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Italian Pages 3264 [3250] Year 2019
Attribuzioni Il sogno di D’Alembert – Osservazioni su Hemsterhuis – Elementi di fisiologia – I Gioielli indiscreti – Mistificazione – I due amici di Bourbonne – Colloquio di un padre con i suoi figli – Satira prima – Satira seconda. Il nipote di Rameau – Lui e Io – Jacques il fatalista e il suo padrone – La Religiosa traduzione e cura di Paolo Quintili Confutazione di Helvétius traduzione e cura di Paolo Quintili e Matteo Marcheschi Lettera a Landois sulla libertà e sulla necessità – Sulle donne traduzione e cura di Eleonora Alfano Pensieri filosofici – Aggiunta ai Pensieri filosofici – La Passeggiata dello scettico – La sufficienza della religione naturale – Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono – Lettera sui sordi e muti a uso di coloro che intendono e parlano – Pensieri sull’interpretazione della natura – Principi filosofici sulla materia e il movimento – Saggio sui regni di Claudio e di Nerone – Questo non è un racconto – Madame de La Carlière – Supplemento al Viaggio di Bougainville – Colloquio di un filosofo con la Marescialla di *** traduzione e cura di Valentina Sperotto
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BOMPIANI il pensiero occidentale Collana fondata da
Giovanni Reale diretta da
MARIA BETTETINI
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In copertina: Louis-Michel Van Loo, Ritratto di Denis Diderot, 1767. © Masterpics / Alamy / IPA. Cover design: Polystudio Copertina: Zungdesign
ISBN 978-88-587-8514-0 Realizzazione editoriale: Alberto Bellanti – Milano www.giunti.it www.bompiani.it © 2019 Giunti Editore S.p.A./Bompiani Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Piazza Virgilio 4 - 20123 Milano - Italia Prima edizione digitale: ottobre 2019
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Denis diderot opere filosofiche, romanzi e racconti pensieri filosofici – la passeggiata dello scettico – la sufficienza della religione naturale – lettera sui ciechi – Lettera sui sordi e muti – pensieri sull’interpretazione della natura – Lettera a Landois – Sulle donne – Il sogno di D’Alembert – Principi filosofici sulla materia e il movimento – Confutazione di Helvétius – Osservazioni su Hemsterhuis – Elementi di fisiologia – Saggio sui regni di Claudio e di Nerone – I Gioielli Indiscreti – Mistificazione – I due amici di Bourbonne – Colloquio di un padre con i suoi figli – Questo non è un racconto – Madame de La Carlière – Supplemento al Viaggio di Bougainville – Colloquio di un filosofo con la Marescialla di *** – Satira prima – Il nipote di Rameau – lui e io – Jacques il fatalista e il suo padrone – La Religiosa
Testo francese a fronte A cura di Paolo Quintili e Valentina Sperotto
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Sommario Introduzione
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di Paolo Quintili e Valentina Sperotto Ringraziamenti Notizia biografica
Opere filosofiche
lxv lxvii
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Romanzi e racconti
1639
Note ai testi
2821
Apparati
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INTRODUZIONE di Paolo Quintili e Valentina Sperotto
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In loving memory of Norie Kajihara
La prima parte della presente Introduzione (pp. ix-xxviii), ad opera di Paolo Quintili, riprende, con numerose modifiche e adattamenti, il testo dell’Introduction a P. Quintili, La pensée critique de Diderot. Matérialisme, science et poésie à l’âge de l’Encyclopédie. 1742-1782, Paris, Honoré Champion, 2001, pp. 13-37, nella traduzione di Antonio Cecere, che l’Autore ringrazia calorosamente. La seconda parte (pp. xxix-lxiv) è ad opera di Valentina Sperotto.
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Il pensiero critico di Diderot L’importante conflitto tra teoria e pratica è nato, da una parte, dal carattere incompleto della teoria, in quanto il pratico ha a che fare con la natura in tutta la sua interezza, e dall’altra, dal fatto che i pratici hanno mancato di riflessione e di perspicacia. (Novalis, Enciclopedia)
1. Diderot e la lettura della storia del materialismo francese di F.-A. Lange Il quadro storico del materialismo occidentale tracciato nella Geschichte des Materalismus und Kritik seiner Bedeutung in der Gegenwart (1861) di Friedrich-Albert Lange,1 ha evidenziato lo stretto rapporto – quello di un conflitto e di un’impossibile continuità – tra i materialismi del diciottesimo secolo e la filosofia critica di Kant. Questo conflitto è proseguito ben oltre i limiti cronologici dell’età dell’Illuminismo. L’opera di Lange, fra i primi esponenti del neokantismo di Marburgo, è un riferimento importante negli studi sul confronto tra gli «amici delle Forme» e i «figli della Terra» (Platone), ossia gli idealisti e i materialisti. 2 Il filosofo kantiano tedesco analizzava le dottrine dei materialisti francesi per criticarne gli esiti contemporanei positivisti, dal punto di vista di un kantismo che, secondo lui, sarebbe l’ultimo e più maturo risultato di tutta la filosofia del secolo dell’Illuminismo. Lo studio significativo che apre il secondo volume, ha infatti come titolo «Kant e il materialismo», ed è uno dei lavori, bisogna rilevare, poco numerosi, ancora oggi, che abbiano affrontato in modo sistematico quest’argomento. Lange sottolinea il ruolo di primo piano che occupa il pensiero di Diderot tra gli altri materialisti e anche la relativa autonomia teorica che la corrente del materialismo biologico mantiene riguardo al sensualismo di Locke e di Condillac. Si trattava, per il rapporto materialismo-sensualismo, ricordiamolo, dell’affiliazione storica riconosciuta da Marx ed Engels (Sacra famiglia) nella celebre presentazione della loro «Battaglia critica contro il materialismo francese», tratta dal Manuale di filosofia moderna (1842) di Ch. Renouvrier:3 dal sensualismo di Locke-Condillac «si passa» 1 Cfr. F.-A. Lange, Geschichte des Materialismus und Kritik seiner Bedeutung in der Gegenwart, 2 vol., Iserlohn, 1866; trad. fr. Histoire du matérialisme, Paris, 1877-1879; trad. it. Storia critica del materialismo, 2 voll., Milano, Monanni, 1932 [a cura di L. Gigante, Napoli, Edizioni Immanenza, 2015]. 2 Cfr. O. Bloch, Le matérialisme, 2de édition, Paris, PUF, 1995, pp. 6-9. 3 Cfr. K. Marx-F. Engels, Die heilige Familie, oder Kritik der kritischen Kritik. Gegen Bruno Bauer und Konsorten, dans Mega, Bd. 2, Berlin, Dietz Verlag, 1980, pp. 131-141: «Kritische Schlacht gegen den französischen Materialismus»; vedi anche O. Bloch, «Marx, Renouvier et l’histoire du matérialisme», in Matière à histoire, Paris, Vrin, 1997 [anche in La Pensée, n. 191, pp. 3-42]; si trattava, nel caso del plagio di Marx ed Engels, di un quadro storicamente erroneo e di stampo reazionario e speculativo!
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al materialismo del secolo XVIII. Tramite i materialisti, e al fianco dei positivisti, il bersaglio polemico di Lange sono gli hegeliani del suo tempo – Zeller, Fischer, Hettner, Rosenkranz 4 – che proponevano nelle loro opere questa stessa linea storica: Locke-sensualismo-materialismo. La Mettrie era considerato dagli hegeliani come un «esito» di Condillac e un «discepolo di Holbach». Lange è insorto contro questa cronologia speculativa: Anzitutto, ristabiliamo l’ordine cronologico. Il metodo introdotto da Hegel nella storia della filosofia ci ha lasciato in eredità innumerevoli fantasie. [...] I suoi discepoli seguirono i suoi errori, e perfino uomini che non riconoscono più il diritto di violentare così la storia subiscono però ancora la funesta influenza di Hegel. [...] L’abitudine vuole che Hobbes, uno dei pensatori più originali e più influenti dei tempi moderni, sia interamente trascurato, relegato nella storia politica o trattato come se non fosse altro che l’eco di Bacone. Poi Locke, addolcendo e volgarizzando il rude hobbismo del suo tempo, appare come il padre di una doppia serie di filosofi, inglesi e francesi. Questi ultimi si succedono in un ordine sistematico: Voltaire, Condillac, gli enciclopedisti, Helvetius e finalmente d’Holbach. Ci si è così bene avvezzati a questa classificazione che Kuno Fischer, di sfuggita, fa di la Mettrie un discepolo di d’Holbach! Questo metodo errato estende la sua influenza ben oltre i limiti della storia della filosofia. [...] Tra il 1707 e il 1717 nacquero successivamente e a piccoli intervalli Buffon, de la Mettrie, Rousseau, Diderot, Helvetius, Condillac e d’Alembert; il solo d’Holbach nel 1723. Quando quest’ultimo raccoglieva nella sua casa ospitale quel circolo di liberi pensatori, pieni di spirito, che si chiama la «società di d’Holbach», de la Mettrie era morto da molti anni. Come scrittore, soprattutto per i problemi di cui ci occupiamo, de la Mettrie si trova così alla testa di tutta la serie. [...] Quanto precede basterà per ora per rendere omaggio alla verità. Se il concatenamento reale dei fatti poté essere tanto a lungo snaturato, si deve farne colpa a Hegel e alla sua scuola, e soprattutto allo scandalo provocato dagli attacchi di de la Mettrie contro la morale cristiana.5
Alla fine Lange riconosce che il materialismo della «coterie d’Holbach», come prima quello di La Mettrie, prende le distanze dalla linea sensualista e invece di essere una «conseguenza speculativa» di Condillac, la precede e deve piuttosto essere ricondotta alle sue vere origini, cioè alle grandi correnti dell’empirismo e del razionalismo meccanicistico del secolo XVII, a Bacone, Cartesio e alle sue «conseguenze», i corporealisti (Hobbes) e gli atomisti (Gassendi). Tuttavia, pur avendo tracciato la via agli studi contemporanei, Lange non si astiene dal mostrare l’«incoerenza» e la non sistematicità di un materialismo che dovrebbe la sua piena fioritura, nel secolo XVIII, a ragioni di ordine non teorico-filosofico, ma, secondo la sua lettura, sociale e ideologico. Certe «influenze pratiche», specialmente la condizione prerivoluzionaria della Francia e la crisi della società europea alla metà del secolo, avrebbero provocato, di nuovo, la «regressione al materialismo» (dopo Hobbes e Condillac). Mentre gli avvenimenti di questo periodo non sarebbero altro che degli «ostacoli» posti sul cammino dello sviluppo teorico «diretto» del libero pensiero verso il criticismo di Kant. In definitiva, la 4 Lange menziona la Geschichte der deutschen Philosophie seit Leibniz (1873) dello Zeller; il Franz Baco de Verulam (1856) di Fischer; la Litteraturgeschichte des XVIII Jahrhundert (1865) di Hettner ecc. 5 Lange, op. cit., ed. it. vol. I, pp. 313-316; éd. fr. vol. I, pp. 335-37.
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lettura di Lange arriva a coincidere con quella degli hegeliani, nello stesso tempo decentrata e rovesciata: Quando lo sviluppo teorico si compie senza ostacoli, l’empirismo (per esempio Bacone) conduce direttamente al materialismo (Hobbes), questo al sensualismo (Locke), che dà origine all’idealismo (Berkeley) e allo scetticismo o criticismo (Hume e Kant). Questa verità si applicherà ancor più nettamente all’avvenire, poiché gli stessi naturalisti sono avvezzi a pensare che i sensi ci danno soltanto una «rappresentazione del mondo». Tuttavia questa serie può ad ogni istante essere turbata dall’influenza pratica sopra citata, e nelle grandi rivoluzioni le cui cause interne, profondamente nascoste nell’«incosciente», non ci sono ancora note se non dal lato economico, lo stesso materialismo finisce per non essere più così popolare né così vittorioso, e si vede sorgere mito contro mito, credenza contro credenza.6
Ora, lo schematismo di questo quadro e l’assenza dei materialisti francesi in un contesto di sviluppo «diretto» del pensiero (non «disturbato» da quelle «influenze esterne»), costituiscono i limiti ideologici della ricerca di Lange. Questi sono evidenti, oggi, dopo i numerosi studi ulteriori che hanno mostrato l’importanza delle posizioni materialiste nei dibattiti filosofici dell’età moderna sul problema della conoscenza, da Cartesio a Kant.7 È dunque importante sollevare la questione del rapporto tra i materialismi (plurali) del secolo XVIII – in particolare la posizione specifica che vi occupa Diderot – e la filosofia di Kant, in un altro contesto; poiché le stesse questioni metodologiche al centro della Geschichte des Materialismus rendono possibile il loro riavvicinamento su altre basi, e con risultati più proficui. Quale rapporto storico reale c’è tra la posizione di un pensiero materialista che rivendica l’autonomia morale del soggetto pensante in rapporto alle idee ricevute e all’autorità della tradizione teologico-metafisica, in campi differenti (etica, politica, filosofia della natura), e la filosofia critica che, poco dopo, chiamerà in causa la nozione di autonomia della ragione pura, sottoponendo a un processo intellettuale, divenuto celebre, precisamente la ragione metafisica, alla sbarra del «tribunale della critica»? Quale valutazione storiografica si può dare dei giudizi che pronunciano queste due correnti di pensiero, ciascuna per proprio conto, sull’insieme del passato speculativo della metafisica? Esse convergono, in qualche modo, nell’affermazione «arrogante», «egocentrica», «denigratoria» di Kant, il quale sostiene «che prima del sorgere della filosofia critica non poteva sussistere assolutamente nessuna filosofia. Ma per poter giudicare questa apparente presunzione, bisognerebbe prima rispondere alla domanda: se possa esservi più di una filosofia».8 Le origini di questa convergenza meritano di essere illustrate, dunque, sotto un duplice punto di vista, storico e teorico.
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Ibidem, trad. it. cit., p. 314, nota 285; trad. fr. cit., pp. 509-10. Cfr. Bloch, Le matérialisme cit., e Matière à histoires, Paris, Vrin, 1997; A. Negri, Pensiero materialista e filosofia del lavoro. Hobbes, Descartes, d’Holbach, Milano, Marzorati, 1992. 8 I. Kant, La metafisica dei costumi, a cura di G. Vidari e N. Merker, Roma-Bari, Laterza, 1991, Prefazione, p. 5; La métaphysique des mœurs et le conflit des facultés, in Œuvres philosophiques, vol. III, éd. F. Alquié, Paris, Gallimard, 1986, p. 451. 7
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2. La genesi di un «pensiero critico» nei secoli XVII e XVIII. Il ruolo del materialismo di Diderot A proposito della tendenza dominante nella scienza e nella filosofia del Gran Secolo, il Seicento, Jacques Roger ha osservato: «Il diciassettesimo secolo era stato il secolo dello sguardo. Sguardo del geometra che analizza le figure, del meccanico che dispone gli ingranaggi. Sguardo che coglie pienamente una natura in cui tutto è solo forme e movimento. Tra lo sguardo del corpo e quello dello spirito, c’era una perfetta coincidenza, e il mondo era trasparente. La luce era un fenomeno semplice, le sue leggi erano geometriche. Immagine e strumento della sovranità intellettuale dell’uomo, lo sguardo analizzava e ricostruiva l’universo».9 Qui, il tragitto epistemologico di questo sguardo geometra della ragione si conclude, alla fine del Gran Secolo, con «due libri» che «misero fine a quest’illusione»: i Principia Mathematica di Isaac Newton (1687) e il Saggio filosofico sull’intelletto umano di John Locke (1690). Per la loro «grande instaurazione» (Bacone), le nuove teorie della conoscenza nate dalla rivoluzione scientifica devono cercare le proprie fondamenta in origini più solide, che abbiano sempre un rapporto con il senso della vista, ma che possano, nello stesso tempo, garantire l’affidabilità dei dati propri di questo primo sguardo geometra, legittimandoli. La vista, anche quella dell’intelletto, può ingannarci. La meccanica razionale di Newton e la dinamica di Leibniz introducono nel campo delle scienze della natura i concetti teorici di «forza» e di «energia», dando loro un significato epistemologico che determina, da allora in poi, una emendatio oculis radicale e preliminare per il soggetto sperimentatore. Le forze cinetiche, le forze di gravitazione e quella di inerzia non sono visibili. Le energie di posizione e di movimento fanno intervenire nell’analisi una facoltà di valutazione dei dati fisici che non è più riducibile al solo sguardo. Da questo momento, le questioni gnoseologiche concernenti i fenomeni della visione interessano sempre più intimamente i filosofi, a partire da Keplero, passando per Hobbes, Cartesio, Gassendi, fino a Berkley, per il loro lavoro di costruzione di nuovi sistemi di pensiero che essi si sforzano di istituire partendo, per così dire, da una nuova propedeutica dell’apparenza fenomenale. Lo sviluppo di nuovi strumenti di misura svolge un ruolo essenziale in questo processo. La stessa esperienza visiva deve poter correggere obiettivamente – o negare questa possibilità, da una prospettiva psicologica, come farà Berkley – gli errori inevitabili della vista, con l’aiuto di un’osservazione ragionata e del metodo sperimentale (Hobbes, Gassendi). È Locke a individuare precisamente il ruolo svolto dal giudizio nelle idee che la vista fornisce all’intelletto, distinguendo la semplice sensazione da una percezione «densa» di teoria. Questo giudizio gode di un potere cognitivo inaspettato di elaborazione e di trasformazione del dato sensibile. Ma esso deve poter correggersi criticamente (krinein: giudicare) da solo per raggiungere la certezza e l’universalità. Nel secolo XVIII, dopo la lezione di Locke, le teorie dei naturalisti e dei materialisti (Buffon e La Mettrie) procedono in questa direzione autocorrettiva del giudizio e rappresentano una svolta importante nel dibattito che segna la prima specificità di un approccio materialista al problema della conoscenza. Ora, quasi tutti gli autori che affrontano la questione della natura dello «sguardo», ossia della visione, devono affron9 Introduction a G.L.L. Buffon, «Du sens de la vue», in Un autre Buffon, éd. J.-L. Binet et J. Roger, Paris, Hermann, 1977, pp. 119-21.
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tare un problema speciale: il problema del cieco. In questo quadro teorico molto complesso va situata la riflessione di Diderot all’epoca in cui elabora il suo pensiero materialista come una filosofia della vita e della pratica (praxis). E anche in ciò si distingue il nucleo di quello che chiamerò il suo pensiero critico. La Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono (1749) mette al centro della questione un argomento che era stato già trattato da molti altri filosofi, ma da questi come un caso limite. Buffon e Diderot considerano invece il cieco come l’esempio-modello della genesi evolutiva delle capacità cognitive legate alla visione in generale, in una prospettiva di sviluppo che gli altri autori non avevano preso in considerazione. Il senso della vista, con tutto ciò che vi si collega sul piano genetico, viene da qualcos’altro, ha un’origine, una radice più essenziale e più originaria. Se lo sguardo-primo della vista, come insegnava Locke, è già una forma di giudizio, che può essere giusto o sbagliato, non è più la vista da sola che può garantire il processo di correzione delle illusioni possibili, nel suo rapporto con l’intelletto. Il Sogno di D’Alembert lo spiegherà in termini biologici: è «l’emergere dell’io». Un toccare, dapprima «sordo e ottuso»; poi il suo movimento, che si fa sempre più sottile, diventa un’azione che si razionalizza, prende forma logica man mano che avanza nel tempo dell’esperienza. Essa fissa poi le sue forme, del sentire e dell’agire, nelle strutture materiali dello spirito-cervello conquistando lì il loro linguaggio. L’esperienza del cieco testimonia, secondo Diderot, che si tratta dei fondamenti biologici e pratici che, con dei procedimenti che interessano tutta la specie umana, permettono la certezza gnoseologica di quei dati, così instabili, della rappresentazione visiva. Una volta «creati» nello spirito dal primo sguardo geometra, questi dati saranno riconosciuti universalmente validi per mezzo di un procedimento cinestetico che impegna il soggetto nella sua unitotalità di sensazione, di azione e di pensiero. Il cieco nato, ritrovando la vista, può riconoscere e nominare gli oggetti, cubo e sfera, di cui aveva avuto un’esperienza tattile (Molyneux’s Question), grazie a queste strutture materiali profonde comuni, legate alla complessità del processo naturale che le ha generate, successivamente, nella storia della natura. Esse diventano delle categorie logico-discorsive fondate su queste basi materiali dello spirito, comuni a tutti gli esseri umani, come dei prodotti della storia naturale, e costituiscono il sensorium. Con quest’argomentazione, Diderot può confutare biologicamente la tesi immaterialista di Berkley che, «a onta della ragione umana, è logicamente inconfutabile». Su questo punto, la posizione materialista-critica del problema della conoscenza è analoga, sostanzialmente, a quella dell’idealista trascendentale della Critica della ragion pura («Confutazione dell’idealismo»10). Più tardi, ne Il Sogno di D’Alembert (1769) e negli Elementi di fisiologia (1773-1784, postumi), Diderot, seguendo La Mettrie, situerà queste categorie del giudizio nelle «parti materiali» o funzioni del cervello. Ma in questo primo periodo (1749), l’argomento evolutivo che viene da Buffon e, più da lontano, da Lucrezio, fonda una dottrina materialista della conoscenza-azione (primato del tatto) e della vita (praxis), che investe e trasforma i termini della questione posta dalla tradizione metafisica. Il primo sguardo – il giudizio della vista – è rivisto (rigiudicato) da quello che definirei uno «sguardo secondo» – il fatto della praxis-percezione – che, pur manifestando la sua omologia strutturale con il primo sguardo, ne è la condizione, la quale ha come origine non una rappresentazione semplice ma un complesso processo di azione. Questo 10 Cfr. Th. Ziehen, «Über eine Parallelstelle bei Kant und Diderot», in Kant Studien, n. 20, 1915, p. 127.
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si specifica, razionalizzandosi progressivamente attraverso la fissazione delle sue forme nelle strutture materiali dello spirito, ripetute e ricostruite nell’esperienza attuale di un soggetto sensibile. Questo «sguardo secondo» si produce alla fine di un processo di razionalizzazione del sensibile che tende all’universalità, a livello biologico. Da ciò nasce l’interesse di Diderot per la chimica e la fisica della materia, che servono da strumenti di analisi e di comprensione dei fatti che si generano nel campo della conoscenza-azione. La descrizione di un processo simile diventerà il nucleo della gnoseologia critica di Diderot, con la sua estensione fino ai campi dell’estetica pittorica, teatrale e dell’economia.11 Il pensiero critico di Diderot si presenta così, in quanto riflessione sulla e nella complessità dell’esperienza in generale, come fondatore di una nuova figura storica della filosofia. È l’individualità naturale (un neologismo che fa la sua comparsa nel Nipote di Rameau), il soggetto pensante-agente-senziente in quanto prodotto della sua «storia naturale», che è contemporaneamente ricostruttore del mondo della natura e giudice di se stesso. Tale personaggio, filosofico e letterario, sale sulla scena della modernità come la sostanza prima di questo pensiero critico.
3. La posizione del pensiero di Diderot È evidente che non si tratta soltanto di smentire lo schema della Geschichte des Materialismus del Lange per interpretare bene il ruolo del materialismo di Diderot nello sviluppo di un ideale critico della conoscenza – ciò che nondimeno farò, riprendendo alcuni suggerimenti di quell’Hegel «fantasista» troppo screditato, e di uno dei suoi migliori discepoli, K. Rosenkranz.12 Per mostrare le ragioni teoriche che situano la sua filosofia – e il materialismo francese – a pieno titolo nella storia del pensiero occidentale (al centro e non al margine), occorre trovare un ambito storico-problematico che definisca, seguendo una linea retta, l’unità e la struttura d’intenzione del pensiero di Diderot, dicevo a pieno titolo, al di là del carattere dispersivo e frammentato della sua opera. In primo luogo, l’opera di Diderot si articola attraverso uno stretto dialogo con la tradizione del dibattito filosofico del XVII secolo: razionalismo versus empirismo, il caso del cieco. E in secondo luogo, essa si dispiega con originalità nel contesto dell’enciclopedismo francese, nel confronto con Descartes, D’Alembert, Buffon, D’Holbach, Helvétius, e della filosofia europea (Shaftesbury, Hume, Wolff ecc.). La mia analisi si sviluppa dunque a partire da uno studio dei problemi epistemologici che collegano il pensiero di Diderot alla genesi europea di una filosofia critica in senso ampio.13 È innanzitutto la questione del tipo di questa filosofia critica: essa è – anzi diviene – enciclopedica, vale a dire policentrica. Come si forma questa specie di nuova attitudine enciclopedica della riflessione in filosofia? Vedremo che ciò che lega con coerenza i diversi centri 11 Sull’insieme di questi temi rinvio al mio: La pensée critique de Diderot cit., Parte II, cap. 7.1-4 e 8.1-3: «Sul piacere critico – il giudizio di gusto e l’economia politica». 12 Cfr. J.-C. Bourdin, Hegel et les matérialistes français, Paris, Méridiens Klincksieck, 1992, pp. 198-201: «Le silence sur Diderot». Il materialismo del secolo XVIII, alla luce del pensiero hegeliano, secondo Bourdin, «ha saputo incarnare il principio moderno della libertà soggettiva, illustrandosi nella conquista del suo regno del finito». 13 P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., Parte I, Sezione I: «Sparizione dello sguardo. Il giudizio storico».
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d’interesse della persona di Diderot è l’ideale di un «sistema» dei saperi, non dichiarato, che mira a cogliere quello che c’è di essenziale per l’esperienza umana in generale in ogni tematica affrontata. L’obiettivo è quello di scrivere, di descrivere, di raccontare ecc., di pensare in fine quello che c’è di comune – in quanto condizione di senso – a diversi campi di conoscenza (e di azione) messi in gioco nell’esperienza umana, riflessa nel pensiero. La scrittura letteraria svolge qui il ruolo più importante di strumento di costruzione del duplice sguardo della ragione critica, dandole una consistenza filosofica. Massimo Modica, sulla scia del pensiero di Emilio Garroni, ha saputo individuare il senso di questo carattere critico della filosofia di Diderot e non nel solo campo dell’estetica:14 «Se a sollecitare la sua riflessione sono dei problemi anche molto concreti e particolari, essa appare interessata a una pressoché costante ricerca di connessioni tra quei problemi e le più diverse aree culturali, intellettuali e artistiche, al di là di qualsiasi presunto specialismo e in vista di questioni essenziali per il fare e il conoscere dell’uomo».15 Ora, si tratta di vedere questo spirito, volto all’«essenziale», all’opera in tutta la produzione letteraria e filosofica di Diderot. Il vecchio problema della «duplicità» del filosofo (materialista o preromantico?), che Lange e altri hanno rimproverato, diventa il semplice riflesso di un duplice movimento reale del suo pensiero, dal particolare all’universale, «particolarizzato» sempre di nuovo in una determinata esperienza, a cui si chiede lo statuto di senso attraverso la scrittura. È il primo aspetto del pensiero critico di Diderot: la sistematicità segreta, dinamica e aperta, che prende corpo nell’opera letteraria.16 In secondo luogo, è da seguire questo dinamismo dello stile di Diderot attraverso la sua biografia intellettuale, senza isolarne la scrittura policentrica in rapporto al tutto storico che lo ingloba. Un ambiente intellettuale comune che fa della Francia, tra il 1742 (data delle prime opere di traduzione di Diderot) e il 1782 (seconda e ultima edizione del Saggio sui regni di Claudio e di Nerone) il paese-guida dell’Illuminismo europeo. La cultura francese si presenterà, in seguito, come la scuola dei giovani «alunni» di Berlino, Königsberg, Strasburgo e Tübingen. A tal proposito, gli studi di R. Mortier17 sono i punti di riferimento iniziali di tale tematica, soprattutto per ciò che riguarda l’accoglienza del Diderot enciclopedista in Germania. Questo periodo della storia europea si caratterizza anche, dal punto di vista teorico, per la tendenza a essere «il secolo della critica», che lo stesso Kant rilevò retrospettivamente.18 Ecco una definizione corrente, ripetuta più tardi, 14 Cfr. M. Modica, L’estetica di Diderot. Teorie delle arti e del linguaggio nell’età dell’Ency clopédie, Roma, Pellicani, 1997, p. 16. Per quel che concerne gli annessi e connessi di questa nozione di «pensiero critico» vedi: E. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla «Critica del Giudizio», Roma, Bulzoni, 1976; Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale, Roma-Bari, Laterza, 1986; Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano, Garzanti, 1992. 15 Modica, L’estetica di Diderot cit., p. 15. 16 Cfr. F. Pruner, L’unité secrète de Jacques le Fataliste, Paris, Minard, 1970; e P. Tort, L’origine du Paradoxe sur le comédien. La partition intérieure, 2de éd., Paris, Vrin, 1980. 17 Cfr. R. Mortier, Diderot en Allemagne (1750-1870), Paris, PUF, 1954; ID, Le Cœur et la Raison. Récueil d’études sur le dix-huitième siècle, Préface de R. Pomeau, Oxford, Voltaire Foundation, 1990, in particolare: «Diderot et le problème de l’expressivité: de la pensée au dialogue heuristique» (pp. 258-270). 18 Cfr. I. Kant, Critica della ragione pura, a cura di G. Colli, Milano, Bompiani, 1987, vol. 1, Prefazione, p. 9 [Critique de la raison pure (1781), éd. Barni-Delamarre-Marty, in Œuvres Complètes, vol. I, Paris, Gallimard, 1980, p. 727]: «La nostra epoca è la vera e propria epoca della critica, cui tutto deve sottomettersi. La religione mediante la sua santità e la legislazione mediante la sua maestà vogliono di solito sottrarsi alla critica. Ma in tal caso esse suscitano contro di sé un
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da diversi interpreti.19 Resta una questione aperta: cosa si deve indicare in quest’epoca (1742-1782) con la nozione di «pensiero critico», in un senso più ampio e più generale che nel significato esattamente kantiano? E cosa significa questa sistematicità del pensiero che pretende di sottomettere alla critica razionale l’insieme della realtà storica presente, vale a dire la cultura del periodo di diffusione del modello enciclopedico in Europa? Il contributo estetico di Diderot all’Enciclopedia e il dibattito sul sistema delle belle arti verso la metà del secolo – osserva ancora, a ragione, Modica – rende evidente lo spirito di questa filosofia, che «non deve essere inteso come qualcosa che va in direzione contraria ai caratteri più autentici di quel nuovo movimento di pensiero», precisamente «un modo “critico” di pensare, che non è altro che il nuovo modo di presentarsi della filosofia stessa – in breve, un’indagine che si occupa, per esempio, del “bello” e del “sublime”, ma in quanto vuole arrivare a comprendere come “bello” e “sublime” si radicano nella nostra organizzazione sensibile e intellettuale, affettiva e conoscitiva, e in che modo siano da riportare alla natura umana in generale; un’indagine, ancora, che mostra all’interno di un’esperienza artistica determinata (una poesia, per esempio) ciò che vale per l’esperienza in genere, cioè il senso che condiziona ogni esperienza determinata e ogni sua determinata espressione; un’indagine, infine, che ha sì a che fare con l’arte in senso moderno, ma in quanto referente esemplare per comprendere l’esperienza effettiva in genere e non come oggetto esclusivo, separato dal resto dell’esperire».20 Quest’approccio «critico» di Diderot, proprio della filosofia stessa alla svolta dell’Illuminismo – una messa in questione di ciò che c’è di essenziale nell’esperienza umana in genere, come una condizione della sua possibilità in quanto sistema, affinché essa abbia e produca del senso nel presente storico –, è un aspetto tipico di tutto il pensiero di Diderot. È qui, su questo terreno d’interrogazione essenziale, che va cercato il criterio interno della sua unità filosofica.
4. Lo «sguardo secondo» della critica. Un trascendentale materialista Il filosofo italiano P. Carabellese (1877-1948), più di mezzo secolo fa, vide in Kant il pensatore di una rivoluzione ideale che avrebbe posto «il problema interno della filosofia contemporanea», quello della condizione dell’esserci della filosofia come un sapere che chiede la propria legittimazione, in quanto costruzione umana di un universale nel tempo. Questo universale, secondo Carabellese, è il prodotto di una conquista, di un processo «che deve andare, e che va, se è una vera filosofia, nella profondità di questa presentazione storica dello spirito umano: esso è cioè la spiritualità immanente alla storia»,21 la sua processualità aperta e suscettibile di sviluppo. Ora, al di là del linguaggiusto sospetto e non possono pretendere un rispetto senza finzione, che la ragione concede soltanto a ciò che ha potuto superare il suo esame libero e pubblico». Cfr. anche Kant, Leçons de métaphysique, éd. M. Castillo, Paris, Le Livre de Poche, 1993, p. 129. 19 Cfr. K. Rosenkranz, Diderots Leben und Werke, Bd. I-II, N Leipzig, 1866 [Aalen, 1964]; E. Cassirer, La philosophie des Lumières (1933), Paris, Fayard, 1966; trad. it. La filosofia dell’Illuminismo, a cura di E. Pocar, Firenze, La Nuova Italia, 1973; P. Hasard, La crise de la conscience européenne. 1680-1715, Paris, Boivin, 1935; trad. it. La crisi della coscienza europea, a cura di P. Serini, Introduzione di G. Ricuperati, Torino, UTET, 2007. 20 Modica, op. cit., p. 15. 21 P. Carabellese, Il problema della filosofia in Kant. Guida allo studio dei Prolegomeni, Verona, La Scaligera, 1938, pp. 10-11.
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gio della filosofia italiana dell’inizio del secolo scorso, si può prendere in considerazione il discorso del filosofo italiano che si confronta, come storico, a Kant «il cui merito è quello di aver portato il pensante, in quanto tale, nello stesso campo d’indagine del pensiero». La filosofia di Diderot – in quanto prima, in quanto materialista, prima di Kant –, è stata quest’inchiesta del pensiero sul e nel pensiero stesso, dove il soggetto biologico pensante è implicato in essa come l’elemento fondatore del processo cognitivo. Questo soggetto-demiurgo costruisce il processo di universalizzazione della propria esperienza attraverso l’azione del suo duplice sguardo; esso cerca le sue condizioni empiriche di azione, del fare, del sapere, del sentire, sul loro terreno di unificazione possibile nell’esperienza stessa. È qui, su questo terreno percettivo, che nascono le nuove nozioni problematiche di «sistema», e di «individualità» (Il Nipote di Rameau), per una filosofia materialista alla ricerca di se stessa.22 Il pensante (agente, senziente), in Diderot, cerca e dà una legittimazione di sé nel (e attraverso) il conoscere nel mondo del finito empirico, riconosciuto in quanto tale, nel suo insieme, come un finito determinato dalle leggi della natura e della materia. In quanto individuo concreto, questo «pensante» è nella pienezza esperienziale della natura, deve confrontarsi con essa senza esitazioni teoretiche o teoreticistiche. Ma egli è, nello stesso tempo «infinito», aperto e indeterminabile in quanto soggetto biologico universale, in quanto «specie». Quest’ultimo aspetto designa la posizione materialista del pensiero critico di Diderot in senso epistemologico. Io definisco questa posizione come un «trascendentalismo biologico», per quanto concerne la filosofia di vita, e come un «pragmatismo trascendentale», per la filosofia morale e politica. E occorre leggere la nozione di «trascendentale» in un senso più esteso che nel significato kantiano, nel senso materialista: come ciò che condiziona e limita la nostra esperienza secondo delle leggi materiali e biologico-storiche all’interno della stessa esperienza. In altre parole: è un ambito di rappresentazioni, di strutture di azione, di generi di sensazione determinati da «Dame Nature» (in questo senso, delle strutture a priori), che appartengono nondimeno all’esperienza dell’uomo in generale, in quanto specie, specie sociale e storica prima di tutto. Si tratta di estendere alla biologia dell’individuo complesso, storico e naturale, oggetto del pensiero di Diderot, la definizione di trascendentale che Deleuze applica a Kant: «Trascendentale qualifica il principio di una sottomissione necessaria dei dati dell’esperienza alle nostre rappresentazioni a priori, e correlativamente di una applicazione necessaria delle rappresentazioni a priori all’esperienza», per attingere la dimensione nuova di un trascendentale nel tempo del divenire naturale.23 Quid Juris? è l’ambito o il dominio del trascendentale. In questo concetto materialista di trascendentale l’accento deve andare sui processi oggettivi e reali di costituzione di «soggettività»; utilizzo questa nozione come un interpretante, un principio ermeneutico utile a penetrare lo spirito della filosofia di Diderot, anche se il filosofo certamente non ha mai utilizzato il concetto di trascendentale. La filosofia di Diderot si presenta così come una ricognizione sull’atto stesso del pensare nel pensare, dell’agire nell’agire, giudizio di giudizio che mette in causa le facoltà 22
E.E. Schmitt, Diderot, ou la philosophie de la séduction, Paris, Albin Michel, 1997, p. 14. G. Deleuze, La philosophie critique de Kant, Paris, PUF, 1963, p. 22. Per un’altra utilizzazione di questo concetto materialista di «trascendentale», cfr. M. Hardt-A. Negri, Il lavoro di Dioniso. Per la critica dello stato postmoderno, Roma, Manifestolibri, 1995, p. 12, a proposito della multitudo spinoziana come di uno «schema trascendentale in senso forte: esso non è formale ma ontologico, non teleologico ma pragmatico». 23
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naturali di quello che fa (e modella) la sua esperienza finita. E tale «soggetto finito» è esso stesso modellato dall’operazione, l’interpretazione di «Signora Natura». Il materialismo di Diderot costituisce così, in questa prospettiva di lettura, la prima filosofia materialista del finito dell’età contemporanea.24 La nozione di «secondo sguardo» qualificherà questo duplice movimento del pensiero critico che sta indagando sulle condizioni di produzione gnoseologiche del suo «sapere», del suo «fare», del suo «sentire», nei limiti stessi della propria finitezza naturale e storica.25 Diderot, «filosofo della complessità» ci mette così a confronto con un nuovo compito del pensiero all’alba dell’età contemporanea: interrogare l’esperienza umana nel suo insieme, su un piano di coappartenenza immanente, originaria e reciproca, di gnoseologia, etica ed estetica. Questi ambiti diventano i campi di fondazione e di legittimazione costruttiva di un soggetto naturale che pensa, agisce, e sente, e che si interroga su se stesso in modo «enciclopedico» cercando di stabilire dei «sistemi poietici» di costituzione del sé.26 Da qui in poi, «il problema della metafisica» (Heidegger) e del «soggetto finito» diviene tutt’altro. Come afferma Diderot, in modo metaforico, con le parole del Neveu de Rameau: «il vero, il buono e il bello hanno i loro diritti. Sono contestati, ma si finisce per ammirarli [...]. Sbadigliate dunque, signori, sbadigliate come volete. Non fatevi problemi. L’impero della natura e della mia trinità, contro la quale le porte dell’inferno non prevarranno mai....». Oltre la derisione del platonismo degli esseri morali di Shaftesbury, ciò che interessa Diderot moralista ed estetico dell’esperienza (è entrambi contemporaneamente: enciclopedista), è di circoscrivere i contorni di questa nuova «trinità» laica, «che si mette umilmente sull’altare, a fianco dell’idolo del paese; poco a poco, vi si afferma; un bel giorno spinge con il gomito il suo compagno; e patatrac, ecco l’antico idolo a terra».27 Diderot circoscrive il nuovo territorio del pensiero critico nelle sue possibilità produttive, teoriche e pratiche, nell’esperienza in generale ma mai al di là di essa, rimanendo sullo stesso terreno della tradizione metafisica. Egli parlerà di quest’esperienza a partire da una posizione del pensiero che conosce le acquisizioni epistemologiche della scienza di Newton (nei Principi filosofici sulla materia e il movimento), della biologia di Maupertuis (nei Pensieri sull’Interpretazione della natura) della scienza applicata degli ingegneri (nell’Encyclopédie), dell’economia politica di Galiani e dei fisiocrati (nell’Apologia dell’abate Galiani): discipline che hanno rivoluzionato la Weltanschauung dell’uomo dell’Illuminismo. Il suo proposito sistematico riguarda la filosofia e l’epistemologia nella loro unità problematica che si dispiega attraverso la pluralità di questi ambiti, e investe il pensatore nella sua pratica di scrittore. Diderot deve inventare, per essa, un nuovo linguaggio della filosofia. Va analizzata dunque quella «trinità» nella dynamis letteraria che la articola, senza dividerla in «pezzi scelti» (morceaux choisis), in queste Opere filosofiche, romanzi e racconti. Per far emergere le implicazioni teoriche e le teorizzazioni implicite nei testi meno conosciuti sotto questo aspetto, la mia ipotesi di lettura del pensiero critico letterario di Diderot segue il filo conduttore di un nucleo sistematico unitario. Nella produ24 Cfr. M. Heidegger, Kant et le problème de la métaphysique, éd. fr. par A. de Waelhens et W. Biemel, Paris, Gallimard, 1953. Ma si tratta qui di un’«ontologia fondamentale» della finitezza materiale dell’uomo, nei suoi aspetti biologici e storici insieme. 25 Cfr. Deleuze, op. cit., pp. 16-17 e 97-107. 26 Cfr. P. Quintili, La pensée critique cit., Parte II, Sezione I: «Il secondo sguardo critico e il vivente. I sistemi poietici». 27 Diderot, Il Nipote di Rameau, infra, p. 2275.
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zione romanzesca, che cosa connota un «pensiero critico»? Il materialismo fu, anzitutto, la sua prima molla, in quanto tentativo di costruzione di una nuova arte e/o teoria del giudizio di conoscenza – un giudizio di giudizio, sguardo secondo nel reale – alle prese con la complessità del mondo a cui l’uomo dà una forma nel momento stesso in cui ne fa l’esperienza, e che «si fa» prassi trasformatrice. È lo stesso mondo protoindustriale che le nuove scienze – storia/filologia (Vico), biologia, meccanica razionale, scienza ingegneristica, economia politica – stanno per rivoluzionare e insieme legittimare da un punto di vista critico.28 La costruzione di un’epistemologia critica materialista fornisce dunque un’immagine unitaria del reale, ma essa è diversa in rapporto ai grandi sistemi deduttivi del secolo XVII. Già D’Alembert, nel Discorso preliminare (1751) dell’Encyclopédie, oppone lo «spirito di sistema» proprio del Gran Secolo, il Seicento, e divenuto pericoloso per la filosofia, a uno «spirito sistematico» che deve stabilire nuove frontiere della conoscenza all’interno stesso del suo lavoro in fieri. Ormai la critica non si lascia più esaurire in uno schema metafisico precostituito. Diderot, sulla stessa linea di D’Alembert, s’interessa alla realizzazione di ciò che ne stabilisce i contorni di senso in modo «naturale», all’interno stesso di una scrittura a senso aperto, reversibile e mobile, come lo è l’universo della natura in continua trasformazione e modificata dall’uomo dell’industria – ecco la nuova tecnica narrativa della digressione, il dialogo euristico, l’euristica della visione.29 Lo sforzo di categorizzazione del naturale trasformabile attinge in Diderot – per dirla con Vico – un universale di tipo «fantastico», ancora sognato o «incantato».30 Il pensiero filosofico di Diderot è dunque critico in quanto articola un’indagine sulla e nella complessità ontologica del reale, mettendo in causa anzitutto se stesso, il «primo sguardo» della ragione, per raggiungere uno sguardo più profondo. In quanto ricerca infinita, regolata dalla sua sistematicità aperta, essa ha un modello e una fonte: l’Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. Diderot pensatore e critico è l’enciclopedista. Per molti aspetti, è l’immagine che forniscono gli studi su Diderot degli ultimi trent’anni.31 «Scienza e poesia», questi due ambiti che sostengono l’edificio critico «trinitario» di un’enciclopedia laica dei saperi in formazione, che si ritrovano legati da un terzo termine, come fosse la loro condizione: il materialismo. Un materialismo della morale e della conoscenza, filo conduttore di tutta l’opera. Diderot è consapevole che il discorso morale della metafisica, riflesso nell’uomo della società borghese proto-industriale, va oltre i limiti dell’esperienza e della «legge» kantiana, procede verso il falso, la mistificazione, l’inganno o, nel migliore dei casi, l’invenzione espressa in buona fede.32 S’afferma così l’impero di un materialismo poetico che cinge di un’aureola specifica, tipica, la produzione letteraria di Diderot, come il potere formativo dell’idea di un bello-percezione-di-rapporti al centro di un sistema policentrico. Da allora in poi, si possono individuare dei modi di enunciazione caratteristici 28 Cfr. H. Nakagawa, «Universalité de Diderot», in RDE, n. 2, 1987, p. 7; La pensée critique cit., Parte II, cap. 5.1-6. 29 Cfr. P. Quintili, La pensée critique cit., Parte II, Sezione II («Del godimento critico. Il giudizio di gusto e l’economia politica»), cap. 7: «La critica d’arte: il giudizio sintetico a fortiori». 30 Cfr. E. de Fontenay, Diderot ou le matérialisme enchanté, Paris, Grasset, 1981; P. Quintili, La pensée critique cit., Parte II, Sezione 1: «I sistemi poietici». 31 Mi permetto di rinviare al mio saggio: «Gli studi critici diderottiani in Francia dal ’62 ad oggi», in Cultura e Scuola, n. 125, 1993, pp. 185-206. 32 Cfr. J. Catrysse, Diderot et la mystification, Paris, Nizet, 1970.
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per ogni dominio discorsivo: il dialogo e il colloquio per il «Buono», il saggio in aforismi per il «Vero», entrambi per il «Bello», che infine, spingendo oltre questa metafora, costituisce lo «Spirito Santo». La critica dell’etica sociale che Diderot conduce nei suoi romanzi clandestini più «distruttivi» (Il Nipote di Rameau, La Religiosa, Jacques il fatalista) sfocerà poi, nel periodo della maturità, in una critica rivoluzionaria della società feudale e coloniale (Contributo alla storia delle due Indie, Saggio sui regni di Claudio e Nerone). Il pensiero critico si reputa idoneo a rimettere in gioco totalmente, esteticamente e politicamente, come sistema, i valori e i principi d’ordine costituiti prima, nei passati feudali della filosofia speculativa e del reale. Quest’aspetto rivoluzionario è il tono dominante della critica di Diderot che va messo in evidenza nelle ultime opere, soprattutto negli scritti politici. Vi sono tre ambiti messi in questione contemporaneamente: «critica politica, diritto ed economia. La comunità del desiderio».33 È qui che s’individua il tratto culturale che avvicina il movimento enciclopedico (e non del solo Diderot) alla filosofia classica tedesca, di Kant (Deutsche Lehre der Französische Revolution, «dottrina tedesca della Rivoluzione francese», secondo Marx) e di Hegel, in quanto filosofie della Rivoluzione. Negli ambiti della morale e della politica, Diderot si pone dunque i problemi delle condizioni e dei limiti delle nostre capacità di conoscenza, di azione e di operazione nell’esperienza, come materialista rivoluzionario. Egli sottolineerà il fatto che esse sono delle facoltà/capacità naturali, biologiche e storiche nello stesso tempo. La sua filosofia-scrittura sostiene l’azione critica distruttrice, ma essa deve inventare tutto sul piano del linguaggio, per esempio quando si tratta di parlare «dell’organo dell’anima», il cervello, e di spiegare la sua genesi evolutiva (Il Sogno di D’Alembert). Si vedrà che gli strumenti di lettura sono completamente nuovi, ma l’esito non è teoricamente «incompleto» (come pretendeva il Lange) rispetto alla maggior parte delle istanze generali della filosofia dell’Illuminismo europeo e, più oltre, delle filosofie kantiane e hegeliane. Il materialismo biologico costituisce l’elemento di attualità profonda di Diderot, in rapporto alle posizioni aporetiche di Kant in questi stessi ambiti (antropologia, psicologia). È da mettere in evidenza il valore produttivo, la Wirkungsgeschichte delle risposte di Diderot a delle questioni centrali, nei campi dell’epistemologia, della psicologia, dell’antropologia e dell’estetica. Riassumiamo l’insieme di queste questioni critiche: 1. Il ruolo del soggetto costruttore nella conoscenza della natura e quello del genio nell’arte.34 2. Il primato della «virtù» (capacità di rendersi felice in comunità), per la costituzione di un’etica della laicità, e il conflitto che essa vive con la felicità individuale quando diviene mistificazione, e quando la società non gode di una buona legislazione. 3. L’esercizio della razionalità al di fuori di un quadro di legittimazione metafisicoontologico. La metafisica è da allora in poi concepita (e riformata) come un’arte di giudicare che mira ai «principi» (naturali e/o trascendentali 35) del fare e del conoscere. 33
P. Quintili, La pensée critique cit., Parte II, Sezione 2, cap. 8: «La comunità del desiderio. Critica politica, diritto, economia». 34 Cfr. S.S. Bryson, «Diderot and Kant, or The Construction of “Truth”», in Papers on Language and Literature, n. 21, 1985, pp. 370-382. 35 Cfr. supra, § 4, nota 23.
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4. La scoperta, attraverso La Mettrie, Bordeu e i medici di Montpellier, dell’importanza del cervello come «organo dell’anima» e macchina per pensare, in tutto ciò che riguarda le attività legate a quest’arte materialistica di giudicare, sostanza della razionalità non-metafisica, in estetica, etica, politica. 5. La preliminarietà della questione dell’uomo-soggetto («Che cos’è l’uomo?»), in rapporto alla definizione della «trinità» laica del vero, del buono e del bello.
5. Lange e la leggenda del «Satiro fumante» F.-A. Lange ha avuto un duplice atteggiamento dinanzi a questo Diderot filosofo della soggettività complessa, della natura e della facoltà di giudicare(le). Ciò ha aumentato lo spessore della leggenda sulle sue «due anime»: materialista e idealista insieme, «incoerente» nei due casi. Secondo Lange, il materialismo d’impronta newtoniana e buffoniana rischiava di rimanere incompleto e avrebbe frenato la crescita del critico d’arte e del romanziere, se non ci fosse stato l’apporto simultaneo di un «genio spiritualista», idealizzante, lo stesso che anima con un’eccentricità già romantica l’orizzonte letterario dei problemi. Materialista e vitalistico negli scritti di filosofia della natura; spiritualista e preromantico nei lavori letterari: secondo questa leggenda, che si è diffusa nel secolo XIX, Diderot avrebbe lasciato coesistere faustianamente in sé queste due anime inconciliabili. Per cogliere la portata di tale lettura36 e i suoi effetti storici su vari interpreti contemporanei (Mornet, Fabre ecc.),37 basta leggere la relazione che fa Lange della serie dei materialisti francesi, dopo La Mettrie. Ecco il «posto» che occuperebbe Diderot: Incontriamo anzitutto Diderot, uomo pieno di spirito e di fuoco, chiamato così spesso capo e generale dei materialisti, mentre gli abbisognò uno sviluppo lento e progressivo per arrivare ad una concezione veramente materialista; ben più, il suo spirito rimase fino all’ultimo istante in uno stato di fermentazione che non gli permise di completare né di elucidare le sue idee. Questa nobile natura, che ricettava tutte le virtù e tutti i difetti dell’idealista, in primo luogo lo zelo per la felicità del genere umano, una amicizia devota, una fede incrollabile nel bene, nel bello, nel vero, e nella perfettibilità del mondo, fu trascinata come vedemmo, suo malgrado, dalla corrente dell’epoca verso il materialismo...38
Ci sono qui tutti i tratti distintivi di un Diderot «filosofo in fermento... goffo, brillante... caposquadra laborioso... Satiro fumante di un materialismo inebriato...» che un reazionario geniale come Jules Barbey d’Aurevilly non farà che completare negativamente, all’epoca dei furori controrivoluzionari durante gli anni successivi alla Comune di Parigi (1871-1780).39 Alla base di questa lettura – in negativo – che costruisce un’immagine sgradevole, sotto molti aspetti, di un Diderot «testa tedesca» (la cui genesi è stata spiegata da R. Mortier), nei casi di Lange e D’Aurevilly si trova un ostacolo intellettuale, sia episte36
Cfr. J. Proust (éd.), Interpréter Diderot aujourd’hui, Paris, Sycomore, 1984. J. Fabre, «Introduction» à Le Neveu de Rameau, Genève, Droz, 1977, pp. vii-xcv, 73 et 81; D. Mornet, Diderot: l’homme et l’œuvre, Paris, Boivin, 1966 (19411), pp. 5-10. 38 Lange, op. cit., trad. it. cit., vol. 1, p. 347; trad. fr. cit., vol. I, p. 375. 39 J. Barbey D’Aurevilly, Goethe et Diderot, Paris, E. Dentu, 1880, pp. 181 sgg. e R. Trousson, «Barbey d’Aurevilly et le “satyre fumant”», in A.-M. Chouillet (éd.), Les ennemis de Diderot, Paris, Méridiens Klincksieck, 1993, pp. 201-20. 37
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mologico che ideologico. I nemici di Diderot percepiscono e toccano con mano un problema reale, quello delle pretese «virtù idealiste» di cui lo stesso scrittore sarebbe dotato e che essi affermano essere «infettate» (d’Aurevilly) dal materialismo. Questi autori evitavano così di dare conto del materialismo di Diderot in termini di genesi concettuale, cioè in termini filosofici. F. Engels, nell’opuscolo intitolato: Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie («Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca»), pubblicato nel 1886, ha saputo spiegare le radici culturali di questa mentalità borghese capace di esaltare le «virtù idealistiche» di pensatori atei, in nome di un concetto ipocrita e conformista della morale, proprio del Philister («il filisteo») tedesco, come avevano già mostrato Goethe, Heine e tutto il movimento romantico.40 A proposito di Feuerbach, e dell’opposizione materialismo/idealismo, Engels attacca uno di questi Philistern del suo tempo, C.N. Starke, e conclude, sull’esempio di Diderot: Anzitutto, qui si chiama idealismo quello che non è altro che uno sforzo per raggiungere degli obiettivi ideali [...]. Il pregiudizio che l’idealismo filosofico trovi il suo fulcro nella fede e in alcuni ideali morali, cioè sociali, è nato indipendentemente dalla filosofia, nel filisteo tedesco che impara a memoria, nelle poesie di Schiller, quelle briciole di educazione filosofica che gli sono necessarie [...]. In secondo luogo, tuttavia, non si può evitare che tutto ciò che muove un uomo non passi attraverso il suo cervello [...]. Gli effetti del mondo esterno sull’uomo si esprimono nel suo cervello, vi si riflettono come sensazioni, impulsi, desideri, in breve, come «correnti ideali». In terzo luogo, la convinzione che l’umanità nel suo insieme, almeno in questo momento, si muova in una direzione di progresso, non ha nulla a che fare con l’opposizione del materialismo e dell’idealismo. I materialisti francesi nutrivano questa convinzione in modo quasi fanatico, non meno dei deisti Voltaire e Rousseau, e in suo nome affrontarono spesso i più grandi sacrifici personali. Se c’è stato qualcuno che ha consacrato tutta la sua vita «all’entusiasmo per la verità e per il diritto» – prendendo questa frase nel giusto significato – costui sarebbe, ad esempio, Diderot. Quando Starcke chiama allora tutto ciò idealismo, questo prova che la parola materialismo e la totale opposizione delle due correnti ha qui perso per lui ogni significato.41
F.-A. Lange avverte quest’incomprensione indicata da Engels, benché abbia studiato il problema del carattere della morale di Diderot in termini di genesi. Da una parte, i suoi giudizi fanno emergere la conquista ottenuta dai materialisti: «l’ordine e il disordine non sono nella natura»42 ma nel solo nostro intelletto. D’altra parte, da buon «filisteo», Lange si sforza di mostrare l’«insufficienza» del materialismo (di Diderot e di Holbach) nei riguardi delle analoghe affermazioni kantiane. In quanto Diderot non avrebbe dato un «apprezzamento preciso della vita intellettuale» che crea e utilizza, nella morale come nell’arte, quelle «idee fittizie» di ordine e di disordine, applicate sia alla natura che alle produzioni dell’uomo. Lange interpreta la conquista di una prospettiva critica e materialista, in Diderot – che egli arriva pertanto a riconoscere – 40 Il «filisteo» (Philistin), secondo i romantici tedeschi, rappresenta il tipo dello spirito meschino, chiuso e ipocrita, incapace di guardare al di là dei propri interessi, limitati alla propria vita quotidiana. È lo spirito tipico del piccolo borghese. Marx e Engels utilizzano anche loro, spesso, questo termine (e il concetto corrispondente) nell’Ideologia tedesca e nella Sacra famiglia. 41 F. Engels, Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie (1886), in mega, Bd. 21, Berlin, 1981, pp. 281-82 [traduzione nostra]. 42 Lange, op. cit., trad. it. cit., vol. I, p. 357; trad. fr. cit., vol. I, p. 386.
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come viziata da una svalutazione delle «concezioni puramente umane che vi svolgono un ruolo legittimo», e aggiunge: Lo spirito critico rifiutando la loro pretesa oggettività alle idee di teologia, d’intelligenza nella natura, di ordine e disordine, ecc., ne segue che spesso si svaluta troppo il valore di tali idee per l’uomo, e si giunge perfino a respingerle come ombre vuote.43
Lange interpreta la parola «fattizio» nel senso di «falso», cioè di sprovvisto di validità oggettiva, in quanto attributo delle idee umane di ordine, di armonia, di simmetria, ecc.., che Diderot formula all’articolo «Bello» (con le sue implicazioni non-estetiche). Quest’errore di interpretazione è stato sottolineato dagli interpreti contemporanei, i più accorti.44 L’idea «fattizia» del bello significa, secondo Diderot, che essa è costruita, prodotta dall’uomo nell’intelletto, attraverso l’esperienza storico-naturale del fare; essa non è dunque né falsa, né priva di valore. Se si abbandona questa qualifica di «falso» relativamente alle idee prodotte dall’intelletto, e se s’intende la nozione di «idee fattizie» nel giusto senso di condizioni materiali e operative di ogni esperienza umana in generale, s’intraprende il percorso interpretativo che ho seguito. Afferrare la portata del pensiero materialista critico di Diderot negli ambiti della sua «trinità» – Vero, Buono, Bello – significa dar conto della genesi di quella costruzione di un soggetto libero, autonomo e plurale che «dà forma» alla propria esistenza materiale a tutti i livelli di senso, oggettivi e soggettivi, di cui ho parlato sopra.45
6. Rosenkranz e la sistematica critica del materialista Diderot Il più fiero avversario di F.-A. Lange, Karl Rosenkranz, ha intravisto per primo la positività di questa unione di prospettive. Rosenkranz si distingue dagli altri storici hegeliani per la precisione filologica della sua analisi e per la ricchezza storico-filosofica della sua sintesi. Il Diderots Leben und Werke (2 vol., 1861), sostiene una tesi apparentemente paradossale: prima di Kant, Diderot è stato il filosofo che ha gettato le basi della prospettiva sistematica del criticismo, in modo implicito ma già maturo, nel corso di tutta la sua opera di scrittore. Diderot avrebbe realizzato, come scrittore e libero pensatore, quello che Kant avrebbe teorizzato come filosofo professore: la conquista dell’autonomia della ragione giudicante, in rapporto alla metafisica, in tutti gli ambiti del sapere. Leggiamo alcune righe di un discorso che cercheremo di sviluppare nel dettaglio, attraverso una critica dei suoi presupposti metafisici. Rosenkranz, nella conclusione (Schluß) del libro afferma: Ho spesso citato il fatto che non esiste filosofia che avrebbe a tal punto soddisfatto Diderot come la filosofia kantiana, in quanto questa pone al di sopra di tutto l’interesse morale, elimina Dio dalla natura e dalla storia con dignità scientifica e, infine, la43
Ibidem, trad. it. cit., vol. I, p. 359; trad. fr. cit., vol. I, p. 390. Cfr. Y. Belaval, L’esthétique sans paradoxe de Diderot, Paris, Gallimard, 1950; J. Chouillet, La formation des idées esthétiques de Diderot, 1745-1763, Paris, A. Colin, 1974, p. 227. 45 In questa stessa prospettiva vedi ancora: M. Modica, Il sistema delle arti: Batteux e Diderot, Palermo, Aesthetica, 1987; ID (a cura di), L’estetica dell’Encyclopédie. Guida alla lettura, Roma, Editori Riuniti, 1988; L’estetica di Diderot cit., Introduzione; P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., Parte I, cap. 2.1-5 e cap. 3.1-2. 44
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scia aperto uno spazio alla religione dei misteri dell’anima (Gemuths) sotto il controllo della legislazione morale, nella consapevolezza dell’incontestabile carattere limitato del conoscere umano. Diderot è passato per due volte a Königsberg con la sua carrozza [durante il viaggio in Russia presso la corte di Caterina II nel 1773, n.d.t.]. Se avesse saputo qualcosa di Kant, che viveva l’esperienza del passaggio dal dogmatismo di Wolff allo scetticismo di Hume, nel silenzio del suo ritorno, allora, come non si sarebbe affrettato ad andare da lui! Diderot ha centrato la sua considerazione, accanto alla natura, sulla triade del vero, del bello e del buono, ma soltanto empiricamente, mentre Kant ha cercato il fondamento di quest’idea e l’ha trasformata nella triade, più alta, della ragione, della natura e dello spirito. [...] Kant ha riunificato il razionalismo con il naturalismo e lo spiritualismo, in un sistema nel quale essi sono in rapporto di mediazione reciproca [...]. Kant riunisce, dunque, in una sistematica compiuta, con una perspicacia più profonda e una coscienza realizzata (Gewissehaftigkeit) con una perseveranza (Ausdauer) anche ammirevole, quello che i principali rappresentanti dell’Illuminismo francese, Voltaire, Rousseau, Diderot, esprimono in mille sparsi rivoli.46
Al di là dei giudizi di valore sulla più alta dignità dell’idealismo o sul carattere «solamente empirico» del materialismo – su questo terreno vince, di nuovo, il Philistin – Rosenkranz ha elaborato la prima lettura organica del pensiero di Diderot in un unico quadro interpretativo. Egli ha saputo riconoscere, inoltre, l’unità d’intenzione che avvicina Diderot ai suoi contemporanei tedeschi, come anche l’omogeneità teorica della sua filosofia rispetto a quell’ambiente culturale europeo in cui essa si situa: L’epoca di Diderot [...] fa della ragione la regola generale per sottomettere le condizioni della società al pensiero critico. La critica, che aveva cominciato con la Riforma, raggiunge in quest’epoca la sua autocomprensione. Lutero, un insegnante tedesco di filosofia, aveva portato lo stesso movimento riformatore al suo punto di rottura (hatte die reformatorische Bewegung zum Ausbruch gebracht). Leibniz, un giurista tedesco, aveva cercato di conciliare pacificamente le differenze tra le diverse confessioni ecclesiastiche (kirchlichen Bekenntnisse), attraverso la filosofia. Kant, un professore di filosofia, fece della critica stessa il principio della filosofia e chiuse il suo secolo con il concetto della religione nei limiti della semplice ragione.47
Diderot rappresenta infine, secondo Rosenkranz, la figura del pensatore che, tra i suoi contemporanei, ha imparato nella vita, prima di insegnarla in filosofia, «l’indipendenza di giudizio» (Unabhängigkeit des Urtheils) e, in universeller Polyhistor, la libertà dal «pedantismo della forma scolastica della filosofia», per avvicinarsi alla «serietà» della ricerca ideale, cioè secondo la sua bella espressione, ad «una vera poesia platonica della rappresentazione» materialista. Per concludere, l’interprete tedesco non vede più né contraddizioni, né «paradossi» tra il materialista e l’idealista, tra lo spettacolo dei contrari e il principio unitario, nel contesto della storia ininterrotta di un pensiero critico moderno: Era [Diderot], in base alla sua stessa confessione, materialista e ateo, ma tuttavia non cessava di essere un uomo entusiasta, fino all’estasi, per un idealismo del Buono, del Vero, e del Bello. Così, paragonandolo ad altri contemporanei che vissero con lui la stessa atmosfera, le stesse tendenze, si rileva subito la sua netta superiorità (Über46
Rosenkranz, op. cit., vol. II, pp. 423-24 [traduzione e corsivi nostri]. Ibidem, vol. I, p. 1.
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gewicht) su di essi. Questi contemporanei erano spesso superiori a lui, ognuno nel suo proprio campo, ma confrontandosi con la potenza di una tale cultura universale, con la sua pienezza creativa di pensiero (schöpferischen Gedankenfülle), con la sua poliedricità (Vielseitigkeit) e leggerezza di forma, con la sua energia individuale, essi non possono che essergli subordinati. Tutti questi uomini: Duclos, Helvetius, D’Alembert, Marmontel, Morellet, Sedaine, Holbach e altri, da soli, non hanno nulla da pretendere; Montesquieu e Voltaire, Rousseau e Buffon possono essere da lui coordinati.48
La strada aperta da questa linea ermeneutica di Rosenkranz indica il percorso che ho seguito nella lettura e nella traduzione dell’opera filosofica diderotiana. Un’analisi dei fulcri concettuali degli scritti di Diderot collega i diversi aspetti di questo «filosofo multilaterale e poliedrico» – e di altri pensatori: D’Alembert, Buffon, Deleyre –, a una più vasta filosofia enciclopedica. Questa maturò, lentamente in Diderot, negli ambiti della biologia, dell’estetica e dell’economia. È da sottolineare dunque la formazione dell’ideale di una sistematica aperta del sapere che ha come scopo la risposta alla questione centrale: «Che cos’è l’uomo?» quale è diventato? In altre parole: quale è lo spessore di senso della sua esperienza, nella sua integralità dinamica? La mia analisi mira ad attenuare il giudizio di Rosenkranz a proposito della «trinità» laica, mostrando che lo sviluppo di questo sistema, e l’unità che lo sostiene e lo disciplina, non sono legati unicamente a una presa di coscienza della crisi della metafisica speculativa, ma anche a una progettualità pratica rivoluzionaria che va oltre i limiti della pura gnoseologia.
7. Letture attuali. L’unità molteplice del pensiero di Diderot Dopo gli studi pionieristici di R. Mortier su Diderot in Germania (1954) che hanno messo in luce tutta l’importanza teorica di questo rapporto tra il vero Diderot e la sua pretesa «testa tedesca», è di Jacques Chouillet il merito di aver evidenziato lo sforzo di Diderot per raggiungere, nella formazione delle sue idee estetiche, una prospettiva critica in cui «lo spettacolo dei contrari non è un’obiezione fondamentale contro il principio di unità». Chouillet afferma che «Diderot è», per questo «anzitutto un filosofo e chiede di essere preso sul serio in quanto tale».49 E Chouillet definisce tutta la sua estetica, a pieno titolo, come «l’unico tentativo fatto prima di Kant di legittimare i diritti complementari del soggetto e dell’oggetto, subordinandoli ad un principio unificatore».50 Jacques Proust ha poi analizzato sotto diverse prospettive il luogo intellettuale in cui Diderot conquista l’unità del suo pensiero, l’agorà moderna di cui egli è stato il Pericle: l’Enciclopedia. «Egli era lì, come il ragno al centro della sua ragnatela, attento a tutte le vibrazioni dei fili immateriali tesi attraverso il paese, sensibile a ogni soffio di vento, presagendo la più piccola cattura. Nessuno scrittore francese, salvo forse Balzac, ha avuto, come Diderot, la possibilità di restare così a lungo in un intimo contatto con gli elementi più attivi della società del suo tempo».51 La lettura di Proust evidenzia l’importanza dell’impresa di Diderot in qualità di «descrittore» delle arti e dei mestieri, nella concezione di un «soggetto tecnico», costruttore della propria esisten48
Ibidem, pp. 6-7. Chouillet, La formation des idées esthétiques de Diderot cit., p. 5. 50 Ibidem, p. 32. 51 J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, Paris, Albin Michel, 19953, pp. 504-5. 49
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za.52 Quest’ideale è vicino, sul piano storico e culturale, alla concezione di un soggetto trascendentale collettivo (un «noi» ideale), capace, con la sua conoscenza-azione, di imporre le proprie leggi al mondo della natura.53 Anche Paul Vernière, sulla stessa linea d’indagine, traccia l’immagine di un Diderot «neospinozista» che non concepisce così lontano dagli interessi che si trovano al centro della dialettica (aporetica) di Kant. Quale è il senso della molteplicità di aspetti di questo personaggio filosofico? «Occorre anche, come voleva Caro, accordare solo una “sincerità momentanea” a questo virtuoso, a questo mimo dubbioso che si compiace delle sue attitudini successive e segue l’umore passeggero? Bisogna, al contrario, vedere in Diderot un vero filosofo, più preso dalla verità che dalla coerenza artificiale, e nel suo desiderio di non mutilare la realtà, sensibile alle antinomie essenziali che Kant stesso non riuscirà a risolvere. Diderot si è voluto, al contrario dei cartesiani, filosofo della natura e non filosofo della ragione; nella misura in cui la natura gioca d’astuzia con l’uomo, il filosofo ha il diritto di usare l’astuzia».54 Vernière, alla fine della propria analisi, non vede opposizione irrisolta tra il filosofo della natura e il razionalista coerente. Le ricerche di Annie Becq, oltre l’ambito dell’estetica, hanno dato un giudizio preciso sul posto di Diderot nella dynamis storica che procede «dalla ragione classica all’immaginazione creatrice». La genesi dell’idea (e dell’ideologia) di un soggetto creatore, che dà egli stesso le regole alla propria arte, non si discosta, per questo, dalla prima esigenza razionale del pensiero critico, cioè l’attenzione e la cura delle condizioni e dei limiti della propria attività gnoseologica e pratica nell’esperienza. Il mio studio ha trovato nelle pagine di A. Becq un invito ad approfondire tale ricerca, sotto l’aspetto dell’estetica:55 «I tentativi di Diderot per dare conto del gusto, in una prospettiva materialista che prenda in considerazione l’esperienza pratica e la storia, possono essere letti come uno sforzo per razionalizzare il sensibile e (...) la loro portata si misura forse meglio dal punto di vista fornito dai risultati teorici kantiani...».56 Così, sulla scia di queste letture, va riconsiderata l’opposizione illusoria, vista sopra: «idealista e/o materialista?». La chiave d’interpretazione è duplice: la biografia e lo sviluppo del concetto della filosofia di Diderot (Hegel). Le prime esperienze del Diderot traduttore lo pongono dinanzi alla possibilità di attualizzazione del pensiero dei suoi primi maestri:57 gli scrittori libertini, gli eruditi e i moralisti inglesi (Stanyan, Shaftesbury, Pope, Toland) sono letti allo stesso tempo con un atteggiamento alla Bayle: scetticismo e critica testuale dominano. La Passeggiata dello scettico (1747) e La lettera sui ciechi (1749) segnano la svolta verso il materialismo, che è anche una prima posizione del problema critico. Se i sensi, gli stessi organi, non sono affidabili, quale è la fonte di legittimazione delle nostre conoscenze che procedono sempre dall’esperienza sensibile? Dove si trova tale fonte? Quale ruolo svolge il punto di vista del soggetto-indi52
P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., Parte II, cap. 5-1.6. Ibid., Parte II, cap. 8.1.5: «Scetticismo e “tribunale della ragione” sperimentale. Deleyre, Diderot, Kant e il soggetto tecnico». 54 P. Vernière, Spinoza et la pensée française avant la Révolution, PUF, Paris, 1954, pp. 556-57. 55 P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., Parte II, cap. 7.1-4. 56 A. Becq, Genèse de l’esthétique française moderne. De la Raison classique à l’Imagination créatrice. 1680-1814, Pisa, Pacini Editore, 1984 [Paris, 19942], p. 679; et Id., Lumières et modernité. De Malebranche à Baudelaire, Préface de R. Mauzi, Orléans, Paradigme, 1994, pp. 63-71: «Fonctions de Diderot dans la genèse de l’esthétique française moderne». 57 P. Quintili, op. cit., Parte I: «Il giovane filosofo», cap. 1.1-5 e cap. 2.1-3. 53
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viduo, le sue credenze, le sue convinzioni, la sua «organizzazione»? Ecco quell’ambito del sensibile che deve essere portato al livello della «ragione», la quale, d’altra parte, non cessa di essere radicata geneticamente nel sensibile empirico, nell’organico. Il raccordo tra i due ambiti, del sensibile e del razionale, sarà trovato nel fare, nell’attività formatrice dell’uomo, soggetto tecnico, riconosciuta da Diderot come il fondamento al tempo stesso del sentire e del conoscere.58 La svolta che spiega le prime ambiguità apparenti sarà, dunque, l’approccio critico ai problemi tecnici che Diderot attua nella grande «Descrizione delle arti» dell’Enciclopedia (1747-1751). Con le sue inchieste relative alla «Storia della natura fattizia» – l’espressione è di A. Deleyre. Diderot apre qui la sua «linea dell’operatività».59 Il meccanicismo industriale, le organizzazioni produttive del lavoro manifatturiero, secondo la visione enciclopedica, estendono l’attività della natura nell’ambito della pratica trasformatrice dell’uomo-demiurgo, l’«interpretazione della natura» da parte di un nuovo soggetto costruttore della sua propria natura, soggetto collettivo e plurale. Questa nuova tecnica della natura umana, in Diderot filosofo delle arti e della prassi, nasce da una analisi che mira a chiarire la nozione di «arte» utilizzata insieme a quella di «industria», attraverso le numerose sfumature che il filosofo attribuisce ai due termini, anche in letteratura.60 Il senso della filosofia delle tecniche si chiarisce con l’aiuto della risposta kantiana alla domanda: «Che cos’è l’Illuminismo?». Diderot propone anche l’immagine di un nuovo soggetto, moralmente demiurgo che si libera dei propri sogni impostori grazie a un lavoro cosciente di sé, sul proprio sé. La parafrasiamo «L’Illuminismo enciclopedico si definisce come l’uscita dell’uomo lavoratore e produttore della propria esistenza, dalla condizione di minorità in cui si mantiene per sua propria colpa. La minorità è l’incapacità di servirsi del proprio operare senza essere diretto da un altro. Operari aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo saper-fare! Ecco il motto di questo Illuminismo enciclopedico».61 Per l’intenzione sistematica che lo anima – unire il sentire, il fare-agire, e il sapere, in un’esperienza umana restituita allo spessore immanente del suo senso –, Diderot, dopo l’Enciclopedia, elabora dei nuovi modelli metodici di ricerca nel campo delle scienze naturali e delle tecniche (l’Interpretazione della natura). Egli procede poi alla costruzione di modalità di interpretazione per la lettura dei fenomeni della «natura seconda», natura storica, umana, fondata ancora sulla techne: belle arti, teatro, economia. Questi modelli gli consentono di passare, senza rottura, dalla ricerca materialista sulla «natura prima», alla letteratura, al teatro borghese, «natura seconda». Il trascendentale naturalista, il trascendentale pratico emergono nella struttura dei Racconti, delle Lettere, nei propositi dello scrittore-filosofo quando s’interroga e mette in discussione il romanzo nel romanzo stesso, il soggetto nel suo atto soggettivo di dare senso alla propria esperienza, assimilandoli nello stesso ordine critico-costruttivo.62 La forma di un «dialogo euristico» (R. Mortier), propria del romanzo di Diderot, resterà caratterizzata dalla sua forte tensione verso la conquista di questo «trascendentale» in divenire, sempre storicizzato e storicizzabile.63 58
Ibid., Parte II, cap. 5.1-4 e cap. 6.1. Modica, L’estetica di Diderot cit., pp. 12 et 16 60 P. Quintili, op. cit., Parte II, cap. 5.2.5 e cap. 7.3.3-4. 61 Ibid., Parte II, cap. 6.1.6. 62 Cfr. M. Baschera, Das dramatische Denken. Studien zur Beziehung von Theorie und Theater anhand von I. Kants «Kritik der reinen Vernunft» und D. Diderots «Paradoxe sur le comédien», Heidelberg, Winter, 1989, opera di grande interesse; cfr. P. Quintili, op. cit., Parte II, cap. 8.3.3-7. 63 Per il significato di questo «transcendentale», cfr. supra, § 4, nota 23. 59
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8. Il confronto con Kant A proposito della questione controversa di un «trascendentale materialista» e del riavvicinamento di Diderot a Kant, sulla scia del Lange e del Rosenkranz, una precisazione s’impone. L’idea di quest’approccio all’opera integrale di Denis Diderot viene da un progetto di tesi di Dottorato alla Sorbona, che aveva in un primo tempo come titolo: «Le avventure del pensiero critico tra Diderot e Kant. Macchinizzazione e tecnica della natura. 1742-1802». Di questo vasto progetto è infine uscita la sola prima parte (La pensée critique de Diderot cit., 2001), che prevedeva una seconda tappa relativa a «Kant e gli enciclopedisti. Sistemi del giudizio e filosofie della libertà». Lo scopo del presente lavoro di traduzione è infine di proseguire quel progetto e mostrare, da una parte, fino a che punto il pensiero di Diderot e dell’Enciclopedia siano filosoficamente originali sotto diversi punti di vista, di fronte ai principali problemi culturali – scientifici, politici e letterari – del suo tempo, orientandosi verso le stesse domande che intenderà articolare la filosofia critica kantiana. D’altra parte, si tratterà di mostrare l’importanza del modello teorico diderotiano e dell’ispirazione materialista che lo anima e lo caratterizza, come un riferimento centrale, quale era diventato a livello europeo, in Germania specialmente, verso la fine del XVIII secolo e, in particolare, nello stesso Kant. L’accostamento, su questi punti, con i filosofi tedeschi deve passare attraverso la presentazione delle origini meno conosciute o ancora sconosciute della filosofia trascendentale, soprattutto a proposito del problema della soggettività e della sua libertà.64 L’edizione delle Vorlesungen über die Anthropologie di Kant (2 vol., ed. R. Brandt, Berlino, 1997) e la prossima pubblicazione di altri materiali del Nachlass kantiano impongono una rilettura di questo problema storiografico. Il confronto con Kant e l’idealismo tedesco è dunque il filo rosso che può aiutare a orientarsi nella lettura del corpus completo delle Opere filosofiche di Diderot, insieme e accanto ai Romanzi e racconti. Una differenza essenziale: la filosofia di Diderot, in effetti, non si sviluppa in una prospettiva trascendentale «alla Kant», poiché essa radica nella vita e nel fare poietico e pragmatico le istanze teoriche dell’idealismo di Königsberg e di Lipsia. L’unità del pensiero di Diderot si mostrerà, finalmente, alla luce di questo problema critico della soggettività concepita come individualità naturale complessa, con i propri limiti e con le proprie funzioni, e non più come soggetto-sostanza.65 Le sue tendenze principali confluiranno in questo problema, in cui si rileva la svolta di quella sistematicità aperta, già evocata, con tutte le sue connotazioni problematiche. L’avventura del pensiero critico di Diderot ci farà così assistere alla «nascita del problema interno della filosofia moderna» (Carabellese), mentre si presenta, al suo livello originario, sotto forma di una dottrina materialista della soggettività libera.
64 Cf. J. Ferrari, Les sources françaises de la philosophie de Kant, Paris, Méridiens Klincksieck, 1979, Deuxième Partie, chap. I-II. L’autore individua le diverse radici della filosofia trascendentale, riguardo l’antropologia e la psicologia empirica, nel pensiero francese dei secoli XVII e XVIII. Diderot e l’Encyclopédie rappresentano un capitolo ancora poco esplorato della storia di quelle radici. Il mio progetto vorrebbe apportare alcuni elementi di dibattito e indicare i possibili percorsi per le ricerche avvenire. 65 Cfr. P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., Parte II, cap. 7.3.6.
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La doppia luce delle «espressioni energiche». Metafore e filosofia nelle opere di Denis Diderot
1. Materialismo e metafore nella filosofia e nella scrittura di Diderot Per chiarire alcuni aspetti metodologici del pensiero di Diderot e della sua concezione del rapporto tra filosofia e scienza i Pensieri sull’interpretazione della natura (1753) sono un buon punto di partenza, per la loro importanza e centralità nella maturazione delle sue idee. Si tratta dell’opera in cui trovano compimento le riflessioni avviate nei testi giovanili, cui si aggiungono quelle maturate durante la prima fase di lavoro agli articoli per l’Encyclopédie. Inoltre, questa raccolta di aforismi pone le basi di molte questioni e problemi che troveranno pieno sviluppo (o superamento) nelle opere successive. Proprio nei Pensieri sull’interpretazione della natura si trova una descrizione del paziente lavoro del filosofo e degli strumenti a sua disposizione per la comprensione del mondo: L’intelletto ha i suoi pregiudizi; il senso, la sua incertezza; la memoria, i suoi limiti; l’immaginazione, i suoi lampi; gli strumenti la loro imperfezione. I fenomeni sono infiniti, le loro cause nascoste; le forme forse transitorie. Contro tanti ostacoli che troviamo in noi stessi e che la natura ci oppone dall’esterno, un’esperienza lenta e una riflessione limitata. Ecco le leve con le quali la filosofia si è proposta di sollevare il mondo.1
Non è questa l’unica definizione del compito e delle modalità del filosofare che si trova negli scritti diderotiani, tuttavia queste righe evidenziano una delle questioni centrali del suo discorso filosofico che s’intreccia con alcune scelte distintive del suo stile: il rapporto tra la singolarità dell’esperienza e l’universalità del linguaggio. Sarà dunque questo il punto di partenza per un’esplorazione dell’uso delle metafore quale elemento chiave per l’espressione del materialismo filosofico di Diderot. Nel pensiero XXII sopracitato sono messi in evidenza quelli che sembrano essere dei limiti per il discorso filosofico-scientifico, ma che per Diderot costituiscono piuttosto una sfida filosofica e gnoseologica. Il filosofo concepisce la Natura come un’infinità di fenomeni, che pur essendo simili, sono da considerarsi nella loro singolarità, essi inoltre si caratterizzano per la transitorietà delle forme e il perpetuo mutamento. Questo però spiega perché Diderot concepisse come difficile e, anzi, limitante spiegare il mondo tramite principi astratti e leggi universali e costanti. Questi limiti del pensiero filosofico e scientifico (in particolare della metafisica e delle matematiche), erano esposti già nei Pensieri filosofici, nella Passeggiata dello scettico, ma anche nella Lettera sui ciechi e nella Lettera sui sordi e muti. A fronte di tutto questo Diderot si scontra anche con delle limitazioni che sono proprie delle facoltà conoscitive stesse: l’intelletto, i sensi, la memoria e l’immaginazione. 1
Pensieri sull’interpretazione della natura, § XXII, infra, p. 419.
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La lentezza con cui procede la filosofia, così come la fatica e l’incertezza del filosofo, dipendono da tutte queste condizioni. Conseguentemente egli si deve approcciare al mondo e al sapere con la stessa attitudine dello scettico, sottoponendo tutto al vaglio del dubbio, cercando di spiegare ciò che è oscuro e di cogliere le infinite sfumature della Natura. In tal modo si configura un approccio contrapposto al dogmatismo della conoscenza, a quella fretta definita propria degli spiriti impetuosi che rifiutano la lentezza e l’incertezza dell’incedere a tentoni, e così facendo cadono nell’inflessibilità e nella fede cieca. Questi, si legge nei Pensieri filosofici,2 preferiscono azzardare una scelta e compiere un errore, piuttosto che rimanere nell’incertezza.3 Tuttavia, qualche anno più tardi, Diderot riconoscerà che procedere con l’accuratezza e la cautela necessaria comporta superare un elevato scoglio, posto dalla natura stessa: Non c’è niente né nei fatti della Natura né nelle circostanze della vita che non sia una trappola tesa alla nostra precipitazione. Lo attestano la maggior parte di questi assiomi generali che consideriamo come il buon senso delle nazioni. Si dice, non succede niente di nuovo sotto il cielo; e questo è vero per colui che si attiene alle apparenze grossolane. Ma che cos’è questa sentenza per il filosofo la cui occupazione giornaliera è di scorgere le differenze più impercettibili? Che cosa deve pensare chi assicura che sotto ogni albero non ci saranno foglie sensibilmente dello stesso verde? Che cosa ne penserà chi, riflettendo sul grande numero delle cause, anche conosciute, che devono concorrere alla produzione di una sfumatura di colore precisamente tale, pretenderebbe, senza credere di esagerare l’opinione di Leibniz, che sia dimostrato dalla differenza dei punti nello spazio in cui i corpi sono posti, combinati con un numero prodigioso di cause, che non ci siano forse mai stati, e che non ci saranno forse mai in Natura due fili d’erba assolutamente dello stesso verde?4
Compito del filosofo è proprio quello di «scorgere le differenze più impercettibili», dedicarsi, con scrupolo e nonostante gli innumerevoli inciampi, a un lavoro che non può ridursi alla mera catalogazione dei fatti, ma comporta il tentativo di accedere «alla logica della produzione delle singolarità, di dire certe singolarità per tracciare una via tra il dogmatismo delle essenze e il mobilismo universale».5 La ricchezza della natura è data proprio dalle differenziazioni infinitesimali (il leibniziano principio degli indiscernibili è richiamato nel testo citato)6 ed è connotata dalla continua mutevolezza, di cui non siamo quasi mai testimoni; al filosofo spetta un’attività incessante, la cui inesauribilità è dovuta anche al fatto che il materialismo viene presentato da Diderot come 2
Pensieri filosofici, § XXVIII, infra, p. 25. «Sia che diffidino delle proprie forze, sia che temano la profondità delle acque, li vediamo sempre sospesi a rami di cui sentono tutta la debolezza, e a cui preferiscono rimanere aggrappati piuttosto che abbandonarsi al torrente. Affermano tutto, benché non abbiano esaminato accuratamente nulla; non dubitano di niente perché non ne hanno né la pazienza né il coraggio. Influenzati da barlumi che li convincono, se per caso incontrano la verità, non è per averla cercata a tentoni, ma bruscamente e come per rivelazione», Ivi, § XXVIII, infra, p. 25. 4 Pensieri sull’interpretazione della natura, § LVII, «Su certi pregiudizi», si veda infra, p. 461. 5 F. Salaün, Le genou de Jacques. Singularités et théorie du moi dans l’œuvre de Diderot, Hermann, Paris 2010, p. 26. 6 Sul rapporto tra D. Diderot e G. Leibniz si vedano Y. Belaval, Études sur Diderot, PUF, Paris 2003; C. Fauvergue, Diderot lecteur et interprète de Leibniz, Honoré Champion, Paris 2006; C. Leduc, F. Pépin, A.-L. Rey, M. Rioux-Beaulne, Leibniz et Diderot. Rencontres et transformations, Les Presses de l’Université de Montréal/Vrin, Montréal/Paris 2015. 3
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un pensiero sempre in costruzione e mai come un dato acquisito. Infatti, pur essendo sistematico e coerente,7 il suo materialismo non si costituisce come sistema ultimo o espressione definitiva della verità, e questo incide in maniera decisiva sulle sue scelte stilistiche. Come il filosofo eclettico, si potrebbe dunque dire che Diderot «non è un uomo che pianta o semina; è un uomo che raccoglie e setaccia»,8 lavoro di critica che affonda le radici nel suo già citato antidogmatismo e nella sua diffidenza verso i sistemi, la cui normatività rischia sempre di trasformare la riflessione in una rigida astrazione. Nonostante gli affondi rivolti alla metafisica come speculazione astratta, nelle sue opere egli affronta tutte le grandi questioni della filosofia.9 Erede dell’empirismo e del razionalismo del XVII secolo, in primis di Bacone, del meccanicistico cartesiano, del materialismo di Hobbes e dell’atomismo di Gassendi10 (per citare solo alcune tra le sue principali fonti), rappresentante di spicco dell’Illuminismo francese, Diderot condivideva molti dei temi affrontati nella sua opera con i pensatori contemporanei: non solo Voltaire, Rousseau e D’Alembert, ma anche Helvétius, D’Holbach, La Mettrie. Nell’opera diderotiana, infatti, le principali tesi dei materialisti settecenteschi sono esaminate, interrogate, affinate in modo originale: l’universo è concepito come un tutto unitario (monismo) e indipendente da qualsiasi finalità o causa esterna che possa influire su di esso; l’ateismo si accompagna a posizioni esplicitamente anti-religiose; come gli empiristi inglesi, in particolare Locke, il rifiuto dell’innatismo è accompagnato da una critica anti‑metafisica e dalla diffidenza rispetto alle idee astratte, con un avvicinamento a diverse posizioni di stampo nominalistico; alcuni elementi critici e stilistici dello scetticismo moderno sono adottati come armi critiche contro la metafisica e la teologia, ma anche come vero e proprio scetticismo di fondo, liberatore della conoscenza (per esempio riguardo alla conoscibilità della materia); infine, come per i materialisti, anche per Diderot le facoltà intellettuali e morali sono spiegabili in termini di proprietà e organizzazione della materia sensibile.11 Rispetto a questi e ad altri grandi temi della filosofia del XVIII secolo tuttavia, la riflessione diderotiana si sviluppa da una prospettiva eccentrica, che trova la sua espressione nella scelta di mettere in scena personaggi inconsueti nel ruolo di filosofi, come il matematico cieco Saunderson, il Nipote di Rameau, gli abitanti di Tahiti, ecc. Gli inusitati personaggi che prendono la parola nelle sue opere «sono dispositivi insidiosi introdotti per destabilizzare l’ordine [...] dispotico e gerarchico che sarà minato rendendo pubblici i suoi abusi e i suoi segreti, immaginando i possibili di un nuovo rapporto alla natura e alla società».12 Solo l’obliquità dello sguardo 7
Sulla coerenza del pensiero diderotiano si veda in particolare P. Quintili, La pensée critique de Diderot. Matérialisme, science et poésie à l’âge de l’Encyclopédie 1742-1782 cit. e supra, «Il pensiero critico di Diderot»; C. Duflo, Diderot philosophe, Honoré Champion, Paris 2013. 8 D. Diderot, art. «Eclettismo» (Éclectisme), Encyclopédie, vol. v, p. 270a. 9 E. de Fontenay, Diderot ou le matérialisme enchanté, Grasset, Paris 1981, pp. 19-20; J.-C. Bourdin, Diderot métaphysicien. Le possible, le nécessaire et l’aléatoire, in Archives de Philosophie, vol. 71, 2008, pp. 13-36. 10 Sul materialismo di Diderot in quanto parte della «coterie d’Holbach» si veda l’analisi di P. Quintili, op. cit., pp. 14-15; questa Introduzione, supra, p. XII. 11 Per un’analisi più estesa delle caratteristiche del materialismo nel XVIII secolo si veda O. Bloch, Le matérialisme, PUF, Paris, 1985, pp. 3-31 e in particolare con riferimento a Diderot J.‑C. Bourdin, Diderot. Le matérialisme, PUF, Paris, 1998, pp. 13-17. 12 E. de Fontenay, op. cit., p. 14.
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di questi soggetti permette una prospettiva nuova su questioni antiche. Essi inoltre si esprimono con un vocabolario insolito, sono spesso i portavoce di ipotesi ardite, espresse sovente attraverso metafore singolari, o nuove interpretazioni di metafore filosofiche già ampiamente condivise. Così, la molteplicità dei punti di vista e la varietà della metaforica ci pongono di fronte a testi filosofici in cui l’autore cerca di mostrare quanto la verità sia sempre lungi dall’essere colta fino in fondo, mettendo in evidenza che, nonostante il continuo sforzo di perfezionamento, il linguaggio è sempre insufficiente a esprimerla. Un altro aspetto caratterizzante dell’opera diderotiana di cui tener conto, nel prendere in esame il ruolo giocato dalle metafore, è la varietà dei generi con cui si è cimentato (dalla scrittura frammentaria, all’allegoria, il commentario, il racconto e il romanzo, ecc.) e le scelte stilistiche innovative introdotte nei testi. Dietro a quest’eterogeneità espressiva si cela un pensiero sistematico che, come ha mostrato Paolo Quintili, «tocca la filosofia e l’epistemologia nella loro unità problematica che si dispiega attraverso la pluralità di questi ambiti [fisica e matematica, biologia, scienze applicate, economia politica], e in essi investe il pensatore nella sua pratica di scrittore».13 Questo corpus diversificato e molteplice è davvero «l’immagine dell’universo descritto dal filosofo e dell’uomo in quanto in esso compreso»14 e la pluralità da cui è composto concerne la ricerca di un nuovo linguaggio filosofico. Rinnovamento che passa anche attraverso la grande opera di perfezionamento della lingua messa in campo con il suo contributo all’Encyclopédie,15 in primis gli articoli forniti da Diderot, a partire dai quali prende le mosse la sua riflessione sul linguaggio e sulla sua struttura,16 sul rapporto tra parole e cose, sulla formazione delle idee, sulla capacità del linguaggio di dirle e della scrittura stessa di esprimere la filosofia materialista in modo adeguato (cioè in modo che la forma espressiva non sia in contraddizione con il suo contenuto). L’impegno del filosofo non consiste solo nel lavoro di interpretazione della natura, ma anche nella capacità di ritornare sull’esperienza stessa, fonte della conoscenza, e svolgere la sua funzione di critica della tradizione e dell’autorità, di esame severo dei pregiudizi, di vaglio degli elementi oscuri e delle tesi non dimostrate. Non basta dunque l’elaborazione di un giudizio, ma occorre un approccio capace di sondare anche il processo attraverso cui esso viene elaborato, la comprensione delle strutture materiali alla base del pensiero.17 Con la sua opera insomma Diderot intende sottoporre al vaglio della ragione il sapere, comprendere quale può essere l’ambizione del filosofo, tracciare i limiti di ciò che possiamo conoscere, in sintonia con altri grandi pensatori dell’illuminismo francese ed europeo. Per tali ragioni il dubbio investe anche i principi generali a cui il suo pensiero si appella, i fatti raccolti dalla ricerca empirica con le sue 13
P. Quintili, op. cit., pp. 328-332. C. Duflo, op. cit., p. 7. 15 «La logica e la metafisica sarebbero molto vicine alla perfezione, se il Dizionario della lingua fosse ben fatto», aveva scritto lo stesso Diderot nell’articolo «Bello» (Beau) «ma è ancora un’opera che desideriamo», Encyclopédie, cit., vol. II, p. 180a. Su questo si veda J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, Gèneve-Paris, Slatkine, 1962 e M. Leca‑Tsiomis, Écrire l’Encyclopédie. Diderot: de l’usage des dictionnaires à la grammaire philosophique, Voltaire Foundation, SVEC, 375, Oxford 1999. 16 J. Proust, L’objet et le texte. Pour une poétique de la prose française du XVIIIe siècle, Droz, Genève 1980, p. 27. 17 P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., p. 24; supra, p. XV. 14
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nuove scoperte. Nei Pensieri sull’interpretazione della natura tutti questi compiti della filosofia sono suddivisi tra la filosofia razionale e la filosofia sperimentale: Raccogliere e collegare i fatti, sono due occupazioni molto penose, così i filosofi le hanno suddivise tra di loro. Alcuni passano la loro vita ad assemblare materiali, manovre utili e laboriose; gli altri, orgogliosi architetti, si affrettano ad adoperarli.18
Il rapporto è dinamico e complementare: un filosofo brancola bendato nel buio e conosce le cose solo grazie al tatto, cioè a partire dall’esperienza che è per se stessa limitata e che lo mette in contatto con infiniti fatti singoli; d’altra parte anche la fiaccola della filosofia razionale, pur illuminando, senza il supporto di quella sperimentale è fortemente limitata nella sua capacità di interpretare il mondo: L’esperienza moltiplica i suoi movimenti all’infinito, è in azione senza sosta, essa si mette a cercare dei fenomeni, per tutto il tempo che la ragione impiega a cercare le analogie. La filosofia sperimentale non sa né quello che le accadrà né quello che non accadrà del suo lavoro, ma lavora senza riposo. Al contrario la filosofia razionale pesa le possibilità, pronuncia e non prosegue oltre. Essa dice arditamente: «non si può scomporre la luce»; la filosofia sperimentale l’ascolta, e tace davanti ad essa per secoli interi: poi tutto a un tratto mostra il prisma, e dice: «la luce si scompone».19
Diderot quindi prende posizione contro ogni filosofia puramente speculativa, di cui anche il suo primo materialismo era un prodotto, e si fa promotore di una scienza davvero sperimentale e di una filosofia fondata su questa scienza, 20 consapevole che, senza una visione d’insieme, l’empirismo rischia di essere uno sforzo privo di una prospettiva. Inoltre, come rende evidente il passo precedente, Diderot, come il contemporaneo Hume, 21 ritiene che ciò che si acquisisce tramite i sensi e l’esperienza, sia organizzato e combinato dallo spirito, e che la ragione non sia in grado di accrescere o diminuire la conoscenza stessa. Per questo entrambi i filosofi considerano l’abitudine come un elemento cruciale nell’elaborazione delle esperienze e degli esperimenti che si fanno e si reiterano: essa è cruciale perché permette di comprendere la causalità che collega i diversi fenomeni, senza che al contempo si possa attribuire a questa conoscenza e tra i legami stabiliti uno statuto di necessità. D’altra parte, l’abitudine viene riconosciuta come un «istinto» fondamentale per i «manovali» nelle arti meccaniche, ma anche per i grandi artisti, come Michelangelo che «cercando di dare alla sua chiesa la figura più bella e più elegante, dopo essere andato a lungo tentoni, aveva trovato la forma che bisognava dare alla cupola cercando di progettarla in modo che fosse la più resistente e solida possibile». 22 Insomma la progettazione della cupola di San Pietro a Roma non è solo frutto del genio, ma anche dell’intuizione che deriva da una lunga abitudine. Non bisogna però credere che tale riconoscimento dell’intuizione come forma di conoscenza, ovvero come modo di cogliere relazioni, lasci spazio per forme irrazionali del sapere, o di pseudo‑conoscenza; 18
Pensieri sull’interpretazione della natura, § XXI, infra, p. 419. Ivi, § XXIII, infra, p. 421. 20 Cf. J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, cit., p. 291. 21 Ivi, p. 271. 22 D. Diderot, Lettera a Sophie Volland del 2 settembre 1762, in CORR., vol. IV, p. 127. 19
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al contrario all’interno della conoscenza razionale si può distinguere l’intuizione come sua forma particolare. 23 Nelle forme di conoscenza razionale intuitiva s’inscrivono anche le ipotesi o congetture, che hanno un valore euristico primario, come Diderot spiega nella Confutazione di Helvétius, dopo averlo argomentato anche nei Pensieri sull’interpretazione della natura (§I e §XXIII), quando sottolinea che le esperienze e gli esperimenti alla base della conoscenza scientifica, non si fanno in maniera casuale, ma sono precedute da ipotesi, intuizioni, analogie di cui si cerca conferma o smentita, in breve il principio alla base del metodo scientifico: L’esperienza non è spesso preceduta da un’ipotesi, da un’analogia, da un’idea sistematica che l’esperienza confermerà o distruggerà? Io perdono a Cartesio di aver immaginato le sue regole del moto; ma quello che non gli perdono è di non essersi assicurato, con l’esperienza, se esse erano o non erano, in natura, tali quali egli le aveva immaginate. La meditazione è così dolce e l’esperienza così faticosa che non sono affatto stupito del fatto che chi pensa sia così raramente anche chi sperimenta.24
Posta la condivisione del metodo sperimentale, emerge l’importanza attribuita alla formulazione di «ipotesi» o «congetture». Nella Lettera sui ciechi (1749) Diderot prende le distanze dal principio newtoniano «hypothesis non fingo»,25 rivendicando invece il diritto di congetturare, sempre attraverso le affermazioni del personaggio del matematico cieco Saunderson. Per la formulazione delle sue ipotesi o congetture Diderot si avvale di forme espressive particolari: esse si trovano all’interno di sogni o visioni dei personaggi, o spesso sono descritte tramite il ricorso alle metafore. Tutte queste modalità costituiscono il risultato di un lavoro dell’immaginazione, regolata però dalla ragione, cioè sviluppata seguendo una concatenazione il più possibile stringente, in modo da costituirsi come vere e proprie possibilità e non come inverosimili chimere. Dall’importanza accordata alle congetture, si comprende che, tanto per la scienza, 26 quanto per la filosofia esse costituiscono una chiave per il progresso della conoscenza. Spesso le ipotesi, proprio perché fanno appello all’immaginazione, sono espresse da Diderot 23
J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie cit., p. 272. Infra, Confutazione di Helvétius, p. 737. 25 È necessario precisare che Newton si riferiva alle ipotesi formulate come degli a-priori, irrelate dunque rispetto ai fenomeni, mentre Diderot, già nei Gioielli indiscreti e ancor più nei Pensieri sull’interpretazione della natura sottolinea il ruolo fondamentale svolto dalle ipotesi basate sui fatti osservati, che hanno dunque valore euristico poiché cercano di metterli in relazione sia a uno scopo pratico, ma anche come strumento teorico di interpretazione, senza mai dimenticare la necessità che esse implicano di essere sottoposte alla verifica dell’esperienza. Oltre che nei testi già citati, si trova una critica alle ipotesi a-priori anche nel Saggio sui regni di Claudio e di Nerone: «È la natura a spiegarsi; bisogna interrogarla, e non rispondere per lei. Sopperire al suo silenzio con un’analogia, una congettura, significherà sognare ingegnosamente, grandemente, se vogliamo, ma sarà sognare; per una volta che l’uomo dotato di genio troverà ciò che è corretto, si sbaglierà cento volte, e diluirà una riga vera in volumi di menzogne seducenti. Quante di queste eziologie così certe, così ammirate, e così generalmente adottate, sono state ridotte a degli errori speciosi! Quanti altri subiranno la stessa sorte!» (Libro II, § 97, infra, p. 1595). Sul tema si veda: R. Morin, Diderot et l’imagination, Les Belles Lettres, Paris 1987, pp. 49-51. 26 Sulla congettura in ambito scientifico si veda F. Pépin, Diderot et la conjecture expérimentale, ou comment concilier l’extravagance de l’enthousiaste et la prudence de l’authentique génie, MLN, vol. 129 no. 4, 2014, pp. 756-779. 24
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tramite un linguaggio figurato, dove le metafore vengono tessute fino a formare delle vere e proprie descrizioni poetiche. Nello specifico, il ricorso alla metafora, costituisce un elemento particolarmente importante in quanto essa permette una doppia illuminazione, quella di ciò che rappresenta e quella dell’immagine introdotta con la metafora. Tale stratificazione migliora l’efficacia del linguaggio nella capacità esplicativa di idee complesse, evitando di ricorrere a complicate astrazioni che comporterebbero una serie di conseguenze in contrasto con le tesi del filosofo. Tra queste, l’allontanamento del linguaggio dall’origine sensibile delle idee, che avviene anche attraverso la derivazione dei nomi astratti da un processo di generalizzazione27 necessario, ma che se portato al suo estremo secondo Diderot comporta un uso imperfetto delle parole, perché indifferente alla capacità che queste hanno di riferirsi a nozioni precise. È quanto il filosofo rimprovererà a Hemsterhuis riguardo all’impiego di termini come «materia», «spazio», «tempo», 28 critica che era anche una delle principali contestazioni rivolte alla filosofia della Scolastica. Al contrario, egli trovava motivo di lode per l’«andamento meno monotono» delle lingue degli antichi «che studiavano la natura più nei dettagli e a partire dagli individui».29 Coerentemente con quest’attenzione, il ricorso alla metafora ha il vantaggio di mettere in campo un pluralismo d’immagini, richiamando la sensibilità da cui il linguaggio stesso trae origine ed evitando di strutturare un discorso che «cala» delle astrazioni sul mondo. La presa di distanza dall’astrazione metafisica non si manifesta solo in una scrittura che si rende tangibile, esperibile, risonante, ma, pure in mancanza della possibilità di compiere esperienze ed esperimenti, che sia essa stessa in grado di costruirne e proporne alcuni, come quello del «muto di convenzione» nella Lettera sui sordi e muti per fare un esempio tra i molti, ma anche le metafore proposte nel Sogno di D’Alembert. Il filosofo, in quanto interprete, osserva i fatti e concepisce analogie, proponendo un’alternativa alle due vie della filosofia razionale e sperimentale, che abbia un suo corrispettivo anche nella pratica della scrittura. Questo significa che il lavoro d’interpretazione è sempre abitato dal dubbio, o almeno da un’attitudine prudenziale e metodologica di chi ha coscienza del fatto che, persino il sistema più coerente potrebbe essere smentito da un fatto, da una nuova scoperta. Di conseguenza si giustifica un ricorso al discorso metaforico e analogico30 che non permette di formulare leggi generali, e tuttavia consente l’introduzione di «un paragone di cose che sono state o sono, per concluderne a quelle che saranno»,31 mettendo in campo un «linguaggio ibrido» capace di superare la frattura scolastica tra filosofia razionale e sperimentale.32 Occorre considerare, in aggiunta, che la portata di alcune domande 27 Nella Lettera sui sordi e muti Diderot descrive l’evoluzione del linguaggio avvenuta spogliando gli aggettivi delle loro qualità sensibili e individuando quegli elementi comuni, come l’impenetrabilità, l’estensione, il colore, la figura ecc. da cui la formazione di «nomi metafisici e generali e pressoché tutti i sostantivi», infra, p. 303. 28 Si veda Osservazioni su Hemsterhuis, infra, pp. 955-957. 29 Lettera sui sordi e muti, infra, p. 305. 30 Sull’analogia si veda C. McDonald, Résonances associatives. La pensée analogique selon Denis Diderot, in Études françaises, 1986, pp. 9-22; A.B. Maurseth, La règle de trois: l’analogie dans Le Rêve de D’Alembert, RDE, 2003, pp. 166-183; R. Briki, L’analogie chez Diderot, L’Harmattan, Paris 2016. 31 Elementi di fisiologia, infra, p. 1185. 32 Cfr. P. Quintili, op. cit., p. 329.
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è tale da andare oltre la capacità degli esseri umani di trovare risposta33 e che le vie di accesso alla verità sono molteplici; tutti aspetti che implicano la necessità di una scrittura capace di rispecchiare lo statuto delle verità espresse, ovvero quello di spiegazioni verosimili. Non è un caso che le ipotesi metafisiche più innovative34 introdotte da Diderot siano in gran parte delineate facendo proprio del linguaggio figurato un elemento cardine. Egli abbandona l’architettonica del concetto, ovvero la costruzione di sistemi, propria della filosofia razionale; questa ha sicuramente i vantaggi di una maggior capacità di generalizzazione, rispetto alla singolarità che caratterizza l’immagine di un paragone, di esplicitazione della logica d’interazione tra idee che invece rimane sottesa nel momento in cui si ricorre alla metafora, ecc., ma non è in grado, proprio per le sue caratteristiche, neanche di rendere conto di quella singolarità e storicità della natura che tende a escludere (si pensi all’incapacità del materialismo meccanicista di rendere conto delle produzioni aleatorie, delle anomalie o dei cosiddetti mostri).35 Non è un caso che il destino dei sistemi sia rappresentato proprio tramite la metafora delle rovine, cui fanno eccezione, non a caso, proprio quelle filosofie in cui l’immaginazione costituisce un elemento chiave: Felice il filosofo sistematico a cui la natura avrà dato, come a Epicuro, a Lucrezio, ad Aristotele, a Platone, un’immaginazione potente, una grande eloquenza, l’arte di presentare le proprie idee attraverso delle immagini sorprendenti e sublimi! L’edificio che ha costruito potrà cadere un giorno, ma la sua statua resterà in piedi in mezzo alle rovine, e la pietra che si staccherà dalla montagna non la infrangerà, perché i suoi piedi non sono d’argilla.36
Annie Ibrahim ha mostrato che il progetto filosofico di Diderot era «quello di costruire, al posto dei vecchi sistemi di materia che hanno dimostrato il loro fallimento, una libera indagine dell’idea della materia; esso assumerà la forma di un dispositivo d’integrazione degli elementi materiali secondo un principio d’ordine regionale, aperto e incompleto».37 Questo processo d’integrazione avviene tramite un linguaggio capace di esprimere in modo non univoco i propri concetti. «Non univoco» non significa qui ambiguo e oscuro, ma capace di comunicare, senza cristallizzare nelle astrazioni del concetto, la mutevolezza di una natura che non si svela mai completamente al suo interprete; nella scrittura allora diventa cruciale il ricorso a quelle «espressioni energiche»38 definite come 33
«Che macchina l’universo! Tra i fatti, i più importanti o più fecondi non si nascondono sempre alla nostra conoscenza per la fallibilità dei nostri organi e l’imperfezione dei nostri strumenti? Il limite del mondo è alla portata dei nostri telescopi? Se possedessimo la raccolta completa dei fenomeni, resterebbe solo una causa o supposizione» (Saggio sui regni di Claudio e di Nerone, Libro II, § 97, infra, p. 1595). 34 J.-C. Bourdin, Diderot métaphysicien cit., pp. 15-16. 35 A. Ibrahim, Le statut des anomalies dans la philosophie de Diderot, in Dix-huitième Siècle, 1983, n. 15, p. 312. 36 Pensieri sull’interpretazione della natura, § XXI, infra, p. 419. 37 A. Ibrahim, Matière des métaphores, métaphores de la matière, in Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie, 1999/26, p. 125. 38 L’espressione è sempre di Annie Ibrahim, si veda Matière des métaphores, métaphores de la matière, cit., p. 126.
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caratteristiche di un senso, del tatto per esempio, ma che contemporaneamente sono metaforiche per un altro, come la vista, da cui risulta una doppia illuminazione per l’interlocutore; illuminazione vera e diretta dell’espressione e riflessa della metafora.39
Le metafore, insieme alle figure retoriche prossime, quali paragoni, similitudini e analogie, sono scelte dal filosofo come mezzo stilistico più adeguato all’espressione della sua filosofia e sono irriducibili alla funzione di mero ornamento. È così che Diderot costruisce una trama di senso in cui le figure retoriche costituiscono elementi di continuità tra le differenti reti semantiche.40 Il ricorso a un linguaggio figurato e metaforico «produce, all’interno del linguaggio, l’epifania della cosa, cioè fa come se avessimo davanti le cose stesse e, quindi, la forma concreta della loro esperienza»;41 lo stesso vale per gli altri elementi stilistici che contribuiscono a rendere tangibile, ovvero esperibile il discorso. Come Diderot sottolinea nella Lettera sui sordi e muti, si ricorre a delle sottigliezze metafisiche quando si cerca di capire qualcosa per cui sembra mancarci un senso adatto alla sua percezione.42 L’immagine allora diventa il modo più efficace di effettuare questo passaggio, poiché alla vista Diderot riconosce una maggiore concretezza rispetto al tatto, considerato un senso più astratto e così l’immagine tende a divenire «un dato primitivo, e non più aggiunto, del senso» e la metafora trova nella prosa filosofica di Diderot «il meglio della sua funzione, perché al posto di essere oltre il pensiero, è essa stessa idea».43 La metafora «la cui logica non regge né la prevedibilità né l’esclusione»44 si configura per questo come incessante esplorazione dell’esperienza e delle possibilità del pensiero. Essa crea un movimento e, grazie al doppio punto focale messo in campo, introduce una tensione irriducibile all’interno del discorso. Come ricordava anche il grammatico-filosofo Nicholas Beauzée nell’Encyclopédie, riprendendo Du Marsais, la metafora può essere definita come «una figura, con la quale si trasporta, per così dire, il significato proprio di un nome (preferirei dire di una parola) a un altro significato che gli si addice solo in virtù di un confronto che viene fatto nello spirito».45 Tale definizione evidenzia il meccanismo alla base della metafora, vale a dire la creazione di uno sdoppiamento tra il concetto che si vuole esprimere e l’immagine dell’oggetto analogo utilizzato per rappresentarlo, ma porta alla luce anche l’attività dello spirito e, dunque, il ruolo attivo e conoscitivo da essa svolto all’interno dell’argomentazione. Il movimento di somiglianza, però, genera anche uno slittamento rispetto al tentativo di stabilire una corrispondenza univoca tra parole e cose, anzi, nonostante i tentativi di ridurla al paragone, nella metafora è implicita un’eccedenza 39
Lettera sui ciechi, infra, p. 233. Cfr. quanto afferma J.‑P. Seguin, Diderot, le discours et les choses. Essai de description du style d’un philosophe en 1750, Librairie Klincksieck, Paris 1978, pp. 130‑133, a proposito delle due lettere, ma che si ritiene possa essere esteso anche, con le debite differenze, al corpus di opere filosofiche di Diderot. 41 A. Tagliapietra, Alfabeto delle proprietà. Filosofia in metafore e storie, Moretti&Vitali Editori, Milano 2016, p. 13. 42 Cfr. Lettera sui sordi e muti, infra, p. 303. 43 J.‑P. Seguin, op. cit., p. 137. 44 A. Ibrahim, Matière des métaphores, cit., p. 133. 45 N. Beauzée, art. «Metafora» [Métaphore, (Gram.)], in Encyclopédie, vol. X, p. 436b. Si ritrova in questa descrizione, la formulazione più antica, e certo più nota, di Aristotele secondo cui «la metafora consiste nel trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro» (Poetica, 1457b 6-7). 40
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rispetto ai termini messi in campo, tanto che «il procedimento per cui si arriva alla metafora non è semplicemente la soppressione degli elementi che renderebbero esplicito il paragone».46 La tensione tra più oggetti creata da questa figura retorica attiene, in realtà, a un principio alla base delle stesse modalità di percezione e di pensiero dell’essere umano, come Diderot sollecita a considerare nella Lettera sui sordi e muti: Se non abbiamo molteplici sensazioni contemporaneamente, è impossibile ragionare e discorrere; perché discorrere o ragionare è comparare due o più idee. Ora come comparare delle idee che non sono presenti allo spirito nello stesso momento? Non potete negare che abbiamo talvolta più sensazioni, come quelle del colore di un corpo e della sua figura; ora non vedo quale privilegio le sensazioni abbiano rispetto alle idee arbitrarie e intellettuali. Ma la memoria, secondo voi, non suppone nel giudizio due idee presenti contemporaneamente allo spirito? L’idea che si ha attualmente e il ricordo di quella che abbiamo avuto?47
La contemporaneità di più sensazioni e di più idee è alla base anche della polisemia naturale di alcune parole, quelle che Diderot definisce «espressioni energiche» nella Lettera sui sordi e muti e «espressioni felici» nella Lettera sui ciechi. Il vertice massimo che può raggiungere il linguaggio, le espressioni più felici, sono quelle che nella Lettera sui sordi e muti sono state definite come «geroglifici poetici». Quando Diderot parla di «geroglifico poetico» 48 si riferisce a «un segno dell’oggetto dell’arte e della complessità dei pensieri che sono contenuti in esso, che mette all’opera, simultaneamente, tutte le facoltà dell’intelletto: Memoria, Ragione, Immaginazione».49 Il geroglifico poetico si caratterizza per la sua capacità di esprimere più cose contemporaneamente, come la natura si manifesta nella sua complessità e l’essere umano si rapporta a essa attraverso una molteplicità di sensazioni, la cui simultaneità e rapidità di successione può essere colta solo da quelle espressioni, rare, capaci di mostrare questa complessità e pienezza di significati.50 Quando il filosofo-interprete riesce a trovare tali espressioni energiche, che hanno contemporaneamente valore espressivo ed euristico, per esprimere i rapporti che egli coglie in natura, allora il linguaggio della filosofia si fa poetico-artistico. Attraverso le «espressioni energiche», infatti, il filosofo riesce a cogliere il lato artistico del processo di creazione che, come nell’esperienza estetica, viene messo in atto dallo spirito nel lavoro espressivo e nell’atto proprio della critica: come il linguaggio delle arti, la scrittura filosofica nella sua massima espressione 46
B. Mortara Gravelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani 2018, p. 229. Lettera sui sordi e muti, infra, p. 327. 48 Sul geroglifico poetico si vedano: M. Modica, L’estetica di Diderot. Teorie delle arti e del linguaggio nell’età dell’Encyclopédie, Antonio Pellicani Editore, Roma 1997, pp. 192-236; Marie Leca-Tsiomis, Hiéroglyphe poétique. L’oreille et la glose, in RDE, n. 46, 2011, pp. 41-55. 49 P. Quintili, op. cit., p. 240. 50 M. Modica ha messo in evidenza l’importanza di un’interpretazione complessa del geroglifico poetico: «Da intendere allora non più come ciò che permetterebbe per dir così la visualizzazione di un dato oggetto, ma come ciò che, anticipando la nozione di “rapporti” della voce Beau (dove è abbandonata la teoria del geroglifico poetico), è in grado di approssimarsi in qualche modo alla “simultaneità” dell’esperienza interiore, a quell’insieme di idee, emozioni e percezioni, di rapporti sensibili e intellettuali tradito dal linguaggio quotidiano, che con i suoi prevalenti caratteri di linearità l’analizza e lo divide, però perdendolo o restituendolo solo in parte» (L’estetica di Diderot, cit., p. 207). 47
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riesce a «riconnettere i legami essenziali con l’esperienza del soggetto, legami visibili e invisibili nella rappresentazione».51 Senza arrivare a sostenere che tutte le metafore diderotiane raggiungano l’apice del geroglifico poetico, tuttavia è possibile sostenere che ciascuna di esse costituisce uno sforzo in questa direzione (e alcune di esse, indubbiamente, riescono magistralmente in quest’intento). Nelle opere del filosofo s’incontrano però anche una serie di affermazioni in cui egli prende le distanze dal ricorso alle metafore. Tali espressioni critiche vanno comprese alla luce degli elementi fin qui messi in evidenza: la non univocità della metafora può produrre ambiguità se non vi si ricorre in maniera adeguata, chi legge è invitato quindi a cercare i nessi logici e i fondamenti empirici delle immagini introdotte nel discorso da Diderot. Occorre pertanto una certa accortezza nell’analisi del testo, poiché è l’autore stesso che ci invita distinguere la metafora filosofica da quella poetica: il pensiero analogico in filosofia pone una continua necessità di verifica, non solo della sua coerenza, che può essere sufficiente al poeta, ma anche e soprattutto alla corrispondenza tra significato figurato e universo.52 Come si è visto in precedenza, secondo Diderot l’uomo può costruire la sua conoscenza solo tramite l’esperienza sensibile, cui deve corrispondere anche un’adeguata espressione, ovvero la scrittura deve essere in grado di rendere, per così dire, sensibili anche gli aspetti intellettuali; operazione possibile solo ricorrendo a un linguaggio che si avvale delle figure retoriche e di quegli elementi stilistici che permettono di «dipingere» il pensiero.53 Quanto si è specificato a proposito delle ipotesi, vale anche per il ricorso alle metafore, che pur chiamando in causa l’immaginazione, non si traducono mai, per quanto originale sia l’immagine introdotta, a un abbandono dei nessi logici e del fondamento empirico, ovverosia non fungono mai da semplice abbellimento del testo: l’immaginazione54 attivata da questa figura retorica è uno strumento di espressione di una filosofia che si pone come interpretazione della natura. La metafora, così come il ragionamento per analogia che «indica la relazione, il rapporto o la proporzione che molte cose hanno tra loro, sebbene diverse nelle loro qualità», 55 non può essere sviluppata in maniera sregolata senza produrre un sapere fallace. Sia la metafora sia l’analogia creano uno slittamento, o meglio un allargamento del senso e una dinamica plurale tra idee, attivando un paragone tra «cose che sono state o sono, per concluderne a quelle che saranno».56 Occorre però che nel servirsi dell’immagina51
P. Quintili, op. cit., p. 242. J.‑C. Bourdin, Diderot. Le matérialisme cit. e C. Duflo, Diderot philosophe cit. 53 Relativamente alla complessità del rapporto tra pensiero e rappresentazione si rinvia a P. Quintili, op. cit., pp. 228-229. 54 Diderot condivideva con Voltaire e molti altri illuministi eredi di Locke (Saggio sull’intelletto umano, III, VI, §49) e dell’empirismo inglese l’idea che l’immaginazione fosse «l’unico strumento con il quale componiamo delle idee, anche le più metafisiche» si veda l’articolo «Immaginazione, Immaginare (Logica, Metafisica, Letteratura e Belle arti) [Imagination, Imaginer (Logique, Métaphys.Litterat.& Beaux-Arts.)]», in Encyclopédie, vol. VIII, p. 560b. Sull’evoluzione e sulla complessità della concezione diderotiana dell’immaginazione si vedano: Morin, Diderot et l’imagination cit.; M. Gilman, Imagination and Creation in Diderot, in Diderot Studies, n. 2, 1952, pp. 200220; M. Rioux-Beaulne, Imagination et invention chez Diderot, in Revue canadienne d’esthétique, n. 12, 2006, on‑line: http://www.uqtr.uquebec.ca/AE/Vol_12/Dumouchel/Beaulne.htm. 55 C. Yvon, art. «Analogia (Logica e Grammatica)» [Analogie (Logique & Gramm.)], Encyclopédie vol. I, p. 399a. 56 Elementi di fisiologia, infra, p. 1185. 52
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zione la si usi coerentemente per evitare un risultato falso, perché se l’immaginazione «prende in prestito, dalla natura, delle parti sparse in diversi esseri, per formarne un essere ideale» non si sta facendo filosofia, ma poesia, il filosofo invece «vuole essere vero»,57 non meraviglioso. Nell’Elogio di Richardson, Diderot sostiene che ricordarsi una serie necessaria di immagini come si susseguono in natura, significa ragionare secondo i fatti. Infatti, la conoscenza si radica nell’esperienza a partire dalla quale dovrebbe svilupparsi la speculazione filosofica che, in particolare quando si tratta di elaborare nuove ipotesi interpretative, consiste, nel proporre una serie di immagini che si dovrebbero susseguire necessariamente in natura, dato un certo fenomeno. Lo stesso procedimento però può produrre, invece che il verosimile, la finzione, a seconda che tale serie sia elaborata con intenti filosofici o poetici. Ecco spiegata l’affermazione di Mademoiselle de L’Espinasse che si scusava per essersi servita di un linguaggio metaforico, che costituisce «quasi tutta la ragione delle donne e dei poeti», 58 proprio nel momento in cui stava per introdurre l’importante metafora del ragno e della tela come rappresentazione del sistema nervoso. Attraverso Mademoiselle de L’Espinasse siamo messi in guardia: la metafora può certamente essere letta come finzione poetica, ma nelle opere diderotiane essa è un costrutto coerente e dunque vale come ipotesi filosofica; questo implica la necessità di interrogarla, svilupparne le possibilità, valutare l’esperienza alla luce della congettura proposta. Del resto, ciò che emerge chiaramente dalle parole di Diderot è che «la differenza tra il filosofo e il poeta non è più pensabile in termini di opposizione o in termini di maggiore o minore legittimità»59 perché ci sono delle immagini, delle espressioni che sono più o meno coerenti, espressioni felici o infelici, che lo sono per le stesse ragioni, tanto in filosofia quanto in poesia e «se l’immagine» prodotta «è, nello stesso tempo, fedele e sorprendente, l’autore è al tempo stesso filosofo e poeta».60
2. Alcune considerazioni su metafora e analogia Gli studiosi non concordano sulla definizione della figura retorica più appropriata per definire quelle «espressioni energiche» che fin qui abbiamo definito metafore. Questa scelta si colloca in continuità con gli studi di Herbert Dieckmann, Annie Ibrahim, Michel Delon, e un’ampia attestazione nell’ambito degli studi diderotiani che concordano nel definirle metafore. Al contrario, Yvon Belaval, e più di recente Anne Beate Maurseth, considerano più opportuna la definizione di analogie. Prima di procedere con l’analisi di alcune delle metafore che costituiscono dei veri snodi concettuali-interpretativi del materialismo diderotiano, è utile prendere in considerazione entrambe le posizioni per chiarire importanti elementi alla base delle nostre riflessioni. Innanzitutto si considerino le affermazioni di Diderot: si è visto per esempio che le «espressioni energiche» sono quelle che comportano una doppia illuminazione, per 57
Osservazioni su Hemsterhuis, infra, p. 923. Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 325. Un’affermazione simile si trovava anche nella Lettera sui sordi e muti «Lascio però questo linguaggio figurato, che potrei usare al massimo per ricreare e attirare l’attenzione dello spirito volubile di un bambino, e ritorno al tono della filosofia che esige ragioni e non paragoni». 59 C. Duflo, Diderot philosophe cit., p. 37. 60 Osservazioni su Hemsterhuis, infra, p. 923. 58
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l’interlocutore, «vera e diretta dell’espressione e riflessa della metafora».61 La duplicità delle «espressioni energiche» o «felici» è dunque quella della metafora, ma sia da un punto di vista retorico, sia da un punto di vista filosofico, il dinamismo messo in moto va spesso oltre la sua doppia polarità. Si è inoltre cercato di mostrare che la metafora in Diderot non serve solo a impreziosire il testo, ma ha anche un valore conoscitivo: Che cos’è lo spirito, la finezza, la penetrazione, se non la facilità di percepire in un essere, tra diversi esseri che la moltitudine ha guardato già cento volte, delle qualità, dei rapporti che nessuno ha percepito? Che cos’è un paragone giusto, nuovo e stimolante, che cos’è una metafora audace, un’espressione originale, se non quella di certi rapporti singolari tra esseri noti che vengono avvicinati e si fanno toccare per qualche aspetto?62
La sua funzione è tanto più necessaria in quanto «non tutti percepiscono bene tutte le proprietà degli esseri»63 e nessuno li percepisce in maniera identica; pochi riescono a cogliere i legami e le relazioni tra gli esseri e pochissimi «sono capaci di rendere in maniera forte, precisa, interessante le qualità di un essere che hanno studiato, e i rapporti che hanno colto tra i diversi esseri».64 La metafora è dunque un’espressione di rapporti tra gli esseri e quando ha un valore per la filosofia, essa è forte, cioè dotata di quell’energia, di quella vita che hanno le cose stesse; essa è precisa, benché costituisca una forma originale di espressione dei rapporti; la metafora razionale non deve mai perdere il suo fondamento nell’esperienza e l’immaginazione che mette in moto non si dovrebbe trasformare in irragionevolezza. A tal proposito troviamo un’esplicitazione di questa necessità che puntualizza in merito all’immaginazione: * Ciò che si è spesso onorato col nome di filosofia, non è propriamente che la feccia, che resta dopo l’effervescenza dell’immaginazione.[57] 57. * Questo passaggio non è abbastanza chiaro. Per sentire la verità di questa metafora, che mi piace, bisognerebbe avere un’idea netta dell’immaginazione. Quando l’immaginazione dipinge fedelmente, il suo risultato non può essere falso. È della buona filosofia. Quando essa prende in prestito, dalla natura, delle parti sparse in diversi esseri, per formarne un essere ideale. È della poesia.65
Come si è già osservato, secondo Diderot «il filosofo vuole essere vero» mentre il poeta «vuole essere meraviglioso», quando riesce l’operazione di essere «fedele e sorprendente» si fa insieme poesia e filosofia.66 I limiti dell’uso della metafora in filosofia sono ben precisi, per questo quando essa va oltre, come affermava Mademoiselle de L’Espinasse nel Sogno di D’Alembert, cessa anche la sua capacità di espressione della verità. Un ultimo aspetto, forse non sufficientemente notato fin ora, è il terzo aggettivo usato da Diderot nella Confutazione di Helvétius: interessante. L’interesse che essa suscita non è solo la sua capacità di attrarre e mantenere la curiosità del lettore, ma 61
Lettera sui ciechi, infra, p. 233. Confutazione di Helvétius, infra, p. 713, corsivo nostro. 63 Ibidem. 64 Ibidem, corsivo nostro. 65 Osservazioni su Hemsterhuis, infra, p. 923. 66 Ibidem. 62
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implica anche un aspetto fondamentale della conoscenza: il piacere. La metafora non è solo abbellimento, ma è anche ornamento del testo, lo rende gradevole alla lettura, piacevolezza che in una prospettiva materialistica si traduce nel piacere sensoriale della risonanza67 attivata dai sensi. Per questo la comprensione dei geroglifici poetici è riservata a una cerchia ristretta di persone di gusto raffinato,68 ed è più facile «capire un geometra di un poeta, perché ci sono mille persone di buon senso per ognuna di buon gusto».69 Anche per questo probabilmente Diderot di tanto in tanto, dopo essersi servito del linguaggio figurato, preferisce lasciarlo in favore delle ragioni e dei fatti: il rischio dell’ambiguità e dell’oscurità non è solo nella costruzione del testo, ma anche nella sua fruizione. Quanto all’analogia e al ragionamento analogico, essa è analizzata nei Pensieri sull’interpretazione della natura, dove ne vengono sottolineate le potenzialità, ma anche i limiti e i rischi. Si rinvia a quanto detto in proposito nel paragrafo precedente, aggiungendo che su di essa ha indubbiamente ragione Maurseth quando afferma che «il ruolo dell’analogia non è limitato alla funzione d’intermediazione tra due diversi campi di conoscenza, ma è anche parte della struttura stessa del testo. Perché l’analogia opera sia come processo di pensiero, sia come pratica letteraria, vale a dire, si afferma nella filosofia e nella scienza così come nella poesia e nella letteratura».70 Al contrario, alla luce di quanto si è detto fin qui, ci sembrerebbe riduttivo affermare che la metafora costituisca un semplice dispositivo di «intermediazione tra due diversi campi di conoscenza». D’altra parte, come la stessa Maurseth riconosce, vige una certa ambiguità nell’uso dei termini «metafora» e «analogia» nei testi di Diderot, ma ci sembra di poter affermare che mentre l’analogia viene considerata dal filosofo come una modalità dell’argomentazione, un tipo di ragionamento, la metafora invece può essere pensata come figura retorica. Come porsi però di fronte al fatto che le metafore di Diderot non si limitano all’introduzione di due termini, ma danno luogo a elementi testuali ben più consistenti? Si potrebbe affermare che il filosofo una volta introdotta la metafora, poi la analizza, come se arrivasse a un processo di filatura dell’immagine originaria, esplicitandone il portato conoscitivo, esplorandola tramite un ragionamento analogico nei suoi aspetti più raffinati. Sicché, anche parlando di quelle che secondo Maurseth non possono essere considerate come mere metafore, possiamo comunque riassumerle come tali e parlare del clavicembalo sensibile, dello sciame d’api, del lancio di dadi o della fermentazione universale, ma anche della campagna illuminata, del gigante dai piedi d’argilla, e via di seguito. Sottolineando la dinamicità messa in campo dalle metafore e la loro irriducibilità ai due elementi che le compongono, possiamo allora concludere che quell’equazione, anche a tre elementi, su cui si struttura l’analogia costituisce in realtà la struttura stessa della metafora che in tal senso è stata definita come «un’analogia condensata, risultante dalla fusione di un elemento del foro con un elemento del tema».71 Da un punto 67
Si veda in seguito la metafora delle corde vibranti e del clavicembalo sensibile. Cf. P. Chartier, De la pantomime à l’hiéroglyphe: ordre de la langue, ordre de l’art, in RDE, n. 46, 2011, p. 102. 69 Lettera sui sordi e muti, infra, p. 341. 70 A.B. Maurseth, La règle de trois: l’analogie dans Le Rêve de D’Alembert, RDE, N. 34, 2003, p. 180. 71 C. Perelman, L. Olbrects-Tyteca, Trattato sull’argomentazione. La nuova retorica, cit. in B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani 2018, p. 147. 68
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di vista retorico «nella maggior parte dei casi la metafora non nasce da analogie presenti nel testo, anzi suggerisce svariate possibilità di integrazioni analogiche»:72 è esattamente la procedura messa in campo nei testi diderotiani. Un’immagine, un’espressione felice o energica, mette in moto il pensiero, che, forte delle acquisizioni della scienza (i fatti da cui sempre deve muovere una buona ipotesi), sviluppa un ragionamento analogico. Questo corrisponde a quanto fin qui messo in evidenza: la molteplicità istantanea che si dà nel pensiero, cui la metafora cerca di avvicinarsi con la sua brevità, è sempre tradita dalla linearità del discorso. Del resto, le esitazioni di Diderot di fronte al pensiero analogico, che lo portano a sottolineare i vincoli affinché di esso ci si serva fruttuosamente in ambito filosofico e scientifico, sono gli stessi relativi al ricorso alle metafore. Possiamo allora concludere condividendo l’analisi di Michel Delon sulle metafore nell’opera diderotiana: La metafora [...] si articola doppiamente rispetto al progetto materialista. Lo sforzo di costituire una filosofia materialistica passa attraverso la raccolta dei diversi saperi scientifici [...] e la riflessione epistemologica, ma cerca di andare oltre questo fronte della conoscenza attraverso l’intermediazione della finzione (fiction). Questa finzione usa i percorsi dell’esperienza immaginaria o della metafora. Siccome, inoltre, l’obiettivo di tale ricerca è di evidenziare la continuità che fa passare dalla materia alla sensibilità, quindi dalla sensibilità al pensiero [...] e così fonda il monismo, la metafora che stabilisce analogie, riunisce campi distinti, diventa una figura privilegiata.73
3. Illuminismo e metafore del sapere Il ricorso a un linguaggio ricco di metafore può essere spiegato in modo coerente con il pensiero di Diderot e per chiarire quanto esse siano elementi strutturali, si propone un percorso attraverso alcune delle metafore che definiscono la cornice entro cui si collocano la maggior parte delle altre che s’incontrano nelle sue Opere. Non potendo pretendere di esplorare tutte le immagini presenti in queste Opere, infatti, si prenderanno in esame quelle più significative, che delineano gli aspetti principali del suo materialismo. Si procederà perciò a partire dalle metafore del sapere, che consentono di collocare la metaforica diderotiana nell’orizzonte più ampio dell’Illuminismo, seguite da quelle dell’interpretazione del mondo e dell’essere umano, considerando questi come i due poli fondamentali della sua riflessione. Così, tramite le metafore proposte si cercherà di mostrare che attraverso queste immagini cardine si ripercorrono le tesi principali della filosofia diderotiana. La metafora della luce e della sua contrapposizione all’oscurità è a tal punto caratterizzante e ricorrente nella filosofia del XVIII secolo da aver dato il nome alla stessa corrente di pensiero definita, appunto, «Illuminismo». Sarebbe, anzi, più corretto parlare di filosofia dei Lumi, mantenendo la connotazione plurale del termine francese «Lumières» che rispecchia maggiormente la pluralità delle filosofie che contribuirono a concepire il progresso della conoscenza e della ragione e i suoi limiti, contro le tenebre dell’errore e della superstizione. La metafora della luce non viene introdotta dai 72
Ibidem. M. Delon, La métaphore comme expérience dans Le Rêve de D’Alembert, in A. Becq (a cura di), Aspects du discours matérialiste en France autour de 1770, Université de Caen, J. Touzot, Paris 1981, p. 290. 73
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filosofi del secolo XVIII, ma rinnovata, poiché l’immagine della luce metafisica affonda le sue radici nell’antichità. La luce della ragione si scompone in innumerevoli raggi che hanno come corrispettivo una concezione molteplice di ciò che si contrappone ai Lumi: le tenebre che sono notte e ombra, ma anche cecità o accecamento, corrispondenti a pregiudizi, ignoranza, superstizione, dogmatismo, interessi di chi detiene il potere, ecc.74 La metafora della luce torna più volte anche nelle opere di Diderot e subisce numerose variazioni, insieme al ventaglio d’immagini afferenti alle tenebre. Se nei Pensieri filosofici egli si limita a utilizzare il sostantivo plurale «lumi» e il verbo «illuminare», quali sinonimi di ragione e capacità di rendere ragione di qualche cosa, nella Passeggiata dello scettico, la luce e l’accecamento sono elementi-chiave dell’allegoria. Fin da questo testo emerge tuttavia la tendenza a dare spazio anche alla problematicità e ai limiti di tale immagine e del compito stesso degli illuministi. Come scrive nella Prefazione, illuminare gli uomini è il più grande servizio che si possa rendere loro, ma è anche quello che non si restituirà mai: secondo il personaggio di Cleobulo, infatti, «presentare la verità a certe persone [...] è come introdurre un raggio di luce in un nido di gufi. Non serve che a ferire i loro occhi e a eccitare le loro grida. Se gli uomini fossero ignoranti solo per non aver mai imparato, forse li potremmo istruire, ma la loro cecità è sistematica».75 Non si tratta di una dialettica messa in scena solo per sostenere la tesi contraria, quella di Aristo, cioè dell’importanza di illuminare il popolo, ma è un vero dubbio che attraversa il pensiero diderotiano, tant’è che la stessa metafora del nido di gufi si trova nel suo articolo «Aquila»76 contenuto nel primo volume dell’Encyclopédie. Esempio di cecità volontaria, da intendersi come cieca obbedienza e conformismo, è l’immagine che egli propone dei devoti che avanzano nel «Viale delle spine», i cui due doveri principali sono quelli di indossare una veste che deve restare immacolata e portare una benda sugli occhi. Il principe invisibile e inaccessibile che governa il mondo «è massimamente illuminato», tuttavia «niente è più oscuro» del codice di condotta che i devoti devono seguire. Proprio in questo codice, afferma la guida, si pretende, per esempio, che se questo velo è fatto di stoffa buona, invece che privare della vista, permetta di percepire attraverso di essa un’infinità di cose meravigliose, che non siamo in grado di vedere con i soli occhi, e che tra le sue proprietà, c’è quella di fungere da vetro sfaccettato, di presentare, realizzare la presenza stessa di uno stesso oggetto in una moltitudine di luoghi diversi al contempo.77
È però assolutamente necessario che i devoti credano in queste chimere per essere ammessi nel palazzo del sovrano. Il pericolo di sottrarre i fedeli a questo accecamento volontario (uscendo dall’allegoria di sottrarre il popolo al giogo della religione e della superstizione), è descritto dalle conseguenze del dialogo tra Ateo, filosofo abitante del «Viale dei Castagni», e un abitante del «Viale delle spine», che diventando ateo 74 E. Huguet, La couleur, la lumière et l’ombre dans les métaphores de Victor Hugo, Paris, 1905, cap. viii; J. Roger, La lumière et les lumières, in Cahiers de l’Association internationale des études françaises, 1968, n. 20, pp. 167‑177. P. Giordanetti, G. Gori, M. Mazzocut-Mis (a cura di), Il secolo dei Lumi e l’oscuro, Mimesis, Milano 2008. 75 Passeggiata dello scettico, infra, p. 77. 76 Art. «Aquila» (Aigle), Encyclopédie, vol. I, p. 196a. 77 Passeggiata dello scettico, infra, p. 91.
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«aveva imparato a disprezzare la voce della coscienza e le leggi della società» e si era macchiato di gravi azioni contro Ateo, il quale però «non aveva nemmeno la libertà di compiangersi apertamente, perché in fondo il cieco era stato conseguente».78 Secondo Diderot, il passaggio dall’accecamento alla visione non comporta necessariamente effetti positivi; in particolare in quest’opera egli mette in evidenza una questione che resterà ancora a lungo un problema aperto per la sua filosofia: conciliare con coerenza la morale con il materialismo e l’ateismo. Nel momento in cui la divinità non è più l’elemento su cui si regge la morale, cosa impedirà agli esseri umani di compiere le azioni peggiori? Questo problema, oggetto anche della famosa Lettera a Landois, troverà risposta negli scritti degli anni Settanta del Settecento. Nel Colloquio di un filosofo con la Marescialla di***, per esempio, la devota interlocutrice si chiedeva come fosse possibile che un filosofo ateo si comportasse in modo onesto, dimostrando di avere una morale paragonabile a quella di un credente e così non rubasse, non uccidesse, ecc. Proprio in questo testo Diderot dimostra che non è l’ateo virtuoso a essere incoerente, ma i cristiani, che pur sostenendo di comportarsi secondo i precetti religiosi, seguono quella morale comune a tutte le nazioni, che costituisce solo una parte di quella enunciata nei libri sacri.79 Il rovesciamento messo in campo per la morale, riguarda anche la metafora della luce e dell’accecamento, come ben mette in evidenza l’ottavo pensiero dell’Aggiunta ai Pensieri filosofici: Smarrito in una foresta immensa, durante la notte, ho solo un piccolo lume a guidarmi; sopraggiunge uno sconosciuto che mi dice: Amico mio, soffia sulla tua candela per trovare meglio il tuo cammino. Questo sconosciuto è un teologo.80
Se i teologi parlavano degli atei e dei materialisti in termini di «cecità» rispetto alla «luce divina», Diderot, mettendo in scena i suoi personaggi scettici, libertini e atei, risponde contrapponendo un’altra luce, quella naturale, il lume della ragione che si attua in una filosofia delle mediazioni, portatrice di «una critica dell’intuizione a vantaggio delle abitudini, degli effetti dell’abitudine e dell’arbitrarietà» e di «una rivalutazione della relazione tra luce naturale e luce soprannaturale».81 Del resto, Diderot non si limita a contrapporre la luce naturale a quella soprannaturale, ma mostra anche tutti i limiti della ragione, ricordando costantemente la complessità dell’essere umano come «composto di forza e di fallibilità, di luce e di accecamento, di mediocrità e di grandezza», come lo aveva definito proprio nell’Aggiunta ai Pensieri filosofici. A questa definizione, si possono accostare facilmente quelle di Voltaire che nel Filosofo ignorante sottolineava la debolezza, la mancanza di certezze dell’essere umano e le difficoltà che il filosofo incontra nella ricerca di risposte alle grandi domande. Entrambi ci ricordano l’importanza del pensiero scettico di Montaigne per 78
Ivi, p. 145. È poi, in particolare, nella teoria dei tre codici, naturale, religioso e civile, su cui si reggono le società, espressa nei racconti e nei Contributi alla Storia delle due Indie che il filosofo sviluppa la sua soluzione. Sul tema si veda G. Stenger, Diderot et la théorie des trois codes, in H. Nakagawa, A. Ichikawa, Y. Sumi, J. Okami (a cura di), Ici et ailleurs: le dix-huitième siècle au présent. Mélanges offerts à Jacques Proust, Tokyo 1996, pp. 139-158. 80 Aggiunta ai Pensieri filosofici, infra, p. 53. 81 F. Markovitz, Le décalogue sceptique: l’universel en question au temps des Lumières, Hermann, Paris 2011, p. 158. 79
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l’illuminismo francese e, in particolare, per l’opera diderotiana, senza assumere posizioni dall’esito scettico, il filosofo di Langres esplicita infatti i limiti della ragione e della nostra capacità di conoscere. Tale riflessione si congiunge, nell’Aggiunta, a quella sulla difficoltà da parte di chi non è preparato ad accogliere un sapere la cui carica innovativa spesso supera la capacità di essere accolto e la disponibilità della maggior parte delle persone a mutare il proprio punto di vista. Così, è ancora una metafora sul rapporto tra visione e accecamento a esprimere questa difficoltà: Se un uomo che avesse avuto la possibilità di vedere solo per un giorno o due, si trovasse in mezzo a un popolo di ciechi, farebbe meglio a decidere di tacere, o a esser preso per pazzo. Annuncerebbe loro ogni giorno qualche nuovo mistero tale soltanto per essi e gli spiriti più avveduti avrebbero buon gioco a non credergli.82
In quest’immagine, tratta dalla Lettera sui ciechi, si trova un’espressione forte del relativismo della conoscenza che deriva dai sensi, e la difficoltà di far intendere un pensiero nuovo in un contesto in cui esso non viene compreso. In fondo la si potrebbe considerare come una variazione più complessa dell’immagine del raggio di luce nel nido di gufi. Diderot svilupperà tale divergenza nella percezione e difficoltà di comunicazione nel seguito della Lettera, tramite il dialogo tra il matematico cieco Saunderson e il prete Holmes. Questi due personaggi gli permettono di non opporre la luce naturale e la Rivelazione, ma di mostrare che entrambe si fondano sulla percezione del dato immediato. Tuttavia, la natura che costituisce un mirabile spettacolo per i vedenti, non è altrettanto ammirevole per i non vedenti; insomma, come affermavano gli scettici, delle medesime cose non si offrono a tutti le medesime rappresentazioni. Anzi, il cieco Saunderson mostra che lo spettacolo della natura è ben lungi dal costituire un ordine meraviglioso, e delinea un universo in costante mutamento, caratterizzato dalla produzione di mostri, visione che rende ancor più abusiva la deduzione dell’esistenza di un creatore dell’opera, a partire dalla constatazione della sua bellezza. La cecità del matematico porta alla confutazione dell’argomento del disegno divino che era stato individuato da illustri filosofi e scienziati come Leibniz, Clarke e Newton proprio a partire dall’«argomento del disegno», dello spettacolo della natura. Tuttavia, come ha scritto con grande efficacia Francine Markovitz, Diderot ci mostra in quest’opera che «la prova tramite gli effetti è un effetto di spettacolarizzazione».83 Così, il personaggio di Saunderson, che con la sua cecità richiama il mito classico di Tiresia, ribalta la simbologia della fede «cieca» e dell’autoinganno a cui sono soggetti i credenti. Tramite Saunderson Diderot rovescia una volta ancora la metafora della visione e della luce, trasformando la cecità in un privilegio che consente una visione metafisica opposta rispetto a quella dei vedenti-veggenti comuni.84 Seppure entro i limiti dei propri sensi e della propria ragione, il filosofo non dispera di conoscere, anzi, una volta abbandonate le speculazioni metafisiche e tenuto conto dei margini entro cui si muove, il suo paziente compito è proprio quello di analizzare le ragioni prime e generali delle cose e di interpretare il mondo. Solo quest’attività permette di rendere la conoscenza più chiara e certa, dissolvendo le tenebre dell’ignoranza e della superstizione: 82
Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono, infra, p. 219. F. Markovitz, Le décalogue sceptique cit., p. 163. 84 P. Casini, Nubi, cecità, chiaroscuro: Diderot e le metafore della conoscenza, in P. Giordanetti, G. Gori, M. Mazzocut-Mis (a cura di), Il secolo dei lumi e l’oscuro cit., p. 23. 83
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Tutti questi cosiddetti misteri tanto rimproverati ad alcune scienze, e presunti da altre per compensare i loro, discussi metafisicamente, svaniscono come i fantasmi della notte all’avvicinarsi del giorno.85
Pur dotato della modesta lanterna della ragione naturale, l’essere umano riesce comunque a dissipare, poco per volta i misteri della natura, convinzione che del resto non poteva certo non avere il direttore di un’opera nata con l’ambizione di raccogliere tutto il sapere del tempo: l’Encyclopédie. Proprio all’interno di questo monumento della conoscenza la metafora della luce è modulata in vario modo da Diderot che, significativamente, proprio nell’articolo «Encyclopédie» afferma: È necessario considerare un dizionario universale di scienze e arti come un immenso paese coperto di montagne, pianure, rocce, acqua, foreste, animali e tutti gli oggetti che rendono la varietà di un grande paesaggio. La luce del cielo li illumina tutti, ma sono tutti variamente colpiti, alcuni avanzano per la loro natura e la loro esposizione, anche nella parte anteriore del palcoscenico; altri sono distribuiti su un’infinità di piani intermedi; ci sono alcuni che si perdono in lontananza; tutti si sostengono reciprocamente.86
Dopo essersi servito di una serie di altre metafore per definire l’opera, l’immagine dell’albero della conoscenza, quella dell’intero dizionario ragionato come planisfero del sapere e di ciascun articolo come una carta regionale87 e quella del mare, in cui gli scogli potevano essere paragonati ai pochi oggetti noti che, come punte rocciose, bucano la superficie del vasto oceano, Diderot delinea l’immagine più efficace descrivendo una campagna variamente illuminata dalla luce. A questa metafora si può facilmente far corrispondere la concezione dell’universo come una rete ininterrotta di legami, una grande catena caratterizzata dalla continuità, la grande catena dell’essere.88 Risulta chiaro che la metafora oltrepassa di nuovo se stessa: la natura non è concepita come insieme di enti discreti, come sembrano suggerire gli anelli uniti l’uno all’altro di una catena, l’interdipendenza dei fenomeni è piuttosto una compenetrazione, un legame che avviene per sfumature, che corrispondono all’infinità di piani intermedi dell’immagine della campagna. Questo accumulo di metafore connesse a quella della luce, mette in evidenza la loro l’essenzialità nello stile diderotiano e nella strutturazione stessa del suo pensiero: l’efficacia di questa figura retorica è tale da comunicare i concetti, cosicché attraverso la successione e l’intersezione delle immagini, il filosofo costruisce la sua euristica. La disseminazione di metafore fa sì che la sua filosofia sia coerente senza porsi come sistema e, nonostante ciò, mantenga valida la capacità da parte del filosofo di giocare il ruolo d’interprete della natura: l’elaborazione di congetture su ciò che è e che sarà, partendo dalle osservazioni proprie e, soprattutto, altrui, traendo dalla molteplicità delle ipotesi una visione d’insieme. Come aveva affer85
D. Diderot, Encyclopédie, op. cit., art. «Enciclopedia» (Encyclopédie), vol. V, p. 642b. Ivi, p. 647a, corsivo nostro. 87 La metafora è chiara, ma tracciare una carta che include la totalità del sapere è un compito impossibile e infinito, il sapere incluso in un’enciclopedia sarà necessariamente parziale. Secondo Diderot e D’Alembert la ragione non era in grado di fondare, di per se stessa, il sapere, quindi il planisfero della metafora sarebbe dovuto essere una carta illimitata e indeterminata. 88 Si veda A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being: A Study of the History of an Idea, Harvard University Press, 1936. 86
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mato nei Pensieri sull’interpretazione della natura il filosofo-interprete si ferma a questo punto, perché «se facesse un passo di più, uscirebbe dalla natura»,89 fatta di una molteplicità di sfaccettature. Cogliere tali aspetti significa avere la capacità di rimettere costantemente in discussione la conoscenza acquisita, come Diderot aveva affermato fin dalla sua prima opera, nel pensiero § XXXI: «Lo scetticismo è perciò il primo passo verso la verità» poiché lo scetticismo è «la pietra di paragone»90 della verità stessa. Al di là dell’evidente eredità cartesiana di questo pensiero, il primo passo che Diderot ci invita a fare è l’estensione generalizzata del dubbio per procedere verso la scienza, come affermerà anche nell’articolo «Filosofia pirroniana o scettica» (Philosophie pyrrho nienne ou sceptique) dell’Encyclopédie. Così, si può dire che il dubbio radicale come pietra di paragone, mezzo rivelatore, saggio, prova, ovvero come il compito primo della ragione, e l’immaginazione quale strumento di espressione non dogmatica e non sistematica del pensiero, sono gli elementi strutturanti del metodo filosofico diderotiano.
4. «Se sentissimo la materia muoversi e il caos districarsi»: materialismo e metafore del cosmo Secondo la concezione materialista il mondo è privo di finalità, d’intelligenza e di qualunque tipo di trascendenza, sia nella sua dimensione fisica, sia nella sua dimensione morale. Inoltre, secondo i materialisti il mondo è il risultato della combinazione della materia e del suo movimento,91 e non può essere definito «ordinato» e neppure «buono». Resta però il problema di spiegare come la materia possa organizzarsi e assumere la conformazione che si offre al nostro sguardo. Nei Pensieri Filosofici Diderot si serve della metafora del lancio di dadi, quale immagine della fortuità. Tuttavia, insieme alla metafora che spiega che grazie alle infinite combinazioni possibili, il mondo ha raggiunto l’organizzazione attuale, egli mette in campo anche l’obiezione deistica,92 secondo la quale non c’è opera senza autore e richiama in proposito l’esempio della composizione dell’Iliade: come potrebbe esistere il poema epico in questione se un autore non lo avesse composto? Diderot risponde sviluppando ulteriormente la metafora del lancio dei dadi, chiamando in causa la teoria delle probabilità che gli permette di passare dalla possibilità, alla probabilità del risultato che diventa tale grazie al fattore temporale e, dunque, al numero infinito di combinazioni che si possono produrre in natura: Secondo le leggi del calcolo delle probabilità, mi direbbe che non devo essere per nulla sorpreso dal fatto che qualche cosa accada quando è possibile, e che la difficoltà dell’avvenimento è compensata dal numero dei tiri di dadi.93
Poiché la materia si muove da tutta l’eternità, come afferma nel pensiero § XXV, essa si può organizzare in una quantità infinita di modi, quindi anche secondo quello che osserviamo. Nei Pensieri sulla materia e il movimento (1770), considerando il moto 89
Pensieri sull’interpretazione della natura, infra, p. 459. Pensieri filosofici, infra, p. 27. 91 J.‑C. Bourdin, Diderot. Le matérialisme cit., p. 27. 92 Jean-Claude Bourdin attribuisce quest’obiezione a Rivard, professore di filosofia e matematica, ivi. 93 Pensieri filosofici, § XXI, infra, p. 21. 90
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come una proprietà essenziale della materia il filosofo introduce un ulteriore elemento che permette di superare il problema dell’artefice. Nei Pensieri filosofici, la risposta è già delineata: Dunque se qualche cosa deve ripugnare la ragione, è la supposizione che la materia essendo in moto da tutta l’eternità, e avendo forse nella somma infinita delle combinazioni possibili, un numero infinito di ordinamenti ammirabili, uno di questi non si sia presentato nella moltitudine infinita di quelli che essa ha assunto successivamente. Dunque lo spirito deve essere più stupito della durata ipotetica del caos, che della vera nascita dell’universo.94
La spiegazione è contenuta nel pensiero XIX: l’«agitazione interna delle molecole» è il principio che spiega la nascita degli insetti, ma essendo capace di produrre questi esseri, seppur minuscoli e vili, è verosimile, scrive il filosofo, che l’essere umano tragga origine dallo stesso principio, tanto più che tale ipotesi poteva essere confermata, data l’impossibilità della generazione spontanea, da quella dei germi preesistenti. Il linguaggio utilizzato per dar seguito a questa congettura corrisponde alla presa di posizione anti-metafisica enunciata a più riprese nel testo: «Tutte le futilità della metafisica non valgono un argomento ad hominem. Per convincere, a volte bisogna solo risvegliare il sentimento, fisico o morale», «non è stato il metafisico a infliggere i grandi colpi che l’ateismo ha ricevuto», «le sottigliezze dell’ontologia, al massimo, hanno creato degli scettici»,95 si tratta quindi di riportare la discussione sul piano dell’interpretazione della natura, a cui però non possono corrispondere affermazioni astratte e generali. Nonostante l’abbandono della dimensione metafisica, la metafora del lancio di dadi risulta insufficiente e inadeguata a esprimere la complessità della riflessione sull’organizzazione della materia e sull’origine del mondo, come Voltaire aveva già messo in rilievo affermando che essa presuppone ciò che è in questione: La domanda è, se ci siano dei dadi: niente dadi, niente organizzazione, nessun ordine, senza intelligenza. Rimestate della sabbia per l’eternità, ci sarà sempre e solo sabbia. Di sicuro questa sabbia non produrrà dei pappagalli, degli uomini, delle scimmie. Ogni opera è la prova di un artefice.96
Si vede qui come solo la somma di più metafore permette un discorso adeguato a spiegare la complessità dell’universo. Non solo, ma nel momento in cui un’immagine manifesta i suoi limiti interpretativi, essa costituisce una spinta all’elaborazione di figure inedite e più esplicative, che siano in grado di esprimere una filosofia materialistica della natura. Le metafore del mondo, in Diderot, ci mostrano come questa figura retorica sia utilizzata appieno nella sua capacità di produrre pensiero, cioè come metafora di invenzione, anche quando egli ricorre a quelle già stabilizzate e ampiamente diffuse tra i pensatori del suo tempo. Troviamo questa figura in atto già nei Pensieri filosofici, dove viene proposta una similitudine tra esseri umani e insetti contenente un concetto, quello di fermentazione, che diventerà successivamente una metafora di più ampia portata:
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Ibidem. Ivi., § XVII-XIX, infra, pp. 17-19. 96 Si veda Pensieri filosofici, infra, nota 47. 95
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Se duecento anni fa un ateo avesse supposto che forse un giorno si sarebbero visti degli uomini uscire completamente formati dalle viscere della Terra, come vediamo schiudersi una ridda di insetti da una massa di carne fermentata, vorrei proprio sapere quello che un metafisico avrebbe potuto rispondergli.97
L’analogia, che in quest’opera non viene ulteriormente sviluppata, introduce già una delle metafore più fruttuose dell’opera di Diderot, quella della «fermentazione universale» di cui il filosofo si servirà ampiamente nelle opere successive. L’introduzione del concetto di fermentazione, infatti, gli permetterà di evitare il ricorso al termine «forza» che appartiene alla fisica, reinterpretando «il materialismo attraverso uno scivolamento epistemologico dalla fisica verso la chimica».98 Occorre però chiarire il significato di questo termine: parlando di «fermentazione» Diderot si riferiva a un insieme di processi chimici che creano un legame tra le molecole sensibili e viventi affini, generando così quelli che venivano definiti animaluncoli. La fermentazione è una metafora che diviene fondamentale già nella Lettera sui ciechi, dove il personaggio di Saunderson propone una riflessione d’ispirazione lucreziana sull’origine del mondo. L’universo del matematico cieco è basato sull’idea di un’auto-organizzazione della materia dal caos originario, si tratta di una narrazione fantastica, che non ha la pretesa di essere vera, ma ha lo statuto di un’ipotesi coerente con le sue premesse (materialismo, anti-finalismo, ecc.), tanto quanto altre cosmologie erano conseguenti rispetto a diverse premesse (finalismo, esistenza di un dio creatore e ordinatore, ecc.). Nell’articolo «Chaos» dell’Encyclopédie Diderot esprime in modo chiaro lo statuto ipotetico di questo tipo di speculazioni: Immaginarsi, come alcuni sistematici, che Dio dapprima producesse solo una materia vaga e indeterminata, da cui il movimento fece gradualmente schiudere delle fermentazioni intestine, cedimenti, attrazioni, un sole, una terra e tutte le decorazioni del mondo [...]. Sostenere tutte queste cose, e molte altre la cui enumerazione ci condurrebbe troppo lontano, significherebbe abbandonare la storia a banchettare con i sogni, opinioni sostitutive, senza verosimiglianza, delle verità eterne che Dio ha attestato per bocca di Mosè.99
Poste le precauzioni di rispetto delle affermazioni contenute nella Bibbia, su ciò che non viene esplicitato, Diderot rivendica il diritto di dire tutto quel che si vuole dell’origine del mondo, in particolare, specifica l’autore, ai filosofi dovrebbe essere permesso proporre ipotesi a proposito di ciò che il Genesi non spiega chiaramente. Questo non vuol dire però «abbandonare la storia a banchettare con i sogni, opinioni sostitutive, senza verosimiglianza» perché la libertà di formulare ipotesi deve mantenere salda la coerenza rispetto alla ragione e ai fatti raccolti dalla filosofia sperimentale. È ciò che Diderot afferma nella Lettera sui ciechi: chi è privo della vista e indifferente allo spettacolo della natura, non dovrebbe essere limitato nella sua «libertà di pensare quello che gli pare» riguardo all’antico stato dell’universo, poiché in rapporto a esso anche i vedenti brancolano nel buio. A partire da questo e dalla sua esperienza il personaggio di Saunderson costruisce un’analogia: i mostri sono possibili poiché sono reali, infatti, come il matematico era privo della vista, alcuni esseri potevano essere privi di stomaco, 97
Ivi, § XIX, infra, p. 19. F. Kawamura, Diderot et la chimie. Science, pensée et écriture, Garnier, Paris 2013, p. 180. 99 D. Diderot, Encyclopédie cit., art. «Caos» (Chaos), vol. III, p. 158b. 98
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di intestino, avere qualche vizio al cuore o ai polmoni. È possibile, scrive il filosofo, che gli esseri che sono riusciti a sopravvivere nel tempo e a riprodursi, avessero dei meccanismi privi di contraddizioni importanti. Le combinazioni della materia sono in continua evoluzione, contrariamente al paradigma secondo cui l’ordine attuale della natura, nella sua perfezione, corrisponde all’ordine del mondo fin dalla sua origine. In un mondo in cui gli esseri e le specie sono in permanente mutazione, i mostri non sono più anomalie, ma sono risultati possibili tra le varie combinazioni e forme della materia. Molti anni dopo, nella Confutazione di Helvétius Diderot riaffermerà la tesi di un disordine organizzato, ma che appare tale solo in una prospettiva storica: Gli animali, le piante ecc. sono, per quello che credo, di nascita recente, relativamente all’origine del mondo; e nati, passeranno col tempo. La loro mostruosità primitiva può essere constatata dai fatti. Io chiamo mostruosità relativamente a ciò che essi sono adesso; perché non ci sono affatto mostri, relativamente al tutto.100
Rousseau nel IV Libro dell’Emilio si riferisce proprio a quanto aveva affermato Diderot nella Lettera sui ciechi per respingere l’anti-finalismo dell’ordine cosmico implicato dall’ipotesi espressa da Saunderson; si trattava, in effetti, di una congettura considerata estrema, tanto che anche Voltaire e altri filosofi illuministi la rifiutavano, affermando un’idea finalistica del cosmo e l’esistenza di un principio ordinatore, Dio o un Essere Supremo. Tale opposizione si traduce anche nella metaforica: al dio orologiaio di Voltaire si contrappone un universo in fermentazione che, nel Sogno di D’Alembert, si ridurrà a una goccia d’acqua in cui si riassume la storia del mondo. La scelta delle immagini ci ricorda sempre che, sebbene il compito dell’interprete della natura sia di dar forma, grazie alle conoscenze acquisite, a un discorso che abbia senso per l’essere umano: «l’uomo è l’unico termine da cui bisogna partire, e a cui bisogna ricondurre tutto»:101 è ciò che aveva affermato Diderot nel Prospetto dell’Encyclopédie, senza assumere una prospettiva che collocasse l’umanità al vertice di una gerarchia o al centro della natura. Così, «esaltando un’organizzazione a partire dal disordine [...] Diderot ha superato l’antinomia ordine/disordine e rimesso in questione la stessa architettura del pensiero classico»,102 in cui la visione garantiva la verità dei fatti. Dunque, il suo personaggio cieco, non vedendo lo spettacolo del mondo può intendere l’ordine generale come momentaneo. Come ripeterà ancora nelle Osservazioni su Hemsterhuis, tutto è in fluxu et eterno et perpetuo et necessario103 e sono continuamente in azione un’infinità di cause che conosciamo solo in parte «perché noi non abbiamo gli organi, né gli strumenti adatti a conoscerle»; queste cause provocano il «passaggio o flusso perpetuo da un ordine, o coordinazione, a un’altra».104 La conoscenza limitata della catena della causalità è uno dei principali limiti del sapere perché, come si è visto già all’inizio, l’essere umano ha a disposizione strumenti imperfetti e sproporzionati rispetto al compito della conoscenza. L’articolo «Chaos», cui si è fatto riferimento in precedenza, contiene 100
Osservazioni su Hemsterhuis, infra, p. 975. D. Diderot, Encyclopédie cit., art. «Enciclopedia» (Encyclopédie), vol. V, p. 641b. 102 G. Stenger, Diderot philosophe de la complexité, in La Lettre Clandestine, n. 14, 20152016, p. 136. 103 Osservazioni su Hemsterhuis, § 167, infra, p. 977. 104 Ivi, § 169, infra, p. 979. 101
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a tal proposito un interessante rinvio alla voce «Cosmologie», scritta da D’Alembert, in cui il matematico propone la metafora della grande catena dell’essere, chiarendo la questione delle lacune della conoscenza: La Cosmologia è propriamente una Fisica generale e ragionata, che, senza entrare nei dettagli troppo circostanziati esamina il lato metafisico dei risultati dei fatti stessi, mostra l’analogia e l’unione che sussiste tra di essi, e prova a scoprire alcune delle leggi generali in base alle quali l’Universo è governato. Tutto è collegato in Natura; tutti gli esseri si connettono tramite una catena di cui percepiamo alcune parti continue, sebbene in moltissimi punti ci sfugga la continuità. L’arte del Filosofo non consiste, come accade troppo spesso, nell’accostare parti distanti, forzare la completezza della catena in maniera inadeguata nei punti in cui è interrotta; poiché con tale sforzo separiamo solo le parti che si connettevano, o si allontanano ulteriormente quelle che erano già allontanate dall’altra estremità opposta a quella che è stata portata vicino; l’arte del Filosofo è quella di aggiungere nuovi anelli alle parti separate per renderle meno remote possibile: ma non dovrebbe lusingare se stesso dicendosi che rimarranno vuoti ancora pochi luoghi. Per formare i collegamenti di cui stiamo parlando, dobbiamo considerare due cose; i fatti osservati che formano il materiale dei collegamenti e le leggi generali della Natura che formano il collegamento. Chiamo leggi generali, quelle che sembrano essere osservate in un gran numero di fenomeni; perché faccio attenzione a non dire in tutti. Tali sono le leggi del moto, che sono il risultato dell’impenetrabilità dei corpi e la fonte di molti degli effetti che osserviamo in natura.105
La metafora della catena dell’essere è una variante particolare dell’immagine della scala naturae (l’ordinamento continuo e lineare di tutti i viventi secondo le loro affinità) che si può ricondurre a Leibniz; questi, con la legge di continuità degli esseri e l’individuazione dei corpi intermedi e il principio secondo cui in natura tutto procede per gradi e mai per salti,106 aveva indebolito l’immagine della scala, destinata a declinare verso la fine del secolo XVIII. Tale immagine, diffusa dall’opera di Charles Bonnet, era condivisa, come si è visto, da D’Alembert e utilizzata anche da Voltaire; del resto lo stesso concetto di enciclopedia si basa sull’idea di concatenazione, mentre, si servono ancora della metafora scalare La Mettrie e Buffon. L’articolo di D’Alembert, inoltre, è importante perché mostra la convergenza di alcune idee dei due direttori dell’Encyclopédie, quali la concezione della cosmologia come fisica generale, e la condivisione di alcune metafore, come quella già citata della catena dell’essere.107 Tuttavia, se la grande catena dell’essere resterà una figura essenziale della concezione diderotiana della natura, Diderot progressivamente si allontanerà dalla fisica generale e dall’idea che questa sia in grado, con le sue leggi generali, di dar conto dei fenomeni. L’universo può essere visto come una rete ininterrotta di legami, ma si tratta, da ultimo, di anelli discreti di una catena in continuo mutamento; da qui, la libera interpretazione da parte di Diderot di un verso di Virgilio nel Sogno di D’Alembert volto a esprimere la dinamicità della natura il cui ordine è spiegabile solo se colto nella prospettiva temporale adeguata: 105
D’Alembert, Encyclopédie cit., art. «Cosmologia» (Cosmologie), vol. IV, p. 294a. G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, trad. it. di D.O. Bianca, in Scritti Filosofici, Utet, Torino 1968, t. II, p. 616. 107 A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being cit. e G. Barsanti, La Scala, La Mappa, L’Albero. Immagini e classificazioni della natura fra Sei e Ottocento, Sansoni, Firenze 1992. 106
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Il mondo inizia e finisce senza posa. Ad ogni istante esso è al suo principio e alla sua fine. Non ne ha mai avuto altro, né mai ne avrà altro. In questo immenso oceano di materia, non una molecola che assomigli a un’altra molecola, non una molecola che assomigli a se stessa per un solo istante. Rerum novus nascitur ordo, ecco la sua eterna iscrizione.108
A proposito delle lacune della conoscenza, nel Prospetto dell’Encyclopédie Diderot aveva affermato che l’universo ci offre uno spettacolo immenso di oggetti individuali e le conoscenze che si possono conseguire (comprese quelle raccolte nella stessa Encyclopédie) corrispondono a quei pochi oggetti noti che, come le punte di scogli rocciosi, bucano la superficie del vasto mare. Nel passaggio del Sogno di D’Alembert appena citato, il personaggio di D’Alembert, sognante e febbricitante, commenta la visione del cosmo espressa, ancora una volta, tramite una metafora che è anche una congettura, quella della goccia d’acqua tramite cui si delinea, oltre al rapporto dell’uomo con il mondo, anche la relazione individuo-specie: Nella goccia d’acqua di Needham tutto accade in un batter d’occhio. Nel mondo, lo stesso fenomeno dura un po’ di più; ma che cos’è la nostra durata in confronto all’eternità dei tempi? Meno della goccia che ho preso con la punta di un ago, in confronto allo spazio illimitato che mi circonda. Un succedersi indefinito di animaluncoli nell’atomo che fermenta. Lo stesso succedersi indefinito di animaluncoli nell’altro atomo che si chiama la Terra. Chi conosce le razze d’animali che ci hanno preceduti? chi conosce le razze di animali che succederanno alle nostre? Tutto cambia. Tutto passa. Soltanto il Tutto resta.109
La goccia d’acqua di Needham chiamata in causa nel Sogno di D’Alembert delimita la scena entro la quale si articola il rapporto microcosmo-macrocosmo.110 Fin dalle prime opere Diderot concepisce il ciclo vitale come una successione di operazioni di fermentazione, processo la cui la potenza creatrice non concerne solo la digestione o la putrefazione delle sostanze, ma viene intesa come un continuo operare da cui deriva la generazione degli animali e la nascita di nuove specie. È dunque chiaro che il filosofo fa un uso del concetto di fermentazione,111 e dimostra di servirsene al contempo come di un preciso concetto scientifico e come immagine poetica.112 Allontanandosi dal meccanicismo secondo cui la natura è come una macchina, o un organismo immenso, Diderot propone «un modello liquido e relazionale»113 della natura, secondo cui l’immenso oceano di materia è un flusso in cui tutto è interconnesso con tutto e in incessante mutamento. In questo tutto «non ci sono né oggetti né individui, ma solamente relazioni e relazioni di relazioni» e l’individuo non è considerato, esso stesso, come uno e indivisibile, ma come «sistema aperto e in perpetua trasformazione».114 Il filosofo era convinto che le leggi generali della matematica e della fisica avessero una portata limitata, condividendo l’idea di Buffon secondo cui 108
Il Sogno di D’Alembert, infra, pp. 559-561. Ivi, p. 559. 110 Cfr. F. Kawamura, op. cit., p. 178. 111 L’uso di tale concetto va oltre le accezioni scientifiche contemporanee, cfr. Ibidem, p. 208 112 Cfr. Ibidem, p. 187. 113 G. Stenger, Diderot: philosophie de la complexité cit., p. 142. 114 Ibidem. 109
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soprattutto per gli esseri viventi, era più fruttuoso l’approccio delle nuove scienze nascenti, la storia naturale e la chimica innanzitutto, capaci di rendere conto più adeguatamente dell’«ordine generale della natura» che «cambia senza posa», come scriveva anche negli Elementi di Fisiologia. In questo continuo mutamento anche i rapporti, dai più noti a quelli ignoti, sono soggetti a variazione, cosicché l’interprete della natura, di fronte a tale causalità complessa, non ha la capacità predittiva o la può esercitare solo in modo limitato e in forma ipotetica. Così Diderot si avvicina ad alcune affermazioni di David Hume, il quale sosteneva, a proposito di quegli oggetti che hanno tra loro relazioni di contiguità e successione, che «andar più in là, attribuire un potere e una connessione necessaria a questi oggetti, questo è ciò che non ci sarà mai dato di cogliere in essi, perché quelle idee noi le ricaviamo da ciò che proviamo internamente nel contemplarli».115 Così leggiamo nel Sogno di D’Alembert: D’Alembert: Per esempio, non si capisce molto bene, secondo il vostro sistema, come noi formiamo dei sillogismi, né come traiamo delle conseguenze. Diderot: Il fatto è che non ne traiamo alcuna; esse sono tutte tratte dalla natura. Noi non facciamo altro che enunciare fenomeni congiunti, il cui legame è necessario o contingente, fenomeni che ci sono noti attraverso l’esperienza: necessari in matematica, in fisica e in altre scienze rigorose; contingenti in morale, in politica e in altre scienze fondate su congetture.116 Le scienze fondate su congetture sono quelle a cui ci si riferiva in precedenza, in particolare la chimica, poiché i fenomeni e le relazioni da essa descritte non possono essere collocate nell’ambito dell’evidenza, ma in quello della certezza che dipende dall’esperienza, soggetta a errori e a rettifiche. Nell’articolo «Certezza» dell’Encyclopédie si trovano alcune osservazioni rispetto allo statuto delle conoscenze che si può raggiungere: Si potrebbe ancora, come il signor D’Alembert ha fatto nel Discorso preliminare, distinguere l’evidenza dalla certezza, dicendo che l’evidenza appartiene alle verità puramente speculative della Metafisica e della Matematica; e la certezza agli oggetti Fisici, e ai fatti che si osservano nella natura, e la cui conoscenza ci viene dai sensi. In questo senso, sarebbe evidente che il quadrato dell’ipotenusa è uguale ai quadrati dei due lati in un triangolo rettangolo; e sarebbe certo che il magnete attira il ferro.117
Opponendosi all’evidenza cartesiana, in cui i legami sono auto-evidenti allo spirito, Diderot introduce il concetto di «certezza, relativa agli oggetti fisici e ai fatti umani, e che chiama secondo il caso certezza fisica o certezza morale».118 Prossimità tra la chimica e la morale, ma anche prossimità tra la chimica e la poesia, poiché il poeta e il chimico si sforzano entrambi di scoprire l’esistenza di rapporti precedentemente ignorati:
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D. Hume, Treatise on Human Nature, tr. it. Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 209. 116 Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 547. 117 D. Diderot, Encyclopédie, op. cit., art. «Certezza» (Certitude), vol. II, p. 845b. 118 J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie cit., p. 269.
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«La creazione intellettuale, che sia scientifica o artistica, consiste in una drammaturgia delle idee, nello schiudersi di un’idea sintetica formata dalla combinazione nuova di idee già esistenti».119
5. Il clavicembalo sensibile e la tela di ragno: metafore dell’essere umano Il filosofo è un interprete della natura, ma quando riesce a svelare rapporti precedentemente ignorati grazie alle metafore di cui si serve allora egli è anche poeta. In quanto tale, riesce a proporre ai suoi lettori un’opera che offre loro una possibile attribuzione di senso al mondo. L’essere umano non è il centro del cosmo, esso è una delle varie specie prodotte dalla grande concatenazione di fenomeni che hanno portato il sorgere e lo svilupparsi della vita. Nonostante la sua posizione decentrata tuttavia, è solo in rapporto all’essere pensante che l’universo può essere dotato di senso. È quanto afferma Diderot nell’articolo «Encyclopédie», uno dei più importanti scritti per l’opera monumentale di cui era direttore: Se si bandisce l’uomo o l’essere pensante e contemplatore dalla superficie della terra, questo spettacolo patetico e sublime della natura non sarebbe altro che una scena triste e muta. L’universo tace; il silenzio e la notte se ne impadroniscono. Tutto è cambiato in una vasta solitudine in cui i fenomeni non osservati si verificano in un modo oscuro e sordo. È la presenza dell’uomo che rende interessante l’esistenza degli esseri.120
La posizione dell’essere umano è però particolare: da un lato l’interpretazione del mondo sussiste solo grazie al suo sguardo, dall’altra, come ci dice la metafora, l’uomo fa parte della grande catena dell’essere, non è che un anello e dunque non gode rispetto agli altri esseri di una posizione privilegiata. Per comprendere il gruppo di metafore relative all’essere umano occorre chiarire la relazione in cui esso si trova rispetto agli altri enti. Nelle sue opere Diderot va via via maturando una concezione della materia come intrinsecamente dotata di movimento e omogenea, ovvero il suo pensiero tende all’abolizione di distinzioni essenziali tra materia viva e materia morta, che si differenziano invece in ragione di una graduale transizione dall’inerte al vivente. Il sorgere della sensibilità, così come del pensiero, sono effetti dell’organizzazione della materia. Per illustrare tale processo Diderot ricorre a una metafora della statua polverizzata: Diderot: Quando il blocco di marmo è ridotto in polvere impalpabile, io mescolo questa polvere all’humus o terra vegetale; li impasto bene insieme; innaffio la miscela, la lascio imputridire per un anno, due anni, un secolo, il tempo non ha importanza. Quando il tutto si è trasformato in una materia pressappoco omogenea, in humus, sapete cosa faccio? D’Alembert: Sono sicuro che non mangiate dell’humus. Diderot: No, ma vi è un mezzo di unione, di appropriazione, tra l’humus e me, un latus come vi direbbe un chimico. D’Alembert: E questo latus è la pianta? 119
Cf. F. Kawamura, op. cit., p. 275. D. Diderot, Encyclopédie cit., art. «Enciclopedia» (Encyclopédie), vol. V, p. 641a.
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Diderot: Benissimo. Vi semino piselli, fave, cavoli, altre piante leguminose. Le piante si nutrono di terra e io mi nutro delle piante. D’Alembert: Vero o falso che sia, mi piace questo passaggio dal marmo all’humus, dall’humus al regno vegetale e dal regno vegetale al regno animale, alla carne. Diderot: Così io faccio della carne o dell’anima, come dice mia figlia, una materia attivamente sensibile; e se anche non risolvo il problema da voi proposto, almeno mi avvicino molto alla soluzione.121 L’immagine della statua che una volta polverizzata e dopo essere passata attraverso una serie di stadi intermedi, viene digerita dall’uomo, trasformandosi in carne, dimostra l’applicazione del modello della fermentazione non solo all’individuo, ma anche su scala universale, poiché il processo di decomposizione e quello di digestione sono riconducibili a quello della fermentazione. Rispetto agli altri enti l’uomo si pone in una relazione di continuità, caratterizzata da una serie di gradi intermedi tra gli esseri (tra i regni animale, vegetale, minerale), spesso impercettibili. Nel quadro di un universo connotato da un dinamismo che porta alla continua produzione di nuove forme viventi, l’essere umano costituisce allora un risultato – temporaneo – di questo processo di modificazione perenne, «effetto comune» e necessario dell’ordine universale e generale, come Diderot scriveva nel Sogno di D’Alembert. La nozione chimica di «fermentazione», estesa in forma metaforica alla biologia, è dunque un modello che opera contemporaneamente sul piano universale del mondo e su quello individuale dell’uomo,122 proponendo un modello antitetico al meccanicismo cartesiano. Diderot approda a quest’immagine dalla forte capacità di interpretare la materia, l’universo, l’essere umano, dopo essersi servito di una serie di altre similitudini di cui tuttavia aveva di volta in volta constatato i limiti. In particolare, la metafora dell’uomo-macchina che si trova nella Lettera sui sordi e muti e in alcuni articoli dell’Encyclopédie, risale al periodo in cui il filosofo non aveva ancora approfondito le sue conoscenze di chimica, come avverrà a partire dal 1754 fino al 1757, grazie ai corsi tenuti da Guillaume-François Rouelle frequentati da Diderot, e cui farà ricorso nella stesura del Sogno di D’Alembert. Sul ricorso alla metafora dell’uomo come macchina o come un orologio (le due varianti più comuni della metafora) nella prima parte della sua opera, è opportuno tener presente il fatto che nel XVIII secolo essa era così diffusa che il suo utilizzo era quasi una banalità. Quest’immagine indicava ormai, in modo generico, che l’uomo era considerato come un organismo le cui facoltà erano spiegabili in base alla sua organizzazione. In questo senso la si trova tanto nell’opera di La Mettrie, per esempio, quanto in quella di Diderot; ma la stessa immagine viene strutturata in modo tale da adattarsi alla diversa coniugazione dei due materialismi.123 Nella Lettera sui sordi e muti l’uomoautoma viene così descritto: 121
Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 537. F. Kawamura, Diderot et la chimie cit., p. 212. 123 Nonostante la netta presa di distanza da La Mettrie nel Saggio sui regni di Claudio e di Nerone, il materialismo diderotiano e la sua concezione dell’essere umano hanno molti punti in comune con quelli del suo contemporaneo. Sulla metafora dell’uomo-macchina si veda A. Thomson, L’homme-machine: mythe ou métaphore, in DHS, n. 20, 1988, pp. 367-376; H. Blumemberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, trad. it. Paradigmi per una metaforologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, in particolare il cap. VI, «Metaforica di sfondo di concezioni meccanicistiche e organicistiche», pp. 73-88. 122
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Considerate l’uomo automa come un orologio ambulante; per cui il cuore ne rappresenti la grande molla e le parti contenute nel petto siano gli altri pezzi principali del movimento. Immaginate nella testa un piccolo campanello dotato di piccoli martelli da cui partono un’infinità di fili che terminano in tutti i punti della scatola: innalzate su questo campanello una di quelle piccole figure con cui noi orniamo la sommità delle nostre pendole, con l’orecchio teso, come un musicista che ascolta se il suo strumento è ben accordato. Questa piccola figura sarà l’anima. Se molti piccoli lacci vengono tirati nello stesso istante, il campanello verrà scosso da più colpi, e la piccola figura udirà più suoni alla volta. Supponete che tra questi fili ce ne siano alcuni che sono sempre tesi; come noi ci accorgiamo del rumore che c’è di giorno a Parigi solo dal silenzio della notte, ci saranno in noi sensazioni che spesso ci sfuggono per la loro continuità; questa sarà quella della nostra esistenza. L’anima se ne avvede solo attraverso un ritorno su se stessa, soprattutto quando è in salute. Quando stiamo bene, nessuna parte del corpo ci informa della sua resistenza, se ne percepiamo qualcuna attraverso il dolore, è certo che stiamo male; se è per il piacere, non è sempre certo che stiamo meglio.124
Vediamo come nella spiegazione molto dettagliata di questa metafora e, in special modo, nei particolari del campanello, siano già contenuti alcuni elementi che porteranno il filosofo all’elaborazione dell’immagine del clavicembalo sensibile di cui si servirà in seguito. All’interno della metafora dell’uomo-orologio Diderot si riferisce all’anima, che inizialmente viene descritta come una figura di ornamento («una di quelle piccole figure con cui noi orniamo la sommità delle nostre pendole») ma di cui poi si specifica la funzione di «accordare se lo strumento è teso». E Diderot aggiunge: Spetta solo a me proseguire oltre con il mio paragone, e aggiungere che i suoni resi dal campanello non si smorzano seduta stante; essi hanno una durata; formano degli accordi con quelli che li seguono; che la piccola figura attenta li compara e li giudica come consonanti o dissonanti; che la memoria attuale, quella di cui abbiamo bisogno per giudicare e per discorrere, consiste nella risonanza del campanello; il giudizio, nella formazione degli accordi, e il discorso nella loro successione; che non è senza ragione che diciamo, di certi cervelli, che sono stonati.125
La descrizione dell’anima qui proposta, la piccola figura che compara i suoni resi dal campanello, è simile a quella descritta da Cartesio, che nel Traité de l’homme (16621664, postumo), aveva paragonato l’uomo a una macchina il cui cervello ospita al centro l’anima. Diderot tuttavia, pur essendo erede del meccanicismo cartesiano, critica l’idea dell’anima come sostanza distinta dal corpo e a tal proposito si era divertito a farsi beffe di questo concetto nel capitolo XXIX dei Gioielli indiscreti. Nel capitolo in questione aveva fatto sostenere a Mirzoza la tesi secondo cui l’anima risiederebbe nei piedi alla nascita e risalirebbe man mano che si cresce: L’anima resta nei piedi fino all’età di due o tre anni; s’insedia nelle gambe a quattro; guadagna le ginocchia e le cosce a quindici. Allora gli uomini amano la danza, le armi, le corse e gli altri esercizi violenti del corpo. È la passione dominante di tutte le persone giovani e in alcuni diventa una mania. Come! L’anima risiederebbe dun124
Lettera sui sordi e muti, infra, pp. 323-325. Ivi, p. 325.
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que solo in quei luoghi in cui si manifesta unicamente e dove prova le sensazioni più gradevoli? Ma se il suo domicilio varia durante l’infanzia e la giovinezza, perché non dovrebbe variare durante tutta la vita?126
Nella Lettera sui ciechi il paradosso era stato riproposto con una variante. Un filosofo cieco e sordo alla nascita che collocherebbe l’anima sulla punta delle dita, essendo queste il punto attraverso il quale egli recepisce le principali sensazioni e conoscenze, avrebbe, a fine giornata, le dita stanche quanto è stanca la testa di un vedente.127 La critica nei confronti dell’idea di anima, rientra in quella più generale relativa ai concetti astratti, cui si è fatto cenno nel primo paragrafo. Considerato il termine privo di corrispettivo sensibile essa per Diderot non può svolgere alcuna funzione, piuttosto, egli preferisce fare riferimento a «ciò che pensa in noi», come scrive nel supplemento all’articolo «Â me» redatto dall’abate Yvon, dove affermava che in qualunque modo si concepisca l’anima «è chiaro che le funzioni sono dipendenti dall’organizzazione, e dallo stato attuale del nostro corpo mentre siamo in vita. Questa mutua dipendenza del corpo e di ciò che pensa nell’uomo, è ciò che si chiama l’unione del corpo con l’anima».128 Il filosofo riprende quanto già affermato da La Mettrie, che aveva dimostrato nell’Uomo macchina che pur provando a immaginare l’anima come qualcosa di distinto dal corpo, in realtà ci si riferisce sempre al corpo anche quando si parla dell’anima. Il pensiero e ciò che si definisce anima, sono solo il risultato dell’organizzazione del corpo; ma poiché Diderot non disponeva di prove certe per poter dimostrare la sua congettura, gli restava unicamente la possibilità di proporla in forma di metafora; anzi, elaborando molte immagini metaforiche, che trovano spazio in particolare nel Sogno di D’Alembert, dove l’essere umano viene inizialmente paragonato a un clavicembalo sensibile: In quanto sensibile, egli ha la coscienza momentanea del suono che emette; in quanto animale, ne ha la memoria. Questa facoltà organica, legando i suoni in lui stesso, vi produce e conserva la melodia. [...] Noi siamo degli strumenti dotati di sensibilità e di memoria. I nostri sensi sono altrettanti tasti pizzicati dalla natura che ci circonda e che talvolta si pizzicano da soli; ed ecco, a mio parere, tutto quello che accade in un clavicembalo organizzato come voi e me. C’è un’impressione, la cui causa sta all’interno o all’esterno dello strumento, una sensazione che nasce da quella impressione, una sensazione che dura; perché è impossibile che essa si produca e si spenga in un istante indivisibile; un’altra impressione succede alla prima, e la cui causa è ugualmente all’interno o all’esterno dell’animale; ed ecco una seconda sensazione e delle voci che le designano mediante dei suoni naturali o convenzionali. D’Alembert: Capisco. E così, se dunque questo clavicembalo sensibile e animato fosse anche dotato della facoltà di nutrirsi e di riprodursi, vivrebbe e genererebbe, da solo o con la sua femmina, dei piccoli clavicembali viventi e risonanti.129 126
I Gioielli indiscreti, infra, p. 1175. Anche nell’Encyclopédie questo concetto era stato ribadito da Diderot: «Non solo non conosciamo la nostra anima, né la maniera in cui essa agisce sui nostri organi materiali: ma in questi stessi organi noi non possiamo percepire nessuna disposizione che determini l’uno o l’altro a essere la sede dell’anima» D. Diderot, Encyclopédie cit., art. «Anima» (Âme), vol. I, p. 341a. 128 Ibidem. 129 Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 543. 127
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Come nella metafora dell’orologio, il clavicembalo è descritto come uno strumento che prevede un musicista che lo suoni, elemento che rischierebbe di introdurre nuovamente il concetto di anima in quanto principio distinto dal corpo, come nella metafora precedente. È pertanto necessario osservare che in questa seconda metafora Diderot aggiunge tutta una serie di specificazioni chiarificatrici: il clavicembalo sensibile è uno strumento dotato di sensibilità e memoria, i sensi sono sollecitati dall’esterno ma «talvolta i tasti si pizzicano da soli», che la persona sarebbe allo stesso tempo musicista e strumento, in modo tale da dare conto della sensibilità attiva dell’essere umano, senza rischio di ambiguità. Tale precisazione è anche una presa di distanza dalla metafora dell’arpista di Hemsterhuis, che Diderot critica così negli Elementi di fisiologia: Per spiegare ciò che non possono comprendere fanno ricorso a un piccolo arpista inintelligibile, che non è neanche atomico, non ha affatto organi, non è in un luogo, è essenzialmente eterogeneo rispetto allo strumento, non ha alcun tipo di tatto e pizzica delle corde. L’organizzazione e la vita, ecco l’anima.130
Era pertanto importante ricorrere a un’immagine non fuorviante e che rendesse conto della sofisticatezza dell’organismo umano. Si osservi, inoltre, che proprio negli Elementi di fisiologia, per spiegare gli organi più complessi, il filosofo, accanto alla terminologia medico-fisiologica, si serve anche di metafore e similitudini che, richiamando degli oggetti familiari, aiutano a chiarire e ad ampliare la spiegazione. Questa considerazione relativa al ricorso alle figure retoriche è importante soprattutto perché gli Elementi di fisiologia non sono un’opera letteraria, né un dialogo filosofico, bensì un saggio di fisiologia in cui Diderot descrive, in progressione, gli esseri viventi, l’organismo umano e il cervello sulla base di diverse fonti, tra le quali la principale sono gli Elementa phisiologiae corporis humani (1757-1769) di A. von Haller.131 Da ciò si può evincere quanto la metafora fosse fondamentale non solo per esprimere le tesi filosofiche e le congetture, ma costituisse anche un prezioso dispositivo per l’illustrazione di alcuni meccanismi, funzioni e addirittura descrizioni anatomiche di alcuni organi del corpo umano.132 Per esempio, nell’analisi della memoria troviamo due metafore: quella della massa di cera e quella del libro, che congiuntamente dovrebbero chiarire un meccanismo le cui basi biologiche di funzionamento erano ancora poco note al tempo: Per spiegare il meccanismo della memoria bisogna guardare alla sostanza molle del cervello come a una massa di cera sensibile e vivente, ma suscettibile di assumere ogni sorta di forme, e che non perde nessuna di quelle che ha ricevuto e ne riceve, incessantemente, di nuove che conserva via via. Ecco il libro. Ma dov’è il lettore? Il lettore è il libro stesso. Perché questo libro è senziente, vivente, parlante o comunicante con suoni, con dei cenni, l’ordine delle sensazioni; e come legge se stesso? Sentendo quello che è, e manifestandolo attraverso i suoni.133 130
Elementi di fisiologia, infra, p. 1227. Si veda la Prefazione agli Elementi di fisiologia, di P. Quintili, infra, p. 1085. 132 A tal proposito, negli Elementi di fisiologia (infra, p. 1141) i nervi sono descritti proprio riprendendo la metafora dell’intelletto come un «clavicembalo che si pizzica da solo» di cui Diderot si era servito, come si è visto, nel Sogno di D’Alembert: «I nervi dopo una scossa violenta conservano una trepidazione violenta, che dura talvolta assai a lungo [...]. Nulla che assomigli di più alle ondulazioni della corda vibrante» (infra, p. 543). 133 Elementi di fisiologia, infra, p. 1189. 131
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Queste due metafore cercano di dare conto del funzionamento della memoria chiarendo che tale facoltà si spiega in base all’organizzazione del cervello. La complessità del meccanismo, però, è tale per cui il ricorso all’immagine del libro risulta fuorviante se non modificata, poiché noi siamo contemporaneamente libro e lettore; come riguardo al clavicembalo sensibile il filosofo aveva affermato che siamo musicista e strumento insieme. Diderot, nella stessa opera, descrive minuziosamente la conformazione degli organi in base alle conoscenze dell’epoca e il ricorso a un linguaggio figurato risulta indispensabile quando si tratta di far comprendere tutti quegli aspetti che sono effetto di un’organizzazione estremamente sofisticata, di cui non si conoscevano completamente gli elementi componenti e non era noto nemmeno se e quando si sarebbe riusciti a colmare tali lacune. In particolare, possiamo rilevare l’accumularsi delle metafore e delle similitudini, nel tentativo di definire l’essere umano nel Sogno di D’Alembert. Per esprimere l’idea, condivisa da Bordeu, e dalla scuola di Montpellier, che l’organismo vivente fosse il prodotto di un’associazione di organi, ciascuno sensibile a determinati stimoli, in modo diverso dagli altri organi, Diderot parte da una dimensione microscopica: Un punto vivente... No, mi sbaglio. In principio nulla, poi un punto vivente... A questo punto vivente se ne applica un altro, un altro ancora; e da queste applicazioni successive risulta un essere uno, perché io sono veramente uno, non c’è dubbio (così dicendo si tastava dappertutto)...134
L’organismo è dunque il risultato complesso della sua strutturazione, di una molteplicità di molecole viventi. L’essere umano, così come l’animale, è un unico sistema costituito da questa uni-molteplicità, poco dopo espressa nel dialogo evocando la figura dello sciame d’api. Resta però il problema di spiegare come la somma di tutti questi elementi, che nell’organismo non sono giustapposti, possa costituite un’unità, ovvero come potesse spiegare questo fenomeno la metafora delle applicazioni successive di punti viventi o dell’insieme di api che formano uno sciame. Come si è visto in precedenza, il ruolo di principio unificatore non può essere svolto dall’anima in quanto insufficiente, Diderot allora attribuisce alla sensibilità135 l’elemento aggregante dell’organismo, come risulta proprio dall’introduzione della metafora, elaborata da Bordeu, dello sciame d’api: Avete visto qualche volta uno sciame di api fuggire dal loro alveare?... il mondo, ovvero la massa generale della materia, è il grande alveare... le avete viste andarsene a formare all’estremità di un ramo d’albero un lungo grappolo di animaletti alati, aggrappati tutti gli uni agli altri con le zampe... questo grappolo è un essere, un individuo, un animale qualunque [...] – Se a una di queste api viene in mente di pungere, in una maniera qualunque, l’ape a cui è aggrappata, che cosa credete che accadrà? dite dunque? – Non lo so proprio – Dite lo stesso... dunque l’ignorate; ma il Filosofo, lui, non l’ignora. Se mai lo vedete, e può darsi che lo vedrete oppure no, dato che ve l’ha promesso, vi dirà che questa pungerà la successiva; che in tutto il grappolo verranno eccitate altrettante sensazioni quanti sono gli animaletti; che il tutto 134
Il Sogno di D’Alembert, infra, pp. 551-553. Come ricorda C. Duflo la metafora dello sciame d’api era stata inventata da Théophile de Bordeu, medico della scuola di Montpellier e collaboratore dell’Encyclopédie per le voci di medicina, insieme a Ménuret de Chambaud, Fouquet e Maupertuis, si veda op. cit., p. 195. 135
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si agiterà, si smuoverà, cambierà posizione e forma; si alzerà del rumore, delle piccole strida; e chi non avesse mai visto un grappolo simile sistemarsi sarebbe tentato di prenderlo per un animale a cinque o seicento teste e a mille o milleduecento ali...136
Il corpo consiste dunque in una molteplicità organizzata, anzi auto-organizzata, e la sensibilità costituisce l’elemento che spiega il nostro essere un tutt’uno. Eppure, manca ancora qualcosa affinché l’immagine dello sciame sia il vero corrispettivo del secondo elemento di paragone, cioè l’organismo umano. Le api, infatti, per quanto considerate come componenti di un unico sciame, sono unità distinte e separate, e benché si possano coordinare nella loro attività, ciascuna di esse può separarsi dal gruppo in ogni momento. Ecco allora la metafora che viene sviluppata immaginando di legare tra loro le zampe degli insetti137 e, in seguito, riducendo le api a insetti minuscoli, talmente prossimi da poter pensare di tagliare un pezzo dello sciame: lo sciame non sussisterebbe più in quanto intero, ma le api, metafora delle molecole viventi, continuerebbero a vivere. In realtà, dividendo in due lo sciame, si otterrebbero due sciami, per questo la metafora è insufficiente a spiegare l’organismo umano, ma anche quello di molti animali. Tuttavia, occorre specificare che alcuni animali, come i polipi, si riproducono proprio per divisione, quindi nel loro caso la metafora è calzante. Inoltre, pur con il suo limite, essa mette in evidenza, una questione fondamentale: se l’anima è un concetto vuoto e la nostra unità e ciò che pensa in noi sono risultato dell’organizzazione di una molteplicità di organi distinti, ma in rapporto di continuità tra loro, viene messa in discussione proprio l’identità dell’individuo, ciò che nel dialogo D’Alembert affermava, tastandosi tutto nel suo eccesso di febbre, assicurando di essere «veramente uno» o, come dirà Mademoiselle de L’Espinasse in seguito al medico, qualcosa che non necessita di «tanta verbosità», poiché è fuori discussione «che io sono io, che sono sempre stata io e che non sarò mai un’altra».138 Invece, è la nuova metafora del ragno al centro della tela a permettere di chiarire meglio la molteplicità dell’organismo umano. Il ragno è dunque al centro della tela: facendo vibrare un filo si vedrà l’animale accorrere in allerta; e se i fili sono tratti e richiamati dall’intestino stesso del ragno, giocando il ruolo di una parte sensibile del ragno stesso, si potrebbe costruire un’immagine calzante di un organismo umano in cui esistono uno o più punti a cui fanno capo tutte le sensazioni suscitate «dalla lunghezza dei fili».139 Tuttavia, Bordeu fa notare a Mademoiselle de L’Espinasse che quest’idea, pur essendo corretta, corrisponde a quella dello sciame d’api; perché Diderot cerca di chiarire che «l’io non è il cervello (come potrebbe credere un materialista grossolano), e nemmeno l’intera rete presa nella sua interezza. L’io è costituito dal rapporto costante delle impressioni con il centro, reso possibile dal sistema nervoso: esso è molteplice nel suo stesso principio».140
136
Il Sogno di D’Alembert, infra, pp. 553-555. «Volete trasformare il grappolo di api in un solo e unico animale? Ammollite le zampe con cui si tengono legate insieme; da contigue che erano rendetele continue. Tra questo nuovo stato del grappolo e il precedente vi è certo una differenza marcata; e quale può essere questa differenza, se non che ora si tratta di un tutto, di un animale unico, mentre prima non era che un assemblaggio di animali... Tutti i nostri organi...» (ibidem). 138 Ivi, p. 563. 139 Ivi, p. 569. 140 C. Duflo, op. cit. p. 246. 137
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L’unità è definita dal rapporto e questo rapporto permane nel tempo grazie alla memoria. Nelle due metafore che spiegavano la memoria, il filosofo aveva affermato che il libro senziente sente ciò che esso è. La memoria dipende dal cervello, ma Diderot non identifica la facoltà con l’organo, così come non stabilisce un’identità tra cervello e coscienza, con il cervello stesso, poiché essa dipende comunque dall’interazione tra i vari organi che compongono l’organismo. Il ricorso alla serie di metafore qui analizzate serve pertanto a non irrigidire o semplificare i principi e le interpretazioni avanzate nei testi da Diderot, evitando in questo modo anche alcune ingenuità che spesso derivano da un’aderenza troppo stretta a un sistema astratto: «Abbiate un sistema, lo consento», scriveva il filosofo, «ma non lasciatevene dominare».141
6. Conclusione L’uso delle metafore permette a Diderot di esprimere un pensiero coerente, evitando la costruzione di un sistema in cui è insito il rischio del dogmatismo, così come emerge dall’analisi delle principali metafore presenti nelle opere del filosofo, quelle del sapere, dell’universo e dell’essere umano, emerge la capacità che esse hanno di dischiudere il senso facendosi rivelatrici di alcune tesi fondamentali del materialismo diderotiano. La metafora permette al pensiero di articolarsi, pur mantenendo implicite le strutture logiche del discorso e, anzi, richiedendo a lettori e lettrici di attivarsi nella loro comprensione al di là dell’intuizione immediata e dinamica resa possibile dall’immagine. Si è cercato di dare ragione dei motivi alla base dell’introduzione delle metafore; ma per cercare di spiegare al meglio la differenza tra l’opera di Diderot e quella della filosofia razionale da cui egli prende le distanze, ci sembra calzante considerare metaforicamente una favola dell’abate Galiani, riferita dal filosofo in una lettera a Sophie Volland dell’ottobre 1760. Galiani descrive una disputa sul canto tra un usignolo e un cuculo, in cui ciascuno difende il proprio modo di cantare: Il cuculo: – Dico poche cose, ma di un certo peso, con ordine e sono cose di cui ci si ricorda. L’usignolo: – Amo parlare, ma mi rinnovo sempre e non mi affatico mai. Incanto le foreste, il cuculo le rattrista. È talmente attaccato alla lezione impartitagli dalla madre, che non oserebbe provare un tono che lei non gli abbia insegnato. Io non riconosco alcun maestro. Me ne infischio delle regole: sono ammirato soprattutto quando le infrango. Non c’è confronto fra il suo fastidioso metodo e le mie felici deroghe!
Particolarmente emblematica per comprendere i limiti della costruzione di un sistema, la favola è rivelatrice anche dei parametri di giudizio che sono stati utilizzati in passato nei confronti di un pensiero filosofico originale come quello di Diderot.142 La soluzione della controversia nella favola, infatti, viene affidata a un asino di passaggio che, dopo aver ascoltato il canto dei due uccelli si esprime affermando che pur tro141
Pensieri sull’interpretazione della natura, § XXVII, infra, p. 423. Sui critici di Diderot si veda A.M. Chouillet (a cura di), Les ennemis de Diderot. Actes du colloque organisé par la Société Diderot Paris, Hôtel de Sully, 25-26 octobre 1991, Klincksieck, Paris 1993. 142
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vando magnifico tutto ciò che ha cantato l’usignolo, il suo canto gli era sembrato «bizzarro, confuso, sconnesso», aggiungendo che forse l’usignolo è più sapiente del rivale «ma questi è più metodico [...], e io sono a favore del metodo».143 Questa favola può essere vista come una metafora delle motivazioni alla base delle affermazioni di alcuni critici che, soprattutto in passato, hanno sottovalutato la portata filosofica dell’opera di Diderot, perché rispetto al loro metro di giudizio sembrava «bizzarra» o «sconnessa». È però chiaro che giudicare il pensiero diderotiano sulla base di un metodo da cui egli prende le distanze è certamente un modo per fraintenderlo o sottovalutarlo. In proposito si pensi al metodo della filosofia scolastica: rispetto a essa la distanza è abissale, tanto più che Diderot stesso riteneva che l’applicazione del metodo, da sola, non fosse sufficiente per produrre una buona filosofia. All’articolo «Scolastici», infatti, Diderot aveva definito la scolastica come «più che una filosofia particolare, un metodo di argomentazione sillogistica, asciutta e serrata, sotto il quale si è ridotto l’Aristotelismo colmo di centinaia di domande puerili».144 Le conseguenze del metodo scolastico però, enunciate nello stesso articolo, sono tra le altre: la degradazione della filosofia, l’oscuramento della verità, lo sviluppo di una logica ridotta a una serie di sofisticaggini puerili, la metafisica a una serie di sproloqui incomprensibili ecc.145 Questo giudizio è decisamente severo nei confronti della scolastica, ma occorre ricordare che Diderot non si riferiva ai secoli passati, bensì al presente, visto che nel XVIII secolo la Scolastica dominava, non solo in ambito teologico, ma anche nei programmi di istruzione utilizzati nei collegi. Per questo il filosofo si premurava di mostrare che il rigore dell’impianto e la capacità esplicativa di un pensiero speculativo non è legata alla sua espressione stilistica; anzi, laddove sembra vigere la più grande conformità ai principi della logica, si può annidare la vera stravaganza. Viceversa, nel linguaggio figurato, nel discorso di un personaggio anomalo (il cieco, il sordo e muto, il servo, l’eccentrico, ecc.), all’interno di generi letterari meno stilisticamente formali del trattato, si può esprimere un’interpretazione che ha il vantaggio di una diversa prospettiva sulle cose, illuminandole in modo nuovo. Certo, in tal modo il senso resta celato, e anzi, si richiede un lavoro di interpretazione del testo stesso che porti alla luce quanto sono fruttuose le congetture proposte. Diderot, come si è detto, era però ben conscio del fatto che, per assegnare valenza filosofica a una congettura, essa deve avere un certo grado di probabilità, oltre che una sua coerenza interna, per non ridursi a una costruzione poeticamente apprezzabile, ma del tutto insufficiente sul piano dell’interpretazione della natura. Per questo il filosofo deve essere sempre pronto a rettificare il risultato, se si accorge di aver ceduto alla seduzione dell’analogia o della metafora.146 In particolare, è importante osservare il dinamismo delle metafore che esprimono il significato traslato di un concetto, senza che da esse si possa sottrarre il portato della stessa immagine di paragone; queste metafore producono un addensamento di senso tale per cui il concetto così espresso sarebbe irriducibile a una mera formulazione logica. Ciò avviene a maggior ragione dopo che la metafora è stata «filata» o «dipanata» in un complesso ragionamento analogico, come accade spesso in Diderot, o quando, raggiun143
La favola è tratta dalla «Prefazione» al Ricciardetto, un poema burlesco ispirato all’Ariosto composto dallo scrittore italiano Nicolas Forteguerri o Fortiguerra (1674-1735). 144 D. Diderot, Encyclopédie cit., art. «Scolastici» (Scolastiques), vol. XIV, p. 775b. 145 Ivi, p. 777a. 146 J.-C. Bourdin, Diderot métaphysicien, cit., p. 23.
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gendo il suo limite, ne vengono accostate altre, per cui si crea una sorta di accumulazione delle metafore. Il che rivela un’altra funzione svolta da questa figura retorica, cioè quella di evitare forme reificanti di astrazione di concetti come «essere», «tutto», «individuo», «verità», le cui conseguenze deteriori sono state evidenziate; queste nozioni si trasformano in elementi ingannatori «poiché non si vede come esse siano il risultato di un lavoro di analisi che finisce per accordare una realtà a delle mere parti di un tutto a cui perviene tale analisi».147 Al contrario, il movimento che mette in atto la metafora, anche in termini di esegesi, risponde alla necessità, da parte della scrittura, di esprimere l’unità del tutto, mantenendo intatta la consapevolezza dell’ineliminabile discontinuità e singolarità dei fatti raccolti. In altri termini, coerentemente con il suo empirismo e il suo materialismo, Diderot, conserva lo statuto ipotetico del discorso filosofico. Non si tratta solo della possibile smentita, ma anche della storicizzazione che con Diderot investe l’intera natura, il cui mutamento continuo rende impossibile, se non paradossale, la pretesa di una filosofia ultima, capace di esprimere la verità una volta per tutte. Ecco allora che nel tentativo di far emergere gli elementi portanti del pensiero diderotiano in alcune proposizioni interpretative, si rischia di spogliarlo della sua ricchezza, insita nella forza espressiva delle metafore utilizzate dal filosofo. Lo stesso principio di accumulazione delle metafore di cui si è detto, fa sì che ciascuna chiarisca le altre e, al contempo, che nessuna sia il superamento ultimo delle precedenti. L’interprete di Diderot dovrà allora fare attenzione a percorrere i testi tenendo presente la connotazione della metafora che, contrariamente al lavoro del concetto, «non dà luogo alla circoscrizione di significati focali» anzi, «con la portentosa agitazione vitale e creativa della parola e del suo esserci in concomitanza con l’esperienza del senso»,148 conserva intatta la vitalità dell’esperienza, la dinamicità del rapporto di percezione del mondo. 147
Ivi, pp. 17-18. A. Tagliapietra, op. cit., pp. 13-14.
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Il presente volume contiene tutte le principali opere filosofiche di Diderot e tutti i romanzi e i racconti filosofici, a esclusione di qualche lavoro giovanile minore, per esempio L’oiseau blanc, conte bleu (1746). Le opere estetiche – teatro, critica d’arte, musica ecc. – e politiche verranno raccolte nel secondo volume che seguirà a questo. Ringraziamo l’editore Bompiani per la pazienza, nell’attesa di vedere completata questa lunga e difficile impresa.
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R ingraziamenti
Il nostro primo ringraziamento non può che andare al Prof. Andrea Tagliapietra dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, cui dobbiamo l’intuizione di realizzare una nuova traduzione delle Opere di Denis Diderot. L’idea iniziale non avrebbe poi trovato sviluppo e ampliamento senza il convinto sostegno del Prof. Giovanni Reale, cui va il nostro omaggio e il nostro stimato ricordo. Ringraziamo anche il Prof. Giuseppe Girgenti dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano anch’egli sostenitore del progetto fin dalla sua iniziale concezione. Questo libro, inoltre, non avrebbe mai visto la luce senza l’aiuto generoso e leale di molte persone. Ringraziamo anzitutto la dott.ssa Eleonora Alfano e il dott. Matteo Marcheschi che hanno contribuito alla traduzione di alcuni testi di non secondaria importanza, contenuti in questo libro, e hanno collaborato alla revisione delle bozze. Sono da ringraziare, inoltre, la dott.ssa Giuseppina D’Antuono, co-autrice di un libro che è la premessa ideale di questa edizione (Diderot en Italie, Paris, 2017) e che sta curando insieme a noi il seguito del presente volume delle Opere filosofiche di Diderot (vol. 2: Opere estetiche e politiche); i nostri amici e collaboratori dell’Università di Roma «Tor Vergata», che hanno messo l’occhio (e la mano) alla revisione delle traduzioni e alla correzione delle bozze. Anzitutto, il caro amico dott. Antonio Cecere, che da anni collabora alle ricerche e ai lavori su Diderot e i Lumi enciclopedici, il dott. Antonio Coratti, cheville ouvrière del Portale on-line di «Filosofia in movimento» (http://filosofiainmovimento.it), insieme alla dott.ssa Laura Paulizzi e alla dott.ssa Maria Chiarappa. Ringraziamo poi il collega, Prof. Gerhard Stenger, amico di lunga data ed eminente specialista del pensiero di Diderot, che ci ha fornito il testo originale delle complesse Marginalia delle Osservazioni su Hemsterhuis da lui edite nel 2004 (DPV, XXIV), testo che qui appare in italiano, per la prima volta, in un’edizione critica completa. Un’ultima parola di gratitudine va infine agli amici filosofi del Gruppo di ricerche sul Cartesianesimo dell’Università di Roma «La Sapienza», già diretto dal Prof. Carlo Borghero, e del Collège International de Philosophie di Parigi, dove abbiamo trascorso sei magnifici anni di una Direction de programme sul tema: «Formes de la rationalité et du jugement, des Lumières à nos jours. Raison, nature, esprit, corporéité. Perspectives transdisciplinaires» (2010-2016), durante i quali ci è stato possibile mettere alla prova le idee, i concetti e i criteri che ispirano questo nostro lavoro. In questi anni è stato prezioso, anzi sostanziale, il confronto con i membri del CRISI (Centro di Ricerca Interdisciplinare in Storia delle Idee) dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, diretto dal Prof. Andrea Tagliapietra e con l’équipe di ricerca Litt&Phi, diretta dal Prof. Colas Duflo, parte del centro di ricerca CSLF (Centre des Sciences des Littératures en Langue Françaises) dell’Université Paris Nanterre. Inoltre, fondamentale è stato il sostegno alla ricerca da parte del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento cui va la nostra gratitudine. Un grazie infine anche alla direttrice della collana Bompiani «Il Pensiero Occidentale», Prof.ssa Maria Bettetini, che ha creduto in questo progetto di vecchia data, destinato a un bel compimento. Un lavoro di lunga durata come questo ovviamente non potrebbe aver visto il suo compimento senza la comprensione e l’appoggio dei nostri familiari e delle persone a noi più prossime. Che siano tutti e tutte qui calorosamente ringraziati/e.
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Notizia biografica 1713 Il 5 ottobre Denis Diderot nasce a Langres, nella regione della Champagne. È il secondogenito di Didier Diderot, fabbricante di coltelli e strumenti chirurgici, e di Angélique Vigneron, figlia di un mercante di cuoio della cui famiglia facevano parte un canonico della cattedrale e un curato. 1715 Nasce la sorella Denise, soprannominata “sœurette” da Diderot, cui sarà sempre molto legato, fino alla morte di questa nel 1797. 1720 Nascita di un’altra sorella Angélique, che sarà suora di sant’Orsola, in convento sarà colta da follia e morirà suicida nel 1748. 1722 Nascita del fratello Didier Pierre, a cui sarà dedicato il Saggio sul merito e la virtù nel 1745, futuro prete e canonico, integralista e fanatico, che morirà nel 1787. 1726 In seguito a tre anni di studi presso i gesuiti di Langres, riceve la tonsura. 1732 Si licenzia maître ès arts presso l’Università di Parigi. 1735 Baccellierato in teologia, ma senza beneficio, nella diocesi di Langres. 1737 Il padre smette di aiutarlo economicamente. Denis si mantiene facendo il precettore, il giornalista, il traduttore, lo scrittore di sermoni religiosi e svariati impieghi precari. 1743 Matrimonio clandestino con Anne-Toinette Champion, figlia della sua ricamatrice, presso la chiesa di Saint-Pierre-aux-Bœufs, a Parigi. 1745 Dopo aver tradotto dall’inglese l’Histoire de la Grèce di Temple Stanyan nel 1742 e il Dictionnaire universel de médecine del dottor Robert James, pubblica la traduzione dell’opera di Shaftesbury An Inquiry concerning Virtue and Merit con il titolo Principes de philosophie morale, ou Essai sur le mérite et la vértu, avec Réflections. La traduzione era corredata da una cinquantina di note in cui Denis Diderot esponeva le sue riflessioni a margine dell’opera dell’autore inglese. 1746 Pubblicazione clandestina dei Pensieri filosofici, che vengono condannati al rogo dal Parlamento di Parigi. 1747 Redazione della Passeggiata dello scettico, che circolerà solo in un numero ridottissimo di copie in forma manoscritta, per essere poi pubblicata postuma solo nel 1831. Composizione del testo pubblicato nel 1770 da Jacques-André Naigeon Sulla sufficienza della religione naturale. In questo periodo si forma il legame con Jean-Jacques Rousseau, D’Alembert e Condillac. Diderot e D’Alembert stipulano il contratto con Le Breton, Briasson, Durand e David per affiancare l’abate Jean-Paul De Gua de Malves per la pubblicazione
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in traduzione, rivista e aumentata, della Cyclopædia, or an Universal Dictionary of Arts and Sciences dell’inglese Ephraïm Chambers. 1748 Pubblicazione clandestina dei Gioielli indiscreti. 1749 Pubblicazione della Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono. In seguito Diderot viene arrestato e imprigionato nel castello di Vincennes dal 24 luglio al 3 novembre. Durante tale periodo di reclusione il filosofo traduce «a memoria» dal greco l’Apologia di Socrate. 1751 Pubblicazione con permesso tacito della Lettera sui sordi e muti a uso di coloro che sentono e parlano. Pubblicazione del primo volume dell’Encyclopédie, in giugno. 1752 Pubblicazione del secondo volume dell’Encyclopédie. Arresto dell’abate de Prades, per via degli articoli teologici a lui affidati e della sua tesi eretica “Jerusalem coelestis”, e redazione dell’Apologia dell’abate de Prades. Revoca del privilegio reale per la pubblicazione dell’Encyclopédie, provvedimento tacitamente annullato per intervento di Madame de Pompadour e del conte d’Argenson. 1753 Nascita di Marie-Angélique, figlia di Denis Diderot e Anne-Toinette Champion, futura Madame de Vandeul. Pubblicazione del terzo volume dell’Encyclopédie. Pubblicazione con permesso tacito dei Pensieri sull’interpretazione della natura. 1754 Pubblicazione del quarto volume dell’Encyclopédie e firma di un nuovo contratto con gli editori. 1755 Pubblicazione del quinto volume dell’Encyclopédie contenente un elogio di Montesquieu, morto in quello stesso anno, scritto da D’Alembert. 1756 Pubblicazione del sesto volume dell’Encyclopédie. Pubblicazione all’interno della Correspondance littéraire, diretta da Friedric Melchior Grimm a partire dal 1753 della Lettera a Landois sulla libertà e sulla necessità. 1757 Pubblicazione del settimo volume dell’Encyclopédie. Viene pubblicata anche la pièce teatrale Il Figlio naturale e i Dialoghi sul Figlio naturale, di commento, che l’accompagnano. ubblicazione della seconda pièce Il Padre di Famiglia e del Discorso sulla poesia 1758 P drammatica. evoca del privilegio reale e divieto di prosecuzione nella pubblicazione 1759 R dell’Encyclopédie. Diderot scrive il primo Salon, opera di critica delle belle arti. 1760 I nizio della redazione del romanzo libertino La Religiosa che sarà rielaborato dall’autore fino al 1782. 1761 Viene messo in scena alla Comédie-française Il Padre di Famiglia. Pubblicazione dell’Elogio di Richardson, morto quell’anno. Prima stesura del Nipote di Rameau. 1762 Pubblicazione del primo volume di tavole dell’Encyclopédie. Redazione dell’Aggiunta ai Pensieri filosofici e della Lettera sul commercio dei libri che resterà inedita fino al 1861.
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1765 Caterina II zarina di Russia acquista la biblioteca di Denis Diderot permettendogli di goderne mentre è in vita, associando a tale acquisto anche una rendita annuale. 1766 Pubblicazione degli ultimi dieci volumi dell’Encyclopédie, dopo sei anni di interruzione. 1768 Redazione del racconto Mistificazione. 1769 Diderot pubblica sulla Correspondance littéraire i Rimpianti sulla mia vecchia vestaglia usata. Scrive i tre dialoghi che compongono il Sogno di D’Alembert, tuttavia sarà costretto dallo stesso D’Alembert a distruggere l’opera. Fortunatamente, ne aveva conservato una copia manoscritta e il dialogo sarà pubblicato in Francia nel 1830. 1770 Scrive i Principi filosofici sulla materia e il movimento, e il racconto del ciclo di Langres I Due Amici di Bourbonne. 1771 Viene pubblicata l’Apologia dell’abate Galiani. Pubblica sulla Correspondance littéraire il secondo racconto che compone il ciclo di Langres, il Colloquio di un padre con i suoi figli. Prima stesura di Jacques il fatalista e il suo padrone. 1772 Composizione dei racconti del Ciclo di Parigi: Questo non è un racconto, Madame de la Carlière, nonché la prima versione del Supplemento al Viaggio di Bougainville. Collaborazione all’opera monumentale diretta dall’abate Raynal: Histoire philosophique et politique des établissements et du commerce des Européens dans les deux Indes che proprio quell’anno viene sospesa dal Consiglio di stato. 1773 Viaggio a San Pietroburgo. Durante la sosta in Olanda redige la seconda versione del Paradosso sull’attore e durante il viaggio scrive la Confutazione di Helvétius, che concluderà nel 1775. 1774 Inizio della stesura del Colloquio di un filosofo con la Marescialla di ***, dei Principi politici dei sovrani, delle Osservazioni sul Nakaz. Denis Diderot scrive le Osservazioni su Hemsterhuis, redige la prima versione degli Elementi di fisiologia e porta a termine Il Nipote di Rameau 1778 Pubblicazione del Saggio sulla vita di Seneca, sugli scritti e sui regni di Claudio e di Nerone. 1781 Composizione dell’Apologia dell’abate Raynal, pubblicata postuma. Redazione dell’ultimo Salon. 1782 Grazie al consenso tacito alla pubblicazione viene diffusa clandestinamente la seconda edizione, modificata e ampliata, del Saggio sui regni di Claudio e di Nerone. 1784 Il 31 luglio muore Denis Diderot che sarà poi sepolto nella chiesa di Saint-Roch. Come previsto, l’anno seguente i manoscritti e la biblioteca del filosofo vengono inviati a Caterina II di Russia, a San Pietroburgo, dove sono conservati ancora oggi.
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Pensieri filosofici (1746)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
I Pensieri filosofici sono stati pubblicati per la prima volta nel 1746, anonimi, privi del nome dell’editore e con l’indicazione di un luogo di edizione fittizio («À La Haye, Aux dépens de la Compagnie»). Secondo la testimonianza di Madame de Vandeul, figlia di Diderot, furono scritti tra il venerdì santo e il giorno di Pasqua per fornire all’amante di Diderot, Madame de Puisieux, il denaro di cui aveva bisogno. Per la stessa ragione il filosofo avrebbe pubblicato la sua traduzione del Saggio sul merito e sulla virtù, i Gioielli indiscreti e L’interpretazione della natura1. L’offensiva anti-religiosa che connota il contenuto dei Pensieri filosofici e la grande libertà critica con cui i problemi relativi alla morale e alla fede venivano affrontati dal filosofo, rendevano impossibile pubblicare l’opera legalmente e l’anonimato una precauzione necessaria. L’opera fu così consegnata all’editore Laurent Durand, stampata da De L’Épine e diffusa clandestinamente. Un dettaglio non secondario per mettere i Pensieri filosofici in relazione alle altre opere diderotiane è il fatto che Durand avrebbe poi fatto parte del gruppo di editori dell’Encyclopédie, con Briasson e David. Nonostante queste precauzioni nel luglio del 1746 il parlamento di Parigi condannò il libro al rogo, in quanto scandaloso e contrario alla religione e ai buoni costumi 2. I Pensieri filosofici non furono realmente bruciati, o il rogo avvenne solo in forma simbolica, poiché non solo le copie della prima edizione non scomparirono dalla circolazione, ma anzi si susseguirono numerose le riedizioni dell’opera. Come attestano le tre edizioni identificate nello stesso 1746 e le due del 1748, i Pensieri filosofici ebbero successo. Le pubblicazioni furono tutte clandestine e in alcuni casi includevano aggiunte o modifiche del titolo stesso, per esempio quella del 1747 si intitolava Strenne degli spiriti forti e includeva una prefazione e una Lettera filosofica a un filosofo, mentre un’edizione presumibilmente datata 1760 portava come titolo Apocalisse della ragione, tomo I e forse unico. Si contano in totale quindici edizioni dei Pensieri filosofici pubblicate durante la vita di Diderot, delle quali una decisamente insolita comparsa a Venezia nel 1751 che riuniva il Saggio sul merito e la virtù di Shaftesbury, le Massime di La Rochefoucauld e i Pensieri filosofici di Diderot. Con le riedizioni si moltiplicarono anche le confutazioni, le quali tuttavia contribuirono ad ampliare il pubblico che veniva a conoscenza di questo testo clandestino. Per questa ragione è possibile sostenere che i Pensieri filosofici all’epoca concorsero in maniera determinante alla reputazione di scrittore e filosofo di Diderot. La rilevanza di quest’opera per il suo secolo è testimoniata anche dalle annotazioni a margine di Voltaire, presenti in due edizioni dei Pensieri filosofici, quella del 1760 e quella del 1777, e delle riflessioni critiche di Turgot riportate in un manoscritto intitolato Réflexions sur les Pensées philosophiques de Diderot. 1 Mémoires pour servir à l’histoire de la vie et des ouvrages de M. Diderot par Mme de Vandeul, sa fille, DPV, vol. I, p. 20. 2 Cfr. J.S. Spink, French free thought from Gassendi to Voltaire, University of London, The Athlone Press, London 1960.
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pensieri filosofici
La pubblicazione clandestina non ci dice qualcosa solo a proposito della storia editoriale del testo, ma fornisce anche una chiave di lettura fondamentale per comprenderlo. Diderot si richiama infatti al pensiero libertino la cui polemica anti-religiosa era fiorita nel secolo precedente e aveva trovato nuovo slancio nella Francia del XVIII secolo3, come attestano anche le parole di Turgot: «L’incredulità si diffonde sempre più in Europa e guadagna nuovi convertiti ogni giorno, che presto si trasformeranno in discepoli, che non si risparmieranno nulla pur di sostenere le loro opinioni. Si assume il compito di trionfare sugli spiriti [...] si inonda la stampa di scritti contro la religione»4. La forma anonima di pubblicazione dell’opera, la critica razionalistica della filosofia e della religione, le tradizioni culturali alternative messe in rilievo o l’individuazione di segni dell’errore o della fallacia dei testi classici 5, il rimaneggiamento di testi e materiali sono tutti elementi tipici della letteratura clandestina che si ritrovano nei Pensieri filosofici. Un altro aspetto distintivo del testo è il suo elitismo: Diderot sa di rivolgersi a un pubblico ristretto e lo esplicita fin dalle frasi poste in esergo. Anche questo è riconducibile alla tradizione clandestina che, come ha messo il luce Miguel Benìtez, utilizzava dichiarazioni non solo per ragioni prudenziali e cautelative in rapporto alla Chiesa, ma anche perché, nonostante gli autori clandestini fossero spesso animati dalla volontà di servire gli interessi del popolo, si trovavano spesso nella situazione contraddittoria di dover constatare che quello stesso popolo non avrebbe potuto comprendere fino in fondo la portata di quegli scritti6 . Il filosofo, inoltre, conferisce un importante compito al suo lettore: leggere i sottintesi tra le righe, confrontare le diverse tesi esposte e trarre da sé le conclusioni.7 Compito tipico del lettore-scrittore libertino e della letteratura clandestina della prima metà del XVIII secolo, che poi diventerà in Diderot un appello esplicito al lettore, chiamato in causa direttamente o invitato a dubitare e a non prendere per vero quanto detto dall’autore senza aver prima riflettuto sul testo. Benché profondamente inscritto nel quadro della letteratura clandestina, l’elemento distintivo dei Pensieri filosofici rispetto alle molte opere in circolazione è lo stile: «nei vibranti aforismi», infatti, «si assapora la dizione netta e nervosa, il raziocinare ellittico, la curiosità delle immagini, che saranno pregi caratteristici del futuro scrittore»8. L’opera, infatti, è una raccolta di pensieri diversi per soggetto trattato, lunghezza (si va da una sola riga a più di una pagina) e stile; tale disomogeneità testuale la rende una lettura dinamica e brillante. Diderot scrive dialogando con altri autori, dando dimostrazione di una solida cultura classica attestata dalle numerose citazioni latine, dei Padri della Chiesa, ma anche delle opere e delle controversie teologiche del tempo. Anche 3 O. Bloch, (dir.), Le matérialisme du XVIIIe siècle et la littérature clandestine, Vrin, Paris 1982; M. Benìtez, La face cachée des Lumières : recherches sur les manuscrits philosophiques clandestins de l’âge classique, Universitas–Voltaire Foundation, Paris–Oxford 1996; G. Paganini, Introduzione alle filosofie clandestine, Laterza, Roma 2008. 4 A.R.J. Turgot, Réflexions sur les Pensés philosophiques de Diderot in Œuvres, Alcan, Paris 1913-1923. Vol. I, p. 87. 5 Cfr. G. Paganini, op. cit., p. V. 6 M. Benìtez, op. cit., p. 204. 7 P. Quintili, La pensée critique de Diderot: matérialisme, science et poésie à l’âge de l’Encyclopédie (1742-1782), Honoré Champion, Paris 2001, p. 88. 8 P. Casini, Diderot “philosophe”, Laterza, Roma-Bari 1962, p. 59.
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se, in particolare per questa raccolta di pensieri, si può parlare di una prosecuzione della riflessione iniziata a margine del suo lavoro di traduzione (1736-1749) del Saggio sul merito e la virtù del deista inglese Anthony Ashley Cooper conte di Shaftesbury. Già alla traduzione, infatti, Diderot aveva aggiunto una cinquantina di note in cui sviluppava le sue personali riflessioni sulle tematiche trattate dal filosofo inglese. In particolare era tornato a più riprese sulla possibilità, delineata da Shaftesbury, di separare la virtù dalla religione, sugli aspetti problematici del legame tra religione e morale, sulla virtù dei pagani e sull’unità della natura. Anche la Lettera sull’entusiasmo di Shaftesbury aveva colpito molto Diderot, che continuerà a utilizzare il termine «enthousiasme», da intendersi come «fanatismo», come una parola chiave che si caricherà man mano di nuove sfumature di senso.9 A sua volta, la scelta del titolo rinvia ai Pensieri di Pascal, rispetto ai quali quelli di Diderot si costituiscono come antitesi, e alle Lettere inglesi, poi divenute Lettere filosofiche di Voltaire, la cui vicinanza si esprime attraverso il ricorso all’aggettivo «filosofiche», che proprio in quel periodo iniziava ad assumere valore simbolico connotandosi di un significato politico e militante. Questo doppio rimando aiuta a delineare quello che si potrebbe definire come un «dialogo attraverso i secoli»10 in cui Pascal risponde a Montaigne, Voltaire risponde a Pascal e Diderot inserisce la sua voce cercando di proporre una riflessione originale. Oltre al riferimento agli autori e alle altre opere citate, come ha messo in luce R. Niklaus, nel testo coesistono voci diverse, punti di vista e tendenze differenti, che connotano quello che può essere definito un approccio plurale alla scrittura filosofica. I Pensieri filosofici sono costruiti come un dialogo a cui manca solo l’esplicitazione dei nomi dei personaggi in scena (l’ateo, il deista, il devoto e il superstizioso).11 In questo caso, come per quanto riguarda la Passeggiata dello scettico, è l’anonimato dell’autore a permette di far emergere i personaggi: l’ateo, il devoto, lo scettico, il devoto e superstizioso, «attori del testo» come li ha definiti Jean-Claude Bourdin12, ciascuno dei quali incarna una posizione filosofica, dunque in questo senso si tratta di figure astratte. È possibile individuare nella dialogicità e nella pluralità dei punti di vista una caratteristica che è propria dello stile filosofico di Diderot che, con la sua scrittura riesce a proporre una sintesi delle diverse fonti, e degli autori che lo hanno influenzato tanto quanto di quelli da cui prendeva le distanze. Attento a problematizzare, interrogare, nelle sue opere e in particolare nei Pensieri filosofici egli è pronto anche ad aprire delle grandi questioni senza necessariamente fornire una risposta definitiva, poiché «questo periodo della formazione di Diderot lo porta alla costituzione di una filosofia critica che trova nella sospensione del giudizio la sua forma di analisi preliminare delle posizioni problematiche»13. Per concludere, nei Pensieri filosofici Diderot introduce alcuni temi che, in maniera esplicita o sottotraccia, attraverseranno tutto il suo pensiero e le sue opere: l’elogio delle
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Cfr. Y. Belaval, R. Niklaus, Introduction ai Pensée Philosophique, DPV, vol. II, p. 4. Cfr. M. Souviron, Les Pensées philosophiques de Diderot ou les Provinciales de l’athéisme, Studies on Voltaire and the eighteenth century, n. 238, Voltaire Foundation, Oxford 1985, p. 207. 11 Cfr. R. Niklaus, Introduction alle Pensées Philosophiques, Droz, Genève 1965 [19501], pp. XVII-XX. 12 J.C. Bourdin, Introduction alle Pensée Philosophiques, Flammarion, Paris 2007, p. 19. 13 P. Quintili, op. cit., p. 107. 10
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passioni, la critica alla religione e in particolare ad alcune delle sue forme correlate, quali l’ascetismo e il monachesimo, la condanna di ogni forma di intolleranza e fanatismo, la critica al dogmatismo e alla metafisica, lo spazio riservato al dubbio scettico e la centralità della natura, nonché la costante capacità critica di una filosofia che non si sottrae mai alla necessità di dubitare e interrogare, anche se stessa.
Aggiunta ai Pensieri filosofici Secondo quanto scrisse lo stesso Diderot in una lettera a Sophie Volland, l’Aggiunta ai Pensieri filosofici fu composta alla fine del 1762. Tale supplemento sarà poi pubblicato da Grimm nel 1763 all’interno della Corréspondance littéraire philosophique et critique (rivista letteraria manoscritta e a limitatissima diffusione, diretta dallo stesso Grimm), con il titolo di Pensées philosophiques e senza indicazione dell’autore. In seguito, Jacques-André Naigeon, filosofo amico di d’Holbach e di Diderot, nonché editore della raccolta di opere diderotiane pubblicata nel 1798 con il titolo di Œuvres de Denis Diderot, publiées sur le manusctits de l’auteur, si servì di questo testo all’interno di una raccolta pubblicata clandestinamente a Londra nel 1770 con il titolo di Recueil philosiphique ou Mélange de pièces sur la religion et la morale. Il testo, anonimo, vi fu pubblicato con il titolo di Recueil philosophique, la stessa raccolta conteneva anche La sufficienza della religione naturale.14 L’Aggiunta è composta di sessantadue brevi aforismi, contenenti un’aspra critica alla superstizione e soprattutto alla religione cristiana e ai suoi dogmi. Naigeon definì questa raccolta molto più ardita di quella pubblicata nel 1746, e nella Philosophie ancienne et moderne, sezione dedicata alla filosofia (3 vol., 1791-94) dell’Encyclopédie méthodique, commentava così il testo: «Si vede un filosofo profondamente afflitto dagli ostacoli di ogni tipo che i pregiudizi religiosi hanno contrapposto ai progressi dei lumi, utilizzare di volta in volta le armi del ragionamento e dell’ironia per distruggere una superstizione che, dopo venti secoli, pesa sullo spirito umano, e i cui fautori sono tanto difficili da disingannare, in quanto l’assurdità stessa dei dogmi che essa insegna serve da alimento alla loro stupida credulità, e ai loro occhi ne fortifica le motivazioni».15 Il tono è sicuramente più pungente e come ha osservato Naigeon l’opposizione tra ragione e fede più netta, perché nell’Aggiunta la posizione espressa tende più alla polemica anti-religiosa che alla critica filosofica.16 Nonostante l’efficacia di alcuni aforismi, tuttavia, la brevità che caratterizza questi pensieri ne riduce la capacità analitica e di riflessione sulla complessità dei problemi posti che aveva caratterizzato i Pensieri filosofici.
Nota ai testi Per la traduzione dei Pensieri filosofici ci siamo avvalsi del testo stabilito da Robert Niklaus con commento di Yvon Belaval e R. Niklaus per l’edizione DPV (vol. II, pp. 17-55), confrontandolo, in particolare per quanto riguarda l’apparato critico con 14
G. Stenger, De la suffisance de la religion naturelle. Un manifeste déiste de Diderot?, in La lettre clandestine, n. 21, 2013, pp. 230-231. 15 A. Naigeon, Encyclopédie méthodique. Philosophie ancienne et moderne, chez Panckoucke, Paris 1792, pp. 159‑160. 16 F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, p. 25.
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l’eccellente edizione a cura di Michel Delon (OP, pp. 1-38). Utili per un confronto sono state le traduzioni italiane di Paolo Rossi contenuta all’interno del volume di Opere filosofiche (Milano, Feltrinelli, 19631, 1981, pp. 23-48) e l’ottima traduzione commentata e annotata di Tomaso Cavallo (Pensieri filosofici, Jacques e i suoi quaderni, Pisa 1998). Il testo di riferimento dell’Aggiunta ai pensieri filosofici è quello stabilito da Jean Gargnon e Jean Varloot con commento di Paolo Casini e Robert Niklaus per l’edizione DPV (vol. IX, pp. 359-371), accanto all’edizione a curata da Michel Delon (OP, pp. 39-45), in particolare per quanto riguarda l’apparato critico. L’unica traduzione italiana disponibile dell’Aggiunta ai pensieri filosofici è quella di Paolo Rossi contenuta nel volume di Opere filosofiche (Milano, Feltrinelli, 19631, 1981, pp. 49-60).
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[DPV, II, 17-52]
Piscis hic non est omnium
Quis leget hæc ? Pers. Sat. I. J’écris de Dieu ; je compte sur peu de lecteurs, et n’aspire qu’à quelques suffrages. Si ces pensées ne plaisent à personne, elles pourront n’être que mauvaises ; mais je les tiens pour détestables, si elles plaisent à tout le monde. I
On déclame sans fin contre les passions ; on leur impute toutes les peines de l’homme, et l’on oublie qu’elles sont aussi la source de tous ses plaisirs. C’est dans sa constitution, un élément dont on ne peut dire ni trop de bien ni trop de mal. Mais ce qui me donne de l’humeur, c’est qu’on ne les regarde jamais que du mauvais côté. On croirait faire injure à la raison, si l’on disait un mot en faveur de ses rivales ; cependant il n’y a que les passions, et les grandes passions, qui puissent élever l’âme aux grandes choses. Sans elles, plus de sublime, soit dans les mœurs, soit dans les ouvrages ; les beaux-arts retournent en enfance, et la vertu devient minutieuse. | II
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Les passions sobres font les hommes communs. Si j’attends l’ennemi, quand il s’agit du salut de ma patrie, je ne suis qu’un citoyen ordinaire. Mon amitié n’est que circonspecte, si le péril d’un ami me laisse les yeux ouverts sur le mien. La vie m’est-elle plus chère que ma maîtresse ? Je ne suis qu’un amant comme un autre. III
Les passions amorties dégradent les hommes extraordinaires. La contrainte anéantit la grandeur et l’énergie de la nature. Voyez cet arbre ; c’est au luxe de ses branches que vous devez la fraîcheur et l’étendue de ses ombres : vous en jouirez jusqu’à ce que l’hiver vienne le dépouiller de sa chevelure. Plus d’excellence en poésie, en peinture, en musique, lorsque la superstition aura fait sur le tempérament l’ouvrage de la vieillesse. IV
Ce serait donc un bonheur, me dira-t-on, d’avoir les passions fortes. Oui, sans doute, si toutes sont à l’unisson. Établissez entre elles une juste harmonie, et n’en appréhendez point de désordres. Si l’espérance est balancée par la crainte, le point d’honneur par l’amour de la vie, le penchant au plaisir par l’intérêt de la santé, vous ne verrez ni libertins, ni téméraires, ni lâches. |
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Pensieri filosofici Piscis hic non est omnium1
Quis leget hæc? Pers. Sat. I 2 Scrivo su Dio; conto su pochi lettori, e non aspiro che poche approvazioni. Se questi pensieri non piacciono a nessuno, non potranno che essere cattivi; ma li considererei detestabili, se piacessero a tutti. I
Ci si scaglia continuamente contro le passioni; a esse sono imputate tutte le pene dell’uomo, e si dimentica che sono anche la fonte di tutti i suoi piaceri. Nella sua stessa costituzione, è un elemento di cui non si può parlare né troppo bene né troppo male. Ma ciò che m’infastidisce è che siano considerate sempre e solo loro nell’aspetto negativo. Si crede di offendere la ragione dicendo una parola in favore delle sue rivali. Tuttavia solo le passioni, e le grandi passioni,3 possono elevare l’anima alle grandi cose. Senza di esse, non c’è più il sublime, né nei costumi, né nelle opere; le belle arti ritornano alla loro infanzia, e la virtù diviene pedante.4 II
Le passioni moderate foggiano uomini comuni.5 Se attendo il nemico, quando si tratta della salvezza della mia patria, sono solo un cittadino ordinario. Se il pericolo corso da un amico mi serve solo ad aprire gli occhi sul mio, la mia amicizia è solo prudenza. La mia vita mi è più cara della mia amante? Sono solo un amante come tutti gli altri.6 III
Le passioni smorzate degradano gli uomini straordinari.7 La costrizione annienta la grandezza e l’energia della natura. Guardate quest’albero: dovete la freschezza e l’estensione della sua ombra al lusso delle sue fronde: ne godrete finché l’inverno verrà a spogliarlo della sua chioma. 8 Non ci sarà più eccellenza in poesia, in pittura, in musica, quando la superstizione avrà ultimato sul temperamento l’opera della vecchiaia.9 IV
Mi si dirà allora che è una fortuna avere delle forti passioni. Sì, probabilmente, se tutte si accordano all’unisono. Stabilite tra di esse una giusta armonia, e non temetene alcun disordine. Se la speranza è equilibrata dalla paura, il punto d’onore dall’amore per la vita, l’inclinazione al piacere con l’interesse per la salute; non sarete né libertini, né temerari, né vili.10
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V
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C’est le comble de la folie, que de se proposer la ruine des passions. Le beau projet que celui d’un dévot qui se tourmente comme un forcené, pour ne rien désirer, ne rien aimer, ne rien sentir, et qui finirait par devenir un vrai monstre s’il réussissait ! VI
Ce qui fait l’objet de mon estime dans un homme pourrait-il être l’objet de mes mépris dans un autre ? non, sans doute. Le vrai, indépendant de mes caprices, doit être la règle de mes jugements ; et je ne ferai point un crime à celui-ci de ce que j’admirerai dans celui-là comme une vertu. Croirai-je qu’il était réservé à quelques-uns, de pratiquer des actes de perfection que la nature et la religion doivent ordonner indifféremment à tous ? Encore moins. Car d’où leur viendrait ce privilège exclusif ? Si Pacôme a bien fait de rompre avec le genre humain pour s’enterrer dans une solitude ; il ne m’est pas défendu de l’imiter : en l’imitant, je serai tout aussi vertueux que lui, et je ne devine pas pourquoi cent autres n’auraient pas le même droit que moi. Cependant il ferait beau voir une province entière, effrayée des dangers de la société, se disperser dans les forêts ; ses habitants vivre en bêtes farouches pour se sanctifier ; mille colonnes élevées sur les ruines de toutes affections sociales ; un nouveau peuple de stylites se dépouiller, par religion, des sentiments de la nature, cesser d’être hommes, et faire les statues pour être vrais chrétiens. VII 20
Quelles voix ! quels cris ! quels gémissements ! Qui a renfermé dans ces cachots tous ces cadavres plaintifs ? quels crimes ont commis tous | ces malheureux ? Les uns se frappent la poitrine avec des cailloux ; d’autres se déchirent le corps avec des ongles de fer ; tous ont les regrets, la douleur et la mort dans les yeux. Qui les condamne à ces tourments ?... Le Dieu qu’ils ont offensé... Quel est donc ce Dieu ? Un Dieu plein de bonté... Un Dieu plein de bonté trouverait-il du plaisir à se baigner dans les larmes ? Les frayeurs ne feraient-elles pas injure à sa clémence ? Si des criminels avaient à calmer les fureurs d’un tyran, que feraient-ils de plus ? VIII
Il y a des gens dont il ne faut pas dire qu’ils craignent Dieu ; mais bien qu’ils en ont peur. IX
Sur le portrait qu’on me fait de l’Être suprême, sur son penchant à la colère, sur la rigueur de ses vengeances, sur certaines comparaisons qui nous expriment en nombre le rapport de ceux qu’il laisse périr à ceux à qui il daigne tendre la main ; l’âme la plus droite serait tentée de souhaiter qu’il n’existât pas. L’on serait assez tranquille en ce monde, si l’on était assez bien assuré que l’on n’a rien à craindre dans l’autre : la pensée qu’il n’y a point de Dieu n’a jamais effrayé personne ; mais bien celle qu’il y en a un tel que celui qu’on me peint.
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Proporsi l’annullamento delle passioni è il colmo della follia. È il bel progetto del devoto che si tormenta come un forsennato per non desiderare nulla, non amare nulla, non sentire nulla, e che finirà per divenire un vero mostro, se ci riuscisse! VI
Ciò che stimo in un uomo, potrebbe forse essere oggetto di disprezzo in un altro? Certamente no. La verità, indipendente dai miei capricci, deve essere la regola dei miei giudizi; e incolperò certo un uomo di ciò che ammirerò in un altro come virtù. Potrei credere che sia riservata solo ad alcuni uomini la possibilità di compiere degli atti di perfezione, che la natura e la religione devono ordinare indifferentemente a tutti? Certamente no. Perché da dove deriverebbe loro questo privilegio esclusivo? Se Pacomio11 ha fatto bene a rompere con il genere umano per seppellirsi nella solitudine,12 non mi è proibito imitarlo: emulandolo, sarei virtuoso come lui, e non capisco perché altri cento non avrebbero lo stesso mio diritto. Tuttavia sarebbe curioso vedere un’intera provincia, spaventata dai pericoli della società, disperdersi nelle foreste;13 i suoi abitanti vivere tra le bestie feroci per santificarsi; mille colonne elevate sulle rovine di tutti i legami sociali; un nuovo popolo di stiliti14 spogliarsi per la religione dei sentimenti naturali, cessare di essere uomini e fare le statue per essere veri cristiani. VII
Che voci! Che grida! Che gemiti! Chi ha rinchiuso in queste segrete tutti questi cadaveri piangenti? Quali crimini hanno commesso tutti questi infelici? Gli uni si battono il petto con delle pietre; altri si lacerano il corpo con artigli di ferro; tutti hanno negli occhi rimorsi, dolore e morte. Chi li condanna a questi tormenti?... Il Dio che hanno offeso... Chi è questo Dio?... Un Dio pieno di bontà... Un Dio pieno di bontà potrebbe trarre piacere nel bagnarsi di lacrime? I loro terrori non dovrebbero offendere la sua clemenza? Se dei criminali dovessero calmare i furori di un tiranno, cosa farebbero di peggio?15 VIII
Ci sono delle persone di cui non bisogna dire che sono timorate di Dio, ma piuttosto che ne hanno paura. IX
Dal ritratto che mi è stato fatto dell’Essere supremo, dalla sua inclinazione alla collera, dal rigore delle sue vendette, da certe equivalenze che esprimono numericamente il rapporto di quelli che lascia morire e quelli a cui si degna di aiutare, l’anima più onesta sarebbe tentata di augurarsi che Dio non esista. Si vivrebbe abbastanza tranquillamente in questo mondo, se ci fosse assicurato con certezza che non c’è niente da temere nell’altro: il pensiero che non esista un Dio non ha mai spaventato nessuno; come invece fa il pensiero che ce ne sia uno, come quello che mi viene descritto.16
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Il ne faut imaginer Dieu ni trop bon, ni méchant. La justice est entre l’excès de la clémence et la cruauté ; ainsi que les peines finies sont entre l’impunité et les peines éternelles. XI 21
Je sais que les idées sombres de la superstition sont plus généralement approuvées que suivies ; qu’il est des dévots qui n’estiment pas qu’il faille | se haïr cruellement pour bien aimer Dieu, et vivre en désespérés pour être religieux : leur dévotion est enjouée ; leur sagesse est fort humaine ; mais d’où naît cette différence de sentiments entre des gens qui se prosternent au pied des mêmes autels ? La piété suivrait-elle aussi la loi de ce maudit tempérament ? Hélas ! comment en disconvenir ? Son influence ne se remarque que trop sensiblement dans le même dévot : il voit, selon qu’il est affecté, un Dieu vengeur ou miséricordieux ; les enfers ou les cieux ouverts : il tremble de frayeur, où il brûle d’amour : c’est une fièvre qui a ses accès froids et chauds. XII
Oui, je le soutiens ; la superstition est plus injurieuse à Dieu que l’athéisme. J’aimerais mieux, dit Plutarque, qu’on pensât qu’il n’y eut jamais de Plutarque au monde, que de croire que Plutarque est injuste, colère, inconstant, jaloux, vindicatif, et tel qu’il serait bien fâché d’être. XIII 22
Le déiste seul peut faire tête à l’athée. Le superstitieux n’est pas de sa force. Son Dieu n’est qu’un être d’imagination. Outre les difficultés de | la matière, il est exposé à toutes celles qui résultent de la fausseté de ses notions. Un C... un S... auraient été mille fois plus embarrassants pour un Vanini, que tous les Nicole et les Pascal du monde. XIV
Pascal avait de la droiture ; mais il était peureux et crédule. Élégant écrivain et raisonneur profond, il eût sans doute éclairé l’univers ; si la Providence ne l’eût abandonné à des gens qui sacrifièrent ses talents à leurs haines. Qu’il serait à souhaiter qu’il eût laissé aux théologiens de son temps le soin de vider leurs querelles ; qu’il se fût livré à la recherche de la vérité, sans réserve et sans crainte d’offenser Dieu, en se servant de tout l’esprit qu’il en avait reçu ; et surtout qu’il eût refusé pour maîtres des hommes qui n’étaient pas dignes d’être ses disciples. On pourrait bien lui appliquer ce que l’ingénieux la Mothe disait de la Fontaine, qu’il fut assez bête pour croire qu’Arnaud, de Sacy et Nicole valaient mieux que lui.
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X
Non bisogna immaginare Dio né troppo buono né cattivo. La giustizia sta tra l’eccesso di clemenza e la crudeltà; così come le pene temporanee lo sono tra l’impunità e le pene eterne. XI
So che le idee oscure della superstizione sono generalmente più approvate che seguite; che ci sono devoti che non ritengono che ci si debba odiare crudelmente per amare pienamente Dio, e vivere nella disperazione per essere religiosi: la loro devozione è gioviale; la loro saggezza è molto umana: ma da dove nasce questa differenza di sentimenti tra delle persone che si prosternano ai piedi degli stessi altari? La pietà segue forse la legge di questo maledetto temperamento? Ahimè! Come negarlo? La sua influenza si nota molto sensibilmente nello stesso devoto: vede, a seconda l’emozione del momento, un Dio vendicativo o misericordioso; l’inferno o il cielo aperti: trema di paura, o brucia d’amore: è una febbre che ha i suoi accessi freddi e di caldi.17 XII
Certo, sostengo che la superstizione oltraggia Dio più dell’ateismo. Preferirei, dice Plutarco, che si pensasse che non sia mai esistito alcun Plutarco, piuttosto che si credesse che Plutarco è ingiusto, collerico, incostante, geloso, vendicativo, e tale da doversi dispiacere di essere al mondo.18 XIII
Solo il deista19 può tenere testa all’ateo. Il superstizioso non ha abbastanza forza. Il suo Dio è solo un essere immaginario. Oltre alle difficoltà dell’argomento, è esposto a tutte quelle che risultano dalla falsità delle sue nozioni. Un C... 20 un S... 21 avrebbero messo mille volte più in imbarazzo un Vanini,22 di tutti i Nicole e i Pascal < celebri giansenisti 23> del mondo. XIV
Pascal era onesto; ma era pauroso e credulo. Elegante24 scrittore e ragionatore profondo, senza dubbio avrebbe illuminato l’universo, se la Provvidenza non l’avesse abbandonato a delle persone che sacrificarono i suoi talenti ai propri rancori. Sarebbe stato meglio che avesse lasciato ai teologi del suo tempo la cura di esaurire le loro dispute; e si fosse dedicato alla ricerca della verità, senza riserva e senza timore di offendere Dio, servendosi di tutta l’intelligenza che aveva ricevuto da lui; e soprattutto, che avesse rifiutato di avere per maestri degli uomini che non erano degni di essere i suoi discepoli. Si potrebbe sicuramente dire di lui quello che l’ingegnoso La Mothe disse di La Fontaine, che fu abbastanza sciocco da credere che Arnauld, de Sacy e Nicole valessero più di lui.25
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« Je vous dis qu’il n’y a point de Dieu ; que la création est une chimère ; que l’éternité du monde n’est pas plus incommode que l’éternité d’un esprit ; que, parce que je ne conçois pas comment le mouvement a pu engendrer cet univers, qu’il a si bien la vertu de conserver, il est ridicule de lever cette difficulté par l’existence supposée d’un être que je ne conçois pas davantage ; que, si les merveilles qui brillent dans l’ordre physique décèlent quelque intelligence, les désordres qui règnent dans l’ordre moral anéantissent toute Providence. Je vous dis que, si tout est l’ouvrage d’un Dieu, tout doit être le mieux qu’il est possible : car si tout n’est pas le mieux | qu’il est possible, c’est en Dieu impuissance ou mauvaise volonté. C’est donc pour le mieux que je ne suis pas plus éclairé sur son existence : cela posé, qu’ai-je affaire de vos lumières ? Quand il serait aussi démontré qu’il l’est peu que tout mal est la source d’un bien ; qu’il était bon qu’un Britannicus, que le meilleur des princes pérît ; qu’un Néron, que le plus méchant des hommes régnât ; comment prouverait-on qu’il était impossible d’atteindre au même but sans user des mêmes moyens ? Permettre des vices pour relever l’éclat des vertus, c’est un bien frivole avantage pour un inconvénient si réel. » Voilà, dit l’athée, ce que je vous objecte, qu’avez-vous à répondre ?... « que je suis un scélérat ; et que si je n’avais rien à craindre de Dieu, je n’en combattrais pas l’existence. » Laissons cette phrase aux déclamateurs : elle peut choquer la vérité ; l’urbanité la défend, et elle marque peu de charité. Parce qu’un homme a tort de ne pas croire en Dieu, avons-nous raison de l’injurier ? On n’a recours aux invectives que quand on manque de preuves. Entre deux controversistes, il y a cent à parier contre un, que celui qui aura tort, se fâchera. « Tu prends ton tonnerre au lieu de répondre, dit Ménippe à Jupiter ; tu as donc tort ? » XVI
On demandait un jour à quelqu’un, s’il y avait de vrais athées. Croyez-vous, répondit-il, qu’il y ait de vrais chrétiens ? XVII
24
Toutes les billevesées de la métaphysique ne valent pas un argument ad hominem. Pour convaincre, il ne faut quelquefois que réveiller le sentiment ou physique ou moral. C’est avec un bâton qu’on a prouvé au | pyrrhonien qu’il avait tort de nier son existence. Cartouche, le pistolet à la main, aurait pu faire à Hobbes une pareille leçon : « La bourse ou la vie : nous sommes seuls : je suis le plus fort ; et il n’est pas question entre nous d’équité. » XVIII
25
Ce n’est pas de la main du métaphysicien que sont partis les grands coups que l’athéisme a reçus. Les méditations sublimes de Malebranche et de Descartes étaient moins propres à ébranler le matérialisme qu’une observation de Malpighi. Si cette dangereuse hypothèse chancelée de nos jours, c’est à la physique expérimentale que l’honneur en est dû. Ce n’est que dans les ouvrages de Newton, de Musschenbroek, d’Hartzoeker, et de | Nieuwentyt, qu’on a trouvé des preuves satisfaisantes de l’existence d’un Être souverainement intelligent. Grâce aux travaux de ces grands hommes, le monde n’est plus un dieu : c’est une machine qui a ses roues, ses cordes, ses poulies, ses ressorts et ses poids.
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«Vi dico che non c’è alcun Dio; che la creazione è una chimera; che l’eternità del mondo non è più scomoda dell’eternità di uno spirito; che, poiché non capisco come il movimento abbia potuto generare quest’universo, che ha il potere di conservare bene, è ridicolo rimuovere questa difficoltà supponendo l’esistenza di un Essere che non concepisco più facilmente; che, se le meraviglie che brillano nell’ordine fisico celano qualche intelligenza, i disordini che regnano in campo morale, annullano ogni Provvidenza. Vi dico che, se tutto è l’opera di un Dio, tutto deve essere perfetto: perché se tutto non è perfetto, c’è in Dio impotenza o cattiva volontà.26 È dunque per il meglio che non sono più illuminato sulla sua esistenza: posto questo, che cosa devo farmene delle vostre spiegazioni? Anche se fosse dimostrato, per quel poco che lo è, che ogni male è fonte di un bene, che era bene che un Britannico, il migliore tra i principi, morisse; che un Nerone, il più malvagio degli uomini, regnasse; come si potrebbe provare che era impossibile raggiungere lo stesso scopo, senza usare gli stessi mezzi? Permettere dei vizi per valorizzare lo splendore della virtù, è un ben illusorio vantaggio in cambio di un danno così reale.» Ecco, quello che vi obietto, dice l’ateo, come rispondete?... «che sono uno scellerato; e se non avessi nulla da temere da Dio, non ne combatterei l’esistenza». Lasciamo queste estrinsecazioni ai declamatori: possono contraddire la verità; sono contro la cortesia e dimostrano poca carità. Forse perché un uomo ha il torto di non credere in Dio, abbiamo ragione di insultarlo? Si ricorre alle invettive solo quando si è a corto di prove. Tra i due controversisti, c’è da scommettere cento contro uno che si arrabbierà quello che ha torto. «Tu scagli i tuoi fulmini, invece di rispondere», disse Menippo a Giove, «dunque hai torto.»27 XVI
Una volta chiesero a un uomo se esistessero veri atei. «Credete», rispose, «che ci siano dei veri cristiani?» XVII
Tutte le futilità della metafisica non valgono un argomento ad hominem. Per convincere, a volte bisogna solo risvegliare il sentimento, fisico o morale.29 È con un bastone che abbiamo dimostrato a un pirroniano che aveva torto a negarne l’esistenza. Cartouche,30 pistola alla mano, avrebbe potuto dare a Hobbes31 una lezione analoga. «La borsa o la vita: siamo soli e io sono il più forte; tra noi non è questione di equità.» 28
XVIII
Non è stato il metafisico a infliggere i grandi colpi che l’ateismo ha ricevuto. Una sola osservazione di Malpighi32 era più adatta a scuotere il materialismo delle meditazioni sublimi di Malebranche e di Cartesio. Se questa pericolosa ipotesi oggi vacilla, l’onore spetta alla fisica sperimentale. Nelle opere di Newton, di Musschenbroek,33 di Hartzoeker,34 e di Nieuwentyt,35 si trovano prove soddisfacenti dell’esistenza di un Essere sovranamente intelligente. Grazie al lavoro di questi grandi uomini, il mondo non è più un Dio: è una macchina che ha le sue ruote, le sue corde, le sue pulegge, le sue molle e i suoi pesi.36
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XIX
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Les subtilités de l’ontologie ont fait tout au plus des sceptiques : c’est à la connaissance de la nature qu’il était réservé de faire de vrais déistes. La seule découverte des germes a dissipé une des plus puissantes objections de l’athéisme. Que le mouvement soit essentiel ou accidentel à la matière, je suis maintenant convaincu que ses effets se terminent à des développements : toutes les observations concourent à me démontrer que la putréfaction seule ne produit rien d’organisé : je puis admettre que le mécanisme | de l’insecte le plus vil n’est pas moins merveilleux que celui de l’homme, et je ne crains pas qu’on en infère qu’une agitation intestine des molécules étant capable de donner l’un, il est vraisemblable qu’elle a donné l’autre. Si un athée avait avancé, il y a deux cents ans, qu’on verrait peut-être un jour des hommes sortir tout formés des entrailles de la terre, comme on voit éclore une foule d’insectes d’une masse de chair échauffée ; je voudrais bien savoir ce qu’un métaphysicien aurait eu à lui répondre. XX
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C’était en vain que j’avais essayé contre un athée les subtilités de l’école : il avait même tiré de la faiblesse de ces raisonnements une objection assez forte. « Une multitude de vérités inutiles me sont démontrées sans réplique, disait-il ; et l’existence de Dieu, la réalité du bien et du mal moral, l’immortalité de l’âme, sont encore des problèmes pour moi : quoi donc ! me serait-il moins important d’être éclairé sur ces sujets, que d’être convaincu que les trois angles d’un triangle sont égaux à deux droits ? » Tandis qu’en habile déclamateur il me faisait avaler à longs traits toute l’amertume de cette réflexion ; je rengageai le combat par une question qui dut paraître singulière à un homme enflé de ses premiers succès... Êtes-vous un être pensant ? lui demandai-je... « En pourriez-vous douter, me répondit-il d’un air satisfait »... Pourquoi non ? qu’ai-je aperçu qui m’en convainque ?... des sons et des mouvements ?... Mais le philosophe en voit autant dans l’animal qu’il dépouille de la faculté de penser : pourquoi vous accorderais-je ce que Descartes refuse à la fourmi ? Vous produisez à l’extérieur des actes assez propres à m’en imposer ; je serais tenté d’assurer que vous pensez en effet ; mais la raison suspend mon jugement. « Entre les actes extérieurs et la pensée, il n’y a point de liaison essentielle, me dit-elle : il est possible que ton antagoniste ne pense non plus que sa montre : fallait-il prendre pour un être pensant le premier animal à qui l’on apprit à parler ? Qui t’a révélé que tous les hommes ne sont pas autant de perroquets instruits à ton insu ?»... « Cette comparaison est tout au plus ingénieuse, me répliquat-il ; ce n’est pas sur le mouvement et les sons ; c’est sur le fil | des idées, la conséquence qui règne entre les propositions et la liaison des raisonnements, qu’il faut juger qu’un être pense : s’il se trouvait un perroquet qui répondît à tout, je prononcerais sans balancer que c’est un être pensant... Mais qu’a de commun cette question avec l’existence de Dieu ? quand vous m’aurez démontré que l’homme en qui j’aperçois le plus d’esprit n’est peut-être qu’un automate, en serai-je mieux disposé à reconnaître une intelligence dans la nature ?... » C’est mon affaire, repris-je : convenez cependant qu’il y ’aurait de la folie à refuser à vos semblables la faculté de penser. « Sans doute, mais que s’ensuitil de là ?... » Il s’ensuit que si l’univers, que dis-je l’univers ! que si l’aile d’un papillon m’offre des traces mille fois plus distinctes d’une intelligence que vous n’avez d’indices que votre semblable est doué de la faculté de penser, il serait mille fois plus fou de nier
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Le sottigliezze dell’ontologia, al massimo, hanno creato degli scettici: solo alla conoscenza della natura era riservato fare dei veri deisti. La sola scoperta dei germi37 ha dissipato una delle più potenti obiezioni dell’ateismo. Che il moto sia essenziale o accidentale alla materia,38 sono ora convinto che i suoi effetti diano luogo a degli sviluppi:39 tutte le osservazioni concorrono a dimostrarmi che da sola la putrefazione non produce nulla di organico: posso ammettere che l’organismo dell’insetto più vile, non è meno meraviglioso di quello dell’uomo, e non temo che si deduca che un’agitazione interna delle molecole40 essendo capace di produrre l’uno, è verosimile che abbia generato anche l’altro. Se duecento anni fa un ateo avesse supposto che forse un giorno si sarebbero visti degli uomini uscire completamente formati dalle viscere della Terra, come vediamo schiudersi una ridda di insetti da una massa di carne fermentata, vorrei proprio sapere quello che un metafisico avrebbe potuto rispondergli.41 XX
Invano avevo provato a usare le sottigliezze scolastiche contro un ateo: egli aveva dedotto proprio dalla fallibilità di questi ragionamenti un’obiezione assai forte. «Mi viene dimostrata una moltitudine di verità inutili e indiscutibili» diceva, «l’esistenza di Dio, la realtà del bene e del male morale, l’immortalità dell’anima restano dei problemi per me: E allora?! Sarebbe meno importante essere illuminato su queste materie, che essere convinto che i tre angoli di un triangolo siano eguali a due angoli retti?» Mentre quest’abile declamatore, mi faceva ingoiare a lunghi sorsi tutta l’amarezza di questa riflessione, ricominciai il combattimento con una domanda che doveva sembrare singolare a un uomo inorgoglito dei suoi primi successi... «Voi siete un essere pensante?» Gli chiesi... «Ne potreste dubitare?», mi rispose questi con aria soddisfatta... «Perché no? Che cosa ho colto che me ne convinca... dei suoni e dei movimenti?... Ma il filosofo ne vede altrettanti nell’animale che priva della facoltà di pensare: perché accordarvi ciò che Cartesio rifiuta alla formica? Voi producete all’esterno degli atti abbastanza adatti a impormelo; sarei tentato di assicurare che voi pensate in effetti: ma la ragione mi fa sospendere il giudizio. «Tra gli atti esteriori e il pensiero, non c’è alcun legame essenziale: è possibile che il tuo antagonista non pensi più del suo orologio: bisognava allora considerare come essere pensante, il primo animale a cui abbiamo insegnato a parlare? Chi ti ha dimostrato che tutti gli uomini non sono altrettanti pappagalli istruiti a tua insaputa?»... 42 «Questo paragone è al più ingegnoso», replicò; «non è sulla base del movimento e dei suoni; è sul susseguirsi delle idee, la consequenzialità che regna tra le proporzioni e dal concatenarsi dei ragionamenti, che bisogna giudicare un essere che pensa: se si trovasse un pappagallo che rispondesse a tutto, direi senza tentennamenti che è un essere pensante... Ma che cos’ha in comune questa domanda con l’esistenza di Dio? Quando mi avrete dimostrato che l’uomo in cui percepisco il massimo dell’ingegno non è altro che un automa, sarò più disposto a riconoscere un’intelligenza nella natura?...»43 «È affare mio», ripresi, «convenite tuttavia che bisognerebbe essere folli a rifiutare ai vostri simili la facoltà di pensare.» «È probabile, ma cosa consegue da questo?...» «Ne consegue che se l’universo, che dico l’universo, che se l’ala di una farfalla mi offre delle tracce mille volte più distinte di un’intelligenza, più di quanto voi non abbiate indizi che il vostro simile sia dotato della facoltà di pensare, sarebbe mille volte più folle negare che esista un Dio piutto-
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qu’il existe un Dieu que de nier que votre semblable pense. Or, que cela soit ainsi ; c’est à vos lumières, c’est à votre conscience que j’en appelle : avez-vous jamais remarqué dans les raisonnements, les actions et la conduite de quelque homme que ce soit, plus d’intelligence, d’ordre, de sagacité, de conséquence que dans le mécanisme d’un insecte ? La Divinité n’est-elle pas aussi clairement empreinte dans l’œil d’un ciron que la faculté de penser dans les ouvrages du grand Newton ? Quoi ! le monde formé prouve moins une intelligence que le monde expliqué ?... Quelle assertion !... « Mais, répliquez-vous, j’admets la faculté de penser dans un autre d’autant plus volontiers que je pense moi-même... » Voilà, j’en tombe d’accord, une présomption que je n’ai point : mais n’en suis-je pas dédom | magé par la supériorité de mes preuves sur les vôtres ? L’intelligence d’un premier être ne m’est-elle pas mieux démontrée dans la nature par ses ouvrages, que la faculté de penser dans un philosophe par ses écrits : songez donc que je ne vous objectais qu’une aile de papillon, qu’un œil de ciron, quand je pouvais vous écraser du poids de l’univers. Ou je me trompe lourdement, ou cette preuve vaut bien la meilleure qu’on ait encore dictée dans les écoles. C’est sur ce raisonnement, et quelques autres de la même simplicité, que j’admets l’existence d’un Dieu, et non sur ces tissus d’idées sèches et métaphysiques, moins propres à dévoiler la vérité qu’à lui donner l’air du mensonge. XXI
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J’ouvre les cahiers d’un professeur célèbre, et je lis : « Athées, je vous accorde que le mouvement est essentiel à la matière ; qu’en concluez-vous ?... que le monde résulte du jet fortuit des atomes ? J’aimerais autant que vous me dissiez que l’Iliade d’Homère, ou la Henriade de Voltaire est un résultat de jets fortuits de caractères. » Je me garderai bien de faire ce raisonnement à un athée. Cette comparaison lui donnerait beau jeu. Selon les lois de l’analyse des sorts, me dirait-il, je ne dois point être surpris qu’une chose arrive lorsqu’elle est possible, et que la difficulté de l’événement est compensée par la quantité des jets. Il y a tel nombre de coups dans lesquels je gagerais, avec avantage, d’amener cent mille six à la fois avec cent mille dés. Quelle que fût la somme finie des caractères avec laquelle on me proposerait d’engendrer fortuitement l’Iliade, il y a telle somme finie de jets qui me rendrait la proposition avantageuse : mon avantage serait même infini si la quantité de jets accordée était infinie. | Vous voulez bien convenir avec moi, continuerait-il, que la matière existe de toute éternité, et que le mouvement lui est essentiel. Pour répondre à cette faveur, je vais supposer avec vous que le monde n’a point de bornes ; que la multitude des atomes était infinie, et que cet ordre qui vous étonne ne se dément nulle part : or, de ces aveux réciproques, il ne s’ensuit autre chose, sinon que la possibilité d’engendrer fortuitement l’univers est très petite, mais que la quantité des jets est infinie, c’est-à-dire que la difficulté de l’événement est plus que suffisamment compensée par la multitude des jets. Donc, si quelque chose doit répugner à la raison, c’est la supposition que, la matière s’étant mue de toute éternité, et qu’y ayant peut-être dans la somme infinie des combinaisons possibles, un nombre infini d’arrangements admirables, il ne se soit rencontré aucun de ces | arrangements admirables dans la multitude infinie de ceux qu’elle a pris successivement. Donc l’esprit doit être plus étonné de la durée hypothétique du chaos, que de la naissance réelle de l’univers.
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sto che negare che un vostro simile pensi. Ora, per dimostrare che le cose stiano così, mi appello ai vostri lumi e alla vostra coscienza: avete mai notato nei vostri ragionamenti, nelle azioni e nella condotta di qualunque uomo, più intelligenza, ordine, sagacità, consequenzialità che nel meccanismo di un insetto? La Divinità non è così chiaramente manifesta nell’occhio di un acaro,44 che la facoltà di pensare nelle opere del grande Newton? Come! Il mondo formato prova meno un’intelligenza che un mondo spiegato?... Che affermazione!...» «Ma», replicate, «volentieri ammetto la facoltà di pensare in un altro poiché io stesso penso...» Ecco, d’accordo, questa è una presunzione che io non ho affatto: ma non ne sono forse ripagato dalla superiorità delle mie prove sulle vostre? L’intelligenza di un primo Essere non mi è dimostrata meglio nella natura, attraverso le sue opere, che la facoltà di pensare in un filosofo, dai suoi scritti: non dimenticate che vi opposi solamente un’ala di farfalla, un occhio di acaro quando potrei schiacciarvi col peso dell’universo. Forse mi sbaglio completamente, ma questa prova vale certo la migliore che abbiamo ancora insegnato nelle scuole. Sulla base di questo ragionamento, e qualche altro della stessa semplicità, io ammetto l’esistenza di un Dio, e non su quegli orditi di idee aride e metafisiche, sono più adatte a dare alla verità l’aria di una menzogna che a svelarla. XXI
Apro gli appunti di un celebre professore,45 e leggo: «Atei, vi accordo che il movimento è essenziale alla materia; cosa potete concludere da questo?... che il mondo risulta dall’aggregazione fortuita degli atomi? Vorrei allora che mi diceste che l’Iliade di Omero, o l’Henriade46 di Voltaire, sono il risultato dell’aggregazione fortuita dei caratteri». Mi guarderò bene dal fare un simile ragionamento a un ateo. Questo confronto gli darebbe buon gioco. Secondo le leggi del calcolo delle probabilità, mi direbbe che non devo essere per nulla sorpreso dal fatto che qualche cosa accada quando è possibile, e che la difficoltà dell’avvenimento è compensata dal numero dei tiri di dadi. C’è un determinato numero di colpi nei quali vincerei con il vantaggio di condurre centomila sei alla volta, avendo centomila dadi. Qualunque sia la somma finita di caratteri cui mi si proponesse di generare fortuitamente l’Iliade, esisterà una certa somma finita di lanci che permetterebbe la cosa: anche il mio vantaggio sarebbe infinito, se la quantità dei lanci accordata fosse infinita. Converrete con me, continuerebbe, che la materia esiste da tutta l’eternità, e che il moto le è essenziale. Per ricambiare a questa concessione, supporrò con voi, che il mondo non abbia alcun limite, che la moltitudine degli atomi sia infinita, e che quest’ordine che vi stupisce sia presente in ogni cosa: ora, da queste ammissioni reciproche, non consegue nient’altro sennonché la possibilità di generare fortuitamente l’universo è molto piccola, ma che la quantità dei lanci è infinita, vale a dire, che la difficoltà dell’avvenimento è più che sufficientemente compensata dalla moltitudine dei tiri. Dunque se qualche cosa deve ripugnare la ragione, è la supposizione che la materia essendo in moto da tutta l’eternità, e avendo forse nella somma infinita delle combinazioni possibili, un numero infinito di ordinamenti ammirabili, uno di questi non si sia presentato nella moltitudine infinita di quelli che essa ha assunto successivamente. Dunque lo spirito deve essere più stupito della durata ipotetica del caos, che della vera nascita dell’universo.47
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Je distingue les athées en trois classes. Il y en a quelques-uns qui vous disent nettement qu’il n’y a point de Dieu, et qui le pensent, ce sont les vrais athées ; un assez grand nombre qui ne savent qu’en penser, et qui décideraient volontiers la question à croix ou pile, ce sont les athées sceptiques ; beaucoup plus qui voudraient qu’il n’y en eût point, qui font semblant d’en être persuadés, qui vivent comme s’ils l’étaient, ce sont les fanfarons du parti. Je déteste les fanfarons, ils sont faux ; je plains les vrais athées, toute consolation me semble morte pour eux ; et je prie Dieu pour les sceptiques, ils manquent de lumières. XXIII
Le déiste assure l’existence d’un Dieu, l’immortalité de l’âme et ses suites ; le sceptique n’est point décidé sur ces articles ; l’athée les nie. Le sceptique a donc, pour être vertueux, un motif de plus que l’athée, et quelque raison de moins que le déiste. Sans la crainte du législateur, la pente du tempérament, et la connaissance des avantages actuels de la vertu, la probité de l’athée manquerait de fondement, et celle du sceptique serait fondée sur un peut-être. | XXIV
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Le scepticisme ne convient pas à tout le monde. Il suppose un examen profond et désintéressé : celui qui doute parce qu’il ne connaît pas les raisons de crédibilité n’est qu’un ignorant. Le vrai sceptique a compté et pesé les raisons. Mais ce n’est pas une petite affaire que de peser des raisonnements. Qui de nous en connaît exactement la valeur ? Qu’on apporte cent preuves de la même vérité, aucune ne manquera de partisans. Chaque esprit a son télescope. C’est un colosse à mes yeux que cette objection qui disparaît aux vôtres : vous trouvez légère une raison qui m’écrase. Si nous sommes divisés sur la valeur intrinsèque, comment nous accorderons-nous sur le poids relatif ? Dites-moi, combien faut-il de preuves morales pour contrebalancer une conclusion métaphysique ? Sont-ce mes lunettes qui pèchent ou les vôtres ? Si donc il est si difficile de peser des raisons, et s’il n’est point de questions qui n’en aient pour et contre, et presque toujours à égale mesure, pourquoi tranchons-nous si vite ? D’où nous vient ce ton si décidé ? N’avons-nous pas éprouvé cent fois que la suffisance dogmatique révolte ? « On me fait haïr les choses vraisemblables, dit l’auteur des Essais, quand on me les plante pour infaillibles. J’aime ces mots qui amollissent et modèrent la témérité de nos propositions, à l’aventure, aucunement, quelque, on dit, je pense, et autres semblables : et si j’eusse eu à dresser des enfants, je leur eusse tant mis en la bouche cette façon de répondre enquestante et non résolutive, qu’est-ce à dire ?, je ne l’entends pas, il pourrait être, est-il vrai, qu’ils eussent plutôt gardé la forme d’apprentis à soixante ans, que de représenter les docteurs à l’âge de quinze. » | XXV
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Qu’est-ce que Dieu ? question qu’on fait aux enfants, et à laquelle les philosophes ont bien de la peine à répondre. On sait à quel âge un enfant doit apprendre à lire, à chanter, à danser, le latin, la géométrie. Ce n’est qu’en matière de religion qu’on ne consulte point sa portée : à peine entend-il, qu’on lui demande, Qu’est-ce que Dieu ? C’est dans le même instant, c’est de la
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XXII
Distinguo gli atei in tre categorie. Ce ne sono alcuni che vi dicono chiaramente che non c’è alcun Dio e lo pensano, questi sono i veri atei; un numero abbastanza grande che non sa cosa pensarne, e che deciderebbero volentieri la questione a testa o croce, questi sono gli atei scettici; molti di più sono quelli che vorrebbero che non ci fosse alcun Dio, che danno mostra di esserne persuasi e vivono come se lo fossero, questi sono i fanfaroni della setta.48 Detesto i fanfaroni, sono falsi; compiango gli atei veri, ogni consolazione mi sembra morta per loro; e prego Dio per gli scettici, che mancano di lumi.49 XXIII
Il deista afferma l’esistenza di un Dio, l’immortalità dell’anima e le sue conseguenze; lo scettico non è per niente deciso su queste affermazioni; l’ateo le nega. Dunque lo scettico ha un motivo più dell’ateo per essere virtuoso, e qualche ragione in meno del deista. Senza la paura del legislatore, l’inclinazione del temperamento e la conoscenza dei vantaggi attuali della virtù, la probità dell’ateo mancherà di fondamento, e quella dello scettico sarebbe fondata su un «forse».51 50
XXIV
Lo scetticismo non è adatto a tutti. Suppone un esame profondo e disinteressato: chi dubita, perché non conosce le ragioni della credibilità,52 è solo un ignorante. Il vero scettico ha enumerato e pesato le ragioni. Ma non è cosa da poco pesare dei ragionamenti. Chi di noi ne conosce esattamente il valore? Che si portino cento prove della stessa verità, nessuna mancherà di partigiani. Ciascuno spirito ha il suo telescopio.53 Un’obiezione è colossale ai miei occhi e sparisce ai vostri: voi trovate inconsistente una ragione che mi schiaccia. Se siamo divisi sul valore intrinseco come ci accorderemo sul peso relativo? Ditemi, quante prove morali servono per controbattere a una conclusione metafisica? Sono i miei occhiali che sbagliano o i vostri? Se dunque è così difficile pesare le ragioni, e non c’è problema che non abbia pro e contro, e pressoché sempre in eguale misura, perché sentenziamo così alla svelta? Da dove viene questo tono così deciso? Non abbiamo provato cento volte che la sufficienza dogmatica è indisponente? «Mi si fanno odiare le cose verosimili, dice l’autore dei Saggi, quando mi sono presentate come infallibili. Amo queste parole che addolciscono e moderano la temerità delle nostre proposizioni, forse, in certo modo, qualche, si dice, penso, e altre simili: e se avessi dovuto educare dei fanciulli, avrei messo loro in bocca questa maniera di rispondere interrogativa54 e non affermativa: come sarebbe a dire, non lo capisco, potrebbe darsi, è vero?, in modo conservassero l’atteggiamento di novizi a sessant’anni, piuttosto che imitare i dottori all’età di quindici.» 55 XXV
Chi è Dio? Domanda che si pone anche ai bambini, e cui i filosofi hanno difficoltà a rispondere. Sappiamo a che età un bambino deve imparare a leggere, a cantare, a danzare, il latino, la geometria. Solo in materia di religione non si valutano le sue capacità:56 appena inizia a intendere, glielo chiediamo. Chi è Dio? Nello stesso istante, dalla stessa bocca,
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même bouche qu’il apprend qu’il y a des esprits follets, des revenants, des loups-garous, et un Dieu. On lui inculque une des plus importantes vérités d’une manière capable de la décrier un jour au tribunal de sa raison. En effet, qu’y aura-t-il de surprenant, si, trouvant à l’âge de vingt ans l’existence de Dieu confondue dans sa tête avec une foule de préjugés ridicules, il vient à la méconnaître et à la traiter ainsi que nos juges traitent un honnête homme, qui se trouve engagé par accident dans une troupe de coquins ? XXVI 33
On nous parle trop tôt de Dieu : autre défaut, on n’insiste pas assez sur sa présence. Les hommes ont banni la Divinité d’entre eux ; ils l’ont reléguée | dans un sanctuaire ; les murs d’un temple bornent sa vue ; elle n’existe point au delà. Insensés que vous êtes, détruisez ces enceintes qui rétrécissent vos idées, élargissez Dieu ; voyez-le partout où il est, ou dites qu’il n’est point. Si j’avais un enfant à dresser, moi, je lui ferais de la Divinité une compagnie si réelle, qu’il lui en coûterait peut-être moins pour devenir athée que pour s’en distraire. Au lieu de lui citer l’exemple d’un autre homme qu’il connaît quelquefois pour plus méchant que lui ; je lui dirais brusquement, Dieu t’entend, et tu mens. Les jeunes gens veulent être pris par les sens. Je multiplierais donc autour de lui les signes indicatifs de la présence divine. S’il se faisait, par exemple, un cercle chez moi, j’y marquerais une place à Dieu ; et j’accoutumerais mon élève à dire, « Nous étions quatre, Dieu, mon ami, mon gouverneur et moi. » XXVII
L’ignorance et l’incuriosité sont deux oreillers fort doux ; mais pour les trouver tels, il faut avoir la tête aussi bien faite que Montaigne. XXVIII
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Les esprits bouillants, les imaginations ardentes ne s’accommodent pas de l’indolence du sceptique. Ils aiment mieux hasarder un choix que de n’en faire aucun ; se tromper que de vivre incertains : soit qu’ils se méfient de leurs bras, soit qu’ils craignent la profondeur des eaux, on les voit toujours suspendus à des branches dont ils sentent toute la faiblesse, et auxquelles | ils aiment mieux demeurer accrochés que de s’abandonner au torrent. Ils assurent tout, bien qu’ils n’aient rien soigneusement examiné : ils ne doutent de rien, parce qu’ils n’en ont ni la patience ni le courage. Sujets à des lueurs qui les décident, si par hasard ils rencontrent la vérité ; ce n’est point à tâtons, c’est brusquement et comme par révélation. Ils sont entre les dogmatiques, ce qu’on appelle les illuminés chez le peuple dévot. J’ai vu des individus de cette espèce inquiète qui ne concevaient pas comment on pouvait allier la tranquillité d’esprit avec l’indécision. « Le moyen de vivre heureux sans savoir qui l’on est, d’où l’on vient, où l’on va, pourquoi l’on est venu ! » Je me pique d’ignorer tout cela, sans en être plus malheureux, répondait froidement le sceptique : ce n’est point ma faute si j’ai trouvé ma raison muette quand je l’ai questionnée sur mon état. Toute ma vie j’ignorerai, sans chagrin, ce qu’il m’est impossible de savoir. Pourquoi regretterais-je des connaissances que je n’ai pu me procurer, et qui, sans doute, ne me sont pas fort nécessaires, puisque j’en suis privé ? J’aimerais autant, a dit un des premiers génies de notre siècle, m’affliger sérieusement de n’avoir pas quatre yeux, quatre pieds et deux ailes.
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apprende che ci sono spiriti folletti, spettri, lupi mannari e un Dio. Gli inculchiamo una delle più importanti verità, in un modo che un giorno la screditerà davanti al tribunale della sua ragione. Infatti, che cosa ci sarà di sorprendente, se trovando all’età di vent’anni l’esistenza di Dio confusa nella sua testa con una folla di pregiudizi ridicoli, egli la misconoscerà e trattandola come i nostri giudici trattano un onest’uomo, che si trova legato per accidente a una banda di farabutti? XXVI
Ci parlano troppo presto di Dio: altro difetto, non s’insiste abbastanza sulla sua presenza. Gli uomini hanno bandito la presenza della divinità dai loro rapporti; l’hanno relegata nei santuari; le mura del tempio limitano la sua vista; Dio non esiste che al di là. Insensati che non siete altro, distruggete queste cinta che restringono le vostre idee, liberate Dio: vedetelo ovunque, dove si trova, o dite che non c’è per nulla. Se dovessi educare un fanciullo, farei della Divinità una compagnia così reale, che forse gli costerebbe meno diventare ateo che allontanarsene. Invece di citargli l’esempio di un altro uomo che conosce a volte è più cattivo di lui; gli direi bruscamente, Dio ti ascolta, e tu menti. I giovani vanno presi attraverso i sensi: moltiplicherei dunque attorno a lui i segni indicativi della presenza divina. Se si creasse, per esempio, un circolo a casa mia, vi assegnerei un posto a Dio e abituerei il mio allievo a dire: «Siamo quattro, Dio, il mio amico, il mio precettore, e io». XXVII
L’ignoranza e la non-curiosità sono due guanciali molto morbidi; ma per trovarli tali, bisogna avere la testa ben fatta come quella di Montaigne.57 XXVIII
Gli spiriti focosi, le immaginazioni ardenti non si adattano all’indolenza dello scettico.58 Preferiscono azzardare una scelta piuttosto che non farne alcuna; sbagliare piuttosto che vivere nell’incertezza: sia che diffidino delle proprie forze, sia che temano la profondità delle acque, li vediamo sempre sospesi a rami di cui sentono tutta la debolezza, e a cui preferiscono rimanere aggrappati piuttosto che abbandonarsi al torrente. Affermano tutto, benché non abbiano esaminato accuratamente nulla; non dubitano di niente perché non ne hanno né la pazienza né il coraggio. Influenzati da barlumi che li convincono, se per caso incontrano la verità, non è per averla cercata a tentoni, ma bruscamente e come per rivelazione. Sono tra i dogmatici, quelli che il popolo devoto chiama illuminati. Ho visto degli individui di questa specie inquieta che non concepivano come si potesse accordare la tranquillità di spirito con l’indecisione. «In che modo vivere felici, senza sapere chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, perché siamo venuti!» Mi vanto di ignorare tutto questo, senza essere più infelice, rispondeva freddamente lo scettico: non è colpa mia, se ho trovato la mia ragione muta, quando l’ho interrogata sul mio stato. Per tutta la vita ignorerò senza preoccupazione ciò che mi è impossibile sapere. Perché dispiacermi di conoscenze che non ho potuto procurarmi, e che senza dubbio non mi sono molto necessarie, poiché ne sono privo? Preferirei piuttosto, ha detto uno dei primi genî del nostro secolo, affliggermi seriamente per non avere quattro occhi, quattro piedi e due ali.59
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On doit exiger de moi que je cherche la vérité, mais non que je la trouve. Un sophisme ne peut-il pas m’affecter plus vivement qu’une preuve solide ? Je suis nécessité de consentir au faux que je prends pour le vrai, et de rejeter le vrai que je prends pour le faux : mais, qu’ai-je à craindre, si c’est innocemment que je me trompe ? L’on n’est point récompensé dans l’autre monde pour avoir eu de l’esprit dans celui-ci ; y serait-on puni pour en avoir manqué ? damner un homme pour de mauvais raisonnements, c’est oublier qu’il est un sot pour le traiter comme un méchant. | XXX
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Qu’est-ce qu’un sceptique ? C’est un philosophe qui a douté de tout ce qu’il croit, et qui croit ce qu’un usage légitime de sa raison et de ses sens lui a démontré vrai : voulez-vous quelque chose de plus précis ? rendez sincère le pyrrhonien, et vous aurez le sceptique. XXXI
Ce qu’on n’a jamais mis en question n’a point été prouvé. Ce qu’on n’a point examiné sans prévention n’a jamais été bien examiné. Le scepticisme est donc le premier pas vers la vérité. Il doit être général, car il en est la pierre de touche. Si, pour s’assurer de l’existence de Dieu, le philosophe commence par en douter, y a-t-il quelque proposition qui puisse se soustraire à cette épreuve ? XXXII
L’incrédulité est quelquefois le vice d’un sot, et la crédulité le défaut d’un homme d’esprit. L’homme d’esprit voit loin dans l’immensité des possibles ; le sot ne voit guère de possible que ce qui est. C’est là peut-être ce qui rend l’un pusillanime, et l’autre téméraire. XXXIII
On risque autant à croire trop, qu’à croire trop peu. Il n’y a ni plus ni moins de danger à être polythéiste qu’athée ; or, le scepticisme peut seul garantir également, en tout temps et en tout lieu, de ces deux excès opposés. XXXIV
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Un semi-scepticisme est la marque d’un esprit faible : il décèle un raisonneur pusillanime, qui se laisse effrayer par les conséquences ; un superstitieux, qui croit honorer son Dieu par les entraves où il met sa raison ; une espèce d’incrédule, qui craint de se démasquer à lui-même ; car si la vérité n’a rien à perdre à l’examen, comme en est convaincu le semi-sceptique, que pense-t-il au fond de son âme de ces notions privilégiées qu’il appréhende | de sonder, et qui sont placées dans un recoin de sa cervelle, comme dans un sanctuaire dont il n’ose approcher ?
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Si deve esigere da me60 che cerchi la verità, ma non che la trovi. Un sofisma non può colpirmi più vivamente di una prova solida? sono necessitato a consentire al falso che prendo per vero e a respingere il vero che prendo per falso: ma che cos’ho da temere, se mi sbaglio innocentemente? Nell’altro mondo non siamo ricompensati per aver avuto ingegno in questo; vi saremo puniti per averne mancato? Dannare un uomo per dei cattivi ragionamenti, significa dimenticare che è uno sciocco per trattarlo come un malvagio.61 XXX
Che cos’è uno scettico? È un filosofo che ha dubitato di tutto ciò in cui crede, e che crede a ciò che un uso legittimo della sua ragione e dei suoi sensi gli dimostra vero: volete qualcosa di più preciso? Rendete sincero il pirroniano, e avrete lo scettico.62 XXXI
Ciò che non è mai stato messo in dubbio non è stato per niente dimostrato. Quello che non abbiamo esaminato senza prevenzione, non è mai stato esaminato bene. Lo scetticismo è perciò il primo passo verso la verità. Deve essere generale, perché ne costituisce la pietra di paragone. Se per accertarsi dell’esistenza di Dio, il filosofo comincia col dubitarne,63 c’è forse qualche proposizione che possa sottrarsi a questa prova? XXXII
L’incredulità è a volte il difetto di uno sciocco, e la credulità quello di un uomo di spirito. L’uomo d’ingegno vede lontano nell’immensità dei possibili; lo sciocco non vede niente di possibile se non ciò che è. È questo forse ciò che rende l’uno un pusillanime, e l’altro un temerario. XXXIII
Si rischia tanto a credere troppo, quanto a credere troppo poco.64 Non esiste né più né meno pericolo a essere politeista piuttosto che ateo; ora, lo scetticismo soltanto può garantire egualmente, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, da questi due eccessi opposti. XXXIV
Un semi-scetticismo è il segno di uno spirito debole: rivela un cavillatore pusillanime che si lascia spaventare dalle conseguenze; un superstizioso che crede di onorare il suo Dio mettendo in catene la sua ragione; una specie di incredulo che teme di smascherarsi davanti a se stesso; perché se la verità non ha niente da perdere all’esame, come è convinto il semi-scettico, che cosa pensa nel fondo della sua anima di queste nozioni privilegiate che teme di sondare, e che sono poste in un angolo del suo cervello, come in un santuario a cui non osa avvicinarsi?65
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J’entends crier de toute part à l’impiété. Le chrétien est impie en Asie, le musulman en Europe, le papiste à Londres, le calviniste à Paris, le janséniste au haut de la rue S. Jacques, le moliniste au fond du faubourg S. Médard. Qu’est-ce donc qu’un impie ? tout le monde l’est-il, ou personne ? XXXVI
Quand les dévots se déchaînent contre le scepticisme, il me semble qu’ils entendent mal leur intérêt, ou qu’ils se contredisent. S’il est certain qu’un culte vrai, pour être embrassé, et qu’un faux culte, pour être abandonné, n’ont besoin que d’être bien connus, il serait à souhaiter qu’un doute universel se répandît sur la surface de la terre, et que tous les peuples voulussent bien mettre en question la vérité de leurs religions : nos missionnaires trouveraient la bonne moitié de leur besogne faite. XXXVII
Celui qui ne conserve pas par choix, le culte qu’il a reçu par éducation, ne peut non plus se glorifier d’être chrétien ou musulman, que de n’être point né aveugle ou boiteux. C’est un bonheur et non pas un mérite. XXXVIII
Celui qui mourrait pour un culte dont il connaîtrait la fausseté, serait un enragé. Celui qui meurt pour un culte faux, mais qu’il croit vrai ; ou pour un culte vrai, mais dont il n’a pas de preuves, est un fanatique. Le vrai martyr est celui qui meurt pour un culte vrai, et dont la vérité lui est démontrée. | XXXIX
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Le vrai martyr attend la mort. L’enthousiaste y court. XL
Celui qui se trouvant à la Mecque, irait insulter aux cendres de Mahomet, renverser ses autels, et troubler toute une mosquée, se ferait empaler à coup sûr, et ne serait peut-être pas canonisé. Ce zèle n’est plus à la mode. Polieucte ne serait de nos jours qu’un insensé. XLI
Le temps des révélations, des prodiges, et des missions extraordinaires est passé. Le christianisme n’a plus besoin de cet échafaudage. Un homme qui s’aviserait de jouer parmi nous le rôle de Jonas, de courir les rues en criant, « Encore trois jours, et Paris ne sera plus ; Parisiens, faites pénitence, couvrez-vous de sacs et de cendres, ou dans trois jours vous périrez, » serait incontinent saisi, et traîné devant un juge, qui ne manquerait pas de l’envoyer aux Petites-Maisons : il aurait beau dire : « Peuples, Dieu vous
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Sento gridare da tutte le parti all’empietà. Il cristiano è empio in Asia, il musulmano in Europa, il papista a Londra, il calvinista a Parigi, il giansenista sopra rue SaintJacques,66 il molinista in fondo al sobborgo Saint-Médard.67 Allora chi è l’empio? Lo sono tutti, o nessuno? XXXVI
Quando i devoti si scatenano contro lo scetticismo, mi sembra che dimostrino di comprendere male il loro interesse, o che si contraddicano. Se è certo che per abbracciare un vero culto e abbandonarne uno falso, c’è bisogno di conoscerli molto bene, c’è da augurarsi che un dubbio universale si diffonda sulla superficie della Terra, e che tutti i popoli volessero mettere in questione la verità delle loro religioni: i nostri missionari troverebbero la buona metà del loro lavoro fatto. XXXVII
Chi non mantiene per scelta il culto che ha ricevuto per educazione, non può gloriarsi di essere cristiano o musulmano, più che di non essere nato cieco o zoppo. È una fortuna, non un merito.68 XXXVIII
Chi morisse per un culto che considera falso, sarebbe un arrabbiato. Chi muore per un culto falso, ma che crede vero; o per un culto vero, ma di cui non ha alcuna prova, è un fanatico. Il vero martire è chi muore per un culto vero e di cui gli è stata dimostrata la verità. XXXIX
Il vero martire attende la morte. L’entusiasta le corre incontro. XL
Chi, trovandosi alla Mecca, andasse a insultare le ceneri di Maometto,69 rovesciare i suoi altari e disturbare un’intera moschea, si farebbe impalare a colpo sicuro, e forse non sarebbe canonizzato. Questo zelo non è più alla moda. Poliuto70 sarebbe ai nostri giorni solo un insensato. XLI
Il tempo delle rivelazioni,71 dei prodigi e delle missioni straordinarie è passato. Il cristianesimo non ha più bisogno di quest’impalcatura. Un uomo che si azzardasse a sostenere tra noi il ruolo di Giona, correndo per le strade e gridando: «Ancora tre giorni e Parigi non ci sarà più; Parigini, fate penitenza, copritevi di un sacco e di cenere, altrimenti entro tre giorni morirete», sarebbe preso seduta stante e trascinato davanti a un giudice che non mancherebbe di inviarlo alle Petites-Maisons:72 avrebbe un bel dire: «Popolo, Dio ti ama meno degli abitanti di Ninive? Voi siete forse meno colpevoli di
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aime-t-il moins que le Ninivite ? êtes-vous moins coupables que lui ? » On ne s’amuserait point à lui répondre, et pour le traiter en visionnaire, on n’attendrait pas le terme de sa prédiction. Élie peut revenir de l’autre monde quand il voudra ; les hommes sont tels, qu’il fera de grands miracles, s’il est bien accueilli dans celui-ci. | XLII
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Lorsqu’on annonce au peuple un dogme qui contredit la religion dominante, ou quelque fait contraire à la tranquillité publique ; justifiât-on sa mission par des miracles, le gouvernement a droit de sévir, et le peuple de s’écrier, crucifige. Quel danger n’y aurait-il pas à abandonner les esprits aux séductions d’un imposteur ou aux rêveries d’un visionnaire ? Si le sang de Jésus-Christ a crié vengeance contre les juifs, c’est qu’en le répandant, ils fermeraient l’oreille à la voix de Moyse et des prophètes, qui le déclaraient le Messie. Un ange vînt-il à descendre des cieux, appuyât-il ses raisonnements par des miracles ; s’il prêche contre la loi de Jésus-Christ, Paul veut qu’on lui dise anathème. Ce n’est donc pas par les miracles qu’il faut juger de la mission d’un homme : mais c’est par la conformité de sa doctrine avec celle du peuple auquel il se dit envoyé, surtout lorsque la doctrine de ce peuple est démontrée vraie. XLIII
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Toute innovation est à craindre dans un gouvernement. La plus sainte et la plus douce des religions, le christianisme même ne s’est pas affermi sans causer quelques troubles. Les premiers enfants de l’Église sont sortis plus d’une fois de la modération et de la patience qui leur étaient prescrites. Qu’il me soit permis de rapporter ici quelques fragments d’un édit de l’empereur Julien, ils caractériseront à merveille le génie de ce prince philosophe, et l’humeur des zélés de son temps. J’avais imaginé, dit Julien, que les chefs des Galiléens sentiraient combien mes procédés sont différents de ceux de mon prédécesseur, et qu’ils m’en sauraient quelque gré : ils ont souffert sous son règne, l’exil et les prisons ; et l’on a passé au fil de l’épée une multitude de ceux qu’ils appellent entre eux hérétiques... Sous le mien, on a rappelé les exilés, élargi | les prisonniers, et rétabli les proscrits dans la possession de leurs biens. Mais telle est l’inquiétude et la fureur de cette espèce d’hommes, que depuis qu’ils ont perdu le privilège de se dévorer les uns les autres, de tourmenter et ceux qui sont attachés à leurs dogmes, et ceux qui suivent la religion autorisée par les lois, ils n’épargnent aucun moyen, ne laissent échapper aucune occasion d’exciter des révoltes, gens sans égard pour la vraie piété, et sans respect pour nos constitutions... Toutefois nous n’entendons pas qu’on les traîne au pied de nos autels et qu’on leur fasse violence... Quant au menu peuple, il paraît que ce sont ses chefs qui fomentent en lui l’esprit de sédition, furieux qu’ils sont des bornes que nous avons mises à leurs pouvoirs : car nous les avons bannis de nos tribunaux, et ils n’ont plus la commodité de disposer des testaments, de supplanter les héritiers légitimes, et de s’emparer des successions... C’est pourquoi nous défendons à ce peuple de s’assembler en tumulte et de cabaler chez ses prêtres séditieux... Que cet édit fasse la sûreté de nos magistrats que les mutins ont insultés plus d’une fois, et mis en danger d’être lapidés... Qu’ils se rendent paisiblement chez leurs chefs, qu’ils y prient, qu’ils s’y instruisent, et qu’ils y satisfassent au culte qu’ils en ont reçu ; nous le leur permettons : mais qu’ils renoncent à tout des-
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loro?». Non perderemmo nemmeno tempo a rispondergli, trattandolo da visionario,73 senza neanche aspettare il termine della sua predizione. Elia può ritornare dall’altro mondo in qualunque momento; gli uomini sono tali, che farà grandi miracoli, se sarà ben accolto in questo mondo.74 XLII
Quando si annuncia al popolo un dogma che contraddice la religione dominante, o qualche fatto contrario alla tranquillità pubblica, anche giustificando la propria missione con dei miracoli, il governo ha diritto di prendere severi provvedimenti, il popolo di gridare, crucifige. Non sarebbe un pericolo abbandonare gli spiriti alle seduzioni di un impostore o alle fantasticherie di un visionario? Se il sangue di Gesù Cristo ha gridato vendetta contro gli Ebrei, è perché spargendolo essi chiusero l’orecchio alla voce di Mosè e dei profeti che lo dichiararono il Messia. Secondo Paolo, se un angelo scendesse dal cielo, sostenendo i suoi ragionamenti con dei miracoli, predicando contro la legge di Gesù Cristo, bisognerebbe lanciargli l’anatema. Non è dunque dai miracoli che bisogna giudicare la missione di un uomo: ma dalla conformità della sua dottrina con quella del popolo al quale egli si dice inviato, soprattutto quando la tradizione di questo popolo si è dimostrata vera. XLIII
I governi devono temere ogni innovazione. La più santa e la più dolce delle religioni, il cristianesimo stesso, non si è imposto senza causare qualche turbamento. I primi figli della Chiesa si sono allontanati più di una volta dalla moderazione e dalla pazienza che erano loro prescritte. Mi sia permesso di riportare qui qualche frammento di un editto dell’imperatore Giuliano,75 che caratterizza a meraviglia il genio di questo principe filosofo, e l’umore degli zelatori76 del suo tempo. Immaginavo, dice Giuliano, che i capi dei Galilei77 percepissero come i miei modi di procedere sono differenti da quelli del mio predecessore, e che me ne sarebbero stati in qualche modo grati: essi hanno sofferto sotto il suo regno l’esilio e la prigione; ed è stato passato a fil di spada quelli tra loro che essi chiamano eretici...78 Sotto il mio, abbiamo richiamato gli esuli, scarcerato i prigionieri, e i proscritti sono rientrati in possesso dei loro beni. Ma tale è l’inquietudine e il furore di questa specie di uomini, che da quando hanno perso il privilegio di divorarsi gli uni gli altri, di tormentare sia quelli che si sono attaccati ai loro dogmi, sia quelli che seguono una religione autorizzata dalle leggi, essi non risparmiano alcun mezzo, non lasciano sfuggire alcuna occasione di sollevare delle rivolte, gente senza riguardo per la vera pietà, e senza rispetto per le nostre costituzioni... Quanto al popolino, sembrerebbe che siano i suoi capi a fomentare in esso lo spirito di sedizione, furiosi come sono per i limiti che abbiamo imposto ai loro poteri: perché noi li abbiamo banditi dai nostri tribunali ed essi non hanno più la possibilità di disporre dei testamenti, di rimpiazzare gli eredi legittimi e di impadronirsi delle eredità... È per questo che noi vietiamo a questo popolo di riunirsi in tumulti e di complottare con i loro preti sediziosi... Che questo editto garantisca la sicurezza dei nostri magistrati, insultati più volte dai rivoltosi e che hanno rischiato di essere lapidati... che si rechino pacificamente presso i loro capi, che li preghino, che si facciano istruire, e che si facciano soddisfare dal culto che ne hanno ricevuto; noi lo permettiamo loro: ma che rinuncino a tutti questi propositi faziosi... Se queste assemblee sono
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sein factieux... Si ces assemblées sont pour eux une occasion de révolte, ce sera à leurs risques et fortunes ; je les en avertis... Peuples incrédules, vivez en paix... Et vous qui êtes demeurés fidèles à la religion de votre pays et aux dieux de vos pères, ne persécutez point des voisins, des concitoyens, dont l’ignorance est encore plus à plaindre que la méchanceté n’est à blâmer... C’est par la raison et non par la violence qu’il faut ramener les hommes à la vérité. Nous vous enjoignons donc à vous tous, nos fidèles sujets, de laisser en repos les Galiléens. Tels étaient les sentiments de ce prince, à qui l’on peut reprocher le paganisme, mais non l’apostasie : il passa les premières années de sa vie sous différents maîtres, et dans différentes écoles, et fit, dans un âge plus avancé, un choix infortuné : il se décida malheureusement pour le culte de ses aïeux et les dieux de son pays. | XLIV
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Une chose qui m’étonne, c’est que les ouvrages de ce savant empereur soient parvenus jusqu’à nous. Ils contiennent des traits qui ne nuisent point à la vérité du christianisme ; mais qui sont assez désavantageux à quelques chrétiens de son temps, pour qu’ils se sentissent de l’attention singulière que les Pères de l’Église ont eue de supprimer les ouvrages de leurs ennemis. C’est apparemment de ses prédécesseurs que saint Grégoire le Grand avait hérité du zèle barbare qui l’anima contre les lettres et les arts. S’il n’eût tenu qu’à ce pontife, nous serions dans le cas des mahométans, qui en sont réduits pour toute lecture à celle de leur Alcoran. Car, quel eût été le sort des anciens écrivains, entre les mains d’un homme qui solécisait par principe de religion ; qui s’imaginait qu’observer les règles de la grammaire, c’était soumettre Jésus-Christ à Donat, et qui se crut obligé en conscience de combler les ruines de l’Antiquité. XLV
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Cependant, la divinité des Écritures n’est point un caractère si clairement empreint en elles, que l’autorité des historiens sacrés soit absolument indépendante du témoignage des auteurs profanes. Où en serions-nous, s’il fallait reconnaître le doigt de Dieu dans la forme de notre Bible ? Combien la version latine n’est-elle pas misérable ? Les originaux mêmes ne sont pas des chefs-d’œuvre de composition. Les prophètes, les apôtres et les évangélistes ont écrit comme ils y entendaient. S’il nous était permis de regarder l’histoire du peuple hébreu comme une simple production de l’esprit humain, Moyse et ses continuateurs ne l’emporteraient pas sur Tite- | Live, Salluste, César et Josèph, tous gens qu’on ne soupçonne pas assurément d’avoir écrit par inspiration. Ne préfère-t-on pas même le jésuite Berruyer à Moyse ? On conserve dans nos églises des tableaux qu’on nous assure avoir été peints par des anges et par la Divinité même : si ces morceaux étaient sortis de la main de le Sueur ou de le Brun, que pourrais-je opposer à cette tradition immémoriale ? Rien du tout, peut-être. Mais quand j’observe ces célestes ouvrages, et que je vois à chaque pas les règles de la peinture violées dans le dessin et dans l’exécution, le vrai de l’art abandonné partout, ne pouvant supposer que l’ouvrier était un ignorant, il faut bien que j’accuse la tradition d’être fabuleuse. Quelle application ne ferais-je point de ces tableaux aux saintes Écritures, si je ne savais combien il importe peu que ce qu’elles contiennent soit bien ou mal dit ? Les prophètes se sont piqués de dire vrai, et non pas de bien dire. Les apôtres sont-ils morts pour autre chose que pour la vérité de ce qu’ils ont dit ou écrit ? Or pour en revenir au point que
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per essi un’occasione di rivolta, sarà a loro rischio e pericolo; li avverto... Popolo incredulo, vivi in pace... E voi che siete rimasti fedeli alla religione del vostro paese e agli dèi dei vostri padri, non perseguitate i vicini, i concittadini, la cui ignoranza è ancora più da compiangere di quanto la cattiveria non sia da condannare... È per mezzo della ragione e non della violenza che bisogna condurre gli uomini alla verità. Noi ingiungiamo dunque a tutti i nostri fedeli sudditi di lasciare in pace i Galilei. Tali erano i sentimenti di questo principe, a cui possiamo rimproverare il paganesimo, ma non l’apostasia: passò i primi anni della sua vita, sotto differenti maestri e in diverse scuole, e fece in età più avanzata una scelta sventurata: purtroppo scelse il culto dei suoi avi e degli dei del suo paese. XLIV
Quel che mi stupisce, è che le opere di questo imperatore sapiente siano pervenute fino a noi. Contengono dei passaggi che non danneggiano punto la verità del cristianesimo; ma sono molto svantaggiosi per alcuni cristiani del suo tempo, da far avvertire loro che l’attenzione singolare che i Padri della Chiesa hanno avuto nel sopprimere le opere dei loro nemici. È apparentemente da questi predecessori che san Gregorio Magno79 avesse ereditato lo zelo barbaro che lo animò contro le lettere e le arti. Se ci si fosse attenuti solamente a questo pontefice, noi ci troveremmo nella condizione dei maomettani che hanno come unica lettura quella del Corano. In verità quale sarebbe stata la sorte degli antichi scrittori, tra le mani di un uomo che solecizzava80 in base al principio religioso; che s’immaginava che seguire le regole della grammatica, significasse sottomettere Gesù Cristo a Donato,81 e che si credeva obbligato in coscienza a ricoprire le rovine dell’Antichità? XLV
Tuttavia la divinità delle Scritture non è un carattere così chiaramente impresso in esse, tale che l’autorità delle storie sacre sia assolutamente indipendente dalla testimonianza degli autori profani. Dove saremmo noi, se bisognasse riconoscere la mano di Dio nella forma della nostra Bibbia? Non è forse misera la versione latina?82 Gli originali stessi non sono dei capolavori di composizione. I profeti, gli apostoli e gli evangelisti hanno scritto, come sapevano. Se ci fosse permesso di guardare la storia del popolo ebraico come una semplice produzione dello spirito umano, Mosè e i suoi prosecutori non varrebbero su Tito Livio, Sallustio, Cesare e Giuseppe Flavio,83 tutte persone che non supponiamo di certo aver scritto per ispirazione. Non preferiamo lo stesso il gesuita Berruyer84 a Mosè? Conserviamo nelle nostre chiese dei dipinti che ci assicurano di essere stati realizzati dagli angeli e dalla Divinità stessa: se questi pezzi fossero usciti dalla mano di Le Sueur o di Le Brun,85 che cosa potrei opporre a questa tradizione immemorabile? Niente di niente, forse. Ma quando osservo queste opere celesti e vedo continuamente le regole della pittura violate nel disegno e nell’esecuzione; la verità dell’arte abbandonata ovunque, non potendo supporre che il creatore fosse un ignorante, bisognerà allora che accusi la tradizione di essere favolosa. Quale applicazione farei di queste tavole alle Sacre Scritture, se non sapessi quanto poco importa che quello che contengono sia bene o male detto. I profeti si sono piccati di dire il vero e non di dirlo bene. Gli apostoli sono morti solo per la verità che hanno detto o scritto? Ora per ritornare al punto che sto trattando, di conseguenza, non si dovevano con-
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je traite, de quelle conséquence n’était-il pas de conserver des auteurs profanes qui ne pouvaient manquer de s’accorder avec les auteurs sacrés, au moins sur l’existence et les miracles de Jésus-Christ, sur les qualités et le caractère de Ponce-Pilate, et sur les actions et le martyre des premiers chrétiens. XLVI
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Un peuple entier, me direz-vous, est témoin de ce fait ; oserez-vous le nier ? oui, j’oserai, tant qu’il ne me sera pas confirmé par l’autorité de quelqu’un qui ne soit pas de votre parti, et que j’ignorerai que ce quelqu’un était incapable de fanatisme et de séduction. Il y a plus. Qu’un auteur | d’une impartialité avouée me raconte qu’un gouffre s’est ouvert au milieu d’une ville ; que les dieux consultés sur cet événement ont répondu qu’il se refermera si l’on y jette ce que l’on possède de plus précieux ; qu’un brave chevalier s’y est précipité, et que l’oracle s’est accompli ; je le croirai beaucoup moins que s’il eût dit simplement qu’un gouffre s’étant ouvert, on employa un temps et des travaux considérables pour le combler. Moins un fait a de vraisemblance, plus le témoignage de l’histoire perd de son poids. Je croirais sans peine un seul honnête homme qui m’annoncerait que Sa Majesté vient de remporter une victoire complète sur les alliés ; mais tout Paris m’assurerait qu’un mort vient de ressusciter à Passy, que je n’en croirais rien. Qu’un historien nous en impose, ou que tout un peuple se trompe ; ce ne sont pas des prodiges. XLVII
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Tarquin projette d’ajouter de nouveaux corps de cavalerie à ceux que Romulus avait formés. Un augure lui soutient que toute innovation dans cette milice est sacrilège, si les dieux ne l’ont autorisée. Choqué de la liberté de ce prêtre, et résolu de le confondre et de décrier en sa personne un art qui croisait son autorité, Tarquin le fait appeler sur la place publique, et lui dit, « Devin, ce que je pense est-il possible ? Si ta science est telle que tu la vantes, elle te met en état de répondre. » L’augure ne se déconcerte point, consulte les oiseaux et répond. « Oui, prince, ce que tu penses se peut faire. » Lors, Tarquin tirant un rasoir de dessous sa robe, et prenant à la main un caillou : « Approche, dit-il au devin, coupe-moi ce caillou avec ce rasoir ; car j’ai pensé que cela se pouvait. » Navius, c’est le nom de l’augure, se tourne vers le peuple, et dit avec assurance, « Qu’on applique le rasoir au caillou, et qu’on me traîne au supplice, s’il n’est divisé sur-le-champ. » L’on vit en effet contre toute attente la dureté du caillou céder au tranchant du rasoir : ses parties se séparent si promptement, que le rasoir | porte sur la main de Tarquin, et en tire du sang. Le peuple étonné fait des acclamations ; Tarquin renonce à ses projets, et se déclare protecteur des augures ; on enferme sous un autel le rasoir et les fragments du caillou. On élève une statue au devin : cette statue subsistait encore sous le règne d’Auguste, et l’Antiquité profane et sacrée nous atteste la vérité de ce fait, dans les écrits de Lactance, de Denis d’Halicarnasse, et de saint Augustin. Vous avez entendu l’histoire ; écoutez la superstition. « Que répondez-vous à cela ? il faut, dit le superstitieux Quintus à Cicéron son frère, il faut se précipiter dans un monstrueux pyrrhonisme, traiter les peuples et les historiens de stupides, et brûler les annales, ou convenir de ce fait. Nierez-vous tout, plutôt que d’avouer que les dieux se mêlent de nos affaires ? »
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servare gli autori profani che non potevano mancare di accordarsi con gli autori sacri, almeno sull’esistenza e i miracoli di Gesù Cristo, sulle qualità e il carattere di Ponzio Pilato, e sulle azioni e il martirio dei primi cristiani? XLVI
Un popolo intero, mi direte, è testimone di questo fatto; oserete negarlo voi? Sì, oserò, fintanto che non mi sarà confermato dall’autorità di qualcuno che non sia del vostro partito, e che ignorerò che costui non era un fanatico e non era influenzabile. C’è di più. Se un autore di completa imparzialità, mi racconta che un abisso si è aperto nel mezzo di una città; che gli dei consultati su quest’argomento hanno detto che si richiuderà, se noi vi gettiamo ciò che possediamo di più prezioso; che un cavaliere coraggioso vi si è precipitato, e che l’oracolo si è compiuto; lo crederò molto meno che se avesse detto semplicemente che, essendosi aperto un baratro, si impiegò tempo e lavori considerevoli per colmarlo. Meno un fatto è verosimile, più la testimonianza della storia perde i suoi fondamenti. Crederei senza pena a un solo uomo onesto che mi annunciasse che Sua Maestà ha riportato una vittoria completa sugli alleati;86 ma anche se tutta Parigi mi assicurasse che un morto è risuscitato a Passy, non ci crederei per niente. Che uno storico ci inganni o che un intero popolo si sbagli, non sono fatti prodigiosi. XLVII
Tarquinio progetta di aggiungere dei nuovi corpi di cavalleria a quelli che Romolo aveva formato. Un augure sostiene che ogni innovazione di questa milizia è sacrilega se gli dei non l’hanno autorizzata. Indispettito dalla libertà di questo sacerdote, e risoluto a confonderlo e screditare nella sua persona un’arte che si poneva ostacoli alla sua autorità, Tarquinio lo fece chiamare sulla piazza pubblica, e gli chiese: «Indovino, quello che penso in questo momento è possibile? Se la tua scienza è quella che pretendi, dovresti essere nella condizione di rispondere». L’augure non si sconcertò affatto, consultò gli uccelli e rispose: «Sì Principe, quello che tu pensi, si può fare». Allora Tarquinio estraendo un rasoio da sotto la sua veste e prendendo in mano un sasso: «Avvicinati, disse, all’indovino; taglia questo sasso con questo rasoio; perché ho pensato che ciò si potesse fare». Navius – l’augure si chiamava così – si voltò verso il popolo e disse con sicurezza: «Che si applichi il rasoio al sasso, e che mi si conduca al supplizio, se esso non si divide seduta stante». Si vide in effetti, contro ogni attesa, la durezza del sasso cedere al taglio del rasoio: le sue parti si separarono così velocemente, che il rasoio toccò la mano di Tarquinio facendone uscire qualche goccia di sangue. Il popolo meravigliato acclamò il sacerdote; Tarquinio rinunciò ai suoi progetti e si dichiarò protettore degli auguri; il rasoio e i frammenti del sasso furono racchiusi sotto un altare. Si elevò una statua all’indovino: questa sussistette ancora sotto il regno di Augusto, e l’Antichità profana e sacra ci attesta la verità di questi fatti negli scritti di Lattanzio, Dionigi di Alicarnasso, e di sant’Agostino. Voi avete sentito la storia: ascoltate ora la superstizione. «Che cosa rispondete a questo?», risponde il superstizioso Quinto al fratello Cicerone, «Bisogna cadere in un mostruoso pirronismo, trattare i popoli e gli storici da stupidi e bruciare gli annali, o riconoscere con questo fatto. Negheresti tutto, piuttosto che confessare che gli dei si mescolano ai nostri affari?» 87
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Hoc ego philosophi non arbitror testibus uti, qui aut casu veri aut malitiâ falsi, fictique esse possunt. Argunentis et rationibus oportet, quare quidque ita sit, docere, non eventis, iis præsertim quibus mihi non liceat credere... Omitte igitur lituum Romuli, quem in maximo incendio negas potuisse comburi ? Contemne cotem Accii Navii ? Nihil debet esse in philosophiâ commentitiis fabellis loci. Illud erat philosophi, totius augurii primum naturam ipsam videre, deinde inventionem, deinde constantiam... Habent Etrusci exaratum puerum auctorem disciplinæ suæ. Nos quem ? [Acciumne Navium] ? Placet igitur humanitatis expertes habere Divinitatis autores. Mais c’est la croyance des rois, des peuples, des nations et du monde. Quasi verè quidquam sit tam valdè, quam nihil sapere vulgare ? Aut quasi tibi ipsi in judicando placeat multitudo. Voilà la réponse du philosophe. Qu’on me cite un seul prodige auquel elle ne soit pas applicable. Les Pères de l’Église, qui voyaient sans doute de grands inconvénients à se servir des principes de Ciceron, ont mieux aimé convenir de l’aventure de Tarquin et attribuer l’art de Navius au Diable. C’est une belle machine que le Diable ! | XLVIII
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Tous les peuples ont de ces faits, à qui, pour être merveilleux, il ne manque que d’être vrais ; avec lesquels on démontre tout, mais qu’on ne prouve point ; qu’on n’ose nier sans être impie, et qu’on ne peut croire sans être imbécile. XLIX
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Romulus, frappé de la foudre, ou massacré par les sénateurs disparaît d’entre les Romains. Le peuple et le soldat en murmurent. Les ordres de l’État se soulèvent les uns contre les autres, et Rome naissante, divisée au dedans, et environnée d’ennemis au dehors, était au bord du précipice. Lorsqu’un certain Proculeius s’avance gravement et dit : « Romains, ce prince, que vous regrettez, n’est point mort ; il est monté aux cieux, où il est assis à la droite de Jupiter. Va, m’a-t-il dit, calme tes concitoyens ; annonce-leur que Romulus est entre les dieux ; assure-les de ma protection ; qu’ils sachent que les forces de leurs ennemis ne prévaudront jamais contre eux ; le destin veut qu’ils soient un jour les maîtres du monde : qu’ils en fassent seulement passer la prédiction d’âge en âge à leur postérité la plus reculée. » Il est des conjonctures favorables à l’imposture ; et si l’on examine quel était alors l’état des affaires de Rome, on conviendra que Proculeius était homme de tête, et qu’il avait su prendre son temps. Il introduisit dans les esprits un préjugé qui ne fut pas inutile à la grandeur future de sa patrie... Mirum est quantùm illi viro, hæc nuntianti, fidei fuerit ; quamque desiderium Romuli apud plebem, facta fide immortalitatis, lenitum sit. Famam hanc admiratio viri et pavor præsens nobilitavit ; factoque à paucis initio, Deum, Deo natum salvere universi Romulum jubent. C’est-à-dire, que le peuple crut à cette apparition ; que les sénateurs firent semblant d’y croire, et que Romulus eut des autels. Mais les choses n’en demeurèrent pas là. Bientôt ce ne fut point un simple particulier à qui Romulus s’était apparu. Il s’était montré à plus de mille personnes en un jour. Il n’avait point été frappé de la foudre ; les sénateurs ne s’en étaient point défaits à la faveur d’un temps orageux : mais | il s’était élevé dans les airs au milieu des éclairs et au bruit du tonnerre, à la vue de tout un peuple ; et cette aventure se calfeutra, avec le temps, d’un si grand nombre de pièces, que les esprits forts du siècle suivant devaient en être fort embarrassés.
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Hoc ego philosophi non arbitror testibus uti, qui aut casu veri aut malitia falsi, fictique esse possunt. Argumentis et rationibus oportet, quare quidque ita sit, docere, non eventis, iis praesertim quibus mihis non liceat credere... 88 Omitte igitur lituum Romuli, quem in maximo incendio negas potuisse comburi? Contemne cotem Accii Navii? Nihil debet esse in philosophia commentitiis fabellis loci. Illud erat philosophi, totius auguriis primum naturam ipsa videre, deinde inventionem, deinde constantiam... 89 Habent Etrusci exaratum puerum autorem disciplinae suae. Nos quem ? Acciumne Navium ? Placet igitur hmanitatis expertes habere Divinitatis autores.90 Ma è la credenza dei re, dei popoli, delle nazioni e del mondo. Quasi vere quidquam sit tam valde, quam nihil sapere vulgare? Aut quasi tibi ipsi in judicando placeat moltitudo. Ecco la risposta del filosofo.91 Citatemi un solo prodigio al quale la stessa risposta non sia applicabile. I Padri della Chiesa che vedono senza dubbio dei grandi inconvenienti a servirsi dei principi di Cicerone, hanno preferito concordare con l’episodio di Tarquinio e attribuire l’arte di Navius al Diavolo. È un bel meccanismo il Diavolo! XLVIII
A tutti i popoli appartengono fatti simili, a cui, per essere meravigliosi, manca solo di essere veri; con i quali si dimostra tutto, ma non si prova nulla; che non si osa negare per non essere empi, e che non si possono credere senza essere degli imbecilli. XLIX
Romolo colpito dal fulmine o massacrato dai senatori, scomparve dai Romani. Il popolo e i soldati ne mormorarono. Le gerarchie dello Stato si sollevarono le une contro le altre, e Roma nascente, divisa al suo interno e circondata da nemici al di fuori, era sull’orlo del precipizio. Quando un certo Proculeio disse gravemente: «Romani, questo principe che voi rimpiangete non è affatto morto: è salito ai cieli, dove sta seduto alla destra di Giove. Va’, mi ha detto, calma i tuoi concittadini; annuncia loro che Romolo è tra gli dei; assicura loro la mia protezione: che sappiano che le forze dei loro nemici non prevarranno mai contro di loro; il destino vuole che siano un giorno i maestri del mondo: che tramandino la profezia di epoca in epoca fino alla loro posterità più lontana». Ci sono delle congiunture favorevoli all’impostura, e se esaminiamo quale fosse allora lo stato in cui si trovava Roma, converremo che Proculeio era un uomo acuto, che aveva saputo cogliere il momento. Egli introdusse negli animi un pregiudizio che non si rivelò inutile alla grandezza futura della sua patria...92 Mirum est quantum illi viro, haec nuntianti, fidei fuerit; quamque desiderium Romuli apud plebem, facta fide immortalitatis, lenitum sit. Famam hanc admiratio viri et pavor praesens nobilitavit; factoque a paucis initio, Deum, Deo natum, salvere universi Romulum jubent.93 Vale a dire che il popolo credette a quest’apparizione; che i senatori fecero finta di crederci e che Romolo avesse degli altari. Tuttavia le cose non finirono là. Presto Romolo apparve in molti luoghi. Si era mostrato a più di mille persone in un giorno. Non era stato colpito da un fulmine; i senatori non se ne erano liberati con il favore di della tempesta: ma si era levato in aria in mezzo ai lampi e al borbottio dei tuoni, di fronte agli occhi di un intero popolo; e quest’episodio si calafatò94 con il tempo di tanti dettagli, che gli spiriti forti del secolo seguente dovettero esserne molto imbarazzati.
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Une seule démonstration me frappe plus que cinquante faits. Grâce à l’extrême confiance que j’ai en ma raison, ma foi n’est point à la merci du premier saltimbanque. Pontife de Mahomet, redresse des boiteux ; fais parler des muets ; rends la vue aux aveugles ; guéris des paralytiques ; ressuscite des morts ; restitue même aux estropiés les membres qui leur manquent, miracle qu’on n’a point encore tenté : et à ton grand étonnement ma foi n’en sera point ébranlée. Veux-tu que je devienne ton prosélyte ; laisse tous ces prestiges, et raisonnons. Je suis plus sûr de mon jugement que de mes yeux. Si la religion que tu m’annonces est vraie, sa vérité peut être mise en évidence et se démontrer par des raisons invincibles. Trouve-les, ces raisons. Pourquoi me harceler par des prodiges, quand tu n’as besoin, pour me terrasser, que d’un syllogisme ? Quoi donc, te serait-il plus facile de redresser un boiteux que de m’éclairer ? LI
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Un homme est étendu sur la terre, sans sentiment, sans voix, sans chaleur, sans mouvement. On le tourne, on le retourne, on l’agite, le feu lui est appliqué, rien ne l’émeut : le fer chaud n’en peut arracher un symptôme de vie ; on le croit mort : l’estil ? non. C’est le pendant du prêtre de | Calame. « Qui quando ei placebat, ad imitatas quasi lamentantis hominis voces, ita se auferebat a sensibus et jacebat simillimus mortuo, ut non solùm vellicantes at que pungentes minime sentiret, sed aliquando etiam igne uretur admoto, sine ullo doloris sensu, nisi post modum ex vulnere ». S. Aug. Cit. de Dieu, Liv. 14. Ch. 24. Si certaines gens avaient rencontré, de nos jours, un pareil sujet ; ils en auraient tiré bon parti. On nous aurait fait voir un cadavre se ranimer sur la cendre d’un prédestiné ; le recueil du magistrat janséniste se serait enflé d’une résurrection ; et le constitutionnaire se tiendrait peut-être confondu. LII
Il faut avouer, dit le logicien de Port-Royal, que saint Augustin a eu raison de soutenir avec Platon, que le jugement de la vérité et la règle pour discerner n’appartiennent pas aux sens ; mais à l’esprit : non est veritatis judicium in sensibus. Et même que cette certitude que l’on peut tirer des sens ne s’étend pas bien loin, et qu’il y a plusieurs choses que l’on croit savoir par leur entremise, et dont on n’a point une pleine assurance. Lors donc que le témoignage des sens contredit ou ne contrebalance point l’autorité de la raison ; il n’y a pas à opter : en bonne logique, c’est à la raison qu’il faut s’en tenir. | LIII
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Un faubourg retentit d’acclamations : la cendre d’un prédestiné y fait, en un jour plus de prodiges que Jésus-Christ n’en fit en toute sa vie. On y court ; on s’y porte ; j’y suis la foule. J’arrive à peine que j’entends crier, Miracle ! miracle ! J’approche, je regarde, et je vois un petit boiteux qui se promène à l’aide de trois ou quatre personnes charitables qui le soutiennent ; et le peuple qui s’en émerveille, de répéter, Miracle ! miracle ! Où donc est le miracle, peuple imbécile ? Ne vois-tu pas que ce fourbe n’a fait que changer de béquilles ? Il en était, dans cette occasion, des miracles, comme il en est toujours des esprits. Je jurerais bien que tous ceux qui ont vu des esprits les craignaient d’avance, et que tous ceux qui voyaient là des miracles, étaient bien résolus d’en voir.
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Una sola dimostrazione mi colpisce più di cinquanta fatti.95 Grazie all’estrema fiducia che ho nella mia ragione, la mia fede non è affatto alla mercé del primo saltimbanco. Pontefice di Maometto, raddrizza gli zoppi; ridà la parola ai muti; restituisci la vista ai ciechi; guarisci i paralitici; risuscita i morti; restituisci anche le membra che mancano ai mutilati, miracolo che non si è ancora: e con tuo grande stupore, la mia fede non sarà per nulla scossa. Vuoi che divenga un tuo discepolo; lascia tutti questi giochi di prestigio, e ragioniamo. Sono più certo del mio giudizio che dei miei occhi. Se la religione che mi annunci è vera; la sua verità può essere messa in evidenza e dimostrarsi con delle ragioni inconfutabili. Trova queste ragioni. Perché assillarmi con dei prodigi, quando per sbaragliarmi non hai bisogno che di un sillogismo. Come allora, ti sarebbe più facile raddrizzare uno zoppo che illuminarmi?96 LI
Un uomo è steso per terra senza coscienza, senza voce, freddo, immobile. Lo voltano, e lo rigirano, viene scrollato, gli viene avvicinato il fuoco, niente lo scuote: un ferro caldo non può strappargli un sintomo di vita; lo si crede morto: lo è? no. Assomiglia al sacerdote di Calamo.97 «Qui quando ei placebat, ad imitatas lamentantis hominis voces, ita se auferebat a sensibus et jacebat simillimus mortuo, ut non solum vellicantes atque pungentes minime sentiret, sed aliquando etiam igne ureretur admoto, sine ullo doloris sensu, nisi postmodum ex vulnere.» Sant’Agostino, Città di Dio, Libro 14, capitolo 24.98 Se certe persone avessero incontrato ai nostri giorni un soggetto simile, ne avrebbero tratto un bel vantaggio. Ci avrebbero fatto vedere un cadavere che si rianima sulla cenere di un predestinato; la collezione del magistrato giansenista99 si sarebbe arricchita di una resurrezione; e i costituzionali100 sarebbero rimasti confusi. LII
Bisogna ammettere, dice il logico di Port-Royal,101 che sant’Agostino aveva ragione a sostenere, con Platone, che il giudizio sulla verità e la regola per discernere non dipendono dai sensi; ma dallo spirito: non est veritatis judicium in sensibus.102 E anche che questa certezza che possiamo trarre dai sensi non è molto estesa e che ci sono molte cose che crediamo di sapere per mezzo di essi, e di cui non abbiamo per niente una piena certezza. Dunque che la testimonianza dei sensi contraddica, o non controbilanci l’autorità della ragione, non c’è da scegliere: secondo la buona logica bisogna attenersi alla ragione.103 LIII
Un sobborgo risuona di acclamazioni: la cenere di un predestinato vi opera in un giorno, più prodigi di Gesù Cristo in tutta la sua vita. Si corre lì; ci si precipita; io sono nella folla. Appena arrivato sento gridare: Miracolo! Miracolo! Mi avvicino, guardo e vedo un piccolo zoppo105 che cammina con l’aiuto di tre o quattro persone caritatevoli che lo sostengono, e il popolo che ne è meravigliato, ripete, Miracolo! Miracolo! Dov’è dunque il miracolo, popolo imbecille? Non vedi che questo farabutto non ha fatto che cambiare stampelle? Ce n’erano in quest’occasione di miracoli, come ci sono tutti i giorni degli spiriti. Giurerei di certo che tutti quelli che hanno visto degli spiriti li temono già da prima, e che tutti quelli che vedevano là dei miracoli, erano ben risoluti a vederne. 104
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LIV
Nous avons toutefois, de ces miracles prétendus, un vaste recueil qui peut braver l’incrédulité la plus déterminée. L’auteur est un sénateur, un homme grave qui faisait profession d’un matérialisme assez mal entendu à la vérité ; mais qui n’attendait pas sa fortune de sa conversion : témoin oculaire des faits qu’il raconte, et dont il a pu juger sans prévention et sans intérêt, son témoignage est accompagné de mille autres. Tous disent qu’ils ont vu, et leur déposition a toute l’authenticité possible : les actes originaux en sont conservés dans les archives publiques. Que répondre à cela ? Que répondre ? que ces miracles ne prouvent rien ; tant que la question de ses sentiments ne sera point décidée. LV 48
Tout raisonnement qui prouve pour deux partis, ne prouve ni pour l’un ni pour l’autre. Si le fanatisme a ses martyrs, ainsi que la vraie religion, et | si entre ceux qui sont morts pour la vraie religion, il y a eu des fanatiques : ou comptons, si nous le pouvons, le nombre des morts, et croyons ; ou cherchons d’autres motifs de crédibilité. LVI
Rien n’est plus capable d’affermir dans l’irréligion, que de faux motifs de conversion. On dit tous les jours à des incrédules : Qui êtes-vous, pour attaquer une religion que les Paul, les Tertullien, les Athanase, les Chrysostôme, les Augustin, les Cyprien, et tant d’autres illustres personnages ont si courageusement défendue ? Vous avez sans doute aperçu quelque difficulté qui avait échappé à ces génies supérieurs : montrez-nous donc que vous en savez plus qu’eux, ou sacrifiez vos doutes à leur décisions, si vous convenez qu’ils en savaient plus que vous. Raisonnement frivole. Les lumières des ministres ne sont point une preuve de la vérité d’une religion. Quel culte plus absurde que celui des Égyptiens, et quels ministres plus éclairés ?... Non, je ne peux adorer cet oignon. Quel privilège a-t-il sur les autres légumes ? Je serais bien fou de prostituer mon hommage à des êtres destinés à ma nourriture ! La plaisante divinité qu’une plante que j’arrose, qui croît et meurt dans mon potager !... Tais-toi, misérable : tes blasphèmes me font frémir ; c’est bien à toi à raisonner ! en sais-tu là-dessus plus que le sacré Collège ? Qui es-tu, pour attaquer tes dieux, et donner des leçons de sagesse à leurs ministres ? Es-tu plus éclairé que ces oracles que l’univers entier vient interroger ? Quelle que soit ta réponse, j’admirerai ton orgueil ou ta témérité... » Les chrétiens ne sentiront-ils jamais toute leur force ? et n’abandonneront-ils point ces malheureux sophismes à ceux dont ils sont l’unique ressource ? Omittamus ista communia quæ ex utraque parte dici possunt, quanquam vere ex utraque parte dici non possint. S. Aug. L’exemple, les prodiges et l’autorité peuvent faire des dupes ou des hypocrites. La raison seule fait des croyants. | LVII
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On convient qu’il est de la dernière importance de n’employer à la défense d’un culte que des raisons solides ; cependant on persécuterait volontiers ceux qui travaillent à décrier les mauvaises. Quoi donc ? n’est-ce pas assez que l’on soit chrétien ? faut-il encore l’être par de mauvaises raisons ? Dévots, je vous en avertis ; je ne suis pas chrétien parce que saint Augustin l’était ; mais je le suis, parce qu’il est raisonnable de l’être.
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LIV
Abbiamo tuttavia di questi pretesi miracoli una vasta raccolta106 che può sfidare l’incredulità più determinata. L’autore è un senatore, un uomo grave, che faceva professione di materialismo – molto mal compreso per la verità;107 ma che non si aspettava la sua fortuna dalla propria conversione: testimone oculare di fatti che racconta, e di cui ha potuto giudicare senza prevenzione né interesse, la sua testimonianza è stata accompagnata da mille altre. Tutti dicono di aver visto, e la loro deposizione ha tutta l’autenticità possibile: gli atti originali sono conservati negli archivi pubblici. Che cosa rispondere a questo? Che rispondere? Che questi miracoli non provano niente; fintanto che la questione dei sentimenti108 che hanno animato l’autore non sarà risolta. LV
Ogni ragionamento che prova qualcosa per due partiti, non prova né per l’uno né per l’altro. Giacché il fanatismo ha i suoi martiri, come la vera religione, e tra quelli che sono morti per la vera religione, ci sono dei fanatici: o contiamo, se lo proviamo, il numero dei morti, e crediamo; o cerchiamo altri motivi di credibilità.109 LVI
Nulla è più capace di consolidare nell’irreligiosità, che dei falsi motivi di conversione. Si dice tutti i giorni a degli increduli: Chi siete voi per attaccare una religione che Paolo, Tertulliano, Atanasio, Crisostomo, Agostino, Cipriano,110 e tanti altri illustri personaggi hanno difeso così coraggiosamente? Voi avete sicuramente percepito qualche difficoltà che era sfuggita a questi geni superiori: mostrateci dunque quello che sapete più di loro, o sacrificate i vostri dubbi alle loro decisioni, se convenite che ne sapevano più di voi. Ragionamento irrilevante.111 I lumi dei ministri non sono affatto una prova della verità di una religione. Quale culto più assurdo di quello degli Egizi, e quali ministri più illuminati?... No, non posso adoperare questa cipolla. Quale privilegio ha sugli altri ortaggi?112 Sarei davvero pazzo a prostituire la mia devozione agli esseri destinati al mio nutrimento! L’amabile divinità di una pianta che annaffio, che cresce e che muore nel mio orto!... Taci, miserabile: le tue bestemmie mi fanno rabbrividire; gentile da parte tua ragionare! Lassù, tu ne sai qualcosa in più del Sacro Collegio?113 Chi sei per attaccare i tuoi dei, e dare lezioni di saggezza ai loro ministri? Sei forse più illuminato di questi oracoli che il mondo intero viene a interrogare? Quale che sia la tua risposta mi stupirà il tuo orgoglio o la tua temerarietà... I cristiani non avranno mai consapevolezza di tutta la loro forza? E non abbandoneranno per nulla questi miserabili sofismi a coloro di cui sono l’unica risorsa? Omittamus ista communia quae ex utraque parte dici possunt, quamquam vere ex utraque parte dici non possint. S. Agostino114 L’esempio, i prodigi e l’autorità potevano fare delle vittime o degli ipocriti. Solo la ragione fa dei credenti. LVII
Tutti convengono che è di fondamentale importanza servirsi solo di ragioni solide in difesa di un culto; tuttavia si perseguiteranno volentieri quelli che lavorano a screditare quelle cattive. E allora? Non basta essere cristiani? Bisogna anche esserlo per delle cattive ragioni? Devoti, vi avverto; non sono cristiano perché lo era sant’Agostino; ma lo sono perché è ragionevole esserlo.
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LVIII
Je connais les dévots : ils sont prompts à prendre l’alarme. S’ils jugent une fois que cet écrit contient quelque chose de contraire à leurs idées, je m’attends à toutes les calomnies qu’ils ont répandues sur le compte de mille gens qui valaient mieux que moi. Si je ne suis qu’un déiste et qu’un scélérat, j’en serai quitte à bon marché. Il y a longtemps qu’ils ont damné Descartes, Montagne, Lock, et Bayle, et j’espère qu’ils en damneront bien d’autres. Je leur déclare cependant que je ne me pique d’être ni plus honnête homme, ni meilleur chrétien que la plupart de ces philosophes. Je suis né dans l’Église catholique, apostolique et romaine, et je me soumets de toute ma force à ses décisions. Je veux mourir dans la religion de mes pères, et je la crois bonne autant qu’il est possible à quiconque n’a jamais eu aucun commerce immédiat avec la Divinité, et qui n’a jamais été témoin d’aucun miracle. Voilà ma profession de foi : je suis presque sûr qu’ils en seront mécontents, bien qu’il n’y en ait peut-être pas un entre eux qui soit en état d’en faire une meilleure. | LIX
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J’ai lu quelquefois Abbadie, Huet, et les autres. Je connais suffisamment les preuves de ma religion, et je conviens qu’elles sont grandes ; mais le seraient-elles cent fois davantage, le christianisme ne me serait point encore démontré. Pourquoi donc exiger de moi que je croie qu’il y a trois personnes en Dieu, aussi fermement que je crois que les trois angles d’un triangle sont égaux à deux droits. Toute preuve doit produire en moi une certitude proportionnée à son degré de force ; et l’action des démonstrations géométriques, morales et physiques sur mon esprit, doit être différente, ou cette distinction est frivole. LX
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Vous présentez à un incrédule un volume d’écrits, dont vous prétendez lui démontrer la divinité. Mais avant que d’entrer dans l’examen de vos preuves, il ne manquera pas de vous questionner sur cette collection. A-t-elle toujours été la même ? vous demandera-t-il. Pourquoi est-elle à présent moins ample qu’elle ne l’était il y a quelques siècles ? De quel droit en a-t-on banni tel et tel ouvrage, qu’une autre secte révère, et conservé tel et tel autre qu’elle a rejeté ? Sur quel fondement avez-vous donné la préférence à ce manuscrit ? Qui vous a dirigés dans le choix que vous avez fait entre tant de copies différentes, qui sont des preuves évidentes que ces sacrés auteurs ne vous ont pas été transmis dans leur pureté originale et première. Mais si l’ignorance des copistes ou la malice des hérétiques les a corrompus, comme il faut que vous en conveniez, vous voilà forcés de | les restituer dans leur état naturel, avant que d’en prouver la divinité ; car ce n’est pas sur un recueil d’écrits mutilés que tomberont vos preuves, et que j’établirai ma croyance. Or, qui chargerez-vous de cette réforme ? l’Église. Mais je ne peux convenir de l’infaillibilité de l’Église, que la divinité des Écritures ne me soit prouvée. Me voilà donc dans un scepticisme nécessité. On ne répond à cette difficulté qu’en avouant que les premiers fondements de la foi sont purement humains ; que le choix entre les manuscrits, que la restitution des passages, enfin que la collection s’est faite par des règles de critique ; et je ne refuse point d’ajouter à la divinité des livres sacrés, un degré de foi, proportionné à la certitude de ces règles.
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LVIII
Conosco i devoti: sono sempre pronti ad allarmarsi. Se pensano che questo scritto contenga qualche cosa di contrario alle loro idee, mi aspetto tutte le calunnie che hanno diffuso sul conto di mille persone che valgono più di me. Se sarò considerato solo un deista e uno scellerato, me la caverò a buon mercato. È da molto che hanno condannato Cartesio, Montaigne, Locke, e Bayle, e tuttavia spero che ne condanneranno degli altri. Dichiaro loro tuttavia che non mi vanto di essere né un uomo più onesto, né un cristiano migliore della maggior parte di questi filosofi. Sono nato nella Chiesa cattolica, apostolica e romana, e mi sottometto con tutta la mia forza alle sue decisioni. Voglio morire nella religione dei miei padri, e la credo buona per quanto possibile a chiunque non abbia mai avuto alcun contatto immediato con la Divinità, e che non sia mai stato testimone di alcun miracolo. Ecco la mia professione di fede: sono quasi sicuro che ne saranno scontenti, benché non ce ne sia forse uno tra loro che sia nelle condizioni di fare di meglio.115 LIX
Ho letto a volte Abbadie, Huet,116 e gli altri. Conosco sufficientemente le prove della mia religione e convengo che sono solide; ma se lo fossero cento volte di più, il cristianesimo non mi sarebbe ancora stato dimostrato. Perché dunque esigere da me che creda che ci sono tre persone in Dio117 così fermamente come credo che i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti. Ogni prova deve produrre in me una certezza proporzionata al suo grado di forza; e l’azione delle dimostrazioni geometriche, morali e fisiche sul mio spirito deve essere diversa, o questa distinzione è inutile. LX
Presentate a un incredulo un volume di scritti, di cui gli volete dimostrare la divinità. Tuttavia, prima di entrare nel merito delle vostre prove, egli non mancherà di interrogarvi su questa raccolta.118 È sempre stata la stessa? Vi chiederà. Perché ora è meno ampia di quanto non fosse qualche secolo fa? Con quale diritto è stata soppressa tale o talaltra opera che un’altra setta onora? Con quale fondamento avete dato la preferenza a questo manoscritto? Chi vi ha diretto nella scelta che avete fatto tra tante copie differenti, che sono delle prove evidenti che questi sacri autori vi siano stati trasmessi nella loro purezza originale e prima. Ma se l’ignoranza dei copisti o la malizia degli eretici li ha corrotti, come bisogna che conveniate, eccovi costretti a restituirli nel loro stato naturale, prima di provarne la divinità; perché le vostre prove non s’incontreranno per caso su una raccolta di scritti mutilati e io non stabilirò la mia credenza su di essi. Ora, a chi affiderete questa riforma? Alla Chiesa. Ma non posso ammettere l’infallibilità della Chiesa, finché la divinità delle Scritture non mi sia provata. Eccomi dunque condotto a uno scetticismo di necessità. Si risponde a questa difficoltà, ammettendo che i primi fondamenti della fede sono puramente umani; che le scelte dei manoscritti, che la restituzione dei passi, infine che la collezione è stata fatta secondo delle regole di critica; e non rifiuto di aggiungere alla divinità dei libri sacri, un grado di fede proporzionato alla certezza di queste regole.
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LXI
C’est en cherchant des preuves, que j’ai trouvé des difficultés. Les livres qui contiennent les motifs de ma croyance, m’offrent en même temps les raisons de l’incrédulité ; ce sont des arsenaux communs. Là, j’ai vu le déiste s’armer contre l’athée ; le déiste et l’athée lutter contre le juif ; l’athée, le déiste et le juif se liguer contre le chrétien ; le chrétien, le juif, le déiste et l’athée, se mettre aux prises avec le musulman ; l’athée, le déiste, le juif, le musulman, et la multitude des sectes du christianisme, fondre sur le chrétien, et le sceptique seul contre tous. J’étais juge des coups. Je tenais la balance entre les combattants ; ses bras s’élevaient ou s’abaissaient en raison des poids dont ils étaient chargés. Après de longues oscillations, elle pencha du côté du chrétien, mais avec le seul excès de sa pesanteur, sur la résistance du côté opposé. Je me suis témoin à moi-même de mon équité. Il n’a pas tenu à moi que cet excès ne m’ait paru fort grand. J’atteste Dieu de ma sincérité. LXII 52
Cette diversité d’opinions a fait imaginer aux déistes un raisonnement plus singulier peut-être que solide. Cicéron ayant à prouver que les Romains | étaient les peuples les plus belliqueux de la terre, tire adroitement cet aveu de la bouche de leurs rivaux. Gaulois à qui le cédez-vous en courage, si vous le cédez à quelqu’un ? aux Romains. Parthes, après vous, quels sont les hommes les plus courageux ? les Romains. Africains, qui redouteriez-vous, si vous aviez à redouter quelqu’un ? les Romains. Interrogeons à son exemple le reste des religionnaires, vous disent les déistes. Chinois, quelle religion serait la meilleure, si ce n’était la vôtre ? La religion naturelle. Musulmans, quel culte embrasseriez-vous, si vous abjuriez Mahomet ? Le naturalisme. Chrétiens, quelle est la vraie religion, si ce n’est la chrétienne ? La religion des juifs. Mais vous, juifs, quelle est la vraie religion, si le judaïsme est faux ? Le naturalisme. Or ceux, continue Cicéron, à qui l’on accorde la seconde place d’un consentement unanime, et qui ne cèdent la première à personne, méritent incontestablement celle-ci.
Fin
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LXI
È cercando delle prove, che ho trovato delle difficoltà. I libri che contengono i motivi della mia fede, mi offrono allo stesso tempo le ragioni dell’incredulità; questi sono degli arsenali comuni. Là ho visto il deista armarsi contro l’ateo; il deista e l’ateo lottare contro l’ebreo; l’ateo, il deista e l’ebreo coalizzarsi contro il cristiano; il cristiano, l’ebreo, il deista e l’ateo mettere in difficoltà il musulmano; l’ateo, il deista, l’ebreo, il musulmano, e la moltitudine delle sette del cristianesimo scagliarsi contro il cristiano, e lo scettico solo contro tutti. Ero giudice dei colpi. Tenevo la bilancia tra i combattenti; i suoi piatti si alzavano o abbassavano in ragione dei pesi di cui erano caricati. Dopo molte oscillazioni pendeva dal lato del cristiano, ma con il solo eccesso del suo peso, contro la resistenza del lato opposto. Sono testimone a me stesso della mia equità. Non è spettato a me che questo eccesso mi sia sembrato molto grande. Chiamo Dio ad attestare la mia sincerità. LXII
Questa diversità di opinioni ha fatto immaginare ai deisti un ragionamento forse più singolare che solido. Cicerone, dovendo provare che i Romani erano il popolo più bellicoso della Terra, trae abilmente questa confessione dalla bocca dei loro rivali. Galli a chi siete inferiori in fatto di coraggio, se lo siete a qualcuno? Ai Romani. Parti, dopo di voi, quali sono gli uomini più coraggiosi? I Romani. Africani, chi temereste, se doveste temere qualcuno? I Romani. Interroghiamoci secondo il suo esempio il resto dei religionari,119 voi dite i deisti. Cinesi, quale religione sarebbe la migliore, se non fosse la vostra? La religione naturale. Musulmani, quale culto abbraccereste, se abiuraste Maometto? Il naturalismo.120 Cristiani, quale sarebbe la vera religione, se non fosse quella cristiana? La religione degli ebrei. Ma voi ebrei, quale sarebbe la vera religione, se il giudaismo fosse falso? Il naturalismo. Ora, continua Cicerone, coloro ai quali si accorda unanimemente il secondo posto, che non cedono il primo a nessuno, meritano incontestabilmente quest’ultimo.121
Fine
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Table des matières
A Abadie, LIX Alcoran, XLIV Analyse des jeux de hasard, XXI Apôtres, XLV Arnaud, XIV Athanase, LVI Augure, XLVII Augustin (saint), XLVII, LI, LVI Autel élevé à un augure, XLVII Auteurs sacrés, XLV Athées, leurs raisonnements, XV Athées, vrais, XXII Athées, sceptiques, XXII Athées, fanfarons, XXII Athéisme, moins injurieux à Dieu que la superstition, IX, XII Autorité fait des hypocrites, LVI Autorité ne prouve guère contre un philosophe, LVII, LVIII B Bayle, LVIII Becherand, LIII Berruyer, XLV Bible, XLIII Britannicus, XV C Cahos. Sa durée plus incompréhensible que la naissance du monde, XXI Calame (prêtre de), LI Calviniste, XXXV César, XLV Cartouche fait leçon à Hobbs, XVII Caractère peureux, XXVIII Chefs des premiers chrétiens, XLIII Chevaliers romains, XLVI Chrétien. Qui se peut glorifier de l’être, XXXVII Trop zélés, XLIII Premiers chrétiens, XLIII
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Semblent ignorer leur forces, LVI Martyrs et actions, XLV Impie comme un autre, XXXV
Chrysostôme, LVI Christianisme n’est pas démontré, LIX Christianisme, cause des troubles, XLIII Cicéron cité, XLVII, LXII Cité de Dieu citée, LI Controversistes, XVI Crainte et effroi de Dieu, VIII Cudworth, XIII Culte reçu par éducation, XXXVII Cyprien, LVI D Danger à croire trop et trop peu, XXX A écrire sur certains sujets, LVI
Déisme, ses avantages sur l’athéisme, XIII Déistes, LXI Raisonnement singulier, LXII
Démonstration de l’existence de Dieu, XX Démonstrations, ne sont pas toutes de même force, LII Denis d’Halicarnasse, XLVII Descartes, XX, LVIII Dévotion triste, IX Enjouée, IX
Dévots ne s’entendent pas, XXXV Diable, XLVII Dieu, VII, X Qu’est-ce, XXV On en parle trop tôt, XXIV, XXV Danger qu’il y a, XXV On n’insiste pas assez sur sa présence, XXVI
Divinité des Écritures, XLV Doctrine, épreuve des miracles, XLII Dogme, XLII Donat, XLIV Doute nécessaire, XXX
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Indice analitico
A Abbadie, LIX. Agostino (santo), XLVII, LI, LVI. Altare elevato a un augure, XLVII. Analisi dei giochi d’azzardo, XXI. Apostoli, XLV. Arnauld, XIV. Atanasio, LVI. Atei, loro ragionamenti, XV. Atei, veri, XXII. Atei, scettici, XXII. Atei, fanfaroni, XXII. Ateismo, meno offensivo per Dio della superstizione, IX, XII. Augure, XLVII. Autori sacri, XLV. Autorità fatta di ipocriti, LVI. Autorità non prova nulla contro un filosofo, LVII, LVIII. B Bayle, LVIII. Bambini educati da Montaigne, XXIV. Becherand, LIII. Berruyer, XLV. Bibbia, XLIII. Britannico, XV. C Calamo (Prete di), LI. Calvinista, XXXV. Caos. La sua durata più incomprensibile della nascita del mondo, XXI. Capi dei primi cristiani, XLIII. Carattere pauroso, XXVIII. Cartesio, XX, LVII Cartouche insegna a Hobbes, XVII. Cavalieri romani, XLVI. Cesare, XLV. Chiesa non può giudicare, LX.
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Cicerone, citato, XLVII, LXII. Cipriano, LVI. Città di Dio, citata, LI. Controversisti, XVI. Corano, XLIV. Crisostomo, LVI. Cristiano. Che può gloriarsi di esserlo, XXXVII. Troppo zelanti, XLIII. Primi cristiani, XLIII. Sembrano ignorare le loro forze, LVI. Martiri e azioni, LIX. Empio come un altro, XLIII.
Cristianesimo non è dimostrato, LIX. Cristianesimo, causa di disordini, XLIII. Cudworth, XIII. Culto ricevuto dall’educazione, XXXVII. D Debolezza della ragione, XXIX. Deismo, suoi vantaggi sull’ateismo, XIII. Deisti, LXI. Ragionamento singolare, LXII.
Devoti non si capiscono, XXXV. Devozione triste, IX. Allegra, IX.
Diavolo, XLVII. Dimostrazione dell’esistenza di Dio, XX. Dimostrazioni, non hanno tutte la stessa forza, LII. Dio, VII, X.
Che cos’è, xxv. Se ne parla troppo presto, XXV. Pericolo che c’è, XXV. Non si insiste abbastanza sulla sua presenza, XXVI.
Dionigi di Alicarnasso, XLVII. Divinità delle Scritture, XLV Dogma, XLII. Donato, XLIV. Dottrina, prova dei miracoli, XLII. Dubbio necessario, XXX.
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opere filosofiche
E Écritures saintes, XLV Édit de l’empereur Julien, XLIII Église ne peut juger, LX Égyptiens, LVI Élie, XLI Enfants élevés par Montaigne, XXIV Enthousiaste, XXXIX Erreur, pardonnable, XXIX Esprits différents, XXIX Bouillants, XXVIII Faibles, XXXIV Forts, XLIX Évangélistes, XLV
Examen d’un raisonnement, XXI Exemple fait des dupes, LVI F Faits. Comment en juger, XLVI Incroyables, XLVIII
Fanatique, XXXVIII Fanatisme, LV Faiblesse de la raison, XXIX Foi inébranlable, L G Galiléens, turbulents, XLIII Exilés rappelés, XLIII
Germes ; découverte utile, XIX Gregoire le Grand, XLIV H Hartzoeker, XVIII Henriade, XXI Historiens profanes, XLIV Leur témoignage, XLVI
Hobbs, XVII Homere, XXI Huet, LIX I [I et J] Jansénistes, LI Idée singulière sur la présence de Dieu, XXVI
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Jesus Christ, XLII, XLV Ignorance et incuriosité, XXVII Iliade, XXI Impiété, XXXV Impunité, XI Incrédulité, vice et défaut, XXXII, XLI Indécision, XXVIII Insensé, XXXVIII Inspiration, XLV Jonas, XLI Joseph, XLV Irréligion, LVI Julien, XLIII L Lactance, XLVI Lafontaine, XIV Lamotte, XIV Lock, LVIII Logique, LII M Mahomet, XL Martyr, XXXIX, XLV, LV Messie, XLII Métaphysique, XVII Ministres, LVI Miracles, XLII, L, LIII Missionnaires, XXXVI Moliniste, XXXV, LI Monde, XVIII Mongeront, LI, LIV Montagne, XXIV, XXVII, LVIII Mosquée, XL Moyse, XLII, XLV Muschembroeck, XVIII Musulman, XXXV, XXXVII, XLIV N Navius, XLVII Néron, XV Newton, XVIII, XX Nicole, XIII, XIV Niewentit, XVIII Ninivites, XLI Notions privilégiées, XXXIV
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pensieri filosofici, indice analitico
E Editto dell’imperatore Giuliano, XLIII. Egizi, LVI. Elia, XLI. Empietà, XXXV. Entusiasta, XXXIX. Errore perdonabile, XXIX. Esame di un ragionamento, XXI. Esempio fatto dei creduloni, LVI. F Fanatico, XXXVIII. Fanatismo, LV. Fatti. Come giudicarli, XLVI. Incredibili, XLVIII.
Fede incrollabile, L. Filosofi, XLVII. Fisica sperimentale, XVIII. G Galilei, turbolenti, XLIII. Esiliati, ricordati, XLIII.
Germi; scoperta utile, XIX. Gesù-Cristo, XLII, XLV. Giansenisti, LI. Giona, XLI. Giuseppe, XLV. Giuliano, XLIII. Gregorio Magno, XLIV. H Hartzoeker, XVIII. Henriade, XXI. Hobbes, XVII. Huet, LIX. I Idee singolari sulla presenza di Dio, XXVI. Ignoranza e non-curiosità, XXVII. Iliade, XXI. Impunità, XI. Incredulità, vizio e difetto, XXXII, XLI. Indecisione, XXVIII. Insensato, XXXVIII. Irreligione, LVI.
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Ispirazione, XLV. L Lattanzio, XLVII. La Fontaine, XIV. La Motte, XIV. Locke, LVIII. Logica, LII. M Maometto, XL. Martire, XXXIX, XLV, LV. Messia, XLII. Metafisica, XVII Ministri, LVI. Miracoli, XLII, L, LIII. Missionari, XXXVI. Molinista, XXXV, LI. Mondo, XVIII. Montaigne, XXIV, XXVII, LVIII. Montgeron, LI, LIV. Moschea, XL. Mosè, XLII, XLV. Musschenbroek, XVIII. Musulmano, XXXV, XXXVII, XLIV. N Navius, XLVII. Nerone, XV. Newton, XV. Nicole, XIII, XIV. Niniviti, XLI. Nozioni privilegiate, XXXIV. O Omero, XXI. Ontologia, XIX. P Pacomio, VI. Padri della Chiesa, XLIV, XLVII. Paolo, XLII, LVI. Papisti, XXXV. Parigi, LIII. Pascal, XIII.
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opere filosofiche
Révélation. Son temps passé, XLI Romulus, XLVII, XLIX Règle pour juger des prodiges, XLVI
O Ontologie, XIX P Pacôme, VI Papistes, XXXV Paris, LIII Pascal, XIII Passions ; source de bien et de mal, I Passions en général, I Passions sobres, II Passions amorties, III Passions fortes, IV Passions indélébiles, V Paul, XLII, LVI Peines éternelles et finies, X Pères de l’Église, XLIV, XLVII Philosophes, XLVII Physique expérimentale, XVIII Pirrhonien, XVII, XXX Platon, LII Plutarque, XII Polieucte insensé, XL Ponce Pilate, XLV Préjugé favorable, XLIX Présence divine, XXVI Probité du déiste, XXIII Probité du sceptique, XXIII Probité de l’athée, XXIII Proculeius, XLIX Prodiges font des dupes, LVI Profession de foi, LVIII Prophètes, XLII, XLV
Quintus, frère de Cicéron, XLVII
Raison. Se avantages, L Sa force, LII Fait des croyants, LVI
Sacy (de), XIV Saluste, XLV Sceptique, XI, XXVIII, XXX, LXI Scepticisme. Premier pas vers la vérité, XXXI Qualités qu’il exige, XXIV Garantit de l’erreur, XXXIV Favorable à la vérité, XXXIV Salutaire, XXXVI
Semi-scepticisme, XXXIV Sens, LII Sentiment de l’auteur, I S..... Caractères, XIII Société, VI Solitaires, VI Stylites, VI Suffisance dogmatique, XXIV Superstition, XIII, XLVII T Tableaux peints par les Anges, XLV Tarquin, XLVII Temples (inconvénients des), XXVI Tertullien, LVI Tite-Live, XLV, XLIX Tradition fabuleuse, XLV V
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Vanini, XIII Vérité, difficile à trouver, XXIX Voltaire (de), XXVIII Z Zèle, hors de mode, XL
Fin de la table des matières.
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pensieri filosofici, indice analitico
Passioni; fonte di bene e di male, I. Passioni in generale, I. Passioni sobrie, II. Passioni smorzate, III. Passioni forti, IV. Passioni indelebili, V. Pene eterne e finite, X. Pericolo di credere troppo e troppo poco, XXX. Di scrivere su certi argomenti, LVI.
Pirroniano, XVII, XXX. Platone, LII. Plutarco, XII. Poliuto insensato, XL. Ponzio Pilato, XLV. Pregiudizio favorevole, XLIX. Presenza divina, XXVI. Probità del deista, XXIII. Probità dello scettico, XXIII. Probità dell’ateo, XXIII. Proculeio, XLIX. Prodigi, fonte di inganni, LVI. Professione di fede, LVIII. Profeti, XLII, XLV.
Scettico, XI, XXVIII, XXX, LXI. Scetticismo. Primo passo verso la verità, XXXI. Qualità che esige, xxiv. Garantisce dall’errore, XXXIV. Favorevole alla verità, XXXIV. Salutare, XXXVI.
Semi-scetticismo, XXXIV. Sensi, LII. Sentimento dell’autore, I. S... Caratteri, XIII. Società, VI. Solitari, VI. Spiriti diversi, XXIV. Focosi, XXVIII. Deboli, XXXIV. Forti, XXXIV. Evangelisti, XLV.
Stiliti, VI. Storici profani, XLIV. Loro testimonianza, XLVI.
Sufficienza dogmatica, XXIV. Superstizione, XIII, XLVII.
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Quadri dipinti dagli Angeli, XLV. Quinto, fratello di Cicerone, XLVII. R Ragione. Sui vantaggi, L. Sua forza, LII. Fa dei credenti, LVI. Regola per giudicare i prodigi, XLVI. Rivelazione. Suo tempo passato, XLI. Romolo, XLVII, XLIX. S Sacy (de), XIV. Sacre Scritture, XLV. Sallustio, XLV.
Tarquinio, XLVII. Templi (inconvenienti dei), XXVI. Tertulliano, LVI. Timore e paura di Dio, VIII. Tito-Livio, XLV, XLIX. Tradizione favolosa, XLV. V Vanini, XIII. Verità, difficile da trovare, XXI. Voltaire (de), XXVIII. Z Zelo, fuori moda, XL.
Fine dell’indice analitico
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Addition aux pensées philosophiques
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[DPV, IX, 359-371]
< Il m’est tombé entre les mains un petit ouvrage fort rare intitulé Objections diverses contre les écrits de différents théologiens. Élagué et écrit avec un peu plus de chaleur, ce serait une assez bonne suite des Pensées philosophiques. Voici quelques-unes des meilleures idées de l’auteur anonyme de l’ouvrage dont il s’agit. > 1. Les doutes, en matière de religion, loin d’être des actes d’impiété, doivent être regardés comme de bonnes œuvres, lorsqu’ils sont d’un homme qui reconnaît humblement son ignorance, et qu’ils naissent de la crainte de déplaire à Dieu par l’abus de la raison. 2. Admettre quelque conformité entre la raison de l’homme et la raison éternelle, qui est Dieu, et prétendre que Dieu exige le sacrifice de la raison humaine, c’est établir qu’il veut et ne veut pas tout à la fois. 3. Lorsque Dieu de qui nous tenons la raison, en exige le sacrifice, c’est un faiseur de tours de gibecière qui escamote ce qu’il a donné. 4. Si je renonce à ma raison, je n’ai plus de guide ; il faut que j’adopte en aveugle un principe secondaire, et que je suppose ce qui est en question. | 360
5. Si la raison est un don du Ciel, et que l’on en puisse dire autant de la foi, le ciel nous a fait deux présents incompatibles et contradictoires. 6. Pour lever cette difficulté, il faut dire que la foi est un principe chimérique, et qui n’existe point dans la nature. 7. Pascal, Nicole, et autres ont dit : « Qu’un Dieu punisse de peines éternelles la faute d’un père coupable sur tous ses enfants innocents, c’est une proposition supérieure et non contraire à la raison. » Mais qu’est-ce donc qu’une proposition contraire à la raison, si celle qui énonce évidemment un blasphème, ne l’est pas ? 8. Égaré dans une forêt immense pendant la nuit, je n’ai qu’une petite lumière pour me conduire. Survient un inconnu qui me dit : Mon ami, souffle ta bougie pour mieux trouver ton chemin. Cet inconnu est un théologien. 9. Si ma raison vient d’en haut, c’est la voix du ciel qui me parle par elle ; il faut que je l’écoute.
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10. Le mérite et le démérite ne peuvent s’appliquer à l’usage de la raison, parce que toute la bonne volonté du monde ne peut servir à un aveugle pour discerner des couleurs. Je suis forcé d’apercevoir l’évidence où elle | est, et le défaut d’évidence où l’évidence n’est pas, à moins que je ne sois un imbécile ; or l’imbécillité est un malheur et non pas un vice.
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Aggiunta ai «pensieri filosofici» [1762]
Mi è capitata tra le mani una piccola opera, molto rara, intitolata Obiezioni diverse contro gli scritti dei differenti teologi.1 Sfrondata e scritta con un po’ più d’ardore, costituirebbe un buon seguito per i Pensieri filosofici. Ecco alcune delle migliori idee dell’autore anonimo dell’opera di cui si tratta.2 1. I dubbi in materia di religione, lungi dall’essere degli atti di empietà, devono essere considerati come delle opere buone, quando vengono da un uomo che riconosce umilmente la sua ignoranza, e nascono dal timore di dispiacere a Dio per l’abuso della ragione. 2. Ammettere qualche conformità tra la ragione dell’uomo e la ragione eterna, cioè Dio, e pretendere che Dio esiga il sacrificio della ragione umana, significa stabilire che egli vuole e non vuole allo stesso tempo. 3. Ove Dio, che ci dona la ragione, ne esigesse il sacrificio, sarebbe come un giocatore di bussolotti che fa sparire quello che ci ha donato. 4. Se rinuncio alla mia ragione, non ho più una guida. Bisogna che adotti ciecamente un principio secondario, e che supponga ciò che è in questione. 5. Se la ragione è un dono del Cielo, e si può dire altrettanto della fede, il Cielo ci ha fatto due doni incompatibili e contraddittori. 6. Per togliere questa difficoltà, bisognerebbe dire che la fede è un principio chimerico, e che non esiste in natura.3 7. Pascal, Nicole, e altri hanno detto: «Che un Dio punisca il fallo di un padre colpendo con pene eterne tutti i suoi figli innocenti, è una proposizione superiore e non contraria alla ragione». Ma che cos’è, dunque, una proposizione contraria alla ragione, se non lo è quella che enuncia in modo evidente una bestemmia? 4 8. Smarrito in una foresta immensa, durante la notte, ho solo un piccolo lume a guidarmi; sopraggiunge uno sconosciuto che mi dice: Amico mio, soffia sulla tua candela per trovare meglio il tuo cammino. Questo sconosciuto è un teologo.5 9. Se la mia ragione viene dall’alto, è la voce del Cielo che mi parla per suo tramite; bisogna che l’ascolti. 10. Non si può giudicare il merito o il demerito dell’uso della ragione, perché tutta la buona volontà del mondo non può bastare a un cieco per distinguere i colori. Sono costretto a percepire l’evidenza ove essa si trova, e la mancanza di evidenza dove l’evidenza non c’è, a meno che non sia un imbecille: ora l’imbecillità è una disgrazia e non un vizio.6
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11. L’auteur de la nature, qui ne me récompensera pas pour avoir été un homme d’esprit, a dit un philosophe, ne me damnera pas pour avoir été un sot. 12. Et il ne te damnera pas même pour avoir été un méchant. Quoi donc, n’as-tu pas déjà été assez malheureux d’avoir été méchant ? 13. Toute action vertueuse est accompagnée de satisfaction intérieure ; toute action criminelle, de remords ; or l’esprit avoue, sans honte et sans remords sa répugnance pour telles et telles propositions ; il n’y a donc ni vertu ni crime, soit à les croire, soit à les rejeter. 14. S’il faut encore une grâce pour bien faire, à quoi a servi la mort de Jésus Christ ? 15. S’il y a cent mille damnés pour un sauvé, le diable a toujours l’avantage, sans avoir abandonné son fils à la mort. | 362
16. Le Dieu des chrétiens est un père qui fait grand cas de ses pommes, et fort peu de ses enfants. 17. Ôtez la crainte de l’enfer à un chrétien, et vous lui ôterez sa croyance. 18. Une religion vraie, intéressant tous les hommes dans tous les temps et dans tous les lieux, a dû être éternelle, universelle et évidente ; aucune n’a ces trois caractères ; toutes sont donc trois fois démontrées fausses. 19. Les faits dont quelques hommes seulement peuvent être témoins, sont insuffisants pour démontrer une religion qui doit être également crue par tout le monde. 20. Les faits dont on appuie les religions sont anciens et merveilleux, c’est-à-dire les plus suspects qu’il est possible, pour prouver la chose la plus incroyable. 21. Prouver l’évangile par un miracle, c’est prouver une absurdité par une chose contre nature. 22. Mais que Dieu fera-t-il à ceux qui n’ont pas entendu parler de son fils ? Punirat-il des sourds de n’avoir pas entendu ? |
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23. Que fera-t-il à ceux qui, ayant entendu parler de sa religion, n’ont pu la concevoir ? Punira-t-il des pygmées de n’avoir pas su marcher à pas de géant ? 24. Pourquoi les miracles de Jésus-Christ sont-ils vrais, et ceux d’Esculape, d’Apollonius de Tyane et de Mahomet sont-ils faux ? 25. Mais tous les Juifs qui étaient à Jérusalem ont apparemment été convertis à la vue des miracles de Jésus Christ ? Aucunement. Loin de croire en lui, ils l’ont crucifié. Il faut convenir que ces Juifs sont des hommes comme il n’y en a point. Partout on a vu les peuples entraînés par un seul faux miracle, et Jésus-Christ n’a pu rien faire du peuple juif avec une infinité de miracles vrais !
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11. L’autore della natura che non mi ricompenserà per essere stato un uomo di spirito, ha detto un filosofo, non mi condannerà per essere stato uno sciocco.7 12. E non ti dannerà nemmeno per essere stato malvagio. Come! Non sei stato già abbastanza infelice per essere stato malvagio? 13. Ogni azione virtuosa è accompagnata da una soddisfazione interiore; ogni azione criminale dal rimorso: ora lo spirito confessa senza vergogna e senza rimorsi la sua ripugnanza per tali e talaltre proposizioni; non c’è dunque né virtù né crimine sia nel crederle, sia nel rigettarle. 14. Se ci vuole ancora una grazia per fare del bene, a che cosa è servita la morte di Gesù Cristo? 15. Se ci sono centomila dannati per uno solo che si è salvato, il Diavolo ha sempre il vantaggio senza aver abbandonato suo figlio alla morte.8 16. Il Dio dei cristiani è un padre che tiene molto alle sue mele, e poco ai suoi figli.9 17. Togliete la paura dell’inferno a un cristiano e gli toglierete la fede. 18. Una religione vera, che riguardi tutti gli uomini in tutti i tempi e in tutti i luoghi, deve essere eterna, universale ed evidente: nessuna ha queste tre caratteristiche; dunque tutte le fedi si dimostrano tre volte false. 19. I fatti di cui soltanto alcuni uomini possono essere testimoni, sono insufficienti per dimostrare une religione che deve essere creduta allo stesso modo in tutto il mondo. 20. I fatti su cui si fondano le religioni sono antichi e meravigliosi, vale a dire i più sospetti che sia possibile, per provare la cosa più incredibile. 21. Provare il vangelo per mezzo di un miracolo, significa provare un’assurdità con una cosa contro natura. 22. Ma che cosa farà Dio a quelli che non hanno sentito parlare di suo figlio? Punirà dei sordi per non aver sentito? 23. Che cosa farà a quelli che avendo sentito parlare della sua religione, non hanno potuto comprenderla? Punirà dei pigmei per non aver saputo camminare a passo di gigante? 24. Perché i miracoli di Gesù Cristo sono veri, e quelli di Esculapio, Apollonio di Tiana e Maometto sono falsi?10 25. Forse tutti gli ebrei che erano a Gerusalemme sono stati apparentemente convertiti alla vista dei miracoli di Gesù Cristo? Nient’affatto. Lungi dal credere in lui, l’hanno crocifisso. Bisogna ammettere che questi ebrei sono uomini più unici che rari. Ovunque abbiamo visto i popoli trascinati da un solo falso miracolo, e Gesù Cristo non ha potuto fare niente del popolo ebraico con un’infinità di miracoli autentici?11
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26. C’est ce miracle-là d’incrédulité des Juifs qu’il faut faire valoir, et non celui de sa résurrection. 27. Il est aussi sûr que deux et deux font quatre que César a existé ; il est aussi sûr que Jésus-Christ a existé que César : donc il est aussi sûr que Jésus Christ est ressuscité, que lui ou César a existé : oh que nenni. L’existence de Jésus Christ et de César n’est pas un miracle.
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28. On lit dans la Vie de M. de Turenne que le feu ayant pris dans une maison, la présence du saint sacrement arrêta subitement l’incendie. D’accord ; mais on lit aussi dans l’histoire, qu’un moine ayant empoisonné | une hostie consacrée, un empereur d’Allemagne ne l’eut pas plus tôt avalée qu’il en mourut. 29. Il y avait là autre chose que les apparences du pain et du vin, ou il faut dire que le poison s’était incorporé au corps et au sang de Jésus-Christ. 30. Ce corps se moisit ; ce sang s’aigrit ; ce Dieu est dévoré par les mites sur son autel. Peuple aveugle, Égyptien imbécile, ouvre donc les yeux ! 31. La religion de Jésus Christ, annoncée par des ignorants, a fait les premiers chrétiens ; la même religion, prêchée par des savants et des docteurs, ne fait aujourd’hui que des incrédules. 32. On objecte que la soumission à une autorité législative dispense de raisonner ; mais où est la religion, sur la surface de la terre, sans une pareille autorité ? 33. C’est l’éducation de l’enfance qui empêche un mahométan de se faire baptiser ; c’est l’éducation de l’enfance qui empêche un chrétien de se faire circoncire ; c’est la raison de l’homme fait qui méprise également le baptême et la circoncision. 34. Il est dit dans saint Luc, que Dieu le père est plus grand que Dieu le fils, pater major me est. Cependant, au mépris d’un passage aussi formel, l’Église prononce anathème au fidèle scrupuleux qui s’en tient littéralement aux mots du testament de son père. |
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35. Si l’autorité a pu disposer à son gré du sens de ce passage ; comme il n’y en a pas un dans toutes les Écritures qui soit plus précis, il n’y en a pas un qu’on puisse se flatter de bien entendre, et dont l’Église ne fasse dans l’avenir tout ce qu’il lui plaira. 36. Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo ecclesiam meam. Est-ce là le langage d’un Dieu, ou une bigarrure digne du seigneur des Accords ? 37. In dolore paries, tu engendreras dans la douleur, dit Dieu à la femme prévaricatrice. Et que lui ont fait les femelles des animaux, qui engendrent aussi dans la douleur ? 38. S’il faut entendre à la lettre, pater major me est, il n’est pas Dieu. S’il faut entendre à la lettre, hoc est corpus meum, il se donnait à ses apôtres de ses propres mains :
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26. È il miracolo dell’incredulità degli ebrei che bisogna far valere e non quello della resurrezione. 27. È certo quanto il fatto che due più due fa quattro che Cesare è esistito; è anche certo che Gesù Cristo è esistito quanto Cesare. Dunque è anche sicuro che Gesù Cristo è risuscitato quanto che lui o Cesare sono esistiti. Ohibò! L’esistenza di Gesù Cristo o di Cesare non è un miracolo. 28. Si legge nella Vita di Turenne12 che quando andò a fuoco una casa, la presenza del santo sacramento arrestò immediatamente l’incendio. D’accordo, ma si legge anche nella storia che un monaco aveva avvelenato un’ostia consacrata e che un imperatore di Germania ne morì prima ancora di averla inghiottita.13 29. O in quell’ostia c’erano altre cose oltre le apparenze del pane e del vino, o bisogna dire che il veleno era incorporato nel corpo e al sangue di Gesù Cristo. 30. Questo corpo ammuffisce; questo sangue inacidisce; questo Dio è divorato dalle tarme sul suo altare. Popolo cieco, Egiziano imbecille, apri dunque gli occhi! 31. La religione di Gesù Cristo, annunciata da degli ignoranti, ha fatto i primi cristiani. La stessa religione, predicata da dei sapienti e dottori, oggi fa solo degli increduli.14 32. Si obietta che la sottomissione a un’autorità legislativa dispensa dal ragionare. Però dove si trova sulla faccia della Terra una religione priva della medesima autorità? 33. È l’educazione ricevuta durante l’infanzia che impedisce a un maomettano di farsi battezzare; è l’educazione dell’infanzia che impedisce a un cristiano di farsi circoncidere; è la ragione dell’uomo fatto che disprezza egualmente il battesimo e la circoncisione.15 34. Viene detto nel Vangelo di san Luca che Dio padre è più grande di Dio figlio, pater major me est.16 Tuttavia a dispetto di un passo così esplicito, la Chiesa lancia delle maledizioni ai fedeli che si attengono letteralmente alle parole del testamento di suo padre. 35. Se l’autorità ha potuto disporre a suo piacimento del senso di questo passo, poiché non ce ne sono di più precisi nelle Scritture, non ce n’è alcuno che possiamo vantarci di aver ben compreso, e di cui la Chiesa non possa fare nell’avvenire tutto ciò che vorrà.17 36. Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam.18 È questo il linguaggio di un Dio o di una disomogeneità degna del Signore degli Accordi?19 37. In dolore paries.20 Tu genererai nel dolore, disse Dio alla donna prevaricatrice. E che cosa gli avevano fatto le femmine degli animali che generano egualmente nel dolore? 38. Se bisogna intendere alla lettera: pater major me est,21 Gesù Cristo non è Dio. Se bisogna intendere alla lettera: hoc est corpus meum,22 egli si donò ai suoi apostoli con le
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ce qui est aussi absurde que de dire que saint Denis baisa sa tête, après qu’on la lui eut coupée. 39. Il est dit qu’il se retira sur le mont des Oliviers, et qu’il pria. Et qui pria-t-il ? Il se pria lui-même. 366
40. Ce Dieu, qui fait mourir Dieu pour apaiser Dieu, est un mot excellent du baron de la Hontan. Il résulte moins d’évidence de cent volumes | in-folio, écrits pour ou contre le christianisme, que du ridicule de ces deux lignes. 41. Dire que l’homme est un composé de force et de faiblesse, de lumière et d’aveuglement, de petitesse et de grandeur, ce n’est pas lui faire son procès, c’est le définir. 42. L’homme est comme Dieu ou la nature l’a fait ; et Dieu ou la nature ne fait rien de mal. 43. Ce que nous appelons le péché originel, Ninon Lenclos l’appelait le péché original. 44. C’est une impudence sans exemple que de citer la conformité des évangélistes, tandis qu’il y a dans les uns des faits très importants dont il n’est pas dit un mot dans les autres. 45. Platon considérait la Divinité sous trois aspects, la bonté, la sagesse et la puissance. Il faut se fermer les yeux pour ne pas voir dans cet endroit la trinité des chrétiens. Il y avait plusieurs siècles que le philosophe d’Athènes appelait Logos ce que nous avons appelé le Verbe. |
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46. Les personnes divines sont ou trois accidents, ou trois substances. Point de milieu. Si ce sont trois accidents, nous sommes athées ou déistes ; si ce sont trois substances, nous sommes païens. 47. Dieu le père juge les hommes dignes de sa vengeance éternelle ; Dieu le fils les juge dignes de sa miséricorde infinie ; le Saint-Esprit reste neutre. Comment accorder ce verbiage catholique avec l’unité de la volonté divine ? 48. Il y a longtemps qu’on a demandé aux théologiens d’accorder le dogme des peines éternelles avec la miséricorde infinie, et ils en sont encore là. 49. Et pourquoi punir un coupable quand il n’y a plus aucun bien à tirer de son châtiment ? 50. Si l’on punit pour soi seul, on est bien cruel et bien méchant. 51. Il n’y a point de bon père qui voulût ressembler à notre père céleste. 52. Quelle proportion entre l’offenseur et l’offensé ? Quelle proportion entre l’offense et la punition ? Amas de bêtises et d’atrocités ! 53. Et de quoi se courrouce-t-il si fort, ce Dieu ? Et ne dirait-on pas que je puisse quelque chose pour ou contre sa gloire, pour ou contre son repos, pour ou contre son bonheur ? |
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sue stesse mani: questo è assurdo quanto dire che san Dionigi baciò la sua testa, dopo che gli era stata tagliata.23 39. Si dice che egli si ritirò sul monte degli Ulivi e che pregò. E chi pregò? Pregò se stesso?24 40. Questo Dio che fa morire Dio per placare Dio, è un motto eccellente di La Hontan.25 Cento volumi in-folio scritti pro o contro il cristianesimo risultano meno evidenti del ridicolo di queste due righe. 41. Dire che l’uomo è un composto di forza e di fallibilità, di luce e di accecamento, di mediocrità e di grandezza, non significa fargli il processo, ma definirlo. 42. L’uomo è come l’ha fatto Dio o la natura, e Dio e la natura non fanno nulla di male. 43. Quello che noi chiamiamo peccato originario, veniva chiamato da Ninon de l’Enclos26 il peccato originale. 44. Citare la conformità agli Evangelisti è un’imprudenza senza pari, dato che ci sono negli uni dei fatti assenti negli altri.27 45. Platone considerava la Divinità sotto tre aspetti, la bontà, la saggezza e la potenza. Bisogna chiudere gli occhi per non vederci la Trinità dei cristiani. Da quasi di tremila anni la filosofia di Atene chiamava Logos ciò che noi chiamiamo Verbo.28 46. Le persone divine sono o tre accidenti o tre sostanze. Non c’è via di mezzo. Se sono tre accidenti, siamo atei o deisti; se sono tre sostanze, siamo pagani. 47. Dio padre giudica gli uomini degni della sua eterna vendetta; il figlio di Dio li giudica degni della sua misericordia infinita; lo Spirito Santo resta neutrale.29 Come accordare questo sproloquio cattolico con l’unità della volontà divina? 48. Da molto tempo domandiamo ai teologi di trovare un accordo tra il dogma delle pene eterne e quello della misericordia infinita, e sono ancora allo stesso punto. 49. E perché punire un colpevole quando non c’è più alcun bene da trarre dal suo castigo? 50. Se si punisce solo per sé, si è davvero crudeli e malvagi. 51. Non c’è nessun buon padre che vorrebbe somigliare al nostro padre celeste.30 52. Che proporzione c’è tra offensore e offeso? Che proporzione c’è tra l’offesa e il castigo?31 Un ammasso di sciocchezze e atrocità! 53. E di cosa si sdegna tanto questo Dio? E non si dica che posso qualcosa pro o contro la sua gloria, pro o contro il suo riposo, pro o contro la sua felicità?
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54. On veut que Dieu fasse brûler le méchant qui ne peut rien contre lui, dans un feu qui durera sans fin ; et l’on permettrait à peine à un père de donner une mort passagère à un fils qui compromettrait sa vie, son honneur et sa fortune. 55. O chrétiens, vous avez donc deux idées différentes de la bonté et de la méchanceté, de la vérité et du mensonge. Vous êtes donc les plus absurdes des dogmatistes, ou les plus outrés des pyrrhoniens. 56. Il n’y a que celui qui pourrait commettre tout le mal possible, qui pourrait aussi mériter un châtiment éternel. Pour faire de Dieu un être infiniment vindicatif, vous transformez un ver de terre en un être infiniment puissant. Tout le mal dont on est capable, n’est pas tout le mal possible. 57. À entendre un théologien exagérer l’action d’un homme que Dieu fit amoureux, et qui a couché avec sa voisine, que Dieu fit complaisante et jolie, ne dirait-on pas que le feu ait été mis aux quatre coins de l’univers ? Eh, mon ami, écoute Marc Aurèle, et tu verras que tu courrouces ton Dieu pour le frottement illicite et voluptueux de deux intestins. 58. Ce que ces atroces chrétiens ont traduit par éternel ne signifie, en hébreu, que durable. C’est de l’ignorance d’un hébraïste et de l’humeur féroce d’un interprète que vient le dogme de l’éternité des peines.
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59. Pascal a dit : Si votre religion est fausse, vous ne risquez rien à la | croire vraie ; si elle est vraie, vous risquez tout à la croire fausse. Un iman en peut dire tout autant que Pascal. 60. Que Jésus-Christ qui est Dieu ait été tenté par le Diable, c’est un conte digne des mille et une nuits. 61. Je voudrais bien qu’un chrétien, qu’un janséniste surtout, me fît sentir le cui bono de l’incarnation. Encore ne faudrait-il pas enfler à l’infini le nombre des damnés, si l’on veut tirer quelque parti de ce dogme. 62. Mais pourquoi est-ce que le cygne de Léda et les petites flammes de Castor et Pollux nous font rire, et que nous ne rions pas de la colombe et des langues de feu de l’Évangile ? 63. Une jeune femme qui couchait ordinairement avec son mari, reçut un jour la visite d’un jeune homme accompagné d’un pigeon. Du jour de cette visite elle devint grosse et l’on demandait qui est-ce qui a fait l’enfant, du mari, du jeun homme ou de l’oiseau ? Un prêtre qui était là a dit : c’est l’oiseau. 64. Il y avait, dans les premiers siècles soixante évangiles presque également crus ; on en a rejeté cinquante-six pour raison de puérilité et d’ineptie : ne reste-t-il rien de cela dans ceux qu’on a conservés ? |
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65. Dieu donne une première loi aux hommes, il abolit ensuite cette loi. Cette conduite n’est-elle pas un peu d’un législateur qui s’est trompé, et qui le reconnaît avec le temps ? Est-ce qu’il est d’un être parfait de se raviser ?
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54. Si vuole che Dio faccia bruciare un malvagio che non può nulla contro di lui, in un fuoco che durerà eternamente, e si permetterebbe a malapena a un padre di dare una morte passeggera a un figlio che compromettesse la sua vita, il suo onore e la sua fortuna! 55. O cristiani, voi avete dunque due idee diverse della bontà e della malvagità, della verità e della menzogna. Voi siete dunque i più assurdi dei dogmatici, o i più spinti pirroniani. 56. Solo chi potesse commettere tutto il male possibile, potrebbe anche meritare un castigo eterno. Per fare di Dio un essere infinitamente vendicativo, voi trasformate un verme della terra in un essere infinitamente potente. Tutto il male di cui siamo capaci, non è tutto il male possibile. 57. A sentire un teologo ingigantire l’azione di un uomo che Dio fece licenzioso e che è giaciuto con la sua vicina, che Dio ha reso compiacente e graziosa, non si direbbe che il fuoco è stato messo ai quattro angoli dell’universo? Eh! Amico mio, ascolta Marco Aurelio e vedrai che tu corrucci il tuo Dio per degli sfregamenti illeciti e voluttuosi di due intestini.32 58. Quello che questi atroci cristiani hanno tradotto con eterno, in ebraico significa semplicemente durevole.33 Il dogma dell’eternità delle pene viene dall’ignoranza dell’ebraico e dal pessimo umore di un interprete. 59. Pascal ha detto: se la vostra religione è falsa, non rischiate niente a crederla vera; se essa è vera, rischiate tutto a crederla falsa. Un iman può dire la stessa cosa di Pascal.34 60. Che Gesù Cristo, che è Dio, sia stato tentato dal Diavolo, è un racconto delle Mille e una notte.35 61. Vorrei proprio che un cristiano, un giansenista soprattutto,36 mi facesse sentire il cui bono dell’incarnazione. Inoltre, non si dovrebbe gonfiare all’infinito il numero dei dannati, se si vuole trarre qualche partito da questo dogma. 62. Ma perché se un cigno di Leda e delle piccole fiamme di Castore e Polluce ci fanno ridere, noi non ridiamo della colomba e delle lingue di fuoco del Vangelo? 63. Una giovane donna viveva molto ritirata; un giorno ricevette la visita di un giovane uomo che portava un uccello; essa restò incinta; e ci si chiede: chi ha fatto il bambino? Bella domanda! È l’uccello.37 64. Nei primi secoli c’erano sessanta Vangeli considerati quasi egualmente autentici. Ne sono stati rifiutati cinquantasei per ragioni infantili e di ottusità.38 Non resta nulla di questo in quelli che abbiamo conservato? 65. Dio dà una prima legge agli uomini; in seguito abolisce questa legge. Questa condotta non è un po’ quella di un legislatore che si è sbagliato, e che lo riconosce col tempo? È forse proprio di un essere perfetto ricredersi?
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66. Il y a autant d’espèces de foi qu’il y a de religions au monde. 67. Tous les sectaires du monde ne sont que des déistes hérétiques. 68. Si l’homme est malheureux sans être né coupable, ne serait-ce pas qu’il est destiné à jouir d’un bonheur éternel, sans pouvoir, par sa nature, s’en rendre jamais digne ? 69. Voilà ce que je pense du dogme chrétien. Je ne dirai qu’un mot de sa morale. C’est que, pour un catholique père de famille, convaincu qu’il faut pratiquer à la lettre les maximes de l’Évangile, sous peine de ce qu’on appelle l’enfer ; attendu l’extrême difficulté d’atteindre à ce degré de perfection que l’Évangile exige, et que la faiblesse humaine ne comporte point, je ne vois d’autre parti que de prendre son enfant par un pied, et que de l’écacher contre la terre, ou que de l’étouffer immédiatement après le baptême. Par cette action il le sauve du péril de la damnation, et lui assure une félicité éternelle ; et je soutiens que cette action, loin d’être criminelle, doit passer pour infiniment louable, puisqu’elle est fondée sur le motif de l’amour paternel, qui exige que tout bon père fasse pour ses enfants tout le bien possible. | 371
70. Le précepte de la religion et la loi de la société qui défendent le meurtre des innocents, ne sont-ils pas en effet bien absurdes et bien cruels, lorsqu’en les tuant on leur assure un bonheur infini, et qu’en les laissant vivre on les dévoue, presque sûrement, à un malheur éternel ? 71. Comment, Monsieur de La Condamine, il sera permis d’inoculer son fils, pour le garantir de la petite vérole, et il ne sera pas permis de le tuer pour le garantir de l’enfer ? Vous vous moquez. 72. Satis triumphat veritas, si apud paucos eosque bonos accepta sit ; nec ejus indoles placere multis.
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66. Ci sono tante specie di fede quante religioni ci sono al mondo. 67. Tutti i settari del mondo non sono altro che deisti eretici.39 68. Se l’uomo è sventurato senza essere colpevole, non sarà che è destinato a godere di una felicità eterna, senza potere per sua natura rendersene mai degno?40 69. Ecco quello che penso del dogma cristiano. Dirò solo una parola sulla sua morale. Per un cattolico padre di famiglia convinto che si debbano praticare alla lettera le massime del Vangelo, minacciati di quello che noi chiamiamo l’inferno; considerata l’estrema difficoltà di rispettare questo grado di perfezione per niente adatto alla fallibilità umana, non vedo altra soluzione che quella di prendere il suo bambino per un piede e di sbatterlo per terra,41 o soffocarlo immediatamente alla nascita. Così facendo egli lo salva dal pericolo della dannazione, e gli assicura una felicità eterna; e sostengo che quest’azione, lungi dall’essere criminale, deve essere considerata come infinitamente lodevole poiché è fondata sul motivo dell’amore paterno che esige che ogni buon padre faccia per i suoi figli tutto il bene possibile.42 70. Il precetto della religione e della legge della società che difende l’uccisione degli innocenti non sono, in effetti, molto crudeli e molto assurde, poiché uccidendoli si assicura loro una felicità infinita, mentre lasciandoli vivere li si condanna quasi sicuramente all’infelicità eterna?43 71. Come, signor de La Condamine, sarà permesso inoculare il vaccino al proprio figlio per preservarlo dal vaiolo, e non sarà permesso di ucciderlo, per preservarlo dall’inferno?44 Voi scherzate ! 72. Satis triumphat veritas, si apud paucos eosque bonos accepta sit; nec eius indoles placere multis.45
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La passeggiata dello scettico (1747)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
La passeggiata dello scettico è un’opera composta nel 1747 di cui sono circolate solo alcune copie manoscritte fino alla data della sua pubblicazione nel 1831, all’interno del IV volume delle Mémoires, correspondance et ouvrages inédits de Diderot, publiés d’après les manuscrits confiés, en mourant par l’auteur à Grimm (Paris, Paulin). Già nei Pensieri filosofici erano presenti diversi elementi che dimostravano la prossimità di Diderot alla tradizione clandestina entro la quale si colloca appieno la Passeggiata. Tra questi si ricorda l’uso di argomenti razionalistici tipici della cultura libertina nella critica al cristianesimo, il ricorso a tradizioni culturali alternative a quella francese (dalla cultura classica greco-latina a quelle orientali), la presenza di uno scetticismo metodologico, ecc.1 A questi si aggiunge l’impianto testuale caratterizzato dall’anonimato della voce narrante, benché infatti emerga il nome di Aristo, che nella finzione narrativa avrebbe trascritto i discorsi dell’amico Cleobulo, il punto di vista di questo personaggio e del suo maestro non hanno alcuna rilevanza nella successiva descrizione dei tre viali. Tutto il Discorso preliminare ruota attorno a questi due personaggi emblema delle alternative che si ponevano allo stesso Diderot, che proprio in quegli anni esitava tra desiderio di pubblicazione e clandestinità prudenziale: Cleobulo, filosofo che vive ritirato in campagna, attorniato da un gruppetto di amici con cui condivide la passione per il pensiero, la conoscenza e la natura, e Aristo, giovane appassionato intellettuale e politico, che considera insufficiente la vita ritirata a fronte dell’urgenza di propagare i lumi e discutere di religione e politica. Tale situazione non rispecchia solo la condizione dell’autore, ma connota anche le due tendenze dell’illuminismo, diviso tra la volontà da parte dei suoi esponenti di diffondere i lumi della ragione nella società e la consapevolezza del rischio implicato dall’espressione di alcune idee critiche sulla politica e sulla religione. Il dialogo si conclude con il consiglio di Alcifrone di pubblicare l’opera fuori dalla Francia, suggerimento che fu più volte indirizzato a Diderot e che costituiva uno stratagemma a cui molti filosofi e intellettuali ricorrevano per poter diffondere le loro idee sfuggendo alla censura. La circolazione clandestina della Passeggiata dello scettico dimostra senz’altro l’impegno attivo del filosofo e dei pensatori a lui vicini per la diffusione dei lumi, anche prima dell’impresa enciclopedica. Secondo Franco Venturi peraltro proprio la Promenade, malgrado non fosse stata ritrovata al momento dell’arresto, sarebbe stata tra i motivi della detenzione del filosofo nel 17492, insieme alla Lettera sui ciechi. In quell’occasione, in effetti, Diderot ammise di essere l’autore di questo testo pur affermando di aver bruciato l’opera, negò invece di aver composto i Pensieri filosofici. Diderot ricorre a un genere molto usato nel XVIII secolo: l’allegoria3, scelta stilistica che caratterizza anche in altre sue opere di questo periodo come i Gioielli indi1
Sulle filosofie clandestine si veda G. Paganini, Introduzione alle filosofie clandestine, Laterza, Roma-Bari 2008. 2 F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, pp. 152-153. 3 Si veda M. Delon, La mutation de l’allégorie au XVIIIe siècle. L’exemple de Diderot, in Revue d’histoire littéraire de la France, n. 2, 2012, pp. 355-366.
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la passeggiata dello scettico
screti e L’uccello bianco, racconto blu. L’impianto generale è molto semplice e il filosofo include anche un piccolo dizionario in cui fornisce la chiave di interpretazione degli elementi più criptici. L’allegoria della Passeggiata dello scettico consiste nella descrizione di tre grandi viali, ciascuno dei quali rappresenta uno dei modi di vivere che si possono seguire lungo il cammino dell’esistenza: il viale delle spine, rappresenta i devoti cristiani che scelgono la via della mortificazione in questo mondo, in vista delle grandi ricompense che potranno ottenere nell’altro; il viale dei castagni, descrive la vita filosofica, i suoi piaceri e le sue erranze e presenta i suoi abitanti come divisi in sette, espediente che permette di far emergere i temi cruciali del dibattito filosofico del secolo, mostrando come il pluralismo e la divergenza di vedute non siano necessariamente contrari a una convivenza pacifica; infine, il viale dei fiori, luogo di vita libertina, in cui coloro che lo attraversano o che vi sostano sono dediti ai piaceri della vita, senza preoccupazione alcuna per il futuro, ma anche senza dare alcun peso agli scrupoli morali. L’opera è un importante documento che ci permette di comprendere l’evoluzione delle idee filosofiche di Diderot, in particolare dal deismo dei Pensieri Filosofici all’ateismo espresso nelle opere successive, la sua ricerca stilistica e il modificarsi della sua posizione sul rapporto tra pensiero e prassi. A questo proposito è importante non dare per scontato che l’«evoluzione» implichi un passaggio lineare dal deismo all’ateismo, anzi, proprio considerare questo testo nella sua ricchezza e complessità, ci permette di cogliere alcuni nodi problematici, ma anche di identificare quegli elementi stilistici e quelle intuizioni filosofiche ancora immature che è possibile ritrovare pienamente sviluppate nelle opere più tarde. La Passeggiata dello scettico riprende molti dei temi già affrontati nei Pensieri filosofici, in particolare gli argomenti anti-religiosi e la polemica contro la religione tradizionale, ma anche la contrapposizione tra la libertà di pensiero (rappresentata dalle discussioni tra le varie sette che percorrono il viale dei castagni) e il pensiero unico accompagnato da terribili imposizioni e castighi per coloro che trasgrediscono alle regole (descritto nel viale delle spine). Emerge anche la lotta contro l’intolleranza e un’aspra critica alle pratiche ascetiche e di mortificazione, qui completamente svalutate attraverso una pungente ironia. D’altra parte, pur nella piacevolezza delle descrizioni, Diderot ironizza sulla frivolezza dell’atteggiamento libertino, di coloro che apparentemente intenti al solo godimento dei piaceri della vita, incarnano in realtà un edonismo fatuo e concentrato solo sui piaceri del presente. Nel Discorso preliminare, inoltre, l’autore esplicita la tradizione filosofica all’interno della quale si può ricondurre il suo pensiero ed elenca i suoi autori di riferimento: Montaigne e Bayle, innanzitutto, ma anche i contemporanei come Voltaire e Montesquieu, accanto agli inglesi Berkeley e Swift. Importanti per comprendere quest’opera anche le opere di Shaftesbury, di cui Diderot aveva tradotto il Saggio sul merito e la virtù (corredato di sue riflessioni introdotte in nota al testo), con cui condivide il ricorso all’ironia e alla satira di cui questo testo è permeato. Sono presenti anche dei rimandi alla filosofia antica, esplicitati fin dalle primissime pagine: Socrate, Platone e Cicerone, ma anche gli epicurei e gli scettici menzionati nel viale dei castagni e un riferimento più celato, ma importante, quale Luciano di Samosata. Il personaggio di Cleobulo incarna tutta questa tradizione di pensiero critico, evidentemente contrapposta all’idea di philosophia perennis. Non è un caso che proprio Cleobulo abbia elaborato una filosofia locale o di situazione, che viene espressa prendendo spunto dagli elementi contingenti della circostanza: «una foglia staccata da un albero vicino e portata dallo zefiro sulla superficie dell’acqua» che ne increspa la superficie è l’occasione per discutere «dell’incostanza dei nostri affetti, della fragilità delle
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nostre virtù, della forza delle passioni, dei moti della nostra anima, dell’importanza e della difficoltà di esaminarsi senza essere prevenuti e di conoscere bene se stessi»; la «sommità di una collina» porta a esprimere «il disprezzo per tutto ciò che eleva l’uomo senza renderlo migliore», ecc. Il legame con il pensiero Montaigne qui è particolarmente evidente, come nei Saggi, infatti, il pensiero scaturisce dall’esperienza e la portata universalistica del ragionamento filosofico è sempre mitigata dal principio scettico secondo cui le stesse cose colpiscono ciascuno in modo diverso. L’importanza del pensiero scettico può essere colta grazie a una lettura attenta dell’opera che permette di rilevare tutti i tropi dello scetticismo sviluppati nelle diverse circostanze in cui vengono fatti agire i personaggi. Anzi, la portata critica del dubbio è tanto radicale da investire lo stesso pensiero scettico tramite la figura caricaturale di Zenocle, con cui Diderot mette in evidenza i limiti del pirronismo e le sue estreme conseguenze sul piano della prassi4. Nondimeno, l’idea di una filosofia fondata sulla ragione, ma impegnata in una ricerca costante, che non è paragonabile alla costruzione di sistema compiuto, è chiara proprio dalla scelta allegorica delle passeggiate. L’andare pensoso dei protagonisti del Discorso preliminare avviene in «una specie di labirinto formato da un alto viale di carpini potati, di abeti elevati e fitti» che poi si sviluppa nell’incertezza della ricerca degli uomini e delle donne che attraversano dei tre viali, compreso il viale delle spine che viene qualificato come un labirinto (§15). Infine, nel viale dei fiori si intersecano labirinti, non privi di insidie e di ombre, in cui smarrirsi piacevolmente (§1). Il topos della passeggiata richiama in primo luogo la Promenade en neuf dialogues del pensatore libertino François de La Motte La Vayer, ma ricorda anche le ambientazioni dei dialoghi di Shaftesbury e di Berkeley, e anticipa le peregrinazioni di Jacques il fatalista e il suo padrone. Una trentina d’anni dopo, la passeggiata sarò anche il fulcro delle Fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean-Jacques Rousseau, filosofo a cui Diderot è stato legato da una profonda vicinanza negli anni giovanili. Passeggiata e fantasticheria, arte e natura si intersecano anche nel famoso commento di Diderot al dipinto di Vernet, la Promenade Vernet contenuta nel Salon del 1767, la connessione tra questi due testi è manifesta anche per la presenza di un’altra metafora, quella metereologica, dell’arrivo di un temporale che conclude la descrizione delle dispute tra sette filosofiche nel viale dei castagni. Il fenomeno meteorologico avverso irrompe, contrapponendo al modello della volta stellata e limpida fontenelliana, immagine di un mondo ordinato, comprensibile, rispondente a leggi universali. Il manifestarsi del temporale invece è rappresentativo di una natura che si cela al suo interprete, impossibilitato a costruire un sistema quale strumento di rispecchiamento e interpretazione esaustiva del mondo. Cleobulo con la sua saggezza locale aveva già indicato un’epistemologia non deduttiva, attenta alle eccezioni e alla singolarità. L’interruzione che troviamo nella Passeggiata troverà un nuovo sviluppo nella Promenade Vernet, dove l’uragano che sopraggiunge assumerà in modo più netto i contorni della forza creatrice della natura. Dalla foglia che increspa l’acqua cristallina al temporale, nella Passeggiata dello scettico si annuncia già il ruolo decisivo svolto da queste metafore «nel processo di messa in scena della complessità empirica del mondo che opera nella scrittura del filosofo»5. 4 Sullo scetticismo nella Passeggiata si veda J. Chouillet, Le personnage du sceptique dans les premières oeuvres de Diderot (1745-1747) in Dix-huitième siècle, n. 1, 1969, pp. 195-212. 5 T. Belleguic, Diderot et le temps qu’il fait : portrait de l’écrivain en météorologue, in Tangence, 2003, n. 73, p. 27.
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la passeggiata dello scettico
Nota al testo La presente traduzione si basa sul testo francese stabilito da Herbert Dieckmann con commento di H. Dieckmann e Jean Deprun per l’edizione DPV (vol. II, pp. 71-161), accanto all’edizione a cura di Michel Delon (CR, pp. 47-128) corredata da un notevole apparato critico di cui si è tenuto conto. Esiste una sola traduzione di quest’opera in italiano, quella di Mirella Brini Savorelli (La passeggiata dello scettico: colloquio sulla religione, la filosofia, la mondanità, Serra e Riva, Milano 1984), una buona traduzione che, tuttavia, traspone in maniera molto libera alcuni passaggi dell’opera diderotiana.
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Frontespizio del manoscritto de La passeggiata dello scettico (fonte: www.gallica.bnf.fr)
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Discours préliminaire
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[DPV, II, 73-155]
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Les prétendus connaisseurs en fait de style chercheront vainement à me déchiffrer. Je n’ai point de rang parmi les écrivains connus. Le hasard m’a mis la plume à la main ; et trop de dégoûts accompagnent la condition d’auteur, pour que dans la suite je me fasse une habitude d’écrire. Voici à quelle occasion je m’en suis avisé pour cette fois. Appelé par mon rang et par ma naissance à la profession des armes, je l’ai suivie, malgré le goût naturel qui m’entraînait à l’étude de la philosophie et des belles-lettres. J’ai fait la campagne de 1745, et je m’en glorifie ; j’ai été dangereusement blessé à la journée de Fontenoi ; mais j’ai vu la guerre, j’ai vu mon roi augmenter l’ardeur de son général par sa présence, le général transmettre à l’officier son esprit, l’officier soutenir l’intrépidité du soldat, le Hollandais contenu, l’Autrichien repoussé, l’Anglais dispersé, et ma nation victorieuse. À mon retour de Fontenoi, j’allai passer le reste de l’automne au fond d’une province, dans une campagne assez solitaire. J’étais bien résolu de | n’y voir personne, ne fût-ce que pour observer plus rigoureusement le régime qui convenait à ma convalescence ; mais mes semblables ne sont faits ni pour vivre inconnus, ni pour être négligés : c’est la malédiction de notre état. Sitôt qu’on me sut à C..., la compagnie me vint de toute part. Ce fut une persécution, et je ne pus jamais être seul. Il n’y eut que vous, mon cher Cléobule, mon digne et respectable ami, qui ne parûtes point. Je reçus, je crois, toute la terre, excepté le seul homme qu’il me fallait. Je n’ai garde de vous en faire un reproche : était-il naturel que vous abandonnassiez les amusements de votre chère solitude, pour venir sécher d’ennui parmi la foule d’oisifs dont j’étais obsédé ? Cléobule a vu le monde et s’en est dégoûté ; il s’est réfugié de bonne heure dans une petite terre qui lui reste des débris d’une fortune assez considérable ; c’est là qu’il est sage et qu’il vit heureux. « Je touche à la cinquantaine, me disait-il un jour ; les passions ne me demandent plus rien, et je suis riche avec la centième partie d’un revenu qui me suffisait à peine à l’âge de vingt-cinq ans. » Si quelque jour un heureux hasard vous conduit dans le désert de Cléobule, vous y verrez un homme d’un abord sérieux, mais poli ; il ne se répandra point en longs compliments, mais comptez sur la sincérité de ceux qu’il vous fera. Sa conversation est enjouée sans être frivole ; il parle volontiers de la vertu ; mais du ton dont il en parle, on sent qu’il est bien avec elle. Son caractère est celui même de la divinité, car il fait le bien, il dit la vérité, il aime les bons et il se suffit à lui-même. On arrive dans sa retraite par une avenue de vieux arbres qui n’ont jamais éprouvé les soins ni le ciseau du jardinier. Sa maison est construite avec plus de goût que de magnificence. Les appartements en sont moins spacieux que commodes ; son ameublement est simple, mais propre. Il a des | livres en petit nombre. Un vestibule, orné des bustes de Socrate, de Platon, d’Atticus, de Cicéron, conduit dans un enclos qui n’est ni bois, ni prairie, ni jardin ; c’est un assemblage de tout cela. Il a préféré un désordre toujours nouveau à la symétrie qu’on sait en un moment ; il a voulu que la nature se montrât partout dans son parc ; et, en effet, l’art ne s’y aperçoit que quand il est un jeu de la nature. Si quelque chose semble y avoir été pratiqué par la main des hommes ; c’est
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Discorso preliminare
I pretesi esperti in fatto di stile cercheranno invano di riconoscermi.1 Non faccio parte del novero degli scrittori conosciuti. Il caso mi ha messo la penna in mano; e troppo fastidio accompagna la condizione di autore, perché in seguito divenga una mia abitudine scrivere; ecco in quale occasione mi sono deciso a farlo questa volta. Chiamato dal mio rango e dalla mia nascita alla professione delle armi, l’ho seguita quantunque il mio gusto mi portasse naturalmente allo studio della filosofia e delle belle lettere.2 Ho fatto la campagna del 1745 e me ne compiaccio. Sono stato gravemente ferito nella giornata di Fontenoy;3 ma ho visto la guerra, ho visto il mio re aumentare l’ardore del suo generale con la sua presenza, il generale trasmettere all’ufficiale il suo spirito, l’ufficiale sostenere l’intrepidità del soldato, l’Olandese contenuto, l’Austriaco respinto, l’Inglese disperso e la mia nazione vittoriosa. Al mio ritorno da Fontenoy sono andato a trascorrere il resto dell’autunno in una campagna assai solitaria; ero davvero risoluto a non vedere nessuno; se non altro per osservare rigorosamente il regime che conveniva alla mia convalescenza. Quelli come me, però, non sono fatti né per vivere come sconosciuti, né per essere trascurati. È la maledizione del nostro stato. Appena si seppe che mi trovavo a C... vennero a farmi compagnia da tutte le parti. Fu una persecuzione, e non sono mai potuto restare solo. Solo voi, mio caro Cleobulo,4 mio degno e rispettabile amico, non vi faceste vedere. Ricevetti, credo, tutto il mondo, eccetto il solo uomo di cui avevo bisogno. Non c’è pericolo che vi rimproveri. Era forse naturale che abbandonaste i piaceri della vostra cara solitudine per venire morire di noia, in mezzo alla folla di oziosi da cui ero assillato? Cleobulo ha visto il mondo e ne è rimasto disgustato. Si è rifugiato presto in un piccolo terreno che gli rimane come resto di una fortuna davvero considerevole. È là che fa il saggio e vive felice. «Ho raggiunto la cinquantina», mi disse un giorno, «le passioni non mi chiedono più niente e sono ricco con la centesima parte di una rendita che mi bastava a malapena a venticinque anni.» Se un giorno un caso fortuito vi condurrà nel deserto di Cleobulo, vedrete un uomo a prima vista serio, ma educato. Non si diffonderà in lunghi complimenti, ma contate sulla sincerità di quelli che vi farà, la sua conversazione è vivace,5 senza essere frivola. Parla volentieri della virtù, ma dal tono con cui ne parla, si sente che è a suo agio con essa. Il suo carattere è lo stesso della divinità; perché fa il bene, dice la verità, ama i buoni e basta a se stesso. Si arriva al suo ritiro attraversando un viale di vecchi alberi che non hanno mai provato le cure né le forbici di un giardiniere. La sua casa è costruita con più gusto che magnificenza. Gli appartamenti sono più comodi che spaziosi. Il mobilio è semplice, ma ben tenuto. Ha dei libri, ma non molti. Un’anticamera ornata dai busti di Socrate, Platone, Attico e Cicerone, conduce a una piccola tenuta che non è né bosco, né una prateria, né un giardino. È un insieme di tutto ciò. Ha preferito un disordine sempre nuovo alla simmetria che si coglie in un istante. Ha voluto che la natura si mostrasse ovunque nel suo parco, e, in effetti, l’arte si percepisce solo quando è un gioco della natura. Se c’è una cosa su cui sembra essersi esercitata la mano dell’uomo
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une sorte d’étoile où concourent quelques allées qui resserrent entre elles un parterre moins étendu qu’irrégulier. C’est là que j’ai joui cent fois de l’entretien délicieux de Cléobule et du petit nombre d’amis qu’il y rassemble ; car il en a, et ne craint pas de les perdre. Voici par quel secret il sait les conserver ; il n’a jamais exigé d’aucun qu’il conformât ses sentiments aux siens, et il ne les gêne non plus sur leurs goûts que sur leurs opinions : c’est là que j’ai vu le pyrrhonien embrasser le sceptique, le sceptique se réjouir des succès de l’athée, l’athée ouvrir sa bourse au déiste, le déiste faire des offres de service au spinosiste ; en un mot toutes les sectes de philosophes rapprochées et unies par les liens de l’amitié. C’est là que résident la concorde, l’amour de la vérité, la vérité, la franchise et la paix ; et c’est là que jamais ni scrupuleux, ni superstitieux, ni dévot, ni docteur, ni prêtre, ni moine n’a mis le pied. Ravi de la naïveté des discours de Cléobule, et d’un certain ordre que j’y voyais régner, je me plus à l’étudier, et je remarquai bientôt que les matières qu’il entamait étaient presque toujours analogues aux objets qu’il avait sous les yeux. Dans une espèce de labyrinthe, formé d’une haute charmille coupée | de sapins élevés et touffus, il ne manquait jamais de m’entretenir des erreurs de l’esprit humain, de l’incertitude de nos connaissances, de la frivolité des systèmes de la physique et de la vanité des spéculations sublimes de la métaphysique. Assis au bord d’une fontaine, s’il arrivait qu’une feuille détachée d’un arbre voisin, et portée par le zéphir sur la surface de l’eau, en agitât le cristal et en troublât la limpidité, il me parlait de l’inconstance de nos affections, de la fragilité de nos vertus, de la force des passions, des agitations de notre âme, de l’importance et de la difficulté de s’envisager sans prévention, et de se bien connaître. Transportés sur le sommet d’une colline qui dominait les champs et les campagnes d’alentour, il m’inspirait le mépris pour tout ce qui élève l’homme sans le rendre meilleur ; il me montrait mille fois plus d’espace au-dessus de ma tête que je n’en avais sous mes pieds, et il m’humiliait par le rapport évanouissant du point que j’occupais à l’étendue prodigieuse qui s’offrait à ma vue. Redescendus dans le fond d’une vallée, il considérait les misères attachées à la condition des hommes, et m’exhortait à les attendre sans inquiétude et à les supporter sans faiblesse. Une fleur lui rappelait ici une pensée légère ou un sentiment délicat. Là c’était au pied d’un vieux chêne, ou dans le fond d’une grotte, qu’il retrouvait un raisonnement nerveux et solide, une idée forte, quelque réflexion profonde. Je compris que Cléobule s’était fait une sorte de philosophie locale ; que toute sa campagne était animée et parlante pour lui ; que chaque objet lui fournissait des pensées d’un genre particulier, et que les ouvrages de | la nature étaient à ses yeux un livre allégorique où il lisait mille vérités qui échappaient au reste des hommes. Pour m’assurer davantage de ma découverte, je le conduisis un jour à l’étoile dont j’ai parlé. Je me souvenais qu’en cet endroit il m’avait touché quelque chose des routes diverses par lesquelles les hommes s’avancent vers leur dernier terme, et j’essayai s’il ne reviendrait pas dans ce lieu à la même matière. Que je fus satisfait de mon expérience ! Combien de vérités importantes et neuves n’entendis-je pas ! En moins de deux heures que nous passâmes à nous promener de l’allée des épines dans celle des marronniers, et de l’allée des marronniers dans son parterre, il épuisa l’extravagance des religions, l’incertitude des systèmes de la philosophie et la vanité des plaisirs du monde. Je me
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è una specie di stella, in cui convergono alcuni viali che racchiudono uno spiazzo irregolare e poco esteso. È là che ho goduto molte volte della conversazione di Cleobulo e del piccolo numero di amici che egli riunisce: poiché ne ha alcuni e non teme di perderli; ecco qual è il segreto grazie al quale li conserva: non ha mai preteso da nessuno che conformasse i propri sentimenti ai suoi e non li mette mai a disagio per quanto riguarda i loro gusti e le loro opinioni. È là che ho visto il pirroniano abbracciare lo scettico, lo scettico rallegrarsi dei successi dell’ateo, l’ateo aiutare economicamente il deista, il deista offrire i suoi servigi allo spinozista, e in una parola tutte le sette dei filosofi approssimate e unite da un legame di amicizia. È là che risiedono la concordia, l’amore della verità, la verità, la franchezza e la pace; ed è là che mai né pudico, né superstizioso, né devoto, né dottore, né prete o monaco hanno mai messo piede. Entusiasmato dalla spontaneità dei discorsi di Cleobulo e da un certo ordine che vedevo regnarvi, lo studiai volentieri e notai presto che le materie che affrontava erano quasi sempre analoghe agli oggetti che aveva sotto gli occhi.6 In una specie di labirinto formato da un alto viale di carpini potati, di abeti elevati e fitti, non mancava mai di intrattenermi sugli errori dello spirito umano, sull’incertezza delle nostre conoscenze, sulla frivolezza dei sistemi della fisica e sulla vanità delle speculazioni sublimi della metafisica. Seduto sul bordo di una fontana, se accadeva che una foglia staccatasi da un albero vicino e portata dallo zefiro sulla superficie dell’acqua ne agitasse la cristallinità e ne increspasse la limpidezza, mi parlava dell’incostanza dei nostri affetti, della fragilità delle nostre virtù, della forza delle passioni, dei moti della nostra anima, dell’importanza e della difficoltà di esaminarsi senza essere prevenuti e di conoscere bene se stessi. Trasferiti sulla sommità di una collina che dominava i campi e le campagne d’attorno, m’ispirava il disprezzo per tutto ciò che eleva l’uomo senza renderlo migliore; mi mostrava che c’era mille volte più spazio sopra la mia testa di quanto ne avessi sotto i miei piedi, e mi umiliava attraverso il rapporto decrescente7 dal punto che occupavo, alla distesa prodigiosa che si offriva alla mia vista. Ridisceso al fondo di una valle, prendeva in considerazione le miserie legate alla condizione degli uomini e mi esortava ad aspettarmele senza inquietudine e a sopportarle senza debolezza. Un fiore gli ricordava qui un pensiero leggero,8 o un sentimento delicato; là, ai piedi di una vecchia quercia, o nel fondo di una grotta ritrovava un ragionamento nervoso e saldo, un’idea forte, qualche riflessione profonda. Ho capito che Cleobulo si era costruito una specie di filosofia locale;9 che tutta la sua campagna era per lui animata e parlante; che ciascun oggetto gli forniva dei pensieri di genere particolare, e che le opere della natura erano ai suoi occhi un libro allegorico10 in cui leggeva mille verità che sfuggivano al resto degli uomini. Per essere più certo della mia scoperta, lo condussi un giorno alla stella di cui ho parlato. Mi ricordavo che in questo luogo, mi aveva colpito qualcosa che riguardava le diverse strade lungo le quali gli uomini avanzano verso il loro ultimo termine e provai a vedere se non ritornava nuovamente su questo soggetto in quel luogo. Come fui soddisfatto del mio esperimento! Quante verità importanti e nuove ascoltai! In meno di due ore che trascorremmo a passeggiare insieme lungo il viale delle spine e lungo il viale dei castagni, e dal viale dei castagni al suo spiazzo, egli sviscerò la stravaganza delle religioni, l’incertezza dei sistemi filosofici e la vanità dei piaceri del
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séparai de lui, pénétré de la justesse de ses notions, de la netteté de son jugement et de l’étendue de ses connaissances ; et, de retour chez moi, je n’eus rien de plus pressé que de rédiger son discours, ce qui me fut d’autant plus facile que, pour se mettre à ma portée, Cléobule avait affecté d’emprunter des termes et des comparaisons de mon art. Je ne doute point qu’en passant par ma plume, les choses n’aient beaucoup perdu de l’énergie et de la vivacité qu’elles avaient dans sa bouche ; mais j’aurai du moins conservé les principaux traits de son discours. C’est ce discours que je donne aujourd’hui sous le titre de la Promenade du Sceptique, ou de l’Entretien sur la Religion, la Philosophie et le Monde. J’en avais déjà communiqué quelques copies ; elles se sont multipliées, et j’ai vu l’ouvrage si monstrueusement défiguré dans quelques-unes, que craignant que Cléobule, instruit de mon indiscrétion, ne m’en sût mauvais gré, j’allai le prévenir, solliciter ma grâce, et même obtenir la permission | de publier ses pensées. Je tremblai en lui annonçant le sujet de ma visite ; je me rappelai l’inscription qu’il a fait placer à l’entrée de son vestibule ; c’est un beatus qui moriens fefellit en marbre noir, et je désespérai du succès de ma négociation ; mais il me rassura, me prit par la main, me conduisit sous ses marronniers, et m’adressa le discours suivant : « Je ne vous blâme point de travailler à éclairer les hommes ; c’est le service le plus important qu’on puisse se proposer de leur rendre, mais c’est aussi celui qu’on ne leur rendra jamais. Présenter la vérité à de certaines gens, c’est, disait ingénieusement un de nos amis, un jour que je m’entretenais avec lui sous ces ombrages, introduire un rayon de lumière dans un nid de hiboux ; il ne sert qu’à blesser leurs yeux et à exciter leurs cris. Si les hommes n’étaient ignorants que pour n’avoir rien appris, peut-être les instruirait-on ; mais leur aveuglement est systématique. Ariste, vous n’avez pas seulement affaire à des gens qui ne savent rien, mais à des gens qui ne veulent rien savoir. On peut détromper celui dont l’erreur est involontaire ; mais par quel endroit attaquer celui qui est en garde contre le sens commun ? Ne vous attendez donc pas que votre ouvrage serve beaucoup aux autres ; mais craignez qu’il ne vous nuise infiniment à vous-même. La religion et le gouvernement sont des sujets sacrés auxquels il n’est pas permis de toucher. Ceux qui tiennent le timon de l’Église et de l’État seraient fort embarrassés s’ils avaient à nous rendre une bonne raison du silence qu’ils nous imposent ; mais le plus sûr est d’obéir et de se taire, à moins qu’on n’ait trouvé dans les airs quelque point fixe hors de la portée de leurs traits, d’où l’on puisse leur annoncer la vérité. » Je conçois, lui répondis-je, toute la sagesse de vos conseils ; mais sans m’engager à les suivre, oserais-je vous demander pourquoi la religion et le gouvernement sont des sujets d’écrire qui nous sont interdits ? Si la vérité et la justice ne peuvent que gagner à mon examen, il est ridicule de me défendre d’examiner. En m’expliquant librement sur la religion, lui donnerai-je une atteinte plus forte que celle qu’elle reçoit de la défense qu’on | me fait de m’expliquer ? Si le célèbre Cochin, après avoir établi les moyens de sa cause, s’était avisé de conclure à ce que la réplique fût interdite à sa partie, quelle étrange idée n’eût-il pas donnée de son droit ? Que l’esprit d’intolérance anime les mahométans ; qu’ils maintiennent leur religion par le fer et par le feu, ils sont conséquents ; mais que des gens qui se disent imitateurs d’un maître qui apporta dans le monde une loi d’amour, de bienveillance et de paix, la protègent à main armée, c’est ce qui n’est pas supportable. Ont-ils donc oublié l’aigreur avec laquelle il réprimanda ces disciples impétueux qui le sollicitaient d’appeler le feu du ciel sur des villes qu’ils n’avaient point eu le talent de persuader ? En un mot, les raisonnements de l’esprit fort sont-ils solides, on a tort de les combattre ; sont-ils mauvais, on a tort de les redouter.
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mondo; mi separai da lui penetrato dalla correttezza delle sue concezioni, dalla nettezza del suo giudizio, e dall’estensione delle sue conoscenze; appena tornato a casa mia, non c’era nulla di più impellente che scrivere il suo discorso, cosa che fu resa più facile dal fatto che, per essere alla mia portata, Cleobulo aveva deciso utilizzare i termini e i paragoni dalla mia arte. Non dubito che passando attraverso la mia penna, le cose abbiano perso molta dell’energia e della vivacità che avevano in bocca sua, ma ho conservato almeno i tratti principali del suo discorso. È questo discorso che pubblico oggi con il titolo di La passeggiata dello scettico o di Colloquio sulla Religione, la Filosofia e il Mondo. Ne avevo già trasmessa qualche copia. Si sono moltiplicate le trascrizioni e ho visto l’opera così mostruosamente sfigurata in alcune di esse che, temendo che Cleobulo, informato della mia indiscrezione, sarebbe stato scontento di me, andai a prevenirlo, sollecitando la grazia e ottenendo il permesso di pubblicare i suoi pensieri. Tremavo annunciandogli la ragione della mia visita. Mi ricordavo dell’iscrizione che egli aveva fatto appendere all’entrata della sua anticamera. È un Beatus qui morient fefellit,11 in marmo nero; e disperavo di avere successo nella mia negoziazione; ma egli mi rassicurò, mi prese la mano, mi condusse sotto i castagni e mi fece il seguente discorso. «Non vi biasimo per lo sforzo che fate per illuminare gli uomini. È il servizio più importante che si possa decidere di rendere loro; ma è anche quello che non si renderà mai. Presentare la verità a certe persone, diceva acutamente uno dei nostri amici, un giorno che c’intrattenevamo sotto queste fronde, è come introdurre un raggio di luce in un nido di gufi.12 Non serve che a ferire i loro occhi e a eccitare le loro grida. Se gli uomini fossero ignoranti solo per non aver mai imparato, forse li potremmo istruire, ma la loro cecità è sistematica. Aristo, voi non avete a che fare solamente con persone che non sanno nulla, ma con persone che non vogliono saper nulla. Si può disilludere colui il cui errore è involontario, ma da che parte attaccare chi si mette in guardia contro il buonsenso? Non aspettatevi, dunque, che la vostra opera serva molto agli altri: ma preoccupatevi che non nuoccia molto a voi. La religione e il governo sono argomenti sacri che non è lecito toccare. Quelli che tengono il timone della Chiesa e dello Stato sarebbero molto imbarazzati se dovessero darci una buona ragione del silenzio che ci impongono, ma la cosa più sicura è obbedire e tacere, a meno che non si sia trovato in aria qualche punto fisso fuori dalla portata dei loro dardi, da cui gli si annuncia la verità.» Comprendo, gli risposi, tutta la saggezza dei vostri consigli, ma senza impegnarmi a seguirli, oserò chiedervi perché la religione e il governo sono dei soggetti su cui è vietato scrivere. Se la verità e la giustizia hanno solo da guadagnare dalla mia analisi, è ridicolo proibirmi di esaminarli. Se il celebre Cochin13 dopo aver stabilito i mezzi della sua causa avesse osato concludere che la replica fosse stata interdetta alla sua controparte, che strana idea ci avrebbe dato del suo diritto? Che lo spirito d’intolleranza animi i maomettani,14 che mantengono la loro religione con il ferro e il fuoco: essi sono conseguenti. Ma che dei popoli che si dicono imitatori di un maestro che ha portato nel mondo una legge d’amore, di benevolenza e di pace, la proteggano con mano armata, è qualcosa di insopportabile.15 Hanno dunque dimenticato l’asprezza con la quale egli rimproverò i suoi discepoli impetuosi che lo sollecitavano a chiamare il fuoco dal cielo sulle città che essi erano riusciti a persuadere?16 In breve, se i ragionamenti del libero pensatore sono solidi, è sbagliato combatterli. Se sono cattivi, si ha torto di temerli.
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« On pourrait vous répondre, reprit Cléobule, qu’il y a des préjugés dans lesquels il est important d’entretenir le peuple. » Et quels, lui répartis-je vivement ? Quand un homme admet une fois l’existence d’un Dieu, la réalité du bien et du mal moral, l’immortalité de l’âme, les récompenses et les châtiments à venir, qu’a-t-il besoin de préjugés ? Lorsqu’il sera profondément initié dans les mystères de la transsubstantiation, de la consubstantiation, de la Trinité, de l’union hypostatique, de la prédestination, de l’incarnation, et le reste, en sera-t-il meilleur citoyen ? Quand il saurait cent fois mieux que le sorboniste le plus habile, si les trois personnes divines sont trois substances distinctes et différentes ; si le Fils et le Saint-Esprit sont tout-puissants, ou s’ils sont subordonnés | à Dieu le Père ; si l’union des trois personnes consiste dans la connaissance intime et mutuelle qu’elles ont de leurs pensées et de leurs desseins ; s’il n’y a point de personnes en Dieu ; si le Père, le Fils et le Saint-Esprit sont trois attributs de la Divinité, sa bonté, sa sagesse et sa puissance ; si ce sont trois actes de sa volonté, la création, la rédemption et la grâce ; si ce sont deux actes ou deux attributs du Père, la connaissance de lui-même, par laquelle le Fils est engendré, et son amour pour le Fils, d’où procède le Saint-Esprit ; si ce sont trois relations d’une même substance, considérée comme incréée, engendrée et produite ; ou, si ce ne sont que trois dénominations, en serait-il plus honnête homme ? Non, mon cher Cléobule, il concevrait toute la vertu secrète de la personnalité, de la consubstantialité, de l’homoousios et de l’hypostase, qu’il pourrait n’être qu’un fripon. Le Christ a dit : aimez Dieu de tout votre cœur, et votre prochain comme vous-même : voilà la loi et les prophètes. Il avait trop de jugement et d’équité pour attacher la vertu et le salut des hommes à des mots vides de sens. Cléobule, ce ne sont point les grandes vérités qui ont inondé la terre de sang. Les hommes ne se sont guères entretués que pour des choses qu’ils n’entendaient point. Parcourez l’histoire ecclésiastique, et vous serez convaincu que si la religion chrétienne eût conservé son ancienne simplicité ; que si l’on n’eût exigé des hommes que la connaissance de Dieu et l’amour du prochain ; que si l’on n’eût point embarrassé le christianisme d’une infinité de superstitions qui l’ont rendu dans les siècles à venir indigne d’un Dieu aux yeux des gens sensés ; en un mot, que si l’on n’eût prêché aux hommes qu’un culte dont ils eussent trouvé les premiers fondements dans leur âme, ils ne l’auraient jamais rejeté, et ne se seraient point querellés après l’avoir admis. L’intérêt a engendré les prêtres, les prêtres ont engendré les préjugés, les préjugés ont engendré les guerres, et les guerres dureront tant qu’il y aura des préjugés, les préjugés tant qu’il y aura des prêtres, et les prêtres tant qu’il y aura de l’intérêt à l’être. | « Aussi, continua Cléobule, il me semble que je suis au temps de Paul, dans Éphèse, et que j’entends de toute part les prêtres répéter les clameurs qui s’élevèrent jadis contre lui. » « Si cet homme a raison, s’écrieront ces marchands de reliques, c’est fait de notre trafic, nous n’avons qu’à fermer nos ateliers et mourir de faim. » Ariste, si vous m’en croyez, vous préviendrez cet éclat, vous renfermerez votre manuscrit, et ne le communiquerez qu’à nos amis. Si vous êtes flatté du mérite de savoir écrire et penser, c’est un éloge qu’ils seront forcés de vous accorder. Mais si, jaloux d’une réputation plus étendue, l’estime et la louange sincère d’une petite société de philosophes ne vous suffisent pas, donnez un ouvrage que vous puissiez avouer. Occupez-vous d’un autre sujet, vous en trouverez mille pour un qui prêteront, et même davantage, à la légèreté de votre plume. » Quant à moi, Cléobule, lui répondis-je, j’ai beau considérer les objets qui m’environnent, je n’en aperçois que deux qui méritent mon attention, et ce sont précisément les seuls dont vous me défendez de parler. Imposez-moi silence sur la religion et le gou-
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«Vi si potrebbe rispondere, riprese Cleobulo, che ci sono dei pregiudizi nei quali è importante mantenere il popolo.» E quali? Gli ribattei vivacemente. Quando un uomo ammette una volta l’esistenza di un Dio, la realtà del bene e del male morale, l’immortalità dell’anima, le ricompense e i castighi a venire, che bisogno dovrebbe mai avere dei pregiudizi? Non appena sarà iniziato ai misteri della transustanziazione, della consustanziazione, della Trinità, dell’unione ipostatica, della predestinazione, dell’incarnazione,17 e il resto, sarà forse un cittadino migliore? Quando sapesse cento volte meglio del più abile sorboniano se le tre persone divine sono tre sostanze distinte e differenti; se il Figlio e lo Spirito Santo sono onnipotenti, o se sono subordinati a Dio Padre; se l’unione delle tre persone consiste nella conoscenza intima e reciproca che esse hanno dei loro pensieri e dei loro disegni; se non c’è nulla delle persone in Dio; se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre attributi della divinità; la sua bontà, la sua saggezza e la sua potenza; se sono tre atti della sua volontà, la creazione, la redenzione e la grazia; se sono due atti o due attributi del Padre, la conoscenza di se stesso attraverso la quale il Figlio è generato, e il suo amore per il Figlio, da cui procede lo Spirito Santo; se queste sono tre relazioni di una medesima sostanza, considerata come increata, ingenerata e prodotta, o se non sono che tre denominazioni, sarà un uomo più onesto? No, mio caro Cleobulo, se anche concepisse tutta la virtù segreta della personalità, della consustanzialità, dell’omousia18 e dell’ipostasi, potrebbe rimanere un briccone; il Cristo ha detto, amate Dio con tutto il vostro cuore e il prossimo come voi stessi; ecco la Legge e i Profeti;19 aveva troppo giudizio ed equità per legare la virtù e la salvezza degli uomini a delle parole prive di senso. Cleobulo, non sono state le grandi verità che hanno inondato la terra di sangue. Gli uomini si sono ammazzati solo per delle cose che non capiscono per nulla. Ripercorrete la storia ecclesiastica e vi convincerete che, se la religione cristiana avesse conservato la sua antica semplicità; se avessimo preteso dagli uomini soltanto la conoscenza di Dio e l’amore per il prossimo; che se si fosse ingarbugliato il cristianesimo con un’infinità di superstizioni che l’hanno reso, nei secoli a venire, indegno di un Dio agli occhi delle persone sensate. Insomma, se avessimo predicato agli uomini solo un culto di cui poter trovare i fondamenti primi nel proprio animo, non l’avrebbero mai rifiutato e non si sarebbero messi a disputare dopo averlo accolto. L’interesse ha generato i preti, i preti hanno generato i pregiudizi, i pregiudizi hanno generato le guerre, e le guerre dureranno fintanto che ci saranno i pregiudizi, i pregiudizi fintanto che ci sono dei preti, e i preti fintanto che ci sarà interesse esserlo. «Così, ha continuato Cleobulo, mi sembra di essere ai tempi di Paolo, a Efeso e sentire da tutte le parti i preti ripetere i clamori che si levarono un tempo contro di lui. «Se quest’uomo ha ragione» grideranno questi mercanti di reliquie, «i nostri affari sono finiti, non ci resta che chiudere le nostre botteghe e morire di fame.»20 Aristo, se vi fidate di me, preverrete questo scandalo, rinchiuderete questo manoscritto e trasmetterete solamente ai nostri amici.21 Se vi vantate del merito di saper scrivere e pensare, è un elogio che saranno costretti a concedervi. Ma se, avido di una reputazione più vasta, la stima e l’elogio sincero di una piccola società di filosofi non vi basta, pubblicate un’opera che possiate riconoscere: occupatevi di un altro soggetto; ne troverete mille che si presteranno anche di uno solo più alla leggerezza della vostra penna. In quanto a me, Cleobulo, gli risposi, ho ben considerato gli oggetti che mi circondano, ne trovo due soli che meritano la mia attenzione, e questi sono precisamente i due di cui voi mi diffidate di parlare. Imponetemi il silenzio sulla religione e sul governo, e
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vernement, et je n’aurai plus rien à dire. En effet, que m’importe que l’académicien... ait fait un insipide roman ; que le père... ait prononcé en chaire un discours académique ; que le chevalier de... nous inonde de misérables brochures ; que la duchesse... mendie les faveurs de ses pages ; que le fils du duc... soit à son père ou à un autre ; que D... compose ou fasse composer ses ouvrages ? tous ces ridicules sont sans conséquence. Ces sottises ne touchent ni à votre bonheur ni au mien. La mauvaise histoire de... serait par impossible quatre fois plus mauvaise encore, que l’État n’en serait ni mieux ni plus mal réglé. Ah ! mon cher Cléobule, cherchez-nous, s’il vous plaît, des sujets plus intéressants, ou souffrez que nous nous reposions. « Je consens, reprit Cléobule, que vous vous reposiez tant qu’il vous plaira. N’écrivez jamais s’il faut que vous vous perdiez par un écrit ; mais si c’est une nécessité que vous trompiez votre loisir aux dépens du public, que n’imitez-vous le nouvel auteur qui s’est exercé sur les préjugés ? » | Je vous entends, Cléobule ; vous me conseillez, lui dis-je, de traiter les préjugés du public de manière à faire dire que je les ai tous. Y pensez-vous ? et quel exemple me proposez-vous là ? Lorsqu’on m’annonça cet ouvrage, bon, dis-je en moi-même, voilà le livre que j’attendais. Où le vend-on ? demandai-je tout bas. Chez G... rue Saint-Jacques, me réponditon sans mystère. Quoi donc ? ajoutai-je toujours en moi-même, quelque honnête censeur aurait-il eu le courage de sacrifier sa pension à l’intérêt de la vérité, ou l’ouvrage serait-il assez mal fait pour qu’un censeur ait pu l’approuver, sans exposer sa petite fortune ? Je lus, et je trouvai que l’approbateur n’avait rien risqué. Ainsi votre avis, Cléobule, est que je n’écrive point, ou que je fasse un mauvais livre. « Sans doute, répondit Cléobule. Il vaut mieux être mauvais auteur en repos, que bon auteur persécuté. Un livre qui dort, disait sensément un auteur d’ailleurs assez extravagant, ne fait mal à personne. » Je tâcherai, lui répliquai-je, de faire un bon livre, et d’éviter la persécution. « Je le souhaite, dit Cléobule. Mais un moyen sûr de satisfaire votre goût, sans irriter personne, ce serait de composer une longue dissertation historique, dogmatique et critique, que personne ne lirait et à laquelle les superstitieux seraient dispensés de répondre. Vous auriez l’honneur de reposer sur le même rayon entre Jean Hus, Socin, Zwingle, Luther et Calvin, et l’on se souviendrait à peine dans un an d’ici que vous avez écrit. Au lieu que si vous le prenez sur le ton de Bayle, de Montagne, de Voltaire, de Barclay, de Woolston, de Svift, de Montesquieu, vous risquerez sans doute de vivre plus longtemps ; mais que cet avantage vous coûtera cher ! Mon cher Ariste, connaissez-vous bien ceux à qui vous vous jouez ? Il vous sera échappé que l’homoousios est un mot vide de sens, vous serez donc un athée ; mais tout athée est un damné, et tout damné est bon à brûler | dans ce monde et dans l’autre. En conséquence de cette induction charitable, vous serez persécuté, poursuivi. Satan est le ministre de la colère de Dieu, et il ne tient jamais à ces gens, disait un de nos amis, qu’ils ne soient les ministres de la fureur de Satan. Les gens du monde s’amuseront des peintures satiriques que vous avez faites de leurs mœurs ; les philosophes riront du ridicule que vous jetez à pleines mains sur leurs opinions ; mais les dévots n’entendent point raillerie, je vous en avertis. Ils prennent tout au sérieux et ils vous pardonneraient plutôt cent raisonnements qu’un bon mot. » Mais pourriez-vous m’apprendre, mon cher Cléobule, lui répondis-je, par quelle raison les théologiens sont ennemis de la plaisanterie ? Il est décidé que rien n’est plus utile que la bonne ; il me semble que rien n’est plus innocent que la mauvaise. Mal appliquer
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non avrò più niente da dire.22 In effetti, cosa m’importa che l’accademico... abbia scritto un insipido romanzo, che il padre... abbia pronunciato in cattedra un discorso accademico, che il cavaliere di... ci inondi di miserabili opuscoli, che la duchessa... mendichi i favori delle sue pagine, che il figlio del duca... sia di suo padre o di un altro, che D... componga o faccia comporre le sue opere; tutte queste cose ridicole sono senza importanza, queste stupidaggini non riguardano né la vostra felicità né la mia. La pessima storia di... per assurdo potrebbe essere anche quattro volte più brutta, e lo Stato non sarebbe né meglio né peggio governato. Ah mio caro Cleobulo, per favore trovatemi degli argomenti più interessanti o sopportate che ci riposiamo. «D’accordo, riprese Cleobulo, potete riposare quanto vorrete; non scrivete mai, se vi dovete rovinare per uno scritto, ma se è necessario che inganniate il tempo, a spese del pubblico, perché non imitate il nuovo autore che si è esercitato sui suoi pregiudizi?»23 «Vi capisco, Cleobulo; voi mi consigliate, gli dissi, di trattare i pregiudizi del pubblico in modo che si dica che io li ho tutti; pensateci, che tipo di esempio mi state proponendo? Quando mi annunciarono quest’opera; ho detto a me stesso: bene, ecco il libro che attendevo. Dove lo vendono? Chiesi a bassa voce. Da G... in rue Saint-Jacques, mi venne risposto senza mistero. Come? ho aggiunto sempre in me stesso, qualche onesto censore avrà avuto il coraggio di sacrificare la sua pensione all’interesse della verità, o l’opera sarà così mal scritta che il censore ha potuto approvarla senza mettere in pericolo la sua piccola fortuna? L’ho letta e ho scoperto che il censore non aveva rischiato nulla:24 così il vostro consiglio, Cleobulo, è che non scriva affatto o che scriva un brutto libro. «Forse, rispose Cleobulo. È meglio essere un cattivo autore a riposo che un buon autore perseguitato; un libro che dorme, diceva sensatamente un autore, del resto assai stravagante, non fa male a nessuno.» «Farò in modo, gli risposi, di scrivere un buon libro ed evitare la persecuzione. «Lo spero, disse Cleobulo; ma un mezzo sicuro per soddisfare il vostro gusto, senza irritare nessuno, sarebbe di comporre una lunga dissertazione storica, dogmatica e critica che nessuno leggerà e alla quale i superstiziosi saranno dispensati dal rispondere; avrete l’onore di stare sullo stesso scaffale [di biblioteca] tra Jan Hus, Socino, Zwingli, Lutero e Calvino, e tra un anno ci si ricorderebbe appena di quello che avete scritto, mentre se assumete il tono di Bayle, Montaigne, Voltaire, di Barclay, di Woolston, di Swift, di Montesquieu, rischierete forse di vivere più a lungo; ma questo vantaggio vi costerà caro, mio caro Aristo, conoscete bene quelli di cui vi fate beffe? Se vi sfuggisse che l’omousios è una parola priva di senso, sarete dunque un ateo, ma ogni ateo è un dannato, e ogni dannato è buono da bruciare sia in questo mondo che nell’altro. In conseguenza di questa caritatevole induzione sarete perseguitato, perseguito. Satana è il ministro della collera di Dio, e non importa a quelle persone, diceva uno dei nostri amici, se sono i ministri del furore di Satana.25 La gente di mondo si divertirà con le immagini satiriche che avete fatto dei loro costumi; i filosofi rideranno del ridicolo che voi gettate a piene mani sulle loro opinioni; ma i devoti non capiscono il dileggio, vi avverto; essi prendono tutto sul serio e vi perdoneranno piuttosto cento ragionamenti che una battuta di spirito.» «Ma voi potreste spiegarmi, mio caro Cleobulo, gli risposi, per quale ragione i teologi sono tanto nemici dello scherzo? Decisamente niente è più utile di una battuta di spirito e mi sembra che niente sia più innocente di una malriuscita. Fare dell’ironia fuori posto,
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le ridicule, c’est souffler sur une glace. L’humidité de l’haleine disparaît d’elle-même, et le cristal reprend son éclat. En vérité, il faut ou que ces graves personnages soient de mauvais plaisants, ou qu’ils ignorent que le vrai, le bon et le beau ne sont pas susceptibles de ridicule, ou qu’ils aient un violent soupçon que ces qualités leur sont étrangères. « C’est le premier sans doute, dit Cléobule, car je ne sais rien qui ait plus mauvaise grâce qu’un théologien qui fait le plaisant, si ce n’est peut-être un jeune militaire qui fait le théologien. Mon cher Ariste, vous avez un rang dans le monde ; vous y portez un nom connu ; vous avez servi avec distinction ; on a des preuves de votre probité ; personne ne s’est encore avisé, ni ne s’avisera, je pense, de vous refuser de la figure et de l’esprit : il faut même vous en trouver et vous connaître pour être à la mode. En vérité, la réputation de bon écrivain ajoutera si peu à ces avantages que vous pourriez la négliger. Mais avez-vous bien réfléchi sur les suites de celle d’auteur médiocre ? Savez-vous que mille âmes basses, jalouses de votre mérite, attendent avec impatience que vous preniez quelque travers, | pour ternir impunément toutes vos qualités ? Ne vous exposez point à donner cette misérable consolation à l’envie. Laissez-la vous admirer, sécher et se taire. » Nous eussions poussé la conversation plus loin, et il y a toute apparence que Cléobule, qui m’avait ébranlé par ses premiers raisonnements, eût achevé d’étouffer en moi la vanité d’auteur, et que mon ouvrage, ou plutôt le sien, allait être remis pour jamais sous la clef ; lorsque le jeune sceptique Alcyphron survint, se proposa pour arbitre de notre différend et décida que, puisque l’entretien que nous avions eu sur la religion, la philosophie et le monde, courait manuscrit, il valait autant qu’il fût imprimé. Mais pour obvier à tous les inconvénients qui tiennent Cléobule en alarmes : « Je vous conseille, ajouta-t-il, de vous adresser à quelque sujet de ce prince philosophe que vous voyez quelquefois, le front ceint de laurier, se promener dans nos allées et se reposer de ses nobles travaux à l’ombre de nos marronniers ; celui que vous entendîtes dernièrement gourmander Machiavel avec tant d’éloquence et de bon sens. Passez dans ses États avec votre ouvrage, et laissez crier les bigots. » Cet avis s’accordait avec ma tranquillité, mes intérêts et mes vices ; et je le suivis. Punitis ingeniis, gliscit auctoritas.
Tacit., Ann
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è come soffiare sul ghiaccio. L’umidità del fiato sparisce da sé, e il cristallo riprende il suo splendore. In verità, bisogna che questi gravi personaggi siano persone che non sanno stare allo scherzo, o che ignorino che il vero, il buono, e il bello non sono suscettibili di ridicolo, o che abbiano il forte sospetto che queste qualità siano loro estranee. «La prima senza dubbio, disse Cleobulo, perché non conosco nulla che abbia più malagrazia di un teologo che fa dell’umorismo, se non forse un giovane militare che fa il teologo. Mio caro Aristo, voi avete una posizione nel mondo; portate un cognome conosciuto, avete servito con distinzione, ci sono delle prove della vostra onestà, nessuno ha ancora pensato, né penserà, credo, di rifiutarvi una bella presenza e uno spirito brillante: per essere alla moda bisogna anche credervi e conoscervi. Avete riflettuto bene sulle conseguenze del diventare un autore mediocre? Sapete che mille anime basse, gelose dei vostri meriti, attendono con impazienza che qualcosa vi vada storto, per offuscare impunemente tutte le vostre qualità? Non vi esponete a dare all’invidia questa miserabile consolazione. Lasciate che vi ammirino, si consumino e tacciano.» Avremmo proseguito ancora la nostra conversazione, e apparentemente Cleobulo che mi aveva scosso con i suoi primi ragionamenti, avrebbe soffocato in me la vanità dell’autore, e mi aveva convinto che la mia opera, o piuttosto la sua, doveva essere per sempre messa sotto chiave; quand’è giunto il giovane scettico Alcifrone,26 si è proposto come arbitro della nostra controversia e ha deciso, che, poiché la conversazione che abbiamo avuto sulla religione, la filosofia e il mondo, circolava manoscritta, tanto valeva che fosse stampata. Nondimeno, per ovviare a tutti gli inconvenienti che preoccupavano Cleobulo, aggiunse: «Vi consiglio di indirizzarvi a qualche suddito di quel principe filosofo27 che a volte vedete, cinto di lauro, passeggiare lungo i nostri viali e riposarsi per le sue nobili fatiche all’ombra dei nostri castagni; quello che ultimamente avete sentito strapazzare Machiavelli con tanta eloquenza, e buon senso. Passate nei suoi stati con la vostra opera, e lasciate strillare i bigotti». Questo consiglio si accordava con la mia tranquillità, i miei interessi, e le mie vedute, e l’ho seguito. Punitis ingeniis, gliscit auctoritas.28
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La promenade du sceptique ou les allées
Velut sylvis, ubi passim Palantes error certo de tramite pellit ; Ille sinistrorsum, hic dextrorsum abit ; unus utrique Error, sed variis illudit partibus. Hoc te Crede modo insanum ; nihilo ut sapientior ille, Qui te deridet, caudam trahat... Horat.
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La passeggiata dello scettico ovvero i viali
Velut sylvis, ubi passim palantes error certo de tramite, pellit; ille sinistrosum, hic dextrosum abit; unus utrique error, se variis illudit patribus. Hoc te crede modo insanum; nihilo ut sapientior ille qui te deridet, caudam trahat... 29 Orazio
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L’allée des épines
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Quoque malo mentem concussa ? timore Deorum Horat.
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1. L’envie ne m’accusera pas d’avoir dissipé des millions à l’État pour aller au Pérou ramasser de la poudre d’or, ou chercher des martres zibelines en Laponie. Ceux à qui Louis commanda de vérifier les calculs du grand Newton, et de déterminer avec une toise la figure de notre globe, remon | taient sans moi le fleuve de Torno, et je ne descendais point avec eux la rivière des Amazones. Aussi, mon cher Ariste, ne t’entretiendrai-je pas des périls que j’ai courus dans les pays glacés du nord, ou dans les déserts brûlants du midi : moins encore des avantages que la géographie, la navigation, l’astronomie retireront, dans deux ou trois mille ans, des prodiges de mon quart de cercle et de l’excellence de mes lunettes. Je me propose une fin plus noble, une utilité plus prochaine. C’est d’éclairer, de perfectionner la raison humaine par le récit d’une simple promenade. Le sage a-t-il besoin de traverser les mers et de tenir registre des noms barbares et des penchants effrénés des sauvages, pour instruire des peuples policés : tout ce qui nous environne est un sujet d’observation. Les objets qui nous sont le plus familiers, peuvent être pour nous des merveilles ; tout dépend du coup d’œil. S’il est distrait, il nous trompe : s’il est perçant et réfléchi, il nous approche de la vérité. 2. Tu connais ce bas monde : décide sous quel méridien est placé le petit canton que je vais te décrire, et que j’ai depuis peu examiné en philosophe, après avoir perdu mon temps à le parcourir en géographe. Je te laisse le soin de donner aux différents peuples qui l’habitent des noms convenables aux mœurs et aux caractères que je t’en tracerai. Que tu seras étonné de vivre au milieu d’eux ! Mais comme cette nation singulière compose différentes classes, tu ignores peut-être à laquelle tu appartiens, et je ris d’avance, ou de l’embarras qui t’attend si tu ne sais qui tu es, ou de la honte que tu ressentiras si tu te trouves confondu dans la foule des idiots.
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3. L’empire dont je te parle est gouverné en chef par un souverain | sur le nom duquel ses sujets sont à peu près d’accord ; mais il n’en est pas de même de son existence. Personne ne l’a vu, et ceux de ses favoris qui prétendent avoir eu des entretiens avec lui, en ont parlé d’une manière si obscure, lui ont attribué des contrariétés si étranges, que tandis qu’une partie de la nation s’est épuisée à former des systèmes pour expliquer l’énigme, ou à s’entredéchirer pour faire prévaloir ses opinions ; l’autre a pris le parti de douter de tout ce qu’on en débitait, et quelques-uns celui de n’en rien croire. 4. Cependant on le suppose infiniment sage, éclairé, plein de tendresse pour ses sujets ; mais comme il a résolu de se rendre inaccessible, du moins pour un temps, et qu’il s’avilirait sans doute en se communiquant, la voie qu’il a suivie pour prescrire des lois et manifester ses volontés est fort équivoque. On a découvert tant de fois que ceux qui se disent inspirés de lui n’étaient que des visionnaires ou des fourbes, qu’on est tenté de croire qu’ils sont et seront toujours tels qu’ils ont été. Deux volumes épais, remplis de merveilles et d’ordonnances, tantôt bizarres et tantôt raisonnables, renfer-
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Il viale delle spine Quoque malo mentem concussa? timore Deorum?30 Orazio
1. L’invidia non mi accuserà di aver dissipato dei milioni dello Stato per andare in Perù per raccattare un po’ di polvere d’oro, o per cercare martore e zibellini in Lapponia. Coloro a cui Luigi ha ordinato di verificare i calcoli del grande Newton, e di determinare con una tesa31 la misura del nostro globo, hanno risalito di nuovo il fiume Torne32 senza di me, e non discesi con loro il Rio delle Amazzoni.33 Così, mio caro Aristo, non ti parlerò dei pericoli che ho corso nei gelidi paesi del Nord, o nei deserti brucianti del Mezzogiorno: meno ancora dei vantaggi che la geografia, la navigazione, l’astronomia trarranno, fra due o tremila anni, dai prodigi del mio quadrante34 e dall’eccellenza delle mie lenti. Mi propongo un fine più nobile, un’utilità più prossima. Si tratta d’illuminare, di perfezionare la ragione umana attraverso la narrazione di una semplice passeggiata. Il saggio ha forse bisogno di attraversare i mari e tenere un registro dei nomi barbari e le inclinazioni sfrenate dei selvaggi, per istruire dei popoli civilizzati? Tutto ciò che ci circonda è un soggetto d’osservazione. Gli oggetti che ci sono più familiari possono essere per noi delle meraviglie. Tutto dipende dallo sguardo, se è distratto, ci trae in inganno; se è acuto e ponderato, ci avvicina alla verità. 2. Tu conosci il mondo quaggiù: decidi su quale meridiano si trova il piccolo angolo che ti descriverò, e che ho esaminato da poco con filosofia, dopo aver perso il mio tempo a percorrerlo come geografo. Ti lascio l’incombenza di dare ai diversi popoli che lo abitano dei nomi convenienti ai costumi e ai caratteri che ne traccerò. Come ti stupirai di scoprire che vivi in mezzo a loro! Tuttavia, poiché questa nazione singolare composta di diverse classi, tu ignori forse a quale appartieni, io rido in anticipo, dell’imbarazzo che ti aspetta, se non sai chi sei; o della vergogna che proverai, se ti troverai confuso nella folla degli idioti. 3. L’impero di cui ti parlo è governato da un sovrano; i suoi sudditi sono abbastanza concordi su quale sia il suo nome, ma non altrettanto sulla sua esistenza. Nessuno l’ha visto, e quelli tra i suoi favoriti che pretendono di aver avuto dei rapporti con lui, ne hanno parlato in un modo così oscuro, gli hanno attribuito delle contraddittorietà così strane che, mentre una parte della nazione si sfiancava per formare dei sistemi che spiegassero l’enigma, o a dilaniarsi per far prevalere le proprie opinioni; l’altra ha deciso di dubitare di tutto ciò che gli veniva attribuito, e alcuni di essi decisero di non credere a nulla. 4. Eppure gli si conferisce un’infinita saggezza, illuminazione, una grande tenerezza per i suoi sudditi; ma poiché ha deciso di rendersi inaccessibile, almeno per un certo tempo, e che si svilirebbe sicuramente comunicandosi, la via che ha seguito per prescrivere le sue leggi e manifestare le sue volontà, è molto equivoca. Si è scoperto talmente tante volte che quelli che si dicono ispirati da lui non erano che dei visionari o dei furbi, da essere tentati di credere che sono e saranno sempre tali. Due volumi spessi,35 pieni di meraviglie e ordini, talvolta bizzarri, e talvolta ragionevoli, racchiudono le sue volontà.
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ment ses volontés. Ces livres sont écrits d’une manière si inégale, qu’il paraît bien qu’il n’a pas été fort attentif sur le choix de ses secrétaires, ou qu’on a souvent abusé de sa confiance. Le premier contient des règlements singuliers, avec une longue suite de prodiges opérés pour leur confirmation ; et le second révoque ces premiers privilèges, en établit de nouveaux qui sont également appuyés sur des merveilles : de là procès entre les privilégiés. Ceux de la nouvelle création se prétendent favorisés exclusivement à ceux de l’ancienne, qu’ils méprisent comme des aveugles, tandis que ceux-ci les maudissent comme des intrus et des usurpateurs. Je te développerai plus à fond par la suite le contenu de ce double code. Revenons au prince.
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5. Il habite, dit-on, un séjour lumineux, magnifique et fortuné, dont on a des descriptions aussi différentes entre elles que les imaginations de ceux qui les ont faites. C’est là que nous allons tous. La cour du prince est | un rendez-vous général où nous marchons sans cesse ; et l’on dit que nous y serons récompensés ou punis, selon la bonne ou mauvaise conduite que nous aurons tenue sur la route. 6. Nous naissons soldats ; mais rien de plus singulier que la façon dont on nous enrôle : tandis que nous sommes ensevelis dans un sommeil si profond, que personne de nous ne se souvient pas même d’avoir veillé ou dormi, on met à nos côtés deux témoins ; on demande au dormeur s’il veut être enrôlé ; les témoins consentent pour lui, signent son engagement, et le voilà soldat. 7. Dans tout gouvernement militaire, on a institué des signes pour reconnaître ceux qui embrassaient la profession des armes, et les rendre sujets aux châtiments prononcés contre les déserteurs, s’ils l’abandonnaient sans ordre ou sans nécessité. Ainsi chez les Romains on imprimait aux nouveaux enrôlés un caractère qui les attachait au service sous peine de la vie. On eut la même prudence dans le nôtre ; et il fut ordonné dans le premier volume du code, que tous les soldats seraient marqués sur la partie même qui constate la virilité. Mais, ou notre souverain se ravisa, ou le sexe, toujours enclin à nous contester nos avantages, se crut aussi propre à la guerre que nous, et fit ses remontrances ; car cet abus fut réformé dans le second volume. Le haut de chausse ne distingua plus la milice. Il y eut des troupes en cotillon ; et l’armée du prince fut un corps de héros et d’amazones, avec un uniforme commun. Le ministre de la guerre, chargé de le déterminer, s’en tint à un bandeau et à une robe ou casaque blanche. C’est l’habit du régiment, et l’on sent assez qu’il est mieux assorti aux deux sexes que le premier, ressource admirable pour doubler au moins le nombre des troupes. J’ajouterai même ici, à l’honneur du sexe, qu’il y a peu d’hommes qui sachent porter le bandeau aussi bien que les femmes.
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8. Les devoirs du soldat se réduisent à bien tenir son bandeau et à conserver sa robe sans tache. Le bandeau s’épaissit ou s’affaiblit à l’user. | Il devient dans les uns d’un drap des plus épais ; c’est dans les autres une gaze légère, toujours prête à se déchirer. Une robe sans tache et deux bandeaux également épais : c’est ce qu’on n’a point encore vu. Vous passez pour un lâche, si vous laissez salir votre robe ; et si votre bandeau se déchire ou vient à tomber, vous êtes pris pour déserteur. De ma robe, ami, je ne t’en dirai rien. On prétend que c’est la tacher que d’en parler avec avantage, et ce serait faire soupçonner au moins qu’elle est sale que d’en parler avec mépris. Quant à mon bandeau, il y a longtemps que je m’en suis défait. Soit inconsistance de sa part, soit effort de la mienne, il est tombé.
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Questi volumi sono scritti in un modo così irregolare, che parrebbe che egli non sia stato molto attento nella scelta dei suoi segretari,36 o che essi abbiamo abusato troppo spesso della sua fiducia. Il primo contiene delle regole singolari, con un lungo susseguirsi di prodigi operati per confermarle; il secondo revoca questi primi privilegi e ne stabilisce di nuovi egualmente fondati su delle meraviglie. Da questo deriva la controversia tra i privilegiati. Quelli di nuova creazione si pretendono favoriti esclusivamente a quelli dell’antica che disprezzano come degli intrusi e degli usurpatori. Approfondirò di più seguendo il contenuto di questo doppio codice. Ritorniamo al principe. 5. Egli abita, si dice, una dimora luminosa, magnifica e agiata di cui abbiamo delle descrizioni così diverse tra loro quanto le immaginazioni di coloro che le hanno fornite. È là che andiamo tutti. La corte del principe è il luogo d’incontro generale verso cui tutti ci dirigiamo senza sosta; e si dice che lì saremo ricompensati o puniti, secondo la buona o cattiva condotta che avremo tenuto durante la via. 6. Noi nasciamo soldati, ma nulla è più singolare del modo in cui veniamo arruolati. Mentre siamo immersi in un sonno così profondo, che nessuno si ricorda nemmeno di aver vegliato o dormito, mettono al nostro fianco due testimoni:37 si chiede al dormiente se vuole essere arruolato: i testimoni acconsentono per lui, firmano il suo reclutamento, ed ecco il soldato! 7. In ogni governo militare, abbiamo istituito dei segni per riconoscere coloro che abbracciano la professione delle armi e renderli soggetti ai castighi previsti contro i disertori, se l’abbandonano senza l’ordine o la necessità. Così presso i Romani, s’imprimeva un carattere ai nuovi arruolati un che li legava al servizio, sotto pena di morte. Abbiamo avuto la stessa prudenza anche con i nostri, e nel primo volume del codice fu ordinato che tutti i soldati fossero marcati sulla stessa parte che attesta la loro virilità. Tuttavia, il nostro sovrano si ricredette, oppure le donne, sempre inclini a contestare i nostri privilegi, si credettero adatte alla guerra quanto noi, e fecero le loro rimostranze; perché questo abuso fu riformato nel secondo volume. I calzoni non distinguevano più la milizia. C’erano truppe in gonnella; e l’armata del principe fu un corpo di eroi e di amazzoni, con un’uniforme comune. Il ministro della Guerra, incaricato di sceglierla, si è limitato a una benda38 e a un vestito o una casacca bianca. È l’abito del reggimento, e si capisce abbastanza che è più adatto a entrambi i sessi rispetto al primo; risorsa mirabile per raddoppiare almeno il numero delle truppe. Aggiungerò qui a onore del loro sesso, che ci sono pochi uomini che sanno portare la benda tanto bene quanto le donne. 8. I doveri del soldato si riducono a portare la propria benda e a conservare la propria veste senza macchie. La benda si ispessisce o si assottiglia secondo l’uso. Diviene per gli uni un drappo tra molto pesante; per altri, è una garza leggera, sempre pronta a strapparsi. Ciò che non si è ancora visto è una veste senza macchia e due bende dello stesso spessore. Se si lascia che la vostra veste si sporchi, si viene passati per vigliacchi; e se la vostra benda si strappa, o cade, siete preso per un disertore.39 Della mia veste, amico, non ti dirò nulla. Si dice che parlarne con piacere significhi macchiarla, e parlarne con disprezzo significa come minimo far sospettare che sia sporca. Quanto alla mia benda, me ne sono liberato da molto tempo; tanto per la sua inconsistenza, tanto per lo sforzo da parte mia, essa è caduta.
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9. On nous assure que notre prince a toutes les lumières possibles ; cependant rien de plus obscur que notre code, qu’on dit être de lui. Autant ce qu’on y lit sur la robe est sensé, autant les articles du bandeau paraissent ridicules. On prétend, par exemple, que, quand ce voile est d’une bonne étoffe, loin de priver de la vue, on aperçoit, à travers, une infinité de choses merveilleuses, qu’on ne voit point avec les yeux seuls ; et qu’une de ses propriétés, c’est de faire l’office d’un verre à facettes, de présenter, de réaliser la présence d’un même objet en plusieurs endroits à la fois ; absurdités qu’on fortifie de tant d’autres, que quelques déserteurs ont soupçonné de petits esprits d’avoir eu la témérité de prêter à notre législateur leurs idées, et d’avoir inséré dans le nouveau code je ne sais combien de puérilités dont il n’y a pas l’ombre dans l’ancien. Mais ce qui te surprendra, c’est qu’ils ont ajouté que la connaissance de ces rêveries est absolument nécessaire pour être admis dans le palais de notre monarque. Tu me demanderas sans doute ce que sont devenus tous ceux qui ont précédé la promulgation du nouveau code. Ma foi, je n’en sais rien... Ceux qui prétendent être dans le secret, disent, pour disculper le prince, qu’il avait révélé ces choses, comme le mot du guet, à ses anciens officiers généraux ; mais ils ne le justifient point d’avoir réformé toute la soldatesque qui s’en allait bonnement, et qui dut être bien étonnée, en arrivant à sa cour, de se voir traiter avec tant d’ignominie, pour avoir ignoré ce qu’elle n’avait jamais pu savoir. | 90
10. L’armée réside dans des provinces peu connues. En vain publie-t-on que tout y abonde : il faut qu’on y soit mal ; car ceux mêmes qui nous enrôlent n’articulent rien de précis, s’en tiennent aux termes généraux, craignent de joindre, et partent le plus tard qu’ils peuvent. 11. Trois chemins y conduisent ; on en voit un à gauche qui passe pour le plus sûr, et qui n’est dans le vrai que le plus pénible. C’est un petit sentier long, étroit, escarpé, embarrassé de cailloux et d’épines dont on est effrayé, qu’on suit à regret, et qu’on est toujours sur le point de quitter. 12. On en rencontre devant soi un second, spacieux, agréable, tout jonché de fleurs ; sa pente paraît douce. On se sent porté naturellement à le suivre ; il abrège la route, ce qui n’est point un avantage ; car, comme elle est agréable, on ne serait pas fâché qu’elle fût longue. Si le voyageur est prudent, et qu’il vienne à considérer attentivement ce chemin, il le trouve inégal, tortueux, et peu sûr. Sa pente lui paraît rapide ; il aperçoit des précipices sous les fleurs ; il craint d’y faire des faux pas ; il s’en éloigne, mais à regret ; il y revient pour peu qu’il s’oublie : et il n’y a personne qui ne s’oublie quelquefois. 13. À droite est une petite allée sombre, bordée de marronniers, sablée, plus commode que le sentier des épines, moins agréable que l’allée des fleurs, plus sûre que l’une et l’autre, mais difficile à suivre jusqu’au bout, tant son sable devient mouvant sur la fin. 14. On trouve dans l’allée des épines des haires, des cilices, des disciplines, des masques, des recueils de pieuses rêveries, des colifichets mystiques, des recettes pour garantir sa robe de taches, ou pour la détacher, et je ne sais combien d’instructions pour porter fermement son bandeau, instructions qui sont toutes superflues pour les sots, et entre lesquels il n’y en a pas une bonne pour les gens sensés.
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9. Ci assicurano che il nostro principe è massimamente illuminato; tuttavia niente è più oscuro del nostro codice che si dice essere opera usa. Tanto è sensato quello che vi leggiamo sulla veste, tanto gli articoli sulla benda sembrano ridicoli. Si pretende, per esempio, che se questo velo è fatto di stoffa buona, invece che privare della vista, permetta di percepire attraverso di essa un’infinità di cose meravigliose, che non siamo in grado di vedere con i soli occhi, e che tra le sue proprietà, c’è quella di fungere da vetro sfaccettato, di presentare, realizzare la presenza di uno stesso oggetto in una moltitudine di luoghi diversi al contempo. Assurdità rafforzate insieme a tante altre, che alcuni disertori hanno sospettato alcune menti ristrette di aver avuto la temerarietà di attribuire al nostro legislatore le loro idee, e di aver inserito nel nuovo codice, non so quante puerilità di cui non c’è ombra nell’antico. Ciò che ti sorprenderà comunque, è che hanno aggiunto che la conoscenza di queste fantasticherie è assolutamente necessaria per essere ammessi nel palazzo del nostro monarca. Tu mi chiederai probabilmente che cosa sono diventati quelli che hanno preceduto la promulgazione del nuovo codice. In fede mia, non ne so niente... Quelli che pretendono di essere a conoscenza del segreto, dicono, per discolpare il principe, che egli avrebbe rivelato queste cose, come parola d’ordine,40 ai suoi antichi generosi ufficiali; ma essi non giustificano affatto di aver riformato tutta la soldatesca che procedeva tranquillamente, e che dovette essere ben stupita, arrivando alla sua corte, di vedersi trattare con tanto disonore, per aver ignorato ciò che non avrebbe mai potuto sapere. 10. L’esercito risiede in province poco conosciute. Invano rendiamo pubblico il fatto che tutto vi abbonda. Bisogna che si stia male, perché quegli stessi che arruoliamo, non dicono nulla di preciso, si attengono a termini generali, temono di giungervi,41 e partono più tardi che possono. 11. Tre strade vi conducono: ne vediamo una a sinistra, considerata la più sicura, e che è in vero che la più faticosa. È un piccolo sentiero, lungo, stretto, scosceso, ingombro di sassi e di spine spaventose, che si percorre a ritroso, e che si è sempre sul punto di abbandonare. 12. Se ne trova un secondo davanti a sé, ampio, piacevole, ricoperto da un tappeto di fiori. La sua pendenza sembra dolce. Ci sentiamo naturalmente portati a seguirlo. Esso abbrevia la via, cosa che non è affatto un vantaggio, perché, essendo piacevole, non saremmo contrariati se fosse lungo. Se il viaggiatore è prudente e ha considerato attentamente questa via, la troverà irregolare, tortuosa e poco sicura, la sua pendenza gli sembrerà ripida, si accorgerà dei precipizi sotto i fiori, avrebbe paura di fare dei passi falsi; se ne allontanerà, ma con dispiacere; vi ritornerà in un breve momento di perdizione, e non c’è nessuno che non vi si lasci andare qualche volta. 13. A destra c’è un piccolo viale ombroso, bordato di castagni, sabbioso, più comodo del sentiero di spine, meno piacevole del viale dei fiori; più sicuro dell’uno e dell’altro, ma difficile da seguire fin da principio, tanto la sua sabbia è mobile sulla fine. 14. Nel viale delle spine si trovano, dei cilici, delle camicie di crine, delle discipline, delle maschere, della raccolta di fantasticherie devote, dei fronzoli mistici, delle ricette per preservare la propria veste dalle macchie, o per toglierle, e non so quante istruzioni per portare fermamente la propria benda; istruzioni che sono tutte superflue per gli sciocchi, e tra le quali non ce n’è una buona per le persone sensate.
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15. Celle des fleurs est jonchée de cartes, de dés, d’argent, de pierreries, d’ajustements, de contes de fées, de romans : ce ne sont que lits de verdure | et nymphes dont les attraits, soit négligés, soit mis en œuvre, n’annoncent point de cruauté. 16. Dans l’allée des marronniers, on a des sphères, des globes, des télescopes, des livres, de l’ombre et du silence. 17. Au sortir du profond sommeil pendant lequel on a été enrôlé, on se trouve dans le sentier des épines, habillé de la casaque blanche, et la tête affublée du bandeau. On conçoit combien il est peu commode de se promener à tâtons parmi des ronces et des orties. Cependant il y a des soldats qui bénissent à chaque pas la Providence de les y avoir placés, qui se réjouissent sincèrement des égratignures continuelles qu’ils ont à souffrir, qui succombent rarement à la tentation de tacher leur robe, jamais à celle de lever ou de déchirer leur bandeau ; qui croient fermement que moins on voit clair, plus on va droit, et qui joindront un jour, persuadés que le prince leur saura autant de gré du peu d’usage qu’ils auront fait de leurs yeux, que du soin particulier qu’ils auront pris de leur robe. 18. Qui le croirait ? ces frénétiques sont heureux ; ils ne regrettent point la perte d’un organe dont le prix leur est inconnu ; ils tiennent le bandeau pour un ornement précieux ; ils verseraient jusqu’à la dernière goutte de leur sang, plutôt que de s’en défaire ; ils se complaisent dans le soupçon qu’ils ont de la blancheur de leur robe : l’habitude les rend insensibles aux épines, et ils font la route en chantant, en l’honneur du prince, quelques chansons qui, pour être fort vieilles, n’en sont pas moins belles. 19. Laissons-les dans leurs préjugés : nous risquerions trop à les en tirer ; ils ne doivent peut-être leur vertu qu’à leur aveuglement. Si on les débarrassait de leur bandeau, qui sait s’ils auraient le même soin de leur robe ? Tel s’est illustré dans l’allée des épines, qu’on aurait peut-être passé par les baguettes dans celle des fleurs ou des marronniers ; ainsi que tel brille dans l’une ou l’autre de ces dernières, qui se flagellerait et se flagellera peut-être dans la première. |
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20. Les avenues de ce triste sentier sont occupées par des gens qui l’ont beaucoup étudié, qui se piquent de le connaître, qui le montrent aux passants, mais qui n’ont pas la simplicité de le suivre. 21. En général, c’est bien la race la plus méchante que je connaisse. Orgueilleux, avares, hypocrites, fourbes, vindicatifs, mais surtout querelleurs, ils tiennent de frère Jean des Entaumures, d’heureuse mémoire, le secret d’assommer leurs ennemis avec le bâton de l’étendard ; ils s’entretueraient quelquefois pour un mot, si on avait la bonté de les laisser faire. Ils sont parvenus, je ne sais comment, à persuader aux recrues qu’ils ont le privilège exclusif de détacher les robes : ce qui les rend très nécessaires à gens qui, ayant les yeux bien calfeutrés, n’ont pas de peine à croire que leur robe est sale quand on le leur dit. 22. Ces béats se promènent et édifient le jour dans l’allée des épines, et passent la nuit sans scandale dans celle des fleurs. Ils prétendent avoir lu dans les lois du prince qu’il ne leur est pas permis d’avoir des femmes en propre ; mais ils n’ont eu garde d’y
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15. Quella dei fiori è tappezzata di carte, di dadi, di denaro, di gemme, di ornamenti, di fiabe, di romanzi; questi non sono che letti di verzura e ninfe di cui le attrattive, sia spontanee, sia artificiali, non annunciano alcuna crudeltà. 16. Nel viale dei castagni, ci sono delle sfere, dei globi, dei telescopi, dei libri, ombra e silenzio. 17. Quando si esce dal sonno profondo durante il quale si è stati arruolati, ci si trova nel sentiero delle spine, vestiti con la casacca bianca, e la testa conciata ridicolmente con la benda. Si capisce quanto sia poco comodo passeggiare tentoni in mezzo ai rovi e alle ortiche. Tuttavia ci sono dei soldati che benedicono a ogni passo la Provvidenza per averli posti in quel luogo, che gioiscono sinceramente delle continue graffiature che devono soffrire, che soccombono raramente alla tentazione di macchiare la loro veste, mai a quella di togliere o strappare la benda; fermamente convinti che meno si vede chiaro, più si va dritti, e che un giorno si ricongiungeranno al principe, persuasi che sarà tanto compiaciuto del poco uso che avranno fatto dei loro occhi, quanto della cura particolare che hanno prestato alla loro veste. 18. Chi ci crederebbe? Questi frenetici sono felici. Non rimpiangono la perdita di un organo di cui ignorano il valore: considerano la benda come un ornamento prezioso: verserebbero fino all’ultima goccia del loro sangue piuttosto che disfarsene: si compiacciono del dubbio che hanno sul candore delle loro vesti: l’abitudine li rende insensibili alle spine e percorrono la strada cantando in onore del principe, delle canzoni che nonostante molto antiche sono molto belle.42 19. Lasciamoli nei loro pregiudizi. Si rischierebbe troppo a sottrarveli. Forse devono la loro virtù solo al loro accecamento. Se li liberassimo della loro benda, chissà se avrebbero la stessa cura per la loro veste? Un tizio diventato illustre nel viale delle spine, forse sarebbe stato fustigato in quello dei fiori o dei castagni; così come un altro che brilla nell’uno o nell’altro di questi ultimi, si flagellerebbe e forse si flagellerà nel primo. 20. I viali di questo triste sentiero sono occupati da persone che l’hanno molto studiato, che sostengono di conoscerlo, che lo mostrano ai passanti, ma che non hanno l’ingenuità di seguirlo. 21. In generale, è di certo la razza più malvagia che io conosca. Orgogliosi, avari, ipocriti, furbi, vendicativi, ma soprattutto attaccabrighe, essi detengono il segreto di frate Giovanni Fracassatutto,43 di buona memoria, di accoppare i loro nemici con il bastone della bandiera, si ammazzeranno tra loro talvolta per una parola se avessimo la bontà di lasciarli fare. Sono riusciti, non so come, a persuadere le reclute, che hanno il privilegio esclusivo di smacchiare le vesti: questo li rende davvero necessari alla gente, che avendo gli occhi ben tappati, faticano a credere che la loro veste sia sporca, quando viene detto loro. 22. Questi bacchettoni passeggiano ed edificano durante il giorno nel viale delle spine, e passano la notte senza scandalo in quella dei fiori. Pretendono di aver letto nelle leggi del principe, che non è permesso avere donne proprie, ma non si sono presi
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lire qu’il leur est défendu de toucher à celles des autres, aussi caressent-ils volontiers celles des voyageurs. Tu ne saurais croire combien il leur faut de circonspection pour dérober à leurs semblables ces échappées ; car ils sont d’une attention scrupuleuse à se démasquer les uns les autres. Quand ils y réussissent, ce qui arrive souvent, on en gémit pieusement dans leur allée, on en rit à gorge déployée dans celle des fleurs, et l’on en raille malignement dans la nôtre. Si leur manœuvre nous ravit quelques sujets, leurs ridicules nous en dédommagent ; car, à la honte de l’humanité, ils ont autant et plus à craindre d’une plaisanterie que d’un raisonnement.
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23. Pour t’en donner une idée plus exacte encore, il faut t’expliquer comment le corps très nombreux de ces guides forme une espèce d’état-major, avec des grades supérieurs et subalternes, une paye plus ou moins | forte selon les dignités, des couleurs et des uniformes différents : cela varie presque à l’infini. 24. Premièrement il y a un vice-roi qui, de peur de s’écorcher la plante des pieds, qui lui sont devenus fort douillets, se fait traîner dans un char, ou porter dans un palanquin. Il se dit poliment le très humble serviteur de tout le monde ; mais il souffre patiemment que ses satellites soutiennent que tout le monde est son esclave ; et à force de le répéter, ils sont parvenus à le faire croire aux imbéciles, et par conséquent à bien des gens. On rencontre à la vérité dans quelques cantons de l’allée des épines des recrues dont le bandeau commence à s’user, et qui contestent au vice-roi son despotisme prétendu. Ils lui opposent de vieux parchemins qui contiennent des arrêtés de l’assemblée des États‑Généraux ; mais pour toute réponse il commence par leur écrire qu’ils ont tort ; puis il convient avec ses favoris d’un mot, et si les mutins le rejettent, il leur retranche la paye, l’ustensile, l’étape et les pensions, et leur fait quelquefois appliquer des camouflets fort chauds. Il y a tels matadors qu’il a fouettés comme des marmots. Il possède à leurs dépens une assez belle seigneurie, dont le commerce principal consiste en vélin et en savon ; car il est le premier dégraisseur du monde, en vertu d’un privilège exclusif qu’il exerce très bénignement, moyennant finance. Ses premiers prédécesseurs se traînaient à pied dans l’allée des épines. Plusieurs de leurs descendants se sont égarés dans celle des fleurs. Quelques-uns se sont promenés sous nos marronniers.
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25. Sous ce chef que tu prendrais pour Dom Japhet d’Arménie, car il est très infatué de ses yeux et porte toque sur toque, sont des gouverneurs et des sous-gouverneurs de province ; les uns maigres et hâves, d’autres brillants et rubiconds, quelques-uns lestes et galants. Ils forment un ordre de chevalerie distingué par une longue canne à bec de corbin, et par un | couvre-chef emprunté des sacrificateurs de Cybèle, à qui ils ne ressemblent point du tout dans le reste ; ils ont fait leurs preuves à cet égard. Ils prennent la qualité de lieutenants du prince, et le vice-roi les appelle ses valets. Ils tiennent aussi magasin de savon, mais moins fin et par conséquent moins cher que celui du vice-roi, et ils ont le secret d’un baume aussi merveilleux que celui de Fier-à-bras. 26. Après eux viennent de nombreux corps d’officiers répandus de poste en poste, à qui, comme aux spahis chez les Turcs, on assigne un timar ou métairie plus ou moins opulente : ce qui fait que la plupart vont à pied, quelques-uns à cheval, et très peu en carrosse. Leur fonction est de montrer l’exercice aux recrues, d’enrôler, de bercer les nouveaux engagés de harangues sur la nécessité de bien porter le bandeau, et de
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la briga di leggere che è loro interdetto toccare quelle degli altri, così accarezzano volentieri quelle dei viaggiatori. Tu non sai di quanta circospezione hanno bisogno per nascondere queste scappatelle ai loro simili; perché sono scrupolosamente attenti a smascherarsi gli uni gli altri. Quando ci riescono, cosa che accade spesso, ne gemono devotamente nel loro viale, se ne ride a gola spiegata in quello dei fiori, e li si schernisce malignamente nel nostro. Se le loro manovre talvolta ci sottraggono qualche compagno, la loro ridicolaggine ci ricompensa; perché, per vergogna dell’umanità, devono temere molto più una facezia che un ragionamento. 23. Per dartene un’idea ancora più precisa, bisogna che ti spieghi come il corpo assai numeroso di queste guide formi una specie di stato maggiore, con guardie superiori e subalterne, una paga più o meno cospicua secondo i titoli, colori, e uniformi differenti. Ciò varia quasi all’infinito. 24. Al primo posto, c’è un vice-re,44 che per paura di scorticarsi la pianta dei piedi, che gli sono diventati molto molli, si fa trasportare su una sedia, o portare in un palanchino. Si dice educatamente molto umile servitore di tutto il mondo, ma sopporta pazientemente che i suoi satelliti sostengano che tutto il mondo è suo schiavo, e a forza di ripeterlo, sono riusciti a farlo credere agli imbecilli, e di conseguenza a molte persone. S’incontrano per la verità in alcuni angoli del viale delle spine, alcune reclute la cui benda inizia a logorarsi, e che contestano al vice-re il suo preteso dispotismo: gli oppongono delle vecchie pergamene che contengono delle ordinanze di assemblee degli stati generali.45 Ma per tutta risposta, egli inizia scrivendo loro che hanno torto, poi decide con i suoi favoriti su una parola, e se i ribelli la rifiutano, decurta loro la paga, gli utensili, il grado e le pensioni, e talvolta applica loro dei fumacchi ben caldi.46 Ci sono certi matador che egli ha frustato come marmocchi. Possiede una signoria molto bella a loro spese, il cui commercio principale consiste in velina e sapone;47 poiché è il primo sgrassatore al mondo, in virtù di un privilegio esclusivo che esercita molto benignamente, pagando. I suoi primi predecessori si trascinavano a piedi lungo il viale delle spine. Molti dei loro discendenti si sono smarriti in quello dei fiori; alcuni hanno passeggiato sotto i nostri castagni. 25. Sotto quel capo che tu prenderai per Dom Giapeto d’Armenia,48 perché è molto infatuato dei suoi avi e porta un tocco dopo l’altro, ci sono i suoi governatori e i sottogovernatori di provincia; gli uni magri e smunti, gli altri brillanti e rubicondi, alcuni lesti e galanti. Formano un ordine di cavalleria che si distingue per un lungo bastone a becco di corvo,49 e un copricapo preso a prestito dai sacrificatori di Cibele, a cui non somigliano affatto in tutto il resto; hanno fatto le loro prove a riguardo. Essi prendono il titolo di luogotenenti del principe; e il vice-re li chiama suoi valletti. Hanno anche magazzini di sapone, ma meno fine e di conseguenza meno caro rispetto a quello del vice-re, e hanno il segreto di un balsamo tanto meraviglioso quanto quello di un Fierobraccio.50 26. Dopo di loro vengono numerosi corpi di ufficiali diffusi di posta in posta, ai quali come agli spahi51 presso i Turchi, si assegna un timar52 o un terreno a mezzadria meno ricco: questo fa sì che la maggior parte si sposti a piedi, alcuni a cavallo, pochissimi in carrozza. La loro funzione è di mostrare gli esercizi alle reclute, di arruolare, di sedurre i nuovi arrivati con i sermoni sulla necessità di portare bene la benda e di non
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ne point salir la robe, deux choses qu’ils négligent assez eux-mêmes, trop occupés apparemment à raccommoder les bandeaux, et à décrasser les robes d’autrui ; car c’est encore une de leurs obligations.
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27. J’avais presque oublié une petite troupe séparée, qui porte une toque surmontée d’une pivoine avec un mantelet de peau de chat. Ces gens-ci se donnent pour défenseurs en titre des droits du prince, dont la plupart n’admettent pas l’existence. Il y a quelque temps qu’une place importante vint à vaquer dans cette compagnie. Trois concurrents la sollicitèrent, un imbécile, un lâche et un déserteur ; c’est comme si je te disais un ignorant, un libertin et un athée ; le déserteur l’emporta. Ils s’amusent à disputer en termes barbares sur le code qu’ils interprètent et commentent à leur fantaisie, et dont il est évident qu’ils se jouent. Croirais-tu bien qu’un de leurs colonels a soutenu que, quand le fils du prince ferait le dénombrement général des sujets de son père, il pourrait aussi bien | prendre la forme d’un veau que celle d’un homme.A Les anciens de cette troupe radotent si parfaitement, qu’on dirait qu’ils n’ont fait autre chose de leur vie. Les jeunes commencent à s’ennuyer de leurs bandeaux ; ils n’en ont plus que de linon, ou même n’en ont point du tout. Ils se promènent assez librement dans l’allée des fleurs, et commercent avec nous sous nos marronniers, mais sur la brune et en secret. 28. Suivent enfin les troupes auxiliaires, sous le commandement de colonels très riches. Ce sont des espèces de pandours qui vivent du butin qu’ils font sur les voyageurs. On raconte de la plupart d’entre eux, que jadis ils escamotaient habilement de ceux qu’ils conduisaient aux postes de la garnison, à l’un un château, à l’autre une ferme, à celui-ci un bois, à celui-là un étang, et que, par ce moyen, ils se sont formé ces amples quartiers de rafraîchissements qu’ils ont entre l’allée des épines et celle des fleurs. Quelques anciens ou tendent la main de porte en porte, ou s’occupent encore à détrousser les passants. Ces troupes viles sont divisées en régiments, ayant chacun leur étendard, un uniforme bizarre et des lois plus singulières encore. N’attends pas de moi que je te décrive les différentes pièces de leur armure. Presque tous ont pour casque une espèce de lucarne mobile, ou l’enveloppe d’un pain de sucre, qui tantôt leur couvre la tête et tantôt | leur tombe sur les épaules. Ils ont conservé la moustache des Sarrazins, et le brodequin des Romains. C’est d’un de ces corps qu’on tire, dans certains cantons de l’allée des épines, les grands-prévôts, les archers et les bourreaux de l’armée. Ce conseil de guerre est sévère : il fait brûler vifs les voyageurs qui refusent de prendre le bandeau, ceux qui ne le portent pas à sa fantaisie, et les déserteurs qui s’en défont ; le tout par principe de charité. C’est encore de là, mais surtout d’un grand bataillon noir, que sortent des essaims d’enrôleurs, qui se disent chargés de la part du prince de battre la caisse en pays étrangers, de faire des recrues sur les terres d’autrui, et de persuader aux sujets des autres souverains de quitter l’habit, la cocarde, la toque et le bandeau qu’ils en ont reçu, et de prendre l’uniforme de l’allée des épines. Quand on attrape ces embaucheurs, on les pend, à moins qu’ils ne désertent eux-mêmes ; et pour l’ordinaire, ils aiment mieux être déserteurs que pendus. 29. Tous ne sont pas si entreprenants, et ne vont pas chercher des aventures dans les pays lointains et barbares. Renfermés sous un hémisphère moins vaste, il y en a qui A
Potuitne invaccari ? Alexander halensis quærit et responder, potuit.
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sporcare la propria veste; due cose che trascurano molto essi stessi, troppo preoccupati apparentemente a riaccomodare le bende e ripulire le vesti altrui, poiché è ancora uno dei loro obblighi. 27. Avevo quasi dimenticato una piccola truppa separata, che porta un berretto sormontato da una peonia con un mantello di pelo di gatto.53 Queste persone si considerano come difensori ufficiali dei diritti del principe, di cui la maggior parte non ammette l’esistenza. Per un po’ di tempo è stato vacante un posto importante in questa compagnia. Tre concorrenti aspiravano a esso, un imbecille, un vile e un disertore; è come se ti dicessi un ignorante, un libertino e un ateo; il disertore prevalse.54 Si divertono a disputare in termini incivili sul codice che interpretano e commentano secondo la loro fantasia, e così è evidente che se ne prendono gioco. Potresti credere che uno dei loro colonnelli ha sostenuto che quando il figlio del principe farà il computo generale dei soggetti di suo padre, potrà anche prendere sia la forma di un vitelloA sia quella di un uomo? Gli anziani di questa compagnia farneticano così perfettamente, che si direbbe non abbiano fatto altro in vita loro. I giovani cominciano a stancarsi delle loro bende. Ormai le hanno fatte solo di lino, o non ne portano proprio per niente. Passeggiano abbastanza liberamente lungo il viale dei fiori, e commerciano con noi sotto gli castagni, ma sotto la nebbia e in segreto. 28. Seguono infine le truppe ausiliarie,55 sotto il comando di colonnelli molto ricchi. Sono delle specie di panduri56 che vivono del bottino che fanno con i viaggiatori. Si racconta della maggior parte di loro che, un tempo, sottraevano abilmente a quelli che conducevano alle porte della guarnigione a un castello, a un altro una fattoria, a questo un bosco, a quello uno stagno, e con questo mezzo, formando così quegli ampi quartieri dove riposarsi tra il viale delle spine e quello dei fiori. Alcuni anziani, tendono la mano di porta in porta, o si occupano ancora di depredare i passanti.57 Queste vili truppe sono divise in reggimenti, ciascuno col proprio stendardo, un’uniforme bizzarra e delle leggi ancora più singolari. Non aspettarti che io ti descriva le differenti parti della loro armatura. Quasi tutti hanno come elmo una specie di lucernario mobile, o l’involucro di un pan di zucchero, che talvolta copre loro la testa, talvolta ricade sulle spalle.58 Hanno conservato i baffi dei Saraceni, e i coturni dei Romani. È da uno di questi corpi che traiamo, in certi cantoni del viale delle spine, i grandi prevosti, gli arcieri e i boia dell’armata.59 Questo consiglio di guerra è severo: fa bruciare vivi i viaggiatori che rifiutano di prendere la benda, quelli che non la portano a loro piacimento, e i disertori che se ne sbarazzano; il tutto per principio di carità. È ancora da là, ma soprattutto da un grande battaglione nero,60 che escono degli sciami di reclutatori, che si dicono incaricati dal principe di battere la cassa nei paesi stranieri, di fare reclute sulle terre altrui, e persuadere i sudditi di altri sovrani, di abbandonare l’abito, la coccarda, il tocco e la benda che hanno ricevuto, e di prendere l’uniforme del viale delle spine. Quando acciuffiamo questi arruolatori, li impicchiamo, a meno che a loro volta non disertino, e normalmente preferiscono essere disertori, che impiccati. 29. Non sono tutti così intraprendenti, e non vanno a cercare avventure in terre lontane e barbare. Rinchiusi sotto un emisfero meno vasto, ce ne sono che si dedicano A
Potuit-ne invaccari? Alexander halensis quærit et resmpondet, potuit.
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se font des occupations différentes, suivant leurs talents et la destination de leurs chefs, qui savent habilement les employer au profit de leurs corps. Tel que la nature a favorisé d’une mémoire sûre, d’un bel organe et d’un peu d’effronterie, criera incessamment aux passants qu’ils s’égarent, ne leur montrera jamais le droit chemin, et se fera très bien payer de ses avis, quoique tout son mérite se réduise à répéter ce qu’avaient dit mille autres aussi mal informés que lui. Tel qui a de la souplesse dans l’esprit, du babil et de l’intrigue s’établira dans une espèce de caisse, où il passera la moitié de sa vie à entendre des confidences rarement amusantes, fausses pour la plupart, mais toujours lucratives. L’humeur et la tristesse s’emparent communément de ces réduits. On a pourtant vu quelquefois l’amour travesti s’y mettre en embuscade, surprendre des cœurs novices, et entraîner de jeunes pèlerines dans l’allée des fleurs, sous prétexte de leur montrer à marcher plus commodément dans le sentier des épines. Là, tout est dévoilé : secrets, fortunes, affaires, galanteries, | intrigues, jalousies. Tout est mis à profit, et les consultations sont rarement gratuites. Tel qui n’a ni imagination ni génie, sera abandonné à la science des nombres, ou occupé à transcrire ce que les autres ont pensé. Un autre s’usera les yeux à débrouiller sur un bronze rouillé l’origine d’une ville dont il y a mille ans qu’on ne parle plus ; ou se tourmentera pendant dix ans pour faire un sot d’un enfant heureusement né, et réussira. Il y en a qui manient le pinceau, la bêche, la lime ou le rabot ; beaucoup plus qui ont embrassé le parti de ne rien faire et de vanter leur importance. Qui connaît ces gens-ci, les craint ou les évite ; beaucoup croient les connaître ; mais peu les connaissent à fond. 30. C’est un prodige que la confiance et l’empressement qu’on a pour les encaissés. Ils se vantent de posséder une recette qui guérit de tous maux ; et cette recette consiste à dire à un mari jaloux que sa femme n’est pas coquette, ou qu’il doit l’aimer toute coquette qu’elle est ; à une femme galante, qu’il faut qu’elle s’en tienne à son sexagénaire ; à un ministre, qu’il ait de la probité ; à un commerçant, qu’il a tort d’être usurier ; à un incrédule, qu’il ferait bien de croire ; et ainsi des autres. Veux-tu guérir ? dit l’empirique au malade ; oui, je le veux, répond celui-ci. Va donc, et te voilà guéri. Les bonnes gens s’en vont satisfaits, et l’on dirait en effet qu’ils se portent mieux.
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31. Il n’y a pas longtemps qu’il s’éleva parmi les guides une secte assez nombreuse de gens austères, qui effrayaient les voyageurs sur l’éminente blancheur de robe qu’ils jugeaient nécessaire, et qui allaient criant dans les maisons, dans les temples, dans les rues et sur les toits, que la plus petite macule était une tache ineffaçable ; que le savon du vice-roi et des gouverneurs ne valait rien ; qu’il fallait en tirer en droiture des magasins du prince, et le détremper dans les larmes ; qu’il le distribuait gratis, mais en très petite quantité, et que n’en avait pas qui voulait ; et comme si ce n’était pas assez des épines dont la route est hérissée, ces enragés la parsemèrent de chausse-trappes et de chevaux de frises qui la rendirent impraticable. Les voyageurs se désespéraient ; on n’entendait de tous côtés que des cris et des gémisse | ments. Dans l’impossibilité de suivre une route si pénible, on était sur le point de se précipiter dans l’allée des fleurs, ou de passer sous nos marronniers ; lorsque le bataillon noir inventa des pantoufles de duvet et des mitaines de velours. Cet expédient prévint une désertion générale. 32. D’espace en espace, on rencontre de grandes volières où sont renfermés des oiseaux tous femelles. Ici, sont des perruches dévotes, nasillonnant des discours affectueux, ou chantant un jargon qu’elles n’entendent pas ; là, de jeunes tourterelles
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a occupazioni differenti, seguendo i loro talenti e la missione dei loro capi, che sanno abilmente impiegarli a profitto dei loro corpi. Chi è dotato per natura di una memoria solida, di una bella voce e di un po’ di sfrontatezza, griderà incessantemente ai passanti che si smarriscono, non mostrerà mai loro la retta via, e si farà pagare molto bene per i suoi consigli, nonostante il suo merito si riduca a ripetere quello che hanno detto altri mille furbi come lui. Chi ha prontezza d’ingegno, parlantina e capacità d’intrigo, si stabilirà in una specie di cassa,61 dove passerà la metà della sua vita ad ascoltare confidenze raramente divertenti, per lo più false, ma sempre lucrative. Il malumore e la tristezza s’impossessano comunemente di questi bugigattoli. Eppure si è visto talvolta l’amore travestito tendere delle imboscate, sorprendere dei cuori novizi, e trascinare delle giovani pellegrine nel viale dei fiori, con il pretesto di insegnar loro a camminare più facilmente lungo il sentiero delle spine. Là tutto è svelato, segreti, fortune, affari, avventure amorose, intrighi, gelosie. Tutto è messo a profitto, e le consulenze sono raramente gratuite: chi non ha immaginazione né genio, sarà abbandonato alla scienza dei numeri, o occupato a trascrivere quello che altri hanno pensato. Un altro si consumerà gli occhi a far emergere da un bronzo ossidato, l’origine di una città di cui non si parla più da mille anni; o si tormenterà per dieci anni per rendere stupido un bambino ben nato, e ci riuscirà. Ce ne sono che maneggiano il pennello, la vanga, la lima, la pialla; molti di più sono quelli che hanno preso la decisione di non fare nulla e di vantarsi della propria importanza. Chi conosce queste persone, le teme o le evita; molti credono di conoscerle, ma pochi le conoscono a fondo. 30. La fiducia e la sollecitudine che abbiamo per i benpensanti sono prodigiose. Essi vantano di possedere una ricetta che ci guarisce da tutti i nostri mali, e questa ricetta consiste nel dire al marito geloso, che la sua donna non è civettuola, o che deve amarla civettuola com’è; a una donna galante, che bisogna che sia fedele al suo sessagenario; a un ministro che sia onesto; a un commerciante, che sbaglia a fare dell’usura; e così via. «Vuoi guarire? dice l’empirico62 al malato. Sì, lo voglio, risponde questi; va dunque ed eccoti guarito.» La buona gente se ne va soddisfatta, e si direbbe che effettivamente stanno meglio. 31. Non molto tempo fa sorse tra le guide una setta assai numerosa di persone austere63 che spaventano i viaggiatori sull’eminente bianchezza della veste che giudicano necessaria, e che andavano gridando nelle case, nei templi, nelle strade e sui tetti, che la piccola macchia fosse indelebile; che il sapone del vice-re e dei governatori non valeva niente; che bisognava ritirarlo direttamente dai magazzini del principe e stemprarlo con le lacrime; che egli lo distribuiva gratis, ma in quantità molto ridotta, e che non bastava volerlo per ottenerlo. E come se con questo non ci fossero già abbastanza spine di cui la strada è irta, questi fanatici la cospargono di trappole e di cavalli di frisia che la rendono impraticabile. I viaggiatori si disperarono. Non si sentivano altro che grida e gemiti provenire da ogni parte. Nell’impossibilità di seguite una via tanto penosa, si arrivava al punto di precipitarsi nel viale dei fiori o di passare sotto i nostri castagni: mentre il battaglione nero ha inventato delle pantofole di piuma e dei mezziguanti di velluto. Questi espedienti prevennero una diserzione generale. 32. Tra uno spazio e l’altro, si trovano delle grandi voliere in cui sono rinchiusi degli uccelli tutti femmina. Qui sono cocorite devote, parlottano dei discorsi affettuosi, o cantano un gergo che non capiscono. Là, delle giovani tortore sospirano, e deplorano
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soupirent et déplorent la perte de leur liberté ; ailleurs, voltigent et s’étourdissent par leur caquet, des linottes que les guides s’amusent à siffler à travers les barreaux de leur cage. Ceux d’entre ces guides, ou serinettes ambulantes, qui ont quelque habitude dans l’allée des fleurs, leur en rapportent du muguet et des roses. Le tourment de ces captives, c’est d’entendre passer les voyageurs et de ne pouvoir les suivre et se mêler avec eux. Au demeurant, leurs cages sont spacieuses, propres, et bien fournies de mil et de bonbons. 33. Tu dois connaître maintenant l’armée et ses chefs : passons au code militaire. 34. C’est une sorte d’ouvrage à la mosaïque, exécuté par une centaine d’ouvriers différents qui ont ajouté pièce à pièce des morceaux de leur goût : tu jugeras s’il était bon.
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35. Ce code est composé de deux volumes ; le premier fut commencé vers l’an 45,317 de l’ère des Chinois, par les soins d’un vieux berger qui sut très bien jouer du bâton à deux bouts, et qui fut par-dessus le marché | grand magicien, comme il le fit bien voir au seigneur de sa paroisse, qui ne voulait ni le diminuer à la taille, ni l’exempter de corvée, non plus que ses parents. Poursuivi par les archers, il quitta le canton et se réfugia chez un fermier dont il garda les moutons pendant quarante ans, dans un désert où il s’exerça à la sorcellerie. Il assure, foi d’honnête homme, qu’un beau jour il vit notre prince sans le voir, et qu’il en reçut la dignité de lieutenant général, avec le bâton de commandement. Muni de cette autorité, il retourne dans sa patrie, ameute ses parents et ses amis, et les exhorte à le suivre dans un pays qu’il prétendait appartenir à leurs ancêtres, qui y avaient à la vérité voyagé. Voilà mes mutins attroupés, et leur chef qui déclare son dessein au seigneur de la paroisse : celui-ci refuse de les laisser partir, et les traite de rebelles. À l’instant le vieux pâtre marmotte quelques mots entre ses dents, et les étangs de M. le baron se trouvent empoisonnés. Le lendemain il jette un sort sur les brebis et les chevaux. Un autre jour il donne au seigneur et à tous les siens la gratelle et la diarrhée. Après maint autre tour, il fait mourir du charbon son fils aîné et tous les grands garçons du village. Bref, le seigneur consent à les laisser aller : ils partent, mais après avoir démeublé son château et pillé le reste des habitants. Le gentilhomme, piqué de ce dernier trait, monte à cheval et les poursuit à la tête de ses valets. Nos bandits avaient heureusement passé une rivière à gué ; et plus heureusement encore pour eux, leur ancien maître, qui ne la connaissait guère, tenta de la traverser un peu au-dessous, et s’y noya avec presque tout son monde. 36. Avant que de gagner le canton dont leur chef les avait leurrés, ils errèrent dans des déserts où le sorcier les amusa si longtemps qu’ils y périrent tous. Ce fut dans cet intervalle qu’il se désennuya à faire une histoire à sa nation, et à composer la première partie du code. |
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37. Son histoire est toute fondée sur les récits que faisaient sous la cheminée les grands-pères à leurs enfants, d’après les narrations verbales de leurs grands-pères, et ainsi de suite jusqu’au premier. Secret infaillible pour ne point altérer la vérité des événements ! 38. Il raconte comme quoi notre souverain, après avoir fondé le siège de son empire, prit un peu de limon, souffla dessus, l’anima, et fit le premier soldat ; comment
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la perdita della loro libertà. Altrove volteggiano e si stordiscono con il loro cicaleccio dei fanelli, che le guide si divertono a far fischiare attraverso le sbarre delle loro gabbie. Tra le guide le canarine ambulanti,64 quelli che hanno frequentano spesso il viale dei fiori, portano loro dei mughetti e delle rose. Il tormento di queste prigioniere, è di sentir passare i viaggiatori e non poterli seguire o mescolarsi con loro. Del resto, le loro gabbie sono spaziose, pulite e ben fornite di miglio e altre leccornie.65 33. Adesso dovresti conoscere l’armata e i suoi capi. Passiamo al codice militare. 34. È una sorta di opera a mosaico,66 eseguita da un centinaio di operai diversi che hanno aggiunto, pezzo dopo pezzo, dei brani di loro gusto. Giudicherai se è ben riuscita. 35. Il codice è composto di due volumi. Il primo fu iniziato verso l’anno 45317 dell’era dei Cinesi67 per opera di un vecchio pastore, che seppe utilizzare molto bene il suo bastone a due punte, e che fu, per giunta, un grande mago, come dimostrò al signore della sua parrocchia che non voleva esentare dalle corvée, né diminuirne l’ammontare delle tasse a lui e ai suoi parenti. Inseguito dagli arcieri, abbandonò la zona e si rifugiò presso un fattore per cui badò alle pecore per quarant’anni in un deserto ove si esercitò nella stregoneria.68 Egli assicura, parola d’onore, che un bel giorno vide il nostro principe senza vederlo e che ne ricevette la dignità di luogotenente generale, con il bastone del comando.69 Munito di quest’autorità, ritornò nella sua patria, radunò i suoi parenti e i suoi amici, e li esortò a seguirlo in un paese che sosteneva appartenere ai loro avi che in verità vi avevano solo viaggiato. Ecco i miei rivoltosi assembrati, e il loro capo dichiarare il suo progetto al signore della parrocchia: questi rifiutò di farli partire, e li trattò da ribelli.70 Immediatamente il vecchio pastore borbottò qualche parola tra i denti, e gli stagni del signor barone furono avvelenati. Il giorno seguente egli gettò un sortilegio sulle pecore e sui cavalli. Un altro giorno, procurò al signore e a tutti i suoi la rogna e la diarrea. Dopo molti altri giorni, fece morire di carbonchio, il suo primogenito e tutti i giovanotti del villaggio.71 Per farla breve il signore acconsentì a lasciarli andare. Essi partirono, ma dopo aver svaligiato il suo castello e saccheggiato il resto degli abitanti. Il gentiluomo irritato da quest’ultima azione, salì a cavallo, e li inseguì capeggiando i suoi servi. I nostri banditi avevano fortunatamente passato un fiume da un guado, e più fortunatamente ancora per loro, il loro antico signore che non lo conosceva affatto, tentò di attraversarlo un po’ più a valle e si annegò insieme a quasi tutti i suoi.72 36. Prima di arrivare alla zona sulla quale il loro capo li aveva illusi, vagarono nel deserto dove lo stregone li provò così a lungo che morirono tutti. Fu in questo periodo che si svagò scrivendo una storia alla sua nazione, e a comporre la prima parte del codice. 37. La sua storia è completamente fondata sui racconti che facevano durante il cammino i nonni ai loro nipotini, secondo le narrazioni verbali dei loro nonni, e così via di seguito fino al primo. Segreto infallibile per non alterare la verità dei fatti. 38. Egli racconta comprovando come il nostro sovrano, dopo aver fondato la sede del suo impero, prese un po’ di fango, soffiò sopra, lo animò e fece il primo soldato:73
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la femme qu’il lui donna fit un mauvais repas et imprima à ses enfants et à tous ses descendants une tache noire qui les rendit odieux au prince ; comment le régiment se multiplia ; comment les soldats devinrent si méchants que le monarque les fit noyer tous, à la réserve d’une chambrée dont le chef était assez honnête homme ; comment les enfants de celui-ci repeuplèrent le monde, et se dispersèrent sur la surface de la terre : comment notre prince, devant qui il n’y a point d’acception de personnes, n’en agréa pourtant qu’une partie qu’il regarda comme son peuple, et comment il fit naître ce peuple d’une femme qui n’était plus en état d’avoir d’enfants, et d’un vieillard assez vert qui couchait de temps en temps avec sa servante. C’est là que commence proprement l’origine des premiers privilégiés dont je t’ai parlé, et qu’on entre dans le détail de leurs générations et de leurs aventures.
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39. On dit de l’un, par exemple, que le souverain lui commanda d’égorger son propre fils, et que le père était sur le point d’obéir, lorsqu’un valet de pied apporta la grâce de l’innocent ; de l’autre, que son gouverneur lui trouva, en abreuvant son cheval, une maîtresse fort jolie ; de celui-ci, qu’il trompait son double beau-père, après avoir trompé son propre père et son frère aîné, couchait avec les deux sœurs et puis avec leurs chambrières, et un autre avec la femme de son fils ; de celui-là qu’il fit fortune en devinant des énigmes, et rendit sa famille opulente dans les terres d’un seigneur dont il était l’intendant ; de presque tous, qu’ils avaient de beaux songes, voyaient des étoiles en plein minuit, étaient sujets à rencontrer des | esprits, et se battaient courageusement contre des lutins. Telles furent les grandes choses que le vieux berger transmit à la postérité. 40. Quant au code, en voici les principaux articles. J’ai dit que la tache noire nous avait tous rendus odieux au prince. Devine ce qu’on fit pour recouvrer ses faveurs qu’on avait si singulièrement perdues ? une chose plus singulière encore, on coupa à tous les enfants une dragme et deux scrupules de chair, opération dont je t’ai déjà parlé, et l’on se condamna à manger tous les ans en famille une galette sans beurre ni sel, avec une salade de pissenlits sans huile. Autre redevance payable chaque semaine, c’était d’en passer un jour les bras liés derrière le dos. Ordre à chacun de se pourvoir d’un bandeau et d’une robe blanche, et de la laver, sous peine de mort, dans du sang d’agneau et de l’eau claire : tu vois que l’origine des bandeaux et des robes blanches est fort ancienne. Il y avait à cet effet, dans le régiment, des compagnies de bouchers et de porteurs d’eau. Dix petites lignes d’écriture renfermaient tous les ordres du prince ; le guide de nos fugitifs en fit la publication, puis les serra dans un coffre de bois de palissandre, qui, pour rendre des oracles, ne le cédait en rien au trépied de la sibylle de Delphes. Le reste est un amas de règles arbitraires sur la forme des tuniques et des manteaux, l’ordonnance des repas, la qualité des vins, la connaissance des viandes de facile ou dure digestion, le temps de la promenade, du sommeil, et d’autres choses qu’on fait quand on ne dort pas. 41. Le vieux berger, secondé d’un de ses frères, qu’il avait pourvu d’un gros bénéfice qui fut héréditaire dans la famille, voulut assujettir de haute lutte ses compagnons à tous ses règlements. Aussitôt on murmure, on s’attroupe, on lui conteste son autorité, et il la perdait sans ressource, s’il n’eût détruit les rebelles par une mine pratiquée sous le terrain qu’ils occupaient. On regarda cet événement comme une vengeance du ciel, et l’homme au miracle ne détrompa personne. |
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come la donna che gli diede, fece un cattivo pasto e impresse ai suoi figli e a tutti i suoi discendenti un marchio nero74 che li rese odiosi al principe: come il reggimento si moltiplicò: come i soldati divennero così malvagi che il monarca li fece annegare tutti, con la riserva di un camerata di cui il capo era abbastanza un brav’uomo:75 come i figli di questi ripopolarono il mondo, e si dispersero sulla superficie della Terra: come il nostro principe, davanti al quale non ci sono distinzioni tra le persone, nonostante ciò ne apprezzi solo una parte che egli considera il suo popolo, e come fece nascere questo popolo da una donna che non aveva più l’età per avere figli, e da un vecchio abbastanza vigoroso da giacere di tanto in tanto con la sua serva.76 È là che comincia propriamente l’origine dei primi privilegiati di cui ti ho parlato, e che si entra nel dettaglio delle loro generazioni e delle loro grandi avventure. 39. Si dice dell’uno, per esempio, che il sovrano gli ordinò di sgozzare il proprio figlio, e che il padre era sul punto di obbedire, quando un lacchè gli comunicò la grazia concessa all’innocente;77 dell’altro, a cui il suo governatore gli fece trovare mentre abbeverava il suo cavallo, un’amante molto bella;78 da quello che ingannò il suo doppio suocero, dopo aver tradito il proprio padre e suo fratello maggiore, essere stato l’amante delle due sorelle e poi delle loro cameriere personali;79 e un altro con la donna di suo figlio;80 di quello, che fece fortuna indovinando gli enigmi, e rese ricca la sua famiglia nelle terre di un signore di cui era l’intendente;81 di quasi tutti quelli che facevano dei bei sogni,82 vedevano delle stelle in piena mezzanotte, erano propensi a incontrare degli spiriti e battersi coraggiosamente contro i folletti. Tali furono le grandi cose che il vecchio pastore trasmise alla posterità. 40. Quanto al codice, ecco i principali articoli. Ho detto che la macchia nera ci aveva resi tutti odiosi al principe. Indovina che cosa si fece per recuperare i suoi favori che così singolarmente persi? una cosa più singolare ancora: tagliamo a tutti i bambini una dracma e due scrupoli di carne,83 operazione di cui ti ho già parlato, e si condannarono a mangiare tutti gli anni in famiglia una galletta senza burro né sale, con un’insalata di tarassachi senz’olio.84 Altro canone pagabile ogni settimana era di passare un giorno con le braccia legate dietro la schiena.85 Ordina a qualcuno di dotarsi di una benda e di una veste bianca e di lavarla, pena la morte, in sangue d’agnello e acqua chiara:86 vedi quanto è antica l’origine delle bende e delle vesti bianche. C’erano a tale scopo nel reggimento delle compagnie di macellai e di portatori d’acqua.87 Dieci brevi righe di scrittura racchiudevano tutti gli ordini del principe. La guida dei nostri fuggitivi le pubblicò, poi si rinchiuse in un cassone di legno di palissandro che quanto alla capacità di emanare oracoli non ha nulla da invidiare al tripode della sibilla di Delfi.88 Il resto è un ammasso di regole arbitrarie sulla forma delle tuniche e dei mantelli, l’ordine dei pasti, la qualità dei vini, la conoscenza dei cibi di facile o difficile digestione, il tempo per le passeggiate, per il riposo, e altre cose che facciamo quando non si dorme.89 41. Il vecchio pastore assecondato da uno dei suoi fratelli al quale aveva assegnato un grande beneficio che divenne ereditario nella famiglia, volle a viva forza sottomettere i suoi compagni a tutte le sue regole. Così si mormorò, ci si radunò, si contestò la sua autorità, ed egli l’avrebbe persa senza scampo se non avesse distrutto i ribelli con una galleria scavata sotto il terreno che occupavano. Quest’evento venne considerato come una vendetta del Cielo, l’uomo dei miracoli non disingannò nessuno.90
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42. Après mainte autre aventure, on approcha du pays dont on devait se mettre en possession. Le conducteur qui ne voulait pas la garantir à ses sujets, et qui n’aimait la guerre que de loin, alla mourir de faim dans une caverne, après leur avoir fortement recommandé de ne faire aucun quartier à leurs ennemis, et d’être grands usuriers, deux commissions dont ils s’acquittèrent à merveilles. 43. Je ne les suivrai ni dans leurs conquêtes, ni dans l’établissement de leur nouvel empire, ni dans ses révolutions diverses. C’est ce qu’il faut chercher dans le livre même, où tu verras, si tu peux, des historiens, des poètes, des musiciens, des romanciers et des crieurs publics annonçant la venue du fils de notre monarque et la réformation du code.
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44. Il parut en effet, non pas avec un équipage et un train digne de sa naissance ; mais comme ces aventuriers qu’on a vus quelquefois fonder ou conquérir des empires avec une poignée de gens braves et déterminés. C’était la mode autrefois. Ses compatriotes le prirent longtemps pour un homme comme un autre ; mais un beau jour ils furent bien étonnés de l’entendre haranguer, et s’arroger le titre de fils du souverain et le pouvoir d’abroger l’ancien code, à l’exception des dix lignes renfermées dans le code, et de lui en substituer un autre. Il était simple dans ses mœurs et dans ses discours. Il renouvela, sous peine de mort, l’usage du bandeau et de la robe blanche. Il prescrivit sur la robe des choses fort louables, plus difficiles encore à pratiquer ; mais il débita d’étranges maximes sur le bandeau. Je t’en ai déjà raconté quelques-unes ; en voici d’autres. Il voulait, par exemple, que, quand on en aurait les yeux bien couverts, on vît, clair comme le jour ; que le prince son père, lui, et un troisième personnage qui était en même temps son frère et son fils, étaient si parfaitement confondus qu’ils ne faisaient qu’un seul et même tout. Tu croiras retrouver ici Gérion des anciens. Mais je te pardonne de recourir à la fable pour expliquer ce | prodige. Malheureux, tu ne connais pas la circumincession. Tu n’as jamais été instruit de la danse merveilleuse, où les trois princes se promènent l’un autour de l’autre, de toute éternité. Il ajoutait qu’il serait un jour grand seigneur ; et que ses ambassadeurs tiendraient table ouverte. La prédiction s’accomplit. Les premiers qui furent honorés de ce titre, faisaient d’assez bons repas, et buvaient largement à sa santé ; mais leurs successeurs économisèrent. Ils découvrirent, je ne sais comment, que leur maître avait le secret de s’envelopper sous une mie de pain, et de se faire avaler tout entier, dans un même instant, par un million de ses amis, sans causer à aucun d’eux la moindre indigestion, quoiqu’il eût réellement cinq pieds six pouces de hauteur, et ils ordonnèrent que le souper serait converti en un déjeuner qui se ferait à sec. Quelques soldats altérés en murmurèrent. On en vint aux injures, puis aux coups : il y eut beaucoup de sang répandu ; et par cette division, qui en a entraîné deux autres, l’allée des épines s’est vue réduite à la moitié de ses habitants, et à la veille de les perdre tous. Je te donne ce trait comme un échantillon de la paix que le nouveau législateur apporta dans le royaume de son père, et je passe légèrement sur ses autres idées ; elles ont été minutées par ses secrétaires, dont les deux principaux furent un vendeur de marée et un cordonnier ex‑gentilhomme. 45. Celui-ci, naturellement babillard, a débité des choses inouïes sur l’excellence et les merveilleux effets d’une canne invisible, que le prince distribue, dit-il, à tous ses amis. Il faudrait des volumes pour te raconter succinctement ce que les guides ont depuis conjecturé, écrit, assuré, et comment ils se sont entre‑mordus et déchirés, sur la nature, la force et les propriétés de ce bâton. Les uns ont prétendu que sans lui on
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42. Dopo parecchie altre avventure, si avvicinarono al paese di cui dovevano entrare in possesso. Il condottiero che non voleva garantire la vittoria suoi sudditi, e che amava la guerra solo da lontano, se ne andò a morire di fame in una caverna,91 dopo aver caldamente raccomandato loro di non risparmiare nessuno, e di fare i grandi usurai,92 due compiti che adempirono a meraviglia. 43. Non li seguirò né nelle loro conquiste, né nell’instaurazione del loro nuovo impero, né nelle loro diverse rivoluzioni. È ciò che si deve cercare nel libro stesso, dove vedrai, se puoi, storie, poeti, musicisti, romanzieri e banditori annunciare la venuta del figlio del nostro monarca e la riforma del codice. 44. Egli, infatti, apparve, non con un equipaggio e un seguito degno della sua nascita, ma come certi avventurieri a volte che si sono visti conquistare e fondare degli imperi con un pugno di persone ardimentose e determinate. Un tempo era alla moda. I suoi compatrioti lo presero a lungo per un uomo come gli altri; ma un bel giorno si stupirono molto di sentirlo arringare la folla, e arrogarsi il titolo di figlio del sovrano e il potere di abrogare l’antico codice eccetto dieci righe rinchiuse nella cassa, e di sostituirlo con un altro.93 Era semplice nei suoi costumi e nei suoi discorsi. Rinnovò, pena la morte, l’uso della benda e della veste bianca: prescrisse a proposito della veste delle cose molto lodevoli, più difficili ancora da praticare.94 Tuttavia espresse strane massime sulla benda. Te ne ho già raccontate alcune; eccone delle altre: egli pretendeva, per esempio, che avendo gli occhi ben coperti, si sarebbe visto chiaro come il sole che il principe suo padre, egli stesso, e un terzo personaggio, al contempo suo fratello e suo figlio, erano così perfettamente confusi che formavano un solo e medesimo tutto. Tu crederai di trovare qui il Gerione95 degli Antichi, ma ti perdono se ricorri alla favola per spiegare questo prodigio. Sventurato, tu non conosci la circuminsessione.96 Non ti è mai stata insegnata la danza meravigliosa in cui i tre principi passeggiano l’uno attorno all’altro, da tutta l’eternità. Aggiungeva che un giorno sarebbe stato gran signore e che i suoi ambasciatori97 avrebbero tenuto la tavola sempre imbandita.98 La predizione si è compiuta. I primi che furono onorati di questo titolo, fecero pasti molto gustosi e bevvero abbondantemente alla sua salute, ma i loro successori economizzarono. Scoprirono, non so come, che il loro maestro aveva il segreto di avvolgersi dentro una mollica di pane e di farsi inghiottire tutto intero, in un solo istante, da un milione di suoi amici, senza causare ad alcuno di essi la minima indigestione, nonostante fosse alto cinque piedi e sei pollici, e ordinarono che la cena fosse convertita in un pasto a secco.99 Alcuni soldati alterati borbottarono. Si arrivò alle offese, poi alle mani: venne sparso molto sangue; e da questa divisione che ne ha implicate altre due, il viale delle spine si è visto ridurre i suoi abitanti della metà, e stava per perderli tutti. Ti dò questo esempio della pace che il nuovo legislatore ha portato nel regno di suo padre, e passo con leggerezza sulle altre sue idee, che sono state minutate dai suoi segretari, i più importanti dei quali furono un venditore di pesce fresco e un calzolaio ex-gentiluomo.100 45. Questi naturalmente ciarliero, ha attribuito delle cose inaudite sull’eccellenza e i meravigliosi effetti di un bastone invisibile,101 che il principe distribuisce, dice, a tutti i suoi amici. Sarebbero necessari dei volumi per raccontarti concisamente quello che le guide hanno in seguito ipotizzato, scritto, affermato, e come si sono divorati a vicenda e dilaniati, sulla natura, la forza e le proprietà di questo bastone. Gli uni hanno
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ne pouvait faire un pas ; les autres, qu’il était parfaitement inutile, pourvu qu’on eût de bonnes jambes et grande envie de marcher ; ceux-ci, qu’il était raide ou souple, fort ou faible, court ou long, à proportion de la capacité de la main et de la difficulté de la route, et qu’on n’en manquait que par sa faute ; | ceux-là, que le prince n’en devait à personne, qu’il en refusait à plusieurs, et qu’il reprenait quelquefois ceux qu’il avait donnés. Toutes ces opinions avaient pour base un grand traité des cannes, composé par un ancien professeur de rhétorique, pour servir de commentaire à un chapitre du vendeur de marée, sur l’importance des béquilles. 46. Autre article qui ne les a pas moins divisés. C’est la bonté infinie de notre souverain, avec laquelle ce rhéteur a prétendu concilier une résolution préméditée et irrévocablement fixe, d’exclure pour jamais de sa cour, et de faire mettre aux cachots, sans espoir de grâce, tous ceux qui n’auront point été enrôlés, des peuples innombrables qui n’auront ni entendu ni pu entendre parler de lui, bien d’autres qu’il n’aura pas jugé à propos de regarder d’un œil favorable, ou qu’il aura disgraciés pour la révolte de leur grand-père ; tandis qu’en jetant, pour ainsi dire, les destinées à croix ou pile, il en chérira d’autres également coupables. Ce guide a senti toute l’absurdité de ses idées. Aussi Dieu sait comme il se tire des terribles difficultés qu’il se propose. Quand il s’est bien barbouillé, et qu’il ne sait plus où il en est, gare le pot au noir, s’écrie-t-il, et tous ceux qui prêtent à notre prince les mêmes caractères de caprice et de barbarie, de répéter après lui : gare le pot au noir. Toutes ces choses et mille autres de la même force sont respectées dans l’allée des épines. Ceux qui la suivent les tiennent pour vraies et conviennent même que s’il y en a une de fausse, toutes le sont.
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47. Cependant les défenseurs de l’ancien code se soulevèrent contre le fils du prince, et lui demandèrent son arbre généalogique et ses preuves. « C’est à mes œuvres, leur répondit-il fièrement, à prouver mon origine. » Belle réponse, mais qui convient à peu de nobles. Cependant on prétendit qu’il déchirait la mémoire du vieux berger, et sous ce prétexte, les compagnies de bouchers et de porteurs d’eau qu’il menaçait de casser, pour leur substituer celles des foulons et dégraisseurs, formèrent un complot contre lui. | On corrompit son trésorier ; il fut pris, condamné à mort et, qui pis est, exécuté. Ses amis publièrent qu’il mourut et qu’il ne mourut pas, qu’il reparut au bout de trois jours ; mais que l’expérience du passé le retint à la Cour de son père, et oncques depuis on ne l’a revu. En partant, il chargea ses amis de recueillir ses lois, de les publier, et d’en presser l’exécution. 48. Tu conçois bien que des lois muettes sont sujettes aux interprétations : c’est ce qui ne manqua pas d’arriver aux siennes. Les uns les trouvèrent trop indulgentes ; d’autres trop rigoureuses : quelques-uns les accusèrent d’absurdité. À mesure que le nouveau corps se formait et s’étendait, il éprouvait des divisions intestines et des obstacles au‑dehors. Les rebelles ne faisaient point de quartier à leurs compagnons, et les uns et les autres n’en obtenaient point de leurs ennemis communs. Le temps, les préjugés, l’éducation et un certain entêtement pour les choses nouvelles et défendues augmentèrent cependant le nombre de ces enthousiastes. Ils en vinrent bientôt jusqu’à s’attrouper et à maltraiter leurs hôtes. On les punit d’abord comme des visionnaires, puis comme des séditieux. Mais la plupart, fortement persuadés qu’on fait sa cour au prince en se laissant égorger pour des choses qu’on n’entend pas, bravèrent la honte et la rigueur des tourments, et l’on vit des factieux ou des imbéciles érigés en héros : effet
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preteso che senza di esso, non si potesse fare un passo. Gli altri, che era perfettamente inutile, purché si avessero buone gambe e una gran voglia di camminare. Questi, che fosse rigido o flessibile, forte o debole, corto o lungo, in proporzione alla capacità della mano e della difficoltà della strada; e se qualcuno ne era privo era solo per sua colpa. Quelli, che il principe non ne doveva a nessuno, che lo rifiutava a molti, e che talvolta si riprendeva quelli che aveva donato.102 Tutte queste opinioni avevano per base un grande trattato sui bastoni, composto da un antico professore di retorica, per servire da commentario a un capitolo a un venditore di pesce fresco sull’importanza delle stampelle.103 46. Altro articolo li ha divisi allo stesso modo. Si tratta della bontà infinita del nostro sovrano, con la quale quel retore ha preteso di conciliare una soluzione premeditata e irrevocabilmente fissata, di escludere per sempre dalla sua corte e di far mettere in galera, senza speranza di grazia, tutti quelli che non fossero stati arruolati, gli innumerevoli popoli che non hanno sentito parlare di lui, altri che avrà deciso di non guardare con occhio favorevole, o che avrà privato del suo favore per la rivolta di un loro avo;104 nonostante si decidano, per così dire, i destini a testa o croce, egli ne prediligerà altri ugualmente colpevoli; questa guida si è accorta di tutta l’assurdità delle sue idee; così, sa Dio come, si trasse dalle terribili difficoltà che si propose. Quando si è ben ingarbugliato e non sa più dov’è, esclama: «In guardia! Attenti!»,105 e tutti quelli che attribuiscono al nostro re le stesse caratteristiche di capriccio e di barbarie esclamano dopo di lui: «In guardia!». Tutte queste cose e mille altre della stessa forza sono rispettate nel viale delle spine. Quelli che lo seguono le tengono per vere, e convengono anche che se ce n’è una di falsa, lo sono tutte. 47. Tuttavia, i difensori dell’antico codice si sollevarono contro il figlio del principe, e gli domandarono il suo albero genealogico e le sue prove. «Sono le mie opere, rispose loro fieramente, che provano la mia origine.»106 Bella risposta, ma poco adatta ai nobili. Si pretese però che lacerasse la memoria del vecchio pastore e, con questo pretesto, minacciò di sciogliere le compagnie di macellai e di portatori d’acqua, per sostituirle con quelle dei follatori e degli sgrassatori, che per questo formarono un complotto contro di lui.107 Corruppero il suo tesoriere.108 egli fu preso, condannato a morte, e quel che è peggio, giustiziato. I suoi amici resero pubblico il fatto che morì e non morì, che riapparse alla fine del terzo giorno; ma che l’esperienza passata lo trattenne alla corte di suo padre, e in seguito non mai più stato visto. Partendo, ha incaricato i suoi amici di raccogliere le sue leggi, pubblicarle, e di affrettarne l’attuazione.109 48. Capisci che le leggi mute sono soggette alle interpretazioni: e questo non mancò di accadere alle sue. Gli uni le trovarono troppo indulgenti; alcuni troppo rigorose; altri le accusarono di essere assurde. Man mano che il nuovo corpo si formava e si estendeva, subì divisioni intestine e ostacoli esterni. I ribelli non risparmiarono nessuno dei loro compagni, e gli uni e gli altri non ottennero nulla dai loro nemici comuni. Il tempo, i pregiudizi, l’educazione e una certa intesa con le cose nuove e proibite, aumentarono tuttavia il numero di questi entusiasti. Presto ne arrivarono alcuni che arrivarono fino ad arruolarsi e a maltrattare i loro ospiti. All’inizio sono stati puniti come visionari; poi come sediziosi. Ma la maggior parte molto persuasa che si facesse la corte al principe, si lasciò sgozzare per ragioni incomprensibili, sfidò l’umiliazione e il rigore delle torture, e vedemmo dei faziosi e degli imbecilli erigersi come eroi. Effetto ammirevole dell’elo-
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admirable de l’éloquence des guides ! C’est ainsi que l’allée des épines s’est peuplée par degrés. Dans les commencements elle était fort déserte ; et ce ne fut que longtemps après sa mort, que le fils de notre monarque eut des troupes et fit quelque bruit dans le monde.
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49. Je t’en ai dit assez pour te faire conjecturer que jamais personne n’opéra de si grandes choses. Toutefois, sache que jamais personne ne vécut et ne mourut plus ignoré. Je t’aurais bientôt expliqué ce phénomène ; mais j’aime mieux te rapporter la conversation d’un vieil habitant de l’allée des marronniers, avec quelques-uns de ceux qui plantèrent l’allée des épines. | Je la tiens d’un auteurA qui m’a paru fort instruit de ce qui se passa dans ces temps. Il raconte que le marronnier s’adressa d’abord aux compatriotes de ce fils prétendu de notre souverain, et qu’on lui répondit qu’il venait de s’élever une secte de visionnaires qui donnaient pour le fils et l’envoyé du Grand‑Esprit, un imposteur, un séditieux que les juges de la province avaient fait crucifier. Il ajoute que Ménippe, c’est le nom du marronnier, se mit à questionner ensuite ceux qui cultivaient l’allée des épines. « Oui, lui dirent ces gens, notre chef a été crucifié comme un séditieux ; mais c’était un homme divin dont toutes les actions furent autant de miracles. Il délivrait les possédés ; il faisait marcher les boiteux ; il rendait la vue aux aveugles ; il ressuscitait les morts ; il est ressuscité lui-même ; il est monté aux cieux. Grand nombre des nôtres l’ont vu, et toute la contrée a été témoin de sa vie et de ses prodiges. 50. Vraiment, cela est beau, reprit Ménippe : les spectateurs de tant de merveilles se sont sans doute tous enrôlés : tous les habitants du pays n’ont pas manqué de prendre la casaque blanche et le bandeau... « Hélas ! non, répondirent ceux-ci. Le nombre de ceux qui le suivirent fut très petit en comparaison des autres. Ils ont eu des yeux et n’ont pas vu, des oreilles et n’ont pas entendu... » Ah ! dit Ménippe, un peu revenu de sa surprise, je vois ce que c’est ; je reconnais les enchantements si ordinaires à ceux de votre nation. Mais, parlez-moi sincèrement ; les choses se sont-elles passées comme vous les racontez ? Les grandes actions de votre colonel ont-elles été effectivement publiées ?... « Si elles l’ont été ! repartirent-ils ; elles ont éclaté à la face de toute la province. Quelque maladie qu’on eût, qui pouvait seulement toucher la basque de son habit, lorsqu’il passait, était guéri. | Il a plusieurs fois nourri cinq ou six mille volontaires avec ce qui suffisait à peine pour cinq ou six hommes. Sans vous parler d’une infinité d’autres prodiges, un jour il ressuscita un mort qu’on portait en terre. Une autre fois, il en ressuscita un qui était enterré depuis quatre jours. » 51. À ce dernier miracle, dit Ménippe, je suis persuadé que ceux qui le virent se prosternèrent à ses pieds et l’adorèrent comme un Dieu... « Il y en eut en effet qui crurent et s’enrôlèrent, lui répondit‑on ; mais non pas tous. La plupart, au contraire, allèrent du même pas raconter aux bouchers et aux porteurs d’eau, ses ennemis mortels, ce qu’ils avaient vu, et les irriter contre lui. Ses autres actions ne produisirent guère que cet effet. Si quelques-uns de ceux qui en furent témoins prirent parti, c’est qu’il les avait destinés, de toute éternité, à suivre ses étendards. Il y a même une singularité dans sa conduite à cet égard : c’est qu’il affecta de battre la caisse dans les endroits où il prévoyait qu’on n’avait aucune envie de servir. » A
Mémoires sur la vie, les miracles et l’histoire de Jésus-Christ..
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quenza delle guide? È così che il viale delle spine si è popolato gradualmente. All’inizio era davvero deserto, e fu solo dopo molto dopo la sua morte, che il figlio del nostro monarca ebbe delle truppe e fece un po’ di scalpore nel mondo. 49. Ti ho detto abbastanza da farti ipotizzare che mai nessuno ha fatto cose altrettanto grandi. Tuttavia sappi che mai nessuno visse e morì più ignorato di lui. Ti spiegherei rapidamente questo fenomeno; ma preferisco riferirti la conversazione di un vecchio abitante del viale dei castagni con alcuni di quelli che hanno piantato il viale delle spine. L’ho appresa da un autoreA 110 che mi è sembrato molto istruito riguardo a quello che accadde a quel tempo.111 Egli racconta che il vecchio del viale dei castagni inizialmente interpellò i compatrioti di questo preteso figlio del nostro sovrano, e che gli risposero che era appena sorta una setta di visionari che consideravano come figlio e inviato del Grande Spirito, un impostore, un sedizioso che i giudici della provincia avevano fatto crocifiggere. Aggiunge che Menippo,112 è il nome dell’uomo che proveniva dal viale dei castagni, si mise a interrogare in seguito quelli che coltivavano il viale delle spine. «Sì, gli dicevano questi, il nostro capo è stato crocifisso come un sedizioso, ma era un uomo divino e tutte le sue azioni erano altrettanti miracoli. Ha liberato i posseduti, ha fatto camminare gli zoppi, ha restituito la vista ai ciechi, ha resuscitato i morti, e lui stesso è resuscitato, e salito al cielo. Un gran numero dei nostri l’ha visto, e tutta la contrada è stata testimone della sua vita e dei suoi prodigi. 50. «Tutto ciò è veramente bello», riprese Menippo, «gli spettatori di queste meraviglie si sono arruolati tutti senza dubbio: tutti gli abitanti del paese non hanno mancato di prendere la casacca bianca e la benda.» «Ahimè no, risposero questi. Il numero di quelli che lo seguirono fu piccolissimo se comparato agli altri: avevano occhi che non hanno visto, orecchie che non hanno udito.» «Ah!», disse Menippo, riprendendosi un po’ dalla sorpresa, «Capisco cosa volete dire. Riconosco gli incantesimi così comuni per la vostra nazione. Ma parlatemi sinceramente, le cose sono accadute come voi me le avete raccontate? Le grandi azioni del vostro colonnello sono davvero state rese note a tutti? «Se lo sono state?», ripresero, «Esse brillavano agli occhi di tutta la provincia. Qualsiasi malattia si avesse, chi provava solamente a toccare la falda della sua veste, mentre passava, era guarito.113 Ha nutrito innumerevoli volte cinque o seimila volontari con quello che bastava appena per cinque o sei uomini.114 Senza parlarvi di un’infinità di altri prodigi, un giorno risuscitò un morto che stavano sotterrando. Un’altra volta, ne risuscitò uno che era sotto terra da quattro giorni.»115 51. «Di fronte a quest’ultimo miracolo», disse Menippo, «sono persuaso che quelli che lo videro si prostrarono ai suoi piedi e l’adorarono come un Dio.» «Ce ne sono stati alcuni, infatti, che credettero e si arruolarono», gli fu risposto, «ma non tutti. La maggior parte al contrario andarono subito a raccontare ai macellai e ai portatori d’acqua, suoi nemici mortali, quello che avevano visto, e a provocarli contro di lui. Le altre sue azioni non produssero molto più di questo effetto. Se alcuni di quelli che furono testimoni presero partito, sono quelli che egli ha destinato da tutta l’eternità a seguire i suoi stendardi. C’è anche una singolarità della sua condotta a questo riguardo: egli andava a batter cassa in quei posti in cui prevedeva che non si avesse alcuna voglia di servire.»116
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Mémoires sur la vie, les miracles et l’histoire de Jésus-Christ.
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52. En vérité, leur répondit Ménippe, il faut qu’il y ait bien de la simplicité de votre part, ou de la stupidité du côté de vos adversaires. Je conçois aisément (et votre exemple m’autorise dans cette pensée) qu’il peut se rencontrer des gens assez sots pour s’imaginer qu’ils voient des prodiges lorsqu’ils n’en voient point ; mais on ne pensera jamais qu’il y en ait d’assez hébétés pour se refuser à des prodiges aussi éclatants que ceux que vous racontez. Il faut avouer que votre pays produit des hommes qui ne ressemblent en rien aux autres hommes de la terre. On voit chez vous ce que l’on ne voit point ailleurs. 53. Ménippe admirait la crédulité de ces bonnes gens qui lui paraissaient des fanatiques du premier ordre. Mais pour satisfaire pleinement sa curiosité, il ajouta d’un ton qui semblait désavouer ses derniers mots : Ce que je viens d’entendre me semble si merveilleux, si étrange, si neuf, que j’aurais un extrême plaisir à connaître plus à fond tout ce qui concerne votre chef. Vous m’obligerez de m’en instruire. Un homme si divin mérite certainement que tout l’univers soit informé des moindres actions de sa vie...
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54. Aussitôt Marc, un des premiers colons de l’allée des épines, se flattant peutêtre de faire un soldat de Ménippe, se mit à narrer en détail toutes les prouesses de son colonel, comment il était né d’une vierge, | comment les mages et les pasteurs avaient reconnu sa divinité dans les langes ; et les prodiges de son enfance et ceux de ses dernières années, sa vie, sa mort, sa résurrection. Rien ne fut oublié. Marc ne s’en tint pas aux actions du fils de l’homme (c’est ainsi que son maître daignait quelquefois s’appeler, lors surtout qu’il y avait du danger à prendre des titres fastueux) ; il déduisit ses discours, ses harangues et ses maximes ; enfin l’instruction fut complète, et sur l’histoire et sur les lois. 55. Après que Marc eut cessé de parler, Ménippe, qui l’avait écouté patiemment et sans l’interrompre, prit la parole et continua, mais d’un ton à lui annoncer combien il était peu disposé à augmenter sa recrue... « Les maximes de votre chef, lui dit-il, me plaisent. Je les trouve conformes à celles qu’ont enseignées tous les hommes sensés qui ont paru sur la terre plus de quatre cents ans avant lui. Vous les débitez comme nouvelles, et elles le sont peut-être pour un peuple imbécile et grossier ; mais elles sont vieilles pour le reste des hommes. Elles me suggèrent toutefois une pensée qu’il faut que je vous communique : c’est qu’il est étonnant que celui qui les prêchait n’ait pas été un homme plus uni et plus commun dans ses actions. Je ne conçois pas comment votre colonel, qui pensait si bien sur les mœurs, a fait tant de prodiges.
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56. Mais si sa morale ne m’est pas nouvelle, ajouta Ménippe, j’avoue qu’il n’en est pas de même de ses prodiges ; ils me sont tous nouveaux : ils ne doivent pourtant l’être ni pour moi, ni pour personne. Il y a fort peu de temps que votre colonel vivait : tous les hommes d’un âge raisonnable ont été ses contemporains. Concevez-vous en bonne foi que, dans une province de l’empire aussi fréquentée que la Judée, il se soit passé des choses si extraordinaires, et cela pendant trois ou quatre ans de suite, sans qu’on en ait rien entendu ? Nous avons un gouverneur et une garnison nombreuse dans Jérusalem ; notre pays est plein de Romains ; le commerce est continuel de Rome à Joppé, et nous n’avons seulement pas su que votre chef fût au monde. Ses compatriotes ont eu la faculté de voir ou de ne | pas voir des miracles, selon qu’il leur plaît ; mais les autres
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52. «In verità», rispose loro Menippo, «bisogna che ci sia molta semplicità da parte vostra, o stupidità da parte dei vostri avversari. Capisco con facilità (e il vostro esempio mi autorizza a pensare questo) che si possano incontrare delle persone così stupide da vedere dei prodigi, quando non vedono niente; ma non si potrebbe mai pensare che ce ne siano di così inebetiti da respingere dei prodigi così eclatanti come quelli che voi raccontate. Bisogna riconoscere che il vostro paese produce degli uomini che non assomigliano per niente a tutti gli altri uomini della Terra. Si vede presso di voi quello che non si vede altrove.» 53. Menippo si meravigliava della credulità di queste brave persone che gli sembravano dei fanatici di prim’ordine. Tuttavia per soddisfare pienamente la sua curiosità, aggiunse con un tono che sembrava sconfessare le sue ultime parole: «Quello che ho appena sentito mi sembra così meraviglioso, così strano, così nuovo, che mi farà molto piacere conoscere più a fondo tutto ciò che riguarda il vostro capo. Mi costringerete a istruirmene. Un uomo così divino merita certamente che tutto l’universo sia informato anche delle minime azioni della sua vita». 54. Subito Marco, uno dei primi coloni del viale delle spine, vantandosi forse di fare di Menippo un soldato, si mise a narrare nel dettaglio tutte le prodezze del suo colonnello, come era nato da una vergine, come i magi e i pastori avevano riconosciuto la sua divinità quand’era in fasce, e i prodigi della sua infanzia e quelli degli ultimi anni, la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione. Non fu dimenticato nulla. Marco non si attenne alle azioni del Figlio dell’uomo (è così che il suo maestro degnava di chiamarsi talvolta, soprattutto quando c’era qualche pericolo a prendere dei titoli fastosi); egli dedusse i suoi discorsi, le sue arringhe e le sue massime; infine l’istruzione fu completa, sia sulla storia che sulle leggi. 55. Dopo che Marco ebbe smesso di parlare, Menippo, che l’aveva ascoltato pazientemente e senza interromperlo, prese la parola e continuò, ma con un tono che gli annunciava quanto poco fosse disposto ad accrescere le sue reclute. «Le massime del vostro capo, disse, mi piacciono. Le trovo conformi a quelle che sono state insegnate a tutti gli uomini sensati che sono apparsi sulla Terra più di quattrocento anni prima di lui. Voi gliele attribuite come nuove, ed esse forse lo sono per un popolo imbecille e grossolano; ma sono vecchie per il resto degli uomini. Esse mi suggeriscono tuttavia un pensiero che devo comunicarvi: è scioccante che chi le predicava non sia stato un uomo più semplice e più ordinario nelle sue azioni. Non capisco come il vostro colonnello che ragionava così ineccepibilmente sulla morale abbia potuto fare tanti prodigi. 56. «Ma se la morale non mi è nuova, ha aggiunto Menippo, riconosco che non è lo stesso per i prodigi. Per me sono tutti nuovi. Eppure non devono esserlo né per me né per nessuno. Il vostro colonnello è vissuto pochissimo tempo fa: tutti gli uomini di maggiore età sono stati suoi contemporanei. Riuscite a immaginare in buona fede che in una provincia dell’Impero così frequentata come la Giudea, siano successe cose così straordinarie, per tre o quattro anni di seguito, senza che non se ne sia saputo nulla? Abbiamo un governatore e una guarnigione numerosa a Gerusalemme, il vostro paese è pieno di Romani, il commercio è continuo tra Roma e Joppa117 e non abbiamo nemmeno saputo che il vostro capo fu al mondo. I suoi compatrioti hanno la facoltà di vedere o di non vedere dei miracoli, a seconda di come preferiscono; ma gli altri
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hommes voient ordinairement ce qui est devant leurs yeux, et ne voient que cela. Vous me dites que nos soldats attestèrent les prodiges arrivés à sa mort et à sa résurrection, et le tremblement de terre, et les ténèbres épaisses qui obscurcirent pendant trois heures la lumière du soleil, et le reste. Mais lorsque vous me les représentez saisis de frayeur, consternés, abattus, dispersés à l’aspect d’une intelligence visible qui descend du ciel pour lever la pierre qui scellait son tombeau ; lorsque vous assurez que ces mêmes soldats désavouèrent pour un vil intérêt des prodiges qui les avaient tellement frappés, qu’ils en étaient presque morts de peur, vous oubliez que c’étaient des hommes, ou du moins vous les métamorphosez en Iduméens, comme si l’air de votre pays fascinait les yeux et renversait la raison des étrangers qui le respirent. Croyez que si votre chef avait exécuté la moindre partie des choses que vous lui attribuez, l’empereur, Rome, le Sénat, toute la terre en eût été informée. Cet homme divin serait devenu le sujet de nos entretiens et l’objet d’une admiration générale. Cependant il est encore ignoré. Cette province entière, à l’exception d’un petit nombre d’habitants, le regarde comme un imposteur. Concevez du moins, Marc, qu’il a fallu un prodige plus grand que tous les prodiges de votre chef, pour étouffer une vie aussi publique, aussi éclatante, aussi merveilleuse que la sienne. Reconnaissez votre égarement, et abandonnez des idées chimériques ; car enfin, c’est à votre imagination seule qu’il doit tout le prodigieux dont vous embellissez son histoire.
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57. Marc resta quelque temps interdit du discours de Ménippe ; mais prenant ensuite le ton d’un enthousiaste : « Notre chef est le fils du Tout-Puissant, s’écria-t-il ; il est notre messie, notre sauveur, notre roi. Nous savons qu’il est mort et qu’il est ressuscité. Heureux ceux qui l’ont vu et qui ont cru ; mais plus heureux ceux qui croiront en lui sans l’avoir vu. Rome, renonce à ton incrédulité. Superbe Babylone, couvre-toi de sacs et de cendre ; fais pénitence ; hâte-toi, le temps est court, ta chute est prochaine, ton empire touche à sa fin. Que dis-je, ton empire ? L’univers va changer de face, le fils de l’homme va paraître sur les nues et juger les | vivants et morts. Il vient ; il est à la porte. Plusieurs de ceux qui vivent aujourd’hui verront l’accomplissement de ces choses ». 58. Ménippe, qui ne goûtait pas cette réplique, prit congé de la troupe, sortit de l’allée des épines, et laissa l’enthousiaste haranguer sa recrue tant qu’il voulut, et travailler à peupler son allée. 59. Eh bien, Ariste, que penses-tu de cet entretien ? Je te pressens. « Je conviens, me diras-tu, que ces Iduméens devaient être de grands sots ; mais il n’est pas possible qu’une nation n’ait produit quelque homme de tête. Les Thébains, les peuples les plus épais de la Grèce, ont eu un Épaminondas, un Pélopidas, un Pindare ; et j’aimerais bien autant avoir entendu Ménippe conserver avec l’historien Josèphe ou le philosophe Philon, qu’avec l’apôtre Jean ou Marc l’évangéliste. Il a toujours été permis à la foule des imbéciles de croire ce que le petit nombre des gens sensés ne dédaignait pas d’admettre ; et la stupide docilité des uns n’a jamais affaibli le témoignage éclairé des autres. Répondsmoi donc : qu’a dit Philon du colonel de l’allée des épines ?... Rien. – Qu’en a pensé Josèphe ?... Rien. – Qu’en a raconté Juste de Tibériade ? Rien. » Et comment voulais-tu que Ménippe s’entretînt de la vie et des actions de cet homme avec des personnes fort instruites, à la vérité, mais qui n’en avaient jamais entendu parler ? Ils n’ont oublié ni le
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uomini vedono ordinariamente quello che è davanti ai loro occhi, e vedono solo quello. Voi mi dite che i nostri soldati attestano i prodigi che sono avvenuti alla sua morte e alla sua resurrezione, il terremoto, le dense tenebre che hanno oscurato per tre ore la luce del sole e tutto il resto.118 Ma quando voi me lo raccontate preso dallo spavento, costernato, abbattuto, disperso alla vista di un’intelligenza visibile che discende dal cielo per sollevare la pietra che sigillava la sua tomba,119 quando assicurate che anche i soldati rinnegarono per un vile interesse dei prodigi che li avevano talmente scossi da essere quasi morti di paura,120 voi dimenticate che erano degli uomini, o almeno voi li trasformate in Edomiti,121 come se l’aria del vostro paese affascinasse gli occhi e ribaltasse la ragione degli stranieri che la respirano. Credetemi, se il vostro capo avesse fatto la minima parte delle cose che voi gli attribuite, l’imperatore, Roma, il senato, tutta la Terra ne sarebbe stata informata. Quest’uomo divino sarebbe divenuto il soggetto delle nostre conversazioni e l’oggetto di un’ammirazione generale. Invece è ancora ignorato: quest’intera provincia, a eccezione di un piccolo numero di abitanti, lo guarda come un impostore. Ammetterete almeno, Marco, che c’è voluto un prodigio più grande di tutti gli altri prodigi del vostro capo per insabbiare una vita così pubblica, così splendida, così meravigliosa come la sua. Riconoscete il vostro errore e abbandonate delle idee chimeriche, perché, alla fine, tutto il meraviglioso con cui abbellite la sua storia è dovuto solo alla vostra immaginazione. 57. Marco rimase interdetto per un po’ di tempo dal discorso di Menippo; ma assumendo in seguito il tono di un esaltato esclamò: «Il nostro capo è il figlio dell’onnipotente, egli è il messia, il nostro salvatore, il nostro re. Noi sappiamo che egli è morto e che è risuscitato. Felici coloro che l’hanno visto e che l’hanno creduto, ma ancora più felici coloro che crederanno in lui senza averlo visto.122 Roma, rinuncia alla tua incredulità. Superba Babilonia, copriti di sacco e ceneri, fa penitenza; affrettati, il tempo è breve, la tua caduta è prossima, il tuo impero tocca la sua fine.123 Che vado dicendo, il tuo impero? L’universo cambierà volto, il Figlio dell’uomo apparirà sulle nubi e giudicherà i vivi e i morti. Egli viene, è alla porta.124 Molti di coloro che oggi vivono vedranno il compimento di queste cose». 58. Menippo che non apprezzava questa replica, prese congedo dalla truppa, uscì dal viale delle spine, e lasciò l’entusiasta arringare le sue reclute quanto voleva e lavorare a popolare il suo viale. 59. «Ebbene, Aristo, che cosa ne pensi di questo colloquio? Ti interpello.» «Convengo, mi dirai, che questi Edomiti dovevano essere grandi sciocchi: ma non è possibile che una nazione non abbia prodotto qualche buona testa. I Tebani, i popoli più rozzi dei Greci, hanno avuto un Epaminonda, un Pelopida, un Pindaro, e mi sarebbe tanto piaciuto aver sentito Menippo conversare con lo storico Giuseppe125 o il filosofo Filone,126 piuttosto che con l’apostolo Giovanni o Marco l’evangelista. È sempre stato permesso alla folla degli imbecilli credere ciò che un piccolo numero di persone sensate non si degnerebbe di ammettere. La stupida docilità degli uni non ha mai indebolito la testimonianza illuminata degli altri. Rispondimi dunque. Che cos’ha detto Filone del colonnello del viale delle spine?» «Niente.» «Che cos’ha pensato Giuseppe?» «Niente.»127 «Cosa ha raccontato Giusto di Tiberiade?» «Niente.» «E come pretendi che Menippo discutesse della vita e delle azioni di quest’uomo, con delle persone in verità molto istruite, ma che non ne avevano mai sentito parlare? Non hanno dimenticato
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Galiléen Judas, ni le fanatique Jonathas, ni le rebelle Theudas ; mais ils se sont tus sur le fils de ton souverain. Quoi donc ? l’auraient-ils confondu dans la multitude des fourbes qui s’élevèrent successivement en Judée, et qui ne firent que se montrer et disparaître ?
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60. Les habitants de l’allée des épines ont été pénétrés de ce silence humiliant des historiens contemporains de leur chef, et plus encore du mépris que les anciens habitants de l’allée des marronniers en concevaient pour leur troupe. Dans cet état violent, qu’ont-ils imaginé ? d’anéantir l’effet en détruisant la cause. « Comment ! me diras-tu, en détruisant la cause ! j’ai de la peine à t’entendre. Auraient-ils fait parler Josèphe quelques années après sa mort ?... » À merveilles : tu l’as rencontré : ils ont inséré | dans son histoire l’éloge de leur colonel ; mais admire leur maladresse ; n’ayant ni mis de vraisemblance dans le morceau qu’ils ont composé, ni su choisir le lieu convenable pour l’insérer, tout a décelé la supposition. Ils ont fait prononcer à Josèphe, à un historien juif, à un pontife de sa nation, à un homme scrupuleusement attaché à son culte, la harangue d’un de leurs guides ; et dans quel endroit l’ont-ils placée ? dans un endroit où elle coupe et détruit le sens de l’auteur. « Mais les fourbes n’entendent pas toujours leurs intérêts, dit l’auteur qui m’a fourni l’entretien de Ménippe et de Marc. Pour vouloir trop, souvent ils n’obtiennent rien. Deux lignes glissées finement ailleurs les auraient mieux servis. C’est aux cruautés d’Hérode, si exactement décrites par l’historien juif, qui n’était pas son ami, qu’il fallait ajouter le massacre des enfants de Bethléem, dont il ne dit pas un mot. » 61. Tu feras là-dessus tes réflexions : cependant rentre encore avec moi dans l’allée des épines.
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62. Parmi ceux qui s’y traînent aujourd’hui, il en est qui tiennent leurs bandeaux à deux mains, comme s’il résistait et qu’il tendît à s’échapper. Tu reconnaîtras les têtes bien faites à cette marque : car on a de tout temps observé que le bandeau s’ajustait d’autant mieux sur un front qu’il était étroit et mal fait. Mais qu’arrive-t-il de la résistance du bandeau ? de deux choses l’une : ou que les bras se fatiguent et qu’il s’échappe ; ou qu’on persiste à le retenir et qu’on parvient à la longue à vaincre son effort. Ceux dont les bras se lassent, se trouvent tout à coup dans le cas d’un aveugle-né à qui l’on ouvrirait les paupières. Tous les objets de la nature se présenteraient à lui sous une forme bien différente des idées qu’il en aurait reçues. Ces illuminés passent dans notre allée. Qu’ils ont de plaisir à se reposer sous nos marronniers et à respirer l’air doux qui y règne ! Avec quelle joie ne voient-ils pas de jour en jour cicatriser les cruelles blessures qu’ils se sont faites ! Qu’ils gémissent tendrement sur le sort des malheureux qu’ils ont laissés dans les épines ! Ils n’osent toutefois leur tendre la main. Ils craignent que, n’ayant pas la force de suivre, ils ne soient entraînés de nouveau, par | leur propre poids ou par les efforts des guides, dans des broussailles plus épaisses. Il n’arrive guère à ces transfuges de nous abandonner. Ils vieillissent sous nos ombrages ; mais sur le point d’arriver au rendezvous général, ils y trouvent un grand nombre de guides ; et comme ils sont quelquefois imbéciles, ceux-ci profitent de cet état, ou d’un instant de léthargie pour leur rajuster leur bandeau, et donner un coup de vergette à leur robe ; en quoi ils s’imaginent leur rendre un service important. Ceux d’entre nous qui jouissent de toute leur raison les laissent faire, parce qu’ils ont persuadé à tout le monde qu’il y a du déshonneur à paraître devant le prince sans un bandeau, et sans avoir été savonné et calandré. Cela s’appelle chez les gens du bon ton, finir décemment le voyage ; car notre siècle aime les bienséances.
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né Giuda Galeno, né il fanatico Gionata, né il ribelle Tèuda;128 ma hanno taciuto sul figlio del tuo sovrano. Che dunque, l’avranno confuso nella moltitudine degli impostori che sorgevano successivamente in Giudea e che non fecero che mostrarsi e sparire?» 60. Gli abitanti del viale delle spine sono stati impressionati da questo silenzio umiliante degli storici contemporanei del loro capo, e più ancora dal disprezzo che gli antichi abitanti del viale dei castagni nutrivano per le loro truppe. In questo stato violento, che cos’hanno immaginato? di eliminare l’effetto distruggendone la causa. «Come, mi dirai tu, distruggendone la causa? Faccio fatica a capirti. Avrebbero fatto parlare Giuseppe qualche secolo dopo la sua morte?» A meraviglia: hai indovinato: essi hanno inserito nella sua storia l’elogio del loro colonnello, ma ammira la loro mancanza di abilità. Non avendo né usato un po’ di verosimiglianza nel pezzo che hanno composto, né saputo scegliere il luogo adatto per inserirlo, tutto ha rivelato la sostituzione. Hanno fatto pronunciare a Giuseppe, uno storico ebreo, a un pontefice della sua nazione, a un uomo scrupolosamente attaccato al suo culto, la perorazione di una delle loro guide.129 E in quale punto l’hanno posto? In un punto in cui interrompe e distrugge il senso dell’autore.130 «Ma i furbi non capiscono sempre i loro interessi», dice l’autore che ha fornito il dialogo tra Menippo e Marco. «Volendo troppo, spesso non si ottiene nulla. Due righe finemente infilate altrove, avrebbero reso loro un miglior servizio. È tra le crudeltà di Erode così esattamente descritte dallo storico ebreo che non era suo amico,131 che bisognava aggiungere il massacro dei bambini di Betlemme, di cui egli non dice una parola.» 61. Farai su questo le tue riflessioni: tuttavia ritorna ancora con me nel viale delle spine. 62. Tra quelli che vi si trascinano oggi, ce ne sono alcuni che tengono la loro benda con due mani, come se resistessero e che tendono a sfuggire.132 Riconoscerai le teste ben fatte da questo segno: perché si è osservato da sempre che la benda si adattava meglio sulla fronte quanto più era stretta e fatta male. Ma cosa deriva dalla resistenza della benda? Una di queste due cose. O le braccia si affaticano ed essa sfugge, o si persiste a trattenerla e alla lunga si riesce a vincere il proprio sforzo. Quelli le cui braccia si affaticano, si trovano improvvisamente nella situazione di un cieco-nato a cui vengono aperte le palpebre.133 Tutti gli oggetti della natura gli si presentano sotto forme ben diverse rispetto all’idea che si era formato di essi. Questi illuminati passano nel nostro viale. Quanto piacere provano a riposarsi sotto i nostri castagni e a respirare l’aria dolce che vi regna! Con quale gioia vedono cicatrizzarsi di giorno in giorno le crudeli ferite che si sono fatti! Come gemono teneramente sulla sorte degli sventurati che hanno lasciato nelle spine! Non osano tuttavia tendere loro la mano. Temono che non avendo la forza di seguirli, di essere trattenuti nuovamente, dal loro stesso peso o dagli sforzi delle guide, nei rovi più fitti. Non accade a questi transfughi di abbandonarci. Invecchiano sotto la nostra ombra. Al momento di arrivare all’appuntamento generale però, vi trovano un gran numero di guide, e poiché talvolta sono degli imbecilli, queste approfittano di questo stato, o di un istante di letargia per riaggiustare su di loro le bende, e dare un colpo di spazzola al loro vestito, con cui credono di aver reso loro un servizio importante. Chi di noi è in pieno possesso della ragione, li lascia fare; perché hanno persuaso tutti che è disonorevole apparire davanti al principe senza una benda, e senza essere stati insaponati e calandrati. Questo si chiama, presso le persone perbene, finire decentemente il viaggio: perché il nostro secolo ama le buone maniere.
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63. J’ai passé de l’allée des épines dans celle des fleurs où j’ai peu séjourné, et de l’allée des fleurs, j’ai gagné l’ombre des marronniers, dont je ne me flatte pas de jouir jusqu’au dernier terme : il ne faut répondre de rien. Je pourrais bien finir la route à tâtons, comme un autre. Quoi qu’il en soit, je tiens maintenant pour certain que notre prince est souverainement bon, et qu’il regardera plus à ma robe qu’à mon bandeau. Il sait que nous sommes pour l’ordinaire plus faibles que méchants. D’ailleurs telle est la sagesse des lois qu’il nous a prescrites, que nous ne pouvons guère nous en écarter sans être punis. S’il est vrai, ainsi que je l’ai entendu démontrer dans l’allée des épines (car quoique ceux qui y commandent vivent assez mal, ils tiennent parfois de fort bons propos) . S’il est vrai, dis-je, que le degré de notre vertu soit la mesure exacte de notre bonheur actuel, ce monarque pourrait nous anéantir tous, sans faire injustice à personne. Je t’avouerai toutefois que cet avis n’est pas le mien ; je m’anéantis à regret ; je veux continuer d’être, persuadé que je ne puis jamais qu’être bien. Je pense que notre prince, qui n’est pas moins sage que bon, ne fait rien dont il ne résulte quelque avantage : or, quel avantage peut-il tirer de la peine d’un mauvais soldat ? Sa satisfaction propre ? Je n’ai garde de | le croire ; je lui ferais une injure grossière, en le supposant plus méchant que moi. Celle des bons ? Ce serait en eux un sentiment de vengeance incompatible avec leur vertu, et auquel notre prince, qui ne se règle point sur les caprices d’autrui, n’aurait aucun égard. On ne peut pas dire qu’il punira pour l’exemple ; car il ne restera personne que le supplice puisse intimider. Si nos souverains infligent des peines, c’est qu’ils espèrent effrayer ceux qui seraient tentés de ressembler aux coupables. 64. Mais avant que de sortir de l’allée des épines, il faut encore que tu saches que ceux qui la suivent sont tous sujets à une étrange vision. C’est de se croire obsédés par un enchanteur malin, aussi vieux que le monde, ennemi mortel du prince et de ses sujets, rôdant invisiblement autour d’eux, cherchant à les débaucher, et leur suggérant sans cesse à l’oreille de se défaire de leur bâton, de salir leur robe, de déchirer leur bandeau et de passer dans l’allée des fleurs ou sous nos marronniers. Lorsqu’ils se sentent trop pressés de suivre ses avis, ils ont recours à un geste symbolique, qu’ils font de la main droite et qui met l’enchanteur en fuite, surtout s’ils ont trempé le bout du doigt dans une certaine eau qu’il n’est donné qu’aux guides de préparer.
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65. Je n’aurais jamais fait, si j’entrais dans le détail des propriétés de cette eau, et de la force et des effets du signe. L’histoire de l’enchanteur a fourni des milliers de volumes, qui tous concourent à démontrer que notre prince n’est qu’un sot en comparaison de lui, qu’il lui a joué cent tours plaisants, et qu’il est mille fois plus habile à lui enlever ses sujets que son rival à se les conserver. Mais de peur d’encourir le reproche qu’on a fait à Milton, et que ce maudit enchanteur ne devînt aussi le héros de mon ouvrage, comme on ne manquera pas d’assurer qu’il en est l’auteur ; je te dirai seulement qu’on le représente à peu près sous la forme hideuse qu’on a donnée à l’enchanteur Freston, chez le duc de Médoc, dans la continuation maussade de l’excellent ouvrage de Cervantes ; et qu’on tient dans le | sentier des épines que ceux qui l’auront écouté sur la route lui seront abandonnés aux portes de la garnison, pour partager avec lui, dans tous les siècles à venir, et dans des gouffres de feu, le sort affreux auquel il est condamné. Si cela est, on n’aura jamais vu tant d’honnêtes gens rassemblés avec tant de fripons, et dans une si vilaine salle de compagnie.
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63. Sono passato dal viale delle spine a quello dei fiori, dove ho soggiornato per un po’, e dal viale dei fiori sono arrivato all’ombra dei castagni, di cui non mi vanto di godere fino all’ultimo momento: non bisogna essere mai sicuri di niente.134 Potrei anche finire la strada a tentoni, come qualsiasi altro. Comunque sia, ora considero certo che il nostro principe sia estremamente buono, e che guarderà più alla mia veste che alla mia benda. Egli sa che normalmente siamo più deboli che cattivi: d’altra parte tale è la saggezza delle Leggi che egli ci ha prescritto, e da cui non possiamo allontanarci molto senza essere puniti. Se è vero, così come intendevo dimostrare nel viale delle spine (perché, nonostante il fatto che quelli che comandano vivano molto male, a volte hanno dei buonissimi propositi), se è vero, dico, che il grado della nostra virtù è la misura esatta della nostra felicità attuale, questo monarca potrebbe annientarci tutti, senza essere ingiusto con nessuno. Ti confido tuttavia che quest’opinione non è la mia; mi anniento a malincuore: voglio continuare a essere, persuaso che posso solo essere buono. Penso che il nostro principe che non è meno saggio di quanto sia buono, non faccia niente da cui non possa trarre qualche vantaggio: ora che vantaggio potrebbe trarre dalla pena di un cattivo soldato? La sua personale soddisfazione? Non c’è pericolo che io lo creda; gli farei un torto grossolano, supponendo che sia più malvagio di me. Quella dei buoni? Questo creerebbe in loro un sentimento di vendetta incompatibile con la virtù, e del quale il nostro principe, che non si regola sui capricci altrui, non ne terrebbe alcun conto. Non si può dire che egli punirà per dare l’esempio; perché non resterebbe nessuno da intimidire col supplizio. Se i nostri sovrani infliggono delle pene, è perché sperano di impaurire quelli che potrebbero essere tentati di imitare i colpevoli. 64. Ma prima di uscire dal viale delle spine bisogna che tu sappia che quelli che lo seguono hanno tutti una strana visione; quella di sentirsi assillati da un incantatore maligno,135 vecchio quanto il mondo, nemico mortale del principe e dei suoi sudditi, che si aggira invisibilmente attorno a loro, cercando di trascinarli, e suggerendo senza tregua all’orecchio di disfarsi del loro bastone, di imbrattare la loro veste e di passare al viale dei fiori, o sotto i nostri castagni. Quando si sentono troppo incalzati a seguire i suoi consigli, essi ricorrono a un gesto simbolico, che fanno con la mano destra e che mette l’incantatore in fuga, soprattutto se hanno inumidito la punta delle dita in una certa acqua che possono preparare solo le guide. 65. Non finirei mai, se entrassi nei dettagli delle proprietà di quest’acqua, e della forza e degli effetti del segno. La storia dell’incantatore ha prodotto migliaia di volumi, che riguardano tutti la dimostrazione che il nostro principe è solo uno sciocco in confronto a lui, che gli ha fatto cento tiri e scherzi, e che è mille volte più abile a sottrargli i suoi sudditi di quanto sia il suo rivale a conservarli. Tuttavia, per paura di incorrere nel rimprovero che si fa a Milton,136 e affinché questo maledetto incantatore non divenga anche l’eroe della mia opera, come non si mancherà di assicurare che ne è l’autore, ti dirò solamente che è stato rappresentato pressappoco con la forma orrenda che si è data all’incantatore Frestone, presso il duca di Médoc, nella continuazione noiosa dell’opera di Cervantes,137 e che, nel sentiero delle spine, si dà per certo che solo quelli che l’avranno ascoltato lungo la via saranno abbandonati a lui alle porte della guarnigione, per condividere con lui in tutti i secoli a venire, e dentro abissi di fuoco, la sorte tremenda a cui è condannato.138 Se è così, non si saranno mai viste tante persone oneste radunate con tanti delinquenti, e in una così brutta sala di conversazione.
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L’allée des marronniers Dum duceo insanire omnes, vos ordine adite. Horat., 107
1. L’allée des marronniers forme un séjour tranquille, et ressemble assez à l’ancienne Académie. J’ai dit qu’elle était parsemée de bosquets touffus et de retraites sombres où règnent le silence et la paix. Le peuple qui l’habite est naturellement grave et sérieux, sans être taciturne et sévère. Raisonneur de profession, il aime à converser et même à disputer, mais sans cette aigreur et cette opiniâtreté avec laquelle on glapit des rêveries dans leur voisinage. La diversité des opinions n’altère point ici le commerce de l’amitié, et ne ralentit point l’exercice des vertus. On attaque ses adversaires sans haine, et quoiqu’on les pousse sans ménagement, on en triomphe sans vanité. On y voit tracés sur le sable des cercles, des triangles et d’autres figures de mathématiques. On y fait des systèmes, peu de vers. C’est, je crois, dans l’allée des fleurs, entre le Champagne et le tokay, que l’Épître à Uranie prit naissance. | 115
2. La plupart des soldats qui tiennent cette route sont à pied. Ils la suivent en secret ; et ils feraient leur voyage assez paisiblement, s’ils n’étaient assaillis et troublés de temps en temps par les guides de l’allée des épines, qui les regardent et les traitent comme leurs plus dangereux ennemis. Je t’avertis qu’on y voit peu de monde, et qu’on y en verrait peut-être moins encore, si l’on n’y rencontrait que ceux qui doivent la suivre jusqu’au bout. Elle n’est pas aussi commode pour un équipage que l’allée des fleurs ; et elle n’est point faite pour ceux qui ne peuvent marcher sans bâton. 3. Une grande question à décider, ce serait de savoir si cette partie de l’armée fait un corps et peut former une société. Car ici point de temples, point d’autels, point de sacrifices, point de guides. On ne suit point d’étendard commun ; on ne connaît point de règlements généraux : la multitude est partagée en bandes plus ou moins nombreuses, toutes jalouses de l’indépendance. On vit comme dans ces gouvernements anciens, où chaque province avait des députés au conseil général avec des pouvoirs égaux. Tu résoudras ce problème, quand je t’aurai tracé les caractères de ces guerriers.
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4. La première compagnie, dont l’origine remonte bien avant dans l’antiquité, est composée de gens qui vous disent nettement, qu’il n’y a ni allée, ni arbres, ni voyageurs ; que tout ce qu’on voit pourrait bien être quelque chose, et pourrait bien aussi n’être rien. Ils ont, dit-on, un merveilleux avantage au combat ; c’est que s’étant débarrassés du soin de se couvrir, ils ne sont occupés que de celui de frapper. Ils n’ont ni casque, ni bouclier, ni cuirasse ; mais seulement une épée courte, à deux tranchants, qu’ils manient avec une extrême dextérité. Ils attaquent tout le monde, | même leurs propres camarades ; et quand ils vous ont fait de larges et profondes blessures, ou qu’eux-mêmes en sont couverts, ils soutiennent avec un sang-froid prodigieux que tout n’était qu’un jeu, qu’ils n’ont eu garde de vous porter des coups, puisqu’ils n’ont point d’épée, et que vous-même n’avez point de corps ; qu’après tout ils pourraient bien se tromper ; mais que le plus sûr pour eux et pour vous, c’est d’examiner si réellement
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Il viale dei castagni Dum doceo insanire omnes; vos ordine adite139 Orazio
1. Il viale dei castagni forma un soggiorno tranquillo, e somiglia molto all’antica Accademia.140 Ho detto che è disseminato di fitti boschetti e di rifugi ombrosi dove regnano il silenzio e la pace. Il popolo che lo abita è naturalmente grave e serio, senza essere taciturno e severo. Ragionatore di professione, ama conversare e anche disputare, ma senza quell’asprezza e quell’ostinazione con cui si strillano fantasticherie nelle vicinanze. Qui la diversità delle opinioni non altera lo scambio dell’amicizia, e non rallenta l’esercizio delle virtù: si attaccano i propri avversari senza odio, e quantunque li si spinga senza riguardo, si trionfa senza vanità. Sulla sabbia si vedono tracciati dei cerchi, dei triangoli e altre figure matematiche. Vi si fanno dei sistemi, pochi versi. Credo che l’Epistola a Urania sia stata creata nel viale dei fiori, tra lo champagne e il tocai.141 2. La maggior parte dei soldati che percorrono questa via sono a piedi; la seguono in segreto, e farebbero il loro viaggio molto pacificamente, se non fossero assaliti e disturbati dalle guide del viale delle spine che li guardano e li trattano come i loro più pericolosi nemici. Ti ho avvertito che vi si vede poca gente e forse se ne vedrebbe ancora meno, se s’incontrassero solo quelli che devono seguirla fino alla fine. Per un equipaggio questo viale non è comodo come il viale dei fiori, e non è assolutamente fatto per quelli che non sono in grado di camminare senza bastone. 3. Una grande questione da decidere, sarebbe di sapere se questa parte dell’armata costituisce un corpo e se può formare una società.142 Perché qui non ci sono templi, non ci sono altari, non ci sono sacrifici e non ci sono guide. Non si seguono stendardi comuni: non si conosce alcun regolamento generale: la moltitudine è suddivisa in truppe più o meno numerose, tutte gelose dell’indipendenza.143 Si vive come in quegli antichi governi, in cui ciascuna provincia aveva dei deputati al consiglio generale, con dei poteri eguali. Risolverai tu questo problema quando ti avrò delineato le caratteristiche di questi guerrieri. 4. La prima compagnia la cui origine risale a ben prima dell’Antichità, è composta di persone che vi dicono chiaramente, che non c’è né viale, né alberi, né viaggiatori, che tutto quello che vediamo potrebbe anche essere qualcosa, e potrebbe anche non essere nulla. Essi hanno, si dice, un meraviglioso vantaggio nel combattimento: essendosi sbarazzati della paura di coprirsi, si sono occupati solo di quella di colpire. Non hanno né elmo, né scudo, né corazza; ma solamente una spada corta, a due tagli, che maneggiano con estrema destrezza: attaccano tutti, anche i loro stessi camerati; e quando hanno inflitto ferite larghe e profonde, o essi stessi ne sono coperti, sostengono con un prodigioso sangue freddo, che tutto era solo un gioco, e che non c’era pericolo che vi ferissero gravemente, poiché non hanno alcuna spada e voi stessi non avete corpo; che dopotutto potrebbero anche sbagliarsi, ma che la cosa più sicura per loro e per voi, è di esaminare se realmente sono armati, e se questa disputa di cui voi
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ils sont armés, et si cette querelle, dont vous vous plaignez, n’est point une marque de leur amitié. On raconte de leur premier capitaine qu’en se promenant dans l’allée, il marchait en tout sens, quelquefois la tête en bas, souvent à reculons ; qu’il allait se heurter rudement contre les passants et les arbres, tombait dans des trous, se donnait des entorses, et répondait à ceux qui s’offraient de le guider, qu’il n’avait pas bougé de sa place, et qu’il se portait très bien. Dans les conversations, il soutenait indifféremment le pour et le contre, établissait une opinion, la détruisait, vous caressait d’une main, vous souffletait de l’autre, et finissait toutes ses niches par, vous aurais-je frappé ? Cette troupe n’avait point eu d’étendard, lorsqu’il y a environ deux cents ans un de ses champions en imagina un. C’est une balance en broderie d’or, d’argent, de laine et de soie, avec ces mots pour devise : Que sais-je ? Ses fantaisies, écrites à bâtons rompus, n’ont pas laissé de faire des prosélytes. Ces soldats sont bons pour les embuscades et les stratagèmes.
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5. Une autre cohorte, non moins ancienne, quoique moins nombreuse, s’est formée des mutins de la précédente. Ils avouent qu’ils existent, qu’il y a une allée et des arbres ; mais ils prétendent que les idées de régiment et de garnison sont ridicules, et même que le prince n’est qu’une chimère ; | que le bandeau est la livrée des sots, et que la crainte du châtiment actuel est la seule bonne raison qu’on ait de conserver sa robe sans tache. Ils s’avancent intrépidement vers le bout de l’allée, où ils s’attendent que le sable fondra sous leurs pieds, et qu’ils seront engloutis, ne tenant plus à rien, ni rien à eux. 6. Ceux qui suivent pensent tout différemment. Persuadés de l’existence de la garnison, ils croient que la sagesse infinie du prince ne les a point laissés sans lumières, que la raison est un présent qu’ils tiennent de lui, et qui suffit pour régler leur marche ; qu’il faut respecter le souverain, et qu’on en sera bien ou mal reçu, selon qu’on aura bien ou mal servi sur la route ; qu’au reste sa sévérité ne sera point excessive, ni ses châtiments sans bornes ; et qu’une fois arrivé au rendez-vous, on n’en sortira plus. Ils se soumettent aux lois de la société, connaissent et cultivent les vertus, détestent le crime, et regardent les passions bien économisées comme nécessaires au bonheur. Malgré la douceur de leur caractère, on les abhorre dans l’allée des épines. Et pourquoi, diras-tu ? C’est qu’ils n’ont point de bandeau ; qu’ils soutiennent que deux bons yeux suffisent pour se bien conduire, et qu’ils demandent à être convaincus par de solides raisons que le code militaire est vraiment l’ouvrage du prince, parce qu’ils y remarquent des traits incompatibles avec les idées qu’on a de sa sagesse et de sa bonté. « Notre souverain, disent-ils, est trop juste pour désapprouver notre curiosité : que cherchons-nous, si ce n’est à connaître ses volontés ? On nous présente une lettre de sa part, et nous avons sous nos yeux un ouvrage de sa façon. Nous comparons l’une avec l’autre, et nous ne pouvons concevoir qu’un si grand ouvrier soit un si mauvais écrivain. Cette contradiction n’est-elle donc pas assez forte pour qu’on nous pardonne d’en être frappés ? »
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7. Une quatrième bande te dira que l’allée est pratiquée sur le dos de notre monarque, imagination plus absurde que l’Atlas des anciens poètes. Celui-ci soutenait le ciel sur ses épaules, et la fiction embellissait une erreur. Ici on se joue de la raison et de quelques expressions équivoques pour | insinuer que le prince fait partie du monde visible, que l’univers et lui ne sont qu’un, et que nous sommes nous-mêmes des parties
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vi lamentate, non possa essere un segno della loro amicizia. Si racconta del loro primo capitano che passeggiava nel viale, camminava in tutti i sensi, a volte con la testa in basso, spesso all’indietro, che andava a terribilmente a sbattere contro i passanti e gli alberi, cadeva nei buchi, prendeva delle storte, e rispondeva a quelli che si offrivano di guidarlo, che non si era spostato dal suo posto, e che stava molto bene.144 Nelle conversazioni sosteneva indifferentemente il pro e il contro, stabiliva un’opinione, la distruggeva, vi accarezzava con una mano, vi schiaffeggiava con l’altra, e finiva tutti i suoi tiri con: «Vi avrei colpito?». Questa truppa non aveva avuto alcuno stendardo, allorché duecento anni fa circa, uno dei suoi campioni ne ha immaginato uno. È una bilancia ricamata d’oro, d’argento, di lana e di seta, con queste parole come motto: «Che cosa so?».145 Le sue fantasie scritte a ruota libera non hanno permesso di fare proseliti. Questi soldati vanno bene per le imboscate e gli stratagemmi. 5. Un’altra coorte146 non meno antica, ancorché meno numerosa, si è formata dai ribelli della precedente. Essi riconoscevano di esistere, che c’è un viale e degli alberi, ma pretendono che le idee di reggimento e guarnigione siano ridicole, e anche che il principe sia solo una chimera; che la benda è la livrea degli schiocchi, e che la paura del castigo attuale è la sola buona ragione che abbiamo per conservare la veste senza macchia. Avanzavano intrepidamente verso la fine del viale, dove si aspettano che la sabbia sprofonderà sotto i loro piedi, e che saranno inghiottiti, non tenendo più a niente, né niente a loro. 6. Quelli che seguono147 pensano in modo totalmente differente. Persuasi dell’esistenza della guarnigione, credono che la saggezza infinita del principe non li lasci senza lumi, che la ragione sia un dono avuto da lui e che essa è sufficiente per regolare il loro cammino; che bisogna rispettare il sovrano, e che saremo ricevuti bene o male a seconda che lo si sia servito bene o male lungo la via; che del resto la sua severità non sarà eccessiva, né i suoi castighi senza limiti e che una volta arrivati all’appuntamento, non ce ne andremo più. Si sottomettono alle leggi della società, conoscono e coltivano le virtù, detestano il crimine, e considerano le passioni ben governate148 come necessarie alla felicità. Malgrado la dolcezza del loro carattere, sono aborriti nel viale delle spine e tu ti chiederai il perché. Il fatto è che essi non hanno benda, sostengono che due occhi buoni bastano per comportarsi bene, e chiedono di essere convinti con ragioni solide che il codice militare è veramente l’opera del principe, poiché vi evidenziano dei tratti incompatibili con le idee che abbiamo della sua saggezza e della sua bontà. «Il nostro sovrano, dicono, è troppo giusto per disapprovare la nostra curiosità: che cosa cercheremo, se non di conoscere le sue volontà? Ci viene presentata una lettera da parte sua, e abbiamo sotto gli occhi un’opera alla sua maniera. Compariamo l’una con l’altra, e non possiamo concepire che un così grande artefice, sia uno scrittore così mediocre. Questa contraddizione non è dunque abbastanza forte da meritare il suo perdono per esserne colpiti?» 7. Una quarta banda ti dirà che il viale è tracciato sul dorso del nostro monarca;149 fantasia più assurda dell’Atlante degli antichi poeti. Quest’ultimo sosteneva il cielo sulle sue spalle e questa finzione abbelliva un errore. Qui ci si prende gioco della ragione e di alcune espressioni equivoche per insinuare che il principe faccia parte del mondo visibile, che l’universo e lui sono una sola cosa, e che noi stessi siamo parti del suo
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de son vaste corps. Le chef de ces visionnaires fut une espèce de partisan qui fit de fréquentes incursions et jeta souvent l’alarme dans l’allée des épines.
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8. Tout à côté de ceux-ci marchent sans règle et sans ordre des champions encore plus singuliers : ce sont gens dont chacun soutient qu’il est seul au monde. Ils admettent l’existence d’un seul être ; mais cet être pensant, c’est eux-mêmes : comme tout ce qui se passe en nous n’est qu’impression, ils nient qu’il y ait autre chose qu’eux et ces impressions ; ainsi ils sont tout à la fois l’amant et la maîtresse, le père et l’enfant, le lit de fleurs et celui qui le foule. J’en rencontrai ces jours derniers un qui m’assura qu’il était Virgile. « Que vous êtes heureux, lui répondis-je, de vous être immortalisé par la divine Énéide ! – Qui ? moi ! dit-il ; je ne suis pas en cela plus heureux que vous. – Quelle idée ! repris-je ; si vous êtes vraiment le poëte latin (et autant vaut-il que ce soit vous qu’un autre), vous conviendrez que vous êtes infiniment estimable d’avoir imaginé tant de grandes choses. Quel feu ! quelle harmonie ! quel style ! quelles descriptions ! quel ordre ! – Que parlez-vous d’ordre ? interrompit-il ; il n’y en a pas l’ombre dans l’ouvrage en question ; c’est un tissu d’idées qui ne portent sur rien, et si j’avais à m’applaudir des onze ans que j’ai employés à coudre ensemble dix mille vers, ce serait de m’être fait en passant à moi-même quelques compliments assez bons sur mon habileté à assujettir mes concitoyens par des proscriptions, et à m’honorer des noms de père et de défenseur de la patrie, après en avoir été le tyran. » À tout ce galimatias j’ouvrais de grands yeux, et cherchais à concilier des idées si disparates. Mon Virgile remarqua que son discours m’embarrassait. « Vous avez peine à m’entendre, continuat-il ; eh bien, j’étais en même temps Virgile et Auguste, Auguste et Cinna. Mais ce n’est pas tout ; je suis aujourd’hui qui je veux être, et je vais vous démontrer que peut-être je suis vous-même, et que vous n’êtes rien ; soit | que je m’élève jusque dans les nues, soit que je descende dans les abîmes, je ne sors point de moi-même, et ce n’est jamais que ma propre pensée que j’aperçois, » me disait-il avec emphase, lorsqu’il fut interrompu par une troupe bruyante qui seule cause tout le tumulte qui se fait dans notre allée. 9. C’étaient de jeunes fous qui, après avoir marché assez longtemps dans celle des fleurs, étaient venus toujours en tournoyant dans la nôtre ; ils étaient tout étourdis, et on les eût pris pour des gens ivres, tant ils en avaient la contenance et les propos. Ils criaient qu’il n’y avait ni prince, ni garnison, et qu’au bout de l’allée ils seraient tous joyeusement anéantis ; mais de toutes ces imaginations, pas une bonne preuve, pas un raisonnement suivi. Semblables à ceux qui vont la nuit en chantant dans les rues, pour faire croire aux autres et se persuader peut-être à eux-mêmes qu’ils n’ont point de peur, ils se contentaient de faire grand bruit. S’ils revenaient de ce fracas pendant quelques instants, c’était pour écouter les discours des autres, en attraper des lambeaux, et les répéter comme leurs, en y ajoutant quelques mauvais contes. 10. Ces fanfarons sont détestés par nos sages, et le méritent : ils n’ont aucune marche arrêtée ; ils passent et repassent d’une allée dans une autre. Ils se font porter dans celle des épines, lorsque la goutte les prend : à peine est-elle passée, qu’ils se précipitent dans celle des fleurs, d’où la tocane nous les ramène : mais ce n’est pas pour longtemps. Bientôt ils iront abjurer aux pieds des guides tout ce qu’ils avançaient parmi nous, prêts néanmoins à s’échapper de leurs mains, si l’âcreté des remèdes leur porte à la tête de nouvelles vapeurs. Bonne ou mauvaise santé fait toute leur philosophie. |
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vasto corpo. Il capo di questi visionari fu una specie di partigiano che fece frequenti incursioni nel viale delle spine e mettendolo spesso in allarme.150 8. Proprio accanto a questi camminano senza regola e senza ordine, dei campioni ancora più singolari.151 Sono persone che sostengono di essere ciascuna l’unica al mondo. Ammettono l’esistenza di un solo essere, ma questo essere pensante, sono loro stessi. Poiché tutto ciò che accade in noi, è solo un’impressione. Così essi sono al contempo l’amato e l’amante, il padre e il figlio, il letto di fiori e colui che vi si stende. Ne ho incontrato uno nei giorni scorsi che mi ha assicurato di essere Virgilio. «Beato voi, gli ho risposto, che vi siete reso immortale grazie alla divina Eneide!» «Chi io?» ha detto, «Non sono in questo più felice di voi.» «Che idea», ho ripreso, «se voi siete veramente il poeta latino (e tanto vale che siate voi piuttosto che un altro), converrete che siete infinitamente stimabile per aver immaginato tante grandi cose. Che fuoco, che armonia, che stile, che descrizioni, che ordine!» «Perché parlate di ordine?» Mi ha interrotto, «Non ce n’è neppure l’ombra nell’opera in questione. Questo tessuto di idee che non poggiano su niente, e se dovessi elogiarmi per gli undici anni che ho impiegato a cucire insieme diecimila versi, sarebbe come aver fatto di sfuggita grandi complimenti a me stesso per la mia abilità ad assoggettare i miei concittadini con delle proscrizioni, e a onorarmi del nome di padre e difensore della patria; dopo esserne stato il tiranno.» Di fronte a tutti questi sproloqui, aprii tanto d’occhi e cercai di conciliare delle idee così disparate. Il mio Virgilio ha notato che il suo discorso mi metteva in imbarazzo. «Voi provate pena ad ascoltarmi» ha continuato lui; «ebbene, ero nello stesso tempo Virgilio e Augusto; Augusto e Cinna. Ma questo non è tutto, sono oggi chi voglio essere; e vi dimostrerò che forse sono voi stesso e che voi non siete niente. Sia che mi elevi fino alle nubi, sia che discenda negli abissi, non esco mai da me stesso, e non è mai altro che il mio pensiero che percepisco»,152 mi disse con enfasi, quando fu interrotto da una truppa rumorosa che da sola causava tutto il tumulto che c’è nel nostro viale. 9. Erano dei giovani pazzi,153 che dopo aver camminato per molto tempo, erano venuti sempre volteggiando nel nostro: erano tutti storditi, e li abbiamo scambiati per ubriachi, tanto ne avevano il contegno e le parole. Gridavano che non c’erano né principe né guarnigione, e che alla fine del viale, si sarebbero annientati tutti gioiosamente. Ma tra tutte queste immaginazioni nemmeno una buona prova, un ragionamento coerente.154 Simili a quelli che nella notte vanno cantando in giro per le vie, per far credere agli altri e forse persuadere se stessi, di non aver paura, si accontentavano di fare molto chiasso. Se si riprendevano da questo fracasso per qualche istante era per ascoltare il discorso degli altri e afferrarne qualche brandello, e ripeterli come se fossero loro, aggiungendovi qualche brutta storia. 10. Questi fanfaroni sono detestati dai nostri saggi, e lo meritano:155 essi non hanno alcun percorso stabilito, passano e ripassano da un viale all’altro. Si fanno portare in quello delle spine, quando li prende la gotta: appena è passata, si precipitano a quello dei fiori, dal quale li riconduce a noi il tocane,156 ma non per molto tempo. Presto andranno ad abiurare ai piedi delle guide tutto quello che sostenevano tra noi, pronti nondimeno a sfuggire dalle loro mani, tanto l’asprezza dei rimedi porta loro alla testa nuovi vapori. Buona o cattiva salute è tutta la loro filosofia.
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11. Pendant que j’examinais ces faux braves, mon visionnaire avait disparu, et je m’amusai à en considérer d’autres qui se rient de tous les voyageurs, n’étant euxmêmes d’aucun sentiment, et ne pensant pas qu’on en puisse prendre de raisonnable. Ils ne savent d’où ils viennent, pourquoi ils sont venus, où ils vont, et se soucient fort peu de le savoir ; leur cri de guerre est : Tout est vanité. 12. Parmi ces troupes, il y en a qui vont de temps en temps en détachement faire la petite guerre, et ramener, s’ils peuvent, des transfuges ou des prisonniers : l’allée des épines est le lieu de leurs incursions ; ils s’y glissent furtivement à la faveur d’un défilé, d’un bois, d’un brouillard, ou de quelque autre stratagème propre à favoriser le secret de leur marche, tombent sur les aveugles qu’ils rencontrent, écartent leurs guides, sèment des manifestes contre le prince ou des satires contre le vice-roi, enlèvent des bâtons, arrachent des bandeaux et se retirent. Tu rirais de voir ceux d’entre les aveugles qui restent sans bâton : ne sachant plus où mettre le pied, ni quelle route tenir, ils marchent à tâtons, errent, crient, se désespèrent, demandent sans cesse la route, et s’en éloignent à chaque pas : l’incertitude de leur marche les détourne à tout moment du grand chemin où l’habitude les ramène.
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13. Lorsque les auteurs de ce désordre sont attrapés, le conseil de guerre les traite comme des brigands sans aveu et sans commission d’aucune puissance étrangère. Conduite bien différente de la nôtre. Sous nos marronniers, on écoute tranquillement les chefs de l’allée des épines ; on attend leurs coups, on y riposte, on les atterre, on les confond, on les éclaire, si l’on peut ; ou du moins on plaint leur aveuglement. La douceur et la paix règlent nos procédés ; les leurs sont dictés par la fureur. Nous employons des raisons ; ils accumulent des fagots. Ils ne prêchent que l’amour et ne respirent que | le sang. Leurs discours sont humains ; mais leur cœur est cruel. C’est sans doute pour autoriser leurs passions, qu’ils ont peint notre souverain comme un tyran impitoyable. 14. Je fus témoin, il y a quelque temps, d’une conversation entre un habitant de l’allée des épines et un de nos camarades. Le premier, en marchant toujours les yeux bandés, s’était approché d’un cabinet de verdure dans lequel l’autre rêvait. Ils n’étaient plus séparés que par une haie vive, assez épaisse pour les empêcher de se joindre, mais non de s’entendre. Notre camarade, à la suite de plusieurs raisonnements, s’écriait tout haut, comme il arrive à ceux qui se croient seuls : « Non, il n’y a point de prince ; rien ne démontre évidemment son existence. » L’aveugle à qui ce discours ne parvint que confusément, le prenant pour un de ses semblables, lui demanda d’une voix haletante : « Frère, ne m’égaré-je point ? suis-je bien dans le chemin, et pensez-vous que nous ayons encore une longue traite à faire ? 15. Hélas ! reprit l’autre, malheureux insensé, tu te déchires et t’ensanglantes en vain : pauvre dupe des rêveries de tes conducteurs, tu as beau marcher, tu n’arriveras jamais au séjour qu’ils te promettent, et si tu n’étais point embéguiné de ce haillon, tu verrais comme nous que rien n’est plus mal imaginé que ce tissu d’opinions bizarres dont ils te bercent. Car enfin, dis-moi : pourquoi crois-tu à l’existence du prince ? ta croyance est-elle le fruit de tes méditations et de tes lumières, ou l’effet des préjugés et des harangues de tes chefs ? Tu conviens avec eux que tu ne vois goutte, et tu décides hardiment de tout. Commence au moins par examiner, par peser les raisons, pour
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11. Da quando ho esaminato questi falsi coraggiosi, il mio visionario è sparito, e mi sono divertito considerandone altri che se la ridono di tutti i viaggiatori, poiché essi non hanno alcuna opinione e non pensano che ne possano avere di ragionevoli. Non sanno da dove vengono, perché sono venuti, dove vanno, e si preoccupano pochissimo di saperlo. Il loro grido di guerra è Tutto è vanità.157 12. Tra queste truppe, ce ne sono alcune che ogni tanto vanno in distaccamento, fanno la piccola guerra e riportano, se possono alcuni transfughi o prigionieri. Il viale delle spine è il luogo delle loro incursioni. Vi s’infiltrano furtivamente col favore di un passaggio, di un bosco, di un po’ di nebbia o di qualche altro stratagemma proprio a favorire il segreto del loro cammino; piombano sui ciechi che incontrano, evitano le loro guide, distribuiscono volantini contro il principe e satire contro il vice-re, tolgono i bastoni, strappano le bende e si ritirano. Rideresti nel vedere i ciechi che restano senza bastone: non sapendo più dove mettere i piedi, né quale via tenere, camminano a tentoni, errano, gridano, si disperano, domandano senza sosta la via e se ne allontanano a ciascun passo. L’incertezza del loro cammino li allontana in ogni momento dalla strada maestra, dove l’abitudine li conduce. 13. Quando gli autori di questo disordine vengono acciuffati, il consiglio di guerra li tratta come dei briganti, senza consenso e senza appoggio di alcuna potenza straniera. Condotta ben diversa dalla nostra. Sotto i nostri castagni, ascoltiamo tranquillamente i capi del viale delle spine, attendiamo i loro colpi, rispondiamo loro, li costerniamo, li confondiamo, li illuminiamo se possiamo, o almeno compatiamo il loro accecamento. La dolcezza e la pace regolano i nostri modi; i loro sono dettati dal furore. Noi impieghiamo delle ragioni, essi accumulano delle scempiaggini. Pregano solo l’amore e non respirano che sangue. I loro discorsi sono umani, ma il loro cuore è crudele. È senza dubbio per autorizzare le loro passioni che hanno dipinto il nostro sovrano come un tiranno impietoso. 14. Fui testimone un po’ di tempo fa, di una conversazione tra un abitante del viale delle spine e uno dei nostri compagni. Il primo camminando sempre con gli occhi bendati, si era avvicinato a un angolo verdeggiante in cui l’altro dormiva. Erano separati solo da una siepe rigogliosa, molto folta, tanto da impedir loro di raggiungersi, ma non di sentirsi. Il nostro compagno in seguito a molti ragionamenti gridava a voce alta, come accade a chi si sente solo: «No. Non c’è alcun principe, nulla dimostra con evidenza la sua esistenza». Il cieco, a cui questo discorso pervenne confusamente, prendendolo per uno dei suoi simili, gli chiese con una voce ansante: «Fratello, non mi sono completamente smarrito? Sono ancora nel cammino, pensate che abbiamo ancora un lungo tratto da percorrere?». 15. «Ahimè», riprese l’altro, «sciocco infelice, tu ti strazi e sanguini in vano, povera vittima delle fantasticherie dei tuoi conduttori, hai un bel marciare tu, non arriverai mai al soggiorno che ti promettono, e se non fossi ben incappucciato158 con questo straccio, vedresti come noi, che non c’è niente di immaginato peggio di quel tessuto di opinioni bizzarre in cui vi cullate. Insomma perché, dimmi, credi nell’esistenza del principe? La tua credenza è frutto delle tue riflessioni e dei tuoi lumi, o l’effetto dei pregiudizi e delle arringhe dei tuoi capi? Convieni con loro che tu non vedi niente e decidi tutto arditamente. Comincia almeno l’esame, soppesando le ragioni, attraverso cui esprimere
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asseoir un jugement plus sensé. Que j’aurais de plaisir de te tirer de ce labyrinthe où tu t’égares ! Approche, que je te débarrasse de ce bandeau. « De par le prince, je n’en ferai rien, répondit l’aveugle en reculant trois pas en arrière et se mettant en garde. Que dirait-il, et que | deviendrais-je, si j’arrivais sans bandeau et les yeux tout ouverts ? Mais si tu veux nous converserons. Tu me détromperas peut-être ; de mon côté, je ne désespère pas de te ramener. Si j’y réussis, nous marcherons de compagnie ; et comme nous aurons partagé les dangers de la route, nous partagerons aussi les plaisirs du rendez-vous. Commence ; je t’écoute. » 16. Eh bien, répliqua l’habitant de l’allée des marronniers ; il y a trente ans que tu la parcours avec mille angoisses cette route maudite ; es-tu plus avancé que le premier jour ? Vois-tu maintenant plus clairement que tu ne faisais, l’entrée, quelque appartement, un pavillon du palais qu’habite ton souverain ? aperçois-tu quelque marche de son trône ? Toujours également éloigné de lui, tu n’en approcheras jamais. Conviens donc que tu t’es engagé dans cette route sans fondement solide, sans autre impulsion que l’exemple aussi peu fondé de tes ancêtres, de tes amis, de tes semblables, dont aucun ne t’a rapporté des nouvelles de ce beau pays, que tu comptes un jour habiter. N’estimerais-tu pas digne des Petites-Maisons un négociant qui quitterait sa demeure, et irait, à travers mille périls, des mers inconnues et orageuses, des déserts arides, sur la foi de quelque imposteur ou de quelque ignorant, chercher à tâtons un trésor, dans une contrée qu’il ne connaîtrait que sur les conjectures d’un autre voyageur aussi fourbe ou aussi mal instruit que lui ? Ce négociant, c’est toi-même. Tu suis, à travers des ronces qui te déchirent, une route inconnue. Tu n’as presque aucune idée de ce que tu cherches ; et au lieu de t’éclairer dans ta route, tu t’es fait une loi de marcher en aveugle, et les yeux couverts d’un bandeau. Mais, dis-moi, si ton prince est raisonnable, sage et bon, quel gré peut-il te savoir des ténèbres profondes où tu vis ? Si ce prince se présentait jamais à toi, comment le reconnaîtrais-tu dans l’obscurité que tu te fais ? Qui t’empêchera de le confondre avec quelque usurpateur ? Quel sentiment veux-tu qu’excite en lui ton maintien délabré ? le mépris ou la pitié ? Mais s’il n’existe pas, à quoi bon toutes les égratignures auxquelles tu t’exposes ? Si l’on était capable de sentiment après le trépas, tu serais éternellement travaillé du remords de t’être occupé de ta propre destruction dans le court espace qui t’était accordé pour jouir de ton être, et d’avoir imaginé ton souverain assez cruel pour se repaître de sang, de cris et d’horreurs. |
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17. « Horreurs ! répondit vivement l’aveugle ; elles ne sont que dans ta bouche, pervers. Comment oses-tu mettre en doute et même nier l’existence du prince ? tout ce qui se passe au dedans et au dehors de toi ne t’en convainc-t-il pas ? Le monde l’annonce à tes yeux, la raison à ton esprit, et le crime à ton cœur. Je cherche, il est vrai, un trésor que je n’ai jamais vu ; mais où vas-tu, toi ? à l’anéantissement ; belle fin ! Tu n’as nul motif d’espérance ; ton partage est l’effroi, et c’est l’effroi qui te conduit au désespoir. Qu’importe que je me sois égratigné, une cinquantaine d’années, pendant que tu prenais tes aises, si, quand tu paraîtras devant le prince, sans bandeau, sans robe et sans bâton, tu es condamné à des tourments infiniment plus rigoureux et plus insupportables que les incommodités passagères auxquelles je me serai soumis ? Je risque peu, pour gagner beaucoup ; et tu ne veux rien hasarder, au risque de tout perdre. » 18. – Tout doux, l’ami, reprit le marronnier ; vous supposez ce qui est en question, l’existence du prince et de sa cour, la nécessité d’un certain uniforme, et l’importance
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un giudizio più sensato. Quanto mi farebbe piacere tirarti fuori da questo labirinto in cui ti smarrisci! Avvicinati che ti sbarazzo di questa benda.» «Per il principe, non ne farò nulla, rispose il cieco indietreggiando di tre passi e mettendosi in guardia. Cosa direbbe e cosa sarebbe di me, se arrivassi senza benda e con gli occhi completamente aperti? Però, se vuoi, possiamo conversare. Magari mi farai ricredere. Da parte mia non dispero di riportarti sulla retta via. Se ci riuscissi, cammineremmo in compagnia, e poiché avremo spartito i pericoli della via, condivideremo anche i piaceri dell’incontro finale. Comincia, ti ascolto.» 16. «Ebbene», replicò l’abitante del viale dei castagni, «sono trent’anni che percorri con mille angosce questa via maledetta, sei avanzato più del primo giorno? Vedi più chiaramente di quanto non facessi l’entrata, qualche appartamento, padiglione del palazzo abitato dal tuo sovrano? Percepisci qualche gradino che porta al suo trono? Sempre ugualmente lontano da lui, non ti avvicinerai mai. Riconosci, dunque, che ti sei impegnato in questa via senza alcun fondamento solido, senza altro impulso che l’esempio altrettanto poco fondato dei tuoi antenati, dei tuoi amici, dei tuoi simili, di cui nessuno ti ha portato novità riguardo a quel bel paese che tu conti un giorno di raggiungere. Non considereresti degno delle Petites-Maisons159 un negoziante che abbandonasse la sua dimora e andasse attraverso mille pericoli, per mari ignoti e tempestosi, per deserti aridi, sulla fede di qualche impostore o ignorante, a cercare a tentoni un tesoro, in una contrada conosciuta solo sulla base di congetture di una altro viaggiatore altrettanto furbo, o altrettanto mal istruito quanto lui? Questo negoziante sei tu stesso. Segui attraverso rovi che ti dilaniano, una via sconosciuta. Non hai quasi alcuna idea di quello che cerchi e piuttosto che far luce sulla tua via, ti sei imposto come legge di camminare ciecamente e con gli occhi coperti da una benda. Dimmi, se il tuo principe è ragionevole, saggio e buono, che piacere può trarre sapendo che vivi in tenebre profonde? Se mai ti si presentasse il tuo principe, come lo riconosceresti nell’oscurità che ti sei creato? Chi ti impedirà di confonderlo con un usurpatore? Quale sentimento vuoi che susciti in lui il tuo contegno malandato? Disprezzo o pietà? Se egli non esiste, a che pro tutti questi graffi ai quali ti sei esposto? Se fossimo capaci di sentimenti dopo il trapasso, saresti eternamente tormentato dal rimorso per esserti occupato della tua personale distruzione nel breve spazio che ti era accordato per godere della tua vita e per aver immaginato il tuo sovrano tanto crudele da nutrirsi di sangue, grida e orrori.» 17. «Orrori!» Rispose vivacemente il cieco, «Non ce ne sono solo nella tua bocca, perverso, come osi mettere in dubbio e negare l’esistenza del principe? Tutto quello che succede dentro e fuori di te non ti convince? Il mondo lo annuncia ai tuoi occhi, la ragione al tuo spirito, e il delitto al tuo cuore. È vero, io cerco un tesoro che non ho mai visto, ma tu dove vai? All’annientamento. Bella fine! Tu non hai nessun motivo di speranza. La tua sorte è il terrore, e è il terrore che ti conduce alla disperazione. Che cosa importa se mi sono graffiato, una cinquantina d’anni, ti sei fatto i tuoi comodi, se quando apparirai davanti al principe, senza benda, senza veste e senza bastone, tu sarai condannato a tormenti ben più severi e insopportabili che le scomodità passeggere alle quali io mi sono sottoposto. Io rischio poco, per guadagnare molto, e tu non vuoi azzardare niente con il rischio di perdere tutto.»160 18. «Adagio, amico», riprese l’abitante del viale dei castagni, «voi presupponete che ciò che è in questione, l’esistenza del principe e della sua corte, la necessità di una
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de conserver son bandeau et d’avoir une robe sans tache. Mais souffrez que je vous nie toutes ces choses ; si elles sont fausses, les conséquences que vous en tirez tomberont d’elles-mêmes. Si la matière est éternelle, si le mouvement l’a disposée et lui a primitivement imprimé toutes les formes que nous voyons qu’il lui conserve, qu’ai-je besoin de votre prince ? Il n’y a point de rendez-vous, si ce que vous appelez âme n’est qu’un effet de l’organisation. Or, tant que l’économie des organes dure, nous | pensons ; nous déraisonnons quand elle s’altère. Lorsqu’elle s’anéantit, que devient l’âme ? D’ailleurs, qui vous a dit que, dégagée du corps, elle pouvait penser, imaginer, sentir ? Mais passons à vos règlements : fondés sur des conventions arbitraires, c’est l’ouvrage de vos premiers guides et non celui de la raison, qui, étant commune à tous les hommes, leur eût en tout temps et partout indiqué la même route, prescrit les mêmes devoirs et interdit les mêmes actions. Car pourquoi les aurait-elle traités plus favorablement pour la connaissance de certaines vérités spéculatives que pour celle des vérités morales ? Or, tous conviennent, sans exception, de la certitude des premières : quant aux autres, du bord d’une rivière à l’autre, de ce côté d’une montagne à l’opposé, de cette borne à celle-ci, du travers d’une ligne mathématique, on passe du blanc au noir. Commencez donc par dissiper ces nuages, si vous voulez que je voie clair. 19. « Volontiers, répartit l’aveugle ; mais je veux recourir de temps en temps à l’autorité de notre code. Le connaissez-vous ? C’est un ouvrage divin. Il n’avance rien qui ne soit appuyé sur des faits supérieurs aux forces de la nature, et par conséquent sur des preuves incomparablement plus convaincantes que celles que pourrait fournir la raison. »
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20. Et laissez là votre code, dit le philosophe. Battons-nous à armes égales. Je me présente sans armure et de bonne grâce, et vous vous couvrez d’un harnois plus propre à embarrasser et à écraser son homme qu’à le défendre. J’aurais honte de prendre sur vous cet avantage. Y pensez-vous ? et où avez-vous pris que votre code est divin ? Le croit-on sérieusement, même dans votre allée ? Et un de vos conducteurs, sous prétexte d’attaquer Horace et Virgile... Vous m’entendez ; je n’en dis pas davantage. Je méprise trop vos guides, pour me prévaloir de leur autorité contre vous. Mais quel fonds pouvez-vous faire sur les récits merveilleux dont cet ouvrage est rempli ? Quoi ! vous croirez et vous voudrez assujettir les autres | à croire des faits inouïs sur la foi d’écrivains morts il y a plus de deux mille ans, tandis que vos contemporains vous en imposent tous les jours sur des événements qui se passent à vos côtés, et que vous êtes à portée de vérifier ! Vous-même, dans le récit réitéré d’une action qui vous est connue, à laquelle vous avez pris intérêt, ajoutez, retranchez, variez sans cesse ; de sorte qu’on en appelle de vos discours à vos discours et qu’on peut à peine décider sur vos jugements contradictoires ; et vous vous vantez de lire exactement dans l’obscurité des siècles passés et de concilier sans embarras les rapports incertains de vos premiers guides. En vérité, c’est pousser le respect pour eux plus loin que vous ne l’exigeriez pour vous, et vous ne consultez guère votre amour-propre. 21. « Ah ! quel monstre as-tu nommé là ? reprit l’aveugle ; c’est le principal auteur des taches que tu vois à nos robes ; c’est en toi-même le germe de cette présomption qui t’empêche de refréner ta raison. Ah ! si tu savais le dompter comme nous ! Vois-tu cette haire et ce cilice ? Te prendrait-il envie d’en essayer ? Cette discipline est d’un grand serviteur du prince : que je t’en applique quelques coups pour le bien de ton âme. Si tu connaissais la douceur de ces macérations ! quel bien elles font au soldat !
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certa uniforme, l’importanza di conservare la propria benda e di avere una veste senza macchia. Sopportate che io neghi tutte queste cose. Se esse sono false, le conseguenze che ne traete saranno esse stesse false. Se la materia è eterna, se il movimento l’ha disposta e le ha originariamente impresso tutte le forme che vediamo e che essa conserva, che bisogno ho del vostro principe? Non ci sono incontri se quello che voi chiamate anima non è altro che l’effetto dell’organizzazione.161 Ora, fintanto che l’economia degli organi dura, noi pensiamo, sragioniamo, quando essa si altera: ma quando esse si annienta, che cosa diviene l’anima? D’altro canto quello chi vi dice che separata dal corpo essa possa pensare, immaginare, sentire? Ma passiamo ai vostri regolamenti. Fondati su delle convinzioni arbitrarie, sono l’opera delle vostre prime guide e non della ragione, che essendo comune a tutti gli uomini, ha sempre indicato a essi in ogni tempo e in ogni luogo la stessa strada, prescritto gli stessi doveri e interdetto le stesse azioni. Infatti, perché le avrebbe trattate più favorevolmente per la conoscenza di certe verità speculative che per quella delle verità morali? Ora tutti concordano senza eccezione della certezza delle prime: quanto alle altre, dalla sponda di un fiume all’altra, dal lato di una montagna a quello opposto, da questo confine a quello, attraversando una linea matematica a una linea matematica, si passa dal bianco al nero.162 Cominciate dunque col dissipare queste nubi, se volete che veda chiaro.» 19. «Volentieri», ricominciò il cieco, «ma voglio ricorrere ogni tanto all’autorità del codice. Voi lo conoscete? È un’opera divina. Non sostiene nulla che non sia poggiato su dei fatti superiori alle forze di natura, e di conseguenza su delle prove incomparabilmente più convincenti di quelle che potrebbe fornire la ragione.» 20. «E lasciate perdere il vostro codice!» disse il filosofo. «Battiamoci ad armi pari. Io mi presento senza armatura e ben disposto, e voi vi coprite con una bardatura più adatta a ingarbugliare e a schiacciare un uomo che a difenderlo. Mi vergognerei di prendermi su di voi questo vantaggio. Ci pensate? E dove avete appreso che il vostro codice è divino? Lo si ritiene veramente tale, anche nel vostro viale? E uno dei vostri conduttori con il pretesto di attaccare Orazio e Virgilio...163 Voi mi capite, non ne dirò altro. Disprezzo troppo delle vostre guide, per avvalermi della loro autorità contro di voi. Quanto potete fare affidamento sui racconti fantastici di cui quest’opera è piena? Come! Voi credete e vorreste costringere gli altri a credere a dei fatti inauditi sulla base della fede in scrittori morti da più di duemila anni, mentre i vostri contemporanei vi convincono tutti i giorni di avvenimenti che accadono vicino a voi, e che potete verificare? Voi stesso nel racconto ripetuto di un’azione che vi è nota, alla quale vi siete interessati aggiungete, sopprimete, variate senza tregua, di modo che richiamandosi ai vostri discorsi ci si può appena decidere sui vostri giudizi contraddittori, e voi vi vantate di leggere esattamente nell’oscurità dei secoli passati e di conciliare senza imbarazzo i rapporti incerti delle vostre prime guide. In verità, questo significa spingere il rispetto per loro oltre quanto pretendereste per voi, senza badare al vostro amor proprio.» 21. «Ah! che mostro hai appena nominato», riprese il cieco: «È il principale autore delle macchie che vedi sulle nostre vesti: è in te stesso, il germe di questa presunzione che ti impedisce di mettere a freno la ragione. Ah se sapessi domarla come noi! Vedi questa camicia di crine e questo cilicio? Ti viene voglia di provarli? Questa disciplina è di un grande servitore del principe: te ne infliggo qualche colpo per il bene della tua anima. Se tu conoscessi la dolcezza di queste macerazioni! Quanto bene fanno al solda-
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Comme par la vie purgative elles conduisent à l’illuminative, et de là à l’unitive. Insensé que je suis ! Je te parle la langue des héros ; mais pour me punir de l’avoir profanée et t’obtenir le don d’intelligence... »
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22. À l’instant, les cordons d’entrer en jeu et le sang de ruisseler. « Misérable ! lui cria son adversaire, quel délire te transporte ? Si j’étais moins compatissant, je rirais du personnage que tu fais. Je ne verrais en toi qu’un quinze-vingt qui se déchirerait les épaules pour rendre la vue à un élève de Gendron, ou Sancho qui se fustige pour désenchanter Dulcinée. | Mais tu es homme, et je le suis aussi. Arrête, ami ; ton amourpropre, que tu crois dompté par cette barbare exécution, y trouve son compte et se replie sous ta discipline. Suspends l’action de ton bras, et m’écoute. Honorerais-tu beaucoup le vice-roi en défigurant ses portraits ? Et si tu t’en avisais, les satellites du conseil de guerre ne t’empoigneraient-ils pas sur-le-champ, et ne serais-tu pas jeté dans un cachot pour le reste de tes jours ? À l’application : tu vois que je raisonne dans tes principes. Les signes extérieurs de la vénération qu’on a pour les princes, n’ont d’autre fondement que leur orgueil, qu’il fallait flatter, et peut-être la misère réelle de leur condition, qu’il fallait leur dérober. Mais le tien est souverainement heureux. S’il se suffit à lui-même, comme tu dis, à quoi bon tes vœux, tes prières et tes contorsions ? Ou il connaît d’avance ce que tu désires, ou il l’ignore absolument ; et s’il le connaît, il est déterminé à te l’accorder, ou à te le refuser. Tes importunités n’arracheront point de lui ses dons, et tes cris ne les hâteront pas. 23. « Ah ! je commence à deviner maintenant qui tu es, repartit l’aveugle. Ton système tend à ruiner un million d’édifices superbes, à forcer les portes de nos volières, à convertir nos guides en laboureurs ou en soldats, et à appauvrir Rome, Ancone et Compostelle : d’où je conclus qu’il est destructif de toute société. » 24. « Tu conclus mal, répliqua notre ami ; il n’est destructif que des abus. On a vu de grandes sociétés subsister sans cet attirail, et il en est encore à présent qui sont assez heureuses pour en ignorer jusqu’aux noms. A mettre en parallèle tous ces gens-ci avec ceux qui se vantent de connaître ton prince, et à bien examiner la fausseté ou la contradiction des idées que s’en forment ces derniers, tu en inférerais bien plus sûrement qu’il n’existe pas. Car, prends garde, aurais-tu jamais connu ton père, s’il s’était toujours tenu à Cusco, tandis que tu séjournais à Madrid, et s’il ne t’avait donné que des indices équivoques de son existence ? |
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25. « Mais, reprit l’aveugle, qu’en aurais-je pensé, s’il m’eût laissé en maniement quelque portion de son héritage ? Or tu conviendras avec moi que je tiens du grand Esprit la faculté de penser, de raisonner. Je pense, donc je suis. Je ne me suis pas donné l’être. Il me vient donc d’un autre, et cet autre c’est le prince. » 26. – On voit bien à ce trait, dit en riant le marronnier, que ton père t’a déshérité. Mais cette raison que tu vantes tant, quel usage en fais-tu ? C’est entre tes mains un instrument inutile. Toujours en tutelle sous tes guides, elle n’est bonne qu’à te désespérer. Elle te montre dans leurs discours que tu prends pour des oracles un souverain fantasque, dont tu te flattes vainement de captiver les bonnes grâces par ta persévérance à vaincre ces épines et à franchir ces rochers et ces fondrières. Car que sais-tu s’il n’a point résolu qu’au bout du sentier la patience t’échappera, que tu lèveras par
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to! Così attraverso la via purgativa, esse conducono all’illuminativa, e di là all’unitiva.164 Insensato che non sono altro! Ti parlo la lingua degli eroi, ma per punirmi di averla profanata e di ottenere per te il dono dell’intelligenza...». 22. Immediatamente entrano in gioco i cordoni e il sangue inizia a scorrere. «Miserabile!», gridò al suo avversario, «da che delirio sei trascinato? Se fossi meno compassionevole, riderei del personaggio che interpreti. Vedrei in te solo un quinze-vingt165 che si lacera le spalle, per rendere la vista a un allievo di Gendron;166 o Sancho che si fustiga per togliere l’incantesimo a Dulcinea.167 Ma tu sei un uomo e anch’io lo sono. Fermo amico mio, il tuo amor proprio, che tu credi domato attraverso questa barbara esecuzione, ha il suo tornaconto, e si piega sotto la tua disciplina. Sospendi l’azione del tuo braccio e ascoltami. Onoreresti molto il tuo vice-re sfigurando i suoi ritratti? Se tu ti azzardassi, i satelliti del consiglio di guerra non ti agguanterebbero seduta stante, e non saresti gettato in una galera per il resto dei tuoi giorni? Applichiamolo. Vedi che ragiono come i tuoi principi? I segni esteriori della venerazione per i principi che adottiamo, non hanno altro fondamento che l’adulazione del loro orgoglio e forse la miseria reale della loro condizione che devono nascondere. Ma il tuo è sovranamente felice. Se egli basta a se stesso, come tu dici, a che servono i tuoi voti, le tue preghiere e le tue contorsioni? O conosce in anticipo quello che tu desideri, o lo ignora completamente, e se lo conosce, è determinato a concedertelo, o a rifiutartelo. I tuoi atti importuni non gli strapperanno nessun dono, e le tue grida non lo incalzeranno.» 23. «Ah, ora comincio a capire chi sei tu», riprese il cieco; «il tuo sistema tende a distruggere un milione di edifici superbi, a forzare le porte delle nostre voliere, a convertire le nostre guide in lavoratori o soldati, e a impoverire Roma, Ancona e Compostela,168 da ciò deduco che è distruttivo per tutte le società. 24. «Trai male le conclusioni», replicò il nostro amico. «Distrugge solo gli abusi. Abbiamo visto grandi società sussistere senza quest’armamentario, e ve ne sono al presente ancora di abbastanza felici da ignorarne persino i nomi.169 Mettendo insieme tutte queste genti con quelle che si vantano di conoscere il tuo principe, e a ben esaminare la falsità o la contraddizione delle idee che si formano questi ultimi, asseriresti certo con più sicurezza che egli non esiste. Perché, presta attenzione, avresti mai conosciuto tuo padre se fosse sempre stato trattenuto a Cusco, mentre tu soggiornerai a Madrid, e se non ti avesse lasciato che degli indizi equivoci della sua esistenza?» 25. Il cieco riprese: «Ma che cosa ne avrei pensato, se mi avesse lasciato in gestione alcune parti della sua eredità? Ora, tu converrai con me che il Grande Spirito mi ha dato la facoltà di pensare, di ragionare. Penso, dunque sono. Non mi sono dato l’essere. Mi viene dunque da un altro, e quest’altro è il principe.170 26. «Si vede bene, a questo proposito, che tuo padre ti ha diseredato.» Disse ridendo l’abitante del viale dei castagni, «Però che uso fai di questa ragione di cui ti vanti tanto? Hai tra le mani uno strumento inutile. Sempre sotto la tutela delle tue guide, non ti serve che a disperare. Essa ti mostra nei loro discorsi che tu prendi per oracoli, un sovrano lunatico di cui credi vanamente di accattivare la buona grazia attraverso la tua perseveranza a sconfiggere queste spine e superare le sue rocce e le sue buche. Infatti, cosa ne sai tu, che egli non abbia deciso che alla fine del sentiero, perderai la
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curiosité un coin du bandeau, et que tu saliras tant soit peu ta robe ? S’il l’a résolu, tu succomberas et te voilà perdu. 27. « Non, dit l’autre, les magnifiques récompenses qui m’attendent me soutiendront. Mais en quoi consistent ces magnifiques récompenses ?... En quoi ? à voir le prince ; à le voir encore ; à le voir sans cesse et à être toujours aussi émerveillé que si on le voyait pour la première fois, et comment cela ?... Comment ? au moyen d’une lanterne sourde qu’on nous enchâssera sur la glande pinéale, ou sur le corps calleux, je ne sais trop lequel, et qui nous découvrira tout si clairement que... »
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28. À la bonne heure, dit notre camarade ; mais jusqu’à présent, il me paraît que ta lanterne est terriblement enfumée : tout ce qui résulte de tes propos, c’est que tu ne sers ton maître que par crainte, et que ton attachement n’est fondé que sur l’intérêt, passion basse qui ne convient qu’à des esclaves. Voilà donc cet amour-propre, contre lequel tu déclamais | tantôt si vivement, devenu le seul mobile de tes démarches ; et tu veux à présent que ton prince le couronne. Va, tu gagnerais tout autant à passer dans notre parti : exempt de crainte et libre de tout intérêt, tu vivrais au moins tranquillement, et si tu risquais quelque chose, ce serait tout au plus de cesser d’être, au bout de ta carrière. 29. « Suppôt de Satan, répliqua l’aveugle ; vade retro. Je vois bien que les meilleures raisons glissent sur toi. Attends, je vais recourir à des armes plus efficaces. » 30. Il se mit aussitôt à crier à l’impie, au déserteur, et je vis accourir de toutes parts des guides furieux, un fagot sous le bras et la torche à la main. Notre partisan s’enfonça à bas bruit dans l’allée, qu’il regagna par des sentiers détournés, tandis que l’aveugle, ayant repris son bâton, et poursuivant son chemin, racontait son aventure à ses camarades, qui s’empressaient à le féliciter. Après maint éloge, il fut décidé qu’on imprimerait ses raisons sous le titre de Théorie physique et morale de l’existence et des propriétés de la lumière, par un aveugle espagnol, traduite et ornée de commentaires et de scolies par le marguillier des Quinze-Vingts. On invite à le lire tous ceux qui depuis quarante ans et plus s’imaginent voir clair, sans savoir pourquoi. Les personnes qui ne pourront se le procurer, ne seront pas fâchées d’apprendre qu’il ne contient rien de plus que la conversation précédente, enflée seulement et remaniée, afin de fournir au libraire le nombre de feuilles suffisant pour un volume d’une juste grosseur.
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31. Le bruit qu’avait excité cette scène s’étant fait entendre jusqu’aux derniers confins de notre allée, on jugea à propos de s’éclaircir du fait et de convoquer une assemblée générale où l’on discuterait la validité des raisons de l’aveugle et d’Athéos (c’était le nom de notre ami). On somma quiconque aurait connaissance de la dispute de faire le personnage de celui-là, sans affaiblir ou donner un tour ridicule à ses raisonnements. On m’avait aperçu dans le voisinage du champ de bataille, et quelque répugnance que j’eusse à exposer les défenses d’une cause mal soutenue, je crus en devoir | le rapport à l’intérêt de la vérité. Notre champion répéta ce qu’il avait objecté, je rendis avec la dernière fidélité les répliques de l’aveugle ; et les sentiments se trouvèrent partagés, comme il est ordinaire parmi nous. Les uns disaient que de part et d’autre on n’avait employé que de faibles raisons ; les autres que ce commencement
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pazienza, ti leverai per curiosità un angolo di benda, e sporcherai appena un po’ la tua veste. Se egli l’ha deciso, tu soccomberai, ed eccoti perduto.» 27. «No.», disse l’altro, «Le magnifiche ricompense che mi attendono mi sosterranno.» «Ma in cosa consistono queste magnifiche ricompense?» «In cosa? Nel vedere il principe, nel vederlo ancora, nel vederlo senza interruzione, e nell’essere sempre molto meravigliati, come se lo vedessimo per la prima volta.» «Come?» «Come? Per mezzo di una lanterna smorzata che ci incastonerà nella ghiandola pineale, o sul corpo calloso;171 non so esattamente quale, e che ci schiarirà tutto così chiaramente che...» 28. «Alla buonora!» disse il nostro compagno. «Fino ad adesso però, mi pare che la tua lanterna sia terribilmente piena di fumo: tutto ciò che risulta dalle tue parole, è che tu servi il tuo maestro solo per paura e che il tuo attaccamento è fondato solamente sull’interesse; passione bassa che non conviene a nessuno se non agli schiavi. Ecco dunque quest’amor proprio contro cui hai inveito così vivamente, divenuto il solo movente delle tue azioni, e ora vuoi che il principe lo incoroni. Va’, guadagneresti altrettanto a passare dalla nostra parte: esente da paura e libero da ogni interesse, vivresti almeno tranquillamente e se rischiassi qualcosa, questo sarebbe al massimo di smettere di essere al termine della tuo cammino.» 29. «Scherano di Satana!», replicò il cieco, «Vade retro. Vedo bene che le migliori ragioni scivolano su di te. Aspetta ricorrerò a delle armi più efficaci.» 30. Si mise subito a gridare all’empio, al disertore, e ho visto accorrere da tutte le parti guide furiose, con una fascina sotto le braccia e una torcia in mano. Il nostro partigiano sprofondò nel vile scalpore del viale a cui ritornò attraverso dei sentieri secondari. Mentre il cieco avendo ripreso il suo bastone, e proseguendo il suo cammino, raccontava la sua avventura ai suoi compagni che si affrettarono a congratularsi con lui. Dopo molti elogi, si decise che sarebbero state stampate le sue ragioni sotto il titolo di Teoria fisica e morale dell’esistenza delle proprietà della luce, a opera di un cieco spagnolo, tradotte e ornate di commentari e di scolii dal fabbriciere dei «Quinzevingts».172 Si invitano a leggerlo tutti coloro che dopo quarant’anni e più, pensano di vedere chiaro, senza sapere perché. Alle persone che non potranno procurarselo, non dispiacerà sapere che non contiene niente più che la conversazione precedente, solo gonfiata e rimaneggiata, al fine di fornire al libraio un numero di fogli sufficienti per un volume del giusto spessore. 31. Lo scalpore che aveva esercitato questa scena essendosi fatta sentire fino all’estremo confine del nostro viale, ci fece giudicare opportuno schiarirsi le idee sul fatto e convocare un’assemblea generale in cui discutere della validità delle ragioni del cieco e di Ateo, che era il nome del nostro amico. Abbiamo ordinato a chiunque conoscesse la disputa di fare il personaggio di quello, senza indebolire o rendere ridicoli i suoi ragionamenti. Ero stato visto nelle vicinanze del campo di battaglia, e pur avendo un po’ di ripugnanza prendere le difese di una causa mal sostenuta mi sentii in dovere farne una relazione nell’interesse della verità. Il nostro campione ha ripetuto quello che aveva obiettato. Resi con estrema fedeltà le repliche del cieco, e i pareri erano discordi, com’è usuale tra noi. Alcuni dicevano che da una parte e dall’altra, avevamo utilizzato ragioni deboli; altri che questo inizio di disputa poteva produrre delle delucidazioni
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de dispute pourrait produire des éclaircissements avantageux à la cause commune. Les amis d’Athéos triomphaient et ne se promettaient rien moins que de subjuguer de proche en proche les autres compagnies. Mes camarades et moi soutenions qu’ils chantaient victoire avant l’action, et que, pour avoir pulvérisé de mauvaises raisons, ils ne devaient pas se flatter d’écraser quiconque en aurait de solides à leur opposer. Dans ce conflit d’opinions, un de nous proposa de former un détachement de deux hommes par compagnie, de l’envoyer en avant dans l’allée, et de statuer, sur des découvertes ultérieures, quelle serait désormais la colonelle, et quels étendards il faudrait suivre. L’avis parut sage et fut suivi. On choisit dans la première bande Zénoclès et DamisA ; dans la seconde Athéos, ou le héros de l’aventure contre l’aveugle, avec XanthusB ; Philoxène et moi fûmes députés de notre bandeC ; la quatrième envoya Oribaze et AlcméonD ; et la cinquième fit choix de Diphile et de NérestorE ; on se disposait à l’élection dans la sixièmeF ; et tous ses membres se mettaient également sur les rangs, lorsque nous protestâmes tous qu’on n’admettrait point parmi les piquets de l’armée des gens décriés par leurs mœurs, leur inconstance, leur ignorance et d’une fidélité suspecte... Ils obéirent en murmurant. Nous prîmes pour mot du guet la vérité, et nous partîmes. Le corps d’armée campa pour nous laisser l’avance nécessaire, et régler sa marche sur nos mouvements. | 130
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32. Elle commença par une de ces belles nuits qu’un auteur de roman ne laisserait pas échapper sans en tirer le tribut d’une ample description. Je ne suis qu’un historien, et je te dirai simplement que la lune était au zénith, le ciel sans nuage et les étoiles très radieuses. Le hasard m’avait placé près d’Athéos, et nous marchâmes d’abord en silence, mais le moyen de voyager longtemps sans rien dire. Je pris donc la parole, et m’adressant à mon voisin : « Voyez-vous, lui dis-je, l’éclat de ces astres ; la course toujours régulière des uns, la constante immobilité des autres, les secours respectifs qu’ils s’entredonnent, l’utilité dont ils sont à notre globe ? Sans ces flambeaux où en serionsnous ? quelle main bienfaisante les a tous allumés et daigne entretenir leur lumière ? nous en jouissons ; serions-nous donc assez ingrats pour en attribuer la production au hasard ? leur existence et leur ordre admirable ne nous mèneront-ils pas à la découverte de leur auteur ? 33. Tout cela ne mène à rien, mon cher, me répliqua-t-il. Vous regardez cette illumination avec je ne sais quels yeux d’enthousiaste. Votre imagination, montée sur ce ton, en compose une belle décoration dont elle fait ensuite les honneurs à je ne sais quel être qui n’y a jamais pensé. C’est la présomption du provincial nouvellement débarqué, qui croit que c’est pour lui que Servandoni a dessiné les jardins d’Armide, ou construit le | palais du Soleil. Nous avons devant nous une machine inconnue sur laquelle on a fait des observations qui prouvent la régularité de ses mouvements, selon les uns, et son désordre au sentiment des autres. Des ignorants qui n’en ont examiné qu’une roue, dont ils connaissent à peine quelques dents, forment des conjectures sur leur engraiA
Pyrrhoniens. Ahtées. C Déistes. D Spinozistes. E Sceptiques. F Fanfarons. B
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vantaggiose173 per la causa comune. Gli amici di Ateo trionfanti si ripromisero niente meno che di soggiogare progressivamente le altre compagnie. I miei compagni e io sostenevamo che cantavano vittoria prima di entrare in azione e che, per aver polverizzato delle cattive ragioni, non dovevano vantarsi di saper schiacciare chiunque ne avesse di solide da opporre. In questo conflitto di opinioni, uno di noi ha proposto di formare un distaccamento di due uomini per compagnia, di inviarlo in testa al viale e di deliberare, in base a scoperte ulteriori, su quale sarebbe ormai la prima compagnia e quale bandiera seguire. Il consiglio sembrò saggio e fu seguito. Abbiamo scelto nella prima brigata Zenocle e Damide.A Nella seconda Ateo, o l’eroe dell’avventura contro il cieco, con Xanto.B Filosseno e io fummo delegati dalla nostra brigata.C La quarta ha inviato Oribaze e Alcmeone.D E la quinta fu scelta da Difilo e da Nerestore.E Ci siamo disposti per l’elezione nella sesta,F e tutti i suoi membri si misero egualmente in fila, quando protestammo tutti che non ammettevamo affatto tra i picchetti dell’armata delle persone screditate dai loro costumi, la loro incostanza, la loro ignoranza e una fedeltà sospetta... Obbedirono mormorando. Abbiamo scelto come parola d’ordine174 la verità, e siamo partiti. Il corpo dell’armata si accampò per lasciarci il vantaggio necessario, e regolare la sua marcia ai nostri movimenti. 32. Essa cominciò con una delle sue belle notti che un autore di romanzi non si lascerebbe sfuggire senza trarne l’occasione di un’ampia descrizione. Io sono solo uno storico, e ti dirò semplicemente che la luna era allo zenit, il cielo senza nuvole e le stelle luminosissime.175 Il caso mi aveva portato accanto ad Ateo, e abbiamo camminato in un primo tempo in silenzio, ma come si può viaggiare a lungo senza dire niente? Presi dunque parola, e mi rivolsi al mio vicino: «Vedete», gli dissi, «il fulgore di questi astri, il corso sempre regolare degli uni, la costante immobilità degli altri, il soccorso rispettivo che si danno, l’utilità che hanno per il nostro globo. Senza questi sfavillii dove saremmo noi? Quale mano benefica li ha accesi tutti e si degna di mantenere la loro luce? Noi ne godiamo, saremmo dunque così ingrati da attribuirne la produzione al caso? La loro esistenza e il loro ordine mirabile non ci condurranno forse alla scoperta del loro autore?» 33. «Tutto questo non porta a niente, mio caro», mi replicò lui. «Voi guardate questa illuminazione con non so quali occhi da fanatico. La vostra immaginazione costruita su questo tono compone una bella decorazione di cui essa fa poi gli onori a non so quale essere che non ha mai pensato. È la presunzione del provinciale appena arrivato, il quale crede che Servandoni abbia disegnato per lui i giardini d’Armida, o costruito il palazzo del Sole.176 Abbiamo davanti a noi una macchina sconosciuta sulla quale abbiamo fatto delle osservazioni che provano la regolarità dei suoi movimenti, secondo alcuni, e il suo disordine, secondo altri. Degli ignoranti che hanno esaminato una sola ruota, di cui conoscono appena qualche dente, fanno delle congetture sull’ingranaggio A
Pirroniani. Atei. C Deisti. D Spinozisti. E Scettici. F Fanfaroni. B
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nure dans cent mille autres roues dont ils ignorent le jeu et les ressorts, et pour finir comme les artisans, ils mettent sur l’ouvrage le nom de son auteur. « Mais, répondis-je, suivons la comparaison : une pendule à équation, une montre à répétition ne décèlentelles pas l’intelligence de l’horloger qui les a construites, et oseriez-vous assurer qu’elles sont des effets du hasard ? » 34. Prenez garde, reprit-il, les choses ne sont pas égales. Vous comparez un ouvrage fini, dont l’origine et l’ouvrier sont connus, à un composé infini, dont les commencements, l’état présent et la fin sont ignorés, et sur l’auteur duquel vous n’avez que des conjectures. 35. « Eh qu’importe ? répliquai-je, quand il a commencé, ni par qui il a été construit ? Ne vois-je pas quel il est ? et sa structure n’annonce-t-elle pas un auteur ? » 36. Non, reprit Athéos, vous ne voyez point quel il est. Qui vous a dit que cet ordre que vous admirez ici ne se dément nulle part ? Vous est-il permis de conclure d’un point de l’espace à l’espace infini ? On remplit un vaste terrain de terres et de décombres jetés au hasard, mais entre lesquels le ver et la fourmi trouvent des habitations fort commodes. Que penseriez-vous de ces insectes, si, raisonnant à votre mode, ils s’extasiaient sur l’intelligence du jardinier qui a disposé tous ces matériaux pour eux ? | 132
37. « Vous n’y entendez rien, Messieurs, dit alors, en nous interrompant, Alcméon : mon confrère Oribaze vous démontrera que le grand orbe lumineux, qui ne tardera pas à paraître, est l’œil de notre prince ; que ces autres points radieux sont ou des diamants de sa couronne, ou des boutons de son habit, qui ce soir est d’un bleu opaque. Vous vous amusez à disputer sur son ajustement ; demain peut-être il en changera : peutêtre son grand œil sera chargé d’humeurs, et sa robe, aujourd’hui si brillante, sera sale et malpropre : à quoi le reconnaîtrez-vous alors ? Ah ! plutôt, cherchez-le dans vousmêmes. Vous faites partie de son être ; il est en vous, vous êtes en lui. Sa substance est unique, immense, universelle ; elle seule est : le reste n’en est que des modes. » 38. A ce compte, dit Philoxène, votre prince est un étrange composé ; il pleure et rit, dort et veille, marche et se repose, est heureux et malheureux, triste et gai, impassible et souffrant ; il éprouve à la fois les affections et les états les plus contradictoires. Il est, dans un même sujet, tantôt honnête homme et tantôt fripon, sage et fou, tempérant et débauché, doux et cruel, et allie tous les vices avec toutes les vertus ; j’ai peine à comprendre comment vous sauvez toutes ces contradictions. Damis et Nérestor se joignirent à Philoxène contre Alcméon, et prenant la parole tour à tour, ils apportèrent raisons sur raisons, premièrement pour douter du sentiment d’Alcméon, puis ils attaquèrent Philoxène, retombèrent enfin sur la conversation que j’avais liée avec Athéos, et finirent en nous répondant d’un air pensif par un vedremo.
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39. Cependant la nuit faisait place au jour, et le soleil commençant à paraître, nous découvrîmes une rivière assez large qui semblait nous | couper chemin par les différents replis qu’elle formait. Ses eaux étaient claires, mais profondes et rapides, et nul de nous n’osa d’abord en tenter le passage. On députa Philoxène et Diphile pour reconnaître si leur lit ne s’aplatirait pas davantage dans quelque endroit, et s’il n’y aurait point de gué. Le reste de la troupe s’assit près du rivage, sur une pelouse ombragée de
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di centomila altre ruote di cui ignorano il moto e gli ingranaggi, e per finire come gli artigiani, mettono sull’opera il nome del suo autore.»177 «Ma», risposi, «seguiamo la similitudine. Un pendolo a moto equabile, un orologio a ripetizione non rivelano l’intelligenza dell’orologiaio che li ha costruiti, e osereste assicurare che sono degli effetti del caso?»178 34. «Fate attenzione», riprese, «le cose non sono uguali. Voi comparate un’opera finita la cui origine e costruttore sono conosciuti, a un composto infinito di cui gli inizi, lo stato presente e la fine sono ignorati e sull’autore non avete altro che delle congetture.» 35. «E che importa», replicai io, «quando ha avuto inizio, o da chi è stata costruita? Non lo vedo qual è? e la sua struttura non annuncia essa stessa un autore?» 36. – No, riprese Ateo, voi non vedete affatto cos’è. Chi vi ha detto che l’ordine che voi ammirate qui, non si smentisca in un luogo? Vi è permesso di dedurre da un punto dello spazio lo spazio infinito? Riempiamo un vasto terreno di terra e di macerie gettate a caso, ma tra le quali il verme e la formica trovano abitazioni comode. Che cosa pensereste di questi insetti se, ragionando alla vostra maniera, si estasiassero per l’intelligenza del giardiniere che ha disposto tutti questi materiali per loro?» 37. «Voi non ci capite niente, signori.» disse allora Alcmeone interrompendoci: «Il mio confratello Oribaze vi dimostrerà che il grande orbe luminoso che non tarderà ad apparire, è l’occhio del nostro principe; che questi altri punti radiosi sono o dei diamanti della sua corona, o dei bottoni del suo abito, che sarà di un blu opaco. Voi vi divertite a discutere del suo contegno: domani forse lo cambierà: forse il suo grande occhio sarà pieno di umori, e la sua veste oggi così brillante, sarà sporca e sudicia. Da cosa lo riconoscerete allora? Piuttosto cercatelo in voi stessi. Voi fate parte del suo essere: egli è in voi, voi siete in lui. La sua sostanza è unica, immensa, universale. Essa sola è. Il resto non ne è che dei modi di quella».179 38. «A questo proposito», disse Filosseno, «il vostro principe è uno strano composto, piange e ride, dorme e veglia, triste e gaio, impassibile e sofferente, prova al contempo le affezioni e gli stati più contraddittori. È sullo stesso soggetto a volte un onest’uomo a volte un briccone, saggio e folle, temperato e dissoluto, dolce e crudele, e accorda tutti i vizi con tutte le virtù.180 Fatico a comprendere come voi possiate salvare tutte queste contraddizioni.» Difilo e Nerestore si unirono a Filosseno contro Alcmeone, e prendendo la parola a turno, apportarono ragioni su ragioni, innanzitutto per dubitare delle convinzioni di Alcmeone; poi attaccarono Filosseno; ricaddero infine sul discorso che avevo attaccato con Ateo e finirono rispondendoci con un’aria pensosa con un vederemmo!181 39. Tuttavia mentre la notte lasciava posto al giorno e il sole cominciava ad apparire, scoprimmo un fiume abbastanza largo che sembrava tagliarci la strada con le innumerevoli anse che faceva. Le sue acque erano chiare, ma profonde e all’inizio nessuno di noi osava tentare di guadarlo. Delegammo Filosseno e Difilo per vedere se il suo letto non fosse meno profondo in qualche punto, e se non ci fosse qualche guado. Il resto della truppa si sedette lungo la riva, su un tappeto erboso all’ombra dei salici
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saules et de peupliers. Nous avions en perspective une chaîne de montagnes escarpées et couvertes de sapins. « Ne rendez-vous pas intérieurement grâce à votre prince, me dit ironiquement Athéos, d’avoir créé pour votre bien-être deux choses qui font maintenant enrager tant d’honnêtes gens, un fleuve qu’on n’oserait traverser sans s’exposer à se noyer, et au-delà des rochers que nous ne franchirons jamais sans périr de lassitude ou de faim ? Un homme sensé qui planterait des jardins pour son plaisir et celui de ses amis, n’aurait garde de leur faire des promenades si dangereuses. L’univers est, dites-vous, l’ouvrage de votre monarque ; vous conviendrez du moins que ces deux morceaux ne font pas honneur à son goût. A quoi bon cette affluence d’eau ? Quelques ruisseaux auraient suffi pour entretenir dans ces prairies la fraîcheur et la fertilité ; et ces monceaux énormes de pierres brutes, vous les trouverez sans doute préférables à une belle plaine ? Encore une fois, tout ceci doit la naissance moins aux conseils de la raison qu’aux boutades de la folie.
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40. Mais que penseriez-vous, lui répondis-je, d’un politique de campagne qui, n’étant jamais entré au conseil de son prince, et n’en pénétrant point les desseins, déclamerait contre les impôts, la marche ou l’inaction des armées, et la destination des flottes, et attribuerait au hasard, tantôt le gain d’une bataille, tantôt le succès d’une négociation, ou celui d’une expédition maritime ? Vous rougiriez sans doute de son erreur ; et c’est la vôtre. Vous condamnez la position de ce fleuve et de ces montagnes, parce qu’elles vous gênent actuellement ; mais êtes-vous seul dans l’univers ? Avez-vous pesé tous les rapports de ces deux objets avec le bien du système général ? Savez-vous si cet amas d’eau n’est point nécessaire pour ferti | liser d’autres climats qu’il arrosera dans son cours ; s’il n’est pas le lien du commerce de plusieurs grandes villes situées sur ses bords ? À quoi serviraient ici vos ruisseaux, qu’un coup de soleil tarirait ? Ces rochers qui vous blessent les yeux sont couverts de plantes et d’arbres d’une utilité reconnue. On tire de leurs entrailles des minéraux et des métaux. Sur leur cime, sont d’immenses réservoirs que les pluies, les brouillards, les neiges et les rosées remplissent, et d’où les eaux se distribuent avec économie et vont former au loin de ruisseaux, des fontaines, des rivières et des fleuves. Voilà, mon cher, ajoutai-je, les desseins du prince. La raison vous a mis à la porte de son conseil ; et vous en avez assez entendu pour être convaincu qu’une main immortelle a creusé les réservoirs et pratiqué les canaux. 41. Zénoclès, qui voyait que la dispute commençait à s’échauffer, nous fit signe de la main, comme pour nous demander une suspension d’armes. « Il me semble, dit-il, que vous allez bien vite tous deux. Voilà, selon vous, un fleuve et des rochers, n’estce pas ? Et moi, je vous soutiens que ce que vous appelez fleuve est un cristal solide sur lequel on peut marcher sans danger, et que vos prétendus rochers ne sont qu’une vapeur épaisse, mais facile à pénétrer. Voyez, ajouta-t-il, si je dis vrai. » À l’instant il s’élance dans le fleuve et plonge plus de six pieds par-dessus la tête. Nous tremblions tous pour sa vie ; mais heureusement Oribaze, bon nageur, se mit à l’eau, le rattrapa par ses habits et le ramena vers rivage. À notre frayeur succédèrent quelques éclats de rire que sa figure ne pouvait manquer d’exciter. Mais lui, ouvrant de grands yeux et tout dégouttant d’eau, nous demandait à quel propos nous paraissions si gais et ce qu’il y avait de nouveau.
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e dei pioppi. Avevamo in prospettiva una catena di montagne scoscese e coperte di abeti. «Non rendete grazie interiormente al vostro principe», mi disse ironicamente Ateo, «per aver creato per il vostro benessere, due cose che ora fanno arrabbiare molte persone oneste, un fiume che non si può tentare di attraversare senza rischiare di annegare e, al di là, delle rocce che non si potrebbero mai scalare senza morire di stanchezza o di fame? Un uomo sensato pianterebbe dei giardini per il suo piacere e quello dei suoi amici, si guarderebbe dal costruire per loro delle passeggiate così pericolose. L’universo è, dite voi, l’opera del vostro monarca; converrete almeno che questi due elementi non fanno onore al suo buongusto. Perché questo flusso d’acqua? Qualche ruscello sarebbe stato sufficiente per mantenere queste praterie fresche e la fertili. E questi enormi mucchi di pietre brute, voi li trovereste davvero preferibili a una bella pianura? Ancora una volta tutto questo deve la nascita meno ai consigli della ragione, che ai capricci della follia.»182 40. «Ma che cosa pensereste», gli risposi, «di un politico di campagna che non essendo mai entrato nel consiglio del suo principe, e non penetrandone per nulla i disegni, inveisse contro le imposte, la marcia o l’inazione delle truppe, e la destinazione delle flotte, e attribuisse al caso ora la vincita di una battaglia, ora il successo di una negoziazione, o quello di una spedizione marittima? Voi arrossireste senza dubbio del suo errore; e il vostro errore è lo stesso. Voi condannate la posizione di questo fiume e di queste montagne, perché in questo momento vi intralciano, ma siete solo nell’universo? Avete pensato a tutti i rapporti di questi due oggetti con il bene del sistema generale? Come fate a sapere che ammasso d’acqua sia necessario a fertilizzare degli altri ambienti che irrorerà durante il suo corso, o se non costituisce il legame del commercio delle più grandi città situate sulle sue rive:183 a cosa servirebbero in questo caso i vostri ruscelli, che un colpo di sole prosciugherebbe? Queste che vi feriscono gli occhi sono coperte di piante e di alberi di un’utilità riconosciuta. Noi traiamo dalle loro viscere minerali e metalli. Sulla loro cima, ci sono immense riserve di pioggia, di nebbie, di nevi e di rugiade; e da dove si distribuiscono le acque con economia e vanno a formare lontano dei ruscelli, delle fontane, degli affluenti e dei fiumi.184 Ecco, mio caro», aggiunsi, «i disegni del principe. La ragione vi ha messo alla porta del suo consiglio, e voi ne avete sentito abbastanza per essere convinto che una mano immortale ha scavato le riserve e praticato i canali.» 41. Zenocle, vedendo che la disputa cominciava ad accalorarsi, ci fece un cenno con la mano, come per chiederci di abbassare le armi. «Mi sembra», disse, «che andiate entrambi molto veloci. Ecco secondo voi un fiume e delle rocce, giusto? E io, sostengo che quello che voi chiamate fiume è un cristallo solido sul quale possiamo camminare senza pericolo, e che quelle che voi pretendete essere delle rocce non sono che un vapore spesso, ma facile da penetrare. Vedete, aggiunse, se dico il vero»; all’istante egli si lanciò nel fiume e si tuffò sprofondando per più di sei piedi. Tememmo tutti per la sua vita: ma fortunatamente Oribaze era un buon nuotatore, si tuffò in acqua, lo afferrò per gli abiti e lo riportò verso riva. Alla nostra paura seguirono alcune risate che la figura che aveva fatto non poteva mancare di suscitare. Ma lui, spalancando gli occhi e sgocciolante d’acqua, ci chiese per quale motivo sembravamo così allegri e se era accaduto qualcosa di nuovo.
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42. Dans ces entrefaites, arrivèrent à grands pas nos batteurs d’estrade. Ils nous rapportèrent qu’en suivant le courant du fleuve, ils avaient rencontré, à quelque distance de nous, un pont formé par la nature. C’était | un rocher assez spacieux, sous lequel les eaux s’étaient ouvert un passage. Nous traversâmes la rivière et descendîmes environ trois milles en côtoyant les montagnes et laissant le fleuve à notre gauche. Il prenait de temps en temps envie à Zénoclès d’aller donner tête baissée dans les hauteurs qui bornaient notre droite, pour percer, disait-il, le brouillard. 43. Nous arrivâmes enfin dans un vallon riant qui coupait les montagnes et qui aboutissait à une vaste plaine couverte d’arbres fruitiers, mais surtout de mûriers dont les feuilles étaient chargées de vers à soie. On entendait des essaims d’abeilles bourdonner dans le creux de quelques vieux chênes. Ces insectes travaillaient sans relâche, et nous les contemplions avec attention, lorsque Philoxène en prit occasion pour demander à Athéos s’il pensait que ces industrieux animaux fussent des automates. 44. « Quant je vous soutiendrais, dit Athéos, que ce sont de petits enchanteurs enveloppés les uns dans les anneaux d’une chenille, les autres dans le corps d’une mouche, ainsi que l’entreprit il y a quelque temps un de nos amis, vous m’écouteriez, je pense, sinon avec plaisir, du moins sans indignation, et me traiteriez plus favorablement qu’il ne le fut dans l’allée des épines. 45. Vous me rendez justice, repartit modestement Philoxène ; je ne sais point noircir de couleurs odieuses un badinage innocent et léger. Loin de nous l’esprit persécuteur ; il est autant ennemi des grâces que de la raison ; mais à ne prendre ces insectes que pour des machines, celui qui sait les fabriquer avec tant d’art... « Je vois où vous en voulez venir, interrompit Athéos ; c’est votre prince ? Belle occupation pour ce grand monarque, d’avoir exercé son savoir-faire sur les pieds d’une chenille et sur l’aile d’une mouche. »
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46. Trêve de mépris, répliqua Philoxène : ce qui ravit l’admiration de l’homme peut bien avoir mérité l’attention du créateur. Dans l’univers rien | n’est fait ni placé sans dessein... « Oh ! toujours du dessein ! reprit Athéos, on n’y peut plus tenir. Ces messieurs sont les confidents du grand ouvrier, mais c’est, ajouta Damis, comme les érudits le sont des auteurs qu’ils commentent, pour leur faire dire ce à quoi ils n’ont jamais pensé. » 47. Pas tout à fait, continua Philoxène : depuis qu’à l’aide du microscope on a découvert dans le ver à soie un cerveau, un cœur, des intestins, des poumons ; qu’on connaît le mécanisme et l’usage de ces parties ; qu’on a étudié les mouvements et les filtrations des liqueurs qui y circulent, et qu’on a examiné le travail de ces insectes, en parle-t-on au hasard à votre avis ? Mais laissant là l’industrie des abeilles, je pense que la structure seule de leur trompe et de leur aiguillon présente à tout esprit sensé des merveilles qu’il ne tiendra jamais pour des productions de je ne sais quel mouvement fortuit de la matière. « Ces messieurs, interrompit Oribaze, n’ont jamais lu Virgile, un de nos patriarches, qui prétend que les abeilles ont reçu en partage un rayon de la Divinité, et qu’elles font partie du Grand-Esprit. » Votre poète et vous, n’avez pas considéré, lui répliquai-je, que vous divinisez non-seulement les mouches, mais toutes
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42. Nel frattempo, arrivarono a grandi passi i nostri due battitori di strada. Fecero rapporto dicendo che se si seguiva il corso del fiume, a poca distanza da noi, avevano trovato un ponte naturale. Era una roccia molto ampia, sotto la quale le acque si erano aperte un passaggio. Noi attraversammo l’affluente e discendemmo circa tre miglia costeggiando le montagne e lasciando il fiume alla nostra sinistra. Ogni tanto a Zenocle veniva voglia di andare a urtare in pieno nelle alture che delimitavano la nostra destra, per sfondare, diceva, la nebbia. 43. Arrivammo infine a una valle ridente che tagliava le montagne che terminava in una vasta piana coperta di alberi da frutto; ma soprattutto dei gelsi le cui foglie erano caricate di bachi da seta. Sentivamo degli sciami di api ronzare nelle cavità in qualche vecchia. Questi insetti stavano lavorando senza sosta e noi li osservammo con attenzione, quando Filosseno colse l’occasione per domandare a Ateo, se pensava che questi industriosi animali fossero degli automi. 44. «Quando sostenessi», disse Ateo, «che questi sono piccoli incantatori avvolti negli anelli di un bruco, gli altri nel corpo di una mosca, così come ha tentato di fare uno dei nostri amici qualche tempo fa, voi mi ascoltereste, penso, se non con piacere, almeno senza indignazione e mi trattereste più favorevolmente di quanto abbiate fatto nel viale delle spine.»185 45. «Voi mi rendete giustizia», ripartì modestamente Filosseno. «Non sono in grado di offuscare con tinte scure, uno scherzo innocente e leggero. Sia lontano da noi lo spirito di persecuzione, nemico sia della grazia, sia della ragione. Però a prendere questi insetti per delle macchine, colui che sa fabbricare con tanta arte...» «Vedo dove volete arrivare», interruppe Ateo, «è il vostro principe? Bella occupazione per questo grande monarca, esercitare la sua abilità ai piedi di un bruco e sull’ala di una mosca.»186 46. «Bando al disprezzo», replicò Filosseno. «Ciò che rapisce l’ammirazione dell’uomo, può aver certamente meritato l’attenzione del Creatore. Nell’universo niente è fatto né posto senza disegno.» «Oh! sempre il disegno», riprese Ateo. «Non lo reggo più. Questi signori sono i confidenti del Grande Operatore.» «Però», aggiunse Damide, «lo sono come gli eruditi degli autori che commentano per far dire loro quello a cui essi non hanno mai pensato.» 47. «Niente affatto», continuò Filosseno, «dopo che con l’aiuto del microscopio abbiamo scoperto nel baco da seta un cervello, un cuore, degli intestini, dei polmoni; che conosciamo il meccanismo e l’uso di queste parti; che abbiamo studiato il movimento e le infiltrazioni dei liquidi che vi circolano; e che abbiamo esaminato il lavoro di questi insetti, ne parliamo a caso secondo voi?187 Ma lasciate stare l’industria delle api, penso che la sola struttura della loro proboscide e del loro pungiglione presenti a ogni spirito sensato delle meraviglie che non considererà mai delle produzioni di non so quale movimento fortuito di materia.» «Questi signori», interruppe Oribaze, «non hanno mai letto Virgilio, uno dei nostri patriarchi, il quale afferma che le api hanno ricevuto in condivisione un raggio della Divinità, e che facciano parte di un Grande Spirito.188 «Voi e il vostro poeta non avete considerato, replicai io, che così divinizzate non solamente le mosche, ma tutte le gocce d’acqua e i grani di sabbia del
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les gouttes d’eau et tous les grains de sable de la mer : prétentions absurdes. Revenons à celles de Philoxène. Si ses observations judicieuses sur quelques insectes concluent pour l’existence de notre prince, quel avantage ne tirerait-il pas de l’anatomie du corps humain et de la connaissance des autres phénomènes de la nature ! « Rien autre chose, répondit constamment Athéos, sinon que la matière est organisée. » Nos autres compagnons, témoins de | son embarras, lui disaient pour le consoler, « que peut-être il avait raison, mais que la vraisemblance était de mon côté. » 48. « Si Philoxène a l’avantage, c’est la faute d’Athéos, reprit vivement Oribaze ; il n’avait qu’à faire un pas de plus pour balancer au moins la victoire. Il ne s’ensuit autre chose du discours de Philoxène, a-t-il dit, sinon que la matière est organisée ; mais si l’on peut démontrer que la matière, et peut-être même son arrangement sont éternels, que devient la déclamation de Philoxène ? pouvait-il ajouter. 49. « S’il n’y avait jamais eu d’être, il n’y en aurait jamais, continua gravement Oribaze, car pour se donner l’existence il faut agir, et pour agir il faut être. 50. S’il n’y avait jamais eu que des êtres matériels, il n’y aurait jamais eu d’êtres intelligents ; car ou les êtres intelligents se seraient donné l’existence, ou ils l’auraient reçue des êtres matériels ; s’ils s’étaient donné l’existence, ils auraient agi avant que d’exister ; s’ils l’avaient reçue de la matière, ils en seraient des effets, et dès lors je les verrais réduits à la qualité des modes, ce qui n’est point du tout le compte de Philoxène. 51. « S’il n’y avait jamais eu que des êtres intelligents, il n’y aurait jamais eu d’êtres matériels, car toutes les facultés d’un esprit se réduisent à penser et à vouloir. Or, ne concevant nullement que la pensée et la volonté puissent agir sur les êtres créés, et moins encore sur le néant, je puis supposer qu’il n’en est rien, du moins jusqu’à ce que Philoxène m’ait démontré le contraire.
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52. « L’être intelligent, selon lui, n’est point un mode de l’être corporel. Selon moi, il n’y a aucune raison de croire que l’être corporel soit un | effet de l’être intelligent. Il s’ensuit donc de son aveu et de mon raisonnement, que l’être intelligent et l’être corporel sont éternels, que ces deux substances composent l’univers, et que l’univers est Dieu. 53. « Que Philoxène reprenne ce ton méprisant qui ne convient à personne, et moins encore à des philosophes, et s’écrie tant qu’il voudra : « Mais vous divinisez les papillons, les insectes, les mouches, les gouttes d’eau et toutes les molécules de la matière. » Je ne divinise rien, lui répondrai-je. Si vous m’entendez un peu, vous verrez, au contraire, que je travaille à bannir du monde la présomption, le mensonge et les dieux. » 54. Philoxène, qui ne s’attendait pas à cette sortie vigoureuse de la part d’un ennemi dont il avait fait peu de cas, en fut déconcerté. Pendant qu’il rappelait ses esprits et qu’il se disposait à répondre, il se répandait sur tous les visages une maligne joie qui naissait apparemment de quelques secrets mouvements de jalousie dont les âmes les plus philosophes ne se défendent pas toujours assez bien. Philoxène avait triomphé jusqu’alors, et l’on n’était pas fâché de le voir embarrassé, et cela par un ennemi qu’il
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mare: una pretesa assurda.189 Ritorniamo a quella di Filosseno. Se le sue osservazioni giudiziose su qualche insetto portano a concludere a favore dell’esistenza del nostro principe, quale vantaggio ne trarrà dall’anatomia del corpo umano e la conoscenza di altri fenomeni della natura?» «Nessun altro», rispose tenacemente Ateo, «se non che la materia è organizzata.» Altri nostri compagni e testimoni del suo imbarazzo gli dissero per consolarlo, «che forse egli aveva ragione, ma che la verosimiglianza era dalla mia parte.» 48. «Se Filosseno ha il vantaggio, non è colpa di Ateo», riprese vivamente Oribaze. Gli bastava fare un passo in più, per equilibrare almeno la vittoria. Dal discorso di Filosseno non consegue altro, disse, se non che la materia è organizzata, ma poteva aggiungere, se possiamo dimostrare che la materia, e forse anche la sua stessa organizzazione sono eterne, che cosa diventerebbe la declamazione di Filosseno?» 49. «Se non ci fossero mai stati degli esseri, non ce ne sarebbero mai», continuò gravemente Oribaze, «Perché per darsi l’esistenza, bisogna agire e per agire bisogna essere.» 50. «Se non ci fossero mai stati che esseri materiali, non ci sarebbero mai stati esseri intelligenti. Perché o gli esseri intelligenti si sarebbero dati l’esistenza o l’avrebbero ricevuta da qualcuno degli esseri materiali. Se si fossero dati l’esistenza, avrebbero agito, prima di esistere. Se l’avessero ricevuta dalla materia, ci sarebbero stati degli effetti, e pertanto li vedrei ridotti alla qualità dei modi, cosa che non era del tutto messa in conto da Filosseno. 51. «Se non ci fossero sempre stati solo esseri intelligenti, non ci sarebbero mai stati esseri materiali. Perché tutte le facoltà di uno spirito si riducono a pensare e volere. Ora non concependo che il pensiero e la volontà possano agire sugli esseri creati, e meno ancora sul niente, posso supporre che non ne risulta niente, almeno finché Filosseno non mi dimostrerà il contrario. 52. «L’essere intelligente secondo lui, non è affatto un modo dell’essere corporeo. Secondo me, non c’è alcuna ragione di credere che l’essere corporeo sia un effetto dell’essere intelligente. Ne consegue dunque dal suo assenso e dal mio ragionamento, che queste due sostanze compongono l’universo e che l’universo è Dio.» 53. «Che Filosseno riprenda questo tono di disprezzo che non conviene a nessuno, e meno ancora a dei filosofi, e che gridi quanto vorrà: «Ma voi divinizzate le farfalle, gli insetti, le mosche, le gocce d’acqua e tutte le molecole della materia». Non divinizzo niente, gli risponderei io; se voi mi capite un po’, vedrete al contrario che lavoro per bandire dal mondo, la presunzione, la menzogna e gli dei.» 54. Filosseno che non si attendeva questa uscita così vigorosa da parte di un nemico a cui aveva fatto poco caso, ne fu sconcertato. Mentre rifletteva, e si preparava a rispondere, si diffondeva su tutti i visi una gioia maligna che nasceva apparentemente da alcuni movimenti segreti della gelosia da cui le anime più filosofiche non sempre di proteggono abbastanza bene. Filosseno aveva trionfato fino ad allora, e non eravamo contrariati vedendolo in imbarazzo, e questo a causa di un nemico che egli aveva trat-
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avait traité assez cavalièrement. Je ne te dirai rien de la réplique de Philoxène. À peine eut-il commencé que le ciel s’obscurcit ; un nuage épais nous déroba le spectacle de la nature, et nous nous trouvâmes dans une nuit profonde, ce qui nous détermina à finir notre querelle, et à en renvoyer la décision à ceux qui nous avaient députés. 55. Nous reprîmes donc la route de notre allée. On y écouta le récit de notre voyage et de nos entretiens. On y pèse actuellement nos raisons ; et si l’on y prononce jamais un jugement définitif, je t’en instruirai.
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56. Sache seulement qu’Athéos trouva à son retour sa femme enlevée, ses enfants égorgés, et sa maison pillée. On soupçonnait l’aveugle contre qui il avait disputé à travers la haie, et à qui il avait appris à mépriser la voix | de la conscience et les lois de la société, toutes les fois qu’il pourrait s’en affranchir sans danger, d’avoir abandonné secrètement l’allée des épines, et commis ce désordre dont l’absence d’Athéos et l’éloignement de tout témoin lui promettaient l’impunité. Le plus chagrinant de cette aventure pour le pauvre Athéos, c’est qu’il n’avait pas seulement la liberté de se plaindre tout haut ; car enfin l’aveugle avait été conséquent.
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tato in modo molto sfrontato. Non ti dirò nulla della replica di Filosseno: aveva appena cominciato che il cielo si oscurò; una nuvola densa ci privò dello spettacolo della natura; e ci trovammo in una notte profonda.190 Questo ci indusse a concludere la nostra disputa, e a rinviare la decisione a coloro a cui l’avevamo delegata. 55. Riprendemmo dunque la strada del nostro viale. Vi ascoltammo il racconto del nostro viaggio e delle nostre conversazioni. Pesammo effettivamente le nostre ragioni; e se si pronuncerà mai un giudizio definitivo, te lo farò sapere. 56. Sappi solamente che al suo ritorno Ateo scoprì avevano rapito sua moglie, sgozzato i figli, e svaligiato la casa. Si sospettò del cieco con cui aveva discusso attraverso la siepe, e dal quale aveva imparato a disprezzare la voce della coscienza e le leggi della società, tutte le volte che poteva affrancarsene senza pericolo, di aver abbandonato segretamente il viale delle spine, e commesso questo disordine di cui l’assenza di Ateo e l’allontanamento di tutti i testimoni aveva promesso l’impunità. La cosa che più dispiace di quest’avventura, per il povero Ateo, è che non aveva nemmeno la libertà di compiangersi apertamente, perché in fondo il cieco era stato conseguente.191
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L’allée des fleurs Qui species alias veris, scelerisque tumultu Permixtas capiet, commotus habebitur...
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1. Quoique je ne me sois ni souvent ni longtemps promené dans l’allée des fleurs, j’en sais toutefois assez pour te donner une idée de sa situation et du génie de ses habitants. C’est moins une allée, qu’un jardin immense | où l’on trouve tout ce qui peut flatter les sens. À des parterres émaillés de fleurs succèdent de grands tapis de mousse, et des gazons dont cent ruisseaux entretiennent la verdure. On y rencontre des bois sombres où mille routes s’entrecoupent, des labyrinthes où l’on se plaît à s’égarer, des bosquets où l’on se dérobe, des charmilles touffues où l’on peut se mettre à couvert. 2. On y a pratiqué des cabinets destinés à divers usages. L’on voit dans les uns des tables servies avec délicatesse et des buffets chargés de vins et de liqueurs exquises. Dans les autres, des tables de jeu, des fiches, des jetons, les tableaux d’un cavagnole et tous les apprêts nécessaires pour se ruiner en s’amusant. 3. Ici se rassemblent des gens qui affectent de penser d’un air distrait, qui disent rarement ce qu’ils pensent, s’accablent de politesses sans se connaître, quelquefois en se haïssant. Là, se forment ces délicieuses parties, suivies de ces petits soupers plus délicieux encore, qui se passent à médire d’une femme, à relever l’excellence d’un ragoût, à raconter des aventures apprêtées et à se persifler réciproquement. 4. Plus loin, sont de grands salons lumineux et brillants. On rit, on pleure dans les uns ; on chante, on danse dans les autres ; ailleurs l’on critique, l’on disserte, l’on dispute, l’on crie et la plupart du temps sans savoir pourquoi. 5. C’est ici que la galanterie a fixé son empire. L’amour y lorgne et la coquetterie y minaude. Le plaisir se montre partout ; mais l’ennui cruel est partout caché derrière le plaisir. Que les amants y sont communs ! Que les amants fidèles y sont rares ! On y parle sentiment tout le jour ; mais le cœur n’est pas un instant de la conversation. |
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6. Je ne te dis rien des cabinets plus sombres, meublés de canapés larges et de sophas mollets, tu penses bien à quel usage. On les renouvelle si souvent, qu’on dirait que l’unique occupation soit de les fatiguer. 7. La bibliothèque publique est composée de tout ce qu’on a écrit de l’amour et de ses mystères, depuis Anacréon jusqu’à Marivaux. Ce sont les archives de Cythère. L’auteur du Tanzay en est garde. On y voit couronnés de myrtes les bustes de la reine de Navarre, de Meursius, de Bocace et de La Fontaine. On y médite les Marianne, les Acajou et mille autres bagatelles. Les jeunes garçons y lisent et les jeunes filles y dévorent les aventures galantes du père Saturnin. Car ici la maxime générale est qu’on ne peut trop tôt s’orner et s’éclairer l’esprit. 8. Quoiqu’on s’adonne beaucoup plus à la pratique qu’à la théorie, on pense que celle-ci n’est point à négliger. Il y a tant d’occasions dans la vie où il faut surprendre
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Il viale dei fiori Qui species alias veris, sclerisque tumulus permistas capiet commotus habebitur...192
1. Nonostante non abbia passeggiato né spesso né a lungo nel viale dei fiori, tuttavia ne so abbastanza per darti un’idea della sua situazione e del genio dei suoi abitanti. Più che un viale è un giardino immenso dove si trova tutto ciò che può allettare i sensi. Alle aiuole piene di fiori si succedono grandi tappeti di muschio e prati erbosi resi rigogliosi da molti ruscelli. Vi troviamo dei boschi ombrosi, dove mille strade s’intersecano labirinti dov’è piacevole smarrirsi, boschetti dove nascondersi, pergole fitte dove ci si può mettere al riparo.193 2. Vi sono stati realizzati dei salottini destinati a diversi usi. In alcuni si trovano delle tavole imbandite con delicatezza, e dei buffet pieni di vino e liquori squisiti. In altre, dei tavoli da gioco, delle fiche, dei gettoni, i tavoli per la cavagnola tutte preparate con il necessario per rovinarsi divertendosi. 3. Qui si riuniscono persone che fingono di pensare con aria distratta, che dicono raramente quello che pensano, si coprono di gentilezze senza conoscersi, a volte odiandosi. Là, si formano quelle deliziose partite, seguite da cenette ancora più deliziose, che si trascorrono a sparlare di una donna, a constatare l’eccellenza di uno stufato, a raccontare delle avventure affettatamente e a canzonarsi194 reciprocamente. 4. Più lontano ci sono dei grandi saloni luminosi e brillanti. Si ride, si piange negli uni; si canta, si danza negli altri; altrove si critica, si disserta, si disputa, si grida, e la maggior parte del tempo senza sapere perché. 195 5. Qui la galanteria ha stabilito il suo impero. L’amore vi occhieggia e la civetteria fa le moine. Il piacere si mostra dappertutto, ma la noia crudele è ovunque nascosta dietro il piacere. Quanto sono comuni gli amanti! Quanto sono rari gli amanti fedeli. Vi si parla di sentimento tutto il giorno, ma il cuore non è parte della conversazione. 6. Non ti dico niente dei saloni più oscuri, ammobiliate con grandi poltrone e divani soffici, tu pensi correttamente per quale uso. Vengono rinnovati così spesso che si direbbe che l’unica occupazione sia di logorarli.196 7. La biblioteca pubblica è composta di tutto ciò che è stato scritto sull’amore e sui suoi misteri, da Anacreonte fino a Marivaux. Ci sono gli archivi di Citera. L’autore del Tanzaï è il custode.197 Vi vediamo coronati di mirto i busti della regina di Navarra,198 di Meursius,199 di Boccaccio e di La Fontaine. Vi si meditano le Marianne, gli Acagiù e altre mille bagatelle.200 I ragazzi giovani leggono, e le giovani ragazze divorano le avventure galanti del padre Saturnino. Perché qui la massima generale è che non è mai troppo presto per ornare e illuminare lo spirito. 8. Nonostante ci si dedichi molto più alla pratica che alla teoria, si pensa che questa non sia affatto da trascurare. Ci sono così tante occasioni nella vita in cui bisogna sor-
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la vigilance d’une mère, tromper la jalousie d’un époux, endormir les soupçons d’un amant, qu’on ne peut faire de trop bonne heure provision de principes. Aussi méritet-on dans l’allée des fleurs de grands éloges à cet égard. Au demeurant on y rit beaucoup, et d’autant plus qu’on y pense peu. C’est un tourbillon qui va avec une rapidité incroyable. On n’y est occupé qu’à jouir, ou à troubler les autres dans la jouissance. 142
9. Tous les voyageurs y marchent à reculons. Peu inquiets du chemin qu’ils ont fait, ils ne songent qu’à achever agréablement ce qui leur en reste | à faire. Il y en a tels qui touchent aux portes de la garnison et qui vous protestent qu’il n’y a qu’un moment qu’ils se sont mis en route. 10. Ce qui donne le ton chez ce peuple léger, c’est un certain nombre de femmes charmantes par l’art et le désir qu’elles ont de plaire. L’une se glorifie d’un grand nombre d’adorateurs, et veut que le public en soit informé : l’autre se plaît à faire beaucoup d’heureux ; mais il faut que leur bonheur soit ignoré. Telle promettra ses faveurs à mille galants, qui ne les accordera qu’à un seul ; et telle n’en bercera qu’un seul d’espérance, qui ne sera pas inhumaine à cent autres ; et tout cela à la faveur d’un secret que personne ne garde ; car il est ridicule d’ignorer les aventures d’une jolie femme, et il est de mode d’en enfler le nombre au besoin. 11. La toilette serait un rendez-vous général, si l’époux n’en était point exclu. Là s’assemblent des jeunes gens folâtres et quelquefois entreprenants, parlant de tout sans rien savoir, donnant à des riens un air de finesse, adroits à séduire une belle en déchirant ses rivales, passant d’un raisonnement sérieux qu’ils auront entamé, au récit d’une aventure galante, ou une circonstance les accroche et les jette, je ne sais comment, sur une ariette, qu’ils interrompent pour parler politique, et conclure par des réflexions profondes sur une coiffure, une robe, un magot de la Chine, une nudité de Clinchsted, une jatte de Saxe, une pantine de Boucher, quelque colifichet d’Hébert, ou une boîte de Juliette ou de Martin.
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12. Telle est à peu près la multitude qui erre étourdiment dans l’allée des fleurs. Comme ce sont tous des échappés de l’allée des épines, ils n’entendent jamais la voix des guides, sans en être effrayés ; aussi y a-t-il | certain temps de l’année où le jardin enchanté est presque désert. Ceux qui s’y promenaient vont s’en repentir dans l’allée des épines, d’où ils ne tardent pas à revenir, pour s’aller repentir encore. 13. Leur bandeau les gêne beaucoup ; ils passent une partie de leur vie à chercher des moyens de n’en être pas incommodés. C’est une espèce d’exercice dans lequel ils reçoivent quelques rayons de lumière, mais qui passent rapidement. Ils n’ont pas la vue assez ferme pour soutenir le grand jour ; aussi ne font-ils que lorgner par intervalle et comme à la dérobée. Rien de sérieux ni de suivi n’entre dans ces têtes-là ; le seul nom de système les effarouche. S’ils admettent l’existence du prince, c’est sans tirer à conséquence pour les plaisirs. Un philosophe qui raisonne, et qui se mêle d’approfondir, est pour eux un animal ennuyeux et pesant. Un jour que je voulais entretenir Thémire de nos sublimes spéculations, il lui prit une bouffée de vapeurs, dans laquelle tournant sur moi des yeux languissants : Cesse de m’assommer, dit-elle ; songe à ton bonheur et fais le mien. J’obéis, et elle me parut aussi contente de l’homme qu’elle l’avait été peu du philosophe.
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prendere la vigilanza di una madre, ingannare la gelosia di uno sposo, sopire i sospetti di un’amante, che non è mai troppo presto per fare scorta di principi. Così si meritano grandi elogi nel viale dei fiori a questo riguardo. Del resto tanto più si ride, quanto meno si pensa. È un mulinello che va a una velocità incredibile. Ci si occupa solo di godere, o disturbare gli altri nel godimento. 9. Tutti i viaggiatori vi marciano all’indietro. Poco preoccupati per il cammino che fanno, pensano soltanto a completare piacevolmente quello che resta loro da fare. Ce ne sono taluni che bussano alle porte della guarnigione e protestano di essersi incamminati lungo questa via da pochissimo. 10. Ciò che dà il tono a questo popolo leggero è un certo numero di donne rese affascinanti dalla loro arte e dal desiderio che hanno di piacere. L’una si glorifica di un grande numero di adoratori, e vuole che il pubblico ne sia informato: l’altra ha piacere a renderne felici molti, ma bisogna che la loro felicità resti ignorata. Qualcuna prometterà i suoi favori a mille spasimanti, e li accorderà a uno solo, talaltra ne cullerà uno solo nella speranza, ma non sarà così disumana verso altri cento; e tutto questo in favore di un segreto che nessuno custodisce, perché è ridicolo ignorare le avventure di una bella donna, ed è di moda di gonfiarne il numero all’occorrenza. 11. La toeletta sarebbe un appuntamento comune, se il consorte non ne fosse escluso. Là si riuniscono persone giovani e bizzarre e qualche volta intraprendenti, parlando di tutto senza sapere niente, dando un’aria di finezza a delle inezie, abili a sedurre una bella stracciando i rivali, passando da un ragionamento serio che essi avranno avviato, al racconto di un’avventura galante dove una circostanza attrae e li porta, non si sa come, a un’aria che interrompono per parlare di politica, e concludere con delle riflessioni profonde su un’acconciatura, un vestito, una porcellana proveniente dalla Cina, un nudo di Klingstedt,201 una scodella di Saxe, una marionetta di Boucher, qualche ninnolo di Hébert, o una scatola di Juliette o di Martin.202 12. Tale è approssimativamente la moltitudine che erra sventatamente nel viale dei fiori. Siccome sono tutti fuggiti dal viale delle spine, non sentono mai la voce delle guide, senza esserne impauriti. Inoltre ci sono certi periodi dell’anno in cui questo giardino incantato è pressoché deserto.203 Quelli che vi passeggiano vanno a pentirsi nel viale delle spine, da dove non tardano a tornare, per andare a ripentirsi ancora. 13. La benda li intralcia parecchio. Passano una parte della loro vita a cercare di non esserne infastiditi. È una specie di esercizio nel quale ricevono alcuni spiragli di luce, ma che passano rapidamente. Non hanno la vista abbastanza buona per sopportare il pieno giorno; anzi non fanno che sbirciare a intervalli e come di sfuggita. Niente di serio né di coerente entra in quelle teste. Il solo nome di sistema li intimidisce. Se ammettono l’esistenza di un principe, è senza trarne conseguenze per i loro piaceri. Un filosofo che ragiona, e che si dedica all’approfondimento, è per loro un animale noioso e pesante. Un giorno che volevo discorrere con Temira delle nostre sublimi speculazioni, fu colta da una ventata di vapori e rivolgendomi uno sguardo languido, disse: «Smetti di annoiarmi; pensa alla tua felicità e fa la mia». Obbedii e mi sembrò tanto contenta dell’uomo, quanto poco lo era stata del filosofo.
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14. Leur robe est dans un état pitoyable ; ils la font savonner par intervalle ; mais ce blanchissage dure peu ; il n’est que de bienséance. On dirait que leur dessein principal soit de la chamarrer de tant de taches, qu’on n’en reconnaisse plus la couleur primitive. Cette conduite ne saurait plaire au prince, et il faut que malgré l’illusion des plaisirs, on en soupçonne quelque chose dans cette allée ; car quoiqu’elle soit la plus habitée, et qu’une foule de monde en occupe les avenues, elle commence à se dépeupler aux deux tiers, et l’on n’y voit sur la fin que quelques honnêtes gens d’entre nous qui vont s’y récréer un moment ; car elle est vraiment agréable ; mais il ne faut pas y demeurer longtemps ; tout y porte à la tête, et ceux qui y meurent y meurent fous.
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15. Ne sois point étonné que le temps coule si rapidement pour eux, et qu’ils aient tant de regrets à la quitter ; je te l’ai déjà dit, le coup d’œil en est séduisant ; tout y présente un caractère d’enchantement ; c’est le séjour de l’affabilité, de l’enjouement et de la politesse. On en prendrait presque | tous les habitants pour des gens d’honneur et de probité. Il n’y a que l’expérience qui détrompe, et l’expérience vient quelquefois bien tard. Te l’avouerai-je, ami ; j’ai cent fois été dupe de ce monde, avant que de le connaître et que de me méfier ; et ce n’a été qu’après une infinité de fourberies, de noirceurs, d’ingratitudes et de trahisons, que je suis revenu de la sottise si ordinaire aux honnêtes gens, de juger des autres par soi-même. Comme je te crois fort honnête homme, et qu’un jour tu pourrais être tenté d’être aussi sot que moi, je vais t’esquisser quelques aventures qui t’instruiront sans doute et qui t’amuseront peut-être : écoute donc et juge de ta maîtresse, de tes amis et de tes connaissances. 16. Il y a quelque temps que je trouvai deux personnes établies dans un bosquet écarté de cette allée ; c’était le courtisan Agénor et la jeune Phédime. Agénor, détrompé de la cour et las des espérances, avait, disait-il, renoncé aux honneurs : les caprices du prince et les injustices des ministres l’avaient écarté d’un tourbillon dans lequel il travaillait vainement à s’avancer : en un mot, il avait vu la vanité des grandeurs. De son côté Phédime, revenue de la galanterie, n’avait conservé d’attachement que pour Agénor. Tous deux s’étaient retirés du monde et s’étaient proposé de filer dans la solitude des amours éternelles. Je les entendis s’écrier : « Que nous sommes heureux ! quelle félicité est égale à la nôtre ? tout respire ici l’aisance et la liberté. Lieux pleins de charmes, quelle paix et quelle innocence ne nous offrez-vous pas ? les lambris superbes que nous avons abandonnés, valent-ils vos ombrages ? ô chaînes dorées, sous lesquelles nous avons gémi si longtemps, on ne sent bien toute votre pesanteur que quand on ne l’éprouve | plus ! ô joug brillant qu’on se fait gloire de porter, qu’il est doux de vous avoir secoué ! Libres de toute inquiétude, nous nageons enfin dans un océan de délices. Nos plaisirs, pour être faciles, n’en sont pas devenus moins piquants. Les amusements se sont succédé, et jamais l’ennui n’a versé sur eux son poison. C’en est fait : les devoirs impérieux, les attentions forcées, les égards simulés ne nous obséderont plus. La raison nous a conduits dans ces lieux, et l’amour seul nous a suivis... Que nos moments sont différents de ces journées sacrifiées à des usages ridicules, ou à des goûts bizarres ! Que ces jours nouveaux n’ont-ils commencé plus tôt, ou que ne sont-ils éternels ! Mais pourquoi s’occuper de l’instant qui doit les terminer ? hâtonsnous d’en jouir. » 17. « Mon bonheur, disait Agénor à Phédime, est écrit dans vos yeux : jamais je ne me séparerai de ma chère Phédime ; non jamais, j’en jure ces yeux. Solitude délicieuse,
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14. La loro veste è in uno stato pietoso. La fanno insaponare a intervalli,204 ma questo sbiancamento dura poco; non è altro che buona educazione. Si può dire che il loro intento principale sia di colorarla con tante macchie, tanto che non se ne riconosca più il colore originario. Questa condotta non può piacere al principe, e bisogna che malgrado l’illusione dei piaceri, si sospetti qualcosa di questo viale; poiché nonostante sia il più abitato, e che una folla mondana ne occupi le vie essa inizia a spopolarsi a due terzi, e si vedono verso la fine alcune persone oneste che vanno a ricrearsi un momento; perché è un luogo veramente piacevole, ma non bisogna dimorarvi a lungo, tutto dà alla testa, e quelli che qui ci muoiono, ci muoiono folli. 15. Non stupirti tanto se per loro il tempo scorre tanto velocemente, e se hanno tanti rimpianti da lasciare, te l’ho già detto, il colpo d’occhio è seducente, tutto presenta un carattere d’incanto, è il soggiorno dell’affabilità, dell’allegria e dell’educazione. Si sarebbe tentati di scambiare quasi tutti gli abitanti, per delle persone onorabili e probe. Solo l’esperienza ci disillude, e l’esperienza a volte arriva molto tardi. Te lo confesso, amico; sono stato molte volte vittima di questo mondo, prima di conoscerlo e di diffidarne; e questo è accaduto solo dopo un’infinità di furberie, nefandezze, ingratitudini e tradimenti, che mi sono reso conto della sciocchezza più comune tra le persone oneste: giudicare gli altri a partire da se stessi. Siccome credo che tu sia un uomo molto perbene, e un giorno potresti essere tentato di fare lo sciocco come me, ti accennerò alcune avventure che ti istruiranno senza dubbio, e forse ti divertiranno: ascolta dunque, e giudica la tua amante, i tuoi amici e le tue conoscenze. 16. Qualche tempo fa ho trovato delle persone che si erano stabilite in un boschetto appartato rispetto a questo viale: erano il cortigiano Agenore e la giovane Fedima. Agenore disilluso dalla Corte e stanco di sperare, aveva rinunciato, disse, agli onori: i capricci del principe e le ingiustizie dei ministri l’avevano estromesso da un vortice nel quale si sforzava inutilmente di avanzare: in altre parole aveva visto la vanità della grandezza. Da parte sua Fedima, ritornata dalla vita mondana, era rimasta legata al solo Agenore. Entrambi si erano ritirati dal mondo e si erano proposti di fuggire nella solitudine degli amori eterni. E li sentii gridarsi: «Quanto siamo felici! Quale felicità è eguale alla nostra! Qui tutto respira l’agiatezza e la libertà. Questi luoghi pieni di fascino, quale pace e innocenza non ci offrono? Le superbe volte che abbiamo abbandonato, valgono forse la vostra ombra? Oh catene dorate sotto le quali noi abbiamo gemuto così a lungo, non si sente tutta la loro pesantezza finché non la si prova più! Oh giogo brillante che ci gloriammo di portare, com’è dolce averti scosso via! Liberi da ogni preoccupazione, nuotiamo infine in un oceano di delizie. I nostri piaceri, pur essendo facili, non sono divenuti meno piccanti. I divertimenti si sono susseguiti e mai la nebbia ha versato su di essi il suo veleno. È finita, i doveri imperiosi, le attenzioni forzate, gli sguardi simulati non ci ossessioneranno più. La ragione ci ha condotti in questi luoghi e l’amore solo ci ha seguito... Quanto sono diversi questi nuovi giorni da quelle giornate sacrificate a usi ridicoli, oppure a gusti strani! Se questi nuovi giorni fossero cominciati prima, o se fossero eterni! Ma perché preoccuparsi dell’istante in cui devono terminare? Affrettiamoci a gioirne».205 17. «La mia felicità», diceva Agenore a Fedima, «è scritta nei vostri occhi: mai mi separerò dalla mia cara Fedima; no, mai, lo giuro su questi occhi. Solitudine deliziosa,
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vous fixerez tous mes désirs ; lit de fleurs que je partage avec Phédime, vous êtes le trône de l’amour, et le trône des rois est moins délicieux que vous. » 18. « Cher Agénor, répondait Phédime, rien ne m’a jamais touchée comme la possession de votre cœur. De tous les courtisans, vous seul avez su me plaire et triompher de ma répugnance pour la retraite. J’ai vu vos feux, votre fidélité, votre constance, j’ai tout abandonné, et j’ai trouvé que j’abandonnais trop peu. Tendre Agénor, cher et digne ami, vous seul me suffisez ; je veux vivre et mourir avec vous. Cette solitude fût-elle autant affreuse qu’elle est riante, dussent ces jardins enchantés se transformer en des déserts, Phédime vous y verrait, votre Phédime y serait heureuse. Puissent ma tendresse, ma fidélité, mon cœur et les plaisirs d’un amour mutuel, vous dédommager des sacrifices que vous m’avez faits ! Mais, hélas ! ils finiront ces plaisirs !... en les perdant, j’aurai du moins la douce consolation de sentir votre main me fermer les yeux, et d’expirer entre vos bras. »
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19. Ami, que crois-tu que cela devint ? Agénor, après avoir éprouvé sur le sein de Phédime les transports les plus doux, se sépara d’elle. Il ne s’éloignait que pour un instant. Il devait revenir dans la minute la retrouver sur les fleurs où il l’avait laissée. Mais une chaise de poste qui l’attendait le porta comme un éclair à la cour. Il y sollicitait depuis longtemps une | place importante. Son crédit, les intrigues, les mouvements de sa famille, de riches présents aux ministres ou à leurs courtisanes, le manège de quelques femmes qui avaient médité de l’enlever à Phédime, lui firent obtenir ce qu’il demandait, et des lettres lui avaient annoncé ce succès un instant avant que d’entamer avec sa maîtresse cette conversation si tendre que je t’ai rapportée. 20. Agénor s’éloignait ; et cependant un rival, qui n’attendait que son absence, franchissait une charmille qui le cachait, et lui succédait dans les bras de Phédime. Ce nouveau venu eut son règne comme un autre ; on l’accabla de caresses, et on lui donna des successeurs. 21. Tu vois quelle est la vérité des amours ; écoute et juge de la sincérité des amitiés. 22. Bélise était une intime amie de Caliste ; toutes deux étaient jeunes, sans maris, adorées de mille amants, et décidées pour les plaisirs. On les voyait ensemble au bal, au cercle, aux promenades, à l’opéra. C’étaient des inséparables. Elles se consultaient sur leurs plus importantes affaires. Bélise n’achetait pas une étoffe, que Caliste ne l’eût approuvée ; Caliste n’alla jamais chez son bijoutier, sans être accompagnée de Bélise. Que te dirai-je ? le jeu, les parties, les soupers, tout était commun entre elles. 23. Criton était aussi ami d’Alcippe, mais ami de tous les temps ; mêmes goûts, mêmes talents, mêmes inclinations ; bons offices, crédit, bourse commune : tout semblait avoir préparé leur liaison et concourir à la cimenter. Criton était marié ; Alcippe gardait le célibat. 24. Bélise et Criton se connaissaient. Dans une visite que lui rendit Criton, la conversation s’engagea sur le grand chapitre de l’amitié. On étala le sentiment, on l’analysa, on se rendit de part et d’autre le témoignage qu’on était d’une sensibilité, d’une délicatesse excessive. « C’est un plaisir bien doux, disait Bélise, de se pouvoir
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stabilirete tutti i miei desideri: letti di fiori che condivido con Fedima, voi siete il trono dell’amore, e il trono dei re è meno delizioso del vostro.» 18. «Caro Agenore», rispondeva Fedima, «niente mi ha mai commossa come il possesso del vostro cuore. Tra tutti i cortigiani voi solo siete stata capace di parlarmi e trionfare sulla mia ripugnanza per il ritiro. Ho visto il vostro fuoco, la vostra fedeltà, la vostra costanza, ho abbandonato tutto, e ho capito di aver abbandonato troppo poco. Tenero Agenore, caro e onorato amico, voi solo mi bastate. Voglio vivere e morire con voi. Fosse questa solitudine tanto spaventosa quant’è ridente; dovessero questi giardini incantati trasformarsi in deserti, Fedima vi vedrebbe; la vostra Fedima sarebbe allora felice. Possano la mia tenerezza, la mia fedeltà, il mio cuore e i piaceri di un amore reciproco, ricompensarvi dei sacrifici che avete fatto per me. Ma ahimè! Questi piaceri finiranno!... e perdendoli avrò almeno la dolce consolazione di sentire la vostra mano chiudermi gli occhi e di spirare tra le vostre braccia.» 19. Amico, che cosa credi che ne sarà di tutto questo? Agenore, dopo aver provato sul seno di Fedima i trasporti più dolci, si è separato da lei. Si è allontanato solo per un momento. Doveva ritornare all’istante, ritrovarla sui fiori dove l’aveva lasciata. Ma una diligenza che lo attendeva, lo portò come un lampo a Corte. Era stato chiamato dopo tanto tempo a ricoprire una carica importante. Il suo credito, i suoi intrighi, i movimenti della sua famiglia, dei ricchi regali ai ministri o alle loro cortigiane, l’intrigo di qualche donna che avendo meditato di sottrarlo a Fedima, gli fece ottenere quello che chiedeva, e questo successo gli era stato annunciato da alcune lettere, un istante prima di cominciare con la sua amante questa conversazione così tenera che ti ho riportato. 20. Agenore si allontanava: e tuttavia un rivale non attendeva che la sua assenza, oltrepassò una pergola che lo nascondeva, e lo sostituì tra le braccia di Fedima. Questo nuovo venuto ebbe il suo regno come un altro, è stato cullato di carezze, ed ebbe dei successori. 21. Vedi qual è la verità degli amori,206 ascolta e giudica qual è quella degli amici. 22. Belisa era un’amica intima di Callisto. Tutte e due erano giovani, senza mariti, adorate da mille amanti e decise di darsi ai piaceri. Le si vedeva insieme al ballo, al circolo, a passeggio, all’opera. Erano inseparabili, si consultavano sui loro affari più importanti, Belisa comprava una stoffa solo se Callisto l’aveva approvata; Callisto non andava mai dal suo gioielliere senza essere accompagnata da Belisa. Che ti posso dire, i giochi, le partite, le cene, erano in comune per loro. 23. Anche Critone era amico di Alcippe, ma amico da sempre. Stessi gusti, stessi talenti, stesse inclinazioni: buoni uffici, credito, borsa comune, tutto sembrava aver preparato il loro legame e concorso a rinsaldarlo. Critone era sposato, Alcippe manteneva il celibato. 24. Belisa e Critone si conoscevano. In una visita che rese a Critone, intavolarono una conversazione sul grande capitolo dell’amicizia. Il sentimento fu esposto, lo si analizzò, si rese testimonianza da una parte e dall’altra che si era di una sensibilità, di una delicatezza eccessiva. «È un piacere molto dolce», diceva Belisa, «poter dire a se stessi di avere degli amici e di meritarne di veri, per il vivo e tenero interesse che assume per
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assurer à soi-même qu’on a des amis, | et qu’on mérite d’en avoir de vrais, par l’intérêt vif et tendre que l’on prend à ce qui les touche ; mais souvent on achète ce plaisir bien cher. Pour moi, ajoutait-elle, je n’ai que trop éprouvé combien il en coûte d’avoir un cœur de la trempe du mien. Que d’alarmes ! que d’inquiétudes ! que de chagrins à partager ! on n’est point maître de ces mouvements-là... 25. « Ah ! madame, lui répondait Criton, seriez-vous fâchée d’avoir l’âme si belle ? S’il m’était permis de me citer moi-même, je vous dirais qu’il m’est impossible comme à vous, mais de toute impossibilité, de me refuser aux sentiments que je dois à mes amis ; mais ce qui vous paraîtrait singulier, je vous avouerais que j’éprouve de la douceur à me sentir déchirer l’âme par ce qui les intéresse. Entre nous, ne serait-ce pas leur manquer essentiellement, que d’être lent à s’attendrir dans certaines conjonctures ?... 26. « Ce que je n’ai jamais conçu, interrompit Bélise, c’est que le monde soit plein d’âmes noires qui couvrent la perfidie, la méchanceté, l’intérêt, la trahison, et cent autres penchants horribles, des dehors séduisants de la probité, de l’honneur et de l’amitié. J’entre en mauvaise humeur, et mille choses qui se passent sous mes yeux, me feraient presque soupçonner mes meilleurs amis. 27. « Je n’ai garde, dit Criton, de donner dans un pareil excès ; j’aime mieux être la dupe d’un fourbe, que d’insulter un ami. Mais pour prévenir ces deux inconvénients, j’étudie, j’approfondis les gens avant de m’y livrer, et je me méfie surtout de tous ces affables qui se jettent à la tête ; qui ont décrié la sympathie, par l’abus perpétuel qu’ils en font ; qui veulent être à toute force de vos amis, et qui ne savent autre chose de vous, sinon que vous êtes riche et bienfaisant, ou que vous avez un bon cuisinier, une maîtresse aimable, une femme ou une fille jeune et jolie... Quoi de plus ordinaire, que de s’insinuer dans la maison d’un homme pour séduire sa femme ; et quoi de plus horrible ? Je ne dis pas qu’on n’ait des affaires de cœur, qu’on ne s’attache à quelqu’un, il n’est même guère possible de vivre dans le monde sur un certain ton, sans ces amusements ; mais attenter à la femme de son ami, c’est une noirceur, une dépravation consommée. Le premier article est un faible, on l’excuse ; celui-ci est une scélératesse, une horreur sans égale. |
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28. « Pardonnez-moi, reprit Bélise, je crois en avoir trouvé la doublure. Un forfait que je déteste aussi fortement, et qui décèle une extinction totale de l’honneur et de la probité, c’est la manœuvre d’une femme qui enlèverait l’amant de son amie pour en faire le sien. Cela est diabolique ; il faut avoir déraciné tout sentiment, abjuré toute pudeur, et cependant nous en connaissons... 29. « Aussi, madame, reprit Criton, vous savez comment on commerce avec ces infâmes. 30. « Mais fort bien, reprit Bélise, on les voit, on les reçoit, on les accueille, on n’y pense seulement pas. 31. « Et moi, madame, répliqua Criton, je m’aperçois que le monde a meilleure mémoire que vous ne dites, et que ces monstres sont bannis de toutes les sociétés dont les vertus sont la base, et où règnent la droiture et la candeur ; et il y en a de ces sociétés.
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noi ogni cosa che li tocca. Ma spesso acquistiamo questo piacere a prezzo molto caro. Per quanto mi riguarda, aggiunse, ho provato fin troppo quanto costa avere un cuore e un carattere come il mio. Che spaventi, che preoccupazioni, che dispiaceri da condividere. Non siamo affatto padroni di questi moti spontanei...» 25. «Ah, signora», le rispose Critone, «non vi dispiaccia avere un’anima così bella. Se mi fosse permesso citare me stesso, vi direi che è impossibile a me quanto a voi, ma di un’impossibilità assoluta, rifiutarmi ai sentimenti che devo ai miei amici, ma quello che vi sembrerà singolare, vi confesserò che provo una certa dolcezza a sentirmi lacerare l’anima per quello che li riguarda. Tra noi, non sarà questo loro mancare essenzialmente che l’essere lento a commuoversi in certe circostanze...» 26. «Quello che non ho mai concepito», interruppe Belisa, «è come il mondo possa essere pieno di anime nere che coprono la perfidia, la cattiveria, l’interesse, il tradimento, e cento altre orribili, con le apparenze seducenti della probità, dell’onore e dell’amicizia. Mi viene il malumore, e mille cose che accadono sotto i miei occhi, mi farebbero quasi sospettare dei miei migliori amici.» 27. «Non mi guardo dal cadere in un simile eccesso», disse Critone; «preferisco essere la vittima di un furbo, che insultare un amico. Ma per prevenire questi due inconvenienti, studio, approfondisco le persone prima di confidarvi, e diffido soprattutto di tutti quelle persone affabili che ti si gettano tra le braccia; che hanno screditato la simpatia, con l’abuso perpetuo che ne fanno; che vogliono essere vostri amici a tutti i costi, e che non sanno altra cosa di voi, se non che siete ricco e caritatevole, o che avete un buon cuoco, un’amante piacevole o una figlia giovane e carina... Cosa c’è di più ordinario, che insinuarsi nella casa di un uomo per sedurre sua moglie, e cosa c’è di più orribile! Non dico che non si abbiano degli affari di cuore, che non ci si attacchi a qualcuno, e non è nemmeno possibile vivere in società senza assumerne alcune maniere, senza questi divertimenti. Ma attentare alla donna del proprio amico, è una nefandezza, una depravazione consumata. Il primo punto è un debole, lo si scusa. Questo è una scelleratezza, un orrore senza eguali.» 28. «Perdonatemi», riprese Belisa, «credo di averne trovato il pari. Un misfatto che detesto così fortemente, e che denota un’estinzione totale dell’onore e della probità, è la manovra di una donna che sottrarrebbe l’amante della sua amica per farlo proprio. Questo è diabolico. Bisogna aver sradicato ogni sentimento, abiurato ogni pudore, e tuttavia noi ne conosciamo...» 29. «Così, signora», riprese Critone, «sapete come ci si comporta a quelle infami.» 30. «Ma benissimo», riprese Belisa, «si incontrano, si ricevono, si accolgono, solamente non ci si pensa.» 31. «E io, signora», replicò Critone, «mi rendo conto che il mondo ha una memoria migliore di quanto voi diciate, e che questi mostri sono banditi da tutte le società di cui le virtù costituiscono la base, e dove regnano la rettitudine e il candore. E ce ne sono di queste società.»
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32. « J’en conviens, dit Bélise ; je ne crois pas, par exemple, qu’on en rencontre ici. Oh ! nous sommes tous extrêmement bien assortis. 33. « Depuis que vous m’avez fait la grâce de m’admettre dans votre cercle, reprit Criton, je me suis efforcé de justifier les bontés dont on m’y honore, et les vôtres surtout, madame, par un attachement inviolable à la probité. Mes sentiments sont raisonnés. J’agis par principes : car ce que j’estime, moi, ce sont les principes. Il en faut absolument, et tout homme qui en manque, je le juge aussi indigne d’un attachement qu’il en est incapable. 34. « Cela s’appelle penser, ajouta Bélise. Que des amis tels que vous sont rares, et qu’on doit être soigneux de les conserver, quand on a eu le bonheur de les rencontrer ! Je vous dirai toutefois que vos sentiments ne me surprennent point. Je suis seulement enchantée de leur conformité avec les miens. Peut-être en serais-je un peu jalouse, si je ne savais que les vertus ne perdent rien à se multiplier ; et qu’elles gagnent à se communiquer dans des entretiens tels que le nôtre. 149
35. « C’est dans cette communication franche et naïve où les âmes bien | nées se développent les unes aux autres, dit Criton, que consiste le délicieux de l’amitié qui n’est fait que pour elles. » 36. Je voudrais bien savoir ce que tu penses de ces gens-ci. Mais je m’aperçois que l’aventure de Phédime et d’Agénor t’a mis sur tes gardes. Tu te méfies des grands principes et tu as raison. Courage, ami, si je ne t’amuse pas, je vois au moins que tu profites. 37. Criton quittait à peine Bélise, que Damis arriva. C’était un jeune homme riche, d’une figure aimable, et à qui la main de Caliste était promise. « Vous savez, dit-il à Bélise, que la charmante Caliste doit faire dans deux jours mon bonheur. Tout est arrêté ; il ne s’agit plus que des présents que je lui destine. Vous vous y connaissez ; oserais-je vous prier de m’accompagner chez la Frenaye ? Mon équipage est dans votre cour. 38. « Volontiers, répondit Bélise ; ils montent en carrosse ; chemin faisant, Bélise donne d’abord de grands éloges à Caliste : Ah ! si vous la connaissiez comme moi ! disait-elle à Damis ; c’est bien la meilleure petite créature du monde ; elle serait parfaite si... Si elle était un peu moins vive, interrompit Damis... Oh ! il y a mieux qu’un excès de vivacité, reprit Bélise ; mais n’a-t-on pas chacun son défaut : encore une fois, elle est fort aimable ; et l’inégalité de son caractère et ces bouffées d’humeur qui la prennent la plupart du temps à propos de rien, ne m’ont point empêchée d’être son amie depuis une dizaine d’années. Je lui ai passé toutes ces minuties ; mais j’aurais bien voulu lui ôter un certain air évaporé qui lui a fait tort ; car je l’aime de tout mon cœur. 39. « Qui lui a fait tort ! interrompit vivement Damis, et comment cela ?... Eh mais, reprit Bélise, c’est que cet air, qui n’est pas infiniment propre à faire respecter, a donné plus que des espérances à de petits faquins... 40. « Qu’entends-je ? reprit Damis, déjà troublé par les nuages de la jalousie. Plus que des espérances ! Caliste jouerait-elle avec moi l’innocence ? |
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32. «Ne convengo», disse Belisa, «non credo, per esempio, che se ne trovino qui. Oh! Siamo tutti assortiti estremamente bene!» 33. «Dopo che avete fatto la grazia di ammettermi in questo circolo, riprese Critone, mi sono sforzato di giustificare le bontà con cui vengo onorato, e soprattutto la vostra, signora, con un attaccamento inviolabile alla probità. I miei sentimenti sono ragionati. Agisco per principio: perché quello che stimo, io, sono i principi. Ne occorrono assolutamente, e ogni uomo che ne manchi, lo giudico tanto indegno di un attaccamento quanto ne è incapace.» 34. «Questo si chiama pensare», aggiunse Belisa. «Quanto sono rari gli amici come voi, e quanto dobbiamo curarci di conservarli, quando abbiamo avuto la gioia di incontrarli. Vi dirò tuttavia, che i vostri sentimenti non mi sorprendono affatto. Sono solamente affascinata dalla loro conformità con i miei. Forse ne sarei un po’ gelosa, se non sapessi che le virtù non perdono nulla nel moltiplicarsi, e che ci guadagnano a essere comunicate nelle conversazioni, come la nostra.» 35. «È in questa comunicazione franca e spontanea in cui le anime ben nate si sviluppano le une con le altre, che consiste la delizia dell’amicizia che è fatta solo per esse» disse Critone. 36. Mi piacerebbe sapere cosa pensi di queste persone. Ma vedo che l’avventura di Fedima e Agenore ti ha messo in guardia. Diffidi dei grandi principi e hai ragione. Coraggio amico, se non ti diverto, vedo che almeno ne trai profitto. 37. Critone aveva appena lasciato Belisa, quando Damide arrivò. Era un giovane uomo ricco, di bell’aspetto e gli era stata promessa la mano di Callisto. «Sapete» disse a Belisa, «che l’affascinante Callisto fra due giorni mi renderà felice. Tutto è stabilito, mancano solo i doni da darle. Voi vi conoscete, oso pregarvi di accompagnarmi da Frenaye.207 La mia carrozza è già nel vostro cortile.» 38. «Volentieri», rispose Belisa. Salirono in carrozza; strada facendo, Belisa fece dapprima grandi elogi di Callisto: «Ah se la conosceste come me, disse a Damide. È di certo la migliore creaturina del mondo; sarebbe perfetta se...». «Se fosse un po’ meno vivace», interruppe Damide... «Oh non c’è niente di meglio che un eccesso di vivacità», riprese Belisa; «ma ognuno ha il proprio difetto: ancora una volta, lei è molto amabile e l’incostanza del suo carattere e i suoi eccessi di umore che la prendono la maggior parte del tempo per un nonnulla, non mi hanno affatto impedito di essere sua amica per una decina di anni. Le ho lasciato passare tutte queste minuzie, ma avrei preferito toglierle una certa aria svaporata che le fa torto, perché le voglio bene con tutto il mio cuore.» 39. «Che le ha fatto torto», interruppe vivacemente Damide, «E com’è accaduto?» Belisa riprese: «Eh ma, è che quest’aria non è sempre adatta a farsi rispettare, e ha dato più che delle speranze a dei piccoli marioli...». 40. «Devo sapere» riprese Damide, già turbato dai fumi della gelosia, «Più che delle speranze! Callisto giocherebbe con la mia innocenza?»
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41. « Je ne dis pas cela, répondit Bélise. Mais ne m’en croyez pas : voyez, examinez. S’engager pour la vie, c’est une entreprise qui mérite réflexion. 42. « Madame, ajouta Damis, si jamais j’ai pu mériter vos bontés, je vous conjure de ne me point laisser ignorer des choses qui importent si fort à mon bonheur. Caliste se serait-elle oubliée ?... 43. « Je ne dis pas cela, reprit Bélise ; mais on a jasé, et je suis de la dernière surprise que vous ne soyez pas mieux informé... C’est quelque chose de terrible que ces premiers engagements, ajouta‑t‑elle, d’un air distrait : mais le mariage fait quelquefois ce que toute la raison et tout l’esprit du monde n’ont pu faire ; car il faut convenir que Caliste a de l’un et de l’autre, et beaucoup. » 44. Cependant on arriva chez la Frenaye : Bélise choisit des pierreries ; et Damis paya sans chicaner sur le prix. Bien d’autres pensées l’occupaient. Les soupçons s’étaient emparés de son cœur, et l’image de Caliste s’y défigurait insensiblement. « Il faut bien, se disait-il en lui-même qu’il y ait ici quelque souterrain, puisque sa meilleure amie ne peut s’en taire. » La prudence eût exigé qu’il approfondît ; mais la jalousie a-t-elle jamais écouté les conseils de la prudence ? À peine fut-on remonté en carrosse que Bélise l’agaça, mit en œuvre tous ses ressorts, déchira Caliste sans ménagement, s’avança sans pudeur, tourna la tête à Damis, en arracha des promesses qu’elle feignit d’abord de rejeter, se fit prier pour accepter les présents destinés à Caliste, et devint l’épouse de son amant. 45. Tandis que cette perfidie se consommait, Criton, l’honnête Criton, ayant appris qu’Alcippe était parti seul pour la campagne, se rendit au logis de son ami, passa deux ou trois nuits entre les bras de sa femme, et partit avec elle le lendemain pour aller au-devant d’Alcippe, qu’ils ne manquèrent pas d’accabler de caresses. Voilà nos bons amis. 46. Je me suis engagé de t’éclairer sur le prix de nos connaissances, et je vais te tenir parole. |
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47. J’étais un jour avec Éros ; tu le connais ; tu sais que de peines, de soins, d’argent et de sollicitations lui a coûté la place de gentilhomme ordinaire qu’il n’a point obtenue ; à combien de portes il a fallu frapper ; les protections qu’il avait, celles qu’on lui promit, et toute la manœuvre qu’il avait mise en train pour y parvenir. Mais peut-être ignores-tu comment on la lui a soufflée. Écoute, et juge du reste des habitants de l’allée des fleurs. 48. Nous nous promenions Éros et moi ; il m’instruisait de ses démarches, lorsque nous fûmes abordés par Narcès. Je jugeai, aux caresses qu’ils se firent, que la liaison qui était entre eux était assez étroite. « Eh bien, lui dit Narcès, après les premiers compliments, et votre affaire, où en êtes-vous ? Elle est comme conclue, répondit Éros ; j’ai tout amené à bien, et je compte obtenir demain mon brevet. Vraiment j’en suis enchanté, lui repartit Narcès ; vous êtes un homme admirable pour mener vos projets à petit bruit. J’avais bien entendu dire que vous aviez la parole du ministre, et que la duchesse Victoria avait parlé pour vous ; mais je ne vous dissimulerai point que je croyais toujours que vous échoueriez. Je voyais tant d’obstacles à lever ; et comment, je vous prie, vous êtes-vous démêlé de ce labyrinthe ?
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41. «Non dico questo»,208 rispose Belisa, «Ma non credetemi: vedete, esaminate. Impegnarsi per la vita, è un’impresa che merita riflessione.» 42. «Signora», aggiunse Damide, «se mai ho potuto meritare la vostra bontà, vi scongiuro di non lasciarmi ignorare delle cose che importerebbero così tanto per la mia felicità. Callisto si è lasciata andare?» 43. «Non dico questo», riprese Belisa, «ma si è chiacchierato e sono stupita che voi non siate informato meglio... questi primi approcci sono qualche cosa di terribile» ha aggiunto, con aria distratta, «ma il matrimonio fa a volte quello che ogni ragione e ogni spirito di mondo non hanno potuto fare; perché bisogna convenire che Callisto possiede l’uno e l’altro, e ne ha molto.» 44. Nel mentre arrivarono da La Frenaye. Belisa scelse delle gemme; e Damide pagò senza discutere sul prezzo. Ben altri pensieri lo occupavano. I sospetti si erano impadroniti del suo cuore e l’immagine di Callisto si sfigurava insensibilmente. «Bisogna, diceva a se stesso, che ci sia qualcosa di segreto, visto che la sua migliore amica non può tacere.» La prudenza avrebbe voluto che egli approfondisse, ma la gelosia ha mai ascoltato i consigli della prudenza? Appena furono risaliti in carrozza Belisa lo stuzzicò, mise in campo tutte le sue risorse, fece a pezzi Callisto senza riguardo, si fece avanti senza pudore, voltò la testa verso Damide, avanzò delle promesse che mostrò all’inizio di respingere, si fece pregare per accettare i doni destinati a Callisto e divenne la sposa del suo amante. 45. Mentre questa perfidia si consumava, Critone, l’onesto Critone, avendo appreso che Alcippe era partito solo per la campagna, si recò all’alloggio del suo amico, passò due o tre notti tra le braccia di sua moglie e partì con essa l’indomani per andare incontro a Alcippe che non mancarono di colmare di carezze. Ecco i nostri buoni amici. 46. Mi sono impegnato a chiarirti il valore delle nostre conoscenze, e manterrò la parola. 47. Un giorno mi trovavo con Eros: tu lo conosci e sai quali pene, quali cure, denaro e sollecitazioni gli è costato il posto di gentiluomo di camera che non ha ottenuto; a quante porte ha dovuto bussare; le protezioni che aveva, quelle che gli sono state promesse, e ogni manovra che aveva messo in campo per riuscire. Ma forse ignori come glielo hanno soffiato. Ascolta e giudica il resto degli abitanti del viale dei fiori. 48. Eros e io stavamo passeggiando; mi informava sui suoi progressi, finché non fummo avvicinati da Narsete. Compresi dalle espansioni che si facevano, che il legame che c’era tra di loro era molto stretto. «Eh certo», gli disse Narsete, dopo i primi complimenti, «e il vostro affare? A che punto siete?» «È praticamente concluso», rispose Eros; «ho condotto bene tutto e domani conto di ottenere il mio brevetto.» «Ne sono davvero lietissimo», ribatté Narsete: «siete un uomo ammirevole per come sapete condurre i vostri progetti con poco scalpore. Avevo sentito dire che avevate la parola del ministro, e che la duchessa Vittoria aveva parlato per conto vostro. Ma non vi nascondo che avevo sempre creduto che vi sareste arenato. Vedevo tanti ostacoli da superare, e vi prego, come vi siete districato in questo labirinto?».
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49. « Le voici, reprit ingénument Éros. Je me croyais fondé à demander une place que mon père avait occupée fort longtemps, et qui n’était sortie de ma famille que parce qu’en mourant il me laissa en trop bas âge pour lui succéder. Je sollicitai, j’épiai les occasions, et il s’en présenta plusieurs. Je mis le valet de chambre du ministre dans mes intérêts, et je me fis écouter de son maître. Je fus assidu à faire ma cour, et je me croyais fort avancé que je ne tenais encore rien. J’en étais là lorsque Méostris mourut. J’apprends qu’on se remue vivement pour sa place : je me mets sur les rangs ; je vais, je viens, et je rencontre un homme de province petit-cousin de la femme de chambre de la nourrice du prince : je me jette dans cette cascade ; je parviens à la nourrice ; elle s’engage à parler pour moi, et elle avait déjà parlé pour un autre. Je me raccroche à la petite Joconde ; j’avais entendu dire qu’elle était au ministre. Je cours chez elle, mais tout était rompu ; une autre même avait la survivance : c’était la danseuse Astérie. Voilà me dis-je à moi-même, la vraie porte à laquelle il faut frapper. Cet engagement est | tout neuf, et le ministre accordera sûrement à la petite actrice la première grâce qu’elle lui demandera : intéressons cette fille. 50. « Le projet était sensé, interrompit Narcès, et qu’a produit cette corde ? 51. « Tout l’effet que j’en attendais, continua Éros : un gentilhomme de mes alliés va trouver Astérie, lui propose deux cents louis ; elle en exige quatre cents ; on tope à sa demande, et j’ai sa parole à ce prix : voilà, mon cher, où j’en suis. 52. « Ah ! répondit Narcès, la place est à vous : que je vous embrasse, monsieur le gentilhomme de la chambre. Vous l’êtes à coup sûr, à moins que quelqu’un n’enchérisse sur vous. 53. « Cela ne peut arriver, dit Éros ; vous êtes le seul à qui je me sois confié, et je connais toute votre discrétion... Vous pouvez y compter, reprit Narcès ; mais répondez-moi de la vôtre. Si vous m’en croyez, vous vous tiendrez un peu plus boutonné ; on ne sait la plupart du temps à qui l’on se confie, et tous ces gens que nous traitons d’amis... vous m’entendez... adieu, j’ai promis d’être à cavagnole chez cette belle marquise que vous savez, et j’y cours. » 54. Narcès nous salua et disparut. Son avis était merveilleux, mais il eût été à souhaiter qu’Éros l’eût reçu de quelque honnête homme, et qu’il en eût fait usage avec Narcès. Ce traître se rendit du même pas chez la courtisane, lui proposa six cents louis, et l’emporta sur Éros. 55. Tels sont les ridicules et les vices de l’allée des fleurs, tels sont aussi ses agréments. L’entrée ne nous en est pas défendue ; c’est une promenade que nous regardons comme un préservatif contre l’air froid qu’on respire sous nos ombrages.
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56. Un soir que j’y cherchais du délassement et de la dissipation, j’abordai quelques femmes qui me lorgnaient à travers une gaze légère qui | leur couvrait le visage ; je les trouvai jolies, mais non pas aimables. Je m’attachai particulièrement à une brune qui tournait à la dérobée ses grands yeux noirs sur les miens. « Dans ce séjour galant, avec
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49. «Ecco come», riprese ingenuamente Eros. «Credevo di avere buone ragioni per chiedere un posto che mio padre aveva occupato molto a lungo, e che aveva smesso di restare alla mia famiglia, perché morendo, mi aveva lasciato quand’ero troppo giovane per succedergli. Sollecitai, studiai le occasioni e se ne presentarono molteplici. Portai dalla mia parte il valletto del ministro, e mi feci ascoltare dal suo padrone. Fui assiduo a fare la mia corte, e credevo di essere avanzato molto quando non avevo ancora nulla. Me ne stavo là, quando Meostris morì. Venni a sapere che ci si muoveva molto per ottenere il suo posto: mi misi in fila; andando e venendo incontrai un uomo di provincia cugino di secondo grado della cameriera della balia del principe: mi getto in questo parapiglia; arrivo alla balia; questa s’impegna a parlare per me e aveva già parlato per un altro. Mi attacco alla piccola Gioconda. Avevo sentito dire che era al ministero. Corro presso di lei. Ma tutto era finito, anzi un’altra lo aveva ereditato. Era la ballerina Asteria. Ecco, mi sono detto, la vera porta a cui bisogna bussare. Questo impegno era tutto nuovo, e il ministro accorderà sicuramente alla piccola attrice la prima grazia che essa gli chiederà. Interessiamoci a questa ragazza.» 50. «Il progetto era sensato, interruppe Narsete, e che suono ha prodotto questa corda?» 51. «Tutto l’effetto che mi aspettavo, ha continuato Eros: un gentiluomo dei miei alleati andò a trovare Asteria, le propose duecento luigi, lei ne chiese solo quattrocento, le sono stati accordati, e ho ottenuto la sua parola a questo prezzo. Ecco mio caro, a che punto sono.» 52. «Ah!», rispose Narsete, «Il posto è vostro: lasciate che vi abbracci, signor gentiluomo di camera. Voi lo sarete a colpo sicuro, a meno che qualcuno non rilanci.» 53. «Questo non può succedere», disse Eros; «Voi siete il solo con cui mi sono confidato, e conosco tutta la vostra discrezione...» «Potere contarci» riprese, Narsete, «ma rispondetemi della vostra. Se mi date retta, mantenetevi un po’ più riservato. La maggior parte delle volte non sappiamo con chi ci confidiamo, e tutte queste persone che trattiamo da amici... voi mi capite... addio ho promesso di andare a giocare a cavagnola presso questa bella marchesa che voi sapere e ci corro.» 54. Narsete ci salutò e sparì. Il suo consiglio era meraviglioso: ma ci sarebbe stato da augurarsi che Eros l’avesse ricevuto da un uomo onesto e che ne avesse fatto uso con Narsete. Questo traditore si recò immediatamente dalla cortigiana, le propose seicento luigi ed ebbe la meglio su Eros. 55. Tali sono il ridicolo e i vizi del viale dei fiori; tali sono anche i suoi piaceri. L’entrata non è difesa. È una passeggiata che consideriamo come una protezione dall’aria fredda che si respira sotto le nostre ombre. 56. Una sera che vi cercavo un po’ di riposo e di dissipazione, avvicinai alcune donne che mi occhieggiavano attraverso una veletta che copriva loro il viso. Le trovai carine, ma non amabili: mi attaccai particolarmente a una bruna che voltava di nascosto i suoi grandi occhi neri sui miei. «In questo soggiorno mondano, con una figura
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une figure comme la vôtre, on doit faire bien des conquêtes, lui dis-je... Ah ! monsieur, éloignez-vous, de grâce, me répondit-elle ; je ne puis écouter en conscience vos propos libertins. Le prince me voit, mon guide m’épie ; on a une réputation à ménager, un avenir à craindre, une robe à conserver sans tache ; éloignez-vous, de grâce, ou changez de discours. » 57. Mais, Madame, lui répondis-je, il est étonnant qu’avec ces scrupules vous soyez sortie de l’allée des épines. Oserait-on vous demander ce que vous êtes venue faire dans celle-ci ? « Édifier et convertir, s’il est possible, me dit-elle en souriant, les méchants comme vous. » Elle aperçut en ce moment quelqu’un qui s’approchait ; elle reprit brusquement son air modeste et sérieux ; ses yeux se baissèrent ; elle se tut, me fit une révérence profonde, disparut et me laissa au milieu d’une troupe de jeunes folles qui riaient à gorge déployée, agaçaient les passants et faisaient des mines à tous les voyageurs.
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58. Ce fut entre elles à qui m’aurait ; j’ai mal dit, à qui me tromperait. Je les suivis ; elles ne tardèrent point à me donner des espérances. « Voyez-vous bien cet arbre, me disait l’une ? eh bien, lorsque nous y serons... » En même temps elle en désignait un autre à un jeune homme qu’elle avait amené de fort loin. Arrivés à l’arbre qu’on m’avait indiqué, on me remit à un second ; de celui-ci à un troisième : enfin à un bosquet dont on me loua la commodité, et de ce bosquet à un autre qu’on me dit être plus commode. « Je pourrais bien, me dis-je alors en moi-même, d’arbre en arbre, et de bosquet en bosquet, suivre ces folles jusqu’à la garnison, sans avoir obtenu le moindre prix de ma peine. » En faisant cette réflexion, je les quittai brusquement, et m’adressai à une jeune beauté moins régulière encore que charmante. C’était une blonde, mais de ces blondes qu’un philosophe devrait éviter. À une taille fine et légère, elle joignait assez d’embonpoint. Je n’ai vu de ma vie de couleurs plus vives, une peau plus animée, ni de plus belles chairs. Sous une coiffure simple, couverte d’un chapeau de | paille doublé de couleur de rose, ses yeux pétillants ne respiraient que les désirs. Son discours décelait un esprit orné ; elle aimait à raisonner : elle était même conséquente. La conversation fut à peine liée entre nous que nous tombâmes sur le chapitre des plaisirs : c’est la thèse universelle et la matière inépuisable du pays. 59. Je soutenais gravement que le prince nous les interdisait, et que la nature même y prescrivait des bornes. « Je ne connais guère ton prince, me dit-elle ; mais auteur et moteur de tous les êtres, et bon et sage, comme on le publie, n’aurait-il mis en nous tant de sensations agréables que pour nous affliger ? on dit qu’il n’a rien fait en vain ; et quel est donc le but des besoins et des désirs qui les suivent, sinon d’être satisfaits ? » 60. Je lui répondis, mais faiblement, que peut-être le prince nous proposait ces enchanteurs à combattre, pour avoir droit de nous récompenser. « Mets dans la balance, me répliqua-t-elle, le présent dont je jouis, et l’avenir douteux que tu me promets, et décide qui doit l’emporter. » J’hésitais ; elle aperçut mon embarras. « Eh quoi ! poursuivit-elle ; tu me conseillerais d’être malheureuse, en attendant un bonheur qui ne viendra peut-être jamais. Encore si les lois auxquelles tu veux que je m’immole toute vive, étaient dictées par la raison ! mais non ; c’est un amas confus de bizarreries qui ne semble être fait que pour croiser mes penchants, et mettre l’auteur de mon être en contradiction avec lui-même... On me lie, on m’attache irrévocablement à un seul homme, continua-t-elle après une courte suspension. J’ai beau le contraindre à deman-
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come la vostra, si devono fare molte conquiste» le dissi... «Ah signore, allontanatevi, di grazia, mi rispose lei: in coscienza non posso ascoltare i vostri propositi libertini. Il principe mi vede. La mia guida mi spia. Abbiamo una reputazione da mantenere, un avvenire da temere, una veste da conservare senza macchia. Allontanatevi di grazia, o cambiate discorso.» 57. «Ma, signora», le risposi, «è sorprendente che vi facciate di questi scrupoli, siete uscita dal viale delle spine. Potrei osare a chiedervi che cosa siete venuta a fare in questo?» «Edificare e convertire, se è possibile, mi disse sorridendo, i cattivi come voi.» Percepì in quel momento qualcuno che si avvicinava e riprese bruscamente la sua aria modesta e seria, i suoi occhi si abbassarono; tacque, mi fece una riverenza profonda, sparì e mi lasciò nel mezzo di una truppa di folli che ridevano a gola spiegata, infastidendo i passanti e facendo degli scherzi a tutti i viaggiatori. 58. Fu tra di loro che mi feci prendere, ho detto male, che mi feci sorprendere. Le seguii. Esse non tardarono a darmi delle speranze. «Vedete quest’albero, mi disse una, ecco, quando ci arriveremo...» Nello stesso tempo essa ne designava un altro a un giovane che aveva condotto da molto lontano. Arrivati all’albero che mi aveva indicato, mi rimandò al secondo; da questo a un terzo: alla fine arrivammo a un boschetto di cui mi si lodò la comodità, e da questo a un altro di cui mi si disse che era più comodo. «Potrei, dissi allora a me stesso, di albero in albero, e di boschetto in boschetto, seguire questi folli fino alla guarnigione, senza aver ottenuto il minimo prezzo della mia pena.» Facendo questa riflessione le lasciai improvvisamente, e m’indirizzai a una giovane bellezza meno regolare ancorché affascinante. Era una bionda; ma di quelle bionde che un filosofo dovrebbe evitare. A una figura sottile e leggera, si aggiungeva il bel colorito. Non ho visto in vita mia colori più vivi, una pelle più animata, un corpo più bello. Sotto un’acconciatura semplice, coperta con un cappello di paglia foderato rosa, i suoi occhi brillanti ispiravano solo desideri. I suoi discorsi celavano uno spirito coltivato. Amava ragionare ed era anche coerente. È la tesi universale e la materia inesauribile del paese. 59. Sostenevo gravemente che il principe ce li interdiceva e che la natura stessa prescriveva dei limiti. «Non conosco il tuo principe», mi disse; «ma un autore e motore di tutti gli esseri, e buono e saggio, come lo si descrive, non avrebbe messo in noi tante sensazioni piacevoli per affliggerci? Si dice che non abbia fatto niente in vano, e qual è dunque il fine dei bisogni e dei desideri che si susseguono, se non di essere soddisfatti?» 60. Le risposi, ma debolmente, che forse il principe ci proponeva questi incantatori da combattere, per avere il diritto di ricompensarci. «Metti sulla bilancia», mi replicò lei, «il presente di cui godo, e l’avvenire incerto che mi prometti, e decidi cosa deve avere la meglio.» Esitai, essa percepì il mio imbarazzo: «E che!» proseguì, «Mi consiglieresti di essere triste, attendendo la felicità che forse non verrà mai. Inoltre, se le leggi alle quali tu vuoi che io m’immoli in vita, fossero dettate dalla ragione? Ma no, è un ammasso confuso di stranezze che mi sembra essere fatto per incrociarsi con le mie inclinazioni, e mettere l’autore del mio essere in contraddizione con se stesso... Mi si lega, mi si attacca irrevocabilmente a un solo uomo» continuò, dopo una breve sospensione. «Ho un bel costringerlo a domandare tregua; riconosce la sua debolezza,
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der quartier, il reconnaît sa faiblesse, sans renoncer à ses prétentions. Il convient de sa défaite, mais il ne peut souffrir un secours qui l’assurerait de la victoire. Lorsque les forces lui manquent, que fait-il ? il m’oppose le préjugé ; mais c’est un autre ennemi qu’il me faut... » S’interrompant dans cet endroit, elle me lança un regard passionné ; je lui présentai la main et la conduisis dans un cabinet de verdure, où je lui fis trouver ses raisons meilleures encore qu’elle ne les avait d’abord imaginées. | 155
61. Nous nous croyions en sûreté et loin de tous témoins, lorsque nous aperçûmes à travers des feuillages quelques prudes accompagnées de deux ou trois guides qui nous examinaient. Ma belle en rougit. « Que craignez-vous ? lui dis-je tout bas. Ces saintes font aussi bien que vous céder les préjugés à leurs penchants, et elles seront moins scandalisées, dans le fond de leur âme, que jalouses de vos plaisirs. Cependant je ne vous répondrai pas qu’elles ne soient tentées de chagriner des gens qui n’ont pas fait pis qu’elles. Mais nous n’avons qu’à les menacer de démasquer les compagnons de leur promenade, et compter sur leur discrétion. » Céphise approuva mon expédient et sourit : je lui baisai la main, et nous nous séparâmes, elle pour voler à de nouveaux plaisirs, moi pour rêver sous nos ombrages.
Fin
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senza rinunciare alle sue pretese. Concorda sulla sua sconfitta, ma non può sopportare un aiuto che le assicurerebbe la vittoria. Quando le forze gli mancano che cosa fa? Mi oppone il pregiudizio, ma è un altro nemico di cui ho bisogno...»209 S’interruppe a questo punto, e mi lanciò uno sguardo appassionato; le diedi la mano e la condussi in un angolo verdeggiante, in cui le feci trovare le sue ragioni migliori anche di quando non avesse inizialmente immaginato. 61. Noi ci credevamo sicuri e lontani da tutti i testimoni, quando percepimmo attraverso le foglie, alcune pudibonde accompagnate da due o tre guide, che ci esaminavano. La mia bella arrossì. «Che cosa temete», le dissi sottovoce; «queste sante fanno bene quanto voi a far cedere i pregiudizi alle loro inclinazioni, e saranno meno scandalizzate che gelose, nel fondo del loro animo, dei vostri piaceri. Tuttavia non vi dirò che esse non siano tentate di tormentare le persone che non hanno agito peggio di loro. Però a noi basta minacciarle di smascherare i compagni della loro passeggiata, e contare sulla loro discrezione». Cefisa approvò il mio espediente e sorrise: le baciai la mano e ci separammo, lei per volare verso nuovi piaceri; io per sognare sotto le nostre ombre.
Fine
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Clef de la promenade du sceptique Le premier chiffre indique la partie de l’ouvrage qu’il faudra consulter, et le second marque le paragraphe.
A. Aaron, I, 40. Abbés, I, 26. Abeilles, II, 43, 47. Abraham, I, 38, 39. Académie ancienne, II, 1. Acajou, III, 7. Adam, I, 38. Agénor, nom d’un courtisan, III, 16. Alcméon, nom d’un spinosiste, II, 31, 36. Alcyphron, jeune sceptique, voyez le Discours préliminaire. Alexandre de Halès, I, 27. Allée des épines, I, 11, 12, 13, etc. Allée des marronniers, I, 12, 16. Idem, II, 1, 2, 3, 4, etc. Allée des fleurs, I, 13, 15. Idem, III, 1, 2, 3, etc. Amazones (rivière des), I, 1. Ambassadeurs, ou apôtres et évangélistes, I, 44. Amitiés, III, 21. Amour-propre, II, 21, 28. Amours, III, 16. Anacréon, III, 7. Anatomie, II, 47. Ancone, II, 23. Anglais, voyez le Discours préliminaire. Apostats, voyez déserteurs. Apôtres, voyez ambassadeurs. Arche, I, 40. Archevêque, I, 25. Ariste, nom de l’auteur. Discours préliminaire. Armée, I, 10. Armide, II, 23. Astronomie, I, 1. Athée, I, 3. Idem, II, 5. Athéisme, voyez athées et Athéos.
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Athéos, nom d’un athée, II, 31, 32, 34, 36, 39, 44, 45, 46, 47, 56. Atlas, II, 7. Atticus, voyez le Discours préliminaire. Aventuriers, I, 44. Auguste, II, 8. Augustin, voyez professeur de rhétorique. Auteurs sacrés, I, 34. Auteurs anti-religieux, II, 11. Autrichien, voyez le Discours préliminaire. B. Babylone, I, 57. Baile, voyez le Discours préliminaire. Balance, devise des Pyrrhoniens, II, 4. Bandeau, symbole de la foi, I, 7, 8, 9, 40, 44, 62, 63. Baptême, I, 6. Barclay, voyez le Discours préliminaire. Bataillon noir. Jésuites. I, 28, 30. Baume. Saintes huiles. I, 25. Bélise. Fausse amie, III, 21. Bénédictins, I, 28, 29. Bénéfice héréditaire, I, 41. Béquilles, I, 45. Berger, Vieux berger ou Moïse, I, 35, 36, etc. Bernardins, I, 28. Bethléem, I, 60. Bocace, III, 7. Boucher, peintre, III, 11. Bouchers, ou sacrificateurs, I, 40. B... Dom, III, 7. Bourreaux, voyez inquisiteurs. Bulles, voyez vélin. C. Cafés, III, 4. Cages, voyez monastères de filles. Calvin, voyez le Discours préliminaire. Camouflets, I, 24.
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Chiave della passeggiata dello scettico Il primo numero indica la parte dell’opera che si deve consultare e il secondo indica il paragrafo.
A Abati, I, 26. Abramo, I, 38, 39. Acagiù, III, 7. Accademia Antica, II, 1. Acqua santa, I, 64. Adamo, I, 38. Agenore, nome di un cortigiano, III, 16. Agostino. Si veda Professore di retorica. Alcifrone, giovane scettico. Si veda il Discorso preliminare. Alcmeone, nome di uno spinozista, II, 3I, 37. Alessandro di Halès, I, 27. Amazzoni (rio delle), I, 1. Ambasciatori, o apostoli ed evangelisti, I, 44. Amicizie, III, 21. Amor proprio, II, 20-22, 28. Amori, III, 16. Anacreonte, III, 7. Anatomia, II, 47. Ancona, II, 23. Api, II, 43, 47. Apostati. Si veda Disertori. Apostoli. Si veda Ambasciatori. Appuntamento generale. L’altro mondo. I, 5, 10. Arca, I, 40. Arcivescovo, I, 25. Aristo, nome dell’autore. Si veda il Discorso preliminare. Armata, I, 10. Armida, II, 33. Aronne, I, 40. Aspetto, I, 4. Astronomia, I, 1. Ateismo. Si veda Atei e Ateo. Ateo, I, 3; II, 5. Ateo. Nome di un ateo. II, 31, 32, 34, 36, 39, 44, 45, 46, 47, 56. Atlante, II, 7.
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Attico. Si veda il Discorso preliminare. Attraversamento del Mar Rosso, I, 35. Augusto, II, 2, 8. Austriaco. Si veda il Discorso preliminare. Autori anti-religiosi, II, 11. Autori sacri, I, 34. Avventurieri, I, 44. B B... Dom, III, 7. Babilonia, I, 57. Bachi da seta, II, 43. Balsamo. Olii santi. I, 25. Barclay. Si veda il Discorso preliminare. Bastone a becco di corvo. Croce. I, 25. Bastoni. Grazie. I, 45. Battaglione nero. Gesuiti. I, 28, 30. Battesimo, I, 6. Bayle. Si veda il Discorso preliminare. Belisa. Falsa amica. III, 22. Benda. Simbolo della fede, I, 7, 8, 9, 40, 44, 62, 63. Benedettini, I, 28, 29. Beneficio ereditario, I, 41. Bernardini, I, 28. Betlemme, I, 60. Bilancia, insegna dei Pirroniani, II, 4. Boccaccio, III, 7. Boia. Si veda inquisitori. Bolle. Si veda velina. Boucher, pittore. III, 11. C Caffè, III, 4. Calvino. Si veda il Discorso preliminare. Calzolaio ex-gentiluomo, Paolo, I, 44. Canarine ambulanti, o direttori delle monache, I, 32. Canzoni. Salmi, I, 18. Cappuccini, I, 28.
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168 Canne à bec de corbin. Crosse. I, 25. Cannes. Grâces, I, 45. Capucins, I, 28. Casaque blanche, ou robe blanche, symbole de l’innocence baptismale, I, 7. Casuistes. Rigides. Relâchés, I, 31. Cavagnole, III, 2. Cervantes (Michel de), I, 65. Idem, II, 22. Chansons. Psaumes, I, 18. Chartreux et autres moines, I, 28. Chausse-trapes, I, 31. Chevaux de frise, I, 30. Chrétiens, voyez Christ et christianisme, ou allée des épines, I, 4. Christ, I, 43, etc. Christianisme, I, 48, etc. Cicéron, voyez le Discours préliminaire. Cinna, II, 8. Circoncision, I, 7, 40. Circumincession, I, 44. Cléobule. Philosophe retiré du monde, voyez le Discours préliminaire. Clinchsted. Peintre. Cochin, voyez Discours préliminaire. Code. Testaments ancien et nouveau, I, 4, 9, 33, 34, 36, 37, etc. Idem, II, 19. Colonel, voyez Christ. Colonelle (la), II, 31. Comédie, III, 4. Commentateurs, II, 46. Communion, voyez eucharistie et transsubstantiation. Compostelle, II, 23. Confesseurs, voyez encaissés, I, 29. Connaissances du monde, voyez Éros. Conseil de guerre. Inquisition. Clergé, II, 13. Consubstantiation, voyez le Discours préliminaire. Coquettes, III, 57, 58. Cordonnier ex-gentilhomme. Paul, I, 44. Corps calleux, II, 27. Couvents, voyez troupes auxiliaires, cages, volières. Crébillon fils, III, 7. Cri de guerre des sceptiques, voyez sceptiques.
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opere filosofiche
Criton, faux ami, III, 23. Cusco, II, 24. Cybèle, I, 25. Cythère. III, 7. D. Damis, nom d’un Pyrrhonien, II, 31, 38. Danse merveilleuse, I, 44. Décalogue, I, 40. Dégraisseurs. Confesseurs. Casuistes, I, 47. Déistes, I, 3. Idem, II, 6. Delphes, I, 40. Déluge, I, 38. Déserteurs. Apostats, I, 8, 9. Devoirs du soldat, voyez soldat ou robe blanche. De Voltaire, voyez le Discours préliminaire. Dévots, voyez allée des épines. Diable, voyez enchanteur. Diphile, nom d’un sceptique, II, 31, 39. Disciples de Jésus-Christ, voyez le Discours préliminaire. Directeurs de nonnains, I, 32. Dispenses, voyez savon, vélin. Duclos, III, 7. Dulcinée, II, 22. E. Eau bénite, I, 64. Égotistes, II, 8. Embaucheurs, I, 10. Encaissés, I, 29, 30. Enchanteur. Diable, I, 64. Enéide, II, 8. Enfer, I, 65. Entretien d’un philosophe païen et d’un chrétien, I, 49. Entretien d’un athée et d’un chrétien, I, 14. Entretien de philosophes, II, 32. Entretien de deux faux amants, III, 16. Entretien d’un faux ami et d’une fausse amie, III, 24. Entretien d’une fausse amie et d’un jeune homme, III, 37. Entretien de deux connaissances du monde, III, 47.
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la passeggiata dello scettico, chiave
Casacca bianca, o veste bianca. Simbolo del l’innocenza battesimale. I, 7. Casisti. Rigidi. Lassisti, I, 3I. Castagni. II, 1. Cavagnola, III, 2. Cavalli di frisia. I, 31. Certosini e altri monaci, I, 28. Cervantes (Miguel de), I, 65. Idem, II, 22. Cibele, I, 25. Cicerone. Si veda il Discorso preliminare. Cinna, II, 8. Circoncisione, I, 7, 40. Circuminsessione, I, 44. Citera, 3. 7. Civetta, III, 57, 58. Cleobulo. Filosofo ritirato dal mondo. Si veda il Discorso preliminare. Cochin. Si veda il Discorso preliminare. Codice. Testamenti antico e nuovo, I, 4, 9, 33, 34, 36, 37, ecc. Idem, II, 19. Colonnella (la), II, 31. Colonnello. Si veda Cristo. Commedia, III, 4. Commentatori, II, 46. Compostela, II, 23. Comunione. Si veda Eucarestia e Transustanziazione. Confessori. I, 29. Si veda Incassati. Conoscenza del mondo. Si veda Eros. Consiglio di guerra. Inquisizione. Clero. II, 13. Consustanziazione. Si veda il Discorso preliminare. Conventi. Si vedano le truppe ausiliarie, gabbie, voliere. Corpo calloso, II, 27. Crébillon figlio. III, 7. Cristianesimo, I, 48, ecc. Cristiani. Si veda Cristo e cristianesimo, o viale delle spine. Cristo, I, 43, ecc. Critone. Falso amico. III, 23. Cusco, II, 24. D Damide, nome di un Pirroniano, II, 31, 38. Danza meravigliosa, I, 44.
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169 De Voltaire. Si veda il Discorso preliminare. Decalogo, 1 40. Deisti, I, 3. Idem, II, 6. Delfi, I, 40. Devoti. Si veda viale delle spine. Dialogo tra due conoscenze mondane, III, 47. Dialogo tra due falsi amanti, III, 16. Dialogo tra filosofi, II, 32. Dialogo tra l’autore e uno dei suoi amici filosofi. Si veda il Discorso preliminare. Dialogo tra un ateo e un cristiano, I, 14. Dialogo tra un falso amico e di una falsa amica, III, 24. Dialogo tra un filosofo e una donna galante, III, 59. Dialogo tra un filosofo pagano e un cristiano, I, 49. Dialogo tra una falsa amica e un giovane uomo, III, 37. Diavolo. Si veda Incantatori. Difilo, nome di uno scettico, II, 31, 39. Diluvio, I, 38. Direttori delle monache, 1, 32. Discepoli di Gesù Cristo. Si veda il Discorso preliminare. Disertori. Apostati, I, 8, 9. Dispense. Si veda sapone, velina. Donne galanti, III, 10, 58. Doveri del soldato. Si veda Soldato o Veste bianca. Duclos, III, 7. Dulcinea, II, 22. E Ebrei, I, 4, 42, 47, ecc. Edomiti. Si veda Giudea, I, 56. Egotisti, II, 8. Eneide, II, 8. Epaminonda, I, 59. Eroi. Si veda Martiri. Eros, nome di un uomo onesto sciocco ingannato, III, 47. Esistenza di Dio, I, 3. Idem, II, l4, ecc. Eucarestia, I, 44. Eva, I, 38.
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opere filosofiche
Entretien d’un philosophe et d’une femme galante, III, 59. Entretien de l’auteur et d’un philosophe de ses amis, voyez le Discours préliminaire. Épaminondas, I, 59. Épines, I, 1, 2, etc. Éros, nom d’un honnête homme dupe, III, 47. État-major. Clergé, I, 23. Étoile, voyez le Discours préliminaire. Eucharistie, I, 44. Eve, I, 38. Évêques, I, 15. Existence de Dieu, I, 3 Idem, II, 14, etc. F. Fanfarons, II, 9, 10, 31. Favoris du vice-roi, ou amis de la cour de Rome, I, 24. Femmes galantes, III, 10, 58. Fermier. Jéthro, I, 35. Fleurs (allée des), III, 1. Foi, voyez bandeau, I, 7, 8, 9, etc. Fontenoy (journée de), voyez le Discours préliminaire. Foulons. Dégraisseurs. Confesseurs. Casuistes. Encaissés, I, 47. Fourmis, II, 36. Frédéric, roi de Prusse, voyez le Discours préliminaire. Frère Jean des Entaumures, I, 21. Freston, I, 65. G. Galette, I, 40. Garnison, voyez rendez-vous. Gendron, II, 22. Géographe, I, 2. Géographie, I, 1. Géryon, I, 44. Geste symbolique. Signe de croix, I, 64. Glande pinéale, II, 27. Gouvernement, voyez conseil de guerre ; voyez aussi le Discours préliminaire. Gouverneur en chef. Dieu, I, 3.
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Gouverneurs. Archevêques, I, 25. Grâces, voyez cannes, I, 45. Guides. Prêtres. Calépastiques, I, 10, 20, 21, 22, 23, 62. H. Hardouin, II, 20. Hébert, III, 11. Héros, voyez martyrs. Hiérarchie ecclésiastique, voyez état-major. Histoire ecclésiastique, voyez le Discours préliminaire. Hollandais, voyez le Discours préliminaire. Horace, I, II, III. Cité encore au frontispice et au Discours préliminaire. Huiles, voyez baume, I, 25. Hypostase, voyez le Discours préliminaire. I. Incarnation, voyez le Discours préliminaire. Innocence baptismale, voyez robe blanche. Inquisition, I, 28. Inquisiteurs, I, 28. Inscription philosophique, voyez le Discours préliminaire. Inspirés, I, 4. Intolérance, voyez le Discours préliminaire. J. Jacob, I, 39. Jansénistes, I, 31. Japhet d’Arménie (Dom), I, 25. Idumée, voyez Judée, I, 56. Iduméens, voyez juifs, I, 56. Jean, apôtre, I, 59. Jean Hus, voyez le Discours préliminaire. Jérusalem, I, 56. Jésuites, I, 28, 29. Jésus-Christ, voyez Christ. Jéthro, I, 35. Jonathas, I, 59. Joppé, I, 56. Joseph, patriarche, I, 39. Josèphe, historien, I, 59. Isaac, I, S9. Judas, I, 59. Juifs, I, 4, 42, 47, etc.
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la passeggiata dello scettico, chiave
F Fanfaroni, II, 9, 10, 3I. Faraone, I, 35. Fattore. Jetro. I, 35. Favoriti del vice-re; o amici della corte di Roma, I, 24. Fede. Si veda benda, I, 7, 8, 9, ecc. Federico, re di Prussia. Si veda il Discorso preliminare. Fedima, nome di una donna galante, III, 16, 18. Filone, I, 59. Filosofi, II, 1. Filosofia, II, 1. Filosseno, nome di un deista, II, 31, 35, 38, 39, 40, 43, 45, ecc. Fiori (viale dei), III, 1. Follatori. Sgrassatori. Confessori. Casisti. Incassati, I, 47. Fontenoy (giornata di). Si veda il Discorso preliminare. Formiche, II, 36. Frate Jean di Entommeures, I, 21. Frestone, I, 65. Fumacchio, I, 24. G Gabbie. Si veda monasteri femminili. Galletta, I, 40. Gendron, II, 22. Geografia, I, 1. Geografo, I, 2. Gerarchia ecclesiastica. Si veda Stato-maggiore. Gerione, I, 44. Gerusalemme, I, 56. Gesto simbolico. Segno della croce, I, 64. Gesù-Cristo. Si veda Cristo. Gesuiti, I, 28, 29. Ghiandola pineale, II, 27. Giacobbe, I, 39. Giansenisti, I, 31. Giapeto d’Armenia (Dom), I, 25. Gionata, I, 59. Giovanni. Apostolo, I, 59. Giuda, I, 59. Giulietta. III, 11.
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171 Giuseppe, patriarca, I, 39. Giuseppe, storico, I, 59. Giusto di Tiberiade, I, 59. Governatore in capo. Dio, I, 3. Governatori. Arcivescovi, I, 25. Governo. Si veda consiglio di guerra. Si veda il Discorso preliminare. Grazie, I, 45. Si veda Bastoni. Grido di guerra degli scettici. Si veda Scettici. Guarnigione. Si veda appuntamento. Guide. Preti. Calepatici, I, 10, 20, 21, 22, 23, 62. H Hébert, III, 11, Hardouin, II, 20. I In guardia! Attenti! I, 46. Incantatore. Diavolo, I, 64. Incarnazione. Si veda il Discorso preliminare. Incassati, I, 29, 30. Inferno, I, 65. Inglese. Si veda il Discorso preliminare. Innocenza battesimale. Si veda Veste bianca. Inquisitori, I, 28. Inquisizione, I, 28. Insalata, I, 40. Intolleranza. Si veda il Discorso preliminare. Ipostasi. Si veda il Discorso preliminare. Isacco, I, 39. Iscrizione filosofica. Si veda il Discorso preliminare. Ispirati, I, 4. J Jan Hus. Si veda il Discorso preliminare. Jetro, I, 35. Joppa, I, 56. K Klingstedt. Pittore, III, 11. L La Fontaine. III, 7. La Frenaye. III, 37- 44.
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opere filosofiche
Juliette, III, 11. Juste de Tibériade, I, 59. K. Klingstedt. Peintre, III, 1. L. Lâches. Mauvais chrétiens, I, 8. La Fontaine, III, 7. La Frenaye, III, 37, 44. Lanterne sourde. Vision béatifique, II, 27. Laponie, I, 1. Libertins, II, 9, 10. Livres inspirés, voyez déistes, I, 4. Louis voyez aussi le Discours préliminaire I, 1. Lunettes, I, 1. Luther, voyez le Discours préliminaire. M. Machiavel, voyez le Discours préliminaire. Madrid, II, 24. Manuscrit cité, voyez l’entretien d’un philosophe païen avec un chrétien. Mahométans, voyez le Discours préliminaire. Marc, I, 54, 57. Marianne, III, 7. Marivaux, III, 7. Marraine, I, 6. Marronniers, II, 1. Martin. Vernisseur, III, 11. Martres zibelines, I, 1. Martyrs, I, 48. Massacre des innocents, I, 60. Matadors. Princes, I, 24. Médoc (duc de), I, 65. Ménippe, I, 48. Méostris, voyez Éros. Messe, voyez eucharistie ou transsubstantiation. Meursius, III, 7. Midi, I, 1. Milton, I, 65. Mine, I, 4. Miracles, I, 48.
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Missionnaires, I, 28. Mitaines de velours, I, 31. Mitre, I, 25. Moines, I, 28, 29. Moïse, voyez berger, testament ancien et nouveau. Monastères de filles, I, 32. Monde, voyez l’entretien des philosophes, I, 34. Montagne, voyez le Discours préliminaire, II, 4. Montesquiou, voyez le Discours préliminaire. Montre, II, 33. Mortifications, II, 21, 22. Mot du guet, I, 9. Idem, II, 31. Mystères, I, 9. N. Narcès. Homme faux, III, 47. Navarre (reine de), III, 7. Navigation, I, 1. Nérestor, nom d’un sceptique, II, 3I, 38. Newton, I, 1. Noé, I, 38. Nonnains, I, 32. Nord, I, 1. O. Officiers généraux. Patriarches et prophètes, I, 9. Officiers subalternes. Archevêques. Évêques, I, 15, 25. Opéra, III, 4. Opinions, voyez l’entretien des philosophes et l’allée des marronniers. Oribaze, nom d’un spinosiste, II, 31, 47, 48. P. Pandours, I, 28. Pantins, voyez Boucher, peintre. Pantoufles de duvet, I, 31. Pâques, I, 40. Parlements, I, 24. Parrains, I, 6.
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la passeggiata dello scettico, chiave
Lapponia, I, 1. Lanterna smorzata. Visione beatifica. II, 27. Lenti, I, 1. Libertini, II, 9, 10. Libri ispirati, I, 4. Si veda deisti. Luigi I, I. Si veda anche il Discorso preliminare. Lutero. Si veda il Discorso preliminare. M Macchia nera. Peccato originale, I, 38, 40. Macellai, o sacrificatori I, 40. Machiavelli. Si veda il Discorso preliminare. Madrid, II, 24. Madrina, I, 6. Manoscritto citato. Si veda il dialogo di un filosofo pagano con un cristiano. Maomettani. Si veda il Discorso preliminare. Marco, I, 54-57. Marianne, III, 7. Marionette. Si veda Boucher, pittore. Marivaux, III, 7. Martin. Verniciatore, III, 11. Martiri, 1, 48. Martore zibellini, I, I, Massacro degli innocenti. I, 60. Matador. Principi, I, 24. Médoc (duca di), I, 65. Menippo, I, 49. Meostris. Si veda Eros. Messa. Si veda Eucarestia o Transustanziazione. Meursius, III, 7. Mezzogiorno, I, 1. Milton, I, 65. Miracoli, I, 48. Missionari, I, 28. Misteri. I, 9. Mitria, I, 25. Monachette, I, 32. Monaci, I, 28, 29. Monasteri femminili, I, 32. Mondo. Si veda il dialogo tra filosofi. Montaigne. II, 4. Si veda il Discorso preliminare. Montesquieu. Si veda il Discorso preliminare.
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173 Mortificazioni, II, 2I, 22, Mosè. Si veda Pastore. Testamento antico e nuovo. N Narsete. Uomo falso, III, à 7. Navarra (regina di), III, 7. Navigazione, I, 1. Nerestore, nome di uno scettico. II, 31, 38. Newton, I, 1. Noè, I, 38. Nord, I, 1. O Olandese. Si veda il Discorso preliminare. Olii, I, 25. Si veda Balsamo. Opera, III, 4. Opinioni. Si veda il dialogo tra filosofi nel viale dei castagni. Orazio, I, II, III, Citato anche nel frontespizio e nel Discorso preliminare. Oribaze, nome di uno spinozista. II, 31, 47, 48. Orologio, II, 33, P Padrini, I, 6. Panduri, I, 28. Pantofole di piuma, I, 31. Paolo. Si veda Calzolaio ex-gentiluomo. Parlamenti, I, 24. Parola d’ordine, I, 9. Idem, II, 31. Partigiani, II, 11, Pasqua, I, 40. Pastore. Vecchio pastore o Mosè, I, 35, 36, ecc. Patriarchi. Si veda Ufficiali-generali. Peccato originale, I, 38. Pellegrine, I, 29. Pelopida, I, 59. Pendola, II, 33. Pene future, I, 63, Perù, I, 1. Pescatori. Si veda vigliacchi.
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174 Partisans, II, 11. Passage de la Mer Rouge, I, 35. Patriarches, voyez officiers-généraux. Paul, voyez cordonnier ex-gentilhomme. Péché originel, I, 38. Pêcheurs, voyez lâches. Peines à venir, I, 63. Pèlerines, I, 29. Pélopidas, I, 59. Pendule, I, 33. Pérou, I, 1. Petits-Maîtres, III, 11. Peuple de Dieu, I, 35. Pharaon, I, 58. Phédime, nom d’une femme galante, III, 18. Philon, I, 59. Philosophes, II, 1. Philosophie, II, 1. Philoxène, nom d’un déiste, II, 31, 35, 38, 39, 40, 43, 45, etc. Pierre, voyez vendeur de marée. Pindare, I, 59. Piquets, II, 31. Plaies d’Egypte, I, 35. Platon, voyez le Discours préliminaire. Porteurs d’eau. Prêtres juifs, l, 40. Pot au noir, I, 46. Prédécesseurs. Premiers papes, I, 24. Prédestination, voyez le Discours préliminaire. Prédicateurs, I, 29. Prédilection, I, 38. Préjugés respectables, voyez le Discours préliminaire. Préjugés du public, ouvrage, voyez le Discours préliminaire. Présence réelle, I, 9. Prêtres, voyez guides, I, 20. Prévôt, voyez inquisiteur, I, 28. Privilégiés. Anciens et modernes, I, 4, 38. Professeur de rhétorique. Saint Augustin, I, 45. Prophètes, voyez officiers généraux. Protestants, I, 44. Prudes, III, 56. Psaumes, I, 18. Pyrrhon, II, 4.
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opere filosofiche
Pyrrhoniens, II, 4. Q. Quart de cercle, I, 1. Quiétistes, I, 29. Quinze-vingt, II, 22, 30. R. Rabelais cité, I, 21. Raison perfectionnée, I, 1. Recette, I, 30. Récompenses à venir, II, 27. Recrues singulières, I, 24. Réflexions philosophiques, voyez le Discours préliminaire. Religion, voyez le Discours préliminaire. Rendez-vous général. L’autre monde, I, 5, 10. Résurrection, I, 45, 65, Retraite philosophique, voyez le Discours préliminaire. Robe blanche, symbole d’innocence, I, 7, etc., 40, 44, 63. Romains, I, 7, 28. Rome, I, 56. Idem, II, 23. Routes, I, 11. S. Sabbath, I, 40. Salade, I, 40. Sancho, II, 22. Sarrazins, I, 28. Saturnin, voyez D. B. Savon. Absolution, dispenses, etc., I, 24, 25. Saxe (le maréchal de), voyez le Discours préliminaire. Sceptiques, I, 3. Idem, II, 10. Secrétaires. Auteurs sacrés. Seigneur de la paroisse, voyez Pharaon. Séjour du prince, I, 5. Serinettes ambulantes, ou directeurs de nonnains, I, 32. Servandoni, II, 23. Sexe. Avantage du sexe, I, 7. Sibylle, I, 40.
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la passeggiata dello scettico, chiave
Piaghe d’Egitto, I, 35. Picchetti, II, 31. Piccoli-Maestri, III, 11. Pietro. Si veda Venditore di pesce. Pindaro, I, 59. Pirrone, II, 4. Pirroniani, II, 4. Platone. Si veda il Discorso preliminare. Popolo di Dio, I, 38. Portatori d’acqua. Preti ebrei, I, 40. Predecessori. Primi papi, I, 24. Predestinazione, I, 46. Si veda il Discorso preliminare. Predicatori, I, 29. Predilezione, I, 38. Pregiudizi del pubblico. Opera. Si veda il Discorso preliminare. Pregiudizi rispettabili. Si veda il Discorso preliminare. Presenza reale, I, 9. Preti, I, 20. Si veda Guide. Prevosto. I, 28. Si veda Inquisitore. Privilegiati. Antichi e moderni, I, 4, 38. Professore di retorica. Sant’Agostino I, 45. Profeti. Si veda Ufficiali generali. Protestanti, I, 44. Pudibonde, III, 56. Q Quarto di cerchio, I, 1. Quietisti, I, 29. Quinze-vingts, II, 22, 30. R Rabelais citato, I, 21, Ragione perfezionata, I, 1. Reclutatori, I, 10. Reclute singolari, I, 24. Religione. Si veda il Discorso preliminare. Resurrezione, I, 45, 65, Ricetta, I, 30. Ricompense future, II, 27. Riflessioni filosofiche. Si veda il Discorso preliminare. Ritiro filosofico. Si veda il Discorso preliminare.
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175 Roma, I, 56. Idem, II, 23. Romani, I, 7, 28. S Salmi, I, 18. Sancho, II, 22, Sapone. Assoluzione, dispense, ecc. I, 24, 25. Saraceni, I, 28. Saturnin. Si veda D.B. Saxe (il maresciallo di). Si veda il Discorso preliminare. Scettici, I, 3. Idem, II, 10. Segni istituiti, I, 7. Segno della croce. Si veda Gesto simbolico. Segretari. Si veda Autori sacri. Servandoni, II, 33. Sesso. Vantaggi del sesso, I, 7. Sgrassatori. Confessori. Casisti, I, 47. Shabbat, I, 40. Sibilla, I, 40. Signore della parrocchia. Si veda Faraone. Socino. Si veda il Discorso preliminare. Socrate. Si veda il Discorso preliminare. Soggiorno del principe. I, 5. Soldati, I, 6, 8, 16, 17, ecc. Sotto-governatori, ecc. Vescovi. I, 25. Spahi, I, 26. Spine, I, 1, 2, ecc. Spinoza, II, 7. Spinozisti, II, 7. Stampelle, I, 45. Stato maggiore. Clero, I, 23. Stella, si veda il Discorso preliminare. Storia ecclesiastica. Si veda il Discorso preliminare. Strade, I, 11. Swift. Si veda il Discorso preliminare. T Tanzaï, III, 7. Tavole della legge. Si veda Decalogo. Tebani, I, 56. Teologi. Si veda Guide. Si veda anche il Discorso preliminare.
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opere filosofiche
Signe de croix, voyez geste symbolique. Signes institués, I, 7. Socin, voyez le Discours préliminaire. Socrate, voyez le Discours préliminaire. Soldats, I, 6, 8, 16, 17, etc. Sous-gouverneurs, etc. Évêques, I, 25. Spahis, I, 26. Spinosa, II, 7. Spinosistes, II, 7. Swift, voyez le Discours préliminaire. T. Tables de la loi, voyez décalogue. Tache noire. Péché originel, I, 38, 40. Tanzaï, III, 7. Terre promise, I, 42. Trépied, I, 40. Testaments ancien et nouveau, I, 4, 40. Thébains, I, 56. Théologiens, voyez guides et le Discours préliminaire. Theudas, I, 59. Timare, I, 20. Tocane, II, 10. Toilette, III, 11. Tolérance, voyez le Discours préliminaire. Torno (fleuve de), I, 1. Transsubstantiation, voyez le Discours préliminaire, I, 44. Trépied, 1, 40. Trinité, voyez le Discours préliminaire, I, 44. Troupes auxiliaires. Moines, I, 28, etc. Troupes séparées. Docteurs, I, 27.
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Turcs, I, 26. U. Uniforme, I, 7. Union hypostatique, voyez le Discours préliminaire. Uranie (épître à), II, 1. V. Vélin. Bulles, brefs, indulgences, etc. I, 44, 45. Vendeur de marée. Pierre, I, 44, 45. Ver, II, 36. Vers à soie, II, 43. Vérité. Mot du guet, II, 31. Verre à facettes, I, 9. Vicaires, I, 26. Vice-roi. Pape, I, 24. etc. Vie illuminative, etc, II, 21. Virgile, II, 8, 47. Vision béatifique, II, 27. Volières. Couvents de filles, I, 32. Woolston, voyez le Discours préliminaire. X. Xanthus, nom d’un athée, II, 31. Z. Zénith, II, 32. Zénoclès, nom d’un Pyrrhonien, II, 31, 41, 42. Zwingle, voyez le Discours préliminaire.
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la passeggiata dello scettico, chiave
Terra Promessa, I, 42, Testamenti antico e nuovo, I, 4, 40. Tèuda, I, 59. Timar, I, 26. Tocane, II, 10. Toeletta, III, 11. Tolleranza. Si veda il Discorso preliminare. Torno (fiume). I, 1, Transustanziazione, I, 44. Si veda il Discorso preliminare. Trappole, I, 31. Trinità. Si veda il Discorso preliminare. I, 44. Tripode, I, 40. Truppe ausiliarie. Monaci. I, 28, ecc. Truppe separate. Dottori. I, 27. Turchi, I, 26. U Ufficiali generali. Patriarchi e profeti, I, 9. Ufficiali subalterni. Arcivescovi. Vescovi. I, 9. Uniforme, I, 7. Unione ipostatica. Si veda il Discorso preliminare. Urania (epistola a). II, 1. V Velina. Bolle. Brevi. Indulgenze, ecc. I, 44, 45. Venditore di pesce. Pietro, I, 44, 45. Verità. Parola segreta, II, 31,
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177 Verme, II, 36. Vescovi, I, 15. Veste bianca. Simbolo d’innocenza. I, 7, ecc., 40, 44, 63. Vetro sfaccettato, I, 9. Via illuminativa, ecc. II, 2I. Viale dei castagni, I, 12, 16; II, 1, 2, III, 4, ecc. Viale dei fiori, I, 13, 15; III, 1, 2, 3, ecc. Viale delle spine, I, 11, 12, 13, ecc. Vicari, I, 26. Vice-re. Papa. I, 24. ecc. Vigliacchi. Cattivi cristiani, I, 8. Virgilio, II, 8, 47. Visione beatifica, II, 27. Voliere. Conventi femminili, I, 32. W Woolston. Si veda il Discorso preliminare. X Xanto, nome di un ateo. II, 31. Z Zenith, II, 32. Zenocle, nome di un Pirroniano, II, 31, 41, 42. Zwingli. Si veda il Discorso preliminare.
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La sufficienza della religione naturale (1747)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
J.S. Spink, curatore dell’edizione critica della Sufficienza della religione naturale, ritiene che probabilmente questa dissertazione sia stata scritta nel 1747, nonostante sia stata pubblicata solo nel 1770. F. Venturi aveva sostenuto che «la somiglianza del contenuto e del destino editoriale con quello dell’Aggiunta ai Pensieri Filosofici deve renderci per lo meno dubbiosi e indurci a non considerare queste pagine come fondamentali per intendere i primi passi di Diderot philosophe.»1 Sicuramente si tratta di un’opera secondaria, ciononostante essa costituisce un elemento interessante di cui tener conto nel comprendere il processo di elaborazione del materialismo diderotiano, come ha ricordato anche P. Quintili.2 In essa, infatti, da un lato il filosofo prosegue la sua riflessione sulla religione, dall’altro egli sviluppa la sua critica ai presupposti della religione cristiana. Spink ha messo in evidenza il richiamo al pensiero inglese implicito nell’espressione «sufficienza della religione naturale», ricordando che in Inghilterra nel XVII secolo questa teoria «corrispondeva, sul piano ideologico, a un’azione a favore della tolleranza sul piano sociale»3. Il titolo dell’opera di Diderot, inoltre, non poteva che far pensare a Mathew Tindal, fatto di cui probabilmente egli era cosciente, anche in considerazione della prossimità a livello di contenuto tra le idee di entrambi. Tuttavia lo stile di Diderot è molto diverso da quello del dialogo erudito di Tindal, entrambi però sviluppano le critiche già elaborate da Spinoza e Bayle nei confronti degli elementi mitologici introdotti dalle religioni rivelate e con questi i miracoli e tutte quelle testimonianze di eventi soprannaturali difficili da provare. Sempre a proposito dello stile occorre notare che, a differenza dei Pensieri Filosofici, in quest’opera gli aforismi si susseguono come una serie di argomentazioni asciutte, espresse in modo quasi scolastico, che rendono l’opera più prossima all’Aggiunta ai Pensieri filosofici. La «religione naturale», che fin dal titolo viene annunciata come oggetto della raccolta di pensieri non indica una fede basata sulla contemplazione dello spettacolo della natura, bensì va intesa come «naturalismo». Quest’espressione nuova compariva solo nell’ultimo dei Pensieri filosofici (§LXII) e viene ripresa in quest’opera negli aforismi §9 e §15. Nell’Encyclopédie al termine «naturalista» sono attribuiti due significati, il primo indica chi studia e conosce la natura, il secondo riguarda invece la religione e, scrive Diderot, si usa per designare: «chi non ammette alcun Dio, ma crede che ci sia un’unica sostanza materiale, dotata di diverse qualità che le sono
1 Si veda F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, p. 74. e dello stesso autore Addition aux «Pensées Philosophiques», in Revue d’histoire littéraire de la France, 1938, pp. 23-42. 2 P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., p. 186. 3 Introduction in DPV, vol. II, p. 174. Si veda a questo proposito E. Herbert di Cherbury, De causis errorum una cum tractatu de Religione laici et appendice ad sacerdotes, London, 1745. Cfr. anche Natural Religion Insufficient; and Reveal’d Necessary to Man’s Happiness in his Present State: or, a Rational Enquiry into the Principles of the Modern Deist, Edinburgh, 1714.
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la sufficienza della religione naturale
essenziali come la lunghezza, la larghezza, la profondità, e in ragione delle quali tutto accade necessariamente nella natura come si vede; naturalista in questo senso è sinonimo di ateo, spinozista, materialista, ecc.».4 È dunque mettendo in relazione questo testo minore a quelli precedenti e a quelli immediatamente successivi, si pensi in particolare, oltre alla già citata Encyclopédie, alle posizioni espresse da Diderot nella Lettera sui ciechi, che si comprende l’evoluzione del materialismo diderotiano.
Nota al testo Per la nostra traduzione ci siamo avvalsi del testo stabilito e commentato da John S. Spink per l’edizione DPV (vol. II, pp. 181-195). A nostra conoscenza non esistono altre traduzioni italiane dell’opera. 4
D. Diderot, Encyclopédie, art. «Naturalista» (Naturaliste), vol. XI, p. 39.
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Ritratto di Diderot realizzato da Friedrich Wilhelm Bollinger (1750, da un dipinto di Charles-André van Loo). (fonte: www.gallica.bnf.fr)
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De la suffisance de la religion naturelle [DPV, II, 181-195]
§ 1
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La religion naturelle est l’ouvrage de Dieu ou des hommes. Des hommes, vous ne pouvez le dire, puisqu’elle est le fondement de la religion révélée. Si c’est l’ouvrage de Dieu, je demande à quelle fin Dieu l’a donnée. La fin d’une religion qui vient de Dieu ne peut être que la connaissance des vérités essentielles, et la pratique des devoirs importants. Une religion serait indigne de Dieu et de l’homme si elle se proposait un autre but. Donc, ou Dieu n’a pas donné aux hommes une religion qui satisfît à la fin qu’il a dû se proposer, ce qui serait absurde ; car cela supposerait en lui impuissance ou mauvaise volonté ; ou l’homme a obtenu de lui tout ce dont il avait besoin. Donc il ne lui fallait pas d’autres connaissances que celles qu’il avait reçues de la nature. Quant aux moyens de satisfaire aux devoirs, il serait ridicule qu’il les eût refusés. Car de ces trois choses, la connaissance des dogmes, la pratique | des devoirs, et la force nécessaire pour agir et pour croire, le manque d’une rend les deux autres inutiles. C’est en vain que je suis instruit des dogmes, si j’ignore les devoirs. C’est en vain que je connais les devoirs, si je croupis dans l’erreur ou dans l’ignorance des vérités essentielles. C’est en vain que la connaissance des vérités et des devoirs m’est donnée, si la grâce de croire et de pratiquer m’est refusée. Donc j’ai toujours eu tous ces avantages. Donc la religion naturelle n’avait rien laissé à la révélation d’essentiel et de nécessaire à suppléer. Donc, cette religion n’était point insuffisante. § 2
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Si la religion naturelle eût été insuffisante, c’eût été ou en elle-même, ou relativement à la condition de l’homme. Or on ne peut dire ni l’un ni l’autre. Son insuffisance en elle-même serait la faute de Dieu. Son insuffisance relative à la condition de l’homme supposerait que Dieu eût pu rendre la religion naturelle suffisante, et par conséquent la religion révélée, superflue, en changeant la condition de l’homme ; ce que la religion révélée ne permet pas de dire. D’ailleurs, une religion insuffisante relativement à la condition de l’homme serait insuffisante en elle-même. Car la religion est faite pour l’homme, et toute religion qui ne mettrait pas l’homme en état de payer à Dieu ce que Dieu est en droit d’en exiger, serait défectueuse en elle-même. Et qu’on ne dise pas que Dieu ne devant rien à l’homme, il a pu sans | injustice lui donner ce qu’il voulait ; car remarquez qu’alors le don de Dieu serait sans but et sans fruit ; deux défauts que nous ne pardonnerions pas à l’homme, et que nous ne devons point reprocher à Dieu. Sans but, car Dieu ne pourrait se proposer d’obtenir de nous par ce moyen ce que ce moyen ne peut produire par lui-même. Sans fruit, puisqu’on soutient que le moyen est insuffisant pour produire aucun fruit qui soit légitime.
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La sufficienza della religione naturale
§ 1 La Religione naturale è l’opera di Dio o degli uomini. Degli uomini; non potete dirlo, poiché essa è il fondamento della religione rivelata. Se è l’opera di Dio, chiedo a quale fine Dio l’ha data. Il fine di una religione che viene da Dio può essere solamente la conoscenza delle verità essenziali, e la pratica dei doveri importanti.1 Una religione sarebbe indegna di Dio e dell’uomo se si proponesse un altro scopo. Dunque, o Dio non ha dato agli uomini una religione che soddisfaceva il fine che doveva proporsi, il che sarebbe assurdo; perché supporrebbe in lui impotenza oppure cattiva volontà; o l’uomo ha ottenuto da lui tutto quello di cui aveva bisogno. Dunque non aveva bisogno di altre conoscenze che quelle che aveva ricevuto dalla natura. Quanto ai mezzi per soddisfare i doveri, sarebbe ridicolo che li avessero rifiutati. Perché di queste tre cose, la conoscenza dei dogmi, la pratica dei doveri, e la forza necessaria per agire e per credere, la mancanza di una rende inutili le altre due. Invano conosco i dogmi, se ignoro i doveri.2 Invano conosco i doveri, se marcisco nell’errore o nell’ignoranza delle verità essenziali. Invano mi viene data conoscenza delle verità e dei doveri, se mi viene rifiutata la grazia di credere e di praticare. Dunque ho sempre avuto tutti questi vantaggi. Dunque la religione naturale non avrebbe lasciato niente di essenziale e necessario da aggiungere alla rivelazione. Dunque questa religione non era per nulla insufficiente. § 2 Se la religione naturale fosse stata insufficiente, lo sarebbe stata o in se stessa, o relativamente alla condizione dell’uomo. Ora non si può dire né l’una né l’altra cosa. Se fosse insufficiente in se stessa, sarebbe un errore di Dio. La sua insufficienza relativa alla condizione dell’uomo implicherebbe che Dio avrebbe potuto rendere la religione naturale sufficiente, e di conseguenza la religione rivelata, superflua, cambiando la condizione dell’uomo; cosa che la religione rivelata non permette di dire. D’altra parte una religione insufficiente relativamente alla condizione dell’uomo sarebbe insufficiente in se stessa. Perché la religione è fatta per l’uomo, e qualsiasi religione che non mettesse l’uomo in condizione di pagare a Dio quel che Dio è in diritto di esigere, sarebbe difettosa in se stessa.3 E non si dica che Dio, non dovendo niente all’uomo, ha potuto dargli quel che voleva senza ingiustizia; perché notate che allora il dono di Dio sarebbe senza fine e senza frutto; due difetti che non si perdonerebbero all’uomo, e che non dobbiamo affatto dover rimproverare a Dio. Senza fine, perché Dio non potrebbe riproporsi di ottenere da noi con questo mezzo ciò che questo mezzo non può produrre di per sé. Senza frutto, poiché si sostiene che il mezzo non basta a produrre alcun frutto che sia legittimo.
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§ 3 La religion naturelle était suffisante, si Dieu ne pouvait exiger de moi plus que cette loi ne me prescrivait ; or Dieu ne pouvait exiger de moi plus que cette loi ne me prescrivait, puisque cette loi était sienne, et qu’il ne tenait qu’à lui de la charger plus ou moins de préceptes. La religion naturelle suffisait autant à ceux qui vivaient sous cette loi, pour être sauvés, que la loi de Moïse aux Juifs, et la loi chrétienne aux chrétiens. C’est la loi qui forme nos obligations, et nous ne pouvons être obligés au-delà de ses commandements. Donc quand la loi naturelle eût pu être perfectionnée, elle était tout aussi suffisante pour les premiers hommes que la même loi perfectionnée pour leurs descendants. § 4 Mais, si la loi naturelle a pu être perfectionnée par la loi de Moïse et celle-ci par la loi chrétienne, pourquoi la loi chrétienne, ne pourrait-elle pas l’être par une autre qu’il n’a pas encore plu à Dieu de manifester aux hommes ? | § 5
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Si la loi naturelle a été perfectionnée, c’est ou par des vérités qui nous ont été révélées, ou par des vertus que les hommes ignoraient. Or, on ne peut dire ni l’un ni l’autre. La loi révélée ne contient aucun précepte de morale que je ne trouve recommandé et pratiqué sous la loi de nature ; donc elle ne nous a rien appris de nouveau sur la morale. La loi révélée ne nous a apporté aucune vérité nouvelle ; car qu’est-ce qu’une vérité, sinon une proposition relative à un objet, conçue dans des termes qui me présentent des idées claires et dont je conçois la liaison ? Or la religion révélée ne nous a apporté aucune de ces propositions. Ce qu’elle a ajouté à la loi naturelle consiste en cinq ou six propositions qui ne sont pas plus intelligibles pour moi que si elles étaient exprimées en ancien carthaginois ; puisque les idées représentées par les termes et la liaison de ces idées entre elles, m’échappent entièrement. Les idées représentées par les termes et leur liaison m’échappent, car, sans ces deux conditions, les propositions révélées, ou cesseraient d’être des mystères, ou seraient évidemment absurdes. Soit par exemple cette proposition révélée. Les enfants d’Adam ont tous été coupables, en naissant, de la faute de ce premier père. Une preuve que les idées attachées aux termes et leur liaison m’échappent dans cette proposition, c’est que si je substitue au nom d’Adam, celui de Pierre ou de Paul, et que je dise, les enfants de Paul ont tous été coupables, en naissant, de la faute de leur père ; la proposition devient d’une absurdité convenue de tout le monde. D’où il s’ensuit, et de ce qui précède, que la religion révélée ne nous a rien appris sur la morale et que ce que nous tenons d’elle sur le dogme, se réduit à cinq ou six propositions inintelligibles, et qui, par conséquent, ne peuvent passer pour des vérités par rapport à nous. Car si vous aviez appris à un paysan, qui ne sait point de latin, et moins... encore de logique, le vers : Asserit A, negat E, verum generaliter ambœ, croiriez-vous lui avoir appris une vérité | nouvelle ? N’est-il pas de la nature de toute vérité d’être claire et d’éclairer ? deux qualités que les propositions révélées ne peuvent avoir. On ne dira pas qu’elles sont claires ; elles contiennent clairement, ou il est clair
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§ 3 La religione naturale era sufficiente, se Dio non poteva esigere da me più di quanto questa legge mi prescrivesse; oppure Dio non poteva esigere da me più di quanto questa legge mi prescrivesse, poiché questa legge era la sua, e spettava solo a lui aumentare o diminuire il numero dei precetti. La religione naturale era sufficiente a quelli che vivevano secondo questa legge, per essere salvati, nella stessa misura in cui lo è la legge di Mosè agli ebrei e la legge cristiana ai cristiani. È la legge che forma i nostri obblighi; e noi non possiamo avere obblighi al di là dei suoi comandamenti. Dunque quando la legge naturale avrebbe potuto essere perfezionata, essa era altrettanto sufficiente per i primi uomini quanto la stessa legge perfezionata per i loro discendenti. § 4 Ma se la legge naturale ha potuto essere perfezionata dalla legge di Mosè e questa dalla legge cristiana, perché la legge cristiana non potrebbe esserlo da un’altra che Dio non ha ancora voluto manifestare agli uomini?4 § 5 Se la legge naturale è stata perfezionata, lo è stata da certe verità che ci sono state rivelate, o da talune virtù che gli uomini ignoravano. Ora non si può dire né l’una né l’altra cosa. La legge rivelata non contiene alcun precetto morale che non si trovi raccomandato e praticato dalla legge di natura; dunque essa non ci ha insegnato niente di nuovo sulla morale. La legge rivelata non ci ha apportato alcuna verità nuova; poiché, che cos’è una verità, se non una proposizione relativa a un oggetto, concepita in termini che mi presentino delle idee chiare di cui comprendo la relazione? Ora la religione rivelata non ci ha portato nessuno di questi precetti. Ciò che essa ha aggiunto alla legge naturale consiste in cinque o sei proposizioni che non sono più comprensibili per me che se fossero state espresse in antico cartaginese; poiché le idee rappresentate dai termini e il legame di queste idee tra loro mi sfuggono completamente.5 Le idee rappresentate attraverso i termini e la loro relazione mi sfuggono, perché senza queste due condizioni i precetti rivelati, o cesserebbero di essere dei misteri, o sarebbero evidentemente assurde. Prendiamo per esempio questo precetto rivelato: i figli di Adamo erano tutti colpevoli, nascendo, per il peccato di quel primo padre. Una prova che le idee congiunte ai termini e il loro legame mi sfuggono in questo precetto, è che se sostituisco al nome di Adamo, quello di Pietro o Paolo, e lo dico, i figli di Paolo sono stati tutti colpevoli, nascendo, per colpa del loro padre; tutti convengono che il precetto diviene un’assurdità. Da questo e da quanto precede, consegue che la religione rivelata non ci ha insegnato niente sulla morale e che quello che noi apprendiamo da essa sul dogma, si riduce a cinque o sei precetti incomprensibili, e che, di conseguenza, non possono passare per delle verità in rapporto a noi. Poiché, se aveste insegnato a un contadino, che non sa niente di latino, e meno... ancora di logica, il verso: Asserit A, negat E, verum generaliter ambæ,6 sareste convinti di avergli insegnato una verità nuova? Non appartiene alla natura di ogni verità l’essere chiara e illuminare? due qualità che le proposizioni rivelate non possono avere. Non si dirà che esse sono chiare; esse con-
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qu’elles contiennent une vérité, mais elles sont obscures ; d’où il s’ensuit que tout ce qu’on en infère doit partager la même obscurité ; car la conséquence ne peut jamais être plus lumineuse que le principe. § 6 Cette religion est la meilleure, qui s’accorde le mieux avec la bonté de Dieu. Or la religion naturelle s’accorde avec la bonté de Dieu ; car un des caractères de la bonté de Dieu, c’est de ne faire aucune acception de personne. Or la loi naturelle est de toutes les lois celle qui cadre le mieux avec ce caractère, car c’est d’elle que l’on peut vraiment dire que c’est la lumière que tout homme apporte au monde en naissant. § 7 Cette religion est la meilleure, qui s’accorde le mieux avec la justice de Dieu ; or la religion ou la loi naturelle, de toutes les religions, est celle qui s’accorde le mieux avec la justice. Les hommes présentés au tribunal de Dieu seront jugés par quelque loi ; or si Dieu juge les hommes par la loi naturelle, il ne fera injustice à aucun d’eux, puisqu’ils sont nés tous avec elle. Mais par quelque autre loi qu’il les juge, cette loi n’étant point universellement connue comme la loi naturelle, il y en aura parmi les hommes à qui il fera injustice. D’où il s’ensuit ou qu’il jugera chaque homme selon la loi qu’il aura sincèrement admise, ou que, s’il les juge tous par la même loi, ce ne peut être que par la loi naturelle qui également connue de tous, les a tous également obligés. | § 8
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Je dis d’ailleurs : il y a des hommes dont les lumières sont tellement bornées, que l’universalité des sentiments est la seule preuve qui soit à leur portée ; d’où il s’ensuit que la religion chrétienne n’est pas faite pour ces hommes-là, puisqu’elle n’a point pour elle cette preuve et que par conséquent ils sont, ou dispensés de suivre aucune religion, ou forcés de se jeter dans la religion naturelle dont tous les hommes admettent la bonté. § 9 Cicéron, dit l’auteur des Pensées philosophiques, ayant à prouver que les Romains étaient les peuples les plus belliqueux de la terre, tire adroitement cet aveu de la bouche de leurs rivaux. Gaulois, à qui le cédez-vous en courage, si vous le cédez à quelqu’un ? Aux Romains. Parthes, après vous, quels sont les hommes les plus courageux ? Les Romains. Africains, qui redouteriez-vous, si vous aviez à redouter quelqu’un ? Les Romains. Interrogeons à son exemple le reste des religionnaires, dit l’auteur des Pensées. Chinois, quelle religion serait la meilleure si ce n’était la vôtre ? La religion naturelle. Musulmans quel culte embrasseriez-vous si vous abjuriez Mahomet ? le naturalisme. Chrétiens, quelle est la vraie religion si ce n’est la chrétienne ? la religion des Juifs. Et vous Juifs quelle est la vraie religion si le judaïsme est faux ? Le naturalisme. Or ceux, continuent Cicéron et l’auteur des Pensées, à qui l’on accorde la seconde place d’un consentement unanime et qui ne cèdent la première à personne, méritent incontestablement celle-ci. |
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tengono chiaramente, o è chiaro che contengono una verità, ma sono oscure; da questo consegue che tutto ciò che si inferisce deve condividere la stessa oscurità; perché la conseguenza non può mai essere più luminosa del principio. § 6 Questa religione è la migliore, quella che si accorda meglio con la bontà di Dio. Ora, la religione naturale si accorda con la bontà di Dio; perché una delle caratteristiche della bontà di Dio, è di non fare alcuna eccezione a nessuno. Ora, la legge naturale è, tra tutte le leggi, quella che si accorda meglio con questa caratteristica, perché di essa si può veramente dire che è la luce che ogni uomo porta al mondo nascendo. § 7 Questa religione è la migliore, quella che si accorda meglio con la giustizia di Dio; ora la religione o la legge naturale, tra tutte le religioni, è quella che si accorda meglio con la giustizia. Quando gli uomini si presenteranno al tribunale di Dio saranno giudicati da qualche legge; ebbene, se Dio giudica gli uomini secondo la legge naturale, non farà ingiustizia a nessuno di essi, poiché tutti sono nati con essa. Tuttavia se li giudicasse secondo qualunque altra legge, questa legge non sarebbe universalmente riconosciuta come la legge naturale, e ci sarebbero alcuni uomini a cui egli farebbe un’ingiustizia. Da ciò consegue che giudicherà ciascun uomo seguendo la legge che questi avrà sinceramente riconosciuto, oppure che, se tutti sono giudicati secondo la stessa legge, non può che trattarsi della legge naturale che è conosciuta da tutti allo stesso modo, e a cui tutti sono egualmente sottoposti. § 8 Dico d’altronde: ci sono degli uomini i cui lumi sono talmente limitati, che l’universalità dei sentimenti è la sola prova che sia alla loro portata; da questo consegue che la religione cristiana non è adatta a questi uomini, perché non possiede affatto questa prova e, di conseguenza, essi sono dispensati dal seguire qualsiasi religione, o forzati a gettarsi nella religione naturale di cui tutti gli uomini ammettono la bontà. § 9 Cicerone, dice l’autore dei Pensieri filosofici,7 dovendo provare che i Romani erano i popoli più bellicosi8 della terra, trae abilmente quest’ammissione dalla bocca dei loro rivali. Galli, a chi arrendersi quanto a coraggio, se doveste arrendervi a qualcuno? Ai Romani. Parti, dopo di voi, quali sono gli uomini più coraggiosi? I Romani. Africani chi temereste se doveste temere qualcuno? I Romani. Interroghiamo, seguendo il suo esempio, il resto dei religionari,9 dice l’autore dei Pensieri. Cinesi, quale religione sarebbe la migliore se non lo fosse la vostra? La religione naturale. Musulmani quale culto abbraccereste se doveste abiurare Maometto? Il naturalismo.10 Cristiani quale sarebbe la vera religione se non fosse quella cristiana? La religione degli ebrei. E voi, ebrei, quale sarebbe la vera religione se l’ebraismo fosse falso? Il naturalismo. Dunque, continuano Cicerone e l’autore dei Pensieri, coloro a cui si accorda il secondo posto con consenso unanime e non cedendo il primo posto a nessuno, meritano incontestabilmente quest’ultimo.
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Cette religion est la plus sensée au jugement des êtres raisonnables, qui les traite le plus en êtres raisonnables, puisqu’elle ne leur propose rien à croire qui soit au-dessus de leur raison et qui n’y soit conforme. § 11 Cette religion doit être embrassée préférablement à toute autre, qui offre le plus de caractères divins ; or la religion naturelle est de toutes les religions celle qui offre le plus de caractères divins ; car il n’y a aucun caractère divin dans les autres cultes qui ne se reconnaisse dans la religion naturelle, et elle en a que les autres religions n’ont pas, l’immutabilité et l’universalité. § 12 Qu’est-ce qu’une grâce suffisante et universelle ? Celle qui est accordée à tous les hommes, avec laquelle ils peuvent toujours remplir leurs devoirs et les remplissent quelquefois. Que sera-ce qu’une religion suffisante, sinon la religion naturelle, cette religion donnée à tous les hommes, et avec laquelle ils peuvent toujours remplir leurs devoirs et les ont remplis quelquefois ? D’où il s’ensuit que non seulement la religion naturelle n’est pas insuffisante, mais qu’à proprement parler c’est la seule religion qui le soit ; et qu’il serait infiniment plus absurde de nier la nécessité d’une religion suffisante et universelle, que celle d’une grâce universelle et suffisante. Or, on ne peut nier la nécessité d’une grâce universelle et suffisante sans se précipiter dans des difficultés insurmontables, ni par conséquent celle d’une religion suffisante et universelle. Or la religion naturelle est la seule qui ait ce caractère. | § 13
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Si la religion naturelle est insuffisante de quelque façon que ce puisse être, il s’ensuivra de deux choses l’une, ou qu’elle n’a jamais été observée fidèlement par aucun homme qui n’en connaissait point d’autre ; ou que des hommes qui auraient fidèlement observé la seule loi qui leur était connue, auront été punis, ou qu’ils auront été récompensés. S’ils ont été récompensés, donc leur religion était suffisante, puisqu’elle a opéré le même effet que la religion chrétienne. Il est absurde qu’ils aient été punis, il est incroyable qu’aucuns n’aient été fidèles observateurs de leur loi. C’est renfermer toute probité dans un petit coin de terre, ou punir de fort honnêtes gens. § 14 De toutes les religions celle-là doit être préférée dont la vérité a plus de preuves pour elle et moins d’objections. Or la religion naturelle est dans ce cas ; car on ne fait aucune objection contre elle et tous les religionnaires s’accordent à en démontrer la vérité. § 15 Comment prouve-t-on son insuffisance ? 1° parce que cette insuffisance a été reconnue de tous les autres religionnaires, 2° parce que la connaissance du vrai et la pratique du bon a manqué aux plus sages naturalistes. Fausses preuves. Quant à la pre-
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§ 10 Questa religione è la più sensata secondo il giudizio degli esseri ragionevoli, poiché li tratta di più come esseri ragionevoli, non proponendo loro di credere nulla che sia al di sopra della ragione e non sia conforme a essa. § 11 Questa religione deve essere abbracciata, preferendola a ogni altra, che offra maggiori aspetti divini; ora la religione naturale è di tutte religioni quella che offre più aspetti divini; perché non c’è nessun aspetto divino in tutti gli altri culti che non si riconosca nella religione naturale, ed essa ne ha che le altre religioni non possiedono, l’immutabilità e l’universalità. § 12 Che cos’è una grazia sufficiente e universale? Quella che è accordata a tutti gli uomini, e con la quale essi possono sempre compiere i loro doveri e talvolta li compiono. Che cosa potrebbe essere una religione sufficiente, se non la religione naturale, quella religione data a tutti gli uomini, con la quale essi possono sempre compiere i loro doveri e talvolta li hanno compiuti? Da ciò consegue che, non solamente la religione naturale non è insufficiente, ma che, parlando in senso proprio, è la sola religione che lo sia; e sarebbe infinitamente più assurdo negare la necessità di una religione sufficiente e universale che negare una grazia universale e sufficiente. Ora, non si può negare la necessità di una grazia universale e sufficiente senza cadere in alcune difficoltà insormontabili, né di conseguenza quella di una religione sufficiente e universale. Ora la religione naturale è la sola che abbia questo carattere. § 13 Se la religione naturale è insufficiente, in qualunque modo possa esserlo, ne conseguiranno due cose, una è che non è mai stata osservata fedelmente da nessun uomo che non ne conoscesse nessun’altra; l’altra è che gli uomini che avessero osservato fedelmente la sola legge da loro conosciuta, sarebbero stati puniti, o sarebbero stati ricompensati. Se sono stati ricompensati, dunque la loro religione era sufficiente, poiché essa ha conseguito lo stesso effetto della religione cristiana. È assurdo che siano stati puniti, non è credibile che nessuno sia stato fedele osservatore della loro legge. Significherebbe rinchiudere ogni rettitudine in un piccolo angolo di terra, o punire delle persone molto oneste. § 14 Tra tutte le religioni dev’essere preferita quella che ha più prove a suo favore e meno obiezioni. Ebbene, è questo il caso della religione naturale; perché non si muove contro di essa nessuna obiezione e tutti i religionari11 concordano dimostrandone la verità. § 15 Come si prova la sua insufficienza? 1° perché questa insufficienza è stata riconosciuta da tutti gli altri religionari; 2° perché la conoscenza del vero e la pratica del buono sono mancate ai più saggi naturalisti.12 Prove false. Quanto al primo punto, se tutti i religio-
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mière partie, si tous les religionnaires se sont | accordés pour convenir de son insuffisance, apparemment que les naturalistes n’en sont pas. En ce cas le naturalisme retombe dans le cas de toutes les religions qui sont tenues pour les meilleures par chacun de ceux qui les professent et non par les autres. Quant à la seconde partie, il est constant que depuis la religion révélée nous n’en connaissons pas mieux Dieu ni nos devoirs. Dieu, parce que tous ses attributs intelligibles étaient découverts, et que les inintelligibles n’ajoutent rien à nos lumières ; nous-mêmes, puisque la connaissance de nousmêmes se rapportant toute à notre nature et à nos devoirs, nos devoirs se trouvent tous exposés dans les écrits des philosophes païens ; et notre nature est toujours inintelligible, puisque ce qu’on prétend nous apprendre de plus que la philosophie est contenu dans des propositions ou inintelligibles, ou absurdes quand on les entend, et qu’on ne conclut rien contre le naturalisme de conduite des naturalistes. Il est aussi facile que la religion naturelle soit bonne et que ses préceptes aient été mal observés, qu’il l’est que la religion chrétienne soit vraie, quoiqu’il y ait une infinité de mauvais chrétiens. § 16 Si Dieu ne devait aux hommes aucun moyen suffisant pour remplir leurs devoirs, au moins il ne lui était pas permis par sa nature de leur en fournir un mauvais. Or un moyen insuffisant est un mauvais moyen ; car le premier caractère distinctif d’un bon moyen c’est d’être suffisant. Mais si la religion naturelle était absolument suffisante avec la grâce ou lumière universelle pour soutenir un homme dans le chemin de la probité, qui estce qui m’assurera que cela n’est jamais arrivé ? D’ailleurs, la religion révélée ne sera plus que pour le mieux, et non pas de nécessité absolue ; et s’il est arrivé à un naturaliste de persister dans le bien, il aura infiniment mieux mérité que le chrétien, puisqu’ils auront fait l’un et l’autre la même chose, mais le naturaliste avec infiniment moins de secours. | § 17
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Mais je demande qu’on me dise sincèrement laquelle des deux religions est la plus facile à suivre, ou la religion naturelle ou la religion chrétienne : si c’est la religion naturelle, comme je crois qu’on n’en peut jamais douter, le christianisme n’est donc qu’un fardeau surajouté et n’est donc plus une grâce ; ce n’est donc qu’un moyen très difficile de faire ce qu’on pouvait faire facilement. Si l’on répond que c’est la loi chrétienne, voici comme j’argumente. Une loi est d’autant plus difficile à suivre que ses préceptes sont plus multipliés et plus rigides. Mais, dira-t-on, les secours pour les observer sont plus forts en comparaison des secours de la loi naturelle, que les préceptes de ces deux lois ne diffèrent par le nombre et la difficulté des préceptes. Mais, répondrai-je, qui est-ce qui a fait ce calcul et cette compensation ? Et n’allez pas me répondre que c’est JésusChrist et son Église ; car cette réponse n’est bonne que pour un chrétien et je ne le suis pas encore : il s’agit de me le rendre et ce ne sera pas apparemment par des solutions qui me supposent tel. Cherchez-en donc d’autres. § 18 Tout ce qui a commencé aura une fin, et tout ce qui n’a point eu de commencement ne finira point. Or le christianisme a commencé, or le judaïsme a commencé, or il n’y a pas une seule religion sur la terre dont la date ne soit connue, excepté la religion naturelle, donc elle seule ne finira point et toutes les autres passeront.
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nari si sono accordati per convenire della sua insufficienza, a quanto pare i naturalisti non concordano. In questo caso il naturalismo rientra tra tutte quelle religioni che sono considerate le migliori da ciascuno di coloro che le professano e non dagli altri. Quanto al secondo punto, è certo che a seguire la religione rivelata noi non conosciamo meglio né Dio né i nostri doveri. Dio, perché tutti gli attributi intellegibili erano già noti, e quelli intellegibili non aggiungono nulla ai nostri lumi; noi stessi, perché la conoscenza di noi stessi è tutta in relazione alla nostra natura e ai nostri doveri, i nostri doveri si trovano tutti esposti negli scritti dei filosofi pagani; e la nostra natura è sempre intellegibile, poiché quelle cose ulteriori che pretende di insegnarci la filosofia, sono contenute in proposizioni che sono incomprensibili, o assurde quando le comprendiamo, e non si conclude niente contro il naturalismo della condotta dei naturalisti. È altrettanto facile che la religione naturale sia buona e i suoi precetti siano stati osservati male, quanto che la religione cristiana sia vera, nonostante ci siano stati un’infinità di cattivi cristiani. § 16 Se Dio non era obbligato a fornire agli uomini alcun mezzo sufficiente per permettere loro di compiere i loro doveri, almeno non gli era permesso dalla sua natura fornirne di inadatti. Ora un mezzo insufficiente è un mezzo sbagliato; perché il primo aspetto che contraddistingue un buon mezzo è il fatto di essere sufficiente. Tuttavia, se la religione naturale era assolutamente sufficiente, con la grazia o i lumi universali, per sostenere un uomo lungo il cammino della rettitudine, chi mi assicurerà che questo sia mai successo? D’altra parte, la religione rivelata sarà solo per il meglio e non per necessità assoluta; e se è accaduto a un naturalista di persistere nel bene, avrà infinitamente più merito del cristiano perché entrambi avranno fatto la stessa cosa, ma il naturalista l’avrà fatta con un aiuto infinitamente minore. § 17 Ma chiedo che mi si dica sinceramente quale delle due religioni è più facile seguire, se la religione naturale o quella cristiana: se è la religione naturale, come credo non si possa dubitare, il cristianesimo dunque è solo un fardello aggiunto e, dunque, non è più una grazia; pertanto si tratta di un modo molto difficile per fare ciò che si poteva fare facilmente. Se si risponde che è la legge cristiana, ecco come argomento. È tanto più difficile seguire i precetti di una legge se essi sono più numerosi e più rigidi. Ma, si dirà, l’aiuto che si riceve per osservarli è maggiore rispetto agli aiuti che si ricevono dalla legge naturale, poiché i precetti di queste due leggi non differiscono per il numero e la difficoltà dei precetti. Ma, risponderò io, chi ha fatto questo calcolo e questa compensazione? E non rispondetemi che è Gesù Cristo e la sua Chiesa; perché questa risposta va bene solo per un cristiano e io non lo sono ancora: si tratta di rendermi tale e non avverrà grazie a delle soluzioni che mi suppongono già tale. Cercatene dunque delle altre. § 18 Tutto ciò che è iniziato avrà una fine, e tutto ciò che non ha avuto inizio non finirà. Ebbene, il cristianesimo è iniziato, l’ebraismo è iniziato, così non c’è una sola religione sulla terra la cui data di inizio non sia nota, eccetto la religione naturale, dunque essa è la sola che non finirà mai, mentre tutte le altre passeranno.
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§ 19 De deux religions, celle-là doit être préférée, qui est le plus évidemment de Dieu, et le moins évidemment des hommes. Or la loi naturelle est évidemment de Dieu et elle est infiniment plus évidemment de Dieu, qu’il n’est évident qu’aucune autre religion ne soit pas des hommes, car il n’y a point d’objection contre sa divinité, et elle n’a pas besoin de preuves, au lieu qu’on fait mille objections contre la divinité des autres et qu’elles ont besoin pour être admises d’une infinité de preuves. | § 20
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Cette religion est préférable qui est la plus analogue à la nature de Dieu ; or la loi naturelle est la plus analogue à la nature de Dieu. Il est de la nature de Dieu d’être incorruptible ; or l’incorruptibilité convient mieux à la loi naturelle qu’à aucune autre ; car les préceptes des autres lois sont écrits dans des livres sujets à tous les événements des choses humaines, à l’abolition, à la mésinterprétation, à l’obscurité etc. Mais la religion naturelle écrite dans le cœur y est à l’abri de toutes les vicissitudes et si elle a quelque révolution à craindre de la part des préjugés et des passions, ces inconvénients-là sont communs avec les autres cultes qui d’ailleurs sont exposés à des sources de changements qui leur sont particulières. § 21 Ou la religion naturelle est bonne, ou elle est mauvaise. Si elle est bonne, cela me suffit ; je n’en demande pas davantage : si elle est mauvaise, la vôtre pèche donc par les fondements. § 22
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S’il y avait quelque raison de préférer la religion chrétienne à la religion naturelle, c’est que celle-là nous offrirait sur la nature de Dieu et de l’homme des lumières qui nous manqueraient dans celle-ci : or il n’en est rien ; car le christianisme, au lieu d’éclaircir, donne lieu à une multitude infinie de ténèbres et de difficultés. Si l’on demande au naturaliste : Pourquoi l’homme souffre-t-il dans ce monde ? il répondra : Je n’en sais rien. Si l’on fait au chrétien, la même question, il répondra par une énigme ou par une absurdité. Lequel des deux vaut mieux de l’ignorance ou du mystère, ou plutôt la réponse des deux n’est-elle pas la même ? Pourquoi l’homme souffre-t-il en ce monde, c’est un mystère, dit le chrétien, c’est un mystère, dit le naturaliste : Car remarquez que la réponse du chrétien se résout enfin à cela. S’il dit : l’homme souffre, parce que son aïeul a péché, et que vous insistiez : et pourquoi le neveu répond-il de la sottise de son aïeul ? il dit, c’est un mystère ; Eh ! répliquerais-je au chrétien, que ne disiez-vous | d’abord comme moi : si l’homme souffre en ce monde, sans qu’il paraisse l’avoir mérité, c’est un mystère ? Ne voyez-vous pas que vous expliquez ce phénomène comme les Chinois expliquaient la suspension du monde dans les airs ? Chinois, qu’est-ce qui soutient le monde ? Un gros éléphant. Et l’éléphant, qui le soutient ? Une tortue. Et la tortue ? Je n’en sais rien. Eh ! mon ami, laisse là l’éléphant et la tortue et confesse d’abord ton ignorance.
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§ 19 Di due religioni deve essere preferita quella più chiaramente propria a Dio e meno manifestamente agli uomini. Così, la legge naturale è chiaramente di Dio; ed essa è infinitamente e più manifestamente di Dio di quanto non sia chiaro che nessun altra religione lo sia per gli uomini: perché non c’è alcuna obiezione contro la sua divinità, ed essa non ha bisogno di prove, mentre si muovono mille obiezioni contro la divinità delle altre ed esse hanno bisogno, per essere ammesse, di un’infinità di prove. § 20 È preferibile la religione più simile alla natura di Dio; ora la legge naturale è la più simile alla natura di Dio. Appartiene alla natura di Dio l’essere incorruttibile; ora l’incorruttibilità è più caratteristica della legge naturale di ogni altra legge; perché i precetti delle altre leggi sono scritti in libri soggetti a tutti gli accadimenti delle cose umane, all’abolizione, alla cattiva interpretazione, all’oscurità, ecc. Ma la religione naturale, scritta nel cuore, è al riparo da tutte le vicissitudini e se essa ha qualche rivoluzione da temere da parte dei pregiudizi e delle passioni, questi inconvenienti sono condivisi con gli altri culti, che d’altra parte sono esposti a delle fonti di cambiamento specifici per ciascuno di loro. § 21 O la religione naturale è buona, o è cattiva. Se è buona, questo è sufficiente; non chiedo altro: se è cattiva, la vostra pecca dunque nei fondamenti. § 22 Se c’era qualche ragione per preferire la religione cristiana alla religione naturale, era perché la prima ci offriva sulla natura di Dio e dell’uomo dei lumi che ci mancavano nella seconda: ora questo non è vero; perché il cristianesimo, invece di illuminare, crea una moltitudine infinita di tenebre e di difficoltà. Se si chiede al naturalista: Perché l’uomo soffre in questo mondo? Risponderà: Non lo so. Se si pone al cristiano la stessa domanda, risponderà con un enigma o un’assurdità.13 È preferibile l’ignoranza o il mistero? O piuttosto la risposta di entrambi è la stessa? Il motivo per cui l’uomo soffre in questo mondo è un mistero, risponde il cristiano, è un mistero, risponde il naturalista: Poiché bisogna osservare che la risposta del cristiano si risolve alla fine in questo. Se dice: l’uomo soffre perché il suo avo ha peccato e voi insistete: e perché il successore risponde della stupidità del suo avo? Egli dice, è un mistero. Eh! Replicherò io al cristiano perché non dite fin dall’inizio come me: se l’uomo soffre in questo mondo, senza che sembri averlo meritato, è un mistero? Non vedete che voi spiegate questo fenomeno come i Cinesi interpretavano la sospensione del mondo nell’aria? Cinesi, che cosa sostiene il mondo? Un grosso elefante, e chi sostiene l’elefante? Una tartaruga, e la tartaruga? Non lo so. Eh, amico mio, lascia perdere l’elefante e la tartaruga e ammetti fin dall’inizio la tua ignoranza.14
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§ 23 Cette religion est préférable à toutes les autres, qui ne peut faire que du bien et jamais de mal. Or, telle est la loi naturelle gravée dans le cœur de tous les hommes. Ils trouveront tous en eux-mêmes des dispositions à l’admettre, au lieu que les autres religions, fondées sur des principes étrangers à l’homme et, par conséquent, nécessairement obscurs pour la plupart d’entre eux, ne peuvent manquer d’exciter des dissensions. D’ailleurs il faut admettre ce que l’expérience confirme. Or, il est d’expérience que les religions prétendues révélées ont causé mille malheurs, armé les hommes les uns contre les autres et teint toutes les contrées de sang. Or la religion naturelle n’a pas coûté une larme au genre humain. § 24
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Il faut rejeter un système qui répand des doutes sur la bienveillance universelle et l’égalité constante de Dieu. Or, le système qui traite la religion naturelle d’insuffisante jette des doutes sur la bienveillance universelle et l’égalité constante de Dieu. Je ne vois plus qu’un être rempli d’affections bornées et versatile dans ses desseins ; restreignant ses bienfaits à un petit nombre de créatures, et improuvant dans un temps ce qu’il a commandé dans un autre : car si les hommes ne peuvent être sauvés sans la religion chrétienne, Dieu devient, envers ceux à qui il la refuse, un père aussi dur qu’une mère qui aurait privé ou qui priverait de son lait une partie de ses enfants. Si au contraire la religion naturelle suffit, tout rentre dans l’ordre, et je suis forcé | de concevoir les idées les plus sublimes de la bienveillance et de l’égalité de Dieu. § 25 Ne pourrait-on pas dire que toutes les religions du monde ne sont que des sectes de la religion naturelle, et que les juifs, les chrétiens, les musulmans, les païens mêmes ne sont que des naturalistes hérétiques et schismatiques ? § 26 Ne pourrait-on pas prétendre conséquemment que la religion naturelle est la seule vraiment subsistante ? Car prenez un religionnaire quel qu’il soit, interrogez-le, et bientôt vous vous apercevrez qu’entre les dogmes de sa religion il y en a quelques-uns ou qu’il croit moins que les autres ou même qu’il nie, sans compter une multitude, ou qu’il n’entend pas ou qu’il interprète à sa mode. Parlez à un second sectateur de la même religion, réitérez sur lui votre essai, et vous le trouverez exactement dans la même condition que son voisin, avec cette différence seule, que ce dont celui-ci ne doute aucunement et qu’il admet, c’est précisément ou ce que l’autre nie ou suspecte ; que ce qu’il n’entend pas, c’est ce que l’autre croit entendre très clairement ; que ce qui l’embarrasse, c’est ce sur quoi l’autre n’a pas la moindre difficulté, et qu’ils ne s’accordent pas davantage sur ce qu’ils jugent mériter ou non une interprétation. Cependant tous ces hommes s’attroupent aux pieds des mêmes autels ; on les croirait d’accord sur tout, et ils ne le sont presque sur rien. En sorte que si tous se sacrifiaient, réciproquement, les propositions sur lesquelles ils seraient en litige, ils se trouveraient presque naturalistes, et transportés, de leurs temples, dans ceux du déiste.
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§ 23 La religione secondo cui si può fare solo il bene e mai il male è preferibile a tutte le altre. Ebbene, questa è la legge naturale incisa nel cuore di tutti gli uomini, tutti troveranno in se stessi una disposizione ad ammetterla, mentre le altre religioni fondate su principi estranei all’uomo e, di conseguenza, necessariamente oscuri per la maggior parte di essi, non possono mancare di suscitare discordie. D’altra parte bisogna ammettere ciò che l’esperienza conferma. Ora, fa parte dell’esperienza che le religioni che si pretendono rivelate hanno causato mille sventure, armato gli uomini gli uni contro gli altri e tinto di sangue ogni paese. Ecco quindi la religione naturale non è costata una sola lacrima al genere umano.15 § 24 Bisogna rifiutare un sistema che diffonde i dubbi sulla benevolenza universale e sulla costante uniformità di Dio. Così, il sistema che tratta la religione naturale come insufficiente instilla dei dubbi sulla benevolenza universale e sull’uniformità costante di Dio. Non vedo altro che un essere pieno di affezioni limitate e mutevole nei suoi scopi; che limita i suoi benefici a un piccolo numero di creature, e che disapprova in un dato momento ciò che aveva ordinato in un altro: perché se gli uomini non possono essere salvati senza la religione cristiana, Dio diventa, verso quelli che la rifiutano, un padre tanto duro quanto lo sarebbe una madre che avesse privato o che privasse del suo latte alcuni dei suoi figli. Se al contrario la religione naturale è sufficiente, tutto rientra nell’ordine, e sono costretto a concepire le idee più sublimi della benevolenza e dell’eguaglianza di Dio. § 25 Non si potrebbe dire che tutte le religioni del mondo sono delle sette della religione naturale, e che gli ebrei, i cristiani, i musulmani, i pagani stessi sono solo dei naturalisti eretici e scismatici?16 § 26 Non si potrebbe sostenere coerentemente che la religione naturale sia la sola che sussiste davvero? Poiché se prendete un religionario qualunque e lo interrogate, presto vi accorgerete che tra i dogmi della sua religione ce ne sono alcuni in cui crede meno che in altri o che addirittura nega, senza contarne una gran quantità, che non comprende o che interpreta a modo suo. Parlate a un secondo seguace della stessa religione, ripetete la vostra prova con lui, e lo troverete esattamente nella stessa condizione del suo vicino, con l’unica differenza che ciò su cui non dubita minimamente e che ammette, è esattamente quello che l’altro nega o di cui sospetta; quello che non comprende, è ciò che l’altro crede di capire molto chiaramente; ciò che lo imbarazza è ciò su cui l’altro non ha la minima difficoltà e non si accordano meglio su ciò che giudicano meritevole o meno di interpretazione. Tuttavia, tutti questi uomini si assembrano ai piedi degli stessi altari; si crederebbe che siano d’accordo su tutto, e non lo sono quasi su niente. Tanto che se sacrificassero tutti, reciprocamente, le proposizioni sulle quali litigherebbero, si scoprirebbero quasi naturalisti, e trasportati dai loro templi a quelli del deista.17
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La vérité de la religion naturelle est à la vérité des autres religions comme le témoignage que je me rends à moi-même, est au témoignage que je reçois | d’autrui ; ce que je sens à ce qu’on me dit ; ce que je trouve écrit en moi-même du doigt de Dieu, et ce que les hommes vains et superstitieux et menteurs ont gravé sur la feuille ou sur le marbre ; ce que je porte en moi et rencontre le même partout, et ce qui est hors de moi et change avec les climats ; ce qui n’a point été sincèrement contredit, ne l’est point et ne le sera jamais ; et ce qui loin d’être admis et de l’avoir été, ou n’a point été connu, ou a cessé de l’être, ou ne l’est point, ou bien est rejeté comme faux ; ce que ni le temps ni les hommes n’ont point aboli et n’aboliront jamais et ce qui passe comme l’ombre ; ce qui rapproche l’homme civilisé et le barbare, le chrétien, l’infidèle et le païen, l’adorateur de Jéhova, de Jupiter et de Dieu ; le philosophe et le peuple, le savant et l’ignorant, le vieillard et l’enfant, le sage même et l’insensé, et ce qui éloigne le père du fils, arme l’homme contre l’homme, expose le savant et le sage à la haine et à la persécution de l’ignorant et de l’enthousiaste, et arrose de temps en temps la terre du sang d’eux tous ; ce qui est tenu pour saint, auguste et sacré par tous les peuples de la terre, et ce qui est maudit par tous les peuples de la terre, un seul excepté ; ce qui a fait élever vers le ciel de toutes les régions du monde l’hymne, la louange et le cantique, et ce qui a enfanté l’anathème, l’impiété, les exécrations et le blasphème ; ce qui me peint l’univers comme une seule et unique immense famille dont Dieu est le premier père, et ce qui me représente les hommes divisés par poignées, et possédés par une foule de démons farouches et malfaisants, qui leur mettent le poignard dans la main droite, et la torche dans la main gauche, et qui les animent aux meurtres, aux ravages et à la destruction. Les siècles à venir continueront d’embellir l’un de ces tableaux des plus belles couleurs ; l’autre continuera de s’obscurcir par les ombres les plus noires. Tandis que les cultes humains continueront de se déshonorer dans l’esprit des hommes par leurs extravagances et leurs crimes, la religion naturelle se couronnera d’un nouvel éclat, et peut-être fixera-t-elle enfin les regards de tous les hommes et les ramènera-t-elle à ses pieds. C’est alors qu’ils ne formeront qu’une société, qu’ils banniront d’entre eux ces lois bizarres qui semblent | n’avoir été imaginées que pour les rendre méchants et coupables ; qu’ils n’écouteront plus que la voix de la nature, et qu’ils recommenceront enfin d’être vertueux. Ô mortels ! comment avez-vous fait pour vous rendre aussi malheureux que vous l’êtes ? Que je vous plains et que je vous aime ! La commisération et la tendresse m’ont entraîné, je le sens bien, et je vous ai promis un bonheur auquel vous avez renoncé et qui vous a fuis pour jamais.
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§ 27 La verità della religione naturale sta alla verità delle altre religioni, come la testimonianza che rendo a me stesso sta alla testimonianza che ricevo da qualcun altro; come quello che sento sta a quello che mi viene detto; ciò che trovo scritto in me stesso dal dito di Dio, e quello che gli uomini vani e superstiziosi e mentitori hanno inciso sulla carta o sul marmo; ciò che porto in me e ritrovo uguale ovunque e ciò che è fuori di me e cambia con i climi; ciò che non è stato sinceramente contraddetto, non lo è, e non lo sarà mai; e ciò che lungi dall’essere ammesso e dall’esserlo stato, non è stato per nulla conosciuto o ha smesso di esserlo, o non lo è affatto, o viene respinto come falso; quello che né il tempo né gli uomini hanno abolito e che non aboliranno mai e ciò che passa come l’ombra; ciò che accomuna l’uomo civilizzato e il barbaro, il cristiano, l’infedele e il pagano; l’adoratore di Jehovah, di Giove e di Dio; il filosofo e il popolo, l’erudito e l’ignorante, il vecchio e il bambino, il saggio stesso e l’insensato; e quello che allontana il padre dal figlio, arma l’uomo contro l’uomo, espone il sapiente e il saggio all’odio e alla persecuzione dell’ignorante e dell’entusiasta, e di tanto in tanto inonda la terra del sangue di tutti; ciò che è ritenuto santo, augusto e sacro da tutti i popoli della terra, e ciò che è maledetto da tutti i popoli della terra eccetto uno; ciò che ha fatto elevare al cielo di ogni regione del mondo l’inno, la lode e il cantico, e ciò che ha generato l’anatema, l’empietà, le maledizioni e la blasfemia; ciò che mi raffigura l’universo come una sola e unica famiglia di cui Dio è il padre originario, e ciò che mi raffigura gli uomini divisi in manipoli e posseduti da una folla di demoni feroci e malvagi, che mettono loro il pugnale nella mano destra e la torcia nella mano sinistra, e che animano gli assassinii, le devastazioni e la distruzione. I secoli a venire continueranno ad abbellire uno di questi quadri con i colori più belli, l’altro continuerà a oscurarsi con le ombre più nere. Fintanto che i culti umani continueranno a disonorarsi nello spirito degli uomini con le loro stravaganze e i loro crimini, la religione naturale si coronerà di un nuovo lustro e forse alla fine attrarrà gli sguardi di tutti gli uomini e li condurrà ai suoi piedi. Allora formeranno una sola società, bandiranno le leggi bizzarre che sembrano essere state immaginate solo per renderli malvagi e colpevoli; ascolteranno solo la voce della natura e alla fine ricominceranno a essere semplici e virtuosi. Oh mortali! Come avete fatto a diventare infelici quanto lo siete ora? Piango per voi e vi amo! Mi sono lasciato trascinare dalla commiserazione e dalla tenerezza, lo vedo bene, e vi ho promesso una felicità alla quale voi avete rinunciato e che vi è sfuggita per sempre.
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Lettre sur les aveugles a l’usage de ceux qui voient
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Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono
(1749)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
Scritta nel 1749 nella Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono ritornano alcuni dei temi già affrontati nei Pensieri filosofici, tuttavia la posizione filosofica di Diderot viene esposta in modo molto più articolato e approfondito. Nonostante le precauzioni adottate, come la falsa indicazione del luogo di pubblicazione e l’anonimato dell’autore, la Lettera sui ciechi fu uno dei motivi principali dell’arresto avvenuto il 24 luglio del 1749. Rinchiuso nel castello di Vincennes, il filosofo fu rilasciato il successivo 3 novembre, grazie all’intercessione degli editori dell’Encyclopédie, con i quali aveva già firmato un contratto, e alla promessa di non scrivere più nulla che avesse a che fare con la religione e la politica. L’opera, scritta in forma epistolare, prende le mosse da una questione che fu centrale per l’illuminismo, nota come «problema di Molyneux».1 Esposto per la prima volta in una lettera del 1688 indirizzata a John Locke, il quesito era poi stato riformulato da Molyneux nel 1690 all’interno della Dioptrica Nova dove l’autore si chiedeva se un cieco, capace di distinguere al tatto una sfera e un cubo dello stesso metallo, sarebbe stato in grado di riconoscerli dopo aver recuperato la vista. Come ha osservato Ernst Cassirer nel «problema di Molyneux» si intersecavano la teoria della conoscenza e la psicologia del XVIII secolo,2 ragion per cui i più grandi pensatori dell’epoca si cimentarono nel tentativo di trovare una soluzione. Molyneux, in effetti, intendeva interrogarsi sulla conoscenza, cercando di comprendere se le esperienze fatte attraverso un senso fossero sufficienti per costruire un dominio di contenuti qualitativamente diverso rispetto alle conoscenze acquisite tramite un altro senso, e se esistesse un nesso interiore che rendesse possibile il passaggio da un campo all’altro del sapere, nel caso specifico dal tatto alla vista.3 Berkeley, nel Saggio su una nuova teoria della visione, aveva preso le distanze dalla teoria della visione come rifrazione esposta da Cartesio nella Diottrica, respingendo la possibilità da questi delineata di risolvere i problemi posti dalle diverse sensazioni grazie al linguaggio universale della matematica. Secondo Berkeley la percezione visiva e la percezione tattile avevano due linguaggi reciprocamente intraducibili, perché ontologicamente differenti. Una delle premesse del suo immaterialismo consisteva, infatti, proprio nell’affermazione dell’arbitrarietà di qualunque rapporto fra ciò che si vede e ciò che si tocca, poiché egli negava l’esistenza di qualunque contenuto materiale comune. Su questo si fonda la sua conclusione a proposito del problema posto da Molyneux, cioè che un cieco che avesse recuperato la vista non sarebbe in grado di distinguere la sfera dal cubo. Soprattutto, però, occorre ricordare la posizione di Locke 4 espressa nel Saggio 1 M. Chottin, Le Partage de l’empirisme. Une histoire du problème de Molyneux aux XVIIe et XVIIIe siècles, Honoré Champion, Paris 2014. 2 E. Cassirer, Die Philosophie der Aufklärung, tr. it. La filosofia dell’illuminismo, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp. 157-158. Si ricorda che il problema era stato minuziosamente discusso anche da Voltaire negli Elementi della filosofia di Newton (1738). 3 Cf. Ivi. 4 Si ricorda che le idee di Locke si erano diffuse in Francia grazie alla traduzione del Saggio sull’intelletto umano da parte di Pierre Coste pubblicata nel 1700.
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lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono
sull’intelletto umano e ripresa in Francia da Condillac nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane (1746). Secondo Locke, la conoscenza è frutto della combinazione delle idee complesse, le quali si costruiscono grazie alla combinazione delle idee semplici che derivano tutte dall’esperienza, egli negava, infatti, l’esistenza di idee innate. A partire da questi fondamenti il problema di Molyneux veniva risolto da Locke affermando che per il cieco probabilmente sarebbe stato impossibile stabilire quale dei due oggetti coincidesse con il cubo e quale con la sfera. La corrispondenza tra le sensazioni dateci dal tatto e quelle che ci fornisce la vista si acquisisce tramite l’esperienza. Per comprendere questa risposta si deve tener conto del fatto che, sebbene secondo Locke le figure fossero idee semplici, dunque immediatamente riconoscibili, la percezione visiva del cubo e della sfera è dapprima la sensazione di una luminosità e di un colore, interpretata come figura dall’intelletto solo in un secondo momento.5 Diderot nella Lettera sui ciechi non affronta direttamente il problema su un piano speculativo, ma premettendo l’importanza di alcune esperienze mediche e scientifiche, scelta non casuale per un pensatore materialista. In particolare la Lettera prende le mosse dai nuovi metodi di operazione di cataratta che permettevano ai ciechi di recuperare la vista. Dopo i risultati ottenuti tramite l’abbassamento della cataratta da parte del chirurgo inglese Cheselden nel 1728, il medico prussiano Hilmer era riuscito a mettere a punto un nuovo metodo, più sicuro e più efficace per rimuoverla. In Francia, il dottor Réaumur, membro dell’Académie des Sciences, dava dimostrazioni di queste operazioni aperte a un pubblico ristretto. Poiché era impossibile che un cieco tornasse a vedere immediatamente dopo l’operazione, questa veniva svolta in un momento antecedente alla dimostrazione pubblica, con il risultato, messo in evidenza da Diderot, che lo spettacolo offerto al pubblico era una vera e propria messa in scena. Uno di questi eventi più mondani (e ciarlataneschi) che scientifici è il punto di partenza per discutere il complesso problema posto da Molyneux. Diderot inframezza la sua argomentazione con numerose digressioni, funzionali alla dimostrazione della tesi secondo cui la conoscenza non è data da un’illuminazione immediata, ma è semmai il risultato di un processo, anzi, come per i ciechi, di un procedere a tentoni (espressione cara a Montaigne), cioè per prove ed errori. Il filosofo discute qui delle questioni che poi riprenderà anche nei Pensieri sull’interpretazione della natura: la filosofia e la scienza avanzano anche attraverso l’immaginazione ovvero per formulazioni ipotetiche, talvolta tramite lo smarrimento, comprendendo nel suo processo di ricerca numerosi sbagli e tentativi infruttuosi. L’erranza del lettore, costretto a perdere continuamente il filo per seguire le digressioni e, di conseguenza, a sforzarsi di ricostruire i nessi logici che reggono il discorso, corrisponde alla necessità del filosofo (e dello scienziato) di spostare continuamente lo sguardo e valutare lo stesso problema da diverse prospettive. Siffatti aspetti stilistico-metodologici corrispondono all’«anatomia metafisica» che trova la sua prima elaborazione proprio in questa Lettera (benché non manchino elementi precursori nelle opere precedenti, in particolare nei Gioielli indiscreti): la nostra morale e la nostra metafisica non dipendono da principi trascendenti, ma sono strettamente connesse con la nostra organizzazione. Questo spiega le minuziose descrizioni della vita e delle abitudini del cieco di Puiseux, ma anche della matematica tattile di Saunderson. Esistono delle conoscenze astratte che possiamo condividere indipendentemente dallo stato dei nostri organi, la geometria per esempio o i rapporti matematici, tuttavia, in contrapposizione a Cartesio, ma anche alla 5
C. Duflo, Diderot philosophe, Honoré Champion, Paris 2013, pp. 124-126.
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tradizione newtoniana, Diderot riteneva che non fosse sufficiente studiare i rapporti matematici per conoscere la natura e che tutte le altre conoscenze, in quanto mediate dai nostri organi di senso, derivano in maniera determinante dal nostro modo di farne esperienza. Oltre alle conseguenze gnoseologiche esposte nella Lettera sui ciechi, questa posizione ha anche delle implicazioni importanti sul piano dei principi morali. Sempre nella Lettera, infatti, Diderot si sofferma sulle implicazioni morali delle sue tesi materialiste, che poi riprenderà qualche anno dopo nella Lettera a Landois e successivamente in molte altre sue opere, dai racconti ai dialoghi. Già qui però si può osservare la condivisione della dottrina empirista secondo cui le idee morali dipendono, anche più delle idee astratte, dall’esperienza quando afferma che «lo stato dei nostri organi e dei nostri sensi influenza considerevolmente la nostra metafisica e la nostra morale».6 Accanto a tutti questi aspetti, non va dimenticata una parte fondamentale della narrazione della visione di Saunderson, che costituisce una vera e propria ipotesi cosmogonica, espressione di una posizione molto originale del filosofo rispetto al materialismo settecentesco,7 è anche possibile ritrovare in essa numerosi elementi della tradizione epicurea, in particolare tratti dal De rerum natura di Lucrezio. Il cosmo delineato da Diderot va oltre le rigide strutture matematiche del modello newtoniano ancora presenti, per esempio, in Condillac; il suo universo si presenta in costante evoluzione, caratterizzato dal vitalismo e dal trasformismo delle forme e delle norme, che nel Sogno di D’Alembert sarà definito come «fermentazione universale». Questa «visione» corrispondeva a una concezione puramente scientifica e sperimentale della natura, proprio per questo viene esposta da un cieco. Saunderson, ateo privo della vista, non poteva essere condotto alla via della religione grazie allo spettacolo del mondo, la natura infatti non era più per lui una prova dell’esistenza di Dio. La natura però per Diderot, è da intendersi come norma di riferimento, come risulta già da queste pagine e sarà sempre più chiaro nelle sue opere successive: i tratti fondamentali di unità, concatenazione e continua trasformazione dei fenomeni, sono principi qui enunciati che matureranno poi nel secolo successivo nelle idee dello storicismo e dell’evoluzionismo.8
Nota al testo La nostra traduzione si basa sul testo francese stabilito da Robert Niklaus con commento di R. Niklaus e Yvon Belaval per l’edizione DPV (vol. IV, pp 15-76), inoltre sono state di fondamentale riferimento per il notevole apparato critico di cui si è tenuto conto l’edizione a cura di Michel Delon (OP, pp. 129-198) e l’edizione curata da Marian Hobson e Simon Harvey (Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient. Lettre sur les sourds et muets à l’usage de ceux qui entendent et qui parlent, Flammarion, Paris 2000, pp. 27-86). Si è tenuto conto della traduzione di Paolo Rossi contenuta all’interno del volume di Opere filosofiche (Milano, Feltrinelli, 19631, 1981, pp. 63-109). Si ricorda anche l’importanza della traduzione commentata e annotata di Mirella Brini Savorelli (Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono, La Nuova Italia, Scandicci 1999). 6 Sul tema si veda C. Duflo (a cura di), Lumières, matérialisme et morale. Autour de Diderot, Publications de la Sorbonne, Paris 2016, in particolare J.-C. Bourdin, Diderot, la morale et les limites de la philosophie. Quatre études, pp. 221-289. 7 F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, p. 129. 8 P. Casini, Diderot philosophe, Laterza, Bari, 1962, p. 237. M. Chottin, Le Partage de l’empirisme. Une histoire du problème de Molyneux aux XVIIe et XVIIIe siècles, Honoré Champion, Paris 2014.
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Lettre sur les aveugles, à l’usage de ceux qui voient. [DPV, IV, 17-107]
Possunt, nec posse videntur. Virg.1
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Lettera sui ciechi, a uso di coloro che vedono Possunt, nec posse videntur. Virg.1
Virgilio, Eneide, V, v. 231.
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Je me doutais bien, Madame, que l’aveugle-née, à qui M. de Réaumur vient de faire abattre la cataracte, ne nous apprendrait pas ce que vous vouliez savoir ; mais je n’avais garde de deviner que ce ne serait ni sa faute, ni la vôtre. J’ai sollicité son bienfaiteur par moi-même, par ses meilleurs amis, par les compliments que je lui ai faits ; nous n’en avons rien obtenu, et le premier appareil se lèvera sans vous. Des personnes de la première distinction ont eu l’honneur de partager son refus avec les philosophes ; en un mot, il n’a voulu laisser tomber le voile que devant quelques yeux sans conséquence. Si vous êtes curieuse de savoir pourquoi cet habile académicien fait si secrètement des expériences, qui ne peuvent avoir, selon vous, un trop grand nombre de témoins éclairés, je vous répondrai que les observations d’un homme aussi célèbre, ont moins besoin de spectateurs, quand elles se font ; que d’auditeurs, quand elles sont faites. Je suis donc revenu, Madame, à mon premier dessein ; et forcé de me passer d’une expérience, où je ne voyais guère à gagner pour mon instruction ni pour la vôtre ; mais dont M. de Réaumur tirera sans doute un bien meilleur parti ; je me suis mis à philosopher avec mes amis, sur la matière | importante qu’elle a pour objet. Que je serais heureux, si le récit d’un de nos entretiens pouvait me tenir lieu auprès de vous du spectacle que je vous avais trop légèrement promis ! Le jour même que le Prussien faisait l’opération de la cataracte à la fille de Simoneau, nous allâmes interroger l’aveugle-né du PuisauxA : c’est un homme qui ne manque pas de bon sens ; que beaucoup de personnes connaissent ; qui sait un peu de chimie, et qui a suivi, avec quelques succès, les cours de botanique au Jardin du Roi. Il est né d’un père qui a professé avec applaudissement la philosophie dans l’université de Paris. Il jouissait d’une fortune honnête, avec laquelle il eût aisément satisfait les sens qui lui restent ; mais le goût du plaisir l’entraîna dans sa jeunesse ; on abusa de ses penchants ; ses affaires domestiques se dérangèrent, et il s’est retiré dans une petite ville de province, d’où il fait tous les ans un voyage à Paris. Il y apporte des liqueurs qu’il distille, et dont on est très content. Voilà, Madame, des circonstances assez peu philosophiques, mais, par cette raison même plus propres à vous faire juger, que le personnage dont je vous entretiens n’est point imaginaire. Nous arrivâmes chez notre aveugle sur les cinq heures du soir, et nous le trouvâmes occupé à faire lire son fils avec des caractères en relief : il n’y avait pas plus d’une heure qu’il était levé ; car vous saurez que la journée commence pour lui, quand elle finit pour nous. Sa coutume est de vaquer à ses affaires domestiques, et de travailler pendant que les autres reposent. À minuit, rien ne le gêne, et il n’est incommode à personne. Son | premier soin est de mettre en place tout ce qu’on a déplacé pendant le jour ; et quand sa femme s’éveille, elle trouve ordinairement la maison rangée. La difficulté qu’ont les aveugles à recouvrer les choses égarées, les rend amis de l’ordre ; je me suis aperçu que ceux qui les approchaient familièrement, partageaient cette qualité, soit A
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Petite ville du Gatinois
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Dubitavo, signora,2 che la cieca dalla nascita, operata di cataratta da M. de Réaumur, avrebbe potuto spiegarvi ciò che volevate conoscere; ma sapevo bene che non sarebbe stata né colpa sua, né vostra. Io stesso ho sollecitato il suo benefattore, tramite i miei migliori amici, e i complimenti che gli ho rivolto; non siamo riusciti a ottenere nulla, e la prima medicazione sarà tolta senza di voi. Alcune personalità di primo rango hanno avuto l’onore di condividere il suo rifiuto con i filosofi: in una parola, non ha voluto lasciar cadere il velo davanti a occhi senza importanza.3 Se siete curiosa di sapere perché quest’abile accademico faccia così segretamente degli esperimenti che non possono avere, secondo voi, un numero troppo grande di testimoni illuminati, vi risponderò che le osservazioni di un uomo tanto celebre hanno più bisogno di ascoltatori dopo che sono state fatte, che di spettatori mentre vengono compiute. Sono quindi tornato, signora, alla mia prima idea; e costretto a privarmi di un esperimento da cui non potevo trarre nulla né per la mia istruzione né per la vostra, ma da cui il dottor Réaumur trarrà sicuramente miglior partito, mi sono messo a filosofare con i miei amici, sulla materia importante che ne costituisce l’oggetto. Sarei davvero felice se il testo di una delle nostre conversazioni potesse sostituire per voi lo spettacolo che vi avevo promesso con troppa leggerezza! Il giorno stesso in cui il Prussiano operava alla cataratta la figlia di Simoneau, andammo a interrogare il cieco dalla nascita di Puiseaux:A è un uomo non privo di buonsenso, conosciuto da molte persone, che sa un po’ di chimica e che ha seguito con buoni risultati i corsi di botanica al Giardino Reale.4 Suo padre ha insegnato filosofia con una certa notorietà all’università di Parigi. Avrebbe potuto godere di una discreta fortuna, con la quale soddisfare facilmente i sensi che gli restano; ma si è fatto trascinare dal gusto del piacere durante la giovinezza, alcuni hanno approfittato delle sue inclinazioni, i suoi affari domestici si sono guastati ed egli si è ritirato in una piccola città di provincia, da cui parte ogni anno per fare un viaggio a Parigi. Porta dei liquori che distilla lui stesso e che sono molto apprezzati. Ecco, signora, le circostanze assai poco filosofiche, ma per questa ragione anche più adatte a farvi giudicare che il personaggio di cui vi parlo non è per nulla immaginario. Siamo arrivati dal nostro cieco verso le cinque del pomeriggio e lo abbiamo trovato occupato a far leggere suo figlio con dei caratteri a rilievo:5 si era alzato da meno di un’ora, perché, come saprete, la giornata per lui comincia quando finisce per noi.6 Ha l’abitudine di occuparsi delle faccende domestiche da sé e di lavorare mentre gli altri riposano. A mezzanotte, niente lo disturba, e lui non infastidisce nessuno. La sua prima preoccupazione è di rimettere a posto tutto ciò che è stato spostato durante il giorno. Così quando sua moglie si sveglia trova di solito tutta la casa riordinata. La difficoltà che i ciechi incontrano a ricollocare le cose smarrite, li rende amici dell’ordine; e mi sono reso conto del fatto che chi ha dimestichezza con loro, condivide questa dote, sia A
Piccola città del Gâtinais.
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par un effet du bon exemple qu’ils donnent, soit par un sentiment d’humanité qu’on a pour eux. Que les aveugles seraient malheureux sans les petites attentions de ceux qui les environnent ! nous-mêmes, que nous serions à plaindre sans elles ! Les grands services sont comme de grosses pièces d’or ou d’argent qu’on a rarement occasion d’employer ; mais les petites attentions sont une monnaie courante qu’on a toujours à la main. Notre aveugle juge fort bien des symétries. La symétrie, qui est peut-être une affaire de pure convention entre nous, est certainement telle, à beaucoup d’égards, entre un aveugle et ceux qui voient. A force d’étudier par le tact la disposition que nous exigeons entre les parties qui composent un tout, pour l’appeler beau, un aveugle parvient à faire une juste application de ce terme. Mais quand il dit, cela est beau, il ne juge pas, il rapporte seulement le jugement de ceux qui voient : et que font autre chose les trois quarts de ceux qui décident d’une pièce de théâtre, après l’avoir entendue, ou d’un livre, après l’avoir lu ? La beauté, pour un aveugle, n’est qu’un mot, quand elle est séparée de l’utilité ; et avec un organe de moins, combien de choses dont l’utilité lui échappe ? Les aveugles ne sont-ils pas bien à plaindre de n’estimer beau que ce qui est bon ! combien de choses admirables perdues pour eux ! Le seul bien qui les dédommage de cette perte, c’est d’avoir des idées du beau, à la vérité moins étendues, mais plus nettes que des philosophes clairvoyants qui en ont traité fort au long. | Le nôtre parle de miroir à tout moment. Vous croyez bien qu’il ne sait ce que veut dire le mot miroir ; cependant il ne mettra jamais une glace à contre-jour. Il s’exprime aussi sensément que nous, sur les qualités et les défauts de l’organe qui lui manque : s’il n’attache aucune idée aux termes qu’il emploie, il a du moins sur la plupart des autres hommes l’avantage de ne les prononcer jamais mal à propos. Il discourt si bien et si juste de tant de choses qui lui sont absolument inconnues, que son commerce ôterait beaucoup de force à cette induction que nous faisons tous, sans savoir pourquoi, de ce qui se passe en nous, à ce qui se passe au‑dedans des autres. Je lui demandai ce qu’il entendait par un miroir ; « une machine, me répondit-il, qui met les choses en relief loin, d’elles-mêmes, si elles se trouvent placées convenablement par rapport à elle. C’est comme ma main, qu’il ne faut pas que je pose à côté d’un objet pour le sentir. » Descartes aveugle-né, aurait dû, ce me semble, s’applaudir d’une pareille définition. En effet, considérez, je vous prie, la finesse avec laquelle il a fallu combiner certaines idées pour y parvenir. Notre aveugle n’a de connaissance des objets que par le toucher. Il sait, sur le rapport des autres hommes, que par le moyen de la vue on connaît les objets, comme ils lui sont connus par le toucher ; du moins, c’est la seule notion qu’il s’en puisse former. Il sait, de plus, qu’on ne peut voir son propre visage, quoiqu’on puisse le toucher. La vue, doit-il conclure, est donc une espèce de toucher, qui ne s’étend que sur les objets différents de notre visage, et éloignés de nous. D’ailleurs, le toucher ne lui donne l’idée que du relief. Donc, ajoute-t-il, un miroir est une machine qui nous met en relief hors de nous-mêmes. Combien de philosophes renommés ont employé moins de subtilité pour arriver à des notions aussi fausses ? mais combien un miroir doit-il être surprenant pour notre aveugle ? Combien son étonnement dut-il augmenter, quand nous lui apprîmes qu’il y a de ces sortes de machines qui agrandissent les objets ; qu’il y en a d’autres qui, sans les doubler, les déplacent, les rapprochent, les éloignent, les font apercevoir, en dévoilent les plus petites parties aux yeux des naturalistes ; qu’il y en a qui les multiplient | par milliers ; qu’il y en a enfin qui paraissent les défigurer totalement. Il nous fit cent questions bizarres sur ces phénomènes. Il nous
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per dare il buon esempio, sia per un sentimento di umanità verso di loro. Come sarebbero infelici i ciechi senza le piccole attenzioni di coloro che li circondano! E quanto saremmo da compatire anche noi se ne fossimo privi! I grandi favori sono come delle grosse monete d’oro o d’argento che abbiamo raramente occasione di spendere; ma le piccole attenzioni sono come gli spiccioli che abbiamo sempre in mano. Il nostro cieco giudica molto bene le simmetrie.7 La simmetria che è forse una questione di pura convenzione tra noi, ed è certamente tale sotto molti aspetti, tra un cieco e chi vede. A forza di studiare con il tatto la disposizione che esigiamo tra le parti che compongono un tutto per definirlo bello, un cieco perviene a fare una giusta applicazione di questo termine.8 Tuttavia, quando dice, questo è bello, non giudica, riporta solo il giudizio di quelli che vedono: e cosa fanno tre quarti di coloro che danno un giudizio su una pièce teatrale dopo avervi assistito, o su un libro, dopo averlo letto? Quando la bellezza è separata dall’utilità, per un cieco è solo una parola; e con un organo in meno, quante sono le cose la cui utilità gli sfugge!9 I ciechi non sono da compatire se considerano bello ciò che è buono? quante cose meravigliose si perdono! L’unico bene che li ricompensa di questa perdita, è di avere delle idee sul bello, per la verità meno estese, ma più esatte di quelle dei filosofi vedenti che se ne sono occupati a lungo.10 Il nostro parla sempre di specchi. Voi ovviamente credete che non sappia che cosa vuol dire la parola «specchio», nonostante ciò egli non disporrà mai una specchiera in controluce. Si esprime sensatamente quanto noi sulle qualità e i difetti dell’organo che gli manca: se non attribuisce alcuna idea ai termini che impiega, almeno ha il vantaggio, rispetto alla maggior parte degli uomini, di non pronunciarsi mai a sproposito. Discorre così bene e così giustamente di tante cose che per lui sono assolutamente sconosciute, che il contatto frequente con lui toglierebbe molta forza al procedimento che facciamo tutti, senza sapere perché, di indurre da ciò che accade nella nostra interiorità, ciò che avviene negli altri. Gli chiesi cosa intendesse per specchio e mi rispose: «Una macchina che mette in rilievo le cose lontane dalla posizione in cui si trovano, se esse si trovano in una posizione conveniente in rapporto a essa. Vale lo stesso per la mia mano: non occorre che io la posi vicino a un oggetto per percepirlo».11 Credo che a Cartesio, cieco dalla nascita, sarebbe piaciuta una definizione come questa.12 Considerate, infatti, vi prego, la finezza necessaria a combinare certe idee per arrivare a tale spiegazione. Il nostro cieco conosce gli oggetti solo attraverso il tatto. Egli sa, sulla base di quello che gli hanno detto gli altri uomini, che per mezzo della vista si conoscono gli oggetti, come lui li percepisce attraverso il tatto, o per lo meno, essa è la sola nozione che egli possa formarsi. Inoltre sa che non è possibile vedere il proprio viso, anche se si può toccarlo. Deve averne dedotto che la vista è una specie di tatto che si estende solo su oggetti diversi dal nostro viso e lontani da noi. D’altra parte il tatto non gli fornisce unicamente l’idea del rilievo. Dunque, egli sostiene che lo specchio è una macchina che ci mette in rilievo al di fuori di noi stessi. Quanti filosofi rinomati con meno acume sono arrivati a nozioni altrettanto false? Ma quanto dev’essere sorprendente uno specchio per il nostro cieco? Quanto dovette aumentare il suo stupore, quando apprese che ci sono macchine che ingrandiscono gli oggetti; che ce ne sono altre che, senza duplicarli, li spostano, li avvicinano, li allontanano, li fanno percepire svelando le più piccole parti agli occhi dei naturalisti; che ci sono macchine che li moltiplicano per migliaia di volte e ce ne sono, infine, che sembrano deformarli totalmente. Ci pose molte domande strane su questi
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demanda, par exemple, s’il n’y avait que ceux qu’on appelle naturalistes qui vissent avec le microscope, et si les astronomes étaient les seuls qui vissent avec le télescope ; si la machine qui grossit les objets était plus grosse que celle qui les rapetisse ; si celle qui les rapproche était plus courte que celle qui les éloigne ; et ne comprenant point comment cet autre nous-même que, selon lui, le miroir répète en relief, échappe au sens du toucher. « Voilà, disait-il, deux sens qu’une petite machine met en contradiction : une machine plus parfaite les mettrait peut-être plus d’accord, sans que, pour cela, les objets en fussent plus réels ; peut-être une troisième plus parfaite encore et moins perfide, les ferait disparaître, et nous avertirait de l’erreur. » Et qu’est-ce à votre avis que des yeux, lui dit M. de... « C’est, lui répondit l’aveugle, un organe sur lequel l’air fait l’effet de mon bâton sur ma main. » Cette réponse nous fit tomber des nues, et tandis que nous nous entreregardions avec admiration ; « cela est si vrai, continua-t-il, que quand je place ma main entre vos yeux et un objet, ma main vous est présente, mais l’objet vous est absent. La même chose m’arrive, quand je cherche une chose avec mon bâton, et que j’en rencontre une autre. » Madame, ouvrez la Dioptrique de Descartes, et vous y verrez les phénomènes de la vue rapportés à ceux du toucher, et les planches d’optique pleines de figures d’hommes occupés à voir avec des bâtons. Descartes, et tous ceux qui sont venus depuis, n’ont pu nous donner d’idées plus nettes de la vision ; et ce grand philosophe n’a point eu à cet égard plus d’avantage sur notre aveugle, que le peuple qui a des yeux. Aucun de nous ne s’avisa de l’interroger sur la peinture et sur l’écriture ; mais il est évident qu’il n’y a point de questions auxquelles sa comparaison n’eût pu satisfaire et je ne doute nullement qu’il ne nous eût dit, que tenter de lire ou de voir sans avoir des yeux, c’était chercher une épingle avec | un gros bâton. Nous lui parlâmes seulement de ces sortes de perspectives, qui donnent du relief aux objets, et qui ont avec nos miroirs tant d’analogie et tant de différence à la fois ; et nous nous aperçûmes qu’elles nuisaient autant qu’elles concouraient à l’idée qu’il s’est formée d’une glace, et qu’il était tenté de croire que la glace peignant les objets, le peintre, pour les représenter, peignait peut-être une glace. Nous lui vîmes enfiler des aiguilles fort menues. Pourrait-on, Madame, vous prier de suspendre ici votre lecture et de chercher comment vous vous y prendriez à sa place. En cas que vous ne rencontriez aucun expédient, je vais vous dire celui de notre aveugle. Il dispose l’ouverture de l’aiguille transversalement entre ses lèvres, et dans la même direction que celle de sa bouche ; puis, à l’aide de sa langue et de la succion, il attire le fil qui suit son haleine, à moins qu’il ne soit beaucoup trop gros pour l’ouverture ; mais, dans ce cas, celui qui voit n’est guère moins embarrassé que celui qui est privé de la vue. Il a la mémoire des sons à un degré surprenant ; et les visages ne nous offrent pas une diversité plus grande que celle qu’il observe dans les voix. Elles ont pour lui une infinité de nuances délicates qui nous échappent, parce que nous n’avons pas, à les observer, le même intérêt que l’aveugle. Il en est pour nous de ces nuances comme de notre propre visage. De tous les hommes que nous avons vus, celui que nous nous rappellerions le moins, c’est nous-même. Nous n’étudions les visages que pour reconnaître les personnes ; et si nous ne retenons pas le nôtre, c’est que nous ne serons jamais exposés à nous prendre pour un autre, ni un autre pour nous. D’ailleurs les secours que nos sens se prêtent mutuellement, les empêchent de se perfectionner. Cette occasion ne sera pas la seule que j’aurai d’en faire la remarque. | Notre aveugle nous dit, à ce sujet, qu’il se trouverait fort à plaindre d’être privé des mêmes avantages que nous, et qu’il aurait été tenté de nous regarder comme des intel-
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fenomeni. Ci chiese, per esempio, se fossero solo i cosiddetti naturalisti13 a poter guardare con il microscopio e se gli astronomi sono i soli a osservare per mezzo del telescopio; se la macchina che ingrandisce gli oggetti fosse più grande di quella che li rimpicciolisce; se quella che li avvicina fosse più corta di quella che li allontana; e non comprendendo per niente come fosse possibile che quest’altro «io», secondo lui riprodotto in rilievo dallo specchio, sfuggisse al senso del tatto: «Ecco», diceva, «due organi che una piccola macchina mette in contraddizione: una macchina più perfetta forse li metterebbe d’accordo, senza che per questo gli oggetti ne fossero più reali: forse una terza più perfetta ancora e meno infida potrebbe farli sparire, e ci avvertirebbe dell’errore.» E che cosa sono, secondo voi, gli occhi? gli chiese Signore di... «Un organo», gli rispose il cieco «sul quale l’aria fa l’effetto del mio bastone sulla mia mano.»14 Questa risposta ci lasciò di stucco, e mentre ci guardavamo l’un l’altro con meraviglia, continuò: «questo è tanto vero che quando pongo una mano tra i vostri occhi e un oggetto, la mia mano vedete la mia mano, ma l’oggetto è assente. Lo stesso mi succede, quando cerco una cosa con il mio bastone e ne incontro un’altra». Signora, aprite La Diottrica di Cartesio, e vi troverete i fenomeni della vista rapportati a quelli del tatto, e delle tavole di ottica piene di figure di uomini intenti a vedere per mezzo di bastoni.15 Cartesio e tutti quelli che lo hanno seguito, non hanno potuto darci un’idea più chiara della visione; e a tal proposito questo grande filosofo non ha più vantaggi sul nostro cieco, di quanti ne abbia la gente che ha due occhi.» Nessuno di noi ha osato interrogarlo sulla pittura e sulla scrittura; ma è evidente che non c’è domanda che le sue comparazioni non avrebbero potuto soddisfare; e sono certo che ci avrebbe detto che tentare di leggere o di vedere, senza avere gli occhi, è come cercare uno spillo con un grosso bastone. Gli abbiamo parlato solamente delle proiezioni prospettiche che danno rilievo agli oggetti, e che hanno nello stesso tempo tanta analogia e tanta differenza rispetto ai nostri specchi; e ci accorgemmo che esse nuocevano, tanto quanto contribuivano, all’idea che egli si era formato di specchio, al punto di fagli credere che, poiché lo specchio riproduce gli oggetti, il pittore per rappresentarli dovesse dipingere uno specchio.16 Lo abbiamo visto infilare degli aghi molto sottili. Potrei pregarvi, signora, di sospendere qui la vostra lettura e di cercare di immaginare come fareste al suo posto. Nel caso in cui non trovaste alcun espediente, vi dirò quello adottato dal nostro cieco. Egli pone la cruna dell’ago trasversalmente sulle sue labbra, nello stesso verso della sua bocca, poi, aiutandosi con la lingua e aspirando attira il filo che segue il suo risucchio, a meno che non sia troppo grosso per la cruna; ma in questo caso chi vede non sarebbe meno in difficoltà di chi è privo della vista. Egli ricorda i suoni con un grado sorprendente di precisione, e la diversità che ci offrono i volti non è più grande di quella che egli rileva nelle voci.17 Esse hanno per lui un’infinità di lievi sfumature che a noi sfuggono, perché non attribuiamo a esse la stessa importanza del cieco. Ci accade per queste sfumature la stessa cosa che per il nostro volto. Di tutti gli uomini che abbiamo visto, quello che ci ricordiamo meno, siamo noi stessi. Studiamo i visi solo per ricordare le persone; e se non ricordiamo il nostro, è perché non saremo mai esposti al rischio di scambiare noi stessi per un altro o di scambiare un altro per noi. D’altra parte l’ausilio reciproco che si prestano i nostri sensi, impedisce loro di perfezionarsi. Non sarà questa la sola occasione che avrò di metterlo in evidenza.18 Il nostro cieco ci ha detto a questo proposito, che sarebbe molto dispiaciuto di essere privo de nostri vantaggi, e che è stato tentato di considerarci come dotati di intelligenza
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ligences supérieures, s’il n’avait éprouvé cent fois combien nous lui cédions à d’autres égards. Cette réflexion nous en fit faire une autre. Cet aveugle, dîmes-nous, s’estime autant et plus peut-être que nous qui voyons ; pourquoi donc, si l’animal raisonne, comme on n’en peut guère douter, balançant ses avantages sur l’homme, qui lui sont mieux connus que ceux de l’homme sur lui, ne porterait-il pas un semblable jugement. Il a des bras, dit peut-être le moucheron ; mais j’ai des ailes. S’il a des armes, dit le lion ; n’avons-nous pas des ongles ? L’éléphant nous verra comme des insectes ; et tous les animaux, nous accordant volontiers une raison avec laquelle nous aurions grand besoin de leur instinct, se prétendront doués d’un instinct avec lequel ils se passent fort bien de notre raison. Nous avons un si violent penchant à surfaire nos qualités et à diminuer nos défauts, qu’il semblerait presque que c’est à l’homme à faire le traité de la force, et à l’animal celui de la raison. Quelqu’un de nous s’avisa de demander à notre aveugle, s’il serait content d’avoir des yeux, « si la curiosité ne me dominait pas, dit-il ; j’aimerais bien autant avoir de longs bras : il me semble que mes mains m’instruiraient mieux de ce qui se passe dans la lune que vos yeux ou vos télescopes ; et puis les yeux cessent plus tôt de voir, que les mains de toucher. Il vaudrait donc bien autant qu’on perfectionnât en moi l’organe que j’ai, que de m’accorder celui qui me manque. » Notre aveugle s’adresse au bruit ou à la voix si sûrement que je ne doute pas qu’un tel exercice ne rendît les aveugles très adroits et très dangereux. Je vais vous en raconter un trait qui vous persuadera combien on aurait tort d’attendre un coup de pierre, ou [de] s’exposer à un coup de pistolet de sa main, pour peu qu’il eût l’habitude de se servir de cette arme. Il eut dans sa jeunesse une querelle avec un de ses frères qui s’en | trouva fort mal. Impatienté des propos désagréables qu’il en essuyait, il saisit le premier objet qui lui tomba sous la main, le lui lança, l’atteignit au milieu du front, et l’étendit par terre. Cette aventure, et quelques autres le firent appeler à la police. Les signes extérieurs de la puissance qui nous affectent si vivement, n’en imposent point aux aveugles. Le nôtre comparut devant le magistrat, comme devant son semblable. Les menaces ne l’intimidèrent point. « Que me ferez-vous ? dit-il à M. Hérault, – je vous jetterai dans un cul de basse-fosse, lui répondit le magistrat. – Eh, Monsieur, lui répliqua l’aveugle, il y a vingt-cinq ans que j’y suis. » Quelle réponse, Madame ! et quel texte pour un homme qui aime autant à moraliser que moi. Nous sortons de la vie comme d’un spectacle enchanteur ; l’aveugle en sort ainsi que d’un cachot : si nous avons à vivre plus de plaisir que lui, convenez qu’il a bien moins de regret à mourir. L’aveugle du Puisaux estime la proximité du feu, aux degrés de la chaleur ; la plénitude des vaisseaux, au bruit que font en tombant les liqueurs qu’il transvase ; et le voisinage des corps, à l’action de l’air sur son visage. Il est si sensible aux moindres vicissitudes qui arrivent dans l’atmosphère, qu’il peut distinguer une rue d’un cul-de-sac. Il apprécie à merveille les poids des corps et les capacités des vaisseaux ; et il s’est fait de ses bras des balances si justes, et de ses doigts des compas si expérimentés, que dans les occasions où cette espèce de statique a lieu, je gagerai toujours pour notre aveugle contre vingt personnes qui voient. Le poli des corps n’a guère moins de nuances pour lui, que le son de la voix ; et il n’y aurait pas à craindre qu’il prît sa femme pour une autre, à moins qu’il ne gagnât au change. Il y a cependant bien de l’apparence que les femmes seraient | communes, chez un peuple d’aveugles, ou que leurs lois contre l’adul-
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superiore, se non avesse avuto cento volte la prova di quanto gli siamo inferiori sotto altri aspetti. Questa riflessione ci ha portati a farne un’altra. Questo cieco, ci dicemmo, stima se stesso quanto noi o forse più di noi che vediamo; perché, dunque, se l’animale ragiona – e non possiamo dubitare che lo faccia – soppesando i suoi vantaggi sull’uomo, che gli sono più noti di quelli che ha l’uomo su di lui, non dovrebbe essere portatore di qualcosa che somiglia al giudizio? L’uomo ha delle braccia, potrebbe dire il moscerino, ma io ho delle ali. Se ha delle armi, dice il leone, noi non abbiamo forse degli artigli? L’elefante ci vedrà come insetti, e tutti gli animali, pur riconoscendoci volentieri una ragione che ci rende molto bisognosi del loro istinto, si crederanno dotati di un istinto con cui se la cavano molto meglio di noi con la nostra ragione. Abbiamo un’inclinazione così sorprendente a sopravvalutare le nostre qualità e a diminuire i nostri difetti, che sembra quasi che spetti all’uomo scrivere il trattato sulla forza e all’animale quello sulla ragione.19 Qualcuno di noi si azzardò a chiedere al nostro cieco se sarebbe contento di avere degli occhi, «Se non fossi dominato dalla curiosità» rispose, «mi piacerebbe altrettanto avere delle braccia lunghe: mi sembra che le mani mi istruirebbero meglio su ciò che accade sulla Luna di quanto non facciano i vostri occhi o i vostri telescopi; inoltre è più facile che gli occhi smettano di vedere, che le mani di toccare. Dunque sarebbe meglio perfezionare l’organo che ho, piuttosto che concedermi quello che mi manca.» Il nostro cieco si rivolge a un rumore o a una voce con una sicurezza tale da rendermi certo che quest’esercizio renda i ciechi molto abili e molto pericolosi. Vi racconterò un episodio che vi persuaderà di quanto non sia prudente aspettare un colpo di pietra o esporsi a un colpo di pistola di sua mano, per scarsa che sia la sua abitudine a servirsi di quest’arma. Durante la sua giovinezza litigò con uno dei suoi fratelli che ebbe la peggio. Spazientito dalle frasi sgradevoli che doveva subire, afferrò il primo oggetto che gli era capitato sottomano, glielo lanciò, colpendolo in mezzo alla fronte e stendendolo a terra. In seguito a questa vicenda e qualche altra, fu chiamato a render conto alla polizia. I segni esteriori della potenza he noi ostentiamo, non incutono alcun timore ai ciechi. Il nostro si presentò davanti al magistrato come davanti a un suo simile. Le minacce non li intimidiscono per nulla. «Che cosa mi farete?» disse a M. Hérault20 «Vi getterò in una segreta», gli rispose il magistrato. «Eh, signore» gli replicò il cieco, «sono venticinque anni che ci sto dentro.» Che risposta, signora! E che esempio per un uomo che ama fare della morale quanto me. Noi usciamo dalla vita, come da uno spettacolo incantatore; il cieco ne esce come da una prigione: se noi possiamo vivere più piaceri di lui, convenite che egli prova molto meno dispiacere nel morire. Il cieco di Puiseaux valuta la vicinanza al fuoco dal grado di calore, la pienezza dei vasi, dal rumore che fanno i liquidi che travasa; la vicinanza dei corpi dal movimento dell’aria sul suo viso. È così sensibile alle minime variazioni dell’atmosfera, che può distinguere una strada da un vicolo. Valuta a meraviglia il peso dei corpi e la capacità dei vasi, e ha fatto delle sue braccia delle bilance tanto esatte, e delle sue dita dei compassi tanto esperti che nelle occasioni in cui questa specie di statica ha luogo scommetterei sempre sul nostro cieco, contro venti persone che vedono. La levigatezza dei corpi non ha per lui meno sfumature che il suono della voce; e non c’è da temere che egli scambi sua moglie con un’altra donna, a meno che non tragga vantaggio dallo scambio. Tuttavia, molto probabilmente presso un popolo di ciechi le donne sarebbero in comune, oppure le loro leggi sull’adulterio sarebbero molto
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tère seraient bien rigoureuses. Il serait si facile aux femmes de tromper leurs maris, en convenant d’un signe avec leurs amants. Il juge de la beauté par le toucher, cela se comprend : mais ce qui n’est pas si facile à saisir, c’est qu’il fait entrer dans ce jugement la prononciation et le son de la voix. C’est aux anatomistes à nous apprendre s’il y a quelque rapport entre les parties de la bouche et du palais, et la forme extérieure du visage. Il fait de petits ouvrages au tour et à l’aiguille ; il nivelle à l’équerre ; il monte et démonte les machines ordinaires ; il sait assez de musique pour exécuter un morceau dont on lui dit les notes et leurs valeurs. Il estime avec beaucoup plus de précision que nous la durée du temps, par la succession des actions et des pensées. La beauté de la peau, l’embonpoint, la fermeté des chairs, les avantages de la conformation, la douceur de l’haleine, les charmes de la voix, ceux de la prononciation sont des qualités dont il fait grand cas dans les autres. Il s’est marié pour avoir des yeux qui lui appartinssent[ ;] auparavant, il avait eu dessein de s’associer un sourd qui lui prêterait des yeux, et à qui il apporterait en échange des oreilles. Rien ne m’a tant étonné que son aptitude singulière à un grand nombre de choses ; et lorsque nous lui en témoignâmes notre surprise : « je m’aperçois bien, Messieurs, nous dit-il, que vous n’êtes pas aveugles : vous êtes surpris de ce que je fais ; et pourquoi ne vous étonnez-vous pas aussi de ce que je parle ? » Il y a, je crois, plus de philosophie dans cette réponse qu’il ne prétendait y en mettre lui‑même. C’est une chose assez surprenante que la facilité avec laquelle on apprend à parler. Nous ne parvenons à attacher une idée à quantité de termes qui ne peuvent être représentés par des objets sensibles, et qui, pour ainsi dire, n’ont point de corps, que par une suite de combinaisons fines et profondes des analogies que nous remarquons, entre ces objets non sensibles ; et les idées qu’ils excitent ; et il faut avouer consé | quemment qu’un aveugle-né doit apprendre à parler plus difficilement qu’un autre, puisque le nombre des objets non sensibles étant beaucoup plus grand pour lui, il a bien moins de champ que nous pour comparer et pour combiner. Comment veut-on, par exemple, que le mot physionomie se fixe dans sa mémoire. C’est une espèce d’agrément qui consiste en des objets si peu sensibles, pour un aveugle, que, faute de l’être assez pour nous‑mêmes qui voyons, nous serions fort embarrassés de dire bien précisément ce que c’est que d’avoir de la physionomie. Si c’est principalement dans les yeux qu’elle réside, le toucher n’y peut rien ; et puis, qu’est-ce pour un aveugle que des yeux morts, des yeux vifs, des yeux d’esprit, etc. ? Je conclus de là que nous tirons sans doute du concours de nos sens et de nos organes de grands services. Mais ce serait tout autre chose encore, si nous les exercions séparément, et si nous n’en employions jamais deux dans les occasions où le secours d’un seul nous suffirait. Ajouter le toucher à la vue, quand on a assez de ses yeux c’est à deux chevaux, qui sont déjà fort vifs, en atteler un troisième en arbalète qui tire d’un côté, tandis que les autres tirent de l’autre. Comme je n’ai jamais douté que l’état de nos organes et de nos sens n’ait beaucoup d’influence sur notre métaphysique et sur notre morale, et que nos idées les plus purement intellectuelles, si je puis parler ainsi, ne tiennent de fort près à la conformation de notre corps, je me mis à questionner notre aveugle sur les vices et sur les vertus. Je m’aperçus d’abord qu’il avait une aversion prodigieuse pour le vol ; elle naissait en lui de deux causes : de la facilité qu’on avait de le voler sans qu’il s’en aperçût ; et plus encore, peut-être, de celle qu’on avait de l’apercevoir quand il volait. Ce n’est pas qu’il ne sache très bien se mettre en garde contre le | sens qu’il nous connaît de plus qu’à lui, et qu’il
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rigorose. Sarebbe, infatti, così facile per le donne ingannare i loro mariti, convenendo un segno con i loro amanti. Giudica la bellezza attraverso il tatto, si capisce perché, ma quello che non è facile da comprendere è che in questo giudizio rientra la pronuncia e il suono della voce. Spetta agli anatomisti dirci se c’è qualche rapporto tra le parti della bocca e del palato e la forma esteriore del viso. Esegue delle piccole opere al tornio e con l’ago, livella a squadro, monta e smonta macchine ordinarie; conosce a sufficienza la musica per eseguire un pezzo di cui gli siano indicate le note e la loro durata. Valuta la durata del tempo con molta più precisione di quanto non facciamo noi, in base alla successione delle azioni e dei pensieri. Ci sono delle qualità che egli considera con attenzione negli altri, come lo splendore della pelle, la floridità, la sodezza delle carni, la piacevolezza della figura, la dolcezza del respiro, il fascino della voce, quello della pronuncia. Si è sposato per avere due occhi che gli appartenessero; in precedenza aveva progettato di associarsi a un sordo che gli avrebbe prestato gli occhi, e a cui egli avrebbe dato in cambio delle orecchie. Niente mi ha stupito tanto, quanto la sua straordinaria disposizione a un gran numero di cose; e poiché noi gli abbiamo manifestato la nostra sorpresa ci ha detto: «Capisco bene, signori, che non siete ciechi: voi vi sorprendete di quello che faccio, ma perché non vi sorprendete anche del fatto che parlo?». C’è più filosofia in questa risposta di quanta egli stesso volesse esprimerne. La facilità con la quale noi impariamo a parlare è una cosa davvero sorprendente. Non riusciamo ad attribuire un’idea a una quantità di termini che non potrebbero essere collegati a degli oggetti sensibili e che, per così dire, non hanno affatto corpo, solo attraverso una serie di sottili e profonde analogie che notiamo tra questi oggetti non sensibili e le idee che essi suscitano; e si deve conseguentemente ammettere che un cieco-nato deve imparare a parlare più difficilmente di un altro, poiché il numero degli oggetti non sensibili è molto più grande per lui e ha un campo più ristretto di noi per comparare e combinare. Come si può pretendere, per esempio, che la parola «fisionomia»21 si fissi nella sua memoria? È una specie di accordo dato a elementi così poco sensibili per un cieco, lungi dall’essere sufficiente per noi che vediamo, che saremmo in grave imbarazzo a dover spiegare con precisione cosa significa avere una fisionomia. Se essa risiede principalmente nella vista, il tatto non può nulla; inoltre, cosa significano per un cieco espressioni come occhi spenti, occhi vivi, occhi intelligenti ecc.? Da tutto ciò concludo che noi ci serviamo probabilmente molto dalla cooperazione dei nostri sensi e degli organi. Tuttavia, sarebbe tutt’altro se li esercitassimo separatamente e se non ne impiegassimo mai due nei casi in cui bastasse l’aiuto di uno solo. Aggiungere il tatto alla vista quando bastano gli occhi è come aggiungere a due cavalli, già molto vivaci, un terzo cavallo di punta che tira da un lato, mentre gli altri tirano da un altro. Poiché non ho mai dubitato che lo stato dei nostri organi e dei nostri sensi influenzi considerevolmente la nostra metafisica e la nostra morale, e che le nostre idee più puramente intellettuali, se posso dir così, sono vicinissime alla conformazione dei nostri corpi, mi sono messo a interrogare il nostro cieco sui vizi e sulle virtù.22 Ho capito fin da subito che aveva una grande avversione per il furto, essa nasceva in lui da due cause: la facilità con cui poteva essere derubato senza accorgersene e, forse ancor più, per la facilità con la quale ci si accorgerebbe se fosse lui a rubare. Il motivo non è che egli non sappia stare in guardia contro il senso per il quale ci riconosce superiori a lui, o
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ignore la manière de bien cacher un vol. Il ne fait pas grand cas de la pudeur : sans les injures de l’air, dont les vêtements le garantissent, il n’en comprendrait guère l’usage, et il avoue franchement qu’il ne devine pas pourquoi l’on couvre plutôt une partie du corps qu’une autre, et moins encore par quelle bizarrerie on donne entre ces parties la préférence à certaines, que leur usage et les indispositions auxquelles elles sont sujettes demanderaient que l’on tînt libres. Quoique nous soyons dans un siècle où l’esprit philosophique nous a débarrassés d’un grand nombre de préjugés, je ne crois pas que nous en venions jamais jusqu’à méconnaître les prérogatives de la pudeur aussi parfaitement que mon aveugle. Diogène n’aurait point été pour lui un philosophe. Comme de toutes les démonstrations extérieures qui réveillent en nous la commisération et les idées de la douleur, les aveugles ne sont affectés que par la plainte ; je les soupçonne, en général, d’inhumanité. Quelle différence y a-t-il pour un aveugle, entre un homme qui urine et un homme qui sans se plaindre verse son sang ? Nous-mêmes, ne cessons-nous pas de compatir lorsque la distance ou la petitesse des objets produit le même effet sur nous, que la privation de la vue sur les aveugles ? Tant nos vertus dépendent de notre manière de sentir et du degré auquel les choses extérieures nous affectent ! Aussi je ne doute point que, sans la crainte du châtiment, bien des gens n’eussent moins de peine à tuer un homme à une distance où ils ne le verraient gros que comme une hirondelle, qu’à égorger un bœuf de leurs mains. Si nous avons de la compassion pour un cheval qui souffre, et si nous écrasons une fourmi sans aucun scrupule, n’est-ce pas le même principe qui nous détermine ? Ah, Madame ! que la morale des aveugles est différente de la nôtre ? que celle d’un sourd différerait encore de celle d’un aveugle ? et qu’un être qui aurait un sens de plus que nous, trouverait notre morale imparfaite, pour ne rien dire de pis. | Notre métaphysique ne s’accorde pas mieux avec la leur. Combien de principes pour eux qui ne sont que des absurdités pour nous, et réciproquement. Je pourrais entrer làdessus dans un détail qui vous amuserait sans doute ; mais que de certaines gens, qui voient du crime à tout, ne manqueraient pas d’accuser d’irréligion ; comme s’il dépendait de moi de faire apercevoir aux aveugles les choses autrement qu’ils ne les aperçoivent. Je me contenterai d’observer une chose dont, je crois qu’il faut que tout le monde convienne ; c’est que ce grand raisonnement, qu’on tire des merveilles de la nature, est bien faible pour des aveugles. La facilité que nous avons de créer, pour ainsi dire, de nouveaux objets par le moyen d’une petite glace, est quelque chose de plus incompréhensible pour eux que des astres qu’ils ont été condamnés à ne voir jamais. Ce globe lumineux qui s’avance d’orient en occident, les étonne moins qu’un petit feu qu’ils ont la commodité d’augmenter ou de diminuer : comme ils voient la matière d’une manière beaucoup plus abstraite que nous, ils sont moins éloignés de croire qu’elle pense. Si un homme qui n’a vu que pendant un jour ou deux se trouvait confondu chez un peuple d’aveugles, il faudrait qu’il prît le parti de se taire, ou celui de passer pour un fou. Il leur annoncerait tous les jours quelque nouveau mystère, qui n’en serait un que pour eux, et que les esprits-forts se sauraient bon gré de ne pas croire. Les défenseurs de la religion ne pourraient-ils pas tirer un grand parti d’une incrédulité si opiniâtre, si juste même, à certains égards, et cependant si peu fondée ? Si vous vous prêtez pour un instant à cette supposition, elle vous rappellera, sous des traits empruntés l’histoire et les persécutions de ceux qui ont eu le malheur de rencontrer la vérité dans des siècles de ténèbres, et l’imprudence de la déceler à leurs aveugles contemporains, entre lesquels ils n’ont point eu d’ennemis plus cruels que ceux qui, par leur état et leur éducation semblaient devoir être les moins éloignés de leurs sentiments.
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non conosca il modo di nascondere bene un furto. Non fa gran caso al pudore:23 se non fosse per i colpi d’aria da cui i vestiti lo proteggono, non ne comprenderebbe affatto l’uso e ammette francamente di non capire perché noi copriamo alcune parti del corpo piuttosto che altre. Comprende ancora meno per quale bizzarria diamo preferenza tra certe parti, il cui uso e le indisposizioni alle quali sono soggette, richiederebbero di essere lasciate libere. Benché viviamo in un secolo in cui lo spirito filosofico ci ha liberati da un gran numero di pregiudizi, non credo che arriveremo mai a misconoscere le prerogative del pudore tanto perfettamente quanto il mio cieco. Diogene non sarebbe stato un filosofo per lui.24 Poiché tra tutte le manifestazioni esteriori che risvegliano in noi la commiserazione e le idee del dolore i ciechi sono colpiti solo dal lamento io tendo, in generale, ad attribuire loro una certa disumanità.25 Che differenza c’è per un cieco tra un uomo che urina e uno che, senza lamentarsi, sta versando il suo sangue? Noi stessi, sentiamo più alcuna compassione, quando la distanza o la piccolezza degli oggetti produce lo stesso effetto su di noi che la privazione della vista sui ciechi. Parecchie delle nostre virtù dipendono dal nostro modo di sentire e dal grado con cui le cose esterne ci colpiscono! Così sono certo che, senza la paura di un castigo, molti uomini farebbero meno fatica a uccidere un uomo a una distanza in cui sembra grande come una rondine, che a sgozzare un bue con le loro mani.26 Se sentiamo compassione per un cavallo che soffre, e schiacciamo una formica senza alcuno scrupolo, non è lo stesso principio a determinare questi comportamenti? Ah! Signora, allora la morale dei ciechi è diversa dalla nostra? E quella di un sordo sarà diversa ancora rispetto a quella di un cieco? E un essere che avesse un senso più di noi, troverebbe la nostra morale imperfetta, per non dire di peggio. La nostra metafisica non va più d’accordo con la loro. Quanti dei loro principi sono solo assurdità per noi, e viceversa. A questo proposito potrei raccontarvi un particolare che vi divertirebbe senza dubbio, ma per cui certe persone che vedono il male dappertutto, non mancherebbero di accusarmi d’irreligiosità, come se spettasse a me far percepire ai ciechi cose che essi non percepiscono. Mi accontenterò di osservare una cosa su cui credo tutti devono concordare; si tratta del grande argomento basato sulle meraviglie della natura,27 che è molto fallace per i ciechi. La facilità che abbiamo di creare, per così dire, nuovi oggetti, per mezzo di un semplice specchietto, è incomprensibile per loro quanto gli astri che sono condannati a non vedere mai. Quel globo luminoso che avanza da oriente a occidente, li meraviglia meno che di un piccolo fuoco che essi possono facilmente accrescere o diminuire: poiché essi vedono la materia in maniera molto più astratta di noi, hanno meno difficoltà a credere che essa pensi.28 Se un uomo che avesse avuto la possibilità di vedere solo per un giorno o due, si trovasse in mezzo a un popolo di ciechi, farebbe meglio a decidere di tacere, o a esser preso per pazzo.29 Annuncerebbe loro ogni giorno qualche nuovo mistero tale soltanto per essi e gli spiriti più avveduti avrebbero buon gioco a non credergli. I difensori della religione non potrebbero trarre un grande vantaggio da un’incredulità così tenace, così giusta anche sotto certi aspetti, e tuttavia così poco fondata? Se date adito per un istante a questa supposizione essa vi ricorderà alcuni aspetti imbarazzanti della storia e delle persecuzioni di coloro che hanno avuto la sventura di trovare la verità nei secoli di tenebre, e l’imprudenza di rivelarla ai loro ciechi contemporanei tra i quali essi non avevano nessun nemico più crudele di quelli che per il loro stato e per la loro istruzione sembravano dover essere i meno lontani dal loro modo di sentire.
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Je laisse donc la morale et la métaphysique des aveugles, et je passe à des choses qui sont moins importantes, mais qui tiennent de plus près | au but des observations qu’on fait ici de toutes parts depuis l’arrivée du Prussien. Première question. Comment un aveugle-né se forme-t-il des idées des figures ? Je crois que les mouvements de son corps, l’existence successive de sa main en plusieurs lieux, la sensation non interrompue d’un corps qui passe entre ses doigts, lui donnent la notion de direction. S’il les glisse le long d’un fil bien tendu, il prend l’idée d’une ligne droite ; s’il suit la courbe d’un fil lâche, il prend celle d’une ligne courbe. Plus généralement, il a, par des expériences réitérées du toucher, la mémoire de sensations éprouvées en différents points : il est maître de combiner ces sensations ou points, et d’en former des figures. Une ligne droite, pour un aveugle qui n’est point géomètre, n’est autre chose que la mémoire d’une suite de sensations du toucher, placées dans la direction d’un fil tendu ; une ligne courbe, la mémoire d’une suite de sensations du toucher, rapportées à la surface de quelque corps solide, concave ou convexe. L’étude rectifie dans le géomètre la notion de ces lignes, par les propriétés qu’il leur découvre. Mais, géomètre ou non, l’aveugle-né rapporte tout à l’extrémité de ses doigts. Nous combinons des points colorés ; il ne combine, lui, que des points palpables, ou, pour parler plus exactement, que des sensations du toucher dont il a mémoire. Il ne se passe rien dans sa tête d’analogue à ce qui se passe dans la nôtre : il n’imagine point ; car, pour imaginer, il faut colorer un fond, et détacher de ce fond des points, en leur supposant une couleur différente de celle du fond. Restituez à ces points la même couleur qu’au fond ; à l’instant ils se confondent avec lui, et la figure disparaît : du moins, c’est ainsi que les choses s’exécutent dans mon imagination, et je présume que les autres n’imaginent pas autrement que moi. Lors donc que je me propose d’apercevoir dans ma tête une ligne droite, autrement que par ses propriétés, je commence par la tapisser en dedans d’une toile blanche, dont je détache une suite de points noirs placés dans la même direction. Plus les couleurs du fond et des | points sont tranchantes, plus j’aperçois les point distinctement, et une figure d’une couleur fort voisine de celle du fond ne me fatigue pas moins à considérer dans mon imagination que hors de moi, et sur une toile. Vous voyez donc, Madame, qu’on pourrait donner des lois pour imaginer facilement à la fois plusieurs objets diversement colorés ; mais que ces lois ne seraient certainement pas à l’usage d’un aveugle-né. L’aveugle-né, ne pouvant colorer, ni par conséquent figurer comme nous l’entendons, n’a mémoire que de sensations prises par le toucher, qu’il rapporte à différents points, lieux ou distances, et dont il compose des figures. Il est si constant que l’on ne figure point dans l’imagination, sans colorer, que, si l’on nous donne à toucher dans les ténèbres de petits globules dont nous ne connaissions ni la matière ni la couleur, nous les supposerons aussitôt blancs ou noirs, ou de quelque autre couleur ; ou que, si nous ne leur en attachons aucune, nous n’aurons, ainsi que l’aveugle-né, que la mémoire de petites sensations excitées à l’extrémité des doigts, et telles que de petits corps ronds peuvent les occasionner. Si cette mémoire est très fugitive en nous ; si nous n’avons guère d’idée de la manière dont un aveugle-né fixe, rappelle et combine les sensations du toucher ; c’est une suite de l’habitude que nous avons prise par les yeux, de tout exécuter dans notre imagination avec des couleurs. Il m’est cependant arrivé à moi-même, dans les agitations d’une passion violente, d’éprouver un frissonnement dans toute une main ; de sentir l’impression de corps que j’avais touchés il y avait longtemps, s’y réveiller aussi vivement que s’ils eussent encore été présents à mon attouchement, et de m’apercevoir très distinctement que les limites de la
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Lascio dunque la morale e la metafisica dei ciechi, e passo a delle cose che meno importanti, ma che riguardano più da vicino lo scopo delle osservazioni che abbiamo fatto qui da ogni parte, dopo l’arrivo del Prussiano.30 Prima domanda. Come fa un cieco-nato a formarsi un’idea delle figure? Credo che i movimenti del suo corpo, la presenza successiva della mano su più luoghi, la sensazione ininterrotta di un corpo che passa tra le dita, gli consenta di formarsi la nozione di direzione. Se le lascia scivolare lungo un filo ben teso, si forma l’idea di una linea retta; se segue la curvatura di un filo floscio, si forma quella di linea curva. Più in generale, attraverso delle esperienze tattili reiterate, ottiene il ricordo delle sensazioni provate in diversi punti: egli è maestro nel combinare queste sensazioni o punti e nel formarne delle figure. Una linea retta per un cieco che non sia un geometra è solo la memoria di un susseguirsi di sensazioni tattili, poste nella direzione di un filo teso; una linea curva la memoria del susseguirsi di sensazioni tattili rapportate alla superficie di qualche corpo solido, concavo o convesso. Con lo studio il geometra rettifica il concetto di queste linee. Grazie alle proprietà che egli scopre. Ma, geometra o no, il cieco-nato riferisce tutto all’estremità delle sue dita. Noi combiniamo dei punti colorati, egli combina solo dei punti palpabili, o, per parlare con esattezza, delle sensazioni tattili di cui ha memoria. Nessuno dei suoi processi mentali è analogo ai nostri: egli non immagina niente; poiché per immaginare, bisogna colorare uno sfondo, e staccare da questo sfondo dei punti, supponendo che essi abbiano un colore diverso da quello dello sfondo. Ridate a questi punti lo stesso colore dello sfondo e immediatamente si confondono con esso e la figura scompare: per lo meno è così che le cose accadono nella mia immaginazione, e presumo che gli altri non abbiano una facoltà d’immaginazione diversa dalla mia. Se mi propongo di concepire nel mio pensiero una linea retta, indipendentemente dalle sue proprietà, comincio disegnandola all’interno di una tela bianca da cui distacco un susseguirsi di punti neri posti nella stessa direzione. Più i colori dello sfondo e dei punti risaltano, più percepisco distintamente i punti; mentre una figura di un colore molto simile a quella dello sfondo, non è meno faticosa da considerare nel mio immaginario, che fuori di me su una tela. Vedete dunque, signora, che si potrebbero stabilire delle leggi per immaginare facilmente allo stesso tempo molti oggetti di colori diversi; ma che queste leggi non potrebbero certo essere adottate da un cieco-nato. Il cieco-nato, non conoscendo il colore, né di conseguenza potendo concepire le figure come intendiamo noi, ha memoria solo delle sensazioni acquisite tramite il tatto, che riferisce a differenti punti, luoghi o distanze, e a partire dai quali egli compone le figure. È un fatto così abituale non immaginare le cose senza attribuire loro un colore, che se dovessimo toccare nelle tenebre delle piccole sfere di cui non conosciamo né la materia né il colore, immediatamente le supporremmo bianche o nere o di qualche altro colore; oppure, se non gliene attribuissimo alcuno, così come il cieco-nato ricorderemmo solo piccole sensazioni suscitate all’estremità delle dita e quali possono essere suscitate da dei piccoli corpi sferici. Se questo ricordo è molto fuggevole in noi; se non abbiamo alcuna idea di quale sia il modo in cui un cieco-nato fissa, ricorda e combina le sensazioni del tatto, è per effetto dell’abitudine che abbiamo di servirci degli occhi per formare ogni cosa nella nostra immaginazione come per mezzo dei colori. Tuttavia è successo anche a me, nella confusione di una passione violenta, di provare un fremito in tutta una mano; di sentire l’impressione di corpi che avevo toccato molto tempo prima, suscitandoli così vivamente come se fossero ancora presenti al tatto, e di percepire molto distintamente che i limiti della sensa-
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sensation coïncidaient précisément avec celles de ces corps absents. Quoique la sensation soit indivisible par elle-même, elle occupe, si on peut se servir de ce terme, un espace étendu, auquel l’aveugle-né a la faculté d’ajouter ou de retrancher par la pensée, en grossissant ou diminuant la partie affectée. Il compose, par ce moyen, des points, des surfaces, des solides : il aura même un solide gros comme le | globe terrestre, s’il se suppose le bout du doigt gros comme le globe, et occupé par la sensation en longueur, largeur et profondeur. Je ne connais rien qui démontre mieux la réalité du sens interne que cette faculté faible en nous ; mais forte dans les aveugles-nés, de sentir ou de se rappeler la sensation des corps, lors même qu’ils sont absents et qu’ils n’agissent plus pour eux. Nous ne pouvons faire entendre à un aveugle-né comment l’imagination nous peint les objets absents, comme s’ils étaient présents ; mais nous pouvons très bien reconnaître en nous la faculté de sentir à l’extrémité d’un doigt, un corps qui n’y est plus, telle qu’elle est dans l’aveugle-né. Pour cet effet, serrez l’index contre le pouce ; fermez les yeux ; séparez vos doigts ; examinez immédiatement après cette séparation ce qui se passe en vous, et ditesmoi si la sensation ne dure pas longtemps après que la compression a cessé ; si, pendant que la compression dure, votre âme vous paraît plus dans votre tête qu’à l’extrémité de vos doigts ; et si cette compression ne vous donne pas la notion d’une surface, par l’espace qu’occupe la sensation. Nous ne distinguons la présence des êtres hors de nous, de leur représentation dans notre imagination, que par la force et la faiblesse de l’impression : pareillement, l’aveugle-né ne discerne la sensation d’avec la présence réelle d’un objet à l’extrémité de son doigt, que par la force ou la faiblesse de la sensation même. Si jamais un philosophe aveugle et sourd de naissance fait un homme à l’imitation de celui de Descartes, j’ose vous assurer, Madame, qu’il placera l’âme au bout des doigts ; car c’est de là que lui viennent ses principales sensations, et toutes ses connaissances. Et qui l’avertirait que sa tête est le siège de ses pensées ? Si les travaux de l’imagination épuisent la nôtre, c’est que l’effort que nous faisons pour imaginer, est assez sem | blable à celui que nous faisons pour apercevoir des objets très proches ou très petits. Mais il n’en sera pas de même de l’aveugle et sourd de naissance : les sensations qu’il aura prises par le toucher, seront, pour ainsi dire, le moule de toutes ses idées ; et je ne serais pas surpris qu’après une profonde méditation, il eût les doigts aussi fatigués, que nous avons la tête. Je ne craindrais point qu’un philosophe lui objectât que les nerfs sont les causes de nos sensations, et qu’ils partent tous du cerveau : quand ces deux propositions seraient aussi démontrées qu’elles le sont peu, surtout la première, il lui suffirait de se faire expliquer tout ce que les physiciens ont rêvé là-dessus, pour persister dans son sentiment. Mais si l’imagination d’un aveugle n’est autre chose que la faculté de se rappeler et de combiner des sensations de points palpables ; et celle d’un homme qui voit, la faculté de se rappeler et de combiner des points visibles ou colorés ; il s’ensuit que l’aveuglené aperçoit les choses d’une manière beaucoup plus abstraite que nous, et que dans les questions de pure spéculation, il est peut‑être moins sujet à se tromper. Car l’abstraction ne consiste qu’à séparer par la pensée les qualités sensibles des corps, ou les unes des autres, ou du corps même qui leur sert de base ; et l’erreur naît de cette séparation mal faite, ou faite mal à propos ; mal faite, dans les questions métaphysiques, et faite mal à propos dans les questions physico-mathématiques. Un moyen presque sûr de se tromper en métaphysique, c’est de ne pas simplifier assez les objets dont on s’occupe ; et
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zione coincidevano precisamente con quelli di questi corpi assenti. Sebbene la sensazione sia indivisibile in se stessa, essa occupa – se possiamo servirci di quest’espressione – uno spazio esteso, che il cieco-nato ha la facoltà ampliare o diminuire con il pensiero, ingrandendo o diminuendo la parte che ne è affetta. In questo modo il cieco compone dei punti, delle superfici, dei solidi: ci sarà anche un solido grande come il globo terrestre, se si immagina la punta delle dita grande come il globo e occupata dalla sensazione in lunghezza, larghezza e profondità. Non conosco nulla che dimostri la realtà del senso interno31 meglio di questa facoltà debole in noi, ma accentuata nei ciechi nati, di sentire o di ricordare la sensazione dei corpi, anche quando sono assenti e non agiscono più sui sensi. Noi non possiamo far capire a un cieco-nato, in che modo l’immaginazione ci rappresenti gli oggetti assenti come se fossero presenti; ma possiamo riconoscere perfettamente in noi la facoltà di sentire all’estremità di un dito, un corpo che non c’è più, tale qual è in un cieco-nato. Per ottenere questo effetto, stringete l’indice contro il pollice; chiudete gli occhi; separate le vostre dita; esaminate immediatamente dopo questa separazione che cosa succede in voi, e ditemi se la sensazione non dura a lungo dopo che la compressione è terminata; se finché persiste la pressione non vi sembra che la vostra anima si trovi, più che nella vostra testa, all’estremità delle vostre dita, e se questa compressione non produce in voi la nozione di una superficie, per lo spazio che occupa la sensazione. Noi distinguiamo la presenza degli esseri fuori di noi dalla loro rappresentazione nella nostra immaginazione, solo in base alla forza e alla debolezza dell’impressione: analogamente, il cieconato distingue la sensazione dalla presenza reale di un oggetto all’estremità delle sue dita, solo per mezzo della forza o della debolezza della stessa sensazione.32 Se mai un filosofo cieco e sordo alla nascita facesse un uomo a imitazione di quello di Cartesio, posso assicurarvi, signora, che collocherebbe l’anima sulla punta delle dita; perché è da lì che gli verrebbero le principali sensazioni e tutte le sue conoscenze.33 E chi potrebbe spiegargli che la sede dei suoi pensieri è la sua testa? Se il lavoro dell’immaginazione sfianca la nostra, è perché lo sforzo che facciamo per immaginare è assai simile a quello che facciamo per percepire gli oggetti molto vicini o molto piccoli. Ma non accadrà lo stesso al cieco e sordo dalla nascita: le sensazioni che egli avrà attinto attraverso il tatto saranno, per così dire, il modello di tutte le sue idee, e non sarei sorpreso se dopo una profonda meditazione, avesse le dita tanto affaticate quanto noi abbiamo la testa affaticata. Non avrei nulla da temere se un filosofo gli obbiettasse che i nervi sono la causa delle nostre sensazioni e che partono tutti dal nostro cervello, quand’anche queste due proposizioni fossero entrambe ben dimostrate, come ora lo sono male, soprattutto la prima, gli basterebbe farsi spiegare tutto ciò che i medici hanno immaginato sull’argomento, per persistere nella sua impressione. Però, se l’immaginazione di un cieco non è altro che la facoltà di ricordarsi e combinare delle sensazioni di punti palpabili; e quella di un uomo che vede, la facoltà di ricordarsi e combinare dei punti visibili o colorati; ne consegue che il cieco-nato percepisce le cose in maniera molto più astratta di noi,34 e che nelle questioni di pura speculazione, è probabilmente meno soggetto all’errore. Poiché l’astrazione non consiste che nel separare attraverso col pensiero le qualità sensibili dei corpi, o le une dalle altre, o dal corpo stesso che serve loro come base; e l’errore nasce dalla malfatta esecuzione di questa separazione, o fatta a sproposito; malfatta nelle questioni metafisiche e fatta a sproposito in quelle fisico-matematiche. Un modo quasi sicuro per sbagliare in metafisica è quello di non semplificare a sufficienza gli oggetti di cui ci si occupa; e un
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un secret infaillible pour arriver en physico-mathématique, à des résultats défectueux, c’est de les supposer moins composés qu’ils ne le sont. Il y a une espèce d’abstraction dont si peu d’hommes sont capables, qu’elle semble réservée aux intelligences pures ; c’est celle par laquelle tout se réduirait à des unités numériques. Il faut convenir que les résultats de cette géométrie seraient bien exacts, et ses formules bien générales ; car il n’y a point d’objets, soit dans la nature, soit dans le possible, que ces | unités simples ne pussent représenter, des points, des lignes, des surfaces, des solides, des pensées, des idées, des sensations, et... si, par hasard, c’était le fondement de la doctrine de Pithagore, on pourrait dire de lui, qu’il échoua dans son projet, parce que cette manière de philosopher est trop au-dessus de nous, et trop approchante de celle de l’Être suprême, qui, selon l’expression ingénieuse d’un géomètre anglais, géométrise perpétuellement dans l’univers. L’unité pure et simple est un symbole trop vague et trop général pour nous. Nos sens nous ramènent à des signes plus analogues à l’étendue de notre esprit et à la conformation de nos organes. Nous avons même fait en sorte que ces signes pussent être communs entre nous, et qu’ils servissent, pour ainsi dire, d’entrepôt au commerce mutuel de nos idées. Nous en avons institué pour les yeux, ce sont les caractères ; pour l’oreille, ce sont les sons articulés ; mais nous n’en avons aucun pour le toucher, quoiqu’il y ait une manière propre de parler à ce sens, et d’en obtenir des réponses. Faute de cette langue, la communication est entièrement rompue entre nous et ceux qui naissent sourds, aveugles et muets. Ils croissent ; mais ils restent dans un état d’imbécillité. Peut-être acquerraient-ils des idées, si l’on se faisait entendre à eux dès l’enfance d’une manière fixe, déterminée, constante et uniforme ; en un mot, si on leur traçait sur la main les mêmes caractères que nous traçons sur le papier ; et que la même signification leur demeurât invariablement attachée. | Ce langage, Madame, ne vous paraît-il pas aussi commode qu’un autre ? n’est-il pas même tout inventé ? et oseriez-vous nous assurer qu’on ne vous a jamais rien fait entendre de cette manière ? Il ne s’agit donc que de le fixer et d’en faire une grammaire et des dictionnaires ; si l’on trouve que l’expression, par les caractères ordinaires de l’écriture, soit trop lente pour ce sens. Les connaissances ont trois portes pour entrer dans notre âme ; et nous en tenons une barricadée par le défaut de signes. Si l’on eût négligé les deux autres, nous en serions réduits à la condition des animaux. De même que nous n’avons que le serré pour nous faire entendre au sens du toucher, nous n’aurions que le cri pour parler à l’oreille. Madame, il faut manquer d’un sens pour connaître les avantages des symboles destinés à ceux qui restent ; et des gens qui auraient le malheur d’être sourds, aveugles et muets, ou qui viendraient à perdre ces trois sens par quelque accident, seraient bien charmés qu’il y eût une langue nette et précise pour le toucher. Il est bien plus court d’user de symboles tout inventés, que d’en être inventeur, comme on y est forcé, lorsqu’on est pris au dépourvu. Quel avantage n’eût-ce pas été pour Saounderson de trouver une arithmétique palpable toute préparée à l’âge de cinq ans, au lieu d’avoir à l’imaginer à l’âge de vingt-cinq. Ce Saounderson , Madame, est un autre aveugle dont il ne sera pas hors de propos de vous entretenir. On en raconte des prodiges ; et il n’y en a aucun que ses progrès dans les belles-lettres, et son habileté dans les sciences mathématiques, ne puissent rendre croyable. La même machine lui servait pour les calculs algébriques, et pour la description des figures rectilignes. Vous ne seriez pas fâchée qu’on vous | en fît l’explication, pourvu que vous fussiez en état de l’entendre ; et vous allez voir, qu’elle ne suppose aucune connaissance que vous n’ayez, et qu’elle vous serait très utile, s’il vous prenait jamais envie de faire de longs calculs à tâtons.
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modo per arrivare sicuramente a dei risultati errati in fisica e in matematica, è di supporli meno complessi di quanto non siano. Esiste una specie di astrazione di cui così pochi sono capaci, che sembra riservata agli intelletti puri, è quella in virtù della quale tutto si ridurrebbe a delle unità numeriche. Bisogna convenire che i risultati di questa geometria sarebbero esattissimi e le sue formule generalissime, perché non ci sono oggetti, sia in natura, sia nel regno del possibile, che queste unità semplici non possano rappresentare con i punti, le linee, le superfici, i solidi, i pensieri, le idee e... se per caso, si trovasse in questo il fondamento della dottrina di Pitagora, potremmo dire che fallì nel suo progetto perché questa maniera di filosofare è troppo al di sopra di noi, e troppo vicina a quella dell’Essere supremo che, secondo l’espressione ingegnosa di un geometra inglese,35 geometrizza perpetuamente nell’universo. L’unità pura e semplice è un simbolo troppo vago e troppo generale per noi.36 I nostri sensi ci forniscono i segni che hanno maggiore analogia all’estensione del nostro spirito e alla conformazione dei nostri organi. Abbiamo anche fatto in modo che questi segni possano essere comuni tra noi e che servissero, per così dire, come emporio per il mutuo commercio delle nostre idee. Ne abbiamo istituiti per gli occhi, i caratteri; per gli orecchi, si tratta dei suoni articolati; ma non ne abbiamo alcuno per il tatto, sebbene ci sia una maniera appropriata di parlare a questo senso e di ottenere alcune risposte. Mancando di questa lingua, la comunicazione tra noi e coloro che nascono sordi, ciechi e muti è completamente interrotta. Crescono, ma restano in uno stato d’imbecillità. È possibile che acquisiscano delle idee, se ci facciamo intendere da loro fin dall’infanzia, in un modo fisso, determinato, costante e uniforme; in una parola se tracciassimo sulle loro mani, gli stessi simboli che tracciamo sulla carta, e se mantenessimo stabile il loro significato.37 Non vi sembra, signora, che questa lingua sarebbe tanto comoda quanto un’altra? Non è forse già tutto inventato? Potreste assicurarci che non ci siamo mai fatti intendere in questa maniera? Si tratta allora solo di fissarla o di farne una grammatica e dei dizionari, se crediamo che l’espressione per mezzo dei caratteri tipici della scrittura sia troppo lenta per questo senso. Le conoscenze hanno tre accessi per entrare nel nostro spirito e noi ne teniamo uno barricato per mancanza di segni. Se avessimo trascurato gli altri due ci saremmo ridotti alle condizioni degli animali. Così come non abbiamo che la stretta di mano per farci capire con il senso del tatto, non avremmo che l’urlo per parlare all’orecchio. Signora, bisogna mancare di un senso per conoscere i vantaggi dei simboli destinati a quelli che restano; e se qualcuno avesse la sfortuna di essere sordo, cieco e muto, o perdesse uno di questi tre sensi per qualche incidente, sarebbe molto felice se esistesse una lingua chiara e precisa per il tatto. È molto più rapido usare dei simboli già inventati che esserne gli inventori, come siamo costretti a fare quando si è presi alla sprovvista. Quale vantaggio non sarebbe stato per Saunderson38 trovare un’aritmetica tattile39 già completamente pronta all’età di cinque anni, piuttosto che doverla ideare all’età di venticinque. Questo Saunderson, signora, è un altro cieco di cui vi parlerò, e non a sproposito. Si raccontano i suoi prodigi e non c’è alcun suo progresso nelle belle lettere e sua abilità nelle scienze matematiche che la sua abilità non possano rendere credibile. La stessa macchina gli serviva per i calcoli algebrici e per la descrizione di figure geometriche. Non vi dispiacerà se ve ne faccio la descrizione, purché siate disposta ad ascoltarla e vedrete che essa non presuppone alcuna conoscenza che vi manchi, e che vi sarà molto utile, se mai avrete voglia di fare lunghi calcoli usando solo il tatto.
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Imaginez un carré, tel que vous le voyez planc. 1 et 2, divisé en quatre parties égales, par des lignes perpendiculaires aux côtés, en sorte qu’il vous offrît les neuf points 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Supposez ce carré percé de neuf trous capables de recevoir des épingles de deux espèces, toutes de même longueur et de même grosseur, mais les unes à tête un peu plus grosse que les autres.
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Immaginate un quadrato, come quello che vedete nella tavola 2,40 diviso in quattro parti uguali, da alcune linee perpendicolari ai lati ne risulta che esso vi offre i nove punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Supponete che questo quadrato attraversato da nove fori in cui è possibile infilare spilli di diversi tipi, tutti della stessa lunghezza e dello stesso spessore, ma alcuni con la capocchia più grossa di altri.
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Les épingles à grosse tête ne se plaçaient jamais qu’au centre du carré ; celles à petite tête, jamais que sur les côtés ; excepté dans un seul cas ; celui du [un]. Le zéro se marquait par une épingle à grosse tête, placé au centre du petit carré, sans qu’il y eût aucune autre épingle sur les côtés. Le chiffre 1 était représenté par une épingle à petite tête, placée au centre du carré, sans qu’il y eût aucune autre épingle sur les côtés. Le chiffre 2, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés au point 1. Le chiffre 3 par une épingle à grosse tête placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête placée sur un des côtés au point 2. Le chiffre 4, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés, au point 3. Le chiffre 5, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré et, par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés au point 4. Le chiffre 6, par une épingle à grosse tête, placée au centre du | carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés au point 5. Le chiffre 7, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés, au point 6. Le chiffre 8, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés au point 7. Le chiffre 9, par une épingle à grosse tête, placée au centre du carré, et par une épingle à petite tête, placée sur un des côtés du carré, au point 8. Voilà bien dix expressions différentes pour le tact, dont chacune répond à un de nos dix caractères arithmétiques. Imaginez maintenant une table si grande que vous voudrez, partagée en petits carrés, rangés horizontalement, et séparés les uns des autres de la même distance, ainsi que vous le voyez planche 3, et vous aurez la machine de Saounderson . Vous concevez facilement qu’il n’y a point de nombre qu’on ne puisse écrire sur cette table, et par conséquent aucune opération arithmétique qu’on n’y puisse exécuter. Soit proposé, par exemple, de trouver la somme, ou de faire l’addition des neuf nombres suivants. |
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Je les écris sur la table, à mesure qu’on me les nomme, le premier chiffre, à gauche du premier nombre, sur le premier carré à gauche de la première ligne ; le second chiffre, à gauche du premier nombre, sur le second carré à gauche de la même ligne. Et ainsi de suite. Je place le second nombre sur la seconde rangée de carrés, les unités sous les unités, les dizaines sous les dizaines, etc. Je place le troisième nombre sur la troisième rangée de carrés, et ainsi de suite, comme vous voyez planc. 3. Puis parcourant avec les doigts chaque rangée verticale de
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Gli spilli con la capocchia più grossa erano posizionati solo al centro del quadrato, quelli con la capocchia piccola, sempre ai lati, eccetto un solo caso, quello dell’uno.41 Lo zero sarà mostrato con uno spillo dalla capocchia grossa, sistemato al centro del piccolo quadrato senza che ci sia alcun altro spillo sui lati. La cifra 1 era rappresentata da un unico spillo dalla capocchia piccola posizionato al centro del quadrato, senza altri spilli ai lati. La cifra 2 era rappresentata da uno spillo con la capocchia grossa collocato al centro e uno spillo a capocchia piccola posizionato su uno dei tre lati del punto 1. La cifra 3 da uno spillo a capocchia rossa posto al centro del quadrato e da uno spillo a capocchia piccola posizionato a lato del punto 2. La cifra 4 da uno spillo a capocchia grossa posizionato al centro del quadrato, e da uno spillo a capocchia piccola sistemato su uno dei lati del punto 3. La cifra 5 da uno spillo a capocchia grossa posizionato al centro del quadrato e da uno spillo a capocchia piccola posto su uno dei lati del punto 4. La cifra 6 da uno spillo a capocchia grossa posizionato al centro del quadrato e da uno spillo a capocchia piccola posizionato su uno dei lati del punto 5. La cifra 7 da uno spillo a capocchia grossa posizionato al centro del quadrato e da uno spillo a capocchia piccola posizionato su uno dei lati del punto 6. La cifra 8 da uno spillo a capocchia grossa e da uno spillo a capocchia piccola posizionato su uno dei lati del punto 7. La cifra 9 da uno spillo a capocchia grossa e da uno spillo a capocchia piccola posizionato su uno dei lati del punto 8. Ecco dieci sensazioni diverse per il tatto, di cui ciascuna corrisponde a uno dei nostri dieci caratteri aritmetici. Immaginate adesso una tavola molto grande che possiate dividere in piccoli quadrati, disposti orizzontalmente e separati gli uni dagli altri dalla stessa distanza, così come vedete (tavola 3) e avrete la macchina di Saunderson.42 Come capirete facilmente, non c’è nessun numero che non si possa scrivere su questa tavola, e di conseguenza alcuna operazione che non si possa eseguire. Si proponga, a esempio, di trovare la somma, o di fare l’addizione dei seguenti nove numeri:
Li scrivo sulla tavola man mano che mi vengono detti, la prima cifra a sinistra del primo numero, sul primo quadrato a sinistra della prima linea; la seconda cifra a sinistra del primo numero, sul secondo quadrato a sinistra della stessa linea. E così via di seguito. Metto il secondo numero sulla seconda fila di quadrati, le unità sotto le unità, le decine sotto le decine, ecc. Metto il terzo numero sulla terza fila di quadrati e così di seguito, come vedete tavola 3. Poi percorrendo con le dita ciascun a fila verticale dal basso in alto, e cominciando
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bas en haut, en commençant par celle qui est le plus à ma [droite], je fais l’addition des nombres qui y sont exprimés ; et j’écris le surplus des dizaines au bas de cette colonne. Je passe à la seconde colonne en avançant vers la gauche, sur laquelle j’opère de la même manière ; de celle-là à la troisième, et j’achève ainsi de suite mon addition. Voici comment la même table lui servait à démontrer les propriétés des figures rectilignes. Supposons qu’il eût à démontrer que les parallélogrammes, qui ont même base et même hauteur, sont égaux en surface. Il plaçait ses épingles comme vous les voyez planche 4. Il attachait des noms aux points angulaires, et il achevait la démonstration avec ses doigts. En supposant que Saounderson n’employât que des épingles à grosse tête, pour désigner les limites de ses figures, il pouvait disposer autour d’elles des épingles à petite tête de neuf façons différentes, qui toutes lui étaient familières. Ainsi il n’était guère embarrassé, que dans les cas où | le grand nombre de points angulaires qu’il était obligé de nommer dans sa démonstration, le forçait de recourir aux lettres de l’alphabet. On ne nous apprend point comment il les employait. Nous savons seulement, qu’il parcourait sa table avec une agilité de doigts surprenante ; qu’il s’engageait avec succès dans les calculs les plus longs ; qu’il pouvait les interrompre, et reconnaître quand il se trompait ; qu’il les vérifiait avec facilité, et que ce travail ne lui demandait pas, à beaucoup près, autant de temps qu’on pourrait se l’imaginer, par la commodité qu’il avait de préparer sa table. Cette préparation consistait à placer des épingles à grosse tête au centre de tous les carrés. Cela fait, il ne lui restait plus qu’à en déterminer la valeur par les épingles à petite tête, excepté dans les cas où il fallait écrire une unité. Alors il mettait au centre du carré une épingle à petite tête, à la place de l’épingle à grosse tête qui l’occupait. Quelquefois, au lieu de former une ligne entière avec ses épingles, il se contentait d’en placer à tous les points angulaires ou d’intersection, autour desquels il fixait des fils de soie qui achevaient de former les limites de ses figures. Voyez la planche 5. Il a laissé quelques autres machines qui lui facilitaient l’étude de la géométrie ; on ignore le véritable usage qu’il en faisait, et il y aurait peut-être plus de sagacité à le retrouver ; qu’à résoudre tel ou tel problème de calcul intégral. Que quelque géomètre tâche de nous apprendre à quoi lui servaient quatre morceaux de bois, solides, de la forme de parallélépipèdes rectangulaires, chacun de onze pouces de long, sur cinq et demi de large, et sur un peu plus d’un demi-pouce d’épais, dont les deux grandes surfaces opposées, étaient divisées en petits carrés, semblables à celui de l’abaque que je viens de décrire ; avec cette différence qu’ils n’étaient percés qu’en quelques endroits où des épingles étaient enfoncées jusqu’à la tête. Chaque surface représentait neuf petites tables arithmétiques, de dix nombres | chacune, et chacun de ces dix nombres était composé de cinq chiffres. La planche 6 représente une de ces petites tables, et voici les nombres qu’elle contenait. Il est l’auteur d’un ouvrage très parfait dans son genre. Ce sont des éléments d’algèbre, où l’on n’aperçoit qu’il était aveugle qu’à la singularité de certaines démonstrations qu’un homme qui voit n’eût peut-être pas rencontrées : c’est à lui qu’appartient la division du cube en six pyramides égales qui ont leurs sommets au centre du cube, et pour bases, chacune de ses faces. On s’en sert pour démontrer d’une manière très simple, que toute pyramide est le tiers d’un prisme de même base et de même hauteur. | Il fut entraîné par son goût à l’étude des mathématiques, et déterminé par la médiocrité de sa fortune et les conseils de ses amis, à en faire des leçons publiques. Ils ne dou-
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da quella che è più alla mia destra, eseguo l’addizione dei numeri che vi sono espressi e scrivo le decine in più in fondo a questa colonna. Passo alla seconda colonna, avanzando verso sinistra, sulla quale opero nella stessa maniera; da questa alla terza, e completo così di seguito la mia addizione. Ecco come la stessa tavola gli servirà a dimostrare le proprietà delle figure geometriche rettilinee. Supponiamo che egli debba dimostrare che i parallelogrammi che hanno la stessa base e la stessa altezza hanno eguali superfici. Egli disponeva gli spilli come vedete, tavola 4. Attribuiva dei nomi ai punti angolari e completava la dimostrazione con le dita. Supponendo che Saunderson utilizzasse solo spilli a capocchia grossa, per designare i limiti delle sue figure, poteva disporre attorno a esse, degli spilli a capocchia piccola in nuovi modi diversi, che gli fossero tutti familiari. Così non incappava in nessuna difficoltà, tranne che nel caso in cui il gran numero di punti angolari lo costringesse a far ricorso alle lettere dell’alfabeto per designarli nella sua dimostrazione. Non si sa bene come le utilizzasse. Sappiamo solamente che con le dita percorreva la sua tavola dimostrando un’agilità sorprendente; che si impegnava con successo nei calcoli più lunghi; che poteva interromperli e capire quando sbagliava; che li verificava con facilità e che questo lavoro non gli richiedeva, neppure lontanamente, tutto il tempo che si potrebbe immaginare, grazie alla preparazione della sua tavola.43 Questa preparazione consisteva nel mettere degli spilli con la capocchia grossa al centro di tutti i quadrati. Fatto questo, non gli restava che determinare il valore per mezzo degli spilli a capocchia piccola, eccetto nel caso in cui doveva scrivere un’unità. Allora metteva al centro del quadrato uno spillo a capocchia piccola, al posto dello spillo a capocchia grossa che lo occupava. Talvolta, al posto di formare una linea intera con i suoi spilli, si accontentava di metterli in tutti i punti angolari o d’intersezione, attorno ai quali fissava dei fili di seta che finivano col formare i limiti delle sue figure. Si veda la tavola 5. Ha lasciato qualche altra macchina che gli facilitava lo studio della geometria: ignoriamo il vero uso che ne faceva, e ci vorrà forse più perspicacia per scoprirlo che per risolvere un calcolo integrale. Che sia qualche geometra a cercare di capire a cosa gli servivano quattro pezzi di legno, solidi, con la forma di parallelepipedi rettangolari, di undici pollici e mezzo di lunghezza, cinque e mezzo di larghezza e un po’ più di mezzo pollice di spessore, di cui le due grandi superfici opposte erano divise in piccoli quadrati, simili a quelli dell’abaco che ho appena descritto; con la differenza, che erano forati solo in qualche punto in cui gli spilli erano stati piantati fino alla capocchia. Ogni superficie rappresentava nove piccole tavole aritmetiche, di dieci numeri ciascuna, e ciascuna di queste cifre era composta di dieci cifre. La tavola 6 rappresenta una di queste tavolette, ed ecco qui i numeri che essa conteneva.44 Egli è autore di un’opera perfetta nel suo genere. Sono gli Elementi d’algebra, dove non ci si rende conto che era cieco se non dalla singolarità di certe dimostrazioni a cui un vedente probabilmente non sarebbe giunto: dobbiamo a lui la divisione del cubo in sei piramidi uguali che hanno i loro vertici al centro del cubo stesso, e per base, ciascuna delle sue sei facce. Ce ne si serve per dimostrare in una maniera molto semplice, che ciascuna piramide è un terzo di un prisma con la stessa base e la stessa altezza. La sua inclinazione lo portò allo studio delle matematiche, e fu spinto a fare delle lezioni pubbliche dalla mediocrità della sua fortuna e dal consiglio dei suoi amici.
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tèrent point qu’il ne réussît au delà de ses espérances, par la facilité prodigieuse qu’il avait à se faire entendre. En effet, Saounderson parlait à ses élèves comme s’ils eussent été privés de la vue ; mais un aveugle qui s’exprime clairement pour des aveugles, doit gagner beaucoup avec des gens qui voient ; ils ont un télescope de plus. Ceux qui ont écrit sa vie disent qu’il était fécond en expressions heureuses. et cela est fort vraisemblable. Mais qu’entendez-vous par des expressions heureuses, me demanderez-vous peut-être ? Je vous répondrai, Madame, que ce sont celles qui sont propres à un sens, au toucher, par exemple, et qui sont métaphoriques en même temps à un autre sens, comme aux yeux ; d’où il résulte une double lumière pour celui à qui l’on parle, la lumière vraie et directe de l’expression, et la lumière réfléchie de la métaphore. Il est évident que dans ces occasions Saounderson, avec tout l’esprit qu’il avait, ne s’entendait qu’à moitié ; puisqu’il n’apercevait que la moitié des idées attachées aux termes qu’il employait. Mais qui est-ce qui n’est pas de temps en temps dans le même cas ? cet accident est commun aux idiots qui font quelquefois d’excellentes plaisanteries et aux personnes qui ont le plus d’esprit, à qui il échappe une sottise, sans que ni les uns ni les autres s’en aperçoivent. J’ai remarqué que la disette de mots produisait aussi le même effet sur les étrangers à qui la langue n’est pas encore familière : ils sont forcés de | tout dire avec une très petite quantité de termes, ce qui les contraint d’en placer quelques-uns très heureusement. Mais toute langue en général étant pauvre de mots propres pour les écrivains qui ont l’imagination vive, ils sont dans le même cas que des étrangers qui ont beaucoup d’esprit, les situations qu’ils inventent, les nuances délicates qu’ils aperçoivent dans les caractères, la naïveté des peintures qu’ils ont à faire, les écartent à tout moment des façons de parler ordinaires, et leur font adopter des tours de phrases qui sont admirables toutes les fois
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Essi non dubitavano che avrebbe avuto un successo al di là delle sue speranze, per la prodigiosa facilità che aveva di farsi capire. In realtà, Saunderson parlava con i suoi alunni come se fossero ciechi; ma un cieco che si esprima chiaramente per dei ciechi deve avere ancor più successo con le persone che vedono, queste, infatti, hanno un telescopio in più. Quelli che hanno scritto la sua biografia 45 affermano che ricorreva a molte espressioni felici, e questo è molto verosimile. Nondimeno, mi potreste chiedere, cosa intendete per espressioni felici? Vi risponderò, signora, che si tratta di quelle espressioni caratteristiche di un senso, del tatto per esempio, ma che contemporaneamente sono metaforiche per un altro, come la vista, da cui risulta un doppia illuminazione per l’interlocutore; illuminazione vera e diretta dell’espressione e riflessa della metafora. È evidente che in queste occasioni Saunderson, con tutto il suo ingegno, capiva solo a metà, poiché non coglieva che la metà delle idee legate ai termini che impiegava. Ma chi non si ritrova, di tanto in tanto, nella stessa situazione? Queste contingenze sono comuni agli idioti, che fanno a volte degli eccellenti motti di spirito, e alle persone più intelligenti, a cui sfugge una sciocchezza, senza che né gli uni né gli altri se ne avvedano. Ho notato che la scarsità di parole produce lo stesso effetto anche sugli stranieri a cui la lingua non è ancora familiare: sono costretti a dire tutto con una piccola quantità di termini, cosa che li costringe a usarne alcuni molto felicemente. Tuttavia, essendo ogni lingua in generale povera di parole adatte agli scrittori che hanno una viva immaginazione, essi si trovano nella stessa situazione degli stranieri che hanno molto spirito; le situazioni che inventano, le sfumature delicate che colgono nei caratteri, la semplicità dei ritratti che tracciano, scartando in ogni momento i modi di parlare ordinari,
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qu’ils ne sont ni précieux ni obscurs, défauts qu’on leur pardonne plus ou moins difficilement, selon qu’on a plus d’esprit soi-même, et moins de connaissance de la langue. Voilà pourquoi M. de M... est de tous les auteurs français celui qui plaît le plus aux Anglais, et Tacite, celui de tous les auteurs latins que les Penseurs estiment davantage. Les licences [de la langue] nous échappent, et la vérité des termes nous frappe seule. Saounderson professa les mathématiques dans l’université de Cambridge, avec un succès étonnant. Il donna des leçons d’optique, il prononça des discours sur la nature de la lumière et des couleurs, il expliqua la théorie de la vision, il traita des effets des verres, des phénomènes de l’arc-en-ciel, et de plusieurs autres matières relatives à la vue et à son organe. Ces choses perdront beaucoup de leur merveilleux, si vous considérez, Madame, qu’il y a trois choses à distinguer dans toute question mêlée de physique et de géométrie ; le phénomène à expliquer, les suppositions du géomètre, et le calcul qui résulte des suppositions. Or, il est évident que, quelle que soit la pénétration d’un aveugle, les phénomènes de la lumière et des couleurs lui sont inconnus. Il entendra les suppositions, parce qu’elles sont toutes relatives à des causes palpables ; mais nullement la raison que le géomètre avait de les préférer à d’autres ; car il faudrait qu’il pût comparer les suppositions mêmes avec les phénomènes. L’aveugle prend donc les suppositions pour ce qu’on les lui donne ; un rayon de lumière, pour un | fil élastique et mince, ou pour une suite de petits corps qui viennent frapper nos yeux avec une vitesse incroyable ; et il calcule en conséquence. Le passage de la physique à la géométrie est franchi, et la question devient purement mathématique. Mais que devons-nous penser des résultats du calcul ? 1° Qu’il est quelquefois de la dernière difficulté de les obtenir ; et qu’en vain un physicien serait très heureux à imaginer les hypothèses les plus conformes à la nature, s’il ne savait les faire valoir par la géométrie : aussi les plus grands physiciens, Galilée, Descartes, Newton, ont-ils été grands géomètres. 2° Que ces résultats sont plus ou moins certains, selon que les hypothèses dont on est parti sont plus ou moins compliquées. Lorsque le calcul est fondé sur une hypothèse simple ; alors les conclusions acquièrent la force de démonstrations géométriques. Lorsqu’il y a un grand nombre de suppositions, l’apparence que chaque hypothèse soit vraie diminue en raison du nombre des hypothèses ; mais augmente d’un autre côté par le peu de vraisemblance que tant d’hypothèses fausses se puissent corriger exactement l’une l’autre, et qu’on en obtienne un résultat confirmé par les phénomènes. Il en serait en ce cas comme d’une addition dont le résultat serait exact, quoique les sommes partielles des nombres ajoutés eussent toutes été prises faussement. On ne peut disconvenir qu’une telle opération ne soit possible ; mais vous voyez en même temps qu’elle doit être fort rare. Plus il y aura de nombres à ajouter, plus il y aura d’apparence que l’on se sera trompé dans l’addition de chacun ; mais aussi, moins cette apparence sera grande, si le résultat de l’opération est juste. Il y a donc un nombre d’hypothèses tel que la certitude qui en résulterait, serait la plus petite qu’il est possible. Si je fais A, plus B, plus C, égaux à 50 : conclurai-je de ce que 50 est en effet la quantité du phénomène, que les suppositions représentées par les lettres A, B, C, sont vraies ? nullement : car il y a une infinité de manières d’ôter à l’une de ces lettres et d’ajouter aux deux autres, d’après lesquelles je trouverai toujours 50 pour résultat : mais le cas de trois hypothèses combinées, est peut-être un des plus défavorables. | Un avantage du calcul que je ne dois pas omettre, c’est d’exclure les hypothèses fausses, par la contrariété qui se trouve entre le résultat et le phénomène. Si un physi-
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spingendoli ad adottare giri di parole che sono ammirevoli, quando non sono né preziosi né oscuri, difetti che perdoniamo loro più o meno difficilmente, a seconda che abbiamo maggior spirito e minor conoscenza della lingua. Ecco perché M. de M... 46 è tra tutti gli autori francesi quello che più piace agli Inglesi, e Tacito, quello tra gli autori latini che i pensatori stimano di più. Le licenze della lingua ci sfuggono, e ci colpisce solo la verità dei termini. Saunderson insegnò matematica all’università di Cambridge, con un sorprendente successo. Dava lezioni di ottica, tenne discorsi sulla natura della luce e dei colori, spiegava la teoria della visione, trattava gli effetti delle lenti, dei fenomeni dell’arcobaleno, e molteplici altre materie relative alla vista e al suo organo.47 Queste cose perdono molto del loro fascino se considerate, signora, che in ogni questione in cui si mescolano fisica e geometria ci sono tre cose da distinguere: i fenomeni da spiegare, le ipotesi del geometra, e i calcoli che risultano dalle supposizioni. Ora, è evidente che per grande che sia la penetrazione di un cieco, i fenomeni della luce e del colore gli restano sconosciuti. Comprenderà le ipotesi, poiché esse si riferiscono tutte a cause tangibili; ma non comprenderà mai la ragione che ha il geometra di preferirle ad altre, poiché sarebbe necessario comparare le supposizioni stesse con i fenomeni. Il cieco dunque prende le supposizioni così come gli vengono presentate: un raggio di luce, per un filo elastico e sottile, o per un susseguirsi di piccoli corpuscoli che vengono a colpire i nostri occhi con una velocità incredibile,48 ed egli calcola di conseguenza. Il passaggio tra fisica e geometria è superato e la questione diviene puramente matematica.49 Ma cosa dobbiamo pensare dei risultati del calcolo? 1°. Che a volte è estremamente difficile ottenerli e che un fisico faticherebbe in vano a immaginare le ipotesi più conformi alla natura se non sapesse farle valere in geometria: anche i più grandi fisici, Galileo, Cartesio, Newton sono stati grandi geometri. 2°. Che questi risultati sono più o meno certi, a seconda che le ipotesi da cui siamo partiti siano più o meno complesse. Quando il calcolo è fondato su un’ipotesi semplice, allora le conclusioni acquisiranno la forza di dimostrazioni geometriche. Quando c’è un grande numero di ipotesi, la probabilità che ciascuna sia vera, diminuisce in ragione del numero di ipotesi, ma aumenta da un altro lato grazie a quel poco di verosimiglianza che molte delle ipotesi false possano correggersi esattamente l’una con l’altra, e che se ne ottenga un risultato confermato dai fenomeni. Si tratterebbe di un caso analogo a un’addizione il cui risultato sia esatto, nonostante le somme parziali degli addendi fossero tutte state conteggiate erroneamente. Non possiamo negare che una simile operazione sia realizzabile, ma vedete al contempo che sia una possibilità molto rara. Più saranno i numeri da sommare più è possibile sbagliare nelle somme parziali, ma d’altra parte questa possibilità ci sembrerà meno grande, se il risultato dell’operazione è corretto. Esiste dunque un numero di ipotesi tale, che la certezza risultante sarebbe la più piccola possibile. Se dalla somma di A, B e C, si ottiene 50: posso dedurne che 50 è effettivamente la quantità del fenomeno, ma da questo deriva che le supposizioni rappresentate dalle lettere A, B, C sono vere? Nient’affatto: perché c’è un numero infinito probabilità di sottrarre a ciascuna di queste lettere e aggiungere alle altre due ottenendo sempre 50 per risultato: ma il caso della combinazione di tre ipotesi, è forse uno dei più sfavorevoli. Un vantaggio del calcolo che non devo omettere è quello rappresentato dall’esclusione le ipotesi false, per la contraddizione che si trova tra il risultato e il fenomeno. Se
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cien se propose de trouver la courbe que suit un rayon de lumière en traversant l’atmosphère ; il est obligé de rendre son parti sur la densité des couches de l’air, sur la loi de la réfraction, sur la nature et la figure des corpuscules lumineux, et peut-être sur d’autres éléments essentiels qu’il ne fait point entrer en compte, soit parce qu’il les néglige volontairement, soit parce qu’ils lui sont inconnus : il détermine ensuite la courbe du rayon. Est-elle autre dans la nature que son calcul ne la donne ? ses suppositions sont incomplètes ou fausses : le rayon prend-il la courbe déterminée ? il s’ensuit de deux choses l’une, ou que les suppositions se sont redressées, ou qu’elles sont exactes ; mais lequel des deux ? il l’ignore : cependant voilà toute la certitude à laquelle il peut arriver. J’ai parcouru les Éléments d’algèbre de Saounderson dans l’espérance d’y rencontrer ce que je désirais d’apprendre de ceux qui l’ont vu familièrement et qui nous ont instruits de quelques particularités de sa vie ; mais ma curiosité a été trompée, et j’ai conçu que des éléments de géométrie de sa façon auraient été un ouvrage plus singulier en luimême et beaucoup plus utile pour nous. Nous y aurions trouvé les définitions du point, de la ligne, de la surface, du solide, de l’angle, des intersections des lignes et des plans, où je ne doute point qu’il n’eût employé des principes d’une métaphysique très abstraite et fort voisine de celle des idéalistes. On appelle idéalistes ces philosophes qui, n’ayant conscience que de leur existence et des sensations qui se succèdent au dedans d’euxmêmes, n’admettent pas autre chose. Système extravagant qui ne pouvait, ce me semble, devoir sa naissance qu’à des aveugles ; système qui, à la honte de l’esprit humain et de la philosophie, est le plus difficile à combattre, quoique le plus absurde de tous. Il est exposé avec autant de franchise que de clarté dans trois dialogues du docteur Berkeley, évêque de Cloyne : il faudrait inviter l’auteur de l’Essai sur nos connaissances, à examiner cet ouvrage. Il y trouverait matière à des observations utiles, agréables, | fines, et telles, en un mot, qu’il les sait faire. L’idéalisme mérite bien de lui être dénoncé ; et cette hypothèse a de quoi le piquer, moins encore par sa singularité, que par la difficulté de la réfuter dans ses principes ; car ce sont précisément les mêmes que ceux de Berkeley. Selon l’un et l’autre, et selon la raison, les termes essence, matière, substance, suppôt, etc. ne portent guère par eux-mêmes de lumières dans notre esprit ; d’ailleurs, remarque judicieusement l’auteur de l’Essai sur l’origine des connaissances humaines, soit que nous nous élevions jusqu’aux cieux, soit que nous descendions jusque dans les abîmes, nous ne sortons jamais de nous-mêmes ; et ce n’est que notre propre pensée que nous apercevons : or, c’est là le résultat du premier dialogue de Berkeley, et le fondement de tout son système. Ne seriez-vous pas curieuse de voir aux prises deux ennemis, dont les armes se ressemblent si fort ? Si la victoire restait à l’un des deux, ce ne pourrait être qu’à celui qui s’en servirait le mieux ; mais l’auteur de l’Essai sur l’origine des connaissances humaines vient de donner dans un Traité sur les systèmes, de nouvelles preuves de l’adresse avec laquelle il sait manier les siennes, et montrer combien il est redoutable pour les systématiques. Nous voilà bien loin de nos aveugles, direz-vous ; mais il faut que vous ayez la bonté, Madame, de me passer toutes ces digressions : je vous ai promis un entretien, et je ne puis vous tenir parole sans cette indulgence. | J’ai lu, avec toute l’attention dont je suis capable, ce que Saounderson a dit de l’infini : je puis vous assurer qu’il avait sur ce sujet des idées très justes et très nettes, et que la plupart de nos infinitaires n’auraient été pour lui que des aveugles. Il ne tiendra qu’à vous d’en juger par vous même : quoique cette matière soit assez difficile, et s’étende un peu au delà de vos connaissances mathématiques, je ne désespérerais pas, en me préparant, de la mettre à votre portée, et de vous initier dans cette logique infinitésimale.
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un fisico si propone di trovare la curva descritta da un raggio di luce attraversando l’atmosfera, è obbligato a tener conto della densità degli strati d’aria, della legge di rifrazione, della natura e della forma dei corpuscoli luminosi, e forse su altri elementi essenziali di cui egli ritiene di non dover tenere conto, sia perché volontariamente li trascura, sia perché gli sono sconosciuti: poi egli determina la curva del raggio. Essa, in natura, differisce dal risultato del suo calcolo? Le sue ipotesi sono incomplete o false: il raggio assume la curva prevista? Ne conseguono due possibilità, o le ipotesi erano corrette, o si sono corrette, ma quale delle due circostanze è vera? Egli lo ignora: eppure ecco tutto ciò che può sapere con certezza. 50 Ho letto gli Elementi di algebra di Saunderson nella speranza di trovarvi quello che desideravo imparare da coloro che avevano familiarità con lui e che ci hanno informati di qualche particolarità della sua vita, ma la mia curiosità è stata delusa, e ho pensato che un’opera sugli elementi di geometria scritta alla sua maniera, sarebbe stata un’opera molto più singolare in se stessa e molto più utile per noi. Vi avremmo trovato le definizioni di punto, di linea, di superficie, di solido, di angolo, dell’intersezione delle linee e dei piani, in cui senza dubbio egli avrebbe adottato dei principi di una metafisica molto astrati e molto vicina a quella degli idealisti. Sono detti idealisti, quei filosofi che, avendo coscienza solo della loro esistenza e delle loro sensazioni che si succedono nel loro intimo, non ammettono nient’altro. Sistema stravagante che non poteva, mi sembra, dovere la sua nascita che a dei ciechi; sistema che a discredito dello spirito umano e della filosofia, è il più difficile da combattere, sebbene sia il più assurdo di tutti. Esso è stato esposto con franchezza e altrettanta chiarezza dei dialoghi del dottor Berkeley, vescovo di Cloyne:51 si dovrà invitare l’autore del Saggio sulle nostre conoscenze, a esaminare quest’opera. Vi troverebbe del materiale per delle osservazioni utili, piacevoli, acute, e in una parola come egli sa fare.52 L’idealismo merita certo di essere segnalato, e quest’ipotesi ha di che toccarlo non tanto per la sua singolarità, quanto per la difficoltà di confutarne i principi, poiché sono esattamente gli stessi di Berkeley. Secondo l’uno e l’altro, e secondo la ragione, i termini essenza, materia, sostanza, sostrato, ecc. in se stessi non illuminano affatto il nostro spirito; d’altra parte, ricorda giudiziosamente l’autore del Saggio sull’origine delle conoscenze umane, sia che ci eleviamo fino ai cieli, sia che discendiamo nel profondo dell’abisso, non usciamo mai da noi stessi, e percepiamo solo il nostro pensiero:53 ora, è questo il risultato del primo dialogo di Berkeley e il fondamento del suo sistema. Non sareste curiosa di vedere alle prese due nemici le cui armi si somigliano tanto? Se la vittoria andasse a uno dei due, potrebbe essere solo a colui che sapesse servirsene meglio; ma l’autore del Saggio sull’origine delle conoscenze umane, ci ha dato nuove prove, nel Trattato sui sistemi, dell’abilità con la quale sa maneggiare le sue e ha dimostrato quanto è temibile per i sistematici.54 Eccoci molto lontani dai nostri ciechi, direte voi, ma bisogna che abbiate la bontà, signora, di concedermi tutte queste digressioni: ho promesso di intrattenervi, e non posso che mantenere la mia parola senza la vostra indulgenza. Ho letto con tutta l’attenzione possibile quello che Saunderson ha detto dell’infinito:55 posso assicurarvi che su questo soggetto aveva delle idee molto chiare e precise, e che la maggior parte dei nostri inifnitisti 56 sarebbero stati per lui altrettanti ciechi. Giudicate voi stessa: nonostante questa materia sia assai difficile, e si estenda un po’ più al di là delle vostre conoscenze matematiche, non dispererei, preparandomi ad adeguarla alla vostra portata, e di iniziarvi così alla logica infinitesimale.
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L’exemple de cet illustre aveugle prouve que le tact peut devenir plus délicat que la vue, lorsqu’il est perfectionné par l’exercice ; car, en parcourant des mains une suite de médailles, il discernait les vraies d’avec les fausses, quoique celles-ci fussent assez bien contrefaites pour tromper un connaisseur qui aurait eu de bons yeux ; et il jugeait de l’exactitude d’un instrument de mathématiques, en faisant passer l’extrémité de ses doigts sur ses divisions. Voilà certainement des choses plus difficiles à faire, que d’estimer par le tact la ressemblance d’un buste, avec la personne représentée. D’où l’on voit qu’un peuple d’aveugles pourrait avoir des statuaires, et tirer des statues le même avantage que nous, celui de perpétuer la mémoire des belles actions, et des personnes qui leur seraient chères. Je ne doute pas même que le sentiment qu’ils éprouveraient à toucher les statues ne fût beaucoup plus vif que celui que nous avons à les voir. Quelle douceur pour un amant qui aurait bien tendrement aimé, de promener ses mains sur des charmes qu’il reconnaîtrait, lorsque l’illusion qui doit agir plus fortement dans les aveugles qu’en ceux qui voient, viendrait à les ranimer ! Mais peut-être aussi que, plus il aurait de plaisir dans ce souvenir, moins il aurait de regret. Saounderson avait de commun avec l’aveugle du Puisaux, d’être | affecté de la moindre vicissitude qui survenait dans l’atmosphère, et de s’apercevoir, surtout dans les temps calmes, de la présence des objets dont il n’était éloigné que de quelques pas. On raconte qu’un jour qu’il assistait à des observations astronomiques, qui se faisaient dans un jardin, les nuages qui dérobaient de temps en temps aux observateurs le disque du soleil occasionnaient une altération assez sensible dans l’action des rayons sur son visage, pour lui marquer les moments favorables ou contraires aux observations. Vous croirez peut-être qu’il se faisait dans ses yeux quelque ébranlement capable de l’avertir de la présence de la lumière, mais non de celle des objets ; et je l’aurais cru comme vous, s’il n’était certain que Saounderson était privé non seulement de la vue, mais de l’organe. Saounderson voyait donc par la peau ; cette enveloppe était donc en lui d’une sensibilité si exquise, qu’on peut assurer qu’avec un peu d’habitude il serait parvenu à reconnaître un de ses amis dont un dessinateur lui aurait tracé le portrait sur la main, et qu’il aurait prononcée sur la succession des sensations excitées par [le] crayon ; c’est Monsieur un tel. Il y a donc aussi une peinture pour les aveugles, celle à qui leur propre peau servirait de toile. Ces idées sont si peu chimériques, que je ne doute point que, si quelqu’un vous traçait sur la main la petite bouche de Mr..., vous ne la reconnussiez sur-le-champ : convenez, cependant, que cela serait plus facile encore à un aveugle-né qu’à vous, malgré l’habitude que vous avez de la voir et de la trouver charmante. Car il entre dans votre jugement deux ou trois choses, la comparaison de la peinture qui s’en ferait sur votre main, avec celle qui s’en est faite dans le fond de votre œil ; la mémoire de la manière dont on est affecté des choses que l’on sent, et de celle dont on est affecté par les choses qu’on s’est contenté de voir et d’admirer ; enfin l’application de ces données, à la question qui vous est proposée par un dessinateur qui vous demande, en traçant une bouche sur la peau | de votre main avec la pointe de son crayon, à qui appartient la bouche que je dessine ? au lieu que la somme des sensations excitées par une bouche sur la main d’un aveugle, est la même que la somme des sensations successives, réveillées par le crayon du dessinateur qui la lui représente. Je pourrais ajouter à l’histoire de l’aveugle du Puisaux et de Saounderson, celle de Didymme d’Alexandrie, d’Eusèbe l’Asiatique, de Nicaise de Mechlin, et quelques autres qui ont paru si fort élevés au-dessus du reste des hommes, avec un sens de moins ; que les poètes auraient pu feindre, sans exagération, que les dieux jaloux les en privèrent
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L’esempio di questo illustre cieco dimostra che il tatto può diventare più raffinato della vista, quando sia perfezionato attraverso l’esercizio, poiché scorrendo con le mani una serie di monete, saprebbe distinguere quelle vere da quelle false, anche se queste fossero ben contraffatte tanto da ingannare un conoscitore con la vista buona; egli valutava l’esattezza di uno strumento matematico, passando l’estremità delle dita sulle sue parti. Ecco un’operazione certamente più difficile da compiere con il tatto, che determinare la somiglianza di un busto alla persona rappresentata. Da questo possiamo dedurre che un popolo di ciechi potrebbe avere statue, e trarre da esse lo stesso beneficio che ne traiamo noi, di perpetuare la memoria delle belle azioni, e delle persone che care. Non dubito, inoltre, che il sentimento che essi proverebbero toccando le statue sarebbe altrettanto vivo di quello che proviamo noi nel vederle. Che dolcezza per un amante che avesse amato teneramente carezzare con le sue mani gli incanti ben conosciuti, quando l’illusione, che deve agire più fortemente sui ciechi che su coloro che vedono, venisse a rianimarli; ma forse al maggior piacere di questo ricordo, si accompagnerebbe un minor rimpianto.57 Saunderson aveva in comune con il cieco di Puiseaux il fatto di essere sensibile alle minime variazioni dell’atmosfera e di accorgersi, soprattutto nei momenti di calma, della presenza di oggetti non lontani da lui. Si racconta che un giorno mentre stava assistendo a delle osservazioni astronomiche che si svolgevano in un giardino, le nuvole che nascondevano ogni tanto il disco del sole agli osservatori, provocavano un’alterazione dell’azione dei raggi del sole sul suo viso abbastanza sensibile, da indicargli i momenti favorevoli o contrari alle osservazioni. Forse credete che si producesse qualche tremolio nei suoi occhi capace di avvertirlo della presenza della luce, se non di quella degli oggetti; anch’io l’avrei creduto come voi, se non fosse che Saunderson era privo non solo della vista, ma anche del suo organo. Saunderson vedeva dunque attraverso la pelle; pertanto questo involucro era per lui di una sensibilità così squisita, che possiamo star certi che con un po’ di abitudine, sarebbe arrivato a riconoscere uno dei suoi amici, se un disegnatore gli avesse tracciato il ritratto sulla mano, e che in base alla successione delle sensazioni; avrebbe detto: è il signor tal dei tali. Allora potrebbe esistere anche una pittura per i ciechi, che si servisse della loro stessa pelle come tela. Queste idee sono così poco chimeriche, che non dubito che, se qualcuno vi tracciasse sulla mano la piccola bocca di M... la riconoscereste immediatamente: converrete tuttavia che questo sarebbe più facile per un cieco-nato che per voi, malgrado l’abitudine che avete di vederla e di trovarla affascinante. Perché nel vostro giudizio intervengono due o tre cose, il confronto fra il disegno fatto sulla vostra mano e l’immagine presente sul fondo del vostro occhio, il ricordo del modo in cui si è affetti dalle cose che sentiamo, e quello in cui si è affetti da quelle che ci siamo accontentati di vedere e di ammirare; infine l’applicazione di questi dati il problema che vi fosse posta da un disegnatore tracciando una bocca sulla pelle della vostra mano, con la punta della matita: «a chi appartiene la bocca che disegno?» mentre la somma delle sensazioni suscitate da una bocca sulla mano di un cieco, è la stessa della somma delle sensazioni successive, destate dalla matita del disegnatore che gliela rappresenta. Potrei aggiungere alla storia del cieco di Puiseaux e di Saunderson, quella di Didimo d’Alessandria, di Eusebio l’Asiatico, di Nicasio di Méchlin58 e di altri con un senso in meno che sono sembrati così forti elevandosi al di sopra degli altri uomini, che i poeti avrebbero potuto fingere, senza esagerazione, che gli dei gelosi li avessero privati di un
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de peur d’avoir des égaux parmi les mortels. Car qu’était-ce que ce Tirésie, qui avait lu dans les secrets des dieux, et qui possédait le don de prédire l’avenir, qu’un philosophe aveugle dont la Fable nous a conservé la mémoire ? Mais ne nous éloignons plus de Saounderson, et suivons cet homme extraordinaire jusqu’au tombeau. Lorsqu’il fut sur le point de mourir, on appela auprès de lui un ministre fort habile, M. Gervaise Holmes : ils eurent ensemble un entretien sur l’existence de Dieu dont il nous reste quelques fragments, que je vous traduirai de mon mieux car ils en valent bien la peine. Le ministre commença par lui objecter les merveilles de la nature : « Eh ! Monsieur, lui disait le philosophe aveugle, laissez là tout ce beau spectacle qui n’a jamais été fait pour moi ! J’ai été condamné à passer ma vie dans les ténèbres, et vous me citez des prodiges que je n’entends point, et qui ne prouvent que pour vous et que pour ceux qui voient comme vous. Si vous voulez que je croie en Dieu, il faut que vous me le fassiez toucher. » « Monsieur, reprit habilement le ministre, portez les mains sur vous-même, et vous rencontrerez la divinité dans le mécanisme admirable de vos organes. » « Monsieur Holmes, reprit Saounderson, je vous le répète ; tout cela n’est pas | aussi beau pour moi que pour vous. Mais le mécanisme animal fût-il aussi parfait que vous le prétendez, et que je veux bien le croire, car vous êtes un honnête homme, très incapable de m’en imposer, qu’a-t-il de commun avec un être souverainement intelligent ? s’il vous étonne, c’est peut-être parce que vous êtes dans l’habitude de traiter de prodige, tout ce qui vous paraît au-dessus de vos forces. J’ai été si souvent un objet d’admiration pour vous, que j’ai bien mauvaise opinion de ce qui vous surprend. J’ai attiré du fond de l’Angleterre des gens qui ne pouvaient concevoir comment je faisais de la géométrie : il faut que vous conveniez que ces gens-là n’avaient pas de notions bien exactes de la possibilité des choses. Un phénomène est-il, à notre avis, au-dessus de l’homme, nous disons aussitôt : c’est l’ouvrage d’un Dieu ; notre vanité ne se contente pas à moins : ne pourrions-nous pas mettre dans nos discours un peu moins d’orgueil, et un peu plus de philosophie ? Si la nature nous offre un nœud difficile à délier, laissons-le pour ce qu’il est, et n’employons pas à le couper la main d’un être qui devient ensuite pour nous un nouveau nœud plus indissoluble que le premier. Demandez à un Indien, pourquoi le monde reste suspendu dans les airs, il vous répondra qu’il est porté sur le dos d’un éléphant ; et l’éléphant sur quoi l’appuiera-t-il ? sur une tortue ; et la tortue, qui la soutiendra ?... Cet Indien vous fait pitié et l’on pourrait vous dire comme à lui : M. Holmes mon ami, confessez d’abord votre ignorance, et faites-moi grâce de l’éléphant et de la tortue. » Saounderson s’arrêta un moment : il attendait apparemment que le ministre lui répondît ; mais par où attaquer un aveugle ? M. Holmes se prévalut de la bonne opinion que Saounderson avait conçue de sa probité, et des lumières de Neuton, de Leibniz, de Clark et de quelques-uns de ses compatriotes, les premiers génies du monde, qui tous avaient été frappés des merveilles de la nature, et reconnaissaient un être intelligent pour son auteur. C’était, sans contredit, ce que le ministre pouvait objecter de plus fort à Saounderson. Aussi le bon aveugle convint-il qu’il y aurait de la témérité à nier ce qu’un homme, tel que | Neuton, n’avait pas dédaigné d’admettre : il représenta toutefois au ministre que le témoignage de Neuton n’était pas aussi fort pour lui, que celui de la nature entière pour Neuton ; et que Neuton croyait sur la parole de Dieu, au lieu que lui, il en était réduit à croire sur la parole de Neuton. « Considérez, M. Holmes, ajouta-t-il, combien il faut que j’aie de confiance en votre parole et dans celle de Neuton. Je ne vois rien ; cependant j’admets en tout un ordre
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senso, per paura di avere degli eguali tra i mortali. Poiché, infatti, cos’era questo Tiresia che aveva letto nei segreti degli dei e che possedeva il dono di prevenire l’avvenire, se non un filosofo cieco la cui favola noi conserviamo il ricordo? Ma non allontaniamoci più da Saunderson, e seguiamo quest’uomo straordinario fino alla tomba. Quando stava per morire,59 venne chiamato presso di lui un pastore molto abile, il reverendo Gervaise Holmes: insieme discussero dell’esistenza di Dio, come dimostrano i frammenti del colloquio che ci restano e che vi tradurrò facendo del mio meglio, perché ne vale veramente la pena. Il pastore esordì con le obiezioni sulle meraviglie della natura:60 «Eh, signore», gli disse il filosofo cieco, «Lasciate stare tutto questo meraviglioso spettacolo che non ha mai fatto per me! Sono stato condannato a passare la mia vita nelle tenebre, e voi mi citate prodigi che io nemmeno comprendo, e che sono probanti solo per voi e per quelli che, come voi, ci vedono. Se volete che creda in Dio, bisogna che me lo facciate toccare.» «Signore», riprese abilmente il pastore, «posate le mani su voi stesso, e troverete la divinità nel meccanismo ammirabile dei vostri organi.» «Signore Holmes» rispose Saunderson, «vi ripeto che tutto questo non è così bello per me quanto lo è per voi. Ma anche se il meccanismo animale fosse perfetto come voi pretendete, e voglio credervi, poiché siete un uomo onesto, sono assolutamente incapace di impormelo, che cos’ha esso in comune con un essere sovranamente intelligente? Se vi meraviglia, forse è perché voi siete abituato a considerare prodigioso tutto ciò che vi sembra al di sopra delle vostre forze. Io sono stato così spesso oggetto di ammirazione da parte vostra che non mi sono fatto una buona opinione di ciò che vi sorprende. Ho attirato persone dalle terre più remote d’Inghilterra che non riuscivano a capire come potessi occuparmi di geometria, dovete ammettere che quelle persone non avevano delle idee molto precise sulla possibilità delle cose. Diciamo spesso che un fenomeno che, a nostro parere, è al di sopra dell’uomo, è opera di un Dio; la nostra vanità non si accontenta di meno: non potremmo mettere nei nostri discorsi un po’ meno di superbia e un po’ più di filosofia? Se la natura ci offre un nodo così difficile da sciogliere, lasciamolo com’è, e non prodighiamoci per tagliare la mano di un Essere che diviene poi per noi un nuovo nodo, più indissolubile del primo.61 Domandate a un Indiano perché il mondo resta sospeso nell’aria, vi risponderà che è portato sul dorso di un elefante; e l’elefante su cosa si appoggia? Su una tartaruga; e chi sosterrà la tartaruga?... Questo Indiano vi farà pietà, e noi potremmo dirvi, come a lui: Signor Holmes, amico mio, confessate innanzitutto la vostra ignoranza, e risparmiatemi l’elefante e la tartaruga.»62 Saunderson si fermò un momento: aspettava evidentemente che il pastore gli rispondesse, ma come criticare un cieco? Il signor Holmes si valse della buona opinione che Saunderson aveva concepito della sua probità e dei lumi di Newton, di Leibniz, di Clarke63 e di alcuni altri suoi compatrioti, i più grandi geni del mondo che erano tutti stati colpiti dalle meraviglie della natura, e riconoscevano un Essere intelligente come il suo artefice. Era la migliore controreplica che il pastore potesse addurre a Saunderson. Così il buon cieco riconobbe che non avrebbe avuto il coraggio di negare quello che un uomo come Newton non aveva disdegnato di ammettere: tuttavia fece notare al pastore che la testimonianza di Newton non era per lui così decisiva, quanto quella della natura per Newton, e che Newton credeva alla parola di Dio, mentre lui, era ridotto a credere alla parola di Newton.64 «Considerate, signor Holmes», aggiunse, «quanto mi devo fidare della vostra parola e di quella di Newton. Non vedo niente, tuttavia ammetto in tutto un ordine
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admirable ; mais je compte que vous n’en exigerez pas davantage. Je vous le cède sur l’état actuel de l’univers, pour obtenir de vous en revanche la liberté de penser ce qu’il me plaira de son ancien et premier état, sur lequel vous n’êtes pas moins aveugle que moi. Vous n’avez point ici de témoins à m’opposer, et vos yeux ne vous sont d’aucune ressource. Imaginez donc, si vous voulez, que l’ordre qui vous frappe a toujours subsisté ; mais laissez-moi croire qu’il n’en est rien ; et que, si nous remontions à la naissance des choses et des temps, et que nous sentissions la matière se mouvoir et le chaos se débrouiller, nous rencontrerions une multitude d’êtres informes pour quelque êtres bien organisés. Si je n’ai rien à vous objecter sur la condition présente des choses, je puis du moins vous interroger sur leur condition passée. Je puis vous demander, par exemple, qui vous a dit à vous, à Leibniz, à Clark et à Neuton, que dans les premiers instants de la formation des animaux, les uns n’étaient pas sans tête et les autres sans pieds ? Je puis vous soutenir que ceux-ci n’avaient point d’estomac, et ceux-là point d’intestins ; que tels à qui un estomac, un palais et des dents semblaient promettre de la durée, ont cessé par quelque vice du cœur ou des poumons ; que les monstres se sont anéantis successivement ; que toutes les combinaisons vicieuses de la matière ont disparu, et qu’il n’est resté que celles où le mécanisme n’impliquait aucune contradiction importante, et qui pouvaient subsister par elles-mêmes et se perpétuer. Cela supposé, si le premier homme eût eu le larynx fermé, eût | manqué d’aliments convenables, eût péché par les parties de la génération, n’eût point rencontré sa compagne, ou se fût répandu dans une autre espèce, M. Holmes, que devenait le genre humain ? il eût été enveloppé dans la dépuration générale de l’univers, et cet être orgueilleux qui s’appelle homme, dissous et dispersé entre les molécules de la matière, serait resté, peut-être pour toujours, au nombre des possibles. S’il n’y avait jamais eu d’êtres informes, vous ne manqueriez pas de prétendre qu’il n’y en aura jamais, et que je me jette dans les hypothèses chimériques ; mais l’ordre n’est pas si parfait, continua Saounderson , qu’il ne paraisse encore de temps en temps des productions monstrueuses. » Puis, se tournant en face du ministre, il ajouta, « voyezmoi bien, M. Holmes, je n’ai point d’yeux. Qu’avions-nous fait à Dieu, vous et moi, un pour avoir cet organe ; l’autre pour en être privé ? » Saounderson avait l’air si vrai et si pénétré en prononçant ces mots, que le ministre et le reste de l’assemblée ne purent s’empêcher de partager sa douleur, et se mirent à pleurer amèrement sur lui. L’aveugle s’en aperçut. « Monsieur Holmes, dit-il au ministre, la bonté de votre cœur m’était bien connue, et je suis très sensible à la preuve que vous m’en donnez dans ces derniers moments ; mais, si je vous suis cher, ne m’enviez pas en mourant la consolation de n’avoir jamais affligé personne. » Puis reprenant un ton un peu plus ferme, il ajouta : « Je conjecture donc que, dans le commencement où la matière en fermentation faisait éclore l’univers, mes semblables étaient fort communs. Mais pourquoi n’assurerais-je pas des mondes ce que je crois des animaux ? Combien de mondes estropiés, manqués, se sont dissipés, se [reforment] et se dissipent peut-être à chaque instant dans des espaces éloignés, où je ne touche point, et où vous ne voyez pas ; mais où le mouvement continue et continuera de combiner des amas de matière, jusqu’à ce qu’ils aient obtenu quelque arrangement dans lequel ils puissent persévérer ? O philosophes, transpor | tez-vous donc avec moi, sur les confins de cet univers, au delà du point où je touche, et où vous voyez des êtres organisés ;
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ammirabile, ma spero che voi non esigiate di più. Non mi oppongo a quello che dite sullo stato attuale dell’universo, ma in cambio vorrei ottenere da voi la libertà di pensare quello che mi pare, riguardo al suo antico e primo stato sul quale voi non siete meno cieco di me. Su questo non avete nessun testimone da oppormi e i vostri occhi non vi sono di alcun aiuto. Immaginate dunque, se volete, che l’ordine che vi colpisce sussista da sempre, ma lasciatemi credere che esso non esisteva, e che se risalendo alla nascita delle cose e del tempo, sentissimo la materia muoversi e il caos districarsi, incontreremmo una moltitudine di esseri informi, contro qualche essere ben organizzato. Se non ho nulla da obiettarvi sulla condizione presente delle cose, posso almeno mettervi in dubbio circa la loro condizione passata. Posso chiedervi, per esempio, chi ha detto a voi, a Leibniz, a Clark e a Newton, che nei primi istanti della formazione degli animali, alcuni non fossero senza testa e altri senza piedi? Potrei anche sostenere alcuni erano privi di stomaco, altri di intestino; che quelli che sembrava sarebbero durati perché dotati di palato e denti, invece si sono estinti per qualche vizio del cuore o dei polmoni; che successivamente altri mostri sono svaniti, che tutte le combinazioni viziose della materia sono sparite, e che sono rimaste solo quelle in cui il meccanismo era privo di contraddizioni importanti e che potevano sussistere per se stesse e riprodursi. «Supposto questo, se il primo uomo avesse avuto la laringe chiusa, se gli fossero mancati gli alimenti adatti, se avesse avuto una conformazione deficiente degli organi riproduttivi, se non avesse mai incontrato la sua compagna, o si fosse accoppiato con un’altra specie, signor Holmes, cosa sarebbe divenuto il genere umano? Sarebbe stato coinvolto nella depurazione generale dell’universo, e questo essere orgoglioso che si chiama uomo, dissolto e disperso tra le molecole della materia, sarebbe rimasto, forse per sempre, nel novero dei possibili. «Se non ci fossero mai stati esseri informi, voi non vi esimereste dall’escludere che in futuro non ce ne saranno mai, che io mi lancio nelle ipotesi chimeriche, ma l’ordine non è tanto perfetto» continuò Saunderson, «possono comparire di tanto in tanto dei prodotti mostruosi.» Poi, voltandosi verso il pastore, aggiunse: «Guardatemi bene, signor Holmes, non ho occhi. Cos’abbiamo fatto a Dio, voi e io, perché uno possieda quest’organo e l’altro per esserne privato?». Saunderson aveva un’espressione così sincera e convinta pronunciando queste parole, che il pastore e il resto dell’assemblea non poterono fare a meno di condividere il suo dolore, e si misero a piangere amaramente su di lui. Il cieco se ne avvide e disse al pastore: «Signor Holmes, conoscevo la bontà del vostro cuore e sono molto toccato dalla prova che me ne date in questi ultimi momenti, ma se vi sono caro, non toglietemi in puto di morte la consolazione di non aver mai afflitto nessuno». Poi, riprendendo con un tono un po’ più fermo, aggiunse: «La mia ipotesi è, dunque, che all’origine, quando la materia in fermentazione faceva espandere l’universo, i miei simili fossero molto comuni. Perché non dovrei credere a proposito dei mondi quello che credo degli animali? Quanti mondi deformati, mancati, si sono dissolti, si riformano e si dissipano forse in ogni istante, negli spazi lontani, dove io non posso toccare e voi non potete vedere; ma dove continua il movimento e continuerà a combinare delle masse di materia finché non giungeranno a qualche conformazione nella quale possano perdurare.65 Oh filosofi, trasportatevi dunque con me, ai confini di quest’universo, di là del punto in cui io posso toccare e voi potete vedere degli esseri organiz-
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promenez-vous sur ce nouvel océan, et cherchez à travers ses agitations irrégulières quelques vestiges de cet être intelligent dont vous admirez ici la sagesse ? « Mais à quoi bon vous tirer de votre élément ? Qu’est-ce que ce monde, M. Holmes ? un composé sujet à des révolutions, qui toutes indiquent une tendance continuelle à la destruction ; une succession rapide d’êtres qui s’entre-suivent, se poussent et disparaissent : une symétrie passagère ; un ordre momentané. Je vous reprochais tout à l’heure d’estimer la perfection des choses par votre capacité ; et je pourrais vous accuser ici d’en mesurer la durée sur celle de vos jours. Vous jugez de l’existence successive du monde, comme la mouche éphémère de la vôtre. Le monde est éternel pour vous, comme vous êtes éternel pour l’être qui ne vit qu’un instant. Encore l’insecte est-il plus raisonnable que vous. Quelle suite prodigieuse de générations d’éphémères atteste votre éternité ! quelle tradition immense ! Cependant nous passerons tous, sans qu’on puisse assigner ni l’étendue réelle que nous occupions, ni le temps précis que nous aurons duré. Le temps, la matière et l’espace ne sont peut-être qu’un point. » Saounderson s’agita dans cet entretien un peu plus que son état ne le permettait ; il lui survint un accès de délire qui dura quelques heures, et dont il ne sortit que pour s’écrier « Ô Dieu de Clark et de Neuton, prends pitié de moi », et mourir. Ainsi finit Saounderson. Vous voyez, Madame, que tous les raisonnements qu’il venait d’objecter au ministre n’étaient pas même capables de rassurer un aveugle. Quelle honte pour des gens qui n’ont pas de meilleures raisons que lui, qui voient, et à qui le spectacle étonnant de la nature annonce, depuis le lever du soleil jusqu’au coucher des moindres étoiles, | l’existence et la gloire de son auteur. Ils ont des yeux, dont Saounderson était privé ; mais Saounderson avait une pureté de mœurs et une ingénuité de caractère qui leur manquent. Aussi ils vivent en aveugles, et Saounderson meurt comme s’il eût vu. La voix de la nature se fait entendre suffisamment à lui, à travers les organes qui lui restent, et son témoignage n’en sera que plus fort contre ceux qui se ferment opiniâtrement les oreilles et les yeux. Je demanderais volontiers, si le vrai Dieu n’était pas encore mieux voilé pour Socrate par les ténèbres du paganisme, que pour Saounderson par la privation de la vue et du spectacle de la nature. Je suis bien fâché, Madame, que, pour votre satisfaction et la mienne, on ne nous ait pas transmis de cet illustre aveugle d’autres particularités intéressantes. Il y avait peutêtre plus de lumières à tirer de ses réponses que de toutes les expériences qu’on se propose. Il fallait que ceux qui vivaient avec lui fussent bien peu philosophes ! J’en excepte cependant son disciple, M. William Inchlif qui ne vit Saounderson que dans ses derniers moments, et qui nous a recueilli ses dernières paroles, que je conseillerais à tous ceux qui entendent un peu l’anglais, de lire en original dans un ouvrage imprimé à Dublin en 1747, et qui a pour titre : The Life And Character of Dr Nicholas Saounderson late lucasian Professor of the Mathematicks in the University Of Cambridge. By his Disciple and friend William Inchlif, Esq. Ils y remarqueront un agrément, une force une vérité, une douceur qu’on ne rencontre dans aucun autre récit, et que je ne me flatte pas de vous avoir rendus, malgré tous les efforts que j’ai faits pour les conserver dans ma traduction. Il épousa en 1713 la fille de Mr. Dickons, recteur de Boxworth, dans la contrée de Cambridge ; il en eut un fils et une fille qui vivent encore. Les derniers adieux qu’il fit à sa famille sont fort touchants. « Je vais, leur dit-il, où nous irons tous ; épargnez-moi des plaintes qui m’attendrissent. Les témoignages de douleur que vous me donnez me rendent plus sensible à ceux qui m’échappent. Je renonce sans peine à une vie | qui n’a été pour moi qu’un long désir, et qu’une privation continuelle. Vivez aussi vertueux et plus
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zati; passeggiate su questo nuovo oceano, e cercate nel suo agitarsi irregolare, le vestigia di questo essere intelligente di cui voi ammirate qui la saggezza!66 «Ma a che serve allontanarvi dal vostro elemento? Che cos’è questo mondo, signor Holmes? Un composto soggetto a delle rivoluzioni che indicano tutte una continua tendenza alla distruzione, una successione rapida di esseri che si susseguono tra loro, si spingono e dissolvono, una simmetria passeggera, un ordine momentaneo.67 Vi ho rimproverato poco fa di valutare la perfezione delle cose in base alla vostra capacità e vi potrei qui accusare di misurarne la durata in base a quella dei vostri giorni. Voi giudicate dell’esistenza successiva del mondo, come la mosca effimera, della vostra. Il mondo è eterno per voi come voi siete eterno per l’essere che vive solo un istante.68 Persino l’insetto è più ragionevole di voi. Quale serie prodigiosa di generazioni effimere attesta la vostra eternità? Che tradizione immensa! Tuttavia noi trapasseremo tutti, senza poter stabilire né l’estensione reale dello spazio, né il tempo preciso che occupavamo. Il tempo, la materia e lo spazio non sono forse che un punto.»69 Saunderson si agitò in questa discussione un po’ più di quanto il suo stato non gli permettesse, sopraggiunse un accesso di delirio che durò qualche ora, e da cui uscì solo per gridare: «Oh Dio di Clark e di Newton, abbi pietà di me», e morire. Questa fu la fine di Saunderson. Vedete, signora, che tutte le obiezioni che egli aveva appena mosso al pastore, non erano in grado di rassicurare nemmeno un cieco. Che vergogna per delle persone che non hanno ragioni migliori delle sue, che vedono, e a cui lo spettacolo sorprendente della natura annuncia, dal levarsi del sole fino al tramontare delle stelle minori, l’esistenza e la gloria del suo autore. Essi possiedono gli occhi di cui Saunderson era privo; ma Saunderson aveva una purezza di costumi e un’ingenuità di carattere di cui essi mancano. Pertanto essi vivono come dei ciechi, e Saunderson è morto come se avesse visto. La voce della natura gli si faceva sentire a sufficienza, attraverso gli organi che gli restavano, e la sua testimonianza sarà più forte contro coloro che si chiudono ostinatamente le orecchie e gli occhi. Porrei volentieri la domanda, se il vero Dio non fu ancor più celato a Socrate dalle tenebre del paganesimo, che a Saunderson dalla privazione della vista e dello spettacolo della natura. Sono spiacente, signora, che per la vostra soddisfazione e per la mia, non ci siano stati tramandati altri particolari interessanti su questo illustre cieco. C’erano probabilmente più lumi da trarre dalle sue risposte che da tutte le esperienze che tentiamo. Quelli che vivevano con lui dovevano essere ben poco filosofi! Fa eccezione tuttavia il suo discepolo, William Inchlif che vide Saunderson solo negli ultimi momenti, e che ha raccolto le sue ultime parole. Consiglierei, a tutti quelli che conoscono un po’ d’inglese, di leggerle nell’originale in un opera stampata a Dublino nel 1747, e il cui titolo è: The Life and Character of Dr Nicholas Saunderson Late Lucasian Professor of the Mathematics in the University of Cambridge. By his Disciple and Friend William Inchlif, Esq.70 Vi si troveranno una piacevolezza, una forza, una verità, una dolcezza che non si incontra in nessun altro scritto, e che non ritengo di avervi reso, malgrado tutti gli sforzi che ho fatto per conservarle nella mia traduzione. Nel 1713 sposò la figlia del signor Dickons, rettore di Boxworth, nella regione di Cambridge; da lei ebbe un figlio e una figlia che sono ancora in vita. L’ultimo saluto alla sua famiglia è molto toccante. «Vado», disse loro, «dove andremo tutti: risparmiatemi i pianti che mi commuovono. Le testimonianze di dolore che mi date, mi renderebbero più sensibile a coloro che sto perdendo. Rinuncio senza pena a una vita che è stata per me solo un lungo desiderio, e una privazione continua. Vivete altrettanto vir-
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heureux ; et apprenez à mourir aussi tranquilles. » Il prit ensuite la main de sa femme qu’il tint un moment serrée entre les siennes : il se tourna le visage de son côté, comme s’il eût cherché à la voir : il bénit ses enfants, les embrassa tous, et les pria de se retirer, parce qu’ils portaient à son âme des atteintes plus cruelles que les approches de la mort. L’Angleterre est le pays des philosophes, des curieux, des systématiques ; cependant, sans Mr. Inchlif, nous ne saurions de Saounderson que ce que les hommes les plus ordinaires nous en auraient appris ; par exemple, qu’il reconnaissait les lieux où il avait été introduit une fois, au bruit des murs et du pavé, lorsqu’ils en faisaient, et cent autres choses de la même nature qui lui étaient communes avec presque tous les aveugles. Quoi donc rencontre-t-on si fréquemment en Angleterre des aveugles du mérite de Saounderson, et y trouve-t-on tous les jours des gens qui n’aient jamais vu, et qui fassent des leçons d’optique ? On cherche à restituer la vue à des aveugles-nés ; mais si l’on y regardait de plus près, on trouverait, je crois, qu’il y a bien autant à profiter pour la philosophie, en questionnant un aveugle de bon sens. On en apprendrait comment les choses se passent en lui ; on les comparerait avec la manière dont elles se passent en nous ; et l’on tirerait peutêtre de cette comparaison la solution des difficultés qui rendent la théorie de la vision et des sens si embarrassée et si incertaine : Mais je ne conçois pas, je l’avoue, ce que l’on espère d’un homme à qui l’on vient de faire une opération douloureuse, sur un organe très délicat que le plus léger accident dérange, et qui trompe souvent ceux en qui il est sain et qui jouissent depuis longtemps de ses avantages. Pour moi, j’écouterais avec plus de satisfaction sur la théorie des sens un métaphysicien à qui les principes de la métaphysique, les éléments des mathématiques et la conformation des parties seraient familiers, qu’un homme sans éducation et sans connaissances, à qui l’on a restitué la vue par l’opération de la cataracte. J’aurais moins de confiance dans les réponses d’une personne qui voit pour la première fois, que dans les découvertes d’un philosophe qui aurait bien médité son sujet dans l’obscurité ; | ou, pour vous parler le langage des poètes, qui se serait crevé les yeux pour connaître plus aisément comment se fait la vision. Si l’on voulait donner quelque certitude à des expériences, il faudrait du moins que le sujet fût préparé de longue main, qu’on l’élevât, et peut-être qu’on le rendît philosophe : mais ce n’est pas l’ouvrage d’un moment que de faire un philosophe, même quand on l’est ; que sera-ce quand on ne l’est pas ? c’est bien pis, quand on croit l’être. Il serait très à propos de ne commencer les observations que longtemps après l’opération. Pour cet effet, il faudrait traiter le malade dans l’obscurité, et s’assurer bien que sa blessure est guérie et que ses yeux sont sains. Je ne voudrais pas qu’on l’exposât d’abord au grand jour : l’éclat d’une lumière vive nous empêche de voir ; que ne produira-til point sur un organe qui doit être de la dernière sensibilité, n’ayant encore éprouvé aucune impression qui l’ait émoussé ? Mais ce n’est pas tout : ce serait encore un point fort délicat, que de tirer parti d’un sujet ainsi préparé, et que de l’interroger avec assez de finesse, pour qu’il ne dît précisément que ce qui se passe en lui. Il faudrait que cet interrogatoire se fît en pleine Académie ; ou plutôt, afin de n’avoir point de spectateurs superflus, n’inviter à cette assemblée que ceux qui le mériteraient par leurs connaissances philosophiques, anatomiques, etc.... Les plus habiles gens et les meilleurs esprits ne seraient pas trop bons pour cela. Préparer et interroger un aveugle-né, n’eût point été une occupation indigne des talents réunis de Newton, Descartes, Locke et Leibniz. Je finirai cette Lettre, qui n’est déjà que trop longue, par une question qu’on a proposée il y a longtemps. Quelques réflexions sur l’état singulier de Saounderson m’ont fait voir
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tuosi e più felici; e imparate a morire con altrettanta serenità.» Poi prese la mano a sua moglie e la tenne un momento stretta tra le sue: rivolse il viso verso di lei, come cercasse di vederla, benedisse i suoi figli, li baciò tutti, e li pregò di ritirarsi, perché la loro presenza colpiva la sua anima con più dolore man mano che la morte si approssimava. L’Inghilterra è il paese dei filosofi, dei ricercatori, dei pensatori sistematici; tuttavia senza Inchlif, sapremmo di Saunderson solo quello che gli uomini più ordinari ci raccontano; per esempio, che riconosceva i luoghi dove era entrato una sola volta, dalla risonanza delle mura e del pavimento, quando ne davano, e cento altre cose di questa natura che lo accomunano praticamente a tutti i ciechi. Come, in Inghilterra s’incontrano così frequentemente dei ciechi con il merito di Saunderson, e ci si imbatte tutti i giorni in persone che senza aver mai visto, fanno delle lezioni di ottica? Noi cerchiamo di restituire la vista a dei ciechi nati; ma se guardiamo più da vicino, scopriremmo, credo, che la filosofia ha molto da guadagnare, nel discutere con un cieco di buon senso. Si saprebbe come percepisce le cose; potremmo fare il confronto con il modo in cui le percepiamo noi, e da questo confronto ne potremmo forse trovare la soluzione ad alcune difficoltà che rendono così confusa e incerta la teoria della visione e dei sensi. Tuttavia, non capisco, lo confesso, quello che si spera da un uomo a cui sia stata appena fatta un’operazione dolorosa, su un organo molto delicato che viene guastato dal più lieve accidente, e che inganna spesso coloro in cui è sano e che godono da molto tempo dei suoi vantaggi. Da parte mia, ascolterei più volentieri la teoria dei sensi di un metafisico a cui i principi della fisica, gli elementi della matematica e la conformazione degli organi siano familiari, che un uomo senza istruzione e senza conoscenze, a cui abbiamo restituito la vista con un’operazione di cateratta. Avrei meno fiducia nelle risposte di una persona che veda per la prima volta, che nelle scoperte di un filosofo che avesse meditato attentamente il suo argomento nell’oscurità; oppure, per parlarvi con il linguaggio dei poeti, che si fosse accecato per conoscere più agevolmente come sia fatta la vista.71 Se volessi dare qualche certezza alle esperienze, bisognerebbe almeno che il soggetto fosse preparato a lungo, che lo si educasse, e forse che lo si rendesse filosofo;72 ma non cosa da poco, fare un filosofo, anche quando lo si è: cosa sarà mai se non lo si è? peggio ancora, quando si crede di esserlo. Sarebbe molto opportuno cominciare le osservazioni solo molto tempo dopo l’operazione. Per questo scopo, bisognerà curare il malato nell’oscurità, e assicurarsi bene che la sua ferita sia guarita e che i suoi occhi siano sani. Non sarebbe opportuno esporlo subito alla luce del giorno: il fulgore di una luce viva ci impedisce di vedere, quali effetti potrebbe produrre su un organo che dev’essere estremamente sensibile, dato che, non avendo ancora provato alcuna impressione, è al grado più acuto di sensibilità. Ma non è tutto: ci sarebbe ancora un punto molto delicato, per trarre un risultato da un soggetto così preparato, e interrogarlo con abbastanza attenzione, affinché ci dica precisamente cosa accade in lui. Bisognerebbe che quest’interrogatorio si facesse in piena Accademia; o piuttosto, per non avere nessuno spettatore superfluo, invitare a quest’assemblea solo coloro che lo meritano per le loro conoscenze filosofiche, anatomiche, ecc. I più abili geni e gli spiriti migliori non sarebbero mai abbastanza per questo. Preparare e interrogare un cieco-nato, non sarebbe stata per nulla un’occupazione indegna di Newton, Cartesio, Locke e Leibniz messi insieme. Finirò questa Lettera, che è già troppo lunga, con una questione che è stata posta molto tempo fa.73 Alcune riflessioni sulle singolari qualità di Saunderson mi hanno
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qu’elle n’avait jamais été entièrement résolue. On suppose un aveugle de naissance qui soit devenu homme fait, et à qui on ait appris à distinguer, par l’attouchement, un cube et un globe de même métal et à peu près de même grandeur, en sorte que quand il touche l’un et l’autre, il puisse dire quel est le cube et quel est le globe. On suppose que, le cube et le globe étant posées sur une table, cet aveugle vienne à jouir de la vue, et l’on demande, si en les voyant sans les toucher, il pourra les discerner et dire quel est le cube et quel est le globe. | Ce fut M r. Molineux qui proposa le premier cette question, et qui tenta de la résoudre. Il prononça que l’aveugle ne distinguerait point le globe du cube. « Car, ditil, quoiqu’il ait appris par expérience de quelle manière le globe et le cube affectent son attouchement, il ne sait pourtant pas encore que ce qui affecte son attouchement de telle ou telle manière, doit frapper ses yeux de telle ou telle façon ; ni que l’angle avancé du cube qui presse sa main d’une manière inégale, doive paraître à ses yeux tel qu’il paraît dans le cube. » Locke, consulté sur cette question, dit : « Je suis tout à fait du sentiment de M. Molineux. Je crois que l’aveugle ne serait pas capable à la première vue, d’assurer avec quelque confiance quel serait le cube et quel serait le globe, s’il se [contentait] de les regarder, quoiqu’en les touchant, il pût les nommer et les distinguer sûrement par la différence de leurs figures, que l’attouchement lui ferait reconnaître. » M. l’abbé de Condillac, dont vous avez lu l’Essai sur l’origine des connaissances humaines avec tant de plaisir et d’utilité, et dont je vous envoie, avec cette Lettre, l’excellent Traité des systèmes, a là-dessus un sentiment particulier. Il est inutile de vous rapporter les raisons sur lesquelles il s’appuie ; ce serait vous envier le plaisir de relire un ouvrage où elles sont exposées d’une manière si agréable et si philosophique, que de mon côté je risquerais trop à les déplacer. Je me contenterai d’observer qu’elles tendent toutes à démontrer que l’aveugle-né ne voit rien, ou qu’il voit la sphère et le cube différents ; et que les conditions que ces deux corps soient de même métal, et à peu près de même grosseur, qu’on a jugé à propos d’insérer dans l’énoncé de la question, y sont superflues, ce qui ne peut être contesté ; car, aurait-il pu dire, s’il n’y a aucune liaison essen | tielle entre la sensation de la vue et celle du toucher, comme Mrs. Locke et Molineux le prétendent ; ils doivent convenir qu’on pourrait voir deux pieds de diamètre à un corps qui disparaîtrait sous la main. Mr. de Condillac ajoute cependant, que si l’aveugle-né voit les corps, en discerne les figures, et qu’il hésite sur le jugement qu’il en doit porter, ce ne peut être que par des raisons métaphysiques assez subtiles, que je vous expliquerai tout à l’heure. Voilà donc deux sentiments différents sur la même question, et entre des philosophes de la première force. Il semblerait qu’après avoir été maniée par des gens tels que Mrs. Molineux, Locke et l’abbé de Condillac, elle ne doit plus rien laisser à dire ; mais il y a tant de faces sous lesquelles la même chose peut être considérée, qu’il ne serait pas étonnant qu’ils ne les eussent pas toutes épuisées. Ceux qui ont prononcé que l’aveugle-né distinguerait le cube de la sphère, ont commencé par supposer un fait qu’il importait peut-être d’examiner ; savoir si un aveuglené, à qui on abattrait les cataractes, serait en état de se servir de ses yeux dans les premiers moments qui succèdent à l’opération. Ils ont dit seulement : « L’aveugle-né, comparant les idées de sphère et de cube, qu’il a reçues par le toucher avec celles qu’il en prend par la vue, connaîtra nécessairement que ce sont les mêmes ; et il y aurait en lui bien de la bizarrerie de prononcer que c’est le cube qui lui donne à la vue, l’idée de sphère et que c’est de la sphère que lui vient l’idée du cube. Il appellera donc sphère et cube à la vue, ce qu’il appelait sphère et cube au toucher ? »
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fatto vedere che non era mai stata completamente risolta. Supponiamo che un cieco dalla nascita divenuto adulto, cui si sia insegnato a distinguere, tramite il tatto, un cubo e una sfera dello stesso metallo e quasi della stessa grandezza, in modo che, quando egli tocca l’uno o l’altra, possa dire qual è il cubo e quale la sfera. Si supponga che il cubo e la sfera siano appoggiati su un tavolo, che questo cieco riacquisti la vista, e che gli si chieda se vedendoli senza toccarli, possa distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera. Il primo a proporre questo problema e a provare a risolverlo fu Molyneux.74 Egli sostenne che il cieco non sarebbe in grado di distinguere il cubo dalla sfera. «Perché», disse, «nonostante egli abbia appreso l’effetto della sfera e del cubo al tatto, egli non saprebbe ancora un certo effetto sul suo tatto deve essere percepito dai suoi occhi, in un tale o talaltro modo; né che l’angolo sporgente del cubo che preme la sua mano in modo irregolare, deve sembrare ai suoi occhi tale quale gli sembra il cubo.» Locke, consultato su questo problema, disse: «Concordo completamente con Molyneux. Credo che il cieco-nato non sarebbe capace, a prima vista, di affermare con certezza qual è il cubo e quale la sfera, se si limitasse a guardare, sebbene toccandoli, potrebbe sicuramente nominarli e distinguerli per la differenza delle loro figure che il tatto gli farebbe riconoscere». L’abate di Condillac, di cui avete letto con tanto piacere e profitto il Saggio sull’origine della conoscenza umana, e di cui vi invio con questa Lettera, l’eccellente Trattato dei sistemi, ha a questo riguardo un punto di vista particolare. È inutile riferirvi le ragioni su cui si fonda; significherebbe togliervi il piacere di rileggere un’opera in cui esse sono esposte maniera così piacevole e filosofica, che da parte mia rischierei troppo estrapolandoli dal contesto. Mi accontenterò solo di dire che tendono tutte a dimostrare che il cieco-nato non vede nulla, o vede la sfera e il cubo differenti; e che le condizioni che si è ritenuto opportuno inserire nell’enunciato del problema, cioè che questi due corpi siano dello stesso metallo e più o meno della stessa grandezza, sono superflue,75 fatto che non può essere contestato; perché, si sarebbe potuto dire, se non c’è alcun legame essenziale tra la vista e il tatto, come Locke e Molyneaux pretendono, devono convenire che la vista potrebbe attribuire due piedi di diametro a un corpo che quasi impercettibile per la mano. Condillac aggiunge tuttavia che se il cieco-nato vedesse i corpi, ne distinguesse le figure, ed esitasse sul giudizio che deve dare, sarebbero solo questioni metafisiche molto sottili, che vi spiegherò subito. Ecco dunque due diversi pareri sullo stesso problema, espressi da filosofi di grandissimo valore. Sembrerebbe che dopo essere stato trattato da persone quali Molyneux, Locke e l’abate di Condillac, non ci sia più campo per la discussione; ma ci sono tanti aspetti sotto i quali la stessa cosa può essere considerata, che non sarebbe sorprendente se non li avessero esauriti tutti. Quelli che hanno sostenuto che il cieco-nato distinguerebbe il cubo dalla sfera, hanno cominciato dando per presupposto un fatto che forse era importante esaminare; sapere se un cieco-nato, a cui siano state operate le cataratte, sia in grado di servirsi degli occhi fin dai primi momenti seguenti all’operazione. Si sono limitati a dire: «Il cieco-nato, comparando le idee di sfera e di cubo, che ha ricevuto attraverso il tatto, con quelle che coglie con la vista, riconoscerà necessariamente che sono le stesse; e sarebbe una bella stranezza se affermasse che il cubo dà alla vista l’idea di sfera, e che l’idea del cubo gli viene dalla sfera. Chiamerà dunque sfera e cubo con la vista, quelli che chiamava sfera e cubo con il tatto».76
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Mais quelle a été la réponse et le raisonnement de leurs antagonistes ? Ils ont supposé pareillement que l’aveugle-né verrait aussitôt qu’il aurait l’organe sain ; ils ont imaginé qu’il en était d’un œil à qui l’on abaisse la cataracte comme un bras qui cesse d’être paralytique : il ne faut point d’exercice, à celui-ci pour sentir, ont-ils dit, ni par conséquent à l’autre pour voir ; et ils ont ajouté : « Accordons à l’aveugle-né un peu plus de philosophie que vous ne lui en donnez ; et après avoir poussé le raisonnement jusqu’où vous l’avez laissé, il continuera ; mais cependant, qui m’a | assuré qu’en approchant de ces corps et en appliquant mes mains sur eux, ils ne tromperont pas subitement mon attente ; et que le cube ne me [renverra] pas la sensation de la sphère, et la sphère celle du cube ? Il n’y a que l’expérience qui puisse apprendre s’il y a conformité de relation entre la vue, et le toucher : ces deux sens pourraient être en contradiction dans leurs rapports, sans que j’en susse rien ; peut-être même croirais-je que ce qui se présente actuellement à ma vue n’est qu’une pure apparence, si l’on ne m’avait informé que ce sont là les mêmes corps que j’ai touchés. Celui-ci me semble, à la vérité, devoir être le corps que j’appelais cube, et celui-là le corps que j’appelais sphère ; mais on ne me demande pas ce qu’il m’en semble, mais ce qui en est ; et je ne suis nullement en état de satisfaire à cette dernière question. » Ce raisonnement, dit l’auteur de l’Essai sur l’origine des connaissances humaines, serait très embarrassant pour l’aveugle-né, et je ne vois que l’expérience qui puisse y fournir une réponse. Il y a toute apparence que M. l’abbé de Condillac ne veut parler ici que de l’expérience que l’aveugle-né réitérerait lui-même sur les corps par un second attouchement. Vous sentirez tout à l’heure pourquoi je fais cette remarque. Au reste, cet habile métaphysicien aurait pu ajouter qu’un aveugle-né devait trouver d’autant moins d’absurdité à supposer que deux sens pussent être en contradiction, qu’il imagine qu’un miroir les y met en effet, comme je l’ai remarqué plus haut. M. de Condillac observe ensuite que M. Molineux a embarrassé la question de plusieurs conditions qui ne peuvent ni prévenir ni lever les difficultés que la métaphysique formerait à l’aveugle-né. Cette observation est d’autant plus juste, que la métaphysique que l’on suppose à l’aveugle-né n’est point déplacée ; puisque, dans ces questions philosophiques, l’expérience doit toujours être censée se faire sur un philosophe, c’est-àdire sur une personne qui saisisse, dans les questions qu’on lui propose, tout ce que le raisonnement et la condition de ses organes lui permettent d’y apercevoir. Voilà, Madame, en abrégé, ce qu’on a dit pour et contre sur | cette question ; et vous allez voir, par l’examen que j’en ferai, combien ceux qui ont annoncé que l’aveugle-né verrait les figures, et discernerait les corps, étaient loin de s’apercevoir qu’ils avaient raison, et combien ceux qui le niaient avaient de raisons de penser qu’ils n’avaient point tort. La question de l’aveugle-né, prise un peu plus généralement que Mr. Molineux ne l’a proposée, en embrasse deux autres que nous allons considérer séparément. On peut demander, 1° si l’aveugle-né verra aussitôt que l’opération de la cataracte sera faite. 2° Dans le cas qu’il voie, s’il verra suffisamment pour discerner les figures ; s’il sera en état de leur appliquer sûrement, en les voyant, les mêmes noms qu’il leur donnait au toucher, et s’il aura la démonstration que ces noms leur conviennent. L’aveugle-né verra-t-il immédiatement après la guérison de l’organe ? Ceux qui prétendent qu’il ne verra point, disent : « Aussitôt que l’aveugle-né jouit de la faculté de se servir de ses yeux, toute la scène qu’il a en perspective, vient se peindre dans le
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Ma qual è stata la risposta e il ragionamento dei loro oppositori? Anch’essi hanno supposto che il cieco-nato vedesse così come se avesse l’organo sano; hanno immaginato che un occhio operato di cataratta, fosse come un braccio che smette di essere paralizzato: non occorre nessun esercizio a quest’ultimo per sentire, dicono, né di conseguenza all’altro per vedere, e hanno aggiunto: «Accordiamo al cieco-nato un po’ di più filosofia di quanto gliene attribuiate voi, e dopo aver spinto il ragionamento fin dove voi lo avete lasciato, noi lo continueremo; tuttavia, chi mi assicura che avvicinandosi a questi corpi e applicando le mie mani su di essi, non colpiscano immediatamente la mia attesa e che il cubo non mi darà la sensazione della sfera, e la sfera quella del cubo? Soltanto l’esperienza può insegnarmi se c’è conformità di relazione tra la vista e il tatto: questi due sensi potrebbero essere in contraddizione nei loro rapporti senza che io me ne renda conto; è anche possibile che io creda che quello che si presenta attualmente alla mia vista sia solo una pura apparenza, se non mi avessero informato che questi corpi sono gli stessi che ho toccato. Quello che mi sembra in verità dover essere il corpo che chiamavo cubo, e quello il corpo che chiamavo sfera, tuttavia non mi viene chiesto cosa mi sembra, ma quel che è di fatto; e non sono per niente nelle condizioni di soddisfare quest’ultima domanda».77 Questo ragionamento, dice l’autore del Saggio sull’origine delle conoscenze umane, sarebbe molto imbarazzante per il cieco-nato, e non vedo altro che l’esperienza che possa fornirgli una risposta. Sembrerebbe proprio che l’abate di Condillac voglia parlare solo dell’esperienza che lo stesso cieco-nato reitererebbe sui corpi attraverso una seconda verifica tattile. Comprenderete presto perché faccio questa osservazione. Del resto, questo abile metafisico avrebbe potuto aggiungere, che un cieco-nato dovrebbe trovare meno assurdo supporre che i due sensi possano essere in contraddizione, che non immaginare uno specchio che li ponga di fatto in contraddizione, come ho osservato sopra. Condillac osserva in seguito che Molyneux ha confuso la questione con una pluralità di condizioni che non possono né prevenire né togliere le difficoltà che la metafisica causerebbe al cieco-nato.78 Quest’osservazione è tanto più giusta, per il fatto che la metafisica che si attribuisce al cieco-nato, non si è affatto rimossa; poiché in queste questioni filosofiche, si deve sempre presumere l’esperienza come messa in atto su un filosofo, vale a dire su una persona che sappia cogliere nelle questioni che vengono proposte tutto quello che il ragionamento e le condizioni dei suoi organi gli permettono di percepire. Ecco, signora, in breve gli argomenti che sono stati proposti pro e contro questo problema; e vedrete attraverso l’esame che ne farò, quanti di quelli che hanno detto che il cieco-nato vedrebbe le figure e distinguevano i corpi, erano lontani dal rendersi conto che avevano ragione, e quanti di quelli che lo negavano, avevano ragione di pensare di non aver per niente torto. Il problema del cieco-nato considerato in modo un po’ più generale di come sia stato posto da Molyneux, ne abbraccia altri due che considereremo separatamente. Possiamo chiederci I°. Se il cieco-nato potrà vedere subito dopo l’operazione di cataratta, 2°. Nel caso in cui vedesse, se potrà vedere abbastanza da distinguere le figure; se vedendole sarà in grado di attribuire loro con sicurezza gli stessi nomi di quando le percepiva col tatto, e se avrà dimostrazione che i questi nomi sono quelli giusti.79 Il cieco-nato sarà in grado di vedere subito dopo la guarigione dell’organo? Quelli che pretendono che non vedrà affermano: «Appena il cieco-nato può servirsi dei suoi occhi, tutta la scena gli si prospetta, si delinea sul fondo del suo occhio. Quest’imma-
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fond de son œil. Cette image, composée d’une infinité d’objets rassemblés dans un fort petit espace, n’est qu’un amas confus de figures qu’il ne sera pas en état de distinguer les unes des autres. On est presque d’accord qu’il n’y a que l’expérience qui puisse lui apprendre à juger de la distance des objets, et qu’il est même dans la nécessité de s’en approcher, de les toucher, de s’en éloigner, de s’en rapprocher, et de les toucher encore, pour s’assurer qu’ils ne font point partie de lui-même, qu’ils sont étrangers à son être, et qu’il en est tantôt voisin et tantôt éloigné : pourquoi l’expérience ne lui serait-elle pas encore nécessaire pour les apercevoir ? Sans l’expérience, celui qui aperçoit des objets pour la première fois, devrait s’imaginer, lorsqu’ils s’éloignent de lui, ou lui d’eux, au delà de la portée de sa vue, qu’ils ont cessé d’exister ; car il n’y a que l’expérience que nous faisons sur les objets permanents, et que nous retrouvons à la même place où nous les avons laissés, qui nous constate leur existence continuée dans l’éloignement. C’est peut-être par cette raison que les enfants se consolent si promptement des jouets dont on les prive. On ne peut pas dire qu’ils les oublient promptement, car si l’on considère qu’il | y a des enfants de deux ans et demi qui savent une partie considérable des mots d’une langue, et qu’il leur en coûte plus pour les prononcer que pour les retenir, on sera convaincu que le temps de l’enfance est celui de la mémoire. Ne serait-il pas plus naturel de supposer qu’alors les enfants s’imaginent que ce qu’ils cessent de voir a cessé d’exister ; d’autant plus que leur joie paraît mêlée d’admiration, lorsque les objets qu’ils ont perdus de vue viennent à reparaître ? Les nourrices les aident à acquérir la notion des êtres absents, en les exerçant à un petit jeu qui consiste à se couvrir et à se montrer subitement le visage. Ils ont, de cette manière, cent fois en un quart d’heure, l’expérience que ce qui cesse de paraître ne cesse pas d’exister. D’où il s’ensuit que c’est à l’expérience que nous devons la notion de l’existence continuée des objets ; que c’est par le toucher que nous acquérons celle de leur distance ; qu’il faut peut-être que l’œil apprenne à voir, comme la langue à parler ; qu’il ne serait pas étonnant que le secours d’un des sens fût nécessaire à l’autre, et que le toucher, qui nous assure de l’existence des objets hors de nous, lorsqu’ils sont présents à nos yeux, est peut-être encore le sens à qui il est réservé de nous constater, je ne dis pas leurs figures et autres modifications, mais même leur présence. » On ajoute à ces raisonnements les fameuses expériences de Cheselden.A Le jeune homme à qui cet habile chirurgien abaissa les cataractes, ne distingua, de longtemps, ni grandeurs, ni distances, ni situations, ni mêmes figures. Un objet d’un pouce mis devant son œil, et qui lui cachait une maison, lui paraissait aussi grand que la maison. Il avait tous les objets sur les yeux, et ils lui semblaient appliqués à cet organe, comme les objets du tact le sont à ma peau. Il ne pouvait distinguer ce qu’il avait jugé rond, à l’aide de ses mains, d’avec ce qu’il avait jugé angulaire ; ni discerner avec les yeux si ce qu’il avait senti être en haut ou en bas, était en effet en haut ou en bas. Il parvint, mais ce ne fut pas sans peine, à apercevoir que sa maison était plus grande que sa chambre, mais nullement à concevoir comment l’œil pouvait lui donner cette idée. Il lui fallut un grand nombre d’expériences réitérées pour s’assurer que la peinture représentait des | corps solides ; et quand il se fut bien convaincu, à force de regarder des tableaux, que ce n’étaient point des surfaces seulement qu’il voyait, il y porta la main, et fut bien étonné de ne rencontrer qu’un plan uni et sans aucune saillie : il demanda alors quel était le trompeur, du sens du toucher ou du sens de la vue. Au reste la peinture fit le même A
Voyez les Éléments de la Philosophie de Neuton par M. de Voltaire.
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gine composta di un’infinità di oggetti raggruppati in uno spazio molto piccolo, è solo un ammasso confuso di figure che egli non sarà in grado di distinguere le une dalle altre. Tutti sono abbastanza concordi sul fatto che solo l’esperienza gli possa insegnare a giudicare la distanza degli oggetti e che egli si trova anche nella necessità di avvicinarsi, di toccarli, di allontanarsi, di avvicinarsi e di toccarli ancora, per assicurarsi che essi non facciano parte di lui, che sono estranei al suo essere e che egli ne è talvolta vicino talvolta lontano: perché l’esperienza non dovrebbe essergli necessaria anche per percepirli?80 Senza l’esperienza, chi percepisce degli oggetti per la prima volta, potrebbe pensare che quando si allontanano da lui, o lui da loro, o si trovano al di là della portata della sua vista, che cessino di esistere. Poiché solo grazie all’esperienza che facciamo della permanenza degli oggetti e del fatto che li ritroviamo nello stesso posto in cui li abbiamo lasciati, constatiamo che la loro esistenza continua quando ci allontaniamo. Forse è per questa ragione che i bambini si consolano così prontamente per i giocattoli di cui li priviamo. Non si può dire che li dimentichino immediatamente, perché se si considera che ci sono dei bambini di due anni e mezzo che conoscono una parte considerevole delle parole di una lingua, e che devono sforzarsi di più per pronunciarle che per ricordarle, ci convinceremo immediatamente che il tempo dell’infanzia è quello della memoria. Non sarebbe allora più naturale supporre che i bambini s’immaginino che quello che smettono di vedere, smetta anche d’esistere; tanto più che la loro gioia sembra mescolata all’ammirazione, quando gli oggetti che hanno perso di vista riappaiono. Le nutrici li aiutano ad acquisire la nozione della durata degli esseri assenti, esercitandoli con quel giochetto che consiste nel nascondersi il viso e mostrarlo subito dopo. Fanno, cento volte in un quarto d’ora, l’esperienza che ciò che smette di apparire, non smette di esistere. Da questo consegue che è all’esperienza che noi dobbiamo la nozione dell’esistenza continua degli oggetti; che è attraverso il tatto che noi acquisiamo quella della loro distanza; che forse l’occhio impara a vedere, come la lingua a parlare; che non sarebbe sorprendente se il soccorso di uno dei sensi fosse necessario all’altro, e che il tatto, che ci assicura dell’esistenza degli oggetti fuori di noi, quando sono presenti alla vista, è forse anche il senso a cui è riservato di constatare, non dico le forme e altri aspetti secondari, ma almeno la loro presenza». Aggiungiamo a questi ragionamenti le famose esperienze di Cheselden.A Il giovane che questo abile chirurgo ha operò di cateratta, non ha distinto per molto tempo né le grandezze, né le distanze, né le situazioni, né le stesse figure. Un oggetto alto un pollice messo davanti ai suoi occhi, in modo da nascondergli una casa, gli sembrava grande come la casa stessa. Aveva tutti gli oggetti davanti agli occhi, e gli sembravano attaccati a quest’organo, come gli oggetti che tocchiamo lo sono alla pelle. Non poteva distinguere ciò che aveva giudicato rotondo con l’aiuto delle sue mani, da ciò che aveva giudicato angolare, né discernere con gli occhi, se ciò che aveva sentito essere in alto o in basso, fosse realmente in alto o in basso. È pervenuto, ma non senza fatica, a rendersi conto che la sua casa era più grande della sua stanza, ma non a concepire come l’occhio potesse fornirgli quest’idea. Ha avuto bisogno di un gran numero di esperienze reiterate, per assicurarsi che la pittura rappresenta dei corpi solidi; e quando si era convinto, a forza di guardare quadri, che quelle che vedeva non erano delle semplici superfici, ha avvicinato la mano a esse, e è stato molto stupito di trovare un piano liscio e senza alcuna sporgenza: chiese fosse senso del tatto o quello della vista a ingannarsi. Del resto A
Si vedano gli Elementi della filosofia di Newton di Voltaire.
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effet sur les sauvages, la première fois qu’ils en virent : ils prirent des figures peintes pour des hommes vivants ; les interrogèrent, et furent tout surpris de n’en recevoir aucune réponse : cette erreur ne venait certainement pas en eux du peu d’habitude de voir. Mais, que répondre aux autres difficultés ? qu’en effet l’œil expérimenté d’un homme fait mieux voir les objets, que l’organe imbécile et tout neuf d’un enfant ou d’un aveugle de naissance à qui l’on vient d’abaisser les cataractes. Voyez, Madame, toutes les preuves qu’en donne Mr. l’abbé de Condillac, à la fin de son Essai sur l’origine des connaissances humaines, où il se propose en objection les expériences faites par Cheselden, et rapportées par Mosieur de Voltaire. Les effets de la lumière sur un œil qui en est affecté pour la première fois, et les conditions requises dans les humeurs de cet organe la cornée, le cristallin, etc... y sont exposés avec beaucoup de netteté et de force, et ne permettent guère de douter que la vision ne se fasse très imparfaitement dans un enfant qui ouvre les yeux pour la première fois, ou dans un aveugle à qui l’on vient de faire l’opération. Il faut donc convenir que nous devons apercevoir dans les objets une infinité de choses que l’enfant ni l’aveugle-né n’y aperçoivent point, quoiqu’elles se peignent également au fond de leurs yeux ; que ce n’est pas assez que les objets nous frappent, qu’il faut encore que nous soyons attentifs à leurs impressions ; que, par conséquent, on ne voit rien la première fois qu’on se sert de ses yeux ; qu’on n’est affecté, dans les premiers instants de la vision, que d’une multitude de sensations confuses qui ne se débrouillent qu’avec le temps et par la réflexion habituelle sur ce qui se passe en nous ; | que c’est l’expérience seule qui nous apprend à comparer les sensations avec ce qui les occasionne ; que les sensations n’ayant rien qui ressemble essentiellement aux objets, c’est à l’expérience à nous instruire sur des analogies qui semblent être de pure institution : en un mot, on ne peut douter que le toucher ne serve beaucoup à donner à l’œil une connaissance précise de la conformité de l’objet avec la représentation qu’il en reçoit ; et je pense que si tout ne s’exécutait pas dans la nature par des lois infiniment générales ; si, par exemple, la piqûre de certains corps durs était douloureuse, et celle d’autres corps, accompagnée de plaisir, nous mourrions sans avoir recueilli la cent millionième partie des expériences nécessaires à la conservation de notre corps et à notre bien-être. Cependant je ne pense nullement que l’œil ne puisse s’instruire, ou, s’il est permis de parler ainsi, s’expérimenter de lui-même. Pour s’assurer par le toucher, de l’existence et de la figure des objets, il n’est pas nécessaire de voir ; pourquoi faudrait-il toucher pour s’assurer des mêmes choses par la vue ? Je connais tous les avantages du tact, et je ne les ai pas déguisés, quand il a été question de Saounderson ou de l’aveugle du Puisaux ; mais je ne lui ai point reconnu celui-là. On conçoit sans peine que l’usage d’un des sens peut être perfectionné et accéléré par les observations de l’autre ; mais nullement qu’il y ait entre leurs fonctions une dépendance essentielle. Il y a assurément dans les corps des qualités que nous n’y apercevrions jamais sans l’attouchement : c’est le tact qui nous instruit de la présence de certaines modifications insensibles aux yeux, qui ne les aperçoivent que quand ils ont été avertis par ce sens ; mais ces services sont réciproques ; et dans ceux qui ont la vue plus fine que le toucher, c’est le premier de ces sens qui instruit l’autre de l’existence d’objets et de modifications qui lui échapperaient par leur petitesse. Si l’on vous plaçait à votre insu, entre le pouce et l’index, un papier ou quelque autre substance unie, mince et flexible, il n’y aurait que votre œil qui pût vous informer que le contact de ces doigts ne se ferait pas immédiatement. J’observerai | en passant qu’il serait infiniment plus difficile de tromper là-dessus un aveugle, qu’une personne qui a l’habitude de voir.
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la pittura fece lo stesso effetto sui selvaggi che la videro per la prima volta: scambiarono le figure dipinte per degli uomini; li interrogarono, e furono molto stupiti di non riceverne alcuna risposta: questo errore non veniva loro certo dalla poca abitudine a vedere. Ma cosa rispondere alle altre difficoltà? Che in effetti l’occhio esperto di un adulto fa vedere meglio gli oggetti, che l’organo imbecille e totalmente nuovo di un bambino o di un cieco dalla nascita a cui sono state operate le cataratte. Vedete, signora, tutte le prove che l’abate di Condillac fornisce, alla fine del suo Saggio sull’origine delle conoscenze umane, ove si propongono, come obiezioni, gli esperimenti fatti da Cheselden e riportati da Voltaire.81 Gli effetti della luce su un occhio che ne viene colpito per la prima volta, e le condizioni richieste dagli umori di quest’organo, la cornea, il cristallino ecc. ci sono esposte con molta chiarezza e forza, e non permettono di dubitare che la visione sia molto imperfetta in un bambino che apre gli occhi per la prima volta, o in un cieco a cui sia appena stata fatta l’operazione.82 Bisogna dunque ammettere che percepiamo negli oggetti un’infinità di cose che né il bambino né il cieco-nato percepiscono, anche se essi vengono rappresentati allo stesso modo sul fondo dei loro occhi; e che non basta l’affezione degli oggetti, si deve anche prestare attenzione alle loro impressioni; di conseguenza non vediamo nulla la prima volta che ci serviamo degli occhi; che nei primi istanti della visione siamo affetti solo da una moltitudine di sensazioni; che le sensazioni non sono per niente simili agli oggetti, ed è solo l’esperienza che ci insegna a confrontare le sensazioni con i loro stimoli, che le sensazioni non avrebbero niente di essenzialmente somigliante agli oggetti e che è l’esperienza a insegnarci le analogie apparentemente solo convenzionali: in una parola, non possiamo dubitare che il tatto sia di grande aiuto all’occhio una per conoscenza precisa della conformità dell’oggetto con la rappresentazione che ne riceve; e penso che se tutto non ubbidisse in natura a delle leggi infinitamente generali se, per esempio, l’urto di alcuni corpi solidi non fosse doloroso, e quello di altri corpi, accompagnato dal piacere, moriremmo, senza aver raccolto la centomilionesima parte delle esperienze necessarie alla conservazione del nostro corpo e del nostro benessere. Tuttavia non penso affatto che l’occhio non possa arricchirsi di esperienza, o, se è permesso dir così, mettere alla prova se stesso. Per assicurarsi attraverso il tatto, dell’esistenza e della figura degli oggetti, non è necessario vedere; perché bisognerebbe toccarli per assicurarsi degli stessi oggetti per la vista? Conosco tutti i vantaggi del tatto, e non li ho mascherati, quando si è trattato di Saunderson o del cieco di Puiseaux; ma non gli riconosco questo. Non è difficile concepire che l’uso di uno dei sensi può essere perfezionato e accelerato dalle osservazioni dell’altro, ma non c’è alcuna dipendenza essenziale tra le loro funzioni. Ci sono di certo nei corpi delle qualità che non percepiremmo in essi se non li toccassimo mai: è il tatto che ci insegna la presenza di certe modifiche a cui gli occhi sono insensibili e che non vengono percepite che quando essi sono stati avvertiti da questo senso; ma questi servizi sono reciproci e in chi ha la vista più acuta del tatto, è questa che istruisce l’altro senso dell’esistenza degli oggetti e delle modifiche che gli sfuggirebbero per la loro piccolezza. Se vi si mettesse, a vostra insaputa, tra il pollice e l’indice, un pezzo di carta o qualche altra sostanza liscia, sottile e flessibile, non ci sarebbe che il vostro occhio a potervi informare che il contatto di queste dita non sia immediato. Osserverò incidentalmente che sarebbe molto più difficile ingannare un cieco a questo riguardo, di una persona abituata a vedere.
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Un œil vivant et animé aurait sans doute de la peine à s’assurer que les objets extérieurs ne font pas partie de lui-même ; qu’il en est tantôt voisin, tantôt éloigné ; qu’ils sont figurés ; qu’ils sont plus grands les uns que les autres ; qu’ils ont de la profondeur, etc... mais je ne doute nullement qu’il ne les vît à la longue, et qu’il ne les vît assez distinctement pour en discerner au moins les limites grossières. Le nier, ce serait perdre de vue la destination des organes ; ce serait oublier les principaux phénomènes de la vision ; ce serait se dissimuler qu’il n’y a point de peintre assez habile pour approcher de la beauté et de l’exactitude des miniatures qui se peignent dans le fond de nos yeux ; qu’il n’y a rien de plus précis que la ressemblance de la représentation à l’objet représenté ; que la toile de ce tableau n’est pas si petite ; qu’il n’y a nulle confusion entre les figures ; qu’elles occupent à peu près un demi-pouce en carré, et que rien n’est plus difficile d’ailleurs que d’expliquer comment le toucher s’y prendrait pour enseigner à l’œil à apercevoir, si l’usage de ce dernier organe était absolument impossible sans le secours du premier. Mais je ne m’en tiendrai pas à de simples présomptions, et je demanderai, si c’est le toucher qui apprend à l’œil à distinguer les couleurs ? Je ne pense pas qu’on accorde au tact un privilège aussi extraordinaire : cela supposé, il s’ensuit que, si l’on présente à un aveugle à qui l’on vient de restituer la vue un cube noir, avec une sphère rouge, sur un grand fond blanc, il ne tardera pas à discerner les limites de ces figures. Il tardera, pourrait-on me répondre, tout le temps nécessaire aux humeurs de l’œil, pour se disposer convenablement ; à la cornée, pour prendre la convexité requise à la vision, à ma prunelle, pour être susceptible de la dilatation et du rétrécissement qui lui sont propres ; aux filets de la rétine pour n’être ni trop ni trop peu sensibles à l’action de la lumière ; au cristallin, pour s’exercer aux mouvements en avant et en arrière qu’on lui soupçonne ; ou aux muscles, pour bien remplir leurs fonctions ; aux nerfs optiques pour s’accoutumer à transmettre la sensation ; au globe entier de l’œil, pour se prêter à toutes les dispositions nécessaires, et à toutes les parties qui le composent, pour concourir à l’exécution de cette minia | ture dont on tire si bon parti, quand il s’agit de démontrer que l’œil s’expérimentera de lui-même. J’avoue que, quelque simple que soit le tableau que je viens de présenter à l’œil d’un aveugle-né, il n’en distinguera bien les parties que quand l’organe réunira toutes les conditions précédentes ; mais c’est peut-être l’ouvrage d’un moment ; et il ne serait pas difficile, en appliquant le raisonnement qu’on vient de m’objecter, à une machine un peu composée, à une montre, par exemple, de démontrer, par le détail de tous les mouvements qui se passent dans le tambour, la fusée, les roues, les palettes, le balancier, etc. qu’il faudra quinze jours à l’aiguille pour parcourir l’espace d’une seconde. Si on répond que ces mouvements sont simultanés, je répliquerai qu’il en est peut-être de même de ceux qui se passent dans l’œil, quand il s’ouvre pour la première fois, et de la plupart des jugements qui se font en conséquence. Quoi qu’il en soit de ces conditions qu’on exige dans l’œil, pour être propre à la vision, il faut convenir que ce n’est point le toucher qui les lui donne, que cet organe les acquiert de lui-même ; et que, par conséquent, il parviendra à distinguer les figures qui s’y peindront, sans le secours d’un autre sens. Mais encore une fois, dira-t-on, quand en sera-t-il là ? Peut-être beaucoup plus promptement qu’on ne pense. Lorsque nous allâmes visiter ensemble le cabinet du Jardin Royal, vous souvenez-vous, Madame, de l’expérience du miroir concave, et de la frayeur que vous eûtes, lorsque vous vîtes venir à vous la pointe d’une épée avec la même vitesse que la pointe de celle que vous aviez à la main, s’avançait vers la surface du miroir. Cependant vous aviez l’habitude de rapporter au delà des miroirs, tous les objets qui s’y
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Un occhio vivo e animato faticherebbe ad assicurarsi che gli oggetti esteriori non sono una sua parte; che talvolta sono vicini, talvolta lontani; che hanno una certa forma, che gli uni sono più grandi degli altri, che hanno una profondità ecc. ma non dubito che a lungo andare finirebbe col vederli, e che li vedrebbe abbastanza distintamente per distinguerne almeno i limiti di grandezza. Negarlo sarebbe perdere di vista la destinazione degli organi, sarebbe dimenticare i principali fenomeni della visione, negare che non esistono pittori abbastanza abili per eguagliare la bellezza e l’esattezza delle miniature che si dipingono in fondo ai nostri occhi; che non c’è niente di più preciso della somiglianza della rappresentazione all’oggetto rappresentato; che la tela di questo quadro non è così piccola; che non c’è alcuna confusione tra le figure; che esse occupano circa mezzo pollice quadrato e che del resto non c’è niente di più difficile da spiegare cosa potrebbe mai avere il tatto per insegnare all’occhio a percepire, se l’uso di quest’ultimo organo fosse assolutamente impossibile senza il soccorso del primo. Tuttavia, se non mi voglio attenere a delle semplici presunzioni, e domandassi, se è il tatto che insegna all’occhio a distinguere i colori? Non penso che si accorderebbe al tatto un privilegio tanto straordinario: dato ciò, ne consegue che, se si presenta a un cieco a cui è appena stata restituita la vista, un cubo nero insieme a una sfera rossa, su un grande sfondo bianco, egli non tarderà a distinguere i limiti di queste figure. Tarderà, mi si potrebbe rispondere, tutto il tempo necessario agli umori dell’occhio per disporsi in modo conveniente; alla cornea per assumere tutta la convessità richiesta dalla visione, alla pupilla per essere suscettibile della dilatazione e del restringimento che le sono propri; ai filamenti della retina per non essere né troppo, né troppo poco sensibili all’azione della luce, al cristallino per esercitarsi nei movimenti avanti e indietro che gli vengono attribuiti; ai muscoli per adempiere bene la loro funzione; ai nervi ottici per abituarsi a trasmettere la sensazione; all’intero globo oculare per prestarsi a tutte le disposizioni necessarie, e a tutte le parti che lo compongono, per concorrere all’esecuzione di questa miniatura da cui traiamo tanto vantaggio, quando si tratta di dimostrare che l’occhio si sperimenterà da se stesso. Confesso che, per quanto sia semplice, il quadro che ho appena presentato all’occhio di un cieco-nato, egli distinguerà bene le parti solo quando l’organo riunirà tutte le condizioni precedenti; ma forse ciò avviene in un attimo; e non sarà difficile obiettarmi che, applicando il ragionamento del genere a una macchina un po’ complessa, come per esempio a un orologio, che dimostrare nel dettaglio tutti i movimenti che hanno luogo nel tamburo, nella piramide, nelle rotelle nelle palette nel bilanciere, ecc. alla lancetta ci vorrebbero quindici giorni per percorrere lo spazio di un secondo. Se si risponde che questi movimenti sono simultanei, replicherò che non è la stessa cosa che accade nell’occhio, quando si vede per la prima volta, e nella maggior parte dei giudizi che si fanno di conseguenza. Comunque la si metta con queste condizioni necessarie alla capacità visiva dell’occhio, bisogna convenire che non c’è nulla ciò che venga dal tatto, e che quest’organo le acquisisce da se stesso, e che di conseguenza, perverrà a distinguere le figure che si dipingono, senza il soccorso di un altro senso. Ma ancora una volta, si chiederà, quando vi giunge? Forse molto più in fretta di quanto pensiamo. Vi ricordate, signora, quando andammo a visitare insieme il gabinetto del Giardino Reale, dell’esperienza dello specchio concavo, e della paura che avete avuto, quando vedeste venire verso di voi la punta di una spada, con la stessa velocità con cui, la punta di quella che avevate in mano, avanzava verso la superficie dello specchio? Tuttavia eravate abituata a considerare come esistenti, al di fuori degli specchi,
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peignent. L’expérience n’est donc ni si nécessaire, ni même si infaillible qu’on le pense, pour apercevoir les objets ou leurs images où elles sont. Il n’y a pas jusqu’à votre perroquet qui ne m’en fournît une preuve : la première fois qu’il se vit dans une glace, il en approcha son bec ; et ne se rencontrant pas lui-même qu’il prenait pour son semblable, il fit le tour de la glace. Je ne veux point donner au témoi | gnage du perroquet plus de force qu’il n’en a ; mais c’est une expérience animale où le préjugé ne peut avoir de part. Cependant, m’assurât-on qu’un aveugle-né n’a rien distingué pendant deux mois, je n’en serais point étonné. J’en conclurai seulement la nécessité de l’expérience de l’organe ; mais nullement la nécessité de l’attouchement pour l’expérimenter. Je n’en comprendrai que mieux combien il importe de laisser séjourner quelque temps un aveuglené dans l’obscurité, quand on le destine à des observations ; de donner à ses yeux la liberté de s’exercer, ce qu’il fera plus commodément dans les ténèbres qu’au grand jour, et de ne lui accorder, dans les expériences, qu’une espèce de crépuscule, ou de se ménager, du moins dans le lieu où elles se feront, l’avantage d’augmenter ou de diminuer à discrétion la clarté. On ne me trouvera que plus disposé à convenir que ces sortes d’expériences seront toujours très difficiles et très incertaines ; et que le plus court en effet, quoiqu’en apparence le plus long, c’est de prémunir le sujet de connaissances philosophiques qui le rendent capable de comparer les deux conditions par lesquelles il a passé, et de nous informer de la différence de l’état d’un aveugle et de celui d’un homme qui voit. Encore une fois, que peut-on attendre de précis de celui qui n’a aucune habitude de réfléchir et de revenir sur lui-même ; et qui, comme l’aveugle de Cheselden, ignore les avantages de la vue, au point d’être insensible à sa disgrâce, et de ne point imaginer que la perte de ce sens nuise beaucoup à ses plaisirs. Saounderson à qui l’on ne refusera pas le titre de philosophe, n’avait certainement pas la même indifférence ; et je doute fort qu’il eût été de l’avis de l’auteur de l’excellent Traité sur les Systèmes. Je soupçonnerais volontiers le dernier de ces philosophes, d’avoir donné lui-même dans un petit système, lorsqu’il a prétendu, « Que si la vie de l’homme n’avait été qu’une sensation non interrompue de plaisir ou de douleur, heureux dans un cas sans aucune idée de malheur, malheureux dans l’autre sans aucune idée de bonheur, il eût joui ou souffert ; et que, comme si telle eût été sa nature, il n’eût point regardé autour de lui pour découvrir si quelque être veillait à sa conservation, ou travaillait | à lui nuire. que c’est le passage alternatif de l’un à l’autre de ces états, qui [l’a] fait réfléchir, etc... ». Croyez-vous, Madame, qu’en descendant de perceptions claires en perceptions claires, (car c’est la manière de philosopher de l’auteur, et la bonne), il fût jamais parvenu à cette conclusion. Il n’en est pas du bonheur et du malheur, ainsi que des ténèbres et de la lumière : l’un ne consiste pas dans une privation pure et simple de l’autre. Peut-être eussions-nous assuré que le bonheur ne nous était pas moins essentiel que l’existence et la pensée, si nous en eussions joui sans aucune altération ; mais je n’en peux pas dire autant du malheur. Il eût été très naturel de le regarder comme un état forcé, de se sentir innocent, de se croire pourtant coupable, et d’accuser ou d’excuser la nature, tout comme on fait. Mr. l’abbé de Condillac pense-t-il qu’un enfant ne se plaigne quand il souffre, que parce qu’il n’a pas souffert sans relâche depuis qu’il est au monde ? s’il me répond « qu’exister et souffrir ce serait la même chose pour celui qui aurait toujours souffert ; et qu’il n’imaginerait pas qu’on pût suspendre sa douleur sans détruire son existence » ; peut-être, lui répliquerai-je, l’homme malheureux sans interruption n’eût pas dit, qu’aije fait, pour souffrir ? mais qui l’eût empêché de dire, qu’ai-je fait, pour exister ? cependant je ne vois pas pourquoi il n’eût point eu les deux verbes synonymes, j’existe et je
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tutti gli oggetti che vi si riflettono. L’esperienza non è dunque né così necessaria né anzi così infallibile come pensiamo, per individuare il punto in cui si trovano gli oggetti o le loro immagini. Tutto ce ne fornisce la prova, perfino il vostro pappagallo: la prima volta che si vide in uno specchio, avvicinò il becco e non incontrando un altro se stesso che prendeva per un proprio simile, fece il giro dello specchio. Non voglio dare alla testimonianza del pappagallo più importanza di quella che ha, ma è un’esperienza animale in cui non può trovare posto il pregiudizio. Tuttavia, se mi si assicurasse che un cieco-nato non ha distinto niente per due mesi, non me ne stupirei affatto. Ne dedurrei sola la necessità di un certo esercizio dell’organo; ma non la necessità del tatto per farlo funzionare. Comprenderei ancora meglio quanto sia importante far restare il cieco-nato al buio per un certo periodo, prima di sottoporlo a delle osservazioni; di lasciare ai suoi occhi la libertà di esercitarsi, cosa che farà più agevolmente nelle tenebre che in pieno giorno, e di fargli fare le esperienze in una specie di crepuscolo, o di assicurarsi almeno che nel luogo in cui si faranno ci sia la possibilità di aumentare o diminuire a discrezione la luminosità. Sarò più che disposto a concordare che questo genere di esperienze saranno sempre molto difficili e molto incerte; e che la via più rapida in effetti, anche se sembra più lunga, è di fornire al soggetto le conoscenze filosofiche che lo rendano capace di confrontare le due condizioni nelle quali è vissuto, e di informarci della differenza tra lo stato di un cieco e di quello di un uomo che vede. Ancora una volta, cosa possiamo aspettaci di preciso da chi non ha alcuna abitudine a ragionare e riflettere, e che, come il cieco di Cheselden, ignora a tal punto i vantaggi della vista, da essere insensibile alla sua disgrazia e di non sospettare minimamente che la perdita di questo senso possa nuocere molto ai suoi piaceri. Saunderson, a cui non si può negare il titolo di filosofo, non dimostrava certo la stessa indifferenza, e dubito seriamente che sarebbe stato del parere dell’autore dell’eccellente Trattato sui sistemi. Ho ragione di sospettare una certa sistematicità in quest’ultimo filosofo, anche se ha affermato «Che se la vita dell’uomo fosse un’ininterrotta sensazione di piacere o di dolore, avrebbe gioito o sofferto, felice nel primo caso senza alcuna idea della sventura, infelice nell’altro senza alcuna idea della felicità; e che, come se tale fosse la sua natura, non si sarebbe guardato intorno, per scoprire, se c’è un essere che provvede alla sua conservazione, o lavora per nuocergli. Perché è il passaggio alternato dall’uno all’altro di questi due stati che l’ha fatto riflettere e...»83 Credete, signora, che passando da una percezione chiara all’altra (perché è la maniera di filosofare dell’autore, ed è quella giusta) sarebbe mai pervenuto a questa conclusione? Per la felicità e l’infelicità, non vale la stessa cosa che per le tenebre e la luce: l’una non consiste nella privazione pura e semplice dell’altra. Saremmo forse certi che la felicità ci è essenziale quanto l’esistenza e il pensiero, anche se la nostra vita fosse un ininterrotto godimento, ma non si può dire altrettanto dell’infelicità. Sarebbe naturale considerare l’infelicità come uno stato di costrizione, sentirsi innocenti, credersi tuttavia colpevoli e accusare o scusare la natura, proprio come si fa. L’abate di Condillac pensa forse che un bambino pianga quando soffre, solo perché non ha sofferto senza tregua da quando è al mondo? Se mi risponde «che esistere e soffrire, sarà la stessa cosa per chi ha sempre sofferto; e che non immaginerebbe che si può sospendere il suo dolore senza distruggere la sua esistenza»; forse, gli risponderei, l’uomo ininterrottamente infelice non direbbe: cos’ho fatto per soffrire? Ma cosa potrebbe impedirgli di dire, cos’ho fatto per esistere? Però non vedo perché non dovrebbe servirsi dei due verbi come sinonimi, io esisto e io soffro, l’uno per la prosa
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souffre, l’un pour la prose, et l’autre pour la poésie ; comme nous avons les deux expressions, je vis et je respire. Au reste, vous remarquerez mieux que moi, Madame, que cet endroit de Mr. l’abbé de Condillac est très parfaitement écrit ; et je crains bien que vous ne disiez, en comparant ma critique avec sa réflexion, que vous aimez mieux encore une erreur de Montagne, qu’une vérité de Charron. Et toujours des écarts, me direz-vous : Oui, Madame, c’est la condition de notre traité. Voici maintenant mon opinion sur les deux questions précédentes : Je pense que la première fois que les yeux de l’aveugle-né s’ouvriront à la lumière, il n’apercevra rien du tout ; qu’il faudra quelque | temps à son œil pour s’expérimenter ; mais qu’il s’expérimentera de lui-même, et sans le secours du toucher, et qu’il parviendra non seulement à distinguer les couleurs, mais à discerner au moins les limites grossières des objets. Voyons à présent si, dans la supposition qu’il acquît cette aptitude dans un temps fort court, ou qu’il l’obtînt en agitant ses yeux dans les ténèbres où l’on aurait eu l’attention de l’enfermer et de l’exhorter à cet exercice, pendant quelque temps après l’opération et avant les expériences ; voyons, dis-je, s’il reconnaîtrait à la vue les corps qu’il aurait touchés, et s’il serait en état de leur donner les noms qui leur conviennent. C’est la dernière question qui me reste à résoudre. Pour m’en acquitter d’une manière qui vous plaise, puisque vous aimez la méthode, je distinguerai plusieurs sortes de personnes, sur lesquelles les expériences peuvent se tenter. Si ce sont des personnes grossières, sans éducations, sans connaissances, et non préparées ; je pense que, quand l’opération de la cataracte aura parfaitement détruit le vice de l’organe, et que l’œil sera sain, les objets s’y peindront très distinctement ; mais que ces personnes n’étant habituées à aucune sorte de raisonnement ; ne sachant ce que c’est que sensation, idée ; n’étant point en état de comparer les représentations qu’elles ont reçues par le toucher, avec celles qui leur viennent par les yeux, elles prononceront, voilà un rond, voilà un carré, sans qu’il y ait de fond à faire sur leur jugement ; ou même elles conviendront ingénument qu’elles n’aperçoivent rien dans les objets qui se présentent à leur vue, qui ressemble à ce qu’elles ont touché. Il y a d’autres personnes qui, comparant les figures qu’elles apercevront aux corps avec celles qui faisaient impression sur leurs mains, et appliquant par la pensée leur attouchement sur ces corps qui sont à distance, diront de l’un que c’est un carré, et de l’autre que c’est un cercle, mais sans trop savoir pourquoi ; la comparaison des idées qu’elles ont prises par le toucher, avec celles qu’elles reçoivent par la vue, ne se faisant pas en elles assez distinctement pour les convaincre de la vérité de leur jugement. | Je passerai, Madame, sans digression, à un métaphysicien sur lequel on tenterait l’expérience. Je ne doute nullement que celui-ci ne raisonnât dès l’instant où il commencerait à apercevoir distinctement les objets, comme s’il les avait vus toute sa vie ; et qu’après avoir comparé les idées qui lui viennent par les yeux avec celles qu’il a prises par le toucher, il ne dît, avec la même assurance que vous et moi : « Je serais fort tenté de croire que c’est ce corps que j’ai toujours nommé cercle, et que c’est celui-ci que j’ai toujours appelé carré ; mais je me garderai bien de prononcer que cela est ainsi. Qui m’a révélé que, si j’en approchais ils ne disparaîtraient pas sous mes mains, que saisje si les objets de ma vue sont destinés à être aussi les objets de mon attouchement ? J’ignore, si ce qui m’est visible est palpable ; mais quand je ne serais point dans cette incertitude, et que je croirais sur la parole des personnes qui m’environnent, que ce que je vois est réellement ce que j’ai touché, je n’en serais guère plus avancé. Ces objets pourraient fort bien se transformer dans mes mains, et me renvoyer par le tact des sensations toutes contraires à celles que j’en éprouve par la vue. Messieurs, ajouterait-il,
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e l’altro per la poesia, come noi abbiamo le due espressioni io vivo e io respiro. Del resto, rileverete voi meglio di me, signora, che questo punto dell’abate di Condillac è scritto in modo esemplare; e temo che voi diciate, comparando la mia critica con la sua riflessione, che voi preferite un errore di Montaigne, a una verità di Charron. Sempre digressioni, mi direte: Sì, signora, è il nostro trattato che le esige. Ecco ora la mia opinione sulle due questioni precedenti. Penso che la prima volta che un cieconato aprirà gli occhi alla luce, non percepirà alcunché, e avrà bisogno di qualche tempo per esercitare il suo occhio,84 ma che farà esperienza da sé e vedrà senza il soccorso del tatto, e che arriverà non solo a distinguere i colori, ma ad almeno anche i contorni approssimativi degli oggetti. Vediamo adesso se, ipotizzando che acquisisca questa abilità in un tempo molto breve, o che l’ottenga muovendo i suoi occhi al buio dove si avrà la premura di collocalo e di esortarlo a questo esercizio, per un periodo in seguito all’operazione e prima delle esperienze; vediamo, dico, se riconoscerà vedendoli i corpi che aveva toccato, e se sarà in grado di attribuirgli i nomi appropriati. È l’ultimo problema che mi resta da risolvere. Per cavarmela in un modo che vi sia gradito, poiché amate il metodo, distinguerò i diversi tipi di persone con cui si possono fare queste esperienze. Se si tratta di persone rozze, senza istruzione, senza educazione e senza cultura, penso che, quando l’operazione di cataratta avrà perfettamente eliminato il vizio dell’organo e l’uomo sarà sano, egli distinguerà gli oggetti molto chiaramente, ma che, non essendo queste persone abituate ad alcun genere di ragionamento, non sapendo cos’è una sensazione, un’idea, non saranno in grado di comparare le rappresentazioni che hanno ricevuto dal tatto, con quelle che vengono loro dagli occhi, e diranno, ecco un cerchio, ecco un quadrato, senza che ci sia alcun fondamento nel loro giudizio; o affermeranno ingenuamente di non percepire niente negli oggetti che si presentano alla loro vista, che assomigli a quelli che hanno toccato. Ci sono altre persone che confrontando le figure dei corpi che percepiscono, alle percezioni che essi provocavano al tatto, e applicando con il pensiero il tatto su questi corpi che sono a distanza, diranno che l’uno è un quadrato e l’altro un cerchio, ma senza sapere bene perché; il confronto delle idee che essi hanno appreso con il tatto e quelle che hanno ricevuto con la vista, non viene fatto in modo abbastanza chiaro per convincerli della verità del giudizio. Passerò, signora, senza digressioni al risultato che darebbe un metafisico se si tentasse l’esperienza su di lui. Sono certo che questi inizierebbe a ragionare dall’istante in cui cominciasse a percepire distintamente gli oggetti, come se li avesse visti per tutta la vita; e che, dopo aver comparato le idee che gli vengono dalla vista e quelle che ha appreso attraverso il tatto, egli direbbe con la stessa sicurezza che abbiamo io e voi: «Sarei molto tentato di credere che sia questo il corpo che ho sempre chiamato cerchio, e questo che ho sempre chiamato quadrato; ma mi guarderò bene dal dire che sia davvero così. Chi mi dice che, se mi avvicinassi essi non sparirebbero dalle mie mani, come faccio a sapere se gli oggetti che vedo sono destinati a essere anche gli oggetti del mio tatto? Ignoro se ciò che è visibile è anche palpabile, ma quando non mi trovassi più in questa incertezza, e credessi sulla parola alle persone che mi circondano, che quello che vedo è realmente ciò che ho toccato, non avrei fatto un solo passo avanti. Questi oggetti potrebbero benissimo trasformarsi nelle mie mani, e trasmettermi attraverso il tatto delle sensazioni completamente contrarie a quelle che provo con la vista. «Signori»
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ce corps me semble le carré, celui-ci, le cercle ; mais je n’ai aucune science qu’ils soient tels au toucher qu’à la vue ». Si nous substituons un géomètre au métaphysicien, Saounderson à Locke, il dira comme lui que, s’il en croit ses yeux, des deux figures qu’il voit, c’est celle-là qu’il appelait carré, et celle-ci qu’il appelait cercle : « car je m’aperçois, ajouterait-il, qu’il n’y a que la première où je puisse arranger les fils et placer les épingles à grosse tête, qui marquaient les points angulaires du carré : et qu’il n’y a que la seconde à laquelle je puisse inscrire ou circonscrire les fils qui m’étaient nécessaires pour démontrer les propriétés du cercle. Voilà donc un cercle ; voilà donc un carré ! Mais aurait-il continué avec Locke ? peut-être que, quand j’appliquerai mes mains sur ces figures, elles se transformeront l’une en l’autre ; de manière que la même figure pourrait me servir à démontrer aux aveugles les propriétés du cercle, et à ceux qui voient, les propriétés du carré. Peutêtre que je verrais un carré, et qu’en même temps je sentirais un cercle. Non, auraitil | repris, je me trompe. Ceux à qui je démontrais les propriétés du cercle et du carré, n’avaient pas les mains sur mon abaque et ne touchaient pas les fils que j’avais tendus et qui limitaient mes figures ; cependant ils me comprenaient. Ils ne voyaient donc pas un carré, quand je sentais un cercle ; sans quoi nous ne nous fussions jamais entendus : je leur eusse tracé une figure, et démontré les propriétés d’une autre ; je leur eusse donné une ligne droite pour un arc de cercle, et un arc de cercle pour une ligne droite. Mais puisqu’ils m’entendaient tous ; tous les hommes voient donc les uns comme les autres : je vois donc carré ce qu’ils voyaient carré, et circulaire ce qu’ils voyaient circulaire. Ainsi voilà ce que j’ai toujours nommé carré, et voilà ce que j’ai toujours nommé cercle. » J’ai substitué le cercle à la sphère, et le carré au cube, parce qu’il y a toute apparence que nous ne jugeons des distances que par l’expérience, et conséquemment, que celui qui se sert de ses yeux pour la première fois, ne voit que des surfaces, et qu’il ne sait ce que c’est que saillie ; la saillie d’un corps à la vue consistant en ce que quelques-uns de ses points paraissent plus voisins de nous que les autres. Mais quand l’aveugle-né jugerait, dès la première fois qu’il voit, de la saillie et de la solidité des corps, et qu’il serait en état de discerner, non seulement le cercle du carré, mais aussi la sphère du cube ; je ne crois pas pour cela qu’il en fût de même de tout autre objet plus composé. Il y a bien de l’apparence que l’aveugle-née de Mr. de Réaumur a discerné les couleurs les unes des autres ; mais il y a trente à parier contre un qu’elle a prononcé au hasard sur la sphère et sur le cube ; et je tiens pour certain, qu’à moins d’une révélation, il ne lui a pas été possible de reconnaître ses gants, sa robe de chambre et son soulier. Ces objets sont chargés d’un si grand nombre de modifications ; il y a si peu de rapports entre leur forme totale et celle des membres, qu’ils sont destinés à orner ou a couvrir, que c’eût été un problème cent fois plus embarrassant pour Saounderson, de déterminer l’usage de son bonnet carré, que pour Mr. D’Alembert ou Clairaut, celui de retrouver l’usage de ses Tables. | Saounderson n’eût pas manqué de supposer qu’il règne un rapport géométrique entre les choses et leur usage, et conséquemment il eût aperçu en deux ou trois analogies, que sa calotte était faite pour sa tête : il n’y a là aucune forme arbitraire qui tendît à l’égarer. Mais qu’eût-il pensé des angles et de la houppe de son bonnet carré ? À quoi bon cette touffe ? pourquoi plutôt quatre angles, que six, se fût-il demandé ? et ces deux modifications, qui sont pour nous une affaire d’ornement, auraient été pour lui la source d’une foule de raisonnements absurdes, ou plutôt l’occasion d’une excellente satire de ce que nous appelons le bon goût.
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aggiungerebbe, «questi corpi mi sembrano un quadrato, e questo un cerchio. Ma non ho alcuna prova che essi risultino tali sia al tatto sia alla vista.» Se al metafisico sostituiamo un geometra, Saunderson a Locke, egli dirà come questi che, se deve credere ai suoi occhi, alle figure che vede, una è quella chiamava quadrato e l’altra quella che chiamava cerchio: «perché percepisco» aggiungerà, «che solo nella prima potrei sistemare i fili e posizionare gli spilli con la capocchia grossa, che marcano i punti angolari del quadrato; e che solo nella seconda si possono inscrivere o circoscrivere i fili che mi sarebbero necessari per dimostrare le proprietà del cerchio. Ecco dunque un cerchio, ecco dunque un quadrato! Ma» continuerebbe con Locke, «è possibile che quando metterò le mie mani su queste figure, esse si trasformeranno l’una dell’altra; in modo che la stessa figura potrà servirmi a dimostrare ai ciechi le proprietà del cerchio, e a quelli che vedono, le proprietà del quadrato. È possibile che vedessi un quadrato mentre percepivo un cerchio. No» avrebbe ripreso, «mi sbaglio. Coloro ai quali ho dimostrato le proprietà del cerchio e del quadrato, non avevano le mani sul mio abaco, e non toccavano i fili che avevo teso e che delimitavano le mie figure, e nonostante ciò essi mi capivano. Allora non vedevano un quadrato quando io percepivo un cerchio, altrimenti non ci saremmo mai intesi: avrei tracciato una figura e dimostrato le proprietà di un’altra, avrei mostrato loro una linea retta al posto di un arco di un cerchio, e un arco di un cerchio al posto di una linea retta. Ma poiché mi capivano tutti, dunque tutti gli uomini vedevano allo stesso modo: vedo pertanto un quadrato in quello che essi vedono quadrato, e circolare ciò che vedono circolare. Così ecco quello che ho sempre chiamato quadrato ed ecco quello che ho sempre chiamato cerchio.» Ho sostituito il cerchio alla sfera e il quadrato al cubo, perché apparentemente impariamo a giudicare le distanze solo attraverso l’esperienza, e conseguentemente chi si serve dei suoi occhi per la prima volta, vede solo delle superfici e non sa cosa sia il rilievo,85 il rilievo di un corpo per la vista consiste nel fatto che alcuni dei suoi punti sembrano più vicini a noi di altri. Ma anche se il cieco-nato cogliesse, fin dalla prima volta che vede, il rilievo e lo spessore dei corpi, e fosse nella condizione di distinguere non solamente il cerchio dal quadrato, ma anche la sfera dal cubo, non credo che per questo saprebbe fare lo stesso con tutti gli oggetti più complessi. Sembrerebbe proprio che la cieca-nata di Réaumur abbia distinto subito i colori gli uni dagli altri, ma c’è da scommettere trenta contro uno che essa abbia valutato a caso la sfera e il cubo, e tengo per certo che, a meno di una rivelazione, non le è stato possibile riconoscere i suoi guanti, la sua veste da camera e la sua scarpa. Questi oggetti hanno un tale numero di rifiniture, e c’è così poco rapporto tra la forma complessiva e quella delle parti del corpo che sono destinati a ornare o a coprire, che sarebbe stato un problema cento volte più complicato per Saunderson determinare l’uso del suo berretto quadrato, che per D’Alembert o Clairaut, scoprire l’uso delle sue tavole. Saunderson avrebbe sicuramente supposto che esista un rapporto geometrico tra le cose e il loro uso, e conseguentemente si sarebbe accorto con due o tre analogie, che la sua papalina era fatta per la sua testa: non c’è in quella alcuna forma arbitraria che possa ingannarlo. Ma cosa avrebbe pensato degli angoli e della nappina del suo berretto quadrato? A che serve quel fiocco? Perché quattro angoli piuttosto che sei? Si sarebbe domandato, e queste due modifiche, che sono per noi una questione di ornamento, sarebbero state per lui fonte di una ridda di ragionamenti assurdi, o piuttosto l’occasione di un’eccellente satira di ciò che chiamiamo buongusto.
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En pesant mûrement les choses, on avouera que la différence qu’il y a entre une personne qui a toujours vu, mais à qui l’usage d’un objet est inconnu, et celle qui connaît l’usage d’un objet, mais qui n’a jamais vu, n’est pas à l’avantage de celle-ci : cependant, croyez-vous, Madame, que, si l’on vous montrait aujourd’hui, pour la première fois, une garniture, vous parvinssiez, jamais à deviner que c’est un ajustement, et que c’est un ajustement de tête ? Mais, s’il est d’autant plus difficile à un aveugle-né, qui voit pour la première fois, de bien juger des objets selon qu’ils ont un plus grand nombre de formes, qui l’empêcherait de prendre un observateur tout habillé et immobile dans un fauteuil placé devant lui pour un meuble ou pour une machine ; et un arbre dont l’air agiterait les feuilles et les branches, pour un être se mouvant, animé et pensant. Madame, combien nos sens nous suggèrent de choses ; et que nous aurions de peine, sans nos yeux, à supposer qu’un bloc de marbre ne pense ni ne sent ! Il reste donc pour démontré, que Saounderson aurait été assuré qu’il ne se trompait pas dans le jugement qu’il venait de porter du cercle et du carré seulement, et qu’il y a des cas où le raisonnement et l’expérience des autres peuvent éclairer la vue sur la relation du toucher, et l’instruire que ce qui est tel pour l’œil, est tel aussi pour le tact. Il n’en serait cependant pas moins essentiel, lorsqu’on se proposerait la démonstration de quelque proposition d’éternelle vérité, comme on les | appelle, d’éprouver sa démonstration, en la privant du témoignage des sens ; car vous apercevez bien, Madame, que, si quelqu’un prétendait vous prouver que la projection de deux lignes parallèles sur un tableau doit se faire par deux lignes convergentes, parce que deux allées paraissaient telles, il oublierait que la proposition est vraie pour un aveugle, comme pour lui. Mais la supposition précédente de l’aveugle-né en suggère deux autres. L’une d’un homme qui aurait vu dès sa naissance, et qui n’aurait point eu le sens du toucher ; et l’autre d’un homme en qui le sens de la vue et du toucher seraient perpétuellement en contradiction. On pourrait demander du premier, si, lui restituant le sens qui lui manque, et lui ôtant le sens de la vue par un bandeau, il reconnaîtrait les corps au toucher. Il est évident que la géométrie, en cas qu’il fût instruit, lui fournirait un moyen infaillible de s’assurer si les témoignages des deux sens sont contradictoires ou non. Il n’aurait qu’à prendre le cube ou la sphère entre ses mains, en démontrer à quelqu’un les propriétés, et prononcer, si on le comprend, qu’on voit cube ce qu’il sent cube ; et que c’est par conséquent le cube qu’il tient. Quant à celui qui ignorerait cette science, je pense qu’il ne lui serait pas plus facile de discerner, par le toucher, le cube de la sphère, qu’à l’aveugle de Mr. Molineux de les distinguer par la vue. À l’égard de celui en qui les sensations de la vue et du toucher seraient perpétuellement contradictoires, je ne sais ce qu’il penserait des formes, de l’ordre, de la symétrie, de la beauté, de la laideur, etc... Selon toute apparence, il serait, par rapport à ces choses, ce que nous sommes relativement à l’étendue et à la durée réelles des êtres. Il prononcerait, en général, qu’un corps a une forme ; mais il devrait avoir du penchant à croire que ce n’est ni celle qu’il voit ni celle qu’il sent. Un tel homme pourrait bien être mécontent de ses sens ; mais ses sens ne seraient ni contents ni mécontents des objets. S’il était tenté d’en accuser un de fausseté, je crois que ce serait au toucher qu’il s’en prendrait. Cent circonstances l’inclineraient à penser que la figure des objets change plutôt par l’action de ses mains sur eux, que par celle des objets sur ses yeux. Mais en conséquence de ces préjugés, | la différence de dureté et de mollesse, qu’il observerait dans les corps, serait fort embarrassante pour lui.
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Soppesando a lungo le cose, ci accorgeremo che la differenza che c’è tra una persona che ha sempre visto, ma a cui l’uso di un oggetto è ignoto, e chi conosce l’oggetto, ma non l’ha mai visto, va a vantaggio di quest’ultimo: tuttavia credetemi, signora, che se vi mostrassi oggi per la prima volta una garniture,86 non perverreste mai a capire se è una rifinitura e che si tratta della rifinitura un’acconciatura per la testa? Ma se è tanto più difficile per un cieco-nato che vede per la prima volta, giudicare correttamente gli oggetti, in base al fatto ce ne di una grande varietà di forme, cosa gli impedirebbe di prendere un osservatore completamente vestito immobile su un divano, posto davanti a lui, per un mobile o per una macchina; e un albero a cui l’aria agita le foglie e i rami, per un essere che si muove, è animato e pensa? Signora, i nostri sensi ci suggeriscono a proposito delle cose, e quanto sarebbe faticoso senza i nostri occhi immaginare che un blocco di marmo non pensa e non ne sente!87 È dunque dimostrato che Saunderson sarebbe stato sicuro di non sbagliarsi nel giudicare quello che il cerchio e il quadrato solamente, e che ci sono alcuni casi in cui il ragionamento e l’esperienza degli altri possono chiarire la vista sulla sua relazione col tatto, e insegnare che ciò che è per l’occhio è tale per il tatto. Non sarà tuttavia meno importante, quando si proporrà la dimostrazione di qualche affermazione sulle verità eterne, come le chiamiamo, di mettere alla prova la propria dimostrazione, privandosi della testimonianza dei sensi; perché vedete bene, signora, che se qualcuno pretendesse di provarvi che la proiezione di due linee parallele su un tavolo deve essere fatta da due linee convergenti, perché due viali sembrano tali, dimenticherebbe che la proposizione è vera per un cieco quanto per lui. Ma la supposizione precedente del cieco-nato ne suggerisce altre due. Una di un uomo vedente fin dalla sua nascita, ma privo del senso del tatto e l’altro di un uomo in cui i sensi della vista e del tatto fossero perennemente in contraddizione. Si potrebbe domandare al primo se, restituendogli il senso che gli manca e privandolo del senso della vista con una benda, riconoscerebbe i corpi al tatto. È evidente che la geometria, nel caso in cui l’avesse studiata, gli fornirebbe un mezzo infallibile per assicurarsi se le testimonianze dei due sensi sono in contraddizione o no. Gli basterebbe prendere il cubo o la sfera tra le sue mani, dimostrarne le proprietà a qualcuno, e dire, se lo capiamo, che tutti vedono cubo ciò che egli sente cubo, e che di conseguenza è un cubo quello che sta tenendo. Quanto a quello che ignorasse questa scienza, penso che sarebbe per lui altrettanto difficile distinguere per mezzo del tatto il cubo dalla sfera, che per il cieco di Molyneux, di distinguerlo con la vista. Riguardo a colui i cui i sensi della vista e del tatto sono perennemente in contraddizione, non so cosa potrebbe pensare delle forme, dell’ordine, della simmetria, della bellezza, del bruttezza, ecc. Con ogni probabilità si troverebbe nei confronti di queste cose come noi in rapporto all’estensione e alla durata reale degli esseri. Affermerebbe in generale che i corpi hanno una forma, ma dovrebbe avere una propensione a credere che non è né quella che vede né quella che sente. Un uomo simile potrebbe certamente essere scontento dei suoi sensi; ma i suoi sensi non sarebbero né contenti né scontenti degli oggetti. Se fosse tentato di accusare un senso di falsità, credo accuserebbe il tatto. Molte circostanze lo indurrebbero a credere che la figura degli oggetti cambia in seguito all’azione delle sue mani su di essi, che non per quella degli oggetti sui suoi occhi. Ma la conseguenza di questi pregiudizi, è che egli percepirebbe nei corpi una differenza di durezza e di morbidezza nei corpi, per lui molto imbarazzante.
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Mais de ce que nos sens ne sont pas en contradiction sur les formes, s’ensuit-il qu’elles nous soient mieux connues. Qui nous a dit que nous n’avons point [affaire] à des faux témoins ? Nous jugeons pourtant. Hélas ! Madame, quand on a mis les connaissances humaines dans la balance de Montagne, on n’est pas éloigné de prendre sa devise. Car que savons-nous ? ce que c’est que la matière ? nullement. Ce que c’est que l’esprit et la pensée ? encore moins. Ce que c’est que le mouvement, l’espace et la durée ? point du tout. Des vérités géométriques ? Interrogez des mathématiciens de bonne foi, et ils vous avoueront que leur propositions sont toutes identiques, et que tant de volumes sur le cercle, par exemple, se réduisent à nous répéter en cent mille façons différentes, que c’est une figure où toutes les lignes tirées du centre à la circonférence sont égales. Nous ne savons donc presque rien : cependant, combien d’écrits dont les auteurs ont tous prétendu savoir quelque chose. Je ne devine pas pourquoi le monde ne s’ennuie point de lire ; et de ne rien apprendre, à moins que ce soit par la même raison qu’il y a deux heures que j’ai l’honneur de vous entretenir, sans m’ennuyer et sans vous rien dire. Je suis avec un profond respect, Madame
Votre très humble et très obéissant serviteur ***
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Però, dal fatto che i nostri sensi non si contraddicono sulla forma degli oggetti, ne consegue forse che li conosciamo meglio? Chi ci garantisce che non abbiamo a che fare con dei falsi testimoni? Eppure noi esprimiamo giudizi. Ahimè! Signora, da quando abbiamo messo le conoscenze umane sulla bilancia di Montaigne, non siamo molto lontani dall’assumere le sue posizioni.88 Perché cosa sappiamo? Cos’è la materia? Nient’affatto. Che cosa sono lo spirito e il pensiero? Ancora meno. Che cosa sono il movimento, lo spazio e la durata? Per nulla. Delle verità geometriche? Interrogate dei matematici in buona fede, e vi mostreranno che le loro proposizioni sono tutte identiche, e che molti volumi, sul cerchio per esempio si riducono a ripetere in centomila modi diversi, che è una figura in cui tutte le linee che si tracciano dal centro alla circonferenza sono uguali.89 Non sappiamo dunque quasi niente: tuttavia quanti scritti di cui gli autori hanno preteso di sapere qualcosa. Non so perché la gente non si annoia leggendoli senza apprendere nulla, a meno che non sia per la stessa ragione per la quale ho l’onore di intrattenervi da due ore, senza annoiarmi e senza dirvi nulla. Con profondo rispetto,
Signora, Il vostro umilissimo e obbedientissimo servitore. ***
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[Additions] a la lettre sur les aveugles
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Je vais jeter sans ordre sur le papier des phénomènes qui ne m’étaient pas connus, et qui serviront de preuves ou de réfutations à quelques paragraphes de ma Lettre sur les aveugles. Il y a trente-trois à trente-quatre ans que je l’écrivais ; je l’ai relue sans partialité, et je n’en suis pas trop mécontent. Quoique la première partie m’en ait paru plus intéressante que la seconde, et que j’aie senti que celle-là pouvait être un peu plus étendue et celle-ci beaucoup plus courte, je les laisserai l’une et l’autre telles que je les ai faites, de peur que la page du jeune homme n’en devînt pas meilleure par la retouche du vieillard. Ce qu’il y a de supportable dans les idées et dans l’expression, je crois que je le chercherais inutilement aujourd’hui, et je crains d’être également incapable de corriger ce qu’il y a de répréhensible. Un peintre célèbre de nos jours emploie les dernières années de sa vie à gâter les chefs-d’œuvre qu’il a produits dans la vigueur de son âge. Je ne sais si les défauts qu’il y remarque sont réels, mais le talent qui les rectifierait, ou il ne l’eut jamais s’il porta les imitations de la nature jusqu’aux dernières limites de l’art, ou, s’il le posséda, il le perdit, parce que tout ce qui est de l’homme périt avec l’homme. Il vient un temps où le goût donne des conseils dont on reconnaît la justesse, mais qu’on n’a plus la force de suivre. C’est la pusillanimité qui naît de la conscience de la faiblesse, ou la paresse, qui est une des suites de la faiblesse | et de la pusillanimité, qui me dégoûte d’un travail qui nuirait plus qu’il ne servirait à [l’amélioration] de mon ouvrage. Solve senesentem mature sanus equum, ne Peccet ad extremum, et ilia ducat. phénomènes.
1°. Un artiste qui possède à fond la théorie de son art, et qui ne le cède à aucun autre dans la pratique, m’a assuré que c’était par le tact et non par la vue qu’il jugeait de la rondeur des pignons ; qu’il les faisait rouler doucement entre le pouce et l’index, et que c’était par l’impression successive qu’il discernait de légères inégalités qui échapperaient à son œil. 2°. On m’a parlé d’un aveugle qui connaissait au toucher quelle était la couleur des étoffes. 3°. J’en pourrais citer un qui nuance des bouquets avec cette délicatesse dont J.-J. Rousseau se piquait lorsqu’il confiait à ses amis, sérieusement ou par plaisanterie, le dessein d’ouvrir une école où il donnerait leçons aux bouquetières de Paris. 4°. La ville d’Amiens a vu un appareilleur aveugle conduire un atelier nombreux avec autant d’intelligence que s’il avait joui de ses yeux. 5°. L’usage des yeux ôtait à un clairvoyant la sûreté de la main ; pour se raser la tête, il écartait le miroir et se plaçait devant une muraille nue.
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[Aggiunte] alla lettera sui ciechi
Getterò sulla carta senza alcun ordine alcuni fenomeni che finora non mi erano noti, e che serviranno da prova o confutazione di alcuni paragrafi della mia Lettera sui ciechi. Sono passati trentatré o trentaquattro anni da quando l’ho scritta; l’ho riletta senza parzialità e ne sono abbastanza soddisfatto. Nonostante la prima parte mi sia sembrata più interessante della seconda, e ritenga che la prima avrebbe potuto essere un po’ più estesa e la seconda molto più breve, le lascerò entrambe tali quali le ho scritte temendo che la pagina scritta quand’ero giovane non migliorerebbe grazie al ritocco di un vecchio. Oggi credo che cercherei inutilmente quel che c’è di accettabile nelle idee e nell’espressione, e temo di essere egualmente incapace di correggere ciò che va biasimato. Un pittore celebre ai nostri giorni impiega gli ultimi anni della sua vita a rovinare i capolavori che ha prodotto quand’era nel vigore dei suoi anni.90 Non so se i difetti che nota sono reali, ma, o non ebbe mai il talento che dovrebbe correggerli, se ha spinto l’imitazione della natura fino ai limiti estremi dell’arte, o, se lo possedeva egli lo ha perso, poiché tutto ciò che appartiene all’uomo deperisce con l’uomo. Arriva un momento in cui il gusto ci dà consigli di cui si riconosce la correttezza, ma che non si ha più la forza di seguire. Mi disgusta la pusillanimità che nasce dalla consapevolezza della debolezza, o la pigrizia che è una delle conseguenze della debolezza e della pusillanimità, per un lavoro che danneggerebbe la mia opera più di quanto potrebbe migliorarla. Solve senesentem mature sanus equum, ne Peccet ad extremum, et ilia ducat. Orazio, Epistolario lib. I, Epist. I, vers 8, 9 fenomeni
1°. Un artista che possiede a fondo la teoria della sua arte e che non la cede a nessuno nella pratica, mi ha assicurato che giudicava i pignoni con il tatto e non con la vista, che li faceva scivolare dolcemente tra il pollice e l’indice e che grazie alle sensazioni che si susseguivano, riusciva a percepire le leggere irregolarità che sfuggivano al suo occhio. 2°. Mi hanno parlato di un cieco che riconosceva al tatto i diversi colori delle stoffe. 3°. Potrei citare una persona che compone bouquet di fiori con la stessa delicatezza e garbo di cui J-J. Rousseau si piccava quando confidava ai suoi amici, seriamente o per scherzo, il progetto di aprire una scuola in cui si dessero lezioni ai fiorai di Parigi. 4°. Nella città di Amiens c’era un mastro muratore91 cieco che dirigeva un cantiere numeroso con la stessa intelligenza che se avesse usufruito dei suoi occhi. 5°. L’uso degli occhi toglie a un vedente la sicurezza della mano; per rasarsi la testa metteva da parte lo specchio e si metteva davanti a un muro nudo.
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L’aveugle qui n’aperçoit pas le danger en devient d’autant plus intrépide, et je ne doute [point] qu’il ne marchât d’un pas plus ferme sur des planches étroites et élastiques qui formeraient un pont sur un précipice. | Il y a peu de personnes dont l’aspect des grandes profondeurs n’obscurcisse la vue. 6°. Qui est-ce qui n’a pas connu ou entendu parler du fameux Daviel ? J’ai assisté plusieurs, fois à ses opérations. Il avait abattu la cataracte à un forgeron qui avait contracté cette maladie au feu continuel de son fourneau, et pendant les vingt-cinq années qu’il avait cessé de voir, il avait pris une telle habitude de s’en rapporter au toucher, qu’il fallait le maltraiter pour l’engager à se servir du sens qui lui avait été restitué ; Daviel lui disait en le frappant : Veux-tu regarder, bourreau !... Il marchait, il agissait ; tout ce que nous faisons les yeux ouverts, il le faisait, lui, les yeux fermés. On pourrait en conclure que l’œil n’est pas aussi utile à nos besoins ni aussi essentiel à notre bonheur qu’on serait tenté de le croire. Quelle est la chose du monde dont une longue privation qui n’est suivie d’aucune douleur ne nous rendît perte indifférente, si le spectacle de la nature n’avait plus de charme pour l’aveugle de Daviel ? La vue d’une femme qui nous serait chère ? je n’en crois rien, quelle que soit la conséquence du fait que je vais raconter. On s’imagine que si l’on avait passé un long temps sans voir, on ne se lasserait point de regarder. Cela n’est pas vrai ; quelle différence entre la cécité momentanée et cécité habituelle ! 7°. La bienfaisance de Daviel conduisait, de toutes les provinces du royaume dans son laboratoire, des malades indigents qui venaient implorer son secours, et sa réputation y appelait une assemblée curieuse, instruite et nombreuse. Je crois que nous en faisions partie le même jour, M. Marmontel et moi. Le malade était assis ; voilà sa cataracte enlevée, Daviel pose sa main sur des yeux qu’il venait de rouvrir à la lumière. Une femme âgée, debout à côté de lui, montrait le plus vif intérêt au succès de l’opération, elle tremblait de tous ses membres à chaque mouvement de l’opérateur. Celui-ci lui fait signe d’approcher et la place à genoux en face de l’opéré ; il éloigne ses mains, le malade ouvre les yeux, [il voit,] il s’écrie : | Ah ! c’est ma mère !... Je n’ai jamais entendu un cri plus pathétique, il me semble que je l’entends encore. La vieille femme s’évanouit, les larmes coulent des yeux des assistants, et les aumônes tombent de leurs bourses. 8°. De toutes les personnes qui ont été privées de la vue presque en naissant, la plus surprenante qui ait existé et qui existera, c’est Mademoiselle Mélanie de Salignac, parente de M. de La Fargue, lieutenant général des armées du roi, vieillard qui vient de mourir âgé de quatre-vingt-onze ans, couvert de blessures et comblé d’honneurs [ ; elle est] fille de Madame de Blacy, qui vit encore et qui ne passe pas un jour sans regretter un enfant qui faisait le bonheur de sa vie et l’admiration de toutes ses connaissances. Mad. de Blacy est une femme distinguée par l’éminence de ses qualités morales, et qu’on peut interroger sur la vérité de mon récit. C’est sous sa dictée que je recueille de la vie de mad lle de Salignac les particularités qui ont pu m’échapper à moi-même pendant un commerce d’intimité qui a commencé avec elle et avec sa famille en 1760, et qui a duré jusqu’en [1765], l’année de sa mort. Elle avait un grand fonds de raison, une douceur charmante, une finesse peu commune dans les idées, et de la naïveté. Une de ses tantes invitait sa mère à venir l’aider à plaire à dix-neuf ostrogoths qu’elle avait à dîner, et sa nièce disait : je ne conçois rien à ma chère tante ; pourquoi plaire à dix-neuf ostrogoths ? Pour moi, je ne veux plaire qu’à ceux que j’aime.
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Il cieco che non percepisce il pericolo diviene tanto più intrepido e sono certo che camminerebbe a passo ancora più deciso su delle assi strette ed elastiche che formano un ponte su un precipizio. Ci sono poche persone a cui l’aspetto delle grandi profondità non abbia oscurato la vista.92 6°. Chi non ha mai sentito parlare del celebre Daviel?93 Io ho assistito più volte alle sue operazioni. Aveva asportato la cataratta a un fabbro che aveva contratto questa malattia esponendosi al fuoco continuo del suo forno, e durante i venticinque anni in cui aveva smesso di vedere aveva preso una tale abitudine a rapportarsi col tatto, che bisognò maltrattarlo per impegnarlo a servirsi del senso che gli era stato restituito; Daviel gli disse colpendolo: «Vuoi guardare, boia!...». Camminava, agiva, tutto quello che noi facciamo con gli occhi aperti, egli lo faceva con gli occhi chiusi. Si potrebbe concludere che l’occhio non è così utile ai nostri bisogni né così essenziale alla nostra felicità quanto saremmo tentati di credere. Quale cosa al mondo di cui una lunga privazione che non è seguita da alcun dolore non ci rende indifferenti alla sua perdita, se lo spettacolo della natura non aveva più fascino per il cieco di Daviel? La vista di una donna che ci sarà cara? Non credo proprio, quale che sia la conseguenza del fatto che racconterò. Si immagina che se si trascorresse molto tempo senza vedere, poi non ci si stancherebbe più di guardare. Questo non è vero, c’è una grande differenza fra una cecità momentanea e quella abituale! 7°. La generosità di Daviel conduceva da tutte le provincie del reame al suo laboratorio malati indigenti che venivano a implorare il suo soccorso, e la sua reputazione richiamava un’assemblea curiosa, istruita e numerosa. Credo che ne facessimo parte lo stesso giorno Marmontel e io. Il malato era seduto, ecco la sua cataratta tolta, Daviel pose la sua mano su degli occhi che avevano appena ritrovato la luce. Una donna anziana, in piedi vicino a lui, dimostrava un grande interesse alla riuscita dell’operazione, tremava tutta a ogni movimento del chirurgo. Questi le fece segno di avvicinarsi e la fece mettere in ginocchio davanti all’operato; allontanò le mani, il malato aprì gli occhi; vide ed esclamò: «Ah! È mia madre!...». Non ho mai sentito un grido più patetico, mi sembra di sentirlo ancora. La vecchia donna svenne, le lacrime scendevano dagli occhi di quelli che stavano assistendo e le elemosina cadevano dalle loro borse. 8°. Di tutte le persone che sono state private della vista praticamente dalla nascita, la più sorprendente che sia esistita e che mai esisterà, è la signorina Mélanie de Salignac, parente di Monsieur de La Fargue, luogotenente generale delle armate del re, uomo anziano morto da poco all’età di ottantaquattro anni, coperto di ferite e colmato d’onori; è la figlia di Madame de Blacy, che è ancora viva e non passa giorno senza rimpiangere una bambina che portava la gioia nella sua vita e l’ammirazione di tutti i suoi conoscenti. Mamdae de Blacy è una donna che si distingue per l’eccellenza delle sue qualità morali e che può essere interrogata sulla verità del mio racconto. È sotto il suo dettato che raccolgo i particolari della vita della signorina de Salignac che mi sarebbero potuti sfuggire nel periodo di intimo legame o con lei e la sua famiglia cominciato nel 1760 e che è durato fino al 1765, anno della sua morte. Aveva una ragione solida, una dolcezza affascinante, una finezza d’idee poco comune, e un po’ d’ingenuità. Una delle sue zie invitò sua madre a venire ad aiutarla a far piacere a diciannove ostrogoti che essa aveva a cena, e sua nipote disse: non capisco niente di mia zia; perché vuole piacere a diciannove ostrogoti? Da parte mia, voglio piacere solo a colui che amo.
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Le son de la voix avait pour elle la même séduction ou la même répu | gnance que la physionomie pour celui qui voit. Un de ses parents, receveur général des finances, eut avec la famille un mauvais procédé auquel elle ne s’attendait pas, et elle disait avec surprise : Qui l’aurait cru d’une voix aussi douce ? Quand elle entendait chanter, elle distinguait des voix brunes et des voix blondes. Quand on lui parlait, elle jugeait la taille par la direction du son qui la frappait de haut en bas si la personne était grande, ou de bas en haut si la personne était petite. Elle ne se souciait pas de voir ; et un jour que je lui en demandais la raison, « C’est, me répondit-elle, que je n’aurais que mes yeux, au lieu que je jouis des yeux de tous ; c’est que, par cette privation, je deviens un objet continuel d’intérêt et de commisération ; à tout moment on m’oblige, et à tout moment je suis reconnaissante. Hélas ! si je voyais, bientôt on ne s’occuperait plus de moi. » Les erreurs de la vue en avaient diminué le prix pour elle. « Je suis, disait-elle, à l’entrée d’une longue allée ; il y a à son extrémité quelque objet ; l’un de vous le voit en mouvement ; l’autre le voit en repos ; l’un dit que c’est un animal, l’autre que c’est un homme, et il se trouve, en approchant, que c’est une souche. Tous ignorent si la tour qu’ils aperçoivent au loin est ronde ou carrée. Je brave les tourbillons de la poussière, tandis que ceux qui m’entourent ferment les yeux et deviennent malheureux, quelquefois pendant une journée [entière], pour ne les avoir pas assez tôt fermés ; il ne faut qu’un atome imperceptible pour les tourmenter cruellement... » À l’approche de la nuit, elle disait que notre règne allait finir, et que le sien allait commencer. On conçoit que vivant dans les ténèbres avec l’habitude d’agir et de penser pendant une nuit éternelle, l’insomnie qui nous est si fâcheuse ne lui était pas même importune. Elle ne me pardonnait pas d’avoir écrit que les aveugles, privés des symptômes de la souffrance, devaient être cruels. « Et vous croyez, me disait-elle, que vous entendez la plainte comme moi ? – Il y a des malheu | reux qui savent souffrir sans se plaindre. – Je crois, ajoutait-elle, que je les aurais bientôt devinés, et que je ne les plaindrais que davantage. » Elle était passionnée pour la lecture et folle pour la musique. « Je crois, disait-elle, que je ne me lasserais jamais d’entendre chanter ou jouer supérieurement d’un instrument, et quand ce bonheur-là serait, dans le ciel, le seul dont on jouirait, je ne serais pas fâchée d’y être. Vous pensiez juste lorsque vous assuriez de la musique que c’était le plus violent des beaux-arts, sans en excepter ni la poésie, ni l’éloquence ; que Racine même ne s’exprimait pas avec la délicatesse d’une harpe, que sa mélodie était lourde et monotone en comparaison de celle d’un instrument, et que vous aviez souvent désiré de donner à votre style la force et la légèreté des tons de Back. Pour moi, c’est la plus belle des langues que je connaisse. Dans les langues parlées, mieux on prononce, plus on articule ses syllabes, au lieu que, dans la langue musicale les sons les plus éloignés du grave à l’aigu et de l’aigu au grave sont filés et se suivent imperceptiblement, c’est pour ainsi dire une seule et longue syllabe, qui à chaque instant varie d’inflexion et d’expression. Tandis que la mélodie porte cette syllabe à mon oreille, l’harmonie en exécute sans confusion, sur une multitude d’instruments divers, deux, trois, quatre ou cinq, qui tous concourent à fortifier l’expression de la première, et les parties chantantes sont autant d’interprètes dont je me passerais bien, lorsque le symphoniste est l’homme de génie et qu’il sait donner du caractère à son chant. « C’est surtout dans le silence de la nuit que la musique est expressive et délicieuse. « Je me persuade que, distraits par leurs yeux, ceux qui voient ne peuvent ni l’écouter ni l’entendre comme je l’écoute et je l’entends. Pourquoi l’éloge qu’on m’en fait me
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Il suono della voce aveva per lei la stessa seduzione o la medesima ripugnanza che la fisionomia per chi vede. Uno dei suoi parenti, esattore generale delle finanze, aveva con la famiglia un cattivo rapporto che non si aspettava,94 e disse con sorpresa: Chi lo avrebbe creduto da una voce così dolce? Quando ascoltava cantare, distingueva delle voci brune da quelle bionde. Quando le parlavano stimava l’altezza dalla direzione del suono che la colpiva dall’alto in basso, se la persona era grande, o dal basso in alto se la persona era piccola. Non si preoccupava di vedere, e un giorno che gliene ho chiesto la ragione mi ha risposto: «Il fatto è che avrei solo i miei occhi, invece di gioire con gli occhi di tutti; grazie a questa privazione sono oggetto continuo di interesse e di commiserazione; in ogni momento si cerca di farmi qualche gentilezza, e in ogni momento io ne sono riconoscente. Ahimè! Se vedessi, in poco tempo non ci si occuperebbe più di me». Gli errori cui la vista è suscettibile ne avevano diminuito il valore per lei. «Se mi trovo», diceva, «all’inizio di un lungo viale, c’è qualche oggetto alla sua estremità; uno di voi lo vede in movimento, l’altro lo vede a riposo; uno dice che è un animale, l’altro che è un uomo e si scopre avvicinandosi che è un ceppo. Tutti ignorano se la torre che percepiscono da lontano è rotonda o quadrata. Io sfido i turbini di polvere, mentre quelli che mi circondano chiudono gli occhi e hanno dei problemi, a volte per un’intera giornata, per non averli chiusi abbastanza presto. Basta un atomo impercettibile per torturarli crudelmente...». Quando si avvicinava la notte diceva che il nostro regno stava per finire, e che il suo stava per cominciare. Si pensa che vivendo nelle tenebre abituati ad agire e pensare in una notte eterna, l’insonnia che per noi è così seccante, per lei non fosse altrettanto fastidiosa. Non mi perdonava di aver scritto che i ciechi, privati dei sintomi della sofferenza, dovevano essere crudeli. «E voi credete» mi diceva lei, «di percepire i lamenti come me? – Ci sono degli infelici che sanno soffrire senza lamentarsi. – Credo», aggiunse, «che li individuerei subito e che li compiangerei ancora di più.» Era appassionata di lettura e andava matta per la musica. «Credo», diceva, «che non mi lascerei mai ascoltare mentre canto o suono superiormente uno strumento, e quando quella gioia sarà, nel cielo il solo a goderne, non sarò dispiaciuta di esserci. Voi pensavate giustamente quando assicuravate a proposito della musica che era la più violenta delle belle arti, senza eccettuare né la poesia né l’eloquenza; che Racine stesso non si esprimeva con la delicatezza di un’arpa, che la sua melodia era pesante e monotona in confronto a quella dello strumento, e che spesso avreste desiderato dare al vostro stile la forza e la leggerezza dei toni di Bach. Per me, è la più bella tra le lingue che conosco. Nelle lingue parlate, più articoliamo delle sillabe, migliore è la pronuncia, invece nella lingua musicale i suoni più lontani dal grave all’acuto si avvicendano e si susseguono impercettibilmente, è, per così dire, una sola lunga sillaba che in ogni istante varia d’inflessione e d’espressione. Mentre la melodia che porta questa sillaba al mio orecchio ha l’armonia eseguita senza confusione su una moltitudine di strumenti diversi, due, tre, quattro o cinque, che concorrono tutti a fortificare l’espressione del primo, e le parti cantate sono altrettanti interpreti di cui farei volentieri a meno, quando il sinfonista è un uomo di genio e che sa dare carattere al suo canto. «È soprattutto nel silenzio della notte che la musica è espressiva e deliziosa. «Sono persuasa che, distratti dai loro occhi, quelli che vedono non possono né ascoltarla né sentirla come la ascolto e la sento io. Perché l’elogio che mi viene fatto mi sem-
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paraît-il pauvre et faible ? Pourquoi n’en ai-je jamais pu parler comme je sens ? Pourquoi m’arrêtai-je au milieu | de mon discours, cherchant des mots qui peignent ma sensation sans les trouver ? Est-ce qu’ils ne seraient pas encore inventés ? Je ne saurais comparer l’effet de la musique qu’à l’ivresse que j’éprouve lorsque, après une longue absence, je me précipite entre les bras de ma mère, que la voix me manque, que [les membres me tremblent], que les larmes coulent, que les genoux se dérobent sous moi ; je suis comme si j’allais mourir de plaisir. » Elle avait le sentiment le plus délicat de la pudeur, et quand je lui en demandai la raison : « C’est, me disait-elle, l’effet des discours de ma mère ; elle m’a répété tant de fois que la vue de certaines parties du corps invitait au vice, et je vous avouerais, si j’osais, qu’il y a peu de temps que je l’ai comprise, et que peut-être il a fallu que je cessasse d’être innocente. » Elle est morte d’une tumeur aux parties naturelles intérieures, qu’elle n’eut jamais le courage de déclarer. Elle était, dans ses vêtements, dans son linge, sur sa personne, d’une netteté d’autant plus recherchée que, ne voyant point, elle n’était jamais assez sûre d’avoir fait ce qu’il fallait pour épargner à ceux qui voient le dégoût du vice opposé. Si on lui versait à boire, elle connaissait, au bruit de la liqueur en tombant, lorsque son verre était assez plein. Elle prenait les aliments avec une circonspection et une adresse surprenantes. Elle faisait quelquefois la plaisanterie de se placer devant un miroir pour se parer, et d’imiter toutes les mines d’une coquette qui se met sous les armes. Cette petite singerie était d’une vérité à faire éclater de rire. On s’était étudié dès sa plus tendre jeunesse, à perfectionner les sens qui lui restaient, et il est incroyable jusqu’où l’on y avait réussi. Le tact lui avait appris, sur les formes des corps, des singularités souvent ignorées de ceux qui [avaient] les meilleurs yeux. Elle avait l’ouïe et l’odorat exquis. Elle jugeait, à l’impression de l’air, de l’état de l’atmosphère, si le temps était nébuleux ou serein, si elle marchait dans une place ou dans | une rue, dans une rue ou dans un cul-de-sac, dans un lieu ouvert ou dans un lieu fermé, dans un vaste appartement ou dans une chambre étroite. Elle mesurait l’espace circonscrit par le bruit de ses pieds ou le retentissement de sa voix. Lorsqu’elle avait parcouru une maison, la topographie lui en restait dans la tête, au point de prévenir les autres sur les petits dangers auxquels ils s’exposaient : prenez garde, disait-elle, ici la porte est trop basse, là, vous trouverez une marche. Elle remarquait dans les voix une variété qui nous est inconnue, et lorsqu’elle avait entendu parler une personne quelquefois, c’était pour toujours. Elle était peu sensible aux charmes de la jeunesse et peu choquée des rides de la vieillesse. Elle disait qu’il n’y avait que les qualités du cœur et de l’esprit qui fussent à redouter pour elle. C’était encore un des avantages de la privation de la vue, surtout pour les femmes ; jamais, disait-elle, un bel homme ne me fera tourner la tête. Elle était confiante. Il était si facile, et il eût été si honteux de la tromper ! C’était une perfidie inexcusable de lui laisser croire qu’elle était seule dans un appartement. Elle n’avait aucune sorte de terreur panique. Elle ressentait rarement de l’ennui ; la solitude lui avait appris à se suffire à elle-même. Elle avait observé que dans les voitures publiques, en voyage à la chute du jour, on devenait silencieux. Pour moi, disaitelle, je n’ai pas besoin de voir ceux avec qui j’aime à m’entretenir. De toutes les qualités, c’étaient le jugement sain, la douceur et la gaîté qu’elle prisait le plus.
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bra povero e fiacco? Perché non ho mai potuto parlare nello stesso modo in cui sento? Perché fermarmi nel mezzo del mio discorso, cercando delle parole che dipingano la mia sensazione senza trovarle? Forse non sono ancora state inventate? Potrei paragonare l’effetto della musica solo all’ebbrezza che provo quando dopo una lunga assenza mi precipito tra le braccia di mia madre, mi manca la voce, mi tremano le membra, le lacrime scorrono e le ginocchia vengono meno sotto di me; mi sento come se stessi per morire di piacere.» Aveva il più delicato sentimento del pudore e quando gliene chiesi la ragione mi rispose: «È l’effetto dei discorsi di mia madre. Essa mi ha ripetuto tante volte che la vista di certe parti del corpo invita al vizio, e vi confesserei, se osassi, che l’ho compreso da poco tempo che, e forse questo ha fatto sì che smettessi di essere innocente». È morta di un tumore alle parti naturali interne, che non ebbe mai il coraggio di nominare. I suoi vestiti, la sua biancheria, la sua persona erano di una pulizia tanto più ricercata in quanto, non vedendo niente, non era mai abbastanza sicura di aver fatto quello che bisognava per risparmiare a quelli che vedono il disgusto del vizio opposto. Se si versava da bere, capiva, dal rumore del liquore che cadeva nel suo bicchiere quando era abbastanza pieno. Prendeva gli alimenti con una circospezione e un’abilità sorprendenti. A volte faceva lo scherzo di mettersi davanti allo specchio per guardarsi, e imitare tutte le moine di una civettuola chiamata alle armi. Questa piccola scimmiottatura era talmente veridica che faceva scoppiare a ridere. Le era stato insegnato fin dalla più tenera giovinezza, a perfezionare i sensi che le restavano ed è incredibile fino a che punto ci fosse riuscita. Il tatto le aveva insegnato sulle forme dei corpi delle particolarità spesso ignorate quelli che hanno gli occhi migliori. Aveva un udito e un odorato squisiti. Giudicava dalla sensazione dell’aria lo stato dell’atmosfera, se il tempo era nuvoloso o sereno, se camminava in una piazza o in una via, in una via o in un vicolo, in un luogo aperto o in un luogo chiuso, in un appartamento ampio o in una camera ristretta. Misurava lo spazio circoscritto in base rumore dei suoi piedi o dall’echeggiare della sua voce. Quando aveva percorso una casa, la topografia le restava in mente al punto di prevenire gli altri sui piccoli pericoli ai quali si esponevano: state attento, diceva, qui la porta è troppo bassa, là troverete un gradino. Osservava nelle voci una varietà che ci è sconosciuta, e quando aveva ascoltato parlare una persona ogni tanto, la ricordava per sempre. Non era molto sensibile al fascino della giovinezza e poco turbata dalle rughe della vecchiaia. Diceva che temeva solo le qualità del cuore e dello spirito. Era ancora un altro dei vantaggi della privazione della vista, soprattutto per le donne; diceva, un bell’uomo non mi farà mai girare la testa. Era fiduciosa. Era così facile ed è stato così vergognoso ingannarla! Era una perfidia inscusabile farle credere di essere sola in un appartamento. Non si faceva prendere dal panico. Risentiva raramente della noia; la solitudine le aveva insegnato a bastare a se stessa. Aveva notato che nelle vetture pubbliche, in viaggio, al calar del giorno diventavamo silenziosi. Io, diceva lei, non ho bisogno di vedere quelli che amo per intrattenermi. Di tutte le qualità, erano certamente il giudizio retto, la dolcezza e la gaiezza che apprezzava di più.
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Elle parlait peu et écoutait beaucoup. Je ressemble aux oiseaux, disait-elle, j’apprends à chanter dans les ténèbres. En rapprochant ce qu’elle avait entendu d’un jour à l’autre, elle était révoltée de la contradiction de nos jugements. Il lui paraissait presque indifférent d’être louée, ou blâmée par des êtres [si] inconséquents. | On lui avait appris à lire avec des caractères découpés. Elle avait la voix agréable, elle chantait avec goût ; elle aurait volontiers passé sa vie au concert ou à l’Opéra ; il n’y avait guère que la musique bruyante qui l’ennuyât. Elle dansait à ravir. Elle jouait très bien du par-dessus de viole, et elle avait tiré de ce talent un moyen de se faire rechercher des jeunes personnes de son âge en apprenant les danses et les contredanses à la mode. C’était la plus aimée de ses frères et de ses sœurs. « Et voilà, disait-elle, ce que je dois encore à mes infirmités ; on s’attache à moi par les soins qu’on m’a rendus et par les efforts que j’ai faits pour les reconnaître et pour les mériter. Ajoutez que mes frères et mes sœurs n’en sont point jaloux. Si j’avais des yeux, ce serait aux dépens de mon esprit et de mon cœur. J’ai tant de raisons pour être bonne ; que deviendrais-je si je perdais l’intérêt que j’inspire ? » Dans le renversement de la fortune de ses parents la perte des maîtres fut la seule qu’elle regretta, mais ils avaient tant d’attachement et d’estime pour elle, que le géomètre et le musicien la supplièrent avec instance d’accepter leurs leçons gratuitement, et elle disait à sa mère : Maman, comment faire ? ils ne sont pas riches, et ils ont besoin de tout leur temps. On lui avait appris la musique par des caractères en relief qu’on plaçait sur des lignes éminentes à la surface d’une grande table. Elle lisait ces caractères avec la main, elle les exécutait sur son instrument, et en très peu de temps d’étude elle avait appris à jouer en partie la pièce la plus longue et la plus compliquée. Elle possédait des éléments d’astronomie, d’algèbre et de géométrie. Sa mère, qui lui lisait le livre de l’abbé de la Caille lui demandait quelquefois si elle entendait cela ; tout courant, lui répondait-elle. Elle prétendait que la géométrie était la vraie science des aveugles, parce qu’elle appliquait fortement, et qu’on n’avait besoin d’aucun secours | pour se perfectionner. Le géomètre, ajoutait-elle, passe presque toute sa vie les yeux fermés. J’ai vu les cartes sur lesquelles elle avait étudié la géographie. Les parallèles et les méridiens sont des fils de laiton ; les limites des royaumes et des provinces sont distinguées par de la broderie en fil, en soie et en laine plus ou moins forte ; les fleuves, les rivières et les montagnes, par des têtes d’épingles plus ou moins grosses ; et les villes plus ou moins considérables, par des gouttes de cire inégales. Je lui disais un jour : « Mademoiselle, figurez-vous un cube. – Je le vois. – Imaginez au centre du cube un point. – C’est fait. – De ce point tirez des lignes droites aux angles ; eh bien, vous aurez divisé le cube. – En six pyramides égales, ajouta-t-elle d’ellemême, ayant chacune les mêmes faces, la base du cube et la moitié de sa hauteur. – Cela est vrai ; mais où voyez-vous cela ? – Dans ma tête, comme vous. » J’avoue que je n’ai jamais conçu nettement comment elle figurait dans sa tête sans colorer. Ce cube s’était-il formé par la mémoire des sensations du toucher ? Son cerveau était-il devenu une espèce de main sous laquelle les substances se réalisaient ? S’étaitil établi à la longue une sorte de correspondance entre deux sens divers ? Pourquoi ce commerce n’existe-t-il pas en moi, et ne vois-je rien dans ma tête si je ne colore pas ? Qu’est-ce que l’imagination d’un aveugle ? Ce phénomène n’est pas si facile à expliquer qu’on le croirait.
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Parlava poco e ascoltava molto. Somiglio agli uccelli, diceva, imparo a cantare nelle tenebre. Accostando quello che ci aveva sentito dire in giorni successivi, era rivoltata dalla contraddizione dei nostri giudizi. Le sembrava pressoché indifferente essere lodata o biasimata da esseri così inconseguenti. Le avevano insegnato a leggere dei caratteri dentellati. Aveva una voce gradevole e cantava con gusto; avrebbe passato volentieri la sua vita in sala da concerto o all’Opera; solo la musica rumorosa le dava noia. Danzava meravigliosamente. Suonava molto bene il pardessus de viole e aveva trovato modo, grazie a questo talento, di essere ricercata da giovani persone della sua età a cui insegnava le danze e contraddanze alla moda. Era la più amata tra i suoi fratelli e sorelle. «Ecco», diceva, «lo devo ancora una volta alle mie infermità; ci si attacca a me per le cure che mi vengono rese e per gli sforzi che ho fatto per riconoscerle e meritarle. Aggiungete che i miei fratelli e le mie sorelle non sono per nulla gelosi. Se avessi degli occhi, questo dipenderebbe dal mio spirito e dal mio cuore. Ho tante ragioni per essere buona, chissà che cosa diventerei se perdessi l’interesse che ispiro.» Nel rovesciamento della fortuna dei suoi genitori la perdita dei suoi maestri è stata la sola cosa a dispiacerle, ma essi ci tenevano tanto a lei e la stimavano al punto che il geometra e il musicista la supplicarono con insistenza di accettare le loro lezioni gratuitamente, così disse a sua madre: Mamma, cosa devo fare? Non sono ricchi e hanno bisogno di tutto il loro tempo. Le era stata insegnata la musica attraverso dei caratteri in rilievo che si ponevano su delle linee che sporgevano dalla superficie di una grande tavola. Lei leggeva questi caratteri con la mano, li eseguiva con il suo strumento, e dopo un breve periodo di studio imparava a suonare parzialmente il componimento più lungo e complicato. Conosceva elementi di astronomia, algebra e di geometria. Sua madre che le leggeva il libro dell’abate de La Caille95 le chiedeva a volte se lo capiva, con facilità, le rispondeva. Sosteneva che la geometria fosse la vera scienza dei ciechi perché vi si applicava molto e non aveva bisogno di alcun soccorso per perfezionarla. Il geometra, aggiungeva, passa quasi tutta la sua vita con gli occhi chiusi.96 Ho visto le carte sulle quali aveva studiato la geografia. I paralleli e i meridiani erano dei fili d’ottone; i limiti dei reami e delle provincie distinti da un ricamo in filo, in seta e in lana più o meno forte; i fiumi, gli affluenti e le montagne, con delle capocchie di spilli più o meno grosse, e le città più o meno importanti da delle gocce di cera differenti. Le ho detto un giorno: «Signorina, immaginate un cubo. – Lo vedo. – Immaginate al centro del cubo un punto. – Fatto. – Da questo punto tirate delle linee rette fino agli angoli, ecco avrete diviso il cubo. – In sei piramidi eguali, ha aggiunto lei, ciascuna con le stesse facce, la base del cubo è la metà della sua altezza. – È vero, ma come fate a vedere questo voi? – Nella mia testa, come voi». Confesso di non aver mai capito chiaramente come raffigurasse le cose nella sua testa senza colorarle. Questo cubo era formato dalla memoria delle sensazioni del tatto? Il suo cervello era diventato una specie di mano sotto la quale le sostanze si realizzavano? Si era stabilita alla lunga tra i due una sorta di corrispondenza tra due sensi diversi? Perché questo commercio non esiste in me, e non vedo niente nella mia testa se non lo coloro? Che cos’è l’immaginazione di un cieco? Questo fenomeno non è così facile da spiegare come si potrebbe credere.
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Elle écrivait avec une épingle dont elle piquait sa feuille de papier tendue sur un cadre traversé de deux lames parallèles et mobiles qui ne laissaient entre elles d’espace vide que l’intervalle d’une ligne à une autre. La même écriture servait pour la réponse, qu’elle lisait en promenant le bout de son doigt sur les petites inégalités que l’épingle ou l’aiguille avait pratiquées au verso du papier. Elle lisait un livre qu’on n’avait tiré que d’un côté. Prault en avait imprimé de cette manière à son usage. On a inséré dans le Mercure du temps une de ses lettres. | Elle avait eu la patience de copier à l’aiguille l’Abrégé historique du président Hénault, et j’ai obtenu de madame de Blacy sa mère ce singulier manuscrit. Voici un fait qu’on croira difficilement, malgré le témoignage de toute sa famille, le mien et celui de vingt personnes qui existent encore, c’est que, d’une pièce de douze à quinze vers, si on lui donnait la première lettre et le nombre de lettres dont chaque mot était composé, elle retrouvait la pièce proposée, quelque bizarre qu’elle fût. J’en ai fait l’expérience sur des amphigouris de Collé ; elle rencontrait quelquefois une expression plus heureuse que celle du poète. Elle enfilait avec célérité l’aiguille la plus mince, en étendant son fil ou sa soie sur l’index de la main gauche, et en tirant, par l’œil de l’aiguille placée perpendiculairement, ce fil ou cette soie avec une pointe très déliée. Il n’y avait aucune sorte de petits ouvrages qu’elle n’exécutât, ourlets, bourses pleines ou symétrisées, à jour, à différents dessins, à diverses couleurs ; jarretières, bracelets, colliers avec de petits grains de verre, comme des lettres d’imprimerie. Je ne doute point qu’elle n’eût été un bon compositeur d’imprimerie ; qui peut le plus, peut le moins. Elle jouait parfaitement le reversis, le médiateur et le quadrille ; elle rangeait elle-même ses cartes, qu’elle distinguait par de petits traits qu’elle reconnaissait au toucher, et que les autres ne reconnaissaient ni à la vue ni au toucher. Au reversis elle changeait de signes, aux as, surtout à l’as de carreau et au quinola. La seule attention qu’on eût pour elle, c’était de nommer la carte en la jouant. S’il arrivait que le quinola fût | menacé, il se répandait sur sa lèvre un léger sourire qu’elle ne pouvait contenir, quoiqu’elle en connût l’indiscrétion. Elle était fataliste ; elle pensait que les efforts que nous faisions pour échapper à notre destinée ne servaient qu’à nous y conduire. Quelles étaient ses opinions religieuses ? Je les ignore ; c’est un secret qu’elle gardait par respect pour une mère pieuse. Il ne me reste plus qu’à vous exposer ses idées sur l’écriture, le dessin, la gravure, la peinture ; je ne crois pas qu’on en puisse avoir de plus voisines de la vérité ; c’est ainsi, j’espère, qu’on en jugera par l’entretien qui suit, et dont je suis un interlocuteur. Ce fut elle qui parla la première. « Si vous aviez tracé sur ma main, avec un stylet, un nez, une bouche, un homme, une femme, un arbre, certainement je ne m’y tromperais pas, je ne désespérerais pas même, si le trait était exact, de reconnaître la personne dont vous m’auriez fait l’image ; ma main deviendrait pour moi un miroir sensible ; mais grande est la différence de sensibilité entre cette toile et l’organe de la vue. Je suppose donc que l’œil soit une toile vivante d’une délicatesse infinie. L’air frappe l’objet, de cet objet il est réfléchi vers l’œil, qui en reçoit une infinité d’impressions diverses, selon la nature, la forme, la couleur de l’objet et peut-être les qualités de l’air qui me sont inconnues et que vous ne connaissez pas plus que moi ; et c’est par la variété de ces sensations qu’il vous est peint. « Si la peau de ma main égalait la délicatesse de vos yeux, je verrais par ma main comme vous voyez par vos yeux, et je me figure quelquefois qu’il y a des animaux qui sont aveugles, et qui n’en sont pas moins clairvoyants.
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Scriveva con uno spillo con cui forava il foglio di carta teso su un quadro attraversato da due lame parallele e mobili che non lasciavano tra loro altro spazio vuoto che l’intervallo tra una riga e l’altra. La stessa scrittura serviva per la risposta, che leggeva scorrendo la punta del suo dito sulle piccole irregolarità che lo spillo o l’ago avevano praticato sul lato posteriore del foglio. Abbiamo inserito nel Mercure du temps una delle sue lettere. Aveva avuto la pazienza di copiare con l’ago il Riassunto storico del presidente Hénault,97 e ho ottenuto da Madame de Blacy, sua madre, questo singolare manoscritto. Ecco un fatto a cui si crederà difficilmente, malgrado le testimonianze di tutta la sua famiglia, la mia e quella di altre venti persone ancora in vita, è che da un pezzo di dodici o quindici versi se le davamo la prima lettera e il numero delle lettere di cui era composta ciascuna parola, lei trovava il pezzo proposto, per quanto insolito questo fosse. Ne ho fatto l’esperienza su degli amphigouris di Collé.98 Lei trovò qualche volta un’espressione più felice di quella del poeta. Non c’era alcun genere di piccole opere che non eseguisse, orli, borse intere o simmetrizzate, a giorno, a differenti disegni, di diversi colori, giarrettiere, braccialetti, collane con piccole pietre di vetro, come delle lettere di tipografia. Sono convinto che sarebbe stata un buon compositore di tipografia, chi più può, meno può. Giocava perfettamente al reversino, al mediatore e alla quadriglia; sistemava lei stessa le sue carte, che distingueva al tatto per dei piccoli tratti e che gli altri non riconoscevano né alla vista né al tatto. A reversino cambiava i segni, agli assi, soprattutto l’asso di quadri e al fante di cuori. La sola attenzione che avevamo nei suoi confronti era di nominare la carta quando la giocavamo. Se succedeva che il fante di cuori fosse minacciato, si espandeva sulle sue labbra un leggero sorriso che non riusciva a trattenere, sebbene ne conoscesse l’indiscrezione. Era fatalista; pensava che gli sforzi che facciamo per sfuggire al nostro destino non servano che a condurci a esso. Quali erano le sue opinioni religiose? Lo ignoro, è un segreto che manteneva per rispetto a una madre pia. Non mi resta che esporvi le sue idee sulla scrittura, il disegno, la stampa e la pittura. Non credo che possiamo averne di più vicine alla verità; è così spero che si giudicherà la conversazione che segue e di cui io sono uno degli interlocutori. Fu lei a parlare per prima. «Se tracciaste sulla mia mano, con uno stiletto, un naso, una bocca, un uomo, una donna, un albero, certamente non mi sbaglierei, non dispererei nemmeno, se il tratto fosse esatto, di riconoscere anche la persona di cui avrete fatto l’immagine; la mia mano diverrebbe per voi uno specchio sensibile; ma è grande la differenza di sensibilità fra questa tela e l’organo della vista. «Suppongo, dunque, che l’occhio sia una tela vivente di una finezza infinita. L’aria colpisce l’oggetto, da questo viene riflessa verso l’occhio che ne riceve un’infinità di impressioni diverse, secondo la natura, la forma, il colore dell’oggetto e forse delle qualità dell’aria che mi sono ignote e che voi non conoscete più di me, e è attraverso la varietà di queste sensazioni che viene dipinto. «Se la pelle della mano eguagliasse la delicatezza dei vostri occhi, vi vedrei attraverso la mia mano come voi vedete attraverso i vostri occhi, e immagino che ci siano degli animali che sono ciechi e che vedono altrettanto.
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– Et le miroir ? « Si tous les corps ne sont pas autant de miroirs, c’est par quelque défaut dans leur contexture qui éteint la réflexion de l’air. Je tiens d’autant plus à cette idée, que l’or, l’argent, le fer, le cuivre polis, deviennent propres à réfléchir l’air, et que l’eau trouble et la glace rayée perdent cette propriété. | « C’est la variété de la sensation, et par conséquent de la propriété de réfléchir l’air dans les matières que vous employez, qui distingue l’écriture du dessin, le dessin de l’estampe, et l’estampe du tableau. « L’écriture, le dessin, l’estampe, le tableau d’une seule couleur, sont autant de camaïeux. « Mais lorsqu’il n’y a qu’une couleur, on ne devrait discerner que cette couleur. – C’est apparemment le fond de la toile, l’épaisseur de la couleur et la manière de l’employeur qui introduisent dans la réflexion de l’air une variété correspondante à celle des formes. Au reste ne m’en demandez plus rien, je ne suis pas plus savante que cela. « Et je me donnerais bien de la peine inutile pour vous en apprendre davantage. » Je ne vous ai pas dit, sur cette jeune aveugle, tout ce que j’en aurais pu observer en la fréquentant davantage et en l’interrogeant avec du génie, mais je vous donne ma parole d’honneur que je ne vous en ai rien dit que d’après mon expérience. Elle mourut, âgée de vingt-deux ans. Avec une mémoire immense et une pénétration égale à sa mémoire, quel chemin n’aurait-elle pas fait dans les sciences, si des jours plus longs lui avaient été accordés ! Sa mère lui lisait l’histoire, et c’était une fonction également utile et agréable pour l’une et l’autre.
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– E lo specchio? – Se tutti i corpi non sono altrettanti specchi non è per qualche difetto nella loro composizione che smorza la riflessione dell’aria. Ho quest’idea anche perché l’oro, l’argento, il ferro, il rame quando vengono lucidati sono in grado di riflettere l’aria, e che l’acqua torbida e il ghiaccio rigato perdono questa proprietà. «È la varietà della sensazione, e di conseguenza della proprietà di riflettere l’aria nei materiali che utilizzate a distinguere la scrittura dal disegno, il disegno dalla stampa, e la stampa dalla tavola. «La scrittura, il disegno, la stampa, la tavola di un colore sono altrettanti chiaroscuri – Ma quando c’è un solo colore, dovremmo distinguere solo quel colore. – A quanto pare sono il fondo della tela, lo spessore del colore e il modo di utilizzarlo che introducono nella riflessione dell’aria una varietà corrispondente a quella delle forme. Del resto non mi chiedete altro, non so più di questo. – E mi sembrerebbe davvero uno sforzo inutile per voi insegnarvi di più.» Non vi ho detto tutto quello che avrei potuto, su questa giovane cieca, tutto quel che ho potuto osservare in più durante la mia frequentazione e nell’interrogarla con ingegno, ma vi dò la mia parola d’onore che ve ne ho parlato solo in base alla mia esperienza. Morì all’età di ventidue anni. Con una memoria immensa e una intelligenza eguale alla sua memoria, quale cammino avrebbe potuto compiere nelle scienze, se le fossero stati accordati più giorni di vita! Sua madre le leggeva la storia, ed era una funzione egualmente utile e piacevole per l’una e per l’altra.
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Table des matières A Abstraction utile, nuisible, 32 Adieux de Saunderson, 52-53 Adultère sévèrement puni, 24 Aiguilles : comment enfilées par un aveugle, 22 Âme : son siège, selon un aveugle, 31-32 Anatomistes : question aux, 25 Animaux, 23 Arithmétique palpable, 34 Astronomes (question d’un aveugle sur les), 21 Athéisme, absurde, 52 Attention réciproques, 18-19 Aveugles-nés, amis de l’ordre, 18-19
Pensent singulièrement du beau, 19 N’attachent point d’idées à la plupart des mots, 20 Aiment moins la vie et craignent moins la mort, 24 Doivent apprendre à parler difficilement, 25 Leur morale, 26 Leur métaphysique, 26 Sont inhumains, 27 Font peu de cas de la pudeur, 27 Sont enclins au matérialisme, 28 Merveilles de la nature sans force pour eux, 28, 48 Voient les choses d’une manière fort abstraite, 44 Se forment des idées de figures ; comment ? 29 Rapportent tout à l’extrémité de leurs doigts, 29 Placent l’âme au bout de doigts, 31 Parlent de la lumière et des couleurs, en quel sens, 42 Sont enclins à l’idéalisme, 44 Pourraient avoir des statuaires, 46 Leur peinture, 47 Difficiles à préparer aux expériences, 48 Difficiles à interroger, 55 Expériences sur eux peu sûres, 48
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B Balance des aveugles, 24 Beauté : qu’est-ce, selon eux ?, 25 Berkeley, évêque de Cloyne, 44 Bras longs : leurs avantages, 23 Bruit, 23 C Calcul algébrique (l’avantage du), 44 Caractères en relief, 18 Cataracte, 17 Cercle, 72 Charon, 66 Cheselden, 60, 61 Clark, 49 Commisération, 27 Compas des aveugles, 24 Condillac (M. l’abbé de), 56, 61 Conditions superflues dans la question de M. Molineux, 56 Condition de l’œil pour la vision, 61, 63 Contradiction des sens, 21, 60 D Défauts diminués, 23 Dépuration de la matière, 50 Descartes, 21, 31, 43 Diogène, 27 Direction (idée de), 29 Distance des corps (idée de la), 60 Durée, 51 Dydime, 48 E Écriture définie par l’aveugle, 21 Éphémère, mouche, 52 Espace (idée de l’), 59 Espaces imaginaires, 51 Essai sur l’origine des connaissances, cité, 44, 61 Éténdue (idée de l’), 30
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Indice analitico * A Addii di Saunderson, 52-53 Adulterio punito severamente, 24 Aghi: come infilati da un cieco, 22 Anatomisti: domande poste agli, 25 Anima: la sua sede, secondo un cieco, Animali, 23 Aritmetica tattile, 34 Astrazione, utile, nociva, 32 Astronomi (domanda di un cieco sugli), 21 Ateismo, assurdo, 52 Attenzioni reciproche, 18-19 B Bellezza: che cos’è, secondo loro?, 25 Berkeley, vescovo di Cloyne, 44 Bilancia dei ciechi, 24 Braccia lunghe: loro vantaggi, 23 C Calcolo algebrico (vantaggio del), 44 Caratteri in rilievo, 18 Cartesio, 21, 31, 43 Cataratta, 17 Cerchio, 72 Charron, 66 Cheselden, 60, 61 Ciechi-nati, amici dell’ordine, 18-19
Pensano il bello in modo singolare, 19 Non attribuiscono idee alla maggior parte delle parole, 20 Amano meno la vita e temono meno la morte, 24 Devono imparare a parlare con difficoltà, 25 Loro morale, 26 Loro metafisica, 26 Sono disumani, 27 Fanno poco caso al pudore, 27 Sono inclini al materialismo, 28
Meraviglie della natura senza forza per loro, 28, 48 Vivono le cose in maniera molto astratta, 44 Si formano delle idee delle figure; come?, 29 Rapportano tutto alla punta delle dita, 29 Pongono l’anima sulla punta delle dita, 31 Parlano della luce e dei colori, in che senso, 42 Sono inclini all’idealismo, 44 Potrebbero avere delle statue, 46 Loro pittura, 47 Difficili da preparare agli esperimenti, 48 Difficili da interrogare, 55 Esperimenti su di loro poco sicuri, 48
Clarke, 49 Commiserazione, 27 Compasso dei ciechi, 24 Condillac (abate di), 56, 61 Condizione dell’occhio per la visione, 61, 63 Condizioni superflue nel problema di Molyneux, 56 Contraddizione dei sensi, 21, 60 D Depurazione della materia, 50 Didimo, 48 Difetti diminuiti, 23 Diogene, 27 Direzione (idea di), 29 Distanza dei corpi (idea della), 60 Disumanità dei ciechi, 27 Donne comuni, 24 Durata, 51 E Effimera, mosca, 52 Esistenza continua degli esseri, 52 Esistenza di Dio, 48 Esperimento dello specchio concavo, 64
* I numeri si riferiscono alle pagine dell’edizione DPV riportate a margine del testo francese.
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Eusebe l’Asiatique, 48 Existence continuée des êtres, 52 Existence de Dieu, 48 Expérience du miroir concave, 64 Expérience du perroquet, 64 Expériences sur la vue, 60, 61 Expériences sur le toucher, 30, 31, 62 Expressions heureuses : ce que c’est, 41
Ordinaires aux étrangers, pourquoi, 41 Et aux personnes qui ont de l’imagination, 42
F Femmes communes, 24 Figures (idée des), 29 Force (Traité de la), 23 G Galilée, 43 Glace, 64 H Hérault, lieutenant de la police, 24 Hilmer, oculiste prussien, 18 Homme, réduit à l’état de possible, 51 Holmes, ministre, 48 Hypothèses, examen de leur certitude, 43 I Idéalistes, 44 Ignorance humaine, 71 Illusion, 46 Imagination des aveugles, 30, 32 Inchlif, 53 Indiens (raisonnement des), 49 Induction suspecte, 21 Inhumanité des aveugles, 27 Insectes écrasés sans scrupules, 27 Instinct, 23 L Langage par le toucher, 33 Largeur (idée de), 31 Leibnitz, 49 Lettre sur les aveugles, 17
Occasion de cette lettre, 17
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Ligne droite (idée de la), 29 Ligne courbe (idée de la), 29 Longueur (idée de la), 31 Locke, 55 Lois générales de nature, 62 M Marivaux (Mr de), 42 Matière (la), 51 Maximum, singulier, 43 Mécanisme (Animal), 50 Métaphysique des aveugles, 26, 27 Miroir, sa définition par un aveugle, 20 Molineux (Mr), 56 Monde, 51 Monstres, 50 Montagne, 66 Morale des aveugles, 26 Mouvements simultanés, 64 N Naturalistes (Question de l’aveugle sur les), 21 Neuton, 43, 55 Nicaise de Mechlin, 48 O Ordre, son éternité, 50 P Parler, difficulté d’apprendre à parler pour les aveugles, 25 Peinture pour les aveugles, 47 Peinture, définie par un aveugle, 60 Pithagore, 33 Points palpables, 29 Points colorés, 29 Profondeur (idée de), 31 Pudeur, ignorée des aveugles, 27 Puisaux (l’aveugle-né de), 18 Sa naissance, 18 Son éducation, 18 Ses connaissances, 19 Sa manière de vivre, 18 Juge des symétries, 19
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Esperimento del pappagallo, 64 Esperimenti sulla vista, 60, 61 Esperimenti sul tatto, 30, 31, 62 Espressioni felici: che cosa sono, 41
Ordinarie per gli stranieri, perché, 41 E alle persone dotate di immaginazione, 42
Estensione (idea dell’), 30 Eusebio, l’Asiatico, 48 F Figure (idee delle), 29 Fisico-matematiche, Fisionomia, cos’è Forza (Trattato della), 23 Furto aborrito dai ciechi, G Galileo, 43 H
Hérault, luogotenente della polizia, 24 Hilmer, oculista prussiano, 18 Holmes, ministro, 48 I Idealisti, 44 Ignoranza umana, 71 Illusione, 46 Immaginazione dei ciechi, 30, 32 Inchlif, 53 Indiani (ragionamento degli), 49 Induzione sospetta, 21 Insetti schiacciati senza scrupoli, 27 Ipotesi, esame della loro certezza, 43 Istinto, 23 L Larghezza (idea della), 31 Leggi generali della natura, 62 Leibniz, 49 Lettera sui ciechi, 17
Occasione di questa lettera, 17
Linea retta (idea della), 29 Linea curva (idea della), 29 Linguaggio attraverso il tatto, 33
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Locke, 55 Lunghezza (idea della), 31 M Marivaux, 42 Materia (la), 51 Maximum, singolare, 43 Meccanicismo, (Animale), 50 Metafisica dei ciechi, 26, 27 Molyneux, 56 Mondo, 51 Montaigne, 66 Morale dei ciechi, 26 Mostri, 50 Movimenti simultanei, 64 N Naturalisti, (Domanda del cieco sui), 21 Newton, 43, 55 Nicaise de Mechlin, 48 O Occhi definiti dal cieco, 21
Condizione degli occhi perché avvenga la visione, 61, 63
Ordine, la sua eternità, 50 P
Parlare, difficoltà di imparare a parlare da parte dei ciechi, 25 Pittura, definita da un cieco, 47 Pittura per i ciechi, 47 Punti colorati, 29 Punti tattili, 29 Profondità (idea della), 31 Pudore, ignorato dai ciechi, 27 Puiseaux (nato cieco di), 18 La sua nascita, 18 La sua educazione, 18 Le sue conoscenze, 19 La sua maniera di vivere, 18 Giudica delle simmetrie, 19 Sulla bellezza, 19 Definisce lo specchio, 20 Gli occhi, 21 Le sue domande sulle lenti, 20, 21 Sul tatto, 21
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De la beauté, 19 Définit le miroir, 20 Les yeux, 21 Ses questions sur les verres, 20, 21 Sur le toucher, 21 Ses idées de la peinture, 21 De l’écriture, 21 De la perspective, 21 Enfile des aiguilles, 22 A la mémoire des sons surprenants, 22 Se console de son état, comment ?, 23 Adresse à la voix, 23 Sa querelle avec son frère, 24 Sa réponse au magistrat de police, 24 Estime la proximité du feu, la plénitude des vaisseaux, le voisinage des corps, leurs poids, leur poli, leurs capacités, 24 Fait différents ouvrages, 24, 25 Distille, 18 Monte et démonte des machines, 25 Sait la botanique, la chimie, la musique, 25 Juge de la durée du temps, 25 Qualités dont il fait cas, 25 Sa réponse à une question sur la vue, 25 Ses idées de morale et de métaphysique, 26 Abhorre le vol, 26 Ne sait ce que c’est la pudeur, 27
Physico-mathématiques, 32, 42 Physionomie, ce que c’est, 26 Q Qualités surfaites, 23 R
Rapson, 33 Raison, 23 Rayon de lumière ; exemple de physicomathématiques, 44 Rétine, 63 Réaumur (Mr de), 17 Fait abattre la cataracte, 17
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N’admet que quelques personnes à ses observations, pourquoi ?, 17 S Saunderson, aveugle-né, 34
Invente une arithmétique palpable, 34 Description de sa machine, 35 Ses propriétés, 36 Autre machine de lui dont on ignore l’usage, 39 Géomètre, 39 Donne des leçons publiques d’optique, etc., 41, 42 Est fécond en expressions heureuses, 41 A bien parlé de l’infini, 46 Discerne les médailles fausses des vraies, 46 Juge de l’exactitude des divisions d’un instrument, 46 Reconnaît les lieux où il a été introduit une fois ; est sensible à la proximité des corps, 47 A l’action du soleil, 47 Assiste à des observations astronomiques, 47 Sa maladie, 48 Sa conversation avec un ministre, 48 Ses adieux à sa famille. Sa mort, 48, 51
Sauvages, 61 Sens, leurs secours mutuels, 22, 26, 62 Sens interne, 31 Sensations combinées, 29 Sentiment de Locke sur la question de Mr Molyneux, 56 Sentiment de Mr Molineux, 56 Sentiment de Mr l’abbé de Condillac, 56 Sentiment de l’auteur, 56, 57 Simoneau, aveugle-née, 17 Socrate, 53 Solidité (l’idée de), 30 Sons (nuances des), 22 Statique des aveugles, 24 Supposition singulière, 28 Symboles, (utilité des), 34 Symétrie, 19
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Le sue idee sulla pittura, 21 Sulla scrittura, 21 Sulla prospettiva, 21 Infila gli aghi, 22 Ha una memoria dei suoni sorprendente, 22 Si consola del suo stato, come? 23 Si rivolge alla voce, 23 Rivolge la voce, 23 La sua discussione col fratello, 24 La sua risposta al magistrato di polizia, 24 Valuta la vicinanza del fuoco, la pienezza dei vasi, la vicinanza dei corpi, il loro peso, la loro pulizia, le loro capacità, 24 Realizza differenti opere, 24, 25 Distilla, 18 Monta e smonta macchine, 25 Conosce la botanica, la chimica, la musica, 25 Giudica la durata del tempo, 25 Qualità a cui fa caso, 25 La sua risposta a una domanda sulla vista, 25 Le sue idee sulla morale e sulla metafisica, 26 Aborre il furto, 26 Non sa che cosa sia il pudore, 27
Pitagora, 33
Q Qualità sopravvalutate, 23 R Ragione, 23 Raphson, 33 Raggio di luce; esempio di fisico-matematiche, 44 Réaumur, 17 Fa abbattere la cataratta, 17 Ammette solo poche persone alle sue osservazioni, perché?, 17
Retina, 63 Rumore, 23
S Saggio sull’origine delle conoscenze, citato, 34
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Saunderson, nato cieco, 34
Inventa una matematica tattile, 34 Descrizione della sua macchina, 35 Le sue proprietà, 36 Altra macchina che ha realizzato e di cui si ignora l’uso, 39 Geometra, 39 Dà lezioni pubbliche di ottica, ecc. 41, 42 Creativo di espressioni felici, 41 Ha parlato correttamente dell’infinito, 46 Distingue le monete vere da quelle false, 46 Giudica l’esattezza delle divisioni di uno strumento, 46 Riconosce i luoghi in cui è stato introdotto una volta; è sensibile alla vicinanza dei corpi, 47 All’azione del sole, 47 Assiste a delle osservazioni astronomiche, 47 La sua malattia, 48 La sua conversazione con un ministro, 48 I suoi addii alla sua famiglia. La sua morte, 48, 51
Scrittura definita dal cieco, 21 Selvaggi, 61 Sensi, loro soccorsi reciproci, 22, 26, 62 Senso interno, 31 Sensazioni combinate, 29 Sentimento di Locke sulla questione di Molyneux, 56 Sentimento di Molyneux, 56 Sentimento dell’abate di Condillac, 56 Sentimento dell’autore, 56, 57 Simoneau, nato cieco, 17 Simboli (utilità dei), 34 Simmetria, 19 Socrate, 53 Solidità (idea della), 30 Spazi immaginari, 51 Spazio (idea dello), 59 Specchio, 64 Specchio, la sua definizione da parte di un cieco, 20 Statica dei ciechi, 24 Suoni (sfumature dei), 22 Supposizione singolare, 28
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T Tacite, 42 Tiresie, 48 Tortue, 49 Toucher, ses avantages, 46, 62
Moule des idées d’un aveugle, 32
V Vanité humaine, 49 Verres, 20 Vérités géométriques, 72
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Visages, 23 Voix (nuances des), 22 Vol abhorré des aveugles, 26 Voltaire (Mr de), 61 Vue, phénomènes de la vue rapportés à ceux du toucher, 21 Y Yeux définis par l’aveugle, 21 Condition des yeux pour que la vision se fasse, 61, 63
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lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono, indice analitico
T Tacito, 42 Tiresia, 48 Tartaruga, 49 Tatto, suoi vantaggi, 46, 62
Modello delle idee dei ciechi, 32
U
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V Vanità umana, 49 Verità geometriche, 72 Visi, 23 Vista, fenomeni della vista in relazione a quelli del tatto, 21 Voci (sfumature delle), 22 Voltaire, 61
Uomo, ridotto allo stato di possibile, 51
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Lettre sur les sourds et muets a l’usage de ceux qui entendent et qui parlent
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Lettera sui sordi e muti a uso di coloro che sentono e parlano
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
Già dal titolo, Lettera sui sordi e muti all’uso di coloro che sentono e parlano, si deduce facilmente che Diderot riprende la precedente Lettera da un punto di vista stilistico, ma la continuità tra le due riguarda anche i contenuti. La questione metafisica ed estetica delle inversioni nelle lingue di cui si occupa il filosofo, infatti, è strettamente connessa ai problemi epistemologici trattati nella Lettera sui ciechi, che qui vengono ulteriormente approfonditi1. L’opera fu pubblicata nel 1751 (il medesimo anno in cui fu dato alle stampe il primo volume dell’Encyclopédie) e in essa Diderot affronta un tema al centro del dibattito del suo tempo, ponendosi come interlocutore degli spiriti più eruditi dell’epoca. La Lettera sui ciechi era connotata dalle frequenti interruzioni e digressioni, che rendevano tortuoso il percorso di lettrici e lettori; nella Lettera sui sordi e muti questo tipo di costruzione del testo è volutamente accentuato per rendere l’argomentazione un vero e proprio labirinto. Argomentazioni riprese più volte dopo essere state sospese da digressioni o da osservazioni secondarie, riproducono anche stilisticamente la struttura logica, metafisica ed estetica del pensiero di Diderot sul problema delle inversioni. La domanda centrale della Lettera è, infatti, se esista un ordine naturale delle parole che si possa considerare come norma e, conseguentemente, permetta di stabilire quando ci si trova di fronte a un’inversione. A questo interrogativo, che ha le sue lontane radici nella cultura latina, si affianca quello relativo al confronto tra le lingue moderne e le lingue antiche e una serie di problemi linguistici e retorici tra cui l’analisi del rapporto tra poesia e filosofia. Il dibattito culturale in corso intorno alla metà del XVIII secolo traeva la sua origine dalla pubblicazione della Grammaire générale et raisonnée o Logique de Port Royal di Arnauld e Nicole2, che aveva esercitato un’influenza rilevante anche sui pensatori successivi come Duclos, ma anche su alcuni dei collaboratori dell’Encyclopédie tra cui Beauzée e du Marsais. Quando Duclos nel 1754 aveva aggiunto delle note e un’appendice per rendere l’opera degna dei «diritti sovrani della ragione», rinnovando le tesi razionalistiche e riaprendo la riflessione tra i grammatici, aveva affermato un parallelismo assoluto tra forma logica (i rapporti tra le categorie) e forma linguistica. Le riflessioni di Bacone e di Locke si collocavano invece sul fronte opposto della storia naturale della lingua, riprese dai sensisti, che erano molto attenti a tener conto dell’evoluzione storica della lingua e dai suoi diversi usi. La nuova dottrina sensista era condivisa tra gli illuministi da Etienne Bonnot de Condillac, che metteva in discussione la tesi dell’«ordine naturale» delle parole, ma si opponeva al contempo 1
Sul legame tra gli interessi estetici ed epistemologici di Diderot si vedano le analisi fondamentali di J. Chouillet, La formation des idées esthétiques de Diderot, 1745-1763, Colin, Paris 1973 e quelle di M. Modica, L’estetica di Diderot. Teorie delle arti e del linguaggio nell’età dell’Encyclopédie, Antonio Pellicani Editore, Roma 1997. 2 Cf. F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, pp. 206-209.
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anche alla tendenza innatistica e alla concezione del pensiero come indipendente dal linguaggio. Il problema dell’inversione e dell’esistenza di un presunto ordine naturale delle parole, concerne anche lo statuto della grammatica e la sua concezione metafisica. Contrariamente alla tesi razionalistica secondo cui il sostantivo precede necessariamente l’aggettivo (argomento che affonda le sue radici nella concezione aristotelica secondo cui la sostanza precede l’accidente), Diderot scrive addirittura che «l’aggettivo è tutto», intendendo con questo affermare che il sostantivo è compreso nell’aggettivo, ovvero che il generale è compreso nel particolare. Per il filosofo materialista non esiste sostanza senza qualità, perciò si contrappone a quanto affermato dai razionalisti, e dimostra anche che la questione delle inversioni investe un campo ben più ampio di quello retorico-grammaticale. Chiamando in causa il linguaggio dei sordi e muti Diderot compie il passo necessario per tornare al rapporto tra la conoscenza e la comunicazione propria di ciascuno dei cinque sensi, questione epistemologica già centrale nella Lettera sui ciechi. Il filosofo rimprovera l’abate Batteux per aver sostenuto il concetto di «ordine pratico», affrontando il problema da un punto di vista rigorosamente retorico e astratto. Il muto di convenzione o il sordo-muto dalla nascita, invece, costituiscono le eccezioni a cui il filosofo ricorre per dimostrare che il presunto ordine naturale delle lingue è in realtà un ordine metafisico e, contemporaneamente, per andare oltre la contrapposizione tra ordine naturale e ordine artificiale, mostrando che la sensazione non segue l’ordine lineare del discorso. Qualunque ordine risulta artificiale poiché siamo costretti a dare una priorità a sensazioni che si danno contemporaneamente e, come dimostra l’esempio della frase «serpentem fuge», ciascuno darà una priorità alle parole secondo il suo temperamento. La pantomima, cui ricorrono il sordo e muto dalla nascita, ma anche il muto di convenzione in quelle che, più che testimonianze raccolte, sono sperimentazioni filosofiche, tornerà nel Paradosso sull’attore e negli scritti dedicati al teatro, dai Colloqui sul figlio naturale a Sulla poesia drammatica, ma anche e soprattutto nel Nipote di Rameau dove, come nella Lettera sui sordi e muti, il suo ruolo e il suo effetto sono fortemente evocativi del corpo che percepisce e agisce quale paradigma universalmente comprensibile da mettere in relazione con i codici da ridefinire3. Come ha messo in luce P. Chartier, la pantomima nella Lettera svolge lo stesso ruolo di un altro elemento chiave del testo: il geroglifico. Quest’ultimo elemento (tratto da The divine Legation of Moses di Warburton, direttamente o attraverso la lettura di Condillac), è per Diderot un emblema poetico, parola-immagine simbolo di una scrittura indecifrabile che gli permette di mettere in discussione l’oraziano ut pictura poiesis. Contrariamente a quanto sosteneva Batteux, il filosofo mostra che le arti non possono essere ridotte tutte a un unico principio, poiché ciascuna arte ha un linguaggio specifico, il proprio geroglifico e, contrariamente a quanto affermato dai razionalisti e diversamente dai sensisti, sostiene che l’esperienza e il linguaggio sono distintivi di ciascun senso, perciò non possono produrre un giudizio che sia sensato anche per tutti gli altri. Questo implica peròche senza un elemento unificatore avremmo contemporaneamente più percezioni diverse e irrelate (come le sètte dell’esempio). 3 Cf. P. Chartier, De la pantomime à l’hiéroglyphe: ordre de la langue, ordre de l’art, in RDE, n. 46, 2011, p. 87.
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Solo nelle sue forme poetiche, metaforiche, paradossali, il linguaggio riesce a esprimere questa molteplicità istantanea. Non è un caso che proprio l’udito e la voce siano al centro di questo testo, ovvero ciò che in noi è più prossimo alla musica4, e che per i sordi e muti venga evocato il clavicembalo oculare di padre Castel, la cui metafora esprime in modo chiaro l’organizzazione delle sensazioni che noi riceviamo. Organizzazione che sarà oggetto del Sogno di d’Alembert per esempio, con la metafora del cervello come ragno che muove i fili al centro della tela, volta a mostrare che da essa dipende la capacità di cogliere i rapporti. La nostra percezione del bello è un atto cognitivo complesso, che esige un’attività da parte del soggetto, che non si limita alla percezione delle sensazioni, ma deve stabilire una gerarchia tra di esse (ordinandole) e creare nessi tra pensiero e immaginazione. Diderot, servendosi del geroglifico, conduce lettori e lettrici attraverso un’analisi estetica di diverse opere d’arte volta a far emergere l’impossibilità da parte degli artisti di rendere conto in maniera esaustiva delle loro creazioni, e l’irriducibilità di ciascuna arte, dotata di un proprio linguaggio, a una serie di principi generali e astratti come quelli di «armonia», «relazione», ecc., ma comprende sempre anche un elemento ineffabile tale per cui di nessuna opera può essere mai data un’interpretazione definitiva da parte dei critici, così come accade per l’enigmaticità mai completamente sciolta del geroglifico. La poesia è dunque parola e voce, apparentemente accessibile a chiunque ascolti e comprenda, di fatto di difficile accesso ai più. Il geroglifico poetico è allora parola-immagine, mentre si potrebbe dire con Chartier che la pantomima, in quanto parola-gesto è accessibile dal grande pubblico e rappresenta la versione comprensibile del geroglifico poetico.
Nota al testo Per la nostra traduzione ci siamo basati sul testo francese stabilito da Jacques Chouillet per l’edizione DPV (vol. IV, pp. 129-231), inoltre sono state importanti per il pregevole apparato critico di cui si è tenuto conto sia l’edizione a cura di Michel Delon (OP, pp. 199-279), sia l’edizione curata da Marian Hobson e Simon Harvey (Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient. Lettre sur les sourds et muets à l’usage de ceux qui entendent et qui parlent, Flammarion, Paris 2000, pp. 87-169). Si è tenuto conto della traduzione della recente traduzione di Elio Franzini, contenuta nel volume Arte, bello e interpretazione della natura (Mimesis, Milano-Udine 2013). 4
Cf. M. Leca-Tsiomis, Hiéroglyphe poétique. L’oreille et la glose, in RDE, n. 46, 2011, pp. 41-55.
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Lettre sur les sourds et muets, a l’usage de ceux qui entendent et qui parlent avec des additions.
[DPV, vol. IV, pp. 131-228] . . . . . . Versisque viarum Indiciis raptos; pedibus vestigia rectis Ne qua forent . . . . . Æneid., Lib. VIII
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Lettera sui sordi e muti, a uso di coloro che intendono e parlano con aggiunte.
... Versisque viarum Indiciis raptos; pedibus vestigia rectis Ne qua forent... Eneide, Lib. VIII1
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Lettre de l’auteur
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a m. b. son libraire
da V...... ce 20 janvier 1751
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Je vous envoie, Monsieur, la Lettre à l’auteur des Beaux-arts réduits à un même principe, revue, corrigée et augmentée sur les conseils de mes amis, mais toujours avec son même titre. Je conviens que ce titre est applicable indistinctement au grand nombre de ceux qui parlent sans entendre ; au petit nombre de ceux qui entendent sans parler ; et au très petit nombre de ceux qui savent parler et entendre ; quoique ma Lettre ne soit guère qu’à l’usage de ces derniers. Je conviens encore qu’il est fait à l’imitation d’un autre qui n’est pas trop bon : mais je suis las d’en chercher un meilleur.A Ainsi, de quelque importance que vous paraisse le choix d’un titre, celui de ma lettre restera tel qu’il est. Je n’aime guère les citations ; celles du grec moins que les autres : elles donnent à un ouvrage l’air scientifique, qui n’est plus chez nous à la mode. La plupart des lecteurs en sont effrayés ; et j’ôterais d’ici cet épouvantail, si je pensais en libraire ; mais il n’en est rien : laissez donc le grec partout où j’en ai mis. Si vous vous souciez fort peu qu’un ouvrage soit bon, pourvu qu’il se lise ; ce dont je me soucie moi, c’est de bien faire le mien, au hasard d’être un peu moins lu. | Quant à la multitude des objets sur lesquels je me plais à voltiger, sachez, et apprenez à ceux qui vous conseillent, que ce n’est point un défaut dans une lettre, où l’on est censé converser librement, et où le dernier mot d’une phrase est une transition suffisante. Vous pouvez donc m’imprimer, si c’est là tout ce qui vous arrête ; mais que ce soit sans nom d’auteur, s’il vous plaît ; j’aurai toujours le temps de me faire connaître. Je sais d’avance à qui l’on n’attribuera pas mon ouvrage ; et je sais bien encore à qui l’on ne manquerait pas de l’attribuer, s’il y avait de la singularité dans les idées, une certaine imagination, du style, je ne sais quelle hardiesse de penser que je serais bien fâché d’avoir, un étalage de mathématiques, de métaphysique, d’italien, d’anglais, et surtout moins de latin et de grec, et plus de musique. Veillez, je vous prie, à ce qu’il ne se glisse point de fautes dans les exemples ; il n’en faudrait qu’une pour tout gâter. Vous trouverez dans la planche du dernier livre de Lucrèce, de la belle édition de Avercamp, la figure qui me convient. Il faut seulement en écarter un enfant qui la cache à moitié, lui supposer une blessure au-dessous du sein, et en faire prendre le trait. M. de S..., mon ami, s’est chargé de revoir les épreuves. Il demeure rue Neuve des... Je suis, Monsieur, Votre, etc.
A
Lettre su les aveugles, à l’usage de ceux qui voient.
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Lettera dell’autore a m. b. il suo editore
da V 2... questo 20 gennaio 1751
Vi invio, Signore,3 la Lettera dell’autore de Le belle arti ridotte a un unico principio, rivista e corretta e ampliata su consiglio dei miei amici, ma mantenendo sempre lo stesso titolo. Concordo sul fatto che questo titolo è applicabile indistintamente a un grande numero di persone che parlano senza intendere; al ristretto numero di quelli che intendono senza parlare; e al numero ancor più piccolo di coloro che sono in grado di parlare e intendere; nonostante la mia lettera destinata solo a questi ultimi. Concordo anche sul fatto che il titolo imita quello di un’altra opera e che non è troppo felice:A 5 ma sono stanco di cercarne uno migliore. Così per quanto vi sembri importante la scelta del titolo, quello della mia Lettera resterà tale qual è. Non amo le citazioni, quelle dal greco ancor meno delle altre. Danno all’opera un’aria erudita che da noi non è più di moda. La maggior parte dei lettori ne sono spaventati e toglierei da qui questo spauracchio se pensassi come un libraio; ma non è così: lasciate dunque il greco ovunque l’ho inserito. Se voi vi preoccupate molto poco del valore di un’opera, purché la si legga; ciò di cui mi preoccupo io, è di fare bene il mio lavoro, correndo il rischio di essere un po’ meno letto. Quanto alla moltitudine degli argomenti sui quali mi piace volteggiare, sappiate e spiegate a quelli che vi consigliano che non è un difetto in una lettera, in cui si presume di conversare liberamente, e dove l’ultima parola di una frase è una transizione sufficiente. Potete dunque stamparla, se è questa l’unica cosa che vi trattiene; ma che sia senza nome dell’autore,6 per favore; avrò tempo di farmi conoscere. So in anticipo a chi non sarà attribuita la mia opera; e so ancor meglio a chi non si mancherà di attribuirla, se ci fosse una certa originalità d’idee, un po’ d’immaginazione, di stile, una certa audacia nel riflettere che sarei molto infastidito di avere, un’ostentazione di matematica, di metafisica, d’italiano, d’inglese, e soprattutto meno di latino e di greco e più di musica. Fate attenzione, vi prego, che non si incorra in qualche errore negli esempi; ne basterebbe uno per rovinare tutto. Troverete nella tavola dell’ultimo libro di Lucrezio, della bella edizione di Avercamp,7 l’immagine adatta; bisogna solo togliere un bambino che la nasconde per metà, tracciarle una ferita sopra il seno, e riprodurne il contorno. M. de S...,8 mio amico, si è incaricato di rivedere le prove. Dimora in rue Neuve des... Sono, Signore, il Vostro, ecc. 4
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Lettera sui ciechi, a uso di coloro che vedono.
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Lettre
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sur les sourds et muets,
A l’usage de ceux qui entendent et qui parlent Où l’on traite de l’origine des inversions, de l’harmonie du style, du sublime de situation, de quelques avantages de la langue française sur la plupart des langues anciennes et modernes, et, par occasion, de l’expression particulière aux beaux-arts.
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Je n’ai point eu dessein, Monsieur, de me faire honneur de vos recherches, et vous pouvez revendiquer dans cette Lettre tout ce qui vous conviendra. S’il est arrivé à mes idées d’être voisines des vôtres, c’est comme au lierre à qui il arrive quelquefois de mêler sa feuille à celle du chêne. J’aurais pu m’adresser à M. l’abbé de Condillac, ou à M. du Marsais, car ils ont aussi traité la matière des inversions ; mais vous vous êtes offert le premier à ma pensée, et je me suis accommodé de vous, bien persuadé que cette foisci le public ne prendrait point une rencontre heureuse pour une préférence. La seule crainte que j’aie, c’est celle de vous distraire, et de vous ravir des instants que vous donnez sans doute à l’étude de la philosophie, et que vous lui devez. | Pour bien traiter la matière des inversions, je crois qu’il est à propos d’examiner comment les langues se sont formées. Les objets sensibles ont les premiers frappé les sens, et ceux qui réunissaient plusieurs qualités sensibles à la fois ont été les premiers nommés ; ce sont les différents individus qui composent cet univers. On a ensuite distingué les qualités sensibles les unes des autres, on leur a donné des noms ; ce sont la plupart des adjectifs. Enfin, abstraction faite de ces qualités sensibles, on a trouvé ou cru trouver quelque chose de commun dans tous ces individus, comme l’impénétrabilité, l’étendue, la couleur, la figure, etc. et l’on a formé les noms métaphysiques et généraux, et presque tous les substantifs. Peu à peu on s’est accoutumé à croire que ces noms représentaient des êtres réels : on a regardé les qualités sensibles comme de simples accidents ; et l’on s’est imaginé que l’adjectif était réellement subordonné au substantif, quoique le substantif ne soit proprement rien, et que l’adjectif soit tout. Qu’on vous demande ce | que c’est qu’un corps, vous répondrez que c’est une substance étendue, impénétrable, figurée, colorée et mobile. Mais ôtez de cette définition tous les adjectifs, que restera-t-il pour cet être imaginaire que vous appelez substance ? Si on voulait ranger dans la même définition les termes, suivant l’ordre naturel, on dirait colorée, figurée, étendue, impénétrable, mobile, substance. C’est dans cet ordre que les différentes qualités des portions de la matière affecteraient, ce me semble, un homme qui verrait un corps pour la première fois. L’œil serait frappé d’abord de la figure, de la couleur et de l’étendue ; le toucher, s’approchant ensuite du corps, en découvrirait l’impénétrabilité ; et la vue et le toucher s’assureraient de la mobilité. Il n’y aurait donc point d’inversion dans cette définition ; et il y en a une dans celle que nous avons donnée d’abord. De là il résulte, que si on veut soutenir qu’il n’y a point d’inversion en français, ou du moins qu’elle y est beaucoup plus rare que dans les langues savantes, on peut le soutenir tout au plus dans ce sens, que nos constructions sont pour la plupart uniformes ; que le substantif y est toujours ou presque toujours placé avant l’adjectif, et le verbe, entre deux. Car si on examine cette question en elle-même, savoir si l’adjectif doit être placé devant ou après le substantif, on trouvera que | nous renversons souvent l’ordre naturel des idées : l’exemple que je viens d’apporter en est une preuve.
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Lettera sui sordi e muti, a uso di coloro che intendono e parlano In cui si tratta dell’origine delle inversioni;9 dell’armonia dello stile; del sublime di situazione; di alcuni vantaggi della lingua francese rispetto alla maggior parte delle lingue antiche e moderne, e all’occasione dell’espressione particolare delle belle arti. Non era mia intenzione, Signore, farmi onore grazie alle vostre ricerche, e potete rivendicare in questa Lettera tutto quello che vi converrà.10 Se per caso alcune delle mie idee sono prossime alle vostre, è come l’edera a cui accade talvolta di mescolare la sua foglia a quella della quercia. Avrei potuto indirizzarmi a M. abate di Condillac, o a M. du Marsais; poiché anch’essi hanno trattato la questione delle inversioni,11 ma mi siete venuto in mente per primo, e mi sono adattato, ben persuaso che il pubblico non prenderà una coincidenza fortuita per una preferenza. Temo solo di distrarvi e di sottrarre del tempo a quello che dedicate, probabilmente, allo studio della filosofia, e che le dovete.12 Per trattare bene la materia delle inversioni, credo che sia appropriato esaminare in che modo si sono formate le lingue.13 Gli oggetti sensibili per primi hanno colpito i sensi, e quelli che riunivano più qualità sensibili contemporaneamente sono stati i primi a ricevere dei nomi; sono i diversi individui che compongono questo universo. In seguito, si sono distinte le qualità sensibili le une dalle altre, sono stati attribuiti loro dei nomi; la maggior parte erano aggettivi.14 Infine, fatta astrazione di queste qualità sensibili, sono state trovate, o si è creduto di trovare, qualcosa di comune a tutti questi individui come l’impenetrabilità, l’estensione, il colore, la figura ecc. e si sono formati i nomi metafisici e generali e pressoché tutti i sostantivi. Poco a poco ci siamo abituati a credere che questi nomi rappresentassero degli esseri reali:15 si sono considerate le qualità sensibili come semplici accidenti, e si è immaginato che l’aggettivo fosse realmente subordinato al sostantivo, nonostante il sostantivo non sia propriamente niente, e che l’aggettivo sia tutto.16 Se fosse chiesto che cos’è un corpo, rispondereste che è una sostanza estesa, impenetrabile, dotata di figura e di colore, e mobile. Ma togliete da questa definizione tutti gli aggettivi, che cosa resterà per questo essere immaginario che chiamiamo sostanza?17 Se, nella stessa definizione, si volessero ordinare i termini, seguendo l’ordine naturale, si direbbe, colorata, dotata di figura, estesa, impenetrabile, mobile, sostanza. Mi sembra che le diverse qualità delle parti della materia colpirebbero in quest’ordine un uomo che vedesse un corpo per la prima volta. L’occhio sarebbe colpito prima dalla figura, dal colore e dall’estensione; avvicinandosi in seguito al corpo, il tatto ne scoprirebbe l’impenetrabilità; la vista e il tatto insieme si assicurerebbero della sua mobilità. Non ci sarebbe dunque nessuna inversione in questa definizione, mentre ce n’è una nella definizione che abbiamo dato in un primo tempo. Da ciò risulta che se vogliamo sostenere che non c’è nessuna inversione in francese, o almeno che è molto più rata che nelle lingue dotte, possiamo sostenere al massimo che le nostre costruzioni sono uniformi nella maggior parte dei casi, che il sostantivo è sempre, o quasi sempre, posto davanti all’aggettivo, e il verbo tra i due.18 Perché, se si esamina questo problema in se stesso, sapere se l’aggettivo debba essere posto prima o dopo il sostantivo, ci permetterebbe di scoprire che si inverte spesso l’ordine naturale delle idee: l’esempio che ho appena fatto ne è la prova.19
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Je dis l’ordre naturel des idées ; car il faut distinguer ici l’ordre naturel d’avec l’ordre d’institution, et, pour ainsi dire, l’ordre scientifique ; celui des vues de l’esprit, lorsque la langue fut tout à fait formée. Les adjectifs représentant, pour l’ordinaire, les qualités sensibles, sont les premiers dans l’ordre naturel des idées ; mais pour un philosophe, ou plutôt pour bien des philosophes qui se sont accoutumés à regarder les substantifs abstraits comme des êtres réels, ces substantifs marchent les premiers dans l’ordre scientifique, étant, selon leur façon de parler, le support ou le soutien des adjectifs. Ainsi des deux définitions du corps que nous avons données, la première suit l’ordre scientifique, ou d’institution ; la seconde, l’ordre naturel. De là on pourrait tirer une conséquence ; c’est que nous sommes peut-être redevables à la philosophie péripatéticienne, qui a réalisé tous les êtres généraux et métaphysiques, de n’avoir presque plus dans notre langue de ce que nous appelons des inversions dans les langues anciennes. En effet nos auteurs gaulois en ont beaucoup plus que nous, et cette philosophie | a régné, tandis que notre langue se perfectionnait sous Louis XIII et sous Louis XIV. Les Anciens qui généralisaient moins, et qui étudiaient plus la nature en détail et par individus, avaient dans leur langue une marche moins monotone, et peut-être le mot d’inversion eût-il été fort étrange pour eux. Vous ne m’objecterez point ici, Monsieur, que la philosophie péripatéticienne est celle d’Aristote, et par conséquent d’une partie des Anciens ; car vous apprendrez sans doute à vos disciples que notre péripatétisme était bien différent de celui d’Aristote. Mais il n’est peut-être pas nécessaire de remonter à la naissance du monde, et à l’origine du langage, pour expliquer comment les inversions se sont introduites et conservées dans les langues. Il suffirait, je crois, de se transporter en idée chez un peuple étranger dont on ignorerait la langue ; ou, ce qui revient presque au même, on pourrait employer un homme qui, s’interdisant l’usage des sons articulés, tâcherait de s’exprimer par gestes. Cet homme n’ayant aucune difficulté sur les questions qu’on lui proposerait, n’en serait que plus propre aux expériences ; et l’on n’en inférerait que plus sûrement de la succession de ses gestes, quel est l’ordre d’idées qui aurait paru le meilleur aux premiers hommes pour se communiquer leurs pensées par gestes, et quel est celui dans lequel ils auraient pu inventer les signes oratoires. Au reste, j’observerais de donner à mon muet de convention tout le temps de composer sa réponse ; et quant aux questions, je ne manquerais pas d’y insérer les idées dont je serais le plus curieux de connaître l’expression par | geste et le sort dans une pareille langue. Ne serait-ce pas une chose, sinon utile, du moins amusante, que de multiplier les essais sur les mêmes idées ; et que de proposer les mêmes questions à plusieurs personnes en même temps. Pour moi, il me semble qu’un philosophe qui s’exercerait de cette manière avec quelques-uns de ses amis, bons esprits et bons logiciens, ne perdrait pas entièrement son temps. Quelque Aristophane en ferait, sans doute, une scène excellente ; mais qu’importe ? on se dirait à soi-même ce que Zénon disait à son prosélyte : εί φιλοσοφίας έπιθυμεĩς, παρασχευαζού αύτοθέν, ώς καταγελαθησόμενος, ώς, etc. Si tu veux être philosophe, attends-toi à être tourné en ridicule. La belle maxime, Monsieur, et qu’elle serait bien capable de mettre au-dessus des discours des hommes et de toutes considérations frivoles, des âmes moins courageuses encore que les nôtres ! Il ne faut pas que vous confondiez l’exercice que je vous propose ici avec la pantomime ordinaire. Rendre une action, ou rendre un discours par des gestes, ce sont deux versions fort différentes. Je ne doute guère qu’il n’y eût des inversions dans celles de nos muets ; que chacun d’eux n’eût son style, et que les inversions n’y missent des dif-
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Dico l’ordine naturale delle idee, perché bisogna distinguere l’ordine naturale dall’ordine istituzionale, e per così dire l’ordine scientifico;20 quello dei punti di vista dello spirito, quando il linguaggio non era ancora formato.21 Gli aggettivi che rappresentano, di solito, le qualità sensibili, sono i primi nell’ordine naturale delle idee; ma per un filosofo, o piuttosto per molti filosofi che si sono abituati a considerare i sostantivi astratti come a degli esseri reali,22 questi sostantivi vanno per primi nell’ordine scientifico, essendo, secondo il loro modo di parlare, il supporto o il sostegno degli aggettivi. Così, delle due definizioni di corpo che abbiamo dato, la prima segue l’ordine scientifico o istituzionale, la seconda l’ordine naturale. Da questo possiamo trarre una conseguenza, cioè che forse siamo debitori alla filosofia peripatetica, che ha realizzato tutti gli esseri generali e metafisici, di non avere quasi più nella nostra lingua ciò nelle lingue antiche che chiamiamo inversioni. I nostri autori gallici, infatti, ne hanno molte più di noi e questa filosofia ha regnato finché la nostra lingua si perfezionava sotto Luigi XIII e sotto Luigi XIV. Gli Antichi, che generalizzavano meno, e che studiavano la natura più nei dettagli e negli individui, avevano nella loro lingua un andamento meno monotono, e forse avrebbero trovato molto strana la parola «inversione». Voi non mi obbietterete a questo punto, Signore, dicendo che la filosofia peripatetica è quella di Aristotele, e di conseguenza di una parte degli Antichi, perché, senza dubbio, insegnate ai vostri discepoli che il nostro peripatetismo era molto diverso da quello di Aristotele.23 Tuttavia, forse non è necessario risalire alla nascita del mondo e all’origine del linguaggio, per spiegare come le inversioni sono state introdotte e si sono conservate nelle lingue. Sarebbe sufficiente, credo, trasferirsi ipoteticamente presso un popolo di cui ignoriamo la lingua oppure, in maniera pressoché uguale, ci si potrebbe avvalere di un uomo che, vietandosi l’uso dei suoni articolati, cercasse di esprimersi con i gesti. Quest’uomo, non avendo alcuna difficoltà con le domande che gli si potrebbero porre, sarebbe anche il più adatto all’esperimento. Dalla successione dei suoi gesti, si trarrebbero inferenze ancora più certe su quale ordine d’idee sarebbe sembrato preferibile ai primi uomini per comunicare i loro pensieri attraverso i gesti, e qual è quello dal quale avrebbero potuto inventare i segni verbali. Del resto, avrò cura di dare al mio muto convenzionale tutto il tempo di comporre la sua risposta e, quanto alle domande, non mancherei di inserirvi le idee di cui sarei più curioso di conoscere l’espressione gestuale e la resa in una lingua simile. Non sarebbe una cosa, se non utile, almeno divertente, piuttosto che moltiplicare i tentativi sulle stesse idee e proporre le stesse domande a più persone contemporaneamente?24 Per quanto mi riguarda, ritengo che un filosofo esercitandosi in questo modo con qualche suo amico, di buona intelligenza e buon logico, non perderebbe interamente il suo tempo. Senza dubbio, qualche Aristofane ne potrebbe fare una scena eccellente, ma che importa?25 Si potrebbe dire a se stessi quello che Zenone diceva ai suoi proseliti: εἰ φιλοσοφίας ἐπιθυμεῖς, παρασχευάζου αὐτόθεν, ώς καταγελαθησόμενος, ώς,26 etc. Se vuoi essere filosofo, aspettati di essere messo in ridicolo. Questa bella massima, Signore, sarebbe in grado di mettere al di sopra dei discorsi degli uomini e di tutte le considerazioni frivole, anime anche meno coraggiose delle nostre. Bisogna che non confondiate l’esercizio che vi propongo qui con la normale pantomima. Rendere un’azione, o rendere un discorso per mezzo dei gesti sono due compiti molto diversi. Non dubito che ci siano inversioni in quelle dei nostri muti, che ciascuno di loro abbia il proprio stile, e che le inversioni non vi introducano delle diffe-
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férences aussi marquées que celles qu’on rencontre dans les anciens auteurs grecs et latins. Mais comme le style qu’on a est toujours celui qu’on juge le meilleur, la conversation qui suivrait les expériences ne pourrait qu’être très philosophique et très vive : car tous nos muets de convention seraient obligés, quand on leur restituerait l’usage de la parole, de justifier, non seulement leur expression, mais encore la préférence qu’ils auraient donnée, dans l’ordre de leurs gestes, à telle ou telle idée. Cette réflexion, Monsieur, me conduit à une autre. Elle est un peu éloignée de la matière que je traite ; mais, dans une lettre les écarts sont permis, surtout lorsqu’ils peuvent conduire à des vues utiles. | Mon idée serait donc de décomposer pour ainsi dire un homme, et de considérer ce qu’il tient de chacun des sens qu’il possède. Je me souviens d’avoir été quelquefois occupé de cette espèce d’anatomie métaphysique, et je trouvais que, de tous les sens, l’œil était le plus superficiel, l’oreille, le plus orgueilleux, l’odorat, le plus voluptueux, le goût, le plus superstitieux et le plus inconstant, le toucher, le plus profond et le plus philosophe. Ce serait, à mon avis, une société plaisante, que celle de cinq personnes dont chacune n’aurait qu’un sens ; il n’y a pas de doute que ces gens-là ne se traitassent tous d’insensés ; et je vous laisse à penser avec quel fondement. C’est là pourtant une image de ce qui arrive à tout moment dans le monde : on n’a qu’un sens, et l’on juge de tout. Au reste, il y a une observation singulière à faire sur cette société de cinq personnes dont chacune ne jouirait que d’un sens ; c’est que, par la faculté qu’elles auraient d’abstraire, elles pourraient toutes être géomètres, s’entendre à merveille, et ne s’entendre qu’en géométrie. Mais je reviens à nos muets de convention, et aux questions dont on leur demanderait la réponse. | Si ces questions étaient de nature à en permettre plus d’une, il arriverait presque nécessairement qu’un des muets en ferait une, un autre muet une autre ; et que la comparaison de leurs discours serait, sinon impossible, du moins difficile. Cet inconvénient m’a fait imaginer qu’au lieu de proposer une question, peut-être vaudrait-il mieux proposer un discours à traduire du français en gestes. Il ne faudrait pas manquer d’interdire l’ellipse aux traducteurs. La langue des gestes n’est déjà pas trop claire, sans augmenter encore son laconisme par l’usage de cette figure. On conçoit aux efforts que font les sourds et muets de naissance pour se rendre intelligibles, qu’ils expriment tout ce qu’ils peuvent exprimer. Je recommanderais donc à nos muets de convention de les imiter et de ne former, autant qu’ils le pourraient, aucune phrase où le sujet et l’attribut avec toutes leurs dépendances ne fussent énoncés. En un mot, ils ne seraient libres que sur l’ordre qu’ils jugeraient à propos de donner aux idées, ou plutôt aux gestes qu’ils emploieraient pour les représenter. Mais il me vient un scrupule : c’est que, les pensées s’offrant à notre esprit, je ne sais par quel mécanisme, à peu près sous la forme qu’elles auront dans le discours, et pour ainsi dire, tout habillées ; il y aurait à craindre que ce phénomène particulier ne gênât le geste de nos muets de convention ; qu’ils ne succombassent à une tentation qui entraîne presque tous ceux qui écrivent dans une autre langue que la leur, la tentation de modeler l’arrangement de leurs signes sur l’arrangement des signes de la langue qui leur est habituelle, et que, de même que nos meilleurs latinistes modernes, sans nous en excepter ni l’un ni l’autre, tombent dans des tours français, la construction de nos muets ne fût pas la vraie construction d’un homme qui n’aurait jamais eu aucune notion de langue. Qu’en pensez-vous, Monsieur ? Cet inconvénient serait peut-être moins fréquent que je ne l’imagine, si nos muets de convention étaient plus philosophes que | rhéteurs ; mais en tout cas, on pourrait s’adresser à un sourd et muet de naissance.
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renze tanto marcate quanto quelle che si incontrano negli antichi autori greci e latini. Poiché, tuttavia, lo stile che abbiamo è sempre quello che consideriamo migliore, la conversazione che seguirebbe le esperienze non potrebbe che essere molto filosofica e molto vivace: perché tutti i nostri muti per convenzione sarebbero obbligati, una volta restituito loro l’uso della parola, a giustificare non solo le loro espressioni, ma anche la preferenza che hanno dato all’ordine dei loro gesti, a tale o talaltra idea. Questa riflessione, signore, mi porta a farne un’altra. Questa è un po’ più lontana dalla materia che tratto, ma in una lettera le digressioni sono permesse,27 soprattutto quando possono condurre a delle osservazioni utili. La mia idea, dunque, sarebbe di scomporre, per così dire, un uomo, e considerare ciò che concerne ciascuno dei sensi che possiede.28 Ricordo di essere stato occupato a volte da questa specie di anatomia metafisica 29 e di aver scoperto che, tra tutti i sensi, l’occhio è il più superficiale, l’orecchio il più orgoglioso, l’olfatto il più voluttuoso, il gusto il più superstizioso e incostante, il tatto il più profondo e filosofo. Sarebbe, a mio avviso, una società divertente quella di cinque persone di cui ciascuna possedesse un solo senso;30 non c’è dubbio che queste persone si tratterebbero tutte da insensate,31 e vi lascio pensare con quale fondamento. Eppure è questa un’immagine di quello che succede nel mondo in ogni istante, non abbiamo che un senso e giudichiamo tutto. Del resto bisogna fare un’osservazione insolita a proposito di questa società di cinque persone di cui ciascuna gode di un solo senso, ed è che, avendo la facoltà di astrarre, potrebbero essere tutti geometri, intendersi a meraviglia e intendersi esclusivamente nel campo della geometria.32 Ma ritorno ai nostri muti convenzionali, e alle questioni di cui si domanderebbe loro una risposta. Se queste domande fossero di natura tale da permetterne più d’una, accadrebbe quasi necessariamente che uno dei muti ne darebbe una, un altro l’altra; e che il confronto dei loro discorsi sarebbe, se non impossibile, quantomeno difficile. Questo inconveniente mi ha fatto pensare che, invece che porre una domanda, forse sarebbe meglio proporre un discorso da tradurre in gesti dal francese. Si dovrebbe solo impedire l’ellissi ai traduttori. La lingua dei gesti già di per sé non è molto chiara, senza aumentare ulteriormente la sua laconicità con l’uso di questa figura. Si comprende dagli sforzi devono fare i sordi e i muti dalla nascita per rendersi comprensibili, che essi esprimono tutto quello che possono esprimere. Raccomanderei dunque ai nostri muti convenzionali di imitarli, e di non formare, per quanto possibile, frasi in cui il soggetto e l’attributo, con tutti i loro complementi, non fossero enunciati. In una parola, sarebbero liberi solo sull’ordine che giudicheranno pertinente dare alle idee, o piuttosto ai gesti che impiegheranno per rappresentarli. Ma mi viene uno scrupolo. Infatti, i pensieri si offrono al nostro spirito, non so attraverso quale meccanismo, più o meno nella forma che avranno nel nostro discorso, e, per così dire, pronti nel loro abito.33 Si potrebbe temere che questo particolare fenomeno intralciasse il gesto dei nostri muti di convenzione, facendoli cedere alla tentazione di modellare la disposizione dei loro segni sulla disposizione dei segni della lingua che è loro usuale, e che, così come i nostri migliori latinisti moderni, senza eccezione, cadono nei giri di parole francesi, la costruzione dei nostri muti non sarebbe la vera costruzione dell’uomo che non avesse mai avuto alcuna nozione della lingua. Che ne pensate, signore? Questo inconveniente sarebbe forse meno frequente di quello che immagino, se i nostri muti per convenzione fossero più filosofi che retori; ma in ogni caso, ci si potrebbe rivolgere a un sordomuto dalla nascita.
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Il vous paraîtra singulier, sans doute, qu’on vous renvoie à celui que la nature a privé de la faculté d’entendre et de parler, pour en obtenir les véritables notions de la formation du langage. Mais considérez, je vous prie, que l’ignorance est moins éloignée de la vérité que le préjugé, et qu’un sourd et muet de naissance est sans préjugé sur la manière de communiquer la pensée ; que les inversions n’ont point passé d’une autre langue dans la sienne ; que s’il en emploie, c’est la nature seule qui les lui suggère ; et qu’il est une image très approchée de ces hommes fictifs, qui, n’ayant aucun signe d’institution, peu de perceptions, presque point de mémoire, pourraient passer aisément pour des animaux à deux pieds ou à quatre. Je peux vous assurer, Monsieur, qu’une pareille traduction ferait beaucoup d’honneur, quand elle ne serait guère meilleure que la plupart de celles qu’on nous a données depuis quelque temps. Il ne s’agirait pas seulement ici d’avoir bien saisi le sens et la pensée ; il faudrait encore que l’ordre des signes de la traduction correspondît fidèlement à l’ordre des gestes de l’original. Cet essai demanderait un philosophe qui sût interroger son auteur, entendre sa réponse, et la rendre avec exactitude : mais la philosophie ne s’acquiert pas en un jour. Il faut avouer cependant que l’une de ces choses faciliterait beaucoup les autres, et que, la question étant donnée avec une exposition précise des gestes qui composeraient la réponse, on parviendrait à substituer aux gestes à peu près leur équivalent en mots ; je dis à peu près, parce qu’il y a des gestes sublimes que toute l’éloquence oratoire ne rendra jamais. Tel est | celui de Mackbett dans la tragédie de Shakespear. La somnambule Mackbett s’avance en silence et les yeux fermés sur la scène ; imitant l’action d’une personne qui se lave les mains, comme si les siennes eussent encore été teintes du sang de son roi qu’elle avait égorgé il y avait plus de vingt ans. Je ne sais rien de si pathétique en discours que le silence et le mouvement des mains de cette femme. Quelle image du remords ? La manière dont une autre femme annonça la mort à son époux incertain de son sort, est encore une de ces représentations dont l’énergie du langage oral n’approche pas. Elle se transporta avec son fils entre ses bras, dans un endroit de la campagne où son mari pouvait l’apercevoir de la tour où il était renfermé ; et après s’être fixé le visage pendant quelque temps du côté de la tour, elle prit une poignée de terre qu’elle répandit en croix sur le corps de son fils qu’elle avait étendu à ses pieds. Son mari comprit le signe, et se laissa mourir de faim. On oublie la pensée la plus sublime ; mais ces traits ne s’effacent point. Que de réflexions ne pourrais-je pas faire ici, Monsieur, sur le sublime de situation, si elles ne me jetaient pas trop hors de mon sujet ! On a fort admiré, et avec justice, un grand nombre de beaux vers dans la magnifique scène d’Héraclius, ou Phocas ignore lequel des deux princes est son fils. Pour moi l’endroit de cette scène que je préfère à tout le reste, est celui où le tyran se tourne successivement vers les deux princes en les appelant du nom de son fils, et où les deux princes restent froids et immobiles. Martian ! à ce mot personne ne veut répondre.
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Voilà ce que le papier ne peut jamais rendre ; voilà où le geste triomphe du discours ! | Épaminondas à la bataille de Mantinée, est percé d’un trait mortel ; les médecins déclarent qu’il expirera dès qu’on arrachera le trait de son corps ; il demande où est son bouclier, c’était un déshonneur de le perdre dans le combat : on le lui apporte, il arrache le trait lui-même.
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Vi sembrerà probabilmente singolare che, per ottenerne delle vere nozioni sulla formazione del linguaggio, vi si rinvii a qualcuno che la natura ha privato della facoltà di udire e di parlare. Vi prego però di considerare che l’ignoranza è meno lontana dalla verità del pregiudizio,34 e che un sordomuto dalla nascita è senza pregiudizi sul modo di comunicare il pensiero; che le inversioni non sono passate da un’altra lingua alla sua; che se ne adopera, è solo la natura a suggerirgliele, e che egli ci dà un’idea molto verosimile di quegli uomini fittizi, che, non avendo alcun segno d’istituzione, poche percezioni, praticamente nessuna memoria, potrebbero passare facilmente per degli animali a due o a quattro zampe.35 Posso assicurarvi, signore, che una simile traduzione sarebbe davvero meritevole, anche se non fosse migliore della maggior parte di quelle che ci sono state date da un po’ di tempo a questa parte.36 Non si tratta in questo caso solo di aver compreso bene il senso e il pensiero, occorrerebbe anche che l’ordine dei segni della traduzione corrispondesse fedelmente all’ordine dei gesti dell’originale. Un simile tentativo richiederebbe un filosofo che sapesse interrogare l’autore, capire la sua risposta e renderla con esattezza: ma la filosofia non si apprende in un giorno. Bisogna ammettere che una di queste cose faciliterebbe molto le altre, e che, se la domanda fosse posta esponendo in modo preciso i gesti che dovrebbero comporre la risposta, si perverrebbe a sostituire ai gesti approssimativamente il loro equivalente in parole; dico approssimativamente perché ci sono dei gesti sublimi che non potranno mai essere resi, nemmeno da tutta l’eloquenza oratoria. Uno di questi è quello di Macbeth nella tragedia di Shakespeare. La sonnambula Macbeth avanza in silenzio e a occhi chiusi sulla scena; imitando l’azione di una persona che si lava le mani, come se le sue fossero ancora sporche del sangue del suo re che aveva pugnalato da più di vent’anni prima. Non conosco niente di altrettanto patetico in un discorso quanto il silenzio e il movimento delle mani di questa donna. Che immagine del rimorso!37 La maniera in cui un’altra donna annunciò la morte al suo sposo, incerto sulla sua sorte, è un’altra di quelle rappresentazioni a cui l’energia del linguaggio orale non riesce ad avvicinarsi. La donna, con il figlio tra le braccia, si recò in un punto della campagna dove poteva essere vista da suo marito rinchiuso in una torre; e, dopo aver rivolto il viso per qualche tempo in direzione della torre, prese una manciata di terra e la sparse formando una croce sul corpo del figlio che aveva disteso ai suoi piedi. Il marito comprese il segno e si lasciò morire di fame. Ci dimentichiamo anche il pensiero più sublime, ma è impossibile dimenticare queste azioni. Quante riflessioni potrei fare, signore, sul sublime di situazione, se non mi portassero troppo lontano dal mio argomento! Sono stati ammirati molto e giustamente un gran numero di bei versi della magnifica scena di Héraclius, in cui Phocas ignora quale dei due principi sia suo figlio. Il momento di questa scena che preferisco, rispetto a tutto il resto, è quello in cui il tiranno si volta successivamente verso i due principi chiamandoli con il nome dei suoi figli e in cui i due figli restano freddi e immobili. Martian ! À ce mot personne ne veut répondre. 38 Ecco quello che la carta non potrà mai rendere; ecco dove il gesto trionfa sul discorso! Epaminonda nella battaglia di Mantinea fu colpito da un dardo mortale; i medici dichiararono che sarebbe spirato non appena si fosse strappato il dardo dal suo corpo; egli chiese dov’era il suo scudo, era un disonore perderlo in combattimento: glielo portano ed egli stesso si estrasse il dardo.39
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Dans la sublime scène qui termine la tragédie de Rodogune, le moment le plus théâtral est, sans contredit, celui où Anthiocus porte la coupe à ses lèvres, et où Timagene entre sur la scène, en criant : ah ! Seigneur ? quelle foule d’idées et de sentiments ce geste et ce mot ne font-ils pas éprouver à la fois ! Mais je m’écarte toujours. Je reviens donc au sourd et muet de naissance. J’en connais un dont on pourrait se servir d’autant plus utilement, qu’il ne manque pas d’esprit, et qu’il a le geste expressif, comme vous allez voir. Je jouais un jour aux échecs, et le muet me regardait jouer : mon adversaire me réduisit dans une position embarrassante, le muet s’en aperçut à merveille, et croyant la partie perdue, il ferma les yeux, inclina la tête, et laissa tomber ses bras, signes par lesquels il m’annonçait qu’il me tenait pout mat ou mort. Remarquez, en passant, combien la langue des gestes est métaphorique. Je crus d’abord qu’il avait raison ; cependant comme le coup était composé, et que je n’avais pas épuisé les combinaisons, je ne me pressai pas de céder, et je me mis à chercher une ressource. L’avis du muet était toujours qu’il n’y en avait point ; ce qu’il disait très | clairement en secouant la tête et en remettant les pièces perdues sur l’échiquier. Son exemple invita les autres spectateurs à parler sur le coup ; on l’examina, et à force d’essayer de mauvais expédients on en découvrit un bon. Je ne manquai pas de m’en servir, et de faire entendre au muet qu’il s’était trompé, et que je sortirais d’embarras malgré son avis. Mais lui, me montrant du doigt tous les spectateurs les uns après les autres, et faisant en même temps un petit mouvement des lèvres qu’il accompagna d’un grand mouvement de ses deux bras qui allaient et venaient dans la direction de la porte et des tables, me répondit qu’il y avait peu de mérite à être sorti du mauvais pas où j’étais, avec les conseils du tiers, du quart et des passants ; ce que ces gestes signifiaient si clairement, que personne ne s’y trompa, et que l’expression populaire, consulter le tiers, le quart et les passants vint à plusieurs en même temps ; ainsi bonne ou mauvaise, notre muet rencontra cette expression en gestes. Vous connaissez, au moins de réputation, une machine singulière, sur laquelle l’inventeur se proposait d’exécuter des sonates de couleurs. J’imaginai que, s’il y avait un être au monde qui dût prendre quelque plaisir à de la musique oculaire, et qui pût en juger sans prévention, c’était un sourd et muet de naissance. Je conduisis donc le mien rue Saint Jacques, dans la maison où l’on montre l’homme et la machine aux couleurs. Ah ! Monsieur, vous ne devinerez jamais l’impression que ces deux êtres firent sur lui, et moins encore les pensées qui lui vinrent. | Vous concevez d’abord qu’il n’était pas possible de lui rien communiquer sur la nature et les propriétés merveilleuses du clavecin ; que n’ayant aucune idée du son, celles qu’il prenait de l’instrument oculaire n’étaient assurément pas relatives à la musique, et que la destination de cette machine lui était tout aussi incompréhensible que l’usage que nous faisons des organes de la parole. Que pensait-il donc, et quel était le fondement de l’admiration dans laquelle il tomba, à l’aspect des éventails du père Castel ? Cherchez, Monsieur ; devinez ce qu’il conjectura de cette machine ingénieuse, que peu de gens ont vue, dont plusieurs ont parlé, et dont l’invention ferait bien de l’honneur à la plupart de ceux qui en ont parlé avec dédain ; ou plutôt, écoutez. Le voici. Mon sourd s’imagina que ce génie inventeur était sourd et muet aussi ; que son clavecin lui servait à converser avec les autres hommes ; que chaque nuance avait sur le clavier la valeur d’une des lettres de l’alphabet, et qu’à l’aide des touches et de l’agi-
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Nella sublime scena che termina la tragedia di Rodoguna, il momento più teatrale è, senz’alcun dubbio, quello in cui Antioco porta la coppa alle labbra e in cui Timagene entra in scena gridando: Ah! Signore.40 Quale folla d’idee e di sentimenti fanno sorgere allo stesso tempo quel gesto e quella parola!41 Ma divago sempre. Ritorno dunque al sordo e muto dalla nascita. Ne conosco uno di cui ci si potrebbe servire molto utilmente, dato che non manca di spirito, e che ha una gestualità espressiva, come vedrete. Un giorno giocavo a scacchi, e il muto mi guardava giocare: il mio avversario mi aveva ridotto in una posizione difficoltosa e il muto se n’era perfettamente accorto e, credendo che la partita fosse ormai persa, ha chiuso gli occhi, chinato la testa e ha lasciato cadere le braccia, segni per mezzo dei quali mi ha annunciato che mi considerava matto o morto.42 Notate, en passant, quanto la lingua dei gesti sia metaforica.43 Inizialmente, credevo avesse ragione, tuttavia poiché la mossa era composta, e non avevo esaurito le combinazioni, non mi sono affrettato a cedere, e mi sono messo a cercare una risorsa. L’avvertimento del muto era sempre che non ce ne fossero, cosa che esprimeva molto chiaramente scuotendo la testa, e rimettendo di pezzi perduti sulla scacchiera. Il suo esempio aveva invogliato gli altri spettatori a parlare, si esaminava la partita, e a forza di provare cattivi espedienti, se ne scoprì uno buono. Non ho mancato di servirmene e di far capire al muto che si era sbagliato, e che ero uscito dalla difficoltà malgrado il suo monito. Lui però, additando gli spettatori uno dopo l’altro, e facendo allo stesso tempo un piccolo movimento con le labbra che accompagnava un grande movimento delle sue braccia che andavano e venivano nella direzione della porta e dei tavoli, mi rispose che c’era poco merito a esser usciti da una cattiva situazione in cui mi trovavo, grazie al consiglio del terzo, del quarto e dei passanti; che questi suoi gesti comunicavano così chiaramente, che nessuno si sbagliava, e che l’espressione popolare, consultare il terzo, il quarto e i passanti, è venuta in mente a molti nello stesso tempo; così, buona o cattiva, il nostro muto ha ritrovato questa espressione con i gesti. Conoscete almeno di fama una macchina singolare su cui l’inventore si proponeva di eseguire delle sonate di colori.44 Io pensai che, se c’era un essere al mondo che avrebbe dovuto trarre qualche piacere dalla musica oculare e che potesse giudicarla senza prevenzione, sarebbe stato un sordomuto dalla nascita. Condussi dunque il mio in rue Saint-Jacques45 nella casa in cui era esposta la macchina a colori. Ah! Signore, non immaginerete mai l’impressione che questa macchina fece su di lui, e meno ancora i pensieri che gli vennero. Innanzitutto comprenderete che non era possibile comunicargli niente sulla natura e le proprietà meravigliose del clavicembalo; che non avendo alcuna idea del suono, quelle che traeva dallo strumento oculare non erano sicuramente relative alla musica, e che la destinazione di questa macchina, gli era completamente incomprensibile quanto l’uso che noi facciamo degli organi della parola. Che cosa pensava dunque, e qual era il fondamento dell’ammirazione in cui cadde davanti ai gamme di Padre Castel. Cercate, Signore, d’indovinare cos’ha ipotizzato a proposito di questa macchina ingegnosa, che poche persone hanno visto, di cui molti hanno parlato, e di cui l’invenzione farà certo l’onore alla maggior parte di quelli che ne hanno parlato con disprezzo:46 o piuttosto, ascoltate. Ecco. Il mio sordo s’immaginò che questo genio inventore fosse anch’egli sordo e muto, che il suo clavicembalo gli servisse a conversare con gli altri uomini; che ciascuna sfumatura avesse sulla tastiera il valore di una lettera dell’alfabeto e che con l’aiuto dei
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lité des doigts, il combinait ces lettres, en formait des mots, des phrases, enfin, tout un discours en couleurs. Après cet effort de pénétration, convenez qu’un sourd et muet pouvait être assez content de lui‑même. Mais le mien ne s’en tint pas là. Il crut tout d’un coup qu’il avait saisi ce que c’était que la musique et tous les instruments de musique. Il crut que la musique était une façon particulière de communiquer la pensée, et que les instruments, les vielles, les violons, les trompettes étaient, entre nos mains, d’autres organes de la parole. C’était bien là, direz-vous, le système d’un homme qui n’avait jamais entendu ni instrument ni musique. Mais considérez, je vous prie, que ce système, qui est évidemment faux pour vous, est presque démontré pour un sourd et | muet. Lorsque ce sourd se rappelle l’attention que nous donnons à la musique, et à ceux qui jouent d’un instrument, les signes de joie ou de tristesse qui se peignent sur nos visages et dans nos gestes, quand nous sommes frappés d’une belle harmonie ; et qu’il compare ces effets avec ceux du discours et des autres objets extérieurs, comment peut-il imaginer qu’il n’y a pas de bon sens dans les sons, quelque chose que ce puisse être, et que ni les voix ni les instruments ne réveillent en nous aucune perception distincte ? N’est-ce pas là, Monsieur, une fidèle image de nos pensées, de nos raisonnements, de nos systèmes, en un mot, de ces concepts qui ont fait de la réputation à tant de philosophes ? Toutes les fois qu’ils ont jugé de choses qui, pour être bien comprises, semblaient demander un organe qui leur manquait, ce qui leur est souvent arrivé, ils ont montré moins de sagacité, et se sont trouvés plus loin de la vérité que le sourd et muet dont je vous entretiens. Car après tout, si on ne parle pas aussi distinctement avec un instrument qu’avec la bouche, et si les sons ne peignent pas aussi nettement la pensée que le discours, encore disent-ils quelque chose. L’aveugle dont il est question dans la Lettre à l’usage de ceux qui voient, marqua assurément de la pénétration dans le jugement qu’il porta du télescope et des lunettes ; sa définition du miroir est surprenante. Mais je trouve plus de profondeur et de vérité dans ce que mon sourd imagina du clavecin oculaire du Père Castel, de nos instruments et de notre musique. S’il ne rencontra pas exactement ce que c’était, il rencontra presque ce que ce devrait être. Cette sagacité vous surprendra moins peut-être, si vous considérez que celui qui se promène dans une galerie de peintures, fait, sans y penser, le rôle d’un sourd qui s’amuserait à examiner des muets qui s’entretiennent | sur des sujets qui lui sont connus. Ce point de vue est un de ceux sous lesquels j’ai toujours regardé les tableaux qui m’ont été présentés ; et j’ai trouvé que c’était un moyen sûr d’en connaître les actions amphibologiques et les mouvements équivoques ; d’être promptement affecté de la froideur ou du tumulte d’un fait mal ordonné ou d’une conversation mal instituée ; et de saisir, dans une scène mise en couleurs, tous les vices d’un jeu languissant ou forcé. Le terme de jeu, qui est propre au théâtre, et que je viens d’employer ici, parce qu’il rend bien mon idée, me rappelle une expérience que j’ai faite quelquefois, et dont j’ai tiré plus de lumières sur les mouvements et les gestes que de toutes les lectures du monde. Je fréquentais jadis beaucoup les spectacles, et je savais par cœur la plupart de nos bonnes pièces. Les jours que je me proposais un examen des mouvements et du geste, j’allais aux troisièmes loges : car plus j’étais éloigné des acteurs, mieux j’étais placé. Aussitôt que la toile était levée, et le moment venu où tous les autres spectateurs se disposaient à écouter ; moi, je mettais mes doigts dans mes oreilles, non sans quelque étonnement de la part de ceux qui m’environnaient, et qui ne me comprenant pas, me
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tasti, e dell’agilità delle dita, combinasse queste lettere, formando delle parole, delle frasi e infine tutto un discorso fatto di colori. Dopo questo sforzo di penetrazione, convenite che un sordo muto potesse essere molto contento di se stesso. Il mio però non si fermò lì. Credette improvvisamente di sapere che cos’è la musica e tutti gli strumenti musicali. Credette che la musica fosse un modo particolare di comunicare il pensiero e che gli strumenti, le viole, i violoncelli, le trombe fossero tra le nostre mani degli altri organi della parola. Questo, direte voi, era certamente il sistema di un uomo che non aveva mai sentito né gli strumenti né la musica. Tuttavia considerate, vi prego, che questo sistema per voi evidentemente falso, è quasi dimostrato per i sordi e i muti. Quando questo sordo si ricorda dell’attenzione che noi prestiamo alla musica, e a quelli che suonano uno strumento, i segni di gioia o di tristezza che si dipingono sui nostri volti e nei nostri gesti, quando siamo colpiti da una bella armonia; ed egli compara questi effetti con quelli del discorso e di altri oggetti esteriori, come può immaginare che non ci sia un senso compiuto nei suoni, qualunque cosa possa essere, e che né le voci né gli strumenti risvegliano in noi alcuna percezione distinta? Non è quella, signore, un’immagine fedele dei nostri pensieri, dei nostri ragionamenti, dei nostri sistemi, in una parola dei concetti che hanno fatto la fortuna di tanti filosofi? Tutte le volte che hanno giudicato le cose che, per essere ben comprese, sembravano richiedere un organo che mancava loro, cosa che gli è accaduta spesso, hanno mostrato meno sagacia e si sono trovati più lontani dalla verità del sordomuto di cui discuto con voi. Perché dopotutto, sebbene non parliamo più distintamente con uno strumento che con la bocca, e i nostri suoni non dipingano in modo più netto il pensiero e il discorso, eppure qualcosa dicono. Il cieco di cui si tratta nella Lettera a uso di coloro che vedono, mostrò una certa penetrazione, nel giudizio che aveva espresso sul telescopio e sugli occhiali, e la sua definizione di specchio è sorprendente.47 Nondimeno, trovo più profondità e verità in quello che il mio sordo ha immaginato del clavicembalo oculare di padre Castel, dei nostri strumenti e della nostra musica. Se non indovinò esattamente cosa fosse, comprese abbastanza cosa avrebbe dovuto essere. Questa sagacia vi sorprenderà meno, forse, se consideraste che colui che passeggia in una galleria di quadri, senza pensarci, impersona il ruolo del sordo che si diverte a esaminare dei muti che dialogano su degli argomenti a lui noti. Questo punto di vista è uno di quelli con i quali ho sempre guardato i dipinti che mi sono stati presentati; e ho notato che fosse un mezzo sicuro di riconoscere le azioni anfibologiche e i movimenti equivoci; di essere prontamente colpito dalla freddezza o dal tumulto di un fatto disordinato o di una conversazione mal istituita; e il cogliere in una scena dipinta a colori, tutti i vizi di una rappresentazione debole o forzata. Il termine di rappresentazione che è proprio del teatro, e che ho appena utilizzato qui, perché rende bene la mia idea, mi ricorda un’esperienza che ho fatto talvolta e da cui ho tratto più lumi sui movimenti e sui gesti che da tutte le letture del mondo. Un tempo frequentavo molto gli spettacoli e sapevo a memoria la maggior parte delle nostre migliori opere teatrali. I giorni in cui mi proponevo un esame dei movimenti e del gesto, andavo ai palchi di terz’ordine: perché più ero lontano dagli attori, migliore era la posizione. Appena si alzava il sipario, e veniva il momento in cui tutti gli altri spettatori si disponevano ad ascoltare, io mi mettevo le dita nelle orecchie, non senza un po’ di stupore da parte di quelli che mi circondavano che non mi capivano e mi guardavano quasi
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regardaient presque comme un insensé, qui ne venait à la comédie que pour ne la pas entendre. Je m’embarrassais fort peu des jugements, et je me tenais opiniâtrement les oreilles bouchées, tant que l’action et le jeu de l’acteur me paraissaient d’accord avec le discours que je me rappelais. Je n’écoutais que quand j’étais dérouté par les gestes, ou qu’e je croyais l’être. Ah ! Monsieur, qu’il y a peu de comédiens en état de soutenir une pareille épreuve, et que les détails dans lesquels je pourrais entrer seraient humiliants pour la plupart d’entre eux. Mais j’aime mieux vous parler de la nouvelle surprise où l’on ne manquait pas de tomber | autour de moi, lorsqu’on me voyait répandre des larmes dans les endroits pathétiques, et toujours les oreilles bouchées. Alors on n’y tenait plus et les moins curieux hasardaient des questions, auxquelles je répondais froidement, « que chacun avait sa façon d’écouter, et que la mienne était de me boucher les oreilles pour mieux entendre » ; riant en moi-même des propos que ma bizarrerie apparente ou réelle occasionnait, et bien plus encore de la simplicité de quelques jeunes gens qui se mettaient aussi les doigts dans les oreilles pour entendre à ma façon, et qui étaient tout étonnés que cela ne leur réussît pas. Quoi que vous pensiez de mon expédient, je vous prie de considérer que si, pour juger sainement de l’intonation, il faut écouter le discours sans voir l’acteur ; il est tout naturel de croire que pour juger sainement du geste et des mouvements, il faut considérer l’acteur sans entendre le discours. Au reste, cet écrivain célèbre par le Diable Boiteux, le Bachelier de Salamanque, Gilblas de Santillanne, Turcaret, un grand nombre de pièces de théâtre et d’opéra comiques ; par son fils l’inimitable Montmeni ; M. Le Sage, était devenu si sourd dans sa vieillesse, qu’il fallait, pour s’en faire entendre, mettre la bouche sur son cornet, et crier de toute sa force. Cependant il allait à la représentation de ses pièces ; il n’en perdait presque pas un mot ; il disait même qu’il n’avait jamais mieux jugé ni du jeu ni de ses pièces que depuis qu’il n’entendait plus les acteurs ; et je me suis assuré par l’expérience qu’il disait vrai. Sur quelque étude du langage par gestes, il m’a donc paru que la bonne construction exigeait qu’on présentât d’abord l’idée principale ; parce que cette idée manifestée répandait du jour sur les autres, en indiquant à quoi les gestes devaient être rapportés. Quand le sujet d’une proposition ora | toire ou gesticulée n’est pas annoncé, l’application des autres signes reste suspendue. C’est ce qui arrive à tout moment dans les phrases grecques et latines ; et jamais dans les phrases gesticulées, lorsqu’elles sont bien construites. Je suis à table avec un sourd et muet de naissance. Il veut commander à son laquais de me verser à boire. Il avertit d’abord son laquais ; il me regarde ensuite ; puis il imite du bras et de la main droite les mouvements d’un homme qui verse à boire. Il est presque indifférent, dans cette phrase, lequel des deux derniers signes suive ou précède l’autre. Le muet peut, après avoir averti le laquais, ou placer le signe qui désigne la chose ordonnée, ou celui qui dénote la personne à qui le message s’adresse mais le lieu du premier geste est fixé. Il n’y a qu’un muet sans logique qui puisse le déplacer. Cette transposition serait presque aussi ridicule que l’inadvertance d’un homme qui parlerait sans qu’on sût bien à qui son discours s’adresse. Quant à l’arrangement des deux autres gestes, c’est peut-être moins une affaire de justesse que de goût, de fantaisie, de convenance, d’harmonie, d’agrément et de style. En général, plus une phrase renfermera d’idées, et plus il y aura d’arrangements possibles de gestes ou d’autres signes plus il y aura de danger de tomber dans des contre-sens, dans des amphibologies, et dans les autres vices de construction. Je ne sais si l’on peut juger sainement des sentiments et des mœurs d’un homme par ses écrits ; mais je crois qu’on ne risquerait pas à se tromper sur la justesse
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come fossi un dissennato che andava a teatro per non ascoltare. Non mi imbarazzava molto il loro giudizio e mi tenevo ostinatamente le orecchie tappate, fintanto che l’azione e la recitazione dell’attore mi sembravano concordi con il discorso come lo ricordavo. Ascoltavo solo quando ero confuso dai gesti, o quando credevo di esserlo. Ah! Signore, sono davvero pochi attori in grado di sostenere una tale prova, e come sarebbero umilianti per la maggior parte di essi i dettagli nei quali potrei entrare. Invece, preferisco parlarvi della sorpresa sempre nuova che sorgeva intorno a me, quando mi si vedeva versare lacrime nei momenti più patetici e sempre con le orecchie tappate. Allora non riuscivano a trattenersi e i più curiosi azzardavano delle domande alle quali rispondevo freddamente «che ciascuno aveva il suo modo di ascoltare, e che il mio era di tapparmi le orecchie per intendere meglio»; ridendo dentro di me per i discorsi che la mia stranezza apparente o reale suscitava, e ancor più della semplicità di alcuni giovani che si mettevano anche loro le dita nelle orecchie per sentire a modo mio, e che erano tutti meravigliati di non riuscirci. Qualunque cosa voi pensiate del mio espediente, vi prego di considerare che se per giudicare rettamente dell’intonazione bisogna ascoltare il discorso senza vedere l’attore, è del tutto naturale credere che per giudicare rettamente correttamente il gesto e i movimenti si debba considerare l’attore senza ascoltare il discorso. Del resto, M. Le Sage,48 scrittore celebre per Le Diable boiteux, il Bachelier de Salamanque, Gilblas de Santillanne, Turcaret, per un gran numero di drammi e opere comiche; e per suo figlio, l’inimitabile Montménil;49 era divenuto così sordo nella sua vecchiaia, che bisognava, per farsi capire, mettere la bocca sulla sua cornetta e gridare con tutta la propria forza. Tuttavia andava alle rappresentazioni delle sue opere; non ne perdeva quasi una parola, diceva anche che non aveva mai giudicato meglio la recitazione e le sue opere teatrali che da quando non sentiva più gli attori; e mi sono assicurato con l’esperienza che fosse vero. Basandomi su qualche studio del linguaggio dei gesti, mi è dunque sembrato che una buona costruzione esiga che si presentasse per prima l’idea principale, perché una volta manifestata quest’idea, chiarisse le altre, indicando a quali gesti dovevano essere rapportate. Quando il soggetto di una proposizione verbale o gestuale non è enunciato, l’applicazione degli altri segni resta sospesa. È ciò che accade spesso nelle frasi greche o latine, e mai alle frasi gestuali, quando sono ben costruite. Sono a tavola con un sordomuto dalla nascita. Egli vuole ordinare al suo lacchè di versarmi da bere; prima avverte il lacchè; poi mi guarda. In seguito, imita con il braccio e la mano destra i movimenti di un uomo che versa da bere. È pressoché indifferente in questa frase quale degli ultimi due segni segue o precede l’altro. Il muto può, dopo aver avvertito il lacchè, fare il segno di ciò che designa la cosa ordinata o quello che denota la persona a cui il messaggio si indirizza, ma la posizione del primo gesto è fissata.50 Solo un muto senza logica potrebbe spostarlo. Questa trasposizione sarebbe quasi ridicola quanto l’inavvertenza di un uomo che parlasse senza che si sia saputo bene a chi indirizza il suo discorso. Quanto all’ordine degli altri due gesti, è forse meno una questione di esattezza che di gusto, di fantasia, di convenienza, di armonia, di gradevolezza e stile. In generale, più idee racchiuderà una frase, più saranno le possibili combinazioni dei gesti o di altri segni: più ci sarà pericolo di cadere in controsensi, in anfibologie, e in altri vizi di costruzione. Non so se si possano giudicare correttamente i sentimenti e i costumi di un uomo dai suoi scritti, ma credo che non si rischi di sbagliare sulla lucidità di mente, se lo giudichiamo dal suo stile o piuttosto dalla costruzione del
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de son esprit, si l’on en jugeait par son style ou plutôt par sa construction. Je puis du moins vous | assurer que je ne m’y suis jamais trompé. J’ai vu que tout homme dont on ne pouvait corriger les phrases qu’en les refaisant tout à fait, était un homme dont on n’aurait pu réformer la tête qu’en lui en donnant une autre. Mais, entre tant d’arrangements possibles, comment, lorsqu’une langue est morte, distinguer les constructions que l’usage autorisait ? la simplicité et l’uniformité des nôtres m’enhardissent à dire que, si jamais la langue française meurt, on aura plus de facilité à l’écrire et à la parler correctement, que les langues grecque ou latine. Combien d’inversions n’employons‑nous pas aujourd’hui en latin et en grec, que l’usage du temps de Cicéron et de Démosthène, ou l’oreille sévère de ces orateurs, proscrirait ? Mais, me dira-t-on, n’avons-nous pas dans notre langue des adjectifs qui ne se placent qu’avant le substantif ; N’en avons‑nous pas d’autres qui ne se placent jamais qu’après ? Comment nos neveux s’instruiront-ils de ces finesses ? La lecture des bons auteurs n’y suffit pas. J’en conviens avec vous, et j’avoue que si la langue française meurt, les savants à venir qui feront assez de cas de nos auteurs pour l’apprendre et pour s’en servir, ne manqueront pas d’écrire indistinctement blanc bonnet, ou bonnet blanc ; méchant auteur, ou auteur méchant ; hommes galant, ou galant homme, et une infinité d’autres qui donneraient à leurs ouvrages un air tout à fait ridicule si nous ressuscitions pour les lire ; mais qui n’empêcheront pas leurs contemporains ignorants de s’écrier à la lecture de quelque pièce française : Racine n’a pas écrit plus correctement ; c’est Despréaux tout pur ; Bossuet n’aurait pas mieux dit ; cette prose a le nombre, la force, l’élégance, la facilité de celle de Voltaire. Mais si un petit nombre de cas embarrassants font dire tant de | sottises à ceux qui viendront après nous ; que devons-nous penser aujourd’hui de nos écrits en grec et en latin, et des applaudissements qu’ils obtiennent ? On éprouve, en s’entretenant avec un sourd et un muet de naissance, une difficulté presque insurmontable à lui désigner les parties indéterminées de la quantité soit en nombre, soit en étendue, soit en durée, et à lui transmettre toute abstraction en général. On n’est jamais sûr de lui avoir fait entendre la différence des temps, je fis, j’ai fait, je faisais, j’aurais fait. Il en est de même des propositions conditionnelles. Donc, si j’avais raison de dire, qu’à l’origine du langage, les hommes ont commencé par donner des noms aux principaux objets des sens, aux fruits, à l’eau, aux arbres, aux animaux, aux serpents, etc. aux passions, aux lieux, aux personnes, etc. aux qualités, aux quantités, aux temps, etc. je peux encore ajouter que les signes des temps ou des portions de la durée ont été les derniers inventés. J’ai pensé que pendant des siècles entiers, les hommes n’ont eu d’autres temps que le présent de l’indicatif ou de l’infinitif que les circonstances déterminaient à être tantôt un futur, tantôt un parfait. Je me suis cru autorisé dans cette conjecture par l’état présent de la langue franque. Cette langue est celle que parlent les diverses nations chrétiennes qui commercent en Turquie et dans les échelles du Levant. Je la crois telle aujourd’hui qu’elle a toujours été, et il n’y a pas d’apparence qu’elle se perfectionne jamais. La base en est un italien corrompu. Ses verbes n’ont pour tout temps que le présent de l’infinitif dont les autres termes de la phrase ou les conjectures modifient la signification : ainsi je t’aime, je t’aimais, je t’aimerai, c’est en langue franque mi amarti. Tous ont | chanté, que chacun chante, tous chanteront, tutti cantara. Je veux, je voulais, j’ai voulu, je voudrais t’épouser, mi voleri sposarti. J’ai pensé que les inversions s’étaient introduites et conservées dans le langage, parce que les signes oratoires avaient été institués selon l’ordre des gestes, et qu’il était naturel qu’ils gardassent dans la phrase le rang que le droit d’aînesse leur avait assigné. J’ai
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suo discorso. Posso almeno assicurarvi che io non mi sono mai sbagliato. Ho visto che ogni uomo le cui frasi non si potevano correggere che rifacendole completamente, era un uomo a cui non si sarebbe potuta riordinare la testa se non dandogliene un’altra. Tra tante combinazioni possibili, come distinguere, quando una lingua è morta, le costruzioni che l’uso autorizzava? La semplicità e l’uniformità delle nostre incoraggia ad affermare che, se mai la lingua francese morisse, sarà più facile scriverla che parlarla correttamente rispetto alla lingua greca e a quella latina. Quante inversioni non utilizziamo oggi in latino e in greco, che ai tempi di Cicerone e Demostene, l’orecchio severo di questi oratori avrebbe proibito? Nondimeno, mi si potrebbe dire, non abbiamo nella nostra lingua degli aggettivi che non si pongono che davanti al sostantivo; e non ne abbiamo altri che si pongono solo dopo? Come s’insegneranno queste finezze ai nostri nipoti? La lettura di buoni autori non è sufficiente. Concordo con voi, e confesso che se la lingua francese morisse, i sapienti a venire che terranno conto dei nostri autori per apprenderla e per servirsene, non mancheranno di scrivere indistintamente blanc bonnet o bonnet blanc, méchant auteur o auteur méchant, homme galant o galant homme, 51 e un’infinità d’altri esempi che daranno alle loro opere un’aria assolutamente ridicola, se noi resuscitassimo per leggerla, ma che non impediranno i loro contemporanei ignoranti di esclamare, alla lettura di qualche opera teatrale francese, Racine non avrebbe scritto più correttamente; è puro Déspreaux; Bossuet non l’avrebbe detto meglio; questa prosa ha il ritmo, la forza, l’eleganza, la facilità di quella di Voltaire. Ma se un piccolo numero di questi casi imbarazzanti farà dire tante sciocchezze a quelli che verranno dopo di noi, cosa dobbiamo pensare oggi dei nostri scritti in greco e in latino, e degli applausi che ottengono? Dialogando con un sordomuto dalla nascita si prova una difficoltà pressoché insormontabile a designare le pari indeterminate della quantità sia in numero che in estensione, sia in durata, e a trasmettergli qualsiasi astrazione in generale. Non si è mai sicuri di avergli fatto capire la differenza di tempi io feci, io ho fatto, io facevo, io avrei fatto. La stessa cosa per quanto riguarda le proposizioni condizionali. Dunque, se avevo ragione a dire che all’origine del linguaggio gli uomini hanno cominciato a dare nomi ai principali oggetti dei sensi, ai frutti, all’acqua, agli alberi, agli animali, ai serpenti, ecc., alle passioni, ai luoghi, alle persone, ecc., alle qualità, alle quantità, ai tempi, ecc.52 Posso anche aggiungere che i segni dei tempi o delle porzioni della durata sono stati gli ultimi a essere inventati. Ho pensato che per secoli interi, gli uomini non hanno avuto altri tempi che il presente dell’indicativo o dell’infinito che le circostanze determinavano a essere talvolta un futuro, talvolta un perfetto.53 Mi sono creduto autorizzato a formulare quest’ipotesi a partire dallo stato presente della lingua franca. Questa lingua è quella che parlano le diverse nazioni cristiane che commerciano in Turchia e gli scali del Levante. Credo che oggi sia tale qual è sempre stata, e non c’è alcuna evidenza che si perfezionerà mai. La base è un italiano corrotto. I suoi verbi hanno per tutti i tempi solo il presente dell’infinito di cui gli altri termini della frase o le circostanze ne modificano il significato: così je t’aime, je t’aimais, je t’aimerai, è in lingua franca mi amarti. Tous ont chanté, que chacun chante, tous chanteront : tutti cantara. Je veux, je voulais, je voudrais t’épouser : mi voleri sposarti. Ho pensato che le inversioni fossero state introdotte e conservate nella lingua, perché i segni verbali erano stati istituiti secondo l’ordine dei gesti, e che era naturale che tenessero nella frase il rango che il diritto di primogenitura aveva loro assegnato. Ho
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pensé que par la même raison, l’abus des temps des verbes ayant dû subsister, même après la formation complète des conjugaisons, les uns s’étaient absolument passés de certains temps comme les Hébreux qui n’ont ni présent ni imparfait, et qui disent fort bien, Credidi propter quod locutus sum, au lieu de Credo et ideo loquor ; j’ai cru et c’est par cette raison que j’ai parlé, ou je crois et c’est par cette raison que je parle ; et que les autres avaient fait un double emploi du même temps, comme les Grecs, chez qui les aoristes s’interprètent tantôt au présent, tantôt au passé. Entre une infinité d’exemples, je me contenterai de vous en citer un seul qui vous est peut-être moins connu que les autres. Épictète dit Θέλουσι καί αὐτοὶ φιλοσοφεῖν ἄνϑτορε, πρῶτον ἐπίσκεφαι, ὀποῖόν ἐστι τὸ πρᾶγμα εἶτα καὶ τῂυ σεαυτοῦ φύσιν κατάµαθε, εἰ δύναζαι βαστάσαι πένταθλος εἶναι βούλει ἢ παλαιστής; ἴδε σεαυτοῦ τοὺς βραχίονας, τους υνρούς, τῂν ὀσφὺϖ κατάάµαωε. Epict. Enchirid. pag. 42 154
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Ce qui signifie proprement « ces gens veulent aussi être philosophes. Homme, aie d’abord appris ce que c’est que la chose que tu veux être. Aie | étudié tes forces et le fardeau. Aie vu, si tu peux l’avoir porté ; aie considéré tes bras et tes cuisses. Aie éprouvé tes reins, si tu veux être quinquertion ou lutteur. » Mais ce qui se rend beaucoup mieux en donnant aux aoristes premiers ἐπίσκεφαι, βαστάσαι, et aux aoristes seconds κατάµαωε ἴδε la valeur du présent. « Ces gens veulent aussi être philosophes. Homme apprends d’abord ce que c’est que la chose ; connais tes forces et le fardeau que tu veux porter ; considère tes bras et tes cuisses ; éprouve tes reins, si tu prétends être quinquertion ou lutteur. » Vous n’ignorez pas que ces quinquertions étaient des gens qui avaient la vanité de se signaler dans tous les exercices de la gymnastique. Je regarde ces bizarreries des temps comme des restes de l’imperfection originelle des langues, des traces de leur enfance, contre lesquelles le bon sens, qui ne permet pas à la même expression de rendre des idées différentes, eût vainement réclamé ses droits dans la suite. Le pli était pris, et l’usage aurait fait taire le bon sens. Mais il n’y a peutêtre pas un seul écrivain grec ou latin, qui se soit aperçu de ce défaut : je dis plus, pas un peut-être, qui n’ait imaginé que son discours ou l’ordre d’institution de ses signes, suivait exactement celui des vues de son esprit ; cependant il est évident qu’il n’en était rien. Quand Cicéron commence l’Oraison pour Marcellus par Diulurni silentii, Patres conscripti, quo eram his temporibus usus, etc. on voit qu’il avait eu dans l’esprit antérieurement à son long silence, une idée qui devait suivre qui commandait la terminaison de son long silence, et qui le contraignait à dire Diuturni silentii, et non pas Diuturnum silentium. Ce que je viens de dire dé l’inversion du commencement de l’Oraison pour Marcellus, est applicable à toute autre inversion. En général dans une période grecque ou latine, quelque longue qu’elle soit, on s’aperçoit dès le commencement que l’auteur ayant eu une raison d’employer telle ou telle terminaison plutôt, que toute autre, il n’y avait point dans ses idées l’inversion qui règne dans ses termes. En effet, dans la période précédente, qu’est-ce qui déterminait Ciceron à écrire Diuturni silentii au génitif, quo à l’ablatif, eram à l’imparfait, et ainsi du reste, qu’un ordre d’idées pré | existant dans son esprit tout contraire à celui des expressions, ordre auquel il se conformait sans s’en apercevoir, subjugué par la longue habitude de transposer ? Et pourquoi Cicéron n’aurait-il pas transposé sans s’en apercevoir, puisque la chose nous arrive à nous-mêmes, a nous qui
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pensato, per la stessa ragione, che l’abuso dei tempi verbali dovette sussistere anche dopo la formazione completa delle coniugazioni, gli uni erano assolutamente passati di certi tempi, come gli Ebrei che non hanno né presente né imperfetto, e che dicono molto bene Credidi propter quod locutus sum, al posto di Credo et ideo loquor; ho creduto ed è per questa ragione che ho parlato, o credo e per questa ragione parlo; e che altri avessero fatto un doppio uso dello stesso tempo, come i Greci che nella loro lingua interpretano gli aoristi a volte al presente, a volte al passato.54 Tra un’infinità di esempi, mi accontenterò di citarvene uno solo che forse vi è meno conosciuto degli altri. Epitteto dice Θέλουσι καί αὐτοὶ φιλοσοφεῖν ἄνϑτορε, πρῶτον ἐπίσκεφαι, ὀποῖόν ἐστι τὸ πρᾶγμα εἶτα καὶ τῂυ σεαυτοῦ φύσιν κατάµαθε, εἰ δύναζαι βαστάσαι πένταθλος εἶναι βούλει ἢ παλαιστής; ἴδε σεαυτοῦ τοὺς βραχίονας, τους υνρούς, τῂν ὀσφὺϖ κατάάµαωε. Epitteto, Enchiridion, p. 4255 Che significa letteralmente: «queste persone vogliono anche essere filosofi. Uomo, che tu abbia prima appreso che cosa vuoi essere. Che abbia studiato le tue forze e il tuo peso. Che abbia visto, se potrai portarlo. Che abbia considerato le tue braccia e le tue cosce. Che abbia provato le tue reni, se vuoi essere pentatleta o lottatore». Ma si rende molto meglio dando ai primi aoristi ἐπίσκεφαι, βαστάσαι ai secondi aoristi κατάµαωε ἴδε il valore di presente:56 «Queste persone vogliono anche essere filosofi. Uomo, apprendi prima cosa vuoi essere. Conosci le tue forze e il peso che vuoi portare. Considera le tue braccia e le tue cosce. Prova le tue reni, se pretendi di essere pentatleta o lottatore». Voi non ignorate che questi pentatleti erano persone che avevano la vanità di segnalarsi in tutti gli esercizi della ginnastica. Considero tutte queste stranezze dei tempi come i resti dell’imperfezione originaria delle lingue, le tracce della loro infanzia, contro le quali il buon senso, che non permette alla stessa espressione di rendere idee diverse, in seguito avrebbe reclamato vanamente i suoi diritti. La piega era presa, e l’uso avrebbe fatto tacere il buon senso. Ma non c’è forse un solo scrittore greco o latino che si sia accorto di questo difetto: dico di più, nemmeno uno forse che non abbia immaginato che il suo discorso o l’ordine d’istituzione dei suoi segni seguisse veramente quello delle vedute del suo spirito. Tuttavia è evidente che non era così. Quando Cicerone comincia l’Orazione per Marcello con Diuturni silentii, Patres Conscripti, quo eram his temporibus usus ecc.57 Si vede che aveva in mente, prima del suo lungo silenzio, un’idea che doveva seguire, che comandava la terminazione del suo lungo silenzio, e che lo costringeva a dire Diuturni silentii, e non Diuturnum silentium. Ciò che ho appena detto sull’inversione dell’inizio dell’Orazione per Marcello, è applicabile a tutte le altre inversioni. In generale, in un periodo greco o latino, per quanto lungo esso sia, ci accorgiamo sin dall’inizio che l’autore, che avrebbe avuto ragione di impiegare tale o talaltra desinenza, piuttosto che tutt’altra, non aveva nelle sue idee l’inversione che regna nei suoi termini. Infatti, nel periodo precedente cosa spingeva Cicerone a scrivere Diuturni silentii al genitivo, quo all’ablativo, eram all’imperfetto, e così via, se non un ordine d’idee preesistente nel suo spirito, totalmente contrario a quello delle espressioni, ordine al quale si conformava senza accorgersene, soggiogato dalla lunga abitudine a trasporre? E perché Cicerone non avrebbe trasposto senza accorgersene, visto che la cosa accade anche a noi, che crediamo di aver formato
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croyons avoir formé notre langue sur la suite naturelle des idées ? J’ai donc eu raison de distinguer l’ordre naturel des idées et des signes, de l’ordre scientifique et d’institution. Vous avez pourtant cru, Monsieur, devoir soutenir que dans la période de Cicéron dont il s’agit entre nous, il n’y avait point d’inversion, et je ne disconviens pas qu’à certains égards vous ne puissiez avoir raison ; mais il faut pour s’en convaincre faire deux réflexions qui, ce me semble, vous ont échappé. La première c’est que l’inversion, proprement dite, ou l’ordre d’institution, l’ordre scientifique et grammatical, n’étant autre chose qu’un ordre dans les mots contraire à celui des idées, ce qui sera inversion pour l’un, souvent ne le sera pas pour l’autre. Car dans une suite d’idées, il n’arrive pas toujours que tout le monde soit également affecté par la même. Par exemple, si de ces deux idées contenues dans la phrase serpentem fuge, je vous demande quelle est la principale, vous me direz, vous, que c’est le serpent ; mais un autre prétendra que c’est la fuite, et vous aurez tous deux raison. L’homme peureux ne songe qu’au serpent ; mais celui qui craint moins le serpent que ma perte, ne songe qu’à ma fuite : l’un s’effraie et | l’autre m’avertit. La seconde chose que j’ai à remarquer, c’est que dans une suite d’idées que nous avons à offrir aux autres, toutes les fois que l’idée principale qui doit les affecter n’est pas la même que celle qui nous affecte, eu égard à la disposition différente où nous sommes, nous et nos auditeurs, c’est cette idée qu’il faut d’abord leur présenter ; et l’inversion, dans ce cas, n’est proprement qu’oratoire : appliquons ces réflexions à la première période de l’oraison pro Marcello. Je me figure Cicéron montant à la tribune aux harangues, et je vois que la première chose qui a dû frapper ses auditeurs, c’est qu’il a été longtemps sans y monter ainsi diuturni silentii, le long silence qu’il a gardé, est la première idée qu’il doit leur présenter ; quoique l’idée principal pour lui ne soit pas cellelà, mais hodiernus dies finem attulit ; car ce qui frappe le plus un orateur qui monte en chaire, c’est qu’il va parler et non qu’il a gardé longtemps le silence. Je remarque encore une autre finesse dans le génitif diuturni silentii ; les auditeurs ne pouvaient penser au long silence de Cicéron, sans chercher en même temps la cause, et de ce silence, et de ce qui le déterminait à le rompre. Or le génitif étant un cas suspensif, leur fait naturellement attendre toutes ces idées que l’orateur ne pouvait leur présenter à la fois. Voilà, Monsieur, plusieurs observations, ce me semble, sur le passage dont nous parlons, et que vous auriez pu faire. Je suis persuadé que Cicéron aurait arrangé tout autrement cette période, si au lieu de parler à Rome, il eût été tout à coup transporté en Afrique, et qu’il eût eu à plaider à Carthage. Vous voyez donc par là, Monsieur, que ce qui n’était pas une inversion pour les auditeurs de Cicéron, pouvait, devait même en être une pour lui. Mais allons plus loin : je soutiens que, quand une phrase ne renferme qu’un très petit nombre d’idées, il est fort difficile de déterminer quel est l’ordre naturel que ces idées doivent avoir par rapport à celui qui parle. | Car si elles ne se présentent pas toutes à la fois, leur succession est au moins si rapide, qu’il est souvent impossible de démêler celle qui nous frappe la première. Qui sait même si l’esprit ne peut pas en avoir un certain nombre exactement dans le même instant ? Vous allez peut-être, Monsieur, crier au paradoxe. Mais veuillez auparavant examiner avec moi comment l’article hic, ille, le, s’est introduit dans la langue latine et dans la nôtre. Cette discussion ne sera ni longue ni difficile, et pourra vous rapprocher d’un sentiment qui vous révolte. Transportez-vous d’abord au temps où les adjectifs et les substantifs latins qui désignent les qualités sensibles des êtres, et des différents individus de la nature, étaient presque tous inventés, mais où l’on n’avait point encore d’expression pour ces vues fines
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la nostra lingua sul susseguirsi naturale delle idee? Ho dunque ragione a distinguere l’ordine naturale delle idee e dei segni, dall’ordine scientifico e d’istituzione. Voi avete pertanto creduto, Signore, di dover sostenere che nel periodo di Cicerone, di cui ci stiamo occupando, non ci fosse nessuna inversione, e non metto in dubbio che da un certo punto di vista, potreste aver ragione: ma per convincersene bisogna fare due riflessioni che mi sembra vi siano sfuggite. La prima è che l’inversione propriamente detta, o l’ordine istituzionale, l’ordine scientifico e grammaticale, non essendo altra cosa che un ordine nelle parole contrario a quello delle idee, quella che sarà l’inversione per uno, spesso non lo sarà per l’altro.58 Perché non accade sempre che in un susseguirsi d’idee tutti siano sempre destinati allo stesso. Per esempio, se delle due idee contenute nella frase serpentem fuge, vi chiedo qual è la principale voi mi direte che è il serpente, ma un altro sosterrà che è la fuga e avreste entrambi ragione. L’uomo pauroso non pensa che al serpente, ma quello che teme meno il serpente della mia perdita, non pensa che alla fuga:59 l’uno si spaventa, l’altro mi avverte. La seconda cosa che vorrei osservare, è che in un susseguirsi d’idee che abbiamo da offrire agli altri, tutte le volte che l’idea principale deve colpirli non è la stessa di quella che ci colpisce, avuto lo sguardo con una diversa disposizione a seconda di dove siamo noi e i nostri ascoltatori, è questa l’idea che bisogna presentare loro; e l’inversione in questo caso non è propriamente che oratoria: applichiamo queste riflessioni al primo periodo dell’orazione Pro Marcello. Mi immagino Cicerone salire sulla tribuna delle arringhe, e vedo la prima cosa che dovette colpire i suoi ascoltatori, cioè che è da molto tempo che non vi sale: così Diuturni silentii, il lungo silenzio che egli ha mantenuto, è la prima idea che deve presentare loro, nonostante l’idea principale per lui non sia quella, ma hodiernus dies finem attulit;60 poiché quello che colpisce più un oratore che sale sul pulpito è che sta per parlare non che ha mantenuto a lungo il silenzio. Rilevo ancora un’altra finezza nel genitivo di Diuturni silentii, gli ascoltatori non potevano pensare al lungo silenzio di Cicerone, senza cercarne nel contempo la causa, sia di questo silenzio sia di ciò che ne ha determinato la rottura. Ora essendo il genitivo un caso sospensivo, fa naturalmente attendere tutte queste idee che l’oratore non poteva presentare loro contemporaneamente. Ecco, signore, parecchie osservazioni sul passo di cui noi parliamo e che, mi sembra, avreste potuto fare. Sono sicuro che Cicerone avrebbe ordinato in tutt’altro modo questo periodo se invece che parlare a Roma, fosse stato improvvisamente trasportato in Africa, e se avesse dovuto difendere una causa a Cartagine. Da questo potete vedere dunque, Signore, che quella che non era un’inversione per gli ascoltatori di Cicerone, poteva, anzi doveva esserlo per lui. Passiamo oltre, però: sostengo che quando una frase racchiude un piccolo numero d’idee, è molto difficile determinare quale ordine naturale devono avere queste idee in rapporto a colui che parla. Poiché se esse non si presentano tutte insieme, la loro successione è per lo meno così rapida che è spesso impossibile sbrogliare quella che ci colpisce per prima. Chi sa se addirittura lo spirito non possa averne un certo numero esattamente nello stesso istante? Signore, starete per gridare al paradosso.61 Ma vogliate prima valutare con me come l’articolo hic, ille, le, si è introdotto nella lingua latina e nella nostra. Questa discussione non sarà né lunga né difficile, e potrà riavvicinarvi a un sentimento di disapprovazione. Trasportatevi prima al tempo in cui gli aggettivi e i sostantivi latini che designano le qualità sensibili degli esseri e i differenti individui della natura, erano pressoché tutti inventati, ma in cui non c’era ancora nessuna espressione per queste fini e delicate
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et déliées de l’esprit, dont la philosophie a même aujourd’hui tant de peine à marquer les différences. Supposez ensuite deux hommes pressés de la faim, mais dont l’un n’ait point d’aliment en vue, et dont l’autre soit au pied d’un arbre si élevé qu’il n’en puisse atteindre le fruit. Si la sensation fait parler ces deux hommes, le premier dira j’ai faim, je mangerais volontiers ; et le second, le beau fruit ! j’ai faim, je mangerais volontiers. Mais il est évident que celui-là a rendu précisément par son discours, tout ce qui s’est passé dans son âme ; qu’au contraire il manque quelque chose dans la phrase de celuici, et qu’une des vues de son esprit y doit être sous-entendue. L’expression je mangerais volontiers, quand on n’a rien à sa portée, s’étend en général à tout ce qui peut apaiser la faim ; mais la même expression se restreint, et ne s’entend plus que d’un beau fruit, quand ce fruit est présent. Ainsi, quoique ces hommes aient dit j’ai faim, je mangerais volontiers, il y avait dans l’esprit de celui qui s’est écrié le beau fruit ! un retour vers ce fruit ; et l’on ne peut douter que si | l’article le eût été inventé, il n’eût dit le beau fruit ! j’ai faim : je mangerais volontiers icelui, ou icelui je mangerais volontiers. L’article le ou icelui n’est, dans cette occasion et dans toutes les semblables, qu’un signe employé pour désigner le retour de l’âme sur un objet qui l’avait antérieurement occupée ; et l’invention de ce signe est, ce me semble, une preuve de la marche didactique de l’esprit. N’allez pas me faire des difficultés sur le lieu que ce signe occuperait dans la phrase, en suivant l’ordre naturel des vues de l’esprit. Car, quoique tous ces jugements, le beau fruit ! j’ai faim, je mangerais volontiers icelui, soient rendus chacun par deux ou trois expressions, ils ne supposent tous qu’une seule vue de l’âme ; celui du milieu j’ai faim, se rend en latin par le seul mot esurio. Le fruit et la qualité s’aperçoivent en même temps ; et, quand un latin disait esurio, il croyait ne rendre qu’une seule idée. Je mangerais volontiers icelui ne sont que des modes d’une seule sensation. Je, marque la personne qui l’éprouve ; mangerais, le désir et la nature de la sensation éprouvée ; volontiers, son intensité ou sa force ; icelui, la présence de l’objet désiré ; mais la sensation n’a point dans l’âme ce développement successif du discours ; et si elle pouvait commander à vingt bouches, chaque bouche disant son mot, toutes les idées précédentes seraient rendues à la fois ; c’est ce qu’elle exécuterait à merveille sur un clavecin oculaire, si le système de mon muet était institué, et que chaque couleur fût l’élément d’un mot. Aucune langue n’approcherait de la rapidité de celle-ci. Mais au défaut de plusieurs bouches, voici ce qu’on a fait : on a attaché plusieurs idées à une seule expression ; si ces expressions énergiques étaient plus fréquentes, au lieu que la langue se traîne sans cesse après l’esprit, la quantité d’idées rendues à la fois pourrait être telle, que, la langue allant plus vite que l’esprit, il serait forcé de courir après elle. Que deviendrait alors l’inversion, qui suppose décomposition des mouvements simultanés de l’âme, et multitude d’expressions ? Quoique nous n’ayons guère de ces termes qui équivalent à un long discours, ne | suffit-il pas que nous en ayons quelques-uns, que le grec et le latin en fourmillent, et qu’ils soient employés et compris sur-le-champ, pour vous convaincre que l’âme éprouve une foule de perceptions, sinon à la fois, du moins avec une rapidité si tumultueuses, qu’il n’est guère possible d’en découvrir la loi. Si j’avais affaire à quelqu’un qui n’eût pas encore la facilité des idées abstraites, je lui mettrais ce système de l’entendement humain en relief, et je lui dirais : Monsieur, considérez l’homme automate comme une horloge ambulante ; que le cœur en représente le grand ressort ; et que les parties contenues dans la poitrine soient les autres
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vedute dello spirito di cui la filosofia ha anche oggi tanta difficoltà a sottolineare le differenze. Supponete poi due uomini spinti dalla fame, ma di cui l’uno non ha alcun alimento in vista, e l’altro sia ai piedi di un albero così alto da non poter raggiungerne i frutti. Se la sensazione fa parlare questi due uomini, il primo dirà ho fame, mangerei volentieri, e il secondo, che bel frutto! Ho fame, mangerei volentieri. Ma è evidente che il primo ha reso perfettamente con il suo discorso tutto quello che è accaduto nella sua anima, che al contrario manca qualcosa nella frase del secondo, e che uno degli intenti del suo spirito dev’essere sottinteso. L’espressione mangerei volentieri, quando non ha niente alla sua portata, si estende in generale a tutto quello che può appagare la fame, ma la stessa espressione si restringe, e si sente più che d’un bel frutto, quando il frutto è presente. Così, nonostante i due uomini abbiano detto ho fame mangerei volentieri, c’è nello spirito di colui che ha esclamato dicendo il bel frutto! un ritorno verso questo frutto e non possiamo dubitare che se l’articolo le fosse stato inventato, non avrebbe detto le beau fruit! j’ai faim: je mangerai volontiers icelui62 o icelui je mangerais volontiers. L’articolo le o icelui è, in questa occasione e in tutte quelle simili, solo un segno nella frase utilizzato per designare il ritorno dell’anima su un oggetto cui aveva dato attenzione in precedenza; e l’invenzione di questo segno è, mi pare, una prova dell’andamento didattico dello spirito. Non sollevatemi difficoltà sul luogo che questo segno dovrebbe occupare nella frase, seguendo l’ordine naturale delle mire dello spirito. Poiché, nonostante tutti questi giudizi, le beau fruit! j’ai faim: je mangerai volontiers icelui, siano resi ciascuno con due o tre espressioni, presuppongono tutti un solo proposito dell’animo, quello centrale ho fame, che si rende in latino con la sola parola esurio.63 Il frutto e la qualità si percepiscono nello stesso tempo; e quando un Latino diceva esurio, credeva di rendere una sola idea. Je mangerai volontiers icelui, non sono che i modi di una sola sensazione. Je indica la persona che lo prova; mangerais, il desidero e la natura della sensazione provata; volontiers, la sua intensità o la sua forza; icelui, la presenza dell’oggetto desiderato; ma la sensazione non ha nell’anima questo sviluppo consecutivo del discorso; e se si potessero comandare venti bocche, ciascuna bocca che dica una parola, tutte le idee precedenti sarebbero rese contemporaneamente; è ciò che eseguirebbe a meraviglia col clavicembalo oculare, se il sistema del mio muto fosse stato istituito, e ciascun colore fosse l’elemento di una parola. Nessuna lingua si avvicinerebbe alla rapidità di questa. Però, mancando di molte bocche, ecco ciò che si è fatto: si sono attribuite più idee a una sola espressione; se queste espressioni energiche fossero più frequenti, al posto di trascinare la lingua senza tregua dietro lo spirito, la quantità d’idee rese contemporaneamente potrebbe essere tale, che la lingua andrebbe più veloce dello spirito che sarebbe costretto a correrle dietro. Cosa diventerebbe allora l’inversione, che suppone la scomposizione dei movimenti simultanei dell’anima, e una moltitudine di espressioni? Sebbene abbiamo pochi di questi termini che equivalgono a un lungo discorso, è sufficiente che ne abbiamo alcuni, che il greco e il latino ne abbiano in abbondanza e che siano utilizzate e comprese seduta stante, per convincervi che l’anima prova una moltitudine di percezioni, se non simultaneamente, almeno con una rapidità così tumultuosa che non è possibile scoprirne la regola? Se avessi a che fare con qualcuno per cui non fosse ancora facile cogliere delle idee astratte, gli mostrerei questo sistema dell’intelletto umano,64 e gli direi: Signore, considerate l’uomo automa come un orologio ambulante; per cui il cuore ne rappresenti la grande molla e le parti contenute nel petto siano gli altri pezzi principali del movi-
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pièces principales du mouvement. Imaginez dans la tête un timbre garni de petits marteaux, d’où partent une multitude infinie de fils, qui se terminent à tous les points de la boîte : élevez sur ce timbre une de ces petites figures dont nous ornons le haut de nos pendules, qu’elle ait l’oreille penchée, comme un musicien qui écouterait si son instrument est bien accordé ; cette petite figure sera l’âme. Si plusieurs des petits cordons sont tirés dans le même instant, le timbre sera frappé de plusieurs coups, et la petite figure entendra plusieurs sons à la fois. Supposez qu’entre ces cordons il y en ait certains qui soient toujours tirés ; comme nous ne nous sommes assurés du bruit qui se fait le jour à Paris que par le silence de la nuit, il y aura en nous des sensations qui nous échapperont souvent par leur continuité ; telle sera celle de notre existence. L’âme ne s’en aperçoit que par un retour sur elle-même, sur | tout dans l’état de santé. Quand on se porte bien, aucune partie du corps ne nous instruit de son existence ; si quelqu’une nous en avertit par la douleur, c’est à coup sûr, que nous nous portons mal ; si c’est par le plaisir, il n’est pas toujours certain que nous nous portions mieux. Il ne tiendrait qu’à moi de suivre ma comparaison plus loin, et d’ajouter que les sons rendus par le timbre ne s’éteignent pas sur-le-champ ; qu’ils ont de la durée ; qu’ils forment des accords avec ceux qui les suivent : que la petite figure attentive les compare et les juge consonants ou dissonants ; que la mémoire actuelle, celle dont nous avons besoin pour juger et pour discourir, consiste dans la résonnance du timbre ; le jugement, dans la formation des accords, et le discours, dans leur succession que ce n’est pas sans raison qu’on dit de certains cerveaux qu’ils sont mal timbrés. Et cette loi de liaison, si nécessaire dans les longues phrases harmoniques ; cette loi, qui demande qu’il y ait entre un accord et celui qui le suit au moins un son commun, resterait-elle donc ici sans application ? Ce son commun, à votre avis, ne ressemble-t-il pas beaucoup au moyen terme du syllogisme ? Et que sera-ce que cette analogie qu’on remarque entre certaines âmes, qu’un jeu de la nature qui s’est amusée à mettre deux timbres, l’un à la quinte, et l’autre à la tierce d’un troisième. Avec la fécondité de ma comparaison et la folie de Pythagore, je vous démontrerais la sagesse de cette loi des Scythes, qui ordonnait d’avoir un ami, qui en permettait deux et qui en défendait trois. Parmi les Scythes, vous dirais-je, une tête était mal timbrée, si le son, principal qu’elle rendait n’avait dans la société aucun harmonique ; trois amis formaient l’accord parfait ; un quatrième ami surajouté, ou n’eût | été que la réplique de l’un des trois autres, ou bien il eût rendu l’accord dissonant. Mais je laisse ce langage figuré que j’emploierais tout au plus pour récréer et fixer l’esprit volage d’un enfant, et je reviens au ton de la philosophie, à qui il qui il faut des raisons et non des comparaisons. En examinant les discours que la sensation de la faim ou de la soif faisait tenir en différentes circonstances, on eut souvent occasion de s’apercevoir que les mêmes expressions s’employaient pour rendre des vues de l’esprit qui n’étaient pas les mêmes ; et l’on inventa les signes vous, lui, moi, le et une infinité d’autres qui particularisent. L’état de l’âme dans un instant indivisible fut représenté par une foule de termes que la précision du langage exigea, et qui distribuèrent une impression totale en parties : et parce que ces termes se prononçaient successivement et ne s’entendaient qu’à mesure qu’ils se prononçaient, on fut porté à croire que les affections de l’âme qu’ils représentaient avaient la même succession ; mais il n’en est rien. Autre chose est l’état de notre âme ; autre chose le compte que nous en rendons soit à nous-même, soit aux autres ; autre chose la sensation totale et instantanée de cet état ; autre chose l’attention successive et détaillée que nous sommes forcés d’y donner pour l’analyser, la manifester, et nous faire entendre. Notre âme est un tableau mouvant d’après lequel nous peignons sans
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mento. Immaginate nella testa un piccolo campanello dotato di piccoli martelli da cui partono un’infinità di fili che terminano in tutti i punti della scatola: innalzate su questo campanello una di quelle piccole figure con cui noi orniamo la sommità delle nostre pendole, con l’orecchio teso, come un musicista che ascolta se il suo strumento è ben accordato. Questa piccola figura sarà l’anima.65 Se molti piccoli lacci vengono tirati nello stesso istante, il campanello verrà scosso da più colpi, e la piccola figura udirà più suoni alla volta. Supponete che tra questi fili ce ne siano alcuni che sono sempre tesi; come noi ci accorgiamo del rumore che c’è di giorno a Parigi solo dal silenzio della notte, ci saranno in noi sensazioni che ci sfuggono spesso per la loro continuità;66 questa sarà quella della nostra esistenza. L’anima se ne avvede solo attraverso un ritorno su se stessa, soprattutto quando è in salute. Quando stiamo bene, nessuna parte del corpo ci informa della sua resistenza, se ne percepiamo qualcuna attraverso il dolore, è certo che stiamo male; se è per il piacere, non è sempre certo che stiamo meglio. Spetta solo a me proseguire oltre con il mio paragone, e aggiungere che i suoni resi dal campanello non si smorzano seduta stante; essi hanno una durata; formano degli accordi con quelli che li seguono; che la piccola figura attenta li compara e li giudica come consonanti o dissonanti; che la memoria attuale, quella di cui noi abbiamo bisogno per giudicare e per discorrere, consiste nella risonanza del campanello; il giudizio, nella formazione degli accordi, e il discorso nella loro successione; che non è senza ragione che diciamo di certi cervelli, che sono stonati. E quella legge di collegamento così necessaria nelle lunghe frasi armoniche; questa legge che chiede che ci sia ci sia tra un accordo e quello che segue, almeno un suono comune, resterà dunque senza applicazione? Questo suono comune, secondo il vostro parere, non assomiglia molto al termine medio del sillogismo? E cosa sarà quell’analogia che rileviamo tra certe anime, che un gioco della natura si è divertito a mettere due campanelli, uno alla quinta l’altro all’intervallo di una terza?67 Con la fecondità del mio paragone e la follia di Pitagora,68 vi potrei dimostrare la saggezza di quella legge degli Sciiti, che ordinava di avere un amico, che ne permetteva due e che ne vietava tre.69 Tra gli Sciiti, vi potrei dire, una testa era stonata, se il suono principale che produceva non aveva nella società alcun armonico; tre amici formavano l’accordo perfetto;70 aggiuntosi un quarto amico, o sarebbe stato la replica di uno degli altri tre, o avrebbe reso l’accordo dissonante. Lascio però questo linguaggio figurato, che potrei usare al massimo per ricreare e attirare l’attenzione dello spirito volubile di un bambino, e ritorno al tono della filosofia che esige ragioni e non paragoni. Esaminando i discorsi che la sensazione della fame o della sete facevano tenere in differenti circostanze, abbiamo avuto spesso occasione di accorgerci che le stesse espressioni si utilizzavano per rendere dei punti di vista dello spirito che non erano gli stessi; e sono stati inventati i segni vous, lui, moi, le e un’infinità di altri che esprimevano la particolarità. Lo stato dell’anima in un istante indivisibile fu caratterizzato da una quantità di termini che la precisione del linguaggio esigeva e che ordinavano un’impressione totale in parti: e poiché questi termini si pronunciavano uno di seguito all’altro, e non si sentivano nel momento in cui si pronunciavano, si fu portati a credere che le affezioni dell’anima che rappresentavano avessero la stessa successione; ma non ne è per nulla vero. Una cosa è lo stato della nostra anima, altra cosa è il conto che rendiamo sia a noi stessi, sia agli altri: altro la sensazione totale e istantanea di questo stato, altro l’attenzione progressiva e dettagliata che siamo costretti a dare per analizzarla, manifestarla e farci intendere. La nostra anima è un quadro mobile che dipin-
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cesse : nous employons bien du temps à le rendre avec fidélité : mais il existe en entier, et tout à la fois l’esprit ne va pas à pas comptés comme l’expression. Le pinceau n’exécute qu’à la longue ce que l’œil du | peintre embrasse tout d’un coup. La formation des langues exigeait la décomposition ; mais voir un objet, le juger beau, éprouver une sensation agréable, désirer la possession, c’est l’état de l’âme dans un même instant ; et ce que le grec et le latin rendent par un seul mot. Ce mot prononcé, tout est dit, tout est entendu. Ah ! Monsieur, combien notre entendement est modifié par les signes ; et que la diction la plus vive est encore une froide copie de ce qui s’y passe : Les ronces dégouttantes Portent de ses cheveux les dépouilles sanglantes.
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Voilà une des peintures les plus ressemblantes que nous ayons. Cependant qu’elle est encore loin de ce que j’imagine ! Je vous exhorte, Monsieur, à peser ces choses, si vous voulez sentir combien la question des inversions est compliquée. Pour moi qui m’occupe plutôt à former des nuages qu’à les dissiper, et à suspendre les jugements qu’à juger, je vais vous démontrer encore que, si le paradoxe que je viens d’avancer n’est pas vrai, si nous n’avons pas plusieurs perceptions à la fois, il est impossible de raisonner et de discourir car discourir ou raisonner, c’est comparer deux ou plusieurs idées. Or comment comparer des idées qui ne sont pas présentes à l’esprit dans le même temps. Vous ne pouvez | me nier que nous n’ayons à la fois plusieurs sensations, comme celles de la couleur d’un corps et de sa figure ; or je ne vois pas quel privilège les sensations auraient sur les idées abstraites et intellectuelles. Mais la mémoire, à votre avis, ne suppose-t-elle pas dans un jugement deux idées à la fois présentes à l’esprit ? L’idée qu’on a actuellement, et le souvenir de celle qu’on a eue ? Pour moi, je pense que c’est par cette raison que le jugement et la grande mémoire vont si rarement ensemble. Une grande mémoire suppose une grande facilité d’avoir à la fois ou rapidement plusieurs idées différentes ; et cette facilité nuit à la comparaison tranquille d’un petit nombre d’idées que l’esprit doit, pour ainsi dire, envisager fixement. Une tête meublée d’un grand nombre de choses disparates est assez semblable à une bibliothèque de volumes dépareillés. C’est une de ces compilations germaniques, hérissées sans raison et sans goût, d’hébreu, d’arabe, de grec et de latin, qui sont déjà fort grosses, qui grossissent encore, qui grossiront toujours, et qui n’en seront que plus mauvaises. C’est un de ces magasins remplis d’analyses et de jugements d’ouvrages que l’analyse n’a point entendus ; magasins de marchandises mêlées, dont il n’y a proprement que le bordereau qui lui appartienne : c’est un commentaire où l’on rencontre souvent ce qu’on ne cherche point, rarement ce qu’on cherche, et presque toujours les choses dont on a besoin égarées dans la foule des inutiles. Une conséquence de ce qui précède, c’est qu’il n’y a point et que peut-être même il ne peut y avoir d’inversion dans l’esprit, surtout si l’objet de la contemplation est abstrait et métaphysique ; et que quoique le grec dise | vissai νικῆσαι ’Oλύµπια Θέλεις, κᾀγὼ νῂ τοὐς θεοὐς κοµψὸν γάρ ἐστιν, et le latin honores plurimum valent apud prudentes, si sibi collatos intelligant ; la syntaxe française et l’entendement gêné par la syntaxe, grecque ou latine, disent sans inversion : « Vous voudriez bien être de l’Académie française ? et moi aussi ; car c’est un honneur ; et le sage peut faire cas d’un l’honneur qu’il sent qu’il mérite. » Je ne voudrais donc pas avancer généralement et sans distinction que les Latins ne renversent point, et que c’est nous qui renversons. Je dirais seulement qu’au lieu de comparer notre phrase à l’ordre didactique des idées, si on la com-
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giamo continuamente: impieghiamo molto tempo per renderlo con fedeltà; ma esso esiste intero e tutta in una volta: lo spirito non va a passi contati come l’espressione. Il pennello esegue solo in molto tempo ciò che l’occhio del pittore coglie tutto in una volta. La formazione delle lingue esigeva la scomposizione; ma vedere un oggetto, giudicarlo bello, provare una sensazione gradevole, desiderarne il possesso, è lo stato dell’anima nello stesso istante;71 e che il greco e il latino rendono con una sola parola. Pronunciata questa parola, tutto è detto, tutto è sentito. Ah! Signore, quanto del nostro intelletto è modificato dai segni, e quanto la dizione più viva è la copia fredda di ciò che accade: Les ronces dégoutantes Portent de ses cheveux les dépouilles sanglantes.72 Ecco una delle rappresentazioni più rassomiglianti che abbiamo. Tuttavia quant’è ancora lontana da ciò che immagino! Vi esorto, signore, a riflettere su queste cose, se volete comprendere quanto è complicata la questione delle inversioni. Io mi occupo di formare nubi piuttosto che di dissiparle,73 e a sospendere i giudizi piuttosto che giudicare, vi dimostrerò ancora che se il paradosso che ho appena avanzato non è vero, se non abbiamo molteplici sensazioni contemporaneamente, è impossibile ragionare e discorrere; perché discorrere o ragionare è comparare due o più idee. Ora come comparare delle idee che non sono presenti allo spirito nello stesso momento? Non potete negare che abbiamo talvolta più sensazioni, come quelle del colore di un corpo e della sua figura; ora non vedo quale privilegio le sensazioni abbiano rispetto alle idee arbitrarie e intellettuali. Ma la memoria, secondo voi, non suppone nel giudizio due idee presenti contemporaneamente allo spirito?74 L’idea che si ha attualmente e il ricordo di quella che abbiamo avuto? Da parte mia, penso che sia questa la ragione per cui il giudizio e una grande memoria si trovano così raramente insieme. Una grande memoria presuppone la facilità di avere contemporaneamente o rapidamente una molteplicità d’idee differenti, e questa facilità nuoce alla comparazione tranquilla di un piccolo numero d’idee che lo spirito deve, per così dire, esaminare attentamente. Una testa ingombrata da un gran numero di cose disparate è molto simile a una biblioteca di volumi disparati. È una di quelle germaniche compilazioni, senza criterio e senza gusto, di ebraico, arabo, greco e latino, che sono già molto voluminose, che si appesantiscono ancora, che diventeranno sempre più pesanti, e che saranno sempre più insoddisfacenti. È uno di quei negozi pieni di analisi e di giudizi di opere che l’analista non ha capito per nulla; negozi di mercanzie disordinate, di cui c’è solo l’inventario a essere utile:75 è commentario in cui si trova spesso ciò che non si cerca; raramente ciò che si cerca, e quasi sempre cose di cui si ha bisogno, sono smarrite in una moltitudine di inutilità. Una conseguenza di quanto precede, è che non c’è e forse non può esserci inversione nel nostro spirito, soprattutto se l’oggetto della contemplazione è astratto e metafisico; e che nonostante il greco dica νικῆσαι ’Oλύµπια Θέλεις, κᾀγὼ νῂ τοὐς θεοὐς κοµψὸν γάρ ἐστιν76 E il latino honores plurimum valent apud prudentes, si sibi collatos intelligant, la sintassi francese, e l’intelletto disturbato dalla sintassi, greca o latina, dicono senza inversione: «Vous voudriez bien être de l’Académie française? Et moi aussi ; car c’est un honneur et le sage peut faire cas de l’honneur qu’il sent qu’il mérite. » Non vorrei dunque affermare generalmente e senza distinzione che i Latini usano mai l’inversione, e che siamo noi a usarla. Dirò semplicemente che al posto di confrontare la nostra frase con l’ordine didattico delle idee, se la compariamo all’ordine d’invenzione delle parole,
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pare à l’ordre d’invention des mots, au langage des gestes auquel le langage oratoire a été substitué par degrés, il paraît que nous renversons, et que de tous les peuples de la terre il n’y en a point qui ait autant d’inversions que nous : mais que si l’on compare notre construction à celle des vues de l’esprit assujetti par la syntaxe grecque ou latine, comme il est naturel de faire, il n’est guère possible d’avoir moins d’inversions que nous n’en avons. Nous disons les choses en français comme l’esprit est forcé de les considérer en quelque langue qu’on écrive. Cicéron a pour ainsi dire suivi la syntaxe française, avant que d’obéir à la syntaxe latine. D’où il s’ensuit, ce me semble, que la communication de la pensée étant l’objet principal du langage, notre langue est de toutes les langues la plus châtiée, la plus exacte et la plus estimable ; celle en un mot, qui a retenu le moins | de ces négligences que j’appellerais volontiers des restes de la balbutie des premiers âges. Ou pour continuer le parallèle sans partialité, je dirais que nous avons gagné à n’avoir point d’inversions, de la netteté, de la clarté, de la précision, qualités essentielles au discours ; et que nous y avons perdu de la chaleur, de l’éloquence et de l’énergie. J’ajouterais volontiers que la marche didactique et réglée à laquelle notre langue est assujettie, la rend plus propre aux sciences ; et que par les tours et les inversions que le grec, le latin, l’italien, l’anglais, se permettent, ces langues sont plus avantageuses pour les lettres. Que nous pouvons mieux qu’aucun autre peuple faire parler l’esprit, et que le bon sens choisirait la langue française ; mais que l’imagination et les passions donneront la préférence aux langues anciennes et à celles de nos voisins. Qu’il faut parler français dans la société et dans les écoles de philosophie ; et grec, latin, anglais, dans les chaires et sur les théâtres : que notre langue sera celle de la vérité, si jamais elle revient sur la terre ; et que la grecque, la latine et lies autres seront les langues de la fable et du mensonge. Le français est fait pour instruire, éclairer et convaincre ; le grec, le latin, l’italien, l’anglais, pour persuader, émouvoir et tromper ; parlez grec, latin, italien au peuple, mais parlez français au sage. Un autre désavantage des langues à inversions, c’est d’exiger, soit du lecteur, soit de l’auditeur, de la contention et de la mémoire. Dans une phrase latine ou grecque un peu longue, que de cas, de régimes, de terminaisons à combiner ! on n’entend presque rien, qu’on ne soit à la fin. Le français ne donne point cette fatigue. On le comprend à mesure qu’il est parlé. Les idées se présentent dans notre discours suivant l’ordre que l’esprit | a dû suivre, soit en grec, soit en latin, pour satisfaire aux règles de la syntaxe. La Bruyère vous fatiguera moins à la longue, que Tite-Live. L’un est pourtant un moraliste profond, l’autre un historien clair. Mais cet historien enchâsse si bien ses phrases, que l’esprit, sans cesse occupé à les déboîter les unes de dedans les autres, et à les restituer dans un ordre didactique et lumineux, se lasse de ce petit travail, comme le bras le plus fort, d’un poids léger qu’il faut toujours porter. Ainsi, tout bien considéré, notre langue pédestre a sur les autres l’avantage de l’utile sur l’agréable. Mais une des choses qui nuisent le plus dans notre langue et dans les langues anciennes à l’ordre naturel des idées, c’est cette harmonie du style à laquelle nous sommes devenus si sensibles, que nous lui sacrifions souvent tout le reste. Car il faut distinguer dans toutes les langues trois états par lesquels elles ont passé successivement au sortir de celui où elles n’étaient qu’un mélange confus de cris et de gestes, mélange qu’on pourrait appeler du nom de langage animal. Ces trois états sont l’état de naissance, celui de formation, et l’état de perfection. La langue naissante était un composé de mots et de gestes où les adjectifs sans genre ni cas, et les verbes sans conjugaisons ni
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al linguaggio dei gesti al quale quello verbale è stato sostituito per gradi, sembrerebbe che noi invertissimo, e che di tutti i popoli della terra, non ce n’è nessuno che abbia tante inversioni quante ne abbiamo noi. Però se si comparano le nostre costruzioni a quelle delle vedute dello spirito soggetto alla sintassi greca o latina, come è naturale fare, non è possibile avere meno inversioni di quelle che abbiamo. Diciamo le cose in francese, come lo spirito è obbligato a considerarle, in qualunque lingua si scriva. Cicerone ha, per così dire, seguito la sintassi francese prima che obbedire alla sintassi latina. Da questo consegue, mi sembra, che essendo la comunicazione del pensiero, il fine principale del linguaggio, la nostra lingua è fra tutte la più rigorosa, la più esatta e la più stimabile; quella, in una parola, che ha mantenuto meno quelle negligenze che chiamo volentieri dei residui della balbuzie delle prime età. O per continuare il confronto senza parzialità, direi che, non avendo alcuna inversione, abbiamo guadagnato in nettezza, chiarezza, precisione, qualità essenziali al discorso, e che abbiamo perduto il calore, l’eloquenza e l’energia. Aggiungerei volentieri che la progressione didattica e regolare alla quale la nostra lingua è soggetta la rende più adatta alle scienze; e che per i giri e le inversioni che il greco, il latino, l’italiano, l’inglese si permettono, queste lingue sono più avvantaggiate nelle lettere. Che noi possiamo far parlare lo spirito meglio di qualsiasi altro popolo, e che il buon senso sceglierebbe la lingua francese; ma che l’immaginazione e le passioni darebbero la preferenza alle lingue antiche e a quelle dei nostri vicini. Bisogna parlare francese nella società e nelle scuole di filosofia; e greco, latino, inglese nelle cattedre e nei teatri: poiché la nostra lingua sarà quella della verità, se mai essa è ritornata sulla terra, e poiché il greco e il latino e le altre saranno le lingue della favola e della menzogna. Il francese è appropriato per istruire, chiarire e convincere, il greco, il latino, l’italiano, l’inglese per persuadere, motivare ed errare; parlate greco, latino italiano al popolo, ma parlate francese al saggio. Un altro svantaggio delle lingue con l’inversione è di esigere sia dal lettore che dall’ascoltatore, concentrazione e memoria. In una frase latina o greca un po’ lunga, quanti casi, reggenze, desinenze da combinare! non si capisce praticamente niente finché non si arriva in fondo alla frase. Il francese non pone questa difficoltà. Lo si capisce man mano che viene parlato. Le idee si presentano nel nostro discorso seguendo l’ordine che lo spirito ha dovuto seguire, o in greco, o in latino, per soddisfare le regole della sintassi. La Bruyère vi stancherà meno di Tito Livio. Eppure uno è un moralista profondo, l’altro uno storico chiaro. Questo storico però incastona così bene le sue frasi, che lo spirito è continuamente intento a disincastrare le une dall’interno delle altre e a restituirle in un ordine didattico e chiaro, si stanca di questo piccolo lavoro, come il braccio più forte, con un peso leggero che deve portare sempre. Così, tutto sommato, la nostra la nostra lingua pedestre 77 ha sulle altre il vantaggio dell’utile sul piacevole. Ma una delle cose che nocciono di più nella nostra lingua e nelle lingue antiche all’ordine naturale delle idee, è quest’armonia dello stile alla quale siamo divenuti così sensibili, che spesso sacrifichiamo a essa tutto il resto. Perché bisogna distinguere in tutte le lingue tre stadi attraverso i quali tutte sono passate successivamente, per uscire da quello in cui erano solo un miscuglio confuso di grida e di gesti, miscuglio che potremmo chiamare con il nome di linguaggio animale. Questi tre stadi sono quello della nascita, lo stadio della formazione e lo stadio della perfezione. La lingua nascente, essendo un composto di parole e di gesti, con gli aggettivi senza genere né caso, e i verbi senza coniugazioni né reggenze, conservano sempre la stessa desinenza; nella lingua formata c’erano delle parole, dei casi, dei generi, delle coniugazioni, delle
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régimes, conservaient partout la même terminaison ; dans la langue formée, il y avait des mots, des cas, des genres, des conjugaisons, des régimes, en un mot, les signes oratoires nécessaires pour tout exprimer, mais il n’y avait que cela. Dans la langue perfectionnée, on a voulu de plus | de l’harmonie, parce qu’on a cru qu’il ne serait pas inutile de flatter l’oreille en parlant à l’esprit. Mais comme on préfère souvent l’accessoire au principal ; souvent aussi l’on a renversé l’ordre des idées pour ne pas nuire à l’harmonie. C’est ce que Cicéron a fait en partie dans la période pour Marcellus. Car la première idée qui a dû frapper ses auditeurs, après celle de son long silence, c’est la raison qui l’y a obligé ; il devait donc dire : Diuturni silentii, quo, non timore aliquo, sed partim dolore, partim verecundia, eram his temporibus usus, finem hodiernus dies attulit. Comparez cette phrase avec la sienne, vous ne trouverez d’autre raison de préférence que celle de l’harmonie. De même dans une autre phrase de ce grand orateur, Mors, terrorque civium ac sociorum Romanorum, il est évident que l’ordre naturel demandait terror morsque. Je ne cite que cet exemple parmi une infinité d’autres. Cette observation peut nous conduire à examiner s’il est permis de sacrifier quelquefois l’ordre naturel à l’harmonie. L’on ne doit, ce me semble, user de cette licence que quand les idées qu’on renverse sont si proches l’une de l’autre, qu’elles se présentent presque à la fois à l’oreille et à l’esprit, à peu près comme on renverse la basse fondamentale en basse continue pour la rendre plus chantante ; quoique la basse continue ne soit véritablement agréable qu’autant que l’oreille y démêle la progression naturelle de la basse fondamentale qui l’a suggérée. N’allez pas vous | imaginer à cette comparaison, que c’est un grand musicien qui vous écrit : il n’y a que deux jours que je commence à l’être ; mais vous savez combien l’on aime à parler de ce qu’on vient d’apprendre. Il me semble qu’on pourrait trouver plusieurs autres rapports entre l’harmonie du style et l’harmonie musicale. Dans le style, par exemple, lorsqu’il est question de peindre de grandes choses ou des choses surprenantes, il faut quelquefois, sinon sacrifier, du moins altérer l’harmonie, et dire : Magnum Jovis incrementum. Nec brachía longo Margine terrarum porrexerat Amphitrire. Vita quoque omnis Omnibus e nervis atque ossibus exolvantur. Longo sed proximus intervallo.
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Ainsi dans la musique, il faut quelquefois dérouter l’oreille pour surprendre et contenter l’imagination. On pourrait observer aussi, qu’au lieu que les licences dans l’arrangement des mots ne sont jamais permises qu’en faveur de l’harmonie du style ; les licences dans l’harmonie musicale ne le | sont au contraire souvent que pour faire naître plus exactement et dans l’ordre le plus naturel les idées que le musicien veut exciter. Il faut distinguer dans tout discours en général la pensée et l’expression ; si la pensée est rendue avec clarté, pureté et précision, c’en est assez pour la conversation familière : joignez à ces qualités le choix des termes, avec le nombre et l’harmonie de la période, et vous aurez le style qui convient à la chaire ; mais vous serez encore loin de la poésie, surtout de la poésie que l’ode et le poème épique déploient dans leurs descriptions. Il passe alors dans le discours du poète un esprit qui en meut et vivifie toutes les syllabes. Qu’est-ce que cet esprit ? j’en ai quelquefois senti la présence ; mais tout ce
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reggenze, in una parola i segni verbali necessari per esprimere tutto, ma non c’era che questo. Nella lingua perfezionata, si è voluta più armonia perché si è creduto che non fosse inutile compiacere l’orecchio parlando allo spirito.78 Tuttavia, poiché si preferisce spesso l’accessorio al principale, spesso anche si è rovesciato l’ordine delle idee per non nuocere all’armonia. È quello che Cicerone ha fatto in parte nel periodo per Marcello. Perché la prima idea che ha dovuto colpire i suoi ascoltatori, dopo quella del suo lungo silenzio, è la ragione che lo ha costretto, dovette dunque dire: Diuturni silentii, quo, non timore aliquo, sed partim dolore, partim verecundia, eram his temporibus usus, finem hodiernum dies attulit. Confrontate questa frase con la sua, non troverete altra ragione di preferirla che quella dell’armonia. Ugualmente accade in un’altra frase di questo grande oratore, Mors, terroque civium ac sociorum Romanorum,79 è evidente che l’ordine naturale richiederebbe terror morsque. Cito solo quest’esempio tra un’infinità di altri. Quest’osservazione può portarci a esaminare se è permesso sacrificare qualche volta l’ordine naturale all’armonia. Credo che si dovrebbe usare questa licenza solo quando le idee che invertiamo sono così vicine l’una all’altra che si presentano quasi contemporaneamente all’orecchio e allo spirito, quasi come s’inverte il basso fondamentale in un basso continuo per renderlo più cantabile; sebbene il basso continuo non sia davvero gradevole che allorché l’orecchio vi distingua la progressione naturale del basso fondamentale che l’ha suggerita.80 Non crediate, da questo paragone, che colui che vi scrive sia un musicista: e soltanto da pochi giorni che ho iniziato a esserlo; ma sapete quanto amo parlare di ciò che ho appena appreso. Mi sembra che si potrebbero trovare molti altri rapporti tra l’armonia dello stile e l’armonia musicale. Nello stile, per esempio, quando è questione di rappresentare cose grandi o sorprendenti, bisogna a volte se non sacrificare, almeno alterare l’armonia e dire: Magnum Jovis incrementum.81 Nec brachía longo Margine terrarum porrexerat Amphitrire.82 Vita quoque omnis Omnibus e nervis atque ossibus exolvantur.83 Longo sed proximus intervallo.84 Così nella musica, bisogna a volte distogliere l’orecchio per sorprendere e accontentare l’immaginazione. Si potrà osservare anche, che al posto delle licenze nell’ordine delle parole non sono mai ammesse se non a favore dell’armonia e dello stile; le licenze nell’armonia musicale non lo sono al contrario spesso che per far nascere più esattamente e nell’ordine più naturale le idee che il musicista vuole suscitare. In generale, bisogna distinguere in ogni discorso il pensiero dall’espressione; se il pensiero è reso con chiarezza, purezza e precisione, questo è sufficiente alla conversazione familiare: unite a queste qualità la scelta dei termini con il numero e l’armonia del periodo, e avrete lo stile che conviene alla cattedra, ma sareste ancora lontani dalla poesia; soprattutto dalla poesia che l’ode e il poema epico dispiegano nelle loro descrizioni. Passa allora nel discorso del poeta uno spirito che ne muove e vivifica tutte le sillabe. Che cos’è questo spirito? Ne ho a volte sentita la presenza; ma tutto quel che ne
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que j’en sais, c’est que c’est lui qui fait que les choses sont dites et représentées tout à la fois ; que dans le même temps que l’entendement les saisit, l’âme en est émue, l’imagination les voit, et l’oreille les entend ; et que le discours n’est plus seulement un enchaînement de termes énergiques qui exposent la pensée avec force et noblesse, mais que c’est encore un tissu d’hiéroglyphes entassés les uns sur les autres qui la peignent. Je pourrais dire en ce sens que toute poésie est emblématique. Mais l’intelligence de l’emblème poétique n’est pas donnée à tout le monde ; il faut être presque en état de le créer pour le sentir fortement. Le poète dit : Et des fleuves français les eaux ensanglantées Ne portaient que des morts aux mers épouvantées. Mais qui est-ce qui voit dans la première syllabe de portaient, les eaux gonflées de cadavres, et le cours des fleuves comme suspendu par cette digue ? Qui est-ce qui voit la masse des eaux et des cadavres s’affaisser et descendre vers les mers à la seconde syllabe du même mot ? L’effroi des mers est montré à tout lecteur dans épouvantées ; mais la prononciation emphatique de sa troisième syllabe me découvre encore leur vaste étendue. Le poète dit : Soupire, étend-les bras, ferme l’œil et s’endort. | 170
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Tous s’écrient, que cela est beau ! Mais celui qui s’assure du nombre des syllabes d’un vers par ses doigts, sentira-t-il combien il est heureux pour un poète qui a le soupir à peindre, d’avoir dans sa langue un mot dont la première syllabe est sourde, la seconde ténue, et la dernière muette. On lit étend les bras, mais on ne soupçonne guère la longueur et la lassitude des bras d’être représentées dans ce monosyllabe pluriel ; ces bras étendus retombent si doucement avec le premier hémistiche du vers, que presque personne ne s’en aperçoit, non plus que du mouvement subit de la paupière dans ferme l’œil, et du passage imperceptible de la veille au sommeil dans la chute du second hémistiche ferme l’œil et s’endort. L’homme de goût remarquera sans doute que le poète a quatre actions à peindre, et que son vers est divisé en quatre membres : que les deux dernières actions sont si voisines l’une de l’autre, qu’on ne discerne presque point d’intervalles entre elles, et que, des quatre membres du vers, les deux derniers, unis par une conjonction et par la vitesse de la prosodie de l’avant-dernier, sont aussi presque indivisibles : que chacune de ces actions prend, de la durée totale du vers, la quantité qui lui convient par la nature ; et qu’en les renfermant toutes quatre dans un seul vers, le poète a satisfait à la promptitude avec laquelle elles ont coutume de se succéder. Voilà, Monsieur, un de ces problèmes que le génie poétique résout sans se les proposer. Mais cette solution est-elle à la portée de tous les lecteurs ? Non, Monsieur, non ; aussi je m’attends bien que ceux qui n’ont pas saisi d’eux‑mêmes ces hiéroglyphes en lisant le vers de Despréaux (et ils seront en grand nombre) riront de mon commentaire, se rappelleront celui du Chefd’œuvre d’un inconnu, et me traiteront de visionnaire. Je croyais, avec tout le monde, qu’un poète pouvait être traduit par | un autre : c’est une erreur, et me voilà désabusé. On rendra la pensée, on aura peut-être le bonheur de trouver l’équivalent d’une expression ; Homère aura dit ἔκλαγξαν δ’ἄρ ὀιστοί, et l’on rencontrera tela sonant humeris ; c’est quelque chose, mais ce n’est pas tout. L’emblème délié, l’hiéroglyphe subtil qui règne dans une description entière, et qui dépend de la distribution des longues et des brèves dans les langues à quantité marquée, et de la distribution des voyelles entre les consonnes dans les mots de toute langue ; tout cela disparaît nécessairement dans la meilleure traduction.
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so è che esso fa in modo che tutte le cose siano dette e rappresentate contemporaneamente, che nello stesso tempo l’intelletto le coglie, l’anima ne è commossa, l’immaginazione le vede, l’orecchio le ode; e che il discorso non è più solamente un concatenamento di termini energici che espongono il pensiero con forza e nobiltà, ma che è anche un tessuto di geroglifici85 ammucchiati gli uni sugli altri che la dipingono. Potrei dire in questo senso che ogni poesia è emblematica. Ma non è data a tutti la capacità di comprensione l’emblema poetico. Bisogna essere quasi in grado di crearlo per sentirlo vivamente. Il poeta dice : Et des fleuves français les eaux ensanglantées Ne portaient que des morts aux mers épouvantées.86 Ma chi vede nella prima sillaba di portaient, le acque gonfie di cadaveri, e il corso dei fiumi come interrotto da questa diga? Chi vede la massa delle acque e dei cadaveri accasciarsi e discendere verso i mari alla seconda sillaba della stessa parola? Il terrore dei mari è mostrato al lettore dalla parola épouvantées; ma la pronuncia enfatica della sua terza sillaba mi rivela ancora la loro vasta distesa. Il poeta dice : Soupire, étend les bras, ferme l’œil et s’endort.87 Tutti esclamano, quant’è bello! Ma chi si accerta del numero delle sillabe di un verso contando con le dita, sentirà quant’è fortunato il poeta che deve rappresentare il sospiro,88 ad avere nella sua lingua una parola di cui la prima sillaba è sorda, la seconda tenue e l’ultima muta. Si legge étend les bras, ma non si sospetta che la lunghezza e la stanchezza delle braccia siano rappresentate in questo monosillabo plurale; queste braccia stese cadono così dolcemente con il primo emistichio del verso, che quasi nessuno se ne accorge, non più che del movimento subitaneo della pupilla nel ferme l’œil, e del passaggio impercettibile dalla veglia al sonno nella chiusa del secondo emistichio ferme l’œil et s’endort.89 L’uomo di gusto noterà senza dubbio che il poeta deve rappresentare quattro azioni, e che il suo verso è diviso in quattro parti: che le ultime due azioni sono così vicine l’una all’altra, che l’intervallo tra l’una e l’altra è pressoché impercettibile, e che le quattro parti del verso, le ultime due unite da una congiunzione e dalla velocità della prosodia del penultimo, sono anch’essi quasi indivisibili: che ciascuna di queste divisioni occupi la durata totale del verso, la quantità che gli conviene per natura; e racchiudendoli tutti e quattro in un solo verso, il poeta ha soddisfatto la rapidità con la quale abitualmente si susseguono. Ecco, Signore, uno di quei problemi che il genio poetico risolve senza proporselo. Ma questa soluzione è alla portata di tutti i lettori? No, Signore, no; mi aspetto anzi che quelli che non hanno capito da sé questi geroglifici leggendo il verso di Despréaux (e saranno molti) rideranno del mio commento, si ricorderanno di quello del Capolavoro sconosciuto,90 e mi tratteranno da visionario.91 Credevo insieme a tutti gli altri, che un poeta potesse essere tradotto da un altro: è un errore, e mi sono già disilluso. Si potrà rendere il pensiero, si avrà forse la fortuna di trovare l’equivalente di un’espressione; Omero avrebbe detto ἔκλαγξαν δ’ἄρ ὀιστοί,92 e noi lo ritroveremo tela sonant humeris,93 è qualcosa, ma non è tutto. Il fine emblema, il geroglifico sottile che regna in una descrizione intera e che dipende dalla distribuzione delle lunghe e delle brevi nelle lingue a quantità marcata, e dalla distribuzione delle vocali tra le consonanti nelle parole di ogni lingua, tutto questo sparisce necessariamente nella migliore traduzione.
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Virgile dit d’Euryale blessé d’un coup mortel : Pulchrosque per artus It cruor, inque humeros cervix collapsa recumbit , Purpureus veluti quum flos succisus aratro, Languescit moriens ; lassove papavera collo Demisere caput, pluviam Cum forte gravantur.
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Je ne serais guère plus étonné de voir ces vers s’engendrer par quelque jet fortuit de caractères, que d’en voir passer toutes les beautés hiéroglyphiques dans une traduction ; et l’image d’un jet de sang, it cruor ; et celle de la tête d’un moribond qui retombe sur son épaule, cervix collapsa recumbit ; et le bruit d’une fauxA qui scie, succisus ; est la défaillante de languescit moriens ; et la mollesse de la tige du pavot, lassove papavera collo, et le demisere caput, et le gravantur qui finit le tableau. Demisere est | aussi mou que la tige d’une fleur ; gravantur, pèse autant que son calice chargé de pluie. Collapsa marque effort et chute. Le même hiéroglyphe double se trouve à papavera. Les deux premières syllabes tiennent la tête du pavot droite, et les deux dernières l’inclinent. Car vous conviendrez que toutes ces images sont renfermées dans les quatre vers de Virgile, vous qui m’avez paru quelquefois si touché de l’heureuse parodie qu’on lit dans Pétrone du lassove papavera collo de Virgile, appliqué à la faiblesse d’Ascylte au sortir des bras de Circé. Vous n’auriez pas été si agréablement affecté de cette application, si vous n’eussiez reconnu dans le lassove papavera collo, une peinture fidèle du désastre d’Ascylte. Sur l’analyse du passage de Virgile, on croirait aisément qu’il ne me laisse rien à désirer, et qu’après y avoir remarqué plus de beautés, peut-être qu’il n’y en a, mais plus, à coup sûr, que le poète n’y en a voulu mettre, mon imagination et mon goût doivent être pleinement satisfaits. Point du tout, Monsieur : je vais risquer de me donner deux ridicules à la fois, celui d’avoir vu des beautés qui ne sont pas, et celui de reprendre des défauts qui ne sont pas davantage. Vous le dirai-je ? je trouve le gravantur un peu trop lourd pour la tête légère d’un pavot ; et l’aratro qui suit le succisus ne me paraît pas en achever la peinture hiéroglyphique. Je suis presque sûr qu’Homère eût placé à la fin de son vers un mot qui eût continué à mon oreille le bruit d’un instrument qui scie, ou peint à mon imagination la chute molle du sommet d’une fleur. C’est la connaissance, ou plutôt le sentiment vif de ces expressions hiéroglyphiques de la poésie, perdue pour les lecteurs ordinaires, qui décourage les imitateurs de génie. C’est là ce qui faisait dire à Virgile, qu’il était aussi difficile d’enlever un vers à Homere que d’arracher un clou à la massue d’Hercule. Plus un poète est chargé de ces hiéroglyphes, plus il est difficile à rendre ; et les vers d’Homere en fourmillent. Je n’en veux | pour exemple que ceux où Jupiter aux sourcils d’ébène, confirme à Thétis aux épaules d’ivoire, la promesse de venger l’injure faite à son fils. ἦ καὶ κυανέῃσιν ἐπ᾽ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων : ἀμβρόσιαι δ᾽ ἄρα χαῖται ἐπερρώσαντο ἄνακτος κρατὸς ἀπ᾽ ἀθανάτοιο: μέγαν δ᾽ ἐλέλιξεν Ὄλυμπον
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Aratrum ne signifie point une faux ; mais on verra plus bas pourquoi je traduis ainsi
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Virgilio dice di Eurialo ferito da un colpo mortale: Pulchrosque per artus, It cruor ; inque humeros cervix collapsa recumbit, Purpureus veluti cum flos succisus aratro Languescit moriens ; lassove papavera collo Demisere caput, pluvia cum forte gravantur.94 Non sarei più stupito di vedere questi versi generarsi da qualche getto fortuito di caratteri,95 che di vederne passare tutte le bellezze geroglifiche in una traduzione; e l’immagine di un getto di sangue, it cruor; e quello della testa di un moribondo che ricade sulla sua spalla, cervix collapsa recumbit; e il rumore di una falceA che taglia, succisus, e il cedimento del languescit moriens, e la mollezza dello stelo del papavero, lassove papavera collo; e il demisere caput e il lavantur che conclude il quadro. Demisere è flessibile come lo stelo di un fiore, gravantur, pesa tanto quanto il suo calice colmo di pioggia. Collapsa marca lo sforzo e la caduta. Lo stesso geroglifico doppio si trova in papavera. Le prime due sillabe tengono la testa del papavero dritto e le ultime due lo inclinano. Perché converrete che tutte queste immagini sono contenute nei quattro versi di Virgilio, voi che mi siete sembrato talvolta così colpito dalla felice parodia che leggiamo in Petronio di lassove papavera collo di Virgilio, applicata alla debolezza di Ascilto96 quando lascia le braccia di Circe. Voi non sareste stato così favorevolmente colpito da questa applicazione, se non aveste riconosciuto nel lasso papavera collo un’immagine fedele del disastro di Ascilto. Sull’analisi del passaggio di Virgilio, si potrebbe credere facilmente che esso non mi lasci nulla da desiderare, e che dopo avervi notato più bellezze di quelle che forse vi sono, ma, verosimilmente, più di quelle che il poeta ha voluto metterci, la mia immaginazione e il mio gusto debbano essere pienamente soddisfatti. Niente affatto, Signore: sto per rischiare di cadere nel ridicolo due volte, la prima avendo visto delle bellezze che non ci sono, la seconda quella di notare dei difetti che non lo sono. Ve lo dirò? Trovo il gravantur un po’ troppo pesante per il capo leggero di un papavero, e l’aratro che segue succisus non mi sembra completare la rappresentazione geroglifica. Sono quasi sicuro che Omero avrebbe messo alla fine del suo verso una parola che avrebbe continuato al mio orecchio il rumore di uno strumento che falcia, o dipinto nella mia immaginazione la caduta delicata della corolla di un fiore. È la conoscenza, o piuttosto il sentimento vivo di queste espressioni geroglifiche della poesia, perdute per i lettori ordinari, che scoraggiano gli imitatori dei geni. È qui che si dovrebbe dire a Virgilio che era così difficile elevare un verso al livello di Omero quanto staccare un chiodo alla clava di Ercole.97 Più un poeta è carico di questi geroglifici, più è difficile da tradurre e in Omero abbondano. Non ne voglio come esempio che quelli in cui Giove dalle sopracciglia di ebano, conferma a Teti dalle spalle d’avorio, la promessa di vendicare l’ingiuria fatta a suo figlio. ἦ καὶ κυανέῃσιν ἐπ᾽ ὀφρύσι νεῦσε Κρονίων: ἀμβρόσιαι δ᾽ ἄρα χαῖται ἐπερρώσαντο ἄνακτος κρατὸς ἀπ᾽ ἀθανάτοιο: μέγαν δ᾽ ἐλέλιξεν Ὄλυμπον98 A
Aratrum non indica affatto una falce, ma vedremo in seguito perché lo traduco così.
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Combien d’images dans ces trois vers ! on voit le froncement des sourcils de Jupiter dans ἐπ᾽ ὀφρύσι, dans νεῦσε Κρονίων, et surtout dans le redoublement heureux des K, d’ ἦ καὶ κυανέῃσιν : la descente et les ondes de ses cheveux, dans ἐπερρώσαντο ἄνακτος : la tête immortelle du Dieu, majestueusement relevée par l’élision d’ ἄπó dans κρατὸς ἀπ᾽ ἀθανάτοιο: l’ébranlement de l’Olympe dans les deux premières syllabes d’ ἐλέλιξεν, la masse et le bruit de l’Olympe, dans les dernières de μέγαν et ἐλέλιξεν, et dans le dernier mot entier, où l’Olympe ébranlé retombe avec le vers, Ὄλυμπον. Ce vers, qui s’est rencontré au bout de ma plume, rend faiblement à la vérité, deux hiéroglyphes : l’un de Virgile et l’autre d’Homère, l’un d’ébranlement, et l’autre de chute. Où l’Olympe ébranlé retombe avec le vers. Hom. ἐλέλιξεν Ὄλυμπον; Virg. Procumbit humi bos.
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C’est le retour des λ dans ἐλέλιξεν Ὄλυμπον, qui réveille l’idée d’ébranlement. Le même retour des L se fait dans où l’Olympe ébranlé, mais avec cette différence, que les L y étant plus éloignées les unes des autres que dans ἐλέλιξεν Ὄλυμπον, l’ébranlement est moins prompt et moins analogue au mouvement des sourcils. Retombé avec le vers, rendrait assez bien le procumbit humi bos, sans la prononciation de vers qui est moins sourde et moins | emphatique que celle de bos, qui d’ailleurs se sépare beaucoup mieux d’avec humi, que vers ne se sépare d’avec l’article le, ce qui rend le monosyllabe de Virgile plus isolé que le mien, et la chute de son bos plus complète et plus lourde que celle de mon vers. Une réflexion qui ne serait guère plus déplacée ici que la harangue de l’empereur du Mexique dans le chapitre des Coches de Montaigne, c’est qu’on avait une étrange vénération pour les Anciens, et une grande frayeur de Despréaux, lorsqu’on s’avisa de demander s’il fallait ou non entendre les trois vers suivants d’Homère, comme Longin les a entendus, et comme Boileau et La Motte les ont traduits. Jupiter pater, sed tu libera a caligine Achivorum Ζεῦ πάτερ ἀλλὰ σὺ ῥῦσαι ὑπ᾽ ἠέρος υἷας Ἀχαιῶν, Fac serenitatem, daque oculis videre. ποίησον δ᾽ αἴθρην, δὸς δ᾽ ὀφθαλμοῖσιν ἰδέσθαι : Et in lucem perde nos, quando quidem tibi placuit ita. ἐν δὲ φάει καὶ ὄλεσσον, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως. Grand Dieu, chasse la nuit qui nous couvre les yeux, Et combats contre nous à la clarté des cieux. Boil.
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Voilà, s’écrie Boileau avec le rhéteur Longin, les véritables sentiments d’un guerrier. Il ne demande pas la vie ; un héros n’était pas capable de cette bassesse : mais comme il ne voit point d’occasion de signaler son courage au milieu de l’obscurité, il se fâche de ne point combattre ; il demande donc | en hâte que le jour paraisse pour faire au moins une fin digne de son grand cœur, quand il devrait avoir à combattre Jupiter même. Grand Dieu, rends-nous le jour, et combats contre nous ! La Motte. Eh ! messieurs, répondrai-je à Longin et à Boileau, il ne s’agit point des sentiments que doit avoir un guerrier, ni du discours qu’il doit tenir dans la circonstance où se trouve
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Quante immagini in questi tre versi! Si vede l’aggrottare delle sopracciglia di Giove ἐπ᾽ ὀφρύσι, in νεῦσε Κρονίων e soprattutto nella ripetizione felice delle Κ, di ἦ καὶ κυανέῃσιν: la discesa e le onde nei suoi capelli in ἐπερρώσαντο ἄνακτος: la testa immortale del Dio maestosamente risollevata dall’elisione di ἄπó in κρατὸς ἀπ᾽ ἀθανάτοιο: lo scuotimento dell’Olimpo nelle due prime sillabe di ἐλέλιξεν, la massa e il rumore dell’Olimpo di μέγαν e ἐλέλιξεν, e nell’ultima parola intera laddove l’Olimpo ricade con il verso, Ὄλυμπον. Questo verso che mi è rimasto nella penna, rende, debolmente per la verità, due geroglifici. L’uno di Virgilio e l’altro di Omero. L’uno lo scuotimento e l’altro la caduta: Où l’Olympe ébranlé retombe avec le vers. Omero. ἐλέλιξεν Ὄλυμπον Virg. Procumbit humi bos.99 È il ritornare delle λ in ἐλέλιξεν Ὄλυμπον, che risveglia l’idea di scuotimento. Lo stesso ripetersi delle L che si trova in Où l’Olympe ébranlé 100 ma con questa differenza: essendovi le L più lontane le une dalle altre che in ἐλέλιξεν Ὄλυμπον, lo scuotimento è meno immediato e meno analogo al movimento delle sopracciglia. Retombe avec le vers, renderebbe molto bene il procumbui humi bos, senza la pronuncia del vers che è meno sordo e meno enfatico di quello di bos,101 che d’altra parte si separa molto meglio da humi di quanto non si separi vers dall’articolo le, fatto che rende il monosillabo di Virgilio più isolato del mio e la caduta del suono bos più pesante e completa di quella del mio vers. Una riflessione che non sarà affatto più fuori luogo qui che l’orazione di un imperatore del Messico nel capitolo «des Coches» di Montaigne,102 è che abbiamo una strana venerazione per gli Antichi e una gran paura di Despréaux, quando ci si azzarda a domandare se si è sbagliato o no a intendere i due versi seguenti di Omero come Longino li ha intesi e come Boileau e La Motte li hanno tradotti. Jupiter pater, sed tu libera a caligine Achivorum Ζεῦ πάτερ ἀλλὰ σὺ ῥῦσαι ὑπ᾽ ἠέρος υἷας Ἀχαιῶν, Fac serenitatem, daque oculis videre. ποίησον δ᾽ αἴθρην, δὸς δ᾽ ὀφθαλμοῖσιν ἰδέσθαι: Et in lucem perde nos, quando quidem tibi placuit ita.103 ἐν δὲ φάει καὶ ὄλεσσον, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως. Grand Dieu, chasse la nuit qui nous couvre les yeux, Et combats contre nous à la clarté des cieux. 104 Boileau Ecco, esclama Boileau con il retore Longino, i veri sentimenti di un guerriero. Egli non chiede la vita; non essendo un eroe capace di una tale bassezza: ma poiché non vede occasione per esaltare il suo coraggio nel mezzo dell’oscurità, si irrita di non poter combattere; domanda dunque in fretta che il giorno appaia per fare almeno una fine degna del suo grande cuore, anche se dovesse combattere Giove stesso.105 Grand Dieu, rends-nous le jour et combats contre nous !106 La Motte Eh! Signore, risponderei a Longino e a Boileau, non si tratta affatto dei sentimenti che dovrebbe avere un guerriero, né del discorso che dovrebbe tenere nelle circostanze
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Ajax ; Homère savait apparemment ces choses aussi bien que vous ; mais de traduire fidèlement trois vers d’Homère : et si par hasard il n’y avait rien dans ces vers de ce que vous y louez, que deviendraient vos éloges et vos réflexions ? Que faudrait-il penser de Longin, de La Motte et de Boileau, si par hasard ils avaient supposé des fanfaronnades impies, où il n’y à qu’une prière sublime et pathétique ? et c’est justement ce qui leur est arrivé. Qu’on lise et qu’on relise tant qu’on voudra les trois vers d’Homère, on n’y verra pas autre chose que Père des dieux et des hommes, Ζεῦ πάτερ, chasse la nuit qui nous couvre les yeux ; et, puisque tu as résolu de nous perdre, perds-nous du moins à la clarté des cieux. Faudra-t-il sans combats terminer sa carrière ? Grand Dieu, chassez la nuit qui nous couvre les yeux, Et que nous périssions à la clarté des cieux.
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Si cette traduction ne rend pas le pathétique des vers d’Homère, du moins on n’y trouve plus le contresens de celle de La Motte et de Boileau. Il n’y a là aucun défi à Jupiter, on n’y voit qu’un héros prêt à mourir, si c’est la volonté de Jupiter, et quine lui demande d’autre grâce que celle de mourir en combattant, Ζεῦ πάτερ ; Jupiter ! Pater ! Est-ce ainsi que le philosophe Ménippe s’adresse à Jupiter ! | Aujourd’hui, qu’on est à l’abri des hémistiches du redoutable Despréaux, et que l’esprit philosophique nous a appris à ne voir dans les choses que ce qui y est, et à ne louer que ce qui est véritablement beau ; j’en appelle à tous les savants et à tous les gens de goût, à M. de Voltaire, à M. de Fontenelle, etc.... et je leur demande si Despréaux et La Motte n’ont pas défiguré l’Ajax d’Homère, et si Longin n’a pas trouvé qu’il n’en était que plus beau. Je sais quels hommes ce sont que Longin, Despréaux et La Motte : je reconnais tous ces auteurs pour mes maîtres, et ce n’est point eux que j’attaque ; c’est Homère que j’ose défendre. L’endroit du serment de Jupiter, et mille autres que j’aurais pu citer, prouvent assez qu’il n’est pas nécessaire de prêter des beautés à Homère ; et celui du discours d’Ajax ne prouve que trop qu’en lui en prêtant, on risque de lui ôter celles qu’il a. Quelque génie qu’on ait, on ne dit pas mieux qu’Homère, quand il dit bien. Entendons-le du moins avant que de tenter d’enchérir sur lui. Mais il est tellement chargé de ces hiéroglyphes poétiques dont je vous entretenais tout à l’heure, que ce n’est pas à la dixième lecture qu’on peut se flatter d’y avoir tout vu. On pourrait dire que Boileau a eu dans la littérature le même sort que Descartes en philosophie, et que ce sont eux qui nous ont appris à relever les petites fautes qui leur sont échappées. Si vous me demandez en quel temps l’hiéroglyphe syllabique s’est introduit dans le langage[, si] c’est une propriété du langage naissant, ou | du langage formé, ou du langage perfectionné ; je vous répondrai que les hommes, en instituant les premiers éléments de leur langue, ne suivirent, selon toute apparence, que le plus ou le moins de facilité qu’ils rencontrèrent dans la conformation des organes de la parole, pour prononcer certaines syllabes plutôt que d’autres, sans consulter le rapport que les éléments de leurs mots pouvaient avoir ou par leur quantité ou par leurs sons, avec les qualités physiques des êtres qu’ils devaient désigner. Le son de la voyelle A se prononçant avec beaucoup de facilité, fut le premier employé ; et on le modifia en mille manières différentes avant que de recourir à un autre son. La langue hébraïque vient à l’appui de cette conjecture. La plupart de ses mots ne sont que des modifications de la voyelle A ; et cette singularité du langage ne dément point ce que l’histoire nous apprend de l’ancienneté du peuple. Si l’on examine l’hébreu avec attention, on prendra nécessairement des dispositions à le reconnaître pour le langage des premiers habitants de la terre. Quant aux Grecs, il y avait longtemps qu’ils parlaient, et ils devaient avoir les
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in cui si trova Aiace; apparentemente Omero sapeva bene queste cose quanto voi; ma si tratta di tradurre fedelmente due versi di Omero: e se per caso non ci fosse niente in questi versi di quello che voi lodate essi diverrebbero vostri elogi e vostre riflessioni. Cosa si dovrebbe pensare di Longino, di La Motte e di Boileau, se per caso avessero immaginato delle fanfaronate empie, invece di una preghiera sublime e patetica? è per l’appunto ciò che è accaduto loro.107 Si possono leggere e rileggere finché si vuole i due versi di Omero, non ci si troverà altro che, Padre degli dei e degli uomini, Ζεῦ πάτερ, scaccia la notte che ci copre gli occhi, e poiché hai deciso di perderci, perdici almeno nella luce del giorno Faudra-t-il sans combats terminer sa carrière ? Grand Dieu, chassez la nuit qui nous couvre les yeux, Et que nous périssions à la clarté des cieux.108 Se questa traduzione non rende il patetico dei versi di Omero, almeno non ci si trova più il controsenso di quelli di La Motte e di Boileau.109 Non c’è alcuna sfida a Giove: non si vede che un eroe pronto a morire, se questa è la volontà di Giove, e che non gli chiede altra grazia che morire combattendo, Ζεῦ πάτερ, Giove! Padre! È così che il filosofo Menippo si rivolge a Giove!110 Oggi che siamo al riparo degli emistichi temibili di Despréaux,111 e quanto ci ha insegnato lo spirito filosofico a vedere nelle cose solo quello che è in esse, e a lodare solo ciò che è veramente bello, mi rivolgo a tutti i sapienti e a tutte le persone di buon gusto, e M. de Voltaire, a M. de Fontenelle, ecc. e chiedo loro se Despréaux e La Motte non hanno sfigurato l’Aiace di Omero; e se Longino non abbia pensato che fosse anche più bello. Conosco che uomini sono Longino, Despréaux e La Motte: riconosco tutti questi autori come miei maestri, e non sono loro che attacco; è Omero che oso difendere.112 Il passo del giuramento di Giove, e mille altri che avrei potuto citare, provano abbastanza che non è necessario prestare delle bellezze a Omero; e quello del discorso di Aiace prova fin troppo bene che prestandogli qualcosa si rischia di danneggiare quello che ha. Per quanta genialità possiamo avere, non ci esprimiamo meglio di Omero dice bene. Cerchiamo di comprenderlo almeno, prima di cercare di superarlo. Tuttavia è talmente pervaso di tutti questi geroglifici poetici su cui discorrevo poco fa, che lettura non possiamo persuaderci di aver colto tutto nemmeno alla decima. Potremmo dire che Boileau ha avuto in letteratura la stessa sorte che Cartesio ha avuto in filosofia, e che sono essi che ci hanno insegnato a rilevare i piccoli errori che sono sfuggiti loro.113 Se mi domandaste in quale epoca il geroglifico sillabico si è introdotto nel linguaggio, se sia una proprietà del linguaggio nascente, o del linguaggio formato, o del linguaggio perfezionato; vi risponderò che gli uomini istituendo i primi elementi del loro linguaggio, apparentemente, si attennero solo alla maggiore o minore facilità che trovavano nel pronunciare certe sillabe piuttosto che altre, secondo la conformazione degli organi della parola, senza consultare il rapporto che gli elementi delle loro parole potevano avere per loro quantità, o per i loro suoni, con le quantità fisiche degli esseri che dovevano designare. Il suono della vocale A pronunciandosi con molta facilità, fu il primo utilizzato. E lo abbiamo utilizzato in mille modi diversi prima di ricorrere a un altro suono.114 La lingua ebraica viene in appoggio di questa congettura. La maggior parte delle sue parole non sono che delle modificazioni della vocale A; questa particolarità del linguaggio non smentisce affatto quello che la storia ci insegna sull’antichità di quel popolo. Se si esamina l’ebraico con attenzione, si sarà sicuramente propensi a riconoscerlo come il linguaggio dei primi abitanti della terra.115 Quanto ai Greci, essi
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organes de la prononciation très exercés, lorsqu’ils introduisirent dans leurs mots la quantité, l’harmonie et l’imitation syllabique des mouvements et des bruits physiques. Sur le penchant qu’on remarque dans les enfants, quand il ont à désigner un être dont ils ignorent le nom, de suppléer au nom par quelqu’une des qualités sensibles de l’être ; je présume que ce fut en passant de l’état de langage naissant à celui de langage formé, que la langue s’enrichit de l’harmonie syllabique, et que l’harmonie périodique s’introduisit dans les ouvrages, plus ou moins marquée, à mesure que le langage s’avança de l’état de langage formé, à celui de langage perfectionné. | Quoi qu’il en soit de ces dates, il est constant que celui à qui l’intelligence des propriétés hiéroglyphiques des mots n’a pas été donnée, ne saisira souvent dans les épithètes que le matériel, et sera sujet à les trouver oisives ; il accusera des idées d’être lâches, ou des images d’être éloignées, parce qu’il n’apercevra pas le lien subtil qui les resserre. Il ne verra pas que, dans l’it cruor de Virgile, l’it est en même temps analogue au jet du sang et au petit mouvement des gouttes d’eau sur les feuilles d’une fleur ; et il perdra une de ces bagatelles qui règlent les rangs entre les écrivains excellents. La lecture des poètes les plus clairs a donc aussi sa difficulté ? oui, sans doute ; et je puis assurer qu’il y’a mille fois plus de gens en état d’entendre un géomètre qu’un poète, parce qu’il y a mille gens de bon sens contre un homme de goût, et mille personnes de goût contre une d’un goût exquis. On m’écrit que dans un discours prononcé par M. l’abbé de Bernis, le jour de la réception de M. de Bissy à l’Académie française, Racine est accusé d’avoir manqué de goût dans l’endroit où il a dit d’Hippolyte, Il suivait, tout pensif, le chemin de Mycènes, Sa main sur les chevaux laissait flotter les rênes. Ses superbes coursiers, qu’on voyait autrefois Pleins d’une ardeur si noble obéir à sa voix, L’œil morne maintenant et la tête baissée, Semblaient se conformer à sa triste pensée.
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Si c’est la description en elle-même que M. l’abbé de Bernis attaque, | ainsi qu’on me l’assure, et non le hors de propos, il serait difficile de vous donner une preuve plus récente et plus forte de ce que je viens d’avancer sur la difficulté de la lecture des poètes. On n’aperçoit rien, ce me semble, dans les vers précédents, qui ne caractérise l’abattement et le chagrin. Il suivait tout pensif le chemin de Mycènes, Sa main sur les chevaux laissait flotter les rênes. Les chevaux est bien mieux que ses chevaux ; mais combien l’image de ce qu’étaient ces superbes coursiers n’ajoute-t-elle pas à l’image de ce qu’ils sont devenus ? La nutation de tête d’un cheval qui chemine attristé, n’est-elle pas imitée dans une certaine nutation syllabique du vers ? L’œil morne maintenant et la tête baissée. Mais voyez comme le poète ramène les circonstances à son héros... ...Ses superbes coursiers, etc. Semblaient se conformer à sa triste pensée.
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parlavano da lungo tempo, quindi dovevano avere gli organi del della pronuncia molto esercitati, poiché introdussero nelle loro parole la quantità, l’armonia e l’imitazione sillabica dei movimenti e dei suoni fisici. Sulla base della propensione che notiamo nei bambini, quando devono designare un essere di cui ignorano il nome, di sostituire al nome alcune delle sue qualità sensibili; presumo che sia stato passando dallo stato del linguaggio nascente a quello del linguaggio formato, che la lingua si è arricchita dell’armonia sillabica; e che l’armonia del periodo, più o meno marcata, sia stata introdotta nelle opere nella misura in cui il linguaggio si è sviluppato dallo stadio di linguaggio formato a quello di linguaggio perfezionato. Sia quel che sia di questi dati, una costante è che chi non comprende le proprietà geroglifiche delle parole, spesso negli epiteti coglierà solo l’elemento materiale, e sarà portato a trovarli oziosi; accuserà le idee di essere vili o le immagini di essere lontane, perché non percepirà il sottile legame che le congiunge. Non vedrà che, nell’it cruor di Virgilio, l’it è allo stesso tempo analogo al getto di sangue e al piccolo movimento delle gocce d’acqua sulle foglie di un fiore; e si perderà una di queste bagatelle che regolano i ranghi tra gli scrittori eccellenti. Dunque anche la lettura dei poeti più chiari ha la sua difficoltà? Indubbiamente sì; e posso assicurare che ci sono mille volte più persone in grado di capire un geometra che un poeta, perché ci sono mille persone di buon senso per ognuna di buon gusto, e mille persone di gusto e per una ogni persona di gusto raffinato. Mi hanno scritto che in un discorso pronunciato dall’abate Bernis,116 il giorno dell’accoglienza del conte di Bissy all’Académie française, Racine è stato accusato di aver mancato di gusto nel momento in cui ha detto di Ippolito, Il suivait tout pensif le chemin de Mycenes, Sa main sur les chevaux laissait flotter les rênes. Ses superbes coursiers qu’on voyait autrefois Pleins d’une ardeur si noble obéir à sa voix, L’œil morne maintenant, et la tête baissée, Semblaient se conformer à sa triste pensée.117 Se è la descrizione in se stessa che l’abate di Bernis attacca, così come mi è stato assicurato, e non a sproposito, sarebbe difficile darvi una prova più recente e più solida di ciò che ho appena affermato sulla difficoltà di leggere dei poeti. Non si percepisce niente, mi sembra, nei versi precedenti, che non caratterizzi l’abbattimento e il dispiacere. Il suivait pensive le chemin de Mycenes, Sa main sur les chevaux laissait flotter rênes. Les chevaux è molto meglio di ses chevaux,118 ma quanto l’immagine dei superbi corsieri, si fonde all’immagine di quello che sono divenuti? Il dondolio della testa di un cavallo che cammina rattristato, non è imitata in una certa oscillazione sillabica del verso? L’œil morne maintenant, et la tête baissée. Ma vedete come il poeta riconduce le circostanze al suo eroe... ... Ses superbes coursiers ecc. Semblaient se conformer à sa triste pensée.
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Le semblaient me paraît trop sage pour un poète ; car il est constant que les animaux qui s’attachent à l’homme, sont sensibles-aux marques extérieures de sa joie et de sa tristesse. L’éléphant s’afflige de la mort de son conducteur ; le chien mêle ses cris à ceux de son maître, et le cheval s’attriste, si celui qui le guide est chagrin. La description de Racine est donc fondée dans la nature : elle est noble ; c’est un tableau poétique qu’un peintre imiterait avec succès. La poésie, | la peinture, le bon goût et la vérité concourent donc à venger Racine de la critique de M. l’abbé de Bernis. Mais si l’on nous faisait remarquer à Louis-le-Grand toutes les beautés de cet endroit de la tragédie de Racine, on ne manquait pas de nous avertir en même temps qu’elles étaient déplacées dans la bouche de Théramène, et que Thésée aurait eu raison de l’arrêter, et de lui dire : eh ! laissez là le char et les chevaux de mon fils, et parlez-moi de lui. Ce n’est pas ainsi, nous ajoutait le célèbre Porée, qu’Antiloche annonce à Achille la mort de Patrocle. Antiloche s’approche du héros, les larmes aux yeux, et lui apprend en deux mots la terrible nouvelle, δάκρυα θερὰ φάτο, δ’ ἁγγελίν ἁλεγεινήν Κειται Πάτροκλος, etc.
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« Patrocle n’est plus ; on combat pour son cadavre ; Hector a ses armes. » Il y a plus de sublime dans ces deux vers d’Homère, que dans toute la pompeuse déclamation de Racine. Achille, vous n’avez plus d’ami, et vos armes sont perdues... A ces mots qui ne sent qu’Achille doit voler au combat ? Lorsqu’un morceau pèche contre le décent et le vrai, il n’est beau ni dans la tragédie, ni dans le poème épique. Les détails de celui de Racine ne convenaient que dans la bouche d’un poète parlant en son nom, et décrivant la mort d’un de ses héros. | C’est ainsi que l’habile rhéteur nous instruisait : il avait certes de l’esprit et du goût ; et l’on peut dire de lui que ce fut le dernier des Grecs. Mais ce Philopemene des rhéteurs faisait ce qu’on fait aujourd’hui. Il remplissait d’esprit ses ouvrages, et il semblait réserver son goût pour juger des ouvrages des autres. Je reviens à M. l’abbé de Bernis ; a-t-il prétendu seulement que la description de Racine était déplacée ? C’est précisément ce que le P. Porée nous apprenait il y a trente à quarante ans : a-t-il accusé de mauvais goût l’endroit que je viens de citer ? l’idée est nouvelle ; mais est-elle juste ? Au reste, on m’écrit encore qu’il y a dans le discours de M. l’abbé de Bernis des morceaux bien pensés, bien exprimés et en grand nombre ; vous en devez savoir là-dessus plus que moi ; vous, Monsieur, qui ne manquez aucune de ces occasions où l’on se promet d’entendre de belles choses. Si, par hasard il ne se trouvait dans le discours de M. l’abbé de Bernis rien de ce que j’y viens de reprendre, et qu’on m’eût fait un rapport infidèle, cela n’en prouverait que mieux l’utilité d’une bonne lettre à l’usage de ceux qui entendent et qui parlent. Partout où l’hiéroglyphe accidentel aura lieu, soit dans un vers, soit sur un obélisque, comme il est ici l’ouvrage de l’imagination, et là celui du mystère, il exigera, pour être entendu, ou une imagination, ou une sagacité peu communes. Mais s’il est si difficile de bien entendre des vers, combien | ne l’est-il pas davantage d’en faire ? On me dira peut-être tout le monde fait des vers ; et je répondrai simplement, presque personne ne fait des vers. Tout art d’imitation ayant ses hiéroglyphes particuliers, je voudrais bien que quelque esprit instruit et délicat, s’occupât un jour à les comparer entre eux.
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Il semblaient mi sembra troppo saggio per un poeta; perché è accertato che gli animali che si affezionano all’uomo sono sensibili ai segni esteriori della sua gioia e della sua tristezza. L’elefante si affligge per la morte del suo conduttore; il cane mescola i suoi gemiti a quelli del suo maestro, e il cavallo si rattrista se colui che lo guida è dispiaciuto.119 La descrizione di Racine è dunque fondata sulla natura, essa è nobile, è un quadro poetico che un pittore potrebbe imitare con successo. La poesia, la pittura, il buon gusto e la verità concorrono dunque a vendicare Racine, della critica dell’abate de Bernis. Tuttavia se non ci facesse notare al Louis-le-Grand tutte le bellezze di questo passaggio della tragedia di Racine, non si mancherebbe di farci notare al contempo che esse sono fuori posto nella bocca di Teramene, e che Teseo avrebbe avuto ragione a fermarlo e dirgli: «Ehi, lascia la carne e i cavalli di mio figlio, e parlami di lui». Non è così, ci aggiunge il celebre Porée,120 che Antiloco annuncia a Achille la morte di Patroclo. Antiloco si avvicina all’eroe con le lacrime agli occhi e lo informa in due parole della terribile notizia, δάκρυα θερὰ φάτο, δ’ ἁγγελίν ἁλεγεινήν Κειται Πάτροκλος, ecc.121 «Patroclo non c’è più; combattiamo per il suo cadavere; Ettore ha le sue armi.» C’è più sublimità in questi due versi di Omero che in tutte le pompose declamazioni di Racine, Achille, voi non avete più amici, e le vostre armi sono perdute... A queste parole chi non sente che Achille deve volare a combattere? Quando un brano va contro la convenienza e il vero, non è bello né all’interno di una tragedia né in un poema epico. I dettagli di quello di Racine sono adeguati solo alla bocca di un poeta che parla a suo nome, descrivendo la morte di uno dei suoi eroi. È così che l’abile retore ci istruiva: aveva sicuramente un certo spirito e gusto, e non possiamo dire di lui che fu l’ultimo dei Greci. Ma questo Filopemene dei retori122 faceva quello che facciamo noi oggi. Riempiva di spirito le opere, e sembrava affidarsi al suo gusto per giudicare le opere degli altri. Ritorno all’abate Bernis; si è forse limitato a pretendere che la descrizione di Racine fosse fuori luogo? È precisamente quello che padre Porée ci spiegava trenta o quarant’anni fa: ha accusato di cattivo gusto il passo che ho appena citato? L’idea è nuova; ma è giusta? Del resto, mi hanno scritto anche che ci sono nel discorso dell’abate Bernis numerosi brani ben pensati e ben espressi: voi dovete saperne più di me a questo proposito; voi, Signore, che non mancate nessuna di queste occasioni in cui ci si ripromette di ascoltare delle belle cose. Se per caso non si trovasse nel discorso dell’abate Bernis niente di ciò che ho appena ripreso e mi fosse stato fatto un resoconto infedele, questo proverebbe ancor meglio l’utilità di una bella Lettera a uso di coloro che sentono e che parlano. Ovunque si troverà il geroglifico accidentale, sia in un verso, sia su un obelisco, poiché si tratta dell’opera dell’immaginazione nel primo caso, e i secondo è opera del mistero, esso esigerà, per essere compreso, un’immaginazione o una sagacia poco comuni. Tuttavia comprendere bene dei versi è difficile tanto quanto scriverne? Mi si dirà forse che tutti scrivono versi; e io risponderò semplicemente, quasi nessuno scrive versi. Ogni arte imitativa ha i suoi geroglifici particolari, vorrei davvero che un giorno qualche spirito istruito e delicato si occupasse di compararli tra loro.
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Balancer les beautés d’un poète avec celles d’un autre poète, c’est ce qu’on a fait mille fois. Mais rassembler les beautés communes de la poésie, de la peinture et de la musique, en montrer les analogies, expliquer comment le poète, le peintre et le musicien rendent la même image saisir les emblèmes fugitifs de leur expression, examiner s’il n’y aurait pas quelque similitude entre ces em c’est ce qui reste à faire, et ce que je vous conseille d’ajouter à vos Beaux-arts réduits à un même principe. Ne manquez pas non plus de mettre à la tête de cet ouvrage un chapitre sur ce que c’est que la belle nature ; car je trouve des gens qui me soutiennent que faute de l’une de ces choses votre traité reste sans fondement ; et que faute de l’autre, il manque d’application. Apprenez-leur, Monsieur, une bonne fois, comment chaque art imite la nature dans un même objet ; et démontrez-leur qu’il est faux, ainsi qu’ils le prétendent, que toute nature soit belle, et qu’il n’y ait de laide nature que celle qui n’est pas à sa place. Pourquoi, me disentils, un vieux chêne gercé, tortu, ébranché, et que je ferais couper s’il était à ma porte, est-il précisément celui que le peintre y planterait, s’il avait à peindre ma chaumière ? Ce chêne est-il beau ? est-il laid ? qui a raison du propriétaire ou du peintre ? Il n’est pas un seul objet d’imitation sur lequel ils ne fassent la même difficulté et beaucoup d’autres. Ils veulent que je leur dise encore pourquoi une peinture admirable dans un | poème deviendrait ridicule sur la toile ? par quelle singularité le peintre qui se proposerait de rendre avec son pinceau ces beaux vers de Virgile : Interea magno misceri murmure pontum Emissamque hiemem sensit Neptunus, et imis Stagna refusa vadis ; graviter commotus, et alto Prospiciens summa placidum caput extulit unda. Par quelle singularité, disent-ils, ce peintre ne pourrait prendre le moment frappant, celui où Neptune élève sa tête hors des eaux ? pourquoi le dieu ne paraissant alors qu’un homme décollé, sa tête si majestueuse dans le poème, ferait-elle un mauvais effet sur les ondes ? Comment arrive-t-il que ce qui ravit notre imagination déplaise à nos yeux ? La belle nature n’est donc pas une pour le peintre et pour le poète, continuent‑ils ? Dieu sait les conséquences qu’ils tirent de cet aveu. En attendant que vous me délivriez de ces raisonneurs importuns, je vais m’amuser sur un seul exemple de l’imitation de la nature dans un même objet, d’après la poésie, la peinture et la musique. Cet objet d’imitation des trois arts est une femme mourante : le poète dira :
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Ou
Illa, graves oculos conata attollere, rursus Deficit. Infixum stridit sub pectore vulnus. Ter sese adtollens cubitoque [innixa] levavit ; | Ter revoluta toro est, oculisque errantibus alto Qusesivit cœlo lucem, ingemuitque reperta. Virg. vita quoque omnis Omnibus e nervis atque ossibus exsolvatur. Lucret.
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Paragonare la bellezza di un poeta con un altro poeta, è ciò che si è fatto mille volte. Però paragonare le bellezze comuni della poesia, della pittura e della musica, mostrarne le analogie, spiegare come il poeta, il pittore e il musicista rendono la stessa immagine, conoscere gli emblemi fuggitivi della loro espressione, esaminare se non ci fosse qualche similitudine tra questi emblemi ecc. è ciò che resta da fare, e quello che vi consiglio di aggiungere al vostro Le belle arti ridotte a un unico principio. Non mancate di mettere all’inizio di quest’opera un capitolo sulla bella natura; perché incontro delle persone che sostengono che in mancanza della prima il vostro trattato resta senza fondamento;123 e che senza l’altra, manca di applicazione. Insegnate, Signore, una buona volta come ciascuna arte imita la natura nello stesso oggetto; e dimostrate loro che è falso, quello che pretendono, cioè che tutta la natura sia bella, e che non ci sia natura brutta tranne quella che non è al suo posto. Perché, mi dicono, una vecchia quercia rugosa, contorta, sfrondata e che farei tagliare se fosse davanti alla mia porta, è esattamente ciò che il pittore pianterebbe, se dovesse dipingere la mia catapecchia? Questa quercia è bella? È brutta? Chi ha ragione il suo proprietario o il pittore? Non è solo un oggetto d’imitazione sul quale non si facciano la stessa difficoltà e molte altre. Vogliono che dica loro perché una pittura ammirevole in un poema diventerebbe ridicola sulla tela, per quale stranezza il pittore che si proponesse di rendere con il suo pennello questi bei versi di Virgilio: Interea magno misceri murmure pontum Emissamque hiemem sensit Neptunus et imis Stagna refusa vadis ; graviter commotus, et alto Prospiciens summa placidum caput extulit unda.124 Per quale stranezza, dicono, la pittura non potrebbe cogliere il momento decisivo in cui Nettuno solleva la sua testa fuori dalle acque? perché il dio non sembrerebbe allora che un uomo decapitato, la sua testa, maestosa nel poema, farebbe un brutto effetto sulle onde? Come può accadere che ciò che incanta l’immaginazione dispiaccia ai nostri occhi?125 La bella natura non è dunque unica per il pittore e per il poeta, continuano? Dio solo sa le conseguenze che traggono da quest’ammissione. Attendendo che voi mi liberiate da questi ragionatori inopportuni, mi divertirò su un solo esempio di imitazione della natura nello stesso oggetto, secondo la poesia, la pittura e la musica. Quest’oggetto d’imitazione delle tre arti è una donna morente: il poeta dirà: Illa graves oculos conata attollere, rursus Deficit. Infixum stridet sub pectore vulnus. Ter sese attollens cubitoque innixa levavit ; Ter revoluta toro est, oculisque errantibus alto Quaesivit cœlo lucem, ingemuitque reperta.126 Virgilio Oppure: Vita quoque omnis Omnibus e nervis atque ossibus exsolvatur.127 Lucrezio
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Le musicienA commencera par pratiquer un intervalle de semi-ton en descendant (a) ; illa graves oculos conata attollere, rursus de deficit. Puis il montera par un intervalle de fausse quinte (r) ; et après un repos, par l’intervalle encore plus pénible de triton (b), ter sese attollens, suivra un petit intervalle de semi-ton en montant (c) ; oculis que erramibus alto quæsivit coelo lucem. Ce petit intervalle en montant sera le rayon de lumière. C’était le dernier effort de la moribonde ; elle ira ensuite toujours en déclinant par des degrés conjoints (d) revoluta toro est. Elle expirera enfin et s’éteindra par un intervalle de demi-ton (e), vita quoque onmis, omnibus e nervis atque ossibus exsolvatur. Lucrèce peint la résolution des forces par la lenteur de deux spondées, exsolvatur ; et le musicien la | rendra par deux blanches en degrés conjoints (f) ; la cadence sur la seconde de ces blanches sera une imitation très frappante du mouvement vacillant d’une lumière qui s’éteint.
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A
Voyez la planche.
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Il musicista A comincerà col fare un intervallo di semitono discendente (a); illa graves oculos conata attollere rursus deficit. Poi salirà con un intervallo di quinta diminuita128 (r); e dopo una pausa, con un intervallo ancora più arduo di tritoni129 (b); ter sese attollens: seguirà un piccolo intervallo di semitono ascendente (c); oculis errantibus alto quaesivit coelo lucem. Questo piccolo intervallo ascendente sarà il raggio di luce. È l’ultimo sforzo della moribonda, ella andrà in seguito sempre declinando per gradi congiunti130 (d), revoluta toro est. Ella spirerà infine e si distenderà con un intervallo di semitono (e), vita quoque omnis, omnibus e nervis atque ossibus exsolvantur. Lucrezio dipinge la soluzione delle forze attraverso la lentezza dei due spondei,131 exolvantur; e il musicista la renderà con due spazi in gradi congiunti (f); la cadenza132 a seconda di questi spazi sarà un’imitazione molto suggestiva del movimento vacillante di una luce che si spegne.
A
Si veda la tavola.
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Parcourez maintenant des yeux l’expression du peintre, vous y reconnaîtrez partout l’exsolvatur de Lucrèce dans les jambes, dans la main gauche, dans le bras droit. Le peintre n’ayant qu’un moment, n’a pu rassembler autant de symptômes mortels que le poète ; mais en revanche ils sont bien plus frappants. C’est la chose même que le peintre montre ; les expressions du musicien et du poète n’en sont que des hiéroglyphes. Quand le musicien saura son art, les parties d’accompagnement concourront, ou à fortifier l’expression de la partie chantante, ou à ajouter de nouvelles idées que le sujet demandait, et que la partie chantante n’aura pu rendre. Aussi les premières mesures de la basse serontelles ici d’une harmonie très lugubre, qui résultera d’un accord de septième superflue (g), mise comme hors des règles ordinaires, et suivie d’un autre | accord dissonant de fausse quinte (h). Le reste sera un enchaînement de sixtes et de tierces molles (k) qui caractériseront l’épuisement des forces, et qui conduiront à leur extinction. C’est l’équivalent des spondées de Virgile alto quæsivit cœlo lucem. Au reste, j’ébauche ici ce qu’une main plus habile peut achever. Je ne doute point que l’on ne trouvât dans nos peintres, nos poètes et nos musiciens, des exemples, et plus analogues encore les uns aux autres, et plus frappants, du sujet même que j’ai choisi : mais je vous laisse le soin de les chercher et d’en faire usage, à vous, Monsieur, qui devez être peintre, poète, philosophe et musicien ; car vous n’auriez pas tenté de réduire les beauxarts à un même principe, s’ils ne vous étaient pas tous à peu près également connus. Comme le poète et l’orateur savent quelquefois tirer parti de l’harmonie du style, et que le musicien rend toujours sa composition plus parfaite, quand il en bannit certains accords, et des accords qu’il emploie, certains intervalles ; je loue le soin de l’orateur et le travail du musicien et du poète, autant que je blâme cette noblesse prétendue qui nous a fait exclure de notre langue un grand nombre d’expressions énergiques. Les Grecs, les Latins qui ne connaissent guère cette fausse délicatesse, disaient en leur langue ce qu’ils voulaient, et comme ils le voulaient. Pour nous, à force de raffiner, nous avons appauvri la notre, et n’ayant souvent qu’un terme propre à rendre une idée, nous aimons mieux affaiblir l’idée que de ne pas employer un terme noble. Quelle perte pour ceux d’entre nos écrivains qui ont l’imagination forte, que celle de tant de mots que nous revoyons avec plaisir dans Amyot et dans Montaigne. Ils ont commencé par être rejetés du beau style, parce qu’ils avaient passé dans le peuple ; et ensuite rebutés par le peuple même, qui à la longue est toujours le singe des Grands, ils sont devenus tout à fait inusités. Je ne doute point que nous n’ayons bientôt, comme les Chinois, la langue parlée et la langue écrite. Ce sera, Mon | sieur, presque ma dernière réflexion. Nous avons fait assez de chemin ensemble, et je sens qu’il est temps de se séparer. Si je vous arrête encore un moment à la sortie du labyrinthe où je vous ai promené, c’est pour vous en rappeler en peu de mots les détours. J’ai cru que pour bien connaître la nature des inversions, il était à propos d’examiner comment le langage oratoire s’était formé. J’ai inféré de cet examen 1°. que notre langue était pleine d’inversions, si on la comparait avec le langage animal, ou avec le premier état du langage oratoire, l’état où ce langage était sans cas, sans régime, sans déclinaisons, sans conjugaisons, en un mot, sans syntaxe. 2°. Que si nous n’avions dans notre langue presque rien de ce que nous appelons inversion dans les langues anciennes, nous en étions peut-être redevables au péripatétisme moderne, qui, réalisant les êtres abstraits, leur avait assigné dans le discours la place d’honneur. En appuyant sur ces premières vérités, j’ai pensé que, sans remonter à l’origine du langage oratoire, on pourrait s’en assurer par l’étude seule de la langue des gestes.
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Percorrete ora con gli occhi l’espressione del pittore,133 vi riconoscerete ovunque l’exolvatur di Lucrezio, nelle gambe, nella mano sinistra, nel braccio destro. Il pittore non avendo che un momento può mettere insieme tanti sintomi mortali quanti il poeta; ma in compenso sono molto più sconvolgenti. Il pittore mostra la cosa stessa, le espressioni del musicista e del poeta non sono che geroglifici. Quando il musicista conosce la sua arte, le parti di accompagnamento concorrono a rafforzare l’espressione della parte cantata, o ad aggiungere nuove idee che il soggetto chiedeva, e che la parte cantabile non avrebbe potuto rendere.134 Anche le prime misure del basso saranno qui di un’armonia molto lugubre, che risulterà da un accordo di settima superflua135 (g) costruito come fuori dalle regole ordinarie e seguito da un altro accordo dissonante di quinta diminuita (h). Il resto sarà un concatenamento di terze e di seste molli136 (k) che caratterizzeranno l’esaurimento delle forze, e che condurranno alla loro estinzione. È l’equivalente degli spondei di Virgilio, alto quæsivit cœlo lucem. Del resto, abbozzo qui quello che una mano più abile può compiere. Non dubito che si trovino tra i nostri pittori, tra i nostri poeti e tra i nostri musicisti, esempi ancora più simili gli uni agli altri e più sorprendenti dello stesso soggetto che ho scelto: ma lascio a voi, Signore, la cura di cercarli e di farne uso, voi che dovete essere pittore, poeta, filosofo e musicista; poiché non avreste tentato di ridurre le belle arti a uno stesso principio, se non vi fossero tutte approssimativamente egualmente conosciute. Come il poeta e l’oratore talvolta sanno trarre vantaggio dall’armonia dello stile, e il musicista rende sempre la sua composizione più perfetta quando cancella certi accordi, e dagli accordi che usa, toglie certi intervalli; elogio la cura dell’oratore e il lavoro del musicista e del poeta, tanto quanto biasimo questa pretesa nobiltà che ha fatto escludere dalla nostra lingua un gran numero di espressioni energiche. I Greci, i Latini che non conoscevano questa falsa delicatezza e dicevano nella loro lingua quello che volevano. Noi, a forza di raffinarci, abbiamo impoverito la nostra, e avendo spesso un solo termine adatto a rendere un’idea, amiamo affievolire l’idea piuttosto che usare un termine nobile. Che perdita per quelli fra noi scrittori che hanno una forte immaginazione, come quella di tante parole che rivediamo con piacere in Amyot e in Montaigne. Hanno cominciato a essere rifiutati dal bello stile, perché erano passati al popolo; e in seguito rifiutati dal popolo stesso, che alla lunga è sempre il segno dei Grandi, sono divenuti completamente inusitati. Non dubito per nulla che tra poco avremo, come i Cinesi, una lingua parlata e una lingua scritta.137 Questa sarà, Signore, pressoché la mia ultima riflessione. Abbiamo fatto abbastanza cammino insieme, e sento che è tempo di separarci. Se vi trattengo ancora un momento all’uscita del labirinto138 in cui vi ho portato a passeggiare, è per ricordarvi in poche parole le svolte. Ho creduto che per conoscere bene la natura delle inversioni, fosse opportuno esaminare com’era formato il linguaggio verbale. Ho dedotto da questo esame 1°. che la nostra lingua era piena di inversioni, se comparata al linguaggio animale, o con il primo stadio del linguaggio verbale, lo stadio in cui questo linguaggio era senza casi, senza reggenza, senza declinazioni, senza coniugazioni, in una parola senza sintassi. 2°. Che se non abbiamo nella nostra lingua praticamente nessuna di quelle che chiamiamo inversioni nelle lingue antiche, forse siamo debitori al peripatetismo moderno, che, realizzando gli esseri astratti, aveva assegnato loro il posto d’onore nel discorso. Fondandomi su queste prime verità, ho pensato che, senza risalire all’origine del linguaggio verbale, potremmo verificarle attraverso lo studio della lingua dei gesti.
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J’ai proposé deux moyens de connaître la langue des gestes ; les expériences sur un muet de convention, et la conversation assidue avec un sourd et muet de naissance. L’idée du muet de convention, ou celle d’ôter la parole à un homme pour s’éclairer sur la formation du langage, cette idée, dis-je, un peu généralisée, m’a conduit à considérer l’homme distribué en autant d’êtres distincts et séparés qu’il a de sens ; et j’ai conçu que si, pour bien juger de l’intonation d’un acteur, il fallait l’écouter sans le voir, il était naturel de le regarder sans l’entendre, pour bien juger de son geste. A l’occasion de l’énergie du geste, j’en ai rapporté quelques exemples frappants, qui m’ont engagé dans la considération d’une sorte de sublime, que j’appelle sublime de situation. | L’ordre qui doit régner entre les gestes d’un sourd et muet de naissance, dont la conversation familière m’a paru préférable aux expériences sur un muet de convention ; et la difficulté qu’on a de transmettre certaines idées à ce sourd et muet, m’ont fait distinguer, entre les signes oratoires, les premiers et les derniers institués. J’ai vu que les signes qui marquaient dans le discours les parties indéterminées de la quantité, et surtout celles du temps, avaient été du nombre des derniers institués ; et j’ai compris pourquoi quelques langues manquaient de plusieurs temps, et pourquoi d’autres langues faisaient un double emploi du même temps. Ce manque de temps dans une langue, et cet abus des temps dans une autre m’ont fait distinguer dans toute langue en général trois états différents, l’état de naissance, celui de formation, et l’état de perfection. J’ai vu sous la langue formée l’esprit enchaîné par la syntaxe, et dans l’impossibilité de mettre entre ses concepts l’ordre qui règne dans les périodes grecques et latines ; d’où j’ai conclu 1°. que, quel que soit l’ordre des termes dans une langue ancienne ou moderne, l’esprit de l’écrivain a suivi l’ordre didactique de la syntaxe française ; 2°. que, cette syntaxe étant la plus simple de toutes, la langue française avait à cet égard, et à plusieurs autres, l’avantage sur les langues anciennes. J’ai fait plus : j’ai démontré par l’introduction et par l’utilité de l’article hic, ille dans la langue latine et le dans la langue française, et par la nécessité d’avoir plusieurs perceptions à la fois pour former un jugement ou un discours, que, quand l’esprit ne serait point subjugué par les syntaxes grecque et latine, la suite de ses vues ne s’éloignerait guère de l’arrangement didactique de nos expressions. En suivant le passage de l’état de langue formée à l’état de langue perfectionnée, j’ai rencontré l’harmonie. J’ai comparé l’harmonie du style à l’harmonie musicale, et je me suis convaincu 1°. que dans les mots la première était un effet de la quantité, et d’un certain entrelacement des voyelles avec les consonnes, suggéré par l’instinct ; et que dans la période, elle résultait de l’arrangement des mots. 2°. que l’harmonie syllabique et l’harmonie périodique engendraient une | espèce d’hiéroglyphe particulier à la poésie ; et j’ai considéré cet hiéroglyphe dans l’analyse de trois ou quatre morceaux des plus grands poètes. Sur cette analyse, j’ai cru pouvoir assurer qu’il était impossible de rendre un poète dans une autre langue, et qu’il était plus commun de bien entendre un géomètre qu’un poète. J’ai prouvé par deux exemples la difficulté de bien entendre un poète ; par l’exemple de Longin, de Boileau et de La Motte, qui se sont trompés sur un endroit
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Ho proposto due mezzi per conoscere la lingua dei gesti; le esperienze con un muto convenzionale, e la conversazione assidua con un sordomuto dalla nascita. L’idea del muto per convenzione, o quella di vietare la parola a un uomo per far luce sulla formazione del linguaggio, quest’idea, dunque, un po’ generalizzata, mi ha condotto a considerare l’uomo distribuito in tanti esseri distinti e separati che hanno dei sensi, e ho concepito che, se per giudicare bene l’intonazione di un attore bisogna ascoltarlo senza vederlo, fosse naturale guardarlo senza ascoltarlo per giudicare bene il suo gesto. A proposito dell’energia del gesto, ne ho riportato qualche esempio significativo, che mi ha impegnato nella considerazione di una specie di sublime, che chiamo il sublime di situazione. L’ordine che deve regnare tra i gesti di un sordomuto dalla nascita, la cui conversazione familiare mi è sembrata preferibile alle esperienze su un muto per convenzione; e le difficoltà che abbiamo di trasmettere certe idee a questo sordomuto, mi hanno fatto distinguere tra i segni verbali, i primi e i secondi istituiti. Ho visto che i segni indicavano nel discorso le parti indeterminate della quantità, e soprattutto quelle del tempo, erano nel novero delle ultime istituite; e ho compreso perché alcune lingue mancano di molti tempi, e perché altre lingue danno un doppio uso dello stesso tempo. Questa mancanza di tempi in una lingua, e quest’abuso dei tempi in un’altra, mi hanno fatto distinguere, in tutte le lingue in generale, tre stati diversi; lo stato nascente, quello della formazione, e lo stato della perfezione. Ho visto sotto la lingua formata, lo spirito incatenato dalla sintassi, e nell’impossibilità di mettere tra i concetti l’ordine che regna nei periodi greci e latini; da questo ho concluso: 1°. Che, qualunque sia l’ordine dei termini, in una lingua antica o moderna, lo spirito dello scrittore ha seguito l’ordine didattico della sintassi francese; 2°. che poiché questa sintassi è la più semplice di tutte, la lingua francese aveva da questo punto di vista, e da molti altri, un vantaggio sulle lingue antiche. Ho fatto di più: ho dimostrato attraverso l’introduzione e l’utilità dell’articolo hic, ille, nella lingua latina, e le nella lingua francese; e dalla necessità di avere molte percezioni nello stesso tempo per formare un giudizio o un discorso, che, quando lo spirito non è assoggettato alla sintassi greca e latina, il susseguirsi dei suoi punti di vista non si allontanerebbe affatto dall’ordine dialettico delle nostre espressioni. Seguendo il passaggio dallo stato della lingua formata alla lingua perfezionata, ho trovato l’armonia. Ho confrontato l’armonia dello stile all’armonia musicale e mi sono convinto 1°. che nelle parole la prima è un effetto della quantità, e di un certo intreccio di vocali con le consonanti, suggerito dall’istinto, e che nel periodo risulta dall’ordine delle parole. 2°. che l’armonia sillabica e l’armonia periodica generano una specie di geroglifico particolare della poesia; e ho considerato questo geroglifico nell’analisi di tre o quattro brani di grandi poeti. Sulla base di quest’analisi, ho creduto di poter affermare che era impossibile rendere un poeta in un’altra lingua, e che era più comune comprendere bene un geometra piuttosto che un poeta. Ho provato con due esempi la difficoltà di comprendere bene un poeta; attraverso l’esempio di Longino, di Boileau e di La Motte che si sono sbagliati su un passo di
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d’Homère ; et par l’exemple de M. l’abbé de Bernis, qui m’a paru s’être trompé sur un endroit de Racine. Après avoir fixé la date de l’introduction de l’hiéroglyphe syllabique dans une langue, quelle qu’elle soit, j’ai remarqué que chaque art d’imitation avait son hiéroglyphe, et qu’il serait à souhaiter qu’un écrivain instruit et délicat en entreprît la comparaison. Dans cet endroit, j’ai tâché, Monsieur, de vous faire entendre que quelques personnes attendaient de vous ce travail, et que ceux qui ont lu vos beaux-arts réduits à l’imitation de la belle nature, se croyaient en droit d’exiger que vous leur expliquassiez clairement ce que c’est que la belle nature. En attendant que vous fissiez la comparaison des hiéroglyphes, de la poésie, de la peinture et de la musique, j’ai osé la tenter sur un même sujet. L’harmonie musicale qui entrait nécessairement dans cette comparaison, m’a ramené à l’harmonie oratoire. J’ai dit que les entraves de l’une et de l’autre étaient beaucoup plus supportables, que je ne sais quelle prétendue délicatesse qui tend de jour en jour à appauvrir notre langue ; et je le répétais, lorsque je me suis retrouvé dans l’endroit où je vous avais laissé. N’allez pas vous imaginer, Monsieur, sur ma dernière réflexion, que | je me repente d’avoir préféré notre langue à toutes les langues anciennes, et à la plupart des langues modernes. Je persiste dans mon sentiment, et je pense toujours que le français a sur le grec, le latin, l’italien, l’anglais, etc. l’avantage de l’utile sur l’agréable. L’on m’objectera peut-être que si, de mon aveu, les langues anciennes, et celles de nos voisins servent mieux à l’agrément, il est d’expérience qu’on n’en est pas abandonné dans les occasions utiles : mais je répondrai que, si notre langue est admirable dans les choses utiles, elle sait aussi se prêter aux choses agréables. Y a-t-il quelque caractère qu’elle n’ait pris avec succès ? Elle est folâtre dans Rabelais, naïve dans La Fontaine et Brantôme, harmonieuse dans Malherbe et Fléchier, sublime dans Corneille et Bossuet. Que n’est-elle point dans Boileau, Racine, Voltaire et une foule d’autres écrivains en vers et en prose ! Ne nous plaignons donc pas. Si nous savons nous en servir, nos ouvrages seront aussi précieux pour la postérité que les ouvrages des Anciens le sont pour nous. Entre les mains d’un homme ordinaire, le grec, le latin, l’anglais, l’italien ne produiront que des choses communes ; le français produira des miracles sous la plume d’un homme de génie. En quelque langue que ce soit, l’ouvrage que le génie soutient ne tombe jamais. |
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Omero; e con l’esempio dell’abate Bernis, che mi è sembrato essersi sbagliato a proposito di Racine. Dopo aver fissato la data dell’introduzione del geroglifico sillabico in una lingua, qualunque essa sia, ho messo in evidenza che ciascuna arte d’imitazione aveva il suo geroglifico, e che si dovrebbe augurare che uno scrittore istruito e delicato ne intraprendesse la comparazione. A questo punto, ho cercato, Signore, di farvi comprendere che alcune persone si aspettano da voi questo lavoro, e che quelli che hanno letto Le belle arti ridotte all’imitazione della bella natura, si credono in diritto di esigere che voi spieghiate loro chiaramente che cos’è la bella natura. Attendendo che facciate il confronto tra i geroglifici della poesia, della pittura e della musica, ho osato tentarlo sullo stesso soggetto. L’armonia musicale che rientrava necessariamente in questo confronto, mi ha riportato all’armonia oratoria. Ho detto che gli ostacoli dell’una e dell’altra erano molto più sopportabili, di non so quale pretesa delicatezza che tende di giorno in giorno a impoverire la nostra lingua; e l’ho ripetuto, quando mi sono trovato al punto in cui vi ho lasciato. Non crediate, Signore, che nella mia ultima riflessione che mi penta di aver preferito la nostra lingua a tutte le lingue antiche, e alla maggior parte delle lingue moderne. Persisto nel mio convincimento, e continuo a pensare che il francese abbia sul greco, sul latino, l’italiano, l’inglese ecc. il vantaggio dell’utile sul piacevole. Forse, mi si potrebbe obiettare che, se riconosco che le lingue antiche e quelle dei nostri vicini sono più adatte al piacere, per esperienza si può dire che possono soccorrerci anche nelle occasioni utili: ma risponderò che, se la nostra lingua è ammirevole nelle cose utili, essa sa anche prestarsi alle cose piacevoli. C’è qualche carattere che non abbia colto con successo? Essa è pazzerella in Rabelais, ingenua con La Fontaine e Brantome, armoniosa in Malherbe e Fléchier, sublime in Corneille e Bossuet: e cosa non è in Boileau, Racine, Voltaire, e una moltitudine di altri scrittori di versi e di prosa? Non lamentiamoci dunque. Se siamo in grado di servircene, le nostre opere saranno così preziose per la posterità, quanto le opere degli antichi lo sono per noi. Tra le mani di un uomo ordinario, il greco, il latino, l’inglese, l’italiano produrranno solo cose comuni; il francese produrrà dei miracoli sotto la penna di un genio. In qualunque lingua, l’opera sorretta dal genio non cade mai.
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Additions pour servir d’éclaircissemens à quelques endroits de la Lettre sur les sourds et muets L’auteur de la lettre précédente
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A M. B... son Libraire. Rien de plus dangereux, Monsieur, que de faire la critique d’un ouvrage qu’on n’a point lu, et à plus forte raison, d’un ouvrage qu’on ne connaît que par ouï-dire ; c’est précisément le cas où je me trouve. Une personne qui avait assisté à la dernière assemblée publique de l’Académie française, m’avait assuré que M. l’abbé de Bernis avait repris, non comme simplement déplacés, mais comme mauvais en eux-mêmes, ces vers du récit de Théramène, Ses superbes coursiers, qu’on voyait autrefois Pleins d’une ardeur si noble obéir à sa voix, L’œil morne maintenant, et la tête baissée, Semblaient se conformer à sa triste pensée.
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J’ai cru, sans aucun dessein de désobliger M. l’abbé de Bernis, pouvoir attaquer un sentiment que j’avais lieu de regarder comme le sien. Mais il me revient de tous côtés, dans ma solitude, que M. l’abbé de Bernis n’a prétendu blâmer dans ces vers de Racine que le hors de propos et non l’image en elle-même. On ajoute que, bien loin de donner sa critique pour nouvelle, il n’a cité les vers dont il s’agit que comme l’exemple le plus connu et par conséquent le plus propre à convaincre de la faiblesse que les grands hommes ont quelquefois de se laisser entraîner au mauvais goût. Je crois donc, Monsieur, devoir déclarer publiquement que je suis entièrement de l’avis de M. l’abbé de Bernis, et rétracter en conséquence une critique prématurée. | Je vous envoie ce désaveu si convenable à un philosophe qui n’aime et ne cherche que la vérité. Je vous prie de le joindre à ma lettre même, afin qu’ils subsistent ou qu’ils soient oubliés ensemble ; et surtout de le faire parvenir à M. l’abbé Raynal, pour qu’il en puisse faire mention dans son Mercure ; et à M. l’abbé de Bernis, que je n’ai jamais eu l’honneur de voir et qui m’est seulement connu par la réputation que lui ont méritée son amour pour les lettres, son talent distingué pour la poésie, la délicatesse de son goût, la douceur de ses mœurs et l’agrément de son commerce. Voilà sur quoi je n’aurai point à me rétracter, tout le monde étant de même avis. Je suis très sincèrement, Monsieur, Votre très, etc. A V. ce 3 mars 1751.
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Aggiunte che servono da chiarimento ad alcuni punti della Lettera sui sordi e muti L’autore della lettera precedente a M. B...139 suo libraio Niente è più rischioso, Signore, criticare un’opera che non si è letto, e a maggior ragione se si tratta di un’opera che si conosce solo per sentito dire; è precisamente questo il caso in cui mi trovo. Una persona che aveva assistito all’ultima assemblea pubblica dell’Académie française, mi aveva assicurato che l’abate Bernis aveva citato i versi del racconto di Teramene, non semplicemente come fuori posto, ma come cattivi in se stessi: Ses superbes coursiers, qu’on voyait autrefois Pleins d’une ardeur si noble obéir à sa voix, L’œil morne maintenant et la tête baissée, Semblaient se conformer à sa triste pensée. Ho creduto, senza alcun intento di contrariare l’abate Bernis, di poter attaccare un sentimento che avevo motivo di considerare suo. Molti però mi sono venuti a dire, che l’abate Bernis voleva biasimare in questi versi di Racine solo ciò che è fuori proposito e non l’immagine in se stessa. Si aggiunga che, ben lungi dal presentare la sua critica come nuova, egli ha citato i versi in questione, come l’esempio più conosciuto e, di conseguenza, il più adatto a convincere che a volte i grandi uomini hanno la debolezza di lasciarsi influenzare dal cattivo gusto. Credo dunque, Signore, di dover dichiarare pubblicamente che sono pienamente d’accordo con l’abate Bernis e, di conseguenza, di ritrattare una critica prematura. Vi invio questa ritrattazione così come si conviene a un filosofo che ama e che ricerca solo la verità. Vi prego di unirla alla mia lettera, in modo che perdurino o che siano dimenticate insieme, e soprattutto di farle pervenire all’abate Raynal affinché possa menzionarle nel suo Mercure,140 e all’abate Bernis che non ho mai avuto l’onore d’incontrare, che conosco solo per la fama che si è meritato e per il suo amore per le lettere, il suo fine talento per la poesia, la delicatezza del suo gusto, la dolcezza dei suoi costumi, e l’attrattiva della sua compagnia. Ecco una cosa su cui non dovrò ricredermi, poiché tutti sono dello stesso parere. Sinceramente vostro, Signore, Vostro molto umile, ecc. A V. 3 marzo 1751.
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Avis a plusieurs hommes Les questions auxquelles on a tâché de satisfaire dans la Lettre qui suit, ont été proposées par la personne même à qui elle est adressée ; et elle n’est pas la centième femme à Paris qui soit en état d’en entendre les réponses. |
Lettre a mademoiselle ....
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Non, Mademoiselle, je ne vous ai point oubliée ; j’avoue seulement que le moment de loisir qu’il me fallait pour arranger mes idées, s’est fait attendre assez longtemps. Mais enfin il s’est présenté entre le premier et le second volume du grand ouvrage qui m’occupe, et j’en profite comme d’un intervalle de beau temps dans des jours pluvieux. Vous ne concevez pas, dites-vous, comment, dans la supposition singulière d’un homme distribué en autant de parties pensantes que nous avons de sens, il arriverait que chaque sens devînt géomètre, et qu’il se formât jamais entre les cinq sens une société où l’on parlerait de tout, et où l’on ne s’entendrait qu’en géométrie. Je vais tâcher d’éclaircir cet endroit ; car, toutes les fois que vous aurez de la peine à m’entendre, je dois penser que c’est ma faute. L’odorat voluptueux n’aura pu s’arrêter sur des fleurs ; l’oreille délicate être frappée des sons ; l’œil prompt et rapide, se promener sur différents objets ; le goût inconstant et capricieux changer de saveurs ; le toucher pesant et matériel, s’appuyer sur des solides, sans qu’il reste à chacun de ces observateurs la mémoire ou la conscience d’une, de deux, trois, quatre, etc. | perceptions différentes ; ou celle de la même perception, un, deux, trois, quatre fois réitérée, et par conséquent la notion des nombres une, deux, trois, quatre, etc. Les expériences fréquentes qui nous constatent l’existence des êtres ou de leurs qualités sensibles, nous conduisent en même temps à la notion abstraite des nombres ; et quand le toucher, par exemple, dira, « j’ai saisi deux globes, un cylindre ; » de deux choses l’une : ou il ne s’entendra pas, ou avec la notion de globe et de cylindre, il aura celle des nombres, un et deux, qu’il pourra séparer, par abstraction, des corps auxquels il les appliquait, et se former un objet de méditation et de calculs ; de calculs arithmétiques, si les symboles de ses notions numériques ne désignent ensemble ou séparément qu’une collection d’unités déterminée ; de calculs algébriques, si plus généraux, ils s’étendent chacun indéterminément à toute collection d’unités. Mais la vue, l’odorat et le goût sont capables des mêmes progrès scientifiques. Nos sens, distribués en autant d’êtres pensants, pourraient donc s’élever tous aux spéculations les plus sublimes de l’arithmétique et de l’algèbre ; sonder les profondeurs de l’analyse ; se proposer entre eux les problèmes les plus compliqués sur la nature des équations, et les résoudre comme s’ils étaient des Diophantes. C’est peut-être ce que fait l’huître dans sa coquille. Quoi qu’il en soit, il s’ensuit que les mathématiques pures entrent dans notre âme par tous les sens, et que les notions abstraites nous devraient être bien familières. Cependant ramenés nous-mêmes sans cesse par nos besoins et par nos plaisirs, de la sphère des abstractions, vers les êtres réels, il est à présumer que nos sens personnifiés ne feraient pas une longue conversation, sans rejoindre les qualités des êtres à la notion abstraite des nombres. | Bientôt l’œil bigarrera son discours et ses calculs de couleurs, et l’oreille dira de lui : voilà sa folie qui le tient ; le goût : c’est bien dommage ; l’odorat,
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Avviso a diversi uomini I problemi ai quali si è cercato di rispondere nella Lettera che segue sono stati proposti dalla persona stessa cui è indirizzata; ed ella non è l’ennesima donna di Parigi che sia in grado di comprenderne le risposte.
Lettera a mademoiselle...141 No, signorina, non vi ho dimenticata; confesso tuttavia che il momento di tempo libero per riordinare le idee di cui avevo bisogno, si è fatto attendere assai a lungo. Alla fine però si è presentato tra il primo e il secondo volume della grande opera che mi occupa, e ne approfitto, come di un intervallo di bel tempo nei giorni piovosi.142 Voi dite di non comprendere come nell’insolita ipotesi di un uomo suddiviso in tante parti pensanti quanti sono i sensi che abbiamo, accadrebbe che ciascun senso diventerebbe geometra, e che non si formerebbe mai una società tra i cinque sensi, in cui fosse possibile discutere di tutto, e in cui si capirebbe solo la geometria.143 Cercherò di chiarire questo punto; perché tutte le volte che faticherete a comprendermi, dovrò pensare che la colpa sia mia. L’odorato voluttuoso potrebbe dilungarsi sui fiori; l’orecchio delicato essere colpito dai suoni; l’occhio acuto e rapido percorrere i diversi oggetti; il gusto incostante e capriccioso cambiare di sapore; il tatto pesante e materiale appoggiarsi sui solidi, senza che resti a ciascuno dei suoi osservatori la memoria o la coscienza di una, due, tre, quattro, ecc. percezioni diverse; o quella della stessa percezione reiterata una, due, tre, quattro volte, e di conseguenza la nozione dei numeri, uno, due, tre, quattro, ecc. Le esperienze frequenti con cui costatiamo l’esistenza degli esseri o delle loro qualità sensibili, ci portano nello stesso tempo alla nozione astratta dei numeri, e quando il tatto, per esempio, dirà: «ho percepito due sfere, un cilindro». I casi sono due: o non capirà; o, con la nozione di globo e cilindro, avrà quelle dei numeri uno e due che potrà separare per astrazione, dai corpi ai quali li applicava, e formarsi un oggetto di mediazione e di calcolo; di calcoli aritmetici, se i simboli delle nozioni numeriche ne designano insieme o separatamente una serie di unità determinate; di calcoli algebrici, se più in generale, tali simboli si estendono, ciascuno indeterminatamente a ogni serie di unità. Ma la vista, l’odorato, il gusto, sono capaci degli stessi progressi scientifici. I nostri sensi, distribuiti in altrettanti esseri pensanti, potrebbero dunque elevarsi a tutti alle più sublimi speculazioni dell’aritmetica e dell’algebra; sondare le profondità dell’analisi, proporsi tra loro i problemi più complicati sulla natura delle equazioni e risolverli come se fossero dei Diofanti.144 È forse quello che fa l’ostrica nella sua conchiglia. Comunque sia, ne consegue che le matematiche pure entrano nella nostra anima attraverso tutti i sensi, e che le nozioni astratte ci dovrebbero essere molto familiari. Tuttavia essendo continuamente ricondotti dai bisogni e dai piaceri, della sfera delle astrazioni, agli esseri reali si deve presumere che i nostri sensi personificati non farebbero una lunga conversazione, senza riunire le qualità degli esseri, alla nozione astratta dei numeri. Presto l’occhio screzierà il suo discorso, e i suoi calcoli di colori, e l’orecchio dirà di lui: ecco la sua follia che lo trattiene; il gusto: è davvero un peccato; l’odo-
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il entend l’analyse à merveille ; et le toucher, mais il est fou à lier quand il en est sur ses couleurs. Ce que j’imagine de l’œil, convient également aux quatre autres sens. Ils se trouveront tous un ridicule ; et pourquoi nos sens ne feraient-ils pas, séparés, ce qu’ils font bien quelquefois réunis ? Mais les notions des nombres ne seront pas les seules qu’ils auront communes. L’odorat devenu géomètre, et regardant la fleur comme un centre, trouvera la loi selon laquelle l’odeur s’affaiblit en s’en éloignant ; et il n’y en a pas un des autres qui ne puisse s’élever, sinon au calcul, du moins à la notion des intensités et des rémissions. On pourrait former une table assez curieuse des qualités sensibles, et des notions abstraites ; communes et particulières à chacun des sens ; mais ce n’est pas ici mon affaire. Je remarquerai seulement que, plus un sens serait riche, plus il aurait de notions particulières, et plus il paraîtrait extravagant aux autres. Il traiterait ceux-ci d’êtres bornés, mais, en revanche, ces êtres bornés le prendraient sérieusement pour un fou ; que le plus sot d’entre eux se croirait infailliblement le plus sage ; qu’un sens ne serait guère contredit que sur ce qu’il saurait le mieux ; qu’ils seraient presque toujours quatre contre un, ce qui doit donner bonne opinion des jugements de la multitude ; qu’au lieu de faire de nos sens personnifiés une société de cinq personnes, si on en compose un peuple, ce peuple se divisera nécessairement en cinq sectes, la secte des yeux, celle des nez, la secte des palais, celle des oreilles, et la secte des mains ; que ces sectes auront toutes la même origine, l’ignorance et l’intérêt ; que l’esprit d’intolérance et de persécution se glissera bientôt entre elles ; que les yeux seront condamnés aux Petites‑maisons, comme des visionnaires ; les nez, regardés comme des imbéciles ; les palais évités comme des gens insupportables par leurs caprices et leur fausse délicatesse ; les oreilles détes | tées pour leur curiosité et leur orgueil ; et les mains, méprisées pour leur matérialisme ; et que si quelque puissance supérieure secondait les intentions droites et charitables de chaque parti, en un instant la nation entière serait exterminée. Il semble qu’avec la légèreté de La Fontaine et l’esprit philosophique de La Mothe, on ferait une fable excellente de ces idées ; mais elle ne serait pas meilleure que celle de Platon. Platon suppose que nous sommes tous assis dans une caverne, le dos tourné à la lumière, et le visage vers le fond ; que nous ne pouvons presque remuer la tête, et que nos yeux ne se portent jamais que sur ce qui se passe devant nous. Il imagine entre la lumière et nous, une longue muraille au-dessus de laquelle paraissent, vont, viennent, avancent, reculent et disparaissent toutes sortes de figures, dont les ombres sont projetées vers le fond de la caverne. Le peuple meurt, sans jamais avoir aperçu que ces ombres. S’il arrive à un homme sensé de soupçonner le prestige, de vaincre, à force de se tourmenter, la puissance qui lui tenait la tête tournée, d’escalader la muraille et de sortir de la caverne, qu’il se garde bien, s’il y rentre jamais, d’ouvrir la bouche de ce qu’il aura vu. Belle leçon pour les philosophes ! Permettez, Mademoiselle, que j’en profite comme si je l’étais devenu, et que je passe à d’autres choses. Vous me demandez ensuite comment nous avons plusieurs perceptions à la fois. Vous avez de la peine à le concevoir ; mais concevez-vous plus facilement que nous puissions former un jugement, ou comparer deux idées, à moins que l’une ne nous soit présente par la perception, et l’autre par la mémoire ? Plusieurs fois, dans le dessein d’examiner ce qui se | passait dans ma tête, et de prendre mon esprit sur le fait, je me suis jeté dans la méditation la plus profonde, me retirant en moi-même avec toute la contention dont je suis capable ; mais ces efforts n’ont rien produit. Il m’a semblé qu’il faudrait être tout à la fois au dedans et hors de soi, et faire en même temps le rôle d’observateur et celui
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rato: capisce l’analisi a meraviglia, e il tatto: ma è matto da legare, quando si tratta dei suoi colori. Quello che immagino dell’occhio, vale anche per gli altri quattro sensi. Si troveranno tutti ridicoli, poiché i nostri sensi non faranno separatamente, ciò che a volte fanno bene riuniti? Le nozioni dei numeri, però, non saranno le sole che avranno in comune. L’odorato divenuto geometra, e guardando un fiore come un centro troverà la legge secondo la quale l’odore si attenua allontanandosene; e non ce n’è uno degli altri che non possa elevarsi, se non al calcolo, almeno alla nozioni di intensità e di remissione.145 Si potrebbe formare una tavola assai curiosa delle qualità sensibili e delle nozioni astratte, comuni e specifiche di ciascuno dei sensi; ma questo non è compito mio.146 Metterò in luce solo il fatto che più un senso sarà ricco, più avrà nozioni particolari e più sembrerà stravagante agli altri. Tratterà questi come esseri limitati, ma di contro questi esseri limitati lo prenderanno seriamente per un pazzo; che il più stupido di loro si crederà infallibilmente più saggio; che un senso non potrebbe essere contraddetto che su ciò che conoscerebbe meglio; che saranno quasi sempre quattro contro uno, fatto che dovrebbe darci una buona opinione dei giudizi della maggioranza; che al posto di fare dei nostri sensi personificati una società di cinque persone, se ne facciamo un popolo, questo popolo si dividerà necessariamente in cinque sette, la setta degli occhi, quella dei nasi, quella dei palati, quella delle orecchie e la setta delle mani; che queste sette avranno tutte la stessa origine, l’ignoranza e l’interesse; che lo spirito d’intolleranza e di persecuzione s’infiltrerà presto tra di esse; che gli occhi saranno condannati alle Petites-Maisons, come visionari; i nasi guardati come imbecilli; i palati evitati come un genere insopportabile per i loro capricci e la loro falsa delicatezza; le orecchie detestate per la loro curiosità e il loro orgoglio, e le mani disprezzate per il loro materialismo; e che se qualche potenza superiore assecondasse le intenzioni rette e caritatevoli di ciascuna parte, in un istante la nazione intera sarebbe sterminata. Mi sembra che con la leggerezza di La Fontaine e lo spirito filosofico di La Motte, si trarrebbe una favola eccellente da queste idee, ma essa non sarebbe migliore di quella di Platone. Platone immagina che siamo tutti seduti in una caverna,147 con le spalle voltate alla luce, e il viso rivolto verso il fondo; che quasi non si possa voltare la testa, e che i nostri occhi si rivolgano esclusivamente a che a ciò che accade davanti a noi. Egli immagina tra la luce e noi, un lungo muro al di sotto del quale compaiono, vanno, vengono, avanzano, retrocedono e spariscono ogni sorta di figure, le cui ombre sono proiettate verso il fondo della caverna. Il popolo muore senza aver mai percepito nient’altro che queste ombre. Se accade un uomo assennato di sospettare dell’illusione, di vincere, a forza di tormentarsi, la potenza che lo tiene con la testa voltata, di scalare il muro e di uscire dalla caverna; si guarderà bene, se mai rientrerà, di aprire bocca per dire quello che ha visto. Bella lezione per i filosofi! Permettetemi, Signorina, che ne approfitti come se lo fossi divenuto e che passi ad altre cose. Voi mi domandate poi come facciamo ad avere più percezioni contemporaneamente. Stentate a comprenderlo; ma intendete più facilmente che non potremmo formare un giudizio, o confrontare due idee, a meno che l’una non ci sia presente grazie alla percezione e l’altra attraverso la memoria? Più volte, al fine di esaminare di ciò che accadeva nella mia testa, e di cogliere il mio spirito sul fatto, mi sono gettato nella meditazione più profonda, ritirandomi in me stesso con tutta la concentrazione di cui sono capace; ma questi sforzi non hanno prodotto niente. Mi è sembrato che si dovrebbe essere contemporaneamente all’interno e all’esterno di sé, e ricoprire al contempo il ruolo di osser-
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de la machine observée. Mais il en est de l’esprit comme de l’œil ; il ne se voit pas. Il n’y a que Dieu qui sache comment le syllogisme s’exécute en nous. Il est l’auteur de la pendule ; il a placé l’âme ou le mouvement dans la boîte, et les heures se marquent en sa présence. Un monstre à deux têtes, emmanchées sur un même col, nous apprendrait peut-être quelque nouvelle. Il faut donc attendre que la nature qui combine tout, et qui amène avec les siècles les phénomènes les plus extraordinaires, nous donne un dicéphale qui se contemple lui‑même, et dont une des têtes fasse des observations sur l’autre. Je vous avoue que je ne suis pas en état de répondre aux questions que vous me proposez sur les sourds et muets de naissance. Il faudrait recourir au muet mon ancien ami, ou, ce qui vaudrait encore mieux, consulter M. Pereire. Mais les occupations continuelles qui m’obsèdent, ne m’en laissent pas le loisir. Il ne faut qu’un instant pour former un système ; les | expériences demandent du temps. J’en viens donc tout de suite à la difficulté que vous me faites sur l’exemple que j’ai tiré du premier livre de l’Énéide. Je prétends dans ma Lettre que le beau moment du poète n’est pas toujours le beau moment du peintre ; et c’est aussi votre avis. Mais vous ne concevez pas que cette tête de Neptune, qui dans le poème s’élève si majestueusement sur les flots, fît un mauvais effet sur la toile. Vous dites « J’admire la tête de Neptune dans Virgile, parce que les eaux ne dérobent point à mon imagination le reste de la figure ; et pourquoi ne l’admirerais-je pas aussi sur la toile de Carle, si son pinceau sait donner de la transparence aux flots ? » Je peux, ce me semble, vous en apporter plusieurs raisons. La première et qui n’est pas la meilleure, c’est que tout corps qui n’est plongé qu’en partie dans un fluide, est défiguré par un effet de la réfraction qu’un imitateur fidèle de la nature est obligé de rendre, et qui écarterait la tête de Neptune de dessus ses épaules. La seconde, c’est que, quelque transparence que le pinceau puisse donner à l’eau, l’image des corps qui y sont plongés est toujours fort affaiblie. Ainsi toute l’attention du spectateur se réunissant sur la tête de Neptune, le Dieu n’en serait pas moins décollé. Mais je vais plus loin. Je suppose qu’un peintre puisse, sans conséquence, négliger l’effet de la réfraction, et que son pinceau sache rendre toute la limpidité naturelle des eaux. Je crois que son tableau serait encore défectueux, s’il choi | sissait le moment où Neptune élève sa tête sur les flots. Il pécherait contre une règle que les grands maîtres observent inviolablement, et que la plupart de ceux qui jugent de leurs productions, ne connaissent pas assez. C’est que dans les occasions sans nombre, où des figures projetées sur une figure humaine, ou plus généralement sur une figure animale, doivent en couvrir une partie, cette partie, dérobée par la projection, ne doit jamais être entière et complète. En effet, si c’était un poing ou un bras, la figure paraîtrait manchotte ; si c’était un autre membre, elle paraîtrait mutilée de ce membre, et par conséquent estropiée. Tout peintre, qui craindra de rappeler à l’imagination des objets désagréables, évitera l’apparence d’une amputation chirurgicale. Il ménagera la disposition relative de ses figures, de manière que quelque portion visible des membres cachés annonce toujours l’existence du reste. Cette maxime s’étend, quoique avec moins de sévérité, à tous les autres objets. Brisez vos colonnes, si vous voulez ; mais ne les sciez pas. Elle est ancienne, et nous la trouvons constamment observée dans les bustes. On leur a donné avec le col entier, une partie des épaules et de la poitrine. Les artistes scrupuleux diraient donc encore dans l’exemple dont il s’agit, que les flots découlent de Neptune. Aussi aucun ne s’est-il avisé de prendre cet instant. Ils ont tous préféré la seconde image du poète, le moment sui-
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vatore e quello della macchina osservata. Per lo spirito vale la stessa cosa che per l’occhio; non vede se stesso. Solo Dio sa come si esegue in noi il sillogismo. Egli è l’autore della pendola, ha posto l’anima o il movimento nella cassa, e le ore si scandiscono in sua presenza. Un mostro a due teste innestate sullo stesso collo, forse ci potrebbe insegnare qualcosa di nuovo. Bisogna dunque attendere che la natura che combina tutto, e che genera nei secoli i fenomeni più straordinari, ci dia un bicefalo che contempli se stesso, e di cui una delle teste faccia delle osservazioni sull’altra. Vi confesso che non sono nelle condizioni di rispondere alle domande che mi ponete sui sordi e muti dalla nascita. Bisognerebbe ricorrere al mio vecchio amico muto, oppure, e sarebbe anche meglio, consultare M. Pereire.148 Ma le occupazioni continue che mi assillano non me ne concedono il piacere. Non ci vuole che un istante per formare un sistema, gli esperimenti richiedono tempo. Vengo dunque immediatamente alla difficoltà che voi mi ponete a proposito dell’esempio che ho tratto dal primo libro dell’Eneide. Nella mia Lettera sostengo che il momento atto a essere colto dal poeta non coincide sempre con il momento del pittore, ed è anche il vostro parere. Voi, però, non riuscite a convincervi che questa testa di Nettuno, che nel poema si eleva maestosamente sui flutti possa fare un brutto effetto sulla tela. Dite: «Ammiro la testa di Nettuno in Virgilio, perché le acque non sottraggono alla mia immaginazione il resto della figura; e perché non dovrei ammirarlo anche sulla tela di Carle149 se il suo pennello sapesse dare trasparenza ai flutti?». Credo di potervi fornire molte ragioni. La prima, che non è la migliore, è che ogni corpo immerso solo in parte in un fluido è deformato da un effetto di rifrazione che un fedele imitatore della natura è obbligato a rendere, e che sposterebbe la testa di Nettuno discosto dalle sue spalle. La seconda, è che per quanta trasparenza il pennello possa dare all’acqua, l’immagine dei corpi che vi sono immersi è sempre molto fievole. In tal modo tutta l’attenzione dello spettatore è concentrata sulla testa di Nettuno, il dio non sarebbe meno diviso in due. Tuttavia mi spingo oltre. Ipotizziamo che un pittore possa, senza conseguenze, trascurare l’effetto della rifrazione, e che il suo pennello sappia rendere pienamente la limpidezza naturale delle acque. Credo che il suo quadro sarebbe ancora difettoso, se scegliesse il momento in cui Nettuno eleva la sua testa sui flutti. Andrebbe contro una regola che i grandi maestri osservano come inviolabile, e che la maggior parte di quelli che giudicano le loro produzioni, non conoscono abbastanza. Si tratta del fatto che nelle numerose occasioni in cui delle figure progettate sul modello di una figura umana, o più generalmente su una figura animale, devono coprirne una parte; questa parte nascosta dalla proiezione non deve mai essere intera e completa. Infatti, se fosse un polso o un braccio, la figura sembrerebbe monca; se fosse un altro membro, sembrerebbe mutilata di questo membro, e di conseguenza storpiata. Ogni pittura che temerà di richiamare l’immaginazione degli oggetti sgradevoli, eviterà l’apparenza di un’amputazione chirurgica. Organizzerà la disposizione relativa delle sue figure, in modo che, alcune parti visibili delle membra nascoste annuncino sempre l’esistenza del resto. Questa massima si estende, anche se con meno severità, a tutti gli altri oggetti. Rompete le vostre colonne, se volete; ma non le segate. La regola è antica, e noi la troviamo costantemente osservata nei busti. Gli si è data con il collo intero, una parte delle spalle e del petto. Gli artisti scrupolosi diranno dunque ancora nell’esempio di cui si tratta che i flutti staccano la testa di Nettuno. Pertanto nessuno si è azzardato a cogliere quest’attimo. Hanno preferito tutti la seconda immagine del poeta, il momento
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vant, où le dieu est presque tout entier hors des eaux, et où l’on commence à apercevoir les roues légères de son char. Mais si vous continuez d’être mécontente de cet exemple, le même poète m’en fournira d’autres qui prouveront mieux que la poésie nous fait admirer des images dont la peinture serait insoutenable, et que notre imagination est moins scrupuleuse que nos yeux. En effet, qui pourrait supporter sur la toile la vue de Polyphème faisant craquer sous ses dents les os d’un des compagnons d’Ulysse ? Qui verrait sans horreur un géant tenant un homme en travers dans sa bouche énorme, et le sang ruisselant sur sa barbe | et sur sa poitrine ? Ce tableau ne récréera que des cannibales cette nature sera admirable pour des anthropophages, mais détestable pour nous. Je suis étonné, quand je pense à combien d’éléments différents tiennent les règles de l’imitation et du goût, et la définition de la belle nature. Il me semble qu’avant que de prononcer sur ces objets, il faudrait avoir pris parti sur une infinité de questions relatives aux mœurs, aux coutumes, au climat, à la religion et au gouvernement. Toutes les voûtes sont surbaissées en Turquie. Le musulman imite des croissants partout. Son goût même est subjugué, et la servitude des peuples se remarque jusque dans la forme des dômes. Mais tandis que le despotisme affaisse les voûtes et les cintres, le culte brise les figures humaines, et les bannit de l’architecture, de la peinture et des palais. Quelque autre, Mademoiselle, vous fera l’histoire des opinions différentes des hommes sur le goût, et vous expliquera, ou par des raisons, ou par des conjectures, d’où naît la bizarre irrégularité que les Chinois affectent partout ; je vais tâcher, pour moi, de vous développer en peu de mots | l’origine de ce que nous appelons le goût en général, vous laissant à vous-même vicissitudes les principes en sont sujets. La perception des rapports est un des premiers pas de notre raison. Les rapports sont simples ou composés. Ils constituent la symétrie. La perception des rapports simples étant plus facile que celle des rapports composés ; et entre tous les rapports, celui d’égalité étant le plus simple, il était naturel de le préférer et c’est ce qu’on a fait. C’est par cette raison que les ailes d’un bâtiment sont égales, et que les côtés des fenêtres sont parallèles. Dans les arts, par exemple en architecture, s’écarter souvent des rapports simples et des symétries qu’ils engendrent, c’est faire une machine, un labyrinthe, et non pas un palais. Si les raisons d’utilité, de variété, d’emplacement, etc., nous contraignent de renoncer au rapport d’égalité et à la symétrie la plus simple, c’est toujours à regret et nous nous hâtons d’y revenir par des voies qui paraissent entièrement arbitraires aux hommes superficiels. Une statue est faite pour être vue de loin : on lui donnera un piédestal il faut qu’un piédestal soit solide : on lui choisira, entre toutes les figures régulières, celle qui oppose le plus de surface à la terre : c’est un cube. Ce cube sera plus ferme encore, si ses faces sont inclinées : on les inclinera, Mais, en inclinant les faces du cube, on détruira la régularité du corps, et avec elle | les rapports d’égalité ; on y reviendra par la plinthe et les moulures. Les moulures, les filets, les galbes, les plinthes, les corniches, les panneaux, etc., ne sont que des moyens suggérés par la nature, pour s’écarter du rapport d’égalité, et pour y revenir insensiblement. Mais faudra-t-il conserver dans un piédestal quelque idée de légèreté ? on abandonnera le cube pour le cylindre. S’agira-t-il de caractériser l’inconstance ? on trouvera dans le cylindre une stabilité trop marquée, et l’on cherchera une figure que la statue ne touche qu’en un point. C’est ainsi que la Fortune sera placée sur un globe, et le Destin sur un cube.
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seguente, in cui il dio è quasi per intero fuori dalle acque, e dove si cominciano a percepire le ruote leggere del suo carro. Ma se continuate a essere insoddisfatta di questo esempio, lo stesso poeta me ne fornirà degli altri che proveranno meglio, che la poesia ci fa ammirare delle immagini che sono insostenibili per la pittura, e che la nostra immaginazione è meno scrupolosa dei nostri occhi. In effetti, chi potrebbe sopportare sulla tela la vista di Polifemo mentre frantuma sotto i suoi denti le ossa di uno dei compagni di Ulisse?150 Chi guarderebbe senza orrore un gigante mentre tiene di traverso un uomo nella sua bocca enorme, e il sangue che cola sulla sua barba e sul suo petto? Un dipinto simile potrebbe dilettare solo dei cannibali. Questa natura sarà ammirevole per degli antropofagi, ma detestabile per noi. Mi stupisco quando penso a quanti elementi diversi reggono le regole dell’imitazione e del gusto, e la definizione della natura bella. Mi sembra che prima di giudicare questi oggetti, bisognerebbe aver preso posizione su un’infinità di questioni relative agli usi, a costumi, al clima, alla religione e al governo. Tutte le volte sono ribassate in Turchia. I musulmani imitano delle mezzelune ovunque. Il loro stesso gusto è soggiogato, e la servitù dei popoli si mostra persino nella forma delle cupole. Ma mentre il dispotismo abbassa le volte e le centine; il culto stronca le figure umane e le bandisce dall’architettura, dalla pittura e dai palazzi. Qualcun altro, Signorina, vi farebbe la storia delle opinioni differenti degli uomini sul gusto e vi spiegherebbe, con delle ragioni o con delle congetture, da dove nasce la strana irregolarità che i Cinesi ostentano ovunque; per quanto mi riguarda, cercherò di sviluppare per voi in poche parole l’origine di quello che noi chiamiamo in generale il gusto, lasciando a voi la cura di esaminare a quante vicissitudini i princìpi ne sono soggetti. La percezione dei rapporti è uno dei primi passi della nostra ragione.151 I rapporti sono semplici o complessi. Essi costituiscono la simmetria. Essendo la percezione dei rapporti semplici più facile di quella dei rapporti complessi, e tra tutti i rapporti essendo quello di eguaglianza il più semplice, era naturale preferirlo, ed è quello che facciamo. È per questa ragione che le ali di un edificio sono uguali, e i lati delle finestre paralleli.152 Nelle arti, per esempio in architettura, ci si allontana dai rapporti semplici e di simmetria che essi generano, per fare una macchina, un labirinto, e non un palazzo. Se le ragioni di utilità, varietà, generazione ecc. Ci costringono a rinunciare al rapporto di eguaglianza e alla simmetria più semplice, è sempre a malincuore, e ci sforziamo di pervenirvi per delle vie che sembrerebbero totalmente arbitrarie agli uomini superficiali. Una statua è fatta per essere vista da lontano. Le daremo un piedistallo. Bisogna che un piedistallo sia solido. Sceglieremo tra tutte le figure regolari quella che oppone più superficie alla terra. È un cubo. Questo cubo sarà ancora più stabile, se le sue facce sono inclinate. Le inclineremo. Ma inclinando le facce del cubo si distruggerà la regolarità del corpo, e con essa i rapporti di eguaglianza. Si ricorrerà a un plinto e alle sagomature. Le sagomature, le filettature, i profili, i plinti, le cornici, i pannelli, ecc. non sono che dei mezzi suggeriti dalla natura, per allontanarsi dal rapporto di eguaglianza e per ritornarci impercettibilmente. Ma bisognerà conservare su un piedistallo alcune idee di leggerezza? Si abbandonerà il cubo per il cilindro. Si tratterà di caratterizzare l’incostanza? Si troverà nel cilindro una stabilità troppo marcata, e si cercherà una figura che la statua non tocca che in un punto. Così la Fortuna sarà posta su un globo e il Destino su un cubo.
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Ne croyez pas, Mademoiselle, que ces principes ne s’étendent qu’à l’architecture. Le goût, en général, consiste dans la perception des rapports. Un beau tableau, un poème, une belle musique, ne nous plaisent que par les rapports que nous y remarquons. Il en est même d’une belle [vie] comme d’un beau concert. Je me souviens d’avoir fait ailleurs une application assez heureuse de ces principes aux phénomènes les plus délicats de la musique ; et je crois qu’ils embrassent tout. Tout a sa raison suffisante ; mais il n’est pas toujours facile de la découvrir. Il ne faut qu’un événement pour l’éclipser sans retour. Les seules ténèbres que les siècles laissent après eux suffisent pour cela ; et, dans quelques | milliers d’années, lorsque l’existence de nos pères aura disparu dans la nuit des temps, et que nous serons les plus anciens habitants du monde auxquels l’histoire profane puisse remonter, qui devinera l’origine de ces têtes de béliers que nos architectes ont transportées des temples païens sur nos édifices ? Vous voyez, Mademoiselle, sans attendre si longtemps, dans quelles recherches s’engagerait dès aujourd’hui celui qui entreprendrait un traité historique et philosophique sur le goût. Je ne me sens pas fait pour surmonter ces difficultés, qui demandent encore plus de génie que de connaissances. Je jette mes idées sur le papier, et elles deviennent ce qu’elles peuvent. Votre dernière question porte sur un si grand nombre d’objets différents, et d’un examen si délicat, qu’une réponse qui les embrasserait tous exigerait plus de temps, et peut-être aussi plus de pénétration et de connaissances que je n’en ai. Vous paraissez douter qu’il y ait beaucoup d’exemples où la poésie, la peinture et la musique fournissent des hiéroglyphes qu’on puisse comparer. D’abord il est certain qu’il y en a d’autres que celui que j’ai rapporté : mais y en a-t-il beaucoup ? c’est ce qu’on ne peut apprendre que par une lecture attentive des grands musiciens et des meilleurs poètes, jointe à une connaissance étendue du talent de la peinture et des ouvrages des peintres. Vous pensez que, pour comparer l’harmonie musicale avec l’harmonie oratoire, il faudrait qu’il y eût dans celle-ci un équivalent de la dissonance ; et vous avez raison mais la rencontre des voyelles et des consonnes qui s’élident, le retour d’un même son, et l’emploi de l’h aspirée, ne font-ils pas cette fonction ; et ne faut-il pas en poésie le même art ou plutôt le même génie qu’en musique pour user de ces ressources ? Voici, Mademoiselle, quelques | exemples de dissonances oratoires ; votre mémoire vous en offrira sans doute un grand nombre d’autres. Gardez qu’une voyelle à courir trop hâtée, Ne soit d’une voyelle en son chemin heurtée. Boil. Monstrum, horrendum, informe, ingens, cui lumen ademptum. Virgil. Cum Sagana majore ululantem. . . . . . . . . . . . . . . Serpentes, atque videres Infernas errare canes. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . quo pacto alterna loquentes Umbræ cum Sagana resonarent triste et acutum. Horat. Tous ces vers sont pleins de dissonances ; et celui qui ne les sent pas, n’a point d’oreille.
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Non crediate, signorina, che questi principi si estendano solo all’architettura. Il gusto in generale consiste nella percezione di rapporti. Una bella tavola, una poesia, una bella musica non ci piacciono che per i rapporti che vi individuiamo. Vale lo stesso per una vita bella, come per un bel concerto. Mi ricordo di aver applicato altrove questi principi assai felicemente, ai fenomeni più delicati della musica, e credo che abbraccino tutto.153 Tutto ha la sua ragione sufficiente; ma non è sempre facile da scoprire. Non basta che un avvenimento per eclissarla senza ritorno. Le sole tenebre che i secoli lasciano dopo di loro sono sufficienti per questo, e in qualche migliaio d’anni, quando l’esistenza dei nostri padri sarà sparita nella notte dei tempi, e noi saremo i più antichi abitanti del mondo ai quali la storia profana possa risalire, chi comprenderà l’origine di queste teste d’ariete, che i nostri architetti hanno trasportato dei templi pagani sui nostri edifici?154 Vedete, Signorina, senza attendere molto, in quali ricerche si impegnerebbe oggi chi volesse intraprendere la stesura di un trattato sul gusto. Non mi sento adatto a superare queste difficoltà che richiedono molto più genio che conoscenza. Getto le mie idee sulla carta, ed esse divengono ciò che possono. La vostra ultima domanda riguarda un numero così ampio di questioni diverse e richiede un esame così fine, che una risposta che le comprendesse tutte esigerebbe più tempo e, forse, più penetrazione e conoscenza di quanta io non abbia. Voi sembrate dubitare che ci siano molti esempi in cui la poesia, la pittura e la musica forniscono dei geroglifici che possiamo confrontare. Innanzitutto è certo che ce ne sono degli altri oltre a quelli che ho riportato: ma ce ne sono molti? È questo che possiamo apprendere solo attraverso una lettura attenta dei grandi musicisti e dei migliori poeti, unitamente alla conoscenza estesa del talento della pittura e delle opere dei pittori. Voi pensate che per comparare l’armonia musicale con l’armonia oratoria, bisognerebbe che ci fosse in questa un’equivalente della dissonanza; e avete ragione, ma l’incontro delle vocali e delle consonanti che si elidono, il ritorno di uno stesso suono, e l’uso dell’h aspirata non svolgono questa funzione; e non ci vuole in poesia lo stesso genio che in musica, per usare queste risorse? Ecco, Signorina, qualche esempio di dissonanze oratorie, la vostra memoria vi offrirà senza dubbio un gran numero di altri esempi. Gardez qu’une voyelle à courir trop hâtée Ne soit d’une voyelle en son chemin heurtée.155 Boileau Monstrum, horrendum, informe, ingens, cui lumen ademptum. Virgilio156 Cum Sagana majore ululantem. . . . . . . . . . . . . . . Serpentes, atque videres Infernas errare canes. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . quo pacto alterna loquentes Umbræ cum Sagana resonarent triste et acutum. Orazio157 Tutti questi versi sono pieni di dissonanze, e chi non le sente non ha orecchio.
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Il y a, ajoutez-vous enfin, des morceaux de musique auxquels on n’attache point d’images, qui ne forment, ni pour vous ni pour personne, aucune peinture hiéroglyphique, et qui font cependant un grand plaisir à tout le monde. Je conviens de ce phénomène ; mais je vous prie de considérer que ces morceaux de musique qui vous affectent agréablement sans réveiller en vous ni peinture, ni perception distincte de rapports, ne flattent votre | oreille que comme l’arc-en-ciel plaît à vos yeux, d’un plaisir de sensation pure et simple ; et qu’il s’en faut beaucoup qu’ils aient toute la perfection que vous en pourriez exiger, et qu’ils auraient, si la vérité de l’imitation s’y trouvait jointe aux charmes de l’harmonie. Convenez, Mademoiselle, que si les astres ne perdaient rien de leur éclat sur la toile, vous les y trouveriez plus beaux qu’au firmament, le plaisir réfléchi qui naît de l’imitation s’unissant au plaisir direct et naturel, de la sensation de l’objet. Je suis sûr que jamais clair de lune ne vous a autant affectée dans la nature que dans une des nuits de Vernet. En musique, le plaisir de la sensation dépend d’une disposition particulière, non seulement de l’oreille, mais de tout le système des nerfs. S’il y a des têtes sonnantes, il y a aussi des corps que j’appellerais volontiers harmoniques ; des hommes en qui toutes les fibres oscillent avec tant de promptitude et de vivacité, que, sur l’expérience des mouvements violents que l’harmonie leur cause, ils sentent la possibilité de mouvements plus violents encore, et atteignent à l’idée d’une sorte de musique qui les ferait mourir de plaisir. Alors leur existence leur paraît comme attachée à une seule fibre tendue, qu’une vibration trop forte peut rompre. Ne croyez pas, Mademoiselle, que ces êtres si sensibles à l’harmonie soient les meilleurs juges de l’expression. Ils sont presque toujours au delà de cette émotion douce dans laquelle le sentiment ne nuit point à la comparaison. Ils ressemblent à ces âmes faibles, qui ne peuvent entendre l’histoire d’un malheu | reux sans lui donner des larmes, et pour qui il n’y a point de tragédies mauvaises. Au reste, la musique a plus besoin de trouver en nous ces favorables dispositions d’organes, que ni la peinture, ni la poésie. Son hiéroglyphe est si léger et si fugitif, il est si facile de le perdre ou de le mésinterpréter, que le plus beau morceau de symphonie ne ferait pas un grand effet, si le plaisir infaillible et subit de la sensation pure et simple n’était infiniment au-dessus de celui d’une expression souvent équivoque. La peinture montre l’objet même, la poésie le décrit, la musique en excite à peine une idée. Elle n’a de ressource que dans les intervalles et la durée des sons ; et quelle analogie y a-t-il entre cette espèce de crayons et le printemps, les ténèbres, la solitude, etc., et la plupart des objets ? Comment se fait-il donc que des trois arts imitateurs de la nature, celui dont l’expression est la plus arbitraire et la moins précise parle le plus fortement à l’âme ? Serait-ce que, montrant moins les objets, il laisse plus de carrière à notre imagination ; ou qu’ayant besoin de secousses pour être émus, la musique est plus propre que la peinture et la poésie à produire en nous cet effet tumultueux ? Ces phénomènes m’étonneraient beaucoup moins, si notre éducation ressemblait davantage à celle des Grecs. Dans Athènes, les jeunes gens donnaient presque tous dix à douze ans à l’étude de la musique ; et un musicien n’ayant pour auditeurs et pour juges que des musiciens, un morceau sublime devait naturellement jeter toute une assemblée dans la même frénésie dont sont agités ceux qui font exécuter leurs ouvrages dans nos concerts. Mais il est de la nature de tout enthousiasme de se communiquer et de s’accroître par le nombre des enthousiastes. Les hommes ont alors une action réciproque les uns sur les autres, par l’image énergique et vivante | qu’ils s’offrent tous de la pas-
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Ci sono, aggiungete infine, dei brani musicali ai quali non si collega nessuna immagine, che non formano né per voi né per nessun altro, pitture geroglifiche, e che fanno tuttavia un gran piacere a tutti. Concordo a proposito di questo fenomeno; ma vi prego di considerare che questi brani musicali che vi colpiscono piacevolmente senza risvegliare in voi né la pittura né la percezione distinta dei rapporti, non blandiscano il vostro orecchio che come l’arcobaleno piace ai vostri occhi, di un piacere di pura e semplice sensazione; e che si sbagliano molto coloro che avrebbero tutta la perfezione che si possa esigere, e che l’avrebbero se la verità dell’imitazione si trovasse unita al fascino dell’armonia. Convenite, Signorina, che se gli astri non perdessero nulla della loro brillantezza sulla tela, voi li trovereste più belli che nel firmamento, il piacere riflesso che nasce dall’imitazione si unisce al piacere diretto e naturale della sensazione dell’oggetto. Sono sicuro che mai il chiaro di luna vi ha colpito tanto quanto in una delle notti di Vernet. In musica, il piacere della sensazione dipende da una disposizione particolare non solo dell’orecchio, ma di tutto il sistema nervoso. Se ci sono delle teste sonanti, ci sono anche dei corpi che chiamerò volentieri armonici; degli uomini, nei quali, tutte le fibre oscillano con tanta immediatezza e vivacità, che sull’esperienza dei movimenti violenti che l’armonia causa loro, essi sentono la possibilità di movimenti più violenti ancora, giungendo all’idea di una specie di musica che li farebbe morire di piacere. Allora la loro esistenza sembra loro come attaccata a una sola fibra tesa, che una vibrazione troppo forte può rompere. Non crediate, signorina, che questi esseri così sensibili all’armonia, siano i migliori giudici dell’espressione. Sono quasi sempre al di là di quest’emozione dolce, nella quale il sentimento non nuoce al confronto. Sembrano a quelle anime delicate, che non possono ascoltare la storia di uno sventurato senza versare lacrime, e secondo cui non esistono brutte tragedie.158 Del resto, la musica ha più bisogno di trovare in noi queste disposizioni d’organi favorevoli, rispetto alla pittura e alla poesia. Il suo geroglifico è così leggero e fuggitivo, è così facile perderlo o fraintenderlo, che il più bel pezzo di sinfonia, non farà un grande effetto, se il piacere infallibile e immediato della sensazione pura e semplice non fosse infinitamente al di sopra di quello di un’espressione sovente equivoca. La pittura mostra l’oggetto stesso, la poesia lo descrive, la musica ne suscita appena un’idea. Essa non ha risorse che negli intervalli e nella durata dei suoni; e quale analogia c’è tra questa specie di bozzetto e la primavera, le tenebre, la solitudine ecc. e la maggior parte degli oggetti? Com’è possibile dunque che di tre arti che imitano la natura, quella la cui espressione è più arbitraria e meno precisa, parli più intensamente all’anima? Sarà che mostrando meno gli oggetti, lascia più spazio alla nostra immaginazione; o che avendo bisogno di scosse per commuoversi, la musica è più adatta della pittura e della poesia a produrre in noi questi effetti tumultuosi? Questi fenomeni mi stupirebbero molto meno, se la nostra educazione fosse più simile a quella dei Greci. In Atene, i giovani dedicavano praticamente tutto il periodo tra i dieci e i dodici anni allo studio della musica; e un musicista non avendo per ascoltatori e giudici che dei musicisti, suonando un pezzo sublime doveva naturalmente gettare tutta l’assemblea nella stessa frenesia da cui sono scossi coloro che fanno eseguire le loro opere nei nostri concerti. Ma è nella natura di ogni entusiasmo comunicarsi e accrescersi con il numero degli entusiasti. Gli uomini svolgono allora un’azione reciproca gli uni sugli altri, attraverso l’immagine energica e vivente che offrono tutti
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sion dont chacun d’eux est transporté : de là cette joie insensée de nos fêtes publiques, la fureur de nos émeutes populaires, et les effets surprenants de la musique chez les Anciens ; effets que le quatrième acte de Zoroastre eût renouvelés parmi nous, si notre parterre eût été rempli d’un peuple aussi musicien et aussi sensible que la jeunesse athénienne. Il ne me reste plus qu’à vous remercier de vos observations. S’il vous en vient quelques autres, faites-moi la grâce de me les communiquer ; mais que ce soit pourtant sans suspendre vos occupations. J’apprends que vous mettez en notre langue le Banquet de Xénophon, et que vous avez dessein de le comparer avec celui de Platon. Je vous exhorte à finir cet ouvrage. Ayez, Mademoiselle, le courage d’être savante. Il ne faut que des exemples tels que le vôtre, pour inspirer le goût des langues anciennes, ou pour prouver du moins que ce genre de littérature est encore un de ceux dans lesquels votre sexe peut exceller. D’ailleurs il n’y aurait que les connaissances que vous aurez acquises qui pussent vous consoler dans la suite du motif singulier que vous avez aujourd’hui de vous instruire. Que vous êtes heureuse ! Vous avez trouvé le grand art, l’art ignoré de presque toutes les femmes, celui de n’être point trompée, et de devoir plus que vous ne pourrez jamais acquitter. Votre sexe n’a pas coutume d’entendre ces vérités, mais j’ose vous les dire, parce que vous les pensez comme moi. J’ai l’honneur d’être avec un profond respect, Mademoiselle, Votre très humble et très obéissant serviteur**** |
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della passione da cui ciascuno di loro è trascinato; oltre a questa gioia insensata delle nostre feste pubbliche, il furore delle nostre sommosse popolari, e gli effetti sorprendenti della musica presso gli Antichi, effetti che il quarto atto di Zoroastro159 avrebbe rinnovato tra noi, se la nostra platea fosse stata occupata da un popolo così musicista e così sensibile quanto la gioventù ateniese. Non mi resta altro da fare che ringraziarvi per le vostre osservazioni. Se ve ne venisse in mente qualche altra, fatemi la cortesia di comunicarmela; ma senza che questo vi faccia interrompere le vostre occupazioni. Ho saputo che state traducendo nella nostra lingua il Simposio di Senofonte, e che avete intenzione di compararlo a quello di Platone.160 Vi esorto a finire quest’opera. Signorina, abbiate il coraggio di essere sapiente. Non c’è bisogno che di esempi come il vostro, per ispirare il gusto delle lingue antiche, o per provare almeno che questo genere di letteratura è uno di quelli in cui il vostro sesso può eccellere. D’altra parte solo le conoscenze che avete acquisito potranno consolarvi in seguito del particolare motivo che avete oggi per istruirvi. Quanto siete fortunata! Avete trovato la grande arte, l’arte ignorata da quasi tutte le donne, quella di non essere ingannata, e di dovere molto più di quanto non potreste mai rendere. Il vostro sesso non è abituato ad ascoltare queste verità, ma oso dirvele poiché la pensate come me. Signorina, con profondo rispetto, ho l’onore di essere il vostro molto umile e molto obbediente servitore ****
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Sur l’extrait que le journaliste De Trévoux a fait de la Lettre sur les Sourds et Muets ; mois d’avril, art. 42, p. 841. On lit page 842 du Journal « La doctrine de l’auteur paraîtra, sans doute, trop peu sensible au commun des lecteurs : la plupart diront, après avoir lu cette Lettre, Que nous reste-t-il dans l’idée ? quelles traces de lumière et d’érudition ces considérations abstraites laissent-elles à leur suite ? » Observation. Je n’ai point écrit pour le commun des lecteurs ; il me suffisait d’être à la portée de l’auteur des Beaux‑Arts réduits ù un seul principe, du journaliste de Trévoux, et de ceux qui ont déjà fait quelques progrès dans l’étude des lettres et de la philosophie. J’ai dit moi-même « Le titre de ma lettre est équivoque. Il convient indistinctement au grand nombre de ceux qui parlent sans entendre, au petit nombre de ceux qui entendent sans parler, et au très petit nombre de ceux qui savent parler et entendre, quoique ma Lettre ne soit proprement qu’à l’usage de ces derniers. » Et je pourrais ajouter sur le suffrage des connaisseurs, que si quelque bon esprit se demande, après m’avoir lu « quels traits de lumière et d’érudition ces considérations ont-elles laissés à leur suite ? » rien n’empêchera qu’il ne se réponde : On m’a fait voir,A | 210
1° Comment le langage oratoire a pu se former. 2° Que ma langue est pleine d’inversions, si on la compare au langage animal. 3° Que pour bien entendre comment le langage oratoire s’est formé, il serait à propos d’étudier la langue des gestes. 4° Que la connaissance de la langue des gestes suppose ou des expériences sur un sourd et muet de convention, ou des conversations avec un sourd et muet de naissance. 5° Que l’idée du muet de convention conduit naturellement à examiner l’homme distribué en autant d’êtres distincts et séparés, qu’il a de sens, et à rechercher les idées communes et particulières à chacun des sens. 6° Que, si pour juger de l’intonation d’un acteur, il faut écouter sans voir, il faut regarder sans entendre, pour bien juger de son geste. 7° Qu’il y a un sublime de geste capable de produire sur la scène les grands effets du discours. 8° Que l’ordre qui doit régner entre les gestes d’un sourd et muet de naissance, est une histoire assez fidèle de l’ordre dans lequel les signes oratoires auraient pu être substitués aux gestes. 9° Que la difficulté de transmettre certaines idées à un sourd et muet de naissance caractérise entre les signes oratoires les premiers et les derniers inventés. 10° Que les signes qui marquent les parties indéterminées du temps, sont du nombre des derniers inventés. 11° Que c’est là l’origine du manque de certains temps dans quelques langues, et du double emploi d’un même temps dans quelques autres. 12° Que ces bizarreries conduisent à distinguer, dans toute langue, trois états différents, celui de naissance, l’état de formation, et celui de perfection. 13° Que sous l’état de langue formée, l’esprit, enchaîné par la syntaxe, ne peut mettre entre ses concepts l’ordre qui règne dans les périodes grecques et latines. D’où l’on peut A
Je répète ici malgré moi ce que j’ai déjà dit à, la fin de ma Lettre.
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Osservazioni Sull’estratto che il giornalista del Trevoux ha fatto sulla Lettera sui sordi e muti; mese d’aprile, art. 42, pag. 841. 161 Si legge a pag. 482 del Journal: «La dottrina dell’autore sembrerà probabilmente troppo poco sensibile ai lettori comuni: la maggior parte diranno, dopo aver letto questa Lettera: Cosa ci resta nell’idea? quali tracce di lumi e di erudizione lasciano come seguito queste considerazioni astratte? Osservazione. Non ho scritto per i lettori comuni. Mi bastava essere alla portata dell’autore de Le belle arti ridotte a un unico principio, del giornalista del Trevoux, e di quelli che hanno già fatto qualche progresso nello studio delle lettere e della filosofia. Mi sono detto: «il titolo della mia lettera è equivoco. Conviene indistintamente al gran numero di coloro che si parlano senza intendere, e a quel numero molto ristretto di quelli che sanno parlare e intendere, nonostante la mia Lettera propriamente sia solo a uso di questi ultimi». E potrei aggiungere sull’approvazione dei conoscitori, che se qualche buono spirito si chiede, dopo avermi letto «quali tratti di luce di erudizione hanno lasciato al loro seguito queste considerazioni?» niente impedirà che egli non si risponda: Mi hanno fatto vedere:A 1°. Come si potrebbe essere formato il linguaggio verbale. 2°. Che la mia lingua è piena di inversioni, se confrontata al linguaggio animale. 3°. Che per capire bene come si è formato il linguaggio verbale, sarebbe utile studiare il linguaggio dei gesti. 4°. Che la conoscenza del linguaggio dei gesti suppone degli esperimenti su un sordo e muto di convenzione, oppure delle conversazioni con un sordo e muto dalla nascita. 5°. Che l’idea del muto di convenzione conduce naturalmente a esaminare l’uomo suddiviso in tanti esseri distinti e separati che hanno un senso e a ricercare le idee comuni e particolari di ciascuno dei sensi. 6°. Che, se per giudicare l’intonazione di un attore bisogna ascoltarlo senza vederlo, bisogna guardare senza ascoltare, per giudicare il suo gesto. 7°. Che c’è un sublime del gesto capace di produrre sulla scena i grandi effetti del discorso. 8°. Che l’ordine che deve regnare tra i gesti di un sordomuto dalla nascita, costituisce una storia molto fedele all’ordine nel quale i segni verbali avrebbero potuto essere sostituiti dai gesti. 9°. Che la difficoltà di trasmettere certe idee a un sordomuto dalla nascita caratterizza tra i segni oratori i primi che sono nati e gli ultimi inventati. 10°. Che i segni che indicano le parti indeterminate del tempo, sono tra gli ultimi segni inventati. 11°. Che in questo risiede l’origine della mancanza di certi tempi di alcune lingue e del doppio uso di uno stesso tempo in alcune altre. 12°. Che queste stranezze conducono alla distinzione in ogni lingua di tre differenti stadi, quello della nascita, della formazione, e della perfezione. 13°. Che nello stadio della lingua formata, lo spirito vincolato dalla sintassi non può dare ai suoi concetti l’ordine che regna nei periodi greci e latini. Da questo si può infeA
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Qui ripeto, mio malgrado, ciò che ho detto alla fine della mia Lettera.
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inférer que, quel que soit l’arrangement | des termes dans une langue formée, l’esprit de l’écrivain suit l’ordre de la syntaxe française ; et que cette syntaxe étant la plus simple de toutes, le français doit avoir, à cet égard, de l’avantage sur le grec et sur le latin. 14° Que l’introduction de l’article dans toutes les langues, et l’impossibilité de discourir sans avoir plusieurs perceptions à la fois, achèvent de confirmer que la marche de l’esprit d’un auteur grec et latin, ne s’éloignait guère de celle de notre langue. 15° Que l’harmonie oratoire s’est engendrée sur le passage de l’état de langue formée, à celui de langue perfectionnée. 16° Qu’il faut la considérer dans les mots et dans la période ; et que c’est du concours de ces deux harmonies que résulte l’hiéroglyphe poétique. 17° Que cet hiéroglyphe rend tout excellent poète difficile à bien entendre, et presque impossible à bien traduire. 18° Que tout art d’imitation a son hiéroglyphe ; ce qu’on m’a démontré par un essai de comparaison des hiéroglyphes de la musique, de la peinture et de la poésie. Voilà, se répondrait à lui-même un bon esprit, ce que des considérations abstraites ont amené ; voici les traces qu’elles ont laissées à leur suite ; et c’est quelque chose. On lit, même page du Journal : Mais qui pourra nous répondre qu’il n’y a, là dedans ni paradoxes, ni sentiments arbitraires, ni critiques déplacées ? Observation. Y a-t-il quelque livre, sans en excepter les Journaux de Trévoux, dont on ne puisse dire : mais qui nous répondra qu’il n’y a, là dedans, ni paradoxes, ni sentiments arbitraires, ni critiques déplacées ? On lit, page suivante du Journal : Tels seront les raisonnements, du moins les soupçons de quelques personnes qui sont bien aises de trouver dans un ouvrage des traits faciles à saisir, qui aiment les images, les descriptions, les applications | frappantes, en un mot tout ce qui met en jeu les ressorts de l’imagination et du sentiment. Observation. Les personnes qui ne lisent point pour apprendre, ou qui veulent apprendre sans s’appliquer, sont précisément celles que l’auteur de la Lettre sur les Sourds et Muets ne se soucie d’avoir ni pour lecteurs ni pour juges. Il leur conseille même de renoncer à Locke, à Bayle, à Platon, et en général à tout ouvrage de raisonnement et de métaphysique. Il pense qu’un auteur a rempli sa tâche, quand il a su prendre le ton qui convient à son sujet : en effet, y a-t-il un lecteur de bon sens, qui, dans un chapitre de Locke sur l’abus qu’on peut faire des mots, ou dans une lettre sur les inversions, s’avise de désirer des images, des applications frappantes, et ce qui met en jeu tes ressorts de l’imagination et du sentiment. Aussi lit-on, même page du Journal : Il ne faut pas que les philosophes pensent ainsi. Ils doivent entrer avec courage dans la matière des inversions. Y a-t-il des inversions ; n’y en a-t-il point dans notre langue ? Qu’on ne croie pas que ce soit une question de grammaire ; ceci s’élève jusqu’à la plus subtile métaphysique, jusqu’à la naissance même de nos idées. Observation. II serait bien étonnant qu’il en fût autrement. Les mots dont les langues sont formées ne sont que les signes de nos idées ; et le moyen de dire quelque chose de philosophique sur l’institution des uns, sans remonter à la naissance des autres ? Mais l’intervalle n’est pas grand ; et il serait difficile de trouver deux objets de spéculation plus voisins, plus immédiats et plus étroitement liés, que la naissance des idées, et l’invention des signes destinés à les représenter. La question des inversions, ainsi que la
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rire che, qualunque sia l’organizzazione dei termini in una lingua formata, lo spirito dello scrittore segue l’ordine della sintassi francese; e che deve avere da questo punto di vista un vantaggio sul greco e sul latino. 14°. Che l’introduzione dell’articolo in tutte le lingue e l’impossibilità di discorrere senza avere più percezioni contemporaneamente, completa la conferma del fatto che l’andamento dello spirito di un autore greco e latino, non si allineerà affatto a quello della nostra lingua. 15°. Che l’armonia oratoria si è generata sul passaggio dallo stato della lingua formata, a quello della lingua perfezionata. 16°. Che bisogna considerarla nelle parole e nel periodo; e che è dal concorso di queste due armonie che risulta il geroglifico poetico. 17°. Che questo geroglifico rende ogni poeta eccellente difficile da comprendere bene, e pressoché impossibile da tradurre adeguatamente. 18°. Che ogni arte imitativa ha il suo geroglifico, cosa che si è dimostrata attraverso una prova di confronto dei geroglifici della musica, della pittura, e della poesia. Ecco, risponderebbe a se stesso un buono spirito, quello a cui hanno condotto delle considerazioni astratte; ecco le tracce di quello che hanno lasciato al loro seguito, ed è pur qualcosa. Si legge, sempre sulla pagina del Journal: Ma che potrebbe rispondere che non ci sono in essa né paradossi, né sentimenti arbitrari, né critiche fuori posto. Osservazione. C’è forse qualche libro, senza far eccezione dei Journaux de Trévoux, di cui non si potrebbe dire: ma chi ci risponderà che non ci sono in essa né paradossi, né sentimenti arbitrari, né critiche fuori posto? Leggiamo la pagina seguente del Journal: tali sono i ragionamenti, almeno i sospetti di alcune persone che sono molto agevoli da trovare in un’opera dei tratti facili da capire, che delle immagini, delle descrizioni, delle applicazioni sorprendenti, e che quello che mette in gioco le istanze dell’immaginazione e del sentimento. Osservazione. Le persone che non leggono per imparare, o che vogliono apprendere senza applicarsi, sono precisamente quelle a cui l’autore della Lettera sui sordi e muti non si preoccupa di avere né come lettori né come giudici. Egli consiglia loro di rinunciare anche a Locke, a Bayle, a Platone162 e in generale a ogni opera di ragionamento e di metafisica. Pensa che l’autore abbia assolto al proprio compito quando è stato in grado assumere il tono che conviene al suo soggetto: in effetti, c’è un lettore di buon senso, che in un capitolo di Locke sull’abuso che si può fare delle parole,163 o in una lettera sulle inversioni,164 si azzarderebbe a desiderare delle immagini, delle descrizioni, delle applicazioni sorprendenti, e che quello che mette in gioco le istanze dell’immaginazione e del sentimento? Si legge nella stessa pagina del Journal: Non bisogna che i filosofi pensino in questo modo. Devono entrare con coraggio nella materia delle inversioni. Ci sono delle inversioni; non ce ne sono nella nostra lingua? Che non si creda che sia una questione di grammatica; essa si eleva fino alla più sottile metafisica, fino alla nascita stessa delle nostre idee. Osservazione. Sarebbe sorprendente se non fosse altrimenti. Le parole di cui le lingue sono formate non sono altro che i segni delle nostre idee; e non c’è modo di dire qualcosa di filosofico sull’istituzione degli uni, senza risalire alla nascita degli altri? Ma l’intervallo non è grande e sarebbe difficile trovare due oggetti di speculazione, più vicini, più immediati e più strettamente legati, che la nascita delle idee e l’invenzione dei segni destinati a rappresentarle. La questione delle inversioni, così come la mag-
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plupart des questions de grammaire, tient, donc à la métaphysique la plus subtile : j’en appelle à M. Du Marsais, qui n’eût pas été le premier de nos grammairiens, s’il n’eût pas été en même temps un de nos meilleurs méta | physiciens. C’est par l’application de la métaphysique à la grammaire, qu’il excelle. On lit, page [847] du Journal : L’auteur examine en quel rang nous placerions naturellement nos idées ; et comme notre langue ne s’astreint pas à cet ordre, il juge qu’en ce sens elle use d’inversions ce qu’il prouve aussi par le langage des gestes, article un peu entrecoupé de digressions. Nous devons même ajouter que bien des lecteurs, à la fin de ce morceau, pourront se demander à eux-mêmes, s’ils en ont saisi tous les rapports, s’ils ont compris comment et par où les sourds et muets confirment l’existence des inversions de notre langue. Cela n’empêche pas qu’on ne puisse prendre beaucoup de plaisir, etc. La suite est une sorte d’éloge, que l’auteur partage avec le Père Castel. Observation. Il y a, je le répète, des lecteurs dont je ne veux ni ne voudrais jamais : je n’écris que pour ceux avec qui je serais bien aise de m’entretenir. J’adresse mes ouvrages aux philosophes ; il n’y a guère d’autres hommes au monde pour moi. Quant à ces lecteurs qui cherchent un objet qu’ils ont sous les yeux, voici ce que je leur dis pour la première et la dernière fois que j’ai à leur parler. Vous demandez comment le langage des gestes est lié à la question des inversions, et comment les sourds et muets confirment l’existence des inversions dans notre langue ? Je vous réponds que le sourd et muet, soit de naissance, soit de convention, indique, par l’arrangement de ses gestes, l’ordre selon lequel les idées sont placées dans la langue animale qu’il nous éclaire sur la date de la substitution successive des signes oratoires aux gestes qu’il ne nous laisse aucun doute sur les premiers et les derniers inventés d’entre les signes et qu’il nous transmet ainsi les notions les plus justes que | nous puissions espérer de l’ordre primitif des mots et de la phrase ancienne, avec laquelle il faut comparer la nôtre, pour savoir si nous avons des inversions ou si nous n’en avons pas ; car il est nécessaire de connaître ce que c’est que l’ordre naturel, avant que de prononcer sur l’ordre renversé. On lit, page suivante du Journal, que pour bien entendre la Lettre il faut se souvenir que l’ordre d’institution, l’ordre scientifique, l’ordre didactique, l’ordre de syntaxe, sont synonymes. Observation. On n’entendrait point la Lettre, si l’on prenait toutes ces expressions pour synonymes. L’ordre didactique n’est synonyme à aucun des trois autres. L’ordre de syntaxe, celui d’institution, l’ordre scientifique, conviennent à toutes les langues. L’ordre didactique est particulier à la nôtre et à celles qui ont une marche uniforme comme la sienne. L’ordre didactique n’est qu’une espèce d’ordre de syntaxe ; ainsi on dirait très bien L’ordre de notre syntaxe est didactique. Quand on relève des bagatelles, on ne peut mettre trop d’exactitude dans ses critiques. On lit, Journal, page 851 : Le morceau où l’auteur compare la langue française avec les langues grecque, latine, italienne et anglaise, ne sera pas approuvé dans l’endroit où il dit qu’il faut parler français dans la société et dans les écoles de philosophie ; grec, latin, anglais dans les chaires et sur les théâtres. Le journaliste remarque qu’il faut destiner pour la chaire, ce lieu si vénérable, la langue qui explique le mieux les droits de la raison, de la sagesse, de la religion, en un mot, de la vérité. Observation. Je serai désapprouvé, sans doute, par tous ces froids discoureurs, par tous ces rhéteurs futiles qui annoncent la parole de Dieu, sur le ton de Sénèque ou de Pline ; mais le serai-je par ceux qui pensent que l’éloquence véritable de la chaire est celle qui
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gior parte delle questioni di grammatica, attiene dunque alla metafisica più sottile: mi richiamo a Du Marsais che non sarebbe stato il primo dei nostri grammatici, se non fosse stato allo stesso tempo uno dei nostri migliori metafisici. È attraverso l’applicazione della metafisica alla grammatica che egli eccelle.165 Si legge a pagina 847 del Journal: L’autore esamina in quale rango porremmo naturalmente le nostre idee, e come la nostra lingua non si assoggetti a quest’ordine, egli ritiene che in questo senso, essa usi delle inversioni, cosa che prova anche attraverso il linguaggio dei gesti, articolo un po’ spezzato dalle digressioni. Dobbiamo anche aggiungere che i lettori, alla fine del pezzo potranno domandarsi, se ne hanno compreso tutti i rapporti; se hanno compreso in che modo i sordomuti confermano l’esistenza di inversioni nella nostra lingua. Questo non implica che non si possa trarre molto piacere, ecc. Il seguito è una specie di elogio che l’autore condivide con padre Castel. Osservazione. Ci sono, lo ripeto, dei lettori che non voglio e non vorrò mai: scrivo solo per coloro con cui m’intratterrei facilmente. Indirizzo le mie opere ai filosofi, non ci sono altri uomini al mondo per me. Quanto a quei lettori che cercano un oggetto che hanno sotto gli occhi, ecco quello che dico loro la prima e ultima volta in cui mi rivolgerò a essi. Chiedete in che modo il linguaggio dei gesti è legato alla questione delle inversioni, e come i sordomuti possono confermano l’esistenza delle inversioni nella nostra lingua? Vi rispondo che sia il sordomuto dalla nascita, sia il muto per convenzione, indicano tramite l’ordine dei loro gesti, l’ordine secondo il quale sono messe le idee secondo il linguaggio animale; questo chiarisce la data di sostituzione successiva dei segni oratori ai gesti, che non ci lascia alcun dubbio sui primi e ultimi segni inventati tra i segni, e che ci trasmette così le nozioni più giuste che possiamo sperare sull’ordine primitivo delle parole e della frase antica, con la quale si deve comparare la nostra, per sapere se abbiamo elle inversioni o se non le abbiamo; perché è necessario conoscere quello che è l’ordine naturale, prima di dire qualcosa sull’ordine invertito. Si legge, pagina seguente del Journal, che per capire bene la Lettera bisogna ricordarsi che l’ordine d’istituzione, l’ordine scientifico, l’ordine didattico e l’ordine della sintassi sono sinonimi. Osservazione. Non si comprenderà per nulla la Lettera se si considereranno tutte queste espressioni come sinonimi. L’ordine didattico non è sinonimo di nessuno degli altri tre. L’ordine della sintassi, quello dell’istituzione, l’ordine scientifico, convengono a tutte le lingue. L’ordine didattico è specifico della nostra e conviene a tutte le lingue che hanno una struttura regolare simile. L’ordine didattico non è altro che una specie di ordine della sintassi; così si affermerebbe in modo molto appropriato che l’ordine della nostra sintassi è didattico. Quando si dà risalto a delle sciocchezze si finisce col mettere troppa esattezza nelle proprie critiche. Di legge nel Journal, pagina 851: I brani in cui l’autore compara le lingua francese con le lingue greca, latina, italiana e inglese, non sarà approvato nella parte in cui dice che bisogna parlare francese in società e nelle scuole di filosofia; greco, latino, inglese, sul pulpito e nei teatri. Il giornalista sottolinea che bisogna destinare al pulpito, questo luogo così venerabile, la lingua che spiega meglio i diritti della ragione, della saggezza, della religione, in una parola della verità. Osservazione. Sarei indubbiamente disapprovato da tutti quei freddi chiacchieroni, da tutti questi retori futili che annunciano la parola di Dio, col tono di Seneca o di Plinio; ma lo sarei da quelli che pensano che la vera eloquenza sul pulpito è quella che
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touche le cœur, qui | arrache le repentir et les larmes, et qui renvoie le pécheur troublé, abattu, consterné. Les droits de la raison, de la sagesse, de la religion et de la vérité, sont assurément les grands objets du prédicateur ; mais doit-il les exposer dans de froides analyses, s’en jouer dans des antithèses, les embarrasser dans un amas de synonymes, et les obscurcir par des termes recherchés, des tours subtils, des pensées louches, et le vernis académique ? Je traiterais volontiers cette éloquence de blasphématoire. Aussi n’estce pas celle de Bourdaloue, de Bossuet, de Mascaron, de La Rue, de Massillon, et de tant d’autres, qui n’ont rien épargné pour vaincre la lenteur et la contrainte d’une langue didactique, par la sublimité de leurs pensées, la force de leurs images et le pathétique de leurs expressions. La langue française se prêtera facilement à la dissertation théologique, au catéchisme, à l’instruction pastorale ; mais au discours oratoire, c’est autre chose. Au reste, je m’en rapporte à ceux qui en savent là-dessus plus que nous et je leur laisse à décider laquelle de deux langues, dont l’une serait naturellement uniforme et tardive ; l’autre variée, abondante, impétueuse, pleine d’images et d’inversions, serait la plus propre à remuer des âmes assoupies sur leurs devoirs à effrayer des pécheurs endurcis, sur les suites de leurs crimes ; à annoncer des vérités sublimes ; à peindre des actes héroïques ; à rendre le vice odieux et la vertu attrayante ; et à manier tous les grands sujets de la religion d’une manière qui frappe et instruise, mais qui frappe surtout ; car il est moins question dans la chaire d’apprendre aux fidèles ce qu’ils ignorent, que de les résoudre à la pratique de ce qu’ils savent. Nous ne ferons aucune observation sur les deux critiques de la page 852, nous n’aurions presque rien à ajouter à ce que le journaliste en dit lui-même. Il vaut mieux que nous nous hâtions d’arriver à l’endroit important de son extrait, l’endroit auquel il nous apprend qu’il a donné une attention particulière. Le voici mot pour mot. | On lit, page 854 du Journal : Tout le monde connaît les trois beaux vers du dix-septième livre de l’Iliade, lorsque Ajax se plaint à Jupiter des ténèbres qui enveloppent les Grecs. Ζεῦ πάτερ ἀλλὰ σὺ ῥῦσαι ὑπ᾽ ἠέρος υἷας Ἀχαιῶν, ποίησον δ᾽ αἴθρην, δὸς δ᾽ ὀφθαλμοῖσιν ἰδέσθαι : ἐν δὲ φάει καὶ ὄλεσσον, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως. Boileau les traduit ainsi : Grand Dieu, chasse la nuit qui nous couvre les yeux, Et combats contre nous à la clarté des cieux. M. de La Motte se contente de dire : Grand Dieu rends-nous le jour, et combats contre nous. Or l’auteur de la Lettre précédente dit que ni Longin, ni Boileau, ni la Motte n’ont entendu le texte d’Homère, que ces vers doivent se traduire ainsi : Père des dieux et des hommes, chasse la nuit qui nous couvre les yeux ; et puisque tu as résolu de nous perdre, perds-nous du moins à la clarté des cieux. Qu’il ne se trouve là aucun défi à Jupiter, qu’on n’y voit qu’un héros prêt à mourir, si c’est la volonté du dieu, et qui ne lui demande d’autre grâce que celle de mourir’ en combattant. L’auteur confirme de plus en plus sa pensée, et paraît avoir eu ce morceau extrêmement à cœur ; sur quoi nous croyons devoir faire aussi les observations suivantes :
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tocca il cuore, che strappa il pentimento e le lacrime, e che congeda il peccatore turbato, abbattuto, costernato. I diritti della ragione, della saggezza, della religione e della verità, sono sicuramente i grandi oggetti del predicatore; ma deve forse esporli in fredde analisi, prendersene gioco nelle antitesi, complicarli in un ammasso di sinonimi, e oscurarli con termini ricercati, fraseggi arguti, pensieri torbidi, e una patina accademica? Accuserei volentieri quest’eloquenza di blasfemia. Non è proprio così quella di Bourdaloue, di Bossuet, di Mascaron, di La Rue, di Massillone di tanti altri che non hanno risparmiato nulla per sconfiggere il lettore con la lentezza e la costrizione di una lingua didattica, con la sublimità dei loro pensieri, la forza delle loro immagini e la pateticità delle loro espressioni.166 La lingua francese si presterà facilmente alla discussione teologica, al catechismo, all’istruzione pastorale; ma al discorso varbale è un’altra cosa. Del resto mi richiamo a chi ne sa più di noi in proposito, e lascio loro decidere quale delle due lingue, l’una naturalmente uniforme e tardiva; l’altra variata, abbondante, impetuosa, piena di immagini e di inversioni, sarebbe la più propria a smuovere delle anime assopite sui loro doveri; a scuotere dei peccatori incalliti, sulle conseguenze dei loro crimini; ad annunciare delle verità sublimi; a dipingere degli atti eroici; a rendere il vizio odioso e la virtù attraente, e a maneggiare tutti i grandi soggetti della religione in una maniera che sorprenda e istruisca, ma che sorprenda soprattutto; perché sul pulpito è meno questione di insegnare ai fedeli quello che ignorano, che convincerli a mettere in pratica quello che sanno. Non farò alcuna osservazione sulle due critiche di pagina 852,167 non avrei praticamente niente da aggiungere a quello che il giornalista stesso dice. È meglio affrettarsi ad arrivare al punto importante del suo estratto, il punto a cui ci dice di aver dato un’attenzione particolare. Eccolo qui parola per parola. Si legge a pagina 854 del Journal: Tutti conoscono i bei versi del diciassettesimo libro dell’Iliade, quando Aiace si lamenta con Giove delle tenebre che avviluppano i Greci. Ζεῦ πάτερ ἀλλὰ σὺ ῥῦσαι ὑπ᾽ ἠέρος υἷας Ἀχαιῶν, ποίησον δ᾽ αἴθρην, δὸς δ᾽ ὀφθαλμοῖσιν ἰδέσθαι: ἐν δὲ φάει καὶ ὄλεσσον, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως.168 Boileau li traduce così: Grand Dieu, chasse la nuit qui nous couvre les yeux, Et combats contre nous à la clarté des cieux169 La Motte si accontenta di dire: Grand Dieu, rends-nous le jour et combats contre nous !170 Ora l’autore della Lettera precedente dice che né Longino, né Boileau, né La Motte hanno compreso il testo di Omero, che questi versi si devono tradurre così: Père de dieux et des hommes, chasse la nuit, qui nous couvre les yeux ; et puisque tu as résolu de nous perdre, perds-nous du moins à la clarté des cieux.171 Che non si trova alcuna sfida a Giove; che non si veda altro che un eroe pronto a morire, se questa è la volontà del dio, e che non gli chiede altra grazia che quella di morire combattendo. L’autore riprova sempre più fermamente suo pensiero, e sembra avere molto a cuore questi brani. Su di essi crediamo di dover fare anche le osservazioni seguenti.
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1° La traduction qu’on donne ici, et que nous venons de rapporter, est littérale, exacte et conforme au sens d’Homère. 2° Il est vrai que, dans le texte de ce grand poète, il n’y a point de défi fait à Jupiter par Ajax. Eustathe n’y a rien vu de semblable, et il observe seulement | que ces mots, perds‑nous à la clarté des cieux, ont fondé un proverbe pour dire si je dois périr, que je périsse du moins d’une manière moins cruelle. 3° Il faut distinguer Longin de nos deux poètes français, Boileau et La Motte : Longin, considéré en lui-même et dans son propre texte, nous paraît avoir bien pris le sens d’Homère ; et il serait en effet assez surprenant que nous crussions entendre mieux ce poète grec, que ne l’entendait un savant qui parlait la même langue, et qui l’avait lu toute sa vie. Ce rhéteur rapporte les vers d’Homère, puis il ajoute : « C’est là véritablement un sentiment digne d’Ajax. Il ne demande pas de vivre, c’eût été une demande trop basse pour un héros : mais voyant qu’au milieu de ces épaisses ténèbres il ne peut faire usage de sa valeur, il s’indigne de ne pas combattre il demande que la lumière lui soit promptement rendue, afin de mourir d’une manière digne de son grand cœur, quand même Jupiter lui serait opposé de front. » Telle est la traduction littérale de cet endroit. On n’y voit point que Longin mette aucun défi dans la pensée ni dans les vers d’Homère. Ces mots, quand même Jupiter lui serait opposé de front, se lient à ce qui est dans le même livre de l’Iliade, lorsque le poète peint Jupiter armé de son égide, dardant ses éclairs, ébranlant le mont Ida, et épouvantant les Grecs. Dans ces funestes circonstances, Ajax croit que le père des dieux dirige lui-même les traits des Troyens ; et l’on conçoit que ce héros, au milieu des ténèbres, peut bien demander, non d’entrer en lice avec le dieu, mais de voir la lumière du jour, pour faire une fin digne de son grand cœur, quand même il devrait être en butte aux traits de Jupiter, quand même Jupiter lui serait opposé de front. Ces idées ne se croisent point : un brave comme Ajax pouvait espérer qu’il se trouverait quelque belle action à faire, un moment avant que de périr sous les coups de Jupiter irrité et déterminé à perdre les Grecs. 4° Boileau prend dans un sens trop étendu le texte de son auteur, lorsqu’il dit : Quand il devrait avoir à combattre Jupiter [.] Voilà ce qui présente un air de défi, dont Longin ne donne point d’exemple. Mais ce trop d’étendue ne paraît pas si marqué dans la traduction du demi-vers d’Homère. Cet hémistiche, et | combats contre nous, ne présente pas un défi dans les formes, quoiqu’il eût été mieux d’exprimer cette pensée, et perd-nous, puisque tu le veux. Nous ne devons rien ajouter sur le vers de La Motte, qui est peut-être encore moins bien que celui de Boileau. De tout ceci, il s’ensuit que si nos deux poètes français méritent en tout ou en partie la censure de notre auteur, Longin du moins ne la mérite pas ; et qu’il suffit pour s’en convaincre de lire son texte. Voilà très fidèlement tout l’endroit du journaliste sur Longin, sans rien ôter à la force des raisonnements, ni à la manière élégante et précise dont ils sont exposés. Observations. Le journaliste abandonne La Motte et Boileau, il ne combat que pour Longin et ce qu’il oppose en sa faveur se réduit aux propositions suivantes 1° Longin parlant la même langue qu’Homère, et ayant lu toute sa vie ce poète, il devait l’entendre mieux que nous. 2° il y a dans la traduction de Boileau un air de défi, dont Longin ne donne point l’exemple, et les expressions, quand Jupiter même lui serait opposé de front, et quand il devrait avoir à combattre Jupiter même, ne sont point synonymes.
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1°. La traduzione che diamo qui, e che abbiamo appena riportato, è letterale, esatta e conforme al senso di Omero. 2°. È vero che nel testo di questo grande poeta, non c’è alcuna sfida a Giove da parte di Aiace. Eustazio non ha visto niente di simile e osserva solamente che queste parole, prendsnous à la clarté des cieux, sono fondate su un proverbio che significa, se devo morire, che muoia almeno in maniera crudele.172 3°. Bisogna distinguere Longino dai nostri due poeti francesi, Boileau e La Motte: Longino considerato in se stesso e nel suo testo, ci sembra aver compreso bene il senso di Omero, e sarebbe infatti molto sorprendente che noi credessimo di capire meglio questo poeta greco di quanto non lo intendesse un sapiente che parlava la stessa lingua e che l’aveva letto per tutta la sua vita. Questo retore raffronta i versi di Omero e poi aggiunge: «È quello un sentimento veramente degno di Aiace. Egli non chiede di vivere, sarebbe stata una domanda troppo meschina per un eroe: ma vedendo che in mezzo a queste dense tenebre, non potrebbe fare alcun uso del proprio valore, si indigna di non combattere; chiede che la luce gli sia prontamente resa, per morire in maniera degna del suo grande cuore, quando anche Giove gli si sarebbe opposto frontalmente». Tale è la traduzione letterale di questo passo. Nulla indica che Longino metta una sfida nel pensiero né nel verso di Omero. Queste parole, quand même Jupiter lui serait opposé de front, si legano a quello che è nello stesso libro dell’Iliade, quando il poeta dipinge Giove armato della sua egida, dardeggiando le sue saette, facendo tremare il monte Ida, e spaventando i Greci. In queste funeste circostanze, Aiace crede che il padre degli dei diriga egli stesso gli strali dei Troiani; e si immagina che questo eroe, in mezzo alle tenebre, possa domandare, non di entrare in lizza con il dio, ma di vedere la luce del giorno, per fare una fine degna del suo grande cuore, anche se Giove gli si fosse contrapposto. Queste idee non collimano affatto: un prode come Aiace poteva sperare che si trovasse qualche bella azione da compiere, un momento prima di perire sotto i colpi di Giove irritato e determinato a rovinare i Greci. 4°. Boileau prende in senso troppo ristretto il testo del suo autore, quando dice: quand il devrait avoir à combattre Jupiter. Ecco qualcosa che ha l’aria di una sfida di cui Longino non dà affatto esempio. Tuttavia quest’eccessiva estensione non sembrerebbe così marcata nella traduzione di metà del verso di Omero. Questo emistichio, et combats contre nous, non presenta una sfida nelle forme, nonostante sarebbe stato meglio esprimere questo pensiero, et prends-nous puisque tu le veux. Non si deve aggiungere niente al verso di La Motte che è forse ancor meno valido di quello di Boileau. Da tutto ciò ne consegue che se i nostri due poeti francesi meritano in tutto o in parte la censura del nostro autore, Longino almeno non la merita; per convincersene basta leggere il suo testo. Ecco, riportato molto fedelmente tutto il passo del giornalista su Longino, senza nulla togliere alla forza dei ragionamenti, né alla maniera elegante e precisa con cui sono espressi. Osservazioni. Il giornalista abbandona La Motte e Boileau, combatte solo per Longino; e ciò che adduce in suo favore si riduce alle seguenti proposizioni: 1°. Longino parlando la stessa lingua di Omero, e avendo letto per tutta la sua vita il poeta, doveva capirlo meglio di noi. 2°. Nella traduzione di Boileau è presente un’aria di sfida, di cui Longino non dà esempio e le espressioni, quand Jupiter même lui serait opposé de front, et quand il devrait avoir à combattre Jupiter même, non sono affatto analoghe.
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3° La première de ces expressions, quand Jupiter même lui serait opposé de front, est relative aux circonstances dans lesquelles Homère a placé son héros. Je réponds à la première objection que Longin a pu entendre Homère infiniment mieux que nous, et se tromper sur un endroit de l’Iliade. Je réponds à la seconde objection, que l’expression, quand même il devrait avoir à combattre Jupiter, et celle que le journaliste lui substitue, pour rendre la traduction plus exacte et plus littérale, quand même Jupiter lui serait opposé de front, me paraîtront synonymes, à moi, et je crois à bien d’autres, jusqu’à ce qu’on nous ait montré qu’elles ne le sont pas. Nous continuerons de | croire que, il m’était opposé de front dans cette action, ou ne signifie rien, ou signifie je devais avoir à le combattre. Le dernier semble même moins fort que l’autre ; il ne présente qu’un peut-être, et l’autre énonce un fait. Pour avoir deux synonymes, il faudrait retrancher devrait de la phrase de Boileau, on aurait alors, quand même il aurait à combattre Jupiter, qui rendrait avec la dernière précision, quand même Jupiter lui serait opposé de front. Mais on aurait exclu, avec le verbe devrait, l’idée d’une nécessité fatale qui rend à plaindre le héros, et qui tempère son discours. Mais Dieu n’est pour un soldat chrétien, que ce que Jupiter était pour Ajax. S’il arrivait donc à un de nos poètes de placer un soldat dans les mêmes circonstances qu’Ajax, et de lui faire dire à Dieu : « Rends-moi donc promptement le jour, et que je cherche une fin digne de moi, quand même tu me serais opposé de front » ; que le journaliste me dise s’il ne trouverait dans cette apostrophe ni impiété ni défi. Ou plutôt je lui demande en grâce de négliger tout ce qui précède, et de ne s’attacher qu’à ce qui suit. Je vais passer à sa troisième objection, et lui démontrer que dans tout le discours de Longin, il n’y a pas un mot qui convienne aux circonstances dans lesquelles Homère a placé son héros, et que la paraphrase entière du rhéteur est à contresens. J’ai tant de confiance dans mes raisons, que j’abandonne au journaliste même la décision de ce procès littéraire ; mais qu’il décide, qu’il me dise que j’ai tort, c’est tout ce que [je] lui demande. Je commence par admettre sa traduction ; je dis ensuite si les sentiments de l’Ajax de Longin, sont les sentiments de l’Ajax d’Homère ; on peut mettre le discours de l’Ajax de Longin dans la bouche de l’Ajax d’Homère ; car si la paraphrase du rhéteur est juste, elle ne sera qu’un plus grand développement de l’âme du héros du poète. Voici donc, en suivant la traduction du journaliste, ce qu’Ajax eût dit à Jupiter par la bouche de Longin : « Grand Dieu, je ne te demande pas la vie ; cette prière est au‑dessous d’Ajax. Mais comment se défendre ? quel usage faire de sa valeur dans les ténèbres | dont tu nous environnes ? Rends‑nous donc promptement le jour, et que je cherche une fin digne de moi, quand même tu me serais opposé de front. » 1° Quels sont les sentiments qui forment le caractère de ce discours ? l’indignation, la fierté, la valeur, la soif des combats, la crainte d’un trépas obscur, et le mépris de la vie. Quel serait le ton de celui qui le déclamerait ? ferme et véhément ; l’attitude de corps ? noble et altière ; l’air du visage ? Indigné ; le port de la tête ? Relevé ; l’œil ? Sec ; le regard ? Assuré : j’en appelle aux premiers acteurs de la scène française. Celui d’entre eux qui s’aviserait d’accompagner ou de terminer ce discours par des larmes, ferait éclater de rire et le parterre, et l’amphithéâtre, et les loges. 2° Quel mouvement ce discours doit-il exciter ? est-ce bien celui de la pitié ? et fléchira-t-on le dieu, en lui criant d’une voix ferme, à la suite de plusieurs propos voisins de
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3°. La prima di queste espressioni, quand Jupiter même lui serait opposé de front, è relativa alle circostanze nelle quali Omero ha posto il suo eroe. Rispondo alla prima obiezione dicendo che Longino poteva capire Omero infinitamente meglio di noi, e sbagliarsi su un passo dell’Iliade. Rispondo alla seconda obiezione che l’espressione, quand même il devrait avoir à combattre Jupiter, e quella che il giornalista gli sostituisce, per rendere la traduzione più esatta e più letterale, quand même Jupiter lui serait opposé de front, sembrano analoghe a me e, credo, di certo anche ad altri, e resta da dimostrare che non lo sono. Noi continueremo a credere che, il m’était opposé de fribt dans cette action, o non significa nulla, o significa, je devrais avoir à le combrattre. L’ultima mi sembra comunque meno forte dell’altra; presenta solo una possibilità, mentre l’altra annuncia un fatto. Per avere due sinonimi bisognerebbe sopprimere il devrait della frase di Boileau, si avrebbe allora, quand même il aurait à combattre Jupiter, che renderebbe con estrema precisione, quand même Jupiter lui serait opposé de front. Tuttavia, in questo modo si escluderebbe il verbo devrait, l’idea di una necessità fatale, che fa compiangere gli eroi, e che tempera il suo discorso. Eppure, Dio è per un soldato cristiano, quello che Giove era per Aiace. Dunque se uno dei nostri poeti mettesse un soldato nelle stesse circostanze di Aiace, e facesse dire a Dio: «Restituiscimi dunque subito il giorno, e che io cerchi una fine degna di me, quand’anche tu ti parassi di fronte a me»; vorrei che il giornalista mi dicesse se non troverebbe questa frase né empietà né sfida. O piuttosto, gli chiedo la grazia di negare tutto quello che precede e di non attaccarsi che a quello che segue. Passerò alla terza obiezione e gli dimostrerò che in tutti i discorsi di Longino, non c’è una parola che sia adatta alle circostanze nelle quali Omero ha messo i suoi eroi, e che la parafrasi intera del retore è un controsenso. Ho tanta fiducia nelle mie ragioni, che lascio al giornalista stesso la decisione di questo processo letterario; ma che decida, che mi dica che ho torto, è tutto quel che gli domando. Comincio con l’ammettere la sua traduzione; quindi sostengo che, se i sentimenti dell’Aiace di Longino, sono i sentimenti dell’Aiace di Omero, si può mettere il discorso dell’Aiace di Longino nella bocca di Omero; perché se la parafrasi del retore è giusta, essa non sarà che un più grande sviluppo fatto dal poeta dell’anima dell’eroe. Ecco dunque, seguendo la traduzione del giornalista, quello che Aiace disse a Giove attraverso la bocca di Longino: «Gran Dio, non ti chiedo la vita, questa preghiera è al di sotto di Aiace. Ma come difendersi? Quale uso fare nel suo valore nelle tenebre di cui tu lo circondi? Restituiscici dunque subito il giorno, e che io cerchi una fine degna di me, quand’anche tu ti parassi di fronte a me». 1°. Quali sono i sentimenti che formano il carattere di questo discorso? L’indignazione, la fierezza, il valore, la sete di combattimento, la paura di un trapasso oscuro, e il disprezzo della vita. Quale dovrebbe essere il tono di colui che lo declamasse? Fermo e veemente. L’attitudine del corpo? Nobile e altera. L’aria del viso? Indignata. Il portamento della testa? Elevato. L’occhio? Secco. Lo sguardo? Sicuro. Mi richiamo ai migliori attori della scena francese. Chi tra loro che fosse dell’opinione di accompagnare o di terminare questo discorso con le lacrime, farà scoppiare in una risata sia la platea, sia l’anfiteatro, sia le logge. 2°. Quale movimento deve stimolare questo discorso? quello della pietà? Si mitigherà il dio, gridandogli con voce ferma, in seguito a molte proposte vicine alla bravata:
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la bravade : « Rends-moi donc promptement le jour, et que je cherche une fin digne de moi, quand même tu me serais opposé de front ? » Ce promptement, surtout, serait bien placé. Le discours de Longin, mis dans la bouche d’Ajax, ne permet donc ni au héros de répandre des larmes, ni aux dieux d’en avoir pitié ; ce n’est donc qu’une amplification gauche des trois vers pathétiques d’Homère ; en voici la preuve dans le quatrième : ᾣς φάτο’ τὸν δὲ πατὴρ ὀλοφύρατο δάκρυ χέοντα
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II dit, et le Père des dieux et des hommes eut pitié du héros qui répandait des larmes. Voilà donc un héros en larmes, et un dieu fléchi ; deux circonstances que le discours de Longin excluait du tableau. Et qu’on ne croie pas que ces pleurs sont de rage : des pleurs de rage ne conviennent pas même à l’Ajax de Longin ; car il est indigné, mais non furieux ; et elles cadrent bien moins encore avec la pitié de Jupiter. Remarquez 1°. qu’il a fallu affaiblir le récit de Longin, pour le mettre avec quelque vraisemblance dans la bouche d’Ajax ; 2°. que la rapidité de | ᾣς φάτο ; τὸν δὲ πατὴρ ὀλοφύρατο, etc., ne laisse aucun intervalle entre le discours d’Ajax, et la pitié de Jupiter. Mais, après avoir peint Ajax d’après la paraphrase de Longin, je vais l’esquisser d’après les trois vers d’Homère. L’Ajax d’Homère a le regard tourné vers le ciel, des larmes tombent de ses yeux, ses bras sont suppliants, son ton est pathétique et touchant, il dit « Père des dieux et des hommes, Ζεῦ πάτερ ; chasse la nuit qui nous environne ; δὸς ἰδέσθαι ; et perds-nous du moins à la lumière, si c’est ta volonté de nous perdre, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως.
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«Restituiscici dunque il subito il giorno, e che io cerchi una fine degna di me, quand’anche tu ti parassi di fronte a me». Questo subito, soprattutto, sarebbe ben inserito. Il discorso che Longino mette in bocca a Aiace, non permette dunque né all’eroe di versare qualche lacrime, né al dio di aver pietà; questa dunque non solo un’amplificazione sinistra dei tre versi patetici di Omero. Eccone la prova nel quarto: ᾣς φάτο’ τὸν δὲ πατὴρ ὀλοφύρατο δάκρυ χέοντα173 Il dit, et le père des dieux et des hommes eut pitié du héros qui répandait des larmes.174 Ecco dunque un eroe in lacrime, e un dio commosso; due circostanze che il discorso di Longino escludono dal quadro. E noi non crediamo che queste lacrime siano di rabbia: delle lacrime di rabbia, non convengono nemmeno all’Aiace di Longino; perché egli è indignato, ma non furioso, ed esse concordano meno ancora con la pietà di Giove. Notate 1°. Che ha fatto indebolire il racconto di Longino, per metterlo con qualche verosimiglianza in bocca a Aiace. 2°. Che la rapidità del ᾣς φάτο; τὸν δὲ πατὴρ ὀλοφύρατο, ecc. non lascia alcun intervallo tra il discorso di Aiace e la pietà di Giove. Ma dopo aver ritratto Aiace con la parafrasi di Longino, discuterò in seguito i tre versi di Omero. L’Aiace di Omero ha lo sguardo rivolto verso il cielo, delle lacrime cadono dai suoi occhi, le sue braccia sono supplichevoli, il suo tono è patetico e toccante, egli dice: «Padre degli dei e degli uomini, Ζεῦ πάτερ; scaccia la notte che ci circonda; δὸς ἰδέσθαι; e prendici almeno alla luce, se la tua volontà è di rovinarci, ἐπεί νύ τοι εὔαδεν οὕτως.»
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Ajax s’adresse à Jupiter, comme nous nous adressons à Dieu dans la plus simple et la plus sublime de toutes les prières. Aussi le Père des dieux et des hommes, ajoute Homère, eut pitié des larmes que répandait le héros. Toutes ces images se tiennent : il n’y a plus de contradiction entre les parties du tableau. L’attitude, l’intonation, le geste, le discours, son effet, tout est ensemble. Mais, dira-t-on, y a-t-il un moment où il soit dans le caractère d’un héros farouche, tel qu’Ajax, de s’attendrir ? Sans doute, il y en a un. Heureux le poète, doué du génie divin qui le lui suggérera. La douleur d’un homme touche plus que celle d’une femme ; et la douleur d’un héros est bien d’un autre pathétique que celle d’un homme ordinaire. Le Tasse n’a pas ignoré cette source du sublime ; et voici un endroit de sa Jérusalem qui ne le cède en rien à celui du dix-septième livre d’Homère. Tout le monde connaît Argant. On n’ignore pas que ce héros du Tasse est modelé sur l’Ajax d’Homère. Jérusalem est prise. Au milieu du sac de cette ville, Tancrède aperçoit Argant environné d’une foule d’ennemis, et prêt à périr par des mains obscures. Il vole à son secours il le couvre de son bouclier, et le conduit sous les murs de la ville, comme si cette grande victime lui était réservée. Ils marchent, ils arrivent ; Tancrède se met sous les armes Argant, le terrible Argant, oubliant le péril et sa vie, laisse tomber les siennes, et tourne ses regards pleins de douleur sur les murs de Jérusalem que la flamme parcourt. « A quoi penses-tu ? lui crie Tancrède. | Serait-ce que l’instant de ta mort est venu ! c’est trop tard. Je pense, lui répond Argant, que c’en est fait de cette capitale ancienne des villes de Judée ; que c’est en vain que je l’ai défendue, et que ta tête, que le Ciel me destine sans doute, est une trop petite vengeance pour tout le sang qu’on y verse. Or qual pensier t’ha preso ? Pensi ch’è giunta l’ora a te prescritta ! S’antivedendo ciò timido stai, È i1 tuo timore intempestivo omai. Penso, risponde, alla città, del regno Di Giudea antichissima regina, Che vinta or cade ; e indarno esser sostegno Jo procurai della fatal ruina ; E ch’è poca vendetta al mio disdegno, Il capo tuo, ch’il cielo or mi destina. Tacque. Jérusal. déliv., chant. 19
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Mais revenons à Longin et au journaliste de Trévoux. On vient de voir que la paraphrase de Longin ne s’accorde point avec ce qui suit le discours d’Ajax dans Homère. Je vais montrer qu’elle s’accorde encore moins avec ce qui le précède. Patrocle est tué : on combat pour son corps, Minerve descendue des cieux anime les Grecs. « Quoi, dit-elle à Ménélas, le corps de l’ami d’Achille sera dévoré des chiens sous les murs de Troye ! » Ménélas se sent un courage nouveau et des forces nouvelles. Il s’élance sur les Troyens ; il perce Podes d’un coup de dard, et se saisit du corps de Patrocle. II l’enlevait ; mais Apollon sous la ressemblance de Phénope, crie à Hector : « Hector, ton ami Podes est sans vie ; Ménélas emporte le corps de Patrocle, et tu fuis. » Hector | pénétré de douleur et de honte, revient sur ses pas mais à l’instant Jupiter, armé de son égide, dardant ses éclairs, ébranlant de son tonnerre le mont Ida, épouvante les Grecs, et les couvre de ténèbres.
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Aiace si rivolge a Giove, come noi ci rivolgiamo a Dio nella più semplice e sublime di tutte le preghiere. Anche il Padre degli dei e degli uomini, aggiunge Omero, ebbe pietà delle lacrime che versò l’eroe. Tutte queste immagini si tengono: non c’è alcuna contraddizione tra le parti dell’insieme. L’attitudine, l’intonazione, il gesto, il discorso, il suo effetto, tutto sta insieme. Però, si potrebbe dire, c’è un momento in cui anche col carattere di un eroe feroce, com’era Aiace, ci si commuove? Probabilmente ce n’è uno. Fortunato il poeta dotato di genio divino che lo suggerirà. Il dolore di un uomo tocca più di quello di una donna; e il dolore di un eroe tocca ben più di quello di un uomo ordinario. Il Tasso non ignorava questa fonte del sublime, ed ecco un passo della sua Gerusalemme che non ha in niente da invidiarea quello del diciassettesimo libro di Omero. Tutti conoscono Argante. È risaputo che questo eroe del Tasso è modellato sull’Aiace di Omero. Gerusalemme è stata presa. Durante il sacco di questa città, Tancredi si accorge che Argante è circondato da una folla di nemici e pronto a morire per mano di sconosciuti. Egli corre in suo soccorso, lo copre con il suo scudo, e lo conduce sotto le mura della città come se questa grande vittima gli fosse stata riservata. Camminano; arrivano; Tancredi si arma di tutto punto, Argante, il terribile Argante dimenticando il pericolo e la sua vita, lascia cadere le sue, e rivolge sguardi pieni di dolore verso le mura di Gerusalemme attraversati dal fuoco.175 «A cosa pensi? Gli grida Tancredi. Forse che l’istante della tua morte è venuto! È troppo tardi. – Penso, gli risponde Argante, che cosa ne sarà di quest’antica capitale delle città della Giudea; che ho difeso invano, e che la tua testa che il Cielo forse mi ha destinato, è una vendetta troppo piccola per tutto il sangue che versato. Or qual pensier t’ha preso ? Pensi ch’è giunta l’ora a te prescritta ! S’antivedendo ciò timido stai, È ‘l tuo timore intempestivo ormai. Penso, risponde, alla città del regno Di Giudea antichissima regina, Che vinta or cade ; e indarno esser sostegno Jo procurai de la fatal ruina. E ch’è poca vendetta al mio disdegno il capo tuo, che ‘l Cielo or mi destina. Tacque. Gerusalemme Liberata, Canto 19176 Ritorniamo a Longino e al giornalista di Trevoux. Si è visto che la parafrasi di Longino non si accorda con ciò che segue il discorso di Aiace in Omero. Mostrerò che essa si accorda ancor meno con ciò che lo precede. Patroclo è stato ucciso. Si combatte per il suo corpo. Minerva discesa dai cieli, anima i Greci. «Come» dice a Menelao, «il corpo dell’amico di Achille sarà divorato dai cani sotto le mura di Troia!»177 Menelao sente un coraggio nuovo, e forze rinnovate. Si lancia sui Troiani; trafora Podes con un colpo di dardo, e afferra il corpo di Patroclo. Lo solleva; ma Apollo sotto le sembianze di Fenope178 grida a Ettore: «Ettore, il tuo amico Podes è senza vita; Menelao trasporta il corpo di Patroclo e tu fuggi».179 Ettore penetrato dal dolore e dalla vergogna ritorna sui suoi passi. Ma improvvisamente Giove armato del suo scudo, dardeggiando i suoi fulmini, scuotendo con il suo tuono il monte Ida, spaventa i Greci, e li copre di tenebre.
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Cependant l’action continue : une foule de Grecs sont étendus sur la poussière. Ajax, ne s’apercevant que trop que le sort des armes a changé, s’écrie à ceux qui l’environnent ᾦ πόποι, « Hélas ! Jupiter est pour les Troyens ; il dirige leurs coups. Tous leurs traits portent, même ceux des plus lâches : les nôtres tombent à terre et restent sans effet. Nos amis consternés nous regardent comme des hommes perdus. Mais allons ; consultons entre nous sur les moyens de finir leurs alarmes et de sauver le corps de Patrocle. Ah ! qu’Achille n’est-il instruit du sort de son ami. Mais je ne vois personne à lui dépêcher. Les ténèbres nous environnent de toutes parts. Père des dieux et des hommes, Ζεῦ πάτερ, chasse la nuit qui nous couvre les yeux ; et perds-nous du moins à la lumière, si c’est ta volonté de nous perdre. Il dit ; le Père des dieux et des hommes fut touché des larmes qui coulaient de ses yeux ; et le jour se fit. Je demande maintenant, s’il y a un seul mot du discours de l’Ajax de Longin qui convienne en pareil cas. S’il y a là une seule circonstance dont le journaliste puisse tirer parti en faveur du rhéteur ; et s’il n’est pas évident que Longin, Despréaux et La Motte, uniquement occupés du caractère général d’Ajax, n’ont fait aucune attention aux conjonctures qui le modifiaient. Quand un sentiment est vrai ; plus on le médite, plus il se fortifie. Qu’on se rappelle le discours de Longin : « Grand Dieu, je ne te demande pas la vie ; cette prière est au-dessous d’Ajax, etc. » Et qu’on me dise ce qu’il doit faire aussitôt que la lumière lui est rendue ; cette lumière qu’il ne désirait, si l’on en croit le journaliste, que dans l’espoir qu’il se couvrirait de l’éclat de quelque belle action, un moment avant que de périr sous les coups de Jupiter irrité et déterminé à perdre les Grecs. Il se bat apparemment ; il est sans doute aux prises avec Hector ; il venge, à la clarté des cieux, tant de sang grec versé dans les ténèbres. Car peut-on attendre autre chose des sentiments que lui prête Longin, et d’après lui, le journaliste ? | Cependant l’Ajax d’Homère ne fait rien de pareil. Il tourne les yeux autour de lui ; il aperçoit Ménélas ; « Fils de Jupiter, lui dit-il, cherchez promptement Antiloque ; et qu’il porte à Achille la fatale nouvelle. » Ménélas obéit à regret ; il crie, en s’éloignant, aux Ajax et à Mérion : « N’oubliez pas que Patrocle était votre ami. » Il parcourt l’armée ; il aperçoit Antiloque, et s’acquitte de sa commission. Antiloque part : Ménélas donne un chef à la troupe d’Antiloque, revient, et rend compte aux Ajax. « Cela suffit, lui répond le fils de Télamon. Allons, Mérion, et vous, Ménélas, saisissez le corps de Patrocle ; et tandis que vous l’emporterez, nous assurerons votre retraite en faisant face à l’ennemi. » Qui ne reconnaît à cette analyse, un héros bien plus occupé du corps de Patrocle que de tout autre objet ? Qui ne voit que le déshonneur dont l’ami d’Achille était menacé, et qui pouvait rejaillir sur lui-même, est presque l’unique raison de ses larmes ? Qui ne voit à présent qu’il n’y a nul rapport entre l’Ajax de Longin et celui d’Homère ; entre les vers du poète et la paraphrase du rhéteur ; entre les sentiments du héros de l’un, et la conduite du héros de l’autre ; entre les exclamations douloureuses ᾦ πόποι, le ton de la prière et d’invocation Ζεῦ πάτερ, et cette fierté voisine de l’arrogance et de l’impiété que Longin donne à son Ajax si clairement, que Boileau même s’y est trompé, et après lui M. de La Motte. Je le répète, la méprise de Longin est pour moi d’une telle évidence, et j’espère qu’elle en aura tant pour ceux qui lisent les Anciens sans partialité, que j’abandonne au journaliste la décision de notre différend ; mais qu’il décide. Encore une fois, je ne demande pas qu’il me démontre que je me suis trompé ; je demande seulement qu’il me le dise. Je me suis étendu sur cet endroit, parce que le journaliste, en m’avertissant qu’il l’avait examiné avec une attention particulière, m’a fait penser qu’il en valait la peine.
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Tuttavia l’azione continua: molti Greci sono distesi nella polvere. Aiace rendendosi conto fin troppo che la sorte dei combattimenti è cambiata, grida a quelli che lo circondano ᾦ πόποι, «Hei! Giove è dalla parte dei Troiani. Dirige i loro colpi. Tutti i loro dardi vanno a segno, anche i più lenti. I nostri cadono a terra e restano senza effetto. I nostri amici costernati ci guardano come uomini perduti. Ma andiamo; consultiamoci tra noi sui mezzi per finire i loro allarmi e salvare il corpo di Patroclo. Ah! Se Achille conoscesse la sorte del suo amico. Ma non vedo nessuno a sbrigarsi. Le tenebre ci circondano da tutte le parti. Padre degli dei e degli uomini, Ζεῦ πάτερ; scaccia la notte che ci circonda; e prendici almeno alla luce, se la tua volontà è di rovinarci.» Disse, e il Padre degli dei fu commosso dalle lacrime che colarono dai suoi occhi e si fece giorno. Adesso chiedo, se ci sia una sola parola nell’Aiace di Longino adatta a un caso simile. Se c’è una sola circostanza in cui il giornalista possa prendere le parti del retore; e se non sia evidente che Longino. Despréaux e La Motte, occupati unicamente dal carattere generale di Aiace, non hanno prestato alcuna attenzione alle congiunture che lo modificavano. Quando un sentimento è vero; più lo si medita, più si rafforza. Che ci si ricordi il discorso di Longino «Gran Dio, non ti chiedo la vita, questa preghiera è al di sotto di Aiace ecc.» E che mi si dica, che cosa ha dovuto fare affinché la luce gli fosse ridata; questa luce che avrebbe desiderato, se si crede al giornalista, solo nella speranza di ripararsi dal fulgore di qualche bella azione, un momento prima di morire sotto i colpi di Giove irritato e determinato a sterminare i Greci. Si batte a quanto pare, probabilmente è alle prese con Ettore; vendica, alla luce del sole, tanto sangue greco versato nelle tenebre. Perché ci si dovrebbe espettare altro dai sentimenti che gli attribuisce Longino, e seguendolo, il giornalista? Tuttavia l’Aiace di Omero non fa nulla di simile. Volge gli occhi attorno a sé, percepisce Menelao: «Figlio di Giove» gli dice, «cercate subito Antiloco, e che egli porti a Achille la triste notizia.» Menelao obbedisce a malincuore, grida allineandosi a Aiace e Merione; «Non dimenticate che Patroclo era vostro amico.» Percorre l’armata, scorge Antiloco, assolve la sua missione. Antiloco parte: Menelao dà un capo alla truppa di Antiloco, ritorna e rende conto a Aiace. «Questo basta, gli risponde il figlio di Telamone. Andiamo, Merione, e voi, Menelao, prendete il corpo di Patroclo; e finché voi lo portate, noi ci assicureremo della vostra ritirata, mettendoci di fronte al nemico.»180 Chi non riconoscerebbe in quest’analisi, un eroe molto più occupato dal corpo di Patroclo che da qualsiasi altra cosa? Chi non vedrebbe che il disonore da cui l’amico di Achille è minacciato, e che potrebbe ricadere su lui stesso, è pressoché l’unica ragione delle sue lacrime? Chi non vede adesso che non vi è alcun rapporto tra l’Aiace di Longino e quello di Omero; tra i versi del poeta e la parafrasi del retore; tra i sentimenti dell’eroe dell’uno, e la condotta da eroe dell’altro; tra le esclamazioni dolorose ᾦ πόποι, il tono di preghiera Ζεῦ πάτερ, e questa fierezza vicina all’arroganza che Longino dà al suo Aiace così come è chiaro che anche Boileau si è sbagliato, e dopo di lui La Motte. Lo ripeto, l’equivoco di Longino è per me così evidente, e spero che lo sarà anche per quelli che leggono gli Antichi senza faziosità, che lascio al giornalista la risoluzione della nostra controversia, ma che egli decida. Ancora una volta non domando che mi dimostri che mi sono sbagliato, chiedo solamente che me lo dica.181 Mi sono dilungato su questo punto perché il giornalista, avvertendomi di averlo analizzato con un’attenzione particolare, mi ha convinto che ne valesse la pena. D’altra
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D’ailleurs le bon goût n’avait pas moins de part que | la critique dans cette discussion et c’était une occasion de montrer combien, dans un petit nombre de vers, Homère a renfermé de traits sublimes, et de présenter au public quelques lignes d’un essai sur la manière de composer des Anciens, et de lire leurs ouvrages. On lit, page 860 de son Journal : Nous ne pouvons pas nous instruire également de la critique qu’on trouve ici sur un discours lu par M. l’abbé de Bernis à l’Académie française. Observation. On peut voir, à la fin de la Lettre même sur les sourds et muets, le sentiment de l’auteur sur cette critique prématurée. Tous ceux qui jugent des ouvrages d’autrui, sont invités à le parcourir ; ils y trouveront le modèle de la conduite qu’il auront à tenir, lorsqu’ils se seront trompés. Le journaliste ajoute que la pièce de M. l’abbé de Bernis, qui fut extrêmement applaudie dans le moment de la lecture, n’a point encore été rendue publique, et que, de sa part, ce serait combattre comme Ajax, dans les ténèbres, que d’attaquer ou de défendre sur un terrain dont il n’a pas assez de connaissance. Observation. Cela est très sage, mais la comparaison n’est pas juste. Il ne paraît pas dans Homère qu’Ajax ait combattu dans les ténèbres, mais tout au plus qu’il a demandé du jour pour combattre. Il ne fallait pas dire, ce serait combattre comme Ajax, dans les ténèbres, etc. mais nous demanderons, comme Ajax de la lumière, ou pour défendre ou pour combattre. Je relève ici une bagatelle, le journaliste m’en a donné l’exemple. On lit enfin, page 863 et dernière de cet extrait : notre auteur nous fait espérer que, si nous savons nous servir de notre langue, nos ouvrages seront aussi précieux pour la postérité que les ouvrages des Anciens le sont pour nous. Ceci est une bonne nouvelle, mais nous craignons qu’elle ne nous promette trop, et... aurons-nous des orateurs tels que Cicéron, des poètes tels que Virgile et Horace, et... et si nous mettions le pied dans la Grèce, comment pourrions-nous n’être pas tentés de dire, malgré la défense d’Épictète : Hélas ! nous n’aurons jamais d’honneur, nous ne serons jamais rien. | Observation. Nous avons déjà dans presque tous les genres des ouvrages à comparer à ce qu’Athènes et Rome ont produit de plus beau. Euripide ne désavouerait pas les tragédies de Racine. Cinna, Pompée, les Horaces, etc. feraient honneur à Sophocle. La Henriade a des morceaux qu’on peut opposer de front à ce que l’Iliade et l’Énéide ont de plus magnifique. Molière réunissant les talents de Térence et de Plaute, a laissé bien loin derrière lui les comiques de la Grèce et de l’Italie. Quelle distance entre les fabulistes grecs et latins, et le nôtre ! Bourdaloue et Bossuet le disputent à Démosthène. Varron n’était pas plus savant que Hardouin, Kircher et Petau. Horace n’a pas mieux écrit de l’art poétique que Despréaux. Théophraste ne dépasse pas La Bruyère. Il faudrait être bien prévenu pour ne pas se plaire autant à la lecture de l’Esprit des Lois qu’à la lecture de la République de Platon. Il était donc assez inutile de mettre Épictète à la torture pour en arracher une injure contre notre siècle et notre nation. Comme il est très difficile de faire un bon ouvrage, et très aisé de le critiquer ; parce que l’auteur a eu tous les défilés à garder, et que le critique n’en a qu’un à forcer ; il ne faut point que celui-ci ait tort : et s’il arrivait qu’il eût continuellement tort, il serait inexcusable. Déf. de l’Esprit des Lois, page 177.
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parte il buongusto aveva tanta importanza in questa critica quanto in questa discussione; ed era l’occasione per dimostrare quanto, in un piccolo numero di versi, Omero ha racchiuso dei tratti sublimi, e di presentare al pubblico alcune righe di un saggio sul modo di comporre degli Antichi e di leggere le loro opere. Si legge a pagina 860 del duo Journal: Non siamo altrettanto informarti sulla critica che si trova in quest’opera su un discorso letto dall’abate Bernis all’Académie française. Osservazione. Si può vedere alla fine della stessa Lettera sui sordi e muti, l’opinione dell’autore su questa critica prematura. Tutti quelli che giudicano le opere altrui, sono invitati a leggerle; vi troveranno in esse il modello di condotta che dovranno tenere nel caso in cui si fossero sbagliati. Il giornalista aggiunge che il pezzo dell’abate Bernis, che fu estremamente applaudito nel momento della lettura, non è stato ancora reso pubblico, e che da parte sua sarebbe combattere come Aiace, nelle tenebre, attaccandomi o difendendomi su un terreno del quale non ha abbastanza conoscenza. Osservazione. È molto saggio; ma il paragone non è corretto. Non sembrerebbe in Omero che Aiace avesse combattuto nelle tenebre. Non bisognerebbe dire, sarebbe come Aiace nelle tenebre, ecc. ma, chiederemo come Aiace, un po’ di luce, per difendere o per combattere. Rimarco qui una sciocchezza, ma ho preso esempio dal giornalista. Si legge infine a pagina 863, ultima di questo estratto: il nostro autore ci fa sperare che se sapessimo servirci della nostra lingua, le nostre opere saranno così preziose per la posterità quanto le opere degli Antichi lo sono per noi. Questa è una buona notizia ma noi temiamo che essa prometta troppo, e... avremo degli oratori come Cicerone, dei poeti come Virgilio e Orazio, e... se mettessimo piede in Grecia, come potremmo non essere tentati di dire, malgrado la difesa di Epitteto: Ahimè! Noi non avremo mai onore! Noi non saremo mai niente. Osservazione. Noi abbiamo già in quasi tutti i generi, delle opere da confrontare a ciò di più bello è stato prodotto da Atene e Roma. Euripide non disprezzerebbe le tragedie di Racine. Cinna, Pompeo, gli Orazii, ecc. farebbero onore a Sofocle. La Henriade ha dei pezzi che si possono porre accanto alle parti più ammirevoli dell’Iliade e l’Eneide. Molière riunendo il talento di Terenzio e di Plauto, ha superato di gran lunga i comici della Grecia e dell’Italia. Che distanza tra i favolisti greci e latini e i nostri! Bourdaloue e Bossuet rivaleggiano con Demostene. Varrone non era più sapiente di Harduin, Kircher e Petau.182 Orazio non ha scritto meglio di Despréaux sull’arte poetica. Teofrasto non fa sfigurare la Bruyère. Bisognerebbe essere davvero prevenuti per non apprezzare egualmente la lettura dello Spirito delle leggi quanto della Repubblica di Platone. Dunque, era proprio inutile mettere in croce Epitteto per recare offesa al nostro secolo e alla nostra nazione. Poiché è molto difficile comporre una buona opera, è molto facile criticarla; perché l’autore ha deve aver cura dei minimi dettagli, e la critica ne ha uno solo da forzare; non bisogna che questi abbia torto: se accadesse che avesse continuamente torto, sarebbe inscusabile. Difesa dello Spirito delle leggi, pagina 177.183
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Table des matières
A Accidents, 131, 139 Acteurs, 148, 149 Adjectifs, 135, 137 Ame, 158 Amitié, 160 Amphibologie, 150 Amyot, 187 Anatomie métaphysique, 140 Anciens, 138 Aoristes grecs, 153 Aristophane, 139 Aristote, 138 Article, 189 Avercamp, (Préface) B Basse fondamentale, 167 Basse continue, 167 Batteux, (M.), 131 Beaux-arts réduits à un même principe, 182 Bernis, (M. l’abbé de), 178 Bissy, (M. de), 178 Boileau, 174, 175, 176, 191, 216 Bon sens, 178 Bossuet, 151, 191 Brantome, 191 C Castel, (le R. P.), 146, 147 Chinois, 187 Cicéron, 155 Clavecin oculaire, 145 Condillac, (M. l’abbé de), 145 Construction, 151 Contresens, 150 Corneille, 191 Corps défini, 136 Couleurs, 136
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D Déclamation, 148 Délicatesse fausse, 187 Descartes, 176 Diable boiteux, 149 Discourir, 162 Discours latins, 152 Discours en couleur, 146 Du Marsais, (M.), 134 E Echecs, 144 Echelles du Levant, 152 Ellipse interdite, 141 Enéide, 168, 171 Entendement humain, (système de l’), 159 Entendement par les signes, 162 Epaminondas, 144 Epictete, 153 Epithètes, 178 Etendue, 136 Eurayale, 171 Existence (sensation de notre), 159 Expérience singulière, 148 Expérience, (autre), 146 Expression, (l’), 169 F Femme forte, 143 Fléchier, 191 Figure, 136 Fontenelle, (M. de) 176 G Gaulois, (auteurs), 137 Génie, 146, 191 Geomètres et géométire, 140 Gestes, (usage des), 138 Gestes sublimes, 142 Gestes, (connaissance des), 148 Gilblas, 149
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Indice analitico*
A Accidenti, 131, 139 Aggettivi, 135, 137 Amicizia, 160 Amyot, 187 Anatomia metafisica, 140 Anfibologia, 150 Anima, 158 Antichi, 138 Aoristi greci, 153 Aristofane, 139 Aristotele, 138 Armonia dello stile, 166 Armonia, (Musica), 150 Articolo, 189 Attori, 148, 149 Avercamp, (Prefazione) B Basso continuo, 167 Basso fondamentale, 167 Batteux, 131 Bernis, (abate di), 178 Bissy, 178 Boileau, 174, 175, 176, 191, 216 Bossuet, 151, 191 Brantome, 191 Buon senso, 178 C Cartesio, 176 Castel, (R.P.), 146, 147 Cicerone, 155 Cinesi, 187 Clavicembalo oculare, 145 Colori, 136 Condillac, (abate di), 145 Controsenso, 150 Conversare, 162 Corneille, 191
Corpo definito, 136 Costruzione, 151 D Declamazione, 148 Delicatezza falsa, 187 Diable boiteux, 149 Dipinto mobile, 161 Discorsi latini, 152 Discorso a colori, 146 Domande, 136 Donna forte, 143 Du Marsais, 134 E Ellissi interdetta, 141 Eneide, 168, 171 Epaminonda, 144 Epiteti, 178 Epitteto, 153 Esistenza (sensazione della nostra), 159 Esperienza, (altro), 146 Esperienza singolare, 148 Espressione, (l’), 169 Estensione, 136 Eurialo, 171 F Figura, 136 Fléchier, 191 Fontenelle, 176 G Gallici, (autori), 137 Genio, 146, 191 Geometra e geometria, 140 Geroglifici, 169, 176 Gesti sublimi, 142 Gesti, (conoscenza dei), 148 Gesti, (uso dei), 138 Gilblas, 149
* I numeri si riferiscono alle pagine dell’edizione DPV riportate a margine del testo francese.
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392 Goût, 141 Gymnastique, 154 H Harmonie, (Musique), 150 Harmonie du style, 166 Henriade citée, 169 Héraclius, tragédie, 143 Hiéroglyphes, 169, 176 Homere, 171, 173, 174, 175, 176 Hommes fictifs, 142 Homme décomposé, 140 Homme automate, 159 Horologe, 159 I Idées, (ordre des), 137 Idée principale, 155 Iliade citée, 173 Inconnu, (chef-d’œuvre d’un), 170 Instruments de musique, 146 Intonation, 149 Inversions rares en français, 136 Inversions dans l’esprit difficiles, 154 L La Bruyere, 166 La Fontaine, 191 La Motte, 174, 176, 216 Langues, (origine des), 135 Langues anciennes, 137 Langue française, 151, 164, 191 Langue des gestes , 141 Langue des gestes métaphorique, 144 Langue franque, 152 Langue hébraïque, 153, 177 Langue grecque, 153, 177 Langue française, grecque, italienne, latine 165, 191 Langue appauvrie, 187 Langue parlée, langue écrite, 17 Langues à inversions (désavantage des), 165 Langue naissante, formée, perfectionnée, 166 Lettre sur les sourds et muets, 134 Lettre sur les aveugles, (Préface) Liaison harmonique, 160 Longin, 174
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opere filosofiche
M Mackbet, tragédie, 143 Malherbe, 191 Mantinée, (bataille de), 191 Marcellus, (Oraison pour), 154 Mémoire, 163 Menipe, 175 Montagne, 187 Montmeni, 149 Motte, voyez La Motte. Musique, 146 Muet, 138, 139 N Nature, (belle), 182 O Objets sensibles, 135 Odorat, 140 Œil, 136, 140 Oreille, 136, 140 Ovide, 168 P Pantomime, 139 Peinture, 185 Pensée, 141, 169 Péripatéticisme, 137 Pétrone, 172 Plaisanterie bonne ou mauvaise d’un muet, 145 Poésie, 169 Poésie, peinture et musique 185 Poètes difficiles à lire, 178 Porée, (r. p. jésuite), 180 Pythagore, 160 Q Qualités sensibles, 135 Questions, 136 Quinquertions, 154 Quinte fausse, 184, 187
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lettera sui sordi e muti a uso di coloro che sentono e parlano, indice
Ginnastica, 154 Gusto, 141 H Henriade citata, 169 Héraclius, tragedia, 143 I Idea principale, 155 Idee, (ordine delle), 137 Iliade citata, 173 Intelletto attraverso i segni, 162 Intelletto umano, (sistema dell’), 159 Intonazione, 149 Inversioni nello spirito difficili, 154 Inversioni rare in francese, 136 L La Bruyere, 166 La Fontaine, 191 La Motte, 174, 176, 216 Le belle arti ridotte a un unico principio, 182 Legame armonico, 160 Lettera sui ciechi, (Prefazione) Lettera sui sordi e muti, 134 Lingua dei gesti metaforica, 144 Lingua francese, greca, italiana, latina, 165, 191 Lingua dei gesti, 141 Lingua ebraica, 153, 177 Lingua franca, 152 Lingua francese, 151, 164, 191 Lingua greca, 153, 177 Lingua impoverita, 187 Lingua nascente, formata, perfezionata, 166 Lingua parlata, langue scritta, 17 Lingue a inversione (svantaggi delle), 165 Lingue antiche, 137 Lingue, (origine delle), 135 Longino, 174 M Macbeth, tragedia, 143 Malherbe, 191 Mantinée, (battaglia di), 191
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Marcello, (Orazione pro), 154 Memoria, 163 Menippo, 175 Montaigne, 187 Montmeni, 149 Motte, si veda La Motte. Musica, 146 Muto, 138, 139 N Natura, (bella), 182 O Occhio, 136, 140 Oggetti sensibili, 135 Olfatto, 140 Omero, 171, 173, 174, 175, 176 Orecchio, 136, 140 Orologio, 159 Ovidio, 168 P Pantomima, 139 Pensiero, 141, 169 Pentatleti, 154 Peripatetismo, 137 Petronio, 172 Pitagora, 160 Pittura, 185 Poesia, 169 Poesia, pittura e musica 185 Poeti difficili da leggere, 178 Porée, (R.P. gesuita), 180 Q Qualità sensibili, 135 Quinta falsa, 184, 187 R Rabelais, 191 Racine, 151, 162, 128, 191 Ragionare, 138 Ricapitolazione, 188 Rodogune, tragedia, 144 S Sage, 149
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394 R Rabelais, 191 Racine, 151, 162, 128, 191 Raisonner, 138 Récapitulation, 188 Rodogune, tragédie, 144 S Sage, (M. le Sage), 149 Scythes, 160 Sentiment d’un auteur, 150 Shakespear, 143 Signes oratoires, 138 Société singulière, 140 Sourd et muet, 141 Style, image de l’esprit, 187 Substance, 136 Substantifs, 137 Syllogisme, 160 T Tableau mouvant, 161
opere filosofiche
Temps de verbes, 152 Tentation, 141 Termes abstraits, 136 Terme moyen, 160 Tête mal faite, 151 Titre, (mauvais), 131 Tite-live, 166 Toucher, 136, 140 Traduction singulière, 141 Transposition, 150 Triton, 184 Turcaret, 149 V Version, 139 Virgile, 168, 171, 173, 184, 187, 199 Voltaire, (M. de), 151, 169, 176, 191 Z Zenon, 139
Fin de la table
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lettera sui sordi e muti a uso di coloro che sentono e parlano, indice
Scacchi, 144 Scali del Levante, 152 Scherzo buono o cattivo di un muto, 145 Sciiti, 160 Sconosciuto, (capolavoro di uno), 170 Segni oratori, 138 Sentimento di un autore, 150 Shakespeare, 143 Sillogismo, 160 Società singolare, 140 Sordo e muto, 141 Sostantivo, 137 Sostanza, 136 Stile, immagine dello spirito, 187 Strumenti musicali, 146 T Tatto, 136, 140 Tempi verbali, 152 Tentazione, 141
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Termine medio, 160 Termini astratti, 136 Testa malfatta, 151 Tito Livio, 166 Titolo, (cattivo), 131 Traduzione singolare, 141 Trasposizione, 150 Tritone, 184 Turcaret, 149 Uomini fittizi, 142 Uomo automa, 159 Uomo scomposto, 140 V Versione, 139 Virgilio, 168, 171, 173, 184, 187, 199 Voltaire, 151, 169, 176, 191 Z Zenone, 139
Fine dell’indice
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Pensées sur l’interprétation de la nature
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Pensieri sull’interpretazione della natura (1753-54)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
Nel numero della Correspondance littéraire datato 15 dicembre 1753 quest’opera viene citata con un titolo più breve: De l’interprétation de la nature, dopo la prima edizione, di cui esistono pochissime copie, i Pensieri sull’interpretazione della natura furono ristampati nel 1754 in una versione rivista e modificata da Diderot. Tuttavia, gli studiosi hanno rinvenuto un documento che attesta il titolo esteso Pensées sur l’interprétation de la nature già il 6 dicembre 1753, registrato dall’ispettore di polizia d’Hémery che rende meno chiare le fasi di composizione e circolazione dell’opera. Dati gli elementi a disposizione, gli studiosi hanno tuttavia stabilito che la redazione finale risale al 1754. Come ha dimostrato con le sue analisi Jacques Proust i pensieri raccolti da Diderot in quest’opera sono la prosecuzione delle riflessioni condotte nell’elaborazione dell’Encyclopédie e, in particolare, di quanto il filosofo aveva espresso nell’articolo «Arte» (Art)1. Proprio l’Encyclopédie, quale centro di gravitazione di alcuni tra i pensatori e gli scienziati più originali del tempo, era stato il luogo di osservazione privilegiato delle tendenze del progresso scientifico in atto e Diderot, quale direttore dell’opera e filosofo attento, ne aveva colto le correlazioni, i possibili sviluppi ma anche le problematiche. D’altra parte non si comprenderebbero appieno i Pensieri sull’interpretazione della natura considerandoli solo in relazione al Dictionnaire raisonné des sciences et des arts, poiché in questa raccolta di aforismi convergono anche molti dei temi e degli elementi presenti negli scritti precedenti di cui qui si coglie l’unità, la coerenza, ma anche le basi per le successive evoluzioni, proprio per questo Franco Venturi considerava quest’opera come un «nodo essenziale»2 per comprendere l’evoluzione del pensiero diderotiano. Sicuramente questo testo, fin dalle citazioni in exergo, si rivolge agli spiriti colti del tempo, riprendendo con l’esortazione al giovane lettore («Jeun homme, prends et lit») l’agostininano «tolle et lege». Al contempo però la citazione tratta dal De rerum natura di Lucrezio, esprime la funzione rischiaratrice dell’opera in armonia con la battaglia dell’illuminismo per dissipare le tenebre della superstizione e dell’ignoranza. Il problema politico già posto fin dalla Passeggiata dello scettico, si interseca qui con alcune questioni epistemologiche già emerse nelle due lettere (Lettera sui ciechi e Lettera sui sordi e muti). Da un lato si tratta di comprendere i meccanismi attraverso i quali si perviene alla conoscenza, tema sviluppato in contrapposizione a Cartesio, riabilitando il ruolo dei sensi e dell’esperienza quale fonte primaria di sapere del processo conoscitivo; dall’altro lato è necessario capire quali siano le condizioni sociali che permettono la diffusione della conoscenza e che la sostengono. Rispetto a questo, il riferimento fondamentale è Bacone, evocato fin dal titolo: il termine «interpretazione» in esso contenuto è infatti un richiamo ai Cogitata et visa de intepretatione 1
J. Proust, Diderot et l’Encyclopédie, Slaktine, Genève-Paris 1962, pp. 197-202. F. Venturi, Giovinezza di Diderot, Sellerio, Palermo 1988, p. 241.
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pensieri sull’interpretazione della natura
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naturæ, sive de scientia operativa di Bacone, nonché al capitolo del Novum Organum intitolato «Aforismi sull’interpretazione della natura e sul regno dell’uomo». Naturalmente, Diderot non si limita a riproporre le riflessioni baconiane, anche perché nel frattempo le scienze erano evolute significativamente. L’interprete della natura, come chiarisce Diderot nel pensiero §lvi, non si limita a registrare le conoscenze acquisite tramite i sensi, bensì adotta quello che Bacone aveva descritto come il modello dell’ape (contro quelli del ragno e della formica), cioè attua un costante andirivieni dall’esperienza alla teoria. Diderot con questo testo invita a superare i modelli gerarchici del sapere (tra cui il modello cartesiano, approccio condiviso ad esempio da D’Alembert che lo aveva esposto anche nel «Discorso preliminare» dell’Encyclopédie), ma assume anche una posizione alternativa rispetto alla dicotomia tra dogmatismo ed empirismo. Critico verso il metodo che non rinuncia mai all’applicazione dei propri principi, Diderot mostra anche i limiti delle classificazioni come quella di Linneo e delle matematiche quando si limitano a estendere leggi generali e astratte ai fenomeni della materia vivente, spiegabili solo con metodo descrittivo, come aveva dimostrato Buffon in quegli stessi anni. Proprio relativamente alla critica alle matematiche presente nei Pensieri sull’interpretazione della natura, occorre ricordare che Diderot fino al 1748 le aveva coltivate con competenza e acume, redigendo anche diverse memorie in cui dimostra di padroneggiare anche le più recenti tecniche di calcolo (per esempio il calcolo logaritmico e infinitesimale, gli integrali, ecc.) tuttavia, come Maupertuis e Buffon, le aveva abbandonate per approfondire la conoscenza delle nascenti scienze vitalistiche come la chimica e la biologia, capaci di rendere conto dell’individualità dei fenomeni e della centralità dell’esperienza nell’interpretazione della natura. La rilevanza del singolo fenomeno va compresa soprattutto in relazione al rifiuto di una teologia dell’ordine e dell’unità a cui Diderot contrapponeva la molteplicità quale punto di partenza di ogni ricerca sulla natura, condividendo i principi di un leibnizianismo piuttosto diffuso nel XVIII secolo3. Pur sostenendo l’unità della natura e la continuità e la concatenazione dei fenomeni, secondo il filosofo l’essere umano è in grado di coglierne solo alcuni frammenti e, essendo la natura in continua trasformazione, nonostante le similitudini, ciascun essere è anche unico e distinto dagli altri. Probabilmente va osservato, come ha fatto Paolo Casini, che le affermazioni radicali sul carattere di eterogeneità delle matematiche e rispetto al reale e sul loro futuro, contenute nei pensieri iii e iv sono da leggere in relazione alla supremazia che al tempo aveva assunto questa disciplina rispetto alle altre e all’intenzione di liberare una scienza come la chimica dalla sottomissione alle scienze astratte. Anzi, come lo stesso Diderot rimarcherà nelle Premières notions sur les mathématiques à l’usage des enfants (testo che sembra essere stato redatto su sollecitazione di Caterina II) nel suo secolo risultava persino superfluo soffermarsi sull’utilità delle matematiche, ma contrariamente a D’Alembert che le considerava come un modello per tutte le altre scienze, il filosofo di Langres preferiva prendere le distanze da tutti quei metodi o sistemi che tendevano a svilupparsi senza tener conto dell’esperienza, considerandola fonte di errori e generalizzazioni arbitrarie. Nondimeno, un approccio puramente sperimentale rischiava di essere altrettanto sterile perché, nonostante le scoperte a cui portano la sperimentazione e le osservazioni, un sapere disorganiz3
C. Duflo, Diderot philosophe, Honoré Champion, Paris 2013, pp. 151-172.
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nota introduttiva
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zato procede alla cieca (§ xxiii). Sebbene, come dimostrano i pensieri §§ xxviii‑xxix, anche la ricerca non orientata e svolta per tentativi, se condotta con tenacia porti, per accumulazione, a dei risultati, che vengono riconosciuti dal filosofo, resta pur sempre vero anche per Diderot che le sperimentazioni risultano inutili o i loro risultati inutilizzabili senza degli obiettivi. Questa visione non gerarchica del sapere corrisponde non solo all’intento di nobilitare le scienze della vita, ma va ricondotta anche a una concezione monistica della materia, al superamento del dualismo materia/spirito e dell’idea di un ordine scalare degli esseri: come avevano mostrato le ricerche di Buffon e Maupertuis la materia è in continua trasformazione, questo implica una storicizzazione della natura che non può avere altra conseguenza che un continuo cambiamento del sapere e la necessità di un’autoeducazione infinita, oltre che al fallibilismo della scienza stessa4. I Pensieri sull’interpretazione della natura costituiscono pertanto un momento di passaggio nell’evoluzione del materialismo diderotiano, in cui il filosofo critica il modello astratto della matematica e della fisica su un piano epistemologico, ma è ancora influenzato dal newtonianismo e si dimostra esitante quando si tratta di entrare nel merito di alcuni problemi specifici relativi alla materia. Questi ultimi due aspetti risultano particolarmente evidenti quando nello sviluppo argomentativo delle congetture: nella iii congettura (§ xxxvi), per esempio, Diderot ipotizza che l’attrazione (concetto newtoniano) possa propagarsi all’infinito tra le molecole, benché al contempo rifiuti un altro concetto newtoniano come l’idea del vuoto. Come attestano le idee sviluppate nella congettura v, d’altra parte, Diderot elabora le sue ipotesi e le sue riflessioni senza distinguere ancora la chimica dalla fisica, limitandosi a constatare che l’attrazione universale di Newton non rendeva conto di tutte le operazioni chimiche, senza introdurre per esempio la nozione di «affinità» che gli avrebbe permesso di risolvere diversi problemi tra quelli sollevati 5. La ragione più plausibile secondo gli studiosi è che all’epoca della redazione di quest’opera Diderot non avesse ancora le nozioni proprie della chimica come scienza indipendente: egli iniziava proprio nel 1753 a seguire i corsi di Rouelle, che gli offriranno nuovi concetti e nozioni, oltre a un modello epistemologico che risulterà cruciale per la maturazione e l’evoluzione del suo materialismo, incidendo su opere come Il Sogno di D’Alembert e il Nipote di Rameau. Proprio le congetture testé citate sono interessanti sia per i temi affrontati, sia per il metodo utilizzato che individua dei compiti intellettuali, descrive procedure volte a facilitare gli esperimenti e si sforza di mostrare l’importanza che hanno anche i compiti minori, rivalutando il ruolo dei «manovali» della scienza. Scienza, che viene descritta come una vera e propria impresa collettiva. Anche per questo Diderot esprime dei consigli, sprona gli interpreti della natura e i manovali della scienza a far ricorso all’immaginazione, fa leva sul loro amor proprio e, non da ultimo, evoca un vero e proprio piacere della scienza, in modo che sia chiara l’importanza del contributo che ognuno può dare alle nuove scoperte. Ciò che emerge è che il filosofo in quanto interprete della natura, si interessa agli aspetti sperimentali accanto alle questioni epistemologiche, ma anche alle condizioni socio-politiche che permettono e favoriscono lo sviluppo del sapere. Proprio per questo è importante ricordare che i 4 Cf. P. Quintili, Introduzione ai Pensieri sull’interpretazione della natura, Armando Editore, 1995. 5 F. Kawamura, Diderot et la chimie. Science, pensée et écriture, Garnier, Paris 2013, p. 86.
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pensieri sull’interpretazione della natura
Pensieri sull’interpretazione della natura, pur rivolgendosi agli spiriti colti, interpellano anche un secondo tipo di lettori, cioè i cittadini, cercando di convincerli a promuovere l’utilità della scienza, in quello che è stato visto anche come un discorso alla nazione che annuncia quello di Condorcet6 .
Nota al testo Delle Pensées sur l’interprétation de la nature esistono due edizioni successive, quella del 1753 e quella del 1754, che sono identiche fino al pensiero XXXI incluso; dal pensiero XXXII al XXXIX la lunghezza del testo è quasi raddoppiata nell’edizione del 1754, in seguito il testo delle due edizioni corrisponde. Per la nostra traduzione abbiamo seguito il testo stabilito nell’edizione DPV (vol. IX, pp. 25-102) a cura di Jean Varloot con commento di J. Varloot e Herbert Dieckmann che segue l’edizione del 1754 e dove sono segnalate tutte le variazioni. Nella presente traduzione si è invece scelto di segnalare solo le differenze principali tra i due testi. Per le note ci siamo avvalsi anche delle edizioni a cura di Michel Delon (OP, pp. 281-341) e l’ottima edizione curata da Colas Duflo e corredata da un importante e ricco commentario (Pensées sur l’interprétation de la nature, Flammarion, Paris 2005). Per il confronto con le traduzioni italiane è di riferimento quella a opera di Paolo Quintili corredata da un apparato critico importante (Armando, Roma 1996) accanto a quella precedentemente curata da Paolo Rossi contenuta all’interno del volume di Opere filosofiche (Interpretazione della natura, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 112-156). Si segnala infine la traduzione e curatela di Gianfranco Cantelli (Interpretazione della natura e Principi filosofici sulla materia e il movimento, Mondadori, Milano 1995). 6 Cf. J. Varloot, Introduction ai Pensées philosophiques sur l’interprétation de la nature, Paris, Hermann, 1984.
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Frontespizio dell’edizione del 1754 dei Pensieri sull’interpretazione della natura. (Fonte: gallica.bnf.fr)
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Pensées sur l’interprétation de la nature
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[DPV, IX, 26-99]
Aux jeunes gens Qui se disposent a l’étude de la philosophie naturelle Jeune homme, prends et lis. Si tu peux aller jusqu’à la fin de cet ouvrage, tu ne seras pas incapable d’en entendre un meilleur. Comme je me suis moins proposé de t’instruire que de t’exercer ; il m’importe peu que tu adoptes mes idées, ou que tu les rejettes, pourvu qu’elles emploient toute ton attention. Un plus habile t’apprendra à connaître les forces de la nature ; il me suffira de t’avoir fait essayer les tiennes. Adieu. P. S. Encore un mot, et je te laisse. Aie toujours présent à l’esprit que la nature n’est pas Dieu, qu’un homme n’est pas une machine, qu’une hypothèse n’est pas un fait ; et sois assuré que tu ne m’auras point compris, partout où tu croiras apercevoir quelque chose de contraire à ces principes. |
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Pensieri sull’interpretazione della natura1
Ai Giovani che intraprendono lo studio della filosofia della natura. Giovane, prendi e leggi. Se riuscirai a leggere quest’opera fino alla fine, non sarai incapace di comprenderne una migliore. Poiché mi sono proposto più di metterti alla prova che di istruirti, m’importa poco che tu accolga le mie idee o le respinga, purché dedichi a esse tutta la tua attenzione. Persone più abili di me t’insegneranno a conoscere le forze della Natura; a me sarà sufficiente aver messo alla prova le tue. Addio. P.S. Ancora una parola e poi ti lascio. Tieni sempre in mente che la Natura non è Dio2, che un uomo non è una macchina, che un’ipotesi non è un fatto;3 e sta certo che non mi avrai ben compreso ogni volta che crederai di individuare qualche cosa di contrario a questi principi.
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De l’interprétation de la nature
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Quæ sunt in luce tuemur E tenebris. Lucret. Lib. VI. I
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C’est de la nature que je vais écrire. Je laisserai les pensées se succéder sous ma plume, dans l’ordre même selon lequel les objets se sont offerts à ma réflexion, parce qu’elles n’en représenteront que mieux les mouvements et la marche de mon esprit. Ce seront ou des vues générales sur l’art expérimental, ou des vues particulières sur un phénomène qui paraît occuper tous nos philosophes, et les diviser en deux classes. Les uns ont, ce me semble, beaucoup d’instruments et peu d’idées ; les autres ont beaucoup d’idées et n’ont point d’instruments. L’intérêt de la vérité demanderait que ceux qui réfléchissent daignassent enfin s’associer à ceux qui se | remuent, afin que le spéculatif fût dispensé de se donner du mouvement ; que le manœuvre eût un but dans les mouvements infinis qu’il se donne ; que tous nos efforts se trouvassent réunis et dirigés en même temps contre la résistance de la nature, et que, dans cette espèce de ligue philosophique, chacun fît le rôle qui lui convient. II
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Une des vérités qui aient été annoncées de nos jours avec le plus de courage et de force,A qu’un bon physicien ne perdra point de vue, et qui aura certainement les suites les plus avantageuses ; c’est que la région des mathématiciens est un monde intellectuel, où ce que l’on prend pour des vérités rigoureuses perd absolument cet avantage quand on l’apporte sur notre terre. On en a conclu que c’était à la philosophie expérimentale à rectifier les calculs de la géométrie, et cette conséquence a été avouée, | même par les géomètres. Mais à quoi bon corriger le calcul géométrique par l’expérience ? N’est-il pas plus court de s’en tenir au résultat de celle-ci ? d’où l’on voit que les mathématiques, transcendantes surtout, ne conduisent à rien de précis, sans l’expérience ; que c’est une espèce de métaphysique générale où les corps sont dépouillés de leurs qualités individuelles, et qu’il resterait au moins à faire un grand ouvrage qu’on pourrait appeler l’Application de l’expérience à la géométrie, ou Traité de l’aberration des mesures. III
Je ne sais s’il y a quelque rapport entre l’esprit du jeu et le génie mathématicien ; mais il y en a beaucoup entre un jeu et les mathématiques. Laissant à part ce que le sort met d’incertitude d’un côté, ou le comparant avec ce que l’abstraction met d’inexactitude de l’autre, une partie de jeu peut être considérée comme une suite indéterminée de problèmes à résoudre d’après des conditions données. Il n’y a point de questions
A
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Voyez l’Histoire Naturelle générale et particulière, Vol. I, Discours I.
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L’interpretazione della natura Quae sunt in luce tuemur
E tenebris.
Lucrezio, Libro VI4 I
Scriverò sulla Natura. Lascerò che i pensieri si succedano sotto la mia penna secondo lo stesso ordine in cui si offrono alla mia riflessione, perché potranno meglio rappresentare i movimenti e l’andamento del mio spirito. Si tratterà di prospettive generali sull’arte sperimentale, o di prospettive particolari su un fenomeno che sembrava occupare tutti i nostri filosofi, e dividerli in due classi.6 Gli uni hanno, mi sembra, molti strumenti e poche idee; gli altri hanno molte idee e non hanno nessuno strumento. L’interesse della verità richiederebbe che chi riflette si degnasse finalmente di associarsi a quelli che si danno da fare in modo che il teorizzatore fosse dispensato dal muoversi; che il filosofo manovriero7 avesse uno scopo nei movimenti infiniti che compie; che tutti i nostri sforzi si trovassero riuniti e diretti nello stesso tempo contro la resistenza della Natura; e che, in questa specie di associazione filosofica, ciascuno assumesse il ruolo che gli conviene.8 5
II
Una delle verità che sono state annunciate nei nostri giorni con il più grande coraggio e forza,A 9 che un buon fisico non perderà di vista e che avrà certamente le conseguenze più vantaggiose, è che la regione dei matematici è un mondo intellettuale, dove quelle che vengono considerate verità rigorose perdono completamente questo vantaggio quando vengono portate sulla nostra terra. Da questo si è dedotto che era la filosofia sperimentale a rettificare i calcoli della geometria, e questa conclusione è stata riconosciuta persino dai geometri. Tuttavia, a cosa serve correggere il calcolo geometrico con l’esperienza? Non è più semplice attenersi al risultato di quest’ultima? È evidente che le matematiche, quelle trascendenti10 soprattutto, non conducono a niente di preciso senza l’esperienza; che è una specie di metafisica generale in cui i corpi sono spogliati delle loro qualità individuali, e che gli resterà almeno da fare una grande opera che si potrebbe intitolare l’Applicazione dell’esperienza alla geometria, o Trattato dell’aberrazione delle misure. III
Non so se c’è qualche rapporto tra lo spirito del gioco e il genio matematico;11 ma ce ne sono molti tra il gioco e le matematiche. Lasciando da una parte l’incertezza che la sorte introduce, o paragonandolo a ciò che l’astrazione rende d’inesattezza dall’altra parte, una partita in un gioco può essere considerata come un susseguirsi indeterminato di problemi da risolvere secondo delle condizioni date. Non c’è alcun proA
Si veda l’Histoire naturelle, générale et particulière, Vol. I, Discours I.
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de mathématiques à qui la même définition ne puisse convenir ; et la chose du mathématicien n’a pas plus d’existence dans la nature que celle du joueur. C’est, de part et d’autre, une affaire de conventions. Lorsque les géomètres ont décrié les métaphysiciens, ils étaient bien éloignés de penser que toute leur science n’était qu’une métaphysique. On demandait un jour : Qu’est-ce qu’un métaphysicien ? Un géomètre répondit : C’est un homme qui ne sait rien. Les chimistes, les physiciens, les naturalistes, et tous ceux qui se livrent à l’art expérimental, non moins outrés dans leur jugement, me paraissent sur le point de venger la métaphysique, et d’appliquer la même définition au géomètre. Ils disent : à quoi servent toutes ces profondes | théories des corps célestes, tous ces énormes calculs de l’astronomie rationnelle, s’ils ne dispensent point Bradley ou Le Monnier d’observer le ciel ? Et je dis heureux le géomètre en qui une étude consommée des sciences abstraites n’aura point affaibli le goût des beaux-arts, à qui Horace et Tacite seront aussi familiers que Newton, qui saura découvrir les propriétés d’une courbe et sentir les beautés d’un poète dont l’esprit et les ouvrages seront de tous les temps, et qui aura le mérite de toutes les académies ! Il ne se verra point tomber dans l’obscurité ; il n’aura point à craindre de survivre à sa renommée. IV
31
Nous touchons au moment d’une grande révolution dans les sciences. Au penchant que les esprits me paraissent avoir à la morale, aux belles-lettres, à l’histoire de la nature et à la physique expérimentale, j’oserais presque assurer qu’avant qu’il soit cent ans, on ne comptera pas trois grands géomètres en Europe. Cette science s’arrêtera tout court, où l’auront laissée les Bernoulli, les Euler, les Maupertuis, les Clairaut, les Fontaine, les D’Alembert. Ils auront posé les colonnes d’Hercule. On n’ira | point au delà. Leurs ouvrages subsisteront dans les siècles à venir, comme ces pyramides d’Égypte, dont les masses chargées d’hiéroglyphes réveillent en nous une idée effrayante de la puissance, et des ressources des hommes qui les ont élevées. V
Lorsqu’une science commence à naître, l’extrême considération qu’on a dans la société pour les inventeurs, le désir de connaître par soi-même une chose qui fait beaucoup de bruit, l’espérance de s’illustrer par quelque découverte, l’ambition de partager un titre avec des hommes illustres, tournent tous les esprits de ce côté. En un moment elle est cultivée par une infinité de personnes de caractères différents. Ce sont ou des gens du monde à qui leur oisiveté pèse, ou des transfuges, qui s’imaginent acquérir dans la science à la mode une réputation qu’ils ont inutilement cherchée dans d’autres sciences qu’ils abandonnent pour elle ; les uns s’en font un métier ; d’autres y sont entraînés par goût. Tant d’efforts réunis portent assez rapidement la science jusqu’où elle peut aller. Mais à mesure que ses limites s’étendent, celles de la considération se resserrent. On n’en a plus que pour ceux qui se distinguent par une grande supériorité. Alors la foule diminue. On cesse de s’embarquer pour une contrée où les fortunes sont devenues rares et difficiles. Il ne reste à la science que des mercenaires à qui elle donne du pain, et que quelques hommes de génie qu’elle continue d’illustrer longtemps encore après que le prestige est dissipé et que les yeux se sont ouverts sur l’inutilité de leurs travaux. On regarde toujours ces travaux comme des tours de force qui font honneur à l’humanité. Voilà l’abrégé historique de la géométrie, et celui
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blema matematico a cui non si possa applicare la stessa definizione; e l’oggetto di cui si occupa il matematico non esiste in natura più di quanto esista quello del giocatore. Si tratta in entrambi i casi di convenzioni. Quando i geometri hanno screditato i metafisici12 erano ben lontani dal pensare che tutta la loro scienza non fosse altro che una metafisica. Ci si chiese un giorno: «Chi è un metafisico?». Un geometra rispose. «È un uomo che non sa niente». I chimici, i fisici, i naturalisti, e tutti quelli che si dedicano all’arte sperimentale, altrettanto estremi nel loro giudizio, mi sembrano sul punto di vendicare la metafisica e di applicare la stessa definizione al geometra.13 Dicono: «A che cosa servono tutte queste profonde teorie dei corpi celesti, tutti questi enormi calcoli dell’astronomia razionale, se Bradley14 o Le Monnier15 non possono risparmiarsi di osservare il cielo?». Beato il geometra a cui lo studio approfondito delle scienze astratte non avrà attenuato il gusto per le belle arti, a cui Orazio e Tacito saranno altrettanto familiari che Newton, che saprà scoprire le proprietà di una curva e cogliere le bellezze poetiche, di cui lo spirito e le opere vivranno in tutti i tempi, e che otterrà il riconoscimento di tutte le accademie!16 Egli non cadrà nell’oscurità; non dovrà temere di sopravvivere alla sua fama. IV
Siamo prossimi a una grande rivoluzione nelle scienze. Dalla propensione che gli spiriti mi sembrano avere verso per la morale, le belle lettere, la storia della Natura e alla fisica sperimentale, oserei quasi garantire che prima che siano trascorsi cent’anni non si conteranno più di tre grandi geometri in Europa. Questa scienza si fermerà completamente, dove l’avranno lasciata Bernoulli, Eulero, Maupertius, Cairaut, Fontaine e D’Alembert.17 Essi avranno eretto le colonne d’Ercole. Non si andrà oltre. Le loro opere sussisteranno nei secoli a venire, come quelle piramidi d’Egitto le cui le masse cariche di geroglifici risvegliano in noi un’idea spaventosa della potenza e delle risorse18 degli uomini che le hanno elevate. V
Quando una scienza comincia a svilupparsi, la straordinaria considerazione che si ha in società per gli inventori, il desiderio di conoscere personalmente una cosa che fa molto scalpore, la speranza di diventare celebri grazie a qualche scoperta, l’ambizione di condividere un titolo con uomini illustri, spingono gli ingegni in quella direzione. Improvvisamente tale scienza è coltivata da un’infinità di persone dal carattere differente. Si tratta di gente di mondo cui pesa l’ozio, o dei transfughi che immaginano di acquisire una certa reputazione nella scienza alla moda, reputazione che hanno inutilmente cercato in altre scienze abbandonate in suo favore; gli uni ne fanno un mestiere; gli altri ne sono trascinati per questioni di gusto. Tanti sforzi riuniti portano rapidamente la scienza fino a dove essa può arrivare. Tuttavia, man mano che si comprendono i suoi limiti, si restringono quelli della considerazione. Questa resta solo per coloro che si distinguono per la loro grande superiorità. Allora la folla diminuisce. Si smette di imbarcarsi per una contrada dove le fortune sono diventate rare e difficili. Alla scienza restano solo dei mercenari a cui essa dà da mangiare, e qualche uomo di genio che continua ancora a rendere illustri, molto tempo dopo che il suo prestigio si è dissipato e si sono aperti gli occhi sull’inutilità delle loro opere. Si valutano sempre questi lavori come imprese ardue che fanno onore all’umanità. Ecco il resoconto storico della geo-
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de toutes les sciences qui cesseront d’instruire ou de plaire : Je n’en excepte pas même l’histoire de la nature. | VI
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Quand on vient à comparer la multitude infinie des phénomènes de la nature, avec les bornes de notre entendement et la faiblesse de nos organes, peut-on jamais attendre autre chose de la lenteur de nos travaux, de leurs longues et fréquentes interruptions, et de la rareté des génies créateurs, que quelques pièces rompues et séparées de la grande chaîne qui lie toutes choses ?... La philosophie expérimentale travaillerait pendant les siècles des siècles, que les matériaux qu’elle entasserait, devenus à la fin par leur nombre au-dessus de toute combinaison, seraient encore bien loin d’une énumération exacte. Combien ne faudrait-il pas de volumes pour renfermer les termes seuls par lesquels nous désignerions les collections distinctes de phénomènes, si les phénomènes étaient connus ? quand la langue philosophique sera-t-elle complète ? quand elle serait complète, qui d’entre les hommes, pourrait la savoir ? si l’Éternel, pour manifester sa toute-puissance plus évidemment encore que par les merveilles de la nature, eût daigné développer le mécanisme universel sur des feuilles tracées de sa propre main ; croit-on que ce grand livre fût plus compréhensible pour nous que l’univers même ? Combien de pages en aurait entendu ce philosophe qui avec toute la force de tête qui lui avait été donnée n’était pas sûr d’avoir seulement embrassé les conséquences par lesquelles un ancien géomètre a déterminé le rapport de la sphère au cylindre ? Nous aurions, dans ces feuilles, une mesure assez bonne de la portée des esprits, et une satire beaucoup meilleure de notre vanité. Nous pourrions dire : Fermat alla jusqu’à telle page ; Archimède était allé quelques pages | plus loin. Quel est donc notre but ? L’exécution d’un ouvrage qui ne peut jamais être fait et qui serait fort au-dessus de l’intelligence humaine, s’il était achevé ? Ne sommes-nous pas plus insensés que les premiers habitants de la plaine de Sennaar ? nous connaissons la distance infinie qu’il y a de la terre aux cieux, et nous ne laissons pas que d’élever la tour. Mais est-il à présumer qu’il ne viendra point un temps où notre orgueil découragé abandonne l’ouvrage ? quelle apparence que, logé étroitement et mal à son aise ici-bas, il s’opiniâtre à construire un palais inhabitable au delà de l’atmosphère ? quand il s’y opiniâtrerait, ne serait-il pas arrêté par la confusion des langues, qui n’est déjà que trop sensible et trop incommode dans l’histoire naturelle ? D’ailleurs, l’utile circonscrit tout. Ce sera l’utile qui, dans quelques siècles, donnera des bornes à la physique expérimentale, comme il est sur le point d’en donner à la géométrie. J’accorde des siècles à cette étude, parce que la sphère de son utilité est infiniment plus étendue que celle d’aucune science abstraite, et qu’elle est, sans contredit, la base de nos véritables connaissances. VII
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Tant que les choses ne sont que dans notre entendement, ce sont nos opinions ; ce sont des notions qui peuvent être vraies ou fausses, accordées ou contredites. Elles ne prennent de la consistance qu’en se liant aux êtres extérieurs. Cette liaison se fait ou par une chaîne ininterrompue d’expériences, ou par une chaîne ininterrompue de raisonnements, qui tient d’un bout à l’observation, et de l’autre à l’expérience ; ou par une chaîne d’expériences dispersées d’espace en espace, entre des raisonnements, comme des poids sur la longueur d’un fil suspendu par ses deux extrémités. Sans ces | poids, le fil deviendrait le jouet de la moindre agitation qui se ferait dans l’air.
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metria, e di tutte le scienze che smetteranno di istruire o di piacere: Io non faccio eccezione nemmeno per la storia della natura.19 VI
Paragonando la moltitudine infinita dei fenomeni della Natura, ai limiti del nostro intelletto e alla fallibilità dei nostri organi, potremo mai aspettarci altro dalla lentezza dei nostri lavori, dalle loro lunghe e frequenti interruzioni, e dalla rarità dei geni creatori, che qualche frammento spezzato e isolato dalla grande catena che lega tutte le cose?... 20 La filosofia sperimentale potrebbe lavorare per secoli e secoli, ma i materiali che essa accumulerebbe sarebbero ancora molto lontani da un’enumerazione esatta. Quanti volumi sarebbero necessari solo per contenere i termini dei quali ci serviamo per designare gli insiemi distinti dei fenomeni, se conoscessimo i fenomeni? Quando sarà completa la lingua filosofica?21 E quand’anche fosse completa, chi tra tutti gli uomini potrebbe conoscerla? Se l’Eterno per manifestare la sua onnipotenza in modo ancora più evidente che attraverso le meraviglie della Natura si fosse degnato di sviluppare il meccanismo universale su dei fogli tracciati di sua mano; crediamo forse che questo grande libro sarebbe più comprensibile per noi dell’universo stesso?22 Quante pagine ne avrebbe capito quel filosofo che, con tutta la forza dell’ingegno che di cui era dotato, non era nemmeno sicuro di aver compreso le deduzioni attraverso cui un antico geometra ha determinato il rapporto della sfera col cilindro?23 Quei fogli ci fornirebbero una misura abbastanza esatta della portata degli intelletti, e una satira ancora migliore della nostra vanità. Si potrebbe dire: Fermat arrivò fino a questa pagina, Archimede era arrivato qualche pagina oltre. Qual è dunque il nostro scopo? L’esecuzione di un’opera che non può mai essere compiuta e che sarà molto al di sopra dell’intelligenza umana, se fosse completata? Non siamo forse più insensati noi dei primi abitanti della piana di Sennaar?24 Conosciamo la distanza infinita che c’è tra la terra e il cielo, e non ci stanchiamo di elevare la torre. Ma non bisogna presumere che verrà il tempo in cui il nostro orgoglio scoraggiato abbandonerà l’impresa? Che probabilità c’è che angustamente alloggiati e poco a nostro agio quaggiù, ci si ostini a costruire un palazzo inabitabile al di là dell’atmosfera? Nel caso in cui si ostinasse, si sarebbe fermati dalla confusione dei linguaggi, già fin troppo sensibile e troppo scomoda, nella storia naturale? D’altra parte l’utile circoscrive tutto. Sarà l’utile che tra qualche secolo fisserà dei limiti alla fisica sperimentale, come è sul punto di porne alla geometria. Concedo alcuni secoli a questo studio, poiché la sfera della sua utilità è infinitamente più estesa di quella di qualsiasi scienza astratta, ed essa è, senza alcun dubbio, alla base delle nostre vere conoscenze. VII
Fintanto che le cose restano solo nel nostro intelletto, sono nostre opinioni; sono delle nozioni che possono essere vere o false, accordate o contraddette. Esse non prendono consistenza che legandosi agli esseri esterni. Questo legame si crea attraverso una catena ininterrotta di ragionamenti, il cui filo si regge da un lato sull’osservazione, e dall’altro sull’esperienza; o tramite una catena di esperienze disperse, intramezzate da ragionamenti, come dei pesi posti sulla lunghezza di un filo sospeso dalle sue due estremità.25 Senza questi pesi il filo diverrebbe vittima della minima agitazione dell’aria.
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VIII
On peut comparer les notions qui n’ont aucun fondement dans la nature, à ces forêts du Nord dont les arbres n’ont point de racines. Il ne faut qu’un coup de vent, qu’un fait léger, pour renverser toute une forêt d’arbres et d’idées. IX
Les hommes en sont à peine à sentir combien les lois de l’investigation de la vérité sont sévères, et combien le nombre de nos moyens est borné. Tout se réduit à revenir des sens à la réflexion, et de la réflexion aux sens : rentrer en soi et en sortir sans cesse. C’est le travail de l’abeille. On a battu bien du terrain en vain, si on ne rentre pas dans la ruche chargée de cire. On a fait bien des amas de cire inutile, si on ne sait pas en former des rayons. X
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Mais par malheur il est plus facile et plus court de se consulter soi que la nature. Aussi la raison est-elle portée à demeurer en elle-même, et l’instinct à se répandre audehors. L’instinct va sans cesse regardant, goûtant, touchant, écoutant ; et il y aurait peut-être plus de physique expérimentale | à apprendre en étudiant les animaux qu’en suivant les cours d’un professeur. Il n’y a point de charlatanerie dans leurs procédés. Ils tendent à leur but, sans se soucier de ce qui les environne : s’ils nous surprennent, ce n’est point leur intention. L’étonnement est le premier effet d’un grand phénomène ; c’est à la philosophie à le dissiper. Ce dont il s’agit dans un cours de philosophie expérimentale, c’est de renvoyer son auditeur plus instruit, et non plus stupéfait. S’enorgueillir des phénomènes de la nature, comme si l’on en était soi-même l’auteur, c’est imiter la sottise d’un éditeur des Essais, qui ne pouvait entendre le nom de Montagne sans rougir. Une grande leçon qu’on a souvent occasion de donner, c’est l’aveu de son insuffisance. Ne vaut-il pas mieux se concilier la confiance des autres, par la sincérité d’un je n’en sais rien, que de balbutier des mots, et se faire pitié à soi-même, en s’efforçant de tout expliquer [?] Celui qui confesse librement qu’il ne sait pas ce qu’il ignore, me dispose à croire ce dont il entreprend de me rendre raison. XI
L’étonnement vient souvent de ce qu’on suppose plusieurs prodiges où il n’y en a qu’un ; de ce qu’on imagine dans la nature autant d’actes particuliers qu’on nombre de phénomènes, tandis qu’elle n’a peut-être jamais produit qu’un seul acte. Il semble même que, si elle avait été dans la nécessité d’en produire plusieurs, les différents résultats de ces actes seraient isolés ; qu’il y aurait des collections de phénomènes indépendantes les unes des autres ; et que cette chaîne générale dont la philosophie suppose la continuité, se romprait en plusieurs endroits. L’indépendance absolue d’un seul fait est incompatible avec l’idée de tout ; et sans l’idée de tout, plus de philosophie. |
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VIII
Possiamo paragonare le nozioni che non hanno alcun fondamento nella natura, a quelle foreste del Nord i cui alberi non hanno radici. Basta un colpo di vento, anche leggero, per travolgere un’intera foresta di alberi e d’idee.26 IX
Gli uomini riescono a malapena a sentire quanto le leggi dell’investigazione della verità siano severe, e quanto il numero dei nostri mezzi sia limitato. Tutto si riduce a ritornare dai sensi alla riflessione e dalla riflessione ai sensi: ritornare in sé e uscirne continuamente. È il lavoro dell’ape. Abbiamo battuto il terreno davvero invano, se non rientriamo nell’alveare carichi di cera. Si formano degli ammassi di cera inutili, se non si è capaci di formarne dei favi.27 X
Disgraziatamente è più facile e più rapido consultare se stessi piuttosto che la natura. Così la ragione è portata a permanere in se stessa, e l’istinto a rovesciarsi all’esterno. L’istinto guarda, gusta, tocca, ascolta continuamente; e forse c’è più fisica sperimentale nell’apprendere studiando gli animali che seguendo i corsi di un professore. Non c’è alcuna ciarlataneria nei loro modi di procedere. Tendono al loro scopo, senza preoccuparsi di ciò che li circonda: se ci sorprendono, non è affatto loro intenzione. La meraviglia è il primo effetto prodotto da un grande fenomeno; spetta alla filosofia dissiparla.28 In un corso di filosofia sperimentale si tratta di rendere l’ascoltatore più istruito e non più meravigliato. Inorgoglirsi per i fenomeni della natura, come se ne fossimo noi stessi gli autori, significa imitare la stupidità di un editore dei Saggi, che non poteva sentire il nome di Montaigne senza arrossire.29 Abbiamo spesso l’occasione di dare una grande lezione, è l’ammissione della propria insufficienza. Non è meglio conciliare la fiducia degli altri con la sincerità di un io non so nulla, che balbettare delle parole e fare pietà a se stessi, cercando di spiegare tutto? Chi ammette liberamente che non sa quello che ignora, mi dispone a credere ciò di cui tenta di darmi ragione. XI
La meraviglia sorge spesso dal fatto che presupponiamo numerosi prodigi laddove ce n’è uno solo; dal fatto che immaginiamo nella Natura tanti atti particolari quanti sono i fenomeni, quando forse essa ha prodotto un solo atto. Sembra anche che, se avesse avuto la necessità di produrne numerosi, i differenti risultati di questi atti sarebbero isolati; ci sarebbero delle collezioni di fenomeni indipendenti le une dalle altre, e questa catena generale di cui la filosofia presuppone la continuità, si romperebbe in numerosi pezzi. L’indipendenza assoluta di un solo fatto è incompatibile con l’idea del tutto; e senza l’idea del tutto, non c’è più filosofia.30
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Il semble que la nature se soit plu à varier le même mécanisme d’une infinité de manières différentes.A Elle n’abandonne un genre de productions qu’après en avoir multiplié les individus sous toutes les faces possibles. Quand on considère le règne animal, et qu’on s’aperçoit que parmi les quadrupèdes, il n’y en a pas un qui n’ait les fonctions et les parties, surtout intérieures, entièrement semblables à un autre quadrupède, ne croirait-on pas volontiers qu’il n’y a jamais eu qu’un premier animal, prototype de tous les animaux dont la nature n’a fait qu’allonger, raccourcir, transformer, multiplier, oblitérer certains organes ? Imaginez | les doigts de la main réunis, et la matière des ongles si abondante que, venant à s’étendre et à se gonfler, elle enveloppe et couvre le tout ; au lieu de la main d’un homme, vous aurez le pied d’un cheval.B Quand on voit les métamorphoses successives de l’enveloppe du prototype, quel qu’il ait été, approcher un règne d’un autre règne par des degrés insensibles, et peupler les confins des deux règnes (s’il est permis de se servir du terme de confins où il n’y a aucune division réelle); et peupler, dis-je, les confins des deux règnes, d’êtres incertains, ambigus, dépouillés en grande partie des formes, des qualités et des fonctions de l’un, et revêtus des formes, des qualités, des fonctions de l’autre ; qui ne se sentirait porté à croire qu’il n’y a jamais eu qu’un premier être prototype de tous les êtres ? Mais que cette conjecture philosophique soit admise avec le docteur Baumann, comme vraie, ou rejetée avec Mr. de Buffon comme fausse, on ne niera pas qu’il ne faille l’embrasser comme une hypothèse essentielle au progrès de la physique expérimentale, à celui de la philosophie rationnelle, à la découverte et à l’explication des phénomènes qui dépendent de l’organi | sation. Car il est évident que la nature n’a pu conserver tant de ressemblance dans les parties et affecter tant de variété dans les formes, sans avoir souvent rendu sensible dans un être organisé, ce qu’elle a dérobé dans un autre. C’est une femme qui aime à se travestir, et dont les différents déguisements laissant échapper tantôt une partie, tantôt une autre, donnent quelque espérance à ceux qui la suivent avec assiduité, de connaître un jour toute sa personne. XIII
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On a découvert qu’il y a dans un sexe le même fluide séminal que dans l’autre sexe. Les parties qui contiennent ce fluide ne sont plus inconnues. On s’est aperçu des altérations singulières qui surviennent dans certains organes de la femelle, quand la nature la presse fortement de rechercher le mâle.C Dans l’approche des sexes, quand on vient à comparer les symptômes du plaisir de l’un aux symptômes du plaisir de l’autre, et qu’on s’est assuré que la volupté se consomme dans tous les deux par des élancements également caractérisés, distincts et battus, on ne peut douter qu’il n’y ait aussi des émissions semblables du fluide séminal. Mais où et comment | se fait cette émission dans la femme ? que devient le fluide ? quelle route suit-il ? c’est ce qu’on ne saura que quand la nature qui n’est pas également mystérieuse en tout et partout, se sera dévoilée dans A
Voyez l’Hist. Nat. Tom. IV. Hist. de l’Ane ; et un petit ouvrage latin intitulé, Dissertatio inauguralis metaphysica, de universali Naturae systemate, pro gradu Doctoris habita, imprimé à Erlang en 1751, et apporté en France par M. de M.**** en 1753. B Voyez l’Hist. Nat. gén. et part. Tom. IV. Description du Cheval par Mr. D’Auberton. C * Voyez l’Hist. Nat. gén. et part. le Disc. Sur la génér.
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pensieri sull’interpretazione della natura, xii-xiii
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XII
Sembra che la Natura si sia compiaciuta a variare lo stesso meccanismo in un’infinità di modi differenti.A 31 Essa abbandona un genere di produzioni solo dopo averne moltiplicato gli individui sotto tutti gli aspetti possibili. Quando si considera il regno animale, e ci si accorge che tra i quadrupedi, non ce n’è nessuno che abbia le funzioni e le parti, soprattutto quelle interiori, completamente simili a un altro quadrupede, non si crederebbe volentieri che ci sia stato un primo animale prototipo, da cui derivano tutti gli animali, a cui la Natura non ha fatto altro che allungare, accorciare, trasformare, moltiplicare, annullare32 certi organi? Immaginate le dita di una mano riunite, e la materia delle unghie, così abbondante che estendendosi e gonfiandosi, avvolga e copra tutto; al posto della mano di un uomo, avrete il piede di un cavallo.B 33 Quando vendiamo le metamorfosi successive dell’involucro del prototipo, quale che sia stato, avvicinarsi da un regno a un altro regno, e popolare i confini di due regni (se è permesso servirsi del termine confini dove non c’è alcuna divisione reale); e popolare, dico, i confini di due regni, di esseri incerti, ambigui, privi in gran parte delle forme, delle qualità, delle funzioni dell’altro; chi non si sentirebbe portato a credere che ci sia sempre stato un solo primo essere prototipo degli altri esseri? Ma che questa congettura filosofica sia ammessa come vera dal dottor Baumann,34 o respinta come falsa da Buffon,35 non si negherà che si debba abbracciarla come ipotesi essenziale al progresso della fisica sperimentale, a quello della filosofia razionale, alla scoperta e spiegazione dei fenomeni che dipendono dall’organizzazione. Perché è evidente che la Natura non ha potuto conservare tanta somiglianza nelle parti e assegnare tanta varietà nelle forme, senza avere spesso reso sensibile in un essere organizzato, quello che aveva nascosto in un altro. È una donna che ama mascherarsi, e i cui diversi travestimenti lasciano sfuggire talvolta una parte, talvolta un’altra, dando qualche speranza, a quelli che la seguono con assiduità, di conoscere un giorno tutta la sua persona. XIII
Abbiamo scoperto che c’è in un sesso lo stesso fluido seminale che c’è nell’altro sesso.36 Le parti che contengono questo fluido non sono più sconosciute. Sono state rilevate alcune alterazioni particolari che subiscono certi organi della femmina quando la Natura la spinge fortemente a cercare il maschio.C 37 Nel congiungimento dei sessi, quando si comparano i sintomi del piacere dell’uno e dell’altro, e ci si è accertati che la voluttà si raggiunge in entrambi tramite slanci egualmente caratterizzati, distinti e scanditi, 38 è indubbio che ci siano anche delle emissioni simili di fluido seminale. Ma dove e come avviene questa emissione nella donna? Che cosa diviene il fluido? Quale via segue? È quello che sapremo solo quando la natura, che non è egualmente misteriosa in tutto e dappertutto, si sarà manifestata
A
Si veda Hist. Nat. Tom. IV Storia dell’asino; e una piccola opera latina intitolata Dissertatio inauguralis metaphysica, de universali Naturae systemate, pro gradu Doctoris habita, stampata a Erlang nel 1751, e portata in Francia da M. de M.*** nel 1753. B Vedere Hist. Nat. Gen. Et part. Tom. IV. Descrizione del cavallo di M. d’Aubenton. C Vedere nell’Hist. Nat. Gen. et Particul. Il discorso sul gener.
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une autre espèce : ce qui arrivera apparemment de l’une de ces deux manières ; ou les formes seront plus évidentes dans les organes, ou l’émission du fluide se rendra sensible à son origine et sur toute sa route, par son abondance extraordinaire. Ce qu’on a vu distinctement dans un être ne tarde pas à se manifester dans un être semblable. En physique expérimentale, on apprend à apercevoir les petits phénomènes dans les grands ; de même qu’en physique rationnelle, on apprend à connaître les grands corps dans les petits. XIV
Je me représente la vaste enceinte des sciences, comme un grand terrain parsemé de places obscures et de places éclairées. Nos travaux doivent avoir pour but, ou d’étendre les limites des places éclairées, ou de multiplier sur le terrain les centres de lumières. L’un appartient au génie qui crée ; l’autre à la sagacité qui perfectionne. XV
Nous avons trois moyens principaux ; l’observation de la nature, la réflexion et l’expérience. L’observation recueille les faits, la réflexion les combine, l’expérience vérifie le résultat de la combinaison. Il faut que l’observation de la nature soit assidue, que la réflexion soit profonde, et que l’expérience soit exacte. On voit rarement ces moyens réunis. Aussi les génies créateurs ne sont-ils pas communs. | XVI
40
Le philosophe, qui n’aperçoit souvent la vérité que comme le politique maladroit aperçoit l’occasion, par le côté chauve, assure qu’il est impossible de la saisir, dans le moment où la main du manœuvre est portée par le hasard sur le côté qui a des cheveux. Il faut cependant avouer que parmi ces manouvriers d’expériences, il y en a de bien malheureux : l’un d’eux emploiera toute sa vie à observer des insectes, et ne verra rien de nouveau ; un autre jettera sur eux un coup d’œil en passant, et apercevra le polype, ou le puceron hermaphrodite. XVII
41
Sont-ce les hommes de génie qui ont manqué à l’univers ? nullement. Est-ce en eux défaut de méditation et d’étude ? encore moins. L’histoire des sciences fourmille de noms illustres ; la surface de la terre est couverte des monuments de nos travaux. Pourquoi donc possédons-nous si peu de connaissances certaines ? par quelle fatalité les sciences ont-elles fait si peu de progrès ? sommes-nous destinés à n’être jamais que des enfants ? j’ai déjà annoncé la réponse à ces questions. Les sciences abstraites ont occupé trop longtemps et avec trop peu de fruit les meilleurs esprits ; ou l’on n’a point étudié ce qu’il importait de savoir ; ou l’on n’a mis ni choix, ni vues, ni | méthode dans ses études ; les mots se sont multipliés sans fin, et la connaissance des choses est restée en arrière.
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in un’altra specie: fatto che accadrà probabilmente in una di queste due maniere; dove le forme saranno più evidenti negli organi; dove l’emissione del fluido sarà riconoscibile fin dalla sua origine e lungo tutto il suo percorso, grazie alla sua straordinaria abbondanza. Quello che abbiamo visto distintamente in un essere non tarda a manifestarsi in un essere simile. In fisica sperimentale, s’impara a percepire i piccoli fenomeni nei grandi; così come in fisica razionale, s’impara a conoscere i grandi corpi nei piccoli.39 XIV
Mi figuro la vasta cinta delle scienze, come un grande terreno cosparso di zone oscure e di zone illuminate.40 I nostri lavori devono avere come scopo quello di estendere i limiti delle zone illuminate, o di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’uno appartiene al genio che crea; l’altro alla sagacia che perfeziona. XV
Possediamo tre principali mezzi: l’osservazione della natura, la riflessione e l’esperienza.41 L’osservazione raccoglie i fatti, la riflessione li combina, l’esperienza verifica il risultato della combinazione. Bisogna che l’osservazione della natura sia assidua, che la riflessione sia profonda, e che l’esperienza sia esatta. Si vedono raramente questi mezzi riuniti insieme. Anche i geni creatori non sono comuni. XVI
Il filosofo, che spesso percepisce la verità solo come il politico maldestro, che coglie l’occasione dal lato calvo, ci assicura che è impossibile conoscerla proprio nel momento in cui la mano del filosofo manovriero giunge per caso sul lato in cui ci sono dei capelli.42 Bisogna tuttavia confessare che in mezzo a questi manovali d’esperienza, ce ne sono alcuni molto sfortunati: uno di questi impiegherà tutta la sua vita a osservare degli insetti senza vedere niente di nuovo,43 un altro getterà su di essi un colpo d’occhio in tutta fretta e individuerà il polipo44 o il pidocchio ermafrodita.45 XVII
Sono forse mancati all’universo gli uomini geniali? Nient’affatto. C’è in essi un difetto di riflessione e di studio? Ancor meno. La storia delle scienze brulica di nomi illustri; la superficie della terra è coperta dai monumenti delle nostre opere. Perché dunque possediamo così poche conoscenze certe? Per quale fatalità le scienze hanno fatto così pochi progressi? Siamo destinati a rimanere dei fanciulli? Ho già annunciato la risposta a queste domande. Le scienze astratte hanno occupato per troppo tempo e con troppi pochi frutti i migliori spiriti, mentre non abbiamo studiato per nulla ciò che più importava sapere; ovvero nei nostri studi non abbiamo impiegato né facoltà di né scelta, né prospettive, né metodo, le parole si sono moltiplicate senza fine e la conoscenza delle cose è rimasta troppo indietro.46
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La véritable manière de philosopher, c’eût été et ce serait d’appliquer l’entendement à l’entendement ; l’entendement et l’expérience aux sens ; les sens à la nature ; la nature à l’investigation des instruments ; les instruments à la recherche et à la perfection des arts, qu’on jetterait au peuple pour lui apprendre à respecter la philosophie. XIX
Il n’y a qu’un seul moyen de rendre la philosophie vraiment recommandable aux yeux du vulgaire ; c’est de la lui montrer accompagnée de l’utilité. Le vulgaire demande toujours, à quoi cela sert-il ? et il ne faut jamais se trouver dans le cas de lui répondre, à rien : il ne sait pas que ce qui éclaire le philosophe et ce qui sert au vulgaire sont deux choses fort différentes, puisque l’entendement du philosophe est souvent éclairé par ce qui nuit, et obscurci par ce qui sert. XX 42
Les faits, de quelque nature qu’ils soient, sont la véritable richesse du philosophe. Mais un des préjugés de la philosophie rationnelle, c’est que | celui qui ne saura pas nombrer ses écus, ne sera guère plus riche que celui qui n’aura qu’un écu. La philosophie rationnelle s’occupe malheureusement beaucoup plus à rapprocher et à lier les faits qu’elle possède, qu’à en recueillir de nouveaux. XXI
Recueillir et lier les faits, ce sont deux occupations bien pénibles ; aussi les philosophes les ont-ils partagées entre eux. Les uns passent leur vie à rassembler des matériaux, manœuvres utiles et laborieux ; les autres, orgueilleux architectes, s’empressent à les mettre en œuvre. Mais le temps a renversé jusqu’aujourd’hui presque tous les édifices de la philosophie rationnelle. Le manœuvre poudreux apporte tôt ou tard, des souterrains où il creuse en aveugle, le morceau fatal à cette architecture élevée à force de tête ; elle s’écroule, et il ne reste que des matériaux confondus pêle-mêle, jusqu’à ce qu’un autre génie téméraire en entreprenne une combinaison nouvelle. Heureux le philosophe systématique à qui la nature aura donné, comme autrefois à Épicure, à Lucrèce, à Aristote, à Platon, une imagination forte, une grande éloquence, l’art de présenter ses idées sous des images frappantes et sublimes ! l’édifice qu’il a construit pourra tomber un jour ; mais sa statue restera debout au milieu des ruines ; et la pierre qui se détachera de la montagne ne la brisera point, parce que les pieds n’en sont pas d’argile. | XXII
43
L’entendement a ses préjugés ; le sens, son incertitude ; la mémoire, ses limites ; l’imagination, ses lueurs ; les instruments, leur imperfection. Les phénomènes sont infinis ; les causes cachées ; les formes peut-être transitoires. Nous n’avons contre tant d’obstacles que nous trouvons en nous, et que la nature nous oppose au‑dehors, qu’une expérience lente, qu’une réflexion bornée. Voilà les leviers avec lesquels la philosophie s’est proposé de remuer le monde.
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Il vero modo di filosofare, sarebbe stato e sarebbe quello di applicare l’intelletto all’intelletto, l’intelletto e l’esperienza ai sensi, i sensi alla natura, la natura all’investigazione degli strumenti,47 gli strumenti alla ricerca e al perfezionamento delle arti48 che si getterebbero al popolo per insegnargli a rispettare la filosofia. XIX
C’è un solo mezzo per rendere la filosofia raccomandabile agli occhi del volgo, è di mostrarla accompagnata dall’utilità. Il volgo domanda sempre: «a cosa serve?» e non bisogna mai trovarsi nella situazione di rispondere: «a niente»: non sa che ciò che illumina il filosofo e ciò che seve al volgo stesso sono due cose molto diverse, poiché l’intelletto del filosofo è spesso illuminato da ciò che nuoce, e oscurato da ciò che serve. XX
I fatti, di qualunque natura siano, sono la vera ricchezza del filosofo. Ma uno dei pregiudizi della filosofia razionale, vuole che chi possiede molti scudi non sia più ricco di chi ne ha uno solo. La filosofia razionale sfortunatamente si occupa molto più di comparare e collegare i fatti che possiede, che di raccoglierne di nuovi. XXI
Raccogliere e collegare i fatti, sono due occupazioni molto penose, così i filosofi le hanno suddivise tra di loro. Alcuni passano la loro vita ad assemblare materiali, manovre utili e laboriose; gli altri, orgogliosi architetti, si affrettano ad adoperarli. Ma fino a oggi il tempo ha rovesciato quasi tutti gli edifici della filosofia razionale. Il polveroso filosofo manovriero49 giunge presto o tardi a dei sotterranei dove scava alla cieca, il pezzo fatale per quest’architettura elevata a forza di testa, si accascia e non restano che dei materiali mescolati alla rinfusa, finché un altro genio temerario non ne intraprende una combinazione nuova. Felice il filosofo sistematico a cui la natura avrà dato, come a Epicuro, a Lucrezio, ad Aristotele, a Platone, un’immaginazione potente, una grande eloquenza, l’arte di presentare le proprie idee attraverso delle immagini sorprendenti e sublimi!50 L’edificio che ha costruito potrà cadere un giorno, ma la sua statua resterà in piedi in mezzo alle rovine, e la pietra che si staccherà dalla montagna non la infrangerà, perché i suoi piedi non sono d’argilla.51 XXII
L’intelletto ha i suoi pregiudizi; il senso, la sua incertezza; la memoria, i suoi limiti; l’immaginazione, i suoi lampi; gli strumenti la loro imperfezione. I fenomeni sono infiniti, le loro cause nascoste; le forme forse transitorie.52 Contro tanti ostacoli che troviamo in noi stessi e che la natura ci oppone dall’esterno, un’esperienza lenta e una riflessione limitata. Ecco le leve con le quali la filosofia si è proposta di sollevare il mondo.
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Nous avons distingué deux sortes de philosophie, l’expérimentale et la rationnelle. L’une a les yeux bandés, marche toujours en tâtonnant, saisit tout ce qui lui tombe sous les mains, et rencontre à la fin des choses précieuses. L’autre recueille ces matières précieuses, et tâche de s’en former un flambeau ; mais ce flambeau prétendu lui a, jusqu’à présent, moins servi que le tâtonnement à sa rivale, et cela devait être. L’expérience multiplie ses mouvements à l’infini, elle est sans cesse en action, elle met à chercher des phénomènes tout le temps que la raison emploie à chercher des analogies. La philosophie expérimentale ne sait ni ce qui lui viendra ni ce qui ne lui viendra pas de son travail ; mais elle travaille sans relâche. Au contraire, la philosophie rationnelle pèse les possibilités, prononce et s’arrête tout court. Elle dit hardiment, on ne peut décomposer la lumière ; la philoso | phie expérimentale l’écoute ; et se tait devant elle pendant des siècles entiers ; puis tout à coup elle montre le prisme, et dit, la lumière se décompose. XXIV
45
Esquisse de la physique expérimentale. La physique expérimentale s’occupe en général de l’existence, des qualités, et de l’emploi. L’existence embrasse l’histoire, la description, la génération, la conservation et la destruction. L’histoire est des lieux, de l’importation, de l’exportation, du prix, des préjugés, etc. La description, de l’intérieur et de l’extérieur, par toutes les qualités sensibles. La génération, prise depuis la première origine jusqu’à l’état de perfection. La conservation, de tous les moyens de fixer dans cet état. La destruction, prise depuis l’état de perfection jusqu’au dernier degré connu de décomposition ou de dépérissement ; de dissolution ou de résolution. | Les qualités sont générales ou particulières. J’appelle générales, celles qui sont communes à tous les êtres, et qui n’y varient que par la quantité. J’appelle particulières, celles qui constituent l’être tel ; ces dernières sont ou de la substance en masse, ou de la substance divisée ou décomposée. L’emploi s’étend à la comparaison, à l’application et à la combinaison. La comparaison se fait ou par les ressemblances, ou par les différences. L’application doit être la plus étendue et la plus variée qu’il est possible. La combinaison est analogue ou bizarre. XXV
Je dis analogue ou bizarre, parce que tout a son résultat dans la nature ; l’expérience la plus extravagante, ainsi que la plus raisonnée. La philosophie expérimentale, qui ne se propose rien, est toujours contente de ce qui lui vient ; la philosophie rationnelle est toujours instruite, lors même que ce qu’elle s’est proposé ne lui vient pas.
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Abbiamo distinto due tipi di filosofia, quella sperimentale e quella razionale. L’una ha gli occhi bendati, procede tentoni, conosce tutto ciò che le capita sottomano e incontra alla fine delle cose preziose. L’altra raccoglie queste materie preziose, e cerca di formarne una fiaccola: ma questa pretesa fiaccola le è servita fino a ora meno del brancolamento della sua rivale; e così dev’essere. L’esperienza moltiplica i suoi movimenti all’infinito, è in azione senza sosta, essa si mette a cercare dei fenomeni, per tutto il tempo che la ragione impiega a cercare le analogie. La filosofia sperimentale non sa né quello che le accadrà né quello che non accadrà del suo lavoro, ma lavora senza riposo. Al contrario la filosofia razionale pesa le possibilità, pronuncia e non prosegue oltre. Essa dice arditamente: «non si può scomporre la luce»; la filosofia sperimentale l’ascolta, e tace davanti a essa per secoli interi: poi tutto a un tratto mostra il prisma, e dice: «la luce si scompone».53 XXIV
Abbozzo di fisica sperimentale.54 La fisica sperimentale si occupa in generale dell’esistenza, delle qualità, e dell’impiego [degli esseri]. L’esistenza comprende la storia, la descrizione, la generazione, la conservazione e la distruzione. La storia è storia dei luoghi, dell’importazione e dell’esportazione, del prezzo, dei pregiudizi, ecc. La descrizione, dell’interno e dell’esterno, attraverso tutte le qualità sensibili. La generazione, considerata dalla prima origine fino allo stato di perfezione. La conservazione, di tutti i mezzi di fissarla in questo stato. La distruzione, presa dallo stato di perfezione fino all’ultimo grado conosciuto di decomposizione o di deperimento, di dissoluzione o di scissione. Le qualità sono generali o particolari. Chiamo generali, quelle che sono comuni a tutti gli esseri, e che non variano che per quantità. Chiamo particolari quelle che costituiscono l’essere tale; queste ultime sono o della sostanza in massa, o della sostanza divisa e decomposta. L’utilizzo55 si estende al confronto, all’applicazione e alla combinazione. Il confronto si fa o attraverso le somiglianze, o attraverso le differenze. L’applicazione deve essere la più estesa e la più varia possibile. La combinazione è analoga o bizzarra. XXV
Dico analoga o bizzarra, perché tutto ha il suo risultato nella natura; l’esperienza più stravagante, così come quella più ragionata. La filosofia sperimentale, che non si propone niente, è sempre contenta di ciò che ottiene; la filosofia razionale è sempre istruita, anche quando non consegue ciò che si è proposta.
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La philosophie expérimentale est une étude innocente, qui ne demande presque aucune préparation de l’âme. On n’en peut pas dire autant des autres parties de la philosophie. La plupart augmentent en nous la fureur des conjectures. La philosophie expérimentale la réprime à la longue. On s’ennuie tôt ou tard de deviner maladroitement. | XXVII
46
Le goût de l’observation peut être inspiré à tous les hommes ; il semble que celui de l’expérience ne doive être inspiré qu’aux hommes riches. L’observation ne demande qu’un usage habituel des sens ; l’expérience exige des dépenses continuelles. Il serait à souhaiter que les Grands ajoutassent ce moyen de se ruiner, à tant d’autres moins honorables qu’ils ont imaginés. Tout bien considéré, il vaudrait mieux qu’ils fussent appauvris par un chimiste, que dépouillés par des gens d’affaires, entêtés de la physique expérimentale qui les amuserait quelquefois, qu’agités par l’ombre du plaisir qu’ils poursuivent sans cesse et qui leur échappe toujours. Je dirais volontiers aux philosophes dont la fortune est bornée, et qui se sentent portés à la physique expérimentale, ce que je conseillerais à mon ami, s’il était tenté de la jouissance d’une belle courtisane : Laïdem habeto, dummodo te Laïs non habeat. C’est un conseil que je donnerais encore à ceux qui ont l’esprit assez étendu pour imaginer des systèmes, et qui sont assez opulents pour les vérifier par l’expérience : Ayez un système, j’y consens ; mais ne vous en laissez pas dominer : Laïdem habeto. XXVIII
47
La physique expérimentale peut être comparée dans ses bons effets au conseil de ce père qui dit à ses enfants, en mourant, qu’il y avait un trésor caché dans son champ ; mais qu’il ne savait point en quel endroit. Ses enfants se mirent à bêcher le champ ; ils ne trouvèrent pas le trésor | qu’ils cherchaient ; mais ils firent dans la saison une récolte abondante à laquelle ils ne s’attendaient pas. XXIX
L’année suivante, un des enfants dit à ses frères : J’ai soigneusement examiné le terrain que notre père nous a laissé, et je pense avoir découvert l’endroit du trésor. Écoutez, voici comment j’ai raisonné. Si le trésor est caché dans le champ, il doit y avoir dans son enceinte quelques signes qui marquent l’endroit ; or j’ai aperçu des traces singulières vers l’angle qui regarde l’orient ; le sol y paraît avoir été remué. Nous nous sommes assurés par notre travail de l’année passée, que le trésor n’est point à la surface de la terre ; il faut donc qu’il soit caché dans ses entrailles : prenons incessamment la bêche, et, creusons jusqu’à ce que nous soyons parvenus au souterrain de l’avarice. Tous les frères, entraînés, moins par la force de la raison que par le désir de la richesse, se mirent à l’ouvrage. Ils avaient déjà creusé profondément sans rien trouver ; l’espérance commençait à les abandonner et le murmure à se faire entendre, lorsqu’un d’entre eux s’imagina reconnaître la présence d’une mine, à quelques particules brillantes. C’en était, en effet, une de plomb qu’on avait anciennement exploitée, qu’ils travaillèrent et qui leur produisit beaucoup. Telle est quelquefois la suite des expériences suggérées par les observations et les idées systématiques de la philosophie rationnelle. C’est ainsi que les chimistes et
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La filosofia sperimentale è uno studio innocente che non domanda pressoché nessuna preparazione dell’anima. Non possiamo dire altrettanto delle altre parti della filosofia. La maggior parte aumenta in noi il furore delle congetture.56 La filosofia sperimentale alla lunga la reprime. Ci si stanca presto o tardi di fare previsioni maldestre. XXVII
Il gusto dell’osservazione può essere ispirato a tutti gli uomini; sembra che quello dell’esperienza debba essere insegnato solo agli uomini ricchi. L’osservazione richiede solo l’uso abituale dei sensi; l’esperienza esige delle continue perdite improduttive. Bisognerebbe augurarsi che i Grandi aggiungessero questo modo di rovinarsi a tanti altri meno onorevoli che hanno escogitato. Tutto sommato, sarebbe meglio che fossero impoveriti da un chimico, piuttosto che spogliati da uomini d’affari, tentati dalla fisica sperimentale che qualche volta li divertirebbe, piuttosto che agitati dall’ombra del piacere che perseguono senza tregua e che sempre sfugge loro.57 Direi volentieri ai filosofi la cui fortuna è limitata e consiglierei a un mio amico, se fosse tentato dalla gioia di una bella cortigiana: Laïdem habeto, dummodo te Laïs non habeat.58 È un consiglio che darei anche a quelli che hanno l’ingegno abbastanza grande da immaginare dei sistemi, e che sono abbastanza abbienti da verificarli con l’esperienza: Abbiate un sistema, lo consento, ma non lasciatevene dominare: Laïdem habeto. XXVIII
La fisica sperimentale può essere comparata nei suoi buoni effetti ai consigli di quel padre che disse ai suoi figli in punto di morte che c’era un tesoro nascosto nel suo podere, ma che egli non sapeva in che punto. I suoi figli si misero a vangare il campo, non vi trovarono il tesoro che cercavano, ma fecero in quella stagione un raccolto molto abbondante che non si aspettavano.59 XXIX
L’anno seguente, uno dei figli disse ai suoi fratelli: ho esaminato attentamente il terreno che nostro padre ci ha lasciato, e penso di aver scoperto la collocazione del tesoro. Ascoltate, ecco come ho ragionato. Se il tesoro è nascosto nel campo, deve esserci nel recinto un segno che ne individui la posizione; ora, ho visto delle tracce particolari nell’angolo che guarda a oriente; il terreno sembra essere stato smosso. Noi siamo sicuri dal lavoro dell’anno scorso che il tesoro non è sulla superficie della terra, bisogna dunque che sia nascosto nelle sue viscere: prendiamo quanto prima la vanga, e scaviamo finché non saremo arrivati nel sotterraneo dell’avarizia. Tutti i fratelli si misero in azione, meno per la forza della ragione che per il desiderio di ricchezza, si misero all’opera. Avevano già scavato profondamente senza trovare nulla, la speranza cominciava ad abbandonarli e i mormorii a farsi sentire, finché a uno di loro sembrò di riconoscere la presenza di una miniera, da qualche brillio particolare. Ce n’era in effetti una di piombo che era stata anticamente sfruttata, in cui lavorarono producendo molto.60 Tale è a volte la conseguenza delle esperienze suggerite dalle osservazioni e le idee sistematiche della filosofia razionale. È così che i chimici e i geometri ostinan-
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les géomètres, en s’opiniâtrant à la solution de problèmes, peut-être impossibles, sont parvenus à des découvertes plus importantes que cette solution. XXX 48
La grande habitude de faire des expériences donne aux manouvriers d’opérations les plus grossiers un pressentiment qui a le caractère de | l’inspiration. Il ne tiendrait qu’à eux de s’y tromper comme Socrate, et de l’appeler un démon familier. Socrate avait une si prodigieuse habitude de considérer les hommes et de peser les circonstances, que, dans les occasions les plus délicates, il s’exécutait secrètement en lui une combinaison prompte et juste, suivie d’un pronostic dont l’événement ne s’écartait guère. Il jugeait des hommes comme les gens de goût jugent des ouvrages d’esprit, par sentiment. Il en est de même en physique expérimentale, de l’instinct de nos grands manouvriers. Ils ont vu si souvent et de si près la nature dans ses opérations, qu’ils devinent avec assez de précision le cours qu’elle pourra suivre dans le cas où il leur prend envie de la provoquer par les essais les plus bizarres. Ainsi le service le plus important qu’ils aient à rendre à ceux qu’ils initient à la philosophie expérimentale, c’est bien moins de les instruire du procédé et du résultat, que de faire passer en eux cet esprit de divination par lequel on subodore, pour ainsi dire, des procédés inconnus, des expériences nouvelles, des résultats ignorés. XXXI
49
Comment cet esprit se communique-t-il ? Il faudrait que celui qui en est possédé, descendît en lui-même pour reconnaître distinctement ce que c’est, substituer au démon familier des notions intelligibles et claires, et les développer aux autres. S’il trouvait, par exemple, que c’est une facilité de supposer ou d’apercevoir des oppositions ou des analogies, qui a sa source dans une connaissance pratique des qualités physiques des êtres considéré solitairement, ou de leurs effets réciproques, quand on les considère en combinaison ; il étendrait cette idée ; il l’appuierait d’une infinité de faits qui se présenteraient à sa mémoire ; ce serait une histoire fidèle de toutes les extravagances appa | rentes qui lui ont passé par la tête. Je dis extravagances : car quel autre nom donner à cet enchaînement de conjectures fondées sur des oppositions ou des ressemblances si éloignées, si imperceptibles, que les rêves d’un malade ne paraissent ni plus bizarres, ni plus décousus [ ?] Il n’y a quelquefois pas une proposition qui ne puisse être contredite, soit en elle-même, soit dans sa liaison avec celle qui la précède ou qui la suit. C’est un tout si précaire, et dans les suppositions et dans les conséquences, qu’on a souvent dédaigné de faire ou les observations ou les expériences qu’on en concluait.
Exemples : XXXII
1. Premières conjectures. Il est un corps que l’on appelle môle. Ce corps singulier s’engendre dans la femme, et selon quelques-uns, sans le concours de l’homme. De quelque manière que le mystère de la génération s’accomplisse, il est certain que les deux sexes y coopèrent. La môle ne serait-elle point un assemblage, ou de tous les éléments qui émanent de la femme dans la production de l’homme, ou de tous les éléments qui éma-
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dosi alla soluzione di problemi forse impossibili, sono pervenuti a delle scoperte più importanti della soluzione cercata. XXX
La grande abitudine di fare esperienze dà ai filosofi manovrieri dediti alle operazioni più grossolane un presentimento che ha il carattere dell’ispirazione. Anch’essi potrebbero ingannarsi come fece Socrate, e definirlo un demone familiare.61 Socrate aveva un’abitudine così prodigiosa a considerare gli uomini e pesare le circostanze, che nelle occasioni più delicate, cedeva segretamente, in lui, una combinazione pronta e giusta, seguita da un pronostico da cui l’avvenimento non si allontanava affatto. Giudicava gli uomini come le persone di gusto giudicano le opere dello spirito, attraverso il sentimento. Avviene lo stesso in fisica sperimentale, che nell’istinto 62 dei nostri grandi manovrieri. Hanno visto così spesso e così da vicino la natura nelle sue operazioni, che indovinano abbastanza precisamente il corso che potrà seguire nel caso in cui venga loro voglia di provocarla con le prove più strane. Così il servizio più grande che si possa rendere a quelli che sono iniziati alla filosofia sperimentale, è trasmettere loro lo spirito di previsione attraverso il quale si fiutano,63 per così dire, dei procedimenti ignoti, delle esperienze nuove, dei risultati ignorati, più che istruirli sul procedimento e il risultato. XXXI
Come si comunica questo spirito? Bisognerebbe che chi ne è posseduto, discendesse in se stesso per riconoscere distintamente che cosa sia, sostituire al demone familiare delle nozioni intellegibili e chiare, e spiegarle agli altri. Se trovasse, per esempio, che è una predisposizione a supporre o percepire delle opposizioni o delle analogie, che ha la sua fonte in una conoscenza pratica delle qualità fisiche degli esseri considerati singolarmente, o dei loro effetti reciproci, quando li si considera in combinazione; estenderebbe questa idea; l’appoggerebbe con un infinità di fatti che si presenterebbero alla sua memoria; questo sarebbe una storia fedele di tutte le stravaganze apparenti che gli sono passate per la testa. Dico stravaganze: perché quale altro nome si può dare a questa concatenazione di congetture fondate su delle opposizioni o delle somiglianze così distanti, così impercettibili, che i sogni di un malato non sembrerebbero né più bizzarri né più sconclusionati. A volte non c’è una sola proposizione che non si possa contraddire, sia in sé, sia nel legame con quella che la precede o che la segue. È tutto così precario sia nelle supposizioni sia nelle conclusioni, che si è spesso disdegnato di fare o le osservazioni o le esperienze che se ne concludevano.
Esempi: XXXII
1. Congetture prime. È un corpo che chiamiamo mola.65 Questo corpo singolare si genera nella donna, e secondo alcuni, senza il concorso dell’uomo. In qualunque modo il mistero della generazione si compia, è certo che i due sessi vi cooperano. La mola non sarebbe affatto un assemblaggio dove tutti gli elementi che emanano da una donna nella produzione dell’uomo, o di tutti gli elementi che emanano dall’uomo nei 64
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nent de l’homme dans ses différentes approches de la femme ? Ces éléments qui sont tranquilles dans l’homme ; répandus et retenus dans certaines femmes d’un tempérament ardent, d’une imagination forte, ne pourraient-ils pas s’y échauffer, s’y exalter, et y prendre de l’activité ? ces éléments qui sont | tranquilles dans la femme, ne pourraientils pas y être mis en action, soit par une présence sèche et stérile, et des mouvements inféconds et purement voluptueux de l’homme, soit par la violence et la contrainte des désirs provoqués de la femme ; sortir de leurs réservoirs, se porter dans la matrice, s’y arrêter, et s’y combiner d’eux-mêmes ? La môle ne serait-elle point le résultat de cette combinaison solitaire ou des éléments émanés de la femme, ou des éléments fournis par l’homme ? Mais si la môle est le résultat d’une combinaison telle que je la suppose, cette combinaison aura ses lois aussi invariables que celles de la génération. La môle aura donc une organisation constante. Prenons le scalpel, ouvrons des môles et voyons ; peut-être même découvrirons, nous des môles distinguées par quelques vestiges relatifs à la différence des sexes. Voilà ce que l’on peut appeler l’art de procéder de ce qu’on ne connaît point à ce qu’on connaît moins encore. C’est cette habitude de déraison que possèdent dans un degré surprenant ceux qui ont acquis ou qui tiennent de la nature le génie de la physique expérimentale ; c’est à ces sortes de rêves qu’on doit plusieurs découvertes. Voilà l’espèce de divination qu’il faut apprendre aux élèves, si toutefois cela s’apprend. 2. Mais si l’on vient à découvrir, avec le temps, que la môle ne s’engendre jamais dans la femme sans la coopération de l’homme ; voici quelques conjectures nouvelles, beaucoup plus vraisemblables que les précédentes, qu’on pourra former sur ce corps extraordinaire. Ce tissu de vaisseaux sanguins qu’on appelle le placenta est, comme on sait, une calotte sphérique, une espèce de champignon qui adhère, par sa partie convexe, à la matrice, pendant tout le temps de la grossesse ; auquel le cordon ombilical sert comme de tige ; qui se détache de la matrice dans les douleurs de l’enfantement ; et dont la surface est égale, quand une femme, | est saine et que son accouchement est heureux. Les êtres n’étant jamais, ni dans leur génération, ni dans leur conformation, ni dans leur usage, que ce que les résistances, les lois du mouvement et l’ordre universel les déterminent à être, s’il arrivait que cette calotte sphérique, qui ne paraît tenir à la matrice que par application et contact, s’en détachât peu à peu par ses bords, dès le commencement de la grossesse, en sorte que les progrès de la séparation suivissent exactement ceux de l’accroissement du volume ; j’ai pensé que ces bords, libres de toute attache, iraient toujours en s’approchant et en affectant la forme sphérique ; que le cordon ombilical, tiré par deux forces contraires, l’une des bords séparés et convexes de la calotte qui tendrait à le raccourcir, et l’autre du poids du fœtus qui tendrait à l’allonger, serait beaucoup plus court que dans les cas ordinaires ; qu’il viendrait un moment où ces bords coïncideraient, s’uniraient entièrement, et formeraient une espèce d’œuf, au centre duquel on trouverait un fœtus bizarre dans son organisation, comme il l’a été dans sa production, oblitéré, contraint, étouffé ; et que cet œuf se nourrirait jusqu’à ce que sa pesanteur achevât de détacher la petite partie de sa surface qui resterait adhérente, qu’il tombât isolé dans la matrice, et qu’il en fût expulsé par une sorte de ponte, comme l’œuf de la poule, avec lequel il a quelque analogie du moins par sa forme. Si ces conjectures se vérifiaient dans une môle, et qu’il fût, cependant, démontré que cette môle s’est engendrée dans la femme sans aucune approche de l’homme, il s’ensuivrait évidemment que le fœtus est tout formé dans la femme et que l’action de l’homme ne concourt qu’au développement. |
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suoi differenti approcci della donna? Questi elementi che sono tranquilli nell’uomo, diffusi e trattenuti in certe donne di temperamento ardente, di grande immaginazione, non potranno eccitarsi, esaltarsi e prendere attività? Questi elementi che sono tranquilli nella donna, non potrebbero essere messi in azione, sia da una presenza secca e sterile, e dei movimenti infecondi e puramente voluttuosi dell’uomo, sia per la violenza e la costrizione del desiderio provocati dalla donna; uscire dalla loro riserva, arrivare nella matrice, fermarvisi, e combinarsi da sé? La mola non potrebbe essere il risultato di una combinazione come quella che suppongo, questa combinazione solitaria o degli elementi emanati dalla donna, o degli elementi forniti dall’uomo?66 Ma se la mola è il risultato di questa combinazione come quella che suppongo, questa combinazione avrà delle leggi tanto invariabili quanto quelle della generazione. La mola avrà dunque un’organizzazione costante. Prendiamo il bisturi, apriamo delle mole e osserviamo; può anche essere che scopriremo delle mole distinte attraverso qualche traccia riguardante la differenza dei sessi. Ecco quella che possiamo chiamare l’arte di procedere da ciò che non conosciamo affatto a ciò che conosciamo meno ancora. È quest’abitudine d’irragionevolezza che possiedono in un grado sorprendente quelli che hanno acquisito o che hanno per Natura il genio della fisica sperimentale; è a questa specie di sogni che si devono la maggioranza delle scoperte. Ecco il tipo di previsioni che bisogna insegnare agli allievi, sempre se è possibile insegnarle. 2.67 Ma se abbiamo appena scoperto con il tempo che la mola non si genera mai nella donna senza la cooperazione dell’uomo, ecco alcune congetture nuove, molto più verosimili delle precedenti, che potremo formulare su questo corpo straordinario. Questo tessuto di vasi sanguigni che chiamiamo la placenta è, come si sa, una calotta sferica, una specie di fungo, che aderisce dalla sua parte convessa alla matrice, durante tutto il tempo della gravidanza; alla quale il cordone ombelicale serve come da stelo; che si stacca dalla matrice durante i dolori del parto; e di cui la superficie è eguale, quando una donna è sana e il suo parto felice. Gli esseri non essendo mai né nella loro generazione, né nella loro conformazione, né nel loro uso, quello che le resistenze, le leggi del movimento e dell’ordine universale li determinano a essere, se accadesse che questa calotta sferica che non sembrerebbe tenere la matrice che per applicazione e contatto, se ne distacca a poco a poco dai bordi dall’inizio della gravidanza, in modo che il progresso della separazione segua esattamente quello dell’accrescimento di volume; ho pensato che i suoi bordi liberi da ogni legame, andrebbero sempre ad avvicinarsi e assumerebbero una forma sferica; che il cordone ombelicale tirato da due forze contrarie, l’una dei bordi separati e convessi della calotta che tenderebbe ad accorciarlo, e l’altra dei piedi del feto che tenderebbe ad allungarlo, sarebbe molto più corto che nei casi ordinari; che arriverebbe un momento in cui questi bordi coincidendo, si unirebbero interamente e formerebbero una specie di uovo, al centro del quale si troverebbe un feto bizzarro nella sua organizzazione, come lo è stato nella sua produzione, annullato, forzato, soffocato; e quest’uovo si nutrirebbe finché il suo peso completasse il distacco della piccola parte di superficie che resta aderente, cadendo così isolato nella matrice ed essendone espulso attraverso una specie di ponte, come l’uovo della gallina, con il quale ha qualche analogia almeno per la sua forma. Se queste congetture si verificassero in una mola, e fosse tuttavia dimostrato che questa mola si è generata nella donna senza alcun avvicinamento dell’uomo, ne conseguirebbe evidentemente che il feto è completamente formato nella donna e che l’azione dell’uomo concorre solo allo sviluppo.
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Secondes conjectures. Supposé que la Terre ait un noyau solide de verre, ainsi qu’un de nos plus grands philosophes le prétend, et que ce noyau soit revêtu de poussière ; on peut assurer qu’en conséquence des lois de la force centrifuge, qui tend à approcher les corps libres de l’équateur, et à donner à la Terre la forme d’un sphéroïde aplati, les couches de cette poussière doivent être moins épaisses aux pôles que sous aucun autre parallèle ; que peut-être le noyau est à nu aux deux extrémités de l’axe, et que c’est à cette particularité qu’il faut attribuer la direction de l’aiguille aimantée, et les aurores boréales qui ne sont probablement que des courants de matière électrique. | Il y a grande apparence que le magnétisme et l’électricité dépendent des mêmes causes. Pourquoi ne seraient-ce pas des effets du mouvement de rotation du globe, et de l’énergie des matières dont il est composé, combinée avec l’action de la lune ? Le flux et reflux, les courants, les vents, la lumière, le mouvement des particules libres du globe, peut-être même celui de toute sa croûte entière sur son noyau, etc., opèrent d’une infinité de manières un frottement continuel ; l’effet des causes, qui agissent sensiblement et sans cesse, forme à la suite des siècles un produit considérable ; le noyau du globe est une masse de verre ; sa surface n’est couverte que de détriments de verre, de sables, et de matières vitrifiables ; le verre est, de toutes les substances, celle qui donne le plus d’électricité par le frottement pourquoi la masse totale de l’électricité terrestre ne serait-elle pas le résultat de tous les frottements opérés, soit à la surface de la Terre, soit à celle de son noyau ? Mais de cette cause générale, il est à présumer qu’on déduira, par quelques tentatives, une cause particulière qui constituera entre deux grands phénomènes, je veux dire la position de l’aurore boréale et la direction de l’aiguille aimantée, une liaison semblable à celle dont on a | constaté l’existence entre le magnétisme et l’électricité, en aimantant des aiguilles, sans aimant, et par le moyen seul de l’électricité. On peut avouer ou contredire ces notions, parce qu’elles n’ont encore de réalité que dans mon entendement. C’est aux expériences à leur donner plus de solidité, et c’est au physicien à en imaginer qui séparent les phénomènes, ou qui achèvent de les identifier. XXXIV
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Troisièmes conjectures. La matière électrique répand dans les lieux où l’on électrise, une odeur sulfureuse sensible ; sur cette qualité, les chimistes n’étaient-ils pas autorisés à s’en emparer ? Pourquoi n’ont-ils pas essayé, par tous les moyens qu’ils ont en main, des fluides chargés de la plus grande quantité possible de matière électrique ? On ne sait seulement pas encore si l’eau électrisée dissout plus ou moins promptement le sucre que l’eau simple. Le feu de nos fourneaux augmente considérablement le poids de certaines matières, telles que le plomb calciné si le feu de l’électricité, constamment appliqué sur ce métal en calcination, augmentait encore cet effet, n’en résulterait-il pas une nouvelle analogie entre le feu électrique | et le feu commun ? On a essayé si ce feu extraordinaire ne porterait point quelque vertu dans les remèdes, et ne rendrait point une substance plus efficace, un topique plus actif ; mais n’a-t-on pas abandonné trop tôt ces essais ? Pourquoi l’électricité ne modifierait-elle pas la formation des cristaux et leurs propriétés ? Combien de conjectures à former d’imagination, et à confirmer ou détruire par l’expérience. Voyez l’article suivant.
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Congetture seconde.68 Supposto che la Terra abbia un nucleo solido di vetro, così come sostiene uno dei nostri più grandi filosofi,69 e che questo nucleo sia rivestito di pulviscolo; possiamo assicurare che, conseguentemente alle leggi della forza centrifuga, che tende ad avvicinare i corpi liberi all’equatore, e a dare alla Terra una forma di sferoide appiattito,70 gli strati di questo pulviscolo devono essere meno spessi ai poli che in ogni altro parallelo; che forse il nucleo è spoglio alle estremità dell’asse, e che è forse a questa particolarità che bisogna attribuire la direzione dell’ago magnetico, e le aurore boreali71 sono solo probabilmente delle correnti di materia elettrica.72 Con molta probabilità il magnetismo e l’elettricità dipendono dalle stesse cause.73 Perché non è possibile che queste siano solo degli effetti del movimento di rotazione del globo, e dell’energia delle materie di cui è composto, combinate con l’azione della Luna? Il flusso e riflusso, le correnti, i venti, la luce, il movimento delle particelle libere del globo, forse anche lo stesso movimento della crosta intera sul suo nucleo, ecc., operano un’infinità di materie uno sfregamento continuo; l’effetto delle cause che agiscono sensibilmente senza tregua, forma nel susseguirsi dei secoli un prodotto considerevole; il nocciolo del globo è una massa di vetro, di sabbia e di materie vetrificabili; il vetro è tra tutte le sostanze quella che produce più elettricità per sfregamento: perché la massa totale dell’elettricità terrestre non sarebbe il risultato di tutti gli sfregamenti operati, sia sulla superficie della Terra, sia su quella del suo nucleo? Ma di questa causa generale, bisogna presumere che dedurremo da qualche tentativo, una causa particolare che costituirà tra due grandi fenomeni, voglio dire la posizione dell’aurora boreale, e la posizione dell’ago magnetico, un legame simile a quello di cui abbiamo constatato l’esistenza tra il magnetismo e l’elettricità, magnetizzando degli aghi, senza magnete e con il solo mezzo dell’elettricità. Possiamo ammettere o contraddire queste nozioni, perché esse non hanno ancora realtà che nel mio intelletto. Spetta alle esperienze dar loro maggiore solidità, e ai fisici immaginarne che separano i fenomeni, o che ne completano l’identificazione. XXXIV
Congetture terze. La materia elettrica74 diffonde nei luoghi in cui viene elettrizzata un sensibile odore solforoso; sulla base di questa qualità i chimici non erano autorizzati a impadronirsene? Perché non hanno cercato, attraverso tutti i mezzi che avevano a disposizione, dei fluidi carichi della più grande quantità di materia elettrica? Non si sa ancora nemmeno se l’acqua elettrizzata dissolve più o meno velocemente lo zucchero dell’acqua semplice. Il fuoco dei nostri fornelli aumenta considerevolmente il peso di alcune materie, come il piombo calcinato; se il fuoco dell’elettricità costantemente applicato su questo metallo in calcinazione aumentasse ancora questo effetto, non ne risulterebbe forse una nuova analogia tra il fuoco elettrico75 e il fuoco comune? Si è sperimentato se questo fuoco non avesse qualche virtù tra i rimedi,76 e non rendesse una sostanza più efficace, un medicinale topico più attivo; non abbiamo forse abbandonato troppo presto questi esperimenti? Perché l’elettricità non modifica la formazione dei cristalli e delle loro proprietà? Quante congetture si possono formare con l’immaginazione, e confermare o distruggere con l’esperienza! Vedi l’articolo seguente.
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Quatrièmes conjectures. La plupart des météores, les feux follets, les exhalaisons, les étoiles tombantes, les phosphores naturels et artificiels, les bois pourris et lumineux, ont-ils d’autres causes que l’électricité ? Pourquoi ne fait-on pas sur ces phosphores les expériences nécessaires pour s’en assurer ? Pourquoi ne pense-t-on pas à reconnaître si l’air, comme le | verre, n’est pas un corps électrique par lui-même, c’est-à-dire un corps qui n’a besoin que d’être frotté et battu pour s’électriser ? Qui sait si l’air chargé de matière sulfureuse, ne se trouverait pas plus ou moins électrique que l’air pur [?] Si l’on fait tourner avec une grande rapidité, dans l’air, une verge de métal qui lui oppose beaucoup de surface, on découvrira si l’air est électrique, et ce que la verge en aura reçu d’électricité. Si pendant l’expérience, on brûle du soufre et d’autres matières, on reconnaîtra celles qui augmenteront et celles qui diminueront la qualité électrique de l’air. Peut-être l’air froid des pôles est-il plus susceptible d’électricité que l’air chaud de l’équateur ; et comme la glace est électrique et que l’eau ne l’est point, qui sait si ce n’est pas à l’énorme quantité de ces glaces éternelles, amassées vers le pôle, et peut‑être mues sur le noyau de verre plus découvert aux pôles qu’ailleurs, qu’il faut attribuer les phénomènes de la direction de l’aiguille, et de l’apparition des aurores boréales qui semblent dépendre également de l’électricité, comme nous l’avons insinué dans nos conjectures secondes ? L’observation a rencontré un des ressorts les plus généraux et les plus puissants de la nature ; c’est à l’expérience à en découvrir les effets. | XXXVI
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Cinquièmes conjectures. Si une corde d’instrument est tendue, et qu’un obstacle léger la divise en deux parties inégales, de manière qu’il n’empêche point la communication des vibrations de l’une des parties à l’autre ; on sait que cet obstacle détermine la plus grande à se diviser en portions vibrantes, telles que les deux parties de la corde rendent un unisson, et que les portions vibrantes de la plus grande sont comprises chacune entre deux points immobiles. La résonnance du corps n’étant point la cause de la division de la plus grande, mais l’unisson des deux parties étant seulement un effet de cette division ; j’ai pensé que, si on substituait à la corde d’instrument une verge de métal, et qu’on la frappât violemment, il se formerait sur sa longueur des ventres et des nœuds ; qu’il en serait de même de tout corps élastique sonore ou non ; que ce phénomène, qu’on croit particulier aux cordes vibrantes, a lieu d’une manière plus ou moins forte dans toute percussion ; qu’il tient aux lois générales de la communication du mouvement ; qu’il y a, dans les corps choqués, des parties oscillantes infiniment petites, et des nœuds ou points immobiles infiniment proches ; que ces parties oscillantes et ces nœuds sont les causes du frémissement que nous éprouvons par la sensation du toucher dans les corps, après le choc, tantôt | sans qu’il y ait de translation locale, tantôt après que la translation locale a cessé ; que cette supposition est conforme à la nature du frémissement qui n’est pas de toute la surface touchée, à toute la surface de la partie sensible qui touche, mais d’une infinité de points répandus sur la surface du corps touché, vibrant confusément entre une infinité de points immobiles ; qu’apparemment dans les corps continus élastiques, la force d’inertie distribuée uniformément dans la masse, fait en un point quelconque la fonction d’un petit obstacle relativement à un autre point ; qu’en supposant la partie frappée d’une corde vibrante infiniment petite, et conséquemment les ventres infiniment petits, et les nœuds infiniment près, on a, selon une direc-
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Quarte congetture. La maggior parte delle meteore, i fuochi fatui, le esalazioni, le stelle cadenti, i fosfori naturali e artificiali,77 i boschi marci e luminosi, hanno forse altre cause che non siano l’elettricità?78 Perché non facciamo su questi fosfori degli esperimenti necessari per assicurarcene? Perché non si pensa a capire se l’aria, come il vetro, non è un corpo elettrico per se stessa vale a dire un corpo che non ha bisogno di essere sfregato e battuto per elettrizzarsi? Chissà se l’aria caricata di materia solforosa sarebbe più o meno elettrica dell’aria pura. Se si fa ruotare con grande rapidità nell’aria un bastone metallico che le oppone molta superficie, si scoprirà se l’aria è elettrica, e quello che il bastone ne avrà ricevuto di elettricità. Se durante l’esperimento si brucia dello zolfo o delle altre materie, si riconosceranno quali di queste aumentano e quali diminuiscono la qualità elettrica dell’aria. Forse l’aria fredda dei poli è più suscettibile all’elettricità dell’aria calda dell’equatore; e poiché il ghiaccio è elettrico e l’acqua non lo è, chissà se non è proprio a quest’enorme quantità di ghiacci eterni, ammassati verso i poli, e forse tramutati sul nocciolo di vetro più scoperto ai poli, che bisogna attribuire i fenomeni della direzione dell’ago, e dell’apparizione delle aurore boreali che sembrano dipendere egualmente dall’elettricità, come abbiamo insinuato nelle nostre congetture seconde. L’osservazione ha incontrato uno delle forze più generali e più potenti della natura; spetta all’esperienza scoprirne gli effetti. XXXVI
Congetture quinte. 1. Se la corda di uno strumento è tesa, e un ostacolo leggero la divide in due parti, in modo da non impedire la comunicazione delle vibrazioni da una parte all’altra; si sa che quest’ostacolo determina la più grande a dividersi in porzioni vibranti, tali che le due parti della corda rendono un unisono, e che le porzioni vibranti della più grande sono comprese ciascuna tra due punti immobili. Poiché la risonanza del corpo non è la causa della divisione della più grande, ma l’unisono delle due parti è solo un effetto di questa divisione; ho pensato che se si sostituisse alla corda dello strumento un’asta di metallo e la si colpisse violentemente, si formerebbero lungo la lunghezza dei rigonfiamenti e dei nodi; che sarebbe eguale in ogni corpo elastico79 sonoro o no; che questo fenomeno, che si crede peculiare delle corde vibranti, ha luogo in modo più o meno accentuato su ogni percussione; che si attiene alle leggi generali della comunicazione del movimento; che ci sono nei corpi urtati delle parti che oscillano infinitamente, e dei nodi o punti immobili infinitamente vicini; che queste parti oscillanti e questi nodi sono le cause del movimento oscillatorio si avverte grazie alla sensazione del tatto nei corpi, dopo l’urto, a volte senza che ci sia traslazione locale, a volte dopo che la traslazione locale è cessata. Che questa supposizione sia conforme alla natura della vibrazione che non è di tutta la superficie toccata, a ogni superficie della parte sensibile che tocca, ma di un’infinità di punti distribuiti sulla superficie del corpo toccato vibrando confusamente tra un’infinità di punti immobili; che apparentemente nei corpi continui elastici, la forza d’inerzia è distribuita uniformemente nella massa, svolge in un punto qualunque la funzione di un piccolo ostacolo relativamente a un altro punto; che supponendo la parte colpita di una corda vibrante infinitamente piccola, e conseguentemente i rigonfiamenti infinitamente piccoli, e i nodi infinitamente vicini, si ha secondo una
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tion et pour ainsi dire, sur une seule ligne, une image de ce qui s’exécute en tout sens dans un solide choqué par un autre : Que, puisque, la longueur de la partie interceptée de la corde vibrante étant donnée, il n’y a aucune cause qui puisse multiplier sur l’autre partie le nombre des points immobiles ; que, puisque ce nombre est le même, quelle que soit la force du coup ; et que puisqu’il n’y a que la vitesse des oscillations qui varie dans le choc des corps, le frémissement sera plus ou moins violent ; mais que le rapport en nombre des points vibrants aux points immobiles sera le même ; et que la quantité de matière en repos dans ces corps sera constante, quelles que soient la force du choc, la densité du corps, la cohésion des parties. Le géomètre n’a donc plus qu’à étendre | le calcul de la corde vibrante au prisme, à la sphère, au cylindre, pour trouver la loi générale de la distribution du mouvement dans un corps choqué ; loi qu’on était bien éloigné de rechercher jusqu’à présent, puisqu’on ne pensait pas même à l’existence du phénomène, et qu’on supposait au contraire la distribution du mouvement uniforme dans toute la masse, quoique, dans le choc le frémissement indiquât, par la voie de la sensation, la réalité de points vibrants répandus entre des points immobiles ; je dis dans le choc, car il est vraisemblable que, dans les communications de mouvement où le choc n’a aucun lieu, un corps est lancé comme le serait la molécule la plus petite, et que le mouvement est uniformément de toute la masse à la fois. Aussi le frémissement est-il nul dans tous ces cas ; ce qui achève d’en distinguer le cas du choc. 2. Par le principe de la décomposition des forces, on peut toujours réduire à une seule force toutes celles qui agissent sur un corps : si la quantité et la direction de la force qui agit sur le corps sont données, et qu’on cherche à déterminer le mouvement qui en résulte, on trouve que le corps va en avant, comme si la force passait par le centre de gravité et qu’il tourne de plus autour du centre de gravité, comme si ce centre était fixe | et que la force agît autour de ce centre comme autour d’un point d’appui : Donc, si deux molécules s’attirent réciproquement, elles se disposeront l’une par l’autre, selon les lois de leurs attractions, leurs figures, etc. Si ce système de deux molécules en attire une troisième dont il soit réciproquement attiré, ces trois molécules se disposeront les unes par rapport aux autres, selon les lois de leurs attractions, leurs figures, etc., et ainsi de suite des autres systèmes et des autres molécules. Elles formeront toutes un système A, dans lequel, soit qu’elles se touchent ou non ; soit qu’elles se meuvent ou soient en repos, elles résisteront à une force qui tendrait à troubler leur coordination, et tendront toujours, soit à se restituer dans leur premier ordre, si la force perturbatrice vient à cesser ; soit à se coordonner relativement aux lois de leurs attractions, à leurs figures, etc., et à l’action de la force perturbatrice, si elle continue d’agir. Ce système A est ce que j’appelle un corps élastique. En ce sens général et abstrait, le système planétaire, l’univers n’est qu’un corps élastique : le chaos est une impossibilité ; car il est un ordre essentiellement conséquent aux qualités primitives de la matière. 3. Si l’on considère le système A dans le vide, il sera indestructible, imperturbable, éternel : si l’on en suppose les parties dispersées dans l’immensité de l’espace ; comme les qualités, telles que l’attraction, se | propagent à l’infini, lorsque rien ne resserre la sphère de leur action, ces parties, dont les figures n’auront point varié, et qui seront animées des mêmes forces, se coordonneront derechef comme elles étaient coordonnées, et reformeront dans quelque point de l’espace et dans quelque instant de la durée, un corps élastique. 4. Il n’en sera pas ainsi, si l’on suppose le système A dans l’univers ; les effets n’y sont pas moins nécessaires ; mais une action des causes, déterminément telle y est quelquefois impossible ; et le nombre de celles qui se combinent est toujours si grand dans le sys-
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direzione, e per così dire, su una sola linea, un’immagine di ciò che accade in tutti i sensi, in un solido urtato da un altro: che, poiché, la lunghezza della parte intercettata della corda è data, non c’è alcuna causa che possa moltiplicare sull’altra parte il numero di punti immobili; che, poiché questo numero è lo stesso, quale che sia la forza del colpo; e che, poiché non è che la velocità delle oscillazioni a variare; nell’urto dei corpi la vibrazione sarà più o meno violenta; ma che il rapporto del numero dei punti vibranti rispetto a quelli immobili sarà lo stesso; e che la quantità di materia in riposo in questi corpi sarà costante, quali che siano la forza dell’urto, la densità del corpo, la coesione delle parti. Il geometra non deve dunque far altro che estendere il calcolo della corda vibrante al prisma, alla sfera, al cilindro, per trovare la legge generale della distribuzione del movimento in un corpo urtato; legge che eravamo ben lungi dal cercare fino a oggi, perché non si supponeva nemmeno l’esistenza del fenomeno, e si presumeva al contrario la distribuzione del movimento uniforme in tutta la massa, poiché, nell’urto la vibrazione indicava, attraverso la via della sensazione, la realtà dei punti vibranti distribuiti tra dei punti immobili;80 dico nell’urto, perché è verosimile che, nella comunicazione del moto dove l’urto non ha avuto luogo, un corpo viene lanciato come lo sarebbe la molecola più piccola, e che il movimento appartiene uniformemente di tutta la massa nel suo insieme. Così il fremito è nullo in ogni caso, cosa che consente di distinguerne il caso dell’urto.81 2. In base al principio di scomposizione delle forze, possiamo sempre ridurre a una sola tutte le forze che agiscono su un corpo: se la quantità e la direzione sono date, e si cerca di determinare il movimento che ne risulta, si trova che il corpo va in avanti, come se la forza passasse per il centro di gravità e girasse inoltre intorno al centro di gravità, come se questo centro fosse fisso e la forza agisse intorno a questo centro come intorno a un punto d’appoggio. Dunque se due molecole si attirano reciprocamente, esse si dispongono l’una in rapporto all’altra secondo le leggi della loro attrazione, delle loro figure, ecc. Se questo sistema di due molecole ne attira una terza da cui sia reciprocamente attirata, queste tre molecole si disporranno l’una in rapporto all’altra secondo le leggi della loro attrazione, delle loro figure, ecc. e così di seguito negli altri sistemi e per le altre molecole. Esse formeranno tutte un sistema A, nel quale, sia che esse si tocchino o no, sia che si muovano, o siano in quiete, esse resisteranno a una forza che tenderà a turbare la loro coordinazione, e tenderanno sempre sia a ritornare nel loro primo ordine, se la forza perturbatrice viene a cessare, sia a coordinarsi secondo le leggi della loro attrazione, delle loro figure, ecc. e all’azione della forza perturbatrice, se essa continua ad agire. Questo sistema A è quello che chiamo un corpo elastico. In questo senso generale e astratto, il sistema planetario, l’universo stesso non è altro che un corpo elastico: il caos è impossibile, perché c’è un ordine essenzialmente conseguente alle qualità primitive della materia. 3. Se si considera il sistema A nel vuoto, sarà indistruttibile, imperturbabile, eterno: se si suppongono le parti distribuite nell’immensità dello spazio; dato che le qualità, come l’attrazione, si propagano all’infinito, quando nulla limita la sfera della loro azione, queste parti le cui figure non saranno affatto variate, e che saranno animate dalle stesse forze, si coordineranno nuovamente com’erano coordinate, e riformeranno in qualche punto dello spazio e in qualche istante della durata un corpo elastico. 4. Non sarà così, se si suppone il sistema A nell’universo; gli effetti qui non sono meno necessari ma un’azione delle cause determinatamente tale è a volte impossibile, e il numero di quelle che si combinano è sempre così grande nel sistema generale o nel
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tème général ou corps élastique universel, qu’on ne sait ce qu’étaient originairement les systèmes ou corps élastiques particuliers, ni ce qu’ils deviendront. Sans prétendre donc que l’attraction constitue dans le plein la dureté et l’élasticité, telles que nous les y remarquons, n’est-il pas évident que cette propriété de la matière suffit seule pour les constituer dans le vide, et donner lieu à la raréfaction, à la condensation, et à tous les phénomènes qui en dépendent ? Pourquoi donc ne serait-elle pas la cause première de ces phénomènes dans notre système général, où une infinité de causes qui la modifieraient, feraient varier à l’infini la quantité de ces phénomènes dans les systèmes ou corps élastiques particuliers ? Ainsi un corps élastique plié ne se rompra que, quand la cause qui en rapproche les parties en un sens, les aura tellement écartées dans le sens contraire, qu’elles n’auront plus d’action sensible les unes sur les autres par leurs attractions réciproques : un corps élastique choqué ne s’éclatera que, quand plusieurs de ses molécules vibrantes auront été portées, dans leur première oscillation, à une distance des molécules immobiles entre lesquelles elles sont répandues, telle qu’elles n’auront plus d’action sensible les unes sur les autres par leurs attractions réciproques. Si la violence du choc était assez grande pour que les molécules vibrantes fussent toutes portées au delà de la sphère de leur attraction sensible, le corps serait réduit dans ses éléments. Mais entre cette collision la plus | forte qu’un corps puisse éprouver, et la collision qui n’occasionnerait que le frémissement le plus faible, il y en a une, ou réelle ou intelligible, par laquelle tous les éléments du corps, séparés, cesseraient de se toucher, sans que leur système fût détruit, et sans que leur coordination cessât. Nous abandonnerons au lecteur l’application des mêmes principes à la condensation, à la raréfaction, etc. Nous ferons seulement encore observer ici la différence de la communication du mouvement par le choc, et de la communication du mouvement sans le choc. La translation d’un corps sans le choc étant uniformément de toutes ses parties à la fois ; quelle que soit la quantité du mouvement communiquée par cette voie fût-elle infinie, le corps ne sera point détruit ; il restera entier, jusqu’à ce qu’un choc faisant osciller quelques-unes de ses parties, entre d’autres qui demeurent immobiles, le ventre des premières oscillations ait une telle amplitude, que les parties oscillantes ne puissent plus revenir à leur place, ni rentrer dans la coordination systématique. 5. Tout ce qui précède ne concerne proprement que les corps élastiques simples, ou les systèmes de particules de même matière, de même figure, animées d’une même quantité et mues selon une même loi d’attraction. Mais si toutes ces qualités sont variables, il en résultera une infinité de corps élastiques mixtes. J’entends par un corps élastique mixte, un système composé de deux ou plusieurs systèmes de matières différentes, de différentes figures, animées de différentes quantités et peut-être même mues selon des lois différentes d’attraction, dont les particules sont coordonnées les unes entre les autres, par une loi qui est commune à toutes et qu’on peut regarder comme le produit de leurs actions réciproques. | Si l’on parvient, par quelques opérations, à simplifier le système composé, en en chassant toutes les particules d’une espèce de matière coordonnée, ou à le composer davantage, en y introduisant une matière nouvelle dont les particules se coordonnent entre celles du système et changent la loi commune à toutes ; la dureté, l’élasticité, la compressibilité, la rarescibilité et les autres affections qui dépendent dans le système composé, de la différente coordination des particules, augmenteront ou diminueront, etc. Le plomb qui n’a presque point de dureté ni d’élasticité, diminue encore en dureté et augmente en élasticité, si on le met en fusion, c’est-à-dire si on coordonne entre le système composé des molécules qui le constituent plomb, un autre système composé de molécules d’air, de feu, etc., qui le constituent plomb fondu.
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corpo elastico universale, che non si sa che cos’erano originariamente i sistemi in cui i corpi elastici particolari, né cosa diverranno. Senza pretendere dunque che nel pieno l’attrazione costituisca la durata e l’elasticità, tali quali noi le osserviamo, non è evidente che questa proprietà della materia è sufficiente da sola per costituirle nel vuoto, e dar luogo alla rarefazione, alla condensazione e a tutti i fenomeni che ne dipendono? Perché dunque essa non sarebbe la causa prima di questi fenomeni nel nostro sistema generale, dove un’infinità di cause che la modificheranno, faranno variare all’infinito la quantità di questi fenomeni nei sistemi ovvero nei corpi elastici particolari? Così piegando un corpo elastico si romperà solo quando la causa che ne avvicina le parti in un senso, le avrà talmente allontanate nel senso contrario, che non avranno più azione significativa le une sulle altre per la loro azione reciproca: se si colpisce un corpo elastico, esso si scinderà solo quando molte delle sue molecole vibranti saranno state portate dalla loro prima oscillazione, a una distanza dalle molecole immobili tra le quali esse sono distribuite, tale che esse non avranno più azione sensibile le une sulle altre attraverso la loro attrazione reciproca. Se la violenza dell’urto fosse abbastanza grande da portare tutte le molecole vibranti al di là della sfera della loro attrazione sensibile, il corpo sarebbe ridotto ai suoi elementi. Ma tra questa collisione, la più forte che un corpo possa provare, e la collisione capace di provocare l’urto più debole, ce n’è una reale o astratta, attraverso la quale tutti gli elementi del corpo separato cesserebbero di toccarsi senza che il loro sistema fosse distrutto, e senza che la loro coordinazione cessasse. Lasceremo al lettore l’applicazione degli stessi principi alla condensazione, alla rarefazione, ecc. Si farà solamente notare qui ancora la differenza di comunicazione del movimento tramite urto e senza urto. La comunicazione del movimento senza urto è uniforme in tutte le sue parti contemporaneamente, quale che sia la quantità di movimento comunicato in questo modo, anche infinita, il corpo non verrebbe distrutto; resterebbe intero finché un urto non facesse oscillare alcune delle sue parti tra le altre che resterebbero immobili, il ventre delle prime oscillazioni avrebbe una tale ampiezza che le parti oscillanti non potrebbero più ritornare al loro posto, né rientrare nella coordinazione sistematica. 5. Tutto quello che precede non concerne propriamente che i corpi elastici semplici, o i sistemi di particelle di quantità e che mutano secondo la stessa legge di attrazione. Ma se tutte queste qualità sono variabili ne risulterà un’infinità di corpi elastici misti. Intendo per un corpo elastico misto, un sistema composto di due o più materie differenti, di differenti figure animate da differenti quantità e forse anche mutate secondo le differenti leggi d’attrazione, in cui le particelle sono coordinate le une tra le altre, attraverso una legge che è comune a tutte e che possiamo considerare come il prodotto delle loro azioni reciproche. Se si perviene attraverso qualche operazione82 a semplificare il sistema composto rimuovendo tutte le particelle di una specie di materia coordinata, o a renderla ancora più composta, introducendo una materia nuova le cui particelle si coordinano con quelle del sistema e cambiano la legge comune a tutte; la durezza, l’elasticità, la compressibilità, la capacità di rarefarsi e le altre affezioni che nel sistema composto dipendono, dalla differente coordinazione delle particelle, aumenteranno o diminuiranno, ecc. Il piombo che non ha pressoché alcuna durezza ed elasticità, diminuisce ancora in durezza e aumenta in elasticità, se lo mettiamo in fusione, vale a dire, se si coordina tra il sistema composto di molecole che lo costituiscono piombo, un altro sistema composto di molecole d’aria, di fuoco, ecc. che lo costituiscono come piombo fuso.
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6. Il serait très aisé d’appliquer ces idées à une infinité d’autres phénomènes semblables, et d’en composer un traité fort étendu. Le point le plus difficile à découvrir, ce serait par quel mécanisme les parties d’un système, quand elles se coordonnent entre les parties d’un autre système, le simplifient quelquefois, en en chassant un système d’autres parties coordonnées, comme il arrive dans certaines opérations chimiques. Des attractions selon des lois différentes ne paraissent pas suffire pour ce phénomène ; et il est dur d’admettre des qualités répulsives. Voici comment on pourrait s’en passer. Soit un système A composé des systèmes B et C, dont les molécules sont coordonnées les unes entre les autres, selon quelque loi commune à toutes. Si l’on introduit dans le système composé A, un autre système D, il arrivera de deux choses l’une ; ou que les particules du système D se coordonneront entre les parties du système A sans qu’il y ait de choc ; et dans ce cas le système A sera composé des systèmes B, C, D : ou que la coordination des particules du système D entre les particules du sys | tème A sera accompagnée de choc. Si le choc est tel que les particules choquées ne soient point portées dans leur première oscillation au delà de la sphère infiniment petite de leur attraction, il y aura, dans le premier moment, trouble ou multitude infinie de petites oscillations. Mais ce trouble cessera bientôt ; les particules se coordonneront et il résultera de leur coordination un système A composé des systèmes B, C, D. Si les parties du système B, ou celles du système C, ou les unes et les autres sont choquées dans le premier instant de la coordination, et portées au delà de la sphère de leur attraction par les parties du système D ; elles seront séparées de la coordination systématique pour n’y plus revenir, et le système A sera un système composé des systèmes B et D, ou des systèmes C et D ; ou ce sera un système simple des seules particules coordonnées du système D et ces phénomènes s’exécuteront avec des circonstances qui ajouteront beaucoup à la vraisemblance de ces idées, ou qui peut-être la détruiront entièrement. Au reste, j’y suis arrivé en partant du frémissement d’un corps élastique choqué. La séparation ne sera jamais spontanée où il y aura coordination ; elle pourra l’être où il n’y aura que composition. La coordination est encore un principe d’uniformité, même dans un tout hétérogène. XXXVII
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Sixièmes conjectures. Les productions de l’art seront communes, imparfaites et faibles, tant qu’on ne se proposera pas une imitation plus rigoureuse de la nature. La nature est opiniâtre et lente dans ses opérations. S’agit-il d’éloigner, de rapprocher, d’unir, de diviser, d’amollir, de condenser, de durcir, de liquéfier, de dissoudre, d’assimiler, elle s’avance à son but par les degrés les plus insensibles. L’art au contraire se hâte, se fatigue et se relâche. La nature emploie des siècles à préparer grossièrement les métaux ; l’art se propose de les perfectionner en un jour. La nature | emploie des siècles à former les pierres précieuses ; l’art prétend les contrefaire en un moment. Quand on posséderait le véritable moyen, ce ne serait pas assez ; il faudrait encore savoir l’appliquer. On est dans l’erreur, si l’on s’imagine que le produit de l’intensité de l’action multipliée par le temps de l’application étant le même, le résultat sera le même. Il n’y a qu’une application graduée, lente et continue qui transforme. Toute autre application n’est que destructive. Que ne tirerions-nous pas du mélange de certaines substances dont nous n’obtenons que des composés très imparfaits, si nous procédions d’une manière analogue à celle de la nature. Mais on est toujours pressé de jouir ; on veut voir la fin de ce qu’on a commencé. De là, tant de tentatives infructueuses ; tant de dépenses et de
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6. Sarebbe molto facile applicare queste idee a un’infinità di fenomeni simili e comporre un trattato molto esteso. Il punto più difficile da scoprire, sarebbe attraverso quale meccanismo le parti di un sistema, quando si coordinano con le parti di un altro sistema, a volte lo semplificano, eliminando un sistema di altre parti coordinate, come accade in certe operazioni chimiche. Delle attrazioni secondo leggi differenti non sembrano essere sufficienti per spiegare questo fenomeno, ed è difficile ammettere le qualità repulsive. Ecco come potrebbe accadere. Sia dato un sistema A composto dai sistemi B e C di cui le molecole sono coordinate le une con le altre, secondo qualche legge comune a tutte. Se si introduce in un sistema composto A, un altro sistema D, di due cose ne accadrà una; o le particelle del sistema D si coordineranno tra le parti del sistema A senza che ci sia alcun urto; e in questo caso il sistema A sarà composto dai sistemi B, C, D: o si avrà la coordinazione delle particelle del sistema D con le particelle del sistema A, accompagnata da urto. Se l’urto è tale che le particelle urtate non sono portate, nella loro prima oscillazione, al di là della sfera infinitamente piccola della loro attrazione, ci sarà, nel primo momento, un’agitazione o una moltitudine infinita di piccole oscillazioni. Ma questa agitazione cesserà presto; le particelle si coordineranno; e risulterà dalla loro coordinazione il sistema A composto dai sistemi B, C, D. Se le parti del sistema B, o quelle del sistema C, o le une e le altre vengono urtate nel primo istante della coordinazione, e portate al di là della sfera della loro attrazione dalle parti del sistema D, esse saranno separate dalla coordinazione sistematica, per non tornarci più, e il sistema A sarà un sistema composto dai sistemi B e D, o dai sistemi C e D, o questo sarà un sistema semplice di sole particelle coordinate dal sistema D; e questi fenomeni si verificheranno insieme a delle circostanze che aggiungeranno molto alla verosimiglianza di queste idee, o forse le distruggeranno completamente. Del resto vi sono giunto partendo dalla vibrazione di un corpo elastico urtato. La separazione non sarà mai spontanea o ci sarà coordinazione, essa potrà esserlo o non ci sarà che composizione. La coordinazione è ancora un principio di uniformità, anche in un sistema completamente eterogeneo. XXXVII
Congetture seste.83 Le produzioni dell’arte saranno comuni, imperfette e deboli, finché non si proporrà un’imitazione più rigorosa della natura. La natura è ostinata e lenta nelle sue operazioni. Si tratta di allontanare, di avvicinare, di unire, di dividere, di ammorbidire, di condensare, d’indurire, di liquefare, di dissolvere, di assimilare; essa avanza verso il suo scopo per gradi impercettibili. L’arte al contrario si affretta, si affatica e si esaurisce. La natura impiega secoli per preparare grossolanamente i metalli, l’arte si propone di perfezionarli in un giorno. La natura impiega secoli per formare delle pietre preziose, l’arte pretende di contraffarle in un momento. Quand’anche si possedesse il vero metodo, non sarebbe abbastanza, bisognerebbe ancora saperlo applicare. Si è in errore se s’immagina che il prodotto dell’intensità dell’azione, moltiplicato per il tempo dell’applicazione, essendo lo stesso, anche il risultato sarà lo stesso.84 Non c’è che un’applicazione graduale, lenta e continua, che trasforma. Ogni altra applicazione è solo distruttiva. Cosa non potremmo trarre dalla mescolanza di certe sostanze da cui si otterrebbero solamente dei composti molto imperfetti, procedendo in modo analogo a quello della natura. Ma abbiamo sempre fretta di godere, vogliamo vedere la fine di quello che abbiamo cominciato. Da questo derivano tanti tentativi infruttuosi,
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peines perdues ; tant de travaux que la nature suggère et que l’art n’entreprendra jamais, parce que le succès en paraît éloigné. Qui est-ce qui est sorti des grottes d’Arcy, sans être convaincu par la vitesse avec laquelle les stalactites s’y forment et s’y réparent, que ces grottes se rempliront un jour et ne formeront plus qu’un solide immense ? Où est le naturaliste qui réfléchissant sur ce phénomène, n’ait pas conjecturé qu’en déterminant des eaux à se filtrer peu à peu à travers des terres et des rochers, dont les stillations seraient reçues dans des cavernes spacieuses, on ne parvînt avec le temps à en former des carrières artificielles d’albâtre, de marbre et d’autres pierres, dont les qualités varieraient selon la nature | des terres, des eaux et des rochers [?] Mais à quoi servent ces vues sans le courage, la patience, le travail, les dépenses, le temps, et surtout ce goût antique pour les grandes entreprises dont il subsiste encore tant de monuments qui n’obtiennent de nous qu’une admiration froide et stérile ? XXXVIII
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Septièmes conjectures. On a tenté tant de fois sans succès de convertir nos fers en un acier qui égalât celui d’Angleterre et d’Allemagne, et qu’on pût employer à la fabrication des ouvrages délicats. J’ignore quels procédés on a suivis ; mais il m’a semblé qu’on eût été conduit à cette découverte importante par l’imitation et la perfection d’une manœuvre très commune dans les ateliers des ouvriers en fer. On l’appelle trempe en paquet. Pour tremper en paquet, on prend de la suie la plus dure, on la pile ; on la délaie avec de l’urine ; on y ajoute de l’ail broyé ; de la savate déchiquetée et du sel commun ; on a une boîte de fer ; on en couvre le fond d’un lit de ce mélange ; on place sur ce lit un lit de différentes pièces d’ouvrages en fer ; sur ce lit, un lit de mélange ; et ainsi de suite, jusqu’à ce que la boîte soit pleine ; on la ferme de son couvercle ; on l’enduit exactement à l’extérieur d’un mélange de terre grasse bien battue, de bourre et de fiente de cheval ; on la place au centre d’un tas de charbon proportionné à son volume ; on allume le charbon ; on laisse aller le feu, on l’entretient seulement on a un vaisseau plein d’eau fraîche ; trois ou quatre heures après qu’on a mis la boîte au feu, on l’en tire ; on l’ouvre ; on fait tomber les pièces qu’elle renferme dans l’eau fraîche, qu’on remue à mesure que les pièces tombent. Ces pièces sont trempées en paquet ; et si l’on en casse quelques-unes, on en trouvera la surface convertie en un acier très dur et d’un grain très fin, à une petite profondeur. Cette surface en prend un | poli plus éclatant, et en garde mieux les formes qu’on lui a données à la lime. N’est-il pas à présumer que, si l’on exposait, stratum super stratum, à l’action du feu et des matières employées dans la trempe en paquet, du fer bien choisi, bien travaillé, réduit en feuilles minces, telles que celles de la tôle, ou en verges très menues, et précipité au sortir du fourneau d’aciérage dans un courant d’eaux propres à cette opération, il se convertirait en acier ; si surtout on confiait le soin des premières expériences à des hommes qui, accoutumés depuis longtemps à employer le fer, à connaître ses qualités et à remédier à ses défauts, ne manqueraient pas de simplifier les manœuvres, et de trouver des matières plus propres à l’opération. XXXIX
Ce qu’on montre de physique expérimentale dans des leçons publiques, suffit-il pour procurer cette espèce de délire philosophique ? je n’en crois rien. Nos faiseurs de cours d’expériences ressemblent un peu à celui qui penserait avoir donné un grand repas,
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tanto dispendio di energie e fatiche andate perse, tanto lavoro che la natura suggerisce e che l’arte non intraprenderà mai, perché il successo sembra lontano. Chi è uscito dalle grotte di Arcy,85 senza essere convinto dalla velocità con la quale le stalattiti vi si formano e si riparano, che queste grotte si riempiranno un giorno formando un unico solido immenso? Dov’è il naturalista che riflettendo su questo fenomeno, non ha congetturato che inducendo delle acque a filtrarsi a poco a poco attraverso terre e rocce, da cui lo stillicidio raccolto in caverne spaziose, non si riuscirebbe col tempo a formarne delle cave artificiali86 di alabastro, di marmo e di altre pietre di cui le qualità varieranno secondo la natura delle terre, delle acque e delle rocce. Ma a che cosa servono queste visioni senza il coraggio, la pazienza, il lavoro, gli sprechi, il tempo, e soprattutto il gusto antico per le grandi imprese di cui sussistono ancora tanti monumenti che ottengono da noi solo un’ammirazione fredda e sterile? XXXVIII
Congetture settime. Si è tentato tante volte senza successo di convertire il nostro ferro in un acciaio che eguagliasse quello d’Inghilterra e Germania, e che si potesse impiegare per la fabbricazione di prodotti di delicata fattura. Ignoro quali procedure sono state seguite, ma mi è sembrato che si sia stati condotti a questa scoperta importante dall’imitazione e la perfezione di un procedimento molto comune nei laboratori dei fabbri. Si chiama tempra a strati88. Per temprare a strati, si prende un po’ della fuliggine più dura, la si pesta, la si diluisce con dell’urina, vi si aggiunge dell’aglio tritato, gli sfilacciamenti di una ciabatta tagliuzzata e del sale comune; si copre il fondo di un recipiente di ferro; si copre il fondo con uno strato della miscela; si pone su questo letto uno strato di pezzi di oggetti di ferro; su questo strato uno strato del miscuglio, e così di seguito finché il recipiente sarà pieno; lo si chiude con un coperchio: lo si riveste accuratamente all’esterno con un miscuglio di terra grassa ben battuta, di borra, e di sterco di cavallo; lo si mette al centro di un mucchio di carbone proporzionato al suo volume; si accende il carbone, si lascia andare il fuoco, lo si mantiene solamente; ci si procura un vassoio d’acqua fresca; tre o quattro ore dopo aver messo la scatola nel fuoco, la si toglie, la si apre, si fanno cadere i pezzi che racchiude nell’acqua fresca che si smuove man mano che i pezzi cadono. Questi pezzi sono temprati a strati, e se ne rompiamo qualcuno, troveremo la superficie trasformata in un acciaio molto duro e di grana molto fine, fino a una piccola profondità. Questa superficie prende una lucentezza maggiore, mantiene meglio le forme che le abbiamo dato con la lima. Non si deve presumere che, se esponiamo, stratum super stratum,89 all’azione del fuoco e delle materie utilizzate nella tempra a strati, ben lavorato, del ferro ben scelto ridotto in foglie sottili tali quali quelle della latta, o in verghe molto sottili e gettata all’uscita del forno di acciaiatura in una corrente d’acqua propria di quest’operazione, si convertirebbe in acciaio? soprattutto se si affida la cura delle prime esperienze a degli uomini abituati da molto tempo a utilizzare il ferro, a conoscere le sue qualità e a rimediare ai suoi difetti, non si mancherà di semplificare le manovre e di trovare delle materie più adatte all’operazione. 87
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La fisica sperimentale che si espone nelle lezioni pubbliche è sufficiente a provocare questa specie di delirio filosofico? Non lo credo per niente. Coloro che tengono i corsi di esperimenti sembrano un po’ a una persona che si convincesse di aver offerto un
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parce qu’il aurait eu beaucoup de monde à sa table. Il faudrait donc s’attacher principalement à irriter l’appétit, afin que plusieurs, emportés par le désir de le satisfaire, passassent de la condition de disciples, à celle d’amateurs ; et de celle-ci à la profession de philosophes. Loin de tout homme public ces réserves si opposées aux progrès des sciences. Il faut révéler et la chose et le moyen. Que je | trouve les premiers hommes qui découvrirent les nouveaux calculs, grands dans leur invention ! que je les trouve petits dans le mystère qu’ils en firent ! Si Neuton se fût hâté de parler, comme l’intérêt de sa gloire et de la vérité le demandait, Leibnitz ne partagerait pas avec lui le nom d’inventeur. L’Allemand imaginait l’instrument, tandis que l’Anglais se complaisait à étonner les savants par les applications surprenantes qu’il en faisait. En mathématiques, en physique, le plus sûr est d’entrer d’abord en possession, en produisant ses titres au public. Au reste, quand je demande la révélation du moyen, j’entends de celui par lequel on a réussi ; on ne peut être trop succinct sur ceux qui n’ont point eu de succès. XL
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Ce n’est pas assez de révéler ; il faut encore que la révélation soit entière et claire. Il est une sorte d’obscurité que l’on pourrait définir, l’affectation des grands maîtres. C’est un voile qu’ils se plaisent à tirer entre le peuple et la nature. Sans le respect qu’on doit aux noms célèbres, je dirais que telle est l’obscurité qui règne dans quelques ouvrages de StahlA et | dans les Principes mathématiques de Neuton. Ces livres ne demandaient qu’à être entendus pour être estimés ce qu’ils valent, et il n’en eût pas coûté plus d’un mois à leurs auteurs pour les rendre clairs ; ce mois eût épargné trois ans de travail et d’épuisement à mille bons esprits. Voilà donc à peu près trois mille ans de perdus pour autre chose. Hâtons-nous de rendre la philosophie populaire. Si nous voulons que les philosophes marchent en avant ; approchons le peuple du point où en sont les philosophes. Diront-ils qu’il est des ouvrages qu’on ne mettra jamais à la portée du commun des esprits ? S’ils le disent, ils montreront seulement qu’ils ignorent ce que peuvent la bonne méthode et la longue habitude. S’il était permis à quelques auteurs d’être obscurs, dût-on m’accuser de faire ici mon apologie, j’oserais dire que c’est aux seuls métaphysiciens proprement dits. Les grandes abstractions ne comportent qu’une lueur sombre. L’acte de la généralisation tend à dépouiller les concepts de tout ce qu’ils ont de sensible. à mesure que cet acte s’avance, les spectres corporels s’évanouissent ; les notions se retirent peu à peu de l’imagination vers l’entendement ; et les idées deviennent purement intellectuelles. Alors le philosophe spéculatif ressemble à celui qui regarde du haut de ces montagnes dont les sommets se perdent dans les nues : les objets de la plaine ont disparu devant lui ; il ne lui reste plus que le spectacle de ses pensées, et que la conscience de la hauteur à laquelle il s’est élevé, et où il n’est peut-être pas donné à tous de le suivre et de respirer. XLI
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La nature n’a-t-elle pas assez de son voile, sans le doubler encore de celui du mystère ? n’est-ce pas assez des difficultés de l’art ? Ouvrez | l’ouvrage de Frankelin ; feuilletez les livres des chimistes, et vous verrez combien l’art expérimental exige de vues, A Le Specimen Becherianum ; la Zimotechnie ; les Trecenta. Voy. l’article Chymie, vol. 4 de l’Encyclopédie.
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gran banchetto, perché aveva molte persone alla sua tavola. Bisognerebbe dunque sforzarsi di stimolare l’appetito, in modo che molti, trascinati dal desiderio di soddisfarlo, passassero dalla condizione di discepoli, a quella di amatori; e da questa, alla professione di filosofi. Lungi da qualsiasi uomo pubblico queste riserve si oppongono ai progressi delle scienze. Bisogna rivelare la scienza e il mezzo.90 Come mi sembrano grandi gli uomini che hanno scoperto i nuovi calcoli, grandi nella loro invenzione! Come li trovo piccoli nel mistero che ne fecero! Se Newton avesse parlato prima, come l’interesse per la sua gloria e per la verità voleva, Leibniz non condividerebbe con lui il nome d’inventore.91 Il tedesco immaginava lo strumento, mentre l’inglese si compiaceva di stupire i sapienti per mezzo delle applicazioni stupefacenti che ne faceva. In matematica, in fisica, la cosa più sicura è di entrare subito in possesso, offrendo i propri titoli al pubblico. Del resto, quando chiedo che il metodo sia rivelato, intendo quello attraverso il quale si è riusciti, non si può essere troppo succinti su chi non ha avuto successo. XL
Non è abbastanza rivelare, bisogna anche che la rivelazione sia completa e chiara. È una sorta di oscurità quella che possiamo definire, l’affettazione dei grandi maestri. È un velo che si compiacciono ti stendere tra il popolo e la natura. Senza il rispetto che si deve ai nomi celebri, direi che è tale l’oscurità che regna in alcune opere di StahlA 92 e nei principi matematici di Newton. Questi libri non chiedevano che di essere compresi per essere stimati per quello che valgono, e non sarebbe costato più di un mese agli autori per renderli chiari; questo mese avrebbe risparmiato tre anni di lavoro e di fatica a mille buoni intelletti. Ecco dunque più o meno tremila anni di lavoro perduto che si poteva impiegare per altre cose. Affrettiamoci a rendere la filosofia popolare. Se vogliamo che i filosofi camminino davanti, avviciniamo il popolo al punto in cui sono i filosofi. Diremo che ci sono delle opere che non renderemo mai alla portata degli spiriti comuni? Se lo dicono, dimostrano solo di non sapere quello che sono in grado di fare un buon metodo e una lunga abitudine. Se ad alcuni autori fosse permesso essere oscuri, qui mi si dovrebbe accusare di fare l’apologia di me stesso, oserei dire che è ai soli metafisici propriamente detti. Le grandi astrazioni non comportano che un chiarore fioco. L’atto di generalizzazione tende a spogliare i concetti di tutto ciò che hanno di sensibile. Man mano che quest’atto avanza, gli spettri corporei svaniscono, le nozioni si ritirano poco a poco dall’immaginazione verso l’intelletto, e le idee divengono puramente intellettuali. Allora il filosofo speculativo sembra colui che guarda dall’alto di quelle montagne le cui vette si perdono nelle nubi: gli oggetti della pianura sono spariti davanti a lui, non gli resta altro che lo spettacolo dei suoi pensieri, e che la coscienza della sua altezza alla quale si è elevato, e dove non è forse dato a tutti di sopravvivere e di respirare. XLI
La natura non ne ha abbastanza del velo con cui si cela senza doverlo raddoppiare anche con quello del mistero? E non ci sono abbastanza difficoltà nell’arte? Aprite l’opera di Franklin,93 sfogliate i libri dei chimici, e vedrete quanto l’arte sperimentale A Lo Specimen Becherianum, la Zimotechnia, i Trecenta. Si veda l’art. «Chimica» («Chymie»), vol. IV dell’Encyclopèdie.
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d’imagination, de sagacité, de ressources : lisez-les attentivement, parce que s’il est possible d’apprendre en combien de manières une expérience se retourne, c’est là que vous l’apprendrez. Si au défaut de génie, vous avez besoin d’un moyen technique qui vous dirige, ayez sous les yeux une table des qualités qu’on a reconnues jusqu’à présent dans la matière ; voyez, entre ces qualités, celles qui peuvent convenir à la substance que vous voulez mettre en expérience, assurez-vous qu’elles y sont ; tâchez ensuite d’en connaître la quantité ; cette quantité se mesurera presque toujours par un instrument, où l’application uniforme d’une partie analogue à la substance pourra se faire, sans interruption et sans reste, jusqu’à l’entière exhaustion de la qualité. Quant à l’existence, elle ne se constatera que par des moyens qui ne se suggèrent pas. Mais si l’on n’apprend point comment il faut chercher, c’est quelque chose du moins que de savoir ce qu’on cherche. Au reste, ceux qui seront forcés de s’avouer à eux-mêmes leur stérilité, soit par une impossibilité bien éprouvée de rien découvrir, soit par une envie secrète qu’ils porteront aux découvertes des autres, le chagrin involontaire qu’ils en ressentiront, et les petites manœuvres qu’ils mettraient volontiers en usage pour en partager l’honneur ; ceux-là feront bien d’abandonner une science qu’ils cultivent sans avantage pour elle, et sans gloire pour eux. XLII 71
Quand on a formé dans sa tête un de ces systèmes qui demandent à être vérifiés par l’expérience, il ne faut ni s’y attacher opiniâtrement, | ni l’abandonner avec légèreté. On pense quelquefois de ses conjectures qu’elles sont fausses, quand on n’a pas pris les mesures convenables pour les trouver vraies. L’opiniâtreté a même ici moins d’inconvénient que l’excès opposé. à force de multiplier les essais, si l’on ne rencontre pas ce que l’on cherche, il peut arriver qu’on rencontre mieux. Jamais le temps qu’on emploie à interroger la nature n’est entièrement perdu. Il faut mesurer sa constance sur le degré de l’analogie. Les idées absolument bizarres ne méritent qu’un premier essai. Il faut accorder quelque chose de plus à celles qui ont de la vraisemblance ; et ne renoncer, que quand on est épuisé, à celles qui promettent une découverte importante. Il semble qu’on n’ait guère besoin de préceptes là-dessus. On s’attache naturellement aux recherches à proportion de l’intérêt qu’on y prend. XLIII
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Comme les systèmes dont il s’agit ne sont appuyés que sur des idées vagues, des soupçons légers, des analogies trompeuses et même, puisqu’il faut le dire, sur des chimères que l’esprit échauffé prend facilement pour des vues, il n’en faut abandonner aucun, sans auparavant l’avoir fait passer par l’épreuve de l’inversion. En philosophie purement rationnelle, la vérité est assez souvent l’extrême opposé de l’erreur ; de même en philosophie expérimentale, ce ne sera pas l’expérience qu’on aura tentée, ce sera son contraire qui produira le phénomène qu’on attendait. Il faut regarder principalement aux deux points diamétralement opposés. Ainsi dans la seconde de nos rêveries, après avoir couvert l’équateur du globe électrique, et découvert les pôles, il faudra couvrir les pôles, et laisser l’équateur à découvert ; et comme il importe de mettre le plus de ressemblance qu’il est possible entre le globe expérimental et le globe naturel qu’il représente, le choix de la matière dont on couvrira les pôles ne sera | pas indifférent. Peutêtre faudrait-il y pratiquer des amas d’un fluide, ce qui n’a rien d’impossible dans l’exécution, et ce qui pourrait donner dans l’expérience quelque nouveau phénomène extraordinaire, et différent de celui qu’on se propose d’imiter.
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esige in vedute, immaginazione, perspicacia, risorse: leggete attentamente perché è possibile imparare quanti aspetti può assumere un’esperienza, è là che lo imparerete. Se per mancanza di genio, avete bisogno di un mezzo tecnico che vi dirige, tenete sotto gli occhi una tavola delle qualità che abbiamo riconosciuto fino a oggi nella materia, vedete quali di queste qualità possono convenire alla materia su cui volete fare esperimenti, assicuratevi che le abbia, vedete in seguito di conoscerne la quantità, questa quantità si misurerà quasi sempre con uno strumento in cui l’applicazione uniforme di una parte analoga alla sostanza potrà farsi, senza interruzione e senza residui, fino ad aver interamente esaurito la qualità. Quanto all’esistenza essa si constaterà con dei mezzi che non si possono suggerire. Ma se non sappiamo affatto come fare ricerca, è già qualcosa sapere quello che si cerca. Del resto chi è costretto a confessare a se stesso la propria sterilità, sia per la ben provata impossibilità di scoprire alcunché, sia per un’invidia segreta per le scoperte degli altri, la preoccupazione involontaria di cui risentirà, e le piccole manovre che metterà volentieri in atto per condividerne l’onore, farebbe bene ad abbandonare una scienza che coltiva senza vantaggi per essa e senza gloria per sé. XLII
Quando ci si è formati nella testa dei sistemi che richiedono di essere confermati dall’esperienza, non bisogna né attaccarsi ostinatamente, né abbandonarlo con leggerezza. Si pensa a volte delle proprie congetture che sono false, quando non abbiamo preso le misure adatte a trovarle vere. L’ostinatezza ha qui meno inconvenienti che l’eccesso opposto. A forza di moltiplicare le prove, se non incontriamo ciò che cerchiamo, può accadere che troviamo di meglio. Il tempo che abbiamo impiegato a interrogare la natura non è mai interamente perduto. Bisogna misurare la sua costanza sul grado dell’analogia. Le idee assolutamente strane meritano solo una prima prova. Bisogna accordare qualcosa di più a quelle che hanno una certa verosimiglianza; e non rinunciare, quando si è esausti, a quelle che promettono una scoperta importante. Sembra che non ci sia affatto bisogno di precetti a questo proposito. Ci si applica naturalmente alle ricerche in proporzione all’interesse che accordiamo a esse. XLIII
Poiché i sistemi di cui si tratta sono fondati solo su delle idee vaghe, lievi sospetti, analogie fallaci ed egualmente, perché bisogna dirlo, su delle chimere che lo spirito eccitato prende facilmente per delle visioni, non bisogna abbandonarne alcuna senza prima averla fatta passare per la prova dell’inversione.94 Nella filosofia puramente razionale, la verità è abbastanza spesso l’estremo opposto dell’errore; ugualmente in filosofia sperimentale, non sarà l’esperienza che abbiamo tentato, sarà il suo contrario che produrrà il fenomeno che ci si aspettava. Bisogna guardare ai due punti opposti diametralmente. Così nella seconda delle nostre fantasticherie,95 dopo aver coperto l’equatore del globo elettrico e scoperto i poli, bisognerà coprire i poli e lasciare l’equatore scoperto; e poiché è importante rendere il più somigliante possibile il globo sperimentale a quello naturale che esso rappresenta, la scelta della materia di cui sarà ricoperto non è indifferente. Forse bisognerebbe applicarvi degli ammassi di fluido, cosa che non ha niente d’impossibile nell’esecuzione, e che potrebbe dare all’esperienza qualche nuovo fenomeno straordinario e differente da quello che ci si proponeva di imitare.
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Les expériences doivent être répétées pour le détail des circonstances et pour la connaissance des limites. Il faut les transporter à des objets différents, les compliquer, les combiner de toutes les manières possibles. Tant que les expériences sont éparses, isolées, sans liaison, irréductibles, il est démontré par l’irréduction même qu’il en reste encore à faire. Alors il faut s’attacher uniquement à son objet, et le tourmenter, pour ainsi dire, jusqu’à ce qu’on ait tellement enchaîné les phénomènes, qu’un d’eux étant donné tous les autres le soient travaillons d’abord à la réduction des effets ; nous songerons après à la réduction des causes. Or les effets ne se réduiront jamais qu’à force de les multiplier. Le grand art dans les moyens qu’on emploie pour exprimer d’une cause tout ce qu’elle peut donner, c’est de bien discerner ceux dont on est en droit d’attendre un phénomène nouveau, de ceux qui ne produiront qu’un phénomène travesti. S’occuper sans fin de ces métamorphoses, c’est se fatiguer beaucoup et ne point avancer. Toute expérience qui n’étend pas la loi à quelque cas nouveau, ou qui ne la restreint pas par quelque exception, ne signifie rien. Le moyen le plus court de connaître la valeur de son essai, c’est d’en faire l’antécédent d’un enthymème, et d’examiner le conséquent. La conséquence est-elle | exactement la même que celle que l’on a déjà tirée d’un autre essai ? on n’a rien découvert, on a tout au plus confirmé une découverte. Il y a peu de gros livres de physique expérimentale que cette règle si simple ne réduisît à un petit nombre de pages ; et il est un grand nombre de petits livres qu’elle réduirait à rien. XLV
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De même qu’en mathématiques, en examinant toutes les propriétés d’une courbe, on trouve que ce n’est que la même propriété présentée sous des faces différentes ; dans la nature, on reconnaîtra, lorsque la physique expérimentale sera plus avancée, que tous les phénomènes, ou de la pesanteur, ou de l’élasticité, ou de l’attraction, ou du magnétisme, ou de l’électricité, ne sont que des faces différentes de la même affection. Mais entre les phénomènes connus que l’on rapporte à l’une de ces causes, combien y a-til de phénomènes intermédiaires à trouver pour former les liaisons, remplir les vides et démontrer l’identité ? c’est ce qui ne peut se déterminer. Il y a peut-être un phénomène central qui jetterait des rayons, non-seulement à ceux qu’on a, mais encore à tous ceux que le temps ferait découvrir, qui les unirait et qui en formerait un système. Mais au défaut de ce centre de correspondance commune, ils demeureront isolés ; toutes les découvertes de la physique expérimentale ne feront que les rapprocher en s’interposant sans jamais les réunir ; et quand elles parviendraient à les réunir, elles en formeraient un cercle continu de phénomènes | où l’on ne pourrait discerner quel serait le premier et quel serait le dernier. Ce cas singulier où la physique expérimentale, à force de travail, aurait formé un labyrinthe dans lequel la physique rationnelle, égarée et perdue, tournerait sans cesse, n’est pas impossible dans la nature, comme il l’est en mathématiques. On trouve toujours en mathématiques, ou par la synthèse ou par l’analyse, les propositions intermédiaires qui séparent la propriété fondamentale d’une courbe de sa propriété la plus éloignée. XLVI
Il y a des phénomènes trompeurs qui semblent, au premier coup d’œil, renverser un système, et qui mieux connus, achèveraient de le confirmer. Ces phénomènes
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Le esperienze devono essere ripetute, per cogliere nel dettaglio le circostanze e per conoscerne i limiti. Bisogna trasporle a oggetti differenti, complicarle, combinarle in tutti i modi possibili. Finché le esperienze sono sparse, isolate, senza legami, irriducibili, è dimostrato, dall’irriducibilità96 stessa, che restano ancora da fare. Allora bisogna applicarsi unicamente al proprio oggetto e tormentarlo, per così dire finché non avremo talmente concatenato i fenomeni tra loro, che essendo dato uno di essi, lo saranno anche gli altri: lavoriamo da subito alla riduzione degli effetti, e suggeriamo in seguito alla riduzione delle cause. Ora gli effetti non si ridurranno se non a forza di moltiplicarli. La grande arte di scegliere i mezzi che si usano per esprimere tutto ciò che può provocare una causa, è certo di distinguere bene quelli di cui siamo ci stiamo interrogando in attesa di un fenomeno nuovo, di quelli che ne produrranno solo uno alterato. Occuparsi senza fine di queste metamorfosi, significa affaticarsi molto e non avanzare. Tutte le esperienze che non estendono la legge a qualche nuovo caso, o che non lo restringono a qualche eccezione, non significano nulla. Il mezzo più veloce per conoscere il valore del proprio esperimento, è di farne l’antecedente con un entimema,97 ed esaminarne il conseguente. La conseguenza è esattamente la stessa che abbiamo tratto da un altro esperimento? Non abbiamo nulla da scoprire, tutt’al più abbiamo confermato una scoperta. Ci sono pochi grossi libri di fisica sperimentale che non sarebbero ridotti a poche pagine questa regola così semplice, e c’è un gran numero di piccoli libri che essa ridurrebbe a nulla. XLV
Come in matematica esaminando tutte le proprietà di una curva si scopre che non è che la stessa proprietà presentata sotto aspetti diversi; in natura, si riconoscerà, quando la fisica sperimentale sarà più avanzata, che tutti i fenomeni, della pesantezza, dell’elasticità, dell’attrazione, del magnetismo o dell’elettricità, non sono che facce diverse della stessa affezione. Ma tra tutti i fenomeni conosciuti che rapportiamo a una di queste cause, quanti fenomeni intermedi bisognerà trovare, per formare i legami, riempire i vuoti e dimostrare l’identità? È ciò che non è possibile determinare. C’è forse un fenomeno centrale che getterebbe luce non solo su quelli che già possediamo, ma anche su tutti quelli che il tempo ci farebbe scoprire, che unirebbe e ne formerebbe un sistema. Ma in mancanza di questo centro di corrispondenza comune, resteranno isolati; tutte le scoperte della fisica sperimentale non faranno altro che avvicinarli interponendosi senza mai riunirli; e quando perverranno a unificarli, ne formeranno un cerchio continuo di fenomeni98 dove non potremo discernere quale sarà il primo e quale sarà l’ultimo. Questo caso singolare, dove la fisica sperimentale, a forza di lavoro, avrà formato un labirinto99 in cui la fisica razionale, smarrita e perduta, vagherà senza tregua, non è impossibile in natura, come lo è in matematica. Si trovano sempre in matematica, o attraverso la sintesi o attraverso l’analisi, le proposizioni intermedie che separano la proprietà fondamentale di una curva dalla sua proprietà più lontana. XLVI
Ci sono dei fenomeni ingannevoli che sembrano, alla prima occhiata, rovesciare il sistema, e che meglio conosciuti finiranno di completarlo. Questi fenomeni divengono
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deviennent le supplice du philosophe, surtout lorsqu’il a le pressentiment que la nature lui en impose et qu’elle se dérobe à ses conjectures par quelque mécanisme extraordinaire et secret. Ce cas embarrassant aura lieu toutes les fois qu’un phénomène sera le résultat de plusieurs causes conspirantes ou opposées. Si elles conspirent, on trouvera la quantité du phénomène trop grande pour l’hypothèse qu’on aura faite ; si elles sont opposées, cette quantité sera trop petite. Quelquefois même elle deviendra nulle, et le phénomène disparaîtra, sans qu’on sache à quoi attribuer ce silence capricieux de la nature. Vient-on à en soupçonner la raison ? on n’en est guère plus avancé. Il faut travailler à la séparation des causes, décomposer le résultat de leurs actions et réduire un phénomène très compliqué à un phénomène simple ; ou du moins manifester la complication des causes, leur concours ou leur opposition, par quelque expérience nouvelle, opération souvent délicate, quelquefois impossible. Alors le | système chancelle ; les philosophes se partagent ; les uns lui demeurent attachés les autres sont entraînés par l’expérience qui paraît le contredire ; et l’on dispute, jusqu’à ce que la sagacité, ou le hasard, qui ne se repose jamais, plus fécond que la sagacité, lève la contradiction et remette en honneur des idées qu’on avait presque abandonnées. XLVII
Il faut laisser l’expérience à sa liberté ; c’est la tenir captive que de n’en montrer que le côté qui prouve, et que d’en voiler le côté qui contredit. C’est l’inconvénient qu’il y a, non pas à avoir des idées, mais à s’en laisser aveugler, lorsqu’on tente une expérience. On n’est sévère dans son examen, que quand le résultat est contraire au système. Alors on n’oublie rien de ce qui peut faire changer de face au phénomène, ou de langage à la nature. Dans le cas opposé, l’observateur est indulgent ; il glisse sur les circonstances il ne songe guère à proposer des objections à la nature ; il l’en croit sur son premier mot ; il n’y soupçonne point d’équivoque, et il mériterait qu’on lui dît « Ton métier est d’interroger la nature, et tu la fais mentir ou tu crains de la faire expliquer. » XLVIII
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Quand on suit une mauvaise route, plus on marche vite, plus on s’égare ; et le moyen de revenir sur ses pas, quand on a parcouru un espace immense ? L’épuisement des forces ne le permet pas ; la vanité s’y oppose sans qu’on s’en aperçoive ; l’entêtement des principes répand sur tout ce qui environne un prestige qui défigure les objets. On ne les voit plus comme ils sont, mais comme il conviendrait qu’ils fussent. Au lieu de réformer ses notions sur les êtres, il semble qu’on prenne à tâche de modeler les | êtres sur ses notions. Entre tous les philosophes il n’y en a point en qui cette fureur domine plus évidemment que dans les méthodistes. Aussitôt qu’un méthodiste a mis dans son système l’homme à la tête des quadrupèdes, il ne l’aperçoit plus dans la nature que comme un animal à quatre pieds. C’est en vain que la raison sublime dont il est doué se récrie contre la dénomination d’animal, et que son organisation contredit celle de quadrupède ; c’est en vain que la nature a tourné ses regards vers le ciel : la prévention systématique lui courbe le corps vers la terre. La raison n’est, suivant elle, qu’un instinct plus parfait ; elle croit sérieusement que ce n’est que par défaut d’habitude que l’homme perd l’usage de ses jambes, quand il s’avise de transformer ses mains en deux pieds.
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un supplizio per il filosofo, soprattutto quando ha il presentimento che la natura glieli imponga e che si sottragga alle sue congetture attraverso qualche meccanismo straordinario e segreto. Questo caso imbarazzante avrà luogo tutte le volte che un fenomeno sarà il risultato di molteplici cause cospiranti, o opposte. Se cospirano, si troverà la quantità del fenomeno troppo grande per l’ipotesi che si era fatta; se esse sono opposte questa quantità sarà troppo piccola. A volte anch’essa diventerà nulla, e il fenomeno sparirà, senza che si sappia a chi attribuire questo capriccioso silenzio della natura. Arriviamo a sospettarne la ragione? Siamo ancora al punto di prima. Bisogna lavorare alla separazione delle cause, scomporre il risultato delle loro azioni, e ridurre un fenomeno molto complicato a un fenomeno semplice, o almeno rendere manifesta la complicazione delle cause, il loro concorso o la loro opposizione, grazie a qualche nuova esperienza, operazione spesso delicata, a volte impossibile. Allora il sistema vacilla, i filosofi si dividono: gli uni vi restano attaccati, gli altri sono travolti dall’esperienza che sembra contraddirlo, e si disputa finché la sagacia, o il caso che non si riposa mai ed è più fecondo della sagacia, toglie la contraddizione e restituisce l’onore alle idee che noi avevamo quasi abbandonato. XLVII
Bisogna lasciare libera l’esperienza; mostrandone solo l’aspetto probante e celandone quello che contraddice significa tenerla prigioniera.100 È l’inconveniente che non dell’avere idee, ma di lasciarsi accecare da esse, quando si tenta un esperimento. Si è severi nel proprio esame solo quando l’esperimento è contrario al sistema. Allora non si dimentica niente che può far cambiare aspetto al fenomeno o al linguaggio della natura. Nel caso opposto, l’osservatore è indulgente. Scivola sulle circostanze, non pensa di sollevare delle obiezioni alla natura, crede alla sua prima parola, non sospetta mai l’equivoco, e meriterebbe che gli si dicesse: «Il tuo mestiere è di interrogare la natura, e tu la fai mentire, oppure temi di farsi spiegare». XLVIII
Quando si segue una cattiva strada, più si procede veloci, più ci si smarrisce e qual è il modo di ritornare sui propri passi quando si è percorso uno spazio immenso? L’esaurimento delle forze non lo permette, la vanità si oppone senza che ce ne accorgiamo, la testardaggine dei principi si diffonde su tutto ciò che circonda un prestigio che sfigura gli oggetti. Non li vediamo più come sono, ma come converrebbe che fossero. Invece di formare le proprie nozioni sugli esseri, sembra che si prenda come fine di modellare gli esseri su queste nozioni. Tra tutti i filosofi quelli in cui questo furore domina in modo più evidente sono i metodologi.101 Appena un metodologo ha messo l’uomo in testa ai quadrupedi, egli non percepisce più la natura che come un animale a quattro piedi. È invano che la sublime ragione di cui è dotato protesta contro la denominazione di animale, e che la sua organizzazione contraddice quella di quadrupede; è invano che la natura rivolge i suoi sguardi al cielo:102 la prevenzione sistematica gli curva il corpo verso terra. La ragione non è, seguendola, che un istinto più perfetto, essa crede seriamente che solo per difetto di abitudine che l’uomo perde l’uso delle sue gambe, quando si accorge di trasformare le proprie mani in due piedi.
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Mais c’est une chose trop singulière que la dialectique de quelques méthodistes pour n’en pas donner un échantillon. L’homme, dit Linnæus, Fauna Suecica, pref. n’est ni une pierre, ni une plante ; c’est donc un animal. Il n’a pas un seul pied ; ce n’est donc pas un ver. Ce n’est pas un insecte, puisqu’il n’a point d’antennes. Il n’a point de nageoires, ce n’est donc pas un poisson. Ce n’est pas un oiseau, puisqu’il n’a point de plumes. Qu’est-ce donc que l’homme ? il a la bouche du quadrupède. Il a quatre | pieds ; les deux de devant lui servent à l’attouchement, les deux de derrière au marcher. C’est donc un quadrupède. « Il est vrai, continue le méthodiste, qu’en conséquence de mes principes d’histoire naturelle, je n’ai jamais su distinguer l’homme du singe ; car il y a certains singes qui ont moins de poils que certains hommes ; ces singes marchent sur deux pieds, et ils se servent de leurs pieds et de leurs mains comme les hommes. D’ailleurs la parole n’est point pour moi un caractère distinctif ; je n’admets, selon ma méthode, que des caractères qui dépendent du nombre, de la figure, de la proportion et de la situation. » Donc votre méthode est mauvaise, dit la logique. « Donc l’homme est un animal à quatre pieds », dit le naturaliste. L
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Pour ébranler une hypothèse, il ne faut quelquefois que la pousser aussi loin qu’elle peut aller. Nous allons faire l’essai de ce moyen sur celle du docteur d’Erlang, dont l’ouvrage, rempli d’idées singulières et neuves, donnera bien de la torture à nos philosophes. Son objet est le plus grand que l’intelligence humaine puisse se proposer ; c’est le système universel de la nature. L’auteur commence par exploser rapidement les sentiments de ceux qui l’ont précédé, et l’insuffisance de leurs principes pour le développement général des phénomènes. Les uns n’ont demandé que l’étendue et le mouvement. D’autres ont cru devoir ajouter à l’étendue l’impénétrabilité, la mobilité et l’inertie. L’observation des corps célestes, ou plus généralement la physique des grands corps, a démontré la nécessité d’une force par laquelle toutes les parties tendissent ou pesassent les unes vers les autres, selon une certaine loi ; et l’on a admis l’attraction en raison simple de la | masse, et en raison réciproque du carré de la distance. Les opérations les plus simples de la chimie, ou la physique élémentaire des petits corps, a fait recourir à des attractions qui suivent d’autres lois ; et l’impossibilité d’expliquer la formation d’une plante ou d’un animal, avec les attractions, l’inertie, la mobilité, l’impénétrabilité, le mouvement, la matière ou l’étendue, a conduit le philosophe Baumann à supposer encore d’autres propriétés dans la nature. Mécontent des natures plastiques, à qui l’on fait exécuter toutes les merveilles de la nature sans matière et sans intelligence ; des substances intelligentes subalternes, qui agissent sur la matière d’une manière inintelligible ; de la simultanéité de la création et de la formation des substances, qui, contenues les unes dans les autres, se développent dans le temps par la continuation d’un premier miracle ; et de l’extemporanéité de leur production qui n’est qu’un enchaînement de miracles réitérés à chaque instant de la durée ; il a pensé que tous ces systèmes peu philosophiques n’auraient point eu lieu, sans la crainte mal fondée d’attribuer des modifications très connues à un être dont l’essence nous étant inconnue, peut être par cette raison même, et malgré notre préjugé, très compatible avec ces modifications. Mais quel est cet être ? quelles sont ces modifications. Le dirai-je ? sans doute, répond le docteur Baumann. L’étre corporel est cet être ces modifications sont le désir, l’aversion, la
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Ma la dialettica dei metodologi è una cosa troppo singolare, per non darne un esempio. L’uomo, dice Linneo, Fauna suecica,103 pref., non è né una pietra, né una pianta, è dunque un animale. Non ha un solo piede, dunque non è un verme. Non è un insetto, poiché non ha antenne. Non ha pinne, quindi non è un pesce. Non è un uccello, poiché non ha piume. Che cos’è dunque l’uomo? Ha la bocca del quadrupede. Ha quattro zampe, due davanti che gli servono per il tatto, e due dietro per camminare. È dunque un quadrupede. «È vero», continua il metodologo, «che in conseguenza dei miei principi di storia naturale, non ho mai saputo distinguere l’uomo dalla scimmia, perché ci sono certe scimmie che hanno meno peli dell’uomo, queste scimmie camminano sulle loro zampe, e si servono delle loro mani come gli uomini. D’altra parte la parola per me non è per niente un carattere distintivo; secondo il mio metodo, non ammetto che dei caratteri che dipendono dal numero, dalla figura, dalla proporzione e dalla situazione». Dunque il vostro metodo è cattivo, dice il logico. «Dunque l’uomo è un animale a quattro zampe», dice il naturalista. L
Per far vacillare un’ipotesi, a volte basta spingerla fino alle sue estreme conseguenze. Faremo la prova di questo metodo su quella del dottore di Erlangen,104 la cui opera, piena di idee singolari e nuove, sarà una bella tortura per i nostri filosofi. Il suo oggetto è il più grande che l’intelligenza umana possa proporsi; è il sistema universale della natura. L’autore comincia esponendo rapidamente i sentimenti di coloro che l’hanno preceduto, e l’insufficienza dei loro principi per lo sviluppo generale dei fenomeni. Alcuni non chiesero che l’estensione e il movimento. Altri credettero di aggiungere all’estensione l’impenetrabilità, la mobilità e l’inerzia. L’osservazione dei corpi celesti, o più generalmente la fisica dei grandi corpi, ha dimostrato la necessità di una forza, attraverso la quale tutte le parti tenessero o pesassero le une rispetto alle altre secondo una certa legge; e si è ammessa l’attrazione in ragione direttamente proporzionale alla massa, e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.105 Le operazioni più semplici della chimica, o la fisica elementare dei piccoli corpi ha fatto ricorrere a delle attrazioni che seguono da altre leggi, e l’impossibilità di esplicare la formazione di una pianta o di un animale, con le attrazioni, l’inerzia, la mobilità, l’impenetrabilità, il movimento, la materia o l’estensione ha condotto il filosofo Baumann a supporre altre proprietà ancora nella natura.106 Scontento delle nature plastiche, a cui si fanno eseguire tutte le meraviglie della natura senza materia e senza intelligenza,107 delle sostanze intelligenti subalterne che agiscono sulla materia in maniera intellegibile;108 della simultaneità della creazione e della formazione delle sostanze, che, contenute le une nelle altre, si sviluppano nel tempo, grazie alla continuazione di un primo miracolo; e dell’estemporaneità della loro produzione che non è altro che una concatenazione di miracoli reiterati in ogni istante della durata; ha pensato che non ci sarebbero stati tutti questi sistemi poco filosofici, senza il timore infondato di attribuire delle modificazioni molto conosciute a un essere di cui l’essenza, essendoci sconosciuta, o forse proprio per questa ragione e malgrado il pregiudizio, può essere completamente compatibile con queste modificazioni? Ma qual è quest’essere? Quali sono queste modificazioni? C’è da dirlo? Senza dubbio risponde il dottor Baumann. Quest’essere è l’essere corporeo, queste modificazioni sono il desi-
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mémoire et l’intelligence ; en un mot toutes les qualités que nous reconnaissons | dans les animaux, que les Anciens comprenaient sous le nom d’âme sensitive, et que le docteur Baumann admet, proportion gardée des formes et des masses, dans la particule la plus petite de matière, comme dans le plus gros animal. S’il y avait, dit-il, du péril à accorder aux molécules de la matière quelques degrés d’intelligence, ce péril serait aussi grand à les supposer dans un éléphant ou dans un singe, qu’à les reconnaître dans un grain de sable. Ici le philosophe de l’académie d’Erlang emploie les derniers efforts pour écarter de lui tout soupçon d’athéisme ; et il est évident qu’il ne soutient son hypothèse, avec quelque chaleur, que parce qu’elle lui paraît satisfaire aux phénomènes les plus difficiles, sans que le matérialisme en soit une conséquence. Il faut lire son ouvrage, pour apprendre à concilier les idées philosophiques les plus hardies, avec le plus profond respect pour la religion. Dieu a créé le monde, dit le docteur Baumann ; et c’est à nous à trouver, s’il est possible, les lois par lesquelles il a voulu qu’il se conservât, et les moyens qu’il a destinés à la reproduction des individus. Nous avons le champ libre de ce côté ; nous pouvons proposer nos idées ; et voici les principales idées du docteur. L’élément séminal, extrait d’une partie semblable à celle qu’il doit former dans l’animal ; sentant et pensant, aura quelque mémoire de sa situation première ; de là, la conservation des espèces, et la ressemblance des parents. | Il peut arriver que le fluide séminal surabonde ou manque de certains éléments, que ces éléments ne puissent s’unir par oubli, ou qu’il se fasse des réunions bizarres d’éléments surnuméraires ; de là, ou l’impossibilité de la génération, ou toutes les générations monstrueuses possibles. Certains éléments auront pris nécessairement une facilité prodigieuse à s’unir constamment de la même manière ; de là, s’ils sont différents, une formation d’animaux microscopiques variée à l’infini ; de là, s’ils sont semblables, les polypes, qu’on peut comparer à une grappe d’abeilles infiniment petites, qui, n’ayant la mémoire vive que d’une seule situation, s’accrocheraient et demeureraient accrochées selon cette situation qui leur serait la plus familière. Quand l’impression d’une situation présente balancera ou éteindra la mémoire d’une situation passée, en sorte qu’il y ait indifférence à toute situation, il y aura stérilité : de là, la stérilité des mulets. Qui empêchera des parties élémentaires, intelligentes et sensibles de s’écarter à l’infini de l’ordre qui constitue l’espèce ? de là, une infinité d’espèces d’animaux sortis d’un premier animal ; une infinité d’êtres émanés d’un premier être ; un seul acte dans la nature. | Mais chaque élément perdra-t-il, en s’accumulant et en se combinant, son petit degré de sentiment et de perception ? nullement, dit le docteur Baumann. Ces qualités lui sont essentielles. Qu’arrivera-t-il donc ? le voici. De ces perceptions d’éléments rassemblés et combinés, il en résultera une perception unique, proportionnée à la masse et à la disposition ; et ce système de perceptions dans lequel chaque élément aura perdu la mémoire du soi et concourra à former la conscience du tout, sera l’âme de l’animal. Omnes elementorum perceptiones conspirare, et in unam fortiorem et magis perfectam perceptionem coalescere videntur. Hæc forte ad unamquamque ex aliis perceptionibus se habet in eadem ratione qua corpus organisatum ad elementum. Elementum quodvis, post suam cum aliis copulationem, cum suam perceptionem illarum perceptionibus confudit,
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derio, l’avversione, la memoria e l’intelligenza;109 in una parola tutte le qualità che si riconoscono negli animali, che gli Antichi comprendevano sotto il nome di anima sensibile, e che il dottor Baumann ammette, in maniera proporzionata alle forme e alle masse, nella particella più piccola di materia come nel più grosso animale. Se ci fosse, sostiene, pericolo ad accordare alle molecole della materia qualche grado di intelligenza, questo pericolo sarebbe così grande a supporlo in un elefante o in una scimmia, piuttosto che a riconoscerlo in un granello di sabbia.110 Qui il filosofo dell’accademia di Erlang compie sforzi estremi per allontanare da sé ogni sospetto di ateismo, ed è evidente che egli sostiene la sua ipotesi con un certo calore solo perché essa gli sembra soddisfare i fenomeni più difficili, senza che il materialismo ne sia una conseguenza. Bisogna leggere la sua opera per imparare a conciliare le idee filosofiche più ardite con il più profondo rispetto per la religione. Dio ha creato il mondo, dice il dottor Baumann, e spetta a noi trovare, se è possibile, le leggi attraverso le quali egli ha voluto che si conservasse, e i mezzi che ha destinato alla riproduzione degli individui. Noi abbiamo il campo libero da questo punto di vista, possiamo proporre le nostre idee,111 ed ecco le principali idee del professore. L’elemento seminale estratto da una parte simile a quella che deve formare nell’animale, senziente e pensante, avrà qualche memoria della sua prima disposizione, da questo deriva la conservazione delle specie, e la somiglianza ai genitori.112 Può accadere che il fluido seminale sovrabbondi o che manchi di certi elementi, e che questi elementi possano non unirsi per dimenticanza, o che possano formarsi delle unioni strane di elementi in sovrannumero; da cui consegue o l’impossibilità della generazione, o tutte le generazioni mostruose possibili.113 Certi elementi avranno acquisito necessariamente una facilità prodigiosa a unirsi costantemente nella stessa maniera; ne consegue, se sono differenti, una formazione di animali microscopici varia infinitamente; inoltre, se sono simili, i polipi che si possono comparare a un grappolo di api infinitamente piccole che, avendo memoria viva di una sola sistemazione, si raggrupperebbero o finirebbero raggruppate secondo questa sistemazione che sarà loro più familiare.114 Quando l’impressione di una situazione presente bilancerà o estenderà la memoria di una situazione passata, in modo che ci sia indifferenza verso tutte le situazioni; ci sarà la sterilità: da questo consegue la sterilità dei muli.115 Cosa impedirà alle parti elementari intelligenti e sensibili di allargare all’infinito l’ordine che costituisce la specie? Da questo deriva un’infinità di specie animali emerse da un primo animale, un’infinità di esseri emanati da un primo essere, un solo atto nella natura.116 Ma ciascun elemento perderà, accumulandosi e combinandosi, il suo piccolo grado di sentimento e di percezione? Per niente, dice il dottor Baumann. Queste qualità gli sono essenziali. Cosa accadrà dunque? Questo: di queste percezioni di elementi messi insieme e combinati, ne risulterà una percezione unica, proporzionata alla massa e alla disposizione; e questo sistema di percezione nel quale ciascun elemento avrà perduto memoria del sé e concorrerà a formare la coscienza del tutto, sarà l’anima dell’animale. Omnes elementorum perceptiones conspirare, et in unam fortiorem et magis perfectam perceptionem coalescere videntur. Haec forte ad unamquamque ex aliis perceptionibus se habet in eadem ratoione qua corpus organisatum ad elementum. Elementum quodvis, post suam cum aliis copulationem, cum suam perceptionem illarum perceptionibus confudit,
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et sui conscientiam perdidit, primi elementorum status memoria nulla superest, et nostra nobis origo omnino abdita manet.A | C’est ici que nous sommes surpris que l’auteur ou n’ait pas aperçu les terribles conséquences de son hypothèse ; ou que, s’il a aperçu les conséquences, il n’ait pas abandonné l’hypothèse. C’est maintenant qu’il faut appliquer notre méthode à l’examen de ses principes. Je lui demanderai donc si l’univers ou la collection générale de toutes les molécules sensibles et pensantes, forme un tout, ou non. S’il me répond qu’elle ne forme point un tout ; il ébranlera d’un seul mot l’existence de Dieu, en introduisant le désordre dans la nature, et il détruira la base de la philosophie, en rompant la chaîne qui lie tous les êtres. S’il convient que c’est un tout où les éléments ne sont pas moins ordonnés que les portions, ou réellement distinctes, ou seulement intelligibles le sont dans un élément, et les éléments dans un animal ; il faudra qu’il avoue qu’en conséquence de cette copulation universelle, le monde, semblable à un grand animal, a une âme ; que le monde pouvant être infini, cette âme du monde, je ne dis pas est, mais peut être un système infini de perceptions, et que le monde peut être Dieu. Qu’il proteste tant qu’il voudra contre ces conséquences, | elles n’en seront pas moins vraies ; et quelque lumière que ses sublimes idées puissent jeter dans les profondeurs de la nature, ces idées n’en seront pas moins effrayantes. Il ne s’agissait que de les généraliser pour s’en apercevoir. L’acte de la généralisation est pour les hypothèses du métaphysicien, ce que les observations et les expériences réitérées sont pour les conjectures du physicien. Les conjectures sont‑elles justes ? Plus on fait d’expériences, plus les conjectures se vérifient. Les hypothèses sontelles vraies ? plus on étend les conséquences ; plus elles embrassent de vérités, plus elles acquièrent d’évidence et de force. Au contraire, si les conjectures et les hypothèses sont frêles et mal fondées, ou l’on découvre un fait, ou l’on aboutit à une vérité contre laquelle elles échouent. L’hypothèse du docteur Baumann développera, si l’on veut, le mystère le plus incompréhensible de la nature, la formation des animaux, ou plus généralement celle de tous les corps organisés ; la collection universelle des phénomènes et l’existence de Dieu seront ses écueils. Mais quoique nous rejetions les idées du docteur d’Erlang, nous aurions bien mal conçu l’obscurité des phénomènes qu’il s’était proposé d’expliquer, la fécondité de son hypothèse, les conséquences surprenantes qu’on en peut tirer, le mérite des conjectures nouvelles sur un sujet dont se sont occupés les premiers hommes dans tous les siècles, et la difficulté de combattre les siennes avec succès, si nous ne les regardions comme le fruit d’une méditation profonde, une entreprise hardie sur le système universel de la nature, et la tentative d’un grand philosophe. LI
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De l’impulsion d’une sensation. Si le docteur Baumann eût renfermé son système dans de justes bornes, et n’eût appliqué ses idées qu’à la forma | tion des animaux, sans les étendre à la nature de l’âme, d’où je crois avoir démontré contre lui qu’on pouvait les porter jusqu’à l’existence de Dieu ; il ne se serait point précipité dans l’espèce de matérialisme la plus séduisante, en attribuant aux molécules organiques le désir, l’aversion, le sentiment et la pensée. Il fallait se contenter d’y supposer une sensibilité mille fois moindre que celle que le Tout-Puissant a accordée aux animaux les plus voisins de A Voyez a la position 52, et à la page 78, ce morceau ; et dans les pages antérieures et postérieures, des applications très fines et très vraisemblables des mêmes principes à d’autres phénomènes.
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et sui conscientiam perdidit, primi elementorum status memoria nulla superest, et nostra nobis origo omnino abdita manet.A È qui che restiamo stupiti del fatto che l’autore non si sia accorto delle terribili conseguenze della sua ipotesi o che, se ha percepito le conseguenze, non ha abbandonato l’ipotesi. È adesso che bisogna praticare il nostro metodo all’esame dei suoi principi. Gli chiederò dunque se l’universo o la collezione generale di tutte le molecole sensibili e pensanti, forma un tutto, o no. Se mi risponde che non forma un tutto, farà vacillare con una sola parola l’esistenza di Dio, introducendo il disordine nella natura, e distruggerà la base della filosofia, rompendo la catena che lega tutti gli esseri. Se conviene che è un tutto in cui gli elementi non sono meno ordinati, che le parti, o realmente distinte, o solamente intellegibili, lo sono in un elemento, e gli elementi in un animale, bisognerà che ammetta che in conseguenza di questa copulazione universale, il mondo simile a un grande animale, a un’anima; e che potendo il mondo essere infinito, quest’anima del mondo, non dico è, ma può essere un sistema infinito di percezioni, e che il mondo può essere Dio.117 Che protesti quanto vuole contro queste conseguenze, esse non saranno meno vere, e per quanta luce che le sue sublimi idee possano gettare nelle profondità della natura, queste idee non saranno meno stupefacenti. Non si tratterebbe che di generalizzarle per accorgersene. L’atto di generalizzazione è per le ipotesi del metafisico, quello che le osservazioni reiterate sono per le congetture del fisico. Le congetture sono giuste? Più facciamo esperienze, più le congetture si verificano. Le ipotesi sono vere? Più si estendono le conseguenze, più esse abbracciano delle verità, più esse acquisiscono in evidenza e in forza. Al contrario se le congetture e le ipotesi sono fragili e mal fondate; dove si scopre un fatto, lo si termina con una verità contro la quale si arenano. L’ipotesi del dottor Baumann rivelerà, se vogliamo, il mistero più incomprensibile della natura, la formazione degli animali, o più in generale, quella di tutti i corpi organizzati, la collezione universale dei fenomeni e l’esistenza di Diso saranno degli scogli. Ma anche se noi rifiutiamo le idee del dottore di Erlangen, avremo concepito molto male l’oscurità dei fenomeni che egli si era proposto di spiegare, la fecondità delle sue ipotesi, le conseguenze sorprendenti che ne possiamo trarre, il merito delle nuove congetture su una materia di cui si sono occupati i primi uomini in tutti i secoli, e la difficoltà di combattere le sue con successo, se non le guadiamo come il frutto di una mediazione profonda, un’impresa ardita sul sistema universale della natura, e il tentativo di un grande filosofo.118 LI
Dell’impulso di una sensazione. Se il dottor Baumann avesse contenuto il suo sistema entro i giusti limiti, avesse applicato le sue idee solo alla formazione degli animali senza estenderle alla natura dell’anima, dove credo di aver dimostrato contro di lui che si poteva portarli fino all’esistenza di Dio, non sarebbe affatto precipitato in quella specie di materialismo più seducente, attribuendo alle molecole organiche,119 il desiderio, l’avversione, il sentimento e il pensiero. Bisognava accontentarsi di supporre una sensibilità mille volte minore di quella che l’Onnipotente ha accordato agli animali più stuA Si veda la posizione 52 a pagina 78 questo brano; e nelle pagine precedenti e seguenti, le applicazioni, molto fini e molto verosimili degli stessi principi ad altri fenomeni.
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la matière morte. En conséquence de cette sensibilité sourde, et de la différence des configurations, il n’y aurait eu pour une molécule organique quelconque qu’une situation la plus commode de toutes, qu’elle aurait sans cesse cherchée par une inquiétude automate, comme il arrive aux animaux de s’agiter dans le sommeil, lorsque l’usage de presque toutes leurs facultés est suspendu, jusqu’à ce qu’ils aient trouvé la disposition la plus convenable au repos. Ce seul principe eût satisfait d’une manière assez simple et sans aucune conséquence, dangereuse, aux phénomènes qu’il se proposait d’expliquer, et à ces merveilles sans nombre qui tiennent si stupéfaits tous nos observateurs d’insectes. Et il eût défini l’animal en général, un système de différentes molécules organiques qui, par l’impulsion d’une sensation semblable à un toucher obtus et sourd que celui qui a créé la matière en général leur a donné, se sont | combinées jusqu’à ce que chacune ait rencontré la place la plus convenable à sa figure et à son repos. LII
Des instruments et des mesures. Nous avons observé ailleurs que, puisque les sens étaient la source de toutes nos connaissances, il importait beaucoup de savoir jusqu’où nous pouvions compter sur leur témoignage : ajoutons ici que l’examen des suppléments de nos sens, ou des instruments, n’est pas moins nécessaire. Nouvelle application de l’expérience ; autre source d’observations longues, pénibles et difficiles. Il y aurait un moyen d’abréger le travail ; ce serait de fermer l’oreille à une sorte de scrupules de la philosophie rationnelle (car la philosophie rationnelle a ses scrupules) et de bien connaître dans toutes les quantités jusqu’où la précision des mesures est nécessaire. Combien d’industrie, de travail et de temps perdus à mesurer, qu’on eût bien employés à découvrir ! LIII
Il est, soit dans l’invention soit dans la perfection des instruments, une circonspection qu’on ne peut trop recommander au physicien ; c’est de se méfier des analogies, de ne jamais conclure ni du plus au moins, ni du moins au plus ; de porter son examen sur toutes les qualités physiques des substances qu’il emploie. Il ne réussira jamais, s’il se néglige là-dessus ; et quand il aura bien pris toutes ses mesures, combien de fois n’arriverat-il pas encore qu’un petit obstacle qu’il n’aura point prévu ou qu’il aura méprisé, sera la limite de la nature, et le forcera d’abandonner son ouvrage lorsqu’il le croyait achevé ? | LIV
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De la distinction des objets. Puisque l’esprit ne peut tout comprendre, l’imagination tout prévoir, le sens tout observer et la mémoire tout retenir ; puisque les grands hommes naissent à des intervalles de temps si éloignés et que les progrès des sciences sont tellement suspendus par les révolutions, que des siècles d’étude se passent à recouvrer les connaissances des siècles écoulés ; c’est manquer au genre humain que de tout observer indistinctement. Les hommes extraordinaires par leurs talents se doivent respecter eux-mêmes et la postérité dans l’emploi de leur temps. Que penserait-elle de nous, si nous n’avions à lui transmettre qu’une insectologie complète, qu’une histoire immense d’animaux microscopiques ? Aux grands génies, les grands objets, les petits objets, aux petits génies. Il vaut autant que ceux-ci s’en occupent, que de ne rien faire.
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pidi e i più vicini alla materia morta. Come conseguenza di questa sensibilità sorda, e della differenza di configurazioni, per una molecola organica qualunque avrebbe avuto luogo la situazione più facile di tutte, che essa l’avrebbe cercata continuamente a causa di un’inquietudine120 automatica, come accade agli animali che si agitano durante il riposo, quando l’uso di quasi tutte le loro facoltà è sospeso, finché trovano la disposizione più conveniente al riposo. Questo principio avrebbe soddisfatto in modo assai semplice e senza alcuna conseguenza pericolosa per i fenomeni che si propone di spiegare, e a queste meraviglie innumerevoli che lasciano stupefatti tutti i nostri osservatori d’insetti. E avrebbe definito l’animale in generale, un sistema di differenti molecole organiche che, attraverso l’impulso di una sensazione simile a un tocco ottuso e sordo come quello che ha creato la materia in generale ha dato loro, si sono combinate finché ciascuna trovò il posto più conveniente alla sua figura e al suo riposo. LII
Sugli strumenti e sulle materie. Abbiamo osservato altrove che, poiché i sensi sono la fonte di tutte le nostre conoscenze, poco importa sapere fin dove si può contare sulla loro testimonianza: si aggiunga qui che l’esame ciò che supplisce ai nostri sensi, ossia degli strumenti, è altrettanto necessario. Nuova applicazione dell’esperienza, altra fonte d’osservazioni lunghe, penose e difficili. Ci sarebbe un modo di abbreviare il lavoro, sarebbe di chiudere l’orecchio a una specie di scrupoli della filosofia razionale (anche la filosofia razionale ha i suoi scrupoli), e di conoscere bene in tutte le quantità fino alla precisione delle misure è necessario. Quanta industriosità, quanto lavoro e tempo perso a misurare, che avremmo impiegato meglio a fare nuove scoperte! LIII
Sia nell’invenzione, sia nella perfezione degli strumenti,121 c’è una precauzione che non è mai abbastanza raccomandata al fisico, si tratta di diffidare delle analogie, di non concludere mai, né dal più il meno, né dal meno al più, esaminare tutte le qualità fisiche delle sostanze che impiega. Se trascura questo, non otterrà mai risultati; e quando avrà preso bene tutte le sue misure, quante volte accadrà ancora che un piccolo ostacolo imprevisto o trascurato, costituirà il limite della natura, che lo costringerà ad abbandonare la sua opera, quando la credeva completata? LIV
Sulla distinzione degli oggetti. Poiché l’ingegno non può comprendere tutto, l’immaginazione non può prevedere tutto, il senso non può osservare tutto, e la memoria non può conservare tutto; poiché i grandi uomini nascono a intervalli di tempo così lontani, e i progressi delle scienze sono interrotti dalle rivoluzioni, che si trascorrono secoli di studio a recuperare le conoscenze dei secoli precedenti, osservare tutto indistintamente significa far fallire il genere umano. Gli uomini straordinari con i loro talenti devono rispettare se stessi e la posterità nell’impiego del loro tempo. Che cosa dovrà pensare di noi le trasmetteremo solo un’insettologia completa, che una storia immensa di animali microscopici?122 Ai grandi geni, i grandi oggetti; i piccoli oggetti, ai piccoli geni. Tanto vale che questi ultimi se ne occupino, piuttosto che non fare nulla.
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Des obstacles. Et puisqu’il ne suffit pas de vouloir une chose ; qu’il faut en même temps acquiescer à tout ce qui est presque inséparablement attaché à la chose qu’on veut ; celui qui aura résolu de s’appliquer à l’étude de la philosophie, s’attendra non seulement aux obstacles physiques qui sont de la nature de son objet ; mais encore à la multitude des obstacles moraux qui doivent se présenter à lui, comme ils se sont offerts à tous les philosophes qui l’ont précédé. Lors donc qu’il lui arrivera d’être traversé, mal entendu, calomnié, compromis, déchiré, qu’il sache se dire à lui-même : « N’est-ce que dans mon siècle, n’est-ce que pour moi qu’il y a eu des hommes remplis d’ignorance et de fiel, des âmes rongées par l’envie, des têtes troublées par la superstition ? » S’il croit quelquefois avoir à se plaindre de ses concitoyens, qu’il sache se parler ainsi : « Je me plains de mes conci | toyens : Mais s’il était possible de les interroger tous et de demander à chacun d’eux lequel il voudrait être de l’auteur des Nouvelles ecclésiastiques ou de Montesquieu ; de l’auteur des Lettres Américaines, ou de Buffon ; en est-il un seul qui eût un peu de discernement et qui pût balancer sur le choix ? Je suis donc certain d’obtenir, un jour, les seuls applaudissements dont je fasse quelque cas, si j’ai été assez heureux pour les mériter. » Et vous, qui prenez le titre de philosophes ou de beaux esprits, et qui ne rougissez point de ressembler à ces insectes importuns qui passent les instants de leur existence éphémère à troubler l’homme dans ses travaux et dans son repos ; quel est votre but ? qu’espérez-vous de votre acharnement ? quand vous aurez découragé ce qui reste à la nation d’auteurs célèbres et d’excellents génies, que ferez-vous en revanche pour elle ? quelles sont les productions merveilleuses par lesquelles vous dédommagerez le genre humain de celles qu’il en aurait obtenues ?... Malgré vous, les noms des Duclos, des D’Alembert et des Rousseau ; des de Voltaire, des Maupertuis et des Montesquieu ; des de Buffon et des d’Aubenton, seront en honneur parmi nous et chez nos neveux : et si quelqu’un se souvient un jour des vôtres, « Ils ont été, dira-t-il, les persécuteurs des premiers hommes de leur temps ; et si nous possédons la préface de l’Encyclopédie, l’Histoire du siècle de Louis XIV, l’Esprit des Lois et l’Histoire de la Nature, c’est qu’heureusement il n’était pas au pouvoir de ces gens-là de nous en priver. » | LVI
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Des causes. 1. à ne consulter que les vaines conjectures de la philosophie et la faible lumière de notre raison, on croirait que la chaîne des causes n’a point eu de commencement, et que celle des effets n’aura point de fin. Supposez une molécule déplacée, elle ne s’est point déplacée d’elle-même ; la cause de son déplacement a une autre cause ; celleci, une autre, et ainsi de suite, sans qu’on puisse trouver de limites naturelles aux causes, dans la durée qui a précédé. Supposez une molécule déplacée, ce déplacement aura un effet ; cet effet, un autre effet, et ainsi de suite, sans qu’on puisse trouver de limites naturelles aux effets, dans la durée qui suivra. L’esprit épouvanté de ces progrès à l’infini des causes les plus faibles et des effets les plus légers, ne se refuse à cette supposition et à quelques autres de la même espèce que par le préjugé, qu’il ne se passe rien au delà de la portée de nos sens, et que tout cesse où nous ne voyons plus : mais une des principales différences de l’observateur de la nature et de son interprète, c’est que celui-ci part du point où les sens et les instruments abandonnent l’autre ; il conjecture, par ce qui est, ce qui doit être encore il tire de l’ordre des choses des conclusions abstraites et générales, qui ont pour lui toute l’évidence des vérités sensibles et particulières il s’élève à l’essence
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Sugli ostacoli. E poiché non è sufficiente volere una cosa, e bisogna al contempo acconsentire a tutto ciò che è quasi inseparabilmente legato alla cosa che vogliamo, chi avrà deciso di applicarsi allo studio della filosofia, dovrà aspettarsi non solo gli ostacoli fisici insiti nella natura del suo oggetto, ma anche alla moltitudine di ostacoli morali che gli si presenteranno come si sono già presentati a tutti i filosofi che lo hanno preceduto. Poiché dunque gli accadrà di essere travisato, frainteso, calunniato, compromesso, lacerato, che dica a se stesso: «È solo nel mio secolo, è accaduto solo secondo me che ci sono uomini pieni di ignoranza e di fiele, anime rose dall’invidia, menti turbate dalla superstizione?». Se crede a volte di doversi lamentare dei suoi concittadini, che sappia dirsi questo: «Mi lamento dei miei concittadini: Ma se fosse possibile interrogarli tutti, e domandare a ciascuno di essi se vorrebbe essere l’autore delle Nouvelles ecclésiastiques123 o Montesquieu; l’autore delle Lettres américaines o Buffon;124 ce ne sarebbe qualcuno che abbia un po’ di discernimento che potrebbe esitare nella scelta? Sono certo di ottenere un giorno solo il plauso di coloro a cui faccio do un certo valore, se sono stato abbastanza fortunato da meritarlo». E voi che prendete il titolo di filosofi o di persone intelligenti, e che non arrossite affatto di assomigliare a questi insetti importuni che trascorrono ogni momento della loro effimera esistenza a infastidire gli uomini nel lavoro e nel riposo: qual è il vostro scopo? Che cosa sperate di ottenere dal vostro accanimento? Quando avrete scoraggiato gli autori celebri, i geni eccellenti che restano alla nazione, che cosa farete in compenso per essa? Quali sono le produzioni meravigliose con cui risarcirete il genere umano da quelle che avrebbe potuto ottenere?... Malgrado voi, i nomi dei Duclos,125 dei D’Alembert e dei Rousseau, dei Voltaire, dei Maupertuis e dei Montesquieu; dei Buffon e dei Daubenton,126 saranno onorati tra noi e tra i nostri nipoti: e se un giorno qualcuno si ricorderà dei vostri, dirà: «Sono stati i persecutori dei migliori uomini del loro tempo; e se possediamo la prefazione dell’Encyclopédie, l’Histoire du siècle de Louis XIV, l’Esprit de Lois, e l’Histoire de la nature, è perché fortunatamente non era in loro potere privarcene».127 LVI
Sulle cause. 1. Consultando solo le vane congetture della filosofia e la luce flebile della nostra ragione, dovremmo credere che la catena delle cause non abbia avuto inizio, e che quella degli effetti non avrà una fine.128 Immaginate una molecola spostata, essa non si è spostata da sola, ma la causa del suo spostamento ha un’altra causa, quest’ultima un’altra, e quest’ultima un’altra senza che si possano trovare dei limiti naturali alle cause nella durata che è preceduta. Immaginate una molecola spostata, questo spostamento avrà un effetto, questo effetto un altro effetto, e così di seguito senza che possiamo trovare dei limiti naturali agli effetti nel tempo futuro. Lo spirito spaventato da questi progressi all’infinito delle cause più piccole e degli effetti più lievi rifugge da questa supposizione e a qualche altra della stessa specie, che attraverso il pregiudizio, che niente accade al di là della portata dei nostri sensi, e che tutto finisce dove non arriva il nostro sguardo.129 Tuttavia, una delle principali differenze tra l’osservatore della Natura e il suo interprete, è che questi parte dal punto in cui i sensi e i suoi strumenti abbandonano l’altro, congettura per ciò che è, e ciò che deve ancora essere; trae dall’ordine delle cose tutte le verità sensibili e particolari; si eleva all’essenza stessa dell’ordine;
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même de l’ordre ; il voit que la coexistence pure et simple d’un être sensible et pensant, avec un enchaînement quelconque de causes et d’effets, ne lui suffit pas pour en porter un jugement absolu ; il s’arrête là ; s’il faisait un pas de plus, il sortirait de la nature. | 2. Des causes finales. Qui sommes-nous, pour expliquer les fins de la nature ? Ne nous apercevrons-nous point que c’est presque toujours aux dépens de sa puissance, que nous préconisons sa sagesse, et que nous ôtons à ses ressources plus que nous ne pouvons jamais accorder à ses vues ? Cette manière de l’interpréter est mauvaise, même en théologie naturelle. C’est substituer la conjecture de l’homme à l’ouvrage de Dieu ; c’est attacher la plus importante des vérités théologiques au sort d’une hypothèse. Mais le phénomène le plus commun suffira pour montrer combien la recherche de ces causes est contraire à la véritable science. Je suppose qu’un physicien, interrogé sur la nature du lait, réponde que c’est un aliment qui commence à se préparer dans la femelle, quand elle a conçu, et que la nature destine à la nourriture de l’animal qui doit naître ; que cette définition m’apprendra-t-elle sur la formation du lait ? que puis-je penser de la destination prétendue de ce fluide et des autres idées physiologiques qui l’accompagnent ; lorsque je sais qu’il y a eu des hommes qui ont fait jaillir le lait de leurs mamelles ; que l’anastomose des artères épigastriques et mammairesA me démontre que c’est le lait qui cause le gonflement de la gorge, dont les filles mêmes sont quelquefois incommodées à l’approche de l’évacuation périodique ; qu’il n’y a presque aucune fille qui ne devînt nourrice, si elle se faisait téter ; et que j’ai sous les yeux une femelle d’une espèce si petite, qu’il | ne s’est point trouvé de mâle qui lui convînt, qui n’a point été couverte, qui n’a jamais porté ; et dont les tettes se sont gonflées de lait, au point qu’il a fallu recourir aux moyens ordinaires pour la soulager ? Combien n’est-il pas ridicule d’entendre des anatomistes attribuer sérieusement à la pudeur de la nature une ombre qu’elle a également répandue sur des endroits de notre corps où il n’y a rien de déshonnête à couvrir ? L’usage que lui supposent d’autres anatomistes fait un peu moins d’honneur à la pudeur de la nature, mais n’en fait pas davantage à leur sagacité. Le physicien, dont la profession est d’instruire et non d’édifier, abandonnera donc le pourquoi, et ne s’occupera que du comment. Le comment se tire des êtres : le pourquoi, de notre entendement ; il tient à nos systèmes ; il dépend du progrès de nos connaissances. Combien d’idées absurdes, de suppositions fausses, de notions chimériques, dans ces hymnes que quelques défenseurs téméraires des causes finales ont osé composer à l’honneur du Créateur ? Au lieu de partager les transports de l’admiration du prophète, et de s’écrier pendant la nuit, à la vue des étoiles sans nombre dont les cieux sont éclairés, Cœli enarrant gloriam Dei, ils se sont abandonnés à la superstition de leurs conjectures. Au lieu d’adorer le Tout-Puissant dans les êtres mêmes de la nature, ils se sont prosternés devant les fantômes de leur imagination. Si quelqu’un, retenu par le préjugé, doute de la solidité de mon reproche, je l’invite à comparer le traité que Galien a écrit de l’usage des parties du corps humain, avec la Physiologie de Boërhaave, | et la Physiologie de Boërhaave, avec celle de Haller ; j’invite la postérité à comparer ce que ce dernier ouvrage contient de vues systématiques et passagères, avec ce que la physiologie deviendra dans les siècles suivants. L’homme fait un mérite à l’Éternel de ses petites vues ; et l’Éternel qui l’entend du haut de son trône, et qui connaît son intention, accepte sa louange imbécile et sourit de sa vanité. A Cette découverte anatomique est de M. Bertin, et c’est une des plus belles qui se soit faite de nos jours.
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vede che la coesistenza pura e semplice di un essere sensibile e pensante, con un concatenamento qualunque di cause ed effetti, non gli basta per trarne un giudizio assoluto; egli si ferma là, se facesse un passo di più, uscirebbe dalla natura. 2. Sulle cause finali. Chi siamo noi per spiegare i fini della natura? Non ci accorgiamo che lodiamo la sua saggezza quasi sempre a spese della sua potenza e s’impedisce alle sue risorse più di quanto si accordi mai alle sue intenzioni? Questo è un modo di interpretarla inadeguato, anche nel campo della teologia naturale. Significa sostituire la congettura dell’uomo all’opera di Dio; significa legare la più importante delle verità a una specie di ipotesi. Ma il fenomeno più comune sarà sufficiente per mostrare quanto, la ricerca di queste cause è contrario alla vera scienza. Suppongo che un fisico, interrogato sulla natura del latte, risponda che è un alimento che comincia a essere prodotto nella femmina, quando ha concepito, e che la natura destina al nutrimento dell’animale che deve nascere; cosa m’insegnerà questa definizione sulla formazione del latte? Cosa posso pensare della destinazione pretesa di questo fluido, e delle altre idee fisiologiche che lo accompagnano; poiché so che ci sono degli uomini che hanno fatto gocciolare del latte dalle loro mammelle; che l’anastomosi delle arterie epigastriche e mammarieA 130 mi dimostra che è il latte a causare il rigonfiamento del petto da cui le ragazze stesse sono talvolta infastidite all’avvicinarsi dell’evacuazione periodica; che non c’è pressoché nessuna ragazza che non diventerebbe una balia se si desse il seno a poppare,131 e che ho sotto gli occhi una femmina di una specie così piccola, che non si è trovato nessun maschio che le convenisse, e che non è mai stata montata, che non è mai stata gravida, e le cui mammelle si sono gonfiate di latte al punto che si è dovuti ricorrere ai mezzi ordinari per darle sollievo? Quant’è ridicolo sentire degli anatomisti attribuire seriamente al pudore della Natura, un’ombra che essa ha egualmente distribuito su delle parti del nostro corpo in cui non c’è nulla di sconveniente da nascondere? L’uso che ne suppongono gli anatomisti fa un po’ meno onore al pudore della Natura, ma non ne fa affatto alla loro sagacia. Il fisico la cui professione è di istruire e non di edificare, abbandonerà dunque il perché, e non si occuperà che del come. Il come si ricava dagli esseri, il perché, dal nostro intelletto, attiene ai nostri sistemi, dipende dal progresso delle nostre conoscenze.132 Quante idee assurde, supposizioni false, nozioni chimeriche in questi inni che talvolta i difensori temerari delle cause finali hanno osato comporre in onore del creatore? Al posto di condividere il trasporto e l’ammirazione per il profeta, e di esclamare durante la notte alla vista delle stelle innumerevoli da cui sono rischiarati i cieli, Cœli enarrant gloriam Dei,133 si sono abbandonati alla superstizione delle loro congetture. Al posto di adorare l’Onnipotente negli esseri stessi della Natura si sono prostrati davanti a dei fantasmi della loro immaginazione. Se qualcuno trattenuto dal pregiudizio dubita della solidità del mio rimprovero, lo invito a confrontare la solidità del trattato che Galeno ha scritto sull’uso delle parti del corpo umano,134 con la fisiologia di Boërhaave,135 e la fisiologia di Boërhaave con quella di Haller,136 invito la posterità a comparare le visioni sistematiche e passeggere che quest’opera contiene, con quello che la fisiologia diverrà nei secoli successivi. L’uomo attribuisce un merito all’Eterno delle sue piccole vedute, e l’Eterno che lo sente dall’alto del suo trono, e che conosce la sua intenzione, accetta la sua lode imbecille e sorride della sua vanità.137
A Questa scoperta anatomica è del dott. Bertin, e si tratta di una delle più belle che siano state fatte ai giorni nostri.
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De quelques préjugés. Il n’y a rien ni dans les faits de la nature ni dans les circonstances de la vie, qui ne soit un piège tendu à notre précipitation. J’en atteste la plupart de ces axiomes généraux, qu’on regarde comme le bon sens des nations. On dit, il ne se passe rien de nouveau sous le ciel ; et cela est vrai pour celui qui s’en tient aux apparences grossières. Mais qu’est-ce que cette sentence pour le philosophe dont l’occupation journalière est de saisir les différences les plus insensibles ? Qu’en devait penser celui qui assura que sur tout un arbre il n’y aurait pas deux feuilles sensiblement du même vert ? Qu’en penserait celui qui, réfléchissant sur le grand nombre des causes, même connues, qui doivent concourir à la production d’une nuance de couleur précisément telle, prétendrait, sans croire outrer l’opinion de Leibnitz, qu’il est démontré par la différence des points de l’espace où les corps sont placés, combinée avec ce nombreprodigieux de causes, qu’il n’y a peut-être jamais eu, et qu’il n’y aura peut-être jamais dans la nature deux brins d’herbe absolument du même vert ? Si les êtres s’altèrent successivement en passant par les nuances | les plus imperceptibles ; le temps, qui ne s’arrête point, doit mettre, à la longue, entre les formes qui ont existé très anciennement, celles qui existent aujourd’hui, celles qui existeront dans les siècles reculés, la différence la plus grande ; et le nîl sub sole novum, n’est qu’un préjugé fondé sur la faiblesse de nos organes, l’imperfection de nos instruments, et la brièveté de notre vie. On dit en morale, tot capita, tot sensus ; c’est le contraire qui est vrai ; rien n’est si commun que des têtes, et si rare que des avis. On dit en littérature, il ne faut point disputer des goûts : si l’on entend qu’il ne faut point disputer à un homme que tel est son goût ; c’est une puérilité. Si l’on entend qu’il n’y a ni bon ni mauvais dans le goût, c’est une fausseté. Le philosophe examinera sévèrement tous ces axiomes de la sagesse populaire. LVIII questions
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Il n’y a qu’une manière possible d’être homogène. Il y a une infinité de manières différentes possibles d’être hétérogène. Il me paraît aussi impossible que tous les êtres de la nature aient été produits avec une matière parfaitement homogène, qu’il le serait de les représenter avec une seule et même couleur. Je crois même entrevoir que la diversité des phénomènes ne peut être le résultat d’une hétérogénéité quelconque. | J’appellerai donc éléments, les différentes matières hétérogènes nécessaires pour la production générale des phénomènes de la nature ; et j’appellerai la nature, le résultat général actuel, ou les résultats généraux successifs de la combinaison des éléments. Les éléments doivent avoir des différences essentielles ; sans quoi tout aurait pu naître de l’homogénéité, puisque tout y pourrait retourner. Il est, il a été, ou il sera une combinaison naturelle, ou une combinaison artificielle, dans laquelle un élément est, a été ou sera porté à sa plus grande division possible. La molécule d’un élément dans cet état de division dernière, est indivisible d’une indivisibilité absolue, puisqu’une division ultérieure de cette molécule étant hors des lois de la nature et au delà des forces de l’art, n’est plus qu’intelligible. L’état de division dernière possible dans la nature ou par l’art n’étant pas le même, selon toute apparence, pour des matières essentiellement hétérogènes ; il s’ensuit qu’il y a des molécules essentiellement différentes en masse, et toutefois absolument indivisibles en elles-mêmes. Combien y a-t-il de matières absolument hétéro-
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Su certi pregiudizi.138 Non c’è niente né nei fatti della Natura né nelle circostanze della vita che non sia una trappola tesa alla nostra precipitazione. Lo attestano la maggior parte di questi assiomi generali che consideriamo come il buon senso delle nazioni. Si dice, non succede niente di nuovo sotto il cielo;139 e questo è vero per colui che si attiene alle apparenze grossolane. Ma che cos’è questa sentenza per il filosofo la cui occupazione giornaliera è di scorgere le differenze più impercettibili? Che cosa deve pensare chi assicura che sotto ogni albero non ci saranno foglie sensibilmente dello stesso verde?140 Che cosa ne penserà chi, riflettendo sul grande numero delle cause, anche conosciute, che devono concorrere alla produzione di una sfumatura di colore precisamente tale, pretenderebbe, senza credere di esagerare l’opinione di Leibniz, che sia dimostrato dalla differenza dei punti nello spazio in cui i corpi sono posti, combinati con un numero prodigioso di cause, che non ci siano forse mai stati, e che non ci saranno forse mai in Natura due fili d’erba assolutamente dello stesso verde? Se gli esseri si alterano successivamente passando per le sfumature più impercettibili, il tempo, che non si ferma affatto, deve mettere alla lunga tra le forme che sono esistite molto anticamente, quelle che esistono oggi, quelle che esisteranno nei secoli più remoti, la differenza più grande, e il Nil sub sole novum,141 non è che un pregiudizio fondato sulla fallibilità dei nostri organi, l’imperfezione dei nostri strumenti, e la brevità della nostra vita. Si dice nella morale, quot capita, tot sensus;142 è invece vero il contrario, niente è così comune che delle teste, e così raro che dei consigli. Si dice in letteratura, non bisogna discutere dei gusti: se si intende che non bisogna per nulla discutere con un uomo sul suo gusto, si tratta di una puerilità. Se s’intende che non c’è né bene né male nel gusto, è una falsità. Il filosofo esaminerà severamente tutti questi assiomi della saggezza popolare.143 LVIII. questioni
C’è una sola maniera possibile di essere omogeneo. C’è un’infinità di maniere differenti per essere eterogeneo. Mi sembra tanto impossibile che tutti gli esseri della Natura siano stati prodotti con una materia perfettamente omogenea, quanto rappresentarli tutti con un unico e medesimo colore. Credo anche di intravedere che la diversità dei fenomeni non può essere il risultato di un’eterogeneità144 qualunque. Chiamerò dunque elementi le differenti maniere eterogenee, necessarie per la produzione generale dei fenomeni della Natura; e chiamerò la Natura, il risultato generale attuale, o i risultati generali successivi della combinazione di elementi. Gli elementi devono avere delle differenze essenziali; senza che tutto sia potuto nascere dall’omogeneità, poiché tutto potrebbe ritornarvi. C’è stata, o ci sarà una combinazione naturale o una combinazione artificiale nella quale un elemento si trova, si è trovato, o sarà portata alla sua più grande divisione possibile. La molecola di un elemento in questo stato di massima divisione è indivisibile, di un’indivisibilità assoluta, poiché un’altra divisione di questa molecola essendo fuori dalle leggi della Natura e al di là delle forze dell’arte, sarebbe solo un’astrazione. Lo stato di divisione ultima possibile in natura o nell’arte non è lo stesso, secondo ogni apparenza, per delle materie essenzialmente eterogenee, ne consegue che ci sono delle molecole essenzialmente differenti nella massa e tuttavia assolutamente indivisibili in se stesse. Quante sono
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gènes ou élémentaires ? nous l’ignorons. Quelles sont les différences essentielles des matières, que nous regardons comme absolument hétérogènes, ou élémentaires ? nous l’ignorons. Jusqu’où la division d’une matière élémentaire est-elle portée, soit dans les productions de l’art, soit dans lés ouvrages de la nature ; nous l’ignorons, Etc., etc., etc. J’ai joint les combinaisons de l’art à celles de la nature ; parce qu’entre une infinité de faits que nous ignorons, et que nous ne saurons jamais, il en est un qui nous est encore caché ; savoir, si la division d’une matière élémentaire n’a point été, n’est point ou ne sera pas portée plus loin dans quelque opération de l’art, qu’elle ne l’a été, ne l’est, et ne le sera dans aucune combinaison de la nature abandonnée à elle-même. Et l’on va voir, par la première des Questions suivantes, pourquoi j’ai fait entrer dans | quelquesunes de mes propositions, les notions du passé, du présent et de l’avenir ; et pourquoi j’ai inséré l’idée de succession dans la définition que j’ai donnée de la nature. 1 Si les phénomènes ne sont pas enchaînés les uns aux autres, il n’y a point de philosophie. Les phénomènes seraient tous enchaînés, que l’état de chacun d’eux pourrait être sans permanence. Mais si l’état des êtres est dans une vicissitude perpétuelle ; si la nature est encore à l’ouvrage ; malgré la chaîne qui lie les phénomènes, il n’y a point de philosophie. Toute notre science naturelle devient aussi transitoire que les mots. Ce que nous prenons pour l’histoire de la nature, n’est que l’histoire très incomplète d’un instant. Je demande donc si les métaux ont toujours été et seront toujours tels qu’ils sont ; si les plantes ont toujours été et seront toujours telles qu’elles sont ; si les animaux ont toujours été et seront toujours tels qu’ils sont, etc. ? Après avoir médité profondément sur certains phénomènes, un doute qu’on vous pardonnerait peut-être, ô sceptiques, ce n’est pas que le monde ait été créé, mais qu’il soit tel qu’il a été et qu’il sera. 2
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De même que dans les règnes animal et végétal, un individu commence, pour ainsi dire, s’accroît, dure, dépérit et passe ; n’en serait-il pas de même des espèces entières ? Si la foi ne nous apprenait que les animaux sont sortis des mains du Créateur tels que nous les voyons ; et s’il était permis d’avoir la moindre incertitude sur leur commencement et sur leur fin, le philosophe abandonné à ses conjectures ne pourrait-il pas soupçonner | que l’animalité avait de toute éternité ses éléments particuliers, épars et confondus dans la masse de la matière ; qu’il est arrivé à ces éléments de se réunir, parce qu’il était possible que cela se fît ; que l’embryon formé de ces éléments a passé par une infinité d’organisations et de développements ; qu’il a eu par succession, du mouvement, de la sensation, des idées, de la pensée, de la réflexion, de la conscience, des sentiments, des passions, des signes, des gestes, des sons, des sons articulés, une langue, des lois, des sciences, et des arts ; qu’il s’est écoulé des millions d’années entre chacun de ces développements ; qu’il a peut-être encore d’autres développements à subir et d’autres accroissements à prendre, qui nous sont inconnus ; qu’il a eu ou qu’il aura un état stationnaire ; qu’il s’éloigne ou qu’il s’éloignera de cet état par un dépérissement éternel, pendant lequel ses facultés sortiront de lui comme elles y étaient entrées ; qu’il disparaîtra pour jamais de la nature, ou plutôt qu’il continuera d’y exister, mais sous une forme, et avec des facultés tout autres que celles qu’on lui remarque dans cet instant de la durée ? La religion nous épargne bien des écarts et bien des travaux. Si elle ne nous eût point éclairés sur l’origine du monde
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le materie essenzialmente eterogenee o elementari? Lo ignoriamo. Quali sono le differenze essenziali delle materie che consideriamo come assolutamente eterogenee o elementari? Lo ignoriamo. Fino a dove si può portare la divisione di una materia elementare sia nelle produzioni dell’arte, sia nelle opere della Natura? Lo ignoriamo. Ecc., ecc., ecc. Ho associato le combinazioni dell’arte a quelle della Natura, perché entro un’infinità di fatti che ignoriamo, e che non conosceremo mai, ce n’è uno che ci è sempre ancora nascosto; sapere, se la divisione di una materia elementare non è stata, non è o non sarà portata da un’operazione dell’arte più in là, di quanto non lo sia stata, non lo sia, e non lo sarà in alcuna combinazione della Natura abbandonata a se stessa. E vedremo con la prima delle questioni seguenti perché ho fatto rientrare in alcune delle mie proposizioni le nozioni del passato, del presente e dell’avvenire, e perché ho inserito l’idea di successione nella definizione che ho dato di Natura. 1 Se i fenomeni non sono concatenati l’uno con l’altro, non c’è alcuna filosofia. I fenomeni sarebbero tutti concatenati, se lo stato di ciascuno di essi potesse essere senza permanenza. Ma se lo stato degli esseri si trova in una perpetua vicissitudine, se la natura è ancora all’opera, nonostante la catena che lega i fenomeni, non c’è filosofia. Tutta la nostra scienza naturale diventa transitoria come le parole. Quello che prendiamo per la storia della Natura, non è altro che la storia molto incompleta di un istante. Chiedo dunque se i metalli sono sempre stati e saranno sempre tali quali sono, se le piante sono sempre state e sempre saranno tali quali sono; se gli animali sono sempre stati e sempre saranno tali quali sono, ecc.? Dopo aver meditato profondamente su certi fenomeni un dubbio che forse vi verrà perdonato, o scettici, non è che il mondo sia stato creato, ma che sia tale qual è stato e tale quale sarà.145 2 Come nei regni animale e vegetale, un individuo comincia, per così dire, si accresce, dura, deperisce e passa; non potrebbe essere lo stesso per specie intere?146 Se la fede non ci insegnasse che gli animali sono usciti dalle mani del Creatore così come li vediamo, e se fosse permesso avere la minima incertezza sul loro inizio e la loro fine, il filosofo abbandonato alle sue congetture non potrebbe sospettare che l’animalità147 abbia avuto i suoi elementi particolari da tutta l’eternità, sparsi e confusi nella massa della materia? che sia accaduto ai suoi elementi di unirsi, perché è stato possibile che questo accadesse, che l’embrione formato da questi elementi sia passato per un’infinità di organizzazioni, e di sviluppi? che ha avuto in successione, movimento, sensazione, idee, pensieri, riflessioni, coscienza, sentimenti, passioni, segni, gesti, suoni, suoni articolati, lingua, leggi, scienze e arti? che siano trascorsi milioni di anni tra ciascuno di questi sviluppi; che ci sono forse ancora altri sviluppi da subire, e altri accrescimenti ci sono sconosciuti; che ci sarà stato nella natura uno stato stazionario; che si allontana, o che si allontanerà da questo stato con un deperimento eterno, durante il quale perderà le sue facoltà come le ha acquisite? che sparirà per sempre dalla Natura, o piuttosto che continuerà a esistervi, ma sotto una forma e con delle facoltà totalmente altre da quelle che evidenziamo in questo istante del tempo? La religione ci risparmia molti sbandamenti e molto lavoro. Se non ci avesse illuminati sull’origine del mondo, e sul sistema
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et sur le système universel des êtres, combien d’hypothèses différentes que nous aurions été tentés de prendre pour le secret de la nature ? Ces hypothèses étant toutes également fausses, nous auraient paru toutes à peu près également vraisemblables. La question, Pourquoi il existe quelque chose, est la plus embarrassante que la philosophie pût se proposer, et il n’y a que la Révélation qui y réponde. 3
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Si l’on jette les yeux sur les animaux et sur la terre brute qu’ils foulent aux pieds ; sur les molécules organiques et sur le fluide dans lequel elles se meuvent ; sur les insectes microscopiques, et sur la matière qui les produit et qui les environne ; il est évident que la matière en général | est divisée en matière morte et en matière vivante. Mais comment se peut-il faire que la matière ne soit pas une, ou toute vivante, ou toute morte ? La matière vivante est-elle toujours vivante ? Et la matière morte est-elle toujours et réellement morte ? La matière vivante ne meurt-elle point ? La matière morte ne commence-t-elle jamais à vivre ? 4 Y a-t-il quelque autre différence assignable entre la matière morte et la matière vivante, que l’organisation, et que la spontanéité réelle ou apparente du mouvement ? 5 Ce qu’on appelle matière vivante, ne serait-ce pas seulement une matière qui se meut par elle-même ? Et ce qu’on appelle une matière morte, ne serait-ce pas une matière mobile par une autre matière ? 6 Si la matière vivante est une matière qui se meut par elle-même, comment peut-elle cesser de se mouvoir sans mourir ? 7 S’il y a une matière vivante et une matière morte par elles-mêmes, ces deux principes suffisent-ils pour la production générale de toutes les formes et de tous les phénomènes ? | 8
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En géométrie, une quantité réelle jointe à une quantité imaginaire donne un tout imaginaire : dans la nature, si une molécule de matière vivante s’applique à une molécule de matière morte, le tout sera-t-il vivant, ou sera-t-il mort ? 9 Si l’agrégat peut être ou vivant ou mort, quand et pourquoi sera-t-il vivant ? quand et pourquoi sera-t-il mort ? 10 Mort ou vivant, il existe sous une forme. Sous quelque forme qu’il existe, quel en est le principe ?
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universale degli esseri, quante ipotesi differenti saremmo tentati di assumere per svelare i segreti della Natura? Queste ipotesi essendo tutte egualmente false, ci sarebbero sembrate tutte più o meno egualmente verosimili. La questione, Perché esiste qualcosa, è la più imbarazzante che la filosofia possa porsi, e solo la rivelazione può rispondere. 3 Se osserviamo gli animali e la terra bruta che calpestano con le zampe, le molecole organiche e il fluido nel quale esse si muovono, sugli insetti microscopici, e sulla materia che li produce148 e che li circonda, è evidente che la materia in generale è divisa in materia morta e materia vivente.149 Ma come si può fare in modo che la materia non sia una, o tutta vivente, o tutta morta? La materia vivente è sempre vivente? E la materia morta è sempre realmente morta? La materia vivente non muore? La materia morta non comincia mai a vivere? 4 C’è qualche altra differenza che si può assegnare tra la materia morta e la materia vivente, oltre all’organizzazione, e alla spontaneità reale o apparente del movimento? 5 Ciò che chiamiamo materia vivente, non sarà solamente una materia che si muove da sé? E ciò che chiamiamo materia morta, non potrebbe essere una materia mobile attraverso un’altra materia? 6 Se la materia vivente è una materia che si muove da sé, come può cessare di muoversi senza morire?150 7 Se esistono una materia vivente e una materia morta di per sé, questi due principi sono sufficienti per la produzione generale di tutte le forme e di tutti i fenomeni? 8 In geometria una quantità reale sommata a una quantità immaginaria dà un risultato del tutto immaginario: in Natura, se una molecola di materia vivente si applica a una molecola di materia morta, l’insieme sarà vivente o sarà morto? 9 Se l’aggregato fosse vivente o morto, quando e perché sarà vivente? Quando e perché sarà morto? 10 Morto o vivente, esiste sotto una forma. Sotto qualunque forma esso esista, quale ne è il principio?
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11 Les moules sont-ils principes des formes ? Qu’est-ce qu’un moule ? Est-ce un être réel et préexistant ? ou n’est-ce que les limites intelligibles de l’énergie d’une molécule vivante unie à de la matière morte ou vivante ; limites déterminées par le rapport de l’énergie en tout sens, aux résistances en tout sens ? Si c’est un être réel et préexistant, comment s’est-il formé ? 12 L’énergie d’une molécule vivante varie-t-elle par elle‑même ? ou ne varie-t-elle que selon la quantité, la qualité, les formes de la matière morte ou vivante à laquelle elle s’unit ? | 13
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Y a-t-il des matières vivantes spécifiquement différentes de matières vivantes ? ou toute matière vivante est-elle essentiellement une et propre à tout ? J’en demande autant des matières mortes. 14 La matière vivante se combine-t-elle avec de la matière vivante ? Comment se fait cette combinaison ? quel en est le résultat ? J’en demande autant de la matière morte. 15 Si l’on pouvait supposer toute la matière, vivante, ou toute la matière, morte ; y aurait-il jamais autre chose que de la matière morte, ou que de la matière vivante ? ou les molécules vivantes ne pourraient-elles pas reprendre la vie, après l’avoir perdue, pour la reperdre encore ; et ainsi de suite, à l’infini ? Quand je tourne mes regards sur les travaux des hommes, et que je vois des villes bâties de toutes parts, tous les éléments employés, des langues fixées, des peuples policés, des ports construits, les mers traversées, la Terre et les cieux mesurés ; le monde me paraît bien vieux. Lorsque je trouve les hommes incertains sur les premiers principes de la médecine et de l’agriculture, sur les propriétés des substances les plus communes, sur la connaissance des maladies dont ils sont affligés, sur la taille des arbres, sur la forme de la charrue ; la Terre ne me paraît habitée que d’hier. Et si les hommes étaient sages, ils se livreraient enfin à des recherches relatives à leur bien-être, et ne répondraient à mes questions futiles que dans mille ans au plus tôt ; ou peut-être même, considérant sans cesse le peu d’étendue qu’ils occupent dans l’espace et dans la durée, ils ne daigneraient jamais y répondre.
Fin. |
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11 I modelli sono i principi delle forme? Che cos’è un modello? È un essere reale e preesistente? O rappresenta i limiti intellegibili dell’energia di una molecola vivente, unita a della materia morta o vivente; limiti determinati dal rapporto dell’energia in ogni senso, alle resistenze in ogni senso? Se è un essere reale e preesistente, come si è formato? 151
12 L’energia di una molecola vivente varia per se stessa? O varia solo secondo la quantità, la qualità, le forme della materia morta o vivente alla quale si unisce? 13 Ci sono delle materie viventi specificamente diverse dalle materie viventi? O ogni materia vivente è essenzialmente una e adatta a tutto?152 Chiedo la stessa cosa a proposito della materia morta. 14 La materia vivente si combina con la materia vivente? Come si compie questa combinazione? Quale ne è il risultato? Chiedo altrettanto della materia morta. 15 Se potessimo ipotizzare che tutta la materia sia vivente, o che tutta la materia sia morta; ci potrebbe mai essere altra cosa che la materia morta, o che la materia vivente? O le molecole viventi non potrebbero riacquistare vita, dopo averla perduta, per riprenderla ancora, e così di seguito, all’infinito?153 Quando volgo lo sguardo sul lavoro degli uomini, e vedo delle città costruite ovunque, tutti gli elementi impiegati, le lingue fissate, i popoli civilizzati, i porti costruiti, i mari attraversati, la Terra e i Cieli misurati, il mondo mi sembra molto vecchio. Quando trovo gli uomini incerti sui principi primi della medicina e dell’agricoltura, sulle proprietà delle sostanze più comuni, sulla conoscenza delle malattie da cui sono afflitti, sulla dimensione degli alberi, sulla forma dell’aratro, la Terra mi sembra abitata solo da ieri. E se gli uomini fossero saggi, si dedicherebbero finalmente a delle ricerche relative al loro benessere, e risponderebbero alle mie domande futili solo fra mille anni: o forse addirittura, considerando continuamente la poca estensione che occupano nello spazio e nel tempo, non si degnerebbero mai di rispondermi.
Fine
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Observation sur un endroit du feuillet 89 verso.
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Je t’ai dit, jeune homme, que les qualités, telles que l’attraction, se propagent à l’infini lorsque rien ne limitait la sphère de leur action. On t’objectera « que j’aurais même pu dire qu’elles se propageaient uniformément. On ajoutera peut-être qu’on ne conçoit guère comment une qualité s’exerce à distance, sans aucun intermède ; mais qu’il n’y a point d’absurdités et qu’il n’y en eut jamais, ou que c’en est une de prétendre qu’elle s’exerce dans le vide diversement, à différentes distances ; qu’alors on n’aperçoit rien, soit au dedans, soit au dehors d’une portion de matière, qui soit capable de faire varier son action ; que Descartes, Newton, les philosophes anciens et modernes ont tous supposé qu’un corps animé dans le vide de la quantité de mouvement la plus petite, irait à l’infini, uniformément, en ligne droite ; que la distance n’est donc par elle-même ni un obstacle ni un véhicule ; que toute qualité dont l’action varie selon une raison quelconque inverse ou directe de la distance, ramène nécessairement au plein et à la philosophie corpusculaire ; et que la supposition du vide et celle de la variabilité de l’action d’une cause sont deux suppositions contradictoires. » Si l’on te propose ces difficultés, je te conseille d’en ailler chercher la réponse chez quelque Newtonien ; car je t’avoue que j’ignore comment on les résout.
Table des matières A Aberration des mesures, 29 Acte unique de la Nature, 35 Agriculture négligée, 98 Aiguille aimantée, 53 Alembert, M. d’, 30, 87 Ame sensitive, 79 Anastomose des artères épigastriques et mammaires, 89 Animaux, 35 Application de l’expérience à la géométrie, 29 Application des substances, 45 Archimède, 32 Aristote, 42 Arts, 41 Astronomie rationnelle, 30 Aubenton, M. d’, 87 Axiomes populaires, 91 et suiv.
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B Babel, Tour de, 33, 37 Baumann, M., 36, 77 et suiv. Bertin, M., 89 Boerhaave, 90, 91 Bradley, M., 30 Buffon, M. de, 28, 37, 87 C Calcul infinitésimal, 68 Causes, 43, 74 Causes finales, 89 et suiv. Cerf-volant, 53 Chaîne des Êtres, 32 Charrue, 98 Chimistes, 29, 54 Clairault, M., 30 Combinaison des substances, 45 Comparaison, 45 Confusion des langues, 33 Conservation des substances, 44
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Osservazione in un angolo del foglietto 89 verso154 Ti ho detto, o giovane, che le qualità, come l’attrazione, si propagherebbero all’infinito, se niente ne limitasse la sfera della loro azione. Ti sarà obiettato: «che avrei anche potuto dire che si propagano uniformemente. Si aggiunga forse che non si capisce come una qualità si eserciti a distanza, senza alcun intermediario; ma che non è mai stato assurdo, o che lo è, pretendere che si eserciti nel vuoto diversamente, a differenti distanze; in tal caso non si percepisce niente, sia all’interno sia all’esterno di una porzione di materia, che sia capace di far variare la sua azione; che Cartesio, Newton, i filosofi antichi e moderni hanno supposto che un corpo animato nel vuoto dalla quantità di movimento più piccola si muoverebbe all’infinito, uniformemente, in linea retta, che, dunque, la distanza, per se stessa, non è né un ostacolo né un veicolo; che ogni qualità la cui azione varia secondo una ragione qualunque inversa o diretta rispetto alla distanza, conduce necessariamente al pieno e alla filosofia corpuscolare; e che l’ipotesi del vuoto e quella della variabilità dell’azione di una causa sono due ipotesi contraddittorie». Se ti si proponessero queste difficoltà, ti consiglio di andare a cercare la risposta da qualche newtoniano, perché ti confesso che ignoro come si risolvano.
Indice analitico * A Aberrazione delle misure, 29 Ago animato, 53 Agricoltura trascurata, 98 Alembert (D’), 30, 87 Anastomosi delle arterie epigastriche e mammarie, 89 Anima sensibile, 79 Animali, 35 Applicazione dell’esperienza alla geometria, 29 Applicazione delle sostanze, 29 Aquilone, 53 Aratro, 98 Archimede, 32 Aristotele, 42 Arti, 41 Assiomi popolari, 91 e seguenti Astronomia razionale, 30 Atto unico della natura, 35 Auberton (d’), 87
B Babele, (Torre di), 33, 37 Baumann, 36, 77 e seguenti Bertin, 89 Boërhaave, 90, 91 Bradley, 30 Buffon, 28, 37, 87 C Calcolo infinitesimale, 68 Caso, 75 Catena degli esseri, 32 Cause finali, 89 e seguenti Cause, 43, 74 Chimici, 29, 54 Clairault, 30 Combinazione di sostanze, 45 Confronto, 45 Confusione delle lingue, 33 Conservazione delle sostanze, 44
* I numeri si riferiscono alla pagina dell’edizione DPV riportate a margine del testo francese.
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opere filosofiche
Cordes vibrantes, 57 et suiv. Corps, ibid. Cristaux, 55 D Délire philosophique, 67 Description des substances, 44 Dissertation inaugurale du sieur Baumann, 36, 77, et suiv. Distribution du mouvement dans les corps choqués. Sa loi, 59 Duclos, M., 87
H Haller, M., 91 Hasard, 75 Hercule, colonnes d’, 30 Hétérogénéité de la matière, 92 et suiv. Histoire de la Nature, 92 et suiv. Histoire du siècle de Louis XIV, 87 Histoire des substances, 44 Homme quadrupède, 76 Homogénéité de la matière, 92 et suiv. Hymnes à la Nature, 90 I
E Égyptes, pyramides d’, 31 Électricité, 52 et suiv. Éléments de la matière, 93 Emploi des substances, 45 Encyclopédie, 66, 87 Entendement, 41, 43 Epicure, 42 Erlang, Académie d’, 36, 77, 79 Esprit de Lois, 87 Étonnement, 35 Euler, M., 35 Existence, 44 Expériences, 39, 41, 43, 47, 72, et suiv. Extemporanéité des phénomènes, 78, 94 Extravagances physiques, 48, 49 F Faits, 41 Fermat, M., 32 Fontaine, M., 30 Forêts du nord, 34 Formes, 43 Franklin, M., 52, 70 G Galien, 90 Génération, 44 Génie créateur, 39 Gens de goût, 48 Grands, les, 46
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Idées, 34 Jeu, génie du 29 Imaginaire quantité, 97 Imagination, 43 Indivisibilité, 93 Instinct, l’, 34 Instruments, 41, 43, 85 Inversion des expériences, 70, 71 et suiv. L Labyrinthe, 74 Laïs, 46 Langue philosophique, 32 Leibnitz, 68, 91 Le Monnier, M., 30, 87 Lettres Américaines, 87 Ligue philosophique, 27, 28 Linnœus, 76 et suiv. Lucrèce, 42 M Maladies électrisées, 55 Mathématiques, 28, 29 Matière pensante et sensible, 79 et suiv. Matière vivante et morte, 95 et suiv. Maupertuis, M. de, 30, 87 Mémoire, 43 Mesure de l’esprit et de la vanité, 32 Métaphysicien, 69 Métaphysique, 29 Méthodistes, 76 et suiv.
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pensieri sull’interpretazione della natura, indice analitico
Corde vibranti, 57 e seguenti Corpi, ibid. Cristalli, 55
Generazione, 44 Genio creatore, 39 Gioco (genio del), 29 Grandi (i), 46
D Delirio filosofico, 67 Descrizione delle sostanze, 44 Dissertazione inaugurale del Signor Baumann, 36, 77, e seguenti Distribuzione del movimento nei corpi urtati. La sua legge, 59 Duclos, 87 E Egitto (piramidi d’), 31 Elementi della materia, 93 Elettricità, 52 e seguenti Encyclopédie, 66, 87 Epicuro, 42 Ercole (colonne d’), 30 Erlang (accademia di), 36, 77, 79 Esistenza, 44 Esperimenti, 39, 41, 43, 47, 72, e seguenti Estemporaneità dei fenomeni, 78, 94 Eterogeneità della materia, 92 e seguenti Eulero, 35 F Fatti, 41 Fenomeni, 39, 43 Fermat, 32 Filosofi, 27, 29, 41, 42 Filosofia razionale, 41, 42, 43 e seguenti Filosofia sperimentale, ibidem Fisici senza idee, 27 Fisici senza strumenti, ibidem Fisiologia dei Galeno, di Haller, ecc. 90, 91 Fontaine, 30 Foreste del Nord, 34 Forme, 43 Franklin, 52, 70 G Galeno, 90
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H Haller, 91 I Idee, 34 Immaginaria quantità, 97 Immaginazione, 43 Indivisibilità, 93 Inni alla Natura, 90 Intelletto, 41, 43 Inversione degli esperimenti, 70, 71 e seguenti Istinto (l’), 34 L Labirinto, 74 Laïs, 46 Le Monnier, 30, 87 Lega filosofica, 27, 28 Leibniz, 68, 91 Lettres américaines, 87 Lingua filosofica, 32 Linneo, 76 e seguenti Lucrezio, 42 M Malattie elettrizzate, 55 Matematiche, 28, 29 Materia pensante e sensibile, 79 e seguenti Materia vivente e morta, 95 e seguenti Maupertuis (de), 30, 87 Memoria, 43 Metafisica, 32 Metafisico, 69 Metodisti, 76 e seguenti Misura dell’intelletto e della vanità, 32 Modelli, 97 Mole, 49 e seguenti
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opere filosofiche
Môle, 49 et suiv. Monde, 43, 98 Montagne, Michel de, 87 Montesquieu, M. de, 87 Moules, 97
R Raison, la, 34 Réflexion, la, 34, 39, 43 Remèdes électrisés, 55 Rousseau, M. dit le Citoyen, 87
N Naturalistes, 29, 76, et suiv. Nature, 26, 34, 36 et suiv. Natures plastiques, 78 Neuton, 68, 69 Nouvelles Ecclésiastiques, 87
S
O Obscurité, 68 Observation, 39, 46 Obstacles, 86 et suiv. Occasion, l’, 40 Opinions, 33 P Peuple, 41 Phénomènes, 39, 43 Philosophes, 27, 29, 41, 42 Philosophie rationnelle, 41, 42, 43 et suiv. Philosophie expérimentale, ibid. Physiologies de Galien, de Haller, etc. 90, 91 Professeurs, 35 Prototype des êtres, 36, 37 Physiciens sans idées, 27 Physiciens sans instruments, 27 Q Qualité des substances, 45 Questions, 92 et suiv.
Scrupules de la philosophie rationnelle, 85 Séminale, matière, 38, 79 Sennaar, plaine de, 33 Sens, les, 34, 41, 43 Sentiment, le, 48 Science nouvelle, 31 Simultanéité des phénomènes, 78 Système universel de la Nature, 74 Systèmes, 54, 70 Socrate, 48 Stérilité, 55 Sthal, 68 Substances intelligentes, 79 et suiv. T Terre nouvelle, 69 Tour, 33 Trésor caché, 46 et suiv. V Vérité, la, 34 Voltaire, M. de, 87 Utile, 33 Vulgaire, le, 41
Fin de la table.
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pensieri sull’interpretazione della natura, indice analitico
Rimedi elettrizzati, 55 Rousseau, detto il Cittadino, 87
Mondo, 43, 98 Montaigne (Michel de), 87 Montesquieu (de), 87
S
N Natura, 26, 34, 36 e seguenti Naturalisti, 29, 76 e seguenti Nature plastiche, 78 Newton, 68, 69 Nouvelles ecclesiastiques, 87 O Occasione, 40 Omogeneità della materia, 92 e seguenti Opinioni, 33 Oscurità, 68 Osservazione (l’), 39, 46 Ostacoli, 86 e seguenti P Persone di gusto, 48 Popolo, 41 Precipitazione, 91 Professori, 35 Prototipo degli esseri, 36, 37 Q Qualità delle sostanze, 45 Questioni, 92 e seguenti R Ragione (la), 34 Riflessione, 34, 39, 43
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Scienza nuova, 31 Scrupoli della filosofia razionale, 85 Seminale (materia), 38, 79 Sennaar (piana di), 33 Sensi (i), 34, 41, 43 Sentimento (il), 48 Simultaneità dei fenomeni, 78 Sistema universale della Natura, 74 Sistemi, 54, 70 Socrate, 48 Sostrati intelligenti, 79 e seguenti Spirito delle Leggi, 87 Stahl, 68 Sterilità, 55 Storia del secolo di Luigi XIV, 87 Storia della Natura, 92 e seguenti Storia delle sostanze, 44 Stravaganze fisiche, 48, 49 Strumenti, 41, 43, 85 Stupore, 35 T–U-V Terra nuova, 69 Tesoro nascosto, 46 e seguenti Torre, 33 Uomo quadrupede, 76 Utile, 33 Utilizzo delle sostanze, 45 Verità (la), 34 Volgo (il), 41 Voltaire, 87
Fine dell’indice
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Lettre à Landois
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Lettera a Landois (1756)
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Nota introduttiva di Eleonora Alfano
Il tentativo di introdurre il metodo sperimentale nelle questioni morali rappresenta la pietra miliare della filosofia del XVIII Secolo. Lo scopo dichiarato di David Hume, di voler fondare una scienza esatta della natura umana è emblematico per numerosi altri filosofi dell’epoca. Nel Secolo dei Lumi, l’ideale seicentesco di un metodo filosofico calcato sul modello delle scienze pure, quali la matematica e la geometria, viene convertito in un approccio induttivo alla realtà, in parte d’ispirazione baconiana. Pensatori come d’Holbach o Diderot si avvalgono di nuove tecniche di indagine in filosofia morale, affacciandosi anche sul campo delle nascenti discipline delle scienze della vita, come la chimica, la biologia, la geologia e la fisiologia. Difatti sul «fondamento» dell’Ethica spinoziana more geometrico demonstrata, «cioè che tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose e tutti hanno appetito di cercare il proprio utile, della qual cosa sono consapevoli»,1 deve ancora essere effettuata la verifica empirica. Soltanto un’analisi antropologica a posteriori, basata su esperimenti pratici, è in grado di scrutare, dimostrare e giustificare le ragioni dell’ordine morale. Scritta il 29 giugno del 1756 e pubblicata il 1 luglio nella Correspondance Littéraire di Grimm, la Lettera a Landois costituisce un autentico compendio pratico della filosofia morale di Diderot. Benché rapido e conciso, questo scritto diderottiano rappresenta la prima enunciazione sistematica dei capisaldi che attraverseranno, in un’evoluzione continua, la sua riflessione etica. Prima di tutto, occorre rilevare che la Lettera presenta un approccio decisamente spinozista o, meglio, neospinozista: sia per il materialismo meccanicistico, sia per il necessitarismo filosofico in essa sostenuti. Al riguardo, colpisce d’emblée notare che alcune tematiche sviluppate qui da Diderot riecheggiano in particolar modo con le tesi del secondo capitolo sull’ignoranza delle cause del famigerato manoscritto clandestino il Trattato dei tre impostori (1719). Purtroppo, si è a conoscenza di scarse informazioni riguardo il destinatario della Lettera. Autore drammatico francese del XVIII secolo nonché collaboratore dell’Encyclopédie, Paul Landois è noto per essere stato uno degli ideatori di un nuovo genere teatrale, nato nella Francia del Settecento, che egli chiamava «la tragedia borghese».2 L’unica opera teatrale di Landois pervenutaci s’intitola Sylvie, ou Le Jaloux. Venne interpretata alla Comédie Française nel 1741, senza però riscuotere successo. Il genere di Sylvie fu adottato dai tre massimi rappresentanti settecenteschi del dramma borghese, ovvero La Chaussée (1692-1754), lo stesso Diderot e Beaumarchais (1732-1779).3 1 Spinoza, Etica in Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Filippo Mignini, traduzioni e note di Filippo Mignini e Omero Proietti, Milano, Mondadori 2007, Appendice, p. 827. 2 Con la firma «R», Landois scrisse alcuni articoli dell’Encyclopédie sulla pittura: «Ami», «Attrapper», «Baroché», «Gravure», «Peinture» e «Sculpture». 3 Cfr. Pierre Larousse, Grand Dictionnaire universel du XIXe Siècle, t. 10, Paris, Administration du grand Dictionnaire universel, p. 140.
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lettera a landois
La Lettera va reinserita in un contesto storico e filosofico ben preciso. Il 1 novembre del 1755, l’Europa è scossa da uno straordinario cataclisma senza precedenti: il terremoto di Lisbona. Il disastro ebbe una profonda ripercussione nelle coscienze degli intellettuali del tempo, ridestando il dibattito allora acceso sulle questioni della fatalità degli avvenimenti e, più in generale, dell’universalità della causa naturale. Che cosa può l’uomo di fronte alla necessità dell’universo? Qual è il posto dell’essere pensante nella concatenazione delle cause? «La dottrina del fatalismo può entrare in qualche modo nei motivi delle determinazioni degli esseri liberi?» 4 La risoluzione di tali problematiche antropologiche impegnò, oltre a Voltaire, 5 che si scontrò con Rousseau in una famosa diatriba sulla questione dell’origine del male, anche Diderot. Il maggiore merito della Lettera a Landois è forse quello di enunciare i problemi morali che scaturiscono da una concezione schiettamente naturalistica dell’uomo. In una visione monista della realtà, in cui non esiste un regno morale separato dal mondo naturale, l’attività umana diventa un fenomeno morale, ossia un oggetto della ragione suscettibile di osservazione, verifica e previsione alla stessa stregua di un qualsiasi altro dato empirico. Pertanto, nella filosofia diderottiana riveste una rilevanza cruciale la reinterpretazione pratica dei concetti morali in funzione di tale nuovo approccio umanistico-naturalistico. Sulla scia di Helvétius, si tratta di fondare una morale realista e utile, che deduca i suoi principi e le sue ragioni dall’uomo così com’è, anziché trarli da un concetto di umanità ideale. La celebre tesi della Lettera a Landois verte sulla dimostrazione dell’inesistenza della libertà: «una parola priva di senso», un flatus vocis. Seppure di natura apparentemente drastica e categorica, fatalista appunto, l’enunciato ha un’indiscutibile ragion d’essere all’interno di un sistema morale privo di assiomi e postulati trascendentali; di «salti» nell’universo, come direbbe Diderot. Difatti, come si può leggere all’articolo «Libertà» dell’Encyclopédie: «tutti gli avvenimenti formano una catena stretta e inalterabile; togliete uno solo di questi avvenimenti, la catena è rotta, e tutta l’economia dell’universo è turbata». Pertanto, «l’indipendenza assoluta di un solo fatto è incompatibile con l’idea del tutto; e senza l’idea del tutto, non c’è più filosofia», sostiene Diderot nei Pensieri sull’interpretazione della natura (1754).6 La confutazione diderottiana è rivolta alla teoria del libero arbitrio, concepito dalla tradizione come facoltà di scelta autonoma, quindi autodeterminantesi, tra il bene o il male. Ora, nella «grande catena che lega tutte le cose»,7 nessun individuo può essere causa sui, cioè capace «di iniziare da sé un evento» – come sostiene invece Kant nella Critica della Ragion Pratica (1788). Riprendendo una tesi spinoziana, la libertà è quindi una mera «illusione», nella misura in cui la volontà è sempre l’effetto di una causa, ovvero di una concatenazione di «motivi esterni» che la muovono e la determinano. «L’effet c’est moi!» esclamerà un secolo più tardi Nietzsche.8
4 Domanda formulata da Morellet nel suo articolo «Fatalità» dell’Encyclopédie, VI, pp. 422a-429a. 5 Nel Poema sul disastro di Lisbona (1755) e più tardi nel Candido o l’Ottimismo (1759). 6 Diderot, Pensieri sull’interpretazione della natura, cit., pensiero XI; supra, p. 413. 7 Ibid, cit., pensiero VI. 8 Nietzsche, Al di là del bene e del male, cit., aforisma 19 [nel testo originale la citazione è in francese].
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nota introduttiva
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È negli Elementi di Fisiologia (1773-1782, postumo) che Diderot rovescia definitivamente la teoria finalistica dell’azione, in modo da affermare al suo posto una volontà efficiente: «Si dice che il desiderio nasca dalla volontà; è il contrario; è dal desiderio che nasce la volontà. Il desiderio è figlio dell’organizzazione, la felicità e l’infelicità figli del benessere, o del malessere. Vogliamo essere felici».9 Dal ribaltamento della volontà, che dallo stato di causa passa a quello di effetto, si desume che l’agire umano non abbia come fine ultimo la felicità. In Diderot la felicità è un concetto fisiologico, si tratta di una tendenza fisica al piacere e all’utile. Per cui, il desiderio è il motivo della volontà, così come della felicità, cioè è la condizione che agisce sulla volizione dell’individuo. Il motore dell’attività è meccanicistico non finalistico, è il desiderio prodotto hic et nunc dall’organizzazione. Per cui la felicità non ha mai ragione di fine ma, se mai, di effetto. Ora, all’interno di un sistema materialista della natura, una visione radicalmente meccanicistica dell’uomo conduce a un apparente paradosso, nel Sogno di D’Alembert (1769): tra un automa di Vaucanson e D’Alembert non vi sarebbe una vera e propria differenza sostanziale, bensì di mera organizzazione. Entrambe le materie riproducono dei movimenti meccanici occasionati da cause fisiche, le uniche agenti nell’universo. Tuttavia, l’organizzazione materiale può produrre inerzia od occasionare la vita. La «macchina D’Alembert» (infra, pp. 543, 1203 e 1215) rimane, infatti, incommensurabilmente più complessa e «modificabile» essendo una materia sensibile, dotata di memoria e capace di pensare. Ora, quali sono le conseguenze nell’ordine morale di una tale visione naturalista dell’uomo? «Se non c’è libertà, neppure vi sono azioni che meritino l’elogio o il biasimo; non vi è né vizio, né virtù...» In effetti, se la concatenazione delle azioni è una trama rigida e necessaria in cui nessun atto può essere compiuto senza motivo, e se i motivi non dipendono mai da noi, allora non siamo responsabili, e neppure «padri» delle nostre azioni. E, continua l’articolo sulla «Libertà», «non vi sono dunque più viziosi e virtuosi? no, se volete; però ci sono degli esseri felici o infelici, benefattori o malfattori. E le ricompense e i castighi? Bisogna bandire queste parole dalla Morale; non si ricompensa affatto, ma si incoraggia a fare del bene; non si castiga, ma si soffoca, si spaventa. E le leggi, e i buoni esempi, e le esortazioni, a che cosa servono? Sono utili tanto più che hanno necessariamente degli effetti». L’obiettivo decisivo della Lettera a Landois, che rappresenta una delle sfide maggiori al dogma del libero arbitrio, tra tutte le correnti filosofiche deterministe, è di fondare concettualmente la responsabilità morale e penale dell’uomo. Secondo i filosofi materialisti come La Mettrie, Diderot o Bentham, tale fondazione non può che basarsi sulla costituzione fisica della specie umana e, pertanto, poggia su un naturalismo o immanentismo morale. In effetti, «sebbene l’uomo benefattore o malfattore non sia libero, l’uomo ciò nondimeno è un essere che si modifica». Ogni individuo, fortunatamente o sfortunatamente organizzato, può essere suscettibile di condizionamenti, cioè, nel caso della sfera etica, può subire delle modifiche, delle forze, razionalmente indirizzate per incoraggiare o per ostacolare la natura dei «motivi», sia esterni che interni, dai quali è determinato.10 9
Diderot, Elementi di fisiologia, cit. parte III, cap. VI, § «Volontà»; supra, p. 1201. L’utilitarismo fonda il principio di utilità proprio su questo ragionamento: solo nella misura in cui l’uomo è determinato, può altresì essere determinabile. Difatti, se l’uomo è un ente naturale che, come tutti gli altri, reagisce in una maniera determinata, cioè costante, a certi stimo10
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Essendo l’interesse il movente più potente nell’uomo, l’intento della Lettera è di dimostrare che questa invincibile tendenza fisica alla felicità coincide, in realtà, con l’esercizio della «virtù». Infatti, «tutto quello che facciamo, è per noi. Abbiamo l’aria di sacrificarci quando non facciamo altro che soddisfarci». Ora, il concetto di virtù va sostituito, secondo Diderot, con quello di «bienfaisance», perdendo così la sua accezione spirituale per acquisire una dimensione sociale. In breve, l’uomo felice è colui che realizza il suo interesse nell’«utilità comune», volendo riprendere un concetto di Cesare Beccaria. È moralmente buono e virtuoso soltanto un atto benefico per un «maggior numero possibile di persone», sosterrà il capofila dell’utilitarismo, Jeremy Bentham, qualche decennio dopo l’enciclopedista. Un simile accostamento fra questi tre autori non deve sembrare forzato, tanto più che, nell’articolo «Diritto Naturale» dell’Encyclopédie, Diderot propone una delle prime espressioni del principio di utilità: «Tutto quello che concepirete, tutto quello che mediterete, sarà buono, grande, elevato, sublime, se ne va dell’interesse generale e comune. [..] Sono uomo, e non possiedo diritti naturali veramente inalienabili se non quelli dell’umanità». Quindi, «che cos’è un uomo virtuoso?» domanda retoricamente Diderot a Landois. Niente di più e niente di meno che un filantropo, l’ami de l’Homme promotore del principio universale di tolleranza o, come dice Diderot, di questa «filosofia piena di commiserazione». Leggere oggi la Lettera a Landois significa ricordare come le filosofie utilitariste e materialiste del Settecento, proprio in virtù del loro approccio fatalista o determinista alla morale, sono state fra le prime propugnatrici della «filantropia», la Fraternité, in quanto diritto fondamentale e inalienabile dell’umanità. In ultima analisi, resterebbe una domanda conclusiva da porre. A partire dall’impegnativo enunciato «la parola libertà è una parola priva di senso», occorre dedurre che un uomo libero sia altrettanto privo di realtà? L’irrazionalità del sostantivo comporta necessariamente l’irrealtà dell’aggettivo? Del resto, lo dice Diderot stesso nella Lettera sui sordi e muti (1751): «Si è immaginato che l’aggettivo fosse realmente subordinato al sostantivo, nonostante il sostantivo non sia propriamente nulla e che l’aggettivo sia tutto».11 Quindi, non sarebbe piuttosto lecito presumere che si dia, nella filosofia di Diderot, la formulazione di una libertà «aleatoria», alla stregua di come è stato definito il suo naturalismo, in modo assai pertinente, da Annie Ibrahim? 12
Nota al testo Si è scelto di condurre la traduzione della Lettre à Landois sull’edizione Hermann,13 la quale ristabilisce il testo basandosi sulla sua prima pubblicazione nella Correspondance Littéraire, risalente al 1 luglio del 1756. Come segnala Varloot, si è a conoscenza di tre versioni manoscritte della Lettera anteriori alla morte di Diderot: una contenuta nella miscellanea manoscritta di Gotha (Gb, fol. 284 r°-285v°); un frammento copiato li della natura; e se l’uomo razionale è capace di conoscere le leggi della natura (perché costanti); allora è altresì in grado di padroneggiarle e di reindirizzarle per muovere in un certo modo l’azione dei motivi di un individuo. 11 Cfr. Diderot, Lettera sui sordi e muti cit., supra, p. 303. 12 Cfr. Annie Ibrahim, Diderot. Un matérialisme éclectique, Paris, Vrin, 2015. 13 Denis Diderot, Lettre à Landois, in Œuvres complètes (DPV), Tome IX. L’interprétation de la nature (1753-1765), édition critique et annotée par Jean Varloot, Paris, Hermann, 1981, pp. 243-260.
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e rimaneggiato da Naigeon conservato nel fonds Vandeul (13783, fol. 138 r°-v°); e alcuni frammenti provenienti dalle pseudo-memorie di Madame d’Épinay (Arsenal, ms 3158, fol. 142, fol. 84, fol. 86). La Lettera venne inserita nelle Œuvres complètes di Diderot nel 1876 (AT, XIX, pp. 432-438) e nella Correspondance littéraire nel 1878 (III, pp. 249-255). Fonte della Lettera di queste due edizioni fu a sua volta un’altra edizione della Correspondance degli anni 1753-1769, curata da Machaud-Chéron nel 1813 (II, pp. 56-65). Sempre Varloot fa notare che il curatore della Correspondance inédite del 1931, A. Babelon, non riuscì a identificare il destinatario della lettera (I, pp. 308-312). Fu difatti H. Dieckmann il primo a interrogarsi sulla sua destinazione (Inventaire du fonds Vandeul et inédits de Diderot, pp. 148-149). Negli stessi anni, G. Roth riuscì a ristabilire il nome del destinatario. Pubblicò in appendice all’Histoire de Madame de Montbrillant (III, pp. 572-574) alcuni frammenti della versione conservata nelle carte di Madame d’Épinay. Fu nel 1955 che li reinserì interamente nella sua edizione della Correspondance (I, pp. 209-217). Le Œuvres complètes edite da Roger Lewinter nel 1970 (III, pp. 9-16) adoperano come fonte il testo stabilito da G. Roth. Esistono due precedenti traduzioni italiane: in A. La Torre, Diderot. La teoria e la pratica dell’arte, Bulzoni, Roma 1976, pp. 169-173 (traduzione parziale); in Denis Diderot, L’uomo e la morale, a cura di V. Barba, Editori Riuniti, Roma, 1987, pp. 64-70 (Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1991, pp. 5-12).
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Lettre de M. Diderot à M. L...
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[DPV, IX, 253-260]
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Il y a, mon cher, tant de griefs dans votre lettre, qu’un gros volume, tel que je suis condamné d’en faire, m’acquitterait à peine, si je donnais à chaque chose plus de quatre mots de réponse que vous me demandez. Si vous êtes toujours aussi pressé de secours que vous le dites, pourquoi attendez-vous à la dernière extrémité pour les appeler [?] Vos amis ont assez d’honnêteté et de délicatesse pour vous prévenir ; mais, errant comme vous êtes, ils ne savent jamais où vous prendre. On n’obtint pas la première rescriprion qui vous fut envoyée, aussi promptement qu’on l’aurait désiré, parce qu’on n’en accorde point pour des sommes aussi modiques. Elle était datée du 17. Elle ne fut remise à D... que le 18. À moi que le 19. Le 20, les lettres ne partaient pas. Ajoutez à ces délais 7 à 8 jours de poste, et vous retrouverez ces douze jours de retard que vous me reprochez... | Que je me suppose le patient, si je peux. Et depuis 3, ou 4 ans, que je ne reçois que des injures, en retour de mon attachement pour vous, ne le suis-je pas [?] Et ne fautil pas que je me mette à tout moment à votre place pour les oublier, ou n’y voir que les effets naturels d’un tempérament aigri par les disgrâces, et devenu féroce ?.. Je ne vous répondis point. Je n’envoyai point le mot de recommandation pour M. de V. C’est que j’avais résolu de vous servir et de ne plus vous écrire. Je ne connais point V... Je l’aurais connu, que je ne vous aurais point adressé à lui. Cet homme est dangereux, et vous eussiez fait à frais communs des imprudences dont vous eussiez porté toute la peine. Voilà les raisons de mon silence. Je me soucie peu, dites-vous, de la manière dont vous voyez mes procédés. Il est vrai que je me soucie beaucoup plus qu’ils soient bons. Tant que je n’aurai point de reproches à me faire, je serai peu touché des vôtres. Le point important, mon ami, c’est que l’injustice ne soit pas de mon côté. Je passe pardessus les cinq ou six lignes qui suivent, parce qu’elles n’ont pas le sens commun. Si un homme a cent bonnes raisons, et peut en avoir une mauvaise, c’est toujours à celleci que vous vous en tenez. Mais venons à l’affaire de votre manuscrit. C’est un ouvrage capable de me perdre. C’est après m’avoir chargé à deux reprises, des outrages les plus atroces et les plus réfléchis que vous m’en proposez la révision et l’impression. Vous n’ignoriez pas que j’avais femme et enfant ; que j’étais noté ; que vous me mettiez dans le cas des récidives. N’importe, vous ne faites aucune de ces considérations, ou vous les négligez ; vous me prenez pour un imbécile, ou vous en êtes un. Mais vous n’êtes point un imbécile. | Landois, n’exigez jamais d’un autre ce que vous ne feriez pas pour lui, ou soumettez-vous à des soupçons de finesse ou d’injustice. Je vois les projets des hommes, et je m’y prête souvent sans daigner les désabuser sur la stupidité qu’ils me supposent. Il suffit que j’aperçoive dans leur objet, une grande utilité pour eux, assez peu d’inconvénient pour moi. Ce n’est pas moi qui suis une bête, toutes les fois qu’on me prend pour tel... Aux yeux du peuple votre morale est détestable. C’est de la petite morale, moitié vraie, moitié fausse [et] étroite aux yeux du philosophe. Si j’étais un homme à ser-
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Lettera del Sig. Diderot al Sig. L...1
Vi è, mio caro, così tanto risentimento nella vostra lettera, che un grosso volume, come quello che sono condannato a farne, a malapena mi basterebbe se spendessi più di quattro parole per ogni cosa che mi domandate. Se vi urge tuttora il sostegno dei vostri amici, come voi stesso dite, allora perché vi riducete all’ultimo momento per chiamarli [?] I vostri amici sono abbastanza onesti e delicati per farvi delle cortesie; ma nomade come siete non sanno mai dove trovarvi. Non ottenemmo, così prontamente come avremmo desiderato, il primo mandato di riscossione che vi fu inviato, poiché non ne vengono accordati per delle somme così modeste. Riportava la data del 17. Fu consegnata a D***2 soltanto il 18. A me soltanto il 19. Il 20, le lettere non partivano. Aggiungete a queste proroghe tra i sette e gli otto giorni di posta, e vi risulteranno questi dodici giorni di ritardo che mi rinfacciate... Suppongo, se posso, che quello paziente tra i due sia io. Mentre io invece, che da tre o quattro anni in cambio dell’affetto che ho per voi non ricevo altro che ingiurie, non lo sono [?] E non devo forse mettermi di continuo al posto vostro per dimenticarle, e vedervi in esse nient’altro che gli effetti naturali di un temperamento diventato feroce e inacidito dalle disgrazie?... Non vi risposi affatto. Non inviai neppure la lettera di raccomandazione per il Signor di V***.3 È che mi ero deciso ad accontentarvi e a non scrivervi più. Non conosco V***. E comunque, anche se l’avessi conosciuto, non vi avrei affatto indirizzato da lui. Quell’uomo è pericoloso, e avreste compiuto assieme delle imprudenze di cui soltanto voi, Landois, avreste dovuto pagarne tutte le conseguenze. Ecco le ragioni del mio silenzio. Poco m’importa, dite, di come giudichiate i miei modi di agire. È vero che mi preoccupo soprattutto che siano buoni. Finché non avrò nulla da rimproverarmi, sarò poco colpito dai vostri modi. Il punto importante, amico mio, è che l’ingiustizia non sia dalla mia parte. Sorvolo le cinque o sei righe che seguono, poiché mancano di senso comune. Se un uomo ha cento buone ragioni e può averne una sola cattiva, voi vi atterrete sempre a quest’ultima. Ma veniamo all’affare del vostro manoscritto. È un’opera capace di rovinarmi. Dopo avermi, per ben due volte, ricoperto degli insulti più atroci e ricercati, mi proponete di curarne la revisione e la stampa.4 Non ignoravate che avevo moglie e figlia; che mi tenevano d’occhio; e che mi esponevate al rischio di recidiva5 [?] Ma che importa, non fate nessuna di queste considerazioni, oppure non le tenete in alcun conto. Mi prendete per un imbecille, o lo siete voi. Eppure, non siete un imbecille. Landois, non esigiate mai da un altro ciò che non fareste per lui, altrimenti vi esporreste ai sospetti di astuzia o di ingiustizia. Vedo i progetti degli uomini, e spesso mi ci dedico senza degnarmi di disilluderli circa la stupidità che mi attribuiscono. Basta che io scorga nel loro oggetto una grande utilità per loro, e pochi inconvenienti per me. Non sono io a essere lo stupido, tutte le volte che sono scambiato per tale... Agli occhi del popolo la vostra morale è detestabile. È una morale piccola, per metà vera per metà falsa, ed è gretta agli occhi del filosofo. Se fossi un uomo da sermoni e
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mons et à messes, je vous dirais : Ma vertu ne détruit point mes passions ; elle les tempère seulement, et les empêche de franchir les lois de la droite raison. Je connais tous les avantages prétendus d’un sophisme, et d’un mauvais procédé ; d’un sophisme bien délicat, d’un procédé bien obscur, bien ténébreux. Mais je trouve en moi une égale répugnance à mal raisonner et à mal faire. Je suis entre deux puissances dont l’une me montre le bien, et l’autre m’incline vers le mal. Il faut prendre parti. Dans les commencements le moment du combat est cruel ; mais la peine s’affaiblit avec le temps. Il en vient un où le sacrifice de la passion ne coûte plus rien ; je puis même assurer par expérience qu’il est doux. On en prend à ses propres yeux tant de grandeur et de dignité ! La vertu est une maîtresse à laquelle on s’attache autant par ce qu’on fait pour elle, que par les charmes qu’on lui croit. Malheur à vous si la pratique du bien ne vous est pas encore assez familière, et si vous n’êtes pas assez en fonds de bonnes actions pour en être vain ; pour vous en complimenter sans cesse, pour vous enivrer de cette vapeur, et pour en être fanatique. | Nous recevons, dites-vous, la vertu, comme le malade reçoit un remède auquel il préférerait, s’il en était cru, toute autre chose qui flatterait son appétit. Cela est vrai d’un malade insensé. Malgré cela, si ce malade avait eu le mérite de découvrir lui-même sa maladie, celui d’en avoir trouvé, prépare le remède ; croyez-vous qu’il balançât à le prendre quelque amer qu’il fût, et qu’il ne se fît pas un honneur de sa pénétration et de son courage ? Qu’est-ce qu’un homme vertueux ? C’est un homme vain de cette espèce de vanité, et rien de plus. Tout ce que nous faisons, c’est pour nous. Nous avons 1’air de nous sacrifier, lorsque nous ne faisons que nous satisfaire. Reste à savoir si nous donnerons le nom de sages ou d’insensés à ceux qui se sont fait une manière d’être heureux aussi bizarre en apparence que celle de s’immoler. Pourquoi les appellerions-nous insensés, puisqu’ils sont heureux, et que leur bonheur est si conforme au bonheur des autres ? Certainement, ils sont heureux ; car, quoi qu’il leur en coûte, ils font toujours ce qui leur coûte moins. Mais si vous voulez bien peser les avantages qu’ils se procurent, et surtout, les inconvénients qu’ils évitent, vous aurez bien de la peine à prouver qu’ils sont déraisonnables. Si jamais vous l’entreprenez n’oubliez pas d’apprécier la considération des autres et celle de soi-même tout ce qu’elles valent. N’oubliez pas non plus qu’une mauvaise action n’est jamais impunie ; je dis jamais, parce que la première que l’on comment dispose à une seconde, celle-ci à une troisième, et que c’est ainsi qu’on s’avance peu à peu vers le mépris de ses semblables, le plus grand de tous les maux. Déshonoré dans une société, dira-t-on, je passerai dans une autre où je saurai bien me procurer les honneurs de la vertu. Erreur. Est-ce qu’on cesse d’être méchant à volonté ? après s’être rendu tel, ne s’agit-il que d’aller à cent lieues pour être bon, ou que de s’être dit : je veux l’être. Le pli est pris, il faut que 1’étoffe le garde. C’est ici, mon cher, que je vais quitter le ton de prédicateur, pour prendre, si je peux, celui de philosophe. Regardez-y de près, et vous verrez | que le mot liberté est un mot vide de sens ; qu’il n’y a point, et qu’il ne peut y avoir d’êtres libres ; que nous ne sommes que ce qui convient à 1’ordre général, à l’organisation, à l’éducation, et à la chaîne des événements. Voilà ce qui dispose de nous invinciblement. On ne conçoit non plus qu’un être agisse sans motifs, qu’un des bras d’une balance se meuve sans l’action d’un poids ; et le motif nous est toujours extérieur, étranger, attaché ou par la nature, ou par une cause quelconque qui n’est pas nous. Ce qui nous trompe, c’est la prodigieuse variété de nos actions, jointe à l’habitude que nous avons prise tout en naissant de confondre
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messe, vi direi: La mia virtù non distrugge affatto le mie passioni; le modera soltanto, impedendo loro di trasgredire le leggi della retta ragione.6 Conosco tutti i presunti vantaggi di un sofisma e di un comportamento malvagio; cioè di un sofisma assai complesso e di un modo di fare tanto oscuro, quanto tenebroso. Ma trovo in me un’eguale ripugnanza a ragionare e ad agire male. Sto in mezzo a due potenze, una delle quali mi mostra il bene e l’altra m’inclina verso il male. Occorre prendere posizione. All’inizio, il momento della lotta è crudele; però il tormento si affievolisce col tempo. Arriva un momento in cui il sacrificio della passione non costa più nulla; posso anche garantire, per esperienza, che è dolce. Si assume ai nostri stessi occhi tanta grandezza e dignità!7 La virtù è un’amante alla quale ci si lega tanto per quello che si fa per lei, quanto per il fascino che si crede di vedere in essa. Peggio per voi se la pratica del bene non vi è ancora abbastanza familiare, e se non avete commesso tante buone azioni da potervene vantare; da complimentarvene di continuo con voi stesso, da potervene inebriare e da esserne fanatico. Noi accettiamo, voi dite, la virtù come il malato accetta un rimedio al quale preferirebbe, se venisse creduto, qualsiasi altra cosa che lusingasse il suo appetito. Questo è vero per un malato privo di senno. Ciò nondimeno, se quel malato avesse avuto il merito di scoprire egli stesso la sua malattia, di averne trovato e preparato il rimedio, credete che esiterebbe a prenderlo, per quanto possa essere amaro, e che non sarebbe orgoglioso della sua perspicacia e del suo coraggio?8 Che cos’è un uomo virtuoso? È un uomo vanitoso di questa specie di vanità, e nulla di più. Tutto quello che facciamo, è per noi stessi. Abbiamo l’aria di sacrificarci quando non facciamo altro che soddisfarci. Resta da sapere se chiameremmo saggi oppure privi di senno coloro che hanno escogitato una maniera di essere felici tanto bizzarra, in apparenza, come quella di immolarsi. Perché mai dovremmo chiamarli privi di senno, giacché sono felici, e la loro felicità è così conforme a quella degli altri? Certo, sono felici; poiché, costi quel che costi, fanno sempre ciò che costa loro di meno. Però se voleste soppesare bene i vantaggi che si procurano e, soprattutto, gli inconvenienti che evitano, farete fatica assai a provare che sono irragionevoli. Se mai vi cimenterete nell’impresa, non scordatevi di apprezzare la considerazione degli altri e quella di voi stesso, per quello che valgono. Non dimenticate nemmeno che una cattiva azione non resta mai impunita; dico mai, in quanto la prima che si commette determina a commetterne una seconda, quella una terza, ed è così che si avanza, a poco a poco, verso il disprezzo dei propri simili, il più grande di tutti i mali. Disonorato in una società, ci si dirà, passerò in un’altra, dove saprò procurarmi gli onori della virtù: errore. Si smette forse di essere cattivi a propria discrezione? Dopo che lo si è diventati, basta spostarsi di cento leghe per essere buoni, oppure dirsi «lo voglio» [?] La piega è presa, la stoffa deve solo mantenerla.9 È qui, mio caro, che abbandonerò il tono da predicatore per assumere, se posso, quello del filosofo. Esaminatela più da vicino, e vi accorgerete che la parola libertà è una parola priva di senso; che non vi sono affatto, e non possono esservi degli esseri liberi. Noi siamo solo ciò che è adatto all’ordine generale, all’organizzazione, all’educazione, e alla catena degli avvenimenti. Ecco cosa ci determina invincibilmente. Non si concepisce come un essere possa agire senza motivi, neppure che una delle braccia di una bilancia si muova senza l’azione di un peso. E il motivo è per noi sempre esteriore, estraneo, determinato o dalla natura oppure da una causa qualsiasi che non è in noi. A ingannarci è la varietà prodigiosa delle nostre azioni, congiunta all’abitudine che
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le volontaire avec le libre. Nous faisons tant de choses, et nous sentons depuis si longtemps que nous les voulons toutes. Nous avons tant loué, tant repris et nous l’avons été tant de fois que c’est un préjugé bien vieux que celui de croire que nous et les autres voulons, agissons librement. Mais s’il n’y a point de liberté, il n’y a point d’action qui mérite la louange ou le blâme ; il n’y a ni vice, ni vertu, rien dont il faille récompenser ou châtier. Qu’est-ce qui distingue donc les hommes ? La bienfaisance et la malfaisance. Le malfaisant est un homme qu’il faut détruire, mais non punir. La bienfaisance est une bonne fortune, et non une vertu. Mais quoique l’homme bien ou malfaisant ne soit pas libre, l’homme n’en est pas moins un être qu’on modifie. C’est par cette raison, qu’il faut détruire le malfaisant sur une place publique. De là les bons effets de l’exemple, des discours, de l’éducation, du plaisir, de la douleur, des grandeurs, de la misère etc. De là une sorte de philo | sophie pleine de commisération qui attache fortement aux bons, qui n’irrite non plus contre le méchant que contre un ouragan qui nous remplit les yeux de poussière. Il n’y a qu’une sorte de causes à proprement parler ; ce sont les causes physiques. Il n’y a qu’une sorte de nécessité, c’est la même pour tous les êtres, quelque distinction qu’il nous plaise d’établir entre eux, ou qui y soit réellement. Voilà ce qui me réconcilie avec le genre humain. C’est pour cette raison que je vous exhortais à la philanthropie. Adoptez ces principes, si vous les trouvez bons, ou montrez-moi qu’ils sont mauvais. Si vous les adoptez, ils vous réconcilieront aussi avec les autres et avec vous-même. Vous ne vous saurez ni bon ni mauvais gré de ce que vous êtes. Ne rien reprocher aux autres ; ne se repentir de rien ; voilà les premiers pas vers la sagesse. Ce qui est hors de là, est préjugé, fausse philosophie. Si l’on s’impatiente, si l’on jure, si l’on mord la pierre, c’est que dans l’homme le mieux constitué, le plus heureusement modifié, il reste toujours beaucoup d’animal. Avant que d’être misanthrope, voyez si vous en avez le droit. Au demeurant, voilà votre apologie, la mienne, et celle de tous les hommes. Il y a bien de la différence entre se séparer du genre humain, et le haïr. Mais pourriez-vous me dire, si parmi les hommes il en est un seul qui vous ait fait la centième partie du mal que vous vous êtes fait à vous-même [?] Est-ce la malice des hommes qui vous rend triste, mélancolique, inquiet, injurieux, vagabond, moribond ? Pardonnez-moi la question. Nous raisonnons, et vous connaissez bien ma façon de penser. Si les | méchants sont plus entreprenants avec vous qu’avec un autre, et cela à proportion de votre faiblesse et de votre impuissance, c’est la loi générale de la nature. Il faut, s’il vous plaît, s’y soumettre ; car il y aurait, peut-être bien du mal à la changer. Et puis ne dirait-on pas que la nature entière ait conspiré contre vous ; que le hasard a rassemblé toutes les sortes d’infortunes, pour les verser sur votre tête [?] Où diable avez-vous pris cet orgueil-là ? Mon cher, vous vous estimez trop, vous vous accordez trop d’importance dans l’univers. Excepté une ou deux personnes qui vous aiment, qui vous plaignent, qui vous excusent, tout est tranquille autour de vous, et dormez. Avec vos cinq cents livres, où vous êtes, et ce que vous êtes ; vous êtes mieux que moi avec mes deux mille cinq cents livres, où je suis et ce que je suis. Vos criailleries impatientent D... Et n’est-il pas vrai que, si tous ceux qui sont plus malheureux que vous, faisaient autant de vacarme, on ne tiendrait pas dans ce monde. Ce serait un sabbat interminable. Qu’est-ce que vous voulez dire avec tout ce galimatias, de pitié qu’on n’a point de vous, de mauvais offices qu’on vous rend, de votre perte qu’on veut, d’abîmes qu’on
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abbiamo adottato, sin dalla nascita, di confondere il volontario con il libero.10 Facciamo così tante cose, e sentiamo da così tanto tempo che le vogliamo tutte. Abbiamo tanto lodato, tanto denigrato e lo siamo stati tante di quelle volte che è un pregiudizio assai antico quello di credere che noi e gli altri vogliamo, agiamo liberamente.11 Ma se non c’è libertà, non vi sono neppure azioni che meritino l’elogio o il biasimo; non vi è né vizio, né virtù, niente cioè che si possa ricompensare o castigare. Cos’è dunque che distingue gli uomini? Il fare bene e il fare male. Il malfattore è un uomo che occorre distruggere, ma non punire. La bontà è un dono della fortuna, e non una virtù. Ma, sebbene l’uomo benefattore o malfattore non sia libero, l’uomo è ciò nondimeno un essere che si modifica. È per questa ragione che si deve distruggere il malfattore su una pubblica piazza. Da lì derivano gli effetti positivi dell’esempio, dei discorsi, dell’educazione, del piacere, del dolore, della magnanimità, della miseria ecc. Su tutto ciò si fonda una specie di filosofia piena di commiserazione che ci lega fortemente ai buoni, che non ci fa adirare contro il malvagio, più di quanto non lo farebbe contro un uragano che ci riempisse gli occhi di polvere. Propriamente parlando, esiste un solo genere di cause: sono le cause fisiche. Vi è soltanto una specie di necessità, ed è la stessa per tutti gli esseri, qualunque distinzione ci piaccia stabilire fra di essi, o ci sia realmente. Ecco cosa mi riconcilia con il genere umano. È per questa ragione che vi esortavo alla filantropia. Adottate questi principi, se li trovate buoni, altrimenti dimostratemi che sono perniciosi. Se li adottate, vi riconcilieranno sia con gli altri che con voi stesso. Non sarete più né soddisfatto, né scontento di ciò che siete. Non rinfacciare nulla agli altri, non pentirsi di nulla: ecco i primi passi che portano verso la saggezza. Ciò che sta oltre è pregiudizio, falsa filosofia. E se ci si spazientisce, se s’impreca, se si mordono i sassi, è perché nell’uomo della migliore costituzione, il più felicemente modificato, rimane sempre molta animalità. Prima di essere misantropo, vedete se ne avete il diritto. In conclusione, ecco la vostra apologia, la mia, e quella di tutti gli uomini. Vi è alquanta differenza fra il separarsi dal genere umano, e l’odiarlo. Ora potreste dirmi se, in mezzo agli uomini, ve ne sia uno soltanto che vi abbia causato un centesimo del male che voi stesso vi siete procurato [?] È forse la malizia degli uomini a rendervi triste, melanconico, irrequieto, offensivo, vagabondo, moribondo? Perdonate la mia domanda. Stiamo ragionando, e conoscete bene il mio modo di pensare. Se i malvagi sono più intraprendenti con voi piuttosto che con un altro, e ciò in proporzione alla vostra debolezza e alla vostra impotenza, è la legge generale della natura. Occorre, se non vi dispiace, sottomettersi; poiché forse si farebbe troppa fatica a volerla cambiare. Inoltre, non si direbbe che la natura tutta intera abbia cospirato contro di voi; che il caso abbia raccolto sfortune di ogni sorta per riversarle sulla vostra testa [?] Dove diavolo avete preso quest’orgoglio? Mio caro, vi stimate troppo, vi concedete troppa importanza nell’universo. Tranne due o tre persone che vi amano, vi compatiscono, vi scusano, tutto è tranquillo attorno a voi, e dormite. Con i vostri cinquecento libri, là dove siete ed essendo ciò che siete, state meglio di me con i miei duemilacinquecento libri, là dove sono ed essendo ciò che sono. Con i vostri piagnistei spazientite D***. E non è forse vero che, se tutti quelli più sfortunati di voi facessero altrettanto chiasso, non ce la faremmo a stare in questo mondo. Sarebbe un sabba interminabile. Cosa volete dire con tutto questo sproloquio, circa la compassione che non abbiamo per voi, i cattivi servigi che vi rendiamo, la vostra rovina che vogliamo, gli abissi che vi
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vous creuse, de précipice qui vous entraîne ? Et f....., une bonne fois pour toutes, laissez là vos accusations, ces jérémiades, et rapprochez-vous des hommes dont vous vous plaignez, pour les voir tels qu’ils sont, et arrêtez ce torrent d’invectives et de fiel qui coule depuis quatre ans. Vous avez dit : je n’ai pas assez, et D... a fait davantage. J’y ajoute peu de chose, mais vous pouvez y compter tant que je vivrai. Vous avez dit encore : Mais tout peut m’échapper, et D... a assuré votre sort. De quoi s’agit-il à présent. On est exact : pourquoi faites-vous des demandes qui sont au moins, déplacées [?] À juger de la position de D... par la | mienne, je puis me priver en 3 mois de vingt-cinq francs ; mais non de cinquante ; chacun a son arrangement. Vous vous indignez du ton de D... Mais ne connaissez-vous pas son caractère et sa dialecte ? Tel mot ne signifie rien dans la bouche d’un homme honnête, mais violent, qui outrage dans la bouche d’un autre qui pèse toutes les syllabes. Vous vous piquez de connaître les hommes et vous en êtes encore à ignorer que chacun a sa langue qu’il faut interpréter par le caractère. Si le hasard vous jetait dans quelque embarras, notre conduite vous permet-elle de penser qu’on vous y laisserait [?] Vous demandez donc à D... ce qu’on ne refuse à personne, et vous marquez toujours à vos amis de la défiance ; et mordieu, allez droit votre chemin, et soyez sûr de ceux que vous n’avez point encore vu broncher. J’avais envie à vous suivre jusqu’au bout ; mais je n’en ai pas le temps, et grâce à votre lettre qui ne finit point, voici un bavardage éternel. Cependant combien d’injures ; de soupçons, de mots aussi ridiculement que malignement jetés, que j’aurais encore à reprendre. Mais je vous ferai bien rougir de toutes ces sottises, si vous revenez jamais de votre délire... Vous voudriez ne me rien devoir... j’ai occasionné en partie votre mauvaise situation... je veux vous perdre... Qu’est-ce que cela signifie ? Et pour Dieu laissez là toutes ces f... phrases, et surtout considérez qu’à la fin on se rassasie d’invectives. En vérité, je ne conçois pas comment vous osez vous plaindre du ton de D... et en prendre avec moi un aussi déplacé. Je ferai ce que vous me demandez dans votre lettre. Adieu, portez-vous bien, et tenez-vous-en sur le compte de vos amis au témoignage de votre conscience. Ce n’est pas elle, c’est votre mauvais jugement qui ne cesse de les accuser. Adieu encore une fois. Du jour de la st. Pierre. Signé : Diderot.
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scaviamo, i precipizi in cui vi trasciniamo? E c....., una volta per tutte, lasciate perdere le vostre accuse, queste geremiadi, e riavvicinatevi agli uomini di cui vi lamentate, per vederli così come sono, e cessate questo fiume d’invettive e di fiele che scorre da quattro anni. Avete detto: non ho abbastanza, e D*** ha fatto di più. Io aggiungo poche cose in più, sulle quali però potrete contare finché vivrò. Avete detto ancora: Però tutto può sfuggirmi, e D*** ha promesso di garantire il vostro futuro. Di che cosa si tratta adesso. Siamo obiettivi: perché fate delle richieste che sono, quanto meno, sconvenienti [?] Se mettessimo a confronto la posizione di D*** con la mia, io in tre mesi potrei privarmi di venticinque franchi, ma non di cinquanta; ognuno si arrangia come può. Vi meravigliate del tono di D***; eppure, non conoscete il suo carattere e la sua dialettica? Parole simili non hanno nessun significato sulla bocca di un uomo onesto, seppure violento, mentre oltraggiano sulla bocca di un altro che soppesa ogni sillaba. Vi piccate di conoscere gli uomini, e ancora mostrate di ignorare che ciascuno ha una propria lingua, che occorre interpretare in base al carattere. Se il caso vi gettasse in qualche difficoltà, la nostra condotta vi permette forse di pensare che vi lasceremmo così [?] Quindi, domandate a D*** quello che non si rifiuta a nessuno, e mostrate sempre diffidenza nei confronti dei vostri amici. Eh, perbacco! andate dritto per la vostra strada, e siate sicuro di quelli che non avete ancora visto protestare. Avevo voglia di seguirvi fino alla fine, ma non ne ho il tempo, e grazie alla vostra lettera, che non finisce mai, eccovi qui una chiacchiera senza fine. Tuttavia quante ingiurie, sospetti e parole tanto ridicolmente quanto malignamente scagliate avrei ancora da riprendere! Però, vi farei arrossire assai con tutte queste sciocchezze, se mai vi riprendeste dal vostro delirio. Vorreste non dovermi nulla... ho causato in parte la vostra brutta situazione... voglio rovinarvi... – Che cosa significa questo? Eh, per Dio! cessate subito con tutte queste f... frasi; e soprattutto considerate che alla fin fine se ne han piene le tasche delle vostre invettive. La verità è che non capisco come osiate lamentarvi del tono di D***, se ne assumete uno così indecoroso con me. Farò ciò che mi chiedete nella vostra lettera. Addio, statemi bene, e sul conto dei vostri amici attenetevi alla testimonianza della vostra coscienza. Non è essa, è il vostro cattivo giudizio che non smette di accusarli. Addio, ancora una volta. Nel giorno di San Pietro. Firmato: Diderot
Diderot.indb 489
30/09/2019 15:13:08
Sur les femmes
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30/09/2019 15:13:08
Sulle donne (1772)
Diderot.indb 491
30/09/2019 15:13:08
Diderot.indb 492
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Nota introduttiva di Eleonora Alfano
Si dovette aspettare Simone de Beauvoir affinché il femminile, considerato nei suoi aspetti storici, culturali, civili, politici, nonché biologici, sessuali e psicoanalitici, diventasse per la prima volta una questione filosofica non più “seconda” o “Altra”, ossia eteronoma rispetto alla nozione del primo sesso, bensì in sé. Ma è l’autrice stessa che nell’Introduzione a Il Secondo Sesso (1949), saggio fondatore del femminismo esistenzialista del Novecento, riconosce il retroterra e gli albori del pensiero femminista: «Solo nel XVIII secolo uomini profondamente democratici prendono a considerare la questione con obiettività. Diderot tra gli altri si adopera a mostrare che la donna è un essere umano come l’uomo».1 Celebre dibattito sollevato sin dai secoli XVI e XVII dalla questione sull’uguaglianza o la preeminenza tra i sessi, la querelle des femmes subì, in effetti, nel corso del Secolo dei Lumi una svolta epistemologica che avrà un’eco considerevole sull’antropologia della donna e, in generale, della sessualità umana.2 La letteratura polemica contro la tendenza fallocentrica del Rinascimento annoverava per lo più pamphlet o opere panegiriche, ovvero raccolte di elogi in onore di donne celebri, illustre e virtuose della storia, al fine di dimostrare la loro supremazia spirituale e morale.3 Ora, contrariamente ai rinascimentali, secondo i protofemministi settecenteschi l’approccio al problema della condizione femminile non consiste nel ribaltamento della tradizionale dialettica di superiorità/inferiorità tra i sessi. Quei Lumi «profondamente democratici», come vengono espressamente definiti da Simone de Beauvoir, non ragionano più in termini di egemonia bensì in termini di differenze culturali e sessuali. Nel solco dell’antropologia inaugurata dal secondo Discorso (1755) di Rousseau, i Philosophes s’interrogano sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra donna e uomo. La donna – si chiedono – nel suo stato attuale di debolezza fisica, di emarginazione sociale, di subordinazione all’uomo e di trascuratezza educativa, è un prodotto della società o l’effetto della natura? E il porre la donna in una netta condizione d’inferiorità rientra tra i diritti naturali dell’umanità? Dal dibattito settecentesco sulla condizione femminile è emersa la prefigurazione del rapporto tra sesso e genere, ossia la distinzione tra i concetti di sesso biologico e di sessualità condizionata dalla cultura. Ed è proprio attorno a queste nuove problemati1 Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso, traduzione di R. Cantini e M. Adreose, Milano, Il Saggiatore, 2017, p. 26. 2 Cfr. fonti: M. Albistur-D. Armogathe, Histoire du féminisme français: du Moyen âge à nos jours, Paris, des Femmes, 1977; J. Geffriaud Rosso, Pour une théorie de la femme: Traités et dissertations de 1600 à 1789, in Études sur la féminité aux XVIIe et XVIIIe siècles, Pisa-Paris, Libreria Goliardica-A.G. Nizet, 1984; P. Hoffmann, La femme dans la pensée des Lumières, Genève, Slatkine, 1995; A.-M. Jaton, La femme des Lumières, la nature et la différence, in J. Bassière (ed.), Figures féminines et romans, Paris, PUF, 1982 pp. 75-87; L. Steinbrüge, «Qui peut définir les femmes?» L’idée de la «nature féminine» au siècle des Lumières, in «Dix-huitième siècle», 1994, 26, n. 1, pp. 333-348. 3 Opera emblematica di questa letteratura è senz’altro il Traité de l’excellence de la femme au dessus des hommes (1529) di Corneille Agrippa.
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che, fondate su una visione della donna se non altro demistificata e liberata dai pregiudizi oscurantisti e superstiziosi del passato, che si sono confrontati nel 1772 Antoine Léonard Thomas, Louise d’Épinay e Diderot.4 Nel Saggio sul carattere, le usanze e lo spirito delle donne nei diversi secoli pubblicato nel 1772, Thomas (1732-1785) pone un quesito di natura ontologica: «cos’è la donna?». Secondo l’accademico, le donne sono «degli esseri che la ragione rese eguali all’uomo, ma al quale però sono state subordinate a causa della loro debolezza».5 Sono state infine le norme sociali, giuridiche e religiose a ridurle, nel corso dell’evoluzione delle civiltà, in una condizione di totale dipendenza dall’uomo. Figura femminile di spicco della mondanità intellettuale parigina, Madame d’Épinay (1726-1783) non mancò di commentare e confutare il contenuto del Saggio di Thomas. Nella sua fitta corrispondenza con l’abate Galiani, la salottiera sostiene che la donna è un essere culturale interamente plasmato dalla sua educazione. In tal maniera, la d’Épinay si posiziona sulla stessa linea di pensiero dell’esistenzialista de Beauvoir, racchiusa nel celebre passo del Secondo Sesso: «Donna non si nasce, lo si diventa». In effetti, Madame d’Épinay intende sradicare l’intramontabile argomento misogino circa l’essenziale debolezza e inferiorità psico-fisica femminile. Si spinge fino ad affermare che persino la conformazione corporea della donna, ossia il sesso biologico femminile, non è altro che il risultato della cultura: «la nostra debolezza di costituzione – scrive all’amico Galiani – e dei nostri organi appartengono certamente alla nostra educazione, ed è una conseguenza della condizione che ci è stata assegnata dalla società».6 Sul fronte dell’Encyclopédie, uno degli autori del prolisso ed eclettico articolo «Donna», Louis de Jaucourt (1704-1779), ha tentato di assodare, prima ancora di Louise d’Épinay, che la diseguaglianza tra la donna e l’uomo non è legittimata dal diritto naturale. Egli non è l’unico enciclopedista seguace delle idee egualitarie disseminate in alcuni articoli chiave dell’Encyclopédie.7 Come nella voce «Matrimonio», sempre di Louis de Jaucourt, alla voce «Celibato» Diderot preconizza lo smantellamento del 4
Per quanto concerne Diderot: Cfr. G. Biasci, Remarques sur le féminin et la différence des sexes chez Diderot, «Revue italienne d’études françaises», online dal 15 novembre 2017 (consultato il 15 luglio 2018). URL: http://journals.openedition.org/rief/1444; DOI: 10.4000/rief.1444; M. Duchet, Du sexe des livres, Sur les femmes de Diderot, in «Revue des Sciences humaines», 1977, n. 168, pp. 525-536; Femme, a cura di S. Audidière, in S. Audidière-J.-C. Bourdin-C. Duflo (éds.), Encyclopédie du Rêve de d’Alembert de Diderot, Paris, CNRS édition, 2006; G. Krysdsing Berg, L’image de la femme chez Diderot, in «Revue Romane», 1985, n. 20; M. Brini Savorelli, Denis Diderot e la “differenza”, in «Rivista di Filosofia», 1995, n. 1, pp. 125-143; G. Stenger, Deux manuscrits inconnus de Diderot: Madame de la Carlière et Sur les femmes, in «Dix-Huitième Siècle» 1991, n. 23, pp. 435-440. 5 M. Thomas, Essai sur le caractère, les mœurs et l’esprit des femmes dans les différents siècles, Paris, chez Moutard 1772 [traduzione nostra]. Cfr. ID, Essai sur le caractère, les mœurs et l’esprit des femmes dans les différents siècles, texte publié avec une introduction et des annotations par C. Michael, Paris-Genève, Champion-Slatkine 1987; ID, Diderot, Madame d’Épinay, Qu’est-ce qu’une femme?, Préf. par É. Badinter, Paris, POL 1988. 6 N. Fausto (a cura di), La Signora d’Epinay e l’abate Galiani: lettere inedite (1769-1772), con una introduzione e note di F. Nicolini, lettera CVII, n. 89, 14 marzo 1772 [traduzione nostra]. Cfr. B. Croce, Una lettera inedita della signora d’Epinay e il “Dialogue sur les femmes” dell’abate Galiani, Paris, H. Champion, 1930; A.L. Thomas, Diderot, Madame d’Épinay, Qu’est-ce qu’une femme? cit., nota 3. 7 A tal riguardo, cfr. T.S. Dock, Woman in the «Encyclopédie»: a compendium, Madrid, J. Porrúa Taranzas, 1983.
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sistema patriarcale e, attraverso l’abolizione della pratica dei matrimoni forzati, rivendica la piena autonomia delle donne.8 Ora, la dottrina dell’uguaglianza non soltanto spirituale bensì materiale tra uomo e donna, propugnata da Madame d’Épinay, può essere fatta risalire a una più ampia visione filosofica dualista. In rottura con la polemica del XVII Secolo, François Poullain de la Barre (1647-1726) è l’autore di tre trattati femministi davvero innovatori. L’originalità del suo pensiero progressista risiede nell’aver dedotto, mediante il metodo cartesiano, un’eguaglianza sostanziale dei sessi. Partendo da un presupposto enunciato nei Principi della filosofia (1644) di Descartes, in cui i sessi sono concepiti come «due differenti modi di una stessa sostanza che è il corpo»,9 de la Barre respinge il valore ontologico della sessualità. Nella misura in cui materia e spirito consistono in due sostanze eterogenee, la dottrina del dualismo permette di contestare l’azione del corpo sessuato sulle facoltà intellettuali. Secondo de la Barre, infatti, «lo spirito non ha sesso». D’altro canto, lo studio chiaro e distinto del corpo consente di ridurre ai soli organi genitali le differenze tra uomo e donna, negando persino che il sesso determini il resto delle funzioni corporee. Pertanto, dal momento che la sessualità non è un attributo fondamentale della sostanza estesa, bensì una sua semplice qualità accidentale, il neo-femminista cartesiano riconosce una mera distinzione modale tra la donna e l’uomo. De la Barre deduce quindi dal dualismo cartesiano la tesi secondo la quale, non avendo alcun fondamento ontologico, la disparità sessuale deve essere stata decretata dalla cultura.10 Nel saggio Sulle donne, apparso nella Correspondance di Grimm in due versioni, nel mese di aprile e di luglio del 1772, Diderot non si limita a contestare il Saggio di Thomas, del quale vuole accusare per lo più, come lui stesso riconosce, la forma e una «scrittura» connotata da fin troppa «imparzialità e saggezza» in materia di donne. In queste pagine, l’enciclopedista delinea le ragioni profondamente originali del suo approccio alla questione che, al lettore, potrebbe apparire intriso di ambiguità. Diversamente dal cartesiano Poullain de la Barre, da Madame d’Épinay e da Thomas (benché lui lo faccia solo in parte), Diderot non livella le prerogative sia fisiche che intellettuali delle donne e degli uomini, con l’intento di riconoscere un’uguaglianza incondizionata tra i sessi. In effetti, se il paradigma razionalista permette di mitigare drasticamente le caratteristiche sessuali degli esseri umani, giacché l’eterogeneità di corpo e mente implica di fatto la desessualizzazione dell’Io e quindi del soggetto; al contrario, la svolta empirico-sensualista del XVIII secolo, confutando definitivamente il dualismo tradizionale tra materia e spirito, tende invece a identificare l’essenza femminile e maschile con le loro rispettive funzioni anatomiche. In una concezione naturalista e monista, difatti, un essere non è niente di più che il risultato del suo sistema fisico. L’epistemologia materialista è incline a dipanare, dunque, l’uguaglianza tra uomo e donna per constatare invece un’irriducibile diversità materiale tra i sessi.11 E Diderot, pensatore indubbiamente «democratico», rimane pur sempre un filosofo materialista, il quale, negli Elementi di fisiologia (1773-1784, postumo), afferma: «sfido chiun8 L. Steinbrüge, «Qui peut définir les femmes?». L’idée de la «nature féminine» au siècle des Lumières, cit. 9 Cartesio, Principi della filosofia, I, 60-62. 10 Fonte del paragrafo è l’illuminante introduzione della curatrice di: Poullain de La Barre, De l’égalité des deux sexes; De l’éducation des dames; De l’excellence des hommes, édition, présentation et notes par M.-F. Pellegrin, Paris, Vrin, 2011. 11 L’ideologia borghese nata nella seconda metà del XVIII Secolo – fautrice del concetto del
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que a spiegarmi nulla senza il corpo»12 – persino l’anima, persino la sfera intellettuale e affettiva di un individuo. Dall’approccio monista alle donne di Diderot è ineluttabile che consegua, quindi, un inflessibile parallelismo tra fisiologia e psicologia femminili. Tanto le sue funzioni biologiche quanto i suoi processi mentali sono cagionati dalla «matrice» e si corrispondono necessariamente. Par tale ragione, si riscontrano diversi passi all’interno del saggio che racchiudono pensieri di questo tipo: «è dall’organo proprio al suo sesso che partono tutte le sue straordinarie idee». «Allora cos’è una donna?» egli ripete. Opponendosi radicalmente a Thomas e a Madame d’Épinay, la donna nella sua condizione attuale non è il prodotto della cultura, perlomeno non lo è «oltre una certa profondità». Nel pensiero diderottiano le sfere di sesso e genere, i codici di natura e cultura rimangono comunque distinti e non si sovrappongono, se mai tendono a intersecarsi o a entrare in conflitto. A tal riguardo, in uno dei suoi probabili scritti giovanili, pubblicato con il titolo Réflexions sur le courage des femmes nel 1745 per il Mercure de France, Diderot dimostra di aver teorizzato sin dalla sua giovinezza uno dei principi direttivi della sua Confutazione di Helvetius (1774), ossia che «l’educazione non crea il carattere bensì lo plasma».13 Infatti, l’educazione oppressiva e trascurata che «noi» abbiamo riservato alle donne, continua Diderot – e in alcuni punti del saggio Sulle donne echeggiano diversi noi accusatori – ha effettivamente per scopo di riplasmare le loro personalità. Dagli albori della civiltà le donne sono state formate per essere, prima, accondiscendenti con «dei genitori da accontentare» e, poi, amabili con «un marito da sedurre». Ora, una tale subordinazione, seppure sistematica, potrebbe mai estinguere «l’energia della natura, l’amorproprio e l’interesse personale» di un individuo? No, tanto più in un sistema di pensiero determinista. È quindi alla luce della filosofia diderottiana di impronta fortemente naturalistica che debbono essere letti passaggi simili: «Più civilizzate di noi in apparenza ed esteriormente, [le donne] sono rimaste interiormente delle vere e proprie selvagge; in misura maggiore o minore, tutte machiavelliche». L’originalità del pensiero di Diderot, e non solo nel contesto storico-filosofico settecentesco, consiste dunque nell’aver dedotto da una concezione monista le sue osservazioni femministe. Secondo l’enciclopedista, la conseguenza di una cultura propugnatrice di disuguaglianza tra i sessi non è sfociata nell’indebolimento psico-fisico della donna, come ritengono invece d’Épinay e Thomas. Al contrario, questo sistema sociale, basato sull’emarginazione delle donne dalla vita politica, intellettuale e lavorativa, ha provocato un incremento oltre misura dei loro istinti naturali nonché delle loro «passioni». E riguardo alle passioni, è il caso di ricordare l’incipit elogiativo dei Pensieri Filosofici (1746), col quale Diderot inau«sesso morale» della donna, ossia di una sessualità femminile prettamente biologica e procreatrice, ridotta al solo istinto naturale materno e relegata al focolare domestico, che pertanto deve restare immune agli artifici della ragione e ai progressi della società – si basa su un’analisi prettamente fisiologica delle capacità intellettuali della donna, nonché su una sua rappresentazione radicalmente sessualizzante. Esponente di questa prospettiva della donna organicista e antifemminista è il medico Pierre Roussel (1742-1802), che pubblicò un Système physique et moral de la femme ou Tableau philosophique de la constitution, de l’état organique, du tempérament, des mœurs et des fonctions propres au sexe (Paris, 1775). 12 Infra, Elementi di fisiologia, Prima Parte, cap. III: «Uomo», § «Anima», p. 1123. 13 Diderot, Réflexions sur le courage des femmes, in Mercure de France, Tome XLVIII, JanvierJuin 1745, pp. 55-76. Sull’identificazione del testo diderottiano Cfr. Réflexions sur le courage des femmes: texte inconnu de Diderot, 1745, identifié et présenté par J. Th De Boy, Oxford, The Voltaire Foundation 1976 [Fermo restando il margine di dubbio sull’attribuzione del testo a Diderot].
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gura di fatto la sua filosofia: «Solo le passioni, e le grandi passioni, possono elevare l’anima alle grandi cose. Senza di esse, non ci sarebbe più il sublime, sia nei costumi, sia nelle opere».14 Tanto più che una tale elevazione passionale, senza la quale non si attinge a nulla di grande né di bello, è descritta nel saggio come un fenomeno fisiologico (anzi psicopatologico) che, secondo il filosofo, tocca in maniera del tutto particolare l’intelletto delle donne. Esiste una superiorità o, quanto meno, una prerogativa femminile, sembra in effetti concludere Diderot: «Quando sono dotate di genio, credo ne abbiano l’impronta più originale di noi». Paradossalmente, l’impenetrabilità dell’intelletto delle donne15 – attribuita, nel Sogno di D’Alembert (1769), a una certa conformazione del rapporto tra l’«origine del fascio» (il cervello) e «i fili della rete» (i nervi) e, negli Elementi di fisiologia, anche a una particolare costituzione degli umori (il seme debole delle donne, il sangue mestruo, il latte, ecc.) – è altresì considerata la fonte di una forma impulsiva e quasi dispotica d’intelligenza intuiva,16 per non dire selvaggia o profetica. E proprio nella misura in cui sono dotate di «molto più istinto» e sono meno «sistematiche» rispetto agli uomini, le diverse donne che qui vengono dipinte da Diderot sembrano volerci proiettare verso il suo tentativo di definire l’origine e l’essenza del genio. Nella voce curata da Diderot Sur le génie, l’autore (Saint Lambert, Diderot?) tenta di coglierne la qualità «particolare, segreta e indefinibile», in un certo senso, per viam negationis. In effetti, il genio non è né l’immaginazione, né il giudizio, né lo spirito, né la sensibilità, né il gusto, ecc. Non è certamente un dono soprannaturale bensì il prodotto dell’organizzazione coniugata a uno «spirito di osservazione». Tuttavia, «nessuno ne ha una nozione precisa».17 Come il genio, la psicologia femminile si profila all’insegna dell’ambiguità e del paradosso sotto la penna intinta «nell’arcobaleno» di Diderot. Sebbene una parte dell’«anima» delle donne, quella superficiale, sia oppressa dalla «crudeltà delle leggi civili» create ad hoc dall’uomo; l’altra, quella profonda, ha un’energia creatrice e un entusiasmo molto più naturali e liberi rispetto a lui. Ed è mediante una variazione continua sul tema della «coincidenza dei contrari» nella donna, sia dominata sia dominatrice, che prova «un non so che di infernale o di celeste», «estremo nella sua forza e nella sua debolezza», che Diderot dipinge con colore e sensibilità «l’infinita diversità di forme» delle donne.18 Di fronte a questo gioco di specchi, messo abilmente in scena dal filosofo, si rischia tuttavia di incorrere in un fraintendimento. Difatti, l’esito di una tale scissione psichica, cagionata da una forte repressione morale, da un verso, e da un conseguente rinvigorimento dei meccanismi più irrazionali e istintuali, dall’altro, è la donna passionale «dominata dall’isterismo». Il fenomeno dell’isteria è stato a più riprese oggetto di osservazione da parte di Diderot: soprattutto nel Sogno e nel romanzo La Religiosa 14
Diderot, Pensieri Filosofici cit. § I, supra, p. 11. Cfr. Sulle donne: «[...] in mancanza di riflessione e di principi, nell’intelletto delle donne non penetra nulla oltre una certa profondità di convinzione; che le idee di giustizia, di virtù, di vizio, di bontà, di malvagità galleggiano alla superficie della loro anima» (infra, pp. 503-505). 16 Cfr. Ibid: «Mentre noi uomini leggiamo nei libri, le donne leggono nel grande libro del mondo. Perciò la loro ignoranza le dispone ad accogliere prontamente la verità quando gliela si mostra. Nessuna autorità le ha soggiogate; mentre la verità trova all’entrata dei nostri crani un Platone, un Aristotele, un Epicuro, uno Zenone posti in sentinella e armati di picche per respingerla». 17 Denis Diderot, Œuvres esthétiques, textes établis, avec introductions, bibliographies, chronologie, notes et relevés de variantes par P. Vernière, Paris, Garnier, 1994, p. 19 [trad. nostra]. 18 È interessante ricordare un frammento dei Pensieri sull’interpretazione della natura, in cui Diderot spiega la dialettica tra omogeneità ed eterogeneità della «Natura», che «sembra si sia 15
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(1780). Nel Sogno, oltre a essere descritto come un fenomeno di «anarchia» psico-fisiologica che colpisce particolarmente le donne, l’isterismo è considerato come uno dei principali sintomi dello stato di attuale contraddizione tra i codici della società e della natura. Per questa ragione, Diderot tenta di mostrare nel saggio che, simile a un «termometro», e nella misura in cui subisce più degli uomini l’influsso della morale e delle leggi, la donna è altresì l’unica a misurare su se stessa e, in contropartita, a poter smascherare le «vicissitudini dei costumi e delle usanze». E per concludere, va sottolineato che Diderot non accosta l’isterismo alla rivelazione, all’estasi e alla profezia a caso. In virtù del risvolto estatico e rivelatore dell’isteria, giacché manifesta esteriormente la condizione di un’inibizione psico-fisica, queste «eleutheromani» o «furiose» della libertà incarnano di fatto l’elemento indiscreto e demistificatore per eccellenza della società. Ed è sin dal suo primo romanzo I Gioielli Indiscreti (1748), che Diderot ha reso manifesto, seppure a suon di satira, quanto sia fondamentale nella sfera della filosofia morale dar voce (in questo caso nel vero senso del termine) all’indiscrezione di questo «Mistero» che è il femminile.
Nota ai testi La traduzione della prima versione di Sulle donne è stata condotta sull’edizione curata da Lewinter del 1971,19 la quale si basa sulla copia manoscritta della Correspondance Littéraire, datata 1 aprile 1772, conservata presso la Bibliothèque historique de la Ville de Paris (ms. 3856, fol. 62-63). Si tratta della versione originale della recensione dell’Essai sur le caractère, les mœurs et l’esprit des femmes dans les différents siècles di Thomas (Paris, Moutard 1772), pubblicata appunto il 1° aprile del ’72 nella Correspondance di Grimm. La traduzione della seconda versione è sempre condotta sull’edizione di Lewinter,20 la quale ha ristabilito il testo con la messa a confronto di diverse fonti: Œuvres de Denis Diderot, publiées, sur les manuscrits de l’auteur, par Jacques-André Naigeon, Paris, 1798; e due copie manoscritte conservate presso la Bibliothèque Nationale, i Mss N. a. fr. 13769, fol. 1-13, e N. a. fr. 13768, fol. 180-192. Questa versione non è pertanto quella apparsa nella Correspondance Littéraire di Grimm il 1 luglio 1772, bensì un quarto adattamento rivisto e ampliato da Diderot. Le parti del testo segnalate dalle parentesi quadre sono dei frammenti estratti dalla Storia delle due Indie (1770), alla cui 2a edizione collaborò lo stesso Diderot. Altra bibliografia delle fonti di Sur les femmes: Catherine Cusset, Qui peut définir les femmes?, suivi de L’article «Femme» de l’Encyclopédie (1756), suivi de Sur les femmes (1772), Diderot, Paris, Indigo & Côté-femmes, 1999. Denis Diderot, Sur les femmes, in Œuvres, édition d’A. Billy, Paris, Gallimard, 1946, pp. 949-958 (Bibliothèque de la Pléiade, 25). A.L. Thomas, Diderot, Madame d’Épinay, Qu’est-ce qu’une femme?, préf. par Élisabeth Badinter, Paris, POL 1988; Gerhardt Stenger, Deux manuscrits inconnus de Diderot: Madame de la Carlière et Sur les femmes, in «Dix-huitième Siècle», 23 (1991), Physiologie et médecine, pp. 435-440. compiaciuta a variare lo stesso meccanismo in un’infinità di modi differenti», mediante un’allegoria femminile: «È una donna che ama mascherarsi, e i cui diversi travestimenti lasciano sfuggire talvolta una parte, talvolta un’altra, dando qualche speranza, a quelli che la seguono con assiduità, di conoscere un giorno tutta la sua persona» (Pensieri sull’interpretazione della natura, cit. supra § 12, p. 415). 19 Denis Diderot, Sur les femmes, in Œuvres complètes, édition chronologique e introductions de R. Lewinter, Le Club Français du livre 1971, tome X, pp. 31-36. 20 Denis Diderot, Sur les femmes, cit., pp. 37-53.
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Ritratto di Diderot realizzato da Norie Kajihara (1996).
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Sur les femmes
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Essai sur le caractère, les mœurs et l’esprit des femmes dans les différents siècles par Thomas [LW, X, 31-53]
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J’aime Thomas. Je respecte la fierté de son caractère et la noblesse de son âme. C’est un homme d’esprit, c’est un homme de bien : ce n’est donc pas un homme ordinaire ; mais c’est un auteur apprêté. À en juger d’après sa longue, ingénieuse et monotone dissertation sur les femmes, il n’a connu ni les peines ni les plaisirs de l’amour. Il pense, mais il ne sent pas. Sa tête se tourmente, mais son cœur reste froid et tranquille. Estce ainsi qu’on s’occupe du seul être de la nature qui nous rende sentiment pour sentiment et qui soit heureux du bonheur qu’il nous fait ? On suit | l’auteur jusqu’à la fin de ses subtiles et tristes observations, mais on se promet bien de n’y pas revenir. Si l’on demande à la dernière page quel était le but de l’ouvrage, ce qu’on en a retenu, ce qu’il en faut conclure, on ne sait que se répondre. C’est que son livre n’est d’aucun sexe, il n’est ni mâle ni femelle ; c’est un castrat qui n’a ni le nerf de l’homme ni la mollesse de la femme. Cependant peu de nos écrivains auraient été capables de mieux faire. Il y a de l’érudition, de la raison et du style, mais nulle variété de ton, rien de cette souplesse propre à se prêter à l’infinie diversité des formes d’un être extrême dans sa force et dans sa faiblesse, qu’une araignée fait tomber en syncope et qui sait quelquefois braver les plus grandes terreurs de la vie. C’est surtout dans la passion de l’amour, dans les transports de la jalousie, dans les accès de la tendresse maternelle, dans la superstition, dans la manière dont elles éprouvent les émotions épidémiques et populaires, que les femmes étonnent. J’ai vu l’amour, la jalousie, la superstition, la colère portés dans les femmes à un excès que l’homme n’éprouve point. Si la joie, la tendresse et la douleur les embellissent, le contraste des mouvements violents avec leur douceur naturelle, les rend plus hideuses ; elles en sont défigurées. Jamais un homme ne s’est assis à Delphes sur le trépied ; le rôle de pythie ne convient qu’à une femme. Il n’y a qu’une femme dont la tête puisse s’exalter au point de pressentir sérieusement l’approche d’un dieu, d’écumer, d’éprouver sa présence et d’en trouver le discours. La femme porte au-dedans d’elle-même un organe susceptible de spasmes terribles, disposant d’elle et suscitant dans son imagination des fantômes de toute espèce. C’est alors qu’elle revient sur le passé, qu’elle s’élance dans l’avenir, que tous les temps lui sont présents. Rien de plus contigu l’hystérisme, l’extase, la révélation, la poésie odaïque et la prophétie. Lorsque la Prussienne Karsch lève son œil vers le ciel enflammé d’éclairs, elle voit Dieu dans les nuages ; elle le voit qui secoue d’un pan de sa robe noire des tonnerres qui vont chercher la tête de l’impie. La | femme dominée par l’hystérisme semble éprouver je ne sais quoi d’infernal ou de céleste. Quelquefois elle m’a fait frémir. C’est sous l’action de cette bête féroce qui fait partie d’elle-même, qu’il faut la voir et l’entendre. Comme elle sent ! Comme elle s’exprime ! Elle ne dit rien qui soit d’une mortelle. Mais cette imagination fougueuse, cet
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Sulle donne Saggio sul carattere, le usanze e lo spirito delle donne nei diversi secoli, di Thomas
Mi piace Thomas. Rispetto la fierezza del suo carattere e la nobiltà della sua anima. È un uomo di spirito, un uomo dabbene: non è pertanto un uomo ordinario; ma è un autore affettato. A giudicare dalla sua lunga, ingegnosa e monotona dissertazione sulle donne, non ha conosciuto né le pene dell’amore e neppure i suoi piaceri. Pensa, però non sente. La sua testa si tormenta, eppure il suo cuore rimane freddo e tranquillo. È dunque così che ci si occupa del solo essere della natura che ci ricambia il sentimento col sentimento, ed è felice per la letizia che ci procura? Sebbene si segua l’autore fino alla fine delle sue sottili e tristi osservazioni, ci si ripromette di non ritornarvi più. Se all’ultima pagina ci si domanda quale fosse lo scopo dell’opera, cosa si sia imparato, o che cosa se ne debba concludere, non si sa cosa rispondere. Il fatto è che il suo libro non è di alcun sesso, non è né maschio né femmina; è un castrato che non ha né il nerbo dell’uomo né la mollezza della donna. Tuttavia, pochi nostri scrittori sarebbero stati capaci di fare di meglio. Vi è dell’erudizione, del buon senso e stile, seppure il tono sia senza varietà alcuna, e privo di quella scioltezza che si presta all’infinita diversità di forme di un essere estremo nella sua forza e nella sua debolezza, che sviene alla vista di un ragno e che talvolta sa sfidare i più grandi terrori della vita. È soprattutto nella passione dell’amore, nei trasporti della gelosia, negli impeti della tenerezza materna, nella superstizione, nel modo col quale le donne provano le emozioni epidemiche e popolari, che esse stupiscono. Ho visto l’amore, la gelosia, la superstizione, la collera portati nelle donne a un eccesso che l’uomo non prova affatto. Se la gioia, la tenerezza e il dolore le imbelliscono, il contrasto degli scatti violenti con la loro dolcezza naturale le rende ancora più orride; e ne sono sfigurate. Nessun uomo si è mai seduto sul Tripode di Delfi; il ruolo di Pizia non può che convenire a una donna. Soltanto la testa di una donna può esaltarsi al punto da presentire seriamente la comparsa di un dio, da fremere, da percepirne la presenza e da credersene il portavoce. La donna porta dentro di sé un organo suscettibile di spasmi terribili, che dispone di lei e suscita nella sua immaginazione fantasmi di ogni specie. Allora ritorna sul passato, si slancia verso l’avvenire e tutti i tempi le sono presenti. Non vi è nulla di più affine all’isterismo, dell’estasi, della rivelazione, delle odi poetiche e della profezia. Quando la Prussiana Karsch1 alza gli occhi verso il cielo infiammato di lampi, vede Dio tra le nuvole; lo vede che scuote da un lembo del suo abito nero dei fulmini che vanno a colpire la testa dell’empio. La donna dominata dall’isterismo sembra provare un non so che di infernale o di celeste. Mi ha fatto tremare qualche volta. È sotto l’azione di quella bestia feroce, che fa parte di lei, che bisogna vederla e ascoltarla. Come sente! Come si esprime! Non dice nulla che appartenga a una mortale. Eppure a questa focosa immaginazione, a questo spirito che si crederebbe incoercibile basta una sola parola per abbatterlo e soggio-
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esprit qu’on croirait incoercible, un mot suffit pour l’abattre et le subjuguer. Un médecin dit aux femmes de Bordeaux tourmentées de vapeurs effrayantes, qu’elles sont menacées du mal caduc, et à l’instant les voilà guéries. Le dégoût de vivre saisit les femmes de Milet, les magistrats déclarent que la première femme qui se tuera sera exposée nue sur la place publique ; plus de suicide, et les voilà réconciliées avec la vie. O femmes, vous êtes des enfants bien extraordinaire ! Quel attendrissement ne nous aurait pas inspiré celui qui aurait eu de la couleur et de la sensibilité, et qui nous eût montré les femmes assujetties comme nous aux infirmités de l’enfance, plus contraintes et plus négligées dans leur éducation, abandonnées aux mêmes caprices du sort avec une âme plus mobile, des organes plus délicats et de cette fermeté naturelle ou acquise qui nous y prépare ! Réduites au silence dans l’âge adulte. Sujettes à un malaise qui les dispose à devenir mères. Alors tristes, inquiètes, mélancoliques à côté de parents alarmés non seulement sur la santé et la vie de leur enfant, mais encore sur son caractère : car c’est dans ce période critique qu’une fille devient ce qu’elle sera toute sa vie, pénétrante ou stupide, triste ou gaie, bonne ou méchante, l’espérance de sa mère trompée ou réalisée. Pendant une longue suite d’années, chaque lune ramènera le même malaise. Le moment délivrera du despotisme de ses parents est venu. Son cœur nage dans la joie. Réjouis-toi bien, malheureuse créature ! Le temps aurait affaibli la tyrannie que tu quittes, et le temps accroîtra au contraire la tyrannie sous laquelle tu vas passer, celle d’un époux. Elle devient mère. L’état de la grossesse est pénible presque pour toutes les femmes. C’est dans les douleurs, c’est au péril de leur vie, c’est au | détriment de leurs charmes qu’elles donnent la naissance à leurs enfants. Le père se soulage du soin des garçons sur un mercenaire ; la mère demeure chargée de la garde de ses filles. L’âge avance. La beauté passe. Arrivent les années de l’humeur, de l’ennui et de l’abandon. C’est par le malaise qu’elles sont devenues propres à être mères ; c’est par une maladie longue et dangereuse qu’elles perdent le pouvoir de l’être. Qu’est-ce alors qu’une femme ? Négligée de son époux, délaissée de ses enfants, nulle dans la société, la dévotion est sa dernière ressource. La cruauté des lois civiles s’est réunie contre elles dans presque toutes les contrées à la cruauté de la nature. Elles ont été traitées comme des enfants imbéciles. Nulle sorte de vexations et chez le sauvage et chez les peuples policés que l’homme ne puisse exercer contre la femme. Son unique représaille suivie du trouble domestique et accompagnée d’un mépris plus ou moins marqué, selon que la nation a plus ou moins de mœurs. Femmes, que je vous plains ! Il n’y avait qu’un dédommagement à vos maux, et si j’avais été législateur, vous l’eussiez obtenu. Je vous aurais affranchies, je vous aurais mises au-dessus de la loi ; vous auriez été sacrées, en quelque endroit que vous vous fussiez présentées. Monsieur Thomas, quand on veut écrire des femmes, il faut tremper sa plume dans l’arc-en-ciel et secouer sur sa ligne la poussière des ailes du papillon. Il faut être plein de légèreté, de délicatesse et de grâces ; et ces qualités vous manquent. Comme le petit chien du pèlerin, il faut secouer des perles de sa patte, et il n’en tombe aucune de la vôtre. Vous parlez sans cesse des femmes, mais vous ne m’en montrez jamais. Vous êtes un peu lourd et de temps en temps entortillé. Vous fatiguez. Les femmes subissent l’influence des mœurs, des usages, du gouvernement, il est vrai ; mais pourquoi ne pas dire qu’elles en marquent les moindres vicissitudes comme des thermomètres susceptibles du degré le plus faible de chaleur et de froid ? Vous avez fixé avec assez de justesse et d’impartialité les prérogatives de l’un et de l’autre sexe ; mais il fallait remarquer que faute de réflexions et de principes rien ne pénètre | jusqu’à une certaine profondeur de
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garlo. Un medico avverte le donne di Bordeaux tormentate da spaventosi vapori 2 che corrono il rischio del mal caduco,3 ed eccole guarite all’istante. Il disgusto della vita coglie le donne di Mileto, i magistrati dichiarano che la prima donna che si ucciderà verrà esposta nuda sulla piazza pubblica; più nessun suicidio, ed eccole riconciliate con la vita. Oh donne, siete delle bambine assai straordinarie! Quale commozione ci avrebbe ispirato colui che avesse avuto abbastanza colore e sensibilità, e ci avesse mostrato le donne assoggettate come noi alle infermità dell’infanzia, più oppresse e più trascurate nella loro educazione, in balìa degli stessi capricci della sorte con un animo più mobile, degli organi più delicati e sprovviste di quella nostra fermezza naturale o acquisita che ci prepara ad affrontarla! In età adulta sono ridotte al silenzio. Soggette a un malessere che le predispone a diventare madri. Allora tristi, irrequiete, malinconiche al fianco di genitori allarmati non solo per la salute e la vita della loro figliola, bensì per il suo carattere. Giacché durante quel periodo critico, una ragazza diventa la donna che sarà per il resto della sua vita: perspicace o stupida, triste o allegra, buona o cattiva, la speranza della madre infranta oppure realizzata. Per una lunga serie di anni, ogni luna le riporterà lo stesso malessere. Giunto il momento che la libererà dal dispotismo dei suoi genitori, il suo cuore naviga nella gioia. Rallegrati pure, sventurata creatura! Il tempo avrebbe indebolito la tirannia che lasci, e il tempo accrescerà, al contrario, la tirannia sotto la quale stai per passare: quella di un marito. Diventa madre. Lo stato di gravidanza è penoso per quasi tutte le donne. Nel dolore, mettendo a repentaglio la propria vita e a discapito della loro bellezza, le donne mettono al mondo i figli. Mentre il padre si sgrava della cura dei maschi su un mercenario, la madre invece rimane incaricata della custodia delle sue figlie. L’età avanza. Svanisce la bellezza. Giungono gli anni degli umori, della noia e dell’abbandono. È col malessere che sono diventate pronte a essere madri; ed è con una lunga e pericolosa malattia che perdono il potere di esserlo. Che cos’è allora una donna? Trascurata dal marito, abbandonata dai figli, inesistente in società, la sua ultima risorsa è la devozione. In quasi tutti gli angoli della Terra, la crudeltà delle leggi civili si è unita, contro di loro, alla crudeltà della natura. Sono state trattate come delle bambine imbecilli. Ogni sorta di vessazione può essere esercitata, sia tra i popoli selvaggi sia tra quelli civilizzati, dall’uomo contro la donna. La sua unica rappresaglia è seguita dai tormenti domestici ed è accompagnata da un disprezzo più o meno marcato, a seconda che la nazione sia più o meno accostumata. Donne, quanto vi compatisco! Era possibile un solo risarcimento ai vostri mali, e se fossi stato un legislatore, l’avreste ottenuto. Vi avrei affrancate, vi avrei poste al di sopra della legge; sareste state consacrate in qualsiasi luogo vi foste presentate. Signor Thomas, quando si vuole scrivere delle donne, bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e cospargere la pagina di polvere di ali di farfalla. Occorre essere colmi di leggerezza, di delicatezza e di grazie; e vi mancano queste qualità. Come il piccolo cane del pellegrino, si deve poter scuotere perle dalla sua zampa, e non ne cade nessuna dalla vostra. Parlate incessantemente delle donne, eppure non me ne mostrate mai. Risultate un po’ pesante, ogni tanto contorto, e finite per affaticare. Le donne subiscono l’influsso dei costumi, delle usanze, del governo, è vero. Però, perché non affermare che ne indicano le minime vicissitudini, come dei termometri suscettibili dei gradi caldi o freddi anche più deboli? Avete stabilito, con abbastanza precisione e imparzialità, le prerogative sia dell’uno che dell’altro sesso. Tuttavia, bisognava notare che, in mancanza di riflessione e di principi, nell’intelletto delle donne non
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conviction dans l’entendement des femmes ; que les idées de justice, de vertu, de vice, de bonté, de méchanceté nagent à la superficie de leur âme, au fond de laquelle elles ont conservé l’amour-propre et l’intérêt personnel avec toute l’énergie de la nature ; et que plus civilisées que nous en apparence et au-dehors, elles sont restées de vraies sauvages en dedans ; toutes machiavélistes du plus ou moins. La seule qu’on leur ait apprise, c’est à bien porter la feuille de figuier qu’elles ont reçue de leur première aïeule. Tout ce qu’on leur a dit et répété dix-huit à dix-neuf ans de suite, se réduit à ceci : « Ma fille, prenez garde à votre feuille de figuier ; votre feuille de figuier va bien, votre feuille de figuier va mal. » Cependant il faut convenir que leur ignorance les dispose à recevoir promptement la vérité quand on la leur montre. Elle perce plus difficilement en nous où elle trouve à l’entrée de nos crânes Platon, Aristote, Épicure, Zénon, en sentinelle et armés de piques pour la repousser. M. Thomas ne dit pas un mot des avantages du commerce des femmes pour un homme de lettres, et il ne paraît pas que ce soit par ingratitude. L’âme des femmes n’étant pas plus honnête que la nôtre, mais la décence ne leur permettant pas de s’expliquer avec notre franchise, elles se sont fait un ramage délicat, à l’aide duquel on dit honnêtement tout ce qu’on veut quand on en a fait une étude auprès d’elles. On s’aperçoit aisément que Rousseau a passé bien des moments de sa vie aux genoux des femmes et Marmontel entre leurs bras, et que d’Alembert et Thomas ne les ont connues ni de près ni de loin. Elles nous accoutument encore à jeter de l’agrément et de la clarté dans les matières les plus délicates et les plus épineuses. On leur adresse sans cesse la parole, on veut en | être écouté et entendu, on craint de les fatiguer et ennuyer ; et l’on prend une habitude particulière de s’exprimer qui passe de la conversation dans le style, Quand elles ont du génie, je crois qu’elles en ont l’empreinte plus originale que nous.
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penetra nulla oltre una certa profondità di convinzione; che le idee di giustizia, virtù, vizio, bontà, malvagità galleggiano alla superficie della loro anima, in fondo alla quale hanno conservato, con tutta l’energia della natura, l’amor proprio e l’interesse personale; e che più civilizzate di noi in apparenza ed esteriormente, sono rimaste interiormente delle vere e proprie selvagge; in misura maggiore o minore, tutte machiavelliche. L’unica cosa che noi abbiamo insegnato loro, è di portare come si conviene la foglia di fico ricevuta dalla prima antenata. Tutto quello che noi abbiamo detto e ripetuto loro per diciotto o diciannove anni di seguito, si riduce a questo: «Figlia mia, state attenta alla vostra foglia di fico; la vostra foglia di fico va bene, la vostra foglia di fico non va bene». Malgrado ciò, bisogna ammettere che la loro ignoranza le predispone a ricevere prontamente la verità, quando gliela si mostra. Mentre la verità penetra con più difficoltà in noi, dove all’entrata dei nostri crani incontra Platone, Aristotele, Epicuro, Zenone, posti in sentinella e armati di picche per respingerla. Il Signor Thomas non spende una sola parola riguardo ai vantaggi degli scambi con le donne per un uomo di lettere, e non sembra che ciò sia per ingratitudine. Non avendo un’anima più onesta della nostra, e non potendo spiegarsi, per decoro, con la nostra stessa franchezza, le donne hanno escogitato un cinguettio discreto, mediante il quale, una volta che lo si è studiato accanto a loro, si riesce a dire onestamente tutto quello che si vuole. Ci si accorge facilmente che Rousseau ha trascorso molti momenti della sua vita prostrato alle ginocchia delle donne e Marmontel fra le loro braccia, mentre D’Alembert e Thomas non le hanno conosciute né da vicino e neppure da lontano. Le donne ci stanno inoltre rendendo usi a diffondere chiarezza ed eleganza sulle materie più delicate e spinose. Rivolgiamo loro la parola di continuo, vogliamo esserne ascoltati e compresi, temiamo di stancarle e di annoiarle; e si contrae un’abitudine particolare nel modo di esprimersi, che dalla conversazione passa allo stile. Quando sono dotate di genio, credo che le donne ne abbiano l’impronta più originale di noi.
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J’aime Thomas. Je respecte la fierté de son âme et la noblesse de son caractère. C’est un homme de beaucoup d’esprit, c’est un homme de bien : ce n’est donc pas un homme ordinaire. À en juger par sa dissertation sur les femmes, il n’a pas assez éprouvé une passion que je prise davantage pour les peines dont elle nous console que pour les plaisirs qu’elle nous donne. Il a beaucoup pensé, mais il n’a pas assez senti ; sa tête s’est tourmentée, mais son cœur est demeuré tranquille. J’aurais écrit avec moins d’impartialité et de sagesse, mais je me serais occupé avec | plus d’intérêt et de chaleur du seul être de la nature qui nous rende sentiment pour sentiment et qui soit heureux du bonheur qu’il nous fait. Cinq ou six pages de verve répandues dans son ouvrage auraient rompu la continuité de ses observations délicates, et en auraient fait un ouvrage charmant. Mais il a voulu que son livre ne fût d’aucun sexe, et il n’y a malheureusement que trop bien réussi ; c’est un hermaphrodite qui n’a ni le nerf de l’homme ni la mollesse de la femme. Cependant peu de nos écrivains du jour auraient été capables d’un travail où l’on remarque de l’érudition, de la raison, de la finesse, du style, de l’harmonie, mais pas assez de variété, de cette souplesse propre à se prêter à l’infinie diversité d’un être extrême dans sa force et dans sa faiblesse, que la vue d’une souris ou d’une araignée fait tomber en syncope, et qui sait quelquefois braver les plus grandes terreurs de la vie. C’est surtout dans la passion de l’amour, les accès de la jalousie, les transports de la tendresse maternelle, les instants de la superstition, la manière dont elles partagent les émotions épidémiques et populaires que les femmes étonnent ; belles comme les séraphins de Klopstock, terribles comme les diables de Milton. J’ai vu l’amour, la jalousie, la colère, la superstition portés dans les femmes à un point que l’homme n’éprouva jamais. Le contraste des mouvements violents avec la douceur de leurs traits les rend hideuses ; elles en sont plus défigurées. Les distractions d’une vie occupée et contentieuse rompent nos passions. La femme couve les siennes ; c’est un point fixe sur lequel son oisiveté ou la frivolité de ses fonctions tient son regard sans cesse attaché. Ce point s’étend sans mesure, et pour devenir folle, il ne manquerait à la femme passionnée que l’entière solitude qu’elle recherche. La soumission à un maître qui lui déplaît, est pour elle un supplice. J’ai vu une femme honnête frissonner d’horreur à l’approche de son époux ; je l’ai vue se plonger dans le bain, et ne se croire jamais assez lavée de la souillure du devoir. Cette sorte de répugnance nous est presque inconnue : notre organe est plus indulgent. Plusieurs femmes mourront sans avoir | éprouvé l’extrême de la volupté. Cette sensation que je regarderais volontiers comme une épilepsie passagère est rare pour elles, et ne manque jamais d’arriver quand nous l’appelons. Le souverain bonheur les fuit entre les bras de l’homme qu’elles adorent ; nous le trouvons à côté d’une femme complaisante qui nous déplaît. Moins maîtresses de leurs sens que nous, la récompense en est moins prompte et moins sûre pour elles ; cent fois leur attente est trompée. Organisées tout au contraire de nous, le mobile qui sollicite en elles la volupté est si délicat et la source en est si éloignée, qu’il n’est pas extraordinaire qu’elle ne vienne point ou qu’elle s’égare. Si vous entendez une femme médire de l’amour et un homme de lettres déprécier la considération publique, dites de l’une que ses charmes passent et de l’autre que son talent se
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Mi piace Thomas. Rispetto la fierezza della sua anima e la nobiltà del suo carattere. È un uomo dotato di grande ingegno, è un uomo dabbene: perciò non è un uomo ordinario. A giudicare dalla sua dissertazione sulle donne, non ha provato abbastanza una passione che apprezzo di più per le pene di cui ci consola che non per i piaceri che ci procura. Ha pensato parecchio, eppure non ha sentito abbastanza; la sua mente si è tormentata, ma il suo cuore è rimasto tranquillo. Io avrei scritto con meno imparzialità e saggezza di lui, però mi sarei occupato con più interesse e calore del solo essere della natura che ci ricambia il sentimento col sentimento ed è contento per la felicità che ci procura. Cinque o sei pagine di verve disseminate nel suo Saggio avrebbero interrotto la continuità delle sue delicate osservazioni, e ne avrebbero fatto un’opera incantevole. Invece, ha voluto che il suo libro non fosse di alcun sesso, e ci è riuscito, purtroppo, fin troppo bene; è un ermafrodita che non ha né il nerbo dell’uomo né la mollezza della donna. Comunque, sono pochi i nostri scrittori di oggi che sarebbero stati capaci di svolgere un lavoro nel quale si nota dell’erudizione, del buon senso, finezza, stile e armonia; tuttavia manca di varietà, di quella scioltezza che si presta all’infinita diversità di un essere estremo nella sua forza e nella sua debolezza, che sviene alla vista di un topo o di un ragno, e che sa qualche volta sfidare i più grandi terrori della vita. È soprattutto nella passione dell’amore, negli accessi di gelosia, nei trasporti della tenerezza materna, nei momenti di superstizione, nel modo col quale condividono le emozioni epidemiche e popolari, che le donne – belle come i serafini di Klopstock, terribili come i diavoli di Milton – ci stupiscono. Ho visto l’amore, la gelosia, la collera, la superstizione portati, nelle donne, a un punto tale che l’uomo non provò mai. Il contrasto degli scatti violenti con la dolcezza dei loro tratti le rende orride, e ne sono del tutto sfigurate. Le distrazioni di una vita piena d’impegni e di contese spezzano le passioni di noi uomini. La donna cova le sue; è un punto fisso sul quale la sua oziosità o la frivolezza delle sue mansioni tiene incessantemente attaccato lo sguardo. Questo punto si estende oltre misura e, per impazzire, alla donna passionale mancherebbe soltanto quella completa solitudine che lei stessa va cercando. La sottomissione a un padrone che non le piace, è un supplizio per lei. Ho visto una donna onesta fremere d’orrore all’avvicinarsi del marito; l’ho vista immergersi nel bagno, e non ritenersi mai abbastanza pulita dal sudiciume del dovere. Questa specie di ripugnanza ci è quasi sconosciuta: il nostro organo è più indulgente. Diverse donne moriranno senza aver mai provato l’estremo della voluttà. Questa sensazione, che considererei volentieri come un’epilessia passeggera, è rara per loro, e noi non manchiamo mai di raggiungerla quando la invochiamo. La felicità suprema le sfugge tra le braccia dell’uomo che adorano; noi la troviamo a fianco di una donna compiacente che non ci piace. Meno padrone dei loro sensi rispetto a noi, la ricompensa è per loro meno pronta e meno sicura; cento volte la loro attesa viene delusa. Organizzate esattamente al contrario rispetto a noi, il movente che nelle donne sollecita la voluttà è così delicato, e la sua fonte è così remota, che non è straordinario se non arrivi affatto o se si disperda. Se sentite una donna dire male dell’amore e un uomo di lettere disprezzare la pubblica fama, dite che il fascino della prima sta svanendo e che il talento dell’altro è in declino.
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perd. Jamais un homme ne s’est assis à Delphes sur le sacré trépied. Le rôle de pythie ne convient qu’à une femme ; il n y a qu’une tête de femme qui puisse s’exalter au point de pressentir sérieusement l’approche d’un dieu, de s’agiter, de s’écheveler, d’écumer, de s’écrier : « Je le sens, je le sens, le voilà le dieu », et d’en trouver le vrai discours. Un solitaire brûlant dans ses idées ainsi que dans ses expressions, disait aux hérésiarques de son temps : « Adressez-vous aux femmes ; elles reçoivent promptement parce qu’elles sont ignorantes ; elles répandent avec facilité parce qu’elles sont légères ; elles retiennent longtemps parce qu’elles sont têtues. » Impénétrables dans la dissimulation, cruelles dans la vengeance, constantes dans leurs projets, sans scrupule sur les moyens de réussir, armées d’une haine profonde et secrète contre le despotisme de l’homme, il semble qu’il y ait entre elles un complot tacite de domination, une sorte de ligue telle que celle qui subsiste entre les prêtres de toutes les nations ; elles en connaissent les articles sans se les être communiqués. Naturellement curieuses, elles veulent savoir, soit pour user, soit pour abuser de tout ; dans les temps de révolution, la curiosité les prostitue aux chefs de parti. Celui qui les devine, est leur implacable ennemi. Si vous les aimez, elles vous perdront ; elles se perdront | elles-mêmes, si vous croisez leurs vues ambitieuses. Elles ont au fond du cœur ce que le poète a mis dans la bouche de Roxane. Malgré tout mon amour, si dans cette journée Il ne m’attache à lui par un juste hyménée, S’il ose m’alléguer une odieuse loi, Quand je fais tout pour lui, s’il ne fait rien pour moi ; Dès le même moment, sans songer si je l’aime, Sans consulter enfin si je me perds moi-même, J’abandonne l’ingrat et le laisse rentrer Dans l’état malheureux dont j’ai su le tirer. Toutes méritent d’entendre ce qu’un poète moins élégant adresse à l’une d’entre elles : C’est ainsi que toujours en proie à leur délire Vos pareilles ont su soutenir leur empire ; Car vous n’aimez jamais. Votre cœur insolent Tend bien moins à l’amour qu’à gouverner l’amant. Qu’il vous laisse régner, tout vous paraîtra juste, Mais vous mépriseriez l’amour le plus auguste S’il ne sacrifiait aux charmes de vos yeux Son bonheur, son devoir, la justice et les dieux.
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Elles simuleront l’ivresse de la passion si elles ont un grand intérêt à vous tromper, elles l’éprouveront sans s’oublier. Le moment où elles seront toutes à leur projet, sera quelquefois celui même de leur abandon ; elles s’en imposent mieux que nous sur ce qui leur plaît. L’orgueil est plus leur vice que le nôtre. Une femme samoyède dansait nue avec un poignard à la main, elle paraissait s’en frapper, mais elle esquivait aux coups qu’elle se portait avec une prestesse si singulière qu’elle avait persuadé à ses compatriotes que c’était un dieu qui la rendait invulnérable, et voilà sa personne sacrée. Quelques voyageurs européens assistèrent à cette danse religieuse, et quoique bien convaincus que cette femme n’était qu’une saltimbanque très | adroite, elle trompa leurs yeux par la célérité de ses mouvements. Le lendemain ils la supplièrent de dan-
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Nessun uomo si è mai seduto sul sacro Tripode di Delfi. Il ruolo di Pizia non può essere adatto che a una donna. Soltanto la testa di una donna può esaltarsi al punto da presentire seriamente l’approssimarsi di un dio, da agitarsi, da scompigliarsi, da fremere, da esclamare: «Lo sento, lo sento, eccolo il dio», e da immaginarne il vero discorso. Un solitario,5 ardente nelle sue idee così come nelle sue espressioni, diceva agli eresiarchi del suo tempo: «Rivolgetevi alle donne; imparano prontamente perché sono ignoranti; elargiscono con facilità perché sono leggere; ricordano a lungo perché sono testarde». Impenetrabili nella dissimulazione, crudeli nella vendetta, costanti nei loro progetti, senza scrupoli nei mezzi per attuarli, armate di un odio profondo e segreto contro il dispotismo dell’uomo, sembra che ci sia fra le donne un tacito complotto di dominazione, una sorta di lega, simile a quella che esiste fra i preti di tutte le nazioni; ne conoscono gli articoli senza esserseli comunicati. Naturalmente curiose, le donne vogliono sapere, o per usare, o per abusare di tutto; in tempi di rivoluzione, la curiosità le prostituisce ai capi di partito. Colui che le scopre, è il loro nemico implacabile. Se le amate, saranno la vostra rovina; si rovineranno loro stesse, se ne incrociate gli sguardi ambiziosi. Hanno in fondo al cuore ciò che il poeta ha detto per bocca di Roxane: Benché tanto lo ami, se entro la giornata Con giusto matrimonio non mi avrà a sé legata, Se osa ricordarmi una legge tanto odiosa Mentre io faccio tutto per lui, se lui non osa, In quello stesso istante, senza pensar se l’amo, Né domandarmi ancora se insieme sprofondiamo, Abbandono l’ingrato, lo lascio ritornare Nell’infelice stato da cui lo volli alzare.6 Tutte meritano di sentirsi dire quello che un poeta meno elegante rivolge a una di loro: è così che, in preda ai loro deliri Le vostre pari hanno saputo reggere il loro dominio ; Giacché voi mai amate. Il cuor arrogante Tende di meno all’amor, bensì a governar l’amante. Se vi fa regnar, vi sembrerà d’esser giusto, Ma voi disprezzereste l’amor più augusto Se ai vostri occhi, non donasse in sacrificio Felicità, dovere, giustizia e Dio.7 Simuleranno l’ebbrezza della passione, se hanno un grande interesse a ingannarvi, la proveranno senza perdere il controllo. Il momento in cui si getteranno corpo e anima sul loro progetto, coinciderà talvolta con quello stesso del loro abbandono; ispirano rispetto meglio di noi, su quello che amano. L’orgoglio è un vizio più loro che nostro. Una donna samoieda danzava nuda con un pugnale in mano, sembrava si colpisse, invece schivava i colpi che si portava con una prestezza così singolare che aveva persuaso i suoi compatrioti che fosse un dio a renderla invulnerabile; ed ecco la sua persona consacrata. Alcuni viaggiatori europei assistettero a quella danza religiosa, e sebbene fossero convinti che quella donna non era altro che una saltimbanca molto abile, ella ingannò i loro occhi con la celerità dei suoi movimenti. L’indomani la supplicarono di danzare
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ser encore une fois. « Non, leur dit-elle, je ne danserai point ; le dieu ne le veut pas et je me blesserais. » On insista, les habitants joignirent leur vœu à celui des Européens ; elle dansa, elle fut démasquée, elle s’en aperçut, et à l’instant la voilà étendue à terre, le poignard dont elle était armée plongé dans les intestins. « Je l’avais bien prévu, disaitelle à ceux qui la secouraient, que le dieu ne le voulait pas et que je me blesserais. » Ce qui me surprend, ce n’est pas qu’elle ait préféré la mort à la honte, c’est qu’elle se soit laissée guérir. Et de nos jours n’avons-nous pas vu une de ces femmes qui figuraient en bourrelet l’enfance de l’Église, les pieds et les mains cloués sur une croix, le côté percé d’une lance, garder le ton de son rôle au milieu des convulsions de la douleur, sous la sueur froide qui découlait de ses membres, les yeux obscurcis du voile de la mort, et s’adressant au directeur de ce troupeau de fanatiques lui dire, non d’une voix souffrante : « Mon père, je veux dormir », mais d’une voix enfantine : « Papa, je veux faire dodo » ? Pour un seul homme il y a cent femmes capables de cette force et de cette présence d’esprit. C’est cette même femme ou une de ses compagnes qui disait au jeune Du Doyer qu’elle regardait tendrement tandis qu’avec une tenaille il arrachait les clous qui lui traversaient les deux pieds : « Le dieu de qui nous tenons le don des prodiges, ne nous a pas toujours accordé celui de la sainteté. » Mme de Staal est mise à la Bastille avec Mme la duchesse du Maine, sa maîtresse ; la première s’aperçoit que du Maine a tout avoué ; à l’instant elle pleure, elle se roule à terre, elle s’écrie : « Ah ! ma pauvre maîtresse est devenue folle ! » N’attendez rien de pareil d’un homme. La femme porte au-dedans d’elle-même un organe susceptible de spasmes terribles, disposant d’elle et suscitant dans son imagination des fantômes de toute espèce. C’est dans le délire hystérique qu’elle revient sur le passé, qu’elle s’élance dans l’avenir, que tous les temps lui sont présents. C’est de l’organe propre à son sexe que partent toutes ses | idées extraordinaires. La femme hystérique dans la jeunesse, se fait dévote dans l’âge avancé ; la femme en qui il reste quelque énergie dans l’âge avancé était hystérique dans sa jeunesse. Sa tête parle encore le langage de ses sens, lorsqu’ils sont muets. Rien de plus contigu que l’extase, la vision, la prophétie, la révélation, la poésie fougueuse et l’hystérisme. Lorsque la Prussienne Karsch lève son œil vers le ciel enflammé d’éclairs ; elle voit Dieu dans le nuage, elle le voit qui secoue d’un pan de sa robe noire des foudres qui vont chercher la tête de l’impie ; elle voit la tête de l’impie. Cependant la recluse dans sa cellule se sent élever dans les airs ; son âme se répand dans le sein de la divinité ; son essence se mêle à l’essence divine ; elle se pâme ; elle se meurt, sa poitrine s’élève et s’abaisse avec rapidité ; ses compagnes attroupées autour d’elle coupent les lacets de son vêtement qui la serre. La nuit vient, elle entend les chœurs célestes, sa voix s’unit à leurs concerts ; ensuite elle redescend sur la terre, elle parle de joies ineffables ; on l’écoute, elle est convaincue, elle persuade. La femme dominée par l’hystérisme éprouve je ne sais quoi d’infernal ou de céleste. Quelquefois elle m’a fait frissonner. C’est dans la fureur de la bête féroce qui fait partie d’elle-même que je l’ai vue, que je l’ai entendue : comme elle sentait ! comme elle s’exprimait ! Ce qu’elle disait n’était point d’une mortelle. La Guyon a dans son livre des Torrents, des lignes d’une éloquence dont il n y a point de modèles. C’est sainte Thérèse qui a dit des démons : « Qu’ils sont malheureux ! ils n’aiment point. » Le quiétisme est l’hypocrisie de l’homme pervers et la vraie religion de la femme tendre. Il y eut cependant un homme d’une honnêteté de caractère et d’une simplicité de mœurs si rares qu’une femme aimable put sans conséquence s’oublier à côté de lui et s’épancher en Dieu ; mais cet homme fut le seul et il
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ancora una volta. «No, disse loro, non ballerò affatto: il dio non lo vuole e mi ferirei.» Si insistette, gli abitanti si unirono alle suppliche degli Europei; ballò, venne smascherata, se ne accorse, e in quello stesso istante eccola stesa per terra, il pugnale del quale era armata conficcato negli intestini. «L’avevo ben presagito, diceva a quelli che la soccorrevano, che il dio non lo voleva e mi sarei ferita.» Quello che mi sorprende, non è che abbia preferito la morte alla vergogna, ma che si sia lasciata guarire. E ai giorni nostri non abbiamo forse visto una di quelle donne che personificavano l’infanzia della Chiesa, i piedi e le mani inchiodate su una croce, il fianco trafitto da una lancia,8 mantenere il tono del proprio ruolo nel bel mezzo di convulsioni di dolore, con il sudore freddo che le colava dalle membra, gli occhi oscurati dal velo della morte, e rivolgendosi al direttore di quel branco di fanatici dirgli, non con voce sofferente: «Padre, voglio dormire», bensì con una voce infantile: «Papà, voglio fare la nanna»? Per un solo uomo vi sono cento donne capaci di quella forza e di quella presenza di spirito. È quella stessa donna o una delle sue compagne che diceva al giovane Du Doyer,9 guardandolo teneramente mentre lui con una pinza le estraeva i chiodi che le trafiggevano i piedi: «Il dio dal quale riceviamo il dono dei prodigi, non sempre ci ha accordato quello della santità». Madame de Staal è rinchiusa alla Bastiglia con l’amante, Madame la duchesse du Maine, quella viene a scoprire che la du Maine ha confessato tutto; in quello stesso istante scoppia in lacrime, si getta a terra ed esclama: «Ah, la mia povera padrona è diventata pazza!».10 Non aspettatevi nulla di simile da un uomo. La donna porta dentro di sé un organo suscettibile di spasmi terribili, che dispone della sua persona e le suscita, nell’immaginazione, fantasmi di ogni specie. È nel delirio isterico che la donna ritorna sul passato, si lancia nell’avvenire, e tutti i tempi le sono presenti. È dall’organo proprio al suo sesso che partono tutte le sue straordinarie idee. La donna isterica in gioventù si fa devota in età avanzata; mentre la donna alla quale è rimasta qualche energia in età avanzata, era isterica in gioventù. La sua testa parla ancora il linguaggio dei sensi, quando questi sono muti. Niente di più affine tra loro quanto l’estasi, la visione, la profezia, la rivelazione, la poesia focosa e l’isterismo. Quando la Prussiana Karsch alza gli occhi verso il cielo infiammato di lampi, vede Dio tra le nuvole; lo vede che scuote da un lembo del suo abito nero dei fulmini che vanno a cercare la testa dell’empio; vede la testa dell’empio. Nel frattempo la suora di clausura nella sua cella si sente levitare in aria; la sua anima si espande in seno alla divinità; la sua essenza si mescola all’essenza divina; si strugge; si sente morire, il suo petto si alza e si abbassa con rapidità; le sue consorelle accorrono attorno a lei per tagliare i lacci della tonaca che la stringe. Giunge la notte, sente i cori celesti, la sua voce si unisce ai loro concerti; infine riscende sulla Terra, parla di gioie ineffabili; viene ascoltata, è convinta e persuade. La donna dominata dall’isterismo prova un non so che di infernale o di celeste. Qualche volta mi ha fatto tremare. L’ho vista in preda al furore della bestia feroce che fa parte di lei, l’ho ascoltata: come sentiva! come si esprimeva! Quello che diceva non era affatto parola di una mortale. Nel suo libro dei Torrenti, La Guyon11 ha dei passaggi che rappresentano un modello ineguagliabile di eloquenza. È Santa Teresa che ha detto dei demoni: «Quanto sono sfortunati! non sanno amare». Il quietismo è l’ipocrisia dell’uomo perverso e la vera religione della donna tenera. Vi fu nondimeno un uomo con un’onestà di carattere e una semplicità di costumi così rari, che una gentildonna poté, senza alcuna conseguenza, dimenticarsi al suo fianco e, nel contempo, aprirsi a Dio. Ma quest’uomo fu il solo e si chiamava Fénelon.
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s’appelait Fénelon. C’est une femme qui se promenait dans les rues d’Alexandrie, les pieds nus, la tête échevelée, une torche dans une main, une aiguière dans l’autre, et qui disait : « Je veux brûler le ciel avec cette torche, et éteindre l’enfer avec cette eau, | afin que l’homme n’aime son Dieu que pour lui-même. » Ce rôle ne va qu’à une femme. Mais cette imagination fougueuse, cet esprit qu’on croirait incoercible, un mot suffit pour l’abattre. Un médecin dit aux femmes de Bordeaux, tourmentées de vapeurs effrayantes, qu’elles sont menacées du mal caduc, et les voilà guéries. Un médecin secoue un fer ardent aux yeux d’une troupe de jeunes filles épileptiques, et les voilà guéries. Les magistrats de Milet ont déclaré que la première femme qui se tuera sera exposée nue sur la place publique, et voilà les Milésiennes réconciliées avec la vie. Les femmes sont sujettes à une férocité épidémique ; l’exemple d’une seule en entraîne une multitude ; il n’y a que la première qui soit criminelle, les autres sont malades. O femmes ! vous êtes des enfants bien extraordinaires ! Avec un peu de couleur et de sensibilité (eh ! monsieur Thomas, que ne vous laissiez-vous aller à ces deux qualités qui ne vous sont pas étrangères !), quel attendrissement ne nous auriez-vous pas inspiré en nous montrant les femmes assujetties comme nous aux infirmités de l’enfance, plus contraintes et plus négligées dans leur éducation, abandonnées aux mêmes caprices du sort, avec une âme plus mobile, des organes plus délicats, et rien de cette fermeté naturelle ou acquise qui nous y prépare ; réduites au silence dans l’âge adulte, sujettes à un malaise qui les dispose à devenir épouses et mères, alors tristes, inquiètes, mélancoliques, à côté de parents alarmés non seulement sur la santé et la vie de leur enfant, mais encore sur son caractère, car c’est à cet instant critique qu’une jeune fille devient ce qu’elle restera toute sa vie, pénétrante ou stupide, triste ou gaie, sérieuse ou légère, bonne ou méchante, l’espérance de sa mère trompée ou réalisée. Pendant une longue suite d’années chaque lune ramènera le même malaise. Le moment qui la délivrera du despotisme de ses | parents est arrivé ; son imagination s’ouvre à un avenir plein de chimères, son cœur nage dans une joie secrète. Réjouistoi bien, malheureuse créature ! Le temps aurait sans cesse affaibli la tyrannie que tu quittes ; le temps accroîtra sans cesse la tyrannie sous laquelle tu vas passer. On lui choisit un époux. Elle devient mère. L’état de grossesse est pénible presque pour toutes les femmes ; c’est dans les douleurs, au péril de leur vie, aux dépens de leurs charmes et souvent au détriment de leur santé qu’elles donnent naissance à des enfants ; le premier domicile de enfant et les deux réservoirs de sa nourriture, les organes qui caractérisent le sexe sont sujets à deux maladies incurables. Il n y a peut-être pas de joie comparable à celle de la mère qui voit son premier-né ; mais ce moment sera payé bien cher. Le père se soulage du soin des garçons sur un mercenaire ; la mère demeure chargée de la garde de ses filles. L’âge avance, la beauté passe ; arrivent les années de l’abandon, de l’humeur et de l’ennui. C’est par le malaise que nature les a disposées à devenir mères ; c’est par une maladie longue et dangereuse qu’elle leur ôte le pouvoir de l’être. Qu’est-ce alors qu’une femme ? Négligée de son époux, délaissée de ses enfants, nulle dans la société, la dévotion est son unique et dernière ressource. Dans presque toutes les contrées la cruauté des lois civiles s’est réunie contre les femmes à la cruauté de la nature : elles ont été traitées comme des enfants imbéciles. Nulle sorte de vexations que chez les peuples policés l’homme ne puisse exercer impunément contre la femme ; la seule représaille qui dépende d’elle, est suivie du trouble domestique et punie d’un mépris plus ou moins marqué, selon que la nation a plus ou moins de mœurs. Nulle
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È una donna che diceva, passeggiando per le vie di Alessandria a piedi nudi, la testa scarmigliata, una torcia in una mano, un acquamanile nell’altra: «Voglio bruciare il cielo con questa torcia, e spegnere l’inferno con quest’acqua, affinché l’uomo ami il suo Dio soltanto per se stesso». Quel ruolo si addice soltanto a una donna. Eppure, a questa furiosa immaginazione, a questo spirito che si crederebbe incoercibile, basta una sola parola per abbatterlo. Un medico12 avverte le donne di Bordeaux, tormentate da terribili vapori, che corrono il rischio del mal caduco, ed eccole guarite. Un altro medico13 scuote un ferro ardente sotto gli occhi di una schiera di giovani fanciulle epilettiche, ed eccole guarite. I magistrati di Mileto hanno dichiarato che la prima donna che si ucciderà, verrà esposta nuda sulla pubblica piazza, ed ecco le milesie riconciliate con la vita. Le donne sono soggette a una ferocia epidemica, e l’esempio di una sola basta per trascinare una massa. Soltanto la prima è una criminale, le altre sono malate. Oh donne! siete delle bambine assai straordinarie! Con un po’ di colore e di sensibilità (eh! Signor Thomas, perché non vi lasciate andare a queste due qualità che non vi sono estranee!), quale commozione ci avreste ispirato mostrandoci le donne assoggettate come noi alle infermità dell’infanzia, più oppresse e più trascurate nella loro educazione, abbandonate agli stessi capricci della sorte, con un’anima più mobile, degli organi più delicati, e sprovviste di quella nostra fermezza naturale o acquisita che ci prepara ad affrontarla. Ridotte al silenzio in età adulta, soggette a un malessere che le predispone a diventare mogli e madri; allora tristi, irrequiete, melanconiche, al fianco di genitori allarmati non solo per la salute e la vita della loro figliola, bensì per il suo carattere, poiché è in quel momento critico che una giovane ragazza diventa la donna che resterà per tutta la vita: perspicace o stupida, triste o allegra, seria o frivola, buona o cattiva, la speranza della madre delusa oppure realizzata. Per una lunga serie di anni, ogni luna le riporterà lo stesso malessere. Giunto il momento che la libererà dal dispotismo dei suoi genitori, la sua immaginazione si apre alle speranze di un avvenire pieno di chimere, e il suo cuore naviga in una gioia segreta. Rallegrati pure, sventurata creatura! Il tempo avrebbe indebolito sempre più la tirannia che lasci; il tempo accrescerà incessantemente la tirannia sotto la quale stai per passare. Si sceglie per lei un marito. Diventa madre. Lo stato di gravidanza è penoso per quasi tutte le donne; tra i dolori, mettendo a repentaglio la propria vita, a discapito del loro fascino e spesso a detrimento della loro salute, le donne mettono al mondo i figli. La prima dimora del bambino e le sue due riserve di nutrimento, gli organi che caratterizzano il sesso femminile, sono soggetti a due incurabili malattie. Forse non vi è gioia comparabile a quella di una madre che vede il suo primogenito; ma quel momento verrà pagato a caro prezzo. Il padre si sgrava della cura dei maschi grazie a un mercenario; la madre rimane incaricata della custodia delle sue figlie. L’età avanza, la bellezza passa; arrivano gli anni dell’abbandono, degli umori e della noia. Col malessere la natura le ha preparate a diventare madri; ed è con una lunga e pericolosa malattia che toglie loro il potere di esserlo. Che cos’è allora una donna? Trascurata dal marito, abbandonata dai figli, assente in società, la devozione rimane la sua unica e ultima risorsa. In quasi tutti gli angoli della Terra, la crudeltà delle leggi civili si è unita contro le donne alla crudeltà della natura; sono state trattate come delle bambine imbecilli. Non vi è nessuna specie di vessazioni che nei popoli civilizzati l’uomo non possa esercitare impunemente contro la donna. La sola rappresaglia che dipenda da lei è seguita da tormenti domestici ed è punita con un disprezzo più o meno marcato, secondo che la nazione abbia più o meno costumi. E
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sorte de vexations que le sauvage n’exerce contre sa femme ; la femme malheureuse dans les villes, est plus malheureuse encore au fond des forêts. Écoutez le discours d’une Indienne des rives de l’Orénoque, et écoutez-le, si vous pouvez, sans en être ému. Le missionnaire jésuite Gumilla lui reprochait d’avoir fait mourir une fille dont elle était accouchée, en lui coupant je nombril trop court : « Plût | à Dieu, père, lui dit-elle, plût à Dieu qu’au moment où ma mère me mit au monde, elle eût eu assez d’amour et de compassion pour épargner à son enfant tout ce que j’ai enduré et tout ce que j’endurerai jusqu’à la fin de mes jours ! Si ma mère m’eût étouffée en naissant, je serais morte, mais je n’aurais pas senti la mort et j’aurais échappé à la plus malheureuse des conditions. Combien j’ai souffert ! et qui sait ce qui me reste à souffrir jusqu’à ce que je meure ? Représente-toi bien, père, les peines qui sont réservées à une Indienne parmi ces Indiens. Ils nous accompagnent dans les champs avec leur arc et leurs flèches ; nous y allons, nous, chargées d’un enfant qui pend à nos mamelles et d’un autre que nous portons dans une corbeille. Ils vont tuer un oiseau ou prendre un poisson ; nous bêchons la terre, nous, et après avoir supporté toute la fatigue de la culture, nous supportons toute celle de la moisson. Ils reviennent le soir sans aucun fardeau ; nous, nous leur apportons des racines pour leur nourriture, et du maïs pour leur boisson. De retour chez eux, ils vont s’entretenir avec leurs amis ; nous, nous allons chercher du bois et de l’eau pour préparer leur souper. Ont-ils mangé, ils s’endorment ; nous, nous passons presque toute la nuit à moudre le maïs et à leur faire la chica. Et quelle est la récompense de nos veilles ? Ils boivent leur chica, ils s’enivrent, et quand ils sont ivres ils nous traînent par les cheveux et nous foulent aux pieds. Ah ! père, plût à Dieu que ma mère m’eût étouffée en naissant ! Tu sais toi-même si nos plaintes sont justes ; ce que je te dis, tu le vois tous les jours. Mais notre plus grand malheur tu ne saurais le connaître. Il est triste pour la pauvre Indienne de servir son mari comme une esclave, aux champs accablée de sueurs, et au logis privée du repos ; mais il est affreux de le voir, au bout de vingt ans, prendre une autre femme plus jeune qui n’a point de jugement. Il s’attache à elle ; elle nous frappe, elle frappe nos enfants, elle nous commande, elle nous traite comme ses servantes, et au moindre murmure nous échapperait, une branche d’arbre levée... Ah ! père, comment veux-tu que nous supportions cet état ? Qu’a de | mieux à faire une Indienne que de soustraire son enfant à une servitude mille fois pire que la mort ? Plût à Dieu, père, je te le répète, que ma mère m’eût assez aimée pour m’enterrer lorsque je naquis ! Mon cœur n’aurait pas tant à souffrir ni mes yeux à pleurer... » Femmes, que je vous plains ! Il n’y avait qu’un dédommagement à vos maux, et si j’avais été législateur, peut-être l’eussiez-vous obtenu : affranchies de toute servitude, vous auriez été sacrées en quelque endroit que vous eussiez paru. [Mais partout, excepté aux îles Mariannes, on a trouvé la femme soumise à l’homme. Cette exception appuyée sur le témoignage unanime des historiens est contraire à une loi bien connue, générale et constante de la nature. Si l’on veut que je m’y prête, il faut l’appuyer d’une autre ; c’est que dans cette contrée, les femmes l’emportaient sur les hommes, non seulement en intelligence, mais en force de corps. Si l’on ne m’assure pas l’un de ces faits, je nie l’autre, à moins toutefois que quelque dogme superstitieux n’ait rendu leurs personnes sacrées. Car il n’y a rien que la superstition ne dénature, point d’usage si monstrueux qu’elle n’établisse, point de forfaits auxquels elle ne détermine, point de sacrifices qu’elle n’obtienne. Si elle dit à l’homme : Dieu veut que tu te mutiles, il se mutilera. Si elle lui dit : Dieu veut que tu assassines ton fils, il l’assassinera. Si elle lui a dit, aux îles Mariannes : Dieu veut que tu rampes devant la femme, il
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non vi è neppure alcuna specie di vessazione che l’uomo selvaggio non eserciti contro la sua donna. La donna, infelice nelle città, è ancor più infelice nel fondo delle foreste. Ascoltate il discorso di un’Indiana delle rive dell’Orinoco, e ascoltatelo, se potete, senza esserne commossi. Il missionario gesuita Gumilla14 le rinfacciava di aver fatto morire la figlia che aveva partorito, tagliandole troppo corto il cordone ombelicale: «Fosse piaciuto a Dio, Padre, gli disse lei, se solo fosse piaciuto a Dio che, nel momento in cui mia madre mi mise al mondo, ella avesse avuto abbastanza amore e compassione per risparmiare alla sua bambina tutto quello che ho patito e tutto quello che patirò fino alla fine dei miei giorni. Se mia madre mi avesse soffocata non appena fossi nata, sarei morta, però non avrei sentito la morte e sarei stata sottratta alla più infelice delle condizioni. Quanto ho sofferto! e chi sa quanta sofferenza mi resta ancora da patire finché muoia? Immaginati bene, Padre, le pene che sono riservate a un’Indiana in mezzo agli Indiani. Ci accompagnano nei campi con il loro arco e le loro frecce; ci andiamo, noi donne, cariche di un figlio che pende dalle nostre mammelle e di un altro che portiamo in una cesta. Gli uomini vanno a uccidere un uccello oppure a prendere un pesce; vanghiamo la terra, noi donne, e dopo aver sopportato tutta la fatica della coltura, sopportiamo quella della mietitura. Tornano la sera senza alcun fardello; noi portiamo delle radici come cibo per loro, e del mais per la loro bevanda. Di ritorno a casa, vanno a intrattenersi con i loro amici; noi andiamo a cercare della legna e dell’acqua per preparare loro la cena. Mangiano, si addormentano; noi donne passiamo quasi tutta la notte a macinare il mais e a fare per loro la chica. E qual è la loro ricompensa per le nostre veglie? Bevono la loro chica, si ubriacano, e quando sono ubriachi ci trascinano per i capelli e ci calpestano. Ah! Padre, fosse piaciuto a Dio che mia madre mi soffocasse dopo che mi partorì. Tu stesso sai quanto le nostre lamentele sono giuste; quello che ti racconto, lo vedi tutti i giorni. Eppure, la nostra più grande sfortuna non potresti conoscerla. È triste, per una povera Indiana, servire il marito come una schiava, sopraffatta dal sudore nei campi e privata del riposo in casa; ma è tremendo, trascorsi vent’anni, vederlo prendere un’altra moglie, più giovane, priva del tutto di buonsenso. Lui si lega a lei; lei ci picchia, picchia i nostri figli, comanda su di noi, ci tratta come le sue serve, e al minimo mormorio che ci scappasse, un ramo d’albero alzato... Ah! Padre, come vuoi che sopportiamo questa condizione? Cos’ha di meglio da fare una Indiana se non sottrarre la propria figlia a una schiavitù mille volte peggio della morte? Fosse piaciuto a Dio, Padre, te lo ripeto, che mia madre mi avesse amato abbastanza da sotterrarmi quando nacqui! Non avrebbe tanto da soffrire il mio cuore, né i miei occhi avrebbero così tanto da piangere...». Donne, quanto vi compatisco! Non c’era che un risarcimento ai vostri mali, e se fossi stato un legislatore, forse l’avreste ottenuto: affrancate da ogni servitù, sareste state considerate sacre in qualsiasi luogo vi foste presentate. [Ma dappertutto, salvo nelle isole Marianne, abbiamo trovato la donna sottomessa all’uomo. Questa eccezione, che poggia sulla testimonianza unanime degli storici, è contraria a una legge ben nota, generale e costante della natura. Se si vuole che io dia fede a tale eccezione, occorre puntellarla su un’altra: cioè in quella contrada, le donne dovevano prevalere sugli uomini, non solo con l’intelligenza bensì con la forza fisica. Se non mi si dimostra uno di questi fatti, nego l’altro, a meno che, tuttavia, qualche dogma superstizioso non abbia reso sacre le loro persone. Infatti, non vi è nulla che la superstizione non snaturi, nessuna usanza così mostruosa che non istituisca, nessun misfatto al quale non spinga, nessun sacrificio che non ottenga. Se dice all’uomo: Dio vuole che tu ti mutili, si mutilerà. Se gli dice: Dio vuole che assassini tuo figlio, lo
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rampera devant la femme. La beauté, les talents et l’esprit, dans toutes les contrées du monde, sauvages ou policées, prosterneront un homme aux pieds d’une femme ; mais ces avantages particuliers à quelques femmes n’établiront nulle part la tyrannie générale du sexe faible sur le sexe robuste. L’homme commande à la femme, même dans les pays où la femme commande à la nation. Aucune sorte d’autorité ne doit nous amener à la croyance d’une absurdité. Mais, dira-t-on, si les femmes ont mérité là cette autorité par quelques services importants dont la mémoire s’est perdue ? Eh bien ! l’homme reconnaissant le premier jour, aura été ingrat le second. La femme soumise dans les pays policés, est dans l’oppres | sion, chez les nations sauvages, dans toutes les régions barbares. Tout entier à ses besoins, le sauvage ne s’occupe que de sa sûreté et de sa subsistance. Il n’est sollicité aux plaisirs de l’amour que par le vœu de la nature qui veille à la perpétuité de l’espèce. L’union des deux sexes, ordinairement fortuite, prendrait rarement quelque solidité, dans les forêts, si la tendresse paternelle et maternelle n’attachait les époux à la conservation du fruit de leur union. Mais avant qu’un premier enfant puisse se suffire à lui-même, il en naît d’autres auxquels on ne peut refuser les mêmes soins. Il arrive enfin le moment où cette raison sociale cesse d’exister : mais alors la force d’une longue habitude, la consolation de se voir entouré d’une famille plus ou moins nombreuse, l’espoir d’être secouru dans ses derniers ans par sa postérité, tout ôte la pensée et la volonté de se séparer. Ce sont les hommes qui retirent les plus grands avantages de cette cohabitation. Chez les peuples qui n’accordent leur estime qu’à la force et au courage, la faiblesse est toujours tyrannisée, pour prix de la protection qu’on lui accorde. Les femmes y vivent dans l’opprobre. Les travaux regardés comme abjects, sont leur partage. Des mains accoutumées à manier des armes ou la rame, se croiraient avilies par des occupations sédentaires, par celles même de l’agriculture. Les femmes sont moins malheureuses parmi des peuples pasteurs à qui une existence plus assurée permet de s’occuper un peu davantage du soin de la rendre agréable. Dans l’aisance et le loisir dont ils jouissent, ils peuvent se faire une image de la beauté, apporter quelque choix dans l’objet de leurs désirs, et ajouter à l’idée du plaisir physique celle d’un sentiment plus noble. Les relations des deux sexes se perfectionnent encore aussitôt que les terres commencent à être cultivées. La propriété qui n’existait pas chez les peuples sauvages, qui était peu de chose chez les peuples pasteurs, commence à devenir importante chez les peuples agricoles. L’inégalité qui ne tarde pas à s’introduire dans les fortunes, en doit occasionner dans la considération. Alors, les nœuds du | mariage ne se forment plus au hasard ; l’on veut qu’ils soient assortis. Pour être accepté, il faut plaire ; et cette nécessité attire des égards aux femmes, et leur donne quelque dignité. Elles reçoivent une nouvelle importance de la création des arts et du commerce. Alors les affaires se multiplient, les rapports se compliquent. Les hommes, que des relations plus étendues éloignent souvent de leur atelier ou de leurs foyers, se trouvent dans la nécessité d’associer à leurs talents la vigilance des femmes. Comme l’habitude de la galanterie, du luxe, de la dissipation, ne les a pas encore dégoûtées des occupations obscures ou sérieuses, elles se livrent sans réserve et avec succès à des fonctions dont elles se trouvent honorées. La retraite qu’exige ce genre de vie, leur rend chère et familière
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assassinerà. Se nelle isole Marianne gli dice: Dio vuole che strisci ai piedi della donna, striscerà ai piedi della donna. In tutte le contrade del mondo, selvagge o civilizzate che siano, la bellezza, i talenti e lo spirito prosterneranno un uomo ai piedi di una donna; ma questi vantaggi particolari per qualche donna, non stabiliranno da nessuna parte la tirannia universale del sesso debole sul sesso forte. L’uomo comanda sulla donna, anche nei paesi dove è la donna a comandare sulla nazione. Nessun tipo di autorità deve indurci alla credenza in un’assurdità. Ma, ci si chiederà, se le donne avessero meritato in quel luogo quella autorità per via di qualche servizio importante di cui si è perduta la memoria? Ebbene, l’uomo riconoscente il primo giorno, sarà stato ingrato il secondo. La donna, sottomessa nei paesi civilizzati, è nell’oppressione in tutte le nazioni selvagge, in tutte le regioni barbare. Interamente preso dai suoi bisogni, il selvaggio non si occupa nient’altro che della propria sicurezza e del proprio sostentamento. Non è sollecitato ai piaceri dell’amore se non dal volere della natura, che veglia alla perpetuazione della specie. Di solito casuale nelle foreste, l’unione dei due sessi prenderebbe raramente qualche solidità se la tenerezza paterna e materna non legasse i coniugi nella conservazione del frutto della loro unione. Ma prima che un figlio possa bastare a se stesso, ne nascono altri ai quali non si possono negare le stesse cure. Giunge infine il momento in cui questa ragione sociale cessa di esistere: ma a quel punto, però, la forza di una lunga abitudine, la consolazione di vedersi circondato da una famiglia più o meno numerosa, la speranza di essere assistito dalla propria posterità negli ultimi anni di vita, tutto ciò toglie il pensiero e la volontà di separarsi. Sono gli uomini a trarre da questa coabitazione i migliori vantaggi. Presso i popoli che accordano la loro stima soltanto alla forza e al coraggio, la debolezza è sempre tiranneggiata, come prezzo per la protezione concessale. Le donne vivono là nell’obbrobrio. I lavori considerati abietti sono distribuiti tra le donne. Mani avvezze a maneggiare le armi o il remo si crederebbero avvilite da occupazioni sedentarie, da quelle stesse dell’agricoltura. Le donne sono meno sfortunate presso i popoli pastori, ai quali un’esistenza più sicura permette di dedicarsi un po’ di più alla cura della vita, per renderla piacevole. Nell’agiatezza e nello svago di cui godono, possono farsi un’idea della bellezza, apportare qualche scelta nell’oggetto dei loro desideri, e aggiungere all’idea del piacere fisico quella di un sentimento più nobile. Le relazioni tra i due sessi si perfezionano ulteriormente non appena le terre incominciano a essere coltivate. La proprietà, che non esisteva presso i popoli selvaggi, che contava ben poco presso i popoli pastori, comincia a diventare importante presso le civiltà agricole. L’ineguaglianza che non tarda a introdursi tra le fortune, finisce per essere l’occasione di ineguaglianza nella considerazione. A quel punto, i nodi del matrimonio non si formano più a caso; si vuole che siano assortiti. Per essere accettati, occorre piacere; questa necessità ispira dei riguardi verso le donne, e conferisce loro qualche dignità. Le donne guadagnano una nuova importanza dalla creazione delle arti e del commercio. Allora, gli affari si moltiplicano, i rapporti diventano più complessi. Spesso costretti ad allontanarsi dalla loro bottega o dai loro focolari per via di relazioni più estese, gli uomini si trovano nella necessità di dover associare ai loro talenti la vigilanza delle donne. Siccome l’abitudine alla galanteria, al lusso, alla dissipazione, non ha ancora tolto loro il gusto delle occupazioni private o gravose, le donne si dedicano senza riserve e con successo a mansioni dalle quali si trovano a essere onorate. Il ritiro che esige questo stile di vita, rende loro cara e familiare la pratica di tutte le virtù dome-
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la pratique de toutes les vertus domestiques. L’autorité, le respect et l’attachement de tout ce qui les entoure, sont la récompense d’une conduite si estimable. Vient enfin le temps où l’on est dégoûté du travail par l’accroissement des fortunes. Le soin principal est de prévenir l’ennui, de multiplier les amusements, d’étendre les jouissances. À cette époque, les femmes sont recherchées avec empressement, et pour les qualités aimables qu’elles tiennent de la nature, et pour celles qu’elles ont reçues de l’éducation.] Quand on écrit des femmes, il faut tremper sa plume dans l’arc-en-ciel et jeter sur sa ligne la poussière des ailes du papillon ; comme le petit chien du pèlerin, à chaque fois qu’on secoue la patte il faut qu’il en tombe des perles, et il n’en tombe point de celle de M. Thomas. Il ne suffit pas de parler des femmes et d’en parler bien, monsieur Thomas, faites encore que j’en voie ; suspendez-les sous mes yeux comme autant de thermomètres des moindres vicissitudes des mœurs et des usages. Fixez avec le plus de justesse et d’impartialité que vous pourrez les prérogatives de l’homme et de la femme, mais n’oubliez pas que faute réflexion et de principes rien ne pénètre jusqu’à une certaine profondeur de conviction dans l’entendement des | femmes ; que les idées de justice, de vertu, de vice, de bonté, de méchanceté nagent à la superficie de leur âme ; qu’elles ont conservé l’amour-propre et l’intérêt personnel avec toute l’énergie de nature, et que plus civilisées que nous en dehors, elles sont restées de vraies sauvages en dedans ; toutes machiavélistes du plus au moins, le symbole des femmes en général est celle de l’Apocalypse sur le front de laquelle il était écrit Mystère. Où il y a un mur d’airain pour nous, il n’y a souvent qu’une toile d’araignée pour elles. On a demandé si les femmes étaient faites pour l’amitié. Il y a des femmes qui sont hommes et des hommes qui sont femmes, et j’avoue que je ne ferai jamais mon ami d’un homme femme. Si nous avons plus de raison que les femmes, elles ont bien plus d’instinct que nous. La seule chose qu’on leur ait apprise, c’est à bien porter la feuille de figuier qu’elles ont reçue de leur première aïeule ; tout ce qu’on leur a dit et répété dix-huit à dix-neuf ans de suite, se réduit à ceci : « Ma fille, prenez garde à votre feuille de figuier ; votre feuille de figuier va bien, votre feuille de figuier va mal. » Chez une nation galante, la chose la moins sentie est la valeur d’une déclaration ; l’homme et la femme n’y voient qu’un échange de jouissances. Cependant que signifie ce mot si légèrement prononcé, si frivolement interprété, Je vous aime ? Il signifie réellement : « Si vous vouliez me sacrifier votre innocence et vos mœurs ; perdre le respect que vous vous portez à vous-même et que vous obtenez des autres ; marcher les yeux baissés dans la société, du moins jusqu’à ce que par l’habitude du libertinage vous en ayez acquis l’effronterie ; renoncer à tout état honnête, faire mourir vos parents de douleur et m’accorder un moment de plaisir, je vous en serais vraiment obligé. » Mères, lisez ces lignes à vos jeunes filles ; c’est en abrégé le commentaire de tous les discours flatteurs qu’on leur adressera, et vous ne pouvez les en prévenir de trop bonne heure. On a mis tant d’importance à la galanterie qu’il semble qu’il ne reste aucune vertu à celle qui a franchi le pas ; c’est comme la fausse dévote et le mauvais prêtre en qui l’incrédulité est | presque le sceau de la dépravation ; après avoir commis le grand crime, ils ne peuvent avoir horreur de rien. [Pourquoi l’incontinence, ce délit si pardonnable en lui-même ; cette action si indifférente par sa nature, si peu libre par son attrait, a-t-elle une influence si pernicieuse sur la moralité des femmes ? C’est, je crois, la suite de l’importance que nous y avons atta-
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stiche. L’autorità, il rispetto e l’attaccamento a tutto ciò che le circonda, sono la ricompensa di una condotta così rispettabile. Giunge infine il tempo in cui si è perso il gusto del lavoro per via dell’incremento delle fortune. La principale cura consiste nel prevenire la noia, moltiplicare i divertimenti, e accrescere i godimenti. In quest’epoca, le donne sono ricercate con premura, sia per le amabili qualità che ricevono dalla natura, sia per quelle acquisite con l’educazione.] Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell’arcobaleno e cospargere la pagina della polvere delle ali di farfalla. Come il piccolo cane del pellegrino, ogni volta che gli si scuote la zampa ne devono cadere delle perle,15 e non ne cadono affatto da quella del Signor Thomas. Non basta parlare di donne e parlarne bene, Signor Thomas, fate anche in modo che io ne veda. Sospendetele sotto i miei occhi come tanti termometri suscettibili delle minime vicissitudini dei costumi e delle usanze. Fissate con più precisione e imparzialità che potrete le prerogative dell’uomo e della donna, ma non dimenticate che, in mancanza di riflessione e di principi, nell’intelletto delle donne non penetra nulla oltre una certa profondità di convinzione; che le idee di giustizia, di virtù, di vizio, di bontà, di malvagità galleggiano alla superficie della loro anima; che hanno conservato l’amor proprio e l’interesse personale con tutta l’energia della natura; e che, più civilizzate di noi uomini all’esterno, sono rimaste delle vere e proprie selvagge all’interno. Tutte, in misura maggiore o minore machiavelliche, il simbolo delle donne è in generale quello dell’Apocalisse, sulla cui fronte era scritto: Mistero. Là dove c’è un muro di bronzo per noi, spesso non vi è che una ragnatela per loro. Ci si è chiesto se le donne siano fatte per l’amicizia. Esistono delle donne che sono uomini e degli uomini che sono donne, e confesso che non vorrei mai avere un uomo donna per amico. Se abbiamo più ragione rispetto alle donne, loro hanno invece molto più istinto di noi. L’unica cosa che si sia insegnato loro è di portare come si conviene la foglia di fico che hanno ricevuto dalla loro prima antenata, tutto quello che si è detto e ripetuto loro per diciotto o diciannove anni di seguito, si riduce a questo: «Figlia mia, state attenta alla vostra foglia di fico; la vostra foglia di fico va bene, la vostra foglia di fico va male». Presso una nazione galante, la cosa che viene sentita di meno è il valore di una dichiarazione; sia l’uomo che la donna non vi vedono nient’altro che uno scambio di piaceri. Tuttavia che significa quella parola pronunciata con così tanta leggerezza, e interpretata con una tale frivolezza: Vi amo? Significa in realtà: «Se voleste sacrificarmi la vostra innocenza e i vostri costumi; perdere il rispetto che portate a voi stessa e che ottenete dagli altri; camminare con gli occhi abbassati in società, almeno fino a che, con l’abitudine del libertinaggio, non ne avrete acquisito anche la sfrontatezza; rinunciare a ogni sorta di condizione onesta, fare morire di dolore i vostri genitori e accordarmi un momento di piacere, ve ne sarei davvero obbligato». Madri, leggete queste righe alle vostre figliole; è in sintesi il commento di tutti i discorsi adulatori che rivolgeranno loro, e non potreste avvertirle troppo di buonora.16 Si è attribuita tanta importanza alla galanteria che, una volta compiuto quel passo, sembra non rimanga in colei che l’ha compiuto più alcuna virtù; è come la falsa devota e il cattivo prete, nel quale l’incredulità è quasi il sigillo della depravazione; dopo aver commesso il grande crimine, non possono più provare orrore di fronte a nulla. [Per quale ragione l’incontinenza, questo delitto in se stesso così perdonabile, quest’azione per sua natura così indifferente, così poco libera per la sua attrattiva, ha un’influenza tanto perniciosa sulla moralità delle donne? È, credo, la conseguenza
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chée. Quel sera le frein d’une femme déshonorée à ses yeux et aux yeux de ses concitoyens ? Quel appui les autres vertus trouveront-elles au fond de son âme, lorsque rien ne peut plus aggraver sa honte ? Le mépris de l’opinion publique, un des plus grands efforts de la sagesse, se sépare rarement dans un être faible et timide du mépris de soimême. On n’a point cet héroïsme avec la conscience du vice. Celle qui ne se respecte plus cesse bientôt d’être sensible au blâme et à la louange ; et sans l’effroi de ces deux respectables fantômes, j’ignore quelle sera la règle de sa conduite. Il n y a plus que la fureur du plaisir qui puisse la dédommager du sacrifice qu’elle a fait. Elle le sent ; elle se le dit ; et affranchie de la contrainte de la considération publique, elle s’y livre sans réserve. La femme se détermine beaucoup plus difficilement que l’homme : mais lorsqu’elle a pris son parti, elle est bien plus déterminée. Elle ne rougit plus, lorsqu’une fois elle a cessé de rougir. Que ne foulera-t-elle pas aux pieds. Lorsqu’elle aura triomphé de sa vertu ? Que pensera-t-elle de cette dignité, de cette décence, de cette délicatesse de sentiments, qui, dans ses jours de candeur, dictait ses propos, composait son maintien, ordonnait de sa parure ? Ce ne seront plus que de l’enfantillage, de la pusillanimité, le petit manège d’une fausse innocente, qui a des parents à contenter et un époux à séduire : mais d’autres temps, d’autres mœurs. Quelle que soit sa perversité, ce n’est point aux grands attentats qu’elle se portera. Sa faiblesse ne lui laisse pas le courage de l’atrocité : mais l’habituelle hypocrisie de son rôle, si elle n’a pas tout à fait levé le masque, jettera une de fausseté sur son caractère. Ce que l’homme ose | par la force, elle le tentera et l’obtiendra par la ruse. La femme corrompue propage la corruption. Elle la propage par le mauvais exemple ; par des conseils insidieux ; quelquefois par le ridicule. Elle a débuté par la coquetterie qui s’adressait à tous les hommes ; elle a continué par la galanterie, si volage dans ses goûts, qu’il est plus facile de trouver une femme qui n’ait point eu de passions, que d’en trouver une qui n’ait été passionnée qu’une fois ; et elle finit par compter autant d’amants que de connaissances, qu’elle rappelle, qu’elle éloigne, qu’elle rappelle encore, selon le besoin qu’elle en a, et la nature des intrigues de toute espèce dans lesquelles elle se précipite. C’est là ce qu’elle entend par avoir su jouir de ses belles années et profiter de ses charmes. C’est une d’entre elles, qui s’était rendue profonde dans cet art, qui disait en mourant, qu’elle ne regrettait que les peines qu’elle s’était données pour tromper les hommes, et que les plus honnêtes étaient les meilleures dupes. Sous l’empire de ces mœurs, l’amour conjugal est dédaigné ; et ce dédain affaiblit le sentiment de la tendresse maternelle, s’il ne l’éteint pas. Les devoirs les plus sacrés et les plus doux deviennent importuns ; et lorsqu’on les a négligés ou rompus, la nature ne les renoue plus. La femme, qui se laisse approcher d’un autre que de son mari, n’aime plus sa famille, et n’en est plus respectée. Les nœuds du sang se relâchent. Les naissances sont incertaines ; et le fils ne reconnaît plus son père, ni le père son fils. Oui, les liaisons de la galanterie consomment la dépravation des mœurs et la caractérisent plus fortement que la prostitution publique. La religion est perdue, lorsque le prêtre mène une vie scandaleuse ; pareillement la vertu n’a plus d’asile, lorsque le sanctuaire du mariage est profané. La pudeur est sous la sauvegarde du sexe timide. Qui estce qui rougira, où la femme ne rougit plus ? Ce n’est pas la prostitution qui multiplie les adultères, c’est la galanterie qui étend la prostitution. Les moralistes anciens, qui plaignaient les malheureuses victimes du libertinage, prononçaient sans ménagement contre
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dell’importanza che le abbiamo attribuito. Quale sarà il freno di una donna disonorata ai suoi occhi e agli occhi dei suoi concittadini? Quale appoggio troveranno le altre virtù in fondo alla sua anima, se nulla può più aggravare la sua vergogna? Il disprezzo dell’opinione pubblica, uno dei maggiori sforzi della saggezza, raramente si separa, in un essere debole e timido, dal disprezzo di sé. Non si ha affatto quell’eroismo con la coscienza del vizio. La donna che non si rispetta più cessa presto di essere sensibile al biasimo e all’elogio; e senza il timore di questi due rispettabili fantasmi, ignoro quale sarà la regola della sua condotta. Oltre il furore del piacere, non vi sarà nient’altro che possa risarcirla del sacrificio che ha compiuto. Lo sente, se lo dice; e, affrancata dalla costrizione della considerazione pubblica, si abbandona senza riserva al godimento. La donna si decide con molta più difficoltà rispetto all’uomo: però, quando ha preso posizione, è molto più determinata di lui. Non arrossirà più, dopo che ha smesso di arrossire anche una sola volta. Cos’è che non calpesterà, quando avrà trionfato sulla sua virtù? Cosa penserà di quella dignità, di quella decenza, di quella delicatezza di sentimenti, che, durante i suoi giorni di candida innocenza, dettava i suoi propositi, si componeva nel suo contegno, ordinava il suo aspetto? Non saranno nient’altro che delle infantilità, delle pusillanimità, il piccolo maneggio di una finta innocente, che ha dei genitori da accontentare e un marito da sedurre: ma altri tempi, altri costumi. Qualunque sia la sua perversità, la donna non si spingerà mai fino ai grandi attentati che ella porterà contro se stessa. La sua debolezza non le lascia il coraggio dell’atrocità: tuttavia, se non ha tolto del tutto la maschera, la consueta ipocrisia del suo ruolo spargerà un tono di falsità sul suo carattere. Ciò che l’uomo osa con la forza, lei lo tenterà e l’otterrà con l’astuzia. La donna corrotta propaga la corruzione. La propaga col cattivo esempio, coi consigli insidiosi, qualche volta col ridicolo. Ha iniziato con la civetteria che si rivolgeva a tutti gli uomini; ha continuato con la galanteria, talmente volubile nei gusti, che è più facile trovare una donna che non abbia avuto affatto passioni, piuttosto che trovarne una che sia stata appassionata soltanto una volta. E finisce col contare altrettanti amanti quante sono le sue conoscenze, che lei chiama, allontana, richiama ancora, a seconda del bisogno che ne ha, e della natura degli intrighi di ogni specie nei quali si precipita. 17 È questo ciò che intende quando dice di aver saputo godere dei suoi anni più belli e di aver saputo approfittare del suo fascino. È una di loro, diventata esperta in quest’arte, che morendo diceva di non rimpiangere nulla se non le pene che si era data per ingannare gli uomini, e che i più onesti erano i migliori da imbrogliare. Sotto il dominio di simili costumi, l’amore coniugale è disprezzato; e questo disprezzo indebolisce il sentimento della tenerezza materna, se anche non lo estingue. I doveri più sacri e più dolci diventano importuni; e una volta che vengono trascurati o rotti, la natura non li riannoda più. La donna che si lascia avvicinare da un altro uomo che non sia suo marito, non ama più la sua famiglia e non ne è più rispettata. I legami del sangue si sciolgono. Le nascite sono incerte; e il figlio non riconosce più suo padre, né il padre suo figlio. Sì, le relazioni della galanteria portano a compimento la depravazione dei costumi e la caratterizzano più fortemente della pubblica prostituzione. La religione è perduta, quando il prete conduce una vita scandalosa; allo stesso modo, quando il santuario del matrimonio è profanato, la virtù non ha più asilo. Il pudore è sotto la salvaguardia del gentil sesso. Chi è colui che arrossirà, là dove la donna non arrossisce più? Non è la prostituzione a moltiplicare gli adulteri, è la galanteria a estendere la prostituzione. Gli antichi moralisti, che compiangevano le vittime sfortunate del libertinag-
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les | épouses infidèles ; et ce n’était pas sans raison. Si l’on parvient à rejeter toute la honte du vice sur la classe des femmes communes, les autres ne tarderont pas à s’honorer d’un commerce restreint, bien qu’il soit d’autant plus criminel qu’il est plus volontaire et plus illicite. On ne distinguera plus la femme honnête et vertueuse de la femme tendre ; l’on établira une distinction frivole entre la femme galante et la courtisane ; entre le vice gratuit, et le vice réduit par la misère à exiger un salaire ; et ces subtilités décèleront une dépravation systématique. O temps heureux et grossiers de nos pères, où il n’y avait que des femmes honnêtes ou malhonnêtes ; où toutes celles qui n’étaient pas honnêtes étaient malhonnêtes, et où le vice constant ne s’excusait pas par sa durée. Mais enfin quelle est la source de ces passions délicates, formées par l’esprit, le sentiment, la sympathie des caractères ? La manière dont elles se terminent toujours, marque bien que ces belles expressions ne sont employées que pour abréger le combat et justifier la défaite. Également à l’usage des femmes réservées et des femmes dissolues, elles sont devenues presque ridicules.] Tandis que nous lisons dans des livres, elles lisent dans le grand livre du monde. Aussi leur ignorance les dispose-t-elle à recevoir promptement la vérité quand on la leur montre ; aucune autorité ne les a subjuguées ; au lieu que la vérité trouve à l’entrée de nos crânes un Platon, un Aristote, un Epicure, un Zénon en sentinelle et armés de piques pour la repousser. Elles sont rarement systématiques, toujours à la dictée du moment. Thomas ne dit pas un mot des avantages du commerce des femmes pour homme de lettres, et c’est un ingrat. L’âme des femmes n’étant pas plus honnête que la nôtre, mais la décence ne leur permettant pas de s’expliquer avec notre franchise, elles se sont fait un ramage avec lequel on dit honnêtement tout ce qu’on veut quand on a été sifflé dans leur volière. Ou les femmes se taisent, ou souvent elles ont l’air de n’oser dire ce qu’elles disent. On s’aperçoit aisément que Jean-Jacques a perdu bien des moments aux | genoux des femmes, et que Marmontel en a beaucoup employé entre leurs bras ; on soupçonnerait volontiers Thomas et d’Alembert d’avoir été trop sages. Elles nous accoutument encore à mettre de l’agrément et de la clarté dans les matières les plus sèches et les plus épineuses. On leur adresse sans cesse la parole, on veut en être écouté, on craint de les fatiguer ou de les ennuyer, et l’on prend une facilité particulière de s’exprimer qui passe de la conversation dans le style. Quand elles ont du génie, je leur en crois l’empreinte plus originale qu’en nous.
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gio, si pronunciavano senza riserve contro le mogli infedeli; e non senza ragione. Se si riesce a far ricadere sulla classe delle donne comuni tutta la vergogna del vizio, le altre non tarderanno a onorarsi con uno scambio reciproco ristretto, benché sia tanto più criminale quanto più è volontario e illecito. Non si distinguerà più la donna onesta e virtuosa dalla donna tenera; si stabilirà una frivola distinzione tra la donna galante e la cortigiana; tra il vizio gratuito e il vizio costretto dalla miseria a esigere un salario; e tutte queste sottigliezze denoteranno una sistematica depravazione. Oh tempi felici e rozzi dei nostri padri, in cui vi erano soltanto o donne oneste o donne disoneste; in cui tutte quelle che non erano oneste erano allora disoneste, e dove il vizio costante non trovava scuse nella sua durata. Ma insomma qual è la fonte di queste delicate passioni, formate dallo spirito, dal sentimento, dalla simpatia dei caratteri? La maniera con la quale terminano sempre, dimostra bene che quelle belle espressioni non sono prodigate se non per abbreviare la lotta e giustificare la disfatta. Aduse in egual misura alle donne riservate e alle donne dissolute, le passioni sono diventate ormai quasi ridicole.] Mentre noi uomini leggiamo nei libri, le donne leggono nel grande libro del mondo. Perciò la loro ignoranza le dispone ad accogliere prontamente la verità quando gliela si mostra.18 Nessuna autorità le ha soggiogate; mentre la verità trova all’entrata dei nostri crani un Platone, un Aristotele, un Epicuro, uno Zenone posti in sentinella e armati di picche per respingerla. Sempre sotto l’impulso del momento, raramente sono sistematiche. Thomas non spende neanche una parola riguardo ai vantaggi, per un uomo di lettere, degli scambi con le donne, ed è un ingrato. Non avendo un’anima più onesta della nostra, ma non potendo spiegarsi, per decoro, con la nostra stessa franchezza, le donne hanno escogitato un cinguettio con il quale, dopo che si è andati a fischiettare nella loro voliera, si riesce a dire onestamente tutto quello che si vuole. O tacciono, oppure le donne hanno spesso l’aria di non osare dire ciò che dicono. Facilmente ci si accorge che Jean-Jacques ha perso tanti momenti prostrato alle ginocchia delle donne, e che Marmontel ne ha trascorsi molti fra le loro braccia; volentieri si sospetterebbe che Thomas e D’Alembert siano stati troppo saggi. Le donne ci stanno ancora rendendo usi a diffondere gradevolezza e chiarezza sulle materie più aride e spinose. Rivolgiamo loro incessantemente la parola, vogliamo esserne ascoltati, temiamo di stancarle o di annoiarle, e si acquisisce una facilità particolare nel modo di esprimersi che passa dalla conversazione allo stile. Quando sono dotate di genio, credo ne abbiano l’impronta più originale di noi.
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Le rêve de d’alembert
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Il sogno di D’Alembert (1769)
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Nota introduttiva di Paolo Quintili
Il trittico che compone questo grande dialogo della maturità, postumo e semiclandestino – 1/ Il Seguito di un colloquio tra il sig. D’Alembert e il Sig. Diderot, 2/ Il Sogno di D’Alembert, 3/ Seguito del colloquio precedente –, è senza alcun dubbio il capolavoro filosofico di Diderot. Scritto quasi di getto, nell’agosto del 1769, contemporaneo quindi delle prime prove letterarie – i racconti del ciclo di Langres e quelli del ciclo parigino – Il Sogno inaugurando il genere del dialogo filosofico alla Platone, ma antiplatonico (e si vedrà perché), è il grande coacervo nel quale vanno a confluire le innumerevoli «tendenze» («Posso io essere qualcosa di diverso da una tendenza?... No. Io vado verso un termine...», infra, p. 567) di pensiero che s’intrecciano qui tutte in modo coerente e inestricabile: critica del dualismo cartesiano, teoria della materia sensibile, dottrina materialista della generazione, nuova concezione del «sé» materiale,1 rapporti tra la morale e la fisica-biologia ecc. È un periodo assai fecondo e intenso nella vita del filosofo; l’Encyclopédie aveva ripreso la pubblicazione nel 1765, e ben presto l’impresa volgerà al termine. Diderot collabora con grande impegno nella «boulangerie del barone d’Holbach» (parole sue), contribuendo senz’altro alla redazione del Système de la nature (1770); nell’estate 1769 in villeggiatura a Sèvres compie varie e numerose letture di testi di medicina, primo fra tutti gli Elementa physiologiae corporis humani (1757) di Albrecht von Haller, che diventerà subito lo spunto per i futuri Elementi di fisiologia (1772-1784, postumo, infra, p. 1095); e i primi di questi spunti confluiscono nel Sogno. Non ultimo, e forse decisivo, è l’incontro a fine agosto 1769 con la singolare figura del monaco benedettino ateo (o «rienista») e materialista Dom Léger-Marie Deschamps (1716-1774), che gli lesse ampi brani del suo Vero sistema, opera anch’essa postuma (e rivoluzionaria) sul tema della totalità metafisica e della sostanza materiale, dinanzi alla quale il filosofo esclama, in una lettera a Sophie Volland: «Ecco il mondo per il quale io sono nato!». Si trattava di un mondo senza padroni, né servitori, senza sudditi e senza monarchi, senza «il mio» e «il tuo», e soprattutto un mondo in cui c’è una perfetta continuità tra gli esseri viventi, nel fisico come nel morale. Le «tendenze» maestre del pensiero diderotiano erano già contenute nel Vero sistema di Dom Deschamps.2 Diderot esita a lungo, riguardo le figure da impegnare nel dialogo, che riprende il grande modello platonico – le figure sono personaggi «epistemologici», non letterari – ma privato di una Figura maieutica di guida, come il Socrate platonico. Il dialogo bensì confonde, mescolandole, le diverse voci in una sinfonia di «risonanze» e di «vibra1 Originale è primario è l’uso sostantivale del pronome «sé» che Diderot inaugura nel Sogno, il «sé» corporeo intimo diventa il «soggetto» della coscienza, come ha ben rilevato G. Vigarello, Le sentiment de soi. Histoire de la perception du corps, Paris, Seuil, 2014, p. 23. 2 Léger-Marie Deschamps, Œuvres philosophiques, 2 voll. a cura di B. Delhaume, Paris, Vrin, 1993; e ID, Correspondance générale, a cura di B. Delhaume, Préface de J. D’Hondt, Paris, Honoré Champion, 2006; É. Puisais, Dom Deschamps. L’autre face des Lumières, Paris, L’Harmattan, 2017.
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zioni» sulla quale ha bene insistito Barbara de Negroni nella sua Nota a OP (pp. 12071211): «Delle voci imbricate». Diderot pensa in un primo tempo a Democrito, Ippocrate e Leucippo, ed è questione dunque di atomismo e di materialismo «classici»; poi, superando la limitazione epistemologica che il rinvio all’Antichità comportava (sarebbero rimaste fuori gioco le nuove teorie mediche e biologiche dei contemporanei), metterà in scena La Mettrie, Du Marsais, Boindin e Mademoiselle Boucher. Ed è con questo casting che Il Sogno verrà diffuso sulla Correspondance littéraire, in una diversa versione, tra il giugno e il novembre 1782. Opera postuma, dunque, solo in parte; clandestina certamente, in forza delle ripetute riletture, autocensure, varianti ecc. redatte lungo il corso di oltre dieci anni e tipiche dello stile della letteratura filosofica clandestina, che il dialogo ha conosciuto, fino alla prima edizione a stampa, nel tomo IV delle Œuvres dell’editore Paulin, nel 1831-1831. Diderot lasciò due manoscritti inediti, nei quali i nomi dei personaggi sono quelli poi passati alla storia: D’Alembert, Diderot stesso, Il medico di Montpellier e collaboratore dell’Encyclopédie Théophile de Bordeu (1722-1776) e l’amante di D’Alembert, Julie de L’Espinasse (1732-1776). Il manoscritto autografo è contenuto nel fonds Vandeul della BNF di Parigi, sul quale è fondata l’edizione Paulin e le successive; un secondo manoscritto, nella bella scrittura del copista prediletto, Roland Girbal, è contenuto nel fondo Diderot della Biblioteca dell’Ermitage, a San Pietroburgo. Su questi due testi – con l’occhio rivolto anche alle diverse copie della Correspondance littéraire – si basa la tradizione testuale del Sogno. Su questi due testi si basa anche la nostra traduzione, a partire da CR. Nel Sogno le «tendenze» portanti del pensiero filosofico di Diderot sono tutte presenti. Tema del primo dialogo del trittico, Il Seguito di un colloquio tra D’Alembert e Diderot, è la critica della dottrina dualistica della sostanza, la natura del sé e della coscienza, nella versione cartesiana, ma anche in tutte le versioni spiritualistiche della tradizione occidentale, platonica e cristiana. La materia sente, è sensibile. Il pensiero – o ciò che la tradizione chiama «anima» – è dunque una proprietà specifica della materia sensibile. Diderot si richiama per questo a Leibniz e alla distinzione delle forze fisiche, in «forza viva» e «forza morta». La prima, la forza viva, è caratteristica della materia vivente e sensibile e permette le trasformazioni dinamiche caratteristiche della generazione del vivente. Un esempio di questo passaggio dall’inerte al vivente che Diderot presenta è «la storia naturale di uno dei più grandi geometri d’Europa», ossia lo stesso D’Alembert. Diderot descrive la nascita dell’individuo dalla mescolanza dei «semi» dei due genitori, fino allo sviluppo della macchina di genio qual è il grande scienziato. Una facoltà particolare della materia ha il primato nello sviluppo del pensiero e della coscienza: la memoria. Diderot fa ampio uso dell’analogia e della metafora per spiegare «poeticamente» come funziona questa facoltà. Il modello usato è quello della corda vibrante e dello strumento musicale, a partire dall’elemento costitutivo primo degli organismi: la fibra, che è come una corda vibrante (vedi Elementi di fisiologia, Parte II, cap. 1). Il cervello umano (di questo si tratta), ossia «l’origine del fascio» di fili sensibili che formano la materia pensante, è come un clavicembalo vivente che viene «suonato» dai fenomeni del mondo esterno e, molto spesso, «si suona da solo», è cioè capace di pizzicare le proprie corde da sé, evocando i propri oggetti (i pensieri) con la memoria. Il modello vibrazionista della trasmissione nervosa non è nuovo ma è ereditato dalla tradizione medica seicentesca, in particolare dall’opera di Marcello Malpighi (De cerebro, 1665).3 3
Cfr. P. Quintili, «Les Éléments de physiologie et l’histoire du cerveau. Diderot face à la
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L’origine organica di ogni essere vivente è dunque nel cervello, nel fascio di fili che si diparte da questo centro sensibile, come aveva insegnato Haller: il sistema nervoso è il primo nucleo dell’organismo che viene a formarsi, a partire da un «punto» di materia sensibile. Al principio del primo dialogo Diderot mette fuori gioco il problema metafisico dell’origine (del mondo, della materia ecc.) e lo ritraduce, in termini biologici, nel tema del meccanismo materiale della generazione. La materia sensibile esiste da tutta l’eternità, non ha un’«origine» temporale. Solo gli esseri individui ne hanno una, spiegabile e comprensibile in termini di epigenesi – ossia la giustapposizione di parti sensibili – materiale, non secondo il mito scientifico della preformazione dei germi, conciliabile con l’ortodossia creazionista cristiana. Il primo dialogo si chiude così sui temi della generazione, che D’Alembert accoglie con un certo scetticismo; il matematico, infatti, era già ben noto per questo suo scetticismo dinanzi ai grandi problemi metafisici; dichiara di aver sonno e va a dormire. «Buonanotte» è l’ultima parola del Seguito di un colloquio, il cui titolo lascia intendere al lettore che la discussione tra i due filosofi era già avviata da un certo tempo, e sul tema della sensibilità della materia e della generazione viene a concludersi. Il secondo dialogo, Il Sogno di D’Alembert, che dà il nome al trittico, è una lunga descrizione metaforica, sognata e delirante, degli «eventi/fenomeni» di cui si è trattato nella prima parte. La trovata letteraria del Sogno di D’Alembert non è filosoficamente innocente, ha altri precedenti illustri, primo fra tutti quello cartesiano. Descartes, come ha bene osservato B. De Negroni, utilizza il sogno nella prima Meditazione metafisica, come un argomento utile a revocare in dubbio l’affidabilità della conoscenza sensibile: tutto ciò che «sentiamo», può essere sentito anche in sogno e ci è accaduto spesso, in sogno, di aver avuto l’illusione di sentire d’essere svegli, di fare certe cose, di avere certe attitudini corporee ecc. Con il sogno, nel sogno, il soggetto, secondo Descartes, impara a dubitare delle conoscenze sensibili e a riconoscere dunque che le sole certezze sono quelle razionali-matematiche. In Diderot il sogno svolge tutt’altra funzione, e la razionalità prende qui una nuova forma: il sogno anzitutto permette proprio di contestare le pretese di universalità della matematica e di contro riaffermare l’importanza delle metafore e delle analogie per comprendere gli oggetti delle nuove scienze della vita, che operano attraverso «modelli» (la corda, il clavicembalo, il fascio di fili, le fibre sensibili ecc.) e per mezzo di ipotesi o congetture (temi già affrontati nei Pensieri sull’interpretazione della natura, 1753).4 Descartes, infine, aveva posto una netta frontiera tra il sogno e la follia o il delirio, tra la ragione e la déraison. In Diderot il sogno ha anche il significato del delirio, di una follia controllata che oltrepassa i limiti della razionalità matematica, e permette di associare liberamente le idee, le immagini, le analogie, pur sempre sulla base di un fondo di sensatezza.5 È quello che accade al razionalissimo D’Alembert mentre sogna: le idee physiologie de son temps», in J.-C. Dupont et al. (a cura di), Les querelles du cerveau. Comment furent inventées les neuroscienze, Paris, Vuibert, 2008, pp. 91-110. 4 Cfr. Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 549: «Scherzate, ma sul vostro cuscino voi sognerete questo colloquio; e se non vi prende consistenza peggio per voi, perché allora sarete costretto ad abbracciare ipotesi ben altrimenti ridicole». 5 Ivi, p. 547: «E l’analogia? – L’analogia, nei casi più complessi, non è che una regola del tre eseguita sullo strumento sensibile. Se un certo fenomeno, noto in natura, è seguito da un altro fenomeno, pure noto in natura, quale sarà il quarto fenomeno conseguente a un terzo, o dato dalla natura o immaginato a imitazione della natura?».
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gli sfuggono dalla testa, le parole dalla bocca, e diventa un visionario che coglie, dalla conversazione con Diderot della sera precedente, il senso più intimo delle idee discusse intorno alla sensibilità della materia e alla generazione del vivente e della coscienza, ma espresse per immagini, metafore, analogie. Entrano in scena, accanto al sognante, due «oneirocritici»6 o interpreti dei suoi sogni: l’amante di D’Alembert, la Signorina Julie de L’Espinasse e il medico Théophile de Bordeu. Sta a loro dare voce razionale al «delirio» del geometra sognante. La scena si apre nell’appartamento di Julie, trafelata e inquieta, che accoglie il medico Bordeu chiamato al capezzale del matematico. D’Alembert era rientrato dopo cena «con l’aria preoccupata» e messosi a letto, invece di dormire, ha iniziato a sognare o a delirare ad alta voce. Non parla di geometria ma di «corde vibranti», «fibre sensibili», «punti viventi»: parla della ipotetica (sognata) costruzione di un’unità organica vivente. La scelta di Bordeu come personaggio non è casuale. Il medico è un autorevole esponente della scuola vitalistica di Montpellier, collaboratore dell’Encyclopédie e autore di un libro notevole, le Ricerche sulla posizione delle ghiandole e sulle loro azioni (1751), ben noto a Diderot. Qui il medico espone una dottrina organicistica del corpo vivente, concepito come una «federazione» di elementi (gli organi e le ghiandole), ciascuno dei quali costituisce come un animale a sé (animal in animali), inserito in una comunità simpatetica più grande che costituisce l’animale intero. Nel Sogno questa concezione è rappresentata attraverso l’analogia del grappolo di api appeso a un ramo d’albero, che è invenzione di Bordeu stesso. L’alveare da cui sciamano le api è «il mondo o la massa generale della materia», il grappolo d’api è «un essere, un individuo, un animale qualsiasi...», composto di innumerevoli piccoli animali legati tra loro da un vincolo organico di «continuità» e di «simpatia»: ogni stimolo, sensazione che coglie una parte, un atomo di questo grappolo animale si trasmetterà a ogni altro, il grappolo si muoverà, cambierà forma e posizione, si trasformerà, anche impercettibilmente. Questa metafora, che in Bordeu intendeva raffigurare il legame di mutua dipendenza federativa tra gli organi di un animale, Diderot l’estende all’intero universo fisico e materiale. Nel grappolo, le api possono essere divise e riformate in un altro individuo, come il polipo d’acqua dolce di Abraham Tremblay (1710-1784), che tagliato in parti si rigenera per intero, e le anguille del grano di John Turbeville Needham (1713-1781) – chiamato scherzosamente «l’Anguillaro»7 –, generate nelle galle del cereale in decomposizione: si tratta cioè di animali ibridi (metà vegetali, metà animali, gli zoofiti), trasformabili, prodotti dalla materia organica, rigenerabili in misura più o meno grande, a seconda della loro natura, e che si allontanano infine per gradi impercettibili dalla «normalità» della loro specie. Diderot fa sua e tiene ferma la dottrina materialistica classica (lucreziana) delle generazioni spontanee, con tuttavia l’aggiunta dei dati empirici relativi alle nuove dottrine biologiche di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759) e di Georges L.L. de Buffon (1707-1788), sulla «memoria» della materia e sulla funzione vitale delle 6
Su questa figura ricorrente vedi I Gioielli indiscreti, cap. XXVI. Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 559: «Voltaire scherzerà finché vorrà, ma l’Anguillaro ha ragione; credo ai miei occhi, le vedo. Quante ce ne sono! Come vanno! come vengono! come guizzano!... Il vaso in cui scorgeva tante generazioni momentanee egli lo paragonava all’universo. Vedeva in una goccia d’acqua la storia del mondo. Quest’idea gli sembrava grande. La trovava del tutto conforme alla buona filosofia che studia i corpi grandi nei piccoli. Diceva: Nella goccia d’acqua di Needham tutto accade in un batter d’occhio. Nel mondo, lo stesso fenomeno dura un po’ di più; ma che cos’è la nostra durata in confronto all’eternità dei tempi?...». 7
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«molecole organiche», elemento primo, «eterno», del vivente.8 Sono gettate qui le fondamenta del trasformismo materialista che regge l’intero edificio del Sogno di D’Alembert. Gli uomini stessi, come specie, sono una sorta di «polipi umani», temporanei, sottoposti, nella lunga serie delle epoche della storia naturale, a innumerevoli vicissitudini, che li cambiano e ne trasformano le caratteristiche psico-fisiche, negli individui come nella specie. Gli esempi delle «produzioni mostruose» della natura, riferiti a più riprese da Bordeu ed estesi, più tardi, in modo sistematico, negli Elementi di fisiologia, sono una testimonianza di questa fecondità creatrice della materia. Il fattore-tempo è essenziale: la scala temporale dei fenomeni di trasformazione della vita si allunga vertiginosamente, ai milioni di secoli, fino a toccare le «sterminate antichità» (Vico), ancora fuori della portata dei nostri strumenti di osservazione.9 Dalle questioni relative alla formazione dell’essere senziente, all’origine degli animali, alla loro durata e il loro nesso con la dottrina della materia sensibile, che costituiscono la prima parte del secondo dialogo, con una cesura abbastanza netta, la Signorina de L’Espinasse passa a trattare, nella seconda parte, della questione «della mia unità, del mio io», sulla quale le cose sembra siano più semplici. «Perbacco, mi pare che non occorra tanta verbosità per sapere che io sono io, che sono sempre stata io e che non sarò mai un’altra...». E qui s’apre una nuova costellazione problematica che va a trattare il tema dell’io dal punto di vista di «coloro che ammettono una sola sostanza e spiegano la formazione dell’uomo o dell’animale in generale con l’apposizione successiva di diverse molecole sensibili», cioè i materialisti come Diderot sostenitori dell’epigenesi. La sensibilità e la trasformabilità degli elementi che compongono questo io materiale fanno sì che occorre immaginare il Tutto, cui l’io appartiene, come qualcosa di mobile e, al tempo stesso, di relativamente stabile, dove la garanzia di tale stabilità è da cercare in un «luogo» (fisico) nel quale la variabilità degli elementi trovi una sintesi tra la sensazione e la coscienza della sensazione stessa. Una cosa è ciò che sente, altra cosa è ciò che sa di sentire. Quest’«altra cosa», risponde la Signorina de L’Espinasse, «è la testa». A questo punto, viene trattato il problema della generazione del sé individuale, della coscienza e del suo rapporto al tutto vivente, nella prospettiva materialistica e trasformista già tracciata. La visione cosmica di Diderot concepisce, sulla scia di analoghe formulazioni filosofiche – ad esempio quella di Benoît de Mallet (1656-1738) autore di un Telliamed (1748, postumo), che aveva immaginato una continuità temporale e ontologica tra gli esseri della terra e del mare – il tutto materiale come «un solo grande individuo (...). In questo tutto, come in una macchina, in un animale qualunque, c’è una parte che voi chiamerete così o così: ma quando darete il nome di individuo a questa parte del tutto, lo farete in base a un concetto tanto falso come se, in un uccello, deste 8 Elementi di fisiologia, Parte I, cap. 2: «Animale», § «Generazione degli animali» (infra, pp. 1115-1117): «L’ordine generale della natura cambia senza posa: nel mezzo di questa vicissitudine naturale la specie può restare la stessa? No: c’è solo la molecola che resta eterna e inalterabile. Il mostro nasce e muore, l’individuo viene sterminato in meno di cent’anni. Perché la natura non dovrebbe sterminare la specie, in una più lunga serie di tempi?». 9 Il Sogno di D’Alembert, infra, p. 563: «Lasciate passare la razza presente degli animali sussistenti. Lasciate agire il grande sedimento inerte per alcuni milioni di secoli. Forse per rinnovare le specie occorre dieci volte più tempo di quanto non ne sia concesso alla loro durata. Aspettate, e non abbiate fretta a pronunciarvi sul lavoro della natura. Avete due grandi fenomeni, il passaggio dallo stato d’inerzia allo stato di sensibilità; e le generazioni spontanee; vi bastino. Traetene le giuste conseguenze».
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il nome di individuo all’ala, a una penna dell’ala...». A questo «delirio» o «sproloquio» concettuale la Signorina de L’Espinasse fa il suo contrappunto, immaginando una nuova metafora per descrivere l’unità del sé all’interno del tutto, che ritroveremo anche nel Sistema della natura (1770) di D’Holbach: il ragno al centro della sua tela, l’analogo (l’analogia agisce in modo produttivo) del clavicembalo sensibile del primo dialogo e del grappolo d’api, visti sopra. Quando un «filo sensibile» vibra, l’animale accorre in quel punto, «in allerta». Se la rete di fili è parte interna sensibile dell’animale stesso, si può dar conto, con quest’idea della «rete», del funzionamento dell’intera macchina sensibile. E spetta al medico tradurre l’immagine di Julie in un’analogia concettuale: «Vi capisco. Immaginate in voi, in qualche luogo, in un angolo remoto della vostra testa, quello per esempio che chiamiamo le meningi, uno o più punti a cui fanno capo tutte le sensazioni eccitate sulla lunghezza dei fili». Una «rete mirabile» di fili, si estende, si modifica, si trasforma, prende mille vestigia diverse, da quella umana, a quelle animale e vegetale. «Ecco la mia tela; e il punto originario di tutti quei fili è il mio ragno»; e il ragno, è il sé materiale, corporeo, intimo, «rannicchiato in una parte della vostra testa», chiosa Bordeu. Il modello epigenetico, fondato sull’analogia del «filo sensibile», si richiama alla teoria halleriana della fibra e si estende a tutti i livelli di complessità: dalla formazione primitiva del vivente, fino allo sviluppo del pensiero e della coscienza. Cambiano le metafore, il contenuto concettuale rimane lo stesso. Il «filo» o «filetto sensibile» e la sua «rete» servono a spiegare la formazione dei cinque sensi e dei relativi organi, come anche le deviazioni «mostruose» che la natura genera talvolta nei suoi processi. Le anomalie, gli handicap, le deformazioni e le disfunzioni corporee sono altrettanti mezzi per capire il «corso regolare» (l’ordine, il cosmos) della natura vivente. Il senso fondamentale e primario, che muove i primi rudimenti della tela, è il tatto, che si diversifica a seconda degli organi. Particolare originalità riveste qui la considerazione diderotiana dell’«origine della rete di fili sensibili», o «origine del fascio», cioè quel punto o luogo in cui è «rannicchiato» il ragno: il cervello. Bordeu rileva che «alla sua origine tale rete non è dotata di alcun senso che le sia proprio; non vede nulla; non sente nulla; non soffre affatto. È prodotta, nutrita; emana da una sostanza molle, insensibile, inerte, che le serve da cuscino e sulla quale siede, ascolta, giudica e pronuncia i propri giudizi». La successiva descrizione, ancora per metafore e analogie, dell’architettura funzionale della rete, è di una straordinaria visionarietà, come alcuni neurobiologi contemporanei hanno rilevato.10 L’originalità consiste nell’aver saputo cogliere il nesso tra la morfologia dell’organo del senso comune (il cervello) e le funzioni cognitive (diremmo oggi) dell’apparato nervoso dell’organismo. Come s’è detto, nelle trasformazioni e nelle vicissitudini della materia che forma l’io, l’unità del sé, la continuità degli stati di coscienza, al di sotto del flusso continuo dei cambiamenti di stato e delle
10 Cfr. G.M. Edelmann, Biologie de la conscience, éd. fr. A. Gerschenfeld, Paris, 1992, pp. 34-35: «Les cartes cérébrales sont reliées entre elles via des fibres qui sont plus nombreuses que tout autre type de fibres dans le cerveau. Ainsi par exemple, le corps calleux – le principal faisceau de fibres qui, à travers la ligne médiane du cerveau, relie des parties de l’hémisphère droit à des parties de l’hémisphère gauche – contient environ deux cents millions de fibres. Rien de tout cela n’était connu avant le XIXe siècle. Mais des hypothèses avaient déjà été formulées avant cette époque par des hommes remarquables, Denis Diderot, par exemple» (sull’epigenesi: pp. 35-38).
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percezioni, è data dalla memoria, la quale garantisce che «io sia rimasta io, per gli altri e per me», come osserva Julie de L’Espinasse. Alla fine del dialogo, il dottor Bordeu parte a visitare un paziente e rinvia a un altro momento la risposta all’ultima questione posta dalla Signorina de L’Espinasse: donde vengono i «salti» che la natura sembra compiere, producendo irregolarità, deformità e scarti, all’interno delle specie viventi e tra specie diverse? Il terzo dialogo del trittico – Seguito del colloquio precedente – è una rapida chiusa che si apre sul tema dei salti di forme, negli individui della stessa specie – è il tema dell’ereditarietà, trattato da Maupertuis nella Venere fisica (1745) e da Diderot nei Pensieri sull’interpretazione della natura – e i salti tra le specie, ovvero «la mescolanza delle specie». Diderot, per bocca di Bordeu, afferma con una punta di provocazione, che si tratta di una «questione di fisica, di morale e di poetica», in quanto «l’arte di creare esseri che non esistono, a imitazione di quelli che esistono, è della vera poesia». Questa parte del Sogno fece più scandalo, e ha spesso messo in imbarazzo gli interpreti, i quali hanno il più delle volte elegantemente taciuto i contenuti della discussione. Vi si parla della libertà sessuale (necessaria, consigliata dalla medicina), della liceità della masturbazione («gli atti solitari», o «piaceri solitari che non hanno bisogno di comunicarsi») e dell’omosessualità, infine delle possibilità che le specie si evolvano, fino a mutarsi e a «mescolarsi», in virtù dell’interna dinamica propria della natura vivente o con l’aiuto dell’«arte medica». L’immagine su cui si chiude il Seguito del colloquio precedente è l’idea della «creazione» – naturale o artificiale – di una nuova specie semi-umana, «una razza di piè-dicapra (chèvre-pieds)»; e questa sarebbe «una razza vigorosa, intelligente, instancabile e veloce, di cui faremmo degli eccellenti domestici» (infra, p. 617), conclude Bordeu. Idea non nuova, che Buffon aveva già avanzato nella sua Storia naturale, limitandosi a considerare l’accoppiamento di animali domestici per trarne delle «specie ausiliarie» (infra, nota 214). Diderot l’estende all’uomo, per giocare la sua ultima provocazione libertina. Si tratta di far passare l’idea che l’uomo, come specie animale tra le altre, è in stretto collegamento con tutto il mondo dei viventi, e non è un imperium in imperio (Spinoza). L’esempio eclatante, che dimostra la plausibilità di quest’idea, veniva dagli studi naturalistici dello stesso Buffon attorno alle grandi scimmie antropomorfe, come il caso di «quell’orangutan che ha l’aria di un San Giovanni che predica nel deserto» (infra, nota 219) esposto nei salotti di Parigi negli anni 1740. Lo scherzo libertino si associa così alla serietà dell’ipotesi trasformistica ed evoluzionista, rilanciata da Diderot e che verrà presa ancora più sul serio, in forma sistematica, negli Elementi di fisiologia e nelle due Confutazioni, di Helvétius e di Hemsterhuis. Il Sogno di D’Alembert resta così, accanto alle tre ultime opere postume (il trittico materialista), il «manoscritto nella bottiglia» raccolto, più tardi, dagli evoluzionisti del secolo XIX.
Nota al testo Per la nostra traduzione ci siamo avvalsi dei testi stabiliti da Barbara de Negroni (OP) e da Georges Dulac (DPV, XVII), a partire dal manoscritto autografo di Diderot, conservato nel Fonds Vandeul della BNF di Parigi, confrontato con la copia fattane da Girbal, conservata nella biblioteca dell’Ermitage a San Pietroburgo. Utile è stato il confronto con le precedenti traduzioni italiane, a cura di Mirella Brini Savorelli (Dialoghi filosofici, Firenze, Le Lettere, 1990) e di Daria Galateria (Palermo, Sellerio, 1994).
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La suite d’un entretien entre m. d’a lembert et m. diderot
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D’Alembert : J’avoue qu’un être qui existe quelque part et qui ne correspond à aucun point de l’espace ; un être qui est inétendu et qui occupe de l’étendue ; qui est tout entier sous chaque partie de cette étendue ; qui diffère essentiellement de la matière et qui lui est uni ; qui la suit et qui la meut sans se mouvoir ; qui agit sur elle et qui en subit toutes les vicissitudes ; un être dont je n’ai pas la moindre idée ; un être d’une nature aussi | contradictoire est difficile à admettre. Mais d’autres obscurités attendent celui qui le rejette ; car enfin cette sensibilité que vous lui substituez, si c’est une qualité générale et essentielle de la matière, il faut que la pierre sente. Diderot : Pourquoi non ? D’Alembert : Cela est dur à croire. Diderot : Oui, pour celui qui la coupe, la taille, la broie et qui ne l’entend pas crier. D’Alembert : Je voudrais bien que vous me disiez quelle différence vous mettez entre l’homme et la statue, entre le marbre et la chair. | Diderot : Assez peu... On fait du marbre avec de la chair, et de la chair avec du marbre. D’Alembert : Mais l’un n’est pas l’autre. Diderot : Comme ce que vous appelez la force vive n’est pas la force morte. D’Alembert : Je ne vous entends pas. Diderot : Je m’explique. Le transport d’un corps d’un lieu dans un autre n’est pas le mouvement, ce n’en est que l’effet. Le mouvement est également et dans le corps transféré et dans le corps immobile. D’Alembert : Cette façon de voir est nouvelle. Diderot : Elle n’en est pas moins vraie. Ôtez l’obstacle qui s’oppose au transport local du corps immobile, et il sera transféré. Supprimez par une raréfaction subite l’air qui environne cet énorme tronc de chêne, et l’eau qu’il contient, entrant tout à coup en expansion, le dispersera en cent mille éclats. J’en dis autant de votre propre corps. | D’Alembert : Soit. Mais quel rapport y a-t-il entre le mouvement et la sensibilité ? Serait-ce par hasard que vous reconnaîtriez une sensibilité active et une sensibilité inerte, comme il y a une force vive et une force morte ? Une force vive qui se manifeste par la translation, une force morte qui se manifeste par la pression ; une sensibilité active qui se caractérise par certaines actions remarquables dans l’animal et peut-être dans la plante ; et une sensibilité inerte dont on serait assuré par le passage à l’état de sensibilité active. Diderot : A merveille. Vous l’avez dit. D’Alembert : Ainsi la statue n’a qu’une sensibilité inerte ; et l’homme, l’animal, la plante même peut-être, sont doués d’une sensibilité active. Diderot : Il y a sans doute cette différence entre le bloc de marbre et le tissu de chair ; mais vous concevez bien que ce n’est pas la seule. D’Alembert : Assurément. Quelque ressemblance qu’il y ait entre la forme extérieure de l’homme et de la statue, il n’y a point de rapport entre leur organisation intérieure. Le ciseau du plus habile statuaire ne fait pas même un épiderme. Mais il y a un procédé fort
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Il seguito di un colloquio tra il signor Diderot e il signor D’Alembert
D’Alembert: Confesso che un essere che esiste in qualche luogo e che non corrisponde ad alcun punto dello spazio; un essere inesteso e che pure occupa uno spazio; che è tutto intero in ogni parte della sua estensione; che differisce essenzialmente dalla materia pur essendo unito a essa; che la segue e la muove senza muoversi e agisce su di essa e ne subisce tutte le vicissitudini;1 un essere di cui non ho la minima idea; un essere di natura così contradittoria è difficile da ammettere.2 Ma altre oscurità aspettano chi lo respinge, perché infine, questa sensibilità che voi mettete al suo posto, se è una qualità generale ed essenziale della materia, occorre che la pietra sia capace di sentire. Diderot: E perché no? D’Alembert: È un po’ difficile crederlo. Diderot: Sì, per colui che la taglia, la sminuzza e non la sente gridare. D’Alembert: Vorrei proprio che mi diceste che differenza ponete tra l’uomo e la statua, tra il marmo e la carne.3 Diderot: Ben poca. Si fa del marmo con della carne e della carne con del marmo. D’Alembert: Ma l’una cosa non è l’altra. Diderot: Come ciò che voi chiamate la forza viva non è la forza morta.4 D’Alembert: Non vi capisco. Diderot: Mi spiego. Il trasporto di un corpo da un luogo all’altro non è il moto, ma ne è soltanto l’effetto. Il moto è sia nel corpo trasferito che nel corpo immobile.5 D’Alembert: Questo modo di vedere mi riesce nuovo. Diderot: Non per questo è meno vero. Togliete l’ostacolo che si oppone al trasporto locale del corpo immobile ed esso sarà trasferito.6 Sopprimete, mediante rarefazione, l’aria che circonda quest’enorme tronco di quercia, e l’acqua che contiene, venendo a espandersi tutt’a un tratto, lo disperderà in centomila pezzi. Dico lo stesso del vostro corpo. D’Alembert: E sia. Ma che rapporto c’è tra il movimento e la sensibilità? Per caso voi riconoscete una sensibilità attiva e una sensibilità inerte, come c’è una forza viva e una forza morta? Una forza viva che si manifesta per mezzo della traslazione e una forza morta che si manifesta per mezzo della pressione; una sensibilità attiva caratterizzata da certe azioni notevoli nell’animale e forse nelle piante; e una sensibilità inerte che si rivelerebbe nel passare allo stato di una sensibilità attiva. Diderot: A meraviglia. L’avete detto. D’Alembert: Così la statua non ha che una sensibilità inerte; e l’uomo, l’animale, forse la pianta stessa, sono dotati di una sensibilità attiva. Diderot: C’è probabilmente questa differenza tra il blocco di marmo e il tessuto di carne; ma voi capite bene che non è la sola. D’A lembert: Certamente. Per quanta somiglianza vi sia tra la forma esteriore dell’uomo e della statua, non vi è alcun rapporto tra la loro organizzazione interna. Il cesello del più abile scultore non riesce a fare nemmeno un’epidermide.7 Ma vi è un procedimento molto semplice per far passare una forza morta allo stato di forza viva;
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simple pour faire passer une force morte à l’état de force vive ; c’est une expérience qui se répète sous nos yeux cent fois par jour ; au lieu que je ne vois pas trop comment on fait passer un corps de l’état de sensibilité inerte à l’état de sensibilité active. | Diderot : C’est que vous ne voulez pas le voir. C’est un phénomène aussi commun. D’Alembert : Et ce phénomène aussi commun, quel est-il, s’il vous plaît ? Diderot : Je vais vous le dire, puisque vous en voulez avoir la honte. Cela se fait toutes les fois que vous mangez. D’Alembert : Toutes les fois que je mange ! Diderot : Oui ; car en mangeant, que faites-vous ? Vous levez les obstacles qui s’opposaient à la sensibilité active de l’aliment ; vous l’assimilez avec vous-même ; vous en faites de la chair ; vous l’animalisez ; vous le rendez sensible ; et ce que vous exécutez sur un aliment, je l’exécuterai quand il me plaira sur le marbre. D’Alembert : Et comment cela ? Diderot : Comment ? je le rendrai comestible. D’Alembert : Rendre le marbre comestible, cela ne me paraît pas facile. Diderot : C’est mon affaire que de vous en indiquer le procédé. Je prends la statue que vous voyez, je la mets dans un mortier, et à grands coups de pilon... D’Alembert : Doucement, s’il vous plaît : c’est le chef-d’œuvre de Falconet. Encore si c’était un morceau d’Huez ou d’un autre... | Diderot : Cela ne fait rien à Falconet ; la statue est payée, et Falconet fait peu de cas de la considération présente, aucun de la considération à venir. D’Alembert : Allons, pulvérisez donc. Diderot : Lorsque le bloc de marbre est réduit en poudre impalpable, je mêle cette poudre à de l’humus ou terre végétale ; je les pétris bien ensemble ; j’arrose le mélange, je le laisse putréfier un an, deux ans, un siècle, le temps ne me fait rien. Lorsque le tout s’est transformé en une matière à peu près homogène, en humus, savez-vous ce que je fais ? D’Alembert : Je suis sûr que vous ne mangez pas de l’humus. Diderot : Non, mais il y a un moyen d’union, d’appropriation, entre l’humus et moi, un latus, comme vous dirait le chimiste. D’Alembert : Et ce latus, c’est la plante ? | Diderot : Fort bien. J’y sème des pois, des fèves, des choux, d’autres plantes légumineuses. Les plantes se nourrissent de la terre, et je me nourris des plantes. D’Alembert : Vrai ou faux, j’aime ce passage du marbre à l’humus, de l’humus au règne végétal, et du règne végétal au règne animal, à la chair. Diderot : Je fais donc de la chair, ou de l’âme comme dit ma fille, une matière activement sensible ; et si je ne résous pas le problème que vous m’avez proposé, du moins j’en approche beaucoup ; car vous m’avouerez qu’il y a bien plus loin d’un morceau de marbre à un être qui sent, que d’un être qui sent à un être qui pense. D’Alembert : J’en conviens. Avec tout cela l’être sensible n’est pas encore l’être pensant. Diderot : Avant que de faire un pas en avant, permettez-moi de vous faire l’histoire d’un des plus grands géomètres de l’Europe. Qu’était-ce d’abord que cet être merveilleux ? Rien. D’Alembert : Comment rien ? On ne fait rien de rien. Diderot : Vous prenez les mots trop à la lettre. Je veux dire qu’avant que sa mère, la belle et scélérate chanoinesse Tencin , eût atteint l’âge de puberté, avant que le militaire
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è un’esperienza che si ripete sotto ai nostri occhi cento volte al giorno; mentre invece non vedo molto bene come si possa far passare un corpo dallo stato di sensibilità inerte allo stato di sensibilità attiva. Diderot: Perché non volete vederlo? È un fenomeno altrettanto comune. D’Alembert: E questo fenomeno altrettanto comune qual è, per cortesia? Diderot: Ve lo dirò subito, visto che volete subire quest’umiliazione. Tale fenomeno si compie ogni volta che mangiate, D’Alembert: Ogni volta che mangio! Diderot: Si; perché mangiando che cosa fate? Togliete gli ostacoli che si opponevano alla sensibilità attiva dell’alimento; l’assimilate in voi stesso; ne fate della carne; lo animalizzate; lo rendete sensibile; e quello che voi eseguite su un alimento io lo eseguirò quando mi piacerà sul marmo. D’Alembert: E come? Diderot: Come? Lo renderò commestibile. D’Alembert: Rendere il marmo commestibile, non mi pare facile. Diderot: Spetta a me indicarvene il procedimento, Prendo questa statua, la metto in un mortaio e a gran colpi di pestello... D’Alembert: Piano, per favore: è il capolavoro di Falconet. Pazienza se fosse un’opera di Huez o di qualche altro... 8 Diderot: A Falconet non importa nulla; la statua è pagata e Falconet tiene in poco conto la considerazione presente e in alcun conto di quella avvenire.9 D’Alembert: Suvvia, polverizzate allora. Diderot: Quando il blocco di marmo è ridotto in polvere impalpabile, io mescolo questa polvere all’humus o terra vegetale; li impasto bene insieme; innaffio la miscela, la lascio imputridire per un anno, due anni, un secolo, il tempo non ha importanza. Quando il tutto si è trasformato in una materia pressappoco omogenea, in humus, sapete cosa faccio? D’Alembert: Sono sicuro che non mangiate dell’humus. Diderot: No, ma vi è un mezzo di unione, di appropriazione, tra l’humus e me, un latus come vi direbbe un chimico.10 D’Alembert: E questo latus è la pianta? Diderot: Benissimo. Vi semino piselli, fave, cavoli, altre piante leguminose. Le piante si nutrono di terra e io mi nutro delle piante. D’Alembert: Vero o falso che sia, mi piace questo passaggio dal marmo all’humus, dall’humus al regno vegetale e dal regno vegetale al regno animale, alla carne. Diderot: Così io faccio della carne o dell’anima, come dice mia figlia, una materia attivamente sensibile;11 e se anche non risolvo il problema da voi proposto, almeno mi avvicino molto alla soluzione; infatti, voi converrete con me che vi è molta maggior differenza tra un pezzo di marmo e un essere sensibile che fra un essere sensibile e un essere pensante. D’Alembert: Ne convengo. Con tutto ciò, l’essere sensibile non è ancora l’essere pensante.12 Diderot: Prima di fare un passo avanti, permettetemi di farvi la storia di uno dei più grandi matematici d’Europa. Che cos’era dapprima questo essere meraviglioso? Niente. D’Alembert: Come niente! Non si fa niente da niente.13 Diderot: Voi prendete le parole troppo alla lettera, Voglio dire che prima che sua madre, la bella e scellerata canonichessa Tencin, avesse raggiunto l’età della pubertà,
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La Touche fût adolescent, les molécules qui devaient former les premiers rudiments de mon géomètre étaient éparses dans les jeunes et frêles machines de l’une et de l’autre, se filtrèrent avec la lymphe, circulèrent avec le sang, jusqu’à ce qu’enfin elles se ren | dissent dans les réservoirs destinés à leur coalition, les testicules de sa mère et de son père. Voilà ce germe rare formé. Le voilà, comme c’est l’opinion commune, amené par les trompes de Fallope dans la matrice ; le voilà attaché à la matrice par un long pédicule ; le voilà, s’accroissant successivement et s’avançant à l’état de fœtus ; voilà le moment de sa sortie de l’obscure prison arrivé ; le voilà né, exposé sur les degrés de Saint-Jean-le-Rond qui lui donna son nom ; tiré des Enfants-Trouvés ; attaché à la mamelle de la bonne vitrière, Madame Rousseau ; allaité, devenu grand de corps et d’esprit, littérateur, mécanicien, géomètre. Comment cela s’est-il fait ? en mangeant et par d’autres opérations purement mécaniques. Voici en quatre mots la formule générale : Mangez, digérez, distillez in vasi licito, et fiat homo secundum artem. Et celui qui exposerait à l’Académie le progrès de la formation d’un homme ou d’un animal, n’emploierait que des agents matériels dont les effets successifs seraient un être inerte, un être sentant, un être pensant, un être résolvant le problème de la précession des équinoxes, un être sublime, un être merveilleux, un être vieillissant, dépérissant, mourant, dissous et rendu à la terre végétale. | D’Alembert : Vous ne croyez donc pas aux germes préexistants ? Diderot : Non. D’Alembert : Ah, que vous me faites plaisir ! Diderot : Cela est contre l’expérience et la raison. Contre l’expérience qui chercherait inutilement ces germes dans l’œuf et dans la plupart des animaux avant un certain âge ; contre la raison qui nous apprend que la divisibilité de la matière a un terme dans la nature, quoiqu’elle n’en ait aucun dans l’entendement, et qui répugne à concevoir un éléphant tout formé dans un atome, et dans cet atome un autre éléphant tout formé, et ainsi de suite à l’infini. D’Alembert : Mais sans ces germes préexistants, la génération première des animaux ne se conçoit pas. Diderot : Si la question de la priorité de l’œuf sur la poule ou de la poule sur l’œuf vous embarrasse, c’est que vous supposez que les animaux ont été originairement ce qu’ils sont à présent. Quelle folie ! On ne sait | non plus ce qu’ils ont été qu’on ne sait ce qu’ils deviendront. Le vermisseau imperceptible qui s’agite dans la fange, s’achemine peut-être à l’état de grand animal ; l’animal énorme, qui nous épouvante par sa grandeur, s’achemine peut-être à l’état de vermisseau, est peut-être une production particulière et momentanée de cette planète. D’Alembert : Comment avez-vous dit cela ? Diderot : Je vous disais... Mais cela va nous écarter de notre première discussion. D’Alembert : Qu’est-ce que cela fait ? Nous y reviendrons ou nous n’y reviendrons pas. Diderot : Me permettriez-vous d’anticiper de quelques milliers d’années sur les temps ? D’Alembert : Pourquoi non ? Le temps n’est rien pour la nature. Diderot : Vous consentez donc que j’éteigne notre soleil. D’Alembert : D’autant plus volontiers que ce ne sera pas le premier qui se soit éteint. Diderot : Le soleil éteint, qu’en arrivera-t-il ? Les plantes périront, les animaux périront, et voilà la Terre solitaire et muette. Rallumez cet astre ; et à l’instant vous rétablissez la cause nécessaire d’une infinité de générations nouvelles, entre lesquelles je n’ose-
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prima che il militare La Touche fosse adolescente, le molecole che dovevano formare i primi rudimenti del mio matematico erano sparse nelle giovani e fragili macchine dell’uno e dell’altra; si filtrarono con la linfa,14 circolarono col sangue, finché non si radunarono finalmente nei serbatoi destinati alla loro coalizione, i testicoli di suo padre e di sua madre.15 Ed ecco formato questo germe raro; eccolo, com’è opinione comune, condotto nella matrice attraverso le trombe di Fallopio; eccolo attaccato alla matrice da un lungo peduncolo; eccolo crescere gradatamente e progredire allo stato di feto; ecco giunto il momento della sua uscita dall’oscura prigione; eccolo nato, esposto sui gradini di Saint-Jean-Le-Rond che gli diede il nome; e poi tolto dall’orfanatrofio dei Trovatelli, attaccato alle mammelle della buona vetraia, la Signora Rousseau, allattato, diventato grande di corpo e d’intelletto, letterato, scienziato, matematico.16 Com’è accaduto tutto ciò? Mangiando e con altre operazioni puramente meccaniche. Ecco in quattro parole la formula generale: Mangiate, digerite, distillate in vasi licito, et fiat homo secundum artem.17 E colui che esponesse all’Accademia il processo di formazione di un uomo o di un animale, non adopererebbe che agenti materiali, i cui effetti successivi sarebbero un essere inerte, un essere pensante, un essere che risolve il problema della precessione degli equinozi,18 un essere sublime, un essere meraviglioso, un essere che invecchia, deperisce, muore, dissolto e restituito alla terra vegetale.19 D’Alembert: Voi non credete dunque ai germi preesistenti?20 Diderot: No. D’Alembert: Ah! Come mi fa piacere! Diderot: Ciò è contrario all’esperienza e alla ragione: contrario all’esperienza che invano cercherebbe questi germi nell’uomo e nella maggior parte degli animali prima di una certa età; contrario alla ragione, la quale ci insegna che la divisibilità della materia ha un limite in natura, sebbene non ne abbia alcuno in teoria; la ragione inoltre non può concepire un elefante già formato in un atomo, e in questo stesso atomo un altro elefante già formato e così via all’infinito. D’Alembert: Ma senza questi germi preesistenti non si concepisce il primo inizio della generazione degli animali. Diderot: Se la questione della priorità dell’uovo sulla gallina o della gallina sull’uovo vi mette in difficoltà, ciò si deve al fatto che voi supponete che gli animali siano stati originariamente quello che sono oggi. Che follia! Non si sa quel che sono stati più di quanto non si sappia ciò che diventeranno. Il verme impercettibile che si agita nel fango21 si avvia forse verso lo stato di grande animale; l’animale enorme che ci spaventa per la sua grandezza s’avvia forse verso lo stato di vermiciattolo, è forse un prodotto particolare, momentaneo, di questo pianeta.22 D’Alembert: Come dite? Diderot: Dicevo... Ma questo ci allontanerà dalla nostra discussione iniziale. D’Alembert: E che importa? Ci ritorneremo, oppure non ci ritorneremo. Diderot: Mi permettereste di prendermi alcune migliaia d’anni d’anticipo sul tempo? D’Alembert: Perché no? Il tempo non è nulla per la natura. Diderot: Permettete dunque che io spenga il sole? D’Alembert: Tanto più volentieri che non sarà il primo a spegnersi. Diderot: Una volta spento il sole, che cosa accadrà? Le piante periranno, gli animali periranno ed ecco la terra solitaria e muta. Riaccendete questo astro; e immediatamente voi ristabilite la causa necessaria di un’infinità di nuove generazioni, fra le quali
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rais assurer qu’à la suite des | siècles nos plantes, nos animaux d’aujourd’hui se reproduiront ou ne se reproduiront pas. D’Alembert : Et pourquoi les mêmes éléments épars venant à se réunir, ne rendraient-ils pas les mêmes résultats ? Diderot : C’est que tout tient dans la nature, et que celui qui suppose un nouveau phénomène ou ramène un instant passé, recrée un nouveau monde. D’Alembert : C’est ce qu’un penseur profond ne saurait nier. Mais pour en revenir à l’homme, puisque l’ordre général a voulu qu’il fût, rappelez-vous que c’est au passage d’être sentant à l’être pensant que vous m’avez laissé. Diderot : Je m’en souviens. D’Alembert : Franchement, vous m’obligeriez beaucoup de me tirer de là. Je suis un peu pressé de penser. Diderot : Quand je n’en viendrais pas à bout, qu’en résulterait-il contre un enchaînement de faits incontestables ? D’Alembert : Rien, sinon que nous serions arrêtés là tout court. Diderot : Et pour aller plus loin, nous serait-il permis d’inventer un agent contradictoire dans ses attributs, un mot vide de sens, inintelligible ? D’Alembert : Non. Diderot : Pourriez-vous me dire ce que c’est que l’existence d’un être sentant, par rapport à lui-même ? D’Alembert : C’est la conscience d’avoir été lui, depuis le premier instant de sa réflexion jusqu’au moment présent. | Diderot : Et sur quoi cette conscience est-elle fondée ? D’Alembert : Sur la mémoire de ses actions. Diderot : Et sans cette mémoire ? D’Alembert : Sans cette mémoire il n’aurait point de lui, puisque, ne sentant son existence que dans le moment de l’impression, il n’aurait aucune histoire de sa vie. Sa vie serait une suite interrompue de sensations que rien ne lierait. Diderot : Fort bien. Et qu’est-ce que la mémoire ? d’où naît-elle ? D’Alembert : D’une certaine organisation qui s’accroît, s’affaiblit et se perd quelquefois entièrement. Diderot : Si donc un être qui sent et qui a cette organisation propre à la mémoire lie les impressions qu’il reçoit, forme par cette liaison une histoire qui est celle de sa vie, et acquiert la conscience de lui, il nie, il affirme, il conclut, il pense. D’Alembert : Cela me paraît ; il ne me reste plus qu’une difficulté. Diderot : Vous vous trompez ; il vous en reste bien davantage. D’A lembert : Mais une principale. C’est qu’il me semble que nous ne pouvons penser qu’à une seule chose à la fois ; et que pour former, je ne dis pas ces énormes chaînes de raisonnements qui embrassent dans leur circuit des milliers d’idées, mais une simple proposition, on dirait qu’il faut avoir au moins deux choses présentes, l’objet qui semble rester sous l’œil de l’entendement, tandis qu’il s’occupe de la qualité qu’il en affirmera ou niera. | Diderot : Je le pense ; ce qui m’a fait quelquefois comparer les fibres de nos organes à des cordes vibrantes sensibles. La corde vibrante, sensible, oscille, résonne longtemps encore après qu’on l’a pincée. C’est cette oscillation, cette espèce de résonance nécessaire qui tient l’objet présent, tandis que l’entendement s’occupe de la qualité qui lui convient. Mais les cordes vibrantes ont encore une autre propriété, c’est d’en faire fré-
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non ho il coraggio di assicurarvi che, dopo secoli e secoli, le nostre piante, i nostri animali di oggi si riprodurranno o no.23 D’Alembert: E perché mai gli stessi elementi sparsi, venendosi a riunire, non darebbero gli stessi risultati? Diderot: Perché tutto è collegato in natura;24 e colui che suppone un nuovo fenomeno o riconduce un istante passato ricrea un nuovo mondo. D’Alembert: Ed è quello che un pensatore profondo non potrebbe negare. Ma per ritornare all’uomo, poiché l’ordine generale ha voluto che egli esista, ricordate che siamo rimasti al passaggio dall’essere sensibile all’essere pensante. Diderot: Lo ricordo benissimo. D’Alembert: Francamente, vi sarei molto obbligato se mi toglieste da questa difficoltà. Ne sono proprio impaziente. Diderot: E se non ci riuscissi, che cosa ne risulterebbe contro un concatenamento di fatti incontestabile? D’Alembert: Nulla, se non che ci saremmo semplicemente fermati a quel punto. Diderot: E per procedere oltre, ci è forse permesso inventare un agente contradittorio nei suoi attributi, una parola priva di senso, inintelligibile? D’Alembert: No. Diderot: Potreste dirmi che cos’è l’esistenza di un essere sensibile in rapporto a sé stesso? D’Alembert: È la coscienza d’esser stato sé stesso, dal suo primo istante di riflessione fino al momento presente. Diderot: E su che cosa è fondata questa coscienza? D’Alembert: Sulla memoria delle proprie azioni. Diderot: E senza questa memoria? D’Alembert: Senza questa memoria egli sarebbe privo dell’io,25 poiché, non sentendo la propria esistenza se non nel momento dell’impressione, egli non avrebbe alcuna storia della propria vita. La sua vita sarebbe un seguito interrotto di sensazioni che nulla legherebbe tra loro. Diderot: Benissimo. E che cos’è la memoria? Da dove nasce? D’Alembert: Da una certa organizzazione che s’accresce, s’indebolisce e si perde talvolta del tutto. Diderot: Se dunque un essere che sente e che ha quest’organizzazione propria della memoria, lega le impressioni che riceve, forma mediante questo legame una storia, che è quella della propria vita, e acquista coscienza di sé, nega, afferma, conclude, pensa. D’Alembert: Così mi pare; non mi resta che una difficoltà. Diderot: Vi sbagliate. Ve ne restano molte di più. D’Alembert: Ma una principale. È, mi pare, che noi possiamo pensare una cosa sola alla volta; mentre per formare, non dico quelle enormi catene di ragionamenti che abbracciano nel loro circuito migliaia di idee, ma una semplice proposizione, si direbbe che bisogna avere presenti almeno due cose: l’oggetto che sembra restare sotto l’occhio dell’intelletto, mentre questo si occupa della qualità che dovrà affermare o negare di esso. Diderot: Lo penso anch’io; ciò m’ha fatto più volte paragonare le fibre dei nostri organi a corde vibranti sensibili. La corda vibrante sensibile oscilla, risuona a lungo ancora dopo che è stata pizzicata. È quest’oscillazione, questa specie di risonanza necessaria, che tiene l’oggetto presente, mentre l’intelletto si occupa della qualità da attribuir gli.26 Ma le corde vibranti hanno anche un’altra proprietà, che consiste nel farne fre-
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mir d’autres ; et c’est ainsi qu’une première idée en rappelle une seconde ; ces deux-là une troisième ; toutes les trois une quatrième, et ainsi de suite, sans qu’on puisse fixer la limite des idées réveillées, enchaînées, du philosophe qui médite ou qui s’écoute dans le silence et l’obscurité. Cet instrument a des sauts étonnants ; et une idée réveillée va faire quelquefois frémir une harmonique qui en est à un intervalle incompréhensible. Si le phénomène s’observe entre des cordes sonores, inertes et séparées, | comment n’aurait-il pas lieu entre des points vivants et liés, entre des fibres continues et sensibles ? D’Alembert : Si cela n’est pas vrai, cela est au moins très ingénieux. Mais on serait tenté de croire que vous tombez imperceptiblement dans l’inconvénient que vous vouliez éviter. Diderot : Quel ? D’Alembert : Vous en voulez à la distinction des deux substances. Diderot : Je ne m’en cache pas. D’Alembert : Et si vous y regardez de près, vous faites de l’entendement du philosophe un être distinct de l’instrument, une espèce de musicien qui prête l’oreille aux cordes vibrantes, et qui prononce sur leur consonance ou leur dissonance. Diderot : Il se peut que j’aie donné lieu à cette objection, que peut-être vous ne m’eussiez pas faite si vous eussiez considéré la différence de l’instrument philosophe et de l’instrument clavecin. L’instrument philosophe est sensible ; il est en même temps le musicien et l’instrument. Comme sensible, il a la conscience momentanée du son qu’il rend ; comme animal, il en a la mémoire. Cette faculté organique, en liant les sons en lui-même, y produit et conserve la mélodie. Supposez au clavecin de la sensibilité et de la mémoire, et dites-moi s’il ne saura pas, s’il ne se répétera pas de lui-même les airs que vous aurez exécutés sur ses touches. Nous sommes des instruments doués de sensibilité et de mémoire. Nos sens sont autant de touches qui sont pincées par la nature qui nous environne, et qui se pincent souvent elles-mêmes; et voici, à mon jugement, tout ce qui se passe dans un clavecin organisé comme vous et moi. Il y a une impression qui a | sa cause au dedans ou au dehors de l’instrument, une sensation qui naît de cette impression, une sensation qui dure ; car il est impossible d’imaginer qu’elle se fasse et qu’elle s’éteigne dans un instant indivisible ; une autre impression qui lui succède, et qui a pareillement sa cause au dedans et au dehors de l’animal ; une seconde sensation et des voix qui les désignent par des sons naturels ou conventionnels. D’Alembert : J’entends. Ainsi donc, si ce clavecin sensible et animé était encore doué de la faculté de se nourrir et de se reproduire, il vivrait, et engendrerait de luimême, ou avec sa femelle, de petits clavecins vivants et résonnants. Diderot : Sans doute. A votre avis, qu’est-ce autre chose qu’un pinson, un rossignol, un musicien, un homme ? Et quelle autre différence trouvez-vous entre le serin et la serinette ? Voyez-vous cet œuf ? c’est avec cela qu’on renverse toutes les écoles de théologie et tous les temples de | la terre. Qu’est-ce que cet œuf ? une masse insensible avant que le germe y soit introduit ; et après que le germe y est introduit, qu’est-ce encore ? une masse insensible, car ce germe n’est lui-même qu’un fluide inerte et grossier. Comment cette masse passera-t-elle à une autre organisation, à la sensibilité, à la vie ? Par la chaleur. Qu’y produira la chaleur ? Le mouvement. Quels seront les effets successifs du mouvement ? Au lieu de me répondre, asseyez-vous, et suivons-les de l’œil de moment en moment. D’abord c’est un point qui oscille, un filet qui s’étend et qui se colore, de la chair qui se forme ; un bec, des bouts d’ailes, des yeux, des pattes qui paraissent ; une matière jaunâtre qui se dévide et produit des intestins ; c’est un animal. Cet animal se meut, s’agite, crie. J’entends ses cris à travers la coque ; il se couvre
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mere altre; e così una prima idea ne richiama una seconda, queste due una terza, tutte e tre insieme una quarta e così via, senza che si possa fissare il limite delle idee risvegliate, concatenate dal filosofo che medita o si ascolta nel silenzio e nell’oscurità. Questo strumento fa dei salti stupefacenti; e un’idea risvegliata giunge talvolta a far fremere una corda armonica che si trova a un intervallo inconcepibile.27 Se il fenomeno si osserva tra corde sonore inerti e separate, come non dovrebbe aver luogo tra punti vivi e collegati, tra fibre continue e sensibili? D’Alembert: Se ciò non è vero, è quanto meno assai ingegnoso. Ma si sarebbe tentati di credere che voi cadiate impercettibilmente nell’inconveniente che volevate evitare. Diderot: Quale? D’Alembert: Ve la prendete con la distinzione delle due sostanze. Diderot: Non lo nascondo. D’Alembert: Se guardate la cosa più da vicino, voi considerate l’intelletto del filosofo come un ente distinto dallo strumento, una specie di musicista che presta l’orecchio alle corde vibranti e pronuncia un giudizio sulla loro consonanza o dissonanza. Diderot: Può darsi che io abbia prestato il fianco a questa obiezione, che forse non m’avreste fatto, se aveste considerato la differenza tra lo strumento filosofo e lo strumento clavicembalo. Lo strumento filosofo è sensibile; ne è al tempo stesso il musicista e lo strumento.28 In quanto sensibile, egli ha la coscienza momentanea del suono che emette; in quanto animale, ne ha la memoria. Questa facoltà organica, legando i suoni in lui stesso, vi produce e conserva la melodia. Supponete che il clavicembalo abbia della sensibilità e della memoria e ditemi se non saprà, se non ripeterà da solo le arie che voi avrete eseguito sui suoi tasti. Noi siamo degli strumenti dotati di sensibilità e di memoria. I nostri sensi sono altrettanti tasti pizzicati dalla natura che ci circonda e che talvolta si pizzicano da soli; ed ecco, a mio parere, tutto quello che accade in un clavicembalo organizzato come voi e me. C’è un’impressione, la cui causa sta all’interno o all’esterno dello strumento, una sensazione che nasce da quella impressione, una sensazione che dura; perché è impossibile che essa si produca e si spenga in un istante indivisibile; un’altra impressione succede alla prima e la cui causa è ugualmente all’interno o all’esterno dell’animale; ed ecco una seconda sensazione e delle voci che le designano mediante dei suoni naturali o convenzionali.29 D’Alembert: Capisco. E così, se dunque questo clavicembalo sensibile e animato fosse anche dotato della facoltà di nutrirsi e di riprodursi, vivrebbe e genererebbe, da solo o con la sua femmina, dei piccoli clavicembali viventi e risonanti. Diderot: Probabilmente. Secondo voi, che altro è un fringuello, un usignolo, un musicista, un uomo? E quale altra differenza trovate voi fra il canarino e l’organetto?30 Vedete quest’uovo? È con quest’uovo che si rovesciano tutte le scuole di teologia e tutti i templi della terra.31 Che cos’è quest’uovo? una massa insensibile, prima che il germe vi si sia introdotto; e dopo che il germe vi è stato introdotto, che cos’è ancora? Una massa insensibile, perché il germe non è esso stesso altro che un fluido inerte e grossolano. In che modo questa massa passerà a un’altra organizzazione, alla sensibilità, alla vita? Con il calore. Chi produrrà il calore? Il moto. Quali saranno gli effetti successivi del moto? Invece di rispondermi, sedete e seguiamoli con l’occhio, di momento in momento. In principio è un punto che oscilla, un piccolo filo che si estende e si colora; è carne che si forma, è un becco, pezzi d’ala, occhi, zampe che appaiono; una materia giallastra che si dipana e produce degli intestini; è un animale.32 Quest’animale si muove, si agita, grida; sento le sue grida attraverso il guscio; si copre di piume; vede; la pesantezza della testa
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de duvet ; il voit ; la pesanteur de sa tête, qui oscille, porte sans cesse son bec contre la paroi intérieure de sa prison ; la voilà brisée ; il en sort, il marche, il vole, il s’irrite, il fuit, il approche, il se plaint, il souffre, il aime, il désire, il jouit ; il a toutes vos affections, toutes vos actions, il les fait. Prétendrez-vous, avec Descartes, que c’est une pure machine imitative ? Mais les petits enfants se moqueront de vous ; et les philosophes vous répliqueront que si c’est là une machine, vous en êtes une autre. Si vous avouez qu’entre l’animal et vous il n’y a de différence | que dans l’organisation, vous montrerez du sens et de la raison ; vous serez de bonne foi ; mais on en conclura contre vous qu’avec une matière inerte, disposée d’une certaine manière, imprégnée d’une autre matière inerte, de la chaleur et du mouvement, on obtient de la sensibilité, de la vie, de la mémoire, de la conscience, des passions, de la pensée. Il ne vous reste qu’un de ces deux partis à prendre ; c’est d’imaginer dans la masse inerte de l’œuf un élément caché qui en attendait le développement pour manifester sa présence ; ou de supposer que cet élément imperceptible s’y est insinué à travers la coque dans un instant déterminé du développement. Mais qu’est-ce que cet élément ? Occupait-il de l’espace, ou n’en occupait-il point ? Comment est-il venu, ou s’est-il échappé, sans se mouvoir ? Où était-il ? Que faisait-il là ou ailleurs ? A-t-il été créé à l’instant du besoin ? Existait-il, attendait-il un domicile ? Était-il homogène ou hétérogène à ce domicile ? Homogène, il était matériel. Hétérogène, on ne conçoit ni son inertie avant le développement, ni son énergie dans l’animal développé. Écoutez-vous, et vous aurez pitié de vous-même ; vous sentirez que, pour ne pas admettre une supposition simple qui explique tout, la sensibilité, propriété générale de la matière, ou produit de l’organisation, vous renoncez au sens commun, et vous précipitez dans un abîme de mystères, de contradictions et d’absurdités. | D’Alembert : Une supposition ? Cela vous plaît à dire. Mais si c’était une qualité essentiellement incompatible avec la matière ? Diderot : Et d’où savez-vous que la sensibilité est essentiellement incompatible avec la matière, vous qui ne connaissez l’essence de quoi que ce soit, ni de la matière, ni de la sensibilité ? Entendez-vous mieux la nature du mouvement, son existence dans un corps, et sa communication d’un corps à un autre ? D’Alembert : Sans concevoir la nature de la sensibilité, ni celle de la matière, je vois que la sensibilité est une qualité simple, une, indivisible et incompatible avec un sujet ou suppôt divisible. Diderot : Galimatias métaphysico-théologique. Quoi, est-ce que | vous ne voyez pas que toutes les qualités, toutes les formes sensibles dont la matière est revêtue sont essentiellement indivisibles ? Il n’y a ni plus ni moins d’impénétrabilité. Il y a la moitié d’un corps rond, mais il n’y a pas la moitié de la rondeur. Il y a plus ou moins de mouvement, mais il n’y a ni plus ni moins mouvement ; il n’y a ni la moitié, ni le tiers, ni le quart d’une tête, d’une oreille, d’un doigt, pas plus que la moitié, le tiers, le quart d’une pensée. Si dans l’univers il n’y a pas une molécule qui ressemble à une autre, dans une molécule pas un point qui ressemble à un autre point, convenez que l’atome même est doué d’une qualité, d’une forme indivisible. Convenez que la division est incompatible avec les essences des formes, puisqu’elle les détruit. Soyez physicien ; et convenez de la production d’un effet lorsque vous le voyez produit, quoique vous ne puissiez vous expliquer la liaison de la cause à l’effet. Soyez logicien, et ne substituez pas à une cause qui est et qui explique tout, une autre cause qui ne se conçoit pas, dont la liaison avec l’effet se conçoit encore moins, qui engendre une multitude infinie de difficultés, et qui n’en résout aucune. D’Alembert : Mais si je me dépars de cette cause ?
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che oscilla porta continuamente il becco a battere contro la parete interna della sua prigione; eccola spezzata; esce, cammina, vola, si irrita, fugge, si avvicina, si lamenta, soffre, ama, desidera, gode; possiede tutti i vostri stessi affetti, è capace di compiere tutte le vostre stesse azioni. Pretendereste voi, con Cartesio, che si tratta di una pura e semplice macchina imitatrice?33 Ma i bambini si burleranno di voi e i filosofi vi replicheranno che se questa è una macchina, anche voi siete una macchina. Se confesserete che fra l’animale e voi non c’è differenza che nell’organizzazione, dimostrerete del buon senso e della ragione; sarete in buona fede; ma si concluderà contro di voi che con una materia inerte, disposta in un certo modo, impregnata di un’altra materia inerte, di calore e di moto, si ottiene sensibilità, vita, memoria, coscienza, passioni, pensiero. A questo punto, non vi resta da prendere che uno di questi due partiti, o immaginare nella massa inerte dell’uovo un elemento nascosto che ne attendeva lo sviluppo per manifestare la sua presenza; oppure supporre che quell’elemento impercettibile vi si sia insinuato attraverso il guscio a un determinato momento dello sviluppo. Ma che cos’è quest’elemento? Occupava o non occupava spazio? Com’è venuto o s’è sprigionato, senza muoversi? Dov’era? Che faceva là o altrove? È stato creato nel momento del bisogno? Esisteva già? Attendeva un domicilio? Era omogeneo o eterogeneo rispetto a quel domicilio? Se omogeneo, era materiale. Se eterogeneo, non si concepisce né la sua inerzia prima dello sviluppo, né la sua energia nell’animale sviluppato. Ascoltatevi e avrete pietà di voi stesso; sentirete che, per non ammettere un’ipotesi semplice che spiega tutto, la sensibilità, proprietà generale della materia o prodotto dell’organizzazione, voi rinunciate al senso comune e precipitate in un abisso di misteri, di contraddizioni e di assurdità.34 D’Alembert: Un’ipotesi? Fate presto a dirlo. Ma se fosse una qualità essenzialmente incompatibile con la materia?35 Diderot: E come fate a sapere che la sensibilità è essenzialmente incompatibile con la materia, voi che non conoscete l’essenza di checchessia, né della materia, né della sensibilità?36 E capite meglio la natura del moto, la sua esistenza in un corpo e la sua trasmissione da un corpo all’altro?37 D’Alembert: Pur senza concepire la natura della sensibilità, né quella della materia, io vedo che la sensibilità è una qualità semplice, una, indivisibile e incompatibile con un soggetto o supporto divisibile. Diderot: Che guazzabuglio metafisico-teologico. Come? non vedete che tutte le qualità, tutte le forme sensibili di cui è rivestita la materia sono essenzialmente indivisibili? Non vi è né maggiore, né minore impenetrabilità; esiste la metà di un corpo rotondo, ma non esiste la metà della rotondità; esiste più o meno movimento, ma non c’è né maggiore né minore quantità di moto; non vi può essere né la metà, né il terzo, né il quarto di una testa, di un orecchio, di un dito, più di quanto non vi sia la metà, o il terzo o il quarto di un pensiero.38 Se nell’universo non vi è molecola che assomigli a un’altra, in una molecola non vi è un punto che assomigli a un altro, convenite che l’atomo stesso è dotato di una qualità, di una forma indivisibile; convenite sul fatto che la divisione è incompatibile con le essenze delle forme, poiché essa le distrugge.39 Siate fisico e convenite sulla produzione di un effetto una volta che lo vedete prodotto, anche se non potete spiegare il legame tra la causa e l’effetto. Siate logico e non sostituite una causa che c’è e che spiega tutto con un’altra causa che non è concepibile, il cui legame con l’effetto è ancor meno concepibile e genera una moltitudine infinita di difficoltà, mentre non ne risolve alcuna. D’Alembert: Ma se io rinuncio a questa causa?
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Diderot : Il n’y a plus qu’une substance dans l’univers, dans l’homme, dans l’animal. La serinette est de bois, l’homme est de chair. Le serin est de chair, le musicien est d’une chair diversement organisée. | Mais l’un et l’autre ont une même origine, une même formation, les mêmes fonctions et la même fin. D’Alembert : Et comment s’établit la convention des sons entre vos deux clavecins ? Diderot : Un animal étant un instrument sensible parfaitement semblable à un autre, doué de la même conformation, monté des mêmes cordes, pincé de la même manière par la joie, par la douleur, par la faim, par la soif, par la colique, par l’admiration, par l’effroi, il est impossible qu’au pôle et sous la ligne il rende des sons différents. Aussi trouverez-vous les interjections à peu près les mêmes dans toutes les langues mortes ou vivantes. Il faut tirer du besoin et de la proximité l’origine des sons conventionnels. L’instrument sensible ou l’animal a éprouvé qu’en rendant tel son il s’ensuivait tel effet hors de lui ; que d’autres instruments sensibles pareils à lui ou d’autres animaux semblables s’approchaient, s’éloignaient, demandaient, offraient, blessaient, caressaient ; et ces effets se sont liés dans sa mémoire et dans celle des autres à la formation de ces sons. Et remarquez qu’il n’y a dans le commerce des hommes que des bruits et des actions. Et pour donner à mon système toute force, remarquez encore qu’il est sujet à la même difficulté insurmontable que Berkeley a proposée contre l’existence des corps. Il y a un moment de délire où le clavecin | sensible a pensé qu’il était le seul clavecin qu’il y eût au monde, et que toute l’harmonie de l’univers se passait en lui. D’Alembert : Il y a bien des choses à dire là-dessus. Diderot : Cela est vrai. D’Alembert : Par exemple, on ne conçoit pas trop, d’après votre système, comment nous formons des syllogismes, ni comment nous tirons des conséquences. Diderot : C’est que nous n’en tirons point ; elles sont toutes tirées par la nature. Nous ne faisons qu’énoncer des phénomènes conjoints, dont la liaison est ou nécessaire ou contingente ; phénomènes qui nous sont connus par l’expérience ; nécessaires en mathématiques, en physique et autres sciences rigoureuses ; contingents en morale, en politique et autres sciences conjecturales. | D’Alembert : Est-ce que la liaison des phénomènes est moins nécessaire dans un cas que dans un autre ? Diderot : Non. Mais la cause subit trop de vicissitudes particulières qui nous échappent, pour que nous puissions compter infailliblement sur l’effet qui s’ensuivra. La certitude que nous avons qu’un homme violent s’irritera d’une injure, n’est pas la même que celle qu’un corps qui en frappe un plus petit le mettra en mouvement. D’Alembert : Et l’analogie ? Diderot : L’analogie, dans les cas les plus composés, n’est qu’une règle de trois qui s’exécute dans l’instrument sensible. Si tel phénomène connu en nature est suivi de tel autre phénomène connu en nature, quel sera le quatrième phénomène conséquent à un troisième, ou donné par la nature, ou imaginé à l’imitation de la nature ? Si la lance d’un guerrier ordinaire a dix pieds de long, quelle sera la lance d’Ajax ? Si je puis lancer une pierre de quatre livres, Diomède doit remuer un quartier de rocher ; les enjambées des dieux et les bonds de leurs chevaux seront dans le rapport imaginé des dieux à l’homme. C’est une quatrième corde harmonique et proportionnelle à trois autres dont l’animal attend la résonance qui se fait toujours en lui-même, mais qui ne se fait pas toujours en nature. Peu importe au poète. Il n’en est pas moins vrai. C’est autre chose pour le |
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Diderot: Non c’è più che una sostanza nell’universo, nell’uomo, nell’animale. L’organetto (serinette) è di legno, l’uomo è di carne, Il canarino (serin) è di carne, il musicista è di carne diversamente organizzata; ma entrambi hanno una medesima origine, la stessa formazione, le stesse funzioni e la stessa fine.40 D’Alembert: E come viene stabilita la convenzione dei suoni per i vostri due clavicembali? Diderot: Poiché un animale è uno strumento sensibile perfettamente simile a un altro, con la stessa conformazione e le stesse corde, toccato allo stesso modo dalla gioia, dal dolore, dalla fame, dalla sete, dalla colica, dall’ammirazione, dallo spavento, è impossibile che al polo o sotto l’equatore dia suoni diversi. Perciò voi trovate pressappoco le stesse interiezioni in tutte le lingue, morte o vive.41 Bisogna dedurre dal bisogno e dalla prossimità l’origine dei suoni convenzionali. Lo strumento sensibile o l’animale ha provato il fatto che emettendo un certo suono ne conseguiva un certo effetto fuori di lui, che altri strumenti sensibili, simili a lui, o altri animali simili si avvicinavano, si allontanavano, domandavano, offrivano, ferivano, accarezzavano e questi effetti si sono collegati, nella sua memoria e in quella degli altri, alla formazione di quei suoni. E notate che nel commercio degli uomini vi sono soltanto rumori e azioni. E per dare al mio sistema tutta la sua forza, notate inoltre che esso è soggetto alla medesima difficoltà insormontabile proposta da Berkeley contro l’esistenza dei corpi.42 C’è un momento di delirio in cui il clavicembalo sensibile ha pensato di essere il solo clavicembalo esistente al mondo e che tutta l’armonia dell’universo risiedesse in lui.43 D’Alembert: A questo proposito ci sono molte cose da dire.44 Diderot: È vero. D’Alembert: Per esempio, non si capisce molto bene, secondo il vostro sistema, come noi formiamo dei sillogismi, né come traiamo delle conseguenze. Diderot: Perché non ne traiamo alcuna; esse sono tutte tratte dalla natura. Noi non facciamo altro che enunciare fenomeni congiunti, il cui legame è necessario o contingente, fenomeni che ci sono noti attraverso l’esperienza: necessari in matematica, in fisica e in altre scienze rigorose; contingenti in morale, in politica e in altre scienze fondate su congetture.45 D’Alembert: E il legame dei fenomeni è meno necessario nell’uno che nell’altro caso? Diderot: No. Ma la causa subisce troppe vicissitudini particolari che ci sfuggono, perché possiamo contare infallibilmente sull’effetto che ne seguirà. La certezza che abbiamo che un uomo violento s’irriterà subendo un’ingiuria non è la stessa certezza che un corpo, nel momento in cui ne colpisca uno più piccolo, lo metterà in moto. D’Alembert: E l’analogia?46 Diderot: L’analogia, nei casi più complessi, non è che una regola del tre eseguita sullo strumento sensibile.47 Se un certo fenomeno, noto in natura, è seguito da un altro fenomeno, pure noto in natura, quale sarà il quarto fenomeno conseguente a un terzo, o dato dalla natura o immaginato a imitazione della natura? Se la lancia di un guerriero comune è lunga dieci piedi, come sarà la lancia di Aiace? Se io sono capace di lanciare un sasso di quattro libbre, Diomede deve essere capace di smuovere un’intera roccia. Le falcate degli Dei e i balzi dei loro cavalli saranno proporzionati al rapporto immaginato fra gli Dei e l’uomo. L’animale si aspetta la risonanza di una quarta corda armonica e proporzionale ad altre tre e tale risonanza si verifica sempre dentro di lui, ma non si verifica sempre in natura. Poco importa al poeta. Egli non è perciò meno veritiero.48 Altra cosa è per il filosofo. Bisogna che egli interroghi successivamente la
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philosophe. Il faut qu’il interroge ensuite la nature qui, lui donnant souvent un phénomène tout à fait différent de celui qu’il avait présumé, alors il s’aperçoit que l’analogie l’a séduit. D’Alembert : Adieu, mon ami ; bonsoir et bonne nuit. Diderot : Vous plaisantez ; mais vous rêverez sur votre oreiller à cet entretien ; et s’il n’y prend pas de la consistance, tant pis pour vous ; car vous serez forcé d’embrasser des hypothèses bien autrement ridicules. D’Alembert : Vous vous trompez. Sceptique je me serai couché ; sceptique je me lèverai. Diderot : Sceptique ! Est-ce qu’on est sceptique ? D’Alembert : En voici bien d’une autre. N’allez-vous pas me soutenir que je ne suis pas sceptique ? et qui le sait mieux que moi ? Diderot : Attendez un moment. D’Alembert : Dépêchez-vous, car je suis pressé de dormir. Diderot : Je serai court. Croyez-vous qu’il y ait une seule question discutée sur laquelle un homme reste avec une égale et rigoureuse mesure de raison pour et contre ? D’Alembert : Non. Ce serait l’âne de Buridan. Diderot : En ce cas, il n’y a donc point de sceptique ; puisqu’à l’excep | tion des questions de mathématiques, qui ne comportent pas la moindre incertitude, il y a du pour et du contre dans toutes les autres. La balance n’est donc jamais égale ; et il est impossible qu’elle ne penche pas du côté où nous croyons le plus de vraisemblance. D’Alembert : Mais je vois le matin la vraisemblance à ma droite ; et l’après-midi elle est à ma gauche. Diderot : C’est-à-dire que vous êtes dogmatique pour le matin, et dogmatique contre, l’après-midi. D’Alembert : Et le soir, quand je me rappelle cette inconstance si rapide de mes jugements, je ne crois rien, ni du matin, ni de l’après-midi. Diderot : C’est-à-dire que vous ne vous rappelez plus la prépondérance des deux opinions entre lesquelles vous avez oscillé ; que cette prépondérance vous paraît trop légère pour asseoir un sentiment fixe, et que vous prenez le parti de ne plus vous occuper de sujets aussi problématiques, d’en abandonner la discussion aux autres, et de n’en pas disputer davantage. D’Alembert : Cela se peut. Diderot : Mais si quelqu’un vous tirait à l’écart et, vous questionnant d’amitié, vous demandait, en conscience, des deux partis quel est celui où | vous trouvez le moins de difficultés, de bonne foi, seriez-vous embarrassé de répondre, et réaliseriez-vous l’âne de Buridan ? D’Alembert : Je crois que non. Diderot : Tenez, mon ami, si vous y pensez bien, vous trouverez qu’en tout, notre véritable sentiment n’est pas celui dans lequel nous n’avons jamais vacillé, mais celui auquel nous sommes le plus habituellement revenus. D’Alembert : Je crois que vous avez raison. Diderot : Et moi aussi. Bonsoir, mon ami, et memento quia pulvis es, et in pulverem reverteris. D’Alembert : Cela est triste. Diderot : Et nécessaire. Accordez à l’homme, je ne dis pas l’immortalité, mais seulement le double de sa durée, et vous verrez ce qui en arrivera. D’Alembert : Et que voulez-vous qu’il en arrive ? Mais qu’est-ce que cela me fait ? qu’il en arrive ce qui pourra. Je veux dormir. Bonsoir.
Fin |
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natura, la quale dandogli spesso un fenomeno del tutto diverso da quello che presumeva, allora egli si accorge che l’analogia l’ha ingannato. D’Alembert: Addio, amico mio, buona sera e buona notte. Diderot: Scherzate, ma sul vostro cuscino voi sognerete questo colloquio; e se non vi prende consistenza peggio per voi, perché allora sarete costretto ad abbracciare ipotesi ben altrimenti ridicole. D’Alembert: Vi sbagliate. Andrò a letto scettico; e scettico mi alzerò.49 Diderot: Scettico! Ma si può davvero essere scettici?50 D’Alembert: Oh, bella quest’altra! Non mi verrete a sostenere che non sono scettico? E chi lo sa meglio di me? Diderot: Aspettate un po’. D’Alembert: Sbrigatevi, perché ho fretta di andare a dormire. Diderot: Sarò breve. Credete voi che ci sia una sola questione su cui un uomo, dopo averla discussa, rimanga con un’uguale e rigorosa misura di ragioni pro e contro? D’Alembert: No, sarebbe l’asino di Buridano.51 Diderot: In tal caso, non esistono dunque scettici; perché a eccezione delle questioni matematiche che non comportano la minima incertezza, vi è in tutte le altre il pro e il contro.52 La bilancia non è dunque mai uguale; ed è impossibile che non penda dalla parte in cui noi crediamo che ci sia una maggiore verosimiglianza. D’Alembert: Ma al mattino io vedo la verosimiglianza alla mia destra e il pomeriggio essa si trova alla mia sinistra. Diderot: Ciò vuol dire che al mattino siete dogmatico pro, e il pomeriggio dogmatico contro. D’Alembert: E alla sera, quando mi ricordo di questa così rapida incostanza dei miei giudizi, non credo a nulla, né ai giudizi del mattino, né a quelli del pomeriggio. Diderot: Ciò vuol dire che non vi ricordate più la preponderanza delle due opinioni tra le quali avete oscillato; che questa preponderanza vi sembra troppo lieve per consolidare un assenso definitivo, e così decidete di non occuparvi più di materie tanto problematiche, di lasciarne la discussione agli altri e di non disputarne ulteriormente. D’Alembert: Può darsi. Diderot: Ma se qualcuno vi traesse in disparte e vi chiedesse, in confidenza, in quale delle due opinioni trovate minori difficoltà, in buona fede, sareste imbarazzato a rispondere e realizzereste l’incarnazione dell’asino di Buridano? D’Alembert: Credo di no. Diderot: Andiamo, amico mio, se ci pensate bene vedrete che in tutto, il nostro vero sentimento non è mai quello in cui non abbiamo mai vacillato, ma quello a cui siamo tornati più spesso. D’Alembert: Credo che abbiate ragione. Diderot: E anch’io. Buona sera, amico mio; e memento quia pulvis es, et in pulverem reverteris.53 D’Alembert: Il che è triste. Diderot: E necessario. Accordate all’uomo non dico l’immortalità, ma soltanto il doppio della sua durata e vedrete che accadrà. D’Alembert: E cosa volete che accada? Ma che me ne importa? Accada pure quel che potrà accadere. Io voglio dormire. Buona sera.
Fine
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Interlocuteurs D’Alembert, Mademoiselle de L’Espinasse, le médecin Bordeu
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Bordeu : Eh bien, qu’est-ce qu’il y a de nouveau ? Est-ce qu’il est malade ? Mademoiselle de L’Espinasse : Je le crains ; il a eu la nuit la plus agitée. Bordeu : Est-il éveillé ? Mademoiselle de L’Espinasse : Pas encore. Bordeu : (Après s’être approché du lit de d’Alembert et lui avoir tâté le pouls et la peau). Ce ne sera rien. | Mademoiselle de L’Espinasse : Vous croyez ? Bordeu : J’en réponds. Le pouls est bon... un peu faible... la peau moite... la respiration facile. Mademoiselle de L’Espinasse : N’y a-t-il rien à lui faire ? Bordeu : Rien. Mademoiselle de L’Espinasse : Tant mieux, car il déteste les remèdes. Bordeu : Et moi aussi. Qu’a-t-il mangé à souper ? Mademoiselle de L’Espinasse : Il n’a rien voulu prendre. Je ne sais où il avait passé la soirée, mais il est revenu soucieux. Bordeu : C’est un petit mouvement fébrile qui n’aura point de suite. Mademoiselle de L’Espinasse : En rentrant, il a pris sa robe de chambre, son bonnet de nuit, et s’est jeté dans son fauteuil où, il s’est assoupi. Bordeu : Le sommeil est bon partout ; mais il eût été mieux dans son lit. Mademoiselle de L’Espinasse : Il s’est fâché contre Antoine qui le lui disait, et il a fallu le tirailler une demi-heure pour le faire coucher. Bordeu : C’est ce qui m’arrive tous les jours, quoique je me porte bien. Mademoiselle de L’Espinasse : Quand il a été couché, au lieu de reposer comme à son ordinaire, car il dort comme un enfant, il s’est mis à se tourner, à se retourner, à tirer ses bras, à écarter ses couvertures, et à parler haut. Bordeu : Et qu’est-ce qu’il disait ? de la géométrie ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non. Cela avait tout l’air du délire. C’était, en commençant, un galimatias de cordes vibrantes et de fibres sensibles. Cela m’a paru si fou que, résolue de ne le pas quitter de la nuit et ne sachant que faire, j’ai approché une petite table du pied de son lit, et me suis mise à écrire tout ce que j’ai pu attraper de sa rêvasserie. | Bordeu : Bon tour de tête qui est bien de vous. Et peut-on voir cela ? Mademoiselle de L’Espinasse : Sans difficulté ; mais je veux mourir, si vous y comprenez quelque chose. Bordeu : Peut-être. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, êtes-vous prêt ? Bordeu : Oui. Mademoiselle de L’Espinasse : Écoutez... Un point vivant... Non, je me trompe. Rien d’abord, puis un point vivant... à ce point vivant il s’en applique un autre, encore
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Il sogno di d’alembert Interlocutori D’Alembert, Signorina de L’Espinasse, il medico Bordeu.54
Bordeu: Ebbene, che c’è di nuovo? È ammalato? Signorina de L’Espinasse: Ho paura di sì; ha passato la notte più agitata. Bordeu: È sveglio? Signorina de L’Espinasse: Non ancora. Bordeu (Dopo essersi avvicinato al letto di D’Alembert e avergli tastato il polso e la pelle): Non sarà nulla. Signorina de L’Espinasse: Credete? Bordeu: Ne rispondo io. Il polso è buono... un po’ debole...55 la pelle madida... la respirazione facile. Signorina de L’Espinasse: Non bisogna fargli nulla? Bordeu: Nulla. Signorina de L’Espinasse: Tanto meglio, perché detesta le medicine. Bordeu: E anch’io.56 Che ha mangiato a cena? Signorina de L’Espinasse: Non ha voluto prendere niente. Non so dove abbia trascorso la serata, ma è tornato preoccupato. Bordeu: È un piccolo accesso febbrile che non avrà conseguenze. Signorina de L’Espinasse: Appena in casa, si è messo in vestaglia e berretto da notte e s’è gettato nella sua poltrona dove s’è addormentato. Bordeu: Il sonno fa bene ovunque, ma sarebbe stato meglio nel suo letto. Signorina de L’Espinasse: Si è arrabbiato con Antoine che glielo diceva; è stato necessario insistere una mezz’ora per farlo andare a letto. Bordeu: È quello che capita a me tutti i giorni, benché io stia benissimo. Signorina de L’Espinasse: Una volta a letto, invece di riposare come al solito – perché dorme come un fanciullo – ha incominciato a girarsi e rigirarsi, a stendere le braccia, a scostare via le coperte e a parlare ad alta voce. Bordeu: E che diceva? Parlava di geometria? Signorina de L’Espinasse: No; aveva tutta l’aria di essere in delirio. Era, al principio, un guazzabuglio di corde vibranti e di fibre sensibili. M’è parso così folle che, decisa a non lasciarlo solo per tutta la notte e non sapendo che fare, ho avvicinato un tavolino ai piedi del letto e mi sono messa a scrivere tutto quello che ho potuto afferrare del suo inquieto sognare.57 Bordeu: Una buona trovata, degna di voi. E si può vedere quel che n’è venuto fuori? Signorina de L’Espinasse: Senza problema; ma possa morire se ci capirete qualcosa. Bordeu: Forse. Signorina de L’Espinasse: Dottore, siete pronto? Bordeu: Sì. Signorina de L’Espinasse: Ascoltate... Un punto vivente... No, mi sbaglio. In principio nulla, poi un punto vivente...58 A questo punto vivente se ne applica un altro, un
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un autre ; et par ces applications successives il résulte un être un, car je suis bien un, je n’en saurais douter. (En disant cela, il se tâtait partout)... Mais comment cette unité s’est-elle faite ?.. (Eh, mon ami, lui ai-je dit, qu’est-ce que cela vous fait ? Dormez... Il s’est tu. Après un moment de silence, il a repris comme s’il s’adressait à quelqu’un...) Tenez, Philosophe, je vois bien un agrégat, un tissu de petits êtres sensibles ; mais un animal ?... un tout ?... un système un, lui, ayant la conscience de son unité ? Je ne le vois pas... non, je ne le vois pas... (Docteur, y entendez-vous quelque chose ?) Bordeu : À merveille. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous êtes bien heureux... Ma difficulté vient peutêtre d’une fausse idée. Bordeu : Est-ce vous qui parlez ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non, c’est le rêveur. Bordeu : Continuez. | M ademoiselle de L’Espinasse : Je continue... Il a ajouté, en s’apostrophant luimême : Mon ami, d’Alembert, prenez-y garde ; vous ne supposez que de la contiguïté où il y a continuité... Oui... il est assez malin pour me dire cela... et la formation de cette continuité ?... elle ne l’embarrassera guère... comme une goutte de mercure se fond dans une autre goutte de mercure, une molécule sensible et vivante se fond dans une molécule sensible et vivante... d’abord il y avait deux gouttes ; après le contact il n’y en a plus qu’une. Avant l’assimilation il y avait deux molécules, après l’assimilation il n’y en a plus qu’une... la sensibilité devient commune à la masse commune... en effet, pourquoi non ?... Je distinguerai par la pensée sur la longueur de la fibre animale tant de parties qu’il me plaira, mais la fibre sera continue, une... oui, une... Le contact de deux molécules homogènes, parfaitement homogènes, forme la continuité... et c’est le cas de l’union, de la cohésion, de la combinaison, de l’identité la plus complète qu’on puisse imaginer... Oui, Philosophe, si ces molécules sont élémentaires et simples ; mais si ce sont des agrégats, si ce sont des composés... La combinaison ne s’en fera pas moins, et en conséquence, l’identité, | la continuité... et puis l’action et la réaction habituelles... il est certain que le contact de deux molécules vivantes est tout autre chose que la contiguïté de deux masses inertes... Passons, passons... on pourrait peut-être vous chicaner ; mais je ne m’en soucie pas. Je n’épilogue jamais... cependant, reprenons... un fil d’or très pur. Je m’en souviens ; c’est une comparaison qu’il m’a faite. Un réseau homogène, entre les molécules duquel d’autres s’interposent et forment peut-être un autre réseau homogène ; un tissu de matière sensible ; un contact qui assimile ; de la sensibilité active ici, inerte là, qui se communique comme le mouvement ; sans compter, comme il l’a très bien dit, qu’il doit y avoir de la différence entre le contact de deux molécules sensibles, et le contact de deux molécules qui ne le seraient pas ; et cette différence ? quelle peutelle être ?... une action, une réaction habituelles... et cette action et cette réaction avec un caractère particulier... tout concourt donc à produire une sorte d’unité qui n’existe que dans l’animal... ma foi, si ce n’est pas là de la vérité, cela y ressemble fort.... (Vous riez, docteur ; est-ce que vous trouvez du sens à cela ?) Bordeu : Beaucoup. | Mademoiselle de L’Espinasse : Il n’est donc pas fou ? Bordeu : Nullement. Mademoiselle de L’Espinasse : Après ce préambule, il s’est mis à crier, mademoiselle de L’Espinasse ! mademoiselle de L’Espinasse ! – Que voulez-vous ? – Avez-vous quelquefois vu un essaim d’abeilles s’échapper de leur ruche... le monde, ou la masse générale de la matière, est la grande ruche... les avez-vous vues s’en aller former à l’extrémité
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altro ancora; e da queste applicazioni successive risulta un essere uno, perché io sono veramente uno, non c’è dubbio (così dicendo si tastava dappertutto)... Ma come si è fatta questa unità?... (Eh! amico mio, gli ho detto, che ve ne importa? Dormite... Ha taciuto. Dopo un momento di silenzio ha ripreso a parlare, come se si rivolgesse a qualcuno). Ecco, Filosofo,59 io vedo bene un aggregato, un tessuto di piccoli esseri sensibili, ma un animale?... un tutto?... un sistema uno, esso, che ha la coscienza della sua unità! non lo vedo, no, non lo vedo... (Dottore, ci capite qualcosa?) Bordeu: A meraviglia. Signorina de L’Espinasse: Beato voi... La mia difficoltà viene forse da un’idea falsa. Bordeu: Siete voi che parlate? Signorina de L’Espinasse: No. È il sognatore. Bordeu: Continuate. Signorina de L’Espinasse: Continuo... Ha aggiunto, apostrofando se stesso: Amico mio, D’Alembert, stateci attento; voi supponete soltanto una contiguità, laddove c’è continuità... 60 Sì... è abbastanza furbo per dirmi questo... e la formazione di questa continuità?... non si confonderà certo per così poco... come una goccia di mercurio si fonde con un’altra goccia di mercurio, una molecola sensibile e vivente si fonde con una molecola sensibile e vivente... in principio c’erano due gocce; dopo il contatto, non ce n’è che una sola... prima dell’assimilazione c’erano due molecole, dopo l’assimilazione61 ce n’è una sola... la sensibilità diventa comune alla massa comune... in effetti, perché no?... Io distinguerò col pensiero, sulla lunghezza della fibra animale, tante parti quante ne vorrò; ma la fibra sarà continua, una... sì, una... Il contatto di due molecole omogenee, perfettamente omogenee, forma la continuità... ed è il caso dell’unione, della coesione, della combinazione, dell’identità più completa che si possa immaginare... 62 Sì, Filosofo, se queste molecole sono elementari e semplici; ma se sono degli aggregati; se sono dei composti... La combinazione avverrà lo stesso e di conseguenza l’identità, la continuità... e poi l’azione e la reazione abituali... è certo che il contatto di due molecole viventi è tutt’altra cosa della contiguità di due masse inerti... Andiamo, andiamo avanti... forse vi si potrebbe cavillare; ma non me ne importa. Io non ho mai nulla da ridire... intanto riprendiamo... un filo d’oro purissimo. Mi ricordo, è un paragone che ha fatto lui.63 Una rete omogenea, fra le cui molecole altre si interpongono e formano forse un’altra rete omogenea; un tessuto di materia sensibile; un contatto che assimila; della sensibilità qui attiva, là inerte, che si comunica come il moto; senza contare, come ha detto benissimo lui, che ci dev’essere differenza tra il contatto di due molecole sensibili e il contatto di due molecole che non lo fossero; e questa differenza? quale può essere?... un’azione, una reazione abituali... e quest’azione e questa reazione con un carattere particolare... Tutto dunque concorre a produrre una specie di unità che esiste soltanto nell’animale... 64 In fede mia, se questo non è la verità, le assomiglia molto... (Voi ridete, dottore; trovate qualche senso in tutto ciò?) Bordeu: Molto. Signorina de L’Espinasse: Dunque non è pazzo? Bordeu: Niente affatto. Signorina de L’Espinasse: Dopo questo preambolo s’è messo a gridare: Signorina de L’Espinasse! Signorina de L’Espinasse! – Che cosa volete? – Avete visto qualche volta uno sciame di api fuggire dal loro alveare?... il mondo, ovvero la massa generale della materia, è il grande alveare... 65 le avete viste andarsene a formare all’estremità di un ramo d’albero un lungo grappolo di animaletti alati, aggrappati tutti gli uni agli altri
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de la branche d’un arbre une longue grappe de petits animaux ailés, tous accrochés les uns aux autres par les pattes... cette grappe est un être, un individu, un animal quelconque... mais ces grappes devraient se ressembler toutes... oui, s’il n’admettait qu’une seule matière homogène... Les avez-vous vues ? – Oui, je les ai vues. – Vous les avez vues ? – Oui, mon ami, je vous dis que oui. – Si l’une de ces abeilles s’avise de pincer d’une façon quelconque, l’abeille à laquelle elle s’est accrochée, que croyez-vous qu’il en arrive ? dites donc ? – Je n’en sais rien. – Dites toujours... vous l’ignorez donc ; mais le Philosophe ne l’ignore pas, lui. Si vous le voyez jamais, et vous le verrez ou vous ne le verrez pas, car il vous l’a promis, | il vous dira que celle-ci pincera la suivante ; qu’il s’excitera dans toute la grappe autant de sensations qu’il y a de petits animaux ; que le tout s’agitera, se remuera, changera de situation et de forme ; qu’il s’élèvera du bruit, de petits cris ; et que celui qui n’aurait jamais vu une pareille grappe s’arranger, serait tenté de la prendre pour un animal à cinq ou six cents têtes, et à mille ou douze cents ailes... (Eh bien, docteur ?) Bordeu : Eh bien, savez-vous que ce rêve est fort beau, et que vous avez bien fait de l’écrire ? Mademoiselle de L’Espinasse : Rêvez-vous aussi ? Bordeu : Si peu que je m’engagerais presque à vous dire la suite. Mademoiselle de L’Espinasse : Je vous en défie. Bordeu : Vous m’en défiez ? Mademoiselle de L’Espinasse : Oui. Bordeu : Et si je rencontre ? Mademoiselle de L’Espinasse : Si vous rencontrez, je vous promets... je vous promets de vous tenir pour le plus grand fou qu’il y ait au monde. Bordeu : Regardez sur votre papier et écoutez-moi. L’homme qui prendrait cette grappe pour un animal se tromperait ; mais, mademoiselle, je présume qu’il a continué de vous adresser la parole, voulez-vous qu’il juge plus sainement ? voulez-vous transformer la grappe d’abeilles en un seul et unique animal ? amollissez les pattes par lesquelles elles se tiennent ; de contiguës qu’elles étaient, rendez-les continues. Entre ce nouvel état de la grappe et le précédent, il y a certainement une différence mar | quée ; et quelle peut être cette différence, sinon qu’à présent c’est un tout, un animal un, et qu’auparavant ce n’était qu’un assemblage d’animaux ?... Tous nos organes... Mademoiselle de L’Espinasse : Tous nos organes ! Bordeu : Pour celui qui a exercé la médecine et fait quelques observations. Mademoiselle de L’Espinasse : Après. Bordeu : Après ? Ne sont que des animaux distincts que la loi de continuité tient dans une sympathie, une unité, une identité générale. Mademoiselle de L’Espinasse : J’en suis confondue. C’est cela, et presque mot pour mot. Je puis donc assurer à présent à toute la terre qu’il n’y a aucune différence entre un médecin qui veille et un philosophe qui rêve. Bordeu : On s’en doutait. Est-ce là tout ? Mademoiselle de L’Espinasse : Oh que non. Vous n’y êtes pas. Après votre radotage ou le sien ; il m’a dit : Mademoiselle. – Mon ami – Approchez-vous... encore... encore... J’aurais une chose à vous proposer. – Qu’est-ce ? – Tenez cette grappe, la voilà, vous la voyez bien. Là, là. Faisons une expérience. – Quelle ? – Prenez vos ciseaux. Coupent-ils bien ? – A ravir. – Approchez doucement ; tout doucement ; et séparez-moi ces abeilles. Mais prenez garde de les diviser par la moitié du corps. Coupez juste à l’endroit où elles se sont assimilées par les pattes. Ne craignez rien ; vous les blesserez un peu ; mais vous
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con le zampe... questo grappolo è un essere, un individuo, un animale qualunque... ma quei grappoli dovrebbero tutti assomigliarsi... sì, se egli66 non ammettesse che una sola materia omogenea... Le avete viste? – Sì, le ho viste. – Le avete viste? – Sì, amico mio; vi dico di sì. – Se a una di queste api viene in mente di pungere, in una maniera qualunque, l’ape a cui è aggrappata, che cosa credete che accadrà? dite dunque? – Non lo so proprio – Dite lo stesso... dunque l’ignorate; ma il Filosofo, lui, non l’ignora. Se mai lo vedete, e può darsi che lo vedrete oppure no, dato che ve l’ha promesso, vi dirà che questa pungerà la successiva; che in tutto il grappolo verranno eccitate altrettante sensazioni quanti sono gli animaletti; che il tutto si agiterà, si smuoverà, cambierà posizione e forma; si alzerà del rumore, delle piccole strida; e chi non avesse mai visto un grappolo simile sistemarsi sarebbe tentato di prenderlo per un animale a cinque o seicento teste e a mille o milleduecento ali... (Ebbene, dottore?) Bordeu: Ebbene, sapete che questo sogno è molto bello e che avete fatto benissimo a scriverlo? Signorina de L’Espinasse: State sognando anche voi? Bordeu: Tanto poco che quasi m’impegnerei a dirvi il seguito. Signorina de L’Espinasse: Vi sfido. Bordeu: Mi sfidate? Signorina de L’Espinasse: Sì. Bordeu: E se indovino? Signorina de L’Espinasse: Se indovinate, vi prometto... vi prometto di considerarvi il più grande pazzo che ci sia al mondo. Bordeu: Guardate il vostro foglio e ascoltatemi. L’uomo che scambiasse questo grappolo per un animale si sbaglierebbe; ma io suppongo, Signorina, che abbia continuato a rivolgervi la parola, volete che egli giudichi in maniera più sensata? Volete trasformare il grappolo di api in un solo e unico animale? Ammollite le zampe con cui si tengono legate insieme; da contigue che erano rendetele continue. Tra questo nuovo stato del grappolo e il precedente vi è certo una differenza marcata; e quale può essere questa differenza, se non che ora si tratta di un tutto, di un animale unico, mentre prima non era che un assemblaggio di animali... Tutti i nostri organi... Signorina de L’Espinasse: Tutti i nostri organi! Bordeu: Per chi abbia esercitato la medicina e fatto qualche osservazione. Signorina de L’Espinasse: E poi. Bordeu: Poi? Non sono che animali distinti, tenuti insieme dalla legge di continuità in una simpatia, un’unità, un’identità generale.67 Signorina de L’Espinasse: Sono confusa. È proprio questo, quasi parola per parola. Posso ora proclamare dunque a tutta la terra che non vi è alcuna differenza tra un medico sveglio e un filosofo che sogna. Bordeu: C’era da immaginarselo. È tutto qui? Signorina de L’Espinasse: Oh, certo che no. Non ci siete. Dopo il vostro o il suo vaneggiamento, mi ha detto: Signorina? – Amico mio. – Avvicinatevi... di più... di più... Avrei da proporvi una cosa. – Che cosa? – Prendete questo grappolo, eccolo, lo vedete bene. È qui, qui. Facciamo un esperimento. – Quale? – Prendete le vostre forbici. Tagliano bene? – A meraviglia. – Avvicinatevi piano; molto piano; e separatemi quelle api. Ma state attenta a dividerle per la metà del corpo. Tagliate proprio nel punto in cui si sono assimilate mediante le zampe. Niente paura; le ferirete un po’; ma non le ucciderete... Molto bene; siete abile come una fata... Vedete come volano via ciascuna dalla sua parte? Volano
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ne les briserezA pas... fort bien ; vous êtes adroite comme une fée... Voyez-vous comment elles s’envolent chacune | de son côté. Elles s’envolent une à une, deux à deux, trois à trois ; combien il y en a... Si vous m’avez bien compris ; vous m’avez bien compris... fort bien... supposez maintenant... supposez.... (Ma foi, docteur : j’entendais si peu ce que j’écrivais ; il parlait si bas ; cet endroit de mon papier est si barbouillé que je ne le saurais lire.) Bordeu : J’y suppléerai, si vous voulez. Mademoiselle de L’Espinasse : Si vous pouvez. Bordeu : Rien de plus facile. Supposez ces abeilles si petites, si petites que leur organisation échappât toujours au tranchant grossier de votre ciseau, vous pousserez la division si loin qu’il vous plaira sans en faire mourir aucune ; et ce tout, formé d’abeilles imperceptibles, sera un véritable polype que vous ne détruirez qu’en l’écrasant. La différence de la grappe d’abeilles continue et de la grappe d’abeilles contiguës est précisément celle des animaux ordinaires, tels que nous, les poissons, et des vers, des serpents et des animaux polypeux ; encore toute cette théorie souffre-t-elle quelques modifications. (Ici mademoiselle de L’Espinasse se lève | brusquement et va tirer le cordon de la sonnette.) Doucement, doucement, mademoiselle ; vous l’éveillerez, et il a besoin de repos. Mademoiselle de L’Espinasse : Je n’y pensais pas, tant j’en suis étourdie. (Mademoiselle de L’Espinasse au domestique qui entre.) Qui de vous a été chez le docteur ? Le domestique : C’est moi, mademoiselle. Mademoiselle de L’Espinasse : Y a-t-il longtemps ? Le domestique : Il n’y a pas une heure que j’en suis revenu. Mademoiselle de L’Espinasse : N’y avez-vous rien porté ? Le domestique : Rien. Mademoiselle de L’Espinasse : Point de papier ? Le domestique : Aucun. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà qui est bien, allez... Je n’en reviens pas. Tenez, docteur ; j’ai soupçonné quelqu’un d’eux de vous avoir communiqué mon griffonnage. Bordeu : Je vous assure qu’il n’en est rien. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, à présent que je connais votre talent, vous me serez d’un grand secours dans la société. Sa rêvasserie n’en est pas demeurée là. Bordeu : Tant mieux. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous n’y voyez donc rien de fâcheux ? Bordeu : Pas la moindre chose. Mademoiselle de L’Espinasse : Il a continué... Eh bien, Philosophe, vous concevez donc des polypes de toute espèce, même des polypes humains ?... Mais la nature ne nous en offre point. | Bordeu : Il n’avait pas connaissance de ces deux filles qui se tenaient par la tête, les épaules, le dos, les fesses et les cuisses, qui ont vécu ainsi accolées jusqu’à l’âge de vingt-deux ans et qui sont mortes à quelques minutes l’une de l’autre. Ensuite il a dit... Mademoiselle de L’Espinasse : Des folies qui ne s’entendent qu’aux Petites-Maisons. Il a dit : Cela est passé ou cela viendra ; et puis qui sait l’état des choses dans les autres planètes ? Bordeu : Peut-être ne faut-il pas aller si loin.
A
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via, ciascuna dal suo lato. Volano a una a una, a due a due, a tre a tre; quante ce ne sono... Se m’avete capito bene; m’avete capito bene... benissimo... supponete ora... supponete... (Veramente, dottore: capivo così poco quello che scrivevo; parlava a voce così bassa; questo passaggio del mio foglio è scarabocchiato in modo tale che non riesco a leggerlo). Bordeu: Mi sostituirò a voi, se volete. Signorina de L’Espinasse: Se ne siete capace. Bordeu: Niente di più facile. Supponete che queste api siano tanto piccole, ma tanto piccole che la loro organizzazione sfugga sempre alla lama grossolana delle vostre forbici, voi spingerete la divisione tanto lontano quanto vi aggrada, senza farne morire nessuna; e questo tutto formato di api impercettibili,68 sarà un vero polipo69 che voi distruggerete solo schiacciandolo. La differenza tra il grappolo d’api continue e il grappolo d’api contigue è precisamente quella che c’è tra gli animali comuni, come noi, i pesci, e i vermi, i serpenti e gli animali poliposi;70 inoltre tutta questa teoria è suscettibile di qualche restrizione... (A questo punto la signorina de L’Espinasse si alza bruscamente e va a tirare il cordone del campanello). Piano, signorina, piano; così lo sveglierete, e lui ha bisogno di riposo. Signorina de L’Espinasse: Non ci pensavo, tanto sono sbalordita. (Al domestico che entra). Chi di voi è andato dal dottore? Il domestico: Io, Signorina. Signorina de L’Espinasse: Molto tempo fa? Il domestico: Ne sono tornato nemmeno un’ora fa. Signorina de L’Espinasse: Non gli avete portato niente? Domestico: Niente. Signorina de L’Espinasse: Nessuna carta? Domestico: Nessuna. Signorina de L’Espinasse: Ecco, molto bene, andate pure... Non riesco a capacitarmene. Vedete, dottore; ho avuto il sospetto che qualcuno di loro vi avesse comunicato i miei scarabocchi. Bordeu: Vi garantisco che non è affatto così. Signorina de L’Espinasse: Dottore, ora che conosco il vostro talento mi sarete di grande aiuto in società. Il suo sogno agitato non è finito qui. Bordeu: Tanto meglio. Signorina de L’Espinasse: Voi dunque non ci trovate proprio niente di preoccupante? Bordeu: Non la minima cosa. Signorina de L’Espinasse: Ha continuato... Ebbene, Filosofo, voi dunque immaginate dei polipi di ogni specie, anche dei polipi umani?...71 Ma la natura non ce ne offre alcun esempio. Bordeu: Non era venuto a conoscenza di quelle due ragazze unite per la testa, le spalle, il dorso, le natiche e le cosce, che sono vissute così strette l’una all’altra fino all’età di ventidue anni e che sono morte a qualche minuto di distanza l’una dall’altra.72 E poi ha detto... Signorina de L’Espinasse: Follie, come se ne sentono soltanto al manicomio;73 ha detto: Questo è già accaduto o accadrà; e poi chissà quale è lo stato delle cose sugli altri pianeti? Bordeu: Forse non occorre andare tanto lontano.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Dans Jupiter ou dans Saturne, des polypes humains ! Les mâles se résolvant en mâles, les femelles en femelles ; cela est plaisant... (Là, il s’est mis à faire des éclats de rire à m’effrayer.)... L’homme se résolvant en une infinité d’hommes atomiques qu’on renferme entre des feuilles de papier comme des œufs d’insectes qui filent leurs coques, qui restent un certain temps en chrysalides, qui percent leurs coques et qui s’échappent en papillons, une société d’hommes formée, une | province entière peuplée des débris d’un seul ; cela est tout à fait agréable à imaginer... (et puis les éclats de rire ont repris.)... Si l’homme se résout quelque part en une infinité d’hommes animalcules, on y doit avoir moins de répugnance à mourir, on y répare si facilement la perte d’un homme, qu’elle y doit causer peu de regret. Bordeu : Cette extravagante supposition est presque l’histoire réelle de toutes les espèces d’animaux subsistants et à venir. Si l’homme ne se résout pas en une infinité d’hommes, il se résout du moins en une infinité d’animalcules dont il est impossible de prévoir les métamorphoses et l’organisation future et dernière. Qui sait si ce n’est pas la pépinière d’une seconde génération d’êtres séparée de celle-ci par un intervalle incompréhensible de siècles et de développements successifs. Mademoiselle de L’Espinasse : Que marmottez-vous là tout bas, docteur ? Bordeu : Rien, rien. Je rêvais de mon côté. Mademoiselle, continuez de lire. Mademoiselle de L’Espinasse : Tout bien considéré, pourtant, j’aime mieux notre façon de repeupler, a-t-il ajouté... Philosophe, vous qui | savez ce qui se passe là ou ailleurs, dites-moi si la dissolution de différentes parties n’y donne-t-elle pas des hommes de différents caractères ? La cervelle, le cœur, la poitrine, les pieds, les mains, les testicules... Oh, comme cela simplifie la morale... Un homme né... une femme provenue... (Docteur, vous me permettrez de passer ceci...) Une chambre chaude, tapissée de petits cornets ; et sur chacun de ces cornets une étiquette : guerriers, magistrats, philosophes, poètes, cornet de courtisans, cornets de catins, cornet de rois. Bordeu : Cela est bien gai et bien fou. Voilà ce qui s’appelle rêver, et une vision qui me ramène à quelques phénomènes assez singuliers. Mademoiselle de L’Espinasse : Ensuite il s’est mis à marmotter je ne sais quoi de graines, de lambeaux de chair mis en macération dans de l’eau, de différentes races d’animaux successifs qu’il voyait naître et passer. Il avait imité avec sa main droite le tube d’un microscope, et avec sa gauche, je crois, l’orifice d’un vase ; il regardait dans le vase par ce tube et il disait : Voltaire en plaisantera tant qu’il voudra, mais l’Anguillard a raison. | J’en crois mes yeux. Je les vois. Combien il y en a ! Comme ils vont ! Comme ils viennent ! Comme ils frétillent !... Le vase où il apercevait tant de générations momentanées, il le comparait à l’univers. Il voyait dans une goutte d’eau l’histoire du monde. Cette idée lui paraissait grande. Il la trouvait tout à fait conforme à la bonne philosophie qui étudie les grands corps dans les petits. Il disait, Dans la goutte d’eau de Needham tout s’exécute et se passe en un clin d’œil. Dans le monde, le même phénomène dure un peu davantage ; mais qu’est-ce que notre durée en comparaison de l’éternité des temps ? moins que la goutte que j’ai prise avec la pointe d’une aiguille en comparaison de l’espace illimité qui m’environne. Suite indéfinie d’animalcules dans l’atome qui fermente. Même suite indéfinie d’animalcules dans l’autre atome qu’on appelle la Terre. Qui sait les races d’animaux qui nous ont précédés ? qui sait les races d’animaux qui succéderont aux nôtres. Tout change. Tout passe. Il n’y a que le tout qui reste. Le monde commence et finit sans cesse. Il est à chaque instant à son commencement et à sa fin. Il n’en a jamais eu d’autre et il n’en aura jamais d’autre. Dans cet immense océan
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Signorina de L’Espinasse: Su Giove e su Saturno,74 dei polipi umani! I maschi che si scompongono in maschi, le femmine in femmine; è divertente... (A questo punto si è messo a far risate tanto forti da spaventarmi). L’uomo che si scompone in un’infinità di uomini atomici, che si possono racchiudere tra fogli di carta come uova d’insetti che filano i loro bozzoli, restano un po’ di tempo allo stato di crisalidi, rompono i bozzoli e volano via in farfalle, una società di uomini formata, un’intera provincia popolata con le vestigie di uno solo; tutto questo è veramente piacevole da immaginare... (E poi ha ripreso con le grandi risate)... Se da qualche parte l’uomo si scompone in un’infinità di uomini animaluncoli, si deve provar meno ripugnanza a morire; si rimedia così facilmente alla perdita di un uomo, che questa deve causare ben pochi rimpianti. Bordeu: Quest’ipotesi stravagante è all’incirca la storia reale di tutte le specie di animali sussistenti e avvenire. Se l’uomo non si scompone in una infinità di uomini, si scompone almeno in una infinità di animaluncoli di cui è impossibile prevedere le metamorfosi e l’organizzazione futura e ultima. Chi sa che non sia il vivaio75 di una seconda generazione di esseri, da questa separata da un intervallo inconcepibile di secoli e di sviluppi successivi? Signorina de L’Espinasse: Che cosa borbottate là, sottovoce, dottore? Bordeu: Niente, niente. Sognavo anch’io. Signorina, continuate a leggere. Signorina de L’Espinasse: Considerato tutto attentamente, però, preferisco di più il nostro modo di ripopolare, ha aggiunto... Filosofo, voi che sapete ciò che accade là o altrove, ditemi, la dissoluzione di parti diverse non dà luogo a uomini di caratteri diversi? Il cervello, il cuore, il petto, i piedi, le mani, i testicoli... Oh, come tutto questo semplifica la morale!... un uomo nato... una donna derivata...76 (Dottore, mi permetterete di saltare questo passo...) Una stanza calda tappezzata di piccoli cartocci; e su ciascuno di questi cartocci un’etichetta: guerrieri, magistrati, filosofi, poeti, cartocci di cortigiani, cartocci di puttane, cartocci di re.77 Bordeu: Questo passaggio è molto allegro e pazzo. Ecco quello che si chiama sognare, e una visione che mi riporta a considerare alcuni fenomeni alquanto singolari. Signorina de L’Espinasse: Poi si è messo a brontolare non so che cosa a proposito di semi, di brandelli di carne messi a macerare nell’acqua,78 di diverse razze di animali successivi che egli vedeva nascere e passare. Aveva imitato, con la mano destra, il tubo di un microscopio, e con la sinistra, credo, l’orifizio di un vaso; guardava nel vaso attraverso il tubo; e diceva: Voltaire scherzerà finché vorrà, ma l’Anguillaro79 ha ragione; credo ai miei occhi, le vedo. Quante ce ne sono! Come vanno! come vengono! come guizzano!... Il vaso in cui scorgeva tante generazioni momentanee egli lo paragonava all’universo. Vedeva in una goccia d’acqua la storia del mondo.80 Quest’idea gli sembrava grande. La trovava del tutto conforme alla buona filosofia che studia i corpi grandi nei piccoli.81 Diceva: Nella goccia d’acqua di Needham tutto accade in un batter d’occhio. Nel mondo, lo stesso fenomeno dura un po’ di più; ma che cos’è la nostra durata in confronto all’eternità dei tempi? Meno della goccia che ho preso con la punta di un ago, in confronto allo spazio illimitato che mi circonda. Un succedersi indefinito di animaluncoli nell’atomo che fermenta. Lo stesso succedersi indefinito di animaluncoli nell’altro atomo che si chiama la Terra. Chi conosce le razze d’animali che ci hanno preceduti? chi conosce le razze di animali che succederanno alle nostre? Tutto cambia. Tutto passa. Soltanto il tutto resta.82 Il mondo inizia e finisce senza posa. A ogni istante esso è al suo principio e alla sua fine. Non ne ha mai avuto altro, né mai ne avrà altro. In questo immenso oceano di materia, non una molecola che assomigli a un’altra
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de matière, pas une molécule qui ressemble à une molécule ; pas une molécule qui ressemble à elle-même un instant. Rerum novus nascitur ordo, voilà son inscription éternelle... Puis | il ajoutait en soupirant : O vanité de nos pensées ! ô pauvreté de la gloire et de nos travaux ! ô misère ! ô petitesse de nos vues ! Il n’y a rien de solide, que de boire, manger, vivre, aimer et dormir... Mademoiselle de L’Espinasse, où êtes-vous ? – Me voilà... Alors son visage s’est coloré. J’ai voulu lui tâter le pouls ; mais je ne sais où il avait caché sa main. Il paraissait éprouver une convulsion. Sa bouche s’était entrouverte, son haleine était pressée. Il a poussé un profond soupir ; et puis un soupir plus faible et plus profond encore. Il a retourné sa tête sur son oreiller et s’est endormi. Je le regardais avec attention, et j’étais toute émue sans savoir pourquoi. Le cœur me battait, et ce n’était pas de peur. Au bout de quelques moments, j’ai vu un léger sourire errer sur ses lèvres. Il disait tout bas : Dans une planète où les hommes se multiplieraient à la manière des poissons, où le frai d’un homme pressé sur le frai d’une femme... j’y aurais moins de regret. Il ne faut rien perdre de ce qui peut avoir son utilité. Mademoiselle, si cela pouvait se recueillir, être enfermé dans un flacon et envoyé de grand matin à Needham... (Docteur, et vous n’appelez pas cela de la déraison ?) Bordeu : Auprès de vous, assurément. Mademoiselle de L’Espinasse : Auprès de moi, loin de moi, c’est tout un, et vous ne savez ce que vous dites. J’avais espéré que le reste de la nuit serait tranquille. | Bordeu : Cela produit ordinairement cet effet. Mademoiselle de L’Espinasse : Point du tout ; sur les deux heures du matin, il en est revenu à sa goutte d’eau, qu’il appelait un micro... Bordeu : Un microcosme. Mademoiselle de L’Espinasse : C’est son mot. Il admirait la sagacité des anciens philosophes. Il disait ou faisait dire à son philosophe, je ne sais lequel des deux : Si lorsque Épicure assurait que la terre contenait les germes de tout, et que l’espèce animale était le produit de la fermentation, il avait proposé de montrer une image en petit de ce qui s’était fait en grand à l’origine des temps, que lui aurait-on répondu ?... et vous l’avez sous vos yeux cette image, et elle ne vous apprend rien... qui sait si la fermentation et ses produits sont épuisés ? qui sait à quel instant de la succession de ces générations animales nous en sommes ? qui sait si ce bipède déformé, qui n’a que quatre pieds de hauteur, qu’on appelle encore, dans le voisinage du pôle, un homme, et qui ne tarderait pas à perdre ce nom, en se déformant un peu davantage, n’est pas l’image d’une espèce qui passe ? qui sait s’il n’en est pas ainsi de toutes les espèces d’animaux ? qui sait si tout ne tend pas à se réduire à un grand sédiment inerte et immobile ? qui sait | quelle sera la durée de cette inertie ? qui sait quelle race nouvelle peut résulter derechef d’un amas aussi grand de points sensibles et vivants ? pourquoi pas un seul animal ? qu’était l’éléphant dans son origine ? peut-être l’animal énorme tel qu’il nous paraît ; peut-être un atome, car tous les deux sont également possibles ; ils ne supposent que le mouvement et les propriétés diverses de la matière... L’éléphant, cette masse énorme, organisée, le produit subit de la fermentation ? Pourquoi non ? Le rapport de ce grand quadrupède à sa matrice première est moindre que celui du vermisseau, à la molécule de farine qui le produit... A Mais le vermisseau n’est qu’un vermisseau... C’est-à-dire que la petitesse qui vous dérobe son organisation lui ôte son merveilleux... Le prodige, c’est la vie ; c’est la sensibilité ; et ce prodige n’en est plus un... Lorsque j’ai vu la matière inerte passer à l’état sensible, rien ne doit plus m’étonner... quelle comparaison d’un petit nombre d’éléments mis en fermentation dans A
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molecola, non una molecola che assomigli a se stessa per un solo istante. Rerum novus nascitur ordo,83 ecco la sua eterna iscrizione... Poi aggiungeva sospirando: O vanità dei nostri pensieri! O povertà della gloria e delle nostre opere! O miseria, o piccolezza delle nostre vedute! Non v’è nulla di solido se non bere, mangiare, vivere, amare e dormire...84 Signorina de L’Espinasse, dove siete? – Eccomi. – Allora s’è colorato in viso. Volevo tastargli il polso; ma non so dove avesse nascosto la mano. Sembrava in preda a una convulsione. Aveva la bocca semiaperta. Il respiro era affannoso. Ha emesso un profondo sospiro; e poi un sospiro più debole e ancora più profondo. Ha girato la testa sul cuscino e si è addormentato. Lo guardavo con attenzione ed ero tutta commossa senza sapere perché. Il cuore mi batteva e non era per la paura. In capo a qualche istante ho visto errare sulle sue labbra un leggero sorriso. Diceva sottovoce: In un pianeta in cui gli uomini si moltiplicassero alla maniera dei pesci, in cui il fregolo85 di un uomo premuto sul fregolo di una donna... avrei meno rimpianti. Non bisogna perdere nulla di quello che può avere una sua utilità. Signorina, se questa roba si potesse raccogliere, racchiudere in un flacone e spedirla di buon mattino a Needham...86 (Dottore, e voi questo non lo chiamate sragionare?). Bordeu: Accanto a voi, certamente. Signorina de L’Espinasse: Accanto a me, lungi da me, è tutt’uno, e voi non sapete quello che dite. Avevo sperato che il resto della notte sarebbe stato tranquillo. Boroev – È l’effetto che ciò produce di solito. Signorina de L’Espinasse: Niente affatto; verso le due del mattino è tornato di nuovo alla sua goccia d’acqua che egli chiamava un micro... Bordeu: – Un microcosmo. Signorina de L’Espinasse: È la sua parola. Ammirava la sagacia degli antichi filosofi. Diceva o faceva dire al suo filosofo, non so chi dei due: Se quando Epicuro dava per certo che la terra contenesse i germi di tutto87 e che la specie animale era il prodotto della fermentazione,88 avesse proposto di mostrare un’immagine in piccolo di ciò che era accaduto in grande all’origine dei tempi,89 che cosa gli avrebbero risposto?... e voi l’avete sotto i vostri occhi quest’immagine, e non vi insegna nulla... chissà se la fermentazione e i suoi prodotti sono esauriti?90 chissà a quale momento della successione di queste generazioni animali siamo pervenuti? chissà se questo bipede deformato, alto solo quattro piedi, che viene chiamato ancora, fin nelle vicinanze del polo, un uomo e che non tarderebbe a perdere tale nome, deformandosi un po’ di più, non è l’immagine di una specie che passa?91 chissà se non accade così lo stesso per tutte le specie di animali? chissà se tutto non tende a ridursi a un grande sedimento inerte e immobile? chissà quale sarà la durata di quest’inerzia? chissà quale nuova razza potrà risultare ancora una volta da un ammasso così grande di punti sensibili e viventi?92 perché non un solo animale? che cos’era l’elefante alla sua origine? forse l’animale enorme, quale ci appare adesso; forse un atomo, perché entrambe le cose sono ugualmente possibili; non presuppongono altro che il movimento e le diverse proprietà della materia... L’elefante, questa massa enorme, organizzata, il prodotto improvviso della fermentazione? perché no? Il rapporto tra questo grande quadrupede con la sua prima matrice è minore di quello che c’è fra il vermiciattolo e la molecola di farina che lo produce...93 ma il vermiciattolo è soltanto un vermiciattolo... Ciò vuol dire che la piccolezza che vi sottrae alla vista la sua organizzazione, gli toglie quello che ha di meraviglioso... Il prodigio è la vita; è la sensibilità; e questo prodigio non è più tale... Quando ho visto la materia inerte passare allo stato sensibile, nulla deve più stupirmi...94 quale confronto tra un piccolo numero di elementi messi in
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le creux de ma main, et de ce réservoir immense d’éléments divers épars dans les entrailles de la terre, à sa surface, au sein des mers, dans le vague des airs... Cependant, puisque les mêmes causes subsistent, pourquoi les effets ont-ils cessé ? pourquoi ne voyons-nous plus le taureau percer la terre de sa corne, appuyer ses pieds contre le sol, et faire effort pour en dégager son corps pesant ?... | Laissez passer la race présente des animaux subsistants. Laissez agir le grand sédiment inerte pendant quelques millions de siècles. Peutêtre faut-il, pour renouveler les espèces, dix fois plus de temps qu’il n’est accordé à leur durée. Attendez, et ne vous hâtez pas de se prononcer sur le travail de nature. Vous avez deux grands phénomènes, le passage de l’état d’inertie à l’état de sensibilité ; et les générations spontanées ; qu’ils vous suffisent. Tirez-en de justes conséquences ; et dans un ordre de choses où il n’y a ni grand ni petit, ni durable, ni passager, absolus, garantissez-vous du sophisme de l’éphémère... (Docteur, qu’est-ce que c’est que le sophisme de l’éphémère ?) Bordeu : C’est celui d’un être passager qui croit à l’immortalité des choses. Mademoiselle de L’Espinasse : La rose de Fontenelle qui disait que de mémoire de rose on n’avait vu mourir un jardinier ? Bordeu : Précisément. Cela est léger et profond. Mademoiselle de L’Espinasse : Pourquoi vos philosophes ne s’expriment-ils pas avec la grâce de celui-ci ? nous les entendrions. | Bordeu : Franchement, je ne sais si ce ton frivole convient aux sujets graves. Mademoiselle de L’Espinasse : Qu’appelez-vous un sujet grave ? Bordeu : Mais la sensibilité générale, la formation de l’être sentant, son unité, l’origine des animaux, leur durée, et toutes les questions auxquelles cela tient. M ademoiselle de L’Espinasse : Moi, j’appelle cela des folies auxquelles je permets de rêver, quand on dort ; mais dont un homme de bon sens qui veille ne s’occupera jamais. Bordeu : Et pourquoi cela, s’il vous plaît ? Mademoiselle de L’Espinasse : C’est que les unes sont si claires qu’il est inutile d’en chercher la raison ; d’autres si obscures qu’on n’y voit goutte, et toutes de la plus parfaite inutilité. Bordeu : Croyez-vous, mademoiselle, qu’il soit indifférent de nier ou d’admettre une Intelligence suprême ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non. Bordeu : Croyez-vous qu’on puisse prendre parti sur l’Intelligence suprême, sans savoir à quoi s’en tenir sur l’éternité de la matière et ses propriétés, la distinction des deux substances, la nature de l’homme et la production des animaux ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non. Bordeu : Ces questions ne sont donc pas aussi oiseuses que vous les disiez. Mademoiselle de L’Espinasse : D’accord ; mais que me fait à moi leur importance, si je ne saurais les éclaircir ? | Bordeu : Et comment le saurez-vous, si vous ne les examinez point ? Mais pourrais-je vous demander celles que vous trouvez si claires que l’examen vous en paraît superflu ? M ademoiselle de L’Espinasse : Celle de mon unité, de mon moi, par exemple. Pardi, il me semble qu’il ne faut pas tant verbiager pour savoir que je suis moi, que j’ai toujours été moi, et que je ne serai jamais une autre. Bordeu : Sans doute le fait est clair ; mais la raison du fait ne l’est aucunement ; surtout dans l’hypothèse de ceux qui n’admettent qu’une substance et qui expliquent
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fermentazione nel cavo della mia mano e quel serbatoio immenso di elementi diversi sparsi nelle viscere della terra, alla sua superficie, in seno ai mari, nel vorticare dell’aria... Tuttavia, dato che sussistono le stesse cause, perché gli effetti sono cessati? perché non vediamo più il toro squarciare la terra con le corna, puntare i piedi contro il suolo e far forza per liberare da essa il suo pesante corpo?...95 Lasciate passare la razza presente degli animali sussistenti. Lasciate agire il grande sedimento inerte per alcuni milioni di secoli. Forse per rinnovare le specie occorre dieci volte più tempo di quanto non ne sia concesso alla loro durata. Aspettate, e non abbiate fretta a pronunciarvi sul lavoro della natura. Avete due grandi fenomeni, il passaggio dallo stato d’inerzia allo stato di sensibilità; e le generazioni spontanee;96 vi bastino. Traetene le giuste conseguenze; e in un ordine di cose in cui non c’è né grande, né piccolo, né duraturo, né passeggero in senso assoluto, difendetevi dal sofisma dell’effimero... (Dottore, che cos’è il sofisma dell’effimero?) Bordeu: È quello di un essere passeggero che crede all’immutabilità delle cose. Signorina de L’Espinasse: La rosa di Fontenelle, la quale diceva che a memoria di rosa non s’era mai visto morire un giardiniere?97 Bordeu: Precisamente. Motto leggero e profondo. Signorina de L’Espinasse: Perché i vostri filosofi non s’esprimono con la grazia di costui? Li capiremmo. Bordeu: Francamente, non so se quel tono frivolo convenga agli argomenti seri. Signorina de L’Espinasse: Che cosa chiamate voi un argomento serio? Bordeu: Ma la sensibilità generale, la formazione dell’essere senziente, la sua unità, l’origine degli animali, la loro durata e tutte le questioni attinenti a ciò. Signorina de L’Espinasse: Io chiamo queste cose follie, di cui permetto che si sogni quando si dorme; ma di cui un uomo di buon senso, da sveglio, non s’occuperà mai. Bordeu: E perché questo, per favore? Signorina de L’Espinasse: Perché alcune sono così chiare che è inutile cercarne la ragione; altre così oscure che non ci si capisce un tubo, e sono tutte perfettamente inutili. Bordeu: Credete, Signorina, che sia indifferente negare o ammettere un’Intelligenza suprema?98 Signorina de L’Espinasse: No. Bordeu: Credete che si possa decidere il problema dell’Intelligenza suprema, senza sapere a che cosa attenersi riguardo l’eternità della materia e le sue proprietà, la distinzione delle due sostanze, la natura dell’uomo e la produzione degli animali?99 Signorina de L’Espinasse: No. Bordeu: Questi problemi non sono dunque così oziosi come dicevate. Signorina de L’Espinasse: Ma che cosa importa a me della loro importanza, se io non posso risolverli? Bordeu: E come fate a saperlo, se non li prendete affatto in esame? Ma potrei porvi delle domande su quei problemi che trovate tanto chiari da sembrarvene superfluo l’esame? Signorina de L’Espinasse: I problemi relativi alla mia unità, al mio io, ad esempio. Perbacco, mi pare che non occorra tanta verbosità per sapere che io sono io, che sono sempre stata io e che non sarò mai un’altra. Bordeu: Probabilmente il fatto è chiaro; ma la ragione del fatto non lo è per niente; soprattutto nell’ipotesi di coloro che ammettono una sola sostanza e spiegano la for-
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la formation de l’homme ou de l’animal en général par l’apposition successive de plusieurs molécules sensibles. Chaque molécule sensible avait son moi avant l’application ; mais comment l’a-t-elle perdu, et comment de toutes ces pertes en est-il résulté la conscience d’un tout ? Mademoiselle de L’Espinasse : Il me semble que le contact seul suffit. Voici une expérience que j’ai faite cent fois... mais attendez... il faut que j’aille voir ce qui se passe entre ces rideaux... il dort... Lorsque je pose ma main sur ma cuisse, je sens bien d’abord que ma main n’est pas ma cuisse ; mais quelque temps après, lorsque la chaleur est égale dans l’une et l’autre, je ne les distingue plus. Les limites des deux parties se confondent et elles ne font plus qu’une. | Bordeu : Oui, jusqu’à ce qu’on vous pique l’une ou l’autre. Alors la distinction renaît. Il y a donc en vous quelque chose qui n’ignore pas si c’est votre main ou votre cuisse qu’on a piquée ; et ce quelque chose-là, ce n’est pas votre pied ; ce n’est pas même votre main piquée ; c’est elle qui souffre ; mais c’est autre chose qui le sait, et qui ne souffre pas. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais je crois que c’est ma tête. Bordeu : Toute votre tête ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non ; mais tenez, docteur, je vais m’expliquer par une comparaison. Les comparaisons sont presque toute la raison des femmes et des poètes. Imaginez une araignée... D’Alembert : Qui est-ce qui est là ? Est-ce vous, mademoiselle de L’Espinasse ? Mademoiselle de L’Espinasse : Paix, paix... (Mademoiselle de L’Espinasse et le docteur gardèrent le silence pendant quelque temps, ensuite mademoiselle de L’Espinasse dit à voix basse :) Je le crois rendormi. Bordeu : Non, il me semble que j’entends quelque chose. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous avez raison. Est-ce qu’il reprendrait son rêve ? Bordeu : Écoutons. D’Alembert : Pourquoi suis-je tel ? c’est qu’il a fallu que je fusse tel... ici, oui. Mais ailleurs ? au pôle ? mais sous la ligne ? mais dans | Saturne ?... Si une distance de quelque mille lieues change mon espèce, que ne fera point l’intervalle de quelques milliers de diamètres terrestres... et si tout est en flux général, comme le spectacle de l’univers me le montre partout, que ne produiront point ici et ailleurs la durée et les vicissitudes de quelques millions de siècles ?... qui sait ce qu’est l’être pensant et sentant en Saturne ?... mais y a-t-il en Saturne du sentiment et de la pensée ?... pourquoi non ?... l’être sentant et pensant en Saturne aurait-il plus de sens que je n’en ai ?... si cela est, ah qu’il est malheureux le Saturnien !... plus de sens ; plus de besoins. Bordeu : Il a raison. Les organes produisent les besoins, et réciproquement les besoins produisent les organes. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, délirez-vous aussi ? Bordeu : Pourquoi non ? J’ai vu deux moignons devenir à la longue deux bras. | Mademoiselle de L’Espinasse : Vous mentez. Bordeu : Il est vrai ; mais au défaut de deux bras qui manquaient, j’ai vu deux omoplates s’allonger, se mouvoir en pince, et devenir deux moignons. Mademoiselle de L’Espinasse : Quelle folie ! Bordeu : C’est un fait. Supposez une longue suite de générations manchotes ; supposez des efforts continus ; et vous verrez les deux côtés de cette pincette s’étendre, s’étendre de plus en plus, se croiser sur le dos, revenir par devant, peut-être se digiter
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mazione dell’uomo o dell’animale in generale con l’apposizione successiva di diverse molecole sensibili. Ogni molecola sensibile aveva il proprio io prima dell’applicazione; ma come ha fatto a perderlo e come ne è risultata, da tutte queste perdite, la coscienza di un tutto? Signorina de L’Espinasse: Mi sembra che il solo contatto basti. Ecco un’esperienza che ho fatto cento volte... ma aspettate... bisogna che vada a vedere che cosa succede fra quelle cortine... dorme... Quando mi metto una mano sulla coscia, in principio sento bene che la mia mano non è la coscia, ma dopo un certo tempo, quando il calore è uguale in entrambe, non le distinguo più. I limiti delle due parti si confondono ed esse ne formano ormai una sola.100 Bordeu: Sì, finché non vi pungono l’una o l’altra. Allora la distinzione rinasce. C’è dunque in voi qualcosa che non ignora se è stata punta la vostra mano o la vostra coscia; e questo qualcosa non è il vostro piede; non è nemmeno la vostra stessa mano punta; è lei che soffre; ma a saperlo è un’altra cosa, ed essa non soffre affatto. Signorina de L’Espinasse: Ma io credo che sia la mia testa. Bordeu: Tutta la vostra testa? Signorina de L’Espinasse: No; ma aspettate, dottore, mi spiegherò con un paragone. I paragoni costituiscono quasi tutta la ragione delle donne e dei poeti. Immaginate un ragno...101 D’Alembert: Chi è là?... siete voi, Signorina de L’Espinasse?... Signorina de L’Espinasse: Zitto, zitto... (La signorina de I’Espinasse e il dottore restarono in silenzio per qualche tempo; poi la signorina de L’Espinasse disse sottovoce:) Credo si sia riaddormentato. Bordeu: No, mi pare di sentire qualcosa. Signorina de L’Espinasse: Avete ragione. Che riprenda il suo sogno? Bordeu: Ascoltiamo. D’Alembert: Perché sono quello che sono? perché è stato necessario che io fossi tale... qui, sì. Ma altrove? al polo? ma sotto l’equatore? su Saturno?... Se una distanza di qualche migliaia di leghe cambia la mia specie, che cosa non accadrà a un intervallo di alcune migliaia di diametri terrestri?... e se tutto è in un generale fluire, come mi mostra ovunque lo spettacolo dell’universo, che cosa non produrranno qui e altrove la durata e le vicissitudini di alcuni milioni di secoli?102 Chi sa che cos’è l’essere pensante e sensibile su Saturno?... ma esistono poi, su Saturno, sentimento e pensiero?...103 perché no?... l’essere senziente e pensante, su Saturno, avrebbe forse più sensi di quanti non ne abbia io?...104 Se è così, ah, com’è infelice il Saturniano!... Più sono i sensi, più sono i bisogni. Bordeu: Ha ragione. Gli organi producono i bisogni e reciprocamente i bisogni producono gli organi.105 Signorina de L’Espinasse: Dottore, delirate anche voi? Bordeu: Perché no? Ho visto due moncherini che, alla lunga, diventarono due braccia. Signorina de L’Espinasse: Voi mentite. Bordeu: È la verità, ma in mancanza delle due braccia, ho visto due scapole allungarsi, muoversi come pinze e diventare due moncherini.106 Signorina de L’Espinasse: Che pazzia! Bordeu: È un fatto. Immaginate una lunga serie di generazioni di monchi; immaginate degli sforzi continui; e vedrete i due lati di questa pinza allungarsi, allungarsi sempre di più, incrociarsi sulla schiena, ritornare davanti, forse spuntare le dita alle
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à leurs extrémités, et refaire des bras et des mains. La conformation originelle s’altère ou se perfectionne par la nécessité et les fonctions habituelles. Nous marchons si peu, nous travaillons si peu et nous pensons tant, que je ne désespère pas que l’homme ne finisse par n’être qu’une tête. Mademoiselle de L’Espinasse : Une tête. Une tête ; c’est bien peu de chose ; j’espère que la galanterie effrénée... Vous me faites venir des idées bien ridicules. Bordeu : Paix. D’Alembert : Je suis donc tel, parce qu’il a fallu que je fusse tel. | Changez le tout, vous me changez nécessairement ; mais le tout change sans cesse... L’homme n’est qu’un effet commun ; le monstre qu’un effet rare ; tous les deux également naturels, également nécessaires ; également dans l’ordre universel et général... et qu’est-ce qu’il y a d’étonnant à cela ?... tous les êtres circulent les uns dans les autres ; par conséquent toutes les espèces... tout est en un flux perpétuel... tout animal est plus ou moins homme ; tout minéral est plus ou moins plante ; toute plante est plus ou moins animal. Il n’y a rien de précis en nature... Le ruban du père Castel... Oui, père Castel, c’est votre ruban et ce n’est que cela. Toute chose est plus ou moins une chose quelconque. Plus ou moins terre ; plus ou moins eau ; plus ou moins air ; plus ou moins feu ; plus ou moins d’un règne ou d’un autre... donc rien n’est de l’essence d’un être particulier... non, sans doute, puisqu’il n’y a aucune qualité dont aucun être ne soit participant... et que c’est le rapport plus ou moins grand de cette qualité qui nous la fait attribuer à un être exclusivement à un autre... Et vous parlez d’individus, pauvres philosophes ; laissez là vos individus ; répondez-moi. Y a-t-il un atome en nature rigoureusement semblable à un autre atome ?... Non... Ne convenez-vous pas que tout tient en nature et qu’il est impossible qu’il y ait un vide dans la chaîne ? Que voulez-vous donc | dire avec vos individus ? il n’y en a point. Non, il n’y en a point... Il n’y a qu’un seul grand individu ; c’est le tout. Dans ce tout, comme dans une machine, dans un animal quelconque, il y a une partie que vous appellerez telle ou telle ; mais quand vous donnerez le nom d’individu à cette partie du tout, c’est par un concept aussi faux que si, dans un oiseau, vous donniez le nom d’individu à l’aile, à une plume de l’aile... et vous parlez d’essences, pauvres philosophes ; laissez là vos essences. Voyez la masse générale ; ou si, pour l’embrasser, vous avez l’imagination trop étroite, voyez votre première origine et votre fin dernière... Ô Archytas, vous qui avez mesuré le globe, qu’êtes-vous ? un peu de cendre... qu’est-ce qu’un être ?... la somme d’un certain nombre de tendances... est-ce que je puis être autre chose qu’une tendance ?... Non. Je vais à un terme... Et les espèces ?... Les espèces ne sont que des tendances à un terme commun qui leur est propre... Et la vie ?... La vie ? une suite d’actions et de réactions... vivant, j’agis et je réagis en masse... mort, j’agis et je réagis en molécules... je ne meurs donc point... non, sans doute, je ne meurs point en ce sens, ni moi, ni quoi que ce soit... naître, vivre et passer, c’est changer de formes... | et qu’importe une forme ou une autre ! chaque forme a le bonheur et le malheur qui lui est propre... depuis l’éléphant jusqu’au puceron... depuis le puceron jusqu’à la molécule sensible et vivante, l’origine de tout... pas un point dans la nature entière qui ne souffre ou qui ne jouisse. Mademoiselle de L’Espinasse : Il ne dit plus rien. Bordeu : Non. Il a fait une assez belle excursion. Voilà de la philosophie bien haute ; systématique dans ce moment ; je crois que plus les connaissances de l’homme feront de progrès, plus elle se vérifiera. Mademoiselle de L’Espinasse : Et nous, où en étions-nous ?
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loro estremità e rifare braccia e mani. La conformazione originale si altera o si perfeziona con la necessità e con le funzioni abituali. Noi camminiamo così poco, lavoriamo così poco e pensiamo tanto, che io non dispero che l’uomo finisca per ridursi a essere solo una testa. Signorina de L’Espinasse: Una testa. Una testa; è ben poca cosa; io spero che la sfrenata galanteria... mi fate venire in mente idee davvero ridicole. Bordeu: Zitti. D’Alembert: Sono dunque come sono, perché è stato necessario che fossi così. Cambiate il tutto e necessariamente cambiate me; ma il tutto cambia senza posa... L’uomo non è che un effetto comune; il mostro solo un effetto raro; entrambi ugualmente naturali, ugualmente necessari, ugualmente nell’ordine universale e generale...107 e che c’è di sorprendente in questo?... Tutti gli esseri circolano gli uni negli altri; di conseguenza tutte le specie... tutto è in un fluire perpetuo...108 Ogni animale è più o meno uomo; ogni minerale è più o meno pianta; ogni pianta è più o meno animale. In natura non c’è niente di fisso... Il nastro di padre Castel... Sì, padre Castel, è il vostro nastro e nient’altro che questo.109 Ogni cosa è più o meno una cosa qualunque. Più o meno terra; più o meno acqua; più o meno aria; più o meno fuoco; più o meno appartenente a un regno o a un altro... dunque nulla è dell’essenza propria di un essere particolare... no, probabilmente, poiché non vi è alcuna qualità di cui ciascun essere non sia partecipe... ed è la proporzione più o meno grande di questa qualità che ce la fa attribuire esclusivamente a un essere rispetto a un altro... E voi parlate di individui, poveri filosofi; lasciate perdere i vostri individui; rispondetemi. C’è in natura un atomo rigorosamente simile a un altro atomo?...110 No... Non siete d’accordo sul fatto che tutto è collegato in natura ed è impossibile che vi sia un vuoto nella catena?111 Che cosa volete dunque dire con i vostri individui? Non ce ne sono affatto. No, non ce ne sono affatto... c’è un solo grande individuo, è il tutto.112 In questo tutto, come in una macchina, in un animale qualunque, c’è una parte che voi chiamerete così o così: ma quando darete il nome di individuo a questa parte del tutto, lo farete in base a un concetto tanto falso come se, in un uccello, deste il nome di individuo all’ala, a una penna dell’ala... E voi parlate di essenze, poveri filosofi; lasciate perdere le vostre essenze. Guardate la massa generale; o se per abbracciarla la vostra immaginazione è troppo ristretta, guardate la vostra prima origine e la vostra fine ultima... O Archita, voi che avete misurato il globo, che cosa siete? Un po’ di cenere...113 Che cos’è un essere?... La somma di un certo numero di tendenze...114 posso io essere qualcosa di diverso da una tendenza?... No. Io vado verso un termine... E le specie?... Le specie non sono che tendenze verso un termine comune che è loro proprio... E la vita?... La vita, un seguito di azioni e di reazioni...115 vivo, io agisco e reagisco in massa... morto, io agisco e reagisco in molecole... dunque non muoio affatto?... no, probabilmente, in questo senso non muoio affatto, né io, né chicchessia... Nascere, vivere e perire, è cambiare di forme...116 e che importanza ha una forma o un’altra! ogni forma ha la felicità e l’infelicità che le è propria... dall’elefante fino alla pulce... dalla pulce fino alla molecola sensibile e vivente, l’origine di tutto... non un punto, nell’intera natura, che non soffra o non goda. Signorina de L’Espinasse: Non dice più nulla. Bordeu: No. Ha fatto un’assai bella escursione. Ecco della filosofia molto elevata; sistematica in questo momento; io credo che più le conoscenze dell’uomo faranno progressi, più essa sarà verificata. Signorina de L’Espinasse: E noi, dove eravamo rimasti?
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Bordeu : Ma foi, je ne m’en souviens plus. Il m’a rappelé tant de phénomènes, tandis que je l’écoutais. Mademoiselle de L’Espinasse : Attendez, attendez..., j’en étais à mon araignée. Bordeu : Oui, oui. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, approchez-vous. Imaginez une araignée au centre de sa toile. Ébranlez un fil ; et vous verrez l’animal alerte accourir. Eh bien, si les fils que l’insecte tire de ses intestins, et y rappelle quand il lui plaît, faisaient partie sensible de lui-même ?... Bordeu : Je vous entends. Vous imaginez en vous, quelque part, dans un recoin de votre tête, celui, par exemple, qu’on appelle les méninges, un ou plusieurs points où se rapportent toutes les sensations excitées sur la longueur des fils. | Mademoiselle de L’Espinasse : C’est cela. Bordeu : Votre idée est on ne saurait plus juste ; mais ne voyez-vous pas que c’est à peu près la même qu’une certaine grappe d’abeilles ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ah, cela est vrai. J’ai fait de la prose sans m’en douter. Bordeu : Et de la très bonne prose, comme vous allez voir. Celui qui ne connaît l’homme que sous la forme qu’il nous présente en naissant, n’en a pas la moindre idée. Sa tête, ses pieds, ses mains, tous ses membres, tous ses viscères, tous ses organes, son nez, ses yeux, ses oreilles, son cœur, ses poumons, ses intestins, ses muscles, ses os, ses nerfs, ses membranes, ne sont, à proprement parler, que les développements grossiers d’un réseau qui se forme, s’accroît, s’étend, jette une multitude de fils imperceptibles. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà ma toile. Et le point originaire de tous ces fils c’est mon araignée. Bordeu : A merveille. Mademoiselle de L’Espinasse : Où sont les fils ? où est placée l’araignée ? Bordeu : Les fils sont partout. Il n ‘y a pas un point à la surface de votre corps auquel ils n’aboutissent ; et l’araignée est nichée dans une partie de votre tête que je vous ai nommée, les méninges, à laquelle on ne saurait presque toucher, sans frapper de torpeur toute la machine. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais si un atome fait osciller un des fils de la toile de l’araignée, alors elle prend l’alarme, elle s’inquiète, elle fuit ou elle accourt. Au centre elle est instruite de ce qui se passe en quelque endroit que ce soit de l’appartement immense qu’elle a tapissé. Pourquoi est-ce que je ne sais pas ce qui se passe dans le mien, ou le monde, puisque je suis un peloton de points sensibles, que tout presse sur moi et que je presse sur tout ? | Bordeu : C’est que les impressions s’affaiblissent en raison de la distance d’où elles partent. Mademoiselle de L’Espinasse : Si l’on frappe du coup le plus léger à l’extrémité d’une longue poutre, j’entends ce coup, si j’ai mon oreille appliquée à l’autre extrémité. Cette poutre toucherait d’un bout sur la terre et de l’autre bout dans Sirius, que le même effet serait produit. Pourquoi tout étant lié, contigu, c’est-à-dire la poutre existante et réelle, n’entends-je pas ce qui se passe dans l’espace immense qui m’environne, surtout si j’y prête l’oreille ? Bordeu : Et qui est-ce qui vous a dit que vous ne l’entendiez pas plus ou moins ? Mais il y a si loin, l’impression est si faible, si croisée sur la route ; vous êtes entourée et assourdie de bruits si violents et si divers. C’est qu’entre Saturne et vous, il n’y a que des corps contigus, au lieu qu’il y faudrait de la continuité.
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Bordeu: In fede mia, non me ne ricordo più; mi ha richiamato alla mente tanti fenomeni, mentre lo ascoltavo! Signorina de L’Espinasse: Aspettate, aspettate... ero rimasta al mio ragno. Bordeu: Sì, sì. Signorina de L’Espinasse: Dottore, avvicinatevi. Immaginate un ragno al centro della sua tela.117 Fate vibrare un filo; e vedrete l’animale accorrere in allerta. Ebbene, se i fili che l’insetto trae dai suoi intestini e li richiama quando gli piace, facessero come parte sensibile di lui stesso?...118 Bordeu: Vi capisco. Immaginate in voi, in qualche luogo, in un angolo remoto della vostra testa, quello per esempio che chiamiamo le meningi,119 uno o più punti a cui fanno capo tutte le sensazioni eccitate sulla lunghezza dei fili. Signorina de L’Espinasse: Proprio così. Bordeu: La vostra idea non potrebbe essere più giusta; ma non vedete che è all’incirca la stessa di un certo grappolo di api? Signorina de L’Espinasse: Ah! Questo è vero; ho fatto della prosa senza accorgermene. Bordeu: E dell’ottima prosa, come vedrete. Colui che non conosce l’uomo se non nella forma che ci presenta nascendo, non ne ha la minima idea. La testa, i piedi, le mani, tutte le sue membra, tutte le sue viscere, tutti i suoi organi, il naso, gli occhi, le orecchie, il cuore, i polmoni, gli intestini, i muscoli, le ossa, i nervi, le membrane non sono altro, propriamente parlando, che grossolani sviluppi di una rete che si forma, si accresce, si estende, emette una moltitudine di fili impercettibili. Signorina de L’Espinasse: Ecco la mia tela; e il punto originario di tutti quei fili è il mio ragno. Bordeu: A meraviglia. Signorina de L’Espinasse: Dove sono i fili? Dov’ è collocato il ragno? Bordeu: I fili sono dappertutto; non c’è un punto sulla superficie del vostro corpo al quale essi non facciano capo; e il ragno è rannicchiato in una parte della vostra testa che ho già nominata, le meningi, che non si potrebbe quasi sfiorare senza gettare tutta la macchina nel torpore. Signorina de L’Espinasse: Ma se un atomo fa oscillare uno dei fili della tela del ragno, allora questo si mette in allarme, s’inquieta, fugge o accorre. Posto al centro, viene a sapere tutto ciò che accade in qualsiasi punto dell’immenso appartamento da lui tappezzato. Perché dunque io non so ciò che accade nel mio, ossia il mondo, dato che io sono un grumo di punti sensibili, e tutto preme su di me e io premo su tutto? Bordeu: Perché le impressioni s’indeboliscono in proporzione alla distanza da cui partono. Signorina de L’Espinasse: Se si dà un colpo anche molto leggero all’estremità di una lunga trave, io sento questo colpo, se il mio orecchio è posto all’altra estremità. Questa trave potrebbe toccare con un capo la terra e con l’altro capo Sirio, che si verrebbe a produrre lo stesso effetto. Se tutto è collegato, contiguo, cioè se il tutto è la trave esistente e reale, perché non sento quello che accade nello spazio immenso che mi circonda, anche se tendo l’orecchio? Bordeu: E chi vi ha detto che più o meno non lo sentiate?120 Ma la distanza è tanta, l’impressione è così debole, così incrociata con altre, lungo il cammino; siete circondata e assordata da rumori così violenti e diversi. C’è che tra Saturno e voi esistono soltanto corpi contigui, mentre ci occorrerebbe della continuità.
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Mademoiselle de L’Espinasse : C’est bien dommage. Bordeu : Il est vrai, car vous seriez Dieu. Par votre identité avec tous les êtres de la nature, vous sauriez tout ce qui se fait. Par votre mémoire, vous sauriez tout ce qui s’y est fait. Mademoiselle de L’Espinasse : Et ce qui s’y fera. Bordeu : Vous formeriez sur l’avenir des conjectures vraisemblables, mais sujettes à erreur. C’est précisément comme si vous cherchiez à deviner | ce qui va se passer audedans de vous, à l’extrémité de votre pied, ou de votre main. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qui est-ce qui vous a dit que ce monde n’avait pas aussi ses méninges, ou qu’il ne réside pas dans quelque recoin de l’espace une grosse ou petite araignée dont les fils s’étendent à tout ? Bordeu : Personne, moins encore si elle n’a pas été, ou si elle ne sera pas. Mademoiselle de L’Espinasse : Comment cette espèce de Dieu-là... Bordeu : La seule qui se conçoive... Mademoiselle de L’Espinasse : Pourrait avoir été, ou venir et passer ? Bordeu : Sans doute ; mais puisqu’il serait matière dans l’univers, portion de l’univers, sujet à vicissitudes, il vieillirait ; il mourrait. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais voici bien une autre extravagance qui me vient. Bordeu : Je vous dispense de la dire, je la sais. Mademoiselle de L’Espinasse : Voyons, quelle est-elle ? Bordeu : Vous voyez l’intelligence unie à des portions de matière très énergiques, et la possibilité de toutes sortes de prodiges imaginables. D’autres l’ont pensé comme vous. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous m’avez devinée ; et je ne vous en estime pas davantage. Il faut que vous ayez un merveilleux penchant à la folie. Bordeu : D’accord. Mais que cette idée a-t-elle d’effrayant ? | Ce serait une épidémie de bons et de mauvais génies. Les lois les plus constantes de la nature seraient interrompues par des agents naturels ; notre physique générale en deviendrait plus difficile ; mais il n ‘y aurait point de miracles. Mademoiselle de L’Espinasse : En vérité, il faut être bien circonspect sur ce qu’on assure et sur ce qu’on nie. Bordeu : Allez, celui qui vous raconterait un phénomène de ce genre aurait l’air d’un grand menteur : mais laissons là tous ces êtres imaginaires, sans en excepter votre araignée à réseaux infinis. Revenons au vôtre et à sa formation. Mademoiselle de L’Espinasse : J’y consens. D’Alembert : Mademoiselle, vous êtes avec quelqu’un. Qui est-ce qui cause là avec vous ? Mademoiselle de L’Espinasse : C’est le docteur. D’Alembert : Bonjour, docteur ; que faites-vous ici si matin ? Bordeu : Vous le saurez. Dormez. D’Alembert : Ma foi, j’en ai besoin. Je ne crois pas avoir passé une autre nuit aussi agitée que celle-ci. Vous ne vous en irez pas que je ne sois levé. Bordeu : Non. Je gage, mademoiselle, que vous avez cru qu’ayant été à l’âge de douze ans une femme la moitié plus petite, à l’âge de quatre ans encore une femme la moitié plus petite, fœtus une petite femme, dans les testicules de votre mère une femme très petite, vous avez pensé que vous aviez toujours été une femme sous la forme que vous
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Signorina de L’Espinasse: È un vero peccato. Bordeu: È vero, perché sareste Dio. In forza della vostra identità con tutti gli esseri della natura, sapreste tutto quello che accade. In forza della vostra memoria, sapreste tutto ciò che è accaduto. Signorina de L’Espinasse: E ciò che accadrà. Bordeu: Circa l’avvenire, formulereste delle congetture verosimili, ma soggette a errore. È precisamente come se cercaste di indovinare ciò che accadrà dentro di voi, all’estremità del vostro piede o della vostra mano. Signorina de L’Espinasse: E chi vi ha detto che questo mondo non abbia anch’esso le sue meningi; o che in qualche angolo remoto dello spazio non risieda un grosso o piccolo ragno i cui fili si stendono dappertutto? Bordeu: Nessuno. Meno ancora che esso non sia già esistito o non potrà esistere in futuro. Signorina de L’Espinasse: Come quella specie di Dio...121 Bordeu: La sola che si possa concepire... Signorina de L’Espinasse: Potrebbe essere esistita o venire a esistere e passare? Bordeu: Probabilmente; ma poiché sarebbe materia, nell’universo, porzione dell’universo, soggetta a vicissitudini, invecchierebbe, morirebbe. Signorina de L’Espinasse: Ma ecco che mi viene in mente un’altra idea stravagante. Bordeu: Vi dispenso dal dirmela, la so. Signorina de L’Espinasse: Sentiamo, qual è? Bordeu: Voi vedete l’intelligenza unita a porzioni di materia molto energetiche e alla possibilità di ogni specie di prodigi immaginabili. Altri l’hanno pensata proprio come voi.122 Signorina de L’Espinasse: Avete indovinato; e non vi stimo di più per questo. Dovete avere una meravigliosa tendenza alla follia. Bordeu: D’accordo. Ma che cos’ha di così spaventoso quest’idea? Si avrebbe una epidemia di geni buoni e cattivi. Le leggi più costanti della natura verrebbero interrotte da agenti naturali; la nostra fisica generale verrebbe resa più difficile; ma non per questo vi sarebbero miracoli.123 Signorina de L’Espinasse: In verità bisogna essere molto circospetti su ciò che si afferma e ciò che si nega. Bordeu: Suvvia, chi vi raccontasse un fenomeno di questo genere avrebbe tutta l’aria di un gran bugiardo; ma lasciamo perdere tutti questi esseri immaginari, senza eccettuarne il vostro ragno dalle infinite reti. Ritorniamo al vostro ragno e alla sua formazione. Signorina de L’Espinasse: Va bene. D’Alembert: Signorina, qualcuno è con voi. Chi è che sta chiacchierando con voi là? Signorina de L’Espinasse: È il dottore. D’Alembert: Buongiorno, dottore; che ci fate qui così presto? Bordeu: Lo saprete. Dormite ora. D’Alembert: Parola mia, ne ho bisogno. Non credo di aver mai passato una notte tanto agitata come questa. Ma non andatevene prima che mi sia alzato. Bordeu: No. Scommetto, Signorina, che avete creduto che essendo stata all’età di dodici anni una donna più piccola della metà di quel che siete ora, e all’età di quattro anni una donna ancor più piccola della metà, e allo stato di feto una donnicciola, e nei testicoli di vostra madre una donna minutissima, avete pensato di esser sempre stata
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avez, en sorte | que les seuls accroissements successifs que vous avez pris ont fait toute la différence de vous à votre origine, et de vous telle que vous voilà. Mademoiselle de L’Espinasse : J’en conviens. Bordeu : Rien cependant n’est plus faux que cette idée. D’abord vous n’étiez rien. Vous fûtes, en commençant, un point imperceptible, formé de molécules plus petites, éparses dans le sang, la lymphe de votre père ou de votre mère ; ce point devint un fil délié ; puis un faisceau de fils. Jusque-là, pas le moindre vestige de cette forme agréable que vous avez. Vos yeux, ces beaux yeux, ne ressemblaient non plus à des yeux que l’extrémité d’une griffe d’anémone ne ressemble à une anémone. Chacun des brins du faisceau de fils se transforma, par la seule nutrition et par sa conformation, en un organe particulier. Abstraction faite des organes dans lesquels les brins du faisceau se métamorphosent, et auxquels ils donnent naissance, le faisceau est un système purement sensible. S’il persistait sous cette forme, il serait susceptible de toutes les impressions relatives à la sensibilité pure, comme le froid, le chaud, le doux, le rude. Ces impressions successives, variées entre elles, et variées chacune dans leur intensité, y produiraient peut-être la mémoire, la conscience du soi, une raison très bornée. Mais cette sensibilité pure et simple, ce toucher, se diversifie par les organes émanés de chacun des brins ; un brin formant une oreille, donne naissance à une espèce de toucher que nous appelons bruit ou son ; un autre formant le palais, donne naissance à une seconde espèce de toucher que nous appelons saveur ; un troisième formant le nez et le tapis | sant, donne naissance à une troisième espèce de toucher que nous appelons odeur ; un quatrième formant un œil, donne naissance à une quatrième espèce de toucher que nous appelons couleur. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais si je vous ai bien compris, ceux qui nient la possibilité d’un sixième sens, un véritable hermaphrodite, sont des étourdis. Qui estce qui leur a dit que nature ne pourrait former un faisceau avec un brin singulier, qui donnerait naissance à un organe qui nous est inconnu ? Bordeu : Ou avec les deux brins qui caractérisent les deux sexes ? Vous avez raison. Il y a plaisir à causer avec vous. Vous ne saisissez pas seulement ce qu’on vous dit ; vous en tirez encore des conséquences d’une justesse qui m’étonne. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous m’encouragez. Bordeu : Non, ma foi ; je vous dis ce que je pense. Mademoiselle de L’Espinasse : Je vois bien l’emploi de quelques-uns des brins du faisceau ; mais les autres, que deviennent-ils ? Bordeu : Et vous croyez qu’une autre que vous aurait songé à cette question ? Mademoiselle de L’Espinasse : Certainement. Bordeu : Vous n’êtes pas vaine. Le reste des brins va former autant d’autres espèces de toucher, qu’il y a de diversité entre les organes et les parties du corps. | M ademoiselle de L’Espinasse : Et comment les appelle-t-on ? Je n’en ai jamais entendu parler. Bordeu : Ils n’ont pas de nom. Mademoiselle de L’Espinasse : Et pourquoi ? Bordeu : C’est qu’il n’y a pas autant de différence entre les sensations excitées par leur moyen, qu’il y en a entre les sensations excitées par le moyen des autres organes. Mademoiselle de L’Espinasse : Très sérieusement, vous pensez que le pied, la main, les cuisses, le ventre, l’estomac, la poitrine, le poumon, le cœur ont leurs sensations particulières ? Bordeu : Je le pense. Si j’osais, je vous demanderais si parmi ces sensations qu’on ne nomme pas...
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una donna della stessa forma che avete ora, di modo che tutta la differenza tra voi come siete ora qui e voi come eravate in origine fosse data dai soli accrescimenti successivi.124 Signorina de L’Espinasse: Ne convengo. Bordeu: Nulla è tuttavia più falso di quest’idea. Dapprima non eravate nulla. Per cominciare, foste un punto impercettibile, formato di molecole ancor più piccole, sparse nel sangue, nella linfa di vostro padre o di vostra madre; questo punto divenne un filo delicato, poi un fascio di fili. Fin qui, non il minimo vestigio di questa vostra gradevole forma che avete: i vostri occhi, questi begli occhi, non somigliavano di più a degli occhi di quanto l’estremità di una radice di anemone somigli a un anemone.125 Ciascun filo del fascio di fili si trasformò in un organo particolare, mediante la sola nutrizione e la sua conformazione. Facendo astrazione dagli organi nei quali i fili del fascio si metamorfizzano e ai quali essi danno origine, il fascio è un sistema puramente sensibile. Se persistesse sotto questa forma, sarebbe suscettibile di tutte le impressioni relative alla sensibilità pura, come il freddo, il caldo, il liscio, il ruvido. Queste impressioni successive, variate fra loro e variate ciascuna nella propria intensità, vi produrrebbero forse la memoria, la coscienza del sé, una ragione molto limitata. Ma questa sensibilità pura e semplice, questo tatto si diversifica negli organi emananti da ciascuno di quei fili; un filo che forma un orecchio, dà origine a quella specie di tatto che chiamiamo rumore o suono; un altro che forma il palato, dà origine a una seconda specie di tatto che chiamiamo sapore; un terzo che forma il naso e lo tappezza tutto, dà origine a una terza specie di tatto che chiamiamo odore; un quarto che forma un occhio, dà origine a una quarta specie di tatto che chiamiamo colore. Signorina de L’Espinasse: Ma se vi ho capito bene, quelli che negano la possibilità di un sesto senso, di un vero ermafrodito, sono degli sciocchi.126 Chi ha detto loro che la natura non potrebbe formare un fascio con un filo singolare che darebbe origine a un organo a noi sconosciuto? Bordeu: Oppure con i due fili che caratterizzano i due sessi? Avete ragione. È un piacere parlare con voi. Non soltanto afferrate subito quel che vi si dice; ma ne sapete anche trarre delle conseguenze di un’esattezza che mi stupisce, Signorina de L’Espinasse: Dottore, lo dite per incoraggiarmi. Bordeu: No, veramente; vi dico quello che penso. Signorina de L’Espinasse: Capisco bene l’utilizzo di alcuni di quei fili del fascio; ma che ne sarà degli altri? Bordeu: E voi credete che un’altra, a parte voi, avrebbe pensato a questa domanda? Signorina de L’Espinasse: Sicuramente. Bordeu: Non siete presuntuosa. Il resto dei fili va a formare altrettante specie di tatto, quant’è la diversità fra gli organi e le parti del corpo.127 Signorina de L’Espinasse: E come si chiamano? Non ne ho mai sentito parlare. Bordeu: Non hanno nome. Signorina de L’Espinasse: E perché? Bordeu: Perché non v’è altrettanta differenza tra le sensazioni suscitate per mezzo loro, quanta ve n’è tra le sensazioni suscitate per mezzo degli altri organi. Signorina de L’Espinasse: Pensate molto seriamente che il piede, la mano, le cosce, il ventre, lo stomaco, il petto, il polmone, il cuore hanno le loro sensazioni particolari? Bordeu: Sì, lo penso. Se osassi, vi chiederei se fra quelle sensazioni che non si nominano...
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Mademoiselle de L’Espinasse : Je vous entends. Non. Celle-là est toute seule de son espèce ; et c’est dommage. Mais quelle raison avez-vous de cette multiplicité de sensations plus douloureuses qu’agréables dont il vous plaît de nous gratifier ? Bordeu : La raison ? c’est que nous les discernons en grande partie. Si cette infinie diversité de touchers n’existait pas, on saurait qu’on éprouve du plaisir ou de la douleur, mais on ne saurait où les rapporter. Il faudrait le secours de la vue. Ce ne serait plus une affaire de sensation ; ce serait une affaire d’expérience et d’observation. Mademoiselle de L’Espinasse : Quand je dirais que j’ai mal au doigt, si l’on me demandait pourquoi j’assure que c’est au doigt que j’ai mal, il faudrait que je répondisse, non pas que je le sens, mais que je sens du mal et que je vois que mon doigt est malade. | Bordeu : C’est cela. Venez que je vous embrasse Mademoiselle de L’Espinasse : Très volontiers. D’Alembert : Docteur, vous embrassez mademoiselle. C’est fort bien fait à vous. Bordeu : J’y ai beaucoup réfléchi, et il m’a semblé que la direction et le lieu de la secousse ne suffiraient pas pour déterminer le jugement si subit de l’origine du faisceau. Mademoiselle de L’Espinasse : Je n’en sais rien. Bordeu : Votre doute me plaît. Il est si commun de prendre des qualités naturelles pour des habitudes acquises et presque aussi vieilles que nous. Mademoiselle de L’Espinasse : Et réciproquement. Bordeu : Quoi qu’il en soit, vous voyez que dans une question où il s’agit de la formation première de l’animal, c’est s’y prendre trop tard que d’attacher son regard et ses réflexions sur l’animal formé ; qu’il faut remonter à ses premiers rudiments, et qu’il est à propos de vous dépouiller de votre organisation actuelle, et de revenir à un instant où vous n’étiez qu’une substance molle, filamenteuse, informe, vermiculaire, plus analogue au bulbe et à la racine d’une plante qu’à un animal. Mademoiselle de L’Espinasse : Si c’était l’usage d’aller toute nue dans les rues, je ne serais ni la première ni la dernière à m’y conformer. Ainsi faites de moi tout ce qu’il vous plaira, pourvu que je m’instruise. | Vous m’avez dit que chaque brin du faisceau formait un organe particulier, et quelle preuve que cela est ainsi ? Bordeu : Faites par la pensée ce que nature fait quelquefois. Mutilez le faisceau d’un de ses brins, par exemple, du brin qui formera les yeux ; que croyez- vous qu’il en arrive ? Mademoiselle de L’Espinasse : Que l’animal n’aura point d’yeux peut-être. Bordeu : Ou n’en aura qu’un placé au milieu du front. Mademoiselle de L’Espinasse : Ce sera un Cyclope. Bordeu : Un Cyclope. Mademoiselle de L’Espinasse : Le Cyclope pourrait donc bien ne pas être un être fabuleux. Bordeu : Si peu, que je vous en ferai voir un, quand vous voudrez. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qui sait la cause de cette diversité ? Bordeu : Celui qui a disséqué ce monstre et qui ne lui a trouvé qu’un filet optique. Faites par la pensée ce que nature fait quelquefois. Supprimez un autre brin du faisceau, le brin qui doit former le nez ; l’animal sera sans nez. Supprimez le brin qui doit former l’oreille ; l’animal sera sans oreilles, ou n’en aura qu’une ; et l’anatomiste ne trouvera dans la dissection, ni les filets olfactifs, ni les filets auditifs, ou ne trouvera qu’un de ceux-ci. Continuez la suppression des brins, et l’animal sera sans tête, sans pieds, sans mains ; sa durée sera courte ; mais il aura vécu. | Mademoiselle de L’Espinasse : Et il y a des exemples de cela ?
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Signorina de L’Espinasse: Vi capisco. No. Quella è l’unica della sua specie; ed è un peccato. Ma quale ragione date voi a questa molteplicità di sensazioni, più dolorose che piacevoli, di cui vi piace gratificarci? Bordeu: La ragione? La ragione è che in gran parte le avvertiamo. Se quell’infinita diversità di tatti non esistesse, si saprebbe che si prova piacere o dolore ma non si saprebbe dove riferirli. Occorrerebbe l’aiuto della vista. Non sarebbe più una questione di sensazioni; sarebbe una questione di esperienza e d’osservazione. Signorina de L’Espinasse: Quando dicessi che ho male a un dito, se mi domandassero perché affermo che è proprio il dito che mi fa male, sarebbe necessario che io rispondessi non che lo sento, ma che sento del male e vedo che il mio dito è malato. Bordeu: È così. Venite, che vi do un bacio. Signorina de L’Espinasse: Molto volentieri. D’Alembert: Dottore, voi baciate la Signorina. È molto ben fatto da parte vostra. Bordeu: Ho molto riflettuto e mi è sembrato che la direzione e il luogo della scossa non basterebbero a determinare il giudizio così pronto da parte dell’origine del fascio. Signorina de L’Espinasse: Non ne so nulla. Bordeu: Il vostro dubbio mi piace. È tanto comune scambiare delle qualità naturali per abitudini acquisite e quasi altrettanto vecchie quanto noi. Signorina de L’Espinasse: E reciprocamente, Bordeu: Comunque stiano le cose, vedete bene che in una questione in cui si tratta della formazione primitiva dell’animale, si arriva troppo tardi se si rivolgono l’occhio e le riflessioni all’animale già formato; occorre risalire ai suoi primi rudimenti, ed è una buona risoluzione che voi vi spogliate della vostra attuale organizzazione e ritorniate a un istante in cui non eravate che una sostanza molle, filamentosa, informe, vermicolare, più analoga al bulbo e alla radice di una pianta che a un animale. Signorina de L’Espinasse: Se vi fosse l’usanza di andare in giro tutta nuda per la strada, io non sarei né la prima né l’ultima a conformarmi a tale usanza. Perciò, fate di me tutto quel che volete, purché mi istruisca. Mi avete detto che ciascun filo del fascio formava un organo particolare; e che prova mi date che sia così? Bordeu: Fate col pensiero ciò che la natura fa qualche volta. Mutilate il fascio di uno dei suoi fili, ad esempio del filo che formerà gli occhi; che cosa credete che accadrà? Signorina de L’Espinasse: Che l’animale non avrà occhi, forse. Bordeu: O ne avrà uno solo, posto in mezzo alla fronte. Signorina de L’Espinasse: Sarà un ciclope. Bordeu: Un ciclope. Signorina de L’Espinasse: Il ciclope potrebbe dunque non essere un mostro favoloso. Bordeu: Tanto poco che ve ne farò vedere uno, quando vorrete.128 Signorina de L’Espinasse: E chi conosce la causa di questa diversità? Bordeu: Colui che ha dissezionato questo mostro e gli ha trovato un solo filetto ottico. Fate col pensiero ciò che la natura fa qualche volta. Sopprimete un altro filo del fascio, il filo che deve formare il naso; l’animale sarà senza naso. Sopprimete il filo che deve formare l’orecchio, l’animale sarà senza orecchi o ne avrà uno solo; e l’anatomista, nell’autopsia, non troverà né i filetti olfattivi, né i filetti uditivi, oppure troverà soltanto uno di questi. Continuate la soppressione dei fili e l’animale sarà senza testa, senza piedi, senza mani; la sua durata sarà breve, ma sarà vissuto. Signorina de L’Espinasse: E abbiamo degli esempi di ciò?
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Bordeu : Assurément. Ce n’est pas tout. Doublez quelques-uns des brins du faisceau, et l’animal aura deux têtes, quatre yeux, quatre oreilles, trois testicules, trois pieds, quatre bras, six doigts à chaque main. Dérangez les brins du faisceau, et les organes seront déplacés ; la tête occupera le milieu de la poitrine, les poumons seront à gauche, le cœur à droite. Collez ensemble deux brins, et les organes se confondront ; les bras s’attacheront au corps ; les cuisses, les jambes et les pieds se réuniront, et vous aurez toutes les sortes de monstres imaginables. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais il me semble qu’une machine aussi composée qu’un animal, une machine qui naît d’un point, d’un fluide agité, peut-être de deux fluides brouillés au hasard, car on ne sait guère alors ce qu’on fait, une machine qui s’avance à sa perfection par une infinité de développements successifs, une machine dont la formation régulière ou irrégulière dépend d’un paquet de fils minces, déliés et flexibles, d’une espèce d’écheveau où le moindre brin ne peut être cassé, rompu, déplacé, manquant, sans conséquence fâcheuse pour le tout, devrait se nouer, s’embarrasser encore plus souvent dans le lieu de sa formation que mes soies sur ma tournette. Bordeu : Aussi en souffre-t-elle beaucoup plus qu’on ne pense. On ne dissèque pas assez ; et les idées sur sa formation sont-elles bien éloignées de la vérité. | Mademoiselle de L’Espinasse : A-t-on des exemples remarquables de ces difformités originelles, autres que les bossus et les boiteux, dont on pourrait attribuer l’état maléficié à quelque vice héréditaire ? Bordeu : Il y en a sans nombre, et tout nouvellement il vient de mourir à la Charité de Paris, à l’âge de vingt-cinq ans, des suites d’une fluxion de poitrine, un charpentier né à Troyes, appelé Jean-Baptiste Macé, qui avait les viscères intérieurs de la poitrine et de l’abdomen dans une situation renversée, le cœur à droite précisément comme vous l’avez à gauche, le foie à gauche ; l’estomac, la rate, le pancréas à l’hypocondre droit ; la veine-porte au foie du côté gauche, ce qu’elle est au foie du côté droit ; même transposition au long canal des intestins ; les reins, adossés l’un à l’autre sur les vertèbres des lombes, imitaient la figure d’un fer à cheval. Et qu’on vienne après cela nous parler de causes finales. Mademoiselle de L’Espinasse : Cela est singulier. Bordeu : Si Jean-Baptiste Macé a été marié et qu’il ait eu des enfants... Mademoiselle de L’Espinasse : Eh bien, docteur, ces enfants... Bordeu : Suivront la conformation générale ; mais quelqu’un des enfants de leurs enfants, au bout d’une centaine d’années, car ces irrégularités ont des sauts, reviendra à la conformation bizarre de son aïeul. | Mademoiselle de L’Espinasse : Et d’où viennent ces sauts ? Bordeu : Qui le sait ? Pour faire un enfant on est deux, comme vous savez. Peutêtre qu’un des agents répare le vice de l’autre, et que le réseau défectueux ne renaît que dans le moment où le descendant de la race monstrueuse prédomine et donne la loi à la formation du réseau. Le faisceau de fils constitue la différence originelle et première de toutes les espèces d’animaux. Les variétés du faisceau d’une espèce font toutes les variétés monstrueuses de cette espèce. (Après un long silence, mademoiselle de L’Espinasse sortit de sa rêverie, et tira le docteur de la sienne par la question suivante :) Mademoiselle de L’Espinasse : Il me vient une idée bien folle. Bordeu : Quelle ?
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Bordeu: Certamente. Ma non è tutto. Raddoppiate alcuni dei fili del fascio, e l’animale avrà due teste, quattro occhi, quattro orecchi, tre testicoli, tre piedi, quattro braccia, sei dita a ogni mano, Alterate i fili del fascio e gli organi verranno spostati: la testa occuperà il mezzo del petto, i polmoni saranno a sinistra, il cuore a destra. Incollate insieme due fili e gli organi si confonderanno; le braccia si attaccheranno al corpo; le cosce, le gambe e i piedi si riuniranno e avrete così tutte le specie di mostri immaginabili. Signorina de L’Espinasse: Ma a me pare che una macchina così complessa come un animale, una macchina che nasce da un punto, da un fluido agitato, forse da due fluidi mischiati a caso, perché in quei momenti non si sa molto quel che si fa; una macchina che progredisce verso la sua perfezione attraverso un’infinità di sviluppi successivi, una macchina la cui conformazione regolare o irregolare dipende da un piccolo groviglio di fili tenui, delicati e flessibili, da una specie di gomitolo nel quale il più piccolo filo non può essere spezzato, rotto, spostato, mancante, senza conseguenze spiacevoli per il tutto, dovrebbe ingarbugliarsi, impicciarsi nel luogo della sua formazione ancor più spesso di quel che non accada ai fili di seta sul mio arcolaio. Bordeu: Perciò essa ne soffre molto più di quel che si pensi. Non si anatomizza abbastanza129 e le idee sulla sua formazione sono ancora ben lontane dalla verità. Signorina de L’Espinasse: Ci sono esempi notevoli di queste deformità originarie, oltre ai gobbi e agli zoppi, il cui stato di minorazione130 potrebbe essere attribuito a qualche vizio ereditario? Bordeu: Ce ne sono di innumerevoli, e proprio recentemente è appena morto alla Carità di Parigi,131 all’età di venticinque anni, in seguito a una polmonite, un falegname nato a Troyes, di nome Jean-Baptiste Macé,132 che aveva i visceri interni del petto e dell’addome in una posizione invertita, precisamente il cuore a destra come voi l’avete a sinistra; il fegato a sinistra; lo stomaco, la milza, il pancreas nell’ipocondrio destro; la vena porta sul fegato dal lato sinistro, quando è sul fegato dal lato destro; uguale trasposizione lungo il canale degli intestini; i reni, addossati l’uno all’altro sulle vertebre lombari, imitavano la forma di un ferro di cavallo. E dopo di che, ci vengano pure a parlare di cause finali! Signorina de L’Espinasse: È una cosa singolare. Bordeu: Se Jean-Baptiste Macé è stato sposato e ha avuto figli... Signorina de L’Espinasse: Ebbene, dottore, questi figli... Bordeu: Seguiranno la conformazione generale; ma qualcuno dei figli dei loro figli, in capo a un centinaio di anni – perché queste irregolarità fanno dei salti – tornerà a presentare la bizzarra conformazione del suo avo.133 Signorina de L’Espinasse: E donde provengono questi salti? Bordeu: E chi lo sa? Per fare un bambino bisogna essere in due, come sapete. Forse uno degli agenti pone rimedio al vizio dell’altro e la rete difettosa non rinasce se non nel momento in cui il discendente della razza mostruosa predomina e stabilisce la legge alla formazione della rete. Il fascio di fili costituisce la differenza originaria e prima di tutte le specie di animali. Le varietà del fascio di una specie formano tutte le varietà mostruose di tale specie. (Dopo un lungo silenzio, la Signorina de L’Espinasse uscì dalla sua fantasticheria e tirò fuori il dottore dalla sua, con la seguente domanda:) Signorina de L’Espinasse: Mi viene un’idea assai folle. Bordeu: Quale?
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Mademoiselle de L’Espinasse : L’homme n’est peut-être que le monstre de la femme, ou la femme le monstre de l’homme. Bordeu : Cette idée vous serait venue bien plus vite encore, si vous | eussiez su que la femme a toutes les parties de l’homme, et que la seule différence qu’il y ait est celle d’une bourse pendante en dehors, ou d’une bourse retournée en dedans ; qu’un fœtus femelle ressemble, à s’y tromper, à un fœtus mâle ; que la partie qui occasionne l’erreur s’affaisse dans le fœtus femelle à mesure que la bourse intérieure s’étend ; qu’elle ne s’oblitère jamais au point de perdre sa première forme ; qu’elle garde cette forme en petit ; qu’elle est susceptible des mêmes mouvements ; qu’elle est aussi le mobile de la volupté ; qu’elle a son gland, son prépuce ; et qu’on remarque à son extrémité un point qui paraîtrait avoir été l’orifice d’un canal urinaire qui s’est fermé ; qu’il y a dans l’homme, depuis l’anus jusqu’au scrotum, intervalle qu’on appelle le périnée, et du scrotum jusqu’à l’extrémité de la verge, une couture qui semble être la reprise d’une vulve faufilée ; que les femmes qui ont le clitoris excessif ont de la barbe ; que les eunuques n’en ont point ; que leurs cuisses se fortifient ; que leurs hanches s’évasent ; que leurs genoux s’arrondissent, et qu’en perdant l’organisation caractéristique d’un sexe, ils semblent s’en retourner à la conformation caractéristique de l’autre. Ceux d’entre les Arabes que l’équitation habituelle a châtrés perdent la barbe, prennent une voix grêle, s’habillent en femmes, se rangent parmi elles sur les chariots, s’accroupissent pour pisser, et en affectent les mœurs et les usages... Mais nous voilà bien loin de notre objet. Revenons à notre faisceau de filaments animés et vivants. D’Alembert : Je crois que vous dites des ordures à mademoiselle de L’Espinasse. | Bordeu : Quand on parle science, il faut se servir des mots techniques. D’Alembert : Vous avez raison ; alors ils perdent le cortège d’idées accessoires qui les rendraient malhonnêtes. Continuez, docteur. Vous disiez donc à mademoiselle que la matrice n’est autre chose qu’un scrotum retourné de dehors en dedans, mouvement dans lequel les testicules ont été jetés hors de la bourse qui les renfermait, et dispersés de droite et de gauche dans la cavité du corps ; que le clitoris est un membre viril en petit ; que ce membre viril de femme va toujours en diminuant, à mesure que la matrice, ou le scrotum retourné s’étend, et que... Mademoiselle de L’Espinasse : Oui, oui, taisez-vous ; et ne vous mêlez pas de nos affaires. Bordeu : Vous voyez, mademoiselle, que dans la question de nos sensations en général, qui ne sont toutes qu’un toucher diversifié, il faut laisser là les formes successives que le réseau prend, et s’en tenir au réseau seul. Mademoiselle de L’Espinasse : Chaque fil du réseau sensible peut être blessé ou chatouillé sur toute sa longueur. Le plaisir ou la douleur est là, ou là, dans un endroit ou dans un autre de quelqu’une des longues pattes de mon araignée ; car j’en reviens toujours à mon araignée ; que c’est l’araignée qui est à l’origine commune de toutes les pattes, et qui rapporte à tel ou tel endroit la douleur ou le plaisir, sans l’éprouver. Bordeu : Que c’est le rapport constant, invariable de toutes les impressions à cette origine commune qui constitue l’unité de l’animal. | Mademoiselle de L’Espinasse : Que c’est la mémoire de toutes ces impressions successives qui fait pour chaque animal l’histoire de sa vie et de son soi. Bordeu : Et que c’est la mémoire et la comparaison qui s’ensuivent nécessairement de toutes ces impressions qui font la pensée et le raisonnement. Mademoiselle de L’Espinasse : Et cette comparaison se fait où ? Bordeu : A l’origine du réseau.
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Signorina de L’Espinasse: Forse l’uomo non è altro che il mostro della donna, o la donna il mostro dell’uomo. Bordeu: Quest’idea vi sarebbe venuta molto prima ancora, se aveste saputo che la donna ha tutte le parti organiche dell’uomo e la sola differenza che c’è è quella tra una borsa che pende in fuori invece di una borsa rivolta in dentro; che un feto femmina assomiglia a un feto maschio fino al punto da confondersi; la parte che dà occasione all’errore si affloscia, nel feto femmina, man mano che la borsa interna si estende; che non si cancella mai al punto da perdere la sua prima forma; essa conserva questa forma in piccolo; è suscettibile degli stessi movimenti; è anch’essa il motore della voluttà; ha il suo glande, il suo prepuzio e si nota, alla sua estremità, un punto che sembrerebbe essere stato l’orifizio di un canale urinario che si è chiuso;134 e vi è nell’uomo, dall’ano allo scroto, in quell’intervallo che si chiama il perineo, e dallo scroto all’estremità della verga, una cucitura che sembra essere la rammendatura di una vulva imbastita; e le donne che hanno un clitoride eccessivo hanno anche la barba; gli eunuchi non ne hanno affatto; le loro cosce s’ingrossano; le anche si svasano; le ginocchia si arrotondano, e perdendo l’organizzazione caratteristica di un sesso sembrano ritornare alla conformazione caratteristica dell’altro. Quegli arabi che l’abitudine all’equitazione ha finito per castrare, perdono la barba, assumono una voce stridula,135 si vestono da donna, si siedono in mezzo a loro sui carri, si chinano per orinare, e affettano gli usi e i costumi delle donne... Ma ecco che ci siamo spinti un po’ troppo oltre rispetto al nostro tema. Ritorniamo al fascio di filamenti animati e viventi. D’Alembert: Credo che stiate dicendo delle sconcezze alla Signorina de L’Espinasse. Bordeu: Quando si parla di scienza bisogna servirsi dei termini tecnici. D’Alembert: Avete ragione; allora quei termini perdono il corteo di idee accessorie che li renderebbero volgari. Continuate, dottore. Voi dicevate dunque alla Signorina che la matrice non è altro che uno scroto rovesciato da fuori in dentro, movimento con cui i testicoli sono stati gettati fuori dalla borsa che li racchiudeva e dispersi a destra e a sinistra, nella cavità del corpo; dicevate che il clitoride è un membro virile in piccolo; che questo membro virile della donna va sempre diminuendo man mano che la matrice o lo scroto rovesciato si estende, e che... Signorina de L’Espinasse: Sì, sì, tacete e non immischiatevi nei nostri affari. Bordeu: Vedete, Signorina, che nelle questioni delle nostre sensazioni in generale, le quali tutte non sono altro che un tatto diversificato, bisogna lasciar perdere le forme successive che la rete assume, per limitarsi unicamente alla rete stessa. Signorina de L’Espinasse: Ciascun filo della rete sensibile può essere ferito o solleticato per tutta la sua lunghezza. Il piacere o il dolore è qui o là, in un punto o nell’altro di qualcuna delle lunghe zampe del mio ragno; perché io ritorno sempre al mio ragno; ed è il ragno all’origine comune di tutte le zampe, e riferisce a questo o a quel punto il dolore o il piacere, senza provarlo.136 Bordeu: È il rapportarsi costante, invariabile di tutte le impressioni a quell’origine comune che costituisce l’unità dell’animale. Signorina de L’Espinasse: È la memoria di tutte quelle impressioni successive che fa, per ogni animale, la storia della sua vita e del suo io. Bordeu: Ed è la memoria e il confronto che necessariamente conseguono da tutte quelle impressioni, che fanno il pensiero e il ragionamento. Signorina de L’Espinasse: E questo confronto dove si fa? Bordeu: All’origine della rete.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Et ce réseau ? Bordeu : N’a à son origine aucun sens qui lui soit propre ; ne voit point ; n’entend point ; ne souffre point. Il est produit, nourri ; il émane d’une substance molle, insensible, inerte, qui lui sert d’oreiller, et sur laquelle il siège, écoute, juge et prononce. Mademoiselle de L’Espinasse : Il ne souffre point ? Bordeu : Non. L’impression la plus légère suspend son audience, et l’animal tombe dans l’état de mort. Faites cesser l’impression, il revient à ses fonctions, et l’animal renaît. Mademoiselle de L’Espinasse : Et d’où savez-vous cela ? Est-ce qu’on a jamais fait renaître et mourir un homme à discrétion ? Bordeu : Oui. Mademoiselle de L’Espinasse : Et comment cela ? Bordeu : Je vais vous le dire ; c’est un fait curieux. La Peyronie, que vous pouvez avoir connu, fut appelé auprès d’un malade qui avait reçu un coup violent à la tête. Ce malade y sentait de la pulsation. Le | chirurgien ne doutait pas que l’abcès au cerveau ne fût formé, et qu’il n’y avait pas un moment à perdre. Il rase le malade et le trépane. La pointe de l’instrument tombe précisément au centre de l’abcès. Le pus était fait. Il vide le pus. Il nettoie l’abcès avec une seringue. Lorsqu’il pousse l’injection dans l’abcès, le malade ferme les yeux ; ses membres restent sans action, sans mouvement, sans le moindre signe de vie. Lorsqu’il repompe l’injection et qu’il soulage l’origine du faisceau du poids et de la pression du fluide injecté, le malade rouvre les yeux, se meut, parle, sent, renaît, et vit. Mademoiselle de L’Espinasse : Cela est singulier. Et ce malade guérit-il ? Bordeu : Il guérit ; et, quand il fut guéri, il réfléchit, il pensa, il raisonna, il eut le même esprit, le même bon sens, la même pénétration, avec une bonne portion de moins de sa cervelle. Mademoiselle de L’Espinasse : Ce juge-là est un être bien extraordinaire. Bordeu : Il se trompe quelquefois lui-même ; il est sujet à des préventions d’habitude : on sent du mal à un membre qu’on n’a plus ; on le trompe, quand on veut : croisez deux de vos doigts l’un sur l’autre, touchez une petite boule, et il prononcera qu’il y en a deux. Mademoiselle de L’Espinasse : C’est qu’il est comme tous les juges du monde, et qu’il a besoin d’expérience ; sans quoi il prendra la sensation de la glace, pour celle du feu. Bordeu : Il fait bien autre chose : il donne un volume presque infini à l’individu, ou il le concentre presque dans un point. Mademoiselle de L’Espinasse : Je ne vous entends pas. | Bordeu : Qu’est-ce qui circonscrit votre étendue réelle ? La vraie sphère de votre sensibilité ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ma vue et mon toucher. Bordeu : De jour ; mais la nuit, dans les ténèbres ; lorsque vous rêvez surtout à quelque chose d’abstrait ; le jour même, lorsque votre esprit est occupé ? Mademoiselle de L’Espinasse : Rien. J’existe comme en un point. Je cesse presque d’être matière. Je ne sens que ma pensée. Il n ‘y a plus ni lieu, ni mouvement, ni corps, ni distance, ni espace pour moi. L’univers est anéanti pour moi ; et je suis nulle pour lui. Bordeu : Voilà le dernier terme de la concentration de votre existence ; mais sa dilatation idéale peut être sans bornes. Lorsque la vraie limite de votre sensibilité est
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Signorina de L’Espinasse: E questa rete? Bordeu: Alla sua origine tale rete non è dotata di alcun senso che le sia proprio; non vede nulla; non sente nulla; non soffre affatto. È prodotta, nutrita; emana da una sostanza molle, insensibile, inerte, che le serve da cuscino e sulla quale siede, ascolta, giudica e pronuncia i propri giudizi. Signorina de L’Espinasse: Non soffre affatto? Bordeu: No. La più leggera impressione sospende la sua vigilanza e l’animale cade nello stato di morte. Fate cessare l’impressione ed essa ritorna alle sue funzioni e l’animale rinasce. Signorina de L’Espinasse: E come sapete tutto questo? Si è mai fatto rinascere e morire un uomo a discrezione? Bordeu: Sì. Signorina de L’Espinasse: E come? Bordeu: Ve lo dico subito; è un fatto curioso. La Peyronie,137 che potete aver conosciuto, fu chiamato presso un malato che aveva ricevuto un colpo violento alla testa. Questo malato se la sentiva pulsare. Il chirurgo non ebbe alcun dubbio che si fosse formato un ascesso al cervello e che non c’era un attimo da perdere. Fa radere il malato e compie la trapanazione. La punta dello strumento cade esattamente al centro dell’ascesso. Si era formato del pus. Estrae il pus. Pulisce l’ascesso con una siringa. Quando affonda l’iniezione nell’ascesso, il malato chiude gli occhi; le sue membra restano inerti, senza movimento, senza più il minimo segno di vita. Quando riaspira il liquido iniettato e allevia l’origine del fascio dal peso e dalla pressione del fluido iniettato, il malato riapre gli occhi, si muove, parla, sente, rinasce e vive. Signorina de L’Espinasse: È davvero singolare. E quel malato è guarito? Bordeu: È guarito; e una volta guarito poté riflettere, pensare, ragionare, si trovò ad avere lo stesso spirito, lo stesso buon senso, la stessa acutezza, con una buona porzione del suo cervello in meno. Signorina de L’Espinasse: Quel giudice è un essere proprio straordinario. Bordeu: Qualche volta si sbaglia anche lui; va soggetto a prevenzioni dovute all’abitudine: si sente male a un membro che non si ha più; lo si inganna quando si vuole: incrociate due dita l’una sull’altra; toccate una pallina e vi dirà che ce ne sono due. Signorina de L’Espinasse: Fatto sta che è come tutti i giudici del mondo e ha bisogno di esperienza, senza la quale scambierà la sensazione del ghiaccio per quella del fuoco. Bordeu: Fa ben altro: attribuisce all’individuo un volume quasi infinito, oppure lo concentra quasi in un punto. Signorina de L’Espinasse: Non vi capisco. Bordeu: Che cos’è che circoscrive la vostra estensione reale? La vera sfera della vostra sensibilità?138 Signorina de L’Espinasse: La mia vista e il mio tatto. Bordeu: Di giorno; ma di notte, nelle tenebre; soprattutto quando pensate a qualcosa di astratto; persino di giorno, quando la vostra mente è occupata? Signorina de L’Espinasse: Niente. Esisto come in un punto; quasi cesso di essere materia. Non sento altro che il mio pensiero. Per me non c’è più né luogo, ne movimento, né corpo, né distanza, né spazio. L’universo è annullato per me e io sono nulla per esso.139 Bordeu: Ecco il termine ultimo della concentrazione della vostra esistenza; ma la sua dilatazione ideale può essere senza limiti. Quando è superato il vero limite della
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franchie, soit en vous rapprochant, en vous condensant en vous-même, soit en vous étendant au-dehors, on ne sait plus ce que cela peut devenir. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous avez raison. Il m’a semblé plusieurs fois en rêve... Bordeu : Et aux malades dans une attaque de goutte... Mademoiselle de L’Espinasse : Que je devenais immense. Bordeu : Que leur pied touchait au ciel de leur lit. Mademoiselle de L’Espinasse : Que mes bras et mes jambes s’allongeaient à l’infini, que le reste de mon corps prenait un volume proportionné ; que l’Encelade de la fable n’était qu’un pygmée ; que l’Amphi | trite d’Ovide, dont les longs bras allaient former une ceinture immense à la Terre, n’était qu’une naine en comparaison de moi, et que j’escaladais le ciel ou que j’enlaçais les deux hémisphères. Bordeu : Fort bien ; et moi j’ai connu une femme en qui le phénomène s’exécutait en sens contraire. Mademoiselle de L’Espinasse : Quoi, elle se rapetissait par degrés, et rentrait en elle-même ? Bordeu : Au point de se sentir aussi menue qu’une aiguille. Elle voyait, elle entendait, elle raisonnait, elle jugeait et elle avait un effroi mortel de se perdre ; elle frémissait à l’approche des moindres objets, elle n’osait bouger de sa place. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà un singulier rêve, bien fâcheux, bien incommode. Bordeu : Elle ne rêvait point. C’était un des accidents de la cessation de l’écoulement périodique. M ademoiselle de L’Espinasse : Et demeurait-elle longtemps sous cette menue, imperceptible forme de petite femme ? Bordeu : Une heure, deux heures, après lesquelles elle revenait successivement à son volume naturel. Mademoiselle de L’Espinasse : Et la raison de ces sensations bizarres ? Bordeu : Dans leur état naturel et tranquille, les brins du faisceau ont une certaine tension, un ton, une énergie habituelle qui circonscrivent | l’étendue réelle ou imaginaire du corps. Je dis réelle ou imaginaire ; car cette tension, ce ton, cette énergie étant variables, notre corps n’est pas toujours d’un même volume. Mademoiselle de L’Espinasse : Ainsi, c’est au physique, comme au moral que nous sommes sujets à nous croire plus grands que nous ne le sommes ? Bordeu : Le froid nous rapetisse. La chaleur nous étend ; et tel individu peut se croire, toute sa vie, plus petit ou plus grand qu’il ne l’est réellement. S’il arrive à la masse du faisceau d’entrer en un éréthisme violent, aux brins de se mettre en érection, à la multitude infinie de leurs extrémités de s’élancer au-delà de leur limite accoutumée, alors la tête, les pieds, les autres membres, tous les points de la surface du corps seront portés à une distance immense ; et l’individu se sentira gigantesque. Ce sera le phénomène contraire, si l’insensibilité, l’apathie, l’inertie gagne de l’extrémité des brins, et s’achemine peu à peu vers l’origine du faisceau. Mademoiselle de L’Espinasse : Je conçois que cette expansion ne saurait se mesurer ; et je conçois encore que cette insensibilité, cette apathie, cette inertie de l’extrémité des brins, cet engourdissement, après avoir fait un certain progrès, peut se fixer, s’arrêter... Bordeu : Comme il est arrivé à La Condamine. Alors l’individu sent comme des ballons sous ses pieds. | Mademoiselle de L’Espinasse : Il existe au-delà du terme de sa sensibilité ; et s’il était enveloppé de cette apathie en tout sens, il nous offrirait un petit homme vivant sous un homme mort.
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vostra sensibilità, o restringendovi, condensandovi in voi stessa, oppure estendendovi all’infuori, non si sa più che cosa può accadere. Signorina de L’Espinasse: Avete ragione, dottore. Mi è sembrato diverse volte, in sogno... Bordeu: E ai malati in un attacco di gotta... Signorina de L’Espinasse: Che diventavo inmmensa. Bordeu: Che il loro piede toccasse la sommità del letto. Signorina de L’Espinasse: Che le braccia e le gambe mi si allungassero all’infinito, che il resto del corpo assumesse un volume proporzionato; mi sembrava che l’Encelado della favola non fosse che un pigmeo; che l’Anfitrite di Ovidio, le cui lunghe braccia andavano a formare una cintura immensa attorno alla terra, non fosse che una nana in confronto a me, e scalavo il cielo o allacciavo i due emisferi.140 Bordeu: Benissimo; e io ho conosciuto una donna nella quale il fenomeno avveniva in senso contrario. Signorina de L’Espinasse: Come, si rimpiccioliva gradatamente, rientrava in se stessa? Bordeu: Al punto di sentirsi tanto minuta quanto un ago. Ci vedeva, ci sentiva, ragionava, giudicava; e aveva una paura mortale di perdersi: fremeva all’avvicinarsi dei più piccoli oggetti. Non osava muoversi dal proprio posto. Signorina de L’Espinasse: Ecco un sogno singolare, davvero penoso e assai molesto. Bordeu: Non sognava affatto. Era uno degli incidenti sopraggiunti alla cessazione delle mestruazioni.141 Signorina de L’Espinasse: E restava a lungo sotto questa forma minuta, impercettibile, di piccola donna? Bordeu: Un’ora o due, dopo di che ritornava gradatamente al suo volume naturale. Signorina de L’Espinasse: E la ragione di queste bizzarre sensazioni? Bordeu: Nel loro stato naturale e di quiete, i fili del fascio hanno una certa tensione, un tono, un’energia abituale che circoscrive l’estensione reale o immaginaria del corpo. Dico reale o immaginaria; perché, siccome questa tensione, questo tono, quest’energia sono variabili, il nostro corpo non è sempre di uno stesso volume. Signorina de L’Espinasse: Così accade, tanto per il fisico, quanto per il morale, che siamo soggetti a crederci più grandi di quel che siamo? Bordeu: Il freddo ci rimpicciolisce. Il calore ci fa estendere; e il tale individuo può credersi, per tutta la vita, più piccolo o più grande di quel che non sia in realtà.142 Se accade alla massa del fascio di entrare in un violento eretismo,143 se i fili si metteranno in erezione, e la moltitudine infinita delle loro estremità si slancerà al di là del loro limite consueto, allora la testa, i piedi, le altre membra, tutti i punti della superficie del corpo saranno portati a una distanza immensa; e l’individuo si sentirà gigantesco. Accadrà il fenomeno contrario se l’insensibilità, l’apatia, l’inerzia guadagnerà l’estremità dei fili e si dirigerà a poco a poco verso l’origine del fascio. Signorina de L’Espinasse: Immagino che quest’espansione non possa misurarsi; e immagino anche che questa insensibilità, quest’apatia, quest’inerzia dell’estremità dei fili, questo torpore, dopo aver fatto un certo progresso, possa fissarsi, fermarsi... Bordeu: Come è accaduto a La Condamine. Allora l’individuo sente come dei palloni sotto i piedi.144 Signorina de L’Espinasse: Egli esiste al di là del termine della sua sensibilità; e se fosse avvolto da questa apatia in ogni senso, ci si offrirebbe come un omuncolo vivente sotto un uomo morto.
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Bordeu : Concluez de là que l’animal qui dans son origine n’était qu’un point, ne sait encore s’il est réellement quelque chose de plus. Mais revenons. Mademoiselle de L’Espinasse : Où ? Bordeu : Où ? au trépané de La Peyronie... Voilà bien, je crois, ce que vous me demandiez, l’exemple d’un homme qui vécut et mourut alternativement. Mais il y a mieux. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qu’est-ce que ce peut être ? Bordeu : La fable de Castor et Pollux réalisée ; deux enfants dont la vie de l’un était aussitôt suivie de la mort de l’autre ; et la vie de celui-ci aussitôt suivie de la mort du premier. Mademoiselle de L’Espinasse : Oh, le bon conte ! et cela dura-t-il longtemps ? Bordeu : La durée de cette existence fut de deux jours qu’ils se partagèrent également et à différentes reprises, en sorte que chacun eut pour sa part un jour de vie et un jour de mort. Mademoiselle de L’Espinasse : Je crains, docteur, que vous n’abusiez un peu de ma crédulité. Prenez-y garde ; si vous me trompez une fois, je ne vous croirai plus. Bordeu : Lisez-vous quelquefois la Gazette de France ? Mademoiselle de L’Espinasse : Jamais, quoique ce soit le chef-d’œuvre de deux hommes d’esprit. | Bordeu : Faites-vous prêter la feuille du 4 de ce mois de septembre, et vous verrez qu’à Rabastens, diocèse d’Albi, deux filles naquirent dos à dos, unies par leurs dernières vertèbres lombaires, leurs fesses et la région hypogastrique. L’on ne pouvait tenir l’une debout que l’autre n’eût la tête en bas. Couchées, elles se regardaient. Leurs cuisses étaient fléchies entre leurs troncs, et leurs jambes élevées ; sur le milieu de la ligne circulaire commune qui les attachait par leurs hypogastres on discernait leur sexe, et entre la cuisse droite de l’une qui correspondait à la cuisse gauche de sa sœur, dans une cavité il y avait un petit anus par lequel s’écoulait le méconium. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà une espèce assez bizarre. Bordeu : Elles prirent du lait qu’on leur donna dans une cuiller. Elles vécurent douze heures, comme je vous l’ai dit, l’une tombant en défaillance, lorsque l’autre en sortait ; l’une morte, tandis que l’autre vivait ; la première défaillance de l’une et la première vie de l’autre fut de quatre heures. Les défaillances et les retours alternatifs à la vie qui succédèrent furent moins longs. Elles expirèrent dans le même instant. On remarqua que leurs nombrils avaient aussi un mouvement alternatif de sortie et de rentrée. Il rentrait à celle qui défaillait, et sortait à celle qui revenait à la vie. Mademoiselle de L’Espinasse : Et que dites-vous de ces alternatives de vie et de mort ? | Bordeu : Peut-être rien qui vaille ; mais comme on voit tout à travers la lunette de son système, et que je ne veux pas faire exception à la règle, je dis que c’est le phénomène du trépané de La Peyronie doublé en deux êtres conjoints ; que les réseaux de ces deux enfants s’étaient si bien mêlés qu’ils agissaient et réagissaient l’un sur l’autre ; lorsque l’origine du faisceau de l’une prévalait, il entraînait le réseau de l’autre qui défaillait à l’instant. C’était le contraire, si c’était le réseau de celle-ci qui dominât le système commun. Dans le trépané de La Peyronie, la pression se faisait de haut en bas, par le poids d’un fluide ; dans les deux jumelles de Rabastens, elle se faisait de bas en haut, par la traction d’un certain nombre des fils du réseau. Conjecture appuyée par la rentrée et la sortie alternative des nombrils, sortie dans celle qui revenait à la vie, rentrée dans celle qui mourait.
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Bordeu: Da ciò concluderete che l’animale, il quale in origine non era che un punto, non sa ancora se è realmente qualcosa di più. Ma torniamo a noi. Signorina de L’Espinasse: Dove? Bordeu: Dove? Al trapanato di La Peyronie... Ecco, con questo, credo, avete ciò che mi chiedevate, l’esempio di un uomo che visse e mori alternativamente. Ma c’è di meglio. Signorina de L’Espinasse: E che cosa può essere? Bordeu: La favola di Castore e Polluce realizzata; due bambini di cui la vita dell’uno era subito seguita dalla morte dell’altro; e la vita di questo subito seguita dalla morte del primo.145 Signorina de L’Espinasse: Oh, che bella storia! E ciò durò a lungo? Bordeu: La durata di quell’esistenza fu di due giorni, che essi si divisero in parti uguali e a diverse riprese, di modo che ciascuno ebbe, come propria parte, un giorno di vita e un giorno di morte. Signorina de L’Espinasse: Ho paura, dottore, che abusiate un po’ della mia credulità. State attento, se m’ingannate una volta non vi crederò più. Bordeu: Leggete qualche volta la Gazzetta di Francia? Signorina de L’Espinasse: Mai, benché sia il capolavoro di due uomini di spirito.146 Bordeu: Fatevi prestare il foglio del 4 di questo mese di settembre e vedrete che a Rabastens, diocesi di Albi, due bambine nacquero con la schiena attaccata, unite per le ultime vertebre lombari, per le natiche e la regione ipogastrica. Non si poteva tenere in piedi l’una senza che l’altra avesse la testa in basso. Coricate, si guardavano. Le cosce erano piegate fra i tronchi e le gambe alzate; nel mezzo della linea circolare comune che le univa per i loro ipogastri, si discerneva il loro sesso, e tra la coscia destra dell’una, che corrispondeva alla coscia sinistra della sorella, in una cavità, c’era un piccolo ano attraverso il quale colava del meconio. Signorina de L’Espinasse: Ecco una specie alquanto bizzarra. Bordeu: Presero del latte che fu dato loro in un cucchiaio. Vissero dodici ore, come vi ho detto, l’una cadendo in deliquio quando l’altra ne usciva; l’una morta mentre l’altra viveva; il primo deliquio dell’una e la prima vita dell’altra furono di quattro ore. I deliqui e i ritorni alterni alla vita che seguirono furono meno lunghi. Spirarono nello stesso istante. Si notò che anche i loro ombelichi mostravano un movimento alternato di uscita ed entrata; l’ombelico rientrava a quella che cadeva in deliquio, e usciva a quella che ritornava alla vita. Signorina de L’Espinasse: E che ne dite di queste alternanze di vita e di morte? Bordeu: Forse nulla che valga la nostra attenzione; ma siccome vediamo tutto attraverso la lente del nostro sistema; e io non voglio fare eccezione alla regola, dico che è lo stesso fenomeno del trapanato di La Peyronie, raddoppiato in due esseri congiunti; dico che le reti di queste due bambine si erano mescolate così bene che agivano e reagivano l’una sull’altra; quando l’origine del fascio dell’una prevaleva, trascinava con sé la rete dell’altra che istantaneamente veniva meno. Accadeva il contrario se era la rete di quest’ultima a dominare il sistema comune. Nel trapanato di La Peyronie la pressione si esercitava dall’alto in basso, col peso di un fluido; nelle due gemelle di Rabastens essa si esercitava dal basso in alto, con la trazione di un certo numero dei fili della rete. Congettura fondata sull’entrata e l’uscita alternata degli ombelichi, uscita in quella che tornava alla vita, entrata in quella che moriva.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Et voilà deux âmes liées. Bordeu : Un animal avec le principe de deux sens et de deux consciences. Mademoiselle de L’Espinasse : N’ayant cependant dans le même moment que la jouissance d’une seule ; mais qui sait ce qui serait arrivé si cet animal eût vécu ? Bordeu : Quelle sorte de correspondance l’expérience de tous les moments de la vie, la plus forte des habitudes qu’on puisse imaginer, aurait établie entre ces deux cerveaux ? Mademoiselle de L’Espinasse : Des sens doubles, une mémoire double, une imagination double, une double application, la moitié d’un être qui | observe, lit, médite, tandis que son autre moitié repose. Cette moitié-ci reprenant les mêmes fonctions, quand sa compagne est lasse ; la vie doublée d’un être doublé. Bordeu : Cela est possible ; et la nature amenant avec le temps tout ce qui est possible, elle formera quelque étrange composé. Mademoiselle de L’Espinasse : Que nous serions pauvres en comparaison d’un pareil être ! Bordeu : Et pourquoi ? Il y a déjà tant d’incertitudes, de contradictions, de folies dans un entendement simple, que je ne sais plus ce que cela deviendrait avec un entendement double... Mais il est 10 heures et demie, et j’entends du faubourg jusqu’ici un malade qui m’appelle. Mademoiselle de L’Espinasse : Y aurait-il bien du danger pour lui à ce que vous ne le vissiez pas ? Bordeu : Moins peut-être qu’à le voir. Si la nature ne fait pas la besogne sans moi, nous aurons bien de la peine à la faire ensemble ; et à coup sûr je ne la ferai pas sans elle. Mademoiselle de L’Espinasse : Restez donc. D’Alembert : Docteur, encore un mot, et je vous envoie à votre patient. A travers toutes les vicissitudes que je subis dans le cours de ma durée, n’ayant peut-être pas à présent une des molécules que j’apportai en naissant, comment suis-je resté moi pour les autres et pour moi ? Bordeu : Vous nous l’avez dit en rêvant. D’Alembert : Est-ce que j’ai rêvé ? Mademoiselle de L’Espinasse : Toute la nuit, et cela ressemblait tellement à du délire, que j’ai envoyé chercher le docteur ce matin. D’A lembert : Et cela pour des pattes d’araignée qui s’agitaient | d’elles-mêmes, qui tenaient alerte l’araignée et qui faisaient parler l’animal ; et l’animal, que disait-il ? Bordeu : Que c’était par la mémoire qu’il était lui pour les autres et pour lui ; et j’ajouterais par la lenteur des vicissitudes. Si vous eussiez passé en un clin d’œil de la jeunesse à la décrépitude, vous auriez été jeté dans ce monde comme au premier moment de votre naissance. Vous n’auriez plus été vous ni pour les autres ni pour vous, pour les autres qui n’auraient point été eux pour vous. Tous les rapports auraient été anéantis. Toute l’histoire de votre vie pour moi, toute l’histoire de la mienne pour vous, brouillée. Comment auriez-vous pu savoir que cet homme, courbé sur un bâton, dont les yeux s’étaient éteints, qui se traînait avec peine, plus différent encore de lui-même au-dedans qu’à l’extérieur, était le même qui la veille marchait si légèrement, remuait des fardeaux assez lourds, pouvait se livrer aux méditations les plus profondes, aux exercices les plus doux et les plus violents ? Vous n’eussiez pas entendu vos propres ouvrages. Vous ne vous fussiez pas reconnu vous-même ; vous n’eussiez reconnu personne ; personne ne vous eût reconnu. Toute la scène du monde aurait changé. Songez qu’il y eut moins de
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Signorina de L’Espinasse: Ed ecco allora due anime collegate. Bordeu: Un animale con il principio di due sensi e di due coscienze.147 Signorina de L’Espinasse: Il quale tuttavia non poteva, nello stesso istante, godere che di una sola coscienza; ma chissà che cosa sarebbe accaduto se questo animale fosse vissuto? Bordeu: Quale specie di corrispondenza avrebbe stabilito l’esperienza di ogni momento della vita, la più forte delle abitudini che si possa immaginare, fra quei due cervelli?148 Signorina de L’Espinasse: Dei sensi doppi, una doppia memoria, una doppia immaginazione, una doppia facoltà di applicazione, la metà di un essere che osserva, legge, medita, mentre l’altra sua metà si riposa. Questa seconda metà che riprende le stesse funzioni, quando la sua compagna è stanca; la vita raddoppiata di un essere doppio. Bordeu: Questo è possibile; e siccome la natura produce col tempo tutto ciò che è possibile, essa formerà qualche strano essere composito. Signorina de L’Espinasse: Come saremmo poveri in confronto a un simile essere! Bordeu: E perché? Vi sono già tante incertezze, contraddizioni, follie in un intelletto semplice, che non so più che cosa accadrebbe con un intelletto doppio... Ma sono le dieci e mezza e sento fin qui, dal sobborgo,149 un malato che mi chiama. Signorina de L’Espinasse: Sarebbe un gran pericolo per lui se non lo vedeste? Bordeu: Meno, forse, che a non vederlo. Se la natura non se la cava senza di me, faremmo una bella fatica a cavarcela insieme; e certamente non me la caverei senza di lei.150 Signorina de L’Espinasse: Restate, allora. D’Alembert: Dottore, ancora una parola e vi lascio andare dal vostro paziente. Attraverso tutte le vicissitudini che ho subito nel corso della mia durata, non avendo forse, ora, nemmeno una delle molecole di cui ero composto nascendo, come sono restato io per gli altri e per me stesso? Bordeu: Ce l’avete detto sognando. D’Alembert: Ho sognato? Signorina de L’Espinasse: Tutta la notte, e il vostro sogno era tanto simile al delirio che questa mattina ho mandato a chiamare il dottore. D’Alembert: E questo per delle zampe di ragno che si agitavano da sole, che tenevano il ragno in allarme e facevano parlare l’animale; e che cosa diceva l’animale? Bordeu: Che grazie alla memoria era se stesso, per gli altri e per sé; e io aggiungerei grazie alla lentezza delle vicissitudini.151 Se foste passato in un batter d’occhio dalla gioventù alla decrepitezza, sareste stato gettato in questo mondo come al primo momento della vostra nascita. Non sareste più stato voi stesso, né per gli altri, né per voi, per gli altri, che non sarebbero più stati loro stessi per voi. Tutti i rapporti sarebbero stati annientati. Tutta la storia della vostra vita per me, tutta la storia della mia per voi, imbrogliate. Come avreste potuto sapere che questo uomo, curvo su un bastone, i cui occhi si erano spenti, che si trascinava a fatica, diverso da se medesimo all’interno ancor più che all’esterno, era lo stesso che il giorno prima camminava così leggero, smuoveva fardelli assai pesanti, poteva darsi alle meditazioni più profonde, agli esercizi più piacevoli e più violenti? Voi non avreste capito le vostre stesse opere. Non vi sareste riconosciuto, non avreste riconosciuto nessuno; nessuno vi avrebbe riconosciuto. Tutta la scena del mondo sarebbe stata cambiata. Pensate che vi sarebbe stata
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différence encore entre vous naissant et vous jeune, qu’il n’y en aurait eu entre vous jeune et vous devenu subitement décrépit. Songez que, quoique votre naissance ait été liée à votre jeunesse par une suite de sensations ininterrompues, les trois premières années de votre existence n’ont jamais été de l’histoire de votre vie. | Qu’aurait donc été pour vous le temps de votre jeunesse que rien n’eût lié au moment de votre décrépitude ? D’Alembert décrépit n’eût pas eu le moindre souvenir de d’Alembert jeune. Mademoiselle de L’Espinasse : Dans la grappe d’abeilles, il n’y en aurait pas une qui eût eu le temps de prendre l’esprit du corps. D’Alembert : Qu’est-ce que vous dites là ? Mademoiselle de L’Espinasse : Je dis que l’esprit monastique se conserve, parce que le monastère se refait peu à peu, et quand il entre un moine nouveau, il en trouve une centaine de vieux qui l’entraînent à penser et à sentir comme eux. Une abeille s’en va, il en succède dans la grappe une autre qui se met bientôt au courant. D’Alembert : Allez, vous extravaguez avec vos moines, vos abeilles, votre grappe et votre couvent. Bordeu : Pas tant que vous croiriez bien. S’il n’y a qu’une conscience dans l’animal, il y a une infinité de volontés ; chaque organe a la sienne. D’Alembert : Comment avez-vous dit ? Bordeu : J’ai dit que l’estomac veut des aliments, que le palais n’en veut point, et que la différence du palais et de l’estomac avec l’animal entier, c’est que l’animal sait qu’il veut, et que l’estomac et le palais veulent sans le savoir ; c’est que l’homme et l’estomac ou le palais sont l’un à l’autre à peu près comme l’homme et la brute. Les abeilles perdent leurs | consciences et retiennent leurs appétits ou volontés. La fibre est un animal simple, l’homme est un animal composé. Mais gardons ce texte pour une autre fois. Il faut un événement bien moindre qu’une décrépitude subite pour ôter à l’homme la conscience du soi. Un moribond reçoit les sacrements avec une piété profonde ; il s’accuse de ses fautes ; il demande pardon à sa femme ; il embrasse ses enfants ; il appelle ses amis ; il parle à son médecin ; il commande à ses domestiques ; il dicte ses dernières volontés ; il met ordre à ses affaires, et tout cela avec le jugement le plus sain, la présence d’esprit la plus entière ; il guérit ; il est convalescent ; et il n’a pas la moindre idée de ce qu’il a dit ou fait dans sa maladie. Cet intervalle, quelquefois très long, a disparu de sa vie. Il y a même des exemples de personnes qui ont repris la conversation ou l’action que l’attaque subite du mal avait interrompue. D’Alembert : Je me souviens que, dans un exercice public, un pédant de collège, tout gonflé de son savoir, fut mis ce qu’ils appellent au sac, par un capucin qu’il avait méprisé. Lui ! mis au sac ! Et par qui ! par un capucin ! Et sur quelle question ! Sur le futur contingent ! sur la science moyenne qu’il a méditée toute sa vie ! Et en quelle circonstance ! devant une assemblée nombreuse ! devant ses élèves ! Le voilà perdu d’honneur. Sa tête | travaille si bien sur ces idées qu’il en tombe dans une léthargie qui lui enlève toutes les connaissances qu’il avait acquises. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais c’était un bonheur. D’Alembert : Ma foi, vous avez raison. Le bon sens lui était resté, mais il avait tout oublié. On lui rapprit à parler et à lire ; et il mourut lorsqu’il commençait à épeler très passablement. Cet homme n’était point un inepte. On lui accordait même quelque éloquence.
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differenza anche minore tra voi alla nascita e voi giovane, di quella che ci sarebbe fra voi giovane e voi stesso diventato improvvisamente decrepito. Pensate che, benché la vostra nascita sia stata legata alla vostra giovinezza da una serie di sensazioni ininterrotte, i primi tre anni dalla vostra nascita non sono mai stati parte della storia della vostra vita. Che cosa sarebbe stato dunque per voi il tempo della vostra giovinezza non legato da nulla al momento della vostra decrepitezza? D’Alembert decrepito non avrebbe avuto il minimo ricordo di D’Alembert giovane. Signorina de L’Espinasse: Nel grappolo d’api non ce ne sarebbe stata una sola che avesse avuto il tempo di assumere lo spirito di corpo. D’Alembert: Ma che cosa andate dicendo con questo? Signorina de L’Espinasse: Dico che lo spirito monastico si conserva perché il monastero si rinnova a poco a poco, e quando entra un nuovo monaco, ne trova un centinaio di vecchi che lo trascinano a pensare e a sentire come loro. Un’ape se ne va, e nel grappolo ne prende il posto un’altra che ben presto si mette al corrente.152 D’Alembert: Andiamo, voi vaneggiate coi vostri monaci, le vostre api, il vostro grappolo e il vostro convento. Bordeu: Non tanto come credete voi. Se nell’animale non vi è che una sola coscienza, c’è però un’infinità di volontà; ogni organo ha la sua.153 D’Alembert: Come avete detto? Bordeu: Ho detto che lo stomaco vuole degli alimenti, il palato non ne vuole affatto, e la differenza tra il palato e lo stomaco, rispetto all’intero animale, è che l’animale sa di volere, mentre lo stomaco e il palato vogliono senza saperlo; il fatto è che l’uomo e lo stomaco o il palato stanno l’uno all’altro all’incirca come l’uomo al bruto.154 Le api perdono le loro coscienze e mantengono i loro appetiti o volontà. La fibra è un animale semplice; l’uomo è un animale composto. Ma teniamo da parte questo argomento per un’altra volta. Basta un evento ben minore della decrepitezza per togliere all’uomo la coscienza del sé. Un moribondo riceve i sacramenti con una profonda pietà; si accusa dei propri errori; chiede perdono alla moglie; abbraccia i figli; chiama gli amici; parla al suo medico; dà ordini ai domestici; detta le sue ultime volontà, mette in ordine i propri affari e tutto questo nella sana pienezza del suo giudizio, con la più completa presenza di spirito; guarisce; entra in convalescenza; e non ha la più pallida idea di ciò che ha detto o fatto durante la malattia. Quest’intervallo, talvolta lunghissimo, è scomparso dalla sua vita. Ci sono persino esempi di persone che hanno ripreso la conversazione o l’azione che l’attacco subitaneo del male aveva interrotto. D’A lembert: Mi ricordo che, in una lezione pubblica, un pedante di Collegio, tutto gonfio del suo sapere, fu messo, come si dice, nel sacco da un cappuccino che egli aveva disprezzato. Lui! messo nel sacco! E da chi! Da un cappuccino!155 E su quale questione? Sul futuro contingente! sulla scienza media su cui egli ha meditato per tutta la vita!156 E in quali circostanze? Dinanzi a una numerosa assemblea! dinanzi ai propri allievi! Eccolo disonorato. La sua testa, a furia di rimuginare tanto su queste idee, finisce col cadere in una letargia che gli toglie tutte le conoscenze che aveva acquisito.157 Signorina de L’Espinasse: Ma era una fortuna. D’Alembert: In fede mia, avete ragione. Il buon senso gli era rimasto, ma aveva dimenticato tutto. Gli insegnarono di nuovo a parlare e a leggere; e morì quando iniziava a balbettare in modo passabile. Quell’uomo non era affatto un inetto. Gli si attribuiva persino una certa eloquenza.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Puisque le docteur a entendu votre conte, il faut qu’il entende aussi le mien. Un jeune homme de dix-huit à vingt ans, dont je ne me rappelle pas le nom. Bordeu : C’est un M. de Schellemberg de Winterthur. Il n’avait que quinze à seize ans. Mademoiselle de L’Espinasse : Ce jeune homme fit une chute dans laquelle il reçut une commotion violente à la tête. Bordeu : Qu’appelez-vous une commotion violente ? II tomba du haut d’une grange ; il eut la tête fracassée, et resta six semaines sans connaissance. Mademoiselle de L’Espinasse : Quoi qu’il en soit, savez-vous quelle fut la suite de cet accident ? la même qu’à votre pédant. Il oublia tout ce qu’il savait. Il fut restitué à son bas âge. Il eut une seconde enfance, et qui dura. Il était craintif et pusillanime. Il s’amusait à des joujoux. S’il avait mal fait et qu’on le grondât, il allait se cacher dans un coin. Il demandait à faire | son petit tour et son grand tour. On lui apprit à lire et à écrire. Mais j’oubliais de vous dire qu’il fallut lui rapprendre à marcher. Il redevint homme et habile homme ; et il a laissé un ouvrage d’histoire naturelle. Bordeu : Ce sont des gravures, les planches de M. Sulzer sur les insectes, d’après le système de Linnæus. Je connaissais ce fait. Il est arrivé dans le canton de Zurich, en Suisse ; et il y a nombre d’exemples pareils. Dérangez l’origine du faisceau, vous changez l’animal. Il semble qu’il soit là tout entier, tantôt dominant les ramifications, tantôt dominé par elles. Mademoiselle de L’Espinasse : Et l’animal est sous le despotisme ou sous l’anarchie. Bordeu : Sous le despotisme, fort bien dit. L’origine du faisceau commande, et tout le reste obéit. L’animal est maître de soi. Mentis compos. Mademoiselle de L’Espinasse : Sous l’anarchie, où tous les filets du réseau sont soulevés contre leur chef et où il n ‘y a plus d’autorité suprême. Bordeu : À merveille. Dans les grands accès de passion, dans le délire, dans les périls imminents, si le maître porte toutes les forces de ses sujets vers un point, l’animal le plus faible montre une force incroyable. Mademoiselle de L’Espinasse : Dans les vapeurs, sorte d’anarchie qui nous est si particulière. Bordeu : C’est l’image d’une administration faible, où chacun tire | à soi l’autorité du maître. Je ne connais qu’un moyen de guérir. Il est difficile, mais sûr. C’est que l’origine du réseau sensible, cette partie qui constitue le soi, puisse être affectée d’un motif violent de recouvrer son autorité. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qu’en arrive-t-il ? Bordeu : Il en arrive qu’il la recouvre en effet, ou que l’animal périt. Si j’en avais le temps, je vous dirais là-dessus deux faits singuliers. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais, docteur, l’heure de votre visite est passée, et votre malade ne vous attend plus. Bordeu : II ne faut venir ici que quand on n’a rien à faire ; car on ne saurait s’en tirer. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà une bouffée d’humeur tout à fait honnête ; mais vos histoires ? Bordeu : Pour aujourd’hui vous vous contenterez de celle-ci. Une femme tomba à la suite d’une couche dans l’état vaporeux le plus effrayant : c’étaient des pleurs et des ris involontaires, des étouffements, des convulsions, des gonflements de gorge, du silence morne, des cris aigus. Tout ce qu’il y a de pis. Cela dura plusieurs années. Elle
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Signorina de L’Espinasse: Poiché il dottore ha ascoltato il vostro racconto, bisogna che ascolti anche il mio. Un giovanotto di diciotto o venti anni, di cui non ricordo il nome. Bordeu: È un certo Signor de Schellemberg di Winterthur;158 non aveva che quindici o sedici anni. Signorina de L’Espinasse: Questo giovane fece una caduta nella quale riportò una violenta commozione alla testa. Bordeu: Voi la chiamate una commozione violenta? Cadde dall’alto di un granaio; si fratturò la testa e rimase senza conoscenza per sei settimane. Signorina de L’Espinasse: Comunque sia, sapete quale fu la conseguenza di quest’incidente? La stessa del vostro pedante. Dimenticò tutto ciò che sapeva. Ritornò alla sua più tenera età. Ebbe una seconda infanzia, e duratura. Era timoroso e pusillanime. Si divertiva coi giocattoli. Se aveva fatto qualcosa di male e lo si sgridava, andava a nascondersi in un angolino. Chiedeva di fare i suoi bisogni grandi e piccoli. Gli insegnarono a leggere e a scrivere. Ma dimenticavo di dirvi che si dovette insegnargli di nuovo a camminare. Ritornò a essere uomo e un uomo capace; e ci ha lasciato un’opera di storia naturale. Bordeu: Sono delle incisioni, le tavole del signor Sulzer sugli insetti, secondo il sistema di Linneo. Conoscevo questo fatto. È accaduto nel cantone di Zurigo, in Svizzera; e vi sono numerosi esempi simili. Danneggiate l’origine del fascio, cambierete l’animale. Sembra che esso risieda là in quel punto, tutto intero, talvolta dominante sulle ramificazioni, talvolta dominato da esse. Signorina de L’Espinasse: E l’animale è sotto il dispotismo o sotto l’anarchia. Bordeu: Sotto il dispotismo, molto ben detto. L’origine del fascio comanda, e tutto il resto obbedisce. L’animale è padrone di sé. Mentis compos.159 Signorina de L’Espinasse: Sotto l’anarchia, quando tutti i fili della rete sono in ribellione contro il loro capo e non v’è più autorità suprema. Bordeu: A meraviglia. Nei grandi accessi di passione, nel delirio, nei pericoli imminenti, se il padrone porta tutte le forze dei suoi sudditi verso un punto, l’animale più debole mostra una forza incredibile.160 Signorina de L’Espinasse: Nei vapori, specie di anarchia che ci è tanto peculiare. Bordeu: È l’immagine di un’amministrazione debole, in cui ciascuno tira a sé l’autorità del padrone. Non conosco che un mezzo per guarire. È difficile, ma sicuro. È che l’origine della rete sensibile, quella parte che costituisce il sé, possa essere indotta da un motivo violento a riprendere la propria autorità.161 Signorina de L’Espinasse: E che cosa accade? Bordeu: Accade che la riprenderà in effetti, oppure che l’animale perirà. Se ne avessi il tempo vi racconterei a questo proposito due fatti singolari. Signorina de L’Espinasse: Ma, dottore, l’ora della vostra visita è passata e il vostro malato non vi aspetta più. Bordeu: Bisogna venire qui soltanto quando non si ha niente da fare; perché non si riesce più ad andar via. Signorina de L’Espinasse: Ecco un’onestissima sbuffata d’umore; ma le vostre storie? Bordeu: Per oggi accontentatevi di questa. Una donna, in seguito a un parto, cadde nel più spaventoso stato di vapori; erano pianti e risa involontari, soffocamenti, convulsioni, gonfiamenti di petto, cupi silenzi, acute grida. Tutto ciò che vi può essere di peggiore. Questo stato durò diversi anni. Ella amava appassionatamente e credette di
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aimait passionnément, et elle crut s’apercevoir que son amant, fatigué de sa maladie, commençait à se détacher. Alors elle résolut de guérir ou de périr. Il s’établit en elle une guerre civile, dans laquelle tantôt c’était le maître qui l’emportait, tantôt c’étaient les sujets. S’il arrivait que l’action des filets du réseau fût égale à la réaction de leur origine, elle tombait comme morte. On la portait sur son lit où elle restait des heures entières sans mouvement et presque sans vie. D’autres fois, elle en était quitte pour des lassitudes, une défaillance générale, une extinction qui semblait devoir être finale. Elle persista six mois dans cet état de lutte. La révolte commençait toujours par les filets ; elle la sentait arriver. Au premier symptôme, elle se levait, elle courait, | elle se livrait aux exercices les plus violents ; elle montait, elle descendait ses escaliers ; elle sciait du bois, elle bêchait la terre. L’organe de sa volonté ; l’origine du faisceau se roidissait ; elle se disait à elle-même, vaincre ou mourir. Après un nombre infini de victoires et de défaites, le chef resta le maître, et les sujets devinrent si soumis que, quoique cette femme ait éprouvé toutes sortes de peines domestiques, et qu’elle ait essuyé différentes maladies, il n’a plus été question de vapeurs. Mademoiselle de L’Espinasse : Cela est brave ; mais je crois que j’en aurais bien fait autant. Bordeu : C’est que vous aimeriez bien, si vous aimiez, et que vous êtes ferme. M ademoiselle de L’Espinasse : J’entends. On est ferme, si d’éducation, d’habitude ou d’organisation, l’origine du faisceau domine les filets ; faible, au contraire, s’il en est dominé. Bordeu : Il y a bien d’autres conséquences à tirer de là. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais votre autre histoire, et vous les tirerez après. Bordeu : Une jeune femme avait donné dans quelques écarts. Elle prit un jour le parti de fermer sa porte au plaisir. La voilà seule. La voilà mélancolique et vaporeuse. Elle me fit appeler. Je lui conseillai de prendre l’habit de paysanne, de bêcher la terre toute la journée, de coucher sur la paille et de vivre de pain dur. Ce régime ne lui plut pas. Voyagez donc, | lui dis-je. Elle fit le tour de l’Europe, et retrouva la santé sur les grands chemins. Mademoiselle de L’Espinasse : Ce n’est pas là ce que vous aviez à dire ; n’importe. Venons à vos conséquences. Bordeu : Cela ne finirait point. Mademoiselle de L’Espinasse : Tant mieux. Dites toujours. Bordeu : Je n’en ai pas le courage. Mademoiselle de L’Espinasse : Et pourquoi ? Bordeu : C’est que du train dont nous y allons, on effleure tout, et l’on n’approfondit rien. Mademoiselle de L’Espinasse : Qu’importe ? nous ne composons pas. Nous causons. Bordeu : Par exemple, si l’origine du faisceau rappelle toutes les forces à lui, si le système entier se meut pour ainsi dire à rebours, comme je crois qu’il arrive dans l’homme qui médite profondément, dans le fanatique qui voit les cieux ouverts, dans le sauvage qui chante au milieu des flammes, dans l’extase, dans l’aliénation volontaire ou involontaire. Mademoiselle de L’Espinasse : Eh bien ? Bordeu : Eh bien, l’animal se rend impassible, il n’existe qu’en un | point. Je n’ai pas vu ce prêtre de Calame, dont parle saint Augustin, qui s’aliénait au point de ne plus sentir des charbons ardents. Je n’ai pas vu dans le cadre ces sauvages qui sourient à leurs
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accorgersi che l’uomo amato, stanco della sua malattia, cominciava a staccarsi da lei. Decise allora di guarire o perire. Si svolse così in lei una guerra civile nella quale talvolta aveva la meglio il padrone, talvolta i sudditi. Se accadeva che l’azione dei fili della rete fosse uguale alla reazione della loro origine, lei cadeva come morta. La portavano a letto dove restava per ore intere senza muoversi e quasi senza vita. Altre volte se la cavava con delle stanchezze, una spossatezza generale, un’estinzione delle forze che sembrava dover essere definitiva. Persistette sei mesi in tale stato di lotta. La rivolta iniziava sempre dai fili; lei la sentiva giungere. Al primo sintomo si alzava, correva, si dedicava ai più violenti esercizi; saliva, scendeva le scale; segava la legna; zappava la terra. L’organo della sua volontà; l’origine del fascio s’irrigidiva; lei diceva a se stessa: vincere o morire. Dopo un numero infinito di vittorie e di sconfitte, il capo restò il padrone e i sudditi divennero così sottomessi che, per quanto questa donna abbia provato ogni specie di dispiaceri domestici e abbia avuto diverse malattie, non v’è stato più alcun problema di vapori.162 Signorina de L’Espinasse: È stata coraggiosa; ma credo che anch’io avrei fatto altrettanto. Bordeu: Perché se voi amaste, sapreste amare bene, e avete un carattere fermo. Signorina de L’Espinasse: Capisco. Si è forti se, per educazione, per abitudine o per la propria organizzazione, l’origine del fascio domina i fili; al contrario, si è deboli, se quella è dominata dai fili stessi. Bordeu: Vi sono ben altre conseguenze da trarre da questo fatto. Signorina de L’Espinasse: Ma ditemi l’altra vostra storia, le conseguenze le trarrete dopo. Bordeu: Una giovane donna s’era abbandonata a qualche intemperanza. Un giorno prese la decisione di chiudere la porta al piacere. Eccola sola. Eccola malinconica e in preda ai vapori. Mi fece chiamare. Le consigliai di mettersi dei vestiti da contadina, di zappare la terra tutto il giorno, di dormire sulla paglia e vivere di pane secco. Quel regime non le piacque. Viaggiate, allora, le dissi. Lei fece il giro d’Europa e ritrovò la salute lungo le strade maestre.163 Signorina de L’Espinasse: Non è questo che avevate da dirmi; non importa. Veniamo alle vostre conseguenze. Bordeu: Non la finiremo più. Signorina de L’Espinasse: Tanto meglio. Ditemi lo stesso. Bordeu: Non ne ho il coraggio. Signorina de L’Espinasse: E perché? Bordeu: Perché nel modo di procedere che stiamo seguendo, si sfiora tutto e non si approfondisce niente. Signorina de L’Espinasse: Che importa, non stiamo componendo un trattato. Chiacchieriamo. Bordeu: Ad esempio, se l’origine del fascio richiama a sé tutte le forze, se l’intero sistema si muove per così dire a ritroso, come credo avvenga nell’uomo che medita profondamente, nel fanatico che vede i cieli aperti, nel selvaggio che canta in mezzo alle fiamme, nell’estasi, nell’alienazione volontaria o involontaria. Signorina de L’Espinasse: Ebbene? Bordeu: Ebbene, l’animale si rende impassibile, non esiste se non in un punto. Non ho visto quel prete di Calamo di cui parla Sant’Agostino che si alienava al punto da non sentire più i carboni ardenti.164 Non ho visto nel cerchio della tortura quei selvaggi che
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ennemis, qui les insultent et qui leur suggèrent des tourments plus exquis que ceux qu’on leur fait souffrir. Je n’ai pas vu dans le cirque ces gladiateurs qui se rappelaient en expirant la grâce et les leçons de la gymnastique. Mais je crois tous ces faits, parce que j’ai vu, mais vu de mes propres yeux, un effort aussi extraordinaire qu’aucun de ceux-là. Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, racontez-le-moi. Je suis comme les enfants. J’aime les faits merveilleux. Et quand ils font honneur à l’espèce humaine, il m’arrive rarement d’en disputer la vérité. Bordeu : Il y avait dans une petite ville de Champagne, Langres, un bon curé, appelé le ou de Moni, bien pénétré, bien imbu de la vérité de la religion. Il fut attaqué de la pierre. Il fallut le tailler. Le jour est pris. Le chirurgien, ses aides et moi nous nous rendons chez lui. Il nous reçoit d’un air serein. Il se déshabille. Il se couche. On veut le lier. Il s’y | refuse. Placez-moi seulement, dit-il, comme il convient. On le place. Alors il demande un grand crucifix qui était au pied de son lit. On le lui donne. Il le serre entre ses bras. Il y colle sa bouche. On opère. Il reste immobile. Il ne lui échappe ni larmes ni soupirs ; et il était délivré de sa pierre qu’il l’ignorait. Mademoiselle de L’Espinasse : Cela est beau ; et puis doutez après cela que celui à qui l’on brisait les os de la poitrine avec des cailloux, ne vît les cieux ouverts. Bordeu : Savez-vous ce que c’est que le mal d’oreilles ? Mademoiselle de L’Espinasse : Non. Bordeu : Tant mieux pour vous. C’est le plus cruel de tous les maux. Mademoiselle de L’Espinasse : Plus que le mal de dents que je connais malheureusement ? Bordeu : Sans comparaison. Un philosophe de vos amis en était tourmenté depuis quinze jours, lorsqu’un matin il dit à sa femme : Je ne me sens pas assez de courage pour toute la journée. Il pensa que son unique ressource était de tromper artificiellement la douleur. Peu à peu, | il s’enfonça si bien dans une question de métaphysique ou de géométrie, qu’il oublia son oreille. On lui servit à manger, il mangea sans s’en apercevoir. Il gagna l’heure de son coucher, sans avoir souffert. L’horrible douleur ne le reprit que lorsque la contention de l’esprit cessa ; mais ce fut avec une fureur inouïe, soit qu’en effet la fatigue eût irrité le mal, soit que la faiblesse le rendît plus insupportable. Mademoiselle de L’Espinasse : Au sortir de cet état, on doit en effet être épuisé de lassitude. C’est ce qui arrive quelquefois à cet homme qui est là. Bordeu : Cela est dangereux. Qu’il y prenne garde. Mademoiselle de L’Espinasse : Je ne cesse de le lui dire. Mais il n’en tient compte. Bordeu : Il n’en est plus le maître. C’est sa vie, il faut qu’il en périsse. Mademoiselle de L’Espinasse : Cette sentence me fait peur. Bordeu : Que prouvent cet épuisement, cette lassitude ? Que les brins du faisceau ne sont pas restés oisifs, et qu’il y avait dans tout le système une tension violente vers un centre commun. Mademoiselle de L’Espinasse : Si cette tension ou tendance violente dure ? si elle devient habituelle ? | Bordeu : C’est un tic de l’origine du faisceau. L’animal est fou, et fou presque sans ressource. Mademoiselle de L’Espinasse : Et pourquoi ? Bordeu : C’est qu’il n’en est pas du tic de l’origine, comme du tic d’un des brins. La tête peut bien commander aux pieds ; mais non pas le pied à la tête. L’origine à un des brins, mais non pas le brin à l’origine.
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sorridono ai loro nemici, che li insultano e suggeriscono loro tormenti più raffinati di quelli che si fanno loro soffrire.165 Non ho visto nel circo quei gladiatori che, spirando, si ricordavano la grazia e le lezioni della ginnastica.166 Ma credo a tutti questi fatti, perché ho visto, ma ho visto con i miei propri occhi, uno sforzo altrettanto straordinario quanto nessuno di quelli. Signorina de L’Espinasse: Dottore, raccontatemelo. Sono come i bambini. Mi piacciono i fatti meravigliosi. E quando fanno onore alla specie umana mi accade raramente di metterne in dubbio la verità. Bordeu: C’era in una cittadina di Champagne, Langres, un buon curato che si chiamava Le o De Moni;167 ben persuaso, ben imbevuto della verità della religione. Venne attaccato dal mal della pietra. Bisognò operarlo. Viene fissato il giorno. Il chirurgo, i suoi assistenti e io ci rechiamo a casa sua. Ci riceve con aria serena. Si spoglia. Si corica. Vogliamo legarlo. Lui si rifiuta. Mettetemi soltanto, dice, nella posizione adatta. Lo sistemiamo in tale posizione. Allora chiede per sé un grande crocefisso che stava ai piedi del letto. Gli viene dato. Lo stringe tra le braccia. V’incolla la bocca. Si opera. Egli resta immobile. Non gli sfuggono né lacrime, né sospiri; ed è liberato del calcolo senza che se ne accorga. Signorina de L’Espinasse: È una bella storia; e poi dubitate, dopo di ciò, che colui al quale spezzarono le ossa del petto con dei ciottoli non vedesse i cieli aperti.168 Bordeu: Sapete che cos’è il mal d’orecchi? Signorina de L’Espinasse: No. Bordeu: Tanto meglio per voi. È il più crudele di tutti mali. Signorina de L’Espinasse: Più del mal di denti, che purtroppo conosco? Bordeu: Senza paragoni. Un filosofo vostro amico ne era tormentato da quindici giorni, quando un mattino disse a sua moglie: Non mi sento d’avere abbastanza coraggio per tutta la giornata. Pensò che l’unica sua risorsa fosse d’ingannare artificialmente il dolore. A poco a poco egli s’immerse così bene in un problema di metafisica o di geometria che dimenticò il suo orecchio. Gli servirono da mangiare; mangiò senza accorgersene. Raggiunse l’ora di andare a letto, senza aver sofferto. L’orribile dolore non lo riprese se non quando la concentrazione della mente cessò; ma fu con un inaudito furore, o perché in effetti la fatica avesse irritato il male, o perché la debolezza lo avesse reso più insopportabile. Signorina de L’Espinasse: All’uscire da questo stato infatti si deve essere spossati per la stanchezza. È ciò che accade talvolta a quell’uomo là. Bordeu: È pericoloso. Bisogna che stia attento. Signorina de L’Espinasse: Non smetto mai di dirglielo. Ma non mi dà retta. Bordeu: Non è più padrone di ciò. È la sua vita; e rischia di morirne. Signorina de L’Espinasse: Questa sentenza mi fa paura. Bordeu: Che cosa provano quello spossamento, quella stanchezza? Che i fili del fascio non sono restati oziosi, e che c’era in tutto il sistema una tensione violenta verso un centro comune. Signorina de L’Espinasse: Se questa tensione o tendenza violenta dura? se diventa abituale? Bordeu: È un vizio169 dell’origine del fascio. L’animale è pazzo, e pazzo quasi senza rimedio. Signorina de L’Espinasse: E perché? Bordeu: Perché il vizio nel punto d’origine non è come il vizio di uno dei fili. La testa può certo comandare ai piedi, ma non i piedi alla testa; l’origine a uno dei fili, ma non il filo all’origine.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Et la différence, s’il vous plaît ? En effet, pourquoi ne pensé-je pas partout ? c’est une question qui aurait dû me venir plus tôt. Bordeu : C’est que la conscience n’est qu’en un endroit. Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà qui est bientôt dit. Bordeu : C’est qu’elle ne peut être que dans un endroit, au centre commun de toutes les sensations, là où est la mémoire, là où se font les comparaisons. Chaque brin n’est susceptible que d’un certain nombre déterminé d’impressions, de sensations successives, isolées, sans mémoire. L’origine est susceptible de toutes, elle en est le registre, elle en garde la mémoire ou une sensation continue, et l’animal est entraîné dès sa formation première à s’y rapporter soi, à s’y fixer tout entier, à y exister. | Mademoiselle de L’Espinasse : Et si mon doigt pouvait avoir de la mémoire ?... Bordeu : Votre doigt penserait. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qu’est-ce donc que la mémoire ? Bordeu : La propriété du centre. Le sens spécifique de l’origine du réseau, comme la vue est la propriété de l’œil ; et il n’est pas plus étonnant que la mémoire ne soit pas dans l’œil, qu’il ne l’est que la vue ne soit pas dans l’oreille. M ademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous éludez plutôt mes questions que vous n’y satisfaites. Bordeu : Je n’élude rien. Je vous dis ce que je sais ; et j’en saurais davantage, si l’organisation de l’origine du réseau m’était aussi connue que celle de ses brins ; si j’avais eu la même facilité de l’observer. Mais si je suis faible sur les phénomènes particuliers, en revanche, je triomphe sur les phénomènes généraux. Mademoiselle de L’Espinasse : Et ces phénomènes généraux sont ? Bordeu : La raison, le jugement, l’imagination, la folie, l’imbécillité, la férocité, l’instinct. Mademoiselle de L’Espinasse : J’entends. Toutes ces qualités ne sont que des conséquences du rapport originel ou contracté par l’habitude de l’origine du faisceau à ses ramifications. Bordeu : A merveille. Le principe ou le tronc est-il trop vigoureux relativement aux branches ? de là les poètes, les artistes, les gens à imagination, les hommes pusillanimes, les enthousiastes, les fous. Trop | faible ? de là, ce que nous appelons les brutes, les bêtes féroces. Le système entier lâche, mou, sans énergie ? de là les imbéciles. Le système entier énergique, bien d’accord, bien ordonné ? de là les bons penseurs, les philosophes, les sages. Mademoiselle de L’Espinasse : Et selon la branche tyrannique qui prédomine, l’instinct qui se diversifie dans les animaux ; le génie qui se diversifie dans les hommes ; le chien a l’odorat, le poisson l’ouïe, l’aigle la vue ; d’Alembert est géomètre, Vaucanson machiniste, Grétry musicien, Voltaire poète ; effets variés d’un brin du faisceau plus vigoureux en eux qu’aucun autre, et que le brin semblable dans les êtres de leur espèce. | Bordeu : Et les habitudes qui subjuguent. Le vieillard qui aime les femmes ; et Voltaire qui fait encore des tragédies. (En cet endroit le docteur se mit à rêver et mademoiselle de L’Espinasse lui dit :) Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous rêvez. Bordeu : Il est vrai. Mademoiselle de L’Espinasse : A quoi rêvez-vous ? Bordeu : A propos de Voltaire. Mademoiselle de L’Espinasse : Eh bien ? Bordeu : Je rêve à la manière dont se font les grands hommes.
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Signorina de L’Espinasse: E la differenza, per favore? In effetti, perché non penso dappertutto? È una domanda che avrebbe dovuto venirmi in mente prima. Bordeu: È perché la coscienza non risiede che in un luogo. Signorina de L’Espinasse: Ecco che si fa presto a dirlo. Bordeu: Ma non può essere che in un luogo, al centro comune di tutte le sensazioni, laddove risiede la memoria, dove si fanno i paragoni. Ciascun filo è suscettibile solo di un certo numero determinato di impressioni, di sensazioni successive, isolate, senza memoria. L’origine è suscettibile di tutte, è il loro registro; ne conserva la memoria o una sensazione continua e l’animale è trascinato, fin dalla sua prima formazione, a riferirvisi, a fissarvisi tutto intero, a esistervi.170 Signorina de L’Espinasse: E se il mio dito potesse aver memoria?... Bordeu: Il vostro dito penserebbe. Signorina de L’Espinasse: E che cos’è dunque la memoria? Bordeu: La proprietà del centro. Il senso specifico dell’origine della rete, come la vista è la proprietà dell’occhio; e non c’è da stupirsi del fatto che la memoria non risieda nell’occhio, più di quanto non c’è da stupirsi che la vista non risieda nell’orecchio. Signorina de L’Espinasse: Dottore, voi eludete le mie domande piuttosto che soddisfarle. Bordeu: Non eludo niente. Vi dico quello che so; e ne saprei di più se l’organizzazione dell’origine della rete mi fosse nota quanto quella dei suoi fili; se mi fosse stato altrettanto facile osservarla. Ma se sono debole sui fenomeni particolari, in compenso trionfo sui fenomeni generali. Signorina de L’Espinasse: E questi fenomeni generali quali sono? Bordeu: La ragione, il giudizio, l’immaginazione, la follia, l’imbecillità, la ferocia, l’istinto. Signorina de L’Espinasse: Capisco. Tutte queste qualità non sono che conseguenze del rapporto originario o di quello generato dall’abitudine tra l’origine del fascio e le sue ramificazioni.171 Bordeu: A meraviglia. Il principio o il tronco è troppo vigoroso in relazione ai rami? Di qui i poeti, gli artisti, la gente dall’ immaginazione forte, gli uomini pusillanimi, gli entusiasti, i pazzi. Troppo debole? Di qui quelli che chiamiamo i bruti, le bestie feroci. L’intero sistema è rilassato, molle, senza energia? Di qui gli imbecilli. L’intero sistema è energico, ben accordato, ben ordinato? Di qui i buoni pensatori, i filosofi, i saggi. Signorina de L’Espinasse: E secondo il ramo tirannico che predomina, l’istinto si diversifica negli animali; il genio si diversifica negli uomini; il cane ha l’odorato, il pesce l’udito, l’aquila la vista; D’Alembert è matematico, Vaucanson inventore di macchine, Grétry musicista, Voltaire poeta;172 effetti vari di un filo del fascio più vigoroso, in loro, di ogni altro e più vigoroso del filo simile negli esseri della loro specie. Bordeu: E le abitudini che rendono schiavi. Il vecchio che ama le giovani donne; e Voltaire che scrive ancora tragedie. (A questo punto il Dottore si mise a fantasticare e la Signorina de L’Espinasse gli disse:) Signorina de L’Espinasse: Dottore, state fantasticando. Bordeu: Sì. Signorina de L’Espinasse: Che cosa fantasticate? Bordeu: A proposito di Voltaire. Signorina de L’Espinasse: Ebbene? Bordeu: Fantastico sul modo in cui si fanno i grandi uomini.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Et comment se font-ils ? Bordeu : Comment ? La sensibilité... Mademoiselle de L’Espinasse : La sensibilité ! Bordeu : Ou l’extrême mobilité de certains filets du réseau est la qualité dominante des êtres médiocres. Mademoiselle de L’Espinasse : Ah, docteur, quel blasphème ! | Bordeu : Je m’y attendais. Mais qu’est-ce qu’un être sensible ? Un être abandonné à la discrétion du diaphragme. Un mot touchant a-t-il frappé l’oreille ? un phénomène singulier a-t-il frappé l’œil ? et voilà tout à coup le tumulte intérieur qui s’élève, tous les brins du faisceau qui s’agitent, le frisson qui se répand, l’horreur qui saisit, les larmes qui coulent, les soupirs qui suffoquent, la voix qui s’interrompt, l’origine du faisceau qui ne sait ce qu’il devient ; plus de sang-froid, plus de raison, plus de jugement, plus de justice, plus de ressource. Mademoiselle de L’Espinasse : Je me reconnais. Bordeu : Le grand homme, s’il a malheureusement reçu cette disposition naturelle, s’occupera sans relâche à l’affaiblir, à la dominer, à se rendre maître de ses mouvements, et à conserver à l’origine du faisceau tout son empire. Alors il se possédera au milieu des plus grands dangers ; il jugera froidement, mais sainement. Rien de ce qui peut servir à ses vues, concourir à son but, ne lui échappera. On l’étonnera difficilement. Il aura quarante-cinq ans. Il sera grand roi, grand ministre, grand politique, grand artiste, surtout grand comédien, grand philosophe, grand poète, | grand musicien, grand médecin. Il régnera sur lui-même et sur tout ce qui l’environne. Il ne craindra pas la mort, peur, comme a dit sublimement le stoïcien, qui est une anse que saisit le robuste pour mener le faible partout où il veut. Il aura cassé l’anse et se sera en même temps affranchi de toutes les tyrannies de ce monde. Les êtres sensibles ou les fous sont en scène. Il est au parterre. C’est lui qui est le sage. Mademoiselle de L’Espinasse : Dieu me garde de la société de ce sage-là. Bordeu : C’est pour n’avoir pas travaillé à lui ressembler que vous aurez alternativement des peines et des plaisirs violents ; que vous passerez votre vie à rire et à pleurer, et que vous ne serez jamais qu’un enfant. Mademoiselle de L’Espinasse : Je m’y résous. Bordeu : Et vous espérez en être plus heureuse ? Mademoiselle de L’Espinasse : Je n’en sais rien. Bordeu : Mademoiselle, cette qualité si prisée qui ne conduit à rien de grand, ne s’exerce presque jamais fortement sans douleur, ou faiblement sans ennui ; ou l’on bâille, ou l’on est ivre. Vous vous prêtez sans mesure à la douce sensation d’une musique délicieuse ; vous vous laissez entraîner au | charme d’une scène pathétique ; votre diaphragme se serre. Le plaisir est passé, et il ne vous reste qu’un étouffement qui dure toute la soirée. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais si je ne puis jouir ni de la musique sublime ni de la scène touchante qu’à cette condition ? Bordeu : Erreur. Je sais jouir aussi. Je sais admirer ; et je ne souffre jamais, si ce n’est de la colique. J’ai du plaisir pur. Ma censure en est beaucoup plus sévère ; mon éloge plus flatteur et plus réfléchi. Est-ce qu’il y a une mauvaise tragédie pour des âmes aussi mobiles que la vôtre ? Combien de fois n’avez-vous pas rougi, à la lecture, des transports que vous aviez éprouvés au spectacle, et réciproquement ? Mademoiselle de L’Espinasse : Cela m’est arrivé.
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Signorina de L’Espinasse: E come si fanno? Bordeu: Come? La sensibilità... Signorina de L’Espinasse: La sensibilità! Bordeu: Ossia l’estrema mobilità di certi fili della rete è la qualità dominante degli esseri mediocri. Signorina de L’Espinasse: Ah, dottore, che bestemmia! Bordeu: Me Io aspettavo. Ma che cos’è un essere sensibile? Un essere abbandonato alla discrezione del diaframma.173 Una parola toccante ha colpito il suo orecchio? un fenomeno singolare ha colpito l’occhio? ed ecco a un tratto che il tumulto interiore s’innalza, tutti i fili del fascio si agitano, un brivido si diffonde, l’orrore lo afferra, le lacrime colano, i sospiri lo soffocano, la voce si spezza, l’origine del fascio non sa più quello che fa; non ha più sangue freddo, non più ragione, non più giudizio, non più giustizia, nessuna risorsa. Signorina de L’Espinasse: Mi ci riconosco. Bordeu: Il grand’uomo, se ha disgraziatamente ricevuto questa disposizione naturale, si occuperà senza tregua a indebolirla, a dominarla, a rendersi padrone dei suoi movimenti e a conservare all’origine del fascio tutto il suo dominio. Allora sarà padrone di sé in mezzo ai pericoli più grandi; giudicherà freddamente, ma in modo sano. Nulla gli sfuggirà di ciò che può servire ai suoi progetti, concorrere al suo scopo. Sarà difficile stupirlo. A quarantacinque anni174 sarà un grande re, grande ministro, grande uomo politico, grande artista, soprattutto grande attore, grande filosofo, grande poeta, grande musicista, grande medico. Regnerà su se stesso e su tutto quanto lo circonda. Non temerà la morte, paura questa che, come ha detto in modo sublime lo stoico, è un manico tenuto in mano dal forte per condurre il debole ovunque egli vuole. Avrà rotto quel manico e si sarà al tempo stesso affrancato da tutte le tirannie di questo mondo.175 Gli esseri sensibili o i pazzi stanno sul palcoscenico. Egli sta in platea.176 È lui il saggio. Signorina de L’Espinasse: Dio mi guardi dalla compagnia di questo saggio! Bordeu: Per non esservi applicata ad assomigliargli proverete alternativamente dolori e piaceri violenti; passerete la vostra vita a ridere e a piangere, e non sarete mai altro che una bambina. Signorina de L’Espinasse: Lo accetto. Bordeu: E sperate con questo di essere più felice? Signorina de L’Espinasse: Non lo so proprio. Bordeu: Signorina, questa qualità così pregiata che non conduce a nulla di grande, non s’esercita quasi mai con forza senza dolore, o debolmente senza noia; o si sbadiglia oppure si è ubriachi. Vi abbandonate senza misura alla dolce sensazione di una musica deliziosa; vi lasciate trascinare dal fascino di una scena patetica; il vostro diaframma si restringe. Il piacere è passato, e non vi resta che un senso di soffocamento che dura per tutta la serata. Signorina de L’Espinasse: Ma se non posso godere né della musica sublime, né della scena commovente se non a questa condizione? Bordeu: Errore. Anche io so godere. So ammirare; e non soffro mai se non quando ho la colica. Provo piacere puro. Perciò la mia censura è molto più severa; il mio elogio più lusinghiero e più meditato. Vi è mai una brutta tragedia per delle anime così mobili come la vostra? Quante volte non siete arrossita, leggendo, per gli entusiasmi che avevate provato durante lo spettacolo e viceversa? Signorina de L’Espinasse: Questo mi è capitato.
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Bordeu : Ce n’est donc pas à l’être sensible comme vous, c’est à l’être tranquille et froid comme moi qu’il appartient de dire, Cela est vrai, cela est bon, cela est beau. Fortifions l’origine du réseau ; c’est tout ce que nous avons de mieux à faire. Savez- vous qu’il y va de la vie ? Mademoiselle de L’Espinasse : De la vie ! Docteur, cela est grave. Bordeu : Oui, de la vie. Il n’est personne qui n’en ait eu quelquefois le dégoût. Un seul événement suffit pour rendre cette sensation involontaire et habituelle. Alors, en dépit des distractions, de la variété des amusements, des conseils des amis, de ses propres efforts, les brins portent opiniâtrement des secousses funestes à l’origine du faisceau ; le malheureux a beau se débattre, le spectacle de l’univers se noircit pour lui ; il marche avec un cortège d’idées lugubres qui ne le quittent point ; et il finit par se délivrer de lui-même. | Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous me faites peur. D’Alembert (levé, en robe de chambre et en bonnet de nuit :) Et du sommeil, docteur, qu’en dites-vous ? C’est une bonne chose. Bordeu : Le sommeil, cet état où, soit lassitude, soit habitude, tout le réseau se relâche et reste immobile ; où, comme dans la maladie, chaque filet du réseau s’agite, se meut, transmet à l’origine commune une foule de sensations souvent disparates, décousues, troublées ; d’autres fois si liées, si suivies, si bien ordonnées que l’homme éveillé n’aurait ni plus de raison, ni plus d’éloquence, ni plus d’imagination ; quelquefois si violentes, si vives, que l’homme éveillé reste incertain sur la réalité de la chose... Mademoiselle de L’Espinasse : Eh bien, le sommeil ? Bordeu : Est un état de l’animal où il n’y a plus d’ensemble ; tout concert, toute subordination cesse. Le maître est abandonné à la discrétion de ses vassaux, et à l’énergie effrénée de sa propre activité. Le fil optique s’est-il agité, l’origine du réseau voit ; il entend, si c’est le fil auditif qui le sollicite. L’action et la réaction sont les seules choses qui subsistent entre eux. C’est une conséquence de la propriété centrale, de la loi de continuité et de l’habitude. Si l’action commence par le brin voluptueux que la nature a destiné au plaisir de l’amour, et à la propagation de l’espèce, l’image réveillée de l’objet aimé sera l’effet de la réaction à l’origine du faisceau. Si cette image, au contraire, se réveille d’abord à l’origine du faisceau, la | tension du brin voluptueux, l’effervescence et l’effusion du fluide séminal seront les suites de la réaction. D’Alembert : Ainsi il y a le rêve en montant, et le rêve en descendant. J’en ai eu un de ceux-là cette nuit ; pour le chemin qu’il a pris, je l’ignore. Bordeu : Dans la veille le réseau obéit aux impressions de l’objet extérieur. Dans le sommeil, c’est de l’exercice de sa propre sensibilité qu’émane tout ce qui se passe en lui. Il n’y a point de distraction dans le rêve. De là sa vivacité. C’est presque toujours la suite d’un éréthisme, un accès passager de maladie. L’origine du réseau y est alternativement active et passive d’une infinité de manières : de là son désordre. Les concepts y sont quelquefois aussi liés, aussi distincts que dans l’animal exposé au spectacle de la nature. Ce n’est que le tableau de ce spectacle réexcité. De là, sa vérité ; de là l’impossibilité de le discerner de l’état de veille. Nulle probabilité d’un de ces états plutôt que de l’autre. Nul moyen de reconnaître l’erreur que l’expérience. Mademoiselle de L’Espinasse : Et l’expérience, se peut-elle toujours ? Bordeu : Non. Mademoiselle de L’Espinasse : Si le rêve m’offre le spectre d’un ami | que j’ai perdu, et me l’offre aussi vrai que si cet ami existait ; s’il me parle, et que je l’entende ; si je
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Bordeu: Non spetta dunque all’essere sensibile come voi, ma all’essere tranquillo e freddo come me dire: questo è vero, questo è buono, questo è bello. Rafforziamo l’origine del fascio; è quanto di meglio possiamo fare. Sapete che ne va della vita? Signorina de L’Espinasse: Della vita! È grave, dottore. Bordeu: Sì, della vita. Non c’è nessuno che talvolta non ne abbia provato disgusto. Un solo evento basta a rendere questa sensazione involontaria e abituale. Allora, malgrado le distrazioni, la varietà dei divertimenti, i consigli degli amici, i propri sforzi, i fili portano ostinatamente scosse funeste all’origine del fascio; l’infelice ha un bel dibattersi, lo spettacolo dell’universo si presenta nero per lui; cammina con dietro un corteo di idee lugubri che non lo abbandonano più; e finisce per sbarazzarsi di se stesso. Signorina de L’Espinasse: Dottore, mi fate paura. D’Alembert (in piedi, in vestaglia e berretto da notte): E del sonno, dottore, che cosa ne dite? È una buona cosa. Bordeu: Il sonno, quello stato in cui, o per stanchezza o per abitudine, tutta la rete si rilascia e resta immobile, in cui, come nella malattia, ogni filo della rete si agita, si muove, trasmette alla comune origine una folla di sensazioni spesso disparate, scucite, torbide; altre volte così legate l’una all’altra, così continue, così bene ordinate che l’uomo sveglio non potrebbe avere maggiore ragione, né maggiore eloquenza, né maggiore immaginazione; talvolta così violente, così vive che l’uomo sveglio rimane incerto sulla realtà della cosa stessa... Signorina de L’Espinasse: Ebbene, il sonno? Bordeu: È uno stato dell’animale in cui non c’è più l’insieme: ogni coordinamento, ogni subordinazione cessa. Il padrone è abbandonato alla discrezione dei suoi vassalli e all’energia sfrenata della propria attività. Il filo ottico s’è agitato? L’origine della rete vede; ascolta, se è il filo uditivo a sollecitarla. L’azione e la reazione sono le sole cose che permangono fra di essi. È una conseguenza della proprietà centrale, della legge di continuità e dell’abitudine.177 Se l’azione inizia dal filo voluttuoso che la natura ha destinato al piacere dell’amore e alla propagazione della specie, l’immagine risvegliata dall’oggetto amato sarà l’effetto della reazione all’origine del fascio. Se quest’immagine, al contrario, si risveglia dapprima all’origine del fascio, la tensione del filo della voluttà, l’effervescenza e l’effusione del liquido seminale saranno le conseguenze della reazione. D’Alembert: Così dunque c’è il sogno in salita e il sogno in discesa.178 Ne ho avuto uno di questi stanotte; che strada abbia preso il mio sogno lo ignoro. Bordeu: Nello stato di veglia, la rete obbedisce alle impressioni dell’oggetto esterno. Nel sonno, tutto ciò che accade in essa proviene dall’esercizio della sua propria sensibilità. Non c’è distrazione nel sogno. Da ciò la sua vividezza. È quasi sempre la conseguenza di un eretismo,179 un accesso passeggero di malattia. L’origine della rete, in questo, è alternativamente attiva e passiva, in un’infinità di modi; da ciò il suo disordine. I concetti vi sono talvolta così legati, così distinti come nell’animale di fronte allo spettacolo della natura. Non è altro che il quadro di questo spettacolo che si ripresenta. Da ciò, la sua veridicità; da ciò, l’impossibilità di distinguerlo dallo stato di veglia. Non c’è alcuna probabilità che uno di questi stati sia vero più dell’altro. Nessun mezzo per riconoscere l’errore, all’infuori dell’esperienza. Signorina de L’Espinasse: E l’esperienza è sempre possibile? Bordeu: No. Signorina de L’Espinasse: Se il sogno mi offre lo spettro di un amico perduto e me l’offre così vero come se quell’amico esistesse; se mi parla e io lo sento; se lo tocco
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le touche et qu’il fasse l’impression de la solidité sur mes mains ; si, à mon réveil, j’ai l’âme pleine de tendresse, et de douleur, et mes yeux inondés de larmes ; si mes bras sont encore portés vers l’endroit où il m’est apparu ; qui me répondra que je ne l’ai pas vu, entendu, touché réellement ? Bordeu : Son absence. Mais, s’il est impossible de discerner la veille du sommeil, qui est-ce qui en apprécie la durée ? Tranquille, c’est un intervalle étouffé entre le moment du coucher et celui du lever. Trouble, il dure quelquefois des années. Dans le premier cas, du moins, la conscience du soi cesse entièrement. Un rêve qu’on n’a jamais fait, et qu’on ne fera jamais, me le diriez-vous bien ? Mademoiselle de L’Espinasse : Oui. C’est qu’on est un autre. D’Alembert : Et dans le second cas, on n’a pas seulement la conscience du soi ; mais on a encore celle de sa volonté et de sa liberté. Qu’est-ce que cette volonté, qu’est-ce que cette liberté de l’homme qui rêve ? Bordeu : Qu’est-ce ? c’est la même que celle de l’homme qui veille : la dernière impulsion du désir et de l’aversion ; le dernier résultat | de tout ce qu’on a été depuis sa naissance jusqu’au moment où l’on est ; et je défie l’esprit le plus délié d’y apercevoir la moindre différence. D’Alembert : Vous croyez ? Bordeu : Et c’est vous qui me faites cette question ! vous qui, livré à des spéculations profondes, avez passé les deux tiers de votre vie à rêver les yeux ouverts, et à agir sans vouloir. Oui, sans vouloir, bien moins que dans votre rêve. Dans votre rêve vous commandiez, vous ordonniez, on vous obéissait, vous étiez mécontent ou satisfait, vous éprouviez de la contradiction, vous trouviez des obstacles, vous vous irritiez, vous aimiez, vous haïssiez, vous blâmiez, vous approuviez, vous riiez, vous pleuriez, vous alliez, vous veniez. Dans le cours de vos méditations, à peine vos yeux s’ouvraient le matin que, ressaisi de l’idée qui vous avait occupé la veille, vous vous vêtiez, vous vous asseyiez à votre table, vous méditiez, vous traciez des figures, vous suiviez des calculs, vous dîniez, vous repreniez vos combinaisons, quelquefois vous quittiez la table pour les vérifier, vous parliez à d’autres, vous donniez des ordres à votre domestique, vous soupiez, vous vous couchiez, vous vous endormiez sans avoir fait le moindre acte de volonté. Vous n’avez été qu’un point. Vous avez agi ; mais vous n’avez pas voulu. Est-ce qu’on veut, de soi ? La volonté naît toujours de quelque motif intérieur ou extérieur, de quelque impression présente, de quelque réminiscence du passé, de quelque passion, de quelque projet | dans l’avenir. Après cela, je ne vous dirai de la liberté qu’un mot ; c’est que la dernière de nos actions est l’effet nécessaire d’une cause une, nous, très compliquée, mais une. Mademoiselle de L’Espinasse : Nécessaire ? Bordeu : Sans doute. Tâchez de concevoir la production d’une autre action, en supposant que l’être agissant soit le même. Mademoiselle de L’Espinasse : Il a raison. Puisque c’est moi qui agis ainsi,A celui qui peut agir autrement n’est plus moi ; et assurer qu’au moment où je fais ou dis une chose, j’en puis dire ou faire une autre, c’est assurer que je suis moi et que je suis un autre. Mais, docteur, et le vice et la vertu ? La vertu, ce mot si saint dans toutes les langues, cette idée si sacrée chez toutes les nations ? Bordeu : Il faut le transformer en celui de bienfaisance, et son opposé en celui de malfaisance. On est heureusement ou malheureusement né. On est insensiblement entraîné par le torrent général qui conduit l’un à la gloire, l’autre à l’ignominie. A
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ed egli dà alle mie mani l’impressione della solidità; se al mio risveglio l’animo mio è pieno di tenerezza e di dolore, e i miei occhi sono inondati di lacrime; se le mie braccia sono ancora tese verso il luogo in cui egli mi è apparso; chi potrà rispondermi che non l’ho visto, sentito, toccato realmente? Bordeu: La sua assenza. Ma se è impossibile distinguere la veglia dal sonno, chi ne valuta la durata? Se tranquillo, è un intervallo stretto tra il momento in cui ci si corica e quello in cui ci si alza. Se turbato, dura talvolta degli anni. Nel primo caso, almeno, la coscienza del sé cessa interamente. E mi sapreste dire qual è un sogno che non è mai stato fatto e che non si farà mai? Signorina de L’Espinasse: Si. Che siamo un altro essere. D’Alembert: E nel secondo caso, non soltanto si ha la coscienza del sé; ma si ha pure quella della propria volontà e della propria libertà. Che cos’è questa volontà, che cos’è questa libertà dell’uomo che sogna? Bordeu: Che cos’è? È la stessa libertà dell’uomo sveglio: l’impulso ultimo del desiderio e dell’avversione; il risultato ultimo di tutto ciò che si è stati, dalla nascita fino al momento in cui si è; e io sfido lo spirito più sottile a scorgervi la minima differenza. D’Alembert: Credete? Bordeu: E proprio voi mi fate questa domanda! Voi che, applicato a profonde speculazioni, avete passato i due terzi della vostra vita a sognare a occhi aperti e ad agire senza volere. Sì, senza volere, esercitando la vostra volontà molto meno che in sogno.180 Nel vostro sogno comandavate, davate ordini, vi si obbediva, eravate scontento o soddisfatto, provavate contraddizioni, incontravate ostacoli, vi irritavate, amavate, odiavate, rimproveravate, andavate e venivate. Nel corso delle vostre meditazioni, appena aperti gli occhi la mattina, e ripreso dall’idea che vi aveva occupato il giorno prima, vi vestivate, vi sedevate al vostro tavolo di lavoro, meditavate, tracciavate delle figure, eseguivate i vostri calcoli, pranzavate, riprendevate le vostre combinazioni, talvolta lasciavate il tavolo per verificarle; parlavate ad altri, davate ordini al vostro domestico, cenavate, andavate a letto, vi addormentavate senza aver compiuto il minimo atto di volontà.181 Non siete stato che un punto. Avete agito; ma non avete voluto. E forse si vuole, da sé? La volontà nasce sempre da qualche motivo interno o esterno, da qualche impressione presente, da qualche reminiscenza del passato, da qualche passione, da qualche progetto per l’avvenire. Dopo di che, a proposito della libertà vi dirò una parola sola; ed è questa: l’ultima delle nostre azioni è l’effetto necessario di una causa unica: noi stessi; molto complicata, ma unica.182 Signorina de L’Espinasse: Necessaria? Bordeu: Probabilmente. Cercate di immaginare il prodursi di un’altra azione, supponendo che l’essere agente sia lo stesso. Signorina de L’Espinasse: Ha ragione. Poiché sono io che agisco così, colui che può agire altrimenti non è più me; e affermare che nel momento in cui io faccio o dico una cosa, ne posso dire o fare un’altra, ciò significa affermare che io sono io e che sono un altro. Ma, dottore, e il vizio e la virtù?183 La virtù, questa parola così santa in tutte le lingue; quest’idea così sacra presso tutte le nazioni? Bordeu: Bisogna trasformarla in quella di beneficienza o condotta benefica e, per il suo contrario, in quella di malevolenza o condotta malefica.184 Si nasce felicemente o infelicemente dotati. Siamo trascinati insensibilmente dal torrente generale che porta l’uno alla gloria, l’altro all’ignominia.
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Mademoiselle de L’Espinasse : Et l’estime de soi ? et la honte ? et le remords ? Bordeu : Puérilité fondée sur l’ignorance et la vanité d’un être qui | s’impute à luimême le mérite ou le démérite d’un instant nécessaire. Mademoiselle de L’Espinasse : Et les récompenses et les châtiments ? Bordeu : Des moyens de corriger l’être modifiable qu’on appelle méchant, et d’encourager celui qu’on appelle bon. Mademoiselle de L’Espinasse : Et toute cette doctrine n’a-t-elle rien de dangereux ? Bordeu : Est-elle vraie ? ou est-elle fausse ? Mademoiselle de L’Espinasse : Je la crois vraie. Bordeu : C’est-à-dire que vous pensez que le mensonge a ses avantages, et la vérité ses inconvénients. Mademoiselle de L’Espinasse : Je le pense. Bordeu : Et moi aussi. Mais les avantages du mensonge sont d’un moment ; et ceux de la vérité sont éternels. Mais les suites fâcheuses de la vérité, quand elle en a, passent vite, et celles du mensonge ne finissent qu’avec lui. Examinez les effets du mensonge dans la tête de l’homme, et ses effets dans sa conduite. Dans sa tête, ou le mensonge s’est lié, tellement quellement avec la vérité, et la tête est fausse, ou il est bien et conséquemment lié avec le mensonge, et la tête est erronée. Or quelle conduite pouvez-vous attendre d’une tête ou inconséquente dans ses raisonnements, ou conséquente dans ses erreurs ? | Mademoiselle de L’Espinasse : Le dernier de ces vices, moins méprisable, est peutêtre plus à redouter que le premier. D’Alembert : Fort bien. Voilà donc tout ramené à de la sensibilité, de la mémoire, des mouvements organiques. Cela me convient assez. Mais l’imagination ? mais les abstractions ? Bordeu : L’imagination... Mademoiselle de L’Espinasse : Un moment, docteur : récapitulons. D’après vos principes, il me semble que, par une suite d’opérations purement mécaniques, je réduirais le premier génie de la terre à une masse de chair inorganisée, à laquelle on ne laisserait que la sensibilité du moment et que l’on ramènerait cette masse informe de l’état de stupidité le plus profond qu’on puisse imaginer, à la condition de l’homme de génie. L’un de ces deux phénomènes consisterait à mutiler l’écheveau primitif, d’un certain nombre de ses brins, et à bien brouiller le reste ; et le phénomène inverse, à restituer à l’écheveau les brins qu’on en aurait détachés, et à abandonner le tout à un heureux développement. Exemple. J’ôte à Newton les deux brins auditifs, et plus de sensations de sons ; les brins olfactifs, et plus de sensations d’odeurs ; les brins optiques, et plus de sensations de couleurs ; les brins palatins, et plus de sensations de saveurs ; je supprime ou brouille les autres ; et adieu l’organisation du cerveau, la mémoire, le juge | ment, les désirs, les aversions, les passions, la volonté, la conscience du soi. Et voilà une masse informe qui n’a retenu que la vie et la sensibilité. Bordeu : Deux qualités presque identiques ; la vie est de l’agrégat, la sensibilité est de l’élément. Mademoiselle de L’Espinasse : Je reprends cette masse, et je lui restitue les brins olfactifs, et elle flaire ; les brins auditifs, et elle entend ; les brins optiques, et elle voit ; les brins palatins, et elle goûte. En démêlant le reste de l’écheveau, je permets aux autres brins de se développer ; et je vois renaître la mémoire, les comparaisons, le jugement, la raison, les désirs, les aversions, les passions, l’aptitude naturelle, le talent, et
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Signorina de L’Espinasse: E la stima di sé? e la vergogna? e il rimorso? Bordeu: Puerilità fondate sull’ignoranza e la vanità di un essere che ascrive a se medesimo il merito o il demerito di un istante necessario. Signorina de L’Espinasse: E le ricompense? e i castighi? Bordeu: Mezzi per correggere l’essere modificabile che chiamiamo malvagio, e per incoraggiare quello che chiamiamo buono. Signorina de L’Espinasse: E tutta questa dottrina non ha nulla di pericoloso? Bordeu: È vera o è falsa? Signorina de L’Espinasse: La credo vera. Bordeu: Vale a dire, voi pensate che la menzogna ha i suoi vantaggi e la verità i suoi inconvenienti. Signorina de L’Espinasse: Lo penso. Bordeu: E anch’io. Ma i vantaggi della menzogna sono di un momento; mentre quelli della verità sono eterni. Ma le conseguenze incresciose della verità, quando ci sono, passano presto, e quelle della menzogna non finiscono che con essa. Esaminate gli effetti della menzogna nella testa dell’uomo, e gli effetti sulla sua condotta. Nella sua testa, o la menzogna s’è legata, in qualche modo,185 alla verità, e la testa è falsa, oppure è buona e conseguentemente legata alla menzogna stessa, e la testa è soggetta a errore. Pertanto, quale condotta potete voi aspettarvi da una testa o incoerente nei suoi ragionamenti o coerente nei suoi errori?186 Signorina de L’Espinasse: L’ultimo di questi vizi, meno disprezzabile, è però forse più temibile del primo. D’Alembert: Molto bene. Ecco dunque tutto ricondotto a sensibilità, a memoria, a moti organici. Questo mi soddisfa abbastanza. Ma l’immaginazione? E le astrazioni? Bordeu: L’immaginazione... Signorina de L’Espinasse: Un momento, dottore; ricapitoliamo. Secondo i vostri principi, mi sembra che con una serie di operazioni puramente meccaniche io potrei ridurre il primo genio della terra a una massa di carne disorganizzata a cui non si lascerebbe che la sensibilità del momento, e si potrebbe riportare questa massa informe dallo stato più profondo di stupidità che si possa immaginare, alla condizione dell’uomo di genio. Uno di questi due fenomeni consisterebbe nel mutilare il gomitolo primitivo di un certo numero dei suoi fili, e a imbrogliare bene il resto; e il fenomeno inverso consisterebbe nel restituire al gomitolo i fili che da esso si fossero distaccati e nell’abbandonare il tutto a un felice sviluppo. Esempio. Io tolgo a Newton i due fili dell’udito, e spariscono le sensazioni dei suoni; tolgo i fili olfattivi, e spariscono le sensazioni degli odori; i fili ottici, e spariscono le sensazioni dei colori; i fili del palato, e addio sensazioni dei sapori; sopprimo o imbroglio gli altri fili; e addio l’organizzazione del cervello, la memoria, il giudizio, i desideri, le avversioni, le passioni, la volontà, la coscienza del sé. Ed ecco una massa informe a cui non è rimasta che la vita e la sensibilità. Bordeu: Due qualità quasi identiche; la vita è propria dell’aggregato; la sensibilità è propria dell’elemento. Signorina de L’Espinasse: Riprendo questa massa e le restituisco i fili olfattivi, ed essa annuserà; i fili dell’udito e udrà; i fili ottici e vedrà; i fili del palato e assaporerà. Riordinando il resto del gomitolo, io permetto agli altri fili di svilupparsi; e vedo rinascere la memoria, la facoltà di confrontare, il giudizio, la ragione, i desideri, le avver-
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je retrouve mon homme de génie ; et cela sans l’entremise d’aucun agent hétérogène et inintelligible. Bordeu : A merveille. Tenez-vous-en là. Le reste n’est que du galimatias... Mais les abstractions ? mais l’imagination ? L’imagination, c’est la mémoire des formes et des couleurs. Le spectacle d’une scène, d’un objet, monte nécessairement l’instrument sensible d’une certaine manière. Il se remonte ou de lui-même, ou il est remonté par quelque cause étrangère. Alors il frémit au-dedans ; ou il résonne au-dehors. Il se recorde en silence les impressions qu’il a reçues, ou il les fait éclater par des sons convenus. | D’Alembert : Mais son récit exagère, omet des circonstances, en ajoute, défigure le fait ou l’embellit ; et les instruments sensibles adjacents conçoivent des impressions qui sont bien celles de l’instrument qui résonne, mais non celles de la chose qui s’est passée. Bordeu : II est vrai. Le récit est historique ou poétique. D’Alembert : Mais comment s’introduit cette poésie ou ce mensonge dans le récit ? Bordeu : Par les idées qui se réveillent les unes les autres ; et elles se réveillent parce qu’elles ont toujours été liées. Si vous avez pris la liberté de comparer l’animal à un clavecin, vous me permettrez bien de comparer le récit du poète au chant. D’Alembert : Cela est juste. Bordeu : Il y a dans tout chant une gamme. Cette gamme a ses intervalles. Chacune de ses cordes a ses harmoniques, et ces harmoniques ont les leurs. C’est ainsi qu’il s’introduit des modulations de passage dans la mélodie et que le chant s’embellit et s’étend. Le fait est un motif donné que chaque musicien sent à sa guise. Mademoiselle de L’Espinasse : Et pourquoi embrouiller la question par ce style figuré ? Je dirais que, chacun ayant ses yeux, chacun voit et raconte | diversement. Je dirais que chaque idée en réveille d’autres, et que, selon son tour de tête ou son caractère, on s’en tient aux idées qui représentent le fait rigoureusement, ou l’on y introduit les idées réveillées ; je dirais qu’entre ces idées, il y a du choix ; je dirais... que ce seul sujet traité à fond fournirait un gros livre. D’Alembert : Vous avez raison ; ce qui ne m’empêchera pas de demander au docteur s’il est bien persuadé qu’une forme qui ne ressemblerait à rien, ne s’engendrerait jamais dans l’imagination, et ne se produirait point dans le récit. Bordeu : Je le crois. Tout le délire de cette faculté se réduit au talent de ces charlatans qui, de plusieurs animaux dépecés, en composent un bizarre qu’on n’a jamais vu en nature. D’Alembert : Et les abstractions ? Bordeu : Il n’y en a point. Il n’y a que des réticences habituelles, des ellipses qui rendent les propositions plus générales et le langage plus rapide et plus commode. Ce sont les signes du langage qui ont donné naissance aux sciences abstraites. Une qualité commune à plusieurs actions a engendré les mots vice et vertu. Une qualité commune à plusieurs êtres a engen | dré les mots laideur et beauté. On a dit un homme, un cheval, deux animaux ; ensuite on a dit un, deux, trois, et toute la science des nombres a pris naissance. On n’a nulle idée d’un mot abstrait. On a remarqué dans tous les corps trois dimensions, la longueur, la largeur, la profondeur ; on s’est occupé de chacune de ces dimensions, et de là toutes les sciences mathématiques. Toute abstraction n’est qu’un signe vide d’idée. Toute science abstraite n’est qu’une combinaison de signes. On a exclu l’idée, en séparant le signe de l’objet physique ; et ce n’est qu’en rattachant le signe à l’objet physique que la science redevient une science d’idées. De là, le besoin, si
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sioni, le passioni, l’attitudine naturale, il talento, e ritrovo il mio uomo di genio; e tutto ciò senza l’intervento d’alcun agente eterogeneo e inintelligibile. Bordeu: A meraviglia. Attenetevi a questo. Il resto non è che un vano sproloquio... Ma le astrazioni? E l’immaginazione? L’immaginazione è la memoria delle forme e dei colori. Lo spettacolo di una scena, di un oggetto, carica necessariamente lo strumento sensibile in un certo modo. Questo o si ricarica da sé, o è ricaricato da qualche causa estranea. Allora freme all’interno; o risuona al di fuori. Si ricorda187 in silenzio le impressioni che ha ricevuto, oppure le fa risuonare mediante suoni convenuti. D’Alembert: Ma il suo racconto esagera, omette delle circostanze, ne aggiunge altre, sfigura il fatto o lo abbellisce; e gli strumenti sensibili vicini concepiscono impressioni che sono si quelle dello strumento che risuona, ma non quelle della cosa che è accaduta. Bordeu: È vero. Il racconto è storico o poetico. D’Alembert: Ma come s’introduce nel racconto questa poesia o questa menzogna? Bordeu: Mediante le idee che si risvegliano le une dalle altre; e si risvegliano perché sono sempre state legate. Se vi siete preso la libertà di paragonare l’animale a un clavicembalo, voi mi permetterete anche di paragonare il racconto del poeta al canto. D’Alembert: Questo è giusto. Bordeu: C’è in ogni canto una gamma. Questa gamma ha i suoi intervalli. Ciascuna delle sue corde ha i propri armonici e questi armonici hanno i loro. È così che si introducono delle modulazioni di passaggio nella melodia e il canto si abbellisce e si distende. Il fatto è un motivo dato che ogni musicista sente alla propria maniera.188 Signorina de L’Espinasse: E perché imbrogliare la questione con questo stile figurato? Io direi che, avendo ciascuno i propri occhi, ciascuno vede e racconta diversamente. Io direi che ogni idea ne risveglia altre, e che a seconda della propria testa o del proprio carattere ci si attiene alle idee che rappresentano il fatto rigorosamente, oppure vi si introducono le idee suscitate da quelle; io direi che fra queste idee vi è possibilità di scelta; direi... che questo solo argomento trattato a fondo costituirebbe materia di un grosso libro. D’Alembert: Avete ragione; il che non m’impedirà di chiedere al dottore se è proprio persuaso che non si possa mai generare, nell’immaginazione, e non si possa riprodurre nel racconto, una forma che non assomigli a nulla. Bordeu: Lo credo. Tutto il delirio di questa facoltà si riduce al talento di quei ciarlatani i quali, da parecchi animali fatti a pezzi, ne compongono uno bizzarro che non s’è mai visto in natura. D’Alembert: E le astrazioni? Bordeu: Non ce ne sono affatto. Non vi sono che reticenze abituali, ellissi che rendono le proposizioni più generali e il linguaggio più rapido e più comodo. Sono i segni del linguaggio che hanno dato origine alle scienze astratte. Una qualità comune a diverse azioni ha generato le parole vizio e virtù. Una qualità comune a più esseri ha generato le parole bruttezza e bellezza. Si è detto: un uomo, un cavallo, due animali; in seguito si è detto uno, due, tre e tutta la scienza dei numeri ha avuto inizio. Non si ha nessuna idea da una parola astratta. Si sono notate, in tutti i corpi, tre dimensioni, la lunghezza, la larghezza, la profondità; ci si è occupati di ognuna di queste dimensioni e di qui tutte le scienze matematiche. Ogni astrazione non è che un segno vuoto d’idea. Ogni scienza astratta non è che una combinazione di segni. Si è esclusa l’idea, separando il segno dall’oggetto fisico; ed è soltanto ricollegando il segno all’oggetto fisico che la scienza ridiventa una scienza d’idee. Di qui il bisogno, così frequente nella
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fréquent dans la conversation, dans les ouvrages, d’en venir à des exemples ; lorsque, après une longue combinaison de signes, vous demandez un exemple, vous n’exigez autre chose de celui qui parle, sinon de donner du corps, de la forme, de la réalité, de l’idée, au bruit successif de ses accents, en y appliquant des sensations éprouvées. D’Alembert : Cela est-il bien clair pour vous, mademoiselle ? Mademoiselle de L’Espinasse : Pas infiniment ; mais le docteur va s’expliquer. Bordeu : Cela vous plaît à dire. Ce n’est pas qu’il n’y ait peut-être quelque chose à rectifier et beaucoup à ajouter à ce que j’ai dit ; mais il est onze heures et demie... et j’ai à midi une consultation au Marais. D’Alembert : Le langage plus rapide et plus commode ! Docteur, est-ce qu’on s’entend ? est-ce qu’on est entendu ? Bordeu : Presque toutes les conversations sont des comptes | faits... Je ne sais plus où est ma canne... on n’y a aucune idée présente à l’esprit... et mon chapeau... et par la raison seule qu’aucun homme ne ressemble parfaitement à un autre, nous n’entendons jamais précisément, nous ne sommes jamais précisément entendus. Il y a du plus ou du moins en tout. Notre discours est toujours en deçà ou au-delà de la sensation. On aperçoit bien de la diversité dans les jugements, il y en a mille fois davantage qu’on n’aperçoit pas, et qu’heureusement on ne saurait apercevoir... Adieu. Adieu. Mademoiselle de L’Espinasse : Encore un mot, de grâce Bordeu : Dites donc vite. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous souvenez-vous de ces sauts dont vous m’avez parlé ? Bordeu : Oui. Mademoiselle de L’Espinasse : Croyez-vous que les sots et les gens d’esprit aient de ces sauts-là dans les races ? Bordeu : Pourquoi non ? M ademoiselle de L’Espinasse : Tant mieux pour nos arrière-neveux, peut-être reviendra-t-il un Henri IV. Bordeu : Peut-être est-il tout revenu. | Mademoiselle de L’Espinasse : Docteur, vous devriez venir dîner avec nous. Bordeu : Je ferai ce que je pourrai ; je ne promets pas. Vous me prendrez, si je viens. Mademoiselle de L’Espinasse : Nous vous attendons jusqu’à 2 heures. Bordeu : – J’y consens. |
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conversazione, nelle opere, di giungere agli esempi; quando, dopo una lunga combinazione di segni, chiedete un esempio, voi non esigete altro, da colui che parla, se non che dia corpo, forma, realtà, idea, al rumore successivo dei suoi accenti, applicandovi delle sensazioni provate. D’Alembert: È abbastanza chiaro per voi, Signorina? Signorina de L’Espinasse: Non eccessivamente, ma il dottore si spiegherà. Bordeu: Fate presto a dirlo, voi. Non che non ci sia forse da rettificare qualcosa e molto da aggiungere a quello che ho detto; ma sono le undici e mezza... e a mezzogiorno ho un consulto al Marais. D’Alembert: Il linguaggio più rapido e più comodo! Ma ci si capisce, dottore? e si è capiti? Bordeu: Quasi tutte le conversazioni sono dei repertori di conti già fatti...189 Non so più dov’è il mio bastone... Non c’è alcuna idea presente allo spirito... e il mio cappello... e per la sola ragione che nessun uomo assomiglia perfettamente a un altro, noi non capiamo mai con precisione, non siamo mai capiti con precisione. Vi è, in tutto, un di più o un di meno. Il nostro discorso è sempre al di qua o al di là della sensazione. Si scorge bene una certa diversità nei giudizi, ce n’è in misura mille volte maggiore di quanta non se ne possa scorgere e che per fortuna non si può scorgere... Addio, addio.190 Signorina de L’Espinasse: Ancora una parola, di grazia. Bordeu: Dite presto, dunque. Signorina de L’Espinasse: Vi ricordate di quei salti di cui mi avete parlato? Bordeu: Sì. Signorina de L’Espinasse: Credete voi che gli stupidi e la gente di spirito abbiano questi salti nelle loro razze?191 Bordeu: Perché no? Signorina de L’Espinasse: Tanto meglio per i nostri pronipoti, forse tornerà un Enrico IV. Bordeu: Forse è già tornato.192 Signorina de L’Espinasse: Dottore, dovreste venire a pranzo da noi. Bordeu: Farò quello che potrò; non prometto nulla. Se vengo, mi prenderete. Signorina de L’Espinasse: Vi aspettiamo fino alle due. Bordeu: D’accordo.
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Interlocuteurs Mlle de L’Espinasse et Bordeu
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(Sur les deux heures le docteur revint. D’Alembert était allé dîner dehors ; et le docteur se trouva en tête à tête avec Mlle de L’Espinasse. On servit. Ils parlèrent de choses assez indifférentes jusqu’au dessert ; mais lorsque les domestiques furent éloignés, Mlle de L’Espinasse dit au docteur :) Mademoiselle de L’Espinasse : Allons, docteur, buvez un verre de malaga, et vous me répondrez ensuite à une question qui m’a passé cent fois par la tête, et que je n’oserais faire qu’à vous. Bordeu : Il est excellent ce malaga... et votre question ? Mademoiselle de L’Espinasse : Que pensez-vous du mélange des espèces ? Bordeu : Ma foi, la question est bonne aussi. Je pense que les hommes ont mis beaucoup d’importance à l’acte de la génération, et qu’ils ont eu raison ; mais je suis mécontent de leurs lois tant civiles que religieuses. Mademoiselle de L’Espinasse : Et qu’y trouvez-vous à redire ? | Bordeu : Qu’on les a faites sans équité, sans but, et sans aucun égard à la nature des choses et à l’utilité publique. Mademoiselle de L’Espinasse : Tâchez de vous expliquer. Bordeu : C’est mon dessein... mais attendez... (Il regarde à sa montre.) J’ai encore une bonne heure à vous donner. J’irai vite, et cela nous suffira... Nous sommes seuls. Vous n’êtes pas une bégueule. Vous n’imaginerez pas que je veuille manquer au respect que je vous dois ; et, quel que soit le jugement que vous portiez de mes idées, j’espère de mon côté que vous n’en conclurez rien contre l’honnêteté de mes mœurs. Mademoiselle de L’Espinasse : Très assurément ; mais votre début me chiffonne. Bordeu : En ce cas changeons de propos. Mademoiselle de L’Espinasse : Non, non, allez votre train. Un de vos amis qui nous cherchait des époux, à moi et à mes deux sœurs, donnait un sylphe à la cadette, un grand ange d’annonciation à l’aînée, et à moi un disciple de Diogène. Il nous connaissait bien toutes trois. Cependant, docteur, de la gaze, un peu de gaze. Bordeu : Cela s’en va sans dire ; autant que le sujet et mon état en comportent. Mademoiselle de L’Espinasse : Cela ne vous mettra pas en frais... Mais voilà votre café... prenez votre café. Bordeu (après avoir pris son café :). Votre question est de physique, de morale et de poétique. | Mademoiselle de L’Espinasse : De poétique ! Bordeu : Sans doute. L’art de créer des êtres qui ne sont pas, à l’imitation de ceux qui sont, est de la vraie poésie. Cette fois-ci, au lieu d’Hippocrate, vous me permettrez donc de citer Horace. Ce poète, ou faiseur, dit quelque part, Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci. Le mérite suprême est d’avoir réuni l’agréable à l’utile. La perfection consiste à concilier ces deux points. L’action agréable et utile doit occuper la pre-
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Seguito del colloquio precedente Interlocutori Signorina de L’Espinasse, Bordeu
(Verso le due il dottore ritorna. D’Alembert era andato a pranzo fuori; e il dottore si trovò da solo con la Signorina de L’Espinasse. Si serve il pranzo. Parlarono di cose alquanto indifferenti fino al dessert; ma non appena i domestici se ne furono andati, la Signorina de L’Espinasse disse al dottore:) Signorina de L’Espinasse: Suvvia, dottore, bevete un bicchiere di malaga e poi risponderete a una domanda che mi è passata cento volte per la testa e che non oserei fare ad altri che a voi. Bordeu: È eccellente questo malaga... e la vostra domanda? Signorina de L’Espinasse: Che ne pensate dell’incrocio delle specie?193 Bordeu: In fede mia, anche la domanda è buona. Penso che gli uomini hanno attribuito molta importanza all’atto della generazione e hanno avuto ragione a farlo; ma non sono contento delle loro leggi, sia civili che religiose. Signorina de L’Espinasse: E che ci trovate da ridire? Bordeu: Che sono state fatte senza equità, senza scopo e senza alcun riguardo alla natura delle cose e alla pubblica utilità. Signorina de L’Espinasse: Cercate di spiegarvi. Bordeu: È quello che avevo in mente... Ma aspettate... (guarda l’orologio). Ho ancora un’ora buona da dedicarvi. Farò presto e ci basterà... Siamo soli. Voi non siete una beghina. Non immaginerete che voglia venir meno al rispetto che vi devo; e, qualunque sia il giudizio che voi darete sulle mie idee, spero da parte mia che non ne trarrete alcuna conclusione contro l’onestà dei miei costumi. Signorina de L’Espinasse: Nel modo più assoluto; ma il vostro preambolo mi infastidisce. Bordeu: In tal caso, cambiamo discorso. Signorina de L’Espinasse: No, no, andate pure avanti. Un vostro amico, il quale voleva trovar marito a me e alle mie due sorelle, pensava di dare un folletto alla minore, un grande angelo d’annunciazione alla maggiore e a me un discepolo di Diogene. Ci conosceva bene tutte e tre.194 Tuttavia, dottore, usate del velo, un po’ di velo. Bordeu: Questo va da sé; per quanto l’argomento e la mia professione lo consentono. Signorina de L’Espinasse: Non vi costerà grandi spese... Ma ecco il vostro caffè... prendete il caffè. Bordeu (Dopo aver preso il suo caffè:) La vostra è una questione di fisica, di morale e di poetica. Signorina de L’Espinasse: Di poetica! Bordeu: Senza dubbio; l’arte di creare esseri che non esistono, a imitazione di quelli che esistono, è della vera poesia.195 Questa volta, invece di Ippocrate, mi permetterete dunque di citare Orazio. Questo poeta, o artefice, dice da qualche parte: omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci.196 Il merito supremo consiste nell’aver unito l’utile al dilettevole. La perfezione consiste nel conciliare questi due punti. L’atto dilettevole e utile
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mière place dans l’ordre esthétique ; nous ne pouvons refuser la seconde à l’utile. La troisième sera pour l’agréable ; et nous reléguerons au rang infime celle qui ne rend ni plaisir ni profit. Mademoiselle de L’Espinasse : Jusque-là, je puis être de votre avis, sans rougir ; où cela nous mènera-t-il ? Bordeu : Vous l’allez voir. Mademoiselle, pourriez-vous m’apprendre quel profit ou quel plaisir la chasteté et la continence rigoureuse rendent soit à l’individu qui les pratique, soit à la société ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ma foi, aucun. Bordeu : Donc, en dépit des magnifiques éloges que le fanatisme leur a prodigués, en dépit des lois civiles qui les protègent, nous les raye | rons du catalogue des vertus. Et nous conviendrons qu’il n’y a rien de si puéril, de si ridicule, de si absurde, de si nuisible, de si méprisable, rien de pire, à l’exception du mal positif, que ces deux rares qualités. Mademoiselle de L’Espinasse : On peut accorder cela. Bordeu : Prenez-y garde ; je vous en préviens. Tout à l’heure, vous reculerez. Mademoiselle de L’Espinasse : Nous ne reculons jamais. Bordeu : Et les actions solitaires ? Mademoiselle de L’Espinasse : Eh bien ? Bordeu : Eh bien ? elles rendent du moins du plaisir à l’individu, et notre principe est faux, ou... Mademoiselle de L’Espinasse : Quoi, docteur ? Bordeu : Oui, mademoiselle, oui ; et par la raison qu’elles sont aussi indifférentes, et qu’elles ne sont pas aussi stériles. C’est un besoin ; et quand on n’y serait pas sollicité par le besoin, c’est toujours une chose douce. Je veux qu’on se porte bien. Je le veux absolument, entendez-vous. Je blâme tout excès ; mais dans un état de société tel que le nôtre, il y a cent considérations raisonnables pour une, sans compter le tempérament, et les suites funestes d’une continence rigoureuse, surtout pour les jeunes personnes, le peu de fortune, la crainte parmi les hommes d’un repentir cuisant, chez les femmes celle du déshonneur, qui réduisent une malheureuse créature qui périt de langueur et d’ennui, un pauvre diable qui ne sait à qui s’adresser, à s’expédier à la façon du cynique. Caton, qui disait | à un jeune homme sur le point d’entrer chez une courtisane : Courage, mon fils ; lui tiendrait-il le même propos aujourd’hui ? S’il le surprenait, au contraire, seul, en flagrant délit, n’ajouterait-il pas, cela est mieux que de corrompre la femme d’autrui, ou que d’exposer son honneur et sa santé. Eh quoi, parce que les circonstances me privent du plus grand bonheur qu’on puisse imaginer, celui de confondre mes sens avec les sens, mon ivresse avec l’ivresse, mon âme avec l’âme d’une compagne que mon cœur se choisirait, et de me reproduire en elle et avec elle ; parce que je ne puis consacrer mon action par le sceau de l’utilité, je m’interdirai un instant nécessaire et délicieux. On se fait saigner dans la pléthore ; et qu’importe la nature de l’humeur surabondante, et sa couleur, et la manière de s’en délivrer ? elle est tout aussi superflue dans une de ces indispositions que dans l’autre ; et si, repompée de ses réservoirs, distribuée dans toute la machine, elle s’évacue par une autre voie plus longue, plus pénible et dangereuse, en sera-t-elle moins perdue ? La nature ne souffre rien d’inutile. Et comment serais-je coupable de l’aider, lorsqu’elle appelle mon secours par les symptômes les moins équivoques ? Ne la provoquons jamais ; mais | prêtons-lui la main dans l’occasion. Je ne vois au refus et à l’oisiveté que de la sottise et du plaisir manqué. Vivez sobre, me dira-t-on. Excédez-vous de fatigue. Je vous entends. Que je me prive
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deve occupare il primo posto nell’ordine estetico; non possiamo rifiutare il secondo posto all’utile. Il terzo sarà per il dilettevole; e relegheremo all’infimo rango quell’azione che non dà né piacere, né profitto. Signorina de L’Espinasse: Fino a questo punto, posso essere del vostro parere senza arrossire; ma dove ci porterà questo ragionamento? Bordeu: Lo vedrete. Signorina, potreste insegnarmi che profitto o che piacere danno la castità e la rigorosa continenza all’individuo che le pratica, o alla società?197 Signorina de L’Espinasse: In fede mia, nessuna. Bordeu: Dunque, a dispetto dei magnifici elogi che il fanatismo ha loro prodigati, a dispetto delle leggi civili che le proteggono, noi le radieremo dal catalogo delle virtù. E converremo che non vi è nulla di così puerile, di così ridicolo, di così assurdo, di così nocivo, di così spregevole, nulla di peggiore, a eccezione del male positivo, di queste due rare qualità... Signorina de L’Espinasse: Questo si può concedere, Bordeu: Stateci attenta; vi avverto, fra poco indietreggerete. Signorina de L’Espinasse: Noi non indietreggiamo mai. Bordeu: E gli atti solitari?198 Signorina de L’Espinasse: Ebbene? Bordeu: Ebbene? Essi, quanto meno, procurano piacere all’individuo, e il nostro principio è falso, oppure... Signorina de L’Espinasse: Come, dottore?... Bordeu: Sì, Signorina, sì; e per la ragione che tali atti sono indifferenti e non sono affatto così sterili. È un bisogno; e quand’anche non si fosse sollecitati a ciò dal bisogno, è sempre una cosa dolce. Io voglio che si stia bene in salute. Lo voglio assolutamente, cercate di capirmi. Biasimo ogni eccesso; ma nello stato della nostra società, vi sono cento considerazioni ragionevoli contro una, senza contare il temperamento e le conseguenze funeste di una continenza rigorosa, soprattutto nei giovani, gli scarsi beni, il timore fra gli uomini di un pentimento cocente, nelle donne quello del disonore, le quali riducono un’infelice creatura che muore di languore e di noia, un povero diavolo che non sa a chi rivolgersi, a cavarsela alla maniera del cinico.199 Catone, il quale diceva a un giovanotto sul punto di entrare da una cortigiana: «Coraggio, figlio mio...»;200 gli terrebbe lo stesso discorso oggi? Se invece lo sorprendesse solo, in flagrante delitto, non aggiungerebbe questo: «È meglio che corrompere la donna d’altri, o mettere in pericolo il proprio onore e la propria salute». Ma come, perché le circostanze mi privano della più grande felicità che si possa immaginare, quella di confondere i miei sensi coi sensi di una compagna scelta dal mio cuore, la mia ebbrezza con la sua ebbrezza, la mia anima con l’anima sua, e m’impediscono di riprodurmi in lei e con lei; per il fatto che non posso consacrare il mio atto col sigillo dell’utilità, io dovrei proibirmi un istante necessario e delizioso. Ci si fa salassare quando si è pletorici;201 e che importanza ha la natura dell’umore sovrabbondante, e il suo colore e la maniera di liberarsene? È altrettanto superfluo in una di queste indisposizioni quanto nell’altra; e se ripompato dai suoi serbatoi, distribuito in tutta la macchina, quest’umore viene evacuato per un’altra via più lunga, più penosa e pericolosa, sarà per questo meno perduto?202 La natura non tollera nulla di inutile. E come potrei essere io colpevole di aiutarla, quando essa mi chiama in suo aiuto con i sintomi meno equivoci? Non provochiamola mai; piuttosto, con l’occasione, diamole una mano. Nell’astensione e nell’ozio io non vedo altro che stupidità e piacere mancato. Vivete sobrio, mi si dirà. Spossa-
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d’un plaisir ; que je me donne de la peine pour éloigner un autre plaisir. Bien imaginé ! Mademoiselle de L’Espinasse : Voilà une doctrine qui n’est pas bonne à prêcher aux enfants. Bordeu : Ni aux autres. Cependant me permettez-vous une supposition ? Vous avez une fille sage, trop sage, innocente, trop innocente. Elle est dans l’âge où le tempérament se développe. Sa tête s’embarrasse ; la nature ne la secourt point. Vous m’appelez. Je m’aperçois tout à coup que tous les symptômes qui vous effrayent, naissent de la surabondance et de la rétention du fluide séminal. Je vous avertis qu’elle est menacée d’une folie qu’il est facile de prévenir, et qui quelquefois est impossible à guérir. Je vous en indique le remède. Que ferez-vous ? Mademoiselle de L’Espinasse : A vous parler vrai, je crois... mais ce cas n’arrive point... Bordeu : Détrompez-vous. Il n’est pas rare, et il serait fréquent, si la licence de nos mœurs n’y obviait... Quoi qu’il en soit, ce serait fouler aux pieds toute décence, attirer sur soi les soupçons les plus odieux, et commettre un crime de lèse-société, que de divulguer ces principes. Vous rêvez. | Mademoiselle de L’Espinasse : Oui, je balançais à vous demander, s’il vous était jamais arrivé d’avoir une pareille confidence à faire à des mères. Bordeu : Assurément. Mademoiselle de L’Espinasse : Et quel parti ces mères ont-elles pris ? Bordeu : Toutes, sans exception, le bon parti ; le parti sensé... Je n’ôterais pas mon chapeau dans la rue à l’homme suspecté de pratiquer ma doctrine. Il me suffirait qu’on l’appelât un infâme. Mais nous causons sans témoins et sans conséquence ; et je vous dirai de ma philosophie ce que Diogène tout nu disait au jeune et pudique Athénien contre lequel il se proposait de lutter : Mon fils, ne crains rien ; je ne suis pas si méchant que celui-là. Mademoiselle de L’Espinasse (en se couvrant les yeux :). Docteur, je vous vois arriver, et je gage... Bordeu : Je ne gage pas ; vous gagneriez. Oui, mademoiselle, c’est mon avis. Mademoiselle de L’Espinasse : Comment ! soit qu’on se renferme dans l’enceinte de son espèce, soit qu’on en sorte ? Bordeu : Il est vrai. Mademoiselle de L’Espinasse : Vous êtes monstrueux. Bordeu : Ce n’est pas moi, c’est ou la nature ou la société. Écoutez, mademoiselle ; je ne m’en laisse point imposer par des mots ; et je m’explique d’autant plus librement que je suis net et que la pureté connue de mes | mœurs ne laisse prise d’aucun côté. Je vous demanderai donc, de deux actions également restreintes à la volupté, qui ne peuvent rendre que du plaisir, sans utilité, mais dont l’une n’en rend qu’à celui qui la fait et l’autre le partage avec un être semblable, mâle ou femelle, car le sexe ici, ni même l’emploi du sexe n’y fait rien, en faveur de laquelle le sens commun prononcera-t-il ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ces questions-là sont trop sublimes pour moi. Bordeu : Ah ! Après avoir été un homme pendant quatre minutes, voilà que vous reprenez votre cornette et vos cotillons, et que vous redevenez femme. A la bonne heure. Eh bien, il faut vous traiter comme telle... Voilà qui est fait, on ne dit plus mot de Mme
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tevi di fatica. Vi capisco. Dovrei privarmi di un piacere; e, per giunta, darmi una gran pena per allontanarne un altro. Bella trovata! Signorina de L’Espinasse: Ecco una dottrina che non è affatto buona da predicare ai fanciulli. Bordeu: E nemmeno agli altri. Tuttavia, mi permettete un’ipotesi? Voi avete una figlia giudiziosa, troppo giudiziosa, innocente, troppo innocente. Lei è nell’età in cui il temperamento si sviluppa. La testa le si appesantisce; la natura non la soccorre. Voi mi chiamate. Mi accorgo a un tratto che tutti i sintomi che vi spaventano nascono dalla sovrabbondanza e dalla ritenzione del liquido seminale. Vi avverto che è minacciata da una follia che è facile da prevenire e che talvolta è invece impossibile guarire. Ve ne indico il rimedio. Che cosa farete voi? Signorina de L’Espinasse: A dirvi la verità, io credo... ma è un caso che non si verifica affatto... Bordeu: Disilludetevi. Non è raro, e sarebbe frequente se non vi ponesse rimedio la licenza dei nostri costumi... Comunque stiano le cose, divulgare questi principi significherebbe calpestare ogni decenza, attirare su di sé i più odiosi sospetti e commettere un delitto di lesa società.203 Vi vedo sovrappensiero. Signorina de L’Espinasse: Sì, esitavo a chiedervi se non vi era mai accaduto di dover fare a qualche madre una simile confidenza. Bordeu: Certamente. Signorina de L’Espinasse: E che decisione hanno preso quelle madri? Bordeu: Tutte, senza eccezione, la buona decisione; la decisione sensata... Non mi toglierei il cappello per la strada all’uomo sospetto di praticare la mia dottrina. Mi basterebbe che lo si chiamasse un infame. Ma noi discutiamo senza testimoni e senza conseguenze; e vi dirò della mia filosofia ciò che Diogene tutto nudo diceva al giovane e pudico Ateniese contro il quale si preparava a lottare: «Figlio mio, non temere nulla; io non sono così cattivo come quello».204 Signorina de L’Espinasse (Coprendosi gli occhi:) Dottore, vedo dove volete arrivare e scommetto... Bordeu: Non scommetto io; vincereste senz’altro. Sì, signorina, sono di questo parere. Signorina de L’Espinasse: Come! Sia che si rimanga nell’ambito della propria specie, sia che se ne esca? Bordeu: È proprio così. Signorina de L’Espinasse: Siete un mostro.205 Bordeu: Non io, ma la natura o la società. Ascoltate, signorina, io non mi lascio impressionare dalle parole; e mi spiego tanto più liberamente perché sono pulito e la purezza ben nota dei miei costumi non offre punti deboli da alcun lato. Dunque vi chiederò, fra due azioni ugualmente limitate alla voluttà, che non possono fare altro che procurare piacere senza utilità, ma una delle quali procura piacere soltanto a colui che la compie e l’altra lo condivide con un essere simile, maschio o femmina, perché il sesso qui non ha alcuna importanza, e nemmeno l’uso del sesso, in favore di quale delle due si pronuncerà il senso comune? Signorina de L’Espinasse: Queste questioni sono troppo sublimi per me. Bordeu: Ah! dopo essere stata un uomo per quattro minuti, ecco che riprendete la vostra cuffietta 206 e i vostri cotillons e ridiventate donna. Alla buon’ora. Ebbene, bisogna trattarvi come tale... Ecco fatto, non si fa più parola di Madame du Barry... Vedete,
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du Barry... Vous voyez, tout s’arrange. On croyait que la Cour allait être bouleversée. Le maître a fait en homme sensé. Omne tulit punctum. Il a gardé la femme qui lui fait plaisir, et le ministre qui lui est utile... Mais vous ne m’écoutez pas... où en êtes-vous ? Mademoiselle de L’Espinasse : J’en suis à ces combinaisons qui me semblent toutes contre nature. Bordeu : Tout ce qui est ne peut être ni contre nature, ni hors de nature. Je n’en excepte pas même la chasteté et la continence volontaires | qui seraient les premiers des crimes contre nature, si l’on pouvait pécher contre nature, et les premiers des crimes contre les lois sociales d’un pays où l’on pèserait les actions dans une autre balance que celle du fanatisme et du préjugé. Mademoiselle de L’Espinasse : Je reviens sur vos maudits syllogismes, et je n’y vois point de milieu ; il faut ou tout nier ou tout accorder... Mais tenez, docteur, le plus honnête et le plus court est de sauter par-dessus le bourbier et d’en revenir à ma première question ; que pensez-vous du mélange des espèces ? Bordeu : Il n’y a point à sauter pour cela. Nous y étions. Votre question est-elle de physique ou de morale ? Mademoiselle de L’Espinasse : De physique, de physique. Bordeu : Tant mieux. La question de morale marchait la première, et vous la décidez. Ainsi donc... Mademoiselle de L’Espinasse : D’accord... sans doute, c’est un préliminaire ; mais je voudrais... que vous séparassiez la cause de l’effet. Laissons la vilaine cause de côté. Bordeu : C’est m’ordonner de commencer par la fin ; mais puisque vous le voulez, je vous dirai que, grâce à notre pusillanimité, à nos répugnances, à nos lois, à nos préjugés, il y a très peu d’expériences faites ; qu’on ignore quelles seraient les copulations tout à fait infructueuses ; les cas où l’utile se réunirait à l’agréable ; quelles sortes d’espèces on se pourrait promettre de tentatives variées et suivies ; si les faunes sont réels ou fabuleux ; si l’on ne multiplierait pas en cent façons diverses les races de mulets ; | et si celles que nous connaissons sont vraiment stériles. Mais un fait singulier, qu’une infinité de gens instruits vous attesteront comme vrai, et qui est faux, c’est qu’ils ont vu dans la basse-cour de l’archiduc un infâme lapin qui servait de coq à une vingtaine de poules infâmes qui s’en accommodaient. Ils ajouteront qu’on leur a montré des poulets couverts de poils et provenus de cette bestialité. Croyez qu’on s’est moqué d’eux. Mademoiselle de L’Espinasse : Mais qu’entendez-vous par des tentatives suivies ? Bordeu : J’entends que la circulation des êtres est graduelle ; que les assimilations des êtres veulent être préparées, et que, pour réussir dans | ces sortes d’expériences, il faudrait s’y prendre de loin et travailler d’abord à rapprocher les animaux par un régime analogue. Mademoiselle de L’Espinasse : On réduira difficilement un homme à brouter. Bordeu : Mais non à prendre souvent du lait de chèvre, et l’on amènera facilement la chèvre à se nourrir de pain. J’ai choisi la chèvre par des considérations qui me sont particulières. Mademoiselle de L’Espinasse : Et ces considérations ? Bordeu : Vous êtes bien hardie... C’est que... c’est que nous en tirerions une race vigoureuse, intelligente, infatigable et véloce dont nous ferions d’excellents domestiques. Mademoiselle de L’Espinasse : Fort bien, docteur. Il me semble déjà que je vois derrière la voiture de nos duchesses cinq à six grands insolents chèvre-pieds ; et cela me réjouit.
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tutto s’aggiusta. Si prevedeva che la Corte sarebbe stata messa in subbuglio. Il padrone ha agito da uomo sensato. Omne tulit punctum. Si è tenuto la donna che gli dà piacere e il ministro che gli è utile... 207 Ma voi non mi ascoltate... A che state pensando? Signorina de L’Espinasse: Sto pensando a quelle combinazioni che mi sembrano tutte contro natura. Bordeu: Tutto ciò che è, non può essere né contro natura, né fuori di natura. Non faccio eccezione nemmeno per la castità e la continenza volontarie, che sarebbero i primi crimini contro natura, se si potesse peccare contro natura, e i primi crimini contro le leggi sociali di un paese in cui si pesassero le azioni con una bilancia diversa da quella del fanatismo e del pregiudizio. Signorina de L’Espinasse: Ritorno sui vostri maledetti sillogismi e non ci vedo via di mezzo; bisogna negare tutto o concedere tutto... Ma suvvia, dottore, la cosa più onesta e più breve è saltare il fosso e ritornare alla mia prima domanda: che ne pensate dell’incrocio delle specie? Bordeu: Non c’è nulla da saltare per questo. C’eravamo già. La vostra domanda è di fisica o di morale? Signorina de L’Espinasse: Di fisica, di fisica. Bordeu: Tanto meglio così. La questione di morale aveva la precedenza, e voi la risolvete. Così, dunque... Signorina de L’Espinasse: D’accordo... probabilmente è un preliminare, ma io vorrei... che voi separaste la causa dall’effetto. Lasciamo da parte la causa volgare.208 Bordeu: È come ordinarmi di iniziare dalla fine; ma poiché lo volete, vi dirò che, grazie alla nostra pusillanimità, alle nostre ripugnanze, alle nostre leggi, ai nostri pregiudizi, si sono fatte in materia pochissime esperienze;209 che s’ignora quali sarebbero gli accoppiamenti del tutto infruttuosi; i casi in cui l’utile si potrebbe unire al dilettevole; quali tipi di specie si potrebbe pensare di ottenere da tentativi variati e continuati; se i fauni sono esseri reali o favolosi; se non si possono moltiplicare in cento maniere diverse le razze dei muli;210 e se quelle che conosciamo siano veramente sterili. Ma un fatto singolare che un’infinità di gente colta vi attesterà come vero, ed è falso, è che dicono di aver visto nel cortile dell’Arciduca un infame coniglio che serviva da gallo a una ventina di galline infami che gli si concedevano di buon grado. Aggiungeranno che sono stati mostrati loro dei polli coperti di peli e originati da quella bestialità. Credetemi, ci si è presi gioco di loro.211 Signorina de L’Espinasse: Ma che cosa intendete voi per tentativi continuati? Bordeu: Intendo dire che la circolazione degli esseri è graduale,212 che le loro assimilazioni vogliono essere preparate, e che per riuscire in questo genere di esperienze, bisognerebbe cominciare da lontano e lavorare anzitutto ad avvicinare gli animali con una dieta analoga.213 Signorina de L’Espinasse: Un uomo difficilmente può essere ridotto a brucare l’erba. Bordeu: Ma non a prendere spesso del latte di capra, e s’indurrà facilmente la capra a nutrirsi di pane. Ho scelto la capra per certe mie considerazioni particolari. Signorina de L’Espinasse: E queste considerazioni? Bordeu: Siete molto audace... È che... è che ne trarremmo una razza vigorosa, intelligente, instancabile e veloce, di cui faremmo degli eccellenti domestici.214 Signorina de L’Espinasse: Molto bene, dottore. Mi sembra già di vedere dietro la carrozza delle nostre duchesse cinque o sei grandi insolenti piè-di-capra;215 e la cosa mi rallegra.
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Bordeu : C’est que nous ne dégraderions plus nos frères en les assujettissant à des fonctions indignes d’eux et de nous. Mademoiselle de L’Espinasse : Encore mieux. Bordeu : C’est que nous ne réduirions plus l’homme dans nos colonies, à la condition de la bête de somme. Mademoiselle de L’Espinasse : Vite, vite, docteur ; mettez-vous à la besogne, et faites-nous des chèvre-pieds. Bordeu : Et vous le permettez sans scrupule ? | Mademoiselle de L’Espinasse : Mais arrêtez, il m’en vient un. Vos chèvre-pieds seraient d’effrénés dissolus. Bordeu : Je ne vous les garantis pas bien moraux. Mademoiselle de L’Espinasse : Il n’y aura plus de sûreté pour les femmes honnêtes. Ils multiplieront sans fin. À la longue il faudra les assommer ou leur obéir. Je n’en veux plus, je n’en veux plus. Tenez-vous en repos. Bordeu, en s’en allant. Et la question de leur baptême ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ferait un beau charivari en Sorbonne. Bordeu : Avez-vous vu au Jardin du Roi, sous une cage de verre, cet orang-outan qui a l’air d’un saint Jean qui prêche au désert ? Mademoiselle de L’Espinasse : Oui, je l’ai vu. Bordeu : Le cardinal de Polignac lui disait un jour : Parle, et je te baptise. Mademoiselle de L’Espinasse : Adieu donc, docteur. Ne nous délaissez pas des siècles, comme vous faites. Et pensez quelquefois que je vous aime à la folie. Si l’on savait tout ce que vous m’avez conté d’horreurs ! Bordeu : Je suis bien sûr que vous vous en tairez. Mademoiselle de L’Espinasse : Ne vous y fiez pas, je n’écoute que pour le plaisir de redire. Mais encore un mot, et je n’y reviens de ma vie. | Bordeu : Qu’est-ce ? Mademoiselle de L’Espinasse : Ces goûts abominables, d’où viennent-ils ? Bordeu : Partout d’une pauvreté d’organisation dans les jeunes gens et de la corruption de la tête dans les vieillards. De l’attrait de la beauté dans Athènes ; de la disette des femmes dans Rome ; de la crainte de la vérole à Paris. Adieu. Adieu.
Fin
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Bordeu: Così non degraderemmo più i nostri fratelli, assoggettandoli a funzioni indegne di loro e di noi. Signorina de L’Espinasse: Meglio ancora. Bordeu: Così non ridurremmo più l’uomo alla condizione della bestia da soma, nelle nostre colonie.216 Signorina de L’Espinasse: Presto, dottore, presto, mettetevi all’opera e fabbricateci dei piè-di-capra. Bordeu: E voi lo permettereste senza scrupoli? Signorina de L’Espinasse: Ma fermatevi, mi viene un dubbio; i vostri piè-di-capra sarebbero dei dissoluti sfrenati. Bordeu: Non vi garantisco che saranno molto sensibili alla morale. Signorina de L’Espinasse: Non ci sarà più sicurezza per le donne oneste. Essi si moltiplicheranno senza fine.217 A lungo andare bisognerà o ammazzarli o obbedire a loro. Non ne voglio sapere, non ne voglio proprio sapere. State pure a riposo. Bordeu (andandosene): E il problema del loro battesimo? Signorina de L’Espinasse: Susciterebbe un bel pandemonio in Sorbona.218 Bordeu: Avete visto al Giardino del Re, sotto una gabbia di vetro, quell’orangutan che ha l’aria di un San Giovanni che predica nel deserto? Signorina de L’Espinasse: Sì, l’ho visto. Bordeu: Il Cardinale di Polignac un giorno gli diceva: «Parla e ti battezzo».219 Signorina de L’Espinasse: Addio, dunque, dottore. Non ci abbandonate per secoli, come fate di solito. E pensate ogni tanto che vi amo alla follia. Se si sapessero tutti gli orrori che mi avete raccontato! Bordeu: Sono proprio sicuro che tacerete. Signorina de L’Espinasse: Non vi fidate, io ascolto solo per il piacere di ridire le cose. Ma ancora una parola, e non ci ritorno più sopra in vita mia. Bordeu: Che cosa? Signorina de L’Espinasse: Quei gusti abominevoli, da dove provengono? Bordeu: Ovunque da una povertà di organizzazione nei giovani e dalla corruzione della mente nei vecchi. Dall’attrattiva della bellezza presso gli Ateniesi; dalla carestia di donne a Roma; dalla paura della sifilide220 a Parigi. Addio, addio.
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(1770)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
I Principi filosofici sulla materia e il movimento furono composti da Diderot, come molti altri suoi scritti, in relazione e reazione alla lettura di un testo che, in questo caso, non è ancora stato identificato, ma stando a quanto affermava Naigeon, primo editore di questo scritto, pare si trattasse di una dissertazione pubblicata anonima nel 1770. Nonostante il suo carattere incompleto, in queste note del filosofo si trovano una serie di elementi che ci permettono di seguire l’insieme degli sviluppi delle riflessioni raccolte nei Pensieri sull’interpretazione della natura (1753), il cui apice filosofico-letterario sarà espresso in seguito nel Sogno di D’Alembert (1769) e che saranno ulteriormente approfondite nelle Osservazioni su Hemsterhuis (1773) e negli Elementi di fisiologia (1765-84). In queste opere trova piena espressione il suo monismo materialistico, ma Diderot è cosciente, fin dalla Lettera sui ciechi, di doversi difendere dalle critiche, già espresse da Berkeley sull’esistenza del mondo esterno, e che potevano facilmente essere rivolte al concetto di materia. In quest’opera, dunque, Diderot si sforza di rendere non contraddittoria l’idea di materia, sostenendo la necessaria inerenza del movimento alla materia stessa, tesi tipicamente materialistica che si trova anche nel Trattato sull’anima (1745) di La Mettrie e nel Sistema della natura (1770) di d’Holbach. Per questa ragione Diderot commenta l’autore anonimo dello scritto, mostrando che affermare l’omogeneità della materia significa ignorare la complessità della natura, inoltre, egli critica il tentativo di comprendere la materia facendo riferimento solo ai modelli della matematica e della fisica, come aveva già fatto nei Pensieri sull’interpretazione della natura. Diderot, forte del sapere acquisito seguendo i corsi di chimica tenuti da Guillaume-François Rouelle (1703-1770),1 valorizza le acquisizioni e il metodo di questa scienza nascente e ricorre al suo vocabolario per dare uno statuo scientifico alle analisi qualitative. Inoltre, le conoscenze acquisite seguendo il corso di Rouelle gli permettono di rispondere anche a una serie di domande e problemi scientifici, tra cui quelli già posti dallo stesso filosofo alla fine dei Pensieri sull’interpretazione della natura, che sarebbero state impossibili da risolvere da un punto di vista metafisico. Il processo di astrazione connesso allo studio della natura secondo i modelli della matematica e della fisica era all’origine della concezione della materia come qualche cosa di omogeneo e, soprattutto, come distinta dalle sue molteplici qualità, ma Diderot, che ha ben compreso quanto messo in luce da Berkeley sul processo di costruzione del concetto di materia, e forte delle nuove conoscenze introdotte dalla chimica, conclude a favore della sua eterogeneità. Nei principi qui raccolti egli attribuisce all’anonimo anche un’ignoranza metafisica, poiché non riuscendo a spiegare i fenomeni naturali era ricorso ad astrazioni «da cui non si può concludere nulla», attenendosi in questo una lunga tradizione filosofica avversata da Diderot. Pertanto il filosofo, discostandosi anche dalle posizioni di D’Alembert, accoglie e insiste sull’importanza della nozione di forza e sulla differenza tra forza viva o morta. Quest’ultima distinzione viene da Leibniz e implica il contatto 1
Gli appunti di Diderot sono raccolti nel Cours de chimie de Rouelle, in DPV, Vol. IX.
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diretto tra due corpi, l’azione e la forza invece si esercitano secondo Diderot, contemporaneamente nella molecola e nell’insieme di molecole. Il movimento appartiene alla materia, è una sua qualità e qui è concepito come una forza attiva, da cui il ricorso al termine «nisus» distinto in due accezioni, come forza intrinseca alla materia e dunque inesauribile, e come pressione, tendenza al movimento (il quello stesso periodo anche d’Holbach aveva sviluppato delle riflessioni e distinzioni sul nisus, contenute nel Sistema della natura). Diderot mostra che il concetto di materia ereditato dalla tradizione aristotelica si dimostrava obsoleto, così come lo era la dissociazione tra materia e movimento, ormai superata con Galileo. Anzi, è proprio quest’ultima separazione fittizia che rende poi necessaria l’introduzione del concetto di Dio per spiegare quel rapporto tra materia, azione e movimento astrattamente distinti. Una presa di distanze netta anche da Cartesio secondo cui Dio costituiva la causa efficiente del movimento presente nell’universo, cosicché l’idea di Dio spiegava quella di movimento, altrimenti inspiegabile a causa della distinzione astratta tra materia e movimento. Pur essendo un’opera minore, nei Principi filosofici sulla materia e il movimento emerge chiaramente il continuo passaggio dalla teoria alla prassi, in cui l’esperienza del corpo e dei sensi diviene parte integrante di una filosofia che intende superare i dualismi quali materia/forza, corpo/mente, ecc.
Nota al testo La nostra traduzione si basa sul testo francese stabilito e commentato da Michel Delon, per l’edizione DPV (vol. XVII, pp. 13-21), inoltre è stata di fondamentale riferimento l’edizione a cura di Michel Delon (OP, pp. 445-452). Utile per un confronto sono state le traduzioni italiane di Paolo Rossi contenuta all’interno del volume di Opere filosofiche (Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 238-244), si segnala anche la traduzione curata da Gianfranco Cantelli (Interpretazione della natura e Principi filosofici sulla materia e il movimento, Mondadori, Milano 1995).
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Ritratto di Diderot realizzato da Nicolas Dupin. (fonte: gallica.bnf.fr)
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Principes philosophiques sur la matiere et le mouvement [DPV, XVII, 13-21]
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Je ne sais en quel sens les philosophes ont supposé que la matière était indifférente au mouvement et au repos. Ce qu’il y a de bien certain, c’est que tous les corps gravitent les uns sur les autres, c’est que toutes les particules des corps gravitent les unes sur les autres, c’est que dans cet univers tout est en translation ou in nisu, ou en translation et in nisu à la fois. Cette supposition des philosophes ressemble peut-être à celle des géomètres qui admettent des points sans aucune dimension, des lignes, sans largeur ni profondeur, des surfaces, sans épaisseur, ou peut-être parlent-ils du repos relatif d’une masse à une autre. Tout est dans un repos relatif en un vaisseau battu par la tempête. Rien n’y est en un repos absolu, pas même les molécules agrégatives, ni du vaisseau ni des corps qu’il renferme.
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S’ils ne conçoivent pas plus de tendance au repos qu’au mouvement, dans un corps quelconque, c’est qu’apparemment ils regardent la matière comme homogène ; c’est qu’ils font abstraction de toutes les qualités qui lui sont essentielles ; c’est qu’ils la considèrent comme inaltérable dans l’instant presque indivisible de leur spéculation. C’est qu’ils raisonnent du repos relatif d’un agrégat à un autre agrégat, c’est qu’ils oublient que, tandis qu’ils raisonnent de l’indifférence du corps au mouvement ou au repos, le | bloc de marbre tend à sa dissolution ; c’est qu’ils anéantissent par la pensée et le mouvement général qui anime tous les corps, et leur action particulière des uns sur les autres qui les détruit tous ; c’est que cette indifférence, quoique fausse en ellemême, mais momentanée, ne rendra pas les lois du mouvement erronées. Le corps, selon quelques philosophes, est, pur lui-même, sans action et sans force ; c’est une terrible fausseté, bien contraire à toute bonne physique, à toute bonne chimie; par lui-même, par la nature de ses qualités essentielles, soit qu’on le considère en molécule, soit qu’on le considère en masse, il est plein d’action et de force. Pour vous représenter le mouvement, ajoutent-ils, outre la matière existante, il vous faut imaginer une force qui agisse sur elle. Ce n’est pas cela. La molécule douée d’une qualité propre à sa nature, par elle-même est une force active. Elle s’exerce sur une autre molécule qui s’exerce sur elle. Tous ces paralogismes-là tiennent à la fausse supposition de la matière homogène. Vous qui imaginez si bien la matière en repos; pouvez-vous imaginer le feu en repos ? Tout dans la nature a son action diverse, comme cet amas de molécules que vous appelez le feu. Dans cet amas que vous appelez feu, chaque molécule a sa nature, son action. Voici la vraie différence du repos et du mouvement ; c’est que le repos absolu est un concept abstrait qui n’existe point en nature ; et que le mouvement est une qualité aussi réelle que la longueur, la largeur et la profondeur. Que m’importe ce qui se
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Non so in che senso i filosofi abbiano ipotizzato che la materia fosse indifferente al movimento e alla quiete. Ciò che è assolutamente certo, è che tutti i corpi gravitano gli uni sugli altri; che tutte le particelle dei corpi gravitano le une sulle altre; e che in questo universo tutto è in traslazione o in nisu, o in traslazione e in nisu nel contempo. Quest’ipotesi dei filosofi somiglia forse a quella dei geometri, che ammettono punti privi di dimensione, linee senza larghezza né profondità; superfici senza spessore; o forse parlano della quiete relativa di una massa rispetto a un’altra. Tutto è in quiete relativa in un vascello sferzato dalla tempesta. Nulla vi è quiete assoluta, nemmeno le molecole aggregative, né del vascello né dei corpi in esso contenuti.1 Se di un corpo qualunque non si concepisce la maggiore tendenza alla quiete che al movimento, è perché evidentemente considerano la materia come omogenea; è perché fanno astrazione da tutte le qualità che le sono essenziali; è perché la si considera come inalterabile nell’istante quasi indivisibile della loro speculazione; è perché ragionano sulla quiete relativa di un aggregato rispetto a un altro aggregato; è perché dimenticano che, mentre ragionano sull’indifferenza del corpo al movimento o alla quiete, il blocco di marmo tende alla propria dissoluzione; è perché annientano con il pensiero sia il movimento generale che anima tutti i corpi, sia le azioni specifiche degli uni sugli altri che li distrugge tutti; è perché questa indifferenza, per quanto falsa in se stessa, ma momentanea, non falsificherà le leggi del movimento. Il corpo, secondo alcuni filosofi, è, per se stesso, senza azione e senza forza; è una terribile falsità, completamente contraria alla buona fisica e alla buona chimica; il corpo, sia per se stesso sia per la natura delle sue qualità essenziali, sia che si considerino le molecole sia che se ne consideri la massa, è pieno di azione e di forza. Per rappresentarvi il movimento, aggiungono, oltre alla materia esistente, dovete immaginare necessariamente una forza che agisca su di essa. Non si tratta di ciò, la molecola dotata di una qualità propria alla sua natura, è di per se stessa una forza attiva. Essa si esercita su un’altra molecola che a sua volta si esercita su di essa. Tutti questi paralogismi reggono sulla falsa ipotesi dell’omogeneità della materia. Voi che immaginate così bene la materia in quiete, potete immaginare il fuoco in quiete? Tutto nella natura ha la sua diversa azione, come questo ammasso di molecole che voi chiamate il fuoco. In quell’ammasso che voi definite fuoco ciascuna molecola ha la sua natura, la sua azione. Ecco la vera differenza della quiete e del movimento; la quiete assoluta è un concetto astratto che non esiste in natura, il movimento è una qualità tanto reale quanto la lunghezza, la larghezza e la profondità. Cosa m’importa di quel che succede nella vostra testa? Cosa m’importa che consideriate la materia come omogenea o eteroge-
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passe dans votre tête ? Que m’importe que vous regardiez la matière comme homogène ou comme hétérogène ? Que m’importe que, faisant abstraction de ses qualités, et ne considérant | que son existence, vous la voyiez en repos ? que m’importe qu’en conséquence vous cherchiez une cause qui la meuve ? Vous ferez de la géométrie et de la métaphysique tant qu’il vous plaira. Mais moi qui suis physicien et chimiste ; qui prends les corps dans la nature et non dans ma tête, je les vois existants, divers, revêtus de propriétés et d’actions et s’agitant dans l’univers comme dans le laboratoire où une étincelle ne se trouve point à côté de trois molécules combinées de salpêtre, de charbon et de soufre, sans qu’il s’ensuive une explosion nécessaire. La pesanteur n’est point une tendance au repos, c’est une tendance au mouvement local. Pour que la matière soit mue, dit-on encore, il faut une action, une force ; oui, ou extérieure à la molécule, ou inhérente, essentielle, intime à la molécule, et constituant sa nature de molécule ignée, aqueuse, nitreuse, alcaline, sulfureuse. Quelle que soit cette nature, il s’ensuit force, action d’elle hors d’elle, action des autres molécules sur elle. La force, qui agit sur la molécule, s’épuise. La force intime de la molécule ne s’épuise point. Elle est immuable, éternelle. Ces deux forces peuvent produire deux sortes de nisus ; la première, un nisus qui cesse ; la seconde, un nisus qui ne cesse jamais. Donc il est absurde de dire que la matière a une opposition réelle au mouvement. |
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La quantité de force est constante dans la nature ; mais la somme des nisus et la somme des translations sont variables. Plus la somme des nisus est grande, plus la somme des translations est petite ; et réciproquement plus la somme des translations est grande, plus la somme des nisus est petite. L’incendie d’une ville accroît tout à coup d’une quantité prodigieuse la somme des translations. Un atome remue le monde ; rien n’est plus vrai ; cela l’est autant que l’atome remué par le monde : puisque l’atome a sa force propre, elle ne peut être sans effet. Il ne faut jamais dire, quand on est physicien, le corps comme corps ; car ce n’est plus faire de la physique ; c’est faire des abstractions qui ne mènent à rien. Il ne faut pas confondre l’action avec la masse. Il peut y avoir grande masse et petite action. Il peut y avoir petite masse et grande action. Une molécule d’air fait éclater un bloc d’acier. Quatre grains de poudre suffisent pour diviser un rocher. Oui sans doute, quand on compare un agrégat homogène à un autre agrégat de même matière homogène ; quand on parle de l’action et de la réaction de ces deux agrégats, leurs énergies relatives sont en raison directe des masses. Mais quand il s’agit d’agrégats hétérogènes, ce ne sont plus les mêmes lois. Il y a autant de lois diverses qu’il y a de variétés dans la force propre et intime de chaque molécule élémentaire et constitutive des corps. Le corps résiste au mouvement horizontal. Qu’est-ce que cela signifie ? on sait bien qu’il y a une force générale et commune à toutes les molécules du globe que nous habitons, force qui les presse selon une certaine direction perpendiculaire, ou à peu près,
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nea? Che m’importa che, facendo astrazione dalle sue qualità, e contraddicendo così solo la sua esistenza, voi la vediate in quiete? Che m’importa, che di conseguenza, voi cerchiate una causa che la muova? Occupatevi di geometria e di metafisica finché volete; ma io sono fisico e chimico, considero i corpi come sono in natura e non come sono nella mia testa, li vedo esistenti, diversi, dotati di proprietà e di azioni, e agitarsi nell’universo come in laboratorio dove una scintilla non può trovarsi accanto a tre molecole combinate di salnitro, di carbone e di zolfo, senza che necessariamente si produca un’esplosione.2 La pesantezza non è una tendenza alla quiete, è una tendenza al movimento locale. Affinché la materia sia mossa, si dice ancora, ci vuole un’azione, una forza; sì, o esterna alla molecola, o inerente, essenziale, interiore alla molecola, e costitutiva della sua natura di molecola ignea, acquosa, nitrosa, alcalina, sulfurea: qualunque sia questa natura, ne consegue forza, azione da essa verso l’esterno, delle altre molecole su di essa. La forza che agisce sulla molecola si esaurisce. La forza intima della molecola non si estingue mai. Essa è immutabile, eterna. Queste due forze possono produrre due tipi di nisus; la prima, un nisus, che termina; la seconda un nisus che non termina mai. Dunque è assurdo dire che realmente la materia si oppone al movimento. La quantità di forza è costante in natura; ma la somma dei nisus e la somma delle traslazioni sono variabili. Più la somma dei nisus è grande, più la somma delle traslazioni è piccola. L’incendio di una città accresce improvvisamente di una quantità prodigiosa la somma delle traslazioni. Un atomo muove il mondo; niente di più vero; e lo è tanto più che l’atomo è mosso dal mondo; poiché l’atomo ha la sua forza propria, essa non può essere senza effetto. Quando si è fisici, non si deve mai dire, il corpo in quanto corpo; perché non si fa più fisica, ma delle astrazioni che non conducono a niente. Non bisogna confondere l’azione con la massa. Può esserci una grande massa e una piccola azione. Può esserci una piccola massa e una grande azione. Una molecola d’aria fa scoppiare un blocco d’acciaio. Quattro granelli di polvere sono sufficienti per spezzare una roccia. Sì, senza dubbio, quando si compara un aggregato omogeneo a un altro aggregato della stessa materia omogenea; quando si parla dell’azione e della reazione di questi due aggregati, le loro energie relative sono in ragione diretta rispetto alle masse. Ma quando si tratta di aggregati eterogenei, non valgono più le stesse leggi. Ci sono tante leggi diverse quante sono le varietà nella forza propria e intima di ciascuna molecola elementare e costitutiva dei corpi. Il corpo resiste al movimento orizzontale. Cosa significa questo? Sappiamo bene che c’è una forza generale e comune a tutte le molecole del mondo che abitiamo, forza che le preme in una certa direzione perpendicolare, o quasi, sulla superficie del globo; ma questa forza generale e comune è contrastata da altre centomila. Un
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à la surface du globe ; mais cette force | générale et commune est contrariée par cent mille autres. Un tube de verre échauffé fait voltiger les feuilles de l’or. Un ouragan remplit l’air de poussière ; la chaleur volatilise l’eau, l’eau volatilisée emporte avec elle des molécules de sel ; tandis que cette masse d’airain presse la terre, l’air agit sur elle, met sa première surface en une chaux métallique, commence la destruction de ce corps : ce que je dis des masses doit être entendu des molécules. Toute molécule doit être considérée comme actuellement animée de trois sortes d’actions, l’action de pesanteur ou de gravitation, l’action de sa force intime et propre à sa nature d’eau, de feu, d’air, de soufre ; et l’action de toutes les autres molécules sur elle ; et il peut arriver que ces trois actions soient convergentes ou divergentes. Convergentes, alors la molécule a l’action la plus forte dont elle puisse être douée. Pour se faire une idée de cette action la plus grande possible, il faudrait, pour ainsi dire, faire une foule de suppositions absurdes, placer une molécule dans une situation tout à fait métaphysique. En quel sens peut-on dire qu’un corps résiste d’autant plus au mouvement, que sa masse est plus grande ? ce n’est pas dans le sens que, plus sa masse est grande, plus sa pression contre un obstacle est faible. Il n’y a pas un crocheteur qui ne sache le contraire. C’est seulement relativement à une direction opposée à sa pression. Dans cette direction, il est certain qu’il résiste d’autant plus au mouvement, que sa masse est plus grande. Dans la direction de la pesanteur, il n’est pas moins certain que sa pression ou force, ou tendance au mouvement, s’accroît en raison de sa masse. Qu’est-ce que tout cela signifie donc ? rien. |
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Je ne suis point surpris de voir tomber un corps, pas plus que de voir la flamme s’élever en haut, pas plus que de voir l’eau agir en tout sens et peser eu égard à sa hauteur et à sa base, en sorte qu’avec une médiocre quantité de fluide, je puis faire briser les vases les plus solides ; pas plus que de voir la vapeur en expansion dissoudre les corps les plus durs dans la machine de Papin, élever les plus pesants dans la machine à feu. Mais j’arrête mes yeux sur l’amas général des corps ; je vois tout en action et en réaction ; tout se détruisant sous une forme, tout se recomposant sous une autre ; des sublimations, des dissolutions, des combinaisons de toutes les espèces, phénomènes incompatibles avec l’homogénéité de la matière : d’où je conclus qu’elle est hétérogène ; qu’il existe une infinité d’éléments divers dans la nature ; que chacun de ces éléments, par sa diversité, a sa force particulière, innée, immuable, éternelle, indestructible ; et que ces forces intimes au corps ont leurs actions hors du corps ; d’où naît le mouvement ou plutôt la fermentation générale dans l’univers. Que font les philosophes dont je réfute ici les erreurs et les paralogismes ? Ils s’attachent à une seule et unique force, peut-être commune à toutes les molécules de la matière ; je dis, peut-être ; car je ne serais point surpris qu’il y eût dans la nature telle molécule qui, jointe à une autre, rendît le mixte résultant plus léger. Tous les jours, dans le laboratoire on | volatilise un corps inerte par un corps inerte. Et lorsque ceux qui ne considérant pour toute action dans l’univers que celle de la gravitation, en ont conclu l’indifférence de la matière au repos ou au mouvement, ou plutôt la tendance de la matière au repos, ils croient avoir résolu la question, tandis qu’ils ne l’ont pas seulement effleurée.
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tubo di vetro scaldato fa volteggiare sottili foglie d’oro. Un uragano riempie l’aria di polvere; il calore volatilizza l’acqua, l’acqua volatilizzata porta con sé delle molecole di sale; mentre questa massa di bronzo esercita una pressione sulla terra, l’aria si agita su di essa, mette la sua prima superficie in una specie di calce metallica, comincia la distruzione di questo corpo; quello che dico delle masse vale anche per le molecole. Ogni molecola deve essere considerata come attualmente animata da tre tipi di azioni, l’azione della pesantezza o gravitazione, l’azione della sua forza intima e propria alla sua natura di acqua, di fuoco, di aria, di zolfo; e l’azione di tutte le altre molecole su di essa; e può accadere che tutte queste tre azioni siano convergenti o che siano divergenti. Se sono convergenti, allora la molecola ha l’azione più forte di cui possa essere dotata. Per farsi un’idea più grande possibile di quest’azione, bisognerà, per così dire, fare un sacco di supposizioni assurde, porre una molecola in una condizione completamente metafisica. In che senso possiamo dire che un corpo resiste tanto più al movimento quanto più la sua massa è grande? Non nel senso che quanto più la sua massa è grande tanto più la sua pressione contro un ostacolo è debole: non c’è facchino che non sappia che è vero il contrario. In questa direzione, è certo che resiste tanto più al movimento quanto più è grande la sua massa. Nella direzione della pesantezza, non è meno certo che la sua pressione o forza, o tendenza al movimento si accresca in ragione della sua massa. Cosa significa dunque tutto questo? Niente. Non mi sorprendo per nulla di veder cadere un corpo, non più che vedere la fiamma levarsi in alto, non più che vedere l’acqua agire in ogni senso e pesare in proporzione alla sua altezza e alla sua base, in modo che con una quantità molto piccola di fluido, posso far frantumare i vasi più solidi; vedere il vapore in espansione dissolvere i corpi più duri nella macchina di Papin,3 elevare i corpi più pesanti nella macchina a fuoco.4 Ma mi voglio soffermare sul complesso generale dei corpi; vedo che tutto agisce e reagisce; tutto si distrugge sotto una forma, ricomponendosi sotto un’altra, delle sublimazioni, delle dissoluzioni, delle combinazioni di tutte le specie, fenomeni incompatibili con l’omogeneità della materia: da questo deduco che essa è eterogenea; che esiste un’infinità di elementi diversi in natura; che ciascuno dei suoi elementi per la sua diversità e forza particolare, innata, immutabile, eterna, indistruttibile; e che queste forze interiori al corpo agiscono fuori dal corpo; da ciò nasce il movimento o piuttosto la fermentazione generale nell’universo. Che cosa fanno i filosofi di cui qui refuto gli errori e i paralogismi? Considerano una sola e unica forza, forse comune a tutte le molecole della materia; dico forse; perché non mi sorprenderei se ci fosse in natura, una certa molecola che, unita a un’altra, renda composto risultante più leggero. Ogni giorno in laboratorio si volatilizza un corpo inerte mediante un altro corpo inerte. E poiché coloro che considerano la gravitazione come unica azione nell’universo, ne hanno concluso l’indifferenza della materia in quiete o in movimento, o piuttosto la tendenza della materia alla quiete, credono di aver risolto la questione, ma in realtà l’hanno solamente sfiorata.
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opere filosofiche
Lorsqu’on regarde le corps comme plus ou moins résistant, et cela non comme pesant ou tendant au centre des graves ; on lui reconnaît déjà une force, une action propre et intime ; mais il en a bien d’autres, entre lesquelles les unes s’exercent en tout sens ; et d’autres ont des directions particulières. La supposition d’un être quelconque placé hors de l’univers matériel, est impossible. Il ne faut jamais faire de pareilles suppositions, parce qu’on n’en peut jamais rien inférer. Tout ce qu’on dit de l’impossibilité de l’accroissement du mouvement ou de la vitesse, porte à plomb contre l’hypothèse de la matière homogène. Mais qu’est-ce que cela fait à ceux qui déduisent le mouvement dans la matière, de son hétérogénéité [?] La supposition d’une matière homogène est bien sujette à d’autres absurdités. 20
Si on ne s’obstine pas à considérer les choses dans sa tête, mais dans l’univers, on se convaincra, par la diversité des phénomènes, de la diversité | des matières élémentaires, de la diversité des forces, de la diversité des actions et des réactions, de la nécessité du mouvement ; et, toutes ces vérités admises, on ne dira plus, je vois la matière comme existante ; je la vois d’abord en repos ; car on sentira que c’est faire une abstraction dont on ne peut rien conclure. L’existence n’entraîne ni le repos ni le mouvement ; mais l’existence n’est pas la seule qualité des corps. Tous les physiciens qui supposent la matière indifférente au mouvement et au repos, n’ont pas des idées nettes de la résistance. Pour qu’ils pussent conclure quelque chose de la résistance, il faudrait que cette qualité s’exerçât indistinctement en tout sens, et que son énergie fût la même selon toute direction ; alors ce serait une force intime, telle que celle de toute molécule ; mais cette résistance varie autant qu’il y a de directions dans lesquelles le corps peut être poussé ; elle est plus grande verticalement qu’horizontalement. La différence de la pesanteur et de la force d’inertie ; c’est que la pesanteur ne résiste pas également selon toutes directions ; au lieu que la force d’inertie résiste également, selon toutes directions.
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Et pourquoi la force d’inertie n’opérerait-elle pas l’effet de retenir le corps dans son état de repos et dans son état de mouvement, et cela par la seule notion de résistance proportionnée à la quantité de matière [?] La notion de résistance pure s’applique également au repos et au mouvement ; au repos, quand le corps est en mouvement ; | au mouvement, quand le corps est en repos. Sans cette résistance, il ne pourrait y avoir de choc, avant le mouvement, ni d’arrêt après le choc ; car le corps ne serait rien. Dans l’expérience de la boule suspendue par un fil, la pesanteur est détruite. La boule tire autant le fil, que le fil tire la boule. Donc la résistance du corps vient de la seule force d’inertie. Si le fil tirait plus la boule que la pesanteur, la boule monterait. Si la boule était plus tirée par la pesanteur que par le fil, elle descendrait, Etc., Etc.
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Quando si considera il corpo come più o meno resistente, e non come pesante o tendente al centro di gravità; gli si riconosce già una forza, un’azione propria e intima; ma ne ha ben altre; tra le quali alcune si esercitano in tutti i sensi; e altre che hanno delle direzioni specifiche. L’ipotesi di un essere qualunque posto fuori dall’universo materiale, è impossibile. Non bisogna mai fare simili supposizioni, poiché non se ne può inferire nulla. Tutto ciò che si dice dell’impossibilità di accrescere il movimento o la velocità, è direttamente contrario all’ipotesi della materia omogenea. Ma cosa fa questo argomento a quelli che distruggono il movimento nella materia, della sua eterogeneità? L’ipotesi di una materia omogenea è soggetta ad altre assurdità. Se non ci si ostina a considerare le cose nella propria testa, ma si considerano nell’universo, ci si convincerà per la diversità dei fenomeni, della diversità delle materie elementari, della diversità delle forze, della diversità delle azioni e delle reazioni, della necessità del movimento; e, ammesse tutte queste verità, non si dirà più, considero la materia come esistente; la vedo innanzitutto in quiete; perché ci si accorgerà di fare un’astrazione da cui non si può concludere niente. L’esistenza non implica di per sé né la quiete né il movimento; ma l’esistenza non è la sola qualità dei corpi. Tutti i fisici che ritengono la materia indifferente al movimento e alla quiete, non hanno idee chiare sulla resistenza. Affinché possano concludere qualcosa a proposito della resistenza, bisognerebbe che questa qualità si esercitasse indistintamente in ogni senso, e che la sua energia fosse la stessa in ogni direzione; allora questa sarebbe una forza interna, come quella di ogni molecola; ma questa resistenza varia fintanto che ci sono delle direzioni verso le quali il corpo possa essere spinto; ed è più intensa verticalmente che orizzontalmente. La differenza fra la pesantezza e la forza d’inerzia; è che la pesantezza non resiste ugualmente in tutte le direzioni; mentre la forza d’inerzia resiste egualmente, in tutte le direzioni. E perché la forza d’inerzia non opererebbe l’effetto di mantenere il corpo in stato di quiete o nel suo stato di movimento; e questo grazie alla sola nozione di resistenza proporzionata alla quantità di materia? La nozione di resistenza pura si applica egualmente alla quiete e al movimento; alla quiete, quando il corpo è in movimento; al movimento quando il corpo è in quiete. Senza questa resistenza, non potrebbe esserci urto, prima del movimento; né immobilità dopo l’urto; perché il corpo non sarebbe nulla. Nell’esperienza della sfera sospesa a un filo, la pesantezza è distrutta. La sfera tira il filo tanto quanto il filo tira la sfera. Dunque la resistenza del corpo viene dalla sola forza d’inerzia. Se il filo tirasse la sfera più della sua pesantezza, la sfera salirebbe. Se la sfera fosse tirata più dalla pesantezza che dal filo, discenderebbe. ecc. ecc.
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Confutazione dettagliata dell’opera di Helvétius intitolata «L’uomo» (1773-75)
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Nota introduttiva di Paolo Quintili
La Confutazione dettagliata dell’opera di Helvétius intitolata “L’uomo” (1773), è un’opera postuma di Diderot, fino a oggi inedita in italiano, contemporanea al Sogno di D’Alembert, alle Osservazioni su Hemsterhuis e agli Elementi di fisiologia. Le Osservazioni, gli Elementi e questa Confutazione – trittico legato all’approfondimento dei temi filosofici materialistici esposti nel Sogno – costituiscono un insieme coerente (e inedito) della filosofia del Diderot maturo che s’interroga su due grandi temi: la natura dell’uomo e la politica delle società. Il filosofo era solito, fin dagli anni giovanili, leggere «con la penna in mano» i testi che più lo interessavano, annotando al margine le proprie idee critiche. Come ha ben colto Michel Delon: «Se la filosofia si caratterizza come lo spirito critico, tutto ciò che Diderot ha potuto scrivere ne dipende» (OP, p. IX). Il trittico materialistico postumo è l’espressione più alta e compiuta di questo «spirito critico». Lo spunto per la Réfutation viene dalla pubblicazione, anch’essa postuma, nel 1773, del De l’Homme, de ses facultés intellectuelles, et de son éducation, di ClaudeAdrien Helvétius (1715-1771), che era stato uno dei «militanti» (o «fiancheggiatori dell’Encyclopédie», come ha ben rilevato A. Postigliola1) della ristretta «compagnia di battaglia» del materialismo settecentesco, insieme a La Mettrie e D’Holbach. Diderot aveva già affrontato la lettura dell’altra opera di Helvétius, il De l’Esprit (1758), che costò all’autore una lunga serie di persecuzioni e di censure – non ultima quella che coinvolse nello scandalo anche l’Encyclopédie, nel 1758, causandone il divieto di pubblicazione fino al 1765 – e che Diderot recensì nella Correspondance littéraire di Grimm, in uno scritto breve dal titolo: Réflexions sur le livre “De l’Esprit” par M. Helvétius (1758, DPV, IX, pp. 261-312). Già in questa prima riflessione il filosofo critico individua nella volontà di sistema di Helvétius i punti deboli della sua dottrina, pur condividendone le tesi materialistiche di fondo. Helvétius è esagerato (outré), dogmatico e unilaterale nell’espressione delle proprie tesi, riassumibili in quattro «paradossi» che inficerebbero la tenuta concettuale dell’opera: 1/ riduce tutte le funzioni intellettuali alla sola sensibilità fisica come causa e non come condizione; 2/ Nega l’esistenza di una giustizia o un’ingiustizia assolute, misurando il valore delle azioni umane in base alla sola nozione di «interesse bene inteso»; 3/ dimostra che gli uomini si differenziano tra loro – e mostrano diversi gradi di intelligenza e di talento – solo in base all’educazione; 4/ vede nel piacere fisico il principale oggetto di tutte le passioni umane. Dai contenuti di queste tesi un lettore poco attento potrebbe esclamare: «ma che differenza c’è tra le due filosofie? Anche Diderot afferma il primato della sensibilità, nega l’esistenza del bene e del male assoluti, rivaluta il piacere fisico ecc. sono tesi assai vicine, s’assomigliano come gocce d’acqua». A ben vedere, in effetti, dalle opere che Diderot scriverà dopo il 1758 appare chiaro che le dottrine vitalistiche, trasformistiche e materialistiche espresse dal Sogno di D’Alembert in poi, sono una sorta di corre1 Cfr. C.-A. Helvétius, Dello spirito, a cura di A. Postigliola, Roma, Editori Riuniti, 1994, Introduzione, p. XIII.
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zione o di rettifica critica di quelle espresse da Helvétius nel De l’Esprit. Più tardi, nel giugno 1773, mentre Diderot è in viaggio verso la Russia per recarsi alla corte dell’Imperatrice Caterina II, esce in Olanda, a L’Aia, l’opera postuma dell’amico scomparso pochi anni prima (1771), il De l’Homme, con l’appoggio del principe Galitzin, ambasciatore di Russia e amico comune dei Philosophes, dedicato a Caterina II. Diderot inizia a leggerlo e a commentarlo durante la pausa olandese del viaggio, presso la dimora del principe, anche se ne aveva letto verosimilmente già una bozza manoscritta per il tramite dell’autore.2 È un’altra «recensione» critica per la Correspondance littéraire che diventa un vero e proprio libro-intertesto filosofico, l’ultimo che Diderot redigerà. Il De l’Homme è un’opera ancor più «sistematica» del De l’esprit, il cui disegno si dipana in ben dieci «Sezioni», ripartite in due tomi. Diderot segue passo per passo questo disegno, ne ricava una «confutazione dettagliata» (réfutation suivie: che segue cioè punto per punto l’argomentazione del testo), avanzando le proprie critiche su un duplice piano: 1/ il peso e il valore dell’educazione dell’uomo, rispetto all’organizzazione fisica individuale, nella formazione dei talenti, delle virtù e dei vizi; espresso in termini attuali: il giusto peso da dare ai caratteri acquisiti rispetto ai caratteri ereditari; 2/ Il ruolo della politica e delle istituzioni nel permettere a un numero sempre più grande di uomini di accedere alla conoscenza e al sapere (l’Encyclopédie è, in effetti, anzitutto un’opera di popolarizzazione del sapere), per perfezionare la natura umana e la stessa società: l’impresa della democrazia. Su entrambi i punti, i pareri divergono significativamente, pur nella sostanziale convergenza sulla maggior parte delle tesi (materialistiche) di fondo. Il «paradosso» helvetiano, come lo descrive Diderot, è da prendersi alla lettera nel significato dell’epoca: è una serie di tesi (in sostanza utili e vere), prese, avanzate e proposte contro l’opinione comune – riguardo l’uomo e le sue facoltà – per scalzare i pregiudizi e le idee ricevute, ma utilizzate male, fino a cadere nell’errore. La tesi centrale di Helvétius è espressa nella prima Sezione del De l’Homme, e s’avvicina molto a quella dell’Emilio (1762) di Rousseau: la disuguaglianza tra gli uomini, in termini di spirito e di intelligenza, non si spiega con le loro differenze di organizzazione fisica – né tanto meno con la «nascita», anzi i «nobili natali» legittimano i peggiori privilegi – ma soltanto con l’educazione ricevuta. La prosperità e la saggezza delle nazioni dipende dunque dalla qualità dell’educazione che le istituzioni sono in grado di fornire. Tesi eminentemente democratica, che lo stesso Diderot farà in parte propria nelle Memorie per Caterina II e nel Piano per un’università. Ci sono molte più probabilità – anche statistiche – che un uomo (o più uomini) di genio venga(no) fuori tra diecimila individui che vivono in misere capanne, purché bene educati e istruiti, piuttosto che tra pochi, ricchi individui che vivono in quattro o cinque palazzi principeschi.3 Tesi inespugnabile, dal punto di vista matematico-statistico, Diderot lo sa; fa propria la tesi di Helvétius e la rettifica, con un’attenzione speciale rivolta però alle differenze individuali, «organiche», di attitudini e di capacità. Nella seconda Sezione del De l’Homme, Helvétius passa a spiegare perché l’educazione «può tutto», secondo lui, in termini di sviluppo spirituale: perché tutti gli uomini hanno un’eguale disposizione o «attitudine allo spirito», in quanto tutti dotati delle stesse capacità mentali. Dietro questa convinzione c’è la tesi materialistica: giudicare equivale a sentire, perciò tutti coloro che hanno imparato (cioè, sono stati educati) 2
Come dichiara lo stesso Diderot, infra, p. 643. Cfr. Diderot, Plan d’une université, in OD, a cura di L. Versini, p. 418.
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a esercitare correttamente i propri organi di senso, possono dare prova di spirito. Un Newton poteva nascere anche in una capanna di contadini, a condizione che il figlio del contadino avesse ricevuto esattamente la stessa educazione, la stessa stimolazione intellettuale, la stessa sollecitazione allo spirito matematico ecc. che ricevette Newton. Diderot critica questo indifferenzialismo o aleatorietà dei talenti affidati al «caso» delle circostanze dell’educazione, per sottolineare, dal canto suo, il peso del determinismo organico e biologico che differenzia gli individui. A sostegno della tesi dell’eguale attitudine di base degli uomini allo spirito, nella Sezione III, Helvétius stabilisce che le disuguaglianze osservabili tra gli «spiriti» sono appunto dovute al caso (hasard), cioè alla contingenza delle situazioni storiche e sociali, degli incontri e delle relazioni umane, che fanno nascere idee nuove o grandi scoperte. Questo è il punto che Diderot contesta nel modo più energico, insistendo sulle differenze di «organizzazione naturale», cioè sulle attitudini individuali, proprie e irripetibili di ciascun individuo. E a tal fine riprende, in modo sistematico, l’analogia con il cane come specie. All’interno della specie-cane, esiste una differenziazione naturale di capacità e di attitudini, per cui alcune razze sono adatte alla caccia, altre alla punta, altre ancora alla corsa, altre alla difesa o al fiuto di particolari sostanze ecc. queste diverse famiglie o razze di cani possono certo essere «educate» a migliorare la propria attitudine naturale o a specializzarsi sempre più in essa, ma quest’attitudine l’educazione, da sola, non la può creare. Così per gli uomini: un bambino non è adatto a tutto: la sua organizzazione individuale (i suoi caratteri ereditari) è la fonte di specifiche preferenze o passioni; il bambino ha un carattere che lo determina a essere tale o tale, nei rapporti con i suoi simili ecc. Dunque, come osserva bene B. De Negroni, «l’educazione non modella un essere ex nihilo: deve aiutare il bambino a sviluppare quelle capacità che sono le sue. Ricorrere al caso per dar conto di ciò che non dipende dall’educazione è una spiegazione troppo facile, che trascura le piccole cause (invisibili) che bisognerebbe prendere in considerazione per spiegare un evento» (OP. p. 1261). A questa presunta variabile del «caso», Helvétius dedica anche la Sezione IV: è il «caso» delle differenze di posizione sociale e di ricchezza, condizioni di possibilità perché sorga il desiderio più o meno grande di acquisire conoscenze e perfezionarsi. Questo è un punto sul quale Diderot dà criticamente ragione al suo avversario: nella miseria più nera non c’è, né vi può essere sufficiente spazio per sviluppare lo «spirito». Lo Stato e le istituzioni, se vogliono dunque aumentare la saggezza e la prosperità della nazione, devono diminuire le disuguaglianze sociali e le differenze di censo, per favorire, con l’educazione, la crescita politica della società – in termini di talenti, competenze, acquisizioni tecniche, invenzioni ecc. Diderot incalza Helvétius nei dettagli della formulazione del testo, correggendo le esagerazioni e i giudizi ancora una volta troppo unilaterali: «“L’amore di sé è permanente e inalterabile”. Ma ha in tutti lo stesso vigore? Non varia per niente? Non si modifica in niente? Il solo punto che non contesterei, è che ciascuno si ama tanto quanto a ciascuno è possibile amarsi...» (infra, p. 787). Nella Sezione V Helvétius passa poi a trattare – dopo il leitmotiv della «natura dell’uomo» e del suo spirito – la questione politica delle cause delle disuguaglianze degli spiriti. Il «caso», tanto evocato al riguardo, a ben vedere, è piuttosto un concorso negativo di circostanze contingenti che possono essere mutate, e non una semplice assenza di causa. L’educazione e la politica hanno perciò il compito di produrre tecnicamente le circostanze giuste perché lo spirito nasca nelle persone giuste. Helvétius contesta e denuncia il mito del genio legato alla nascita, che fornisce un eccellente alibi alla pigri-
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zia degli educatori e all’incuria dei legislatori in merito all’educazione e alla formazione. Su questo punto Diderot critica l’incoerenza dell’autore, prendendo silenziosamente partito per Rousseau – contro Helvétius – il quale sostenne, nell’Emilio, che la diversa percezione dei sensi è all’origine dell’ineguale superiorità degli spiriti, per cui alcuni bambini sono più capaci di spirito di altri. Per quanto dura da ingoiare per uno spirito libero e democratico, questa verità dev’essere riconosciuta, osserva Diderot: l’educazione «può molto», nel correggere e migliorare il grado di percezione dei sensi, ma «non può tutto». La sensibilità fisica è la condizione delle azioni, passioni, talenti, caratteri umani, ma non ne è la causa. La Sezione VI del De l’Homme è un altro dei luoghi di convergenza critica tra le vedute dei due filosofi, che si trovano alla fine d’accordo: occorre denunciare e criticare con vigore, se non abbattere, quei sistemi di governo e quelle politiche che non si curano di sviluppare nel popolo le conoscenze e i «lumi», favorendo il persistere dei mali prodotti dall’ignoranza: il fanatismo e la superstizione. Infatti, subito dopo, nella Sezione VII, Helvétius mira a dimostrare che le virtù e la prosperità di un popolo sono effetto della saggezza delle sue leggi civili e non della santità della sua religione, la quale anzi il più delle volte è un fattore di disturbo e di disordine sociale. Qui, e nelle ultime sezioni (VIII-IX: Occorre dunque un buon «piano di legislazione» per l’educazione che permetterebbe a tutti gli uomini, di qualsiasi condizione, di essere felici; X: L’intreccio tra pedagogia e politica culmina nell’analisi delle possibilità offerte da un grande piano di educazione pubblica), l’accordo si fa ancora più stretto e resta poco da «confutare» a Diderot. Il lettore critico deve anzi riconosce all’opera dell’amico Helvétius un grande valore filosofico, una cura ammirevole per la verità dei fatti. Diderot addirittura confessa, a un certo punto, di aver «cambiato parere» sul libro, strada facendo, man mano che procedeva nella lettura: «Lo giudicai troppo severamente dal manoscritto; questo non mi sembrò che una parafrasi alquanto insipida di certe brutte pagine del libro Dello spirito; lo confinai nella classe di quelle opere mediocri l’audacia delle quali ne faceva tutto il merito, e che uscivano dall’oscurità solo grazie alla sentenza del magistrato che le condannava al rogo. Ho cambiato parere; tengo conto, gran conto di questo trattato Dell’uomo. Riconosco tutte le specie di merito di un buon letterato, e tutte le virtù che caratterizzano l’uomo onesto e il buon cittadino» (infra, p. 749). Diderot avanza quest’osservazione già alla fine dell’analisi della Sezione II, sul tema delicato dell’«eguale attitudine degli uomini allo spirito», che si conclude infatti con la rettifica critica generale delle tesi di Helvétius al riguardo. È una lunga serie di «Egli [Helvétius] dice», seguita dall’ingiunzione «Dite piuttosto», che corregge il tiro, senza negare verità alle asserzioni dell’autore: «Egli dice: l’educazione fa tutto. Dite, l’educazione fa molto. Egli dice: l’organizzazione non fa nulla. Dite, l’organizzazione fa meno di quanto si pensi. Egli dice: i nostri dolori e i nostri piaceri si risolvono sempre in dolori e piaceri sensuali. Dite, abbastanza spesso. Egli dice: non c’è alcuna verità che non possa essere messa alla portata di tutti. Dite, ce ne sono poche. Egli dice: tutti coloro che capiscono una verità, avrebbero potuto scoprirla. Dite, alcuni. Egli dice: l’interesse supplisce perfettamente al difetto dell’organizzazione. Dite, più o meno, a seconda del difetto. Egli dice: il caso fa gli uomini di genio. Dite, li colloca nelle circostanze felici...» (ibidem). Ecco dunque «uno strano dialogo» (B. De Negroni) messo in scena in queste pagine tra Helvétius e Diderot, il quale si rivolge personalmente all’amico scomparso che non può rispondergli e dunque il philosophe gli presta la sua voce. Come ha osservato B. De
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Negroni, prende corpo in modo analogo il dialogo tra Locke e Leibniz, nei Nuovi saggi sull’intelletto umano (1765), con una differenza fondamentale. Leibniz trasse spunto dalle tesi lockiane per integrare il discorso empirista all’interno del suo sistema dell’armonia prestabilita: nei Nuovi saggi Leibniz pretese di «elevare» l’empirismo lockiano al grado di una parte (a sé sola insufficiente) del suo universalismo razionalistico, come verità insufficiente. Diderot va invece alla ricerca delle «belle osservazioni» o dei «particolari affascinanti», delle verità eclatanti delle descrizioni helvetiane, denunciandone poi le conseguenze assurde o unilaterali che il suo interlocutore ne trae. Non si tratta quindi di integrare in un sistema «più perfetto» o di elevare a verità più alta delle verità parziali, quanto piuttosto di rilevare la parte di errore sempre contenuto in verità di base e di essere in grado di «alienarsi» nel proprio interlocutore, per capire che in filosofia una tesi non è mai né interamente falsa, né interamente vera. È questa la lezione dialettica4 più preziosa della lettura critica del Diderot maturo,5 in procinto di stendere i suoi Elementi di fisiologia, insieme a un’altra serie di Osservazioni su un libro quasi omonimo, del platonico olandese Franciscus Hemsterhuis, Lettera sull’uomo e i suoi rapporti (1774, infra, p. 903). È un amicale atto di omaggio alla grandezza del compianto autore del De l’Homme, prematuramente scomparso, che aveva sofferto la censura, la persecuzione, l’esilio, in nome della fedeltà più ferma alle proprie idee e a una «verità difficile», sempre in cerca di nuovi fondamenti e di più salda legittimazione.
Nota al testo Esistono diverse versioni della Confutazione, una delle quali è quella diffusa sulla Correspondance littéraire nel 1783, un anno prima della morte di Diderot. I manoscritti validi sono due, come nel caso del Sogno di D’Alembert: il primo è il ms. autografo dell’autore, il secondo è una copia del primo, di mano di Naigeon, molto fedele e soprattutto effettuata prima del lavoro di pesante revisione operata sull’autografo da diversi autori, Girbal e Meister soprattutto, in vista della pubblicazione nella Correspondance. Il manoscritto autografo, conservato nel Fonds Vandeul della BNF, presenta dunque diverse difficoltà di lettura, dovute al cattivo stato della carta e al gran numero di interventi correttivi che spesso inficiano il (buon) senso e la radicalità del testo. Perciò piuttosto che l’edizione DPV (XXIV), a cura di Roland Desné, basata sul ms. autografo corretto, abbiamo preferito seguire l’edizione di Barbara De Negroni (OP) basata sulla copia di Naigeon, integrata con le varianti dell’autografo e con i rinvii al testo di Helvétius a piè di pagina, per una migliore intelligibilità dell’opera: un capolavoro d’intertestualità filosofica e di dialogo a distanza, nel tempo e nelle idee. La Prima Parte del tomo I, fino alla Sezione II, è stata tradotta dallo scrivente. Dalla Sezione III del tomo I, alla fine, la traduzione è opera del Dott. Matteo Marcheschi.
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Cfr. P. Quintili, La pensée critique de Diderot cit., p. 338. Osserva B. De Negroni: «Diderot sa “alienarsi: talento senza il quale non si fa nulla che abbia valore” (Lettera di Diderot a Madame Riccoboni, del 27 novembre 1758; C.F.L. to. III, p. 679): la grandezza della Confutazione di Helvétius risiede nella sua capacità di entrare nella logica di Helvétius, di farlo parlare, immaginare le sue reazioni, pur continuando a riconoscere un’alterità. Nella brutta testa del Nipote di Rameau, un bel po’ di idee giuste erano mescolate a idee stravaganti: sarebbe una lettura riduttrice del testo, per non dire un controsenso, di vedere nel personaggio del Lui solo una figura di contrasto» [OP, p. 1263]. 5
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R éfutation suivie de l’ouvrage d’Helvétius intitulé L’homme [OP, 455-639]
Tome I
455
PRÉFACE
P. III. « Si j’eusse donné ce livre de mon vivant etc. On verra dans la suite combien cet aveu est contraire aux principes de l’auteur. Et pourquoi l’aurait-il donc donné ? A
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P. IX.B « La conquête est le seul remède à ses malheurs etc. » L’expérience actuelle prouve le contraire. Que les honnêtes gens qui occupent à présent les premières places de l’État les conservent seulement pendant dix ans, et tous nos malheurs seront réparés. Le rétablissement de l’ancienne magistrature a ramené le temps de la liberté. Nous avons vu longtemps les bras de l’homme lutter contre les bras de la nature ; mais les bras de l’homme se lassent, et les bras de la nature ne se lassent point. Un royaume tel que celui-ci, se compare fort bien à une énorme cloche mise en volée. Une longue suite d’enfants imbéciles s’attachent à la corde, et font tous leurs efforts pour arrêter la cloche dont ils diminuent successivement | les oscillations ; mais il survient tôt ou tard un bras vigoureux qui lui restitue tout son mouvement. Sous quelque gouvernement que ce soit, la nature a posé des limites au malheur des peuples. Au-delà de ces limites, c’est ou la mort, ou la fuite, ou la révolte. Il faut rendre à la terre une portion de la richesse qu’on en obtient ; il faut que l’agriculteur et le propriétaire vivent. Cet ordre des choses est éternel, le despote le plus inepte et le plus féroce ne saurait l’enfreindre. J’écrivais avant la mort de Louis XV : Cette préface est hardie : l’auteur y prononce sans ménagement que nos maux sont incurables. Et je serais de son avis, si le monarque régnant avait été jeune. On demandait un jour comment on rendait les mœurs à un peuple corrompu. Je répondis, Comme Médée rendit la jeunesse à son père, en le dépeçant et le faisant bouillir. Alors, cette réponse n’aurait pas été très déplacée. CHAPITRE 1.
P. 3. « J’ai regardé l’esprit, le génie et la vertu comme le produit de l’instruction ». A
« Mes intentions ne peuvent être suspectes. Si j’eusse donné ce livre de mon vivant, je me serais exposé à la persécution, et n’aurais accumulé sur moi ni richesses, ni dignités nouvelles » B « [La nation française] est aujourd’hui le mépris de l’Europe. Nulle crise salutaire ne lui rendra sa liberté ; c’est par la consomption qu’elle périra. La conquête est le seul remède à ses malheurs ; et c’est le hasard et les circonstances qui décident de l’efficacité d’un tel remède ».
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Tomo I PREFAZIONE
P. III. «Se avessi dato questo libro alle stampe quando ero ancora vivo ecc.» Si vedrà in seguito quanto questa confessione è contraria ai principi dell’autore. E perché dunque l’avrebbe dato alle stampe questo libro? A
P. IX.B «La conquista è il solo rimedio alle sue sventure, ecc.» L’esperienza attuale prova il contrario. Facciamo in modo che la gente onesta, che occupa attualmente i primi posti dello Stato,2 li conservi per dieci anni soltanto; tutte le nostre disgrazie saranno riparate. La restaurazione dell’antica magistratura ha riportato il tempo della libertà.3 A lungo abbiamo visto le braccia dell’uomo lottare contro le braccia della natura. Ma le braccia dell’uomo si stancano, mentre le braccia della natura non si stancano mai. Un regno come questo può essere paragonato molto bene a un’enorme campana messa in sospensione. Una lunga serie di bambini imbecilli s’attaccano alla corda e fanno tutti i loro sforzi per fermare la campana, di cui diminuiscono in successione le oscillazioni; ma prima o poi sopraggiunge un nuovo braccio vigoroso che le restituisce tutto il suo movimento. Sotto qualsivoglia governo, la natura ha posto limiti alle disgrazie del popolo. Al di là di questi limiti c’è la morte o la fuga o la rivolta. Bisogna restituire alla terra una porzione della ricchezza che se ne ottiene. Bisogna che l’agricoltore e il proprietario vivano. Quest’ordine di cose è eterno. Il despota più inetto e più feroce non riuscirebbe a infrangerlo. Scrivevo questo prima della morte di Luigi XV:4 Questa prefazione è audace. L’autore vi si pronuncia senza mezzi termini sul fatto che i nostri mali sono incurabili; io sarei del suo avviso, se il monarca regnante fosse giovane. Un giorno si domandava come restituire buoni costumi a un popolo corrotto. Io risposi, come Medea restituì la giovinezza a suo padre; facendolo a pezzi e mettendolo a bollire.5 Questa risposta allora non sarebbe stata fuori luogo. CAPITOLO I
P. 3. «Ho considerato lo spirito, il genio e la virtù come il prodotto dell’istruzione...» A «Le mie intenzioni non possono essere sospette. Se avessi dato questo libro alle stampe quando ero ancora vivo, mi sarei esposto alla persecuzione E non avrei accumulato su di me né ricchezze, né nuove dignità». B «[La nazione francese] è oggi disprezzata in Europa. Nessuna crisi salutare le restituirà la sua libertà; essa perirà di consunzione. La conquista è il solo rimedio alle sue sventure; e il caso e le circostanze decideranno dell’efficacia di un tale rimedio».
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– Seule ? – « Cette idée me paraît toujours vraieA ». – Elle est fausse, et c’est par cette raison qu’elle ne sera jamais assez prouvée. – « On m’a accordé que l’éducation avait sur le génie, sur le caractère des hommes et des peuples plus d’influence qu’on ne l’aurait cru ». – Et c’est tout ce qu’on pouvait vous accorder.
Section I
457
L’auteur emploie les quinze chapitres qui forment cette section à établir son paradoxe favori, que « l’éducation seule fait toute la différence entre des individus à peu près bien organisésB », condition dans laquelle il ne fait entrer ni la force, ni la faiblesse, ni la santé, ni la maladie, ni aucune de ces qualités physiques ou morales qui diversifient les tempéraments et les caractères. | P. 8. « Si l’organisation nous fait presque entier ce que nous sommes, à quel titre reprocher au maître l’ignorance et la stupidité de ses élèves ? ». Je ne connais pas de système plus consolant pour les parents et plus encourageant pour les maîtres. Voilà son avantage. Mais je n’en connais pas de plus désolant pour les enfants qu’on croit également propres à tout ; de plus capable de remplir les conditions de la société d’hommes médiocres, et d’égarer le génie, qui ne fait bien qu’une chose ; ni de plus dangereux par l’opiniâtreté qu’il doit inspirer à des supérieurs qui, après avoir appliqué longtemps et sans fruit une classe d’élèves à des objets pour lesquels ils n’avaient aucune disposition naturelle, les rejetteront dans le monde où ils ne seront plus bons à rien. On ne donne pas du nez à un lévrier, on ne donne pas la vitesse du lévrier à un chien couchant ; vous aurez beau faire, celui-ci gardera son nez, et celui-là gardera ses jambes. CHAPITRE 3.
P. 10. « L’homme naît ignorant, il ne naît point sot ; et ce n’est pas même sans peine qu’il le devient ». C’est presque le contraire qu’il fallait dire. L’homme naît toujours ignorant, très souvent sot ; et quand il ne l’est pas, rien de plus aisé que de le rendre tel, ni malheureusement de plus conforme à l’expérience. La stupidité et le génie occupent les deux extrémités de l’échelle de l’esprit humain. Il est impossible de déplacer la stupidité ; il est facile de déplacer le génie. P. 12. « En fait de stupidité il en est de deux sortes : l’une naturelle, l’autre acquise ». Je voudrais bien savoir comment on vient à bout de la stupidité naturelle. Tous les hommes sont classés entre la plus grande pénétration possible et la stupidité la plus complète : entre M. d’Alembert et M. d’Outrelot. Et en dépit de toute institution, chacun reste à peu près sur son échelon. Qu’il me soit permis de tâter un homme, et bientôt je discernerai ce qu’il tient de l’application et ce qu’il tient de la nature. Celui qui n’a pas ce tact, prendra souvent l’instrument pour l’ouvrage, et l’ouvrage pour l’instrument. | A
[« Cette idée présentée dans le livre de l’Esprit me paraît toujours vraie. »] [« Si je démontrais que l’homme n’est vraiment que le produit de son éducation, j’aurais sans doute révélé une grande vérité aux nations » (p. 5).] B
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Solo? – «Quest’idea mi sembra sempre vera».A – È falsa, ed è per questa ragione che non sarà mai provata abbastanza. – «Mi si è accordato il fatto che l’educazione aveva più influenza sul genio, sul carattere degli uomini, di quanto non si fosse creduto.» – Ed era tutto quello che vi si poteva accordare.
Sezione I L’autore impiega i quindici capitoli che formano questa sezione a stabilire il suo paradosso favorito, che «la sola educazione fa tutta la differenza tra gli individui organizzati più o meno bene»,B condizione nella quale non fa rientrare né la forza, né la debolezza, né la salute, né la malattia, né alcun’altra di quelle qualità fisiche o morali che differenziano i temperamenti e i caratteri. P. 8. «Se l’organizzazione ci fa quasi per intero quello che siamo, con quale diritto, a che titolo rimproverare al maestro l’ignoranza e la stupidità dei suoi allievi?» Io non conosco sistema più consolante per i genitori e più incoraggiante per i maestri. Ecco il suo vantaggio. Ma non ne conosco di più desolante per i figli, che si crede siano ugualmente adatti a tutto; più capace di riempire le classi della società di uomini mediocri e di sviare il genio che fa bene una cosa sola, né di più pericolosi, per la testardaggine che deve ispirare a dei superiori i quali, dopo aver applicato a lungo e senza profitto una classe di allievi a oggetti per i quali non avevano alcuna disposizione naturale, li rigetterà nel mondo dove non saranno più buoni a nulla. Non si mena per il naso un levriero; e non si dà la velocità del levriero a un cane da caccia. Avrete un bel da fare, questo conserverà il proprio naso e quell’altro conserverà le proprie gambe. CAPITOLO 3
P. 10. «L’uomo nasce ignorante, non nasce affatto sciocco; e neppure lo diventa senza un certo sforzo». È quasi il contrario che bisognava dire. L’uomo nasce sempre ignorante; molto spesso sciocco; e quando non lo è, non c’è niente di più facile del renderlo tale, né sfortunatamente di più conforme all’esperienza. La stupidità e il genio occupano le due estremità della scala dello spirito umano. È impossibile spostare la stupidità. È facile spostare il genio. P. 12. «In fatto di stupidità, ce ne sono di due tipi: una naturale; l’altra acquisita». Vorrei proprio sapere come si viene a capo della stupidità naturale. Tutti gli uomini sono classificati in una scala che va dalla più grande penetrazione possibile alla stupidità completa: tra il signor D’Alembert e il signor d’Outrelot.6 E a dispetto di ogni istituzione, ciascuno resta all’incirca sul suo scalino. Che mi sia permesso di saggiare un uomo, e subito discernerò ciò che gli viene dall’applicazione e ciò che gli viene dalla natura. Chi non ha questo tatto, prenderà spesso lo strumento per l’opera, e l’opera per lo strumento. A
[«Quest’idea presentata nel libro Dello Spirito mi sembra sempre vera»]. [«Se dimostrassi che l’uomo non è veramente altro che il prodotto della sua educazione, avrei senza dubbio rivelato una grande verità alle nazioni» (p. 5)]. B
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Il y a entre chaque échelon un petit degré impossible à franchir, et pour pallier l’inégalité naturelle, il faut un travail opiniâtre d’un côté, et une négligence presque aussi continue de l’autre. L’homme que la nature a placé sur son échelon s’y tient ferme et sans effort. L’homme qui s’est élancé sur un échelon supérieur à celui qu’il tenait de la nature, y chancelle, y est toujours mal à son aise ; il médite profondément le problème que l’autre résout tandis qu’on lui attache des papillottes. IciA l’auteur confond la stupidité avec l’ignorance. P. 13.B « Il ne s’élève plus jusqu’à la vérité ; il a perdu la tendance qui le portait vers elle » Et cette tendance naturelle ou acquise est la même dans tous ? « L’homme qui ne sait rien peut apprendre ; il ne s’agit que d’en allumer en lui le désir ». Et ce désir, tous en sont également susceptibles ? P. 15. « Que fait un instituteur ? Que désire-t-il ? D’éjointer les ailes du génie ». Il y a donc du génie antérieur à l’institution.
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P. 16. « Les Anciens conserveront sur les modernes tant en morale qu’en politique et en législation, une supériorité qu’ils devront non à l’organisation, mais à l’institution ». Et qu’est-ce que cela prouve ? – Qu’une nation diffère peu d’une autre nation. – Qui vous le nie ? – Que les Français, élevés comme les Romains, auraient aussi leur César, leur Scipion, leur Pompée, leur Cicéron. – Pourquoi non ? Donc chez quelque nation que ce fût, la bonne éducation ferait un grand homme, un Annibal, un Alexandre, un Achille, d’un Thersite, d’un individu quelconque ! Persuadez cela à qui vous voudrez, mais non pas à moi. Pourquoi ces noms illustres sont-ils si rares chez ces nations même où tous les citoyens recevaient l’éducation que vous préconisez. Monsieur Helvétius, une petite question ? | Voilà cinq cents enfants qui viennent de naître ; on va vous les abandonner pour être élevés à votre discrétion ; dites-moi combien nous rendrez-vous d’hommes de génie ? Pourquoi pas cinq cents ? Pressez bien toutes vos réponses, et vous trouverez qu’en dernière analyse elles se résoudront dans la différence d’organisation, source primitive de la paresse, de la légèreté, de l’entêtement et des autres vices ou passions. [SECTION I CHAPITRE 2]
P. 24. « Les vrais précepteurs de notre enfance sont les objets qui nous environnent ». – Il est vrai : mais comment nous instruisent-ils ? – Par la sensation. – Or est-il possible que l’organisation étant différente, la sensation soit la même ? Telle est sa diversité, que si chaque individu pouvait se créer une langue analogue à ce qu’il est, il y aurait autant de langues que d’individus ; un homme ne dirait ni bonA [« En fait de stupidité, je l’ai déjà dit, il en est de deux sortes ; l’une naturelle, l’autre acquise ; l’une est l’effet de l’ignorance, l’autre celui de l’instruction » (p. 12)]. B « L’esprit s’est-il chargé du poids d’une savante ignorance ; il ne s’élève plus... »
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Tra ogni scalino c’è un piccolo intervallo impossibile da superare; e per mitigare l’ineguaglianza naturale, occorre un lavoro ostinato da un lato, e una negligenza quasi altrettanto continua dall’altro. L’uomo che la natura ha collocato sul suo scalino, vi si tiene fermo e senza sforzo. L’uomo che s’è innalzato a uno scalino superiore a quello che dipendeva dalla natura, vi barcolla ed è sempre a disagio. Medita profondamente il problema, che l’altro risolve mentre gli attaccano i bigodini. QuiA l’autore confonde la stupidità con l’ignoranza. P. 13.B «Non s’innalza più fino alla verità; ha perso la tendenza che lo portava verso di essa». E questa tendenza, naturale o acquisita, è la stessa in tutti? «L’uomo che non sa nulla può apprendere; si tratta solo di accendere lui il desiderio.» E di questo desiderio, tutti ne sono suscettibili? P. 15. «Che cosa fa un istitutore? Che cosa desidera? Tarpare le ali del genio». Esiste dunque del genio precedente l’istituzione. P. 16. «Gli Antichi conserveranno sui Moderni, sia in morale che in politica e nella legislazione, una superiorità che dovranno non all’organizzazione, ma all’istituzione». E questo che cosa prova? – Che una nazione differisce poco da un’altra nazione – E chi ve lo nega? – Che i Francesi, allevati come i Romani, avrebbero anche loro il loro Cesare, il loro Scipione, il loro Pompeo, il loro Cicerone? – Perché no? – Dunque in una nazione qualsiasi, la buona educazione farebbe un grande uomo, un Annibale, un Alessandro, un Achille, da un Tersite,7 da un individuo qualunque! Convincete di questo chiunque vorrete; ma non me. Perché quei nomi illustri sono così rari, presso quelle stesse nazioni in cui tutti i cittadini ricevessero l’educazione che voi raccomandate? Signor Helvétius, una piccola domanda? Eccovi 500 bambini che sono appena nati. Vengono affidati a voi per essere allevati a vostra discrezione. Ditemi, quanti uomini di genio ci restituireste? Perché non 500? Pesate bene le vostre risposte: e troverete che in ultima analisi, esse si risolveranno nella differenza di organizzazione, fonte primitiva della pigrizia, della leggerezza, della testardaggine e degli altri vizi o passioni. [SEZIONE I CAPITOLO 2]
P. 24. «I veri precettori della nostra infanzia sono gli oggetti che ci circondano.» – È vero. Ma come ci istruiscono? – Con la sensazione.8 – Ora è possibile che essendo diversa l’organizzazione, la sensazione sia la stessa? La sua diversità è tale che se ciascun individuo potesse crearsi una lingua analoga a ciò che egli è, ci sarebbero altrettante lingue quanti sono gli individui; un uomo non A [In fatto di stupidità, l’ho già detto, ce ne sono di due specie: una naturale, l’altra acquisita; una è l’effetto dell’ignoranza, l’altra effetto dell’istruzione» (p. 12)]. B «Lo spirito s’è fatto carico del peso di una dotta ignoranza; non s’innalza più...».
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jour, ni adieu comme un autre. – Mais il n’y aurait donc plus ni vrai, ni bon, ni beau ? – Je ne le pense pas ; la variété de ces idiomes ne suffirait pas pour altérer ces idées. [CHAPITRE 3]
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P. 26. « Plus les chutes sont douloureuses, plus elles sont instructives ». – J’en conviens. Mais y a-t-il deux enfants au monde pour qui la même chute fût également douloureuse, en général, pour qui une sensation quelconque puisse être identique ? Voilà donc une première barrière insurmontable entre leurs progrès ? et cette, barrière où est-elle placée ? Dans l’organisation. L’un reste étendu sur la place et s’écrie : Je suis mort. L’autre se relève sans mot dire, se secoue, et s’en va. Il y a certaines actions de l’enfance où toute la destinée d’un homme est écrite. Alcibiade et Caton ont répété toute leur vie deux mots de leurs premières années : Gare | toi-même... Lâche... Si Helvétius eût bien pesé ces expressions de caractère, antérieures à toute éducation, de l’âge de la jaquette et des osselets, il eût senti que c’est la nature qui fait ces enfants-là, et non la leçon. L’art de convertir le plomb en or est une alchimie moins ridicule que celle de faire un Régulus du premier venu. Toutes ces lignes-là de l’auteur ne sont que de la poudre de projection. P. 29. – Deux frères voyagent, l’un à travers des montagnes escarpées, l’autre par des vallons fleuris. À leur retour, ils s’entretiennent de ce qu’ils ont vu, et il se fait entre eux un échange de sensations. L’image de l’horreur de la nature passe de la tête de l’un dans le cerveau de l’autre ; et le premier s’enivre de la peinture de ses charmes. L’un veut aller frémir à son tour à l’aspect des abîmes, au fracas des torrents : l’autre se coucher mollement sur l’herbe tendre et s’endormir au murmure des ruisseaux.A C’est que l’un est brave, et que son frère est voluptueux. N’allez pas contrarier ces penchants naturels, vous n’en feriez que deux sujets médiocres. CHAPITRE 4
P. 32. « On enferme un enfant dans une chambre, il y est seul ; il voit des fleurs, il les considère », j’y consens. Mais un autre enfant diversement né, ou s’endormira s’il est lâche, ou grommellera entre ses dents des mots injurieux contré son père ou son instituteur, s’il est vindicatif. Lâche ou vindicatif, il ne saura pas seulement s’il y avait à côté de lui un pot de fleurs. CHAPITRE 5 461
Page 35. « Des idées dépendantes du caractère ! » Mon | sieur Helvétius, vous écoutez-vous ? et le caractère n’est-il pas un effet de l’organisation ? B
A [« Ces deux frères auront dans le même voyage vu des tableaux, reçu des impressions très différentes. Or mille hasards de cette espèce peuvent produire les mêmes effets. Notre vie n’est, pour ainsi dire, qu’un long tissu d’accidents pareils. Qu’on ne se flatte donc jamais de pouvoir donner précisément les mêmes instructions à deux enfants » (p. 30).] B [« Or à cette âge (sept ou huit ans) ils (les enfants qui entrent au collège) ont déjà chargé leur mémoire d’idées, qui dues en partie au hasard, en partie acquises dans la maison paternelle,
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direbbe né buongiorno, né addio, come un altro. – Ma dunque non vi sarebbero più né vero, né buono, né bello. – Io non lo penso. La varietà di questi idiomi non basterebbe ad alterare quelle idee. [CAPITOLO 3]
P. 26: «Più le cadute sono dolorose; più sono istruttive». – Ne convengo. Ma ci sono forse due bambini al mondo per i quali la stessa caduta sarebbe ugualmente dolorosa in generale, per i quali una sensazione qualsiasi possa essere identica? Ecco dunque una prima barriera insormontabile tra i loro progressi? E questa barriera dov’è posta? Nell’organizzazione. L’uno resta steso a terra sul posto ed esclama: “Sono morto”. L’altro si rialza senza dire una parola, si scuote e se ne va. Ci sono certe azioni dell’infanzia in cui è scritto tutto il destino di un uomo. Alcibiade e Catone hanno ripetuto, per tutta la vita, due parole dei loro primi anni... Sistema il tuo carro... Codardo...9 Se Helvétius avesse ben pesato quelle espressioni di carattere, anteriori a ogni educazione, proprie dell’età della giacchetta e degli astragali, avrebbe sentito che è la natura a fare quei bambini, e non la lezione. L’arte di convertire il piombo in oro, è un’alchimia meno ridicola di quella di fare del primo venuto un Regolo.10 Tutte quelle proposizioni dell’autore non sono altro che polvere da proiezione.11 P 29. Due fratelli viaggiano, l’uno attraverso montagne scoscese, l’altro per valli fiorite. Al loro ritorno, conversano su ciò che hanno visto, e si compie tra loro uno scambio di sensazioni. L’immagine dell’orrore della natura passa dalla testa dell’uno nel cervello dell’altro; e il primo s’inebria della pittura delle sue attrattive. L’uno vuole poter fremere a sua volta dinanzi all’aspetto degli abissi, al frastuono dei torrenti: l’altro, vorrebbe coricarsi mollemente sull’erba tenera e addormentarsi al mormorio dei ruscelli.A Il fatto è che l’uno è coraggioso e suo fratello è voluttuoso. Non cercate di contrastare quelle disposizioni naturali; non ne fareste che due individui mediocri. [CAPITOLO 4]
P. 32. «Un bambino viene rinchiuso in una camera, da solo; vede dei fiori; li prende in considerazione», sono d’accordo. Ma un altro bambino diversamente nato, o si addormenterà, se è codardo; o borbotterà tra i denti delle parole ingiuriose nei confronti di suo padre o del suo istitutore, se è vendicativo. Codardo o vendicativo, non lo saprà soltanto se c’era accanto a lui un vaso di fiori. [CAPITOLO 5]
P. 35. «Delle idee dipendenti dal carattere!» Signor Helvétius, vi ascoltate voi? E il carattere non è un effetto dell’organizzazione? B
A [«Quei due fratelli, nello stesso viaggio, avevano visto dei quadri, ricevuto delle impressioni, molto diverse. Pertanto 1000 casi di questa specie possono produrre gli stessi effetti. La nostra vita non è altro, per così dire, che un lungo tessuto di incidenti simili. Non ci si vanti dunque mai di poter dare precisamente le stesse istruzioni a due bambini» (p. 30)]. B [«Ora, a quest’età [sette o otto anni] loro [i bambini che entrano in collegio] hanno la memoria già carica di idee le quali – dovute in parte al caso, in parte acquisite nella casa paterna –
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CHAPITRE 6
P. 37.A « La différence de l’âge est la seule qui paraisse. Veut-on la rendre nulle ? Soit. Mais leur nourrice aura-t-elle été la même ?... Qu’importe ?... il importe beaucoup » Non, monsieur Helvétius, non, il n’importe rien, puisque, selon vous, l’éducation répare tout. Tâchez donc de vous entendre. Vous raisonneriez juste, si vous conveniez que la diversité de la première nourriture affectant l’organisation, le mal est sans remède ; mais ce n’est pas là votre avis. P. 38. « Dans la carrière des sciences et des arts que tous deux parcouraient d’abord d’un pas égal, si le premier est arrêté par quelque maladie, s’il laisse prendre au second trop d’avance sur lui l’étude lui devient odieuse ». Si le premier est arrêté par quelque maladie ? Et en est-il une plus constante, plus incurable que la faiblesse ou quelque autre vice d’organisation ? S’il laisse prendre trop d’avance ? Et n’y a-t-il pas des enfants naturellement avancés ou retardés ? Et rien n’est-il plus décourageant pour un enfant que de suppléer par le travail à la facilité qui lui manque ? et n’est-ce pas alors que le châtiment est injuste, et souvent même impuissant ?
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P. 39. « C’est l’émulation qui crée les génies, et c’est le désir de s’illustrer qui crée les talents ». Mon cher philosophe, ne dites pas cela. Mais dites que ce sont les causes qui les font éclore, et personne ne vous contredira. | L’émulation et le désir ne mettent pas le génie où il n’est pas. Il y a mille choses que je trouve tellement au-dessus de mes forces, que l’espérance d’un trône, le désir même de sauver ma vie ne me les feraient pas tenter ; et ce que je dis dans ce moment, il n’y a pas un seul instant de mon existence où je ne l’aie senti et pensé. [CHAPITRE 7]
P. 44. « Le hasard a la plus grande part à la formation du caractère ». Mais à trois ans un enfant est sournois, triste ou gai, vif ou lent ; têtu, impatient, colère, etc. ; et dans le reste de sa vie, le hasard se présenterait sans cesse avec une fourche, qu’il repousserait la nature sans la réformer : Naturam expellas furca, tamen usque recurret. P. 45. « Les caractères les plus tranchés sont quelquefois le produit d’une infinité de petits accidents ».
sont dépendantes de l’état, du caractère, de la fortune et des richesses de leurs parents. Faut-il donc s’étonner si les enfants entrés au collège avec des idées souvent si différentes, montrent plus ou moins d’ardeur pour l’étude [...] ? »] A « Deux frères élevés chez leurs parents ont le même précepteur, ont à peu près les mêmes objets sous les yeux, ils lisent les mêmes livres. La différence de l’âge est la seule qui paraisse devoir en mettre dans leur instruction. Veut-on la rendre nulle ? suppose-t-on à cet effet deux frères jumeaux ? Soit. Mais auront-ils eu la même nourrice ? Qu’importe ? il importe beaucoup, comment douter de l’influence du caractère de la nourrice sur celui du nourrisson ? »
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[CAPITOLO 6]
P. 37.A «La differenza d’età è la sola che appaia. La si vuol rendere nulla? E sia. Ma la loro nutrice sarà stata la stessa?... Che importa?... importa molto». No, signor Helvétius, no, non importa nulla, perché secondo voi, l’educazione ripara tutto. Cercate dunque di essere coerente. Ragionereste giusto se foste d’accordo sul fatto che la diversità del primo nutrimento, che colpisce l’organizzazione, rende il male senza rimedio; ma non è questo il vostro parere. P. 38. «Nella carriera delle scienze e delle arti, che entrambi percorrevano a passo uguale, se il primo viene fermato da una qualche malattia, se lascia prendere al secondo troppo distacco su di lui, lo studio gli diventa odioso». Se il primo è fermato da qualche malattia; e ce n’è una più costante, più incurabile della debolezza o di qualche altro vizio d’organizzazione? Se lascia prendere troppo distacco; e non ci sono forse bambini naturalmente in anticipo o in ritardo? E niente è più scoraggiante, per un bambino, di supplire con il lavoro, alla facilità che gli manca; e non è allora che il castigo è ingiusto, e spesso persino impotente? P. 39. «È l’emulazione a creare i geni; ed è il desiderio di diventare famosi a creare i talenti.» Mio caro filosofo, non dite questo. Ma dite che quelle sono le cause che li fanno fiorire, e nessuno vi contraddirà. L’emulazione e il desiderio non mettono il genio laddove non c’è. Ci sono mille cose che io trovo talmente al di sopra delle mie forze, quanto la speranza di un trono, il desiderio stesso di salvarmi la vita, non me la farebbero tentare; e quello che dico in questo momento, non c’è un solo istante della mia esistenza in cui io non lo abbia sentito e pensato. [CAPITOLO 7]
P. 44. «Il caso ha la parte maggiore nella formazione del carattere.» Ma a tre anni un bambino è sornione, triste o allegro; vivace o lento, testardo, impaziente, collerico ecc., e nel resto della sua vita, il caso si presenterebbe incessantemente come una forca, che respingerebbe la natura senza riformarla. Naturam expellas furca, tamen usque recurret.12 P. 45. «I caratteri più spiccati sono talvolta il prodotto di un’infinità di piccoli accidenti».
sono dipendenti dallo stato del carattere, dalla fortuna e dalle ricchezze dei loro genitori. Bisogna dunque stupirsi se i bambini entrati in collegio con delle idee spesso tanto diverse, mostrano una passione più o meno grande per lo studio [...]?»]. A «Due fratelli allevati dai loro genitori hanno lo stesso precettore, hanno all’incirca gli stessi oggetti sotto gli occhi; leggono gli stessi libri. La differenza d’età è la sola che sembra doversi porre nella loro istruzione. Ma la si vuol rendere nulla? A questo scopo presumiamo che i due fratelli siano gemelli? E sia. Ma avranno avuto la stessa nutrice? Che importa? Importa molto. Come dubitare dell’influenza del carattere della nutrice su quello del lattante?».
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C’est une grande erreur que de prendre la conduite d’un homme, même sa conduite habituelle, pour son caractère. On est naturellement lâche, on a le ton et le maintien d’un homme brave ; mais eston brave pour cela ? On est naturellement colère, mais la circonstance, la bienséance de l’état, l’intérêt commandent la patience, on se contient ; est-on patient pour cela ? Les caractères d’emprunt sont plus tranchés que les caractères naturels. Interrogez le médecin, et il vous dira que le caractère qu’on a n’est pas toujours celui qu’on montre, et que le premier est le produit de la fibre raide ou molle, du sang doux ou brûlant, de la lymphe épaisse ou fluide, de la bile âcre ou savonneuse, et de l’état des parties dures ou fluides de notre machine. Votre enfant est-il voluptueux ? Faitesle chasser tout le jour, et faites-lui boire le soir une décoction de nénuphar ; cela vaudra mieux qu’un chapitre de Sénèque. Helvétius a dit plus haut : « Si l’organisation nous fait presque en entier ce que nous sommes, à quel titre reprocher au maître la stupidité de son élève ? » Lorsqu’il prononce ici que le hasard a la plus grande part à la formation du caractère, ne voit-il pas qu’on peut | lui rétorquer son raisonnement et lui dire : si le hasard a la plus grande part à la formation de notre caractère, à quel titre reprocher au maître la méchanceté de son élève ? Se proposer de montrer l’éducation comme l’unique différence des esprits, la seule base du génie, du talent et des vertus ; ensuite abandonner au hasard le succès de l’éducation et la formation du caractère : il me semble que c’est réduire tout à rien, et faire en même temps la satire et l’apologie des instituteurs. [CHAPITRE 8] P. 48.A Donnez-moi la mère de Vaucanson, et je n’en ferai pas davantage le flûteur automate. Envoyez-moi en exil, ou enfermez-moi dix ans à la Bastille, et je n’en sortirai pas le Paradis perdu à la main. Tirez-moi de la boutique d’un marchand de laine, enrôlez-moi dans une troupe de comédiens, et je ne composerai ni Hamlet, ni le King Lear, ni le Tartuffe, ni les Femmes savantes, et mon grand-père avec son plût à A [« Sa dévote mère (de Vaucanson) avait un directeur ; il habitait une cellule à laquelle la salle de l’horloge servait d’antichambre. La mère rendait de fréquentes visites à ce directeur. Son fils l’accompagnait jusque dans l’antichambre. C’est là que seul, désœuvré, le fils pleurait d’ennui, tandis que sa mère pleurait de repentir. Cependant, comme on pleure et qu’on s’ennuie toujours le moins qu’on peut : comme dans l’état de désœuvrement, il n’est point de sensations indifférentes, le jeune Vaucanson, bientôt frappé du mouvement toujours égal d’un balancier, veut en connaître la cause et sa curiosité s’éveille. Pour la satisfaire il s’approche des planches où l’horloge est renfermée. Il voit à travers les fentes l’engrènement des roues, découvre une partie de ce mécanisme, devine le reste ; projette une pareille machine, l’exécute avec un couteau et du bois, et parvient à faire une horloge plus ou moins parfaite. Encouragé par ce premier succès, son goût pour les mécanismes se décide ; ses talents se développent, et le même génie qui lui avait fait exécuter une horloge en bois, lui laisse entrevoir dans la perspective la possibilité du flûteur automate. | Un hasard de la même espèce alluma le génie de Milton [...] Si Shakespeare eût, comme son père, toujours été marchand de laine, si sa mauvaise conduite ne l’eût forcé de quitter son commerce et sa province, s’il [...] n’eût point été réduit à se sauver à Londres, à s’engager dans une troupe de comédiens, et qu’enfin, ennuyé d’être un acteur médiocre, il ne se fût pas fait auteur, l’insensé Shakespeare n’eût jamais été le célèbre Shakespeare » (p. 47-49)].
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È un grande errore prendere la condotta di un uomo, persino la sua condotta abituale, per il suo carattere. Si è naturalmente codardi; si ha il tono e il portamento di un uomo coraggioso; ma si è per questo coraggiosi? Si è naturalmente collerici; ma la circostanza, la buona condotta del nostro stato, l’interesse, ordinano la pazienza; ci si contiene. Si è pazienti per questo? I caratteri acquisiti in prestito sono più spiccati dei caratteri naturali. Interrogate il medico e vi dirà che il carattere che si ha, non è sempre quello che si mostra, e che il primo è il prodotto della fibra rigida o molle, del sangue dolce o bollente, della linfa densa o fluida, della bile acida o sapida, e dello stato delle parti dure o fluide della nostra macchina. Avete un figlio voluttuoso? Fatelo andare a caccia tutti i giorni e fategli bere, la sera, un decotto di ninfea.13 Gli farà meglio di un capitolo di Seneca. Helvétius ha detto, poco sopra: «Se l’organizzazione ci fa essere quasi interamente quello che siamo, a che titolo rimproverare al maestro la stupidità del suo allievo?». Quando pronuncia qui che il caso ha la massima parte nella formazione del carattere, non vede che il suo ragionamento gli si può ritorcere contro, e dirgli: se il caso ha la massima parte nella formazione del nostro carattere, a che titolo rimproverare al maestro la cattiveria del suo allievo?14 Proporsi di dimostrare che l’educazione è l’unica differenza tra gli ingegni; la sola base del genio, del talento e delle virtù; infine abbandonare al caso il successo dell’educazione e la formazione del carattere; mi sembra che ciò significhi ridurre tutto a niente, e fare al tempo stesso la satira e l’apologia degli istitutori. [CAPITOLO 8]
P. 48. Datemi la madre di Vaucanson e non per questo avrò più probabilità di farvi l’automa flautista. Mandatemi in esilio, rinchiudetemi per dieci anni alla Bastiglia, e non ne uscirò con il Paradiso perduto in mano. Tiratemi fuori dalla bottega di un mercante di lana; arruolatemi in una troupe di attori, e io non comporrò né l’Amleto, né il Re Lear, né il Tartufo, né Le donne intellettuali, e mio nonno, con il suo piaA
A [«La sua devota madre (di Vaucanson) aveva un direttore di coscienza: abitava in una cella alla quale la sala dell’orologio serviva da anticamera. La madre faceva frequenti visite a quel direttore. Suo figlio l’accompagnava fin nell’anticamera. Là, da solo e senza aver niente da fare, piangeva di noia, mentre sua madre piangeva di pentimento. Tuttavia, siccome si piange e ci si annoia sempre il meno che si può, siccome nella condizione di attività non ci sono affatto sensazioni indifferenti, il giovane Vaucanson, subito colpito dal movimento sempre uguale di un bilanciere, volle conoscerne la causa. La sua curiosità si risveglia. Per soddisfarla si avvicina alle tavole nelle quali l’orologio è rinchiuso. Tra le fessure vede l’ingranaggio delle ruote, scopre una parte di quel meccanismo, indovina il resto; progetta una macchina simile, la esegue con un coltello e del legno, e riesce a fare un orologio più o meno perfetto. Incoraggiato da questo primo successo, il suo gusto per i meccanismi si consolida; i suoi talenti si sviluppano e lo stesso genio che gli aveva fatto eseguire un orologio di legno, gli lascia intravedere in prospettiva la possibilità dell’automa flautista. | Un caso della stessa specie accese il genio di Milton. [...] Se Shakespeare fosse sempre stato, come suo padre, mercante di lana, se la sua cattiva condotta non l’avesse costretto a lasciare il commercio e la sua provincia, se [...] non si fosse ridotto a cercare riparo a Londra, a impegnarsi in una troupe di attori, e finalmente stanco di essere un attore mediocre, non fosse diventato autore, il posato Shakespeare non sarebbe mai stato il celebre Shakespeare» (pp. 47-49)].
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Dieu n’aura dit qu’une sottise.A J’ai | été plus amoureux que Corneille, j’ai fait aussi des vers pour celle que j’aimais ; mais je n’ai fait ni le Cid, ni Rodogune. Oui, monsieur Helvétius, on vous objectera que de pareils hasards ne produisent de pareils effets que sur des hommes organisés d’une certaine manière, et vous ne répondrez rien qui vaille à cette objection. Il en est de ces hasards comme de l’étincelle qui enflamme un tonneau d’esprit-devin, ou qui s’éteint dans un baquet d’eau. P. 51. « Le génie ne peut être que le produit d’une attention forte... (et p. 52) Le génie est un produit de hasards ». On conviendra que voilà d’étranges assertions. Je me rongerais les doigts jusqu’au sang que le génie ne me viendrait pas. J’ai beau rêver à tous les hasards heureux qui pourraient me le donner, je n’en devine aucun. Mais accordons à l’auteur qu’avec une attention forte et concentrée dans un seul objet important, on acquerra du génie. Vous verrez que, de quelque manière qu’on soit organisé, on est maître de s’appliquer fortement ! Il y a des hommes, et c’est le grand nombre, incapables d’aucune longue et violente contention d’esprit. Ils sont toute leur vie ce que Newton, Leibnitz, Helvétius étaient quelquefois. Que faire de ces gens-là ? Des commis. P. 52. « La seule disposition que l’hommeB apporte à la science est la faculté de comparer et de combiner ». Soit. Mais cette faculté est-elle la même dans tous les individus ? Si elle est variable d’un enfant ou d’un homme à un autre, est-il toujours possible d’en réparer le défaut ? S’il arrive que cette inégalité se compense à la longue, ce ne peut être que par l’exercice, le travail et des frais qui retardent d’autant les progrès dans la carrière. L’un de ces coursiers aura atteint le but avant que l’autre ait délié ses muscles inflexibles et ses jambes raides. Entre ces derniers, combien garderont toujours une allure lourde et pesante !
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P. 52 et 53 « Lui-même cependant (Rousseau) est un | exemple du pouvoir du hasard... ; quel accident particulier le fit entrer dans la carrière de l’éloquence ? C’est son secret ; je l’ignore ». Moi, je le sais et je vais le dire. L’Académie de Dijon proposa pour sujet de prix : Si les sciences étaient plus nuisibles qu’utiles à la société. J’étais alors au château de Vincennes. Rousseau vint m’y voir, et par occasion me consulter sur le parti qu’il prendrait dans cette question. « Il n’y a pas à balancer, lui dis-je, vous prendrez le parti que personne ne prendra. – Vous avez raison, » me répondit-il ; et il travailla en conséquence. Je laisse là Rousseau, je reviens à Helvétius et je lui dis : Ce n’est plus moi qui suis à Vincennes, c’est le citoyen de Genève. J’arrive. La question qu’il me fit, c’est moi qui la lui fais ; il me répond comme je lui répondis. Et vous croyez que j’aurais passé trois ou quatre A Le grand-père de Molière aimait la comédie, il y menait souvent son petit-fils. Le jeune homme vivait dans la dissipation ; le père s’en apercevant, demande en colère si l’on veut faire de son fils un comédien. Plût à Dieu, répond le grand-père, qu’il fût aussi bon acteur que Monrose ! Ce mot frappe le jeune Molière ; il prend en dégoût son métier, et la France doit son plus grand comique au hasard de cette réponse. B «qu’en naissant l’homme apporte»
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cesse a Dio, avrà detto solo una sciocchezza.A Io sono stato più innamorato di Cornelia; ho fatto anch’io dei versi per colei che amavo; ma non ho fatto né Il Cid, né Rodogune. Sì, signor Helvétius, vi obietteranno che casi simili non producono effetti simili se non su uomini organizzati in un certo modo; e voi non risponderete niente che abbia valore contro questa obiezione. In questi casi accade come per la scintilla, che infiamma una botte di acquavite o si spegne in un bacile d’acqua. P. 51. «Il genio non può essere che il prodotto di una forte attenzione» (e p. 52) «il genio è un prodotto di casi». Si converrà che queste sono delle strane asserzioni. Mi potrei rodere le dita a sangue, ma il genio non mi verrebbe. Posso sognare quanto voglio tutti i casi felici che potrebbero darmelo: non ne indovino alcuno. Ma accordiamo all’autore il fatto che con una forte attenzione e concentrata su un solo oggetto importante, si acquisirà del genio. Voi vedrete che, in qualunque modo si sia organizzati, si è padroni di applicarsi con forza. Ci sono uomini, e sono la maggioranza, che sono incapaci di qualsiasi lunga e violenta concentrazione di spirito. Sono per tutta la loro vita ciò che Newton, Leibniz, Helvétius erano qualche volta. Che fare di questa gente? Dei commessi. P. 52. «La sola disposizione che l’uomoB apporta alla scienza, è la facoltà di paragonare e di combinare». E sia. Ma questa facoltà è la stessa in tutti gli individui? Se essa è variabile da un bambino o da un uomo all’altro, è sempre possibile ripararne il difetto? Se accade che questa disuguaglianza alla lunga venga compensata, ciò non può accadere se non con l’esercizio, il lavoro e delle spese che ritardano di tanto il progresso nella carriera. Uno di questi destrieri avrà raggiunto la propria destinazione, prima che l’altro abbia sciolto i muscoli inflessibili e le sue gambe rigide. Tra questi ultimi, quanti conserveranno sempre un’andatura pesante e goffa! P. 52 e 53: «Egli stesso tuttavia (Rousseau) è un esempio del potere del caso...; quale incidente particolare lo fece entrare nella carriera dell’eloquenza? È il suo segreto; io l’ignoro». Io, io lo so e ve lo dirò. L’Accademia di Digione propose come argomento del premio: Se le scienze fossero più nocive che utili alla società. Ero allora al castello di Vincennes. Rousseau mi venne a trovare e con l’occasione mi consultò sulla posizione che avrebbe potuto prendere riguardo quella questione. Non c’è da esitare, gli dissi. Voi prenderete la posizione che nessuno prenderà. Avete ragione, mi rispose; e lavorò di conseguenza. Lascio da parte Rousseau; ritorno a Helvétius e gli dico: non sono più io che mi trovo a Vincennes; è il cittadino di Ginevra. Arrivo; la domanda che mi fece, sono io che gliela faccio. Lui mi risponde come io gli risposi. E voi credete che avrei passato tre A Il nonno di Molière amava la commedia; ci portava spesso suo nipote; il giovanotto viveva nella dissipazione; Il padre se ne accorse e chiese se si volesse fare di suo figlio un attore. Piacesse a Dio, rispose il nonno, che fosse un buon attore come Monrose. Queste parole colpirono il giovane Molière; questi prende in avversione il proprio mestiere, e la Francia deve il suo massimo comico al caso di quella risposta [N. d. A.]. B «Che nascendo l’uomo apporta...».
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mois à étayer de sophismes un mauvais paradoxe ; que j’aurais donné à ces sophismeslà toute la couleur qu’il leur donna ; et qu’ensuite je me serais fait un système philosophique de ce qui n’avait été d’abord qu’un jeu d’esprit ? Credat judaeus Apella, non ego. Rousseau fit ce qu’il devait faire, parce qu’il était lui. Je n’aurais rien fait, ou j’aurais fait tout autre chose, parce que j’aurais été moi. Et lorsque Helvétius finit le paragraphe de Rousseau par ces mots : « Rousseau, ainsi qu’une infinité d’hommes illustres, peut donc être regardé comme un des chefsd’œuvre du hasard », je demande si cela peut avoir d’autre sens que le suivant : c’était un baril de poudre à canon ou d’or fulminant qui serait peut-être resté sans explosion sans l’étincelle qui partit de Dijon et qui l’enflamma. Prétendre avec l’auteur que ce fut l’étincelle qui fit la poudre à canon ou l’or fulminant, cela ne serait ni plus ni moins absurde que de prétendre que ce fut l’or fulminant ou la poudre à canon qui fit l’étincelle. Rousseau n’est non plus un chef-d’œuvre du hasard, que le hasard ne fut un chefd’œuvre de Rousseau. Si l’impertinente question de Dijon n’avait pas été proposée, Rousseau en aurait-il été moins capable de faire son discours ? On sut que Démosthène était éloquent quand il eut parlé ; mais il l’était avant que d’avoir ouvert la bouche. Il y a des milliers de siècles que la rosée du ciel tombe | sur les rochers sans les rendre féconds. Les terres ensemencées l’attendent pour produire, mais ce n’est pas elle qui les ensemencera. Combien d’hommes sont morts ; et combien d’autres mourront sans avoir montré ce qu’ils étaient. Je les comparerais volontiers à de superbes tableaux cachés dans une galerie obscure où le soleil n’entrera jamais, et où ils sont destinés à périr sans avoir été ni vus ni admirés. Soyons circonspects dans notre mépris ; il pourrait aisément tomber sur un homme qui vaut mieux que nous. Ce que je pense de ces petits hasards auxquels Helvétius attribue la formation d’un grand homme, je le penserais volontiers de ces autres petits hasards auxquels on attribue tout aussi gratuitement la destruction des grands empires.A Les empires mûrissent et se pourrissent à la longue comme les fruits. Dans cet état, l’événement le plus frivole amène la dissolution de l’empire, et la secousse la plus légère la chute du fruit ; mais et la chute et la dissolution avaient été préparées par une longue suite d’événements. Un moment plus tard, et l’empire se serait dissous et le fruit serait tombé de lui-même. Veut-on une comparaison plus juste encore ? Un homme est sain et vigoureux en apparence. Il lui survient un petit bouton à la cuisse ; ce petit bouton est accompagné d’une démangeaison légère : il se frotte, voilà le petit bouton écorché, et l’écorchure, qui n’a pas le diamètre d’une ligne, le centre d’une gangrène dont les progrès rapides font tomber en pourriture et la cuisse et la jambe et la machine entière. Est-ce l’écorA
[« En morale comme en physique le grand seul nous frappe. On suppose toujours de grandes causes à des grands effets. On veut que des signes dans le ciel annoncent la chute ou les révolutions des empires. Cependant que de croisades entreprises ou suspendues, de révolutions exécutées ou prévenus, de guerres allumées ou éteintes par les intrigues d’un prêtre, d’une femme ou d’un ministre » (p. 57-58).]
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o quattro mesi a puntellare di sofismi un cattivo paradosso; che avrei dato a quei sofismi il colore che egli diede loro; e infine mi sarei fatto un sistema filosofico da ciò che all’inizio non era stato altro che un gioco di spirito? Credat judaeus Apella, non ego.15 Rousseau fece quello che doveva fare, perché era lui. Io non avrei fatto niente, o avrei fatto tutt’altra cosa, perché sarei stato io. E quando Helvétius finisce il paragrafo su Rousseau con queste parole: «Rousseau, come un’infinità di altri uomini illustri, può dunque essere considerato come uno dei capolavori del caso», mi domando se ciò può avere altro senso se non questo: Era un barile di polvere da sparo o di oro fulminante, che sarebbe forse restato inesploso, senza la scintilla che partì da Digione e lo infiammò. Pretendere, con l’autore, che fosse la scintilla a fare la polvere da sparo o l’oro fulminante, ciò sarebbe né più né meno assurdo del pretendere che fosse l’oro fulminante o la polvere da sparo a fare la scintilla. Rousseau non è un capolavoro del caso, più di quanto il caso non sia un capolavoro di Rousseau. Se l’impertinente questione di Digione non fosse stata proposta, Rousseau sarebbe perciò stato meno capace di fare il suo discorso? Si venne a sapere che Demostene era eloquente quando ebbe parlato. Ma lo era prima di aver aperto bocca. Sono migliaia di secoli che la rugiada del cielo cade sulle rocce, senza renderle feconde. Le terre inseminate la attendono per produrre; ma non è questa che le inseminerà. Quanti uomini sono morti e quanti altri moriranno senza aver mostrato quello che erano. Li paragonerei volentieri a dei quadri superbi, nascosti in una galleria oscura in cui il sole non entrerà mai, dove sono destinati a perire senza essere stati né visti, né ammirati. Siamo circospetti nel nostro disprezzo; potrebbe facilmente cadere su un uomo che vale più di noi. Ciò che penso a proposito di quei piccoli casi ai quali Helvétius attribuisce la formazione di un grand’uomo, lo penserei volentieri di quegli altri piccoli casi ai quali si attribuiscono altrettanto gratuitamente la distruzione dei grandi imperi.A Gli imperi maturano e marciscono, alla lunga, come i frutti. In questo stato, l’evento più frivolo conduce alla dissoluzione dell’impero, e la scossa più leggera alla caduta del frutto; ma tanto la caduta quanto la dissoluzione erano state preparate da una lunga serie di eventi. Un momento dopo, e l’impero si sarebbe dissolto e il frutto sarebbe caduto da solo Volete un paragone ancora più esatto? Un uomo è in apparenza sano e vigoroso. Gli spunta un brufolo sulla coscia; quel piccolo brufolo è accompagnato da un leggero prurito. Egli si gratta. Subito il piccolo brufolo si scortica; e la scorticatura, che non raggiunge il diametro di una linea,16 è il centro di una cancrena i cui rapidi progressi fanno putrefare tanto la coscia quanto la gamba, e l’intera macchina organica. È forse A
[«In morale come in fisica, solo il grande ci colpisce. Si presuppongono sempre grandi cause a grandi effetti. Si vuole che certi segni del cielo annuncino la caduta o le rivoluzioni degli imperi. Tuttavia, quante crociate intraprese o sospese, quante rivoluzioni realizzate o prevenute, quante guerre attizzate o spente dagli intrighi di un prete, di una donna o di un ministro» (pp. 57-58)].
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chure légère, est-ce le petit bouton ou l’intempérance continue de cet homme que je regarderai comme la véritable cause de sa mort ? 467
P. 55.A Je trouve que Jean-Jacques a bien faiblement attaqué l’état social. Qu’est-ce que l’état social ? C’est un | pacte qui rapproche, unit et arcboute les uns contre les autres une multitude d’êtres auparavant isolés. Celui qui méditera profondément la nature de l’état sauvage et celle de l’état policé, se convaincra bientôt que le premier est nécessairement un état d’innocence et de paix, et l’autre un état de guerre et de crime ; bientôt il s’avouera qu’il se commet et qu’il doit se commettre plus de scélératesses de toute espèce, en un jour, dans une des trois grandes capitales de l’Europe qu’il ne s’en commet et qu’il ne s’en peut commettre en un siècle dans toutes les hordes sauvages de la terre. Donc l’état sauvage est préférable à l’état policé ? Je le nie. Il ne suffit pas de m’avoir démontré qu’il y a plus de crimes, il faudrait encore me démontrer qu’il y a moins de bonheur. [CHAPITRE 15] P. 108. « La religion païenne n’a point de dogmes ». Cela est-il bien vrai ? Les dieux avaient chacun leur histoire. Quel nom donner à cette histoire ? On appelait impie, on persécutait, on condamnait à mort celui qui rejetait en doute les galanteries de Vénus ou qui se moquait des amours de Jupiter. Un Eumolpide n’était guère moins intolérant qu’un vicaire de paroisse. P. 109. « Les fêtes du paganisme étaient rares ». Vous n’avez pas consulté là-dessus Les Fastes d’Ovide. Je crois qu’ils les avaient plus fréquentes, mais peut-être moins rigoureusement observées que les nôtres.
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P. 114. « Il est facile de changer les opinions religieuses d’un peuple ». Je n’en crois rien. En général, on ne sait comment un préjugé s’établit, et moins encore comment il cesse chez un peuple. Demain, le roi ferait pendre un de ses frères pour un crime, que le supplice n’en serait pas moins déshonorant parmi nous ; après-demain, il ferait asseoir à sa table le père d’un pendu, que les filles de ce père ne trouveraient pas des époux, même parmi les courtisans. S’il est si difficile de détruire des erreurs qui n’ont pour elles que leur généralité et leur vétusté, comment vient-on à bout de celles qui sont aussi générales, aussi vieilles et plus accompagnées de terreurs, appuyées de la menace des dieux, sucées avec le lait et prêchées par des bouches | respectées et stipendiées à cet effet ? Je ne connais qu’un seul et unique moyen de renverser un culte, c’est d’en rendre les ministres méprisables par leurs vices et par leur indigence. Les philosophes ont beau s’occuper à démontrer l’absurdité du christianisme, cette religion ne sera perdue que quand on verra à la porte de Notre-Dame ou de Saint-Sulpice des gueux en soutane déguenillée offrir la messe, l’absolution et les sacrements au rabais, et que quand on pourra demander des filles à ces gredins-là. C’est alors qu’un père un peu sensé menacerait son fils de lui tordre le cou, s’il voulait être prêtre. Il faut que le chris-
A « Faut-il, pour défendre son opinion, soutenir que l’homme absolument brute, l’homme sans art, sans industrie et inférieur à tout sauvage connu, est cependant et plus vertueux et plus heureux que le citoyen policé de Londres et d’Amsterdam ? Rousseau le soutient ».
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la leggera scorticatura, il piccolo brufolo, o la continua intemperanza di quell’uomo che potrei considerare come la vera causa della sua morte? P. 55:A Io trovo che Jean-Jacques ha attaccato troppo debolmente lo Stato sociale. Che cos’è lo Stato sociale? È un patto che avvicina, unisce e sostiene gli uni contro gli altri una moltitudine di esseri prima isolati. Colui che mediterà profondamente la natura dello stato selvaggio e quella dello stato civilizzato, subito si convincerà che il primo è necessariamente uno stato d’innocenza e di pace, e l’altro uno stato di guerra e di crimine. Subito si ammetterà che si commettono e si devono commettere più scelleratezze di ogni specie, in un giorno, in una delle tre grandi capitali d’Europa, di quante non se ne possano commettere, in un secolo, in tutte le orde selvagge della terra. Dunque lo stato selvaggio è preferibile allo stato civilizzato? Io lo nego; non basta avermi dimostrato che ci sono più crimini, bisognerebbe anche dimostrarmi che c’è minore felicità. [CAPITOLO 15]
P. 108. «La religione pagana non ha affatto dogmi.» Questo è proprio vero? Gli dei avevano ciascuno la loro storia. Che nome dare a questa storia? Si usava il nome di empio; si perseguitava; si condannava a morte colui che respingeva dubbioso le galanterie di Venere o che si prendeva gioco degli amori di Giove: un Eumolpide non era affatto meno intollerante di un vicario di parrocchia.17 P. 109: «Le feste del paganesimo erano rare». Non avete consultato su questo I Fasti di Ovidio. Io credo che avessero feste più frequenti, ma forse meno rigorosamente osservate delle nostre. P. 114. «È facile cambiare le opinioni religiose di un popolo». Non lo credo proprio. In generale, non si sa come un pregiudizio religioso si stabilisce e ancor meno come sparisce, presso un popolo. Domani il re farà impiccare uno dei suoi fratelli per un crimine, e il supplizio non sarebbe perciò meno disonorevole per noi.18 Dopodomani farà sedere alla propria tavola il padre di un impiccato, e le figlie di quel padre non troverebbero marito se non tra i cortigiani. Se è già tanto difficile distruggere degli errori che hanno dalla loro parte solo la generalità e la loro vetustà, come si potrà venire a capo di quelli che sono così generali, così vecchi e per di più accompagnati da tanti terrori, puntellati dalla minaccia degli dei, poppati col latte e predicati da bocche rispettate e stipendiate a questo scopo? Conosco un solo e unico mezzo per rovesciare un culto: è di renderne spregevoli i ministri con i loro vizi e la loro indigenza. I filosofi hanno un bel daffare a dimostrarci l’assurdità del cristianesimo, questa religione sarà rovinata solo quando si potrà vedere alla porta di Notre-Dame o di Saint-Sulpice dei pezzenti in sottana sbrindellata offrire la messa, l’assoluzione e i sacramenti al ribasso, e quando si potrà chiedere a quei furfanti di offrirci qualche puttanella. Sarà allora che un padre solo un po’ sensato minaccerebbe il proprio figlio di torcergli il collo se volesse farsi prete. Bisogna che il cristianesimo si abolisca da sé, come finì il paganesimo; e il A «Per difendere la propria opinione bisogna proprio sostenere che l’uomo assolutamente bruto, l’uomo senza arte, senza industria e inferiore a ogni selvaggio conosciuto, tuttavia è più virtuoso e anche più felice del cittadino civilizzato di Londra e di Amsterdam? Rousseau lo sostiene».
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tianisme s’abolisse comme le paganisme cessa ; et le paganisme ne cessa que quand on vit les prêtres de Sérapis demander l’aumône aux passants, à l’entrée de leurs superbes édifices, que quand ils se mêlèrent d’intrigues amoureuses, et que les sanctuaires furent occupés par des vieilles qui avaient à côté d’elles une oie fatidique, et qui s’offraient à dire aux jeunes garçons et aux jeunes filles leur bonne aventure pour un sou ou deux liards de notre monnaie. Quel est donc le moment qu’il faut hâter ? Celui où les habitués de Saint-Roch diront à nos neveux : Qui veut une messe ? Qui en veut une pour un sou, pour deux sous, pour un liard, et qu’on lira au-dessus des confessionnaux, comme à la porte des barbiers : Céans on absout de toutes sortes de crimes à juste prix. La substitution de la déesse Renommée à la Sainte Vierge est une chimère qui ne se réaliserait pas dans mille ans.A La réunion du titre de summus pontifex et d’imperator ne me paraît pas sans conséquence fâcheuse.B Ce serait un grand mal qu’un médecin fût prêtre ; c’en serait peut-être un bien plus grand qu’un prêtre fût roi. Je hais tous les oints du Seigneur sous quelque titre que ce soit. « Le prêtre, dites-vous, sera toujours en lui subordonné au souverain ». D’où savezvous cela ? Pouvoir s’autoriser du nom de Dieu pour faire le mal, cela est bien commode. | Tenez, monsieur Helvétius, c’est que Dieu est une mauvaise machine dont on ne peut rien faire qui vaille ; c’est que l’alliage du mensonge et de la vérité est toujours vicieux, et qu’il ne faut ni prêtres, ni dieux. P. 116. « Que le magistrat soit revêtu de la puissance temporelle et de la puissance spirituelle, et toute contradiction entre les préceptes religieux et les préceptes patriotiques disparaîtra ». – Oui, si le magistrat est toujours un homme de bien. Mais si c’est un fripon, comme c’est le cas ordinaire, il n’en sera que cent fois plus puissant et plus dangereux. P. 117. L’auteur termine le chapitre 15 par cette conclusion intrépide : « que l’inégalité apparente entre l’esprit des divers hommes ne peut être regardée comme une preuve de leur inégale aptitude à en avoir ». Il me semble que tous infectés des mêmes préjugés et soumis à la même mauvaise éducation, si l’on aperçoit de l’inégalité entre les esprits c’est à l’inégale aptitude à en avoir qu’il faut la rapporter. [Note 3] P. 119. Ici l’auteur me paraît tourmenté de quelque scrupule. « Quelle que soit l’éducation nationale, on ne fera pas, dit-il, des gens de génie de tous les citoyens ». Je le crois. Pour des gens d’esprit et de sens, il nous en promet tant qu’il nous plaira. Cela est bien contraire à la nature de l’homme, à la nature de la société et à l’expérience de tous les siècles. Hé, philosophe, mon ami, chez ces Grecs, chez ces Romains dont vous faites tant de cas, on compte par ses doigts les hommes de génie, et les sots et les fous y A
[« Que chez un peuple la raison soit tolérée, elle substituera la religion de la Renommée à toute autre » (p. 114)] B [« Un magistrat, comme à Rome, réunit-il en sa personne le double emploi de sénateur et de ministre des autels, le prêtre sera toujours en lui subordonné au sénateur, et la religion toujours subordonnée au bonheur public » (p. 115).]
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paganesimo finì solo quando si videro i preti di Serapide19 chiedere l’elemosina ai passanti all’entrata dei loro superbi edifici; quando s’immischiarono in intrighi amorosi e i loro santuari furono occupati da vecchie donnette che avevano accanto a loro un’oca fatidica e s’offrivano di leggere la buona ventura alle giovani e ai giovani per un soldo o due liardi della nostra moneta. Qual è dunque il momento che bisogna avvicinare e favorire? Quello in cui i frequentatori di Saint-Roch diranno ai nostri nipoti: chi vuole una messa? Chi ne vuole una per un soldo, per due soldi, per un liardo, e quando si potrà leggere sopra i confessionali, come sulla porta dei barbieri: Qui dentro s’assolve da ogni specie di crimini a un giusto prezzo. La sostituzione della dea Celebrità alla Santa Vergine è una chimera che non si realizzerà neanche tra mille anni.A La riunione del titolo di summum pontifex e di imperator 20 non mi appare priva di spiacevoli conseguenze.B Sarebbe un gran male che un medico fosse anche prete; e sarebbe un male forse ben più grande che un prete fosse re. Io odio tutti gli unti del Signore, sotto qualunque titolo si presentino. «Il prete, dite voi, in lui, sarà sempre subordinato al sovrano». E come lo sapete questo, voi? Poter prendere la propria autorità dal nome di Dio, per fare il male, è molto comodo. Andiamo, signor Helvétius: il fatto è che Dio è una macchina difettosa con la quale non si può far nulla di buono; perché la lega della menzogna e della verità è sempre viziosa; perché non c’è bisogno né di preti, né di dei. P. 116. «Che il magistrato sia investito della potenza temporale e della potenza spirituale, ed ecco che ogni contraddizione tra i precetti religiosi e i precetti patriottici scomparirà». – Sì, se il magistrato è sempre un uomo perbene. Ma se è un furfante, qual è di solito il caso, sarà per questo cento volte più potente e più pericoloso. P. 117. L’autore termina il capitolo 15 con quest’intrepida conclusione: «che la disuguaglianza percepita tra gli spiriti dei diversi uomini non può essere considerata come una prova della loro diseguale attitudine ad averne». Mi sembra che, tutti infetti dagli stessi pregiudizi e sottomessi alla stessa cattiva educazione, se si scorge della disuguaglianza tra gli spiriti bisogna riferirla alla diseguale attitudine ad averne.
[Nota 3] P. 119. Qui l’autore mi sembra tormentato da un certo scrupolo. «Qualunque sia l’educazione nazionale, non si farà, egli dice, di ogni cittadino una persona di genio». Lo credo. Quanto alla gente intelligente e sensata, egli ce ne prometterà tanta quanta ne vorrà... ciò è ben contrario alla natura dell’uomo, alla natura della società, e all’esperienza di tutti i secoli. Ehi, amico mio filosofo, presso i greci, presso quei romani di cui voi avete una grande considerazione, si contano sulla punta delle dita gli uomini A
[«Che presso un popolo la ragione sia tollerata, ed essa sostituirà la religione della Celebrità a ogni altra» (p. 114)]. B [«Un magistrato, come a Roma, riunisce nella sua persona il duplice ruolo di senatore e di ministro degli altari, il prete sarà sempre, in lui, subordinato al senatore, e la religione sempre subordinata alla felicità pubblica» (p. 115)].
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foisonnèrent autant que parmi nous. C’est qu’il est dans l’ordre éternel que le monstre appelé homme de génie soit toujours infiniment rare, et que l’homme d’esprit et de sens ne soit jamais commun. Quel livre que celui d’Helvétius, s’il eût été écrit au temps et dans la langue de Montaigne ! Il serait autant au-dessus des Essais que les Essais sont au-dessus de tous les moralistes qui ont paru depuis. Je ne sais quel cas Helvétius faisait de Montaigne et si la lecture lui en était bien familière, mais il y a beaucoup de rapport entre leur manière de voir et de dire. Montaigne | est cynique, Helvétius l’est aussi ; ils ont l’un et l’autre les pédants en horreur ; la science des mœurs est pour tous deux la science par excellence ; ils accordent beaucoup aux circonstances et aux hasards ; ils ont de l’imagination, beaucoup de familiarité dans le style, de la hardiesse et de la singularité dans l’expression, des métaphores qui leur sont propres. Helvétius au temps de Montaigne en aurait eu à peu près le style, et Montaigne au temps d’Helvétius aurait à peu près écrit comme lui ; c’est-à-dire qu’il eût eu moins d’énergie et plus de correction, moins d’originalité et plus de méthode. [Note 9] P. 122. Vous, mon ami Naigeon, qui avez si bien étrillé le Russe endiamanté Czernischew, pour avoir préféré les Anglais aux Français, je vous dénoncé et recommande le n° 9 de cette pageA ; surtout n’oubliez pas que celui qui suppose aux philosophes français l’esprit général de la nation, ne connaît ni leurs ouvrages ni leurs personnes. [Note 10]
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P. 123-124. Pourquoi, malgré le choix des sujets et le meilleur emploi de leurs talents, la société de Jésus a-t-elle produit si peu de grands hommes ? Helvétius en donne plusieurs bonnes raisonsB ; mais la principale, qu’il a omise, c’est qu’ils étaient rapetissés, épuisés, abrutis par douze | années de préceptorat. Ils employaient à ramper avec des enfants, le temps propre à étendre les ailes du génie.
A [« Toutes les nations ont reproché aux Français leur frivolité. “Si le Français, disait autrefois M. de Saville, est si frivole, l’Espagnol si grave et si superstitieux, l’Anglais si sérieux et si profond, c’est un effet de la différente forme de leur gouvernement. C’est à Paris que doit se fixer l’homme curieux de bijoux et de parler sans rien dire : c’est à Madrid et Lisbonne que doit habiter quiconque aime à se donner la discipline et à voir brûler ses semblables ; et c’est à Londres enfin crue doit vivre quiconque veut penser et faire usage de la faculté qui distingue principalement l’homme de la brute. Selon M. de Saville, il n’est que trois objets dignes de réflexion ; la nature, la religion et le gouvernement. Or le Français, ajoute-t-il, n’ose penser sur ces objets. Ses livres insipides pour des hommes, ne peuvent donc amuser que des femmes. La liberté seule élève l’esprit d’une nation, et l’esprit de la nation celui de ses écrivains. En France les âmes sont sans énergie. Le seul auteur estimable que j’en aime, c’est Montaigne. Peu de ses concitoyens sont dignes de l’admirer : pour le sentir, il faut penser et pour penser, il faut être libre” » (p. 122-123).] B [« C’est qu’entourés de fanatiques et de superstitieux, un jésuite n’ose penser que d’après ses supérieurs : c’est que d’ailleurs forcés de s’appliquer quelques années à l’étude des casuistes et de la théologie, cette étude répugne à la saine raison et doit la corrompre en lui »]
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di genio; e gli sciocchi e i pazzi vi abbondano tanto quanto presso di noi. Perché rientra nell’ordine eterno che il mostro chiamato uomo di genio, sia sempre infinitamente raro, e che l’uomo dotato di spirito e di buon senso non sia mai comune. Che libro, quello di Helvétius, se forse stato scritto al tempo e nella lingua di Montaigne! Sarebbe tanto al di sopra dei Saggi quanto i Saggi sono al di sopra di tutti i moralisti che sono apparsi dopo. Non so quale stima avesse Helvétius di Montaigne e se la sua lettura gli fosse molto familiare; ma c’è un rapporto assai stretto tra la loro maniera di vedere e di dire. Montaigne è cinico; anche Helvétius lo è. Entrambi hanno orrore dei pedanti; la scienza dei costumi è per entrambi la scienza per eccellenza; assegnano molta importanza alle circostanze e al caso; hanno immaginazione; molta familiarità nello stile; dell’audacia e della singolarità nell’espressione; delle metafore che sono loro proprie. Helvétius al tempo di Montaigne ne avrebbe avuto all’incirca lo stesso stile; e Montaigne al tempo di Helvétius avrebbe scritto all’incirca come lui; cioè avrebbe avuto meno energia e più correttezza, meno originalità e più metodo.
[Nota 9] P. 122. Voi, Naigeon amico mio, che avete strigliato tanto bene il Russo ingioiellato Czernischew21 per aver preferito gli Inglesi ai Francesi, vi segnalo e vi raccomando il n. 9 di questa pagina;A soprattutto non dimenticate che chi presume che i filosofi francesi abbiano lo spirito generale della nazione, non conosce né le loro opere né le loro persone.
[Nota 10] P. 123-124. Perché, malgrado la scelta dei soggetti e il miglior uso dei loro talenti, La Società di Gesù ha prodotto così pochi grandi uomini? Helvétius ne fornisce diverse buone ragioni.B La principale, che ha omesso, è che costoro venivano rimpiccioliti, esauriti, abbrutiti da dodici anni di precettorato. Si adoperavano a strisciare come dei bambini, nel tempo che era destinato a dispiegare le ali del genio.
A [«Tutte le nazioni hanno rimproverato ai francesi la loro frivolezza. “Se il Francese, diceva un tempo il signor di Saville, è così frivolo, lo Spagnolo così grave e così superstizioso, l’Inglese così serio e così profondo, è un effetto della diversa forma dei loro governi. È a Parigi che si deve stabilire l’uomo curioso di gioielli e del parlare senza dire nulla; è a Madrid e a Lisbona che deve abitare chiunque ami darsi della disciplina e veder bruciare i propri simili; ed è a Londra, infine, che deve vivere chiunque voglia pensare e fare uso della facoltà che distingue principalmente l’uomo dal bruto. Secondo il signor de Saville, esistono solo tre oggetti degni di riflessione; la natura, la religione e il governo. Ora, il Francese, aggiunge, non osa pensare su questi oggetti. I suoi libri, insipidi per gli uomini, non possono dunque divertire che le donne. Solo la libertà eleva lo spirito di una nazione, e lo spirito della nazione eleva quello dei suoi scrittori. In Francia gli animi sono senza energia. Il solo autore degno di stima che io amo è Montaigne. Pochi dei suoi concittadini sono degni di ammirarlo: per sentirlo, bisogna pensare, e per pensare bisogna essere liberi”» (pp. 122-123)]. B [«Il fatto è che, circondato da fanatici e superstiziosi, un gesuita non osa pensare se non secondo i suoi superiori: d’altronde, obbligato ad applicarsi per diversi anni allo studio dei casuisti e della teologia, questo studio ripugna alla sana ragione e in lui deve corromperla»].
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[Note 11] P. 124. On fait de bons Savoyards tant qu’on veut ; pour de grands généraux, de grands ministres, de grands magistrats, c’est autre chose. Quelque stupide qu’on soit, on sait bientôt ramoner une cheminée ; on n’apprend pas tout aussi facilement à purger une société de son luxe, de ses préjugés, de ses vices et de ses mauvaises lois. Helvétius fait flèche de tout bois. A
[Note 14] P. 126. Je ne sais si le génie se décèle dès l’enfance. Pour le caractère, il n’est pas permis d’en douter. Cependant Helvétius attribue indistinctement la création de l’un et de l’autre à l’éducation et au hasard, à l’exclusion de la nature et de l’organisation. Je pense qu’un enfant entraîné vers une science ou vers un art par un penchant irrésistible qui se décèle dès son enfance, ne sera peut-être que médiocre ; mais je ne doute point qu’appliqué à toute autre chose, il ne fût mauvais. B
[Note 15]
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P. 126. « Que d’hommes de génie l’on doit à des accidents ! » Les hommes de génie sont, ce me semble, bientôt comptés, et les accidents stériles sont innombrables. C’est que les accidents ne produisent rien, pas plus que la pioche du manœuvre qui fouille les mines de Golconde ne produit le diamant qu’elle en fait sortir. Qui que tu sois, homme de génie ou stupide, homme de | bien ou méchant, renfonce-toi le plus avant que tu pourras dans l’histoire de ta vie, et tu retrouveras toujours à l’origine des événements qui t’ont mené soit au bonheur, soit au malheur, soit à l’illustration, soit à l’obscurité, quelque circonstance frivole à laquelle tu rapporteras toute ta destinée. Mais sot, sois bien assuré qu’abstraction faite de cette fatale circonstance, tu serais arrivé au mépris par un autre chemin. Mais méchant, ne doute pas qu’abstraction faite de cet incident que tu charges d’imprécations, tu ne fusses tombé dans le malheur de quelque autre côté. Mais homme de génie, tu t’ignores, si tu penses que c’est ce hasard qui t’a fait ; tout son mérite est de t’avoir produit : il a tiré le rideau qui te dérobait, à toi-même et aux autres, le chef-d’œuvre de la nature. Il ne manque au génie et à la sottise, au vice et à la vertu, que le temps pour obtenir leur véritable chance. L’honnête homme, l’habile homme peut mourir trop tôt ; pour l’imbécile et le méchant, ils meurent toujours à temps.
A [« Si tous les Savoyards ont à certains égards le même caractère ; c’est que le hasard les place dans des dispositions à peu près semblables et que tous reçoivent à peu près la même éducation. [...] Supposons donc qu’on eût le plus grand intérêt d’inspirer à un jeune homme les vertus du Savoyard : que faire ? le placer tans la même position ; confier quelque temps son éducation au malheur et à l’indigence » (p. 124-125).] B [« La plupart des hommes de génie veulent dès leur première jeunesse avoir annoncé ce qu’ils doivent être : c’est leur manie. Se prétendent-ils d’une race supérieure à celle des autres hommes ? À la bonne heure : qu’on ne dispute pas sur ce point avec leur vanité, on les fâcherait, mais qu’on ne les en croie pas sur leur parole, on se tromperait. Rien de plus illusoire et de plus incertain que ces premières annonces. Newton et Fontenelle n’étaient que des écoliers médiocres. Les classes sont peuplées de jolis enfants, le monde l’est de sots hommes »]
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[Nota 11] P. 124. Si possono fare tutti i buoni Savoiardi che si vuole; per fare dei grandi generali, grandi ministri, grandi magistrati, è altra cosa. Per quanto si possa essere stupidi, s’impara subito a spazzare un camino; non s’impara affatto così facilmente a purgare una società dal lusso, dai pregiudizi, dai vizi e dalle sue cattive leggi. Helvétius fa di tutta l’erba un fascio. A
[Nota 14] P. 126. Non so se il genio si svela sin dall’infanzia. Per quanto è del carattere, non possiamo dubitarne. Tuttavia Helvétius attribuisce la creazione di entrambi all’educazione o al caso, con l’esclusione della natura e dell’organizzazione. Io penso che un bambino portato per una scienza o per un’arte da una disposizione irresistibile che si rivela fin dall’infanzia, non sarà forse altro che un mediocre; ma non dubito affatto che, applicato a tutt’altra altra cosa, sarebbe peggio. B
[Nota 15] P. 126. «Quanti uomini di genio dobbiamo a degli incidenti!» Gli uomini di genio, mi sembra, sono pochi da contare; e gli incidenti sterili sono innumerevoli. Il fatto è che gli incidenti non producono nulla: non più di quanto la zappa del manovale che fruga nelle miniere di Golconda 22 produca il diamante che ne tira fuori. Chiunque tu sia, uomo geniale o stupido, uomo dabbene o malvagio, spingiti più indietro che potrai nella storia della tua vita e ritroverai sempre, all’origine, degli eventi che ti hanno portato alla felicità o alla sventura, alla celebrità o all’oscurità, qualche frivola circostanza alla quale riferirai tutto il tuo destino. Ma se sei sciocco, stai pure sicuro che fatta astrazione da quella fatale circostanza, saresti arrivato al disprezzo per un’altra strada; ma se sei malvagio, non dubitare che, fatta astrazione da quell’incidente che copri di imprecazioni, saresti caduto nella sventura da qualche altro lato. Ma se sei un uomo di genio, tu ti ignori se pensi che è il caso ad averti fatto; tutto il suo merito è di averti prodotto; il caso ha tirato via la cortina che ti nascondeva a te stesso e agli altri, il capolavoro della natura. Al genio e alla stupidità, al vizio e alla virtù, non manca altro che il tempo per ottenere la loro vera chance. L’uomo onesto, l’uomo abile, può morire troppo presto. Quanto all’imbecille e al malvagio, muoiono sempre in tempo.
A [«Se tutti i Savoiardi hanno per certi aspetti lo stesso carattere, è che il caso li ha messi in certe disposizioni pressappoco simili e tutti ricevono all’incirca la stessa educazione. [...]. Supponiamo dunque che si avesse il massimo interesse a ispirare a un giovane uomo le virtù del savoiardo: che fare? Metterlo nella stessa posizione; affidare per un certo tempo la sua educazione alla sfortuna e all’indigenza» (pp. 124-125)]. B [«La maggior parte degli uomini di genio vogliono vedere annunciato quello che devono essere sin dalla prima giovinezza: è la loro mania. Pretendono di essere di una razza superiore a quella degli altri uomini? Alla buon’ora: non si disputi su questo punto con la loro vanità, li si farebbe solo arrabbiare, ma non li si creda sulla parola, ci si ingannerebbe. Niente di più illusorio e di più incerto di quei primi annunci. Newton e Fontenelle erano solo dei mediocri scolari. Le classi sono piene di bambini carini, il mondo lo è di uomini sciocchi»].
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[Note 17] P. 127. Jean-Jacques est tellement né pour le sophisme, que la défense de la vérité s’évanouit entre ses mains ; on dirait que sa conviction étouffe son talent. Proposezlui deux moyens dont l’un péremptoire, mais didactique, sentencieux et sec : l’autre précaire, mais propre à mettre en jeu son imagination et la vôtre, à fournir des images intéressantes et fortes, des mouvements violents, des tableaux pathétiques, des expressions figurées, à étonner l’esprit, à émouvoir le cœur, à soulever le flot des passions ; c’est à celui-ci qu’il s’arrêtera... Je le sais par expérience. Il se soucie bien plus d’être éloquent que vrai, disert que démonstratif, brillant que logicien, de vous éblouir que de vous éclairer. Quelque éloge qu’Helvétius en fasse, il ne croyait pas qu’un seul de ses ouvrages allât à la postérité ; c’est ainsi qu’il s’en expliquait avec moi, mais à voix basse ; il craignait les querelles littéraires, et il avait raison. | A
[Note 21]
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P. 131. – Cet éloge des passions est vrai ; mais comment ne s’aperçoit-on pas, en le faisant, qu’on forge des armes contre soi ? L’éducation ou les hasards rendront-ils passionnés les hommes nés froids ? Les passions ne sont-elles pas des effets du tempérament, et le tempérament est-il autre chose qu’un résultat de l’organisation ? Vous aurez beau prêcher celui qui ne sent pas, vous soufflez sur des charbons éteints ; s’il y a une étincelle votre souffle pourra susciter de la flamme, mais il faut que la première étincelle y soit. En vérité toute cette sublime extravagance d’Helvétius aurait fourni une excellente scène à Molière, le pendant de celle du pyrrhonien : « Sans passion, point de besoins, point de désirs ; sans besoins et sans désirs, point d’esprit, point de raison ; » c’est Helvétius qui le dit. Mais qu’il nous apprenne donc comme l’éducation ou des accidents pourront créer une passion vraie dans celui à qui la nature l’a refusée. J’aimerais autant assurer qu’on inspirera la fureur des femmes à un eunuque : et combien d’hommes que la nature a châtrés. Les uns manquent de testicules pour une chose, d’autres en manquent pour une autre. Il faut que chacun s’accouple avec la Muse qui lui convient, la seule avec laquelle il se sent et se retrouve ; il est nul ou n’a qu’une fausse érection avec les autres : elles en seraient mal caressées. À l’entendre, on dirait qu’on n’a qu’à vouloir pour être. Que cela n’est-il vrai ! B
[Note 25] P. 134. « Les femmes devraient concevoir tant de vénération pour leur beauté et leurs faveurs, qu’elles crussent n’en devoir faire part qu’aux hommes déjà distingués par leur génie, leur courage et leur probité ». A [« M. Rousseau dans ses ouvrages m’a toujours paru moins occupé d’instruire que de séduire ses lecteurs. Toujours orateur et rarement raisonneur, il oublie que dans les discussions philosophiques, s’il est quelquefois permis de faite usage de l’éloquence, c’est uniquement lorsqu’il s’agit de faire vivement sentir toute l’importance d’une opinion déjà reconnue pour vraie. »] B [« On n’attache certainement pas d’idée nette au mot passions, lorsqu’on les regarde comme nuisibles. [...] Nos désirs sont nos moteurs, et c’est la force de nos désirs qui détermine celle de nos vices et de nos vertus. Un homme sans désir et sans besoin est sans esprit et sans raison » (p. 130-131).]
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[Nota 17] P. 127. Jean-Jacques è talmente nato per il sofisma, che la difesa della verità svanisce tra le sue mani; si direbbe che la sua convinzione soffochi il suo talento. Proponetegli due mezzi, l’uno dei quali perentorio, ma didattico, sentenzioso e secco; l’altro precario, ma capace di mettere in gioco la sua immaginazione e la vostra, di fornire immagini interessanti e forti, dei moti violenti, dei quadri patetici, delle espressioni figurate, in grado di stupire lo spirito, di smuovere il cuore, di sollevare l’onda delle passioni; è su quest’ultimo che si soffermerà. Lo so per esperienza. Lui si preoccupa molto di più di essere eloquente piuttosto che vero, facondo piuttosto che dimostrativo, brillante più che logico; di abbagliarvi piuttosto che illuminarvi. Qualunque elogio Helvétius ne faccia, egli non credeva che una sola delle sue opere andasse alla posterità: è così che si spiegò con me; ma a bassa voce; temeva le dispute letterarie; e aveva ragione.23 A
[Nota 21] P. 131.B Quest’elogio delle passioni è vero; ma come non ci si accorge che, facendolo, si forgiano delle armi contro di sé? L’educazione o i casi della vita renderanno forse appassionati gli uomini nati freddi? Le passioni non sono effetti del temperamento, e il temperamento è forse altra cosa che il risultato dell’organizzazione? Avrete un bel predicare a colui che non sente, soffiate sui carboni spenti. Se c’è una scintilla, il vostro soffio potrà suscitare la fiamma. Ma occorre che ci sia la prima scintilla. In verità, tutta questa sublime stravaganza di Helvétius avrebbe fornito una scena eccellente a Molière, il corrispettivo di quella del pirroniano.24 «Senza passioni, non ci sono bisogni, non ci sono desideri; senza bisogni e senza desideri, non c’è spirito, non c’è ragione», è Helvétius a dirlo. Ma che ci insegni, dunque, come l’educazione o certi incidenti potranno creare una vera passione, in colui al quale la natura l’ha rifiutata. Vorrei altrettanto poter assicurare che si potrà ispirare il furore delle donne a un eunuco, e a quei tanti uomini che la natura ha castrato. Gli uni mancano di testicoli per una cosa; altri ne mancano per un’altra. Occorre che ciascuno s’accoppi con la musa che gli conviene, con la quale si sente e si ritrova. È nullo o non ha che una falsa erezione con le altre. Queste sarebbero solo accarezzate male. A sentirlo, si direbbe che non c’è altro da fare che volere per essere. Quanto non è vero ciò!
[Nota 25] P. 134. «Le donne dovrebbero concepire tanta venerazione per la loro bellezza e per i loro favori, quanta crederebbero di doverne far partecipi solo gli uomini già distinti per il loro genio, per il loro coraggio e la loro probità.» A [«Il signor Rousseau nelle sue opere mi è sempre sembrato meno occupato a istruire che a sedurre i suoi lettori. Sempre oratore e raramente ragionatore, dimentica che nelle discussioni filosofiche, se è permesso talvolta di fare uso dell’eloquenza, è unicamente quando si tratta di far sentire con vigore tutta l’importanza di una opinione già riconosciuta come vera»]. B [«Certamente non si associa alcuna idea distinta alla parola passioni, quando le si considerano come nocive. [...] I nostri desideri sono i nostri motori, ed è la forza dei nostri desideri che determina quella dei nostri vizi e delle nostre virtù. Un uomo senza desideri e senza bisogni è senza spirito e senza ragione» (pp. 130-131)].
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Idée platonique, vision contraire à la nature. Il faut qu’elles couronnent un vieux héros, mais il faut qu’elles couchent avec un jeune homme. La gloire et le plaisir sont deux choses fort diverses. | « Par ce moyen leurs faveurs deviendraient un encouragement aux talents et aux vertus ». – D’accord ; mais la propagation de l’espèce, que deviendrait-elle ? Toutes les fois qu’on invente un moyen de s’honorer, si ce moyen est contraire à la nature, il arrive toujours qu’on n’a réussi qu’à étendre la voie du déshonneur. Voulez-vous avoir bien des femmes déshonorées ? Honorez celles qui se jetteront sur le bûcher de leurs maris. N’en avez-vous pas encore assez ? Attachez leur honneur à la chasteté. En voulez-vous davantage ? Sacrifiez leur penchant à l’ambition, à la fortune et à toutes ces vanités étrangères à l’organe sexuel, à qui vous n’inspirerez jamais d’autre instinct que le sien. Il a son objet comme l’œil, et le législateur qui condamnerait, sous peine d’ignominie, l’œil à ne regarder que certains objets importants, serait fou. Quelque avantage qu’on imagine à priver les femmes de la propriété de leur corps, pour en faire un effet public, c’est une espèce de tyrannie dont l’idée me révolte, une manière raffinée d’accroître leur servitude qui n’est déjà que trop grande. Qu’elles puissent dire à un capitaine, à un magistrat, à quelque autre citoyen illustre que ce soit : « Oui, vous êtes un grand homme, mais vous n’êtes pas mon fait. La patrie vous doit des honneurs, mais qu’elle ne s’acquitte pas à mes dépens. Je suis libre, dites-vous, et par le sacrifice de mon goût et de mes sens vous m’assujettissez à la fonction la plus vile de la dernière des esclaves. Nous avons des aversions qui nous sont propres et que vous ne connaissez ni ne pouvez connaître. Nous sommes au supplice, nous, dans des instants qui auraient à peine le plus léger désagrément pour vous. Vous disposez de vos organes comme il vous plaît ; les nôtres moins indulgents ne sont pas même toujours d’accord avec notre cœur, ils ont quelquefois leur choix séparé. Ne voulez-vous tenir entre vos bras qu’une femme que vous aimez, ou votre bonheur exige-t-il que vous en soyez aimé ? Vous suffit-il d’être heureux, et seriez-vous assez peu délicat pour négliger le bonheur d’une autre ? Quoi, parce que vous avez massacré les ennemis de l’État, il faut que nous nous déshabillions en votre présence, que votre œil curieux parcoure nos charmes, et que nous nous associions aux victimes, aux taureaux, aux génisses dont le sang teindra les autels des dieux, en action de grâces de votre | victoire ! Il ne vous resterait plus qu’à nous défendre d’être passives comme elles. Si vous êtes un héros, ayez-en les sentiments : refusez-vous à une récompense que la patrie n’est pas en droit de vous accorder, et ne nous confondez pas avec le marbre insensible qui se prêtera sans se plaindre au ciseau du statuaire. Qu’on ordonne à l’artiste votre statue, mais qu’on ne m’ordonne pas d’être la mère de vos enfants. Qui vous a dit que mon choix n’était pas fait ; et pourquoi faut-il que le jour de votre triomphe soit marqué des larmes de deux malheureux ? L’enthousiasme de la patrie bouillonnait au fond de votre cœur, vous vous couvrîtes de vos armes et vous allâtes chercher notre ennemi. Attendez que le même enthousiasme me sollicite d’arracher moi-même mes vêtements et de courir au-devant de vos pas, mais ne m’en faites pas une loi. Lorsque vous marchâtes au combat, ce ne fut point à la loi, ce fut à votre cœur magnanime que vous obéîtes ; qu’il me soit permis d’obéir au mien. Ne vous lasserez-vous point de nous ordonner des vertus, comme si nous étions incapables d’en avoir de nous-mêmes ? Ne vous lasserez-vous point de nous faire des devoirs chimériques, où nous ne voyons que trop d’estime ou trop de mépris ? Trop de mépris, lorsque vous en usez avec nous comme la branche de laurier
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Idea platonica; visione contraria alla natura. Occorre che incoronino un vecchio eroe; ma che vadano a letto con un uomo giovane: la gloria e il piacere sono due cose molto diverse. «Con questo mezzo i loro favori diventerebbero un incoraggiamento ai talenti e alle virtù.» – D’accordo; ma la propagazione della specie che cosa diventerebbe? Tutte le volte che s’inventa un mezzo per onorarsi, se questo mezzo è contrario alla natura, accade sempre che si è riusciti soltanto ad allungare la via del disonore. Volete avere un bel numero di donne disonorate? Onorate quelle che si getteranno sul rogo dei loro mariti. Non ne avete ancora abbastanza? Legate il loro onore alla castità. Volete qualcosa di più? Sacrificate la loro inclinazione all’ambizione, alla fortuna e a tutte quelle vanità estranee all’organo sessuale, al quale non ispirerete mai altro istinto se non il suo. Esso ha il suo oggetto, come l’occhio; il legislatore che condannasse, pena l’ignominia, l’occhio a non guardare se non certi oggetti importanti, sarebbe un pazzo. Qualsiasi vantaggio s’immagini nel privare le donne della proprietà del loro corpo, per farne un oggetto pubblico, è una specie di tirannia la cui idea mi rivolta; è una raffinata maniera di incrementare la loro servitù, la quale è già troppo grande. Che le donne possano dire a un capitano, a un magistrato, a qualche altro illustre cittadino qualsivoglia: Sì, voi siete un grand’uomo; ma non siete fatto per me. La patria vi deve degli onori, ma che non se ne sdebiti a mie spese; io sono libera, dite voi; e con il sacrificio del mio gusto e dei miei sensi, voi mi assoggettate alla funzione più vile dell’ultima delle schiave. Noi donne abbiamo delle avversioni che sono proprie a noi stesse e che voi non conoscete e non potete conoscere. Noi ci sentiamo suppliziate, noi, in momenti che a voi avrebbero causato appena un leggero dispiacere. Voi disponete dei vostri organi come più vi aggrada; i nostri, meno indulgenti, non sono neanche sempre d’accordo con il nostro cuore. Talvolta fanno scelte separate. Non volete stringere tra le vostre braccia altri che la donna che amate? O la vostra felicità esige che ne siate amato?25 Vi basta essere felice? e sareste così poco delicato da trascurare la felicità di un’altra? Come! Per il fatto che avete massacrato i nemici dello Stato, è necessario che ci svestiamo in vostra presenza? Che il vostro occhio curioso percorra le nostre bellezze e che ci associamo alle vittime, ai tori, alle giovenche, il cui sangue macchierà gli altari degli dei, in segno di ringraziamento per la vostra vittoria! Non vi resterebbe più altro da fare che proibirci di essere passive come loro. Se siete un eroe, abbiatene i sentimenti: rifiutate di accettare una ricompensa che la patria non ha il diritto di accordarvi e non ci confondete con il marmo insensibile che si presterà, senza lamentarsi, allo scalpello dello scultore. Si ordini pure all’artista la vostra statua. Ma non mi si ordini di essere la madre dei vostri figli; chi vi ha detto che la mia scelta non era già fatta; e perché bisogna che il giorno del vostro trionfo sia temprato nelle lacrime di due infelici? L’entusiasmo per la patria ribolliva nel profondo del vostro cuore; vi copriste delle vostre armi, e andaste a cercare il nostro nemico. Aspettate che lo stesso entusiasmo mi solleciti a strapparmi da sola i miei vestiti e a correre ai vostri piedi; ma non fatemene una legge. Quando voi marciaste in combattimento, non fu certo alla legge, è al vostro cuore magnanimo che obbediste; che mi sia permesso di obbedire al mio. Non v’infastidirete più a ordinarci delle virtù, come se fossimo incapaci di averne da noi stesse; non v’infastidirete a imporci dei doveri chimerici, là dove noi vediamo solo troppa stima o troppo disprezzo; troppo disprezzo, quando agite con noi come con il ramo di
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qui se laisse cueillir et plier sans murmure ; trop d’estime, si nous sommes la plus belle couronne que vous puissiez ambitionner. Vous ne contraindrez pas mon hommage, si vous pensez qu’il n’y a d’hommage flatteur que celui qui est libre. Mais je me tais et je rougis de parler au défenseur de mon pays, comme je parlerais à mon ravisseur. Qui est-ce qui voudrait d’une femme qui oserait s’exprimer ainsi ? Et parce que la pudeur lui ferme la bouche, est-il honnête d’abuser de son silence et de sa personne ?
Section Ii Helvétius continue sur le même texte, savoir : que « tous les hommes communément bien organisés ont une égale aptitude à l’esprit ». | [CHAPITRE I]
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P. 149. « Lorsque, éclairé par LockeA », dites par Aristote, qui a dit expressément le premier qu’il n’y avait rien dans l’entendement qui n’eût été antérieurement dans la sensation. Dites par Hobbes, qui longtemps avant Locke avait déduit, dans son petit et sublime traité De la nature humaine, du principe d’Aristote presque toutes les conséquences qu’on en pouvait tirer. P. 151.B Lorsque je vois un homme d’esprit devenu stupide à la suite d’un violent accès de fièvre, et, réciproquement, un sot penser et parler, dans le délire, comme un homme d’esprit. Lorsque j’en vois un autre perdre la raison et le sens commun par une chute, par une contusion à la tête, tous ses autres organes étant restés dans un état sain. Puis-je m’empêcher d’en conclure que la perfection des opérations intellectuelles dépend principalement de la conformation du cerveau et du cervelet ? Et puis-je douter de la certitude de ma conclusion, lorsque je compare les progrès de l’esprit avec le développement des organes dans les différents âges de l’homme ?
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P. 154. « Locke aperçoit entre les esprits moins de différence qu’on ne pense », mais moins de différence n’est pas nulle différence, et je croirai aussitôt qu’on pourra donner à l’animal appelé le Paresseux, l’agilité du singe ou la vivacité de l’écureuil, qu’à l’homme lourd et pesant le caractère de l’homme vif. Locke dit bons ou méchants,C il ne dit pas ingénieux ou stupides. Quand la bonté et la méchanceté tiendraient autant à l’organisation que le génie et la stupidité, il ne faudrait pas | les confondre, non plus que les dispositions intérieures et les actions. Je m’explique. Un homme naturellement méchant a senti par l’expérience et la réflexion les inconvénients de la méchanceté ; il reste méchant et fait le bien. A « ..., l’on sait que c’est aux organes des sens qu’on doit ses idées..... on doit communément en conclure que l’inégalité des esprits est l’effet de l’inégale finesse de leurs sens ». B « Cependant si des expériences contraires prouvaient que la supériorité de l’esprit n’est point proportionnée à la plus ou moins grande perfection des cinq sens, c’est dans une autre cause qu’on serait forcé de chercher l’explication de ce phénomène ». C « Je crois, dit Locke, pouvoir assurer que de cent hommes, il y en a plus de quatre-vingt-dix qui sont ce qu’ils sont, bons ou mauvais, utiles ou nuisibles à la société, par l’instruction qu’ils ont reçue ».
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alloro che si lascia cogliere e piegare senza un lamento; troppa stima, se noi siamo la più bella corona a cui potete ambire. Voi non costringerete il mio omaggio, se pensate che il solo omaggio lusinghiero è quello libero; ma io taccio e arrossisco nel parlare al difensore del mio paese, come se parlassi al mio rapitore. Chi vorrebbe una donna che osasse esprimersi così; e poiché il pudore le chiude la bocca, è onesto allora abusare del suo silenzio e della sua persona?
Sezione II Helvétius continua sullo stesso testo; ossia che «tutti gli uomini comunemente bene organizzati hanno un’uguale attitudine allo spirito».26 [CAPITOLO 1]
P. 149. «Quando, illuminato da Locke»,A dite da Aristotele, il quale ha per primo detto espressamente che non c’era niente nell’intelletto che non fosse stato in precedenza nella sensazione.27 Dite da Hobbes, il quale molto prima di Locke aveva dedotto, nel suo piccolo e sublime trattato Della natura umana,28 dal principio di Aristotele, quasi tutte le conseguenze che se ne potevano trarre. P. 151.B Quando vedo un uomo di spirito, diventato stupido in seguito a un violento accesso di febbre; e reciprocamente uno sciocco che pensa e parla, nel delirio, come un uomo di spirito. Quando ne vedo un altro perdere la ragione e il senso comune per via di una caduta, di una contusione alla testa, con tutti i suoi organi che sono rimasti in condizioni sane. Posso impedirmi di concluderne che la perfezione delle operazioni intellettuali dipende principalmente dalla conformazione del cervello e del cervelletto? E posso dubitare della certezza della mia conclusione quando paragono i progressi dello spirito con lo sviluppo degli organi, nelle diverse età dell’uomo? P. 154. «Locke scorge tra gli spiriti minore differenza di quanto si pensi», ma la minore differenza, non è nessuna differenza; e io crederei senz’altro che si potrà dare all’animale chiamato il Bradipo29 l’agilità della scimmia o la vivacità dello scoiattolo, piuttosto che all’uomo rozzo e pesante il carattere dell’uomo vivace. Locke dice buoni o malvagi;C non dice ingegnosi o stupidi. Quand’anche la bontà e la malvagità dipendessero dall’organizzazione tanto quanto il genio o la stupidità, non bisognerebbe confonderli; non più delle disposizioni interne e delle azioni. Mi spiego. Un uomo naturalmente malvagio ha sentito, per esperienza e per riflessione, gli inconvenienti della malvagità; resta malvagio e fa il bene. A «..., si sa che agli organi di senso si devono le proprie idee,... comunemente si deve concluderne che la disuguaglianza degli spiriti è l’effetto della diseguale finezza dei loro sensi». B «Tuttavia, se delle esperienze contrarie provassero che la superiorità dello spirito non è affatto proporzionata alla maggiore o minore perfezione dei cinque sensi, si sarebbe costretti a cercare la spiegazione di questo fenomeno in un’altra causa». C «Credo, dice Locke, di poter garantire che tra cento uomini ce ne sono più di novanta che sono ciò che sono, buoni o malvagi, utili o nocivi alla società, per via dell’istruzione che hanno ricevuto».
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Un homme à demi sot a senti par l’expérience et par la réflexion les avantages de l’esprit ; il voudrait bien en avoir, mais il a beau faire, il n’en a point : il pense, agit et parle comme un sot. Un père sévère contraint son fils à une bonne action ; ce père serait une bête féroce, si, le prenant par les cheveux et le frappant, il lui disait : Maroufle, fais donc de l’esprit. Le lieutenant de police ne le ferait pas enfermer pour avoir maltraité son enfant, mais pour en avoir exigé ce que la nature lui avait refusé. Quintilien parle d’une paresse d’esprit innée et propre à certains hommes ; or comment Quintilien reconnaîtrait-il ce vice primitif d’organisation et le concilierait-il avec une égale aptitude à l’instruction ? Il dit que les esprits lourds et inhabiles aux sciences ne sont pas plus dans la nature que les monstres. Combien de monstres ! Quintilien aurait montré beaucoup plus de jugement, s’il eût associé les imbéciles aux hommes de génie et qu’il eût regardé les uns et les autres comme des monstres. Et puis une réflexion à laquelle je ne saurais me refuser, et dont je conseille l’usage à tout lecteur comme d’un principe de critique très délicat et très sûr : c’est qu’il se mêle dans les discours et les écrits des hommes les plus modérés et les plus judicieux, toujours un peu d’exagération de métier. Locke et Quintilien traitent de l’éducation et ils se persuaderont à eux-mêmes que tous nos enfants en sont également susceptibles ; et s’ils réussissent à nous le persuader à nous qui sommes pères, plus Locke aura de lecteurs, plus Quintilien aura de disciples. Mais qu’en arrive-t-il ? C’est qu’un sot sort un sot de l’école de Quintilien ; et qu’avec les soins les plus assidus et tous les beaux principes de Locke, je n’ai rien fait qui vaille de mon fils. Les meilleurs écoliers sont communément ceux qui donnent le moins de peine au maître. Et il n’est pas rare que les enfants les moins élevés soient les meilleurs sujets. Où trouver la raison de ces phénomènes ? Dans l’inégale | aptitude à l’instruction ? Et d’où naît cette inégale aptitude ? De la nature ingrate ou indulgente, de la diversité de l’organisation. Je ne prétends pas qu’il en soit toujours ainsi ; mais pour détruire le paradoxe d’Helvétius, il suffit que ce cas soit fréquent. Je vais plus loin : je propose à Helvétius d’interroger tous les maîtres de Paris, et s’il s’en trouve un seul qui soit de son avis, je baisse la tête et je me tais. Mais si l’on fait des enfants tout ce qu’on veut, pourquoi Helvétius n’a-t-il pas fait de sa fille aînée ce que Nature a fait de sa fille cadette ? Il faut qu’il ait été bien entêté de son système pour avoir tenu ferme contre une démonstration journalière et domestique de sa fausseté. [CHAPITRE II]
P. 160. « L’âme principeA de vie à la connaissance et à la nature duquel on ne s’élève point sans les ailes de la théologie ». Et avec ces belles ailes de chauve-souris à quoi s’élève-t-on ? À rien ; on circule dans les ténèbres. Et pourquoi gâter un ouvrage avec ces flagorneries-là ? La postérité ne vous entendra pas, et les théologiens vos contemporains ne vous en aimeront pas davantage. A
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Un uomo mezzo sciocco ha sentito, per esperienza e per riflessione, i vantaggi dello spirito; vorrebbe tanto averne, ma ha un bel daffare, non ne ha comunque: pensa, agisce e parla come uno sciocco. Un padre severo costringe suo figlio a fare una buona azione; quel padre sarebbe una bestia feroce se, prendendolo per i capelli e picchiandolo, gli dicesse: Caprone,30 fai dunque delle cose di spirito. Il luogotenente di polizia non lo farebbe rinchiudere per aver maltrattato il figlio, ma per aver preteso da lui ciò che la natura gli aveva rifiutato. Quintiliano parla di un’innata pigrizia di spirito propria di certi uomini; ora, come riconosce Quintiliano questo vizio primitivo d’organizzazione? e come lo concilierebbe con un’uguale attitudine all’istruzione?31 Egli dice che gli spiriti grevi e inadatti alle scienze non sono più frequenti in natura dei mostri. Quanti mostri! Quintiliano stesso avrebbe mostrato molto più giudizio, se avesse messo gli imbecilli accanto agli uomini di genio e avesse considerato entrambi come dei mostri. E poi una riflessione alla quale non saprei sottrarmi e della quale consiglio a ogni lettore di fare uso, come d’un principio di critica assai sottile e sicuro: è il fatto che nei discorsi e negli scritti degli uomini più moderati e più giudiziosi si mescola sempre un po’ d’esagerazione di mestiere. Locke e Quintiliano trattano dell’educazione e convinceranno sé stessi che tutti i nostri figli ne sono ugualmente suscettibili; e se riescono a convincerci di ciò, noi che siamo padri, più lettori avrà Locke e più discepoli Quintiliano. Ma che cosa accadrà perciò? Che uno sciocco esce sciocco dalla scuola di Quintiliano; e che con tutte le cure più assidue e tutti i bei principi di Locke, non avrò fatto, di mio figlio, niente che abbia valore. I migliori scolari di solito sono quelli che fanno faticare di meno il loro maestro. E non è raro che i bambini meno educati siano anche i migliori soggetti. Dove trovare la ragione di tali fenomeni? Nell’ineguale attitudine all’istruzione? E donde nasce quest’ineguale attitudine? Dalla natura ingrata o indulgente; dalla diversità dell’organizzazione. Non pretendo che sia sempre così, ma per demolire il paradosso di Helvétius, basta che questo caso sia frequente. Mi spingo più lontano; propongo a Helvétius d’interrogare tutti i maestri di Parigi; e se ne trova anche uno solo che sia del suo parere, abbasso la testa e taccio. Ma se si può fare tutto quello che si vuole dei bambini, perché Helvétius non ha fatto della figlia maggiore quello che la Natura ha fatto della sua figlia minore?32 Bisogna essersi particolarmente incaponito sul proprio sistema, per averlo tenuto fermo contro una dimostrazione quotidiana e domestica della sua falsità. [CAPITOLO 2]
P. 160. «L’anima principio di vita, alla conoscenza e alla natura della quale non ci si può innalzare senza le ali della teologia». E con queste belle ali da pipistrello a che cosa ci s’innalza? A nulla; si circola nelle tenebre. E perché guastare un’opera con queste piaggerie? La posterità non vi capirà e i teologi vostri contemporanei per questo non vi ameranno di più. A
A
«L’anima è un principio».
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P. 161.A M. Robinet... S’il est l’auteur de l’ouvrage De la nature publié sous son nom. J’ai ouï dire à quelques-uns de nos philosophes qu’il ne l’entendait pas.
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P. 164. « L’homme doit à la mémoire ses idées et son esprit ». Et sa mémoire, grande ou petite, ingrate ou fidèle, tenace ou passagère, à quoi la doit-il ? N’est-il pas d’expérience qu’on n’a jamais réussi à en donner jusqu’à un cer | tain degré à des enfants qui en manquaient ? N’est-il pas d’expérience que rien n’est si variable entre les hommes ? Voilà donc pour quelques-uns une barrière insurmontable dans la carrière des arts et des sciences, et une très grande inégalité dans l’aptitude naturelle de tous, soit à l’acquisition des idées, soit à la formation de l’esprit. D’Alembert lit une fois une démonstration de géométrie et il la sait par cœur. À la dixième fois je tâtonne encore. D’Alembert ne l’oublie plus. Au bout de quelques jours, à peine m’en reste-t-il quelques traces. Tout étant égal d’ailleurs, comment peut-il arriver que dans le même temps d’étude je fasse le même chemin que lui ? « Si la mémoire se perd ou s’affaiblit par un coup, une chute, une maladie », un enfant ne peut-il pas naître avec cet organe vicié par la nature comme par l’accident ? Que direz-vous de cet enfant ? Lui accorderez-vous la même aptitude à l’instruction ? N’en sommes-nous pas la presque tous, si l’on nous compare à M. de Guibert ou à M. de Villoison ? Ces deux espèces de prodiges ne démontrent-ils pas qu’il y a une organisation propre à la mémoire ? Et si je n’ai pas reçu cette organisation, qui est-ce qui me la donnera ? Vous n’en avez pas besoin, direz-vous, pour être un grand homme. – Cela se peut ; mais n’en faites donc pas dépendre l’étendue des idées et la force de l’esprit. [CHAPITRE 5] P. 189. « Dire, qu’un mode ou une manière d’être n’est point un corps ou n’a point d’étendue, rien de plus clair. Mais faire de ce mode un être et même un être spirituel, rien, selon moi, de plus absurde ». Aussi ne le font-ils pas. Ils ne disent pas que la pensée est un être spirituel, mais ils disent que c’est un mode incompatible avec la matière, ce qui est fort différent ; et ils en concluent l’existence d’un être spirituel. Je ne prétends pas que leur système en soit plus sensé, mais je vois beaucoup d’inconvénient à le mal exposer. En lisant cet endroit, Tenez, diront-ils, voilà comme ils nous entendent et comme ils nous réfutent. | B
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P. 192 et précédentes. « Sentir c’est juger ». Cette assertion, comme elle est énoncée, ne me paraît pas rigoureusement vraie. Le stupide sent, mais peut-être ne juge-t-il pas. A [« Quelques-uns doutent que la science de Dieu, ou la théologie soit une science. Toute science, disent-ils, suppose une serte d’observations. Or quelles observations faire sir un être invisible et incompréhensible ? La théologie n’est donc point une science. En effet que désigne le mot Dieu ? La cause encore inconnue de l’ordre et du mouvement Or que dire d’une cause inconnue ? Attache-t-on d’autres idées à ce mot Dieu ? On tombe, comme le prouve M. Robinet, dans mille contradictions ».] B « comme les docteurs de l’école, qu’un mode »
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P. 161.A Il signor Robinet... se è l’autore del De la nature,33 pubblicata con il suo nome. Ho sentito dire, da parte di certi nostri filosofi, che lui non la capiva. P. 164. «L’uomo deve alla memoria le sue idee e il suo spirito». E la sua memoria, grande o piccola, ingrata o fedele, tenace o passeggera che sia, a che cosa la deve? Non è un fatto d’esperienza che non si è mai riusciti a darne, fino a un certo grado, ai bambini che ne erano privi? Non è un fatto d’esperienza che non c’è nulla di così variabile tra gli uomini? Ecco dunque, per alcuni, una barriera insuperabile nella carriera delle arti e delle scienze, e una grandissima disuguaglianza nell’attitudine naturale di tutti, o nell’acquisizione delle idee, o nella formazione dello spirito. D’Alembert legge una sola volta una dimostrazione geometrica e la sa a memoria. Alla decima volta io brancolo ancora. D’Alembert non la dimentica. In capo a una quindicina di giorni a me ne restano appena alcune tracce. D’altronde, ferme restando le medesime condizioni, come può accadere che, nello stesso tempo di studio, io faccia lo stesso percorso che fa lui? «Se la memoria si perde o s’indebolisce per un trauma, una caduta, una malattia», un bambino non può nascere con quest’organo viziato dalla natura, come lo è per via dell’incidente? Che direte di quel bambino? Gli accorderete la stessa attitudine all’istruzione? Non siamo quasi tutti a quel punto, se ci paragoniamo al Signor de Guibert o al Signor de Villoison?34 Queste due specie di prodigi non ci dimostrano che c’è un’organizzazione propria della memoria? E se io non ho ricevuto quest’organizzazione, chi me la darà? Non ne avete bisogno, direte voi, per essere un grand’uomo. – Questo è possibile. Ma dunque non fatene dipendere l’estensione delle idee e la forza dello spirito. [CAPITOLO 5]
P. 189. «Dire che un modo o una maniera d’essere non è affatto un corpo, o che non ha alcuna estensione; niente di più chiaro. Ma fare di quel modo un essere e persino un essere spirituale, non c’è niente, secondo me, di più assurdo». Perciò non lo fanno. Non dicono che il pensiero è un essere spirituale, ma dicono che è un modo incompatibile con la materia. Il che è molto diverso. E ne concludono all’esistenza di un essere spirituale. Non pretendo certo che il loro sistema sia perciò più sensato; ma vedo un grande inconveniente a esporlo male. Leggendo questo passaggio, andiamo, diranno, ecco come ci capiscono e come ci confutano. B
P. 192 e precedenti. «Sentire è giudicare». Quest’asserzione, per come è enunciata, non mi sembra rigorosamente vera. Lo stupido sente, ma forse non giudica. L’essere A [«Alcuni dubitano che la scienza di Dio, ossia la teologia, sia una scienza. Ogni scienza, dicono, presuppone una serie di osservazioni. Ora, quali osservazioni fare su un essere invisibile e incomprensibile? La teologia non è dunque una scienza. In effetti, che cosa designa il nome Dio? La causa ancora sconosciuta dell’ordine e del movimento. Pertanto, che dire di una causa ignota? Si legano altre idee a questa parola Dio? Come dimostra il Signor Robinet, si cade in mille contraddizioni»]. B «come i dottori della scuola, che un modo».
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L’être totalement privé de mémoire sent, mais il ne juge pas. Le jugement suppose la comparaison de deux idées. La difficulté consiste à savoir comment se fait cette comparaison, car elle suppose deux idées présentes. Helvétius aurait coupé un terrible nœud, s’il nous avait expliqué bien clairement comment nous avons deux idées présentes à la fois, ou comment ne les ayant pas présentes à la fois, cependant nous les comparons. [CHAPITRE 6]
p. 199. J’avais peut-être de l’humeur lorsque j’ai lu ce sixième chapitre, mais voici mon observation ; bonne ou mauvaise, elle restera. De toute cette métaphysique de l’auteur, il résulte que les jugements, ou la comparaison des objets entre eux, suppose quelque intérêt de les comparer ; or cet intérêt émane nécessairement du désir d’être heureux, désir qui prend sa source dans la sensibilité physique. Voilà une conclusion tirée de bien loin ; elle convient plutôt à l’animal en général qu’à l’homme. Passer brusquement de la sensibilité physique, c’est-à-dire de ce que je ne suis pas une plante, une pierre, un métal, à l’amour du bonheur ; de l’amour du bonheur à l’intérêt ; de l’intérêt à l’attention ; de l’attention à la comparaison des idées ; je ne saurais m’accommoder de ces généralités-là : je suis homme, et il me faut des causes propres à l’homme. L’auteur ajoute qu’en remontant de deux crans plus haut ou en descendant d’un cran plus bas, il passait de la sensibilité physique à l’organisation, de l’organisation à l’existence, et qu’il eût dit : J’existe, j’existe sous cette forme ; je sens, je juge ; je veux être heureux parce que je sens : j’ai intérêt à comparer mes idées, puisque je veux être heureux. Quelle utilité | retirerai-je d’une enfilade de conséquences qui conviennent également au chien, à la belette, à, l’huître, au dromadaire ? Si Jean-Jacques nie ce syllogisme, il a tort ; s’il le trouve frivole, il pourrait bien avoir raison. Descartes avait dit : Je pense, donc j’existe. Helvétius veut qu’on dise : Je sens, donc je veux sentir agréablement. J’aime mieux Hobbes qui prétend que pour tirer une conséquence qui menât à quelque chose, il fallait dire : Je sens, je pense, je juge, donc une portion de matière organisée comme moi peut sentir, penser et juger. En effet, si après cette première enjambée on en fait une seconde, on est déjà bien loin. Qui croirait qu’après une marche aussi franche et aussi ferme, le dernier de ces philosophes s’est aussi laissé gagner par la terreur et a terminé son sublime ouvrage De la nature de l’homme par des visions si étranges, si superstitieuses, si folles, qu’on en est presque aussi indigné que surpris ? « Sentir, c’est penser » ou « l’on ne pense pas, si l’on n’a senti ». Sont-ce deux propositions si diverses que la première étant trouvée, l’on puisse regarder l’autre comme une découverte bien merveilleuse ? Si, partant du seul phénomène de la sensibilité physique, propriété générale de la matière ou résultat de l’organisation, il en eût déduit avec clarté toutes les opérations de l’entendement, il eût fait une chose neuve, difficile et belle. A
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[« Il résulte de ce chapitre que tous les jugements occasionnés par la comparaison des objets entre eux, supposent en nous un intérêt de les comparer. Or cet intérêt nécessairement fondé sur l’amour de notre bonheur, ne peut être qu’un effet de la sensibilité physique, puisque toutes nos peines et nos plaisirs y prennent leur source. Cette question examinée, j’en conclurai que la douleur et le plaisir physique est le principe ignoré de toutes les actions des hommes » (p. 199-200)].
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totalmente privo di memoria sente, ma non giudica. Il giudizio presuppone il paragone di due idee. La difficoltà consiste nel sapere come si compie questo paragone, perché presuppone due idee presenti. Helvétius avrebbe tagliato un nodo terribile, se ci avesse spiegato con maggiore chiarezza come abbiamo due idee presenti insieme, ovvero come non avendole presenti insieme, ciononostante le paragoniamo.35 [CAPITOLO 6]
P. 199. Forse ero di malumore quando ho letto questo sesto capitolo. Ma ecco la mia osservazione. Buona o cattiva, resterà. Da tutta questa metafisica dell’autore, risulta che i giudizi, ossia il paragone degli oggetti tra loro, presuppone qualche interesse nel paragonarli; ora, tale interesse emana necessariamente dal desiderio di essere felici, desiderio che trova la sua fonte nella sensibilità fisica. Ecco una conclusione tratta da molto lontano; è adatta più all’animale in generale che all’uomo. Passare bruscamente dalla sensibilità fisica, cioè dal fatto che io non sono una pianta, una pietra, un metallo, all’amore della felicità; dall’amore della felicità all’interesse; dall’interesse all’attenzione; dall’attenzione al paragone delle idee; io non riesco ad acconsentire a tali generalità; sono uomo e ho bisogno di cause adatte, proprie dell’uomo. L’autore aggiunge che risalendo di due gradini più in alto o scendendo di un gradino più in basso, passava così dalla sensibilità fisica all’organizzazione, dall’organizzazione all’esistenza, e avrebbe detto: Io esisto, esisto sotto questa forma, sento, giudico, voglio essere felice perché sento: ho interesse a paragonare le mie idee perché voglio essere felice. Quale utilità potrei trarre da una sfilza di conseguenze che sono adatte in ugual modo al cane, alla donnola, all’ostrica, al dromedario? Se Jean-Jacques nega questo sillogismo ha torto; se lo trova frivolo, potrebbe certo aver ragione. Cartesio aveva detto: «Penso, dunque esisto». Helvétius vuole che si dica: «Sento, dunque voglio sentire gradevolmente». Preferisco Hobbes il quale pretende che per trarre una conseguenza che porti a qualcosa, bisognerebbe dire: «Io sento, penso, giudico, dunque una porzione di materia organizzata come me può pensare, sentire e giudicare».36 In effetti, se dopo questo primo passo se ne fa un secondo, si è già andati molto lontano. Chi potrebbe credere che dopo un passo così franco e fermo, l’ultimo di quei filosofi si è lasciato vincere dal terrore e ha terminato la sua sublime opera Della natura dell’uomo con delle visioni tanto strane, così superstiziose, così folli che se ne resta quasi altrettanto indignati che sorpresi?37 «Sentire, è pensare» oppure «non si pensa se non si è sentito» – Sono queste due proposizioni così diverse che una volta trovata la prima si può considerare l’altra come una scoperta a tal punto meravigliosa? Eppure, se dal solo fenomeno della sensibilità fisica, proprietà generale della materia o risultato dell’organizzazione, Helvétius ne avesse dedotto con chiarezza tutte le operazioni dell’intelletto, avrebbe fatto una cosa nuova, difficile e bella. A
A
[«Da questo capitolo risulta che tutti i giudizi occasionati dal paragone degli oggetti tra loro, presuppongono in noi un interesse a paragonarli. Ora, quest’interesse fondato necessariamente sull’amore della nostra felicità, non può essere che un effetto della sensibilità fisica, poiché tutti i nostri dolori e i nostri piaceri vi trovano la loro fonte. Esaminata questa questione, ne concluderò che il dolore e il piacere fisico è il principio ignorato di tutte le azioni degli uomini» (pp. 199-200)].
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J’estimerai davantage encore celui qui, par l’expérience ou l’observation, démontrera rigoureusement ou que la sensibilité physique appartient aussi essentiellement à la matière que l’impénétrabilité, ou qui la déduira sans réplique de l’organisation. J’invite tous les physiciens et tous les chimistes à rechercher ce que c’est que la substance animale, sensible et vivante. Je vois clairement dans le développement de l’œuf et quelques autres opérations de la nature, la matière inerte en apparence, mais organisée, passer par des agents purement physiques, de l’état d’inertie à l’état de sensibilité et de vie, mais la liaison nécessaire de ce passage m’échappe. Il faut que les notions de matière, d’organisation, de mouvement, de chaleur, de chair, de sensibilité et de vie soient encore bien incomplètes. | Il faut en convenir, l’organisation ou la coordination de parties inertes ne mène point du tout à la sensibilité : et la sensibilité générale des molécules de la matière n’est qu’une supposition, qui tire toute sa force des difficultés dont elle débarrasse, ce qui ne suffit pas en bonne philosophie. Et puis revenons à notre auteur. Est-il bien vrai que la douleur et le plaisir physiques, peut-être les seuls principes des actions de l’animal, soient aussi les seuls principes des actions de l’homme ? Sans doute, il faut être organisé comme nous et sentir pour agir ; mais il me semble que ce sont là les conditions essentielles et primitives, les données sine qua non, mais que les motifs immédiats et prochains de nos aversions et de nos désirs sont autre chose. Sans alcali et sans sable, il n’y a point de verre ; mais ces éléments sont-ils la cause de la transparence ? Sans terrains incultes et sans bras on ne défriche point ; mais sont-ce là les motifs de l’agriculteur quand il défriche ? Prendre des conditions pour des causes, c’est s’exposer à des paralogismes puérils et à des conséquences insignifiantes. Si je disais : Il faut être pour sentir, il faut sentir pour être animal ou homme, il faut être animal ou homme pour être avare, ambitieux et jaloux ; donc la jalousie, l’ambition, l’avarice ont pour principes l’organisation, la sensibilité, l’existence... pourriezvous vous empêcher de rire ? Et pourquoi ? C’est que je prendrais la condition de toute action animale en général pour le motif de l’action de l’individu d’une espèce d’animal qu’on appelle homme. Tout ce que je fais, assurément je le fais pour sentir agréablement, ou de peur de sentir douloureusement ; mais le mot sentir n’a-t-il qu’une seule acception ? N’y a-t-il que du plaisir physique à posséder une belle femme ? N’y a-t-il que de la peine physique à la perdre ou par la mort ou par l’inconstance ? La distinction du physique et du moral n’est-elle pas aussi solide que celle d’animal qui sent et d’animal qui raisonne ? Ce qui appartient à l’être qui sent et ce qui appartient à l’être qui réfléchit ne se trouvent-ils pas tantôt réunis, tantôt séparés dans presque toutes les actions qui font le bonheur ou le malheur de notre vie ? Bonheur et malheur qui supposent la sensation physique comme condition, c’est-à-dire qu’il ne faut pas être un chou ? | Tant il était important de ne pas faire de sentir et de juger deux opérations parfaitement identiques.
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Stimerei ancor di più colui il quale, con l’esperienza o l’osservazione, dimostrerà rigorosamente o che la sensibilità fisica appartiene altrettanto essenzialmente alla materia quanto l’impenetrabilità, oppure la dedurrà senza meno dall’organizzazione. Invito tutti i fisici e tutti i chimici a ricercare che cos’è la sostanza animale, sensibile e vivente. Vedo con chiarezza, nello sviluppo dell’uovo e in poche altre operazioni della natura, la materia all’apparenza inerte, ma organizzata, passare per via di agenti puramente fisici, dallo stato d’inerzia allo stato di sensibilità e di vita, ma il nesso necessario di questo passaggio mi sfugge. Le nozioni di materia, di organizzazione, di moto, di calore, di carne, di sensibilità e di vita devono essere ancora assai incomplete. Bisogna convenirne, l’organizzazione o la coordinazione di parti inerti non conduce affatto alla sensibilità: e la sensibilità generale delle molecole della materia non è che una supposizione, che trae tutta la sua forza dalle difficoltà di cui ci sbarazza, il che però non basta, nella buona filosofia.38 E poi, torniamo al nostro autore. È proprio vero che il dolore e il piacere fisici, forse i soli principi delle azioni dell’animale, siano anche i soli principi delle azioni dell’uomo? Occorre essere probabilmente organizzati come noi e sentire, per agire; ma mi sembra che queste siano le condizioni essenziali e primitive, i dati sine qua non, ma i motivi immediati e prossimi delle nostre avversioni e dei nostri desideri sono altra cosa. Senza alcali e senza sabbia, non c’è modo di avere il vetro; ma quegli elementi sono la causa della sua trasparenza? Senza terreni incolti e senza braccia non si dissoda nulla; ma sono forse quelli i motivi dell’agricoltore quando dissoda? Prendere delle condizioni per delle cause significa esporsi a dei paralogismi puerili e a conseguenze prive di significato. Se dicessi: bisogna essere per sentire, bisogna sentire per essere animale o uomo, bisogna essere animale o uomo per essere avaro, ambizioso e geloso; dunque la gelosia, l’ambizione, l’avarizia hanno per principi l’organizzazione, la sensibilità, l’esistenza... potreste impedirvi di ridere? E perché? Per il fatto che avrei preso la condizione di ogni azione animale in generale per il motivo dell’azione dell’individuo di una specie d’animale che chiamiamo uomo. Tutto quello che faccio, sicuramente lo faccio per sentire gradevolmente, o per paura di sentire dolorosamente; ma la parola sentire non ha che una sola accezione? Non c’è altro che piacere fisico nel possedere una bella donna? Non c’è che dolore fisico nel perderla, per causa di morte o dell’incostanza? La distinzione del fisico e del morale non è forse altrettanto solida quanto quella che c’è tra l’animale che sente e l’animale che ragiona? Ciò che appartiene all’essere che sente e ciò che appartiene all’essere che riflette non si trovano certe volte riuniti, altre volte separati in quasi tutte le azioni che fanno la felicità o l’infelicità della nostra vita? felicità e infelicità che presuppongono la sensazione fisica come condizione, cioè il fatto che occorre non essere un cavolo? A tal punto era importante non fare del sentire e del giudicare due operazioni perfettamente identiche.
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CHAPITRE 7
Voici son titre : « La sensibilité physique est la cause unique de nos actions, de nos pensées, de nos passions, de notre sociabilité ». Remarquez bien qu’il ne dit pas Une condition primitive, essentielle, comme l’impénétrabilité l’est au mouvement, ce qui est incontestable, mais La cause, la cause unique, ce qui me semble presque aussi évidemment faux.
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P. 200. « C’est pour se nourrir, se vêtir, c’est pour parer sa femme ou sa maîtresse... que ce laboureur fatigue ». Mais parer sa femme ou sa maîtresse, est-ce d’un animal qui sent ou d’un homme qui juge ? Lorsqu’on l’embellit, c’est quelquefois pour susciter un plaisir physique dans les autres ; pour l’éprouver soi, quand on aime, c’est un apprêt superflu. « Qu’est-ce qui nous fait aimer jusqu’au petit jeu ? La crainte de l’ennui ? » Mais l’ennui est-il de l’animal ou de l’homme ? Et celui qui joue pour se récréer ? Et celui qui joue parce qu’il excelle au jeu ? « Qu’est-ce qui nous fait aimer le gros jeu ? » La paresse, qui, de tous les moyens de faire une grande fortune, choisit le plus hasardeux, mais le plus court. L’avidité qui se jette sur la dépouille d’un autre, sans égard à son désespoir. L’orgueil, etc. Qu’est-ce qu’il y a d’animal et de physique dans ces différents motifs ? « Pourquoi secourt-on celui qui souffre ? C’est qu’on s’identifie avec lui ». Mais cette honnête et sublime identification, de qui est-elle ? Est-ce de l’homme physique ou de l’homme moral ? Jamais on n’a dit tant de choses vraies et tiré tant de fausses conséquences, montré tant d’esprit et si peu de logique. Il faut être étrangement entêté d’une opinion pour assurer que celui qui ouvre sa bourse à l’indigent, se propose secrètement d’avoir un bon lit, un bon souper et de coucher avec sa voisine. J’en demande pardon au lecteur, je vais dire une chose ordurière, une chose sale, du plus mauvais goût, un propos de la halle, mais plus décisif | que mille raisonnements. Hé bien, monsieur Helvétius, tous les projets d’un grand roi, toutes les fatigues d’un grand ministre ou d’un grand magistrat, toutes les méditations d’un politique, d’un homme de génie se réduisent donc à foutre un coup le matin et à faire un étron le soir. Et vous appelez cela faire de la morale et connaître l’homme. Niez-vous les belles actions clandestines ? Les déparez-vous toutes par l’espoir d’un hasard qui les révélera ? Où est le but physique de ces actions ? Que se propose celui qui sacrifie sa vie ? Codrus et Décius allaient-ils chercher quelque jouissance physique dans un sépulcre, au fond d’un abîme ? Le malfaiteur qui s’achemine au lieu de son supplice éprouve sans doute une douleur physique ; mais est-ce la seule ?A Ne la distinguez-vous point des coups de barre du bourreau ? « Le remords n’est que la prévoyance du mal physique auquel le crime découvert nous exposerait ». Oui, voilà peut-être le remords du scélérat ; mais n’en connaissezvous pas un autre ? Il y a des peines et des plaisirs de pure opinion qui nous transportent ou qui nous A [« Je ne connais que deux sortes de douleurs, la douleur actuelle et la douleur de prévoyance. [...] Le criminel qui marche à l’échafaud n’éprouve encore aucun tourment ; mais la prévoyance qui lui rend son supplice présent, le commence » (p. 204-205).]
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CAPITOLO 7
Ecco il suo titolo: «La sensibilità fisica è la causa unica delle nostre azioni, dei nostri pensieri, delle nostre passioni, della nostra socievolezza». Osservate bene che egli non dice Una condizione primitiva, essenziale, come l’impenetrabilità lo è rispetto al moto, il che sarebbe incontestabile, ma La causa, la causa unica, il che mi sembra quasi altrettanto evidentemente falso. P. 200. «È per nutrirsi, per vestirsi, è per adornare la propria moglie o la propria amante... che quel contadino fatica». Ma adornare la moglie o l’amante, è cosa di un animale che sente o di un uomo che giudica? Quando si adorna qualcosa è talvolta per suscitare un piacere fisico negli altri; per provarlo per sé, quando si ama, è un preparativo superfluo. «Che cosa ci fa amare perfino il gioco di poco conto?39 Il timore della noia». Ma la noia è dell’animale o dell’uomo? E chi gioca per svagarsi? E chi gioca perché eccelle al gioco? «Che cosa ci fa amare il gioco d’azzardo?» La pigrizia, la quale, fra tutti i mezzi per fare una grande fortuna, sceglie il più azzardato, ma il più breve. L’avidità, che si getta sulle spoglie di un altro, senza riguardi verso la sua disperazione. L’orgoglio, ecc. Che cosa c’è di animale e di fisico in questi diversi motivi? «Perché soccorriamo chi soffre? Perché ci identifichiamo con lui». Ma quest’onestà e identificazione sublime, a chi appartiene? All’uomo fisico o all’uomo morale? Non si sono mai dette tante cose vere e tratto tante false conseguenze, mostrato tanto spirito e così poca logica; bisogna essersi stranamente intestarditi in una falsa opinione per affermare con sicurezza che colui il quale apre la borsa all’indigente si propone segretamente di avere un buon letto, una buona cena e di andare a letto con la sua vicina. Ne chiedo scusa al lettore, sto per dire una cosa sconcia, una cosa sporca, del peggior cattivo gusto, un discorso da mercati generali; ma più decisivo di mille ragionamenti. Ebbene, signor Helvétius, tutti i progetti di un gran re, tutte le fatiche di un grande ministro o di un grande magistrato, tutte le meditazioni di un politico, di un uomo di genio si riducono a fottere un po’ il mattino e a fare uno stronzo la sera. E voi chiamate questo fare della morale e conoscere l’uomo? Negate forse le belle azioni clandestine? Le rovinate tutte con la speranza di un caso che le rivelerà? Dov’è lo scopo fisico di tali azioni? Che cosa si propone colui che sacrifica la propria vita? Codro e Decio40 andavano cercando qualche godimento fisico in un sepolcro, sul fondo di un abisso? Il malfattore che s’incammina verso il luogo del supplizio prova probabilmente un dolore fisico; ma è il solo dolore?A Non lo distinguete proprio dai colpi di spranga del boia? «Il rimorso non è che la previsione del male fisico al quale ci esporrebbe il crimine, una volta scoperto». Sì, ecco, forse è il rimorso dello scellerato; ma non ne conoscete un altro? Ci sono pene e piaceri di pura opinione che ci trasportano o ci affliggono, senza un A [«Non conosco che due specie di dolori, il dolore attuale e il dolore di previsione. [...] Il criminale che marcia verso il patibolo non prova ancora alcun tormento; ma prova la previsione, che gli rende presente il suo supplizio, ne segna l’inizio» (pp. 204-205)].
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désolent, sans aucun rapport, soit implicite, soit explicite, à des suites physiques. J’aurais souvent préféré une attaque de goutte à une marque légère de mépris. Il faut que je marche pour aller rue Sainte-Anne causer avec un certain philosophe que j’aime, ou m’entretenir plus doucement encore avec une femme de son voisinage ; mais n’y vais-je que parce que j’ai des pieds ? Ces deux actions sont sans doute réductibles en dernière analyse à de la sensibilité physique, mais comme condition et non comme cause, but ou motif. Développez le sentiment de l’amitié,A et quand, à force de le défigurer, vous n’en aurez fait que de la peine ou du plaisir physique, ne vous étonnez pas si l’on vous regarde comme un homme atroce ou comme un raisonneur absurde. | Vous me parlez encore de la jouissance d’une belle esclave ou d’un beau tableau ; et comment m’en parlez-vous ? De la jouissance de l’esclave, comme un gourmand qui dévore un pluvier ; du beau tableau comme un physicien qui considère le spectre solaire. Ce sont pourtant des plaisirs bien différents. Pour caresser l’esclave, pour admirer le tableau, il faut sentir, j’en conviens, mais c’est comme il faut exister. « Sans amour pour les belles esclaves et pour les beaux tableaux, cet homme eût été indifférent à la découverte d’un trésor ». Cela est faux en tout sens. Et quand ce serait l’espoir de jouir demain de votre maîtresse qui vous rendrait heureux aujourd’hui, le seriez-vous d’un plaisir physiqueB ? Vous confondez le plaisir de l’attente et celui de la jouissance, comme vous avez confondu la douleur actuelle avec la douleur de prévoyance. Lorsque vous vous mourez de faim, qu’éprouvez-vous ? La défaillance, la contraction de l’estomac, une sensation particulière et cruelle des organes de la déglutition : qu’ont de commun ces symptômes avec la faim que vous prévoyez, avec vos inquiétudes, votre trouble, votre désespoir ? Il y a si peu de rapport entre ces deux peines, et votre attention est tellement fixée sur le mal qui vous menace, que toute sensation corporelle en est suspendue. Ce n’est plus nous que vous apercevez, c’est l’image d’un homme agonisant, défaillant et expirant dans des transes horribles : image effrayante de ce que vous serez dans un jour, dans deux jours, dans trois jours. Si vous voyiez un homme mourant de faim, vous ne balanceriez pas à dire, cet homme meurt de faim. Si vous voyiez un homme menacé de mourir de faim, le devineriez-vous ? nullement. La faim est un besoin, ce besoin non satisfait devient une maladie ; direz-vous que la maladie et la crainte de tomber malade soient une même chose ? La faim est dans le gosier, l’œsophage, l’estomac et toute la longueur du canal intestinal ; la crainte de la famine, comme toutes les autres craintes, est dans l’entendement. | P. 210. « Rien ne m’arrive que je n’y voie l’espérance d’un bien ou la menace d’un mal » ; mais parce que ce bien et ce mal supposent la sensibilité physique, ils sont physiques ? L’auteur se trompe quelquefois parce qu’il est trop fin, et quelquefois parce qu’il ne l’est pas assez. A [« C’est pareillement de la sensibilité physique que découlent les larmes dont j’arrose l’urne de mon ami. [...] Qu’on descende, qu’on fouille au fond de son âme, l’on n’aperçoit dans tous ces sentiments, que les développements du plaisir et de la douleur physique » (p. 208-209).] B [« Qu’on descende, qu’on fouille au fond de son âme, l’on n’aperçoit dans tous ces sentiments, que le développement du plaisir et de la douleur physique. [.. .] Les plaisirs de prévoyance supposent donc toujours l’existence des plaisirs des sens. C’est l’espoir de jouir demain de ma maîtresse qui me rend heureux aujourd’hui » (p. 209-210).]
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rapporto – che sia implicito o esplicito – con delle conseguenze fisiche. Spesso avrei preferito un attacco di gotta a un leggero segno di disprezzo. Bisogna pur camminare, per andare in rue Sainte-Anne a chiacchierare con un filosofo che amo, o a intrattenermi ancor più amabilmente con una donna del suo vicinato;41 ma ci vado solo perché ho dei piedi? Queste due azioni sono probabilmente riducibili, in ultima analisi, a una qualche sensibilità fisica, ma come condizione e non come causa, scopo o motivo.42 Sviluppate il sentimento dell’amicizia;A e quando, a forza di sfigurarlo, non ne avrete fatto altro che del dolore o del piacere fisico non stupitevi se si guarda a voi come a un uomo spaventoso o a un ragionatore assurdo. Voi mi parlate ancora del godimento di una bella schiava o di un bel quadro; e come ne parlate? Del godimento di una schiava come di un goloso che divora della selvaggina;43 del bel quadro come un fisico che prende in esame lo spettro solare. Eppure sono piaceri assai diversi. Per carezzare la schiava, per ammirare il quadro, bisogna sentire, ne convengo, ma è come quando bisogna esistere. «Senza amore per le belle schiave e i bei quadri, quell’uomo sarebbe stato indifferente alla scoperta di un tesoro». Ciò è falso, in ogni senso. E quand’anche fosse la speranza di godere domani della vostra amante che vi renderebbe felice oggi, lo sareste per un piacere fisico?B Voi confondete il piacere dell’attesa con quello del godimento, come avete confuso il dolore attuale con il dolore della previsione. Se moriste di fame che cosa provereste? Lo svenimento, la contrazione dello stomaco, una sensazione particolare e crudele degli organi della deglutizione: che cos’hanno in comune, questi sintomi, con la fame che prevedete, con le vostre inquietudini, il vostro turbamento, la vostra disperazione? C’è un rapporto tanto debole tra quei due dolori, e la vostra attenzione è talmente puntata sul male che vi minaccia, che ogni sensazione corporea ne viene sospesa. Non è più voi stesso che percepite, è l’immagine di un uomo agonizzante che collassa e spira tra orribili deliri: immagine spaventosa di ciò che sarete tra un giorno, tra due giorni, tre giorni. Se vedeste un uomo che sta morendo di fame, non esitereste a dire: quest’uomo muore di fame. Ma se vedeste un uomo minacciato di morire di fame, lo indovinereste? In nessun modo. La fame è un bisogno; tale bisogno, non soddisfatto, diventa una malattia; direte che la malattia e il timore di ammalarsi siano una sola e medesima cosa? La fame è nella gola, nell’esofago, nello stomaco e in tutta la lunghezza del canale intestinale; il timore della carestia, come tutti gli altri timori, è nell’intelletto. P. 210. «Non c’è niente che mi accada, in cui io non veda la speranza di un bene o la minaccia di un male»; ma per il fatto che quel bene e quel male presuppongono la sensibilità fisica, sono perciò fisici? L’autore si sbaglia, talvolta, perché è troppo fine, e talaltra perché non lo è abbastanza. A [«In egual modo è dalla sensibilità fisica che sgorgano le lacrime con le quali bagno l’urna del mio amico [...] Si scenda, si scavi nel fondo del suo animo, in tutti quei sentimenti si scorgono solo gli sviluppi del piacere e del dolore fisico» (pp. 208-209)]. B [«Si scenda, si scavi nel fondo del suo animo, in tutti quei sentimenti si scorgono solo gli sviluppi del piacere e del dolore fisico. [...] I piaceri di previdenza presuppongono dunque, sempre, l’esistenza dei piaceri dei sensi. È la speranza di godere della mia amante domani a rendermi felice oggi» (pp. 209-210)].
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opere filosofiche
Il y a un bonheur circonscrit qui reste en moi et qui ne s’étend point au-delà. Il y a un bonheur expansif qui se propage, qui se jette sur le présent, qui embrasse l’avenir, et qui se repaît de jouissances morales et physiques, de réalités et de chimères, entassant pêle-mêle de l’argent, des éloges, des tableaux, des statues et des baisers. P. 211.A Vous supposez « un homme impassible. » Mais un homme impassible à votre manière est un bloc de marbre... Vous demandez que ce bloc de marbre pense et ne sente pas... Ce sont deux absurdités. Un bloc de marbre ne saurait penser ; et il ne saurait non plus penser sans sentir, que sentir sans penser. Qu’entendez-vous donc par impassible ? – Inaccessible à toute douleur corporelle. – Soit. Qu’en concluezvous ? – Qu’il n’aura ni plaisir ni peine. – Je le nie. S’il se plaît à penser ou à étendre ses connaissances, il pensera ; s’il ne se plaît pas à penser, il restera stupide. – Mais s’il reste stupide, c’est que n’ayant aucun intérêt à exercer cette faculté que je lui ai réservée, il ne l’exercera pas. – Et vous croyez qu’il ne pourra pas avoir l’intérêt de la curiosité ? – Je le crois. – Et vous croyez qu’on ne fait rien pour soi seul ? – Je le crois. – Et vous croyez qu’il n’y a aucune sorte de vanité concentrée ? – Je le crois. – Que bien que cet être chimérique soit d’une espèce différente de la mienne, il dédaignera mon éloge, surtout s’il connaît toute la force de mon esprit et toute l’étendue de mes lumières ? – Assurément. – Et que quand Newton luttait contre Leibnitz, c’était par une rivalité de jouissances corporelles ? – Ils en voulaient à mon estime. Je l’avoue. Et par conséquent à tous les avantages qu’elle promet. – À des vins excellents ? – Pourquoi non ? – À de belles femmes ? – Pourquoi non ? – Mon ami, vous extravaguez. | 487
P. 212.B Votre comparaison du pouvoir à une lettre de change est charmante ; mais cette lettre de change est payable en argent pour celui-ci, en houris pour celui-là, en réputation ou cliquetis pour un troisième. Dites-moi, Helvétius, ou plutôt demandons à Thomas qui fait tant de cas de la considération publique que si c’était un fer rouge il ne balancerait pas à la saisir avec les dents, s’il refuserait le laurier d’Homère ou de Virgile, à la condition d’en être réduit pendant toute sa vie au vêtement le plus déguenillé, au plus étroit nécessaire, à un petit grenier sous le toit, en un mot à la privation absolue de tout ce qu’on entend par les douceurs sensuelles de la vie, de toutes les satisfactions attachées et à l’ambition, et à l’opulence, et à la volupté. Si Thomas répond que non, moi qui ne suis pas aussi fanatique de gloire littéraire, j’accepte le lot et la condition ; j’accepte pour cette seule jouissance, l’impassibilité à toutes les autres. Je pense ; j’écris l’Iliade avec des doigts de marbre ; quand je passe, vous vous écriez : Le voilà le bloc merveilleux qui a écrit l’Iliade ; et je suis satisfait.
A [« Supposons un homme absolument insensible. Mais il serait, dira-t-on, sans idées, par conséquent une pure statue ».] B [« Le pouvoir est comme l’argent, une monnaie. L’effet du pouvoir et de la lettre de change est le même. Suis-je muni d’une telle lettre ? je touche à Londres ou à Paris cent mille francs ou cent mille écus et par conséquent tous les plaisirs dont cette somme est représentative. Suis-je muni d’une lettre de commandement ou de pouvoir ? Je tire pareillement à vue sur mes concitoyens telle quantité de denrées ou de plaisirs. Les effets de la richesse et du pouvoir sont à peu près semblables ; parce que la richesse est un pouvoir » (p. 211-212).]
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Esiste una felicità circoscritta che resta in me e non si estende al di là. C’è una felicità espansiva che si propaga, si getta sul presente, abbraccia l’avvenire, si nutre di godimenti morali e fisici, di realtà e di chimere, accumulando alla rinfusa ricchezze, elogi, quadri, statue e baci. P. 211.A Voi presupponete «un uomo impassibile». Ma un uomo impassibile alla vostra maniera è un blocco di marmo. Voi chiedete che questo blocco di marmo pensi e non senta... Sono due assurdità. Un blocco di marmo non sarebbe capace di pensare e non sarebbe neanche capace di pensare senza sentire, come sentire senza pensare. Che intendete dire, dunque, con impassibile? – Inaccessibile a ogni dolore corporeo. – E sia. Che cosa ne concludete? – Che non proverà né piacere, né dolore. – Lo nego. Se prova piacere a pensare o a estendere le proprie conoscenze, penserà; se non prova piacere a pensare, resterà stupido. – Ma se resta stupido è perché non avendo alcun interesse a esercitare questa facoltà che gli ho riservato, non l’eserciterà. – E voi credete che non potrà avere l’interesse della curiosità? – Lo credo. – E voi credete che non si faccia niente solo per sé stessi? – Lo credo. – E credete che non esista alcuna specie di vanità concentrata? – Lo credo. – E che per quanto quest’essere chimerico sia di una specie diversa dalla mia, disprezzerà il mio elogio, soprattutto se conosce tutta la forza del mio spirito e tutta l’estensione dei miei lumi? – Sicuramente. – E credete che quando Newton lottava contro Leibniz, era per una rivalità tra godimenti corporei?44 – Ce l’avevano con la mia stima... lo riconosco... e di conseguenza, con tutti i vantaggi che essa promette. – Con dei vini eccellenti? – Perché no? – Con delle belle donne? – Perché no? – Amico mio, state dicendo delle stravaganze. P. 212.B Il vostro paragone del potere con una cambiale è affascinante: ma questa cambiale è pagabile in denaro per quello, in Uri45 per quell’altro, in reputazione o clamore per un terzo. Ditemi, Helvétius, o piuttosto chiediamolo a Thomas,46 il quale dà tanta importanza alla considerazione del pubblico che se fosse un ferro incandescente, non esiterebbe ad afferrarlo coi denti –, se rifiuterebbe gli allori di Omero o di Virgilio, alla condizione di essere ridotto per tutta la vita all’abbigliamento più sbrindellato, allo stretto necessario, a una miserabile soffitta sotto il tetto, in una parola alla privazione assoluta di tutto ciò che intendiamo come dolcezze sensuali della vita, di tutti i soddisfacimenti legati tanto all’ambizione quanto alla ricchezza e alla voluttà. Se Thomas risponde di no, io che non sono un tale fanatico della gloria letteraria, accetto la partita e la condizione. Accetto, in forza di quel solo godimento, l’impassibilità rispetto a tutti gli altri. Io penso; scrivo l’Iliade con delle dita di marmo; quando trapasso, voi esclamate: Eccolo, il blocco meraviglioso che ha scritto l’Iliade; e sono soddisfatto. Permettetemi un’altra supposizione, un po’ più sensata della vostra. Voi siete re. Dovete la corona e la vita a un eroe vostro suddito. Voi siete riconoscente; ma il vostro A [«Supponiamo un uomo assolutamente insensibile. Ma egli sarà di conseguenza, mi direte, una pura statua»]. B [«Il potere è come il denaro, una moneta. L’effetto del potere e della cambiale è lo stesso. Sono munito di una tale lettera? Posso ottenere a Londra come a Parigi centomila franchi o centomila scudi e di conseguenza tutti i piaceri di cui quella somma è rappresentativa. Sono munito di una lettera di comando o di potere? Similmente traggo a vista, dai miei concittadini, la tale quantità di beni o di piaceri. Gli effetti della ricchezza e del potere sono all’incirca simili; perché la ricchezza è un potere» (pp. 211-212)].
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Permettez-moi une autre supposition un peu plus sensée que la vôtre. Vous êtes roi, vous devez la couronne et la vie à un héros, votre sujet. Vous êtes reconnaissant, mais votre bienfaiteur jouit du repos, de la santé, de la fortune et de la sagesse : tout ce que votre puissance lui prodiguerait de bonheur physique, il le méprise ou le possède. Ne vous reste-t-il plus rien à faire pour le bonheur de cet homme-là ? – Mais non. – Vous vous trompez. – Quoi donc ? – Une statue. – Et à quoi bon cette statue ? – Hélas ! à lui restituer la jouissance de tout ce qu’il possède. – Mais il est donc fou ? – Pas trop. – Mais il n’avait donc pas la sagesse ? – Et qu’importe qu’il eût ou n’eût pas la sagesse ? Il ne lui manquait rien de tout ce que vous regardez comme le mobile de toutes nos actions, l’unique objet de nos désirs ; et son cœur enfant criait : « La statue, la statue ; moi, je veux la statue; Le ruban, le ruban, moi je | veux le ruban. – Mais, sot enfant, tu n’auras pas sitôt le ruban que tu perdras le repos et la santé. – Je tâcherai de recouvrer l’un et l’autre. – Que tu seras envié. – Il vaut mieux faire envie que pitié. – Que tu seras forcé à des dépenses au-dessus de ta fortune. – Je me ruinerai. – Que, ruiné, tu seras privé de tous les plaisirs de la vie. – Il n’en est point sans le ruban ; le ruban, je veux le ruban. – Mais tiens, lis ce livre, et tu verras qu’on n’ambitionne le ruban que pour acquérir ce que tu perdras. – Ce livre est fort beau, je le crois sans l’avoir lu ; mais il ne sait ce qu’il dit. Le ruban, le ruban, je veux le ruban, moi. Voilà l’histoire des dix-neuf vingtièmes des hommes ; et croyant écrire celle de l’espèce humaine, vous n’avez tout au plus écrit que la vôtre, et parce que la femme était votre ruban, vous avez supposé que c’était le ruban de tous les autres. Trahit sua quemque voluptas. P. 213.A Partout où il n’y a point d’honneurs qui distinguent un citoyen d’un citoyen ; partout où la gloire littéraire est inconnue, il faut suppléer à cette monnaie par une autre. La femme ne pourrait être la monnaie d’une belle action chez un peuple d’eunuques. Mais cela même prouve le contraire de votre thèse.
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P. 216.B Cela n’est pas toujours vrai. Il y a tel soldat qui refuserait l’écu qui ne représenterait qu’une pinte d’eau-de-vie, ou la nuit d’une vivandière : témoin celui qui, à ce fameux siège de Lille [42] si bien défendue par Boufflers, s’exposa à être tué comme dix autres qui l’avaient précédé, et qui, lorsqu’on lui offrit les cent louis promis à celui qui instruirait des travaux de l’assiégeant, répondit : Mon capitaine, reprenez vos cent louis ; cela ne se fait pas pour de l’argent. Celui qui voit, bien l’honneur ne voit rien au-delà. Celui à qui on a donné Briseïs en récompense du péril qu’il a couru, ne s’y est pas exposé pour avoir Briseïs.C Achille, | lequel des deux veux-tu, ou Briseïs sans combattre, ou la victoire sans Briseïs ? Celui qui est Achille répond : Je veux combattre, je veux vaincre.
A [« Supposons un pays où la monnaie des honneurs n’eût point cours ; supposons un peuple trop libre et tramp fier pour supporter une trop grande inégalité dans les conditions des citoyens et donner aux uns trop d’autorité sur les autres : de quelle manière ce peuple récompenserait-il les actions grandes et utiles à la patrie ? Par des biens et des plaisirs en nature [...] ».] B « Il faut pour aller à la sape que l’écu donné au soldat soit le représentatif d’une pinte d’eau-de-vie ou de la nuit dune vivandière ». C [« C’était par la possession de Briséis, que les Grecs récompensaient la valeur d’Achille » (p. 213-214).]
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benefattore gode del riposo, della salute, della fortuna e della saggezza. Tutto ciò che il vostro potere gli prodigherebbe in termini di felicità fisica lui lo disprezza o lo possiede. Non vi resta proprio più niente da fare per la felicità di quell’uomo? – Ma no. – Vi sbagliate. – Come, dunque? – Una statua. – E a che serve una statua? – Ahimè, a restituirgli il godimento di tutto ciò che già possiede. – Ma dunque è pazzo? – Non troppo. – Ma non aveva dunque la saggezza? – E che importa che avesse o non avesse la saggezza? Non gli mancava proprio nulla di ciò che voi considerate come il movente di tutte le nostre azioni, l’unico oggetto dei nostri desideri; e il suo cuore bambino gridava: La statua, la statua; io voglio la statua. Il nastro, il nastro, io voglio il nastro. – Ma, stupido bambino, non appena avrai ottenuto il nastro, ecco che perderai la quiete e la salute.47 – Tenterò di recuperare entrambi. – Quanto sarai invidiato. – È preferibile fare invidia che pietà. – A quante spese sarai costretto, al di sopra dei tuoi mezzi. – Vorrà dire che mi rovinerò. – E una volta rovinato, sarai privo di tutti i piaceri della vita. – Non ce ne sono affatto di piaceri senza il nastro; il nastro, io voglio il nastro. – Ma prendi, leggi questo libro, e vedrai che si può ambire al nastro solo per acquisire ciò che tu perderai. – Questo libro è molto bello; lo credo senza averlo letto; ma non sa quello che dice. Il nastro, il nastro, io voglio il nastro. Ecco la storia dei diciannove ventesimi degli uomini; e credendo di scrivere la storia della specie umana, tutt’al più voi avete scritto solo la vostra; e poiché la donna era il vostro nastro, voi avete supposto che fosse il nastro di tutti gli altri. Trahit sua quemque voluptas.48 P. 213.A Ovunque non vi siano gli onori che distinguono un cittadino da un altro cittadino; ovunque la gloria letteraria sia sconosciuta, bisogna sostituire questa ricompensa con un’altra. Come la donna non potrebbe essere la ricompensa di una bella azione presso un popolo di eunuchi. Ma proprio questo prova il contrario della vostra tesi. P. 216.B Ciò non è sempre vero. Esiste il tal soldato che rifiuterebbe lo scudo, che rappresenterebbe solo una pinta d’acquavite e una notte con una vivandiera.49 Ne è testimone chi a quel famoso assedio di Lille, così ben difesa da Boufflers,50 si espose al rischio di essere ucciso come altri dieci che l’avevano preceduto; quando gli vennero offerti i cento luigi promessi a colui che avesse dato notizie sulle operazioni dell’assediante, costui rispose: mio Capitano, riprendetevi i vostri cento luigi; queste cose non si fanno per denaro. Chi vede bene il senso dell’onore, non vede nulla al di là di esso. A chi è stata data BriseideC come ricompensa del pericolo che ha corso, non vi si è esposto per avere Briseide.51 Quale delle due cose vuoi Achille? Briseide senza combattere? o la vittoria senza Briseide? Chi è Achille risponderà: Voglio combattere. Voglio vincere.
A [«Immaginiamo un paese in cui la moneta degli onori non avesse affatto corso; immaginiamo un popolo troppo libero e troppo fiero da sopportare una troppo grande disuguaglianza di condizioni tra i suoi cittadini e da dare agli uni troppa autorità sugli altri: in che modo questo popolo ricompenserebbe le azioni grandi e utili alla patria? Con beni e piaceri in natura [...].»] B [«Per andare in trincea occorre che lo scudo dato al soldato sia rappresentativo di una pinta d’acquavite o di una notte con la vivandiera»]. C [«Era per il possesso di Briseide che i Greci ricompensavano il valore di Achille» (pp. 213-214)].
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[CHAPITRE 8] P. 220. Helvétius et d’autres traduisent le mot de Hobbes, Malus est robustus puer, l’enfant robuste est un méchant enfant, ce qui n’est pas toujours vrai ; mais ce qui l’est toujours, c’est que le méchant est un enfant robuste ; et c’est ainsi que je traduis. P. 225. « Veut-on faire des dupes ? l’on exagère la force du sentiment et de l’amitié ». L’on a sans doute quelquefois ce motif sourd et secret, mais l’a-t-on toujours ? Est-il le seul qu’on ait ? N’arrive-t-il pas qu’on soit la dupe de son propre cœur ? Ne peut-on pas se croire meilleur qu’on ne l’est ? Est-il si rare de voir des enthousiastes doués d’une imagination gigantesque, qui disent vrai en parlant des fantômes de leur tête ? Ils en parlent comme les peureux des revenants, ils les ont vus comme ils les peignent ; ce n’est ni mensonge, ni politique, c’est erreur. [CHAPITRE 10] P. 236. « Plaisir et douleur sont et seront toujours les seuls principes des actions des hommes ». J’en conviens. Et cet ouvrage est rempli d’une infinité de maximes et d’observations auxquelles je dirais également : J’en conviens. Mais ajouterais-je : Je nie la conséquence. Vous n’admettez que des plaisirs et des douleurs corporelles ; et j’en ai éprouvé d’autres. Celles-ci, vous les ramenez à la sensibilité physique comme cause ; moi, je prétends que ce n’est que comme condition éloignée, essentielle et primitive. Je vous contredis, donc j’existe. Fort bien. Mais je vous contredis parce que j’existe. Cela n’est pas ; pas plus qu’il faut un pistolet, pour faire sauter la cervelle ; donc je fais sauter la cervelle parce que j’ai un pistolet.
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P. 238 « Parmi les savants il en est, dit-on, qui loin du monde se condamnent à vivre dans la retraite ; or comment se persuader que dans ceux-ci, l’amour des talents ait été fondé sur l’amour des plaisirs physiques, et surtout | sur celui des femmes ? Comment concilier ces inconciliables ? » C’est qu’ils ne se concilient point. Vous vous faites une objection insoluble. Vous y répondez pourtant.A Bien ; c’est autre chose. Que d’esprit en pure perte ! Laissez là toutes ces subtilités dont un bon esprit ne peut se payer, et croyez que quand Leibnitz s’enferme à l’âge de vingt ans, et passe trente ans sous sa robe de chambre, enfoncé dans les profondeurs de la géométrie ou perdu dans les ténèbres de la métaphysique, il ne pense non plus à obtenir un poste, à coucher avec une femme, à remplir d’or un vieux bahut, que s’il touchait à son dernier moment. C’est une machine à réflexion, comme le métier à bas est une machine à ourdissage. C’est un être qui se plaît à méditer ; c’est un sage ou un fou, comme il vous plaira, qui fait un cas infini de l’éloge de ses semblables, qui aime le son de l’éloge comme l’avare le son d’un écu ; qui a aussi sa pierre de touche et son trébuchet pour la louange, comme l’autre a le sien pour l’or, et qui tente une grande découverte pour se faire un grand nom et éclipser par son éclat celui de ses rivaux, l’unique et le dernier terme de son désir. Vous, c’est la Gaussin ;
A [« Pour cet effet supposons qu’il en soit de l’homme à talents comme d’un avare. Si ce dernier se prive aujourd’hui du nécessaire, c’est dans l’espoir de jouir demain du superflu » (p. 238).]
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[CAPITOLO 8]
P. 220. Helvétius e altri traducono il motto di Hobbes Malus est robustus puer,52 «il bambino robusto è un bambino malvagio», il che non è sempre vero; ma quello che è sempre vero è il fatto che il malvagio è un bambino robusto; e così io lo traduco. P. 225. «Si vuole raggirare la gente? Si esageri la forza del sentimento e dell’amicizia». Probabilmente talvolta abbiamo questo motivo sordo e segreto; ma l’abbiamo sempre? È il solo che si provi? Non accade che si venga ingannati dal nostro stesso cuore? Non ci si può credere migliori di quanto non siamo? È così raro vedere dei fanatici dotati di un’immaginazione smisurata che dicono il vero, parlando dei fantasmi della loro testa? Ne parlano come i pavidi parlano delle ombre dei morti. Li hanno visti, così come li descrivono. Non è né menzogna, né politica; è errore. [CAPITOLO 10]
P. 236. «Piacere e dolore sono e saranno sempre i soli principi delle azioni degli uomini». Ne convengo. E quest’opera è piena di un’infinità di massime e di osservazioni dinanzi alle quali direi ugualmente: Ne convengo. Ma aggiungerei: Nego la conseguenza. Voi ammettete solo piaceri e dolori corporei; e io ne ho provati di altri tipi. Questi voi li riconducete alla sensibilità fisica, come causa; quanto a me, io asserisco che quella non è altro che una lontana condizione, essenziale e primitiva. Io vi contraddico, dunque esisto. Molto bene. Ma io vi contraddico perché esisto. Le cose non stanno così; non più di quanto vi sia bisogno di una pistola per far saltare le cervella; dunque io faccio saltare le cervella, perché ho una pistola. P. 238. «Tra i dotti, si dice, ce ne sono di quelli che, lontani dal mondo, si condannano a vivere ritirati; pertanto, come ci si può convincere che in questi ultimi l’amore dei talenti sia stato fondato sull’amore dei piaceri fisici e soprattutto su quello delle donne? Come conciliare questi inconciliabili?» Il fatto è che non si conciliano affatto. Voi vi fate un’obiezione insolubile. Eppure vi date una risposta.A Bene; è altra cosa. Quanto spirito puramente sprecato. Lasciate perdere tutte queste sottigliezze di cui uno spirito ben fatto non si appaga, e credete che quando Leibniz all’età di vent’anni si rinchiude e passa trent’anni in vestaglia, calandosi nelle profondità della geometria, o perso nelle tenebre della metafisica, non pensa neppure a ottenere un posto, ad andare a letto con una donna, a riempire d’oro una vecchia cassapanca, se non quando s’avvicinava la sua ora estrema. È una macchina da riflessione, come il telaio per tessere calze è una macchina da tessitura. È un essere che si compiace di meditare; è un saggio o un pazzo, come preferite, che tiene infinitamente all’elogio dei suoi simili, che ama il suono degli elogi, come l’avaro il suono di uno scudo; che ha anche lui la sua pietra di paragone53 e il suo bilancino di precisione54 per la lode, come l’altro ha la sua per l’oro e tenta una grande scoperta per farsi un gran nome ed eclissare con il suo sfarzo quello dei suoi rivali, l’unico e ultimo termine del suo desiderio. Voi, avete sempre in testa la Gaussin;55 lui, Newton.56 Ecco la A [«A questo scopo, supponiamo che valga per l’uomo di talento come per un avaro. Se quest’ultimo si priva oggi del necessario, è nella speranza di godere domani del superfluo» (p. 238)].
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lui, c’est Newton, qu’il a sur le nez. Voilà le bonheur qu’il envie et dont il jouit. – Puisqu’il est homme, dites-vous, il aime les femmes. – Je l’ignore. – Puisqu’il aime les femmes, il emploie le seul moyen qu’il ait de les obtenir. – Si cela est, entrez chez lui, présentez-lui les plus belles femmes et qu’il en jouisse, à la condition de renoncer à la solution de ce problème ; il ne le voudra pas. – Il ambitionne les dignités. – Offrez-lui la place de premier ministre, s’il consent de jeter au feu son traité de l’Harmonie préétablie ; il n’en fera rien ; et vous, eussiez-vous brûlé le livre De l’esprit ou le traité De l’Homme que j’examine, pour jouir de Mme Helvétius, vous, né voluptueux, vous qui auriez cruellement compromis son bonheur et le vôtre, si vous eussiez survécu seulement six mois à la publication de votre ouvrage ? Je n’en crois rien. – Il est avare, il a la soif ardente de l’or. – Forcez sa porte ; entrez dans son cabinet, le pistolet à la main ; et dites-lui : Ou ta bourse ou ta | découverte du calcul des fluxions ; et il vous livrera la clef de son coffre-fort en souriant. Faites plus : étalez sur sa table toute la séduction de la richesse, et proposez-lui un échange ; et il vous tournera le dos de dédain. Que la découverte qu’il refuse de vous céder, vous l’ayez faite et que vous soyez assez généreux pour lui en abandonner l’honneur, pourvu que, sa bibliothèque incendiée, il se résolve à perdre sa vie dans la dissipation, l’abondance, les plaisirs, la jouissance de tous ces biens physiques qu’il poursuit à son insu et par une voie si pénible et si ridicule ; vous ne le déterminerez pas plus qu’un hibou à se faire oiseau de jour, ou un aigle à se faire oiseau de nuit. C’est qu’il est un principe qui a échappé à l’auteur, et ce principe, c’est que la raison de l’homme est un instrument qui correspond à toute la variété de l’instinct animal ; que la race humaine rassemble les analogues de toutes les sortes d’animaux ; et qu’il n’est non plus possible de tirer un homme de sa classe qu’un animal de la sienne, sans les dénaturer l’un et l’autre, et sans se fatiguer beaucoup pour n’en faire que deux sottes bêtes. J’accorde que l’homme combine des idées, ainsi que le poisson nage et l’oiseau vole ; mais chaque homme est entraîné par son organisation, son caractère, son tempérament, son aptitude naturelle à combiner de préférence telles et telles idées plutôt que telles ou telles autres. Le hasard et plus encore les besoins de la vie disposent de nous à leur gré ; qui le sait mieux que moi ? C’est la raison pour laquelle pendant environ trente ans de suite, contre mon goût, j’ai fait l’Encyclopédie et n’ai fait que deux pièces de théâtre. C’est la raison pour laquelle les talents sont déplacés et les états de la société remplis d’hommes malheureux ou de sujets médiocres, et que celui qui aurait été un grand artiste, n’est qu’un pauvre sorboniste ou un plat jurisconsulte. Et voilà la véritable histoire de la vie, et non toutes ces suppositions sophistiques où je remarque beaucoup de sagacité sans nulle vérité ; des détails charmants et des conséquences absurdes ; et toujours le portrait de l’auteur proposé comme le portrait de l’homme. Toutes ces assertions d’Helvétius que signifient-elles ? Qu’il était né voluptueux, et qu’en circulant dans le monde, il s’était souvent heurté contre des personnels et des fripons. Et de ce que je viens de dire, que conclure ? Qu’on | n’aime pas toujours la gloire, la richesse et les honneurs, comme la monnaie qui paiera les plaisirs sensuels. L’auteur en convient des vieillards. Et pourquoi un jeune homme communément organisé ne naîtrait-il pas avec les dispositions aux travers, aux vertus, aux vices de l’âge avancé ? Combien d’enfants, pour me servir de l’expression proverbiale, nés du bois dont on fait les vielles. C’est-à-dire propres à tout et bons à rien. L’avarice est le vice des vieillards : et il y a des enfants avares. J’ai vu deux frères dans la première enfance, l’un donnant tout, l’autre serrant tout, et tons les deux jour-
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felicità di cui ha voglia e ne gode. – Poiché è uomo, dite voi, ama le donne. – Lo ignoro. – Poiché ama le donne, utilizza il solo mezzo che abbia per ottenerle. – Se è così, entrate a casa sua; presentategli le donne più belle e che ne goda, a condizione di rinunciare alla soluzione di questo problema: lui non lo accetterà. – Ambisce alle dignità. – Offritegli il posto di Primo Ministro se acconsente a gettare nel fuoco il suo trattato dell’Armonia prestabilita; non se ne farà niente; e voi, voi avreste bruciato il libro Dello spirito o il trattato Dell’uomo che sto esaminando, per godere della Signora Helvétius, voi nato voluttuoso, avreste crudelmente compromesso la sua e la vostra felicità se foste sopravvissuto solo sei mesi alla pubblicazione della vostra opera?57 Non lo credo proprio. – Lui è avaro; ha una sete ardente per l’oro. – Sfondate la sua porta di casa, pistola alla mano; e ditegli: O la borsa, o la tua scoperta del calcolo delle flussioni;58 e lui vi consegnerà la chiave della sua cassaforte sorridendo. Fate di più; mettete sul tavolo tutta la seduzione della ricchezza e proponetegli uno scambio; e lui vi volgerà le spalle, con sdegno. Se la scoperta che rifiuta di cedervi voi l’aveste fatta e foste abbastanza generoso da cedergliene l’onore, purché incendiata la sua biblioteca, si risolva a perdere la propria vita nella dissipazione, l’abbondanza, i piaceri, il godimento di tutti quei beni fisici che egli persegue a sua insaputa e per una via così penosa e ridicola, non lo determinerete a far nulla, non più di quanto un gufo a essere un uccello diurno, o un’aquila un uccello notturno. Il fatto è che esiste un principio che sfugge all’autore; e tale principio è che la ragione dell’uomo è uno strumento che corrisponde a tutta la varietà dell’istinto animale;59 la razza umana riunisce tutte le analogie di tutte le specie di animali; e non è possibile tirar fuori un uomo dalla sua classe, più di quanto un animale dalla sua, senza snaturarli entrambi e senza affaticarsi tanto per non farne altro che due bestie sciocche. Concedo che l’uomo combina delle idee, come il pesce nuota e l’uccello vola; ma ciascun uomo è trascinato dalla sua organizzazione, dal suo carattere, dal suo temperamento, dalla sua attitudine naturale a combinare, di preferenza queste e quelle idee, piuttosto che queste e quelle altre. Il caso e ancor più i bisogni della vita dispongono di noi a loro gradimento; chi lo sa meglio di me? È la ragione per la quale, durante circa trent’anni di fila, di controvoglia, ho fatto l’Encyclopédie e non ho fatto che due sole pièce di teatro. È la ragione per la quale i talenti sono fuori posto e gli stati della società pieni di uomini infelici o di soggetti mediocri e colui che sarebbe stato un grande artista non è altro che un povero sorbonista o un piatto giureconsulto. Ecco, è questa la vera storia della vita, e non tutte queste sofistiche supposizioni in cui scorgo molta sagacia, senz’alcuna verità; dettagli affascinanti e conseguenze assurde: e sempre il ritratto dell’autore proposto come il ritratto dell’Uomo. Tutte queste asserzioni di Helvétius che cosa significano? Che egli era nato voluttuoso e girando per il mondo, s’era spesso scontrato in dispute personali60 e contro dei furfanti. E che cosa concluderemo da quello che ho appena detto? Che non si ama sempre la gloria, la ricchezza e gli onori come la moneta che pagherà i piaceri sensuali. L’autore ne conviene per i vecchi. E perché un uomo giovane, normalmente organizzato, non potrebbe nascere con le disposizioni per i difetti, le virtù, i vizi dell’età avanzata? Quanti bambini, per servirmi dell’espressione proverbiale, nati dal legno con cui si fanno le ghironde. Cioè capaci di tutto e buoni a nulla. L’avarizia è il vizio dei vecchi: e ci sono dei bambini avari. Ho visto due fratelli nella prima infanzia, l’uno che dava via tutto, l’altro che stringeva a sé tutto; ed entrambi
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nellement exposés sans effet à la réprimande contradictoire de leurs parents : l’aîné est resté dissipateur, le cadet avare. Le prince de Galitzin a deux enfants, un petit garçon bon, doux, simple ; une petite fille rusée, fine et tendant à ses vues, toujours par des voies détournées. Leur mère en est désolée ; jusqu’à présent il n’y a rien qu’elle n’ait fait pour donner de la franchise à sa petite fille, sans avoir réussi. D’où naît la différence de ces deux enfants à peine âgés de quatre ans et tous les deux également élevés et soignés par leurs parents ? Que Mimi se corrige ou ne se corrige pas, jamais Dimitri son frère ne se tirera comme elle des intrigues de la cour. La leçon du maître n’équivaudra jamais à la leçon de nature. Sans aucun besoin ni de richesse, ni de plaisirs sensuels, Helvétius compose et publie son premier ouvrage. On sait toutes les persécutions qu’il essuya. Au milieu d’un orage qui fut violent et qui dura longtemps, il s’écriait : J’aimerais mieux mourir que d’écrire encore une ligne. Je l’écoutais et je lui dis : J’étais un jour à ma fenêtre ; j’entends un grand bruit sur les tuiles qui n’en sont pas éloignées. Un moment après, deux chats tombent dans la rue : l’un reste mort sur la place ; l’autre, le ventre meurtri, les pattes froissées et le museau ensanglanté, se traîne au pied d’un escalier, et là il se disait : « Je veux mourir si je remonte jamais sur les tuiles. Que vais-je chercher là ? une souris qui ne vaut pas le morceau friand que je puis ou recevoir sans péril de la main de ma maîtresse ou voler à son cuisinier ; une chatte qui me viendra chercher sous la remise, si je sais l’y attendre ou l’y appeler... Je ne sais jusqu’où il poussa cette philosophie ; mais tandis qu’il se livrait à ces réflexions assez sages, la douleur de sa chute se dissipe, il se tâte, il se lève, il met deux pattes sur le premier degré | de l’escalier, et voilà mon chat sur le même toit dont il était tombé et où il ne devait regrimper de sa vie. L’animal fait pour se promener sur les faîtes, s’y promène. Sans aucun besoin ni de richesse, ni d’honneurs, ni d’aucuns plaisirs sensuels, ou avec les moyens faciles de se les procurer, Helvétius fait un second ouvrage, et remonte sur le même faîte d’où la seconde chute eût été bien plus fâcheuse que la première. Te ipsum concute ; sondez les autres, c’est fort bien fait, mais ne vous ignorez pas vousmême. Quel était votre but, lorsque vous écriviez un ouvrage qui ne devait paraître qu’après votre mort ? Quel est le but de tant d’autres auteurs anonymes ? D’où naît dans l’homme cette fureur de tenter une action au moment où elle devient périlleuse ? Que direz-vous de tant de philosophes, nos contemporains et nos amis, qui gourmandent si fièrement les prêtres et les rois ? Ils ne peuvent se nommer. Ils ne peuvent avoir en vue ni la gloire, ni l’intérêt, ni la volupté ; où est la femme avec laquelle ils veulent coucher, le poste que leur ambition se promet, le flot de la richesse qui refluera sur eux ? J’en connais, et vous en connaissez vous-même qui jouissent de tous ces avantages qu’ils dédaignent, parce qu’ils ne font pas leur bonheur, et dont ils seraient privés sur la plus légère indiscrétion de leurs amis, sur le moindre soupçon du magistrat. Comment résoudrez-vous en dernière analyse à des plaisirs sensuels, sans un pitoyable abus des mots, ce généreux enthousiasme qui les expose à la perte de leur liberté, de leur fortune, de leur honneur même et de leur vie ? Ils sont indignés de nos préjugés ; ils gémissent sur des erreurs qui font le supplice de notre vie ; du milieu des ténèbres où nous nous agitons, fléaux réciproques les uns des autres, on entend leurs voix qui nous appellent à un meilleur sort : c’est ainsi qu’ils se soulagent du besoin qu’ils ont de réfléchir et de méditer, et qu’ils cèdent au penchant qu’ils ont reçu de la nature cultivée par l’éducation, et à la bonté de leur cœur lassé de voir et de souffrir sans murmure les maux dont cette pauvre humanité est si cruellement et depuis si longtemps accablée. Ils la venge-
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esposti, quotidianamente, alle reprimende contraddittorie dei loro genitori. Il fratello maggiore è rimasto dissipatore, il minore, avaro. Il principe di Galitzin ha due figli, un maschietto buono, dolce, semplice; una femminuccia astuta, fine e tendente a ottenere i propri scopi sempre per vie traverse.61 La madre ne è affranta. Fino a oggi, non c’è niente che non abbia fatto per dare della sincerità alla sua figliola, senza esservi riuscita. Da dove nasce la differenza tra quei due figli, dell’età di appena quattro anni, ed entrambi allevati e curati in egual modo dai due genitori? Che Mimi si corregga o no, Dimitri suo fratello non se la caverà mai come lei dagli intrighi della Corte. La lezione del maestro non equivarrà mai alla lezione della natura. Senz’alcun bisogno di ricchezza, né di piaceri sensuali, Helvétius compone e pubblica la sua prima opera. Si conoscono tutte le persecuzioni che subì.62 In mezzo a una tempesta che fu violenta e durò a lungo, egli esclamò: preferirei morire piuttosto che scrivere ancora una riga. Io lo ascoltavo e gli dissi: Un giorno ero alla finestra, sento un gran rumore sulle tegole che non sono molto distanti. Un momento dopo due gatti cadono giù in strada; uno, resta morto sul colpo; l’altro, con il ventre ferito, le zampe schiacciate e il muso insanguinato si trascina ai piedi di una scala e là, si diceva: Voglio morire se risalgo mai più sulle tegole. Che vado a cercare lassù? Un topo che non vale il pezzo di gustoso boccone che posso ricevere dalla mia padrona, o rubare al suo cuoco; una gatta che verrà a cercarmi, sotto la rimessa, se saprò aspettarla o chiamarla lì... Non so il gatto fino a che punto sviluppò questa filosofia; ma mentre si dedicava alle sue riflessioni abbastanza sagge, il dolore della caduta viene meno; si tasta, si alza, mette due zampe sul primo gradino della scala; ed ecco il mio gatto sullo stesso tetto da cui era caduto, e dove non doveva più arrampicarsi di nuovo in vita sua. L’animale fatto per passeggiare sui cornicioni, ci passeggia. Senza alcun bisogno né di ricchezza, né di onori, né di alcun altro piacere sensuale o con facili mezzi per procurarseli, Helvétius fa una seconda opera e risale sullo stesso cornicione da dove la seconda caduta sarebbe stata ben più spiacevole della prima. Te ipsum concute;63 sondate gli altri, è cosa molto ben fatta, ma non ignorate voi stessi. Qual era il vostro scopo quando scrivevate un’opera che non doveva uscire se non dopo la vostra morte? Qual è lo scopo di tanti altri autori anonimi? Donde nasce nell’uomo questo furore di tentare un’azione, nel momento in cui essa diventa pericolosa? Che direste di tanti filosofi, nostri contemporanei e nostri amici che redarguiscono così fieramente dei preti e dei re? Non si possono nominare. Non possono avere di mira né la gloria, né l’interesse, né la voluttà. Dov’è la donna con la quale vogliono andare a letto? il posto che la loro ambizione si ripromette? il fiume di ricchezze che rifluirà su di loro? Io ne conosco e ne conoscete anche voi, di quelli che godono di tutti questi vantaggi, che disprezzano perché non fanno la loro felicità; e di cui sarebbero privati, alla più leggera indiscrezione dei loro amici, al minimo sospetto del magistrato. Come potrete ridurre, in ultima analisi, a dei piaceri sensuali, senza un pietoso abuso di parole, quel generoso entusiasmo che li espone alla perdita della loro libertà, della loro fortuna, del loro stesso onore e della loro vita? Sono indignati dei nostri pregiudizi; gemono a causa di errori che fanno il supplizio della nostra vita; dal cuore delle tenebre in cui ci agitiamo, reciproci flagelli gli uni agli altri, si sentono le loro voci che ci chiamano a un destino migliore; così essi alleviano il bisogno che hanno di riflettere e di meditare; e cedono all’inclinazione che hanno ricevuto dalla natura, coltivata con l’educazione, e alla bontà del loro cuore stanco di vedere e di soffrire, senza mormorare, i mali di cui questa povera umanità è tanto crudelmente e da così tanto tempo oppressa. Loro la
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ront ; oui, ils la vengeront ; ils se le disent à eux-mêmes ; et je ne sais quel est le dernier terme de leur projet, si ce dangereux honneur ne l’est pas. Je vous entends, ils se flattent qu’un jour on les nommera, et que leur mémoire sera éternellement honorée parmi | les hommes. – Je le veux ; mais qu’a de commun cette vanité héroïque avec la sensibilité physique et la sorte de récompense abjecte que vous en déduisez ? – Ils jouissent d’avance de la douce mélodie de ce concert lointain de voix à venir et occupées à les célébrer, et leur cœur en tressaillit de joie. – Après ? – Et ce tressaillement du cœur ne suppose-t-il pas la sensibilité physique ? – Oui, comme il suppose un cœur qui tressaille ; mais la condition sans laquelle la chose ne peut être en est-elle le motif ? Toujours, toujours le même sophisme. Mon ami, votre vaisseau fait eau de toutes parts, et je pourrais le couler à fond par l’exemple de quelques hommes qui ont encouru l’ignominie et qui l’ont supportée dans le silence pendant une longue suite d’années, soutenus du seul espoir de confondre un jour leurs injustes concitoyens, par l’exécution de projets d’une utilité publique qu’ils méditaient en secret. Ils pouvaient mourir sans vengeance. Ils sont parvenus à l’extrême vieillesse avant que de se venger. Quel rapport y a-t-il entre l’héroïsme insensé de quelques hommes religieux et les biens de ce monde ? Ce n’est pas de coucher avec une jolie femme, de s’enivrer de vins délicieux, de se plonger dans un torrent de voluptés sensuelles. Ils s’en privent ici-bas, et ils n’en espèrent point là-haut. Ce n’est pas de regorger de richesses ; ils donnent ce qu’ils en ont, et se sont persuadés qu’il est plus difficile à l’homme riche de se sauver qu’au chameau de passer par le trou d’une aiguille ; ils n’ambitionnent point de poste éminent ; le premier principe de leur morale est le dédain d’honneurs corrupteurs et passagers. Voilà ce qu’il faut expliquer. Quand on établit une loi générale, il faut qu’elle embrasse tous les phénomènes, et les actions de la sagesse et les écarts de la folie. Malgré les défauts que je reprends dans votre ouvrage, ne croyez pas que je le méprise. Il y a cent belles, très belles pages ; il fourmille d’observations fines et vraies, et tout ce qui me blesse, je le rectifierais en un trait de plume. Au lieu d’affirmer que l’éducation et l’éducation seule fait les hommes ce qu’ils sont, dites seulement que peu s’en faut que vous ne le croyiez. Dites que souvent nos travaux, nos sacrifices, nos peines, nos plaisirs, nos vices, nos vertus, nos passions, nos goûts, l’amour de la gloire, le désir de la considération publique | ont un but relatif aux voluptés sensuelles ; et personne ne vous contredira. Dites que la diversité de l’organisation, les fluides, les solides, le climat, les aliments ont moins d’influence sur les talents qu’on ne le pense communément, et nous serons de votre avis. Dites que les lois, les mœurs, le gouvernement sont les causes principales de la diversité des nations, et que si cette institution publique ne suffit pas pour égaler un individu, elle met de niveau une grande masse d’hommes à une grande masse ; et nous baisserons la tête devant l’expérience des siècles qui nous apprend que Démosthène, que la Grèce ne reproduira pas, peut se montrer un jour ou sous les frimas de la zone glaciale, ou sous le ciel d’airain de la zone torride. Votre logique n’est pas aussi rigoureuse qu’elle pouvait l’être. Vous généralisez trop vos conclusions, mais vous n’en êtes pas moins un grand moraliste, un très subtil observateur de la nature humaine, un grand penseur, un excellent écrivain, et même un beau génie. Tâchez, s’il vous plaît, de vous contenter, vous de ce mérite, et vos amis de cet éloge.
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vendicheranno; si, la vendicheranno; se lo dicono a loro stessi; e io non conosco qual è il termine ultimo del loro progetto, se quel pericoloso onore non lo è. Io vi capisco, si vantano che un giorno verranno nominati e la loro memoria sarà onorata in eterno, tra gli uomini. – Lo voglio, si. Ma che cos’ha in comune questa eroica vanità con la sensibilità fisica e la specie di abietta ricompensa che voi ne deducevate? – Costoro godono in anticipo della dolce melodia di quel concerto lontano di voci avvenire e occupate a celebrarli; e il loro cuore trasalirà di gioia per questo. – E allora? – E quel trasalir del cuore non presuppone forse la sensibilità fisica? – Sì, come presuppone un cuore che trasalisce; ma la condizione senza la quale la cosa non può essere, ne è il motivo? Sempre, sempre lo stesso sofisma. Amico mio la vostra barca fa acqua da tutte le parti e io potrei farla colare a picco con l’esempio di certi uomini che sono incorsi nell’ignominia e l’hanno sopportata in silenzio, per una lunga serie di anni, sostenuti dalla sola speranza di confondere, un giorno, i loro ingiusti concittadini, con l’esecuzione di progetti di pubblica utilità, che meditavano in segreto. Potevano morire senza vendicarsi. Sono giunti alla vecchiaia più avanzata, prima di vendicarsi. Che rapporto c’è tra l’eroismo insensato di certi religiosi e i beni di questo mondo? Non è quello di andare a letto con una bella donna, di ubriacarsi con vini deliziosi; di sprofondare in un torrente di voluttà sensuali; loro se ne privano quaggiù; e non sperano in esse per l’altro mondo. Non è la speranza di abbondare di ricchezze; loro danno via quello che hanno e sono persuasi che è più difficile a un ricco salvarsi che a un cammello passare per la cruna di un ago.64 Non ambiscono affatto a posti di potere; il primo principio della loro morale è il disprezzo di onori corruttori e passeggeri. Ed è questo che bisogna spiegare. Quando si stabilisce una legge generale, bisogna che essa abbracci tutti i fenomeni, tanto le azioni della saggezza, quanto le deviazioni della follia. Malgrado i difetti che io rilevo nella vostra opera, non credete che la disprezzi. Vi sono cento belle, bellissime pagine; è pieno di osservazioni fini e vere. E tutto ciò che mi ferisce, lo correggerei con un tratto di penna. Invece di affermare che l’educazione e solo l’educazione fa degli uomini quello che sono, dite soltanto che poco ci manca che voi ci crediate. Dite che spesso i nostri lavori, i nostri sacrifici, i nostri dolori, i nostri piaceri, i nostri vizi, le nostre virtù, le nostre passioni, i nostri gusti, l’amore della gloria, il desiderio della pubblica considerazione, hanno un fine relativo alle voluttà sensuali e nessuno vi contraddirà. Dite che la diversità dell’organizzazione, i fluidi, i solidi, il clima, gli alimenti hanno meno influenza sui talenti di quanto comunemente si pensi, e noi saremo tutti del vostro avviso. Dite che le leggi, i costumi, il governo sono le cause principali della diversità delle nazioni, e che se quest’istituzione pubblica non basta a rendere eguale un individuo a un altro individuo, essa mette a livello una grande massa d’uomini con un’altra grande massa, e noi abbasseremo la testa dinanzi all’esperienza dei secoli, la quale c’insegna che Demostene, il quale la Grecia non riprodurrà, può mostrarsi un giorno o sotto le brine ghiacciate della zona glaciale, o sotto il cielo di bronzo della zona torrida. La vostra logica non è così rigorosa quanto potrebbe esserlo. Voi generalizzate troppo le vostre conclusioni. Ma non siete per questo meno un grande moralista, un sottilissimo osservatore della natura umana, un grande pensatore, un eccellente scrittore e persino un bel genio. Tentate, per favore, di accontentarvi, voi, di questo merito e i vostri amici di quest’elogio.
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La différence qu’il y a entre vous et Rousseau, c’est que les principes de Rousseau sont faux et les conséquences vraies ; au lieu que vos principes sont vrais et vos conséquences fausses. Les disciples de Rousseau, en exagérant ses principes, ne seront que des fous ; et les vôtres, en tempérant vos conséquences, seront des sages. Vous êtes de bonne foi en prenant la plume ; Rousseau n’est de bonne foi que quand il la quitte. Il est la première dupe de ses sophismes. Rousseau croit l’homme de la nature bon ; et vous le croyez mauvais. Rousseau croit que la société n’est propre qu’à dépraver l’homme de la nature ; et vous croyez qu’il n’y a que de bonnes lois sociales qui puissent corriger le vice originel de la nature. Rousseau s’imagine que tout est au mieux dans les forêts et tout au plus mal dans les villes ; vous pensez que tout est assez mal dans les villes, mais que tout est au pis dans les forêts. Rousseau écrit contre le théâtre, et fait une comédie ; préconise l’homme sauvage ou qui ne s’élève point, et compose un traité d’éducation. Vous n’avez point de ces | inconséquences. Sa philosophie, s’il en a une, est de pièces et de morceaux. La vôtre est une. J’aimerais peut-être mieux être lui que vous, mais j’aimerais mieux avoir fait vos ouvrages que les siens. Si j’avais son éloquence et votre sagacité, je vaudrais mieux que tous les deux. [CHAPITRE 11]
P. 244. Ici l’auteur, sorti du paradoxe que les désirs et les aversions se réduisent en dernière analyse à la poursuite des plaisirs sensibles et à la fuite des peines physiques, revient au paradoxe de l’inégalité des talents. P. 245. « Les mémoires extraordinaires font les érudits et la méditation, les hommes de génie ». Le second est faux. Il y a des hommes à qui l’on peut dire : Médite, médite tant que tu voudras, tu ne trouveras rien ; frappe là, jusqu’à demain, on ne te répondra pas, il n’y a personne ; et le premier est un résultat d’organisation particulier. Appliquez celui-ci à l’érudition, celui-là à la méditation, et vous aurez un pauvre penseur et un érudit du commun. L’un n’inventera rien. L’autre perdra le don naturel. P. 247. « Qu’un Français passe quelques années à Londres ou à Florence, il saura bientôt l’anglais et l’italien ». Cela est contraire à l’expérience, quelles qu’en soient les raisons. De toutes les nations européennes la française est celle qui montre le moins d’aptitude aux langues vivantes étrangères. P. 248 : « La nature donne donc plus de mémoire que n’en exige la découverte des plus grandes vérités ». Je l’ignore. P. 249. « ... Il n’est qu’une différence réelle et remarquable entre les mémoires, c’est l’étendue ». Et la ténacité donc ? Il me semble que ceux qui apprennent facilement oublient de même, et que ceux à qui il en coûte pour apprendre retiennent longtemps. |
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La differenza che c’è tra voi e Rousseau è che i principi di Rousseau sono falsi e le sue conseguenze vere; invece i vostri principi sono veri e le conseguenze false. I discepoli di Rousseau, esagerandone i principi, non saranno altro che dei pazzi; e i vostri, moderando le vostre conseguenze, saranno dei saggi. Voi siete in buona fede, prendendo in mano la penna; Rousseau è in buona fede solo quando la lascia cadere. È lui stesso la prima vittima dei suoi sofismi. Rousseau crede buono l’uomo della natura; e voi lo credete malvagio. Rousseau crede che la società è capace solo di depravare l’uomo della natura; e voi credete che sono solo delle buone leggi sociali che possano correggere il vizio originario della natura. Rousseau s’immagina che tutto va al meglio nelle foreste e tutto al pessimo nelle città; voi pensate, voi, che tutto va abbastanza male nelle città, ma che tutto va al peggio nelle foreste. Rousseau scrive contro il teatro e fa una commedia; raccomanda l’uomo selvaggio ossia l’uomo che non si alleva, e poi compone un trattato di educazione. Voi non avete affatto queste incoerenze. La sua filosofia, se ne ha una, è fatta di pezzi e di brani. La vostra è una. Forse preferirei essere lui piuttosto che voi; ma preferirei certo aver fatto le vostre opere piuttosto che le sue. Se avessi la sua eloquenza e la vostra sagacia, varrei di più di tutti e due messi insieme. [CAPITOLO 11]
P. 244. Qui l’autore, uscito dal paradosso che le avversioni e i desideri si riducono, in ultima analisi, alla ricerca dei piaceri sensibili e alla fuga dai dolori fisici, ritorna al paradosso della disuguaglianza dei talenti. P. 245. «Le memorie straordinarie fanno gli eruditi e la meditazione gli uomini di genio». Il secondo principio è falso. Ci sono uomini ai quali si può dire: Medita, medita quanto vorrai, non troverai niente; bussa lì fino a domani, non ti risponderanno; non c’è nessuno; e il primo è un risultato dell’organizzazione particolare. Applicate questo all’erudizione, quello alla meditazione e avrete un povero pensatore e un erudito comune. L’uno non inventerà niente. L’altro perderà il dono naturale. P. 247. «Che un Francese trascorra alcuni anni a Londra o a Firenze; saprà presto l’inglese e l’italiano». Ciò è contrario all’esperienza, quali che siano le ragioni. Tra tutte le nazioni europee, la francese è quella che mostra la minore attitudine alle lingue straniere vive. P. 248. «La natura dà dunque più memoria di quanta ne esiga la scoperta delle verità più grandi». Lo ignoro. P. 249. «... Non c’è che una sola differenza reale e notevole tra le memorie, ed è l’estensione». E la tenacia, dunque? Mi sembra che coloro che apprendono facilmente, dimenticano allo stesso modo e che coloro ai quali costa caro apprendere, memorizzano più a lungo.
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P. 251. « Il y a cinq sens ». Oui, voilà les cinq témoins : mais le juge ou le rapporteur ? Il y a un organe particulier, le cerveau, auquel les cinq témoins font leur rapport. Cet organe méritait bien un examen particulier. Il y a deux sortes de stupides ; les uns le sont par des sens hébétés, les autres avec des sens exquis, par une mauvaise conformation du cerveau. C’est où j’attends l’auteur, qui jusqu’à présent a pris l’outil nécessaire à l’ouvrage pour la raison de l’ouvrier, et qui s’est épuisé à dire : Il faut une scie pour scier, et qui n’a pas vu qu’on ne sciait pas par la raison qu’on avait une scie. Il faut sentir pour être orateur, érudit, poète, philosophe, mais on n’est pas philosophe, poète, orateur, érudit parce que l’on sent. Pour désirer et goûter les plaisirs, pour prévoir et éviter les peines, il faut de la sensibilité physique. Mais pour connaître et éviter les peines, pour désirer et goûter les plaisirs, il y a toujours un motif qui se résout en autre chose que la sensibilité physique qui, principe du goût et de l’aversion en général, n’est la raison d’aucune aversion, d’aucun goût particulier. La sensibilité physique est à peu près la même dans tous, et chacun a son bonheur particulier. Ibid.A – Tous partent également en mesure ». Premièrement, cela n’est pas vrai ; et quand cela serait vrai, tous auraient-ils la même disposition à l’art musical ? En seraient-ils également affectés ? En ferait-on indistinctement des musiciens ? Nulle induction concluante à tirer des symptômes extérieurs. Celui-ci ne sent que faiblement et paraît transporté ; celui-là est pénétré d’une sensation profonde et paraît immobile et froid. Il en est arrivé à Helvétius comme aux chercheurs ou de la quadrature du cercle ou de la pierre philosophale. C’est de laisser le problème insoluble, et de rencontrer, chemin faisant, quelques vérités précieuses. Son livre en est un | tissu. Les hommes n’en seront pas plus égaux ; mais la nature humaine en sera mieux connue. L’éducation ne nous donnera pas ce que la nature nous aura refusé ; mais nous n’aurons plus de confiance dans cette ressource. Tous nos désirs, toutes nos affections ne s’en résoudront pas davantage en voluptés sensuelles ; mais le fond de la caverne sera mieux éclairé. L’ouvrage sera toujours utile et agréable. Même page.B Si entre les hommes les plus parfaitement organisés il en est si peu de spirituels, c’est que l’esprit n’est pas le résultat de la finesse des sens combinée avec la bonne éducation : c’est qu’il est encore autre chose que l’excellence et des sens et de l’enseignement ne donne pas. P. 253 « Les femmes de génie sont rares ». – D’accord. – «Elles sont mal élevées.» – Très mal ; mais leur organisation délicate, mais leur assujettissement à une malaA « Tous n’ont pas les mêmes oreilles, cependant dans un concert, au mouvement de certains airs, tous les musiciens, tous les danseurs d’un opéra et tous les soldats d’un bataillon partent également en mesure ». B « Entre les hommes les plus parfaitement organisés, s’il en est peu de spirituels, c’est, diton, parce que l’esprit est l’effet combiné de la finesse des sens et de la bonne éducation. Soit : mais dans cette supposition, il serait du moins impossible qu’une bonne éducation sans une finesse particulière des sens pût former de grands hommes. Or ce fait est démenti par l’expérience ».
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P. 251. «Ci sono cinque sensi». Sì, ecco i cinque testimoni; ma dov’è il giudice o il relatore? C’è un organo particolare, il cervello, al quale i cinque testimoni fanno il loro rapporto. Quest’organo meriterebbe proprio un esame particolare.65 Ci sono due specie di stupidi; i primi lo sono per via di sensi inebetiti; gli altri, dotati di sensi delicati, per via di una cattiva conformazione del cervello: è là che attendo l’autore, il quale fino a oggi ha preso lo strumento necessario all’opera, per la ragione dell’operaio; e si è sfiancato nel dire: Bisogna avere una sega per segare e non ha visto che non si sega per la sola ragione di avere a disposizione una sega. Bisogna sentire per essere oratore, erudito, poeta, filosofo, ma non si è filosofo, poeta, oratore, erudito perché si sente. Per desiderare e gustare i piaceri, per prevedere ed evitare i dolori, occorre della sensibilità fisica. Ma per conoscere ed evitare i dolori, per desiderare e gustare i piaceri, c’è sempre un motivo che si risolve in altra cosa dalla sensibilità fisica la quale, principio del gusto e dell’avversione in generale, non è la ragione di alcuna avversione, di alcun gusto particolare. La sensibilità fisica è all’incirca la stessa in tutti; e ciascuno ha la sua fortuna particolare. Ibid.A «Tutti partono con eguali misure». In primo luogo, questo non è vero. E quand’anche fosse vero, tutti avrebbero la stessa disposizione all’arte musicale? ne sarebbero ugualmente affetti? se ne farebbero indistintamente dei musicisti? Nessuna induzione concludente si può trarre dai sintomi esterni. Costui sente solo debolmente e sembra trasportato; quest’altro è penetrato da una sensazione profonda e sembra immobile e freddo. È accaduto a Helvétius come a coloro che ricercano la quadratura del cerchio o la pietra filosofale. Cioè di lasciare insoluto il problema e d’incontrare, strada facendo, qualche preziosa verità. Il suo libro ne è pieno. Gli uomini non saranno per questo più uguali, ma la natura umana sarà meglio nota. L’educazione non ci darà quello che la natura ci ha rifiutato, ma noi avremo più fiducia in questa risorsa. Tutti i nostri desideri, tutte le nostre affezioni non si risolveranno per questo di più in voluttà sensuali; ma il fondo della caverna sarà illuminato meglio. L’opera sarà sempre utile e piacevole. Stessa pagina.B Se tra gli uomini più perfettamente organizzati ce ne sono così pochi di spirituali, è perché lo spirito non è il risultato della finezza dei sensi combinata con la buona educazione; perché è anche altra cosa, che non dà né l’eccellenza dei sensi e neppure quella dell’insegnamento. P. 253. «Le donne di genio sono rare». – D’accordo. – «Sono educate male». – Molto male; ma la loro organizzazione delicata; il loro essere soggette a una malattia A «Non tutti hanno le stesse orecchie, tuttavia in un concerto, al movimento di certe arie, tutti i musicisti, tutti i ballerini di un’opera e tutti i soldati di un battaglione partono con eguali misure». B «Tra gli uomini più perfettamente organizzati, se ce ne sono pochi di spirituali è perché, si dice, lo spirito è l’effetto combinato della finezza dei sensi e della buona educazione. E sia: ma in questa supposizione sarebbe quanto meno impossibile che una buona educazione senza una particolare finezza dei sensi possa formare dei grand’uomini. Ora, questo fatto è smentito dall’esperienza».
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die périodique, à des grossesses, à des couches, leur permettent-ils cette force et cette continuité de méditation que vous appelez la créatrice du génie et à laquelle vous attribuez toute importante découverte ? Elles font les premiers pas plus vite, mais elles sont plutôt lasses et s’arrêtent plus promptement. Moins nous en espérons, plus nous sommes faciles à contenter. Les femmes et les Grands s’illustrent à peu de frais ; ils ne sont entourés que de flatteurs. Le petit nombre de femmes de génie fait exception et non pas règle. Ibid.A C’est qu’il ne faut pas examiner les sens relativement à l’effet général de leur concours, sans y faire entrer l’organe corrélatif, la tête. Séparer dans cette comparaison un des termes de l’autre, c’est arriver à l’erreur. Il n’en est pas ainsi de l’examen particulier de chacun d’eux, considéré relativement à son objet. Tout étant égal d’ailleurs, celui qui a le palais obtus ne sera pas aussi bon cuisinier que celui qui l’a délicat. | Le myope sera moins bon observateur des astres, moins bon peintre, moins bon statuaire, moins bon juge d’un tableau que celui qui a la vue excellente. Si votre enfant manque d’odorat, il mourra de faim dans la boutique d’un parfumeur. S’il n’a pas le toucher exquis, il ne tournera jamais également un petit pivot, et Romilly vous le renverra. Quel plaisir voulez-vous qu’il prenne, quelle perfection voulez-vous qu’il atteigne dans l’art d’imiter la nature par les sons, s’il a le tympan racorni et l’oreille dure ou fausse ? Il bâillera à l’Opéra. Il a ses cinq sens excellents, mais la tête est mal organisée. Les témoins sont fidèles ; mais le juge est corrompu. Il ne sera jamais qu’un sot. P. 255.B Comment, monsieur Helvétius, le choix du lait n’est pas indifférent dans l’enfance, et celui des aliments l’est dans l’âge adulte ! « La différence de la latitude n’a aucune influence sur les esprits« . Je n’en crois rien, ne fût-ce que par la raison que toute cause a son effet, et que toute cause constante, quelque petite qu’elle soit, produit un grand effet avec le temps. Si elle parvient à constituer l’esprit ou le caractère national, c’est beaucoup, surtout relativement à la culture des beaux-arts où la différence du bon à l’excellent n’est pas de l’épaisseur d’un cheveu. Ces assertions générales sur le ciel, le climat, les saisons, les aliments sont trop vagues, pour devenir décisives dans une matière aussi délicate. Croit-on qu’il soit indifférent aux habitants d’une contrée, à leur manière de se nourrir, de se vêtir, de s’occuper, de sentir, de penser, d’être humide ou sèche, couverte de forêts ou découverte, aride et montagneuse, plate ou marécageuse, plongée dans des nuits de dix-huit heures et ensevelie sous les neiges pendant huit mois ? |
A [« Homère et Milton furent aveugles de bonne heure. Un aveuglement prématuré supposait quelque vice dans l’organe de leur vue : cependant quelle imagination plus forte et plus brillante ! [...] De quelque manière qu’on interroge l’expérience, elle répondra toujours que la plus ou moins grande supériorité des esprits, est indépendante de la plus ou moins grande perfection des organes des sens, et que tous les hommes communément bien organisés, sont doués par la nature de la finesse des sens nécessaire, pour s’élever aux plus grandes découvertes en mathématiques, chimie, politique, physique, etc. » (p. 253-255).] B [« La différence de la latitude et de la nourriture n’a donc aucune influence sur les esprits ; et peut-être en a-t-elle moins qu’on ne pense sur les corps » (p. 256).]
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periodica, a delle gravidanze, dei parti, permette loro quella forza e quella continuità di meditazione che voi chiamate la forza creatrice del genio e alla quale attribuite ogni importante scoperta? Loro fanno i primi passi più velocemente; ma sono stanche prima e si fermano con maggiore prontezza. Meno speranze ne abbiamo, più ne siamo facilmente accontentati. Le donne e i potenti si rendono illustri a poco prezzo. Sono attorniati solo da adulatori.66 Il piccolo numero di donne di genio fa eccezione e non la regola. Ibid.A È che non bisogna esaminare i sensi relativamente all’effetto generale del loro concorso, senza farvi rientrare l’organo correlato, la testa. Separare, in questo paragone, uno dei termini dall’altro, è il mezzo migliore per giungere all’errore. Non è così dell’esame particolare di ciascuno di essi, considerato relativamente al suo oggetto.67 Fermo restando uguale il tutto, d’altronde, colui che ha il palato ottuso, non sarà un cuoco altrettanto buono quanto colui che l’ha delicato. Il miope sarà un osservatore degli astri meno buono, meno buon pittore, meno buon giudice di un quadro, di colui che ha la vista eccellente. Se vostro figlio manca di odorato, morirà di fame nel negozio di un profumiere. Se non ha il tatto raffinato, non farà mai ruotare in modo eguale un piccolo perno; e Romilly68 ve lo rispedirà a casa. Che piacere volete che prenda, quale perfezione volete che raggiunga nell’arte di imitare i suoni, se ha il timpano incallito e l’orecchio duro o falso? All’Opera sbadiglierà. Ha i cinque sensi eccellenti; ma la testa è male organizzata. I testimoni sono fedeli; ma il giudice è corrotto. Non sarà mai altro che uno sciocco. P. 255.B Come, Signor Helvétius, la scelta del latte non è indifferente nell’età infantile; e quello degli alimenti lo è nell’età adulta! «La differenza di latitudine non ha alcuna influenza sugli spiriti». Non lo credo proprio, non foss’altro per la ragione che ogni causa ha il suo effetto e che ogni causa costante, per quanto piccola essa sia, con il tempo produce un grande effetto. Se essa perviene a costituire lo spirito o il carattere nazionale è molto, soprattutto in relazione alla cultura delle belle arti in cui la differenza dal buono all’eccellente non è dello spessore di un capello. Queste asserzioni generali sul cielo, il clima, le stagioni, gli alimenti sono troppo vaghe per diventare decisive in una materia tanto delicata. Crediamo che sia indifferente per gli abitanti di un paese, per la loro maniera di nutrirsi, di vestirsi, di occuparsi, di sentire, di pensare, l’essere umido o secco, coperto di foreste o privo, arido e montagnoso, piatto o paludoso, immerso nelle tenebre della notte per diciotto ore, e seppellito sotto le nevi per otto mesi? A [«Omero e Milton furono ciechi molto presto. Un accecamento tanto prematuro presupponeva qualche vizio del loro organo della vista; tuttavia, quale immaginazione più forte e più brillante! [...] In qualunque modo s’interroghi l’esperienza, essa risponderà sempre che la superiorità più o meno grande degli spiriti, è indipendente dalla maggiore o minore perfezione degli organi dei sensi, e che tutti gli uomini comunemente bene organizzati sono dotati, per natura, della finezza dei sensi necessaria per elevarsi alle maggiori scoperte in matematica, chimica, politica, fisica ecc.» (pp. 253-255)]. B [«La differenza della latitudine e dell’alimentazione non ha dunque alcuna influenza sugli spiriti; e forse essa ne ha meno di quanto si pensi sui corpi» (p. 256)].
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Les commerçants de Paris vous diront quel vent règne en Italie. Ceux que la fureur de l’histoire naturelle conduit aux Îles, y perdent subitement leur enthousiasme et tombent dans l’inaction et la paresse. Les jours de chaleur nous accablent, et nous sommes incapables de travailler et de penser. Si le climat et les aliments influent sur les corps, ils influent nécessairement sur les esprits. Pourquoi nos jeunes peintres, revenus d’Italie, ont-ils à peine passé quelques années à Paris, qu’ils peignent gris ? Il n’y a presque pas un homme, dans quelque contrée que ce soit, dont l’humeur ne se ressente plus ou moins de l’état nébuleux ou serein de l’atmosphère. Une atmosphère sereine donne-t-elle de la gaieté ; une atmosphère nébuleuse de la tristesse ; on s’en apercevra plus ou moins dans le caractère et dans les ouvrages. Ne donnons pas trop d’énergie à ces causes, mais n’en réduisons pas l’effet à rien. Le climat influe sur le gouvernement sans doute, mais le gouvernement influe bien d’une autre manière sur les esprits ; j’en conviens ; cependant sous le même gouvernement et sous différents climats il est impossible que les esprits se ressemblent. Les plantes des montagnes sont sèches, nerveuses et énergiques ; les plantes de la plaine sont molles, succulentes et faibles. Les habitants de la montagne sont secs, musculeux et courageux ; les habitants de la plaine sont gras, lâches, mous et replets : et hommes et animaux. Les habitants des montagnes deviennent asthmatiques ; les habitants de la plaine périssent hydropiques. Comment ! le local exercera si puissamment son empire sur la machine entière ; et l’âme qui n’en est qu’une portion, et l’esprit qui n’est qu’une qualité de l’âme, et les productions de l’esprit en tout genre ne s’en ressentiront pas ! En quelle contrée trouve-t-on les crétins ? Dans la contrée des goitres, où l’on appelle les cous sans goitre cous de grue ; et voilà comme on juge des cous quand on boit de mauvaise eau. C’est qu’il est bien difficile de faire de la bonne métaphysique et de la bonne morale sans être anatomiste, naturaliste, physiologiste et médecin. | P. 257. « Les pères les plus spirituels n’engendrent souvent que de sots enfants ». Il m’en est venu une raison assez singulière que je donne pour ce qu’elle vaut : c’est qu’il en est des ressemblances de l’esprit comme de celles du corps, qui ont des sauts. Le trisaïeul de cet homme spirituel était peut-être un sot.A Ensuite je dirai à l’auteur : Ces sots enfants, issus de parents qui ont de l’esprit, sont cependant bien organisés. N’assurez donc pas qu’ils ont été engendrés sots, mais soutenez fort et ferme qu’ils auraient eu autant d’esprit que leurs pères, s’ils avaient reçu la même éducation, et que les soins qu’on aurait pris de les élever eussent été secondés des mêmes hasards. Vous avez parlé dans cet endroit selon la vérité, mais non pas tout à fait selon votre système, comme il arrivera toujours, d’inadvertance, à ceux qui soutiendront des paradoxes. Pour les surprendre en contradiction, il n’y a qu’à les laisser dire. P. 257. « Il est des hommes de génie de toute taille, de toutes sortes de conformation ». Croyez-vous qu’il y en ait beaucoup à tête en pain de sucre, à tête aplatie, à crâne A
« homme de génie ».
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I commercianti di Parigi vi diranno quale vento regna in Italia. Coloro che la fissazione per la storia naturale spinge nelle isole, vi perdono subito il loro entusiasmo e cadono nell’inazione e nella pigrizia. Le giornate di calura ci opprimono e siamo incapaci di lavorare e di pensare. Se il clima e gli alimenti influiscono sui corpi, influiscono necessariamente sugli spiriti. Perché i nostri giovani pittori, tornati dall’Italia, non appena hanno passato pochi anni a Parigi dipingono grigio? Non c’è quasi un solo uomo, in qualunque paese che sia, il cui umore non risenta in misura maggiore o minore dello stato nuvoloso o sereno dell’atmosfera. Un’atmosfera serena dà dell’allegria; un’atmosfera nuvolosa, della tristezza; ce ne accorgeremo, in misura maggiore o minore, nei caratteri e nelle opere. Non diamo troppa energia a tali cause; ma non riduciamone gli effetti a nulla. Il clima influisce sul governo,69 probabilmente; ma il governo influisce in ben altro modo sugli spiriti. Ne convengo. Tuttavia, sotto lo stesso governo e sotto diversi climi, è impossibile che gli spiriti si assomiglino. Le piante di montagna sono secche, nervose ed energiche; le piante di pianura sono molli, succulente e deboli. Gli abitanti della montagna sono secchi, muscolosi e coraggiosi; gli abitanti della pianura sono grassi, pavidi, molli e paffuti; tanto gli uomini quanto gli animali. Gli abitanti delle montagne diventano asmatici; gli abitanti della pianura, muoiono idropici. Come! Il locale eserciterà il suo dominio in modo tanto potente sull’intera macchina; e l’anima, che non è altro che una porzione di essa, e lo spirito che è una semplice qualità dell’anima, e le produzioni dello spirito, in ogni genere, non ne risentiranno affatto! In quale paese si trovano i cretini? Nel paese dei gozzi,70 in cui i colli senza gozzo vengono chiamati colli di gru; ed ecco come si giudica dei colli, quando si beve acqua cattiva. Il fatto è che è molto difficile fare della buona metafisica e della buona morale, senza essere anatomista, naturalista, fisiologo e medico. P. 257. «I padri più spirituali spesso non generano che dei figli sciocchi». M’è venuta in mente una ragione abbastanza singolare che io do qui per quel che vale; è che accade delle somiglianze dello spirito come di quelle del corpo, che fanno dei salti. L’antenato di quest’uomo spirituale era forse uno sciocco. Infine, dirò all’autore: Questi figli sciocchi venuti da genitori dotati di spirito, sono tuttavia bene organizzati. Non siate dunque così sicuro che sono stati generati sciocchi; ma sostenete forte e chiaro che avrebbero avuto altrettanto spirito quanto i loro padri, se avessero ricevuto la stessa educazione e se le cure che si fossero prese nell’allevarli fossero state sostenute dalle stesse contingenze casuali. Avete parlato, in questo passaggio, secondo verità, ma non del tutto secondo il vostro sistema, come sempre accadrà di avere delle distrazioni a coloro che sosterranno dei paradossi. Per coglierli in contraddizione, non c’è che da lasciarli dire. P. 257. «Ci sono uomini di genio di ogni grandezza, di ogni specie di conformazione». Voi credete che ve ne siano molti con la testa a pan di zucchero, a testa piatta, a cra-
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étroit, au regard éteint ? Les yeux gros et bêtes ne tiennent-ils pas ordinairement ce qu’ils promettent ? Et les bouches béantes, et les mâchoires pendantes, etc. ? Un homme d’esprit a quelquefois l’air d’une bête ; mais il est bien plus rare qu’une bête ait l’air d’un homme d’esprit ; et lorsqu’on se trompe, c’est que l’homme bête est bien plus bête qu’on ne le croyait. D’où je conclus que toutes ces assertions sont hasardées, et que pour les accuser d’erreur ou les admettre comme des vérités, nous avons besoin d’observations très fines qui n’ont jamais été faites, et qui ne se feront peut-être jamais. Quel est l’anatomiste qui se soit avisé de comparer l’intérieur de la tête d’un homme d’esprit avec l’intérieur de la tête d’un stupide ? Les têtes n’ont-elles pas aussi leurs physionomies en dedans ? et ces physionomies, si l’anatomiste expérimenté les connaissait, ne lui diraient-elles pas tout ce que les physionomies extérieures lui annoncent à lui et à d’autres personnes avec tant de certitude qu’elles m’ont protesté ne s’y être jamais trompés ? Avec un peu plus d’attention, l’auteur aurait soupçonné | que dans la combinaison des éléments qui constituent l’homme d’esprit, il en avait omis un, et peut-être le plus important, et son soupçon n’aurait pas été trop mal fondé. – Cet élément, quel est-il ? – Le cerveau. Un seul fait bien connu aurait modifié toutes ses assertions ; c’est que le rachitisme qui étend la capacité de la tête outre mesure, rend l’intelligence des enfants précoce. P. 258 « Mais supposons dans l’homme un sens extrêmement fin. Qu’en arriveraitil ? » Je vais vous le dire ; c’est qu’il serait réduit à la condition animale ; il ne serait plus un être se perfectionnant en tout genre, mais un être voyant. Je m’explique. Pourquoi l’homme est-il perfectible et pourquoi l’animal ne l’est-il pas ? L’animal ne l’est pas, parce que sa raison, s’il en a une, est dominée par un sens despote qui la subjugue. Toute l’âme du chien est au bout de son nez, et il va toujours flairant. Toute l’âme de l’aigle est dans son œil, et l’aigle va toujours regardant. Toute l’âme de la taupe est dans son oreille, et elle va toujours écoutant. Mais il n’en est pas ainsi de l’homme. Il est entre ses sens une telle harmonie qu’aucun ne prédomine assez sur les autres pour donner la loi à son entendement ; c’est son entendement au contraire, ou l’organe de sa raison qui est le plus fort. C’est un juge qui n’est ni corrompu ni subjugué par aucun des témoins. Il conserve toute son autorité ; et il en use pour se perfectionner. Il combine toutes sortes d’idées et de sensations, parce qu’il ne sent rien fortement. Ainsi l’homme en qui l’ouïe prédominerait les autres sens à un extrême degré, ne leur laisserait qu’autant d’exercice que la propagation de l’espèce et la conservation de l’individu en exigeraient. Dans tous les autres instants, il serait comme la taupe dont l’antre retentit du moindre petit bruit, un être écoutant, et toujours écoutant. D’où il s’ensuit que l’homme de génie et la bête se touchent, parce qu’il y a dans l’un et l’autre un organe prédominant qui les entraîne invinciblement à une seule sorte d’occupation, qu’ils exécutent parfaitement. Le même principe poussé plus loin expliquerait comment la jeune hirondelle, qui n’a jamais fait de nid, s’en tire aussi bien que sa mère ; comment le jeune renard, qui n’a | jamais croqué de poulet, force une basse-cour aussi adroitement que son père.
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nio stretto, dallo sguardo spento? Gli occhi grossi e inebetiti non mantengono, di solito, quello che promettono? E le bocche spalancate; e le mascelle pendenti ecc.? Un uomo di spirito ha talvolta l’aria di uno scemo; ma è ben più raro che uno scemo abbia l’aria di un uomo di spirito; e quando ci s’inganna, è che l’uomo scemo è ben più scemo di quanto si credeva.71 Da ciò concludo che tutte queste asserzioni sono azzardate; e che per accusarle di errore o ammetterle come verità, abbiamo bisogno di osservazioni molto fini che non sono state mai fatte e che forse non si faranno mai. Qual è l’anatomista che si sia peritato di paragonare l’interno della testa di un uomo di spirito con l’interno della testa di uno stupido? Le teste non hanno anch’esse le loro fisionomie al di dentro? E l’anatomista esperto non le conoscerebbe, queste fisionomie, non gli direbbero tutto ciò che le fisionomie esterne gli annunciano, a lui e ad altri, con tanta certezza che costoro mi hanno confessato di non essersi mai sbagliati? Con un po’ più di attenzione l’autore avrebbe sospettato che nella combinazione degli elementi che costituiscono l’uomo di spirito, ne aveva omesso uno e forse il più importante; e il suo sospetto non sarebbe stato troppo infondato. – Quest’elemento qual è? – Il cervello.72 Un solo fatto ben noto avrebbe modificato tutte le sue asserzioni; infatti, il rachitismo che estende la capacità della testa oltre misura, rende precoce l’intelligenza dei bambini.73 P. 258. «Ma supponiamo nell’uomo un senso estremamente fine. Che cosa accadrebbe in lui?». Adesso ve lo dico; è che verrebbe ridotto alla condizione animale. Non sarebbe più un essere che si perfeziona in ogni genere; ma un essere vedente. Mi spiego. Perché l’uomo è perfettibile e perché l’animale non lo è? L’animale non lo è perché la sua ragione, se ne ha una, è dominata da un senso despota che la soggioga. Tutta l’anima del cane è sulla punta del suo naso; e va sempre annusando; tutta l’anima dell’aquila è nel suo occhio e l’aquila va sempre guardando; tutta l’anima della talpa è nel suo orecchio, ed essa va sempre ascoltando. Ma non accade così per l’uomo. C’è tra i suoi sensi una tale armonia che nessuno di essi predomina abbastanza sugli altri per dare la legge al suo intelletto; è il suo intelletto, al contrario, ossia l’organo della sua ragione, a essere il più forte. È un giudice che non è né corrotto, né soggiogato da nessuno dei testimoni. Conserva tutta la sua autorità; e ne fa uso per perfezionarsi. Esso combina ogni specie di idee o di sensazioni; perché non sente nulla con gran forza. Così l’uomo nel quale l’udito predominasse sugli altri sensi, a un grado estremo, non lascerebbe loro che quel tanto di esercizio che esigerebbe da esso la propagazione della specie e la conservazione dell’individuo. In tutti gli altri momenti, sarebbe come la talpa, la cui tana risuonerebbe a ogni minimo piccolo rumore, un essere in ascolto, e sempre in ascolto. Da ciò consegue che l’uomo di genio e la bestia si toccano; perché c’è in entrambi un organo predominante che li trascina invincibilmente verso una sola specie di occupazione, che loro eseguono perfettamente. Lo stesso principio spinto più oltre spiegherebbe come la giovane rondine che non ha mai fatto un nido, se la cava altrettanto bene quanto sua madre; come la giovane volpe, che non ha mai cacciato galline, sfondi un’aia con altrettanta maestria quanto suo padre.
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Mais ce n’est pas le lieu d’exposer ma philosophie ; ma tâche est d’examiner la philosophie d’un autre. Ibid. « Ces sensations toujours stériles conserveraient le même rapport entre elles ». Cela se peut ; mais comme les sens s’instruisent réciproquement, le rapport des sensations de l’organe exquis varierait nécessairement avec les autres. Combien de choses cet homme nous apprendrait ! combien de faits il nous donnerait à vérifier ! combien il en vérifierait lui-même par des expériences dont il pourrait toujours annoncer le résultat ! De combien de termes il enrichirait la langue ! Songez que les observations de son œil merveilleux ne pourraient jamais être en contradiction réelle avec les observations de nos yeux ordinaires. Supposez qu’un homme eût la vue assez fine pour discerner les particules de l’air, du feu et de l’eau ; de bonne foi, cet homme ne nous servirait de rien ? J’aimerais autant assurer qu’un sens de plus lui aurait été accordé en pure perte pour lui-même et pour les autres.
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P. 258. « Une sensation n’est qu’un fait de plus ». – Une sensation fortuite n’est qu’un fait de plus ; mais une sensation produite par un organe exquis et prodigieux est une multitude prodigieuse de faits ; c’est la réunion du télescope et du microscope. Le microscope n’a-t-il enrichi la physique que d’un fait ? – « Un fait n’ajoute rien à l’aptitude que les hommes ont à l’esprit ». – Parler ainsi, après avoir dit ailleurs que l’éducation, qu’un hasard fait le génie ! Est-ce qu’entre tous les hasards possibles l’observation de tel ou tel fait n’est pas le plus heureux ? – Il y a tel fait auquel la science ou l’art doit sa naissance, et tel autre auquel il doit ses progrès. – Helvétius dit blanc et noir, selon le besoin. Ibid. « Un tel homme parviendrait à des résultats incommunicables aux autres ». – Pourquoi donc ? Si nous ne pouvions arriver à ses résultats par le discours, pourquoi n’y arriverions-nous pas par l’induction et par l’expérience ? Mais il y a plus : ce qu’il apercevrait serait relatif à la longueur, largeur, profondeur, solidité et autres qualités physiques, sur lesquelles il pourrait s’expliquer très clairement ; et telle serait la différence entre un sens perfectionné et un sens nouveau. L’homme au sens perfectionné ne | nous entretenant que de qualités connues, serait toujours intelligible ; l’autre nous entretenant au contraire de qualités inconnues, ne pourrait jamais être entendu. Nous sentons tous diversement, et nous parlons tous de même. Si l’on saisit assez généralement les vérités contenues dans les ouvrages des Locke et des Newton, qu’est-ce que cela prouve ? Que tous assez généralement étaient capables de les découvrir ? Je le nie. P. 260.A À proprement parler, les sensations d’un homme sont incommunicables à un autre, parce qu’elles sont diverses. Si les signes sont communs, c’est par disette. Je suppose que Dieu donnât subitement à chaque individu une langue de tout point analogue à ses sensations ; on ne s’entendrait plus. De l’idiome de Pierre à l’idiome de Jean, il n’y aurait pas un seul synonyme, si ce n’est peut-être les mots exister, être, et quelques autres qui désignent des qualités si simples, que la définition en est impossible ; et puis toutes les sciences mathématiques. A [« entre les hommes les plus finement organisés, il faut qu’à certains égards, chacun le soit encore supérieurement aux autres. Tout homme en conséquence devrait donc éprouver des sensations, acquérir des idées incommunicables à ses compatriotes. Or il n’est point d’idées de cette espèce » (p. 260-261).]
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Ma non è questo il luogo per esporre la mia filosofia; il mio compito è di esaminare la filosofia di un altro. Ibid. «Queste sensazioni sempre sterili conserverebbero lo stesso rapporto tra loro». Ciò è possibile; ma siccome i sensi s’istruiscono reciprocamente, il rapporto delle sensazioni dell’organo delicato varierebbe necessariamente con gli altri. Quante cose quest’uomo ci insegnerebbe! Quanti fatti ci darebbe da verificare! Quanti ne verificherebbe lui stesso attraverso delle esperienze di cui potrebbe sempre annunciare il risultato! Di quanti termini arricchirebbe la lingua! Pensate che le osservazioni del suo occhio meraviglioso non potrebbero mai essere in contraddizione reale con le osservazioni dei nostri occhi comuni. Supponete che un uomo abbia la vista abbastanza fine per discernere le particelle dell’aria, del fuoco e dell’acqua; in buona fede, quest’uomo non ci servirebbe a niente? Preferirei comunque assicurare che un senso in più gli sarebbe stato accordato in pura perdita, per sé stesso e per gli altri. P. 258. «Una sensazione non è che un fatto in più» – Una sensazione fortuita non è che un fatto in più; ma una sensazione prodotta da un organo delicato e prodigioso è una moltitudine prodigiosa di fatti; è la riunione del telescopio e del microscopio. Il microscopio non ha arricchito la fisica di un solo fatto? – «Un fatto non aggiunge nulla all’attitudine che gli uomini hanno allo spirito» – Parlare così, dopo aver detto altrove che l’educazione, che un caso fa il genio! Fra tutti i casi possibili, l’osservazione di questo o quel fatto non è il più felice tra questi? – C’è il tale fatto al quale la scienza o l’arte deve la propria nascita, e talaltro al quale essa deve i suoi progressi.74 – Helvétius dice bianco e nero, a seconda del bisogno. Ibid. «Un tale uomo giungerebbe a risultati incomunicabili agli altri». – Perché, dunque? Se noi non potessimo arrivare ai suoi risultati con il discorso, perché non ci arriveremmo con l’induzione e con l’esperienza? Ma c’è di più: quello che egli percepirebbe sarebbe relativo alla lunghezza, larghezza, profondità, solidità e altre qualità fisiche, sulle quali potrebbe spiegarsi molto chiaramente; e tale sarebbe la differenza tra un senso perfezionato e un senso nuovo. L’uomo dal senso perfezionato che ci parlasse solo di qualità note, sarebbe sempre intellegibile: l’altro, parlandoci al contrario di qualità ignote, non potrebbe mai essere compreso. Noi sentiamo tutti diversamente, e parliamo tutti allo stesso modo. Se si afferrano in maniera abbastanza generale le verità contenute nelle opere dei Locke e dei Newton, questo che cosa prova? che tutti, in maniera abbastanza generale, sarebbero capaci di scoprirle? Io lo nego. P. 260.A «Propriamente parlando, le sensazioni di un uomo sono incomunicabili a un altro, perché sono diverse. Se i segni sono comuni, è per penuria di essi. Facciamo l’ipotesi che Dio abbia dato immediatamente a ciascun individuo una lingua sotto tutti i rispetti analoga alle loro sensazioni; non ci si capirebbe più. Dall’idioma di Pietro, all’idioma di Giovanni, non vi sarebbe un solo sinonimo, se non forse per le parole esistere, essere e certe altre parole che designano delle qualità tanto semplici che la definizione ne risulta impossibile; e poi tutte le scienze matematiche. A [«Tra gli uomini più finemente organizzati, per certi aspetti bisogna che ciascuno lo sia anche in modo superiore agli altri. Ogni uomo, di conseguenza, dovrebbe dunque provare delle sensazioni, acquisire delle idee incomunicabili ai suoi compatrioti. Ora, non esistono affatto idee di questa specie» (pp. 260-261)].
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P. 262.A « ... qu’on ne regarde point cette apparition comme l’effet d’une cause physique ». – J’y consens ; mais qu’on n’oublie pas que ce qui est à peu près vrai dans la comparaison d’une nation à une autre, est de toute fausseté dans la même société et dans la comparaison d’un individu à un autre. Point de nation sous le pôle, sous l’Équateur dont on ne puisse faire sortir des Homères, des Virgiles, des Démosthènes, des Cicérons, de grands législateurs, de grands capitaines, de grands magistrats, de grands artistes ; mais ces hommes seront rares partout, quel que soit le gouvernement. Il serait absurde d’en attribuer la formation au hasard et à l’éducation ; il ne le serait pas moins d’assurer qu’on puisse faire un Platon, un Montesquieu, de tout être communément bien organisé. Quant à la diversité seule des climats, je croirais volontiers qu’il en | est des esprits, ainsi que de certains fruits, bons partout, mais excellents dans certaine contrée. P. 263. « Soutient-on que c’est au feu de la jeunesse qu’on doit les belles compositions des grands hommes ? ». – Non. Mais ce qu’on soutient et avec juste raison, c’est qu’elles ne peuvent être le produit de la vieillesse. La jeunesse a trop de verve et n’a pas assez de jugement ; la vieillesse n’a ni assez de verve ni assez de jugement ; et une ou deux exceptions rares ne prouvent rien. P. 264. « Le Voltaire de soixante ans n’est pas le Voltaire de trente, cependant ils ont également d’esprit ». Si cela est, dites donc à Voltaire de nous donner aujourd’hui quelque chose que nous puissions comparer à Brutus ou à Mahomet : car si le Voltaire de soixante ans est le Voltaire de trente, pourquoi celui de quatre-vingt-deux ou trois ans ne sera-t-il pas celui de soixante ? Le Corneille de Pertharite était-il le Corneille des Horaces ou de Cinna ? Ibid.B Je n’ai jamais vu deux hommes qui sautassent aussi haut, qui courussent aussi vite, qui tirassent aussi juste, qui jouassent aussi bien à la paume, et moins encore deux hommes qui eussent également d’esprit, parce qu’il était impossible que cela fût. – Vous auriez donc pu en assigner la différence ? – Pas toujours ; mais je l’aurais souvent sentie ; et quand je ne l’aurais ni assignée ni sentie, elle y aurait été ; et il y aurait eu quelqu’un d’un tact plus fin qui l’aurait discernée.
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P. 264. « L’avocat gagne ou perd le même nombre de causes ; le médecin tue ou guérit le même nombre de malades ; le génie rend le même nombre de productions ». Les deux premières comparaisons font pitié, et la dernière est ou d’un homme de mauvaise foi, ou d’un homme qui ne sait ce que c’est que le génie et qui n’en a pas un grain. Dans les deux premières comparaisons, Helvétius confond le talent avec la pratique. Pendant une année, un avocat perd toutes les causes qu’il plaide, l’année suivante il les gagne toutes ; ainsi du médecin. Pour l’homme de génie, il | est si peu maître de luimême, qu’il ne sait ce qu’il fera ; et voilà la raison pour laquelle les académies étouffent presque les hommes de cette trempe en les assujettissant à une tâche réglée. Mais je laisse ce texte qui me mènerait trop loin. A « S’il est des siècles où semblables à ces oiseaux rares apportés par un coup de cent, les grands hommes apparaissent tout à coup dans un empire, qu’on ne regarde point cette apparition comme l’effet d’une cause physique ». B [«Si deux hommes sans être parfaitement similaires, peuvent sauter aussi haut, courir aussi vite, tirer aussi juste, jouer aussi bien à la paume ; deux hommes sans être précisément les mêmes, peuvent donc avoir également d’esprit»].
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P. 262.A «...che non si consideri affatto quest’apparizione come l’effetto di una causa fisica». – Sono d’accordo. Ma non si dimentichi che quanto è all’incirca vero, nel paragonare una nazione a un’altra, è del tutto falso nella stessa società e nel paragonare un individuo a un altro. Non c’è alcuna nazione, sotto il polo, sotto l’equatore, dalla quale non si possa far uscire degli Omeri, dei Virgili, dei Demostene, dei Ciceroni, dei grandi legislatori, grandi capitani, grandi magistrati, grandi artisti; ma questi uomini saranno rari ovunque, quale che sia il governo. Sarebbe assurdo attribuirne la formazione al caso e all’educazione. Non lo sarebbe meno, assicurare che si possa fare un Platone, un Montesquieu di ogni essere comunemente bene organizzato. Quanto alla sola diversità dei climi, io sarei portato volentieri a credere che accade per gli spiriti come per certi frutti, buoni ovunque, ma eccellenti in un certo paese. P. 263. «Si vuol sostenere che le belle composizioni dei grandi uomini sono dovute al fuoco della giovinezza?» – No. Ma quello che vogliamo sostenere, e a giusto titolo, è che non possono essere il prodotto della vecchiaia. La giovinezza ha troppa verve e non ha abbastanza giudizio; la vecchiaia non ha né abbastanza verve, né abbastanza giudizio. E una o due rare eccezioni non provano nulla. P. 264. «Il Voltaire di sessant’anni non è il Voltaire di trenta, tuttavia hanno entrambi ugualmente spirito». Se è così, dite dunque a Voltaire di darci oggi qualcosa che potessimo paragonare al Bruto o al Maometto:75 infatti, se il Voltaire di sessant’anni è il Voltaire di trenta, perché quello di ottantadue o di ottantatré non sarà quello di sessanta? Il Corneille di Pertarito era il Corneille degli Orazi o di Cinna?76 Ibid.B Non ho mai visto due uomini che saltassero tanto in alto, che corressero tanto veloce, che tirassero così preciso, che giocassero così bene alla pallacorda, e meno ancora due uomini che avessero ugualmente spirito; perché era impossibile che fosse così. – Voi avreste potuto dunque distinguerne la differenza? – Non sempre; ma l’avrei spesso sentita; e quand’anche non l’avessi né distinta, né sentita, ci sarebbe stata; e qualcun altro dal tatto più fine l’avrebbe potuta discernere. P. 264. «L’avvocato vince o perde lo stesso numero di cause; il medico uccide o guarisce lo stesso numero di malati; il genio rende lo stesso numero di produzioni». I due primi paragoni fanno pietà; e l’ultimo è o di un uomo in malafede, o di un uomo che non sa che cos’è il genio, che non ne ha nemmeno un briciolo. Nei due primi paragoni, Helvétius confonde il talento con la pratica. Nel corso di un anno, un avvocato perde tutte le cause che perora, l’anno successivo, le vince tutte; così per il medico. Per l’uomo di genio, questi è tanto poco padrone di sé stesso, che non sa quel che farà; ed ecco la ragione per la quale le accademie soffocano quasi gli uomini di questa tempra, assoggettandoli a un compito stabilito. Ma lascio da parte questo argomento che mi porterebbe troppo lontano.
A
«Se vi sono secoli in cui, simili a quegli uccelli rari portati da un colpo di vento, i grandi uomini appaiono tutt’a un tratto in un impero, che non...». B [«Se due uomini, senza essere perfettamente simili, possono saltare altrettanto in alto, correre altrettanto veloce, tirare altrettanto preciso, giocare altrettanto bene alla pallacorda; due uomini senza essere precisamente gli stessi, possono dunque avere ugualmente spirito»].
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P. 266. « La perfection de l’organisation extérieure suppose celle de l’intérieure ». – C’est-à-dire qu’un bel homme est toujours spirituel, qu’une belle femme est toujours une femme d’esprit. Comment peut-on être absurde jusqu’à ce point ? P. 267.A « C’est dans une cause inconnue etc. ». – Qu’est-ce que cela signifie ? Il y a donc de l’inégalité entre les esprits ? et cette inégalité a donc une cause ? – Oui, le hasard et l’instruction. – Cette cause n’est donc pas inconnue. [CHAPITRE 13]
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P. 272. – « Si les Malais,B eussent été plus voisins de la Chine, cet empire eût été bientôt conquis ». – Je le crois. – « Et la forme de son gouvernement changée ». – Je le nie. On ne s’est jamais demandé pourquoi les lois et les mœurs chinoises se sont maintenues au milieu des invasions de cet empire. Le voici. C’est qu’il ne faut qu’une poignée d’hommes pour conquérir la Chine, et qu’il en faudrait des millions pour la changer. Soixante mille hommes se sont emparés de cette contrée ; qu’y deviennent-ils ? Ils se sont dispersés entre soixante millions, c’est mille hommes pour chaque million ; or, croit-on que mille hommes puissent changer les lois, les mœurs, les usages, les coutumes d’un million d’hommes ? Le vainqueur se conforme au vaincu, dont la masse le domine : c’est un ruisseau d’eau douce qui se perd dans une mer d’eau salée, une goutte d’eau qui tombe dans un tonneau d’esprit de vin. La durée du gouvernement chinois est une conséquence nécessaire non de sa bonté, mais bien de l’excessive population de la contrée ; et tant que cette cause subsistera, | l’empire changera de maîtres sans changer de constitution : les Tartares se feront Chinois, mais les Chinois ne se feront pas Tartares. Je ne connais que la superstition d’un vainqueur intolérant qui pût ébranler l’administration et les lois nationales, parce que cette fureur religieuse est capable des choses les plus extraordinaires, comme de massacrer en une nuit plusieurs millions de dissidents. Une religion nouvelle ne s’introduit pas, chez aucun peuple, sans révolution dans la législation et les mœurs. Garantissez la Chine de cet événement, répondez-moi que les enfants de quelque empereur ne se partageront point ce vaste pays, et ne craignez rien ni pour les progrès de sa population ni pour la durée de ses mœurs. P. 277. « Pourquoi les amateurs n’égalent-ils presque jamais leurs maîtres ? Pourquoi l’avantage de l’organisation ne répare-t-il pas le défaut d’attention ? » C’est qu’entre les élèves celui qui se fatigue le plus est souvent celui qui avance le moins ; et que toute l’application du premier ne saurait suppléer au défaut des dispositions naturelles. C’est qu’en tout il faut joindre l’étude et l’étude la plus longue et la plus suivie aux qualités naturelles les plus heureuses, ce que les amateurs ne font pas. [CHAPITRE 14] P. 278. « Les hommes, à la présence des mêmes objets, peuvent sans doute éprouver des sensations différentes ; mais peuvent-ils, en conséquence, apercevoir des rapports différents entre ces mêmes objets ? » A « C’est dans une cause encore inconnue qu’il faut chercher l’explication du phénomène de l’inégalité des esprits ». B « Si les Malais, dit M. Poivre, eussent... »
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P. 266. «La perfezione dell’organizzazione esterna presuppone quella interna». Vale a dire che un bell’uomo è sempre spirituale, che una bella donna è sempre una donna di spirito. Come si può essere assurdi fino a questo punto? P. 267.A «È in una causa ignota ecc.» – Che cosa significa questo? Esiste dunque della disuguaglianza tra gli spiriti? e tale disuguaglianza ha dunque una causa? – Sì, il caso e l’istruzione. – Questa causa non è dunque ignota. [CAPITOLO 13]
P. 272. «Se i MalesiB fossero stati più vicini alla Cina, quest’impero sarebbe stato presto conquistato» – Lo credo. – «E la forma del suo governo sarebbe cambiata». – Lo nego. Non ci si è mai domandato perché le leggi e i costumi cinesi si sono mantenuti, in mezzo alle invasioni di quell’impero. Ecco il motivo. Il fatto è che occorre solo un pugno di uomini per conquistare la Cina e ce ne vorrebbero milioni per cambiarla. Sessantamila uomini si sono impadroniti di quel paese; che cosa ne è di loro? Che si sono dispersi tra sessanta milioni di uomini; sono mille uomini per ogni milione; ora, si può credere che mille uomini possano cambiare le leggi, i costumi, gli usi, le consuetudini di un milione di uomini? Il vincitore si conforma al vinto, la cui massa lo domina: è un ruscello d’acqua dolce che si perde in un mare d’acqua salata, una goccia d’acqua che cade in uno spirito di vino. La durata del governo cinese è una conseguenza necessaria non della sua bontà, ma senz’altro dell’eccessiva popolazione del suo paese; finché sussisterà questa causa, l’impero cambierà di padrone senza cambiare di costituzione; i Tartari si faranno Cinesi, ma i Cinesi non si faranno Tartari.77 Conosco solo la superstizione di un vincitore intollerante che possa scuotere l’amministrazione e le leggi nazionali, perché questo furore religioso è capace delle cose più straordinarie, come massacrare in una notte diversi milioni di dissidenti. Una nuova religione non s’introduce presso nessun popolo, senza rivoluzione nella legislazione e nei costumi: mettetemi la Cina al sicuro da questo evento, rispondetemi che i figli di qualche imperatore non si divideranno questo vasto paese; e non temete nulla né per i progressi della sua popolazione, né per la durata dei suoi costumi. P. 277. «Perché gli appassionati dilettanti non eguaglieranno quasi mai i loro maestri? Perché il vantaggio dell’organizzazione non ripara il difetto di attenzione?» Perché tra gli allievi, quello che si affatica di più è spesso quello che va avanti di meno; e tutta l’applicazione del primo non sarebbe in grado di supplire al difetto delle disposizioni naturali. Perché in tutto occorre unire lo studio, e lo studio più lungo e continuativo, alle qualità naturali più felici, ciò che gli appassionati dilettanti non fanno. [CAPITOLO 14]
P. 278. «Gli uomini, alla presenza degli stessi oggetti, possono probabilmente provare delle sensazioni diverse; ma possono di conseguenza percepire dei rapporti diversi tra gli stessi oggetti?» A «È in una causa ancora ignota che bisogna cercare la spiegazione del fenomeno della disuguaglianza degli spiriti». B «Se i Malesi, disse il Signor Poivre, fossero...».
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Je n’entends pas apparemment le sens de cette question, car celui qu’elle présente naturellement ne permet pas la réponse négative de l’auteur. Qu’est-ce que l’esprit, la finesse, la pénétration, sinon la facilité d’apercevoir dans un être, entre plusieurs êtres que la multitude a regardés cent fois, des qualités, des rapports qu’aucuns n’ont aperçus ? Qu’est-ce qu’une comparaison juste, nouvelle et piquante, qu’est-ce qu’une métaphore hardie, qu’est-ce qu’une expression originale, si ce n’est celle de quelques rapports singuliers entre des êtres connus qu’on nous rapproche et fait toucher par quelque côté ? | Tous n’aperçoivent point toutes les propriétés des êtres. Aucuns ne les sentent et ne les aperçoivent rigoureusement de la même manière. Très peu saisissent tous les points par lesquels on peut établir entre eux des points de contact. Beaucoup moins encore sont capables de rendre d’une manière forte, précise, intéressante et les qualités d’un être qu’ils ont étudié et les rapports qu’ils ont aperçus entre différents êtres. P. 280. « Un coup fait de la douleur à deux êtres, dans le rapport de 2 à 1 ; un coup double produira une douleur double dans l’un et l’autre ou dans le rapport de 4 à 2 ou de 2 à 1 ». Combien d’inexactitudes et d’affirmations hasardées dans tout cela ! Qu’est-ce qui vous a dit que le plaisir et la douleur soient dans le rapport constant des impressions ? Un mouvement de joie s’excite dans deux êtres par un récit ; la suite du récit double l’impression dans l’un et l’autre, et voilà Jean qui rit de plus belle et Pierre qui se trouve mal. Le plaisir s’est transformé en douleur, la quantité qui était positive est devenue négative. Le coup simple les fait crier tous deux ; le coup double rend le cri de l’un plus aigu et tue l’autre. Non, monsieur, non : les objets ne nous frappent point dans une proportion constante et uniformeA ; et c’est là ce qui constitue la différence des êtres robustes et délicats : l’un s’évanouit et perd la tête, lorsqu’un autre est à peine ému. On ne saurait accroître à discrétion ni le plaisir ni la douleur le plaisir extrême se transforme en douleur : l’extrême douleur amène le transport, le délire, l’insensibilité et la mort.
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P. 281. « Les seules affections dont l’influence sur les esprits soit sensible, sont les affections dépendantes de l’éducation et des préjugés ». Je ne crois pas qu’il soit possible de rien dire de plus absurde. Quoi donc ! est-ce l’éducation et le préjugé seuls qui rendent en général les femmes craintives et pusillanimes ; | ou la conscience de leur faiblesse, conscience qui leur est commune avec tous les animaux délicats, conscience qui met l’un en fuite au moindre bruit, et arrête l’autre fièrement à l’aspect du péril et de l’ennemi ? Toutes ces pages n’en peuvent imposer qu’à un esprit superficiel, qu’une antithèse ingénieuse séduit. A [« Supposons que la différence de nos sensations à l’aspect des mêmes objets plus considérable qu’elle ne l’est réellement, il est évident que les objets conservant entre eux les mêmes rapports, nous frapperaient dans une proportion toujours constante et uniforme » (p. 280)]
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Non capisco, di primo acchito, il significato di questa domanda, perché quello che presenta naturalmente non permette la risposta negativa dell’autore. Che cos’è lo spirito, la finezza, la penetrazione, se non la facilità di percepire in un essere, tra diversi esseri che la moltitudine ha guardato già cento volte, delle qualità, dei rapporti che nessuno ha percepito? Che cos’è un paragone giusto, nuovo e stimolante, che cos’è una metafora audace, un’espressione originale, se non quella di certi rapporti singolari tra esseri noti che vengono avvicinati e si fanno toccare per qualche aspetto? Non tutti percepiscono bene tutte le proprietà degli esseri. Nessuno li sente e li percepisce rigorosamente nello stesso modo. Pochissimi afferrano tutti i punti per i quali si possono stabilire tra essi dei punti di contatto. Molti di meno ancora sono capaci di rendere in maniera forte, precisa, interessante le qualità di un essere che hanno studiato, e i rapporti che hanno colto tra i diversi esseri. P. 280. «Un colpo arreca dolore a due esseri, nel rapporto di 2 a 1; un colpo doppio produrrà un dolore doppio in entrambi, ovvero nel rapporto di 4 a 2 o di 2 a 1». Quanta inesattezza e quante affermazioni azzardate in tutto ciò! Chi vi ha detto che il piacere e il dolore siano nel rapporto costante delle impressioni? Un moto di gioia si eccita in due esseri per via di un racconto. Il seguito del racconto raddoppia l’impressione in entrambi; ed ecco Giovanni che ride di buon cuore e Pietro che si trova in imbarazzo. Il piacere s’è trasformato in dolore. La quantità che era positiva, è diventata negativa. Il colpo semplice li fa gridare entrambi; il colpo doppio rende il grido dell’uno più acuto e uccide l’altro. No, signore, no: gli oggetti non ci colpiscono affatto in una proporzione costante e uniforme;A ed è questo che costituisce la differenza tra gli esseri robusti e i delicati. L’uno sviene e perde la testa, mentre un altro è appena commosso. Non si potrebbe accrescere a libero piacimento né il piacere, né il dolore; il piacere estremo si trasforma in dolore;78 l’estremo dolore conduce o al trasporto, al delirio, all’insensibilità o alla morte. P. 281. «Le sole affezioni la cui influenza sia sensibile sugli spiriti sono le affezioni dipendenti dall’educazione e dai pregiudizi». Non credo che sia possibile dire nulla di più assurdo. Come, dunque! Sono solo l’educazione e il pregiudizio a rendere in generale le donne timorose e pusillanimi; oppure la coscienza della loro debolezza, coscienza che è loro comune con tutti gli animali delicati, coscienza che mette l’uno in fuga al minimo rumore, e ferma l’altro fieramente, all’apparire del pericolo e del nemico? Tutte queste pagine possono fare impressione solo su uno spirito superficiale, che si lascia sedurre da un’antitesi ingegnosa.
A [«Supponiamo che la differenza delle nostre sensazioni di fronte ai medesimi oggetti sia più considerevole di quanto non lo sia in realtà, è evidente che gli oggetti, in quanto conservano tra loro gli stessi rapporti, ci colpirebbero in una proporzione sempre costante e uniforme» (p. 280)].
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P. 283. « N’ai-je présent à mon souvenir que les neiges, les glaçons, les tempêtes du Nord ; que les laves enflammées du Vésuve ou de l’Hecla ? avec ces matériaux quel tableau composer ? Celui des montagnes qui défendent l’entrée du jardin d’Armide... Le genre de nos idées et de nos tableaux ne dépend donc point de la nature de notre esprit, le même dans tous les hommes, mais de l’espèce d’objets que le hasard grave dans leur mémoire et de l’intérêt qu’ils ont de les combiner ». Et cela dépend de cette cause unique ? Mais entre dix mille hommes qui auront entendu le mugissement du Vésuve, qui auront senti trembler la terre sous leurs pas, et qui se seront sauvés devant le flot de la lave enflammée qui s’échappait des flancs entrouverts de la montagne ; entre dix mille que les images riantes du printemps auront touchés, un seul à peine en saura faire une sublime description, parce que le sublime, soit en peinture, soit en poésie, soit en éloquence, ne naît pas toujours de l’exacte description des phénomènes, mais de l’émotion que le génie spectateur en aura éprouvée, de l’art avec lequel il me communiquera le frémissement de son âme, des comparaisons dont il se servira, du choix de ses expressions, de l’harmonie dont il frappera mon oreille, des idées et des sentiments qu’il saura réveiller en moi. Il y a peut-être un assez grand nombre d’hommes capables de peindre un objet en naturaliste, en historien, mais en poète, c’est autre chose. En un mot, je voudrais bien savoir comment l’intérêt, l’éducation, le hasard, donnent de la chaleur à l’homme froid, de la verve à l’esprit réglé, de l’imagination à celui qui n’en a point. Plus j’y rêve, plus le paradoxe de l’auteur me confond. Si cet artiste n’est pas né ivre, la meilleure instruction ne lui apprendra jamais qu’à contrefaire plus ou moins maussadement l’ivresse. De là tant de plats imitateurs de Pindare et de tous les auteurs originaux. | Pourquoi les vrais originaux n’ont-ils jamais fait que de mauvaises copies ? Mais, monsieur Helvétius, vous qui employez assez souvent le mot original, pourriez-vous me dire ce que c’est ? Si vous me dites que c’est l’éducation ou le hasard des circonstances qui fait un original, pourrai-je m’empêcher de rire ? Selon moi, un original est un être bizarre qui tient sa façon singulière de voir, de sentir et de s’exprimer de son caractère. Si l’homme original n’était pas né, on est tenté de croire que ce qu’il a fait n’aurait jamais été fait, tant ses productions lui appartiennent. – Mais en ce sens, direz-vous, tous les hommes sont des originaux ; car quel est l’homme qui puisse faire exactement ce qu’un autre fait ? – Vous avez raison, mais vous vous seriez épargné cette objection, si vous ne m’eussiez pas interrompu, car j’allais ajouter que son caractère devait trancher fortement avec celui des autres hommes, en sorte que nous ne lui reconnaissions presque aucune sorte de ressemblance qui lui ait servi de modèle, soit dans les temps passés, soit entre ses contemporains. Aussi, Collé, est un original dans sa versification et ses chansons ; Rabelais, est un original dans son Pantagruel ; Patelin, dans sa Farce ; Aristophane, dans ses Nuées ; Charleval, dans sa Conversation du père Canaye et du maréchal d’Hocquincourt ; Molière, dans presque toutes ses comédies, mais plus peut-être dans les burlesques que dans les autres ; car qui dit original, ne dit pas toujours beau, il s’en manque de beaucoup. Il n’y a presque aucune sorte de beautés dont il n’existe des modèles antérieurs. Si Shakespeare est un original, est-ce dans ses endroits sublimes ? Aucunement ; c’est dans le mélange extraordinaire, incompréhensible, inimitable, de choses du plus grand goût et du plus mauvais goût, mais surtout dans la bizarrerie de celles-ci. C’est que le sublime par lui-même, j’ose le dire, n’est pas original, il ne le devient que par une sorte de singularité qui le rend personnel à l’auteur ; il faut pouvoir dire : C’est le sublime d’un tel. Ainsi : qu’il
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P. 283. «Se io avessi presente al mio ricordo solo le nevi, i ghiacci, le tempeste del Nord; o le lave infiammate del Vesuvio o dell’Ecla?79 Con questi materiali quale quadro potrei comporre? Quello delle montagne che difendono l’entrata dei giardini di Armida... 80 Il genere delle nostre idee e dei nostri quadri dunque non dipende affatto dalla natura del nostro spirito, lo stesso in tutti gli uomini, ma dalla specie di oggetti che il caso incide nella loro memoria e dall’interesse che essi hanno di combinarli». E ciò dipende da quest’unica causa? Ma tra diecimila uomini che avranno ascoltato il muggito del Vesuvio, che avranno sentito la terra tremare sotto i piedi e che si saranno salvati davanti ai fiotti della lava incandescente che fuoriesce dai fianchi semiaperti della montagna; tra diecimila che saranno stati toccati dalle immagini ridenti della primavera, appena uno ne saprà fare una sublime descrizione, perché il sublime, in pittura o in poesia, o in eloquenza, non nasce sempre dall’esatta descrizione dei fenomeni, ma dall’emozione che il genio spettatore ne avrà provato, dall’arte con la quale mi comunicherà il fremito del suo animo, dai paragoni di cui si servirà, dalla scelta delle sue espressioni, dall’armonia con la quale colpirà il mio orecchio, dalle idee e dai sentimenti che saprà risvegliare in me. Esiste forse un numero abbastanza grande di uomini capaci di dipingere un oggetto, da naturalista, da storico; ma da poeta, è altra cosa. In una parola, vorrei proprio sapere come l’interesse, l’educazione, il caso danno del calore all’uomo freddo, della verve allo spirito disciplinato, dell’immaginazione a chi non l’ha affatto. Più ci penso, più il paradosso dell’autore mi confonde. Se quell’artista non è nato ebbro, la migliore istruzione non gli insegnerà mai altro se non a contraffare più o meno noiosamente l’ebrezza. Da ciò, tanti piatti imitatori di Pindaro e di tutti gli autori originali. Perché i veri originali non hanno mai prodotto che delle cattive copie? Ma signor Helvétius, voi che fate uso con una certa frequenza della parola originale, potreste dirmi che cos’è? Se mi dite che è l’educazione o il caso delle circostanze a fare un originale, potrei impedirmi di ridere? Secondo me, un originale è un essere bizzarro che trae la propria maniera singolare di vedere, di sentire e d’esprimersi dal suo carattere. Se l’uomo originale non fosse mai nato, si sarebbe tentati di credere che quello che ha fatto, non sarebbe stato mai fatto, tanto le sue produzioni gli appartengono. – Ma in questo senso, direte voi, tutti gli uomini sono degli originali; infatti, qual è l’uomo che potrebbe fare esattamente quello che fa un altro? – Avete ragione, ma vi sareste risparmiato quest’obiezione se non mi aveste interrotto; perché stavo per aggiungere che il suo carattere doveva rompere decisamente con quello degli altri uomini; di modo che non gli riconosceremmo alcuna specie di somiglianza che gli sia servita da modello, tanto nei tempi passati, quanto tra i contemporanei. Perciò Collé81 è un originale nella sua versificazione e nelle sue canzoni; Rabelais è un originale nel suo Pantagruel; Patelin nella sua Farsa; Aristofane nelle sue Nuvole; Charleval, nella sua Conversazione del padre Canaye e del maresciallo d’Hocquincourt;82 Molière in quasi tutte le sue commedie, ma forse più nel burlesco che negli altri generi; infatti, chi dice originale non dice sempre bello; ci vuole molto di più. Non esiste quasi nessuna specie di bellezza, di cui non esistano modelli antecedenti. Se Shakespeare è un originale, lo è nei suoi luoghi sublimi? In nessun modo. È nella straordinaria mescolanza, incomprensibile, inimitabile delle cose del migliore e del peggiore gusto; ma soprattutto nella stranezza di queste ultime. Perché il sublime, per sé stesso, oso dirlo, non è originale. Lo diventa solo in forza di una specie di singolarità che lo rende personale dell’autore; bisogna poter dire: È il sublime di un tale autore. Così, il
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mourût, est le sublime de Corneille ; Tu ne dormiras plus, est le sublime de Shakespeare. J’ai beau laver ces mains, j’y vois toujours du sang ; ce vers est de moi, mais le sublime est de l’auteur anglais. Mais il y a assez longtemps que je résous vos sophismes ; auriez-vous la bonté de vous occuper un moment à résoudre les miens ? | Vous avez connu la Riccoboni. Hé, c’était votre amie. Elle avait été mieux élevée et possédait à elle seule plus d’esprit, de finesse et de goût, que toute la troupe italienne fondue ensemble. Elle avait la mort dans l’âme au sortir de la scène. Elle passait les jours et les nuits à l’étude de ses rôles. Ce que je vous dis là, je le tiens d’elle. Elle s’exerçait seule, elle prenait les leçons et les conseils de ses amis et des meilleurs acteurs ; elle n’a jamais pu atteindre à la médiocrité. Pourquoi cela, s’il vous plaît ? C’est que l’aptitude naturelle à la déclamation lui manquait. Direz-vous qu’elle a débuté trop tard ? Elle est née dans la coulisse et s’est promenée en lisières sur les planches. Qu’elle n’était pas échauffée d’un assez grand intérêt ? Elle rougissait devant son amant, son amant rougissait d’elle ; elle lui défendait le spectacle, il craignait d’y aller. Qu’elle ne travaillait pas assez ? Il était impossible de travailler davantage. Qu’elle ignorait les principes de son art, faute de l’avoir médité ? Personne ne le connaissait, ne l’avait plus approfondi et n’en parlait mieux qu’elle. Que les qualités extérieures lui manquaient ? Elle n’est ni bien ni mal, et cent autres figures se sont fait pardonner leur laideur par leur talent ; le son de sa voix est agréable ; il ne l’eût pas été, qu’avec du naturel, de la vérité, de la chaleur, des entrailles, elle nous y aurait accoutumés. Mais c’est qu’elle ne manquait ni d’âme ni de sensibilité. Elle partageait sans doute avec tous les acteurs l’influence des causes étrangères qui développent ou qui étouffent le talent, avec cette différence que, fille d’un acteur aimé, elle avait cet avantage dont les autres sont privés. Allons, Helvétius, plus de ces subtilités dont nous ne serions satisfaits ni l’un ni l’autre. Tâchez de m’expliquer nettement ce phénomène. Ces heureux hasards auxquels vous attachez de si puissants effets, elle y était exposée tous les jours. Surtout n’oubliez pas que le spectateur qui accueillait le père d’applaudissements, ne demandait pas mieux que d’en user de même avec la fille. Mais il n’y avait pas moyen ; elle était trop mauvaise ; elle le disait elle-même. Tout individu n’est donc pas propre à tout, pas même à être bon acteur, si la nature, s’y oppose. La Riccoboni était disgraciée de la nature. On le disait à Paris ; on en eût dit autant à Londres, à Madrid ; partout où elle eût été aussi mauvaise. Vous qui faites sonner si haut ces espèces d’expressions proverbiales communes à | toutes les nations ; prétendez-vous que celles-ci et tant d’autres où le refus de la nature et le vice d’organisation sont employés, sont vides de sens ? Et moi donc, vous m’allez voir tout à l’heure le pendant de la Riccoboni. J’étais jeune, j’étais amoureux et très amoureux. Je vivais avec des Provençaux qui dansaient du soir au matin, et qui du soir au matin donnaient la main à celle que j’aimais et l’embrassaient sous mes yeux ; ajoutez à cela que j’étais jaloux. Je prends le parti d’apprendre à danser : je vais clandestinement, de la rue de la Harpe jusqu’au bout de la rue Montmartre, prendre leçon. Je garde le maître fort longtemps. Je le quitte de dépit de ne rien apprendre ; je le reprends une seconde, une troisième fois, et le quitte avec autant de douleur et aussi peu de succès. Que me manquait-il pour être un grand danseur ? L’oreille ? Je l’avais excellente. La légèreté ? Je n’étais pas lourd, il s’en fallait bien. L’intérêt ? On ne pouvait être animé d’un plus violent. Ce qui me manquait ? La mollesse, la flexibilité, la grâce qui ne se donnent point.
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che muoia83 è il sublime di Corneille. Tu non dormirai più, è il sublime di Shakespeare. Posso lavare quanto voglio queste mani, ci vedo sempre del sangue; questo verso è mio, ma il sublime è dell’autore inglese.84 Ma è un bel po’ che risolvo i vostri sofismi; avreste la bontà di occuparvi di risolvere un attimo i miei? Voi avete conosciuto la Riccoboni.85 Eh, era vostra amica. Era stata educata al meglio e possedeva da sola più spirito, più finezza e gusto di tutta la troupe italiana messa insieme. Aveva la morte nell’anima, all’uscita dalla scena. Passava giorni e notti a studiare le sue parti. Ciò che voglio dirvi con ciò, l’ho saputo da lei. Si esercitava da sola; prendeva lezioni e consigli dai suoi amici e dai migliori attori; e non è mai riuscita a raggiungere la mediocrità.86 Perché questo, secondo voi? È perché le mancava l’attitudine naturale alla declamazione. Voi direte che ha iniziato troppo tardi? È nata tra le quinte e ha iniziato a camminare sul bordo degli spalti. Che non era accesa da un interesse abbastanza grande? Arrossiva di fronte al suo amante, il suo amante arrossiva per lei; lei gli proibiva lo spettacolo, lui temeva di andarvi. Che non lavorava abbastanza? Era impossibile lavorare di più. Che ignorava i principi della propria arte, per aver mancato di meditarci sopra? Nessuno la conosceva, l’aveva approfondita e ne parlava meglio di lei. Che le mancavano le qualità esteriori? Lei non è né bella, né brutta, e cento altre figure si sono fatte perdonare la loro bruttezza col loro talento; il suono della sua voce è gradevole; se solo l’avesse avuto con naturalezza, con verità, calore, viscere, ci avrebbe abituati. Ma il fatto è che non mancava né d’animo, né di sensibilità. Probabilmente condivideva con tutti gli attori l’influenza delle cause esterne che sviluppano o soffocano il talento, con questa differenza: che figlia di un attore amato dal pubblico,87 aveva questo vantaggio di cui gli altri attori sono privi. Suvvia, Helvétius, basta con queste sottigliezze di cui entrambi non saremmo soddisfatti. Cercate di spiegarmi chiaramente questo fenomeno. A quei casi felici ai quali voi collegate degli effetti tanto potenti, lei era esposta tutti i giorni. Soprattutto non dimenticate che lo spettatore, il quale accoglieva il padre con gli applausi, non chiedeva di meglio che fare la stessa cosa con la figlia; ma non c’era modo, era troppo scorretta, lo diceva lei stessa. Ogni individuo non è dunque capace di tutto, neanche di essere buon attore, se la natura vi si oppone. La Riccoboni era stata privata di grazia dalla natura: lo dicevano a Parigi, avrebbero detto altrettanto a Londra, a Madrid, ovunque fosse andata, era altrettanto scorretta. Voi che fate suonare così forte quelle specie di espressioni proverbiali comuni a tutte le nazioni, pretendete che queste e tante altre in cui sono coinvolti il rifiuto della natura e il vizio d’organizzazione, siano vuote di senso? E io dunque, fra poco mi vedrete essere l’altra faccia della Riccoboni. Ero giovane, ero innamorato e molto innamorato. Vivevo con gente di provincia che ballava dalla mattina alla sera e che dalla mattina alla sera dava la manina a colei che amavo e la baciava sotto i miei occhi; a questo aggiungete che ero geloso. Prendo partito e mi decido di imparare a danzare; vado a lezione clandestinamente in rue de la Harpe, fino in cima alla rue Montmartre; mi tengo il maestro per lungo tempo. Lo lascio, indispettito per il fatto di non aver imparato nulla; lo riprendo una seconda, una terza volta e lo lascio con tanto dolore e altrettanto poco successo. Che cosa mi mancava per essere un grande ballerino? L’orecchio? L’avevo eccellente. La leggerezza? Non ero pesante, ero ben lungi dall’esserlo. L’interesse? Non si poteva essere animati da un interesse più violento. Quello che mi mancava? La morbidezza, la flessibilità, la grazia che non si danno così.
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Mais après avoir tout fait inutilement pour apprendre à danser, j’appris à tirer des armes très passablement, sans peine et sans autre motif que celui de m’amuser. CHAPITRE 15
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P. 284. « Qu’est-ce que l’esprit en lui-même ? L’aptitude à voir les ressemblances et les différences, les convenances et les disconvenances qu’ont entre eux les objets divers. Cette aptitude est-elle naturelle ou acquise ? – Elle est naturelle. – Est-elle la même dans tous ? – Dans tous les hommes communément bien organisés. – Et son principe, quel est-il ? – La sensibilité physique. – Et la sensibilité ? – Comme l’aptitude, dont les effets ne varient que par l’éducation, les hasards et l’intérêt. – Et l’organisation, pourvu qu’elle ne soit pas monstrueusement viciée, n’y fait rien ? – Rien. – Quelle différence mettez-vous entre l’homme et la brute ? – L’organisation. – En sorte que si vous allongez les oreilles d’un docteur de Sorbonne, que vous le couvriez de poil et que vous tapissiez sa narine d’une grande membrane pituitaire, au lieu d’éventer un hérétique, il poursuivra un lièvre, ce sera un chien. – Un chien ? – Oui, un chien. Et que si vous raccourcissez le nez du chien... – J’entends le reste : assurément ce sera | un docteur de Sorbonne, laissant là le lièvre et la perdrix et chassant à voix l’hérétique. – Tous les chiens sont-ils également bons ? – Non, assurément. – Quoi ! il y en a dont ni l’instruction du piqueur, ni le châtiment, ni les hasards ne font rien qui vaille. – N’en doutez pas. – Et vous ne sentez pas toutes vos inconséquences. – Quelles inconséquences ? – De placer dans l’organisation la différence des deux extrêmes de la chaîne animale, l’homme et la brute ; d’employer la même cause pour expliquer la diversité d’un chien à un chien, et de la rejeter lorsqu’il s’agit des variétés d’intelligence, de sagacité, d’esprit d’un homme à un autre homme. – Ô l’homme, l’homme. – Hé bien, l’homme ? – Quelque différence qu’il y ait entre les sens d’un individu et les sens d’un autre individu, cela n’y fait rien. – Je le veux ; mais lorsqu’il s’agit de prononcer sur l’aptitude d’un homme à une chose et l’aptitude d’un autre à la même chose, n’y a-t-il rien de plus à considérer que les pieds et les mains ; le nez, les yeux, les oreilles et le toucher ? – Et quoi donc encore, puisque ce sont là les seuls organes de la sensation ? – Mais la sensation de l’œil s’arrête-t-elle dans l’œil ? Est-ce lui qui assure et qui nie ? La sensation de l’oreille s’arrête-t-elle dans l’oreille ? Est-ce elle qui assure et qui nie ? Si par supposition, un homme en était réduit à un œil vivant ou à une oreille vivante, jugerait-il, penserait-il, raisonnerait-il comme un homme complet ? – Mais cet autre organe que vous regardez comme le tribunal de l’affirmation et de la négation, on n’y entend rien. – Il se peut qu’on ne l’ait pas encore assez étudié, il se peut même qu’en l’étudiant beaucoup on n’y entende pas davantage. Mais que s’ensuit-il de là ? Qu’il puisse être sain ou malsain, conformé de cette manière ou d’une autre sans aucune conséquence pour les opérations intellectuelles, c’est une assertion contre laquelle mille expériences réclament et que vous ne persuaderez à personne... Mais attendez, je reviens sur mes pas. Cet homme que vous avez réduit à un œil vivant a-t-il de la mémoire ? – Je consens qu’il en ait... S’il en a, il comparera des sensations, il raisonnera. – Oui, comme le chien raisonne, et moins encore. J’en dirai autant de chacun des autres sens ; et l’homme d’Helvétius se réduira à la réunion de cinq animaux très imparfaits. – Non pas, s’il vous plaît. Ces animaux se perfectionneront par l’intérêt commun de leur conservation, par leur société. – Et où | est le lien de cette société ? Comment l’œil se fait-il entendre à l’oreille, l’oreille au nez, le nez au palais, le palais au toucher ? Où est leur truchement ? – Dans tout l’animal. – Dans ses pieds ?
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Ma dopo aver fatto tutto, inutilmente, per imparare a danzare, imparai a tirare con le armi, in modo assai passabile, senza fatica e senz’altro motivo se non quello di divertirmi. CAPITOLO 15
P. 284. «Che cos’è lo spirito in sé stesso? L’attitudine a vedere le somiglianze e le differenze, le convenienze e le sconvenienze che i diversi oggetti hanno tra loro». Quest’attitudine è naturale o acquisita? – È naturale. – È la stessa in tutti? – In tutti gli uomini comunemente bene organizzati. – E qual è il suo principio? – La sensibilità fisica. – E la sensibilità? – Come l’attitudine, i cui effetti non variano se non per via dell’educazione, il caso e l’interesse. – E l’organizzazione, purché non sia mostruosamente viziata, non c’entra niente. – Niente. – Quale differenza ponete tra l’uomo e la bestia?88 – L’organizzazione. – Di modo che se allungate le orecchie di un dottore di Sorbona, lo coprite di peli e gli tappezzate le narici di una membrana pituitaria,89 invece di stanare un eretico, inseguirà una lepre; sarà un cane. – Un cane? – Sì, un cane... E se accorcerete il naso del cane... – Capisco il resto, sicuramente sarà un dottore di Sorbona, che lascia cadere la lepre e la pernice, e caccia a voce l’eretico.90 – Tutti i cani sono ugualmente buoni? – No, di certo. – Come! Ci sono quelli per i quali non servono a nulla né l’istruzione del bracchiere, né le punizioni, né il caso. – Non ne dubitate. – E non sentite tutte le vostre incoerenze. – Quali incoerenze? – Di collocare nell’organizzazione la differenza dei due estremi della catena animale, l’uomo e la bestia; d’impiegare la stessa causa per spiegare la diversità di un cane da un altro cane e di respingerla quando si tratta delle varietà d’intelligenza, di sagacia, di spirito, di un uomo rispetto a un altro uomo. – Oh, l’uomo, l’uomo! – Ebbene, l’uomo? – Qualunque differenza vi sia tra i sensi di un individuo e i sensi di un altro individuo, questo non fa niente. – Ve lo concedo; ma quando si tratta di pronunciarsi sull’attitudine di un uomo a una cosa e l’attitudine di un altro alla stessa cosa, non c’è niente di più da considerare oltre ai piedi e alle mani, il naso, gli occhi, le orecchie e il tatto? – E dunque che cos’altro ancora, poiché sono quelli i soli organi della sensazione? – Ma la sensazione dell’occhio si ferma nell’occhio? È questo che acconsente e nega? Se, per ipotesi, un uomo fosse ridotto a un occhio vivente o a un orecchio vivente, giudicherebbe, penserebbe, ragionerebbe come un uomo completo? – Ma di quest’altro organo che considerate come il tribunale dell’affermazione e della negazione, non ci si capisce niente. – È possibile che non lo si sia ancora studiato abbastanza; è anche possibile che studiandolo molto, non ci si capisca di più. Ma da questo che cosa consegue? Che sia sano o malato, conformato in questa o quest’altra maniera, senz’alcuna conseguenza per le operazioni intellettuali, è un’asserzione contro la quale reclamano mille esperienze, e sulla quale voi non convincerete nessuno... Ma aspettate. Torno sui miei passi. Quell’uomo che avete ridotto a un occhio vivente, ha memoria? – Convengo che ne abbia... Se ne ha, paragonerà delle sensazioni; ragionerà. – Sì, come ragiona il cane e ancora meno. Dirò altrettanto di ciascuno degli altri sensi; e l’uomo di Helvétius si ridurrà alla riunione di cinque animali molto imperfetti. – No affatto, per favore. Quegli animali si perfezioneranno con l’interesse comune della loro conservazione, con la loro società. – E dov’è il legame di questa società? L’occhio come fa a farsi intendere dall’orecchio, l’orecchio dal naso, il naso dal palato, il palato dal tatto? Dov’è il loro tramite?91 – In tutto l’animale. – Nei suoi piedi? Ma si tagliano i piedi a un uomo
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Mais on coupe les pieds à l’homme sans l’abrutir. Il n’y a pas un de ses membres dont je ne puisse le priver, sans conséquence pour son jugement et pour sa raison, si vous en exceptez la tête. Croyez-vous qu’un homme ait de l’esprit sans tête ? – Non. – Croyezvous que l’homme qui a l’œil mauvais puisse bien voir ? – Non. – Et pourquoi croyezvous donc que la conformation de sa tête soit indifférente à sa raison ? – C’est qu’il y a des hommes de génie à petit front, à grand front, à grosse tête, à petite tête, à tête longue et à tête ronde. – Cela se peut ; mais vous vous en tenez là à des formes bien générales et bien grossières ; cependant j’y consens ; mais dites-moi, si quelqu’un vous présentait un livre et vous proposait de prononcer s’il est bon ou mauvais à la seule inspection de sa couverture, que lui répondriez-vous ? – Qu’il est fou. – Fort bien ; et pour en juger, que lui demanderiez-vous ? – De l’ouvrir et d’en lire au moins quelques pages. Mais j’aurai beau ouvrir des têtes je n’y lirai rien. – Et pourquoi y liriez-vous ? Les caractères de ce livre vivant ne vous sont pas encore connus, peut-être ne vous le seront-ils jamais ; mais les dépositions des cinq témoins n’y sont pas moins consignées, combinées, comparées, confrontées. Je pourrais suivre cette comparaison beaucoup plus loin et en tirer une multitude de conséquences, mais c’en est assez et plus qu’il ne faut peut-être pour vous convaincre que vous avez négligé l’examen d’un organe sans lequel la condition des autres, plus ou moins parfaite, ne signifie rien, organe d’où émanent les étonnantes différences des hommes, relativement aux opérations intellectuelles. Ne me parlez plus de hasards ; il n’y en a point d’heureux ou féconds pour les têtes étroites. Ne me parlez point d’intérêt ; on n’en fait point concevoir de vif aux têtes apathiques. Ne me parlez pas davantage d’attention forte et continue ; les têtes faibles en sont incapables. Ne me parlez pas davantage de sensibilité physique, qualité qui constitue l’animal et non l’homme. Ne me parlez pas davantage de plaisirs sensuels comme principe des actions de l’espèce entière, tandis que ce n’est | que le motif des actions de l’homme voluptueux ; et cessez de prendre des conditions primitives, essentielles et éloignées, pour des causes prochaines, et de gâter d’excellentes observations par des inductions absurdes. Et ne croyez point que je plaisante ; sans un correspondant et un juge commun de toutes les sensations, sans un organe commémoratif de tout ce qui nous arrive, l’instrument sensible et vivant de chaque sens aurait peut-être une conscience momentanée de son existence, mais il n’y aurait certainement aucune conscience de l’animal ou de l’homme entier. P. 285. « Tous n’éprouvent pas les mêmes sensations, mais tous sentent les objets dans une proportion toujours la même ». Hé bien, ce seront des instruments accordés par tierce, par quarte ou par quinte ; quoique l’accord soit le même, les sons rendus seront plus ou moins sourds, plus ou moins aigus. Voilà déjà, ce me semble, une assez grande source de variétés dépendantes de l’organisation. Mais outre la sensibilité physique commune à toutes les parties de l’animal, il en est une autre tout autrement énergique, commune à tous les animaux et propre à un organe particulier, soit qu’en effet cette dernière sensibilité ne soit originairement que la première, mais infiniment plus exquise dans cet endroit qu’ailleurs, soit que ce soit une qualité particulière, ce que je ne décide pas : c’est la sensibilité du diaphragme, cette membrane nerveuse et mince qui coupe en deux cavités la capacité intérieure.
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senza abbruttirlo. Non c’è una delle sue membra, di cui non lo si possa privare, senza conseguenze per il suo giudizio e la sua ragione, se ne eccettuate la testa. Credete che un uomo abbia dello spirito, senza testa? – No. – Credete che l’uomo che ha l’occhio cattivo, possa vedere bene? – No. – E perché credete dunque che la conformazione della sua testa sia indifferente alla sua ragione? – Il fatto è che ci sono uomini di genio, dalla fronte piccola, dalla fronte grande, dalla testa grossa, dalla testa piccola, dalla testa lunga, dalla testa rotonda. – Questo è possibile, ma voi con ciò vi attenete a delle forme molto generali e assai grossolane; tuttavia, acconsento; ma ditemi, se qualcuno vi presentasse un libro e vi proponesse di pronunciarvi, se è buono o cattivo dalla sola ispezione della sua copertina: che cosa gli rispondereste? – Che è pazzo. – Molto bene, e per giudicare del libro, che cosa gli chiedereste? – Di aprirlo e di leggerne almeno alcune pagine; ma potrei aprire teste a volontà, non vi leggerei niente. – E perché vi dovreste leggere? I caratteri di questo libro vivente non vi sono ancora noti; forse non lo saranno mai; ma le deposizioni dei cinque testimoni nondimeno sono perciò in esso consegnate, combinate, paragonate, confrontate. Potrei spingere questo paragone più oltre e trarne una gran quantità di conseguenze, ma ce n’è abbastanza e più di quanto ne occorra forse per convincervi che avete trascurato l’esame di un organo senza il quale la condizione degli altri, più o meno perfetti, non significa niente, organo da cui emanano le sorprendenti differenze tra gli uomini, relativamente alle operazioni intellettuali. Non mi parlate più di casi; non ne esistono affatto di felici o di fecondi per le teste limitate. Non mi parlate d’interesse; non si riesce a far concepire vivi interessi alle teste apatiche. Non mi parlate più di attenzione forte e continua; le teste deboli ne sono incapaci. Non mi parlate più di sensibilità fisica, qualità che costituisce l’animale e non l’uomo. Non mi parlate più di piaceri sensuali come principio delle azioni dell’intera specie, mentre non è che il motivo delle azioni dell’uomo voluttuoso; e smettete di prendere delle condizioni primitive, essenziali e lontane, per delle cause prossime e di guastare eccellenti osservazioni con induzioni assurde. E non credete affatto che io stia scherzando; senza un corrispondente e un giudice comune di tutte le sensazioni, senza un organo commemorativo di tutto ciò che ci accade, lo strumento sensibile e vivente di ciascun senso avrebbe forse una coscienza momentanea della sua esistenza, ma non vi sarebbe certamente alcuna specie di coscienza dell’animale o dell’uomo intero. P. 285. «Non tutti provano le stesse sensazioni; ma tutti sentono gli oggetti in una proporzione che è sempre la stessa». Ebbene, saranno strumenti accordati per terza, per quarta o per quinta; benché l’accordo sia lo stesso, i suoni prodotti saranno più o meno sordi, più o meno acuti.92 Ecco, mi sembra, una fonte già abbastanza grande di varietà dipendenti dall’organizzazione. Ma oltre la sensibilità fisica comune a tutte le parti dell’animale, ce n’è un’altra, energica in modo del tutto diverso, comune a tutti gli animali e propria di un organo particolare, o nel caso in cui quest’ultima sensibilità sia originariamente solo la prima, ma infinitamente più sottile in quel luogo invece che altrove, oppure nel caso che sia una qualità particolare, cosa che non saprei decidere: è la sensibilità del diaframma, quella membrana nervosa e sottile che taglia in due cavità la capienza interna. È que-
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C’est là le siège de toutes nos peines et de tous nos plaisirs ; ses oscillations ou crispations sont plus ou moins fortes dans un être que dans un autre : c’est elle qui caractérise les âmes pusillanimes et les âmes fortes. Vous feriez grand plaisir à la Faculté de médecine, dont vous seriez le bienfaiteur ainsi que de toute l’espèce humaine, si vous pouviez nous apprendre comment on lui donne du ton quand elle en manque, et comment on lui en ôte quand elle en a trop. Il n’y a que l’âge qui ait quelque empire sur elle ainsi que sur la tête. C’est grâce à sa diversité qu’au même moment où je suis transporté d’admiration et de joie, où mes larmes coulent, l’un me dit : Je ne sens pas cela, j’ai le cœur velu... ; l’autre me fait une plaisanterie trèsburlesque. La tête fait les hommes sages ; le diaphragme les hommes compatissants | et moraux. Vous n’avez rien dit de ces deux organes, mais rien du tout, et vous vous imaginez avoir fait le tour de l’homme. Celui qui a le diaphragme très mobile cherche les scènes tragiques ou les fuit, parce qu’il peut arriver qu’il en soit trop vivement affecté et qu’il reste, après le spectacle, ce que nous appelons le cœur serré. Celui qui a cet organe inflexible, raide et obtus ne les cherche ni ne les évite, elles ne lui font rien. Vous pouvez faire de cet homme ou un lieutenant criminel ou un bourreau, ou un boucher, ou un chirurgien, ou un médecin. Comment, vous n’entendez rien aux deux grands ressorts de la machine, l’un qui constitue les hommes spirituels ou stupides, l’autre qui les sépare en deux classes, celle des âmes tendres et celle des cœurs durs, et vous écrivez un traité de l’homme ! Je me souviens de vous avoir demandé comment on donnait de l’activité à une tête lourde ; je vous demande à présent comment on inspire de la sensibilité à un cœur dur. Mais rien ne vous arrête ; vous me soutiendrez qu’avec ces deux qualités diverses, les hommes n’en étant pas moins communément bien organisés, ils n’en sont pas moins bien disposés à toutes sortes de fonctions. Quoi, monsieur Helvétius, il n’y aura nulle différence entre les compositions de celui qui a reçu de la nature une imagination forte et vive avec un diaphragme très mobile, et de celui qu’elle a privé de ces deux qualités ? Vous qui donnez tant de force à l’impulsion d’un sexe vers l’autre, songez donc que l’homme vigoureux, mais insensible, ne sera entraîné par sa passion vers la femme que comme le taureau vers la génisse ; c’est la bête féroce de Lucrèce qui, les flancs traversés d’une flèche mortelle, se précipite sur le chasseur et le couvre de son sang. Il ne fera guère d’élégies ou de madrigaux ; il veut jouir, il se soucie peu de toucher et de plaire. Un fluide brûlant, abondant et âcre irrite les organes du plaisir ; il ne soupire pas, celuilà, il rugit ; il ne tourne pas ses regards tendres et languissants, ses paupières humides sur l’objet de sa passion, ses yeux sont étincelants et son regard le dévore. Comme le cerf en automne, il baisse sa corne et fait marcher la biche timide devant lui ; dans le coin de la forêt obscure où il l’a détournée, il s’occupe de son bonheur fortement, sans penser à celui de l’être qu’il soumet ; satisfait, il le laisse et se retire. Tâchez, si vous le pouvez, de me faire | un poète tendre et délicat de cet animal-là. Il n’a qu’un mot, ou il ne l’a plus. P. 286. « On se fait à discrétion poète, orateur, peintre ou géomètre ». – Comment peut-on exceller dans des genres qui supposent des qualités contradictoires ? Quelle est la fonction du géomètre ? De combiner des espaces, abstraction faite des qualités essentielles à la matière ; point d’images, point de couleurs, grande contention de tête, nulle émotion de l’âme. Quelle est celle du poète, du moraliste, de l’homme éloquent ? De peindre et d’émouvoir.
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sta la sede di tutti i nostri dolori e di tutti i nostri piaceri; le sue oscillazioni o contrazioni sono più o meno forti in un essere che in un altro: è tale membrana a caratterizzare gli animi pusillanimi e gli animi forti.93 Farete un gran piacere alla facoltà di medicina di cui sareste il benefattore, come di tutta la specie umana, se poteste insegnarci come si dà tonicità al diaframma quando gli manca e come se ne può togliere quando ne ha troppa. C’è solo l’età che abbia un qualche potere su di esso, come sulla testa. È grazie alla sua diversità che nel momento stesso in cui io sono trasportato dall’ammirazione e dalla gioia, in cui le lacrime colano, uno mi dice: Io questo non lo sento, ho il cuore peloso; un altro mi fa uno scherzo assai burlesco.94 La testa fa gli uomini saggi; il diaframma gli uomini compassionevoli e morali. Voi non avete detto nulla di questi due organi, ma nulla affatto; e v’immaginate di aver fatto il giro dell’uomo. Colui che ha il diaframma molto mobile cerca le scene tragiche o le rifugge, perché può accadere che ne sia affetto troppo violentemente e resti, dopo lo spettacolo, come diciamo, con il cuore stretto. Colui che ha quest’organo inflessibile, rigido e ottuso, non le cerca, né le evita; non gli fanno alcun effetto. Potete fare di quest’uomo o un luogotenente criminale o un boia, o un macellaio o un chirurgo o un medico. Come, voi non capite nulla delle due grandi molle della macchina umana, l’una che costituisce gli uomini spirituali o stupidi, l’altra che li divide in due classi, quella delle anime tenere e quella dei cuori duri, e voi scrivete un trattato dell’uomo! Mi ricordo di avervi chiesto come si poteva dare attività a una testa pesante; ora vi chiedo come s’ispira sensibilità a un cuore duro. Ma niente può fermarvi; voi mi sosterrete che con queste due qualità diverse, poiché gli uomini non sono per questo comunemente meno bene organizzati, non sono perciò meno ben disposti a ogni specie di funzioni. E come! signor Helvétius, non vi sarà alcuna differenza tra le composizioni di colui che ha ricevuto dalla natura un’immaginazione forte e viva, con un diaframma assai mobile, e quelle di colui che essa ha privato di queste due qualità? Voi che date tanta forza all’impulso di un sesso verso l’altro, immaginate dunque che l’uomo vigoroso ma insensibile non sarà trascinato dalla passione verso la donna se non come il toro verso la giovenca; è la bestia feroce di Lucrezio la quale, con i fianchi attraversati da una freccia mortale, si precipita sul cacciatore e lo copre del suo sangue.95 Non farà alcuna elegia o madrigale; vuole godere, si preoccupa poco di avere tatto o di piacere. Un fluido bruciante, abbondante e acre irrita gli organi del piacere; costui non sospira; ruggisce; non rivolge i suoi sguardi teneri e languidi, le sue palpebre umide, sull’oggetto della sua passione; i suoi occhi sono scintillanti e il suo sguardo lo divora. Come il cervo in autunno, abbassa le corna e fa camminare la cerbiatta timida davanti a sé. Nell’angolo della foresta oscura verso cui l’ha spinta, lui s’occupa della propria felicità, con forza, senza pensare a quella dell’essere che sottomette; soddisfatto, lo lascia e si ritira. Provate, se potete, a farmi di quell’animale un poeta tenero e delicato. Non ha che una parola, o non ce l’ha più. P. 286. «Si diventa, a propria discrezione, poeta, oratore, pittore o geometra». – Come si può eccellere in generi che presuppongono qualità contraddittorie? Qual è la funzione del geometra? Quella di combinare degli spazi, fatta astrazione dalle qualità essenziali alla materia; niente immagini, niente colori; grande concentrazione di testa, nessuna emozione dell’animo. Qual è quella del poeta, del moralista, dell’uomo eloquente? Quella di dipingere e di commuovere.
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Si l’on n’est pas homme de génie en deux genres différents, ce n’est pas seulement faute de temps, c’est encore faute d’aptitude. La poésie et la peinture sont peut-être les deux talents qui se rapprochent le plus ; cependant on citerait à peine un seul homme qui ait su faire en même temps un beau poème et un beau tableau. Le poète décrit, sa description embrasse le passé, le présent et l’avenir ; un long intervalle de temps, dans le peintre, n’a qu’un instant. Aussi rien n’est si ridicule et si incompatible avec l’art que le sujet d’un tableau donné avec quelque détail par un littérateur, même homme d’esprit. Il y a bien de la différence entre les roses qui sont sur la palette de Van Huysum et les roses qui croissent dans l’imagination de l’Arioste. Voici trois styles bien différents ; celui-ci est simple, clair, sans figure, sans mouvement, sans verve, sans couleur : c’est celui de D’Alembert et du géomètre. Cet autre est large, majestueux, harmonieux, abondant noble, plein d’images tantôt délicates, tantôt sublimes : c’est celui de l’historien de la nature et de Buffon. Ce troisième est véhément, il touche, il trouble, il agite, il incline à la tendresse, à l’indignation, il élève ou calme les passions : c’est celui du moraliste et de Rousseau. Il n’est non plus possible à ces auteurs de changer de ton, qu’aux oiseaux de la forêt de changer de ramage. Invitez-les à cet essai ; d’originaux qu’ils étaient, ils deviendront imitateurs et ridicules ; leur chant sera d’emprunt, il se mêlera de leur chant naturel, et ils ressembleront à ces oiseaux sifflés qui commencent un air modulé et qui finissent par leur gazouillement naturel. | Ibid. « On ne naît point avec tel génie ou tel génie particulier ». – Cette vérité est bien nouvelle, si c’en est une ; car on a pensé et dit jusqu’à présent que le génie était un don particulier de la nature qui entraînait l’homme à telle ou telle fonction dont on s’acquittait médiocrement ou mal sans lui. Invita Minervâ. Hélas ! les écoles sont pleines d’enfants si désireux de la gloire, si studieux, si appliqués ; ils ont beau travailler, se tourmenter, pleurer quelquefois de leur peu de progrès, ils n’en avancent pas davantage ; tandis que d’autres, à côté d’eux, légers, inconstants, distraits, libertins, paresseux, excellent en se jouant. Je ne t’oublierai pas, pauvre Garnier : tes parents étaient indigents, tu te faisais renfermer dans les églises de la ville, tu descendais la lampe qui éclairait nos autels, la sainte table te servait de pupitre, tu t’épuisais les yeux et la santé pendant toute la nuit ; cependant je dormais profondément, et tu n’emportas jamais la place de dignité ni sur moi, ni sur trois ou quatre autres. Si Helvétius avait exercé la profession malheureuse d’instituteur d’une cinquantaine d’élèves, il eût bientôt senti la vanité de son système. Il n’y a pas un professeur dans tous nos collèges à qui ses idées ingénieuses ne fissent hausser les épaules de pitié. Ibid. « L’attention peut également se porter sur tout ». – Non, monsieur, non. Vous vous trompez. Il n’y a personne qui n’ait senti cette répugnance qu’on appelle justement naturelle, parce qu’elle est fondée sur un défaut d’aptitude qu’on est forcé de s’avouer par la violence des efforts et le peu de succès, et malheur à vous, si elle vous est inconnue : également propre à tout, vous n’étiez vraiment propre à rien. Le lévrier à longues jambes et à corps élancé est fait pour suivre le lièvre à la course, vous ne le ferez jamais quêter ; le chien couchant à gros museau, pour battre la plaine, le nez au vent ou baissé ; le braque à poil ras et touffu, pour forcer l’épaisseur des haies et braver la pointe des ronces ; le barbet pour se jeter à l’eau ; et si vous vous proposez de dérouter leur allure, vous y userez beaucoup de temps et de courroies, vous crierez et vous
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Se non si è uomini di genio in due generi diversi, non è soltanto per mancanza di tempo, è anche per mancanza di attitudine. La poesia e la pittura sono forse i due talenti che s’avvicinano di più tra loro; tuttavia, si potrebbe citare appena un solo uomo che abbia saputo fare allo stesso tempo un bel poema e un bel quadro. Il poeta descrive; la sua descrizione abbraccia il passato, il presente e l’avvenire; un lungo intervallo di tempo, nel pittore, non è che un istante. Perciò niente è così ridicolo e così incompatibile con l’arte quanto un soggetto di un quadro fornito con qualche dettaglio da un letterato, anche se uomo di spirito.96 C’è una bella differenza tra le rose che sono sulla tavolozza di Van Huysum97 e le rose che crescono nell’immaginazione dell’Ariosto. Ecco tre stili ben diversi; il primo è assai semplice, chiaro, senza figura, senza movimento, senza verve, senza colore; è quello di D’Alembert e del geometra. Quest’altro è largo, maestoso, armonioso, abbondante, nobile, pieno d’immagini talvolta delicate, talora sublimi; è quello dello storico della natura e di Buffon. Il terzo è veemente, commuove, turba, agita, inclina alla tenerezza, all’indignazione, eleva o calma le passioni; è quello del moralista e di Rousseau. Non è più possibile a questi autori cambiare tono, quanto agli uccelli della foresta cambiare cinguettio. Invitateli a questa prova: da originali che erano, diventeranno imitatori e ridicoli. Il loro canto sarà falso; si mescolerà col loro canto naturale; e assomiglieranno a quegli uccelli fischiatori98 che iniziano con un’aria modulata e finiscono col loro cinguettio naturale. Ibid. «Non si nasce affatto con il tale o talaltro genio particolare». – Questa verità è ben nuova, se ce n’è una del genere; infatti, fino a oggi si è pensato e s’è detto che il genio era un dono particolare della natura che trascinava l’uomo a tale o talaltra funzione, che si assolveva mediocremente o male senza di lui. Invita Minerva.99 Ahinoi! Le scuole sono piene di figli desiderosi della gloria, tanto studiosi, tanto laboriosi; hanno un bel lavorare, tormentarsi, qualche volta piangere dei loro scarsi progressi; non per questo avanzano di più; mentre altri, accanto a loro, leggeri, incostanti, distratti, libertini, pigri, eccellono, prendendosene gioco. Non ti dimenticherò, povero Garnier: i tuoi genitori erano indigenti, ti facevi rinchiudere nelle chiese della città, facevi calare la lampada che illuminava i nostri altari, la sacra tavola ti serviva da leggio, ti consumavi gli occhi e la salute per tutta la notte; intanto io dormivo profondamente e tu non t’aggiudicavi mai il posto d’onore, né contro di me, né contro tre o quattro altri di noi. Se Helvétius avesse esercitato l’improba professione di maestro di una cinquantina di allievi, avrebbe subito sentito la vanità del suo sistema. Non c’è un solo professore, in tutti i nostri collegi, al quale le sue idee ingegnose non facciano alzare le spalle per la pietà. Ibid. «L’attenzione può rivolgersi in ugual modo a tutto». – No, signore, no. Vi sbagliate. Non c’è nessuno che non abbia sentito quella ripugnanza che si chiama propriamente naturale, perché fondata su un difetto di attitudine che si è costretti a confessarsi per la violenza degli sforzi e lo scarso successo; e sventura a voi, se non vi è nota. Ugualmente capace di tutto, voi non sareste veramente capace di niente. Il levriero dalle gambe lunghe e dal corpo slanciato è fatto per inseguire la lepre in corsa; non riuscireste mai a fargli cercare la preda; il cane da punta dal grosso muso per battere la pista, col naso al vento o abbassato; il bracco dal pelo corto e fitto per forzare lo spessore delle siepi e sfidare la punta dei rovi; lo spaniel, fatto per gettarsi in acqua; se vi proponete di deviare il loro passo, vi sprecherete molto tempo e molte cinghie, griderete
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ferez beaucoup crier ces animaux, et vous n’aurez que de mauvais chiens. L’homme est aussi une espèce animale, sa raison n’est qu’un instinct perfectible et perfectionné ; et dans la carrière des sciences et des arts il y a autant d’instincts divers que de chiens dans un équipage de chasse. Ibid. « Pourquoi si rarement du génie en différents | genres ? » – La question est bonne, voyons encore une fois comme il répond. – C’est que l’homme... – Monsieur Helvétius, c’est que l’homme, entraîné tout entier vers l’objet favori d’une aptitude innée, n’aperçoit que celui-là. C’est que quand la nature l’aurait destiné à devenir grand homme dans une autre carrière, il n’aurait pas eu le temps de la suivre. Passez votre vie à nager, et vous ne serez plus qu’un médiocre coureur ; courez jusqu’à l’âge avancé, et vous nagerez mal. Les hommes qui ont un génie sont rares ; combien plus rares encore ceux qui ont reçu un double génie ! Ce double présent est peut-être un malheur. Il peut arriver qu’on soit alternativement agité, ballotté par ses deux démons ; qu’on commence deux grandes tâches et qu’on n’en finisse aucune ; qu’on ne soit ni grand poète ni grand géomètre, précisément parce qu’on avait une égale aptitude à la géométrie et à la poésie. J’ai entendu Euler s’écrier : Ah ! si M. D’Alembert n’avait voulu être qu’analyste, quel analyste il eût été ! Il faut dire à ces espèces de monstres : Optez. Faut-il trancher le mot ? Le système d’Helvétius est celui d’un homme de beaucoup d’esprit qui démontre à chaque ligne que l’impulsion tyrannique du génie lui est étrangère et qui en parle comme un aveugle des couleurs. Peut-être suis-je moi-même dans ce cas. Il y aura cependant cette différence entre nous, c’est que tout ce qu’il a fait, c’est à force de méditation et de travail : son premier ouvrage lui a coûté vingt ans, le second, une quinzaine d’années : tous les deux la santé et la vie. Il est un exemple excellent de ce que peuvent l’opiniâtreté et l’amour de la gloire. Il devine beaucoup de choses de la contrée dont il parle, mais moi qui m’y suis promené, je vois qu’il n’y a jamais mis le pied. J’y ai observé deux phénomènes que voici. C’est que quand on a tout vu dans une question on n’en parle plus. C’est que quand le génie désespère d’aller plus loin, il s’arrête, se dégoûte et s’égare dans une autre route. La même chose lui arrive encore, lorsque les difficultés faciles à vaincre ont amené son dédain. Ibid.A – Pourquoi les hommes de génie sont-ils moins | rares sous les bons gouvernements ? C’est que les enfants de parents riches se choisissent plus librement un état et sont plus maîtres de suivre leur goût naturel ; c’est que le génie est un germe dont la bienfaisance hâte le développement, et que la misère publique, compagne de la tyrannie, étouffe ou retarde ; c’est que sous le despotisme l’homme de génie partage peut-être plus qu’un autre l’abattement général des âmes. À ces raisons ajoutez celles de l’auteur. P. 287.B « On naît poète, on devient orateur ». Fiunt oratores, nascuntur poetæ.
A [« Il est, dit-on, peu d’hommes de génie : pourquoi ? C’est qu’il est peu de gouvernements qui proportionnent la récompense à la peine, que suppose l’acquisition de grands talents » (p. 289).] B [« Je ne répéterai donc point d’après l’ancien proverbe, qu’on naît poète et qu’on devient orateur, mais j’assurerai au contraire, puisque toutes nos idées nous viennent par les sens, qu’on ne naît point, mais qu’on devient ce qu’on est. »]
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e farete gridare molto quegli animali e ne farete solo dei cattivi cani. Anche l’uomo è una specie animale; la sua ragione non è che un istinto perfettibile e perfezionato; e nella carriera delle scienze e delle arti ci sono tanti istinti diversi quanti sono i cani in una muta da caccia.100 Ibid. «Perché c’è tanto raramente del genio, in diversi generi?» – La domanda è quella giusta; vediamo ancora una volta come risponde Helvétius. – È che l’uomo... – Signor Helvétius, è che l’uomo trascinato tutt’intero verso l’oggetto favorito di un’attitudine innata, non scorge altro che quella. È che quand’anche la natura l’avesse destinato a diventare un grand’uomo in un altro ambito, non avrebbe avuto il tempo di seguirla. Passate la vostra vita a nuotare e non sarete altro che un mediocre corridore; correte fino a età avanzata e nuoterete male. Gli uomini che hanno genio sono rari; quanto più rari sono coloro che hanno ricevuto un duplice genio! Questo duplice dono è forse una sventura. Può accadere che ci troviamo agitati alternativamente, sballottati da due demoni; s’iniziano due grandi imprese e non se ne porta a termine nessuna; non si riesce a essere né grande poeta, né grande geometra, precisamente perché si aveva un’eguale attitudine alla geometria e alla poesia. Ho sentito Eulero101 esclamare: Ah! Se il Signor D’Alembert avesse voluto essere solo un analista, che analista sarebbe stato! Bisogna dire a questa specie di mostri: Decidetevi. Dobbiamo tagliare corto? Il sistema di Helvétius è quello di un uomo dotato di molto spirito il quale dimostra a ogni riga che l’impulso tirannico del genio gli è estraneo e ne parla come un cieco parla dei colori. Forse io stesso mi trovo nello stesso caso. Tuttavia, ci sarà questa differenza tra noi, ossia che tutto ciò che lui ha fatto è a forza di meditazione e di lavoro. La sua prima opera gli è costata vent’anni, la seconda una quindicina; entrambe, la salute e la vita. È un eccellente esempio di ciò che possono realizzare la perseveranza e l’amore della gloria. Helvétius indovina molte cose del paese di cui parla; ma io, che ci sono andato a spasso, vedo che lui non vi ha mai messo piede. Vi ho osservato i due seguenti fenomeni. Quando si è visto tutto di una questione, non se ne parla più. Quando il genio dispera di spingersi più oltre, si ferma, gli passa la voglia di procedere e si smarrisce in un’altra via. La stessa cosa gli accade anche quando le difficoltà facili da superare, gli hanno provocato disprezzo. Ibid.A Perché gli uomini di genio sono meno rari sotto i buoni governi? Perché i figli di genitori ricchi si scelgono più liberamente una professione e sono più padroni di seguire il loro gusto naturale; perché il genio è un germe la cui produttività accelera lo sviluppo, e la miseria pubblica, compagna della tirannia, lo soffoca o lo ritarda; perché sotto il dispotismo, l’uomo di genio condivide, forse più di ogni altro, l’abbassamento generale degli animi. A queste ragioni aggiungete quelle dell’autore. P. 287.B «Poeta si nasce, oratore si diventa». Fiunt oratores, nascuntur poetae.102
A [«Ci sono, si dice, pochi uomini di genio: perché? Il fatto è che ci sono pochi governi che rendono la ricompensa proporzionale allo sforzo che l’acquisizione di grandi talenti presuppone» (p. 289)]. B [«Non ripeterò dunque, secondo l’antico proverbio, che poeta si nasce e oratore si diventa, ma garantirò del contrario, poiché tutte le nostre idee ci vengono dai sensi; che non si nasce affatto, ma si diventa ciò che si è»].
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Cette maxime n’est ni tout à fait vraie, ni tout à fait fausse. La poésie suppose une exaltation de tête qui tient presque à l’inspiration divine. Il vient au poète des idées profondes dont il ignore et le principe et les suites. Fruits d’une longue méditation dans le philosophe, il en est étonné, il s’écrie : Qui est-ce qui a inspiré tant de sagesse à cette espèce de fou-là ? Je vois moins de verve et plus de jugement dans l’orateur ; mais je pense qu’à strictement parler, Démosthène naquit orateur comme Homère était né poète : seulement le talent de l’orateur se décèle plus tard ; on est poète au berceau, on n’est guère orateur que dans l’âge mûr. Le poète n’a point de précepteur, toutes les circonstances de la vie nous enseignent l’art oratoire. P. 288. « Pour atteindre à certaines idées, il faut méditer ; chacun en est-il capable ? Oui, lorsqu’un intérêt puissant l’anime ». On sent si bien ce qu’on peut et ce qu’on ne peut pas, qu’enfermez-moi à la Bastille et dites-moi : Vois-tu ce lacet ? il faut dans un an, dans deux ans, dans dix ans d’ici, tendre le cou et l’accepter, ou faire une belle scène de Racine... Je répondrai : Ce n’est pas la peine de tant attendre ; finissons, et qu’on m’étrangle sur-le-champ. Si ma liberté et mon salut sont attachés à la production d’une belle scène à la Corneille, je n’en désespérerai pas. 521
P. 288. « En tout genre de science, ce sera toujours la généralité des principes, l’étendue de leur application et | la grandeur des ensembles qui constituera le génie philosophique ». Et tout homme communément bien organisé peut atteindre jusque-là ? P. 289. « Un alchimiste, un joueur de gobelets étaient des hommes rares dans les siècles d’ignorance ». Van Helmont et Glauber furent des hommes rares. Comus est un homme rare aujourd’hui. P. 290. « Les hommes sont-ils d’avis différents sur la même question ? cette différence est toujours l’effet ou de ce qu’ils ne s’entendent pas, ou de ce qu’ils n’ont pas les mêmes objets présents, ou de ce qu’ils ne mettent pas à la question même l’intérêt qu’il faudrait ». Ce n’est pas tout ; et il y a une source de leurs disputes peut-être plus féconde qu’aucune des précédentes. Quelque bien organisées que soient deux têtes, il est impossible que les mêmes idées soient dans l’une et l’autre également évidentes. Je ne crois pas que ce principe puisse être contredit. Donc il est impossible que le même raisonnement leur paraisse également concluant. Ce raisonnement se liant avec la chaîne des idées de l’un des disputants, lui paraîtra démonstratif. Ne se liant pas, ou même croisant la chaîne des idées de l’autre ; par la seule raison qu’il aurait à s’avouer plusieurs erreurs si ce raisonnement était vrai, il sera naturellement porté à le croire faux. P. 291. « Tous les hommes sont nés avec l’esprit juste ». Tous les hommes sont nés sans esprit ; ils ne l’ont ni faux ni juste : c’est l’expérience des choses de la vie qui les dispose à la justesse ou à la fausseté. Celui qui n’a jamais fait qu’un mauvais usage de ses sens, aura l’esprit faux.
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Questa massima non è né del tutto vera, né del tutto falsa. La poesia presuppone un’esaltazione di testa che assomiglia quasi all’ispirazione divina. Al poeta vengono idee profonde di cui egli ignora sia il principio che le conseguenze. Frutti di una lunga meditazione nel filosofo, egli se ne stupisce, esclama: Chi è che ha ispirato tanta saggezza a quella specie di pazzo? Io colgo meno verve e più giudizio nell’oratore. Ma penso che, propriamente parlando, Demostene nacque oratore, come Omero era nato poeta: è solo che il talento dell’oratore si scopre più tardi; si è poeti in culla, non si è affatto oratori se non in età matura.103 Il poeta non ha precettori; tutte le circostanze della vita c’insegnano l’arte oratoria. P. 288. «Per arrivare a certe idee, bisogna meditare; chiunque ne è capace? Sì. Quando un interesse potente lo anima». Si può sentire così bene ciò che si può e ciò che non si può, al punto che se mi rinchiudete alla Bastiglia e mi dite: Vedi questo cappio? Bisogna che tra un anno, due, da qui a dieci anni voi porgiate il collo e lo prendiate, oppure ci fate una bella scena di Racine... Io risponderò: non vale la pena di aspettare tanto; finiamola e strangolatemi qui subito. Se la mia libertà e la mia salvezza sono legate alla produzione di una bella scena alla Corneille, non ne dispererei. P. 288. «In ogni genere di scienza sarà sempre la generalità dei principi, l’estensione della loro applicazione e la grandezza degli insiemi a costituire il genio filosofico» E ogni uomo ben organizzato può arrivare fin lì? P. 289. «Un alchimista, un prestigiatore104 erano uomini rari nei secoli d’ignoranza». Van Helmont e Glauber105 furono uomini rari. Comus106 è un uomo raro oggi. P. 290. «Gli uomini sono di diverso parere sulla stessa questione? Questa differenza è sempre l’effetto del fatto che non si capiscono, o del fatto che non hanno presenti gli stessi oggetti, oppure che non impegnano lo stesso interesse che ci vorrebbe per la questione». Non è tutto; e c’è una fonte delle loro dispute forse più feconda di qualunque altra delle precedenti. Per quanto bene organizzate siano due teste, è impossibile che le stesse idee siano ugualmente evidenti in entrambe; io non credo che questo principio possa essere contraddetto. Dunque, è impossibile che lo stesso ragionamento sembri loro ugualmente concludente. Tale ragionamento, legandosi con la catena delle idee di uno dei due contendenti, gli sembrerà dimostrativo. Non legandovisi, o anche incontrando la catena delle idee dell’altro, per la sola ragione che avrebbe di ammettere diversi errori, se quel ragionamento fosse vero, sarà naturalmente portato a crederlo falso. P. 291. «Tutti gli uomini sono nati con lo spirito giusto». Tutti gli uomini sono nati senza spirito; non ce l’hanno né giusto, né falso; è l’esperienza delle cose della vita a disporli alla giustezza o alla falsità. Chi non ha mai fatto se non un cattivo uso dei propri sensi, avrà lo spirito falso.
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Celui qui, médiocrement instruit, croira tout savoir, aura l’esprit faux. Celui qui, emporté par la suffisance ou par la vivacité, sera précipité dans ses jugements, aura l’esprit faux. Celui qui aura attaché trop ou trop peu d’importance à quelques objets, aura l’esprit faux. Celui qui osera prononcer dans une question qui excède la capacité de son talent naturel, aura l’esprit faux. | Rien n’est si rare que la logique : une infinité d’hommes en manquent, presque toutes les femmes n’en ont point. Celui qui est sujet à des préventions aura l’esprit faux. Celui qui s’entête ou par amour-propre, ou par esprit de singularité, ou par goût pour le paradoxe, aura l’esprit faux. Et celui qui a trop de confiance et celui qui n’en a pas assez dans sa raison, aura l’esprit faux. Tous les intérêts, tous les préjugés, toutes les passions, tous les vices, toutes les vertus sont capables de fausser l’esprit. D’où je conclus qu’un esprit juste de tout point est un être de raison. « Nous sommes tous nés avec l’esprit juste ». Mais qu’est-ce qu’un esprit juste ? C’est celui qui nie ou affirme des choses ce qu’il en faut affirmer ou nier. Et nous apportons tous en naissant ce précieux don ? Et quand la nature nous l’aurait donné, il serait en notre pouvoir de le conserver ? Quelque envie que j’aie d’être du sentiment d’Helvétius, pourquoi ne le puis-je pas ? Pourquoi persisté-je à croire qu’une des plus fortes inconséquences de cet auteur, c’est d’avoir placé la différence de l’homme et de la brute dans la diversité de l’organisation, et d’exclure cette cause lorsqu’il s’agit d’expliquer la différence d’un homme à un homme ? Pourquoi lui paraît-il démontré que tout homme est également propre à tout, et que son stupide portier a autant d’esprit que lui, du moins en puissance, et pourquoi cette assertion me paraît-elle à moi la plus palpable des absurdités ? Pourquoi toute sa subtilité, toute son éloquence, tous ses raisonnements ne m’ont-ils pas déterminé à prononcer avec lui que nos aversions et nos goûts se résolvent, en dernière analyse, au désir ou à la crainte de peines ou de plaisirs sensuels et physiques ? « Un homme communément bien organisé est capable de tout ».A Croyez cela, Helvétius, si cela vous convient ; mais songez que c’est sous peine de vous fendre la tête inutilement, comme il m’est arrivé, sur des questions dont vous n’atteindrez jamais le fond. Je me cite, parce que j’ai la conscience de mes efforts et l’expérience de mon opiniâtreté. Je n’ai pu trouver la vérité, et je l’ai cherchée avec | plus de qualités que vous n’en exigez. Je vous dirai plus : s’il y a des questions en apparence assez compliquées qui m’ont paru simples à l’examen, il y en a de très simples en apparence que j’ai jugées au-dessus de mes forces. Par exemple, je suis convaincu que dans une société même aussi mal ordonnée que la nôtre, où le vice qui réussit est souvent applaudi, et la vertu qui échoue presque toujours ridicule, je suis convaincu, dis-je, qu’à tout prendre, on n’a rien de mieux à faire pour son bonheur que d’être un homme de bien ; c’est l’ouvrage, à mon gré, le plus important et le plus intéressant à faire, c’est celui que je me rappelA [« La conclusion générale de ce que j’ai dit sur l’égale aptitude, qu’ont à l’esprit les hommes communément bien organisés [est que] la plus ou moins grande supériorité de l’esprit est indépendante de la perfection plus ou moins grande de l’organisation » (p. 292-293).]
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Chi istruito in modo mediocre crederà di sapere tutto, avrà lo spirito falso. Chi trascinato dalla sufficienza o dalla vivacità sarà precipitoso nei suoi giudizi, avrà lo spirito falso. Chi avrà assegnato troppa o troppo poca importanza a certi oggetti avrà lo spirito falso. Chi oserà pronunciarsi su una questione che oltrepassa la capacità del suo talento naturale avrà lo spirito falso. Nulla è così raro quanto la logica; un’infinità di uomini ne mancano, quasi tutte le donne non ne hanno affatto. Chi è soggetto a prevenzioni, avrà lo spirito falso. Chi s’intestardisce o per amor proprio, o per spirito di singolarità, o per gusto del paradosso, avrà lo spirito falso. E chi ha troppa fiducia nella propria ragione, e chi non ne ha abbastanza, avrà lo spirito falso. Tutti gli interessi, tutti i pregiudizi, tutte le passioni, tutti i vizi, tutte le virtù sono capaci di falsare lo spirito. Da ciò ne concludo che uno spirito giusto, sotto ogni riguardo, è un ente di ragione. «Siamo nati tutti con lo spirito giusto». Ma che cos’è uno spirito giusto? È quello che nega o afferma, delle cose, ciò che bisogna affermarne o negarne. E noi portiamo tutti, nascendo, questo dono prezioso? E quand’anche la natura ce l’avesse dato, sarebbe in nostro potere conservarlo? Per quanta voglia io abbia di essere dell’avviso di Helvétius, perché non posso esserlo? Perché persisto nel credere che una delle maggiori incoerenze di quest’autore è di aver collocato la differenza tra l’uomo e la bestia nella diversità dell’organizzazione, e di escludere questa causa quando si tratta di spiegare la differenza tra un uomo e un altro uomo? Perché gli sembra cosa dimostrata che ogni uomo è ugualmente capace di tutto, e che il suo stupido portiere107 ha tanto spirito quanto lui, almeno in potenza, e quest’asserzione appare a me come la più palpabile delle assurdità? Perché tutta la sua sottigliezza, tutta la sua eloquenza, tutti i suoi ragionamenti non mi hanno convinto di asserire, con lui, che le nostre avversioni e i nostri gusti si risolvono, in ultima analisi, nel desiderio o nel timore di dolori o di piaceri sensuali e fisici? «Un uomo comunemente bene organizzato è capace di tutto».A Credetelo pure, signor Helvétius, se la cosa vi aggrada; ma pensate che è a prezzo di spaccarvi la testa inutilmente, com’è accaduto a me, su questioni delle quali non attingerete mai il fondo. Mi cito, perché ho la coscienza dei miei sforzi e l’esperienza della mia perseveranza. Non sono riuscito a trovare la verità e l’ho cercata con maggiori qualità di quante voi ne esigiate. Vi dirò di più: se ci sono questioni apparentemente abbastanza complicate che mi sono apparse semplici all’esame, ve ne sono di assai semplici, apparentemente, che ho poi giudicato al di sopra delle mie forze. Per esempio, sono convinto che, anche in una società male ordinata come la nostra, in cui il vizio che ha successo viene spesso applaudito, e la virtù che fallisce quasi sempre è ridicola, sono convinto, dico, che tutto sommato non c’è niente di meglio da fare per la propria felicità che essere un uomo per bene; è l’opera, secondo me, più importante, più interessante da fare; è quella di cui mi A [«La conclusione generale di ciò che ho detto sull’uguale attitudine allo spirito che hanno gli uomini comunemente ben organizzati [è che] la superiorità più o meno grande dello spirito è indipendente della perfezione più o meno grande dell’organizzazione (pp. 292-293)].
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lerais avec le plus de satisfaction dans mes derniers moments. C’est une question que j’ai méditée cent fois et avec toute la contention d’esprit dont je suis capable ; j’avais, je crois, les données nécessaires ; vous l’avouerai-je ? je n’ai pas même osé prendre la plume pour en écrire la première ligne. Je me disais : Si je ne sors pas victorieux de cette tentative, je deviens l’apologiste de la méchanceté : j’aurai trahi la cause de la vertu, j’aurai encouragé l’homme au vice. Non, je ne me sens pas battant pour ce sublime travail ; j’y consacrerais inutilement toute ma vie. Voulez-vous une question plus simple ? La voici. Le philosophe appelé au tribunal des lois, doit-il ou ne doit-il pas y avouer ses sentiments au péril de sa vie ? Socrate fit-il bien ou mal de rester dans la prison ?... Et combien d’autres questions qui appartiennent plus au caractère qu’à la logique ! Oserez-vous blâmer l’homme courageux et sincère qui aime mieux périr que de se rétracter, que de flétrir par sa rétractation son propre caractère et celui de sa secte ? Si le rôle de ce personnage est grand, noble et beau dans la tragédie ou l’imitation, pourquoi serait-il insensé ou ridicule dans la réalité ? Quel est le meilleur des gouvernements pour un grand empire ? et par quelles précautions solides réussirait-on à limiter l’autorité souveraine ? Y a-t-il un seul cas où il soit permis à un sujet de porter la main sur son roi ? Et si par hasard il y en avait un, quel est-il ? En quelle circonstance un simple particulier se peut-il croire l’interprète de toutes les volontés ? L’éloquence est-elle une bonne ou une mauvaise chose ? Faut-il sacrifier aux hasards d’une révolution le bonheur de la génération présente pour le bonheur de la génération à venir ? | L’état sauvage est-il préférable à l’état policé ? Ce ne sont pas là des problèmes d’enfants ; et vous croyez que tout homme a reçu de la nature l’aptitude à les résoudre ? Sans sotte modestie, je vous supplie de m’en excepter. Le président de Montesquieu y aurait mis toutes ses forces et une bonne partie de sa vie. Parmi un assez grand nombre d’hommes mieux organisés et mieux élevés qu’on ne l’est communément, pourquoi celui qui lève le voile de la vérité par quelque coin important obtient-il tant de célébrité ? Pourquoi s’épuiser en admiration et en éloges sur ce que tous auraient été capables de faire, si l’intérêt et le hasard l’avaient permis ? Vous vous calomniez vous-même : allez, mon cher philosophe, vous n’êtes l’enfant d’aucune de ces causes vulgaires. Hercule au berceau étouffa des serpents, et le jeune Cromwel, en jaquette, dans la brasserie de son père, tenait à la main la hache dont il devait faire tomber la tête de Charles Ier. Ramenez par la pensée les mêmes circonstances, multipliez-les de toutes celles qu’il vous plaira d’imaginer, combinez-les à votre volonté, et peut-être réussirez-vous à reproduire l’assassin d’un roi ; mais cet assassin ne sera pas Cromwel. Chacun est poète à sa manière, éloquent à sa manière, brave à sa manière, fait de la peinture, de la sculpture, de la gravure, même de la géométrie, de la mécanique, de l’astronomie comme soi et non comme un autre. Je parle de ceux qui excellent. Entre ces manières, il y en a une qui marque plus de finesse, plus de sagacité, plus de génie : Bernoulli résout en une ligne le problème de la courbe de la plus vite descente. Un habile sculpteur est bien loin d’un sculpteur excellent ; un grand poète est bien loin d’Homère, de Virgile et de Racine. D’où naît cette diversité ? Pourquoi n’a-t-on jamais vu un homme de génie faire comme un autre homme de génie qu’il avait sous ses yeux et qui même lui servait de modèle ?
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ricorderò con maggiore soddisfazione, nei miei ultimi istanti. È una questione che ho meditato cento volte e con tutta la concentrazione di spirito di cui sono capace; avevo, credo, i dati necessari; ve lo confesserò? Non ho neanche osato prendere la penna per scriverne la prima riga. Mi dicevo: se non esco vittorioso da questo tentativo, diventerò l’apologista della malvagità, avrò tradito la causa della virtù, avrò incoraggiato l’uomo al vizio. No, non mi sento vincente per questo sublime lavoro; vi dedicherei inutilmente tutta la mia vita. Volete una questione più semplice? Eccola. Il filosofo chiamato al tribunale delle leggi, deve o non deve ammettere le proprie convinzioni, a rischio della propria vita? Socrate fece bene o male a restare in prigione?... E quante altre questioni che appartengono più al carattere che alla logica! Oserete biasimare l’uomo coraggioso e sincero che preferisce morire piuttosto che ritrattare, infangare, con la sua ritrattazione, il proprio carattere e quello della sua setta? Se il ruolo di un simile personaggio è grande, nobile e bello nella tragedia o nell’imitazione poetica, perché sarebbe insensato o ridicolo nella realtà? Qual è il governo migliore per un grande impero? E con quali solide precauzioni si riuscirebbe a limitare l’autorità sovrana? C’è un solo caso in cui sia permesso a un suddito di alzare la mano sul proprio re? E se per caso ce ne fosse uno, qual è? In quale circostanza il semplice privato si può credere l’interprete di tutte le volontà? L’eloquenza è una buona o una cattiva cosa? Bisogna sacrificare la felicità della generazione presente alle evenienze casuali di una rivoluzione, per la felicità della generazione avvenire? La condizione del selvaggio è preferibile alla condizione civile?108 Questi non sono problemi da bambini; e voi credete che ogni uomo ha ricevuto dalla natura l’attitudine a risolverli? Senza falsa modestia, vi supplico di fare per me un’eccezione. Il presidente di Montesquieu vi avrebbe impegnato tutte le sue forze e speso una buona parte della sua vita. Tra un gran numero di uomini meglio organizzati e meglio educati di quanto non lo si sia comunemente, perché colui che solleva il velo della verità per qualche lato importante ottiene tanta celebrità? Perché profondersi tanto in ammirazione e in elogi su una cosa che tutti sarebbero stati capaci di fare, se l’interesse e il caso l’avessero permesso? Voi calunniate voi stesso; suvvia, mio caro filosofo, voi non siete il frutto di nessuna di queste cause volgari. Ercole in culla strozza serpenti; e il giovane Cromwell in giacchetta, nella birreria del padre,109 teneva in mano la scure con la quale doveva far cadere la testa di Carlo I. Riunite col pensiero le medesime circostanze; aggiungetevi tutte quelle circostanze che più gradirete immaginare, combinatele a vostro piacimento, e forse riuscirete a riprodurre l’assassino di un re; ma quell’assassino non sarà Cromwell. Ciascuno è poeta a modo proprio, eloquente a modo proprio, coraggioso a modo proprio, fa della pittura, della scultura, dell’incisione, persino della geometria, della meccanica, dell’astronomia come sé stesso e non come un altro. Parlo di coloro che eccellono. Tra questi modi, ce n’è uno che è segno di maggiore finezza, di maggiore sagacia, di genio: Bernouilli risolve, in una riga, il problema della curva di discesa più rapida.110 Un abile scultore è ben lontano da uno scultore eccellente; un grande poeta è ben lontano da Omero, da Virgilio, da Racine. Da dove nasce questa diversità? Perché non s’è mai visto un uomo di genio fare come un altro uomo di genio che aveva sotto gli occhi e che gli serviva persino da modello?
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P. 292. « Il n’est point d’autre sorte d’esprit que celui qui compare juste ». Cela se peut ; mais il y a bien de la différence entre la manière dont les esprits justes comparent, surtout dans les questions de quelque étendue. Les uns s’avancent laborieusement à la conclusion par un labyrinthe tortueux qui vous excède de fatigue ; les autres, tels que les célestes coursiers, | y arrivent d’un saut ; quelques-uns réunissent encore la sagacité à la promptitude par le choix des moyens. Il y en a qu’on appelle originaux parce qu’il semble que personne qu’eux n’eût pris le chemin, n’eût employé le moyen qu’ils ont imaginé. [CHAPITRE 16]
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P. 295. « Si tous les hommes conviennent de la vérité des démonstrations géométriques, c’est qu’ils sont indifférents à la vérité ou à la fausseté de ces démonstrations. » Indifférents ! Demandez cela à l’architecte, au peintre, au perspecteur, au commis des finances, à l’ingénieur, au mécanicien, au maçon, au constructeur de vaisseaux, à l’opticien, à l’arpenteur, au géographe, à l’astronome, à presque toutes les classes de l’Académie des sciences. Voulez-vous voir tous ces artistes sortir d’une tranquillité fondée sur l’immobilité de leurs principes ? Qu’il s’élève entre eux un homme ou qui attaque une formule, une pratique usuelle comme vicieuse et fautive, ou qui en propose une nouvelle, et vous verrez la chaleur des protecteurs de la méthode ancienne et celle des agresseurs delà méthode nouvelle. Plusieurs grands géomètres sont morts en protestant contre le calcul infinitésimal, qu’ils regardaient comme une méthode peu géométrique. À quel moment les disputes cessèrent-elles ? Lorsqu’il fut évidemment démontré que ce calcul avait toute la rigueur du calcul ordinaire. Helvétius confond ici, et dans beaucoup d’autres endroits, des choses bien différentes : c’est la facilité d’apprendre et celle d’inventer.A Il est donné sans doute à beaucoup d’hommes d’apprendre de la géométrie, mais non pas d’être géomètres ; d’entendre la métaphysique, mais non d’être métaphysiciens. En n’accordant le titre d’inventeur qu’à celui qui fait faire un pas de plus à la science ou par la perfection de l’instrument, ou par quelque manière de l’appliquer, et rayant par conséquent de cette classe presque tous les purs et simples soluteurs de problèmes, on trouvera que dans les sciences mathématiques, qui sont, à la | vérité, les plus à la portée des esprits ordinaires, les inventeurs ne sont pas communs. Un homme montre quelquefois plus de génie dans son erreur qu’un autre dans la découverte d’une vérité. Je vois plus de tête dans l’Harmonie préétablie de Leibnitz, ou dans son Optimisme, que dans tous les ouvrages des théologiens du monde, que dans les plus grandes découvertes soit en géométrie, soit en mécanique, soit en astronomie. La solution du problème de la quadrature du cercle, si elle est possible et qu’elle se fasse jamais, fera plus d’honneur sans doute au géomètre, mais ne mettra peut-être pas ses efforts de niveau avec les tentatives infructueuses de Grégoire de Saint-Vincent, ni même avec l’approximation d’Archimède. Est-ce en se baissant pour ramasser une vérité qui était à ses pieds ou dans le circuit immense et infructueux qu’il a fait pour la rencontrer où elle n’était pas, que tel homme a montré l’étendue de son esprit ? A [«La marche de l’esprit humain est toujours la même. L’application de l’esprit à tel ou tel genre d’étude ne change point cette marche. Les hommes aperçoivent-ils dans certaines sciences les mêmes rapports entre les objets qu’ils comparent, ils doivent nécessairement apercevoir ces mêmes rapports dans toutes» (p. 294)].
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P. 292. «Non c’è altra specie di spirito se non quello che paragona con giustezza». Questo è possibile; ma c’è una bella differenza nei modi in cui gli spiriti giusti fanno paragoni, soprattutto nelle questioni di una certa estensione. Gli uni avanzano laboriosamente verso la conclusione attraverso un tortuoso labirinto che vi spossa dalla fatica; gli altri, simili a celesti corrieri, vi arrivano d’un balzo;111 alcuni uniscono anche la sagacia alla prontezza nella scelta dei mezzi. Ce ne sono di quelli che si chiamano originali, perché sembra che nessuno, a parte loro, abbia preso quella via, abbia scelto il mezzo che loro hanno immaginato. [CAPITOLO 16]
P. 295. «Se tutti gli uomini sono d’accordo sulla verità delle dimostrazioni geometriche, è perché sono indifferenti alla verità o alla falsità di tali dimostrazioni». Indifferenti! Chiedetelo all’architetto, al pittore, allo specialista di prospettiva, al commesso delle finanze, all’ingegnere, al meccanico, al muratore, al costruttore di navi, all’ottico, all’aratore, al geografo, all’astronomo, a quasi tutte le classi dell’Accademia delle scienze. Volete vedere tutti questi artisti uscire da una tranquillità fondata sull’immobilità dei loro principi? Che si alzi in mezzo a loro un uomo che attacca una formula, una pratica usuale come viziosa e fittizia, oppure che ne propone una nuova, e vedrete il calore dei protettori del metodo antico e quello degli aggressori del metodo nuovo. Diversi grandi geometri sono morti protestando contro il calcolo infinitesimale che consideravano un metodo poco geometrico. In che momento cessarono le dispute? Quando fu dimostrato con evidenza che quel calcolo aveva tutto il rigore del calcolo ordinario. Helvétius confonde, qui e in molti altri luoghi, cose molto diverse, come la facilità di apprendere e quella di inventare.A è consentito probabilmente a molti uomini d’imparare la geometria, ma non di essere geometri; di capire la metafisica, ma non di essere metafisici. Assegnando il titolo di inventore solo a chi fa compiere un passo avanti alla scienza, o attraverso la perfezione dello strumento o con qualche maniera di applicarlo; e cancellando, di conseguenza, da questa classe, quasi tutti i puri e semplici risolutori di problemi, si troverà che nelle scienze matematiche, che sono invero più alla portata degli spiriti ordinari, gli inventori non sono comuni. Un uomo talvolta mostra, nel suo errore, più genio di un altro nella scoperta di una verità. Vedo più intelligenza nell’Armonia prestabilita di Leibniz o nel suo Ottimismo, di quanta ne veda in tutte le opere dei teologi del mondo, più che nelle maggiori scoperte, tanto in geometria quanto in meccanica che in astronomia. La soluzione del problema della quadratura del cerchio, se è mai possibile che si trovi, probabilmente farà più onore al geometra, ma non metterà forse i suoi sforzi al livello dei tentativi infruttuosi di Gregorio di Saint-Vincent;112 e neanche dell’approssimazione di Archimede. Abbassandosi per raccogliere una verità che era ai suoi piedi, o nel circuito immenso e infruttuoso che fa o ha fatto per incontrarla dove essa non c’era, il tale uomo ha così mostrato la vastità del suo spirito? A [«L’incedere dello spirito umano è sempre lo stesso. L’applicazione dello spirito a tale o talaltro genere di studio non cambia affatto tale incedere. Gli uomini colgono in certe scienze gli stessi rapporti tra gli oggetti che paragonano. Essi devono cogliere necessariamente questi stessi rapporti in tutte» (p. 294)].
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Si avec une sorte de justice, l’utilité n’était pas la mesure commune de notre estime et de nos éloges, l’histoire des erreurs de l’homme lui ferait peut-être autant d’honneur que celle de ses découvertes. Indépendamment de l’utilité, il est encore un autre motif de notre admiration pour les inventeurs, c’est la difficulté, bien constatée par les travaux infructueux d’une longue suite de grands hommes au-dessus desquels l’inventeur semble s’élever par son succès. Pour le bien de l’espèce humaine, il importe qu’une vérité soit promptement découverte ; pour l’honneur de l’inventeur, il importe qu’elle ait échappé longtemps à la recherche de ses prédécesseurs. La perfection du calcul intégral honorera plus celui qui l’exécutera qu’elle n’eût honoré Leibnitz ou Newton. J’en dis autant de la méthode générale d’obtenir les racines des équations de tous les degrés : elle eût moins étonné à la naissance de l’algèbre qu’elle n’étonnerait aujourd’hui. 527
P. 299.A Il ne faut pas dire que l’intérêt pécuniaire soit un motif vil et méprisable. Premièrement, parce qu’isolé et | seul, il ne l’est pas. Secondement, parce qu’il n’est exclusif d’aucun autre. Troisièmement, parce qu’il est mille conditions honnêtes qui ne peuvent avoir que celui-là. L’intérêt pécuniaire n’avilit que quand il est seul le mobile d’une action qui doit se faire par honneur. Celui qui ne remporte une victoire que par l’espoir du pillage est un homme vil. Le laboureur qui cultive sa terre pour en obtenir des denrées et de l’argent n’est pas méprisable, parce qu’il ne peut élever sa pensée et ennoblir ses travaux par la considération de la prospérité publique. Il semble que l’honneur devrait être l’esprit de tous les corps, et l’intérêt celui des individus dont ils sont composés. [CHAPITRE 20] P. 340. « Il faut s’avancer à la suite de l’expérience et ne la jamais précéder ». Cela est vrai ; mais fait-on des expériences au hasard ? L’expérience n’est-elle pas souvent précédée d’une supposition, d’une analogie, d’une idée systématique que l’expérience confirmera ou détruira ? Je pardonne à Descartes d’avoir imaginé ses règles du mouvement, mais ce que je ne lui pardonne point, c’est de ne s’être pas assuré par l’expérience si elles étaient ou n’étaient pas, dans la nature, telles qu’il les avait imaginées. La méditation est si douce et l’expérience est si fatigante, que je ne suis point étonné que celui qui pense soit si rarement celui qui expérimente. [CHAPITRE 22] P. 363. Il s’agit d’expliquer à Helvétius comment les Augustin, les Cyprien, les Athanase et tant d’autres qui n’étaient pas des sots, embrassèrent la sottise du christianisme et pourquoi quelques-uns périrent pour sa défense. B
A [« Parmi les hommes peu sont honnêtes, et le mot intérêt doit en conséquence réveiller dans la plupart d’entre eux l’idée d’un intérêt pécuniaire, ou d’un objet aussi vil et aussi méprisable. Une âme noble et élevée en a-t-elle-même une idée ? non : ce mot lui rappelle uniquement le sentiment de l’amour de soi »] B [« Je veux que l’esprit et les talents soient l’effet d’une cause particulière, comment alors se persuader que de grands hommes par conséquent doués de cette singulière organisation, aient cru
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Se per una specie di giustizia l’utilità non fosse la misura comune della nostra stima e dei nostri elogi, la storia degli errori dell’uomo gli farebbe forse altrettanto onore quanto quella delle sue scoperte. Indipendentemente dall’utilità, c’è anche un altro motivo della nostra ammirazione per gli inventori, ed è la difficoltà ben attestata dai lavori infruttuosi di una lunga serie di grandi uomini, al di sopra dei quali l’inventore sembra innalzarsi con il suo successo. Per il bene della specie umana, è importante che una verità sia scoperta con prontezza; per l’onore dell’inventore è importante che sia sfuggita a lungo alla ricerca dei suoi predecessori. La perfezione del calcolo integrale farà più onore a colui che l’applicherà, di quanto non abbia onorato Leibniz o Newton. Dico altrettanto del metodo generale per ottenere le radici delle equazioni di ogni grado. Tale metodo avrebbe stupito meno, alla nascita dell’algebra, di quanto non stupirebbe oggi. P. 299.A Non bisogna dire che l’interesse pecuniario sia un motivo vile e spregevole. In primo luogo, perché isolato e unico, non lo è. In secondo luogo, perché non è esclusivo di alcun altro interesse. In terzo luogo, perché ci sono mille condizioni oneste che non possono avere se non quell’interesse. L’interesse pecuniario non avvilisce se non quando è il solo movente di un’azione che deve essere compiuta per onore. Colui che non ottiene una vittoria se non con la speranza del saccheggio e un uomo vile. Il contadino che coltiva la propria terra per ottenerne delle derrate e del danaro non è spregevole, perché non può innalzare il proprio pensiero e nobilitare i suoi lavori con la considerazione della prosperità pubblica. Sembra che l’onore debba essere lo spirito di tutti i corpi e l’interesse quello degli individui di cui sono composti. [CAPITOLO 20]
P. 340. «Bisogna avanzare al seguito dell’esperienza e mai precederla». Questo è vero; ma si fanno esperienze a caso? L’esperienza non è spesso preceduta da un’ipotesi, da un’analogia, da un’idea sistematica che l’esperienza confermerà o distruggerà? Io perdono a Cartesio di aver immaginato le sue regole del moto; ma quello che non gli perdono è di non essersi assicurato, con l’esperienza, se esse erano o non erano, in natura, tali quali egli le aveva immaginate. La meditazione è così dolce e l’esperienza così faticosa che non sono stupito del fatto che chi pensa sia così raramente anche chi sperimenta.113 [CAPITOLO 22]
P. 363. Si tratta di spiegare a Helvétius come gli Agostini, i Cipriani, gli Atanasi114 e tanti altri che non erano degli sciocchi, abbracciarono la scempiaggine del Cristianesimo e alcuni perirono in sua difesa. B
A [«Tra gli uomini, pochi sono gli onesti, e la parola interesse deve di conseguenza, nella maggior parte di loro, risvegliare l’idea di un interesse pecuniario, o di un oggetto altrettanto vile quanto spregevole. Un animo nobile ed elevato ne ha forse un’idea? No: questa parola gli ricorda unicamente il sentimento dell’amore di sé»]. B [«Voglio che lo spirito e i talenti siano l’effetto di una causa particolare, come altrimenti persuadersi che dei grandi uomini, dotati, di conseguenza, di quella singolare organizzazione, ab
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C’est qu’Helvétius et moi nous nous serions faits unitaires dans Athènes, sous Socrate ; chrétiens sous | Constantin ; disciples d’Aristote, il y a deux cents ans ; malebranchistes ou cartésiens, il y en a cent ; newtonianistes, il y en a trente. C’est qu’avides d’illustration, si, dans le cours de nos premières années, la société se trouve divisée en deux factions, l’on se jette dans l’une ou dans l’autre, selon son goût, son tour d’esprit, son caractère et ses liaisons. Le mélancolique se fait disciple de Jansénius, le voluptueux s’enrôle sous Molina. La dispute dure, on se persécute, on s’extermine pour des sottises. Le dégoût et la lassitude surviennent ; la vérité se montre à quelques hommes sensés, la discussion d’une seule erreur conduit à des principes qui en attaquent cent autres. Et qu’importe d’où vienne le talent, que le germe en soit dans l’organisation, ou qu’il soit acquis de toute pièce, il n’en est pas moins égaré par les circonstances. On passe sa vie à se creuser sur des inepties, le temps et la nécessité y donnent de l’importance, on n’en revient plus. Si j’avais écrit les douze volumes in-folio d’Augustin sur la grâce, je ferais dépendre de ce système le bonheur de l’univers ; si j’étais contraint d’aller toutes les nuits chanter des matines, j’imaginerais, je crois, que c’est mon chant nocturne qui éteint la foudre dans les mains de l’Éternel prêt à frapper le pécheur qui dort. C’est ainsi que, par l’importance que l’on attache à des devoirs frivoles, on échappe à l’ennui. Le Christ, ou Paul son disciple, a dit que l’Église avait besoin d’hérésies ; je ne sais s’il a senti toute la force de son idée. Ces hérésies sont comme les tonneaux vides qu’on jette à la baleine, tandis que le monstre terrible s’amuse de ces tonneaux, le vaisseau échappe au danger. Tandis que les esprits s’occupent de l’hérésie, le gros de la doctrine échappe à l’examen ; mais il faut que le moment fatal arrive. C’est celui où la dispute cesse. Alors on tourne contre le tronc des armes aiguisées sur les branches, à moins qu’une nouvelle hérésie ne succède à la première : un nouveau tonneau qui amuse la baleine. [CHAPITRE 23]
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P. 366. « Les plus sublimes vérités, une fois simplifiées et réduites aux moindres termes, se réduisent en faits, et dès lors ne présentent plus à l’esprit que cette proposition : le blanc est blanc, le noir est noir ». Mais cette réduction est-elle toujours possible ? On | résout tout problème par analyse ou par synthèse. La synthèse descend des premiers principes à une conclusion qui en est très éloignée ; et l’analyse remonte de cette conclusion éloignée aux premiers principes. Il est vrai que dans l’une et l’autre méthode, chaque pas est identique à celui qui le précède ou le suit ; mais cette identité est-elle toujours facile à saisir ? Est-elle également évidente pour tous les esprits ? La suite des pas n’est-elle pas souvent très longue, et tout esprit est-il en état de la suivre et de l’avoir présente ? La conviction n’est pas la certitude et la mémoire de toutes ces identités, et cela dans l’ordre démonstratif ; car la démonstration ne résulte pas seulement de chacune d’elles, ni même de leur somme, mais de leur enchaînement. Fermat, je crois, qui n’était pas une tête étroite, disait de la démonstration du rapport du cylindre à la sphère, trouvée par Archimède : Memini me vim illius demonstrationis nunquam percepisse totam, j’ai mémoire de n’avoir jamais les fables du paganisme, aient adopté la croyance du vulgaire, et se soient faits quelquefois martyrs des erreurs le plus grossières ? Un tel fait inexplicable, tant qu’on considère l’esprit comme le produit d’une organisation plus ou moins parfaite, devient simple et clair, lorsqu’on regarde l’esprit comme une acquisition (pp. 363-364)]
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Il fatto è che Helvétius e io ci saremmo fatti unitariani115 ad Atene sotto Socrate; cristiani sotto Costantino, discepoli di Aristotele duecento anni fa;116 malebranchiani o cartesiani, cento anni fa; newtoniani trenta anni fa. Perché avidi di gloria, se nel corso dei nostri primi anni la società si trova divisa in due fazioni, ci si getta nell’una o nell’altra secondo la propria inclinazione, il proprio modo di pensare, il proprio carattere e le proprie relazioni. Il melanconico si fa discepolo di Giansenio, il voluttuoso si arruola sotto Molina.117 La disputa dura, ci si perseguita, ci si stermina per delle sciocchezze. Sopraggiunge il disgusto e la stanchezza. La verità si mostra ad alcuni uomini di buon senso, la discussione di un solo errore porta a principi che ne attaccano altri cento. E che importa da dove viene il talento, che il germe sia nell’organizzazione o sia acquisito tutto intero, non si smarrisce per questo di meno per via delle circostanze. Si passa la vita ad approfondire delle inezie, il tempo e la necessità attribuiscono loro importanza, non ci si ricrede più. Se avessi scritto i dodici volumi in-folio di Agostino sulla grazia, farei dipendere da questo sistema la felicità dell’universo; e se fossi costretto ad andare tutte le notti a cantare i mattutini, immaginerei, credo, che sia il mio canto notturno a spegnere la folgore nelle mani dell’Eterno, pronto a colpire il peccatore che dorme. Così, attraverso l’importanza che si annette a doveri frivoli, si sfugge alla noia. Il Cristo o Paolo, suo discepolo, ha detto che la Chiesa aveva bisogno di eresie;118 e non so se ha sentito tutta la forza della sua idea. Queste eresie sono come le botti vuote che si gettano in mare alla balena; mentre quel mostro terribile si diverte con le botti, la nave sfugge al pericolo. Mentre gli spiriti si occupano dell’eresia, il grosso della dottrina sfugge all’esame; ma occorre che arrivi il momento fatale. È il momento in cui la disputa cessa. Allora si rivolgono le armi affilate sui rami contro il tronco; a meno che una nuova eresia non succeda alla prima, una nuova botte che diverte la balena. [CAPITOLO 23]
P. 366 «Le verità più sublimi, una volta semplificate e ridotte ai minimi termini, si convertono in fatti; e da quel momento non presentano più allo spirito che questa proposizione: il bianco è bianco, il nero è nero». Ma questa riduzione è sempre possibile? Ogni problema si risolve per analisi o per sintesi. La sintesi discende dai primi principi a una conclusione che ne è molto lontana; e l’analisi risale da questa conclusione lontana ai primi principi. È vero che in entrambi i metodi ogni passo è identico a quello che lo precede o lo segue; ma tale identità è sempre facile da cogliere? È ugualmente evidente per tutti gli spiriti? La serie dei passi non è spesso molto lunga e ogni spirito è in condizione di seguirla e di averla presente? La convinzione non è la certezza dell’identità di ogni passo, ma la certezza e la memoria di tutte quelle identità, e ciò nell’ordine dimostrativo; infatti, la dimostrazione non risulta soltanto da ciascuna di esse e neanche dalla loro somma, ma dalla loro concatenazione. Fermat, credo, il quale non era una mente ristretta, diceva della dimostrazione del rapporto del cilindro con la sfera, trovata da Archimede: Memini me vim illius demonstrationis numquam percepisse totam, ho memoria di non aver mai sentito tutta la biano creduto alle favole del paganesimo, abbiano adottato la credenza del volgo e si siano fatti martiri, talvolta, degli errori più grossolani? Un simile fatto, inspiegabile finché si consideri lo spirito come il prodotto di un’organizzazione più o meno perfetta, diventa semplice e chiaro, quando si guardi allo spirito come a un’acquisizione» (pp. 363-364].
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senti toute la force de cette démonstration. Il n’y a point de géomètre, si grand qu’il soit, qui ne vous avoue qu’il s’est lui-même perdu quelquefois sur la longueur de ses démonstrations. Mais celui qui peut entendre la solution du problème de la précession des équinoxes était-il en état de la trouver ? Non. Cette réduction d’une vérité éloignée à un fait simple n’est pas l’ouvrage de tout esprit.A Il n’y a point de mauvais édit du souverain qu’on ne puisse réduire à cette conclusion : Donc, sire, votre bon plaisir est que nous brûlions nos moissons... Mais y a-t-il beaucoup d’hommes capables, je ne dis pas de faire, mais d’entendre cette réduction ? Ce n’est pas seulement en géométrie, c’est dans tout art et toute science que les vérités sont identiques. La science de l’univers entier se réduit à un fait dans l’entendement divin. Les vérités sont donc identiques en économie politique, pourquoi donc la solution de ces problèmes est-elle à peine au niveau des plus vastes têtes ? C’est par cette identité même qui ne permet pas de remuer une pierre, | sans qu’il en résulte une infinité de contrecoups dont il faut calculer les effets ensemble et séparément ; c’est qu’il faut y faire entrer les opinions, les préjugés et les usages. Trois excellents esprits ont agité la question de la liberté du commerce des grains ; mille autres ont lu, médité leurs ouvrages avec un intérêt proportionné à une question où il s’agit de la subsistance et de la vie d’un peuple entier. Où en est-elle ? Au premier pas ; et M. Turgot prétend que le bien ou le mal de son édit ne sera évident que dans une dizaine d’années. P. 368. « Le génie a-t-il aperçu et démontré clairement une vérité, à l’instant les esprits ordinaires la saisissent ». Cela n’est pas vrai. Pendant longtemps il n’y eut que trois hommes en Europe qui entendissent la petite géométrie de Descartes. Quoi de plus identique que les vérités de la science des combinaisons et des probabilités ? Tâchez de résoudre quelques-uns de ces problèmes ; tâchez d’entendre l’ouvrage De Moivre, intitulé De la Doctrine des chances. Lisez Bernoulli, et il vous dira que l’art des probabilités présente des questions qui ne sont ni plus ni moins difficiles que la quadrature du cercle. Si ces questions sont solubles, et cela par des hommes communément organisés, pourquoi ne l’ont-elles pas été par les premiers génies ? – C’est la faute du hasard. – C’est bien dit, la faute du hasard. Il n’y a aucun temps où les hautes vérités deviennent communesB ; et les principes de mathématiques, de philosophie naturelle de Newton ne seront jamais une lecture vulgaire. P. 371. « Le système de Newton est partout enseigné ». C’est-à-dire qu’on y expose sans démonstration les sommaires de son système ; mais les démonstrations sont restées et resteront toujours lettres closes pour la généralité des hommes. | A [«L’obscurité apparente de certaines vérités, n’est donc point dans les vérités mêmes, mais dans la manière peu nette de la présenter et l’impropriété des mots pour l’exprimer. La réduit-on à un fait simple ? si tout fait peut être également aperçu de tous les hommes organisés comme le commun d’entre eux, il n’est point de vérité qu’ils ne puissent saisir» (p. 366-367)]. B [« Mais s’il est un instant où les plus hautes vérités deviennent à la portée des esprits les plus communs, quel est cet instant ? Celui où dégagées de l’obscurité des mots, et réduites à des propositions plus ou moins simples, elles ont passé de l’empire du génie dans celui des sciences » (p. 369).]
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forza di questa dimostrazione.119 Non c’è alcun geometra, per quanto grande sia, che non vi confessi che si è lui stesso perso, talvolta, sulla lunghezza delle sue dimostrazioni. Ma colui che può capire la soluzione del problema della precessione degli equinozi,120 era in condizione di trovarla? No. Questa riduzione di una verità lontana a un fatto semplice non è l’opera di uno spirito qualsiasi.A Non c’è cattivo editto del sovrano che non si possa ridurre a questa conclusione: dunque, Sire, il vostro buon piacere è che noi bruciamo i nostri raccolti...121 Ma ci sono molti uomini capaci non dico di fare, ma di capire questa riduzione? Non è soltanto in geometria, è in ogni arte, in ogni scienza, che le verità sono identiche. La scienza dell’universo intero si riduce a un fatto nell’intelletto divino. Le verità sono dunque identiche in economia politica, perché dunque la soluzione di quei problemi è appena al livello delle menti più vaste? Per via di questa stessa identità, che non permette di smuovere una pietra senza che ne risulti un’infinità di contraccolpi di cui occorre calcolare gli effetti, insieme e separatamente; perché occorre farvi rientrare le opinioni, i pregiudizi e gli usi. Tre spiriti eccellenti122 hanno sollevato la questione della libertà del commercio dei grani; mille altri hanno letto, meditato le loro opere con un interesse proporzionato a una questione in cui si tratta della sussistenza e della vita di un intero popolo. A che punto siamo di questa questione? Al primo passo; e il signor Turgot pretende che il bene o il male del suo editto123 sarà evidente solo tra una decina di anni. P. 368. «Il genio ha scorto e ha dimostrato chiaramente una verità? Immediatamente gli spiriti ordinari la colgono». Questo non è vero. Per lungo tempo ci sono stati solo tre uomini, in Europa, che capissero la piccola geometria di Cartesio. Che cosa c’è di più identico delle verità della scienza, delle combinazioni e delle probabilità? Tentare di risolvere alcuni di quei problemi; tentare di capire l’opera di De Moivre, intitolata Della dottrina delle probabilità.124 Leggete Bernoulli e vi dirà che l’arte delle probabilità presenta questioni che non sono, né più, né meno difficili della quadratura del cerchio. Se tali questioni sono risolvibili, e da uomini comunemente bene organizzati, perché non sono state risolte da geni di primo rango? – È colpa del caso. – Ben detto, la colpa del caso. Non c’è nessun epoca in cui le supreme verità diventino comuni;B i principi di matematica, di filosofia naturale di Newton non saranno mai una lettura volgare. P. 371. «Il sistema di Newton è insegnato ovunque». Cioè si espongono ovunque, senza dimostrazione, i sommari della sua dottrina; ma le dimostrazioni sono rimaste e rimarranno sempre lettera morta per la generalità degli uomini. A [«L’oscurità apparente di certe verità, non è dunque affatto nelle verità stesse, ma nella maniera poco netta di presentarla e dall’improprietà delle parole per esprimerla. La si riduce a un fatto semplice? Se ogni fatto può essere colto in egual modo da tutti gli uomini organizzati, come dall’uomo più comune tra essi, non c’è affatto verità che non possano afferrare» (pp. 366-367)]. B [«Ma se c’è un momento in cui le verità più alte diventano alla portata degli spiriti più comuni, qual è questo momento? Quello in cui, liberate dall’oscurità delle parole e ridotte a proposizioni più o meno semplici, esse sono passate dal dominio del genio a quello delle scienze» (p. 369)].
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Interrogez D’Alembert, et il vous dira qu’il y a tel corollaire si profond qu’il n’est pas bien sûr de l’entendre. Tout ce chapitre 23 n’est qu’un tissu de paralogismes dont les images et le style n’empêchent point le dégoût. P. 372.A La découverte du carré de l’hypoténuse, citée en exemple, est bien d’un ignorant en mathématiques. Jamais il n’y eut de démonstration si simple, même au moment de l’invention. « L’unique privilège du génie est d’avoir frayé la route ». – Et ce privilège, d’où lui vient-il ? – Du hasard. – Cela est aussi trop plaisant. – Il y a donc des vérités réservées à certains hommes particuliers. – Soit que vous parliez de leur découverte, soit que vous parliez de leur difficulté ; je n’en doute pas. P. 374. « Or, concevoir leurs idées, c’est avoir la même aptitude à l’esprit ». Quelle assertion, grand Dieu ! Inventer une chose ou l’entendre, et l’entendre avec un maître, c’est la même chose ! [CHAPITRE 24]
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P. 375.B J’ai connu un homme qui n’avait pas lu quatre fables de La Fontaine, deux ou trois scènes de Racine ou de Corneille, qu’il croyait les avoir faites ; il était si voisin des idées de ces auteurs, que ce n’était qu’une réminiscence pour lui. Les uns trouvaient sa folie plaisante ; d’autres s’indignaient d’une vanité aussi outrée. C’était l’homme d’Helvétius qui ne voyait rien au-dessus de son petit talent. « Le hasard est le maître de tous les inventeurs ». – Le maître ? dites le valet, car c’est lui qui les sert. Vous verrez que c’est le hasard qui conduisit Newton de la chute d’une | poire au mouvement de la lune, et du mouvement de la lune au système de l’univers. Vous verrez que le hasard en aurait conduit un autre à la même découverte. Newton n’en pensait pas ainsi ; quand on lui demandait comment il y était arrivé, il répondait : À force de méditer. Et vous verrez que la méditation d’un autre aurait eu le même résultat. Et quand elle aurait produit le même résultat, vous verrez que tout homme eût été capable de méditer aussi profondément. P. 376. « Il faut plus d’attention pour suivre la démonstration d’une vérité déjà connue que pour en découvrir une nouvelle ». Cela peut être vrai ; cela peut être faux. Communément, un bon écolier entend en deux ou trois heures de réflexion ce qui en a coûté deux ou trois mois à l’inventeur épuisé de tentatives inutiles. A [« S’il était des idées auxquelles les hommes ordinaires ne pussent s’élever, il serait des vérités qui dans l’étendue des siècles, n’auraient été saisies que de deux ou trois hommes de la terre également bien organisés. Le reste des habitants seraient à cet égard dans une ignorance invincible. La découverte du carré de l’hypoténuse égal au carré des deux autres côtés du triangle, ne serait connue que d’un nouveau Pythagore : l’esprit humain ne serait point susceptible de perfectibilité : il y aurait enfin des vérités réservées à certains hommes en particulier. L’expérience au contraire nous apprend que les découvertes les plus sublimes clairement présentées, sont conçues de tous ».] B [« L’esprit nécessaire pour saisir les vérités déjà connues, suffit poux s’élever aux inconnues ».]
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Interrogate D’Alembert e vi dirà che c’è il tal corollario, così profondo, che non è ben sicuro di capirlo. Tutto questo capitolo 23 non è che un tessuto di paralogismi, le cui immagini e lo stile non riescono a impedire il disgusto. P. 372.A La scoperta del quadrato dell’ipotenusa, citata ad esempio, è propria di un ignorante in matematica. Mai ci fu una dimostrazione così semplice, neanche al momento dell’invenzione. «L’unico privilegio del genio è di aver spianato la strada». – E questo privilegio da dove gli viene? – Dal caso. – Questa è troppo divertente. – Ci sono dunque verità riservate a certi uomini particolari.125 – Che parliate della loro scoperta, o che parliate della loro difficoltà; non ne dubito. P. 374. «Pertanto, concepire le loro idee è avere la stessa attitudine allo spirito». Che asserzione, gran Dio! Inventare una cosa o capirla, e capirla con un maestro, è la stessa cosa! [CAPITOLO 24]
P. 375.B Ho conosciuto un uomo che non aveva letto quattro favole di La Fontaine, due o tre scene di Racine o di Corneille, e credeva di averle fatte lui; era così vicino alle idee di quegli autori, che per lui non erano che una reminiscenza. Alcuni trovavano la sua follia divertente; altri s’indignavano per una vanità così esagerata. Era l’uomo di Helvétius, che non vedeva niente al di sopra del suo piccolo talento. «Il caso è il padrone di tutti gli inventori». – Il padrone? Dite il servo; perché è lui che li serve. Voi vedrete che il caso condusse Newton dalla caduta di una pera al moto della luna, e dal moto della luna al sistema dell’universo. Vedrete che il caso avrebbe condotto un altro alla stessa scoperta. Newton non la pensava così; quando gli si domandava come era giunto a quella scoperta, rispondeva: A forza di meditare. E voi vedrete che la meditazione di un altro avrebbe avuto lo stesso risultato. E quand’anche avesse prodotto lo stesso risultato, voi ci vedrete il fatto che ogni uomo sarebbe stato capace di meditare altrettanto profondamente. P. 376. «Occorre più attenzione per seguire la dimostrazione di una verità già nota, che per scoprirne una nuova». Questo può essere vero; questo può essere falso. Di solito un buon allievo capisce in due o tre ore di riflessione ciò che è costato due o tre mesi all’inventore sfinito per i tentativi inutili. A [«Se vi fossero idee alle quali gli uomini ordinari non potessero elevarsi, sarebbero delle verità che nell’estensione dei secoli non sarebbero state afferrate se non da due o tre uomini della terra, ugualmente bene organizzati. Il resto degli abitanti sarebbero, a questo riguardo, in un’ignoranza invincibile. La scoperta del quadrato dell’ipotenusa uguale al quadrato degli altri due lati del triangolo, sarebbe conosciuta solo da un novello Pitagora: lo spirito umano non sarebbe affatto suscettibile di perfettibilità: vi sarebbero infine delle verità riservate a certi uomini in particolare. L’esperienza, al contrario, c’insegna che le scoperte più sublimi, presentate in modo chiaro, sono concepite da tutti»]. B [«Lo spirito necessario per afferrare le verità già note, è sufficiente per innalzarsi a quelle ignote»].
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Mais quand il en serait toujours ainsi, que s’ensuivrait-il ? Que l’esprit d’invention est aussi grand dans l’auteur que dans son lecteur. Pense-t-il sérieusement qu’il soit aussi facile de suivre une page de son livre que d’en écrire une pareille ? Lui qui passait une, deux, trois matinées à décomposer un mot et à arriver à un résultat de quatre lignes, d’autant plus claires qu’il avait employé plus de temps et de sagacité à les éclaircir. P. 377.A Quelle misérable comparaison que celle des petites ruses d’une jeune fille, et des méditations d’un Archimède et d’un Galilée ! On peut se payer soi-même cette monnaie-là, mais les autres ne s’en contentent pas. Au reste, monsieur Helvétius, n’allez pas imaginer que j’accorde tout ce que je ne contredis pas. [Note 2] 533
P. 379. Ils ne sont pas mélancoliques, parce qu’ils | méditent. Mais ils sont plus enclins que les autres à la méditation, parce qu’ils sont atteints de mélancolie. La mélancolie est une habitude de tempérament avec laquelle on naît et que l’étude ne donne pas. Si l’étude la donnait, tous les hommes studieux en seraient attaqués, ce qui n’est pas vrai. B
P. 380. « La gloire est le besoin de quelques-uns ». Si la gloire est leur besoin, ce ne sont donc plus ni les femmes, ni un bon lit, ni une bonne table, ni la richesse, ni les honneurs, ni aucune des voluptés sensuelles. Triste ou gai, on est studieux ; mais le caractère gai dissipe et distrait.C Rabelais entre deux bouteilles oublie sa bibliothèque. À côté d’une jolie femme, la montre de Fontenelle ne marque plus l’heure. Le mélancolique au contraire fuit la société, il n’est bien qu’avec lui-même, il aime la retraite et le silence, ce qui signifie presque qu’il pense et médite sans cesse. Au sortir de la méditation, l’homme gai retrouve sa gaieté, et le mélancolique reste mélancolique. [Note 3] P. 380. Ce n’est communément ni la femme svelte, ni la femme replète que l’homme préfère ; s’il est jeune et pressé, c’est la femme facile. Si la fureur de jouir ne le promène plus, le je ne sais quoi qui l’enchaîne, à son insu, est l’image de quelque vertu dont il a le modèle dans son imagination, et qu’il trouve empreinte sur le front de la femme qu’il aime. D
A [« Les passions peuvent tout. Il n’est point de fille idiote que l’amour ne rende spirituelle. Que de moyens ne lui fournit-il pas pour tromper la vigilance de ses parents, poux voir et entretenir son amant?»] B [« Les plus spirituels et les plus méditatifs sont quelquefois mélancoliques, Je le sais. Mais ils ne sont pas spirituels et méditatifs, parce qu’ils sont mélancoliques, mais mélancoliques, parce qu’ils sont méditatifs. Ce n’est point en effet à sa mélancolie, c’est à ses besoins que l’homme doit son esprit : le besoin seul l’arrache à son inertie naturelle. »] C [« Au reste ni les Rabelais, ni les Fontenelle, ni les La Fontaine, ni les Scarrons n’ont passé pour tristes, et cependant personne ne nie la supériorité plus ou moins grande de leur esprit ».] D [« L’idée différente qu’on s’en forme [de la beauté] dépend presque toujours de l’explication qu’on entend faire de ce mot dans son enfance. [...] De là, la diversité de nos goûts et la raison pour laquelle l’un préfère la femme svelte à la femme grasse, pour laquelle un autre a plus de désir ».]
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Ma quand’anche fosse sempre così, che cosa ne conseguirebbe? Che lo spirito d’invenzione è altrettanto grande nell’autore quanto nel suo lettore. Lui pensa seriamente che sia altrettanto facile seguire una pagina del suo libro quanto scriverne una simile? Lui che passava una, due, tre mattinate a scomporre una parola e ad arrivare a un risultato di quattro righe, tanto più chiare quanto più tempo e più sagacia aveva impiegato per chiarirle. P. 377.A Quale miserabile paragone quello tra le piccole astuzie di una giovane fanciulla e le meditazioni di un Archimede e di un Galileo! Ci si può pagare da sé con questa moneta, ma gli altri non se ne accontenteranno. Del resto, signor Helvétius, non deve immaginarsi che io sia d’accordo con tutto ciò che non contraddico.
[Nota 2] P. 379. Non sono melanconici perché meditano. Ma sono più inclini degli altri alla meditazione, perché sono affetti da melanconia. La melanconia è un’abitudine di temperamento con la quale si nasce e che lo studio non dà. Se lo studio la producesse, tutti gli uomini studiosi ne sarebbero affetti, il che non è vero. B
P. 380. «La gloria è il bisogno di alcuni». Se la gloria è il loro bisogno, dunque non sono più né le donne, né un buon letto, né una buona tavola, né la ricchezza, né gli onori, né alcuna voluttà sensuale. Siamo studiosi, tristi o allegri; ma il carattere allegro dissipa e distrae.C Rabelais, tra due bottiglie, dimentica la sua biblioteca. Accanto a una bella donna, l’orologio di Fontenelle non segna più l’ora.126 Il melanconico, al contrario, fugge la società, sta bene solo con se stesso, ama il ritiro e il silenzio; il che significa quasi che pensa e medita senza posa. Al termine della meditazione l’uomo allegro ritrova la sua allegria, e il melanconico resta melanconico.
[Nota 3] P. 380. Di solito non è né la donna snella, né la donna grassa quella che l’uomo preferisce; se è giovane e ha fretta, è la donna facile. Se il furore di godere non lo fa girovagare più, il non so che, che l’ha incatenato a sua insaputa, è l’immagine di qualche virtù il cui modello è nella sua immaginazione, e che trova inciso sulla fronte della donna che ama. D
A
[«Le passioni possono tutto. Non c’è fanciulla idiota che l’amore non renda spirituale. Quali mezzi l’amore non le fornisce, per ingannare la vigilanza dei suoi genitori, per vedere e incontrare il suo amante?»]. B [«I più spirituali e i più meditativi talvolta sono melanconici, lo so. Ma non sono spirituali e meditativi perché sono melanconici, ma melanconici perché sono meditativi. In effetti, non è alla sua melanconia, è ai suoi bisogni che l’uomo deve il proprio spirito: solo il bisogno lo strappa alla sua inerzia naturale»]. C [«Del resto, né i Rabelais, né i Fontenelle, né i La Fontaine, né gli Scarrons sono passati alla storia per tristi, e tuttavia nessuno nega la superiorità più o meno grande del loro spirito»]. D [«L’idea diversa che ci formiamo [della bellezza] dipende quasi sempre dalla spiegazione che sentiamo dare di questa parola nella nostra infanzia. (...) Da ciò viene la diversità dei nostri gusti e la ragione per la quale uno preferisce la donna snella alla donna grassa, per la quale un altro prova maggiore desiderio»].
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[Note 12] P. 386. Je ne voudrais ni assurer ni nier que l’homme sauvage ait ou n’ait aucune idée de justice, et qu’il pût massacrer son semblable avec aussi peu de répugnance qu’il perce de sa flèche le cerf ou le taureau. | Je serais assez porté à croire que le sauvage qui enlève au sauvage la provision de fruits qu’il a faite, s’enfuit, et que par sa fuite il s’accuse lui-même d’injustice, tandis que le spolié, par sa colère et sa poursuite, lui fait le même reproche. Les lois ne nous donnent pas les notions de justice ; il me semble qu’elles les supposent. Au reste, cette question est une de celles auxquelles je voudrais avoir pensé plus longtemps avant que de prononcer. Lorsque vous avez défini l’homme, vous avez dit que c’était un animal qui combine des idées. Quelles idées combine-t-il, si ce n’est celles de son repos, de son bonheur, de sa sécurité, idées très voisines de la notion de justice ? Utilitas justi prope mater et æqui. Si un homme seul était plus fort que tous les hommes qui l’entourent, peut-être vieillirait-il sans avoir d’autres idées claires que celles de la force et de la faiblesse ; mais il ne tarde pas à connaître le ressentiment, puisqu’il l’éprouve, et à savoir que la flèche qui le frappera par derrière traversera sa poitrine, l’étendra mort sur place, et que cette flèche peut partir de la main d’un enfant. Qu’en conclura-t-il ? Qu’il est dangereux de faire injure à l’enfant. L’homme fort n’est pas un homme de bronze. S’il était de bronze, il ne serait plus de la même espèce que l’homme de chair ; et j’avoue qu’il n’y aurait plus de morale commune entre eux ; car la morale est fondée sur l’identité d’organisation, source des mêmes besoins, des mêmes peines, des mêmes plaisirs, des mêmes aversions, des mêmes désirs, des mêmes passions. Polyphème n’était pas le semblable d’Ulysse. Il n’avait qu’un œil qu’Ulysse lui creva. Dans presque tous les raisonnements de l’auteur, les prémisses sont vraies et les conséquences sont fausses, mais les prémisses sont pleines de finesse et de sagacité. Il est difficile de trouver ses raisonnements satisfaisants, mais il est facile de rectifier ses inductions et de substituer la conclusion légitime à la conclusion erronée qui ne pèche communément que par trop de généralité. Il ne s’agit que de la restreindre. Il dit : L’éducation fait tout. Dites : L’éducation fait beaucoup. Il dit : L’organisation ne fait rien. Dites : L’organisation fait moins qu’on ne pense. | Il dit : Nos peines et nos plaisirs se résolvent toujours en peines et plaisirs sensuels. Dites : Assez souvent. Il dit : Il n’y a aucune vérité qui ne puisse être mise à la portée de tout le monde. Dites : Il y en a peu. Il dit : Tous ceux qui entendent une vérité l’auraient pu découvrir. Dites : Quelquesuns. Il dit : L’intérêt supplée parfaitement au défaut de l’organisation. Dites : Plus ou moins, selon le défaut. A
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A [« L’homme des forêts, l’homme nu et sans langage, peut bien acquérir une idée claire et nette de la force ou de la faiblesse, mais non de la justice et de l’équité. »]
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[Nota 12] P. 386. Non vorrei né affermare, né negare che l’uomo selvaggio abbia o non abbia alcuna idea di giustizia e che possa massacrare il suo simile con altrettanto poca ripugnanza di quanta ne prova a trafiggere con la sua freccia il cervo o il toro. Sarei abbastanza portato a credere che il selvaggio che ruba al selvaggio la provvista di frutta che questi ha messo da parte, fugge e con la sua fuga s’accusa da solo d’ingiustizia; mentre il derubato con la sua collera e il suo inseguimento gli muove lo stesso rimprovero. Le leggi non ci danno le nozioni di giustizia; mi sembra che le presuppongano. Del resto, questo problema è uno di quelli ai quali avrei voluto pensare più a lungo, prima di pronunciarmi. Quando avete definito l’uomo, avete detto che era un animale che combina delle idee. Quale idee combina, se non quelle della sua tranquillità, della sua felicità, della sua sicurezza, idee molto vicine alla nozione di giustizia. Utilitas justi propre mater et aequi.127 Se un uomo solo fosse più forte di tutti gli uomini che lo circondano, forse invecchierebbe senza avere altre idee chiare se non quelle della forza e della debolezza; ma non tarda a conoscere il risentimento, perché lo prova, e non tarderà a sapere che la freccia che lo colpirà alle spalle, gli attraverserà il petto, lo stenderà morto sul posto, e che tale freccia può partire dalla mano di un bambino. Che ne concluderà? Che è pericoloso ingiuriare un bambino. L’uomo forte non è un uomo di bronzo. Se fosse di bronzo, non sarebbe più della stessa specie dell’uomo di carne; e io ammetto che non vi sarebbe più morale comune fra loro; perché la morale è fondata sull’identità di organizzazione, fonte degli stessi bisogni, degli stessi dolori, degli stessi piaceri, delle stesse avversioni, degli stessi desideri, delle stesse passioni. Polifemo non era simile a Ulisse.128 Aveva un occhio solo, che Ulisse gli cavò. In quasi tutti i ragionamenti dell’autore, le premesse sono vere e le conseguenze sono false; ma le premesse sono piene di finezza e di sagacia. È difficile raccapezzarci nei suoi ragionamenti; ma è facile rettificare le sue induzioni e sostituire la conclusione legittima alla conclusione erronea, la quale pecca, di solito, solo di troppa generalità. Non si tratta dunque che di restringerne il campo. Egli dice: l’educazione fa tutto.129 Dite, l’educazione fa molto. Egli dice: l’organizzazione non fa nulla. Dite, l’organizzazione fa meno di quanto si pensi. Egli dice: i nostri dolori e i nostri piaceri si risolvono sempre in dolori e piaceri sensuali. Dite, abbastanza spesso. Egli dice: non c’è alcuna verità che non possa essere messa alla portata di tutti. Dite, ce ne sono poche. Egli dice: tutti coloro che capiscono una verità, avrebbero potuto scoprirla. Dite, alcuni. Egli dice: l’interesse supplisce perfettamente al difetto dell’organizzazione. Dite, più o meno, a seconda del difetto. A
A [«L’uomo delle foreste, l’uomo nudo e senza linguaggio, può certo acquisire un’idea chiara e netta della forza o della debolezza, ma non della giustizia e dell’equità»].
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Il dit : Le hasard fait les hommes de génie. Dites : Il les place dans des circonstances heureuses. Il dit : Il n’y a rien dont on ne vienne à bout avec de la contention d’esprit et du travail. Dites : On vient à bout de beaucoup de choses. Il dit : L’instruction est la source unique de la différence entre les esprits. Dites : C’est une des principales. Il dit : On ne fait rien d’un homme qu’on ne puisse faire d’un autre. Dites : Cela me semble quelquefois. Il dit : L’influence du climat est nulle sur les esprits. Dites : On lui accorde trop. Il dit : C’est la législation, le gouvernement qui rendent seuls un peuple stupide ou éclairé. Dites : Je l’accorde de la masse ; mais il y eut un Saadi, de grands médecins, sous les califes. Il dit : Le caractère dépend entièrement des circonstances. Dites : Je crois qu’elles le modifient. Il dit : On fait à l’homme le tempérament qu’on lui veut ; et quel que soit celui qu’il a reçu de la nature, il n’en a ni plus ni moins d’aptitude au génie. Dites : Le tempérament n’est pas toujours un obstacle invincible aux progrès de l’esprit. Il dit : Les femmes sont susceptibles de la même éducation que les hommes. Dites : On pourrait les élever mieux qu’on ne fait. Il dit : Tout ce qui émane de l’homme se résout, en dernière analyse, à de la sensibilité physique. Dites : Comme condition, mais non comme motif. Il dit : Il en coûte souvent plus pour entendre une démonstration que pour trouver une vérité. Dites : Mais cela ne prouve point l’égalité du génie. Il dit : Tous les hommes communément bien organisés sont également propres à tout. Dites : À beaucoup de choses. Il dit : L’échelle prétendue qui sépare les esprits est une chimère. Dites : Elle est peut-être moins longue qu’on ne l’imagine. | Et ainsi de toutes ses assertions ; aucune qui soit ou absolument vraie ou absolument fausse. Il fallait être bien entêté ou bien maladroit pour ne s’en être pas aperçu et n’avoir pas effacé des taches légères sur lesquelles l’envie des uns, la haine des autres appuiera sans mesure, et qui relégueront un ouvrage plein d’expérience, d’observations et de faits, dans la classe des systématiques, si justement décriés par l’auteur. Pour tout lecteur impartial et sensé, avec ses défauts le livre d’Helvétius sera excellent. Il excitera de grands cris, parce que beaucoup d’hommes puissants y sont attaqués, parce que les hommes rares y sont relégués dans la classe commune d’où ils n’ont été tirés que par des circonstances peu flatteuses pour leur vanité ; mais ces cris dureront peu, parce que l’auteur est mort et qu’il faut renoncer à la douce satisfaction de le perdre, ce qui serait infailliblement arrivé, si l’ouvrage eût été publié de son vivant. Je le jugeai trop sévèrement sur le manuscrit : cela ne me parut qu’une paraphrase assez insipide de quelques mauvaises lignes du livre De l’esprit ; je le reléguai dans la classe de ces ouvrages médiocres dont la hardiesse faisait tout le mérite, et qui ne sortaient de l’obscurité que par la sentence du magistrat qui les condamnait au feu. J’ai changé d’avis ; je fais cas et très grand cas de ce traité De l’homme ; j’y reconnais toutes
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Egli dice: il caso fa gli uomini di genio. Dite, li colloca nelle circostanze felici. Egli dice: non c’è niente di cui non si venga a capo grazie a concentrazione di spirito e lavoro. Dite, si viene a capo di molte cose. Egli dice: l’istruzione è l’unica fonte della differenza tra gli spiriti. Dite, è una delle principali. Egli dice: non si fa niente di un uomo che non si possa fare di un altro. Dite, questo mi sembra che accada qualche volta. Egli dice: l’influenza del clima è nulla sugli spiriti. Dite, le si accorda troppa importanza. Egli dice: sono la legislazione, il governo, da soli, a rendere un popolo stupido o illuminato. Dite, ne convengo per il caso della massa; ma ci fu un certo Saadi,130 e dei grandi medici, sotto i califfi. Egli dice: il carattere dipende interamente dalle circostanze. Dite, io credo che esse lo modifichino. Egli dice: si dà all’uomo il temperamento che gli si vuol dare; e quale che sia il temperamento che ha ricevuto dalla natura, non ha né maggiore né minore attitudine al genio. Dite, il temperamento non è sempre un ostacolo invincibile al progresso dello spirito. Egli dice: le donne sono suscettibili della stessa educazione degli uomini. Dite, si potrebbe educarle meglio di quanto non si faccia. Egli dice: tutto ciò che proviene dall’uomo si risolve, in ultima analisi, in sensibilità fisica. Dite, come condizione, ma non come motivo. Egli dice: spesso per capire una dimostrazione ci vuole più forza e più fatica che per trovare una verità. Dite, ma questo non prova affatto l’uguaglianza del genio. Egli dice: tutti gli uomini comunemente bene organizzati sono adatti ugualmente a tutto. Dite, adatti a molte cose. Egli dice: la presunta scala che separa gli spiriti è una chimera. Dite, essa è forse meno lunga di quanto s’immagini. E così di seguito, per tutte le sue asserzioni; non ce n’è una che sia o assolutamente vera o assolutamente falsa. Bisognava essere assai testardi o maldestri per non essersene accorti, e non aver cancellato leggere macchie del genere, sulle quali l’invidia degli uni, l’odio degli altri faranno leva senza misura e relegheranno un’opera piena di esperienze, di osservazioni e di fatti, nella classe delle opere sistematiche, tanto giustamente deprecate dall’autore. Per ogni lettore imparziale e sensato, pur con questi difetti, il libro di Helvétius sarà eccellente. Esso susciterà alte grida; perché molti uomini potenti vengono attaccati, perché gli uomini rari sono relegati nella classe comune, donde non sono stati tratti fuori se non in forza di circostanze poco lusinghiere per la loro vanità; ma quelle grida dureranno poco, perché l’autore è morto e bisogna rinunciare alla dolce soddisfazione di rovinarlo, il che sarebbe infallibilmente accaduto se l’opera fosse stata pubblicata quando egli era ancora vivo. Lo giudicai troppo severamente dal manoscritto; questo non mi sembrò che una parafrasi alquanto insipida di certe brutte pagine del libro Dello spirito; lo confinai nella classe di quelle opere mediocri l’audacia delle quali faceva tutto il merito, e che uscivano dall’oscurità solo grazie alla sentenza del magistrato che le condannava al rogo. Ho cambiato parere; tengo conto, gran conto di questo trattato Dell’uomo.
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les sortes de mérite d’un bon littérateur et toutes les vertus qui caractérisent l’honnête homme et le bon citoyen. J’en recommande la lecture à mes compatriotes, mais surtout aux chefs de l’État, afin qu’ils connaissent une fois toute l’influence d’une bonne législation sur l’éclat et la félicité de l’empire, et la nécessité d’une meilleure éducation publique ; afin qu’ils se défassent d’une prévention qui ne montre que leur ineptie, c’est que le savant, le philosophe, n’est qu’un sujet factieux et ne serait qu’un mauvais ministre. Je la recommande aux parents, afin qu’ils ne désespèrent pas trop aisément de leurs enfants ; aux hommes vains de leurs talents, afin qu’ils sachent que la distance qui les sépare du commun de leurs semblables n’est pas aussi grande que leur orgueil se le persuade ; à tous les auteurs, afin qu’ils s’étonnent de l’étrange absurdité où peut être conduit un esprit d’une trempe qui n’était pas ordinaire, mais trop fortement occupé de son opinion, et qu’ils en deviennent plus circonspects. | Il y a des endroits où Helvétius chancelle, d’autres où la contradiction est si palpable, l’objection si forte, la réponse si faible, qu’il est difficile que l’auteur n’ait pas en quelque soupçon de son erreur. A-t-il été retenu par la mauvaise honte de se rétracter ? A-t-il voulu faire sensation et publier un ouvrage qui fût contredit et illustré par des critiques, même sensées ? A-t-il préféré d’avoir son coin séparé parmi les philosophes et par des opinions singulières, que d’être confondu dans la foule avec des vérités plus communes et des idées moins piquantes ? Il est lui-même l’exemple d’un phénomène qu’il a remarqué ; c’est comment d’excellents esprits sont tombés et restés dans des erreurs palpables. Il leur suffisait d’en avoir été longtemps défenseurs. On ne convertit point celui qui a composé des in-folio sur une ineptie. Cet homme serait un héros dans son genre, s’il avait le courage de condamner au feu le travail de toute sa vie. Un professeur en théologie trouva une réponse très subtile à je ne sais quelle difficulté qui lui fut proposée contre la vérité de la religion ; et le voilà qui, d’incrédule qu’il était, devint croyant, précisément comme si cette objection même solidement résolue, il n’en restait plus à résoudre ; mais sa vanité était intéressée à la regarder comme la plus importante, et c’est ce qu’il fit. On retrouve à chaque pas la scène du maître de danse et du maître en fait d’armes, où nous allons rire tous les jours de nous-mêmes. Il dit : La justesse de l’esprit dépend de la comparaison des idées et de l’attention avec laquelle on observe. Dites : Tout esprit n’est pas propre à comparer toutes idées ; tout esprit n’est pas capable d’attention. Il dit : Poursuivez toujours le bonheur, ne l’atteignez jamais ; c’est sous peine de retomber dans l’ennui, en l’éprouvant fort inférieur à votre attente. Dites : Je sais bien que c’est à la peine à assaisonner le plaisir ; je sais que sa possession répond rarement à notre attente ; avec cela, monsieur Helvétius, je ne suivrai pas votre conseil : si la nature, le travail ou l’occasion m’offre le moyen d’être heureux, je le saisirai, je le saisirai vite, je ne craindrai pas de manquer de désirs. Je ne laisserai pas à mon imagination le temps de me surfaire une jouissance que je trouverais moins douce ; je tendrai mes bras au plaisir qui vient, mais je ne veux pas les tenir tendus trop longtemps, c’est une position qui fatigue. Je courrai après le plaisir qui s’éloigne, | mais je ne m’excéderai pas, j’arriverais avec la lassitude et le dégoût. Illusions d’avare ou de coquette, sottes illusions, plate duperie ; aussi la coquette vieillit-elle avec douleur et regret, l’avare meurt-il désespéré.
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Riconosco tutte le specie di merito di un buon letterato, e tutte le virtù che caratterizzano l’uomo onesto e il buon cittadino. Ne raccomando la lettura ai miei compatrioti, ma soprattutto ai capi di Stato, affinché conoscano una buona volta tutta l’influenza che una buona legislazione ha sullo splendore e la felicità dell’impero, e la necessità di una migliore educazione pubblica; affinché si sbarazzino di una prevenzione che mostra solo la loro inettitudine: il dotto, il filosofo, non sarebbe altro che un suddito fazioso e un cattivo ministro. La raccomando ai genitori, affinché non disperino troppo presto dei loro figli; agli uomini che si vantano del loro talento, affinché sappiano che la distanza che li separa dall’individuo comune loro simile non è così grande quanto l’orgoglio fa loro credere; a tutti gli autori, affinché si stupiscano della strana assurdità a cui può essere portato uno spirito di una tempra che non era ordinaria, ma troppo profondamente preso dalla propria opinione, e affinché divengano più circospetti. Ci sono dei passaggi in cui Helvétius vacilla, altri in cui la contraddizione è così palpabile, l’obiezione così forte, la risposta così debole, che è difficile l’autore non abbia avuto qualche sospetto del proprio errore. È stato impedito dalla cattiva vergogna di ritrattare? Ha voluto far sensazione e pubblicare un’opera che venisse contraddetta, per rendersi illustre grazie alle stesse critiche sensate? Ha preferito avere il suo angoletto separato tra i filosofi e con opinioni singolari, piuttosto che essere confuso nella folla delle verità più comuni e delle idee meno pungenti? Egli stesso è l’esempio di un fenomeno da lui notato; come degli spiriti eccellenti siano caduti e rimasti invischiati in errori palpabili. Bastava esserne stati a lungo i difensori. Non si converte mai chi ha composto degli in-folio attorno a un’inezia. Quest’uomo sarebbe un eroe, nel suo genere, se avesse il coraggio di condannare al rogo il lavoro di tutta la sua vita. Un professore di teologia trovò una risposta molto sottile a non so quale difficoltà che gli venne proposta contro la verità della religione, ed eccolo che da incredulo che era, diventa credente; precisamente come se, una volta risolta con solidi argomenti quella stessa obiezione, non ne restassero più altre da risolvere; ma la sua vanità era interessata a considerarla come la più importante ed è ciò che egli fece.131 A ogni passo, si ritrova la scena del maestro di danza e del maestro di scherma, dove tutti i giorni rideremo di noi stessi.132 Egli dice:133 la giustezza di spirito dipende dal paragone delle idee e dall’attenzione con la quale si osserva... Dite, non ogni spirito è adatto a paragonare tutti i tipi di idee; non ogni spirito è capace di attenzione. Egli dice: perseguite sempre la felicità; non raggiungetela mai; provando che essa è molto inferiore alle vostre attese, il prezzo è di ricadere nella noia. Dite, so bene che è difficile e faticoso assortire il piacere; so che il suo possesso risponde raramente alle nostre aspettative; con ciò, signor Helvétius, io non seguirò il vostro consiglio: se la natura, il lavoro o l’occasione mi offrono un mezzo per essere felice, lo coglierò, lo coglierò subito, non temerò di mancare di desiderio. Non lascerò alla mia immaginazione il tempo di sopravvalutare un godimento che troverei tanto meno dolce; tenderò le braccia al piacere che arriva, ma non voglio tenerle tese troppo a lungo; è una posizione che stanca. Correrò dietro al piacere che s’allontana, ma non mi estenuerò, arriverei con addosso la stanchezza e il disgusto. Illusioni di avaro o di civetta, sciocche illusioni, piatto raggiro; perciò la civetta invecchia con dolore e rimpianto; l’avaro muore disperato.
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Il dit : L’amour enhardit l’animal le plus faible. Dites : Oui, l’animal ; mais l’homme, l’homme tendre et délicat, il bégaye, il tremble, il se déconcerte, il ne sait ni ce qu’il dit, ni ce qu’il fait. Il dit : C’est sur la tige de la douleur et du plaisir physiques que se recueillent toutes nos peines et tous nos plaisirs, et je révèle une grande vérité. Dites-lui : Mais cette grande vérité n’est pas générale. On demandait à Saint-Mard où il avait pris tout le mal qu’il pensait de l’homme. En moi, répondit-il ; et sa réponse n’avait qu’un défaut, c’est de croire que tout le monde lui ressemblait. Il dit : La grande mémoire est exclusive d’un grand esprit. Ajoutez : Mais la mémoire est une qualité de l’organisation ; un homme organisé de cette manière n’a donc pas la même aptitude naturelle à l’esprit et au génie qu’un autre homme, et la source de leur différence sera dans l’organisation ; il en sera de l’homme à grande mémoire et de l’homme à mémoire honnête, comme du chien couchant et du lévrier : l’âme de l’un se porte tout entière à son nez, et l’âme de l’autre tout entière à ses yeux. Et voilà l’origine de la variété des esprits dans l’espèce humaine, et de la variété des instincts entre les animaux. Chaque être fait naturellement ce qu’il peut faire le mieux, avec le plus de plaisir et le moins de peine. Ajoutez : Vous avez oublié, monsieur Helvétius, qu’aucune organisation n’est exclusive d’aucun talent. Il dit : L’homme de bonne société obtient peu d’estime, parce qu’il ne se rend point utile aux hommes.A Dites : Et il les sauve de l’ennui. Un bon conteur est un homme très essentiel où l’on s’ennuie beaucoup ; il y jouit d’une grande considération, on le désire, on se l’arrache. C’est le rôle de l’abbé Mac Carthy à Constantinople, où il s’était fait conteur comme on se fait barbier. Il avait beaucoup de | pratiques, et vous n’en devez pas être surpris, si vous vous rappelez ce que vous avez dit de l’ennui. Il dit : À quoi sert une grande mémoire ? Dites : À exclure le génie. Ce n’est pas moi, c’est vous qui le prétendez ; d’où il arrive que vous répondez juste à l’objection qu’on ne vous fait pas, et que vous en levez une à laquelle vous ne répondrez jamais. C’est que l’homme à grande mémoire a trop de la même couleur brune sur sa palette, trop de pente à l’employer, et qu’il peint noir ou gris. Il dit : Ne nous plaignez pas du trop peu de mémoire.B Dites : Mais si je me plains du trop qui me raye de la classe des hommes à talent, vous me le permettrez. Il dit : Les Sapho, les Hypathie, les Catherine furent des femmes de génie. Ajoutez : Et de ce petit nombre j’en conclurai une égale aptitude au génie dans l’un et dans l’autre sexe, et qu’une hirondelle fait le printemps. Il dit : Les hommes ont été grands dans tous les recoins de la terre où ils n’ont éprouvé aucune influence étrangère qui les ait rapetissés. Dites : Également grands ; je n’en crois rien. Il dit : La nature de l’esprit consiste à observer des rapports. Ajoutez : Je le veux ; mais est-ce l’oreille qui observe et compare des rapports ? Non. Est-ce l’œil qui observe et compare des rapports ? Non. Ils reçoivent des impressions, mais c’est ailleurs que la comparaison s’en fait. Cette opération n’est d’aucun des sens, à qui appartient-elle
A
[« Si l’homme du monde n’est ni bon poète, ni bon peintre, ni bon philosophe, ni grand capitaine, il est du moins très aimable. Si sa réputation ne s’étend point au-delà de son cercle, c’est qu’il n’écrit point, c’est qu’il ne perfectionne aucune science, et qu’il ne se rend point utile aux hommes, et ne doit par conséquent en obtenir que peu d’estime » (p. 245-246).] B [« personne ne peut se plaindre de sa mémoire » (p. 249).]
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Egli dice: l’amore ringalluzzisce l’animale più debole. Dite, sì, l’animale; ma l’uomo, l’uomo tenero e delicato, lui balbetta, trema, si sconcerta, non sa quello che dice, né quello che fa. Egli dice: è sul fusto del dolore e del piacere fisico che si raccolgono tutti i nostri dolori e tutti i nostri piaceri; e rivelo qui una grande verità. Ditegli, ma questa grande verità non è generale. Si chiedeva a Saint-Mard134 dove aveva preso tutto il male che pensava dell’uomo: In me, rispose, e la sua risposta aveva un solo difetto, quello di credere che tutti gli assomigliavano. Egli dice: la grande memoria è esclusiva di un grande spirito; aggiungete: ma la memoria è una qualità dell’organizzazione; un uomo organizzato in questa maniera non ha dunque la stessa attitudine naturale allo spirito e al genio di un altro uomo, e la fonte della loro differenza sarà nell’organizzazione; sarà così dell’uomo dalla grande memoria, dell’uomo dalla memoria onesta, come del cane da fiuto e del levriero: l’anima dell’uno si sposta tutt’intera sul suo naso e l’anima dell’altro tutta intera sui suoi occhi. Ecco l’origine della varietà degli spiriti della specie umana e della varietà degli istinti tra gli animali. Ogni essere fa naturalmente ciò che può far di meglio, con il maggiore piacere e la minore fatica. Aggiungete: voi avete dimenticato, signor Helvétius, che nessuna organizzazione è esclusiva di alcun talento. Egli dice: l’uomo di buona società ottiene poca stima, perché non si rende affatto utile agli uomini.A Dite, e li salva dalla noia. Un buon narratore è un uomo molto essenziale là dove ci si annoia molto; vi gode di una grande considerazione, lo desiderano, se lo contendono. È il ruolo dell’abate Mac Carthy135 a Costantinopoli, dove era riuscito a diventare narratore, come si diventa barbieri. Aveva molta pratica, e non dovete esserne sorpreso, se vi ricordate ciò che avete detto della noia. Egli dice: a che cosa serve una grande memoria? Dite, a escludere il genio. Non sono io, siete voi che lo sostenete; perciò accade che voi rispondiate giusto all’obiezione che non v’è stata fatta, e ne togliete di mezzo una alla quale non rispondete mai. Perché l’uomo dalla grande memoria usa troppo lo stesso color bruno sulla sua tavolozza, ha troppa tendenza a usarlo, e dipinge nero o grigio. Egli dice: non vi lamentate della memoria troppo scarsa.B Dite, ma se mi lamento del troppo, che mi cancella dalla classe degli uomini di talento, voi non lo permetterete. Egli dice: le Saffo, le Ipazie,136 le Caterine furono donne di genio. Aggiungete, e da quel piccolo numero ne concluderò un’eguale attitudine al genio, nell’uno e nell’altro sesso, e che una rondine fa primavera. Egli dice: gli uomini sono stati grandi in tutti gli angoli della terra dove non hanno subito alcuna influenza esterna che li abbia sminuiti. Dite, ugualmente grandi; io non lo credo per niente. Egli dice: la natura dello spirito consiste nell’osservare dei rapporti. Aggiungete, sono d’accordo; ma è forse l’orecchio che osserva e compara i rapporti? No. È l’occhio che osserva e compara i rapporti? No. Questi ricevono impressioni, ma il paragone tra di esse si fa altrove. Quest’operazione non è propria di alcun senso, a chi appartiene A
[Se l’uomo di mondo non è né buon poeta, né buon pittore, né buon filosofo, né gran capitano, almeno è un uomo molto affabile. Se la sua reputazione non si estende mai al di là della sua cerchia, è perché egli non scrive, non perfeziona alcuna scienza e non si rende affatto utile agli uomini e di conseguenza non deve ottenerne che poca stima» (pp. 245-246)]. B [«Nessuno può lamentarsi della propria memoria» (p. 249)].
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donc ? Au cerveau, je crois. À quoi bon avoir fait le procès aux sens, si vous ne démontrez pas qu’on peut tout avec un cerveau communément bien organisé ? Quoi, un vaisseau de la tête un peu plus ou moins dilaté, un de ses os un peu plus ou un peu moins enfoncé, le plus faible embarras de circulation dans le cervelet, un fluide un peu trop ou pas assez fluide, une petite piqûre dans la pie-mère rend un homme stupide ; et la conformation totale de la boîte osseuse et du fromage mou qu’elle renferme et des nerfs qui y sont implantés ne fera quoi que ce soit aux opérations de l’esprit ! Je crains bien que vous n’ayez négligé dans votre calcul les deux principaux ressorts de la machine, la cervelle et le diaphragme. Il dit : Que m’importe la diversité de l’organisation ? Il me suffit qu’elle préexiste, même à la naissance. Dites : Oui, | cela suffit pour que vous ayez tort et que votre conclusion soit fausse. Ces causes naissent différentes et n’en sont pas moins également capables des mêmes effets ; cela ne se conçoit pas. Il dit : L’usage des mauvaises eaux, des aliments grossiers, des appétits désordonnés ne font rien à l’esprit. Ajoutez : Bien qu’ils abrutissent l’homme à la longue ? Ni le climat, quoique ce soit une cause dont l’effet ne cesse point ? Ni le local, quoique l’homme de la montagne soit vif et nerveux, et l’homme de la plaine pesant et replet. Dites : Si la fraîcheur des organes ne produit pas les beaux ouvrages, leur caducité produit bien les mauvais. Mais est-ce qu’il n’y a pas des enfants vieux et des vieillards jeunes ? Quelle égalité raisonnable établirez-vous entre les uns et les autres ? Comment ferez-vous mouvoir cette aube immense, que le volume énorme des eaux accélérées du torrent meut à peine, par le filet d’eau de ce ruisseau ? Il dit : Le Voltaire de trente ans et le Voltaire de soixante ont également d’esprit. Dites : Où avez-vous pris cela ? Le Voltaire de soixante ans est le perroquet du Voltaire de trente, et voilà ce qui vous en impose. Le vieillard ne s’enrichit plus, il vit de son bien, sa récolte est faite, ses greniers sont pleins. Son champ peut à présent devenir stérile, sans qu’il y paraisse au retranchement de sa dépense. Il dit : On ne peut pas avoir été soi et un autre.A Ajoutez : Il faudrait donc s’en rapporter un peu à ce qu’un autre nous dit de lui. Il dit : Pourquoi l’heureuse disposition de nature ne contrebalance-t-elle pas dans l’amateur le petit degré d’attention de plus que le maître donne à son art ? Dites ironiquement : Le petit degré d’attention ? Mais l’art est l’amusement de l’amateur, et la fatigue journalière de toute la vie de l’artiste ; et vous appelez cela un petit degré d’attention de plus ? Il dit : La jouissance d’une belle femme peut porter dans l’âme de mon voisin plus d’ivresse que dans la mienne ; mais cette jouissance est pour moi comme pour lui le plus vif des plaisirs. Dites, et Dieu veuille toutefois que ce ne | soit pas d’après votre expérience, qu’il y a des plaisirs qui piquent infiniment plus son voisin que la jouissance d’une belle femme. Dites que ce qu’il peut dire de lui, il ne faut pas le dire de son voisin, qui est un avare qui ne tirerait pas vingt louis de son coffre-fort pour coucher avec la belle Mme Helvétius. A
[« Pour savoir exactement quelle peut être cette différence [des sensations reçues à la présence des mêmes objets], il faudrait avoir été successivement soi et les autres. Or on n’a jamais été que soi. Ce n’est donc qu’en considérant avec une très grande attention les impressions diverses que les mêmes objets paraissent faire sur les différents hommes, qu’on peut en ce genre parvenir à quelque découverte » (p. 268-269).]
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dunque? Al cervello, credo. A che scopo aver fatto il processo ai sensi, se non dimostrate che si può tutto con un cervello comunemente ben organizzato? Come! un vaso sanguigno della testa più o meno dilatato, una delle ossa un po’ più o un po’ meno compressa, il minimo imbarazzo della circolazione nel cervelletto, un liquido un po’ troppo o troppo poco fluido, una piccola puntura alla pia madre,137 rende un uomo stupido; e la conformazione totale della scatola cranica e del formaggio molle che essa racchiude e dei nervi che vi sono impiantati, non farà alcunché alle operazioni dello spirito! E io temo proprio che abbiate trascurato, nel vostro calcolo, le due principali molle della macchina umana, il cervello e il diaframma. Egli dice: che m’importa della diversità dell’organizzazione? Mi basta sapere che preesiste anche alla nascita. Dite, sì, questo basta perché voi abbiate torto e la vostra conclusione sia falsa. Queste cause nascono diverse e non sono ugualmente capaci degli stessi effetti; ciò è inconcepibile. Egli dice: l’uso di cattive acque, di alimenti grossolani, di appetiti disordinati, non fanno nulla allo spirito. Aggiungete, benché alla lunga abbrutiscano l’uomo? Né il clima, benché sia una causa il cui effetto non cessa mai? Né il luogo, benché l’uomo di montagna sia vivo e nervoso, e l’uomo di pianura pesante e grasso? Dite, se la purezza degli organi non produce le belle opere, la loro caducità produce certo le cattive. Ma non vi sono forse dei bambini vecchi e dei vecchi giovani? Quale ragionevole uguaglianza stabilirete voi tra gli uni e gli altri? Come farete muovere quest’immensa pala che il volume enorme delle acque accelerate del torrente muove appena, per mezzo del filo d’acqua di quel ruscello? Egli dice: il Voltaire di trent’anni e il Voltaire di sessanta hanno ugualmente spirito. Dite, dove avete appreso questa cosa? Il Voltaire di sessant’anni è il pappagallo del Voltaire di trenta, ed ecco quello che vi trae in inganno. Il vecchio non s’arricchisce più, vive dei propri beni, il suo raccolto è fatto, i granai sono pieni. Il campo ora può diventare sterile, senza che ciò appaia come una diminuzione del suo consumo. Egli dice: non si può essere stati sé e un altro.A Aggiungete, bisognerebbe dunque riferirsi un po’ a ciò che un altro ci dice di quel sé. Egli dice: perché la felice disposizione di natura non controbilancia, nel dilettante, il piccolo grado di attenzione in più che il maestro dà alla sua arte? Dite ironicamente, il piccolo grado di attenzione? Ma l’arte è il divertimento del dilettante, e la fatica giornaliera di tutta la vita dell’artista; e voi chiamate questo un piccolo grado di attenzione in più? Egli dice: il godimento di una bella donna può portare nell’animo del mio vicino più ebbrezza che nel mio; ma questo godimento è per me, come per lui, il più vivo dei piaceri. Dite, e Dio voglia tuttavia che non sia secondo la vostra esperienza, che ci sono certi piaceri che pungono infinitamente di più il suo vicino del godimento di una bella donna. Dite che ciò che costui può dire di sé, non occorre dirlo del suo vicino, il quale è un avaro che non tirerebbe fuori venti luigi dalla cassaforte per andare a letto con la bella signora Helvétius. A
[«Per sapere esattamente quale può essere questa differenza [delle sensazioni ricevute alla presenza degli stessi oggetti], bisognerebbe essere stato successivamente sé e gli altri. Ora, non si è mai stati altro che se stessi. Non si può, dunque, giungere a qualche scoperta in questo genere, considerando con una grandissima attenzione le impressioni diverse che gli stessi oggetti sembrano fare sui diversi uomini» (pp. 268-269)].
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Chacun a sa sorte d’intérêt ; et sa violence n’est pas moins variable dans chaque individu que sa nature. Il y en a qui préfèrent le repos à toutes les jouissances qu’on n’obtient que par des soins. Qu’attendre de celui qui a mis son bonheur dans la paresse ? Niez-vous l’existence des vrais paresseux ? Nous le sommes tous par intervalles, et il y a des hommes nés las. Il dit qu’il est étonnant que des hommes s’occupent sérieusement de tours et d’arts futiles. Dites qu’il ne faut pas s’étonner que quelques-uns s’occupent de ce qui en amuse un grand nombre d’autres. Chez les Romains, le peuple quittait les pièces de Térence pour des sauteurs, des funambules et autres bateleurs de cette espèce. Le poète qui s’en plaignait avait raison ; le philosophe qui en eût été surpris, aurait mal connu le peuple. Il dit qu’il veut détruire le merveilleux et non le mérite de l’esprit. Dites qu’on ne détruit point le merveilleux d’une chose utile, grande et rare par quelque cause que ce puisse être. Si Helvétius avait eu autant de justesse que d’esprit et de sagacité, combien de choses fines et vraies il n’aurait pas dites ! Il est heureux qu’il se soit trompé. Il y a toujours quelque chose à apprendre dans les ouvrages des hommes à paradoxe, tels que lui et Rousseau ; et j’aime mieux leur déraison qui me fait penser, que des vérités communes qui ne m’intéressent point. S’ils ne me font pas changer d’avis, presque toujours ils tempèrent la témérité de mes assertions. Il dit : Le mot esprit juste comprend dans sa signification étendue toutes les différentes sortes d’esprit. Ajoutez, vous : Est-ce qu’il y a différentes sortes d’esprit ? Vous ne pouvez le nier sans contredire l’expérience, ni l’accorder sans renoncer à vos principes. Il y a des esprits vifs, des esprits lourds, mais ou ces instruments différents sont capables ou ils sont incapables des mêmes ouvrages. Quidquid dixeris, argumentabor. Il dit : Les jansénistes disaient que les jésuites avaient introduit le plaisir dans un ballet, et que pour le rendre plus | piquant ils l’avaient mis en culotte ; il faut rendre justice aux jésuites, cette accusation est fausse.A Dites, vous : Il faut rendre justice aux jésuites, cette accusation est vraie, et je le prouve. C’est que les jésuites sont hommes et qu’ils n’ont aucun commerce avec les femmes. Cette raison est démonstrative dans les principes d’Helvétius. Il dit : Les mots une fois bien définis, une question est résolue presque aussitôt que proposée. Dites : Les mots sont bien définis entre cet auteur et moi ; et c’est par cette raison même que nous ne sommes pas d’accord. – Mais alors la question est d’expérience et de fait, et quand on en est là, on est converti. – Nullement ; la querelle n’a fait que changer d’objet, et la difficulté s’accroît à tel point que quelques hommes sensés ont prétendu que les faits ne prouvaient rien, tant on avait de peine à les constater et à les appliquer précisément à la question. A [« Or un si vil intérêt leur [aux jésuites] ordonnait de poursuivre un homme persécuté. Peut-être en adoptaient-ils en secret les opinions. La preuve, c’est un Ballet donné à Rouen en 1750, dont l’objet état de montrer que le plaisir forme la jeunesse aux vraies vertus, c’est-à-dire, première entrée, aux vertus civiles ; seconde entrée, aux vertus guerrières ; troisième entrée, aux vertus propres à la religion. Ils avaient dans ce ballet prouvé cette vérité par des danses. La religion personnifiée y avait un pas de deux avec le plaisir, et pour rendre le plaisir plus piquant, disaient alors les jansénistes, les Jésuites l’ont mis en culotte (a). » | (a) « Il faut rendre justice aux jésuites, cette accusation est fausse. Ils sont rarement libertins. Le jésuite contenu par sa règle, indifférent au plaisir est tout entier à l’ambition » (p. 300).]
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«l’uomo»
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Ciascuno ha la propria specie di interesse; e la sua violenza non è meno variabile, in ciascun individuo, della sua natura. Ce ne sono di quelli che preferiscono il riposo a tutti i godimenti che s’ottengono solo con molto impegno. Che cosa attendere da colui che ha posto la propria felicità nella pigrizia? Negate l’esistenza dei veri pigri? Lo siamo tutti, a intervalli; e ci sono degli uomini nati stanchi. Egli dice che è stupefacente che certi uomini s’occupino seriamente di tornei e di arti futili. Dite che non bisogna stupirsi che alcuni s’occupino di ciò che diverte un gran numero di altri. Presso i Romani il popolo abbandonava le commedie di Terenzio per andare dai saltatori, i funamboli e altri acrobati di questa specie. Il poeta che se ne lamentava aveva ragione;138 il filosofo che ne fosse rimasto sorpreso, avrebbe mal conosciuto il popolo. Egli dice che vuole distruggere il meraviglioso e non il merito dello spirito; dite che non si può distruggere affatto il meraviglioso di una cosa utile, grande e rara, per qualche causa, qualunque essa sia. Se Helvétius avesse mostrato altrettanta precisione, quanto spirito e sagacia, quante cose fini e vere non avrebbe detto! Egli è felice di essersi sbagliato. C’è sempre qualcosa da imparare nelle opere degli uomini amanti del paradosso, come lui e Rousseau; e io preferisco, alle verità comuni che non m’interessano affatto, la loro insensatezza che mi fa pensare. Se non mi fanno cambiare parere, quasi sempre temperano la temerarietà delle mie asserzioni. Egli dice: la parola spirito giusto comprende, nel suo significato esteso, tutte le diverse specie di spirito. Aggiungete, voi: ci sono diverse specie di spirito? Non potete negarlo, senza contraddire l’esperienza; né accordarlo, senza rinunciare ai vostri principi. Ci sono spiriti vivi, spiriti pesanti; ma questi strumenti diversi o sono capaci o sono incapaci delle stesse opere. Quidquid dixeris, argumentabor.139 Egli dice: i giansenisti dicevano che i gesuiti avevano introdotto il piacere in un balletto, e che per renderlo più piccante l’avevano messo in mutande; bisogna rendere giustizia ai gesuiti, quest’accusa è falsa.A Dite, voi: bisogna rendere giustizia ai gesuiti, quest’accusa è vera; e ve lo provo. Perché i gesuiti sono uomini e non hanno alcun commercio con le donne. Questa ragione è dimostrativa nei principi di Helvétius. Egli dice: una volta ben definite le parole, una questione è risolta quasi subito nel momento in cui è proposta; dite: le parole sono ben definite tra questo autore e me, ed è per questa stessa ragione che non siamo d’accordo. – Ma allora la questione è di esperienza e di fatto, e quando si è giunti a quel punto, si è convertiti. – Per niente; la disputa non ha fatto altro che cambiare oggetto, e la difficoltà cresce a tal punto che certi uomini di buon senso hanno preteso che i fatti non provano niente, tanta era la fatica che si faceva a constatarli e ad applicarli precisamente alla questione.
A [«Ora, se un vile interesse ordinasse loro [ai gesuiti] di dare la caccia a un uomo perseguitato. Forse ne adottano in segreto le opinioni. La prova ne è un balletto dato a Rouen nel 1750, il cui oggetto era di dimostrare che il piacere forma la gioventù alle vere virtù, cioè, prima entrata, alle virtù civili; seconda entrata, alle virtù guerriere; terza entrata, alle virtù proprie della religione. Avevano in quel balletto provato questa verità con delle danze. La religione personificata aveva fatto un passo a due con il piacere, e per rendere il piacere più piccante, dicevano allora i giansenisti, i gesuiti lo hanno messo in mutande (a)». \ (a) «Bisogna rendere giustizia ai gesuiti, quest’accusa è falsa. Costoro sono raramente libertini. Il gesuita, trattenuto dalla sua regola, indifferente al piacere, è tutto dedito all’ambizione» (p. 300)].
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Il dit : Un ouvrage où l’on fixerait la véritable signification des mots ne peut s’exécuter que chez un peuple libre; ajoutez, Ou chez un peuple esclave que par un homme libre. J’en ai eu la pensée, et c’est moins le courage que le talent qui m’a manqué. Dites : Ce dictionnaire bien fait terminerait bien des disputes, mais non toutes. Les géomètres en ont entre eux, elles subsistent depuis longtemps, et je ne sais quand elles finiront. Il dit : Il ne faut rien avancer sans s’appuyer de l’expérience. Dites : Cela est juste : mais la contemplation étant sédentaire et l’expérience agitée, c’est-à-dire qu’il faut être ou Aristote, ou Newton, ou Galilée, ce que tout homme communément bien organisé peut être. Je ne sais comment l’auteur, qui sait tant de bons mots, ne s’est pas rappelé celuici. On a dit qu’une épigramme heureuse était une bonne fortune, mais qui n’arrivait presque jamais qu’à un homme d’esprit. | Combien d’inventeurs, et quelle pauvre gloire à l’être, si le mérite n’en était dû qu’au hasard, à l’intérêt, au désir ou à l’instruction ! Il dit : Les plus honnêtes gens ne sont pas ceux qui reconnaissent dans l’homme le plus de vertu. Dites franchement à l’auteur : Je ne suis pas de votre avis. Dites qu’il est des actions difficiles dont on aurait tort de se croire capable avant que de les avoir faites. Dites que Codrus, interrogé longtemps avant son étonnant sacrifice, aurait pensé de lui comme vous pensez de vous. On peut se promettre un courage qu’on ne se retrouve pas, une vertu qui nous abandonne au moment. On peut se croire incapable d’un crime qu’on commet, et capable d’une grande action qu’on ne fait pas. L’homme enivré de l’attente d’un bonheur éternel, s’ignore lui-même et fléchit le genou devant les idoles qu’il bravait au fond de son cœur, mais loin du chevalet . Ne pensons ni trop bien ni trop mal de nous, sans y être autorisés par des épreuves réitérées, attendons le dernier moment pour prononcer sur notre sort et sur notre vertu. « Mme Macaulay disait que jamais la vue d’un despote ou d’un prince n’avait souillé la pureté de ses regards ». Mme Macaulay avait vu son roi. Il dit que des expériences sans nombre prouvent que partout les hommes sont essentiellement les mêmes. Dites que s’il parle d’une société d’hommes policés et libres comparée à une autre société d’hommes policés et libres, peu s’en faut que cela ne soit vrai ; que s’il veut dire que partout un homme est un homme et non pas un cheval, c’est une platitude ; et que s’il entend par là que dans une société quelconque un homme en vaut essentiellement un autre, c’est une erreur. La définition de l’homme et de l’homme d’esprit n’étant pas la même, et toute définition contenant deux idées, dont l’une est le genre prochain et l’autre la différence spécifique ou essentielle, l’homme d’esprit est essentiellement différent de l’homme, et aussi essentiellement différent que l’homme l’est de la bête. L’organisation bonne ou mauvaise constitue entre les hommes une différence que rien peut-être ne saurait réparer. Les anatomistes, les médecins, les physiologistes vous le démontreront par un nombre infini de phénomènes : ouvrez leurs ouvrages, et vous verrez que ce ressort, quel qu’il | soit, de toutes nos opérations intellectuelles souffre d’une manière presque miraculeuse de la moindre altération qui survient dans le reste
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Egli dice: un’opera in cui si stabilisse il vero significato delle parole non può realizzarsi se non presso un popolo libero; aggiungete, o presso un popolo schiavo, solo da un uomo libero. Ne ho avuto l’idea; e mi è mancato meno il coraggio piuttosto che il talento. Dite: questo dizionario ben fatto metterebbe fine a molte dispute, ma non a tutte. I geometri ne hanno, tra loro; le dispute sussistono da lungo tempo; e non so quando finiranno. Egli dice: non bisogna affermare niente senza basarsi sull’esperienza; dite, questo è giusto: ma poiché la contemplazione è sedentaria e l’esperienza è agitata, ciò vale a dire che bisogna essere o Aristotele o Newton o Galileo, il che ogni uomo comunemente bene organizzato può essere. E io non so come l’autore, che sa tanti bei motti, non s’è ricordato di questo. Si dice che un epigramma felice era una buona fortuna, ma che non arrivava quasi mai se non a un uomo di spirito. Quanti inventori e quale povera gloria a esserlo, se il merito non fosse dovuto che al caso, all’interesse, al desiderio, o all’istruzione! Egli dice: la gente più onesta non è quella che riconosce nell’uomo più virtù; dite francamente all’autore: non sono del vostro parere. Dite che ci sono azioni difficili, di cui si avrebbe torto a credersi capaci, prima di averle fatte. Dite che Codro,140 interrogato molto prima del suo sorprendente sacrificio, avrebbe pensato di lui, come voi pensate di voi stesso. Ci si può ripromettere un coraggio che poi non si trova, una virtù che ci abbandona sul momento. Ci si può credere incapaci di un crimine che poi si commette, e capaci di una grande azione che non si riesce a fare. L’uomo ebbro per l’attesa di una felicità eterna, ignora se stesso, flette il ginocchio dinanzi agli idoli che sfidava in fondo al suo cuore, ma lungi dall’inginocchiatoio. Non pensiamo né troppo bene, né troppo male di noi, senza esservi autorizzati da prove reiterate. Aspettiamo l’ultimo momento per pronunciarci sulla nostra sorte e sulla nostra virtù. «Madame Macaulay141 diceva che mai la vista di un despota o di un principe aveva insozzato la purezza dei suoi sguardi».142 Madame Macaulay aveva visto il suo re. Egli dice che innumerevoli esperienze provano che ovunque gli uomini sono essenzialmente gli stessi. Dite che se egli parla di una società di uomini civilizzati e liberi, paragonata a un’altra società di uomini civilizzati e liberi, poco ci manca che ciò sia vero; e se vuol dire che ovunque un uomo è un uomo e non un cavallo, questa è una banalità; e che se con ciò intende che in una società qualsiasi un uomo vale essenzialmente quanto un altro, è un errore. Poiché la definizione dell’uomo e dell’uomo di spirito non è la stessa, e ogni definizione contiene due idee una delle quali è il genere prossimo e l’altra la differenza specifica o essenziale, l’uomo di spirito è essenzialmente diverso dall’uomo, e anche essenzialmente diverso quanto l’uomo dalla bestia. L’organizzazione buona o cattiva costituisce, fra gli uomini, una differenza che nulla forse potrebbe riparare. Gli anatomisti, i medici, i fisiologi ve lo dimostreranno con un numero infinito di fenomeni. Aprite le loro opere e vedrete che quella molla, quale che essa sia, di tutte le nostre operazioni intellettuali, soffre in un modo quasi miracoloso per la minima alterazione che sopravviene nel resto della macchina;
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de la machine ; vous verrez un léger accès de fièvre ou donner de l’esprit ou rendre stupide. N’avez-vous jamais eu le mal de tête ? Vous n’avez pas dit un mot des fous ; cependant la folie est un phénomène qui, bien considéré, vous aurait conduit à d’autres résultats que les vôtres. On voit, on entend, on flaire, on goûte, on touche aussi finement aux Petites-Maisons que dans votre cabinet de la rue Sainte-Anne, mais on y raisonne bien diversement. Que ne vous en demandiez-vous la raison ? Cette question, si vous vous l’étiez faite, aurait ajouté plus d’un chapitre essentiel à votre ouvrage ; peutêtre vous aurait-elle mené à la vraie cause de la différence des esprits, et engagé dans la recherche des moyens, s’il y en a, de réparer le vice d’un organe principal, de ce miroir sentant, pensant, jugeant, terne, obscurci, brisé, à la décision duquel toutes nos sensations sont soumises. Vous persuaderez-vous aisément que dans une machine telle que l’homme, où tout est si étroitement lié, où tous les organes agissent et réagissent les uns sur les autres, une de ses parties, solide ou fluide, puisse être viciée impunément pour les autres ? Vous persuaderez-vous bonnement que la nature des humeurs, du sang, de la lymphe, la capacité des vaisseaux de tout le corps, le système des glandes et des nerfs, la dure-mère, la pie-mère, la condition des intestins, du cœur, des poumons, du diaphragme, des reins, de la vessie, des parties de la génération, puisse varier sans conséquence pour le cerveau et le cervelet ? Vous vous le persuaderez, tandis que le tiraillement d’une fibre suffit pour susciter des spasmes effrayants : le ralentissement ou l’accélération du sang pour amener le délire et la léthargie : la perte inconsidérée de quelques gouttes de sperme pour affaiblir ou accroître l’activité : la suspension ou l’embarras d’une sécrétion pour jeter dans un malaise continu : l’amputation ou le froissement de deux glandes qui semblent n’avoir aucun rapport avec les fonctions intellectuelles pour donner de la voix ou la conserver, et ôter l’énergie, le courage, et presque métamorphoser un sexe en un autre ? Vous ne penserez donc pas qu’il ne naît presque aucun homme sans quelques-uns de ces défauts d’organisation, ou que le temps, le régime, les exercices, les peines, les plaisirs, ne tardent pas à les introduire en nous ; et vous | persisterez dans l’opinion ou que la tête n’en sera pas affectée, ou que cette affection sera sans conséquence pour la combinaison des idées, pour l’attention, pour la raison et pour le jugement. Jugez à présent combien vous êtes resté loin de la solution du problème que vous vous êtes proposé ; jugez de la force que mon objection prendrait dans la bouche d’un médecin instruit qui la fortifierait de ses connaissances spéculatives et pratiques. Lorsque vous avez demandé que l’homme, pour être également propre à toutes les opérations de l’esprit, fût communément bien organisé, vous avez fait la plus vague, la plus inintelligible, la plus indéterminée des demandes, puisque vous n’avez jamais pu y faire entrer la condition du cervelet, ni la condition du cerveau, ni celle du diaphragme, ni celle d’aucune des autres parties du corps. Tel homme me présente aujourd’hui les plus belles couleurs, de l’embonpoint, un œil vif, une constitution athlétique, et demain l’on m’apprend sa mort ; tel autre, faible, délicat, pâle, maigre, exténué, me paraît avoir un pied dans la fosse, et vit de longues années, sans se plaindre d’aucune infirmité.
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confutazione dettagliata dell’opera di helvétius intitolata
«l’uomo»
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vedrete un leggero accesso di febbre o dare spirito o rendere stupidi. Non avete mai avuto il mal di testa? Non avete detto una parola dei pazzi; tuttavia la follia è un fenomeno che, ben considerato, vi avrebbe condotto ad altri risultati, diversi dai vostri. Si vede, si sente, si fiuta, si gusta, si tocca altrettanto finemente alle Casette,143 quanto nel vostro studio della rue Sainte-Anne, ma vi si ragiona molto diversamente. Perché non ve ne domandate la ragione? Questa domanda, se ve la foste posta, avrebbe aggiunto più di un capitolo essenziale alla vostra opera; forse vi avrebbe condotto alla vera causa della differenza degli spiriti, e vi avrebbe impegnato nella ricerca dei mezzi, se ce ne sono, per riparare il vizio di un organo principale, di quello specchio seducente, pensante, giudicante, appannato, oscurato, spezzato, alla decisione del quale tutte le nostre sensazioni sono sottomesse. Vi sareste forse facilmente persuaso che in una macchina come quella dell’uomo, in cui tutto è così strettamente collegato, dove tutti gli organi agiscono e reagiscono gli uni sugli altri, una delle sue parti, solida o fluida, può essere viziata senza conseguenze penose per le altre? Vi convincereste, con buona pace dell’animo, che la natura degli umori, del sangue, della linfa, la capacità dei vasi sanguigni di tutto il corpo, il sistema delle ghiandole, dei nervi, la dura madre, la pia madre, la condizione degli intestini, del cuore, dei polmoni, del diaframma, dei reni, della vescica, delle parti della generazione, possono variare senza conseguenze per il cervello e il cervelletto? Ve ne convincereste, quando lo stiramento di una fibra basta per suscitare atroci spasmi: il rallentamento o l’accelerazione del sangue può portare al delirio o alla letargia: la perdita sconsiderata di poche gocce di sperma basta a indebolire o ad accrescere l’attività: la sospensione o l’ostruzione di una secrezione basta a gettare in un malessere continuo: l’amputazione o lo sfregamento di due ghiandole, che sembrano non avere alcun rapporto con le funzioni intellettuali, bastano a dare la voce o a conservarla, e a togliere l’energia, il coraggio, e quasi a metamorfizzare un sesso in un altro? Voi non penserete, dunque, che quasi non nasce uomo senza qualcuno di questi difetti di organizzazione, o il tempo, il regime, gli esercizi, le fatiche, i dolori, i piaceri non tardano a introdurli in noi? e voi persisterete nell’opinione che la testa non ne sarà affetta, o che tale affezione sarà priva di conseguenze per la combinazione delle idee, per l’attenzione, per la ragione e per il giudizio? Giudicate ora quanto siete rimasto lontano dalla soluzione del problema che vi siete proposto; giudicate la forza che la mia obiezione prenderebbe sulla bocca di un medico istruito, il quale la rafforzerebbe con le sue conoscenze speculative e pratiche. Quando avete chiesto che l’uomo, per essere ugualmente adatto a tutte le operazioni dello spirito, fosse comunemente bene organizzato, avete fatto la più vaga, la più inintelligibile, la più indeterminata delle richieste, poiché non avete mai potuto fare entrare in essa la condizione del cervelletto, né la condizione del cervello, né quella del diaframma, né quella di alcun’altra parte del corpo. Il tale uomo mi presenta oggi il più bel colorito, una bella rotondità, un occhio vivo, una costituzione atletica, e domani vengo a sapere della sua morte; talaltro, debole, delicato, pallido, magro, estenuato, sembra avere un piede nella tomba, e invece vive lunghi anni, senza lamentarsi di alcuna infermità.
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Section III [Chapitre 1]
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Le hasard cause de l’inégalité de l’esprit ; le désir cause de la supériorité d’un homme sur un autre ; toute découverte, toute idée neuve, faveurs du hasard. Voilà bien des propositions générales hasardées. Un homme s’occupe de physique, d’anatomie, de mathématiques, d’histoire : la suite de quelques-unes de ses études le conduit à une conjecture que l’expérience justifie : et l’auteur appelle cela un hasard. Descartes, algébriste et géomètre, s’aperçoit que les signes de l’algèbre peuvent également représenter des nombres, des lignes, des surfaces et des solides, et que l’expression d’une vérité algébrique peut se rendre ou traduire en figures : il invente l’application de l’algèbre à la géométrie ; et l’auteur appelle cela un hasard. Leibniz et Newton imaginent en même temps que les signes de l’algèbre peuvent également exprimer le rapport | de deux quantités finies, ou le rapport évanouissant de ces deux quantités, et ils publient la méthode du calcul différentiel et intégral ; et l’auteur appelle cela un hasard. Newton assis dans un jardin voit des fruits se détacher de l’arbre et tomber ; il réfléchit à la cause de la pesanteur, et il soupçonne que la force qui précipite les graves vers le rentre de la terre, retient les corps célestes dans leurs orbites : il compare cette idée avec les observations astronomiques, et il découvre la loi de l’univers : et l’auteur appelle cela un hasard. Galilée voit tomber les corps ; il s’aperçoit que leur vitesse s’accroît à chaque instant : il cherche par l’expérience quelle est la loi de cette accélération, et il découvre que les espaces parcourus dans des temps égaux sont comme la suite des nombres impairs ; et l’auteur appelle cela un hasard. Roemer présume que la vitesse de la lumière n’est pas instantanée ; il cherche dans les tables les temps de l’immersion et de l’émersion d’un satellite de Jupiter ; il observe et s’aperçoit que le satellite se voit encore lorsqu’il devrait être caché derrière la planète, et qu’on ne le voit pas encore lorsqu’il devrait en être sorti : d’où il conclut que la différence de l’immersion ou de l’émersion à l’apparition ou la disparition du satellite, est la durée précise que la lumière emploie à parcourir l’espace du satellite ou de Jupiter jusqu’à la terre ; et l’auteur appelle cela un hasard. Et comme les hasards sont faits également pour tous les hommes communément bien organisés, l’auteur conclut de là l’égalité des esprits : une méthode pour faire des gens de génie.A En vérité cela fait pitié. Dites-lui : C’est la nature, c’est l’organisation, ce sont des causes purement physiques qui préparent l’homme de génie ; ce sont des causes morales qui le font éclore ; c’est une étude assidue, ce sont des connaissances acquises qui le conduisent à des conjectures heureuses ; ce sont ces conjectures vérifiées par l’expérience qui l’immortalisent. | A
[«Considère-t-on l’esprit et le génie moins comme l’effet de l’organisation que du hasard ; il est certain, comme je l’ai déjà dit, qu’en observant les moyens employés par le hasard pour former de grands hommes, on peut d’après cette observation modeler un plan d’éducation qui les multipliant dans une nation, y rétrécisse infiniment l’empire de ce même hasard, et diminue la part immense qu’il a maintenant à notre instruction» (p. 430-431)].
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Sezione iii [CAPITOLO 1]
Il caso è causa della disuguaglianza tra gli spiriti. Il desiderio è causa della superiorità di un uomo su un altro. Ogni scoperta, ogni nuova idea, favori del caso.144 Ecco qui delle proposizioni generali avventate.145 Un uomo si occupa di fisica, di anatomia, di meccanica, di matematica, di storia: il seguito di alcuni tra i suoi studi lo conduce a una congettura che l’esperienza giustifica. E l’autore chiama ciò un caso. Descartes, algebrista e geometra, si accorge che i segni dell’algebra possono anche rappresentare dei numeri, delle linee, delle superfici, dei solidi; e che l’espressione di una verità algebrica si può rendere o tradurre in figure: egli inventa l’applicazione dell’algebra alla geometria. E l’autore chiama ciò un caso. Leibniz e Newton immaginano allo stesso tempo che i segni dell’algebra possano anche esprimere il rapporto tra due quantità finite, o il rapporto che dilegua146 tra queste due quantità e pubblicano il metodo del calcolo differenziale e integrale. E l’autore chiama ciò un caso. Newton seduto in un giardino vede dei frutti staccarsi dell’albero e cadere. Egli riflette sulla causa della pesantezza e suppone che la forza che precipita i gravi verso il centro della terra sia la stessa che trattiene i corpi celesti nelle loro orbite. Egli paragona quest’idea alle osservazioni astronomiche, e scopre la legge dell’universo. E l’autore chiama ciò un caso. Galileo vede cadere i corpi, si accorge che la loro velocità aumenta a ogni istante. Cerca sperimentalmente quale sia la legge di questa accelerazione e scopre che gli spazi percorsi in tempi uguali sono come la successione dei numeri dispari. E l’autore chiama ciò un caso. Roemer147 ipotizza che la velocità della luce non sia istantanea. Egli cerca nelle tavole i tempi dell’immersione e dell’emersione di un satellite di Giove.148 Osserva e si accorge che il satellite si vede ancora quando dovrebbe essere nascosto dietro il pianeta e che non lo si vede ancora quando dovrebbe esserne uscito: da ciò conclude che la differenza tra l’immersione o l’emersione e l’apparizione o la sparizione del satellite è la durata esatta che la luce impiega per percorrere lo spazio dal satellite o da Giove fino alla Terra. E l’autore chiama ciò un caso. E dato che i casi sono fatti ugualmente per tutti gli uomini generalmente ben organizzati, l’autore deduce da ciò l’uguaglianza tra gli spiriti, un metodo per fare delle persone di genio.A In verità, ciò fa pena. Ditegli: ‘È la natura, è l’organizzazione, sono delle cause puramente fisiche che preparano l’uomo di genio. Sono delle cause morali che lo fanno sbocciare. È uno studio assiduo, sono delle conoscenze acquisite che lo conducono a delle congetture felici. Sono queste congetture verificate dall’esperienza che lo rendono immortale’. Vi risponA
[«Si considerino lo spirito e il genio meno come l’effetto dell’organizzazione che del caso. È certo, come ho già detto, che osservando i procedimenti impiegati dal caso per formare dei grandi uomini, si può, a partire da questa osservazione, modellare un piano educativo che, moltiplicandoli in una nazione, vi restringa infinitamente l’imperio di questo stesso caso, e diminuisca la parte immensa che esso ha adesso nella nostra istruzione» (pp. 430-431)].
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Il vous répondra : Moi, je ne vois dans tout cela qu’un enchaînement de hasards, dont le premier est son existence et le dernier sa découverte ; et il n’y a point d’hommes communément bien organisés qui n’aient apporté en naissant l’aptitude au même sort et à la même illustration. Cette vision me console et doit en consoler bien d’autres : car quel est l’homme assez insensé pour être humilié d’une prédilection du hasard ? Quel est l’homme qui ne puisse se regarder comme un homme de génie, si le hasard le veut ? Helvétius, vous souriez, et pourquoi souriez-vous ? Je ne suis pas communément bien, je suis bien organisé ; j’ai du sens, j’ai des connaissances, j’ai l’habitude de la méditation. Je ne demanderais pas mieux que de jouir d’une grande considération pendant ma vie et que de laisser un nom illustre après ma mort ; un violent désir de découvrir, d’inventer, interrompt mon sommeil pendant la nuit, me poursuit pendant le jour ; il ne me manque qu’un heureux hasard, je l’attends ; il est vrai que c’est depuis environ cinquante ans, sans qu’il soit venu ; mais qui vous a dit qu’il ne viendrait pas ?... Vous souriez encore, et vous avez raison. S’il arrive à quelque autre qu’à un D’Alembert, à un La Grange, à un Euler, ou quelque autre géomètre de la même force de perfectionner le calcul des fluxions, je jure de croire à Helvétius et à son hasard ; mais je ne risque rien. [CHAPITRE 2]
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P. 426. « Lorsque j’entrevois une vérité elle est déjà découverte ». C’est l’occupation habituelle de mon état qui me ramène sans cesse sur les découvertes à faire pour le mener à sa perfection. En rêvant aux différents moyens de résoudre avec succès quelques-uns de ces problèmes, il s’en présente un à mon esprit, et ce moyen est l’effet de quelques faces nouvelles sous lesquelles j’ai comparé mon objet : il peut être bon ou mauvais, je l’essaye. Voilà ce qu’Helvétius entend apparemment par entrevoir une vérité. Mais qu’entrevoit-on quand on conjecture, quand on ignore le terme de sa route, quand la vérité cherchée est à l’extrémité de cette route, quand, tortueuse ou droite, on est incertain si l’on pourra la suivre jusqu’au bout ; quand en la suivant jusqu’au bout on n’y rencontre qu’une illusion, un fantôme ? | En se désabusant d’un moyen trompeur, il arrive quelquefois qu’on en imagine un autre qu’on croit plus solide et qui ne l’est pas davantage ; un troisième qui séduit, et qu’à l’essai on reconnaît aussi infructueux que les précédents, et ainsi pendant de longues années, jusqu’à ce qu’on réussisse ou qu’on meure à la peine. Voilà ce que j’appelle l’histoire des erreurs ou des découvertes ; et la première, de nulle utilité pour la science, montrerait souvent plus de sagacité de la part de l’inventeur. La fable a caché la Vérité au fond d’un puits, mais d’un puits si profond, qu’il n’est pas donné à tous les yeux de l’y apercevoir. J’appuie le philosophe sur les bords de ce puits ; il regarde : d’abord il n’aperçoit que des ténèbres ; peu à peu ces ténèbres semblent perdre de leur épaisseur ; il croit entrevoir la Vérité : son cœur en tressaillit de joie, mais bientôt il reconnaît son erreur, ce qu’il a pris pour la Vérité ne l’était pas. Son âme se flétrit, mais cependant il ne se décourage pas ; il frotte ses yeux, il redouble de contention ; il vient un moment où il s’écrie avec transport : C’est elle !... et ce l’est en effet, ou ce ne l’est pas. Il ne la cherche pas à l’aventure ; ce n’est point un aveugle qui tâtonne, c’est un homme clairvoyant qui a longtemps réfléchi sur la meilleure manière d’user de ses yeux selon les différentes circonstances. Il essaye ces méthodes ; et lorsqu’il
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derà: ‘Io, non vedo in tutto ciò nient’altro che una concatenazione di casi, il primo dei quali è la sua stessa vita e l’ultimo la sua scoperta. E non ci sono uomini generalmente ben organizzati che non abbiano portato con sé, nascendo, l’attitudine alla stessa sorte e alla stessa gloria’. Questa visione mi consola e deve consolare molti altri, poiché chi è l’uomo così insensato da essere umiliato da una predilezione del caso? Qual è l’uomo che non possa considerarsi come un uomo di genio, se il caso lo vuole? Helvétius, voi sorridete, e perché sorridete? Ho forse qualcosa che non va? Sono ben organizzato, ho del senso, ho delle conoscenze, ho l’abitudine alla meditazione. Non domanderei di meglio che di godere di una grande considerazione durante la mia vita e di lasciare un nome illustre dopo la mia morte. Un violento desiderio di scoprire, d’inventare, interrompe il mio sonno durante la notte, mi perseguita durante il giorno. Non mi manca altro che un caso fortunato. L’attendo. È vero che sono passati circa cinquant’anni, senza che esso sia arrivato, ma chi vi ha detto che non verrà?... Voi sorridete di nuovo, e avete ragione. Se capita a qualcun altro che non sia un D’Alembert, un Lagrange, un Eulero,149 o qualche altro geometra dello stesso calibro, di perfezionare il calcolo delle flussioni,150 io giuro di credere a Helvétius e al suo caso, ma non rischio alcunché. [CAPITOLO 2]
P. 426. «Appena intravedo una verità, essa è già scoperta». È l’occupazione abituale della mia condizione che mi riconduce senza sosta alle scoperte da compiere, così da portarla alla sua perfezione. Fantasticando sui diversi procedimenti per risolvere con successo qualcuno di questi problemi, se ne presenta uno al mio spirito151 e questo procedimento è l’effetto di qualche lato nuovo sotto il quale ho considerato il mio oggetto. Esso può essere buono o cattivo, lo metto alla prova. Ecco ciò che Helvétius intende, a quanto sembra, con intravedere una verità. Ma che cosa si intravede quando si congettura, quando s’ignora il termine del proprio cammino, quando la verità ricercata è al termine di questo cammino, quando, tortuoso o diritto, si è incerti se lo si potrà seguire fino alla fine; quando, seguendolo fino alla fine, non ci si imbatte che in un’illusione, in un fantasma? Liberandosi di un procedimento fallace, accade talvolta che se ne immagini un altro, che si crede più solido e non lo è di più, un terzo che seduce, e alla prova dei fatti si riconosce tanto infruttuoso quanto i precedenti e così di seguito, per lunghi anni, fino a che si abbia un buon esito o si muoia per la fatica. Ecco ciò che io chiamo la storia degli errori o delle scoperte. E la prima, di nessuna utilità per la scienza, rivelerà spesso una maggiore sagacia dell’inventore. La favola ha nascosto la verità nel fondo di un pozzo,152 ma nel fondo di un pozzo così profondo che non è dato a tutti gli occhi di scorgerlo. Appoggio il filosofo al bordo di questo pozzo. Egli guarda. Innanzitutto non scorge che tenebre; poco a poco queste tenebre sembrano perdere il loro spessore, crede di intravedere la verità, il suo cuore ne sussulta di gioia, ma presto riconosce il proprio errore: ciò che ha preso per la verità non lo era. Il suo animo avvizzisce, ma tuttavia egli non si scoraggia, si strofina gli occhi, intensifica la concentrazione, arriva un momento in cui esclama con trasporto: ‘È lei...’ ed è lei in effetti, o non lo è. Non la cerca alla ventura, non è un cieco che va a tentoni, è un uomo chiaroveggente che ha riflettuto a lungo sulla maniera migliore di usare i propri occhi, in relazione alle differenti circostanze.153 Mette alla prova questi metodi
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s’est bien convaincu de leur insuffisance, que fait-il ? il en cherche d’autres. Alors il ne regarde plus au fond du puits, il regarde en lui-même ; c’est là qu’il se promet de découvrir et les différentes manières dont on peut se cacher dans un puits, et les ruses différentes dont on peut user pour en faire sortir la Vérité qui s’y est retirée. D’où l’on voit que ce n’est point au hasard que l’on doit sa première tentative, mais à la connaissance des imperfections de son art, connaissance qu’on tient de l’étude ; et que ce n’est pas plus au hasard qu’il faut attribuer les moyens de la découverte que la découverte elle-même. Rien ne se fait par saut dans la nature et l’éclair subit et rapide qui passe dans l’esprit tient à un phénomène antérieur avec lequel on en reconnaîtrait la liaison, si l’on n’était pas infiniment plus pressé de jouir de sa lueur que d’en rechercher la cause. L’idée féconde, quelque bizarre qu’elle soit, quelque fortuite qu’elle paraisse, ne ressemble point du tout à la pierre qui se détache du toit et qui tombe sur une tête. La pierre frapperait indistinctement | toute tête également exposée à sa chute. Il n’en est pas ainsi de l’idée ; et il n’est pas indifférent à Fontaine, qui s’occupe de la perfection des nouveaux calculs, de rencontrer D’Alembert ou Clairaut, ou quelque autre géomètre. Un passant ne dit point à un autre passant : Vous m’avez volé ma pierre... et tous les jours j’entends un savant dire à un autre : Vous m’avez volé mon idée. Combien il en tombe qui ne rencontrent point de tête ! Assurément, c’est à la chaleur d’une conversation, à une dispute, une lecture, un mot, qu’on doit quelquefois le premier soupçon d’une vérité ; mais à qui ce soupçon vient-il ? À tous les hommes communément bien organisés. Par combien de préliminaires il a été préparé ! P. 428. « Il est des méthodes sûres pour former des savants : il n’en est point pour former des hommes de génie ». Si Helvétius y avait bien regardé, il aurait vu que celui qui a reçu l’aptitude à la science ne doit pas moins son érudition au hasard que celui qui a reçu de la nature l’aptitude ou l’organisation du génie ne lui doit ses découvertes. Il aurait vu qu’il n’y a pas plus ni pas moins de méthode pour faire un érudit que pour faire un homme de génie, sans présupposer une organisation propre à chacun de ses états. Il aurait vu que cette organisation présupposée, les honneurs, les récompenses multiplieront sans nombre ces sortes de joueurs et ces événements heureux que l’auteur appelle des hasards. Il aurait vu que, sans cette organisation présupposée, tous les moyens imaginables auraient été stériles. En quoi consiste donc l’importance de l’éducation ? Ce n’est point du tout de faire du premier enfant communément bien organisé ce qu’il plaît à ses parents d’en faire, mais de l’appliquer constamment à la chose à laquelle il est propre : à l’érudition, s’il est doué d’une grande mémoire ; à la géométrie, s’il combine facilement des nombres et des espaces ; à la poésie, si on lui reconnaît de la chaleur et de l’imagination ; et ainsi des autres sciences : et que le premier chapitre d’un bon traité d’éducation, doit être de la manière de connaître les dispositions naturelles de l’enfant. | [CHAPITRE 3]
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P. 432. « L’inégalité des esprits vient moins du partage trop inégal des dons du hasard que de l’indifférence avec laquelle on les reçoit ». – Et cette différence, d’où vient-elle ? – De la différence d’attention. – Et cette attention différente ? – De l’in-
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e quando si è ben convinto della loro insufficienza, che fa? ne cerca altri. Allora non guarda più in fondo al pozzo, guarda in se stesso: è lì che si ripromette di scoprire sia le diverse maniere con le quali ci si può nascondere in un pozzo, sia le diverse astuzie che si possono usare per farvi uscire la verità che vi si è ritirata. Da ciò si vede che non è al caso che si deve questo primo tentativo, ma alla conoscenza delle imperfezioni della sua arte, conoscenza che possiede dallo studio; e che non si devono attribuire più al caso i procedimenti della scoperta, che la scoperta stessa. Niente si compie per salti in natura:154 il lampo subitaneo e rapido che passa nello spirito dipende da un fenomeno anteriore col quale si riconoscerebbe il nesso, se non si fosse infinitamente più indaffarati a godere del proprio compiacimento piuttosto che a cercarne la causa.155 L’idea feconda, per quanto bizzarra essa sia, per quanto fortuita appaia, non sembra per niente la pietra che si stacca dal tetto e cade su una testa.156 La pietra colpirebbe indistintamente ogni testa esposta allo stesso modo alla sua caduta. Non è lo stesso dell’idea, e non è indifferente a Fontaine, che si occupa della perfezione dei nuovi calcoli, di incontrare D’Alembert o Clairaut,157 o qualche altro geometra. Un passante non dice certo a un altro passante: ‘Mi avete rubato la pietra!’ e però ogni giorno sento che un dotto dice a un altro: ‘Mi avete rubato la mia idea!’ Quante ne cadono senza incontrare alcuna testa! Sicuramente è al calore di una conversazione, di una disputa, di un lettura, di una parola, che si deve talvolta il primo sospetto di una verità, ma a chi viene questo sospetto? A tutti gli uomini generalmente ben organizzati. Da quanti preliminari esso è stato preparato! P. 428. «Ci sono dei metodi sicuri per formare dei dotti, non ce ne sono per formare degli uomini di genio». Se Helvétius avesse ben considerato la cosa, avrebbe visto che colui che ha ricevuto l’attitudine alla scienza non deve di meno la sua erudizione al caso di quanto non debba a esso le sue scoperte colui che ha ricevuto dalla natura l’attitudine o l’organizzazione del genio. Avrebbe visto che così come non c’è un metodo per fare un erudito, non ve ne è nemmeno per fare un uomo di genio, senza presupporre un’organizzazione propria a ciascuna di queste condizioni. Avrebbe visto che, presupposta quest’organizzazione, gli onori, le ricompense moltiplicheranno infinitamente questo tipo di giocatori158 e questi avvenimenti fortunati che l’autore chiama dei casi fortunati. Avrebbe visto che, senza quest’organizzazione presupposta, tutti i procedimenti immaginabili sarebbero stati sterili. In che cosa consiste quindi l’importanza dell’educazione? Non si tratta certo di fare del primo bambino in generale ben organizzato ciò che piace farne ai suoi genitori, ma di rivolgerlo costantemente alla cosa alla quale egli è adatto: all’erudizione, se è dotato di una grande memoria, alla geometria, se combina facilmente dei numeri e degli spazi, alla poesia, se si scorge in lui dell’ardore e dell’immaginazione, e così di seguito per le altre scienze. E inoltre, che il primo capitolo di un buon trattato di educazione deve essere sulla maniera di conoscere le disposizioni naturali del bambino. [CAPITOLO 3]
P. 432. «La disuguaglianza degli spiriti viene meno dalla ripartizione troppo ineguale dei doni del caso che dall’indifferenza con la quale li si riceve». E quest’indifferenza da dove viene? – Dalla differenza di attenzione. – E questa differente attenzione?
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térêt. – Et l’intérêt ? – De l’instruction. – Mais l’instruction ne donne point l’intérêt ; elle le détruit quelquefois. – Dans l’instruction je fais entrer toutes les sortes d’encouragements. – Mais il y a mille exemples d’enfants encouragés par tous les moyens possibles dont on n’a rien fait, et d’autres découragés par tous les moyens possibles de la chose qu’ils ont faite, tantôt bien, tantôt mal ou médiocrement, en dépit de tous les obstacles qu’on leur a suscités. [CHAPITRE 4] P. 436. « Il est peu de Colombs ; et sur les mers de ce monde, uniquement jaloux d’honneurs, de places, de crédit et de richesses, peu d’hommes s’embarquent pour la découverte de vérités nouvelles ». Je n’en suis pas surpris, surtout si votre système est vrai. Toutes nos pensées, tous nos travaux, toutes nos vues se résolvent en dernière analyse à des voluptés sensuelles. Que fait donc celui qui prend l’or et qui dédaigne la découverte ? Il va droit au but, il est sage. Pourquoi voulez-vous qu’il fasse un long circuit pour arriver à un terme prochain ? [CHAPITRE 3]
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Il y a je ne sais quoi de louche dans le commencement de ce chapitre. Est-ce ma faute ou celle de l’auteur ? Je n’en sais rien.A J’entendrais mieux, ce me semble, s’il avait dit : Si le hasard partageait également ses dons, s’il offrait à tous, etc. « On reçoit avec indifférence les dons du hasard ». | Voilà une façon de s’exprimer bien singulière ; on dirait que l’art des découvertes est un jeu où l’on perd par sa faute, et que le valet de Newton ait eu grand tort de laisser aller à son maître la chance des expériences sur la lumière. Helvétius dit : C’est le hasard qui fait qu’un auteur pense à telle ou telle matière. Dites, vous : C’est qu’il est ou géomètre ou métaphysicien, ou mécanicien. C’est son métier. Helvétius dit : C’est le hasard qui fixe les regards de l’auteur sur tel ou tel point de la science ou de l’art. Dites, vous : Rien n’est plus naturel et plus ordinaire que de s’attacher aux endroits où les efforts de nos prédécesseurs se sont arrêtés, et que de partir de là pour faire un pas en avant. Un hasard, ce serait le cas où Vaucanson s’occuperait d’un éloge, et Thomas d’une machine. Allez chez D’Alembert ou chez Fontaine, et vous les trouverez occupés à perfectionner le calcul intégral, à chercher le moyen de sommer absolument, ou par quelque prompte et facile approximation, une équation d’une forme rénitente. Allez chez Bézout, et demandez-lui ce qu’il fait, il vous dira qu’il est tourmenté de la solution générale des équations de tous les degrés. Helvétius dit que c’est par hasard qu’on trouve la chose qu’on cherche. A Helvétius dit : « Si presque tous les objets considérés avec attention ne renfermaient point en eux la semence de quelque découverte ; si le hasard ne partageait pas à peu près également ses dons et n’offrait point à tous des objets de la comparaison desquels il pût résulter des idées grandes et neuves, l’esprit serait presque en entier le don du hasard ».
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– Dall’interesse. – E l’interesse? – Dall’istruzione. – Ma l’istruzione non produce certo l’interesse, talvolta, anzi, lo distrugge. – Nell’istruzione, io annovero ogni sorta d’incoraggiamento. – Ma ci sono mille esempi di bambini incoraggiati in tutti i modi possibili, dei quali non si è fatto niente, e di altri, scoraggiati in tutti i modi possibili dalla cosa che hanno fatto, a volte bene, a volte male o mediocremente, a dispetto di tutti gli ostacoli che gli si sono posti. [CAPITOLO 4]
P. 436. «Ci sono pochi Colombo; e sui mari di questo mondo, bramosi unicamente di onori, di posti, di credito e di ricchezze, pochi uomini s’imbarcano per scoprire nuove verità».159 Non ne sono sorpreso, soprattutto se il vostro sistema è vero. Tutti i nostri pensieri, le nostre fatiche, tutti i nostri scopi, si risolvono, in ultima analisi, in piaceri sensuali. Che fa quindi colui che afferra l’oro e che disdegna la scoperta? Va diritto all’obiettivo. È saggio. Perché volete che faccia un giro lungo, per arrivare a un termine prossimo? [CAPITOLO 3]
C’è un non so che di equivoco nell’inizio di questo capitolo.161 Se sia colpa mia o dell’autore, non lo so proprio.A Capirei meglio, mi sembra, se avesse detto: ‘Se il caso spartisse ugualmente i suoi doni, se offrisse a tutti, ecc...’ «Si ricevono con indifferenza i doni del caso». Ecco un modo di esprimersi assai singolare: si direbbe che l’arte delle scoperte è un gioco, nel quale si perde a causa del proprio errore e che il domestico di Newton abbia avuto un gran torto a lasciar capitare al suo padrone l’occasione dell’esperienza sulla luce. Helvétius dice: ‘È il caso a far sì che un autore pensi in questa o quest’altra maniera’. Dite, voi: ‘Il fatto è che lui è geometra, o metafisico, o meccanico. È il suo mestiere’. Helvétius dice: ‘È il caso che fissa lo sguardo dell’autore su questo o quest’altro punto della scienza o dell’arte’. Dite, voi: ‘Niente è più naturale e più ordinario dell’applicarsi a quei punti all’altezza dei quali si sono fermati gli sforzi dei nostri predecessori, e di partire da lì per fare un passo avanti’. Un caso sarebbe che Vaucanson s’occupasse di un elogio e Thomas162 di una macchina. Andate da D’Alembert o da Fontaine e li troverete impegnati a perfezionare il calcolo integrale, a cercare il modo di sommare assolutamente o per mezzo di qualche immediata e facile approssimazione, un’equazione di una figura renitente.163 Andate da Bézout164 e domandategli che cosa fa: vi dirà che è tormentato dalla soluzione generale delle equazioni di ogni grado. Helvétius dice che è per caso che si trova la cosa che si cerca. 160
A Helvétius dice: «Se quasi tutti gli oggetti considerati con attenzione non racchiudessero in loro stessi il seme di qualche scoperta; se il caso non spartisse i suoi doni quasi in maniera uniforme, e non offrisse a tutti degli oggetti di comparazione dai quali possano risultare delle idee grandi e nuove, lo spirito sarebbe quasi interamente il dono del caso».
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Dites, vous, que la tentation est toujours précédée d’une certaine suite de raisonnements ou d’idées systématiques à vérifier par l’expérience. Le seul hasard qu’il y ait entre deux hommes à peu près également habiles, c’est que l’un, mieux conduit que l’autre, découvre ce qu’ils étaient également capables de découvrir tous les deux. Pierre court aussi bien que Jean, mais Jean l’a malheureusement gagné de vitesse. Lorsqu’on demanda à Newton comment il avait découvert le système du monde, il ne répondit point : par hasard ; mais il répondit : en y pensant beaucoup. Un autre aurait ajouté : et qu’il était lui. Je sais, comme Bézout, où les progrès de l’analyse se sont arrêtés ; mais si nous nous occupons ensemble du même problème, il y a mille à parier contre un que c’est lui qui le résoudra, quand il s’agirait de ma vie et que j’y donnerais mille fois plus d’attention que lui. | Helvétius dit : « Il n’est point d’homme animé du désir ardent de la gloire qui ne se distingue toujours plus ou moins dans l’art ou la science qu’il cultive ». Laissez-le dire, cela n’est pas vrai ; il parle contre l’expérience. Helvétius dit : « Entre deux hommes également jaloux de s’illustrer, c’est le hasard qui décide ». Laissez-le dire ; cette jalousie peut agiter l’inepte plus violemment que l’homme de génie ; et : « Je voudrais bien faire une belle découverte, » est le propos très ordinaire d’un sot. Helvétius dit : « Le hasard préside encore au choix des objets ». Laissez-le dire. Chacun est à son métier, tous ont les yeux tournés vers le même côté. L’un voit, parce qu’il a de bons yeux et que son regard s’adresse juste ; l’autre ne voit pas, ou parce qu’il a de mauvais yeux ou qu’il regarde à côté. Et le moment où le premier voit le mieux, ce n’est pas toujours celui où il se tue de regarder, c’est lorsqu’il est las d’une contention inutile, et qu’il laisse aller son regard superficiel et négligent sur un objet dont il est presque dégoûté. Celui qui est tout entier à un moyen ne voit que celui-là. Celui qui plane, pour ainsi dire, au-dessus de l’objet, aperçoit plusieurs routes qui peuvent l’y conduire. Il est des circonstances où la grande attention concentrée sur un point est nuisible, et où un regard vague sert davantage. P. 434. « Les semences des découvertes présentées à tous par le hasard sont stériles, si l’attention ne les féconde ». Mais l’attention seule suffit-elle pour les féconder ? [CHAPITRE 4]
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P. 435.A Votre comparaison des hommes à des commerçants est brillante, mais estelle juste ? Il me semble qu’il y a une lutte effroyable entre tous ceux qui courent la même carrière, et que cette émulation outrée va jusqu’à l’injustice et la haine. La mer est la même. Tous tentent des découvertes ; mais l’un marche au hasard, il n’a qu’un | mauvais pilote, il manque de boussole, son vaisseau est mauvais voilier. A [« Je ne vois dans la plupart des hommes que des commerçants avides. S’ils arment, ce n’est pont dans l’espérance de donner leur nom à quelque contrée nouvelle. Uniquement sensibles à l’espoir du gain, ce qu’ils craignent, c’est que leur vaisseau ne s’écarte des routes fréquentées. Or ces routes ne sont pas celles des découvertes » (p. 435-436).]
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Dite, voi, che il tentativo è sempre preceduto da una certa serie di ragionamenti o di idee sistematiche, da verificare per mezzo dell’esperienza Il solo caso che si dia, tra due uomini all’incirca ugualmente abili, è che uno, meglio condotto dell’altro, scopre ciò che entrambi erano ugualmente in grado di scoprire. Pietro corre altrettanto bene quanto Giovanni, ma Giovanni sfortunatamente l’ha battuto in velocità. Quando si domandava a Newton come avesse scoperto il sistema del mondo; non rispondeva: ‘Per caso’. Ma rispondeva: ‘Pensandoci molto’. Un altro avrebbe aggiunto: ‘E perché era lui’. Io so, come Bézout, dove si sono fermati i progressi dell’analisi, ma se ci occupiamo insieme dello stesso problema, c’è da scommettere mille a uno che sarà lui a risolverlo, quand’anche ne andasse della mia vita e io vi mettessi mille volte più attenzione di lui. Helvétius dice: «Non c’è uomo animato dal desiderio ardente della gloria che non si distingua sempre, ora più ora meno, nell’arte o nella scienza che coltiva». Lasciatelo dire: ciò non è vero. Parla contro l’esperienza. Helvétius dice: «Tra due uomini ugualmente bramosi di rendersi famosi, è il caso a decidere». Lasciatelo dire: questa bramosia può agitare l’inetto più violentemente dell’uomo di genio. Inoltre, ‘Vorrei proprio fare una bella scoperta’, è il discorso, assai usuale, di uno sciocco. Helvétius dice: «Il caso presiede anche alla scelta degli argomenti». Lasciatelo dire: ciascuno ha il suo mestiere, tutti hanno gli occhi rivolti verso lo stesso lato. Uno vede perché ha dei buoni occhi e perché il suo sguardo si rivolge bene. L’altro non vede o perché ha occhi cattivi o perché guarda di lato. E il momento nel quale il primo vede meglio, non è sempre quello nel quale si ammazza a forza guardare. Quel momento viene quando egli è stanco a causa di un’inutile concentrazione e lascia andare il suo sguardo superficiale e negligente su un oggetto dal quale è quasi disgustato.165 Chi è totalmente impegnato in un procedimento, non vede che quello. Chi plana, per così dire, al di sopra dell’oggetto, intravede molteplici vie che possono condurvelo. Ci sono delle circostanze in cui la grande attenzione, concentrata in un punto, è nociva; e in tal caso uno sguardo vago serve di più. P. 434. «I semi delle scoperte presentati a tutti dal caso sono sterili, se l’attenzione non li feconda». Ma basta la sola attenzione a fecondarli? [CAPITOLO 4]
P. 435. Il vostro paragone tra gli uomini e i commercianti è brillante, ma è vero? Mi sembra che ci sia una lotta spaventosa tra tutti coloro che tentano la stessa carriera e che questa concorrenza esagerata si spinga fino all’ingiustizia e all’odio. Il mare è lo stesso. Tutti cercano di scoprire qualcosa. Ma uno procede a caso, ha un cattivo pilota, manca di bussola, il suo bastimento è un cattivo veliero. A
A [«Nella maggior parte degli uomini non vedo altro che dei commercianti avidi. Se armano un bastimento, non è nella speranza di dare il loro nome a qualche nuova regione. Sensibili unicamente alla speranza di guadagno, ciò che temono è che il loro vascello si allontani dalle rotte consuete. Queste rotte, tuttavia, non sono quelle delle scoperte» (pp. 435-436)].
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Il n’y en a pas un qui ne sache que le chemin de la fortune, de l’honneur, de la richesse est le même. P. 437.A L’auteur était tout à l’heure en pleine mer, le voilà au fond des forêts où mille tournoient et tournoieront sans rien découvrir. L’homme de génie a ouvert le sentier, la multitude l’aplanit : c’est la classe des auteurs classiques, classe qui n’est pas assez prisée, esprits nets, esprits justes qui rendent la science commune. P. 438. « Qu’est-ce que le besoin de la gloire ? C’est le besoin du plaisir ; dans tout pays où la gloire cesse d’en être représentative, le citoyen est indifférent à la gloire ». – Oui, le citoyen en général. On ne sent comme l’auteur que dans la vieillesse. Le spectacle de l’homme illustre qui meurt de faim est sans cesse exposé aux yeux des enfants par des pères sensés. Malheureux, que veux-tu faire ? Il est incertain que tu ailles à la gloire, et tu cours droit à la misère... Voilà les propos dont nos foyers retentissent, mais ils ne convertissent guère que les enfants médiocres ; les autres laissent dire les parents et vont où la nature les appelle. Tout ce que l’auteur ajoute ne convient qu’à ceux qui ne sont pas vraiment appelés. [CHAPITRE 1] 554
P. 424. « Notre mémoire est le creuset des souffleurs ». | Oui. Mais jetez dans un creuset, sans choix et sans projet, des matières diverses prises au hasard ; et sur un essai qui vous rendra quelque chose d’utile, cent fois, mille fois vous aurez perdu votre creuset, votre temps, vos ingrédients et votre charbon. [SECTION II Note 37] P. 414. « Tout homme accoutumé aux finesses de la chicane, remonte difficilement aux premiers principes des lois ». Dites, Tout homme en général ; et ne regrettez pas la perte de ceux que l’habitude des formes du palais et les subtilités de la chicane ont emmaillotés. Débarrassez-les de ces langes, ils ne seront plus chicaneurs, sans en devenir plus grands publicistes ; ils ne seront rien.
A [« Les vérités sont par la main du Ciel, semées çà et là dans une forêt obscure et sans route. Un chemin borde cette forêt ; il est fréquenté par une infinité de voyageurs. Parmi eux il est des curieux à qui l’épaisseur et l’obscurité même du bois, inspire le désir d’y pénétrer. Ils y entrent, nais embarrassés dans les ronces, déchirés par les épines et rebutés dès les premiers pas, ils abandonnent l’entreprise et regagnent le chemin. D’autres, mais en petit nombre, animés, non par une curiosité vague, mais par un désir vif et constant de gloire, s’enfoncent dans la forêt, en traversent les fondrières et ne cessent de la parcourir jusqu’à ce que le hasard leur ait enfin découvert quelque vérité plus ou moins importante. Cette découverte faite, ils reviennent sur leurs pas, percent une route de cette vérité jusqu’au grand chemin, et tout voyageur alors la regarde en passant parce que tous ont des yeux pour l’apercevoir et qu’il ne leur manquait pour la découvrir que le désir vif de la chercher et la patience nécessaire pour la trouver » (p. 437-438).]
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Non c’è nessuno che ignori il fatto che il cammino della fortuna, dell’onore e della ricchezza è il medesimo. P. 437.A L’autore, poco fa, era in alto mare; eccolo ora nel folto di una foresta in cui mille persone girano e rigirano senza scoprire alcunché. L’uomo di genio ha aperto il sentiero, la moltitudine lo spiana: si tratta della categoria degli autori classici, categoria che non è abbastanza apprezzata, spiriti giusti che rendono la scienza comune. P. 438. «Che cos’è il bisogno di gloria? È il bisogno di piacere: in tutti i paesi dove la gloria cessa di rappresentarlo, il cittadino è indifferente alla gloria». – Sì, il cittadino in generale. Solo nella vecchiaia si crede come l’autore. Lo spettacolo dell’uomo illustre che muore di fame è continuamente posto dinanzi agli occhi dei bambini entusiasti dai padri sensati: ‘Infelice, cosa vuoi fare? è incerto che tu giunga alla gloria e corri dritto verso la miseria!’ Ecco i discorsi che risuonano nei nostri focolari, ma essi non distolgono quasi nessuno, se non i bambini mediocri. Gli altri lasciano dire i genitori e vanno dove la natura li chiama. Tutto ciò che l’autore aggiunge non è appropriato se non per coloro che non sono veramente chiamati. [CAPITOLO 1]
P. 424. «La nostra memoria è il crogiolo degli alchimisti».166 Sì, ma gettate in un crogiolo, senza scelta e senza progetto, delle materie diverse prese a caso e per un caso che vi restituirà qualcosa di utile, cento volte, mille volte, voi avrete perduto il vostro crogiolo, il vostro tempo, i vostri ingredienti e il vostro carbone.
[SEZIONE II
Nota 37] P. 414. «Ogni uomo abituato alle finezze del cavillo, risale difficilmente ai primi principi delle leggi». Dite, ‘Ogni uomo in generale’, e non rimpiangete, la perdita di coloro che l’abitudine alle forme del palazzo e alle sottigliezze del cavillo hanno stretto nelle loro maglie.167 Liberateli di quelle maglie: non saranno più cavillatori, senza divenire per questo grandi pubblicisti. Non saranno niente. A [«Le verità sono seminate, dalla mano del Cielo, qua e là, in una foresta oscura e priva di sentieri. Una strada costeggia questa foresta, è frequentata da un’infinità di viaggiatori. Tra loro ci sono dei curiosi ai quali la densità e l’oscurità stessa del bosco, ispirano il desiderio di penetrarvi. Vi entrano, ma ostacolati dai rovi, lacerati dalle spine, disgustati fin dai primi passi, abbandonano l’impresa e riguadagnano la strada. Altri, ma in piccolo numero, animati, non da una vaga curiosità, ma da un desiderio vivo e costante di gloria, si addentrano nella foresta, ne attraversano gli acquitrini e non cessano di percorrerla fino a che il caso non gli faccia scoprire infine qualche verità più o meno importante. Fatta questa scoperta, tornano sui loro passi, aprono un sentiero da questa verità fino alla grande strada e tutti i viaggiatori passando la guardano, perché tutti hanno degli occhi per scorgerla e perché per scoprirla non mancava loro altro che il vivo desiderio di cercarla e la pazienza necessaria per trovarla» (pp. 437-438)].
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S’ils avaient eu quelque élévation dans l’âme, quelque étendue dans l’esprit, quelque sentiment du bien général, ou ils n’auraient pas embrassé le métier de chicaneur, ou ils s’en seraient dégoûtés. Si l’araignée ne cesse point de tendre des toiles, c’est qu’elle est une araignée. On naît fort ou faible. Tout étant égal d’ailleurs, l’homme né fort est moins enclin à la justice qui lie les bras nerveux, que le faible qu’elle protège et dont elle fait toute la force. Mais si la force se joint à un sentiment profond de justice, de ces deux éléments contradictoires naîtra l’héroïsme. J’ai fait cette réflexion pour montrer que l’amour ou l’antipathie pour certaines vertus avait sa source dans l’organisation. Sans doute, un homme en qui les fluides sont âcres, caustiques et brûlants, les réservoirs de la semence vastes et profonds, les fibres qui tapissent le canal de l’urètre très sensibles, le mouvement organique des parties de la génération fréquent, rapide et tenace, pourra pratiquer la continence ; mais l’exercice constant de cette vertu lui sera-t-il aussi facile, s’il vit sous un climat chaud, s’il se nourrit d’aliments succulents, s’il s’abreuve de vins délicieux, qu’à celui en qui les liqueurs sont indolentes, les sécrétions faibles, la fibre molle, et qui vit sous une atmosphère pluvieuse, qui observe un régime frugal, qui ne mange que des racines et qui ne s’abreuve que de nénufar ? Concluez donc qu’il est une organisation, un régime, un | climat peu propre à certaines vertus, très favorable à certains vices, et que ces mêmes causes, qui ont tant d’influence sur le tempérament et sur le caractère, n’en ont guère moins sur les qualités de l’esprit. [SECTION III CHAPITRE 2]
P. 425. On ne pense pas à ce qu’on ne connaît point, cela est évident ; mais on connaît dans toute science et dans tout art ce qu’il y a de fait, ce qui reste à faire, les obstacles à surmonter, les avantages à percevoir, l’honneur à recueillir, et l’on part de là pour méditer et tenter des expériences. Que le hasard a-t-il à démêler là dedans ? A
P. 426 « Lorsque j’entrevois une vérité inconnue elle est déjà découverte ». L’auteur n’a pas considéré que tout se tient dans l’entendement humain, ainsi que dans l’univers, et que l’idée la plus disparate qui semble venir étourdiment croiser ma méditation actuelle, a son fil très délié qui la lie soit à l’idée qui m’occupe, soit à quelque phénomène qui se passe au dedans ou au dehors de moi ; qu’avec un peu d’attention je démêlerais ce fil et reconnaîtrais la cause du rapprochement subit et du point de contact de l’idée présente et de l’idée survenue, et que la petite secousse qui réveille l’insecte tapi à une grande distance dans un recoin obscur de l’appartement et l’accélère près de moi, est aussi nécessaire que la conséquence la plus immédiate aux deux prémisses du syllogisme le plus serré ; par conséquent que tout est hasard ou rien ; et que soit dans le cours des événements de notre vie, soit dans la longue suite de nos études, en revenant de plus en plus en arrière, on ne manque jamais d’arriver à un fait imprévu, à une circonstance futile, à un incident en apparence le plus indifférent et peut-être en réalité,
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« Une vérité entièrement inconnue ne peut être l’objet de ma méditation ».
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Se avessero avuto qualche grandezza d’animo, qualche vastità nello spirito, qualche sentimento del bene generale, o non avrebbero abbracciato il mestiere di cavillatore, o ne sarebbero rimasti disgustati. Se il ragno non cessa di tessere tele, è perché è un ragno. Si nasce forte o debole. Essendo tutto uguale, per il resto, l’uomo nato forte è meno incline alla giustizia, che lega le sue braccia nerborute, rispetto al debole che essa protegge e del quale essa costituisce tutta la forza. Ma se la forza s’unisce a un profondo sentimento di giustizia, da questi due elementi contradditori nascerà l’eroismo. Ho svolto questa riflessione per mostrare che l’amore o l’antipatia per certe virtù ha la sua origine nell’organizzazione.168 Con tutta probabilità, un uomo nel quale i fluidi sono acri, caustici e ardenti, le riserve del seme vaste e feconde, le fibre che rivestono il canale dell’uretra molto sensibili, il movimento organico delle parti della generazione frequente, rapido e tenace, potrà praticare la continenza, ma l’esercizio costante di questa virtù gli sarà altrettanto facile se egli vive sotto un clima caldo, se si nutre di alimenti succulenti, se beve vini deliziosi, quanto a colui nel quale i liquidi sono indolenti, le secrezioni deboli, la fibra molle,169 e che vive sotto un atmosfera piovosa, osserva un regime frugale, non mangia altro che radici e non beve altro che nenufero?170 Concludete quindi che c’è un’organizzazione, una dieta, un clima poco adatti a certe virtù, assai favorevoli ad alcuni vizi e che queste stesse cause, che hanno tanta influenza sul temperamento e sul carattere, non ne hanno affatto meno sulle qualità dello spirito.171 [SEZIONE III CAPITOLO 2]
P. 425.A Non si pensa a ciò che non si conosce... Questo è evidente. Ma in ogni scienza e in tutte le arti si conosce quello che si è fatto, quello che resta da fare, gli ostacoli da superare, i vantaggi da cogliere, l’onore da raccogliere e si parte di lì, per meditare e tentare degli esperimenti. Che cosa c’entra il caso in tutto questo? P. 426. «Quando intravedo una verità sconosciuta, essa è già scoperta». L’autore non ha considerato che tutto è connesso nell’intelletto umano,172 così come nell’universo, e che l’idea più disparata, che sembra venire sbadatamente a incrociare la mia meditazione attuale, ha il suo filo molto sottile che la lega sia all’idea che mi occupa, sia a qualche fenomeno che accade fuori o dentro di me;173 con un po’ di attenzione districherei questo filo e riconoscerei la causa dell’avvicinamento subitaneo e del punto di contatto tra l’idea presente e l’idea sopraggiunta, e la piccola scossa che risveglia l’insetto rintanato a una grande distanza in un angolino scuro dell’alloggio e lo fa accorrere vicino a me,174 è altrettanto necessaria quanto la conseguenza più immediata delle due premesse del sillogismo più rigoroso;175 di conseguenza, tutto è caso o niente; e sia nel corso degli avvenimenti della nostra vita, sia nella lunga serie dei nostri studi, tornando sempre più indietro, accade sempre di arrivare a un fatto
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«Una verità assolutamente sconosciuta non può essere l’oggetto della mia meditazione».
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parce que l’impulsion qui ne nous serait pas venue par ce choc nous aurait été donnée par un autre. Si c’est là ce qu’on a voulu dire, cela n’en valait pas la peine ; si c’est autre chose, cela n’a pas le sens | commun. Dans l’homme qui réfléchit, enchaînement nécessaire d’idées ; dans l’homme attaché à telle ou telle profession, enchaînement nécessaire de telles ou telles idées. Dans l’homme qui agit, enchaînement d’incidents dont le plus insignifiant est aussi contraint que le lever du soleil. Double nécessité propre à l’individu, destinée ourdie depuis l’origine des temps jusqu’au moment où je suis ; et c’est l’oubli momentané de ces principes dont on est imbu qui parsème un ouvrage de contradictions. On est fataliste, et à chaque instant on pense, on parle, on écrit comme si l’on persévérait dans le préjugé de la liberté, préjugé dont on a été bercé, qui a institué la langue vulgaire qu’on a balbutiée et dont on continue de se servir, sans s’apercevoir qu’elle ne convient plus à nos opinions. On est devenu philosophe dans ses systèmes et l’on reste peuple dans son propos. Tout s’est fait en nous parce que nous sommes nous, toujours nous, et pas une minute les mêmes. P. 426. « Or, si nous sommes redevables au hasard de ces premiers soupçons, et par conséquent de ces découvertes, peut-on assurer que nous ne lui devions pas encore le moyen de les étendre et de les perfectionner ? » Et quand j’accorderais l’un et que je nierais l’autre ; quand je prétendrais, pour me servir de votre mot, qu’il y a infiniment plus de hasard dans l’invention que dans la perfection, aurais-je si grand tort ? L’invention a quelquefois l’air de tomber du ciel ; la perfection semble plus réfléchie et tenir davantage à une perpétuité des efforts d’un homme surajoutés aux efforts d’un prédécesseur, d’un autre, d’un troisième prédécesseur, qui tous se sont relayés dans le transport du fardeau. Autant d’Ixions qui sont venus successivement s’attacher sur la même roue, autant de Prométhées et autant de vautours qui les déchiraient.
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P. 427.A Il y a des expériences fortuites, il n’en faut pas | douter ; mais à qui doiventelles se présenter de préférence ? À l’homme du métier. Entre les mains de qui doivent-elles être fécondes ? Entre les mains de l’homme instruit. C’est l’utilité plus ou moins générale, et non le degré de sagacité de l’inventeur qui donne de l’éclat à l’invention. Helvétius le dit, et je le prouve. Qu’un géomètre marque trois points sur le papier : qu’il suppose une certaine loi d’attraction entre ces trois points et qu’il cherche leurs mouvements ; sa solution ne sera qu’un effort dont la sensation ne s’étendra guère au delà d’une des salles de l’Académie. Mais au moment où il a dit : L’un de ces points est la Terre, l’autre la Lune, et le troisième le Soleil... l’Univers retentit de son nom [84].
A
[« La sirène de Comus est l’exemple le plus propre à développer mes idées. Si l’on a longtemps montré cette sirène à la foire sans que personne en devinât le mécanisme, c’est que le hasard ne mettait sous les yeux de personne les objets de la comparaison desquels devait résulter cette découverte. Il avait été plus favorable à Comus. Mais pourquoi n’est-il pas en France compté parmi les grands esprits ? C’est que son mécanisme est plus curieux que vraiment utile. »]
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imprevisto, a una circostanza futile, a un incidente, in apparenza, e forse in realtà, assai indifferente, perché l’impulso che non ci sarebbe venuto da quest’urto, ci sarebbe stato provocato da un altro. Se è questo che si è voluto dire, non ne valeva la pena, se è un’altra cosa, non ha senso comune. Nell’uomo che riflette, concatenazione necessaria di idee, nell’uomo legato a questa o quella professione, concatenazione necessaria di queste o quelle idee. Nell’uomo che agisce, concatenazione d’incidenti il più insignificante dei quali è altrettanto inevitabile176 quanto il sorgere del sole.177 Doppia necessità propria dell’individuo, destino ordito dall’origine dei tempi fino al momento nel quale io mi trovo ora. Ed è la dimenticanza momentanea di quei principi dei quali si è imbevuti a riempire di contraddizioni un’opera. Si è fatalisti e in ogni istante si pensa, si parla, si scrive come se si perseverasse nel pregiudizio della libertà,178 pregiudizio nel quale si è stati cullati, che la lingua volgare ha istituito, che si è balbettato e del quale si continua a servirsi, senza accorgersi che esso non conviene più alle nostre opinioni. Si è diventati filosofi, nei propri sistemi, e si resta popolo nei propri discorsi. Tutto si è realizzato in noi, perché noi siamo noi, sempre noi, e non un minuto gli stessi.179 P. 426 «Pertanto, se noi siamo debitori al caso di questi primi sospetti e, conse guentemente, di queste scoperte, possiamo garantire di non dovergli anche i procedimenti per comprenderle e per perfezionarle?» E quand’anche concedessi l’uno e negassi l’altro; quando pretendessi, per servirmi delle vostre parole, che c’è infinitamente più caso nell’invenzione che nella perfezione, avrei così altrettanto torto? L’invenzione ha talvolta l’aria di cadere dal cielo, la perfezione sembra più ponderata e avere a che fare piuttosto col perpetuarsi degli sforzi di un uomo, aggiunti agli sforzi di un predecessore, di un altro, di un terzo predecessore, di tutti coloro che si sono dati il cambio nel trasporto del fardello. Altrettanti Issioni che sono venuti successivamente a legarsi alla stessa ruota, altrettanti Prometeo e altrettanti avvoltoi che li dilaniavano. P. 427.A Ci sono delle esperienze fortuite, non si deve dubitarne, ma a chi si devono presentare più frequentemente? All’uomo del mestiere. Tra le mani di chi devono essere feconde? tra le mani dell’uomo istruito. È l’utilità più o meno generale, e non il grado di sagacia dell’inventore, che dà lustro all’invenzione. Helvétius lo dice, e io lo provo. Che un geometra disegni tre punti sulla carta, ipotizzi una certa legge d’attrazione fra questi tre punti e indaghi i loro movimenti: la sua soluzione non sarà altro che lo sforzo di un genio la cui sensazione non si estenderà quasi al di là di una delle sale dell’Accademia. Ma nel momento in cui ha detto: ‘Uno di questi punti è la Terra, l’altro la Luna, e il terzo il Sole’, l’universo risuona del suo nome.180
A
[«La sirena di Comus è l’esempio più adatto per spiegare le mie idee. Se alla fiere a lungo si è esposta questa sirena, senza che nessuno ne scoprisse il meccanismo, è perché il caso non metteva sotto gli occhi di nessuno i termini del paragone dai quali doveva risultare quella scoperta. Ciò sarebbe stato più conveniente per Comus. Ma perché in Francia egli non è annoverato tra i grandi spiriti? Perché il suo meccanismo è più curioso che utile veramente»].
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SECTION IV
[CHAPITRE 1] P. 446. « Au moment où l’enfant se détache des flancs de la mère et s’ouvre les portes de la vie, il y entre sans idées et sans passions ». Sans idées, il est vrai, mais avec une disposition propre à en concevoir, à en comparer, et en retenir certaines avec plus de goût et de facilité que d’autres. Sans passions exercées, je l’ignore ; sans passions prêtes à se développer, je le nie ; avec une pente égale à toutes sortes de passions, je le nie encore ; avec une pente à toutes sortes de passions, je crois que je pourrais le nier. Il a des hommes qui n’ont point connu l’avarice. Il est rare qu’on n’ait pas une passion dominante, plus rare qu’on soit également dominé par deux ; tout aussi rare qu’une passion dominante ne se soit pas décelée à un œil attentif dès les premières années de la vie, longtemps avant l’âge de raison. Un enfant sournois se montre sournois à six mois ; un enfant se montre vif ou balourd, impatient ou tranquille, insensible ou colère, triste ou gai. Tout ce que l’auteur ajoute ferait croire qu’il n’a jamais observé d’enfants.
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P. 448. « A-t-on remarqué qu’une certaine disposition dans les nerfs, les fluides ou les muscles donnât constamment la même manière de penser ? » | Oui, on l’a remarqué. C’est sur le dérangement de cette manière habituelle de penser dans l’état de santé et sur les nouveaux symptômes ou le nouveau tour qu’elle prend, qu’est fondée une partie du pronostic du médecin. « Le moral change-t-il le physique ? » Non, le moral ne change point le physique, mais il le contraint, et cette contrainte continue finit par lui ôter toute son énergie primitive et naturelle. On inspire de la hardiesse à un enfant pusillanime, de la modération à un enfant violent, de la circonspection à un enfant étourdi ; on lui apprend ces choses comme on lui apprend à modérer ses cris dans la douleur : il souffre, mais il ne se plaint plus. « La nature retranche-t-elle certaines fibres du cerveau des uns pour les ajouter à celui des autres ? Un précepteur redresse-t-il le dos d’un bossu ? » Vous raisonnez de la tête comme des pieds, des fibres du cerveau comme des os des jambes ; ce sont pourtant des choses très diverses. Ce que la nature a bien fait, une mauvaise habitude peut le gâter, le défaut d’exercice peut le détruire, comme l’un et l’autre peuvent rectifier ce qu’elle a mal fait. Le chirurgien dont l’âme se trouble et la main vacille dans les premières opérations, s’endurcit et cesse de frémir ; les entrailles du médecin cessent de se tourmenter, à la longue. L’un et l’autre voient les convulsions et entendent les cris du néphrétique sans s’émouvoir ; l’accoucheur ne tarde pas à tirer l’enfant du sein de la mère en travail, sans éprouver le moindre sentiment de pitié ; à force de tremper ses mains dans le sang des animaux, le boucher voit couler le sang humain sans horreur. Les spectacles sanglants et les supplices publics finissent par rendre atroce toute une nation, témoin les femmes romaines qui condamnaient à la mort un mauvais gladiateur. Il n’y a pas un mot dans tout ce chapitre que la raison et l’expérience ne contredisent. « On s’aime dans tous les pays ». Il est vrai ; mais chaque individu d’une contrée s’aime à sa mode. |
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SEZIONE IV [CAPITOLO 1]
P. 446. «Nel momento in cui il bambino si separa dalle gonnelle della madre e si apre le porte della vita, vi entra senza idee e senza passioni». Senza idee, è vero, ma con una disposizione propria a concepirne, a compararne, a prenderne in considerazione alcune con più gusto e facilità rispetto ad altre. Senza passioni esercitate, lo ignoro. Senza passioni pronte a svilupparsi, lo nego. Con un’uguale inclinazione a ogni tipo di passione, lo nego ancora. Con un’inclinazione a ogni tipo di passione, credo che potrei negarlo. Ci sono uomini che non hanno mai provato l’avarizia. È raro che non s’abbia una passione dominante, più raro che si sia ugualmente dominati da due passioni, altrettanto raro che una passione dominante non si sia rivelata, a un occhio esperto, dai primi anni di vita, molto prima dell’età della ragione. Un bambino sornione si mostra sornione a sei mesi; un bambino si mostra vivo o goffo, impaziente o tranquillo, insensibile o irascibile, triste o allegro. Tutto ciò che l’autore aggiunge porta a credere che egli non abbia mai osservato dei bambini.181 P. 448. «Si è notato che una certa disposizione dei nervi, dei fluidi, o dei muscoli provoca costantemente la stessa maniera di pensare?» Sì, lo si è notato. È sullo scompiglio di questa maniera abituale di pensare, nello stato di salute, e sui nuovi sintomi o sulla nuova piega che questa prende nella malattia, che è fondata una parte della prognosi del medico. «Il morale muta il fisico?» No, il morale non muta il fisico, ma lo opprime, e questa continua oppressione finisce per togliergli tutta la sua energia primitiva e naturale. Si può ispirare audacia a un bambino pusillanime, moderazione a un bambino violento, circospezione a un bambino sbadato. Gli si insegnano queste cose, come gli si insegna a moderare le sue urla nel dolore. Soffre, ma non se ne lamenta più. «La natura sopprime certe fibre del cervello di uno, per aggiungerle a quello degli altri? Un precettore raddrizza la schiena di un gobbo?» Voi ragionate della testa come dei piedi, delle fibre del cervello come delle ossa delle gambe. Tuttavia queste sono cose molto diverse. Ciò che la natura ha fatto bene, una cattiva abitudine può guastarlo, la mancanza d’esercizio può distruggerlo, così come entrambe possono correggere ciò che essa ha fatto male. Il chirurgo il cui animo si turba e la cui mano vacilla durante le prime operazioni, si tempra e cessa di tremare, le viscere del medico cessano di tormentarsi, alla lunga. Entrambi vedono le convulsioni e ascoltano le urla del nefritico senza commuoversi. L’ostetrico non tarda a trarre il bambino dal seno della madre in travaglio, senza provare il minimo sentimento di pietà. A forza di temprare le mani nel sangue degli animali, il macellaio vede colare il sangue umano senza orrore. Gli spettacoli sanguinosi e i supplizi pubblici finiscono per rendere atroce tutta una nazione; prova ne sono le donne romane, che condannavano a morte un cattivo gladiatore. Non vi è una parola in tutto questo capitolo che la ragione e l’esperienza non contraddicano. «Ci si ama in tutti i paesi». È vero, ma ogni individuo di un paese ama secondo l’uso.
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[CHAPITRE 2]
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P. 451. « Alors de fier et d’audacieux qu’était un peuple, il devient faible et pusillanime ». Cela est mal vu, ce n’est pas ainsi que la chose s’opère. Alors il reste au fond des âmes un sentiment de liberté qui s’efface peu à peu, sentiment que les ministres des tyrans reconnaissent en eux-mêmes et respectent dans les nouveaux esclaves. Ce sont les enfants des tyrans qui osent tout et les enfants subjugués des hommes libres qui souffrent tout. J’en atteste les terreurs et la garde qui entourait ce scélérat de Maupeou, lorsqu’il traversait la capitale pour s’acheminer au palais. A
P. 454. « Un prince usurpe-t-il sur ses peuples une autorité sans bornes ; il est sûr d’en changer le caractère ». Vous vous trompez. Ce n’est pas l’ouvrage d’un seul despote ; il le commence, et ses successeurs, secondés par la lâcheté des pères, le consomment sur leurs enfants. Les pères subjugués, apprennent par leur exemple et leurs discours à leurs enfants le rôle de l’esclave : sans cesse ils disent à ceux qui portent impatiemment leurs chaînes et qui les secouent : « Prends garde, mon fils, tu te perdras... » La morale se déprave, même dans les ouvrages des philosophes. Autour de la caverne d’un tigre, c’est la sécurité et non la révolte qu’on prêche. Quand je lis dans Saadi : Celui-là est bien sage qui sait cacher son secret à son ami, il est inutile de me dire dans quelle contrée et sous quel gouvernement il écrivait.
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Page 18. – Rien de meilleurB que le gouvernement arbitraire sous des princes justes, humains et vertueux. Et c’est vous, Helvétius, qui citez en éloge cette maxime d’un tyran ! Le gouvernement arbitraire d’un prince juste et éclairé est toujours mauvais. Ses vertus sont la plus dangereuse et la plus sûre des séductions : elles accoutument insensiblement un peuple à aimer, à respecter, à servir son | successeur quel qu’il soit, méchant et stupide. Il enlève au peuple le droit de délibérer, de vouloir ou ne vouloir pas, de s’opposer même à sa volonté, lorsqu’il ordonne le bien ; cependant ce droit d’opposition, tout insensé qu’il est, est sacré : sans quoi les sujets ressemblent à un troupeau dont on méprise la réclamation, sous prétexte qu’on le conduit dans de gras pâturages. En gouvernant selon son bon plaisir, le tyran commet le plus grand des forfaits. Qu’est-ce qui caractérise le despote ? Est-ce la bonté ou la méchanceté ? Nullement ; ces deux notions n’entrent pas seulement dans sa définition. C’est l’étendue et non l’usage de l’autorité qu’il s’arroge. Un des plus grands malheurs qui pût arriver à une nation, ce seraient deux ou trois règnes d’une puissance juste, douce, éclairée, mais arbitraire : les peuples seraient conduits par le bonheur à l’oubli complet de leurs privilèges, au plus parfait esclavage. Je ne sais si jamais un tyran et ses enfants se sont avisés de cette redoutable politique ; mais je ne doute aucunement qu’elle ne leur eût réussi. Malheur aux sujets en qui l’on anéantit tout ombrage sur leur liberté, même par les voies les plus louables en apparence [88]. Ces voies n’en sont que plus funestes pour l’avenir. C’est ainsi que l’on tombe dans un sommeil fort doux, mais dans un sommeil de mort, pendant lequel le sentiment A « Le caractère des peuples change ; mais dans quel moment ce changement se fait-il le plus sensiblement apercevoir ? Dans les moments de révolution où les peuples passent tout à coup de l’état de liberté à celui de l’esclavage. Alors de fier et d’audacieux... ». B « meilleur, dit le roi de Prusse dans un discours prononcé à l’Académie de Berlin, que... »
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[CAPITOLO 2]
P. 451.A «Allora, un popolo da fiero e audace che era, diviene debole e pusillanime». Ciò è mal osservato: non è così che la cosa si compie. Allora, resta nel fondo degli animi un sentimento di libertà che svanisce poco a poco; sentimento che i ministri dei tiranni riconoscono in loro stessi e rispettano nei nuovi schiavi. Sono i figli dei tiranni che osano tutto, e i figli soggiogati degli uomini liberi che sopportano tutto. Prova ne sono i terrori e la guardia che attorniava quello scellerato di Maupeou,182 quando attraversava la capitale per avviarsi al palazzo. P. 454. «Un principe usurpa un’autorità senza limiti sui suoi popoli: egli è sicuro di mutarne il carattere». Voi vi sbagliate: questa non è l’opera di un solo despota. Egli la comincia e i suoi successori, assecondati dalla vigliaccheria dei padri, la consumano sui loro figli. I padri soggiogati insegnano, col loro esempio e coi loro discorsi, il ruolo di schiavo ai propri figli. Senza posa dicono a coloro che reggono con impazienza le loro catene e le scuotono: «Stai attento, figlio mio, tu ti perderai». La morale si corrompe, persino nelle opere dei filosofi. Attorno alla caverna di una tigre, si predica la sicurezza e non la rivolta. Quando leggo in Saadi,183 «È veramente saggio colui che sa nascondere il suo segreto al proprio amico», è inutile che mi si dica in quale paese e sotto quale governo scriveva. P. 455. «Niente di meglioB del governo arbitrario, sotto dei prìncipi giusti, umani e virtuosi». E siete voi, Helvétius, che citate in elogio questa massima di un tiranno! Il governo arbitrario di un principe giusto e illuminato è sempre cattivo.184 Le sue virtù sono le più pericolose e le più certe tra le seduzioni: esse abituano insensibilmente un popolo ad amare, a rispettare, a servire il suo successore, chiunque egli sia, anche se cattivo e stupido. Toglie al popolo il diritto di deliberare, di volere o non volere, di opporsi alla sua volontà anche quando egli ordina il bene. Tuttavia, questo diritto di opposizione, per quanto insensato sia, è sacro:185 senza di esso i sudditi assomigliano a un gregge del quale si disprezza la protesta, con il pretesto che lo si conduce in grassi pascoli. Governando secondo la propria volontà, il tiranno commette il più grande dei misfatti. Che cosa caratterizza il despota? La bontà o la cattiveria? Niente di tutto ciò. Queste due nozioni non rientrano affatto nella sua definizione. È l’estensione e non l’uso dell’autorità che egli si arroga. Una delle maggiori disgrazie che potrebbero accadere a una nazione, sarebbero due o tre regni di un potere giusto, mite, illuminato, ma arbitrario.186 I popoli sarebbero condotti, per mezzo della felicità, all’oblio completo dei loro privilegi, alla più perfetta schiavitù.187 Non so se mai un tiranno e i suoi figli si siano resi conto di questa temibile politica, ma non dubito affatto che essa non fosse loro riuscita. Guai ai sudditi nei quali si è dissolta ogni ombra di libertà, anche attraverso vie in apparenza più lodevoli! Queste vie risultano solo più funeste, per il futuro. È così che si cade in un sonno assai dolce. Si tratta, però, di un sonno di morte, durante il quale il sentimento patriottico si spegne, e si diventa estranei al governo dello Stato. SuppoA «Il carattere dei popoli cambia; ma in che momento questo cambiamento si fa più sensibilmente scorgere? Nei momenti di rivoluzione, quando i popoli passano di colpo dalla condizione di libertà a quella di schiavitù. Allora...». B «di meglio, dice il re di Prussia, in un discorso pronunciato all’Accademia di Berlino, che».
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patriotique s’éteint, et l’on devient étranger au gouvernement de l’État. Supposez aux Anglais trois Élisabeth de suite, et les Anglais seront les derniers esclaves de l’Europe.
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P. 457 « Les hommes apportent donc en naissant ou nulle disposition, ou des dispositions à tous les vices et à toutes les vertus contraires ». Tout ce qui précède est vrai,A mais la conclusion pèche. Si l’homme apporte en naissant des dispositions ou nulle disposition à tous les vices et à toutes les vertus, c’est ce que j’ignore. C’est le médecin que je consulterais sur ce point, préférablement à tous les livres du monde. Si j’avais à en croire quelque témoignage, ce serait celui des pères de | nombreuses familles ; rien de plus commun que de leur entendre dire : celui-ci a toujours été doux, bon et franc ; cet autre rusé, méchant et lâche, et appuyer leurs discours de traits de caractère de leur première enfance. P. 458. « Les étrangers n’aperçoivent d’abord aux Français qu’un même esprit et qu’un même caractère ». Entre les différentes raisons de ce phénomène, Helvétius pourrait bien avoir omis la principale. Cette physionomie générale et commune est une suite de leur extrême sociabilité ; ce sont des pièces dont l’empreinte s’est usée par un frottement continu. Point de nation qui ressemble plus à une seule et même famille ; un Français foisonne plus dans sa ville que dix Anglais, que cinquante Hollandais, que cent musulmans dans la leur : un même homme, dans le même jour, se trouve à la Cour, à la ville, à la campagne, dans une académie, dans un cercle, chez un banquier, chez un notaire, chez un procureur, un avocat, un grand seigneur, un marchand, un ouvrier, à l’église, au spectacle, chez des filles, et partout également libre et familier ; on dirait qu’il n’est pas sorti de chez lui et qu’il n’a fait que changer d’appartement. Les autres capitales sont des amas de maisons dont chacune a son propriétaire. Paris semble n’être qu’une grande maison commune, où tout appartient à tous jusqu’aux femmes ; c’est ainsi qu’il n’y a aucune condition qui n’emprunte quelque chose de la condition au-dessus d’elle ; toutes se touchent par quelques points. La cour reflète sur les grands et les grands reflètent sur les petits. De là un luxe d’imitation, le plus funeste de tous : un luxe, ostentation de l’opulence dans un petit nombre, masque de la misère dans presque tous les autres. De là une assimilation qui brouille tous les rangs : assimilation qui s’accroît par une affluence continuelle d’étrangers à qui l’on s’habitue à faire politesse, ici par l’usage, là par l’intérêt. Celui qui a fait parmi nous un séjour de sept à huit mois et qui ne nous a pas trouvés tels, ou ne s’est pas soucié de nous voir, ou nous avait apporté quelque défaut rebutant qui nous éloignait de son commerce, ou bien il était entêté de quelque prévention qui l’empêchait de nous observer avec impartialité. La première connaissance est peut-être difficile à faire, surtout pour une femme étrangère ; mais la première connaissance faite en donne promptement un grand nombre d’autres. |
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P. 458 « Quelle que soit notre uniformité nationale, on découvre toujours quelque différence entre les caractères et les esprits des individus ; mais il faut du temps ». Et c’est peut-être une des raisons pour laquelle la comédie est si difficile à faire parmi nous. A
[« Le plus redoutable ennemi du bien public n’est point le trouble, ni la sédition, mais le despotisme. Il change le caractère d’une nation, et toujours en mal ; il n’y porte que des vices. [...] L’expérience prouve donc que le caractère et l’esprit des peuples changent avec la forme de leur gouvernement ; qu’un gouvernement différent donne tour à tour à la même nation un caractère élevé ou bas, constant ou léger, courageux ou timide » (p. 456-457).]
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nete tre Elisabette di seguito per gli Inglesi, e gli Inglesi saranno i più schiavi tra gli schiavi d’Europa.188 P. 457. «Quindi gli uomini portano con loro, nascendo, o nessuna disposizione, o delle disposizioni a tutti i vizi e a tutte le virtù contrarie». Tutto che ciò che precede è vero,A ma la conclusione è fallace. Se l’uomo porta con sé nascendo delle disposizioni o nessuna disposizione a tutti i vizi e a tutte le virtù, lo ignoro. È il medico che consulterei su questo punto, di preferenza, rispetto a tutti i libri del mondo. Se dovessi credere a qualche testimonianza, sarebbe quella dei padri di famiglie numerose. Niente di più comune che sentirli dire: questo figlio è stato sempre dolce, buono e franco, quest’altro astuto, cattivo e pigro, basando, fin dalla loro prima infanzia, i loro discorsi sui tratti del carattere. P. 458. «Gli stranieri inizialmente scorgono nei Francesi solo uno stesso spirito e uno stesso carattere». Tra le diverse ragioni di questo fenomeno, Helvétius potrebbe aver omesso la principale. Questa fisionomia generale e comune è un effetto della loro estrema socievolezza. Si tratta di monete l’impronta delle quali189 s’è logorata per via di uno sfregamento continuo. Nessuna nazione che somigli più a una sola e medesima famiglia: un Francese è più presente, nella sua città, di dieci Inglesi, cinquanta Olandesi, cento musulmani nella loro. Uno stesso uomo, nello stesso giorno, si trova alla Corte, in città, in campagna, in un’accademia, in un circolo, da un banchiere, da un notaio, da un procuratore, da un avvocato, da un gran signore, da un mercante, da un operaio, in chiesa, allo spettacolo, dalle puttane, e ovunque è ugualmente libero e familiare. Si direbbe che non sia mai uscito di casa e non abbia fatto altro che cambiare appartamento.190 Le altre capitali sono degli ammassi di case, ciascuna delle quali ha il suo proprietario. Parigi sembra essere una grande casa comune, dove tutto appartiene a tutti, perfino alle donne: è così, non c’è nessuna condizione che non prenda in prestito qualcosa dalla condizione che gli è superiore, tutte si toccano in qualche punto. La Corte si riflette sui grandi, e i grandi si riflettono sui piccoli. Da ciò deriva un lusso d’imitazione, il più funesto di tutti: un lusso, ostentazione d’opulenza in un piccolo numero, maschera della miseria in quasi tutti gli altri. Da ciò un’assimilazione che confonde tutti i ranghi: assimilazione che s’accresce per un’affluenza continua di stranieri, ai quali ci si abitua a far convenevoli, qui secondo la consuetudine, là per interesse. Colui che ha soggiornato da noi almeno sette o otto mesi e non ci ha trovato tali, o non si è preoccupato di vederci, o ci ha portato qualche difetto rivoltante che ci allontanava dalla sua frequentazione, o s’era intestardito in qualche prevenzione che gli impediva di osservarci con imparzialità. La prima conoscenza è forse difficile da farsi, soprattutto per una donna straniera; ma fatta la prima conoscenza, ne seguono rapidamente un gran numero d’altre. P. 458. «Quale che sia la nostra uniformità nazionale, si scopre sempre qualche differenza tra i caratteri e gli spiriti degli individui, ma serve del tempo». È questa forse una delle ragioni per le quali da noi è tanto difficile scrivere commedie.191 A
[Il più temibile nemico del bene pubblico non è il disordine, né la sedizione, ma il dispotismo. Esso muta il carattere di una nazione e lo fa sempre in peggio; non porta altro con sé che vizi. [...] L’esperienza prova quindi che il carattere e lo spirito dei popoli cambiano con la forma del loro governo; che un governo differente dà alla stessa nazione di volta in volta un carattere elevato o basso, costante o leggero, coraggioso o timido» (pp. 456-457)].
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[CHAPITRE 3]
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P. 460. « L’homme le plus impérieux tremble dans la caverne du lion. C’est-à-dire que l’homme le plus colère, ne l’est pas entre les bras de sa maîtresse. Qu’est-ce que cela prouve ? C’est-à-dire que l’homme le plus voluptueux, lorsque ses forces sont épuisées, sent peut-être du dégoût pour les femmes. Qu’est-ce que cela prouve ? « L’arbre qu’on tiendra longtemps courbé perdra son élasticité ». Je le crois, je crois même qu’il n’y a aucune qualité physique dans l’animal, dans le bronze même on le fer, qu’on ne puisse détruire ; pas une qualité morale dont une longue contrainte ne vienne à bout dans l’homme. Toutes les qualités physiques portées à l’excès se perdent. Faites plier un fleuret jusqu’à la garde, il ne se redressera plus. Prenez une verge de fer, exposez-la au feu jusqu’au moment de la fusion, et jetez-la ensuite dans de l’eau fraîche ; je ne doute point que cette opération réitérée ne lui ôte la propriété de se dilater par le chaud et de se resserrer par le froid. Arc-boutez deux ressorts l’un contre l’autre, et ils finiront par ne plus se presser. L’auteur conseillerait-il de mettre cette violence à l’éducation ? Les exemples de ceux qu’une longue servitude contraire à leur caractère, a brisés, dont elle a ruiné la santé et abrégé la vie, sont-ils bien rares ? Si au lieu de faire plier ce fleuret jusqu’à la garde, vous vous en escrimez légèrement, loin de détruire son élasticité vous l’augmenterez. Il en est ainsi de l’humeur : la contrainte momentanée l’aigrira. Les grands reviennent de la Cour plus impérieux et plus insolents. On apprend à danser à l’oursA ; mais l’ours qui danse est | un animal bien malheureux. On ne m’apprendra jamais à danser. Il y a des hommes qui ne prennent jamais l’esprit de leur état.B Malherbe bourru dans son cabinet, était bourru dans l’antichambre du roi. Si l’enfant qui naît, naît indifférent à tout vice, à toute vertu, à tout talent, l’éducation doit être une pour tous. Répondez, monsieur Helvétius, faut-il élever tous les enfants de la même manière ? – Mais à peu près. – Et pourquoi à peu près et non pas rigoureusement ?... Au berceau, dans l’école, dans chaque état de la société, à la Cour, au palais, à l’église, à la guerre, dans son atelier, dans sa boutique, chaque individu a son caractère. – C’est que l’éducation n’a pas été la même. – Elle l’aurait été, que la même diversité subsisterait, en dépit des circonstances, de toutes les leçons et de tous les incidents du hasard. Un des symptômes d’une maladie mortelle est le changement de caractère. P. 463 « Pourquoi regarder chaque caractère comme l’effet d’une organisation particulière, lorsqu’on ne peut déterminer quelle est cette organisation ? » Ouvrez les ouvrages des médecins aux chapitres du tempérament, et vous y trouverez l’organisation propre à chaque caractère. Quand on voit une chose, pour l’admettre on n’est pas obligé de l’expliquer. A
[« Il n’est rien d’impossible à l’éducation : elle fait danser l’ours » (p. 461).] [« Que de gens ne voit-on pas changer de caractère selon le rang, selon la place différente qu’ils occupent à la Cour et dans le ministère, enfin selon le changement arrivé dans leurs positions » (p. 462).] B
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[CAPITOLO 4]
P. 460. «L’uomo più imperioso, trema nella caverna del leone». È come dire che l’uomo più collerico, non lo è tra le braccia della sua amante. Che cosa prova questo? È come dire che l’uomo più voluttuoso, quando non ha più forze, sente forse del disgusto per le donne. Che cosa prova questo? «L’albero che si terrà curvato a lungo perderà la sua elasticità». Lo credo. Credo anche che non ci sia nessuna qualità fisica nell’animale, o anche nel bronzo o nel ferro, che non si possa distruggere; non una qualità morale, nell’uomo, la cui resistenza non sia vinta da una lunga oppressione. Tutte le qualità fisiche, spinte all’estremo, vengono meno. Fate piegare un fioretto fino alla guardia,192 non si raddrizzerà più. Prendete una verga di ferro, esponetela al fuoco fino al momento della fusione e gettatela poi nell’acqua fredda. Non ho dubbi che quest’operazione, ripetuta, gli tolga la proprietà di dilatarsi per il caldo e di restringersi per il freddo. Costringete due molle l’una contro l’altra e finiranno per non premersi più. L’autore consiglierebbe di utilizzare tale violenza nell’educazione? Gli esempi di coloro che una lunga schiavitù, contraria al loro carattere, ha sfiancato, ai quali ha rovinato la salute e accorciato la vita, sono così rari? Se invece di far piegare questo fioretto fino alla guardia, voi ve ne servite193 leggermente, invece di distruggere la sua elasticità, l’aumenterete. Vale lo stesso per l’umore, l’oppressione momentanea lo inasprirà. I grandi tornano dalla Corte più autoritari e più insolenti. S’insegna a danzare all’orso,A ma l’orso che danza è un animale molto infelice. Non mi s’insegnerà mai a danzare. Ci sono uomini che non assumono mai lo spirito della propria condizione.B Malherbe, burbero nel suo studio, era burbero nell’anticamera del re. Se il bambino che nasce, nasce indifferente a ogni vizio, a ogni virtù, a ogni talento, l’educazione dev’essere la stessa per tutti. Rispondete, signor Helvétius, si devono allevare tutti i bambini alla stessa maniera? – Ma all’incirca. – E perché all’incirca, e non rigorosamente?... Nella culla, a scuola, in ciascuna condizione della società, a Corte, a palazzo, in chiesa, in guerra, nel suo laboratorio, nel suo negozio, ogni individuo ha il suo carattere. – Il fatto è che l’educazione non è la stessa. – Lo fosse stata, sussisterebbe comunque la stessa diversità, a dispetto delle circostanze, di tutte le lezioni e di tutti gli accidenti del caso. Uno dei sintomi di una malattia mortale è il cambiamento di carattere. P. 463. «Perché guardare ogni carattere come l’effetto di un’organizzazione particolare, quando non si può determinare quale è questa organizzazione?» Aprite le opere dei medici ai capitoli sul temperamento e vi troverete l’organizzazione propria di ogni carattere. Quando si vede una cosa, per ammetterla non si è obbligati a spiegarla. A
[«Niente è impossibile per l’educazione: essa fa danzare l’orso» (p. 461)]. [«Quante persone si vedono mutare carattere a seconda del rango, a seconda del diverso posto che occupano a Corte e nel ministero, infine a seconda del mutamento arrivato alle loro posizioni» (p. 462)]. B
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[CHAPITRE 4] P. 424 « L’amour de soi est permanent et inaltérable ». Mais a-t-il la même énergie dans tous ? Ne varie-t-il point ? Ne se modifie-t-il point ? Le seul point sur lequel je ne contesterai pas, c’est que chacun s’aime autant qu’il est possible à chacun de s’aimer. Mais deux hommes, oui, deux seuls hommes réduits par la nature, l’expérience ou l’institution à la même dose d’amour de soi, seraient le plus étonnant de tous les prodiges. | [CHAPITRE 5]
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P. 468. « Est-il des hommes sans désirs, des hommes insensibles à l’amour du pouvoir ? Oui, mais ils sont en trop petit nombre pour y avoir égard ». Mais leur existence que vous avouez, peut-être un peu trop légèrement, prouve du moins la prodigieuse diversité de ce sentiment. C’est un rapport qui croît depuis zéro jusqu’à un nombre dont j’ignore la limite. P. 470.A Si l’éloquence dégénère sous les gouvernements despotiques, c’est moins parce qu’elle reste sans récompense que parce qu’elle s’occupe d’objets frivoles et qu’elle est contrainte. Démosthène, en Grèce, parlait au peuple du salut de l’État. De quoi parlerait-il à Paris ? De la dissolution d’un mariage mal assorti. [CHAPITRE 6] P. 472. « L’ouvrage est excellent ; il est publié, et le public ne paie point sa dette ». Helvétius dénature tout. Cela est presque sans exemple, et j’ai vu plus souvent des ouvrages médiocres, ou même mauvais, applaudis, que des ouvrages excellents ou bons, ignorés ou décriés. Dans le premier moment, on parle légèrement des beautés et l’on appuie sur les petits défauts; je le crois bien, les | beautés crèvent les yeux, il faut de la sagacité pour apercevoir les défauts. L’éloge des beautés est pour l’auteur, la critique des défauts est pour soi. Ensuite il devient un sujet d’entretien et de dispute, il fait schisme, et tant mieux. Dans la chaleur du schisme, on exagère en bien et en mal. Enfin le silence se fait, l’impartialité s’établit, et la sentence définitive se prononce. L’auteur est mécontent, parce B
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A [« On sait quelle estime on avait à Rome et dam la Grèce poux l’éloquence : elle y conduisait aux grandeurs et à la puissance. Magna vis et magnum nomen, dit à ce sujet Cicéron, sunt unum et idem. Chez ces peuples un grand nom donnait un grand pouvoir. L’orateur célèbre commandait à une multitude de clients. Or dans tout État républicain, quiconque est suivi d’une foule de clients, est toujours un citoyen puissant. L’Hercule gaulois de la bouche duquel sortait une infinité de fils d’or, était l’emblème de la farce morale, de l’éloquence. Mais pourquoi cette éloquence jadis si respectée, n’est-elle plus maintenant honorée et cultivée qu’en Angleterre ? C’est que partout ailleurs elle n’ouvre plus la route des honneurs » (p. 469).] B [« L’homme de génie qui se dis à la lueur de sa lampe : ce soir je finis mon ouvrage : demain est le jour de la récompense : demain le public reconnaissant s’acquitte envers moi : demain enfin je reçois la couronne de l’immortalité. Cet homme oublie qu’il est des envieux. En effet demain arrive ; l’ouvrage est publié ; il est excellent, et le public n’acquitte point sa dette. L’envie détourne loin de l’auteur le parfum suave des éloges ; elle y substitue l’odeur empesée de la critique et de la calomnie » (p. 472-473).]
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[CAPITOLO 4]
P. 464. «L’amore di sé è permanente e inalterabile». Ma ha in tutti lo stesso vigore? Non varia per niente? Non si modifica per niente? Il solo punto che non contesterei, è che ciascuno si ama tanto quanto a ciascuno è possibile amarsi. Ma due uomini, sì, due soli uomini ridotti alla stessa intensità di amore di sé dalla natura, dall’esperienza o dall’istituzione, sarebbero il più stupefacente di tutti i prodigi.194 [CAPITOLO 5]
P. 468 «Ci sono degli uomini senza desideri, degli uomini insensibili all’amore per il potere? Sì, ma sono troppo pochi per tenerli in considerazione». Ma la loro esistenza, che voi confessate forse con un po’ troppa leggerezza, prova quanto meno la prodigiosa diversità di questo sentimento. È un rapporto che cresce da zero fino a un numero del quale ignoro il termine. P. 470.A Se l’eloquenza degenera sotto i governi dispotici, non è tanto perché essa resta senza ricompensa, quanto perché non si occupa se non di oggetti frivoli e perché è oppressa. Demostene, in Grecia, parlava al popolo della salvezza dello Stato, di cosa parlerebbe a Parigi? Dello scioglimento di un matrimonio mal combinato.195 [CAPITOLO 6]
P. 472.B «L’opera è eccellente: è pubblicata, e il pubblico non paga il suo debito». Helvétius snatura tutto. Questa cosa è quasi priva di esempi e ho visto più spesso delle opere mediocri, o anche cattive, applaudite, che delle opere eccellenti o buone, ignorate o biasimate. In un primo momento, si parla con leggerezza dei pregi e s’insiste sui piccoli difetti. Lo credo bene. I pregi accecano, è necessaria della sagacia per accorgersi dei difetti. L’elogio dei pregi è per l’autore, la critica dei difetti è per sé. Poi, essa diviene argomento di conversazione e di disputa, provoca divisioni, ed è tanto meglio. Nel calore della divisione si esagera in bene e in male. Infine si fa silenzio, l’imparzialità s’instaura e si pronuncia la sentenza definitiva. L’autore è scontento, perché si è ripromesso più sucA [«È nota la considerazione che si aveva a Roma e in Grecia per l’eloquenza: qui essa conduceva alle grandezze e alla potenza. Magna vis et magnum nomen, dice a questo proposito Cicerone, sunt unum et idem. Presso questi popoli un grande nome dava un grande potere. L’oratore celebre comandava a una moltitudine di clienti. Ora, in ogni Stato repubblicano, chiunque sia seguito da una folla di clienti, è sempre un cittadino potente. L’Ercole gallico, dalla bocca del quale uscivano un’infinità di fili d’oro, era l’emblema della forza morale, dell’eloquenza. Ma perché questa eloquenza un tempo così rispettata, adesso non è più onorata e coltivata se non in Inghilterra? Il fatto è che in qualsiasi altro luogo essa non apre più la strada agli onori» (p. 469)]. B [«L’uomo di genio che dice a se stesso, al chiarore della sua lampada: ‘questa sera finisco la mia opera: domani è il giorno della ricompensa, domani il pubblico riconoscente si sdebita con me, domani finalmente ricevo la corona dell’immortalità’. Quest’uomo dimentica che ci sono degli invidiosi. In effetti, l’indomani arriva, l’opera è pubblicata; è eccellente e il pubblico non paga il suo debito. L’invidia devia lontano dall’autore il profumo soave degli elogi; essa vi sostituisce l’odore appestante della critica e della calunnia» (pp. 472-473)].
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qu’il s’est promis plus de succès qu’il n’en obtient ; parce que la petite feuille de laurier qu’on lui accorde ne le dédommage pas de la peine qu’il s’est donnée ; que cette même récompense s’est fait attendre trop longtemps, et qu’il s’est refroidi. P. 475. « La première jeunesse ne connaît pas l’envie ». Dieu soit loué ! je suis resté bien jeune. J’en atteste tous ceux qui cultivent les lettres et dont je suis connu, je m’intéresse plus fortement à la perfection de l’ouvrage d’un autre qu’à la perfection du mien ; mon succès me touche moins que le succès de mon ami ; je réponds de toute ma force à la marque d’estime que je reçois de celui qui me consulte. Pourquoi m’affligerais-je des applaudissements qu’on lui donne ? J’en recueille secrètement ma part. Je n’ai jamais été blessé que d’une espèce de petite fausseté, c’est d’avoir si rarement l’avantage d’indiquer à l’auteur soit un défaut, soit une beauté sur laquelle il ne vous ait pas gagné de vitesse : ce que vous lui dites, il le savait. Pour l’oubli des pages que j’ai semées dans plusieurs ouvrages, je suis accoutumé à le rencontrer et à le pardonner. P. 478 « Qui peut se vanter d’avoir loué courageusement le génie ? » Réponse : Moi, moi. Je crois m’être bien examiné et n’avoir jamais souffert du succès d’autrui, pas même lorsque je haïssais. J’ai dit quelquefois : c’est un maroufle, mais ce maroufle-là a fait un beau poème, un bel éloge ; j’en suis bien aise, c’est toujours un bel ouvrage de plus. Quelle est la chose importante ? Est-ce que la chose sublime soit de moi ou qu’elle soit faite ? Nous avons la vue bien courte. Et qu’importe quel nom on imprimera à la tête de ton livre ou l’on gravera sur ta tombe ? Est-ce que tu liras ton épitaphe ? Mes amis, vous êtes aussi enfants que Mme du Barry, qui, toute fière d’un superbe équipage, disait : Mon Dieu, que ze voudrais bien me voir passer ! | 566
P. 478. « Qui est-ce qui n’a pas ajouté un mais à son éloge ? » Mon mais est venu comme celui de l’envie, avec cette différence que le mais de l’envie tombait toujours sur un défaut, et que le mien tombait sur une beauté omise ou manquée. [CHAPITRE 8] P. 489. Tout ce que l’auteur dit ici de l’état sauvage peut être vrai ; mais je ne le suis pas. Plus civilisé que lui, j’ai apparemment trop de peine à me mettre nu ou à reprendre la peau de bête. Moins fort qu’un autre, je ne saurais goûter ce plaidoyer de la force, et je n’y crois pas. A
A « Avant que l’intérêt public eût déclaré la loi du premier occupant une loi sacrée, quel eût été le plaidoyer d’un sauvage habitant un canton giboyeux dont un sauvage plus fort eût voulu le chasser ? | Quel est ton droit, dirait le premier, pour me bannir de ce canton ? | À quel titre, dirait le second, prétends-tu le posséder ? | Le hasard, répondrait le faible, y a porté mes pas : il m’appartient parce que je l’habite et que la terre est au premier occupant. | Quel est ce droit de premier occupant, répondrait le puissant ? Si le hasard t’a le premier conduit en ce lieu, le même hasard m’a donné la force nécessaire poux t’en chasser. Auquel des deux droits donner la préférence ? Veux-tu connaître toute la supériorité du mien ? Lève les yeux au ciel ; tu vois l’aigle fondre sur la colombe ; abaisse-les sur la terre, tu vois le cerf déchiré pas le lion. Porte tes regards
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cesso di quanto ne ottenga; perché la piccola foglia di alloro che gli si accorda, non lo ripaga della fatica che si è inflitto; perché questa stessa ricompensa si è fatta attendere troppo a lungo, ed egli si è raffreddato. P. 475. «La prima gioventù non conosce l’invidia». Dio sia lodato! sono rimasto proprio giovane. Testimoni ne sono tutti coloro che coltivano le lettere e dai quali sono conosciuto. M’interesso più vivamente alla perfezione dell’opera di qualcun altro, che alla perfezione della mia. Il mio successo mi tocca meno del successo del mio amico. Rispondo con tutte le mie forze al segno di stima che ricevo da colui che mi consulta.196 Perché mi dovrei affliggere per gli applausi che gli si sono attribuiti? Ne raccolgo segretamente la mia parte. Non sono mai stato ferito se non da una specie di piccola falsità: di avere cioè tanto raramente il piacere di indicare all’autore o un difetto, o un pregio sul quale egli non vi abbia preceduto nel giudizio. Ciò che voi gli dite, lo sapeva già. Per quanto riguarda la dimenticanza delle pagine che ho sparso in tante opere, sono abituato a incontrarla e a perdonarla. P. 478. «Chi può vantarsi di aver lodato coraggiosamente il genio?» Risposta: Io, io. Credo di essermi esaminato a fondo e di non aver mai sofferto del successo di qualcuno, nemmeno quando lo odiavo. Ho detto qualche volta: ‘è un furfante, ma quel furfante ha scritto un bel poema, un bell’elogio’. Ne sono ben contento, si tratta sempre di una bella opera in più. Qual è la cosa importante? Che la cosa sublime sia mia o che sia scritta? Noi abbiamo la vista molto corta. E che importa quale nome si stamperà in testa al tuo libro o s’inciderà sulla tua tomba? Leggerai forse il tuo epitaffio? Amici miei, voi siete tanto infantili quanto Madame du Barry, che tutta fiera del suo superbo equipaggio in carrozza, diceva: Dio mio, come vorrei vedermi passare!197 P. 478. «Chi è che non ha mai aggiunto un ma al proprio elogio?» Il mio ma è giunto come quello dell’invidia, con questa differenza: che il ma dell’invidia cade sempre su un difetto e il mio cade sempre su un pregio omesso o mancato. [CAPITOLO 8]
P. 489. Tutto ciò che l’autore dice qui della condizione selvaggia può essere vero, ma io non riesco a sentirlo. Più civilizzato di lui, faccio evidentemente troppa fatica a mettermi nudo o a riprendere la pelle della bestia. Meno forte di un altro, non saprei apprezzare quest’arringa in difesa della forza, e nemmeno ci credo. A
A [«Prima che l’interesse pubblico avesse dichiarato legge sacra la legge del primo occupante, quale sarebbe stata l’arringa di un selvaggio che abitava un cantone ricco di selvaggina dal quale un selvaggio più forte avesse voluto cacciarlo? / ‘Che diritto hai, direbbe il primo, per bandirmi da questo cantone?’ / ‘A quale titolo, direbbe il secondo, pretendi di possederlo?’ ‘Il caso, risponderebbe il debole, vi ha portato i miei passi: mi appartiene perché lo abito e perché la terra è del primo occupante’. ‘Cos’è questo diritto del primo occupante?’, risponderebbe il potente. ‘Se il caso ti ha condotto per primo in questo luogo, lo stesso caso mi ha dato la forza necessaria per cacciarti da qui. A quale dei due diritti dare la preferenza? Vuoi conoscere tutta la superiorità del mio? Leva gli occhi al cielo. Tu vedi l’aquila piombare sulla colomba. Abbassali sulla terra, tu vedi il cervo dilaniato dal leone. Rivolgi i tuoi sguardi alla profondità dei mari, tu vedi l’orata
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Il me semble qu’avant toute convention sociale, s’il arrive à un sauvage de monter sur un arbre et d’y cueillir des fruits, et qu’il survienne un autre sauvage qui s’empare des fruits et du labeur du premier, celui-là s’enfuira avec son vol ; que par sa fuite il décèlera la conscience d’une injustice ou d’une action qui doit exciter le ressentiment ; qu’il s’avouera punissable et qu’il se donnera à lui-même, dans la force, le nom honteux dont nous nous servons dans la société. Il me semble que le spolié s’indignera, se hâtera de descendre de l’arbre, poursuivra le voleur et aura pareillement la conscience de l’injure qu’on lui a faite. Il me semble qu’ils auront l’un et l’autre quelque idée de la propriété ou possession prise par le travail : sans s’être expli | qués, il me semble qu’il y a entre ces deux sauvages une loi primitive qui caractérise les actions, et dont la loi écrite n’est que l’interprète, l’expression et la sanction. Le sauvage n’a point de mots pour désigner le juste et l’injuste ; il crie, mais son cri est-il vide de sens ? n’est-ce que le cri de l’animal ? La chose se passerait, comme il l’a peint, entre deux bêtes féroces ; mais l’homme n’est point une bête, il ne faut pas négliger cette différence dans les jugements que l’on porte de ses actions. Conclure de l’homme à l’homme par comparaison d’un animal à un animal, de l’aigle à la colombe, du lion au cerf, du requin à la dorade, et même de l’aigle à l’aigle ou du cerf au cerf, serait-ce bien conclure ? Je ne prononce pas, j’interroge. Je voudrais bien ne pas autoriser le méchant à appeler de la loi éternelle de la nature à la loi créée et conventionnelle ; je voudrais bien qu’il ne lui fût pas permis de dire aux autres et de se dire à lui-même : Après tout, que fais-je ? je rentre dans mes premiers droits. « Justice suppose lois établies ». Mais ne suppose-t-elle pas quelque notion antérieure dans l’esprit du législateur, quelque idée commune à tous ceux qui souscrivent à la loi ? Sans quoi, lorsqu’on leur a dit : Tu feras cela, parce que cela est juste ; tu ne feras point cela, parce que cela est injuste, ils n’auraient entendu qu’un vain bruit, auquel ils n’auraient point attaché de sens. [CHAPITRE 9]
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P. 492. « Malgré cet amour prétendu de l’homme pour la justice, point de despote asiatique qui ne commette l’injustice et qui ne la commette sans remords ». Parmi ces despotes asiatiques, il y en a eu quelques-uns dont on a loué la bonté, l’humanité, la bienfaisance. Si les bêtes féroces qui leur ont succédé au pouvoir arbitraire entendent l’éloge de ces qualités avec mépris, je croirai qu’ils commettent l’injustice sans remords. Mais si les tyrans sont méchants sans remords, d’où viennent leurs terreurs, d’où viennent tant de précautions pour leur sûreté ? Il me paraît aussi difficile que l’oppresseur soit sans remords que l’opprimé sans ressentiment. L’homme pense-t-il d’un lion qui l’attaque comme d’un tyran qui l’écrase ? Non. Quelle différence met-il donc entre ces malfaiteurs, si elle ne dérive pas de quelque | prérogative naturelle, de quelque idée confuse d’humanité et de justice ? Mais si le persur la profondeur des mers, tu vols la dorade dévorée par 1e requin. Tout dans la nature t’annonce que le faible est la proie du puissant. La force est un don des dieux. Pax elle je possède tout ce que je puis ravir. En m‘armant de ces bras nerveux, le Ciel t‘a donc déclaré sa volonté. Puis de ces lieux, cède à la force ou combats » (p. 489-490).]
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Mi sembra che prima di ogni convenzione sociale, se accade a un selvaggio di salire su un albero e di cogliervi dei frutti, e se sopraggiunge un altro selvaggio che s’impadronisce dei frutti e del lavoro del primo, questi fuggirà col suo bottino; con la sua fuga rivelerà la coscienza di un’ingiustizia o di un’azione che deve provocare risentimento; si confesserà punibile e, nella foresta, si darà da solo il titolo vergognoso del quale noi ci serviamo nella società. Mi sembra che il derubato s’indignerà, s’affretterà a scendere dall’albero, inseguirà il ladro e avrà ugualmente coscienza dell’offesa che gli è stata fatta. Mi sembra che entrambi avranno qualche idea della proprietà o del possesso acquisito per mezzo del lavoro.198 Mi sembra che, senza che si siano spiegati, ci sia tra questi due selvaggi una legge primitiva che distingue le azioni e della quale la legge scritta non è altro che l’interprete, l’espressione e la sanzione. Il selvaggio non ha le parole per designare il giusto e l’ingiusto, urla, ma il suo urlo è privo di senso? non è che il grido dell’animale? tra due bestie feroci la cosa avverrà così come Helvétius l’ha descritta, ma l’uomo non è una bestia: non si deve trascurare questa differenza nel giudizio che si esprime sulle sue azioni. Inferire dall’uomo all’uomo attraverso il paragone di un animale con un animale, dell’aquila con la colomba, del leone col cervo, dello squalo con l’orata, e anche dell’aquila con l’aquila o del cervo col cervo, sarà inferire bene? Io non mi pronuncio, domando. Non vorrei certo autorizzare i malfattori a fare appello alla legge eterna della natura, contro la legge creata e convenzionale; non vorrei certo che fosse loro permesso di dire agli altri e di dire a se stesso: ‘Dopo tutto, che cosa faccio? Riacquisisco i miei primi diritti’.199 «Giustizia presuppone delle leggi istituite.» Ma essa non presuppone qualche nozione anteriore, nello spirito del legislatore? qualche idea comune a tutti coloro che approvano la legge? Senza ciò, quando si è detto loro: ‘tu farai questo, perché questo è giusto, tu non farai questo, perché questo è ingiusto’, non avrebbero inteso altro che un vano rumore, al quale non avrebbero attribuito alcun senso. [CAPITOLO 9]
P. 492. «Nonostante questo preteso amore dell’uomo per la giustizia, non c’è despota asiatico che non commetta l’ingiustizia e che non la commetta senza rimorso». Tra questi despoti asiatici, ve ne sono alcuni dei quali si è lodata la bontà, l’umanità, la generosità. Se le bestie feroci che gli sono succedute al potere arbitrario ascoltano l’elogio di queste qualità con disprezzo, io potrei credere che essi commettano l’ingiustizia senza rimorso. Ma se i tiranni sono malvagi senza rimorsi, da dove vengono i loro terrori? Da dove vengono tante precauzioni per la loro sicurezza? Mi pare altrettanto difficile che l’oppressore sia senza rimorso, quanto l’oppresso sia senza risentimento. L’uomo pensa la stessa cosa di un leone che l’attacca e di un tiranno che lo schiaccia? No. Quale differenza pone allora tra questi due malfattori, se essa non deriva da qualche prerogativa naturale, da qualche idea confusa di umanità e di giustizia? Ma se divorata dallo squalo. Tutto nella natura ti preannuncia che il debole è la preda del potente. La forza è un dono degli dei. Grazie a essa io posseggo tutto ciò di cui posso appropriarmi. Armandomi di queste braccia nerborute, il Cielo ti ha pertanto dichiarato la sua volontà. Fuggi da questi luoghi, cedi alla forza o combatti’» (pp. 489-490)].
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sécuté a cette idée, pourquoi manquerait-elle au persécuteur ? Si celui-ci ne l’a pas quand il égorge, pourquoi la réclamerait-il quand il est égorgé ? Je ne prononce pas, j’interroge. P. 493. « C’est la crainte et la faiblesse qui font le respect du droit des gens ». Je sais quelle est la conduite des nations policées entre elles, je ne suis inquiet que de l’opinion qu’elles ont d’elles-mêmes, et que du nom qu’elles se donnent au tribunal secret de leur conscience. Un brigand parle comme il lui plaît, mais il ne sent pas comme il voudrait. [CHAPITRE 10] P. 499. « L’abus du pouvoir est lié au pouvoir, comme l’effet l’est à la cause ». Titus, Trajan et Marc-Aurèle réfutent cette mauvaise maxime. Première origine de la grande idée que les hommes attachent au mot force. Lorsque l’homme eut à disputer la forêt au tigre, la force, seule nécessaire à cette conquête, fut trop utile pour n’être pas très estimée. Lorsqu’il fut question d’abattre la forêt, de défricher la plaine, de cultiver la terre, la force, presque seule nécessaire à ces travaux, fut trop utile pour n’être pas très estimée. Lorsque les sociétés furent fermées, la force qui se montrait avec tant d’avantage dans les combats, dut imprimer le respect. L’estime et le respect s’accrurent lorsque la force accompagna le courage, deux qualités qui formèrent le caractère des Hercule, des Jason, des Thésée, des héros dont les noms ne se prononceront jamais sans admiration, dans les siècles même où il n’y eut aucune différence entre le personnage illustre et le brigand. L’esprit de conquête serait encore en honneur aujourd’hui, si le philosophe, ou l’ami de l’humanité, ne l’avait avili. [CHAPITRE 11]
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P. 506. « Dans un état despotique quel respect aurait-on pour un homme honnête ? » Le même que l’on a pour une femme vertueuse dans un pays perdu de galanterie. | Telle est l’autorité imposante de la vertu dans toutes les contrées de la terre, sous toutes les sortes de gouvernements, que plus elle est rare, plus on a de vénération pour elle. Elle meurt de froid et de faim, mais on la loue. Quelles terribles vérités des hommes vertueux, dont la mémoire ne périra jamais dans la patrie du despotisme, n’ont-ils pas eu le courage de faire entendre au despote, presque toujours au péril de leur vie, souvent impunément ! Souvent il est arrivé que la voix de l’homme de bien a étonné et suspendu la férocité de ces tigres. P. 510.A Personne alors ne s’indigna de la bassesse avec laquelle on rechercha l’amitié de Cromwell. Vous vous trompez. Les rois qui honorèrent l’injustice dans sa personne, en rougirent les premiers ; tous les hommes honnêtes en baissèrent la vue ; tous ceux qui purent s’en expliquer librement en parlèrent comme vous.
A « Une des plus fortes preuves que les hommes n’aiment point la justice pour la justice même, est la bassesse avec laquelle les rois eux-mêmes honorèrent l’injustice dans la personne de Cromwell ».
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il perseguitato ha quest’idea, perché essa dovrebbe mancare al persecutore? Se quest’ultimo non ce l’ha, quando sgozza, perché dovrebbe invocarla quando è sgozzato? Io non mi pronuncio, domando. P. 493. «Sono il timore e la debolezza che fondano il rispetto del diritto delle genti». Io so qual è la condotta delle nazioni civilizzate tra loro, non sono preoccupato di altro che dell’opinione che esse hanno di loro stesse e del titolo che si danno nel tribunale segreto della loro coscienza. Un brigante parla come gli piace, ma non sente come vorrebbe. [CAPITOLO 10]
P. 499. «L’abuso del potere è legato al potere, come l’effetto è legato alla causa». Tito, Traiano e Marco Aurelio rifiutano questa falsa massima. Prima origine della grande idea che gli uomini legano alla parola forza. Quando l’uomo dovette contendere la foresta alla tigre, la forza, sola cosa necessaria a questa conquista, fu troppo utile per non essere molto stimata. Quando fu questione di abbattere la foresta, di dissodare la pianura, di coltivare la terra, la forza, quasi la sola cosa necessaria a questi lavori, fu troppo utile per non essere molto stimata. Quando furono formate le società, la forza che si metteva in mostra con tanto vantaggio nei combattimenti, dovette incutere il rispetto. La stima e il rispetto si accrebbero quando la forza accompagnò il coraggio, due qualità che costituirono il carattere degli Ercole, dei Giasone, dei Teseo, degli eroi i cui nomi, nei secoli stessi nei quali non vi fu alcuna differenza tra il personaggio illustre e il brigante, non si pronunciarono mai senza ammirazione. Lo spirito di conquista sarebbe ancora oggi in onore se il filosofo, ossia l’amico dell’umanità, non l’avesse svilito. [CAPITOLO 11]
P. 506. «In uno stato dispotico che rispetto si avrà per un uomo onesto?» Lo stesso che si ha per una donna virtuosa, in un paese perso nella galanteria. Tanto è imponente l’autorità della virtù in tutti i paesi della terra, sotto ogni sorta di governo, che più essa è rara, più se ne ha venerazione. Essa muore di freddo e di fame, ma la si loda. Quali terribili verità hanno avuto il coraggio di far ascoltare al despota degli uomini virtuosi, la cui memoria non perirà mai, nella patria del dispotismo, quasi sempre a rischio della loro vita, spesso impunemente! Spesso è accaduto che la voce dell’uomo dabbene abbia meravigliato e sospeso la ferocia di queste tigri. P. 510.A «Nessuno allora s’indignò della servilità con la quale si ricercò l’amicizia di Cromwell». Vi sbagliate. I re che onorarono l’ingiustizia nella sua persona, ne arrossirono per primi. Tutti gli uomini onesti abbassarono lo sguardo. Tutti coloro che poterono discuterne liberamente ne parlarono come voi. A «Una delle prove più forti che gli uomini non amano per niente la giustizia, è la servilità con la quale gli stessi re onorarono l’ingiustizia nella persona di Cromwell».
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P. 511. Le chapitre précédent me semble de toute véritéA ; mais le gouvernement démocratique supposant le concert des volontés, et le concert des volontés supposant les hommes rassemblés dans un espace assez étroit, je crois qu’il ne peut y avoir que de petites républiques, et que la sûreté de la seule espèce de société qui puisse être heureuse sera toujours précaire. [CHAPITRE 12] P. 515. « Quelque chose qu’on dise, on ne méprise point réellement celui qu’on n’ose mépriser en face ». Cela n’est pas vrai. Irai-je me faire tuer par un spadassin, en lui disant qu’il est un fripon ? | 570
P. 515.B En dépit de la tyrannie, de la corruption, de la bassesse et de l’inutilité de la vertu, il naît partout des hommes vertueux qui vivent et meurent dans leurs principes. Il faut avouer qu’ils sont rares. Je sens que cet ouvrage m’attriste et qu’il m’enlève mes illusions les plus douces. Avec la lanterne de ce Diogène, j’ai peine à trouver un homme de bien, et je chercherais inutilement un peuple heureux. P. 517. « Quelle estime aurait-on à la cour d’un Phocas pour le caractère d’une Léontine ? » Ou je me trompe fort, ou le plus grand. C’est dans l’antre du lion qu’il est beau de le braver. J’admire au théâtre l’homme de bien, et dans les pièces tirées de l’histoire que je connais et dans les pièces dont le fonds est de pure invention et où les noms sont fictifs.C Les trois quarts des auditeurs qui s’émerveillent ou qui pleurent sont ignorants et parfaitement étrangers à Brutus, à César, à Salluste, à Tite-Live, à Tacite. J’ignore A [« Du gouvernement de tous. Le pouvoir suprême est-il dans un État également réparti entre tous les ordres de citoyens ? La nation est le despote. Que désire-t-elle ? Le bien du plus grand nombre [...] La puissance suprême partagée dans toutes les classes des citoyens est l’âme qui répandue également dans tous les membres d’un État, le vivifie, le rend sain et robuste. | Qu’on ne s’étonne donc point si cette forme de gouvernement a toujours été citée comme la meilleure. Les citoyens libres et heureux n’y obéissent qu’à la législation qu’eux-mêmes se sont donnée ; ils ne voient au-dessus d’eux que la justice et la loi ; ils vivent en paix, parce qu’au moral, comme au physique, c’est l’équilibre des forces qui produit le repos ».] B « Si dans les siècles d’oppression la vertu a quelquefois jeté le plus grand éclat ; si lorsque Thèbes et Rome gémissaient sous la tyrannie, l’intrépide Pélopidas, le vertueux Brutus naissent et s’arment, c’est que le sceptre était encore incertain dans les mains du tyran ; c’est que la vertu pouvait encore ouvrir un chemin à la grandeur et à la puissance. N’y fraie-t-elle plus de route ? Le tyran s’est-il à la faveur du luxe et de la mollesse, affermi sur le trône ? A-t-il plié le peuple à la servitude ? Il ne naît plus alors de ces vertus sublimes, qui, par le bienfait de l’exemple, pourraient être encore si utiles à l’univers. Le germe de l’héroïsme est étouffé ». C [« Si l’Européen admire dans l’histoire, applaudit au théâtre des actions généreuses auxquelles l’Asiatique serait souvent insensible, c’est, comme je viens de le dire, l’effet de son instruction ; l’étude de l’histoire grecque et romaine en fait partie. [...] Faute de la même instruction, l’Asiatique n’éprouve pas les mêmes sentiments et ne conçoit pas la même vénération pour les vertus mâles des grands hommes » (p. 519).]
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P. 511. Il capitolo precedente mi sembra assai veritiero,A ma io noto che il governo democratico, presupponendo l’accordo tra le volontà, e l’accordo delle volontà presupponendo gli uomini riuniti in uno spazio assai ristretto, non può realizzarsi che in piccole repubbliche,200 e la sicurezza dell’unica specie di società che possa essere felice sarà sempre precaria.201 [CAPITOLO 12]
P. 515. «Qualunque cosa si dica, non si disprezza veramente colui che non si osa disprezzare in faccia». Questo non è vero. Dovrei andare a farmi uccidere da uno spadaccino, dicendogli che è un furfante? P. 515.B A dispetto della tirannide, della corruzione, della servilità e dell’inutilità della virtù, nascono ovunque degli uomini virtuosi che vivono e muoiono nei loro principi. Si deve confessare che costoro sono rari. Sento che quest’opera m’intristisce e mi priva delle mie illusioni più dolci. Con la lanterna di quel Diogene faccio fatica a trovare un uomo dabbene,202 e cercherei inutilmente un popolo felice. P. 517. «Che stima si avrebbe alla corte di un Foca per il carattere di una Leon tina?»203 O mi sbaglio di grosso o è la maggiore stima. È nell’antro del leone che è bello sfidarlo. A teatro ammiro l’uomo dabbene, tanto nelle rappresentazioni tratte dalla storia che conosco, quanto nelle rappresentazioni in cui il contenuto è di pura invenzione e dove i nomi sono fittizi.C I tre quarti degli ascoltatori che si meravigliano o piangono sono ignoranti e perfettamente estranei a Bruto, a Cesare, a Sallustio, a Tito Livio, a Tacito. Ignoro l’impressione che un Asiatico riceverebbe dallo spettacolo di queste A [«Del governo di tutti. Il potere supremo è ripartito in uno Stato in maniera eguale tra tutti gli ordini dei cittadini? La nazione ne è il despota. Che cosa desidera? Il bene del maggior numero [...]. Il potere supremo diviso tra tutte le classi dei cittadini, è l’anima che è diffusa ugualmente in tutte le membra di uno Stato. Lo vivifica, lo rende sano e robusto. / Che non ci si meravigli dunque se questa forma di governo è sempre stata citata come la migliore. I cittadini liberi e felici non obbediscono ad altri se non alla legislazione che si sono dati essi stessi; non vedono al di sopra di loro altro che la giustizia e la legge; vivono in pace, perché nel morale, come nel fisico, è l’equilibrio delle forze che produce la quiete»]. B «Se nei secoli di oppressione la virtù ha qualche volta diffuso il maggiore splendore, se quando Tebe e Roma gemevano sotto la tirannide, nascono e si armano l’intrepido Pelopida, il virtuoso Bruto, è perché lo scettro era ancora incerto nelle mani del tiranno; è perché la virtù poteva ancora aprirsi un varco verso la grandezza e la potenza. Essa non si apre più la strada? Il tiranno si è consolidato sul trono, grazie al lusso e all’indolenza? Ha piegato il popolo alla servitù? Non nascono più allora quelle virtù sublimi che, per mezzo dell’esempio benefico, potrebbero essere ancora tanto utili all’universo. Il germe dell’eroismo è soffocato». C [«Se l’Europeo ammira nella storia, applaude a teatro delle azioni generose verso le quali l’Asiatico sarebbe spesso insensibile, è a causa, come ho appena detto, della sua educazione. Lo studio della storia greca e romana ne fa parte. [...] In mancanza della stessa istruzione, l’Asiatico non prova gli stessi sentimenti e non concepisce la stessa venerazione per le virtù virili dei grandi uomini» (p. 519)].
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l’impression qu’un Asiatique recevrait du spectacle de ces grandes âmes grecques ou romaines ; et c’est prononcer bien légèrement que d’assurer qu’il n’en serait point ému, tandis qu’on est assis sur la même banquette à côté du courtisan qui vient admirer Burrhus, après avoir fait à la Cour le rôle de Narcisse. C’est que le scélérat ne peut mépriser la vertu, je ne sais même s’il peut la haïr. | [CHAPITRE 13]
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P. 518. « La plupart des peuples de l’Europe honorent la vertu dans la spéculation : ils la méprisent dans la pratique ». Je n’en crois rien. P. 520.A – Il me semble qu’il y a dans toute cette page beaucoup d’esprit et peu de vérité. Je me consulte sincèrement et il me semble que la supériorité d’un personnage antique ne m’a jamais humilié, et que jamais je n’ai ridiculisé l’héroïsme d’un de mes concitoyens. C’est que, quand je vais au spectacle, je laisse à la porte tous mes intérêts, toutes mes passions, sauf à les reprendre en sortant. Il n’en est pas ainsi de la prédication que je vais entendre à l’église. C’est un lieu bien respectable que celui où le méchant va oublier pendant trois heures de suite ce qu’il est. Je ne sais si le magistrat en connaît toute l’utilité. P. 522. « Le caractère d’Énée est plus juste que celui d’Achille. Pourquoi admiret-on ce dernier ?B » C’est que le caractère d’Énée est plat et que celui d’Achille est sublime. Le peuple le croit Impiger, iracundus, inexorabilis, acer. Jura neget sibi nata, nihil non arrogat armis. 572
Celui qui le connaît d’après le poète qui l’a peint, lui trouve à peine un de ces défauts. Achille est grand, Achille | est juste ; il respecte les lois ; il est brave sans ostentation ; il connaît l’amitié, il connaît la tendresse ; il n’a point l’âme dure, il n’est point inflexible. C’est lui qui dit aux ambassadeurs qui viennent lui ravir Briséis, le prix de la victoire : Approchez, envoyés des dieux, ce n’est point vous qui m’offensez... C’est lui qui a dit à ses serviteurs : Jetez un tapis sur ce cadavre, afin que la vue de ce malheureux père n’en soit point affligée. C’est lui qui, après la mort de Patrocle, s’en va pendant la nuit se coucher sur les sables de la mer et mêler sa voix plaintive au tumulte des flots. A [« Qu’on me présente dans l’histoire ou sur le théâtre un grand homme grec, roman, breton ou scandinave, je l’admirerai. Les principes de vertu reçus dans mon enfance m’y forceront : je me livrerai d’autant plus volontiers à ce sentiment que je ne me comparerai point à ce héros. Que sa vertu soit forte et la mienne faible, je m’en déguiserai la faiblesse ; je rejetterai sur la différence des lieux, des temps et des circonstances, celle que je remarque entre lui et moi. Mais si ce grand homme est mon concitoyen, pourquoi ne l’imitai-je point dans sa conduite ? Sa présence doit humilier mon orgueil. Puis-je m’en venger ? Je me venge : je blâme en lui ce que je respecte dans les Anciens. J’insulte à ses actions généreuses : je le punis de son mérite et je méprise du moins hautement en lui son impuissance. »] B [« C’est qu’Achille est fort ; c’est qu’on désire encore plus d’être puissant que juste et qu’on admire toujours ce qu’on voudrait être ».]
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grandi anime greche o romane, ed è pronunciarsi con leggerezza essere certi che egli non ne sarebbe commosso per niente, mentre sta seduto allo stesso banchetto a fianco del cortigiano che sta per ammirare Burro, dopo aver fatto a Corte il ruolo di Narciso.204 Il fatto è che lo scellerato non può disprezzare la virtù, non so nemmeno se può odiarla. [CAPITOLO 13]
P. 518 «La maggior parte dei popoli d’Europa onorano la virtù nella teoria, la disprezzano nella pratica». Non credo proprio. P. 520.A Mi sembra che in tutta questa pagina ci sia molto spirito e poca verità. Mi consulto con sincerità e mi sembra che la superiorità di un personaggio antico non mi abbia mai umiliato, e che io non abbia mai ridicolizzato l’eroismo di uno dei miei concittadini. Il fatto è che quando vado allo spettacolo, lascio all’ingresso tutti i miei interessi, tutte le mie passioni, per poi riprenderli uscendo. Non è la stessa cosa per la predica che vado ad ascoltare in chiesa.205 È un luogo assai rispettabile quello nel quale il malvagio dimentica per tre ore di seguito chi egli sia. Non so se il magistrato ne conosca tutta l’utilità. P. 522. «Il carattere di Enea è più giusto di quello di Achille. Perché si ammira quest’ultimo?»B Perché il carattere di Enea è piatto e quello di Achille sublime. Il popolo lo crede Impiger, irancundus, inexorabilis, acer. Jura negat sibi nata, nihil non arrogat armis.206 Colui che lo conosce come il poeta l’ha dipinto, gli scopre con difficoltà anche uno di quei difetti. Achille è grande, Achille è giusto, rispetta le leggi, è coraggioso senza ostentazione, conosce l’amicizia, conosce la tenerezza, non ha l’animo duro, non è inflessibile. È lui che dice agli ambasciatori venuti a strappargli Briseide, il premio della sua vittoria: Avvicinatevi, messi degli dei, non siete voi che mi offendete... È lui che dice ai suoi servitori: Gettate un velo su questo cadavere, affinché la vista di questo padre infelice non ne sia afflitta. È lui che, dopo la morte di Patroclo, se ne va durante la notte a sdraiarsi sulla sabbia del mare e a mescolare la sua voce gemente al rumore delle onde.207 A [«Se mi si mostra nella storia o a teatro un grand’uomo greco, romano, bretone o scandinavo, lo ammirerò. I principi della virtù ricevuti nella mia infanzia mi costringeranno a ciò: mi abbandonerò tanto più volentieri a questo sentimento quanto meno mi paragonerò a quest’eroe. Che la sua virtù sia forte e la mia debole, e io mi nasconderò la mia debolezza; la rinvierò alla differenza dei luoghi, dei tempi e delle circostanze, quella che io noto tra lui e me. Ma se questo grand’uomo è un mio concittadino, perché non lo imitai nella sua condotta? La sua presenza deve umiliare il mio orgoglio. Posso vendicarmene? Me ne vendico: biasimo in lui ciò che rispetto negli Antichi. Insulto le sue azioni generose: lo punisco per il suo merito e, quanto meno, disprezzo fortemente in lui la sua impotenza»]. B [«Perché Achille è forte; perché si desidera molto di più essere potenti che giusti e si ammira sempre ciò che si vorrebbe essere»].
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Je reviens à l’effet des spectacles. Les idées d’intérêt m’obsèdent et me troublent dans la société, mais elles disparaissent dans la région des hypothèses ; là, je suis magnanime, équitable, compatissant, parce que je puis l’être sans conséquence. Rien de plus commun qu’un spectateur au théâtre, qu’un lecteur le livre à la main ; rien de plus rare qu’un citoyen honnête. CHAPITRE 14A
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P. 523. Il est un phénomène, constant dans la nature, auquel Helvétius n’a pas fait attention, c’est que les âmes fortes sont rares, que la nature ne fait presque que des êtres communs ; que c’est la raison pour laquelle les causes morales subjuguent si facilement l’organisation. Quelle que soit l’éducation publique ou particulière, quels que soient les gouvernements et la législation, sauf les temps de l’enthousiasme qui n’est et ne peut être qu’un ressort passager, la multitude ne vous montrera qu’un mélange de bonté et de méchanceté. Helvétius avait bien plus de platonismeB dans sa tête qu’il ne croyait. La folie consiste à préférer l’intérêt d’un moment au bonheur de sa vie ; la passion ne voit pas plus loin que son nez. Par quels moyens peut-on diminuer le nombre des fous et des hommes passionnés ? Il y avait tout autant de méchants et de fous et tout | aussi fous et méchants dans Athènes ou dans Rome que dans Paris. – Et de grands hommes ? – Je pense qu’ils y étaient moins rares, et c’est à quoi se réduit, à mon avis, toute l’excellence d’une législation. Pour le peuple, c’est-à-dire la multitude, elle reste la même partout. Les fous et les méchants sont à nos côtés, nous les voyons et le nombre nous en paraît infini. Socrate et Caton en comptaient autant de leur temps. Toute une nation dont nous sommes séparés par un long intervalle de temps se réduit dans notre tête à un petit nombre de noms fameux qui nous ont été transmis par l’histoire. Peu s’en faut que nous ne croyions qu’on ne pouvait faire un pas dans les rues d’Athènes sans coudoyer un Aristide ; de même que nos neveux croiront qu’on ne pouvait faire un pas dans Paris sans coudoyer un Malesherbes ou un Turgot. P. 525. « L’homme n’aime dans la vertu que la richesse et la considération qu’elle lui procure ». En général cela est vrai. En détail rien n’est plus faux. [CHAPITRE 15] P. 526. « Les hommes finissent par croire les opinions qu’on les force de publier ». Rien de plus contraire que cette maxime à l’effet qu’on attribue à la persécution : Sanguis martyrum semen christianorum. Combien de têtes enivrées par la vapeur du sang des martyrs ! Ibid. « Ce que ne peut le raisonnement, la violence l’exécute ». A
[« L’amour du pouvoir est dans l’homme la disposition la plus favorable à la vertu ».] [« Dans une excellente législation les seuls vicieux seraient les fous. C’est donc toujours à l’absurdité plus ou moins grande des lois qu’il faut en tout pays attribuer la plus ou moins grande des lois qu’il faut en tout pays attribuer la plus ou moins grande stupidité ou méchanceté des citoyens » (p. 524).] B
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Torno agli effetti degli spettacoli. Le idee di interesse mi ossessionano e mi turbano in società, ma scompaiono nella regione delle ipotesi.208 Lì, io sono magnanimo, giusto, compassionevole, perché posso esserlo senza conseguenze. Niente di più comune di uno spettatore a teatro, di un lettore con un libro in mano. Niente di più raro di un cittadino onesto. CAPITOLO 14A
P. 523. Vi è un fenomeno costante nella natura al quale Helvétius non ha fatto attenzione: le anime forti sono rare, la natura non fa quasi altro che esseri comuni ed è questa la ragione per la quale le cause morali soggiogano così facilmente l’organizzazione. Quale che sia l’educazione, pubblica o privata, quali che siano il governo e la legislazione, escludendo i periodi di entusiasmo che è e non può che essere una molla passeggera, la moltitudine non mostrerà altro che un miscuglio di bontà e cattiveria. Hélvetius aveva in testa assai più platonismoB di quanto non credesse.209 La follia consiste a preferire l’interesse di un momento alla felicità della propria vita: la passione non vede oltre il proprio naso. Con che mezzi si può diminuire il numero dei folli e degli uomini appassionati? C’erano altrettanti malvagi e folli, e altrettanto folli e malvagi, ad Atene o a Roma che a Parigi. – E altrettanti grandi uomini? – Penso che fossero meno rari, ed è a ciò che si riduce, a mio parere, tutta l’eccellenza di una legislazione. Per il popolo, cioè per la moltitudine, essa resta la stessa ovunque. I folli e i malvagi sono accanto a noi: li vediamo e il loro numero ci pare infinito. Socrate e Catone ne contavano altrettanti, ai loro tempi. Tutta una nazione, dalla quale siamo separati da un lungo intervallo di tempo, si riduce, nella nostra testa, a un piccolo numero di nomi famosi che ci sono stati trasmessi dalla storia. Poco ci manca dal credere che non si potesse fare un passo per le strade di Atene senza incrociare un Aristide,210 così come i nostri nipoti crederanno che non si potesse fare un passo a Parigi, senza incrociare un Malesherbes o un Turgot. P. 525. «L’uomo non ama nella virtù altro che la ricchezza e la considerazione che essa gli procura». In generale, ciò è vero. Nel particolare, niente di più falso. [CAPITOLO 15]
P. 526. «Gli uomini finiscono per credere alle opinioni che li si forza a sostenere pubblicamente». Niente di più contrario di questa massima all’effetto che si attribuisce alla persecuzione, sanguinis martyrum semen christianorum.211 Quante teste inebriate dal vapore del sangue dei martiri! Ibid. «Ciò che non può il ragionamento, lo realizza la violenza».
A
[«L’amore per il potere è nell’uomo la disposizione più favorevole alla virtù»]. [«In una legislazione eccellente gli unici viziosi saranno i folli. In ogni paese è quindi sempre all’assurdità più o meno grande delle leggi che si deve attribuire la più o meno grande stupidità o cattiveria dei cittadini» (p. 524)]. B
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Je ne sache rien de plus contraire à l’expérience. Ibid. « L’intolérance dans les monarques est toujours l’effet de leur amour pour le pouvoir. Ne pas penser comme eux, c’est mettre une borne à leur autorité ». Cela, c’est une idée creuse qui n’a jamais passé par la tête d’aucun. [CHAPITRE 16] 574
P. 532. « Du moment où le fort a parlé, le faible se tait, s’abrutit et cesse de penser ». | Ce n’est point là ce qui se passe. Au moment où le fort a ordonné le silence, la fureur de parler prend au faible. Il faut bien du temps pour abrutir une nation éclairée. Il y a longtemps qu’on y travaille ici, et il me semble que la besogne n’est pas fort avancée. P. 535.A Helvétius, admirateur outré du roi de Prusse, ne s’est pas douté qu’il peignait son administration trait pour trait. [CHAPITRE 23] P. 584. « L’expérience apprend que la crainte de la férule, du fouet ou d’une punition encore plus légère suffit pour douer l’enfant de l’attention qu’exige l’étude et de la lecture et des langues ». L’expérience apprend tout le contraire ; et j’ai vu cruellement écorcher des enfants qui n’en avançaient pas d’un pas de plus dans la lecture et l’étude des langues. P. 585.B « Si l’étude de leur propre langue paraît en général moins pénible aux enfants que l’étude de la géométrie, c’est que... » – C’est que cela n’est pas vrai. Il n’y en a presque pas un qui ne réussisse en géométrie, et tout aussi peu qui réussissent dans l’étude de la langue par principes.
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P. 588. Dans le chapitre précédent l’auteur récapitule ses paradoxes avec une intrépidité qui m’étonne.C Là, je | me suis aperçu qu’on avait retenu toutes les conséA [« Le sultan aveuglément obéi est content. Que d’ailleurs ses sujets soient sans vertus, que l’empire s’affaiblisse, qu’il périsse par la consomption, peu lui importe : il suffit que la durée de la maladie en cache la véritable cause, et qu’on ne puisse en accuser l’ignorance du médecin. La seule crainte des sultans et de leurs vizirs, c’est une convulsion subite dans l’empire. Il en est des vizirs comme des chirurgiens ; leur unique désir, c’est que l’État et le malade n’expirent point entre leurs mains. Que d’ailleurs l’un et l’autre meurent du régime qu’ils prescrivent, leur réputation est sauve ; ils s’en inquiètent peu. | Dans les gouvernements arbitraires, l’on ne s’occupe que du moment présent. [...] Semblable à l’araignée qui sans cesse entoure de nouveaux fils l’insecte dont elle fait sa proie, le sultan, pour dévorer plus tranquillement ses peuples, les charge chaque jour de nouvelles chaînes » (p. 535-536).] B « Si l’étude de leur propre langue paraît en général moins pénible aux enfants que l’étude la géométrie ». C [« Si l’on se rappelle maintenant ce que j’ai dit, section 2, 3 et 4 de cet ouvrage : | 1°. Que tous les hommes ont une égale aptitude à l’esprit ; | 2°. Que cette égale aptitude est en eux une puissance morte, si elle n’est vivifiée par les passions ; | 3°. Que la Passion de la gloire est celle qui met le plus communément cette puissance en action ; | 4°. Que tous en sont susceptibles dans les pays où la gloire conduit au pouvoir ; La conclusion générale due j’en tirerai, c’est que tous les hommes organisés comme le commun d’entre eux peuvent être animés de l’espèce de passion propre à les élever aux plus hautes vérités » (p. 580-581).]
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Non conosco niente di più contrario all’esperienza. Ibid. «L’intolleranza dei monarchi è sempre l’effetto del loro amore per il potere. Non pensare come loro, è mettere un confine alla loro autorità». Questa è un’idea vuota che non è mai passata per la testa di nessuno. [CAPITOLO 16]
P. 532. «Dopo che ha parlato il forte, il debole tace, si abbrutisce e smette di pensare». Non è questo ciò che accade. Dopo che il forte ha comandato il silenzio, al debole prende la smania di parlare. Occorre molto tempo per abbrutire una nazione illuminata. È molto tempo qui che vi si lavora, e mi sembra che il lavoro non sia avanzato molto. P. 535.A Helvétius, ammiratore eccessivo del re di Prussia, non ha avuto il sospetto che ne stava descrivendo l’amministrazione tratto per tratto. [CAPITOLO 23]
P. 584. «L’esperienza insegna che il timore della ferula, della frusta o di una punizione ancora più leggera basta per dotare il bambino dell’attenzione che esige l’apprendimento tanto della lettura quanto delle lingue». L’esperienza insegna tutto il contrario. Ho visto violentare crudelmente dei bambini, che non progredivano per questo di un passo in più nella lettura e nell’apprendimento delle lingue.212 P. 585.B «Se lo studio della lingua sembra in generale meno faticoso dello studio della geometria, è perché...». Perché questo non è vero. Non c’è quasi nessuno che abbia successo in geometria, e pochi che riescono nello studio della lingua, per principi. P. 588. Nel capitolo precedente l’autore riepiloga i suoi paradossi con un’intrepidezza che mi stupisce.C Mi sono accorto che lì aveva tenuto ferme tutte le conseguenze A [«Il sultano, obbedito ciecamente, è contento. Che d’altro canto i suoi sudditi siano senza virtù, che l’impero si indebolisca, muoia di consunzione, gli importa poco: gli basta che la durata della malattia ne nasconda la vera causa, e che non si possa accusare d’ignoranza il medico. Il solo timore dei sultani e dei loro visir, è una convulsione subitanea nell’impero. I visir sono come i chirurghi, il loro unico desiderio è che lo Stato e il malato non muoiano tra le loro mani. D’altro canto, che entrambi muoiano della dieta che essi prescrivono, la loro reputazione è comunque salva; se ne preoccupano poco. / Nei governi arbitrari, non ci si occupa di altro che del momento presente. [...] Simile al ragno che senza posa circonda di nuovi fili l’insetto di cui ha fatto la sua preda, il sultano, per divorare più tranquillamente i suoi popoli, li carica ogni giorno di nuove catene»]. B «Se lo studio della propria lingua sembra ai bambini in generale meno faticoso rispetto allo studio della geometria». C [«Ci si ricordi adesso ciò che ho detto, nelle sezioni 2, 3, 4 di quest’opera: / 1: Che tutti gli uomini hanno un’uguale attitudine allo spirito; 2. Che questa uguale attitudine è in essi un potenza morta, se non è vivificata dalle passioni; 3: Che la passione per la gloria è quella che mette più comunemente questa potenza in azione; / Che tutti ne sono suscettibili nei paesi nei quali la gloria conduce al potere; / La conclusione generale che ne trarrò è che tutti gli uomini comunemente organizzati tra loro possono essere animati dal tipo di passione capace di elevarli alle più alte verità» (pp. 580-581)].
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quences vicieuses, aucune des preuves ; rien de ce long enchaînement de ces vérités neuves, piquantes, fortement exprimées, de ces observations subtiles par lesquelles on avait été conduit. De ce défaut qui me chagrine, les esprits médiocres qui font toujours le grand nombre, et l’envie, dont l’auteur prétend que personne n’est parfaitement exempt, s’en serviront avec succès pour rabaisser le prix de l’ouvrage et en arrêter l’utilité ; mais le temps le remettra à sa place. Il y a plus de véritable substance dans un de ces chapitres que dans les quinze volumes de Nicole ; il est plus lié, plus suivi que Montaigne ; et Charron n’a ni sa hardiesse ni sa couleur. C’est un véritable système de morale expérimentale dont il ne s’agit que de restreindre un peu les conclusions, ce que tout esprit ordinaire peut faire. Et pourquoi chicaner cet auteur ? Après tout, les moyens qu’il propose ne sont-ils pas les meilleurs qu’on puisse employer pour multiplier chez une nation les gens de bien et les grands hommes ? [CHAPITRE 24]
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P. 598 « Les stupides habitants du Kamschatka sont de la plus grande industrie à se faire des vêtements ». Et comment cette industrie leur est-elle venue ? Est-ce le produit d’une année, d’un lustre, de deux ou trois siècles ? Il en est de leurs inventions comme des métiers de la manufacture de Lyon : ces prodiges ne sont point l’ouvrage d’un homme, c’est le résultat de plusieurs générations d’hommes successivement occupés, depuis la fabrique de la toile jusqu’à celle des étoffes qui nous émerveillent, de la perfection d’un même art ; c’est pendant la durée de quelques mille ans qu’une longue suite de stupides se sont tourmentés au Kamschatka pour arriver où ils en sont. Qu’un bras nerveux soulève une énorme masse de plomb, j’en serai surpris ; mais qu’une multitude d’hommes se divise | entre eux cette masse, et que chacun d’eux en porte une ou deux onces, ce ne sera plus un tour de force. [Note 14] P. 601. « Pourquoi l’affabilité rend-elle le mérite supportable ? C’est qu’elle le rend un peu méprisable ». Je n’entends pas cela. Il me semble au contraire qu’on discute avec rigueur le mérite arrogant, et qu’on se plaît à relever le mérite affable. [Note 24] P. 604. La culture a donc fondé le droit de propriété ? Et pourquoi ? C’est qu’elle est pénible. La chasse et la pêche le sont-elles moins ? Comment la force qui ravit tout ce qui lui convient, aurait-elle donc méconnu son injustice, lorsqu’elle s’emparait du poisson qu’un autre avait pris ou du cerf qu’il avait tué ? Sans cet aveu préliminaire de la conscience, comment les hommes auraient-ils consenti des lois ? Le premier législaA
A « C’est du moment où les hommes multipliés ont été forcés de cultiver la terre, qu’ils ont senti la nécessité d’assurer au cultivateur et sa récolte et la propriété du champ qu’il labourait ».
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viziose, ma nessuna prova, niente di quella lunga catena di verità nuove, piccanti, vivamente espresse, di quelle osservazioni sottili dalle quali si era stati guidati. Gli spiriti mediocri, che sono sempre la maggioranza, e l’invidia, dalla quale l’autore pretende che nessuno sia perfettamente immune, si serviranno con successo di questo difetto che mi rattrista, per abbassare il valore dell’opera e per limitarne l’utilità. Ma il tempo la ricollocherà al suo posto. C’è più sostanza reale in uno dei suoi capitoli che nei quindici volumi di Nicole;213 è più stringente, più coerente di Montaigne e Charron non ha né la sua audacia, né il suo colore. È un vero sistema di morale sperimentale del quale non c’è che da limitare un po’ le conclusioni, troppo generali, cosa che ogni spirito ordinario può fare. E perché cavillare con questo autore? Tutto sommato, i modi che propone non sono i migliori che si possano utilizzare per aumentare, in una nazione, il numero delle persone dabbene e i grandi uomini? [CAPITOLO 24]
P. 589. «Gli stupidi Camciadali sono estremamente abili nel farsi dei vestiti». È come è venuta loro questa abilità? È il prodotto di un anno, di un lustro, di due o tre secoli? Le loro invenzioni sono come i telai della manifattura di Lione: questi prodigi non sono l’opera di un uomo, sono il risultato di molte generazioni di uomini occupate successivamente, dalla fabbrica di tela fino a quella delle stoffe che ci meravigliano, nella perfezione di una stessa arte. È per un periodo di quasi mille anni che una lunga successione di stupidi si sono tormentati in Kamchatka 214 per giungere là dove sono arrivati. Se un braccio nerboruto solleva un’enorme massa di piombo, ne sarò stupito, ma se una moltitudine di uomini si divide tra loro questa massa e se ciascuno di loro ne porta una o due once, questa non sarà più un’impresa. [Nota 14] P. 601. «Perché l’affabilità rende il merito sopportabile? Perché lo rende un po’ disprezzabile». Questo non lo capisco. Mi sembra, al contrario, che si discuta con severità il merito arrogante e che faccia piacere notare il merito affabile.
[Nota 24] P. 604. La coltivazione ha quindi fondato il diritto di proprietà? E perché? Perché è faticosa. La caccia e la pesca lo sono di meno? La forza che si appropria di tutto ciò che gli conviene come avrebbe potuto ignorare, quindi, la sua ingiustizia, quando si impadroniva del pesce che un altro aveva preso o del cervo che aveva ucciso? Senza questo riconoscimento preliminare della coscienza, gli uomini come avrebbero dato il proprio consenso alle leggi? Il primo legislatore prese le mosse probabilmente da un fatto che A
A «Dal momento in cui gli uomini, aumentati di numero, sono stati costretti a coltivare la terra, hanno sentito la necessità di assicurare al coltivatore la raccolta e la proprietà del campo che lavorava».
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teur partit sans doute d’un fait qui renfermait l’axiome fondamental de toute morale : ne fais point à autrui ce que tu ne veux pas qu’on te fasse ; en sentait-il la vérité ou ne la sentait-il pas ? Si vous répondez le premier, donc il avait quelque notion de justice antérieure à la loi ; si vous répondez le second, vous dites une absurdité évidente. – C’est de l’intérêt commun de tous, et non d’une idée de justice que sont émanées les premières lois. – Mais comment l’intérêt aurait-il amené le concert des volontés, si chacun en particulier n’avait pas conçu qu’il était juste de faire pour tous ce que tous s’accordaient à faire pour lui ? Je questionne toujours, je ne prononce pas. [Note 27] P. 606. Le brigandage rangé par Aristote dans la classe des différentes espèces de chasse, me fait rire. | Je suis tenté de rayer du nombre des sages un législateur assez étranger au sentiment d’humanité, pour défendre le vol et l’injustice à trois ou quatre milles à la ronde, et le permettre au-delà. A
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[Note 29] P. 608. « L’amour tant vanté de l’équité n’est donc ni naturel ni commun aux hommes ». L’amour, soit ; mais la connaissance ? Car sentir, connaître et pratiquer sont des choses bien diverses. Je consens que le fort opprime le faible, lorsqu’il n’est retenu par aucune crainte. Ce que j’ai peine à concevoir, c’est qu’il n’ait ni la conscience de son injustice, ni le remords de son action, c’est qu’il soit sincèrement persuadé qu’il use d’un droit légitime et qu’il serait un sot de n’en pas user. Pour moi, je ne saurais revenir jusqu’à cet état ancien d’abrutissement, où l’homme n’avait ni les idées ni la langue nécessaires pour articuler ce droit. Fut-il un temps où l’homme put être confondu avec la bête ? Je ne le pense pas : il fut toujours un homme, c’est-à-dire un animal combinant des idées. Si toutefois ce temps exista, ce fut alors que toute idée de justice fut ignorée, j’en conviens ; mais ce ne fut pas celui où l’homme violent et fort s’adressa au premier occupant avec cette éloquence énergique et pressée que vous lui prêtez ; il n’aurait pu mieux dire quand il aurait étudié la rhétorique au Collège Royal pendant deux ans, et trois ou quatre ans la philosophie sous Hobbes. Pour éteindre en lui toute notion de justice, vous le supposez aussi stupide qu’un tigre ; et pour lui faire prouver son droit du plus fort, vous le rendez aussi disert que Carnéade. Cela ne s’arrange pas. [Note 32] P. 611. « Plus une nation est éclairée, plus elle se prête aux demandes d’un gouvernement équitable ». A
[« Aristote met le brigandage au nombre des différentes espèces de chasses. Solon entre les diverses professions compte celle de voleur. Il observe seulement qu’il ne faut voler, ni ses concitoyens, ni les alliés de la république. Rome fut sous le premier de ses rois un repaire de brigands. Les Germains, dit César, regardent la dévastation et le pillage comme le seul exercice convenable à la jeunesse, le seul qui puisse l’arracher à la paresse et former des hommes » (p. 605-606).]
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racchiudeva l’assioma fondamentale di ogni morale: non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te. Ne sentiva la verità o non la sentiva? Se rispondete nel primo senso, allora egli aveva qualche nozione della giustizia anteriore alla legge; se rispondete nel secondo senso, dite un’evidente assurdità. – È dall’interesse comune a tutti, e non da un’idea di giustizia che derivano le prime leggi. – Ma l’interesse come avrebbe causato l’accordo delle volontà, se ciascuno, in privato, non avesse capito che era giusto fare per tutti ciò che tutti si accordavano di fare per lui? Domando sempre, non mi pronuncio.
[Nota 27] P: 606. Il brigantaggio, incluso da Aristotele nella classe delle diverse specie di caccia,215 mi fa ridere. Sono tentato di depennare dal numero dei saggi un legislatore tanto estraneo al sentimento di umanità, da proibire il furto e l’ingiustizia entro tre o quattromila miglia, e da permetterlo oltre tale limite. A
[Nota 29] P. 608. «L’amore dell’equità, tanto vantato, non è né naturale, né comune agli uomini». Sia così dell’amore, ma della conoscenza? Poiché sentire, conoscere e mettere in pratica sono cose molto diverse. Ammetto che il forte opprime il debole, quando non sia trattenuto da alcun timore. Quello che fatico a concepire è che egli non abbia né la coscienza della sua ingiustizia, né il rimorso per la sua azione; è che egli sia sinceramente persuaso di avvalersi di un diritto legittimo e che sarebbe sciocco non utilizzarlo. Per quanto mi riguarda, non saprei tornare fino a questo antico stato di abbrutimento, quando l’uomo non aveva né le idee, né il linguaggio necessario per articolare tale diritto. Ci fu un tempo nel quale l’uomo poté essere confuso con l’animale? Non lo penso: egli fu sempre un uomo, cioè un animale che mette insieme delle idee. Se tuttavia questo tempo esistette, fu proprio allora che ogni idea di giustizia venne ignorata, ne convengo, ma questo non fu il tempo nel quale l’uomo violento e forte si rivolse al primo occupante con quell’eloquenza energica e urgente che voi gli attribuite. Non avrebbe potuto esprimersi meglio, quand’anche avesse studiato la retorica al Collegio reale per due anni, e tre o quattro anni la filosofia sotto la guida di Hobbes. Per spegnere in lui ogni nozione di giustizia, voi lo immaginate stupido come una tigre; e per fargli dimostrare il suo diritto del più forte, lo rendete altrettanto facondo quanto Carneade.216 Ciò non va bene.
[Nota 32] P. 611. «Più una nazione è illuminata, più facilmente si presta alle giuste richieste di un governo equo». A [«Aristotele mette il brigantaggio nel novero delle diverse specie di caccia. Solone tra le diverse professioni conta quella del ladro. Osserva solamente che non si deve rubare né ai propri concittadini né agli alleati della repubblica. Roma fu, sotto il primo dei suoi re, un covo di briganti. I Germani, dice Cesare, guardano alla devastazione e al saccheggio come il solo esercizio conveniente alla gioventù, il solo che possa distoglierla dalla pigrizia e formare degli uomini» (pp. 605-606)].
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Il y a plus ; il faut que ces demandes soient d’une injustice révoltante, pour qu’elle s’y refuse. La vie d’un souverain n’est exposée que chez un peuple barbare ; c’est là qu’en un instant il est étranglé ou poignardé. Que fait donc un despote en abrutissant ses sujets ? Il courbe des arbres qui finissent par lui briser la cervelle, en se relevant. | [Note 33]
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P. 612. Une nation où le vice fut honoré et la vertu méprisée ne fut et ne sera jamais. Moins il y a d’honnêtes femmes, plus les femmes honnêtes sont révérées ; plus il y a des méchants, plus les gens de bien sont considérés : l’horreur du crime est d’autant moindre que le crime est plus commun : le prix de la vertu est d’autant plus grand que la vertu est plus rare. Lorsque vous entendrez un éloge de la probité, dites que la nation est au dernier degré de la dépravation, puisqu’on y loue dans un particulier le devoir commun de tous. C’est alors le moment de dire à son fils, à sa fille : « Veux-tu qu’on te montre au doigt comme un phénix ? n’aie point d’amant, ne sois pas une catin. Veuxtu qu’on t’honore, qu’on t’appelle l’homme unique ? ne sois pas un fripon à pendre. » Le vice n’a pas toujours excité l’horreur qu’il méritait, mais il n’a jamais obtenu du respect ; l’extrême de la bassesse est de l’excuser. Partout où l’auteur parle de religion il substitue le mot de papisme à celui de christianisme. Grâce à cette circonspection pusillanime, la postérité ne sachant quels étaient ses véritables sentiments, elle dira : « Quoi, cet homme qu’on a si cruellement persécuté pour sa liberté de penser, croyait à la Trinité, au péché d’Adam, à l’Incarnation ! » car ces dogmes sont de toutes les sectes chrétiennes... C’est ainsi que la frayeur qu’on a des prêtres a gâté, gâte et gâtera tous les ouvrages philosophiques ; a rendu Aristote alternativement agresseur et défenseur des causes finales ; fit autrefois inventer la double doctrine ; et a introduit dans les ouvrages modernes un mélange d’incrédulité et de superstition qui dégoûte. J’aime une philosophie claire, nette et franche, telle qu’elle | est dans le Système de la nature et plus encore dans le Bon Sens. J’aurais dit à Épicure : Si tu ne crois pas aux Dieux, pourquoi les reléguer dans les intervalles des mondes ? L’auteur du Système de la nature n’est pas athée dans une page, déiste dans une autre : sa philosophie est tout d’une pièce. On ne lui dira pas : Tâchez de vous entendre ; nos neveux ne le citeront pas pour et contre, comme les sectateurs de tous les cultes s’attaquent et défendent par des passages également précis de leurs livres prétendus révéA
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A [« Voilà comme l’amour du pouvoir et de la considération engendre l’amour de la justice. Ce dernier amour, il est vrai, est étranger à l’homme ; celui du pouvoir au contraire lui est naturel : il est commun à tous, au vertueux comme au fripon, au sauvage comme à l’homme policé. L’amour du pouvoir est l’effet immédiat de la sensibilité physique ; et le désir de la justice l’effet de l’instruction. En conséquence c’est de la sagesse des lois que dépend la vertu des peuples. Que d’hommes vertueux chez un peuple où l’on respecte la justice, seraient injustes chez une nation féroce, où l’équité serait traitée de faiblesse et de lâcheté ? On n’aime donc point l’équité poux l’équité même. C’est une question de tout temps décidée par la conduite et les mœurs de tous les peuples et de tous les despotes ».]
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C’è di più: è necessario che tali richieste siano di un’ingiustizia rivoltante, perché essa si rifiuti di accoglierle. La vita di un sovrano è in pericolo solo presso un popolo barbaro: è lì che in un attimo egli viene strangolato o pugnalato. Che cosa fa allora un despota abbrutendo i suoi sudditi? Piega degli alberi che, risollevandosi, finiscono per fargli saltare il cervello.217
[Nota 33] P. 612. Una nazione nella quale il vizio venisse onorato e la virtù disprezzata non ci fu né ci sarà mai. Meno donne oneste ci sono, più le donne oneste sono onorate. Più malvagi ci sono, più le persone dabbene sono considerate. L’orrore per il crimine è tanto minore quanto più il crimine è comune. Il valore della virtù è tanto più grande quanto più la virtù è rara. Quando ascolterete un elogio della probità, potete dire che la nazione ha raggiunto l’ultimo grado della depravazione, poiché vi si loda, in un privato cittadino, il dovere comune a tutti. È allora il momento di dire al proprio figlio, alla propria figlia: ‘Vuoi venire indicata come un’araba fenice? Non avere amanti, non essere una puttana. Vuoi essere onorato, essere chiamato un uomo unico? Non essere un furfante da impiccare’. Il vizio non ha sempre destato l’orrore che meritava, ma non ha mai ottenuto rispetto. Il colmo della servilità è arrivare a scusarla. Ovunque l’autore parla di religione sostituisce la parola papismo a cristianesimo. Grazie a questa pusillanime circospezione, la posterità, non sapendo quali fossero le sue vere opinioni, dirà: «Cosa, quest’uomo che è stato così crudelmente perseguitato per la sua libertà di pensiero, credeva alla Trinità, al peccato di Adamo, all’Incarnazione!». Dato che questi dogmi sono quelli di tutte le sette cristiane. È così che la paura che si ha dei preti ha guastato, guasta e guasterà tutte le opere filosofiche: essa ha reso Aristotele successivamente nemico e difensore delle cause finali, fece un tempo inventare la doppia dottrina 218 e ha introdotto, nelle opere moderne, un miscuglio di incredulità e di superstizione che disgusta. Amo una filosofia chiara, netta e franca, come quella che si trova nel Sistema della natura, e ancor più nel Buon senso.219 Avrei detto a Epicuro: ‘Se non credi agli dei, perché li releghi negli interstizi tra i mondi?’.220 L’autore del Sistema della natura non è ateo in una pagina, deista in un’altra; la sua filosofia è tutta d’un pezzo. Non gli si dirà: ‘Cercate di mettervi d’accordo’. I nostri nipoti non citeranno il pro e il contro, così come i partigiani di tutti i culti si attaccano e si difendono grazie a dei passi ugualmente precisi dei loro libri, che si pretenA
A [«Ecco come l’amore per il potere e per la considerazione dà origine all’amore per la giustizia. Quest’ultimo amore, è vero, è estraneo all’uomo, al contrario quello per il potere gli è naturale: è comune a tutti, al virtuoso come al furfante, al selvaggio come all’uomo civile. L’amore per il potere è l’effetto immediato della sensibilità fisica; e il desiderio della giustizia l’effetto dell’istruzione. Di conseguenza, è dalla saggezza delle leggi che dipende la virtù dei popoli. Quanti uomini virtuosi in un popolo dove si rispetta la giustizia, sarebbero invece ingiusti in una nazione feroce nella quale l’equità fosse trattata da debolezza e viltà? Non si ama per niente l’equità per l’equità stessa. Si tratta di una questione decisa da sempre dalla condotta e dai costumi di tutti i popoli e tutti i despoti»].
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lés où l’on trouve : Mon père et moi ne sommes qu’un, mon père est plus grand que moi ; et dont l’autorité s’emploie en faveur des opinions les plus contradictoires : reproche fait aux auteurs sacrés, dans des productions hétérodoxes où l’on remarque à chaque ligne le même défaut, avec cette différence qu’il est un peu plus permis à l’homme de biaiser qu’à l’Esprit-Saint. [SECTION IV CHAPITRE 6]
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Encore une observation et je ferme le premier volume. Helvétius dit quelque part, je crois page 476 : « Le vœu de l’homme médiocre, estA de n’avoir point de supérieur ». Helvétius, dites de tout homme, cela est dans vos principes. N’exceptez que l’homme supérieur qui peut-être se croit l’homme unique. Nos désirs les plus illimités se réduisent à garder les avantages de notre sort et à envahir les avantages du sort d’autrui ; c’est là toute la valeur de ce propos si commun et si ridicule : je voudrais bien être à sa place. Mécontents du présent et du passé, il n’y a point d’avenir dont nous craignions moins que du nôtre. Avant que dépasser au volume suivant, il me prend en fantaisie de réciter à Helvétius l’histoire de quelque grande découverte et d’entremêler ce récit de quelques questions. Des parents, qui n’étaient ni pauvres ni riches, avaient plusieurs enfants ; ils faisaient cas de l’éducation, et pour assurer l’éducation de ces enfants, ils en étudiaient les dispositions naturelles... Et cela vous paraît | fou ? Ils crurent apercevoir dans l’aîné de deux garçons qu’il avait du goût pour la lecture et pour l’étude. Ils l’envoyèrent au collège de la province où il se distingua, et de là à Paris, dans les classes de l’université où ses maîtres ne purent jamais vaincre son dédain pour les frivolités de la scolastique. On lui mit entre les mains des cahiers d’arithmétique, d’algèbre et de géométrie qu’il dévora. Entraîné par la suite à des études plus agréables, il se plut à la lecture d’Homère, de Virgile, du Tasse et de Milton, mais revenant toujours aux mathématiques, comme un époux infidèle, las de sa maîtresse, revient de temps en temps à sa femme. Monsieur Helvétius, qu’est-ce qu’il y a de merveilleux et de fortuit dans tout cela ? À la promenade, chez lui à la chute du jour, la nuit dans l’insomnie, son habitude était de rêver négligemment à quelques questions désespérées, entre lesquelles il préférait la quadrature du cercle. Les lunules d’Hippocrate de Chio lui revenaient sans cesse, et il se disait : Il est aussi impossible qu’il y ait une vérité stérile dans la science qu’un phénomène isolé dans la nature. Pourquoi la découverte d’Hippocrate n’a-t-elle rien produit ? Corollaire de l’égalité du carré de l’hypoténuse aux carrés des deux autres côtés, une autre vérité doit être le sien, et une autre vérité le corollaire de celle-ci ; et ainsi de suite à l’infini. Je n’examine pas s’il raisonnait bien ou mal ; mais il ne raisonnait pas ainsi par hasard. Un jour, il se demande pourquoi les lunules d’Hippocrate, égales, étaient carrables ensemble et séparément ; et pourquoi, inégales, elles étaient encore carrables ensemble, et non plus séparément ? Il appelle d la différence de deux lunules inégales, et il trouve que tout espace circulaire terminé par des arcs quelconques circulaires concaves et convexes, est carrable,
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« c’est de n’avoir ».
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dono rivelati, in cui si legge: Io e mio padre non siamo che uno, mio padre è più grande di me,221 e l’autorità dei quali è messa a servizio delle opinioni più contraddittorie; rimprovero avanzato agli autori sacri in produzione eterodosse nelle quali si nota, in ogni riga, lo stesso difetto, ma con questa differenza: che è permesso di tergiversare un po’ più all’uomo che allo Spirito Santo. [SEZIONE IV CAPITOLO 6]
Ancora un’osservazione e chiudo il primo volume. Helvétius dice, da qualche parte, credo a pagina 476, «il desiderio dell’uomo mediocre, èA di non avere affatto dei superiori». Helvétius, dite di tutti gli uomini, questo è nei vostri principi. Non fate eccezione, se non per l’uomo superiore che forse si crede un uomo unico. I nostri desideri più smodati si riducono a mantenere i vantaggi della nostra sorte e a usurpare i vantaggi della sorte altrui: è tutto lì il valore di quel proposito, così comune e così ridicolo, Vorrei proprio essere al suo posto. Scontenti del presente e del passato, non c’è avvenire per il quale temiamo meno del nostro. Prima di passare al volume seguente, mi prende la fantasia di raccontare a Helvétius la storia di qualche grande scoperta, e di inframmezzare questo racconto con qualche domanda. Dei genitori che non erano né poveri né ricchi avevano molti bambini. Credevano nell’educazione, e per garantire il successo dell’educazione di questi bambini, ne studiavano le disposizioni naturali... E questo vi pare folle? Credettero di accorgersi che il maggiore dei due figli avesse del gusto per la lettura e lo studio. Lo inviarono al collegio della provincia, dove si distinse; e da lì a Parigi, alle lezioni dell’università, dove i suoi maestri non poterono mai vincere il suo disprezzo per le frivolezze della scolastica. Gli misero tra le mani dei quaderni di aritmetica, di algebra e di geometria che divorò. Trascinato, in seguito, a studi più piacevoli, s’immerse nella lettura di Omero, di Virgilio, del Tasso e di Milton, ma tornando sempre alla matematica, come uno sposo infedele, stanco della sua amante, torna di tanto in tanto da sua moglie. Signor Helvétius, che cosa c’è di meraviglioso e di fortuito in tutto ciò? A passeggio, a casa al crepuscolo, la notte durante l’insonnia, la sua abitudine era di fantasticare negligentemente su alcune questioni disperate, tra le quali preferiva la quadratura del cerchio. Le lunule di Ippocrate di Chio222 gli venivano in mente di continuo, e si diceva: ‘È altrettanto impossibile che vi sia una verità sterile nella scienza, quanto un fenomeno isolato in natura.223 Perché la scoperta di Ippocrate non ha prodotto niente? Corollario dell’uguaglianza del quadrato dell’ipotenusa al quadrato degli altri due lati, la sua dev’essere un’altra verità, e un’altra verità il corollario di questa; e così di seguito, all’infinito’. Non esamino qui se ragionasse bene o male; ma non ragionava così per caso. Un giorno, si domanda perché le lunule di Ippocrate, se uguali, erano quadrabili insieme e separatamente e perché, se diverse, esse erano ancora quadrabili insieme e non lo erano più separatamente. Chiama d la differenza tra due lunule diverse e trova che ogni spazio circolare racchiuso da archi circolari concavi o convessi è quadrabile tutte le volte che gli archi A
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«è di non avere».
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toutes les fois que les arcs convexes se résolvent en une somme de différences + nd, et les arcs concaves en la même somme de différences, mais négative – nd. Il s’aperçoit que c’est le cas des deux lunules égales carrables ensemble et de chacune d’elles carrable séparément, l’une et l’autre donnant + nd et – nd. Il s’aperçoit que c’est le cas tout contraire, lorsque les deux lunules sont inégales ; l’une donnant + nd et md, et l’autre + md et – nd. Je ne garantis pas la certitude de sa logique, j’expose | seulement la marche de son esprit où je ne vois que le train commun de la vie. Il se propose de former un espace terminé par des arcs déterminés concaves et convexes qui soit égal à des espaces rectilinéaires donnés + ou – nd. Ce premier pas n’était pas difficile. Il ajoute une autre condition à cet espace, c’est qu’il soit composé d’espaces partiels, transponibles, mobiles, de manière qu’il en résulte par addition, supposition, ou simple déplacement, une nouvelle valeur du tout ou du reste, égale à des espaces rectilinéaires donnés + ou – qd, où q soit plus ou moins grand que n. Il trouve cet espace, ou du moins il croit l’avoir trouvé, et par conséquent une valeur de d en espaces rectilinéaires donnés, et la solution du problème. Je demande à Helvétius s’il voit ici plus de chance que dans l’exécution d’un projet de finance et la suite d’un procès au Palais et au Châtelet ? Cependant l’histoire de cette prétendue découverte est celle de toutes les découvertes réelles. Si Helvétius me répond opiniâtrement : Hasard, hasard... je dis : Élevons des autels au hasard et plaçons son nom à la tête de tous les ouvrages de génie. S’il avoue que c’est une affaire de logique, j’insisterai et je lui demanderai s’il croit tout esprit capable de cette logique ? S’il répond qu’oui, je lui répliquerai qu’il n’y a peut-être pas un homme au monde capable de prononcer sur la solution de mon jeune homme, sans l’avoir examinée, puisqu’il n’y en a certainement pas un en état de démontrer la possibilité ou l’impossibilité de la seconde condition de l’espace qu’il se flatte d’avoir trouvé. Et puis après une histoire sérieuse, un petit conte gai. Jupiter avait diné chez les Galactophages (ces Galactophages n’étaient point des hommes, car certainement, il n’y avait point encore d’hommes sur la terre solitaire et muette), et le père des dieux se proposait bien de se dédommager d’un dîner frugal par un bon souper. En attendant, on commence un whist ; on joue, on se querelle. Jupiter prend de l’humeur et crie : Est-ce qu’on ne servira point ?... On sert. Les dieux s’asseyent en tumulte, et Jupiter se trouve placé entre sa femme et Minerve sa fille ; la déesse de la Sagesse avait son père à sa droite et Momus à sa gauche. Son père lui donnait des conseils fort sérieux ; car Jupiter est sérieux, même dans le vin ; et Momus, ivre ou à jeun, | toujours fou, lui serrait la main, lui pressait le genou et lui débitait des sornettes. « Ma fille, lui disait Jupiter, entre la poire et le fromage, il y a environ cinquante-cinq siècles et demi que j’accouchai de vous ; vous commencez à devenir grandelette ; que ne vous mariez-vous ? Je n’aime pas le célibat ; tous les célibataires, mâles ou femelles, sont des vauriens. Plus je vous examine, plus je vous trouve propre à bien faire et à bien élever des enfants ; vous serez une bonne épouse et une excellente mère. La virginité est une vertu bien stérile. Allons, mon enfant, promets-moi que tu t’ennuieras un jour d’être vierge... » Et là-dessus, le père de Minerve et des dieux se saisit d’un grand flacon d’ambroisie, en remplit son verre, celui de Momus et celui de sa fille, et lui dit : « À ta santé, à ton premier enfant, j’en veux être le parrain ; et à la mienne... » Et puis, s’adressant à Momus : « Et toi, Momus, qu’en penses-tu ? qu’une pucelle de cinq
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convessi si risolvono in una somma di differenze + nd, e gli archi concavi nella stessa somma di differenze, ma negativa, – nd. Si accorge che si tratta del caso di due lunule uguali quadrabili insieme, e di ciascuna di esse quadrabile separatamente, entrambe dando come risultato +nd e –nd. Si accorge che si tratta del caso del tutto contrario, quando le due lunule sono ineguali, l’una dando +nd e –md e l’altra +md e –nd. Non garantisco della certezza della sua logica, espongo solamente il cammino del suo spirito, nel quale non vedo altro che il percorso comune della vita. Si propone di formare uno spazio limitato da archi determinati concavi e convessi che sia uguale a degli spazi rettilinei dati + o – nd. Questo primo passo non era difficile. Aggiunge un’altra condizione a questo spazio: che sia composto di spazi parziali, trasponibili,224 mobili, in modo che per addizione, superposizione o semplice spostamento ne risulti un valore del tutto nuovo o un rimanente, uguale a spazi rettilinei dati + o – qd, dove q sia più o meno grande di n. Trova questo spazio, o almeno crede di averlo trovato, e di conseguenza un valore di d in spazi rettilinei dati, e la soluzione del problema.225 Chiedo a Helvétius se vede qui una maggiore fortuna che nell’esecuzione di un progetto di finanza e nel seguito di un processo al Palazzo o allo Châtelet? Tuttavia, la storia di questa presunta scoperta è quella di tutte le scoperte reali. Se Helvétius mi risponde caparbiamente: Caso, caso... io dico: Innalziamo degli altari al caso, e collochiamo il suo nome in capo a ogni opera di genio. Se confessa che è un affare di logica, insisterò e gli domanderò se crede ogni spirito capace di questa logica. Se risponde di sì, gli risponderò che non vi è forse uomo al mondo capace di pronunciarsi sulla soluzione del mio giovane uomo, senza averla esaminata, poiché non ce n’è certamente uno in condizione di dimostrare la possibilità o l’impossibilità della seconda condizione dello spazio che egli si vanta di aver trovato. E dopo una storia seria, un piccolo racconto allegro. Giove aveva pranzato presso i Galattofagi (questi Galattofagi non erano uomini, poiché sicuramente non c’erano ancora uomini sulla terra solitaria e muta), e il padre degli dei si proponeva di rifarsi di un pasto frugale226 con una buona cena. Nell’attesa, si comincia una partita di whist.227 Si gioca, si attacca briga. Giove s’arrabbia e grida: ‘Forse non si servirà?...’ Si serve. Gli dei si siedono disordinatamente e Giove si trova sistemato tra sua moglie e Minerva, sua figlia. La dea della saggezza aveva suo padre a destra e Momo a sinistra. Il padre le dava consigli molto seri, poiché Giove è serio anche da ubriaco, e Momo, ubriaco o a digiuno, sempre folle, le stringeva la mano, le premeva il ginocchio e snocciolava scemenze. ‘Figlia mia, le diceva Giove tra la pera e il formaggio, sono circa cinquantacinque secoli e mezzo che vi partorii, cominciate a diventare grandicella,228 forse non vi sposerete? Non amo il celibato, tutti i celibi, maschi o femmine, sono dei mascalzoni. Più vi considero, più vi trovo adatta a ben fare e a ben allevare dei bambini: voi sarete una buona moglie e una madre eccellente. La verginità è una virtù alquanto sterile. Andiamo, bambina mia, promettimi che un giorno ti annoierai di essere vergine...’ E detto questo, il padre di Minerva e degli dei afferrò un grande flacone di ambrosia, ne riempì il suo bicchiere, quello di Momo e quello di sua figlia e le disse: ‘Alla tua salute, al tuo primo figlio, voglio esserne il padrino, e alla mia’. E poi rivolgendosi a Momo: ‘E tu Momo, che ne pensi? che una vergine di cinquemila e passa anni è assai ridicola,
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mille ans et plus est très ridicule, n’est-il pas vrai ? Mais à qui la marierons-nous bien ?... » Et tout en parcourant le nombre de ceux qu’on pourrait lui donner pour époux, à chaque dieu qu’on nommait on buvait sa santé, et Minerve en était au moins pour la moitié de sa coupe. Toutes ces santés échauffèrent la tête de Jupiter et de Momus ; et Minerve, au sortir de table, trouva que tout vacillait un peu dans l’Olympe. Il se faisait tard ; les parties de jeu étaient finies, et chacun des immortels regagnait son dortoir, lorsque Momus, qui suivait ou qui devançait Minerve, ou qui lui donnait la main, je ne sais lequel des trois ; lorsque Momus, dis-je, souille le bougeoir de la déesse, se précipite sur elle, et, tandis qu’elle se débattait entre ses bras et s’écriait à voix basse : « Mais, Momus, est-ce que vous êtes fou ?... mais vous n’y pensez pas... vous me... Si l’on nous voyait !... » la déesse de la Sagesse se laissait faire un enfant. Jusqu’à présent, on avait cru que Minerve était restée pucelle ; cela n’est pas vrai : moitié de gré, moitié de force, elle fut une fois violée. Moi qui vous parle, j’ai connu très intimement son bâtard, et c’est un de mes bons amis. Lorsque la déesse pudique sentit son sein se gonfler et que sa cuirasse inflexible refusait de se prêter à sa taille qui s’arrondissait, elle devint soucieuse. La Vérité s’en aperçut, la questionna et n’eut pas de peine à en obtenir l’aveu de son aventure. Il s’agissait de prévenir le scandale ; car, si cela se savait, imaginez la surprise et le qu’en dira-t-on des dieux ! Minerve, la chaste Minerve ! une | prude ! une dévote ! Pour cet effet, la Vérité lui persuada de se retirer avec elle au fond d’un puits et d’y attendre la fin de sa gestation. – Mais est-ce que les dieux ne s’aperçurent point de l’absence de ces deux déesses ? – Non, Minerve leur en imposait par son maintien ; presque tous les propos de la Vérité les blessaient ; l’Olympe n’en était que plus gai. Enfin, le temps des couches de Minerve arriva ; ce fut la Vérité qui lui servit de sage-femme et qui la délivra. Momus venait de temps en temps sur le bord du puits et leur criait : « Parlez donc, belles dames ; avez-vous résolu de passer l’éternité dans votre trou ? Où en êtes-vous de votre triste besogne ? » Minerve lui répondit : « Indigne ! scélérat ! elle est faite ; va nous chercher une nourrice... » Momus va et revient avec une grosse joufflue, sans raison, sans souci, riant sans savoir pourquoi, parlant sans cesse sans savoir ce qu’elle dit. On lui donne l’enfant, elle l’emporte. Momus et Minerve s’en retournent au ciel, chacun de son côté, et la Vérité reste au fond de son puits, où elle est encore. – Et le bâtard ? – Je ne finirais jamais si j’entreprenais de vous raconter ses fortunes diverses. Voyez-vous cette énorme suite de volumes ? – Mais c’est l’histoire universelle, compilée par une Société de gens de lettres... et la sienne. – Hé, vous avez raison ; le bâtard de la Folie et de la Sagesse, délivrée par la Vérité, et le filleul de Jupiter, allaité par la Sottise ; c’est l’homme. Il fut toute sa vie véridique et menteur, triste et gai, sage et fou, bon et méchant, ingénieux et sot, sans qu’on ait jamais pu effacer entièrement les traits qu’il tenait de son père, de sa mère, de son parrain, de la sage-femme et de sa nourrice. Paresseux, ignorant et criard dans son enfance ; insouciant et libertin dans sa jeunesse ; ambitieux et sournois à cinquante ans ; philosophe et rabâcheur à soixante ; il mourut la tête dans le petit béguin de sa nourrice, jurant qu’il aimait son parrain à la folie, et ayant une peur du diable de l’aller trouver. Comme j’achevais ce conte, j’ai reçu la visite d’un jeune Allemand, appelé Leuchsenring, qui m’a raconté un fait assez singulier, c’est qu’entre ses condisciples il y en avait un, la risée de tous les autres par sa profonde inaptitude pour l’étude des langues. Leuchsenring en eut pitié et se proposa de le relever d’un mépris qui désolait cet enfant, en lui donnant quelque talent qui le mît de niveau avec le reste de la classe. |
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non è vero? Ma a chi la daremo in sposa allora?...’ E percorrendo il novero di coloro che si potevano darle come marito, a ogni dio che veniva nominato, si beveva alla sua salute e Minerva era almeno a metà della sua coppa. Tutti questi “alla salute” infiammarono le teste di Giove e di Momo, e Minerva, abbandonando la tavola, trovò che tutto vacillava un po’ sull’Olimpo. Si fece tardi, le partite del gioco erano finite, e ciascuno degli Immortali riguadagnava il suo dormitorio, quando Momo, che seguiva o precedeva Minerva, o gli teneva la mano, non so quale delle tre,229 quando Momo, dico, soffiò sul portacandela della dea, si precipitò su di lei, e mentre questa si dibatteva tra le sue braccia, ed esclamava a voce bassa: ‘Ma Momo, siete forse folle?... ma voi non ci pensate... voi io... si ci vedessero!...’ la dea della saggezza lasciò farsi fare un figlio. Fino a ora si era creduto che Minerva fosse rimasta vergine. Ciò non è vero: per metà consenziente, per metà a forza, essa fu una volta violata. Io che vi parlo, ho conosciuto assai intimamente il suo bastardo, ed è un mio buon amico. Quando la dea pudica sentì il seno che le si gonfiava e la sua inflessibile corazza che rifiutava di cedere alla sua taglia che s’arrotondava, iniziò a preoccuparsi. La Verità se ne accorse, la interrogò, e non faticò a ottenere la confessione della sua avventura. Si trattava di prevenire lo scandalo, poiché se si fosse saputo, immaginate la sorpresa e che cosa ne avrebbero detto gli dei. Minerva, la casta Minerva! una pudibonda! una devota! A tal fine, la Verità la persuase di ritirarsi con lei nel fondo di un pozzo, e di attendervi la fine della sua gravidanza. – Ma gli dei non si accorsero dell’assenza di queste due dee? – No. Minerva incuteva loro soggezione per il suo contegno, quasi tutti i discorsi della Verità li ferivano: l’Olimpo era solo più allegro. Infine, giunse il tempo delle doglie di Minerva; fu la Verità che le servì da levatrice e la sgravò. Momo veniva di tanto in tanto sul bordo del pozzo, e le gridava: ‘Parlate dunque, belle dame, avete deciso di passare l’eternità nel vostro buco? A che punto siete del vostro triste lavoro?’ Minerva gli rispose: ‘Indegno! Scellerato! è fatto, vai a cercarci una balia...’ Momo va e torna con una grassa paffuta, senza cervello, senza pensieri, che ride senza sapere perché, parla senza posa senza sapere quello che dice. Le viene affidato il bambino, lo porta con sé. Momo e Minerva tornano in cielo, ciascuno dalla sua parte, e la Verità rimase nel fondo del suo pozzo, dov’è ancora. – E il bastardo? – Non finirei mai, se cominciassi a raccontarvi le sue diverse fortune... Vedete quest’enorme serie di volumi? – Ma è la storia universale compilata da una società di letterati... 230 e la sua. – Eh sì, avete ragione: il bastardo della Follia e della Saggezza, fatto nascere dalla Verità, e nipote di Giove, allattato dalla Stupidità, è l’uomo.231 Fu per tutta la vita veritiero e menzognero, triste e allegro, saggio e folle, buono e cattivo, ingegnoso e stupido, senza che abbia mai potuto cancellare completamente i tratti che aveva ereditato da suo padre, da sua madre, dal suo padrino, dall’ostetrica e dalla balia. Pigro, ignorante e chiassoso nella sua infanzia, spensierato e libertino nell’adolescenza, ambizioso e sornione a cinquant’anni, filosofo e verboso a sessanta, morì con la testa persa in una piccola cotta per la sua nutrice, giurando di amare alla follia il padrino e avendo una paura del diavolo di andarlo a trovare. Mentre terminavo questo racconto, ho ricevuto la visita di un giovane tedesco che si chiama Leuchsenring,232 che mi ha raccontato un fatto assai singolare, cioè che tra i suoi compagni di studi ce n’era uno che era lo zimbello di tutti gli altri. per la sua profonda inettitudine nello studio delle lingue. Leuchsenring ne ebbe pietà e si propose di risollevarlo dal disprezzo che affliggeva questo bambino, regalandogli qualche talento che lo mettesse al livello del resto della classe.
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Il l’applique à la géométrie, et la première leçon fut la proposition la plus compliquée des éléments, le rapport de la sphère au cylindre. Ce problème devint le centre de tous les théorèmes et de tous les problèmes qui conduisent à sa solution, et qu’il lui démontrait successivement à mesure qu’il en était besoin. En sorte que cet élève possédait toute la géométrie, persuadé qu’il ne savait qu’une seule proposition. En vérité, je préférerais volontiers cette méthode à la méthode ordinaire. Toutes les vérités y sont rapportées vers un seul unique but qui leur sert de noyau. Ce noyau, c’est la massue d’Hercule, et les autres vérités en sont comme les clous : c’est un tout que rien ne peut rompre. La méthode ordinaire d’aller des premiers principes aux conséquences les plus immédiates laisse les vérités isolées et presque sans aucune application déterminée. On commence par ce qui a rapport aux lignes ; de là, on passe à la mesure des surfaces, ensuite on s’occupe des solides. Ce sont, pour ainsi dire, trois cours d’études séparés et distincts : la démonstration d’une proposition très compliquée, telle que le rapport de la sphère au cylindre, les embrasse et les lie tous les trois. Il me semble que la science s’en établit d’une manière plus compacte et plus ferme dans l’entendement, qu’elle effraye moins le disciple, et que, peut-être, elle soulage la mémoire. Si cela est vrai de la géométrie, cela le serait peut-être également de la mécanique, de l’astronomie et des autres parties de la mathématique, qui se réduirait ainsi à la solution d’un assez petit nombre de problèmes. Si l’on vous eût dit, à l’âge de quinze ans : Toute la science mathématique se réduit à la solution de douze problèmes..., je ne doute point que vous ne fussiez mathématicien aujourd’hui. La multitude des propositions nous rebute davantage que l’étendue de quelquesunes. |
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Lo fa applicare alla geometria, e la prima lezione fu sulla proposizione più complicata degli elementi: il rapporto della sfera con il cilindro.233 Questo problema divenne il centro di tutti i teoremi e di tutti i problemi che portano alla sua soluzione e che costui gli dimostrava in successione, man mano che ce n’era bisogno. Di modo che, convinto di non sapere altro che una sola proposizione, conosceva tutta la geometria elementare. In verità, io preferirei volentieri questo metodo al metodo ordinario. Tutte le verità sono qui riferite a un solo e unico scopo che serve loro da nucleo. Questo nucleo è la clava di Ercole e le altre verità ne sono come i chiodi:234 è un tutto che nulla può rompere. Il metodo ordinario, che va dai primi principi alle conseguenze più immediate, lascia le verità isolate e quasi senza alcuna applicazione specifica. S’inizia da ciò che ha a che fare con le linee, da lì si passa alla misura delle superfici, poi ci si occupa dei solidi. Sono questi, per così dire, tre corsi di studi separati e distinti. La dimostrazione di una proposizione tanto complicata come il rapporto della sfera con il cilindro, le abbraccia e le lega tutte e tre. Mi sembra che la scienza si costituisca così in una maniera più compatta e più salda nell’intelletto, che essa spaventi meno il discepolo e forse allevia la memoria. Se ciò è vero della geometria, lo sarà forse ugualmente della meccanica, dell’astronomia e delle altre parti della matematica, che si ridurrebbero così alla soluzione di un piccolo numero di problemi. Se vi avessero detto all’età di quindici anni: ‘Tutta la scienza matematica si riduce alla soluzione di dodici problemi’, non dubito affatto che voi oggi sareste un matematico. Il gran numero delle proposizioni ci disgusta maggiormente dell’estensione di alcune di esse.
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[SECTION V] CHAPITRE 1
Comment démontre-t-on que la Lune est cause du flux et reflux de la mer ; c’est par la correspondance rigoureuse de la variété des marées avec la variété des mouvements de la Lune. Or, quelle correspondance plus rigoureuse que celle de l’état de mon corps avec l’état de mon esprit ? Quelle est la vicissitude, si légère qu’elle soit, qui ne passe de mon organisation à mes fonctions intellectuelles ? J’ai mal dormi, je pense mal ; je digère mal, je pense mal ; je souffre, et mon esprit est affaissé ; je recouvre mes forces, et mon esprit sa vigueur. Le vice et la qualité de mon esprit restent ou passent selon que le dérangement de mes organes est constant ou momentané. Il y a même des circonstances singulières où le désordre de mon économie animale profite à mon esprit, et, réciproquement, où le désordre de mon esprit profite à mon corps. Un homme ne prend point d’embonpoint apoplectique sans que sa tête et son esprit ne s’appesantissent. L’état sain ou malsain des organes, durable ou passager, pendant un jour ou pendant tout le cours de la vie, depuis l’instant de la naissance jusqu’au moment de la mort, est le thermomètre de l’esprit. [CHAPITRE 3] P. 16. L’homme est-il bon ou méchant en naissant ? Si l’on ne peut donner le nom de bon qu’à celui qui a fait le bien, et le nom de méchant qu’à celui qui a fait le mal, assurément l’homme, en naissant, n’est ni bon ni méchant. J’en dis autant de l’esprit et de la sottise. Mais l’homme apporte-t-il en naissant des dispositions | organiques et naturelles à dire et faire des sottises, à se nuire à lui-même et à ses semblables, à écouter ou négliger les conseils de ses parents, à la diligence ou à la paresse, à la justice ou à la colère, au respect ou au mépris des lois ? Il n’y a que celui qui n’a jamais vu deux enfants en sa vie, et qui n’entendit jamais leurs cris au berceau, qui puisse en douter. L’homme ne naît rien, mais chaque homme naît avec une aptitude propre à une chose. Monsieur Helvétius, vous êtes chasseur, je crois ? – Oui, je le suis. – Voyez-vous ce petit chien-là ? – Qui a les jambes torses, le corps bas et long, le museau pointu et les pattes et la peau tachetées de feu ? – Oui. Qu’est-ce ? – C’est un basset ; cette espèce a du nez, de l’ardeur, du courage : cela se fourre dans le terrier d’un renard, au hasard d’en sortir les oreilles et les flancs déchirés. Et cet autre ? – C’est un braque. C’est un animal infatigable : son poil dur et hérissé lui permet de s’enfoncer dans les buissons épineux et touffus ; il arrête la perdrix, il chasse le lièvre à voix ; il supplée lui seul à trois ou quatre chiens. Et cet autre ? – Ce sera un des plus beaux lévriers. – Et ce troisième ? – Un chien couchant. Je ne puis rien vous en dire : sera-t-il docile, ne le sera-t-il pas ? aura-t-il du nez ou n’en aura-t-il point ? C’est une affaire de race. A
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A [« Nul individu ne naît bon : nul individu ne naît méchant. Les hommes sont l’un ou l’autre, selon qu’un intérêt conforme ou contraire les réunit ou les divise ».]
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Volume II [SEZIONE V] capitolo 1
Come si dimostra che la Luna è la causa dei flussi e dei riflussi del mare? Grazie alla corrispondenza rigorosa tra la varietà delle maree e la varietà dei movimenti della Luna.235 Ora, quale corrispondenza è più rigorosa di quella tra lo stato del mio corpo e lo stato del mio spirito: qual è la vicissitudine, per quanto leggera sia, che non passa dalla mia organizzazione alle mie funzioni intellettuali? Ho dormito male, penso male; digerisco male, penso male; soffro e il mio spirito si accascia; recupero le mie forze, e il mio spirito riprende il suo vigore. Il vizio e la qualità del mio spirito rimangono tali o vengono meno a seconda che il disturbo dei miei organi sia costante o momentaneo. Ci sono anche delle circostanze particolari nelle quali il disordine della mia economia animale è vantaggioso al mio spirito, e reciprocamente altre nelle quali il disordine del mio spirito è vantaggioso al mio corpo. Un uomo non assume la grassezza 236 apoplettica, senza che la sua testa e il suo spirito non si appesantiscano. Lo stato sano o malsano degli organi, permanente o passeggero, per un giorno o durante il corso di tutta la vita, dal momento della nascita fino al momento della morte, è il termometro dello spirito.237 [capitolo 3]
P. 16. L’uomo è buono o cattivo, quando nasce? Se non si può dare il nome di buono se non a colui che fa il bene, e il nome di cattivo se non a colui che fa il male, certamente, nascendo, l’uomo non è né buono né cattivo. Io dico altrettanto dell’intelligenza e della stupidità. Ma l’uomo nascendo porta con sé delle disposizioni organiche e naturali a dire e a fare delle stupidaggini, a nuocere a se stesso e ai suoi simili, ad ascoltare o a ignorare i consigli dei suoi genitori, alla diligenza o alla pigrizia, alla giustizia o alla collera, al rispetto o al disprezzo delle leggi; solo chi non ha mai visto due bambini in vita sua e non ha mai sentito i loro strilli nella culla può dubitarne. L’uomo, nascendo, non è niente; ma ogni uomo nasce con un’attitudine propria a una sola cosa. Signor Helvétius, voi siete cacciatore, credo. – Sì, lo sono. – Vedete quel piccolo cane? – Quello che ha le gambe storte, il corpo basso e lungo, il muso appuntito, e le zampe e la pelle chiazzate di rosso fuoco. – Sì. Che cos’è? – È un bassotto; questa specie ha fiuto, ardore, coraggio; si ficca nella tana di una volpe, col rischio di uscirne con le orecchie e i fianchi dilaniati. E quest’altro? È un bracco. È un animale infaticabile; il suo pelo duro e irto gli permette di addentrarsi nei cespugli spinosi e fitti; blocca la pernice; stana la lepre con la voce. Lui da solo fa la parte di tre o quattro cani. E quest’altro? – Questo diventerà uno dei levrieri più belli. E il terzo? – Un cane da ferma. Non ve ne posso dire niente; sarà docile? Non lo sarà? Avrà del fiuto o non ne avrà per niente? È una questione di razza. A
A [«Nessun individuo nasce buono, nessun individuo nasce cattivo. Gli uomini sono l’uno o l’altro, a seconda che un interesse conforme o contrario li riunisca o li divida»].
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Et ce quatrième ? – Il promet un très beau chien courant. – Ce sont tous des chiens ? – Oui. – Et, dites-moi, j’ai un excellent garde-chasse, il fera tout ce que je voudrai ; ne pourrais-je pas lui ordonner de faire du basset un braque, du braque un lévrier, du lévrier un chien de plaine, du chien de plaine un chien courant, et du chien courant un barbet ? – Gardez-vous-en bien. – Et pourquoi ? Ils ne font que de naître, ils ne sont rien ; propres à tout, l’éducation en disposera à mon gré... Vous vous moquez de moi, monsieur Helvétius, et vous avez raison : mais si cependant il y avait dans l’espèce humaine la même variété d’individus que dans la race des chiens ; si chacun avait son allure et son gibier ? 587
P. 18. « Mal d’autrui n’est que songe ». Vous interprétez mal ce proverbe.A C’est-à-dire que le | mal qui arrive à autrui me touche moins que le même mal qui m’arrive. [CHAPITRE 4] P. 31. Pourquoi le cerf aux abois vous émeut-il ? Quel est le motif de votre commisération pour un animal à la place duquel vous ne vous mettez pas ? – La nouveauté. – La nouveauté surprend et ne touche pas. Cette commisération est d’animal à animal, ou si l’on aime mieux, c’est une illusion rapide amenée par des symptômes de douleur communs à l’homme et à l’animal, et qui nous montre un homme à la place d’un cerf. B
P. 32.C Si le peuple retourne aux exécutions publiques, ce n’est point pour voir souffrir ; au contraire, il va chercher un sentiment de pitié, un sujet de pérorer ; à son retour, il fait un rôle, les voisins s’assemblent autour de lui, pendentes ab ore loquentis. P. 33.D Je comparerais volontiers un champ de bataille à une table d’un jeu ruineux. Le soldat victorieux emporte la dépouille du soldat moribond, comme le joueur fortuné la bourse du joueur désespéré. J’en use avec autrui comme il en aurait usé avec moi ; pourquoi aurais-je aujourd’hui une sotte pitié que je ne trouverais pas demain ? P. 34. « Celui qui donne des commisérations à son maître lave ses mains dans son propre sang. C’est Saadi qui le dit ». |
A
[« L’expérience ne prouve donc pas que les hommes soient si bons » (p. 18).] « Si le cerf aux abois m’émeut, si ses larmes font couler les miennes, ce spectacle si touchant par sa nouveauté est agréable au sauvage que l’habitude y endurcit ». C [« Celui qu’une bonne éducation n’accoutume pas à voir dans les maux d’autrui, ceux auxquels il est lui-même exposé, sera toujours dur et souvent sanguinaire. Le peuple l’est ; il n’a pas l’esprit d’être humain. C’est, dit-on, la curiosité qui l’entraine à Tyburn, ou à la Grève : oui, la première fois ; s’il y retourne, il est cruel. Il pleure aux exécutions, il est ému ; mais l’homme du monde pleure à la tragédie, et la représentation lui en est agréable ». D [« Qu’on se rappelle le tableau d’un champ de bataille au moment qui suit la victoire ; lorsque la plaine est encore jonchée de morts et de mourants ; lorsque l’avarice et la cupidité portent leurs regards avides sur les vêtements des victimes encore palpitantes du bien public ; lorsque sans pitié pour des malheureux dont elles redoublent les souffrances, elles s’en approchent et les dépouillent ».] B
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E il quarto? – Promette di diventare un gran bel cane da seguita – Non sono tutti dei cani? – Sì. – E, ditemi, io ho un eccellente guardacaccia; farà tutto quello che vorrò. Non potrei ordinargli di farmi del bassotto un bracco, del bracco un levriero, del levriero un cane da ferma, del cane da ferma un cane da seguita, e del cane da seguita un cane d’acqua francese? – Guardatevene bene. – E perché? Non fanno che nascere, non sono niente; adatti a tutto, l’educazione ne disporrà a mio piacimento... Vi prendete gioco di me, signor Helvétius, e avete ragione: ma se tuttavia ci fosse nella specie umana, la stessa varietà di individui che nelle razze di cani; se ciascuno avesse la sua andatura e la sua preda?238 P. 18 «Il male altrui non è che sogno» Voi interpretate male questo proverbio.A Vuol dire che il male che accade ad altri mi tocca meno rispetto allo stesso male che accade a me.239 [capitolo 4]
P. 31.B Perché il cervo allo stremo vi commuove? Qual è il motivo della vostra commiserazione per un animale al posto del quale voi non vi mettete?240 – La novità. – La novità sorprende e non tocca. Questa commiserazione è da animale ad animale, e non da uomo ad animale; o se si preferisce, è un’illusione rapida, causata da sintomi di dolore comuni all’uomo e all’animale; e ci mostra un uomo al posto di un cervo. P. 32.C Se il popolo ritorna alle esecuzioni pubbliche, non è per vedere soffrire.241 Al contrario, vi si reca per cercarvi un sentimento di pietà, una causa da perorare; al suo ritorno ha un ruolo; i vicini si radunano intorno a lui, pendentes ab ore loquentis242 [pendenti dalla bocca di colui che parla]. P. 33.D Io paragonerei volentieri un campo di battaglia, a un tavolo da gioco rovinoso. Il soldato vittorioso s’impadronisce delle spoglie del soldato moribondo, come il giocatore fortunato della borsa del giocatore disperato. Mi comporto con gli altri, come gli altri si sarebbero comportati con me. Perché dovrei avere oggi una sciocca pietà che non riceverei domani? P. 34. «Colui che dà consigli di misericordia al proprio padrone, lava le mani nel suo proprio sangue. È Saadi a dirlo». A
[«L’esperienza non prova quindi che gli uomini siano così buoni»]. «Se il cervo allo stremo mi commuove, se le sue lacrime fanno colare le mie, questo spettacolo così toccante per la sua novità è piacevole per il selvaggio, temprato dall’abitudine ad assistervi». C [«Colui che una buona educazione non avvezza a vedere, nei mali altrui, quelli ai quali egli stesso è esposto, sarà sempre duro e spesso sanguinario. Il popolo lo è; non ha lo spirito per essere umano. È questa, si dice, la curiosità, che lo conduce a Tyburn o in place de Grève; sì, la prima volta; se ci ritorna, è crudele. Piange alle esecuzioni, è commosso; ma l’uomo di mondo piange alla tragedia, e la rappresentazione gli è piacevole»]. D [«Si ricordi la scena di un campo di battaglia nel momento che segue alla vittoria; quando la pianura è ancora ricoperta di morti e di morenti; quando l’avarizia e la cupidigia portano i loro sguardi avidi sui vestiti sanguinanti delle vittime del bene pubblico ancora palpitanti; quando, senza pietà per degli infelici ai quali raddoppiano le sofferenze, si avvicinano e li spogliano»]. B
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Mais ce poète raconte qu’un malheureux traîné au supplice chargeait le tyran d’imprécations, que le tyran, trop éloigné du malheureux pour l’entendre, ayant demandé ce qu’il disait, un courtisan lui répondit : Seigneur, il dit que celui qui fera miséricorde en ce monde, l’obtiendra dans l’autre ; qu’un autre courtisan reprenant la parole, ajouta : Seigneur, on te fait un mensonge ; le malheureux que tu as condamné au supplice pour ses forfaits le mériterait par les imprécations qu’il vomit contre toi. – N’importe, reprit le sultan, je lui fais grâce, qu’on le lâche ; j’aime mieux un mensonge qui me rend miséricordieux qu’une vérité qui me rendrait cruel. P. 35. « Il est des hommes bons, mais l’humanité est en eux l’effet de l’éducation et non de la nature ». Toujours ? Je n’en crois rien. Quelque éducation qu’on eût donnée à la bête féroce qui examinait avec une joie curieuse les convulsions du capucin qu’il avait assassiné,A j’ai peine à m’imaginer qu’elle en eût fait un homme bien tendre et bien compatissant. On ne donne point ce que la nature a refusé ; peut-être détruit-on ce qu’elle a donné. La culture de l’éducation améliore ses dons. P. 36. « La sensibilité physique est le seul don que nature nous ait fait ». Mais cette sensibilité diffuse dans toutes les parties de l’homme est-elle également partagée entre elles ? Cela n’est pas, cela ne peut être. Si la portion de sensibilité physique est faible au cerveau et au diaphragme, peu d’imagination, peu de pitié, peu de bienfaisance. La sensibilité physique est-elle égale dans tous les individus ? Cela n’est pas, cela ne peut être. Obtiendrez-vous donc les mêmes effets d’une machine en qui ce ressort est trop fort, et d’une machine en qui il est trop faible ? | [CHAPITRE 5]
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P. 39. Il y a des héros partout : il y en a au fond des forêts du Canada que l’éducation n’a pas faits. Il y en a dans les cahutes des esclaves que la tyrannie des maîtres n’a pas détruits. On prend à Cayenne une troupe de sauvages marrons ; on offre la vie à celui qui pendra ses camarades, aucun ne s’y résout. Un maître ordonne à un de ses nègres de les pendre tous, sous peine d’être pendu lui-même. Il y consent ; il va dans sa cabane sous prétexte de se préparer. Il prend une hache, il s’abat le poignet, revient et dit à son maître, en lui montrant son bras mutilé et ruisselant de sang : Fais à présent de moi un bourreau, si tu peux. Le maître de ce nègre se conduisit bien. Il saisit d’une main le poignet sanglant de son esclave, il jette son autre bras autour de son cou et lui dit en l’embrassant : Tu n’es plus mon esclave ; tu es mon ami. B
A [« La mélodie la plus agréable à l’inquisiteur sont les hurlements de la douleur. Il rit près du bûcher où l’hérétique expire. Cet inquisiteur, assassin autorisé par la loi, conserve même au sein des villes la férocité de l’homme de la nature ; c’est un homme de sang » (p. 31-32).] B « Où trouve-t-on des héros ? Chez des peuples plus ou moins policés ».
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Tuttavia, questo poeta racconta che uno sventurato condotto al supplizio copriva il tiranno di imprecazioni; e poiché il tiranno, troppo lontano dallo sventurato per sentirlo, chiedeva che cosa dicesse, un cortigiano gli rispose: ‘Signore, dice che colui che farà della misericordia in questo mondo, la riceverà nell’altro’; un altro cortigiano aggiunse, riprendendo la parola: ‘Signore, ti raccontano una menzogna; lo sventurato che tu hai condannato al supplizio per i suoi misfatti, lo meriterebbe per le imprecazioni che vomita contro di te’. – Non importa, riprese il sultano, gli faccio grazia; che lo si liberi; amo di più una menzogna che mi rende misericordioso, che una verità che mi renderebbe crudele.243 p. 35. «Ci sono degli uomini buoni; ma l’umanità, in loro, è l’effetto dell’educazione e non della natura». Sempre? Non credo proprio. Qualunque fosse l’educazione data alla bestia feroce che esaminava, con una gioia curiosa, le convulsioni del cappuccino che aveva assassinato,A faccio fatica a immaginare che essa avrebbe fatto di costui un uomo tenero e compassionevole. Non si può dare ciò che la natura ha rifiutato; forse si può distruggere ciò che essa ha dato. La cultura dell’educazione migliora i doni della natura. P. 36. «La sensibilità fisica è il solo dono che la natura ci abbia fatto». Ma questa sensibilità, diffusa in tutte le parti dell’uomo, è equamente distribuita tra esse? Non è così, non può essere così. Se la porzione di sensibilità fisica del cervello e del diaframma è debole, poca immaginazione, poca pietà, poca benevolenza. La sensibilità fisica è uguale in tutti gli individui? Non è così, non può essere così. Otterreste quindi gli stessi effetti da una macchina in cui questa molla è troppo forte, e da una macchina in cui essa è troppo debole? [capitolo 5]
P. 39.B Ci sono eroi ovunque. Ce ne sono nel fondo delle foreste del Canada, che non sono stati prodotti dall’educazione. Ce ne sono nei tuguri degli schiavi, che non sono stati distrutti dalla tirannia dei padroni. Viene catturata a Cayenne una truppa di selvaggi fuggiaschi; si offre la vita a colui che impiccherà i suoi compagni. Nessuno di loro si decide. Un padrone ordina a uno dei suoi negri di impiccarli tutti, pena l’essere impiccato lui stesso. Lui accetta; va nella sua capanna, col pretesto di prepararsi. Prende un’accetta, si taglia il polso, torna, e dice al padrone, mostrandogli il braccio mutilato e grondante di sangue: ‘Adesso fai di me un boia, se puoi’. Il padrone di quel negro si comportò bene. Afferra con una mano il polso sanguinante del suo schiavo, gli getta l’altro braccio attorno al collo, e gli dice, abbracciandolo: ‘Tu non sei più il mio schiavo; sei mio amico’.
A [«La melodia più piacevole per l’inquisitore è costituita delle urla di dolore. Egli ride vicino al rogo sul quale l’eretico muore. Questo inquisitore, assassino autorizzato dalla legge, conserva anche al centro delle città la ferocia dell’uomo di natura; è un uomo di sangue»]. B «Dove si trovano degli eroi? Presso dei popoli più o meno civilizzati».
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[CHAPITRE 7] P. 55. Comment, monsieur Helvétius, vous accordez à l’adolescence une plus grande capacité d’apprendre qu’à l’âge mûr, et vous convenez qu’il n’y a guère d’autre différence sensible entre ces deux âges que celle de l’organisation plus ou moins développée ; et vous n’accordez aucun effet à l’organisation de deux enfants, bien que cette organisation de deux enfants d’un même âge n’ait d’autre différence que celle de deux hommes d’âges différents ? A
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P. 56.B Vous accusez Rousseau de contradictions, et vous avez raison ; mais ici vous lui donnez bien sa revanche. | Si je vous demande en plusieurs endroits de votre premier volume d’où naît la pensée sublime qui doit illustrer tel homme, vous me répondrez nettement : d’une heureuse chance. Ici ce n’est plus cela, c’est une conséquence de l’âge, de la sève, des fleurs et d’un fruit qui se noue, un enchaînement de causes naturelles et connues. P. 57. « À mesure que la vieillesse approche, l’homme est moins attaché à la terre ». Cela est-il bien vrai ? [CHAPITRE 8]
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P. 62. « Si les caractères étaient l’effet de l’organisation, il y aurait en tout pays un certain nombre d’hommes de caractère ». Aussi cela est-il vrai. « Pourquoi n’en voit-on communément que dans les pays libres ? » Pourquoi en voit-on quelques-uns chez les nations les plus esclaves ? « Est-il quelque maxime morale qui fasse fondre une loupe ? » Toujours l’organisation de la tête comparée à celle du pied. Mon philosophe, vous aurez remarqué sans doute que l’exercice fortifiait les organes, et vous auriez pu remarquer que l’inaction les détruit. Liez à un enfant un de ses bras en naissant, faites qu’il ne s’en serve point, et vous réduirez ce membre à rien. Pareillement une disposition naturelle à quelque vice, à quelque vertu, à quelque talent, à force d’être contrariée, peut être anéantie : l’organe reste, mais sans vigueur. Faute de marcher, nos femmes ont presque perdu l’usage de leurs jambes. Mais si la nature leur avait refusé des jambes, y aurait-il quelque moyen artificiel de leur en donner ? L’avantage de l’éducation consiste à perfectionner l’aptitude naturelle, si elle est bonne, à l’étouffer ou à l’égarer, si elle est mauvaise, mais jamais à suppléer l’aptitude qui manque. C’est à cette infructueuse opiniâtreté d’un travail ingrat que j’attribuerais volontiers la nuée des imitateurs en tout genre. Ils voient faire les autres, ils s’efforcent de faire comme eux ; leurs yeux ne sont jamais tournés au dedans d’eux-mêmes, ils sont toujours attachés sur un modèle qui est au dehors. La sorte | d’impulsion qu’on leur remarque, A [« L’homme sait plus que l’adoléscent ; il a plus de faits dans sa mémoire ; mais a-t-il plus de capacité d’aprendre, plus de force d’attention, plus d’aptitude à raisonner ? Non ».] B [« C’est dans la jeunesse de l’homme que se nouent pareillement en lui les pensées sublimes qui doivent un jour le rendre célèbre. | Dans l’été de sa vie ses idées se mûrissent. Dans cette saison l’homme les compare, les unit entre elles, en compose un grand ensemble. Il passe dans ce travail, de la jeunesse à l’âge mûr, et le public qui récolte alors le fruit de ses travaux, regarde les dons de son printemps comme un présent de son automne. »]
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[capitolo 7]
P. 55.A Com’è possibile, signor Helvétius, che voi accordiate all’adolescenza una maggiore capacità di apprendere dell’età matura; e che poi siate d’accordo che non vi sia quasi altra differenza sensibile tra queste due età se non quella dell’organizzazione, più o meno sviluppata; e che invece voi non accordiate alcun effetto all’organizzazione di due bambini, nonostante l’organizzazione di due bambini della stessa età differisca ugualmente da quella di due uomini di età differenti? P. 56.B Voi accusate Rousseau di contraddirsi, e avete ragione; ma qui gli concedete la sua rivincita.244 Se io vi chiedo, in più passi del vostro primo volume, da dove nasce il pensiero sublime che deve rendere illustre il tale uomo, voi mi rispondete chiaramente: da una sorte fortunata. Qui non è più così, è una conseguenza dell’età, della linfa, dei fiori e di un frutto che si stringe, di una concatenazione di cause naturali e conosciute. P. 57. «Man mano che la vecchiaia s’avvicina, l’uomo è meno attaccato alla terra». Questo è proprio vero? [CAPITOLO 8]
P. 62. «Se i caratteri fossero l’effetto dell’organizzazione, in tutti i paesi vi sarebbe un certo numero di uomini di carattere». Anche questo è vero. «Perché di solito se ne vedono solo nei paesi liberi?» Perché se ne vedono alcuni nelle più schiave tra le nazioni? «C’è forse qualche massima morale che faccia sciogliere una ciste?»245 Sempre l’organizzazione della testa paragonata a quella dei piedi. Filosofo mio, voi avrete notato probabilmente che l’esercizio rafforza gli organi, e avreste potuto notare che l’inoperosità li distrugge. Legate un braccio a un bambino, quando nasce. Fate in modo che non se ne serva, e ridurrete al nulla questo membro. Analogamente, una disposizione naturale a qualche vizio, a qualche virtù, a qualche talento, a forza di essere contrariata, può essere annientata. L’organo resta, ma senza vigore. Le nostre donne, non camminando mai, hanno quasi perso l’uso delle gambe.246 Ma se la natura avesse negato loro delle gambe, ci sarebbe stato qualche modo artificiale di restituirgliele? Il vantaggio dell’educazione consiste nel perfezionare l’attitudine naturale, se questa è buona; a soffocarla, o a perderla, se è cattiva, ma mai a supplire l’attitudine che manca. È a questa infruttuosa ostinazione in una fatica sterile che volentieri attribuirei la responsabilità per la schiera d’imitatori di ogni genere. Vedono gli altri fare, si sforzano di fare come loro. I loro occhi non sono mai rivolti all’interno di loro stessi, ma sono sempre fissi a un modello che è fuori. Il genere d’impulso che si nota in loro A [«L’uomo sa più dell’adolescente; ha più fatti nella sua memoria: ma ha più capacità di apprendere, più forza di attenzione, più attitudine a ragionare? No»]. B [«È durante la giovinezza dell’uomo che si costituiscono in lui anche i pensieri sublimi che devono un giorno renderlo celebre. Nell’estate della sua vita le sue idee maturano. Durante questa stagione l’uomo le compara, le unisce tra loro, le compone in un grande insieme. Egli passa, in questo lavoro, dalla giovinezza all’età matura, e il pubblico che raccoglie allora il frutto dei suoi lavori, guarda i doni della sua primavera come un dono del suo autunno»].
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c’est le choc d’un génie étranger qui la leur communique. La nature pousse l’homme de génie ; l’homme de génie pousse l’imitateur. Il n’y a point d’intermédiaire entre la nature et le génie qui est toujours interposé entre la nature et l’imitateur. Le génie attire fortement à lui tout ce qui se trouve dans la sphère de son activité, qui s’en exalte sans mesure. L’imitateur n’attire point, il est attiré. Il s’aimante par le contact avec l’aimant ; mais il n’est pas l’aimant. P. 67. « La faim se renouvelle plusieurs fois par jour et devient dans le sauvage un principe très actif ». Cela se peut. Mais ce principe si impérieux produit moins de forfaits en cent ans parmi les sauvages, qu’à la Chine, dans le plus sage des empires, il ne s’en commet en un mois de disette. Ce que j’ose avancer de la faim est encore plus vrai de toutes les autres passions. Vous préférez donc l’état sauvage à l’état policé ? Non. La population de l’espèce va toujours en croissant chez les peuples policés, et en diminuant chez les nations sauvages. La durée moyenne de la vie de l’homme policé excède la durée moyenne de la vie de l’homme sauvage. Tout est dit. La contrée la plus heureuse n’est pas celle où il s’élève le moins d’orages.A C’est celle qui produit le plus de fruits. J’aimerais mieux habiter les pays fertiles où la terre tremble sans cesse sous les pieds, menace d’engloutir et engloutit quelquefois les hommes et leurs habitations, que de languir sur une plaine aride, sablonneuse et tranquille. J’aurai tort lorsque je verrai les peuples de Saint-Domingue ou de la Martinique aller chercher les déserts de l’Afrique. Oui, monsieur Rousseau, j’aime mieux le vice raffiné sous un habit de soie que la stupidité féroce sous une peau de bête. J’aime mieux la volupté entre les lambris dorés et sur la mollesse des coussins d’un palais, que la misère pâle, sale et hideuse étendue sur la terre humide et malsaine et recelée avec la frayeur dans le fond d’un antre sauvage. | [CHAPITRE 9]
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P. 73. « Rousseau s’est dit à lui-même, l’homme est paresseux, etc. » Rousseau ne s’est point dit tout cela. Vous le calomniez ; ce n’est point un méchant par système, c’est un orateur éloquent, la première dupe de ses sophismes. Quelle que soit la révolution qui se fasse dans les esprits, jamais Rousseau ne tombera dans la classe des auteurs méprisés. Il sera parmi les littérateurs ce que sont parmi les peintres, les mauvais dessinateurs, grands coloristes. B
A [« Aussi proportionnément au nombre de ses habitants, se commet-il au nord de l’Amérique, plus de cruauté et de crimes que dans l’Europe entière. Sur quoi donc fonder l’opinion de la vertu et du bonheur des sauvages ? » (p. 67).] B « Les hommes, en général, sont paresseux, par conséquent ennemis de toute étude qui les force à l’attention. Les hommes sont vains, par conséquent ennemis de tout esprit supérieur. Les hommes médiocres enfin ont une haine secrète pour les savants et pour les sciences. Que j’en persuade l’inutilité, je flatterai la vanité du stupide, je me rendrai cher aux ignorants, je serai leur maître, eux mes disciples, et mon nom, consacré par leurs éloges, remplira l’univers ».
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è comunicato dall’urto di un genio estraneo. La natura spinge l’uomo di genio; l’uomo di genio spinge l’imitatore. Non c’è intermediario tra la natura e il genio, che è sempre interposto tra la natura e l’imitatore. Il genio attrae con forza verso di sé tutto ciò che si trova nella sfera della propria attività, che ne viene smisuratamente esaltata. L’imitatore non attira alcunché, ma è attirato. Si magnetizza a contatto con il magnete; ma non è il magnete. P. 67. «La sensazione della fame si risveglia più volte ogni giorno e diviene, nel selvaggio, un principio molto attivo». Può essere. Ma questo principio così imperioso causa meno misfatti tra i selvaggi in cento anni, rispetto a quelli che in Cina, nel più saggio degli imperi, si commettono in un mese di carestia. Ciò che oso sostenere per la fame è ancor più vero per tutte le altre passioni. Voi preferite pertanto la condizione selvaggia alla condizione civile? No. La popolazione della specie cresce continuamente tra i popoli civili, e diminuisce presso i popoli selvaggi. La durata media della vita dell’uomo civile supera la durata media della vita dell’uomo selvaggio. Ho detto tutto. Il paese più felice non è quello dove si alzano meno tempeste.A È quello che produce più frutti. Preferirei abitare quei paesi fertili dove la terra trema continuamente sotto i piedi, minaccia di inghiottire e inghiotte talvolta gli uomini e le loro abitazioni,247 piuttosto che languire in una pianura arida, sabbiosa e tranquilla. Avrò torto quando vedrò i popoli di Santo Domingo o quelli della Martinica andare in cerca dei deserti dell’Africa. Sì, signor Rousseau, preferisco il vizio raffinato sotto un abito di seta, che la stupidità feroce sotto una pelle di bestia. Preferisco la voluttà tra i rivestimenti dorati e sulla morbidezza dei cuscini di un palazzo, che la miseria pallida, sudicia, schifosa, distesa sulla terra umida e malsana, e nascosta con lo spavento nel fondo di un antro selvaggio.248 [CAPITOLO 9]
P. 73. «Rousseau si è detto a se stesso: l’uomo è pigro, ecc.» Rousseau non si è affatto detto tutto ciò. Voi lo calunniate. Non è un malvagio di sistema. È un oratore eloquente, la prima vittima dei suoi sofismi. Qualunque sia la rivoluzione che si produca negli animi, Rousseau non finirà mai nella classe degli autori disprezzati. Lui sarà, tra i letterati, quello che tra i pittori sono i cattivi disegnatori, grandi coloristi.249 B
A [«Così, proporzionalmente al numero degli abitanti, si commettono nel nord dell’America più azioni crudeli e crimini che in tutta l’Europa. Su cosa fondare quindi l’opinione della virtù e della felicità dei selvaggi?» (p. 67)]. B «Gli uomini in generale sono pigri, e di conseguenza nemici di ogni studio che li costringe a prestare attenzione. Gli uomini sono vani, e di conseguenza nemici di ogni spirito superiore. Infine, gli uomini mediocri hanno un odio segreto per i dotti e per le scienze. Se io mi persuado della loro inutilità, blandirò la vanità dello stupido; mi renderò caro agli ignoranti, sarò il loro maestro, loro i miei discepoli, e il mio nome, santificato dai loro elogi, colmerà l’universo».
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[CHAPITRE 10] P. 84. Dans le même chapitre où je lis « un reproche que les hommes de lettres ont mérité, celui d’avoir adulé les tyrans », je lis le nom de Frédéric accolé à celui d’Antonin. Frédéric a irrité tous les poètes, philosophes, orateurs et savants de l’Allemagne par ses mépris. A
[CHAPITRE 11]
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P. 88. « Les nations sont barbares lorsqu’elles fondent des empires, et c’est lorsqu’elles reviennent à la barbarie que les empires se dissolvent ». Ces deux instants de barbarie ne sont que deux dates, l’une de l’origine, l’autre de la fin. Si les peuples qui attaquèrent de tous côtés l’empire romain n’avaient pas été barbares, sa destruction aurait été bien plus rapide. Si les Romains n’étaient pas retombés dans la barbarie lorsqu’ils furent attaqués par les barbares, je doute qu’ils en eussent été subjugués. Je me joins ici à Helvétius contre Rousseau. Que nous montre l’histoire ? D’abord des barbares qui | subjuguent des ignorants ; ensuite des ignorants subjugués par des barbares. P. 89. « En tout genre de commerce, c’est la demande qui précède l’offre ». Je ne pense pas que cela soit toujours vrai. Un artiste ingénieux invente un objet de luxe. Il l’exécute. Il le produit. Il plaît ; à l’instant les demandes sans nombre s’adressent à lui ; il y satisfait, et le voilà riche. Il est vrai qu’au moment où la demande cesse, l’art disparaît. [Note 7] P. 95. « Ce n’est pas le sentiment du beau moral qui fait travailler l’ouvrier, mais bien la promesse de vingt-quatre sous pour boire ».B Je ne sais si c’est le premier ; mais l’expérience m’a souvent appris que ce n’était pas toujours le second. Il y a tel ouvrier, honnête et tellement jaloux de sa réputation, qu’on lui offrirait inutilement de l’argent pour faire un mauvais ouvrage. J’en ai connu un qui excellait dans l’art de travailler les instruments de la chirurgie dont les opérations lui étaient familières. Quoique sa fortune fût peu considérable et qu’il y eût beaucoup plus à gagner à se prêter aux visions d’un mauvais chirurgien qu’à fabriquer un bon instrument, une forte somme d’argent ne l’y aurait pas déterminé : il se serait regardé comme le complice d’une opération funeste ; il ne faisait aucune différence entre un ouvrier qui aurait fabriqué un pareil instrument, contre ses lumières et sa conscience, et celui qui aurait fabriqué un poignard destiné à tuer le malade. [Note 10] P. 96. « N’aperçoit-on plus dans les souffrances, celles auxquelles on est soi-même sujet, on devient dur ». A [« Sous le règne d’un Frédéric ou d’un Antonin, on ose tout dire, tout penser, tout écrire et l’on se tait sous les autres règnes ».] B « mais la promesse de vingt-quatre sols pour boire ».
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[CAPITOLO 10]
P. 84.A Nello stesso capitolo in cui leggo «uno dei rimproveri che i letterati hanno meritato, è di aver adulato i tiranni», leggo il nome di Federico, accostato a quello di Antonino. Federico, con il suo disprezzo, ha irritato tutti i poeti, filosofi, oratori e dotti di Germania. [CAPITOLO 11]
P. 88. «Le nazioni sono barbare, quando fondano imperi; ed è quando tornano alla barbarie che gli imperi si dissolvono». Questi due momenti di barbarie, non sono altro che due date, l’una dell’origine, l’altra della fine. Se i popoli che attaccarono da tutti i lati l’Impero Romano non fossero stati barbari, la sua distruzione sarebbe potuta essere molto più rapida. Se i Romani non fossero ricaduti nella barbarie quando furono attaccati dai barbari, dubito che ne sarebbero stati soggiogati. Mi associo qui a Helvétius contro Rousseau.250 Cosa ci mostra la storia? Innanzitutto dei barbari che soggiogano degli ignoranti, poi degli ignoranti soggiogati da barbari. P. 89. «In ogni genere di commercio, è la domanda che precede l’offerta». Non credo che ciò sia sempre vero. Un artista ingegnoso inventa un oggetto di lusso. Lo realizza. Lo produce. Piace, immediatamente gli vengono rivolte innumerevoli richieste. Le soddisfa, ed eccolo ricco. È vero che nel momento in cui la domanda cessa, l’arte viene meno.
[Nota 7] P. 95. «Non è il sentimento della bellezza morale che fa lavorare l’operaio, ma la moneta da ventiquattro soldi che gli viene data per bere».B Non so se si tratti del primo motivo, ma l’esperienza mi ha insegnato spesso che non si tratta sempre del secondo. Ci sono operai, onesti e a tal punto gelosi della propria reputazione, che si potrebbe inutilmente offrire loro del denaro per compiere un cattivo lavoro. Ne ho conosciuto uno che eccelleva nell’arte di lavorare gli strumenti per la chirurgia, di cui gli erano familiari le operazioni. Sebbene la sua fortuna fosse poco considerevole e nonostante avesse da guadagnare di più a prestarsi ai progetti di un cattivo chirurgo, piuttosto che a fabbricare un buono strumento, una grande somma di denaro non l’avrebbe convinto: avrebbe considerato se stesso come il complice di un’operazione sciagurata. Egli non faceva alcuna differenza tra un operaio che avesse fabbricato un simile strumento, in conflitto con le proprie conoscenze e con la propria coscienza, e colui che avesse fabbricato un pugnale destinato a uccidere il malato.
[Nota 10] P. 96. «Se si cessa di accorgersi, tra le sofferenze, di quelle alle quali si è noi stessi soggetti, si diventa duri». A [«Sotto il regno di un Federico o di un Antonino si osa dire tutto, pensare tutto, scrivere tutto, mentre si tace sotto gli altri regni»]. B «ma la promessa di 24 soldi per bere».
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Je ne crois pas que ce soit par cette raison que le médecin ou le chirurgien s’endurcit : c’est que la sensibilité s’affaiblit par l’habitude. Le médecin cesse de compatir, à peu près comme, dans une longue maladie, le malade, et dans la longue infortune, le malheureux, cessent de se plaindre, ou, plus exactement, comme à la quatrième représentation d’une tragédie, le spectateur cesse de pleurer. | [Note 11]
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P. 97. « Les méchants comme les bons sont susceptibles d’amitié ». Cela se peut. Cependant j’ai de la peine à concevoir une véritable amitié entre les méchants. Le méchant ne voit guère dans la mort de son ami que la perte d’un confident de ses forfaits. Deux méchants doivent se craindre et ne peuvent guère s’estimer. Ibid.A La commisération ne me paraît guère moins naturelle que la crainte. L’une suppose la connaissance de la douleur ; l’autre la connaissance du péril. [Note 24] P. 102. « Quelques officiers veulent des soldats automates ».B Quelle en est la cause ? Ne serait-ce pas qu’aujourd’hui la discipline sert plus que l’intelligence et le courage ? Je crois que le général se soucie beaucoup d’être obéi et craint fort peu d’être jugé. [SECTION VI Note 6] P. 198. L’auteur a tellement compliqué la question du luxe, qu’après avoir lu tout ce qu’il en dit, on n’en a guère des notions plus nettes. | Je donne le nom de luxe à tout ce qui est au-delà des besoins nécessaires, relativement au rang que chaque citoyen occupe dans la société. C
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A « On voit des enfants enduire de cire chaude des hannetons, des cerfs-volants, les habiller en soldats, et prolonger ainsi leur mort pendant deux ou trois mois. En vain dira-t-on que ces enfants ne réfléchissent point aux douleurs qu’éprouvent ces insectes. Si le sentiment de la compassion leur était aussi naturel que celui de la crainte, il les avertirait des souffrances de l’insecte, comme la crainte les avertit du danger à la rencontre d’un animal furieux ». B [« automates. Cependant jamais Turenne ni Condé ne se sont plaints du trop d’esprit des leurs. Des soldats grecs et romains citoyens au retour de la campagne étaient nécessairement plus instruits, plus éclairés que les soldats de nos jours, et les armées grecques et romaines valaient bien les nôtres. Les soins que les généraux actuels prennent pour étouffer les lumières des subalternes, n’annonceraient-ils pas la crainte qu’ils ont d’avoir des censeurs trop éclairés de leur manœuvre ? Scipion et César avaient moins de défiance ».] C [« De grandes richesses sont-elles réparties entre un grand nombre de citoyens ? Chacun d’eux vit dans un état d’aisance et de luxe par rapport aux citoyens d’une autre nation, et n’a cependant que peur d’argent à mettre en ce qu’on appelle magnificence. ǀ Chez un tel peuple le luxe est, si j’ose le dire, national, mais peu apparent. ǀ Au contraire dans un pays où tout l’argent est rassemblé dans un petit nombre de mains, chacun des riches a beaucoup à mettre en somptuosité. ǀ Un tel luxe suppose un partage très inégal des richesses de l’État et ce partage est sans doute une calamité publique. En est-il ainsi de ce luxe national qui suppose tous les citoyens dans un certain état d’aisance et par conséquent un partage à peu près égal de ces mêmes richesses ? Non : ce luxe loin d’être un malheur est un bien public. Le luxe par conséquent n’est point en lui-même un mal ».]
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Non credo sia questa la ragione che rende duro il medico e il chirurgo: il fatto è che la sensibilità s’affievolisce a causa dell’abitudine. Il medico cessa di compatire, più o meno come, durante una lunga malattia, il malato, e, durante una lunga sventura, l’infelice, smettono di lamentarsi. O, più esattamente, così come accade alla quarta rappresentazione di una tragedia, lo spettatore cessa di piangere.
[Nota 11] P. 97. «I malvagi, come i buoni, sono capaci di amicizia» Può essere. Tuttavia, faccio fatica a immaginare una vera amicizia tra malvagi. Il malvagio non vede quasi altro, nella morte dell’amico, che la perdita di un confidente dei suoi crimini. Due malvagi devono temersi e non possono affatto stimarsi.251 Ibid.A La commiserazione non mi pare affatto meno naturale del timore. L’una presuppone la conoscenza del dolore, l’altro quella del pericolo. [Nota 24]
P. 102. «Alcuni ufficiali vogliono dei soldati-automi».B Quale ne è la causa? Non sarà forse perché oggi la disciplina è più utile dell’intelligenza e del coraggio? Io credo che il generale si preoccupi molto di essere obbedito, e tema molto poco di essere giudicato. [SEZIONE VI
Nota 6] P. 198.C L’autore ha complicato a tal punto la questione del lusso, che dopo aver letto tutto ciò che ne dice, non se ne hanno affatto delle nozioni più chiare.252 Do il nome di lusso a tutto ciò che va oltre i bisogni necessari, relativamente al rango che ciascun cittadino occupa nella società.253 A «Si vedono dei bambini rivestire di cera calda dei maggiolini, dei cervi volanti, travestirli da soldati e protrarre la loro morte per due o tre mesi. Invano si dirà che questi bambini non riflettono sul dolore che provano questi insetti. Se il sentimento della compassione fosse loro altrettanto naturale di quello del timore, ciò li avvertirebbe delle sofferenze dell’insetto, come il timore li avverte del pericolo quando incontrano un animale furioso». B «automi. Tuttavia, Turenne o Condé non si sono mai lamentati del troppo spirito dei loro. I soldati greci e i cittadini romani, al ritorno da una campagna, erano necessariamente più istruiti, più illuminati dei soldati dei giorni nostri, e le armate greche e romane valevano certamente quanto le nostre. L’attenzione che i generali attuali prendono, per soffocare i lumi dei subalterni, rivelerebbe il timore di avere delle censure troppo illuminate alle loro manovre? Scipione e Cesare avevano meno diffidenza». C [«Grandi ricchezze sono ripartite tra un gran numero di cittadini? Ciascuno di essi vive in una condizione di benessere e di lusso, se confrontati ai cittadini di un’altra nazione, e tuttavia non ha che poco denaro da investire in ciò che si chiama magnificenza. / Presso un tale popolo il lusso è, se posso dirlo, nazionale, ma poco appariscente. / Al contrario, in un paese dove tutto il denaro è concentrato in poche mani, ogni ricco può investire molto in cose sontuose. / Un tal lusso presuppone una divisione diseguale delle ricchezze dello Stato e, con ogni probabilità, questa divisione è una calamità pubblica. Lo stesso vale per quel lusso nazionale che presuppone una divisione all’incirca uguale di quelle stesse ricchezze? No: questo lusso, lungi dall’essere una disgrazia, è un bene pubblico. Di conseguenza, il lusso non è in se stesso un male»].
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D’après cette définition l’histoire du luxe me paraît écrite en gros caractères au-dessus des portes de toutes les maisons de la capitale. Je divise, relativement au luxe, les citoyens en trois classes, des riches, des aisés et des pauvres. Il n’y a point de luxe chez le riche, s’il n’accorde rien à ses goûts, à ses passions, à ses fantaisies, qui excède les justes limites qui lui sont prescrites par sa richesse. Il a de l’or. Quel emploi veut-on qu’il en fasse, si ce n’est de multiplier ses jouissances. Il n’y a point de luxe, chez le citoyen aisé, s’il n’a ni goûts, ni passions, ni fantaisies ruineuses. Il ne peut y avoir de luxe, chez le pauvre, puisqu’il manque du nécessaire à ses besoins. Le luxe naît donc d’un usage insensé de sa fortune. Et quelle peut être la cause de cet usage insensé, je ne dis pas dans un citoyen, mais chez toute une nation ? Cette cause ? C’est le trop d’importance attachée à la richesse, jointe à une distribution trop inégale de la fortune. Alors la société se divise en deux classes : une classe très étroite des citoyens qui sont riches et une classe très nombreuse des citoyens qui sont pauvres. Dans la première classe, le luxe est une ostentation de la richesse. Dans la seconde, le luxe est un masque de la misère. Cette ostentation, poussée à l’excès, amène la ruine du riche, et, de là, le peu de durée des grandes fortunes. Ce masque comble la misère du pauvre. Cette espèce de luxe est nécessairement suivi de la corruption des mœurs, de la décadence du goût et de la chute de tous les arts. Par une sotte émulation, il n’y a point d’extravagances dans lesquelles le riche ne se précipite, point de bassesses auxquelles le pauvre ne se détermine. | L’extérieur confond tous les rangs. Pour soutenir cet extérieur, hommes et femmes, grands et petits, tous se prostituent en cent manières diverses. L’indigence est la seule chose dont on rougisse. On fait beaucoup de statues, mais on les fait mauvaises ; on fait beaucoup de tableaux, mais on n’en fait point de bons. On fait beaucoup de pendules, de montres, mais on les fabrique mal. Rien n’est d’utilité, tout est de parade. Si l’on suppose une répartition plus égale de la richesse et une aisance nationale proportionnée aux différentes conditions, si l’or cesse d’être la représentation de toutes les sortes de mérite, alors on verra naître un autre luxe. Ce luxe, que j’appelle le bon, produira des effets tout contraires au premier. Si la femme du peuple veut acheter une robe, elle ne la demandera pas légère et voyante, parce qu’elle aura de quoi la payer durable, solide et bien manufacturée. Si la fantaisie lui prend de se faire peindre, elle n’appellera point un barbouilleur. Si elle veut une montre, il ne lui suffira pas que le bouton aplati la simule à répétition. Il y aura peu de crimes, mais beaucoup de vices ; mais de ces vices qui font le bonheur dans ce monde-ci, et dont on n’est châtié que dans l’autre. Je pense donc qu’un souverain n’aurait rien de mieux à faire que de travailler de toute sa force à la damnation de ses sujets. Tout cela n’est que croqué. Mais je fais une note et non pas un traité.
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A partire da questa definizione, la storia del lusso mi pare scritta in caratteri maiuscoli, sopra le porte di tutte le abitazioni della capitale.254 Io divido, in relazione al lusso, i cittadini in tre classi: quella dei ricchi, quella dei benestanti e quella dei poveri. Non c’è lusso, presso il ricco, se questi non concede niente ai suoi gusti, alle sue passioni, alle sue fantasie, a ciò che eccede il giusto limite che gli è prescritto dalla sua ricchezza. Ha dell’oro. Che uso si pretende ne faccia, se non di moltiplicare i suoi piaceri? Non c’è lusso, presso il cittadino benestante, se egli non ha né gusti, né passioni, né fantasie rovinose. Non ci può essere lusso presso il povero, poiché egli manca di ciò che è necessario ai propri bisogni. Il lusso nasce quindi da un uso insensato della propria fortuna. E quale può essere la causa di questo uso insensato, non dico di un cittadino, ma di tutta una nazione? Quale causa? È l’eccessiva importanza attribuita alla ricchezza, unita a una distribuzione troppo diseguale della fortuna. Allora la società si divide in due classi: una classe molto ristretta di cittadini che sono ricchi e una classe molto numerosa di cittadini che sono poveri. Nella prima classe, il lusso è ostentazione della ricchezza. Nella seconda, il lusso è maschera della miseria. Questa ostentazione, condotta all’eccesso, provoca la rovina del ricco, e da ciò deriva la durata limitata delle grandi fortune. Questa maschera vela la miseria del povero. Questa specie di lusso è necessariamente seguita dalla corruzione dei costumi, dalla decadenza del gusto e dalla rovina di tutte le arti. A causa di una sciocca emulazione, non ci sono stravaganze nelle quali il ricco non si precipiti; nessuna bassezza, alla quale il povero non si decida. L’apparenza confonde tutti i ranghi. Per sostenere quest’apparenza tutti, uomini e donne, grandi e piccoli, si prostituiscono in cento maniere diverse.255 L’indigenza è la sola cosa di cui si arrossisce. Si fanno molte statue, ma le si fanno male; si fanno molti quadri, ma non li si fanno buoni. Si fanno molti pendoli e orologi, ma li si fabbricano male. Non si fa niente per l’utilità, tutto è per l’ostentazione. Se si suppone una ripartizione più equa della ricchezza e un benessere nazionale proporzionato alle differenti condizioni, se l’oro cessa di essere la rappresentazione di ogni tipo di merito,256 allora si vedrà nascere un lusso differente.257 Questo lusso che chiamo buono, produrrà degli effetti del tutto contrari ai primi. Se la popolana vuole comprare un vestito, non lo chiederà leggero e vistoso, poiché avrà di che pagarne uno durevole, solido e ben prodotto. Se le prende la fantasia di farsi ritrarre, non chiamerà un imbrattatele. Se vuole un orologio, non le basterà che il bottone appiattito lo faccia sembrare un orologio a ripetizione.258 Ci saranno pochi crimini, ma molti vizi; tuttavia, tali vizi saranno quelli che causano felicità in questo mondo, e per i quali si è puniti solo nell’altro.259 Penso che un sovrano non avrebbe niente di meglio da fare che lavorare con tutte le sue forze alla dannazione dei propri sudditi. Tutto questo è appena abbozzato. Ma sto facendo una nota e non un trattato.
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[SECTION VI CHAPITRE 6]
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P. 137. « De la formation des peuplades ».A Cette île occupée par des nouveaux débarqués, et de la richesse produite au premier moment, etc. | Voilà des suppositions dont j’ai peine à me contenter. Au premier moment il n’y aura point de richesse ; chacun cultivera pour le besoin actuel ; et le paresseux risquera de mourir de faim, car manquant de tout, que pourrait-il donner en échange des denrées qu’il n’aura pas recueillies ; et celui dont les bras auront été les plus actifs et les plus forts que fera-t-il du superflu de sa récolte ? Mais ne chicanons point, et passons. P. 140.B Partout où tout citoyen est soldat il ne faut point d’armée. Une armée subsistante, quel qu’en soit le chef, menace la liberté des autres citoyens. Quand la présence de l’ennemi ne l’exige pas, il faut que tous les habitants soient armés ou désarmés. Ceux qui sont en corps ont trop d’avantage sur ceux qui sont isolés. [CHAPITRE 8] P. 156. Je dirai à l’occasion d’un peuple gouverné par des représentants et par un monarque, tel que l’Angleterre, l’idée qui me vient, peut-être vraie, peut-être fausse. On imaginait que la loi qui défendrait de corrompre les peuples, le serment de s’être conformé strictement à cette loi, et par conséquent toute liberté conservée dans la nomination des représentants, rendraient la nation anglaise la mieux gouvernée et la plus redoutable qu’il y eût au monde. Là-dessus, je pensai que la représentation ne coûtant plus rien à celui qui représentait, la représentation en serait à d’autant meilleur marché pour la Cour. On répondit qu’alors il n’y aurait plus que les gens de bien qui puissent arriver à la représentation ; à quoi je répliquai que Walpole avait le tarif de toutes les probités du royaume, et que le seul effet de la loi projetée, ce serait de faire baisser ce tarif. | C
[CHAPITRE 9]
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P. 161. Mais il est une autre source de l’inégalité des industries et de la parcimonie des pères qui doivent transmettre à leurs enfants quelquefois des richesses immenses.
A « Quelques familles ont passé dans une île. Je veux que le sol en soit bon, mais inculte et désert. Quel est, au moment du débarquement, le premier soin de ces familles ? Celui de construire des huttes, de défricher l’étendue du terrain nécessaire à leur subsistance. Dans ce premier moment quelles sont les richesses de l’île ? Les récoltes et le travail qui les produit etc. ». B « Il n’est qu’un moyen de soustraire un empire au despotisme de l’armée, c’est que ses habitants soient comme à Sparte citoyens et soldats ». C [« Tous les empires se sont détruits ; et c’est du moment où les nations devenues nombreuses, ont été gouvernées par des représentants ; où ces représentants favorisés par la division des intérêts des commettants, ont pu s’en rendre indépendants, qu’on doit dater la décadence de ces empires » (p. 157).]
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[SEZIONE VI. CAPITOLO 6]
P. 137. «Sulla formazione delle popolazioni».A Quest’isola occupata da persone appena sbarcate, e della ricchezza prodotta in un primo periodo, ecc. Ecco delle supposizioni di cui faccio fatica a dirmi soddisfatto. In un primo momento, non ci sarà ricchezza; ognuno coltiverà per il bisogno attuale e il pigro rischierà di morire di fame, poiché mancando di tutto, che cosa potrà scambiare in cambio delle derrate che non avrà raccolto? E colui le cui braccia saranno state le più attive e le più forti, che cosa farà del superfluo del suo raccolto? Ma non cavilliamo, e passiamo oltre. P. 140.B Ovunque il cittadino sia anche un soldato, l’esercito non è necessario. Un esercito permanente, chiunque ne sia il capo, minaccia la libertà degli altri cittadini. Quando la presenza del nemico non lo impone, è necessario che tutti gli abitanti siano o armati o disarmati. Coloro che sono in un qualche corpo, hanno un vantaggio troppo grande su coloro che sono isolati. [CAPITOLO 8]
P. 156.C Dirò dell’idea, forse vera, forse falsa, che mi venne a proposito di un popolo governato da rappresentanti e da un monarca, come l’Inghilterra. S’immaginava che la legge potesse impedire di corrompere i popoli, che il giuramento di essersi conformati rigorosamente a tale legge e, di conseguenza, tutta la libertà conservata nella nomina dei rappresentanti, avrebbe reso la nazione inglese quella meglio governata e la più temibile che vi fosse al mondo. Dopodiché, pensai che, non costando più niente la rappresentazione a colui che era rappresentato, il rappresentante sarebbe stato ancora di più a miglior mercato per la corte. Si rispose allora che solo le persone dabbene potevano diventare rappresentanti, alla qual cosa io replicai che Walpole 260 conosceva quali erano le tariffe dell’onestà di ciascuno, nel regno, e che il solo effetto del progettare una legge, sarebbe stato quello di far abbassare le tariffe. [CAPITOLO 9]
P. 161. Ma c’è un’altra fonte della disuguaglianza delle fortune; si tratta di quella che deriva dalla disuguaglianza delle abilità, e dalla parsimonia dei padri, che in qualche occasione trasmettono ai figli delle ricchezze immense. Queste fortune sono legitA «Qualche famiglia giunge su un’isola. Ipotizziamo che il terreno sia buono, ma incolto e deserto. Qual è, al momento dello sbarco, la prima cura di queste famiglie? Quella di costruire delle capanne, di dissodare l’estensione di terreno necessaria alla loro sussistenza. In questo primo momento, quali sono le ricchezze dell’isola? I raccolti e il lavoro che li produce, etc.». B «Vi è un solo modo per sottrarre un impero al dispotismo dell’esercito, è far sì che gli abitanti siano, come a Sparta, cittadini e soldati». C [«Tutti gli imperi si sono distrutti; ed è a partire dal momento in cui le nazioni, divenute numerose, sono state governate da rappresentanti; è da quando questi rappresentanti, favoriti dalla divisione degli interessi dei committenti, si sono potuti rendere indipendenti, che si deve datare la decadenza degli imperi» (p. 157)].
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Ces fortunes sont légitimes, et je ne vois pas comment, avec justice et en respectant la loi sacrée de la propriété, on peut obvier à cette cause de luxe. Réponse. C’est qu’il n’y faut point obvier ; c’est que les fortunes seront légitimement réparties lorsque la répartition sera proportionnée à l’industrie et aux travaux de chacun. C’est que, cette inégalité n’aura point de suite fâcheuse ; c’est qu’au contraire elle sera la base de la félicité publique si l’on trouve un moyen, je ne dis pas d’avilir, mais de diminuer l’importance de l’or ; et ce moyen, le seul que je connaisse, c’est d’abandonner toutes les dignités, toutes les places de l’État au concours. Alors un père opulent dira à son fils : Mon fils, si tu ne veux que des châteaux, des chiens, des femmes, des chevaux, des mets délicats, des vins exquis, tu les auras ; mais si tu as l’ambition d’être quelque chose dans la société, c’est ton affaire, ce n’est pas la mienne ; travaille le jour, travaille la nuit, instruis-toi ; car avec toute ma fortune, je ne ferais pas de toi un huissier. Alors l’éducation prendra un grand caractère ; alors l’enfant en sentira toute l’importance ; car s’il demande : Qui est-ce qui est grand chancelier de France, il arrivera souvent qu’on lui nommera le fils du menuisier ou du tailleur de son père, peut-être celui de son cordonnier. Si les concurrents sont jugés sur leurs mœurs et leurs lumières ; si les vices donnent aussi sûrement l’exclusion que l’ignorance, il y aura d’honnêtes gens et des gens habiles. Je ne prétends pas que ce moyen soit absolument sans inconvénient, ni que, quels que soient les juges du mérite, il n’y aura ni prédilection, ni esprit de parti, ni aucune sorte de partialité. Mais il y a une pudeur qui même de nos jours en a quelquefois imposé aux ministres ; et je ne pense pas qu’on osât préférer un fripon ou un sot à un concurrent honnête et éclairé. Ce qui pourrait arriver de pis, c’est que, peut-être, on ne nommerait pas toujours à la place vacante celui qui en serait le plus digne. | Il n’y a que le concours du mérite aux grandes places qui puisse réduire l’or à sa juste valeur. Dans cette supposition je demande quel motif étrange pourrait déterminer un père à se tourmenter toute sa vie pour n’accumuler que des biens et ne transmettre à son fils que les moyens d’être un avare, ou un dissipateur ou un voluptueux ? En même temps que le mérite sera plus honoré, la cupidité diminuée, le prix de l’éducation mieux senti, les fortunes seront moins inégales. Ces effets désirés s’enchaînent nécessairement les uns aux autres. La seule richesse vraiment désirable est celle qui satisfait à tous les besoins de la vie, et qui met les pères en état de donner d’excellents maîtres à leurs enfants. Toutes les conséquences des principes qui précèdent sont faciles à tirer. Sans de bonnes mœurs publiques, point de vrai goût. Sans instruction et sans probité, point d’honneurs à poursuivre. Un souverain peut combler son favori de richesses ; mais il ne peut lui donner ni des connaissances ni de la vertu. [CHAPITRE 11] P. 165. Les moyens que l’auteur propose pour prévenir l’inégalité des fortunes me déplaisent. Ils gênent la liberté ; ils doivent nuire à l’industrie et au commerce ; et A
A [« Par quelle raison à l’exemple des Lucquois un peuple ne proportionnerait-il pas tellement les impôts à la richesse de chaque citoyen, qu’au-delà de la possession d’un certain nombre
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time, e non vedo come si possa ovviare, con giustizia e rispettando la legge sacra della proprietà, a questa causa di lusso. Risposta. Non si deve affatto ovviare: le fortune saranno legittimamente ripartite, quando la ripartizione sarà proporzionale all’abilità e alle fatiche di ciascuno. Questa disuguaglianza non avrà alcuna conseguenza dannosa, al contrario, essa costituirà la base della felicità pubblica, se si trova un modo, non dico di svilire, ma di diminuire l’importanza dell’oro. E questo modo, il solo che io conosca, è di mettere tutte le cariche, tutti i posti dello Stato a concorso.261 Allora un padre ricco dirà a suo figlio: ‘Figlio mio, se tu non vuoi altro che castelli, cani, donne, cavalli, cibi raffinati, vini deliziosi, li avrai; ma se hai l’ambizione di essere qualcuno in società, questo è affar tuo, non mio. Lavora di giorno, lavora di notte. Istruisciti, perché, pur con tutta la mia ricchezza, non potrei fare di te nemmeno un usciere’.262 Allora l’educazione acquisirà un gran ruolo. Allora il bambino ne sentirà tutta l’importanza, poiché se egli domanda: ‘Chi è il grande cancelliere di Francia?’ accadrà spesso che gli si farà il nome del figlio del falegname o del sarto di suo padre, forse quello del suo calzolaio.263 Se i concorrenti sono giudicati per i loro costumi e per i loro lumi, se tanto i vizi quanto l’ignoranza conducono, con sicurezza, a essere scartati, ci saranno persone oneste e persone capaci. Non pretendo che questo metodo sia del tutto privo d’inconvenienti, né, quali che siano i giudici del merito, che non ci saranno né preferenze, né spirito di partito, né parzialità di nessun genere. Ma c’è un pudore che perfino ai giorni nostri s’è imposto, in qualche occasione, sui ministri. E io non penso che si osi preferire un furfante o uno sciocco, a un concorrente onesto e illuminato. La cosa peggiore che potrebbe accadere, è che non si nominasse sempre, al posto vacante, colui che ne fosse il più degno.264 Non c’è che il concorso in base al merito, per i posti eminenti, che possa ridurre l’oro al suo giusto valore. Facendo quest’ipotesi, io chiedo quale strano motivo potrebbe indurre un padre a tormentarsi per tutta la vita, per non accumulare altro che ricchezze e non trasmettere altro, a suo figlio, che i mezzi per essere o un avaro, o un dissipatore, o un voluttuoso. Nel momento stesso in cui il merito sarà più onorato, la cupidigia diminuirà, il valore dell’educazione sarà meglio sentito, le ricchezze saranno meno diseguali. Questi effetti desiderati si concatenano necessariamente gli uni agli altri. La sola ricchezza veramente desiderabile è quella che soddisfa tutti i bisogni della vita, e mette i padri nella condizione di dare ai propri figli dei maestri eccellenti. Tutte le conseguenze dei principi che precedono sono facili a trarsi. Senza buoni costumi pubblici, non vi è vero gusto. Senza istruzione e onestà, non vi sono onori da ricercare. Un sovrano può colmare il suo favorito di ricchezze, ma non può dargli né conoscenze, né virtù. [CAPITOLO 11]
P. 165. I mezzi che l’autore si propone per prevenire la disuguaglianza delle fortune non mi piacciono. Ostacolano la libertà, sono dannosi all’industria e al comA
A [«Per quale ragione, seguendo l’esempio dei Lucchesi, un popolo non potrebbe proporzionare le imposte sulla ricchezza di ogni cittadino, al punto che oltre il possesso di un certo nu-
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donner aux citoyens un esprit de fausseté. Ils seront sans cesse occupés des moyens de cacher leurs richesses et d’en disposer à leur gré. P. 166. « Le riche fourni du nécessaire mettra toujours le superflu de son argent à l’achat des frivolités ». Et qu’importe qu’il ait des magots sur sa cheminée, pourvu qu’il n’y en ait point dans nos tribunaux. | [CHAPITRE 12]
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P. 169. « Un peuple, sans argent, s’il est éclairé, communément est sans tyran ». Je le crois ; mais est-il bien facile aux nations de s’éclairer, sans un signe conventionnel de toutes les choses nécessaires à la vie. Détruisez ce principe moteur, et vous en verrez naître un état de stagnation générale ; et cet état est-il bien favorable au progrès des sciences, des arts, et à la perfection de l’esprit humain. Tout à l’heure, vous avez défendu les connaissances contre Jean-Jacques ; et voilà que vous ouvrez la porte à une ignorance universelle. [CHAPITRE 13] P. 174. « Celui qui peut donner de l’argent n’en donne pas toujours à la personne la plus honnête ». Et que m’importe qu’il fasse des catins ; pourvu que les catins ne fassent pas des ministres. On peut certainement enflammer un peuple de la passion de la gloire,A sans l’intervention de l’or, c’est-à-dire qu’on aura des sujets très belliqueux, des conquérants, des chevaliers, des paladins ; pour des savants, je vous en défie. À moins que votre petite colonie, placée comme Lacédémone, ne soit environnée de nations instruites ; mais alors sa durée sera bien précaire. La résolution générale de toutes les nations, de jeter dans la mer tout leur or, est absurde à supposer. Il est donc bien plus raisonnable de réduire la richesse à ses seuls avantages naturels, par une institution qui n’exige qu’un acte pur et simple de la volonté du souverain. Il ne serait même question que de généraliser une loi qui subsiste déjà dans quelques cas particuliers où les bons effets en sont évidents. Toutes les chaires de notre faculté de droit sont abandonnées au concours, et il n’y en a pas une qui ne soit remplie par un homme de mérite. | [CHAPITRE 16]
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P. 187. « L’amour de l’argent est destructif des talents, du patriotisme et de la vertu ». Oui, de l’argent représentatif de tout mérite, je l’accorde.
d’arpents, l’impôt mis sur ces arpents excédât le prix de leur fermage ? Dans ce pays il ne se ferait certainement pas de grandes acquisitions. | On peut imagines cent lois de cette espèce. Il est donc mille moyens de s’opposer à la trop prompte réunion des richesses dans un certain nombre de mains, et de suspendre les progrès trop rapides du luxe » (p. 165-166).] A [« Je conviens donc qu’à la tête d’une nouvelle colonie, si j’allais fonder un nouvel empire, et que je pusse à mon choix enflammer mes colons de la passion de la gloire ou de l’argent, c’est celle de la gloire que je devrais leur inspirer » (p. 175).]
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mercio e danno ai cittadini uno spirito menzognero. Questi saranno continuamente occupati a cercare modi per nascondere le proprie ricchezze e per disporne a loro piacimento.265 P. 166. «Il ricco dotato del necessario, investirà sempre il proprio denaro superfluo per l’acquisto di cose frivole». E cosa importa che ci siano delle statuette266 sul suo camino, a patto che non ce ne siano nei nostri tribunali? [CAPITOLO 12]
P. 169. «Un popolo, senza denaro, se è illuminato, di solito è senza tiranno». Lo credo, ma è così facile che le nazioni si rendano illuminate, senza che abbiano un segno convenzionale per tutte le cose necessarie alla vita. Distruggete questo principio motore, e vedrete nascerne uno stato di stagnazione generale. E tale stato è così favorevole al progresso delle scienze, delle arti, alla perfezione dello spirito umano? Poco fa avete difeso il valore delle conoscenze contro Jean-Jacques, ed ecco che aprite la porta a un’ignoranza universale. [CAPITOLO 13]
P. 175. «Colui che può spendere del denaro, non lo spende sempre con la persona più onesta». E che m’importa se vada a puttane, a patto che le puttane non vadano a ministri. Si può sicuramente infiammare di passione un popolo per la gloria,A senza ricorrere all’oro. Ciò significa che si avranno dei sudditi molto bellicosi, dei conquistatori, dei cavalieri, dei paladini. Per quanto riguarda i dotti, vi sfido. A meno che la vostra piccola colonia, situata analogamente a Sparta, non sia circondata da nazioni istruite; ma allora la sua vita sarà alquanto precaria. La risoluzione generale di tutte le nazioni di gettare a mare tutto il loro oro, è assurda come ipotesi.267 È quindi assai più ragionevole ridurre la ricchezza ai suoi soli vantaggi naturali, attraverso un’istituzione che non ha bisogno d’altro che di un atto puro e semplice della volontà del sovrano. Non si tratterà che di generalizzare una legge che esiste già, in alcuni casi specifici, nei quali i suoi buoni effetti sono evidenti. Tutte le cattedre della nostra facoltà di diritto sono messe a concorso, e non ve ne è nemmeno una che sia occupata da un uomo di merito.268 [CAPITOLO 16]
P. 187. «L’amore del denaro è distruttivo per i talenti, per il patriottismo e per la virtù». Sì, quello del denaro che rappresenta ogni merito, lo concedo. mero di arpenti, l’imposta su questi arpenti superi il prezzo del loro affitto? In questo paese non si faranno di certo delle grandi acquisizioni. / Si possono immaginare cento leggi di questo tipo. Ci sono quindi mille modi per opporsi alla concentrazione troppo veloce di ricchezze in un certo numero di mani, e per sospendere il progresso troppo rapido del lusso» (pp. 165-166)]. A [«Concedo quindi che se fossi a capo di una nuova colonia, se cominciassi a fondare un impero e se potessi, a mio piacimento, infiammare i miei coloni della passione per la gloria o per il denaro, è quella per la gloria che dovrei ispirare loro»].
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De l’argent représentatif des seules voluptés, je le nie. Pourquoi veut-on avoir de l’or, et puis quoi ? encore de l’or ; c’est qu’avec de l’or on a tout, de la considération, du pouvoir, des honneurs, et même de l’esprit. Qu’avec de l’or, on n’ait que les choses qui se payent, et que l’on soit privé de toutes celles qui ne s’escomptent pas ; et l’or sera très innocent. La bienfaisance, l’humanité, la commisération en seront même plus communes. Aujourd’hui que l’argent est tout, on est et l’on doit être avare d’un écu. Un écu est trop de choses à la fois, pour en être libéral. Je ne sais si le ministère en serait également avide ; mais il ne pourrait perdre de ses prérogatives, sans que la nation en devînt moins avare. [CHAPITRE 18] P. 194. « Qui se déclare protecteur de l’ignorance, se déclare l’ennemi de l’État ». Or, qui se déclare ennemi de l’or, sans restriction, se déclare, ou je me trompe fort, protecteur de l’ignorance. [Note 12] P. 200. « Le monarque doit être avare du bien de ses sujets ». Cela me rappelle un mot de l’impératrice de Russie régnante. Le fils de Falconet était venu à Pétersbourg, avec un assez grand nombre de tableaux qu’il avait recueillis en Angleterre. L’impératrice les vit et n’en prit que quelques-uns et à un prix très modéré, ajoutant à ce sujet que Falconet père serait mécontent, mais qu’il ne considérerait pas que ce n’était pas elle qui payait. [Note 13]
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P. 201. « À quel signe reconnaît-on le luxe nuisible ? À l’espèce de marchandise étalée sur les boutiques. Plus ces marchandises sont riches, moins il y a de proportion dans la fortune des citoyens ». | Au lieu de dire : Plus ces marchandises sont riches, il eût peut-être été plus juste de dire : Plus ces marchandises sont mauvaises, et plus elles affichent la richesse ; plus les fortunes sont inégales, plus le luxe de misère est étendu. Les boutiques où les marchandises sont vraiment riches sont en petit nombre et peu fréquentées. Celles où la richesse apparente des marchandises sert de masque à la misère sont sans nombre. [Note 19] P. 205.A « Diminuez la moitié des richesses d’une nation ; répartissez à peu près également le reste ; et la nation restera aussi heureuse et aussi puissante... » Je doute de l’un et je nie l’autre. Comment resterait-elle aussi puissante, si les nations circonvoisines et rivales ont conservé toute leur richesse ? Comment serait-elle aussi A « Qu’on anéantisse la moitié des richesses d’une nation, si l’autre moitié est à peu près également répartie entre tous les citoyens, l’État sera presque également heureux et puissant ».
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Del denaro che rappresenta i soli piaceri, lo nego. Perché si vuole avere dell’oro, e poi ancora dell’oro? Perché è con l’oro che si ha tutto. Considerazione, potere, onori, e anche dello spirito.269 Si faccia in modo che con l’oro non s’ottenga altro che le cose che si pagano, e si venga privati di tutte quelle cose che non si scontano: così l’oro diventerà del tutto inoffensivo. La benevolenza, l’umanità, la commiserazione, saranno persino più diffuse. Oggi che il denaro è tutto, si è e si dev’essere avari di uno scudo. Uno scudo è troppe cose allo stesso tempo, per esserne prodighi. Non so se il ministero potrebbe essere ugualmente avido, ma non potrebbe perdere le sue prerogative, senza che la nazione diventi meno avara. [CAPITOLO 18]
P. 194. «Colui che si dichiara protettore dell’ignoranza si dichiara nemico dello Stato». Ora, chi si dichiara nemico dell’oro, senza alcuna restrizione, si dichiara, o mi sbaglio di grosso, protettore dell’ignoranza.
[Nota 12] P. 200. «Il monarca dev’essere avaro dei beni dei suoi sudditi». Ciò mi ricorda una battuta dell’attuale imperatrice di Russia. Il figlio di Falconet era giunto a Pietroburgo con un gran numero di quadri che aveva raccolto in Inghilterra. L’imperatrice li vide e ne acquistò alcuni a un prezzo alquanto moderato, aggiungendo a tal proposito, che Falconet padre ne sarebbe stato scontento, ma che lui non teneva conto del fatto che non era lei a pagare.
[Nota 13] P. 201. «Da quale segno si riconosce il lusso nocivo? Dal tipo di merce esposta nei negozi. Più queste merci sono ricche, meno equilibrio c’è tra le fortune dei cittadini». Invece di dire: ‘Più queste merci sono ricche’, sarebbe stato forse più giusto dire: ‘Più queste merci sono cattive, e più ostentano ricchezza, più le fortune sono diseguali, più il lusso di miseria è diffuso’. I negozi nei quali le merci sono veramente ricche, sono pochi, e poco frequentati. Quelli nei quali la ricchezza apparente delle merci serve da maschera della miseria sono innumerevoli.
[Nota 19] P. 205. «Diminuite della metà le ricchezze di una nazione, ripartite in modo più o meno uguale il rimanente, e la nazione resterà ugualmente felice e potente...». Dubito della prima affermazione, e nego l’altra. Come potrebbe restare ugualmente potente, se le nazioni confinanti e rivali hanno conservato tutta la loro ricchezza? Come A
A «Che si distrugga la metà delle ricchezze di una nazione; se l’altra metà è quasi ugualmente ripartita tra tutti i cittadini, lo Stato sarà quasi ugualmente felice e potente».
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heureuse, si ses jouissances sont moindres ? Et elles le seront de tout ce que la modicité de la fortune ne permettra pas d’appeler à grands frais des contrées éloignées. On ne boit guère de vin de Bourgogne et de Champagne dans la Suisse. Diminuez la richesse des Suisses de moitié, et l’on y en boira bien moins. Il faut à une contrée, dit Helvétius, page 206, ou de l’argent, ou les lois de Sparte, ou le danger d’une invasion prochaine. Les lois de Sparte seraient la ruine de la nation, s’il était possible de les y introduire. C’est Helvétius qui le dit. Le danger de l’invasion sera donc d’autant plus grand que la somme de la richesse sera moindre. Comment a-t-il donc pu assurer, paragraphe précédent, que si l’on jetait dans la mer la moitié de notre or, nous n’en serions ni moins heureux ni moins puissants ? [Note 20] P. 206. « Le crime le plus habituel des gouvernements de l’Europe, c’est l’avidité ».A On accroît la diligence des abeilles, en les châtrant d’une partie de leur cire et de leur miel. Prenez tout ; et les abeilles quittent la ruche. Prenez-en trop ; les abeilles restent et meurent. | [Note 24]
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P. 210. L’avilissement des honneurs mal décernés produit au moral le même effet que l’altération des monnaies au physique. B
[Note 26] P. 210. « À quelle cause attribuer l’extrême puissance de l’Angleterre ? À son gouvernement ». Mais à quelle cause attribuer la pauvreté de l’Écosse et de l’Irlande, et l’extravagance de la guerre actuelle contre les colonies ? À l’avidité des commerçants de la métropole. On vante cette nation pour son patriotisme. Je défie qu’on me montre dans l’histoire ancienne ou moderne un exemple de personnalité nationale, ou d’antipatriotisme, plus marqué. Je vois ce peuple sous l’emblème d’un enfant vigoureux qui naît avec quatre bras ; mais dont un de ces bras arrache les trois autres. Une autre observation qui tache encore à mes yeux, le caractère de cette nation : c’est que ses nègres sont les plus malheureux des nègres. L’Anglais, ennemi de la tyrannie, chez lui, est le despote le plus féroce, quand il en est sorti. D’où naît cette bizarrerie, si elle est réelle, comme on n’en saurait douter ? Se soulagerait-il au loin de l’empire de la loi qui le tient courbé dans ses foyers ? Sa méchanceté serait-elle aussi celle de l’esclave débarrassé de sa chaîne ? Ou ne serait-ce que la suite du mépris qu’il a conçu pour celui qui a la bassesse de se soumettre à l’autorité arbitraire d’un maître ?
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« leur avidité à s’approprier tout l’argent du peuple » « Les honneurs sont une monnaie qui hausse et baisse selon le plus ou le moins de justice avec laquelle on les distribue ». B
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potrebbe essere ugualmente felice, se i suoi piaceri saranno minori? E questi lo saranno in tutto ciò che la mediocrità della fortuna non consentirà di acquistare a grandi spese dai paesi lontani. Non si bevono molto, in Svizzera, vini di Borgogna e di Champagne. Diminuite della metà la ricchezza degli Svizzeri, e se ne berranno molti di meno. Sono necessari a un paese, dice Helvétius, a pag. 206, o del denaro o le leggi di Sparta, o il pericolo di un’invasione imminente. Le leggi di Sparta sarebbero la rovina della nazione, se fosse possibile introdurle. È Helvétius a dirlo. Il pericolo d’invasione sarà quindi tanto più grande, quanto il totale delle ricchezze sarà minore. Come ha potuto quindi affermare con certezza, nel paragrafo precedente, che se si gettasse in mare la metà del nostro oro, non ne risulteremmo né meno felici, né meno potenti?
[Nota 20] P. 206. «Il crimine più diffuso dei governi d’Europa è l’avidità».A Si accresce la diligenza delle api, privandole di una parte della loro cera e del loro miele. Prendete tutto, e le api abbandonano l’alveare. Prendete troppo, le api restano e muoiono.
[Nota 24] P. 209.B Lo svilimento degli onori mal conferiti causa, al morale, lo stesso effetto che l’alterazione delle monete causa al fisico. Nota 26 P. 210. «A quale causa si deve attribuire l’estrema potenza dell’Inghilterra? Al suo governo». Ma a quale causa si deve attribuire la povertà della Scozia e dell’Irlanda e la stramberia dell’attuale guerra contro le colonie? All’avidità dei commercianti della madrepatria. Si fa vanto di questa nazione per il suo patriottismo. Sfido a mostrarmi un esempio, nella storia antica o moderna, di personalismo nazionale, o di antipatriottismo più marcato. Vedo questo popolo sotto l’emblema di un bambino vigoroso che nasce con quattro braccia,270 ma una di queste braccia strappa le altre tre. Un’altra osservazione che macchia, ancora, ai miei occhi il carattere di questa nazione: è il fatto che i suoi negri sono i più sfortunati tra i negri. L’Inglese, nemico della tirannia a casa sua, è, quando ne esce, il despota più feroce. Da dove nasce questa bizzarria, ammesso che sia reale, cosa di cui non si potrebbe quasi dubitare? L’Inglese si sbarazzerebbe – lontano dall’impero – della legge che lo tiene sottomesso nei suoi focolari? La sua cattiveria è quella dello schiavo libero dalle proprie catene? O non sarà forse la conseguenza del disprezzo che ha concepito per colui che ha la servilità di sottomettersi all’autorità arbitraria di un padrone? A
«la loro avidità che si appropria di tutto il denaro del popolo». «Gli onori sono una moneta che cresce o diminuisce a seconda della quantità di giustizia con la quale si distribuisce». B
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[SECTION VII CHAPITRE 1]
P. 216. Lorsque le roi Jacques disait qu’il était difficile d’être à la fois bon théologien et bon sujet, il répétait le | proverbe qui dit qu’il est difficile de servir deux maîtres à la fois. A
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[CHAPITRE 4] P. 237. « La doctrine des Jésuites favorisait le larcin ; cependant le magistrat qui la condamna par décence ne s’était point aperçu qu’elle eût multiplié le nombre des filous ». C’est qu’il est une multitude de filouteries domestiques qui ne viennent point à la connaissance du magistrat. Un prédicateur du vol renfermé dans une espèce de boîte où il parle à l’oreille de mon valet, ne me semble point du tout un personnage indifférent à la sûreté de ma personne et de mes effets. [CHAPITRE 5] p. 240.B Une observation vraie que je n’ai lue dans aucun auteur, c’est qu’on aimait un jacobin, un capucin, un autre moine, sans aimer l’ordre ; au lieu que l’ami d’un jésuite était l’ami des jésuites. La plus petite partie représentait le tout. [CHAPITRE 12] P. 272. Ici l’auteur est décousu. Ce morceau, « Il n’est point de muse », etc...C ne tient ni à ce qui précède, ni à ce qui suit, et n’était pas assez saillant pour le conserver aux dépens de la liaison des idées. Cet endroit n’est pas le seul où l’on sente ce défaut. Quand on est instruit de la manière de travailler de l’auteur, on doit être surpris de ne pas le reconnaître plus souvent dans son ouvrage. 605
P. 274.D Les lois monastiques devraient être les plus par | faites ; j’en conviens : pour les plus durables, je le nie. Il n’y a de durable que ce qui est conforme à la nature, qui ne cesse de réclamer ses droits. A
[« Rapportons-nous-en au roi Jacques. Ce prince était bigot et connoisseur en ce genre. Il ne croyait point à l’humanité des prêtres. “ Il est très difficile, disait-il, d’être à la fois bon théologien et bon sujet” »] B « Du gouvernement des Jésuites ». C « Il n’est point de muse à laquelle on n’ait érigé un temple ; point de science qu’on n’ait cultivée dans quelque académie ; point d’académie où l’on n’ait propose quelque prix pour la solution de certains problèmes d’optique, d’agriculture, d’astronomie, de mécanique, etc. Par quelle fatalité les sciences de la morale et de la politique, les plus importantes de toutes celles qui contribuent le plus à la félicité nationale, sont-elles encore sans écoles publiques ? » D [« Mais, quant à l’objet qu’elles se proposent, pourquoi les lois monastiques sont-elles les moins imparfaites ? C’est que le fondateur d’un ordre religieux est dans la position du fondateur d’une colonie. C’est qu’un Ignace en traçant dans le silence et la retraite le plan de sa règle, n’a point encore à ménager les goûts et les opinions de ses sujets futurs. Sa règle faite, son ordre
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[SEZIONE VII CAPITOLO 1]
P. 216. Quando re Giacomo diceva che era difficile essere allo stesso tempo buon teologo e buon suddito, ripeteva il proverbio che dice che è difficile servire bene due padroni insieme. A
[CAPITOLO 4]
P. 237. «La dottrina dei Gesuiti favoriva il ladrocinio, tuttavia il magistrato che li condannò per convenienza, non s’era accorto che essa avrebbe moltiplicato il numero dei furfanti.» Perché si tratta di una moltitudine di furfanterie domestiche che non vengono a conoscenza del magistrato. Un predicatore del furto, chiuso in una specie di botte271 da dove parla all’orecchio del mio domestico, non mi sembra proprio per niente un personaggio indifferente alla sicurezza della mia persona e dei miei beni. [CAPITOLO 5]
P. 240. Un’osservazione vera, che non ho letto in nessun autore, è che si amava un giacobino, un cappuccino, un altro monaco, senza amare l’ordine; mentre l’amico di un gesuita, era l’amico dei Gesuiti. La parte più piccola rappresentava il tutto. B
[CAPITOLO 12]
P. 272. Qui l’autore è sconnesso. Questo passo, «non ci sono muse»,C ecc... non ha a che fare né con quello che lo precede, né con quello che lo segue; e non era abbastanza significativo da essere mantenuto a discapito della connessione tra le idee. Questo passo non è il solo nel quale si avverte tale difetto. Quando si conosce la maniera di lavorare dell’autore, si deve essere sorpresi di non riconoscerlo più spesso nella sua opera. P. 274.D Che le leggi monastiche debbano essere le più perfette, lo concedo. Le più durature, lo nego. Non vi è niente di duraturo oltre a ciò che è conforme alla natura, che non smette di rivendicare i suoi diritti.272 A
[«Riferiamoci al Re Giacomo. Questo principe era bigotto ed esperto in affari di questo genere. Non credeva all’umanità dei preti. ‘È molto difficile, diceva, essere allo stesso tempo buon teologo e buon suddito’»]. B «Del governo dei Gesuiti». C «... muse alle quali non si sia eretto un tempio; nessuna scienza che non sia stata coltivata in qualche accademia; nessuna accademia nella quale non si sia proposto qualche premio per la soluzione di alcuni problemi di ottica, d’agricoltura, di astronomia, di meccanica, ecc. Per quale fatalità le scienze della morale e della politica, le più importanti di tutte, quelle che contribuiscono di più alla felicità nazionale, sono ancora prive di scuole pubbliche?». D [«Ma perché le leggi monastiche sono le meno imperfette, in relazione all’obiettivo che si propongono? Perché il fondatore di un ordine religioso è nella posizione del fondatore di una colonia. Perché un Ignazio, tracciando in silenzio e in solitudine il piano della sua regola, non deve ancora avere riguardo per i gusti e le opinioni dei suoi futuri sottoposti. Fatta la sua regola, ap-
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Ni Helvétius, ni aucun des écrivains qui l’ont précédé ou suivi, n’a bien connu le caractère primitif du jésuitisme. Lorsqu’ils se présentèrent en France et qu’on leur demanda ce qu’ils étaient ? Réguliers, ils répondirent non ; Séculiers, ils répondirent non. Et ils avaient raison. Leur fondateur était un militaire. Leur institution fut militaire. Le Christ fut le chef de la troupe ; le général en fut le colonel ; le reste fut ou capitaine, ou lieutenant, ou sergent ou soldat. Cela fait rire, mais cela n’en est pas moins vrai. C’était un véritable ordre de chevalerie. Et quels étaient les ennemis qu’ils avaient à combattre ? Le diable, ou l’incrédulité, le vice et l’ignorance. Ils faisaient des missions aux environs et au loin contre l’incrédulité. Ils prêchaient dans les villes contre le vice. Ils tenaient des écoles contre l’ignorance. Tous marchaient sous l’étendard de la Vierge Marie, la Dulcinée de saint Ignace. Ajoutez que l’établissement de cet ordre fut presque immédiat au temps de la chevalerie espagnole, des paladins, et du donquichottisme. Il ne resta de l’esprit du fondateur que le fanatisme. Ils avaient tellement dégénéré sous le troisième généralat, qu’un de leurs anciens écrivains, dont le nom ne me revient pas, leur disait : Vous êtes devenus ambitieux, et politiques ; vous courez après l’or ; vous méprisez les études et la vertu ; vous fréquentez les grands. Vous vous acheminez si promptement au vice et à la puissance, que les souverains désireront votre extinction et ne sauront comment l’exécuter. | [Note 1]
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P. 277. Il est vrai que la loi militaire contraint un soldat à fusiller son compagnon et son ami. Mais c’est une loi atroce contre laquelle on s’est récrié de tout temps. Est-il juste de reprocher à une nation le vice d’un état particulier ? Est-il juste de reprocher à un siècle policé une loi établie dans un temps barbare ? C’est une façon de raisonner aussi singulière que celle d’un historien qui prétendrait prouver par l’exemple de Brutus que dans les premiers temps de Rome les pères ou n’aimaient pas leurs enfants, ou les aimaient moins que la patrie. Il n’y avait peutêtre parmi tous les citoyens que cet homme capable de son action héroïque ou féroce. L’étonnement général qu’elle causa, le prouve assez. A
approuvé, il est entouré de novices d’autant plus soumis à cette règle qu’ils l’ont volontairement embrassée et qu’ils sont par consequent approuvé les moyens par lesquels ils sont contraints à l’observer. Faut-il donc s’étonner, si dans leur genre, de tells legislations sont plus parfaits que celles d’aucune nation ? »] A [« Tous les Français se vantent d’être des amis tendres. Lorsque le livre de l’Esprit parut, ils crièrent beaucoup contre le chapitre de l’amitié. On eût cru Pris peuplé d’Orestes et de Pylades. C’est cependant dans cette nation que la loi militaire oblige un soldat de fusiller son compagnon et son ami déserteur. L’établissement d’une pareille loi ne prouve pas de la part du gouvernement un grand respect pour l’amitié ; et l’obéissance à cette loi une grande tendresse pour ses amis ».]
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Né Helvétius, né alcuno degli scrittori che l’hanno preceduto o seguito ha conosciuto bene il carattere primitivo del gesuitismo. Quando si presentarono in Francia e si chiese loro chi fossero: ‘Regolari?’ risposero di no. ‘Secolari?’ risposero di no. E avevano ragione.273 Il loro fondatore era un militare.274 La loro istituzione fu militare. Cristo fu il capo della truppa, il generale dell’ordine ne fu il colonnello, gli altri furono capitano, tenente, sergente o soldato. Ciò fa ridere, ma non per questo è meno vero. Si trattava di un vero e proprio ordine di cavalleria. E quali erano i nemici che dovevano combattere? Il diavolo, ossia l’incredulità, il vizio e l’ignoranza. Essi conducevano delle missioni, nei dintorni o lontano, contro l’incredulità. Predicavano nelle città contro il vizio. Avevano delle scuole contro l’ignoranza. Tutti marciavano sotto lo stendardo della Vergine Maria, la Dulcinea275 di Sant’Ignazio. Aggiungete che la fondazione di quest’ordine fu quasi contemporanea ai tempi della cavalleria spagnola, dei paladini e del donchisciottismo. Dello spirito del fondatore non restò altro che il fanatismo. Sotto il terzo generalato, i Gesuiti erano tanto degenerati, che uno dei loro vecchi scrittori, del quale non ricordo il nome, diceva loro: ‘Siete divenuti ambiziosi, e politici, correte dietro l’oro, disprezzate gli studi e la virtù, frequentate i grandi. V’incamminate così prontamente verso il vizio e la potenza, che i sovrani desidereranno la vostra estinzione, e non sapranno come realizzarla’.276
[Nota 1] P. 277. È vero che la legge militare costringe un soldato a fucilare il suo compagno e il suo amico. Ma si tratta di una legge atroce, contro la quale ci si è indignati da sempre. È giusto rimproverare a una nazione il vizio di una condizione particolare? È giusto rimproverare a un secolo civilizzato una legge istituita in un tempo di barbarie? Si tratta di un modo di ragionare altrettanto bizzarro di quello di uno storico che pretendesse di provare, con l’esempio di Bruto, che nei primi tempi di Roma i padri o non amavano i loro figli, o li amavano meno della patria.277 Forse, tra tutti i cittadini, nessuno, oltre quell’uomo, era capace della sua azione eroica o feroce. Lo stupore generale che essa causò, lo prova abbastanza. A
provato il suo ordine, è circondato da novizi sottomessi a quella regola da loro volontariamente abbracciata e che, di conseguenza, hanno approvato i mezzi con i quali sono costretti a osservarla. Si deve allora stupirsi se, nel loro genere, tali legislazioni sono più perfette rispetto a quelle di qualsiasi altra nazione?»]. A [«Tutti i Francesi si vantano di essere dei teneri amici. Quando il libro Dello Spirito apparve, gridarono molto contro il capitolo sull’amicizia. Si sarebbe potuto credere che Parigi fosse popolata d’Oresti e di Piladi. È tuttavia in questa nazione che la legge militare obbliga un soldato a fucilare il suo compagno e il suo amico disertore. L’istituzione di una tale legge non testimonia di un grande rispetto per l’amicizia da parte del governo, e l’obbedienza a questa legge, di una grande tenerezza per i propri amici»].
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opere filosofiche
Ce serait très mal juger de l’esprit général d’un peuple, que de conclure sa force ou sa faiblesse, la pureté ou la corruption de ses mœurs, sa richesse ou sa pauvreté, des actions de quelques particuliers, et de dire : Apicius se laissa mourir de faim, parce qu’il ne lui était plus possible de vivre avec huit ou neuf cent mille livres qui lui restaient ; donc un Romain, alors, était dans la misère, avec ce capital. [Note 2] Ibid. « Est-il un instant où la liberté de l’homme puisse être rapportée aux différentes opérations de son âme ? » Cette phrase est louche. [Note 3]
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P. 278. « Il n’est presque pas un saint qui n’ait une fois dans sa vie, lavé ses mains dans le sang humain ». J’ai un souverain mépris pour les saints, mais je ne puis me résoudre à les calomnier ; à moins que par les austérités qu’ils ont exercées sur eux-mêmes et auxquelles ils en | ont encouragé d’autres par leur exemple et leur conseil, on ne se croie autorisé à les regarder comme des suicides ou des assassins ; et c’est peut-être la pensée de l’auteur. [Note 9] P. 282.A Il n’y a point de peuple si généralement corrompu qu’on n’y puisse trouver quelques hommes vertueux ; parmi ces hommes vertueux, il n’y en a peut-être pas un seul qui ne fût parvenu aux honneurs et à la richesse par le sacrifice de sa vertu. Je voudrais bien savoir par quelle bizarrerie ils s’y sont refusés ! quel motif ils ont eu de préférer une probité indigente, et obscure, au vice opulent et décoré. Ibid.B Il est vrai, la religion fait restituer un écu ; mais elle fait poignarder Henri IV. [Note 10] P. 283.C Je ne puis me dispenser de rappeler ici le discours que j’ai entendu tenir à un docteur de Sorbonne. C’était l’abbé Ladvocat, bibliothécaire de la maison. Dans ce temps, le garde des sceaux Machault avait projeté l’extinction des immunités ecclésiastiques. Voilà, disait le docteur, une querelle qui serait bientôt finie, si j’étais à la place de l’archevêque. – Que feriez-vous ? – Ce que je ferais ? j’irais trouver Mme de Pompadour. Je lui dirais, madame, vous vivez dans un commerce scandaleux avec le roi ; je vous avertis que si dans la huitaine, vous n’êtes pas rentrée dans la maison de votre époux, je vous excommunierai. A
« Pourquoi si peu d’hommes honnêtes ? C’est que l’infortune poursuit presque partout la probité ». [« Mais il est des crimes secrets auxquels la religion seule peut s’opposer. Le vol d’un dépôt confié en est un exemple ».] C [« Aussi le premier soin du prêtre est de s’emparer de l’esprit des souverains. Point de viles flatteries auxquelles à cet effet il ne s’abaisse. Faut-il les déclarer de droit divin ? Il les déclarera tels, il s’avouera lui-même leur esclave ; mais sous la condition tacite qu’ils seront réellement les siens. Les princes cessent-ils de l’être ? Le clergé change de ton et si les circonstances lui sont favorables, il leur annonce que si dans Saül, Samuel déposa l’oint du Seigneur, Samuel ne put rien autrefois que le pape ne puisse aujourd’hui ».] B
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confutazione dettagliata dell’opera di helvétius intitolata
«l’uomo»
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Sarebbe giudicare molto male lo spirito generale di un popolo, inferire la sua forza o la sua debolezza, la purezza o la corruzione dei suoi costumi, la sua ricchezza o la sua povertà, dall’azione di qualche individuo e dire: ‘Apicio si lasciò morire di fame, perché non gli era più possibile vivere con le ottocento o novecento lire che gli restavano;278 quindi un Romano, con questo capitale, era all’epoca in una condizione di miseria’.
[Nota 2] Ibid. «C’è un momento in cui la libertà dell’uomo può essere rapportata alle diverse operazioni della sua anima?» Questa frase è equivoca.279
[Nota 3] P. 278. «Non c’è quasi nessun santo che non abbia, una volta nella vita, lavato le sue mani nel sangue umano». Nutro un supremo disprezzo per i santi; ma non posso decidermi a calunniarli, a meno che non ci si creda autorizzati a considerarli come dei suicidi o degli assassini, a causa delle penitenze che hanno esercitato su loro stessi e alle quali hanno incoraggiato altri con il loro esempio e il loro consiglio; ed è questo forse il pensiero dell’autore.
[Nota 9] P. 282. Non ci sono popoli così generalmente corrotti nei quali non si possa trovare qualche uomo virtuoso. Tra questi uomini virtuosi, non ve n’è forse nemmeno uno che sia giunto agli onori e alle ricchezze per mezzo del sacrificio della sua virtù. Vorrei davvero sapere per quale bizzarria vi si sono rifiutati! quale motivo hanno avuto di preferire una probità indigente e oscura, al vizio opulento e decorato.280 Ibid.B È vero, la religione fa restituire uno scudo, ma fa pugnalare Enrico IV.281 A
[Nota 10] P. 283. Non posso evitare di ricordare qui il discorso che ho sentito tenere a un dottore di Sorbona. Si trattava dell’abate Ladvocat, bibliotecario della casa. In quel tempo, Machault282 aveva progettato la soppressione delle immunità ecclesiastiche. Ecco, diceva il dottore, una disputa che finirebbe subito, se io fossi al posto dell’arcivescovo. ‘ Che cosa fareste?’ – ‘Che cosa farei? Andrei a trovare Madame de Pompadour. Le direi: signora, voi vivete in un rapporto scandaloso con il re. Vi avverto che se non rientrerete a casa di vostro marito entro otto giorni, vi scomunicherò’. C
A
«Perché ci sono così pochi uomini onesti? Perché la sventura segue quasi ovunque la probità» [«Ma ci sono dei crimini segreti ai quali solo la religione può opporsi. Il furto di un deposito fidato ne è un esempio»]. C [«La prima preoccupazione di un prete è d’impadronirsi dello spirito dei sovrani. Non ci sono lusinghe vili alle quali non si abbassa per ottenere tutto ciò. È necessario dichiararli sovrani per diritto divino? Li dichiarerà tali, lui stesso si riconoscerà loro schiavo, ma alla tacita condizione che loro saranno in realtà i suoi. I principi cessano di esserlo? Il clero cambia tono e se le circostanze gli sono favorevoli, annuncia loro che se in Saul, Samuele depose l’unto del Signore, un tempo Samuele non poté niente che oggi non possa anche il Papa»]. B
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opere filosofiche
[Note 16]
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P. 286. « Si le bourreau peut tout sur les armées, dit un grand prince, il peut tout sur les villes ». | Un grand prince, dites-vous, Helvétius ! Dites un grand scélérat ; un César Borgia. Malheur à la nation gouvernée par un souverain, je ne dis pas qui se conduit par de pareils principes, mais dont l’âme cruelle est capable de les concevoir. [Note 18] P 287. « Le despotisme du chef des jésuites ne peut être nuisible ». À son ordre, j’en conviens ; mais à la société ? Vous ne le pensez pas... Et si le souverain s’avisait de gouverner son empire, d’après les principes de la politique jésuitique ; comment croyez-vous que les autres souverains s’en trouveraient. Une nation où tous les sujets seraient dans la main du souverain, comme le bâton dans la main du vieillard ; où le souverain commanderait à tous ses sujets comme le Vieux de la montagne commandait à ses fanatiques, exterminerait incessamment toutes les autres nations, ou en serait incessamment exterminée. Que de meurtres ! que d’assassinats, je vois commis ! quelles rivières de sang, je vois couler de tous côtés ! L’idée seule m’en fait frémir. Un pareil monarque serait-il menacé par un de ses voisins d’une guerre juste ou injuste, il n’aurait qu’à dire, Qu’on aille le tuer ; et à l’instant, il y aurait des millions de bras à ses ordres. [SECTION VIII CHAPITRE 2]
P. 296. J’ai lu ce chapitre avec le plus grand plaisir ; je n’ai pas la force de le contredire en forme ; mais je crains | bien qu’il n’y ait un peu plus de poésie que de vérité. J’aurais plus de confiance dans les délices de la journée d’un charpentier, si c’était un charpentier qui m’en parlât, et non pas un fermier général dont les bras n’ont jamais éprouvé la dureté du bois et la pesanteur de la hache. Ce bienheureux charpentier, je le vois essuyer la sueur de son front, porter ses mains sur ses hanches et soulager par le A
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B
A [« Pour le riche oisif il est mille moments d’ennui pendant lesquels l’artisan et l’ouvrier goûtent les plaisirs toujours renaissants de la prévoyance | Le travail, lorsqu’il est modéré, est en général le plus heureux emploi que l’on puisse faire du temps où l’on ne satisfait aucun besoin, où l’on ne jouit d’aucun des plaisirs des sens, sans contredit les plus vifs et les moins durables de tous. | Que de sentiments agréables ignorés de celui qu’aucun besoin ne nécessite à penser ! Mes immenses richesses m’assurent-elles tous les plaisirs que le pauvre désire et qu’il acquiert avec tant de peines ? Je me plonge dans l’oisiveté. J’attends, comme je l’ai déjà dit, avec impatience que la nature réveille en moi quelque désir nouveau. J’attends ; je suis ennuyé et malheureux. Il n’en est pas ainsi de l’homme occupé. L’idée de travail et de l’argent dont on le paye, s’est-elle associée dans sa mémoire à l’idée de bonheur ? l’occupation en devient un. Chaque coup de hache rappelle au souvenir du charpentier les plaisirs que doit lui procurer le paiement de sa journée. | En général toute occupation nécessaire remplit de la manière la plus agréable l’intervalle qui sépare un besoin satisfait d’un besoin renaissant, c’est-à-dire, les dix ou douze heures de la journée où l’on envie le plus l’oisiveté du riche, où l’on le croit si supérieurement heureux » (p. 301-302).] B [« De l’emploi du temps » (Section VIII, chap. 2).]
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confutazione dettagliata dell’opera di helvétius intitolata
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[Nota 16] P. 286. «Se il boia può tutto sugli eserciti, disse un grande principe, può tutto sulle città». Un grande principe, dite voi, Helvétius! Dite un grande scellerato, un Cesare Borgia.283 Sfortunata la nazione governata da un sovrano, non dico guidato da tali principi, ma la cui anima crudele sia capace di concepirli.
[Nota 18] P. 287. «Il dispotismo del capo dei Gesuiti non può essere nocivo». Per il suo ordine, ne convengo; ma per la società? Voi non lo credete davvero... E se il sovrano decidesse di governare il suo impero secondo i principi della politica gesuitica, come credete che si sentirebbero gli altri sovrani? Una nazione nella quale tutti i sudditi fossero nelle mani del sovrano, come il bastone è nella mano del vegliardo, nella quale il sovrano comandasse a tutti i sudditi, come il Vecchio della Montagna284 comandava ai suoi fanatici, combatterebbe incessantemente tutte le altre nazioni, o ne sarebbe incessantemente combattuta. Quanti morti! Quanti assassinii vedo commessi! Che fiumi di sangue, vedo scorrere da ogni lato! Solo l’idea mi fa fremere. Se un monarca simile fosse minacciato da uno dei suoi vicini di una guerra giusta o ingiusta,285 non avrebbe da fare altro che dire, ‘Si vada a ucciderlo’, e all’istante avrebbe milioni di braccia ai suoi ordini. [SEZIONE VIII CAPITOLO 2]
P. 296.A Ho letto questo capitoloB con il più grande piacere. Non ho la forza di contraddirlo nella forma, ma temo proprio che in esso ci sia un po’ più di poesia che di verità. Avrei maggiore fiducia nelle delizie della giornata di un carpentiere, se fosse un carpentiere a parlarmene, e non un appaltatore delle imposte286 le cui braccia non hanno mai provato la durezza del legno e la pesantezza dell’ascia. Quel carpentiere felice, lo vedo asciugarsi il sudore dalla fonte ogni momento, portarsi le mani sui fianA [«Per il ricco ozioso ci sono mille momenti di noia durante i quali l’artigiano e l’operaio gustano i piaceri della previdenza, che si ripresentano in ogni momento. Il lavoro, quando è moderato, è in generale l’impiego più felice che si possa fare del tempo nel quale non si soddisfa alcun bisogno, nel quale non si gode di alcun piacere sensoriale, senza tema di smentita il più vivo e il meno durevole di tutti. / Quanti sentimenti piacevoli sono ignorati da colui che non è obbligato a pensare da nessun bisogno! Le mie immense ricchezze mi assicurano tutti quei piaceri che il povero desidera e che acquisisce con tanta fatica? Mi immergo nell’ozio. Aspetto, come ho già detto, con impazienza che la natura risvegli in me qualche nuovo desiderio. Attendo; sono annoiato e infelice. Non così accade all’uomo occupato. L’idea del lavoro e del denaro col quale viene pagato, s’è associata nella sua memoria all’idea di felicità? Nell’occupazione diventano una sola idea. Ogni colpo d’ascia richiama alla memoria del carpentiere il piacere che deve procurargli il pagamento della sua giornata. / In generale, tutte le occupazioni necessarie riempiono nella maniera più piacevole possibile l’intervallo che separa un bisogno soddisfatto da un bisogno che si ripresenta, vale a dire quelle dieci o dodici ore della giornata durante le quali si invidia maggiormente l’ozio dei ricchi, durante le quali lo si crede così superiormente felice» (pp. 301-302)]. B [«Dell’impiego del tempo» (sezione VIII, cap. 2)].
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opere filosofiche
repos la fatigue de ses reins, haleter à chaque instant, mesurer avec son compas l’épaisseur de la poutre. Peut-être est-il fort doux d’être charpentier ou scieur de pierre, mais franchement je ne veux point de ce bonheur-là, même avec l’agréable souvenir, à chaque coup de cognée ou de scie, du payement qui m’attendrait à la fin de ma journée. Toutes les sortes de travaux soulagent également de l’ennui, mais tous ne sont pas égaux ; je n’aime point ceux qui amènent rapidement la vieillesse ; et ce ne sont ni les moins utiles, ni les moins communs, ni les mieux récompensés. La fatigue en est telle, que l’ouvrier est bien plus sensible à la cessation de son travail qu’à l’avantage de son salaire. Ce n’est pas sa récompense, c’est la dureté et la longueur de sa tâche qui l’occupent pendant toute sa journée. Le mot qui lui échappe lorsque la chute du jour lui ôte la bêche de la main, ce n’est pas : Je vais donc toucher mon argent ; c’est : M’en voilà donc quitte pour aujourd’hui. Et vous croyez que quand il est de retour chez lui, il est bien pressé de se jeter entre les bras de sa femme ; vous croyez qu’il y est aussi ardent qu’un oisif entre les bras de sa maîtresse ? Presque tous les enfants des gens de peine ne se font que le matin d’un dimanche ou d’une fête. J’ai pourtant fait une expérience que je vais rapporter. On en conclura tout ce qu’on voudra. Je revenais du bois de Boulogne avec un ami. Cet ami me dit : Nous allons rencontrer des carrosses qui vont à Versailles ; je gage que | nous ne verrons dans aucun un visage serein. Tous en effet avaient ou la tête penchée sur la poitrine, ou le corps jeté dans un des angles de leur voiture, avec un air plus rêveur et plus soucieux que je ne saurais vous le peindre. Mais ce n’est pas tout, c’est que plusieurs de ces malheureux occupés à scier la pierre, le long des bords de la rivière, chantaient, en mordant avec appétit dans un morceau de pain bis. Donc, me direz-vous, ce dernier était plus heureux que le premier. Oui, dans ce moment-là ; ce jour-là peut-être. Mais nous ne parlons ni d’un moment, ni d’un jour. Le scieur de pierre sciait la pierre tous les jours et ne chantait pas tous les jours. L’homme de cour n’était pas tout le jour sur le chemin de Versailles ; n’y allait pas tous les jours ; et n’était pas toujours triste, soit qu’il y allât, soit qu’il en revînt. Si le scieur de pierre a ressenti moins de peine d’une veine de pierre très dure que le courtisan, de l’inadvertance du monarque ou du sourcil froncé de son ministre, un regard du monarque, ou un mot favorable de son ministre a rendu le courtisan plus heureux que le scieur de pierre ne l’a été par une veine tendre de la pierre qui diminuait sa fatigue et abrégeait son travail. Je ne crois pas d’un autre côté que ce seigneur qui est privé du souverain bonheur de souper dans les petits appartements, soit aussi satisfait à sa table ou à celle de ses amis, malgré la délicatesse des mets et la variété des vins les plus exquis, que le scieur de pierre, de retour du port dans sa chaumière, avec sa cruche d’eau ou son pot de mauvaise bière, à côté de sa femme et de ses enfants. Mais si l’un est malheureux, c’est qu’il a la tête mauvaise ; et que la religion, l’habitude de la misère et du travail, avec le meilleur jugement suffisent à peine à l’autre pour le réconcilier avec son état. Enfin, Helvétius, lequel des deux aimeriez-vous mieux être, ou courtisan ou scieur de pierre ? Scieur de pierre, me direz-vous. Cependant, avant la fin du jour, vous seriez dégoûté de la scie qu’il faudrait reprendre le lendemain ; et vous auriez bientôt envoyé paître et le monarque et son ministre et toute la Cour, si votre rôle de courtisan vous déplaisait.
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confutazione dettagliata dell’opera di helvétius intitolata
«l’uomo»
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chi e alleviare con il riposo la fatica della schiena, ansimare e misurare ogni momento, con il compasso, lo spessore della trave. Forse, essere carpentiere o tagliatore di pietre è cosa molto degna, ma francamente non voglio affato quella felicità, nemmeno assieme al piacevole ricordo, a ogni colpo di scure o di sega, del pagamento che mi attenderebbe a fine giornata. Tutti i tipi di lavoro procurano ugualmente sollievo dalla noia, ma non sono tutti uguali: non amo i lavori che causano rapidamente la vecchiaia,287 e questi non sono né i meno utili, né i meno comuni, né i meglio pagati. La fatica è tale che l’operaio è molto più sensibile alla cessazione del lavoro che al piacere del salario. Non è la ricompensa, ma la durezza e la durata del suo compito che lo occupano per tutta la giornata. La parola che gli sfugge, quando la fine della giornata gli toglie la vanga di mano non è: ‘ecco, vado a ritirare il mio denaro’. È: ‘Eccomene liberato, per oggi ho finito’. E voi credete che quando rientra a casa ha fretta di gettarsi nelle braccia di sua moglie? Credete che sia altrettanto focoso quanto un ozioso tra le braccia della sua amante? Quasi tutti i figli degli uomini di fatica si concepiscono la mattina di una domenica o di una festa. Tuttavia, ho fatto un’esperienza che ora vi racconto. Ne concluderete tutto quello che vorrete. Tornavo dal Bois de Boulogne con un amico. Quest’amico mi dice: ‘Stiamo per incontrare delle carrozze che vanno a Versailles. Scommetto che non vedremo alcun viso sereno’. Tutti, in effetti, avevano o la testa reclinata sul petto, o il corpo gettato in uno degli angoli della vettura, con un’aria così trasognata e preoccupata che non saprei descrivervi. Ma non è tutto: molti di quegli sfortunati, occupati nel mestiere di tagliare la pietra, cantavano, sulle rive del fiume, mordendo con appetito un pezzo di pane bigio. ‘Quindi, mi direte, quest’ultimo è più felice rispetto all’altro’. Sì, in quel momento, forse quel giorno. Ma noi non parliamo né di un momento, né di un giorno. Il tagliatore di pietra taglia la pietra tutti i giorni e non canta tutti i giorni. L’uomo di corte non è tutti i giorni sulla strada per Versailles, non ci va tutti i giorni, e non è sempre triste quando vi si reca o quando torna. Anche se il tagliatore di pietra ha provato meno fatica a causa di una vena di pietra molto dura, di quella che il cortigiano ha provato a causa della distrazione del re o del sopracciglio corrugato del ministro, uno sguardo del monarca, o una parola favorevole del suo ministro, ha reso il cortigiano più felice di quanto lo sia stato il tagliatore di pietra a causa di una vena di pietra tenera che alleviava la sua fatica e abbreviava il lavoro. D’altro canto, non credo che questo signore, privato dal sovrano della suprema felicità di cenare nei piccoli appartamenti,288 sia altrettanto soddisfatto alla sua tavola o a quella dei suoi amici, nonostante la delicatezza dei cibi e la varietà dei vini più deliziosi, di quanto lo sia il tagliatore di pietra, di ritorno nella sua capanna dal porto, con la brocca d’acqua, o il suo bicchiere di birra cattiva, a fianco della moglie e dei figli. Ma se uno è infelice, è perché ha la testa cattiva, e la religione, l’abitudine alla miseria e al lavoro, associati al giudizio, bastano appena, all’altro, per riconciliarlo con la sua condizione. Insomma, Helvétius, quale dei due preferireste essere, cortigiano o tagliatore di pietra? ‘Tagliatore di pietra’, mi direte. Tuttavia, prima del termine della giornata, sareste disgustato dalla sega, che bisognerà riprendere l’indomani; e invece avreste subito mandato al diavolo il monarca, il ministro e tutta la Corte, se il vostro ruolo di cortigiano vi fosse dispiaciuto.
Diderot.indb 851
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Croyez-moi, huit ou dix heures de scie, vous auraient bientôt adouci les ennuis de l’Œil-de-Bœuf. Je sais très bien que chaque état a ses disgrâces ; je lisais | à quinze ans ; je relisais à trente, dans Horace, que nous ne sentons bien que les peines du nôtre, et je riais et de l’avocat qui envie le sort de l’agriculteur, et de l’agriculteur qui envie le sort du commerçant, et du commerçant qui envie le sort du soldat, et du soldat qui jure et tempête contre les dangers de son métier, la modicité de sa paye et la dureté de son caporal ou de son capitaine ; avec tout cela, je m’aime mieux étendu nonchalamment dans mon fauteuil, mes rideaux tirés, mon bonnet renfoncé sur les yeux, occupé à décomposer des idées qu’à battre le ciment ; quoique je ne fasse aucune comparaison de la réprimande du piqueur, et de la satire du critique rongé d’envie et plein de mauvaise foi. Certainement, un coup de sifflet au théâtre fait plus de mal à un auteur que dix coups de bâton n’en font au manouvrier paresseux ou maladroit. Mais au bout de huit jours, l’auteur sifflé n’y pense plus, et le plâtre pèse toujours également sur les épaules courbées du porteur d’oiseau. [CHAPITRE 3] P. 305. « L’ennui est un mal presque aussi insupportableA que l’indigence ». Voilà bien le propos d’un homme riche, et qui n’a jamais été en peine de son dîner. Je vois à la préférence qu’Helvétius donne à la condition du valet, sur celle du maître,B qu’il a été bon maître, et qu’il ignore la brutalité, la dureté, les humeurs, la bizarrerie, le despotisme de la plupart des autres. Servir est la dernière des conditions, et ce n’est jamais que la paresse ou quelque autre vice qui fasse balancer entre la livrée et des crochets. Puisque ayant des épaules fortes et des jarrets nerveux ils ont mieux aimé vider une chaise percée que de porter un fardeau, c’est qu’ils avaient l’âme vile. Ce n’est donc point le grand nombre des valets, c’est le très petit nombre des bons qui doit étonner. |
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P. 305 et 306.C De toutes les réflexions qui se présentent sur cette page et sur la suivante, je n’en ferai qu’une. C’est qu’il y a beaucoup d’états dans la société qui excèdent de fatigue, qui épuisent promptement les forces et qui abrègent la vie ; et que, quel A
«presque aussi redoutable». [« À combien de maux, outre ceux de l’ennui, les riches ne sont-ils pas sujets ? Que d’inquiétudes et de soins pour accroître et conserver une grande fortune ? Qu’est-ce qu’un riche ? C’est l’intendant d’une grande maison chargé de nourrir et d’habiller les valets qui le déshabillent. ǀ Si ses domestiques ont du pain assuré pour leur vieillesse et s’ils n’ont point partagé avec leur maître l’ennui de son désœuvrement, ils ont été mille fois plus heureux » (p. 305).] C [« La plupart des empires ne doivent donc être peuplé que d’infortunés. Que faire pour y rappeler le bonheur ? Diminuer la richesse des uns ; augmenter celle des autres ; mettre le pauvre en un tel état d’aisance qu’il puisse par un travail de sept ou huit heures abondamment subvenir à ses besoins et à ceux de sa famille. C’est alors qu’il devient à peu près aussi heureux qu’il le peut être. ǀ Il goûte alors, quant aux plaisirs physiques, tous ceux de l’opulent. L’appétit du pauvre est de la nature de l’appétit du riche, et pour me servir du proverbe usité, Le riche ne dîne pas deux fois. Je sais qu’il est de plaisirs coûteux hors de la portée de la simple aisance : mais l’on peut toujours les remplacer par d’autres et remplir d’une manière également agréable l’intervalle qui sépare un besoin satisfait d’un besoin renaissant, c’est-à-dire un repas d’un autre repas, une première d’une seconde jouissance ».] B
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confutazione dettagliata dell’opera di helvétius intitolata
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Credetemi, otto o dieci ore di sega vi avrebbero presto addolcito le noie dell’Occhio di Bue.289 So bene che ogni condizione ha le sue disgrazie: leggevo a quindici anni, in Orazio, e vi rileggevo, a trenta, che noi non sentiamo altro che le fatiche della nostra condizione,290 e ridevo sia dell’avvocato che invidia la sorte dell’agricoltore, sia dell’agricoltore che invidia la sorte del commerciante, e del commerciante che invidia la sorte del soldato e del soldato che bestemmia e sbraita contro i pericoli del suo mestiere, la miseria della paga e la durezza del suo caporale o del suo capitano.291 Con tutto ciò, preferisco restare steso con indolenza sulla mia poltrona, le tende tirate, il berretto calcato sugli occhi, occupato a vagliare le mie idee piuttosto che a battere il cemento; sebbene non faccia alcun paragone tra il rimprovero del sorvegliante e la satira del critico, roso d’invidia e pieno di cattiva fede. Certamente, i fischi a teatro fanno più male a un autore di quanto facciano dieci colpi di bastone al manovale pigro o maldestro.292 Ma da lì a otto giorni, l’autore fischiato non ci pensa più, invece il gesso pesa sempre allo stesso modo sulle spalle curve di chi trasporta il mortaio.293 [CAPITOLO 3]
P. 305. La noia è un male quasi altrettanto insopportabileA dell’indigenza». Ecco il discorso di un uomo ricco, e che non ha mai penato a mettere insieme il pranzo. Dalla preferenza che Helvétius assegna alla condizione di domestico su quella di padrone,B vedo che è stato un buon padrone; e che ignora la brutalità, la durezza, i capricci, la bizzarria, il dispotismo della maggior parte degli altri padroni.294 Servire è l’ultima delle condizioni; e non è mai altro che la pigrizia o qualche altro vizio a far esitare nella scelta tra la livrea e le gerle. Se, avendo spalle forti e polpacci nerboruti, hanno preferito vuotare un gabinetto piuttosto che portare un pesante fardello, è che avevano l’anima vile. Non è dunque il gran numero dei domestici cattivi, ma il piccolissimo numero di quelli buoni a dover sorprendere. P. 305 e 306.C Tra tutte le riflessioni che si presentano in questa pagina e nella seguente, ne farò una sola. Il fatto è che nella società ci sono molte condizioni che ammazzano dalla fatica, esauriscono subito le forze e abbreviano la vita e, qualunque sia il A
«quasi altrettanto temibile». [«A quanti mali, oltre la noia, sono esposti i ricchi? Quante inquietudini e preoccupazioni, al fine di aumentare e conservare una grande fortuna? Che cos’è un ricco? È l’intendente di una grande casata, incaricato di nutrire e di vestire i domestici che lo spellano. / Se i suoi domestici hanno pane assicurato per la loro vecchiaia e non hanno mai condiviso col padrone la noia della sua inazione, essi sono stati mille volte più felici di lui» (p. 305)]. C [«La maggior parte degli imperi devono pertanto essere popolati da sventurati. Che fare per riportare la felicità? Diminuire la ricchezza degli uni; aumentare quella degli altri; mettere il povero in uno stato di agiatezza tale che possa, con un lavoro di sette o otto ore, provvedere abbondantemente ai propri bisogni e a quelli della sua famiglia. È allora che attinge più o meno il grado di felicità che gli è consentito. / Egli gusta allora, per quanto riguarda i piaceri fisici, tutti quelli che gusta il ricco. L’appetito del povero è della stessa natura dell’appetito del ricco e, per servirmi di un consueto proverbio, Il ricco non mangia due volte. So che ci sono piaceri costosi, fuori della portata della semplice agiatezza: ma si può sempre sostituirli con altri e colmare in maniera altrettanto piacevole l’intervallo che separa un bisogno soddisfatto da un bisogno che si ripresenta, cioè quello tra un pasto e un altro pasto, tra un primo e un secondo godimento»]. B
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que soit le salaire que vous attachiez au travail, vous n’empêcherez ni la fréquence ni la justice de la plainte de l’ouvrier. Avez-vous jamais pensé à combien de malheureux l’exploitation des mines, la préparation de la chaux de céruse, le transport du bois flotté, la cure des fosses causent des infirmités effroyables et donnent la mort ? Il n’y a que les horreurs de la misère et l’abrutissement qui puissent réduire l’homme à ces travaux. Ah, Jean-Jacques, que vous avez mal plaidé la cause de l’état sauvage contre l’état social ! Oui, l’appétit du riche ne diffère point de l’appétit du pauvre. Je crois même l’appétit de celui-ci beaucoup plus vif et plus vrai. Mais pour la santé et le bonheur de l’un et de l’autre, peut-être faudrait-il mettre, le pauvre au régime du riche et le riche au régime du pauvre. C’est l’oisif qui se gorge de mets succulents ; c’est l’homme de peine qui boit de l’eau et mange du pain ; et tous les deux périssent, avant le terme prescrit par la nature, l’un d’indigestions et l’autre d’inanition. C’est celui qui ne fait rien qui s’abreuve à longs traits du vin généreux qui réparerait les forces de celui qui travaille. Si le pauvre et le riche étaient également laborieux et frugals, tout ne serait pas compensé entre eux. La différence des aliments et des travaux, des aliments pauvres et succulents, des modérés et continus, mettraient encore une grande différence entre la durée moyenne de leur vie. | Ou passez-vous de métaux ; ou permettez aux mines d’être pestilentielles. Les mines du Hartz recèlent dans leurs immenses profondeurs des milliers d’hommes qui connaissent à peine la lumière du soleil et qui atteignent rarement l’âge de trente ans. C’est là qu’on voit des femmes qui ont eu douze maris. Si vous fermez ces vastes tombeaux, vous ruinez l’État, et vous condamnez tous les sujets de la Saxe ou à mourir de faim ou à s’expatrier. Combien d’ateliers dans la France même, moins nombreux, mais presque aussi funestes. Lorsque je repasse en revue la multitude et la variété des causes de la dépopulation, je suis toujours étonné que le nombre des naissances excède d’un dix-neuvième celui des morts. Si Rousseau, au lieu de nous prêcher le retour dans la forêt, s’était occupé à imaginer une espèce de société moitié policée et moitié sauvage, on aurait eu, je crois, bien de la peine à lui répondre. L’homme s’est rassemblé pour lutter avec le plus d’avantage contre son ennemie constante, la nature ; mais il ne s’est pas contenté de la vaincre, il en a voulu triompher. Il a trouvé la cabane plus commode que l’antre ; et il s’est logé dans une cabane ; fort bien. Mais quelle énorme distance de la cabane au palais. Est-il mieux dans le palais que dans la cabane ; j’en doute. Combien il s’est donné de peines pour n’ajouter à son sort que des superfluités, et compliquer à l’infini l’ouvrage de son bonheur ! Helvétius a dit, avec raison, que le bonheur d’un opulent était une machine où il y avait toujours à refaire. Cela me semble bien plus vrai de nos sociétés. Je ne pense pas, comme Rousseau, qu’il fallût les détruire quand on le pourrait, mais je suis convaincu que l’industrie de l’homme est allée beaucoup trop loin ; et que si elle se fût arrêtée beaucoup plus tôt et qu’il fût possible de simplifier son ouvrage, nous n’en serions pas plus mal. Le chevalier de Chastellux a très bien distingué un règne brillant d’un règne heureux ; il serait tout aussi facile d’assigner la différence d’une société brillante et d’une société heureuse. Helvétius a placé le bonheur de l’homme social dans la médiocrité ; et je crois qu’il y a pareillement un terme dans la civilisation, un terme plus
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salario legato al lavoro, non impedirete né la frequenza, né la giustizia delle lamentele dell’operaio. Avete mai pensato a quanti sventurati causano invalidità spaventose e danno la morte lo sfruttamento delle miniere, la preparazione della calce di biacca di piombo, il trasporto del legno fluitato,295 la cura delle fosse? Solo gli orrori della miseria e l’abbrutimento possono ridurre l’uomo a questi lavori. Ah! Jean-Jacques, come avete perorato male la causa della condizione selvaggia contro la condizione sociale! Sì, l’appetito del ricco non è diverso da quello del povero. Credo pure che l’appetito di quest’ultimo sia assai più vivo e più autentico. Ma per la salute e il benessere di entrambi, forse bisognerebbe assegnare al povero la dieta del ricco, e al ricco la dieta del povero. È l’ozioso che si rimpinza di cibi succulenti. È l’uomo di fatica che beve dell’acqua e mangia del pane. Ed entrambi muoiono prima del termine stabilito dalla natura, l’uno di indigestioni e l’altro di inedia. È chi non fa niente, chi si fa grandi bevute di vino di buona qualità, che restituirebbe le forze a chi lavora. Se il povero e il ricco fossero laboriosi e frugali allo stesso modo, non tutto si compenserebbe tra loro. La differenza dei cibi e dei lavori, dei cibi poveri e dei succulenti, dei lavori moderati e dei continui, stabilirebbe un’altra grande differenza nella durata media della loro vita. O fate a meno dei metalli; o permettete alle miniere di essere pestilenziali. Le miniere dell’Harz296 racchiudono nelle loro immense profondità migliaia di uomini che conoscono a malapena la luce del sole e raggiungono raramente l’età di trent’anni. È qui che s’incontrano donne che hanno avuto dodici mariti. Se chiudete queste enormi tombe, rovinate lo Stato, e condannate tutti i sudditi della Sassonia o a morire di fame o a espatriare. Quante officine, nella stessa Francia, meno numerose ma quasi altrettanto funeste! Quando passo in rivista la quantità e la varietà delle cause dello spopolamento, sono sempre meravigliato che il numero delle nascite superi di un diciannovesimo quello delle morti. Se Rousseau, invece di predicarci il ritorno alla foresta, si fosse impegnato a immaginare una specie di società, per metà civilizzata e per metà selvaggia, avremmo avuto, credo, grande difficoltà a rispondergli. L’uomo s’è associato per lottare con maggiori vantaggi contro il suo costante nemico, la natura; ma non s’è accontentato di vincerla, ha voluto trionfarne.297 Ha trovato la capanna più comoda della caverna e si è stabilito in una capanna: molto bene! Ma che distanza enorme c’è tra la capanna e i palazzi. Sta meglio nel palazzo che nella capanna? Ne dubito. Quante pene si è dato per aggiungere alla propria sorte nient’altro che cose superflue, e per complicare all’infinito il compimento della propria felicità! Helvétius ha detto, a ragione, che la felicità di un ricco era una macchina che si doveva sempre rimettere in moto. Ciò mi sembra molto più vero riferito alle nostre società. Io non penso, come Rousseau, che occorrerebbe distruggerle, se si potesse, ma sono convinto che l’abilità dell’uomo sia andata troppo lontana e se si fosse fermata molto prima, e fosse possibile semplificarne l’opera, noi non staremmo peggio. Il cavaliere di Chastelleux ha distinto molto bene un regno brillante da un regno felice.298 Sarebbe altrettanto facile stabilire la differenza tra una società brillante e una società felice. Helvétius ha collocato la felicità dell’uomo sociale nella mediocrità; e allo stesso modo io credo che ci sia un limite alla civiltà, un limite più conforme alla felicità dell’uomo in gene-
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conforme à la félicité de l’homme en | général et bien moins éloigné de la condition sauvage qu’on ne l’imagine ; mais comment y revenir quand on s’en est écarté, comment y rester quand on y serait. Je l’ignore. Hélas, l’état social s’est peut-être acheminé à cette perfection funeste dont nous jouissons, presque aussi nécessairement que les cheveux blancs nous couronnent dans la vieillesse ; les législateurs anciens n’ont connu que l’état sauvage. Un législateur moderne plus éclairé qu’eux, qui fonderait une colonie dans quelque recoin ignoré de la terre, trouverait peut-être entre l’état sauvage et notre merveilleux état policé un milieu qui retarderait les progrès de l’enfant de Prométhée, qui le garantirait du vautour, et qui fixerait l’homme civilisé entre l’enfance du sauvage et notre décrépitude. [CHAPITRE 4]
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P. 308. « L’idée de vertu et l’idée de bonheur se désuniront à la longue, mais ce sera l’œuvre du temps et même d’un long temps ». Il me semble qu’Helvétius dit ailleurs que cette dissociation d’idées sera l’ouvrage d’un instant, que le tyran n’a qu’à parler, et qu’elle sera faite [108]. Ibid. « Mais de meilleures lois établies, s’imagine-t-on que sans être également riches ou puissants, les hommes se croiront également heureux ». L’expérience des peines de notre état et l’ignorance des peines de l’état d’autrui ne commencent-elles pas à séparer l’idée de bonheur de notre médiocrité de fortune ; et à l’attacher à l’idée de la puissance et de la richesse dont nous sommes privés. Si cela est, vos bonnes lois auront servi à peu de chose. Non certes, l’idée de bonheur ne s’associe pas à l’idée de l’or et des dignités au fond des forêts où il n’y a ni dignités ni or.A Mais en est-il ainsi au centre d’une société où l’enfant et l’homme du peuple voient sans cesse à côté d’eux, à leur porte, autour d’eux, ces fantômes du bonheur ? Tous nos éloges de l’état humble, de l’état aisé ont-ils persuadé à un seul citoyen que c’était celui du bonheur, et | éteint dans son cœur la cupidité de l’or, l’ambition des honneurs ? [CHAPITRE 5] P. 313. « Partout où les citoyens n’ont point de part au gouvernement, où toute émulation est éteinte, quiconque est au-dessus du besoin est sans motif pour étudier et pour s’instruire ». L’auteur vivait dans une contrée telle qu’il la désigne, il était au-dessus du besoin, ou il s’est instruit sans motif, ou il y a encore des motifs de s’instruire. Ibid. « Trop paresseux pour aller au-devant du plaisir, il voudrait que le plaisir vînt au-devant de lui ». Les exemples de ces paresseux-là ne sont pas communs. L’auteur applique à une classe nombreuse d’hommes ce qui ne convient qu’à un Français apoplectique et stupide. Les autres me paraissent poursuivre l’amusement et les plaisirs avec la même fureur qu’ils fuient l’ennui. L’atteignent-ils toujours ? Ce n’est pas ce dont il s’agit. A [« Si le sauvage a pour l’or et les dignités le mépris le plus dédaigneux, l’idée de l’extrême richesse n’est donc pas nécessairement liée à celle de l’extrême bonheur » (p. 309).]
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rale, e assai meno distante dalla condizione selvaggia di quanto si possa immaginare. Ma come tornarci, quando ce ne siamo allontanati? come restarci, quando ci fossimo già? Lo ignoro. Ahimè, la condizione sociale si è forse avviata verso quella perfezione funesta di cui godiamo, in maniera altrettanto necessaria quanto lo sono i capelli bianchi che ci ingraziosiscono nella vecchiaia. Gli antichi legislatori non hanno conosciuto se non la condizione selvaggia. Un legislatore moderno, più illuminato di loro, che fondasse una colonia in qualche angolo sconosciuto della terra, forse troverebbe tra la condizione selvaggia e la nostra meravigliosa condizione civilizzata, una mediazione che ritarderebbe il progresso del figlio di Prometeo, lo metterebbe a riparo dall’avvoltoio, e collocherebbe l’uomo civilizzato tra l’infanzia del selvaggio e la nostra decrepitezza.299 [CAPITOLO 4]
P. 308. «Alla lunga, l’idea di virtù e l’idea di felicità si disgiungeranno, ma ciò sarà opera del tempo e anche di molto tempo». Mi sembra che Helvétius dica altrove che questa dissociazione tra le idee sarà l’opera di un istante; il tiranno non deve far altro che parlare e la dissociazione sarà realizzata.300 Ibid. «Ma una volta stabilite leggi migliori, è possibile immaginare che pur senza essere ugualmente ricchi e potenti, gli uomini si crederanno ugualmente felici?» L’esperienza delle pene proprie della nostra condizione e l’ignoranza delle pene proprie della condizione altrui non iniziano forse con il separare l’idea di felicità dalla nostra mediocre fortuna? e col congiungerla all’idea della potenza e della ricchezza di cui siamo privati? Se è così, le vostre buone leggi saranno servite a ben poca cosa. No, certo, l’idea di felicità non s’associa all’idea dell’oro e delle dignità, nel fondo delle foreste, in cui non ci sono né dignità, né oro.A Ma accade forse la stessa cosa nel bel mezzo di una società in cui il bambino e l’uomo del popolo vedono di continuo, al loro fianco, alla loro porta, intorno a loro, tali fantasmi di felicità? Tutti i nostri elogi della condizione umile e della condizione agiata hanno forse persuaso un solo cittadino che fossero le condizioni proprie della felicità, e hanno mai estinto, nel suo cuore, il desiderio dell’oro, l’ambizione degli onori? [CAPITOLO 5]
P. 313. «In tutti i luoghi in cui i cittadini non prendono parte al governo, dove ogni desiderio di emulazione è spento, chiunque sia al di sopra del bisogno non ha motivo di studiare e d’istruirsi». L’autore viveva in un paese come quello che descrive, era al di sopra del bisogno: o si è istruito senza motivo, o ci sono anche altri motivi per istruirsi. Ibid. «Troppo pigro per andare incontro al piacere, vorrebbe che il piacere andasse incontro a lui». Gli esempi di pigri di tal fatta non sono comuni. L’autore applica a una classe numerosa di uomini, ciò che conviene solamente a un finanziere apoplettico e stupido.301 Gli altri mi sembrano inseguire il divertimento e i piaceri con lo stesso furore con il quale fuggono la noia. Lo raggiungono sempre? Non è di questo che si tratta. A [«Se il selvaggio ha per l’oro e le dignità il disprezzo più sdegnoso, l’idea dell’estrema ricchezza non è pertanto necessariamente legata a quella dell’estrema felicità» (p. 309)].
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P. 314. « On n’échappe à l’ennui qu’avec des chevaux, des chiens, des équipages, des concerts, des musiciens, des peintres, dis statuaires, des fêtes et des spectacles ». Hé bien, l’on a tout cela ; et l’on se ruine. Ou je connais mal les hommes, ou tout cela (p. 314-315A) me semble outré. J’ai souvent entendu parler de malheureux qui se sont tués, jamais de riches qui aient terminé leur ennui par ce moyen si sûr, et si court. | [CHAPITRES 6 ET 7]
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P. 316. Ce n’est pas toujours l’habitude qui ôte à l’aube d’un beau jour sa fraîcheur, au lever du soleil son éclat, au chant du coq, au murmure des eaux, au bêlement du troupeau leurs sensations agréables ; c’est que l’âme du possesseur de ces biens est malade ; c’est que, travaillé de mille passions folles, il arrive à sa campagne comme le diable de Milton dans le jardin d’Éden. Trouvez, si vous le pouvez, l’ellébore qui purge son cerveau dérangé, et vous restituerez au spectacle de la nature des charmes dont il ne se lassera point. Tous fatigués des frivoles amusements de la ville, s’écrient avec Horace : O rus, quando te aspiciam ! ô ma terre ! ô mes champs ! ô mon parc, quand te reverrai-je ! Tous les revoient, et tous y périssent d’ennui. C’est, me direz-vous, que tous ne savent pas s’y occuper comme Horace ; et vous me montrerez par votre réponse que les mœurs d’Horace ne vous sont pas mieux connues que le cœur humain. Le poète quittait Rome, persuadé que c’était ou dans son foyer rustique, ou sous le tilleul qui ombrageait sa fontaine que la muse et son génie l’attendaient ; on entassait dans sa malle Ménandre sur Aristophane et celui-ci sur Platon ; à son départ il avait annoncé à ses amis non pas un, mais plusieurs chefs-d’œuvre ; il arrivait, il jouissait du repos et de l’innocence des champs. Si Mécène le rappelait à la ville, il se courrouçait contre son bienfaiteur, il s’indignait qu’on crût avoir acquis sa liberté par des richesses, il offrait de les restituer si l’on y avait mis un si haut prix. La saison se passait, et il reparaissait entre ses amis sans avoir ouvert un livre, sans avoir écrit une ligne. Peut-être que par un séjour habituel le poète eût oublié l’art des vers à la campagne, sans y éprouver un instant d’ennui. Cependant, qui fut plus recherché des grands, qui fut plus corrompu par leurs faveurs que ce poète ? Il est des âmes au fond desquelles il reste je ne sais quoi de sauvage, un B
A [« Ce n’est point au pauvre, c’est au Riche oisif que se fait le plus vivement sentir le besoin d’immenses richesses. Aussi que de nations ruinées et surchargées d’impôts. Que de citoyens privés du nécessaire, uniquement pour subvenir aux dépenses quelques ennuyés ! La richesse a-telle engourdi dans un homme la faculté de penser ? Il s’abandonne à la paresse ; il sent à la fois de la douleur à se mouvoir et de l’ennui à n’être point mû. Il voudrait être remué sans se donner la peine se remuer. Or que de richesses pour se procurer ce mouvement étranger ! ǀ Ô ! Indigents, vous n’êtes pas sans doute les seuls misérables ! Pour adoucir vos maux considérez cet opulent oisif qui passif dans presque tous ses amusements, ne peut s’arracher à l’ennui que par des sensations trop vives pour être fréquentes. ǀ Si l’on me soupçonnait d’exagérer ici le malheur du riche oisif, que l’on examine en détail ce que la plupart des Grands les Riches font pour l’éviter, l’on sera convaincu que cette maladie est du moins aussi commune que cruelle ».] B [« Des sensations faibles ne nous arrachent point à l’ennui. Dans ce nombre je place les sensations habituelles. Je m’éveille à l’aube du jour ; je suis frappé par les rayons réfléchis de tous les objets qui m’environnent ; je le suis par le chant du coq, par le murmure des eaux, par le bêlement des troupeaux, et je m’ennuie. Pourquoi ? C’est que des sensations trop habituelles ne font plus sur moi d’impressions fortes ».]
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P. 314. «Non si sfugge alla noia se non con l’aiuto di cavalli, cani, equipaggi, concerti, musicisti, pittori, scultori, feste e spettacoli». Ebbene, si ha tutto ciò, e si va in rovina. O conosco male gli uomini o tutto questo (pp. 314-315)A mi sembra esagerato. Ho spesso sentito parlare di infelici che si sono uccisi; mai di ricchi che abbiano messo fine alla propria noia con mezzi così sicuri, e così rapidi. [CAPITOLI 6 E 7]
P. 316. Non è sempre l’abitudine a togliere la sua freschezza all’alba di un bel giorno, al sorgere del sole il suo splendore, al canto del gallo, al mormorio delle acque, al belato del gregge, le piacevoli sensazioni che li accompagnano. È l’anima del possessore di questi beni a essere malata. Perché, tormentato da mille folli passioni, egli arriva in campagna, come il diavolo di Milton nel giardino dell’Eden.302 Trovate, se potete, l’elleboro che purghi il suo cervello sconvolto, e restituirete allo spettacolo della natura le bellezze di cui non si stancherà mai. Tutti coloro che sono affaticati dai frivoli divertimenti della città, esclamano con Orazio: ‘O rus, quando te aspiciam!303 O terra mia! O campi miei! O parco mio, quando ti rivedrò?’ Tutti li rivedono, e tutti vi muoiono di noia. Il fatto è, mi direte voi, che non tutti sanno trovarvi delle occupazioni, a differenza di Orazio. E voi, con la vostra risposta, mi mostrerete che non conoscete meglio i costumi di Orazio di quanto conosciate il cuore umano. Il poeta lasciò Roma, persuaso che sotto il suo focolare rustico, o sotto il tiglio che faceva ombra alla sua fontana, la musa e il suo genio lo stavano aspettando. Nel suo baule si accatastarono Menandro su Aristofane e quest’ultimo su Platone. Alla partenza, egli aveva promesso ai suoi amici, non uno solo, ma più capolavori. Arrivò. Godette del riposo e dell’innocenza dei campi. Se Mecenate lo richiamava in città, si adirava contro il suo benefattore, s’indignava che si credesse che la sua libertà era stata acquistata con le ricchezze, era pronto a restituirle, se si metteva tale libertà a un prezzo così alto. La stagione passava ed egli faceva di nuovo la sua comparsa tra gli amici, senza aver aperto un libro, senza aver scritto una riga. Forse, a causa di una permanenza abituale, il poeta avrebbe dimenticato, in campagna, l’arte di far versi, senza provare lì un solo istante di noia. Nonostante ciò, chi fu più ricercato dai grandi, chi fu più corrotto dai loro favori di questo poeta? Ci sono delle anime nel cui profondo resta un non so che di selvaggio, un gusto per l’ozio, B
A [«Non è al povero che si fa sentire più vivamente il bisogno di ricchezze immense, ma al ricco ozioso. Altrettanto accade alle nazioni rovinate e sovraccariche di imposte. Quanti cittadini, privati del necessario, solo per provvedere alle spese di qualche annoiato! La ricchezza ha intorpidito, in un uomo, la facoltà di pensare? Egli s’abbandona alla pigrizia. Allo stesso tempo, sente dolore nel muoversi e noia nel non essere mosso. Vorrebbe essere mosso senza darsi la pena di muoversi. Ora, quante ricchezze per darsi questo movimento esterno! Oh! Poveri voi, non siete senza dubbio i soli miserabili! Per alleviare i vostri mali considerate questo ricco ozioso il quale, passivo in quasi tutti i suoi divertimenti, non può sfuggire alla noia se non grazie a sensazioni troppo vive per essere frequenti. / Se si ipotizzasse che io qui esagero la sfortuna dei ricchi oziosi, si esamini in dettaglio ciò che la maggior parte dei grandi e dei ricchi fanno per evitarla; vi convincerete che questa malattia è tanto comune quanto crudele»]. B [«Sensazioni deboli non ci strappano alla noia. Tra queste, colloco le sensazioni abituali. Mi sveglio all’alba del giorno; sono colpito dai raggi riflessi da tutti gli oggetti che mi circondano; lo sono dal canto del gallo, dal mormorio delle acque, dal belato delle greggi, e mi annoio. Perché? Perché le sensazioni troppo abituali non provocano su di me impressioni forti»].
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goût pour l’oisiveté, la franchise et l’indépendance | de la vie primitive. Ils se sentent toujours étrangers dans les villes, ils y promènent un secret dégoût qui cesse par intervalles, mais qui ne tarde pas à renaître, et qui renaît quelquefois au milieu des distractions les plus violentes et les plus agréables. Si c’est un poète, il attribue son malaise à des importunités qui l’empêchent d’être tout à son talent ; il s’en délivre, il s’éloigne, le voilà seul. Que fait-il ? il erre dans les champs, il s’étend nonchalamment sur l’herbe des prés ; il passe des heures entières à voir couler un ruisseau ; il s’arrête près du paysan qui laboure et s’entretient avec lui des travaux rustiques ; il s’assied quelquefois à la table de ses valets, il aime leurs propos, il interroge la femme de basse-cour sur ses oies, sur ses pigeons, sur ses canards ; il ordonne à son jardinier d’ameublir un terrain qui lui paraît épuisé ; il fouille quelquefois lui-même le pied d’un arbre qui languit ; il projette une pompe qui élève les eaux de son puits, et qui soulage la femme de son jardinier de la fatigue de la tirer ; il rend visite à son curé et ne s’en sépare guère sans s’être informé des pauvres de la paroisse. Il fait tout, excepté la chose qu’il était venu faire. [CHAPITRE 9] P. 325. Je rencontrai en voyage Lady... qui passait la moitié de l’année à Paris, le reste à Londres, et qui possédait également bien les langues des deux nations ; je lui demandai, si les mœurs des Français lui paraissaient plus ou moins corrompues que les mœurs des Anglais ; elle me répondit que la seule différence qu’elle y mettait, c’est que le vice de ses compatriotes lui paraissait plus grossier. Elle ajoutait encore que c’était la mauvaise compagnie des femmes qui nous perdait, et qu’au contraire dans sa patrie la compagnie dangereuse pour un homme était la mauvaise compagnie des hommes. A
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P. 326. « Les femmes sont donc priées de se prêter avec égard à la triste situation d’un ministre et d’être pour lui moins difficiles. Peut-être n’a-t-on rien à leur reprocher sur ce point ». | Si cela n’est pas de mauvais goût, on conviendra du moins que ces gaietés contrastent un peu avec la gravité de l’ouvrage. [CHAPITRES 10 ET 11] Je traiterais volontiers avec la même sévérité tout le chapitre suivant. Quand j’ai lu au frontispice et quand je lis au haut de la page, De l’homme et de son éducation, je suis un peu surpris de lire, chapitre dix : « de la maîtresse qui convientB à l’oisif » ; je ne sais plus si l’auteur est un apôtre des bonnes ou des mauvaises mœurs. Je crois que son ton aurait été moins licencieux, s’il eût pressenti l’avantage que ses ennemis en prendraient contre lui. Il y a plus d’un endroit dans son livre dont on peut être scandalisé, sans être un bigot. Quand on attaque les préjugés religieux, on ne saurait avoir ni montrer trop de retenue. P. 328. « Il faut des coquettes aux oisifs et de jolies filles aux occupés. La chasse des A [« En Angleterre l’amour n’y est point une occupation ; c’est un plaisir. [...] Qu’en France même un ministre ait des femmes, on le trouve bon. Mais qu’il perde son temps auprès d’elles, on s’en moque. On veut bien qu’il jouisse, non qu’il soupire » (p. 325-326.] B « Quelle maîtresse convient ».
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la franchezza e l’indipendenza della vita primitiva. Si sentono sempre straniere nelle città. Vi portano in giro una noia segreta, che cessa a intervalli, ma che non tarda a rinascere, e nasce talvolta nel bel mezzo delle distrazioni più violente, e più piacevoli. Se si tratta di un poeta, egli attribuisce il proprio malessere a cose importune che gli impediscono di concentrarsi sul suo talento. Se ne sbarazza. Si allontana, eccolo solo? Che fa? Erra nei campi, si stende con indolenza sull’erba dei prati, passa ore intere a guardar scorrere un ruscello, si ferma vicino al contadino che lavora, e s’intrattiene con lui sui lavori dei campi, si siede talvolta alla tavola dei domestici, gli piacciono i loro discorsi, chiede alla donna dell’aia delle sue oche, dei piccioni, delle anatre, ordina al suo giardiniere di dissodare un terreno che gli pare esaurito; qualche volta egli stesso sarchia la terra ai piedi di un albero che langue, progetta una pompa che tira le acque dai suoi pozzi e allevia la moglie del giardiniere dalla fatica di estrarla; rende visita al suo curato, e quasi non se ne separa prima di essersi informato sui poveri della parrocchia. Fa di tutto, tranne la cosa che era venuto a fare. [CAPITOLO 9]
P. 325. Incontrai in viaggio, Lady...304 che passava la metà dell’anno a Parigi, l’altra metà a Londra e aveva un’identica padronanza delle lingue delle due nazioni. Le chiesi se i costumi dei Francesi le sembrassero più o meno corrotti dei costumi degli Inglesi. Lei mi rispose che la sola differenza che riscontrava, era che il vizio dei suoi compatrioti le pareva più grossolano. Aggiungeva anche che era la cattiva compagnia delle donne a rovinarci; e, al contrario, nella sua patria, la compagnia dannosa, per un uomo, era la cattiva compagnia degli uomini. A
P. 326. «Le donne sono quindi pregate di prestarsi con riguardo alla triste situazione di un ministro e di essere con lui meno difficili. Forse non c’è niente di cui rimproverarle a questo proposito». Se questo non fosse di cattivo gusto; si converrà almeno che queste spiritosaggini stridono un po’ con la serietà dell’opera. [CAPITOLI 10 e 11]
Tratterei volentieri con la stessa severità, tutto il capitolo seguente. Quando ho letto sul frontespizio e quando leggo sul margine superiore della pagina, Dell’uomo e della sua educazione, sono un po’ sorpreso nel leggere, al capitolo dieci, «dell’amante che convieneB all’ozioso». Non so più se l’autore sia un apostolo dei buoni o dei cattivi costumi. Credo che il suo tono sarebbe stato meno licenzioso, se avesse intuito il vantaggio che i suoi nemici ne avrebbero potuto trarre contro di lui. C’è più di un passo nel suo libro del quale si può essere scandalizzati, senza essere bigotti. Quando si attaccano i pregiudizi religiosi, non si potrebbe avere né mostrare troppo ritegno.305 P. 328. «Occorrono civettuole per gli oziosi e ragazze carine per gli indaffarati. La cacA [«In Inghilterra l’amore non è un’occupazione; è un piacere [...] In Francia si reputa una buona cosa che anche un ministro abbia delle donne. Ma ci si prende gioco di lui, se perde il suo tempo presso di loro. Si vuole certo che ne goda, ma non che sospiri» (pp. 325-326)]. B «quale amante conviene».
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femmes, comme celle du gibier, doit être différente selon le temps qu’on y veut mettre. N’y peut-on donner qu’une heure ou deux ? On va au tiré... La femme adroite se fait longtemps courir...A Une femme est une table bien servie qu’on voit d’un œil différent, avant ou après le repas ». Fi, fi ; rayez-moi toutes ces grosses polissonneries-là. On se les permettrait à peine sur la fin d’un souper ; encore faudrait-il qu’il n’y eût point de femmes. J’en dis autant de la page 330.B 619
P. 331.C Laissez toutes ces gentillesses-là, à nos insipides | petits poètes de ruelle ; elles siéent mal dans la bouche d’un moraliste. L’envie de plaire à tout le monde a fait dire bien des choses frivoles, à cet auteur. [CHAPITRE 12] P. 334. « Nos femmes atteignent-elles un certain âge, quittent-elles le rouge, les amants, les spectacles ? elles se font dévotes ». Il me semble que cet usage commence à tomber et que nos femmes ne prennent ni si fréquemment ni si promptement le triste parti de la dévotion. Elles restent dans le monde ; elles ont de l’indulgence pour les amusements de la jeunesse ; elles jouent ; elles causent et causent bien, parce qu’elles parlent d’après l’expérience. Elles vont à la campagne, aux promenades, aux spectacles. Elles médisent peu. Leur occupation principale est celle de leur santé et l’étude de toutes les petites commodités de la vie. Elles gardent le rouge, et au lieu d’aller pleurer leurs sottises passées aux pieds d’un prêtre, elles en rient avec quelques amis intimes. Cette résolution, si toutefois elle est réelle, est la suite du mépris général de la religion. Elles ont cessé d’y croire dans la jeunesse, et elles ne peuvent plus y chercher leur consolation dans la vieillesse. Autrefois, on allait à la messe au sortir des bras de son amant ; aujourd’hui, ou l’on ne va point à la messe, ou, si l’on y va, c’est par égard pour ses valets ; contrainte dont on s’affranchit de jour en jour. L’incrédulité est aussi commune chez les femmes que chez les hommes ; elle y est un peu moins raisonnée, mais elle y est presque aussi ferme. [CHAPITRE 13] P. 339. « Le beau cesse à la longue de l’être pour moi ». A
« courir par le désœuvré ». [« Dans tous les siècles les femmes ne se laissent pas prendre aux mêmes appas, et de là tant de tableaux différents de l’amour. Le sujet est cependant toujours le même ; c’est l’union d’un homme à une femme. ǀ Le roman est fini lorsque le romancier les a couchés dans le même lit. ǀ Si ces sortes d’Ouvrages diffèrent entre eux, ce n’est que dans la variété des moyens employés par le héros pour faire agréer à sa maîtresse cette phrase un peu sauvage ; moi vouloir coucher avec toi ».] C [« Chez une nation occupée on met peu d’importance à l’amour. Il est inconstant, aussi peu durable que la rose. Tant que l’amant en est aux petits soins, aux premières faveurs, c’est la rose en bouton. Aux premiers plaisirs le bouton s’ouvre et découvre la rose naissante. De nouveaux plaisirs l’épanouissent entièrement. A-t-elle atteint toute sa beauté ? La rose se flétrit ; ses feuilles se détachent, elle meurt pour refleurir l’année suivante, et l’amour pour renaître avec une maîtresse nouvelle ».] B
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cia alle donne, come quella alla selvaggina, deve essere differente a seconda del tempo che vi si vuole impiegare. Se non si può investire più di un’ora o due, si va col fucile... La donna abile si fa inseguire a lungo...A Una donna è una tavola ben imbandita che si vede con occhio diverso, prima o dopo il pasto». Me ne infischio, me ne infischio! Cancellatemi tutte queste grosse porcherie. Uno se le potrebbe appena permettere sul finire di una cena. Bisognerebbe, inoltre, che non ci fossero donne presenti. Dico altrettanto della pagina 330.B P. 331.C Lasciate tutte queste cortesie ai nostri insipidi piccoli poeti da vicolo. Si addicono male alla bocca di un moralista. Il desiderio di piacere a tutti ha fatto dire un bel po’ di cose frivole a quest’autore. [CAPITOLO 12]
P. 334. «Le nostre donne arrivano a una certa età? Mettono da parte il rossetto, gli amanti, gli spettacoli? si fanno devote». Mi sembra che quest’usanza inizia a decadere e le nostre donne non prendono né così prontamente né tanto frequentemente la triste decisione della devozione.306 Restano nel mondo, sono indulgenti nei confronti dei divertimenti della gioventù, giocano, discorrono e discorrono bene, perché parlano per esperienza. Vanno in campagna, alle passeggiate, agli spettacoli. Sparlano poco. La loro occupazione principale è la loro salute, e la ricerca di tutte le piccole comodità della vita. Si tengono il rossetto e invece di andare a piangere sulle loro sciocchezze passate ai piedi di un prete, ne ridono con qualche amico intimo. Questa rivoluzione, se è davvero reale, è il risultato del disprezzo generale per la religione. Le donne hanno smesso di crederci in gioventù e non possono più cercarvi la propria consolazione nella vecchiaia. Un tempo, si andava a messa dopo esser state tra le braccia del proprio amante. Oggi, o non si va affatto a messa, o se ci si va, è per riguardo nei confronti dei propri domestici, obbligo di cui ci si libera giorno dopo giorno. L’incredulità è altrettanto comune tra le donne che tra gli uomini. È un po’ meno ragionata, ma è quasi altrettanto salda. [CAPITOLO 13]
P. 339. «Alla lunga, il bello smette di esserlo per me». A
«inseguire dallo sfaccendato». [«Non in ogni secolo le donne si lasciano catturare dai medesimi tipi di attrattive, e da ciò derivano tante rappresentazioni diverse dell’amore. Il soggetto è tuttavia sempre lo stesso: si tratta dell’unione di un uomo e di una donna. / Il romanzo è finito quando il romanziere li ha fatti andare a letto insieme. / Se questo tipo di opere differiscono tra loro, è solo per la varietà delle maniere usate dall’eroe per far accogliere favorevolmente alla sua amante questa frase un po’ selvaggia: ‘io volere andare a letto con te’»]. C [Presso una nazione laboriosa s’attribuisce poca importanza all’amore. Esso è incostante, poco duraturo come la rosa. Finché l’amante è pieno di cure, ai primi favori, la rosa è un bocciolo. Ai primi piaceri il bocciolo si apre e scopre la rosa nascente. Nuovi piaceri la fanno sbocciare completamente. Ha raggiunto tutta la sua bellezza? La rosa avvizzisce; le foglie si staccano, essa muore per rifiorire l’anno dopo, e l’amore per rinascere con una nuova amante»]. B
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Je ne crois pas cela. Ce qui est vrai reste vrai ; ce qui est bon ne cesse pas de l’être ; le beau est toujours beau. Il n’y a que ma sensation qui varie. Je passe devant la colonnade du Louvre sans la regarder ; en est-elle moins belle pour moi ? Nullement. | [CHAPITRE 14]
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P. 352. Helvétius suppose ici avec Longin et Boileau une beauté dans Homère qui n’y est point. Homère ne dit pas : A
Grand dieu chasse la nuit qui nous couvre les yeux Et combats contre nous à la clarté des cieux.
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Il dit, Grand Dieu, chasse la nuit qui nous couvre les yeux, et si tu as résolu de nous perdre, perds-nous du moins à la clarté des cieux. Ce passage devint, il y a une vingtaine d’années et plus, le sujet d’une discussion assez vive entre le jésuite Berthier et moi. Je soutenais que l’Ajax de Longin et de Boileau n’était qu’un impie, et que l’Ajax d’Homère était pieux et touchant. Il m’arriva ce qui arrive presque toujours à ceux qui ne se possèdent pas assez ; c’est de perdre une partie de leur avantage. Je voudrais bien savoir ce que le journaliste m’eût répondu si je lui avais dit : Hé bien, mon père, Ajax, à votre avis, est donc un impie, un sublime impie qui défie le maître des dieux. Cependant si dans toute l’Iliade, si parmi tous les héros grecs, il y en avait un seul qui, sur le point de s’engager dans un combat périlleux, invitât l’armée à se mettre en prière, que penseriez-vous de ce héros ? L’appelleriez-vous un impie ? Serait-ce là le caractère que le poète se serait proposé de lui donner ? Vous savez par cœur, je n’en doute pas, tous les noms des chefs de la Grèce ? Comment appelez-vous celui-là ? Est-ce Achille, Agamemnon, Patrocle, Diomède, Ajax ? Certainement, ce ne peut être ce dernier. Il serait trop absurde que celui qui s’adresse fièrement à Jupiter et qui lui dit, Prends ton foudre et combats contre nous, dît à l’armée : Je vais combattre ; mes amis prosternezvous devant les dieux et priez pour moi. Le militaire qui de nos jours en ferait autant, | montrerait plus de religion que de bravoure. C’est pourtant Ajax lui-même ; si conséquent dans Homère à son rôle, au pied du mont Ida ; voici comment il parle ici ; voyez le livre VII, le vers 193 et les suivants. Ἀλλ’ ἄγετ’, ὄφρ’ ἄν ἐγὼ πολεμήϊα τεύχεα δύνω, Τόφρ’ ὑμεῖς εὔχεσθε Διῒ Κρονίωνι ἄνακτι ; Σιγῇ ἐφ’ ὑμείων, ἵνα μὴ Τρῶές γὲ πύθωνται ; Ἠὲ καὶ ἀμφαδίην, ἐπεὶ οὔτινα δείδιμεν ἔμτης· « Allons, mes amis : tandis que j’endosse ma cuirasse, adressez-vous au maître des dieux ; priez-le à voix basse, afin que les Troyens ne puissent vous entendre ; ou plutôt faites votre prière tout haut, car nous ne craignons qui que ce soit ». A
[« Le seul moyen de se former une idée du mot sublime, c’est de se rappeler les morceaux cités comme tels par les Longins, les Despréaux et la plupart de rhéteurs. [...] Tel est l’effet produit par la confiance qu’Ajax a dans sa force et son courage, lorsqu’il s’écrie : Grand Dieu, rendsnous le jour, et combat contre nous. Une telle confiance en impose aux plus intrépides » (p. 342, 352).]
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Non lo credo. Ciò che è vero resta vero. Ciò che è buono non smette di esserlo. Il bello è sempre bello. A variare non è che la mia sensazione. Io passo dinanzi al colonnato del Louvre,307 senza guardarlo. È perciò meno bello per me? Per niente. [CAPITOLO 14]
P. 352.A Helvétius presuppone qui, insieme a Longino e a Boileau, una bellezza in Omero, che non c’è per niente. Omero non dice: ‘Gran dio caccia la notte che ci copre gli occhi E combatti contro di noi con la luce dei cieli’. Lui dice, ‘Gran dio, caccia la notte che ci copre gli occhi e se hai deciso di rovinarci, rovinaci almeno con la luce dei cieli’. Questo passo divenne, una ventina d’anni fa e più, il soggetto di una discussione assai vivace tra il gesuita Berthier e me.308 Io sostenevo che l’Aiace di Longino e di Boileau non era che un empio, e l’Aiace d’Omero pio e toccante. Mi accadde quello che accade quasi sempre a coloro che non si controllano abbastanza: di perdere, cioè, una parte del proprio vantaggio. Vorrei davvero sapere che cosa mi avrebbe risposto il giornalista309 se avessi detto: ‘Ebbene, padre mio, Aiace secondo voi è dunque un empio, un sublime empio che sfida il signore degli dei. Tuttavia, se in tutta l’Iliade, se tra tutti gli eroi greci, ce n’era uno solo che, sul punto di impegnarsi in un combattimento pericoloso, invitava a mettersi in preghiera, che pensereste di questo eroe? Lo chiamereste empio? Sarebbe questo il carattere che il poeta si sarebbe proposto di dargli? Voi sapete a memoria, non ne dubito, tutti i nomi di tutti i capi della Grecia? Come chiamereste quello? È forse Achille, Agamennone, Patroclo, Diomede, Aiace? Certamente, costui non può essere quest’ultimo. Sarebbe troppo assurdo che colui che si rivolge fieramente a Giove e gli dice, ‘Prendi il tuo fulmine e combatti contro di noi’, dicesse all’esercito: ‘Sto per combattere. Amici miei, prosternatevi davanti agli dei e pregate per me’. Il militare che ai giorni nostri facesse altrettanto, dimostrerebbe più religiosità che coraggio. È tuttavia Aiace stesso; così coerente nel suo ruolo in Omero, ai piedi del monte Ida. Ecco come parla qui; guardate nel libro VII, il verso 193 e i seguenti: Ἀλλ’ ἄγετ’, ὄφρ’ ἄν ἐγὼ πολεμήϊα τεύχεα δύνω, Τόφρ’ ὑμεῖς εὔχεσθε Διῒ Κρονίωνι ἄνακτι, Σιγῇ ἐφ’ ὑμείων, ἵνα μὴ Τρῶές γὲ πύθωνται, Ἠὲ καὶ ἀμφαδίην, ἐπεὶ οὔτινα δείδιμεν ἔμτης·310 «Andiamo, amici miei: mentre indosso la mia corazza, rivolgetevi al signore degli dei. Pregatelo a bassa voce, affinché i Troiani non possano sentirvi; o piuttosto, pregate ad alta voce, poiché noi non temiamo nessuno». A
[«L’unico modo per formarsi un’idea della parola sublime, è quello di richiamare i passi citati come tali dai Longino, dai Despréaux e dalla maggior parte dei retori [...]. Tale è l’effetto prodotto dalla fiducia che Aiace ha nella sua forza e nel suo coraggio, quando esclama: ‘Gran Dio, rendici il giorno, e combatti contro di noi. Una tale fiducia incute soggezione ai più intrepidi’» (p. 342, 352)].
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Ou vous avez mal entendu le poète, ou le poète a mal soutenu le caractère de son héros. Choisissez. Mais il n’y a pas à choisir. La faute n’est pas dans Homère, mais dans ses commentateurs. Seulement il ne faut pas confondre l’erreur d’un homme de génie, tel que Longin ou Boileau, avec l’impertinence de son écho. [CHAPITRE 15] P. 357. « Quand une maîtresse n’est pas nouvelle, il est agréable de se trouver au rendez-vous qu’elle a donné et de ne l’y point trouver ». Ce propos du président Hénault est celui d’un homme qui n’a jamais aimé que de jolies pécores. [CHAPITRE 17] P. 366. Il me semble que l’auteur n’attache pas assez d’importance à plusieurs qualités rares, sans lesquelles toutefois on n’écrit jamais bien ; la pureté de la langue, le choix de l’expression propre ou figurée, sa place et l’harmonie. Un paysan, un homme du peuple aura des idées fortes, des images frappantes ; mais il manquera des qualités précédentes, qu’on ne tient point de la nature, mais que le | goût seul peut donner. L’art d’écrire s’apprend. Celui de penser et de sentir ne s’apprend guère. A
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[CHAPITRE 20] P. 386. « Il ne faut qu’un moment pour admirer ; et il faut un siècle pour produire des choses admirables ». Oui, pour admirer sans jugement ; mais il y a des morceaux de sculpture qui m’ont arrêté des heures entières ; je ne me suis jamais lassé, je ne me lasserai jamais devant le Laocoon ; j’y souffrirai toujours en le regardant, et je m’en arracherai toujours avec peine. J’ai lu et relu vingt fois Homère ; il y a des pages de Buffon dont je n’ai peut-être pas encore senti toute la perfection ; mon Horace est usé et mon Racine est sale. [CHAPITRE 21] P. 388. Je ne pense pas qu’il en soit de la jouissance d’une belle femme, comme de la peinture de cette femme, et de la description voluptueuse des plaisirs qu’on a trouvés sur son sein. La jouissance est plus vive ; l’image dure plus longtemps. Un amateur est plus fidèle à son tableau qu’à sa maîtresse. Un homme se blase plus vite sur les objets des sens, qu’un homme de bon goût sur les imitations de l’art. B
A [« Par quelle raison en effet le même homme écrit-il bien en un genre et mal dans un autre ? Cet homme n’ignore ni les tours heureux, ni la propriété des mots de sa langue. À quoi donc attribuer la faiblesse de son style ? À la disette de ses idées ».] B [« En vain la danse, la peinture, les arts enfin les plus voluptueux et les plus spécialement consacres à l’amour, en rappellent l’ivresse et les transports, quelle impression feront-ils sur celui qui fatigué de jouissance est blasé sur ce plaisir ? Si le riche court les bals et les spectacles, c’est pour changer d’ennui et par ce changement en adoucir le malaise ».]
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O voi avete capito male il poeta, o il poeta ha sostenuto male il carattere del suo eroe. Scegliete. Ma non vi è da scegliere. L’errore non è in Omero, ma nei suoi commentatori. Solamente, non si deve confondere l’errore di un uomo di genio come Longino o Boileu, con l’impertinenza della sua eco. [CAPITOLO 15]
P. 357. «Quando un’amante non è una novità, è piacevole trovarsi all’appuntamento che lei ha stabilito e non trovarcela». Questo discorso del presidente Hénault è quello di un uomo che non ha mai amato altro che delle graziose caprette.311 [CAPITOLO 17]
P. 366. Mi sembra che l’autore non attribuisca abbastanza importanza a molte qualità rare, senza le quali tuttavia non si scrive mai bene: la purezza della lingua, la scelta dell’espressione propria o figurata, la posizione di questa e l’armonia. Un contadino, un uomo del popolo, sarà capace di idee forti, di immagini sorprendenti, ma mancherà delle qualità precedenti, che non si ottengono dalla natura, ma che solo il gusto può donare. L’arte di scrivere si apprende.312 Quella di pensare e di sentire non si apprende affatto. A
[CAPITOLO 20]
P. 386. «È necessario solo un istante per ammirare, ed è necessario un secolo per produrre delle cose ammirabili». Sì, per ammirare senza giudizio, ma ci sono dei pezzi di scultura che mi hanno trattenuto per ore intere: non mi sono mai stancato, e mai mi stancherò dinanzi al Laooconte.313 Ne soffrirò sempre, guardandolo, e me ne distoglierò sempre a fatica. Ho letto e riletto venti volte Omero. Ci sono delle pagine di Buffon delle quali non ho forse ancora sentito tutta la perfezione. Il mio Orazio è logoro e il mio Racine è sporco. [CAPITOLO 21]
P. 388. Io non penso che accada la stessa cosa nel godimento di una bella donna, del dipinto di questa donna e della descrizione voluttuosa dei piaceri che si sono provati in seno a lei. Il godimento è più vivo, l’immagine dura più a lungo. Un amatore è più fedele al suo quadro che alla sua amante. Un uomo si annoia più rapidamente degli oggetti dei sensi, di quanto un uomo di buon gusto non si annoi delle imitazioni dell’arte. B
A [«In effetti, per quale ragione lo stesso uomo scrive bene in un genere e male in un altro? A quest’uomo non manca né un bel fraseggio, né la proprietà delle parole della sua lingua. A che cosa si deve attribuire allora la debolezza del suo stile? Alla scarsità delle sue idee»]. B [«Invano la danza, la pittura, insomma le arti più voluttuose e più specificamente consacrate all’amore, ne ricordano l’ebrezza e i trasporti. Quale impressione faranno su colui il quale, stanco per il godimento, è navigato (blasé) in questi piaceri? Se il ricco corre ai balli e agli spettacoli, è per cambiare noia e alleviare il proprio malessere grazie a questo cambiamento»].
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J’aime mieux changer d’ennuis comme le riche, que de souffrir toujours la même peine comme le journalier. J’aime mieux courir, même sans succès, après le bonheur, que rester à côté de l’infortune et de la misère. « Bonnier mourut d’ennui au milieu des délices ». Je n’en crois rien. Bonnier s’ennuya ; et mourut de maladie. [CHAPITRE 22] 623
P. 392. Ce calife avait calculé ses journées, comme | tous ceux qui se plaignent de la vie ; par les grands plaisirs qui sont assez rares et par les grandes peines qui le sont un peu moins. Si Turenne n’avait compté qu’autant de moments heureux qu’il pouvait compter de batailles gagnées, Turenne aurait pu dire comme le calife : Je n’ai eu que quatorze beaux jours. A
P. 393. « On est, dit-on, bien nourri, bien couché à la Bastille, et l’on y meurt de chagrin. Pourquoi ?... C’est qu’on n’y vaque point à ses occupations ordinaires ». Ce n’est pas cela. C’est qu’on n’est pas maître d’y vaquer ou de n’y pas vaquer ; c’est qu’en quelque endroit que l’on soit, on s’y trouve mal, ne fût-ce que pour un jour, lorsqu’on n’en saurait sortir. C’est qu’au moment où un despote vous dit : Je veux que tu restes là, il vous ramène au caractère sauvage et primitif ; et si la parole est arrêtée, le cœur répond tout bas : Je ne veux pas rester. Et puis, ne dirait-on pas qu’on a tout ce qui fait le bonheur d’un homme sensible, honnête, compatissant, studieux, actif, lorsqu’on est bien nourri et bien couché. L’auteur ne sait pas que celui que l’autorité tient dans une prison, innocent ou coupable, tremble pour sa vie ; et qu’il n’y a que la liberté qu’on lui accordera, qui puisse le délivrer de cette terrible inquiétude. Il ne sait pas ce que c’est que l’idée d’une détention qui n’aura point de fin ; et il n’y a pas un des malheureux renfermés à la Bastille qui n’ait cette idée.
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P. 393. « La condition de l’ouvrier qui, par un travail modéré, pourvoit à ses besoins et à ceux de sa famille, est de toutes les conditions peut-être la plus heureuse ». Toute condition qui ne permet pas à l’homme de tomber malade sans tomber dans la misère est mauvaise. Toute condition qui n’assure pas à l’homme une ressource dans l’âge de la vieillesse est mauvaise. Si le petit peuple perd la perspective effroyable de l’hôpital, ou s’il la voit sans en être troublé, c’est qu’il est abruti. | Tout ce que l’auteur dit en éloge de la médiocrité,B sera démontré pour tous ceux qui en éprouvent le malaise. A « Si la félicité était toujours compagne du pouvoir, quel homme eût été plus heureux que le calife Abdoulraman ! Cependant telle fut l’inscription qu’il fit graver sur sa tombe : Honneurs, richesses, puissance souveraine ; j’ai joui de tout. Estimé et craint des princes mes contemporains, ils ont envié mon bonheur ; ils ont été jaloux de ma gloire ; ils ont recherché mon amitié. J’ai, dans le cours de ma vie, exactement marqué tous les jours où j’ai goûté un plaisir pur et véritable, et dans un règne de cinquante années je n’en ai compté que quatorze ». B [« Qui s’occupe se soustrait à l’ennui. Aussi l’ouvrier dans sa boutique, le marchand à son comptoir est souvent plus heureux que son monarque. Une fortune médiocre sous nécessite à un travail journalier » (p. 393).]
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Amo di più cambiare noia, come il ricco, che soffrire sempre la stessa pena come colui che lavora a giornata. Amo di più correre, anche senza successo, dietro la felicità, che restare a fianco della sventura e della miseria. «Bonnier morì di noia nel bel mezzo delle delizie».314 Non credo proprio. Bonnier si annoiava e morì di malattia. [CAPITOLO 22]
P. 392. Questo califfo aveva calcolato le sue giornate, come tutti coloro che si lamentano della vita, in ragione dei grandi piaceri, che sono assai rari, e in ragione delle grandi pene, che lo sono un po’ meno. Se Turenne avesse contato tanti momenti felici, quante erano state le sue battaglie vinte, Turenne avrebbe potuto dire come il califfo: ‘Non ho avuto più di quattordici belle giornate’. A
P. 393. «Si è, dicono, ben nutriti, ben alloggiati alla Bastiglia, e vi si muore di tristezza. Perché?... Perché qui non si bada alle proprie occupazioni ordinarie». Non è così. Perché non si è padroni di badarvi o non badarvi. Perché in qualunque luogo ci si trovi, ci si trova male, foss’anche per un giorno, qualora non se ne potesse uscire. Perché nel momento in cui un despota vi dice: ‘Voglio che tu resti lì’, vi riporta al vostro carattere selvaggio e primitivo e se la parola è inibita, il cuore risponde a bassa voce: ‘Non voglio restare’. E poi, come si potrebbe dire che si ha tutto ciò che fa la felicità di un uomo sensibile, onesto, compassionevole, studioso, attivo, quando si è ben nutriti e ben alloggiati? L’autore ignora che chi è rinchiuso in una prigione, innocente o colpevole, dall’autorità teme per la propria vita e soltanto la libertà che gli verrà accordata è in grado di liberarlo da quella terribile inquietudine. Egli ignora che cosa sia l’idea di una detenzione senza fine; e non c’è infelice rinchiuso alla Bastiglia che non abbia questa idea. P. 393. «La condizione dell’operaio che grazie a un lavoro moderato provvede ai propri bisogni e a quelli della sua famiglia, è forse tra tutte le condizioni la più felice.» Ogni condizione che non permette all’uomo di ammalarsi senza cadere nella miseria, è cattiva. Ogni condizione che non assicura all’uomo una risorsa per l’età della vecchiaia, è cattiva. Se il popolino cessa di avere la prospettiva spaventosa dell’ospizio, o la prende in considerazione senza esserne turbato, è perché è abbrutito.315 Tutto ciò che l’autore dice in elogio della mediocrità,B sarà dimostrato per tutti316 coloro che ne provano il malessere.
A «Se la felicità fosse sempre la compagna del potere, quale uomo avrebbe potuto essere più felice del califfo Abdoulraman! Tuttavia, questa fu l’iscrizione che fece incidere sulla sua tomba: ‘Onori, ricchezze, potere sovrano; ho goduto di tutto. Stimato e temuto dai principi miei contemporanei, costoro hanno invidiato la mia felicità; sono stati gelosi della mia gloria; hanno ricercato la mia amicizia. Nel corso della mia vita ho annotato esattamente tutti i giorni nei quali ho goduto di un piacere puro e reale, e durante un regno di cinquant’anni, ne ho contati quattordici’». B [«Chi è indaffarato si sottrae alla noia. Così l’operaio nella sua bottega, il mercante al banco delle vendite è spesso più felice del suo monarca. Una mediocre fortuna impone un lavoro quotidiano» (p. 393)].
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[Note 3] P. 412. Ici l’auteur plaide la cause du divorce, mais un peu superficiellement. Il n’a pas considéré qu’après le divorce, les enfants ne peuvent guère demeurer soit à côté du père, soit à côté de la mère sans être malheureux. La mort exécute ici le divorce. Si le survivant passe à de nouvelles noces, que deviennent les enfants du premier lit, mêlés avec les enfants du second lit sous un beau-père ou une belle-mère ? On le sait. Le divorce qui restitue à deux époux la liberté de se remarier, exige donc que les enfants leur soient soustraits. Il exige donc des tuteurs. Qui chargerez-vous, sans fâcheuse conséquence, de la tutelle des enfants ? Rien de si difficile que de trouver de bons tuteurs. Le magistrat est le pire de tous. Faire du divorce, le prix du mérite, est une absurdité.B Est-ce que le sot n’est pas aussi malheureux avec une mauvaise femme que l’homme du plus grand génie ? Estce que la jouissance n’amène pas le dégoût également pour tous ? Est-ce que tous les mariages ne sont pas indistinctement exposés aux incompatibilités de caractère qui font le supplice de deux époux ? | A
[SECTION IX
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CHAPITRE 2]
Page 427. – « Lorsqu’une famille diminue, pourquoi ne céderait-elle pas partie de ses propriétés à des familles voisines et plus nombreuses ? » Pourquoi ? C’est que cette cession forcée disposant du fruit de mon industrie blesse le droit de propriété. C’est qu’elle anéantit toute industrie. Demandez aux pères quel est l’objet de leurs travaux ? Ils vous répondront, le bonheur de leurs enfants. [CHAPITRE 3] P. 442. « Rien de moins envié que le talent d’un Voltaire ou d’un Turenne. Preuve du peu de cas qu’on en fait ». Preuve de la difficulté d’y atteindre. Quel est l’homme assez vain pour se dire secrètement à lui-même : Travaille ; en travaillant tu seras Voltaire ou Turenne. Tu n’as qu’à le vouloir. C’est bien le contraire qu’on se dit ; et il ne faut que le ressouvenir d’une très belle page ancienne ou moderne, pour faire tomber la plume des mains.
A [« Dans le mariage, disait Fontenelle, la loi d’une union indissoluble est une loi barbare et cruelle. En France le peu de bons ménages prouve en ce genre la nécessité d’une réforme ».] B [« D’ailleurs s’il est vrai que le désir du changement soit aussi conforme qu’on le dit à la nature humaine, on pourrait donc proposer la possibilité du changement comme le prix du mérite : on pourrait donc essayer de rendre par ce moyen, les guerriers plus braves, les magistrats plus justes, les artisans plus industrieux et les gens de génie plus studieux » (p. 413)].
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[Nota 3] P. 412. Qui l’autore perora la causa del divorzio, ma un po’ superficialmente. Non ha considerato che dopo il divorzio i bambini non possono quasi più restare né a fianco del padre né a fianco della madre, senza essere infelici. Qui la morte rende esecutivo il divorzio. Se il sopravvissuto passa a nuove nozze, che cosa diventano i figli di primo letto, mischiati con i figli di secondo letto, sotto una matrigna o un patrigno? Lo si sa. Il divorzio che restituisce a due coniugi la libertà di risposarsi, impone dunque che siano sottratti loro i bambini. Esige allora dei tutori. Chi incarichereste voi, senza spiacevoli conseguenze, della tutela dei bambini? Niente è così difficile quanto trovare dei buoni tutori. Il magistrato è il peggiore di tutti. Fare del divorzio un premio al merito è un’assurdità.B Lo sciocco non è forse altrettanto infelice con una cattiva moglie quanto un uomo di genio? Il godimento non conduce forse ugualmente con sé, per entrambi, il disgusto? Non sono forse esposti tutti i matrimoni, indistintamente, alle incompatibilità di carattere che costituiscono il supplizio dei due sposi?317 A
[SEZIONE IX CAPITOLO 2]
P. 427. «Quando una famiglia diventa meno numerosa, perché non dovrebbe cedere parte delle sue proprietà alle famiglie vicine, più numerose?» Perché? Perché questa cessione forzata, disponendo del frutto della mia industria, lede il diritto di proprietà. Perché distrugge ogni industriosità. Chiedete ai padri quale sia l’obiettivo delle loro fatiche? Vi risponderanno, la felicità dei loro figli. [CAPITOLO 3]
P. 442. «Niente è meno invidiato del talento di un Voltaire o di un Turenne. Prova del poco caso che se ne fa». Prova della difficoltà di raggiungerlo. Qual è l’uomo così vano da dirsi segretamente: ‘Lavora, lavorando, sarai Voltaire o Turenne. Non devi far altro che volerlo’. È proprio il contrario che ci si dice; e basta il ricordo di una bella pagina antica o moderna, per far cadere la penna dalle mani.318
A [«Nel matrimonio, diceva Fontenelle, la legge di un’unione indissolubile è una legge barbara e crudele. In Francia, la scarsità di buone unioni prova la necessità di una riforma in quest’ambito»]. B [Inoltre, se è vero che il desiderio di cambiamento è così conforme alla natura umana come si dice, si potrebbe allora proporre la possibilità di cambiamento come premio al merito: si potrebbe allora provare a rendere, con questo mezzo, i soldati più coraggiosi, i magistrati più giusti, gli artigiani più industriosi e le persone di genio più studiose» (p. 413)].
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[CHAPITRE 4] P. 445. Toutes les volontés individuelles sont ambulatoires, mais la volonté générale est permanente. Voilà la cause de la durée des lois, bonnes ou mauvaises, et de la vicissitude des goûts. A
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P. 446. « Les lois nuisibles sont tôt ou tard abolies ». Il naît un homme éclairé qui parle, et sa voix se fait entendre sinon de ses contemporains, au moins de ses neveux. | Elles ne sont pas toujours abolies ; mais peu à peu elles tombent en désuétude. Telle est la loi sur l’adultère ; et cette désuétude est l’effet naturel de leur vice. P. 447.B Je ne blâme point les lois de Lycurgue. Je les crois seulement incompatibles avec un grand État, et avec un État commerçant. [CHAPITRE 5] P. 461 « L’amour qu’on a pour la vertu dans les contrées despotiques est toujours faux ». Je n’en crois rien. Moins commun et plus périlleux, il y doit être plus admiré. C
[CHAPITRE 6] P. 465. « Le législateur qui donne des lois suppose tous les hommes méchants ». Je ne crois pas cela. Si le méchant portait sur son front un caractère visible qui le distinguât : il n’adresserait plus ses lois qu’à ces stigmatisés. Il sait qu’il y a des méchants ; il n’y a aucun moyen de les discerner ; il rend ses lois générales. P. 466. « L’on paraît sacrifier, mais l’on ne sacrifie jamais son bonheur à celui d’autrui ». Et que fait donc ce Curtius qui se jette dans un gouffre ? [CHAPITRE 18]
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P. 529. « Les mœurs et les actions des animaux prouvent qu’ils comparent, qu’ils portent des jugements ; ils sont à cet égard plus ou moins raisonnables, plus ou moins ressemblants à l’homme... » Après cet aveu, je ne conçois pas comment il accorde | tant à l’organisation, dans la comparaison de l’homme à l’animal, et comment il peut réduire son influence à rien, dans la comparaison de l’homme à l’homme. A [« Supposons l’homme aussi réellement inconstant qu’on le dit ; ce serait dans le cours sa vie que se manifesterait son inconstance. Par quelle raison en effet des lois respectées de l’aïeul, du fils, du petit-fils, des lois à l’épreuve pendant six générations de la prétendue légèreté de l’homme, y deviendraient-elles tout à coup sujettes ? »] B [« Peu de gens croient avec Xénophon au bonheur de Sparte. Quelle triste occupation, dirent ils, que des exercices militaires ; que le perpétuel exercice des armes ! Sparte, ajoutent-ils, n’était qu’un couvent. Tout s’y réglait par le coup de la cloche. Mais, répondrait-je, le coup de la récréation ne plaît-iI pas à l’écolier ? Est-ce la cloche qui rend le moine malheureux ? Lorsqu’on est bien nourri, bien vêtu, à l’abri de l’ennui, toute occupation eu également bonne, et les plus périlleuses ne sont pas les moins agréables » (p. 447-448).] C « affecte ».
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[CAPITOLO 4]
P. 445.A Tutte le volontà individuali sono mutevoli, ma la volontà generale è permanente. Ecco la causa della durata delle leggi, buone o cattive, e dell’instabilità dei gusti. P. 446. «Presto o tardi, le leggi nocive vengono abolite». Nasce un uomo illuminato che parla e la sua voce si fa ascoltare, se non proprio dai suoi contemporanei, dai suoi nipoti. Esse non sono sempre abolite, ma a poco a poco cadono in disuso. Così è accaduto per la legge sull’adulterio e tale disuso è l’effetto naturale del loro vizio. P. 447.B Io non biasimo le leggi di Licurgo. Le credo solo incompatibili con un grande Stato e con uno Stato che commercia.319 [CAPITOLO 5]
P. 461. «L’amore per la virtù che si haC nei paesi dispotici è sempre falso». Non credo proprio. Meno comune e più pericoloso, là deve essere più ammirato. [CAPITOLO 6]
P. 465. «Il legislatore che promulga delle leggi presume tutti gli uomini cattivi». Non lo credo questo. Se il cattivo portasse stampato in fronte un carattere visibile che lo distinguesse, il legislatore indirizzerebbe le sue leggi solo a questi stigmatizzati. Egli sa che ci sono dei cattivi. Non ha alcun modo per distinguerli. Rende le sue leggi generali. P. 466. «Sembra che si sacrifichi, ma non si sacrifica mai la propria felicità a quella degli altri». E che cosa fa allora Curzio quando si getta nel baratro?320 [CAPITOLO 18]
P. 529. «I costumi e le azioni degli animali dimostrano che essi fanno paragoni, formulano giudizi. Gli animali sono, da questo punto di vista, più o meno dotati di ragione, più o meno somiglianti all’uomo...» Dopo questa confessione, non mi spiego come egli accordi, nel paragone tra uomo e animale, tanta importanza all’organizzazione e come, nel paragone tra uomo e uomo, possa ridurre la sua influenza a nulla. A [«Supponiamo l’uomo così realmente incostante come si dice che sia. Sarà nel corso della sua vita che si manifesterà la sua incostanza. Per quale ragione, infatti, delle leggi rispettate dall’avo, dal figlio, dal nipote, delle leggi alla prova della presunta leggerezza dell’uomo per sei generazioni, diventeranno di colpo soggette a essa?»]. B [«Poche persone credono con Senofonte alla felicità di Sparta. Che triste occupazione, dicono, gli esercizi militari, il perpetuo esercizio delle armi! Sparta, aggiungono, non era altro che un convento. Tutto era regolato dal suono della campana. Ma, risponderei, non piace forse allo scolaro il suono della ricreazione? È la campana che rende il monaco infelice? Quando si è ben nutriti, ben vestiti, al riparo dalla noia, ogni occupazione è allo stesso modo buona, e le più pericolose non sono le meno piacevoli» (pp. 447-448)]. C «Ostenta».
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P. 532. « Il faut que le raisonnement par lequel j’ai détruit le préjugé des revenants, pour opérer son effet, se présente aussi habituellement et aussi rapidement que le préjugé même ». Et quand cela serait, vous trembleriez encore ; est-ce que la pensée a quelque pouvoir sur les organes intérieursA ? Le tic est pris ; votre tête dit, il n’y a point de revenants ; non, il n’y a point de revenants ; et votre cœur se trouble, et vos entrailles s’émeuvent, et le frissonnement se répand dans tous vos membres. Vous avez peur. Hobbes se moque de lui-même. Sa frayeur lui fait pitié ; et sa frayeur dure. [CHAPITRE 19]
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P. 534. « Ce n’est donc que la conservation ou la perte des extraits de naissance qui distingue le noble du roturier. « Qui refuserait le titre de gentilhomme à celui qui, par des extraits de naissance, de circoncision ou de baptême prouverait une descendance en ligne directe depuis Abraham jusqu’à lui ? » Celui qui aurait une notion précise de la noblesse. La noblesse ne commence qu’au moment du titre accordé par le souverain ; c’est ou la récompense d’un service ou la marque de sa faveur ; la distinction des nobles et des roturiers est de nouvelle date. Le roturier Adam mit au monde le premier roturier. Le patriarche Abraham fut roturier, Jésus-Christ fut roturier. Je crois que l’opposé de gentil est serf ; et que le premier serf qui mérita par quelque grande action, non pas d’être affranchi, mais d’être considéré à l’égal de son seigneur : le premier soldat qui fut élevé au rang de son chef, fut le premier gentilhomme. La noblesse n’est ni plus ancienne ni plus nouvelle que le gouvernement féodal. Il y avait dans Athènes, des esclaves et des citoyens ; à Rome des esclaves, des affranchis, des citoyens ou plébéiens et des patriciens ; dans les Gaules libres, des chefs et des soldats ; dans les Gaules, après la destruction de l’Empire romain et leurs divisions entre les chefs | barbares, des serfs, des affranchis, des seigneurs ou gentilshommes, et un chef ou souverain. Au reste, j’expose mes idées sans en garantir l’exactitude. Il faut consulter là-dessus les auteurs qui ont écrit de la noblesse, ce que je ne manquerais pas de faire si je me proposais de publier ces notes. [CHAPITRE 20] P. 538. « L’intérêt fait honorer le vice dans un protecteur ». Témoin Helvétius. Il va à la cour de Denis. Denis le comble de faveurs ; et de ce moment il n’appellera plus Denis que le grand prince, le prince cata exoken. Il fait le voyage de Londres ; la manière honnête dont il a traité tous les étrangers en France, et son mérite personnel lui concilient l’accueil le plus distingué des hommes de lettres et des grands ; et la nation anglaise devient à ses yeux la première des nations. Mais si l’intérêt fait honorer le vice dans un protecteur ; le ressentiment fait décrier le mérite dans un persécuteur. Témoin Helvétius. Il publie son ouvrage De l’esprit ; au lieu d’en recueillir l’honneur et les éloges qu’il est en droit de s’en promettre, le voilà exposé à une longue suite de disgrâces qui flétrissent son cœur et qui aigrissent son humeur. Aussitôt il ne voit plus dans sa patrie que la plus méchante et la plus vile des nations. A
« mouvement intérieur ».
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P. 532. «Perché abbia effetto, occorre che il ragionamento col quale ho screditato il pregiudizio sui fantasmi si presenti alla mia memoria con altrettanta regolarità e rapidità quanto il pregiudizio stesso». E qualora ciò accadesse, voi tremereste ancora: il pensiero ha forse qualche potere sugli organi interni?A Il tic è acquisito. La vostra testa dice, ‘non ci sono fantasmi; no, non ci sono fantasmi’, e il vostro cuore si turba, e le vostre viscere sono scosse, e un brivido si diffonde in tutte le vostre membra. Voi avete paura. Hobbes321 si prende in giro da solo. La sua paura gli fa pietà, e la sua paura permane. [CAPITOLO 19]
P. 534. «Dunque, è solo la conservazione o lo smarrimento degli estratti di nascita che distingue il nobile dal plebeo». «Chi potrebbe rifiutare il titolo di gentiluomo a colui il quale, per mezzo degli estratti di nascita, di circoncisioni o del battesimo, provasse una discendenza in linea diretta da Abramo fino a lui?» È chi avesse una nozione precisa della nobiltà. La nobiltà inizia nel momento in cui il sovrano accorda il titolo: si tratta della ricompensa per un servigio o del segno del suo favore. La distinzione tra nobili e popolani 322 è di recente data. Il popolano Adamo mise al mondo il primo popolano. Il patriarca Abramo fu un popolano. Gesù Cristo fu un popolano. Io credo che il contrario di gentile sia servo e che il primo servo che, grazie a qualche grande azione, meritò non tanto di essere affrancato, ma di essere considerato al pari del suo signore, il primo soldato che fu elevato al rango del suo capo, fu il primo gentiluomo. La nobiltà non è né più antica, né più recente del governo feudale. C’erano ad Atene degli schiavi e dei cittadini; a Roma degli schiavi, degli affrancati, dei cittadini plebei o nobili; nelle Gallie libere, dei capi e dei soldati; nelle Gallie, dopo la distruzione dell’Impero romano e le loro divisioni tra i capi barbari, dei servi, degli affrancati, dei signori, o gentiluomini, e un capo o sovrano. Del resto, espongo le mie idee senza garantirne l’esattezza. Occorre consultare, su questo argomento, gli autori che hanno scritto sulla nobiltà, cosa che non mancherei di fare, se mi proponessi di pubblicare queste note. CAPITOLO 20
P. 538. «L’interesse fa onorare il vizio in un protettore». Testimone ne è Helvétius. Va alla corte di Dionigi.323 Dionigi lo colma di favori, e da quel momento egli chiamerà Dionigi il grande principe, il principe cata exoken.324 Fa un viaggio a Londra.325 Le oneste maniere con cui egli ha trattato tutti gli stranieri in Francia e il suo personale merito gli accordano l’accoglienza più distinta da parte dei letterati e dei grandi, e la nazione inglese diventa ai suoi occhi la prima tra le nazioni. Ma se l’interesse fa onorare il vizio in un protettore, il risentimento fa biasimare il merito in un persecutore. Testimone ne è Helvétius. Egli pubblica la sua opera, De l’espirit. Invece di raccoglierne gli onori e gli elogi che è in diritto di ripromettersene, eccolo esposto a una lunga serie di sventure che gli inaridiscono il cuore e ne inaspriscono l’umore. Subito egli vede, nella sua patria, la più cattiva e la più vile tra le nazioni. A
«movimento interno».
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Cependant il loue Catherine II, qu’il n’a point approchée et dont les bienfaits ne séduisirent point son jugement. Mais il était assez bon pour s’approprier les marques de bonté que j’en avais reçues et s’en faire un devoir de reconnaissance personnel. Helvétius aimait tendrement ses compagnons d’études. Ce n’était pas un génie facile ; mais c’était un beau génie, un grand penseur et un très honnête homme.
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P. 539. « L’intérêt éclaire le souverain sur le mérite ; le péril et le besoin passés, il ne le distingue plus ». Je ne crains pas qu’on m’accuse de flatter les souverains ; mais Turenne, enterré à Saint-Denis et honoré par le souverain dans ses cendres ; le vainqueur des Turcs dans la dernière guerre, Roumantsof, comblé de gloire et de richesses par l’impératrice de Russie ; et tant d’autres élèvent la voix contre le reproche d’Helvétius. | Ce dont je les accuserais plus volontiers, ce ne serait pas d’ingratitude, mais c’est d’avoir souvent accordé au vice et à la bassesse la même récompense qu’à l’héroïsme et à la vertu et confondu l’homme rare avec le faquin. Jamais le mérite reconnu ne tombe dans l’avilissement;A on oublie, mais on n’avilit point Catinat. On persécute la vérité, mais on ne la méprise pas. On la craint. Que peut-elle alors en faveur de l’humanité ? Tout avec le temps. Je ne sais comment cela se fait ; mais elle finit et finira éternellement par être la plus forte. Hommes rares à qui la nature a départi du génie et du courage, votre lot est assuré ; une longue mémoire, des bénédictions qui ne cesseront jamais. Hommes envieux, hommes ignorants, hommes hypocrites, hommes féroces, hommes lâches, le vôtre l’est aussi ; l’exécration des siècles vous attend, et vos noms ou seront oubliés ou ne seront jamais prononcés sans les épithètes que je vous donne ici. [CHAPITRE 21]
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P. 540. « L’intérêt du puissant commande plus impérieusement que la vérité aux opinions générales ». Je n’en crois rien. Mes amis, n’en croyez rien. Si vous le croyiez, vous seriez des insensés, de sacrifier votre repos, votre santé, votre vie à une recherche infructueuse. L’intérêt du puissant passe. L’empire de la vérité dure à jamais ; il faut que les mers soulevées couvrent la surface du globe ; il faut qu’elle soit dévorée par quelque déflagration générale ; il faut qu’elle reste, cette vérité, ou que tout périsse avec elle. Helvétius n’a raison qu’un instant ; il a tort à la suite des sièclesB pour lesquels vous travaillez. Il paraîtra ; il paraîtra un jour, parce que le temps amène tout ce qui est possible, et il est possible, l’homme juste, éclairé et puissant que vous attendez. Ces vérités enterrées dans les ouvrages des Gordon, des Sydney, des Machiavel, elles en sortent de tous côtés ; et il n’y a qu’un moment qu’ils écrivaient. Assurément elles seront employées par l’homme puissant dans les positions et les circonstances où les intérêts de sa | gloire le forceront d’en faire usage ; mais pourquoi A [« Le mérite tombe dans l’avilissement, la vérité dans le mépris. Que peut-elle alors en faveur de l’humanité ? » (p. 540).] B « il aura tort dans la suite des siècles ».
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Tuttavia, egli loda Caterina II che non ha mai avvicinato e i cui benefici non corruppero il suo giudizio. Ma egli era abbastanza buono da impadronirsi dei segni di bontà che ne aveva ricevuto, e farsene un dovere di riconoscenza personale. Helvétius amava teneramente i suoi compagni di studio. Non era un genio326 facile, ma era un bel genio, un grande pensatore e un uomo molto onesto. P. 539. «L’interesse illumina il sovrano sul merito. Una volta passati il pericolo e il bisogno, non lo distingue più». Non temo che mi si accusi di adulare i sovrani; ma Turenne, sepolto a Saint-Denis e le sue ceneri onorate dal sovrano; il vincitore dei Turchi nell’ultima guerra, Roumantsof327 colmato di gloria e di ricchezze dall’imperatrice di Russia; e molti altri, alzano la voce contro il rimprovero di Helvétius. Quindi, ciò di cui li accuserei più volentieri, non sarebbe d’ingratitudine, ma di aver spesso accordato al vizio e alla bassezza la stessa riconoscenza che all’eroismo e alla virtù, e di aver confuso l’uomo raro con il furfante. Mai il merito riconosciuto cade nello svilimento.A Si dimentica, ma non si svilisce Catinat.328 Si perseguita la virtù, ma non la si disprezza. La si teme. Che cosa può essa allora in favore dell’umanità? Con il tempo, tutto. Non so come ciò accada; ma la virtù finisce e finirà eternamente per essere la più forte. Uomini rari ai quali la natura ha distribuito del genio e del coraggio, il vostro premio è assicurato: una lunga memoria, delle benedizioni che non cesseranno mai. Uomini invidiosi, uomini ignoranti, uomini ipocriti, uomini feroci, uomini vili, il vostro premio lo è altrettanto. Il sommo disprezzo dei secoli vi attende e i vostri nomi saranno dimenticati o non saranno mai pronunciati senza gli epiteti che io vi attribuisco qui.329 [CAPITOLO 21]
P. 540. «L’interesse del potente domina più imperiosamente le opinioni generali rispetto alla verità».330 Non credo proprio. Amici miei, non credeteci proprio. Se voi lo credeste, sareste degli insensati a sacrificare la vostra quiete, la vostra salute, la vostra vita a una ricerca infruttuosa. L’interesse del potente passa. L’impero della verità dura per sempre. Bisogna che i mari sollevati coprano la superficie del globo, che essa sia divorata da qualche deflagrazione generale, bisogna che essa rimanga proprio questa stessa verità, o che tutto perisca con essa. Helvétius ha ragione solo per un attimo, ha torto al termine dei secoliB per i quali voi lavorate. Costui apparirà, apparirà un giorno, perché il tempo è causa di tutto ciò che è possibile; e possibile è anche l’uomo giusto, illuminato e potente che voi attendete.331 Quelle verità seppellite nelle opere dei Gordon, dei Sidney,332 dei Machiavelli, saltano fuori da tutte le parti e non è passato più di un momento da quando le scrivevano. Sicuramente esse saranno usate dall’uomo potente nei casi e nelle circostanze nelle quali gli interessi della sua gloria lo costringeranno a farne uso; ma perché l’imA [«Il merito cade nello svilimento, la verità nel disprezzo. Che cosa essa può fare, allora, in favore dell’umanità?» (p. 540)]. B «avrà torto nella successione dei secoli».
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l’impulsion de la bonté, de la justice, de l’humanité, fruits d’une heureuse nature ou d’une bonne institution, ne précéderait-elle, ne concourrait-elle, ne suivrait-elle pas la loi de la nécessité ? Pourquoi décourager les nations, pourquoi désoler les philosophes, en restreignant le nombre des causes de bonheur ? « C’est à la longue le puissant qui régit l’opinion ». Cela est-il bien vrai ? Un puissant se conduira comme si les droits de la propriété n’étaient rien, mais nous le fera-t-il jamais croire ? Celui qui dira au lion : Seigneur, en les dévorant vous leur faites beaucoup d’honneur, sera aussi scélérat, mais ne sera pas plus crédule que le renard de la fable. Le distributeur des honneurs, des richesses, des châtiments s’attache les personnes ; obtient des applaudissements ; mais il n’asservit pas même les âmes qu’il a corrompues. Si vous croyez que l’on s’honore du titre d’esclave, que l’on méprise sincèrement l’état d’homme libre, vous vous en rapportez aux grimaces d’un malheureux dont un mot romprait le fil qui tient le glaive suspendu sur sa tête. Je ne connais rien de plus contradictoire à vos principes que tout ce que vous avancez ici. Est-ce que l’esclave en faveur n’est pas sans cesse dans les transes du péril ? Estce que l’esclave opprimé n’est pas toujours souffrant ? Comment se peut-il faire que l’homme qui craint et l’homme qui souffre aient un vrai mépris pour l’homme qui ne craint ni ne souffre ? Vous avez pris l’inaction, le silence ou l’hypocrisie pour la véritable expression du sentiment, qui las, tôt ou tard, de sa contrainte, s’échappe par un coup de poignard qui fait ruisseler le sang noir du tyran. Si le monstre pouvait commander à l’opinion, il serait en sûreté. Et que prouvent les opinions religieuses que vous m’objectezA ? Il s’agit de l’homme, et vous me parlez de Dieu, d’un être fantastique, maître du juste et de l’injuste, dont j’adore les jugements et que je remercie des coups de fouet dont il me déchire, parce qu’ils sont le gage de sa commisération pour moi et presque l’assurance d’une félicité éternelle. Le tyran est un homme que je hais au fond de mon | cœur ; Dieu est un tyran auprès duquel je me fais un mérite de ma patience, et je me résigne. « Sans la force, que peut le bon sens ? » Tout avec le temps. Une erreur tombe et fait place à une erreur qui tombe encore. Mais une vérité qui naît, et une vérité qui lui succède, sont deux vérités qui restent. [CHAPITRE 23] P. 546. « L’intérêt est une carrière d’idées fines et grandes ». Oui, en prenant le mot intérêt dans son acception la plus générale. [CHAPITRE 24] P. 547. « L’intérêt dérobe à la connaissance du prêtre honnête homme l’atrocité de ses principesB ». Preuve qu’il faut plus d’étoffe qu’on ne croit pour être honnête homme. Le prêtre que je redoute le plus, ce n’est pas celui à qui son intérêt voile la cruauté de ses principes ; c’est celui qui ne s’en impose point ; et dont les actions sont conséquentes à des principes dictés par son intérêt avoué. A [« Quelles sont les opinions Ies plus généralement répandues ? Ce sont sans contredit les opinions religieuses. Or ce n’est ni la raison, ni la vérité, mais la violence qui les établit » (p. 242).] B [« L’intérêt dérobe à la connaissance du prêtre honnête homme les maux produits par le papisme ».]
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pulso della bontà, della giustizia, dell’umanità, frutti di una buona natura o di una buona istruzione, non dovrebbero precedere, non dovrebbero agire concordemente, non dovrebbero seguire la legge della necessità? Perché scoraggiare le nazioni, perché affliggere i filosofi, restringendo il numero delle cause della felicità? «Alla lunga è il potente che determina l’opinione». Questo è proprio vero? Un potente si comporterà come se i diritti di proprietà non fossero niente, ma riuscirà mai a farcelo credere? Colui che dirà al leone: ‘Signore, divorandoli, voi fate loro molto onore’,333 sarà altrettanto scellerato, ma non più credulo della volpe della favola. Colui che distribuisce onori, ricchezze e castighi, vincola a sé le persone, ottiene applausi, ma non asservisce le anime che ha corrotto. Se voi credete che ci si onori del titolo di schiavo, che si disprezzi sinceramente la condizione di uomo libero, vi riferite alle smorfie di un infelice, una sola parola del quale romperebbe il filo che tiene la spada sospesa sulla sua testa. Non conosco niente di più contraddittorio con i vostri principi di ciò che sostenete qui. Lo schiavo favorito non è forse continuamente inquieto per il pericolo? Lo schiavo oppresso non è forse sempre sofferente? Come può accadere che l’uomo che teme e l’uomo che soffre nutrano un vero disprezzo per l’uomo che non teme né soffre? Voi avete preso l’inazione, il silenzio, o l’ipocrisia, per la vera espressione del sentimento che, presto o tardi, stanco della sua costrizione, se ne libera con un colpo di pugnale che fa colare il nero sangue del tiranno.334 Se il mostro potesse dominare l’opinione, sarebbe in una condizione di sicurezza. E che cosa provano le opinioni religiose che mi obiettate?A Si tratta dell’uomo e voi mi parlate di Dio, di un essere fantastico, signore del giusto e dell’ingiusto, del quale adoro le sentenze e che ringrazio per i colpi di frusta coi quali mi strazia, perché essi sono la prova della sua commiserazione per me, e quasi l’assicurazione di una felicità eterna.335 Il tiranno è un uomo che io odio dal fondo del cuore; Dio è un tiranno rispetto al quale faccio della mia pazienza un merito, e mi rassegno. «Senza la forza, cosa può il buon senso?»336 Con il tempo, tutto. Un errore cade e lascia il posto a un errore che cade di nuovo. Ma una verità che nasce e una verità che le succede, sono due verità che permangono. [CAPITOLO 23]
P. 546. «L’interesse è una miniera di idee fini e grandi». Sì, prendendo la parola interesse nella sua accezione più generale. [CAPITOLO 24]
P. 547. «L’interesse nasconde al prete, uomo onesto, l’atrocità dei suoi principi».B È la prova che occorre più stoffa di quanto non si creda, per essere un uomo onesto. Il prete che temo di più, non è quello al quale l’interesse nasconde la crudeltà dei suoi principi. È colui che non se ne impone nessuno e le cui azioni sono coerenti con i principi dettati dal suo interesse dichiarato. A [Quali sono le opinioni più generalmente diffuse? Sono, senza dubbio, le opinioni religiose. Ora, a instaurarle non è né la ragione, né la verità, ma la violenza» (p. 542)]. B [«L’interesse nasconde al prete, uomo onesto, i mali prodotti dal papismo»].
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La religion empêche les hommes de voir, parce qu’elle leur défend, sous des peines éternelles, de regarder.A S’il y a un enfer, dans l’autre monde, les damnés y voient Dieu, comme les esclaves voient leur maître dans celui-ci. S’ils pouvaient le tuer, ils le tueraient. [CHAPITRE 30] P. 580. Je n’aime pas cette distinction frivole de la religion de Jésus-Christ et de la religion du prêtre. | Dans le fait, c’est la même, et il n’y a pas un prêtre qui n’en convînt. B
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[CHAPITRE 31] P. 582.C Aussi n’y a-t-il point de prêtre qui ne dise que la tolérance ou l’indifférence en religion, c’est la même chose sous deux noms différents ; et je crois qu’il n’y a guère de philosophes qui le niassent. [Note 5] P. 594. Presque toutes les disputes théologiques cessent au moment où elles ne donnent aucune préférence aux dignités de l’Église. Si lorsqu’on dit au monarque : Sire, il est janséniste ; Sire, il est moliniste ; le monarque répondait : Mais a-t-il des mœurs ? est-il éclairé ? Je lui donne cette abbaye ; rien n’empêche que je ne le nomme à cet épiscopat vacant, ce n’est pas le public, c’est le théologien même qui jetterait du mépris sur l’objet de la dispute. Il n’en serait plus question que dans les thèses insignifiantes du bachelier. D
[Note 9] 633
P. 595. Si Poniatowski eût imité Trajan, il se serait | comblé de gloire dans toute l’Europe ; il eût été l’idole de son pays, et sa conduite généreuse aurait étrangement E
A [« L’amour des Magistrats pour le prince n’est pas douteux : mais il est douteux que cet amour ait été en eux assez éclairé. Leurs yeux se font longtemps fermés la lumière. S’ils s’ouvrent un jour, ils apercevront que la tolérance seule peut assurer la vie des monarques qu’ils chérissent » (p. 550).] B [« ...s’il est vrai, comme j’ai dit ci-dessus : que tout homme ou moins tout corps soit ambitieux ; | Que l’ambition soit en lui vertu ou ce selon les moyens divers par lesquels la satisfait ; Que ceux employés par l’Eglise soient toujours destructifs du bonheur des nations ; | Que sa grandeur fondée sur l’intolérance doive appauvrir les peuples, avilir les magistrats, exposer la vie des souverains, et qu’enfin jamais l’intérêt du sacerdoce ne puisse se confondre avec l’ intérêt public : | On doit conclure de ces faits divers que la Religion , (non cette religion douce et tolérante établie par Jésus-Christ), mais celle du prêtre, celle au nom de laquelle il se déclare vengeur de la divinité, et prétend au droit de brûler et de persécuter les hommes, est une religion de discorde et de sang, une religion régicide, et sur laquelle un clergé ambitieux pourra toujours établir les droits horribles dont il a si souvent fait usage » (p. 580-581).] C « La tolérance soumet le prêtre au prince ; l’intolérance soumet le prince au prêtre ». D [« Les princes sont-ils indifférents aux disputes théologiques ? Les orgueilleux docteurs, après s’être dit bien des injures, s’ennuient d’écrire sans être lus. Le mépris public leur impose silence ».] E [« Trajan croit-il le gouvernement républicain préférable au monarchique ? il offre de changer la forme de gouvernement : il offre la liberté aux Romains et la leur aurait rendue
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La religione impedisce agli uomini di vedere, perché impedisce loro, sotto la minaccia delle pene eterne, di guardare.A Se c’è un inferno, nell’altro mondo, i dannati vi vedono Dio come gli schiavi vedono il loro padrone in questo. Se lo potessero uccidere, lo ucciderebbero. [CAPITOLO 30]
P. 580.B Non mi piace questa distinzione frivola tra la religione di Gesù Cristo e la religione del prete. Nei fatti, è la stessa e non c’è un prete che non ne convenga. [CAPITOLO 31]
P. 582. Allo stesso modo non c’è prete che non dica che la tolleranza o l’indifferenza in materia di religione siano la stessa cosa sotto due nomi diversi e credo che non ci sia quasi filosofo che lo negherebbe.337 C
[Nota 5] P. 594. Quasi tutte le dispute teologiche cessano nel momento in cui non danno alcun vantaggio ai dignitari della Chiesa. Se quando si dice al monarca: ‘Sire, lui è giansenista. Sire, lui è molinista’, il monarca rispondesse: ‘Ma ha dei costumi onesti? È illuminato? Gli concedo quest’abbazia; non c’è niente che impedisca che lo nomini a questo episcopato vacante’, non è il pubblico, ma il teologo stesso che manifesterebbe disprezzo verso l’oggetto della disputa. Non se ne farà più questione, se non nelle tesi insignificanti dei baccellieri. D
[Nota 9] P. 595. Se Poniatowski avesse imitato Traiano, si sarebbe coperto di gloria in tutta Europa. Sarebbe stato l’idolo del suo paese e la sua condotta generosa avrebbe stranaE
A [Non si può dubitare dell’amore dei magistrati per il principe, ma si può dubitare che quest’amore sia in loro abbastanza illuminato. I loro occhi si sono chiusi a lungo alla luce. Se si aprissero, un giorno, si accorgerebbero che solo la tolleranza può assicurare la vita ai sovrani ai quali sono affezionati» (p. 550)]. B [«... se è vero, come ho detto sopra, che ogni uomo o quanto meno ogni corpo sia ambizioso, che l’ambizione sia in lui virtù o vizio in relazione ai diversi modi in cui la soddisfa, che quelli utilizzati dalla Chiesa siano sempre distruttivi della felicità delle nazioni, che la grandezza fondata sull’intolleranza debba impoverire i popoli, avvilire i magistrati, mettere a repentaglio la vita dei sovrani, e infine che mai l’interesse del sacerdozio possa confondersi con l’interesse pubblico, si deve concludere da questi diversi fatti che la religione (non quella religione dolce e tollerante stabilita da Gesù Cristo, ma quella del prete, quella in nome della quale egli si dichiara vendicatore della Divinità, e pretende il diritto di bruciare e di perseguitare gli uomini) è una religione di discordia e di sangue, una religione regicida, sulla quale un clero ambizioso potrà sempre fondare i diritti orribili dei quali ha spesso fatto uso» (pp. 580-581)]. C «La tolleranza sottomette il prete al principe, l’intolleranza sottomette il principe al prete». D [«I principi sono indifferenti alle dispute teologiche? Dopo essersi lanciati ingiurie, i dottori orgogliosi si annoiano a scrivere senza essere letti. Il disprezzo pubblico impone loro il silenzio»]. E [«Traiano ritiene il governo repubblicano preferibile a quello monarchico? Offre la possibilità di cambiare la forma di governo: offre la libertà ai Romani e gliela avrebbe restituita se aves-
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déconcerté les puissances copartageantes de la Pologne. Il fallait assembler une diète, prendre le sceptre et la couronne, les déposer et dire : Si vous en connaissez un plus digne que moi de régner sur vous, nommez-le. Ou il eût obtenu d’un consentement unanime de la nation, une autorité qu’il abdiquait, ou il eût laissé à un autre le soin de sauver la patrie du péril qui la menaçait. [SECTION X CHAPITRE 2]
P. 620.A Je trouve ici un passage cité de Lucien, dont il n’y a pas le premier mot dans cet auteur. Mais de Lucien, ou d’un autre, ou même de moi, je ne l’en estime pas moins. Jupiter se met à table ; il plaisante sa femme ; il adresse des mots équivoques à Vénus ; il regarde tendrement Hébé ; il claque la fesse à Ganymède ; il fait remplir sa coupe. Tandis qu’il boit, il entend des cris s’élever des différentes contrées de la terre : les cris redoublent, il en est importuné ; il se lève d’impatience ; il ouvre la trappe de la voûte céleste et dit : La peste en Asie, la guerre en Europe, la famine en Afrique, de la grêle ici, une tempête ailleurs, un volcan ; puis il referme sa trappe, se remet à table, s’enivre, se couche, s’endort, et il appelle cela gouverner le monde. Un des représentants de Jupiter sur la terre se lève, prépare lui-même son chocolat et son café, signe des ordres sans les avoir lus, ordonne une chasse, revient de la forêt, se déshabille, se met à table, s’enivre comme Jupiter, ou comme un portefaix ; s’endort sur le même oreiller que sa maîtresse, et il appelle cela gouverner son empire. | [CHAPITRE 3]
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P. 626. « L’émulation est un des principaux avantages de l’éducation publique sur l’éducation domestique ». J’ai passé les premières années de ma vie dans les écoles publiques, et j’ai vu quatre ou cinq élèves, supérieurs à tous les autres, se succéder pendant le cours entier de l’année, dans les places d’honneur, et décourager le reste de la classe. J’ai vu tous les soins du professeur se concentrer dans ce petit nombre de sujets d’élite, et tous les autres enfants négligés. J’ai vu ces cinq ou six sujets merveilleux occupés, pendant six ou sept ans, de l’étude des langues anciennes qu’ils n’ont point apprises. Je les ai vus tous sortir des collèges sots, ignorants et corrompus. Je les ai vus passer successivement sous six professeurs, dont chacun avait sa manière d’enseigner.
s’ils eussent voulu l’accepter. Une telle action mérite sans doute de grands éloges. Elle a frappé l’univers d’admiration. Mais est-elle aussi surnaturelle qu’on l’imagine ? Ne sent-on pas qu’en brisant les fers des Romains Trajan conservait la plus grande autorité sur un peuple affranchi par sa générosité ; qu’il eût alors tenu de l’amour et de la reconnaissance presque tout le pouvoir qu’il devait à la force de ses armées. Or quoi de plus flatteur que le premier de ces pouvoirs ! Peu de princes ont imité Trajan. Peu d’hommes ont fait à l’intérêt général le sacrifice apparent de leur autorité particulière : j’en conviens. Mais leur excessif amour du despotisme est quelquefois en eux moins l’effet d’un défaut de vertu que d’un défaut de lumière ».] A [« “Un roi né sur le trône en est rarement digne’’ Dit un poète français ».]
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mente sconcertato le potenze che si contendevano la Polonia.338 Bisognava riunire una dieta, prendere lo scettro e la corona, deporli e dire: ‘Se voi conoscete uno più degno di me di regnare, nominatelo’. O avrebbe ottenuto il consenso unanime della nazione, un’autorità alla quale lui abdicava, o avrebbe lasciato a un altro la preoccupazione di salvare la patria dal pericolo che la minacciava.339 [SEZIONE X CAPITOLO 2]
P. 620.A Trovo qui un passo citato da Luciano, del quale non c’è nemmeno la prima parola in questo autore.340 Ma sia di Luciano, o di un altro, o anche mio, non lo stimo per questo di meno. Giove si mette a tavola, prende in giro sua moglie, rivolge a Venere delle parole equivoche, guarda Ebe teneramente, dà una pacca sul sedere a Ganimede, si fa riempire la coppa; mentre beve, sente levarsi della grida dai diversi paesi della terra. Le grida si intensificano. Ne è infastidito. Si alza per l’impazienza, apre la botola della volta celeste e dice: ‘La peste in Asia, la guerra in Europa, la carestia in Africa, la grandine qui, una tempesta là, altrove un vulcano’. Poi richiude la botola, si rimette a tavola, si ubriaca, si corica, si addormenta e chiama tutto questo governare il mondo.341 Uno dei rappresentanti di Giove in terra, si alza, si prepara da solo il cioccolato o il caffé,342 firma degli ordini senza averli letti, dispone una caccia, ritorna dalla foresta, si spoglia, si mette a tavola, si ubriaca come Giove o come un furfante, si addormenta sullo stesso cucino della sua amante e chiama ciò governare il suo impero. [CAPITOLO 3]
P. 626. «L’emulazione è uno dei principali vantaggi dell’educazione pubblica rispetto all’educazione privata». Ho passato i primi anni della mia vita nelle scuole pubbliche e ho visto quattro o cinque allievi, superiori a tutti gli altri, succedersi durante il corso dell’intero anno ai posti d’onore, e scoraggiare il resto della classe. Ho visto tutte le cure del professore concentrarsi su questo piccolo numero di soggetti d’élite, e tutti gli altri bambini trascurati. Ho visto cinque o sei soggetti meravigliosi, impegnati per sei o sette anni nello studio delle lingue antiche che non avevano affatto imparato. Li ho visti uscire tutti dal collegio stupidi, ignoranti e corrotti. Li ho visti passare successivamente sotto la guida di sei professori, ciascuno dei quali aveva il suo metodo d’insegnamento. sero voluto accettarla. Una tale azione merita senza dubbio dei grandi elogi. Ha sbalordito l’universo. Ma essa è così straordinaria come la si immagina? Non ci si accorge che spezzando le catene dei Romani Traiano conservava l’autorità più grande su un popolo affrancato grazie alla sua generosità e che avrebbe mantenuto, grazie all’amore e alla riconoscenza, tutto il potere che doveva alla forza dei suoi eserciti. Ora, cosa c’è di più lusinghiero del primo di questi poteri! Pochi principi hanno imitato Traiano. Pochi uomini, in favore dell’interesse generale, hanno fatto sacrificio della propria autorità privata. Ne convengo. Ma il loro eccessivo amore per il dispotismo è in loro, talvolta, meno l’effetto di una mancanza di virtù che di una mancanza di lumi»]. A [«“Un re nato sul trono raramente ne è degno.” Disse un poeta francese»].
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J’ai vu l’instruction générale des élèves négligée, pour en préparer deux ou trois à des actes publics. J’ai vu cette règle, inflexible pour les enfants des pauvres, se prêter à toutes les petites fantaisies des enfants des riches. J’ai vu les enfants de ces derniers aller chercher deux fois la semaine, dans la maison paternelle, le dégoût des études et le répandre parmi leurs camarades. Et je me suis écrié : Malheur au père qui peut faire élever son enfant à côté de lui et qui l’envoie dans une école publique. Que reste-t-il dans le monde, de cette institution de collège ? Rien. Les connaissances qui distinguent dans les lettres quelques hommes élevés dans les collèges, où les ont-ils puisées ? À qui les doivent-ils ? À leurs études particulières. Combien de fois n’ont-ils pas regretté, dans leur cabinet, le temps qu’ils avaient perdu sur les bancs d’une école ? Que faire donc ? Changer, du commencement jusqu’à la fin, la méthode de l’enseignement public. Ensuite ? Ensuite, quand on est riche, élever son enfant chez soi. L’éducation des Grecs et des Romains se faisait dans la maison, et cette éducation en valait bien une autre. | Il serait bien singulier que tous les soins d’un instituteur, rassemblés sur un seul enfant, lui profitassent moins que les mêmes soins partagés entre cet enfant et une centaine d’autres. Je n’approuve le couvent pour les filles, que quand les mères sont malhonnêtes. Je n’approuve le collège pour les garçons, que quand les pères donnent mille écus à un bon cocher, deux mille écus à un bon cuisinier, et veulent un homme de mérite pour cinq cents francs. [CHAPITRE 4] P. 631. L’éducation physique n’est point négligée à Pétersbourg. Le spectacle en est effrayant, et l’idée qu’on en donne dans l’ouvrage intitulé Plans et règlements des différents établissements de Sa Majesté impériale, etc., est fidèle. A
[CHAPITRE 6] P. 637 « Je veux faire de mon fils un Tartini* ». J’approuve votre dessein. Mais votre fils a-t-il de l’oreille ? a-t-il de la sensibilité ? a-til de l’imagination ? S’il manque de ces qualités que tous les maîtres du monde ne lui donneront pas, faites-en tout ce qu’il vous plaira, mais non pas un Tartini. Mille, deux mille violons ont passé les jours et les nuits les doigts sur les cordes de l’instrument, et ne sont pas devenus des Tartini. Mille, deux mille ont eu le crayon à la main dès l’enfance, et il n’y a encore qu’un Raphaël. Il est bien extraordinaire que jusqu’à présent il n’y ait eu que ce hasard.B Mon cher philosophe, voilà votre folie qui vous reprend. A
« L’éducation physique est négligée chez presque tous les peuples européens ». * « Célèbre violon d’Italie » (Note d’Helvétius). B [« C’est tout ce qu’une excellente éducation peut en faveur d’un jeune Peinte. C’est au désir plus ou moins vif de s’illustrer qu’il doit ensuite ses progrès. Or le hasard influe beaucoup sur la force de ce désir. Une louange donnée au moment que l’élève crayonne un trait hardi, suffit quelquefois pour éveiller en lui l’amour de la gloire, et le douer de cette opiniâtreté d’attention qui produit les grands talents » (p. 639).]
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Ho visto l’istruzione generale degli allievi trascurata, per prepararne due o tre a qualche atto pubblico. Ho visto questa regola, inflessibile per i bambini dei poveri, cedere a tutti i piccoli capricci dei bambini dei ricchi. Ho visto i bambini di questi ultimi andare a cercare nella casa paterna, due volte alla settimana, il disgusto per gli studi e diffonderlo tra i loro compagni. E ho esclamato: ‘Guai al padre che ha la possibilità di far educare suo figlio accanto a sé e che lo manda in una scuola pubblica’. Che cosa resta, nel mondo, di questa istituzione che è il collegio? Niente. Le conoscenze che procurano distinzione, nelle lettere, ad alcuni uomini educati nei collegi, da dove le hanno tratte? A chi le devono? Ai loro studi privati. Quante volte non hanno rimpianto, alla loro scrivania, il tempo che avevano perso sui banchi di una scuola? Che fare allora? Cambiare da cima a fondo il metodo dell’insegnamento pubblico. Poi? Poi, quando si è ricchi, educare il proprio figlio a casa propria. L’educazione dei Greci e dei Romani si faceva in casa; e quest’educazione ne valeva certamente altre. Sarebbe assai singolare che tutte le cure di un istitutore, concentrate su un unico bambino, gli giovassero meno delle stesse cure divise tra questo bambino e un centinaio d’altri. Non approvo i conventi per le ragazze, se non quando le madri sono disoneste. Non approvo il collegio per i ragazzi, se non quando i padri danno mille scudi a un buon cocchiere, duemila scudi a un buon cuoco,343 e vogliono un uomo di merito per cinquecento franchi. [CAPITOLO 4]
P. 631. L’educazione fisica non è per niente trascurata a Pietroburgo. Lo spettacolo è spaventoso e l’idea che se ne dà nell’opera intitolata Piani e regolamenti delle diverse istituzioni di sua Maestà Imperiale,344 ecc., è fedele. A
[CAPITOLO 6]
P. 637. «Voglio fare di mio figlio un Tartini*». Approvo il vostro progetto. Ma vostro figlio ha orecchio? Ha sensibilità? Ha immaginazione? Se manca di queste qualità, che nessun maestro al mondo gli potrà dare, fatene tutto ciò che vorrete, ma non un Tartini. Mille, duemila violinisti hanno passato notti e giorni con le dita sulle corde dello strumento e non sono diventati dei Tartini. Mille, duemila hanno avuto la matita in mano, sin dall’infanzia, e c’è ancora un solo Raffaello. È straordinario che fino a oggi si sia avuto solo questo caso.B Mio caro filosofo, ecco la vostra follia che vi prende di nuovo. A
«L’educazione fisica è trascurata presso quasi tutti i popoli europei». * «Celebre violino d’Italia» [nota di Helvétius]. B [«È tutto ciò che un’eccellente educazione può ottenere in favore di un giovane pittore. È al desiderio più o meno vivo di rendersi celebre che deve poi i suoi progressi. Ora, il caso influisce molto sulla forza di quel desiderio. Un elogio concesso nel momento in cui l’allievo abbozza un tratto ardito basta, talvolta a risvegliare in lui l’amore per la gloria e a dotarlo di quella caparbietà d’attenzione che produce i grandi talenti» (p. 639)].
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P. 641.A Le même homme de jugement, M. Rivard, qui | introduisit dans nos écoles publiques l’étude des mathématiques et substitua les questions à l’argumentation, s’était proposé d’enseigner, à la place de la mauvaise morale scolastique, de bons éléments du droit public et du droit civil ; la chose allait s’exécuter, lorsque la faculté de droit intervint, prétendant qu’on empiétait sur son district. Qu’en arriva-t-il ? Que le droit public et le droit des gens ne furent enseignés ni dans nos collèges, ni sur les bancs de la faculté. [CHAPITRE 9] P. 671. « Si mon fils apprend par l’usage du monde que les principes que je lui ai donnés dans la jeunesse ferment la voie aux honneurs et à la richesse, il y a cent à parier contre un qu’il ne verra dans moi qu’un radoteur absurde, qu’un fanatique austère, qu’il méprisera ma personne, que son mépris pour moi réfléchira sur mes maximes, et qu’il s’abandonnera à tous les vices autorisés par la forme du gouvernement et les mœurs du tempsB ». En vers, je vous passerais ces exagérations ; en prose, je ne saurais. Lorsqu’un enfant bien élevé s’aperçoit que les préceptes de son père sont incompatibles avec les moyens usités d’arriver aux honneurs et d’acquérir de la richesse, il se trouve, d’abord, comme Hercule au coin de la forêt, incertain sur le chemin qu’il suivra. Peu à peu la corruption générale le gagne ; il oublie les leçons vertueuses qu’il a reçues ; il s’abandonne au torrent ; il connaît le bien, il l’approuve, il fait le mal ; mais au milieu du désordre, il respecte son père ; c’est toujours pour lui, non pas un radoteur absurde, mais un homme de bien, qu’il n’a pas la force d’imiter : il n’en vient jamais ni au mépris de sa personne, ni au dédain de ses principes. Il ne s’applaudit point lui-même de ses vices ; mais il s’en excuse en disant qu’il faut hurler avec les loups. Seulement, le chemin dans la carrière de la dépravation se fait plus ou moins rapidement, selon les circonstances et le caractère.
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P. 674. « La louange des hommes magnanimes est dans la bouche de tous, et dans le cœur d’aucun ». Je crois qu’elle est dans la bouche et dans le cœur de | tous ; parce que rien n’est plus commun que la pratique du vice, après l’éloge le plus sincère de la vertu. P. 675. « Sous le despotisme, les conseils d’un père à son fils se réduisent à cette phrase effrayante. Mon fils, sois bas, rampant, sans vertus, sans vues, sans talent, sans caractère ; sois ce que la Cour veut que tu sois, et chaque instant de la vie souviens-toi que tu es esclave ». En quelque lieu du monde, sous quelque gouvernement que ce soit, je ne crois pas qu’un père ait jamais rien fait entendre de pareil à son fils. Il lui recommandera la circonspection, mais non la bassesse. S’il avait un instituteur à lui donner, je ne sais s’il confierait son éducation à un homme courageusement vertueux ; mais je suis bien sûr que s’il s’adressait à son ami le plus intime, il ne lui dirait pas : Ne connaîtriez-vous point quelque homme d’esprit, rompu au manège des cours, qui pût en inspirer les vraies maximes à mon fils et le rendre bien faux, bien vil, bien hypocrite, en un mot tout ce que vous savez qu’il faut être pour faire son chemin. A
« Point d’écoles publiques où l’on enseigne la science de la morale ». « et les mœurs de ses compatriotes ».
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P. 641.A Lo stesso uomo di giudizio, il signor Rivard,345 che introdusse nelle nostre scuole pubbliche lo studio della matematica e sostituì i problemi all’argomentazione, s’era riproposto d’insegnare, al posto della cattiva morale scolastica, dei buoni elementi di diritto pubblico e di diritto civile. La cosa si stava per realizzare, quando la facoltà di diritto intervenne, pretendendo che si stesse sconfinando nel suo ambito. Che cosa accadde? Che il diritto pubblico e il diritto delle genti non furono insegnati né nei nostri collegi, né sui banchi della facoltà. [CAPITOLO 9]
p. 671. «Se mio figlio apprende, secondo la consuetudine mondana, che i principi che gli ho dato in gioventù sbarrano la strada agli onori e alla ricchezza, si può scommettere cento a uno che non vedrà in me altro che uno stupido rimbambito, un fanatico austero, disprezzerà la mia persona, il suo disprezzo per me si rifletterà sulle mie massime e si abbandonerà a tutti i vizi autorizzati dalla forma di governo e dai costumi del tempo».B In versi, vi lascerei passare queste esagerazioni, in prosa non riesco a farlo. Quando un bambino ben educato si accorge che i precetti di suo padre sono incompatibili coi modi usuali per arrivare agli onori e per guadagnare delle ricchezze, si trova, innanzitutto, come Ercole al bivio della foresta, incerto sul cammino che seguirà.346 Poco a poco la corruzione generale lo vince, dimentica le lezioni virtuose che ha ricevuto, si abbandona al torrente, conosce il bene, l’approva, e fa il male,347 ma al centro della confusione, rispetta suo padre: per lui è sempre non uno stupido rimbambito, ma un uomo dabbene, che egli non ha la forza di imitare. Non arriva mai né al disprezzo della sua persona, né al disprezzo dei suoi principi. Non si applaude da solo per i suoi vizi, ma se ne scusa, dicendo che si deve ululare coi lupi. Solo che il cammino nel suo percorso di depravazione è più o meno rapido, a seconda delle circostanze e del carattere. P. 674. «La lode degli uomini magnanimi è sulla bocca di tutti e nel cuore di nessuno». Io credo che essa sia sulla bocca e nel cuore di tutti, perché niente è più comune della pratica del vizio, dopo l’elogio più sincero della virtù. P. 675. «Sotto il dispotismo, i consigli di un padre a suo figlio si riducono a questa frase spaventosa. ‘Figlio mio, sii basso, strisciante, senza virtù, senza progetti, senza talento, senza carattere; sii ciò che la Corte vuole che tu sia e in ogni istante della vita, ricordati che sei schiavo’». In qualsiasi luogo del mondo, sotto qualsiasi governo, io non credo che un padre abbia mai fatto udire qualcosa di simile a suo figlio. Gli raccomanderà la circospezione, ma non la bassezza. Se dovesse dargli un istitutore, non so se affiderebbe la sua educazione a un uomo coraggiosamente virtuoso; ma sono ben certo che se si rivolgesse al suo amico più intimo, non gli direbbe: ‘Non conoscete voi qualche uomo di spirito, avvezzo al maneggio delle corti, che possa ispirarne le vere massime a mio figlio e renderlo ben falso, ben vile, ben ipocrita, in una parola: tutto ciò che voi sapete che occorre essere per fare strada?’ A
«Non ci sono scuole pubbliche in cui s’insegni la scienza della morale». «e dai costumi dei suoi compatrioti».
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Je ne sais pas si le Maillebois a des enfants ; mais s’il en a, je gage que c’est un homme de bien qui les élève ; je gage que s’il entendait cet homme leur tenir le langage que vous prétendez qu’un père tient à son fils,A il ne lui épargnerait pas les épithètes de malheureux, de gueux et de scélérat, et qu’il ne le souffrirait pas un quart d’heure dans son hôtel. Je gage que si cet instituteur leur avait inspiré le patriotisme, la frugalité, une probité mâle, il n’aurait jamais l’imprudence de lui dire : J’espérais que mes fils deviendraient à côté de moi des courtisans adroits, et tu ne m’en as fait que des héros et des hommes vertueux. | [CHAPITRE 10]
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P. 679. « Quelques hommes illustres ont jeté de grandes lumières sur l’éducation ; et cependant elle est restée la même ». Ce n’a été ni l’effet de la méchanceté, ni celui de la pusillanimité de ceux qui pouvaient et devaient la réintégrer, à l’expulsion de nos mauvais instituteurs ! C’est une conséquence de leur imbécillité. Ils regardèrent les idées des réformateurs comme des chimères ; et ils se prêtèrent à une vieille routine qu’ils regardèrent comme la meilleure. Tâchons de ne pas voir les hommes plus hideux qu’ils ne le sont. Le stupide croit que tout est bien comme il est. P. 680.B Ici le philosophe Helvétius fait aux hommes courageux et éclairés la même exhortation que je leur ai faite ailleurs. [RÉCAPITULATION SECTION II]
P. 697. « Comparer, c’est voir alternativement » ; ne serait-ce pas plutôt voir ensemble ? [CHAPITRE 1]C P. 724. « L’esprit n’est que l’assemblage de nos idées ; les idées viennent par les sens ; donc l’esprit n’est qu’une acquisition ». A [« Je veux qu’un Lacédémonien eût du tems de Xerxès été-nommé instituteur d’un seigneur persan. Que fut-il arrivé ? qu’élevé dans les principes du patriotisme & d’une frugalité austère, le jeune homme odieux à ses compatriotes, eût par sa probité mâle et courageuse, mis des obstacles à sa fortune. Ô Grec, trop durement vertueux, se fût alors écrié-le père, qu’as-tu fais de mon fils ! tu l’as perdu. Je désirais en lui cette médiocrité d’esprit, ces vertus molles et flexibles auxquelles on donne en Perse les noms de sagesse, d’esprit de conduite, d’usage du monde etc. Ce sont de beaux noms, diras-tu, sous lesquels la Perse déguise les vices accrédités dans son gouvernement. Soit. Je voulais le bonheur et la fortune de mon fils : son indigence , ou sa richesse ; sa vie ou sa mort dépend du prince : tu le sais : il fallait donc en faire un courtisan adroit ; et tu n’en as fait qu’un héros et un homme vertueux » (p. 675-676)]. B [« Qu’une idée si flatteuse encourage les philosophes à l’étude de la Science de l’éducation. S’il est une recherche digne d’un citoyen vertueux, c’est celle des vérités dont la connaissance peut être un jour si utile à l’humanité. Quel espoir consolant dans ses travaux que celui du bonheur de la postérité ! Les découvertes des philosophes sont en ce genre autant de germes qui déposés dans les bons esprits n’attendent qu’un événement qui les féconde, et tôt ou tard cet événement arrive ».] C « De l’analogie des opinions de l’auteur avec celles de Locke ».
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Non so se Maillebois348 ha dei figli, ma se ne ha, scommetto che è un uomo dabbene che li educa. Scommetto che se udisse quest’uomo tener loro il discorso che voi pretendete che un padre tenga a suo figlio,A non gli risparmierebbe gli epiteti d’infelice, di pezzente e di scellerato, e non lo sopporterebbe un quarto d’ora nel suo palazzo. Scommetto che, se quest’istitutore avesse ispirato loro il patriottismo, la frugalità, una probità virile, egli non avrebbe mai l’impudenza di dirgli: ‘Speravo che i miei figli diventassero, al tuo fianco, degli abili cortigiani e tu me ne hai fatto degli eroi e degli uomini virtuosi’. [CAPITOLO 10]
P. 679. «Alcuni uomini illustri hanno gettato grandi lumi sull’educazione e tuttavia essa è rimasta identica». Ciò non è stato né per l’effetto della cattiveria, né per la pusillanimità di coloro che potevano e dovevano reintegrarla, al momento dell’espulsione dei nostri cattivi istitutori!349 È una conseguenza della loro imbecillità. Guardano le idee dei riformatori come delle chimere e si prestano a una vecchia routine che considerano come la migliore. Cerchiamo di non vedere gli uomini più brutti di quello che sono. Lo stupido crede che tutto è bene così com’è. P. 680.B Qui il filosofo Helvétius fa agli uomini coraggiosi e illuminati la stessa esortazione che io gli ho fatto altrove.350 [RICAPITOLAZIONE SEZIONE II]
P. 697. «Comparare è vedere alternativamente»; non sarà piuttosto vedere insieme?351 [CAPITOLO I]C
P. 724. «Lo spirito non è che l’assemblaggio delle nostre idee; le idee vengono dai sensi; quindi lo spirito non è altro che un’acquisizione». A [«Mi figuro che uno spartano venisse nominato, al tempo di Serse, istitutore di un signore persiano. Che cosa sarebbe accaduto? che educato nei principi di patriottismo e di una frugalità austera, il giovane uomo, odioso a tutti i suoi compatrioti, avrebbe, a causa della sua probità maschia e coraggiosa, incontrato degli ostacoli alla sua fortuna. ‘O Greco, troppo duramente virtuoso, avrebbe allora esclamato il padre, che cosa hai fatto di mio figlio? Me l’hai rovinato. Io desideravo in lui quella mediocrità di spirito, quelle virtù molli e flessibili alle quali in Persia si dà il nome di saggezza, di spirito, di condotta, di pratica del mondo, ecc. Sono bei nomi, dirai tu, sotto i quali la Persia traveste i vizi accreditati sotto il suo governo. Sia come dici. Io volevo la felicità e la fortuna di mio figlio: la sua indigenza, o la sua ricchezza, la sua vita o la sua morte dipendono dal principe. Lo capisci: occorreva quindi farne un abile cortigiano, e tu non ne hai fatto che un eroe e un uomo virtuoso’» (pp. 675-676)]. B [«Che un’idea così lusinghiera incoraggi i filosofi allo studio delle scienze dell’educazione. Se vi è una ricerca degna di un cittadino virtuoso, si tratta di quella delle verità la cui conoscenza può essere un giorno tanto utile all’umanità. Che speranza consolante, durante le sue fatiche, è quella della felicità della posterità! Le scoperte dei filosofi sono, in questo genere, dei germi che deposti nei buoni spiriti non attendono altro che un avvenimento che le fecondi. E presto o tardi quest’avvenimento arriva»]. C «Dell’analogia delle opinioni dell’autore con quelle di Locke».
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Oui, mais une acquisition que tous ne sont pas en état de faire. | Ibid. « L’attribuer à l’organisation, sans pouvoir nommer son organe ; c’est rappeler les qualités occultes ». Peut-être. Mais on le nomme. C’est la tête. « L’expérience et l’histoire nous apprennent que l’esprit est indépendant de la plus ou moins grande finesse des sens ». – Je ne sais jusqu’où cela est vrai. – « Les hommes de constitution différente sont susceptibles des mêmes passions ». – Cela est faux de tout côté. On ne donne pas toutes les passions. On naît colère ; on naît insensible ; on naît brutal ; on naît tendre, et les circonstances excitent ces passions dans l’homme ; et quand elles seraient communes à tous les hommes ; ils ne les auraient point au même degré. L’éducation fait beaucoup, mais ne fait ni ne peut tout faire.A Ayez dix enfants à rendre discrets et prudents. Ils seront certainement tous moins indiscrets et moins imprudents que si l’on ne s’était pas appliqué à cultiver en eux cette vertu. Mais il y en aura peut-être un ou deux sur qui l’éducation ne fera rien ou fort peu de chose. P. 726.B Si la justice de la terre châtie également des machines dissemblables, c’est qu’elle ne saurait ni apprécier ni tenir état de ces dissemblances. Ibid.C Toute vertu est de précepte ; parce qu’il ne s’agit pas de donner des penchants louables, mais d’empêcher de commettre des actions mauvaises.
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[« Les principes de Locke [...] prouvent que l’éducation nous fait ce que nous sommes ».] « Si l’esprit, le caractère et les passions des hommes dépendaient de l’inégale perfection de leurs organes, et que chaque individu fût une machine différente, comment la justice du Ciel ou même celle de la terre exigerait-elle les mêmes effets de machines dissemblables ? » C [« Si la probité fine & délicate est de précepte, et si cette espèce de probité suppose souvent de grandes lumières, il faut donc que tous les hommes communément bien organisés soient doués par la divinité d’une égale aptitude à l’esprit ».] B
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Sì, ma un’acquisizione che non tutti sono in grado di fare. Ibid. «Attribuirlo all’organizzazione, senza poter fare il nome del suo organo, è resuscitare le qualità occulte». Forse. Ma se ne fa il nome. È la testa. «L’esperienza e la storia ci insegnano che lo spirito è indipendente dalla finezza più o meno grande dei sensi». – Non so fino a che punto ciò sia vero – «Gli uomini di costituzione differente sono suscettibili delle stesse passioni» – Ciò è falso da tutti i punti di vista. Non si possono dare tutte le passioni. Si nasce collerico, si nasce insensibile, si nasce brutale, si nasce tenero, e le circostanze stimolano queste passioni nell’uomo. E quand’anche fossero comuni a tutti gli uomini, questi non le avrebbero affatto allo stesso grado? L’educazione fa molto, ma non fa, né può fare tutto.A Prendete dieci bambini da rendere discreti e prudenti. Essi saranno certamente tutti meno indiscreti e meno imprudenti che se non ci si fosse applicati a coltivare in loro questa virtù. Ma ce ne saranno forse uno o due sui quali l’educazione non farà niente o farà poca cosa. P. 726.B Se la giustizia terrena castiga in maniera identica delle macchine dissimili, è perché essa non saprebbe né valutare, né tenere conto di queste dissomiglianze. Ibid.C Ogni virtù è di precetto; perché non si tratta di dare delle inclinazioni lodevoli, ma d’impedire di commettere delle cattive azioni. A
[«I principi di Locke [...] provano che l’educazione ci fa essere ciò che siamo»]. «Se lo spirito, il carattere e le passioni degli uomini dipendessero dall’ineguale perfezione dei loro organi, e se ogni individuo fosse una macchina differente, la giustizia del Cielo o anche quella della terra come potrebbero esigere gli stessi effetti da macchine dissimili?». C [«Se la probità fine e delicata è di precetto, e se questa specie di probità presuppone spesso dei grandi lumi, occorre dunque che tutti gli uomini comunemente bene organizzati siano dotati dalla divinità di un’uguale attitudine allo spirito»]. B
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Observations sur Hemsterhuis
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Osservazioni su Hemsterhuis (1774)
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Nota introduttiva di Paolo Quintili
Le Osservazioni su Hemsterhuis che qui presentiamo rappresentano un vero scoop, relativamente recente, all’interno del corpus diderotiano. Nel 1964 Georges May ritrovò nelle collezioni settecentesche della Pierpont Morgan Library di New York, una copia del volume intitolato Lettre sur l’Homme et ses rapports (Paris, 1772), del filosofo olandese, allievo di ‘s Gravesande, Franciscus Hemsterhuis (1721-1790), appartenuta all’autore. Questa copia presentava una particolarità singolare: era fittamente annotata da Diderot ai margini e con foglietti intercalati, accompagnata da una lettera concernente l’autenticità del volume e delle note. G. May ne preparò, quello stesso anno, un’edizione in facsimile con la trascrizione dei marginalia diderotiani, per i tipi della Yale University Press.1 Questa prima edizione ha avuto il merito di aver offerto subito alla comunità di studiosi un testo importante, ignoto ai più, di cui non si conosceva l’esistenza se non per il tramite della corrispondenza di Hemsterhuis. Tuttavia la pubblicazione di May presentava diversi limiti di leggibilità che la successiva edizione, a cura di Gerhardt Stenger (DPV, XXIV, pp. 215-419), ha definitivamente colmato: «La trascrizione, a fronte delle pagine del libro, delle osservazioni che figurano al margine del testo e su foglietti intercalati, era data senza rinvio preciso ai passaggi commentati, il che rendeva talvolta estremamente faticosa la lettura continua dell’insieme. [...]. Per evitare lo scoglio di una lettura discontinua o frammentaria della Lettera e del suo commento, riproduciamo qui la totalità del testo di Hensterhuis, inserendo le osservazioni di Diderot nei luoghi in cui devono essere collocate».2 È quest’ultima edizione critica che traduciamo qui, accompagnata da un nuovo commento per il lettore italiano. Hemsterhuis, chi era costui? Filosofo assai rinomato e apprezzato nell’Olanda del secondo Settecento, oggi è pressoché dimenticato dagli storici della filosofia. Figlio dell’illustre filologo Tiberius Hemsterhuis (1685-1766), amico di Jacobi, che lo tradusse in tedesco per il Circolo di Münster, apprezzato da Lessing, che ne lesse il dialogo Aristée (1779) e vi scorse uno «spinozismo manifesto» (Hemsterhuis fu così coinvolto, senza volerlo, nella polemica dello Spinozismusstreit), fu autore di grande ed eclettica erudizione. Oltre a questa Lettera, è autore (in lingua francese) di numerose altre opere: una Lettera sulla scultura (1769), apprezzata da Goethe che lo conobbe nel 1785, una Lettera sui desideri (1770), dei dialoghi filosofici di stile socratico/platonico: Sophyle o della filosofia (1778), Aristée o della divinità (1779) e Alexis, o dell’età dell’oro (1787). Dopo la sua morte usciranno altri due dialoghi: Simon o delle facoltà dell’anima e Alexis o del militare, seguiti da una Lettera di Diocle a Diotima sull’ateismo. Filosofo dichiaratamente platonico, ebbe un ruolo importante nella cultura filosofica olandese, in quanto ricoprì anche la carica di alto funzionario presso la Segreteria del Consiglio di Stato delle Province Unite, ruolo che gli permise di seguire da 1 Cfr. F. Hemsterhuis, Lettre sur l’homme et ses rapports, avec le commentaire inédit de Diderot, a cura di G. May, New Haven et Paris, 1964. 2 G. Stenger, Note, in DPV, XXIV, p. 242.
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vicino gli eventi politici dell’epoca a livello europeo e di allacciare relazioni personali nei circoli diplomatici del paese. In questa veste Hemsterhuis conobbe Diderot nel giugno del 1773, quando il philosophe era appena arrivato in Olanda, ospite del plenipotenziario dell’Impero Russo a L’Aia, il principe Galitzin – già protagonista indiretto del racconto Mistificazione (infra, p. 1935) – e questi poté consegnargli una copia del suo libro, apparso un anno prima. Non si sa se Diderot scrisse le Osservazioni su sollecitazione dell’autore (più probabile) o di sua spontanea iniziativa, per amore del dialogo e delle annotazioni. In questo senso le Osservazioni sono da accostare alla Confutazione di Helvétius, con un’importante differenza: il pubblico. La Confutazione è l’ultimo contributo che Diderot darà alla Correspondance littéraire di Meister, che la pubblicherà, con numerosi interventi di correzione, nel 1783, alla vigilia della morte del philosophe. Le Osservazioni si rivolgono invece a un lettore unico, dinanzi al quale Diderot esprime senza riserve, né censure, le proprie convinzioni filosofiche e politiche fondamentali, cosa impossibile nel caso della Réfutation. Da ciò l’importanza delle Osservazioni su Hemsterhuis per chiarire il vero pensiero dell’ultimo Diderot su questioni decisive, come ad esempio l’ateismo, qui apertamente dichiarato senza troppi giri di parole. Quanto ai contenuti della filosofia di Hemsterhuis, si tratta di una forma deismo platonizzante (o piuttosto di platonismo deistico) che ebbe scarso successo nella Francia dei Lumi e degli Idéologues, trovando invece terreno fertile nella Germania del primo Sturm und Drang, in grado di attirare le attenzioni, più tardi, dei giovani romantici. L’amico Jacobi tradusse il dialogo Aristée, apprezzato da Lessing e Goethe; dopo la morte del filosofo, lo stesso Jacobi tradusse l’insieme delle Œuvres philosophiques dell’amico. Ma già dal 1773 Herder s’interessa alla Lettera di Hemsterhuis e tradurrà nel 1781 la Lettera sui desideri, alla quale aggiunge un seguito intitolato Dell’amore e dell’egoismo, che svolgerà un ruolo importante nei dibattiti di Hamann e del Circolo di Münster. Anche Hölderlin dà testimonianza tra il 1790 e il 1796 di aver letto Hemsterhuis, di cui si rivelano tracce nel suo Iperione (1797), in particolare nell’idea (hemsterhuisiana) dell’«orbe eccentrico» utilizzata per spiegare la struttura dell’evoluzione umana, ispirata all’ipotesi astronomica dell’Alexis. E infine Novalis e Schlegel discuteranno apertamente le idee espresse nella Lettera sull’Uomo, il primo nei suoi Hemsterhuis-Studien (1797), il secondo, in misura notevole, nelle Lettere sulla poesia, la metrica e il linguaggio (1795), per ciò che concerne la sua nuova teoria linguistica. Una testimonianza eloquente del peso avuto da Hemsterhuis sulla giovane generazione di intellettuali del primo Romanticismo tedesco ce la fornisce Madame de Staël: «Hemsterhuis, filosofo olandese, fu il primo che, alla metà del diciottesimo secolo, indicò nei suoi scritti la maggior parte delle idee generose sulle quali è fondata la nuova Scuola tedesca».3 Come ha ben rilevato Gerhardt Stenger, non abbiamo a che fare con «un filosofo di terzo rango, epigono venuto troppo tardi o avversario limitato di una filosofia giudicata troppo audace per i suoi gusti». Il «Socrate batavo ha influenzato il pensiero tedesco senza però aprirsi a sua volta a esso, perché non ne praticava affatto la lingua».4 La Lettera sull’uomo, insieme all’Aristée, può essere considerata il suo capola3 De l’Allemagne, ed. fr. a cura di S. Balayé, Paris, 1968, to. II, p. 143, cit. in G. Stenger, Introduction alle Observations sur Hemsterhuis, in DPV, XXIV, pp. 225-226. 4 Stenger, Introduction cit., p. 226; è la ragione per la quale la sua opera, pubblicata in pochi
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voro, in cui trovano confluenza i motivi filosofici ereditati dalla lezione del tardo cartesianesimo del maestro ‘s Gravesande, che ne tentò una conciliazione con le nuove dottrine cosmologiche di Newton, e il neoplatonismo della Scuola di Cambridge (More, Cudworth). Con Diderot, personaggio oramai assai celebre nel 1773 e corteggiato dal milieu intellettuale olandese che lo accolse, assistiamo a un cortese e attento dialogo tra sordi. Diderot non comprende diversi concetti-chiave dell’autore – ad esempio quello di «velleità», usato per esprimere il libero volere dell’anima – di cui fa una critica spietata: «Io non so che cosa intendete dire con velleità. Il termine sembra supporre in me un atto senza causa. E che io non potrei ammettere» (oss. 37); «Voi [avreste] proprio [dovuto] spiegarci ciò che intendete con velleità» (oss. 132), «Questa parola mi scandalizzerà sempre» (oss. 71), «Io non so che cos’è questa velleità» (oss. 74) ecc. Diderot rimanda l’autore alle proprie convinzioni relative alla dipendenza della volontà dal desiderio e al fatto che «Non c’è che una sola operazione nell’uomo. È sentire» (oss. 132) e la pretesa velleità – altra parola per dire «anima» che agisce – è un epifenomeno apparente del sentire. Su un solo punto di due filosofi si trovano d’accordo, ed è sul valore che entrambi attribuiscono all’ispirazione, all’immaginazione, alla creatività dello spirito, addirittura alle «stravaganze» utili e feconde persino nella ricerca scientifica, come Diderot già affermò nei Pensieri sull’Interpretazione della natura e nel Sogno di D’Alembert. L’interprete della natura e il matematico sognatore, nelle loro scoperte, si affidano non alla ragione geometrica cartesiana, ma alla forza dell’immaginazione razionale, all’ispirazione quasi divinatrice. Anche per Hemsterhuis la ragione (da intendere in senso ‘sgravesandiano ossia cartesiano) non è in grado di farci conoscere l’essenza della materia e gli attributi metafisici dell’essere, chiamato più spesso non semplicemente Dio, ma «la Divinità» o «il Dio», con chiare ascendenze deistiche o paganeggianti (in taluni casi è chiamato anche «Jupiter»). Hemsterhuis è perciò ostile (come Diderot) a ogni tipo di rivelazione e soprattutto al Cristianesimo e non ne fa mistero. Su questo punto si manifesta, nelle Osservazioni di Diderot, una sicura convergenza di opinioni. Dove il philosophe s’allontana dal suo autore è sul tema cosmologico, sulla natura dell’universo fisico e dell’anima umana, a proposito del quale Hemsterhuis formula delle ipotesi fisico-morali alquanto fantasiose che non mancano di diventare bersaglio dell’ironia o della critica sferzanti del filosofo materialista. L’universo di Hemsterhuis è l’universo infinito cartesiano-newtoniano che si rivela all’uomo, lasciandogli «apprendere» il suo carattere divino, attraverso un certo numero di «facce», rivolte e determinate ciascuna dalla natura degli «organi» attraverso i quali esso cerca un accesso all’anima umana. Con la vista, l’anima ne afferra la «faccia visibile», oggetto dell’emozione estetica del bello; con il tatto e l’udito, l’uomo (la sua velleità) ne afferra la «faccia tangibile», che Hemsterhuis abbandona volentieri ai sensualisti; e infine con un presunto «organo morale» l’anima ne afferra la «faccia divina», ovvero si affaccia all’altro mondo delle cose divine, cioè (platonicamente) le essenze (paradeigmata). La prima reazione di Diderot a questa definizione del cosiddetto organo morale è quella di invitare l’autore della Lettera a dichiarare dove ha sede materialmente quest’«organo» (oss. 232 e 241), fingendo di non capire esemplari diffusi quasi esclusivamente nella ristretta cerchia delle conoscenze di Hemsterhuis, non ebbe risonanza a Parigi, a causa della distribuzione limitata e di un contesto ideologico ancora alquanto ostile al platonismo, almeno fino alla Restaurazione.
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che il discorso di Hemsterhuis è schiettamente platonico: l’«organo dell’anima» di matrice platonico-pitagorica non è rivolto alle cose materiali e fisiche, bensì «è rivolto verso cose divine, come l’occhio è rivolto verso la luce».5 Seguendo alla lettera la lezione di Platone, Hemsterhuis si volge alle questioni astronomiche, in quanto «con queste discipline nell’anima di ciascuno si purifica e come fuoco si ravviva un certo organo rovinato e accecato dalle altre occupazioni, quando invece la sua conservazione è preferibile a tutti gli occhi di questo mondo, perché soltanto con quell’organo si può vedere la verità».6 L’intento apologetico di Hemsterhuis di contrastare e confutare il materialismo filosofico montante, diffusosi sempre più capillarmente in Francia e in Europa, in ambiente scientifico, si fa sempre più chiaro a proposito della dottrina dell’anima e dell’«organo morale». Diderot comprende il senso della richiesta di commento del libro – che diventa presto una «confutazione», sullo stile di quella di Helvétius – con la differenza che ora l’interlocutore si colloca esattamente agli antipodi delle posizioni espresse nel Sogno di D’Alembert,7 testo che Hemsterhuis ricevette e lesse in manoscritto, grazie all’intermediazione del principe Galitzin.8 L’«organo morale» di Hemsterhuis è la parte divina dell’anima, secondo la dottrina platonica della psyche: su questo punto il dialogo tra sordi si mostra evidente e lo scontro è frontale: «Io non so che cos’è quest’organo morale. Ne chiedo qual è il posto nel corpo umano. Non è il cuore; non è il polmone; né lo stomaco, né il diaframma, né i nervi. Ecc.» (oss. 232). Di fronte all’evidente impossibilità di localizzare tale organo, Hemsterhuis tenta comunque di assegnargli una consistenza più che metaforica e simbolica, per arrivare alla «grande probabilità dell’esistenza reale» di esso. Diderot non manca allora di controbattere: «Se noi avessimo un organo morale, il suo esercizio continuo non ci lascerebbe più perplessi sul suo luogo e la sua esistenza, di quanto non lo siamo a proposito dei nostri occhi e delle nostre orecchie» (oss. 250), ma non è così. Anche nel caso dei pretesi effetti corporei delle azioni dell’organo morale (fremiti, brividi, sussulti dinanzi a eventi «morali»), Diderot contesta una deduzione simile: «Ma non occorre alcun organo morale proprio e particolare per spiegare quei fenomeni. Sono spiegati e spiegati assai bene da tutti coloro che si sono occupati di questi fenomeni. (F)» (oss. 253), per concluderne: «È che noi siamo ben contenti che vi siano degli uomini capaci di quelle azioni; perché, accompagnate
5 Hemsterhuis, Aristée, in Œuvres philosophiques, to. II, Paris, H.J. Jansen, 1792, p. 100, cit. in Stenger, Introduction cit., p. 228. 6 Platone, La Repubblica, 527e, in Opere complete, vol. 6, trad. it. di F. Sartori, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 243, cit. in Stenger, Introduction cit., ibidem. 7 Così si espresse Hemsterhuis a proposito del Sogno di D’Alembert in una lettera alla moglie del principe Galitzin, Amalia (sua «Diotima») il 20 dicembre 1784: «Vi si trovano dei lampi di genio, ma molto più spirito e poco giudizio [...]. È l’opera più perniciosa che io abbia mai visto, sia negli antichi che nei moderni. Con tutto ciò, molto interessante per un filosofo, e d’altronde il nostro cinico amico non dice ciò che dice per far del male, ma perché ci crede e perché vuol essere singolare. Ora, quest’ultima qualità non aveva bisogno di simularla perché mai, penso, gli sarà contestata. Predica il materialismo con tutta la forza di un uomo eloquente, che ha della finezza nello spirito, che ha una conoscenza profonda di ciò che chiamiamo il cuore umano, è un pietoso psicologo, metafisico superficiale per quanto possibile, e manca totalmente di spirito di geometria e, di conseguenza, di tatto vero e sicuro», cit. in Stenger, Introduction cit., p. 220. 8 Cfr. R. Desné, «Un inédit de Diderot trouvé en Amérique ou les objections d’un matérialiste à une théorie idéaliste de l’homme», in La Pensée, n. 118, 1964, pp. 93-110.
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da pericolo o da grande sacrificio, ci mettiamo al posto dell’eroe, e impallidiamo, fremiamo per noi stessi» (oss. 254). Colto infine l’intento anti-materialistico dell’autore, Diderot conclude a una propria «apologia» morale del materialismo stesso, una «preghiera del materialista» o dell’ateo virtuoso, volta a difendere la filosofia diderotiana dall’accusa di essere una forma di immoralismo che inaridisce il cuore e l’«organo morale», come pretende Hemsterhuis il quale afferma: «D’altro canto, c’è questo sciame di sedicenti filosofi, tanto vani e poco illuminati quanto quegli ortodossi, che a forza di sregolatezze, di vizi o di sofismi, hanno fatto inaridire il loro organo morale per un certo tempo, predicando l’irreligione e l’ateismo con più zelo ancora di quanto gli altri predicavano la loro presunta ortodossia, i quali vorrebbero convertire tutti gli uomini affinché nessuno facesse loro intravedere un dio onnipresente che temono». Diderot ribatte che forse in un solo caso (La Mettrie) ciò è accaduto, ma per il resto, afferma: «Conosco un po’ la gente di cui voi parlate. State certo che dicono francamente il loro sentimento, senza alcuno spirito di proselitismo. Che sono altrettanto sinceri, nelle loro opinioni, quanto voi nella vostra. Che sono di buoni costumi tanto quanto i più onesti credenti. Che si è tanto facilmente ateo e uomo dabbene quanto uomo credente e malvagio. Che sono ben lungi dal credere che la loro opinione conduca all’immoralità. Che non differiscono da voi se non per la base che danno alla virtù, che fondano sui soli rapporti degli uomini tra loro...» (oss. 321). Infine, la teoria del segno e del linguaggio di Hemsterhuis, associata alla concezione dell’anima immateriale, afferma il legame diretto, trascendente, segno-idea, senza la mediazione pragmatica della comunicazione. Il segno linguistico è atto a evocare e richiamare idee, non a comunicare con altri uomini:9 «Bisognerà avvertirvi, che io considero qui l’essere che ha la facoltà di sentire, come individuo, assolutamente isolato, e non facente parte di una società; e che di conseguenza ho considerato i segni unicamente come degli strumenti per richiamare le idee, e niente affatto come dei mezzi per comunicare le idee da un essere all’altro». Diderot nega buon senso a quest’ipotesi: senza comunicazione non vi sarebbero affatto segni di alcun genere: «In questa ipotesi, l’essere non ha assolutamente alcun bisogno di segni. E sono sicuro che un simile essere sarebbe quasi muto (M). I segni devono la loro istituzione meno a questo bisogno, che a quello di farsi capire da un altro. (M)» (oss. 33-34). Dietro questa concezione c’è una particolare interpretazione platonizzante della teoria lockiana del segno, che traduce l’idea semplice di Locke in «immagine» in senso platonico (eidos): gli oggetti materiali, secondo Hemsterhuis, si rendono presenti allo spirito per mezzo di immagini o «idee primitive» che loro assomigliano ma «svaniscono totalmente all’assenza degli oggetti; di conseguenza, è impossibile che un essere possa paragonare due oggetti le cui azioni sui suoi organi non coesistono nello stesso tempo, se non si serve di un mezzo per fissare quelle idee, cioè a meno che non si serva di segni». Diderot confessa di non capire il senso di questa trasformazione dell’idea (che in Locke fa sempre capo a una sensazione e alla relativa memoria) in immagine platonica: «In questo momento in cui vi scrivo, non ho affatto presente qualche albero; tuttavia, ne ho l’immagine. Quante cose contestabili in quello che segue. I segni non 9 Infra, p. 911: «Definirò provvisoriamente i segni, per dei simboli distinti che rispondono alle idee. Essendo data l’idea, il segno apparirà; e reciprocamente, una volta dato il segno, l’idea a cui esso risponde si manifesta»
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osservazioni su hemsterhuis
sono necessari per paragonare due oggetti di cui si è ricevuta l’impressione. Basta la memoria o l’immaginazione» (oss. 29). La prospettiva d’interpretazione dei fenomeni linguistici è del tutto rovesciata nei due filosofi. Per Hemsterhuis l’idea è la causa della sensazione della «maniera di essere» dell’oggetto rispetto ai nostri organi; per Diderot è esattamente il contrario: «Di cui ha la sensazione dall’idea... Non sarebbe piuttosto: di cui ha ricevuto l’idea dalla sensazione?» (oss. 26). Come nota giustamente Stenger: «Assimilando la percezione delle idee – la contemplazione delle immagini presentate all’anima dagli organi – a una sensazione, Hemsterhuis getta la confusione nella mente del suo commentatore».10 L’argomento di buon senso di Diderot (la ricezione dell’idea viene dalla sensazione) presuppone che entrambi gli interlocutori diano per acquisita la comune prospettiva empirista. Tuttavia, Hemsterhuis intende proprio rovesciare in senso platonizzante la dottrina lockiana delle idee, per combattere le gnoseologie sensualiste e materialiste che ne sono derivate e che fondano la percezione diretta dei corpi sulla penetrazione dei corpi stessi nell’anima e sull’azione diretta di questi in essa, che resta sempre passiva, per introdurre, al contrario, una barriera insormontabile tra i corpi materiali e l’anima. È una prospettiva che, proprio in forza di questa esaltazione del libero potere creativo dell’anima rispetto al mondo della materia corporea, piacerà molto ai giovani Stürmer e ai romantici della «nuova Scuola tedesca». Le Osservazioni su Hemsterhuis rappresentano così un’opera di frontiera. Quella frontiera che divide due mondi intellettuali che ancora dialogano tra loro – l’illuminismo enciclopedico, empirista e materialista, e l’idealismo platonizzante che andava diffondendosi nell’Europa del Nord, permeato di spirito scientifico e insieme di entusiasmo irrazionalistico – ma che poco hanno ancora da dirsi, se non il fatto di constatare la propria distanza e, cionondimeno, il reciproco rispetto delle posizioni ideali e filosofiche di ciascuno, senza infingimenti. Per Diderot, si tratta dell’ultima prova di lettura «con la penna in mano», una critica minuziosa di quell’idealismo che presto conoscerà uno straordinario successo, non senza il contributo del «buon Hemsterhuis», di recente riscoperto anche grazie a questa Lettera commentata.11 Il «Socrate batavo», già mentre Diderot lo sta leggendo, sta per diventare l’inconsapevole passatore degli elementi ideali e teorici che comporranno un nuovo vocabolario filosofico europeo. Cadono le maschere, niente più timore di roghi, censure e condanne politiche: materialismo e idealismo si confrontano, ora, liberamente, faccia a faccia. Le Osservazioni di Diderot hanno il non piccolo merito di aver espresso in modo eminente quest’evento, divenuto oramai un’esigenza insopprimibile: la libertà di pensiero e di scrittura tra soggetti contraddittori, la dialettica. Hegel non fu il primo a capirlo e non sarà neanche l’ultimo.12
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Stenger, Introduzione cit., p. 231. K. Hammacher, «Hemsterhuis und seine Rezeption in der deutschenn Philosophie und Literatur des ausgehenden achzehnten Jahrhunderts» in Frans Hemsterhuis (1721-1790). Quellen, Philosophie und Rezeption. Symposia in Leiden und Münster zum 200. Todestag des niederlandischer Philosophen, a cura di M.F. Fresco, L. Geeraedts e K. Hammacher, Münster-Hamburg, LIT, 1995, pp. 407-423; e ID, «Hemsterhuis und Jacobi», Ibidem, pp. 491-505. 12 J.L. Vieillard-Baron, «Le platonisme sans néoplatonisme de Hemsterhuis» in Frans Hemsterhuis (1721-1790). Quellen, Philosophie und Rezeption cit., pp. 155-159. 11
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nota introduttiva
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Nota al testo Per la messa a punto della traduzione, dobbiamo esprimere qui la nostra più profonda gratitudine all’amico Gerhard Stenger, che ci ha generosamente fornito il testo originale delle Observations da lui stabilito per le edizioni DPV (XXIV) e al quale dobbiamo molta parte delle informazioni utili per il lavoro di introduzione e di commento. Non essendoci un manoscritto delle Osservazioni, ma solo l’esemplare della Lettera sull’Uomo annotata da Diderot, si è tradotta l’edizione Stenger nello stesso preciso modo in cui la troviamo edita nelle DPV. Lunga e complessa è la vicenda dei passaggi di mano del volume che nel corso di due secoli ha attraversato l’oceano, dopo essere passato per le mani della principessa Galitzin (contro l’auspicio di Diderot), e da questa al suo medico personale a Münster, il barone von Druffel (1763-1857), a Hektor de Backer nel 1898 e infine, nel 1926, alla collezione Heineman e alla Pierpont Morgan Library.13 Il volume è conservato attualmente ancora alla Pierpont, sotto la collocazione «heineman 268». La sigla M nel testo indica le annotazioni al margine (Marginalia) della mano di Diderot. La sigla F, le osservazioni dello stesso Diderot, scritte su foglietti intercalati, La sigla GS indica le note di Gerhard Stenger. I diversi segni presenti nel testo (*, x, X ecc.) sono utilizzati da Diderot come richiami verso le sue annotazioni o sottolineature. Come nel resto del volume, la numerazione posta a margine del testo francese in tondo riporta la paginazione dell’edizione DPV, accompagnata dalla stanghetta verticale all’interno del testo a indicare il cambio di pagina. Abbiamo però ritenuto utile aggiungere, sempre a margine del testo francese, anche i numeri relativi alla paginazione originale della Lettera, indicati in neretto corsivo e accompagnati nel testo da una doppia stanghetta obliqua ( || ) a indicare il cambio della pagina. 13 La vicenda è stata riscostruita da Georges May, in F. Hemsterhuis, Lettre sur l’homme et ses rapports, avec le commentaire inédit de Diderot cit., pp. 8-11.
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Lettre sur l’homme et ses rapports
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[DPV, XXIV, 247-409]
Avia Pieridum peragro loca, nullius ante Trita solo : juvat integros accedere fonteis. Lucretius
L’Auteur de cette Lettre est Mr. François Hemsterhuis fils du célèbre professeur Tibere Hemsterhuis. Il l’adressa à son meilleur ami feu Mr. François Fagel greffier de Leurs Hautes Puissances, du caractère duquel l’Auteur a publié une description philosophique dans l’année 1773. Les notes manuscrites qui accompagnent cet exemplaire sont de la façon et de la main du célèbre Mr Diderot. A PARIS M.DCC.LXXII
Monsieur
248
Je vous renvoie votre ouvrage avec mes observations dont vous ferez l’usage qu’il vous plaira. Je crois qu’il serait prudent que vous les copiassiez de votre main sur un autre exemplaire et que vous brûlassiez celui-ci. Quel que soit le parti que vous preniez, j’exige de votre probité et sur votre honneur | que vous ne les communiquiez à personne (sans exception). Je vous demande mille pardons de ma mauvaise écriture. S’il y a par-ci par-là quelques mots ou quelques phrases que vous ne puissiez déchiffrer, laissez-les en blanc ; je vous aiderai à remplir ces lacunes. Vous trouverez à la dernière page, le jugement que je porte de votre ouvrage, et je vous remercie ici du plaisir que cette lecture m’a fait. Je vous supplie de me ranger en tout temps au nombre de vos amis, et de compter sur tous les services que ce titre renferme et promet. Je vous salue et vous embrasse. (F)
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Lettera sull’uomo e i suoi rapporti
Avia Pieridum peragro loca, nullius ante Trita solo: juva integros accedere fonteis. Lucrezio1
L’autore di questa lettera è il signor Francois Hemsterhuis, figlio del celebre professore Tiberio Hemsterhuis. La indirizzò al suo migliore amico, il fu signor Francois Fagel, cancelliere delle Loro Altezze Potenti, del quale l’autore ha pubblicato una descrizione filosofica del carattere, nell’anno 1773. Le note manoscritte che accompagnano questo esemplare sono della maniera e della mano del celebre signor Diderot. 2
A Parigi 1772
Signore Vi rinvio qui la vostra opera con le mie osservazioni, di cui farete l’uso che più vi piacerà. Credo sarebbe prudente che le copiaste di vostra mano su un altro esemplare e che bruciaste questo.3 Quale che sia il partito e la decisione che prenderete, esigo dalla vostra probità e sul vostro onore che non le comunicherete a nessuno (senza eccezione).4 Vi presento mille scuse per la mia cattiva scrittura. Se qui e là ci sono certe parole o certe frasi che non riuscite decifrare, lasciate in bianco; vi aiuterò io a riempire queste lacune. Troverete nell’ultima pagina il giudizio che do della vostra opera, e vi ringrazio qui del piacere che questa lettura mi ha dato. Vi supplico di pormi in ogni tempo nel novero dei vostri amici, di contare su tutti servizi che questo titolo racchiude e promette. Vi saluto e vi abbraccio. (F)
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Avertissement de l’éditeur
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Libellum exhibeo, captu non adeo facilem, et qui non tantum ingenium in Lectore requirat, sed etiam attentionem mentis præcipuam, et cupiditatem incredibilem cognoscendi rerum causas. J. Kepler Dioptrice.
Jamais la liberté de la presse n’a été plus grande que de nos jours ; et quoiqu’il serait préjudiciable à nos connaissances, et même dangereux, de lui donner un frein, il est pourtant incontestable, que le nombre des progrès || que nous lui devons dans les sciences et dans les arts, égale à peine celui * des maux réels qu’elle nous cause du côté de la morale [1].
4
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1. * Je vous avoue que j’ignore ces maux que la liberté de la presse a faits à la morale. On n’est pas plus méchant aujourd’hui qu’on ne l’était il y a | trente ans. Les vicissitudes qui surviennent dans les mœurs nationales tiennent à bien d’autres causes qu’à des questions métaphysiques. (F) La prodigieuse quantité d’écrits dans lesquels on prêche ouvertement l’athéisme, et où l’on prétend de [2] détruire, et souvent de [2] rendre ridicules les notions de l’existence d’un Etre suprême, l’immortalité de l’âme, la nécessité d’une religion quelconque, et xx la réalité des mœurs [3], est un mal d’autant plus grand, qu’il nous affecte [4] dans un siècle où le ton philosophique règne partout, et où le jargon des sciences et de la philosophie est le langage à la mode [5] : d’où il || résulte que * les esprits médiocres [6], qui sont toujours le grand nombre, prennent souvent les ** déclamations les plus absurdes, énoncées avec grâce, et marquées au coin de ce jargon [7], pour des démonstrations sans réplique.
5
2. [Diderot supprime les deux de en utilisant les signes typographiques de correction.] (M) 3. ** Jamais aucun auteur, matérialiste ou non, ne s’est proposé de rendre ridicules les notions de vice et de vertu, et d’attaquer la réalité des mœurs. Les matérialistes, rejetant l’existence de Dieu, fondent les idées du juste et de l’injuste, sur les rapports éternels de l’homme à l’homme. Voy. le Syst. de la nature. Si un auteur, tel que la Métrie, a eu l’impudence de se faire l’apologiste du vice ; il a été méprisé et des savants et des ignorants ; j’oserais presque dire et des gens de bien et des méchants. (F) | 4. qu’il nous affecte est peu français. (M)
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5. Ce jargon n’est point du tout le langage à la mode. (M) Et puis, il y a encore un vice dans cette phrase. Dire que ce jargon nous affecte dans un siècle etc... est le langage à la mode; c’est dire, nous affecte dans un siècle où etc... est le langage du siècle. (M)
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Avvertenza dell’editore Libellum exhibeo, captu non adeo facilem, et qui non tantum ingenium in Lectore requirat, sed etiam attentionem mentis praecipuam, et cupiditatem incredibilem cognoscendi rerum causas.5 J. Kepler, Dioptrice.
Mai la libertà di stampa è stata maggiore, quanto ai giorni nostri; e benché sarebbe pregiudizievole alle nostre conoscenze e anche pericoloso metter loro un freno, pure è incontestabile che il numero dei progressi che dobbiamo alla libertà di stampa nelle scienze e nelle arti pareggia appena quello dei mali reali che ci causa dal versante della morale [1].
1. Vi confesso che ignoro questi mali che la libertà della stampa ha fatto alla morale. Non si è più malvagi oggi di quanto lo si fosse trent’anni fa. Le vicissitudini che sopravvengono nei costumi nazionali dipendono davvero da altre cause, piuttosto che da questioni metafisiche. (F) La prodigiosa quantità di scritti nei quali si predica apertamente l’ateismo, e in cui si pretende di [2] distruggere, e spesso di [2] rendere ridicole, le nozioni dell’esistenza di un essere supremo, l’immortalità dell’anima, la necessità di una religione qualsivoglia, e la realtà dei costumi [3], è un male tanto più grande in quanto ci affetta [4] in un secolo in cui il tono filosofico regna dappertutto e dove il gergo delle scienze e della filosofia è il linguaggio alla moda [5]: donde risulta che gli spiriti mediocri [6], che sono sempre la maggioranza, prendono spesso le declamazioni le più assurde, enunciate con grazia, e segnate in margine da questo gergo [7], per delle dimostrazioni senza replica.
2. [Diderot sopprime i due “di” utilizzando i segni tipografici di correzione.] (M) 3. ** Mai nessun autore, materialista o meno, si è proposto di rendere ridicole le nozioni di vizio e di virtù e di attaccare la realtà dei costumi.6 I materialisti, respingendo l’esistenza di Dio, fondano le idee del giusto e dell’ingiusto sui rapporti eterni dell’uomo con l’uomo. Vedete il Sistema della natura.7 Se un autore, come La Mettrie, ha avuto l’impudenza di farsi l’apologeta del vizio; è stato disprezzato tanto dai dotti quanto dagli ignoranti; potrei quasi dire: tanto dalla gente perbene quanto dai malvagi. (F) 4. In quanto ci affetta è poco francese. (M) 5. Questo gergo non è affatto il linguaggio alla moda. (M) E poi c’è ancora un vizio in questa frase. Dire che quel gergo ci affetta in un secolo ecc... è il linguaggio alla moda; cioè ci affetta in un secolo in cui ecc... è il linguaggio del secolo. (M)
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opere filosofiche
6. * Les esprits médiocres lisent peu ces ouvrages, et ne les entendent pas. S’il y a quelques hommes qui semblent autoriser leur libertinage, de quelques principes mal entendus de la philosophie moderne ; soyez sûr qu’ils auraient été aussi frivoles et aussi dépravés, quand ils n’auraient point eu ce prétexte. (F) 7. ** Si leurs ouvrages ou leurs discours sont des déclamations, hérissées de ce jargon, il n’y a ni de la grâce ni du goût. (F) Voilà ce qui m’a fait résoudre de [8] publier ce petit écrit, marqué au coin de la philosophie, et dans lequel on verra, à ce qu’il me paraît avec évidence, que la seule raison, en se servant [9] d’expériences simples, et dégagées des altérations [10] que souvent l’imagination et les préjugés leur apportent [11], ne saurait jamais nous mener aux systèmes de xxx matérialisme et de libertinage [12]. | ||
8. à (M)
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9. * Inélégamment écrit. (M) 10. * Même défaut. (M) 11. * Même défaut. (M) 12. *** On dirait que le libertinage est une conséquence nécessaire du matérialisme ; ce qui ne me paraît conforme ni à la raison ni à l’expérience. (F) 6
Je demande pardon à l’auteur, de la liberté que je prends de disposer de son ouvrage ; et je souhaite qu’il soit [13] plus flatté d’avoir cherché la vérité avec succès, qu’il ne serait fâché [14], si, faute de le comprendre, des esprits faibles s’alarmaient [15] de ses singularités apparentes. ||
13. J’espère qu’il sera (M) 14. qu’il ne sera fâché s’il arrive que (M) 15. s’alarment (M)
7
8
Lettre sur l’homme et ses rapports Monsieur, C’est autant pour satisfaire à ce que vous désirez de moi, que pour mon propre amusement, que j’ai mis dans une espèce d’ordre les recherches que je vous adresse. Elles || roulent sur la nature de l’homme, sur celle des choses qui sont hors de lui, et sur les rapports qu’il peut avoir ˄ à [16] ces choses.
16. ^ C’est peut-être, avec. (M) Je veux croire que bien des personnes me reprocheraient [17] le peu d’étendue et le peu de clarté de ce petit écrit ; mais en m’adressant à vous, j’ai profité de l’avantage de pouvoir former cette étendue et cette clarté sur la composition de votre tête [18]. |
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osservazioni su hemsterhuis, 6-16
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6. * Gli spiriti mediocri leggono poco queste opere e non le capiscono affatto. Se vi sono certi uomini che sembrano autorizzare il loro libertinaggio grazie a qualche malinteso principio della filosofia moderna; siate certo che sarebbero stati altrettanto frivoli e depravati anche quando non avessero avuto affatto quel pretesto. (F) 7. ** Se le loro opere o i loro discorsi sono delle declamazioni, ispirate a quel gergo, esso non viene né dalla grazia, né dal gusto. (F) Ecco ciò che mi ha fatto decidere di [8] pubblicare questo piccolo scritto, posto all’insegna della filosofia, e nel quale si vedrà, da quanto mi appare con evidenza, che la sola ragione, servendosi di [9] esperienze semplici, e liberata dalle alterazioni [10] che spesso l’immaginazione e i pregiudizi apportano loro [11], non potrebbe mai condurci ai sistemi del xxx materialismo e del libertinaggio [12].
8. a (M) 9. * Scritto in modo inelegante. (M) 10. * Stesso difetto. (M) 11. * Stesso difetto. (M) 12. *** Si direbbe che il libertinaggio è una conseguenza necessaria del materialismo; il che non mi sembra conforme né alla ragione, né all’esperienza. (F) Domando scusa all’autore, per la libertà che prendo di disporre della sua opera; e auspico che sia [13] più lusingato di aver cercato la verità con successo di quanto non sarebbe irritato, se[14] in mancanza di comprensione, degli spiriti deboli si allarmassero [15] per le sue apparenti singolarità.
13. Spero che sarà. (M) 14. Di quanto non sarà irritato se accade che. (M) 15. Si allarmano. (M)
Lettera sull’uomo e i suoi rapporti Signore, Tanto per soddisfare ciò che voi desiderate da me, quanto per mio personale diletto, ho messo in una specie di ordine le ricerche che v’indirizzo qui. Esse ruotano attorno alla natura dell’uomo, a quella delle cose che sono fuori di lui e ai rapporti che può avere rispetto ˄ a [16] quelle cose.
16. Forse è con quelle cose. (M) Voglio credere che un bel po’ di persone mi rimproverino [17] la poca estensione e la poca chiarezza di questo piccolo scritto; ma indirizzandomi a voi, ho approfittato del vantaggio di poter formare questa estensione e questa chiarezza sulla composizione della vostra testa [18].
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opere filosofiche
17. me reprocheraient, le tour de la phrase n’admet pas ce subjonctif. (M)
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18. Cela s’entend, mais cela n’est pas écrit. (M) Si vous trouviez pourtant des masses d’ombre trop grandes et des vides immenses dans mon tableau, vous songerez [19], je vous prie, que le sujet est grand, souvent obscur, || et x poussant quelquefois ses racines profondes dans des faces [20] de l’univers qui ne sont pas tournées du côté de nos organes, et même jusque dans l’abîme des êtres.
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19. trouviez et songerez, deux temps qui ne vont point ensemble. (M) 20. x Pousser des racines profondes, dans des faces, ne se dit guère. Et puis après une métaphore empruntée de la peinture, c’est une autre métaphore empruntée de l’agriculture. (F) Songez encore que c’est beaucoup, xx qu’un ciel couvert et sombre se change [21] en nuages isolés, dont les interstices au moins permettent à l’œil avide de percer jusqu’à la voûte étoilée.
21. xx qu’un ciel... se change. Peut-être serait-il mieux de dire, Si un ciel... n’oppose ou n’offre plus que des nuages etc. (F) Un être qui a la faculté de sentir, ne saurait avoir une sensation d’xxx une autre substance [22] , que par le moyen des xxxx idées, ou des images [23], qui naissent des rapports qui se trouvent entre cette substance || et entre cet être ou ce qui la sépare de cet être, et que j’appelle organe : c’est-à-dire, que j’appelle organe non seulement l’œil qui voit, mais aussi la lumière réfléchie de dessus [24] l’objet ; non seulement l’oreille qui entend, mais aussi l’air mis en oscillation par les mouvements de l’objet.
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22. xxx d’une autre substance, est-ce bien le mot ?... J’ôterais une ; je dirais sensation... d’une autre substance... ne serait-ce pas d’un autre être ; ou mieux encore de l’existence d’un autre être... Voyez. (F) | 253
23. xxxx des idées ou des images... Je vous chicanerais bien un peu là-dessus ; mais passons. (F) 24. par (M) Cet être, en recevant l’idée d’un objet, se sent passif x [25] ; car il ne peut cesser d’avoir l’idée, si la modification de l’objet et celle des organes reste la même.
25. * Voilà ce que Berkley ne vous passerait jamais. Je suis moins difficile que lui ; quoique je ne sache aucune solide réponse à son sophisme contre l’existence de quoi que ce soit hors de nous. L’esprit humain en est humilié, mais il n’en est ni persuadé ni convaincu. (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 17-25
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17. Mi rimproverino, il giro di frase non ammette questo congiuntivo. (M) 18. Questo si capisce, ma non si scrive. (M) Se voi trovaste tuttavia delle masse d’ombra troppo grandi e dei vuoti immensi nel mio quadro, immaginerete [19], vi prego, che il soggetto è grande, spesso oscuro, e tale da immergere talvolta le proprie radici profonde in delle facce [20] dell’universo che non sono affatto rivolte dal lato dei nostri organi, e anche fin nell’abisso degli esseri.
19. Trovaste e immaginerete, sono due tempi che proprio non vanno insieme. (M) 20. x Immergere delle radici profonde, in delle facce, proprio non si dice. E poi, dopo una metafora presa in prestito dalla pittura, c’è un’altra metafora presa in prestito dall’agricoltura. (F) Immaginate inoltre che è molto, che xx un cielo coperto e oscuro si muti [21] in nuvole isolate, i cui interstizi permettono almeno all’occhio avido di penetrare fino alla volta stellata.
21. xx Che un cielo... Si muti. Forse sarebbe meglio dire, Se un cielo... non oppone o non offre più altro spettacolo che nuvole ecc. (F) Un essere che ha la facoltà di sentire, non potrebbe avere una sensazione di xxx un’altra sostanza [22], se non per mezzo delle xxxx idee, o delle immagini [23], che nascono dai rapporti che si trovano tra questa sostanza e tra quest’essere o ciò che la separa da quest’essere, e che io chiamo organo: cioè, io chiamo organo non soltanto l’occhio che vede, ma anche la luce riflessa da sopra [24] l’oggetto; non soltanto l’orecchio che ascolta, ma anche l’aria messa in oscillazione dai movimenti dell’oggetto.
22. xxx Di un’altra sostanza, è proprio questa la parola?... Io toglierei una; direi sensazione... di un’altra sostanza... non fosse che di un altro essere; o meglio ancora dell’esistenza di un altro essere... Vedete voi. (F) 23. xxxx Delle idee o delle immagini... Avrei un bel po’ da ridire su questo punto, ma passiamo oltre. (F) 24. Dall’oggetto. (M) Questo essere, ricevendo l’idea di un oggetto, si sente passivo [25]; perché non può cessare di avere l’idea, se la modificazione dell’oggetto e quella degli organi resta la stessa.
25. * Ecco una cosa che Berkeley non vi lascerebbe mai passare. Io sono meno difficile di lui; benché non abbia alcuna solida risposta al suo sofisma contro l’esistenza di checchessia fuori di noi. Lo spirito umano ne è senz’altro umiliato, ma non ne resta né persuaso, né convinto.8 (F)
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opere filosofiche
Il se sent passif, et par conséquent, il sent qu’il y a un objet, ou une cause de l’idée, hors de lui ; et si plusieurs de || ces êtres ont à peu près la même sensation, la conviction en devient d’autant plus grande. L’objet existe donc réellement hors de lui, mais comme l’idée est le résultat des rapports entre l’objet et la modification des organes, il en conclut, que parmi toutes les manières d’être de cet objet, se trouve aussi la manière d’être dont il a la sensation par l’idée [26], c’est-à-dire, que cet objet, vis-à-vis [27] de lui et de ses organes, existe réellement tel qu’il lui paraît : ce qui détermine le fonds [28] qu’on peut faire sur les idées primitives que nous recevons par l’organe. ||
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26. dont il a la sensation par l’idée... Ne serait-ce pas plutôt dont il a reçu l’idée par la sensation. (F) 27. Ce vis-à-vis, n’est guère français. (M) 28. Il faut se prêter à l’auteur, pour l’entendre. (M) | Je vous prie d’avoir toujours cette réflexion devant les yeux, puisque c’est elle seule qui nous donne le droit, pour ainsi dire, d’aspirer à la connaissance de la vérité. Cette acquisition des idées primitives, commune à l’homme et à la brute, n’est presque rien encore pour constituer l’être pensant. Ces idées primitives s’évanouissent totalement à l’absence des objets [29] ; par conséquent, il est impossible qu’un être puisse comparer deux objets dont les actions sur ses organes ne coexistent pas dans le même temps, s’il ne se sert d’un moyen pour fixer ces || idées, c’est-à-dire, à moins qu’il ne se serve de signes. [30]
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29. Ces idées etc. s’évanouissent etc... A présent que je vous écris, je n’ai point d’arbre présent ; cependant j’en ai l’image. Combien de choses contestables dans ce qui suit. Les signes ne sont pas nécessaires pour comparer deux objets dont on a reçu l’impression. Il suffit de la mémoire ou de l’imagination. Les objets seraient coexistants, on en recevrait actuellement la sensation ; on aurait de la mémoire ou de l’imagination ; il y aurait des signes inventés ; que la comparaison des deux objets n’en serait pas moins difficile à expliquer ; difficulté qui naît de l’ignorance du moyen de penser à deux choses à la fois ; (F) 30. L’attention soit à deux objets, soit à deux idées, soit à deux signes est également difficile à entendre. Le passage de l’attention d’un objet à un autre, et le retour de cette attention de celui-ci au premier est si rapide qu’on les confond en une attention continue à deux objets à la fois. Il n’y a qu’un grand nombre d’expériences réitérées qui puisse, sinon détromper, au moins jeter beaucoup de doute sur ce phénomène. (M) | Je définirai provisionnellement les signes, par [31] des symboles distincts qui répondent aux idées. L’idée étant donnée, le signe paraîtra ; et réciproquement, le signe étant donné, l’idée qui lui répond se manifeste [32].
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31. définir par, n’est pas français. (M) 32. Cela n’est ni toujours vrai ; ni toujours nécessaire. Souvent même, quand nous méditons, les signes sont tout à fait absents de notre pensée. (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 26-32
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Egli si sente passivo, e di conseguenza sente che c’è un oggetto, o una causa dell’idea, fuori di lui; e se diversi di questi esseri hanno all’incirca la stessa sensazione, la convinzione di ciò diventa altrettanto maggiore. L’oggetto esiste dunque realmente fuori di lui, ma siccome l’idea è il risultato dei rapporti tra l’oggetto e la modificazione degli organi, egli conclude che tra tutte le maniere di essere di quell’oggetto, si trova anche la maniera di essere di cui egli ha la sensazione dall’idea [26], cioè che quell’oggetto faccia a faccia con [27] lui e con i suoi organi, esiste realmente tale quale gli appare: il che determina il contenuto [28] che si può fare sulle idee primitive che riceviamo dall’organo.
26. Di cui ha la sensazione dall’idea... Non sarebbe piuttosto: di cui ha ricevuto l’idea dalla sensazione.9 (F) 27. Quel faccia a faccia non è affatto francese. (M) 28. Bisogna affidarsi all’autore, per capirlo. (M) Vi prego di avere sempre questa riflessione dinanzi agli occhi, poiché è essa sola a darci il diritto, per così dire, di aspirare alla conoscenza della verità. Quest’acquisizione delle idee primitive, comune all’uomo e al bruto, non è ancora quasi nulla per costituire un essere pensante. Quelle idee primitive svaniscono totalmente all’assenza degli oggetti [29]; di conseguenza, è impossibile che un essere possa paragonare due oggetti le cui azioni sui suoi organi non coesistono nello stesso tempo, se non si serve di un mezzo per fissare quelle idee, cioè a meno che non si serva di segni [30].
29. Quelle idee ecc. svaniscono ecc. In questo momento in cui vi scrivo, non ho affatto presente qualche albero; tuttavia, ne ho l’immagine. Quante cose contestabili in quello che segue. I segni non sono necessari per paragonare due oggetti di cui si è ricevuta l’impressione. Basta la memoria o l’immaginazione. Gli oggetti sarebbero coesistenti, ne riceveremmo attualmente la sensazione; ne avremmo la memoria o l’immaginazione; vi sarebbero dei segni inventati; e il paragone dei due oggetti non sarebbe perciò meno difficile da spiegare; difficoltà che nasce dall’ignoranza del mezzo per pensare a due cose insieme;10 (F) 30. L’attenzione, o a due oggetti, o a due idee, o a due segni, è ugualmente difficile da capire. Il passaggio dall’attenzione di un oggetto a un altro, e il ritorno di questa attenzione da quest’ultimo al primo è così rapida che la si confonde in un’attenzione continua a due oggetti insieme. Solo un gran numero di esperienze reiterate potrebbe, se non disingannare, almeno gettare molti dubbi su questo fenomeno.11 (M) Definirò provvisoriamente i segni, per [31] dei simboli distinti che rispondono alle idee. Essendo data l’idea, il segno apparirà; e reciprocamente, una volta dato il segno, l’idea a cui esso risponde si manifesta [32].
31. Definire per non è francese. (M) 32. Questo non è sempre vero, né sempre necessario. Spesso, anche quando noi meditiamo, i segni sono del tutto assenti dal nostro pensiero. (M)
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Il faudra vous avertir, que je considère ici l’être qui a la faculté de sentir, comme individu, absolument isolé, et ne faisant pas partie d’une société [33] ; et que, par conséquent, j’ai considéré les signes uniquement comme des instruments pour rappeler les idées, et nullement comme des moyens || pour communiquer les idées d’un être à l’autre [34].
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33. C’est bien pis. Dans cette supposition, l’être n’a absolument aucun besoin de signes. Et je suis sûr qu’un pareil être, serait presque muet. (M) 34. Les signes doivent moins leur institution à ce besoin qu’à celui de se faire entendre d’un autre. (M) | Les premiers signes naturels sont les effets de l’objet sur l’organe [35]; ainsi l’objet lui-même est le signe de l’idée qui lui répond ; mais comme l’objet, qui est hors de l’être qui a la faculté d’acquérir des idées, dépend peu ou point de cet être, il s’ensuit que * cet être reçoit toutes ses idées au hasard, c’est-à-dire, lorsque le signe, ou, ce qui est ici la même chose, lorsque l’objet paraît [36].
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35. Je n’entends pas. L’effet de l’objet sur l’organe, est l’objet même, et non le signe de l’objet, ou de la sensation, ou de l’idée. Cependant à toute rigueur, cela pourrait s’accorder ; quoique à la centième fois que j’aperçois l’objet, il ne soit pas plus signe qu’à la première. Il est cause. Tout ce qui résulte de la sensation d’un objet déjà aperçu, c’est que cet objet n’est pas nouveau pour moi. Affaire de ressouvenir et de mémoire. (F) 36. * Si vous y regardez de plus près, vous restreindrez beaucoup cette proposition. Il y a une liaison nécessaire entre les objets ; nécessité, cause d’une autre liaison aussi nécessaire entre les sensations, les idées ou images, et les signes ; base primitive de la suite de nos raisonnements. Base sans laquelle l’opération de notre entendement appelée discours, discursus, est presque inexplicable. Le discours résulte de ce principe, et d’un autre principe d’expérience et relatif à la nature même de la sensation. (F) Il faut excepter ces cas, où * la velléité [37] de cet Etre a le pouvoir physique de retenir quelque temps l’objet, c’est-à-dire, le signe, || et par conséquent l’idée. |
xx [38]
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37. * Je ne sais ce que vous entendez par velléité. Il semble supposer en moi, un acte sans cause. Ce que je ne saurais admettre. Comme vous employez souvent ce mot ; et qu’il n’est ni usité ni clair par lui-même ; il est très important de le définir, et je crois que vous y trouverez de la difficulté. (F) 38. XX Ce pouvoir peut-il, dans votre système, s’appeler un pouvoir physique. Une velléité qui a un pouvoir physique. Cela ne s’entend guère. L’effet est sûrement physique ; mais le pouvoir ? (F) C’est de cette espèce de signes qu’en général presque tous les animaux paraissent se servir [39] : *** l’objet étant lui-même le signe qui lui répond, leur
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Bisognerà avvertirvi, che io considero qui l’essere che ha la facoltà di sentire, come individuo, assolutamente isolato, e non facente parte di una società [33]; e che di conseguenza ho considerato i segni unicamente come degli strumenti per richiamare le idee, e niente affatto come dei mezzi per comunicare le idee da un essere all’altro [34].
33. È ben peggio. In questa ipotesi, l’essere non ha assolutamente alcun bisogno di segni. E sono sicuro che un simile essere sarebbe quasi muto.12 (M) 34. I segni devono la loro istituzione meno a questo bisogno, che a quello di farsi capire da un altro. (M) I primi segni naturali sono gli effetti dell’oggetto sull’organo [35]; così l’oggetto stesso è il segno dell’idea che gli risponde; ma siccome l’oggetto, che è fuori dell’essere che ha la facoltà di acquisire delle idee, dipende poco o affatto da quell’essere, ne consegue che quell’essere riceve tutte le sue idee per caso, cioè quando il segno o, il che è la stessa cosa, quando l’oggetto appare [36].
35. Non capisco. L’effetto dell’oggetto sull’organo è l’oggetto stesso, e non il segno dell’oggetto, o della sensazione, o dell’idea. Tuttavia, a rigore di termini, questo si potrebbe pure concedere; benché alla centesima volta che percepisco l’oggetto questo non sia più segno di quanto lo sia alla prima. Esso è causa. Tutto ciò che risulta dalla sensazione di un oggetto già percepito, è che quell’oggetto non è nuovo per me. È un affare di rammemorazione13 e di memoria. 36. * Se guardate la cosa più da vicino, restringerete molto la portata di questa proposizione. C’è un legame necessario tra gli oggetti; necessità, causa di un altro legame altrettanto necessario tra le sensazioni, le idee o immagini, e i segni; base primitiva della consequenzialità dei nostri ragionamenti. Base senza la quale l’operazione del nostro intelletto, chiamata discorso, discursus, è quasi inspiegabile. Il discorso risulta da tale principio, e da un altro principio d’esperienza e relativo alla natura stessa della sensazione. (F) Occorre fare eccezione per quei casi in cui * la velleità [37] di questo Essere ha il potere fisico xx [38] di trattenere per qualche tempo l’oggetto, cioè il segno, e di conseguenza l’idea.
37. * Io non so che cosa intendete dire con velleità. Il termine sembra supporre in me un atto senza causa. E che io non potrei ammettere.14 Siccome voi utilizzate spesso questa parola; e non è né consueta, né chiara per se stessa; è molto importante definirla, e credo che voi incontrerete molte difficoltà. (F) 38. XX Questo potere può, nel vostro sistema, chiamarsi un potere fisico? Una velleità che ha un potere fisico. Ciò non si capisce affatto. L’effetto è sicuramente fisico; ma il potere? (F) È di questa specie di segni che quasi tutti gli animali in genere sembrano servirsi [39]: ***l’oggetto, essendo esso stesso il segno che gli risponde, la loro
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velléité ne saurait se rappeler ces signes, et par conséquent ils ne sauraient penser ni faire des projets, que sur les idées des objets qui coexistent réellement devant eux (*) [40]. (*) Inter hominem et beluam hoc maxime interest, quod hac tantum, quantum sensu movetur, ad id solum, quod adest, quodque præsens est, se accommodat, paululum [41] admodum sentiens praeteritum aut futurum. Cicero de Officiis. ||
39. Ou je n’entends pas, ou ce que j’entends me paraît faux. (M)
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40. Si les animaux ne pouvaient penser ni faire des projets que sur les idées d’objets présents, ils périraient presque tous. | Si l’on prétend que c’est la présence d’un objet qui les détermine à une longue suite d’actions, et non l’idée d’un objet absent ; cela est contre l’expérience. De quelque autre manière que cela s’entende, le cas de l’homme et de la brute, sera le même ; il n’y aura que du plus ou du moins. (M) *** Il est bien démontré par l’expérience [:] 1° que, quand l’animal revoit un objet, sa présence excite en lui deux choses [:] et la sensation de l’objet [,] et le souvenir d’avoir déjà éprouvé cette sensation : sans quoi il serait absolument indocile. 2° Que dans l’absence de l’objet, il peut se rappeler et se rappelle même l’objet. Témoin les rêves du chien de chasse. Témoin les besoins qui le conduisent infailliblement aux objets analogues à ces besoins. S’il ne se rappelait pas ces objets analogues à ses besoins ; ces besoins le tourmenteraient, sans l’instruire et le diriger. (F) 41. paululum. Au reste, remarquez que vous avez généralisé la proposition de Ciceron, qui n’était pas chasseur apparemment ; sans quoi il aurait su jusqu’où la brute se rappelle le passé et pressent l’avenir. Les bêtes ne sont pas si bêtes qu’on pense. Elles jugent peut-être aussi mal de nous que nous jugeons mal d’elles. (M) Lorsque j’aurai parlé de la raison, je ferai voir un peu plus distinctement en quoi consiste la différence entre notre façon de penser, et entre celle des animaux. * Ainsi, pour qu’un être, qui a la faculté de recevoir des idées, pense, raisonne ou projette, il faut qu’il ait des signes qui ne soient pas les objets, mais qui répondent aux objets, et dont il soit parfaitement le maître [42]. |
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2. * Encore une fois, j’en appelle à vous-même ; vous avez réfléchi avant que d’écrire. Sans doute, quand vous avez écrit, vous avez cherché des signes. Mais aucun de ces signes ne vous était présent, quand vous méditiez. J’ai vu des sourds et muets de naissance qui avaient bien de l’esprit. (F)
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Cet être peut se procurer, de mille manières différentes, des signes qui lui rappellent ses idées. Il n’a qu’à faire coexister [43] avec l’idée, ou avec le dernier mouvement || des fibres qui produit l’idée, quelque chose qui dépende de sa velléité [44], un son de sa voix, un mouvement de son corps, une certaine modification de choses hors de lui, et qui se trouvent directement X sous l’empire [45] de ses organes ; et pourvu que chaque signe réponde toujours à la même idée, il aura le pouvoir de faire coexister en apparence plusieurs objets, et de les comparer ensemble [46].
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osservazioni su hemsterhuis, 39-42
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velleità non potrebbe richiamare quei segni, e di conseguenza essi non saprebbero pensare, né fare dei progetti, se non sulle idee degli oggetti che coesistono realmente dinanzi a loro (*) [40]. (*) Inter hominem et beluam hoc maxime interest, quod hac tantum, quantum sensu movetur, ad id solum, quod adest, quodque praesens est, se accomodat, paululum [41] admodum sentiens praeteritum aut futurum. Cicero de Officiis [15].
39. O io non capisco, o quello che capisco mi sembra falso. (M) 40. Se gli animali non potessero pensare, né fare dei progetti se non sulle idee di oggetti presenti, perirebbero quasi tutti. Se si pretende che sia la presenza di un oggetto a determinarli a una lunga serie di azioni, e non l’idea di un oggetto assente; ciò è contrario all’esperienza. In qualunque altra maniera s’intenda ciò, il caso dell’uomo e dell’animale sarà lo stesso; vi sarà solo del più o del meno. (M) *** È ben dimostrato dall’esperienza: 1° che quando l’animale rivede un oggetto, la sua presenza eccita in lui due cose: tanto la sensazione dell’oggetto, quanto il ricordo di aver già provato quella sensazione: senza questo, esso sarebbe assolutamente indocile. 2° Che nell’assenza dell’oggetto, l’animale si può ricordare e si ricorda anche l’oggetto. Testimoni ne sono sogni del cane da caccia. Testimoni, i bisogni che lo spingono infallibilmente verso gli oggetti analoghi a quei bisogni. Se non si ricordasse di quegli oggetti analoghi ai suoi bisogni; quei bisogni lo tormenterebbero, senza istruirlo e senza dirigerlo. (F) 41. Paululum.16 Del resto, notate che avete generalizzato la proposizione di Cicerone, il quale, a quanto sembra, non era cacciatore; senza questo, avrebbe saputo fin dove l’animale si ricorda il passato e prevede l’avvenire. Le bestie non sono così bestie come si pensa.17 Giudicano forse altrettanto male di noi, quanto noi giudichiamo male di loro. (M) Quando avrò parlato della ragione, farò vedere un po’ più distintamente in che cosa consiste la differenza tra la nostra maniera di pensare e quella degli animali. * Così, affinché un essere che ha la facoltà di ricevere delle idee, pensi, ragioni, faccia progetti, bisogna che abbia dei segni che non siano gli oggetti, ma che rispondono agli oggetti e di cui egli sia perfettamente padrone [42].
42. * Ancora una volta, faccio appello a voi stesso; avete riflettuto, prima di scrivere. Probabilmente, quando avete scritto, avete cercato dei segni. Ma nessuno di questi segni era presente, quando meditavate.18 Ho visto dei sordomuti dalla nascita che avevano molto spirito.19 (F) Quest’essere può procurarsi, in mille modi diversi, dei segni che gli richiamano le sue idee. Non ha che da far coesistere [43] con l’idea, o con l’ultimo moto delle fibre che produce l’idea, qualcosa che dipende dalla sua velleità [44], un suono della voce, un moto del corpo, una certa modificazione delle cose fuori di lui, che si trovano direttamente sotto il dominio [45] dei suoi organi; e a condizione che ogni segno risponda sempre alla stessa idea, essa avrà il potere di far coesistere, apparentemente, diversi oggetti, e di paragonarli insieme [46].
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43. * Il n’a qu’à faire. Mais comment fait-il ? C’est la possibilité de cette opération qui n’est pas facile à démontrer. (F) 44. * Réfléchissez-y bien, et vous verrez que rien ne dépend de notre velléité, et qu’elle a aussi besoin d’une impulsion pour se porter vers un objet déterminé, qu’un corps a besoin d’un choc pour se mouvoir. Et que cette impulsion une fois donnée, elle va, sans qu’il y ait l’ombre de volonté ; qu’elle va aussi nécessairement qu’un corps descend sur un plan incliné. (F) 45. X Ce n’est pas sous l’empire de ses organes qu’il faut dire. On dirait que les organes commandent ; ils ne font qu’obéir. C’est une faute de langue. (F) | 260
46. Je n’entends pas bien nettement, comment la coexistence de deux signes, la coexistence de deux objets, la coexistence d’un objet ou d’une sensation, ou d’une image, ou d’une idée est un moyen de comparaison. Quand l’attention est à l’un des termes de la comparaison, l’autre terme est comme absent. Vous avez bien conçu la difficulté ; vous avez approché tout contre, de sa solution ; mais il y avait encore quelques pas à faire. Je vais vous mettre sur la voie par un seul mot. Songez à la liaison des êtres en nature ; et joignant aux vôtres ce principe vous arriverez à la succession nécessaire des sensations, des idées, des signes ; et cela, presque sans le besoin de la coexistence, qu’il ne faut cependant pas exclure ; parce que cette coexistence, et quelques autres phénomènes complètent la solution. (M) Nous avons considéré la façon d’acquérir les idées, celle de les rappeler, et quel fonds on peut faire sur la véracité de leurs représentations : il s’agira maintenant || de voir ce que c’est que la raison et le raisonnement. L’être qui a la faculté de sentir, et par conséquent celle d’acquérir des idées, ou, ce qui est la même chose, la faculté contemplative ou intuitive, a donc des sensations vraies ou des objets qui sont actuellement hors de lui, ou de la modification présente de ses organes, et rien de plus : mais l’être qui joint à cette faculté intuitive, celle de pouvoir se rappeler ses idées par le moyen des signes, peut faire agir cette faculté sur (x) autant d’objets à la fois [47] qu’il pourra faire coexister en quelque façon en apparence par le moyen des idées [48]. ||
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47. (x) Sur autant d’objets à la fois ; j’ai bien de la peine à concevoir la possibilité de la présence simultanée de deux objets à un même acte d’intuition ; à plus forte raison ne conçois-je pas cette possibilité pour trois et pour un plus grand nombre. D’ailleurs qui dit un acte d’intuition fixe l’intuition à un seul objet ; et qui dit deux objets semble exiger deux actes d’intuition ; or ces deux actes ne peuvent coexister (A). (M) (A) Faites l’expérience, et vous reconnaîtrez ces deux actes ; c’est comme l’œil qui ne voit strictement que le point qui le fixe. (F) | 261
48. Vous allez d’un train de chasse, sur la question la plus épineuse de toute la métaphysique. Vous fondez votre explication de la raison et du raisonnement, sur la nécessité des signes. Il est vrai que vous donnez au mot signe, une acception très étendue.
Diderot.indb 916
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osservazioni su hemsterhuis, 43-48
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43. * Non ha che da fare. Ma come lo fa? È la possibilità di quest’operazione che non è facile da dimostrare. (F) 44. * Rifletteteci bene e vedrete che niente dipende dalla nostra velleità e che anch’essa ha bisogno di un impulso per portarsi verso un oggetto determinato, quanto un corpo ha bisogno di un urto per muoversi. E che una volta dato quest’impulso, esso va, senza che vi sia l’ombra di volontà; procede altrettanto necessariamente quanto un corpo che scende su un piano inclinato.20 (F) 45. X Non è sotto il dominio dei suoi organi che bisogna dire. Si direbbe che gli organi comandano; essi non fanno che obbedire. È un errore di lingua. (F) 46. Non capisco con la giusta chiarezza come la coesistenza di due segni, la coesistenza di due oggetti, la coesistenza di un oggetto o di una sensazione, o di un’immagine, o di un’idea è un mezzo di paragone. Quando l’attenzione è rivolta a uno dei termini del paragone, l’altro termine è come assente. Voi avete immaginato bene la difficoltà; ma vi siete avvicinato in modo del tutto contrario alla sua soluzione; ma c’erano ancora alcuni passi da fare. Vi metterò sulla strada con una sola parola. Immaginate il legame degli esseri in natura; e unendo questo principio ai vostri, arriverete alla successione necessaria delle sensazioni, delle idee, dei segni; e ciò quasi senza aver bisogno della coesistenza, che tuttavia non dobbiamo escludere; perché tale coesistenza, e diversi altri fenomeni, completano la soluzione. (M) Abbiamo considerato la maniera di acquisire le idee, quella di richiamarle, e quale affidamento si può fare sulla veracità delle loro rappresentazioni: ora, si tratterà di vedere che cos’è la ragione e il ragionamento. L’essere che ha la facoltà di sentire e di conseguenza quella di acquisire delle idee, o, il che è la stessa cosa, la facoltà contemplativa o intuitiva, ha dunque delle sensazioni vere o degli oggetti che sono attualmente fuori di lui, o della modificazione presente dei suoi organi, e niente di più: ma l’essere che unisce a questa facoltà intuitiva, quella di potersi ricordare delle proprie idee per mezzo dei segni, può fare agire questa facoltà su (x) altrettanti oggetti insieme [47], quanti ne potrà far coesistere in qualche modo, apparentemente, per mezzo delle idee [48].
47. (x) Su altrettanti oggetti insieme; faccio molta fatica a concepire la possibilità della presenza simultanea di due oggetti in uno stesso atto di intuizione; a maggior ragione, non concepisco questa possibilità per tre e per un numero maggiore di oggetti. D’altronde, chi dice un atto di intuizione fissa l’intuizione su un solo oggetto; e chi dice due oggetti sembra esigere due atti di intuizione; ora questi due atti non possono coesistere (A). (M) (A) Fate l’esperienza, e riconoscerete questi due atti; è come l’occhio che a stretto rigore di termini non vede se non il punto che lo fissa. (F) 48. Voi muovete dritto spedito alla questione più spinosa di tutta la metafisica. Voi fondate la vostra spiegazione della ragione e del ragionamento sulla necessità dei segni. È vero che date alla parola segno un’accezione molto estesa.
Diderot.indb 917
30/09/2019 15:13:27
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opere filosofiche
Je conviens que les signes rendent le Discours, Discursus, très facile ; mais ils n’en sont ni la cause ni le moyen. Si vous y réfléchissez bien profondément, vous remonterez à un phénomène ou principe très antérieur. Ce principe, vous le trouverez dans l’enchaînement naturel des qualités d’un être, dans l’enchaînement des êtres, dans une habitude nécessitée par cet enchaînement de faire succéder ou d’avoir, ce qui est plus exact, une certaine suite de sensations, et de produire un certain ordre de sons. Songez aussi aux effets des êtres sur nous. Et n’oubliez pas les effets des signes sur les autres, hors de nous. Je vous révèle avec plaisir les mystères de ma philosophie, parce que je vous y vois très initié. (F) C’est cette faculté intuitive qu’on appelle raison, et son application aux idées, raisonnement. Ce qui constitue le degré de perfection dans les intelligences, c’est la quantité plus ou moins grande d’idées coexistantes que ces intelligences pourront offrir et soumettre à leur faculté intuitive [49].
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49. Je ne crois pas cela, vrai à la lettre. Les idées se réveillent ; mais on a bien de la peine à concevoir la coexistence de deux, dans Neuton. (M) L’intelligence qui serait absolument parfaite, pourrait, dans toute la force du terme, faire coexister plusieurs idées ; ainsi, de deux intelligences, la plus parfaite sera celle qui portera plusieurs idées le plus près de la coexistence absolue. [50] | || 262
50. Vous avez vous-même senti l’inexactitude [de] ce paragraphe. Toute coexistence est absolue, ou n’est point du tout. Il n’y a pas de milieu ; et cela ne sera guère contesté que par ceux qui n’ont pas porté une analyse très scrupuleuse sur l’opération de l’entendement, dans la succession des idées qui constitue un raisonnement. (M) * Par exemple : soit a . D : : D . x. Soit encore a = 2b, b = 2c, c = 2D. Supposons que quatre intelligences se rappellent les idées de a, b, c, D, et x, et de tous les rapports que je viens de dire [51].
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51. * Je vous déclare qu’il n’y a pas un homme sur la surface de la terre capable d’avoir ces rapports coexistants. Je vous déclare que celui qui est arrivé au dernier de ces rapports, avec la conscience la plus entière de l’évidence, n’en a pas la coexistence. Voulez-vous savoir mon mot. Discursus est series identificationum. Plus la série est longue, plus le circuit des identifications est compliqué, plus il est rapide ; plus l’intelligence est parfaite. Vous avez spécifié un seul des moyens de cette opération. Mais ce moyen n’est ni le primitif ni le seul. Quoique ce soit, à mon avis, le plus fécond.
Diderot.indb 918
30/09/2019 15:13:27
osservazioni su hemsterhuis, 48-51
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Sono d’accordo che i segni rendono il Discorso, Discursus, molto facile; ma non ne sono né la causa, né il mezzo. Se ci riflettete bene e profondamente, risalirete a un fenomeno o principio molto precedente. Questo principio lo troverete nella concatenazione naturale delle qualità di un essere, nella concatenazione degli esseri, in un’abitudine, necessitata da questa concatenazione, di far susseguire o di avere, il che è più esatto, una certa serie di sensazioni, e di produrre un certo ordine di suoni. Immaginate anche gli effetti degli esseri su di noi. E non dimenticate gli effetti dei segni sugli altri, fuori di noi. Vi rivelo con piacere i misteri della mia filosofia, perché vedo che siete, circa questi, molto iniziato. (F) È questa facoltà intuitiva che chiamiamo ragione e la sua applicazione alle idee, ragionamento. Ciò che costituisce il grado di perfezione nelle intelligenze è la quantità più o meno grande di idee coesistenti che queste intelligenze potranno offrire e sottomettere alla loro facoltà intuitiva [49].
49. Io non credo che ciò sia vero, non vero alla lettera. Le idee si risvegliano; ma si fa fatica a concepirne la coesistenza di due, in Newton. (M) L’intelligenza che fosse assolutamente perfetta, potrebbe, con tutta la forza del termine, far coesistere diverse idee; così, tra due intelligenze, la più perfetta sarà quella che porterà diverse idee più prossime alla coesistenza assoluta [50].
50. Voi stesso avete sentito l’inesattezza [di] questo paragrafo. Ogni coesistenza è assoluta o non è affatto tale. Non c’è via di mezzo; e questo non sarà affatto contestato se non da coloro che non hanno svolto un’analisi assai scrupolosa sull’operazione dell’intelletto, nella successione delle idee che costituisce un ragionamento. (M) * Ad esempio: sia a. D : : D. x. Sia ancora a = 2b, b = 2c, c = 2D. Supponiamo che quattro intelligenze si ricordino le idee di a, b, c, D, e x, e di tutti rapporti che ho appena detto [51].
51. * Vi dichiaro che non c’è un uomo, sulla faccia della terra, capace di avere questi rapporti coesistenti.21 Vi dichiaro che colui che è giunto all’ultimo di questi rapporti, con la coscienza più completa dell’evidenza, non ne ha la coesistenza. Volete conoscere la mia parola? Discursus est series identificationum.22 Più la serie è lunga, più il circuito delle identificazioni è complicato, più esso è rapido; più l’intelligenza è perfetta. Voi avete indicato solo uno dei mezzi di quest’operazione. Ma tale mezzo non è né il primitivo, né il solo. Comunque sia, a mio avviso, è il più fecondo.
Diderot.indb 919
30/09/2019 15:13:27
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opere filosofiche
Quant à la manière d’instituer la série, et d’arriver prestement à une conclusion ; affaire d’organisation, de mémoire, d’imagination ; affaire d’habitude, d’expérience. Et c’est ainsi que le temps et l’opiniâtreté équivalent au génie. (F) La première, qu’on suppose faire coexister presque toutes ses idées, sentira d’abord que x = a/64 : elle compare d’abord a avec x, sans égard à tous les rapports intermédiaires, ou plutôt elle sent tous ces rapports dans le même instant. La seconde trouvera d’abord souvent de même, que x = a/64, mais elle aura passé rapidement par tous les rapports intermédiaires. || La troisième commence par ranger ses idées en ordre, depuis la plus simple jusqu’à la plus composée. Elle compare ensuite les deux les plus simples, et elle tire une conclusion, c’est-à-dire, * qu’elle acquiert une nouvelle idée de rapport [52]. Cette nouvelle idée, elle la compare avec l’idée la moins composée de toutes les suivantes ; elle tire une conclusion ; et avec la nouvelle idée qui en résulte elle continue la même manœuvre, et parvient à la fin à la même vérité.
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52. * Ce n’est peut-être pas une nouvelle idée de rapport qu’elle acquiert ; c’est la certitude, ou l’évidence de l’identité d’un rapport avec un autre. La vérité la plus éloignée d’un axiome, n’est que cet axiome autrement exprimé. C’est sur cela qu’est fondée la possibilité des deux manières de raisonner, ou de remonter de la proposition éloignée à l’axiome, ou de descendre de l’axiome à la proposition la plus éloignée. Pour Dieu, toute la science mathématique, et peut-être toute la science physique se réduit à 1 et 1 font 2. (F) La quatrième, qui ne saurait faire coexister à peu près que deux de ces idées, ou || deux de ces rapports, ne pourra juger laquelle de toutes ces idées est la plus simple ou la plus composée : elle pense au hasard : elle va comparer le rapport de | a à b, à celui de c à D ; ou bien celui de b à c, à celui de D à x, dont il n’y a aucune conclusion, aucune vérité, aucune nouvelle idée à tirer, faute de l’intuition des idées ou des rapports intermédiaires. Dans le premier exemple, c’est le * génie [53] qui sent.
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53. * Il n’est guère permis à un philosophe d’employer ces mots génie, esprit, instinct, sagacité, stupidité sans en donner des notions précises. Voyez comme ce mot génie, jeté dans cet endroit est obscur. J’en dis autant de celui d’esprit, et de celui de sagacité. Songez que vous m’entretenez des opérations de l’entendement et de ses qualités. (F)
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Diderot.indb 920
Dans le second, c’est l’esprit qui devine, qui se hâte, et qui peut se tromper. Dans le troisième, c’est la sagacité qui cherche et qui trouve. || Dans le quatrième, c’est la stupidité errante et aveugle. Il est évident, par ce que je viens de dire, que le raisonnement n’est autre chose que l’application simple de la faculté intuitive aux idées présentes, et
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Quanto alla maniera di istituire la serie e di arrivare rapidamente a una conclusione: è un affare d’organizzazione, di memoria, di immaginazione; affare di abitudine, di esperienza. Ed è così che il tempo e la perseveranza equivalgono al genio. (F) La prima [intelligenza], che si suppone faccia coesistere quasi tutte le sue idee, sentirà anzitutto che x = a/64: essa paragona anzitutto a con x, senza far caso a tutti i rapporti intermedi, o piuttosto essa sente tutti questi rapporti nello stesso momento. La seconda troverà anzitutto, spesso allo stesso modo, che x = a/64, ma essa sarà passata rapidamente per tutti i rapporti intermedi. La terza inizia col mettere le sue idee in ordine, dalla più semplice fino la più complessa. Essa paragona poi le due più semplici, e trae una conclusione, cioè *essa acquisisce una nuova idea di rapporto [52]. Questa nuova idea, la paragona con l’idea meno complessa tra tutte le idee successive; essa trae una conclusione; e con la nuova idea che ne risulta, continua la stessa manovra e perviene, alla fine, alla stessa verità.
52. * Non è forse una nuova idea di rapporto che essa acquisisce; è la certezza, o l’evidenza dell’identità di un rapporto con un altro. La verità più lontana da un assioma, non è altro che quest’assioma espresso in altro modo. È su ciò che si fonda la possibilità delle due maniere di ragionare, o di risalire dalla proposizione lontana all’assioma, o di scendere dall’assioma alla proposizione più lontana. Per Dio, tutta la scienza matematica, e forse tutta la scienza fisica, si riduce a 1 più 1 fanno 2.23 (F) La quarta [intelligenza], che non potrebbe far coesistere, pressappoco, se non due di queste idee o due di questi rapporti, non potrà giudicare quale di tutte queste idee è la più semplice o la più complessa: essa pensa a caso: va paragonando il rapporto di a con b, a quello di c con D; oppure quello di b con c, a quello di D con x, da cui non c’è alcuna conclusione, alcuna verità, alcun’idea nuova da trarre, in mancanza dell’intuizione delle idee o dei rapporti intermedi. Nel primo esempio, è il * genio [53] che sente.
53. * Non è affatto permesso, a un filosofo, utilizzare queste parole genio, spirito, istinto, sagacia, stupidità, senza darne delle nozioni precise. Guardate come questa parola genio, gettata in quel luogo, è oscura. Dico altrettanto della parola spirito e della parola sagacia. Pensate che mi state parlando delle operazioni dell’intelletto e delle sue qualità. (F) Nel secondo caso, è lo spirito che indovina, che si affretta e può ingannarsi. Nel terzo, è la sagacia, che cerca e trova. Nel quarto, è la stupidità errante e cieca. È evidente, da quello che ho appena detto, che il ragionamento non è altra cosa che l’applicazione semplice della facoltà intuitiva alle idee pre-
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coexistantes autant que ˄ [54] possible [55] ; que la nouvelle vérité n’est qu’une et la même avec les vérités de la comparaison desquelles elle résulte ; et enfin, que c’est du génie qu’il faut attendre les vérités grandes et éloignées : de la sagacité, les vérités claires et sensibles pour tout le monde : de l’esprit, les vérités et les erreurs : et de la stupidité, les ténèbres [56]. ||
54. ˄ qu’il est / (F) 55. Cette restriction anéantit, tout ce que vous avez dit. Parce que la coexistence n’est pas susceptible de plus ou de moins. (M) 56. Voyez comme toute cette fin de paragraphe devient vague, faute d’avoir bien défini ces différentes sortes d’esprit. Dans toute autre matière, je ne vous ferais pas cette difficulté. (M) * Ce qu’on a décoré souvent du nom de philosophie, n’est proprement que la lie, qui demeure après l’effervescence de l’imagination [57]. | ** Comme, d’un côté, il n’y a rien de si extravagant que cette espèce de philosophie n’ait imaginé, et que, de l’autre, il fallait subvenir à l’aveuglement de la stupidité, on a inventé une logique pour tenir l’une un peu en bride, et pour porter, s’il se peut, un faible rayon de lumière jusque dans le chaos de la stupidité [58].
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57. * Cela n’est pas assez clair. Pour sentir la vérité de cette métaphore qui me plaît, il faudrait avoir une idée nette de l’imagination. Quand l’imagination peint fidèlement. Son résultat ne peut être faux. C’est de la bonne philosophie. Quand elle emprunte de la nature des parties éparses en plusieurs êtres, pour en former un être idéal. C’est de la poésie. Le philosophe veut être vrai. Le poète veut être merveilleux. Si l’image est en même temps fidèle et surprenante, l’auteur est en même temps, philosophe et poète. (F)
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58. ** Il faut trop aider à la lettre, pour entendre quelque chose à ce paragraphe. Point d’hommes qui fassent moins usage de leur imagination, que les philosophes, surtout les matérialistes modernes, qui n’assurent que ce qu’ils sentent. De là la décadence de la poésie parmi nous. On n’a point inventé de logique, de nos jours. C’est un moyen, plus ou moins perfectionné, aussi vieux que l’homme, soit pour comparer, soit pour arriver sûrement à une conclusion. | Je l’appellerais dans mon ramage, methodus recte perficiendi identificationes. (F)
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Notez, je vous prie, que cette logique artificielle est postérieure à la faculté intuitive, || qui est la seule logique véritable [59].
59. * La faculté intuitive n’est pas la logique. La logique est une science.
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senti, e coesistenti per quanto ˄ [54]possibile [55]; che la nuova verità è solo una e la stessa, con le verità dal raffronto delle quali essa risulta; e infine, è dal genio che bisogna attendersi le verità grandi e lontane: dalla sagacia, le verità chiare e sensibili per tutti: dallo spirito, le verità e gli errori: e dalla stupidità, le tenebre [56].
54. ˄ per quanto è / (F) 55. Questa restrizione annulla tutto ciò che avete detto. Perché la coesistenza non è suscettibile di un più o di un meno. (M) 53. Vedete come tutta questa fine di paragrafo diventa vaga, per il difetto di non aver ben definito quelle diverse specie di spirito. In ogni altra materia non vi porrei questa difficoltà. (M) * Ciò che si è spesso onorato col nome di filosofia, non è propriamente che la feccia, che resta dopo l’effervescenza dell’immaginazione [57]. ** Siccome, da un lato, non c’è niente di così stravagante che questa specie di filosofia non abbia immaginato, e, dall’altro, bisognava far fronte all’accecamento della stupidità, si è inventata una logica per tenere l’una un po’ alle briglie, e per portare, se possibile, un debole raggio di luce fin nel caos della stupidità [58].
57. * Questo passaggio non è abbastanza chiaro. Per sentire la verità di questa metafora, che mi piace, bisognerebbe avere un’idea netta dell’immaginazione. Quando l’immaginazione dipinge fedelmente, il suo risultato non può essere falso. È della buona filosofia. Quando essa prende in prestito, dalla natura, delle parti sparse in diversi esseri, per formarne un essere ideale. È della poesia. Il filosofo vuole essere vero. Il poeta vuole essere meraviglioso. Se l’immagine è, nello stesso tempo, fedele e sorprendente, l’autore è al tempo stesso filosofo e poeta. (F) 58. ** Bisogna andare troppo al di là della lettera, per capire qualcosa di questo paragrafo. Non ci sono uomini che facciano meno uso della loro immaginazione quanto i filosofi, soprattutto i materialisti moderni, i quali non assicurano altro se non ciò che sentono. Da ciò, la decadenza tra noi della poesia.24 La logica non è stata affatto inventata ai giorni nostri. È un mezzo, più o meno perfezionato, vecchio quanto l’uomo, o per paragonare, o per arrivare sicuramente a una conclusione. Lo chiamerei, nel mio cinguettio, 25 methodus recte perficiendi identificationes.26 (F) Notate, vi prego, che questa logica artificiale è posteriore alla facoltà intui tiva, che è la sola logica vera [59].
59. * La facoltà intuitiva non è la logica. La logica è una scienza.
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Et l’objet de cette science est de diriger la faculté intuitive dans la suite de ses opérations. (F) L’être qui a la faculté de sentir, a trois moyens naturels par lesquels il peut recevoir des idées [60]. l°. Par l’action des objets, qui met les organes en mouvement. 2°. Par le mouvement accidentel des organes. 3°. Par le mouvement imprimé aux organes par le moyen des signes. Il est important de considérer maintenant le degré de clarté des idées qui naissent de ces trois moyens. L’idée qui résulte de la présence de l’objet, a toute || la clarté requise, sans confusion. L’idée xx produite par le mouvement accidentel des organes [61], est beaucoup moins claire, et très souvent confuse.
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60. (Très bien) (M)
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61. xx Il faut comparer cette assertion, avec ce qui arrive dans le rêve, et ce que vous en dites vous-même pag. 29. AA . Voici un fait, c’est que le rêve est quelquefois d’une vivacité fort supérieure à la [sensation] de l’objet présent. | Ce qui n’empêche point que ce que vous dites ne soit généralement vrai. (F) L’idée que la velléité rappelle par le signe, a beaucoup moins de clarté encore ; mais elle est bien terminée, et sans aucune confusion. On pourrait mesurer ces degrés de clarté par l’expérience. Lorsqu’on rêve en dormant, et que la scène du songe se passe de plein jour, il faut faire attention au moment du réveil, et, en ouvrant les yeux, comparer la || clarté du vrai jour, avec celle du jour qu’on vient de quitter ; et l’on verra, que la différence entre l’idée produite par l’objet réel et présent, et entre celle qui est occasionnée par le mouvement accidentel des organes, est immense. Lorsqu’on s’amuse à suivre une démonstration géométrique, ou à jouer aux échecs les yeux fermés, on sent la distance qui se trouve entre la clarté des idées imprimées par l’objet réel, et celle des idées qui paraissent à l’avertissement du signe. * Dans les songes on découvre souvent des vérités géométriques, || qu’on avait cherchées en vain pendant ses veilles [62]. Dans les songes l’homme est communément plus résolu et plus déterminé que dans ses veilles : il a plus de peur et plus de courage : * j’ose dire qu’il raisonne plus juste [63], parce que sa faculté intuitive ne contemple presque que des idées présentes et coexistantes, non rappelées par les signes, et par conséquent plus fortes que les idées de rappel ; et j’ajoute, qu’il est plus vrai. * L’homme dans ses songes est tout à son caractère [64]. Qu’un homme me donne l’histoire fidèle de ses songes, je lui donnerai le tableau parfait || de son caractère moral. * Alexandre ne prit jamais la fuite en songe [65].
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62. * Je ne crois pas qu’aucune découverte géométrique ait été faite en rêve ; ni qu’il s’en fasse jamais aucune. | Le rêve ne reproduit que les images de la veille, images tantôt successives et sans liaison, plus souvent liées. Il y a bien de la ressemblance entre le rêve et la folie.
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E l’oggetto di questa scienza è di dirigere la facoltà intuitiva nella serie delle sue operazioni.27 (F) L’essere che ha la facoltà di sentire, ha tre mezzi naturali con i quali può ricevere delle idee [60]. 1°. Con l’azione degli oggetti, che mette gli organi in movimento. 2°. Con il movimento accidentale degli organi. 3°. Con il movimento impresso agli organi per mezzo dei segni. È importante considerare ora il grado di chiarezza delle idee che nascono da questi tre mezzi. L’idea che risulta dalla presenza dell’oggetto, ha tutta la chiarezza richiesta, senza confusione. L’idea xx prodotta dal movimento accidentale degli organi [61] è molto meno chiara e molto spesso confusa.
60. (Molto bene). (M) 61. xx Bisogna paragonare quest’asserzione con ciò che accade nel sogno e con ciò che ne dite voi stesso, a pag. 29. AA.28 Ecco un fatto: il sogno è talvolta di una vivacità molto superiore alla [sensazione] dell’oggetto presente.29 Il che non impedisce affatto che ciò che voi dite non sia vero in generale. (F) L’idea che la velleità richiama con il segno ha ancora molto minore chiarezza; ma è ben conclusa, e senza alcuna confusione. Si potrebbero misurare questi gradi di chiarezza con l’esperienza. Quando si sogna, dormendo, e la scena del sogno si svolge in pieno giorno, occorre fare attenzione al momento del risveglio, e, aprendo gli occhi, paragonare la chiarezza del vero giorno con quella del giorno che si è appena lasciato; e si vedrà che la differenza tra l’idea prodotta dall’oggetto reale presente e quella occasionata dal movimento accidentale degli organi, è immensa. Quando ci si diverte a seguire una dimostrazione geometrica, o a giocare a scacchi con gli occhi chiusi, si sente la distanza che si trova tra la chiarezza delle idee impresse dall’oggetto reale e quella delle idee che appaiono all’avvertimento del segno. * Nei sogni, spesso, si scoprono delle verità geometriche che si erano cercate invano durante la veglia [62]. Nei sogni l’uomo è di solito più risoluto e più determinato che nella veglia: ha più paura e più coraggio: * oso dire che ragiona in modo più giusto [63], perché la sua facoltà intuitiva non contempla quasi altro che delle idee presenti e coesistenti, non richiamate dai segni e, di conseguenza, più forti delle idee di richiamo; e io aggiungo che è più vero. * L’uomo, nei suoi sogni, è tutto nel suo carattere [64]. Che un uomo mi dia la storia fedele dei suoi sogni, io gli darò il quadro perfetto del suo carattere morale. * Alessandro non si diede mai alla fuga in sogno [65].
62. * Io non credo che alcuna scoperta geometrica sia stata fatta in sogno; né che se ne faccia mai alcuna. Il sogno non riproduce che le immagini della veglia, immagini talora successive e senza legame, più spesso collegate. C’è senz’altro della somiglianza tra il sogno e la follia.
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Un homme qui ne sortirait point de l’état de rêve serait un fou. (F) 63. * Je crois qu’il peut voir plus vivement ; pour raisonner plus juste, je n’en crois rien. (F) 64. * Je ne le crois pas davantage parce que le rêve est presque toujours la suite ou d’un embarras de l’estomac, ou de quelque excrétion suspendue [,] ou d’une position contrainte, ou de quelque impression reçue pendant le jour etc... un malaise, sinon une maladie. Or quelle différence de l’homme en santé et de l’homme en maladie. (F) 65. * Je l’ignore. Mais je sais que des hommes et des femmes très chastes ont eu des rêves très dissolus. Et que des hommes très doux, éveillés, ont été des bêtes féroces en rêve . (F) Il paraîtra enfin, que les mouvements des [dernières] fibres de l’organe, occasionnés par l’état accidentel du corps, sont beaucoup plus forts que ceux qu’on imprime par le moyen des signes. Si l’on considère maintenant, que la plupart des animaux sont plus déterminés et plus résolus dans leurs actions que la plupart des hommes, on comprendra aisément, quelle doit être l’espèce de différence entre l’état intellectuel des animaux et entre celui de l’homme [66]. | || 269
66. * Pour bien spécifier cette différence, il faudrait bien savoir ce que c’est que l’instinct. Sa cause est dans l’organisation qui l’applique tout entier à une seule chose et qui l’y applique irrésistiblement. (M) L’animal n’a pas de signes arbitraires, et par conséquent il n’a pas la faculté de se rappeler à volonté [67] les idées des objets ; ce qui ôte à sa faculté intuitive une quantité immense d’idées à contempler.
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67. A volonté ! * L’homme qui a des signes conventionnels n’a pas plus cette faculté que l’animal. (F) Voyons la quantité et la qualité des idées qui lui restent. Pour la quantité, elle est formée par les idées qu’il a reçues par l’impression actuelle des objets, et par quelques idées accessoires que l’apparition de l’objet, en qualité de signe, lui rappelle. Par exemple, un chien a été battu par un homme : ce chien manque de signes arbitraires, n’a || pas la faculté de se rappeler xx à volonté l’idée de cet homme et des coups qu’il a reçus [68] ; mais aussitôt que l’homme paraît, cet homme est le signe qui lui rappelle l’idée des coups reçus, de la douleur qu’il a sentie, etc. : sur ces idées, alors coexistantes, il raisonnera juste.
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68. xx Je ne sais si c’est à volonté ou non ; mais je sais qu’un chien ne passe plus par un endroit où il a été maltraité, quoiqu’il soit fort éloigné de cet endroit, et qu’il n’y ait rien de présent qui le lui fasse éviter. (F) Pour la qualité des idées qui lui restent, les idées qu’il reçoit de l’objet présent sont aussi fortes que celles que l’homme en reçoit, exception faite de la
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Un uomo che non uscisse mai dallo stato di sogno sarebbe un pazzo. (F) 63. * Io credo che possa vedere in modo più vivo; quanto a ragionare in modo più giusto, non lo credo affatto. (F) 64. * Non lo credo, a maggior ragione perché il sogno è quasi sempre la conseguenza o di un imbarazzo dello stomaco o di qualche escrezione sospesa, o di una posizione costretta, o di qualche impressione ricevuta durante il giorno, ecc.... Un malessere, se non una malattia. Ora, quale differenza tra l’uomo in buona salute e l’uomo malato. (F) 65. * Lo ignoro. Ma so che uomini e donne molto casti hanno avuto sogni molto lascivi. E che uomini assai miti da svegli, sono stati delle bestie feroci in sogno. (F) Infine si mostrerà che i movimenti delle [ultime] fibre dell’organo, occasionati dallo stato accidentale del corpo, sono molto più forti di quelli che s’imprimono per mezzo dei segni. Se si considera ora che la maggior parte degli animali sono più determinati, più risoluti, nelle loro azioni, della maggior parte degli uomini, si comprenderà facilmente quale dev’essere la specie di differenza tra lo stato intellettuale degli animali e quello dell’uomo [66].
66. * Per precisare bene questa differenza, bisognerebbe sapere bene che cos’è l’istinto. La sua causa è nell’organizzazione, che assoggetta l’animale, tutto intero, a una sola cosa e lo assoggetta a essa irresistibilmente.30 (M) L’animale non ha segni arbitrari, e di conseguenza non ha la facoltà di richiamarsi a volontà [67] le idee degli oggetti; il che toglie alla sua facoltà intui tiva un’immensa quantità di idee da contemplare.
67. A volontà! * L’uomo che ha dei segni convenzionali, di questa facoltà non ne ha più di quanta ne abbia l’animale. (F) Vediamo la quantità e la qualità delle idee che gli restano. Per la quantità, essa è formata dalle idee chiare ricevute dall’impressione attuale degli oggetti e da qualche idea accessoria che l’apparizione dell’oggetto, in qualità di segno, gli richiama. Ad esempio, un cane è stato bastonato da un uomo: questo cane manca di segni arbitrari, non ha la facoltà di ricordarsi xx a volontà l’idea di quell’uomo e dei colpi che ha ricevuto [68]; ma non appena l’uomo appare, quest’uomo è il segno che gli ricorda l’idea dei colpi ricevuti, del dolore che ha sentito, ecc.: su queste idee, allora coesistenti, l’animale ragionerà con giustezza.
68. xx Io non so se è a volontà o no: ma so che un cane non passa più per un luogo in cui è stato maltrattato, benché sia molto lontano da quel luogo e non ci sia nulla di presente che glielo faccia evitare. (F) Per la qualità delle idee che gli restano, le idee che riceve dall’oggetto presente sono altrettanto forti quanto quelle che ne riceve l’uomo, eccezion fatta
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perfection de l’organe, qui peut être plus grande ou moindre dans tel ou tel animal. | Elles sont les suites du mouvement des fibres || de l’organe occasionné par la présence de l’objet ; et les idées accessoires résultent du mouvement que ces fibres ont imprimé à des fibres voisines, qui autrefois avaient été mis [69]˄ en mouvement par des objets, qui alors avaient réellement coexisté avec l’objet qui sert maintenant de signe. L’animal reçoit encore des idées en songe par l’état accidentel de son corps, et de la même façon que l’homme les reçoit [70] ; mais la quantité de ces idées doit être proportionnée à celle des idées qu’il peut acquérir en veillant.
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69. es˄. (M) 70. * Est-ce bien reçoit ? Ou plutôt L’état accidentel réveille etc.... (F) Il s’ensuit, premièrement, que la faculté intuitive de l’animal || ne saurait agir que sur les idées que les objets ou le besoin de ses organes lui donnent au hasard. Secondement, que les idées coexistantes, qui composent les seuls sujets sur lesquels la faculté intuitive applique sa mesure, sont en très petit nombre, si on la compare à la quantité immense d’idées que la velléité [71] de l’homme peut faire coexister et comparer [72].
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71. Ce mot me scandalisera toujours. (M) 72. * Toute l’âme d’un chien est au bout de son nez. Affaire d’organisation. Changez la ligne faciale. Arrondissez la tête etc. et le chien ne quêtera plus des perdrix ; il éventera des hérétiques. Allongez le nez du docteur de Sorbonne etc... et il ne chassera plus l’hérétique ; il arrêtera la perdrix. (F) | Troisièmement, que l’animal recevant presque toutes ses idées également claires, il a des passions plus également fortes, et il a, pour ainsi dire, plus de caractère national dans son espèce que n’en a || l’homme [73] : ce qui pourrait servir de réponse à la question de Philémon,
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Τί ποθ’ ὁ Προμηθεὺς, ὃν λέγουσ’ ἡμᾶς πλάσαι Καὶ τ’ ἄλλα πάντα ζῶα, τοῖς μὲν θηρίοις Ἔδωχ’ ἑκάστῳ κατὰ γένος μίαν φύσιν.
73. Ce phénomène, très vrai, a une autre cause. Recherchez bien ce que c’est que l’instinct propre de chaque espèce d’animaux et vous trouverez cette cause. (M) Enfin, il paraît par ce que je viens de dire, que, sans compter la possibilité que la faculté de se servir de signes arbitraires soit adhérente à l’essence de l’homme [74], les animaux, pour ce qui regarde la faculté intellectuelle, sont infiniment au-dessous de lui. ||
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della perfezione dell’organo che può essere maggiore o minore, in tale o tal altro animale. Esse sono le conseguenze del movimento delle fibre dell’organo, occasionato dalla presenza dell’oggetto; e le idee accessorie risultano dal movimento che quelle fibre hanno impresso a fibre vicine, che in altro momento erano state messo˄ [69] in moto da oggetti che allora erano realmente coesistiti con l’oggetto che serve ora da segno. L’animale riceve inoltre delle idee in sogno dallo stato accidentale del suo corpo, e nella stessa maniera in cui le riceve l’uomo [70]; ma la quantità di tali idee deve essere proporzionata a quella delle idee che può acquisire durante la veglia.
69. messe ˄. (M) 70. * È proprio riceve? O non piuttosto: Lo stato accidentale risveglia ecc...31 (F) Ne consegue, in primo luogo, che la facoltà intuitiva dell’animale non potrebbe agire se non sulle idee che gli oggetti o il bisogno dei suoi organi gli offrono a caso. In secondo luogo, che le idee coesistenti, le quali compongono i soli oggetti su cui la facoltà intuitiva applica la sua misura, sono in piccolissimo numero, se la si paragona alla quantità immensa di idee che la velleità [71] dell’uomo può far coesistere e comparare [72].
71. Questa parola mi scandalizzerà sempre. (M) 72. * Tutta l’anima di un cane sta sulla punta del suo naso. Affare di organizzazione. Cambiate la linea facciale. Arrotondate la testa ecc. e il cane non inseguirà più la pernice; sventrerà degli eretici. Allungate il naso del dottore di Sorbona ecc.... E costui non caccerà più l’eretico; catturerà la pernice.32 (F) In terzo luogo, che l’animale, ricevendo ugualmente chiare quasi tutte le proprie idee, ha delle passioni più ugualmente forti, e ha, per così dire, più carattere nazionale nella sua specie di quanto ne ha l’uomo [73]: e questo potrebbe servire di risposta alla questione di Filemone, Per quale ragione Prometeo, il quale, a quanto si dice, ha formato gli uomini e tutti gli animali, ha dato ai bruti, a ciascuna specie, un solo carattere morale?
73. Questo fenomeno, molto vero, ha un’altra causa. Cercate bene che cos’è l’istinto proprio di ogni specie animale e troverete questa causa. (M) Infine appare, da ciò che ho appena detto, che, senza contare la possibilità che la facoltà di servirsi di segni arbitrari sia aderente all’essenza dell’uomo [74], gli animali, per ciò che concerne la facoltà intellettuale, sono infinitamente al di sotto di lui.
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74. * Je ne crois point cette ressource essentiellement attachée à la nature de l’homme. Les renards chassent de compagnie ; se placent, s’avertissent, etc... Trois loups conduisent un troupeau de moutons, deux se placent sur les côtés ; le troisième se met à la queue. Le chien du berger est perpétuellement en conversation avec son maître ; il entend et se fait entendre par signes. Il parle. Il a différentes voix. Il en est de même du chien de chasse ; à son mouvement et à sa voix, il indique au chasseur des choses très différentes. Deux hommes ne s’entretiennent pas autrement. (F) | * Il paraît encore que ce qu’on appelle instinct [75], est le jugement ou le résultat nécessaire qui doit suivre l’action de la faculté intuitive sur quelque peu d’idées simples et claires, coexistantes.
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75. * Je ne définis pas ainsi l’instinct ; c’est, selon moi, une qualité, conséquente à l’organisation, qui applique l’animal à une sorte de fonction particulière. Plus il est propre à celle-là, moins il est propre aux autres. Il en est de même du génie, dans l’homme. C’est une fibre prédominante. (M) Nous venons de considérer l’être qui a la faculté de sentir, de penser, et de raisonner. Passons maintenant à la contemplation de l’homme, comme être agissant ; et voyons s’il est simple ou composé, sujet à la destruction, ou d’une essence durable. 1. * Un corps en repos [76], ou dans un mouvement uniforme, persiste par sa nature dans son état de repos, ou || dans son mouvement uniforme.
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76. * Il n’y a point de corps dans un repos absolu. Le mouvement ou son principe est dans le nisus, comme dans la translation. (M) | 2. Un corps ne saurait donc passer du repos au mouvement, ou du mouvement uniforme à un mouvement accéléré, que par l’action d’une chose qui n’est pas ce corps [77].
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77. S’il n’y a point de repos absolu. Si la nature du mouvement est la même dans le nisus et la translation ; l’action d’une chose qui ne soit pas corps soit pour mouvoir soit pour accélérer est superflue. (M) 3. Le corps de l’homme, par un acte de sa velléité xx [78], passe du repos au mouvement, ou du mouvement à un mouvement accéléré.
78. xx De sa velléité ; je n’entends pas. Est-ce que l’animal, la brute n’a point de velléité . (M) * Je ne sais ce que c’est que cette velléité. C’est qu’auparavant que de parler de mouvement, il fallait rechercher la nature du mouvement. C’est qu’avant que de rechercher la cause qui nous meut, il fallait savoir ce que nous sommes. Vous dites que l’homme et l’animal sentent ; mais qu’est-ce que la sensibilité ? Est-
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74. * Io non credo affatto che questa risorsa sia essenzialmente legata alla natura dell’uomo. Le volpi cacciano in compagnia; si piazzano, si avvertono, eccetera... Tre lupi guidano un gregge di pecore, due si piazzano sui lati; il terzo si mette in coda. Il cane pastore è in continua conversazione con il suo padrone; capisce e si fa capire con segni. Parla. Ha diverse voci. È la stessa cosa per il cane da caccia; al suo movimento e alla sua voce, indica al cacciatore cose molto diverse. Due uomini non conversano tra loro in modo diverso.33 (F) Sembra inoltre che ciò chiamiamo istinto [75] è il giudizio o il risultato necessario che deve seguire all’azione della facoltà intuitiva da quelle poche idee semplici e chiare, coesistenti.
75. * Io non definisco così l’istinto; secondo me, è una qualità conseguente all’organizzazione, che applica l’animale a una specie di funzione particolare. Più esso è adatto a quella, meno l’animale stesso è adatto alle altre. È la stessa cosa per il genio, nell’uomo. È una fibra predominante.34 (M) Abbiamo appena considerato l’essere che ha la facoltà di sentire, di pensare e di ragionare. Passiamo ora alla contemplazione dell’uomo come essere agente; vediamo se è semplice o composto, soggetto alla distruzione o di essenza durevole. 1. * Un corpo in quiete [76], o in moto uniforme, persiste per sua natura nel suo stato di quiete o di moto uniforme.
76. * Non ci sono affatto corpi in una quiete assoluta. Il movimento o il suo principio è nel nisu, come nella traslazione.35 (M) 2. Un corpo non potrebbe dunque passare dalla quiete al moto, o dal moto uniforme a un moto accelerato, se non per l’azione di una cosa che non è quel corpo [77].
77. Se non esiste affatto quiete assoluta. Se la natura del moto è la stessa nel nisus e nella traslazione; l’azione di una cosa che non sia corpo, o per muovere o per accelerare, è superflua. (M) 3. Il corpo dell’uomo, con un atto della sua velleitàxx [78], passa dalla quiete al moto, o dal moto a un moto accelerato.
78. xx Della sua velleità; non capisco. Forse l’animale, il bruto non hanno affatto velleità. (M) * Io non so che cos’è questa velleità. Perché prima di parlare di moto bisognerebbe ricercare la natura del moto. Perché prima di cercare la causa che ci muove, bisognerebbe sapere ciò che siamo. Voi dite che l’uomo e l’animale sentono; ma che cos’è la sensibilità? È una proprietà
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ce une propriété générale de la matière ? Est-ce une propriété résultante d’une certaine combinaison ? Est-ce l’effet d’une cause analogue à l’effet ? Est-ce l’effet d’une cause essentiellement différente de l’effet. Qu’est-ce que du bois, du fer, de la terre ? Qu’est-ce que de la chair ? | La matière est-elle essentiellement homogène ? Est-elle essentiellement hétérogène ? S’il y a entre la nature d’une cause, et la nature d’un effet une différence essentielle ; n’y a-t-il pas incompatibilité ? et impossibilité que l’effet soit le produit de la cause qu’on lui donne. Qu’est-ce que la possibilité ? Qu’appelle-t-on impossible ? (F) 4. Ainsi le corps de l’homme est mis en mouvement, ou son mouvement est accéléré, xxx par l’action d’une chose qui n’est pas ce corps. [79]
79. xxx Si ce que vous appelez le corps, n’est pas une substance sensible. (M) 5. Il s’ensuit, que le principe moteur de ce corps, que || nous appelons l’âme, est une chose différente [80] de ce corps xx.
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80. Différente, assurément. Mais essentiellement ? car voilà le point. (M) xx Et cette âme que vous admettez, agit-elle toujours ? pense-t-elle toujours ? Si la pensée lui est essentielle, comment cesse-t-elle de penser ; comment anéantit-elle une propriété essentielle d’elle-même. | Si l’activité, si la pensée n’est pas le degré différentiel de l’âme avec la matière, qu’est-ce donc ? Ce n’est certainement aucune des propriétés qui lui soient communes avec le corps. Songez qu’il me faut un attribut positif, les négations disent bien ce qu’une chose n’est pas, mais ne disent pas ce qu’elle est. (F) 1. Il est contradictoire, qu’une chose quelconque détruise une propriété essentielle de soi-même, puisqu’il est de son essence d’avoir cette propriété ; ainsi elle se réduirait elle-même au néant. 2. Une propriété essentielle du corps en mouvement, est de persister à se mouvoir dans la même direction [81].
81. * Il y a deux forces dans la nature ; une force morte, et une force vive. Par la force morte, le corps tend à se mouvoir ; par la force vive, il se meut. La quantité de mouvement est variable dans un corps, comme sa masse. On a toujours confondu le mouvement avec la translation, et ce sont deux choses très diverses. Et la quantité de mouvement avec la nature du mouvement, deux choses encore très diverses ; (M) | 3. Or l’homme, d’un acte de sa velléité, xx change la direction du mouvement de son corps. [82]
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82. xx L’homme ne fait rien de lui-même. C’est toujours une cause ou qui lui est intérieure ou qui lui est extérieure qui le meut ; et l’effet est toujours proportionné à cette cause ; et homologue et analogue .
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osservazioni su hemsterhuis, 78-82
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generale della materia? È una proprietà risultante da una certa combinazione?36 È l’effetto di una causa analoga all’effetto? È l’effetto di una causa essenzialmente diversa dall’effetto. Che cos’è il legno, il ferro, la terra? Che cos’è la carne?37 La materia è essenzialmente omogenea? È essenzialmente eterogenea?38 Se tra la natura di una causa e la natura di un effetto c’è una differenza essenziale; non c’è incompatibilità? E impossibilità che l’effetto sia il prodotto della causa che gli si dà. Che cos’è la possibilità? Che cosa chiamiamo impossibile? (F) 4. Così il corpo dell’uomo è messo in moto, o il suo moto e accelerato, xxx dall’azione di una cosa che non è questo corpo [79].
79. xxx Se ciò che voi chiamate il corpo non è una sostanza sensibile.39 (M) 5. Ne consegue che il principio motore di questo corpo che noi chiamiamo l’anima è una cosa diversa [80] da questo corpo xx.
80. Diversa, certamente. Ma essenzialmente? Perché ecco qual è il punto. (M) xx E quest’anima che voi ammettete, agisce sempre? Pensa sempre? Se il pensiero le è essenziale, come cessa di pensare; come annulla una proprietà essenziale di se stessa?40 Se l’attività, se il pensiero non è il grado differenziale dell’anima rispetto alla materia,41 che cos’è dunque? Non è certamente alcuna delle proprietà che siano a essa comuni con il corpo. Pensate che mi occorre un attributo positivo, le negazioni dicono bene ciò che una cosa non è, ma non dicono ciò che essa è.42 (F) 1. È contraddittorio che una cosa qualsiasi distrugga una proprietà essenziale di se stessa, poiché è della sua essenza avere quella proprietà; così si ridurrebbe essa stessa al nulla. 2. Una proprietà essenziale del corpo in moto, è di persistere nel muoversi nella stessa direzione [81].
81. * Ci sono due forze della natura; una forza morta e una forza viva. Con la forza morta, il corpo tende a muoversi; con la forza viva, esso si muove.43 La quantità di moto è variabile in un corpo, come la sua massa. Si è sempre confuso il moto con la traslazione, e sono due cose molto diverse. E la quantità di moto con la natura del moto, due cose ancora molto diverse;44 (M) 3. Pertanto l’uomo, con un atto del moto del suo corpo [82].
xx
della sua velleità, cambia la direzione
82. xx L’uomo non fa niente da se stesso. È sempre una causa a muoverlo, a lui interna o esterna; e l’effetto è sempre proporzionato a tale causa; e omologo45 e analogo.46
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Et l’effet est impossible, si la cause est d’une nature essentiellement différente de l’effet. On ne scie point avec un marteau. Dire qu’un esprit a pu produire la matière ; c’est accorder à la matière le pouvoir de produire un esprit. C’est pis que d’accorder à la scie la vertu de marteler. (F) 4. Par conséquent l’homme, s’il n’était autre chose que son corps en mouvement, || détruirait une propriété essentielle de son corps en mouvement [83].
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83. * L’homme se meut ou ne se meut pas ; mais cela ne dépend pas de lui. Il ne produit rien, il n’anéantit rien. (F) 5. Il s’ensuit encore, que le premier moteur de ce corps, que nous appelons l’âme, est une chose différente de ce corps [84]. | 277
84. Toute cette suite de propositions ne signifie rien, tant qu’on n’assignera pas la différence de l’âme et du corps. Et quand on aura assigné cette différence, alors on pourra conclure. Je n’ai jamais vu la sensibilité, l’âme, la pensée, le raisonnement produire la matière. Et j’ai vu cent fois, mille fois la matière inerte passer à la sensibilité active, à l’âme, à la pensée, au raisonnement, sans autre agent ou intermède que des agents ou intermèdes matériels. Je m’en tiens là. Je n’assure que ce que je vois. Je n’appelle point à mon secours une cause inintelligible, contradictoire dans ses effets et ses attributs, et obscurcissant plutôt la question qu’elle ne l’éclaircit ; me suscitant mille difficultés effrayantes, pour une qu’elle ne lève pas. AA (M) AA. Si l’on se permettait de pareilles suppositions en physique, cette science se remplirait de mots vides de sens. (F) 1. Les idées que nous avons des choses, dérivent du rapport qui se trouve entre les choses et notre façon d’apercevoir et de sentir. 2. Il est possible que nous ayions une idée de tout ce qui est étendu et figuré. 3. La moindre particule de notre corps est étendue et figurée. | 4. Par conséquent il est possible || que nous ayions une idée de la moindre particule de notre corps [85].
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85. * Je ne crois point cela. Quand cela serait ? Pour connaître le rapport de la particule à ce qui aperçoit, il faudrait connaître la nature et de la particule et de ce qui aperçoit. Or je ne connais ni l’un ni l’autre terme. (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 82-85
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E l’effetto è impossibile, se la causa è di una natura essenzialmente diversa dall’effetto. Non si sega affatto con un martello. Dire che uno spirito ha potuto produrre la materia; è accordare alla materia il potere di produrre uno spirito.47 È peggio che accordare alla sega la virtù di martellare. (F) 4. Di conseguenza, l’uomo, se non fosse altra cosa che il suo corpo in moto, distruggerebbe una proprietà essenziale del suo corpo in moto [83].
83. * L’uomo si muove o non si muove; ma questo non dipende da lui. Non produce niente, non distrugge niente. (F) 5. Ne consegue, inoltre, che il primo motore di questo corpo, che noi chiamiamo l’anima, è una cosa diversa da questo corpo [84].
84. Tutta questa serie di proposizioni non significa nulla, finché non si stabilirà la differenza dell’anima e del corpo. E quando questa differenza sarà stata assegnata, allora si potrà concludere. Non ho mai visto la sensibilità, l’anima, il pensiero, il ragionamento produrre la materia. E ho visto cento volte, mille volte la materia inerte passare alla sensibilità attiva,48 all’anima, al pensiero, al ragionamento, senz’altro agente o intermediario che non fossero degli agenti o intermediari materiali.49 Mi attengo a questo. Non affermo per certo se non ciò che vedo. Non chiamo affatto in mio aiuto una causa inintelligibile, contraddittoria nei suoi effetti e nei suoi attributi, e che rende oscura la questione piuttosto che chiarirla; suscitando in me mille difficoltà spaventose, per una che non toglie.50 AA (M) AA. Se ci si permettessimo ipotesi simili, in fisica, questa scienza si riempirebbe di parole vuote di senso. (F) 1. Le idee che abbiamo delle cose, derivano dal rapporto che si trova tra le cose e la nostra maniera di percepire e di sentire. 2. È possibile che noi abbiamo un’idea di tutto ciò che è esteso e figurato. 3. La minima particella del nostro corpo è estesa e figurata. 4. Di conseguenza è possibile che noi abbiamo un’idea della minima particella del nostro corpo [85].
85. * Non credo affatto a questo. E quand’anche fosse? Per conoscere il rapporto della particella con ciò che percepisce, bisognerebbe conoscere la natura tanto della particella quanto di ciò che percepisce. Ora io non conosco né l’uno, né l’altro termine. (M)
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opere filosofiche
5. Mais l’idée est le résultat du rapport qui se trouve entre la particule et celui qui aperçoit. 6. Par conséquent ce qui aperçoit est autre chose que la particule, et l’âme une chose différente du corps [86].
86. L’âme est différente du corps, comme le bois n’est pas le fer, le fer n’est pas l’or, l’eau n’est pas le feu, le feu n’est pas de la chair. Montrez-moi l’âme appliquée à une autre portion de matière que la chair. Toute matière sent, selon moi, ou tend à sentir. (M) 1. L’idée que nous avons d’action et de force, nous vient de la difficulté que nous trouvons à changer le rapport local des choses. 2. Changer le rapport local des choses, suppose donc une action. 3. Or un corps en mouvement || change à tout instant de rapport local. * 4. Par conséquent, à tout instant ce corps obéit [87] à une action présente et réelle.
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87. x Ce corps obéit aux vicissitudes qui se passent en lui-même, ou hors de luimême. (F) | 5. xx Mais sans obstacles ce corps persistera éternellement [88] à se mouvoir d’une façon uniforme.
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88. * Oui, s’il est dans le vide. S’il ne sent pas ; s’il ne vit pas. S’il reçoit continuellement des chocs et si ces chocs sont supérieurs à l’énergie qui est en lui-même. (F) 6. Par conséquent, le principe mouvant qui est dans ce corps en mouvement, et qui le fait mouvoir, existe et agit éternellement. 7. xxx Ainsi, lorsqu’on considère le mouvement dans soi-même, le mouvement est une action unique, uniforme et éternelle [89].
89. xxx Le mouvement n’est point une action. C’est une qualité, une propriété etc. ; et l’action est son effet. (F) * Toutes ces assertions pèchent par tant de côtés que je n’ai pas le courage d’y répondre. Vous me parlez d’un corps brut ? Or il s’agit d’une portion de matière organisée, sensible, vivante. Vous me placez ce corps brut dans le vide, sans savoir s’il y a un espace vide de tout corps et ce que c’est que cet espace. Or il s’agit d’un corps, dans un ordre de choses, dans l’univers. (M) | 1. La cause n’est cause de || l’effet, qu’en produisant l’effet. 2. Par conséquent, l’effet est l’effet ou la suite nécessaire de la cause qui le produit. 3. Par conséquent, les effets sont proportionnels à leurs causes [90].
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90. xxx Qu’est-ce qu’une cause qui reste constamment la même, tandis que l’effet est sans cesse variable ? Si la cause et l’effet sont de même nature, cela s’entend dif-
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osservazioni su hemsterhuis, 86-90
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5. Ma l’idea è il risultato del rapporto che si trova tra la particella e colui che percepisce. 6. Di conseguenza, ciò che percepisce è altra cosa rispetto alla particella, e l’anima è una cosa diversa dal corpo [86].
86. L’anima è diversa dal corpo, come il legno non è il ferro, il ferro non è l’oro, l’acqua non è il fuoco, il fuoco non è carne. Mostratemi l’anima applicata a un’altra porzione di materia che non sia la carne. Ogni materia sente, secondo me, o tende a sentire. (M) 1. L’idea che abbiamo di azione e di forza, ci viene dalla difficoltà che troviamo a cambiare il rapporto locale delle cose. 2. Cambiare il rapporto locale delle cose presuppone dunque un’azione. 3. Ora, un corpo in moto cambia rapporto locale a ogni istante. * 4. Di conseguenza, a ogni istante questo corpo obbedisce [87] a un’azione presente e reale.
87. x Questo corpo obbedisce alle vicissitudini che accadono in esso o fuori di esso.51 (F) 5. Ma senza ostacoli, questo corpo persisterà eternamente [88] a muoversi in una maniera uniforme.
88. * Sì, se è nel vuoto. Se non sente; se non vive. Se riceve continuamente degli urti e se questi urti sono superiori all’energia che c’è in esso.52 (F) 6. Di conseguenza, il principio movente che c’è in questo corpo in moto, e che lo fa muovere, esiste e agisce eternamente. 7. xxx Così, quando si considera il moto in se stesso, il moto è un’azione unica, uniforme ed eterna [89].
89. xxx Il moto non è affatto un’azione. È una qualità, una proprietà ecc.; e l’azione è il suo effetto. (F) * Tutte queste asserzioni peccano per tanti aspetti, che io non ho il coraggio di rispondervi.53 Mi parlate di un corpo bruto? Pertanto, si tratta di una porzione di materia organizzata, sensibile, vivente. Voi mi mettete questo corpo bruto nel vuoto, senza sapere se c’è uno spazio vuoto di ogni corpo e ciò che questo spazio è. Pertanto si tratta di un corpo, in un ordine di cose, nell’universo. (M) 1. La causa non è causa dell’effetto, se non producendo l’effetto stesso. 2. Di conseguenza, l’effetto è l’effetto o la conseguenza necessaria della causa che lo produce. 3. Di conseguenza, gli effetti sono proporzionali alle loro cause [90].
90. xxx Che cos’è una causa che resta costantemente la stessa, mentre l’effetto è continuamente variabile? Se la causa e l’effetto sono della stessa natura, ciò si capi-
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ficilement. S’ils sont de natures essentiellement différentes, c’est une absurdité, une impossibilité. Plus le corps deviendrait inerte, non résistant, plus la cause devrait avoir d’énergie. Ce qui n’est pas. Plus cette cause voudrait s’appliquer fortement ; plus son effet devrait être grand. Cependant cela n’est pas. C’est quand elle est passive ; c’est quand l’homme est réduit à la condition de l’animal et de l’animal pur, qu’il produit des effets terribles. Je ne vois point de limite à l’énergie de cette molécule inintelligible ; et je ne sais pourquoi elle ne fait pas sauter l’homme jusqu’à la lune. Qu’est-ce qui limite son énergie ? AB (F) AB. Dites-moi pourquoi l’âme dans la fièvre peut mouvoir le corps horizontalement, au point que sa force dans cette direction n’est pas encore connue ; et pourquoi elle ne peut élever le corps perpendiculairement à trois ou quatre pieds de haut. (M) | 4. Donc, comme naître, croître, vieillir et mourir, sont les effets nécessaires d’une cause, dont la façon d’être consiste dans la coexistence successive de parties ; ainsi le mouvement, comme tel, ou cette action unique uniforme et éternelle, est l’effet nécessaire d’une cause unique, uniforme et éternelle [91].
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91. Une cause unique, une forme éternelle ! et que je vois subir toutes les sortes possibles de vicissitudes, en un mot s’étendre, disparaître etc... Il paraît que l’auteur accorde une âme à l’animal. Voici deux phénomènes très communs auxquels je l’invite à réfléchir. Le premier c’est le développement de l’œuf, ce passage de l’état de matière inerte, à l’état d’être sensible, vivant, pensant, passionné etc.. Le second. C’est le retour à la vie de quelques insectes, si desséchés qu’ils se pulvérisent entre les doigts. Il faudrait encore savoir quel parti il a pris sur cette génération successive de molécules vivantes, toutes différentes les unes des autres, et conséquentes à la fermentation et à la putréfaction. Sur la multitude d’espèces de vermines produites par les animaux vivants. Etc.. Sur le polype ? quelle multitude de petites âmes dans ce dernier animal. Sur l’union de la mère avec l’enfant avant leur séparation. Y a-t-il là deux âmes, ou n’y en a-t-il qu’une. ⊕ (F) ⊕ Sur le lieu de cette âme avant son union avec le corps. Sur le moment de cette union. Sur le gluten qui les unit. | Sur la production nouvelle ou l’existence de cette âme, avant la formation de son étui. Sur son état, après la dissolution de l’étui. Sur le monstre qui n’est qu’un amas d’organes brouillés. Y a-t-il là une âme. Etc... etc... (M)
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Il ne sera pas hors de propos || de faire * ici une réflexion au sujet d’éternel [92] ; et je vous prie de vous ressouvenir des suites de cette réflexion, partout où je parlerai de la matière.
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osservazioni su hemsterhuis, 90-91
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sce con difficoltà. Se sono di natura essenzialmente diversa, è un’assurdità, un’impossibilità. Più il corpo diventerà inerte, non resistente, più la causa dovrebbe avere energia. Il che non accade. Più questa causa vorrebbe applicarsi con forza, più il suo effetto dovrebbe essere grande. Tuttavia ciò non accade. È quando tale causa è passiva, quando l’uomo è ridotto alla condizione dell’animale e dell’animale puro, che esso produce degli effetti terribili. Io non vedo affatto limiti all’energia di questa molecola intellegibile;54 e non so perché essa non fa saltare l’uomo fino la luna. Che cos’è che limita la sua energia? AB (F) AB. Ditemi perché l’anima, nella febbre, può muovere il corpo orizzontalmente, al punto che la sua forza, in questa direzione, non è ancora conosciuta; e perché non può innalzare il corpo perpendicolarmente a tre o quattro piedi di altezza.55 (M) 4. Dunque, come nascere, crescere, invecchiare e morire sono gli effetti necessari di una causa, la cui maniera di essere consiste nella coesistenza successiva di parti; così il moto, in quanto tale, ovvero quest’azione unica, uniforme ed eterna, è l’effetto necessario di una causa unica, uniforme ed eterna [91].
91. Una causa unica, una forma eterna! E che io vedo subire tutte le specie possibili di vicissitudini, in una parola, spegnersi, scomparire ecc... Sembra che l’autore accordi un’anima all’animale.56 Ecco due fenomeni molto comuni, sui quali lo invito a riflettere. Il primo è lo sviluppo dell’uovo, questo passaggio dallo stato di materia inerte, allo stato di essere sensibile, vivente, pensante, appassionato ecc.57 Il secondo. È il ritorno alla vita di certi insetti, così disseccati che si polverizzano tra le dita.58 Bisognerebbe inoltre sapere quale partito l’autore ha preso su questa generazione successiva di molecole viventi, tutte diverse le une dalle altre, e conseguenti alla fermentazione e alla putrefazione.59 Sulla moltitudine delle specie di parassiti prodotti dagli animali viventi.60 Ecc. Sul polipo? Quale moltitudine di piccole anime in quest’ultimo animale. Sull’unione della madre col bambino prima della loro separazione. Ci sono là due anime, o non ce n’è che una sola. ⊕ (F) ⊕ Sul luogo di quest’anima prima della sua unione con il corpo. Sul momento di tale unione. Sul glutine che li unisce.61 Sulla nuova produzione, ovvero sull’esistenza di quest’anima, prima della formazione della sua guaina. Sul suo stato, dopo la dissoluzione della guaina. Sul mostro, il quale non è che un ammasso di organi confusi. Ce l’ha un’anima?62 Ecc. ecc. (M) Non sarà fuor di proposito fare* qui una riflessione sull’argomento dell’eterno [92]; e vi prego di ricordarvi delle conseguenze di questa riflessione, ovunque io parlerò della materia.
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opere filosofiche
92. * Il fallait peut-être faire encore une distinction sur le mot éternel. Entendez-vous par éternel, ce qui a toujours été et ce qui sera toujours. Entendez-vous par éternel ce qui ne peut être détruit ou ce qui ne sera pas détruit. Ce qui ne peut être détruit n’a point été créé. (F) On prend souvent une chose éternelle par sa nature, pour une chose qui existerait par soi-même [93]. Il est vrai qu’une chose qui existerait par soi-même, serait nécessairement éternelle par sa nature ; mais il ne s’ensuit pas, que toute chose éternelle par sa nature, existerait par soi-même. xx
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93. ** Je n’entends pas trop la différence d’exister de toute éternité, ou d’exister par soi-même. A moins que vous ne prétendiez qu’entre la matière et le créateur, il n’y a qu’une priorité d’origine, et de concept. | Ainsi Dieu aurait produit la matière, comme dans le système du christianisme, il a produit le verbe. (F) xx Ce qui, pour ne pas exister, n’aurait besoin que d’être décomposé, n’est pas éternel par sa nature [94]. ||
94. ** Décomposez la matière tant qu’il vous plaira, vous ne la réduirez pas à rien. Toute décomposition entraîne séparation d’éléments. Après la décomposition, les éléments restent. Or que ferez-vous de ces éléments ? Ou de la matière ou de l’esprit. Quel que soit votre choix, il vous embarrassera également. (F) 43
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Ce qui, pour ne pas exister, aurait besoin d’être détruit, est éternel par sa nature. Tout ce qui tombe sous nos sens, un animal, une plante ; une pierre, un édifice, en tant que ces choses tombent sous nos sens, se trouve dans le premier cas : nous voyons que le mouvement se trouve dans le second ; et je prouverai que la matière, en tant que matière, s’y trouve de même. Ce qui est décomposible jusqu’à extinction d’essence, ou jusqu’à ce qu’il cesse d’être ce qu’il est, n’est pas éternel par sa nature. Un arbre consumé || par les flammes a cessé d’être arbre ; mais la matière comme matière ne saurait être décomposible jusqu’à extinction d’essence, puisque la dernière particule est toujours encore étendue figurée et impénétrable par sa nature : par conséquent la matière, en tant que matière, pour ne pas exister, aurait besoin d’être détruite ; et ainsi elle est éternelle par sa nature. | Mais dans l’exemple du mouvement nous avons vu, que ce qui est éternel par sa nature peut avoir eu un commencement : par conséquent il n’est pas impossible que la matière, en tant que matière, || éternelle par sa nature, ait eu un commencement. Je dis plus : non seulement ce ˄ [95] n’est pas impossible, mais je prouverai qu’elle a dû avoir un commencement de toute nécessité.
95. ˄ cela / (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 92-95
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92. * Bisognava forse fare, inoltre, una distinzione sulla parola eterno. Intendete con eterno ciò che è sempre stato e che sempre sarà. Intendete con eterno ciò che non può essere distrutto, oppure ciò che non sarà distrutto. Ciò che non può essere distrutto non è affatto stato creato.63 (F) xx Si prende spesso una cosa eterna per sua natura, per una cosa che esisterebbe per se stessa [93]. È vero che una cosa che esistesse per se stessa, sarebbe necessariamente eterna per sua natura; ma non ne consegue che ogni cosa eterna per sua natura, esisterebbe per se stessa.
93. ** Io non capisco troppo la differenza tra l’esistere da tutta l’eternità, o l’esistere per se stessa. A meno che voi non pretendiate che tra la materia e il creatore non c’è che una priorità di origine e di concetto. Così, Dio avrebbe prodotto la materia, come nel sistema del cristianesimo ha prodotto il verbo. (F) xx Ciò che, per non esistere, non avesse bisogno se non di essere scomposto, per sua natura non è eterno [94].
94. ** Scomponete la materia quanto vorrete, non la ridurrete a nulla. Ogni scomposizione comporta separazione di elementi. Dopo la scomposizione, gli elementi restano. Ora, che cosa farete di questi elementi? O della materia. O dello spirito. Quale che sia la vostra scelta, sarete ugualmente in imbarazzo.64 (F) Ciò che, per non esistere, avesse bisogno di essere distrutto, è eterno per sua natura. Tutto ciò che cade sotto i nostri sensi, un animale, una pianta, una pietra, un edificio, in quanto tali cose cadono sotto i nostri sensi, si trova nel primo caso: noi vediamo che il moto si trova nel secondo; e io proverò che la materia, in quanto materia, vi si trova ugualmente. Ciò che è scomponibile fino all’estinzione dell’essenza, o fino a che cessa di essere ciò che è, non è eterno per sua natura. Un albero consumato dalle fiamme ha smesso di essere albero; ma la materia come materia non potrebbe essere scomponibile fino all’estinzione dell’essenza, poiché l’ultima particella è ancor sempre estesa, figurata e impenetrabile per sua natura: di conseguenza, la materia, in quanto materia, per non esistere, avrebbe bisogno di essere distrutta; e così essa è eterna per sua natura. Ma nell’esempio del moto noi abbiamo visto che ciò che è eterno per sua natura può avere avuto un cominciamento: di conseguenza, non è impossibile che la materia, in quanto materia, eterna per sua natura, abbia avuto un cominciamento. Dico di più: non soltanto che ˄ [95] non è impossibile, ma proverò che essa ha dovuto avere un cominciamento per assoluta necessità.
95. ˄ Questo / (M)
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opere filosofiche
Ce qui existe par soi-même, et dont l’essence est d’exister, existe nécessairement, et nécessairement d’une façon déterminée [96]. Existant nécessairement, il serait contradictoire qu’il n’existât pas, ou qu’il existât d’une façon autrement déterminée.
96. * Je ne crois point cela. Je crois que la forme actuelle sous laquelle la matière existe est nécessaire et déterminée ; ainsi que toutes les formes diverses qu’elle prendra successivement à toute éternité. Mais cette vicissitude, ce développement qui est en flux perpétuel est nécessaire. C’est une suite de son essence et de son hétérogénéité. Et je ne vois nulle contradiction à cette supposition. Si elle est essentiellement hétérogène ; elle est essentiellement en vicissitude. (F) | Or supposons pour un moment, que les dernières particules de la matière soient des cubes [97], il n’impliquerait aucune || contradiction que ce fussent des sphéroïdes, des octoèdres, etc. par conséquent la matière n’existe pas nécessairement d’une façon déterminée.
285 46
97. C’est une supposition fausse et contraire au principe évidemment démontré des indiscernables. Quand la matière serait homogène, il serait absurde de supposer qu’il y eût une molécule si petite qu’on la supposât, parfaitement semblable à une autre. Deux molécules sont nécessairement diverses, par la seule raison qu’elles n’occupent pas la même place. C’est bien autre chose, si la matière est hétérogène, comme les phénomènes ne permettent guère d’en douter. (M) Il n’est pas contradictoire, qu’au lieu de cette particule il n’existât que de l’étendue [98] : par conséquent la matière n’existe pas nécessairement, et l’existence n’entre pas proprement dans son essence ; ainsi elle n’existe pas par soimême, mais par un autre.
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98. * Il ne faut pas prendre nos concepts pour des possibilités. La divisibilité de la matière est possible dans mon entendement ; c’est une absurdité en nature. Toutes les abstractions des mathématiciens sont de la même nature. Je puis considérer cet être, abstraction faite de telle ou telle qualité, donc cette qualité n’est pas essentielle à cet être. C’est un faux raisonnement. | Je puis considérer le point solitaire sans longueur, largeur ni profondeur ; donc le point peut subsister hors de moi, sans ces qualités ; cela n’est pas vrai. Je puis ne concevoir que de l’étendue, donc il est possible qu’il n’existât que de l’étendue ; conclusion tout aussi fausse. Rien n’est plus aisé, je crois, que de faire abstraction de la Constitution Unigenitus. Cependant la Constitution Unigenitus est aussi nécessaire que le lever du soleil ; que l’existence de Dieu. (F)
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Diderot.indb 942
Mais revenons encore à l’âme. Cette cause unique, uniforme et éternelle, cette âme, ne sent son existence, qu’au || moment où elle acquiert des idées de choses qui sont hors d’elle [99].
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osservazioni su hemsterhuis, 96-98
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Ciò che esiste per se stesso, e la cui essenza è di esistere, esiste necessariamente, e necessariamente in una maniera determinata [96]. Esistendo necessariamente, sarebbe contraddittorio che non esistesse o che esistesse in una maniera altrimenti determinata.
96. * Io questo non lo credo affatto.65 Credo che la forma attuale sotto la quale la materia esiste è necessaria e determinata; così come tutte le forme diverse che prenderà successivamente per tutta l’eternità. Ma questa vicissitudine, questo sviluppo che è in un flusso perpetuo, è necessario.66 È una conseguenza della sua essenza e della sua eterogeneità. E io non vedo alcuna contraddizione in quest’ipotesi. Se essa è essenzialmente eterogenea; essa è essenzialmente in vicissitudine.67 (F) Ora, supponiamo per un momento che le ultime particelle della materia siano dei cubi [97], ciò non implicherebbe alcuna contraddizione se fossero degli sferoidi, degli ottaedri, ecc. di conseguenza, la materia non esiste necessariamente in una maniera determinata.
97. È una supposizione falsa e contraria al principio, dimostrato con evidenza, degli indiscernibili. Quand’anche la materia fosse omogenea, sarebbe assurdo supporre che vi fosse una molecola, per quanto piccola la si supponga, perfettamente simile a un’altra. Due molecole sono necessariamente diverse, per la sola ragione che non occupano lo stesso luogo.68 È ben altra cosa se la materia è eterogenea, come i fenomeni non permettono affatto di dubitare. (M) Non è contraddittorio che, invece di questa particella, non esistesse altro che dell’estensione [98]: di conseguenza, la materia non esiste necessariamente, e l’esistenza non entra propriamente nella sua essenza; così essa non esiste per se stessa, ma per un altro.
98. * Non bisogna prendere i nostri concetti per delle possibilità.69 La divisibilità della materia è possibile nel mio intelletto; è un’assurdità in natura. Tutte le astrazioni dei matematici sono della stessa natura. Io posso considerare questo essere, astrazione fatta da tale o tal altra qualità, dunque tale qualità non è essenziale a questo essere. È un falso ragionamento. Io posso considerare il punto solitario, senza lunghezza, larghezza né profondità; dunque il punto può sussistere fuori di me, senza queste qualità; ciò non è vero.70 Io posso concepire solo dell’estensione, dunque è possibile che non esista altro che dell’estensione; conclusione altrettanto falsa. Niente di più facile, credo, del fare astrazione dalla Costituzione Unigenitus. Tuttavia, la Costituzione Unigenitus è altrettanto necessaria quanto il levar del sole, quanto l’esistenza di Dio.71 (F) Ma ritorniamo di nuovo all’anima. Questa causa unica, uniforme ed eterna, quest’anima non sente la sua esistenza se non nel momento in cui acquisisce delle idee di cose che sono fuori di lei [99].
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99. Dans cet état de repos, ou de mort. Qu’est-elle ? Quel est son degré différentiel d’avec la matière ? Quel est son caractère spécifique ? Si ce n’est pas la pensée ; qu’est-ce donc ? (M) Elle sent qu’elle est autre que tout ce dont elle a des idées [100] ; qu’elle est autre que tout ce qui est hors d’elle.
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100. Elle sent même qu’elle n’est pas l’âme de son voisin ? Mais ce que vous prenez pour l’âme ; c’est le soi. | Mais écoutez-moi : Et si quelqu’un vous soutenait qu’il n’y a qu’une seule âme disséminée en différents corps, en sorte que chacun en a sa particule, que diriez-vous à cela. Car il me semble que toutes vos objections laissent cette espèce d’athéisme, intact. Chaque molécule divine agirait en raison des propriétés des portions de matière auxquelles elle serait unie. Dieu et l’univers seraient un. Mais alors dites-moi ce que deviendraient toutes les conclusions que vous tirez dans la suite. C’était l’opinion des stoïciens que je vous dénonce . (M) Tout ce qui est hors d’elle, et dont elle a des idées, est le point d’appui d’où elle part pour arriver à la conviction de sa propre existence. Ce point d’appui ôté, c’est-à-dire, les organes anéantis, par où elle pourrait avoir des idées des choses de dehors, elle ne saurait avoir aucune sensation de son existence [101]. |
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101. A. Je crois que ce que vous dites, sur la fin, de l’existence de l’âme, après la mort, est diamétralement contradictoire à cet endroit ; si elle ne peut avoir la conscience de son existence, comment peut-elle s’occuper à toute éternité de la contemplation des diverses faces de cet univers. (F) Ce sont ses désirs, sa faculté attractive, qui l’avertissent qu’elle || est. Elle ne sent qu’elle agit, que par l’idée de la réaction. Sans la réaction, elle n’aurait aucune idée de sa velléité. Anéantissez pour un moment toute réaction [102], il faut pourtant que la velléité, ou la faculté de pouvoir agir * [103] , reste, quoiqu’elle ne se manifeste que par la réaction.
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102. Mais ce dont l’essence est de sentir, peut-il être supposé un moment sans sentiment. L’âme ne sent donc pas nécessairement. (M) 103. * La faculté de pouvoir agir par elle-même ; sans aucune sorte d’impulsion soit intérieure et dépendante du corps qu’elle anime, soit extérieure ou dépendante des corps qui l’environnent ; cela me semble absurde. Tout ressort, spirituel ou corporel a besoin d’une cause qui le resserre ou le dilate. (F) Ainsi, conclure de l’état de l’âme * pendant un profond sommeil, qu’elle n’existe pas [104], c’est une conclusion bien peu philosophique.
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99. In questo stato di quiete o di morte. Essa che cos’è? Qual è il suo grado differenziale rispetto alla materia? Qual è il suo carattere specifico? Se non è il pensiero; che cos’è dunque? (M) Essa sente che è altro da tutto ciò di cui essa ha delle idee [100]; che essa è altro da tutto ciò che è fuori di lei.
100. Essa sente persino che non è l’anima del suo vicino? Ma quello che voi prendete per l’anima; è il sé.72 Ma ascoltatemi: E se qualcuno sostenesse che non c’è che una sola anima, disseminata in diversi corpi, in modo che ciascuno ne ha la sua particella, che direste a questo punto? Perché mi sembra che tutte le vostre obiezioni lascino intatta questa specie di ateismo. Ciascuna molecola divina agirebbe in ragione delle proprietà delle porzioni di materia alle quali essa sarebbe unita. Dio e l’universo sarebbero uno. Ma allora ditemi quello che diventerebbero tutte le conclusioni che voi traete in seguito. Era l’opinione degli stoici che vi ho opposto.73 (M) Tutto ciò che è fuori di essa [l’anima], e di cui essa ha delle idee, è il punto d’appoggio dal quale essa parte per arrivare alla convinzione della propria esistenza. Tolto questo punto d’appoggio, cioè distrutti gli organi, da dove essa potrebbe avere delle idee delle cose di fuori, essa non potrebbe avere alcuna sensazione della sua esistenza [101].
101. A. Io credo che ciò che voi dite, verso la fine,74 dell’esistenza dell’anima dopo la morte è diametralmente contraddittorio rispetto a questo passaggio; se essa non può avere la coscienza della sua esistenza, come può occuparsi per tutta l’eternità della contemplazione delle diverse facce di questo universo. (F) Sono i suoi desideri, la sua facoltà attrattiva, che l’avvertono che essa è. Essa non sente di agire, se non grazie all’idea della reazione. Senza la reazione, essa non avrebbe alcuna idea della sua velleità. Annullate per un momento ogni reazione [102], bisogna pur tuttavia che la velleità, ossia la facoltà di poter agire* [103], resti, benché essa si manifesti solo attraverso la reazione.
102. Ma ciò la cui essenza è di sentire, può essere immaginato per un momento senza sentimento. L’anima non sente dunque necessariamente.75 (M) 103. * La facoltà di poter agire per se stessa; senza alcuna specie di impulso o interno e dipendente dal corpo che essa anima, o esterno, ossia dipendente dai corpi che la circondano; questa mi sembra assurda. Ogni spinta, ogni molla spirituale o corporea, ha bisogno di una causa che la restringa o la dilati. (F) Così, concludere dallo stato dell’anima *durante un sonno profondo, che essa non esiste [104], è una conclusione ben poco filosofica.
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104. * On n’en conclut pas sa non-existence ; mais son identité avec le corps ; et cela d’autant plus raisonnablement qu’on ne sait comment la lier avec lui, quand on lui donne une essence différente. (M) | Pour avoir des idées, pour penser, pour agir, elle a besoin d’organes [105] . *
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105. * Mais enfin, vous demanderai-je, avant le développement de l’animal, où était-elle ? Que dis-je, avant son développement, avant la coalition des molécules qui devaient former sa demeure ? Et après la destruction de cette demeure, où va-t-elle ? que devientelle ? que fait-elle ? quelle espèce d’existence a-t-elle ? Quel chaos, miséricorde ! (F) Son action, ou l’impulsion qu’elle imprime aux choses de dehors, est || par sa nature éternelle et indestructible, en tant qu’elle n’est pas contradictoire à l’impulsion plus grande, imprimée à la nature par les mains du Créateur [106]. |
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106. Que cette impulsion soit opposée ou concurrente à l’ordre général, son effet n’en est pas moins éternel. L’univers modifie tout, et tout en est modifié ; je ne conçois, pas même dans l’éternité, la cessation de l’effet de la petite ondulation de chute d’un grain de sable, au milieu de l’océan. Cela fera rire les petits esprits, mais non pas vous. (M) Lorsque nous nous tournons avec une grande rapidité, lorsque nous courons, lorsque nous sautons, nous sentons distinctement l’indestructibilité de ce mouvement, que notre velléité a imprimé dans notre corps [107] ; et cette velléité même n’est pas en état de le détruire, à moins que, par le moyen des organes, elle n’appelle à son secours, les forces imprimées à toute la nature, pour les faire servir || directement contre le mouvement qu’elle seule pourtant a inspiré [108]. xxx
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107. A. La fièvre fait bien un autre effet ; et c’est bien la fièvre, et non pas l’âme ; car la fièvre produit son effet malgré l’âme ; et l’âme ne peut produire cet effet, sans la fièvre. Les organes commandent souvent à l’âme, et cela despotiquement ; et l’âme n’a pas toujours ce despotisme sur les organes mêmes soumis à sa volonté. B. (F) B. Scévola put tenir son bras au-dessus d’un brasier ; mais il ne put peut-être pas l’empêcher de frémir. (M)
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108. *** Je n’entends rien du tout à ce paragraphe. Je ne sais ce que c’est que ce mouvement indestructible que notre velléité a imprimé à notre corps. | Je ne connais presque aucun mouvement, peut-être pas même celui de chute perpendiculaire du haut d’une tour, que l’animal ne puisse modifier, que quelques-uns ne modifient et que l’homme ne modifiât, s’il se possédait. (F) ** Il n’y a peut-être qu’une seule organisation, dans les faces de l’univers que nous connaissons, à laquelle elle puisse s’attacher tellement, qu’elle puisse agir sur cette organisation ; [109] mais une fois attachée à ces organes, tout ce qui est homogène à ces organes devient organe pour elle. [110] Elle tient à toutes les faces de l’univers qu’elle connaît : * elle agit sur toutes ces faces, [111] comme
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104. * Non si conclude alla sua non esistenza; ma alla sua identità con il corpo;76 e ciò tanto più ragionevolmente in quanto non si sa come collegarla a esso, quando le si attribuisce un’essenza diversa. Per avere delle idee, per pensare, per agire, essa ha bisogno di organi [105]. *
105. * Ma insomma, vi chiederò: prima dello sviluppo dell’animale l’anima dove era? Che dico, prima del suo sviluppo, prima della coalizione delle molecole che dovevano formare la sua dimora? E dopo la distruzione di questa dimora, essa dove va? Che cosa diventa? Che cosa fa? Quale specie di esistenza ha? Che caos, misericordia!77 (F) La sua azione, ovvero l’impulso che imprime alle cose esterne a essa, è per sua natura eterna e indistruttibile, in quanto non è contraddittoria con l’impulso più grande, impresso alla natura dalle mani del Creatore [106].
106. Che quest’impulso sia opposto o concorrente, rispetto all’ordine generale, il suo effetto non è perciò meno eterno. L’universo modifica tutto, e tutto ne è modificato; non concepisco, nemmeno nell’eternità, la cessazione dell’effetto della piccola ondulazione di caduta di un grano di sabbia, nel mezzo dell’oceano. Questo farà ridere gli spiriti piccoli, ma non voi.78 (M) xxx Quando ci voltiamo con grande rapidità, quando corriamo, quando saltiamo, sentiamo distintamente l’indistruttibilità di questo moto, che la nostra velleità ha impresso nel nostro corpo [107]; e questa velleità stessa non è in grado di distruggerlo, a meno che, per mezzo degli organi, essa non chiami in suo aiuto le forze impresse a tutta la natura, per farle servire direttamente contro il movimento che essa sola tuttavia ha ispirato [108].
107. A. La febbre fa ben altro effetto; ed è proprio la febbre e non l’anima; perché la febbre produce il suo effetto malgrado l’anima; e l’anima non può produrre tale effetto, senza la febbre. Gli organi comandano spesso all’anima, e ciò dispoticamente; e l’anima non ha sempre questo dispotismo sugli stessi organi sottomessi alla sua volontà. B. (F) B. Scevola poté tenere il proprio braccio sopra un braciere; ma non poté forse impedirgli di fremere.79 (M) 108. *** Non ci capisco nulla in tutto questo paragrafo. Non so che cos’è questo moto indistruttibile che la nostra velleità ha impresso al nostro corpo. Non conosco quasi alcun movimento, forse nemmeno quello della caduta perpendicolare dall’alto di una torre, che l’animale non possa modificare, che alcuni non modificano e che l’uomo non modifichi, se è padrone di sé.80 (F) ** Forse non c’è che una sola organizzazione delle facce dell’universo che conosciamo, alla quale essa possa legarsi a tal punto da poter agire su questa organizzazione [109]; ma una volta legata a questi organi, tutto ciò che è omogeneo a tali organi diventa organo per essa [110]. L’anima si rivolge a tutte le facce dell’universo che conosce: *essa agisce su tutte queste facce [111], come sul suo
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sur son propre corps, à proportion de l’intensité de l’action qui émane de sa velléité, vis-à-vis de la force des || lois de x* la nature, qui dérivent des émanations de la velléité [112] suprême [113].
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109. (B) C’est tout ce qu’on pouvait dire de plus fort contre son essence spirituelle, qui en cette qualité n’a pas plus de rapport à une forme corporelle qu’à une autre. (M)
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110. * Je suis bien de cet avis. Mais ce que je voudrais bien savoir, c’est pourquoi essentiellement différente de tous les êtres matériels auxquels elle s’unit, elle peut s’unir à quelques-uns et non pas à tous. Quel est le gluten spécifique des uns et qui manque aux autres ; pourquoi les pierres ne se soulèvent-elles pas, d’elles-mêmes. Et ce passage d’un règne à un autre, et ces êtres intermédiaires qui semblent appartenir à la plante et à l’animal, ne vous touchent-ils point ? Et ce polype qui se coupe en cent mille pièces et dont je fais cent mille animaux vivants, sentants, souffrants, jouissants, séparés, distincts ? | Où était la pépinière de toutes ces petites âmes ? Ou est-ce la même que j’ai dépecée ? Ma foi, il faut bien du courage pour avaler toutes ces absurdités-là. Mais, dites-moi, s’il vous plaît, pourquoi il n’est jamais arrivé à une âme de se séparer d’un corps, avant la mort. Qui est-ce qui la tient là ? Je vois là une combinaison entre un être essentiellement différent d’un autre, plus forte que celle que la nature ou l’art puisse former entre deux corps similaires. xx (F) x * Si nous trouvons jamais le secret d’unir ces âmes voltigeantes dans le vague, à tous les corps que nous voudrons, cela sera bien commode pour les horlogers, et beaucoup d’autres artistes. (M) 111. * Sérieusement, vous croyez que celui qui observe Saturne agit sur Saturne ? A la bonne heure, pourvu que vous croyiez qu’il agit sur cette planète, même quand il ne l’observe pas. Mais alors l’homme rentre dans la classe générale et sous la loi de tout ce qui existe dans l’univers. (M) 112. x* Entendez-vous bien ce que c’est que les émanations corporelles d’une velléité, attribut d’un esprit. (F) |
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113. Item. Ne faites pas un cercle vicieux. Vous vous servez de l’âme pour prouver l’existence de Dieu, et de Dieu pour expliquer les phénomènes de l’âme. (M)
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La raison pour laquelle l’homme doute encore de l’immortalité et de l’indestructibilité de son âme, après des démonstrations et des preuves aussi claires, est, qu’il ne se sent, ni ne se voit, que dans les choses hors de lui. * Peu de têtes sont faites pour une abstraction absolue [114], et on s’accoutume plus aisément à prêter à l’âme une certaine modification, qui cadre plus ou moins avec les idées vagues et superficielles qu’on se forme de ses actions, qu’à approfondir la nature de ses actions, || pour monter de là à la nature de l’essence de l’âme.
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proprio corpo, in proporzione all’intensità dell’azione che emana dalla sua velleità, di fronte alla forza delle leggi della x*natura, che derivano dalle emanazioni della velleità [112] suprema [113].
109. (B) È tutto ciò che si poteva dire di più forte contro la sua essenza spirituale, che in questa qualità non ha maggior rapporto con una forma corporea che con un’altra. (M) 110. * Sono proprio di questo avviso. Ma ciò che vorrei proprio sapere è perché, essenzialmente diversa da tutti gli esseri materiali ai quali essa si unisce, l’anima può unirsi ad alcuni e non a tutti. Qual è il glutine specifico degli uni e che manca agli altri; perché le pietre non si sollevano da sole. E questo passaggio da un regno a un altro, e questi esseri intermedi che sembrano appartenere alla pianta e all’animale, non vi colpiscono proprio? E questo polipo che si taglia in centomila pezzi e di cui io faccio centomila animali viventi, senzienti, sofferenti, gaudenti, separati, distinti? Dov’era il vivaio di tutte queste piccole anime? Oppure è la stessa che io ho fatto a pezzi?81 In fede mia, occorre un bel coraggio per ingoiare tutte queste assurdità. Ma, ditemi, per favore, perché non è mai accaduto a un’anima di separarsi da un corpo prima della morte. Cos’è che la tiene là? Io ci vedo una combinazione tra un essere essenzialmente diverso da un altro, più forte di quella combinazione che la natura o l’arte può formare tra due corpi simili. xx (F) x * Se noi trovassimo mai il segreto di unire queste anime oscillanti nell’onda, con tutti i corpi che vorremo, questo sarà assai comodo per gli orologiai e per molti altri artisti. (M) 111. * Seriamente voi credete che colui che osserva Saturno agisce su Saturno?82 Alla buon’ora, purché voi crediate che agisce su questo pianeta anche quando non lo osserva. Ma allora l’uomo rientra nella classe generale e sotto la legge di tutto ciò che esiste nell’universo. (M) 112. x * Intendete proprio bene che cosa sono le emanazioni corporee di una velleità, attributo di uno spirito? (F) 113. Item.83 Non fate un circolo vizioso. Vi servite dell’anima per provare l’esistenza di Dio, e di Dio per spiegare i fenomeni dell’anima. (M) La ragione per la quale l’uomo dubita ancora dell’immortalità e dell’indistruttibilità della sua anima, dopo dimostrazioni così chiare, è che non si sente, né si vede se non nelle cose fuori di lui. *Poche teste sono fatte per un’astrazione assoluta [114], e ci si abitua più facilmente ad assegnare all’anima una certa modificazione, che quadra più o meno con le idee vaghe e superficiali che ci formiamo delle sue azioni, che ad approfondire la natura delle sue azioni, per risalire da questa alla natura dell’essenza dell’anima.
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114. * C’est précisément cette abstraction absolue que vous me prescrivez qui la réduit à rien. Je vois, selon vous, qu’elle est sans action, avant que d’être unie aux organes. Je vois qu’elle est sans action, après la dissolution des organes. Il n’y a aucune de ses qualités dont je ne la prive, à mesure que je l’isole. Je lui ôte ce qu’il me plaît de lui ôter. Je ne lui laisse que ce qu’il me plaît de lui [laisser]. Je la chasse d’un membre. Je l’y rappelle. Je la trouble ; je l’agite ; je l’endors ; je la réveille ; et tout cela par des moyens purement mécaniques. Allez, vous êtes fou ; et Epicure était un homme sage. Tourmentée dans sa triste prison, qu’est-ce qui l’y retient ? (F) | * Prouvez à la chenille l’état de bonheur qui l’attend : elle doute, et finit par croire que Dieu ne la destine qu’à se traîner le long d’une feuille, à en ronger les bords, et à se consumer enfin pour le bien d’autrui ; tandis que déjà son âme est attachée à un principe physique, qui dans peu de temps la fera folâtrer dans les airs, voler de fleurs en fleurs, vivre de la rosée, et goûter à longs traits les plaisirs les plus purs de l’amour [115].
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115. * Cette chenille ne s’est point dissoute ; il n’y a point eu de putréfaction ; c’est un développement successif qui ne prouve pas plus que le passage du têtard à l’état de grenouille ; de l’état d’embryon, à l’état d’enfant, d’adulte, d’homme fait, de vieillard etc.. Son âme est attachée à un principe physique. Si vous insistiez bien sur cette manière de dire, vous auriez bien de la peine à y trouver du sens. On attache un corps à un autre. Mais une substance spirituelle à une substance matérielle. Vous avez dit souvent que l’âme était une substance différente du corps, mais nulle part ce que c’était ; si cette substance était étendue ou non ; si elle était ou n’était pas dans le lieu ; si elle correspondait ou non à quelque partie de l’espace ; si elle était pénétrable ou impénétrable ; etc... (F) Comme dans les raisonnements précédents, je ne me suis mis nullement en peine || des conséquences qu’on en pourrait tirer, je crois qu’avant que de passer à la contemplation des choses qui sont hors de l’homme, il sera nécessaire de répondre à quelques objections. 1°. Dans les songes nous recevons les idées comme pendant nos veilles [116] ; et suivant le raisonnement de tantôt il faudrait conclure, que les choses dont nous paraissons avoir les idées, existent telles qu’elles nous paraissent ; tandis que ces choses n’existent nulle part que dans les images, ou dans les idées qui naissent du mouvement accidentel des organes [117]. | ||
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116. Je ne crois pas que nous recevions d’idées dans les songes. Le songe ne nous rend jamais que les idées ou les combinaisons diverses d’idées ou d’images reçues pendant la veille. (M) 117. Le reste du paragraphe est très obscur, et je ne sais quel sens y attacher ; ou il faut que j’en conclue qu’il n’existe rien dans ce monde, tel que je le crois ; ce qui
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osservazioni su hemsterhuis, 114-117
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114. * È precisamente quest’astrazione assoluta, che voi mi prescrivete, che riduce l’anima a nulla. Io vedo, secondo voi, che essa è priva d’azione, prima di essere unita agli organi. Io vedo che essa è priva d’azione, dopo la dissoluzione degli organi. Non c’è nessuna delle sue qualità di cui io non la privi, mano a mano che la isolo. Le tolgo ciò che mi piace toglierle. Le lascio solo ciò che mi piace [lasciarle]. La scaccio da un membro. Ve la richiamo. La turbo; la agito; la addormento; la risveglio; e tutto questo con mezzi puramente meccanici. Suvvia, voi siete pazzo; ed Epicuro era un uomo saggio. Tormentata nella sua triste prigione, che cosa ve la trattiene?84 (F) * Provate al bruco lo stato di felicità che l’attende: esso dubita e finisce per credere che Dio lo destini solo a trascinarsi lungo la foglia, a rosicchiarne i bordi e a consumarsi, infine, per il bene altrui; mentre già la sua anima è legata a un principio fisico, che in poco tempo la farà folleggiare nell’aria, volare di fiore in fiore, vivere della rugiada, e gustare a lunghi tratti i piaceri più puri dell’amore [115].
115. *Questo bruco non s’è affatto dissolto; non c’è stata affatto putrefazione; è uno sviluppo successivo che non prova di più di quanto provi il passaggio dal girino allo stato di rana; dallo stato di embrione allo stato di bambino, di adulto, di uomo fatto, di vecchio ecc. La sua anima è legata a un principio fisico. Se voi insisteste bene su questa maniera di dire, avreste certo difficoltà a trovarvi un senso. Si lega un corpo a un altro. Ma una sostanza spirituale a una sostanza materiale. Voi avete detto spesso che l’anima era una sostanza diversa dal corpo, ma da nessuna parte avete detto quello che era; se tale sostanza era estesa o no; se essa era o non era nel luogo; se corrispondeva o no a qualche parte dello spazio; se era penetrabile o impenetrabile; ecc... (F) Come nei ragionamenti precedenti, non mi sono affatto preoccupato dinanzi alle conseguenze che se ne potrebbero trarre, io credo che prima di passare alla contemplazione delle cose che sono fuori dell’uomo, sarà necessario rispondere ad alcune obiezioni. 1°. Nei sogni riceviamo le idee come durante le nostre veglie [116]; e secondo il ragionamento di poco sopra, bisognerebbe concludere che le cose delle quali ci sembra avere delle idee, esistono tali quali ci appaiono; mentre tali cose non esistono da nessuna parte, se non nelle immagini o nelle idee che nascono dal movimento accidentale degli organi [117].
116. Io non credo che riceviamo delle idee nei sogni. Il sogno non ci restituisce mai se non le idee o le diverse combinazioni di idee o di immagini ricevute durante la veglia.85 (M) 117. Il resto del paragrafo è molto oscuro e non so quale senso assegnargli; o bisogna che ne concluda che non esiste nulla, in questo mondo, tale quale io lo credo;
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opere filosofiche
rend tout votre système bien vacillant. Car si rien n’est tel que je le crois, pourquoi concluez-vous donc l’incompatibilité de la matière, avec des opérations que vous attribuez à l’âme. Cette incompatibilité peut très bien n’être qu’apparente. Voici le distinguo auquel vous vous exposez. Si la matière est ce que vous croyez, concedo. Si, non. Nego. AB . (M) A.B. Voici comment en bonne logique vous devez presser votre adversaire. Or la matière est ce que je vois, telle que je la sens ; mais vous assurez ici le contraire. Qui vous a dit que vos sens soient bons juges de l’essence de la matière. Pourquoi des esprits ne feraient-ils pas sur vos sens la sensation de matière. Il n’y a sorte d’absurdités auxquelles ces idées ne conduisent. (F) Sans répéter ce que j’ai dit par rapport à la clarté des idées que nous avons dans nos songes, sans répéter que, pendant nos veilles, la sensation de plusieurs êtres de notre espèce achève de nous convaincre de l’existence des choses | hors de nous [118] ; je remarque seulement, que dans nos songes, dans nos rêves, dans le délire, nous croyons voir des choses, mais des choses composées, et composées de parties que nous avons vues réellement pendant nos veilles, par les images ou idées primitives que ces parties réellement existantes ont produites par leurs actions sur les dernières || fibres de l’organe.
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118. Berkley ne serait point embarrassé de cette réponse. (M) Ainsi il est toujours vrai, que les parties qui composent ce monstre, ou spectre imaginaire, existent, ou ont existé réellement, et même telles qu’elles nous l’ont paru. 2°. Pour énerver en quelque façon la démonstration de l’hétérogénéité de l’âme et du corps, la seule chose qu’on pourrait dire, à ce qu’il me semble [119], serait, que je ne raisonne que sur la nature de cette matière grossière qui tombe sous nos sens, et que pourtant, selon toutes les apparences, la matière aura une infinité de propriétés essentielles, autres que celles que || nous lui connaissons [120] ; et qu’ainsi j’aurais dû être plus circonspect à conclure, sur le peu de propriétés connues de la matière.
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119. La seule chose ! cela vous plaît à dire. (M) 120. * Il y a bien pis ; c’est que celles que nous lui connaissons, ne lui sont peut-être essentielles qu’en apparence. Ce n’est pas moi qui vais là ; c’est vous qui m’y menez. (F) On ne saurait rien affirmer ou nier de choses dont nous ne sentons ni la possibilité, ni l’impossibilité [121], ni l’existence, ni la non-existence ; et comme ces autres propriétés supposées se trouvent dans ce cas, on n’en saurait tirer aucun argument quelconque [122].
121. A. Mais je suis bien fondé à alléguer la possibilité ; lorsque c’est l’unique moyen d’échapper à une autre explication qui me conduirait à une infinité de difficultés plus insolubles les unes que les autres. (F) |
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il che rende tutto il vostro sistema assai vacillante. Infatti, se nulla è tale quale io credo, perché concludete dunque all’incompatibilità della materia con operazioni che voi attribuite all’anima. Quest’incompatibilità può benissimo essere solo apparente. Ecco il distinguo al quale vi esponete. Se la materia è ciò che credete, concedo. Altrimenti, Nego.86 AB. (M) A.B. Ecco come, con una buona logica, dovete incalzare il vostro avversario. Ora,87 la materia è ciò che vedo, tale e quale la sento; ma voi affermate qui il contrario. Chi vi ha detto che i vostri sensi siano buoni giudici dell’essenza della materia. Perché degli spiriti non potrebbero fare, sui vostri sensi, la sensazione di materia. Non c’è specie di assurdità alle quali queste idee non conducano. (F) Senza ripetere ciò che ho detto riguardo la chiarezza delle idee che abbiamo nei nostri sogni, senza ripetere che durante le nostre veglie la sensazione di diversi esseri della nostra specie finisce per convincerci dell’esistenza delle cose fuori di noi [118]; io osservo soltanto che nelle nostre immaginazioni, nei nostri sogni, nel delirio, noi crediamo di vedere le cose, ma delle cose composte e composte di parti che abbiamo visto realmente durante le nostre veglie, delle immagini o idee primitive che quelle parti realmente esistenti hanno prodotto, con le loro azioni, sulle ultime fibre dell’organo.
118. Berkeley non sarebbe affatto imbarazzato di fronte a questa risposta. (M) Così è sempre vero che le parti che compongono questo mostro, o spettro immaginario, esistono o sono esistite realmente e persino tali e quali esse ci sono apparse. 2°. Per estendere in qualche modo la dimostrazione dell’eterogeneità dell’anima e del corpo, la sola cosa che si potrebbe dire, a quanto mi sembra [119], sarebbe che io ragiono solo sulla natura di questa materia grossolana che cade sotto i nostri sensi, e che pur tuttavia, secondo tutte le apparenze, la materia avrà un’infinità di proprietà essenziali, altre rispetto a quelle che noi conosciamo in essa [120]; e che così avrei dovuto essere più circospetto nel concludere a proposito delle poche proprietà conosciute della materia.
119. La sola cosa! Fate presto a dirlo. (M) 120. * C’è ben di peggio; è che quelle che conosciamo sono forse essenziali a essa solo in apparenza. Non sono io che giungo a questa conclusione; siete voi che mi ci conducete. (F) Non si potrebbe affermare nulla o negare nulla delle cose di cui noi non sentiamo né la possibilità, né l’impossibilità [121], né l’esistenza, né la non-esistenza; e siccome quelle altre proprietà supposte si trovano in questo caso, non se ne potrebbe trarre un qualsivoglia argomento [122].
121. A. Ma io ho buone ragioni per addurre questa possibilità; quando essa è l’unico mezzo per sfuggire a un’altra spiegazione che mi condurrebbe a un’infinità di difficoltà più insolubili le une delle altre. (F)
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22. Quand je dis que sans l’intervention d’aucun agent hétérogène, la matière passe d’un état inerte à un état sensible, vivant et pensant, je dis ce que je vois. (M) * Mais supposons que la matière ait une infinité de propriétés essentielles qui nous sont inconnues, il est parfaitement impossible qu’une chose quelconque ait deux propriétés || essentielles contradictoires [123], ˄ c’est-à-dire, que la matière soit figurable et non figurable, étendue et non étendue, etc. en même temps. Or je sais de science certaine, que la matière est entre autres figurée, étendue, etc. [124] par conséquent il est absolument impossible, que, parmi l’infinité des propriétés essentielles supposées, se trouvent des propriétés, par lesquelles la matière serait non-figurée, non-étendue, etc. [125] ; ainsi les conclusions tirées des arguments fondés sur la connaissance de cette matière grossière, n’ont rien de hasardé [126].
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123. ^ Réelles, concedo. Apparentes, nego. Or selon vous, la matière n’est peut-être rien de ce qu’elle nous paraît. (M) 124. Vous savez cela ? et d’où le savez-vous ? Dites qu’elle vous le paraît. Mais c’est de la réalité que vous conclurez, et non de l’apparence. (M) 125. * Presque toutes les formes de la matière sont indivisibles. Il n’y a pas la moitié d’un doigt, la moitié d’un œil ; il n’y a pas la moitié d’une molécule quelconque, parce que l’une des moitiés occupant une autre place que l’autre moitié, par cette seule et unique raison, elle ne lui ressemble pas. Cependant la matière est divisible. Voilà donc deux modifications contradictoires, selon vous, réunies dans un même sujet. Il y a plus ou moins de mouvement dans un corps que dans un autre ; mais ce qu’il y en a dans l’un ou l’[autre], peu ou beaucoup, n’est ni plus ni moins mouvement. Toutes les formes sont aussi indivisibles que la pensée. (F) | 298
126. Mais voyez-vous ce que vous faites ; pour introduire des propriétés essentielles contradictoires dans une même substance, vous rendez l’âme inétendue, indivisible, non figurée... Vous parlez d’un être dont vous n’avez pas la moindre idée. Vous parlez d’un être qui est, et qui n’est pas dans l’espace. Vous expliquez un phénomène, par une chimère. Est-ce là de la philosophie. Qui est-ce qui vous a dit que toute la matière n’était pas sensible ? Il y aura deux sortes de sensibilité, comme il y a deux sortes de forces. Une sensibilité inerte ; une sensibilité active. Une sensibilité active qui peut passer à l’état d’inertie. Une sensibilité inerte qui peut passer et qui passe à ma volonté à une sensibilité active. Ce phénomène qui s’exécute sous mes yeux, une fois admis, avec la mémoire et l’imagination, plus de difficultés. A (F) A Et quand je ne pourrais expliquer comment une sensibilité inerte passe à l’état d’une sensibilité active, que s’ensuivrait-il de là ? Serais-je autorisé à imaginer un agent inintelligible, un mot vide de sens. Ne suffit-il pas que le fait soit. Je ne puis expliquer la communication du mouvement ; mais le fait est. (F)
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122. Quando dico che senza l’intervento di alcun agente eterogeneo la materia passa da uno stato inerte a uno stato sensibile, vivente e pensante, io dico quello che vedo. (M) * Ma supponiamo che la materia abbia un’infinità di proprietà essenziali che ci sono ignote, è perfettamente impossibile che una cosa qualsivoglia abbia due proprietà essenziali contraddittorie [123], ˄ cioè che la materia sia figurabile e non figurabile, estesa e non estesa ecc. nello stesso tempo. Ora io so per scienza certa, che la materia è, tra le altre cose, figurata, estesa, ecc. [124] di conseguenza è assolutamente impossibile che, tra l’infinità delle proprietà essenziali presupposte, si trovino delle proprietà con le quali la materia sarebbe non figurata, non estesa, ecc. [125]; così le conclusioni tratte dagli argomenti fondati sulla conoscenza di questa materia grossolana non hanno niente di azzardato [126].
123. ^ Reali, concedo. Apparenti, nego. Ora, secondo voi, la materia non è forse per nulla ciò che ci appare. (M) 124. Voi sapete questo? E da che cosa lo avete saputo?88 Dite che la materia vi appare. Ma è dalla realtà che concluderete e non dall’apparenza. (M) 125. * Quasi tutte le forme della materia sono indivisibili. Non c’è la metà di un dito, la metà di un occhio; non c’è la metà di una molecola qualsivoglia, perché una delle metà occupanti un altro posto rispetto all’altra metà, per questa sola unica ragione, non le assomiglia. Tuttavia, la materia è divisibile. Ecco dunque due modificazioni contraddittorie, secondo voi riunite in uno stesso soggetto. C’è più o meno movimento in un corpo che in un altro; ma quanto ce n’è nell’uno o [nell’altro], poco o molto, non è né più né meno movimento. Tutte le forme sono altrettanto indivisibili quanto il pensiero.89 (F) 126. Ma vedete quello che state facendo: per introdurre delle proprietà essenziali contraddittorie in una stessa sostanza, rendete l’anima inestesa, indivisibile, non figurata... Voi parlate di un essere di cui non avete la minima idea. Voi parlate di un essere che è, e che non è nello spazio. Voi spiegate un fenomeno con una chimera. È questa una filosofia? Chi vi ha detto che tutta la materia non era sensibile? Vi saranno due specie di sensibilità, come ci sono due specie di forze. Una sensibilità inerte; una sensibilità attiva. Una sensibilità attiva che può passare allo stato d’inerzia. Una sensibilità inerte che può passare e che passa, a mio piacimento, a una sensibilità attiva. Una volta ammesso questo fenomeno che si realizza sotto i miei occhi, con la memoria e l’immaginazione, non ci sono più difficoltà. A (F) A. E quand’anche non potessi spiegare come passa una sensibilità inerte allo stato di una sensibilità attiva, da ciò che cosa ne conseguirebbe? Sarei autorizzato a immaginare un agente intelligibile, una parola vuota di senso? Non basta che il fatto esista? Io non posso spiegare la comunicazione del moto; ma il fatto c’è.90 (F)
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3°. De la démonstration de || l’immortalité de l’âme s’ensuivra, que l’âme de l’homme, celle de l’animal, x un ressort [127], comme également cause du mouvement qui est éternel par sa nature, sont également éternels par leur nature. |
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127. * Mais vous ne répondez pas à cette difficulté du ressort, ou plutôt de l’action de la plus petite molécule de matière, dont l’action est également productrice d’un mouvement éternel. (M) Il est vrai que l’âme de l’animal paraît aussi éternelle que celle de l’homme. Je dis paraît, puisque je ne saurais apprendre de l’animal ce qu’il sent [128]. Je puis l’affirmer par rapport à l’homme, parce que je suis homme, et que, par conséquent, je raisonne sur des vérités que je sens. Si l’on m’accuse d’approcher trop l’animal de l’homme, il faut se ressouvenir de ce que j’ai || dit tantôt, au sujet de la faculté intellectuelle de l’animal, et sur la possibilité que l’usage des signes arbitraires fût adhérent à notre essence. D’ailleurs cette réflexion n’est dictée que par notre orgueil, notre envie, et notre vanité [129].
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128. Je vous trouve bien plaisant d’accorder à l’animal une âme, et de n’oser accorder à cette âme l’indissolubilité ; et cela parce que vous ne savez pas ce qui se passe en lui. Et savez-vous mieux ce qui se passe en moi ? est-ce que la conformité d’organisation vous suffit pour prononcer sur la conformité des âmes. Est-ce qu’il n’y a pas tel homme qui diffère plus d’un autre, par son imbécillité que la bête ne diffère de l’homme. Est-ce que l’idiot n’a point d’âme ou n’a qu’une âme dissoluble. Quelle est l’opération intellectuelle que vous fassiez et que l’animal ne fasse pas. Il n’y a que du plus ou du moins. Mais ou la bête n’a point d’âme, ou si elle a une âme, elle est spirituelle et selon vous indissoluble. (F) 129. Si l’âme de la bête est matière, combien la matière peut faire de choses ? Mais je n’exige qu’un aveu. Avouez-moi seulement que la bête sent. Je me charge du reste. (F) | Pour ce qui regarde le ressort, j’aurai tantôt à en parler [130] ; mais il faut remarquer ici, que le ressort est un corps mis en mouvement par une cause hors de lui *** [131].
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130. J’en parlerai ailleurs. (M) 131. xxx Et l’âme donc ? Quand vous lui accorderiez une activité qui lui serait propre cette activité est quelquefois sans effet ; qu’est-ce qui la tire alors de son inertie momentanée. Mais selon votre manière de raisonner ; si cette activité cesse ; si on la peut concevoir sans cette activité ; si cette abstraction ne la détruit point ; cette qualité ne lui est plus essentielle. Ainsi, selon votre logique, ou l’âme est toujours active, ce qui est contraire à l’expérience. Ou si elle ne l’est pas toujours ; elle ne l’est pas essentiellement.
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3°. Dalla dimostrazione dell’immortalità dell’anima ne conseguirà che l’anima dell’uomo, quella dell’animale, x una molla [127], siccome sono entrambe ugualmente causa del moto, che è eterno per sua natura, sono ugualmente eterni per loro natura.
127. Ma voi non rispondete a questa difficoltà della molla, o piuttosto dell’azione della molecola più piccola di materia, la cui azione è ugualmente produttrice di un moto eterno.91 (M) È vero che l’anima dell’animale sembra altrettanto eterna quanto quella dell’uomo. Io dico sembra, poiché non potrei conoscere dall’animale ciò che esso sente [128]. E posso affermarlo in rapporto all’uomo, perché io sono uomo e di conseguenza ragiono su delle verità che sento. Se mi si accusa di avvicinare troppo l’animale all’uomo, bisogna ricordarsi di ciò che ho detto poc’anzi, a proposito della facoltà intellettuale dell’animale e sulla possibilità che l’uso di segni arbitrari fosse aderente alla nostra essenza. D’altronde, questa riflessione non è dettata da altro che dal nostro orgoglio, dalla nostra invidia e la nostra vanità [129].
128. Trovo che siete assai divertente quando accordate all’animale un’anima, e non osate accordare a quest’anima l’indissolubilità; e questo perché voi non sapete ciò che accade in essa.92 E sapete forse meglio ciò che accade in me? La conformità di aggregazione vi basta per pronunciarvi sulla conformità delle anime. Non c’è forse il tale uomo che differisce da un altro più per la sua imbecillità di quanto la bestia non differisca dall’uomo. L’idiota non ha affatto anima o non ha altro che un’anima dissolubile. Qual è l’operazione intellettuale che voi potete fare e che l’animale non faccia. Non c’è che il più e il meno. Ma o la bestia non ha alcun’anima, o se ne ha una, è l’anima spirituale e secondo voi è indissolubile. (F) 129. Se l’anima della bestia è materia, quante cose può fare la materia? Ma io esigo da voi un solo riconoscimento. Riconoscetemi solo che la bestia sente. M’incarico io del resto. (F) Per ciò che concerne la molla, avrei da parlarne subito [130]; ma bisogna osservare qui che la molla è un corpo messo in moto da una causa fuori di esso*** [131].
130. Ne parlerò altrove. (M) 131. xxx E l’anima dunque? Quand’anche voi le accordaste un’attività che sarebbe sua propria, quest’attività è talvolta senza effetto; allora che cosa la trae dalla sua inerzia momentanea. Ma secondo la vostra maniera di ragionare se quest’attività cessa; se la si può concepire senza quest’attività; se quest’astrazione non la distrugge; tale qualità non è più essenziale per essa. Così secondo la vostra logica, o l’anima è sempre attiva, il che è contrario all’esperienza. O se essa non lo è sempre; non lo è essenzialmente.
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Quel chaos de difficultés. (M) * 4°. Si la velléité, ou la spontanéité de l’homme, n’est pas prouvée, ce que nous appelons velléité pourrait bien n’être qu’un accident, qui dérive du premier mouvement || imprimé à la nature par les mains du Créateur, ou du mouvement adhérent à la nature [132].
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132. * Vous [auriez] bien [dû] nous expliquer ce que vous entendez par velléité. Il n’y a qu’une seule opération dans l’homme. C’est sentir. | Cette opération qui n’est jamais libre se résout en pensée, raisonnement, délibération, désir ou aversion. (F) * Vouloir qu’on prouve la velléité de l’homme, c’est vouloir qu’on prouve son existence [133]. Pour celui qui ne sent pas son existence, lorsqu’il reçoit des idées de choses hors de lui, et pour celui qui ne sent pas sa velléité, lorsqu’il agit ou désire, ils sont autre chose que des hommes, et on ne saurait rien affirmer de leur essence.
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133. * Je ne demande point qu’on me prouve que l’homme veut. Mais je demande qu’on me définisse ce que c’est que vouloir. J’ai tout à l’heure soixante ans. Quelle que soit la multitude des causes qui aient concurré à me faire ce que je suis. Je suis une cause une. Je n’ai jamais au moment où je parle qu’un effet à produire. Cet effet est le résultat nécessaire de ce que j’ai été depuis l’instant le plus éloigné de l’instant présent, jusqu’à cet instant présent. La velléité n’est autre chose que mon acquiescement nécessaire à faire ce que je fais nécessairement, dans l’instant présent. Il en est de même de l’instant qui a précédé. Et ainsi de suite, en rétrogradant au delà du terme de toute imagination. | Méditez bien ce raisonnement, et si vous ne le trouvez pas aussi démonstratif que celui d’Euclide sur l’égalité des trois angles d’un triangle à deux droits, je n’y entends plus rien. Supposez cent mille femmes parfaitement identiques ; supposez qu’une seule ira coucher ce soir avec son amant. Toutes iront. Parce qu’il n’y [a] aucune raison pour les autres de n’y pas aller, et qu’au contraire, il y a la raison de la première pour qu’elles y aillent toutes. (F) L’acquiescement à produire l’effet qu’on produit nécessairement, comme cause une, n’est autre chose que la conscience de ce qu’on est au moment où l’on agit. Alors Je veux est synonyme à Je suis tel. J’ébauche tout. Si je voulais insister autant que la matière l’exige, je ferais un ouvrage plus étendu que le vôtre. Et d’où naît la conscience ? de la sensibilité et de la mémoire. C’est la mémoire qui lie les sensations et qui constitue le soi. | Le soi d’un autre, ou le lui d’un jeune homme, d’un fils, par exemple, peut être plus étendu pour un père que pour son enfant. (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 131-133
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Quale caos di difficoltà. (M) * 4°. Se la velleità, ossia la spontaneità dell’uomo, non è provata, ciò che noi chiamiamo velleità potrebbe certo essere solo un accidente che deriva dal primo moto impresso alla natura dalle mani del creatore, o dal moto aderente alla natura [132].
132. * Voi [avreste] proprio [dovuto] spiegarci ciò che intendete con velleità. Non c’è che una sola operazione nell’uomo. È sentire.93 Quest’operazione, che non è mai libera, si risolve94 in pensiero, ragionamento, deliberazione, desiderio o avversione.95 (F) * Volere che si provi la velleità dell’uomo, è volere che si provi la sua esistenza [133]. Per colui che non sente la propria esistenza, quando riceve delle idee delle cose fuori di lui, e per colui che non sente la propria velleità quando agisce o desidera, costoro sono altra cosa dagli uomini, non si potrebbe affermare nulla della loro essenza.
133. * Io non chiedo affatto che mi si provi che l’uomo vuole.96 Ma io chiedo che mi si definisca che cos’è volere. Ho appena compiuto sessant’anni. Quale che sia la moltitudine delle cause che abbiano concorso a farmi essere ciò che sono, io sono una causa una. Nel momento in cui parlo, non ho mai altro che un effetto da produrre. Tale effetto è il risultato necessario di ciò che sono stato, dall’istante più lontano dall’istante presente, fino a questo istante presente.97 La velleità non è altra cosa che il mio aderire necessario a far ciò che faccio necessariamente, nell’istante presente. È la stessa cosa per l’istante che ha preceduto. E così di seguito, tornando indietro al di là del termine di ogni immaginazione. Meditate bene questo ragionamento e se non lo trovate altrettanto dimostrativo quanto quello di Euclide sull’uguaglianza fra i tre angoli di un triangolo e due angoli retti,98 non ci capisco più niente. Immaginate centomila donne perfettamente identiche; supponete che una sola questa sera andrà al letto con il suo amante. Tutte ci andranno. Perché non c’[è] alcuna ragione per le altre di non andarci, e al contrario c’è la ragione della prima perché ci vadano tutte.99 (F) La disposizione a produrre l’effetto che si produce necessariamente, come causa una, non è altra cosa che la coscienza di ciò che si è, al momento in cui si agisce. Allora “Io voglio” è sinonimo di “io sono così”.100 È tutto un abbozzo il mio. Se volessi insistere, per quanto la materia lo esige, farei un’opera più estesa della vostra.101 E donde nasce la coscienza? Dalla sensibilità e dalla memoria. È la memoria che collega le sensazioni e costituisce il sé.102 Il sé di un altro, o il lui di un giovane uomo, di un figlio, ad esempio, può essere più esteso per un padre che per suo figlio. (F)
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opere filosofiche
Mais comme je sens que cette réponse ne satisferait guère des philosophes matérialistes, qui pourraient dire, || avec quelque apparence de raison, que je ne fais proprement ici qu’éluder la question, je me trouve obligé de répondre d’une façon un peu plus distincte. Pour prouver que la velléité réside dans l’âme, et qu’elle n’est pas l’effet d’une cause étrangère, il suffit de considérer la volonté dans les cas où il est impossible qu’elle parvienne à son but, c’est-à-dire, dans ces cas, si fréquents, où elle passe notre pouvoir. * Posons [134] que la velléité soit l’effet nécessaire d’une cause physique, que la volonté veuille produire un effet || physique, que cet effet devra être le déplacement d’un poids de cent livres, et que cette volonté n’ait des moyens ou des forces que pour cinquante ; il faudra nécessairement, qu’au moment où elle compare ses cinquante livres de force avec les cent livres du poids par l’action, cette volonté soit ou anéantie, ou négative, ou continue. Mais on dira, que le cas que je suppose est exactement celui du ressort [135].
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134. J’avoue que je n’entends point ce que tout ce qui suit prouve. (M) 135. Un ressort de chair, et sensible est averti par la douleur, par la lassitude, et par l’expérience à se désister d’un effort inutile. Mais dans le cas d’un agent spirituel, la lassitude est inexplicable ; comment n’arrive-t-il pas à tout moment que le bras ne soit pas sous l’impulsion de cette âme, comme le fleuret sous l’impulsion du bras ; brisé comme le fleuret. L’union de l’âme au bras est mille fois plus obscure que l’union du bras au fleuret. L’action et la réaction de deux substances d’une nature essentiellement différente est absurde. Je ne dis rien de trop. Car c’est précisément la supposition de cette diversité essentielle qu’il faudrait faire, pour trouver une absurdité d’action et de réaction. Je défie même qu’on en fasse une autre. (M) | Sans entrer ici dans la recherche de la nature du ressort, d’ailleurs infiniment curieuse, je réponds, que les moyens que la volonté emploie peuvent être à la vérité dans le cas du || ressort, mais non la volonté elle-même. Posons qu’un ressort, avec une force de cinquante livres, agisse contre un obstacle de cent livres ; il est vrai que l’action du ressort n’est ni anéantie, ni rendue négative, mais qu’elle reste permanente. Mais ce ressort ne continue son action que d’une façon uniforme, c’est-à-dire, avec la force de cinquante livres, de même que les moyens que la volonté emploie, et qui en valent autant. Or si la volonté était une modification causée par les impulsions de parties quelconques de la matière [136], il faudrait en bonne physique l’un des || trois, ou que cette volonté devînt négative, ou qu’elle fût anéantie, ou que son intensité restât la même uniformément à celle des moyens employés, c’est-à-dire de la valeur de cinquante livres. Mais ni l’un ni l’autre n’arrive dans ces cas : la volonté passe outre et en veut encore au déplacement des cent livres.
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136. * Le vice de tous ces raisonnements, est toujours de confondre une matière activement sensible, avec une matière brute, inerte, inorganisée, inanimalisée, le bois avec la chair.
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osservazioni su hemsterhuis, 134-136
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Ma siccome io sento che questa risposta non soddisferà affatto dei filosofi materialisti, i quali potrebbero dire, con qualche apparenza di ragione, che io qui non faccio propriamente altro che eludere la questione, mi trovo obbligato a rispondere in una maniera un po’ più distinta. Per provare che la velleità risiede nell’anima e che non è l’effetto di una causa estranea, basta considerare la volontà nel caso in cui è impossibile che essa pervenga al suo scopo, cioè in quei casi, tanto frequenti, in cui essa oltrepassa il nostro potere. * Poniamo [134] che la velleità sia l’effetto necessario di una causa fisica, che la volontà voglia produrre un effetto fisico, che quest’effetto dovrà essere lo spostamento di un peso di cento libbre, e che tale volontà non abbia i mezzi o le forze che per cinquanta libbre; bisognerà necessariamente che al momento in cui essa paragona le sue cinquanta libbre di forza con le cento libbre del peso, per l’azione, questa volontà sia o annullata, o negativa, o continua. Ma si dirà che il caso che io suppongo qui è esattamente quello della molla [135].
134. Confesso che non capisco affatto che cosa prova tutto ciò che segue. (M) 135. Una molla di carne e sensibile è avvertita dal dolore, dalla stanchezza e dall’esperienza, a desistere da uno sforzo inutile. Ma nel caso di un agente spirituale la stanchezza è inspiegabile; com’è che non accade, in ogni momento, che il braccio non sia sotto l’impulso di quest’anima, come il fioretto sotto l’impulso del braccio; spezzato come il fioretto. L’unione dell’anima col braccio è mille volte più oscura dell’unione del braccio con il fioretto. L’azione e la reazione di due sostanze di una natura essenzialmente diversa è assurda. Non dico nulla di troppo. Perché bisognerebbe fare precisamente la supposizione di questa diversità essenziale, per trovare un’assurdità d’azione e di reazione. Sfido persino che se ne faccia un’altra. (M) Senza entrare qui nella ricerca della natura della molla, d’altronde infinitamente curiosa, rispondo che i mezzi che impiega la volontà possono essere, in verità, come quelli del caso della molla, ma non la volontà stessa. Poniamo che una molla con una forza di cinquanta libbre agisca contro un ostacolo di cento libbre; è vero che l’azione della molla non è né annullata, né resa negativa, ma resta permanente. Tuttavia, tale molla non continua la sua azione se non in maniera uniforme, cioè con la forza di cinquanta libbre, come i mezzi impiegati dalla volontà, i quali inoltre valgono altrettanto. Ora se la volontà fosse una modificazione causata dagli impulsi di parti qualsiasi della materia [136], occorrerebbe, secondo la buona fisica, una delle tre cose, o che tale volontà diventi negativa, o che essa venga annullata, o che la sua intensità resti la stessa uniformemente, rispetto a quella dei mezzi impiegati, cioè del valore di cinquanta libbre. Ma non accade né l’una né l’altra cosa, in questi casi: la volontà passa oltre e vuole ancora tentare di spostare cento libbre.
136. * Il vizio di tutti questi ragionamenti è sempre quello di confondere una materia attivamente sensibile, con una materia bruta, inerte, non organizzata, non animalizzata, confondere il legno con la carne.
Diderot.indb 961
30/09/2019 15:13:30
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opere filosofiche
Mais comment le bois diffère-t-il de la chair ; comme le légume non digéré, non assimilé avec de la chair, diffère de la chair. Quand je naquis, je ne sentais que sur une longueur d’environ dix-huit pouces au plus. Comment suis-je parvenu avec l’âge à sentir sur une longueur de cinq pieds et quelques pouces. J’ai mangé. J’ai digéré. J’ai animalisé. J’ai fait passer par l’assimilation, des corps bruts, de l’état de sensibilité inerte à l’état de sensibilité active. Je m’en tiens à ces faits ; et ce n’est pas l’intervention d’un mot vide de sens qui m’en apprendra davantage. * Ce qui est très remarquable, c’est qu’on trouve xx souvent par l’expérience, que l’intensité de la volonté s’accroît à proportion que les obstacles augmentent [137]. | 305
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137. xx. C’est alors à l’ignorance de la force de l’obstacle qu’il faut attribuer l’opiniâtreté ; et jamais vous n’avez vu un homme tenter le déplacement d’un poids de dix mille livres ; ou si cela est arrivé, les spectateurs [ont] dit que cet homme était fou ; et il l’était en effet. (M) * Mais c’est qu’il faudrait mêler un peu de physiologie à tout cela. Une jeune fille, très faible, très délicate, qui dans l’état de santé résisterait à peine, à un jeune homme, ne peut être contenue dans un accès de fièvre par cinq à six hommes très vigoureux ? est-ce l’âme ou la fièvre qui accroît si prodigieusement sa force ? Le feu prend à la maison d’un homme riche ; il saisit son coffre-fort entre ses bras, il le porte dans son jardin. Est-ce l’âme qui accroît alors sa vigueur au delà de celle d’un cheval ? L’incendie cesse. Il voit son coffre-fort. Il ignore qu’il l’ait porté. On le lui assure ; il n’en croit rien. Il n’est pas alors en état de le remuer. La racine molle d’une plante que vous écraseriez entre vos doigts, s’insère entre deux énormes quartiers de rochers et les sépare. De petits coins de bois blancs, placés sous une meule de moulin, et arrosés d’un peu d’eau détachent la meule du rocher. Quelques gouttes d’eau mises en expansion soulèvent un cylindre de cuivre, d’un pied et demi de diamètre, et de dix à douze pieds de haut. Un demi-verre d’eau froide fait entrouvrir les douves d’un tonneau relié de bandes de fer. L’animal tranquille ignore sa force. Mais qu’un accès de fièvre, un transport de passion, un violent intérêt, un mouvement d’amour-propre, la crainte de perdre son honneur, sa vie ou sa fortune, une terreur réelle ou panique, tende ses nerfs, accélère l’impulsion de ses fluides, resserre les | canaux qui les renferment, et surtout que la velléité, volonté ou âme ne s’en mêle plus, et vous serez effrayé des effets qu’il produira. C’est alors qu’il est réduit à un être purement sensible. A.B. (F) A.B. En voici la preuve ; c’est que l’avare, mentis compos, voulant et voulant bien, ne tenterait pas de sens froid, de remuer le coffre-fort qu’il a transporté dans la passion, dans la terreur, lorsque sa tête était perdue ; lui proposât-on alors pour récompense de ses efforts, deux fois la valeur de son coffre-fort. (M)
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Posons que dans ma tête se forme l’idée d’un bel édifice, que je || ne me contente pas de cette idée, mais que la volonté me vienne de la réaliser telle-
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Ma come il legno differisce dalla carne; come il legume non digerito, non assimilato con la carne, differisce dalla carne. Quando nacqui sentivo solo per una lunghezza, al più, di circa diciotto pollici. Come sono giunto, con l’età, a sentire sulla lunghezza di cinque piedi e qualche pollice? Ho mangiato. Ho digerito. Ho animalizzato.103 Ho fatto passare, con l’assimilazione, dei corpi bruti dallo stato di sensibilità inerte allo stato di sensibilità attiva. Mi attengo a questi fatti; e non è l’intervento di una parola vuota di senso a insegnarmi qualcosa di più.104 * È molto significativo che xx spesso si trovi, con l’esperienza, che l’intensità della volontà cresce in proporzione agli ostacoli che aumentano [137].
137. xx Allora è all’ignoranza della forza dell’ostacolo che occorre attribuire la perseveranza; e voi non avete mai visto un uomo tentare lo spostamento di un peso di diecimila libbre; o se ciò è accaduto, gli spettatori hanno detto che quell’uomo era un pazzo; e lo era in effetti. (M) * Ma il fatto è che bisognerebbe mescolare un po’ di fisiologia in tutto questo. Una giovane fanciulla, molto debole, molto delicata, che in condizioni di buona salute resisterebbe appena a un uomo giovane, non può essere contenuta, in un accesso di febbre, da cinque o sei uomini molto vigorosi? È l’anima o la febbre ad aumentare la sua forza in maniera così prodigiosa? Si appicca il fuoco alla casa di un uomo ricco; costui afferra la sua cassaforte tra le braccia, la porta in giardino. È l’anima ad aumentare allora il suo vigore al di là di quello di un cavallo? L’incendio è finito. Egli vede la sua cassaforte. Ignora chi l’abbia portata là. Lo si informa; non ci crede affatto, allora non è più in condizione di smuoverla.105 La radice molle di una pianta che schiaccereste tra le dita, s’insinua tra due enormi blocchi di roccia e li separa. Dei piccoli cunei di legno bianco, sistemati sotto una mola di un mulino, e annaffiati con un po’ d’acqua, distaccano la mola dalla roccia. Poche gocce d’acqua messe in espansione sollevano un cilindro d’ottone di un piede e mezzo di diametro e di dieci o dodici piedi di altezza. Un mezzo bicchiere d’acqua fredda fa dischiudere le assi di una botte collegate da strisce di ferro. L’animale tranquillo ignora la sua forza. Ma basta che un accesso di febbre, un trasporto di passione, un interesse violento, un moto d’amor proprio, il timore di perdere il proprio onore, la propria vita o la propria fortuna, un terrore reale o panico, tende i suoi nervi, accelera l’impulso dei suoi fluidi, restringe i canali che li racchiudono e soprattutto la velleità, volontà o anima, non se ne immischia più, e voi sarete spaventato degli effetti che produrrà. È allora che l’animale è ridotto a un essere puramente sensibile. A.B. (F) A.B. Eccone la prova; è che l’avaro, mentis compos,106 volendo e volendo per davvero, non tenterebbe, a sangue freddo, di smuovere la cassaforte che ha trasportato nella passione, nel terrore, quando la sua testa era smarrita; neanche se gli si proponesse allora, come ricompensa dello sforzo, due volte il valore della cassaforte.107 (M) Poniamo che nella mia testa si formi l’idea di un bell’edificio, che io non mi accontenti di quest’idea ma che mi venga la volontà di realizzarla a tal punto,
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ment, qu’il existe un édifice conforme à cette idée. Posons encore que je parvienne, à force de frais et de travaux, à me bâtir cet édifice. Posons enfin, que tout soit matière dans l’univers. Il s’ensuit, que depuis l’idée primitive jusqu’à la formation de l’édifice, tout s’est passé de matière à matière, et de mouvement à mouvement. Mais une force quelconque produit son effet, et rien de plus. Or il est sensible, que la force qui a dirigé quelques particules de matière dans mon cerveau, || pour former la primitive idée, est bien petite en comparaison de la force qu’il a fallu pour élever et placer les masses énormes qui composent le bâtiment. Par conséquent il faut de toute nécessité, que cette force primitive soit de nature à pouvoir prendre des accroissements prodigieux par elle-même, et * qu’on trouve dans la matière une augmentation progressive autonome de masse, ou dans le mouvement une accélération intrinsèque d’intensité [138] : ce qui est contradictoire à tout ce que nous savons de la matière ou du mouvement ; et par conséquent la volonté qui a produit || l’édifice, n’est ni une force modifiée par le mouvement de la matière, ni une modification de la matière ; mais elle est de nature à pouvoir donner elle-même du mouvement à la matière, et à pouvoir modifier ou accélérer ce mouvement, sans quoi il serait du tout impossible qu’il existât aucune production de l’industrie des hommes ou des animaux [139].
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138. * C’est qu’elle y est ; et que c’est précisément ou la folie, ou la fièvre, ou l’affection maniaque, ou la terreur panique qui la manifeste. | Et n’allez pas soutenir que la volonté ou la velléité y entre pour quelque chose. Puisqu’il arrive alors que l’homme se précipite par les fenêtres, se jette dans une rivière et se tue. Puisque revenu à lui-même, il ignore ce qu’il a fait. (F) 139. * Il me semble que les phénomènes prouvent que la force nécessaire est dans l’animal, et ne se manifeste jamais d’une manière plus terrible que, quand l’animal n’est plus mentis compos, ou sans velléité ; c’est-à-dire que le corps dispose de l’âme et non l’âme du corps. (M) Après avoir démontré, que la nature de la ** velléité est directement contraire et répugne à ce que nous savons des qualités essentielles de la matière et du mouvement [140], la liberté de cette volonté n’est || pas à beaucoup près si incompréhensible.
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140. ** Je ne sais si ce que vous appelez velléité est conforme ou contraire à ce que nous appelons les qualités essentielles de la matière ; mais il est bien démontré par l’expérience qu’elle contrarie souvent les grands effets que l’homme produit, quand il en est privé, et dont il est d’autant plus incapable qu’il en jouit le plus parfaitement. (F)
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* Il me paraît que ceux qui ont combattu la liberté, ont fait des fautes grossières [141]. Ils ont dit, l’homme sage doit prendre de deux partis nécessairement le parti le plus sage ; et c’est, ce me semble, proprement substituer l’effet à sa cause. Le parti sage à prendre devient la cause, et le choix à faire devient l’effet. On devrait dire, l’homme sage prend nécessairement le parti le plus sage, parce qu’il veut être sage. Ils ont dit, il n’y a point d’effet sans cause ; d’accord : mais ils n’ont pas prouvé que toute cause || fût effet [142] ; et
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che esiste un edificio conforme a tale idea. Poniamo ancora che io giunga, a forza di spese e di lavori, a costruirmi quest’edificio. Poniamo infine che tutto sia materia nell’universo. Ne consegue che dall’idea primitiva fino alla formazione dell’edificio tutto è accaduto di materia in materia, e di movimento in movimento. Ma una forza qualsivoglia produce il suo effetto e niente di più. Ora, è un fatto chiaro che la forza che ha diretto alcune particelle di materia nel mio cervello a formare l’idea primitiva, è ben piccola cosa a confronto della forza che è stata necessaria per innalzare e sistemare le masse enormi che compongono l’edificio. Di conseguenza, con ogni necessità, bisogna che quella forza primitiva sia di natura tale da poter prendere degli incrementi prodigiosi per se stessa, e *che si trova nella materia un accrescimento progressivo autonomo di massa o nel movimento un’accelerazione intrinseca di intensità [138]: il che è contraddittorio rispetto a tutto ciò che sappiamo della materia o del movimento; e di conseguenza la volontà che ha prodotto l’edificio, non è né una forza modificata dal movimento della materia, né una modificazione della materia; ma è di natura tale da poter dare essa stessa del movimento alla materia, e di poter modificare o accelerare questo movimento, senza ciò sarebbe del tutto impossibile che esistesse alcuna produzione dell’industria degli uomini o degli animali [139].
138. * Il fatto è che c’è; e a manifestarla è precisamente la follia, o la febbre, o l’affezione maniaca, o il terrore panico. E non venite a sostenere che la volontà o la velleità c’entri qualcosa. Perché allora accade che l’uomo si butta dalla finestra, si getta in un fiume e si uccide. Perché tornato in se stesso, ignora quello che ha fatto. (F) 139. * Mi sembra che i fenomeni provino che la forza necessaria è nell’animale e non si manifesta mai in maniera più terribile di quando l’animale non è più mentis compos, ossia senza velleità; cioè quando il corpo dispone dell’anima e non l’anima del corpo. (M) Dopo aver dimostrato che la natura della ** velleità è direttamente contraria e ripugna a ciò che sappiamo delle qualità essenziali della materia e del movimento [140], la libertà di questa volontà non è più così lungi dall’essere comprensibile.
140. ** Io non so se quella che voi chiamate velleità è conforme o contraria a ciò che noi chiamiamo le qualità essenziali della materia; ma è ben dimostrato dall’esperienza che essa contrasta spesso i grandi effetti che l’uomo produce, quando ne è privo, e di cui è tanto più incapace quanto più perfettamente ne gode. (F) * Mi sembra che coloro che hanno combattuto la libertà, hanno fatto degli errori grossolani [141]. Hanno detto, l’uomo saggio deve prendere, dei due partiti, necessariamente il partito più saggio; e questo è, mi sembra, propriamente sostituire l’effetto alla sua causa. Il partito saggio da prendere diventa la causa e la scelta da fare diventa l’effetto. Si dovrebbe dire, l’uomo saggio prende necessariamente il partito più saggio, perché vuole essere saggio. Costoro hanno detto, non c’è alcun effetto senza causa; d’accordo: ma non hanno trovato che ogni causa fosse effetto [142]; e si è preso gratuitamente
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on a pris gratuitement ce qu’on appelle la volonté pour un effet : c’est poser ce qui est en question.
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141. * Quant à ce qui concerne la liberté, c’est une question tout à fait indépendante de la distinction des deux substances. | J’en appelle au raisonnement que j’ai fait plus haut. Un animal qui agirait sans motif, ne se conçoit non plus qu’une action sans cause. Et tout motif, soit qu’il nous soit extérieur ou intérieur est indépendant de nous. L’homme libre est un être abstrait ; un ressort isolé. Restituez-le de cet état d’abstraction, dans le monde, et sa prétendue liberté s’évanouit. Il ne me serait pas difficile de démontrer que M Hemsterhuis a passé les trois quarts de sa vie sans vouloir. Il sort de chez lui la tête occupée d’optique ou de métaphysique ; sans vouloir sortir, il est poussé hors de sa porte par un souvenir ; chemin faisant, il évite des obstacles, sans y penser ; il se rappelle un oubli qui le ramène chez lui, il y revient ; et il exécute la chose qu’il avait oublié de faire, toujours à sa pensée. C’est alors qu’il est bien évidemment un automate chassé, détourné, ramené par des causes qui disposent de lui aussi impérieusement, qu’un choc dispose d’un corps choqué. Sa rêverie philosophique cesse, et il ne sait rien ni de ce qu’il a dit, ni de ce qu’il a fait. (F) | 142. * Puisque je ne suis pas maître de penser à ce que je veux, et qu’une longue expérience me l’a appris, il faut bien que j’y sois porté par une cause. Toute cause est un effet me paraît un axiome. Sans quoi la nature agirait à tout moment per saltum ; ce qui n’est jamais vrai. Dites-moi, si une âme n’avait aucune idée, que ferait-elle ? Rien. Ce me semble. Ce sont donc ses idées, ses sensations préconçues qui la meuvent. Peut-elle réveiller à discrétion ses idées, ses sensations ? nullement. A tout moment les idées involontairement réveillées font oublier à l’homme ses intérêts les plus pressants. J’avoue que, j’ai beau m’interroger moi-même, qu’il m’est évidemment démontré et par la raison et par l’expérience, que j’ai toujours été passif, avant que d’être actif, effet avant que d’être cause. (M)
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Posons que j’aie à choisir de A et de B. Je choisis A ; et l’on me soutiendra que mon choix n’a pas été libre, mais nécessaire. J’avoue que je ne saurais prouver le contraire par l’effet, uniquement parce que le choix est fait, et ne peut se refaire ; mais voulant faire la recherche de la liberté, pourquoi prend-on la chose un moment après le choix, c’est-à-dire, lorsque la liberté ne saurait plus subsister, et pas le moment avant, lorsqu’elle existe encore ? C’est || alors que je suis tellement libre, que je puis faire dépendre le parti que je vais prendre de votre volonté ou de celle d’un tiers [143]. Par conséquent le parti que je prendrai ne dépend pas des causes qui feront que vous le trouvez bon, juste, ou sage, mais uniquement de ma volonté, qui ne sait rien des impulsions qui vous dirigent. Si l’on dit que ma soumission à votre volonté est nécessaire, on prend encore la chose après le fait, et alors cela est aussi incontestablement vrai, qu’il est incontestablement faux avant le fait.
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ciò che si chiama la volontà per un effetto: questo significa presupporre ciò che è in questione.
141. * Per quanto concerne la libertà, è una questione del tutto indipendente dalla distinzione delle due sostanze. Faccio appello al ragionamento che ho fatto poco sopra.108 Un animale che agisse senza motivo, non si concepisce meglio di un’azione senza causa. E ogni motivo, che sia esterno o interno a noi, è indipendente da noi. L’uomo libero è un essere astratto; una molla isolata. Restituitelo, da questo stato di astrazione, nel mondo e la sua pretesa libertà svanisce. Non mi sarebbe difficile dimostrare che il signor Hemsterhuis ha passato i tre quarti della sua vita senza volere. Esce da casa sua con la testa occupata da questioni di ottica o di metafisica; senza voler uscire, è spinto fuori dalla porta di casa da un ricordo; strada facendo evita degli ostacoli senza pensarci; richiama alla mente una dimenticanza che lo riconduce a casa, ci ritorna; e compie la cosa che aveva dimenticato di fare, sempre preso dal suo pensiero. È allora che egli è, in tutta evidenza, un automa cacciato, sviato, ricondotto da cause che dispongono di lui, altrettanto imperiosamente quanto un urto dispone di un corpo urtato. La sua fantasticheria filosofica cessa, e lui non ne sa nulla, né di ciò che ha detto, né di ciò che ha fatto.109 (F) 142. * Poiché io non sono padrone di pensare a ciò che voglio, e una lunga esperienza me l’ha insegnato, bisogna proprio che vi sia portato da una causa. Ogni causa è un effetto mi sembra un assioma. Senza questo la natura agirebbe in ogni momento per saltum; il che non è mai vero. Ditemi, se un’anima non avesse alcuna idea, che cosa farebbe? Niente. Mi sembra. Sono dunque le sue idee, le sue sensazioni preconcette110 che la muovono. Può essa risvegliare a sua discrezione le idee, le sensazioni? Niente affatto. In ogni momento le idee involontariamente risvegliate fanno dimenticare all’uomo i suoi interessi più pressanti. Confesso che posso interrogare me stesso quanto voglio, eppure m’è dimostrato con evidenza, tanto dalla ragione quanto dall’esperienza, che sono sempre stato passivo, prima di essere attivo, effetto prima di essere causa.111 (M) Poniamo che io abbia da scegliere tra A e B. Scelgo A; e voi sosterrete che la mia scelta non è stata libera, ma necessaria. Confesso che non potrei provare il contrario con l’effetto, unicamente perché la scelta è fatta e non si può rifare; ma volendo fare la ricerca della libertà, perché si prende la cosa un momento dopo la scelta, cioè quando la libertà non potrebbe più sussistere, e non il momento prima, quando essa esiste ancora? È là che io sono a tal punto libero che posso far dipendere il partito che prenderò dalla vostra volontà o da quella di un terzo [143]. Di conseguenza, il partito che prenderò non dipende dalle cause che faranno sì che voi lo troviate buono, giusto o saggio, ma unicamente dalla mia volontà, che non sa nulla degli impulsi che dirigono voi. Se si dice che la mia sottomissione alla vostra volontà è necessaria, si prende ancora la cosa dopo il fatto, e allora questo è altrettanto incontestabilmente vero quanto è incontestabilmente falso prima del fatto.
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143. * Vous vous trompez. Vous demandez, est-ce que je ne suis pas libre de prendre A ou B. Je vous réponds, non. Vous ne pouvez prendre que B. A l’instant, vous portez votre main sur A : et vous me dites, je suis libre ; et moi, je ris de votre exclamation. Ce n’est pas vous qui avez pris A. C’est moi qui me suis emparé par ma contradiction, de votre main et qui en ai disposé. | Quoi, je ne suis pas le maître de me jeter par cette fenêtre ?... Non... Et si je m’y jette ?... Vous me prouverez que vous êtes un fou et non pas un homme libre... Lorsque sur ma contradiction, vous vous précipitez ; c’est moi qui vous précipite, et aussi violemment que si j’y employais la force. Aussi écoutez alors les assistants ? Et pourquoi le contredire ? C’est vous qui avez tué cet homme ? Vous êtes un meurtrier. (Voilà la vérité.) Et l’axiome, il ne faut jamais défier un fou. Sur mon défi, si cet homme se précipite, je l’ai rendu fou . (F) Passons à présent à la contemplation des choses qui sont hors de l’homme. || L’homme ne voit d’abord hors de lui que matière, changement et mouvement ; mais il voit la matière si distinctement divisée [144], et les changements et les mouvements tellement réguliers [145], qu’il est parvenu à connaître la matière assez pour la modifier à ses fins [146], et les mouvements et les changements assez pour en deviner les lois. [147] L’un se prouve par l’usage que l’homme fait de ces modifications de la matière, et l’autre par la certitude avec laquelle il prédit l’avenir en astronomie, agriculture [148], etc. Ce qu’il ignore, c’est l’essence de cette matière, le mécanisme des || changements qu’il voit dans cette matière, et l’origine primitive du mouvement.
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144. x Cela n’est pas clair. (M) 145. Ni cela non plus. (M) 146. Quelquefois ; (M) 147. quelques-unes. (M)
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148. En agriculture ? pas toujours. Il n’a aucune idée bien nette de la végétation. (M) Il faut, Monsieur, que je vous fasse une prédiction ; c’est que dans le premier instant mes objections ne vous frapperont pas autant que lorsque vous serez à une plus grande distance de votre ouvrage. Si j’avais écrit les | douze volumes in-fol. de st Augustin, on ne m’aurait jamais converti. C’est que st Augustin serait mort manichéen, s’il eût autant écrit sur les deux principes que sur la grâce. Vous êtes bien plus préoccupé de vos idées que vous ne pouvez l’être des miennes qui ne peuvent que très difficilement devenir vôtres. Et tel, vous serez par rapport à moi, tel je suis actuellement par rapport à vous, sans qu’un tiers puisse être notre arbitre ; car il faudrait que ce tiers, très instruit d’ailleurs, fût parfaitement ignorant de la matière que nous agitons ; et où est cet homme. Un livre est pour l’auteur un grand obstacle à la vérité. J’ai sur vous l’avantage de n’avoir point écrit. (F)
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143. * Vi sbagliate. Voi chiedete: non sono libero di prendere A o B? Io vi rispondo, no. Voi non potete prendere che B. In quel momento, portate la vostra mano su A: e mi dite, io sono libero; e io rido della vostra esclamazione. Non siete voi che avete preso A. Sono io che mi sono impadronito, con la mia contraddizione, della vostra mano e ne ho disposto. Come! Io non sono padrone di buttarmi da quella finestra?... No... E se mi ci butto?... Mi proverete che siete un pazzo e non un uomo libero... Quando, in forza della mia contraddizione, voi vi buttate; sono io che vi butto giù, e così violentemente come se impiegassi la forza. Perciò ascoltate allora coloro che assistono? E perché contraddirlo? Siete voi che avete ucciso quest’uomo? Voi siete un assassino. (Ecco la verità). E l’assioma, non bisogna mai sfidare un pazzo. Con la mia sfida, se quest’uomo si getta dalla finestra, io l’ho reso pazzo. (F) Passiamo adesso alla contemplazione delle cose che sono fuori dell’uomo. L’uomo, da principio, non vede fuori di sé altro che materia, cambiamento e movimento; ma vede la materia così distintamente divisa [144], e i cambiamenti e i movimenti talmente regolari [145], che è giunto a conoscere abbastanza la materia da modificarla ai propri fini [146], e i movimenti e i cambiamenti abbastanza da indovinarne le leggi [147]. La prima cosa si prova con l’uso che l’uomo fa di quelle modificazioni della materia, e l’altra con la certezza con cui egli predice l’avvenire in astronomia, agricoltura [148], ecc. Ciò che ignora è l’essenza di questa materia, il meccanismo dei cambiamenti che vede in questa materia, e l’origine primitiva del moto.
144. x Questo non è chiaro. (M) 145. E neanche quest’altro. (M) 146. Talvolta; (M) 147. Alcune. (M) 148. In agricoltura? Non sempre. Non disponiamo di alcuna idea ben chiara della vegetazione. (M) Signore, bisogna che vi faccia una predizione; è che di primo acchito le mie obiezioni non vi colpiranno tanto, finché voi non sarete a una distanza maggiore dalla vostra opera. Se avessi scritto i dodici volumi in-folio di Sant’Agostino, non mi avrebbero mai convertito. Perché Sant’Agostino sarebbe morto manicheo, se avesse scritto altrettanto sui due principi, quanto ha scritto sulla grazia.112 Voi siete certo più preoccupato delle vostre idee di quanto potete esserlo delle mie, che assai difficilmente potranno diventare le vostre. Ed essendo tale, voi sarete in rapporto a me, come io sono attualmente in rapporto a voi, senza che un terzo possa essere nostro arbitro; perché occorrerebbe che questo terzo, assai istruito d’altronde, fosse perfettamente ignorante della materia che trattiamo; e dov’è quest’uomo. Un libro è, per l’autore, un grande ostacolo alla verità. Ho su di voi il vantaggio di non averne scritti affatto.113 (F)
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Pour ce qui est de la connaissance de l’essence de cette matière, aussi longtemps que l’âme recevra les sensations des choses par des moyens [149], elle ne connaîtra l’essence de quelque chose que ce soit. L’homme ne sait absolument pas ce que cette matière est, mais il sait de science certaine, qu’elle est entre autres ce qu’il voit [150]. ||
149. * Cette expression est trop vague. (F) 150. * Pourquoi ajouter entre autres ce qu’il voit ? (F) Voulant agir sur un corps, ou sur la matière, il sent une réaction [151] : il conclut, que du moins le corps pâtit, autant que lui-même agit.
151. * Une résistance ? Réaction et résistance sont-ils synonymes ? voyez. (F) | Lorsqu’il tend ou comprime un ressort, il sent une réaction constante et durable ; et lorsqu’il lâche un peu le ressort, il sent qu’il est lui-même passif, et il en conclut, que dans le ressort il y a un principe d’action. Faisant la même expérience avec un autre ressort, il aura les mêmes effets : mais lorsqu’il tend ou bande ce ressort par la pression de l’autre, également tendu, il ne voit aucun effet ; mais il conclut de la première expérience, que ces deux ressorts agissent l’un contre l’autre, sans fin et sans cesse [152]. Il voit dans la gravité, dans l’inertie, dans || l’attraction, une action et réaction continuelle, et il conclut de cette réflexion, jointe aux expériences des ressorts, que tout est ressort, et qu’il y a beaucoup plus de principes d’action dans l’univers, que d’effets [153]. Ces actions et ces réactions, par rapport aux effets [154], paraissent bien se détruire mutuellement ; mais dans la réalité elles restent éternellement vivantes et agissantes.
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152. * Il a tort ; car quelque puissants qu’ils soient, ils cessent bientôt de se presser. (M) 153. * Je n’entends pas cette conclusion-là. Tous ces ressorts sont tous agissants, et produisent la translation ou le nisus. (F) 154. * par rapport aux effets, n’est-il pas de trop. (F) Ce qui fait qu’une chose est ce qu’elle est, c’est proprement ce qu’on appelle inertie [155]. Ce qui fait qu’une chose est à l’endroit où elle est, ou de la manière dont elle est || par rapport aux autres choses, c’est proprement ce qu’on appelle attraction. | Ces deux forces adhérentes à la matière, ou à l’univers physique, paraissent donc, comme j’ai dit, agir l’une contre l’autre [156] en direction opposée. Mais voyons, s’il vous plaît, de plus près, la nature de ces deux forces.
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155. * Je ne sais si cette définition de l’inertie est bien exacte. L’inertie est proprement la qualité qui distingue le corps, de l’espace. L’espace est non-résistant ; ou du moins se conçoit tel. Il n’en est pas ainsi du corps. Il est un obstacle par lui-même ; et cet obstacle est proportionnel à la quantité de matière à déplacer . (F)
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Per ciò che concerne la conoscenza dell’essenza di questa materia, per quanto a lungo l’anima riceverà le sensazioni dalle cose attraverso mezzi [149], essa non conoscerà l’essenza di checchessia. L’uomo non sa assolutamente che cos’è questa materia, ma sa, per scienza certa, che essa è, tra le altre cose, ciò che egli vede [150].
149. * Questa espressione è troppo vaga. (F) 150. * Perché aggiungere tra le altre cose, ciò che egli vede? (F) Volendo agire su un corpo, o sulla materia, egli sente una reazione [151]: conclude che quanto meno il corpo patisce altrettanto quanto egli stesso agisce.
151. * Una resistenza? Reazione e resistenza sono sinonimi? Vedete un po’.114 (F) Quando l’uomo tende o comprime una molla, sente una reazione costante e durevole; e quando lascia un po’ la molla, sente che è egli stesso passivo, e ne conclude che nella molla c’è un principio di azione. Facendo la stessa esperienza con un’altra molla, avrà gli stessi effetti; ma quando tende o tira questa molla con la pressione dell’altra, ugualmente tesa, non vede alcun effetto; ma conclude, dalla prima esperienza, che quelle due molle agiscono l’una contro l’altra, senza fine e senza posa [152]. Vede nella gravità, nell’inerzia, nell’attrazione, un’azione e reazione continua, e conclude da questa riflessione, unita all’esperienza delle molle, che tutto è molla, e che ci sono molti più principi d’azione nell’universo che effetti [153]. Queste azioni e reazioni in rapporto agli effetti [154] sembrano proprio annullarsi reciprocamente; ma nella realtà esse restano eternamente vive e agenti.
152. * Ha torto; perché per quanto potenti esse siano, smettono presto di spingersi. (M) 153. * Non capisco questa conclusione. Tutte queste molle sono tutte agenti e producono la traslazione o il nisus. (F) 154. * in rapporto agli effetti, non è di troppo? (F) Ciò che fa sì che una cosa sia quello che è, è propriamente ciò che chiamiamo inerzia [155]. Ciò che fa sì che una cosa è nel luogo in cui è, ovvero la maniera in cui essa è in rapporto ad altre cose, è propriamente ciò che chiamiamo attrazione. Queste due forze aderenti alla materia, o all’universo fisico, sembrano dunque, come ho detto, agire l’una contro l’altra [156] in direzioni opposte. Ma vediamo, vi prego, più da vicino, la natura di queste due forze.
155. * Non so se questa definizione dell’inerzia è davvero esatta.115 L’inerzia è propriamente la qualità che distingue il corpo dallo spazio. Lo spazio è non-resistente; o quantomeno si concepisce come tale. Non è così del corpo. È un ostacolo per se stesso; e quest’ostacolo è proporzionale alla quantità di materia da spostare. (F)
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156. * L’inertie n’agit point, à proprement parler ; le mot le dit. (M) L’attraction agit en raison des masses ou des quantités de matière, et en raison des carrés des distances. Mais l’inertie, c’est-à-dire, la force avec laquelle une chose est ce qu’elle est, ou plutôt le degré d’indestructibilité [157] d’une chose, est aussi en raison || de la quantité de matière, et en raison de sa porosité, ou, ce qui est encore la même chose, en raison des carrés des distances des parties qui la composent. J’en conclus, que ces deux forces ne sont encore qu’une et la même dans leur principe [158] ; et l’univers, avec cette seule force, cette seule tendance à l’union, serait bientôt réduit à l’unité [159]. Par conséquent il faut plutôt chercher les causes des changements de génération, de végétation, de caducité, et de destruction, dans la modification des parties [160] qui composent les individus, que dans la contrariété apparente de || l’inertie et de l’attraction.
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157. * Je ne suis pas plus satisfait de cette notion de l’inertie. L’inertie est proportionnelle à la quantité de matière, qualité tout à fait étrangère à l’indestructibilité et au plus ou moins de porosité. (M) 158. * Je ne saurais admettre cette conclusion. (F) | 314
159. * Je crains qu’il n’y ait beaucoup d’inexactitude dans ce paragraphe. Revoyezle. (F) 160. * Non pas seulement dans la modification, mais dans la nature, l’essence et la diversité des parties etc. (F) Si j’appelle à mon secours l’expérience, après avoir perfectionné mes organes autant que possible [161], je trouve toujours la matière composée de parties homogènes et hétérogènes. * Or il est à prouver, qu’un certain nombre de parties homogènes et uniformes composeront, par l’attraction, un tout beaucoup plus indestructible qu’un certain nombre de parties hétérogènes, puisque le centre de gravité de ce tout, ou de cet individu, coïncide nécessairement avec le centre géométrique de l’individu, formé par la coagulation || des parties homogènes et uniformes : d’où je conclus, que la première coagulation d’un certain nombre de parties homogènes et uniformes doit faire naître nécessairement un principe de régularité [162].
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161. qu’il est possible. / (M) 162. Tout ceci est bien sujet à contestation et en voici les raisons x. * (M) * C’est que l’attraction n’est pas la seule force, ni même peut-être la principale des forces qui agissent dans la nature. Il y a la combinaison, et j’entends par ce mot le principe d’affinité des chimistes, qui est toute autre chose que l’attraction. Je n’entends pas trop ce que cette coïncidence de centres, qui peut se trouver également dans un tout hétérogène et qui s’y trouve toujours lorsque ce tout est formé par combinaison, peut faire à l’indestructibilité. La régularité naît également de la combinaison ; ainsi qu’il est démontré par la foule innombrable des cristallisations.
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156. * L’inerzia, propriamente parlando, non agisce affatto; lo dice la parola. (M) L’attrazione agisce in ragione delle masse o delle quantità di materia, e in ragione dei quadrati delle distanze. Ma l’inerzia, cioè la forza con la quale una cosa è ciò che essa è, o piuttosto il grado d’indistruttibilità [157] di una cosa, è anch’essa in ragione della quantità di materia, e in ragione della sua porosità o, che è ancora la stessa cosa, in ragione dei quadrati delle distanze tra le parti che la compongono. Ne concludo che queste due forze non sono ancora altro che una e la medesima nel loro principio [158]; e l’universo, con questa sola forza, con questa sola tendenza all’unione, sarebbe presto ridotto all’unità [159]. Di conseguenza, bisogna piuttosto cercare le cause dei cambiamenti di generazione, di vegetazione, di caducità e di distruzione, nella modificazione delle parti [160] che compongono gli individui, piuttosto che nella contrarietà apparente dell’inerzia e dell’attrazione.
157. * Non sono maggiormente soddisfatto di questa nozione dell’inerzia. L’inerzia è proporzionale alla quantità di materia, qualità del tutto estranea all’indistruttibilità e alla maggiore o minore porosità. (M) 158. * Non potrei ammettere questa conclusione. (F) 159. * Temo che vi siano molte inesattezze in questo paragrafo. Rivedetelo. (F) 160. * Non soltanto nella modificazione, ma nella natura, l’essenza e la diversità delle parti ecc. (F) Se chiamo in mio aiuto l’esperienza, dopo aver perfezionato i miei organi per quanto possibile [161], trovo sempre la materia composta da parti omogenee ed eterogenee. * Pertanto è da provare che un certo numero di parti omogenee e uniformi comporranno, con l’attrazione, un tutto molto più indistruttibile di un certo numero di parti eterogenee, perché il centro di gravità di questo tutto, ossia di quest’individuo, coincide necessariamente con il centro geometrico dell’individuo, formato dalla coagulazione delle parti omogenee e uniformi: da ciò ne concludo che la prima coagulazione di un certo numero di parti omogenee e uniformi deve far nascere necessariamente un principio di regolarità [162].
161. ciò è possibile. / (M) 162. Tutto ciò è ben soggetto a contestazione ed eccone le ragioni x. * (M) * Perché l’attrazione non è la sola forza, e neanche forse la principale, tra le forze che agiscono nella natura. C’è la combinazione, e io intendo con questa parola il principio di affinità dei chimici, che è tutt’altra cosa dall’attrazione. Non capisco molto bene che cosa può fare all’indistruttibilità questa coincidenza di centri, la quale può trovarsi ugualmente in un tutto eterogeneo e vi si trova sempre, quando questo tutto è formato per combinazione. La regolarità nasce ugualmente dalla combinazione; come è dimostrato dall’innumerevole quantità delle cristallizzazioni.
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Je ne conçois pas ce qu’il y a de commun entre cette régularité et les premiers rudiments des animaux, des plantes etc. | Les animaux, les plantes etc. sont, à ce que je crois, de fraîche date relativement à l’origine du monde ; et nés, ils passeront avec le temps. Leur monstruosité primitive peut être constatée par des faits. J’appelle monstruosité relativement à ce qu’ils sont à présent ; car il n’y a point de monstre relativement au tout. Il n’y a rien, mais rien du tout dans l’univers qui soit composé de parties homogènes et uniformes. (F) Ce principe de régularité constitue les premières semences de tous les individus physiques, et détermine dans chaque semence la modification de tous les individus qu’elle doit produire pendant les siècles que cet univers physique existera (*). (*) Πάντα δὲ τὰ ἀνομοιομερῆ σύγκεῖται ἐκ τῶν ὁμοιομερῶν. Aristoteles Περὶ ζῶων. ||
Mettez en terre la semence d’une fleur, d’une plante, dans un endroit où ni la terre, ni l’eau, ni l’atmosphère, ne lui fournissent des parties homogènes à celles qui la composent [163] ; aucun effet ne résultera de cette culture : mais en mettant la même semence dans un terrain où elle trouve des parties homologues à son essence, elle en attire, elle en entasse, la plante croît ; * mais l’attraction d’homogénéité ou l’inertie diminue, parce que le principe de régularité s’affaiblit [164] ; et enfin, parvenue à une masse telle, que l’attraction générale, ou la gravité, surpasse cette inertie || affaiblie, ou cette attraction diminuée d’homogénéité, la plante tombe et finit ; mais elle finit nécessairement par des parties semblables à sa source [165], et dont le principe régulier, cette inertie, cette attraction primitive d’homogénéité, se venge encore de la destruction de sa mère plante sur l’attraction universelle. |
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163. La plante contient de l’huile essentielle, de l’acide, du sel, de la terre, et peutêtre d’autres éléments incoercibles qui s’échappent dans l’analyse, du fer qui la colore, ou du phlogistique, de l’alcali fixe ou volatil etc... . (M) 164. * Cela n’est pas clair ; et cela n’explique guère. Je présume qu’il y a un réseau primitif qui n’est pas susceptible de plus d’extension. Que la stagnation commence, où l’extension finit. Que la fermentation est la suite de la stagnation. Et que cette fermentation est le principe de destruction. Car de là naît la dessication, la putréfaction, etc... Ajoutez à cela, les vices du réseau, l’action trop forte ou trop faible de l’air, de l’eau, du feu, de la terre. La prédominance de certains éléments sur d’autres, etc... (F) 165. * Je ne saurais penser cela. La destruction d’un corps donne lieu par la combinaison, à la génération de beaucoup d’autres ; génération qui varie selon une infinité de circonstances. (Et puis cela n’est pas clairement exprimé.) (F)
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Io non riesco a immaginare che cosa c’è in comune tra questa regolarità e i primi rudimenti degli animali, delle piante ecc. Gli animali, le piante ecc. sono, per quello che credo, di nascita recente, relativamente all’origine del mondo; e nati, passeranno col tempo. La loro mostruosità primitiva può essere constatata dai fatti. Io chiamo mostruosità relativamente a ciò che essi sono adesso; perché non ci sono affatto mostri, relativamente al tutto.116 Non c’è nulla, ma proprio nulla del tutto, nell’universo, che sia composto di parti omogenee e uniformi. (F) Questo principio di regolarità costituisce i primi semi di tutti gli individui fisici, e determina in ciascun seme la modificazione di tutti gli individui che esso deve produrre, durante i secoli in cui questo universo fisico esisterà (*). (*) Tutte le cose eterogenee e dissimili sono composte di parti omogenee e simili. Aristotele, Perì Zòon.
Mettete in terra il seme di un fiore, di una pianta, in un luogo in cui né la terra, né l’acqua, né l’atmosfera, gli forniscono delle parti omogenee a quelle che lo compongono [163]; non risulterà alcun effetto da questa coltura: ma mettendo lo stesso seme in un terreno in cui trova delle parti omologhe alla sua essenza, esso le attira, le ammassa, la pianta cresce; * ma l’attrazione d’omogeneità ovvero l’inerzia diminuisce, perché il principio di regolarità s’indebolisce [164]; e infine, giunto a una massa tale che l’attrazione generale, o la gravità, superano quest’inerzia indebolita, ossia quest’attrazione diminuita d’omogeneità, la pianta cade e finisce; ma essa finisce necessariamente con delle parti simili alla sua fonte [165], e il cui principio regolare, quell’inerzia, quell’attrazione primitiva d’omogeneità, si vendica ancora sull’attrazione universale della distruzione della sua pianta madre.
163. La pianta contiene dell’olio essenziale, dell’acido, del sale, della terra e forse altri elementi incoercibili che sfuggono all’analisi, del ferro che la colora, o del flogisto, dell’alcali fisso o volatile ecc...117 (M) 164. * Questo non è chiaro; e non spiega nulla. Presumo che vi sia una rete primitiva che non è suscettibile di maggiore estensione. Che la stagnazione inizia là dove l’estensione finisce. Che la fermentazione è la conseguenza della stagnazione. E che questa fermentazione è il principio di distruzione. Infatti, da ciò nasce l’essiccazione, la putrefazione, ecc... A questo aggiungete i vizi della rete, l’azione troppo forte o troppo debole dell’aria, dell’acqua, del ferro, della terra. La predominanza di certi elementi su altri, ecc... (F) 165. * Non riesco a pensarlo. La distruzione di un corpo dà luogo, con la combinazione, alla generazione di molti altri corpi; generazione che varia secondo un’infinità di circostanze.118 (E poi questo non è espresso con chiarezza). (F)
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Quelles expériences n’y aurait-il pas à faire sur ce principe ! Car de ce que je viens de dire suit nécessairement, que plusieurs individus, dans les trois règnes, contiennent des parties prolifiques dans bien d’autres endroits que || ceux qui | nous paraissent uniquement formés pour la génération. Chaque particule du polype, de la trémella, du ver solitaire, est semence. Combien de plantes qui produisent leurs semblables par leurs oignons, leurs racines, leurs tiges, leurs feuilles ! Tout le règne minéral est semence. Par ce que je viens de dire, il paraîtrait au premier abord assez évident, que l’univers physique, composé de parties homogènes et hétérogènes, pourrait, par le seul principe de l’attraction [166], produire toutes les vicissitudes que nous remarquons dans la modification || des individus qu’il contient ; et l’on peut même se faire une légère idée de cette opération, avec l’aimant et de la limaille de fer. Mais ce jeu ne saurait être de longue durée ; * car si c’est la même loi par laquelle les choses sont ce qu’elles sont, et par laquelle elles tendent à l’union, l’univers physique serait ou bientôt, ou dans un temps déterminé et fini, réduit à une seule masse, dont les parties n’auraient entre elles aucun rapport d’où pût résulter un effet [167] ; ainsi il faut nécessairement, que ces parties aient encore une direction de mouvement déterminée, || qui empêche cette union totale. Nous voyons la chose distinctement dans la force centrifuge.
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166. * Je ne le pense pas. (M) 167. * L’ordre général varie sans cesse. Tout est in fluxu et eterno et perpetuo et necessario. Celui qui nous frappe actuellement, et que nous admirons parce que nous coexistons supportablement avec lui, passera ; et quand le tout se réduira-t-il à une masse ; je l’ignore. Vraisemblablement, jamais. Et réduit à une masse, cette masse serait-elle inerte ? Je ne le crois pas. Car l’état de masse est comme 1 à l’infini. Il n’y a qu’un cas pour la masse et pour la masse inerte ; c’est celui où toutes les parties homogènes, hétérogènes seraient distribuées les unes entre les autres, de manière à constituer partout une parfaite uniformité, un seul être. (F) | Figurez-vous une planète, qui parcourt une orbite quelconque autour de son Soleil. L’attraction anéantie, la planète prendra son chemin d’une façon uniforme dans la tangente de son orbite. Par conséquent cette planète a dans soi, ou a reçu d’ailleurs, une direction de mouvement qui est autre que celle qui la mènerait à son foyer ; et il paraît par les premiers principes de mécanique, que, quelle que que soit cette direction, || pourvu qu’elle soit autre que celle de l’attraction vers l’astre principal, elle suffit pour empêcher nécessairement l’union [168].
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168. * Il est démontré géométriquement et de plusieurs manières, que sans aucune force d’impulsion, quelconque, de trois corps homogènes, placés dans le vide, et animés par la seule force d’attraction, il y a une infinité de cas où l’un des trois décrira une ellipse autour des deux autres. Otez la loi d’homogénéité ; multipliez la somme des forces ou actions. Rendez celle des corps infinie.
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Quali esperienze ci sarebbero da fare a partire da questo principio! Perché da quanto ho appena detto consegue necessariamente che diversi individui, nei tre regni, contengono le parti prolifiche in ben altri luoghi rispetto a quelli che ci appaiono formati unicamente per la generazione. Ogni particella del polipo, della tremella, del verme solitario, è seme. Quante piante che producono i loro simili con i loro calli, le loro radici, i loro steli, le loro foglie! Tutto il regno minerale è seme. Da ciò che ho appena detto sembrerebbe, di primo acchito, abbastanza evidente che l’universo fisico, composto da parti omogenee ed eterogenee, potrebbe produrre, con il solo principio dell’attrazione [166], tutte le vicissitudini che notiamo nella modificazione degli individui che esso contiene; e ci si può anche fare una vaga idea di quest’operazione, con la calamita e la polvere di ferro. Ma questo gioco non potrebbe essere di lunga durata; * perché se è la stessa legge con la quale le cose sono quello che sono, e con la quale esse tendono alla propria unione, l’universo fisico sarebbe, subito o in un tempo determinato e finito, ridotto a una sola massa, le cui parti non avrebbero tra loro alcun rapporto dal quale potesse risultare un effetto [167]; così occorre necessariamente che queste parti abbiano ancora una determinata direzione di moto, che impedisca quest’unione totale. Vediamo distintamente la cosa nella forza centrifuga.
166. * Io non lo penso. (M) 167. * L’ordine generale varia senza posa.119 Tutto è in fluxu et eterno et perpetuo et necessario. Ciò che ci colpisce in quest’istante e che ammiriamo perché coesistiamo sopportabilmente con esso, passerà;120 e quando il tutto si ridurrà a una massa; lo ignoro. Verosimilmente mai. E ridotto a una massa, questa massa sarebbe inerte? Non lo credo. Perché lo stato di massa sta come 1 all’infinito. C’è un solo caso valido per la massa e per la massa inerte; è quello in cui tutte le parti omogenee, eterogenee fossero distribuite le une tra le altre in maniera tale da costituire ovunque una perfetta uniformità, un solo essere.121 (F) Immaginatevi un pianeta, che percorre un’orbita qualsivoglia attorno al suo Sole. Annullate l’attrazione, il pianeta prenderà la sua strada in una maniera uniforme nella tangente della propria orbita. Di conseguenza, questo pianeta ha in sé, o ha ricevuto da altro luogo, una direzione di moto che è altra rispetto a quella che lo condurrebbe al suo luogo d’origine; e dai primi principi di meccanica sembra che, qualunque sia questa direzione, purché sia altra rispetto a quella dell’attrazione verso l’astro principale, essa basta a impedire necessariamente l’unione [168].
168. * È dimostrato geometricamente e in diversi modi, che senz’alcuna forza di spinta, qualunque essa sia, di tre corpi omogenei, situati nel vuoto e animati dalla sola forza d’attrazione, c’è un’infinità di casi in cui uno dei tre descriverà un’ellisse attorno agli altri due.122 Togliete la legge d’omogeneità; moltiplicate la somma delle forze o azioni. Rendete quella dei corpi infinita.
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Et jugez de ce que cela deviendra. Quelle multitude de masses partielles et diverses ! Quelle source de perturbations ! (M) * Si maintenant on suppose, que les parties homogènes ou uniformes de l’univers, dont les premières coagulations forment les semences ou le principe de régularité, soient les seules qui n’aient pas reçu ce mouvement étranger, ou bien | les seules qui l’aient reçu dans la direction vers leurs semblables, c’està-dire, dans celle de leurs attractions mutuelles, et que les parties hétérogènes soient les seules qui aient, ou qui aient reçu des || mouvements, dans des directions autres que celles de leurs attractions, et qui par conséquent permettent bien une approximation quelconque, mais qui empêchent absolument une parfaite union ; on verra du moins, qu’il ne paraît pas impossible que le mécanisme des changements dans l’univers soit tel que je viens de le décrire XX [169] .
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169. * Ce sont les causes que je viens d’indiquer, et une infinité d’autres que nous ignorons, parce que nous n’avons pas les organes ni les instruments propres à les connaître, qui entretiennent dans le tout et entretiendront à jamais, ce passage ou flux perpétuel d’un ordre, ou coordination, à une autre. Il y a des philosophes qui ont trouvé assez de fécondité pour suffire à tous les phénomènes dans le mouvement et la divisibilité d’une matière homogène. Mais ils se trompaient. Combien n’auraient-ils pas été plus à leur aise si à ces deux principes ils avaient ajouté l’attraction, les affinités et cinq éléments divers. Et combien ne sont pas encore plus à leur aise, les philosophes à qui les opérations du laboratoire ont appris à reconnaître beaucoup d’autres forces, actions, propriétés, etc... (F) XX Tout est lié, enchaîné, coordonné dans ce monde-ci. (F) Nous avons vu plus haut, que l’âme, par sa velléité, a la faculté d’imprimer un mouvement qui est éternel. * Mais comme il s’agirait ici de la propagation des âmes [170], souffrez plutôt, qu’à la place de mes conjectures, je finisse || cette partie de ma lettre par une expérience des moins connues et des plus singulières. * Prenez un chien ou quelque autre animal mâle, qui depuis quelques jours n’ait approché d’aucune femelle de son espèce. Comprimez avec la main ses vaisseaux spermatiques, tellement que la liqueur séminale en sorte. Observez cette liqueur au microscope ; et vous trouverez un nombre prodigieux de ces particules, ou de ces animalcules de Leeuwenhoek, mais toutes en repos, et sans aucun signe de vie. Qu’ensuite on fasse entrer dans la chambre une femelle de la même espèce du || mâle, et qu’elle soit en chaleur. Que ces deux animaux, sans s’accoupler, fassent quelques tours de la chambre. Prenez le mâle, et examinez de nouveau sa liqueur spermatique : vous trouverez tous ces animalcules non seulement vivants, mais nageant tous dans la liqueur, qui est d’ailleurs épaisse, avec une rapidité prodigieuse [171]. |
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170. * Mais par hasard, est-ce que vous regarderiez une âme, ou comme un élément simple, matériel, et particulier dans l’univers ; ou comme un mixte, indestructible. (F) 171. * Cette expérience me paraît vraie, sans l’avoir faite. Mais il en serait une autre à faire ; c’est sur la première matière séminale obtenue.
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E giudicate ciò che accadrà da questo. Quale moltitudine di masse parziali e diverse! Quale fonte di perturbazioni!123 (M) * Se ora si suppone che le parti omogenee o uniformi dell’universo, le cui prime coagulazioni formano i semi o il principio di regolarità, siano le sole che non abbiano ricevuto questo movimento estraneo, oppure le sole che l’abbiano ricevuto nella direzione volta verso le loro simili, cioè in quella delle loro mutue attrazioni, e che le parti eterogenee siano le sole che abbiano, o che abbiano ricevuto, dei movimenti in direzioni altre rispetto a quelle delle loro attrazioni, e che di conseguenza permettono bene un’approssimazione qualsivoglia, ma impediscono assolutamente una perfetta unione; si vedrà quanto meno che non sembra impossibile che il meccanismo dei cambiamenti nell’universo sia tale quale l’ho appena descritto. XX [169]
169. * Sono le cause che ho appena indicato, e un’infinità di altre che ignoriamo, perché noi non abbiamo gli organi, né gli strumenti adatti a conoscerle, che nel tutto intrattengono e intratterranno per sempre questo passaggio o flusso perpetuo da un ordine, o coordinazione, a un’altra. Ci sono dei filosofi che hanno trovato nel moto e nella divisibilità di una materia omogenea124 una fecondità sufficiente da bastare a tutti i fenomeni. Ma s’ingannavano. Quanto sarebbero stati più a loro agio se a quei due principi avessero aggiunto l’attrazione, le affinità e cinque elementi diversi. E quanto sono ancora più a loro agio, i filosofi ai quali le operazioni di laboratorio hanno insegnato a riconoscere molte altre forze, azioni, proprietà ecc... (F) XX Tutto è collegato, concatenato, coordinato in questo mondo. (F) Abbiamo visto poco sopra che l’anima, con la sua velleità, ha la facoltà di imprimere un movimento che è eterno. * Ma siccome si tratterebbe qui della propagazione delle anime [170], permettetemi piuttosto, invece delle mie congetture, che io finisca questa parte della mia lettera con un’esperienza delle meno note e tra le più singolari. * Prendete un cane o qualche altro animale maschio che non abbia avvicinato per alcuni giorni alcuna femmina della sua specie. Comprimete con la mano i suoi vasi spermatici, a tal punto che il liquido seminale ne esca fuori. Osservare questo liquido al microscopio, e vi ritroverete un numero prodigioso di quelle particelle, di quegli animaletti di Leeuwehoek, ma tutti a riposo, e senza alcun segno di vita. E in seguito si faccia entrare nella stanza una femmina della stessa specie del maschio, e che sia in calore. Questi due animali, senza accoppiarsi, facciano qualche giro della stanza. Prendete il maschio ed esaminate di nuovo il suo liquido spermatico: troverete tutti quegli animaletti non soltanto viventi, ma che nuotano tutti nel liquido, il quale tra l’altro è denso, con una rapidità prodigiosa [171].
170. * Ma per caso voi considerereste un’anima come un elemento semplice, materiale, e particolare nell’universo, oppure come un misto, indistruttibile. (F) 171. * Quest’esperienza mi sembra vera, senza averla fatta. Ma ce ne sarebbe un’altra da fare; ed è sulla prima materia seminale ottenuta.
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Il faudrait en approcher la femelle, aussi près qu’il serait possible, et voir si l’émanation de la femelle ne réveillerait pas tous les animalcules assoupis. Je conjecture que l’émanation de la femelle produirait sur la capsule de verre, le même effet que sur les testicules du mâle. Tentez cette nouvelle expérience. Cela me paraîtrait moins singulier que le bâillement qui passe d’un animal à un autre, l’éternuement, et beaucoup d’autres actions sympathiques. (F) Je le répète, sans l’idée de la réaction l’âme n’a aucune idée ni de ses actions, ni de sa velléité [172].
172. * Prenez garde d’avoir contredit ailleurs ce principe . (M) La troisième chose que l’homme ignore, c’est le premier principe du mouvement : mais qu’il appelle encore l’expérience || à son secours. Il voit à la vérité, par toute la nature, changement de mouvement, de rapport local, de direction ; mais dans aucun cas, sans exception dans toute la nature, il ne voit ni ne s’aperçoit | distinctement d’aucune naissance ou commencement de mouvement, sans s’apercevoir que * la cause primitive de ce mouvement est la velléité d’un être animé [173] ; et il en doit conclure nécessairement, par analogie, que dans tous les autres cas où il n’a pas une perception claire de la naissance ou du commencement du mouvement, la velléité d’un tel être est la || cause primitive de tout mouvement.
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173. * Je ne crois point cela. L’attraction, principe qui suffirait à la production du mouvement ; n’est point l’effet d’une velléité ; ni celui d’un être animé. Ajoutez à cela [:] la diversité des éléments d’une matière hétérogène ; source d’une infinité d’actions et de réactions et les lois d’affinités chimiques qui n’ont rien de commun avec l’attraction. (F) Avant que de passer à la partie qui regarde l’homme en société, remarquons encore que l’homme, tel que nous l’avons considéré jusqu’ici, ne voit dans l’univers qu’action et réaction, ressort, et force agissante. Il voit dans l’attraction, et dans la force centrifuge, deux agents universellement répandus par toute la nature, un effort, un combat continuel entre deux principes contraires [174] ; et comme il est contradictoire qu’une chose qui existe par elle-même ait deux principes opposés, il en conclut sûrement, || que l’univers ne saurait exister par soi-même, et que par conséquent il existe par un autre.
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174. * Mais l’attraction et la force centrifuge ne sont point deux principes incompatibles ; l’attraction est une propriété de la matière. Son action entre plusieurs corps donne naissance à une translation circulaire, et à la force centrifuge. A l’extrémité du grand diamètre l’attraction et la force centrifuge | sont dans la plus grande inégalité possible ; on peut même considérer la tangente comme le commencement d’un mouvement en ligne droite . (M) Lorsqu’il contemple les modifications réciproques de plusieurs choses particulières, par exemple, de l’œil, abstraction faite du nerf optique, et unique-
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Bisognerebbe avvicinarle la femmina, quanto più vicino possibile, e vedere se l’emanazione della femmina non risvegli tutti gli animaletti assopiti. Avanzo la congettura che l’emanazione della femmina produrrebbe sulla capsula di vetro lo stesso effetto che ha sui testicoli del maschio. Tentate questa nuova esperienza. Ciò mi sembrerebbe meno singolare dello sbadiglio che passa da un animale all’altro, dello starnuto e di molte altre azioni simpatiche.125 (F) Lo ripeto, senza l’idea della reazione l’anima non ha alcuna idea né delle sue azioni, né della sua velleità [172].
172. * Fate attenzione, perché altrove avete contraddetto questo principio. (M) La terza cosa che l’uomo ignora, è il primo principio del moto: ma che chiami di nuovo l’esperienza in suo aiuto. Egli vede, in verità, in tutta la natura, cambiamento di moto, di rapporto locale, di direzione; ma in nessun caso vede, senza eccezione in tutta la natura, né percepisce distintamente alcuna nascita o inizio di moto, senza accorgersi che *la causa primitiva di quel moto è la velleità di un essere animato [173]; e ne deve concludere necessariamente, per analogia, che in tutti gli altri casi in cui non ha una percezione chiara della nascita o dell’inizio del moto, la velleità di un tale essere è la causa primitiva di ogni moto.
173. * Io non lo credo affatto. L’attrazione, principio che basterebbe per la produzione del moto; non è affatto l’effetto di una velleità; né quello di un essere animato. Aggiungete a ciò: la diversità degli elementi di una materia eterogenea; fonte di un’infinità d’azioni e di reazioni e le leggi chimiche di affinità che non hanno niente in comune con l’attrazione. (F) Prima di passare alla parte che concerne l’uomo in società, notiamo di nuovo che l’uomo, tale quale l’abbiamo considerato fin qui, non vede nell’universo che azione e reazione, molla e forza agente. Egli vede nell’attrazione e nella forza centrifuga, due agenti universalmente diffusi in tutta la natura, uno sforzo, una lotta continua tra due principi contrari [174]; e siccome è contraddittorio che una cosa che esiste per se stessa abbia due principi opposti, ne conclude sicuramente che l’universo non potrebbe esistere per se stesso e che di conseguenza esiste per un altro.
174. * Ma l’attrazione e la forza centrifuga non sono affatto due principi incompatibili; l’attrazione è una proprietà della materia. La sua azione tra diversi corpi dà vita a una traslazione circolare e alla forza centrifuga.126 All’estremità del grande diametro, l’attrazione e la forza centrifuga sono nella massima disuguaglianza possibile; si può persino considerare la tangente come l’inizio di un moto in linea retta.127 (M) Quando contempla le modificazioni reciproche di diverse cose particolari, ad esempio dell’occhio, astrazione fatta del nervo ottico, e unicamente con-
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ment considéré comme une modification [175] de plusieurs corps diaphanes, il voit, que pour former cet œil il a fallu une géométrie si prodigieusement transcendante et profonde, qu’elle passe infiniment tout l’effort de l’esprit humain, puisqu’il peut démontrer, que sans cette profonde géométrie, et les combinaisons infinies || qui en résultent dans la modification de cet œil, il est du tout impossible que l’œil produise l’effet qu’il produit (*) [176] : et s’il réfléchit encore, que cette prodigieuse modification a dû se faire dans la première semence, ou dans le premier individu [177], tellement qu’elle pût subsister dans tous les individus à naître pendant || une infinité de siècles, il conclut, que l’auteur de l’univers physique, et des individus qu’il contient, est un Etre intelligent ; et comme il se sent soi-même intelligent, il compare cette grande Intelligence à la sienne, et il trouve une distance infinie.
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(*) Ceux qui sont versés dans la géométrie optique, pourront voir cette réflexion beaucoup plus détaillée dans un mémoire de l’illustre Euler, sur la loi de réfraction des rayons de différentes couleurs, par rapport à la diversité des milieux par lesquels ils passent. Voyez l’Histoire de l’Académie Royale de Berlin, de l’année 1753.
175. disposition, arrangement / (F)
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176. * Ce n’est point en conséquence de ces lois qu’il est œil ; mais c’est parce qu’il est œil qu’il correspond à ces lois. S’il ne correspondait à ces lois et qu’il ne fût point œil ; il serait autre chose dont vous seriez également satisfait ; car vous seriez une autre espèce d’être ou d’animal. | Ou si cet organe était absolument nécessaire à votre existence, et qu’il vous manquât, vous ne seriez plus. La nature ne laisse subsister que ses apologistes ; elle extermine tous ses censeurs. Et elle les extermine plus ou moins rapidement ; et cela par les vices, comme par les défauts d’organisation. L’envieux est un monstre qui ne saurait durer ; le voluptueux est un autre monstre passager, si ces vices sont contradictoires avec l’organisation. (F) 177. * Je ne sais ce que c’est que le premier individu. Je n’entends rien à la première semence ; moins encore à une semence qui contient un œil fait de toute pièce. La génération animale ne s’est point faite ainsi. Et je ne sais, non plus ce qu’était l’animal il y a quelques centaines de milliards d’années, que je ne sais ce qu’il deviendra dans quelques autres centaines de milliards d’années. Il aurait été fait tout à coup, cet œil, cette machine admirable, son mécanisme serait encore mille fois plus surprenant [,] que la matière produite par un agent immatériel n’en serait pas moins absurde. Si ce que vous appelez l’essence divine se combine avec l’essence matérielle, Dieu et la matière font un tout dont je suis partie. Si l’hétérogénéité ne comporte aucune combinaison, si les essences sont incompatibles, il n’y a ni créateur ni informateur. (F) |
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Voilà tout ce que l’être qui a la faculté de recevoir, de rappeler, et de comparer des idées, considéré comme individu, peut savoir de l’existence de son auteur. Pour ses rapports à ce Dieu, pour les devoirs qui pourraient en résulter, pour les attributs de cet être immense [178], il n’en saurait || avoir aucune idée ; et il pourra dire avec le sage Philémon,
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siderato come una modificazione [175] di diversi corpi diafani, egli vede che per formare quest’occhio è occorsa una geometria tanto prodigiosamente trascendente e profonda da superare infinitamente tutto lo sforzo dello spirito umano, poiché può dimostrare che senza questa profonda geometria e le infinite combinazioni che ne risultano nella modificazione di quell’occhio, è del tutto impossibile che l’occhio produca l’effetto che produce (*) [176]: e se riflette ancora sul fatto che questa prodigiosa modificazione ha dovuto farsi nel primo seme, ovvero nel primo individuo [177], in modo tale che potesse sussistere in tutti gli individui che dovevano nascere per un’infinità di secoli, ne conclude che l’autore dell’universo fisico e degli individui che contiene è un Essere intelligente; e siccome si sente egli stesso intelligente, paragona questa grande intelligenza alla sua, e vi trova una distanza infinita [128]. (*) Coloro che sono versati nella geometria ottica potranno vedere questa riflessione, molto più dettagliata, in una memoria dell’illustre Eulero, sulla legge di rifrazione dei raggi di diversi colori, in rapporto alla diversità dei mezzi attraverso i quali essi passano. Vedete la Storia dell’Accademia Reale di Berlino, dell’anno 1753.
175. Disposizione, arrangiamento / (F) 176. * Non è affatto in conseguenza di queste leggi che esso è occhio; ma è perché è occhio che corrisponde a queste leggi. Se non corrispondesse a tali leggi e non fosse affatto occhio, sarebbe altra cosa di cui voi sareste ugualmente soddisfatto; perché sareste un’altra specie di essere o di animale. Oppure se quest’organo fosse assolutamente necessario alla vostra esistenza e vi mancasse, voi non sareste più. La natura lascia sussistere solo i suoi apologisti; essa stermina tutti i suoi censori. E li stermina più o meno rapidamente; e questo con i vizi, come con i difetti di organizzazione.129 L’invidioso è un mostro che non potrebbe durare; il voluttuoso è un altro mostro passeggero. E questi vizi sono contraddittori con l’organizzazione. (F) 177. * Io non so che cos’è il primo individuo. Non capisco nulla di questo primo seme; meno ancora di un seme che contiene un occhio già fatto, tutto intero.130 La generazione animale non s’è prodotta così. E non so neppure che cos’era l’animale qualche centinaio di miliardi di anni fa, come pure non so che cosa diventerà, tra qualche altro centinaio di miliardi di anni.131 Fosse stato fatto tutto d’un tratto, quest’occhio, questa macchina ammirevole, il suo meccanismo sarebbe ancora mille volte più sorprendente, come la materia prodotta da un agente immateriale non sarebbe meno assurda. Se ciò che voi chiamate l’essenza divina si combina con l’essenza materiale, Dio e la materia fanno un tutt’uno, di cui io sono parte. Se l’eterogeneità non comporta alcuna combinazione, se le essenze sono incompatibili, non c’è né creatore, né informatore.132 (F) Ecco tutto ciò che l’essere, che ha la facoltà di ricevere, di richiamare e di paragonare delle idee, considerato come individuo, può sapere dell’esistenza del suo autore. Per i suoi rapporti con questo Dio, per i doveri che potrebbero risultarne, per gli attributi di quest’essere immenso [178], non riuscirebbe ad averne alcuna idea; e potrà dire con il saggio Filemone,
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Θεὸν νόμιζε καὶ σέδου, ζήτει δὲ μή. Πλεῖον γὰρ οὐδὲν ἄλλο τοῦ ζητεῖν ἔχεις. [179]
Je vais plus loin : je dis, si cet être individu pousse encore ses recherches, pour arriver, s’il se peut, à la connaissance du Créateur [180] ; s’il réfléchit, qu’une infinité de milliards de mondes, tels que le nôtre, est un rien ; qu’il y a non seulement de la possibilité, mais de la probabilité, d’une progression infinie || d’organes qui feraient connaître une progression infinie de faces de l’univers, seulement dans cette proportion, comme la face tangible est à la face visible, ainsi la face visible est à une autre face, etc. il parviendra à une idée sombre d’un tout autre univers : et s’il réfléchit encore, que ce riche total n’est qu’une pensée du Dieu suprême, il regarde cette épouvantable Puissance avec une horreur sacrée ; il sent son anéantissement, sans sentir aucun rapport ; et cette connaissance obscure, stérile, et triste du Dieu, le rendrait le plus malheureux des êtres. ||
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178. Vous contredisez plus bas cet endroit . (M) 179. * C’est de la belle poésie que cela. (M)
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180. * Si je faisais une pure supposition qui expliquât un phénomène, ce phénomène expliqué lui donnerait un premier degré de vraisemblance. Et la vraisemblance de la supposition s’accroîtrait en raison du nombre des phénomènes expliqués. Mais une supposition qui produirait l’effet contraire, et qui une fois introduite, au lieu de lever une difficulté, en susciterait mille autres ; au lieu d’éclaircir couvrirait toutes les questions de ténèbres, ne serait-elle pas | invraisemblable, et son invraisemblance ne s’accroîtrait-elle pas en raison des nouvelles difficultés qu’elle produirait. Et je vous demande s’il y a une supposition plus féconde en difficultés et en obscurités que la vôtre ; c’est un abîme de ténèbres où l’on se perd dès le premier pas. Et cet abîme de ténèbres, pourquoi l’a-t-on creusé ? pour expliquer le comment d’un seul effet qui se produit sous mes yeux, la naissance de la sensibilité dans la matière, qualité qui lui est peut-être essentielle, qualité qui n’est pas incompatible avec elle, puisqu’elle y est, qualité qui ne serait pas plus obscure pour moi que son impénétrabilité et ses autres attributs, si j’avais un organe de plus, ou si son essence m’était plus connue. Voilà une logique bien étrange. (F) Nous verrons d’abord, qu’il s’en faut beaucoup que ce soit là le sort de l’homme ; mais remarquez en passant, quel serait celui de l’animal, s’il avait une connaissance de la Divinité [181].
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181. * L’animal serait à peu près ce que je suis, tremblant, peureux, pusillanime, sophiste, intolérant ; le chien dévore le chien pour un os, il le dévorerait pour une opinion et chaque espèce d’animal joindrait à sa haine naturelle pour une autre espèce, une belle haine théologique ; et tout l’univers serait une scène de carnage. Voulez-vous rendre la scène plus affreuse encore, donnez à toutes ces espèces une langue commune. Car vous vous moquez, lorsque vous êtes tenté de croire que l’art de créer des signes, surtout en prenant le mot signe dans une acception aussi étendue que vous l’avez fait, est essentiellement propre à l’homme. |
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* Credete e venerate un Dio; ma non lo cercate: Perché non fareste altro che cercare [179].
E mi spingo ancora oltre: dico, se questo essere individuo spinge ancora oltre le sue ricerche, per arrivare, se può, alla conoscenza del Creatore [180], se riflette che un’infinità di miliardi di mondi, come il nostro, è un nulla; e c’è non soltanto la possibilità, ma la probabilità di una progressione infinita di organi che farebbero conoscere una progressione infinita di facce dell’universo, solamente in questa proporzione, come la faccia tangibile sta la faccia visibile, così la faccia visibile sta a un’altra faccia, ecc. egli giungerà a un’idea oscura di un tutt’altro universo: e se riflette ancora sul fatto che questo ricco totale non è che un pensiero del Dio supremo, considera questa spaventosa Potenza con un orrore sacro; sente il suo annientamento, senza sentire alcun rapporto; e questa conoscenza oscura, sterile, e triste del Dio, lo renderebbe il più infelice degli esseri.
178. Poco sotto voi contraddite questo passaggio.133 179. * Questa è proprio della bella poesia. 180. * Se facessi una pura supposizione che spiegasse un fenomeno, questo fenomeno spiegato le darebbe un primo grado di verosimiglianza. E la verosimiglianza della supposizione crescerebbe in ragione del numero dei fenomeni spiegati. Ma una supposizione che producesse l’effetto contrario, e che una volta introdotta, invece di togliere una difficoltà ne suscitasse mille altre; invece di chiarire, coprisse di tenebre tutte le questioni, non sarebbe inverosimile e la sua inverosimiglianza non crescerebbe in ragione delle nuove difficoltà che essa produce? E io vi domando se c’è una supposizione più feconda della vostra, in difficoltà e in oscurità; è un abisso di tenebre in cui ci si perde fin dal primo passo. E quest’abisso di tenebre perché lo si è scavato? per spiegare il «come» di un solo effetto che si produce sotto i miei occhi: la nascita della sensibilità nella materia, qualità che forse le è essenziale, qualità che non è incompatibile con essa, poiché c’è, qualità che per me non sarebbe più oscura della sua impenetrabilità e degli altri suoi attributi, se avessi un organo di più, o se la sua essenza fosse per me meglio conosciuta. Ecco una logica assai strana. (F) Noi vedremo anzitutto che è ben lungi dall’essere questo il destino dell’uomo; ma notate, di passaggio, quale sarebbe quello dell’animale, se avesse una conoscenza della Divinità [181].
181. * L’animale sarebbe all’incirca quello che sono io, tremante, pauroso, pusillanime, sofista, intollerante; il cane divora il cane per un osso, lo divorerebbe per un’opinione e ciascuna specie animale unirebbe al suo odio naturale per un’altra specie, un bell’odio teologico; e tutto l’universo sarebbe una scena di massacro. Volete rendere questa scena ancor più spaventosa, date a tutte queste specie una lingua comune. Perché vi prendete gioco di me, quando siete tentato di credere che l’arte di creare dei segni, soprattutto prendendo la parola “segno” in un’accezione altrettanto estesa quanto la vostra, è essenzialmente propria dell’uomo.134
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Les animaux ont cet art tout comme nous. Ils s’entendent ; ils se parlent comme nous ; les périls nouveaux auxquels nous les exposons, étendent leur idiome. Les chasseurs le comprennent en bonne partie. Qu’arriverait-il alors ; c’est que diversement modifiée, chaque espèce verrait le grand être à sa façon ; le chien serait cunomorphite, l’oiseau ornithomorphite, le bœuf boomorphite, le cheval hippomorphite ; et comme la nature de cet être leur serait également inconnue et qu’ils y attacheraient tous plus d’importance qu’à leur vie, il n’en faudrait pas davantage pour que l’espèce animale fût avec le temps entièrement exterminée . (F et M) Comme l’organe du tact [182] développe à l’homme individu l’univers en tant que tangible, comme l’ouïe et l’air lui développent l’univers en tant que sonore, comme la vue et la lumière lui développent l’univers en tant que visible ; ce qu’il appelle cœur ou conscience, et la société avec des êtres homogènes, lui développent l’univers en tant que moral. || Il n’y a pas plus d’incommensurabilité entre la face morale de l’univers et la face visible, qu’entre la face visible et la face sonore, ou qu’entre la face sonore et la face tangible, etc. et toutes ces différentes faces de l’univers, dont nous avons des perceptions par ces différents organes, sont également et distinctement soumises aux facultés contemplatives et agissantes de l’homme. L’amour, la haine, l’envie, l’estime, sont des mots qui expriment des sensations aussi distinctes, que ceux d’arbre, d’astre, de tour, de ut, de ré, de mi, de doux, || d’amer, d’aigre, d’odeur de rose, de jasmin, ou d’œillet, de froid, de chaud, de dur, de mol [183]. S’il se trouve de la différence entre la précision et la netteté de nos perceptions de ces différentes faces, il faut s’en prendre au peu d’exercice de l’organe qui | est tourné vers telle ou telle face, ou à la contrainte qu’aura pu lui donner telle ou telle modification de la société. Dans la modification actuelle de la société, nos organes de la vue et de l’ouïe sont les plus exercés et les moins contraints ; ceux du goût, de l’odorat, du tact, et du cœur, || sont plus contraints et moins exercés, et par conséquent nous avons actuellement des perceptions plus claires des faces visibles et sonores de l’univers, que de ses faces morales, tangibles, etc.
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182. * Tout ce qui suit me plaît beaucoup. Et n’a rien, mais rien du tout de contraire à ma philosophie. (M) 183. (Excellent.) (M)
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Afin de procéder avec quelque ordre dans la contemplation de l’homme en société, il faut commencer à examiner de plus près cet organe, qui jusqu’ici n’a pas de nom propre, et qu’on désigne communément par cœur, sentiment, conscience ; cet organe, qui est tourné vers la face, sans comparaison, la plus riche et la plus belle de toutes celles que nous connaissons, et dans || laquelle résident le bonheur, le malheur, et presque tous nos plaisirs et toutes nos peines ; cet organe enfin, qui nous fait sentir notre existence, puisqu’il nous fait sentir nos rapports aux choses qui sont hors de nous, tandis que nos autres organes ne nous font sentir que les rapports des choses hors de nous à nous x [184].
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Gli animali hanno quest’arte proprio come noi. Si capiscono; si parlano come noi; i nuovi pericoli ai quali li esponiamo estendono il loro idioma. I cacciatori lo capiscono, in buona parte. Che accadrebbe allora? Ecco che, diversamente modificata, ciascuna specie vedrebbe il grande Essere a suo modo; il cane sarebbe cinomorfico, l’uccello ornitomorfico, il bue boomorfico, il cavallo ippomorfico; e siccome la natura di quest’essere sarebbe loro ugualmente sconosciuta, e vi attribuirebbero tutti più importanza della loro vita, non occorrerebbe nient’altro perché la specie animale fosse, col tempo, interamente sterminata.135 (F e M) Come l’organo del tatto [182] sviluppa, nell’uomo individuo, l’universo in quanto tangibile, come l’udito e l’aria sviluppano in lui l’universo in quanto sonoro, come la vista e la luce sviluppano in lui l’universo in quanto visibile; ciò che egli chiama cuore o coscienza e la società con esseri omogenei, sviluppano in lui l’universo in quanto morale. Non c’è più incommensurabilità tra la faccia morale dell’universo e la faccia visibile, di quanta ce ne sia tra la faccia visibile e la faccia sonora, o tra la faccia sonora e la faccia tangibile, ecc. e tutte queste diverse facce dell’universo, di cui abbiamo delle percezioni attraverso quei diversi organi, sono ugualmente e distintamente sottomesse alle facoltà contemplative e agenti dell’uomo. L’amore, l’odio, l’invidia, la stima, sono delle parole che esprimono delle sensazioni altrettanto distinte quanto quelle di albero, astro, torre, di do, re, mi, di dolce, amaro, aspro, di odore di rosa, gelsomino o garofano, di freddo, caldo, duro, molle [183]. Se si trova differenza tra la precisione e la nettezza delle nostre percezioni di quelle diverse facce, bisogna prendersela con il poco esercizio dell’organo, che è rivolto verso tale o tal altra faccia, o con l’impedimento che gli avrà potuto opporre tale o talaltra modificazione della società. Nella modificazione attuale della società, i nostri organi della vista e dell’udito sono i più esercitati e i meno impediti; quelli del gusto, dell’odorato, del tatto, e del cuore, sono più impediti e meno esercitati e di conseguenza abbiamo attualmente delle percezioni più chiare delle facce visibili e sonore dell’universo, piuttosto che delle sue facce morali, tangibili, ecc.
182. * Tutto quello che segue mi piace molto. E non ha nulla, ma nulla affatto di contrario alla mia filosofia. (M) 183. (Eccellente). (M) Al fine di procedere con qualche ordine nella contemplazione dell’uomo in società, bisogna iniziare con l’esaminare più da vicino quell’organo, che fin qui non ha avuto nome proprio, che si designa comunemente con cuore, sentimento, coscienza; quell’organo che è rivolto verso la faccia, senza paragoni la più ricca e la più bella di tutte quelle che conosciamo e nella quale risiedono la felicità, l’infelicità, quasi tutti i nostri piaceri e tutti i nostri dolori; quell’organo, infine, che ci fa sentire la nostra esistenza, perché ci fa sentire i nostri rapporti con le cose che sono fuori di noi, mentre gli altri nostri organi ci fanno sentire solo i rapporti delle cose fuori di noi con noi x [184].
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184. * Mais il me semble que ces deux choses sont inséparables dans la nature ; rapports des choses à nous ; rapports de nous aux choses. (M) Comme l’organe de l’ouïe et de la vue ne se manifesterait pas * à l’homme qui en serait doué, s’il n’y avait de l’air et de la lumière [185], ainsi le cœur, la conscience, ne se manifeste dans l’homme qu’au moment où il se trouve au || milieu d’autres êtres animés, d’autres velléités agissantes en direction contraire, ou conforme à sa velléité. C’est alors que les passions et les désirs entrent en foule [186], que l’âme acquiert son élasticité, se sent, s’aime, s’estime, et reconnaît sa source. |
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185. * Cela n’est pas exact. L’homme saurait toujours qu’il a un œil ; il aurait tous les inconvénients de cet organe, l’orgelet, la fluxion, etc. sans en avoir les avantages. (F) 186. * Toute cette foule se réduit pourtant à trois classes d’objets ; objets de désirs, objets d’aversion ; objets d’indifférence. Plaisir et peine. (F)
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C’est ici que je sens avoir besoin de votre indulgence. Le chemin peu frayé que je prends dans ces recherches, m’obligera sûrement à quelque désordre apparent, à des redites fréquentes, et à mettre souvent les mêmes idées dans des jours différents, afin que nous nous familiarisions avec elles, et pour que nous || ne tombions pas dans l’erreur de les rejeter [187] parce qu’elles sont nouvelles, ou de les admettre à cause d’un côté brillant, qui dériverait peut-être uniquement de leur nouveauté [188].
187. x Ce n’est pas dans l’ erreur de / C’est dans l’erreur, en les rejetant. (F) 188. / Cela est longuement écrit. (F)
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Comme la vue et la lumière me donnent des idées des choses visibles, dont j’aperçois les rapports par ma faculté contemplative ou intuitive, et par conséquent les lois que ces choses ont entre elles, et qui dérivent de ces rapports ; ainsi le cœur [189] et la société, ou la communication avec des êtres pensants, avec des velléités, des causes primitives, des principes primitifs d’action, || me donnent des | idées de velléités agissantes, dont j’aperçois les rapports par ma faculté intuitive, et par conséquent les lois que ces velléités ont entre elles, qui dérivent de ces rapports : ce qui me montre une partie de la face morale de l’univers.
189. / Il faut ôter ce mot, qui va mal dans un ouvrage où l’on parle strictement. (F)
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* Mais cet organe, ce cœur, qui me donne des sensations de cette face de l’univers [190], diffère de nos autres organes principalement, en ce qu’il nous donne une sensation d’une face dont notre âme, notre moi, fait partie [191] ; ainsi, pour cet organe le moi lui-même devient un objet de contemplation, et par conséquent || cet organe ne nous donne pas seulement, comme nos autres organes, les sensations des rapports que les choses de dehors ont à nous, mais aussi celles des rapports que nous avons à ces choses ; d’où résulte la première sensation de devoir [192] .
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184. * Ma mi sembra che queste due cose siano inseparabili nella natura; rapporti delle cose con noi; rapporti di noi con le cose. (M) Come l’organo dell’udito e della vista non si manifesterebbero *all’uomo che ne fosse dotato, se non ci fosse dell’aria e della luce [185], così il cuore, la coscienza, non si manifesta nell’uomo se non nel momento in cui si trova in mezzo ad altri esseri animati, ad altre velleità agenti in direzione contraria o conforme alla sua velleità. È allora che le passioni e i desideri entrano in massa [186], che l’anima acquisisce la sua elasticità, si sente, si ama, si stima e riconosce la sua fonte.
185. * Questo non è esatto. L’uomo saprebbe sempre che ha un occhio, avrebbe tutti gli inconvenienti di quest’organo, l’orzaiolo, la flussione, ecc. senza averne i vantaggi. (F) 186 * Tutta questa massa si riduce tuttavia a tre classi di oggetti; oggetti di desiderio, oggetti di avversione; oggetti d’indifferenza. Piacere e dolore.136 (F) È qui che sento di aver bisogno della vostra indulgenza. La strada poco battuta che prendono queste ricerche mi obbligherà sicuramente a qualche apparente disordine, a ripetizioni frequenti, e a mettere spesso le stesse idee sotto prospettive diverse, affinché ci si familiarizzi con esse e non si cada nell’errore di respingerle [187] perché sono nuove, o di ammetterle per via di un semplice aspetto brillante, che deriverebbe forse unicamente dalla loro novità [188].
187. x Non è nell’errore di / È: nell’errore, respingendole. (F) 188. / Questo passaggio è scritto in modo prolisso. (F) Come la vista e la luce mi danno delle idee delle cose visibili, di cui percepisco i rapporti con la mia facoltà contemplativa o intuitiva, e di conseguenza mi danno le leggi che quelle cose hanno tra loro, e che derivano da quei rapporti; così il cuore [189] e la società, o la comunicazione con degli esseri pensanti, con delle velleità, delle cause primitive, dei principi primitivi d’azione, mi danno delle idee di velleità agenti di cui percepisco i rapporti con la mia facoltà intuitiva e, di conseguenza, le leggi che quelle verità hanno tra loro, che derivano da quei rapporti: il che mi mostra una parte della faccia morale dell’universo.
189. / Bisogna togliere questa parola, che sta male in un’opera in cui si parla con rigore. (F) * Ma quest’organo, questo cuore che mi dà delle sensazioni di questa faccia dell’universo [190], differisce dai nostri organi principalmente per il fatto che ci dà una sensazione di una faccia della quale la nostra anima, il nostro io, fa parte [191]; così per quest’organo l’io stesso diventa un oggetto di contemplazione, e di conseguenza quest’organo non ci dà, come i nostri altri organi, soltanto le sensazioni dei rapporti che le cose di fuori hanno con noi, ma anche quelle dei rapporti che noi abbiamo con queste cose; donde risulta la prima sensazione di dovere [192].
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190. * Ce n’est point un organe particulier ; ce n’est toujours que la raison ou la faculté intuitive appliquée à un nouvel objet ; il est vrai que cette application donne de l’exercice au diaphragme, aux muscles, aux nerfs, à toute la machine. (F)
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191. * Le moi est le résultat de la mémoire qui attache à un individu, la suite de [ses] sensations. Si je suis un individu, c’est moi. Si c’est un autre individu, c’est lui. Le lui et le moi naissent du même principe. Le lui et le moi s’étendent par le même moyen, et s’anéantissent de même. Sans la mémoire qui attache à une longue suite d’actions le même individu, l’être à chaque sensation, momentanée, passerait du réveil au | sommeil ; à peine aurait-il le temps de s’avouer qu’il existe. Il n’éprouverait que la douleur ou le plaisir d’une sensation un peu forte, la surprise des autres ; à chaque secousse qui exercerait sa sensibilité, presque comme au sortir du néant. (F) 192. * Ce moi veut être heureux. Cette tendance constante est la source éternelle, permanente, de tous ses devoirs, même les plus minutieux. Toute loi contraire est un crime de lèse-humanité ; un acte de tyrannie. (M) L’homme individu, comme nous l’avons considéré plus haut, ^ dans toute la perfection de sa faculté intellectuelle, parvient même à une notion de la Divinité [193] ; mais il ne saurait avoir aucune sensation de devoir ni envers Dieu, ni envers quoi que ce soit.
193. ^ Et ailleurs vous direz que l’homme n’est pas resté dans toute la perfection de sa faculté intellectuelle. Ainsi vous restreindrez beaucoup la croyance d’un dieu. (F) Comme l’œil, sans qu’il y eût de la lumière ou des choses || visibles, serait totalement inutile ; l’organe que j’appelle le cœur est parfaitement inutile à l’homme [194], s’il n’y a ni velléités agissantes, ni société avec de telles velléités par les signes communicatifs.
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331
194. * Le cœur est l’organe le plus bête, le plus insensible ; il ne souffre presque jamais que physiquement. | Les impressions morales passent de la tête, au diaphragme, aux nerfs. (M)
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D’un côté il paraît probable, par quelques insectes, qu’il y a * des animaux [195] qui jouissent d’un organe que nous n’avons pas, et qui est tourné vers une face de l’univers inconnue pour nous ; et de l’autre, qu’en examinant bien l’économie des animaux sans préjugés, ce qui est extrêmement difficile, les animaux manquent totalement de cet organe que j’appelle cœur, et || que la face morale de l’univers leur est totalement inconnue [196] : et ceci sert encore à me fortifier dans l’idée, que la faculté de se servir de signes pour rappeler ou communiquer les idées [197], est adhérente à la nature de la composition actuelle de l’homme.
195. * Quels sont ces animaux-là ? (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 190-195
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190. * Non è affatto un organo particolare; non è sempre soltanto la ragione o la facoltà intuitiva applicata a un nuovo oggetto; è vero che quest’applicazione dà dell’esercizio al diaframma, ai muscoli, ai nervi, a tutta la macchina.137 (F) 191. * L’io è il risultato della memoria che lega a un individuo la serie delle [sue] sensazioni. Se sono un individuo, sono io. Se è un altro individuo, è lui. Il lui e l’io nascono dallo stesso principio. Il lui e l’io s’estendono con lo stesso mezzo e s’annullano con lo stesso. Senza la memoria che lega a una lunga serie di azioni lo stesso individuo, l’essere, a ogni sensazione momentanea, passerebbe dalla veglia al sonno; avrebbe appena il tempo di riconoscersi che esiste. Non proverebbe altro che il dolore o il piacere di una sensazione un po’ forte, la sorpresa delle altre, a ogni scossa che eccitasse la sua sensibilità, quasi come all’uscita dal nulla. (F) 192. * Questo io vuole essere felice. Questa tendenza costante è la fonte eterna, permanente, di tutti i suoi doveri, anche i più minuziosi.138 Ogni legge contraria è un crimine di lesa umanità; un atto di tirannia.139 (M) L’uomo individuo, come l’abbiamo considerato poco sopra, ^ in tutta la perfezione della sua facoltà intellettuale, giunge anche a una nozione della Divinità [193]; ma non potrebbe avere alcuna sensazione di dovere, né verso Dio, né verso chicchessia.
193. ^ E altrove voi direte che l’uomo non è rimasto in tutta la perfezione della sua facoltà intellettuale.140 Così voi restringete molto la credenza in un dio. (F) Come l’occhio, senza aver avuto l’idea della luce o delle cose visibili sarebbe totalmente inutile; l’organo che io chiamo il cuore è perfettamente inutile all’uomo [194] se non ci sono né velleità agenti, né società con tali velleità dai segni comunicativi.
194. *Il cuore è l’organo più stupido, più insensibile; non soffre quasi mai se non fisicamente.141 Le impressioni morali passano dalla testa, al diaframma, ai nervi.142 (M) Da un lato sembra probabile, per via di certi insetti, che ci sono *degli animali [195] i quali godono di un organo che noi non abbiamo e che è rivolto verso una faccia dell’universo a noi sconosciuta; e dall’altro, esaminando bene, senza pregiudizi, l’economia degli animali, che è estremamente difficile, gli animali mancano totalmente di quest’organo che io chiamo cuore, e che la faccia morale dell’universo è loro totalmente sconosciuta [196]: e questo serve ancora a rafforzarmi nell’idea che la facoltà di servirsi di segni per richiamare o comunicare le idee [197], è aderente alla natura della composizione attuale dell’uomo.
195. * Quali sono questi animali? (F)
Diderot.indb 991
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992
opere filosofiche
196. * Je crois avoir des faits, et beaucoup, tout à fait contraires. J’ai vu un chien délaissé par son maître, lui en témoigner un ressentiment qui dura plusieurs jours. (M) 197. XX Je vous ai dit ce que j’en pensais . (F) L’œil est fait pour la face visible ; il faut donc qu’il y ait de la lumière : le cœur est xxx fait pour la face morale [198], il faut donc qu’il y ait des signes communicatifs.
198. xxx Cet abus du mot cœur exige une refonte de toute cette partie de votre ouvrage ; refonte facile, et qui ne dérange en rien les principes. Lorsque vous dites l’œil et le cœur vous comparez organe à organe ; au lieu qu’en morale, le cœur ne se prend point physiquement ; c’est une expression figurée. (F) | 332 106
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Pour n’être pas trop obscur, je me suis conformé jusqu’ici à l’opinion reçue, et j’ai dénoté également le moyen dont l’âme se sert pour || rappeler les idées, et celui dont elle se sert pour les communiquer, par le mot de signes ; mais avant que d’aller plus loin, il sera nécessaire d’examiner maintenant, ce que sont ces moyens ou ces signes. Lorsque nous faisons attention à nos gestes naturels, c’est-à-dire, aux mouvements plus ou moins remarquables de certaines parties de notre corps, qui accompagnent constamment telles ou telles idées, ou telles façons de penser : lorsque nous considérons, qu’en méditant, avec une grand intensité d’esprit, un discours ou une action que nous nous proposons de faire, || nous nous apercevons de plusieurs mouvements, dans différentes parties de notre corps, qui sont vifs, à mesure que ces parties sont ou proches de la cervelle, ou exercées [199]: lorsque nous réfléchissons encore à la sensation désagréable et toute singulière que nous avons, en alliant, par exemple, le geste de la gravité, ou du désespoir, à une idée risible ; nous serons convaincus, qu’il y a très assurément une analogie entre nos idées, et entre différentes parties de notre corps [200].
199. * Cela est louche. La fureur serre les poings. (F) 200. * C’est le fond des études du peintre, du sculpteur et du comédien . (F)
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* Ceux qui sont accoutumés à gesticuler en méditant, c’est-à-dire, ceux qui ont la || tête et le corps d’une agilité, ou d’une sensibilité requise, peuvent pousser ces expériences encore, lorsqu’en pensant à quelque sujet grave ou majestueux, ils font faire à leur main, ou à quelque autre partie exercée du corps, un | geste analogue à l’allégresse ; ils s’apercevront que le tour de leur pensée change ; et cette expérience est si vraie, que souvent on adoucit par ce moyen une phrase forte et dure, et au contraire, on donne du nerf et du corps à une expression ou trop lâche, ou trop molle [201]. Remarquez encore, s’il vous plaît, que tous ces gestes, et || tous ces mouvements de muscles, qui accompagnent nos méditations, sont indubitablement naturels ; ** et que nous ne les tenons ni de l’éducation, ni de l’imitation [202] .
201. (Excellent et vrai) (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 196-201
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196. *Io credo di avere dei fatti, e molti, del tutto contrari. Ho visto un cane abbandonato dal suo padrone, testimoniargli un risentimento che durò diversi giorni. (M) 197. XX Vi ho detto quello che ne pensavo.143 (F) L’occhio è fatto per la faccia visibile; bisogna dunque che vi sia della luce; il cuore è xxx fatto per la faccia morale [198], bisogna dunque che vi siano dei segni comunicativi.
198. xxx Quest’abuso della parola “cuore” esige una riconsiderazione di tutta questa parte della vostra opera; riconsiderazione facile e che non intacca in nulla i principi. Quando voi dite “l’occhio e il cuore”, paragonate organo a organo: mentre, in morale, il cuore non si prende affatto in senso fisico; è un’espressione figurata. (F) Per non essere troppo oscuro mi sono conformato fin qui all’opinione ricevuta, e ho denotato egualmente il mezzo di cui si serve l’anima per richiamare le idee, e quello di cui si serve per comunicarle, con la parola segni: ma prima di andare oltre, sarà necessario esaminare ora che cosa sono questi mezzi, ovvero questi segni. Quando facciamo attenzione ai nostri gesti naturali, cioè ai movimenti più o meno notevoli di certe parti del nostro corpo, che accompagnano costantemente tali o talaltre idee, o tali maniere di pensare: quando consideriamo che meditando, con una grande intensità di spirito, un discorso o un’azione che abbiamo il proposito di compiere, ci accorgiamo di diversi movimenti, in diverse parti del nostro corpo, che sono vivi nella misura in cui quelle parti sono vicine al cervello o esercitate [199]: anche quando riflettiamo sulla sensazione sgradevole e del tutto singolare che abbiamo, collegando, ad esempio, il gesto della gravità o della disperazione a un’idea risibile; saremo convinti che c’è molto sicuramente un’analogia tra le nostre idee e tra diverse parti del nostro corpo [200].
199. * Questo è contorto. Il furore serra i pugni. (F) 200. * È il contenuto degli studi del pittore, dello scultore e dell’attore.144 (F) * Coloro che sono abituati a gesticolare meditando, cioè coloro che hanno la testa e il corpo di un’agilità o di una sensibilità adatta, possono spingere oltre queste esperienze quando, pensando a qualche argomento grave o maestoso, fanno fare alla loro mano o a qualche altra parte esercitata del corpo un gesto analogo all’allegria; si accorgeranno che il giro del loro pensiero cambia; quest’esperienza è così vera che spesso s’addolcisce, con questo mezzo, una frase forte e dura e, al contrario, si dà nerbo e corpo a un’espressione o troppo vile o troppo fiacca [201]. Osservate ancora, vi prego, che tutti questi gesti e tutti questi movimenti di muscoli che accompagnano le nostre meditazioni sono senza alcun dubbio naturali; ** e che non li apprendiamo né dall’educazione né dall’imitazione [202].
201. (Eccellente e vero). (M)
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opere filosofiche
202. ** Chaque passion a son but ; ce but s’atteint par l’usage des organes ; c’est cet usage qui établit la liaison des idées, ou images avec les mouvements du corps. Ajoutez à cela une sympathie organique. Tel organe mû entraîne nécessairement le mouvement et tel mouvement d’un autre. * Vous pouvez en donner pour preuve qu’on les remarque dans les animaux qui grelottent, se traînent, gémissent, agitent certaines parties, les rendent immobiles, en certaines circonstances. (F) Il est probable que l’âme de l’homme, dont la velléité est si vigoureuse que l’impossible même ne la démonte pas, se sert du mouvement des dernières fibres du cerveau, pour ses signes de rappel [203] : il est plus que probable, que les signes communicatifs naturels viennent de la même source.
203. (Obscur.) L’impossible ne la démonte pas ? c’est seulement lorsqu’elle le croit possible. (M) | * L’âme [204], pour se rappeler les idées, met en mouvement les dernières fibres de l’organe qui sont tournées de son côté ; ** [205]
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204. * Ce n’est pas tout à fait ainsi que cela s’exécute dans mes principes ; mais la différence n’est que dans un mot ; au lieu d’âme, je dis l’origine du faisceau ou l’homme ; vous avez là un petit harpeur, inintelligible, qui n’est pas dans le lieu, qui n’a point d’organes, aucune sorte de toucher, et qui pince des cordes. Moi je m’en passe fort bien. (F) 205. ** Je ne sais si vous pouvez dire que l’âme soit dans le corps ; ni de quel côté elle est. Est-ce que vous imaginez du contact entre une âme et un corps ? ou il y a en effet contact, et ce sont deux corps. Ou il n’y a nul contact, et la communication des sensations est un miracle perpétuel. Mais pourquoi n’y a-t-il point de contact ? Prenez garde à la réponse que vous ferez car elle prouvera également contre le défaut de contact et toutes les conséquences de ce défaut, entre l’esprit et la matière ; entre la matière et Dieu. (M) 110
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Diderot.indb 994
elle || rappelle les idées pour les faire coexister ; elle les fait coexister pour les comparer, et les contempler : mais lorsqu’elle veut rendre ou exprimer ces idées, elle dirige le mouvement des fibres au dehors, et ce mouvement se communique à ces parties du système nerveux qui répondent à ces fibres ; et alors sont produits, sous la forme de geste ou de parole, des mouvements et des sons, qui sont uniquement analogues aux idées dont ils tirent leur origine. Si enfin ces mouvements peuvent imprimer au système d’un autre individu, des mouvements uniformes et || isochrones [206], il faut que ces derniers mouvements représentent les mêmes idées à l’âme de cet autre individu ; et par conséquent il faut qu’un son, une parole, ou un geste quelconque produise nécessairement, à peu près la même idée dans les âmes de tous les individus de la même espèce [207] : ce qui montre plus que la possibilité d’une langue naturelle et primitive, dont les mots aient été en même temps les effets et les signes nécessaires des idées [208]. |
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osservazioni su hemsterhuis, 202-205
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202. ** Ogni passione ha il suo scopo; questo scopo si raggiunge con l’uso degli organi; quest’uso stabilisce il legame delle idee, o immagini, con i movimenti del corpo. Aggiungete a ciò una simpatia organica. Il tale organo mosso provoca necessariamente il moto e il tale moto quello di un altro organo.145 * Potete addurne per prova il fatto che tali moti li notiamo negli animali che battono i denti, si trascinano, gemono, agitano certe parti, le rendono immobili, in certe circostanze. (F) È probabile che l’anima dell’uomo, la cui velleità è così vigorosa che l’impossibilità stessa non la scoraggia, si serva del movimento delle ultime fibre del cervello per i suoi segni di richiamo [203]: è più che probabile che i segni comunicativi naturali vengano dalla stessa fonte.
203. (Oscuro). L’impossibilità non la scoraggia? È soltanto quando essa lo crede possibile. (M) * L’anima [204], per richiamarsi le idee, mette in moto le ultime fibre dell’organo che sono volte dal suo lato;** [205]
204. *Non è del tutto così che questo si realizza secondo i miei principi; ma la differenza non è che in una parola; invece di anima, io dico l’origine del fascio, ossia l’uomo; voi avete là un piccolo arpista, inintelligibile, che non è in un luogo, che non ha affatto organi, nessuna specie di tatto, e pizzica delle corde. Io ne faccio volentieri a meno.146 (F) 205. **Io non so se potete dire che l’anima sia nel corpo; né da quale parte essa è. Voi immaginate un contatto tra un’anima e un corpo? O c’è, in effetti, contatto, e allora sono due corpi. O non c’è alcun contatto, e la comunicazione delle sensazioni è un miracolo perpetuo. Ma perché non c’è affatto contatto? Fate attenzione alla risposta che darete, perché essa sarà ugualmente una prova contro il difetto di contatto e contro tutte le conseguenze di questo difetto, tra lo spirito e la materia; tra la materia e Dio. (M) Essa richiama le idee per farle coesistere; essa le fa coesistere per paragonarle e contemplarle: ma quando vuol rendere o esprimere tali idee, l’anima dirige il movimento delle fibre al di fuori, e questo movimento si comunica a quelle parti del sistema nervoso che rispondono a queste fibre; e allora sono prodotti, sotto forma di gesto o di parola, dei movimenti e dei suoni che sono unicamente analoghi alle idee da cui traggono la loro origine. Se alla fine questi movimenti possono imprimere al sistema di un altro individuo, dei movimenti uniformi e isocroni [206], bisogna che questi ultimi movimenti rappresentino le stesse idee all’anima di quest’altro individuo, e di conseguenza occorre che un suono, una parola, un gesto qualsivoglia produca, necessariamente, all’incirca la stessa idea nelle anime di tutti gli individui della stessa specie [207]: il che mostra più che la possibilità di una lingua naturale primitiva, le cui parole siano state, al tempo stesso, gli effetti e i segni necessari delle idee [208].
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opere filosofiche
206. Pourquoi isochrones ? cette condition me paraît inutile et peut-être impossible. (M) 207. * Les interjections, ou ces monosyllabes qui désignent une passion, une sensation sont les mêmes chez toutes les nations tant anciennes que modernes ; et cela n’est pas extraordinaire. Un homme est un instrument semblable à un autre homme. Si la colique pique l’intestin d’un enfant chinois il criera. Si la colique pique l’intestin d’un enfant européen, pourquoi pousserait-il un autre cri. C’est le même instrument, la même corde, et le même cruel musicien. Il faut que le son soit le même. Il y a pourtant une bizarrerie, le cri d’un Mexicain qu’on fouette, ressemble au ris. 208. * Et les notions abstraites ? et la géométrie ? et tout ce qui n’a aucun rapport immédiat aux sens ? c’est-à-dire les 19/20 d’une langue. (M)
112
J’avoue que notre éducation, et la modification actuelle de la société, si artistement composée, nous ont tellement || mis hors de l’état de nature, qu’il est impossible de constater ce système par un aussi grand nombre d’expériences, que l’importance de la chose ^ mériterait bien [209] ; mais afin que vous ne pensiez pas, que la base de ces raisonnements soit tout à fait imaginaire, et manque totalement d’expériences incontestables, je vais en mettre ici quelques-unes au hasard, en vous priant de donner à chacune toute l’attention requise.
209. Le ^ (M) | 336 113
1°. Lorsqu’on se trouve dans un endroit où une personne bâille, on bâillera [210] : mais ce qui est le plus remarquable, c’est que cet effet aura lieu || lors même qu’on aura les yeux bandés.
210. J’ai cité cette expérience plus haut ; et je suis bien aise de la retrouver ici. (Tout ce qui suit, excellent) (M)
114
2°. Lorsqu’on verra bâiller à différentes reprises un cheval, un chien, ou quelque autre animal, l’effet sera le même. 3°. Il y a différents mouvements du nez, que nos muscles imitent malgré nous, lorsque nous les voyons faire par une autre personne, ou même par un animal. 4°. Lorsqu’une personne, assise à table, se coupe par mégarde dans la main [211], plusieurs des convives feront subitement des contorsions, comme s’ils s’étaient coupés eux-mêmes ; et ce qui plus || est, ceux qui n’auront pas vu le coup, feront souvent les mêmes contorsions. 5°. Lorsqu’on regarde la foule qui assiste à quelque supplice cruel, on verra un grand nombre d’hommes, et surtout de femmes, où les mêmes muscles produisent les mêmes mouvements sur différentes parties de leurs corps.
211. On dit se blesse à la main / (F) 6°. Si nous regardons un homme dont le cœur [212] se raidit à la vue ou au son de quelque objet désagréable pour lui, nous ferons la même grimace que
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osservazioni su hemsterhuis, 206-211
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206. Perché isocroni? Questa condizione mi sembra inutile e può essere impossibile. (M) 207. * Le interiezioni, ovvero quei monosillabi che designano una passione, una sensazione, sono le stesse in tutte le nazioni sia antiche che moderne; e questo non è straordinario. Un uomo è uno strumento simile a un altro uomo. Se la colica punge l’intestino di un bambino cinese questo griderà. Se la colica punge l’intestino di un bambino europeo, perché questo dovrebbe lanciare un altro grido? È lo stesso strumento, la stessa corda, e lo stesso crudele musicista. Bisogna che il suono sia lo stesso.147 C’è tuttavia una stranezza, il grido di un Messicano che viene frustato, assomiglia al riso.148 208. * E le nozioni astratte? E la geometria? E tutto ciò che non ha alcun rapporto immediato con i sensi? Cioè i 19/20 di una lingua. (M) Confesso che la nostra educazione, e la modificazione attuale della società, così artisticamente composta, ci hanno posti totalmente fuori dello stato di natura al punto che è impossibile constatare questo sistema con un numero altrettanto grande di esperienze, quanto l’importanza della cosa senz’altro ^ meriterebbe [209]; ma affinché voi non pensiate che la base di questi ragionamenti sia del tutto immaginaria e manchi totalmente di esperienze incontestabili, ne avanzerò qui alcune prese a caso, pregandovi di dare a ciascuna tutta l’attenzione richiesta.
209. Lo ^ (M) 1°. Quando ci si trova in un luogo in cui una persona sbadiglia, si sbadiglierà [210]: ma ciò che è più straordinario, è che quest’effetto avrà luogo persino quando si avranno gli occhi chiusi.
210. Ho citato quest’esperienza poco sopra;149 e sono ben contento di ritrovarla qui. (Tutto ciò che segue, eccellente). (M) 2°. Quando si vedrà sbadigliare a più riprese un cavallo, un cane, o qualche altro animale, l’effetto sarà lo stesso. 3°. Ci sono diversi movimenti del naso che i nostri muscoli imitano nostro malgrado quando li vediamo fare da un’altra persona, o persino da un animale. 4°. Quando una persona, seduta a tavola, si taglia per sbaglio nella mano [211], diversi convitati subito faranno delle contorsioni, come se si fossero tagliati loro stessi; e per di più, coloro che non avranno visto il colpo, faranno spesso le stesse contorsioni. 5°. Quando si guarda la folla che assiste a qualche supplizio crudele, si vedrà un gran numero di uomini, e soprattutto di donne, nei quali gli stessi muscoli producono gli stessi movimenti sulle diverse parti dei loro corpi.
211. Si dice, si ferisce alla mano / (F) 6°. Se guardiamo un uomo il cui cuore [212] s’irrigidisce alla vista o al suono di qualche oggetto sgradevole per lui, noi faremo la stessa smorfia che fa lui,
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opere filosofiche
lui, quoique cet objet ne soit pas désagréable pour nous, et quoique souvent nous ne nous apercevions pas même || de l’objet. Quelquefois la mine que nous faisons nous rappelle l’idée d’un objet qui est désagréable pour nous.
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212. * Fausse expression / (M) | 7°. Lorsque nous nous trouvons à un concert de musique, nos mains, ou nos pieds, ou d’autres parties de notre corps battront la mesure, tandis que nous pensons à toute autre chose. 8°. A la première représentation de quelque belle tragédie, combien de personnes ne sont pas attendries, qui n’ont entendu aucun mot de ce qu’a dit l’acteur [213] ! Par conséquent, la cause de leur attendrissement est dans le geste. Combien de pantomimes || bien jouées affectent autant ou plus qu’une pièce peu au-dessus du médiocre ! Un vers dans une langue qui nous est inconnue, parfaitement bien récité, produit en gros la même sensation qu’elle produirait si nous savions la langue (*).
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(*) Philostrate, dans la vie de Phavorin, dit, διαλεγομένου δὲ αὐτοῦ κατὰ τὴν Ῥώμην, μεστὰ ἦν σπουδῆς πάντα· καὶ γὰρ δὴ καὶ ὅσοι τῆς Ἑλλήνων φωνῆς ἀξύνετοι ἦσαν, οὐδὲ τούτοις αφ’ ἡδονῆς ἀκρόασις ἦν· et dans la vie d’Adrien de Phénicie, οὕτω τὴν Ῥώμην πρὸς αὐτὸν ἐπέστρεψεν, ὡς καὶ τοῖς ἀξύνετοις γλώττης Ἑλλάδος ἔρωτα παρασχεῖν ἀκροάσεως. ||
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213. * Leurs pleurs sont amenés par les pleurs des autres. (M) * Ajoutez que dans les émotions populaires, et autres circonstances où la terreur panique a lieu, la sensation s’accroît par le spectacle de la multitude ; les hommes puisent dans les visages, les regards, les gestes des uns des autres un surcroît de frayeur et quelquefois les plus effrayés sont les moins instruits du fait. Ils interrogent ; on leur répond ; et leur transport se calme. (F) * Vous ferez du fait qui suit l’usage qu’il vous plaira ; un homme de lettres gagea qu’il ferait pleurer tout un auditoire, par des sons et des gestes, sans rien articuler ; et il y réussit. Moi, quand vous voudrez, je ferai venir la chair de poule à tous ceux qui m’entendront, avec ces quatre mots, La mort nous engloutira tous ; ils [sont] pourtant assez communs ; mais vous jugerez vous-même de la | variété de déclamation dont ils sont susceptibles, quels gestes et quels accents, ils amènent. C’est (M) le principe fondamental de la poésie lyrique. Peu de mots au musicien ; mais ces mots susceptibles d’un grand nombre de déclamations ; ce qui rapproche encore la bonne musique de la langue primitive qui ne devait pas être prolixe. Les sauvages font deux cens lieues, sans parler. Ils n’ont qu’un but qui les suit et les occupe . (F) |
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Diderot.indb 998
9°. Lorsque je vais me promener avec une personne qui a les jambes plus longues ou plus courtes que moi, nos premiers pas ne seront pas isochrones ; mais, sans nous en apercevoir, dans très peu de temps nous marcherons à l’unisson ; et même lorsque nous allons mettre l’un le pied droit et l’autre le pied gauche en avant tout exprès, nous aurons une sensation désagréable d’un effort contre nature [214].
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osservazioni su hemsterhuis, 212-213
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benché quell’oggetto non sia sgradevole per noi, e benché spesso non ci accorgiamo neanche dell’oggetto. Qualche volta l’aria che facciamo ci ricorda l’idea di un oggetto che è sgradevole per noi.
212. * Falsa espressione / (M) 7°. Quando ci troviamo a un concerto di musica, le nostre mani o i nostri piedi, o altre parti del corpo batteranno la misura, mentre pensiamo a tutt’altra cosa. 8°. Alla prima rappresentazione di qualche bella tragedia, quante persone non sono intenerite, e non hanno sentito neanche una parola di ciò che ha detto l’attore! [213] Di conseguenza, la causa del loro intenerimento è nel gesto. Quante pantomime ben recitate affettano e colpiscono altrettanto o più di una commedia di poco al di sopra della mediocrità! Un verso in una lingua che ci è ignota, perfettamente ben recitato che sia, produce, nell’insieme, la stessa sensazione che produrrebbe se conoscessimo la lingua(*). (*) Filostrato, nella vita di Favorino, dice: «Quando declamava a Roma, tutti erano pieni del desiderio di ascoltarlo; e i suoi discorsi non erano privi di fascino anche per coloro ai quali la lingua greca era straniera»; e nella vita di Adriano di Fenicia: «Aveva talmente successo a Roma da ispirare il desiderio di ascoltarlo persino in coloro che non erano avvezzi alla lingua greca».
213. * I loro pianti sono indotti dai pianti degli altri. (M) * Aggiungete che nelle emozioni popolari e in altre circostanze in cui si verifica il terrore panico, la sensazione s’incrementa con lo spettacolo della moltitudine; gli uomini attingono nei visi, negli sguardi, nei gesti degli uni e degli altri, un di più di orrore e talvolta i più spaventati sono i meno istruiti del fatto. Essi interrogano; gli si risponde; e il loro trasporto si calma. (F) * Voi farete l’uso che più vi piacerà del fatto che segue; un letterato scommise che avrebbe fatto piangere tutto un uditorio con suoni e gesti, senza articolare nulla; e ci riuscì. Io, quando vorrete, farò venire la pelle d’oca a tutti coloro che mi ascolteranno, con queste quattro parole, la morte ci inghiottirà tutti;150 tali parole [sono] tuttavia abbastanza comuni; ma giudicherete voi stesso dalla varietà di declamazioni di cui sono suscettibili, quali gesti e quali accenti portano con sé. È (M) il principio fondamentale della poesia lirica. Poche parole al musicista; ma queste parole sono suscettibili di un gran numero di declamazioni;151 il che avvicina ancora la buona musica alla lingua primitiva, che non doveva essere prolissa.152 I selvaggi fanno duecento leghe senza parlare. Hanno un solo scopo che li segue e li occupa.153 9°. Quando vado passeggiando con una persona che ha le gambe più lunghe o più corte delle mie, i nostri primi passi non saranno isocroni; ma senza accorgercene, in ben poco tempo, cammineremo all’unisono; e anche quando andiamo a mettere uno il piede sinistro, l’altro il piede destro in avanti, di proposito, avremo una sensazione sgradevole di uno sforzo contro natura [214].
Diderot.indb 999
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1000
opere filosofiche
214. * Si un homme, votre interlocuteur parle très haut ; parlez bas ; parlez plus bas encore, et vous l’amènerez à être à peine entendu d’un tiers. (M) 10°. Lorsqu’on voit un homme en colère, ou un animal en fureur, sans qu’ils puissent assouvir, l’un sa vengeance, et l’autre sa rage, on verra des tiraillements de nerfs et de || muscles, des mouvements subits, fréquents, inquiets : mais tous ces mouvements ne sont pas ordonnés par la velléité, ni prémédités par la faculté intuitive de l’âme, pour qu’il en résulte telle ou telle action ou effet. Ces mouvements sont les suites nécessaires des mouvements primitifs des dernières fibres qui représentent les idées ; comme le mouvement d’un bout du bâton, est la suite nécessaire de celui de l’autre bout [215].
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215. * Explication précaire. Mais le fait est vrai. (M) 11°. Lorsqu’on médite [216] les choses même les plus abstraites, on s’apercevra toujours d’un mouvement plus ou moins faible dans l’organe de la || voix et dans celui de l’ouïe, qui communiquement nécessairement ensemble ; on sentira le commencement ou la fin d’un son articulé, une parole obscure, un mot conçu, mais informe encore : marque certaine que l’âme, en se rappelant les idées, se sert du mouvement [217] des fibres ; car quoiqu’elle n’ait pas la volonté d’exprimer son idée, ce premier mouvement des dernières fibres se propage pourtant assez pour qu’on s’en aperçoive, comme cette expérience le démontre manifestement.
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216. * Ce dernier fait n’est pas assez clairement énoncé. (M) 217. ; elle ne se sert pas ; mais elle agit sur les fibres. (M) | Je conclus de ces expériences, et de ce qui a précédé, 1°. Que nous avons des organes, || comme la vue, l’ouïe, le tact, etc. dont les dernières parties en mouvement représentent les idées des choses de dehors. 2°. Que l’âme a la faculté de reproduire ces mouvements, pour rappeler ces idées. 3°. Que l’âme [218] a la faculté de pousser ces mouvements des fibres jusque dans l’extrémité du corps, et de l’organe de la voix ; d’où naissent les gestes et les sons articulés.
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218. * Partout là au lieu d’âme, je mets l’homme ou l’animal, et ma philosophie conclut tout comme la vôtre, après avoir procédé comme elle parce que je n’aime pas les mots vides d’idées ; les agents introduits dans la nature, sans nécessité. Etc. (M)
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4°. Que par conséquent, tel son articulé est la suite nécessaire de telle idée. 5°. Que par conséquent, tel mot exprime telle idée. || 6°. Que le mouvement, produit dans le système d’un individu, produit des mouvements analogues ou conformes dans le système de l’autre ; c’est-à-dire, que le son articulé par un individu, étant introduit dans l’oreille d’un autre individu, donne à l’organe de la voix de cet autre, le même mouvement que celui qui a produit le son articulé dans l’organe de la voix du premier.
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osservazioni su hemsterhuis, 214-218
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214. * Se un uomo, vostro interlocutore, parla molto forte; parlate a bassa voce. Parlate ancora più basso, e lo porterete a essere inteso appena da un terzo. (M) 10°. Quando vediamo un uomo in collera, o un animale preso dal furore, senza che possano calmare, l’uno la sua vendetta e l’altro la sua rabbia, si vedranno degli stiramenti di nervi e di muscoli, dei movimenti vitali, frequenti, inquieti: ma tutti questi movimenti non sono ordinati dalla velleità, né premeditati dalla facoltà intuitiva dell’anima, perché ne risulti tale o talaltra azione o effetto. Quei movimenti sono le conseguenze necessarie dei movimenti primitivi delle ultime fibre che rappresentano le idee; come il movimento del capo di un bastone è la conseguenza necessaria di quello dell’altro capo [215].
215. * Spiegazione precaria. Ma il fatto è vero. (M) 11°. Quando si medita [216] persino sulle cose più astratte, ci si accorgerà sempre di un movimento più o meno debole nell’organo della voce e in quello dell’udito, che comunicano necessariamente insieme; si sentirà l’inizio o la fine di un suono articolato, una parola oscura, una parola immaginata, ma ancora informe: segno certo che l’anima, richiamando le idee, si serve del movimento [217] delle fibre; infatti, benché essa non abbia la volontà di esprimere la sua idea, questo primo movimento delle ultime fibre nondimeno si propaga abbastanza perché ci si accorga di esso, come questa esperienza lo dimostra in modo manifesto.
216. * Quest’ultimo fatto non è enunciato abbastanza chiaramente. (M) 217. ; essa non si serve; ma agisce sulle fibre. M) Ne concludo, da queste esperienze e da quanto le ha precedute, 1°. Che abbiamo degli organi, come la vista, l’udito, il tatto, ecc. le cui ultime parti in movimento rappresentano le idee delle cose fuori di noi. 2°. Che l’anima ha la facoltà di riprodurre questi movimenti per richiamare quelle idee. 3°. Che l’anima [218] ha la facoltà di spingere quei movimenti delle fibre fino all’estremità del corpo e dell’organo della voce; donde nascono i gesti e i suoni articolati.
218. * Ovunque al posto dell’anima, io metto l’uomo o l’animale, e la mia filosofia conclude proprio come la vostra, dopo aver proceduto come questa, perché io non amo le parole vuote di idee; gli agenti introdotti nella natura, senza necessità. Ecc. (M) 4°. Che di conseguenza, il tale suono articolato è la conseguenza necessaria di tale idea. 5°. Che di conseguenza tale parola esprime tale idea. 6°. Che il movimento, prodotto nel sistema di un individuo produce dei movimenti analoghi o conformi nel sistema dell’altro; cioè che il suono articolato da un individuo, una volta introdotto nell’orecchio di un altro individuo, dà all’organo della voce di quest’altro lo stesso movimento di quello che ha prodotto il suono articolato nell’organo della voce del primo.
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opere filosofiche
7°. Que par conséquent le même mot, ou le même son articulé, exprime dans tous les individus de la même espèce à peu près la même idée. 8°. Que par conséquent la || langue primitive a été une, et nécessaire [219].
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219. * Elle n’avait guère de mots ; ce n’étaient que quelques monosyllabes, interjectifs. (M) 9°. Que l’homme, par sa nature, a des signes communicatifs, ou une langue déterminée ; non une langue dont les mots imitent le bruit [220] (par exemple) des choses qu’ils désignent, mais dont les mots sont les résultats nécessaires du mouvement imprimé à l’organe de la voix par le premier mouvement, qui a servi à représenter les idées.
220. * Il ne faut pas en exclure ces mots ; on les retrouve dans les enfants ; ils font à tout moment des onomatopées. (M) | Vous me demanderez, quelle est donc cette première langue naturelle et nécessaire ? Il faudrait adresser cette demande à des sauvages, s’il y en a ; mais d’ailleurs, je || le répète, le travail de tant de siècles a tellement enveloppé la nature dans l’art, que rarement elle perce à travers ; et lorsqu’elle perce, elle est toujours encore imbibée, plus ou moins, de la teinture de son enveloppe. Si pourtant quelqu’un voulait se prêter à la pénible recherche d’une langue primitive, il la trouverait sûrement dans la musique sublime [221], qui n’est qu’un tissu de mots qui lui appartiennent. Lorsque je parlerai des connaissances humaines, je ferai voir pourquoi elle y est si méconnaissable.
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221. (J’aime cette idée) . (M) L’homme individu, tel que || nous l’avons considéré plus haut, n’ayant aucune sensation de la face morale de l’univers, n’en avait par conséquent aucune, ni du bien moral, ni du bien qu’on appelle physique. Tout ce qu’il voyait hors de lui, était effet, et effet nécessaire d’autres effets, dont il entrevoyait seulement une cause primitive. La coexistence de tels effets, ou celle de tels autres effets, produisait de nouveaux effets * [222], qui étaient également et nécessairement analogues à ces coexistences.
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222. * Louche. Un peu. (M) * Je crois qu’il y a quelque chose que vous n’avez pas aperçu, c’est dans la face tangible, une aversion, une haine pour tout ce qui blesse, cause de la douleur etc. Le cœur, pour me servir de votre expression avait été mis en action de très bonne heure, presque immédiatement après la naissance, comme nous le voyons dans nos enfants. De là origine du fétichisme. | De là, ce mouvement de colère et d’impatience qui nous fait quelquefois briser un corps inanimé qui nous a blessés. Le corps inanimé n’est pas modifiable. L’animal et l’homme sont modifiables ; Le châtiment les modifie même nécessairement.
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osservazioni su hemsterhuis, 219-222
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7°. Che di conseguenza la stessa parola, ossia lo stesso suono articolato, esprime in tutti gli individui della stessa specie all’incirca la stessa idea. 8°. Che di conseguenza la lingua primitiva è stata una, e necessaria [219].
219. * Questa non aveva affatto parole; non erano altro che pochi monosillabi, particelle interiettive. (M) 9°. Che l’uomo, per sua natura, dispone dei segni comunicativi, ossia una lingua determinata; non una lingua le cui parole imitano il rumore [220] (ad esempio) delle cose che essi designano, ma le cui parole sono i risultati necessari del movimento impresso all’organo della voce dal primo movimento che è servito a rappresentare le idee.
220. * Non bisogna escluderne queste parole; le ritroviamo nei bambini; essi fanno in ogni momento delle onomatopee. (M) Voi mi domanderete qual è dunque questa prima lingua naturale e necessaria? Bisognerebbe rivolgere tale domanda a dei selvaggi, se ce ne sono; ma d’altronde, lo ripeto, il lavoro di tanti secoli ha avviluppato a tal punto la natura nell’arte, che raramente essa vi traspare; e quando traspare, essa è ancor sempre imbevuta, più o meno, della tinta del suo involucro. Se purtuttavia qualcuno volesse prestarsi alla faticosa ricerca di una lingua primitiva, la troverebbe sicuramente nella musica sublime [221], la quale non è altro che un tessuto di parole che le appartengono. Quando parlerò delle conoscenze umane, farò vedere perché essa, al loro interno, è così irriconoscibile.
221. (Amo quest’idea).154 (M) L’uomo individuo, quale lo abbiamo considerato poco sopra, non avendo alcuna sensazione della faccia morale dell’universo, di conseguenza non ne aveva alcuna né del bene morale, né del bene che si chiama fisico. Tutto ciò che vedeva fuori di sé, era effetto, ed effetto necessario di altri effetti, di cui intravedeva soltanto una causa primitiva. La coesistenza di tali effetti, o quella di talaltri effetti, produceva dei nuovi effetti* [222], che erano ugualmente e necessariamente analoghi a quelle coesistenze.
222. * Oscuro. Un po’. (M) * Io credo che vi sia qualcosa di cui voi non vi siete accorto, c’è nella faccia tangibile, un’avversione, un odio per tutto ciò che ferisce, causa del dolore ecc. Il cuore, per servirmi della vostra espressione, era stato messo in azione molto presto, quasi immediatamente dopo la nascita, come lo vediamo nei nostri bambini. Da ciò l’origine del feticismo.155 Da ciò quel movimento di collera e d’impazienza che ci fa talvolta spezzare un corpo inanimato che ci ha ferito. Il corpo inanimato non è modificabile. L’animale e l’uomo sono modificabili; Il castigo li modifica anche necessariamente.
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Seule distinction qu’il y ait entre ces causes nuisibles, et seule base du châtiment ; seule excuse de l’effet du ressentiment. Sans cette modificabilité, celui qui frappe l’homme serait aussi stupide que le chien qui mord la pierre. Je ne puis m’empêcher de vous dire ici un mot de la force des idées morales. T. s’il. v. plaît. * Elles sont quelquefois plus fortes que les causes physiques. Nous tenterons plutôt de rompre les barres de fer d’une porte, que d’engager un domestique honnête à nous les ouvrir. Nous voyons plus de résistance dans sa probité, que dans la pierre, et le bronze . (F) La composition ou la décomposition des choses, n’étaient ni un bien ni un mal : c’était un changement. || Il avait peut-être l’idée du mal par celle de la douleur [223], en supposant que cette idée n’est pas tout à fait x une idée factice [224] ; mais aussitôt que les signes communicatifs, naturels à l’essence de l’homme, eurent produit un commerce d’idées et de sensations entre différentes velléités et différentes causes primitives d’actions, l’homme eut des sensations réelles des souffrances et des jouissances d’êtres homogènes à lui [225] : il compara l’état des autres au sien ; ce qui fit éclore l’idée du bien, tant moral que physique ; de même que l’idée de la | multiplicité des || choses, et celle de la succession des événements, avaient fait naître les idées de l’étendue et du temps : et comme, dans la face visible, l’idée de grandeur produit nécessairement l’idée de l’infini [226] ; ainsi, dans la face morale, l’idée du bien devait produire celle du meilleur. ## [227]
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223. * A-t-on une idée de la douleur. Rêvez-y un peu. Si on l’a, c’est par cette sympathie dont vous avez parlé plus haut. Cas rare. Dans l’état tranquille, c’est un mot abstrait ; dans l’application d’un mot abstrait qui renferme un grand nombre de cas particuliers, à un de ces cas, il naît un tableau, une image ; l’image qui naît de la description d’un goutteux, lorsque nous n’avons jamais eu la goutte, n’est qu’une énumération de symptômes extérieurs ; chacun de ces symptômes ou chaque mot dont je me sers pour les désigner, est absolument vide d’idées ; ce sont des signes de gestes auxquels l’expérience m’a appris et la mémoire me rappelle que le malaise est associé. (M) 224. X Je n’entends pas comment la douleur est une idée factice. (F) 225. A. Mais il en eut bien longtemps auparavant. Il y avait longtemps qu’il souffrait, qu’il s’indignait, qu’il aimait, qu’il haïssait etc. avant que d’avoir le moindre signe pour désigner ces sentiments. Et les animaux qui manquent de ces signes, selon vous, jusqu’à ce jour. Et les sauvages qui n’ont pas quarante mots. (F) 226. * J’aurais bien quelque chose à dire sur cette notion négative. (M) 227. # Pour vous dire la vérité, toute cette page-là et la suivante est le plus bel amphigouri platonique que j’aie lu. L’idée d’un tout, fini ou infini loin d’en entraîner la nécessité, n’en entraîne pas même l’existence. (M) |
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Sola distinzione che vi sia tra queste cause nocive, e la sola base del castigo; la sola scusa dell’effetto del risentimento. Senza questa modificabilità, colui che colpisce l’uomo sarebbe altrettanto stupido quanto il cane che morde la pietra.156 Non posso impedirmi di dirvi qui una parola sulla forza delle idee morali. T. per favore.157 * Esse sono talvolta più forti delle cause fisiche. Noi tenteremo piuttosto di rompere le sbarre di ferro di una porta, invece d’ingaggiare un domestico onesto ad aprircele per noi. Noi vediamo più resistenza nella sua probità, che nella pietra e nel bronzo.158 (F) La composizione o la decomposizione delle cose non erano né un bene né un male: erano un cambiamento. C’era forse l’idea del male derivata da quella del dolore [223], supponendo che quest’idea non è del tutto xun’idea fattizia [224]; ma presto, non appena i segni comunicativi, naturali per l’essenza dell’uomo, ebbero prodotto un commercio di idee e di sensazioni tra diverse velleità e diverse cause primitive d’azione, l’uomo ebbe delle sensazioni reali delle sofferenze e dei godimenti di esseri omogenei a lui [225]; paragonò lo stato degli altri con il suo; il che fece sbocciare l’idea del bene, tanto morale che fisico; come pure l’idea della molteplicità delle cose, e quella della successione degli eventi, avevano fatto nascere le idee dell’estensione e del tempo: e come, nella faccia visibile, l’idea di grandezza produce necessariamente l’idea dell’infinito [226]; così, nella faccia morale, l’idea del bene doveva produrre quella del migliore## [227].
223. * Si ha un’idea del dolore? Pensateci un po’. Se la si ha, è da quella simpatia di cui avete parlato poco prima.159 Caso raro. Nello stato tranquillo, è una parola astratta; nell’applicazione di una parola astratta che racchiude un gran numero di casi particolari, a uno di questi casi, nasce un quadro, un’immagine; l’immagine che nasce dalla descrizione di un uomo affetto di gotta, quando noi non abbiamo mai avuto la gotta, non è che un’enumerazione di sintomi esterni; ciascuno di questi sintomi, ovvero ciascuna parola di cui mi servo per designarli, è assolutamente vuota di idee; sono dei segni di gesti ai quali l’esperienza mi ha insegnato, e la memoria mi ricorda, che il malessere è associato. (M) 224. X Io non capisco come il dolore possa essere un’idea fattizia. 225. A. Ma ve ne furono certo molto prima. Era da molto che soffriva, che s’indignava, che amava, che odiava ecc. prima di avere il minimo segno per designare questi sentimenti. E gli animali che mancano di questi segni, secondo voi, fino a oggi. E i selvaggi che non hanno a disposizione quaranta parole. (F) 226. *Avrei proprio qualcosa da dire su questa nozione negativa. (M) 227. # A dirvi la verità, tutta questa pagina e la seguente è il più bell’imbroglio linguistico platonico che abbia mai letto. L’idea di un tutto, finito o infinito, lungi dall’implicarne la necessità, non ne implica neanche l’esistenza. (M)
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opere filosofiche
L’idée de plus grand, ou de l’infini, qui dérive de l’idée de grandeur, n’est pas une idée seulement d’une chose possible ou imaginaire ; c’est l’idée d’une chose nécessaire. Grandeur étant donnée, la réelle existence du plus grand, ou de l’infini, est nécessaire. Le Bien étant donné, l’idée de meilleur, ou du meilleur, || qui en dérive, n’est pas l’idée seulement d’une chose possible, mais d’une chose nécessairement existante. Comme la grandeur, appliquée à une chose réelle, a pour cause, puissance ; ainsi le bien, appliqué à l’état d’une essence, a pour cause, bonté [228].
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228. * Je vous avoue que je ne sais ce que cela signifie, et que ce sont des mots vides de sens, pour moi. (M) De la grandeur finie, je suis monté à l’étendue de l’univers, et par conséquent de la puissance finie à la puissance infinie [229] : ainsi je monte du bien au meilleur, et par conséquent de la bonté finie à la bonté infinie.
229. Je veux mourir, si je sais si l’univers est ou fini ou infini. Et quand je le pourrais démontrer infini, ce ne serait pas parce que l’idée de fini, m’aurait conduit à l’idée d’infini. Même vice dans la conclusion de la bonté finie, à la bonté infinie. (M) 128
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Voilà les premiers pas de l’homme doué de l’organe moral. || Quelle distance de lui, à l’individu tantôt épouvanté de l’énorme puissance ! | Figurez-vous un homme aveugle, qui pût entendre la marche pesante du vaste globe du soleil par-dessus sa tête ; la terreur l’anéantit : donnez-lui la vue, il adore l’aimable objet de sa crainte [230].
230. * Voilà un écart pindarique qui n’est point du ton de l’ouvrage. Ajoutez à cela que la marche pesante du globe solaire est chimérique. (M) De l’organe du tact résultent trois espèces de sensations différentes : celle de l’impénétrabilité, celle de la chaleur ≠, et celle de l’agréable [231].
231. ≠ Pourquoi pas celle du froid, du raboteux, du pointu. = Ce n’est pas là le mot. (M)
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De l’organe de l’ouïe résultent trois espèces de sensations différentes : celle de la || mesure : celle du son, et celle de l’harmonie (*). (*) Il faut remarquer ici, et il faudra s’en souvenir dans la suite, que l’harmonie et la mélodie ne sont proprement qu’une seule et même chose. L’harmonie est le résultat du rapport de deux sons coexistants, ou plutôt de deux idées de deux sons coexistantes. La mélodie est le résultat du rapport entre le son existant, et le son passé ou futur. Mais si l’idée du son passé, et souvent du son futur, ne coexistait pas avec l’idée du son actuellement existant, il n’y aurait pas de mélodie. Par conséquent la mélodie est le résultat du rapport de deux idées coexistantes, et ainsi la même chose proprement que l’harmonie. |
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De l’organe de la vue résultent trois espèces de sensations || différentes : celle de terme et de contour, celle de couleur, et celle de la beauté. * De l’organe moral résultent trois espèces de sensations différentes : celle de motif ou de désir, celle de devoir, et celle de la vertu [232].
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osservazioni su hemsterhuis, 228-231
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L’idea di più grande, o dell’infinito, che deriva dall’idea di grandezza, non è un’idea soltanto di una cosa possibile o immaginaria; e l’idea di una cosa necessaria. Essendo data la grandezza, la reale esistenza del più grande, o dell’infinito, è necessaria. Essendo dato il bene, l’idea di migliore, o del migliore che ne deriva, non è l’idea soltanto di una cosa possibile ma di una cosa necessariamente esistente. Come la grandezza, applicata a una cosa reale, ha per causa, la potenza; così il bene, applicato allo stato di un’essenza, ha per causa, la bontà [228].
228. * Vi confesso che non so che cosa significhi tutto questo, e che sono parole vuote di senso per me. (M) Dalla grandezza finita, sono salito fino all’estensione dell’universo, e di conseguenza dalla potenza finita alla potenza infinita [229]: così salgo dal bene al migliore e, di conseguenza, dalla bontà finita alla bontà infinita.
229. Voglio morire, se so se l’universo è finito o infinito. E quand’anche potessi dimostrarlo infinito, ciò non sarebbe perché l’idea di finito m’avrebbe condotto all’idea di infinito.160 Stesso vizio nella conclusione dalla bontà finita, alla bontà infinita. (M) Ecco i primi passi dell’uomo dotato dell’organo morale. Quale distanza da lui, all’individuo a volte spaventato dall’enorme potenza! Figuratevi un uomo cieco, che potesse sentire il passo pesante del vasto globo del sole sopra la sua testa; il terrore lo annienterebbe: dategli la vista, egli adora l’amabile oggetto del suo timore [230].
230. * Ecco un altro salto pindarico che non è affatto nel tono dell’opera. Aggiungete a ciò che il passo pesante del globo solare è cosa chimerica. (M) Dall’organo del tatto risultano tre specie di sensazioni diverse: quella dell’impenetrabilità, quella del calore ≠, e quella del gradevole [231].
231. ≠ Perché non quella del freddo, dello scabro, dell’appuntito. = Non è quella la parola. (M) Dall’organo dell’udito risultano tre specie di sensazioni diverse: quella della misura: quella del suono, e quella dell’armonia (*). (*) Bisogna notare qui, e bisognerà ricordarsene in seguito, che l’armonia e la melodia non sono propriamente che una sola medesima cosa. L’armonia è il risultato del rapporto di due suoni coesistenti, o piuttosto di due idee di due suoni coesistenti. La melodia è il risultato del rapporto tra il suono esistente e il suono passato o futuro. Ma se l’idea del suono passato, e spesso del suono futuro non coesistesse con l’idea del suono attualmente esistente, non vi sarebbe melodia. Di conseguenza, la melodia è il risultato del rapporto di due idee coesistenti, e così è propriamente la stessa cosa che l’armonia.
Dall’organo della vista risultano tre specie di sensazioni diverse: quella di termine e di contorno, quella di colore, e quella della bellezza. *Dall’organo morale risultano tre specie di sensazioni diverse: quella di motivo o di desiderio, quella di dovere e quella della virtù [232].
Diderot.indb 1007
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opere filosofiche
232. * Je ne sais ce que c’est que cet organe moral. J’en demande la place dans le corps humain. Ce n’est pas le cœur ; ce n’est pas le poumon ; ni l’estomac, ni le diaphragme, ni les nerfs. Etc. (M) * Le devoir et la vertu sont synonymes ; ou s’il y a quelque différence, c’est que la vertu n’est que le devoir rempli. Il faut chercher la notion du devoir, dans celle du bonheur individuel ; bien entendu. Un méchant est un homme qui veut son bonheur, et qui fait le contraire de ce qu’il veut. Il ne voit pas plus loin que son nez ; il calcule mal ; il fait à tout moment de faux marchés. (F) Remarquez, je vous prie, que dans ces quatre organes il y a quatre sensations qui paraissent avoir beaucoup de rapport ensemble, celles de la vertu, de la beauté, de l’harmonie, et de l’agréable ; ou bien celles de leurs contraires, du vice, du laid, du dissonant, et du désagréable [233]. On pourrait en conclure, ou que l’organe moral a une communication || avec les autres organes, ou bien que les faces de l’univers, qui sont tournées vers ces différents organes, ne sont pas si extrêmement dissemblables qu’elles nous le paraissent au premier abord [234]. |
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233. Autre amphigouri platonique. (M)
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234. * Le plaisir et la peine ; le désir et l’aversion qui naissent en nous et du physique et du moral est le lien commun de ces faces par rapport à nous. (M) Ces deux conclusions sont probablement vraies ; mais je fais cette réflexion principalement pour faire [235] voir, qu’il ne faut pas confondre la faculté intuitive, ou intellectuelle, avec l’organe moral.
235. fais faire. Néglig. de style. (M) La faculté intellectuelle, ou intuitive, forme l’idée générale de vertu [236], de la sensation de désir ou de motif, et de celle de devoir. Elle [237] forme || l’idée générale de beauté, de la sensation de terme ou de contour, et de celle de couleur. Elle forme l’idée générale d’harmonie, de la sensation du son, et de celle de la mesure. Elle compose [238] , dans ses actions, ses désirs et ses devoirs tellement, qu’il en résulte la vertu. Elle compose, dans ses tableaux, ses contours et ses couleurs tellement [239], qu’il en résulte la beauté. Elle compose, dans sa musique [240], les sons et la mesure tellement, qu’il en résulte l’harmonie.
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236. * Nous n’avons point d’idée générale de vertu ; nous avons un mot qui renferme dans son acception un grand nombre d’actions qui ont une qualité commune, la bienfaisance. Dites-en autant du désir, du motif et du devoir. Tout cela sont des termes abstraits, ou de réclame. | Algèbre A égal à tout ce qu’on veut Vertu égal à toute bonne action . (M) 237. * Tout cela et ce qui suit veut être réduit à plus de précision. (F) 238. / ordonne (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 232-238
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232. * Io non so che cos’è quest’organo morale. Ne chiedo qual è il posto nel corpo umano.161 Non è il cuore; non è il polmone; né lo stomaco, né il diaframma, né i nervi. Ecc. (M) *Il dovere e la virtù sono sinonimi; o se c’è qualche differenza, è che la virtù non è altro che il dovere compiuto.162 Bisogna cercare la nozione del dovere in quella della felicità individuale; bene intesa. Un malvagio è un uomo che vuole la sua felicità, e che fa il contrario di ciò che vuole. Egli non vede molto al di là del suo naso; calcola male; fa in ogni momento dei passi falsi. (F) Notate, vi prego, che in questi quattro organi ci sono quattro sensazioni che sembrano aver molti rapporti insieme, quelle della virtù, della bellezza, dell’armonia e del gradevole; oppure quelle dei loro contrari, del vizio, del brutto, del dissonante e dello sgradevole [233]. Se ne potrebbe concludere o che l’organo morale ha una comunicazione con gli altri organi, oppure che le facce dell’universo che sono rivolte verso questi diversi organi non sono così estremamente dissimili quanto ci appaiono di primo acchito [234].
233. Altro guazzabuglio platonico. (M) 234. * Il piacere e il dolore; il desiderio e l’avversione che nascono in noi e dal fisico e dal morale, è il legame comune di quelle facce in rapporto noi. (M) Queste due conclusioni sono probabilmente vere; ma io faccio questa riflessione principalmente per far [235] vedere che non bisogna confondere la facoltà intuitiva, o intellettuale, con l’organo morale.
235. Faccio fare. Negligenza di stile. (M) La facoltà intellettuale, o intuitiva, forma l’idea generale di virtù [236], dalla sensazione di desiderio o di motivo, e di quella di dovere. Essa [237] forma l’idea generale di bellezza, dalla sensazione di termine o di contorno, e da quella di colore. Essa forma l’idea generale di armonia, dalla sensazione del suono e da quella della misura. Essa compone [238], nelle sue azioni, i suoi desideri e i suoi doveri a tal punto che ne risulta la virtù. Essa compone, nei suoi quadri, i suoi contorni e i suoi colori in tal modo [239] che ne risulta la bellezza. Essa compone, nella sua musica [240], i suoni e la misura in tal modo che ne risulta l’armonia.
236. *Non abbiamo alcuna idea generale di virtù; abbiamo una parola che racchiude, nella sua accezione, un gran numero di azioni che hanno una qualità comune, la beneficenza.163 Dire altrettanto del desiderio, del motivo e del dovere. Tutti questi sono termini astratti, o di richiamo. Algebra A uguale a tutto ciò che si vuole. Virtù uguale a ogni buona azione. (M) 237. * Tutto questo e ciò che segue vuole essere ridotto a maggiore precisione. (F) 238. / Ordina. (F)
Diderot.indb 1009
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opere filosofiche
239. elle forme ses contours et place ses couleurs (M) 240. elle emploie / (F) Ménédeme l’Erétrien prétend avec raison, que la justice, la prudence, le courage, || sont des noms de parties ou de différentes modifications de la vertu. C’est ainsi que l’élégant, le gracieux, sont des noms de différentes modifications de la beauté ; et que le pathétique, le terrible, etc. sont des noms de différentes modifications de l’harmonie. Une marque certaine que nous avons les sensations de l’amour, de la haine, de l’estime, par le moyen d’un organe [241], c’est qu’aucun homme, quelque peu cultivé qu’il puisse être, ne se trompe dans ces sensations [242], non plus que dans les idées d’un arbre, d’un astre, d’une tour, ou || dans celles du ut, du ré, du mi. Tous les hommes en ont les mêmes sensations, à proportion de la perfection réciproque de leurs organes#. [243] Mais de la justice, de la prudence, du courage, de l’élégant, du gracieux, du pathétique, du terrible, du velouté, de la rudesse, ce n’est pas la même chose : ces idées sont des parties ou des modifications de la vertu, de la beauté, de l’harmonie, et de l’agréable, qui dépendent toutes, comme j’ai dit, de l’Intelligence, qui les réduit toutes à l’idée générale et relative de bon et de mauvais [244].
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241. Encore une fois, assignez-le donc ? (M) 242. La preuve est mauvaise ; si cet organe n’est pas le même d’où émane l’intuition ; mais cette intuition exerce dans les nerfs des mouvements très particuliers et très distincts. (M) | 349
243. # Ou je me trompe fort, ou il y [a] encore plus de variétés entre les idées morales, qu’entre les images physiques ; dans une société d’hommes. Le bon et le mauvais moral sont moins déterminés que le bon et le mauvais physique. Parce que le bon et le mauvais moral sont des idées bien plus compliquées ; peutêtre pas deux hommes qui aient strictement la même idée de la décence ; du moins aussi strictement que du raboteux, du pointu, du doux et de l’amer. (F) 244. Il y a peu de vrai sens là-dedans, du moins au premier coup d’œil. (M) # Le bon et le mauvais ne || sont pas des choses contraires : c’est la modification de la société, et celle de nos actions par rapport à elle, qui nous a placés exactement au milieu, entre ce que nous appelons bon et mauvais. Ce que nous appelons indifférent est entre deux ; et c’est de cet indifférent que nous avons appris à commencer de compter, pour apprécier le degré de bonté ou de mauvaiseté des choses et des actions [245].
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245. *Donnez-vous la peine de relire tout cela ; et de voir si vous avez dit bien précisément ce que [vous] vouliez dire. Le bon et le mauvais ne sont pas des choses contraires. C’est la modification de la société et celle de nos actions par rapport à elle qui nous a placés exactement dans le milieu. Ce que nous appelons indifférent est entre deux. Fiat lux.
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osservazioni su hemsterhuis, 239-245
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239. Essa forma i suoi contorni e colloca i suoi colori. (F) 240. Essa impiega / (F) Menedemo l’Eretrio pretende, a ragione, che la giustizia, la prudenza, il coraggio sono dei nomi di parti o di diverse modificazioni della virtù. È così che l’elegante, il grazioso, sono nomi di diverse modificazioni della bellezza; e che il patetico, il terribile, ecc. sono nomi di diverse modificazioni dell’armonia. Un segno certo del fatto che noi abbiamo le sensazioni dell’amore, dell’odio, della stima, per mezzo di un organo [241], è che nessun uomo, per quanto poco colto possa essere, non s’inganna in queste sensazioni [242], non più che nelle idee di un albero, di un astro, di una torre o in quelle del do, del re, del mi. Tutti gli uomini hanno le stesse sensazioni, in proporzione alla perfezione reciproca dei loro organi# [243]. Ma della giustizia, della prudenza, del coraggio, dell’elegante, del grazioso, del patetico, del terribile, del vellutato, della rudezza, non è la stessa cosa: queste idee sono delle parti o delle modificazioni della virtù, della bellezza, dell’armonia e del gradevole, che dipendono tutte, come ho detto, dall’Intelligenza che le riduce tutte all’idea generale relativa di buono e di cattivo [244].
241. Ancora una volta, assegnatelo dunque? (M) 242. La prova è sbagliata; se quest’organo non è lo stesso dal quale emana l’intuizione; ma quest’intuizione esercita nei nervi dei movimenti assai particolari e assai distinti. (M) 243. # O m’inganno davvero, oppure ci sono ancora più varietà tra le idee morali che tra le immagini fisiche, in una società di uomini. Il buono e il cattivo morale sono meno determinati del buono e del cattivo fisico. Perché il buono e il cattivo morale sono delle idee ben più complicate; forse non ci sono due uomini che abbiano rigorosamente la stessa idea della decenza; quantomeno non altrettanto rigorosamente quanto quella del rugoso, del dolce e dell’amaro.164 (F) 244. C’è poco significato vero in tutto ciò, almeno alla prima occhiata. (M) # Il buono e il cattivo non sono cose contrarie: è la modificazione della società, e quella delle nostre azioni in rapporto a essa, che ci ha collocati esattamente in mezzo, tra ciò che chiamiamo buono e cattivo. Ciò che chiamiamo indifferente è tra i due; e da questo indifferente abbiamo anche imparato a iniziare a contare, per apprezzare il grado di bontà o di cattiveria delle cose e delle azioni [245].
245. * Fate lo sforzo di rileggere tutto questo; e di vedere se avete detto in modo sufficientemente preciso ciò che volevate dire. Il buono e il cattivo non sono delle cose contrarie. È la modificazione della società e quella delle nostre azioni, in rapporto a essa, che ci ha collocati esattamente nel mezzo. Ciò che noi chiamiamo indifferente è tra i due. Fiat lux.
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opere filosofiche
Je suis bien mécontent de ces dix à douze dernières pages. Lock n’aurait jamais dit rien de pareil. Ce sont bien les faces d’une effervescence d’imagination, pour me servir d’une de vos métaphores. | Jusqu’ici j’ai considéré les différentes sensations que nous avons par les différents organes, autant qu’elles paraissent analogues entre elles, afin de faire sentir, que la face morale || de l’univers se manifeste aussi bien par le moyen d’un organe, que toutes les autres faces ; mais j’ajoute, que cette analogie est parfaite, pourvu qu’on fasse attention à ceci. Nous sommes passifs dans toutes les sensations que nous avons des différentes faces de l’univers : nous sommes passifs dans les sensations d’impénétrabilité et de chaleur, de mesure et de son, de contour et de couleur, de désir et de devoir. Mais, dira-t-on, dans les sensations de désir et de devoir, la chose pourtant paraît être un peu autrement, || parce qu’on dit je désire et je dois. Dans les sensations de désir et de devoir, nous sommes réellement passifs, tant que nous ne considérons que les désirs et les devoirs des autres, ou tant que nous considérons des désirs et des devoirs [246] remplis dans des actions qui ne sont pas les nôtres ; et la différence apparente entre la nature de l’organe moral, et entre celle des autres organes, résulte uniquement de ce que pour cet organe le moi lui-même devient un objet de contemplation, comme toutes les autres choses connues sont des objets de || contemplation pour nos autres organes [247].
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246. * Nous sommes tout aussi passifs dans le désir et le devoir ; dans le désir, car il a un objet qui se présente à moi aussi involontairement qu’un objet physique, à mes sens, et dont ou la présence ou le ressouvenir me meut tout aussi involontairement. Et ainsi du devoir ; ou du bonheur qui m’est propre et que je considère sous un certain point de vue qui m’invite ou m’éloigne d’une action. L’idée de mon bonheur, et tout ce qui s’ensuit ou vient au moment où je m’y attends le moins, ou ne vient pas, ou produit un effet ou n’en produit point. (F) | 351
247. * Effacez-moi partout ce mot d’organe qui se fait chercher et qu’on ne trouve point, et tout ira aussi bien. (M) Supposons que ce moi, qui tient à présent à la face morale, tînt à la face sonore, et que par conséquent le moi fût un objet de contemplation pour l’âme par l’oreille, comme il l’est maintenant par l’organe moral ; notre velléité intelligente et contemplative aurait la faculté de le modifier tellement, qu’il résulterait une harmonie entre lui et les objets sonores hors de lui, et nous aurions une sensation distincte, intime, identique, et fort désagréable de la dissonance entre le moi et les choses hors de lui [248]. ||
248. * Mais le moi tient à toutes les faces du monde, qui me sont sensibles et que j’ai senties ; c’est la mémoire des sensations que j’ai éprouvées et qui font l’histoire de ma vie ; histoire qui commence un peu plus tôt ou un [peu] plus tard pour un individu et un autre individu.
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osservazioni su hemsterhuis, 245-248
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Sono assai scontento di queste dieci o dodici ultime pagine. Locke non avrebbe mai detto nulla di simile. Sono certo le facce di un’effervescenza di immaginazione, per servirmi di una delle vostre metafore. Fin qui ho considerato le diverse sensazioni che abbiamo dai diversi organi, per quel tanto che esse appaiono analoghe tra loro, al fine di far sentire che la faccia morale dell’universo si manifesta altrettanto per mezzo di un organo, quanto tutte le sue altre facce; ma aggiungo che quest’analogia è perfetta, purché si faccia attenzione a ciò. Noi siamo passivi in tutte le sensazioni che abbiamo delle diverse facce dell’universo: siamo passivi nelle sensazioni d’impenetrabilità e di calore, di misura e di suono, di contorno e di colore, di desiderio e di dovere. Ma, si dirà, nelle sensazioni di desiderio e di dovere, la cosa purtuttavia sembra stare un po’ diversamente, perché si dice io desidero e io devo. Nelle sensazioni di desiderio e di dovere, noi siamo realmente passivi, finché non consideriamo altro che i desideri e i doveri degli altri, o finché non consideriamo desideri e doveri [246] soddisfatti in azioni che non sono le nostre; e la diversità apparente tra la natura dell’organo morale e tra quella degli altri organi, risulta unicamente dal fatto che per quest’organo l’io stesso diventa un oggetto di contemplazione, come tutte le altre cose conosciute sono degli oggetti di contemplazione per gli altri nostri organi [247].
246. * Siamo altrettanto passivi nel desiderio quanto nel dovere; nel desiderio, perché c’è un oggetto che si presenta a me altrettanto involontariamente quanto un oggetto fisico ai miei sensi, e la cui presenza o la rievocazione mi muove altrettanto involontariamente. E così del dovere; o della felicità che mi è propria e che io considero sotto un certo punto di vista, che mi invita o mi allontana da un’azione. L’idea della mia felicità, e tutto ciò che ne consegue, o viene nel momento in cui meno me l’aspetto, o non viene, o produce un effetto o non ne produce affatto.165 (F) 247. * Cancellatemi ovunque questa parola organo che si fa cercare e non si trova affatto, e tutto andrà molto bene. (M) Supponiamo che questo io, che si rivolge in questo momento alla faccia morale, si rivolga alla faccia sonora, e che di conseguenza l’io fosse un oggetto di contemplazione per l’anima dall’orecchio, come lo è ora con l’organo morale; la nostra velleità intelligente e contemplativa avrebbe la facoltà di modificarlo in tal modo che risulterebbe un’armonia tra esso e gli oggetti sonori fuori di lui, e avremmo una sensazione distinta, intima, identica, è molto sgradevole della dissonanza tra l’io e le cose fuori di esso [248].
248. * Ma l’io si rivolge a tutte le facce del mondo che mi sono sensibili e che io ho sentite; è la memoria delle sensazioni che ho provato e che fanno la storia della mia vita; storia che inizia un po’ prima o un po’ più tardi, per un individuo e per un altro individuo. Io non so che cosa significa tutto questo. (M) ** Voi avete detto in precedenza che l’unione di un’anima non era forse possibile se non per un animale;166 sarebbe per il fatto che avreste presentito tutte le conseguenze dell’opinione contraria.
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Je ne sais ce que tout cela signifie. (M) ** Vous avez dit antérieurement que l’union d’une âme n’était peut-être possible qu’à un animal ; serait-ce que vous auriez pressenti toutes les suites de l’opinion contraire. En effet si l’union de votre molécule spirituelle avec toute substance matérielle était possible, je ne vois aucunes sortes de prodiges qu’on ne vous fît avaler. Mais est-ce que les conséquences naturelles et absurdes d’une opinion ne démontrent pas l’absurdité de l’opinion. Ou niez l’union possible de l’âme avec toute matière ; contre la bonne logique. | Ou admettez cette possibilité ; et ne niez aucun des prodiges qu’on vous racontera. Nota. Ce n’est pas ici le lieu de cette observation ; il faut la renvoyer à un endroit antérieur. (F) * Cette sensation distincte, intime, et désagréable de dissonance, dont on peut même se former une idée, est le tableau le plus parfait du remords de la conscience, qui suit nécessairement l’intuition d’une mauvaise action qu’on vient de commettre [249].
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249. * Voilà une bien étrange transition ; d’une supposition la plus extraordinaire qui se pouvait faire, à la dissonance morale, à la conscience, au remords. Il me semble qu’on explique ces phénomènes d’une manière bien plus simple. Nous ne pouvons exister longtemps sans concevoir des idées d’ordre et [de] désordre, de bienfaisance et de malfaisance, d’amour et d’aversion en nous et dans les autres. Il est impossible que nous ne jugions pas nos propres actions, en les comparant à ces idées. Il est impossible que nous ne nous avouions pas à nous-mêmes leur conformité ou opposition à ces idées ; et voilà la conscience qui juge. Il est impossible que nous nous refusions le mépris que nous aurions pour un autre qui les aurait commises ; et voilà le remords qui naît. Il est impossible que nous entendions les autres détester ces actions et ceux qui les ont commises ; sans rougir, et voilà la honte ; sans craindre d’être découverts et d’en être châtiés ; et voilà le malaise du malfaiteur. | Une autre source du remords, c’est lorsque nous nous sommes exposés à un grand déshonneur, par une mauvaise action qui ne nous rendait pas l’équivalent. Alors réfléchissant à cette (F) action et aux suites qu’elle a eues ou qu’elle pouvait avoir, nous rougissons secrètement de ce plat échange. Ou vous voyez que je fais entrer dans le remords, toute peine secrète occasionnée par le ressouvenir d’une mauvaise action, quel qu’en soit le motif. Le méchant a quelquefois le remords de n’avoir pas fait aussi mal qu’il pouvait faire. (M) Ayant démontré, autant qu’il m’a été possible, par l’analogie de toutes nos façons d’apercevoir, la grande probabilité de l’existence réelle d’un organe moral [250], je ferai quelques réflexions encore, qui pourront servir à la constater ; mais, avant tout, je vous supplie de faire cette observation, que nous avons || appris à appeler matériel et physique tout ce dont nous avons des idées distinctes et individuelles, et que si nous avions de telles idées [251] de ce que nous appelons immatériel, nous appellerions cet immatériel même physique et matériel (B) [252].
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250. * Si nous avions un organe moral, son exercice continuel ne nous laisserait non plus perplexes sur son lieu et son existence que nous ne le sommes sur nos yeux et nos oreilles. (M) |
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osservazioni su hemsterhuis, 248-250
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In effetti, se l’unione della vostra molecola spirituale con ogni sostanza materiale fosse possibile, io non vedo nessuna specie di prodigi che non vi si faccia ingoiare. Ma le conseguenze naturali e assurde di un’opinione non dimostrano l’assurdità dell’opinione stessa. O negate l’unione possibile dell’anima con ogni materia; contro la buona logica. Oppure ammettete questa possibilità; e non negate alcuno dei prodigi che vi verrà raccontato. Nota. Non è qui il luogo giusto per quest’osservazione; bisogna rinviarla a un luogo precedente.167 (F) * Questa sensazione distinta, intima, e sgradevole di dissonanza, di cui ci si può persino formare un’idea, è il quadro più perfetto del rimorso della coscienza, che segue necessariamente l’intuizione di una cattiva azione che si è appena commessa [249].
249. * Ecco una transizione molto strana; da una supposizione, la più straordinaria che si poteva fare, alla dissonanza morale, alla coscienza, al rimorso. Mi sembra che questi fenomeni si spieghino in una maniera molto più semplice. Noi non possiamo esistere a lungo senza concepire delle idee d’ordine e [di] disordine, di benevolenza e di malevolenza, di amore e di avversione, in noi e negli altri. È impossibile non giudicare le nostre proprie azioni, senza paragonarle a quelle idee. È impossibile non confessare a noi stessi la loro conformità o opposizione a quelle idee; ed ecco la coscienza che giudica. È impossibile rifiutarsi il disprezzo che avremmo per un altro che le avesse commesse; ed ecco che nasce il rimorso. È impossibile sentire gli altri detestare queste azioni e coloro che le hanno commesse; senza arrossire, ed ecco la vergogna; senza temere di essere scoperti e di esserne puniti; ed ecco il malessere del malfattore. Un’altra fonte del rimorso è quando ci siamo esposti a un grande disonore, con una cattiva azione che non ci procura l’equivalente. Allora riflettendo a questa (F) azione e alle conseguenze che essa ha avuto o che potrebbe avere, arrossiamo segretamente di questo piatto scambio. O voi vedete che io ricomprendo nel rimorso ogni pena segreta cagionata dalla rievocazione di una cattiva azione, qualunque ne sia il motivo. Il malvagio ha talvolta il rimorso di non aver fatto abbastanza male quanto poteva farne.168 (M) Avendo dimostrato, per quanto m’è stato possibile, con l’analogia di tutte le nostre maniere di percepire, la grande probabilità dell’esistenza reale di un organo morale [250], farò ancora alcune riflessioni che potranno servire a constatarla; ma, prima di tutto, vi supplico di fare quest’osservazione: che abbiamo imparato a chiamare materiale e fisico tutto ciò di cui abbiamo delle idee distinte e individuali, e che se avessimo simili idee [251] di ciò che noi chiamiamo immateriale, chiameremmo questo immateriale anche fisico e materiale [252].
250. * Se noi avessimo un organo morale, il suo esercizio continuo non ci lascerebbe più perplessi sul suo luogo e la sua esistenza, di quanto non lo siamo a proposito dei nostri occhi e delle nostre orecchie. (M)
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opere filosofiche
251. * C’est que nous ne les aurions pas telles ; et qu’il serait impossible que nous les eussions telles. (M) 252. (B) Mais pourquoi n’appellerions-nous pas matériel et physique, ce qui ne l’est pas. Y a-t-il quelque chose d’impossible à l’être suprême que vous admettez ? Vous êtes perpétuellement joué par des apparences. * Lorsque nous entendons de grands et de sublimes accords en musique, lorsque nous voyons une chose nouvelle étonnante et inattendue, lorsque nous entendons ou que nous lisons le récit d’une action frappante, héroïque, et généreuse [253] ; nous pâlissons, nous frémissons [254] , nous sentons une espèce de raidissement de (Q) || cœur, accompagné d’une titillation dans les veines, jusque dans les dernières extrémités du corps [255].
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253. * Mais il ne faut point d’organe moral propre et particulier pour expliquer ces phénomènes-là. Ils sont expliqués et très bien expliqués dans tous ceux qui se sont occupés de ces phénomènes. (F) 254. * C’est que nous sommes bien aises qu’il y ait des hommes qui soient capables de ces actions ; c’est qu’accompagnées de péril, ou de grand sacrifice, nous nous mettons à la place du héros, et pâlissons, frémissons pour nous-mêmes. (M) 255. (Q) Il n’y a point de raidissement, ni de serrement, ni de dilatation de cœur ; pas plus que d’épanouissement de rate. (F) Lorsque nous voyons un homme vertueux persécuté et terrassé par sa mauvaise fortune, et implorant notre secours ; en soulageant ses peines nos larmes coulent, ou de pitié, ou de plaisir [256]. | 355
256. C’est que nous pleurons sur nous-mêmes. C’est que c’est à nous-mêmes que nous donnons l’aumône. C’est que tout cela n’est que le phénomène du couvreur que nous voyons suspendu à une corde et qui nous transit de frayeur. C’est que l’imagination nous accroche à la même corde . (M) Des personnes, heureusement assez sensibles pour faire souvent ces espèces d’expériences, sentiront incontestablement, que jamais l’âme n’est plus passive que dans ces moments [257] ; et que, bien loin que l’âme soit la cause de ces effets, elle fait, par éducation, || des efforts, très souvent inutiles, pour retenir les pleurs, et conserver à son corps une contenance décente [258].
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257. * Il y a deux moments, très voisins ; l’un où nous recevons l’impression de la scène pathétique, et où nous sommes très passifs. | L’autre où nous nous substituons à la place du personnage malheureux, et où nous sommes actifs. Nous sommes encore actifs d’une multitude de manières différentes ; les signes extérieurs de notre sensibilité encouragent les autres à être bons ; c’est une manière très fine de nous louer nous-mêmes et d’exhorter les autres. Ils nous montrent aux autres
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osservazioni su hemsterhuis, 251-257
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251. * È che noi non le avremmo di simili; e sarebbe impossibile che le avessimo tali. (M) 252. B. Ma perché dovremmo chiamare materiale e fisico ciò che non lo è? C’è qualcosa di impossibile per l’essere supremo che voi ammettete? Voi siete continuamente ingannato dalle apparenze. * Quando sentiamo grandi e sublimi accordi di musica, quando vediamo una cosa nuova stupefacente e inattesa, quando sentiamo o leggiamo il racconto di un’azione notevole, eroica e generosa [253]; impallidiamo, fremiamo [254], sentiamo una specie di (Q) irrigidimento di cuore, accompagnato da un titillamento nelle vene, fin nelle ultime estremità del corpo [255].
253. * Ma non occorre alcun organo morale proprio e particolare per spiegare questi fenomeni. Sono spiegati e spiegati assai bene da tutti coloro che si sono occupati di tali fenomeni. (F) 254. * È che noi siamo ben contenti che vi siano degli uomini capaci di quelle azioni; perché, accompagnate da pericolo o da grande sacrificio, ci mettiamo al posto dell’eroe, e impallidiamo, fremiamo per noi stessi.169 (M) 255. (Q) Non c’è alcun irrigidimento, né stretta, né dilatazione di cuore; non più di quanto vi sia un’espansione della milza. (F) Quando vediamo un uomo virtuoso perseguitato e abbattuto per la sua cattiva fortuna e che implora il nostro aiuto; alleviando le sue pene, le nostre lacrime scorrono o per pietà, o per piacere [256].
256. È che noi piangiamo su noi stessi. Perché è a noi stessi che facciamo l’elemosina. Perché tutto questo non è altro che il fenomeno del giocoliere che vediamo sospeso a una corda e ci agghiaccia dallo spavento. Perché l’immaginazione ci appende alla medesima corda. (M) Delle persone, felicemente abbastanza sensibili da fare spesso queste specie di esperienze, sentiranno incontestabilmente che mai l’anima è più passiva come in questi momenti [257]; e che ben lungi dal fatto che l’anima sia la causa di quegli effetti, essa fa, per educazione, degli sforzi molto spesso inutili per trattenere le lacrime e conservare al proprio corpo un contegno decente [258].
257. * Ci sono due momenti, molto vicini; uno in cui riceviamo l’impressione della scena patetica e in cui siamo molto passivi. L’altro, in cui ci sostituiamo al posto del personaggio sventurato, e in cui siamo attivi. Siamo attivi anche in una moltitudine di maniere diverse; i segni esteriori della nostra sensibilità incoraggiano gli altri a essere buoni; è una maniera molto fine di lodare noi stessi e di esortare gli altri. Tali segni ci mostrano agli altri sotto un aspetto
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sous un aspect très favorable ; et ces signes leur promettent un honnête homme en qui ils peuvent avoir confiance. Or il est de notre intérêt que les autres soient bons et qu’ils nous prennent pour tels. (F) 258. * C’est qu’alors il y a deux motifs, le motif de l’homme, et le motif de sa condition ; il ne peut être en même temps homme et magistrat. (M) Ces effets, ou ces mouvements des parties du corps, ont nécessairement une cause : cette cause doit être, ou la velléité de l’âme qui habite ce corps, ou le mouvement imprimé par quelque corps étranger [259].
259. C’est ce dernier. Ou par quelque idée réveillée, mais qui émane toujours primitivement des sens et de leur exercice. (M) Supposons qu’il n’y ait pas de véhicule particulier pour les sensations de la face morale, et que les idées de ces accords, de cette chose nouvelle, de la belle action, du vertueux persécuté, ne nous || viennent que par le chemin des yeux et des oreilles ; tous ces objets, en tant qu’ils tiennent à la face visible ou sonore, nous sont totalement indifférents [260] : par conséquent le mouvement imprimé aux fibres des organes de la vue et de l’ouïe, ne saurait produire dans le corps les prodigieux effets que ces objets y occasionnent ; et ainsi, il faut que ces fibres donnent un espèce de mouvement à l’organe moral, dont les plus grands efforts se manifestent effectivement vers le cœur et dans le sang [261]. |
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260. * En tant qu’ils tiennent à la face visible ou sonore, ils ne nous sont pas plus indifférents que la vue d’un serpent ou le coup de tonnerre. L’expérience m’a appris les suites de ces sensations ; j’ai vu les effets de la présence dangereuse de ces objets ; je les ai connus ; toutes les fibres de mon corps en ont pris une certaine oscillation ; et cette oscillation revient soit au retour des [mêmes objets, soit au récit etc. Et pour cela, il ne faut point d’organe particulier ; celui qui nous sert à associer deux idées est suffisant. Ce qui vous montre l’homme passif dans ces circonstances ; c’est que vous ne vous êtes pas demandé une seule fois ce que c’est que l’habitude ; question très embarrassante, non pour un matérialiste, mais bien pour un spiritualiste. L’habitude fait disparaître xx T.s.v.pl. (M) tout ce qu’il y avait d’actif dans l’être sensible, et le rend alors peut-être totalement passif. Lorsque nous vîmes pour la première fois, nous entendîmes quelque chose de grand, de merveilleux, d’admirable, de touchant, de pathétique etc. Nous fûmes passifs, puis actifs ; passifs dans la sensation ; actifs dans la réflexion, qui fut suivie de convulsions organiques. Par la répétition habituelle de ces phénomènes qui se passèrent en nous, les convulsions organiques se lièrent si bien en nous, avec la sensation ou les signes de la sensation, tels que le récit, que nous devînmes totalement passifs. En voulez-vous une preuve. C’est que la convulsion organique est toujours proportionnée à l’expérience et à la connaissance que nous avons de la chose. L’homme riche qui n’a point éprouvé la misère est dur ; les douleurs de l’enfantement touchent peu l’homme, qui ne saurait se mettre à la place de la femme qui accouche. |
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osservazioni su hemsterhuis, 257-260
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molto favorevole; e quei segni promettono loro un uomo onesto, nel quale possono avere fiducia. Ora è nostro interesse che gli altri siano buoni e che ci prendano per tali. (F) 258. * È allora che ci sono due motivazioni, la motivazione dell’uomo, e la motivazione della sua condizione; egli non può essere, al tempo stesso, uomo e magistrato. (M) Questi effetti, ossia questi movimenti delle parti del corpo, hanno necessariamente una causa: questa causa deve essere o una velleità dell’anima che abita questo corpo, o il movimento impresso da qualche corpo estraneo [259].
259. È quest’ultimo caso. O con qualche idea suscitata, ma che emana sempre primitivamente dai sensi e dal loro esercizio. (F) Supponiamo che non vi sia un veicolo particolare per le sensazioni della faccia morale, e che le idee di questi accordi, di questa cosa nuova, della bella azione, del virtuoso perseguitato, non ci vengano che per il tramite degli occhi e delle orecchie; tutti questi oggetti, in quanto si riferiscono alla faccia visibile o sonora, ci sono totalmente indifferenti [260]: di conseguenza, il movimento impresso alle fibre degli organi della vista e dell’udito, non potrebbe produrre nel corpo i prodigiosi effetti che quegli oggetti vi occasionano; e così, bisogna che quelle fibre diano una specie di movimento all’organo morale, i cui maggiori sforzi si manifestano effettivamente verso il cuore e nel sangue [261].
260. * In quanto esse si riferiscono alla faccia visibile o sonora, essi non ci sono più indifferenti quanto la vista di un serpente o il boato di un tuono. L’esperienza mi ha insegnato le conseguenze di queste sensazioni; ho visto gli effetti della presenza pericolosa di questi oggetti; li ho conosciuti; tutte le fibre del mio corpo ne hanno preso una certa oscillazione; e questa oscillazione ritorna, o al ritorno degli stessi oggetti, oppure al racconto ecc. E per questo, non occorre alcun organo particolare; quello che ci serve ad associare due idee è sufficiente. Quello che vi mostra l’uomo passivo, in queste circostanze, è che voi non vi siete domandato una sola volta che cos’è l’abitudine; domanda molto imbarazzante, non per un materialista, ma molto di più per uno spiritualista. L’abitudine fa scomparire. T.s.v.pl.170 (M) tutto ciò che c’era di attivo nell’essere sensibile, e lo rende allora forse totalmente passivo. Quando vedemmo per la prima volta, ascoltammo qualcosa di grande, di meraviglioso, di ammirevole, di toccante, di patetico ecc. fumo passivi, poi attivi; passivi nella sensazione; attivi nella riflessione, che fu seguita da convulsioni organiche. Con la ripetizione abituale di quei fenomeni che accaddero in noi, le convulsioni organiche si collegarono così bene in noi con la sensazione o con i segni della sensazione, come il racconto, che diventammo totalmente passivi. Ne volete una prova. Perché la convulsione organica è sempre proporzionata all’esperienza e alla conoscenza che abbiamo della cosa. L’uomo ricco che non ha mai provato la miseria è duro; i dolori del parto toccano poco l’uomo, che non potrebbe mettersi al posto della donna che partorisce.
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Cependant il en est plus ou moins touché ? comment cela se fait-il ? le voici. Il compare la porte avec l’hôte qui doit passer par cette porte ; et il frémit ; précisément, comme la jeune fille à qui l’on expliquerait la physiologie de l’accouchement. Si l’on a assisté à des couches ; à ces réflexions se joignent les cris, les contorsions, en un mot toute l’image de cette sorte de douleur. Etc. XXX XXX. Combien de circonstances où nous frémissons, quoiqu’il n’y ait aucun danger pour celui que nous voyons. Mais aussitôt que l’idée de danger disparaît, le frémissement cesse. (F) 261. ** Je ne suis point étonné de votre imagination d’un sixième sens. Et je sens à merveille, comment vous et les autres y avez été conduits. C’est l’obscurité de votre style ; et ce sixième sens qui ont gâté votre ouvrage aux yeux de nos penseurs de Paris. L’intervention de ce sixième sens ne me paraît d’ailleurs aucunement nécessaire au but de votre ouvrage x. (F) Je pourrais ajouter d’autres choses encore, pour démontrer || que les organes mêmes de l’odorat, du goût, et du tact, peuvent communiquer une espèce de mouvement à l’organe moral ; mais je finis cette partie de ma lettre, en | remarquant, que puisque l’organe moral tient par sa nature à la même face que l’âme même, il y a de l’apparence qu’il ne la quittera jamais. + Il est évident, par tout ce que je viens de dire sur l’organe moral, que le rapport de chaque individu, soit à l’Etre suprême, soit aux autres velléités agissantes, est mesuré par le degré de perfection, ou de sensibilité dans l’organe : ce qui revient au || degré d’homogénéité, ou de possibilité d’union d’essence, dont il est parlé dans une Lettre sur les Désirs [262].
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262. + Cela est inintelligible ; surtout les quatre dernières lignes. Il ne faut pas renvoyer le lecteur d’un ouvrage qu’il lit, à un ouvrage qu’il n’a pas lu. Il me semble que vous vous êtes fait une langue particulière, souvent où la langue commune pouvait être employée. (F) Il est encore évident, que les devoirs ne résultent que de ces rapports, et sont par conséquent proportionnés à la perfection de l’organe moral [263] . Il s’ensuit, que celui qui a l’organe moral le moins sensible, a proprement et naturellement le moins de devoirs à remplir, et est en même temps l’Etre le moins parfait : et c’est en quoi consiste la seule raison véritable de la constitution de ces hommes malheureux, qui se sont rendus célèbres par des cruautés atroces. ||
263. * Pour tirer cette conclusion, et pour en avoir le même droit, la supposition d’un organe moral n’est point nécessaire. Si la convulsion organique ne se lie point dans un homme avec l’idée, le récit, ou la sensation d’un péril, d’une douleur, l’homme sera atroce. (M) 146
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Comme la velléité [264], considérée dans soi-même, et abstraction faite des effets bornés et finis qui en résultent, est également forte et infinie dans tous les individus ; ainsi, au contraire, la perfection de l’organe moral diffère dans tous les individus ; et par conséquent deux individus quelconques ont propre-
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Tuttavia ne è più o meno toccato? Come accade questo? Ecco come. Egli paragona la porta con l’ospite che deve passare da quella porta; e freme; precisamente come la giovane fanciulla alla quale si spiegasse la fisiologia del parto.171 Se si è assistito a dei parti; a queste riflessioni si uniscono le grida, le contorsioni, in una parola tutta l’immagine di questa specie di dolore. Ecc. xxx XXX. Quante le circostanze in cui fremiamo, benché non ci sia alcun pericolo per colui che vediamo. Ma non appena l’idea di pericolo sparisce, il fremito cessa. (F) 261. ** Io non sono affatto stupito della vostra immaginazione di un sesto senso. E sento a meraviglia, come voi e gli altri vi siete comportati a proposito. È l’oscurità del vostro stile; e questo sesto senso che hanno guastato la vostra opera agli occhi dei nostri pensatori di Parigi.172 L’intervento di questo sesto senso non mi sembra d’altronde in alcun modo necessario allo scopo della vostra opera x. (F) Potrei aggiungere altre cose ancora, per dimostrare che gli organi stessi dell’odorato, del gusto, e del tatto, possono comunicare una specie di movimento all’organo morale; ma finisco questa parte della mia lettera osservando che poiché l’organo morale dipende, per sua natura, dalla stessa faccia propria dell’anima, è verosimile che non la lascerà mai. + È evidente, da tutto ciò che ho appena detto sull’organo morale, che il rapporto di ciascun individuo, o con l’Essere supremo, o con le altre velleità agenti, è misurato dal grado di perfezione o di sensibilità nell’organo: il che corrisponde al grado di omogeneità o di possibilità d’unione d’essenza, di cui si è parlato in una Lettera sui Desideri [262].
262. + Questo è inintelligibile; soprattutto le ultime quattro righe. Non bisogna rinviare il lettore di un’opera che legge, a un’opera che non ha letto. Mi sembra che voi vi siate fatta una lingua particolare, spesso là dove poteva essere utilizzata la lingua comune. (F) È anche evidente che i doveri non risultano se non da quei rapporti, e sono, di conseguenza, proporzionati alla perfezione dell’organo morale [263]. Ne consegue che colui il quale ha l’organo morale meno sensibile, ha propriamente e naturalmente meno doveri da compiere, ed è nello stesso tempo l’Essere meno perfetto: ed è ciò in cui consiste la sola vera ragione della costituzione di quegli uomini infelici, che si sono resi celebri per delle atroci crudeltà.
263. * Per trarre questa conclusione e per averne lo stesso diritto, l’ipotesi di un organo morale non è affatto necessaria. Se la convulsione organica non si collega affatto in un uomo con l’idea, il racconto o la sensazione di un pericolo, di un dolore, l’uomo sarà atroce. (M) Come la velleità [264], considerata in se stessa, e astrazione fatta dagli effetti limitati e finiti che ne risultano, è ugualmente forte e infinita in tutti gli individui; così, al contrario, la perfezione dell’organo morale differisce in tutti gli individui; e di conseguenza due individui qualsiasi hanno propriamente dei
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ment des devoirs différents [265] à remplir, non par rapport aux lois factices et machinales de la société, mais par rapport aux lois naturelles, et à l’ordre éternel qui dérive de la coexistence des choses. Il y a des hommes, dont l’organe moral est si sensible [266], ou dont || la conscience sent des rapports si éloignés, que, pour ainsi dire, ils ne peuvent être membres de la société actuelle. |
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264. * Je ne sais ce que c’est qu’une velléité finie, ou infinie. Quoi que ce soit que cette velléité, elle est ou elle n’est pas ; cela ne se mesure pas en soi ; si cela se mesure, c’est par les effets. (M) 265. * Je ne crois pas que les devoirs soient différents ; mais bien qu’il y a de la différence dans les mêmes devoirs ; celui en qui les ongles n’ont absolument aucune sensibilité, est moins obligé de les couper, pour son bonheur ; puisqu’ils peuvent s’éclater sans conséquence fâcheuse. Voilà pour l’état de nature. Pour l’état de société, celui qui exerce un métier où les ongles longs sont nécessaires, est obligé par devoir de les laisser croître. (F) 266. (Excellent ; très bien vu). Seulement dans mon système, je me servirais d’une autre expression que l’organe moral ; j’aurais dit l’homme ; parce que c’est un être un pour moi. (M) Brutus tuant César, commit un crime aux yeux du peuple, et peut-être visà-vis de la société ; mais dans l’âme de Brutus, cette action était sans doute conforme à l’ordre éternel. Le plus grand bonheur auquel il paraît que l’homme puisse aspirer dans tous les temps, réside dans l’accroissement de la perfection ou de la sensibilité [267] de l’organe moral : ce qui le fera mieux jouir de lui-même, et le rapprochera de Dieu, et des || principes actifs subalternes [268].
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267. * Je ne crois pas cela. Tout a son terme. La sensibilité poussée à l’extrême serait la base du plus grand malheur, et l’excuse de toutes sortes d’injustices. Combien de fois, cette qualité m’a fait accorder au malheur présent, un secours que je devais au malheur absent, et occasionné le remords d’une bonne action. (M) | 361
268. * J’entends ; mais la plupart des autres n’entendront pas. J’aurais dit de Dieu et des autres créatures. (M) La plus grande sagesse à laquelle il puisse prétendre, consiste à rendre toutes ses actions, et toutes ses pensées analogues aux impulsions de son organe moral, sans se mettre en peine des institutions humaines, ou de l’opinion d’autrui [269].
269. * Cela n’est vrai ni dans l’état de nature ni dans celui de société. Dans ce dernier, cela serait horrible. Dans l’état de nature, un homme peu sensible s’amuserait à tourmenter un animal, ou un autre homme. Dans l’état de société, un magistrat ouvrirait la porte des cachots et lâcherait des scélérats dans les rues. Aucun malfaiteur ne subirait sa sentence, si quand il s’achemine du quai Pelletier à la Greve, le peuple pouvait le délivrer. J’aurais commis bien des mauvaises actions, peut-être même des forfaits, si mon jugement n’avait modéré ma sensibilité.
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doveri diversi [265] da compiere, non in rapporto alle leggi fattizie e macchinali della società, ma in rapporto alle leggi naturali, e all’ordine eterno che deriva la coesistenza delle cose. Ci sono uomini il cui organo morale è così sensibile [266], o la cui coscienza sente dei rapporti così lontani, che per così dire non possono essere membri della società attuale.
264. * Io non so che cos’è una velleità finita o infinita. Quale che sia questa velleità, essa è o non è; ciò non si misura in sé; se si misura, è dai suoi effetti. (M) 265. * Io non credo che i doveri siano diversi; ma benché vi sia differenza negli stessi doveri; colui per il quale le unghie non hanno assolutamente alcuna sensibilità, è meno obbligato a tagliarle, per la sua felicità; poiché possono rompersi senza conseguenze incresciose. Ecco per lo stato di natura. Per lo stato di società, colui che esercita un mestiere in cui le unghie lunghe sono necessarie, è obbligato per dovere a lasciarle crescere. (F) 266. (Eccellente; molto ben considerato). Soltanto nel mio sistema, io mi servirei di un’altra espressione piuttosto che l’organo morale; avrei detto l’uomo; perché è un essere uno per me. (M) Bruto, uccidendo Cesare, commise un crimine agli occhi del popolo, e forse di fronte alla società; ma nell’animo di Bruto, quest’azione era molto probabilmente conforme all’ordine eterno. La felicità più grande alla quale sembra che l’uomo possa aspirare, in tutti tempi, risiede nell’incremento della perfezione o della sensibilità [267] dell’organo morale: il che lo farà godere meglio di sé stesso, e lo avvicinerà a Dio, e ai principi attivi subalterni [268].
267. * Io non credo che sia così. Tutto ha un suo termine. La sensibilità, spinta all’estremo, sarebbe la base della più grande infelicità, e la scusa di tutte le specie di ingiustizie. Quante volte questa qualità m’ha fatto accordare all’infelicità presente, un aiuto che dovevo all’infelicità assente, e occasionato il rimorso di una buona azione. (M) 268. * Capisco; ma la maggior parte degli altri non capiranno. Avrei detto di Dio e delle altre creature. (M) La più grande saggezza alla quale possa attingere l’uomo, consiste nel rendere tutte le sue azioni e tutti i suoi pensieri analoghi agli impulsi del suo organo morale, senza mettersi in pena per le istituzioni umane o per l’opinione altrui [269].
269. * Questo non è vero, né nello stato di natura né in quello di società. In quest’ultimo, ciò sarebbe orribile. Nello stato di natura, un uomo poco sensibile si divertirebbe a tormentare un animale o un altro uomo. Nello stato di società, un magistrato aprirebbe le porte delle segrete e lascerebbe andare degli scellerati nelle strade. Nessun malfattore subirebbe la sua sentenza se, quando s’incammina dal Quai Pellettier alla Greve,173 il popolo potesse liberarlo. Avrei commesso molte cattive azioni, forse anche dei crimini, se il mio giudizio non avesse moderato la mia sensibilità.
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Cette opinion substitue l’animal à la place de l’homme. XXX (M) XXX Tout ceci bien médité entraîne la ruine de l’organe moral. Car s’il y a un organe moral, vous avez raison. Est-ce que la sensibilité n’est pas la mesure du ressentiment ? Est-ce que le ressentiment ne peut pas être excessif ? Il faut considérer l’homme comme un instrument bien accordé ; des cordes trop aiguës ou trop sourdes, détruisent et la mélodie et l’harmonie ; et la mélodie qui doit résulter des actions successives de l’homme, et l’harmonie qui doit résulter du concert de ses actions avec les êtres coexistants. (F) Timoléon fut auteur et témoin de la mort de son frère, tyran de sa patrie. Timoléon, tant qu’il vécut dans son jardin hors de Corinthe, fut accablé de tristesse et de remords. La réflexion de Plutarque à son sujet est juste et remarquable : | οὕτως αἱ κρίσεις, ἂν μὴ βεβαιότητα καὶ ῥώμην ἐκ λόγου καὶ φιλοσοφίας προσλάβωσιν ἐπὶ τὰς πράξεις, σείονται καὶ παραφέρονται ῥᾳδίως ὑπὸ τῶν τυχόντων ἐπαίνων καὶ ψόγων, ἐκκρουόμεναι τῶν οἰκείων λογισμῶν – Αἰσχρὸν γὰρ ἡ μετάνοια ποιεῖ καὶ τὸ καλῶς πεπραγμένον. [270]
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270. * Plutarque oublie ici que quand les notions de citoyen et de frère se confondent dans le jugement que nous portons d’une action que nous avons faite et où le citoyen a immolé le frère, il faut que l’homme l’approuve et souffre. La philosophie n’est pas faite pour éteindre ce sentiment, et nous rendre féroces ; et Timoleon, se promenant la tête fière sur la place publique, après l’assassinat de son frère, m’aurait fait horreur. Je lui aurais dit, Tu te promènes après avoir immolé ton frère à la patrie, comme si tu avais immolé un veau à Neptune. (M)
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Passons maintenant à la contemplation de la société, et à quelques réflexions sur les connaissances humaines. L’Etre qui a la faculté de sentir et d’agir, possède tout ce dont il a des sensations, et sur quoi il peut agir en tant qu’il y peut [271] agir. Son pouvoir et son droit ne sont qu’une seule et même chose. Son désir est le seul motif de ses actions. Mais lorsque, par || l’organe moral, il a de la communication avec d’autres individus de la même espèce, son moi se multiplie [272] par le nombre des individus qu’il connaît, et qui composent la société. Supposons que dans la société primitive tous les individus fussent parfaitement égaux en intelligence, en activité, etc. et que l’organe moral fût absolument parfait, tellement, que chaque individu eût des sensations aussi fortes des jouissances et des souffrances des autres individus, que de son propre état [273] ; il est évident, que la loi fondamentale et naturelle de cette || société serait la loi d’équilibre, que chaque individu aimerait tout autre individu comme soimême, que chaque individu préférerait nécessairement le bonheur de tous à son propre bonheur [274].
271. / qu’il y n’est pas français. (M) 272. x s’étend / (M)
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Quest’opinione sostituisce l’animale al posto dell’uomo. XXX (M) XXX Tutto questo, ben meditato, implica la rovina dell’organo morale. Perché se c’è un organo morale, voi avete ragione. La sensibilità non è forse la misura del risentimento? E il risentimento non può essere eccessivo? Bisogna considerare l’uomo come uno strumento bene accordato; delle corde troppo acute o troppo sorde, distruggono tanto la melodia quanto l’armonia; sia la melodia, che deve risultare dalle azioni successive dell’uomo, sia l’armonia che deve risultare dal concerto delle sue azioni con gli esseri coesistenti. (F) Timoleonte fu autore e testimone della morte di suo fratello, tiranno della propria patria. Timoleonte, finché visse nel suo giardino fuori Corinto, fu oppresso dalla tristezza e dai rimorsi. La riflessione di Plutarco a suo riguardo è giusta e significativa: «È così che i giudizi che diamo sulle nostre proprie azioni, se la ragione e la filosofia non hanno dato loro del vigore e della stabilità, si alterano e ci perdono nello scambio, al minimo elogio o al minimo biasimo del volgo, distruggendo persino le motivazioni che ci hanno fatto agire. – Perché il pentimento rende spesso le belle azioni addirittura vergognose» [270].
270. * Plutarco dimentica qui che quando le nozioni di cittadino e di fratello si confondono nel giudizio che diamo di un’azione da noi compiuta e in cui il cittadino ha immolato il fratello, bisogna che l’uomo approvi e soffra. La filosofia non è fatta per spegnere questo sentimento e renderci feroci; e Timoleonte, passeggiando a testa alta, sulla piazza pubblica, dopo l’assassinio di suo fratello, mi avrebbe fatto orrore. Glielo avrei detto, Tu passeggi qui dopo aver immolato tuo fratello alla patria, come se avessi immolato un vitello a Nettuno. (M) Passiamo ora alla contemplazione della società e ad alcune riflessioni sulle conoscenze umane. L’Essere che ha la facoltà di sentire e di agire, possiede tutto ciò di cui egli ha delle sensazioni, e su cui può agire per quanto vi può [271]. Il suo potere e il suo diritto non sono che una sola medesima cosa. Il suo desiderio è il solo motivo delle sue azioni. Ma quando, con l’organo morale, c’è la comunicazione con altri individui della stessa specie, il suo io si moltiplica [272] per il numero degli individui che conosce, e che compongono la società. Supponiamo che nella società primitiva tutti gli individui fossero perfettamente uguali in intelligenza, in attività, ecc. e che l’organo morale fosse assolutamente perfetto, a tal punto che ciascun individuo avesse delle sensazioni altrettanto forti dei godimenti e delle sofferenze degli altri individui, quanto del suo proprio stato [273]; è evidente che la legge fondamentale e naturale di questa società sarebbe la legge d’equilibrio, che ciascun individuo amerebbe ogni altro individuo come se stesso, che ciascun individuo preferirebbe necessariamente la felicità di tutti alla sua propria felicità [274].
271. / vi può, non è francese. (M) 272. x si estende / (M)
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273. * Dans une pareille société, il n’y aurait plus de moi, il n’y aurait qu’un être ; l’individu ne tarderait pas à s’identifier avec tous les autres. Les autres | individus seraient par rapport à lui, comme autant de membres de lui-même, émancipés. Il croirait exister en eux. Il exterminerait sans remords tous ceux qui lui feraient plus de bien que de mal. Il s’en ferait peut-être même un devoir. Un assassinat ne serait que l’amputation d’un membre qui nuit aux autres membres. La personnalité anéantirait l’espèce humaine . (M) 274. * Comme on aime mieux perdre un œil, que la vie. (M) Supposons que dans la société primitive tous les individus fussent différents en intelligence, en activité, etc. et qu’il n’y eût point d’organe moral ; ces individus, par le droit du pouvoir, se détruiraient bientôt, en tant qu’ils seraient destructibles. Supposons encore les individus inégaux, mais doués de l’organe moral [275] dans toute sa perfection ; la loi naturelle de || cette société serait encore celle de l’équilibre, et dans chaque individu le bonheur de tous prévaudrait sur celui de chaque individu.
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275. * Mais quand on admettrait cet organe moral, sa condition ne serait pas différente des autres organes dont la perfection s’acquiert et se détruit avec le temps et avec l’âge. | Cette égalité supposée et d’individus et d’organes moraux serait à peine momentanée ; bientôt elle serait rompue par mille incidents. (M) Mais supposons les individus inégaux, et que la perfection de l’organe moral dans les individus soit différente, tellement qu’un individu ait des sensations plus fortes ou plus faibles de l’état des autres, que l’autre individu : et supposons que celui de tous les individus, qui a l’organe moral le plus parfait, ait pourtant une sensation beaucoup plus forte de son propre état, que de celui des autres ; il s’ensuivra, que chaque individu || évaluera le bonheur de tous, à proportion de la perfection de son organe moral. Considérons à présent ces individus comme tenant aussi au physique, et habitant des corps. Ces corps avaient des besoins temporels ; mais il était originairement si naturel et si facile de satisfaire à ces besoins, que l’individu dont le corps était le plus robuste, et dont l’organe moral était le moins parfait, n’aurait occasionné aucune inégalité ni désordre sensible. Mais l’homme abusant de cette singulière faculté attractive || de l’âme [276], se fit une idée de possession, et d’accroissement de son être, qui donna le jour à la fausse et ridicule idée * de propriété [277] : il raffina cette idée, forgea des signes représentatifs de ses possessions, et toute égalité fut détruite. Par là l’homme devint tout physique vis-à-vis de la société. Un homme qui avait cent arpents de terre, et cent esclaves, était une seule masse, qui ne fut rien pourtant en comparaison de la masse d’un homme qui avait cent mille esclaves, et autant d’arpents.
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276. * Qu’est-ce que cela signifie. L’opération de l’âme n’a qu’un rapport très général avec l’idée de propriété. (M)
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273. * In una società simile non vi sarebbe più io, non vi sarebbe che un solo essere; l’individuo non tarderebbe a identificarsi con tutti gli altri. Gli altri individui sarebbero in rapporto a lui come altrettanti membri di se stesso, emancipati. Crederebbe di esistere in loro. Egli sterminerebbe senza rimorsi tutti coloro che gli facessero più bene che male.174 Se ne farebbe forse persino un dovere. Un assassinio sarebbe solo l’amputazione di un membro che nuoce agli altri membri. La personalità175 annienterebbe la specie umana. (M) 274. * Come si preferisce perdere un occhio, piuttosto che la vista. (M) Supponiamo che nella società primitiva tutti gli individui fossero diversi per intelligenza, per attività ecc. e che non vi fosse affatto un organo morale; questi individui, per il diritto del potere, presto si distruggerebbero, in quanto sarebbero distruttibili. Supponiamo ancora che gli individui siano diseguali, ma dotati dell’organo morale [275] in tutta la sua perfezione; la legge naturale di questa società sarebbe ancora quella dell’equilibrio, e in ciascun individuo la felicità di tutti prevarrebbe su quella di ciascun individuo.
275. * Ma quand’anche si ammettesse quest’organo morale, la sua condizione non sarebbe diversa dagli altri organi, la cui perfezione si acquisisce e si distrugge con il tempo e con l’età. Questa presunta eguaglianza, e di individui e di organi morali, sarebbe appena momentanea; presto sarebbe rotta da mille incidenti. (M) Ma supponiamo gli individui diseguali, e che la perfezione dell’organo morale negli individui sia diversa, a tal punto che un individuo abbia delle sensazioni più forti o più deboli, dello stato degli altri: e supponiamo che colui, tra tutti gli individui, che ha l’organo morale più perfetto, abbia purtuttavia una sensazione molto più forte del suo proprio stato che di quello degli altri; ne conseguirà che ciascun individuo valuterà la felicità di tutti, in proporzione alla perfezione del suo organo morale. Consideriamo adesso questi individui come dipendenti anche dal fisico e abitanti dei corpi. Questi corpi avevano bisogni temporali; ma era originariamente così naturale e così facile soddisfare quei bisogni, che l’individuo il cui corpo era il più robusto e il cui organo morale era il meno perfetto, non avrebbe dato occasione ad alcuna ineguaglianza, né disordine sensibile. Ma l’uomo, abusando di questa singolare facoltà attrattiva dell’anima [276], si fece un’idea di possesso e di accrescimento del proprio essere, che diede vita alla falsa e ridicola idea *di proprietà [277]: egli raffinò quest’idea, forgiò dei segni rappresentativi dei suoi possedimenti e ogni uguaglianza fu distrutta. Per questo l’uomo divenne tutto fisico di fronte alla società. Un uomo che aveva cento arpenti di terra, e cento schiavi, era una sola massa, che non fu nulla, tuttavia, in paragone alla massa di un uomo che aveva centomila schiavi e altrettanti arpenti.
276. * Che cosa significa questo. L’operazione dell’anima ha solo un rapporto molto generale con l’idea di proprietà. (M)
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277. * Il n’y aurait point de propriété si la nature docile à nos désirs ; à nos besoins ; à nos fantaisies y obéissait sur-le-champ. L’idée de propriété naît de l’idée de travail. C’est par le travail qu’on se rend propre la chose qui en est ou l’objet ou le résultat. C’est ainsi que nos terres que nous avons cultivées nous sont propres, nos enfants que nous avons élevés ; nos domestiques que nous avons instruits, nos élèves qui nous doivent leurs talents. Voilà ce qui distingue la sorte de propriété qu’on acquiert sur un arpent de terre et sur un homme. | L’esclavage accorderait au propriétaire mille fois plus qu’il n’en aurait obtenu. Voilà ce qui le proscrit. (F) Pour prévenir la destruction || totale qui devait résulter nécessairement du choc continuel de ces masses, on employa le mécanisme de la législation. La loi, que l’intelligence créa sur la contemplation des effets, qui tiennent tous aux faces physiques, remplaça l’organe moral, qui devint inutile, et dont par conséquent on oublia l’usage [278]. Il est vrai que la loi, dans toute sa perfection, empêcherait toute mauvaise action en tant qu’effet ; mais l’organe moral, dans toute sa perfection, en rendrait la cause impossible [279].
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278. * La loi mit des bornes à l’exercice de la sensibilité, mais loin de l’éteindre, elle y eut égard, et la supposa, et l’exigea même en certains cas. (M) 279. Cela est-il bien vrai ? (M) L’homme, né libre, devint || esclave de la législation (*), qui ne fut utile et nécessaire qu’aux individus [280], en tant qu’ils tiennent au monde physique.
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(*) ῾Ο δὲ νόμος τύραννος ὢν τῶν ἀνθρώπων, πολλὰ παρὰ τὴν φύσιν βιάζεται, dit Protagoras chez Platon.
280. * Cela n’est pas vrai ; elle fut mauvaise, ou elle concilia le bonheur d’un individu avec le bonheur de tous. (M) | De là s’ensuit, que la société actuelle elle-même n’est qu’un objet physique, et que les lois, qui la gouvernent, n’ont proprement pour but que des effets physiques [281], et nullement le bien-être interne et réel de chaque individu, || qui dérive de ses rapports à l’Etre suprême [282], ou à d’autres velléités agissantes.
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281. * Vous parlez d’une législation, telle que presque toutes celles qui subsistent ; mais on en conçoit une autre. (M) 282. * Je n’entends pas comment vous pouvez parler de rapport avec un être dont vous dites ailleurs pag. 93. « Quant à ses rapports à ce dieu, pour les devoirs qui pourraient en résulter, pour les attributs de cet être immense, il n’en saurait avoir aucune idée. » Cela se contredit. (F) Si les hommes avaient pris à tâche de donner une modification à la société, où il y eût le moins de religion, et le moins de vertu possible, il est évident
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277. * Non vi sarebbe affatto proprietà se la natura docile ai nostri desideri; ai nostri bisogni; alle nostre fantasie, vi obbedisse immediatamente. L’idea di proprietà nasce dall’idea di lavoro. È con il lavoro che si rende propria la cosa che ne è o l’oggetto o il risultato.176 Così le nostre terre che abbiamo coltivato sono nostre proprie, i nostri figli che abbiamo educato; i nostri domestici che abbiamo istruito, i nostri allievi che ci devono i loro talenti. Ecco quello che distingue la specie di proprietà che si acquisisce su un arpento di terra e su un uomo. La schiavitù accorderebbe al proprietario mille volte più di quanto ne avrebbe ottenuto. Ecco ciò che la proscrive.177 (F) Per prevenire la distruzione totale che doveva risultare necessariamente dall’urto continuo di queste masse, si utilizzò il meccanismo della legislazione. La legge, che l’intelligenza creò sulla contemplazione degli effetti, che dipendono tutti dalle facce fisiche, sostituì l’organo morale, che divenne inutile e di cui, di conseguenza, si dimenticò l’uso [278]. È vero che la legge, in tutta la sua perfezione, impedirebbe ogni cattiva azione in quanto effetto; ma l’organo morale, in tutta la sua perfezione, ne renderebbe la causa impossibile [279].
278. * La legge pose dei limiti all’esercizio della sensibilità, ma lungi dallo spegnerla, ne ebbe dei riguardi e la presuppose, e ne reclamò persino l’esigenza, in certi casi. (M) 279. Questo è proprio vero? (M) L’uomo, nato libero, divenne schiavo della legislazione (*), che non fu utile e necessaria se non agli individui [280], in quanto essi dipendono dal mondo fisico. (*) «La legge, questo tiranno degli uomini, opera molte violenze alla natura», dice Protagora, in Platone.
280. * Questo non è vero; essa fu sbagliata, oppure conciliò la felicità di un individuo con la felicità di tutti.178 (M) Da ciò ne consegue che la stessa società attuale non è che un oggetto fisico, e le leggi che la governano non hanno per scopo propriamente altro che effetti fisici [281], e per nulla il benessere interno e reale di ciascun individuo, che deriva dai suoi rapporti con l’Essere supremo [282], o con altre velleità agenti.
281. * Voi parlate di una legislazione, come quasi tutte quelle che sussistono; ma se ne può concepire un’altra. (M) 282. * Io non capisco come potete parlare di rapporto con un essere di cui voi dite altrove, a pagina 93: «Quanto ai suoi rapporti con questo dio, per i doveri che potrebbero risultarne, per gli attributi di quest’essere immenso, non ne potrebbe avere alcuna idea». Questo si contraddice. (F) Se gli uomini avessero preso come compito quello di dare una modificazione alla società, in cui vi fosse meno religione e meno virtù possibile, è evidente che non vi sarebbero potuti riuscire meglio di quanto hanno fatto.
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opere filosofiche
qu’ils n’auraient pu s’y prendre mieux qu’ils n’ont fait. Ce qui nous reste réellement de religion et de vertu, nous ne le devons qu’à la nécessité où la législation se trouvait d’en faire pourtant une roue principale dans la machine qu’elle se proposait de composer ; et encore ne se soucie-t-elle pas de la nature de cette religion [283], ou de cette || vertu, pourvu qu’elles ne produisent pas des effets physiques qui pourraient choquer le mouvement uniforme de son grand automate.
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283. * Tant mieux. Il serait à souhaiter qu’elle ne s’en souciât point du tout. Au moment où des opinions religieuses ne seraient d’aucune recommandation dans une société, elles se réduiraient à des disputes purement philosophiques, l’entretien et l’amusement des oisifs. (M) J’ai dit ailleurs, que la religion ne résulte que du rapport de chaque individu à l’Etre suprême. Nous venons de voir que ce rapport ne se manifeste que par l’organe moral [284].
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284. * Tâchez de concilier cela avec le passage de la pag. 93. | Quelle action peut avoir l’organe moral, sur un être parfaitement inconnu dans ses rapports ou les nôtres avec lui ; dans ses attributs, et dans nos devoirs à son égard. (F) La législation vit trop tard, que l’organe moral s’anéantissait de jour en jour, à mesure que l’activité des hommes fut circonscrite, déterminée, et administrée par les lois. Elle vit trop tard, que pour la stabilité de son empire elle || avait besoin de cet organe pour trois choses : pour donner de la valeur au serment ; pour faire naître l’amour de la patrie ; et pour inspirer les vertus qu’on appelle guerrières [285].
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285. ** Ce n’est pas là l’histoire naturelle des opinions religieuses ; comme on serait tenté de l’imaginer sur ce que vous en dites. C’est à peine un paragraphe de l’histoire de l’emploi ou de l’abus que les législateurs en ont fait. *xx Et si ces législateurs s’étaient proposé de réveiller, de ranimer par ce moyen la sensibilité restreinte par l’autorité de la loi, ils auraient été bien idiots ; car ce moyen qui réduit le présent à rien et porte toutes nos vues, tout notre intérêt dans l’avenir ; dédaigne le moment où nous sommes et exalte le moment où [nous] ne serons plus, était très propre à l’étouffer tout à fait, comme l’expérience le prouve ; car tout dévot est dur, sans miséricorde, implacable, pauvre époux, pauvre citoyen, mauvais père, mauvais frère, etc.... Ces devoirs sont trop subordonnés à d’autres. A.B. A.B. Un des plus mauvais effets des devoirs religieux, c’est l’avilissement des devoirs naturels ; c’est une échelle de devoirs chimériques élevée au-dessus des devoirs réels. Demandez à un prêtre, s’il y a plus de mal à pisser dans un calice qu’à calomnier une honnête femme ; pisser dans un calice ! un sacrilège ! vous dira-t-il. | Et puis nul châtiment public contre la calomnie ; le feu, contre le sacrilège. Et voilà ce qui achève de renverser toute vraie distinction des crimes dans une société. (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 283-285
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Quello che ci resta realmente di religione e di virtù, lo dobbiamo solo alla necessità nella quale la legislazione si trovava di farne purtuttavia una ruota principale della macchina che si proponeva di comporre; e ancora non si preoccupa della natura di questa religione [283], o di questa virtù, purché esse non producano degli effetti fisici che potrebbero urtare il movimento uniforme del suo grande automa.
283. * Tanto meglio. Sarebbe da auspicare che essa davvero non se ne occupasse affatto. Nel momento in cui delle opinioni religiose non fossero in alcun modo raccomandabili in una società, esse si ridurrebbero a dispute puramente filosofiche, l’intrattenimento e il divertimento degli oziosi. (M) Ho detto altrove che la religione risulta solo dal rapporto di ciascun individuo con l’Essere supremo. Abbiamo appena visto che questo rapporto non si manifesta se non attraverso l’organo morale [284].
284. * Provate a conciliare questo, con il passaggio della pagina 93. Quale azione può avere l’organo morale su un essere perfettamente sconosciuto nei suoi rapporti o nei nostri con lui; nei suoi attributi e nei nostri doveri a suo riguardo.(F) La legislazione venne troppo tardi, quando l’organo morale si annichiliva giorno per giorno, mano a mano che l’attività degli uomini venne circoscritta, determinata e amministrata da quelle leggi. Essa venne troppo tardi quando, per la stabilità del suo dominio, aveva bisogno di quest’organo morale per tre cose: per dare del valore al giuramento; per far nascere l’amore della patria; e per ispirare le virtù che chiamiamo guerriere [285].
285. ** Non è questa la storia naturale delle opinioni religiose; come si sarebbe tentati di immaginarla a partire da ciò che voi ne dite. È appena un paragrafo della storia dell’uso o dell’abuso che i legislatori ne hanno fatto. *xx E se questi legislatori s’erano proposti di risvegliare, di rianimare con questo mezzo la sensibilità, ristretta dall’autorità della legge, sarebbero stati certo degli idioti; perché questo mezzo, che riduce a nulla il presente e porta tutte le nostre prospettive, tutto il nostro interesse nell’avvenire; sdegna il momento in cui siamo ed esalta il momento in cui [noi] non saremo più, era assai adatto a soffocarla del tutto, come l’esperienza dimostra; infatti, ogni devoto è duro, senza misericordia, implacabile, povero marito, povero cittadino, cattivo padre, cattivo fratello, ecc... Questi doveri sono troppo subordinati ad altri. A.B. A.B. Uno degli effetti più nocivi dei doveri religiosi, è l’avvilimento dei doveri naturali; è una scala di doveri chimerici innalzata al di sopra dei doveri reali. Domandate a un prete in che cosa vi sia più male, nel pisciare in un calice o nel calunniare una donna onesta; pisciare in un calice! Un sacrilegio! Vi dirà lui. E poi nessun castigo pubblico contro la calunnia; il fuoco, contro il sacrilegio. Ed ecco che cosa finisce per rovesciare ogni vera distinzione dei crimini in una società.179 (F)
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opere filosofiche
Pour le serment on eut besoin de la religion ; mais comme la vraie source en était tarie [286], on eut recours ou à des révélations supposées, ou à des Religions d’institut.
286. * Je ne sais pas comme quoi ; je n’entends pas comment l’homme sans législation, abandonné à toute l’énergie de sa sensibilité naturelle, pouvait être plus fidèle au serment que sous l’empire de la loi. (M) Pour avoir l’amour de la patrie, on donna une partie de la force législative à chaque individu [287] ; et pour cultiver les vertus guerrières, on lâcha l’homme dans l’occasion, || comme on lâche un dogue, et lui laissant pour quelques instants sa liberté entière, on lui permit d’être aussi brave et aussi féroce qu’il voulut. Notez encore, que la gloire et les lauriers, attachés à ses victoires, achevèrent d’éluder les impulsions sacrées de l’organe moral [288].
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287. * Jamais le patriotisme ne fut si exalté que chez les Grecs et les Romains, où les individus n’eurent en aucun temps une portion de la force législative ; où il y avait tant d’esclaves. Là, ce fut une ivresse qui ne dura qu’autant que le péril imminent de la société entière, péril que chaque individu partageait. Le patriotisme ne peut durer qu’où il est fondé sur la liaison nécessaire du bonheur de l’individu avec le bonheur de tous. (F) | 369
288. * Je ne reviendrai plus sur votre organe moral. Je vous en préviens, afin que vous ne concluiez rien de mon silence, pendant le reste de mon examen. (F)
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Avant que d’aller plus loin, je serai obligé de parler de la religion ; et comme dans cet écrit je n’ai eu d’autre but, que de voir jusqu’où la seule lumière de ma raison pourrait me mener, je traiterai de la religion comme si je n’avais jamais reçu des lumières extraordinaires, ni par || l’éducation, ni par tradition, ni par la foi, ni par des miracles ; et j’ajoute, que si j’avais à combattre l’esprit d’irréligion du siècle, jamais assurément je ne prendrais d’autre chemin. Le rapport de l’individu à Dieu tient à la face morale de l’univers, et par conséquent on en a la sensation par l’organe moral. Le degré de proximité de ce rapport, autant que nous en pouvons avoir une idée, dépend du degré de perfection de l’organe moral. La religion est le résultat du rapport de chaque individu à l’Etre suprême [289]. || Ce résultat, ou cette Religion, consiste dans l’accomplissement de nos devoirs [290] envers Dieu ; et ces devoirs ne peuvent consister qu’en deux choses, du moins dans l’état actuel où nous sommes.
289. Voy. sur ce rapport la pag. 93 . (M) 290. Voy. sur ces devoirs la pag. 93. (M) 1°. Dans le culte, qui dérive de l’admiration et de l’amour [291] qui suivent nécessairement la contemplation réfléchie, ou plutôt de la sensation morale de la toute-présence de cet Etre immense.
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osservazioni su hemsterhuis, 286-290
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Per il giuramento si ebbe bisogno della religione; ma siccome la vera fonte ne era stata prosciugata [286], si fece ricorso a delle presunte rivelazioni, o a delle Religioni d’istituzione.
286. * Io non so come ciò sia possibile; non capisco come l’uomo, senza legislazione, abbandonato a tutta l’energia della sua sensibilità naturale, poteva essere più fedele al giuramento di quanto lo era sotto il dominio della legge. (M) Per avere l’amore della patria, si diede una parte della forza legislativa a ciascun individuo [287]; e per coltivare le virtù guerriere, all’occasione, si sguinzagliò l’uomo, come si sguinzaglia un mastino, e lasciandogli per qualche istante la sua intera libertà, gli si permise di essere coraggioso e feroce quanto voleva. Notate inoltre che la gloria e gli allori, legati alle sue vittorie, finirono di eludere i sacri impulsi dell’organo morale [288].
287. * Mai fu tanto esaltato il patriottismo quanto presso i Greci e i Romani, dove gli individui in nessun’epoca ebbero una porzione della forza legislativa; dove c’erano tanti schiavi. Là fu un’ebbrezza che non durò se non per il tempo del pericolo imminente dell’intera società, pericolo che ciascun individuo condivideva. Il patriottismo non può durare se non dove è fondato sul legame necessario della felicità dell’individuo con la felicità di tutti.180 (F) 288. * Non ritornerò più sul vostro organo morale. Vi avverto di ciò, affinché voi non concludiate nulla dal mio silenzio, durante il resto del mio esame. (F) Prima di spingerci più in là, sarò obbligato a parlare della religione; e siccome in questo scritto non ho avuto altro scopo se non quello di vedere fin dove la sola luce della mia ragione potrebbe condurmi, tratterò della religione come se non avessi mai ricevuto dei lumi straordinari, né dall’educazione, né dalla tradizione, né dalla fede, né dai miracoli; e aggiungo che se avessi da combattere lo spirito d’irreligiosità del nostro secolo, sicuramente mai seguirei altra strada. Il rapporto dell’individuo con Dio dipende dalla faccia morale dell’universo e di conseguenza se ne ha la sensazione attraverso l’organo morale. Il grado di prossimità di questo rapporto, per quanto noi possiamo averne un’idea, dipende dal grado di perfezione dell’organo morale. La religione è il risultato del rapporto di ciascun individuo con l’Essere supremo [289]. Questo risultato, ossia questa Religione, consiste nel compimento dei nostri doveri [290] verso Dio; e questi doveri non possono consistere che in due cose, per lo meno allo stato attuale in cui siamo.
289. Vedete su questo rapporto la pag. 93. (M) 290. Vedete su questi doveri la pag. 93. (M) 1°. Nel culto, che deriva dall’ammirazione e dall’amore [291] che conseguono necessariamente dalla contemplazione riflessa o, piuttosto, dalla sensazione morale dell’onnipresenza di questo Essere immenso.
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291. * Nous ne pouvons admirer ce dont nous ne connaissons ni l’ensemble, ni les parties, ni le but. | Nous ne devons point admirer ce qui n’a pas coûté un souffle à son auteur. Si vous me voyiez remuer un rocher avec un levier immense, vous ne m’admireriez pas, si surtout l’invention et la construction de ce levier ne m’avaient rien coûté. Vous ne m’admireriez pas si vous me voyiez faire sauter une ville avec de la poudre. Vous m’admireriez bien moins, si je produisais tous ces effets nécessairement, par une conséquence forcée de ma nature. * (M) * J’admire un homme parce que je suis un homme. Si un homme est capable de porter le fardeau d’un mulet, j’en suis étonné parce qu’il n’est pas un mulet. Mais le mulet ne m’étonne pas. Quant à l’amour ; il tient à la valeur de l’existence de chaque individu. Le méchant qui jouit d’une existence heureuse peut l’aimer. Mais je n’entends pas quel amour lui doit l’innocent qui souffre, le bon que le malheur continu accable. Le tyran né sans sensibilité, craint, révéré, adoré, formant à son gré toutes sortes de désirs aussitôt satisfaits qu’enfantés, se portant bien, n’ayant ni crainte ni remords, ni crainte parce qu’il est intrépide, ni remords parce que l’organe moral est nul en lui, ni maladies morales ni maladies physiques, peut l’aimer. J’y consens. Ce monde semble avoir été créé pour lui. D’ailleurs, que fait à Dieu votre amour et votre admiration ? quel besoin en a-t-il ? quel motif de l’exiger ? combien de fois, votre ignorance ne la rend-elle pas ridicule ou sotte ? à quoi tend un acte stérile et pour celui qui le produit et pour celui à qui il est adressé. La notion de devoir est toujours indivisible de celle de bonheur ; quel bonheur peut-il résulter d’une action parfaitement stérile. Quand je dis indivisible de celle de bonheur, j’entends de bonheur pour quelque objet qui en soit le terme. | Si les grandes actions des hommes qui ne sont plus étaient absolument inimitables et par conséquent impossibles pour les hommes qui sont ou qui seront ; ce seraient des contes bleus qui n’exciteraient en nous qu’une admiration puérile, semblable à la terreur qu’une bonne vieille excite dans des enfants, lorsqu’elle leur parle de sorciers, qu’elle frappe leurs oreilles du bruit de chaînes invisibles etc. ... (F)
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2°. Dans le soin que nous prenons de faire en sorte, que toutes nos pensées et tous nos désirs soient devant l’Etre suprême, qui voit tout, aussi conformes à l’ordre éternel, || en tant que nous le connaissons par la conscience, que nos actions le paraissent à l’ordre civil, aux yeux de la société ou du gouvernement. Si l’on fait abstraction de tout ce qu’on pourrait savoir par la révélation, le culte ne saurait consister raisonnablement que dans des actes de reconnaissance ; la prière, considérée comme un acte qui pourra produire un changement favorable dans la volonté de l’Etre suprême, n’y entre pas. La prière suppose de l’insuffisance dans celui qui prie, et du manque de volonté ou || d’attention dans celui que l’on prie. Si la prière est exaucée, celui qui prie a fait changer la volonté de l’autre : ou il a éveillé son attention. Or il paraîtrait de la plus grande absurdité d’appliquer de telles idées à l’idée du Dieu tout-puissant et présent, créateur et conservateur de l’univers. Mais la révélation étant manifeste, prouvée, ou établie, il est évident que, sans compter que la prière y est enseignée, son absurdité disparaît, puisque la révélation donnant
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291. * Noi non possiamo ammirare ciò di cui non conosciamo né l’insieme, né le parti, né lo scopo. Noi non dobbiamo affatto ammirare ciò che non è costato un soffio al nostro autore. Se voi mi vedeste smuovere una roccia con un’immensa leva, non mi ammirereste, soprattutto se l’invenzione e la costruzione di questa leva non mi fosse costata nulla. Non mi ammirereste se mi vedeste far saltare una città con della polvere esplosiva. Mi ammirereste molto meno, se producessi tutti questi effetti necessariamente, per una conseguenza obbligata della mia natura.181 * (M) * Ammiro un uomo perché io sono un uomo. Se un uomo è capace di portare il fardello di un mulo, ne sono stupito perché non è un mulo. Ma il mulo non mi stupisce. Quanto all’amore, esso ha a che fare col valore dell’esistenza di ciascun individuo. Il malvagio che gode di un’esistenza felice può amarlo, Dio. Ma io non capisco quale amore gli deve l’innocente che soffre, il buono che la continua infelicità opprime. Il tiranno, nato privo di sensibilità, temuto, riverito, adorato, che si forma a suo piacere tutte le specie di desideri subito soddisfatti, nel momento stesso in cui sono concepiti, in buona salute, che non ha né timori, né rimorsi; né timori perché è intrepido, né rimorsi perché l’organo morale in lui è nullo, né malattie morali, né malattie fisiche, può amarlo. Sono d’accordo. Questo mondo sembra essere stato creato per lui.182 D’altronde, a che serve a Dio il vostro amore e la vostra ammirazione? Che bisogno ne ha? Qual è il motivo per esigerla? Quante volte la vostra ignoranza la rende ridicola o sciocca? A che cosa tende un atto sterile, tanto per colui che lo produce quanto per colui al quale è indirizzato. La nozione di dovere è sempre inseparabile da quella della felicità; quale felicità può risultare da un’azione perfettamente sterile. Quando dico inseparabile da quella della felicità, intendo felicità per qualche oggetto che ne sia il termine. Se le grandi azioni degli uomini che non sono più, fossero assolutamente inimitabili e, di conseguenza, impossibili per gli uomini che sono o che saranno; sarebbero dei racconti blu,183 i quali ecciterebbero in noi solo un’ammirazione puerile, simile al terrore che una buona vecchietta eccita nei bambini quando parla loro di streghe, che colpisce le orecchie con rumore di catene invisibili ecc.... (F) 2°. Nella cura che prendiamo di fare in modo che tutti i nostri pensieri e tutti i nostri desideri siano dinanzi all’Essere supremo, che vede tutto, altrettanto conformi all’ordine eterno, come noi lo conosciamo con la coscienza, quanto le nostre azioni lo sembrano dinanzi all’ordine civile, agli occhi della società o del governo. Se si fa astrazione da tutto ciò che si potrebbe sapere con la rivelazione, il culto non potrebbe consistere ragionevolmente che in atti di riconoscenza; la preghiera, considerata come un atto che potrà produrre un cambiamento favorevole nella volontà dell’Essere supremo, non vi rientra. La preghiera presuppone dell’insufficienza in colui che prega e della mancanza di volontà o di attenzione in colui che si prega. Se la preghiera è esaudita, colui che prega ha fatto cambiare la volontà dell’altro: o ha suscitato la sua attenzione. Ora sembrerebbe la più grande assurdità applicare tali idee all’idea del Dio onnipotente e presente, creatore e conservatore dell’universo. Ma la rivelazione essendo manifesta, provata o stabilita, è evidente, senza contare che la preghiera ci viene insegnata, che la sua assurdità sparisce, poiché
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opere filosofiche
elle-même déjà un exemple d’un changement de volonté dans Dieu [292], non seulement à l’égard || des hommes en général, mais à l’égard même de tel et tel individu, il s’ensuit qu’un tel changement de volonté est possible.
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292. * Et la création et l’information de la matière, et les vicissitudes momentanées de sa machine, ne sont-elles pas autant d’exemples d’un changement de volonté. ⊕ Et ces changements que vous faites tant valoir contre l’existence immuable de la matière, prouvent-ils moins contre l’immutabilité du créateur. Rêvez-y profondément. (M) | D’ailleurs l’insuffisance d’un être borné, le sentiment de la possibilité, ou de l’existence d’un être plus puissant, la possibilité d’un changement d’état, et l’espérance d’un tel changement, rendent la prière fort naturelle à tout être imparfait qui sent et qui raisonne. Si l’on considère encore la prière indépendamment de la possibilité ou de l’impossibilité de son effet de la part de celui auquel elle est adressée, || on verra par mille expériences, que des hommes de toute espèce, dans les souffrances et dans la douleur, trouvent souvent dans la prière un repos et une tranquillité, dont leur état ne paraîtrait guère susceptible : c’est alors que leur organe moral est mis en action ; ce qui seul peut les distraire de toute autre sensation qui leur viendrait par les autres organes : et c’est alors que la prière produit dans tous les hommes à peu près le même effet, que les pensées grandes et élevées produisent dans l’âme du philosophe éclairé. Je ne parlerai pas de la sensation || violente qu’on éprouve, lorsque l’organe moral est actif et tourné vers l’Etre suprême ; ceux qui l’ont senti, savent les étonnants effets qui alors sont produits dans tout le système de l’individu. Ceux qui sont assez malheureux pour n’avoir jamais eu de telles sensations, soit par la faiblesse naturelle de l’organe, soit pour ne l’avoir pas cultivé, ne me comprendraient pas. Il me reste à parler des cultes établis ; et si jamais il est de la décence de se défendre contre les préjugés, c’est sans doute dans un cas aussi intéressant que celui-ci. || Comme presque tous les cultes se fondent sur des révélations, il faut commencer par approfondir ce que c’est que la révélation. xxx La révélation [293] suppose, que l’homme n’est pas tout ce qu’il devrait être, et que les moyens dont Dieu se sert pour conserver la vie et le bien-être temporel de l’homme, ne suffisent pas pour le rendre ce qu’il devrait être, mais que Dieu a besoin d’autres moyens. La révélation enfin suppose, qu’il est nécessaire pour notre salut que nous ayions des idées, plus ou moins claires, ou d’une face de l’univers qui n’est pas || tournée du côté de nos organes, ou d’un rapport à Dieu qui tient à une autre face que celle que nous connaissons, ou de quelques vérités obscures qui tiennent à la face de l’univers que nous connaissons.
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293. * Il faut que je vous aime bien pour lire tout ceci sur la révélation. Est-ce que Dieu a ignoré la nature de l’homme. Est-ce qu’il ne sait pas que son discours abandonné à notre frivolité, notre inconstance, à nos interprétations, à nos commentaires, subira le sort des discours humains qu’on ne reconnaît plus, quand ils ont un peu circulé. | Si Dieu se tenait suspendu au haut de l’atmosphère et qu’il annonçât ses volontés d’une voix tonnante, faisant le tour du globe avec le globe ; au bout de vingt-quatre
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osservazioni su hemsterhuis, 292-293
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la rivelazione dando essa stessa già un esempio di un cambiamento di volontà in Dio [292], non soltanto nei confronti degli uomini in generale ma persino nei confronti di tale e talaltro individuo, ne consegue che un tale cambiamento di volontà è possibile.
292. * E la creazione e la messa in forma184 della materia, e le vicissitudini momentanee della sua macchina, non sono altrettanti esempi di un cambiamento di volontà? ⊕ E questi cambiamenti che voi fate tanto valere contro l’esistenza immutabile della materia, provano meno contro l’immutabilità del creatore. Pensateci profondamente. (M) D’altronde, l’insufficienza di un essere limitato, il sentimento della possibilità, ovvero dell’esistenza di un essere più potente, la possibilità di un cambiamento di stato e la speranza di un tale cambiamento, rendono la preghiera molto naturale per ogni essere imperfetto che sente e ragiona. Se si considera inoltre la preghiera indipendentemente dalla possibilità o dall’impossibilità del suo effetto da parte di colui al quale essa è indirizzata, si vedrà da mille esperienze che uomini di ogni specie, nelle sofferenze e nel dolore, trovano spesso nella preghiera una quiete e una tranquillità di cui il loro stato non sembrerebbe affatto suscettibile: è in quel momento che il loro organo morale viene messo in azione; la sola cosa che può distrarli da ogni altra sensazione che verrebbe loro dagli altri organi: ed è in quel momento che la preghiera produce, in tutti gli uomini, all’incirca lo stesso effetto che i pensieri grandi ed elevati producono nell’anima del filosofo illuminato. Non parlerò della sensazione violenta che si prova quando l’organo morale è attivo e rivolto verso l’Essere supremo; coloro che l’hanno sentita sanno degli effetti mirabili che allora sono prodotti in tutto il sistema dell’individuo. Coloro che sono abbastanza infelici da non aver mai avuto simili sensazioni, o per la debolezza naturale dell’organo, o per non averlo coltivato, non mi comprenderanno. Mi resta da parlare dei culti istituiti; e se mai c’è della decenza nel difendersi contro i pregiudizi è probabilmente in un caso assai interessante come questo. Siccome quasi tutti i culti si fondano su delle rivelazioni, bisogna iniziare con l’approfondire che cos’è la rivelazione. XXX La rivelazione [293] presuppone che l’uomo non è tutto ciò che dovrebbe essere, e che i mezzi di cui Dio si serve per conservare la vita e il benessere temporale dell’uomo non bastano a renderlo ciò che dovrebbe essere, ma Dio ha bisogno di altri mezzi. La rivelazione alla fine presuppone che è necessario per la nostra salvezza avere delle idee più o meno chiare o di una faccia dell’universo che non è rivolta dal lato dei nostri organi, o di un rapporto con Dio che si rivolga a un’altra faccia rispetto a quella che noi conosciamo, o di certe verità oscure che si rivolgono alla faccia dell’universo che conosciamo.
293. * Vi devo amare proprio molto per leggere tutto questo sulla rivelazione. Dio ha forse ignorato la natura dell’uomo? Forse non sa che il suo discorso abbandonato alla nostra frivolezza, alla nostra incostanza, alle nostre interpretazioni, ai nostri commenti, subirà la sorte dei discorsi umani che non si riconoscono più quando hanno circolato per un po’. Se Dio si tenesse sospeso nell’alto dell’atmosfera e annunciasse le sue volontà con una voce tonante, facendo il giro del globo con il globo; in capo a ventiquattr’ore, al
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opere filosofiche
heures, à son retour, il trouverait les hommes disputant sur ses paroles, sur le sens qu’il y faut attacher, se haïssant et s’égorgeant peut-être. Pouvant parler sans cesse et directement à mon cœur, à ma raison, ne concevezvous pas l’absurdité de me faire passer sa volonté par la bouche d’un être menteur ; (F) * Dans les deux premiers cas [294], cette révélation doit se faire nécessairement à chaque individu, et par forme d’infusion : à chaque individu, parce qu’aucun individu n’aurait la faculté, manque de signes communs, de nous communiquer des idées de choses qui ne tiennent ni à la face de l’univers que nous connaissons, ni à notre façon actuelle d’apercevoir || et de sentir : par forme d’infusion, parce que tous nos signes tiennent à la face de l’univers que nous connaissons, et que par conséquent nous ne pourrions acquérir aucune de ces idées par le rappel, ni par l’apparition d’aucun de nos signes, qui tiennent tous à nos organes actuels.
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294. * Mais à mesure que j’avance, je vois que vous vous moquez de tout cela, et que vous ne voulez pas être assommé ou brûlé. Fort bien, fort bien ; les huit ou dix pages suivantes, jettent toute cette machine de cartes à bas. Ma foi, j’en ai d’abord été la dupe, et j’ai eu peur que vous n’allassiez capuciner. (F) | 374
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Dans le dernier cas, ou Dieu manifesterait actuellement l’objet de cette vérité ou l’image de cet objet ; et alors chacun des individus présents en aurait la sensation : ou Dieu mettrait en mouvement les fibres de nos organes, pour nous donner || des idées analogues à cette vérité ; et alors chacun de ces individus recevrait une révélation. Mais Dieu pourrait manifester l’objet à un seul individu, ou toucher les fibres d’un seul individu, et dans ce cas-là il s’agirait de la foi. Qu’est-ce que c’est que la foi ? La foi est la faculté de pouvoir croire ce qui n’est pas croyable, ou de vouloir croire ce qui ne paraît pas croyable, ou de croire ce qui paraît croyable. Dans les deux premiers cas il faut nécessairement un acte particulier de l’Etre suprême ; et dans le dernier, chaque individu || est également passif : car il ne dépend pas de lui qu’une chose lui paraisse croyable ; par conséquent il faut encore une action particulière de Dieu sur l’âme de chaque individu ; et par conséquent il est très vrai, que la foi ne saurait être qu’un don particulier de Dieu. Sans compter que, dans la supposition de la nécessité d’une révélation, il y a une probabilité infinie que les vérités que nous devrions savoir tiennent à une autre face de l’univers que celles que nous connaissons, puisque ces vérités dérivent du rapport de Dieu à nous. Il paraît clair, || dans tous les cas, qu’aucun individu, quelque révélation qu’il pût avoir reçu, ou quelque miracle qu’il pût faire, ne saurait avoir le moindre droit sur la croyance, ou sur la foi de son semblable, ou sur le rapport que son semblable pourrait avoir à l’Etre suprême. Lorsqu’on veut juger des religions reçues, surtout dans des siècles où les législateurs les ont confondues et mêlées avec les constitutions politiques, il faut faire préalablement cette réflexion, qu’elles ne se montrent pas d’abord
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suo ritorno, troverebbe gli uomini che disputano sulle sue parole, sul senso che bisognerebbe dargli, che si odiano e forse si sgozzano.185 Potendo parlare senza interruzione e direttamente al mio cuore, alla mia ragione, non immaginate l’assurdità di farmi passare la sua volontà per bocca di un essere mentitore; (F) * Nei due primi casi [294], questa rivelazione deve compiersi necessariamente in ciascun individuo e sotto forma di infusione: a ciascun individuo, perché nessun individuo avrebbe la facoltà, in mancanza di segni comuni, di comunicarci delle idee di cose che non si rivolgono né alla faccia dell’universo che conosciamo, né alla nostra maniera attuale di percepire e di sentire: in forma di infusione, perché tutti i nostri segni si rivolgono alla faccia dell’universo che conosciamo e di conseguenza non potremmo acquisire alcuna di queste idee con il richiamo, né con l’apparizione di alcuno dei nostri segni, che si rivolgono tutti ai nostri organi attuali.
294. * Tuttavia, man mano che vado avanti, vedo che vi prendete gioco di tutto questo e che non volete essere accoppato o bruciato. Molto bene, molto bene; le otto o dieci pagine seguenti mandano all’aria tutta questa macchina di carta. In fede mia, in un primo tempo mi sono ingannato per questo e ho avuto paura che voi cominciaste a sermoneggiare. (F) Nell’ultimo caso, o Dio manifesterebbe attualmente l’oggetto di questa verità o l’immagine di questo gesto; e allora ciascuno degli individui presenti ne avrebbe la sensazione: oppure Dio metterebbe in moto le fibre dei nostri organi, per darci delle idee analoghe a questa verità; e allora ciascuno di questi individui riceverebbe una rivelazione. Ma Dio potrebbe manifestare l’oggetto a un solo individuo, o toccare le fibre di un solo individuo, e in quel caso si tratterebbe della fede. Che cos’è la fede? La fede è la facoltà di poter credere ciò che non è credibile, o di voler credere ciò che non sembra credibile, o di credere ciò che sembra credibile. Nei primi due casi bisogna necessariamente che vi sia un atto particolare dell’Essere supremo; e nell’ultimo, ciascun individuo è ugualmente passivo: perché non dipende da lui che una cosa gli appaia credibile; e di conseguenza è necessario ancora un’azione particolare di Dio sull’anima di ciascun individuo; e di conseguenza è molto vero che la fede non potrebbe essere se non un dono particolare di Dio. Senza contare che nell’ipotesi della necessità di una rivelazione, c’è un’infinita probabilità che le verità che dovremmo sapere dipendono da un’altra faccia dell’universo rispetto a quella che noi conosciamo, perché queste verità derivano dal rapporto di Dio con noi. Sembra chiaro, in tutti i casi, che nessun individuo, qualsiasi rivelazione possa aver ricevuto, qualsiasi miracolo possa fare, non potrebbe avere il minimo diritto sulla credenza o sulla fede del suo simile, o sul rapporto che il suo simile potrebbe avere con l’Essere supremo. Quando si vuol giudicare delle religioni ricevute, soprattutto in secoli in cui i legislatori le hanno confuse con le costituzioni politiche, bisogna fare preliminarmente questa riflessione, che le religioni non si mostrano, in un primo
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toutes nues, comme la vérité, mais tantôt décorées || par les sciences et les vertus des hommes, tantôt défigurées par les lois, les coutumes, les mœurs du jour, par l’art même, et tantôt dégradées et salies par le fanatisme, les vices, et les passions [295].
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295. * Preuve excellente de la sottise du révélateur prétendu, ou de l’inutilité de la révélation . (M) Si les arts et les sciences s’étaient rétablies et perfectionnées dans l’Asie comme dans l’Europe, ne croyez pas que le mahométisme nous paraîtrait maintenant aussi absurde qu’il l’est [296].
296. Fort bien. Je le crois. Bien que le christianisme, manié par beaucoup de bons esprits, n’en soit pas resté moins absurde. (M) | 375
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Chez les Anciens, les poètes se sont d’abord emparés d’une religion dont le polythéisme fut l’objet, et qui fut * peut-être leur ouvrage [297]. Dans || ces temps les poètes tenaient de plus près au peuple et aux prêtres, que les philosophes ; et ces derniers étaient ou trop honnêtes gens, ou trop prudents, pour vouloir, ou pour oser l’arracher des griffes de l’enthousiasme et du fanatisme, afin de la faire cadrer, le plus qu’il fût possible, avec les vraies idées de Dieu et de la vertu.
297. * Je n’en crois rien. Le germe en est dans la nature de l’homme. (F)
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A la renaissance des sciences et des arts, la religion chrétienne, méconnaissable en sortant des mains des barbares, après avoir passé par celle des platoniciens, tenait, et en quelque façon par sa nature, au calendrier, à la chronologie, || à l’astronomie, et par elle à toutes les sciences exactes. Elle marcha de pair avec ces sciences, qui, en se perfectionnant, ôtèrent à la religion les haillons difformes dans lesquels elle était enveloppée par la stupidité monacale ; mais ce vernis étrangement mystique, qu’elle tenait de l’école abâtardie de Platon, était trop du goût des prêtres, qui aimaient mieux le colorer devant le peuple à leur fantaisie, que de le voir effacer [298] par les mains de la philosophie.
298. * On [n’] efface pas le vernis. On l’enlève. (M)
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Il paraît assez par ce que je viens de dire, qu’il est beaucoup plus difficile encore de || monter à la source d’une religion, qu’à celle d’une secte de philosophes. Toutes les deux acquièrent par le temps des modifications étrangères ; mais les religions passant par les mains de tous les hommes, leurs accroissements en sont d’autant plus hétérogènes et monstrueux. Par conséquent il est presque impossible de se représenter la religion chrétienne dans toute sa pureté, et de se former une idée juste des jours et des événements de sa naissance. Juger le christianisme sur le commun des chrétiens d’à présent, serait la chose la plus absurde. J’ai touché autre || part le peu d’élévation de leurs vertus et de leurs vices ; suite nécessaire du mélange de la religion avec la vertu civile. Mais considérez [299], je vous prie, de quelle façon ils se conduisent envers Dieu. Ils lui demandent pour eux ou pour leurs princes une longue vie, des
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tempo, tutte nude, come la verità, ma talvolta decorate dalle scienze e dalle virtù degli uomini, talora sfigurate dalle leggi, dai costumi, dalle consuetudini del tempo, dall’arte stessa, e talora degradate e insozzate dal fanatismo, dai vizi e dalle passioni [295].
295. * Prova eccellente della sciocchezza del presunto rivelatore o dell’inutilità della rivelazione. (M) Se le arti e le scienze fossero rinate e si fossero perfezionate in Asia come in Europa, non credete che il maomettismo ci sembrerebbe ora tanto assurdo quanto di fatto è [296].
296. Molto bene. Io lo credo. Benché il cristianesimo, manipolato da molti bravi spiriti, non sia rimasto meno assurdo. Presso gli Antichi, i poeti si sono dapprima impadroniti di una religione di cui il politeismo fu l’oggetto e che fu *, forse, opera loro [297]. In quei tempi, i poeti erano più vicini al popolo e ai preti dei filosofi; e questi ultimi erano o troppo onesti o troppo prudenti, per volere, o per osare stapparla dalle grinfie dell’entusiasmo e del fanatismo, al fine di renderla quanto più possibile coerente con le vere idee di Dio e della virtù.
297. * Io non lo credo affatto. Il germe è nella natura dell’uomo. Durante il Rinascimento delle scienze e delle arti la religione cristiana, irriconoscibile uscendo dalle mani dei barbari, dopo essere passata per quelle dei platonici, dipendeva in qualche maniera, per sua natura dal calendario, dalla cronologia, dall’astronomia, e attraverso questa, da tutte le scienze esatte. La religione marciò di pari passo con queste scienze le quali, perfezionandosi, tolsero alla religione gli stracci informi nei quali era avvolta, per via della stupidità monacale; ma questa parvenza stranamente mistica, che riceveva dalla scuola imbastardita di Platone, piaceva troppo ai preti, i quali preferivano colorarla a loro fantasia davanti al popolo, piuttosto che vederla cancellata [298] per mano della filosofia.
298. * Non si cancella la parvenza. La si toglie. (M) Da ciò che ho appena detto sembra proprio che sia ancora molto più difficile risalire alla fonte di una religione, che a quella di una setta di filosofi. Entrambe acquisiscono col tempo delle modificazioni estranee; ma gli accrescimenti delle religioni, che passano per le mani di tutti gli uomini, sono in questo modo tanto più eterogenei e mostruosi. Di conseguenza è quasi impossibile rappresentarsi la religione cristiana in tutta la sua purezza e formarsi un’idea giusta dei giorni e degli eventi della sua nascita. Giudicare il cristianesimo a partire dai comuni cristiani di oggi, sarebbe la cosa più assurda. Ho trattato, in altro luogo, della poca elevazione delle loro virtù e dei loro vizi; conseguenza necessaria della mescolanza della religione con la virtù civile. Ma considerate [299], vi prego, in quale maniera essi si comportano verso Dio. Gli chiedono, per loro o per i loro principi, una lunga vita,
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richesses, des | prospérités et des victoires, qu’ils ne sauraient obtenir qu’à la charge de leurs semblables, qui demandent exactement les mêmes choses au même Dieu. Ils veulent lui faire accroire, que toutes leurs guerres ne sont que défensives, et qu’ils ne font tous que prévenir ou empêcher des injustices. || Les païens en agirent plus conséquemment, en demandant la destruction de leurs ennemis, chacun à son dieu tutélaire ou national : ces dieux pouvaient être mal ensemble. Enfin ils ne rougissent pas de rendre grâces à l’Etre dont émane la vie de l’univers entier, d’avoir ôté, par ses bénédictions, la vie, autant qu’il fut en eux, à un certain nombre de leurs frères. Il faut avouer, qu’en regardant l’homme de ce côté, il paraît bien absurde et bien petit. Pourtant il ne l’est pas. Heureusement sa petitesse est son ouvrage, et la suite nécessaire du mécanisme || de la société artificielle.
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O quam contempta res est homo, nisi supra humana surrexerit !
Considérons maintenant d’un œil philosophique l’oraison dominicale. Le chrétien y commence à glorifier son Créateur, autant que l’état borné où il se trouve le lui peut permettre [300]. Il souhaite que le royaume de son Dieu advienne, c’est-à-dire, son approximation à la source de toutes choses. Il soumet toute velléité à la velléité suprême. Il demande || son besoin physique pour le moment dans lequel il parle, sans se soucier du moment physique qui va suivre. Il sent tellement son rapport à Dieu, c’est-à-dire, sa conscience est tellement en repos du côté de ce qu’il désire et médite, qu’il ose demander au Dieu tout présent qu’il le traite, comme lui il traite ses semblables [301]. XXX
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299. (Excellent) et tout ce qui suit. (M) 300. * Voy. la réfl. qui suit. Pag. 181 . (M) 301. Xxx Et ne nous induisez point en tentation. Qu’en dites-vous ? Demander à Dieu de ne nous pas tendre de pièges : voilà une belle prière ! (F) Avouez qu’ici le chrétien paraît un Dieu subalterne, qui parlerait à son père. [302]
302. * Mais avez-vous oublié ce que vous avez dit plus haut de l’absurdité de la prière en général pag. 163. Et ce qui est absurde peut-il être beau ? (M) | 377 182
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Il ne s’agit ici ni de votre croyance, ni de la mienne, ni de celle d’un tiers ; mon but est, comme j’ai dit, de voir, à quoi la raison, ou la || faculté intuitive toute pure nous mène, et c’est dans ce but que je vais finir cet article de la révélation par la réflexion suivante. ** Si l’on ôte à la religion chrétienne tout ce qui paraît postiche et faux, et qu’on rejette toutes les interprétations que des hommes ont eu l’impudence de donner de ce qu’ils annonçaient comme la parole du Dieu suprême, on trouvera, que l’institution de la religion chrétienne ressemble le plus à une révélation ; que c’est cette religion seule qui appelle l’homme à un bonheur individuel ; que c’est * elle seule qui détache l’homme || des liens de la société artificielle [303], et qui le rend à lui-même ; et enfin, qu’il n’y a qu’elle qui ne considère les devoirs de l’individu envers la société, qu’en tant qu’ils ont du rap-
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ricchezze, prosperità e vittorie, che non potrebbero ottenere se non a spese dei loro simili, i quali domandano esattamente le stesse cose, allo stesso Dio. E vogliono fargli credere che tutte le loro guerre non sono altro che difensive e che tutti non fanno altro che prevenire o impedire le ingiustizie. I pagani agirono in maniera più coerente, chiedendo la distruzione dei loro nemici, ciascuno al proprio dio tutelare o nazionale: questi dei potevano stare male insieme. Insomma, non arrossivano nel rendere grazie all’Essere da cui emana la vita dell’universo intero, per aver tolto la vita, con le sue benedizioni, e per quanto stesse in loro, a un certo numero di loro fratelli. Bisogna riconoscere che guardando l’uomo da questo lato, sembra proprio assurdo e ben piccola cosa. E pur tuttavia non lo è. Fortunatamente la sua piccolezza è opera sua, è la conseguenza necessaria del meccanismo della società artificiale. O quanto è cosa spregevole l’uomo, se non s’innalza al di sopra delle cose umane!
Consideriamo ora, con occhio filosofico, la preghiera domenicale. Il cristiano comincia col glorificare il suo Creatore, per quanto lo stato limitato in cui si trova può permetterglielo [300]. Auspica che avvenga il regno del suo Dio, cioè la sua approssimazione alla fonte di tutte le cose. Sottomette ogni velleità alla velleità suprema. Chiede il suo bisogno fisico per il momento in cui parla, senza preoccuparsi del momento fisico che seguirà. Sente a tal punto il suo rapporto con Dio, cioè la sua coscienza è talmente inquieta, dal lato di ciò che desidera e medita, che osa domandare al Dio onnipresente che lo tratti come egli tratta i suoi simili [301]. xxx
299. (Eccellente) e tutto ciò che segue. (M) 300. * Vedete la riflessione che segue. Pag. 181. (M) 301. xxx E non indurci in tentazione. Che ne dite? Chiedere a Dio di non tenderci trappole: ecco una bella preghiera! (F) Confessate che qui il cristiano sembra un Dio subalterno, che parlerebbe a suo padre [302].
302. * Ma avete dimenticato ciò che avete detto poco sopra, dell’assurdità della preghiera in generale, pag. 163? E ciò che è assurdo, può essere bello? (M) Non si tratta qui né della vostra credenza, né della mia, né di quella di un terzo; il mio scopo è, come ho detto, di vedere a che cosa la ragione, ovvero la facoltà intuitiva tutta pura, ci conduce, ed è a questo scopo che terminerò quest’articolo della rivelazione con la seguente riflessione. ** Se si toglie alla religione cristiana tutto ciò che sembra posticcio e falso, e si respingono tutte le interpretazioni che certi uomini hanno avuto l’impudenza di dare, di ciò che annunciavano come la parola del Dio supremo, si troverà che l’istituzione della religione cristiana è quella che assomiglia di più a una rivelazione; che questa è la sola religione a chiamare l’uomo a una felicità individuale; che è essa sola a distaccare l’uomo dai legami della società artificiale [303], e a restituirlo a se stesso; e infine che solo la religione cristiana considera i doveri dell’individuo verso la società, in quanto essi sono in rapporto
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port aux devoirs de l’individu envers l’Etre suprême, qui seuls constituent le vrai bonheur de l’individu [304].
303. Est-ce un éloge ou une cruelle satire. Le ton est d’éloge. La chose est de satire. (M) 304. ** Mais à quoi diable pensez-vous donc ? Il y a dans l’Évangile, livre auquel il faut s’en rapporter, ou tout ignorer sur ce point, deux morales. Une morale générale commune à tous les peuples. Et une morale qui est vraiment la morale chrétienne. Or cette dernière est bien la morale la plus anti-sociale que je connaisse. Donnez-vous la peine de relire le Sermon sur la Montagne. Relisez tout l’Évangile, et recueillez les préceptes propres au christianisme ; et vous me direz ensuite s’il y a rien de plus capable de relâcher les liens humains, de quelque nature qu’ils soient. Pascal qui entendait cette morale autant que personne, repoussa toute sa vie l’amour de sa sœur et lui dissimula la sienne, de peur que ce sentiment humain ne nuisît à l’amour qu’il devait à Dieu. (F) | Sans compter même, que la religion chrétienne est encore le soutien le plus ferme de la société actuelle en Europe [305]. Cette réflexion devrait seule suffire aux incrédules, pour leur faire regarder cette religion au moins comme respectable.
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305. * Toute société actuelle en Europe est artificielle. Comment la religion chrétienne peut-elle en détacher et en être le soutien. (M) J’aurais dû parler encore de || * l’extravagance des adorations d’astres, d’animaux, et de plantes : mais il suffit de remarquer, que l’organe moral nous donne des sensations réelles de la présence de l’Etre suprême ; que non seulement les autres organes communiquent du mouvement à l’organe moral, mais que celuici, à son tour, en communique souvent aux autres organes ; et que c’est de là que dérive la cause de ces étranges objets de culte qu’on a vu parmi les hommes [306].
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306. * Vous cherchez trop de finesse, et vous enveloppez de trop d’obscurités, des choses simples et claires. Tout le fétichisme, tout le polythéisme s’explique par l’homme ignorant, l’homme malheureux, l’homme peureux. Ignorant il a donné de la volonté à ce qui n’en avait pas. Malheureux, il a prié et sacrifié, tâché de fléchir son fétiche, comme il fléchissait son semblable. Peureux, sans quoi il n’aurait ni prié ni sacrifié. Il a envoyé des parfums à l’air. Fait des libations à la terre. Jeté de la farine dans la mer. | Il a sacrifié la gerbe, la toison, la brebis, le bœuf, la vache, le taureau, le cheval, l’esclave, le citoyen, et toujours en enchérissant, Dieu le fils à Dieu le père . (F)
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con i doveri dell’individuo verso l’Essere supremo, i quali soltanto costituiscono la vera felicità dell’individuo [304].
303. È un elogio o una crudele satira? Il tono è di elogio. La cosa è di satira. (M) 304. * Ma a che diavolo pensate dunque? Ci sono nel Vangelo, libro al quale occorre riferirsi, o ignorare tutto su questo punto, due morali. Una morale generale comune a tutti i popoli. E una morale che è veramente la morale cristiana. Ora, quest’ultima è proprio la morale più antisociale che io conosca. Datevi la pena di rileggere il Discorso della Montagna. Rileggete tutto il Vangelo e raccogliete i precetti propri del cristianesimo; e poi mi direte se c’è qualcosa di più adatto ad allentare i legami umani, di qualunque natura essi siano.186 Pascal, che capiva questa morale più di chiunque altro, respinse per tutta la vita l’amore di sua sorella e le tenne nascosto il suo, per paura che questo sentimento umano non nuocesse all’amore che doveva a Dio.187 (F) Senza neanche contare il fatto che la religione cristiana è ancora il sostegno più sicuro della società attuale in Europa [305]. Questa sola riflessione dovrebbe bastare agli increduli per far considerare loro questa religione almeno come rispettabile.
305. * Ogni società attuale in Europa è artificiale. Come può la religione cristiana distaccarsene ed esserne il sostegno. (M) Avrei dovuto parlare, inoltre, della * stravaganza delle adorazioni di astri, di animali e di piante: ma basti notare che l’organo morale ci dà delle sensazioni reali della presenza dell’Essere supremo; che non soltanto gli altri organi comunicano movimento all’organo morale, ma che quest’ultimo, a sua volta, ne comunica spesso agli altri organi, e da ciò deriva la causa di quegli strani oggetti di culto che si sono visti tra gli uomini [300].
306. * Voi cercare troppa finezza, e avvolgete in troppe oscurità delle cose semplici e chiare. Tutto il feticismo, tutto il politeismo si spiega con l’uomo ignorante, l’uomo infelice, l’uomo pauroso. Ignorante, egli ha dato volontà a ciò che non ne aveva. Infelice, ha pregato e sacrificato, ha tentato di piegare il suo feticcio come piegava il suo simile. Pauroso, senza la qual cosa non avrebbe pregato, né sacrificato. Ha sparso profumi nell’aria. Fatto delle libagioni alla terra. Gettato della farina in mare. Ha sacrificato il covone, il vello, la pecora, il bue, la vacca, il toro, il cavallo, lo schiavo, il cittadino, e offrendo sempre di più, Dio figlio al Dio padre.188 (F)
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J’ai dit tantôt, que peut-être les poètes étaient les auteurs du polythéisme, et de toutes ces divinités de figure || humaine, qui occupèrent les cieux et les enfers des païens. On a accusé Homere d’avoir trop rendu les dieux des hommes, et les hommes des dieux : mais voyons encore si cette déification des hommes, et cette humanification des dieux, était une chose aussi absurde ; et si jamais le gros des hommes a changé beaucoup sa façon de penser sur ce sujet. Tous les hommes sains, et bien conformés, ont une sensation, plus ou moins distincte, de l’existence réelle et nécessaire de la divinité, sans même que l’intelligence y entre pour rien ; et il n’y a pas [307] || d’homme athée. Dans l’homme individu, cette sensation est extrêmement faible ; dans * l’homme en société, l’organe moral s’ouvre, et la sensation de la divinité devient plus forte [308].
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307. * Voilà un étrange abus des mots ; ou une assertion bien fausse. (F) 308. * Je crois que vous avez dit le contraire de l’organe moral en société ; dans un autre endroit. (F) L’homme crut voir clairement que la partie, sans comparaison la plus essentielle de l’univers, était le globe qu’il habitait. L’idée qu’il avait de distance était bornée, et définie par la portée de sa vue, jointe à la mesure réelle et directe des choses où il pouvait atteindre. Il n’y avait pas de mesure réelle pour lui jusqu’aux astres ; ainsi, par rapport aux astres l’idée de || distance s’anéantit, les astres ne furent que des phénomènes, des êtres divins, peu sujets au changement, des inspecteurs de l’univers, des décorations de la voûte céleste, des flambeaux pour détruire les horreurs de l’obscurité de la nuit ; et quoique les astronomes, par des combinaisons d’idées géométriques et abstraites, assignèrent aux distances des corps célestes des | grandeurs mesurables, elles étaient beaucoup trop grandes pour qu’on pût en croire les astronomes. Le globe de la terre resta donc d’une importance infinie : l’homme fut ce qu’il y eut de plus important || sur la terre. Quel moyen que Dieu ne ressemblât à l’homme ? Quel moyen qu’un grand homme regretté ne fût un dieu ?
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Ἓν ἀνδρῶν ἓν θεῶν γένος, ἐκ μιᾶς δὲ πνέομεν ματρὸς ἀμφότεροι.
La plus grande révolution qui s’est faite dans les idées des hommes, fut lorsque des philosophes leur apprirent, d’une façon incontestable, que ce globe n’était qu’une planète, comme tant d’autres [309] ; que cette chose importante était un rien, et l’univers infini. Si cette découverte s’était || faite dans des siècles où l’organe moral avait encore un peu de sa vigueur primitive, il y a de l’apparence qu’elle aurait changé totalement la forme de la société ; mais tombant dans des siècles où cet organe était terni, l’intelligence fit entrevoir un dieu trop peu conforme à ceux qu’on adorait, pour qu’on y pût plier facilement les idées qu’on s’était faites de la religion.
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309. * Vous avez raison ; le quart de cercle et le télescope furent deux machines bien impies. (M) Il paraît que Pythagore et sa secte sacrée avaient réellement en vue une pareille réforme. Ayant acquis des idées justes et vraies de la cosmologie, et par
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Ho detto poc’anzi che forse i poeti erano gli autori del politeismo e di tutte quelle divinità di figura umana che occuparono i cieli e gli inferi dei pagani. Si è accusato Omero di aver reso gli dei troppo uomini, e gli uomini dei: ma vediamo inoltre se questa deificazione degli uomini e questa umanizzazione degli dei era una cosa così assurda; e se casomai il grosso degli uomini ha cambiato molto la sua maniera di pensare su quest’argomento. Tutti gli uomini sani e ben conformati hanno una sensazione più o meno distinta dell’esistenza reale e necessaria della divinità, anche senza che l’intelligenza abbia niente a che fare con questo; e non esiste un uomo ateo [307]. Nell’uomo individuo, questa sensazione è estremamente debole; *nell’uomo in società, l’organo morale si apre e la sensazione della divinità diventa più forte [308].
307. * Ecco uno strano abuso delle parole; o un’asserzione assai falsa. (F) 308. * Io credo che abbiate detto il contrario dell’organo morale in società, in un altro luogo.189 (F) L’uomo credette di vedere chiaramente che la parte senza confronti più essenziale dell’universo, era il globo che egli abitava. L’idea che aveva di distanza era limitata e definita dalla portata della sua vista, unita alla misura reale e diretta delle cose a cui poteva attingere. Non c’era misura reale per lui fino agli astri; così, in rapporto agli astri, l’idea di distanza si annulla, gli astri non furono altro che dei fenomeni, degli esseri divini poco soggetti al cambiamento, gli ispettori dell’universo, delle decorazioni della volta celeste, delle fiaccole per distruggere gli orrori dell’oscurità della notte; e benché gli astronomi, con combinazioni di idee geometriche e astratte, assegnarono alle distanze dei corpi celesti delle grandezze misurabili, esse erano fin troppo grandi perché si potesse credere agli astronomi. Il globo della terra restò dunque di un’importanza infinita: l’uomo fu ciò che c’era di più importante sulla terra. Come fare in modo che Dio non assomigliasse all’uomo? Come fare in modo che un grand’uomo rimpianto non fosse un dio? La razza degli uomini e degli dei è la stessa; perché entrambi siamo generati dalla stessa madre.
La rivoluzione più grande che s’è compiuta nelle idee degli uomini fu quando dei filosofi insegnarono loro, in maniera incontestabile, che questo globo non era che un pianeta come tanti altri [309]; che questa cosa importante era un nulla, e l’universo infinito. Se questa scoperta fosse stata fatta in secoli in cui l’organo morale aveva ancora un po’ del suo vigore primitivo, è manifesto che ciò avrebbe cambiato totalmente la forma della società; ma accadendo in secoli in cui quest’organo era ottenebrato, l’intelligenza fece intravedere un dio troppo poco conforme a quelli che si adoravano, affinché si potessero piegare facilmente le idee che ci si era fatti della religione.
309. * Avete ragione; il quadrante e il telescopio furono due macchine assai empie. (M) Sembra che Pitagora e la sua setta sacra avessero realmente in vista una simile riforma. Avendo acquisito idee giuste e vere della cosmologia e, di con-
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conséquent du || néant de notre globe vis-à-vis de l’infinité de l’univers physique, ils eurent de tout autres idées de Dieu. Ils tentèrent une modification de la société, dont la base serait, non la perfection de l’organe de la vue, ni de celui de l’ouïe, ni de celui du tact, mais celle de l’organe moral. Si l’on fait attention à leur ὁμοίωσις τῷ Θεῷ κατὰ τὸ δυνατόν, à leurs ἀρεταὶ θεωρητικαὶ καὶ καθαρτικαί, à leur μετριοπάθεια, à leur λύσις ἀπὸ τοῦ σώματος , à leur ζωὴ τῆς ψυχῆς καθ’ ἑαυτήν, on sera convaincu, que leur système était fondé sur la plus grande partie des vérités que j’ai tâché de vous prouver dans cette lettre. || Vous savez le résultat de leur philosophie, et que la première école de Pythagore donna l’exemple, unique au monde, d’une société d’êtres supérieurs, où la vertu fut nécessaire, le vice impossible, et les talents proportionnés à l’élévation d’âme de ces individus prodigieux. | Mais retournons encore à la contemplation de la société, ou plutôt à celle de sa modification actuelle, et tâchons de développer en peu de mots la nature de cette modification, de montrer ses imperfections, et de voir s’il lui reste encore des moyens pour y remédier. || La nature de la force attractive de l’homme [310], a fait naître une société, laquelle aurait pu rester générale, sans une certaine amplification de ses connaissances, qui a empêché les individus de demeurer à peu près égaux. * Les hommes sont liés naturellement entre eux, à proportion de la quantité d’idées acquises qu’ils auront communes : par conséquent, aussitôt que les signes communicatifs naturels se développèrent, un homme, par les mêmes aliments, par la même éducation, par une conversation journalière, avait plus d’idées en commun avec ceux de sa || famille qu’avec tout autre [311]. Le total des hommes se divisa en familles, ou en parties, et ces parties devinrent hétérogènes, à mesure que les langues et le peu de connaissances se perfectionnèrent. Mais aussitôt que ces connaissances arrivèrent à un point qu’elles purent produire des effets généraux, le besoin des hommes lia de nouveau plusieurs parties ou plusieurs sociétés particulières ensemble. Mais la société primitive générale avait été composée d’individus égaux, ou peu s’en faut, tandis que ces sociétés particulières, nées après une certaine culture de l’esprit, étaient || extrêmement hétérogènes : ce qui causa infailliblement du désordre. Pour le prévenir autant qu’il était possible, on imagina des gouvernements, et on donna de la consistance et des limites à ces sociétés [312].
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310. * C’est l’emploi trop fréquent et souvent inutile de ces façons de dire qui rend votre livre obscur. (F) 311. * Vous prenez ici l’accessoire pour la chose principale ; le besoin, la nécessité de la lutte contre nature, lutte plus facile, plus heureuse, en corps qu’isolé. Voilà la base, la chose principale. L’agrément qui naît d’une grande multitude de signes et d’idées communes [,] voilà l’accessoire. C’est ce qui dans la grande société nous fait préférer une petite société à une autre, la compagnie de Pierre à celle de Jacques. (F) | 382
Diderot.indb 1048
312. * C’est la distance qui créa les [gouvernements] particuliers. Comme il arrive aujourd’hui entre l’Angleterre et ses colonies. On ne se fait pas obéir à cinq ou six cents lieues de l’endroit où l’on réside . (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 310-312
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seguenza, del niente del nostro globo, di fronte all’infinità dell’universo fisico, ebbero tutt’altre idee di Dio. Tentarono una modificazione della società la cui base sarebbe stata non la perfezione dell’organo della vista, né di quello dell’udito, né di quello del tatto, ma la perfezione dell’organo morale. Se si fa attenzione alla loro somiglianza con la Divinità, per quanto è possibile, alle loro virtù teoretiche e purificanti, alla loro facoltà di essere affetti moderatamente da tutto ciò che accade, alla loro separazione dal corpo, alla loro vita dell’anima in sé stessa, ci convinceremo che il loro sistema era fondato sulla maggior parte delle verità che ho tentato di provarvi in questa lettera. Voi conoscete il risultato della loro filosofia, e che la prima scuola di Pitagora diede l’esempio, unico al mondo, di una società di esseri superiori in cui la virtù fu necessaria, il vizio impossibile e i talenti proporzionati all’elevazione d’animo di quegli individui prodigiosi. Ma torniamo di nuovo alla contemplazione della società, o piuttosto a quella della sua modificazione attuale, e tentiamo di sviluppare in poche parole la natura di questa modificazione, di mostrare le sue imperfezioni e di vedere se le restano ancora dei mezzi per rimediarvi. La natura della forza attrattiva dell’uomo [310] ha fatto nascere una società, la quale avrebbe potuto restare generale, senza una certa amplificazione delle sue conoscenze che ha impedito agli individui di rimanere all’incirca uguali. * Gli uomini sono naturalmente legati tra loro, in proporzione alla quantità di idee acquisite che avranno in comune: di conseguenza, non appena i segni comunicativi naturali si svilupparono, un uomo, con gli stessi alimenti, con la stessa educazione, con una conversazione giornaliera, aveva più idee in comune con quelli della sua famiglia che con ogni altro [311]. Il totale degli uomini si divise in famiglie o in parti, e queste parti divennero eterogenee mano a mano che le lingue e quel poco di conoscenze che avevano, si perfezionarono. Non appena queste conoscenze giunsero a un punto nel quale poterono produrre degli effetti generali, il bisogno degli uomini legò di nuovo insieme diverse parti o diverse società particolari. Ma la società primitiva generale era stata composta di individui uguali, o poco ci manca, mentre queste società particolari, nate dopo una certa cultura dello spirito, erano estremamente eterogenee: il che causò infallibilmente del disordine. Per prevenirlo, per quanto era possibile, s’immaginarono dei governi e si diedero della consistenza e dei limiti a queste società [312].
310. * È l’utilizzo troppo frequente e spesso inutile di queste maniere di dire a rendere oscuro il vostro libro. (F) 311. * Voi prendere qui l’accessorio per la cosa principale; il bisogno, la necessità della lotta contro la natura, lotta più facile, più felice quando si è uniti in corpo che isolati. Ecco la base, la cosa principale.190 Il piacere che nacque da una gran moltitudine di segni e di idee comuni, ecco l’accessorio. Ed è ciò che nella grande società ci fa preferire una piccola società a un’altra, la compagnia di Pietro a quella di Giacomo. (F) 312. * Fu la distanza a creare i [governi] particolari. Come accade oggi tra l’Inghilterra e le sue colonie. Non ci si fa obbedire a cinque o seicento leghe dal luogo in cui si risiede. (M)
Diderot.indb 1049
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opere filosofiche
Tout est imitation chez les hommes ; et pour construire leurs gouvernements, ils prirent celui de l’univers pour modèle : suivant les opinions qu’ils en avaient, ils s’imaginaient que l’univers était gouverné despotiquement ; ce qui était impossible. Lorsque Dieu créa A, il fut le despote [313] de A ; lorsqu’il créa B, il fut le despote de B ; mais lorsqu’il a fait coexister || A et B, il en est résulté des rapports, d’où dérivent des lois que Dieu ne saurait changer sans anéantir ou A ou B, ou tous les deux ensemble. Ainsi l’univers est gouverné par des lois, qui dérivent de la nature que Dieu a voulu donner aux différentes parties qui le composent.
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313. x Même dans le système d’une création possible, Dieu n’a pu ni dû être despote. Il s’établit entre Dieu et A, un ordre de lois ; comme celles d’un père à son enfant ; et je ne vois pas que la création donne des droits que ne donne pas la naissance. (M) En suivant ce modèle, une société, ou plutôt le total des actions d’un certain nombre d’hommes, aurait dû être gouverné par des lois dérivées des rapports que ces hommes ont entre eux [314] ; et comme les hommes étaient à peu près égaux dans la nature, leurs rapports l’auraient été || de même, et on n’aurait pas vu ces événements monstrueux, ces catastrophes si disproportionnées à la nature de l’homme ; on n’aurait pas vu Cajus Marius assis sur les ruines de Carthage. |
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314. x Cela est vrai ; et par ces rapports seuls. Ici, vous parlez exactement comme nous. (M)
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Si l’on considère l’étrange disproportion qu’il y a maintenant entre les individus qui composent la société : si l’on considère la nécessité absolue où le législateur se trouve d’infliger les mêmes peines et de demander les mêmes actions au riche, au pauvre, au savant, à l’ignorant, au fort et au faible, de devoir se fier également sur la bravoure de tous ses soldats, et sur la fidélité || de tous ses citoyens, enfin de n’avoir pour garant que le rapport de chaque individu à Dieu, rapport qui diffère dans chaque individu [315] ; on sera convaincu de l’imperfection extrême de la modification actuelle de la société. Il faudrait donc l’un des deux, ou qu’on rendît les individus plus égaux par une éducation publique, ce qui est très difficile ; ou qu’on trouvât un moyen de connaître mieux la nature de chaque individu et ses rapports. Pour connaître mieux les individus et leurs rapports, il n’y a que deux moyens : le premier, qui est très imparfait, consiste à diminuer || le nombre des individus, en introduisant l’esclavage : le second consiste à faire en sorte que les individus s’indiquent eux-mêmes, c’est-à-dire, que tout citoyen se fasse voir tel qu’il est, et que, vis-à-vis de la société, le riche ne paraisse pas pauvre par avarice, ni l’homme à talents inhabile par indolence [316]. Le seul ressort que le gouvernement pourrait employer pour produire un tel effet, serait ** l’amour de la patrie [317].
315. * Mais c’est que le législateur a bien d’autres garants que ce rapport ; Le 1er c’est cent, deux cent mille hommes à sa solde, dont l’intérêt est entre ses mains. Le 2d ce sont les lois, et ceux qui les administrent en son nom. 3e C’est la conservation même de la société également intéressante à tous. Le 4e ce sont les propriétés mêmes des individus.
Diderot.indb 1050
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osservazioni su hemsterhuis, 313-315
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Tutto è imitazione negli uomini; e per costruire i loro governi, essi presero a modello quello dell’universo: secondo le opinioni che ne avevano, s’immaginarono che l’universo fosse governato dispoticamente; il che era impossibile. Quando Dio creò A, egli fu il despota di A; quando creò B, fu il despota di B; ma quando ha fatto coesistere A e B, ne sono risultati dei rapporti dai quali derivano le leggi che Dio non potrebbe cambiare senza annientare o A o B, ovvero entrambi insieme. Così l’universo è governato da leggi che derivano dalla natura che Dio ha voluto dare alle diverse parti che lo compongono [313].
313. x Anche nel sistema di una creazione possibile, Dio non ha potuto né dovuto essere despota. Tra Dio e A si stabilisce un ordine di leggi; come quelle di un padre rispetto a suo figlio; e io non vedo come la creazione dia diritti che non dà la nascita. (M) Secondo questo modello, una società, o piuttosto il totale delle azioni di un certo numero di uomini, avrebbe dovuto essere governato da leggi derivate dai rapporti che questi uomini hanno tra loro [314]; e siccome gli uomini erano all’incirca uguali in natura, anche i loro rapporti lo sarebbero stati e non si sarebbero visti questi eventi mostruosi, queste catastrofi così sproporzionate rispetto alla natura dell’uomo; non si sarebbe visto Caio Mario seduto sulle rovine di Cartagine.
314. x Questo è vero; e per questi soli rapporti. Qui voi parlate esattamente come noi.191 (M) Se si considera la strana sproporzione che c’è ora tra gli individui che compongono la società: se si considera la necessità assoluta, in cui il legislatore si trova, d’infliggere le stesse pene e di chiedere le stesse azioni al ricco, al povero, al dotto, all’ignorante, al forte e al debole, di doversi fidare ugualmente del coraggio di tutti i suoi soldati e della fedeltà di tutti i suoi cittadini, insomma di non avere per garante altro che il rapporto di ciascun individuo con Dio, rapporto che differisce in ciascun individuo [315]; ci si convincerà dell’estrema imperfezione della modificazione attuale della società. Bisognerebbe dunque delle due l’una, o che si rendessero gli individui più eguali con un’educazione pubblica, il che è molto difficile; o che si trovasse un mezzo per conoscere meglio la natura di ciascun individuo e i suoi rapporti. Per conoscere meglio gli individui e i loro rapporti, non ci sono che due mezzi: il primo, molto imperfetto, consiste nel diminuire il numero degli individui, introducendo la schiavitù: il secondo consiste nel fare in modo che gli individui si indichino essi stessi, cioè che ogni cittadino si faccia vedere tale quale è, e che di fronte alla società il ricco non appaia povero per avarizia, né l’uomo di talento incapace per indolenza [316]. Il solo mezzo che il governo potrebbe utilizzare per produrre un tale effetto sarebbe** l’amore per la patria [317].
315. * Ma il fatto è che il legislatore ha ben altri garanti che questi rapporti; Il 1° sono cento, duecentomila uomini al suo soldo, il cui interesse è tra le sue mani. Il 2° sono le leggi e coloro che le amministrano in suo nome. 3° è la conservazione stessa della società che è egualmente interesse di tutti. Il 4° sono i privilegi e le proprietà stesse degli individui.
Diderot.indb 1051
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opere filosofiche
Le 5e ce sont les privilèges de chaque corps particulier de la société qui forment autour d’eux, comme autant de barrières qui les isolent et les opposent les uns aux autres. Le 6e etc. etc. (F) | 384
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316. * Cela n’arrive presque jamais. L’or qui est la représentation de tout donne tant d’importance que celui qui a de l’or veut qu’on le sache et que celui qui en manque fait tout ce qu’il peut, pour faire croire qu’il en a. Ce que [je] dis de l’or ; je puis le dire du talent. On le fait valoir tant qu’on peut, quand on en est doué ; on en affecte toujours plus qu’on n’en a. Rien de si commun que la charlatanerie. (M) 317. Certes l’amour de la patrie serait le meilleur garant de la sûreté du souverain. Mais comment crée-t-on un amour durable de la patrie ; par une législation qui assure toujours la récompense au mérite et le châtiment au vice ; et qui lie indivisiblement le bonheur du particulier au bonheur public. Et comment produit-on tous ces effets. En ôtant à la richesse toute sa valeur. Et comment ôte-t-on à la richesse toute sa valeur ? En abandonnant toutes places indistinctement au concours. Et qui est-ce qui assistera, jugera à ce concours ? Le public. Et c’est ainsi que l’éducation particulière aura une base générale et publique. Ce qui n’existe nulle part. Quel intérêt a-t-on à être bon ? aucun. Quel intérêt a-t-on à être instruit ? aucun. Quand on connaîtrait supérieurement la législation d’un état et sa constitution, deviendrait-on chancelier. Nullement. Naissance, or et protection font tout. T.s.v.pl. Voilà le vice auquel il faut remédier. | Quand un père opulent pourra dire à son fils, Mon fils, si tu ne veux que des vins exquis, des jolies femmes, un palais à la ville, un château à la campagne, des chevaux et des chiens, tu les auras. Mais avec toute ma fortune, je ne pourrais pas te faire huissier, si tu ne l’emportes pas sur tes concurrents. Alors le gouvernement sera fort près de sa perfection. (F) Une grande partie des imperfections de la modification actuelle de la société, dérive de la différence du but de la religion et de celui de la || vertu civile * : [318] l’un vise au bonheur éternel et permanent de chaque individu, l’autre au bonheur temporel de la société.
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318. * Comparez ce mot qui est vrai, avec l’éloge que vous avez fait de la religion chrétienne. (M)
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Diderot.indb 1052
On a essayé de mêler la religion et la vertu civile ensemble : ce qui est impossible. Les rois asiatiques, le Vieux de la montagne, les papes, ont tâché de diriger ces deux principes vers leurs personnes, c’est-à-dire, qu’ils représentèrent en quelque façon la société et l’Etre suprême : ils furent prince et Dieu. Mais ce qui est fort singulier, c’est qu’on ne trouve nulle part dans l’histoire, qu’aucun législateur ait tenté || * l’identification totale de l’idée de la divinité et de celle de la patrie [319].
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osservazioni su hemsterhuis, 315-318
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Il 5° sono i privilegi di ciascun corpo particolare della società, che formano attorno a essi come altrettante barriere che li isolano e li oppongono gli uni agli altri. Il 6° ecc. ecc. (F) 316. * Questo non accade quasi mai. L’oro, che è la rappresentazione di tutto, dà tanta importanza che chi possiede dell’oro vuole che lo si sappia e chi non ne possiede fa tutto ciò che può, per far credere che ne ha. Questo che dico dell’oro; posso dirlo del talento. Lo si fa valere per quanto si può, quando se ne è dotati; se ne fa sempre più mostra di quanto se ne abbia. Niente di così comune quanto la ciarlataneria.192 (M) 317. Certo l’amore della patria sarebbe il miglior garante della sicurezza del sovrano. Ma come si crea un amore durevole della patria; con una legislazione che assicura sempre la ricompensa al merito e il castigo al vizio; e collega invisibilmente la felicità del singolo alla felicità pubblica.193 E come si producono tutti questi effetti. Togliendo alla ricchezza tutto il suo valore. E come si toglie alla ricchezza tutto il suo valore? Consegnando indistintamente tutti posti di funzione al concorso. E chi assisterà, chi giudicherà questo concorso? Il pubblico. È così che l’educazione particolare avrà una base generale e pubblica. Il che non esiste da nessuna parte. Quale interesse si ha a essere buoni? Nessuno. Quale interesse si ha a essere istruiti? Nessuno. Quando si conoscesse la legislazione di uno Stato e la sua costituzione in modo superiore, si dovrebbe diventare cancellieri. Niente affatto. Nascita, oro e protezione fanno tutto. T. s. v. pl. Ecco il vizio al quale occorre rimediare. Quando un padre ricco potrà dire a suo figlio, Figlio mio, se non vuoi altro che vini squisiti, belle donne, un palazzo in città, un castello in campagna, cavalli, cani, li avrai. Ma con tutta la mia fortuna, io non potrò farti diventare magistrato se non hai la meglio sui tuoi concorrenti. Allora il governo sarà molto vicino alla sua perfezione.194 (F) Una gran parte delle imperfezioni della modificazione attuale della società, deriva dalla differenza dello scopo della religione e di quello della virtù civile* [318]: l’uno mira alla felicità eterna e permanente di ciascun individuo, l’altro alla felicità temporale della società.
318. * Paragonare questa parola, che è vera, con l’elogio che avete fatto della religione cristiana. (M) Si è tentato di mescolare insieme la religione e la virtù civile: il che è impossibile. I re asiatici, il Vecchio della montagna, i papi, hanno tentato di dirigere questi due principi verso le loro persone, cioè a dire che essi rappresenterebbero, in qualche modo, la società e l’Essere supremo: furono principe e Dio. Ma quello che è assai singolare è che non si trova da nessuna parte, nella storia, che il legislatore abbia tentato *l’identificazione totale dell’idea della divinità e di quella della patria [319].
Diderot.indb 1053
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opere filosofiche
319. * Ç’aurait été peut-être le meilleur parti à tirer d’une chimère. Mais il fallait laisser la chimère de côté, et tâcher d’identifier le bonheur particulier avec le bonheur public. (F) Je ne saurais finir cette partie de ma lettre, sans dire un mot encore du mal le plus dangereux qui attaque la société d’à présent, et qui, pour ainsi dire, est plus particulier à notre siècle, qu’à tout autre. Il n’y a rien au monde de plus respectable que des théologiens et des philosophes, tels qu’on en voit encore de nos jours. Mais, d’un côté, de soi-disant orthodoxes, dont la raideur, l’entêtement, la stupidité, le peu de lumières et l’ambition | outrée, leur || font prétendre que tous les hommes devraient penser et comprendre comme eux, et qui ne réfléchissent pas, que s’il y avait des preuves contre la religion chrétienne, la plus forte, sans doute, serait celle, que la parole de Dieu aurait besoin de leur interprétation, ou qu’elle serait susceptible d’interprétations infinies : et d’un autre côté, ces essaims de soidisant philosophes, aussi vains et aussi peu éclairés que ces orthodoxes, qui, à force de dérèglements, de vices, ou de sophismes, ** ont fait taire leur organe moral [320] pour un temps, qui prêchent l’irréligion et || l’athéisme avec plus de zèle encore que les autres leur prétendue orthodoxie, qui voudraient convertir tous les hommes, afin que personne ne leur fît entrevoir un Dieu tout-présent qu’ils redoutent [321], ou ne les fît ressouvenir d’un organe qui reste après cette vie [322], et qui incommodera sûrement à mesure qu’on l’aura négligé, et à mesure qu’il deviendra plus fortement susceptible de sensations agréables ou mauvaises : ces soi-disant orthodoxes, et ces prétendus philosophes, dis-je, sont deux espèces nuisibles, qui se font une guerre cruelle. Si cette guerre encore était de nature || à pouvoir durer toujours, le mal du moins ne saurait empirer ; mais comme celui qui pourra rendre son adversaire ridicule, aura beaucoup d’avantage dans notre siècle sur celui qui ne saurait que le noircir, il s’ensuit, que la dernière de ces deux espèces aura probablement le dessus : ce qui offre l’aspect hideux et triste d’un assemblage d’hommes, où il n’y aura plus ni mœurs ni religion du tout, à moins qu’on ne parvienne, d’un côté [323], à purifier l’Église de ces têtes dures, en n’admettant à la prêtrise que des hommes éclairés, et rendus humains et dignes de leur ordre, || par une éducation réfléchie ; et que, de l’autre, on ne parvienne à rendre les vérités philosophiques si palpables, et si populaires, que les misérables sophismes de ceux de la seconde espèce ne persuadent plus même des enfants [324].
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320. * Je n’en connais qu’un seul qui ait eu cette impudence, et il est en exécration à tous les autres. (F)
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321. XX Je connais un peu les gens dont vous parlez. Soyez sûr qu’ils disent franchement leur sentiment sans aucun esprit de prosélytisme. Qu’ils sont aussi sincères dans leur opinion que vous dans la vôtre. Qu’ils ont autant de mœurs que les plus honnêtes croyants. Qu’on est aussi facilement athée et homme de bien, qu’homme croyant et méchant. Qu’ils sont bien éloignés de croire que leur opinion conduise à l’immoralité. | Qu’ils ne diffèrent de vous que dans la base qu’ils donnent à la vertu, qu’ils asseyent sur les seuls rapports des hommes entre eux.
Diderot.indb 1054
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osservazioni su hemsterhuis, 319-321
1055
319. * Sarebbe forse stato il miglior partito da trarre, da una chimera. Ma bisognava lasciar perdere la chimera e tentare di identificare la felicità particolare con la felicità pubblica. (F) Non potrei finire questa parte della mia lettera, senza dire di nuovo una parola del male più pericoloso che attacca la società di oggi e che, per così dire, è più specifico del nostro secolo che di qualsiasi altro. Non c’è niente al mondo di più rispettabile dei teologi e dei filosofi, quali si vedono ancora ai giorni nostri. Ma, da una parte, dei sedicenti ortodossi, la cui rigidezza, la testardaggine, la stupidità, la pochezza di lumi e l’ambizione esagerata, hanno fatto pretendere, da parte loro, che tutti gli uomini dovessero pensare e comprendere come loro e non rifletterono sul fatto che, se vi fossero state delle prove contro la religione cristiana, la più forte, probabilmente, è quella che la parola di Dio avrebbe avuto bisogno della loro interpretazione oppure sarebbe stata suscettibile di interpretazioni infinite: d’altro canto, c’è questo sciame di sedicenti filosofi, tanto vani e poco illuminati quanto quegli ortodossi, che a forza di sregolatezze, di vizi o di sofismi, ** hanno fatto inaridire il loro organo morale [320] per un certo tempo, predicando l’irreligione e l’ateismo con più zelo ancora di quanto gli altri predicavano la loro presunta ortodossia, i quali vorrebbero convertire tutti gli uomini affinché nessuno facesse loro intravedere un dio onnipresente che temono [321], o rievocasse loro la presenza di un organo che resta dopo questa vita [322], e sarà sicuramente scomodo, nella misura in cui lo si sarà trascurato e in cui diventerà più energicamente suscettibile di sensazioni gradevoli o brutte: questi sedicenti ortodossi e questi presunti filosofi, dico, sono due specie nocive che si fanno una guerra crudele. Se questa guerra fosse pure di natura tale da poter durare per sempre, il male quantomeno non potrebbe peggiorare; ma siccome colui che potrà rendere il suo avversario ridicolo avrà, nel nostro secolo, maggiore vantaggio su colui che non sapesse far altro che sminuirlo, ne consegue che la prima di queste due specie avrà probabilmente la meglio: il che offre lo spettacolo orribile e triste di un assemblaggio di uomini, in cui non ci saranno più affatto né costumi né religione, a meno che non si giunga, da un lato [323], a purificare la Chiesa da queste teste dure, non ammettendo al sacerdozio se non uomini illuminati e resi umani e degni del loro ordine, con un’educazione ponderata; e, dall’altro, si giunga rendere le verità filosofiche così palpabili e così popolari che i miserabili sofismi di quelli della seconda specie non persuaderanno più nemmeno dei bambini [324].
320. * Ne conosco uno solo che abbia avuto quest’impudenza, ed è l’esecrazione di tutti gli altri.195 (F) 321. XX Conosco un po’ la gente di cui voi parlate.196 State certo che dicono francamente il loro sentimento, senza alcuno spirito di proselitismo. Che sono altrettanto sinceri, nelle loro opinioni, quanto voi nella vostra. Che sono di buoni costumi tanto quanto i più onesti credenti. Che si è tanto facilmente ateo e uomo dabbene quanto uomo credente e malvagio. Che sono ben lungi dal credere che la loro opinione conduca all’immoralità. Che non differiscono da voi se non per la base che danno alla virtù, che fondano sui soli rapporti degli uomini tra loro.197
Diderot.indb 1055
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opere filosofiche
Que les uns sont vertueux, parce qu’ils sont naturellement portés à la vertu, par leur caractère fortifié d’une bonne éducation. D’autres, par l’expérience qui leur a appris qu’à tout prendre, il vaut encore mieux être homme de bien en ce monde, pour son propre bonheur que méchant. Que, quand leur système porterait à la dépravation, ils ne seraient pas dépravés pour cela, parce que rien n’est plus commun que d’être inconséquent ; ils seraient athées et bons, comme on est croyant en Dieu et méchant. En un mot que la plupart ont tout à perdre et rien à gagner, à nier un Dieu rémunérateur et vengeur. Croyez qu’ils ont tous assez de philosophie pour savoir que quand on a deux motifs d’embrasser une opinion, on ne sait quel est celui qui nous détermine. Et qu’il y en a d’assez ennemis de l’anéantissement pour préférer l’Enfer à la destruction totale. Mais, Monsieur, vous qui avez médité cette matière, trouvez-vous donc si peu de force à leurs objections et tant de clartés aux vôtres qu’il vous semble qu’on soit si absurde de n’être pas de votre avis. Admettre un esprit, sans savoir ce que c’est ; ou quand on le définit, former un tissu d’attributs contradictoires. Digérer la création, ou un effet essentiellement différent de sa cause. | Et le bien et le mal moral et physique et une infinité d’autres bizarreries, pour ne rien dire de plus. Songez d’ailleurs, Monsieur, qu’il ne faut jamais injurier. Si vous avez jamais occasion de conférer avec quelques-uns d’entre eux, et de les connaître intimement, vous leur trouverez beaucoup de lumières et tout au moins autant de probité. Democrite et Epicure n’étaient ni des corrompus ni des sots . (F) 322. Mais dans cet état, vous-même lui avez ôté toute action. Voy. plus haut . (M) 323. * Il est sûr que le Système de la nature n’est pas à beaucoup prendre un ouvrage aussi bien fait qu’il pouvait l’être ; mais je vous défie d’y trouver une ligne qui prêche les mauvaises mœurs ; et de douter que cet ouvrage n’ait été fait par un honnête homme. Il vous sera facile au contraire d’y trouver cent pages d’encouragement à la vertu. Il serait facile de vous prouver par l’histoire du passé, et par la nature de l’homme et de Dieu que cette notion a fait jusqu’ici et doit faire à l’avenir plus de mal au monde mille fois que de bien. Si cette notion est vraie, c’est la seule vérité qui ait ce funeste caractère. (M)
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324. * Je vous avoue que je ne crois pas la chose impossible aux philosophes ; s’ils veulent s’en occuper sérieusement, et si l’on veut leur laisser la même liberté d’écrire qu’on accorde à leur adversaire. Hé, Monsieur, ne croyez pas le ridicule si redoutable ; il retombe toujours sur celui qui déraisonne. Le point important est d’avoir raison. | Le petit livret intitulé Le bon sens fera plus de mal ou de bien, que toutes les plaisanteries de Voltaire. Mais ne trouvez-vous pas bien étrange que très souvent une objection d’enfant soit embarrassante pour un très habile homme, et qu’il faille des volumes pour répondre à quatre mots, S’il devait y avoir du mal dans le monde, si un seul innocent y devait souffrir, si un seul méchant y devait prospérer, il n’y avait qu’à ne le pas créer.
Diderot.indb 1056
30/09/2019 15:13:35
osservazioni su hemsterhuis, 321-324
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Che gli uni sono virtuosi perché naturalmente portati alla virtù, per il loro carattere rafforzato da una buona educazione. Altri, per via dell’esperienza che ha insegnato loro che, tutto sommato, è preferibile essere uomo dabbene, in questo mondo, per la propria felicità, piuttosto che malvagio. Che quand’anche il loro sistema portasse alla depravazione, non sarebbero per questo dei depravati, perché nulla è più comune dell’essere incoerenti; essi sarebbero atei e buoni, come si è credenti in Dio e malvagi.198 In una parola, che la maggior parte di loro ha tutto da perdere e niente da guadagnare nel negare un Dio remuneratore e vendicatore.199 Credete pure che hanno tutti abbastanza filosofia da sapere che quando si hanno due motivi per abbracciare un’opinione, non si sa qual è quello che ci determina. E ne esistono di quelli che sono abbastanza nemici dell’annientamento, da preferire l’Inferno alla distruzione totale. Ma, Signore, voi che avete meditato su questa materia, trovate dunque tanta poca forza nelle loro obiezioni e tanta chiarezza nelle vostre che vi sembra che sia così assurdo di non essere del vostro avviso. Ammettere uno spirito, senza sapere che cos’è; o, quando lo si definisce, formare un tessuto di attributi contraddittori. Digerire la creazione o un effetto essenzialmente diverso dalla sua causa. E il bene e il male morale e fisico e un’infinità di altre stranezze, per non dire niente di più. Pensate d’altronde, Signore, che non bisogna mai ingiuriare. Se voi aveste mai l’occasione di conferire con alcuni di loro e di conoscerli intimamente, troverete in loro molti lumi e, quanto meno, altrettanta probità. Democrito e Epicuro non erano né dei corrotti, né degli sciocchi. (F) 322. Ma in questo stato, voi stesso gli avete tolto ogni azione. Vedete sopra.200 (M) 323. * È sicuro che il Sistema della natura non è tanto da prendere come un’opera così ben fatta, quanto poteva esserlo; ma vi sfido a trovarvi una riga che predichi i cattivi costumi; e a dubitare che quest’opera sia stata fatta da un uomo onesto. Vi sarà facile, al contrario, trovarvi cento pagine di incoraggiamento alla virtù. Sarebbe facile provarvi, con la storia del passato e con la natura dell’uomo e di Dio, che questa nozione ha fatto fin qui, e dovrà fare in futuro, mille volte più male al mondo che del bene. Se questa nozione è vera, è la sola verità che abbia questo funesto carattere. (M) 324. * Vi confesso che non credo la cosa sia impossibile ai filosofi; se vogliono occuparsene seriamente e se si vuol lasciare loro la stessa libertà di scrivere che si accorda i loro avversari. Eh, Signore, non credete che il ridicolo sia così temibile; ricade sempre su colui che sragiona. Il punto importante è di avere ragione. Il piccolo libretto intitolato Il buon senso201 farà più male o bene, di tutti i lazzi di Voltaire. Ma non trovate ben strano che, molto spesso, un’obiezione da bambini riesca imbarazzante per un uomo assai abile e che siano necessari volumi interi per rispondere a quattro parole. Se dovesse esserci del male, nel mondo, se un solo innocente dovesse soffrirvi, se un solo malvagio vi dovesse prosperare, non c’era da far altro che non crearlo.
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opere filosofiche
Voilà ce que dit un enfant. Et un Leibnitz [est] obligé de faire des volumes pour résoudre cette difficulté que tout le monde entend, et des volumes qui ne sont presque à la portée de personne, et des volumes fondés sur des idées, telles que la monade, telles que l’harmonie préétablie et d’autres visions. Un enfant dit [,] La clémence et la justice en Dieu sont incompatibles ; et un profond docteur a bien de la peine à les concilier. Un enfant dit, Si Dieu est partout, il est donc étendu, s’il est étendu, il a donc largeur, longueur et profondeur ; il est donc matière. Et les plus profonds métaphysiciens n’ont pas encore levé cette difficulté. Et ainsi de mille autres. Il me semble que quand on rencontre tant d’occasions d’insuffisance, il faudrait convenir que l’indulgence avec ses adversaires n’est pas déplacée. Il faut sans doute détester les détracteurs de la morale ; mais la morale est tout à fait indépendante des opinions religieuses. | Les premiers Grecs eurent des scélérats pour divinités, et furent honnêtes gens. Il en fut ainsi des premiers Romains. Mais il faut finir ; ce que je vous dis, vous le savez aussi bien que moi. Si la question était aussi facile que vous le dites, votre ouvrage ne serait pas aussi difficile à entendre. Il n’y a guère que vos adversaires assez rompus (F) dans ces matières, pour pouvoir le lire un peu couramment. J’en appelle à vos efforts et à toutes les objections que votre ouvrage fait naître. (M) Mais il est temps de passer maintenant à quelque peu de réflexions encore sur les connaissances humaines. J’ai montré plus haut, que la faculté de communiquer ses idées à d’autres êtres homogènes était adhérente à la nature de la composition actuelle de l’homme. Je sais bien que les mots n’ont plus cette || propriété primitive d’être les purs effets des idées premières des objets. La différence des organes chez les différentes nations, a dû nécessairement occasionner quelque différence de dialecte ; mais, dans le commencement [325], ces différences n’étaient pas assez grandes pour qu’on ne s’entendît point du tout. Dans la suite des temps la langue étant cultivée différemment dans les différentes familles, et chez des peuples éloignés les uns des autres, les mots devinrent naturellement des signes représentatifs ; et lorsque ces signes représentatifs furent devenus si dissemblables, || et si peu conformes aux signes primitifs, qu’il était impossible de se faire entendre, on eut recours à l’imitation des objets, pour servir d’interprète et de première écriture. Cette imitation grossière fut insensiblement suivie des figures symboliques ; et enfin l’inégalité des cordes et des tuyaux qui composaient les instruments grossiers de musique, fit naître l’idée [326] de représenter les sons par des traits, afin de faire reproduire ces sons à l’organe de la voix du lecteur.
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325. * Qu’appelez-vous dans le commencement. Pouvez-vous m’apprendre la date du premier homme. (M) 326. * Je ne pense pas que jamais les hommes aient songé à appliquer les instruments de musique à se communiquer leurs idées. (F)
Diderot.indb 1058
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osservazioni su hemsterhuis, 324-326
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Ecco quello che dice un bambino. E un Leibniz [è] obbligato a scrivere volumi interi per risolvere questa difficoltà che tutti capiscono e volumi che non sono quasi alla portata di nessuno, e volumi fondati su idee quali la monade, quali l’armonia prestabilita e altre visioni.202 Un bambino dice, La clemenza e la giustizia in Dio sono incompatibili; e un profondo dottore fa molta fatica a conciliarle. Un bambino dice, Se Dio è dappertutto, è dunque esteso, se è esteso, ha dunque larghezza, lunghezza e profondità; esso è dunque materia. E i metafisici più profondi non hanno ancora risolto questa difficoltà. E così di mille altre. Mi sembra che quando s’incontrano tante occasioni d’insufficienza, bisognerebbe convenire che l’indulgenza verso i propri avversari non è fuori luogo. Bisogna senza dubbio detestare i detrattori della morale; ma la morale è del tutto indipendente dalle opinioni religiose. I primi Greci ebbero degli scellerati come divinità, e furono gente onesta. E così anche i primi Romani.203 Ma bisogna finire; quello che vi dico, voi lo sapete altrettanto bene quanto me. Se la questione fosse così facile come voi dite, la vostra opera non sarebbe così difficile da capire. Solo i vostri avversari sono abbastanza ferrati (F) in queste materie, da poterlo leggere con un po’ di scorrevolezza. Faccio appello ai vostri sforzi e a tutte le obiezioni che la vostra opera fa nascere. (M) Ma è tempo di passare ora a qualche riflessione, di nuovo, sulle conoscenze umane. Poco sopra ho mostrato che la facoltà di comunicare le proprie idee ad altri esseri omogenei era aderente alla natura della composizione attuale dell’uomo. Io so bene che le parole non hanno più quella proprietà primitiva di essere i puri effetti delle prime idee degli oggetti. La differenza degli organi, nelle diverse nazioni, ha dovuto necessariamente dare occasione a qualche differenza di dialetto; ma, all’inizio [325], queste differenze non erano abbastanza grandi perché non ci si comprendesse affatto. Col passare delle epoche, poiché la lingua era coltivata in maniera diversa, nelle diverse famiglie, e presso popoli lontani gli uni dagli altri, le parole divennero naturalmente dei segni rappresentativi; e quando questi segni rappresentativi furono diventati così dissimili e così poco conformi ai segni primitivi, che era impossibile farsi capire, si fece ricorso all’imitazione degli oggetti, per servire da interprete e da prima scrittura. Quest’imitazione grossolana fu insensibilmente seguita da figure simboliche; e alla fine l’ineguaglianza delle corde e dei tubi che componevano i grossolani strumenti musicali, fece nascere l’idea [326] di rappresentare i suoni con dei tratti, al fine di far riprodurre questi suoni all’organo della voce del lettore.
325. * Che cosa intendete voi con “all’inizio”. Potete indicarmi la data del primo uomo. (M) 326. * Io non penso che gli uomini abbiano mai pensato di applicare gli strumenti musicali per comunicarsi le loro idee. (F) |
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opere filosofiche
La première écriture fut l’imitation des objets, la seconde le représentatif de l’objet, || la troisième la représentation du signe attaché à l’idée de l’objet. L’idée de mesure [327] est peut-être la première de toutes nos idées, et antérieure même à la naissance, puisqu’il paraît que nous la devons uniquement à la sensation des ondulations successives du sang dans le voisinage de l’oreille.
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327. * L’idée de mesure antérieure à la naissance ; je crois le fait très faux ; aussi faux que l’explication physiologique des ondulations du son dans le ventre de la mère ! où l’enfant a les oreilles pleines d’une eau épaisse et graisseuse. (M)
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On a considéré la parole primitive, en qualité de son, comme le véhicule des idées ; ensuite on allia l’idée de mesure avec celle du son, ce qui produisit celle d’harmonie ; et enfin, avec l’idée du son, en qualité de véhicule des idées, et même aux gestes, ce qui || produisit le pathétique [328], et fit naître la musique vocale, la versification, une partie de la rhétorique, et la danse : et làdessus j’ai trois réflexions à faire.
328. * Et pourquoi le pathétique ? Plutôt que le comique et le reste. (F)
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** La première, que la liaison de ces idées hétérogènes, opérée par l’intelligence, est de la plus haute antiquité, et bien antérieure à tout ce qu’on appelle science. La seconde, que l’alliage de ces idées donna déjà à l’homme une connaissance sourde de la beauté, et d’un grossier sublime ; ce qu’on voit dans le style des premières productions des peuples, et dans celui des statues de Dédale, qui || avait quelque chose de divin malgré leur grossièreté [329].
329. XX Tout cela me paraît bien précaire. (F)
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Diderot.indb 1060
La troisième, que la parole primitive, considérée comme son, et, dans cette qualité, pliée, changée, ou embellie par la mesure et par l’harmonie ou mélodie, dut perdre en peu de temps ce caractère original, effet immédiat de l’idée qu’elle représente : et voilà la raison de la difficulté qui se présenterait, lorsque par la musique on voudrait tenter la recherche de la langue primitive et réelle des hommes. | Pour les autres arts qui dérivent du génie imitatif de l’homme, et dont la perfection || est fondée sur une propriété singulière de l’âme, on en a donné une légère idée dans un ouvrage sur la sculpture, qui a paru depuis peu. La science ou les connaissances de l’homme consistent dans les idées acquises par le moyen des sens, et dans celles des rapports qui se trouvent entre ces idées. Les premières sont isolées, et représentent des objets isolés : les autres dérivent de la coexistence d’un certain nombre des premières, que la faculté intuitive pourra embrasser à la fois [330]. La totalité des connaissances, ou de la science en général, est donc composée || du nombre des idées acquises, et de celui des idées de rapport.
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osservazioni su hemsterhuis, 327-329
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La prima scrittura fu l’imitazione degli oggetti, la seconda, il rappresentativo dell’oggetto, la terza, la rappresentazione del segno legato all’idea dell’oggetto. L’idea di misura [327] è forse la prima di tutte le nostre idee ed è persino anteriore alla nascita, poiché sembra che la dobbiamo unicamente alla sensazione delle ondulazioni successive del sangue, nelle vicinanze dell’orecchio.
327. * L’idea di misura anteriore alla nascita; credo che il fatto sia molto falso; tanto falso quanto la spiegazione fisiologica delle ondulazioni del suono nel ventre della madre! In cui il bambino ha le orecchie piene di un’acqua spessa e ricca di grassi. (M) La parola primitiva, in qualità di suono, è stata considerata come il veicolo delle idee; poi l’idea di misura si legò con quella del suono, il che produsse l’idea di armonia; e infine, con l’idea del suono, in qualità di veicolo delle idee, e persino con i gesti, il che produsse il patetico [328] e fece nascere la musica vocale, la versificazione, una parte della retorica e la danza: e su questo ho tre riflessioni da fare.
328. * E perché il patetico? Piuttosto che il comico e il resto. (F) ** La prima, è che la connessione di queste idee eterogenee, operata dall’intelligenza, risale alla più lontana antichità ed è ben anteriore a tutto ciò che si chiama scienza. La seconda, è che il legame di queste idee diede già all’uomo una conoscenza sorda della bellezza e di un sublime grossolano; il che si vede nello stile delle prime produzioni dei popoli e in quello delle statue di Dedalo, che avevano qualcosa di divino malgrado la loro grossolanità [329].
329. XX Tutto questo mi sembra assai precario. (F) La terza, è che la parola primitiva, considerata come suono e, in questa qualità, piegata, cambiata o abbellita dalla misura e dall’armonia o melodia, dovette perdere, in poco tempo, questo carattere originale, effetto immediato dell’idea che essa rappresenta: ed ecco la ragione della difficoltà che si presenterebbe, quando con la musica si volesse tentare una ricerca della lingua primitiva e reale degli uomini. Per le altre arti che derivano dal genio imitativo dell’uomo e la cui perfezione è fondata su una proprietà singolare dell’anima, se n’è data un’idea superficiale in un’opera sulla scultura, che è apparsa poco tempo fa. La scienza o le conoscenze dell’uomo consistono nelle idee acquisite per mezzo dei sensi, e in quelle dei rapporti che si trovano tra queste idee. Le prime sono isolate e rappresentano degli oggetti isolati: le altre derivano dalla coesistenza di un certo numero delle prime, che la facoltà intuitiva potrà abbracciare insieme [330]. La totalità delle conoscenze, ovvero della scienza in generale, è dunque composta dal numero delle idee acquisite e da quello delle idee di rapporto.
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opere filosofiche
330. * J’ai bien de la peine à concevoir et à expliquer la coexistence de deux idées ; à plus forte raison, suis-je bien loin d’en admettre ou faire coexister un plus grand nombre. (F) Si l’homme avait des idées de tous les objets qui composent l’univers physique ou sensible, il ne serait pas savant ; à moins qu’on ne lui suppose un certain nombre d’idées de rapport, semblables, ou analogues aux rapports qui se trouvent réellement entre les choses [331].
331. J’ai bien de la peine à entendre [,] il ne serait pas savant ! Il me semble au contraire qu’il ne serait que savant. (M) Si l’homme avait les idées de tous les rapports, et de toutes les combinaisons de ces objets, il ressemblerait à Dieu, pour ce qui regarde la science, et pour ce qui regarde l’état de l’univers, autant || que nous le connaissons, et sa science serait parfaite. La grandeur des connaissances humaines en général, ou plutôt l’état de l’esprit humain, se mesurera donc par la quantité des idées primitives acquises par les organes, multipliée par la quantité des idées de rapport : mais comme la perfection de la science, ou des connaissances, est encore en raison de la grandeur de la quantité des idées de rapport, vis-à-vis de celle de la quantité des idées acquises, il s’ensuit, que la perfection de l’esprit humain dans un siècle, est à la perfection de celui dans un autre || siècle, comme le produit des idées acquises multiplié par les idées de rapports, et comme la quantité de ces dernières vis-à-vis des premières. | La science de l’homme, qui n’est proprement qu’une, a formé, par la suite des temps, des branches innombrables, à mesure que la faculté intuitive a trouvé de certaines masses d’objets homogènes, ou homologues, dont la coexistence idéale était la plus facile à exécuter, ou dont les rapports respectifs étaient moins éloignés, qu’entre des objets plus hétérogènes. Par exemple, la contemplation des arbres et des plantes || a fait naître la botanie [332] ; celle des astres fit naître l’astronomie ; et quoique dans la nature il y ait nécessairement des rapports déterminés et parfaits entre les astres et les plantes, ces rapports parurent si prodigieusement éloignés, et notre faculté intuitive trouva une difficulté si insurmontable à faire coexister les idées de ces différents objets, qu’on fut obligé de faire de l’astronomie et de la botanie deux sciences différentes [333].
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332. -que / (M) 333. * Je vous avoue que je n’ai pas plus de difficulté à faire coexister arbre et planète, que mur et blanc ; ces deux dernières idées sont seulement plus voisines ; parce que les objets se touchent dans la nature, et que les signes mur et blanc, se sont plus naturellement, plus souvent suivis qu’arbre et planète . (F)
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Diderot.indb 1062
Anciennement plusieurs sciences et arts, qui maintenant se fondent ensemble avec beaucoup de facilité, étaient tellement limitées, et on || trouvait leur liaison avec d’autres sciences si absurde, que chez les Égyptiens [334] une science, ou un art, était affecté à une famille, et héréditaire par les lois.
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osservazioni su hemsterhuis, 330-333
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330. * Trovo molta difficoltà a concepire e a spiegare la coesistenza di due idee; a maggior ragione, sono ben lungi dall’ammetterne o dal farne coesistere un numero molto maggiore. (F) Se l’uomo avesse delle idee di tutti gli oggetti che compongono l’universo fisico o sensibile, non sarebbe un dotto; a meno che non si supponga in lui un certo numero di idee di rapporto, simili o analoghe ai rapporti che si trovano realmente tra le cose [331].
331. Trovo molta difficoltà a capire. Non sarebbe dotto! Mi sembra, al contrario, che non sarebbe altro che un dotto. (M) Se l’uomo avesse le idee di tutti rapporti e di tutte le combinazioni di questi oggetti, assomiglierebbe a Dio, per ciò che concerne la scienza e per ciò che concerne lo stato dell’universo, quale noi lo conosciamo, e la sua scienza sarebbe perfetta. La grandezza delle conoscenze umane in generale, o piuttosto lo stato dello spirito umano, si misurerà dunque dalla quantità delle idee primitive acquisite dagli organi, moltiplicata per la quantità delle idee di rapporto: ma siccome la perfezione della scienza o delle conoscenze è inoltre proporzionale alla grandezza della quantità delle idee di rapporto, confrontata a quella della quantità delle idee acquisite, ne consegue che la perfezione dello spirito umano, in un secolo, sta alla perfezione di quello di un altro secolo, come il prodotto delle idee acquisite moltiplicato per le idee di rapporti, e come la quantità di questi ultimi confrontati ai primi. La scienza dell’uomo, la quale non è propriamente altro che una, ha formato, nella serie dei tempi, delle branche innumerevoli, mano a mano che la facoltà intuitiva ha trovato certe masse di oggetti omogenei, o omologhi, la cui coesistenza ideale era la più semplice da eseguire o i cui rispettivi rapporti erano meno lontani di quelli tra gli oggetti più eterogenei. Ad esempio, la contemplazione degli alberi e delle piante ha fatto nascere la botanica [332]; quella degli astri fece nascere l’astronomia; e benché nella natura vi siano necessariamente dei rapporti determinati e perfetti tra gli astri e le piante, questi rapporti apparvero così straordinariamente lontani, e la nostra facoltà intuitiva trovò una difficoltà così insormontabile nel far coesistere le idee di questi diversi oggetti, che si fu obbligati a fare dell’astronomia e della botanica due scienze differenti [333].
332. Botani-ca / (M) 333. * Vi confesso che non ho più difficoltà a far coesistere l’albero e il pianeta, che il muro e il bianco; queste ultime due idee sono soltanto più vicine; perché gli oggetti si toccano nella natura e i segni muro e bianco si sono collegati più naturalmente e più frequentemente dei segni albero e pianeta.204 Anticamente diverse scienze e arti, che ora si confondono insieme con molta facilità, erano talmente limitate e si trovava così assurda la loro connessione con altre scienze, che presso gli Egiziani [334] una scienza o un’arte era destinata a una famiglia ed era ereditaria per legge.
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opere filosofiche
334. * Ce n’est pas là la vraie raison. C’est que les prêtres ne voulaient pas qu’on arrivât jusqu’à eux. | C’est qu’ils avaient leur intérêt à tenir les peuples dans la stupidité. C’est qu’ils masquaient ces motifs de la perfection des arts mêmes. J’oserais presque vous dire qu’il serait à souhaiter qu’on empêchât le fils d’un commerçant de quitter la boutique de son père ; par cette commigration, on perd des hommes utiles, et on acquiert de mauvais magistrats. (F)
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Dans la suite des temps, on pensa à l’application d’une science à une autre science voisine. Démocrite, Hippocrate, Platon, Archimede et d’autres le tentèrent avec succès ; mais il y eut principalement deux raisons qui les empêchèrent d’atteindre aux grandes vérités de nos jours, que nous devons pourtant aux mêmes manœuvres : l’une, que la géométrie et l’arithmétique étaient encore dans l’enfance ; || et l’autre, dont je parlerai tantôt [335]. La géométrie et l’arithmétique pure sont les seules branches des connaissances humaines où la science soit parfaite, puisque les objets de ces sciences sont tous de notre création ; puisque, par conséquent, l’objet et l’idée de l’objet ne sont qu’une seule et même chose ; puisqu’enfin chaque nouvelle idée est une idée de rapport parfait et déterminé. Ce serait ici l’endroit de vous parler des lois motrices des connaissances humaines ; mais comme je me propose de traiter ce sujet d’une façon un || peu plus détaillée ailleurs, je ne ferai ici que peu de réflexions encore [336]. La science de l’homme, ou bien l’esprit humain, paraît se mouvoir autour de la perfection, comme les comètes autour du soleil, en décrivant des courbes fort excentriques : elle a de même ses périhélies, et ses aphélies ; mais nous ne connaissons bien, par l’histoire, qu’à peu près une révolution et demi ^ [337], c’est-à-dire, deux périhélies et l’aphélie qui les sépare. Je remarque [338], que, dans chaque périhélie, a régné un esprit général, qui a répandu son ton, ou sa couleur, sur || toutes les sciences et tous les arts, ou sur toutes les branches de la connaissance humaine. |
335. / bientôt ou plus bas. (M) 336. n’ajouterai à ce qui précède / (M) 337. e ^ (M) 338. * Tout ce qui suit s’obscurcit par une métaphore trop poussée. (M)
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Diderot.indb 1064
Dans notre périhélie, cet esprit général pourrait se définir par esprit de géométrie, ou symétrique ; dans le périhélie des Grecs, par l’esprit moral ou de sentiment ; et si je considère le style des arts chez les Égyptiens et les anciens Étrusques, je m’aperçois bientôt que l’esprit général du périhélie précédent fut celui du merveilleux. Ce ton universel n’est pas également favorable, dans chaque périhélie, à toutes les || branches des connaissances humaines. Jetez un rayon de lumière rouge sur différentes couleurs, il embellira le rouge ; mais les autres couleurs seront salies, ternies, ou plus ou moins changées. Dans notre périhélie, il est évident que les sciences seront parfaites, à mesure de leur degré d’applicabilité [339] à la géométrie ou à l’arithmétique.
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osservazioni su hemsterhuis, 334-338
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334. * Non è questa la vera ragione. È che i preti non volevano che si arrivasse fino a loro. Il fatto è che avevano il loro interesse a mantenere i popoli nella stupidità. Perché costoro mascheravano questi motivi con la perfezione delle stesse arti.205 Oserei quasi dirvi che sarebbe auspicabile si impedisse al figlio di un commerciante di lasciare la bottega di suo padre; per via di questa emigrazione, 206 si perdono uomini utili e si acquisiscono cattivi magistrati. (F) Nella successione dei tempi, si pensò all’applicazione di una scienza a un’altra scienza vicina. Democrito, Ippocrate, Platone, Archimede e altri tentarono ciò con successo; ma furono principalmente due le ragioni che impedirono loro di attingere alle grandi verità dei giorni nostri, che noi dobbiamo purtuttavia alle stesse manovre: l’una è che la geometria e l’aritmetica erano ancora nell’età dell’infanzia; e l’altra, di cui presto [335] parlerò. La geometria e l’aritmetica pure sono le sole branche delle conoscenze umane in cui la scienza sia perfetta, perché gli oggetti di queste scienze sono tutte di nostra creazione; perché, di conseguenza, l’oggetto e l’idea dell’oggetto non sono che una sola e medesima cosa; perché, infine, ciascuna nuova idea è un’idea di rapporto perfetto e determinato. Qui sarebbe il momento di parlarvi delle leggi motrici delle conoscenze umane; ma siccome mi propongo di trattare questo argomento in una maniera un po’ più dettagliata altrove, non offrirò qui che poche riflessioni ancora [336]. La scienza dell’uomo, ovvero dello spirito umano, sembra muoversi attorno alla perfezione, come le comete attorno al sole, descrivendo curve molto eccentriche: essa ha i suoi perieli e i suoi afeli; ma noi ne conosciamo bene, con la storia, all’incirca solo una rivoluzione e mezzo ^ [337], cioè due perieli e l’afelio che li separa. Io osservo [338] che, in ciascun perielio, ha regnato uno spirito generale, che ha diffuso il suo tono, o il suo colore, su tutte le scienze e tutte le arti, ossia su tutte le branche della conoscenza umana.
335 / Subito dopo o più avanti. (M) 336. Non aggiungerò a ciò che precede / (M) 337. mezza ^ (M) 338. * Tutto ciò che segue si fa oscuro a causa di una metafora troppo spinta. (M) Nel nostro perielio questo spirito generale potrebbe definirsi come spirito di geometria, o simmetrico; nel perielio dei Greci, come spirito morale o di sentimento; e se considero lo stile delle arti presso gli Egiziani e gli antichi Etruschi, mi accorgo subito che lo spirito generale nel perielio precedente fu quello del meraviglioso. Questo tono universale non è ugualmente favorevole, in ciascun perielio, a tutte le branche delle conoscenze umane. Gettare un raggio di luce rossa su diversi colori, abbellirà il rosso; ma gli altri colori saranno sporchi, opachi o più o meno cambiati. Nel nostro perielio, è evidente che le scienze saranno perfette, in misura del loro grado di applicabilità [339] alla geometria o all’aritmetica. Paragonate una
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opere filosofiche
Comparez une ligne à un rayon de lumière, à un levier, un nombre à une possession, ou tous les deux au mouvement et à la durée [340] ; l’optique, la mécanique, l’économie, l’astronomie se perfectionnent : mais la morale, || la politique, et les beaux-arts, ces tendres fleurs, jadis si fraîches et si brillantes dans le sol d’Athenes, se fanent et se dessèchent dans nos arides climats, malgré la culture la plus savante et la plus soignée.
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339. * Pourquoi cela ? Je n’entends pas, ou les autres entendront difficilement. (M) 340. Je n’entends pas davantage. (M) Dans le périhélie des Grecs, ou de l’esprit moral ou de sentiment, les idées de l’amour, de la reconnaissance, de l’ingratitude, de la haine, de la vengeance, de la jalousie, étaient des idées de rapport presque aussi claires, et aussi parfaites et déterminées, que celles d’un triangle et d’un cercle [341] : mais appliquez comme eux l’amour à l’attraction, l’horreur du vide à l’élasticité, || la paresse à l’inertie, et voyez où la physique sera réduite (*). * [342] |
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341. * Cela n’a jamais été ni pu être ; et ne sera jamais. L’idée de décence, de bienséance, de justice même sera toujours variable. * L’âme et Dieu sont deux qualités occultes, qualités tant reprochées aux Anciens. (F) 342. Elle sera réduite à du galimatias. (M) (*) Ceux qui ont étudié et médité l’art de la guerre, et surtout la tactique, peuvent comparer l’état de cette science dans nos siècles, à celui de cette même science dans les siècles des Grecs : ils verront avec surprise, combien ce ton universel dans chaque périhélie a influé sur cette science, et que toute la tactique des Anciens n’a véritablement pour base que l’état moral de l’individu ; tandis que chez nous le fondement de cette science consiste proprement dans l’application de l’idée d’une figure géométrique, ou de celle d’une masse à un certain nombre d’individus qui peuvent agir d’une façon donnée. Les modernes qui ont écrit sur les batailles les plus célèbres des Grecs et des Romains, n’ont pas fait cette réflexion, à ce qu’il me semble ; et || ils cherchent à Leuctres, à Cannes et à Pharsale, je ne dis pas plus d’art, mais beaucoup plus de géométrie qu’il n’y en eut. ||
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Pour cet esprit du merveilleux dans le premier périhélie, je n’aurai pas besoin de remarquer les effets de son influence sur les connaissances humaines ; mais quelques arts y gagnèrent un sublime grossier, qui n’est proprement que la coagulation d’un certain nombre d’idées [343] ou disparates, ou fort éloignées les unes des autres.
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343. * Il est défendu de s’exprimer ainsi ; une coagulation d’idées !... On dit association, ou mélange, c’est un mot tout fait. (F)
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Diderot.indb 1066
La force de ce ton universel dans chaque périhélie est évidente, par les travaux infructueux || de ces hommes singuliers, qui naissent de temps en temps dans un périhélie où ils paraissent étrangers. Démocrite et Hippocrate avaient le même but que nous avons, en voulant bâtir une philosophie sur des expériences exactes ; Archimede appliqua déjà son admirable géométrie à la mécanique : mais ni l’un ni l’autre ne pouvait rien contre l’empire de cet esprit universel. |
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osservazioni su hemsterhuis, 339-343
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linea a un raggio di luce, a una leva, un numero a un possedimento, o entrambe al movimento e alla durata [340]; l’ottica, la meccanica, l’economia, l’astronomia si perfezionano: ma la morale, la politica e le belle arti, questi teneri fiori, un tempo così freschi e brillanti sotto il sole di Atene, appassiscono e si seccano nei nostri aridi climi, malgrado la cultura più dotta e più accurata.
339. * Perché questo? Io non lo capisco o gli altri lo capiranno con difficoltà. (M) 340. Non capisco meglio. (M) Nel perielio dei Greci, ossia dello spirito morale o del sentimento, le idee dell’amore, della riconoscenza, dell’ingratitudine, dell’odio, della vendetta, della gelosia, erano idee di rapporto quasi altrettanto chiare e altrettanto perfette e determinate quanto quelle di un triangolo e di un cerchio [341]; ma applicate, come questi, l’amore all’attrazione, l’orrore del vuoto all’elasticità, la pigrizia all’inerzia, e vedete a che cosa sarà ridotta la fisica (*) [342].
341. * Questo non è mai stato, né mai è potuto essere; e non sarà mai. L’idea di decenza, di buoni costumi, persino l’idea di giustizia sarà sempre variabile. * L’anima e Dio sono due qualità occulte, qualità tanto rimproverate agli Antichi. (F) 342. Sarà ridotta a un guazzabuglio. (M) (*) Coloro che hanno studiato e meditato l’arte della guerra e soprattutto la tattica, possono paragonare lo stato di questa scienza nei nostri secoli con quello della stessa scienza nei secoli dei Greci: vedranno, con sorpresa, quanto questo tono universale ha influito, in ciascun perielio, su questa scienza e che tutta la tattica degli antichi non ha avuto per base veramente altro che lo stato morale dell’individuo; mentre presso di noi il fondamento di tale scienza consiste propriamente nell’applicazione dell’idea di una figura geometrica, o di quella di una massa, a un certo numero di individui che possono agire in una maniera data. I moderni che hanno scritto sulle battaglie più celebri dei Greci e dei Romani non hanno fatto questa riflessione, a quanto mi sembra; e cercano a Leuttra, a Canne e a Farsalo, non dico più arte, ma molta più geometria di quanta non ve ne fosse.
Per questo spirito del meraviglioso nel primo perielio, non avrò bisogno di notare gli effetti della sua influenza sulle conoscenze umane; ma certe arti vi guadagnerebbero un sublime grossolano, il quale non è propriamente altro che la coagulazione di un certo numero di idee [343] o disparate o molto lontane le une dalle altre.
343. * È proibito esprimersi così; una coagulazione di idee!... Si dice associazione, o mescolanza, è una parola tutta fatta. (F) La forza di questo tono universale, in ciascun perielio, è evidente dai lavori infruttuosi di quegli uomini singolari, che nascono di tanto in tanto in un perielio, dove sembrano stranieri. Democrito e Ippocrate avevano lo stesso scopo che abbiamo noi, in quanto volevano edificare una filosofia su esperienze esatte; Archimede applicò già la sua ammirevole geometria alla meccanica: ma entrambi non potevano far nulla contro il dominio di questo spirito universale.
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opere filosofiche
De ce que j’ai dit il s’ensuit, que le degré de perfection dans nos connaissances n’augmente pas seulement à mesure de l’augmentation des idées premières acquises et || isolées, mais surtout en raison de l’accroissement de la quantité des idées de rapport. Nous avons vu, que dans chaque périhélie il y avait une science favorite, plus analogue à l’esprit général que les autres sciences, et qui se perfectionnait au plus haut point. Cette science si épurée et si embellie fut appliquée à toutes les autres, sans égard si elle y était applicable ou non [344] : ce qui produisit une quantité prodigieuse de nouvelles idées, fausses et disparates à mesure de l’absurdité de l’application, et toujours presque si éloignées les unes || des autres, que la faculté intuitive ne savait les comparer. C’est alors que la quantité des idées premières et isolées augmente à la vérité ; mais celle des idées de rapport diminue à proportion, ce qui établit le faux : mais l’homme, qui aime naturellement le vrai, hait à la fin le faux ; ce qui le dégoûte de tout, et le mène par la frivolité dans l’indolence, qui l’empêche de déterrer de nouveau la vérité si terriblement offusquée par la prodigieuse quantité d’idées inutiles [345].
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344. (Excellent.) Platon en est une preuve merveilleuse. La musique et l’harmonie jouent le plus grand jeu dans quelques-uns de ses dialogues où ces notions jettent une obscurité impénétrable . (M) 345. * Et le goût s’épure, et chaque science a sa langue, et le style devient clair etc. J’avoue pourtant que le scepticisme naît entre ce période et le période suivant . (M) | C’est ici que je devrais vous mener à la source obscure et écartée de cet esprit universel, || dans chaque périhélie : mais comme, après tant de patience de votre part, je n’ose vous désobliger par le tableau dégoûtant de nos tristes aphélies, je finirai ma lettre, en rassemblant encore celles des vérités qu’elle contient, qui nous intéressent le plus. L’âme humaine est une essence éternelle et indestructible. Elle a Dieu pour auteur. Jointe à des organes quelconques, elle a des idées des faces de l’univers qui sont analogues à ces organes. Elle a une faculté intuitive et intelligente, par laquelle elle compare toutes les idées || qu’elle reçoit, pourvu qu’elles ne soient pas trop éloignées. * Elle a un principe d’activité [346], xx qu’on appelle velléité, qui ne paraît pas avoir des bornes [347] ; mais l’intensité des actions qui en émanent est proportionnée à la vigueur de ses organes, vis-à-vis des choses qui sont hors d’elle. Ces organes la quittant, elle perd toute idée des faces de l’univers qui étaient tournées de leur côté. Il paraît probable qu’elle est déjà actuellement attachée à plusieurs organes, qui la serviront mieux dans la suite.
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346. * Mais ce principe reste sans action, s’il n’est déterminé par quelque choc qui vienne ou du dehors ou du dedans de l’animal. (M) 347. xx Ce serait une molécule divine ; et la mort, un retour de cette molécule à sa source. (M)
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osservazioni su hemsterhuis, 344-347
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Da ciò che ho detto ne consegue che il grado di perfezione nelle nostre conoscenze non aumenta soltanto in misura dell’aumento delle idee prime acquisite e isolate, ma soprattutto in ragione dell’accrescimento della quantità delle idee di rapporto. Abbiamo visto che in ciascun perielio c’era una scienza favorita, più analoga allo spirito generale delle altre scienze e che si perfezionava al più alto grado. Questa scienza così epurata e così abbellita venne applicata a tutte le altre, senza riguardi al fatto che fosse applicabile o meno [344]: e produsse una quantità prodigiosa di idee nuove, false e disparate in misura dell’assurdità dell’applicazione, e quasi sempre così lontane le une dalle altre che la facoltà intuitiva non riusciva a paragonarle. è allora che la quantità delle idee prime e isolate, in verità, aumenta; ma quella delle idee di rapporto diminuisce in proporzione, il che istituisce il falso; ma l’uomo, che ama naturalmente il vero, odia alla fine il falso; il che lo disgusta di tutto e lo conduce, con la frivolezza, nell’indolenza, la quale gli impedisce di dissotterrare di nuovo la verità, così terribilmente offuscata dalla prodigiosa quantità di idee inutili [345].
344. (Eccellente). Platone ne è una prova meravigliosa. La musica e l’armonia giocano il ruolo maggiore, in alcuni dei suoi dialoghi in cui quelle nozioni gettano un’oscurità impenetrabile.207 (M) 345. * E il gusto si affina, e ciascuna scienza ha la sua lingua, e lo stile diventa chiaro ecc. Confesso tuttavia che lo scetticismo nasce tra questo periodo e il periodo successivo. (M) È qui che dovrei condurvi alla fonte oscura e lontana di questo spirito universale, in ciascun perielio: ma siccome, dopo tanta pazienza da parte vostra, non oso scomodarvi con il quadro disgustoso dei nostri tristi afeli, finirò la mia lettera ancora raccogliendo quelle verità in essa contenute che ci interessano di più. L’anima umana è un’essenza eterna e indistruttibile. Essa ha Dio per autore. Unita a degli organi qualsivoglia, essa ha delle idee delle facce dell’universo che sono analoghe a questi organi. Essa ha una facoltà intuitiva intelligente, con la quale paragona tutte le idee che riceve, purché non siano troppo lontane. * Essa ha un principio di attività [346], xx che si chiama velleità, che non sembra avere dei limiti [347]; ma l’intensità delle azioni che ne emanano è proporzionata al vigore dei suoi organi di fronte alle cose che sono fuori di essa. Quando questi organi la abbandonano, essa perde ogni idea delle facce dell’universo che erano rivolte dalla loro parte. Sembra probabile che essa sia già attualmente legata a diversi organi, che la serviranno meglio in seguito.
346. * Ma questo principio resta senza azione, se non è determinato da qualche urto che venga o dal di fuori o dall’interno dell’animale. (M) 347. XX Sarebbe una molecola divina; e la morte, un ritorno di questa molecola alla sua fonte. (M)
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L’organe moral [348], pour lequel elle-même est un objet || de contemplation, ne saurait la quitter. L’organe de l’intellect, ou la faculté qui contemple et compare, regarde toutes les faces possibles de l’univers, et paraît par conséquent également adhérent à l’âme. Elle a un désir insatiable, plutôt pour voir, que pour connaître. Elle est faite pour contempler, et pour jouir. Elle ne paraît pas faite pour savoir [349]. Il y a grande apparence qu’elle passera l’éternité dans la contemplation successive de l’infinité des faces différentes de l’univers [350]. Vis-à-vis [351] de quelque face qu’elle se trouve, elle portera toujours dans soi le Paradis, || ou les Enfers ; et elle n’en a point d’autre ni à espérer, ni à craindre. Son organe moral lui tiendra lieu d’un juge sévère. Ce Paradis, ou ces Enfers, ne sont ni punitions ni récompenses : ce sont les suites nécessaires de la constitution de l’individu [352]. La législation doit récompenser et punir, pour rectifier successivement les imperfections de son ouvrage ; mais Dieu ne corrige pas l’univers. Les crimes résultent d’une modification des membres de la société, contradictoire à la modification actuelle de la société. Les crimes peuvent || être les effets du vice. Le vice n’est vice, que relativement au vicieux. Vis-à-vis de Dieu il ne saurait y avoir des vices, ni des crimes. Cette assertion vous paraît dure au premier abord ; et c’est ce qui m’oblige à l’éclaircir en peu de mots. |
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348. * Comment un organe peut-il quitter une âme ? si ce n’est par mort ou par paralysie . Cependant le cerveau se paralyse ; l’animal reste imbécile et ne meurt pas. Quel que soit l’organe moral, pourquoi le même accident ne lui arriverait-il pas. Mais je vous demande pourquoi l’idiot ou de nature ou par accident, voit, entend, et n’a plus d’idées morales. Je vous demande pourquoi il reprend les idées morales, si le cerveau se débarrasse x Tournez. (M) * Si je vous demandais pourquoi l’animal ne voit pas, lorsqu’il a la goutte sereine. Vous me diriez, C’est que la goutte sereine affecte l’œil. Si j’insistais, et que je vous disse [,] Et qu’importe que la goutte sereine attaque l’œil. Vous répliqueriez, Il importe beaucoup ; car l’œil est l’organe de la vue. Cette logique est bonne, ce me semble. Pourquoi n’en pas faire usage ailleurs. Le cerveau de l’animal ou de l’homme est paralysé, et il n’a plus d’idées morales. Le cerveau paralysé guérit, et les idées morales renaissent. Donc le cerveau est l’organe moral. Mais comment, c’est que c’est l’organe de la faculté intuitive. C’est donc dans la faculté intuitive, qu’il faut aller puiser la source des jugements ou objets moraux. (F) 349. * Et pourquoi donc. Elle sait tant de choses. Elle est faite, pour ce qu’elle fait et ce qu’elle a fait. (M) |
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350. A. Dans la contemplation etc.... Mais vous m’avez dit ailleurs que sans son union avec des organes, l’âme n’avait et ne pouvait avoir ni idées, ni images, ni sensation ? par quel intermède, ces faces de l’univers agiront-elles sur elle. Vous ferez-vous malbranchiste, dans l’autre monde. Mais j’ai bien peur que le malbranchisme ne soit aussi fou dans l’autre monde que dans celui-ci . AA. (M) AA. Vous pouviez ajouter que sans cette union, elle ne pouvait rien se rappeler ; car la mémoire est bien une affaire d’organes.
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osservazioni su hemsterhuis, 348-350
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L’organo morale [348], per il quale essa stessa è un oggetto di contemplazione, non potrebbe lasciarla. L’organo dell’intelletto, ovvero la facoltà che contempla e paragona, guarda tutte le facce possibili dell’universo, e sembra, di conseguenza, ugualmente aderente all’anima. Essa ha un desiderio insaziabile, di vedere piuttosto che di conoscere. È fatta per contemplare e per godere. Non sembra fatta per sapere [349]. È molto probabile che essa passerà l’eternità nella contemplazione successiva dell’infinità delle facce diverse dell’universo [350]. Di fronte [351] a qualunque faccia si trovi, essa porterà sempre in sé il Paradiso o l’Inferno; essa non ha nient’altro da sperare o da temere. Il suo organo morale svolgerà per essa il ruolo di un giudice severo. Questo Paradiso o quest’Inferno non sono né punizioni né ricompense: sono le conseguenze necessarie della costituzione dell’individuo [352]. La legislazione deve ricompensare e punire per rettificare successivamente le imperfezioni della sua opera; ma Dio non corregge l’universo. I crimini risultano da una modificazione dei membri della società, contraddittoria rispetto alla modificazione attuale della società. I crimini possono essere gli effetti del vizio. Il vizio non è vizio se non relativamente al vizioso. Di fronte a Dio non potrebbero esservi dei vizi, né dei crimini. Questa asserzione vi sembrerà dura di primo acchito; ed è ciò che mi obbliga a chiarirla in poche parole.
348. * Come può un organo abbandonare un’anima? Se non con la morte o per paralisi. Tuttavia, il cervello si paralizza; l’animale resta imbecille e non muore. Quale che sia l’organo morale, perché lo stesso incidente non gli potrebbe accadere. Ma io vi chiedo perché l’idiota, o di natura o per accidente, vede, sente e non ha più idee morali. Vi chiedo, perché riprende le idee morali, se il cervello si libera X. Girate. (M) * Se vi domandassi perché l’animale non vede quando ha la goccia sierosa. Voi mi direte, perché la goccia sierosa colpisce l’occhio.208 Se insistessi e vi dicessi, e che cosa importa che la goccia sierosa attacchi l’occhio. Voi ribattereste, È molto importante; perché l’occhio è l’organo della vista. Questa logica è buona, mi sembra. Perché non farne uso altrove. Il cervello dell’animale o dell’uomo è paralizzato, e lui non ha più idee morali. Il cervello paralizzato guarisce e le idee morali rinascono. Dunque il cervello è l’organo morale. Ma come? Perché esso è l’organo della facoltà intuitiva. È dunque nella facoltà intuitiva che bisogna andare ad attingere la fonte dei giudizi o oggetti morali. (F) 349. * E perché dunque. Essa sa tante cose. È fatta per ciò che fa e per ciò che ha fatto. (M) 350. A. Nella contemplazione ecc... Ma voi m’avete detto altrove che senza la sua unione con degli organi, l’anima non aveva e non poteva avere né idee, né immagini, né sensazioni?209 Per quale mediazione210 queste facce dell’universo agiranno dunque su di essa.211 Vi farete malebranchista nell’altro mondo. Ma ho molta paura che il malebranchismo sia altrettanto pazzo nell’altro mondo quanto in questo.212 AA. (M) AA. Potevate aggiungere che senza quest’unione essa non poteva ricordarsi nulla; perché la memoria è certo una questione di organi.
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opere filosofiche
Prenez l’homme, l’animal, analysez-le ; ôtez-lui toutes ses modifications l’une après l’autre ; et vous le réduirez enfin à une molécule qui aura longueur, largeur, profondeur, et sensibilité. Anéantissez ces trois dimensions, et il ne reste plus de substratum à la sensibilité. Elle disparaît. Car si je vous demande qu’est-ce que ce substratum. Vous l’ignorez. (F) 351. B. Une âme vis-à-vis d’une face de l’univers ! en conscience, avez-vous quelque idée de ce vis-à-vis ? (F) 352. * En conséquence, le méchant ne sera pas plus damné ni sauvé dans l’autre monde que dans celui-ci. Elle aura le même juge. Son organe moral ; ou sa conscience. J’en connais qui ne seront pas trop malheureux. (F) | Nous appelons existant, ce dont nous, composés de la façon que nous le sommes actuellement, pourrons [353] avoir des sensations directes. XX. Nous appelons possible, le non-existant, dont l’existence n’impliquerait aucune contradiction, mais dont, comme non existant pour nous, nous || ne saurions avoir aucune sensation dans l’état où nous sommes. On ne considère pas, que tout l’existant et tout le possible ensemble constituent l’univers [354] ; que * l’existant et le possible [355] dérivent également des rapports infinis qui se trouvent entre les choses qui composent l’univers ; que par conséquent l’existant et le possible ne sont qu’une seule et même chose devant Dieu. On ne considère pas, que le possible existant, n’est existant pour nous que relativement à nous, et que, vis-à-vis de l’univers et de Dieu, cet existant n’est que possible, || ou plutôt, que tout possible est existant [356].
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353. pouvons / (M) 354. Voilà qui est vrai. Parce qu’à regarder la chose comme elle est, il n’y a de possible que l’existant ; j’entends de possible en nature, et non concept x. 355. * Mais ici il semble que vous fassiez de l’existant en nature et du possible deux choses différentes ; et je ne vous entends plus. Je m’explique ; tout ce qui est, est tout ce qui peut être. Il ne peut exister autre chose. Ainsi j’ai beau concevoir un être avec des attributs sociables, il sera possible dans mon concept, dans ma tête, mais s’il n’est pas existant en nature, il ne sera pas possible, en nature. Ainsi je conçois la possibilité d’un diamant gros comme le soleil ; c’est un concept. Mais si ce diamant n’existe pas actuellement, possible dans ma tête, il est impossible en nature. (M) Dieu peut voir, comme l’homme, un diamant possible. Dieu peut savoir, de plus, si ce diamant existe en quelque coin de l’univers. Dieu peut voir jusqu’où ce diamant, s’il n’existait pas dans l’univers, changerait l’ordre de l’univers, s’il y existait. Mais il ne confond pas le diamant possible non existant, avec le diamant possible existant. (F) | 402
356. XX. Actuellement examinons ce paragraphe. Ou Dieu a créé tout ce qu’il pouvait créer, ou il pourrait encore créer quelque chose. S’il a créé tout ce qu’il pou-
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osservazioni su hemsterhuis, 350-356
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Prendete l’uomo, l’animale, analizzatelo; toglietegli tutte le sue modificazioni, l’una dopo l’altra; e lo ridurrete infine a una molecola che avrà lunghezza, larghezza, profondità e sensibilità. Annullate queste tre dimensioni e non resta più un substratum alla sensibilità. Essa sparisce. Perché se vi chiedo che cos’è questo substratum. Voi l’ignorate. (F) 351. B. Un’anima di fronte a una faccia dell’universo! In coscienza mia, avete qualche idea di questo di fronte? (F) 352. * Di conseguenza, il malvagio non sarà più dannato, né più salvato, nell’altro mondo che in questo. Essa avrà lo stesso giudice. Il suo organo morale; o la sua coscienza. Ne conosco di certi che non saranno troppo infelici. (F) Chiamiamo esistente ciò di cui noi, composti nella maniera in cui lo siamo attualmente, potremo [353] avere delle sensazioni dirette. XX. Chiamiamo possibile, il non-esistente, la cui esistenza non implicherebbe alcuna contraddizione, ma di cui, in quanto non esistente per noi, non potremmo avere alcuna sensazione nello stato in cui siamo. Non si considera che tutto l’esistente e tutto il possibile insieme costituiscono l’universo [354]; che *l’esistente e il possibile [355] derivano ugualmente dai rapporti infiniti che si trovano tra le cose che compongono l’universo; e che di conseguenza l’esistente e il possibile non sono altro che una sola e medesima cosa dinanzi a Dio. Non si considera che il possibile esistente, è esistente, per noi, solo relativamente a noi, e che di fronte all’universo e a Dio, quest’esistente non è che possibile, o piuttosto che ogni possibile è esistente [356].
353. Possiamo / (M) 354. Ecco questo è vero. Perché a guardare la cosa com’essa è, non c’è alcun possibile se non l’esistente; intendo possibile in natura e non nel concetto X. 355. * Ma qui sembra che voi facciate dell’esistente in natura e del possibile due cose diverse; e non vi capisco più. Mi spiego; tutto ciò che è, è tutto ciò che può essere. Non può esistere altra cosa. Così posso pure concepire un essere con degli attributi socievoli, sarà possibile nel mio concetto, nella mia testa, ma se non è esistente in natura, non sarà possibile in natura. Così io concepisco la possibilità di un diamante grosso come il sole; è un concetto. Ma se questo diamante, possibile nella mia testa, non esiste attualmente, esso è impossibile in natura. (M) Dio può vedere, come l’uomo, un diamante possibile. Dio può sapere, in più, se questo diamante esiste in qualche angolo dell’universo. Dio può vedere fino a che punto questo diamante, se non esistesse nell’universo, cambierebbe l’ordine dell’universo, se esistesse. Ma egli non confonde il diamante possibile non esistente con il diamante possibile esistente. (F) 356. XX. Attualmente esaminiamo questo paragrafo. O Dio ha creato tutto ciò che poteva creare, o potrebbe creare ancora qualche cosa. Se ha creato tutto ciò che poteva
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opere filosofiche
vait créer, il n’y a de possible dans l’univers que ce qui y est, ni même d’absolument possible. S’il n’a pas créé tout ce qu’il pouvait créer, il y a des possibles non existants. Or Dieu doit distinguer ces possibles existants et ces possibles non existants. Quelque parti que vous preniez, ce paragraphe sera ou [inintelligible], ou faux ; car si Dieu confondait ces deux sortes de possibles, il ne pourrait distinguer ce qu’il a fait de ce qu’il n’a pas fait. (F) Dieu a créé des êtres actifs, libres [357], dont la velléité paraît infinie, mais dont la liberté active est proportionnée à leurs rapports avec les choses hors d’eux. Ces rapports sont infinis en nombre ; d’où résulte une infinité de modifications différentes possibles de la velléité, et des actions des hommes [358]. La liberté active de l’homme peut agir dans toute la sphère de son activité ; mais quelque rayon de cette sphère qu’elle réalise, ou qu’elle veuille rendre existant, il n’est seul existant de tous les rayons possibles, que pour l’homme ; || tandis qu’il est également ou existant ou possible avec tous les autres rayons de cette sphère, vis-à-vis de Dieu et de l’univers. **
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357. Je vous ai déjà dit ce que je pensais de l’existence de Dieu ; de sa liberté, s’il existait ; et de la liberté de l’homme. Dieu n’a pu créer l’homme libre ; car on n’agit point sans motif déterminant ; on n’a pas le choix de son motif ; on aurait le choix de son motif ; que ce choix étant une action, il faudrait encore un motif déterminant pour ce choix ; et ainsi de suite à l’infini. Et ce que je vous dis de l’homme convient à Dieu. C’est que la liberté est une chimère ; et que l’introduction de Dieu dans la nature, ne fait que surajouter un agent superflu ; car avec cet agent la même nécessité subsiste partout. (M) | 403
358. A. Ajoutez à cela que tout cet endroit est bien obscur ; ou il y a un sens net et précis, vrai ou faux, et ce sens comporte de la clarté ; ou si vous ne pouvez y introduire de la clarté ; c’est qu’il n’y a aucun sens net et précis . L’existence des êtres actifs et libres est le ressort et la vie de l’univers [359] : et supposons que tous ces êtres fussent ce qu’on appelle vicieux, cela ne ferait aucun changement dans le tout, puisque la sphère de leur activité est bornée par leurs rapports réciproques ; et par conséquent aucun individu ne saurait parvenir à changer ou à détruire l’essence d’aucun autre individu. Supposons tous ces êtres vertueux, cela ne ferait aucun changement || au tout, parce qu’aucun ne saurait parvenir à amplifier l’essence d’un autre [360].
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359. * C’est si peu le ressort et la vie de l’univers, qu’ils peuvent n’y avoir pas toujours été, et qu’ils peuvent cesser d’y être, sans la destruction de l’univers. C’est peutêtre un de ces phénomènes que l’avenir amènera. Pourquoi l’homme serait-il autre chose qu’un monstre plus durable qu’un autre monstre. Pourquoi toute l’espèce humaine ne serait-elle pas une espèce monstrueuse. La nature extermine l’individu dans un intervalle de cent ans.
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osservazioni su hemsterhuis, 356-359
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creare, non c’è possibile nell’universo se non ciò che vi è, e neppure niente di assolutamente possibile. Se non ha creato tutto ciò che poteva creare, ci sono dei possibili non esistenti. Ora Dio deve distinguere questi possibili esistenti e questi possibili non esistenti. Qualunque partito scegliate, questo paragrafo sarà o [inintelligibile] o falso; perché se Dio confondesse queste due specie di possibili, non potrebbe distinguere ciò che ha fatto da ciò che non ha fatto. (F) ** Dio ha creato degli esseri attivi, liberi [357], la cui velleità sembra infinita, ma la cui libertà attiva è proporzionata ai loro rapporti con le cose fuori di loro. Questi rapporti sono infiniti di numero; donde risulta un’infinità di modificazioni diverse possibili della velleità e delle azioni degli uomini [358]. La libertà attiva dell’uomo può agire in tutta la sfera della sua attività; ma qualsiasi raggio di questa sfera essa realizzi, o voglia rendere esistente, non è il solo esistente tra tutti i raggi possibili, se non per l’uomo; mentre è ugualmente o esistente o possibile, con tutti gli altri raggi di questa sfera, di fronte a Dio e all’universo.
357. Vi ho già detto quello che pensavo dell’esistenza di Dio; della sua libertà, se esistesse; e della libertà dell’uomo. Dio non ha potuto creare l’uomo libero; perché non si agisce affatto senza motivo determinante; non si ha la scelta del proprio motivo. Quand’anche si avesse la scelta del proprio motivo, il fatto che questa scelta è un’azione, sarebbe ancora necessario un motivo determinante per tale scelta; e via di seguito all’infinito. E ciò che vi dico dell’uomo conviene a Dio. Perché la libertà è una chimera; e l’introduzione di Dio nella natura non fa che aggiungere un agente superfluo in più; perché con questo agente la stessa necessità sussiste ovunque. (M) 358. A. Aggiungete a ciò, che tutto questo passaggio è assai oscuro; o c’è un significato netto e preciso, vero o falso, e questo significato comporta chiarezza; o se voi non potete introdurvi chiarezza, significa che non c’è alcun significato netto e preciso. L’esistenza degli esseri attivi e liberi è la molla e la vita dell’universo [359]: e supponiamo che tutti questi esseri fossero ciò che chiamiamo viziosi, questo non produrrebbe alcun cambiamento nel tutto, poiché la sfera della loro attività è limitata dai loro reciproci rapporti; e di conseguenza nessun individuo potrebbe riuscire a cambiare o a distruggere l’essenza di nessun altro individuo. Facciamo l’ipotesi che tutti questi esseri siano virtuosi, ciò non produrrebbe alcun cambiamento nel tutto, perché nessuno potrebbe riuscire ad amplificare l’essenza di un altro [360].
359. * È tanto poco la molla e la vita dell’universo che essi possono non esserci sempre stati e possono cessare di esserci, senza la distruzione dell’universo. È forse uno di quei fenomeni che l’avvenire porterà con sé. Perché l’uomo non potrebbe essere altro che un mostro più durevole di un altro mostro? Perché tutta la specie umana non sarebbe una specie mostruosa? La natura stermina l’individuo in un intervallo di cento anni.
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opere filosofiche
Pourquoi n’exterminerait-elle pas l’espèce dans un plus grand nombre d’années. Si tout est in fluxu ; comme on n’en saurait guère douter ; tous les êtres sont monstrueux, c’est-à-dire plus ou moins incompatibles avec l’ordre subséquent. (M)
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360. Q. Toute cette philosophie-là, n’est ni assez claire, ni peut-être assez rigoureuse. Il ne peut y avoir dans le monde actuellement ni plus ni moins de vices ou de vertus qu’il y en a actuellement. | Il faut en dire autant et des instants qui ont précédé et de ceux qui suivront. Ils concourent à amener l’ordre qui suit ; comme ce qu’il y en avait a concouru à amener l’ordre subsistant. Et ainsi en remontant à toute éternité, et en descendant à toute éternité ; et cela sans qu’on puisse dire que le tout s’amende ou se détériore . (F) Je conclus de tout ceci, que proprement il n’y a point de vices, ni par conséquent de crimes, devant Dieu. Mais il importe infiniment à l’individu, si dans sa sphère, laquelle probablement s’élargira pendant toute l’éternité, son activité prend sa direction vers l’Etre suprême, et vers l’ordre, qu’il connaît par la conscience, ou si elle s’en éloigne de siècle en siècle, tandis que cet organe, cette conscience, ne devient plus sensible et plus actif que pour lui faire apercevoir d’autant plus || vivement la distance immense qui le sépare de son bonheur [361].
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361. ** Tout cela est bien chimérique. Je vous avoue que ces conséquences amenées par la supposition d’un être suprême et d’une autre vie, seraient capables de m’en faire douter ; tout cela est hypothétique et précaire. (M) L’homme qu’on appelle vicieux, est et sera moins heureux et moins parfait, par une suite nécessaire de la coexistence des choses. L’homme qu’on appelle vertueux, est et sera nécessairement plus heureux et plus parfait, par la même raison. Nous n’aurions eu aucune idée du vice, ni par conséquent du crime, si l’homme ne se fût avisé de se rendre presque tout physique, par ce prétendu agrandissement de son être [362].
405
362. ** J’avoue que l’établissement de la société et toutes ses conséquences ont amené bien des vices, et bien des crimes. Mais ils ont amené aussi bien des perfections et bien des vertus. | Je crois que tout s’est compensé ; et qu’il n’est pas au pouvoir d’un être, du moins d’une espèce, d’étendre ou de rétrécir son bonheur. Quoi qu’elle fasse, elle perd autant qu’elle gagne et gagne autant qu’elle perd. (F)
236
Mais, dira-t-on, sans cet agrandissement d’être apparent et factice il n’y aurait pas eu des arts ! Je l’avoue : || mais l’homme a-t-il besoin des arts ? Mais quel nombre prodigieux d’idées ne doit-il pas aux arts et aux sciences ! Je l’avoue encore : mais croyez-vous que toutes ces intelligences n’auraient pas raffiné sur l’amour, sur l’amitié, sur leur rapport à l’Etre suprême ? Croyez-vous qu’ils n’auraient pas fait autant de découvertes dans la face morale de l’univers, que nous en avons fait dans la face visible ou sonore [363] ?
363. * Si je crois ? assurément. Je ne doute point que cela ne soit démontrable.
Diderot.indb 1076
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osservazioni su hemsterhuis, 359-363
1077
Perché non dovrebbe sterminare la specie in un numero più grande di anni.213 Se tutto è in fluxu, come non si potrebbe affatto dubitare, tutti gli esseri sono mostruosi, cioè più o meno incompatibili con l’ordine susseguente.214 (M) 360. Q. Tutta questa filosofia, non è né abbastanza chiara né, forse, abbastanza rigorosa. Non vi può essere, nel mondo, attualmente, un numero né maggiore né minore di vizi o di virtù, di quanti ve ne siano attualmente. Bisogna dire altrettanto degli stati che hanno preceduto e di quelli che seguiranno. Essi concorrono a portare l’ordine che segue; come ciò che veniva prima ha concorso a produrre l’ordine sussistente. E così, risalendo tutta l’eternità, discendendo tutta l’eternità; e questo senza che si possa dire che il tutto si emendi o si deteriori. (F) Da tutto ciò ne concludo che propriamente parlando non ci sono affatto vizi, né di conseguenza crimini, dinanzi a Dio. Ma importa infinitamente all’individuo se nella sua sfera, la quale probabilmente si allargherà durante tutta l’eternità, la sua attività prenda la sua direzione verso l’Essere supremo, e verso l’ordine che egli conosce con la coscienza, o se tale attività se ne allontana di secolo in secolo, mentre quest’organo, questa coscienza non diventa più sensibile e più attiva se non per fargli percepire tanto più vivamente la distanza immensa che lo separa dalla sua felicità [361].
361. ** Tutto questo è assai chimerico. Vi confesso che queste conseguenze derivate dall’ipotesi di un essere supremo e di un’altra vita, sarebbero capaci di farmene dubitare; tutto ciò è ipotetico e precario. (M). L’uomo che chiamiamo vizioso è e sarà meno felice e meno perfetto, per una conseguenza necessaria della coesistenza delle cose. L’uomo che si chiama virtuoso, è e sarà necessariamente più felice e più perfetto per la stessa ragione. Noi non avremmo avuto alcuna idea del vizio, né di conseguenza del crimine, se l’uomo non si fosse deciso a rendersi quasi tutto fisico, con questo preteso ingrandimento del proprio essere [362].
362. ** Confesso che l’istituzione della società e tutte le sue conseguenze hanno condotto certo a molti vizi e a molti crimini. Ma hanno condotto anche ad altrettante perfezioni e a molte virtù. Io credo che tutto sia compensato; e che non è in potere di un essere, tanto meno di una specie, di estendere o di restringere la sua felicità. Qualsiasi cosa essa faccia, perde tanto quanto guadagna e guadagna tanto quanto perde. (F) Ma, si dirà, senza questo ingrandimento d’essere, apparente e fattizio, non ci sarebbero state le arti! Lo riconosco: ma l’uomo ha bisogno delle arti? Ma quale numero prodigioso di idee non deve egli alle arti e alle scienze! Lo riconosco ancora: ma credete voi che tutte queste intelligenze non si sarebbero raffinate sull’amore, sull’amicizia, sul loro rapporto con l’Essere supremo? Credete che non avrebbero fatto altrettante scoperte nella faccia morale dell’universo, quante noi ne abbiamo fatte nella faccia visibile o sonora [363]?
363. * Se lo credo? Sicuramente. Non dubito affatto che questo sia dimostrabile.
Diderot.indb 1077
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406
opere filosofiche
Il faut que l’entendement ait été bien exercé pour avoir la moindre idée de ces raffinements. Malgré les progrès de l’entendement humain, combien d’hommes stupides et grossiers n’entendent rien, à ce qu’on appelle procédés délicats ? Certes les sauvages ne se sont pas rendus trop grands, (pour parler votre langue,) en sont-ils plus raffinés dans l’amitié, dans l’amour. Vous exigez apparemment la perfection d’une langue ; car cela ne peut aller sans une langue très subtile, très fine, pleine de nuances dont nous n’avons pas encore d’idées. Or la perfection de cette langue est d’une des plus difficiles machines possibles ; tous nos autres arts n’en approchent pas. Voulez-vous que je vous dise une vérité qui vous frappera, quoique diamétralement opposée à vos idées. C’est que le sens moral s’est perfectionné parmi nous, à un point qui passe de beaucoup la portée du commun des individus ; ils ont, ces êtres en qui le sens moral s’est perfectionné, une langue que la multitude n’entend pas ; ils font des distinctions dont le grand nombre | se moque ; ils se font des scrupules auxquels la plupart n’entendent rien. Les hommes charnels appellent cela du céladonisme en amour, du jansénisme en amitié, de la sottise en affaires, de la pédanterie en vertu et en probité. (F) Ne vaudrait-il pas mieux, ô Sybarites, d’avoir négligé la face tangible qu’habite la douleur ? Heureux encore que la douleur ne tienne pas à la face visible, dans laquelle || nous avons fait nos plus grandes extravagances : alors la vie paraîtrait un supplice. Mais je sens que je donne un peu trop dans le style de Juvenal : je m’en repens. Je crains de traiter l’homme avec un peu d’injustice. A la faible lueur de l’étoile du matin, l’œil s’aperçoit à peine des objets près de lui ; mais lorsque le soleil paraît, l’univers visible se dévoile. Peut-être le véhicule des [364] sensations des essences morales aura de même plus d’énergie après le crépuscule de cette vie ; ou bien, peut-être les organes de la conscience et du cœur ne sauraient se déployer sous notre || enveloppe grossière : ce sont les ailes encore informes, cachées sous la peau de la nymphe. [365]
237
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J’ai l’honneur d’être, Monsieur, votre très humble et très obéissant serviteur. Ce 9 de janvier 1772.
364. // * Je voudrais bien savoir quelle sorte ce véhicule. Le véhicule d’une âme, après sa séparation du corps, à une autre âme, ou d’un amas de matière à elle, tel que l’univers, n’est pas une chose facile à imaginer. Car ce ne sont ni des émanations, ni des qualités sensibles, ni des images, ni des concepts, ni des signes. Qu’est-ce donc ? O l’excellent disciple de Socrate que vous auriez été ! (F) | 407
365. ⊖ La lecture de votre ouvrage m’a fait grand plaisir. Il y a des idées très belles, très neuves et très fines. C’est ainsi que j’en ai parlé au prince de Gallitzin. Mais si vous eussiez vécu deux ou trois ans dans notre capitale, en liaison intime avec mes amis, vous auriez trouvé une langue courante, toute prête à se prêter à vos idées ; et votre ouvrage en aurait été infiniment plus agréable et plus facile à lire.
Diderot.indb 1078
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osservazioni su hemsterhuis, 363-365
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Occorre che l’intelletto sia stato bene in esercizio, per avere la minima idea di queste raffinatezze. Malgrado i progressi dell’intelletto umano, quanti uomini stupidi e grossolani non capiscono nulla di quelle che si chiamano maniere delicate? Certo, i selvaggi non si sono resi troppo grandi, (per parlare la vostra lingua) e sono più raffinati nell’amicizia, nell’amore. Voi, apparentemente, esigete la perfezione di una lingua; perché questo non può funzionare senza una lingua molto sottile, molto fine, piena di sfumature di cui non abbiamo ancora idea. Ora, la perfezione di questa lingua è una delle macchine215 possibili più difficili; tutte le nostre arti non vi si avvicinano. Volete che vi dica una verità che vi colpirà, benché diametralmente opposta alle vostre idee? È che il senso morale si è perfezionato, tra noi, a un punto tale da superare di gran lunga la portata degli individui comuni; essi, questi esseri nei quali il senso morale si è perfezionato, hanno una lingua che la moltitudine non capisce; fanno delle distinzioni di cui la moltitudine si fa beffe; si fanno degli scrupoli, dei quali la maggioranza degli uomini non capisce nulla. Gli uomini carnali chiamano questo celadonismo216 in amore, giansenismo in amicizia, stupidità in affari, pedanteria in virtù e in probità. (F) Non sarebbe preferibile, o Sibariti, aver trascurato la faccia tangibile che abita il dolore? Siete ancora fortunati che il dolore non risponda alla faccia visibile, nella quale abbiamo fatto le nostre maggiori stravaganze: allora la vita sembrerebbe un supplizio. Ma sento di tendere un po’ troppo allo stile di Giovenale: me ne pento. Temo di trattare l’uomo con un po’ d’ingiustizia. Al debole lucore della stella del mattino, l’occhio s’accorge appena degli oggetti a lui vicini; ma quando il sole appare, l’universo visibile si svela. Forse il veicolo delle [364] sensazioni delle essenze morali avrà lo stesso più energia dopo il crepuscolo di questa vita; oppure, forse, gli organi della coscienza e del cuore non potrebbero dispiegarsi sotto la nostra spoglia grossolana: sono le ali ancora informi, nascoste sotto la pelle della ninfa [365]. Ho l’onore di essere, Signore, il vostro umilissimo e obbedientissimo servitore. Questo 9 di gennaio 1772.
364. // * Vorrei proprio sapere quale specie di veicolo. Il veicolo di un’anima, dopo la sua separazione dal corpo, con un’altra anima, o di un ammasso di materia che è la sua, quale l’universo, non è una cosa facile da immaginare. Perché non sono né delle emanazioni, né delle qualità sensibili, né delle immagini, né dei concetti, né dei segni. Che cosa sono dunque? O che eccellente discepolo di Socrate sareste stato!217 (F) 365. ⊖ La lettura della vostra opera mi ha fatto un gran piacere. Ci sono delle idee molto belle, molto nuove e molto fini. In questi termini ne ho parlato al principe Galitzin. Ma se voi foste vissuto due o tre anni nella nostra capitale, in intimo rapporto con i miei amici, avreste trovato una lingua fluente, ben pronta a prestarsi alle vostre idee; e la vostra opera sarebbe stata infinitamente più gradevole e più facile da leggersi.
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1080
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opere filosofiche
Mais d’un autre côté, il vous aurait singulièrement compromis. Je pense même que plus lu et plus entendu dans ce pays-ci, il vous y aurait attiré une persécution violente. Ainsi à tout prendre, vous auriez troqué du repos contre de la considération, et vous eussiez dit, comme Neuton, après ses démêlés avec Leibnitz, J’ai vu qu’en courant après la considération, j’avais perdu la tranquillité, rem prorsus substantialem. Mais à présent que son effet est produit ; je crois que vous pouvez lui donner toute la franchise et toute la clarté possible sans fâcheuse conséquence. Vous êtes encore un exemple, entre beaucoup d’autres, dont l’intolérance a contraint la véracité et habillé la philosophie d’un habit d’Arlequin, en sorte que la postérité frappée de leurs contradictions dont elle ignorera | la cause, ne saura que prononcer sur leurs véritables sentiments. Les Eumolpides firent admettre et rejeter alternativement les causes finales par Aristote. Ici Buffon pose tous les principes des matérialistes ; ailleurs il avance des propositions tout à fait contraires. Et que dire de Voltaire qui dit avec Lock que la matière peut penser, avec Toland que le monde est éternel, avec Tindal que la liberté est une | chimère, et qui admet un Dieu vengeur et rémunérateur. A-t-il été inconséquent ? ou a-t-il eu peur du docteur de Sorbonne. Moi, je me suis sauvé par le ton ironique le plus délié que j’aie pu trouver, les généralités, le laconisme, et l’obscurité. Je ne connais qu’un seul auteur moderne qui ait parlé nettement et sans détour ; mais il est bien inconnu. (F)
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osservazioni su hemsterhuis, 365
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Ma d’altro canto, vi avrebbe singolarmente compromesso. Penso persino che, più letto e meglio capito in questo paese, vi avrebbe attirato una violenta persecuzione.218 Così, tutto sommato, avreste barattato la quiete con la considerazione, e vi sareste detto, come Newton dopo le sue dispute con Leibniz, Ho visto che correndo dietro la considerazione avevo perso la tranquillità, rem prorsus substantialem.219 Ma adesso che il suo effetto è prodotto, credo che potrete darle tutta la franchezza e tutta la chiarezza possibile, senza spiacevoli conseguenze. Voi siete ancora un esempio, tra molti altri, di coloro ai quali l’intolleranza ha conculcato la veracità e vestito la filosofia di un abito di Arlecchino, in modo che la posterità, colpita dalle contraddizioni di cui essa ignorerà la causa, non saprà come pronunciarsi sui loro veri sentimenti.220 Gli Eumolpidi fecero alternativamente ammettere e respingere le cause finali ad Aristotele.221 Qui Buffon pone tutti i principi dei materialisti; altrove avanza delle proposizioni del tutto contrarie.222 E che dire di Voltaire, il quale afferma con Locke che la materia può pensare, con Toland che il mondo è eterno, con Tindal che la libertà è una chimera e ammette un Dio vendicatore e remuneratore. È stato incoerente? O ha avuto paura del dottore di Sorbona? Io mi sono salvato con il tono ironico più delicato che ho potuto trovare, con le generalità, con il laconismo e l’oscurità.223 Conosco un solo autore moderno che abbia parlato chiaramente e senza troppi giri di parole; ma è alquanto sconosciuto.224
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Éléments de Physiologie
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Elementi di fisiologia (1769-84)
Diderot.indb 1083
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Diderot.indb 1084
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Nota introduttiva di Paolo Quintili
1. Il testamento spirituale del filosofo: la complessità del vivente Gli Elementi di fisiologia sono l’ultima opera cui Diderot lavorò fino all’anno della morte (1784). I primi appunti possono esser fatti risalire agli anni successivi la redazione del Sogno di D’Alembert (1769). Si tratta di una serie di note di lettura, di traduzioni dagli Elementa phisiologiae corporis humani (1757-1769) di A. von Haller (fonte principale), di libere considerazioni al margine di numerose altre letture, la cui lista è contenuta nel manoscritto autografo intitolato «Storia naturale e sperimentale dell’uomo» che accompagnò la redazione dell’opera maggiore.1 Diderot consegnò ai posteri tre manoscritti dell’opera, che può senz’altro essere considerata il suo testamento spirituale: uno conservato a San Pietroburgo, nel fondo lasciato dal filosofo in eredità all’imperatrice Caterina II dopo la sua morte; il secondo, conservato nel «Fonds Vandeul», nel lascito alla famiglia del marito della figlia Angélique, su cui si sono basate tutte le edizione critiche successive; il terzo, l’autografo andato perduto, di cui si trova notizia fino alla metà dell’Ottocento in cataloghi di librai, finì in mano ai membri della Convention Nationale, durante la Rivoluzione (1795), proposto da Naigeon durante la costituzione delle Grandes Écoles, come libro di testo di filosofia.2 L’opera è divisa in tre grandi parti. La prima, «Des êtres», sugli esseri naturali viventi in generale; la seconda, «Éléments et parties du corps humain», sugli elementi anatomici e le singole parti del corpo umano (ispirata/copiata da Haller); e la terza, «Phénomènes du cerveau», concernente i fenomeni dell’«organo dell’anima», il cervello, la più importante e interessante. Da notare subito qui una progressione, una sorta di scala naturae dinamizzata nell’esposizione stessa dei materiali; si parte dall’essere naturale semplice, dall’essere organico generale, per arrivare al complesso, al vertice della scala, all’uomo, al suo cervello, quella che oggi viene riconosciuta essere la materia più complessa esistente nel nostro universo. Diderot è già cosciente di tale complessità e quest’opera (postuma) è una delle prime, nella storia della filosofia moderna, a darne rappresentazione cosciente. Il Diderot fisiologo è, nel Settecento, il maggiore filosofo della biologia e, diremmo oggi, della complessità. 1 Sulla lunga e appassionante storia dei manoscritti degli Elementi di fisiologia, rinvio alla mia edizione francese: D. Diderot, Éléments de physiologie, texte établi, présenté et commenté par P. Quintili, Paris, Honoré Champion, 2004 (sigla EL), Introduction, pp. 11-101; la lista delle letture di Diderot, un vero e proprio piano di lavoro, è a p. 389, su un foglio titolato dalla figlia Angélique: «Note della mano di mio padre sulla Fisiologia»: «Autori che bisogna leggere. Istituzioni di medicina del signor Cullen di Edinburgo, in 12°. Saggio analitico di Bonnet. Nuovi elementi della scienza dell’uomo di Barthez. Trattato dell’esperienza di Zimmerman, il signor Whytt, Haller, Fontana. Lettura. Leggere la medicina dello spirito di Le Camus e i caratteri delle passioni di De la Chambre. L’anatomia di Heister. La medicina pratica di Stahl. Le opere di Bordeu. La fisiologia di Haller. La donna di Roussel. L’uomo di Marat. Lo spirito e l’uomo di Helvétius. E iniziare con Haller. L’uomo macchina e l’uomo pianta di La Mettrie, e avere sempre accanto a sé Spigelius». 2 Cfr. EL, Introduction, pp. 31-33.
Diderot.indb 1085
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elementi di fisiologia
L’ispirazione teorica che anima la ricerca degli Elementi è il materialismo vitalistico già espresso nel Sogno di D’Alembert e nei Principi filosofici sulla materia e il moto (1770), opere di cui gli Éléments rappresentano il seguito naturale. Allo scopo di spiegare in che cosa consista e come si articoli tale vitalismo riproduciamo qui un prospetto schematico tratto dalla nostra edizione critica degli Éléments de physiologie (EL, p. 67). Lo schema aiuta a capire com’è articolata la nozione di vita proposta negli Elementi. Qualche accenno lo abbiamo già fornito a proposito del Sogno di D’Alembert; abbiamo visto la struttura dell’olismo diderottiano che, sotto forma di metafore poetiche, qui prende corpo in maniera completa, senz’altro più analitica e scientifica. Non si tratta più di «sogni», di uscite poetico-letterarie atte a stupire o a provocare; si tratta, invece, di un primo tentativo di sistematizzazione filosofica delle conoscenze sul mondo della vita. Diderot dal 1769 fino alla morte, nel 1784, legge soltanto opere di fisiologia e medicina. Legge anche i classici, continua ovviamente con Seneca (su cui sta redigendo il Saggio sui regni di Claudio e di Nerone), Epicuro, Epitteto. I classici e i medici contemporanei: questi i poli maggiori d’interesse dell’ultimo Diderot. E da questi viene fuori la grande struttura del vitalismo negli Elementi di fisiologia raffigurato nel nostro schema. «Vitalismo» non è da intendersi come un sistema che postula l’esistenza di un «principio vitale» inafferrabile, esterno alla macchina. Il vitalismo è quello già visto all’opera, nella lettura del Sogno. Siamo giunti a un vitalismo che è l’attestato della presa di coscienza della complessità del vivente, della macchina vivente, rispetto ai modelli semplici di macchina, che la scienza del tempo, da Descartes fino a La Mettrie, aveva fornito. Il modello dominante del meccanicismo classico era quello della macchina idraulica, la macchina di Descartes del Trattato dell’uomo. La fontana, secondo Descartes, modellizzava al meglio la struttura della circolazione degli spiriti animali. Qui la macchina organica si fa assai più complessa e trova, come nuovo modello, il telaio per tessere calze, descritto da Diderot nell’omonimo articolo dell’Encyclopédie. Perché «vitalismo» e non meccanicismo? Perché ogni elemento della struttura della nuova macchina è vivo, è vivente, pur essendo integrato, come «molla» (ressort) particolare, nella costruzione meccanica dell’organismo.
2. Vivente e meccanico coniugati: il vitalismo materialistico degli Elementi Al centro dello schema (Le vitalisme de Diderot dans les Eléments de physiologie) c’è un P1, il problema primo: l’atomo vivente, l’elemento originario della vita è la molecola organica, una nozione che viene a Diderot da Buffon e da Maupertius. Buffon la chiamava appunto «molecola organica», Maupertuis «particella vivente», ma s’intendeva la stessa cosa: l’elemento primo (e ultimo) che costituisce il vivente. La caratteristica di questa molecola organica, caratteristica problematica, è il fatto che essa è eternamente vivente, non muore mai, non è sottoposta alla morte: «la morte si ferma là»,3 sulla frontiera della molecola organica. Perché questo? Si trattava di postulare un’idea di essere vivente che facesse a meno dell’intervento esterno, della creazione divina, e afferrasse concretamente, nel vivente, l’eternità della materia, tesi antica che qui trova una riformulazione in chiave vitalistica moderna. L’elemento organico ultimo, l’atomo vivente, doveva essere eterno e ingenerato proprio perché «dal 3
Infra, p. 1109.
Diderot.indb 1086
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Le vitalisme de Diderot dans les Éléments de physiologie1087
nota introduttiva
VIE C5
C7
C6
VEGETOANIMAL Temps de la fermentationtransformation (matière, mouvement, sensibilité)
ANIMAL Temps de l'action-sentiment (irritabilité, instinct, morale) (matière, mouvement, sensibilité
HOMME
Temps de : mémoire, imagination sommeil volonté passions
(matière, mouvement, sensibilité)
MORT Mort C4
P1 C1
MOLECULE ORGANIQUE (Buffon, Maupertuis)
VEGETAL Temps de nisus (effort) activité chimique
FIBRE (Haller) Temps de la contraction
Matière, mouvement, sensibilité VIVANTE ETERNELLE «La mort s'arrête là...»
(matière, mouvement, sensibilité)
(matière, mouvement, sensibilité)
Mort Mort C3 ORGANE (Bordeu) Temps du toucher (sensation générique)
(matière, mouvement, sensibilité)
Mort
C2
TISSU CELLULAIRE Temps des membranes (matière, mouvement, sensibilité,)
P2
P3
La matière peut-elle penser? Comment passet-on de la sensibilité inerte à la sensibilité active du vivant? De l'être sentant à l'être pensant? D'où (et quand) naît l'EGO? Le monisme matérialiste de Diderot et sa conception dynamique de la matière.
Comment peut-on fonder une anthropologie nouvelle, laïque et matérialiste, sur la base d'une vraie connaissance de l'homme, tant au physique qu'au moral? «Un seul devoir: se rendre heureux; une seule vertu: la justice...»
Il vitalismo di Diderot negli Elementi di fisiologia.
Diderot.indb 1087
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elementi di fisiologia
nulla non nasce nulla». Il postulato materialista: ex nihilo nihil fit fa sì che la materia vivente possa nascere solo da altra materia vivente. Non si dà un atto esterno, volontario, di creazione. Il vitalismo inteso alla maniera antica, fino alla maniera di Stahl e dei medici del Seicento, era diverso, era vitalismo in altro senso; questi «vitalisti» non sperimentali postulavano la presenza di un’anima del mondo, «anima vitale», che penetrava nel corpo e gli infondeva appunto la vita. Qui, invece, la vita deve nascere dall’interno stesso della macchina, dal concorrere delle sue sole forze (l’organisation) e, quindi, la molecola organica è concepita come l’elemento primo di quel concorrere, vivente eternamente. La morte «si ferma là» nel senso che la molecola è il luogo di fronte al quale la morte non può far presa. Da qui si dipana la costellazione di concetti, C1,..., C7, che sono i vari livelli di organizzazione e di sviluppo della vita, questi tutti suscettibili di dissoluzione e di morte, esposti negli Elementi. Sono essi gli «elementi» della fisiologia. Al primo stadio dell’organismo vivente, primo stadio di costruzione della vita, il concetto C1, c’è la fibra («Tempo della contrazione. Materia, movimento, sensibilità»). Haller è il fisiologo che ha ispirato a Diderot la concezione della fibra organica con le sue caratteristiche di vitalità e d’«irritabilità». Il titolo stesso, «Elementi di fisiologia», richiama espressamente gli Elementa phisiologiae corporis humani (1757-1769) di Haller. La fibra è il primo livello di complessità; essa è composta di molecole organiche e la sua azione principale è quella della contrazione. Lo sviluppo della fibra si svolge nel tempo della contrazione. La fibra ha come caratteristica quella di essere «irritabile», ossia di contrarsi in risposta agli stimoli, esterni e interni. Ogni livello di organizzazione della vita declina a modo proprio i concetti di materia, moto e sensibilità, anche se questi sono comuni a tutti; per tale ragione non c’è vitalismo emanante dall’esterno della macchina: tali proprietà ci sono sempre, anche nella molecola organica. E così saliamo al concetto C2, il tessuto cellulare («Tempo delle membrane. Materia, movimento, sensibilità»), che non è da intendersi come lo intendiamo oggi, dopo la scoperta della cellula; il termine indicava quello che oggi noi conosciamo come tessuto connettivo, cioè il tessuto che unisce l’elemento fibroso: le membrane. Allora veniva chiamato «cellulare», perché a occhio nudo appariva costituito da piccole cellette. Qui abbiamo a che fare con un altro tipo di sviluppo, con uno sviluppo legato al tempo delle membrane, che si assemblano a formare dei tessuti membranosi più complessi. Questi, a loro volta, danno origine all’organo, il concetto C3 («Tempo del tatto [sensazione generica]. Materia, movimento, sensibilità»). S’è vista l’importanza dell’organo e dell’organicismo di Bordeau, protagonista del Sogno di D’Alembert, che assegnava a ogni organo un tatto specifico, una forma di sensibilità generica, propria di ciascun tipo di parte vivente: ogni organo ha dunque il proprio «tatto». I tratti continui dello schema, che collegano C1, ...C7 e P1 con gli altri, rappresentano un collegamento diretto, una connessione causale diretta tra C1 e C2, C3 e C4, ad esempio la costituzione della fibra è causalmente investita nella formazione delle membrane, queste nella formazione degli organi e così via. I tratti discontinui rappresentano invece le connessioni indirette, nel senso che non c’è un nesso causale diretto, ma un nesso semplicemente teorico fra gli elementi collegati. Senza entrare nel dettaglio dell’intera struttura, essa si presenta come una successione di gradi, di livelli di complessità. Man mano che si sale verso il C3, C4, C5, etc. la struttura organica diventa più ricca e complicata; e ha poi una caratteristica specifica, ha un tempo diverso di costituzione. II fattore-tempo qui è essenziale, perché, come già detto a proposito del Sogno,
Diderot.indb 1088
30/09/2019 15:13:37
nota introduttiva
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è una questione ancora aperta, fra gli storici della filosofia e della biologia, individuare il momento in cui nasce e si sviluppa una forma di pensiero trasformistico, proto-evoluzionistico, nel ’700. L’approccio trasformistico e proto-evoluzionistico è caratterizzato dall’intervento del fattore tempo all’interno dello sviluppo delle forme organiche, nel loro rapporto con l’ambiente esterno, elemento quest’ultimo essenziale. In Diderot l’intervento del fattore-tempo in rapporto con l’ambiente si fa evidente. E vi troviamo, inoltre, delineata nella prima parte degli Elementi, una chiara concezione della biologia, come la intenderà Lamarck, che inventa il termine agli inizi dell’Ottocento. Per «biologia» si deve intendere quella disciplina che ha per oggetto l’intero mondo del vivente, composto da vegetali, animali e uomini, opposto all’inorganico. Si definiscono gli oggetti e i limiti della scienza e della biologia, distinguendoli dalla vecchia dottrina dei «regni» (regno vegetale, regno animale e regno minerale), concepita dalla scienza del ’600 e ’700 fino a Buffon; si passa così a una considerazione dell’oggetto-vita nella sua totalità, opposto alla non-vita, al morto, all’inorganico. Nello schema qui delineato ci sono tante «piccole morti»: ciascun elemento appartenente a un livello può «morire», ma in un modo relativo in rapporto al tutto. Questo è importante, perché il fattore tempo è legato alla morte. Il che significa che ci sono queste diverse «piccole morti» che non inficiano necessariamente la vita del tutto; e, solo alla fine, una «morte grande», schema da intendere nel senso che ogni livello organico può morire, lasciando sussistere la vita del tutto. Una fibra conosce cioè un tempo proprio di vita e di morte, che non è lo stesso dell’insieme dell’organismo o degli altri livelli che lo compongono. Quindi c’è una «vita grande», che non muore anche quado delle «piccole morti» intervengono all’interno della sua struttura.4 Un organo può morire e può non morire il tutto; può morire un tessuto cellulare, ma la sua morte non intacca la vita dell’insieme organico, lo danneggia, o addirittura lo mutila, ma non lo fa morire. Ogni C, ogni concetto-chiave che concerne il livello organico, è passibile di una sua specifica morte. La morte grande è la morte dell’organismo, dell’animale intero. Perciò «vita» e «morte» (grandi) sono collegate da un tratto diretto: perché si realizza, qui, un passaggio effettivo dalla vita alla morte, soltanto nel momento in cui muore il tutto.
3. Il problema del principio primo della vita. La «molecola organica» Perché P1 è un «problema primo»? Il problema primo è, per Diderot, ancora una volta la molecola organica («Vivente, eterna. La morte si ferma là...»). Questa nozione era problematica, si trattava di un puro concetto teorico, cioè non osservabile sperimentalmente. Le molecole viventi non potevano essere viste, nemmeno al microscopio, erano un postulato razionale necessario. Buffon, che fu il primo a forgiare la nozione, la postulò come un concetto teorico indispensabile per spiegare lo sviluppo del vivente senza far ricorso alla preformazione dei germi. La teoria della preformazione, l’abbiamo visto nel Sogno, era utile perché capace di spiegare in modo semplice come si potesse generare un essere complesso; come un animale o una pianta germinasse da un seme assolutamente semplice, da una materia assolutamente bruta, inerte. 4 Cfr. C. Milanesi, La mort-instant et la mort-processuss dans la médecine de la seconde moitié du siècle, in «Dix-Huitième Siècle», n. 23, 1991 («Physiologie et médecine»), pp. 171-190.
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Allora il problema era il seguente: com’è possibile che da un seme, da un uovo o un albume indistinto, si possa sviluppare un pulcino o dagli spermatozoi, si possano formare degli uomini interi? La teoria della preformazione dei germi offriva la risposta intuitiva e più plausibile, per l’epoca. Immaginiamo dei piccoli animaletti, già preformati dall’inizio dei tempi, dalla creazione, plasmati tutti interi dal buon Dio, che vi insuffla la vita e li immette nel corpo al momento opportuno. Buffon, abbandona i semplicismi delle spiegazioni intuitive; cerca di fornire una risposta di tipo razionale e meccanicistico, postulando le molecole organiche come l’elemento vitale fondamentale, anche se poi queste restano inspiegabili, ossia invisibili sul piano sperimentale: questo è il problema. Ma cosa ne regge lo sviluppo? Qual è la logica, il progetto, che porta allo sviluppo di un essere vivente, non sulle due sole dimensioni dello spazio e del tempo, ma sulle tre dimensioni dello stesso spazio, coinvolgendo la profondità? L’essere organico si forma occupando uno spazio a tre dimensioni. Ecco il problema fondamentale per i biologi del tempo: capire come e da dove venisse la struttura tridimensionale del vivente.5 Buffon postulò, oltre alle molecole organiche, un concetto teorico ulteriore che suscitò ancora maggiori polemiche, quello di «stampo organico interno» (moule organique intérieur); il moule è lo stampo che usa lo scultore per inserirvi dentro il materiale fuso che forma la statua. È una metafora razionale utile a spiegare come la materia organica si possa sviluppare nelle tre dimensioni dello spazio, in tutta la complessità organica del vivente. Per tener conto di quest’aspetto dell’epigenesi Buffon inventò il concetto di moule, secondo il quale le molecole organiche si dispongono ordinatamente entro uno «stampo» materiale, concetto che riprendeva in chiave materialista da antiche idee aristoteliche (la «forma sostanziale»). Per via di tale nozione teorico-operativa Buffon fu deriso e criticato; era un’idea meno intuitiva e meno plausibile dal punto di vista concettuale, per l’epoca, rispetto alla teoria dei germi preformati. Nel 1749-1751 i primi due volumi dell’Histoire naturelle générale et particulière furono condannati dalla Sorbonne; Buffon dovette ravvedersi e tornare sulle sue teorie. Nondimeno, il sasso era oramai gettato e venne raccolto da diversi naturalisti, tra cui Diderot, che lo mise al centro della costruzione degli Elementi di fisiologia. Il P2 e P3 sono altri due centri problematici intimamente collegati a quest’ultimo, quelli stessi che, in forma diversa, abbiamo incontrato nel Sogno di D’Alembert. P2 riguarda il passaggio dall’inerte al sensibile, ovvero dal sensibile al pensante: come si formano il sensibile e il pensiero dall’organico? Attraverso il processo di giustapposizione meccanica di parti (epigenesi), secondo la guida del moule organique intérieur, l’io, il pensiero, la coscienza sembrano emergere grazie all’opera della memoria; ma qui il problema non ha risposte definitive, Diderot non ha verità in tasca da offrire al lettore; si pone solo interrogativi. Gli Elementi di fisiologia sono un’opera anche questa, a suo modo, problematico-poetica, che ha il merito di aver aperto la questione su temi non ancora affrontanti nel Sogno di D’Alembert. Con gli strumenti del tempo non si riesce dar conto in maniera soddisfacente, se non con ipotesi o congetture verosimili, alla questione fondamentale della nascita dell’ego e della coscienza dalla mate5 Cfr. P. Rossi (a cura di), Storia della scienza moderna e contemporanea, vol. I, to. 2 («Dalla rivoluzione scientifica all’età dei Lumi», Milano, TEA, 1998, cap. XX, pp. 567-590: «Scienze della vita e materialismo nel Settecento» e cap. XXI, pp. 591-622: «Il problema della generazione» [W. Bernardi]).
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ria, attraverso concezioni come la dinamica della materia vitale, presa in prestito da Buffon. Diderot qui non vuole essere originale, riprende Buffon, lo sviluppa filosoficamente, ma dà una risposta di tipo sempre problematico alle sue questioni; gli interrogativi restano insomma più numerosi delle risposte.
4. L’antropologia naturalizzata. L’uomo e la morale Il P3 è infine un altro punto problematico, cui però Diderot dà stavolta una risposta positiva. Come si può fondare un’antropologia nuova, laica e materialista, fuori dai dogmi e dai vincoli della metafisica? sulla base di una vera conoscenza dell’uomo fisico e morale? Il ruolo del cervello e dei suoi «fenomeni» («Sensazione», «Intelletto», «Memoria», «Immaginazione» ecc.) diventa qui centrale.6 La Conclusione degli Elementi di fisiologia è questa, chiara: la cosa è possibile, l’uomo è un essere portato, come tutti gli esseri, per sua natura, a ricercare la felicità. La felicità è l’unica vera, sola passione, da cui derivano tutte le altre passioni umane, e rappresenta il solo fondamento naturale a partire dal quale si possono concepire tutti gli altri valori moralmente utili e naturali. L’uomo, concepito sotto questa nuova ottica – la terza parte del Sogno l’ha mostrato in maniera eclatante – ha «un solo dovere, rendersi felice, e una sola virtù, la giustizia». Il precetto stoico-epicureo conclude in un ultimo corollario: «non sopravvalutare la vita e non temere la morte». Gli Elementi di fisiologia si concludono con questa soluzione. Una soluzione non originale, neanche questa, tratta dai materialisti e dai moralisti antichi, da Epicuro, Seneca e Epitteto. Tendere alla felicità, «essendo giusti», avendo cura di cercare insieme la giustizia, una giustizia comune. La risposta alla domanda su come ottenere simile risultato (un’antropologia nuova, naturale, non religiosa) Diderot l’ha fornita, indicando negli Elementi di fisiologia precisamente quello studio che intende dare a conoscere la logica del vivente, la logica di ciò che è naturale, comune a tutti gli esseri, e utile all’uomo per forgiare una nuova visione della natura umana. L’uomo appartiene a questa logica, in quanto essere naturale. Studiando l’uomo e le sue passioni (Parte III, cap. VI), ci accorgiamo che queste possono essere ricondotte a una sola, che è la passione di essere felice; a questa vanno subordinate e ordinate assiologicamente tutte le altre. Il «dovere» dell’uomo è dunque quello di trovare le condizioni naturali giuste per essere felice. L’antropologia nuova, laica e materialista, è quella che considera l’uomo come l’essere naturale la cui unica finalità terrena è di trovare la felicità, scalzando la paura della morte e la soggezione alla tirannia.7 Tutte le altre morali sono ingannevoli o fallaci. L’uomo, cosciente della propria finitezza, del suo essere-per-la-morte, è nondimeno anche «condannato» o moralmente vocato alla ricerca della felicità.8 6 Cfr. EL, Introduction, cap. 4, pp. 80-100: «L’âme au corps. Le rôle du cerveau: une anthropologie matérialiste naturalisée». 7 La tirannia politica è un derivato pratico-politico della paura della morte, come è espresso nella celebre chiusa, infra p. 1229: «Uomini che non temono più, che cosa avete sentito allora? Un altro apprendistato della morte è la filosofia, meditazione abituale e profonda che ci strappa a tutto ciò che ci circonda e ci annichila. Il timore della morte, dice lo stoico, è un manico per il quale il robusto ci afferra e ci conduce dove gli pare. Rompete il manico e liberatevi della mano del robusto». 8 Ringrazio qui il mio allievo, Dott. Gabriele Magazzeni, per la trascrizione delle lezioni da me tenute nell’a.a. 1998-1999 sugli Elementi di Fisiologia, dalle quali è tratta questa Prefazione.
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elementi di fisiologia
Nota al testo Esistono due manoscritti degli Elementi di Fisiologia: – il più antico, conservato nel Fonds Diderot della Biblioteca Saltykov-Chtchedrine di San Pietroburgo (ms. erm.fr. 42/31, pp. 5-398), che indicheremo con la sigla SP; – il più recente, conservato nel Fonds Vandeul della Bibliothèque Nationale de France, nouvelles acquisitions françaises (ms. BNF 13762, ff. 152), rilegato e titolato sul dorso «Diderot. Physiologie»; sul risguardo «Éléments de physiologie. 1778», che indicheremo con la sigla V. La presente edizione si basa su quest’ultimo manoscritto, di cui abbiamo già dato un’edizione critica in francese: Éléments de physiologie, Texte établi, présenté et commenté par Paolo Quintili, Paris, Honoré Champion, 2004, pp. 1-506 (sigla: EL); in questa edizione abbiamo restituito, nell’apparato critico, i 162 Frammenti di SP non ripresi in V (che qui in traduzione riportiamo solo in minima parte), indicati con la sigla FNR.
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La lecture chez Diderot, incisione di Louis Monziès (1888). (Fonte: gallica.bnf.fr)
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Éléments de Physiologie
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1778
[DPV, XVII, 293-516]
Avvertissement En lisant les ouvrages du Baron de Haller Mr*** conçut le projet de rédiger des éléments de physiologie. Pendant plusieurs mois il recueillit ce qui lui parut propre ou essentiel à entrer dans ces éléments Les notes et extraits étaient sur des feuillets épars et isolés. La mort ayant empêché Mr*** d’exécuter le projet, dont il n’avait fait que préparer les matériaux, on a cru devoir les réunir en une seule copie. Quelque incomplets qu’ils soient, et malgré le défaut d’ordre qu’on n’a pu y mettre, on pense que le public recevra avec plaisir ces fragments, et qu’un jour quelque personne entreprendra d’après le plan et les idées de Mr*** l’ouvrage qu’il n’a fait qu’ébaucher.
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Elementi di Fisiologia 1778
Avvertenza1 Leggendo le opere del barone von Haller il Signor*** 2 ha concepito il progetto di redigere degli elementi di fisiologia. Durante molti mesi3 egli ha raccolto ciò che gli parve adatto o essenziale a entrare a far parte di questi Elementi. Le note e gli estratti erano presi su dei fogli sparsi e isolati. Poiché la morte impedì al Signor*** di portare a termine il suo progetto, di cui non aveva fatto altro che preparare i materiali, ci siamo creduti in dovere di riunirli in una sola copia. Per quanto incompleti siano e malgrado il difetto di ordine, che non vi si è potuto mettere, pensiamo che il pubblico riceverà con piacere questi frammenti e che un giorno qualcuno, forse, intraprenderà, secondo il piano e le idee del Signor ***, l’opera che egli non ha fatto altro qui che abbozzare.
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Physiologie
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Des êtres
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La nature n’a fait qu’un très petit nombre d’êtres qu’elle a variés à l’infini, peut-être qu’un seul par la combinaison, mixtion, dissolution duquel tous les autres ont été formés. On appelle êtres contradictoires ceux, dont l’organisation ne s’arrange pas avec le reste de l’univers. La nature aveugle qui les produit, les extermine. Elle ne laisse subsister que ceux qui peuvent coexister supportablement avec l’ordre général [elle laisse subsister que ses panégyristes]. Les éléments en molécules isolées n’ont aucune des propriétés de la masse. Le feu est sans lumière et sans chaleur ; l’eau sans humidité et sans élasticité ; l’air n’est rien de ce qu’il nous présente. Voilà pourquoi ils ne font rien dans les corps où ils sont combinés avec d’autres substances. Il faut classer les êtres depuis la molécule inerte, s’il en est, jusqu’à la molécule vivante, à l’animal-plante, à l’animal-microscopique, à l’animal, à l’homme. La chaîne des êtres n’est pas interrompue par la diversité des formes. | La forme n’est souvent qu’un masque qui trompe ; et le chaînon qui paraît manquer réside peutêtre dans un être connu, à qui les progrès de l’anatomie comparée n’ont encore pu assigner sa véritable place. Le papillon est ver, chenille et papillon. L’éphémère est chrysalide pendant quatre ans. La grenouille commence par être têtard. Combien de métamorphoses nous échappent ! J’en vois d’assez rapides : pourquoi n’y en aurait-il pas, dont les périodes seraient plus éloignées ? Qui sait ce que deviennent les molécules insensibles des animaux après leur mort ? La manière de classer les êtres avec exactitude ne peut donc être que le fruit des travaux successifs d’un grand nombre de naturalistes : elle sera pénible et très lente. Attendons et ne nous pressons pas de juger. En nature, durée n’est qu’une succession d’actions : étendue est la coexistence d’actions simultanées : dans l’entendement, la durée se résout en mouvement, par abstraction, et l’étendue se résout en repos : mais le repos et le mouvement sont d’un corps. Je ne puis séparer, même par abstraction, la localité et la durée, de l’existence : ces deux propriétés lui sont donc essentielles. La végétation, la vie ou la sensibilité et l’animalisation sont trois opérations successives. Le règne végétal pourrait bien être et avoir été la source première du règne animal ; et avoir pris la sienne dans le règne minéral ; et celui-ci émaner de la matière universelle hétérogène. | Chapitre 1er
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Végéto-animal Qu’est-ce qu’une plante ? Qu’est-ce qu’un animal ? Une coordination de molécules infiniment actives, un enchaînement de petites forces, que tout concourt à séparer : il n’est donc pas étonnant que ces êtres passent si vite.
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Fisiologia
Degli esseri La natura ha fatto solo un piccolissimo numero di esseri che ha variato all’infinito, forse un solo essere; dalla combinazione, mistione, dissoluzione del quale tutti gli altri sono stati formati.4 Si chiamano esseri contraddittori quelli la cui organizzazione non si accorda con il resto dell’universo. La natura cieca che li produce, li stermina.5 La natura non lascia sussistere che un piccolo numero di esseri che possono coesistere in maniera sopportabile con l’ordine generale [lascia sussistere solo i suoi panegiristi]. Gli elementi, in molecole isolate, non hanno alcuna delle proprietà della massa. Il fuoco è senza luce e senza calore; l’acqua senza umidità e senza elasticità; l’aria non è nulla di ciò che ci si presenta. Ecco perché non creano6 nulla nei corpi in cui sono combinati con altre sostanze.7 Bisogna classificare gli esseri dalla molecola inerte, se ve n’è, fino alla molecola vivente, all’animale-pianta, all’animale-microscopico, all’animale e all’uomo. La catena degli esseri non è interrotta dalla varietà delle forme.8 La forma, spesso, non è altro che una maschera che inganna; e l’anello che sembra mancare risiede forse in un essere noto al quale i progressi dell’anatomia comparata non hanno ancora potuto assegnare il suo vero posto all’interno di questa catena. La farfalla è verme, bozzolo e farfalla. L’effemeride è crisalide per quattro anni. La rana comincia dall’essere un girino. Quante metamorfosi ci sfuggono! Ne vedo di abbastanza rapide: perché non ce ne sarebbero altre i cui periodi potrebbero essere più lunghi? Chissà che cosa diventano le molecole insensibili degli animali dopo la loro morte?9 La maniera di classificare gli esseri con esattezza non può dunque essere che il frutto dei lavori successivi di un gran numero di naturalisti; sarà penosa e lenta. Aspettiamo e non affrettiamoci a dare giudizi. In natura, ciò che chiamiamo durata, non è altro che una successione di azioni, estensione è la coesistenza di azioni simultanee: nell’intelletto la durata si risolve in movimenti per astrazione e l’estensione si risolve in quiete: ma la quiete e il movimento sono propri solo di un corpo.10 Non posso separare, neanche per astrazione, la località e la durata dall’esistenza: queste due proprietà le sono essenziali. La vegetazione, la vita o la sensibilità e l’animalizzazione sono tre operazioni successive. Il regno vegetale potrebbe certo essere ed essere stato la fonte prima del regno animale e aver preso la propria forma nel regno minerale; e questo emanare dalla materia universale eterogenea. Capitolo I
Vegeto-animale Che cos’è una pianta? Che cos’è un animale? una coordinazione di molecole infinitamente attive, una concatenazione di piccole forze che tutto concorre a separare:11 non c’è dunque da stupirsi che questi esseri passino così velocemente.12
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opere filosofiche
Différence du règne végétal et du règne animal Mobilité dans les principes animaux : fixité dans les principes végétaux. Ce sont deux effets des nisus conservés ou détruits. La substance gélatineuse des uns et des autres montre un état moyen entre l’animal et la plante. Que produisent le vinaigre, les acides, les sels jetés sur les substances en fermentation ? Des composés où il y a nisus en surabondance. L’eau détruit les nisus, isole les parties et leur rend l’activité.
Animalisation du végétal Le végétal est produit par la chaleur et la fermentation. La matière végétale s’animalise dans un vase ; elle s’animalise aussi en moi et animalisée en moi, elle se revégétalise dans le vase ; il n’y a de différence que dans les formes. En pétrissant longtemps la pâte et l’arrosant souvent d’eau, on lui ôte la nature végétale et on l’approche tellement de la nature animale, que par l’analyse elle en donne les produits (mem. de l’acad. de Bologne). |
Contiguïté du règne végétal et du règne animal
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En Italie M. Beccari, et à Strasbourg MM. Kessel et Mayer voulurent connaître les parties constituantes de la farine ; ils la lavèrent à plusieurs eaux ; ils en séparèrent l’amidon ; ils en tirèrent une substance qui ressemble beaucoup à une substance animale : aussitôt M. Rouelle à Paris, M. Macquer et les plus habiles de nos chimistes reprirent ces expériences et les poussèrent aussi loin qu’elles purent aller : ils trouvèrent que l’amidon ne contenait, pour bien dire, que les parties végétales de la farine ; qu’en enlevant l’amidon, il restait un gluten qu’ils appelèrent végéto-animal : toutes ses parties sont si rapprochées et si liées entre elles, qu’on ne peut les séparer : quand on le tire, il s’étend dans tous les sens ; et quand on l’abandonne, il se replie sur lui même et reprend sa première forme, comme fait le tissu de la peau qui tour à tour s’étend et se resserre. Si on brûle ce gluten, il se grille comme la chair et répand l’odeur des matières animales. Il y a des anguilles dans la colle de farine, dans le vinaigre, dans le grain niellé, dans le grain cornu*. [...] Ouvrez les petites tumeurs, ou galles de l’ergot | vert et non mûr, ouvrez-les avec une aiguille tranchante et courbe, sans en offenser la cavité intérieure : laissez y tomber quelques gouttes d’eau et vous verrez au-dedans quelques anguilles, mais grosses, mais vivantes, | mais mues, mais pleines d’œufs, de vraies petites anguilles : elles sont colossales en comparaison de celles qui se trouvent dans le même grain plus adulte, plus mûr, ou dans le grain ergoté ordinaire déjà sec et noir. Les grosses sont les mères ; on les voit lâcher leurs petits œufs par une partie très sensible et non équivoque, caractérisant parfaitement leur sexe. A travers la pellicule transparente de ces œufs, on voit la jeune petite anguille se plier, se replier, se mouvoir, à la fin rompre son enveloppe, sortir et se mouvoir, vivre et glisser dans l’eau. Avec les grosses mères on en voit d’autres grosses encore, ce sont les mâles, d’autant qu’ils ont au fond de leur corps un gros corps conique et mobile. Ces anguilles bien que sèches reprennent mouvement et vie si on les humecte d’une goutte d’eau. Needham a connu le phénomène ; mais il ne croit pas que ces anguilles soient des animaux, il en fait des êtres vitaux ; Buffon, des molécules organiques vivantes ; Fontana des animaux ; Needham veut qu’unies ou rassemblées selon certaines lois, elles vont formant ou des animaux, ou des végétaux.
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elementi di fisiologia, prima parte, i
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Differenza del regno vegetale e del regno animale Mobilità nei principi animali: fissità nei principi vegetali.13 Sono due effetti dei nisus14 conservati o distrutti. La sostanza gelatinosa degli uni e degli altri15mostra uno stato intermedio tra l’animale e la pianta. Cosa producono l’aceto, gli acidi, i sali gettati sulle sostanze in fermentazione? dei composti in cui vi è questo nisus in sovrabbondanza. L’acqua distrugge i nisus, isola le parti e restituisce loro l’attività.
Animalizzazione del vegetale Il vegetale è prodotto dal calore e dalla fermentazione. La materia vegetale si animalizza in un vaso; si animalizza anche in me stesso16e animalizzata in me si rivegetalizza nel vaso; la sola differenza che c’è è nelle forme.17 Impastando a lungo la pasta e innaffiandola spesso con l’acqua, le si toglie la natura vegetale e la si avvicina talmente alla natura animale che attraverso l’analisi chimica ne fornisce i prodotti (mem. dell’Accad. di Bologna).
Contiguità del regno vegetale e del regno animale18 In Italia il signor M. Beccari19 e a Strasburgo i signori Kessel 20 e Mayer21 vollero conoscere le parti costituenti della farina; la lavarono con più liquidi; ne separarono l’amido; ne trassero una sostanza che assomiglia molto a una sostanza animale: subito il signor Rouelle a Parigi e il signor Macquer,22 e i più abili dei nostri chimici, rifecero queste esperienze e le spinsero alle estreme conseguenze, trovando che l’amido non conteneva, per meglio dire, che le parti vegetali della farina; e che togliendo l’amido ne restava un glutine 23 che loro chiamarono vegeto-animale: tutte le sue parti sono così avvicinate e così ben legate tra loro che non si possono separare. Quando viene tirato, si distende in tutti i sensi; e quando lo si rilascia, si ripiega su sé stesso e riprende la sua prima forma, come fa il tessuto della pelle che volta a volta si stende e si restringe. Se si brucia questo glutine, si griglia come la carne e diffonde l’odore delle materie animali.24 Ci sono delle anguille nella colla di farina, nell’aceto, nel grano cariato e nella segale cornuta*. [...]25 Aprite questi piccoli tumori o bolle del grano verde non maturo, apritele con un piccolo ago ben affilato e ricurvo, senza danneggiarne la cavità interna: lasciatevi cadere qualche goccia d’acqua e vedrete lì dentro alcune anguille, ma grosse, vive, mosse, piene di uova, delle vere piccole anguille: sono colossali paragonate a quelle che si trovano nello stesso grano più adulto, più maturo o nel grano cariato ordinario, già secco e nero. Le più grandi sono le madri; si vedono rilasciare le loro piccole uova da una parte molto sensibile e non equivoca, che caratterizza perfettamente il loro sesso. Attraverso la pellicola trasparente di quelle uova si vede la giovane, piccola anguilla che si piega, si ripiega, si muove e infine rompe il suo involucro esce, si muove, vive, scivola nell’acqua. Con le madri gravide se ne vedono altre più grandi ancora e sono i maschi, che al fondo del loro corpo hanno un rigonfiamento conico e mobile.26 Queste anguille, benché secche, riprendono movimento e vita se le si umidifica con una goccia di acqua. Needham ha conosciuto il fenomeno; ma non crede che queste anguille siano degli animali, ne fa infatti degli esseri vitali;27 Buffon le chiama delle molecole organiche viventi;28 Fontana degli animali;29 Needham vuole che, unite o riunite secondo certe leggi, queste anguille formino o degli animali o dei vegetali.30
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opere filosofiche
Ces fils ou anguilles de grains examinées par Fontana étaient si secs, si fragiles, que le choc subit de l’eau, que celui d’une aiguille si léger qu’il fût, que la pointe d’un cheveu les mettait en farine, les réduisait en poudre (je voudrais bien que Fontana les eût triturés). L’anguille du grain niellé se tortille par ses deux extrémités, elle vit sept à huit semaines en lui fournissant de l’eau. |
Plante-animal
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Le champignon donne à l’analyse de l’alcali volatil signe caractéristique du règne animal : aussi la graine du champignon est-elle vivace ; elle oscille dans l’eau, se mout, s’agite, évite les obstacles et semble balancer entre le règne animal et le règne végétal avant que de se fixer à celui-ci. La muscipula dionea plante de la Caroline a ses feuilles étendues à terre par paires et à charnières. Ces feuilles sont couvertes de papilles. Si une mouche se pose sur la feuille, cette feuille et sa compagne se ferment comme l’huître, sentent et gardent leur proie, la sucent et ne la rejettent que lorsqu’elle est épuisée de sucs. Voilà une plante presque carnivore. Je ne doute point qu’à l’analyse elle ne donnât de l’alcali volatil. Il y a des générations équivoques émanées du règne animal, comme il y a des générations équivoques émanées du règne végétal.
Animal-plante
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Les zoophytes n’ont que le sentiment de la vie. Les polypes d’eau douce ont le sentiment, la vie et la digestion, ce sont des animaux-plantes. Le polype retourné tend à reprendre sa forme première. Un fil l’en empêche-t-il ? Il prend son parti ; il reste et vit retourné comme une plante. | Adanson est le premier qui ait aperçu un mouvement singulier dans une plante aquatique appelée la tremella ; il refuse la vie et le sentiment à cette plante et par conséquent l’animalité : il la laisse plante. Fontana* [...] en | fait le passage du règne végétal au règne animal ; c’est selon lui en même temps, une vraie plante, un vrai animal. D’où viennent les mouvements de la tremella ? Ce n’est ni de l’eau, ni de l’air, car ils se font en tout sens dans l’eau et l’air en repos ; et ils se font en tous sens et en sens contraire à l’eau agitée. Unis ou séparés les fils suivent des directions opposées, ils s’agitent à côté de petits corpuscules en repos. D’un mécanisme particulier ? Cela ne se peut. Un mécanisme particulier fait voler l’oiseau, nager le poisson : mais il y a entre ces mouvements | et la variété infinie de la spontanéité une différence très marquée. Or cette variété infinie que nous attribuons dans les autres animaux à la vie, à la sensibilité, à la spontanéité, nous la voyons toute dans les filets de la tremella et avec un caractère particulier ; car il n’y a ni ralentissement, ni cessation, ni interruption pendant des mois, des années ; ils durent tant que la plante vit et végète. La tremella et ses fils sont donc des animaux sensibles et vivants : ses parties organiques obéissent donc à la sensibilité. Sèche, elle perd ses mouvements ; humide elle les reprend : elle naît et meurt donc a discrétion. La tremella n’est point une plante simple. C’est un amas de petites plantes, ou fils végétaux qui unis ensemble forment la plante de ce nom.
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Questi filetti, o anguille del grano, esaminati da Fontana erano così secchi, così fragili che l’urto subìto da una goccia d’acqua, quello di un ago per quanto leggero fosse, o dalla punta di un capello, le sfarinava riducendole in polvere (io avrei gradito che Fontana le avesse anche triturate). L’anguilla del grano sclerotizzato si attorciglia per le sue due estremità e vive da sette a otto settimane se gli si fornisce dell’acqua.
Pianta-animale Il fungo produce, all’analisi,31 dell’alcali volatile, segno caratteristico del regno animale: anche il grano del fungo è vivace, oscilla nell’acqua, si muove, si agita, evita gli ostacoli e sembra oscillare tra il regno animale e il regno vegetale prima di fissarsi in quest’ultimo. La muscipula dionea, una pianta della Carolina, ha le sue foglie stese a terra per coppie e a cerniera. Queste foglie sono coperte di papille. Se una mosca vi si posa sopra questa foglia e la sua compagna si richiudono come l’ostrica, sentono e trattengono la loro preda, la succhiano e la gettano fuori soltanto quando ne hanno esaurito i succhi. Ecco una pianta quasi carnivora. Non dubito affatto che all’analisi non dia come prodotto dell’alcali volatile. Ci sono delle generazioni equivoche32 che emanano dal regno animale, come vi sono generazioni equivoche che emanano dal regno vegetale.
Animale-pianta Gli zoofiti hanno solo il sentimento della vita. I polipi di acqua dolce34 hanno il sentimento, la vita e la digestione e sono degli animali-pianta.35 Il polipo attorcigliato tende a riprendere la sua forma prima. Un filo gli impedisce di farlo? Prende il suo partito, resta e vive ritorto come una pianta. Adanson36è il primo che si sia accorto del movimento singolare in una pianta acquatica chiamata la tremella;37 rifiuta la vita e il sentimento in questa pianta e, di conseguenza, l’animalità: la lascia essere pianta. Fontana*38 [...] ne fa il passaggio dal regno vegetale al regno animale. Secondo lui è, al tempo stesso, una vera pianta e un vero e proprio animale. Da dove vengono questi movimenti della tremella?39 Non vengono né dall’acqua, né dall’aria perché si fanno in tutti i sensi nell’acqua e nell’aria in quiete; e si fanno anche in senso contrario nell’acqua agitata. Uniti o separati i filamenti seguono direzioni opposte, si agitano accanto a piccoli corpuscoli in quiete. Provengono da un meccanismo particolare? Questo non è possibile. Un meccanismo particolare fa volare l’uccello, nuotare il pesce: ma tra questi movimenti e la varietà infinita della spontaneità vi è una differenza molto marcata. Pertanto, questa varietà infinita che noi attribuiamo, negli altri animali, alla vita, alla sensibilità, alla spontaneità, noi la vediamo tutta nei filamenti della tremella e con una caratteristica particolare; infatti non c’è rallentamento, né cessazione, né interruzione per mesi, per anni, di questi movimenti, che durano finché la pianta vive e vegeta. La tremella e i suoi fili sono dunque degli animali sensibili e viventi e le sue parti organiche obbediscono dunque alla sensibilità. Secca, essa perde i suoi movimenti; umida, li riprende: dunque nasce e muore a sua discrezione. La tremella non è affatto una pianta semplice. È un ammasso di piccole piante o di filamenti vegetali che uniti insieme formano la pianta che porta questo nome. 33
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opere filosofiche
Il n’y a personne, qui voyant les phénomènes qu’elle offre et qui ignorant que ses fils sont les fils d’un végétal, ne prononçât tout de suite que ces fils sont des vers vivants. Le doute ne naît que quand on vous dit que ces fils sont des portions de végétaux, mais ce doute ne tarde pas à s’évanouir. Les phénomènes (à ajouter) de la sensitive.
Sexe des plantes Il y a dans les plantes un endroit particulier, dont l’attouchement cause de l’érection et l’effusion de la semence. Cet endroit n’est pas le même pour toutes. On distingue les plantes mâles, les plantes femelles. Il y en a d’hermaphrodites. Dans l’arbre les racines deviennent tiges et les tiges deviennent racines. | Chap. II
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Animal L’animal, suivant quelques auteurs, est une machine hydraulique. Que de sottises on peut dire d’après cette unique supposition ! Les lois du mouvement des corps durs sont inconnues, car il n’y a point de corps parfaitement durs. Les lois du mouvement des corps élastiques ne sont pas plus sûres, car il n’y a point de corps parfaitement élastiques. Les lois du mouvement des corps fluides sont tout à fait précaires ; et les lois du mouvement des corps sensibles, animés, organisés, vivants, ne sont pas même ébauchées. Celui qui dans le calcul de cette dernière espèce de mouvement omet la sensibilité, l’irritabilité, la vie, la spontanéité ne sait ce qu’il fait. Un corps brut agit sur un corps sensible, organisé, animal ; celui-ci en a la conscience, ou le sentiment de l’impression, et souvent du lieu de l’impression. Il est chatouillé ou blessé ; il veut ou ne veut pas se mouvoir. Comment ? Par quelles lois ?
Sensibilité
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La sensibilité est une qualité propre à l’animal, qui l’avertit des rapports qui sont entre lui et tout ce qui l’environne. Toutes les parties de l’animal ne paraissent pas avoir cette qualité : il | n’y a que les nerfs qui paraissent l’avoir par eux-mêmes ; les doigts l’ont relativement aux houppes nerveuses : les enveloppes des nerfs l’ont accidentellement. Aponévroses, membranes, tendons sont insensibles, du moins relativement à la masse. Je serais tenté de croire que la sensibilité n’est autre chose que le mouvement de la substance animale, son corollaire ; car si j’introduis la torpeur, la cessation du mouvement dans un point, la sensibilité cesse. La sensibilité du tout est détruite par l’interposition de matière sensible hétérogène. La mobilité rend la sensibilité plus forte : immobilité la détruit dans le tout. La sensibilité est plus puissante que la volonté. La sensibilité de la matière est la vie propre aux organes. La preuve en est évidente dans la vipère écorchée et sans tête, dans le tronçon de l’anguille et d’autres poissons, dans la couleuvre morcelée, dans les membres séparés du corps et palpitants, dans la contraction du cœur piqué.
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elementi di fisiologia, prima parte, i-ii
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Vedendo i fenomeni che essa offre all’osservazione e ignorando che i suoi filamenti sono dei fili di un vegetale, non c’è nessuno che non dica subito che quei filamenti sono dei vermi viventi. Il dubbio nasce solo quando vi si dice che quei fili sono delle porzioni di vegetale, ma questo dubbio non tarda a svanire. I fenomeni (da aggiungere a questo) della sensitiva.40
Sesso delle piante Ci sono nelle piante dei luoghi particolari il cui tatto causa l’erezione e l’effusione della semenza. Questo luogo non è lo stesso in tutte le piante. Si distinguono le piante maschio, le piante femmine e ve ne sono di ermafrodite. Nell’albero le radici diventano steli e gli steli diventano radici. Capitolo II
Animale L’animale, secondo alcuni autori, è una macchina idraulica.41 Quante sciocchezze si possono dire sulla base di quest’unica supposizione! Le leggi del movimento dei corpi rigidi sono ignote, perché non esistono affatto corpi perfettamente rigidi. Le leggi del movimento dei corpi elastici non sono più sicure, in quanto non esistono affatto corpi perfettamente elastici. Le leggi del movimento dei corpi fluidi sono del tutto precarie42 e le leggi del movimento dei corpi sensibili, animati, organizzati, viventi non sono neanche abbozzate. Colui che nel calcolo di quest’ultima specie di movimenti omettesse la sensibilità,43 l’irritabilità, la vita, la spontaneità, non sa quello che fa Un corpo bruto agisce su un corpo sensibile, organizzato, animale; questo ne ha la coscienza o il sentimento dell’impressione e spesso del luogo dell’impressione. È sollecitato o ferito; vuole o non vuole muoversi. Come? Secondo quali leggi?
Sensibilità La sensibilità è una qualità propria dell’animale, che l’avverte dei rapporti che ci sono tra lui e tutto ciò che lo circonda. Tutte le parti dell’animale non sembrano avere questa qualità:44 solo i nervi sembrano45 averla per sé stessi; le dita l’hanno in relazione alle papille nervose: le membrane dei nervi l’hanno accidentalmente. Le aponeurosi,46 le membrane e i tendini sono insensibili, per lo meno relativamente alla massa.47 Sarei tentato di credere che la sensibilità non è altro che il movimento della sostanza animale, il suo corollario; infatti, se introduco il torpore, la cessazione del movimento in un punto, la sensibilità cessa. La sensibilità del tutto è distrutta dall’interposizione di materia sensibile eterogenea.48 La mobilità rende la sensibilità più forte: l’immobilità la distrugge del tutto. La sensibilità è più potente della volontà.49 La sensibilità della materia è la vita propria degli organi. La prova ne è, ed è evidente, che nella vipera scorticata e senza testa, nel tronco dell’anguilla e in altri pesci, nella biscia d’acqua fatta a pezzi, nelle membra separate dal corpo e palpitanti, nella contrazione del cuore punto, c’è movimento.
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opere filosofiche
Piquez le cœur d’un animal vivant, il a son mouvement : amputez ce cœur, piquezle, mouvement : coupez-le en morceaux, piquez ces morceaux, même phénomène. Sur le champ de bataille les membres séparés s’agitent comme autant d’animaux : preuve que la sensibilité appartient à la matière animale ; ce sont toutes parties souffrantes, l’animal vivant ; toutes parties vivantes, l’animal mort. Je ne crois pas au manque absolu de sensibilité d’une partie animale quelconque. | Un organe intermédiaire non sensible entre deux organes sensibles et vivants arrêterait la sensation ; il deviendrait dans le système corps étranger ; ce serait comme deux animaux accouplés par une corde. ... Que serait-ce qu’un métier de la manufacture de Lyon si l’ouvrier et la tireuse faisaient un tout sensible avec la trame, la chaîne et le semple ? Ce serait un animal semblable à l’araignée qui pense, qui veut, qui se nourrit, se reproduit et ourdit sa toile. Sans la sensibilité et la loi de continuité dans la contexture animale, sans ces deux qualités l’animal ne peut être un. Aussitôt que vous avez supposé la sensibilité continue, vous avez la raison d’une infinité de divers effets, ou touchers. Il y a l’infinie variété des chocs relatifs à la masse, l’infinie variété des chocs relatifs à la vitesse, l’infinie variété d’une qualité physique, l’infinie variété des effets combinés d’une seconde, d’une troisième, d’une multitude de qualités physiques ; et tous ces infinis se combinent encore avec la variété des organes et peut-être des parties de l’animal. Quoi ! Une huître pourrait éprouver toutes ces sensations ? Non, mais un assez grand nombre, sans compter celles qui naissent d’elle-même et qui sortent du fond de sa propre organisation. Mais n’y a-t-il pas dans tous ces touchers bien des indiscernables ? | Beaucoup, il en reste cependant plus que la langue la plus féconde n’en peut distinguer. L’idiome n’offre que quelques degrés de comparaison pour un effet qui passe par une suite ininterrompue depuis la moindre quantité appréciable, jusqu’à son extrême intensité. Prenez l’animal, analysez-le, ôtez-lui toutes ses modifications, l’une après l’autre, et vous le réduirez à une molécule qui aura longueur, largeur, profondeur et sensibilité. Supprimez la sensibilité, il ne vous restera que la molécule inerte. Mais si vous commencez par soustraire les trois dimensions, la sensibilité disparaît. On en viendra quelque jour à démontrer que la sensibilité ou le toucher est un sens commun à tous les êtres. Il y a déjà des phénomènes qui y conduisent ; alors la matière en général aura cinq ou six propriétés essentielles, la force morte ou vive, la longueur, la largeur, la profondeur, l’impénétrabilité et la sensibilité ; j’aurais ajouté l’attraction, si elle n’était peut-être une conséquence du mouvement ou de la force.
Irritabilité
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Cette force d’irritabilité est différente de toute autre force connue ; c’est la vie, la sensibilité ; elle est propre à la fibre molle ; elle s’affaiblit et s’éteint dans la fibre qui se racornit ; elle est plus grande dans la fibre unie au corps que dans la fibre qui en est séparée. Cette force ne dépend ni de la pesanteur, ni de l’attraction, ni de l’élasticité. Certaines parties du corps conservent après la mort, plus ou moins | longtemps, leur irritabilité ou vie propre. Leur dernière décomposition est en vers etc. Le cœur et les intestins longtemps irritables. Dans l’animal mort la moelle épinière et les nerfs peuvent être irrités ; le muscle se convulse. Si le muscle est lié, ou si le lien de la moelle épinière, d’où le nerf émane, est comprimé, le muscle s’affaisse et la langueur succède.
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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Punzecchiate il cuore di un animale vivo,50 ha il suo movimento: amputate questo cuore, punzecchiatelo, avrete movimento: tagliatelo a pezzi, punzecchiate questi pezzi, e avrete lo stesso fenomeno.51 Sul campo di battaglia le membra separate si agitano come tanti animali: prova che la sensibilità appartiene alla materia animale: sono tutte parti sofferenti nell’animale vivo; tutte parti viventi nell’animale morto. Non credo nella mancanza assoluta di sensibilità di una parte animale qualsiasi.52 Un organo intermedio non sensibile, tra due organi sensibili e viventi, fermerebbe la sensazione, diventerebbe, nel sistema corpo, un corpo estraneo; sarebbe come due animali accoppiati insieme con una corda. ... Che cosa sarebbe un telaio della manifattura di Lione se l’operaio e l’arcolaio facessero un tutt’uno sensibile con la trama, l’ordito e il disegno del tessuto? Sarebbe un animale simile al ragno che pensa, vuole, si nutre, si riproduce e ordisce la sua tela53 Senza la sensibilità e la legge di continuità nella contestura animale, senza queste due qualità54 l’animale non può essere uno. Appena avete supposto la sensibilità continua, ecco che avete la ragione di un’infinità di effetti diversi o tatti diversi.55 Vi è l’infinita varietà degli urti relativi alla massa, l’infinita varietà degli urti relativi alla velocità, l’infinita varietà di una qualità fisica, l’infinita varietà degli effetti combinati di una seconda, di una terza, di una molteplicità di qualità fisiche; e tutti questi infiniti si combinano ancora con la varietà degli organi e forse delle parti dell’animale. Come! Un’ostrica potrebbe provare tutte queste sensazioni? No, ma un numero abbastanza grande, senza contare quelle che nascono da sé stessa e che vengono fuori dal fondo della sua organizzazione. Ma in tutti questi tatti, non ci sono anche degli indiscernibili?56 Molti, e ne restano tuttavia molti di più di quanti la lingua più feconda ne può distinguere.57 L’idioma offre solo alcuni gradi di paragone, per un effetto dato che passa attraverso una serie ininterrotta, dalla minima quantità apprezzabile fino alla sua estrema intensità. Prendete l’animale, analizzatelo, toglietegli tutte le sue modificazioni una dopo l’altra, e lo ridurrete a una molecola che avrà lunghezza, larghezza, profondità e sensibilità. Sopprimete la sensibilità, vi resterà soltanto la molecola inerte. Ma se cominciate a sottrarre le tre dimensioni,58 la sensibilità sparisce.59 Un giorno si arriverà a dimostrare che la sensibilità, ovvero il tatto, è un senso comune a tutti gli esseri. Vi sono già fenomeni che portano a questo; allora la materia in generale avrà cinque o sei proprietà essenziali, la forza morta o la forza viva,60 la lunghezza, la larghezza, la profondità, l’impenetrabilità e la sensibilità; avrei aggiunto l’attrazione, se essa non fosse forse una conseguenza del movimento o della forza.61
Irritabilità62 Questa forza d’irritabilità è diversa da ogni altra forza conosciuta; è la vita, la sensibilità.63 Essa è propria della fibra molle; s’indebolisce e si spegne nella fibra che s’indurisce; è più grande nella fibra unita al corpo che nella fibra che ne è separata. Questa forza non dipende né dalla pesantezza, né dall’attrazione, né dall’elasticità. Alcune parti del corpo conservano, dopo la morte, più o meno a lungo, la loro irritabilità ovvero la loro vita propria. La loro ultima decomposizione avviene in vermi64 ecc. Il cuore e gli intestini restano irritabili a lungo.65 Nell’animale morto il midollo spinale e i nervi possono essere irritati. Il muscolo subisce convulsioni. Se il muscolo viene legato o se il legame del midollo spinale, donde emana il nervo, è compresso il muscolo si indebolisce e ne segue il languore.
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opere filosofiche
Il y a les irritants ou stimulants physiques : il y a les stimulants moraux qui n’ont guère moins de puissance que les premiers. Les stimulants moraux ôtent l’appétit à toute une compagnie ; la peur fait cesser le hoquet ; un récit produit le dégoût, même le vomissement. Toutes les sortes de désirs agissent sur les glandes salivaires, mais surtout le désir voluptueux. Le chatouillement à la plante des pieds met en tressaillement tout le système nerveux ; un caustique ne produit qu’une sensation locale. Les convulsions occasionnées par un stimulant violent sont intermittentes ; il y a un instant d’intensité et un instant de relaxation : cependant l’action du stimulant est constante (cette proposition peut être inexacte). Après une stimulation violente il y a un frémissement général ; ce frémissement est une suite de petites crispations et de petites relâches qui secouent le crible général et en expriment la sueur. Les stimulants violents tuent sans presque causer de douleur : d’autres, moins actifs, ou tuent ou même sans tuer causent des douleurs cruelles. |
Vie
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L’animal est d’abord fluide ; chaque partie du fluide peut avoir sa sensibilité et sa vie ; il ne paraît pas qu’il y avait une sensibilité et une vie commune à la masse. A mesure que l’animal s’organise, il y a des parties qui se durcissent et prennent de la continuité : il s’établit une sensibilité générale et commune que les organes partagent diversement ; entre ces organes les uns la conservent plus ou moins longtemps que d’autres. Elle paraît proportionnée aux progrès de la dureté ; plus un organe est dur, moins il est sensible. Plus il s’avance rapidement à la dureté, plus rapidement il perd de sa sensibilité et s’isole du système. De tous les organes solides la cervelle conserve le plus longtemps sa mollesse et sa vie. Je parle généralement. Tant que le principe vital n’est pas détruit, le froid le plus âpre ne saurait geler les fluides de l’animal qui y est exposé, ni même diminuer sensiblement sa chaleur (cette dernière assertion semble contredite par l’effet du froid de Russie). Sans la vie rien ne s’explique, ni sans la sensibilité, ni sans des nerfs vivants et sensibles. Sans la vie, nulle distinction entre l’homme et son cadavre. Le cerveau, ou le cervelet avec les nerfs qui n’en sont que des expansions filamenteuses et solides, forment un tout sensible, continu, énergique et vivant : il ne faut pas chercher comment ce tout vit, nous l’ignorons. Il y a certainement deux vies très distinctes, même trois. La vie de l’animal entier. | La vie de chacun de ses organes. La vie de la molécule. L’animal entier vit privé de plusieurs de ses parties. Des fœtus monstrueux sont nés et ont vécu du moins quelques moments sans tête : des animaux ont vécu et même satisfait à toutes leurs fonctions sans cerveau, ou même avec un cerveau ossifié ou pétrifié ; des enfants ont vécu et se sont mus sans moelle allongée ; Il y a cent preuves de la folie des esprits animaux. Le cœur, les poumons, la rate, la main, presque toutes les parties de l’animal vivent quelque temps séparées du tout. La tête même séparée du corps, regarde et vit. Il n’y a
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Esistono degli irritanti o stimolanti fisici ed esistono stimolanti morali che non hanno affatto meno energia e meno efficacia dei primi. Gli stimolanti morali tolgono l’appetito a tutta una compagnia; la paura fa smettere il singhiozzo; un racconto può produrre disgusto e persino il vomito. Tutte le specie di desiderio agiscono sulle ghiandole salivari, ma soprattutto i desideri voluttuosi. Il solletico alla pianta dei piedi mette in sussulto tutto il sistema nervoso; una sostanza caustica produce solo una sensazione locale.66 Le convulsioni occasionate da uno stimolante violento sono intermittenti; vi è un istante di intensità e un istante di rilassamento; tuttavia l’azione dello stimolante è costante (questa proposizione può essere inesatta). Dopo una stimolazione violenta c’è un fremito generale; questo fremito è una serie di piccoli raggrinzimenti e di piccoli rilassamenti che scuotono il setaccio generale67 e ne spremono il sudore. Gli stimolanti violenti uccidono a volte senza quasi causare dolore: altri, meno attivi, o uccidono o anche se non uccidono causano dolori crudeli.68
Vita L’animale è dapprima fluido; ogni parte del fluido può avere la sua sensibilità e la sua vita; non sembra che ci fosse una sensibilità e una vita comune alla massa. Mano a mano che l’animale si organizza, vi sono delle parti che si induriscono e assumono continuità: si stabilisce una sensibilità generale e comune che gli organi condividono diversamente; tra questi organi, gli uni la conservano più o meno a lungo di altri. Essa sembra proporzionata ai progressi della durezza; più un organo è duro meno è sensibile. Più avanza rapidamente verso la durezza, più rapidamente perde sensibilità e si isola dal sistema. Di tutti gli organi solidi, il cervello (cervelle) conserva più a lungo la sua mollezza e la vita. E parlo di questo in generale.69 Fino a che il principio vitale70 non è distrutto il freddo più aspro non sarebbe in grado di gelare i fluidi dell’animale che vi è esposto, e neanche di diminuirne sensibilmente il calore (Quest’ultima asserzione sembra contraddetta dal freddo di Russia).71 Senza la vita non si spiega nulla, e neppure senza la sensibilità, né senza nervi viventi e sensibili. Senza la vita, nessuna distinzione c’è tra l’uomo e il suo cadavere.72 Il cervello, o il cervelletto con i nervi, i quali non ne sono altro che delle espansioni filamentose e solide, formano un tutto sensibile, continuo, energico e vivente:73 non occorre cercare come questo tutto viva, lo ignoriamo. Vi sono certamente due vite assolutamente distinte, persino tre. La vita dell’animale intero. La vita di ciascuno dei suoi organi. La vita della molecola.74 L’animale intero vive privato di molte delle sue parti. Dei feti mostruosi sono nati e sono vissuti per lo meno qualche momento senza testa: degli animali sono vissuti e hanno anche adempiuto a tutte le loro funzioni senza cervello o persino con un cervello ossificato o pietrificato; dei bambini sono vissuti e si sono mossi senza midollo allungato; vi sono cento prove della follia degli spiriti animali.75 Il cuore, i polmoni, la milza, la mano, quasi tutte le parti dell’animale vivono, un certo tempo, separate dal tutto.76 La testa stessa, separata dal corpo, vede e vive. Solo
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opere filosofiche
que la vie de la molécule ou sa sensibilité qui ne cesse point. C’est une de ses qualités essentielles. La mort s’arrête là. Des parties unies au corps semblent mourir, du moins en masse : en vieillissant, la chair devient musculeuse, la fibre se racornit, les muscles deviennent tendineux, le tendon semble avoir perdu sa sensibilité, je dis semble, parce qu’il pourrait sentir encore lui, sans que l’animal entier le sût. Qui peut assurer qu’il n’y a pas une infinité de sensations qui s’excitent et s’éteignent dans le lieu ? Peu à peu le tendon s’affaisse, il se sèche, il se durcit, il cesse de vivre, du moins d’une vie commune à tout le système ; peut-être ne fait-il que s’isoler, se séparer de la société dont il ne partage ni les peines, ni les plaisirs et à la quelle il ne rend plus rien. |
Mort
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Nul état fixe dans le corps animal : il décroît quand il ne croît plus. Tout s’affaiblit et se raidit avec l’âge : le cœur devient calleux, mort naturelle. Il y a deux états de mort, un état de mort absolue et un état de mort momentanée. Au Pérou on trouve un serpent, qui desséché à la fumée se ranime à la vapeur humide et chaude. Le dessèchement successif ne dérange pas toujours l’organisation ; mais le froid excessif la dérange : aussi prétend-on qu’un animal gelé ne ressuscite pas : (je n’en crois rien) on pourrait citer une multitude d’insectes froids, (gelés du moins en apparence) desséchés, où il y a cessation entière de chaleur et de mouvement, extinction totale de sensibilité et qu’on ramène par des stimulants, par la chaleur et l’humidité. Il y a même des exemples d’homme en qui tout mouvement a cessé, pendant un temps considérable, sans qu’il y eût mort absolue. Serrez fortement un des fils du cerveau, un nerfs, et son prolongement perdra le mouvement et non la vie, il subsistera vivant et n’obéira plus. La ligature, naturelle ou artificielle, est aux parties inférieures ce qu’une chaîne serait aux pieds de l’animal entier. On ne passe point de la mort absolue à la vie, on passe de la vie à une mort momentanée et vice versa. Voilà un animal qui n’a ni mouvement, ni vie ; à peine lui trouve-t-on un peu de chaleur : si on l’abandonne à cet état il meurt sans donner le | moindre signe de vie, qu’était-il donc ? Il était mort, mais susceptible de vie. L’enfant court à la mort les yeux fermés : l’homme est stationnaire ; le vieillard y arrive le dos tourné. L’enfant ne voit point de terme à sa durée ; l’homme fait semblant de douter si l’on meurt ; le vieillard se berce en tremblant d’une espérance qui se renouvelle de jour en jour. C’est une impolitesse cruelle que de parler de la mort devant un vieillard : on honore la vieillesse, mais on ne l’aime pas ; on ne gagnerait à sa mort que la cessations des devoirs pénibles qu’on lui rend, qu’on ne tarderait pas à s’en consoler. C’est beaucoup, quand on ne s’en réjouit pas secrètement. J’avais 66 ans passés quand je me disais ces vérités. Une longue vie tient à une organisation forte et égale. Inégalité, ou contradiction entre la force des organes, principe de mort ; poitrine délicate et caractère violent, passe vite. Mélancolique et malheureux, passe vite. Esprit actif, ardent, pénétrant et machine frêle, passe vite. La nature laisse peu durer les mécontents ; elle conserve longtemps les êtres nés avec peu de sensibilité, avec de la fortune, des goûts modérés, les inéptes etc.
Diderot.indb 1108
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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la vita della molecola, ossia la sua sensibilità, non cessa mai. E’ una delle sue qualità essenziali. La morte si ferma là.77 Delle parti unite al corpo sembrano morire, per lo meno in massa: invecchiando, la carne diventa muscolosa, la fibra s’indurisce, i muscoli diventano tendinosi, il tendine sembra aver perso la sua sensibilità, dico sembra, perché potrebbe sentire anch’esso, senza che l’animale intero lo sappia. Chi può assicurare che non c’è un’infinità di sensazioni che si eccitano e si spengono in quel luogo? Poco a poco il tendine s’indebolisce, si secca, s’indurisce, cessa di vivere, perlomeno di una vita comune a tutto il sistema; forse non fa che isolarsi, separarsi dalla società di cui non condivide più né i dolori, né i piaceri e alla quale non rende più nulla.78
Morte Nessuno stato fisso nel corpo animale: esso decresce quando non cresce più. Tutto s’indebolisce, tutto s’irrigidisce con l’età: il cuore diventa calloso, morte naturale.79 Ci sono due stati di morte, uno stato di morte assoluta e uno stato di morte momentanea. In Perù si trova un serpente che, disseccato e affumicato, si rianima con il vapore umido e caldo. Il disseccamento successivo non danneggia sempre l’organizzazione; ma il freddo eccessivo la danneggia: perciò si pretende che un animale gelato non resusciti più (io non lo credo): si potrebbe citare una moltitudine di insetti freddi (gelati almeno in apparenza) disseccati, in cui vi è cessazione intera di calore e di movimento ed estinzione totale di sensibilità e che si riportano in vita con degli stimolanti, con il calore e l’umidità.80 Vi sono anche esempi di un uomo nel quale ogni movimento è cessato, per un tempo considerevole, senza che vi fosse morte assoluta. Stringete con forza uno dei filamenti del cervello, un nervo, e il suo prolungamento perderà il movimento e non la vita, sussisterà vivo ma non obbedirà più. La legatura, naturale o artificiale, sta alle parti inferiori come una catena starebbe ai piedi dell’animale intero. Non si passa affatto dalla morte assoluta alla vita, ma si passa dalla vita a una morte momentanea e viceversa. Ecco un animale che non ha né movimento, né vita, a malapena si trova in esso un poco di calore; se lo si abbandona in questo stato, muore senza dare il minimo segno di vita: che cos’era dunque? Era morto, ma suscettibile di vita.81 Il bambino corre verso la morte con gli occhi chiusi: l’uomo è stazionario; il vegliardo ci arriva con le spalle voltate. Il bambino non vede alcun termine alla sua durata; l’uomo fa finta di dubitare che si muoia; il vegliardo si culla, tremante, di una speranza che si rinnova di giorno in giorno. È una crudele scortesia parlare della morte dinanzi a un vecchio: si onora la vecchiaia ma non la si ama; con la propria morte si guadagnerebbe soltanto la cessazione di penosi doveri che le si restituiscono volentieri, di cui non si tarderebbe a consolarsene. È già molto, quando non ci si rallegra segretamente di essa. Avevo 66 anni passati, quando mi dicevo queste grandi verità.82 Una lunga vita dipende da un’organizzazione forte ed equilibrata. L’ineguaglianza, o una contraddizione tra le forze degli organi, è principio di morte: petto delicato e carattere violento, passa veloce. Melanconico e infelice, passa veloce. Spirito attivo, ardente, penetrante e una macchina fragile, passa veloce. La natura lascia durare poco gli scontenti, conserva a lungo gli esseri nati con poca sensibilità, con molta fortuna, con dei gusti moderati, gli inetti ecc.
Diderot.indb 1109
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opere filosofiche
Mouvement animal
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Des membres perclus conservent le sentiment, d’autres privés du sentiment conservent le mouvement : le mouvement et le sentiment n’ont-ils donc pas le même principe ? Animaux sans cerveau, sans moelle épinière, sans nerfs et cependant mouvement produit. | Coupez transversalement une artère, si vous y insérez votre doigt, vous le sentirez serré. Deux sortes de mouvement dans une partie animale ; l’un qui appartient à l’organe comme partie du tout ; l’autre qui lui appartient comme organe ou animal particulier ; le premier est un effet de la sensibilité, de l’organisation, de la vie : le second est nerveux, sympathique, propre à la forme et à la fonction particulière de l’organe ; l’un n’a lieu que par la communication avec le cerveau, l’autre après cette communication détruite. Dans l’animal mouvement tonique permanent est la mesure de la force et de la santé : s’il s’accroît, ou décroît plus dans une partie que dans l’autre, désordre : s’il se soutient, ou décroît proportionnellement, harmonie ; le mal se jette sur les viscères faibles comme dans la cécité. C’est un caractère tout particulier à l’animal, point de mouvement qui ne soit accompagné, précédé ou suivi de peine ou de plaisir et qui n’ait pour principe constant un besoin : aussi l’oisiveté est-elle toujours contraire à une machine vivante !
Instinct
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L’instinct animal est un enchaînement nécessaire de mouvements conséquents à l’organisation et aux circonstances, par l’effet desquelles l’animal exécute sans nulle délibération, indépendamment de toute expérience, une longue suite d’opérations conformes à sa conservation ; si cela ne se pouvait, l’animal ne serait pas. Expérience sur le ver : attendez qu’il sorte, piquez-le, il se détournera, il rentrera dans la terre, craindra de sortir etc. | L’auteur de la nature, disent quelques métaphysiciens, a assujettis les animaux : et qu’importe que ce soit par l’auteur de la nature ou par leur organisation ; et qu’importe que cette organisation soit d’un premier architecte ou de la cause formatrice générale de tous les êtres ? L’instinct n’en subsistera pas moins. L’instinct guide mieux l’animal que l’homme. Dans l’animal il est pur, dans l’homme il est égaré par sa raison et ses lumières. Les choses habituelles se font quelquefois mieux sans la réflexion qu’avec la réflexion ; il en est de même des suites d’actions conséquentes à l’organisation et au bien-être ; moins on y pense, mieux on les fait. Mais la nature ne conseille pas toujours bien dans le danger. Si vous êtes dans une voiture, que les chevaux prennent le mors aux dents et que vous vous voyez emporté vers une rivière, ou vers un précipice ; vous n’aurez rien de plus pressé que de vous élancer hors de votre voiture. Sera-ce sur la roue de devant qui s’enfuit loin de vous et dont vous ne craignez rien ? Sera-ce sur la roue de derrière qui s’avance sur vous et qui vous menace ? La nature vous conseillera de vous jeter sur la roue de devant ; et c’est précisément le conseil opposé qu’il fallait vous donner pour votre salut ; le seul expédient qui soit sûr, c’est que la direction de la force d’élan fasse tangente à la roue de derrière, expédient qu’on n’a pas | encore l’intrépidité de choisir, lorsqu’on est rassuré d’avance pas la théorie*. [...]
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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Movimento animale83 Delle membra rattrappite conservano il sentimento, altre, private del sentimento, conservano il movimento: il movimento e il sentimento non hanno dunque lo stesso principio? Animali senza cervello, senza midollo spinale, senza nervi e tuttavia il movimento è prodotto. Tagliate trasversalmente un’arteria, se ci inserite dentro il vostro dito lo sentirete stringersi. Due specie di movimenti in una parte animale; l’uno che appartiene all’organo come parte del tutto, l’altro che gli appartiene come organo o animale particolare;84 il primo85 è un effetto della sensibilità, dell’organizzazione, della vita; il secondo è nervoso, simpatico, proprio della forma e della funzione particolare dell’organo; l’uno ha luogo solo attraverso la comunicazione con il cervello,86 l’altro movimento ha luogo dopo che questa comunicazione è stata distrutta.87 Nell’animale c’è un movimento tonico permanente, che è la misura della forza e della salute: se cresce o decresce più in una parte che nell’altra, c’è disordine: se si mantiene o decresce proporzionalmente, c’è armonia; il male si getta sulle viscere deboli come alla cieca.88 È un carattere tutto particolare dell’animale, non c’è affatto movimento che non sia accompagnato, preceduto o seguito da dolore o da piacere e che non abbia come principio costante un bisogno: perciò l’oziosità è sempre contraria a una macchina vivente!
Istinto L’istinto animale è una concatenazione necessaria di movimenti conseguenti all’organizzazione e alle circostanze, per effetto delle quali l’animale esegue, senza alcuna deliberazione, indipendentemente da ogni esperienza, una lunga serie di operazioni conformi alla sua conservazione; se questo non potesse accadere l’animale non potrebbe essere. Esperienza sul verme: aspettate che esca, pungetelo, lui si ritorcerà, rientrerà nella terra, avrà timore di uscire ecc. L’autore della natura, dicono alcuni metafisici,89 ha assoggettato gli animali alle sue leggi: e che cosa importa che ciò sia grazie all’autore della natura o alla loro organizzazione; e che importa che quest’organizzazione sia di un primo architetto o della causa formatrice generale di tutti gli esseri? L’istinto nondimeno sussisterà. L’istinto guida meglio l’animale che l’uomo. Nell’animale l’istinto è puro, mentre nell’uomo è sviato dalla sua ragione e dai suoi lumi. Le cose abituali si fanno talvolta meglio senza riflessione che con la riflessione. Vale lo stesso per una serie di azioni conseguenti all’organizzazione e al benessere: meno ci si pensa e meglio le si fa. Ma la natura non sempre consiglia bene nel pericolo. Se vi trovate in una vettura e i cavalli prendono il morso ai denti e vi vedere trascinare verso un fiume o verso un precipizio; non avete niente di più urgente da fare che di slanciarvi fuori della vostra vettura. Ma vi dovrete slanciare verso la ruota davanti che fugge lontano da voi e da cui non avete niente da temere? Sarà sulla ruota di dietro che avanza verso di voi e vi minaccia? La natura vi consiglierà di gettarvi sulla ruota davanti; ed è precisamente il consiglio opposto che bisognava darvi per la vostra salvezza; il solo espediente sicuro è che la direzione della forza di slancio faccia tangente alla ruota posteriore, espediente che non si ha ancora l’intrepidità di scegliere quando non s’abbia in anticipo la garanzia della teoria*. [...]90
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opere filosofiche
Mouvements volontaires et involontaires
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On distingue des mouvements volontaires et des mouvements involontaires. Expliquons nettement ce qu’il y a de vrai dans cette distinction. Le cœur bat, soit que l’animal y consente ou s’y oppose ; j’ai faim, j’ai des aliments à ma portée, j’étends le bras pour les prendre, parce que je veux les prendre, c’est un | mouvement consenti ou volontaire ; mais ce consentement est-il ou n’est-il pas libre ? Le principe de ce mouvement nous est caché, mais quelle qu’en soit la cause, cette cause est mise en action par une impulsion quelconque, intérieure ou extérieure à l’animal. La différence de l’animal ou de la machine de chair et de la machine de fer ou de bois, de l’homme ou du chien et de la pendule, c’est que dans celle-ci tous les mouvements nécessaires ne sont accompagnés ni de conscience, ni de volonté et que dans cellelà, également nécessaires, ils sont accompagnés de conscience et de volonté. Les mouvements volontaires ne le sont pas toujours ; j’étends involontairement mon bras à l’approche d’un objet dont je suis menacé : dans une chute, je porte ma main en avant, tandis que l’autre s’élance involontairement en arrière : je suis alternativement, ou je cesse d’être, le maître de mes paupières. Le mouvement de l’organe de la génération est sollicité quelquefois avec succès, quelquefois inutilement ; le mouvement de sollicitation est volontaire, le mouvement conséquent de l’organe ne l’est pas. Le mouvement de la déglutition est sollicité quelquefois sans effet. Outre les mouvements appelés volontaires et involontaires il s’en | exécute dans l’animal qui ont un caractère particulier, c’est de se produire malgré lui : j’appellerais donc les premiers volontaires, les seconds spontanés et les troisièmes involontaires naturels ; et tous les autres, mouvements violents. Les muscles et même, en général, tous les organes ont un grand nombre de mouvements particuliers momentanés, durables ou fugitifs, prompts ou lents, d’oscillation, de contraction, de péristaltisme, que nous ne sentons pas, quoiqu’ils soient très sensibles à la vue ; on les remarque au front, aux bras, aux jambes, mais surtout au scrotum. Le plaisir et la peine sont deux mouvements différents du diaphragme. Le plaisir peut dégénérer en peine. Ce tissu agité en sens contraires, comme il arriverait si l’homme recevait à la fois la sensation du ridicule et celle du pathétique, pourrait tuer l’animal.
Génération des animaux
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Voyez au chapitre de la génération (2 partie), celle de l’homme qui se reproduit, comme le polype, par division. L’éléphant engendre en cinq mois. Le puceron est hermaphrodite. L’accouplement des colimaçons est double. | Animaux sans sexe engendrent en eux-mêmes. Animaux androgynes ; animaux à sexes conjoints ; animaux à sexes disjoints : mulets ; le castor garde sa femelle. Le bambiaie s’accouple avec sa femelle morte. Il n’est pas nécessaire que ce qu’on appelle le germe ressemble à l’animal. C’est un point de conformation donné dont le développement produit un tel animal. Les molécules éparses, qui doivent former le germe se rendent là nécessairement : rendues, elles forment un pépin ; ce pépin n’a qu’un développement nécessaire ; c’est un arbre ; ainsi de l’animal, ainsi de l’homme.
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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Movimenti volontari e involontari Si distinguono dei movimenti volontari e dei movimenti involontari. Spieghiamo con chiarezza quello che c’è di vero in questa distinzione. Il cuore batte, o che l’animale vi acconsenta o che vi si opponga; ho fame, ho davanti a me degli alimenti, stendo il braccio per prenderli perché voglio prenderli; è un movimento consentito o volontario; ma il consenso è o non è libero? Il principio di questo movimento ci è nascosto ma, quale ne sia la causa, tale causa è messa in azione da un impulso qualsivoglia, interno o esterno all’animale.91 La differenza tra l’animale, ossia la macchina di carne, e la macchina di ferro e di legno, tra la macchina dell’uomo o del cane e quella del pendolo, sta nel fatto che in quest’ultima tutti i movimenti necessari non sono accompagnati né da coscienza, né da volontà mentre nella prima i movimenti, altrettanto necessari,92 sono accompagnati da coscienza e volontà. I movimenti volontari non sempre lo sono; io stendo involontariamente il braccio all’avvicinarsi di un oggetto da cui sono minacciato; in una caduta, porto la mano in avanti mentre l’altra si slancia involontariamente indietro: io sono alternativamente, o cesso di essere, il padrone delle mie palpebre. Il movimento dell’organo della generazione è sollecitato talvolta con successo, talvolta inutilmente; il movimento di sollecitazione è volontario, il movimento conseguente dell’organo non lo è. Il movimento della deglutizione è sollecitato talvolta senza effetto. Oltre ai movimenti chiamati volontari e involontari, nell’animale se ne eseguono alcuni che hanno un carattere particolare: quello di prodursi suo malgrado. Chiamerei quindi i primi volontari, i secondi spontanei e i terzi involontari naturali; e tutti gli altri, movimenti violenti.93 I muscoli e, in generale, anche tutti gli organi hanno un gran numero di movimenti particolari momentanei, durevoli o fuggitivi, pronti o lenti, di oscillazione, di contrazione, di tipo peristaltico, che noi non sentiamo, benché siano molto sensibili alla vista; vengono notati sulla fronte, le braccia, le gambe, ma soprattutto sullo scroto. Il piacere e il dolore sono due movimenti diversi del diaframma. Il piacere può degenerare in dolore. Questo tessuto, agitato in senso contrario, come accadrebbe se l’uomo ricevesse insieme la sensazione del ridicolo e quella del patetico, potrebbe uccidere l’animale.
Generazione degli animali Guardate al capitolo della generazione (2a parte), quella dell’uomo che si riproduce, come il polipo, per divisione.94 L’elefante genera in cinque mesi. La pulce è ermafrodita.95 L’accoppiamento delle lumache è duplice. Animali senza sesso generano in sé stessi. Animali androgini; animali a sessi congiunti; animali a sessi disgiunti: muli; il castoro tiene con sé la sua femmina. Il bambiaie96 si accoppia con la propria femmina morta. Non è necessario che ciò che chiamiamo il germe assomigli all’animale intero. è un punto di conformazione data, il cui sviluppo produce un tale animale Le molecole sparse, che devono formare il germe, si recano là97 necessariamente: una volta arrivate, formano un seme; tale seme conosce solo uno sviluppo necessario; è un albero; e così avviene per l’animale e per l’uomo.98
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opere filosofiche
Chaque ordre d’êtres a sa mécanique particulière ; celle de la pierre n’est pas celle du fer, celle du fer n’est pas celle du bois ; celle du bois n’est pas celle de la chair ; celle de la chair n’est pas celle de l’animal ; celle de l’animal n’est pas celle de l’homme ; celle de l’homme n’est pas celle de ses organes. Depuis le premier instant de la génération jusqu’aux derniers termes de l’accroissement, je ne vois que les différents progrès d’un développement ; et depuis le dernier terme de l’accroissement jusqu’à la fin de la vie, je ne vois que les différents progrès d’une destruction. Les parties défaillantes sont réparées, dans les animaux, sans le secours d’aucun germe préexistant. Le cœur, qui d’abord n’est qu’un canal, devient viscère à deux ventricules, à deux oreillettes : il y a un fluide produisant par humeur seule, dents, muscles, serres de l’écrevisse. | Les cornus en naissant n’ont point de cornes ; elles viennent nécessairement avec le temps et ainsi de toutes les autres parties et organes qui les ont précédées, ainsi des poils, ainsi des testicules, ainsi de la barbe. Le renne dont la femelle a des cornes, en reprend malgré la castration. Le bœuf ne perd jamais les siennes ; elles font partie de lui. On distingue les animaux ovipares des animaux vivipares. Les anguilles du vinaigre ne sont pas ovipares. Fontana a vu les fibres se mouvoir dans le corps des mères avant l’accouchement. Chaque animal vivant a sa vermine particulière ; donne l’existence à des milliers d’animaux. Chaque animal mort a ses animaux particuliers ; chaque partie de l’animal vivant donne les siens. Les ascarides viennent par milliers : maladie épidémique accompagnée d’un vomissement sanguin et plein de vers : maladie pédiculaire, où un homme se réduit en poux ; il y a exemple d’une pareille maladie, où un homme s’est résolu en puces. En Amérique dans un intervalle de 24 heures les plaies se couvrent de vers, il faut les râcler, étuver la plaie avec infusion de tabac ; malgré cela, vers reproduits, quoique l’appareil soit resté ; nouvelle preuve du développement forcé, où les molécules rendues ont formé un germe. | Grillez les chairs au feu le plus violent, exposez des végétaux dans la machine de Papin, où les pierres se réduisent en poudre, où les plus dures se mettent en gelée ; ces substances donneront des animaux par la fermentation, par la putréfaction. Vous aurez toujours une succession régulière des mêmes espèces d’animaux, différents selon la substance animale ou végétale mise en fermentation. Trois degrés dans la fermentation, La vineuse, l’acide, la putride, ce sont comme trois climats différents, sous lesquels les générations d’animaux changent. Pourquoi la longue série des animaux ne serait-elle pas des développements d’un seul ? Camper fait naître d’un seul modèle, dont il ne fait qu’altérer la ligne faciale, tous les animaux, depuis l’homme jusqu’à la cigogne. Il ne faut pas croire que les animaux ont toujours été et qu’ils resteront toujours tels que nous les voyons. C’est l’effet d’un laps éternel de temps, après lequel leur couleur, leur | forme semble garder un état stationnaire ; mais cet état n’est qu’apparent. L’ordre général de la nature change sans cesse : au milieu de cette vicissitude la durée de l’espèce peut-elle rester la même ? Non : il n’y a que la molécule qui demeure éternelle et inaltérable.
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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Ciascun ordine di esseri ha la sua meccanica particolare;99 quella della pietra non è quella del ferro,100 quella del ferro non è quella del legno, quella del legno non è quella della carne, quella della carne non è quella dell’animale, quella dell’animale non è quella dell’uomo, quella dell’uomo non è quella dei suoi organi. Dal primo istante della generazione, fino ai termini ultimi della crescita, io vedo solo diversi progressi di uno sviluppo; e dal termine ultimo dell’accrescimento fino alla fine della vita, non vedo altro che i diversi progressi di una distruzione Le parti manchevoli, negli animali, sono riparate senza l’aiuto di alcun germe preesistente.101 Il cuore, che in un primo tempo non è altro che un canale, diventa un viscere a due ventricoli e a due orecchiette: c’è un fluido che produce, con il suo solo umore, denti, muscoli e pinze del gambero. Gli animali a corne, nascendo, non hanno affatto corna; queste vengono necessariamente con il tempo e così per tutte le altre parti e organi che le hanno precedute, così per i peli, per i testicoli e per la barba. Le renne, nelle quali la femmina ha delle corna, ne riprende malgrado la castrazione. Il bue non perde mai le sue; fanno parte di lui. Si distinguono gli animali ovipari dagli animali vivipari. Le anguille dell’aceto non sono ovipari. Fontana ha visto le fibre muoversi nel corpo delle madri prima del parto.102 Ogni animale vivente ha i suoi propri parassiti; dà vita a migliaia di animali. Ogni animale morto ha i suoi animali particolari; ogni parte dell’animale vivo dà vita ai suoi. Gli ascaridi vengono a migliaia; malattia epidemica accompagnata da un vomito sanguinolento e pieno di vermi: malattia pedicolare, in cui un uomo si riduce in polvere; esiste un esempio di una malattia simile, in cui un uomo si è ridotto in pulci. In America, in un intervallo di 24 ore, le piaghe si coprono di vermi, bisogna raschiarle, tamponare la piaga con infusione di tabacco; malgrado ciò, i vermi si riproducono, benché l’apparato sia rimasto; nuova prova dello sviluppo forzato, in cui le molecole restituite hanno formato un germe. Grigliate delle carni sul fuoco più violento, esponete dei vegetali nella macchina di Papin,103 nella quale le pietre si riducono in polvere, dove le più dure si fanno diventare gelatina; queste sostanze produrranno degli animali con la fermentazione, con la putrefazione. Avrete sempre una successione regolare delle stesse specie di animali, diversi secondo la sostanza animale o vegetale messa in fermentazione. Tre gradi della fermentazione degli esseri: la vinosa, l’acida, la putrida. Queste tre fermentazioni sono come tre climi diversi, sotto i quali le generazioni di animali cambiano. Perché la lunga serie di animali non potrebbe essere lo sviluppo di un solo animale?104 Camper105 fa nascere da un solo modello, del quale non fa altro che alterare la linea facciale, tutti gli animali, dall’uomo fino alla cicogna. Non bisogna credere che gli animali sono sempre stati e resteranno sempre tali e quali noi li vediamo. È l’effetto di un lasso eterno di tempo, dopo il quale il loro colore, la loro forma, sembra conservare uno stato stazionario; ma questo stato non è che apparente.106 L’ordine generale della natura cambia senza posa: nel mezzo di questa vicissitudine naturale la specie può restare la stessa? No: c’è solo la molecola che resta eterna e inalterabile.
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opere filosofiche
Le monstre naît et meurt : l’individu est exterminé en moins de cent ans. Pourquoi la nature n’exterminerait-elle pas l’espèce dans une plus longue suite de temps ?
Animaux différents par leur organisation
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L’animal est un être dont la forme est déterminée par causes intérieures et extérieures, qui diverses doivent produire des animaux divers. L’organisation de chacun détermine ses fonctions, ses besoins et quelquefois les besoins influent sur l’organisation. L’aigle à l’œil perçant plane au haut des airs, la taupe a l’œil microscopique, s’enfouit sous terre : le bœuf aime l’herbe de la vallée, le bouquetin les plantes aromatiques des montagnes : l’oiseau de proie étend, ou raccourcit sa vue comme l’astronome allonge ou raccourcit sa lunette : la jeune fille poursuit un papillon, le jeune garçon gravit sur un arbre. L’influence des besoins sur l’organisation peut aller jusqu’à produire des organes, ou du moins jusqu’à les transformer. L’animal carnivore est plus malsain et plus cruel que l’herbivore ; son caractère se rapproche de la bête féroce ; il vit isolé, l’herbivore en troupeau. Dans le premier, haleine, urines, excréments fétides, chair corruptible | et désagréable au goût et à l’odorat. Le lait des herbivores est sain et balsamique, il n’en est pas ainsi du lait des autres. La graisse des herbivores est ferme ; elle se fige facilement, celle des autres au contraire est molle et putrescible. Les oiseaux de proie sont des espèces de vessies emplumées et ailées ; il y a communication entre la poitrine et le ventre. L’air des vésicules du poumon pénètre la cavité des os qu’ils ont vides ; ainsi lorsque nous les voyons planer dans les régions les plus hautes de l’atmosphère et s’y tenir aussi longtemps, c’est moins l’effet de leur longue envergure, que de leur conformation, qui rend presque toutes les parties de leurs corps perméables à l’air et susceptibles de dilatation. Les peaux des animaux préparées s’étendent d’un tiers. L’animal dessiné sur l’empaillé est exagéré (vue des figures de l’Histoire naturelle de M. de Buffon).
Animaux microscopiques
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On ne saurait empoisonner les animaux microscopiques, ils se divisent en deux et cette division successive donne des espèces successives d’animaux. Quel est le dernier terme de ces races ? La génération descendante par division va peut-être jusqu’à la molécule sensible, qui montre sous cet état une activité prodigieuse. Les particules détachées par l’action de l’eau des extrémités des nageoires des moules continuent à se mouvoir progressivement. Les barbes de | l’ouïe des poissons en se rompant produisent un animalcule vivant pareil à l’anguille farineuse. L’animalcule ou la molécule sensible-vivante peut seule rendre raison du ténia, des vers, des ascarides, du pus des ulcères, de la virulence des cancers et d’autres maladies, où les humeurs prennent la voracité des animaux, la causticité du feu. Les vers, principe dominant du règne animal.
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elementi di fisiologia, prima parte, ii
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Il mostro nasce e muore, l’individuo viene sterminato in meno di cent’anni. Perché la natura non dovrebbe sterminare la specie, in una più lunga serie di tempi? 107
Animali diversi per la loro organizzazione108 L’animale è un essere la cui forma è determinata da cause interne ed esterne, le quali cause diverse devono produrre animali diversi. L’organizzazione di ciascuno determina le sue funzioni, i suoi bisogni e talvolta i bisogni influiscono sull’organizzazione. L’aquila dall’occhio acuto plana dall’alto dell’aria, la talpa, dall’occhio microscopico, fugge sotto terra: il bue ama l’erba della vallata, l’uccellino le sue piante aromatiche delle montagne, l’uccello da preda stende o accorcia la sua vista, come l’astronomo allunga o accorcia il suo telescopio: la giovane fanciulla insegue la farfalla, il ragazzo s’arrampica sull’albero. L’influenza dei bisogni sull’organizzazione può arrivare fino a produrre organi o almeno fino a trasformarli.109 L’animale carnivoro è più malsano e crudele dell’erbivoro; il suo carattere si avvicina alla bestia feroce, vive isolato, l’erbivoro vive invece in gregge. Nel primo, il fiato, le urine, gli escrementi fetidi, carne corruttibile e sgradevole al gusto e all’odorato. Il latte degli erbivori è sano e balsamico, non è la stessa cosa del latte degli altri animali. Il grasso degli erbivori è fermo; si stabilizza facilmente, quello degli altri al contrario è molle e putrescibile. Gli uccelli da preda sono delle specie di vesciche ricoperte di piume e di ali; c’è comunicazione tra il petto e il ventre. L’aria delle vescicole polmonari penetra la cavità delle ossa che hanno vuote; perciò quando li vediamo planare nelle regioni più alte dell’atmosfera e trattenervisi tanto a lungo, è meno per effetto della loro ampia portata che della loro conformazione, che rende quasi tutte le parti dei loro corpi permeabili all’aria e suscettibili di dilatazione.110 Le pelli preparate degli animali si estendono di un terzo. L’animale disegnato nell’impagliatura è esagerato (veduta delle figure della Storia naturale del Signor Buffon111).
Animali microscopici Non si riuscirebbe avvelenare gli animali microscopici, questi si dividono in due e tale divisione successiva dà vita a delle specie successive di animali. Qual è il termine ultimo di queste razze? La generazione discendente per divisione arriva forse fino alla molecola sensibile, che mostra sotto questo stato un’attività prodigiosa. Le particelle, staccate dall’azione dell’acqua, delle alette dei mitili, continuano a muoversi progressivamente. I barbigli dell’udito nei pesci, rompendosi, producono un animaletto vivente simile all’anguilla della farina. Solo l’animaletto o la molecola sensibile-vivente può dar conto della tenia, dei vermi, degli ascaridi, del pus delle ulcere, della virulenza dei cancri e di altre malattie, in cui gli umori assumono la voracità degli animali, la causticità del fuoco. I vermi, principio dominante del regno animale.
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opere filosofiche
Morale des animaux
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Les animaux ont-ils de la morale ? Leur conduite pendant l’incubation paraît difficile à expliquer mécaniquement : qu’on m’apprenne comment la jeune hirondelle fait son nid et j’expliquerai toutes les actions qui appartiennent à l’homme non expérimenté, à l’homme-animal. C’est la nature sage, pure et simple qui seule agit dans les animaux : si la réflexion s’en mêlait, elle gâterait ou perfectionnerait tout. Elle gâterait d’abord ; elle perfectionnerait ensuite. Par la nature et le besoin l’araignée est devenue bonne ourdisseuse, l’hirondelle très bonne architecte : mais comme la réflexion ne s’en mêle point, qu’elles sont toujours guidées par ces deux mêmes maîtres, elles ne seront jamais ni plus, ni moins habiles. La formation du nid de l’hirondelle n’est, peut-être, que la suite d’un | enchaînement aveugle de besoins, d’un enchaînement organique produit ou par des malaises, dont on se soulage, ou par des plaisirs qu’on ressent : un effet de la liaison établie entre la mère et le petit. C’est une véritable singerie ; et puis la variation qui s’opère par l’amour et par l’approche du mâle qui modifie la femelle. La brebis transmet la frayeur du loup à l’agneau ; la poule au poussin celle de l’épervier ; cela est si vrai que quand l’animal n’a point été vu, il n’est craint ni de la mère, ni du petit (Christ. Colomb, Bougainville et les voyageurs dans les îles inhabitées). Il passe certainement de la mère au petit, qui n’a fait qu’un avec elle, des dispositions organiques, dont il nous est impossible de bien connaître toute l’énergie. (Voyez fœtus, 2de partie). L’animal nouveau-né fait différentes fonctions, comme s’il avait été appris.
Grâce, Beauté de l’animal
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L’animal le mieux conformé est celui dans l’organisation duquel il s’établit un juste équilibre, en sorte qu’une partie n’a point accru sa puissance aux dépens d’une autre ; dans le cas contraire, il peut arriver que l’animal très propre à une certaine fonction déterminée soit tout à fait inhabile à une autre : il est d’observation qu’aucune partie du corps ne peut excéder sa mesure qu’aux dépens des | autres. Ainsi, si l’une pèche par l’énormité du volume, l’autre pèchera par le défaut opposé. Si le volume du cœur est considérable, c’est une suite de la mollesse des fibres ; l’animal est lâche ; le lion a le cœur petit. Si le volume du cerveau est exorbitant, l’animal est penseur, mais il est faible. Chap. III
Homme La caractéristique de l’homme est dans son cerveau et non dans son organisation extérieure. L’intermédiaire entre l’homme et les autres animaux, c’est le singe. J’ai vu un homme singe : il ne pensait pas plus que le singe, il imitait comme le singe, il était malfaisant comme le singe, il ne parlait point, mais il jetait des cris comme le singe ; il s’agitait sans cesse comme le singe ; il était décousu dans ses idées comme le singe ; il se fâchait, il s’apaisait, il était sans pudeur comme le singe.
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elementi di fisiologia, prima parte, ii-iii
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Morale degli animali Gli animali hanno una morale? La loro condotta durante l’incubazione sembra difficile da spiegare meccanicamente;112 mi s’insegni allora come la giovane rondine fa il suo nido e io spiegherò tutte le azioni che appartengono all’uomo non sperimentato, all’uomo animale.113 È la natura, saggia, pura, semplice che da sola agisce negli animali: se vi si mescolasse della riflessione guasterebbe o perfezionerebbe tutto.114 Guasterebbe, anzitutto; infine perfezionerebbe. Con la natura e il bisogno il ragno è diventato un buon orditore di tele, la rondine un eccellente architetto: ma siccome la riflessione non vi si mescola affatto, perché sono guidati sempre entrambi da questi due padroni,115 non saranno mai né più né meno abili di quello che sono.116 La formazione del nido della rondine non è forse altro che la conseguenza di una concatenazione cieca di bisogni,117 di una concatenazione organica prodotta o da malesseri da cui si cerca sollievo, oppure da piaceri che si provano: un effetto della relazione stabilita tra la madre e il piccolo. È un vero e proprio scimmiottamento; e poi la variazione che si opera con l’amore e con l’approccio del maschio che modifica la femmina. La pecora trasmette il terrore del lupo all’agnello; la gallina quello dello sparviero al pulcino; questo è vero a tal punto che quando l’animale non è mai stato visto da un altro animale, non è temuto né dalla madre, né dal piccolo (Cristofono Colombo,118 Bouganville119 e i viaggiatori nelle isole disabitate). Passano quindi certamente dalla madre al piccolo, il quale per lungo tempo ha fatto tutt’uno con lei, delle disposizioni organiche di cui oggi è impossibile conoscere bene tutta l’energia (Vedi il Feto, Parte II120). L’animale neonato svolge diverse funzioni, come se le gliele avessero insegnate.
Grazia, Bellezza dell’animale. L’animale meglio conformato è quello nell’organizzazione del quale si stabilisce un giusto equilibrio, di modo che una parte non ha mai accresciuto la propria potenza a spese di un’altra; nel caso contrario, può accadere che l’animale, assai adatto a una certa funzione determinata, sia del tutto inabile a un’altra: è un fatto d’osservazione che nessuna parte del corpo può eccedere la sua misura a spese delle altre. Così, se l’una pecca per l’enormità del volume, l’altra peccherà per il difetto opposto. Se il volume del cuore è considerevole, è una conseguenza della mollezza delle fibre: l’animale è imbelle; il leone ha il cuore piccolo. Se il volume del cervello è esorbitante, l’animale è pensatore, ma è debole. CAPITOLO III121
Uomo La caratteristica dell’uomo è nel suo cervello e non nella sua organizzazione esteriore. L’intermediario tra l’uomo e gli altri animali è la scimmia.122 Ho visto un uomo scimmia: non pensava più di una scimmia, imitava come fa la scimmia, era cattivo come una scimmia, non parlava affatto, ma lanciava grida come fa la scimmia, si agitava senza posa come una scimmia; era nelle sue idee incoerente come la scimmia; si arrabbiava, si calmava, era senza pudore come la scimmia.123
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opere filosofiche
Point d’animaux en qui la physionomie soit plus variée que dans l’homme. Lorsque les vieillards ont de la physionomie, ils en ont beaucoup. Leurs rides sont comme les traits profonds du burin du temps, qui a rendu fortement l’image d’une passion qui n’existe plus. L’homme sans physionomie n’est rien. Celui qui a l’air d’un homme de bien, l’est peut-être ; celui qui a l’air vil et méchant l’est toujours. L’homme d’esprit peut avoir l’air d’un sot. Un sot n’a jamais l’air d’un homme d’esprit. | Une femme qui a l’air mâle doit déplaire à la femme pour qui elle ne peut rien et à l’homme dont elle rend le désir perplexe : et ainsi de l’homme qui a l’air féminin. L’homme sain ne connaît pas toute sa force ; j’en dis autant de l’homme tranquille.A C’est que dans le désordre toutes les forces de la machine sont conspirantes et que dans l’état sain ou tranquille elles agissent isolées ; il n’y a que l’action ou des bras, ou des jambes, ou des cuisses, ou des flancs. Dans l’état sain ou tranquille l’animal craint de se blesser, il ne connaît pas cette frayeur dans la passion ou la maladie. L’homme, proportion gardée, a la tête plus grosse que les autres animaux : c’est que l’exercice des organes qu’elle contient, commence avec | la vie, ne cesse point et dure jusqu’à la mort ; or l’exercice fortifie tous les membres, comme le défaut d’exercice les oblitère. Il n’est personne qui réfléchissant un peu ne s’aperçoive que la tête est le siège de la pensée.
Raison
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La raison ou l’instinct de l’homme est déterminé par son organisation et par les dispositions, les goûts, les aptitudes que la mère communique à l’enfant, qui pendant neuf mois n’a fait qu’un avec elle. Sa perfectibilité naît de la faiblesse des autres sens, dont aucun ne prédomine sur l’organe de la raison ; si l’homme avait le nez du chien, il flairerait toujours, l’œil de l’aigle, il ne cesserait de regarder. L’oreille de la taupe, ce serait un être écoutant. On fait assez communément, sur ce sujet, deux suppositions absurdes ; et de ces deux suppositions absurdes on en déduit ensuite des difficultés insolubles. L’une de ces suppositions, c’est qu’il y ait sur la surface de la terre un être, un animal, qui ait été de toute éternité ce qu’il est à présent. L’autre, c’est qu’il n’y a nulle différence entre l’homme qui sortirait de la main d’un Créateur et l’enfant qui sort du sein d’une mère. (Voyez ci-devant. Page 22). Point de penseurs profonds, points d’imaginations ardentes qui ne soient sujets à des catalepsies momentanées. Une idée singulière se présente, un rapport bizarre distrait et voila la tête perdue, on revient de là comme d’un rêve : on demande à ses auditeurs, où en étais-je ? Que | disais-je ? Quelquefois on suit son propos, comme s’il n’avait point été interrompu. Témoin, le prédicateur Hollandais.B A Mr de Buffon voit la flamme s’échapper avec de la fumée à travers les fentes d’un lambris ; il arrache le lambris ; il prend entre ses bras les planches à demi brûlées et les porte dans sa cour et il se trouve qu’un cheval n’ébranlerait pas le fardeau qu’il a porté. Une femme délicate est attaquée de vapeurs hystériques, de fureur utérine et trois hommes ne peuvent contenir celle qu’un seul d’entre eux aurait renversée, liée dans son état de santé. Le feu prend à la maison d’un avare, il prend son coffre-fort et le porte dans son jardin, d’où il ne l’aurait pas remué pour dix fois la somme qu’il contenait. B (voyage de Hollande Page 152)
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Non ci sono animali nei quali la fisionomia sia più varia quanto nell’uomo. Quando i vecchi umani hanno una certa fisionomia, ne hanno molta. Le loro rughe sono come i tratti profondi dello scalpello del tempo, che ha reso con forza l’immagine di una passione che non esiste più. L’uomo senza fisionomia non è nulla. Colui che ha l’aria di un uomo dabbene forse lo è; colui che ha l’aria vile e cattiva, lo è sempre. L’uomo di spirito può avere l’aria di uno sciocco. Uno sciocco non ha mai l’aria di un uomo di spirito.124 Una donna che ha l’aria mascolina deve dispiacere alla donna per la quale lei non può fare nulla e all’uomo di cui rende il desiderio esitante: e così anche dell’uomo che ha l’aria effemminata. L’uomo sano non conosce tutta la sua forza; dico altrettanto dell’uomo tranquillo.A Il fatto è che nel disordine tutte le forze della macchina sono cospiranti insieme e nello stato sano e tranquillo agiscono invece isolate; ci sono solo l’azione delle braccia, o delle gambe, o delle cosce, o dei fianchi. Nella condizione di salute o di tranquillità, l’animale teme di ferirsi, non conosce questa paura nella passione o nella malattia. L’uomo, fatte le debite proporzioni, ha la testa più grossa di quella degli altri animali; perché l’esercizio degli organi che essa contiene, inizia con la vita e non cessa affatto, e dura fino alla morte; pertanto, l’esercizio irrobustisce tutte le membra, come il difetto di esercizio le occlude. Non c’è nessuno che riflettendo un po’ non si accorga che la testa è la sede del pensiero.
Ragione La ragione ossia l’istinto dell’uomo è determinato dalla sua organizzazione e dalle disposizioni, i gusti, le attitudini che la madre comunica al figlio, il quale durante nove mesi ha fatto una cosa sola con lei. La sua perfettibilità127 nasce dalla debolezza degli altri sensi, nessuno dei quali predomina sull’organo della ragione; se l’uomo avesse il naso del cane fiuterebbe sempre, se avesse l’occhio dell’aquila non smetterebbe mai di guardare, se avesse l’orecchio della talpa sarebbe un essere ascoltante. A questo proposito, si fanno di solito due supposizioni assurde; e da queste due supposizioni assurde se ne deducono poi delle difficoltà insormontabili. Una di queste è che si suppone vi sia sulla faccia della Terra un essere, un animale, che sia stato da tutta l’eternità quello che è attualmente.128 L’altra, è che non vi sia alcuna differenza tra l’uomo che uscirebbe dalla mano di un Creatore e il bambino che esce dal ventre di una madre (Vedere qui avanti, pagina 22129). Non vi è nessun pensatore profondo, nessuna immaginazione ardente che non siano soggette a momentanee catalessi. Un’idea singolare si presenta, un rapporto strano distrae, ed ecco che ho perso la testa, ritorno da quella situazione come da un sogno: e chiedo ai miei uditori dove ero rimasto? Che cosa dicevo? Talvolta si prosegue il proprio discorso come se nulla l’avesse interrotto. Lo testimonia il predicatore olandese.B 126
A Il Signor Buffon vede le fiamme insinuarsi, accompagnate dal fumo, attraverso le fessure di una pannellatura; strappa via la pannellatura; prende tra le braccia le tavole mezze bruciate e le porta nel cortile; e si dà il caso che persino un cavallo non avrebbe potuto scuotere il fardello che egli ha portato. Una donna delicata è attaccata da vapori isterici, da furore uterino e tre uomini non riescono a contenere quella che uno solo di loro avrebbe rovesciato e legato, nel suo stato di salute. La casa di un avaro prende fuoco, lui afferra la sua cassaforte e la porta in giardino, da dove non l’avrebbe potuta smuovere neanche per dieci volte la somma che conteneva.125 B (Viaggio in Olanda, pagina 152).130
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Les facultés de l’homme se perdent sans retour, comme elles se perdent momentanément, c’est la même cause, dont l’effet dure ou cesse. Exemples pris de la lassitude, de la maladie, de la convalescence, de la passion, de l’ivresse, du sommeil, c’est ainsi que l’homme est successivement ingénieux ou stupide, patient ou colère, jamais le même ; le plus constant est celui qui change le moins. Si nous savions donner la fièvre, nous saurions rendre l’homme sage ou fou ; nous pourrions donner de l’esprit à un sot. Les exemples d’hommes idiots dans l’état de santé et pleins de vivacité, d’esprit et d’éloquence dans la fièvre, ne sont pas rares ; c’est que tous les talents que suppose l’enthousiasme touchent à la folie. C’est que l’enthousiasme est une espèce de fièvre. Voyez ce jeune statuaire, l’ébauchoir à la main, devant sa selle et sa terre glaise : ses yeux sont ardents, ses mouvements sont prompts et troublés ; il halète, la sueur lui coule du front, il contrefait du visage la passion qu’il veut rendre : il lève les yeux au ciel, il incline sa tête sur une de ses épaules, il défaillit : si c’est la colère, il grince les dents ; si c’est la tendresse, il s’abandonne ; si c’est le désespoir, ses traits s’allongent, sa bouche s’entrouvre, ses membres se raidissent ; si c’est le mépris, sa lèvre supérieure se relève ; si c’est l’ironie, il sourit malignement : je lui tâte le pouls, il a la fièvre. |
Pensée
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Dans l’état parfait de santé, où il n’y a aucune sensation prédominante qui fasse discerner une partie du corps, état que tout homme a quelquefois éprouvé, l’homme n’existe qu’en un point du cerveau : il est tout au lieu de la pensée ; peut-être en examinant de fort près trouverait-on que triste ou gai, dans la peine ou le plaisir, il est toujours tout au lieu de la sensation. Il n’est qu’un œil quand il voit, ou plutôt qu’il regarde, qu’un nez quand il flaire, qu’une petite portion du doigt quand il touche : mais cette observation difficile est moins à vérifier par des expériences faites exprès, que par le ressouvenir de ce qui s’est passé en nous, lorsque nous avons été tout entiers à l’usage de quelques uns de nos sens. Est-ce qu’on pense quand on est vivement chatouillé ? est-ce qu’on pense dans la jouissance de l’union des sexes ? est-ce qu’on pense quand on est vivement affecté par la poésie, par la musique ou la peinture ? Est-ce qu’on pense quand on voit son enfant en péril ? Est-ce qu’on pense au milieu d’un combat ? Combien de circonstances, où si l’on vous demandait pourquoi n’avez vous pas fait, pourquoi n’avez vous pas dit cela ? Vous répondriez, c’est que je n’y etais pas.
Ame
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Un habile homme a commencé son ouvrage par ces mots : « L’homme, comme tout animal est composé de deux substances distinctes, l’Ame et le Corps : si quelqu’un nie cette proposition, ce n’est pas pour lui que j’écris ». J’ai pensé fermer le livre, car si j’admets une fois ces deux substances | distinctes, l’auteur n’a plus rien à m’apprendre. Celle qu’il appelle âme, il ne sait ce que c’est, moins encore comment elles sont unies et pas plus comment elles agissent l’une sur l’autre. Le corps produirait tout ce qu’il produit sans âme ; cela n’est pas infiniment difficile à démontrer. L’action supposée d’une âme l’est davantage. « L’âme, selon les stahliens, est une substance immatérielle ; c’est la cause de tous les mouvements du corps, qui n’est qu’une machine hydraulique, dépourvue de toute activité, nullement différente de toute autre machine faite de matière inanimée. La
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Le facoltà dell’uomo si perdono definitivamente, come pure si possono perdere momentaneamente, è la stessa causa, il cui effetto dura o cessa. Esempio preso dalla stanchezza, dalla malattia, dalla convalescenza, dalla passione, dall’ebrezza, dal sonno; ecco che l’uomo è di volta in volta ingegnoso o stupido, paziente o collerico, mai lo stesso; il più costante tra gli uomini è colui che cambia di meno. Se sapessimo trasmettere la febbre, sapremmo rendere l’uomo saggio o folle; potremmo dare dello spirito a uno sciocco. Gli esempi di uomini idioti nello stato di salute e pieni di vivacità, di spirito, di eloquenza durante la febbre non sono rari. Il fatto è che tutti i talenti che l’entusiasmo presuppone, si avvicinano alla follia. Perché l’entusiasmo131 è una specie di febbre. Guardate quel giovane scultore, con lo scalpello in mano, davanti al suo trespolo e alla sua creta: i suoi occhi sono ardenti, i suoi movimenti sono pronti e al tempo stesso turbati; sospira, ansima, il sudore gli cola dalla fronte, contraffà col viso la passione che vuole rendere nella statua; alza gli occhi al cielo, inclina la testa su una delle spalle, è sul punto di venir meno: se è la collera, digrigna i denti; se è la tenerezza, si abbandona; se è la disperazione, i suoi tratti si allungano, la bocca si socchiude, le membra si irrigidiscono; se è il disprezzo, il labbro superiore si solleva; se è l’ironia, sorride malignamente: gli tasto il polso, ha la febbre.132
Pensiero Nello stato di perfetta salute, in cui non v’è alcuna sensazione predominante che faccia discernere una parte del corpo, condizione che ogni uomo ha provato qualche volta, l’uomo esiste soltanto in un punto del cervello, è tutto nel luogo del pensiero;133 forse esaminando la cosa molto da vicino si troverebbe che, triste o felice, nel dolore o nel piacere, l’uomo è sempre tutto nel luogo della sensazione. È solo un occhio, quando vede o piuttosto quando guarda; è solo un naso, quando fiuta; è solo una piccola porzione di dito quando tocca: ma questa difficile osservazione è meno importante da verificare con esperienze fatte appositamente, che non con il ricordo di ciò che è accaduto in noi, quando siamo stati tutti interi nell’uso di qualcuno dei nostri sensi. Forse si pensa, quando si è solleticati con forza? Forse si pensa nel godimento dell’unione dei sessi? Si pensa, quando si è vivamente colpiti dalla poesia, dalla musica o dalla pittura? Si pensa, quando si vede il proprio figlio in pericolo? Si pensa quando si è in mezzo a una battaglia? Quante circostanze in cui se vi domandassero perché non avete fatto questo, perché non avete detto questo, voi rispondereste: perché io non ero lì.134
Anima Un abile uomo ha iniziato l’opera sua con queste parole: «L’uomo, come ogni animale, è composto da due sostanze distinte, l’Anima e il Corpo; se qualcuno nega questa proposizione non è per lui che scrivo».135 Ho pensato di chiudere il libro, perché se ammetto una volta per tutte che queste due sostanze sono distinte, l’autore non ha più nulla da insegnarmi. Quella che lui chiama anima non sa che cos’è, e meno ancora sa come quelle due sostanze sono unite e neppure come agiscono l’una sull’altra.136 Il corpo produrrebbe tutto ciò che produce, senz’anima, questo non è infinitamente difficile da dimostrare. L’azione presunta di un anima sul corpo lo è molto di più. «L’anima, secondo gli stahliani,137 è una sostanza immateriale; è la causa di tutti i movimenti del corpo, il quale non è altro che una macchina idraulica, priva di ogni attività, in nulla diversa da ogni altra macchina fatta di materia inanimata. La stessa fabbri-
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fabrication même du corps et l’exercice de toutes ses fonctions vitales sont l’ouvrage de l’âme, qui sait tout, mais qui n’est pas toujours attentive à tout, réparant dans le sommeil, capricieuse, fantasque, négligente, paresseuse, désespérée, craintive, capable par sa nature, bien ou malfaisante, d’abréger ou d’allonger la vie. L’âme enfin est la cause des mouvements volontaires dont elle a la conscience, des mouvements involontaires sans être consciente, action de l’âme forcée, action raisonnée ». | Mais le mouvement après la mort d’où vient-il ? En vain dira-t-on que l’âme a un commerce font étroit avec le corps, cela ne fait qu’augmenter notre surprise et les difficultés. « Ce commerce est tel qu’à l’occasion des désirs de l’âme, il est dit qu’il s’excitera des mouvements dans le corps et qu’à l’occasion des mouvements du corps, il s’excitera des désirs dans l’âme, car la réciprocité de leurs actions est démontrée ». Mais les phénomènes de l’union de l’âme avec le corps sont les mêmes dans tous les hommes. Comment cela se peut-il, si l’âme et le corps sont deux substances hétérogènes ? D’après les définitions qu’on nous donne des deux substances, elles sont essentiellement incompatibles. Quelle liaison peut-il donc y avoir entre elles ? Y a-t-il quelque chose de plus absurde que le contact de deux êtres, dont l’un n’a point de parties et n’occupe point d’espace ? Y a-t-il quelque chose de plus absurde que l’action d’un être sur un autre sans contact ?. S’il y avait une âme dans le corps et qu’elle en commandât et dirigeât les mouvements, il faudrait qu’elle connût parfaitement l’anatomie et la physiologie de ce domicile. Hélas ! Cette pauvre monade est parfaitement ignorante, comme nous le voyons dans l’enfant qui naît, l’animal meurt qu’elle est encore bien ignorante. La vie reste dans les organes séparés du corps. Où l’âme est-elle alors ? Que devient son unité, son indivisibilité ? | Une ligature sur les nerfs empêche tout sentiment, tout mouvement : une ligature peut donc séparer l’âme du corps ; et la ligature ôtée on peut faire renaître la liaison. Une ligature qui intercepte la liaison d’un être corporel et d’un être corporel, cela s’entend ; mais une ligature qui intercepte la liaison d’un être corporel et d’un être spirituel, il faut plus que de la pénétration pour entendre cela. Pourquoi ne pas regarder la sensibilité, la vie, le mouvement comme autant de propriétés de la matière : puisqu’on trouve ces qualités dans chaque portion, chaque particule de chair ? Un homme tombe dans une mélancolie profonde, qui le conduit à la stupidité. Cette stupidité dure quarante ans ; quelques jours avant sa mort, il revient à l’état de raison, il a réalisé le sommeil d’Épiménide. Qu’a fait son âme dans ce long intervalle ? A-t-elle dormi ? Dans la cataleptique où l’animal est réduit à l’état purement sensible, que devient ce prétendu commerce de l’âme avec le corps ? Où est-elle dans le noyé, qu’on rappelle à la vie de l’état de mort, ou d’un état qui lui ressemble tellement, que si le noyé n’avait point été secouru, il aurait persévéré dans cet état sans éprouver d’autre changement qu’une torpeur plus profonde ? L’âme était-elle alors séparée du corps ? y est-elle rentrée ? Si l’âme | n’était pas séparée du corps, quand s’en sépare-t-elle donc ? et qu’est-ce que la mort ? L’âme, si ce ressort existe, est très subalterne. Sa puissance est moindre, que celle
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cazione del corpo e l’esercizio di tutte le sue funzioni vitali sono opera dell’anima, che sa tutto ma che non è sempre attenta a tutto, nascosta nel sogno, capricciosa, lunatica, negligente, pigra, disperata, timorosa, capace per sua natura di fare del bene o di fare del male, di abbreviare o di allungare la vita. L’anima, infine, è la causa dei movimenti volontari di cui essa ha coscienza, dei movimenti involontari senza essere cosciente, azione dell’anima forzata o azione ragionata».138 Ma il movimento dopo la morte da dove viene? Invano si dirà che l’anima ha un commercio molto stretto con il corpo, questo non fa che aumentare la nostra sorpresa e le nostre difficoltà. «Questo commercio è tale che all’occasione dei desideri dell’anima si dice che essa ecciterà i movimenti del corpo e che all’occasione dei movimenti del corpo si ecciteranno i desideri dell’anima, infatti la reciprocità della loro azione è dimostrata».139 Ma i fenomeni dell’unione dell’anima con il corpo sono gli stessi in tutti gli uomini. Come è possibile questo, se l’anima e il corpo sono due sostanze eterogenee?140 Secondo le definizioni che ci vengono date delle due sostanze, queste sono essenzialmente incompatibili. Quale legame ci può dunque essere tra di loro? C’è qualcosa di più assurdo dell’unione di due esseri l’uno dei quali non è costituito di parti e non occupa alcuno spazio? Vi è qualcosa di più assurdo dell’azione di un essere su un altro senza contatto?141 Se vi fosse un’anima142 nel corpo e se essa ne comandasse e dirigesse i movimenti, bisognerebbe che quest’anima conoscesse perfettamente l’anatomia e la fisiologia di questo domicilio. Peccato! Questa povera monade è perfettamente ignorante, come noi la vediamo nel bambino che nasce, l’animale muore che essa è ancora molto ignorante.143 La vita resta negli organi separati dal corpo. Dov’è l’anima allora? Che diventa la sua unità, la sua indivisibilità? Una legatura sui nervi impedisce ogni sentimento, ogni movimento: una legatura può dunque separare l’anima dal corpo e tolta la legatura può far rinascere il collegamento. Una legatura che intercetta il legame di un essere corporeo con un essere corporeo, questo si capisce; ma una legatura che intercetta il legame tra un essere corporeo e un essere spirituale, c’è bisogno di ben altro che della penetrazione per comprendere ciò. Perché non considerare la sensibilità, la vita, il movimento come altrettante proprietà della materia: poiché queste qualità si trovano in ciascuna porzione, in ciascuna piccola particella di carne? Un uomo cade in una profonda malinconia, che lo conduce alla stupidità. Questa stupidità dura quarant’anni; qualche giorno prima della sua morte quest’uomo ritorna allo stato di ragione, ha realizzato il sonno di Epimenide.144 Che cosa ha fatto la sua anima durante questo lungo intervallo? Ha forse dormito? Nella catalessi,145 in cui l’animale è ridotto allo stato puramente sensibile, che cosa diventa questo preteso commercio dell’anima con il corpo?146 Dov’è l’anima nell’annegato che viene richiamato in vita dallo stato di morte, o da uno stato che gli somiglia a tal punto che se l’annegato non fosse stato prontamente soccorso, avrebbe perseverato in quello stato senza provare altro cambiamento se non un torpore più profondo? L’anima era allora separata dal corpo? Vi è rientrata? Se l’anima non era separata dal corpo, quando se ne separa dunque? E che cos’è allora la morte? L’anima, se questo meccanismo esiste, è molto subalterna.147 La sua potenza è minima
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de la douleur, du plaisir, des passions, du vin, de la jusquiame, de la morille furieuse, de la noix d’Inde. Que peut l’âme dans la fièvre et dans l’ivresse ? Quelque idée qu’on en ait, c’est nécessairement un être mobile, étendu, sensible et composé. Il se fatigue comme le corps, il se repose comme le corps, il perd son autorité sur le corps, comme le corps perd la sienne sur lui. On n’a la conscience du principe de la raison, ou de l’âme, que comme on a la conscience de son existence, de l’existence de son pied, de sa main, du froid, du chaud, de la douleur, du plaisir, faites abstraction de toutes ces qualités et plus d’âme. Est-ce que l’âme est gaie, triste, colère, tendre, dissimulée, voluptueuse ? elle n’est rien sans le corps ; je défie qu’on explique rien sans le corps. Qu’on cherche à s’expliquer comment les passions s’introduisent dans l’âme sans mouvements corporels et sans commencer par ces mouvements, je le défie. C’est sottise à ceux qui descendent de l’âme au corps : il ne se fait rien ainsi dans l’homme. Marat ne sait ce qu’il dit, quand il parle de l’action de l’âme sur le corps, s’il y avait regardé de plus près, il aurait vu que l’action de l’âme sur le corps est l’action d’une portion du corps sur une autre et | l’action du corps sur l’âme, l’action d’une autre partie du corps sur une autre. Autant il est clair, ferme, précis dans son chapitre de l’action du corps sur l’âme, autant il est vague, faible dans le chapitre suivant. Le raisonnement ne s’explique point à l’aide d’une âme immatérielle, ou d’un esprit : cet esprit ne peut être à deux objets à la fois ; il lui faut le secours de la mémoire. Or très certainement la mémoire est une qualité corporelle. La différence d’une âme sensitive à une âme raisonnable n’est qu’une affaire d’organisation. L’animal est un tout un et c’est peut-être cette unité qui constitue l’âme, le soi, la conscience, à l’aide de la mémoire. Toutes les pensées naissent les unes des autres ; cela me semble évident. Les opinions intellectuelles sont également enchaînées : la perception naît de la sensation. De la perception la réflexion, la méditation, le jugement. Il n’y a rien de libre dans les opérations intellectuelles, ni dans la sensation, ni dans la perception ou la vue des rapports des sensations entre elles, ni dans la réflexion ou la méditation ou l’attention plus ou moins forte à ces rapports, ni dans le jugement ou l’acquiescement à ce qui paraît vrai (voir la 3 partie, Entendement). Quelle différence d’une montre sensible et vivante à une montre d’or, de fer, d’argent, ou de cuivre ! Si une âme était attachée à cette dernière, qu’y produirait-elle ? Si la liaison d’une âme à cette machine est impossible, qu’on me le démontre : si elle est possible, qu’on me dise quels seraient les effets de cette liaison. Le paysan qui voit une montre se mouvoir et qui n’en pouvant connaître le mécanisme, place dans l’aiguille un esprit, n’est ni plus, ni moins sot que nos spiritualistes. | Combien de phénomènes très certains, dont la cause première est inconnue. Qui sait comment le mouvement est dans le corps ? Qui sait comment y réside l’attraction ? Qui sait comment l’un se communique et l’autre agit ? Mais ce sont des faits ; et la production de la sensibilité c’est un autre fait. Laissons les causes inconnues et partons d’après les faits. |
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rispetto a quella del dolore, del piacere, delle passioni, del vino, del giusquiamo, della spugnola furiosa, della noce d’India. Che cosa può l’anima148 nella febbre e nell’ebbrezza? Qualunque idea se ne abbia, è necessariamente un essere mobile, esteso, sensibile e composto.149 Si affatica come il corpo, si riposa come il corpo, perde la sua autorità sul corpo, come il corpo perde la sua su di essa. Non si ha la coscienza del principio della ragione, o dell’anima, se non come si ha la coscienza della propria esistenza, dell’esistenza del proprio piede, della propria mano, del freddo, del caldo, del dolore, del piacere, e fatta astrazione da tutte queste qualità non c’è più anima. Forse l’anima è allegra, triste, collerica, tenera, dissimulata, voluttuosa? Non è nulla di tutto ciò senza il corpo; sfido chiunque a spiegarmi nulla senza il corpo. Si cerchi di spiegare come le passioni si introducano nell’anima senza movimenti corporei e senza cominciare da questi movimenti, lo sfido. È una sciocchezza quella di coloro che scendono dall’anima al corpo:150 non si fa nulla di tutto questo nell’uomo. Marat non sa quello che dice, quando parla dell’azione dell’anima sul corpo, se avesse visto la cosa più da vicino, avrebbe visto che l’azione dell’anima sul corpo è l’azione di una porzione del corpo su un’altra e l’azione del corpo sull’anima, l’azione di un’altra parte del corpo su un’altra ancora. Marat è tanto chiaro, fermo, preciso, nel suo capitolo dell’azione del corpo sull’anima, quanto è vago, debole nel capitolo successivo.151 Il ragionamento non si spiega affatto con l’aiuto di un’anima immateriale o di uno spirito; questo spirito non può concentrarsi su due oggetti nello stesso tempo; ha bisogno dell’aiuto della memoria. Ora, con molta certezza, la memoria è una qualità corporea. La differenza tra un’anima sensitiva e un’anima ragionevole non è altro che un affare di organizzazione.152 L’animale è un tutt’uno ed è forse questa unità che costituisce l’anima, il sé, la coscienza, con l’aiuto della memoria.153 Tutti i pensieri nascono gli uni dagli altri; questo mi sembra evidente. Le opinioni intellettuali sono ugualmente concatenate: la percezione nasce dalla sensazione. Dalla percezione la riflessione, la meditazione, il giudizio. Non vi è nulla di libero nelle operazioni intellettuali, né nella sensazione, né nella percezione o nella prospettiva dei rapporti delle sensazioni tra di loro, né nella riflessione o nella meditazione o nell’attenzione più o meno forte a quei rapporti, né nel giudizio o nell’acconsentire a ciò che ci sembra vero (vedi la 3a parte, Intelletto). Quale differenza, tra un orologio sensibile e vivente e un orologio d’oro, di ferro, d’argento o di bronzo! Se un’anima fosse attaccata a quest’ultimo, che cosa vi produrrebbe? Se il legame di un’anima con questa macchina è impossibile, me lo si dimostri: se è possibile, mi si dica quali sarebbero gli effetti di tale legame. Il contadino che vede un orologio muoversi e, non potendone conoscere il meccanismo, colloca uno spirito nell’ago che gira, non è più o meno sciocco dei nostri spiritualisti. Quanti fenomeni assai certi,154 la cui causa prima ci è sconosciuta. Chi sa come il movimento si trova del corpo? Chi sa come vi risiede l’attrazione? Chi sa come l’uno si comunica e l’altra agisce? Ma sono dei fatti; e la produzione di sensibilità è un altro fatto. Lasciamo perdere le cause ignote e partiamo dai fatti.
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2de Partie
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Éléments et parties du corps humain
L’homme a toutes les sortes d’existence : l’inertie, la sensibilité, la vie végétale, la vie polypeuse, la vie animale, la vie humaine. Le corps animal est un système d’actions et de réactions : actions et réactions sont les causes des formes des viscères, des membranes. Le cerveau, le cervelet, avec ses nerfs ou filaments, sont les premiers rudiments de l’animal ; ils constituent un tout vivant et portant la vie partout. La formation du corps humain paraît assez simple ; la nature prépare le tissu cellulaire, c’est le passage de la plante à la vie. La fibre fait le tissu cellulaire : le tissu cellulaire selon sa variété fait des membranes, des vaisseaux, ou des gaines ; les membranes font des viscères. Du tissu cellulaire le périoste ; du périoste les os qui ne sont que des filets membraneux et du gluten qui se fixe entre ces filets. Ce que les uns expliquent par les fibres, les autres l’expliquent par les nerfs. | Chap. I
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Fibre
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En physiologie la fibre est ce que la ligne est en mathématiques. Elle est molle, élastique, pultacée, longue sans presque de largeur, ou large sans presque d’étendue ; elle fait un. Elle est exsangue et non creuse ; si elle était creuse en la liant on formerait une tumeur, ce qui n’est pas. De ses éléments les uns sont solides, les autres fluides : mais les premiers tellement unis aux seconds, qu’on ne les sépare que par le feu ou une longue putréfaction L’élément solide est une terre calcaire qui fait effervescence avec les acides et se change au grand feu en verre blanc. Cette terre se met en molécules. Séparée de ses liens solides, friable, elle ne se dissout pas dans l’eau ; elle se montre ou par feu véhément, ou par un long séjour à l’air. Il y a dans cette terre quelques parties de fer attirables par l’aimant Le gluten, ou élément fluide de la fibre, contient de l’eau, du sel marin, de l’air et de l’huile, mais combinés et par la combinaison formant un tout, qui n’est ni eau, ni terre, ni huile, ni rien de ce qui s’est dissipé dans l’analyse. Le gluten est la cause de l’adhésion ; c’est l’huile qui l’assouplit ; c’est l’air qui le rend élastique ; il varie selon les âges et les tempéraments : on voit par les momies que les os conservent leur gluten après deux mille ans écoulés. | Tous les solides du corps humain sont faits de fibres plus ou moins pressées (il en est de même de la plante) sans en excepter le cerveau, ni le cervelet, ni la moelle épinière ; elles sont perceptibles dans les os, dans les tendons et les muscles. On distingue des fibres blanchâtres disséminées dans la substance du cerveau ; origine de la fibre nerveuse.
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2a Parte [Estratti]155
Elementi e parti del corpo umano
L’uomo ha tutte le specie di esistenza: l’inerzia, la sensibilità, la vita vegetale, la vita poliposa, la vita animale, la vita umana. Il corpo animale è un sistema di azioni e di reazioni: azioni e reazioni sono le cause delle forme dei visceri, delle membrane. Il cervello, il cervelletto, con i suoi nervi o filamenti, sono i primi rudimenti dell’animale: costituiscono un tutto vivente e che porta la vita dappertutto. La formazione del corpo umano sembra abbastanza semplice; la natura prepara il tessuto cellulare, è il passaggio dalla pianta alla vita. La fibra fa il tessuto cellulare: il tessuto cellulare, a seconda della sua varietà, fa delle membrane, dei vasi o delle guaine; le membrane fanno dei visceri. Dal tessuto cellulare il periostio; dal periostio le ossa, le quali non sono altro che delle reti membranose e del glutine che si fissa tra queste reti. Quello che alcuni spiegano con le fibre, altri lo spiegano con i nervi. Capitolo I
Fibra In fisiologia la fibra è ciò che la linea è in matematica. La fibra è molle, elastica, poltacea, lunga senza quasi larghezza, o larga senza quasi estensione; essa fa un tutt’uno. È esangue e non incavata; se fosse incavata, legandola si formerebbe un tumore, il che non accade. Tra i suoi elementi gli uni sono solidi, gli altri fluidi: ma i primi sono talmente uniti ai secondi che li si separa soltanto col fuoco o con una lunga putrefazione. L’elemento solido è una terra calcarea che fa effervescenza con gli acidi e si tramuta, a fuoco forte, in vetro bianco. Questa terra si mette in molecole. Separata dai suoi legami solidi, è friabile, non si dissolve nell’acqua; essa si mostra o con il fuoco veemente, o con una lunga esposizione all’aria. In questa terra ci sono alcune parti di ferro attirabili dalla calamita. Il glutine, ossia l’elemento fluido della fibra, contiene dell’acqua, del sale marino, dell’aria e dell’olio, ma combinati e tali da formare, con la combinazione, un tutto, che non è né acqua, né terra, né olio e nulla di ciò che si è dissipato nell’analisi. Il glutine è la causa dell’adesione; è l’olio che lo ammorbidisce; è l’aria che lo rende elastico; esso varia secondo le età e i temperamenti: si vede nelle mummie che le ossa conservano il loro glutine passati oltre duemila anni. Tutti i solidi del corpo umano sono fatti di fibre più o meno pressate, (accade lo stesso della pianta), senza eccettuarne il cervello, né il cervelletto, né il midollo spinale; le fibre sono percepibili nelle ossa, nei tendini e nei muscoli. Si distinguono le fibre biancastre, disseminate nella sostanza del cervello; origine della fibra nervosa.
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opere filosofiche
La fibre simple, la fibrille, la fibre musculeuse
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La fibre simple est un faisceau de fibrilles mille fois plus déliées que le cheveu le plus fin. Un faisceau de fibres simples formant un canal creux, s’appelle fibrille, ou fibre organique. Un faisceau de fibres organiques forme la fibre musculaire : les fibres musculaires éléments du nerf, les nerfs éléments du muscle etc. etc. Les plus petites, musculaires, ne différent en rien des plus grosses. La chair ne diffère pas de la fibre musculaire. La fibre est invisible dans les très petits animaux microscopiques. Division sans fin de la fibre en fibrilles, de là sa force en long. La membrane comme la fibre ne peut être effilée, de là aussi sa force. Les fils de soie tendus sur deux ensouples soutiennent un poids énorme, quoique chacun en particulier soit presque sans consistance. Si un fil tendu résiste comme 1 : la résistance de deux fils sera beaucoup plus grande que 2. La fibre est sensible, les cheveux ne le sont pas : elle est irritable, quand elle est devenue musculeuse. | Elle est contractile même dans l’animal mort. Si le gluten, qu’on suppose unir les molécules de la fibre, est sensible, la fibre est un tout sensible, continu, mais s’il ne l’est pas, la fibre se réduit à un fil composé de molécules sensibles, séparées par autant de molécules inertes interposées ; ce n’est plus un tout sensible. J’estime que la fibre est plus vraisemblablement de la chair ajoutée à de la chair, formant un tout continu, à peu près homogène, vivant. Je la regarde comme un animal, un ver. C’est cet être que l’animal qu’elle compose nourrit. C’est le principe de toute la machine. Sa formation n’est que la formation d’un ver. Tous les éléments que l’on trouve par l’analyse dans la fibre, forment la chair ; cette espèce de chair ainsi ordonnée forme la fibre ; et la fibre est organisée [comme] fibre en conséquence ; comme l’arbre de Diane est arbre de Diane. Voulez-vous reconnaître la similitude de la fibre musculaire avec le ver ? Tiraillezla et vous remarquerez le tortillement, le renflement et le serpentement. Les médecins ont observé que la fibre avait une action et un mouvement d’une de ses extrémités à l’autre et de celle-ci à celle-là ; ou du dedans en dehors et du dehors en dedans : fondement de la théorie de la laxité et du resserrement. | La contraction de la fibre produit des rides et par conséquent un raccourcissement sur elle-même. Ce raccourcissement a lieu dans le cadavre. La fibre est la matière du faisceau qu’on appelle organe ; elle est la matière du tissu cellulaire qui lie et enveloppe l’organe. Qu’est-ce que la crampe ? Imaginez un faisceau de fibres sensibles et vivantes : les unes arrêtées et appliquées aux autres par deux nœuds formés à l’extrémité du faisceau. Supposez qu’une portion de ces fibres entre en contraction violente, tandis que l’autre demeure en repos, et vous aurez l’idée de ce que j’appelle crampe. Quelle est la cause de la contraction d’une partie de ce faisceau ? Peut-être l’exercice seul de la sensibilité, peut-être toutes les causes qui font tortiller le ver, qui le font serpenter, rentrer en lui-même ; le ver et la fibre diffèrent peu. |
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chap. ii.
Tissu cellulaire [...] — chap. iii. Membranes [...] — chap. iv. Graisse [...] |
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elementi di fisiologia, seconda parte, i-iv
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La fibra semplice, la fibrilla, la fibra muscolosa La fibra semplice è un fascio di fibrille mille volte più delicate del capello più fine. Un fascio di fibre semplici che forma un canale concavo, si chiama fibrilla, o fibra organica. Un fascio di fibre organiche forma la fibra muscolare: le fibre muscolari elementi del nervo, i nervi elementi del muscolo ecc. ecc. Le fibre più piccole, muscolari, non differiscono in nulla dalle più grandi. La carne non differisce dalla fibra muscolare. La fibra è invisibile nei piccolissimi animali microscopici. Divisione senza fine della fibra in fibrille, da ciò la sua forza in lunghezza. La membrana, come la fibra, non può essere sfilacciata, da ciò anche la sua forza. I fili di seta tesi sui due loro carrelli sostengono un peso enorme, benché ciascuno in particolare sia quasi senza consistenza. Se un filo teso resiste alla quantità 1: la resistenza di due fili sarà molto più grande di 2. La fibra è sensibile, i capelli non lo sono: è irritabile, quando è diventata muscolosa. Essa è contrattile persino nell’animale morto. Se il glutine, che si suppone unisca le molecole della fibra, è sensibile, la fibra è un tutto sensibile, continuo, ma se non lo è, la fibra si riduce a un filo composito di molecole sensibili, separate da altrettante molecole inerti interposte; non è più un tutto sensibile. Io ritengo che la fibra è, più verosimilmente, della carne aggiunta a della carne, a formare un tutto continuo, all’incirca omogeneo, vivente. La considero come un animale, un verme. L’animale che essa compone nutre questo essere. È il principio di tutta la macchina. La sua formazione non è altro che la formazione di un verme. Tutti gli elementi che si riscontrano nell’analisi della fibra, formano la carne; questa specie di carne, così ordinata, forma la fibra; e la fibra è organizzata di conseguenza come fibra; come l’albero di Diana è albero di Diana.156 Volete riconoscere la somiglianza della fibra muscolare con il verme? Stiratela e noterete l’attorcigliamento, il rigonfiamento e il serpeggiamento. I medici hanno osservato che la fibra aveva un’azione e un movimento da una delle sue estremità all’altra e da questa a quella; ovvero dal dentro al fuori e dal fuori al dentro: fondamento della teoria della rilassatezza e del restringimento. La contrazione della fibra produce delle rughe e di conseguenza un accorciamento su se stessa. Quest’accorciamento ha luogo nel cadavere. La fibra è la materia del fascio che si chiama organo; è la materia del tessuto cellulare, che lega e avvolge l’organo. Che cos’è il crampo? Immaginate un fascio di fibre sensibili e viventi: le une fermate e applicate alle altre con due nodi formati all’estremità del fascio. Supponete che una porzione di queste fibre entri in contrazione violenta, mentre l’altra rimane in riposo, e avrete l’idea di ciò che io chiamo crampo. Qual è la causa della contrazione di una parte di questo fascio? Forse il solo esercizio della sensibilità, forse tutte le cause che fanno attorcigliare il verme, che lo fanno serpeggiare, rientrare in se stesso; il verme e la fibra differiscono poco tra loro. Capitolo II. Tessuto cellulare — Capitolo III. Membrane — Capitolo IV. Grasso.
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opere filosofiche
Chap. V
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Cerveau
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Par le cerveau on entend la masse molle, d’où naissent et se répandent les nerfs ou cordes sentantes et qui est contenue dans la tête des animaux ; ainsi le principe de la force animale est dans une pulpe molle. On distingue dans le cerveau deux lobes, quelquefois davantage : au lieu de lobes ce sont quelquefois des tuberculles. On y distingue aussi une partie médullaire et une partie corticale, espèce de bouillie mêlée de rouge, de cendré, de jaune. Celle-ci se durcit par l’âge au point de pouvoir être coupée. La partie médullaire est plus dense que la corticale. C’est une pulpe uniforme homogène. | A la base du cerveau, faisceaux médullaires, origine des nerfs, filtre d’une sève. Le cervelet est la partie postérieure et inférieure du cerveau, la plus voisine de la moelle allongée. Il est séparé par une cloison membraneuse : sa grandeur relative au cerveau est très petite dans l’homme. Le cervelet a ses deux lobes. La pie-mère, arachnoïde, ainsi dite de sa ténuité et qu’on appelle aussi méninge, enveloppe le cerveau, le cervelet, la moelle allongée et les nerfs. C’est une membrane non irritable. La dure-mère membrane très forte, lame externe et interne : la lame externe sort du crâne avec les nerfs et les vaisseaux par tous les trous de la base du crâne et s’unit au périoste de la tête, des vertèbres et de tout le corps : la lame interne suit la lame externe, mais s’en sépare quelquefois : la pie-mère et la dure-mère sont comme les épiderme et peau de la fibre nerveuse-animale. Le corps calleux est un arc médullaire qui joint l’hémisphère droit avec le gauche. La moelle allongée n’est que la moelle du cerveau et du cervelet qui sort du crâne : petits paquets, nerfs ; gros paquets, moelle épinière : ces petits paquets ou trousseaux médullaires très mous à leur origine, composés | de filets distincts, droits et parallèles, sont unis en un trousseau plus solide par la pie-mère. La moelle du cerveau est également fibreuse ou faite de filets parallèles. Elle engendre la fibre nerveuse. Celle-ci est solide et arrosée d’une vapeur qui s’exhale dans le tissu cellulaire dont chaque fibre nerveuse est environnée. On entend par le sensorium commune etc. Il faut très peu de cervelle pour le former. La preuve c’est qu’une portion de cette substance détruite ou blessée quelle qu’elle soit, les fonctions des nerfs et de l’entendement ne s’en font pas moins. Plus les animaux sont jeunes, plus grand est le cerveau. L’éléphant a le cerveau petit ; la souris l’a très grand, ainsi que les oiseaux ; les animaux microscopiques, les polypes d’eau douce, les orties de mer manquent de cerveau. Les poissons ont peu de cervelle : les bêtes féroces peu ; très peu dans le castor et l’éléphant, les plus ingénieux des animaux. Il n’est pas vrai qu’entre tous les animaux ce soit l’homme qui ait le plus de cerveau. | La vie peut être sans cerveau, soit que la nature l’ait refusé ou qu’on l’ait perdu par accident ou par maladie : on a vu des fœtus vivants sans tête. Le mouvement se fait par la moelle allongée, dans ceux en qui il n’y a plus de tête, à qui on l’a coupée.
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elementi di fisiologia, seconda parte, v
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Capitolo V
Cervello Con il cervello s’intende la massa molle donde nascono e si diffondono i nervi o corde senzienti e che è contenuta nella testa degli animali; così il principio della forza animale sta in una polpa molle. Si distinguono, nel cervello, due lobi, talvolta di più: invece dei lobi sono talvolta dei tubercoli.157 Vi si distingue anche una parte midollare e una parte corticale, una specie di poltiglia mescolata di rosso, di cinereo, di giallo. Questa s’indurisce con l’età al punto di poter essere tagliata. La parte midollare è più densa della corticale. È una polpa uniforme omogenea.158 Alla base del cervello, fasci midollari, origine dei nervi, filtro di una linfa. Il cervelletto è la parte posteriore e inferiore del cervello, la più vicina al midollo allungato. È separato da una parete membranosa: la sua grandezza relativa rispetto al cervello è molto piccola nell’uomo. Il cervelletto ha i suoi due lobi. La pia madre, aracnoide, cosiddetta per la sua sottigliezza e che viene chiamata anche meninge, avvolge il cervello, il cervelletto, il midollo allungato, e i nervi. È una membrana non irritabile. La dura madre, membrana molto forte, lama esterna e interna: la lama esterna esce dal cranio con i nervi e i vasi da tutti i fori della base del cranio e si unisce al periostio della testa, delle vertebre e di tutto il corpo: la lama interna segue la lama esterna, ma talvolta se ne separa: la pia madre e la dura madre sono come l’epidermide e la pelle della fibra nervosa animale. Il corpo calloso è un arco midollare che unisce l’emisfero destro con il sinistro. Il midollo allungato non è altro che il midollo del cervello e del cervelletto che esce dal cranio: piccoli pacchetti, nervi; grossi pacchetti, midollo spinale: questi piccoli pacchetti o sacche midollari, molto molli alla loro origine, composti di filetti distinti, diritti e paralleli, sono uniti in una sacca più solida dalla pia madre. Il midollo del cervello è ugualmente fibroso, ossia fatto di filetti paralleli. Esso genera la fibra nervosa. Questa è solida e irrigata da un vapore che si diffonde nel tessuto cellulare da cui ciascuna fibra nervosa è circondata. S’intende con il sensorium commune ecc.159 Occorre assai poca sostanza cerebrale per formarlo. Prova ne è che una porzione di questa sostanza una volta distrutta o ferita, quale che sia, le funzioni dei nervi e dell’intelletto non per questo si compiono di meno.160 Più gli animali sono giovani, più grande è il cervello. L’elefante ha il cervello piccolo; il topo lo ha molto grande, così come gli uccelli. Gli animali microscopici, i polipi d’acqua dolce, le ortiche di mare mancano di cervello. I pesci hanno poco cervello: le bestie feroci poco; assai poco nel castoro e l’elefante, i più ingegnosi degli animali. Non è vero che tra tutti gli animali sia l’uomo che abbia più cervello.161 La vita può essere senza cervello, sia che la natura l’abbia rifiutato o che lo si sia perduto, per incidente o per malattia: si sono visti dei feti viventi senza testa. Il movimento si fa attraverso il midollo allungato, in coloro che non hanno più la testa, ai quali è stata tagliata.
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opere filosofiche
On enlève le cerveau à la tortue sans autre inconvénient que la cécité. Elle l’a très petit. Point d’yeux sans cerveau et point de cerveau sans yeux. Le cerveau de la torpille est le seul électrique. Le cerveau de l’homme est elliptique, le grand côté de l’ellipse est par derrière. Le mouvement du cerveau est de bas en haut et de haut en bas. Dans Zoroastre il repoussait la main. | Son repos demande que dans l’homme ce soit la mâchoire inférieure qui se meuve.A Dans le lézard c’est spécialement celle d’en haut. Le cerveau est artériel, il est arrosé de vaisseaux sanguins qui y déposent, en se perdant dans sa substance, une lymphe. Rien de si divers, de si composé que le cerveau ; pas moins de diversité dans cet organe que dans les physionomies. La variété remarquable dans la situation des plus petites particules qui forment la structure du cerveau dans différents individus n’a pas été suffisamment remarquée par les physiologues. De là l’ignorance de l’usage de cet organe. Par la dissection de 44 cerveaux Vincent Malacarne professeur en chirurgie à Acqui, a vu une différence sensible dans les lobes, dans leur union, leur quantité, leur ordre, l’étendue des lames qui les constituent, leurs rameaux médullaires et dans la distribution de ces derniers, tant relativement à eux qu’aux lobes qu’elles composent. Certains rameaux qui dans un cerveau font partie d’un lobe, manquent dans d’autres, ou sont communs aux deux lobes, ou touchent à peine un lobe opposé. Les sillons du cerveau varient d’un sujet à un autre, en étendue et en profondeur. La | structure des lobes varie relativement à chaque hémisphère du cerveau. Transposition dans leurs parties : variété dans la situation des parties placées au côté le plus bas : parties plus compliquées que d’autres : dans l’arrangement des lames qui les composent, rien de fixe et de déterminé. Le professeur Meckel attribue, sur des expériences réitérées, le dérangement de la raison à la pesanteur spécifique du cerveau. Il résulte de ses observations que la substance médullaire de l’homme mort en bon sens est plus pesante que celle des animaux et celle des animaux plus pesante que celle des fous. Le cerveau n’est qu’un organe sécrétoire. L’état des fibrilles blanches répandues dans sa substance, celui du sensorium commune, de la fibre nerveuse, de la fibrille et de la fibre organique, varie selon la qualité de la sécrétion. Cette sécrétion est rare ou épaisse, pure ou impure, pauvre ou riche ; et de là la prodigieuse diversité des esprits et des caractères. Homme privé d’une partie du crâne, la moindre compression lui faisait voir mille étincelles : plus forte, sa vue s’obscurcissait ; plus forte encore et de toute la main, il s’assoupissait et ronflait ; plus forte encore, il était comme apoplectique ; la main levée et la pression cessante, bientôt il se réveillait et usait de tous ses sens. | Les méninges sont toujours affectées dans la folie, l’apoplexie, le délire, l’ivresse. Le comédien Gallus Vibius devint fou en cherchant à imiter les mouvements de la folie (Senec. Liv. 2d. Contro. 9). Cerveau, cervelet, moelle allongée, moelle épinière sont insensibles. Cependant leur lésion, leur compression est suivie du délire, de la mort. A Vezale a vu un homme qui jetait derrière lui un palum ferreum de 25 livres, qu’il tenait avec les dents, à la distance de 39 pieds.
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elementi di fisiologia, seconda parte, v
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Si toglie il cervello alla tartaruga senz’altro inconveniente se non la cecità. Essa lo ha molto piccolo. Niente occhi senza cervello e niente cervello senza occhi. Il cervello della torpedine è il solo cervello elettrico. Il cervello dell’uomo è ellittico, il grande lato dell’ellissi è la parte posteriore. Il movimento del cervello è dal basso in alto e dall’alto in basso. In Zoroastro esso respingeva la mano.162 La sua quiete richiede che nell’uomo sia la mascella inferiore a muoversi.A Nella lucertola è specialmente quella superiore. Il cervello è arterioso, è irrigato di vasi sanguigni che vi si depositano, perdendosi nella sua sostanza, una linfa. Niente di così diverso, di così composito quanto il cervello; non c’è minore diversità in quest’organo che nelle fisionomie. La notevole varietà della situazione delle più piccole parti che formano la struttura del cervello in diversi individui non è stata sufficientemente notata dai fisiologi. Da ciò l’ignoranza dell’uso di quest’organo.164 Attraverso la dissezione di 44 cervelli Vincenzo Malacarne165 professore di chirurgia ad Acqui, ha visto una sensibile differenza nei lobi, nella loro unione, la loro quantità, il loro ordine, l’estensione delle lame che li costituiscono, i loro rami midollari e nella distribuzione di questi ultimi, tanto relativamente a essi quanto ai lobi che le lame compongono. Certi rami che in un cervello fanno parte di un lobo, mancano in altri, o sono comuni ai due lobi, o toccano appena un lobo opposto. I solchi del cervello variano da un soggetto all’altro, in estensione e in profondità. La struttura dei lobi varia relativamente a ciascun emisfero del cervello. Trasposizione nelle loro parti: varietà nella situazione delle parti sistemate dal lato più basso: parti più complicate di altre: nella disposizione delle lame che le compongono, niente di fisso e di determinato. Il professor Meckel,166 sulla base di esperienze reiterate, attribuisce il disturbo della ragione alla pesantezza specifica del cervello. Dalle sue osservazioni risulta che la sostanza midollare dell’uomo morto nella condizione di buon senso è più pesante di quella degli animali, e quella degli animali è più pesante di quella dei pazzi. Il cervello non è altro che un organo di secrezione.167 Lo stato delle fibrille bianche diffuse nella sua sostanza, quello del sensorium commune, della fibra nervosa, della fibrilla e della fibra organica, varia secondo la qualità della secrezione. Questa secrezione è rara o spessa, pura o impura, povera o ricca; e da ciò la prodigiosa diversità degli spiriti e dei caratteri. Uomo privato di una parte del cranio, la minima compressione gli faceva vedere mille scintille: più forte, la sua vista s’oscurava; ancora più forte e con tutta la mano, s’assopiva e russava; più forte ancora, era come apoplettico; una volta tolta la mano e cessata la pressione, subito si risvegliava e faceva uso di tutti i suoi sensi. Le meningi sono sempre colpite nella follia, l’apoplessia, il delirio, l’ebbrezza. L’attore Gallo Vibio divenne pazzo cercando di imitare i movimenti della follia (Seneca, Libro 2, Controversie 9).168 Cervello, cervelletto, midollo allungato, midollo spinale sono insensibili. Tuttavia la loro lesione, la loro compressione è seguita dal delirio, dalla morte. A Vesalio163 ha visto un uomo che lanciava dietro di sé un palo di ferro di 25 libbre, che teneva con i denti, e alla distanza di 39 piedi.
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opere filosofiche
Moelle du cerveau tiraillée, convulsion générale. Moelle épinière tiraillée, convulsion générale. Moelle épinière blessée, mort. La pression des petites fibrilles blanches répandues dans la substance du cerveau amène la cessation de tous mouvements, l’anéantissement, l’état de mort. On n’aperçoit pas toujours dans le cadavre la lésion du cerveau. La piqûre lente d’une aiguille qu’on enfonce dans les chairs est plus douloureuse qu’un coup de pistolet entre les deux yeux. La balle fracasse le crâne, déchire les méninges, traverse la substance du cerveau, il est vrai : mais ce trajet se fait en un clin d’œil. L’éclair et la mort se touchent. Dans le rachitisme, cette maladie forme des espèces de ligatures et gêne la circulation de tous côtés. S’il y a des vaisseaux qui doivent se ressentir de cette contrainte, ce sont ceux du cerveau, substance molle, qui ne résiste point. Les sutures de la boîte osseuse faibles encore, cèdent facilement à la dilatation de la substance molle, elles seraient fortes, qu’elles s’y prêteraient encore, comme on voit d’énormes pierres donner issue à une racine qu’on peut écraser avec le doigt. Il en est alors du cerveau et du cervelet, ou de cette pulpe animale comme de la pulpe des fruits qui s’étend | outre mesure par la suppression ou la torsion de quelques branches. Dans les rachitiques les viscères sont contournés par la nature, comme les branches de l’arbre par la main du jardinier. (Voyez Entendement, 3e partie). Chap. VI
Nerfs
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Substance médullaire contenue dans le crâne et la cavité des vertèbres, fibres non séparées par aucune enveloppe. Nerfs, proprement continuation de la même substance, mais fibreuse, mais par fibres, séparée par une enveloppe qui dérive de la pie-mère. Extrémités sentantes, substance médullaire sans enveloppe, et exposée par leur situation à l’action des corps extérieurs : ainsi la rétine dans l’œil. Donc tout le système nerveux consiste dans la substance médullaire du cerveau, du cervelet, de la moelle allongée et dans les prolongements de cette même substance, distribuée à différentes parties du corps. C’est une écrevisse dont les nerfs sont les pattes et qui est diversement affectée selon les pattes. Ces pattes sont diversement organisées, de là leurs fonctions différentes. Extrémités motrices et contractiles. Le système nerveux partage l’animal en deux parties, de la tête aux pieds : preuve tirée de l’hémiplégie. Les nerfs les plus considérables sont composés de plus petits parallèlement unis sans se mêler ; ceux-ci de plus petits encore, sans qu’il y ait de terme connu à l’exilité de la fibre nerveuse. | Tous médullaires à leur origine, mais fortifiés quand ils sont à découvert. Olfactif et auditif, mous et sans couverture membraneuse sur toute leur longueur. A mesure que les nerfs reçoivent plus de sensibilité, ils sont dépouillés des enveloppes qu’ils reçoivent de la dure-mère, ils sont même quelquefois privés de la lame extérieure de la pie-mère : alors ils s’épanouissent, ils forment des mamelons et des houppes. Le velouté de l’odorat est plus fin et plus sensible, que celui du goût ; le velouté de l’œil plus fin et plus sensible que celui de l’odorat.
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elementi di fisiologia, seconda parte, v-vi
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Midollo del cervello stirato, confusione generale. Midollo spinale tirato, confusione generale. Midollo spinale ferito, morte. La pressione delle piccole fibrille bianche diffuse nella sostanza del cervello porta alla cessazione di ogni movimento, l’annientamento, lo stato di morte. Non sempre si scorge, nel cadavere, la lesione del cervello. La puntura lenta di un ago che affonda nelle carni è più dolorosa di un colpo di pistola tra gli occhi. La palla fracassa il cranio, vi lacera le meningi, attraversa la sostanza del cervello, è vero: ma questo tragitto si fa in un batter d’occhio. Il lampo e la morte si toccano. Nel rachitismo, questa malattia forma delle specie di legature e impedisce la circolazione da tutti i lati. Se ci sono dei vasi che devono risentire di questa costrizione, sono proprio quelli del cervello, sostanza molle che non resiste affatto. Le suture della scatola cranica, ancora deboli, cedono facilmente alla dilatazione della sostanza molle, se fossero forti, si presterebbero ancora, come si vedono enormi pietre lasciar uscire una radice che si può schiacciare con il dito. Allora accade del cervello e del cervelletto, ovvero di questa polpa animale, come della polpa dei frutti che si espande oltre misura, a causa della soppressione o della torsione di qualche ramo. Nei rachitici le viscere sono aggirate dalla natura, come i rami dell’albero dalla mano del giardiniere (vedi Intelletto, 3a parte). Capitolo VI
Nervi Sostanza midollare contenuta nel cranio e nella cavità delle vertebre, fibre non separate da alcuna guaina. Nervi, propriamente la continuazione della stessa sostanza, ma fibrosa, divisa in fibre, separata da una guaina che deriva dalla pia madre. Estremità senzienti, sostanza midollare senza guaina, ed esposta per la loro posizione all’azione dei corpi esterni: così la retina nell’occhio. Dunque tutto il sistema nervoso consiste nella sostanza midollare del cervello, del cervelletto, del midollo allungato e nei prolungamenti di questa stessa sostanza, distribuita a diverse parti del corpo. È come un gambero, i cui nervi sono le zampe e che è diversamente affetto a seconda delle zampe. Queste zampe sono diversamente organizzate, da ciò le loro diverse funzioni. Estremità motrici e contrattili. Il sistema nervoso divide l’animale in due parti, dalla testa ai piedi: prova tratta dall’emiplegia. I nervi più notevoli sono composti di nervi più piccoli, uniti parallelamente senza mescolarsi; questi ultimi, di nervi ancora più piccoli, senza che vi sia un termine noto alla sottigliezza della fibra nervosa. Tutti midollari alla loro origine, ma rafforzati quando sono allo scoperto. Olfattivo e uditivo, morbido e senza copertura membranosa, su tutta la loro lunghezza. Man mano che i nervi ricevono più sensibilità, sono spogliati delle guaine che ricevono dalla dura madre, sono persino talvolta privi della lama esterna della pia madre: allora si espandono, formano dei capezzoli e delle papille. Il velluto dell’odorato è più fine e più sensibile di quello del gusto; il velluto dell’occhio più fine e più sensibile di quello dell’odorato.
Diderot.indb 1137
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Il y a dans le nerf toile musculeuse, tissu cellulaire, graisse, artères, veines, vaisseaux lymphatiques, tendons. Les nerfs sont toujours dans un état d’éréthisme, mais ils ne sont pas irritables ; piquez-les, les muscles s’agiteront et le nerf restera immobile sous le scalpel. Ils sont les organes du mouvement, les serviteurs du cerveau ; le mouvement va du tronc aux rameaux et quelquefois des rameaux au tronc : coupez un nerf, le mouvement cesse à la partie inférieure, reste à la partie supérieure. Ils sont aussi les principes du sentiment et de l’action. Action, sentiment détruits ou suspendus par l’impression la plus légère qui se fasse à leur extrémité, par une molécule d’opium : d’où naît la distinction de deux maladies nerveuses ; les unes, qui portent le désordre à l’origine ; les autres où le désordre de l’origine descend aux brins. S’il y a force et vigueur à l’origine et faiblesse et délicatesse aux brins, | ceux-ci seront sans cesse secoués ; s’il y a force et vigueur aux brins et faiblesse et délicatesse à l’origine, autre sorte d’agitation : deux manières dont l’harmonie générale peut être troublée. Toutes les parties du corps communiquent entre elles et avec le cerveau par les nerfs. Les nerfs forment, avec le cerveau, un tout semblable au bulbe et à ses racines filamenteuses. Il n’y a peut-être pas un point de l’animal qui ne soit atteint de quelquesuns de ces filets. Une goutte de liqueur spiritueuse sur les houppes nerveuses qui tapissent l’estomac, ranime toute la machine défaillante : un mouvement d’admiration ou d’horreur fait frissonner toutes les extrémités et produit l’horripilation, sensation qui se répand à tous les points de la peau jusqu’à la racine des cheveux. Dans l’action et la réaction du cervelet et de ses fils l’origine peut commander à ses expansions jusqu’à un certain point. On tient un membre immobile malgré la douleur. Les nerfs sont les esclaves du cerveau, souvent ses ministres ; quelque fois aussi ils en sont les despotes (matrice, passions violentes etc.). Tout va bien quand le cerveau commande aux nerfs, tout va mal quand les nerfs révoltés commandent au cerveau. Par un long défaut d’exercice le cerveau perd son autorité sur les organes qui lui sont soumis. Ils se sont émancipés, ils refusent d’obéir. Celui qui a été longtemps privé de la vue, ne saurait plus commander à ses paupières, ni même à ses yeux ; il continue d’agir en aveugle lorsqu’il cesse de | l’être. L’oculiste Daviel était obligé de frapper un aveugle, à qui il avait rendu la vue, pour l’avertir et l’obliger à regarder. Les fibres génératrices du nerf viennent de toutes les parties du cerveau : de là il conserve encore sa fonction, même après la destruction d’une partie du cerveau : de là, animal. Liez un nerf : la ligature intercepte la liaison entre l’origine du faisceau et la partie qui est au-dessous de la ligature ; cette partie reste paralysée ; piquez-la, elle se contracte et se meut comme un animal. La matière électrique n’est pas retenue par les nerfs, puisqu’on la communique ; elle pénètre tout l’animal et distribue sa puissance aussi bien aux chairs qu’aux graisses et aux nerfs. Trois choses à considérer dans le nerf : son tronc moelleux ; la lymphe subtile séparée de la partie moelleuse ; ses enveloppes, expansion des méninges, seule partie sensible, car la substance du cerveau ne l’est pas. La force nerveuse dépend de la multitude des fibrilles nerveuses.
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Nei nervi c’è tela muscolare, tessuto cellulare, grasso, arterie, vene, vasi linfatici, tendini. I nervi sono sempre in uno stato di eretismo, ma non sono irritabili; pungeteli, i muscoli si agiteranno e il nervo resterà immobile sotto il bisturi. Essi sono gli organi del movimento, i servitori del cervello; il movimento va dal tronco ai rami e talvolta dai rami al tronco: tagliate un nervo, il movimento cessa alla parte inferiore, resta alla parte superiore. Essi sono anche i principi del sentimento e dell’azione. Azione, sentimento, distrutti o sospesi dalla più leggera impressione che si faccia alla loro estremità, con una molecola di oppio: donde nasce la distinzione di due malattie nervose; le une, che portano il disordine all’origine; le altre in cui il disordine dell’origine scende fino ai ramoscelli.169 Se c’è forza e vigore all’origine e debolezza e delicatezza ai ramoscelli, questi ultimi saranno scossi senza posa; se c’è forza e vigore ai ramoscelli e debolezza e delicatezza all’origine, altra specie di agitazione: due maniere con le quali può essere turbata l’armonia generale. Tutte le parti del corpo comunicano tra loro e con il cervello attraverso i nervi. I nervi formano, con il cervello, un tutto simile al bulbo e alle sue radici filamentose. Non c’è forse neanche un punto dell’animale che non sia raggiunto da qualcuno di questi filetti. Una goccia di liquore alcolico sulle papille nervose che tappezzano lo stomaco, rianima tutta la macchina vacillante: un moto di ammirazione o di orrore fa fremere tutte le estremità e produce l’orripilazione, sensazione che si diffonde a tutti i punti della pelle, fino alla radice dei capelli. Nell’azione e nella reazione del cervelletto e dei suoi fili l’origine può comandare alle sue espansioni fino a un certo punto. Si tiene un membro immobile malgrado il dolore.170 I nervi sono gli schiavi del cervello, spesso i suoi ministri; qualche volta ne sono persino i despoti (matrice, passioni violente ecc.). Tutto va bene quando il cervello comanda ai nervi, tutto va male quando i nervi in rivolta comandano al cervello. Per un lungo difetto di esercizio il cervello perde la propria autorità sugli organi che gli sono sottomessi. Essi si sono emancipati, rifiutano di obbedire. Colui che è stato a lungo privo della vista, non saprebbe più comandare alle sue palpebre, neanche ai propri occhi; continua ad agire da cieco quando cessa di esserlo. L’oculista Daviel171 era obbligato a colpire un cieco al quale aveva restituito la vista, per avvertirlo e obbligarlo a guardare. Le fibre generatrici del nervo vengono da tutte le parti del cervello: da ciò esso conserva ancora la sua funzione persino dopo la distruzione di una parte del cervello: da ciò, animale. Legate un nervo: la legatura intercetta il collegamento tra l’origine del fascio e la parte che è al di sotto della legatura; questa parte resta paralizzata; pungetela, essa si contrae e si muove come un animale. La materia elettrica non è trattenuta dai nervi, poiché essa si comunica; penetra tutto animale e distribuisce la sua potenza, tanto alle sostanze carnose, quanto ai grassi e ai nervi. Tre cose da considerare nel nervo: il suo tronco morbido; la linfa sottile, separata dalla parte molle; le sue guaine, espansione delle meningi, sola parte sensibile, perché la sostanza del cervello non lo è. La forza nevosa dipende dalla moltitudine delle fibrille nervose.
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Quand les fibres dont les fibrilles sont composées seraient très faibles, cela n’empêcherait point que le nerf n’eût une très grande résistance. Raison de la force contractile du nerf : les fils de la soie, les fils de l’araignée, les fibres renflées du bois blanc, les fibres ligneuses des plantes quoique molles. Quelque durs que soient les nerfs, ils s’amollissent dans les viscères, dans | les muscles, dans les organes des sens avant que d’avoir à s’acquitter de leurs fonctions. Sans l’intervention des nerfs, nulle sensation. Les images des choses vues se font dans l’œil et sont aperçues du cerveau. Les intervalles des sons se réveillent dans l’oreille et sont saisis par le cerveau etc. etc. (voyez la 3e partie, Sensations). L’action des nerfs porte au cerveau des désirs singuliers, les fantaisies les plus bizarres, des affections, des frayeurs : Il me semble que j’entends crier ma femme : on attaque ma fille, elle m’appelle à son secours ; je vois les murs s’ébranler autour de moi : le plafond est prêt à tomber sur ma tête ; je me sens pusillanime, je me tâte le pouls, j’y découvre un petit mouvement fébrile : la cause de ma frayeur connue, elle cesse. S’il y avait anastomose entre les nerfs, il n’y aurait plus de règle dans le cerveau, l’animal serait fou. Leur atonie, cause de stupidité ; leur éréthisme augmenté cause de folie. C’est entre ces deux extrêmes que sont renfermées toutes les diversités des esprits et des caractères. Piquez, irritez, comprimez le cerveau il s’ensuivra ou la convulsion ou la paralysie des nerfs et des muscles. Piquez, irritez, comprimez les nerfs et les muscles et vous transférerez la paralysie ou la convulsion au cerveau. L’action du cerveau sur les nerfs est infiniment plus forte que la réaction des nerfs sur le cerveau : l’inflammation la plus légère au cerveau | produit le délire, la folie, l’apoplexie : une grande inflammation à l’estomac n’a pas le même effet. La torpeur est l’effet de la tension subite et uniforme de tout le système nerveux : peu à peu cette tension se relâche et la fin de la relaxation est suivie d’un tremblement à tous les membres. Quelquefois l’étonnement extrême commence et se manifeste par un tremblement semblable : ce qui peut également provenir ou de ce que la tension du système n’est pas assez forte et laisse aux fibres un mouvement d’oscillation, ou de ce qu’elle est portée au delà de la torpeur et que tout semble toucher au point de rupture. Les nerfs après une secousse violente conservent une trépidation violente, qui dure quelquefois très longtemps : cela est démontré par le tremblement universel, qui n’est qu’une succession rapide de petites contractions et de petits relâchements. Rien qui ressemble davantage aux ondulations de la corde vibrante : rien qui prouve mieux la durée de la sensation et qui conduise plus directement au phénomène de la comparaison de deux idées dans l’opération de l’entendement, qu’on appelle jugement (voyez la 3e partie). | Chap. VII
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Fluide nerveux Le cerveau est le filtre et le cervelet le réservoir du fluide nerveux. Ce fluide est, diton, le principe de la force du nerf ; il parcourt 900 pieds en une minute ; sa perte jette dans l’accablement, qu’est-ce que ce fluide ? Un fluide universel, inaliénable, également propre à tout, sert a peu de chose, surtout s’il est si ténu que toute matière en soit perméable avec la plus grande facilité. Ce qu’il produit d’effets sensibles ne peut naître que de sa combinaison.
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Quando le fibre di cui fibrille sono composte fossero molto deboli, ciò non impedirebbe affatto al nervo di avere una grandissima resistenza. Ragione della forza contrattile del nervo: i fili della seta, i fili del ragno, le fibre gonfiate del legno bianco, le fibre legnose delle piante benché molli. Per quanto duri siano i nervi, s’ammorbidiscono nelle viscere, nei muscoli, negli organi di senso, prima di aver svolto le loro funzioni. Senza l’intervento dei nervi, nessuna sensazione. Le immagini delle cose viste si fanno nell’occhio e sono percepite dal cervello. Gli intervalli dei suoni si risvegliano nell’orecchio e sono colti dal cervello ecc. ecc. (vedi la 3a parte, Sensazioni). L’azione dei nervi porta al cervello dei desideri singolari, le fantasie più bizzarre, delle affezioni, degli spaventi: mi sembra di sentir gridare mia moglie: mia figlia viene attaccata, è là che mi chiama in suo aiuto; vedo i muri scuotersi attorno a me: il soffitto è pronto a cadermi in testa; mi sento pusillanime, mi tasto il polso, vi scopro un piccolo moto febbrile: una volta conosciuta la causa del mio spavento, essa cessa. Se vi fosse anastomosi tra i nervi, non vi sarebbe più regola nel cervello, l’animale sarebbe pazzo. La loro atonia, causa di stupidità; il loro eretismo aumentato, causa di follia. È tra questi due estremi che sono racchiuse tutte le diversità degli spiriti e dei caratteri. Pungete, irritate, comprimente il cervello, ne conseguirà o la convulsione o la paralisi dei nervi e dei muscoli. Pungete, irritate, comprimete i nervi e i muscoli e trasferirete la paralisi o la convulsione al cervello. L’azione del cervello sui nervi è infinitamente più forte della reazione dei nervi sul cervello: la più leggera infiammazione al cervello produce il delirio, la follia, l’apoplessia: una grande infiammazione allo stomaco non ha lo stesso effetto. Il torpore è l’effetto della tensione immediata e uniforme di tutto il sistema nervoso: poco a poco questa tensione si rilascia e la fine del rilasciamento è seguita da un tremito a tutte le membra. Talvolta l’estremo stupore inizia e si manifesta con un tremore simile: il che può anche provenire o dal fatto che l’attenzione del sistema non è abbastanza forte e lascia alle fibre un movimento di oscillazione, o dal fatto che essa è portata al di là del torpore e che tutto sembra toccare il punto di rottura. I nervi dopo una scossa violenta conservano una trepidazione violenta, che dura talvolta assai a lungo: questo è dimostrato dal tremito universale, il quale non è altro che una successione rapida di piccole contrazioni e di piccoli rilasciamenti. Nulla che assomigli di più alle ondulazioni della corda vibrante: nulla che provi meglio la durata della sensazione e che conduca più direttamente al fenomeno del paragone di due idee nell’operazione dell’intelletto che si chiama giudizio (vedi la 3a parte).172 Capitolo VII
Fluido nervoso Il cervello è il filtro e il cervelletto il serbatoio del fluido nervoso. Questo fluido è, si dice, il principio della forza del nervo; percorre 900 piedi in un minuto; la sua perdita getta nella prostrazione, che cos’è questo fluido?173 Un fluido universale, inalienabile, egualmente adatto a tutto, serve a ben poca cosa, soprattutto se è così tenue che ogni materia ne sia permeabile con la più grande facilità. Ciò che produce, in termini di effetti sensibili, non può nascere che dalla sua combinazione.
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Si l’action de ce fluide fait la sensation, d’où naît la variété des sensations ? Qu’y fait alors la forme de l’organe, je ne le conçois pas. Tout s’explique en considérant la fibre comme un ver et chaque organe comme un animal. Que devient ce fluide quand il surabonde ? Comment s’exhale-t-il ? Son exhalation ne peut être que de la partie la plus subtile. Celle qui reste est donc la grossière. Or comment expliquer les phénomènes avec ce résidu crasse ? S’il y avait un fluide nerveux ; ce fluide échappé, l’animal cesserai aussitôt de vivre, ce qui n’est pas. Où est le fluide nerveux dans les animaux qui n’ont ni sang, ni cerveau, ni organes de digestion ? Où est-il dans le polype d’eau douce qui n’a ni cœur ni viscères ? Toutes les liqueurs de ces animaux, répondent-ils, ne sont que lymphes nervales. Quelle preuve en a-t-on ? | Le fluide nerveux n’est pas sensible ; la lymphe nervale pas plus que le fluide nerveux, comment le devient-elle ? Le nerf est creux, flasque, non élastique : si sa force vient du fluide, d’où ce fluide tient-il sa célérité, sa terrible énergie ? Qui est-ce qui le pousse avec tant de violence dans un canal indolent ? Comment ce canal ne s’ouvre-t-il pas, ses fibres n’étant unies que pas le tissu cellulaire et graisseux ? D’ailleurs point de trous vus au microscope, point de tumeur au nerf lié. Remplissez un canal quelconque d’un fluide ; formez sur sa longueur deux ligatures ; la partie gonflée pas le fluide et comprise entre les deux ligatures restera gonflée : il n’en est pas ainsi du nerf. Piquez la partie gonflée, le fluide s’échappera et la partie piquée deviendra flasque. Il n’en est pas ainsi du nerf. Tout ce qui est au-dessous de la ligature supérieure dans le nerf devient aussitôt flasque. Ou il n’y avait point de fluide, ou ce fluide s’est échappé. Mais si ce fluide est si subtil qu’il se soit échappé, comment dans l’état libre ne s’échappe-t-il pas ? Comment peut-il produire gonflement, tension et raideur ? Pourquoi n’arrive-t-il pas à l’organe dépecé ce qui arrive dans l’hernie spinale ? Dans l’hernie spinale espèce de tumeur, il y a stupeur par deux raisons : la première par faute de suc nourricier, la seconde par défaut de fluide capable de produire le gonflement et la force telle qu’elle se produit dans la plante molle qu’on écrase facilement entre les doigts et qui sépare de grosses pierres. | Les fibres nerveuses ne sont tendues ni à leur origine, ni à leur fin : peuvent-elles être élastiques ? Je ne le pense pas. Les nerfs sont liés sur toute leur route aux parties dures par le tissu cellulaire. Un nerf coupé ne se rétrécit pas ; au contraire, lorsque les deux parties se retirent, elles s’allongent et deviennent flasques, laissant échapper sa moelle en forme de tubercule. Y a-t-il une lymphe subtile, dont la substance moelleuse des méninges soit imprégnée ? Je ne le nie pas. Trouve-t-on au tronc des nerfs la même substance moelleuse imprégnée de lymphe ? Je le veux. Le cerveau en est-il l’organe sécrétoire ? Je le crois. Cette lymphe subtile suinte-t-elle de la section des plus petites ramifications nerveuses ? D’accord. Donc c’est leur partie nourricière. C’est mon avis. Donc c’est le principe de leur accroissement, de leur sécheresse, de leur humidité, de leur petitesse, de leur grosseur, de leur raideur, de leur force, de leur faiblesse : je le pense. Donc c’est la cause immédiate de leur sensibilité, de leur vie, de leur mouvement, je ne saurais l’admettre. Une lymphe douce et légèrement visqueuse ne circule que lentement : elle est donc
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Se l’azione di questo fluido fa la sensazione, donde nasce la varietà delle sensazioni? Che ruolo svolge allora la forma dell’organo, non riesco a concepirlo. Tutto si spiega considerando la fibra come un verme e ciascun organo come un animale. Che diventa questo fluido quando è sovrabbondante? Come si diffonde? La sua esalazione non può essere che dalla parte più sottile. Quella che resta è dunque la grossolana. Ora, come spiegare i fenomeni con questo residuo crasso? Se vi fosse un fluido nervoso, una volta sfuggito questo fluido l’animale cesserebbe subito di vivere, il che non accade. Dov’è il fluido nervoso degli animali che non hanno né sangue, né cervello, né organi di digestione? Dov’è nel polipo d’acqua dolce che non ha né cuore, né visceri? Tutti i liquori di quegli animali, rispondono, non sono che linfe nervali. Quale prova se ne ha? Il fluido nervoso non è sensibile; la linfa nervale non più del fluido nervoso, come lo diventa?174 Il nervo è cavo, flaccido, non elastico: la sua forza viene dal fluido, da dove prende questo fluido la sua celerità, la sua terribile energia? Che cos’è che lo spinge con tanta violenza in un canale indolente? Com’è che questo canale non si apre, visto che le sue fibre non sono tenute unite che dal tessuto cellulare e grasso? D’altronde, al microscopio non s’è visto alcun foro, alcun tumore al nervo legato. Riempite un qualsiasi canale di un fluido; formate, sulla sua lunghezza, due legature; la parte gonfiata dal fluido e compresa tra le due legature resterà gonfiata: non è così del nervo. Pungete la parte gonfiata, il fluido sfuggirà e la parte punta diventerà flaccida. Non è così del nervo. Tutto ciò che è al di sotto della legatura superiore, nel nervo, diventa subito flaccido. O non v’era dunque alcun fluido, o tale fluido è fuggito via. Ma se tale fluido è così sottile da essere fuggito via, com’è possibile che allo stato libero non fugga egualmente? Come può produrre rigonfiamento, tensione e rigidezza? Perché non accade all’organo fatto a pezzi quello che accade nell’ernia del disco? Nell’ernia del disco c’è una specie di tumore; fa stupore per due ragioni: la prima, per mancanza di succo nutritivo, la seconda per difetto di fluido capace di produrre il rigonfiamento e la forza quale si produce nella pianta molle che si schiaccia facilmente tra le dita e separa grosse pietre. Le fibre nervose non sono tese né alla loro origine né alla terminazione: possono essere elastiche? Non lo penso. I nervi sono legati, su tutto il loro percorso, alle parti dure dal tessuto cellulare. Un nervo tagliato non si accorcia; al contrario, quando le due parti si ritirano, esse si allungano e diventano flaccide, lasciando sfuggire il midollo in forma di tubercoli. C’è una linfa sottile, di cui la sostanza midollare delle meningi sia impregnata? Non lo nego. Sul tronco dei nervi si trova la stessa sostanza midollare impregnata di linfa? Lo voglio. Il cervello non ne è l’organo di secrezione? Lo credo. Questa linfa sottile trasuda dalla sezione delle ramificazioni nervose più piccole? D’accordo. Dunque è la loro parte nutritiva. È il mio parere. Dunque è il principio della loro crescita, della loro secchezza, della loro umidità, della loro piccolezza, della loro grossezza, della loro rigidezza, della loro forza, della loro debolezza: io lo penso. Dunque è la causa immediata della loro sensibilità, della loro vita, del loro movimento: non riesco ad ammetterlo. Una linfa dolce e leggermente viscosa non circola se non lentamente: è dunque
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peu propre à expliquer l’instantanéité de l’impression et de la sensation. Les angles sans nombre et les coudes des nerfs s’opposent encore à la fonction de ce fluide. Comment le nerf met-il donc le muscle en action ? La fibre est un animal, un ver : renflement sur lui-même ; si le renflement sur lui-même est général dans toutes les fibres du nerf à la fois, mouvement du muscle : si le renflement est partiel, crampe. Le renflement partiel, ou la crampe, n’est si rare que parce que les fibres sont des animaux accouplés dès la | naissance, qui ont l’habitude de se mouvoir conspiramment ; habitude qu’ils tiennent du bien aise de tous, parce que dans le cas de division, ils souffrent tous. | chap. viii. Muscles — chap. ix. Cœur — chap. x. Sang
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chap. xi. Veines, artères, vaisseaux lymphatiques — chap. xii. Chyle, lymphe chap. xiii. Humeurs, sécrétions, glandes — chap. xiv. Poitrine. | Chap. XV
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Il faut, dans l’homme, que l’air passe dans la glotte pour devenir bruyante. Le larynx est comme l’embouchure de la trachée-artère, c’est un tuyau creux, ouvert et fendu par le haut, l’air, s’échappant par la fente du larynx et passant par la glotte, produit la voix. | S’il y a vice au larynx ou à l’épiglotte, le bruit est rauque ; si l’on tient la glotte en repos, il n’y a que du souffle articulé, du murmure. Dans la voix réelle, la voix passe par la glotte, frappe les parois de sa fente, fait frémir et les cartilages du larynx et les os de la tête et les parties de la poitrine. La voix modifiée par la langue produit la parole. Les organes de la voix sont cartilagineux, élastiques et tremblants. Les ligaments de la langue sont aussi tremblants. La longueur et la largeur naturelles de la glotte donnent toute la diversité des voix ; artificielles, toute la diversité des tons ; il faut cependant ajouter la tension des ligaments de la glotte. Si dans les tons aigus on pose le doigt sur le larynx, on le sentira s’élever de presque un demi pouce. Le larynx peut monter ou descendre de deux pouces. C’est dans cet intervalle que la voix et le chant varient, du grave à l’aigu, de l’aigu au grave ; c’est de là que viennent les voix sèches, les voix aigres, les voix fausses, l’échelle des tons. Il y a trois modifications de l’air chassé du poumon dans l’expiration. La glotte reste ce qu’elle est dans la voix ou la parole ; se rétrécit et s’allonge dans le ton aigu, se relâche et se dilate dans le ton grave. La balbutie vient du filet trop court qui empêche la langue de s’allonger suffisamment. La luette trop considérable rend le chant vicieux. L’orang-outang ne saurait parler, la conformation de ses organes s’y oppose. | Correspondance de la voix avec les organes de la génération . La castration a un nombre infini d’effets qui constatent la liaison des parties de la bouche avec les parties génitales.
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poco adatta a spiegare l’istantaneità dell’impressione e della sensazione. Gli innumerevoli angoli e i gomiti dei nervi si oppongono anch’essi alla funzione di questo fluido. Il nervo come mette dunque il muscolo in azione? La fibra è un animale, un verme: rigonfiamento su se stesso; se il rigonfiamento su se stesso è generale in tutte le fibre del nervo insieme, c’è movimento del muscolo: se il rigonfiamento è parziale, crampo. Il rigonfiamento parziale, ovvero il crampo, non è così raro perché le fibre sono degli animali accoppiati fin dalla nascita, che hanno l’abitudine di muoversi congiuntamente; abitudine che ricavano dal benessere di tutti, perché in caso di divisione, soffrono tutti. Capitolo VIII. Muscoli — Capitolo IX. Cuore — Capitolo X. Sangue Capitolo XI. Vene, arterie, vasi linfatici — Capitolo XII. Chilo, linfa Capitolo XIII. Umori, secrezioni, ghiandole — CApitolo XIV. Petto Capitolo XV
Voce, parola Nell’uomo, è necessario che l’aria passi nella glottide per diventare sonora. La laringe è come l’imboccatura della trachea, è un tubo cavo, aperto e spaccato dall’alto, l’aria che fuoriesce dalla fessura della laringe e passa per la glottide, produce la voce. Se vi è un vizio nella laringe o nell’epiglottide, il rumore è rauco; se la glottide si mantiene in riposo, non c’è altro che del fiato articolato, del mormorio. Nella voce reale, la voce passa per la glottide, colpisce le pareti della sua fessura, fa vibrare sia le cartilagini della laringe, sia le ossa della testa e le parti del petto. La voce modificata dalla lingua produce la parola. Gli organi della voce sono cartilaginei, elastici e tremolanti. Anche i legamenti della lingua sono tremolanti. La lunghezza e la larghezza naturali della glottide producono tutta la diversità delle voci; artificiali, tutta la diversità dei toni; occorre tuttavia aggiungere la tensione dei legamenti della glottide. Se nei toni acuti si mette il dito sulla laringe, la si sentira innalzarsi di quasi un mezzo pollice. La laringe può salire o scendere di due pollici. È in quest’intervallo che la voce e il canto variano, dal grave all’acuto, dall’acuto al grave; da ciò vengono le voci secche, le voci aspre, le voci di falsetto, la scala dei toni. Ci sono tre modificazioni dell’aria cacciata fuori dal polmone nell’espirazione. La glottide resta quello che è nella voce o nella parola; si accorcia e si allunga nel tono acuto, si rilassa e si dilata nel tono grave. La balbuzie ha origine dal filetto troppo corto che inpedisce alla lingua di allungarsi a sufficienza. L’ugola di dimensioni troppo grandi rende viziato il canto. L’orangutan non è in grado di parlare, vi si oppone la conformazione dei suoi organi.175 Corrispondenza della voce con gli organi della generazione. La castrazione ha un numero infinito di effetti che ci fanno constatare il legame delle parti della bocca con le parti genitali.
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La maladie qui attaque les parties génitales, attaque aussi les organes de la voix. Enflure de tout le corps, dans une fille nouvellement déflorée ; mais surtout, enflure au cou et extinction de la voix. Les nerfs du cou paraissent très sensibles. Effet des passions violentes sur la voix. On a l’exemple d’un muet par colère pendant plusieurs années. Après y avoir bien réfléchi, il me semble que le cerveau est l’organe qui, dans l’homme, dispose de la voix et qui, par là, sert de truchement à tous les autres sens. Je suppose un œil artificiel. Je suppose un paysage de Claude Lorrain ou de Vernet projeté sur cet œil artificiel. Je suppose cet œil artificiel sentant, vivant et animé : je le suppose maître de l’organe de la voix et secondé par la mémoire et la connaissance des sons : je ne vois pas pourquoi cet œil n’articulerait pas la sensation ; et pourquoi, par conséquent, il ne ferait pas entendre la description du paysage ? | chap. xvi. Estomac — chap. xvii. Intestins — chap. xviii. Foie
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chap. xix. Pancréas – chap. xx. Rate – chap. xxi. Membranes des viscères du bas-ventre chap. xxii. Reins, Vessie – chap. xxiii. Matrice et organes de la génération. | Chap. XXIV
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Génération Premier système. Mélange de la liqueur séminale et semence extraite, dans le mâle et la femelle, de toutes les parties du corps avec faculté génératrice. Cette faculté n’est qu’un long enchaînement de causes et d’effets qui s’acheminent successivement, depuis le commencement de la vie jusqu’à la mort. La semence est une humeur, comme le sang, la bile, le suc pancréatique, qui a sa nature et son filtre particulier. Semence forte et semence faible, dans chaque sexe (Aristote, comme Hippocrate, avec cette différence que le mâle fournit la forme et la femelle la matière). Dans ce système, placenta et enveloppes impossibles à expliquer.
Second système. Système des œufs.
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Vésicules dans l’ovaire, hommes et femmes tout formés dans l’œufs ; et ainsi à l’infini. Toutes les parties de l’homme formées dans l’œufs etc. Chatouillement des rides musculeuses du vagin. Raideur des trompes de Fallope. Griffes du pavillon contractées. | Œufs reçus dans la trompe. Œufs portés dans la matrice par le mouvement péristaltique de la trompe. Tout se passe quelquefois en sens contraire. Comparaison avec l’estomac. Quand le coït est fécond, la trompe a comprimé l’ovaire et en a exprimé, par la fente qui se fait à la membrane externe, un corps jaune qu’elle conduit dans la matrice. Changement survenu dans le corps jaune fécondé. Analogie avec les animaux, dans
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La malattia che attacca le parti genitali, attacca anche gli organi della voce. Gonfiore di tutto il corpo, in una fanciulla appena sverginata; ma soprattutto, gonfiore al collo ed estinzione della voce. I nervi del collo appaiono molto sensibili. Effetti delle passioni violente sulla voce. Si ha l’esempio di un muto a causa della collera, per diversi anni.176 Dopo averci riflettuto bene, mi sembra che il cervello è l’organo che, nell’uomo, dispone della voce e che, con questo, serve da tramite a tutti gli altri sensi. Ipotizzo l’esistenza di un occhio artificiale. Ipotizzo un paesaggio di Claude Lorrain o di Vernet proiettato su quest’occhio artificiale. Ipotizzo che quest’occhio artificiale sia senziente, vivente e animato; ipotizzo che sia padrone dell’organo della voce e assecondato dalla memoria e dalla conoscenza dei suoni: non vedo perché quest’occhio non potrebbe articolare la sensazione; e perché di conseguenza non potrebbe far intendere la descrizione del paesaggio? Capitolo XVI. Stomaco — Capitolo XVII. Intestini Capitolo XVIII. Fegato — Capitolo XIX. Pancreas — Capitolo XX. Milza Capitolo XXI. Membrane delle viscere del basso ventre Capitolo XXII. Reni, Vescica — Capitolo XXIII. Matrice e organi della generazione. Capitolo XXIV
Generazione Primo sistema. Mescolanza del liquido seminale e seme estratto, nel maschio e nella femmina, da tutte le parti del corpo con facoltà di generare. Questa facoltà non è che una lunga concatenazione di cause e di effetti che si incamminano in successione, dall’inizio della vita fino alla morte. Il seme è un umore, come il sangue, la bile, il succo pancreatico, che ha la sua natura e il suo filtro particolare. Seme forte e seme debole, in ciascun sesso (Aristotele, come Ippocrate, con questa differenza che il maschio fornisce la forma e la femmina la materia177). In questo sistema, placenta e involucri sono impossibili da spiegare.
Secondo sistema. Sistema delle uova. Vescicole nell’ovaia, uomini e donne tutti formati nell’uovo; e così all’infinito. Tutte le parti dell’uomo formate nell’uovo ecc. Solleticamento delle rughe muscolose della vagina. Rigidezza delle trombe di Falloppio. Radici del padiglione contratte. Uova ricevute nella tromba. Uova portate nella matrice dal movimento peristaltico della tromba. Tutto accade talvolta in senso contrario. Paragone con lo stomaco. Quando il coito è fecondo, la tromba ha compresso l’ovaia e ne ha spremuto, dalla fessura che si fa nella membrana esterna, un corpo giallo che essa guida nella matrice. Cambiamento sopravvenuto nel corpo giallo fecondato. Analogia con gli animali,
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la matrice desquels il tombe un œuf après le coït, quoique plusieurs soient fécondés en même temps dans l’ovaire. Corps jaune constant, dans les ovaires des femmes fécondes, tumeurs constantes à l’ovaire. Autant de fentes à l’ovaire que d’enfants. Point de molécules organiques dans l’ovaire ; rien de commun dans l’organisation des testicules de l’homme et de la femme. Voilà les preuves. Voici les difficultés, les objections. L’extrême étroitesse de la trompe et le volume de l’œuf trouvé dans la matrice, ne permettent guère de croire qu’une vésicule entière puisse suivre cette voie. On n’a jamais vu l’œuf renfermé dans le calice jaune ou caillot qui se forme autour de la vésicule de Il n’y a point de ces glandes, quand la femme conçoit. Après la conception, elles s’affaissent, se vident, on en a trouvé dans la matrice. Ce sont des hydatides. | Ce corps glanduleux n’est donc point le premier rudiment de l’animal. Vesiculus ovaris non esse ova, neque esse primordia, neque continere animal. Au troisième jour de la conception, dans une chienne, un accident lie la corne de la matrice ; et le 21e jour, deux chiens entre la ligature et le corps de la trompe (Nuck). L’adhésion de l’ovaire à la trompe est peu constante. On a vu l’ovaire dans la femme grosse, tel que dans la femme non grosse. Jamais œuf dans une vierge n’a montré de fœtus. Le fœtus donne un œufs qui ressemble plus souvent au père qu’à la mère. Pourquoi cette ressemblance ? Pourquoi ces œufs ne grossissent-ils point ? Plusieurs phénomènes semblent prouver que le fœtus est dans la mère. Œufs trouvés dans une fille de cinq ans. Œufs prétendus stériles sans la semence du mâle. L’œufs dans la matrice sans l’approche du male. Maladies héréditaires ; ressemblance des parents. | Mules et mulets qui engendrent. Les plantes poussent à la même opinion. Virgines aphides engendrent sans mâle. Haller ne nie pas que exiguo tempore aliquo ovum humanum in utero liberum esse.
Troisième système. Animaux spermatiques (Hartsoeker). Hommes et femmes, dans ces animaux ; et même enchaînement à l’infini que dans le second système. Un million se féconde sur un. Vers dans vers. Absurdité.
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Œufs piqués par les vers. Molécules organiques vivantes ne sont que | les matériaux (Buffon). Suivant ce philosophe, la semence est la surabondance de nourriture rejetée par chaque membre. Moules intérieurs, maladies et vices héréditaires de père en fils ; enfants plus semblables au père qu’à la mère, tout cela s’explique dans ce système. Mais il suppose que la semence entre dans la matrice et cela n’est pas vrai.
Cinquième système. Parties de la semence sont chacune polypeuse. Matrice nécessaire. On a dit tant de folies sur l’acte de la génération, que je puis bien dire aussi la mienne.
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nella matrice dei quali cade un uovo dopo il coito, benché diversi siano fecondati nello stesso tempo nell’ovaia. Corpo giallo costante, nelle ovaie delle donne feconde, tumori costanti all’ovaia. Altrettante fessure nell’ovaia, quanti i bambini. Non ci sono molecole organiche nell’ovaia; niente di comune nell’organizzazione dei testicoli dell’uomo e della donna. Eccone le prove. Ecco le difficoltà, le obiezioni. L’estrema strettezza della tromba e il volume dell’uovo trovato nella matrice, non permettono affatto di credere che una vescicola intera possa seguire questa via. Non si è mai visto l’uomo racchiuso nel calice giallo o grumo che si forma attorno alla vescicola dell’ovaia. Non ci sono affatto di queste ghiandole, quando la femmina concepisce. Dopo la concezione, esse s’infossano, si svuotano; se ne sono trovate nella matrice. Sono delle idatidi. Questo corpo ghiandolare non è dunque affatto il primo rudimento dell’animale. Vesiculus ovaris non esse ova, neque esse primordia, neque continere animal.178 Al terzo giorno della concezione, in una cagna, un incidente lega il corno della matrice; e il 21º giorno, due cani tra la legatura e il corpo della tromba (Nuck179). L’adesione dell’ovaia alla tromba e poco costante. Si è vista l’ovaia nella donna incinta, tale e quale nella donna non incinta. Mai uovo in una vergine ha mostrato di avere un feto. Il feto dà un uovo che assomiglia più spesso al padre che alla madre. Perché questa somiglianza? Perché queste uova non si ingrandiscono affatto? Diversi fenomeni sembrano provare che il feto è nella madre. Uova trovate in una bambina di cinque anni. Uova pretese sterili senza il seme del maschio. L’uovo, nella matrice, senza il contatto del maschio. Malattie ereditarie; somiglianza dei parenti. Mule e muli che generano. Le piante ci spingono alla medesima opinione. Le afidi vergini generano senza maschio. Haller non nega che exiguo tempore aliquo ovum humanum in utero liberum esse.180
Terzo sistema. Animali spermatici (Hartsoeker). Uomini e donne in questi animali; e la medesima concatenazione all’infinito, come nel secondo sistema. Uno su un milione si feconda. Vermi nei vermi. Assurdità.181
Quarto sistema. Uova punte dai vermi. Molecole organiche viventi non sono che i materiali (Buffon). Secondo questo filosofo, il seme è la sovrabbondanza di nutrimento rigettato via da ciascun membro. Stampi interni, malattie e vizi ereditari da padre in figlio; figli più simili al padre che alla madre, tutto questo si spiega in questo sistema.182 Ma presuppone che il seme entri nella matrice e questo non è vero.183
Quinto sistema. Parti della semenza sono, ciascuna, poliposa. Matrice necessaria. Si sono dette tante follie sull’atto della generazione, che posso anch’io dire senz’al-
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Je ne saurais me résoudre à faire agir la semence de l’homme ou sa vapeur à une distance aussi éloignée que les ovaires de la femme le sont du vagin. Quoiqu’on ait quelques exemples de fœtus engagés dans les trompes de Fallope, je ne puis faire descendre ni un œufs, ni un ver par l’un de ces deux canaux : descendu dans la matrice je ne connais aucun moyen de l’y fixer par un pédicule et moins encore de l’y fixer à la place qu’il occupe. Il semble qu’il ne devrait s’arrêter, dans sa chute, qu’au point le plus bas. On a trouvé des fœtus dans le ventre, au foie avec placenta, aux reins ; fœtus entre le rectum et la matrice ; fœtus adhérent au diaphragme etc. Qui est-ce qui a vu, dans l’acte vénérien, la frange ou la griffe du pavillon embrasser l’ovaire, le serrer et en exprimer les premiers rudiments de l’embryon ? Conception a lieu sans plaisir de la part de la femme, même avec aversion. Point de conception quoiqu’avec le plus grand plaisir simultané des deux sexes. Que signifie, donc, cette griffe de l’ovaire, ce serrement, cet œuf | ou cette semence ? Tout cela s’exécute-t-il sans volupté ? Je demande s’il y a effusion de matière séminale sans volupté. Sinon le mélange des semences n’est pas le principe de la génération, ni les molécules organiques, ni les autres causes qu’on lui a assignées. Il y a eu conception sans orifice de matrice : femme infibulée a été engrossée. La fille d’Acquapendente était imperforée et n’en devint pas moins grosse.A | A Un jeune homme pressait vivement une fille, dont il était amoureux et aimé, de satisfaire sa passion ; elle ne demandait pas mieux, mais la nature s’y opposait ; elle était sans sexe apparent. La seule chose qu’on lui remarqua, c’était une petite ouverture, telle qu’elle est dans les autres femmes, par laquelle elle évacuait les urines. Cette conformation singulière ne détacha point le jeune homme de sa maîtresse, mais il en exigea une complaisance à laquelle elle ne se refusa point. Au bout de quelques mois, son ventre s’enfla et sa gorge se gonfla ; elle envoya chercher un chirurgien, qui après l’avoir bien examinée, lui annonça qu’elle était grosse. Elle n’eut peine à le convaincre de la fausseté de son pronostic. Cependant, l’enflure du ventre et de la gorge faisait des progrès et le chirurgien, appelé une seconde fois, confessant qu’il ignorait comment cet enfant s’était fait, protesta qu’il le sentait remuer. Ni la fille, ni son amant ne tinrent compte de cette déclaration. Cependant, le terme de cette bizarre grossesse arriva et après des douleurs, des efforts et un délabrement inouï des parties, cette fille accoucha d’un enfant par la même voie qu’il avait été fait : j’ignore si la mère et l’enfant en moururent, mais ce que je sais c’est que sa formation n’avait rien d’extraordinaire. La matrice de cette fille, au lieu de s’ouvrir à l’endroit ordinaire, s’ouvrait dans le rectum, qui tous les mois servait d’issue au sang menstruel. Je tiens ce fait de Mons Louis, secrétaire de l’académie de chirurgie. | Autre fait arrivé au château de Nicklspurg, en Moravie, et certifié pas Mr Nuch, chirurgienmajor des troupes de la garnison de ce château. Dans les premiers jours d’août de l’année 1773 un soldat âgé de 22 ans et quelques mois fut attaqué de maux de cœur passagers, de lassitude et de dégoûts. A ces accidents succéda bientôt l’enflure du ventre ; on traita ce jeune homme comme hydropique. Les remèdes furent sans effet et le ventre grossissait de plus en plus : d’ailleurs il ressentait peu d’incommodités et ne manquait guère à son service. Cet homme que l’on avait abandonné depuis quelques mois à la bonté de son tempérament et aux seins de la nature, ressentit de vives douleurs dans la région lombaire, le 3 février 1774. On lui fit prendre quelques potions sédatives, mais les douleurs ne firent qu’augmenter ; on crut soulager le malade en lui faisant la ponction et l’on fut extrêmement étonné de ne point voir d’évacuation d’eau. On eut recours à la saignée et tous les moyens furent inutiles ; les douleurs devinrent de plus en plus aiguës, les convulsions s’en mêlèrent et le patient mourut après quatre-vingt-dix-sept heures de souffrance. Le cas était trop extraordinaire pour qu’on ne fit point l’ouverture du cadavre : mais quelle fut la surprise des assistants, lorsqu’à l’ouverture de l’abdomen on aperçut un kyste, ou sac, que l’on
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tro la mia. Non potrei decidermi a far agire il seme dell’uomo o il suo vapore a una distanza così lontana quanto sono le ovaie della femmina dalla vagina. Benché si conoscano alcuni esempi di feto intrappolato nelle trombe di Falloppio, io non posso far scendere né un uovo, né un verme in uno di quei due canali: sceso nella matrice, non conosco alcun mezzo per fissarvelo con un peduncolo e meno ancora di fissarlo nel posto che esso occupa. Sembra che non dovrebbe fermarsi, nella sua caduta, se non nel punto più basso. Si sono trovati dei feti nel ventre, nel fegato con placenta, nei reni; feto tra il retto e la matrice; feto aderente al diaframma ecc. Chi ha visto, nell’atto venereo, la frangia o la radice del padiglione abbracciare l’ovaia, stringerla e spremerne i primi rudimenti dell’embrione? La concezione ha luogo senza piacere da parte della donna, persino con avversione. Nessuna concessione, benché con il più grande piacere simultaneo dei due sessi. Che significano, dunque, questa radice dell’ovaia, questa stretta, quest’uovo, questo seme? Tutto ciò si esegue senza voluttà? Io chiedo se vi sia effusione di materia seminale senza voluttà. Altrimenti la mescolanza dei semi non è il principio della generazione, né le molecole organiche, né le altre cause che le sono state assegnate. C’è stata concezione senza orifizio della matrice: una donna infibulata è stata messa incinta. La fanciulla di Acquapendente184 non era perforata e nondimeno rimase incinta.A A Un giovanotto si faceva pressante, nei confronti di una fanciulla di cui era innamorato e amato, per soddisfare la sua passione; ella non chiedeva di meglio, ma la natura vi si opponeva; lei era senza sesso apparente. La sola cosa che le si notò, era una piccola apertura, tale e quale nelle altre donne, dalla quale evacuava le urine. Questa conformazione singolare non disarmò affatto il giovanotto verso la sua amante, ma egli ne esigette una compiacenza alla quale lei non si rifiutò. In capo a qualche mese il ventre le si gonfiò e il petto le si ingrandì; lei mandò a chiamare un chirurgo, il quale dopo averla bene esaminata, le annunciò che era incinta. Ella non fece fatica a convincerlo della falsità della sua prognosi. Tuttavia, il rigonfiamento del ventre e del petto facevano progressi e il chirurgo, chiamato una seconda volta, confessando che ignorava come s’era formato questo bambino, protestò che lo sentiva muoversi. Né la fanciulla, né il suo amante tennero conto di questa dichiarazione. Tuttavia, il termine di questa bizzarra gravidanza giunse, e dopo dolori, sforzi e uno slargamento inaudito delle parti, questa fanciulla partorì un bambino dalla stessa via per la quale era stato concepito: ignoro se la madre e il bambino ne morirono, ma ciò che so è che la sua formazione non aveva nulla di straordinario. La matrice di questa fanciulla, invece di aprirsi un luogo ordinario, si apriva nel retto, che ogni mese serviva da uscita al sangue mestruale. Ho ricevuto questa notizia dal signor Louis, segretario dell’Accademia di chirurgia.185 Altro fatto accaduto al castello Nicklspurg, in Moravia, e certificato dal signor Nuch, chirurgo maggiore delle truppe della guarnigione di quel castello. I primi giorni di agosto dell’anno 1773 un soldato dell’età di 22 anni e qualche mese fu attaccato da mali di cuore passeggeri, da stanchezza e nausea. A questi incidenti successe subito dopo il rigonfiamento del ventre; si trattò questo giovanotto come affetto da idropisia. I rimedi furono senza effetto e il ventre ingrandiva sempre più: per altro verso, egli soffriva di pochi incomodi e non mancava di rispettare il suo servizio. Quest’uomo che era stato abbandonato da qualche mese alla bontà del suo temperamento e alle braccia della natura, provò dei vivi dolori nella regione lombare, il 3 febbraio 1774. Allora gli si fecero assumere certe pozioni sedative, ma i dolori non fecero che aumentare; si credette di alleviare l’ammalato facendogli una puntura e si rimase estremamente sorpresi del fatto che non si vide alcuna evacuazione d’acqua. Si fece ricorso al salasso e tutti i mezzi risultarono inutili; i dolori divennero sempre più acuti, vi si mescolarono le convulsioni e il paziente morì dopo novantasette ore di sofferenza. Il caso era troppo straordinario perché non si facesse l’autopsia del cadavere: ma quale fu la sorpresa degli assistenti, quando all’apertura dell’addome si scorse una
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La grossesse se ferait-elle par vapeur ? Je serais tenté de ramener la génération de l’homme à celle du polype qui se reproduit par division. Les premiers éléments de l’homme sont au lieu même où l’homme naît. Ils attendent là, pour se développer, la liqueur séminale de l’homme. Ils se développent, le placenta se forme : lorsque l’embryon est mûr, le placenta se détache et l’homme naît par division. L’approche de l’homme et de la femme ne donne lieu qu’à la production ou au développement d’un nouvel organe, qui est ou devient un être semblable à l’un des deux. Ruysch a trouvé la semence de l’homme et de la femme dans la matrice d’une femme qui venait d’être tuée par un matelot, avec lequel elle avait pris querelle immédiatement après en avoir été connue : mais Harvey a disséqué des biches sans nombre, immédiatement après l’approche du cerf, et n’a jamais trouvé de liqueur séminale dans leur matrice. Il n’y a vu d’abord qu’un point animé, autour duquel se sont successivement arrangés les divers membres qui composent l’animal. Dans la matrice de la lapine on n’y voit rien, les cinq ou six premiers jours. Le 7e, on aperçoit un bouton, puis une bulle, ensuite une espèce de têtard. | La génération des parties se fait peu à peu et non subitement, par apposition des parties et non par développement. Je crois que vu l’exfoliation de la matrice, peut-être est-ce la raison du petit nombre d’enfants. Il y aurait plusieurs observations à faire, à ce sujet. 1re. Si l’exfoliation laisse dans la matrice des traces subsistantes, en conséquence desquelles on pourrait, à l’inspection de cet organe intérieur, compter les enfants, comme on prétend qu’on les compte aux cicatrices de l’ovaire. 2d. S’il peut se faire un placenta dans un endroit où il y a eu un premier placenta, où une première exfoliation s’est faite. Puis demander au jardinier, successivement, si deux fruits peuvent naître à l’endroit d’un premier pédicule ; cela expliquerait la fécondité et la stérilité de certaines femmes, par l’étendue du placenta ou des exfoliations successives. J’admets les germes préexistants, mais n’ayant rien de commun avec les êtres. C’est une production conséquente au développement. Production qui n’existait pas et qui commence à exister et dont l’expansion successive forme un nouvel être semblable au premier. ouvrit et dans lequel était un fœtus mâle, mort et bien conformé avec son placenta, les membranes et les eaux. Ce kyste était une matrice, à laquelle rien ne manquait, l’orifice regardait l’intestin rectum, avec lequel elle communiquait par un petit conduit en forme d’appendice ; à peine y pouvait-on introduire un tuyau d’une plume à encre ordinaire. Il n’avait que ce viscère de commun avec le sexe féminin ; d’ailleurs, il était parfaitement homme, intérieurement et extérieurement. La position des ligaments de cette matrice était dans l’ordre naturel. Les vaisseaux spermatiques aboutissaient en partie aux ovaires et une autre partie continuait son chemin jusqu’aux testicules. Ce lacet était double, on examina la forme des os du bassin, elle était telle qu’elle doit être dans l’homme : les mamelles n’étaient pas grosses, mais elles contenaient du lait et leur aréole était large et noire. On se rappela, alors, que ce soldat s’était plaint plusieurs fois de sentir remuer quelque chose dans son ventre et particulièrement trente heures avant sa mort ; mais on avait attribué ce symptôme aux eaux, que l’on supposait. Il ne restait aucun doute sur la manière dont cet homme pouvait avoir engendré, mais pour s’en rendre encore plus certain, on s’empara de son compagnon de lit, on le mit aux fers et par des menaces réitérées on lui fit avouer ce que l’on soupçonnait violemment (gazette des Deux-Ponts année 1775, n° 22).
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La gravidanza si farebbe per vapore? Sarei tentato di ricondurre la generazione dell’uomo a quella del polipo che si riproduce per divisione.186 I primi elementi dell’uomo si trovano nel luogo stesso in cui l’uomo nasce. Essi attendono là, per svilupparsi, il liquido seminale dell’uomo. Si sviluppano, si forma la placenta: quando l’embrione è maturo, la placenta si distacca e l’uomo nasce per divisione. L’approcciarsi dell’uomo e della donna non dà luogo se non alla produzione o allo sviluppo di un nuovo organo, che è o diviene un essere simile a uno dei due. Ruysch ha trovato il seme dell’uomo e della donna nella matrice di una donna che era stata appena uccisa da un marinaio, e con il quale aveva attaccato litigio immediatamente dopo essere stata riconosciuta:187 ma Harvey ha anatomizzato innumerevoli cerve, subito dopo l’approccio del cervo, e non ha mai trovato del liquido seminale nella loro matrice. Ha solo visto anzitutto un punto animato, attorno al quale si sono disposte in successione le diverse membra che compongono l’animale.188 Nella matrice della coniglia non si vede nulla, i primi cinque o sei giorni. Al settimo, si percepisce un foruncolo, poi una bolla, infine una specie di girino. La generazione delle parti si fa a poco a poco, non improvvisamente, per apposizione di parti e non per sviluppo.189 Io credo che, vista l’esfoliazione della matrice, forse è questa la ragione del piccolo numero di figli. Vi sarebbero diverse osservazioni da fare, a questo proposito. 1a. Se l’esfoliazione lascia nella matrice delle tracce sussistenti, in conseguenza delle quali si potrebbero contare i bambini, con l’ispezione di quest’organo interno, come si pretende che si contino dalle cicatrici dell’ovaia. 2a. Se si può produrre una placenta in un luogo in cui c’è stata una prima placenta, dove è stata fatta una prima esfoliazione. Poi chiedere al giardiniere, successivamente, se due frutti possono nascere nel luogo di un primo peduncolo; questo spiegherebbe la fecondità e la sterilità di certe donne, dall’estensione della placenta o dalle esfoliazioni successive. Io ammetto i germi preesistenti, ma che non hanno niente in comune con gli esseri. È una produzione conseguente allo sviluppo. Produzione che non esisteva e che comincia a esistere e la cui espansione successiva forma un nuovo essere simile al primo.190 cisti, o un sacco, che venne aperto e nel quale c’era un feto maschio, morto, ben conformato, con la sua placenta, le membrane e le acque. Questa ciste è una matrice, alla quale non mancava nulla, l’orifizio guardava l’intestino retto con il quale essa comunicava attraverso un piccolo condotto in forma di appendice; vi si poteva appena introdurre il tubo di una comune penna a inchiostro. Aveva solo questo viscere in comune con il sesso femminile; d’altronde, era perfettamente uomo, interiormente ed esteriormente. La posizione dei legamenti di questa matrice era nell’ordine naturale. I vasi spermatici facevano capo in parte alle ovaie e un’altra parte continuava il suo percorso fino ai testicoli. Questo laccetto era doppio, si esaminò la forma delle ossa del bacino, era tale quale deve essere nell’uomo: le mammelle non erano grandi, ma contenevano del latte e la loro aureola era larga e nera. Ci si ricordò, allora, che questo soldato si era più volte lamentato di sentirsi muovere qualcosa nel ventre e in particolare trenta ore prima della sua morte; ma si era attribuito questo sintomo alle acque che si supponeva avesse dentro. Non restava alcun dubbio sulla maniera in cui quest’uomo poteva aver generato, ma per rendersene ancora più certi, si prese in consegna il suo compagno di letto, lo si mise alla tortura e con minacce reiterate gli si fece confessare quello che si supponeva con gran forza (Gazette des Deux-Ponts, anno 1775, n. 22).
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Un œil se fait comme une anémone : qu’est-ce qu’il y a de commun entre la griffe et la fleur ? Un homme se fait comme un œil. Qu’est-ce qu’il y a de commun entre la molécule de l’écorce du saule et le saule ? Rien. Cependant, cette molécule donne un saule. Comment le donne-t-elle ? Par une disposition première, qui ne peut, avec la matière nutritive, amener un autre effet. | Cela me semble aussi simple, que de souffler dans une vessie flasque pour en faire un corps rond. Si la comparaison de la vessie choque, c’est qu’elle est trop simple ; mais elle n’est pas moins réelle et vraie ; les molécules qui doivent former le germe se rendent là nécessairement. Rendues, elles forment un pépin ; ce pépin n’a qu’un développement nécessaire. C’est un arbre ; ainsi de l’homme.
Conception
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Par le coït il y a frottement, accompagné de contraction convulsive dans toutes les parties qui environnent le vagin ; gonflement du clitoris, des nymphes, du plexus des lèvres, puis émission, mais non toujours, ni dans toutes les femmes, d’une liqueur muqueuse et gluante, qui vient de différentes sources : voilà pour l’extérieur. Au-dedans, trompes se gonflent, rougissent, se raidissent : le morceau déchiré s’élève et s’adapte à l’ovaire. Si après le coït la femme éprouve une espèce de grouillement, qui ressemble assez à de la colique pour qu’elle s’y méprenne, et si ce mouvement est accompagné d’un peu de chaleur aux parties naturelles, elle se trompera rarement lorsqu’elle se croira grosse (l’observation a été faite plusieurs fois, par un habile médecin). Elle peut être grosse sans avoir éprouvé ces deux symptômes : frémissement le long de la trompe et espèce d’évanouissement. | Soranus, à l’exemple d’Hippocrate, reconnaissait si une femme était stérile ou féconde. Leur secret consistait à lui mettre dans le vagin, le soir, lorsqu’elle se couche, une gousse d’ail pelée et enveloppée de laine. Si le matin en s’éveillant elle a dans la bouche l’odeur de cet aromate, il la tient pour habile à concevoir. Selon le même médecin, un signe très certain et point trompeur que la femme est enceinte d’un garçon, c’est lorsque le pouls du bras droit est plus fréquent, plus fort, plus grand, que celui du bras gauche et réciproquement, que la femme porte une fille quand le pouls gauche réunit ces qualités. Chap. XXV
Fœtus
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Fœtus, ou premiers rudiments de l’animal. Nous avons vu qu’il y avait trois opinions sur leur origine. Ils viennent ou du mâle, ou de la femelle, ou de tous les deux. Pourquoi tant d’animaux plus forts, plus grands, pour en faire un seul ? Le développement de l’animal du fœtus se fait de la manière suivante ; il se produit autour d’une vésicule de l’ovaire un caillot jaune qui s’accroît, s’augmente et paraît se changer en un corps jaune hémisphérique, sous forme d’un grain, cave en dedans et contenant, dans sa cavité, sinon un | petit œuf, du moins une petite membrane creuse. Ces corps sont apparents, dans la femme, d’abord après la conception. Au moment de la conception, il sort quelque chose de l’ovaire qui deviendra animal, ou contribuera à son développement. L’œuf prétendu, ou le fœtus quel qu’il soit, arrivé dans la matrice, après quelques jours, sa membrane, qui a été simple, fournit de toute sa surface des flocons mous et branchus qui s’implantent et adhèrent à des flocons
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Un occhio si fa come un anemone: che cosa c’è in comune tra la radice e il fiore? Un uomo si fa come un occhio. Che cosa c’è di comune tra la molecola della scorza del salice e il salice? Nulla. Tuttavia, questa molecola dà vita a un salice. Come gli dà vita? Attraverso una prima disposizione, che con la materia nutritiva non può condurre a un altro effetto. Questo mi sembra così semplice, quanto soffiare in una vescica flaccida per farne un corpo rotondo. Se il paragone della vescica vi urta, è perché è troppo semplice; ma non è meno reale e vera; le molecole che devono formare il germe si recano là necessariamente. Una volta recatevi, esse formano un seme; questo seme non ha che uno sviluppo necessario da seguire. È un albero; e così pure per l’uomo.
Concezione Nel coito c’è sfregamento, accompagnato da contrazione convulsiva in tutte le parti che circondano la vagina; un rigonfiamento del clitoride, delle ninfe, del plesso delle labbra, poi emissione, ma non sempre, né in tutte le donne, di un liquido mucoso e gelatinoso, che viene da diverse fonti: ecco per quanto concerne l’esterno. All’interno, le trombe si gonfiano, arrossiscono, s’irrigidiscono: il pezzo strappato si alza e si adatta all’ovaia. Se dopo il coito la donna prova una specie di brulichio, che assomiglia alla colica abbastanza da non confondervisi, e se questo movimento è accompagnato da un po’ di calore alle parti naturali, raramente si sbaglierà quando la si crederà incinta (l’osservazione è stata fatta più volte, da un abile medico). La donna può essere incinta senza aver provato quei due sintomi: il fremito lungo la tromba e una specie di svenimento. Sorano, sull’esempio di Ippocrate, riconosceva se una donna era sterile o feconda. Il loro segreto consisteva nel metterle nella vagina, la sera, quando andava a letto, uno spicchio d’aglio pelato e avvolto nella lana. Se la mattina, svegliandosi, ella ha in bocca l’odore di quell’aroma, la ritiene abile a concepire. Secondo lo stesso medico, un segno assai certo e nient’affatto fallace che la donna è incinta di un bambino maschio, è quando il polso del braccio destro è più frequente, più forte, più intenso di quello del braccio sinistro e inversamente, che la donna porta una femmina, quando il polso sinistro riunisce queste qualità.191 Capitolo XXV
Feto Feto, ovvero i primi rudimenti dell’animale. Abbiamo visto che c’erano tre opinioni sulla loro origine. Vengono o dal maschio, o dalla femmina o da entrambi. Perché tanti animali più forti, più grandi, per farne uno solo? Lo sviluppo dell’animale dal feto si fa nella maniera seguente; si produce attorno a una vescica dell’ovaia un grumo giallo che cresce, aumenta e sembra trasformarsi in un corpo giallo emisferico, sotto forma di un grano, cavo di dentro e contenente, nella sua cavità, se non un piccolo uovo, quantomeno una piccola membrana incavata. Questi corpi sono apparenti, nella donna, anzitutto dopo la concezione. Al momento della concezione, esce qualcosa dall’ovaia che diventerà l’animale o contribuirà al suo sviluppo. Il presunto uovo, ossia il feto quale che sia, giunto nella matrice, dopo qualche giorno la sua membrana, che è stata semplice, fornisce su tutta la sua superficie dei fiocchi molli e ramificati che si impiantano e aderiscono a dei fioc-
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exhalants et absorbants de la matrice. Ces adhérences ont lieu dans toutes les parties de la matrice, mais surtout au fond. Mais avant leur formation, si le fœtus n’est qu’un œuf, de quoi l’œuf isolé se nourrit-il ? Après les adhérences formées, il y a beaucoup d’eau limpide et coagulable au feu et à l’esprit-de-vin. Le fœtus est d’abord invisible : quand il commence à paraître, tête grosse, corps petit, sans extrémités, espèce de têtard. L’ombilic est grand et aplati, il est attaché vers l’extrémité arrondie de l’œuf. L’œuf et le fœtus, dit-on, s’agrandissent ensemble, mais inégalement, le fœtus s’accroît plus que l’œuf ; et l’eau de l’ œuf diminue. Les flocons se recouvrent insensiblement d’une membrane continue, appelée chorion, et ils sont renfermés entre cette membrane et une autre, appelée amnios. Une grande partie des flocons disparaît dans le chorion et il n’y a que la seule partie élevée vers le sommet arrondi de l’œuf, qui s’accroisse et forme, peu à peu, un corps rond circonscrit, appelé placenta. Tel est l’état de l’œuf au second mois. Il ne change point depuis ce temps, si ce n’est en volume. La partie de l’œuf qui rencontre supérieurement la matrice, à peu près au tiers de sa surface, montre un disque arrondi, aplati, succulent, inégal-vasculaire et changé en des tubercules, égaux et semblables entre eux, exactement uni avec la matrice. C’est en conséquence de cette union qu’il y a communication commune | entre le placenta et la matrice qui envoie d’abord au fœtus une liqueur séreuse, ensuite le sang même. Les artères exhalantes de la matrice communiquent avec les veines du placenta. Les artères du placenta s’ouvrent dans les grandes veines de la matrice. L’autre partie du corps de l’œuf et la surface du placenta sont recouvertes par une enveloppe externe, veloutée, remplie de petits flocons réticulaires. C’est le chorion. Cette membrane est collée, mais plus mollement, à la surface de la matrice qui est couverte de petits flocons et qui lui ressemble beaucoup, par des vaisseaux plus petits que ceux du placenta : elle est soutenue par une autre membrane interne, blanche et plus solide, qu’on peut regarder comme une lame interne du chorion ou une seconde enveloppe du fœtus. Le chorion est jaunâtre, mou, lubrique comme la graisse, facile à déchirer, filamenteux à fils entrelacés, fluctuant à l’extérieur ; intérieurement, membrane plus unie, plus ferme, réticulée, poreuse. Autant de chorions que d’enfants. Amnios, membrane intérieure du fœtus ; elle est aqueuse et transparente, très lisse, partout la même et unie par un tissu cellulaire avec la lame interne du chorion. L’eau de l’amnios est un peu salée, semblable à la sérosité du lait ; elle en a l’odeur ; exhalation naît comme au péricarde. Cette eau peut-elle nourrir ? Oui, même par la bouche. Cette eau est résorbée par la peau. | Le fœtus vit-il par la mère et se nourrit-il par l’eau de l’amnios ? Se nourrit-il par la bouche ? Repompe-t-il, de la cavité de l’amnios, la liqueur lymphatique coagulée dans laquelle il nage ? Il y a eu des fœtus sans cordon. La liqueur qu’on trouve dans l’estomac du fœtus est semblable à celle qui remplit l’amnios. La liqueur de l’amnios diminue à mesure que fœtus croît. Il s’est trouvé des stries continues et comme glacées dans l’amnios, la bouche, le gosier et l’estomac du fœtus. L’eau de l’amnios, dans le commencement, est nourricière ; sur la fin, on dit qu’elle devient âcre. Alors l’enfant souffrirait-il de la faim ? Et serait-ce là une des causes de la naissance ?
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chi esalanti e assorbenti della matrice. Queste aderenze hanno luogo in tutte le parti della matrice, ma soprattutto sul fondo. Ma prima della loro formazione, se il feto non è che un uovo, di che cosa si nutre quest’uovo isolato? Una volta formate le aderenze, c’è molta acqua limpida e coagulabile al fuoco e all’acquavite. Il feto è dapprima invisibile: quando inizia ad apparire, testa grossa, corpo piccolo, senza estremità, una specie di girino. L’ombelico è grande e appiattito, è legato verso l’estremità arrotondata dell’uovo. L’uovo e il feto, si dice, s’ingrandiscono insieme, ma in modo ineguale, il feto cresce più dell’uovo; e l’acqua dell’uovo diminuisce. I fiocchi si ricoprono insensibilmente di una membrana continua, chiamata corion e sono racchiusi tra questa membrana e un’altra, chiamata amnios. Una gran parte dei fiocchi sparisce nel corion e solo la parte elevata verso la cima arrotondata dell’uovo cresce e forma, a poco a poco, un corpo rotondo circoscritto, chiamato placenta. Tale lo stato dell’uovo al secondo mese. Non cambia affatto, da questo momento, se non in volume. La parte dell’uovo che incontra nel blocco superiore la matrice, all’incirca a un terzo della sua superficie, mostra un disco arrotondato, appiattito, succulento, ineguale-vascolare e trasformato in tubercoli, uguali e simili tra loro, esattamente unito con la matrice. In conseguenza di quest’unione c’è comunicazione comune tra la placenta e la matrice che invia anzitutto al feto un liquido sieroso, e infine il sangue stesso. Le arterie che si diffondono dalla matrice comunicano con le vene della placenta. Le arterie della placenta si aprono nelle grandi vene della matrice. L’altra parte del corpo dell’uovo e la superficie della placenta sono ricoperte di un involucro esterno, vellutato, pieno di piccoli fiocchi reticolari. È il corion. Questa membrana è incollata, ma più morbidamente, alla superficie della matrice che è coperta di piccoli fiocchi e che le assomiglia molto, per i vasi più piccoli di quelli della placenta: essa è sostenuta da un’altra membrana interna, bianca e più solida, che si può considerare come una lama interna del corion o un secondo involucro del feto. Il corion è giallastro, molle, lubrico come il grasso, facile da strappare, filamentoso a fili allacciati, fluttuante all’esterno; all’interno, membrana più unita, più ferma, reticolare, porosa. Tanti corion, altrettanti bambini. Amnios, membrana interna del feto; è acquosa e trasparente, molto liscia, ovunque la stessa e unita da un tessuto cellulare con la lama interna del corion. L’acqua dell’amnios è un po’ salata, simile alla sierosità del latte; ne ha l’odore; esalazione nasce come al pericardio. Quest’acqua può nutrire? Sì, anche dalla bocca. Quest’acqua è riassorbita dalla pelle. Il feto vive grazie alla madre e si nutre dell’acqua dell’amnios? Si nutre dalla bocca? Ripompa, dalla cavità dell’amnios, il liquido linfatico coagulato nel quale nuota? Ci sono stati dei feti senza cordone. Il liquido che si trova nello stomaco del feto è simile a quello che riempie l’amnios. Liquido dell’amnios diminuisce man mano che il feto cresce. Si sono trovate delle strisce continue e come ghiacciate nell’amnios, nella bocca, nella gola e nello stomaco del feto. L’acqua dell’amnios, all’inizio, è nutritiva; verso la fine, si dice che diventa acre. Allora il bambino soffrirebbe di fame? Sarebbe questa una delle cause della sua nascita?
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L’aliment du fœtus, du premier instant au dernier, vient probablement par la veine ombilicale et par l’artère ombilicale, qui est continue à cette veine : la veine ombilicale est formée des racines des vaisseaux exhalants de la matrice. Les excréments engendrés dans le fœtus sont en petite quantité. La vessie urinaire est grande et longue ; il y a de l’urine. Le méconium est une substance pulpeuse, verdâtre, peut-être le résidu des liquides qui se sont exhalés dans les intestins. On trouve une substance | toute semblable dans d’autres cavités remplies d’un liquide exhalé. On la trouve dans la membrane vaginale du testicule. Les gros intestins et une partie des petits sont remplis de méconium. L’ouraque sort du haut de la vessie : il est creux et se prolonge assez loin dans le cordon ombilical ; s’il y avait une allantoïde, ce réservoir de l’urine serait continu à l’ouraque. Peut-être le cordon ombilical, très long dans l’homme étant spongieux, reçoit-il l’urine du fœtus dans ses cellules ? Mais l’ouraque est court : qu’importe ? Il va jusqu’au cordon, mais non jusqu’au placenta ; et qu’importe encore ? Le fœtus renvoie au placenta une partie de son sang, par deux grandes artères ombilicales. Le sang paraît rentrer des vaisseaux artériels du placenta dans les veines de la matrice, d’où il passe au poumon de la mère. Suivons l’accroissement du fœtus. Des tubercules, sortant insensiblement du tronc, annoncent la formation des extrémités et de toutes les parties du fœtus. La tête se forme d’abord, puis la poitrine, puis le bas-ventre et les extrémités. Ses poumons sont petits, à proportion du cœur. Ils tombent au fond de l’eau, quand ils n’ont point encore respiré. Un enfant qui a respiré et qui rentre dans la matrice, meurt ; il meurt noyé comme un canard : il veut respirer et respire l’eau qui l’étouffe. La cloison qui unit l’oreillette droite du cœur avec la gauche, est percée d’un trou large et ovale. Les enveloppes du fœtus ne sont qu’une exfoliation du placenta. La | matrice est un porte-enfant, comme la branche de l’arbre est un porte-fruit. Il y a des exemples du placenta appliqué à l’orifice de la matrice : accouchements dans lesquels il a fallu percer le placenta pour accoucher. La matrice s’ouvre à mesure que le temps de l’accouchement approche. Jusques alors le fœtus avait sa tête entre ses genoux : aux approches de sa délivrance, il tombe en devant et le haut de sa tête correspond à l’ouverture dilatée de la matrice, dont les efforts commencent alors pour sa délivrance qui sera favorisée par le poids du fœtus, le malaise, les mouvements. L’enfant est, en tout temps, un hôte incommode pour la matrice, mais surtout à neuf mois. Tout organe tend, d’une manière automate, à se soulager : mais un organe sensible et vivant ne tend à se soulager que quand il en sent la possibilité. Dans un autre moment, il éprouve que sa douleur, ou son malaise, augmente. La matrice se blesserait elle-même, si elle tentait l’expulsion du fœtus, lorsque par la forte adhésion du placenta, qui n’est que son exfoliation, elle et le placenta ne font qu’un. Mais lorsque la surface convexe du placenta commence à devenir lisse, c’est alors que la matrice sent la possibilité de se soulager du poids qui l’incommode et qu’elle est portée à s’en occuper par sa contractilité, mise jeu par une extrême dilatation ; dilatation qui a un terme, au delà duquel la matrice s’ouvrirait, ou craindrait de s’ouvrir. Car les organes ont des craintes, des aversions, des appétits, des désirs, des refus. J’ai mangé ; est-ce dans le premier moment qui suit la déglutition, que l’estomac tend à pousser les
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L’alimento del feto, dal primo istante fino all’ultimo, viene probabilmente dalla vena ombelicale e dall’arteria ombelicale, che è continua rispetto a questa vena: la vena ombelicale è formata dalle radici dei vasi che si diffondono dalla matrice. Gli escrementi generati nel feto sono in piccola quantità. La vescica urinaria è grande e lunga; c’è dell’urina. Il meconio è una sostanza polposa, verdastra, forse il residuo dei liquidi che si sono diffusi negli intestini. Si trova una sostanza del tutto simile in altre cavità riempite da un liquido diffuso. La si trova nella membrana vaginale del testicolo. Gli intestini grandi e una parte dei piccoli sono pieni di meconio. L’uraco esce dall’alto della vescica: è incavato e si prolunga abbastanza a fondo nel cordone ombelicale; se vi fosse un allantoide, questo serbatoio dell’urina sarebbe continuo rispetto all’uraco. Forse il cordone ombelicale, molto lungo nell’uomo, essendo spugnoso, riceve l’urina dal feto nelle sue cellule? Ma l’uraco è corto: che importa? Arriva fino al cordone, ma non fino alla placenta; e che importa ancora? Il feto rinvia alla placenta una parte del suo sangue, da due grandi arterie ombelicali. Il sangue sembra rientrare dai vasi arteriosi della placenta nelle vene della matrice, donde passa al polmone della madre. Seguiamo la crescita del feto. Dei tubercoli, uscendo insensibilmente dal tronco, annunciano la formazione delle estremità e di tutte le parti del feto. La testa si forma per prima, poi il petto, poi il basso ventre e le estremità. I suoi polmoni sono piccoli, in proporzione al cuore. Cadono in fondo all’acqua, quando non hanno ancora respirato. Un bambino che ha respirato e che rientra nella matrice muore; muore affogato come un’anatra: vuole respirare e respira l’acqua che lo soffoca. Il setto che unisce l’orecchietta destra del cuore con la sinistra, è attraversato da un foro largo e ovale. Gli involucri del feto non sono che un’esfoliazione della placenta. La matrice è un porta-bambino, come il ramo dell’albero e un porta-frutti. Vi sono esempi di placenta applicata all’orifizio della matrice: dei parti nei quali è stato necessario perforare la placenta per far partorire. La matrice si apre man mano che s’avvicina il momento del parto. Fino ad allora il feto teneva la testa tra le ginocchia: avvicinandosi alla sua fuoriuscita, cade in avanti e la parte alta della testa corrisponde ora all’apertura dilatata della matrice, i cui sforzi iniziano allora per la sua fuoriuscita che sarà favorita dal peso del feto, dal malessere, dai movimenti. Il bambino è, in ogni momento, un ospite incomodo per la matrice, ma soprattutto a nove mesi. Ogni organo tende, in una maniera automatica, a liberarsi: ma un organo sensibile e vivente non tende a liberarsi se non quando ne sente la possibilità. In un altro momento, prova soltanto che il suo dolore, ovvero il suo malessere, aumenta. La matrice si ferirebbe da sola, se tentasse l’espulsione del feto, quando per la forte adesione della placenta, che è solo la sua esfoliazione, essa e la placenta fanno una cosa sola. Ma quando la superficie convessa della placenta inizia a diventare liscia, è allora che la matrice sente la possibilità di liberarsi del peso che la incomoda ed è portata a occuparsene con la sua contrattilità, messa in gioco da un’estrema dilatazione; dilatazione che ha un termine, al di là del quale la matrice si aprirebbe o temerebbe di aprirsi. Perché gli organi hanno dei timori, delle avversioni, degli appetiti, dei desideri, dei rifiuti. Ho mangiato; è dal primo momento successivo alla deglutizione che lo stomaco tende
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aliments dans les intestins ? Aucunement ; poussés dans les intestins, sont-ils subitement précipités vers leur sortie ? Aucunement. Toute opération animale a ses progrès ; et ces progrès sont réglés par | la facilité qu’y trouve l’organe, par la peine qu’il souffrirait s’il se hâtait, par son besoin, par son plaisir ou par son malaise. La durée de la grossesse est d’autant plus courte que les ventrées sont plus grandes. S’il faut s’étonner, ce n’est pas de la variété dans la durée de la gestation, c’est de son uniformité approchée. Dans les unipares, la gestation variera selon la même loi. Si le petit prend un accroissement énorme de volume et de pesanteur, le pédicule se détachera plus vite, la réaction des parties sur le petit sera plus prompte. A neuf mois l’enfant, avec toutes ses enveloppes, fait une masse étrangère à la matrice. Mais si ce corps étranger est sentant et vivant et s’il cesse d’être nourri, il doit souffrir et s’agiter. En s’agitant, il doit incommoder l’organe. L’organe incommodé doit agir et il agira vers l’endroit d’où il espère soulagement ; comme les intestins tourmentés par certains aliments. Quand plusieurs causes concourent à produire un effet, il ne faut en exclure aucune. L’accouchement est une espèce de vomissement : il faut y faire entrer la dilatation extrême de la matrice, son malaise, sa contractilité, l’accroissement du poids, le changement de position de l’enfant, la sympathie des parties voisines et conspirantes, de la vessie gênée, du rectum gêné, deux oreillers qui cherchent, en même temps, à se délivrer et ainsi des veines, des artères, des ligaments, des muscles, de l’estomac, du diaphragme. Fonction du sphincter dans une femme. Efforts de la mère, comparés à ceux pour rendre les excréments, lorsque le rectum est trop plein. Contractilité de la matrice suffit quelquefois pour finir tout le travail. | L’amnios plein d’eau entre, en forme de cône, dans l’orifice ; ce sac rompt, les eaux lubrifient le passage, alors l’enfant sort comme un trait, la face tournée vers l’os sacrum. Il arrive quelquefois aux os pubis de s’écarter : le placenta se détache sans peine du fond de la matrice. La matrice se resserre ; et se resserre si violemment et si subitement qu’elle prend la main de l’accoucheur et le placenta. Les vidanges se font : les mamelles s’étaient gonflées et deux ou trois jours après l’accouchement, au lieu d’un peu de sérosité qu’elles contenaient, elles se remplissent d’une liqueur séreuse, fine, peu après de chyle même. Séparé de la mère, l’enfant passe entre ses bras, qui le serrent ; elle est serrée par les bras de l’enfant : il est sous ses yeux, elle le tient, elle l’enlace, elle l’applique, il s’applique lui-même à son sein, elle continue de nourrir ; ce sont deux êtres qui cherchent à se réidentifier. Le lait séreux purge l’enfant. Pourquoi la mère et l’enfant et moi digérons-nous le lait de la mère ? Et pourquoi ce lait, transmis des mamelles dans les intestins ne s’y digère-t-il pas ? Preuve du besoin de la mastication et du travail de l’estomac. Une des absurdités les plus étonnantes que j’aie jamais lues, c’est que la formation du lait est plutôt l’effet d’une convenance morale, que celle d’une nécessité physique (De la femme, par Roussel). |
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a spingere gli alimenti negli intestini? In nessun modo; spinti negli intestini, vengono immediatamente lanciati verso l’uscita? In nessun modo. Ogni operazione animale ha i suoi progressi; e questi progressi sono regolati dalla facilità che l’organo vi trova, dalla sofferenza che patirebbe se si affrettasse, per il bisogno, per il piacere o per il malessere. La durata della gravidanza è tanto più breve, quanto più grandi sono le scorpacciate. Se bisogna stupirsi di qualcosa, non è della varietà nella durata della gestazione, è della sua approssimativa uniformità. Nelle unipare la gestazione varierà secondo la stessa legge. Se il piccolo assume una crescita enorme di volume e di pesantezza, il peduncolo si staccherà più rapidamente, la reazione delle parti sul piccolo sarà più pronta. A nove mesi il bambino, con tutte tutti i suoi involucri, fa una massa estranea rispetto alla matrice. Ma se questo corpo estraneo è senziente e vivente e cessa di essere nutrito, deve soffrire e agitarsi. Agitandosi, deve incomodare l’organo. L’organo disturbato deve agire e agirà verso il luogo dal quale spera di trovare un sollievo; come gli intestini tormentati da certi alimenti. Quando diverse cause concorrono a produrre un effetto, non bisogna escluderne nessuna. Il parto è una specie di vomito: bisogna farvi rientrare come causa la dilatazione estrema della matrice, il suo malessere, la contrattilità, la crescita del peso, il cambiamento di posizione del bambino, la simpatia delle parti vicine e cospiranti, la vescica impedita, il retto disturbato, due guanciali che cercano allo stesso tempo di liberarsi, e così le vene, le arterie, i legamenti, i muscoli, lo stomaco, il diaframma. Funzione dello sfintere in una donna. Sforzi della madre, paragonati a quelli per espellere gli escrementi, quando il retto è troppo pieno. La contrattilità della matrice basta talvolta a finire tutto il lavoro. L’amnios pieno d’acqua entra, in forma di cono, nell’orifizio; questo sacco si rompe, le acque lubrificano il passaggio, allora il bambino esce come d’un tratto, la faccia rivolta verso l’osso sacro. Talvolta accade che le ossa del pube si divarichino: la placenta si distacca senza sforzo dal fondo della matrice. La matrice si restringe; e si restringe così violentemente, così immediatamente da prendere la mano della puerpera e la placenta. Si compiono gli spurghi: le mammelle erano gonfie e due o tre giorni dopo il parto, invece di un po’ di sierosità che contenevano, si riempiono di un liquido sieroso, fine, e poco dopo dello stesso chilo. Separato dalla madre, il bambino passa tra le sue braccia che lo stringono; lei è stretta dalle braccia del bambino: è sotto i suoi occhi, lo abbraccia, lo applica al seno, il bambino stesso si applica al suo seno, lei continua a nutrirlo; sono due esseri che cercano di reidentificarsi.192 Il latte sieroso purga il bambino. Perché la madre e il bambino e io digeriamo il latte della madre? E perché questo latte, trasmesso dalle mammelle negli intestini, non si digerisce? Prova del bisogno della masticazione e del lavoro dello stomaco. Una delle assurdità più stupefacenti che io abbia mai letto, è che la formazione del latte è l’effetto di una convenienza morale, piuttosto che di una necessità fisica (Della donna, di Roussel).193
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Suppression du lait fâcheuse, comme suppression de toute autre sécrétion : il reflue dans la masse du sang, l’enflamme, l’épaissit ; cacochymie, obstructions, fièvres exanthémateuses, érysipèles, abcès, squirre, cancer. Les meilleures mamelles ne sont pas les grosses, ce sont les plus sensibles : ce sont celles où les mamelons ont une érection plus prompte et plus longue. Cette érection cesse, à la longue, pour un nourrisson ; comme l’autre, dans l’homme, cesse pour une femme, alors deux sortes de sevrage. Si vous ôtez tous les petits à l’animal carnivore qui a beaucoup de mamelles et de lait, il devient furieux. Laissez-lui en un qui suffise à son soulagement, il s’en contente. Mais les mères des oiseaux éprouvent la même douleur. Par quelle cause ? Mais les mamelles du mâle, mais les mamelles de l’âne et du cheval, placées dans le voisinage du gland, à quoi servent-elles ? Dans les progrès de l’incubation, je voudrais qu’on m’assignât le moment où l’âme s’introduit dans l’animal. | C’est une lourde bêtise que de comparer l’incubation à la gestation. Dans celle-ci, l’animal ne fait qu’un avec la mère. Il n’y a point de nerf qui aille de l’un à l’autre : d’accord ; cependant, si une nouvelle fait tomber la mère en syncope, que devient le fœtus ? Si une injure la transporte de colère, que devient le fœtus ? Si un accident la plonge dans une mélancolie durable, état où tous ses membres, ses organes, surtout l’estomac, le diaphragme, les intestins, le cœur et le cerveau sont affectés, que devient le fœtus ? Si un léger accès de fièvre met toute la masse du sang en effervescence, celle de l’enfant en sera-t-elle exceptée ? Il y a telle attaque nerveuse, à laquelle l’organisation de la mère ne résiste que par sa force. Quelle ne doit pas être, alors, son action transmise à la masse faible, délicate et presque informe du fœtus ? Un accès de passion produit la fausse couche. Nous souffrons quand nous voyons souffrir ; et une douleur étrangère agira sur nous et la douleur de la mère n’agira pas sur le fœtus, partie d’elle-même ? La vue d’un poitrinaire affecte notre poumon, la gaieté même est également contagieuse. Il est certain qu’il passe d’étranges sensations de la mère à l’enfant et de l’enfant à la mère, dont les envies capricieuses de celle-ci peuvent être les effets. Dans la maladie et même la convalescence, on en a de pareilles. Descartes moribond veut manger des pommes de terre. Nier les effets de l’imagination de la mère sur l’enfant, par des raisonnements mécaniques, c’est oublier qu’on fait mourir un homme en lui chatouillant la plante des pieds ou les côtes. Je ne crois pas aux taches : cependant, Haller après avoir nié les effets | de l’imagination de la mère, avoue que des enfants ont été sujets, pendant toute leur vie, à des convulsions occasionnées par des terreurs et autres affections violentes, éprouvées par la mère pendant la grossesse ; bien qu’il n’y ait aucune communication nerveuse de celle-ci à son enfant. Je ne voudrais pas qu’une mère fût exposée à voir, pendant toute sa grossesse, un visage grimacier. La grimace est contagieuse, nous la prenons ; pourquoi la mère la prenant, l’enfant ne la prendrait-il pas ? Cet enfant est, pendant neuf mois, partie triste ou gaie d’un système qui souffre ou se réjouit. La nature se plie à l’habitude.
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La soppressione del latte è fastidiosa, come la soppressione di ogni altra secrezione: rifluisce nella massa del sangue, la infiamma, la inspessisce; cacochima, ostruzioni, febbri esantematiche, erisipele, ascessi, scirro, cancro. Le mammelle migliori non sono le più grandi sono le più sensibili: quelle in cui i capezzoli hanno un’erezione più pronta e più lunga. Quest’erezione cessa, alla lunga, per un poppante; come l’altra, nell’uomo, cessa per una donna, allora ci sono due specie di svezzamento. Se togliete tutti i suoi piccoli all’animale carnivoro che ha molte mammelle e latte, esso diventa furioso. Lasciategliene uno che basti al suo sollievo, se ne accontenta. Ma le madri degli uccelli provano lo stesso dolore. Per quale causa? Ma le mammelle del maschio, le mammelle dell’asino e del cavallo, poste nelle vicinanze del glande, a che cosa servono? Nei progressi dell’incubazione, vorrei che mi si indicasse il momento in cui l’anima s’introduce nell’animale.194 È una grossa sciocchezza paragonare l’incubazione alla gestazione. In quest’ultima, l’animale non è che una cosa sola con la madre. Non c’è alcun nervo che vada dall’uno all’altra: d’accordo; tuttavia, se una notizia fa prendere una sincope alla madre, che cosa diventa il feto? Se un’ingiuria le provoca un accesso di collera, che diventa il feto? Se un incidente la fa cadere in una durevole melanconia, stato in cui tutte le membra, gli organi, soprattutto lo stomaco, il diaframma, gli intestini, il cuore e il cervello sono affetti, che diventa il feto? Se un leggero accesso di febbre mette tutta la massa del sangue in effervescenza, quella del bambino ne sarà eccettuata? C’è quel tipo di attacco nervoso, al quale l’organizzazione della madre non resiste se non grazie alla sua forza. Quale dev’essere allora l’azione trasmessa alla massa debole, delicata e quasi informe del feto? Un accesso di passione produce un aborto spontaneo. Noi soffriamo quando vediamo soffrire; e un dolore estraneo agirà su di noi e il dolore della madre non agirà sul feto, parte di se stessa? La vista di una persona malata di petto affligge il nostro polmone, l’allegria stessa è ugualmente contagiosa. È certo che passano strane sensazioni dalla madre al bambino e dal bambino alla madre, le cui voglie capricciose in questa possono essere gli effetti. Nella malattia e persino nella convalescenza, ne abbiamo di simili. Descartes moribondo vuole mangiare delle patate.195 Negare gli effetti dell’immaginazione della madre sul bambino, con dei ragionamenti meccanici, è dimenticare che si fa morire un uomo solleticandogli la pianta dei piedi o i fianchi. Io non credo alle macchie o voglie: tuttavia, Haller dopo aver negato gli effetti dell’immaginazione della madre, confessa che certi bambini sono stati soggetti, durante tutta la loro vita, a delle convulsioni occasionate dai terrori e da altre affezioni violente provate dalla madre durante la gravidanza; benché non vi sia alcuna comunicazione nervosa da questa al suo bambino. Non vorrei che una madre fosse esposta a vedere, durante tutta la sua gravidanza, un volto ghignante. La smorfia è contagiosa, la prendiamo; perché prendendola la madre, il bambino non dovrebbe prenderla? Questo bambino, durante i nove mesi, è parte triste o allegra di un sistema che soffre o si rallegra. La natura si piega all’abitudine.196
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opere filosofiche
Pourquoi l’homme, pourquoi tous les animaux ne seraient-ils pas des espèces de monstres un peu plus durables ? Pourquoi la nature, qui extermine l’individu en peu d’années, n’exterminerait-elle pas l’espèce dans une longue succession de temps ? L’univers ne semble quelquefois qu’un assemblage d’êtres monstrueux. Qu’est-ce qu’un monstre ? Un être dont la durée est incompatible avec l’ordre subsistant. Mais l’ordre général change sans cesse. Les vices et vertus de l’ordre précédent ont amené l’ordre qui est et dont les vices et les vertus amèneront l’ordre qui suit, sans qu’on puisse dire que le tout s’amende ou se détériore. S’amender, se détériorer sont des termes relatifs aux individus d’une espèce entre eux et aux différentes espèces entre elles. Il y a autant de monstres qu’il y a d’organes, dans l’homme, et de fonctions : des monstres d’yeux, d’oreilles, de nez qui vivent, tandis que les | autres ne vivent pas ; des monstres de position des parties, des monstres par superfétation, des monstres par défaut. Tous les viscères intérieures, depuis l’origine de l’œsophage jusqu’à l’extrémité du canal intestinal, les poumons, le cœur, l’estomac, la rate peuvent être dans un ordre renversé de l’ordre commun, qu’on appelle l’ordre naturel, sans conséquence fâcheuse pour tout le système.A | (Hommes, êtres monstrueux rentrent dans la classe des animaux non perfectibles). (Examiner ces monstres, organes par organes ; monstres d’imagination, monstres d’estomac, monstres de mémoire). Les enfants acéphales vivent, mais de la vie de la mère. Le moment de leur naissance, ou de la séparation d’avec la mère, est le moment de leur mort. Taureau avec matrice (Diog. Laert.). A L’an 1605, le 17 Janvier, naquirent à Paris deux jumelles, elles avaient deux têtes, quatre bras, quatre jambes s’entr’accolant par les bras, le tout bien formé en ses parties, avec poil et ongles. Chacune avait sa nature et son siège ouvert ; elles étaient conjointes depuis le milieu de la poitrine, jusqu’au nombril ; elles naquirent à huit mois. A la dissection, qui se fit aux écoles de médecine, il ne se trouva qu’un cœur et deux estomacs et tout le reste des parties naturelles séparées par une membrane mitoyenne ; le foie était fort grand, assis au milieu, par-dessus uni et continu, par-dessous divisé en quatre lobes, où se rendaient des veines ombilicales. Le cœur était aussi fort grand, assis au milieu de la poitrine, ayant quatre oreilles, quatre ventricules, huit vaisseaux, quatre veines et quatre artères, comme si la nature eût voulu faire deux cœurs. Et encore qu’il y eût deux ventres inférieurs ; il n’y avait néanmoins qu’une poitrine séparée d’avec les ventres inférieurs par un seul diaphragme. (Jour. de Henri IV). Une femme accoucha de trois enfants, un garçon bien formé et deux filles jointes et unies ensemble depuis le haut du cou jusqu’au nombril. Monstre, ne montrant par devant qu’un seul tronc, n’ayant qu’un seul sternum et une seule cavité de la poitrine, un seul cordon ombilical, deux fesses, quatre reins, canal intestinal double, un cœur à doux pointes, à droite pour l’une et conséquemment à gauche pour l’autre. C’étaient comme deux cœurs unis et accolés. Deux têtes se regardant en face. L’union commençait au-dessous des oreilles et des mâchoires, par la peau du cou ; deux colonnes vertébrales ; deux cous distincts par derrière ; un troisième bras inséré entre les deux colonnes vertébrales, commun aux deux enfants ; à ce bras, une main à dix doigts bien distincts et se touchant par les doux pouces. Ce bras est fait de deux bras tellement unis et incorporés, qu’ils ne forment qu’un seul bras, un seul avant-bras, un seul poignet. Ce n’est qu’au microscope que l’on voit les deux mains géminées placées sur un même plan. Ces deux filles sont nées vivantes (Journal de médecine, 1773).
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Perché l’uomo, perché tutti gli animali non potrebbero essere delle specie di mostri un po’ più durevoli? Perché la natura, che stermina l’individuo in pochi anni, non dovrebbe sterminare la specie in una lunga successione di tempo? Talvolta l’universo non sembra che un assemblaggio di esseri mostruosi.197 Che cos’è un mostro? Un essere la cui durata è incompatibile con l’ordine sussistente. Ma l’ordine generale cambia senza posa. I vizi e le virtù dell’ordine precedente hanno condotto all’ordine che c’è ora e i cui vizi e virtù condurranno all’ordine che segue, senza che si possa dire che il tutto si migliori o si deteriori. Migliorarsi, deteriorarsi sono termini relativi agli individui di una specie tra loro e alle differenti specie tra loro.198 Ci sono tanti mostri quanti organi vi sono nell’uomo, e funzioni: dei mostri d’occhi, d’orecchie, di naso, che vivono, mentre altri non vivono; dei mostri di posizione delle parti, dei mostri per superfetazione, dei mostri per difetto.199 Tutti i visceri interni, dall’origine dell’esofago fino all’estremità del canale intestinale, i polmoni, il cuore, lo stomaco, la milza, possono essere in un ordine rovesciato rispetto all’ordine comune, che si chiama l’ordine naturale, senza conseguenze incresciose per tutto il sistema.A (Uomini, esseri mostruosi rientrano nella classe degli animali non perfettibili). Esaminare questi mostri, organi per organi; mostri d’immaginazione, mostri di stomaco, mostri di memoria 201). I bambini acefali vivono, ma della vita della madre. Il momento della loro nascita o della separazione dalla madre, è il momento della loro morte. Toro con matrice (Diogene Laerzio).
A L’anno 1605, il 17 gennaio, nacquero a Parigi due gemelle, avevano due teste, quattro braccia, quattro gambe che si affiancavano tra loro per le braccia, il tutto ben formato nelle sue parti, con peli e unghie. Ciascuna aveva la sua natura e la sua sede aperta; erano congiunte dal mezzo del petto fino all’ombelico; nacquero a otto mesi. Alla dissezione, che si fece alle scuole di medicina, non si trovò che un cuore e due stomaci e tutto il resto delle parti naturali separate da una membrana di mezzo; il fegato era molto grande, collocato al centro, unito dalla parte superiore e continuo, dal di sotto diviso in quattro lobi, dove convergevano delle vene ombelicali. Anche il cuore era molto grande, posto in mezzo al petto, aveva quattro orecchiette, quattro ventricoli, otto vasi, quattro vene e quattro arterie, come se la natura avesse voluto fare due cuori. E malgrado vi fossero due ventri inferiori; nondimeno non c’era che un petto, separato dai ventri inferiori da un solo diaframma. (Journal de Henri IV).200 Una donna partorì tre bambini, un maschio ben formato e due femmine congiunte e unite insieme dalla parte alta del collo, fino all’ombelico. Mostro, che mostrava davanti un solo tronco, aveva un solo sterno e una sola cavità del petto, un solo cordone ombelicale, due natiche, quattro reni, canale intestinale doppio, un cuore a due punte, a destra per l’una e, di conseguenza, a sinistra per l’altra. Erano come due cuori uniti e accostati. Due teste si guardavano di fronte. L’unione iniziava al di sotto delle orecchie e delle mascelle, per la pelle del collo; due colonne vertebrali due colli distinti da dietro; un terzo braccio inserito tra le due colonne vertebrali, comune alle due bambine; a questo braccio, una mano a dieci dita ben distinte che si toccavano con i due pollici. Questo braccio è fatto di due braccia talmente unite e incorporate da formare un solo braccio, un solo avambraccio, un solo pugno. Al microscopio soltanto si vedono le due mani germinate e poste su uno stesso piano. Queste due bambine sono nate vive (Journal de médecine, 1773).
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Héraïs, après un an de mariage, devint homme, lui étant sorti un membre viril de l’ouverture qu’on croyait être un vagin (Diodore de Sicile). Pline a vu ce fait inter nuptias. Il est peu d’exemples de la réunion des principaux organes de la génération dans un même individu, quoique la possibilité de cette réunion ne manque pas d’une certaine probabilité (Haller). Voir le traité des hermaphrodites par Gaspard Bauhin. Hermaphrodite parmi les chèvres (Aristote). Hermaphrodite avec clitoris pourvu d’un urètre ouvert. Hermaphrodites qui avaient plus ou moins de parties de l’homme et de la femme, mais en qui les deux sexes étaient incomplets. |
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Eraide, dopo un anno di matrimonio, divenne uomo, essendogli uscito un membro virile dall’apertura che si credeva essere una vagina (Diodoro Siculo202). Plinio ha visto questo fatto inter nuptias.203 Ci sono pochi esempi della riunione dei principali organi della generazione in uno stesso individuo, benché la possibilità di tale riunione non manchi di una certa probabilità (Haller). Vedi il trattato degli ermafroditi di Gaspard Bauhin.204 Ermafrodita tra le capre (Aristotele205). Ermafrodita con clitoride dotato di un’uretra aperta. Ermafroditi che avevano più o meno parti dell’uomo e della donna, ma nei quali i due sessi erano incompleti.
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3e Partie
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Phénomènes du cerveau Chap. Ier
Sensation Toute manière d’être de l’âme, qui en a la conscience, produite en elle-même par ses propres opérations ou par un changement dans le système nerveux, s’appelle sensation. Sentir c’est vivre. Lorsque le changement dans le système nerveux vient des corps qui nous entourent et qui opèrent sur nos organes, l’impression est, suivant l’organe affecté, ou goût, ou odorat, ou vision, ou son, ou toucher.
Toucher
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Si l’impression s’est faite sur la peau, la sensation est du toucher. Aucun lieu sur la peau qui ne soit sensible. Mais comment dans les narines, qui ne sont que la même peau du nez repliée, la sensation est-elle si diverse de celle à l’anus, au vagin ? La peau est un tissu dense, composé d’un grand nombre de cellules rapprochées, dont les fibres sont entrelacées et embarrassées les unes dans les autres. Elle est extensible, contractile et poreuse. Elle a ses veines et ses | artères, avec une grande quantité de nerfs qu’on ne saurait suivre jusqu’à leur extrémité. Entre la peau et les muscles, il y a le tissu cellulaire. La peau s’y confond, peu à peu, en se relâchant ; et c’est en s’enfonçant dans les intervalles remplis de graisse que sont produites les fossettes. Il y a peu de parties où les fibres musculaires soient placées immédiatement sous la peau, sans en être séparées par la graisse. Il y a des parties où les fibres tendineuses des muscles s’insèrent dans la peau, comme à la paume de la main, à la plante des pieds. L’épiderme enlevé, la peau est presque sans inégalité, on n’y voit que des petits grains fort menus. L’extrémité des doigts montre de plus grandes papilles arrondies et placées dans les fossettes de l’épiderme. On a de la peine à découvrir les nerfs qui s’y distribuent. Ces papilles sont faites de vaisseaux et de nerfs liés ensemble pas le tissu cellulaire. Elles paraissent longues et en forme de poils aux lèvres macérées . Elles sont très visibles à la langue. La peau, le mucus de Malpighi, dans les endroits où ils paraissent percés, rentrent en dedans. Les papilles se meuvent, témoin l’horripilation, la tension du bout des mamelles des femmes. Les papilles, appliquées à l’objet du toucher, reçoivent l’impression sur leur partie nerveuse, qui la transmet au tronc des nerfs. Je conçois un toucher si exquis qu’il suppléerait aux quatre autres sens. Il serait diversement affecté selon les odeurs, les saveurs, les formes et les couleurs. | Boerhaave, dans son ouvrage intitulé : Hyppocrates impetum faciens, dit de lui-même qu’ayant perdu l’ouïe, il entendait un air en posant la main sur l’instrument.
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3a Parte
Fenomeni del cervello Capitolo I
Sensazione Ogni modo d’essere dell’anima, che ne ha la coscienza, prodotto in se stessa attraverso le proprie operazioni o con un cambiamento nel sistema nervoso, si chiama sensazione. Sentire è vivere.207 Quando il cambiamento nel sistema nervoso viene dai corpi che ci circondano e che operano sui nostri organi l’impressione è, a seconda dell’organo colpito, o gusto, o odorato, o visione, o suono, o tatto.208
Tatto209 Se l’impressione ha agito sulla pelle, la sensazione è del tatto.210 Non c’è nessun luogo sulla pelle che non sia sensibile. Ma com’è che nelle narici, le quali non sono che la stessa pelle del naso ripiegata, la sensazione è così diversa da quella dell’ano, della vagina? La pelle è un tessuto denso, composto da un gran numero di cellule ravvicinate, le cui fibre sono intrecciate e imbricate le une nelle altre. Essa è estensibile, contrattile e porosa. Ha le sue vene e le sue arterie, con una gran quantità di nervi che non si riuscirebbe a seguire fino alla loro estremità. Tra la pelle e i muscoli c’è il tessuto cellulare. La pelle vi si confonde, poco a poco, rilasciandosi; e affondando negli spazi intermedi pieni di grasso vengono prodotte le fossette. Ci sono poche parti in cui le fibre muscolari siano sistemate immediatamente sotto la pelle, senza esserne separate dal grasso. Ci sono parti in cui le fibre tendinose dei muscoli s’inseriscono nella pelle, come al palmo della mano, alla pianta dei piedi. Tolta l’epidermide, la pelle è quasi senza ineguaglianza, vi si scorgono solo dei piccoli granelli molto minuti. L’estremità delle dita mostra papille più grandi arrotondate e collocate nelle fossette dell’epidermide. Si fatica a scoprire i nervi che vi si distribuiscono. Queste papille sono fatte di vasi e di nervi legati insieme dal tessuto cellulare. Sembrano lunghe e in forma di pelame dalle labbra macerate. Esse sono molto visibili sulla lingua. La pelle, il muco di Malpighi, nei luoghi in cui sembrano perforati, rientrano verso dentro.211 Le papille si muovono, testimone l’orripilazione, la tensione della punta delle mammelle delle donne. Le papille, applicate all’oggetto del tatto, ricevono l’impressione sulla loro parte nervosa, che la trasmette al tronco dei nervi. Io immagino un tatto talmente raffinato che potrebbe supplire agli altri quattro sensi. Sarebbe diversamente affetto a seconda degli odori, dei sapori, delle forme e dei colori. Boerhaave, nell’opera intitolata: Hyppocrates impetum faciens, disse di se stesso che, avendo perso l’udito, ascoltava un’aria posando la mano sullo strumento.212
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opere filosofiche
Pourquoi tant de différence dans le pincer d’une tenaille de bois ou de fer et d’une tenaille de chair, ou de deux doigts ? La tenaille de bois ne sent pas, celle de chair sent ; la tenaille de bois ne souffre pas, celle de chair souffre, la tenaille de bois n’est pas chatouillée, la tenaille de chair l’est. La tenaille de bois ne se refuse pas à sa rupture, la tenaille de chair s’y refuse. La tenaille de bois ne sent ni sa force, ni sa faiblesse, la tenaille de chair la sent : la tenaille de bois, après sa rupture, ne se meut pas, la tenaille de chair se meut : la tenaille de bois, avant sa rupture, n’avait aucun mouvement d’elle-même, celle de chair l’avait : la tenaille de bois était isolée, avant son action, et reste isolée après avoir serré ; la tenaille de chair était en conspiration et reste en sympathie avec d’autres organes. La tenaille de bois ne s’accroissait, ni ne vivait, la tenaille de chair avait un accroissement et sa vie. En général, dans l’animal et dans chacune de ses parties, vie, sensibilité, irritation. Rien de pareil dans la matière brute.
Goût
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Si l’impression se fait sur les papilles de la langue, la sensation est du goût. Si le siège du goût est dans la langue, il s’affaiblit en approchant de l’épiglotte. Une fille, qui pour toute langue n’avait qu’un tubercule, | goûtait. La langue a des papilles de deux espèces, des tronquées et des frangiformes. Le palais, le tour de la bouche, le gosier sont encore des organes servant au goût. Le goût est le dernier des organes qui s’éteigne : il n’est donc pas étonnant que les vieillards aiment la table.
Odorat La partie extérieure de l’organe qui discerne les odeurs, c’est le nez. L’odorat s’opère au moyen d’une membrane pulpeuse, molle, vasculaire, papillaire, poreuse, qui tapisse la cavité interne des narines. Grand nombre de nerfs, très mous et presque nus. Mucus fourni pas les artères, les défend. Picotement de la membrane, éternuement ; larmes descendant dans le nez, délayent le mucus. Cornets et cavernes donnent lieu à l’étendue de la membrane odorifère. Sinus, coquilles etc. Il y a le sinus pituitaire, il y a la membrane pituitaire et ses glandes. Cornets spiraux et membraneux, dans les animaux à odorat fin. Cornets parallèles et en peigne, dans les poissons. Le chien a l’odorat très fin. L’ours blanc sent plus finement encore et le phoque plus finement que l’ours blanc. L’odeur sert aussi à discerner les aliments sains et malsains. Les animaux qui ont à chercher leur proie au loin, ou à discerner leur nourriture entre les plantes, ont l’odorat très fin. La morve ne vient point du cerveau ; c’est une excrétion propre et utile au nez. |
Ouïe
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L’organe de l’ouie est fait de cartilages et d’os durs. L’oreille est cartilagineuse et élastique ; elle a ses glandes cérumineuses. Il faut distinguer, dans l’oreille, le méat auditif, le tympan, le labyrinthe.
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Perché tanta differenza nel pizzico di una tenaglia di legno o di ferro e quello di una tenaglia di carne o di due dita? La tenaglia di legno non sente, quella di carne sente; la tenaglia di legno non soffre, quella di carne soffre, la tenaglia di legno non è solleticata, la tenaglia di carne lo è. La tenaglia di legno non si rifiuta alla sua rottura, la tenaglia di carne si rifiuta. La tenaglia di legno non sente né la sua forza, né la debolezza, la tenaglia di carne la sente: la tenaglia di legno dopo la sua rottura non si muove, la tenaglia di carne si muove: la tenaglia di legno, prima della sua rottura, non aveva alcun movimento da se stessa, quella di carne l’aveva: la tenaglia di legno era isolata, prima della sua azione, e resta isolata dopo aver serrato; la tenaglia di carne era in cospirazione e resta in simpatia con altri organi. La tenaglia di legno non cresceva, né viveva, la tenaglia di carne aveva una crescita e la sua vita. In generale, nell’animale e in ciascuna delle sue parti, vita, sensibilità, irritazione. Niente di simile nella materia bruta.
Gusto213 Se l’impressione si fa sulle papille della lingua, la sensazione è del gusto. Se la sede del gusto è nella lingua, s’indebolisce avvicinandosi all’epiglottide. Una ragazza che come unica lingua aveva solo un tubercolo, gustava. La lingua ha delle papille di due specie, le tronche e le frangiformi. Il palato, il contorno della bocca, la gola sono anch’essi degli organi che servono al gusto. Il gusto è l’ultimo degli organi a spegnersi: non c’è dunque da stupirsi che i vecchi amino la buona tavola.
Odorato La parte esterna dell’organo che discerne gli odori è il naso. L’odorato si opera per mezzo di una membrana polposa, molle, vascolare, papillare, porosa, che tappezza la cavità interna delle narici. Gran numero di nervi, assai morbidi e quasi a nudo. Muco fornito dalle arterie, li difende. Pizzicamento della membrana, starnuto; lacrime che scendono nel naso, ripuliscono il muco. Turbinati e caverne danno luogo all’estensione della membrana odorifera. Seno, conchiglie ecc. C’è il seno pituitario, c’è la membrana pituitaria e le sue ghiandole. Turbinati a spirale e membranosi, negli animali dall’odorato fine. Turbinati paralleli e a pettine, nei pesci. Il cane ha l’odorato molto fine. L’orso bianco sente in modo ancora più fine e la foca in modo più fine dell’orso bianco. L’odore serve anche a discernere gli alimenti sani e malsani. Gli animali che devono cercare la loro preda da lontano, o discernere il nutrimento tra le piante, hanno l’odorato molto fine. Il moccolo non viene affatto dal cervello; è un’escrezione propria e utile al naso.
Udito214 L’organo dell’udito è fatto di cartilagini e di ossa dure. L’orecchio è cartilagineo ed elastico; ha le sue ghiandole ceruminose. Bisogna distinguere, nell’orecchio, il meato acustico, il timpano e il labirinto.
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opere filosofiche
L’air ondule, les rayons sonores se rassemblent dans le méat auditif : ils trouvent au fond de ce conduit la membrane concave du tympan, cette membrane oscille, son oscillation met en mouvement les petits os, le marteau, l’enclume, l’étrier ; de là, ils vont au trou ovale. Le frémissement se continue au vestibule, au cochlea, au labyrinthe, d’où leur impression passe au cerveau. Le tympan fait bouclier en dedans, très tendu et très susceptible d’oscillation. Pas moins de trente oscillations par seconde pour être entendues ; le son le plus aigu en produit 7520. Le son parcourt, en une seconde, 1038 pieds. Sa vitesse est augmentée par la chaleur. En Guinée, il parcourt 1098 pieds. L’écho suppose, entre le corps sonore et l’oreille, une distance de 110 pieds ; sans quoi, le son deviendrait continu en se pressant comme le ruban de feu pour l’œil. | Les oiseaux et les poissons entendent sans limaçon : canaux demi-circulaires manquent dans l’éléphant. Brûlure à l’oreille produit son. Le son entre par la bouche, les narines, la trompe d’Eustache ; un grain de poussière dans ce canal, on n’entend pas. Le son se communique au nerf auditif pas les dents, pas les os du crâne. Le lièvre pusillanime a cinq tours au limaçon. Ouïe difficile à expliquer. C’est l’anatomie comparée qui éclaircira tout cela. Pourquoi l’air sonore n’ébranle-t-il pas la lumière d’une bougie, lui qui ébranle une autre corde ?
Vue
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Cet organe est fait d’humeurs, il est propre aux réfractions, il est composé de parties tendres, qu’il fallait garantir. Sourcils, défense extérieure, en dirigeant la sueur sur le côté des joues. Paupière, couvre le globe et se couche sur la sclérotique, conjonctive ou cornée, à laquelle elle s’unit intimement : les paupières sont très sensibles. Cils. Ils rejettent le trop de lumière. Glandes sébacées de Meibomius, le long du bord des paupières, four | nissent le suif, qui enduit les paupières et empêche leur frottement douloureux. La matière des larmes arrose la cornée, en entretient la souplesse et entraîne les insectes et autres petits corps. Cette matière est le produit d’une glande ; le surplus passe, par les points lacrymaux, dans le sac lacrymal et de là dans la narine, par le conduit du même nom. L’orbite, emplacement graisseux de l’œil. Nerf optique. Expansion de ce nerf. Enveloppe générale du globe, sclérotique, c’est la membrane interne, de la duremère, séparée du nerf. Le périoste de l’œil, c’est la membrane externe de la dure-mère, séparée du nerf. La pie-mère tapisse la partie interne de la sclérotique, en se séparant du nerf. La substance médullaire de la partie interne du nerf dépouillé, continue au cerveau ; mais séparée par des cloisons cellulaires se réunit en une papille conique blanche, aplatie, pénètre par les trous du cercle blanc de la choroïde, s’épanouit et forme la rétine, membrane la plus interne de l’œil. La sclérotique est percée à sa partie antérieure d’un trou orbiculaire. Autour de ce trou est attachée une partie plus convexe, transparente, formée de plusieurs lames sensibles, presque circulaires. C’est la cornée, passage de la lumière au fond de l’œil.
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L’aria ondula, i raggi sonori si raccolgono nel meato acustico: trovano in fondo a questo condotto la membrana concava del timpano, questa membrana oscilla, la sua oscillazione mette in movimento le piccole ossa, il martello, l’incudine, la staffa; da lì, vanno al foro ovale. Il fremito si prolunga nel vestibolo, nella coclea, nel labirinto, donde la loro impressione passa al cervello. Il timpano fa scudo dall’interno, molto teso e suscettibile di oscillazione. Non meno di trenta oscillazioni al secondo per essere sentiti; il suono più acuto ne produce 7520. Il suono percorre in un secondo 1038 piedi. La sua velocità è aumentata dal calore. In Guinea, percorre 1098 piedi al secondo. L’eco presuppone, tra il corpo sonoro e l’orecchio, una distanza di 110 piedi; senza questa, il suono diventerebbe continuo, spremendosi come un nastro di fuoco per l’occhio. Gli uccelli e i pesci sentono senza coclea: i canali semicircolari mancano nell’elefante. Bruciatura all’orecchio produce suono. Il suono entra dalla bocca, le narici, la tromba d’Eustachio; un grano di polvere in questo canale, non si sente più. Il suono si comunica al nervo uditivo dai denti, dalle ossa del cranio. La lepre, pusillanime, ha cinque giri alla coclea. Udito difficile da spiegare. È l’anatomia comparata che chiarirà tutto questo. Perché l’aria sonora non scuote la luce di una candela, mentre scuote un’altra corda sonora?
La vista215 Quest’organo è fatto di umori, è adatto alle rifrazioni, è composto di parti tenere, che bisognava proteggere.216 Sopracciglia, difesa esterna, dirigendo il sudore sui lati delle guance. Palpebra, copre il globo oculare e si stende sulla sclerotica, congiuntiva o cornea, alla quale s’unisce intimamente: le palpebre sono molto sensibili. Ciglia. Respingono la troppa luce. Ghiandole sebacee di Meibonius,217 lungo il bordo delle palpebre, forniscono il sebo, che unge le palpebre e impedisce il loro sfregamento doloroso. La materia delle lacrime irriga la cornea, ne mantiene l’elasticità e porta via gli insetti e altri piccoli corpi. Questa materia è il prodotto di una ghiandola; il sovrappiù passa, attraverso i punti lacrimali, nel sacco lacrimale e da lì nella narice, per il condotto che porta lo stesso nome. L’orbita, ubicazione dell’occhio, composta di grasso. Nervo ottico. Espansione di questo nervo. Involucro generale del globo oculare, sclerotica, è la membrana interna, della dura madre, separata dal nervo. Il periostio dell’occhio, è la membrana esterna della dura madre, separata dal nervo. La pia madre tappezza la parte interna della sclerotica, separandosi dal nervo. La sostanza midollare della parte interna del nervo spogliato, continua al cervello; ma separata da pareti cellulari, si riunisce in una papilla conica bianca, appiattita, penetra attraverso i fori del cerchio bianco della coroide, si sviluppa e forma la retina, membrana più interna dell’occhio. La sclerotica è perforata nella sua parte anteriore da un foro orbicolare. Attorno a questo foro è attaccata una parte più convessa, trasparente, formata da diverse lame sensibili, quasi circolari. È la cornea, passaggio della luce sul fondo dell’occhio.
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La conjonctive s’éloigne des paupières à la partie antérieure la plus plane de la sclérotique et devant la cornée ; la conjonctive est unie avec la sclérotique. La choroïde commence par un cercle blanc, percé de plusieurs trous et terminant la substance du nerf optique à l’endroit où la rétine et son artère | centrale l’abandonnent, devenant de plus en plus concentrique elle s’épanouit entre la sclérotique ; et parvenue à l’origine de la cornée transparente, elle s’unit exactement avec la sclérotique. Cette membrane, dont l’épanouissement tendait à faire une sphère, s’étend autour de la cornée, forme un cercle, qu’on appelle pupille. La partie antérieure de cet anneau se nomme iris. La partie postérieure couverte de noir se nomme uvée. Les humeurs soutiennent ces tuniques. L’humeur vitrée touche à la rétine. En devant du corps vitré et derrière l’uvée, le cristallin. L’humeur aqueuse occupe l’espace triangulaire curviligne, entre l’uvée et le cristallin. Chemin des rayons de la lumière dans l’œil : ils traversent la cornée, se réfractent ; passent dans l’humeur aqueuse, convergent, mais un peu moins ; deviennent presque parallèles, tombent sur le cristallin ; convergent beaucoup ; au sortir du cristallin, continuent de converger dans l’humeur vitrée, moins que dans le cristallin, mais plus qu’avant d’y entrer ; puis atteignent la rétine, où l’image se peint ; mais renversée, parce que les rayons des extrémités de l’objet se sont croisés. Le cristallin est mobile, en avant et en arrière. En se portant en avant, il corrige les rayons trop divergents ; en arrière, il corrige les rayons trop convergents. Le point de vision distincte des myopes ou yeux denses est entre 1 et 7 pouces de distance de l’œil. Celui des presbytes est entre 15 et 30 pouces. Mesure de la grandeur : objet au sommet d’un angle, dont la cornée est la base. La forme de l’œil est variable ; il s’aplatit ou se sphérise, selon la distance des objets à voir. | Ceux qui voient la nuit, s’éclairent eux-mêmes : ils ont les yeux phosphoriques. Les couleuvres n’ont point d’œil. Ceux qui sont sans yeux voient par le toucher. Artères de Ridley gonflées montrent des mouches qui volent. Madame la Duchesse de Portland perd la vue de la moitié des objets, pendant un intervalle assez considérable par toute sensation douloureuse et violente. Mr Kleikenberg, à La Haye, ne saurait distinguer le vert du rouge ; le fils d’un écrivain d’Amsterdam ne distingue aucune demi-teinte. Combien d’expériences à faire sur ces deux individus singuliers ! La couleur blanche et la couleur noire sont, entre les sensations de la vue, les moins variables. Il y a des exemples d’hommes qui ne voient que les formes des objets. Si dans l’amaurosis un œil est privé de la vision, et qu’on ferme le bon, la prunelle est immobile ; si l’on rend la 1umière à celui-ci, la prunelle malade se meut et se contracte. Effet de sympathie. Je ne crois pas que dans les formes des objets il puisse y en avoir | d’agréables ou de désagréables à l’œil, que celles qui le fatigueront, comme de petits plis, les irrégularités, les bizarreries, le défaut de symétrie, tout ce qui rompt l’enchaînement naturel, la loi d’unité, enfin celles qui appliquent trop l’organe. Je ne crois pas que l’œil puisse être récréé ou blessé. Le plaisir et la douleur sont ailleurs. Il est vrai que l’œil change de forme selon l’objet, mais je pense que le plaisir n’est point dans l’œil. Observation particulière à cet organe et qui n’a point encore été faite.
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La congiuntiva si distanzia dalle palpebre nella parte anteriore più piatta della sclerotica e davanti alla cornea; la congiuntiva è unita con la sclerotica. La coroide inizia con un cerchio bianco, attraversato da diversi fori e mettendo un termine alla sostanza del nervo ottico nel luogo in cui la retina e la sua arteria centrale la abbandonano, diventando sempre più concentrica, essa si diffonde tra la sclerotica; e una volta giunta all’origine della cornea trasparente, si unisce esattamente con la sclerotica. Questa membrana, la cui diffusione tendeva a creare una sfera, si estende attorno alla cornea, forma un cerchio che si chiama pupilla. La parte anteriore di quest’anello si chiama iride. La parte posteriore coperta di nero si chiama uvea. Gli umori sorreggono queste tuniche. L’umore vitreo tocca fino alla retina. Sulla parte anteriore del corpo vitreo e dietro l’uvea, c’è il cristallino. L’umore acquoso occupa lo spazio triangolare curvilineo, tra l’uvea e il cristallino. Percorso dei raggi della luce nell’occhio: attraversano la cornea, si rifrangono; passano nell’umore acquoso, convergono, ma un po’ meno; diventano quasi paralleli, cadono sul cristallino; convergono molto; all’uscita dal cristallino, continuano a convergere nell’umore vitreo, meno che nel cristallino, ma di più prima di entrarvi; poi raggiungono la retina, dove l’immagine si dipinge; ma rovesciata, perché i raggi dalle estremità dell’oggetto si sono incrociati. Il cristallino è mobile, in avanti e indietro. Portandosi in avanti, corregge i raggi troppo divergenti; indietro, corregge i raggi troppo convergenti. Il punto di visione distinta dei miopi o degli occhi densi è tra 1 e 7 pollici di distanza dell’occhio. Quello dei presbiti è tra 15 e 30 pollici. Misura della grandezza: oggetto al vertice di un angolo, di cui la cornea è la base. La forma dell’occhio è variabile; si appiattisce o si rende sferico, a seconda della distanza degli oggetti da vedere. Quelli che vedono di notte, s’illuminano da soli: hanno gli occhi fosforici. Le bisce non hanno affatto occhi. Quelli che sono senza occhi, vedono con il tatto. Arterie di Ridley gonfiate, mostrano delle mosche che volano.218 La signora duchessa di Portland 219 perde la vista della metà degli oggetti, per un intervallo di tempo abbastanza considerevole, con ogni sensazione dolorosa e violenta. Il signor Kleikenberg, all’Aia, non sarebbe in grado di distinguere il verde dal rosso; il figlio di uno scrittore di Amsterdam non distingue alcuna mezza tinta. Quante esperienze da fare su questi individui singolari!220 Il colore bianco e il colore nero sono, tra le sensazioni della vista, le meno variabili. Vi sono esempi di uomini che vedono solo le forme degli oggetti. Se nell’amaurosi 221 un occhio è privato della visione, e si chiude quello buono, la pupilla è immobile; se gli si restituisce la luce, la pupilla malata si muove e si contrae. Effetto di simpatia.222 Io non credo che nelle forme degli oggetti ve ne possano essere di gradevoli o di sgradevoli all’occhio, se non quelle che lo affaticheranno, come delle piccole pieghe, le irregolarità, le bizzarrie, i difetti di simmetria, tutto ciò che rompe la concatenazione naturale, la legge di unità, insomma quelle che impegnano troppo l’organo. Non credo che l’occhio possa essere rinfrancato o ferito. Il piacere e il dolore sono altrove. È vero che l’occhio cambia forma secondo l’oggetto, ma io penso che il piacere non è affatto nell’occhio. Osservazione particolare di questo organo e che non è ancora stata fatta.
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L’œil s’obscurcit dans la peur et dans la tristesse, s’allume dans la colère, brille dans l’amour. Dans l’amour, il est humide, sec dans la colère et quelquefois sanglant. Il semble que nous passions nos jours par de petits jours et des petites nuits. Premièrement, il fait nuit toutes les fois que nous fermons nos paupières. Et combien cela ne nous arrive-t-il pas ? Si nous ne nous apercevons pas de toutes ces petites nuits, c’est que nous n’y faisons pas attention ; car lorsque nous y faisons attention, nous nous en apercevons : ou bien, c’est que l’impression de la lumière reçue dure en nous plus que la durée du clignotement, et qu’il n’y a point de cessation de lumière : c’est ici comme au ruban de feu, formé par la pointe du charbon ardent. Nous exerçons nos sens comme la nature nous les a donnés et que les besoins et les circonstances l’exigent : mais nous ne les perfectionnons | pas ; nous ne nous apprenons pas à voir, à flairer, à sentir, à écouter, à moins que notre profession ne nous y force. Tout ce qui appartient à une classe nombreuse d’hommes, appartient à tous, à de très petites différences près. Tel qui n’a jamais appris la musique, entendrait comme le musicien, si son oreille était exercé. Tel qui ne voit pas comme le sauvage, verrait comme lui, si son œil était exercé. Combien l’organe de l’œil serait trompeur, si son jugement n’était pas sans cesse rectifié pas le toucher.
Examen expérimental de la manière dont se fait la sensation de l’œil sur un arbre, et dont l’âme a l’idée d’un arbre.
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Le champ de l’œil embrasse une partie de l’arbre, si l’œil ne réitère pas l’expérience, il ne connaîtra pas l’arbre, si la portion embrassée dans la seconde expérience par le champ de l’œil ne se lie pas par la portion embrassée dans la première, en sorte qu’une partie de ce qu’on a vu se joigne à une partie de ce qu’on voit, on aura beau multiplier les expériences, on aura parcouru tout l’arbre ; mais les expériences ne se liant point les unes aux autres, on n’aura point la notion précise d’un arbre. Pour avoir cette notion exacte et des parties et de l’ensemble, il faut que l’imagination peigne le tout dans l’entendement et que j’en éprouve la sensation, comme si l’arbre était présent ; et si l’on examine bien ce qui se passe dans l’entendement, lorsqu’on veut apercevoir l’arbre en entier, | l’on procède au-dedans de soi, comme on a procédé audehors, par champs plus ou moins étendus, qui empiètent successivement les uns sur les autres, ou qu’on parcourt avec une extrême rapidité, une rapidité si grande qu’on se persuade qu’on voit en dedans tout l’arbre à la fois, comme on se persuade qu’on l’a vu tout entier à la fois hors de soi, ce qui n’est vrai ni dans l’un, ni dans l’autre cas. Il faut commencer par ceci. Voir un objet et y attacher un son, le son arbre ; puis dire, entendre le mot arbre. Voir un objet, en embrasser un champ, celui de l’œil, et procéder de l’extrémité des racines, de champ en champ, jusqu’au sommet, attachant à chaque partie qui offre des formes très distinctes les mots filaments, racines, tronc, écorce, branches, pédicules, feuilles, nervures, fleurs, fruits, puis le mot arbre, qui comprend le tout, puis le même mot répété. C’est ainsi que toutes nos sensations sont composées ; et s’il est impossible que la sensation soit simple, il est impossible que la pensée le soit : elle le devient par abstraction : mais cette abstraction est si prompte, si habituelle, que nous ne nous en apercevons pas ; ce qui ajoute à notre erreur, ce sont les mots, qui tous pour la plupart désignent une sensation simple.
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L’occhio si oscura nella paura e nella tristezza, s’illumina nella collera, brilla nell’amore. Nell’amore, è umido, secco nella collera e talora sanguinante. Sembra che noi passiamo le nostre giornate in piccoli giorni e in piccole notti. In primo luogo, fa notte tutte le volte che chiudiamo le palpebre. E quante volte ciò non accade? Se non ci accorgiamo di tutte queste piccole notti, è perché non vi facciamo attenzione; perché quando vi facciamo attenzione, ce ne accorgiamo: oppure, perché l’impressione della luce ricevuta dura in noi più della durata del battere di ciglia, e non c’è affatto cessazione di luce: è qui come con il nastro di fuoco, formato dalla punta del carbone ardente. Esercitiamo i nostri sensi come la natura ce li ha dati e come esigono i bisogni e le circostanze: ma non li perfezioniamo; noi non impariamo a vedere, a fiutare, a sentire, ad ascoltare, a meno che la nostra professione non vi ci costringa. Tutto ciò che appartiene a una classe numerosa di uomini, appartiene a tutti, a parte piccole differenze. Il tale che non ha mai imparato la musica, sentirebbe come il musicista, se il suo orecchio fosse esercitato. Il tale che non vede come vede il selvaggio, vedrebbe come lui, se il suo occhio fosse esercitato. Quanto sarebbe ingannatore l’organo dell’occhio, se il suo giudizio non fosse continuamente rettificato dal tatto.
Esame sperimentale della maniera in cui si compie la sensazione dell’occhio su di un albero e come l’anima ha un’idea dell’albero223 Il campo dell’occhio abbraccia una parte dell’albero; se l’occhio non reitera quest’esperienza non conoscerà l’albero, se la porzione abbracciata nella seconda esperienza dal campo dell’occhio non si lega alla porzione abbracciata nella prima, di modo che una parte di ciò che si è visto s’unisca a una parte di ciò che si è già visto in precedenza, si potranno tranquillamente moltiplicare le esperienze, non si sarà abbracciato l’intero albero;224 ma poiché le esperienze non si legano le une alle altre, non si avrà affatto la nozione precisa di un albero. Per avere questa nozione esatta e delle parti e dell’insieme è necessario che l’immaginazione225 dipinga il tutto nell’intelletto e che io226 ne provi la sensazione, come se l’albero fosse presente227 e se si esamina bene quello che accade nell’intelletto quando si vuole percepire l’albero come un intero, si procede all’interno di sé come si procede all’esterno, per campi più o meno estesi, che sconfinano successivamente gli uni sugli altri, o che si percorrono con un’estrema rapidità, con una rapidità tanto grande che ci si persuade di vedere dentro di sé tutto l’albero insieme, come ci si persuade che lo si è visto tutto insieme fuori di sé, cosa che non è vera né nell’uno né nell’altro caso.228 Bisogna cominciare da questo. Vedere un oggetto e legarvi un suono,229 il suono albero; poi dire, ascoltare la parola albero.230 Vedere un oggetto, abbracciarne un campo, quello dell’occhio e procedere dall’estremità delle radici, di campo in campo, fino alla cima, legando a ciascuna parte che offre delle forme molto distinte le parole filamenti, radici, tronco, scorza, rami, peduncoli, foglie, nervature, fiori, frutti, poi la parola albero, che comprende il tutto, poi questa stessa parola ripetuta. È così che tutte le nostre sensazioni sono composte231 e se è impossibile che la sensazione sia semplice è impossibile che anche il pensiero lo sia. Lo diviene per astrazione, ma tale astrazione è tanto veloce, tanto pronta e abituale che noi non ce ne accorgiamo; ciò che incrementa il nostro errore sono le parole, le quali tutte, per la maggior parte, designano una sensazione semplice.232
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La durée des sensations n’est pas moins certaine : elle est prouvée par le tremblement des nerfs, des organes ou sens extérieurs, par l’éblouissement des yeux que frappe l’éclair, par les ressouvenances accidentelles dans l’organe de l’ouïe, par la durée du plaisir et de la peine ; point de mélodie, sans la durée de la sensation des sons qui se succèdent quelquefois si rapidement. La sensation s’exécute par les nerfs, car on ne saurait les toucher, que le sentiment ne se perçoive. De là, sensation simple, sensation agréable, sensation douloureuse ; on meurt d’une extrême douleur. Mais tout ne sent pas dans le corps. Il y a des nerfs partout, mais ils | ne sont pas tout ce qu’il y a. Les os ne sentent pas, ni les tendons, ni les ligaments, ni les capsules. L’origine de la sensation est à l’extrémité du nerf touché ; point de sensation s’il est détruit ou vicié. La sensation va du membre au cerveau, si la communication n’est pas libre, point de sensation. Il faut encore que le cerveau où les nerfs portent la sensation, sente aussi. Lorsqu’on avait le membre qu’on a perdu, de ce membre affecté la sensation allait au cerveau : si par quelque cause la même sensation est ressuscitée, alors on rapportera la sensation à son ancienne origine et l’on aura mal au membre, qui n’existe plus. Souvent la douleur se fait sentir ailleurs qu’à la partie blessée. C’est un effet de la liaison du nerf affecté avec un autre, dont l’origine est commune à tous les deux. La variété des sensations s’explique, ce me semble, assez bien par la variété des manières dont un même organe peut être affecté. L’évaporation de la tubéreuse n’étant pas la même que celle de la rose, l’organe en doit être diversement affecté et la sensation diverse. L’évaporation de la rose en bouton, n’est pas la même que celle de la rose épanouie, ou de la rose fanée, autant d’impressions diverses, autant de sensations différentes. Il en est de même du chaud et du froid, dans tous leurs degrés : ce qui serait très extraordinaire, vu la variété des organes et des corpuscules agissants, c’est que les sensations fussent peu variées. Leur différence tient à celle des impressions et celle des impressions tient à la différence dans les objets, à la différence dans les organes, à la | différence du sensorium commune. L’affection de l’organe en est plus ou moins forte, plus ou moins durable. De là, ce qui est peine dans un instant, devient plaisir dans un autre ; de là, ce qui est plaisir pour moi, est peine pour vous : de là, jugement divers d’un spectacle, d’un récit, d’un poème, d’un discours, d’une histoire, d’un roman, d’un tableau, d’une action. Lorsque l’impression est faible, l’organe propre à la recevoir ne la sent pas. Je sens que je vois, mais mon œil ne le sent pas. Je sens que j’entends, mais mon oreille ne le sent pas, et je ne distingue alors ni ce que je vois, ni ce que j’entends. Il en est de même dans les affections violentes, elles secouent l’origine du faisceau, mais chaque brin oscille séparément. Dans l’impression violente, il paraît que l’organe ne sent que comme organe du toucher en général et non comme organe de tel toucher. La force des sensations s’apprécie par la nature de l’ébranlement des fibres nerveuses, dont les organes sont tissus, si la sensation était aussi forte dans l’absence, comme dans la présence de l’objet, on verrait, on toucherait, on sentirait toujours, on serait fou. Si les sensations extérieures, ou qui me viennent du dehors, et les sensations intérieures, ou qui émanent de moi, m’étaient aussi intimes, tout serait moi et je serais tout. Je tuerais avec aussi peu de scrupule que je m’arrache une épine du pied, ou que je me coupe un cor qui me fait souffrir : mais heureusement, le mal d’autrui n’est que songe et il y a une grande différence entre la douleur que je vois et la douleur que je sens. |
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La durata delle sensazioni non è meno certa:233 è provata dal tremito dei nervi, degli organi o dei sensi esterni, dal accecamento degli occhi colpiti dal lampo, dalle rimembranze accidentali nell’organo dell’udito, dalla durata del piacere e del dolore; non c’è melodia, senza la durata della sensazione dei suoni che si succedono talvolta così rapidamente. La sensazione si esegue attraverso i nervi, infatti non si potrebbe toccarli senza che il sentimento si percepisca. Da ciò, sensazione semplice, sensazione gradevole, sensazione dolorosa; si muore per un dolore estremo. Ma non tutto sente nel corpo. Vi sono nervi dappertutto, ma non sono tutto ciò che c’è in esso. Le ossa non sentono, né i tendini, né i legamenti, né le capsule. L’origine della sensazione è all’estremità del nervo toccato; non c’è alcuna sensazione, se esso è distrutto o viziato. La sensazione va dal membro al cervello; se la comunicazione non è libera, niente sensazione. Occorre inoltre che il cervello, dove i nervi portano la sensazione, senta anch’esso. Quando s’aveva un membro che si è perduto, da questo membro affetto la sensazione andava al cervello: se per qualche causa la stessa sensazione è risuscitata, allora si rapporterà la sensazione alla sua antica origine e si avrà male al membro che non esiste più.234 Spesso il dolore si fa sentire altrove rispetto alla parte ferita. È un effetto del collegamento del nervo affetto con un altro, la cui origine è comune a entrambi. La varietà delle sensazioni si spiega, mi sembra, abbastanza bene con la varietà delle maniere con le quali uno stesso organo può essere affetto. Poiché l’evaporazione della tuberosa non è la stessa di quella della rosa sbocciata o della rosa appassita, ci sono altrettante impressioni diverse, altrettante sensazioni diverse. È la stessa cosa per il caldo e il freddo, in tutti i loro gradi: ciò che sarebbe assai straordinario, vista la varietà degli organi e dei corpuscoli agenti, è che le sensazioni fossero poco varie. La loro differenza dipende da quella delle impressioni e quella delle impressioni dipende dalla differenza negli oggetti, dalla differenza negli organi, dalla differenza del sensorium commune. L’affezione dell’organo ne risulta più o meno forte, più o meno durevole. Da ciò, quello che in un momento è dolore, diventa piacere in un altro; da ciò, quello che è piacere per me, è dolore per voi: da ciò, i giudizi diversi su uno spettacolo, un racconto, un poema, un discorso, una storia, un romanzo, un quadro, un’azione. Quando l’impressione è debole, l’organo adatto a riceverla non la sente. Io sento di vedere, ma il mio occhio non lo sente. Io sento di ascoltare, ma il mio orecchio non lo sente, e allora non distinguo né quello che vedo, né quello che sento. Accade lo stesso nelle affezioni violente, esse scuotono l’origine del fascio, ma ciascun filetto oscilla separatamente. Nell’impressione violenta, sembra che l’organo non senta se non come organo del tatto in generale e non come organo di quel tatto. La forza delle sensazioni si apprezza dalla natura dell’oscillazione delle fibre nervose, di cui gli organi sono intessuti, se la sensazione fosse altrettanto forte in assenza, come in presenza dell’oggetto, si vedrebbe, si toccherebbe, si sentirebbe sempre, si sarebbe pazzi. Se le sensazioni esterne, ossia quelle che provengono da fuori di me, e le sensazioni interne, ossia quelle che emanano da me, fossero altrettanto intime per me, tutto sarebbe me e io sarei tutto. Ucciderei con tanti pochi scrupoli con quanti mi tolgo una spina dal piede, o mi taglio un callo che mi fa soffrire: ma per fortuna il male altrui non è che sogno e c’è una grande differenza tra il dolore che vedo e il dolore che sento.
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Les sensations réveillées ont le caractère des sensations produites. Elles ont de la durée comme celles-ci ; elles sont également composées Il y a des personnes dans lesquelles le signe réveille la sensation, aussi puissamment que la chose. J’ai connu un homme qu’on aurait fait sauter par la fenêtre, peutêtre mourir, par le seul signe du chatouillement. Je ne sais si ce signe réveillait en lui la sensation même du chatouillement, ou si ce n’était que la menace d’une chose qu’il craignait à l’excès. Rapport de la sensation avec le discours. Le myope parle lentement : une seule sensation est un tableau varié, elle produit un grand nombre de mots. Effet réciproque de la sensation sur les objets et des objets sur la sensation. Je suis heureux, tout ce qui m’entoure s’embellit. Je souffre, tout ce qui m’entoure s’obscurcit. Mais ce phénomène n’a lieu que dans les plaisirs ou dans les peines modérées. Un peu de bile dont la circulation dans le foie est embarrassée change toute la couleur des idées : elles deviennent noires, mélancoliques, on se déplaît partout, où l’on est. Une femme ordonne ses malles : elles sont faites, elles sont attachées derrière sa voiture : elle a dit adieu à ses amis ; les chevaux sont mis, un de ses fils lui donne la main : il lui prend un besoin, elle rentre dans sa garde-robe, elle rend une pierre biliaire ; la voilà guérie et elle ne part plus. Et c’est à de pareilles causes que tient notre raison, nos goûts, nos aversions, nos désirs, notre caractère, nos actions, notre morale, nos vices, nos vertus, notre bonheur et notre malheur, le bonheur et le malheur de ceux qui nous entourent ! | Chap. II
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Entendement
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Les objets agissent sur les sens ; la sensation dans l’organe a de la durée ; les sens agissent sur le cerveau, cette action a de la durée : aucune sensation n’est simple, ni momentanée, car s’il m’est permis de m’exprimer ainsi, c’est un faisceau. De là naît la pensée, le jugement. Le jugement distingue les idées, le génie les rapproche, le raisonnement les lie. Jugement, raisonnement, formation des langues. Tachons d’expliquer ces opérations de l’entendement. On juge : voilà le fait. Comment le jugement se fait-il ? Voilà le phénomène à expliquer. Peut-être ce phénomène, au premier coup d’œil, paraît-il aux ignorants beaucoup plus facile, aux hommes instruits beaucoup plus difficile qu’il ne l’est. Par la raison seule que toute sensation est composée, elle suppose jugement ou affirmation de plusieurs qualités éprouvées à la fois. Par la raison qu’elles sont durables, il y a coexistence de sensations. L’animal sent cette coexistence. Or, sentir deux êtres coexistants, c’est juger. Voilà le jugement formé ; la voix l’articule. L’homme dit mur blanc et voilà le jugement prononcé. La chose devient encore plus aisée à concevoir, si j’ai la présence des objets. Voilà un mur et je dis mur ; et tandis que je prononce ce mot, je le vois blanc et je dis blanc. Or, ce qui se fait dans la présence des objets, | s’exécute de la même manière dans leur absence, lorsque l’imagination les supplée. On éprouve une sensation ; on a une idée ; on produit un son représentatif de cette sensation ou commémoratif de cette idée. Si la sensation ou l’idée se représente, la
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Le sensazioni risvegliate hanno il carattere delle sensazioni prodotte. Esse hanno una durata come quest’ultime; sono altrettanto composte. Ci sono persone nelle quali il segno risveglia la sensazione, in modo altrettanto potente quanto la cosa. Ho conosciuto un uomo che si sarebbe fatto gettare dalla finestra, forse morire, con il solo segno del solletico. Non so se tale segno risvegliasse in lui la sensazione stessa del solletico, o se non fosse altro che la minaccia di una cosa che egli temeva eccessivamente. Rapporto della sensazione con il discorso. Il miope parla lentamente: una sola sensazione è un quadro vario, essa produce un gran numero di parole. Effetto reciproco della sensazione sugli oggetti e degli oggetti sulla sensazione. Sono felice e tutto ciò che mi circonda si abbellisce. Soffro, e tutto ciò che mi circonda si oscura. Ma questo fenomeno non ha luogo se non nei piaceri o nei dolori moderati. Un po’ di bile la cui circolazione nel fegato è imbarazzata cambia tutto il colore delle idee:235 le idee diventano nere, malinconiche, ci si rattrista ovunque ci si trovi. Una donna prepara le sue valigie: una volta fatte, sono attaccate dietro la vettura, dice addio ai suoi amici; i cavalli sono messi e uno dei suoi figli le dà la mano; le viene un bisogno. Rientra nel suo gabinetto, evacua una pietra biliare; eccola guarita e non parte più.236 Ed è a simili cause che è legata la nostra ragione, i nostri gusti, le nostre avversioni, i nostri desideri, il nostro carattere, le nostre azioni, la nostra morale, i nostri vizi, le nostre virtù, la nostra felicità e la nostra infelicità, la fortuna e la sventura di coloro che ci circondano! Capitolo II 237
Intelletto Gli oggetti agiscono sui sensi; la sensazione nell’organo ha una durata; i sensi agiscono sul cervello, questa stessa azione ha della durata, nessuna sensazione è né semplice, né momentanea, infatti, se mi è permesso esprimermi così, è un fascio. Da ciò nasce il pensiero, il giudizio.238 Il giudizio distingue le idee, il genio le accosta, il ragionamento le collega. Giudizio, ragionamento, formazione delle lingue. Cerchiamo di spiegare queste operazioni dell’intelletto. Noi giudichiamo: ecco il fatto. Come si compie il giudizio? Ecco il fenomeno da spiegare. Forse questo fenomeno, a una prima occhiata, sembra agli ignoranti molto più facile di quanto non sia, agli uomini istruiti forse molto più difficile di quanto esso sia. Per la sola ragione che ogni sensazione è composta, essa presuppone giudizio, ovvero, affermazione di più qualità provate nello stesso tempo.239 Per la ragione che queste sensazioni sono durevoli, vi è coesistenza di sensazioni. L’animale sente questa coesistenza. Pertanto, sentire due esseri coesistenti è giudicare. Ecco formato il giudizio; la voce l’articola. L’uomo dice “muro bianco” ed ecco pronunciato il giudizio. La cosa diventa ancora più semplice da immaginare se sono in presenza degli oggetti. Ecco un muro e dico “muro”; e mentre pronuncio questa parola, lo vedo bianco e dico “bianco”. Ora, ciò che si compie alla presenza degli oggetti, si esegue nella stessa maniera in loro assenza, quando l’immaginazione vi supplisce. Si prova una sensazione; si ha un’idea, si produce un suono rappresentativo di questa sensazione o commemorativo di questa idea. Se la sensazione o l’idea si ripresenta,
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mémoire rappelle et l’organe rend le même son. Avec l’expérience, les sensations, les idées se multiplient ; mais comment la liaison s’introduit-elle entre les sensations, les idées et les sons, de manière non pas à former un chaos de sensations, d’idées et de sons isolés et disparates, mais une série que nous appelons raisonnable, sensée, ou suivie ? Le voici. Il y a, dans la nature, des liaisons entre les objets et entre les parties d’un objet. Cette liaison est nécessaire. Elle entraîne une liaison ou une succession nécessaire de sons, correspondants à la succession nécessaire des choses aperçues, senties, vues, flairées ou touchées. Par exemple, on voit un arbre et le mot arbre est inventé. On ne voit point un arbre sans voir immédiatement et très constamment ensemble des branches, des feuilles, des fleurs, une écorce, des nœuds, un tronc, des racines et voilà qu’aussitôt que le mot arbre est inventé, d’autres signes s’inventent, s’enchaînent et s’ordonnent. De là, une suite de sensations, d’idées et de mots liés et suivis. On regarde et l’on flaire un œillet et l’on en reçoit une odeur, forte ou faible, agréable ou déplaisante ; et voilà une autre série de sensations, d’idées et de mots. De là naît la faculté de juger, de raisonner, de parler, quoiqu’on ne puisse pas s’occuper de deux choses à la fois. Le type de nos raisonnements les plus étendus, leur liaison, leur conséquence est nécessaire, dans notre entendement, comme l’enchaînement, la liaison des effets, des causes, des objets, des qualités des objets l’est dans la nature. On ne sépare pas, sans conséquence pour le jugement, les objets dont l’enchaînement existe en nature. On ne les conjoint pas sans bizarrerie. | Si faute d’expérience les phénomènes ne s’enchaînent pas, si faute de mémoire ils ne peuvent s’enchaîner, si par la perte de la mémoire ils se décousent, l’homme paraît fou. Il en est de même si la passion fixe sur un seul phénomène, si la passion les disjoint ou si elle les conjoint. L’enfant paraît fou, faute d’expérience ; le vieillard paraît stupide, faute de mémoire, le vieillard violent paraît fou. Bon jugement, bon raisonnement suppose l’état de santé, ou la privation du malaise et de douleur, d’intérêt et de passion. L’expérience journalière des phénomènes forme la suite des idées, des sensations, des raisonnements, des sons. Il s’y mêle une opération propre à la faculté d’imaginer. Vous imaginez un arbre. L’image en est une dans votre entendement ; si votre attention se porte sur toute l’image, votre perception est louche, troublée, vague, mais suffit à votre raisonnement, bon ou mauvais, sur l’arbre entier. Les erreurs sur les objets sont faciles. Il n’y a qu’un moyen de connaître la vérité, c’est de ne procéder que par partie et de ne conclure qu’après une énumération exacte et entière ; et encore ce moyen n’est-il pas infaillible ; la vérité peut tenir tellement à l’image totale, qu’on ne puisse ni affirmer, ni nier d’après le détail le plus rigoureux des parties. Un effet produit en nature, ou en nous involontairement, ramène une longue suite d’idées. La raison a cela de commun avec la folie, c’est que ses phénomènes ont lieu dans l’un et l’autre état, avec cette différence que l’homme de sens ne prend pas ce qui se passe dans sa tête pour la scène du monde, et que le fou s’y trompe. Il croit que ce qui lui paraît, que ce qu’il désire est, existe réellement. La marche de l’esprit n’est donc qu’une série d’expériences. Suspendre son jugement, qu’est-ce ? Attendre l’expérience. | Le raisonnement se fait par des identités successives : Discursus series identificationum.
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la memoria la richiama e l’organo restituisce lo stesso suono.240 Con l’esperienza le sensazioni, le idee si moltiplicano; ma come s’introduce il collegamento tra le sensazioni, le idee e i suoni in modo da formare non un caos di sensazioni, di idee e di suoni isolati e disparati, ma una serie che noi chiamiamo ragionevole, sensata e conseguente? Ecco il modo.241 Ci sono, in natura, dei collegamenti tra gli oggetti e tra le parti di un oggetto. Questo collegamento è necessario. Esso comporta un collegamento o una successione necessaria di suoni, corrispondenti alla successione necessaria delle cose percepite, sentite, viste, fiutate o toccate.242 Per esempio, si vede un albero e la parola albero è inventata. Non si vede affatto un albero senza vedere immediatamente e in maniera estremamente costante l’insieme dei rami, delle foglie, dei fiori, una scorza, dei nodi, un tronco, delle radici ed ecco subito che la parola albero è inventata; altri segni s’inventano, si concatenano e si ordinano. Da ciò, una serie di sensazioni, di idee, di parole collegate e conseguenti. Si guarda e si fiuta un fiore e se ne riceve un odore forte o debole, gradevole o sgradevole; ed ecco un’altra serie di sensazioni, di idee e di parole. Da ciò nasce la facoltà di giudicare, di ragionare, di parlare, benché non ci si possa occupare di due cose, insieme. Il tipo più esteso dei nostri ragionamenti, il loro collegamento, la loro conseguenza è necessaria, nel nostro intelletto, così come il concatenamento, il collegamento degli effetti, delle cause, degli oggetti, delle qualità degli oggetti lo è in natura.243 Non si separa quindi, senza una conseguenza per il giudizio, gli oggetti il cui concatenamento esiste in natura. Non li si congiunge senza stranezza.244 Se in mancanza di esperienza i fenomeni non si concatenano, se in mancanza di memoria non possono concatenarsi, se con la perdita della memoria si disconnettono, l’uomo sembra folle. Accade lo stesso se la passione si fissa su un solo fenomeno, se la passione li disgiunge o li congiunge. Il bambino sembra folle, in mancanza di esperienza; il vecchio sembra stupido, in mancanza di memoria, il vecchio violento sembra altrettanto stupido. Un buon giudizio, un buon ragionamento presuppone lo stato di salute o la privazione di malessere e di dolore, d’interesse e di passione.245 L’esperienza quotidiana dei fenomeni forma la serie conseguente delle idee, delle sensazioni, dei ragionamenti, dei suoni. Vi si mescola un’operazione propria della facoltà d’immaginare. Voi immaginate un albero. L’immagine è una, nel vostro intelletto; se la vostra attenzione si rivolge su tutta l’immagine, la vostra percezione è incerta, torbida, vaga, ma basta al vostro ragionamento, buono o cattivo, sull’albero intero.246 Gli errori sugli oggetti sono facili. C’è un solo mezzo per conoscere la verità, è di non procedere se non per parte e di non concludere se non dopo un’enumerazione esatta e intera;247 e persino questo mezzo non è infallibile; la verità può essere talmente legata all’immagine totale, che non si può né affermare, né negare a partire dal dettaglio più rigoroso delle parti. Un effetto prodotto in natura, o in noi involontariamente, riporta indietro una lunga serie di idee. La ragione ha questo in comune con la follia: è che i suoi fenomeni hanno luogo, nell’uno e nell’altro stato, con questa differenza che l’uomo sensato non prende ciò che accade nella propria testa per la scena del mondo, mentre il folle si sbaglia e ci crede.248 Il folle crede che quello che gli appare, che lui desidera è, esiste realmente. Il procedere dello spirito non è dunque altro che una serie di esperienze. Sospendere il proprio giudizio, che cos’è? Attendere l’esperienza. Il ragionamento si compie con una serie di identità successive. Discursus series identificationum.249
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L’organisation, la mémoire, l’imagination sont les moyens d’instituer la série des identifications la plus sûre et la plus étendue. Le temps et 1’ opiniâtreté suppléent à la promptitude. La promptitude est la caractéristique du génie. Tel homme est inepte en tel état et excelle en tel autre. Si l’on voit la chose comme elle est en nature, on est philosophe. Si l’on forme l’objet d’un choix de parties éparses, qui en rende la sensation plus forte dans l’imitation qu’elle ne l’eût été dans la nature, on est poète. La logique, la rhétorique, la poésie sont aussi vieilles que l’homme. L’analogie est la comparaison de choses qui ont été ou sont pour en conclure celles qui seront. Pourquoi la continuité de la sensation ne soutient-elle pas la continuité du jugement, comme dans l’œil l’objet est toujours renversé ? Par la même cause que si l’on touche une boule avec deux doigts croisés, on en sent deux, et qu’en continuant l’expérience bientôt on n’en sent plus qu’une. Actions intellectuelles interrompues et reprises après un long intervalle ; phénomène à expliquer. Je ne sais si j’ai fait mention de cet homme qui reçoit dans la tempe le coup du bras du levier d’un pressoir ; il reste semaines sans connaissance, au bout de ce temps, il revient de son état, comme du sommeil ; il se retrouve au moment de l’accident et continue à donner des ordres pour son vin. On sait l’histoire de cette femme qui | continue son discours interrompu par une attaque de catalepsie. Comment nos spiritualistes expliquent-ils ces faits ? Si quelque partie considérable du cerveau est pressée par du sang, de l’eau, un squirre, un os ou quelque autre cause mécanique, les opérations du cerveau sont viciées : il y a délire, manie, stupidité ; ôtez la compression et le mal cesse. On se trouble par le tournoiement, par l’éblouissement, pas le spectacle des grandes profondeurs ou hauteurs. Alors tout le système est affecté, en même temps, par une cause commune ou par la violence d’une cause particulière (sensorium commune). Lorsque nous avons les yeux ouverts et l’esprit distrait, nos sens n’en sont pas moins frappés par les objets ainsi qu’à l’ordinaire, mais l’âme occupée, disent quelques métaphysiciens, n’en reçoit pas moins l’image et ne s’en souvient jamais. C’est pour elle, ajoutent-ils, comme si rien n’avait frappé la vue. Je ne crois pas cela. Chaque sens ou organe a son nerf ou sa fonction. Quelle que soit la fonction de l’organe ou du principe, ou de l’origine de tous les nerfs réunis, en quelque lieu qu’on le place, il a certainement sa fonction particulière ; quelle est-elle ? Le cerveau ne pense non plus de lui-même, que les yeux ne voient et que les autres sens n’agissent d’eux-mêmes. Il faut au cerveau, pour penser, des objets, comme il en faut à l’œil pour voir. Cet organe, aidé de la mémoire, a beau mêler, confondre, combiner, créer des êtres fantastiques, ces êtres existent épars. | Le cerveau n’est qu’un organe comme un autre. Ce n’est même qu’un organe secondaire, qui n’entrerait jamais en fonction sans l’entremise des autres organes. Il est sujet à tous les vices des autres organes. Il est vif ou obtus comme eux. Il est paralysé dans les imbéciles, les témoins sont sains, le juge est nul. On ne pense pas toujours. On ne pense point dans le sommeil profond. On ne pense point quand on est vivement affecté. Toutes les fois que la sensation est violente, ou que l’impression d’un objet est extrême et que nous sommes tout à cet objet, nous sen-
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L’organizzazione, la memoria, l’immaginazione sono i mezzi per istituire la serie delle identificazioni più sicura e più estesa. Il tempo e la perseveranza suppliscono alla prontezza di giudizio. La prontezza è la caratteristica del genio. Il tale uomo è inetto in tale stato ed eccelle in talaltro. Se si vede la cosa come essa è in natura, si è filosofi. Se si forma l’oggetto da una scelta di parti sparse, che ne rende la sensazione più forte, nell’imitazione, di quanto essa sarebbe stata in natura, si è poeti. La logica, la retorica, la poesia sono tanto antiche quanto l’uomo. L’analogia è il paragone di cose che sono state o sono, per concluderne a quelle che saranno.250 Perché la continuità della sensazione non sostiene la continuità del giudizio, come nell’occhio l’oggetto è sempre rovesciato? Per la stessa causa per cui se si tocca una sfera con due dita incrociate se ne sentono due, e continuando l’esperienza presto se ne sente soltanto una.251 Azioni intellettuali interrotte e riprese dopo un lungo intervallo; fenomeno da spiegare. Non so se ho fatto menzione di quell’uomo che ricevette sulla tempia il colpo del braccio della leva di una pressatrice; resta per settimane senza conoscenza, in capo a questo tempo, rinviene da questo stato, come dal sonno; si ritrova al momento dell’incidente e continua a dare ordini per il suo vino. Si conosce la storia di quella donna che continua il suo discorso interrotto da un attacco di catalessia. Come spiegano questi fatti i nostri spiritualisti? Se qualche parte considerevole del cervello viene premuta dal sangue, dall’acqua, da uno scirro, un osso o qualche altra causa meccanica, le operazioni del cervello sono viziate: c’è delirio, mania, stupidità; togliete la compressione e il male cessa.252 Si viene turbati dal turbinio, dal capogiro, dallo spettacolo delle grandi profondità e delle grandi altezze. Allora tutto il sistema è affetto, allo stesso tempo, da una causa comune o dalla violenza di una causa particolare (sensorium commune).253 Quando abbiamo gli occhi aperti e la mente distratta, i nostri sensi non sono meno colpiti dagli oggetti come lo sono di solito, ma l’animo occupato, dicono certi metafisici, ne riceve nondimeno l’immagine e non se ne ricorda mai. È come se per essa, aggiungono, nulla avesse colpito la vista. Io non lo credo. Ciascun senso o organo ha il suo nervo, ovvero la sua funzione. Quale che sia la funzione dell’organo o del principio, o dell’origine di tutti i nervi riuniti, in qualunque luogo lo si collochi, esso ha certamente la sua funzione particolare; qual è questa funzione? Il cervello non pensa neanche da sé, non più di quanto gli occhi vedano e gli altri sensi agiscano per sé stessi. Al cervello è necessario avere degli oggetti per pensare, come l’occhio ha bisogno di oggetti per vedere. Quest’organo, aiutato dalla memoria, può pure mescolare, confondere, combinare, creare esseri fantastici, questi esseri fantastici esistono spaiati. Il cervello non è che un organo come un altro.254 È persino un organo secondario che non entrerebbe mai in funzione senza la collaborazione degli altri organi. È soggetto a tutti i vizi degli altri organi.255 Il cervello è vivace o ottuso come loro, è paralizzato negli imbecilli, i testimoni sono sani, il giudice è nullo.256 Non si pensa sempre. Non si pensa affatto nel sonno profondo. Non si pensa affatto quando si è affetti con violenza. Tutte le volte che la sensazione è violenta, o l’impressione di un oggetto è estrema e noi siamo tutti rivolti a quell’oggetto, noi sentiamo, non
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tons, nous ne pensons point, nous ne pouvons raisonner ; notre entendement n’est plus qu’un organe comme un autre et non pas tel organe. Il est sensible, mais non pensant. C’est ainsi que nous sommes dans l’admiration, dans la tendresse, dans la colère, dans l’effroi, dans la douleur, dans le plaisir. Ni jugement, ni raisonnement quand la sensation est unique. Les animaux dans lesquels un sens prédomine, sentent fortement, raisonnent peu. Les grandes passions sont muettes ; elles ne trouvent pas même d’expression pour se rendre. Toutes sortes d’impressions se font, mais nous ne sommes jamais qu’à une. L’âme est au milieu de ses sensations comme un convive, à une table tumultueuse, qui cause avec son voisin, il n’entend pas les autres. | Nous ne pouvons penser, voir, entendre, goûter, flairer, être au toucher en même temps. Nous ne pouvons être qu’à une seule chose à la fois. On ne voit nettement qu’un objet à la fois. Le passage est infiniment rapide ; nous n’y faisons pas attention ; mais nous cessons de voir quand nous écoutons, d’écouter quand nous touchons et ainsi des autres sensations. Nous croyons le contraire, mais l’expérience nous désabuse bientôt. Ce que nous connaissons le moins, ce sont les sens intimes, c’est nous, l’objet, l’impression, la représentation, l’attention. La volonté, la liberté, la douleur qui garde l’homme ; le plaisir qui le perd, le désir qui le tourmente, l’aversion, la crainte, la cruauté, la terreur, le courage, l’ennui, que sont toutes ces choses ? Quelle idée l’homme tranquille a-t-il de la colère, le vieillard de l’amour ? Quelle idée peut-on avoir d’une douleur qu’on n’a point éprouvée ? Quelle idée reste-t-il d’une douleur quand elle est passée ? Qu’est-ce que la mémoire ? Qu’est-ce que l’imagination, le sommeil, le rêve ? Chap. III
Mémoire
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Je suis porté à croire que tout ce que nous avons vu, connu, entendu, aperçu, jusqu’aux arbres d’une longue forêt, que dis-je, jusqu’à la disposition des branches, à la forme des feuilles et à la variété des couleurs, des | verts et des lumières ; jusqu’à l’aspect des grains de sable du rivage de la mer, aux inégalités de la surface des flots, soit agités par un souffle léger, soit écumeux et soulevés par les vents de la tempête, jusqu’à la multitude des voix humaines, des cris des animaux et des bruits physiques, à la mélodie et à l’harmonie de tous les airs, de toutes les pièces de musique, de tous les concerts que nous avons entendus, tout cela existe en nous à notre insu. Je revois actuellement éveillé, les forêts de Westphalie, de la Prusse, de la Saxe et de la Pologne que j’ai traversées. Je les revois en rêve, aussi fortement coloriées qu’elles le seraient dans un tableau de Vernet. Le sommeil m’a remis dans des concerts qui se sont exécutés derechef, comme lorsque j’y étais. Il me revient, après trente ans, des représentations de pièces comiques et tragiques ; ce sont les mêmes acteurs, c’est le même parterre, ce sont aux loges les mêmes hommes, les mêmes femmes, les mêmes ajustements, les mêmes bruits des huées ou d’applaudissements. Un tableau de Vandermeulen ne m’aurait pas remontré une revue à la plaine des Sablons, un beau jour d’été, avec la multitude des incidents dans une aussi grande foule de peuple rassemblé, que le rêve me l’a retracé après un très grand nombre d’années. Tous les tableaux d’un salon ouvert il y a vingt ans, je les ai revus tels précisément que je les voyais, en
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pensiamo affatto, non possiamo ragionare; il nostro intelletto non è più che un organo come un altro e non il tale organo. È sensibile ma non pensante. È così che siamo nell’ammirazione, nella tenerezza, nella collera, nello spavento, nel dolore, nel piacere. Non c’è giudizio, né ragionamento, quando la sensazione è unica. Gli animali nei quali un senso predomina, sentono fortemente ma ragionano poco.257 Le grandi passioni sono mute; esse non trovano alcuna espressione per manifestarsi. Tutte le specie di impressioni si compiono, ma noi non siamo mai concentrati se non attorno a una sola di esse. L’anima è nel mezzo delle sue sensazioni come un convitato a una tavola tumultuosa, che chiacchiera con il suo vicino e non sente tutti gli altri.258 Noi non possiamo pensare, vedere, ascoltare, gustare, fiutare, essere intenti a toccare nello stesso tempo. Non possiamo essere se non a una sola cosa alla volta. Non si vede con nettezza se non un oggetto alla volta. Il passaggio è infinitamente rapido; non ci facciamo attenzione; ma cessiamo di vedere quando ascoltiamo, e di ascoltare quando tocchiamo e così delle altre sensazioni. Crediamo il contrario, ma l’esperienza presto ci disinganna. Quello che conosciamo di meno sono i sensi intimi, siamo noi, l’oggetto, l’impressione, la rappresentazione, l’attenzione.259 La volontà, la libertà, il dolore che tiene fermo l’uomo; il piacere che lo smarrisce, il desiderio che lo tormenta, l’avversione, il timore, la crudeltà, il terrore, il coraggio, la noia, che cosa sono tutte queste cose? Quale idea ha l’uomo tranquillo della collera, il vecchio dell’amore? Quale idea si può avere di un dolore che non si è mai in alcun modo provato? Quale idea resta di un dolore, quando è passato? Che cos’è la memoria? Che cosa sono l’immaginazione, il sonno, il sogno?260 Capitolo III
Memoria Sono portato a credere che tutto ciò che abbiamo visto, conosciuto, inteso, percepito, finanche gli alberi di una lunga foresta, che dico, fino alla disposizione dei rami, alla forma delle foglie e alla varietà dei colori, dei verdi e delle luci; fino all’aspetto dei grani di sabbia della riva del mare, finanche le increspature della superficie dei flutti, o agitati da un soffio leggero o schiumosi e sollevati dai venti della tempesta, fino alla moltitudine delle voci umane, delle grida degli animali e dei rumori fisici, alla melodia e all’armonia di tutte le arie, di tutti i brani di musica, di tutti i concerti che abbiamo ascoltato, tutto questo esiste in noi a nostra insaputa.261 Io rivedo, attualmente, da sveglio le foreste di Westfalia, della Prussia, della Sassonia e della Polonia che ho attraversato. Li rivedo in sogno, altrettanto fortemente coloriti di quanto lo sarebbero in un quadro di Vernet.262 Il sonno ha come rimesso in concerto quei suoni che si sono eseguiti un tempo, come quando io ero là. Mi ritornano, dopo trent’anni, le rappresentazioni di opere teatrali comiche e tragiche: sono gli stessi attori, è lo stesso pubblico, nei loggioni sono gli stessi uomini e le stesse donne, le stesse disposizioni, gli stessi rumori di fischi o applausi; un quadro di Vandermeulen263 non mi avrebbe mostrato di nuovo una sfilata militare nella spianata dei Sabbioni,264 in un bel giorno d’estate, con la moltitudine di incidenti in una gran folla di popolo riunito, che il sogno mi ha ritracciato dopo un grandissimo numero di anni. Tutti i quadri di un salone aperto vent’anni fa, li ho rivisti tali e quali, precisamente, come li vedevo,
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me promenant dans la galerie. Mais ajoutons un fait public à mon expérience, qui pourrait être contestée. Un ouvrier, dont le spectacle faisait tout l’amusement de ses jours de repos, est attaqué d’une fièvre chaude, occasionnée par le suc d’une plante venimeuse qu’on lui avait imprudemment administré. Alors, cet homme | se met à réciter des scènes entières de pièces, dont il n’avait pas le moindre souvenir dans l’état de santé. Il y a plus. C’est qu’il lui est resté une malheureuse disposition à versifier. Il ne sait pas le premier des vers qu’il débitait dans sa fièvre, mais il a la rage d’en faire. Autre fait public. Un enfant, élevé jusqu’à l’âge de cinq ans et demi en Russie, oublie la langue russe, la parle dans le délire, mais d’un ton d’enfant, et guéri il oublie le russe. Pour expliquer le mécanisme de la mémoire il faut regarder la substance molle du cerveau comme une masse d’une cire sensible et vivante, mais susceptible de toutes sortes de formes, n’en perdant aucune de celles qu’elle a reçues et en recevant, sans cesse, de nouvelles qu’elle garde. Voilà le livre. Mais où est le lecteur ? Le lecteur c’est le livre même. Car ce livre est sentant, vivant, parlant ou communiquant par des sons, par des traits, l’ordre de ses sensations ; et comment se lit lui-même ? En sentant ce qu’il est et en le manifestant par des sons. Ou la chose se trouve écrite, ou elle ne se trouve pas écrite. Si elle ne se trouve point écrite, on l’ignore. Au moment où elle s’écrit, on l’apprend. Selon la manière dont elle était écrite, on la savait nouvellement ou depuis longtemps. Si l’écriture s’affaiblit, on l’oublie, si l’écriture s’efface, elle est oubliée, si l’écriture se revivifie, on se la rappelle. Pour expliquer l’oubli, voyons ce qui se passe en nous ; nous faisons efforts pour nous rappeler les syllabes du son, si c’est un mot ; le caractère de la chose, si l’objet est physique ; la physionomie, les fonctions, si c’est une personne. Les signes servent beaucoup à la mémoire. Un enfant de dix ans, élevé parmi les ours, resta sans mémoire. | Chaque sens a son caractère et son burin. La mémoire constitue le soi. La conscience du soi et la conscience de son existence sont différentes. Des sensations continues sans mémoire donneraient la conscience interrompue de son existence : elles ne produiraient nulle conscience de soi. Sans la mémoire, à chaque sensation l’être sensible passerait du sommeil au réveil et du réveil au sommeil. A peine aurait-il le temps de s’avouer qu’il existe. Il n’éprouverait qu’une surprise momentanée, à chaque sensation il sortirait du néant, et il y retomberait. Mais il y a des habitudes des mouvements qui s’enchaînent par des actes réitérés, ou des sensations réitérées dans les organes sensibles et vivants. Tel mouvement produit dans un organe, il s’ensuit telle sensation et telle série. D’autres mouvements dans cet organe, ou dans d’autres, telles sensations et telles séries de sensations. L’habitude lie même les sensations des autres organes. Ainsi la mémoire immense, c’est la liaison de tout ce qu’on a été dans un instant à tout ce qu’on a été dans le moment suivant, états qui liés par l’acte rappelleront à un homme tout ce qu’il a senti pendant sa vie. Je crois que tout homme a cette mémoire. Les conclusions sont faciles à tirer.
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passeggiando nella galleria. Ma aggiungiamo un fatto pubblico alla mia esperienza privata, che potrebbe essere contestata.265 Un operaio, per il quale lo spettacolo era tutto il divertimento dei suoi giorni di riposo, è attaccato da una febbre intensa, occasionata dal succo di una pianta velenosa che un medico gli aveva imprudentemente somministrato. Allora, quest’uomo si mette a recitare intere scene di opere di cui non aveva il minimo ricordo quand’era nello stato di salute. C’è di più, gli è restata un’infelice disposizione a fare dei versi. Lui non sa fare neanche il primo dei versi che ci riferiva durante lo stato di febbre, ma s’accanisce con furia a comporne. Altro fatto pubblico. Un bambino allevato fino all’età di cinque anni e mezzo in Russia, dimentica la lingua russa, nel delirio la parla, ma con un tono da bambino, e guarito dimentica di nuovo il russo. Per spiegare il meccanismo della memoria bisogna guardare alla sostanza molle del cervello come a una massa di cera sensibile e vivente, ma suscettibile di assumere ogni sorta di forme e che non ne perde nessuna di quelle che ha ricevuto e ne riceve, incessantemente, di nuove che conserva via via. Ecco il libro. Ma dov’è il lettore? Il lettore è il libro stesso. Perché questo libro è senziente, vivente, parlante o comunicante con suoni, con cenni, l’ordine delle sensazioni; e come legge se stesso? Sentendo quello che è, e manifestandolo attraverso i suoni. O la cosa si trova scritta, o non si trova scritta. Se non si trova in alcun modo scritta, la si ignora. Nel momento in cui la si scrive, la si apprende. Secondo la maniera in cui essa era scritta, la si conosceva come cosa nuova o nota da molto tempo. Se la scrittura s’indebolisce, la si dimentica, se la scrittura si cancella, è dimenticata, se la scrittura si ravviva, la si ricorda. Per spiegare la dimenticanza, vediamo cosa accade in noi; facciamo sforzi per ricordarci le sillabe del suono, se è una parola; il carattere della cosa, se l’oggetto è fisico; la fisionomia, le funzioni, se è una persona. I segni servono molto alla memoria. Un bambino di dieci anni, allevato tra gli orsi, restò senza memoria.266 Ciascun senso ha il proprio carattere e il proprio scalpello. La memoria costituisce il sé.267 La coscienza del sé e la coscienza della propria esistenza sono diverse. Delle sensazioni continue senza memoria darebbero la coscienza ininterrotta della propria esistenza: esse non produrrebbero mai alcuna coscienza di sé.268 Senza la memoria, a ogni sensazione l’essere sensibile passerebbe dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno. Appena avrebbe il tempo di confessare a sé stesso che esiste. Non proverebbe che una sorpresa momentanea, a ogni sensazione uscirebbe fuori dal nulla e vi ricadrebbe. Ma ci sono delle abitudini, dei movimenti che si concatenano con degli atti reiterati, o delle sensazioni reiterate negli organi sensibili e viventi. Da tale movimento prodotto in un organo, ne consegue tale sensazione e tale serie di sensazioni. Altri movimenti in quest’organo, o in altri, tali sensazioni, tali serie di sensazioni si producono. L’abitudine lega insieme anche le sensazioni degli altri organi. Così la memoria immensa, è il collegamento di tutto ciò che si è stati, in un determinato istante, con tutto ciò che si è stati nel momento successivo; stati che collegati dall’atto della memoria ricorderanno a un uomo tutto ciò che ha sentito durante la sua vita. Io credo che ogni uomo ha questa memoria. Le conclusioni sono facili da trarre.
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opere filosofiche
Loi de continuité d’états, comme il y a loi de continuité de substance. Loi de continuité d’états, propres à l’être sensible, vivant et organisé. Cette loi de continuité d’états se fortifie par l’acte réitéré, s’affaiblit par le défaut d’exercice, ne se rompt jamais dans l’homme sain, elle a seulement des sauts et ces sauts se lient encore par quelques qualités, par le lieu, l’espace, la durée. | Un phénomène qui reste phénomène, qui indique l’absence des autres. État total qui disparaît, différents états qui se brouillent etc. (à méditer). La mémoire, immense ou totale, est un état d’unité complet. La mémoire partielle, état d’unité incomplet. Mémoire de la vue, mémoire de l’oreille, mémoire du goût, habitudes qui lient une longue suite de sensations et de mots, et de mouvements successifs et enchaînés d’organes. La preuve c’est que ceux dont les occupations sont interrompues trop fréquemment, et qui passent rapidement d’un objet à un autre, perdent la mémoire. Impressions qui se font en nous par les yeux, sans que nous en ayons connaissance ; ensuite, réminiscence dans le rêve ou dans la fièvre. Les yeux fermés nous réveillent une longue succession de couleurs ; les oreilles, une longue succession de sons. Ce réveil peut se faire de soi-même, par le seul mouvement de l’organe qui se dispose spontanément comme il était affecté par la présence de l’objet. S’i1 y a quelque ordre dans ce réveil des sensations, le rêve ressemble à la veille, si l’on dort ; il y a mémoire fidèle si l’on veille. Ainsi la mémoire peut donc être regardée comme un enchaînement fidèle de sensations, qui se réveillent successivement comme elles ont été reçues. Propriété de l’organe. On détruit la mémoire dans ceux qui en ont, en rompant le fil entre les sensations, par des sensations décousues. L’organe de la mémoire me semble toujours passif ; il ne me rappelle rien de luimême ; il faut une cause qui le mette en jeu. Mémoires promptes, lentes, heureuses ou fidèles, infidèles, avec liaison d’idées, sans liaison d’idées, comme sons purs d’une langue inconnue et sons purs d’une langue connue, ne sont que des suites de mouvements automates. | La représentation d’un paysage qu’on a vu, si l’on y fait bien attention, est un phénomène instantané aussi surprenant que le souvenir successif de mots, qui composent un long ouvrage qu’on n’a lu qu’une fois. On a la mémoire plus durable et plus fidèle des choses qui nous ont affecté plus fortement que des autres. La mémoire varie avec l’âge. Le cerveau s’endurcit et la mémoire s’efface. Les enfants apprennent vite et ne retiennent pas : les vieillards se rappellent le passé en oubliant le présent. Trente-six mille noms répétés par le jeune homme de Corse, dans l’ordre qu’il les avait entendus une seule fois. Ce fait expliquerait comment Cardan a pu savoir le grec, du soir au matin, et se lever avec cette connaissance. Pascal n’a rien oublié de ce qu’il avait fait, lu ou pensé depuis l’âge de raison. J’ai entendu dire à plusieurs personnes qu’elles n’avaient jamais rien oublié de ce qu’elles avaient su. Il y a des phénomènes de mémoire qui ont conduit à la stupidité, à la folie. |
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Legge di continuità degli stati di coscienza, come vi è una legge di continuità delle sostanze. Legge di continuità degli stati, propri dell’essere sensibile, vivente e organizzato. Questa legge di continuità degli stati si rafforza con l’atto reiterato, s’indebolisce con la mancanza di esercizio, non si rompe mai nell’uomo sano, conosce soltanto dei salti e questi salti si collegano ancora attraverso alcune qualità, attraverso il luogo, lo spazio e la durata. Un fenomeno che resta fenomeno, che indica l’assenza degli altri. Stato totale che scompare, diversi stati che si confondono ecc. (da meditare). La memoria, immensa o totale, è uno stato d’unità completo. La memoria parziale, stato di unità incompleto. Memoria della vista, memoria dell’orecchio, memoria del gusto, abitudini che collegano una lunga serie di sensazioni e di parole, e di movimenti successivi e concatenati di organi. La prova ne è che coloro le cui occupazioni sono troppo di frequente interrotte e che passano rapidamente da un oggetto a un altro, perdono la memoria. Impressioni che si compiono in noi con gli occhi, senza che ne abbiamo conoscenza; in seguito, reminiscenza nel sogno o nella febbre. Gli occhi chiusi ci risvegliano una lunga successione di colori; le orecchie, una lunga successione di suoni. Questo risveglio si può fare da sé, con il solo movimento dell’organo che si dispone spontaneamente come quando era affetto dalla presenza dell’oggetto. Se c’è qualche ordine in questo risveglio delle sensazioni, il sogno assomiglia alla veglia, se si dorme; c’è memoria fedele, se si è svegli. Così la memoria può dunque essere considerata come un concatenamento fedele di sensazioni che si risvegliano successivamente come esse erano o sono state ricevute. Proprietà dell’organo. Si distrugge la memoria in coloro che ne hanno, rompendo il filo tra le sensazioni, con delle sensazioni sconnesse. L’organo della memoria mi sembra sempre passivo; non mi ricorda niente per sé stesso, ha bisogno sempre di una causa che lo metta in azione.269 Memorie pronte, lente, felici o fedeli, infedeli, con collegamento d’idee, senza collegamento d’idee, come suoni puri di una lingua sconosciuta e suoni puri di una lingua conosciuta, non sono altro che delle serie di movimenti automatici. La rappresentazione di un paesaggio che si è visto, se facciamo bene attenzione, è un fenomeno istantaneo altrettanto sorprendente quanto il ricordo successivo di parole che compongono una lunga opera che si è letta una volta sola. Abbiamo la memoria più durevole e più fedele delle cose che ci hanno colpito in modo più forte delle altre. La memoria varia con l’età. Il cervello s’indurisce e la memoria si cancella. I bambini imparano presto e non tengono a mente: i vecchi si ricordano il passato dimenticando il presente.270 Trentaseimila nomi ripetuti dal giovane della Corsica, nell’ordine in cui li aveva ascoltati una sola volta.271 Questo fatto spiegherebbe come Cardano è riuscito a conoscere il greco, dalla sera alla mattina, e alzarsi con questa conoscenza.272 Pascal non ha dimentica nulla di ciò che aveva fatto, letto o pensato dal tempo della maggiore età.273 Ho sentito dire da molte persone che non avevano mai dimenticato nulla di ciò che avevano saputo. Vi sono fenomeni di memoria che hanno condotto alla stupidità, alla follia.
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opere filosofiche
On rendrait un enfant imbécile en lui montrant perpétuellement des objets nouveaux, il aurait tout vu et rien retenu. Moyen technique d’ôter la mémoire, lire un dictionnaire, changer souvent d’objet d’attention. Les microcéphales ont communément peu de mémoire, peu de pénétration et peu de vivacité ; c’est l’effet de la compression des fibres blanches, principe des nerfs. Doux au goût, agréable à l’odorat, bon à manger ; cela s’enchaîne dans la mémoire. L’empire de la mémoire sur la raison n’a jamais été assez examiné. La mémoire est une source de vices et de vertus. Elle est accompagnée de peine et de plaisir. Un son de voix, la présence d’un objet, un certain lieu et voilà un objet, que dis-je, un long intervalle de ma vie rappelé. Me voilà plongé dans le plaisir, le regret ou l’affliction. Cet empire s’exerce soit dans l’abandon de soi, soit dans le milieu de la distraction. La mémoire est-elle la source de l’imagination, de la sagacité, de la pénétration, du génie ? La variété de la mémoire fait-elle toute la variété des esprits ? On a beau voir, entendre, goûter, flairer, toucher, si l’on n’a rien retenu, on a reçu en pure perte. | Chap. IV
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Faculté de se peindre les objets absents, comme s’ils étaient présents, d’emprunter des objets sensibles des images qui servent de comparaison, d’attacher à un mot abstrait un corps, voilà l’idée que j’ai de l’imagination. La mémoire est des signes, l’imagination des objets. La mémoire n’est que des mots, presque sans images : musicien qui reste musicien, après la perte de la mémoire des notes. L’imagination ressuscite, dans l’homme, les voix, les sons, tous les accidents de la nature, les images qui deviennent autant d’occasions de s’égarer. L’homme à imagination se promène, dans sa tête, comme un curieux dans un palais, où ses pas sont à chaque instant détournés par des objets intéressants. Il va, il revient, il n’en sort pas. L’imagination est l’image de l’enfance que tout attire sans règle. Elle est l’œil intérieur ; et la mesure des imaginations est relative à la mesure de la vue. Les aveugles ont de l’imagination, parce que le vice n’est pas dans la rétine. Il y aurait un moyen technique de mesurer les imaginations par des dessins d’un même objet, exécutés par deux dessinateurs différents, mais d’une égale habileté. Chacun d’eux se fera un modèle différent, selon son intérieur ou son imagination et son œil extérieur. Les dessins seront entre eux comme les deux organes. Vous savez dessiner, vous avez lu le traité des insectes de Réaumur ; je vais vous lire la description de l’aile du scarabée. Vous connaissez l’animal entier. Je n’exige de vous qu’une | chose, c’est que vous me rendiez, dans votre dessin, d’une manière visible, distincte et sensible, les parties de détail à mesure que je vous les lirai. Celui qui a les yeux microscopiques, aura aussi l’imagination microscopique. Avec des idées très précises de chaque partie, il pourrait n’en avoir que de très précaires du tout.
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elementi di fisiologia, terza parte, iii-iv
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Si renderebbe imbecille un bambino mostrandogli di continuo dei nuovi oggetti, avrebbe visto tutto e non avrebbe tenuto a mente nulla. Mezzo tecnico per togliere la memoria, leggere un dizionario, cambiare spesso oggetto d’attenzione. I microcefali hanno di solito poca memoria, poca penetrazione e poca vivacità; è l’effetto della compressione delle fibre bianche, principio dei nervi. Dolce al gusto, gradevole all’odorato, buono da mangiare; tutto questo si concatena nella memoria. Il dominio della memoria sulla ragione non è mai stato abbastanza esaminato. La memoria è una fonte di vizi e di virtù. È accompagnata sempre da dolore e da piacere. Un suono della voce, la presenza di un oggetto, un certo luogo, ed ecco un oggetto, che dico, un lungo intervallo della mia vita che viene richiamato; eccomi precipitato nel piacere, nel rimpianto o nell’afflizione. Questo dominio si esercita o nell’abbandono di sé o nel mezzo della distrazione La memoria è la fonte dell’immaginazione, della sagacia, della penetrazione, del genio? La varietà della memoria fa tutta la varietà delle menti? Si può ben vedere, intendere, gustare, fiutare, toccare, se non si è tenuto a mente nulla, si è ricevuto in pura perdita. Capitolo IV
Immaginazione La facoltà di dipingersi gli oggetti assenti come se fossero presenti, di prendere in prestito agli oggetti sensibili delle immagini che servono da paragone, di assegnare a una parola astratta un corpo, ecco l’idea che ho dell’immaginazione. La memoria è dei segni, l’immaginazione è degli oggetti. La memoria non è che delle parole, quasi senza immagini: il musicista che resta musicista, dopo la perdita della memoria delle note. L’immaginazione risuscita, nell’uomo, le voci, i suoni, tutti gli incidenti della natura, le immagini che diventano altrettante occasioni per smarrirsi. L’uomo che ha immaginazione passeggia, nella propria testa, come un curioso in un palazzo, dove i suoi passi sono a ogni istante sviati da oggetti interessanti. Va, viene e non esce da questo palazzo. L’immaginazione è l’immagine dell’infanzia che tutto attrae senza regola. Essa è l’occhio interiore; e la misura dell’immaginazione è relativa alla misura della vista. I ciechi hanno dell’immaginazione, perché il vizio non è nella retina. Ci sarebbe un mezzo tecnico per misurare le immaginazioni, con dei disegni di uno stesso oggetto, eseguiti da due disegnatori diversi ma di uguale abilità. Ciascuno di loro si farà un modello diverso, secondo il proprio occhio interno, la propria immaginazione e in rapporto all’occhio esterno. I disegni staranno tra loro come i due organi. Voi sapete disegnare, avete letto il trattato sugli insetti di Reaumur; vi leggerò la descrizione dell’ala dello scarabeo.274 Voi conoscete l’animale intero. Esigo da voi solo una cosa, che mi rendiate, nel vostro disegno, in maniera visibile, distinta e sensibile, le parti del dettaglio man mano che ve le leggerò. Colui che ha occhi microscopici avrà anche l’immaginazione microscopica.275 Con delle idee molto precise di ciascuna parte, costui potrebbe averne di molto precarie del tutto.
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De là, une différence d’yeux, d’imaginations et d’esprits, séparés par une barrière insurmontable. L’ensemble ne s’éclaircira jamais dans la tête des uns, les autres n’auront que des notions peu sûres de petites parties. Reprenons l’exemple de l’arbre. Au moment où l’on passe de la vue générale du tout au détail des parties, où l’imagination se fixe sur la feuille, on cesse de voir l’arbre et l’on voit moins nettement la feuille entière, que son pédicule, sa dentelure, sa nervure ; plus la partie est petite, jusqu’à une certaine limite, plus la perception est distincte. J’ai dit jusqu’à une certaine limite, parce que si l’attention se fixe sur une partie très petite, l’imagination éprouve la même fatigue que l’œil. Un mot sur les formes vagues et indécises pour l’œil. Par exemple, je ne vois en mer qu’un point nébuleux qui ne me dit rien, mais ce point nébuleux est un vaisseau pour celui qui l’a souvent observé et peut-être un vaisseau très distinct. Comment cela s’estil fait ? D’abord, ce n’était pour le sauvage, comme pour moi, qu’un point nébuleux. Mais ce point nébuleux, à force d’être devenu pour le sauvage le signe caractéristique d’un vaisseau, est réellement devenu un vaisseau, qu’il voit dans son imagination très distinctement. C’est toujours un point nébuleux, mais qui réveille l’image d’un vaisseau. Ce point est comme un mot, le mot arbre, qui n’est qu’un son, mais qui me rappelle un arbre que je vois. | L’imagination dispose des sens, de l’œil, en montrant des objets où ils ne sont pas ; du goût, du toucher, de l’oreille. Si je crois entendre un son, je l’entends, voir un objet, je le vois. L’œil et l’oreille sont-ils alors affectés, comme si je voyais ou si j’entendais ? Je le crois. Ou les organes sont-ils en repos et tout se passe-t-il dans l’entendement ? Cette question me semble difficile à résoudre. Par l’application un peu forte, l’imagination réalise au loin, sans rêver. C’est ainsi qu’un enfant fit voir sur un toit un serpent à tout un collège. En rêve, ce sont les sens qui disposent de l’imagination par la sympathie des organes et par la sympathie des objets. Si l’on y fait bien attention, on trouvera que ses tableaux nous semblent hors de nous, à une distance plus ou moins grande. On trouvera que nous voyons ces tableaux imaginaires, précisément comme nous voyons avec nos yeux les tableaux réels, avec une sensation forte des parties et une moindre sensation du tout et de l’ensemble. On trouvera encore que les images du rêve sont très souvent plus voisines et plus fortes que les images réelles. On trouvera que les images, réveillées dans le cerveau par l’agitation des organes, sont aussi plus fortes que les images réveillées par l’agitation du cerveau même. Il est plus grand peintre quand il est passif, qu’il ne l’est quand il est actif. On peut suivre mon hypothèse. Le rêve qui monte est plus vif que celui qui descend. Si l’enchaînement des sensations et des mouvements des organes est vif et prompt, l’imagination et la mémoire sont fidèles. Si l’enchaînement se rompt, mémoire et imagination infidèles. Comme tout est lié dans l’entendement, si les sensations et les mouvements des organes se portent hors de l’objet, confusion de mémoire et | d’imagination. Un homme s’arrête, en parlant, par une sensation et un enchaînement de mouvements organiques de côté, il ne sait plus où il en est, il faut que les auditeurs le lui rappellent. Si cet ordre de sensations et de mouvements organiques se trouble à chaque instant, distraction, premier degré de la folie.
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elementi di fisiologia, terza parte, iv
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Da ciò una differenza di occhi, d’immaginazioni e di spiriti, separati da una barriera insormontabile. L’insieme non si chiarirà mai nella testa degli uni, gli altri avranno solo delle nozioni poco sicure di piccole parti. Riprendiamo l’esempio dell’albero. Nel momento in cui si passa dalla vista generale del tutto al dettaglio delle parti, in cui l’immaginazione si fissa sulla foglia, si cessa di vedere l’albero e si vede meno nettamente la foglia intera del suo peduncolo, della dentellatura, della nervatura; più è piccola la parte, fino a un certo limite, più la percezione è distinta. Ho detto fino a un certo limite, perché se l’attenzione si fissa su una parte molto piccola, l’immaginazione prova la stessa fatica dell’occhio. Una parola sulle forme vaghe e indecise per l’occhio. Ad esempio, vedo in mare solo un punto nebuloso che non mi dice nulla, ma questo punto nebuloso è un vascello per chi l’ha osservato spesso e forse un vascello molto distinto. Come s’è prodotto questo effetto? Anzitutto, per il selvaggio, come per me, non era che un punto nebuloso. Ma questo punto nebuloso, a forza d’essere diventato per il selvaggio il segno caratteristico di un vascello, è realmente diventato un vascello che egli vede, nella sua immaginazione, molto distintamente. È sempre un punto nebuloso, ma che risveglia l’immagine di un vascello. Tale punto è come una parola, la parola albero, che è solo un suono, ma che mi ricorda un albero che io vedo. L’immaginazione dispone dei sensi, dell’occhio, mostrando degli oggetti là dove essi non sono; del gusto, del tatto, dell’orecchio. Se io credo di sentire un suono, lo sento, di vedere un oggetto, lo vedo. L’occhio e l’orecchio sono allora colpiti, come se vedessi o sentissi? Io lo credo. Oppure gli organi sono in quiete e tutto accade nell’intelletto? Questa questione mi pare difficile da risolvere. Con un’applicazione un po’ intensa, l’immaginazione realizza di lontano, senza sognare. È così che un bambino fece vedere, su di un tetto, un serpente a tutto un collegio. In sogno, sono i sensi a disporre dell’immaginazione con la simpatia degli organi e la simpatia degli oggetti. Se si fa bene attenzione, si troverà che i suoi quadri ci sembrano essere fuori di noi, a una distanza più o meno grande.276 Si troverà che noi vediamo questi quadri immaginari, precisamente come vediamo, con i nostri occhi, i quadri reali, con una sensazione forte delle parti e una sensazione minore del tutto e dell’insieme. Si troverà inoltre che le immagini del sogno sono molto spesso più vicine e più forti delle immagini reali. Si troverà che le immagini risvegliate nel cervello dall’agitazione degli organi, sono anch’esse più forti delle immagini risvegliate dall’agitazione del cervello stesso. Questo è il più gran pittore quando è passivo, di quanto lo sia nel momento in cui è attivo. Si può seguire la mia ipotesi. Il sogno che sale è più vivo di quello che scende.277 Se la concatenazione delle sensazioni e dei movimenti degli organi è viva e pronta, l’immaginazione e la memoria sono fedeli. Se la concatenazione si rompe, memoria e immaginazione sono infedeli. Siccome tutto è collegato nell’intelletto, se le sensazioni e i movimenti degli organi si portano fuori dell’oggetto, confusione di memoria e d’immaginazione. Un uomo si ferma, parlando, per via di una sensazione e di una concatenazione di movimenti organici collaterali, non sa più a che punto è, bisogna che gli uditori glielo ricordino. Se quest’ordine di sensazioni e di movimenti organici viene a turbarsi a ogni istante, distrazione, primo grado della follia.
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Point d’imagination sans mémoire, mais mémoire sans imagination. Différence de celui qui écrit, ou parle ou pense avec imagination, et de celui qui écrit, agit ou parle de mémoire. Lorsqu’un homme à mémoire écrit ou parle d’après un homme à imagination, il est bon ou mauvais copiste. On parle comme on sent. On dit que l’imagination ment, parce que les gens à imagination sont plus rares que les gens à mémoire : mais rendez les gens à mémoire rares et les gens à imagination communs, et ce sont les premiers qui mentiront. Les hommes sans imagination sont durs, ils sont aveugles de l’âme, comme les aveugles le sont du corps. Il est possible que l’imagination nous fasse un bonheur plus grand que la jouissance. Un amant sans imagination désire sa maîtresse, mais il ne la voit pas ; un amant avec imagination la voit, l’entend, lui parle ; elle lui répond et exécute en lui-même toute la scène de voluptés qu’il se promet de sa tendresse et de sa complaisance. L’imagination met dans cette scène tout ce qui peut y être, mais ne s’y trouve que rarement. L’imagination est la source du bonheur qui n’est pas et le poison du bonheur qui suit. C’est une faculté qui exagère et qui trompe : raison pour | laquelle les plaisirs inattendus piquent plus que les plaisirs préparés. L’imagination n’a pas eu le temps de les gâter par des promesses trompeuses. Un malheureux, innocent ou coupable, est jeté dans les prisons sur les soupçons d’un crime. On examine son affaire. On inclinait à le renvoyer sur un plus ample informé. La justice, dans le partage des voix, inclinait in mitiorem partem. Survient un conseiller à qui on expose l’affaire et qui opine à la torture. Voilà ce malheureux torturé, disloqué, brisé, sans qu’on pût en arracher une plainte, un soupir, un mot. Le bourreau disait aux juges que cet homme était sorcier, il n’était ni plus sorcier, ni plus insensible qu’un autre. Mais à quoi donc tenait cette constance dans la douleur, dont on ne connaissait pas d’exemples ? Devinez-le, si vous le pouvez. C’était un paysan ; il s’attendait au supplice préliminaire qu’il avait à subir : il avait gravé une potence sur un de ses sabots et tandis qu’on le torturait, il tenait ses regards attachés sur cette potence. Qu’importe que l’image soit gravée sur le sabot ou dans la cervelle ? Nous ne savons que par quelques exemples tirés de l’histoire jusqu’où l’on peut enchaîner les hommes par la force des images, des idées, de l’honneur, de la honte, du fanatisme, des préjugés. Exaltation de l’âme, que ne produit-elle pas ? Un précepteur des pages à la cour d’Osnabrück, pendant de Scevola, mit son bras dans la flamme et pensa le perdre, pour montrer la force de l’âme sur le corps (essai de Théodicée). Les Hurons, les Iroquois, les Galibis. | Des hommes se sont imaginé qu’ils étaient des animaux, des loups, des serpents. Phénomène difficile à expliquer. La mémoire émeut moins la volonté que l’imagination. La mémoire est verbeuse, méthodique et monotone. L’imagination, aussi abondante, est irrégulière et variée. L’imagination se contient quelquefois, mais elle part brusquement, la mémoire part sur-le-champ et tranquillement. L’imagination est un coloriste, la mémoire est un copiste fidèle. L’imagination agite plus et l’orateur et l’auditeur que la mémoire. Quelquefois la mémoire est singe de l’imagination.
Diderot.indb 1196
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elementi di fisiologia, terza parte, iv
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Niente immaginazione senza memoria, ma c’è memoria senza immaginazione. Differenza tra colui che scrive, o parla o pensa con immaginazione, e colui che scrive, agisce o parla a memoria. Quando un uomo con buona memoria scrive o parla dopo un uomo con buona immaginazione, è buono o cattivo copista. Si parla come si sente. Si dice che l’immaginazione mente, perché le persone dotate di immaginazione sono più rare delle persone dotate di memoria: ma rendete rare le persone con memoria e comuni le persone con immaginazione, e saranno le prime che mentiranno. Gli uomini senza immaginazione sono duri, sono ciechi nell’anima, come i ciechi lo sono nel corpo. È possibile che l’immaginazione costituisca per noi una felicità più grande del godimento. Un amante senza immaginazione desidera la sua innamorata, ma non la vede; un amante con immaginazione la vede, la sente, le parla; lei gli risponde ed esegue in lui stesso tutta la scena di voluttà che egli si ripromette dalla sua tenerezza e dalla sua compiacenza. L’immaginazione mette in scena tutto ciò che vi può essere, ma non vi si ritrova se non raramente. L’immaginazione è la fonte della felicità che non c’è e il veleno della felicità che segue. È una facoltà che esagera e inganna: ragione per la quale i piaceri inattesi pungono di più dei piaceri preparati. L’immaginazione non ha avuto il tempo di guastarli con delle promesse ingannatrici. Un infelice, innocente o colpevole, è gettato in prigione in base al sospetto di un crimine. Si esamina il suo affare. Si sarebbe portati a rinviarlo a giudizio sulla base di una più ampia informativa. La giustizia, nella discordia dei giudizi, inclinava in mitiorem partem.278 Sopraggiunge un consigliere al quale viene esposto l’affare e che propende per la tortura.279 Ecco che quell’infelice viene torturato, slogato, spezzato, senza che si riesca a strapparne un lamento, un sospiro, una parola. Il boia diceva ai giudici che quest’uomo era un mago; egli non era né più mago, né più insensibile di un altro. Ma a che cosa era legata dunque questa costanza nel dolore, di cui non si conoscevano esempi? Indovinatelo, se ci riuscite. Era un contadino; si aspettava il supplizio preliminare che doveva subire: aveva inciso una forca su uno dei suoi zoccoli e mentre lo torturavano, egli teneva gli occhi fissi su quella forca. Che importa se l’immagine sia incisa sullo zoccolo o nel cervello? Noi non conosciamo, se non da pochi esempi tratti dalla storia, fino a che punto si possono incatenare gli uomini con la forza delle immagini, delle idee, dell’onore, della vergogna, del fanatismo, dei pregiudizi. Esaltazione dell’anima, che cosa non produce?280 Un precettore dei paggi alla corte di Osnabrück, emulo di Scevola, mise il braccio nelle fiamme e pensò di perderlo, per mostrare la forza dell’anima sul corpo (saggio di Teodicea 281). Gli Uroni,282 gli Irochesi, i Galibi.283 Certi uomini si sono immaginati di essere degli animali, dei lupi, dei serpenti. Fenomeno difficile da spiegare.284 La memoria commuove meno la volontà di quanto faccia l’immaginazione. La memoria è verbosa, metodica e monotona. L’immaginazione è invece altrettanto abbondante, irregolare e varia. L’immaginazione si contiene qualche volta, ma parte bruscamente; la memoria parte sul campo ma tranquillamente. L’immaginazione è un colorista, la memoria è un copista fedele. L’immaginazione agita di più, sia l’oratore che l’uditore, della memoria. Talvolta la memoria scimmiotta l’immaginazione.285
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opere filosofiche
Chap. V
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Le sommeil est une torpeur qui suspend quelquefois toute la masse du réseau et qui passe soit de l’origine du faisceau aux filets, soit des filets à l’origine du faisceau. Le sommeil est parfait lorsque la torpeur est générale, il est interrompu, troublé, agité, lorsque la torpeur dure en certaines parties et cesse en quelques autres. L’insomnie est un vice de l’origine du faisceau. Dans l’insomnie, il y a représentation involontaire d’un ou plusieurs objets. Dans l’état de sommeil, l’animal ne sent point, ne se meut point, ne pense point, mais cependant il vit : ou s’il pense, sent, agit, ce n’est point | la présence des objets qui le meut, mais le mouvement spontané des organes intérieurs qui dispose de lui involontairement. Dans la veille, c’est la présence des objets qui meut l’animal, ou il agit volontairement, ou bien il veille comme l’on dort. Il arrive certainement, à l’homme qui veille, de rêver comme s’il était endormi. Tel est son état lorsqu’il s’abandonne à l’action des organes intérieurs. Savoir qu’on est là et rêver qu’on est là sont deux choses différentes. L’homme qui rêve ne sait rien, il se croit là et il y est en effet ; mais il pourrait avoir la même croyance et, existant ailleurs, l’homme qui veille sait où il est ; s’il est égaré dans une forêt, il sait qu’il est dans une forêt et qu’il est égaré et cela est toujours vrai. L’amant qui pense à sa maîtresse, phénomènes qui s’ensuivent ; le vindicatif qui pense à son ennemi, phénomènes qui s’ensuivent ; ces phénomènes établissent nettement l’action de l’entendement sur les organes, le mouvement des organes et leur action sur l’entendement. Cette action et cette réaction montrent une conformité entre la veille et le rêve. Le sommeil naît ou de la lassitude, ou de la maladie, ou de l’habitude. Il faut y faire entrer la volonté particulière des organes, de l’estomac, par exemple, volonté à laquelle les autres organes se sont assujettis par habitude. Nous appelons le sommeil en fermant les yeux. La nuit ou la privation de lumière amène le sommeil : le soleil disparaît et tout dort : le soleil reparaît et tout s’éveille. La nuit est le temps du sommeil pour l’homme et pour les animaux. Elle se fait dans l’entendement, ainsi que dans la nature. Les fonctions intellectuelles sont suspendues, pendant le sommeil, non pas les vitales. Sommeil long et profond, dans l’enfance et dans la jeunesse, court et | interrompu, dans la vieillesse. La journée s’allonge à mesure que la vie s’abrège. Les organes diversement fatigués sont comme des voyageurs qui se séparent, l’un marche, encore que l’autre, harassé, discontinue sa route. De là, cette succession d’images, de sons, de goûts, de sensations décousues à l’origine du faisceau ou au sensorium commune. Rêve : action et réaction des fibres les unes sur les autres. Le rêve monte ou descend, il monte des filets à l’origine, ou descend de l’origine aux filets. Si l’organe destiné à l’acte vénérien s’agite, l’image d’une femme se réveillera dans le cerveau ; si cette image se réveille dans le cerveau, l’organe destiné à la jouissance s’agitera. Somnambule (expliquer comment la chose se fait en eux, habitude des organes). Le rêve décousu vient du mouvement tumultueux des brins : l’un fait entendre un discours, l’autre excite un désir, un troisième suscite une image. C’est la conversation de
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Capitolo V
Sonno Il sonno è un torpore che sospende qualche volta tutta la massa della rete e che passa o dall’origine del fascio ai filetti, o dai filetti all’origine del fascio. Il sonno è perfetto quando il torpore è generale, è interrotto, turbato, agitato, quando il torpore dura in certe parti e cessa in alcune altre. L’insonnia è un difetto dell’origine del fascio. Nell’insonnia c’è rappresentazione involontaria di uno o più oggetti. Nello stato di sonno, l’animale non sente affatto, non si muove, non pensa, ma tuttavia vive: o se pensa, sente, agisce, non è per nulla la presenza degli oggetti a muoverlo, ma il movimento spontaneo degli organi interni che dispone di lui involontariamente.286 Nella veglia è la presenza degli oggetti a muovere l’animale, o agisce volontariamente, oppure veglia come si dorme. Certamente accade, all’uomo che veglia, di sognare come se fosse addormentato. Tale è il suo stato quando si abbandona all’azione degli organi interni. Sapere che ci si trova là e sognare di essere là sono due cose diverse. L’uomo che sogna non sa nulla, si crede là e c’è in effetti; ma potrebbe avere la stessa credenza e, esistendo altrove, l’uomo che veglia sa dov’è, sa che è in una foresta e si è smarrito e questo è sempre vero. L’amante che pensa alla sua innamorata, fenomeni che conseguono; il vendicativo che pensa al suo nemico, fenomeni che conseguono: questi fenomeni stabiliscono con chiarezza l’azione dell’intelletto sugli organi, il movimento degli organi e la loro azione sull’intelletto. Quest’azione e questa reazione mostrano una conformità tra la veglia e il sogno. Il sonno nasce o dalla stanchezza, o dalla malattia, o dall’abitudine. Bisogna farvi rientrare la volontà particolare degli organi, dello stomaco per esempio, volontà alla quale gli altri organi si sono assoggettati per abitudine. Noi chiamiamo il sonno chiudendo gli occhi. La notte o la privazione di luce conducono al sonno: il sole scompare e tutto dorme: il sole riappare e tutto si risveglia. La notte è il tempo del sonno per l’uomo e per gli animali. Si fa nell’intelletto come nella natura. Le funzioni intellettuali sono sospese, durante il sonno, non le funzioni vitali. Sonno lungo e profondo, nell’infanzia e nella giovinezza, breve e interrotto nella vecchiaia. La giornata si allunga man mano che la vita si abbrevia. Gli organi affaticati in modo diverso sono come dei viaggiatori che si separano, l’uno cammina, mentre l’altro, spossato, interrompe il suo corso. Da ciò, quella successione d’immagini, di suoni, di gusti, di sensazioni sconnesse all’origine del fascio o al sensorium commune. Sogno: azione e reazione delle fibre le une sulle altre. Il sogno sale o scende, sale dai filamenti all’origine, o scende dall’origine ai filamenti. Se l’organo destinato all’atto venereo si agita, l’immagine di una donna si risveglierà nel cervello; se quest’immagine si risveglierà nel cervello, l’organo destinato al godimento si agiterà. Il sogno sconnesso viene dal movimento tumultuoso dei fili: l’uno fa sentire un discorso, l’altro eccita un desiderio, un terzo suscita un’immagine. È la conversazione di diverse persone che parlano insieme di diversi argomenti. Ciò somiglierebbe ancor
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plusieurs personnes qui parlent à la fois de différents sujets. Cela ressemblerait encore davantage à ce jeu, où l’on écrit un commencement de phrase, qu’un autre continue et ainsi successivement. Les rêves des jeunes personnes dans l’état d’innocence viennent de l’extrémité des brins, qui portent à l’origine des désirs obscurs, des inquiétudes vagues, une mélancolie dont elles ignorent la cause ; elles ne savent ce qu’elles veulent, faute d’expérience. Elles prennent cet état pour de l’inspiration, le goût de la solitude, de la retraite, de la vie monastique. | Il y a bien de l’affinité entre le rêve, le délire et la folie. Celui qui persisterait dans l’un des premiers serait fou. Délire raisonné et rêve suivi, c’est la même chose. Il n’y a de différence que dans la cause et dans la durée. Le passage de la veille au sommeil est toujours un petit délire. Au sortir d’un profond sommeil ou d’une forte méditation on ne sait ce qu’on est, où l’on est. C’est le ressouvenir des choses passées qui nous rend à nous. D’où naît le réveil naturel ? Des fibrilles reposées qui s’agitent d’elles-mêmes par besoin, par sensibilité, par bien-aise, par malaise etc. Elles vivent : par habitude, réveil à la même heure. Le bâillement soulage le poumon ; il est occasionné par . Chap. VI
Volonté
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La volonté n’est pas moins mécanique que l’entendement. La volition précède l’action des fibres musculaires : mais la volition suit la sensation, ce sont deux fonctions du cerveau ; elles sont corporelles. La volonté est l’effet d’une cause qui la meut et la détermine ; un acte de volonté sans cause est une chimère. Rien ne se fait par saut dans la nature ; tout y est liée. L’animal, l’homme, tout être est soumis à cette loi générale. La douleur, le plaisir, la sensibilité, les passions, le bien ou le malaise, | les besoins, les appétits, les sensations intérieures et extérieures, l’habitude, l’imagination, l’instinct, l’action propre des organes, commandent à la machine et lui commandent involontairement. Qu’est-ce en effet que la volonté, abstraction faite de toutes ces causes ? Rien. Je veux, n’est qu’un mot, examinez-le bien et vous ne trouverez jamais qu’impulsion, conscience et acquiescement : impulsion involontaire, conscience ou aséité, acquiescement ou attrait senti. Je réfléchis et je marche : le premier pas est une action volontaire, mais les autres pas se font sans qu’on y pense. Je veux secourir et je vais ; il n’y a là qu’une seule action de ma volonté, c’est de donner du secours : les autres mouvements des bras, du corps, des mains, de la voix, sont des effets de la sympathie des membres ou de l’habitude. La volonté n’y a certainement aucune part. Action volontaire, action involontaire. Celle qu’on appelle volontaire ne l’est pas plus que l’autre, la cause en est seulement reculée d’un cran. Dans l’action volontaire, le cerveau est en action, dans l’involontaire, le cerveau est passif et le reste agit. Voilà toute la différence. Expliquons nettement ce qu’il y a de vrai dans la distinction des mouvements volontaires et des mouvements involontaires. S’il y a de la liberté, c’est dans l’ignorant. Si entre deux choses à faire on n’a nul motif de préférence, c’est alors qu’on fait celle qu’on veut, qu’on veut sans cause ; cet homme est l’homme abstrait et non pas l’homme réel. |
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di più a quel gioco in cui si scrive un inizio di frase, che un altro continua e così via di seguito. I sogni delle persone giovani nello stato d’innocenza vengono dall’estremità dei fili, che portano all’origine dei desideri oscuri, delle vaghe inquietudini, una melanconia di cui ignorano la causa; costoro non sanno cosa vogliono, per mancanza d’esperienza. Prendono questo stato per ispirazione, il gusto della solitudine, del ritiro, della vita monastica.287 C’è una sicura affinità tra il sogno, il delirio e la follia. Colui che persistesse in uno dei primi stati sarebbe pazzo. Delirio ragionato e sogno conseguente, sono la stessa cosa. Non c’è differenza se non nella causa e nella durata. Il passaggio dalla veglia al sonno è sempre un piccolo delirio. Uscendo da un sonno profondo o da un’intensa meditazione non si sa che cosa si è o dove ci si trova. È il ricordarsi delle cose passate che ci restituisce a noi stessi. Donde nasce il risveglio naturale? Dalle fibrille riposate che si agitano da sole per bisogno, per sensibilità, per benessere, per malessere ecc. Esse vivono: per abitudine, risveglio alla stessa ora. Lo sbadiglio dà sollievo al polmone; esso è occasionato da .288 Capitolo VI
Volontà La volontà non è meno meccanica dell’intelletto. La volizione precede l’azione delle fibre muscolari:289 ma la volizione segue la sensazione; sono due funzioni del cervello, sono corporee La volontà è l’effetto di una causa che la muove e la determina; un atto della volontà senza causa è una chimera. Nulla si compie per salti in natura; tutto è collegato. L’animale, l’uomo, ogni essere è sottomesso a questa legge generale. Il dolore, il piacere, la sensibilità, le passioni, il bene o il malessere, i bisogni, gli appetiti, le sensazioni interne ed esterne, l’abitudine, l’immaginazione, l’istinto, l’azione propria degli organi, comandano la macchina e la comandano involontariamente. Che cos’è allora in effetti la volontà, fatta astrazione da tutte queste cause? Nulla. Io voglio, non è che una parola, esaminatela bene e non troverete mai altro che impulso, coscienza e acquiescenza: impulso involontario, coscienza o aseità,290 acquiescenza o attrattiva sentita. Io rifletto e cammino: il primo passo è un’azione volontaria ma tutti gli altri passi si fanno senza che io ci pensi. Io voglio soccorrere e vado; c’è là una sola azione della mia volontà, è portare aiuto: gli altri movimenti delle braccia, del corpo, delle mani, della voce, sono effetti della simpatia delle membra o dell’abitudine. La volontà non vi gioca certamente nessun ruolo. Azione volontaria, azione involontaria. Quella che si chiama volontaria non lo è più dell’altra, la causa ne sta solamente un gradino sotto. Nell’azione volontaria il cervello è in azione, nell’involontaria il cervello è passivo e il resto agisce. Ecco tutta la differenza. Spieghiamo con chiarezza quel che c’è di vero nella distinzione tra i movimenti volontari e i movimenti involontari. Se c’è della libertà è la libertà dell’ignorante. Se tra due cose da fare non c’è nessun motivo di preferenza, è allora che si fa la cosa che si vuole, che si vuole senza causa; quest’uomo è l’uomo astratto, non l’uomo reale.291
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opere filosofiche
Deux philosophes disputent sans s’entendre, par exemple, sur la liberté de l’homme. L’un dit, l’homme est libre, je le sens. L’autre dit, l’homme n’est pas libre, je le sens. Le premier parle de l’homme abstrait, de l’homme qui n’est mû par aucun motif, de l’homme qui n’existe que dans le sommeil, ou dans l’entendement du disputeur. L’autre parle de l’homme réel, agissant, occupé et mû. Histoire expérimentale de celui-ci. Je le suis et je l’examine ; c’était un géomètre. Il s’éveille : tout en rouvrant les yeux, il se remet à la solution du problème qu’il avait entamé la veille ; il prend sa robe de chambre, il s’habille, sans savoir ce qu’il fait ; il se met à table, il prend sa règle et son compas ; il trace des lignes : il écrit des équations, il combine, il calcule, sans savoir ce qu’il fait. Sa pendule sonne ; il regarde l’heure qu’il est ; il se hâte d’écrire plusieurs lettres qui doivent partir par la poste du jour. Ses lettres écrites, il s’habille, il sort, il va dîner chez son ami. La rue, où demeure cet ami, est embarrassée de pierres, notre géomètre serpente entre ces pierres, il s’arrête tout court. Il se rappelle que ses lettres sont restées sur sa table, ouvertes, non cachetées et non dépêchées ; il revient sur ses pas, il allume sa bougie, il cachette ses lettres, il les porte lui-même à la poste ; de la poste il regagne la maison où il se propose de dîner ; il y entre, il s’y trouve au milieu d’une société de philosophes ses amis. On parle de la liberté et il soutient à cor et à cri que l’homme est libre : je le laisse dire, mais à la chute du jour, je le tire en un coin et je lui demande compte de ses actions. Il ne sait rien, mais rien du tout de ce qu’il a fait ; et je vois que machine pure, simple et passive de différents motifs qui l’ont mû, loin d’avoir été libre, il n’a pas même produit un seul acte exprès de sa volonté : il a pensé, il a senti, mais il n’a pas agi plus librement qu’un | corps inerte, qu’un automate de bois, qui aurait exécuté les mêmes choses que lui. L’on dit que le désir naît de la volonté ; c’est le contraire ; c’est du désir que naît la volonté. Le désir est fils de l’organisation, le bonheur et le malheur, fils du bien-être ou du mal-être. On veut être heureux. Chap. VII
Passions
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Il n’y a qu’une seule passion, celle d’être heureux. Elle prend différents noms suivant les objets. Elle est vice ou vertu selon sa violence, ses moyens et ses effets. L’organe est un animal sujet au bien aise et au malaise, au bien aise qu’il cherche, au malaise dont il cherche à se délivrer. L’intérêt naît, dans chaque organe, de sa position, de sa construction, de ses fonctions. L’homme, réduit à un sens, serait fou : il ne reste que la sensibilité, qualité aveugle, à la molécule vivante ; rien de si fou qu’elle. L’homme sage n’est qu’un composé de molécules folles. Différence du tout et de l’organe ; le tout prévoit et l’organe ne prévoit pas. Le tout s’expérimente, l’organe ne s’expérimente pas ; le tout évite le mal, l’organe ne l’évite pas, il le sent et cherche à s’en délivrer. Pourquoi sommes-nous plus susceptibles de douleur que de plaisir, ou plus sensibles à la douleur qu’au plaisir ? C’est que la douleur agite les brins du faisceau d’une manière violente et destructive et que le plaisir, | au contraire, ne les tiraille pas jusqu’à les blesser, ou que quand cela arrive, le plaisir se change en douleur. Ni la douleur corporelle, ni la douleur morale n’est point une passion.
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Due filosofi disputano senza capirsi, ad esempio, sulla libertà dell’uomo. Uno dice: “l’uomo è libero, lo sento”. L’altro dice “l’uomo non è libero, lo sento”. Il primo parla dell’uomo astratto, dell’uomo che non è mosso da alcun motivo, dell’uomo che non esiste se non nel sonno o nell’intelletto del disputante. L’altro parla dell’uomo reale, agente, occupato e mosso. Facciamo una storia sperimentale di quest’ultimo. Io lo seguo e lo esamino; era un geometra. Costui si sveglia: riaprendo gli occhi, si rimette a lavorare alla soluzione del problema che aveva affrontato la sera precedente; prende la sua vestaglia, si veste, senza sapere quello che fa, si mette al tavolo di lavoro, prende la riga e il compasso, traccia linee, scrive equazioni, le combina, calcola, senza sapere quello che fa. Il pendolo suona, guarda che ora è, si affretta a scrivere varie lettere che devono partire con la posta del giorno. Scritte le sue lettere si veste, esce e va a cena da un suo amico. La strada, dove abita questo amico è ricoperta di pietre, il nostro geometra sguscia tra queste pietre, si ferma davanti alla casa, si ferma d’un colpo. Si ricorda che le sue lettere sono rimaste sul tavolo aperte, non sbrigate e non sigillate; torna sui suoi passi, accende la candela, sigilla le sue lettere, le porta egli stesso alla posta e dalla posta riguadagna la casa in cui si proponeva di cenare; entra, si ritrova in mezzo a una società di filosofi suoi amici. Si parla della libertà ed egli sostiene a spada tratta che l’uomo è libero. Io lo lascio dire, ma sul finire del giorno, lo prendo da parte e gli chiedo conto delle sue azioni. Lui non ne sa nulla, ma proprio nulla di nulla di ciò che ha fatto; e vedo che, pura macchina, semplice e passiva, dei diversi motivi che l’hanno mosso, lungi dall’essere stato libero, non ha prodotto neanche un solo atto espresso della sua volontà: ha pensato, ha sentito, ma non ha agito più liberamente di un corpo inerte, di un automa di legno che avesse agito, eseguendo le stesse cose che ha eseguito lui.292 Si dice che il desiderio nasca dalla volontà; è il contrario: è dal desiderio che nasce la volontà. Il desiderio è figlio dell’organizzazione, la felicità e l’infelicità, figlie del benessere o del malessere. Vogliamo essere felici. Capitolo VII
Passioni293 Non c’è che una sola passione, quella d’essere felici.294 Essa prende nomi diversi secondo gli oggetti. È vizio o virtù secondo la sua violenza, i suoi mezzi e i suoi effetti. L’organo è un animale soggetto al benessere o al malessere, al benessere che ricerca, al malessere di cui tenta di liberarsi. L’interesse nasce, in ciascun organo, dalla sua posizione, dalla sua costruzione, dalle sue funzioni. L’uomo, ridotto a un senso, sarebbe folle: resterebbe solo la sensibilità, qualità cieca, propria della molecola vivente: non c’è nulla di tanto folle quanto una molecola vivente. L’uomo saggio non è che un composto di molecole folli.295 Differenza del tutto e dell’organo: il tutto prevede e l’organo non prevede. Il tutto si esperimenta, l’organo non si esperimenta. Il tutto evita il male, l’organo non lo evita, lo sente e cerca di liberarsene. Perché siamo più suscettibili di dolore che di piacere, ovvero più sensibili al dolore che al piacere?296 Perché il dolore agita in maniera più violenta e distruttiva297 le fibre del fascio e al contrario il piacere non le stira fino a ferirle, o se ciò accade, il piacere si trasforma in dolore. Né il dolore corporeo, né il dolore morale sono delle passioni.
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opere filosofiche
Je ne doute point que chaque passion n’ait une espèce de pouls qui lui soit propre, ainsi que chaque organe ou maladie. Chaque passion a son action propre. Cette action s’exécute par des mouvements du corps. La fureur enflamme les yeux, serre les poings et les dents, arrondit les paupières. La fierté relève la tête, la gravité l’affermît. Toutes les passions affectent les yeux, le front, les lèvres, la langue, les organes de la voix, les bras, les jambes, le maintien, la couleur du visage, les glandes salivaires, le cœur, le poumon, l’estomac, les artères et veines, tout le système nerveux, frissons, chaleur. La correspondance des passions avec le mouvement des organes se remarque dans l’homme et les animaux. C’est le fond des études de l’imitateur de la nature. C’est de cette correspondance qu’il faut déduire les yeux tendres de l’amant passionné et l’érection, et peut-être l’accroissement de force dans tous les instants de passion, dans la frayeur, dans la fièvre etc. Rien ne montre tant la conspiration des organes, que ce qui arrive dans la passion, telle que l’amour ou la colère, ou l’admiration. De la liaison des passions avec les organes naissent la voix ou les cris ; et quelquefois le silence. Grandes passions sont muettes : des hommes sont devenus muets pendant plusieurs années après un accès de colère. Si la douleur pique l’intestin d’un enfant chinois ou européen, c’est le même instrument, la même corde, le même harpeur ; pourquoi le cri diffère | rait-il ? Les interjections sont les mêmes dans toutes les langues. C’est ainsi que tel son se lie nécessairement avec telle sensation ; la bonne musique est bien voisine de la langue primitive. Les exclamations, les interjections appartiennent à toutes les sensations fortes et subites ; elles appartiennent aussi aux passions ; mais chaque passion a son cri ; toutes ont leur silence : les métaphores des passions viennent de ce qu’on ignore vraiment la nature du mal, et que l’on part de cette ignorance pour exagérer, pour exciter la compassion. On n’exagère une blessure que quand elle est guérie ou cachée ; quand on l’a vue, cela ne se peut plus, mais on en exagère la douleur. Toute passion commence diversement, mais il n’y en a aucune qui ne puisse finir par le délire ou le trouble d’un organe, qui met en mouvement tous les autres. L’œil s’obscurcit, l’oreille tinte. La passion varie, le délire est le même. Le délire de l’amour, le même que le délire de la colère etc. Personne n’a parlé de cette identité de délires, elle montre cependant bien qu’il y a beaucoup d’objets de passion, mais peu de passions, ou peu d’organes de passion. Dans les accès des passions violentes, les parties se rapprochent, se raccourcissent, deviennent denses comme la pierre. Pour peu que cet état ait duré, il est suivi d’une grande lassitude. Les violents accès de passions peuvent dépraver les liqueurs. Témoin cet homme dont il est parlé dans les Mélanges curieux de la nature, année 1706, qui dans le transport de la colère se mordit et devint enragé. | On rougit, on pâlit dans la colère, selon que le mouvement du cœur se relâche ou s’accélère, ou bien si la constriction commence à l’extrémité des vaisseaux et s’étend vers le cœur et les poumons, la colère est pâle. Si au contraire la constriction commence à l’origine des gros vaisseaux, la colère est rouge. Il y a la fièvre des passions, comme la fièvre physique, toutes deux se manifestent au pouls. Je crois que les passions ont aussi leurs crises. Celles qui ne subissent point de crises, sont chroniques ou habituelles.
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Non dubito affatto che ogni passione abbia una specie di polso che gli sia proprio,298 come ogni organo o malattia.299 Ogni passione ha la sua azione propria. Tale azione s’esegue con dei movimenti del corpo. Il furore infiamma gli occhi, stringe i pugni e i denti, arrotonda le pupille. La fierezza solleva la testa, la gravità la rafforza. Tutte le passioni affettano gli occhi, la fronte, le labbra, la lingua, gli organi della voce, le braccia, le gambe, il portamento, il colore del viso, le ghiandole salivarie, il cuore, il polmone, lo stomaco, le arterie e le vene, tutto il sistema nervoso, fremiti, calore. La corrispondenza delle passioni con il movimento degli organi si nota nell’uomo come negli animali. È il contenuto stesso degli studi dell’imitatore dalla natura.300 È da questa corrispondenza che bisogna dedurre gli occhi teneri dell’amante appassionato e l’erezione e forse l’accrescimento di forza in tutti gli istanti di passione, nel terrore, nella febbre ecc. Niente mostra tanto la cospirazione degli organi quanto quello che accade nella passione, come l’amore o la collera o l’ammirazione. Dal legame tra le passioni e gli organi nascono la voce o le grida; e qualche volta il silenzio. Le grandi passioni sono mute: certi uomini sono diventati muti per diversi anni dopo un accesso di collera.301 Se il dolore punge l’intestino di un bambino cinese o europeo, è lo stesso strumento, la stessa corda, lo stesso arpista; perché il grido dovrebbe essere diverso? Le interiezioni sono le stesse in tutte le lingue, È così che il tale suono si collega necessariamente alla tale sensazione; la buona musica è assai vicina alla lingua primitiva. Le esclamazioni, le interiezioni appartengono a tutte le sensazioni forti e subitanee; appartengono anche alle passioni; ma ogni passione ha il suo grido; tutte hanno il loro silenzio: le metafore delle passioni provengono dal fatto che in verità s’ignora la natura del male e si parte da quest’ignoranza per eccitare la compassione. Non si esagera una ferita, se non quando essa è guarita o nascosta; quando la si è vista, ciò non è più possibile, ma ne viene esagerato il dolore. Ogni passione inizia diversamente, ma non ve n’è alcuna che non possa finire nel delirio o nel turbamento di un organo, che mette in moto tutti gli altri. L’occhio si oscura, l’orecchio ronza. La passione varia, il delirio è lo stesso. Il delirio dell’amore, è lo stesso delirio della collera, ecc. Nessuno ha parlato di quest’identità di deliri, eppure essa mostra con chiarezza che ci sono molti oggetti di passioni, ma poche passioni o pochi organi di passione. Negli accessi delle passioni violente, le parti si avvicinano, si accorciano, diventano dense come la pietra. Per poco che tale stato duri, è sempre seguito da una grande stanchezza. I violenti accessi di passione possono corrompere i liquidi corporei. Testimone quell’uomo di cui si parla nelle Miscellanee curiose della natura, anno 1706, che nel trasporto della collera si morse e si prese la rabbia.302 Si arrossisce, s’impallidisce nella collera, a seconda che il movimento del cuore si rilasci o acceleri, oppure se la costrizione inizia all’estremità dei vasi e s’estende verso il cuore e i polmoni, la collera è pallida. Se al contrario la costrizione inizia all’origine dei grossi vasi sanguigni, la collera è rossa. C’è la febbre delle passioni, come la febbre fisica, entrambe si manifestano al polso. Io credo che le passioni abbiano anch’esse le loro crisi.303 Quelle che non subiscono affatto crisi, sono croniche o abituali.
Diderot.indb 1205
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opere filosofiche
Les crises des passions se font par des éruptions, des diarrhées, les sueurs, des défaillances, les larmes, par le frisson, le tremblement, la transpiration : rapport des maladies réelles et des passions, soit tristes, soit gaiesA * | Ces crises sont bonnes ou mauvaises, comme dans les maladies. Elles augmentent le mal ou le diminuent. Dans la même passion, on voit une succession de passions diverses. L’amant colère n’aime plus ; l’amant jaloux n’aime plus, cependant, il aime toujours ; l’amant fatigué n’aime plus ; l’amant qui souffre n’aime plus, cependant, il aime toujours ; même passion, même objet, différents mouvements ; si l’une de ces passions qui se succèdent vient à durer, l’amour est éteint. Il s’établit une nécessité de causes et d’effets ; et cette nécessité une fois présupposée, les défauts essentiels à la production du bel effet cessent d’être des défauts. Le fumier perd sa qualité dégoûtante, considéré comme le principe de la fécondité de la terre ; la nécessité tourne en beauté le goitre | de certains peuples des Alpes et donne de l’importance aux matines des moines. En toute passion il y a vue de l’objet, besoin qui naît des organes mus, désir, désir involontaire, quelquefois permanent. Il y a des causes qui agissent sur nous intérieurement, comme extérieurement. Présence du bien réjouit, désir du bien donne de l’amour. L’attente du bien produit l’espérance. A
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effets extraordinaires et guérisons singulières de quelques passions, voyez la note page 149. Ci-après* : cette note doit être reportée ici. Note de la page 136 v°. * Une femme jalouse de son mari et de sa femme de chambre tombe dans un état de corps et d’esprit déplorable : elle était au bain, lorsqu’on lui annonça la mort de son mari. Elle demande, est-il bien vrai ? Très vrai, lui dit-on ; et la voilà guérie. Un jeune homme désespéré de ne pouvoir obtenir l’objet de sa passion, se tire un coup de pistolet à la tête, il ne se tua point, mais il resta fou de sa blessure ; pendant sa maladie les parents s’avisèrent de faire venir sa maîtresse et de la lui présenter. Il lève les yeux, il la voit et s’écrie : Ah ! mademoiselle c’est vous !... et le voilà guéri. | Un officier français perd une sœur hospitalière qui l’avait soigné et dont il était devenu amoureux ; ses amis découvrent une courtisane, qui lui ressemblait singulièrement ; ils invitent leur camarade à souper, sur la fin du repas ils introduisent la courtisane déguisée en hospitalière ; l’officier la regarde et s’écrie : Ah ! mes amis, j’en vois deux, je deviens fou, puis se renverse sur son fauteuil et meurt. Le chevalier de Louville est frappé d’apoplexie : on l’appelle, on crie autour de lui, on n’en saurait tirer un mot. Maupertuis, présent à cette scène, dit : je gage que je le fais parler. Aussitôt, il s’approche de l’oreille du moribond et lui crie : Monsieur le chevalier, douze fois douze ?... Le chevalier répond : cent quarante-quatre et c’est la seule chose qu’il ait dite. Un mari avait une femme très vaporeuse, cette femme aimait éperdument son mari. Il me vint en pensée de me servir de cette passion pour créer un vif intérêt dans cette femme ; car dans ce genre de maladie, c’est toute la difficulté. Tout vaporeux guérit s’il le veut. Mais le point est de le faire vouloir et d’employer cet intérêt à sa guérison. Je conseillai au mari de simuler la maladie de sa femme ; et voilà cette femme qui oublie ses vapeurs pour s’occuper de celles de son mari ; qui le promène et se promène elle-même, qui le fait monter à cheval et qui galope ; travailler et qui travaille ; se livrer aux amusements de la société et qui s’y livre, perdre ses vapeurs simulées et qui perd ses vapeurs réelles. Je recommandai au mari de feindre, de temps en temps, des rechutes et je lui défendis de révéler jamais à sa femme notre secret : ce qu’il a fait et ce qu’il continue. Ses vapeurs ne le reprennent jamais que quand sa femme est menacée des siennes.
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Le crisi delle passioni avvengono con eruzioni, diarree, i sudori, i mancamenti, le lacrime, il brivido, il fremito, la traspirazione: rapporto tra le malattie reali e le passioni, o tristi o allegre.A Tali crisi sono buone o cattive, come nelle malattie. Aumentano il male o lo diminuiscono. Nella stessa passione si osserva una successione di passioni diverse. L’amante incollerito non ama più; l’amante geloso non ama più e tuttavia ama sempre; l’amante stanco, non ama più, l’amante che soffre non ama più e tuttavia ama ancora; stessa passione, stesso oggetto, diversi movimenti; se una di queste passioni che si succedono arriva a durare, l’amore si spegne. Si stabilisce una necessità di cause e di effetti; e una volta presupposta tale necessità, i difetti essenziali per la produzione del bell’effetto cessano di essere difetti. Lo sterco perde la sua ripugnante qualità, se viene considerato come il principio della fecondità della terra;307 la necessità volge in bellezza il gozzo di certe popolazioni delle Alpi308 e conferisce importanza ai mattutini dei monaci.309 In ogni passione c’è una prospettiva, uno sguardo dell’oggetto, bisogno che nasce dagli organi mossi, desiderio, desiderio involontario, talvolta permanente. Ci sono cause che agiscono su di noi interiormente, come esteriormente. Presenza del bene rallegra, desiderio del bene dà amore. L’attesa del bene produce speranza. La presenza del male A effetti straordinari e guarigioni singolari di alcune passioni, vedi la nota a pagina 149. Qui sotto*: questa nota deve essere qui riportata. Nota della pagina 136 v°.304 *Una donna gelosa di suo marito e della sua dama di compagnia cade in un deplorevole stato di corpo e di spirito; era nel bagno quando le venne annunciata la morte di suo marito. Lei chiede, è proprio vero? Del tutto vero, le si dice; ed eccola guarita. Un giovane uomo, disperato di non poter ottenere l’oggetto della propria passione, si tira un colpo di pistola in testa, non si uccise ma restò folle per la sua ferita; durante la sua malattia i genitori pensarono bene di far venire la sua amante e di presentargliela. Lui alza gli occhi, la guarda ed esclama: “Ah, signorina, siete voi”! Ed eccolo guarito. Un ufficiale francese perde una sorella infermiera che l’aveva curato e di cui s’era innamorato; i suoi amici scovano una cortigiana che le assomigliava in modo singolare; invitano il loro commilitone a cena, verso la fine del pasto fanno entrare la cortigiana travestita da infermiera; l’ufficiale la guarda ed esclama: Ah! Amici miei, ne vedo due, divento pazzo, poi si rovescia sulla poltrona e muore. Il cavaliere di Louville è colpito da apoplessia; lo chiamano, gridano tutt’attorno a lui, non si riesce a cavarne una parola. Maupertuis, presente a questa scena, disse: scommetto che lo faccio parlare. Subito, s’avvicina all’orecchio del moribondo e gli grida: Signor Cavaliere, quanto fa dodici volte dodici?... Il cavaliere risponde: centoquarantaquattro ed è la sola cosa che abbia detto. Un marito aveva una moglie molto vaporosa, questa donna amava perdutamente il marito. Mi venne da pensare di servirmi di questa passione per creare un vivo interesse in quella donna; perché in questo genere di malattia, la difficoltà è tutta lì.305 Ogni vaporoso guarisce, se lo vuole. Ma il punto è di farlo volere e d’usare questo interesse per la sua guarigione. Consigliai al marito di simulare la malattia di sua moglie; ed ecco quella donna che dimentica i suoi vapori per occuparsi di quelli di suo marito: che lo porta a spasso e va a spasso lei stessa, lo fa salire a cavallo e lo galoppa; lo fa lavorare e lavora; lo abbandona ai divertimenti della società e vi si abbandona; che lo vede perdere i suoi vapori simulati e lei perde i suoi vapori reali. Raccomandai al marito di fingere, di tanto in tanto, delle ricadute e gli proibii di rivelare in nessun modo a sua moglie il nostro segreto: è quello che ha fatto e continua a fare. I suoi vapori non lo riprendono mai se non quando sua moglie è minacciata dai suoi.306
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La présence du mal donne de la tristesse, de la terreur ; la suite du mal, de la haine : l’attente du mal, de la crainte : la crainte est du mal à venir : la terreur du mal présent. Suite des effets des passions qui s’enchaînent et se suivent dans le corps, dont l’origine est dans la présence de l’objet ou dans la mémoire du mot ou dans l’imagination. Premier choc, le reste suit. Les exemples d’aversion sont sans nombre. On tombe en faiblesse à la vue d’une araignée ; on devient fou au bruit de l’aile d’une chauve-souris. Jacques I frémissait à la vue d’une épée nue. Germanicus avait en horreur la vue et le chant du coq. Le Maréchal d’Albret s’évanouissait quand il voyait un marcassin. | L’amour et l’aversion semblent produire, dans les organes, des effets contraires. L’amour s’élance au-dehors, l’aversion se retire en dedans. Voyez l’homme qui désire : ses yeux, ses joues, ses bras, ses mains, ses pieds, ses poumons se portent au-dehors. L’amour élance l’homme au-dehors, approche l’objet par le même mouvement, il est tout contre : on le saisit, on l’embrasse. On se place dans le lit de celle qu’on aime ; on l’amène dans le sien ; on se place sur le trône ; voilà des soldats, on commande etc. De là, le délire, l’extase ; on est au ciel, on voit tout etc. Le désir étend les dimensions du corps. L’aversion les rapetisse. Le désir est importun, il sollicite, il est impatient. Borné dans la brute, immense dans l’homme, il s’accroît en raison directe de l’importance réelle ou idéale de l’objet et inverse des obstacles et quelquefois en raison composée des deux, selon le caractère. Alors l’obstacle irrite deux forces conspirantes ; la défense irrite également, car elle surfait la chose et commande à un être libre. Il y a des laideurs qui causent non seulement l’aversion, mais la haine, mais l’horreur : cela tient aux physionomies et aux passions qu’elles caractérisent extérieurement. Plaisir et peine de réminiscence. Passion de réminiscence. Celles-ci ont quelquefois produit, à de longs intervalles, des effets, inspiré des projets, entraîné à des procédés qu’elles n’avaient point occasionnés au moment où elles avaient été excitées. Ce qui porterait à croire que la mémoire d’une injure a plus d’effet que l’injure, et que le ressentiment est plus dangereux que la colère. La colère s’aggrave par la mémoire au delà de son effet au moment où l’on l’éprouve. On se persuade qu’on ne s’est pas assez fâché et l’on se fâche trop : ordinairement la colère s’éteint avec son objet. | L’amour est plus difficile à expliquer que la faim : car le fruit n’éprouve pas le désir d’être mangé. Comparer l’action des nerfs à la fureur de l’appétit, de la faim, de la soif, des autres passions ; expliquer l’effet de l’objet d’une passion, d’une crainte, sur l’entendement ; il ôte quelquefois autant de force qu’il en donne. Je crois que les illusions de l’amour viennent de l’arbitraire des formes qui constituent la beauté. Plus les idées de beauté sont déterminées, moins ces illusions sont fortes. Un peintre y est moins sujet que nous. Association fausse et capricieuse de l’idée de plaisir avec l’idée de beauté. Je suis si heureux entre les bras de cette femme, donc elle est belle, donc il faut avoir l’œil comme elle l’a, la bouche comme elle l’a, pour me rendre aussi heureux. Sophisme du plaisir. Nous raisonnons de ses défauts comme de ceux d’un grand homme. S’il n’avait pas tel défaut, il ne serait pas ce génie. Donnez à la chose que vous faites toute l’utilité dont elle est susceptible ou toute sa bonté : faites en sorte que l’effet utile soit produit de la manière la plus simple, et
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dà della tristezza, del terrore; le conseguenze del male, l’odio; l’attesa del male, il timore: il timore è del male avvenire, il terrore è del male presente. Serie degli effetti delle passioni che si concatenano e si susseguono nel corpo, la cui origine è nella presenza dell’oggetto, o nella memoria della parola o nell’immaginazione. Primo urto, il resto segue. Gli esempi di avversione sono innumerevoli. Si cade in mancamento alla vista di un ragno; si diventa pazzi al rumore dell’ala di un pipistrello. Giacomo I fremeva alla vista di una spada nuda. Germanico aveva in orrore la vista e il canto del gallo. Il maresciallo d’Albret sveniva quando vedeva un cinghialino.310 L’amore e l’avversione sembrano produrre, negli organi, effetti contrari. L’amore si slancia fuori di sé, l’avversione si ritira all’interno. Guardate l’uomo che desidera: i suoi occhi, le sue guance, braccia, mani, piedi, polmoni, si portano come al di fuori di lui. L’amore slancia l’uomo fuori di sé, avvicina l’oggetto con il movimento stesso, è tutto contro: lo si afferra, lo si abbraccia. Si è spinti nel letto di colei che amiamo, la si conduce nel proprio; ci si pone sul trono: ecco dei soldati, si comanda, ecc. Da ciò, il delirio, l’estasi; si va al settimo cielo, si vede tutto, ecc.311 Il desiderio estende le dimensioni del corpo. L’avversione lo rimpicciolisce.312 Il desiderio è importuno, sollecita, è impaziente. Limitato nel bruto, immenso nell’uomo, s’accresce in ragione diretta dell’importanza reale o ideale dell’oggetto e in ragione inversa degli ostacoli e talvolta in ragione composita delle due, a seconda dei caratteri. Allora l’ostacolo irrita due forze cospiranti; la difesa irrita in ugual modo, perché valuta eccessivamente la cosa e comanda a un essere libero. Vi sono bruttezze che causano non soltanto l’avversione, ma l’odio, ma l’orrore: questo deriva dalle fisionomie e dalle passioni che esse caratterizzano esteriormente. Piacere e dolore di reminiscenza. Passioni di reminiscenza. Queste hanno talvolta prodotto, dopo lunghi intervalli, degli effetti, ispirato dei progetti, condotto a iniziative che non avevano affatto occasionato nel momento in cui erano state eccitate. Il che porterebbe a credere che la memoria di un’offesa, di un’ingiuria, ha un effetto maggiore dell’ingiuria stessa e che il risentimento è più pericoloso della collera. La collera si aggrava con la memoria, al di là del suo effetto nel momento in cui la si prova. Ci si persuade che non ci si è arrabbiati abbastanza, di solito la collera si spegne con il suo oggetto.313 L’amore è più difficile da spiegare della fame: in quanto il frutto non prova mai il desiderio di essere mangiato. Paragonare l’azione dei nervi al furore dell’appetito, della fame, della sete, delle altre passioni; spiegare l’effetto dell’oggetto di una passione, di un timore, sull’intelletto: talvolta toglie tanta forza, quanta ne dà in altri casi. Io credo che le illusioni dell’amore hanno origine dall’arbitrio delle forme che costituiscono la bellezza. Più le idee di bellezza sono determinate, meno queste illusioni sono forti. Un pittore vi è soggetto in misura minore rispetto a noi. Associazione falsa e capricciosa dell’idea di piacere con l’idea di bellezza. Io sono così felice tra le braccia di quella donna, dunque lei è bella, dunque bisogna avere lo sguardo come il suo, la bocca come la sua, per rendermi così felice. Sofisma del piacere.314 Noi ragioniamo dei suoi difetti come di quelli di un grand’uomo. Se non avesse il tal difetto, non sarebbe il tal genio.315 Date alla cosa che fate tutta l’utilità di cui essa è suscettibile o tutta la sua bontà; fate in modo che l’effetto utile sia prodotto nella maniera più semplice e siate certi che
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soyez sûr que vous atteindrez, en même temps, la grâce et la beauté ; cette règle me paraît sans exception. Le dégoût est le passage de l’indifférence ou du désir à l’aversion, occasionné par quelques mauvaises qualités ignorées d’abord, ensuite reconnues. La joie est babillarde, compagne de la confiance, compagne de | l’indiscrétion, de l’indulgence et de la crédulité. Familière, elle embrasse tout le monde : bienfaisante, elle est libérale ; elle a de l’embonpoint et de la santé. L’espérance, attente du bien : elle est inquiète. L’imagination accroît ou affaiblit l’espérance. Elle l’accroît dans l’homme fort, elle la diminue dans l’homme faible, elle est oscillatoire, constante, impatiente, crédule : elle soupire comme le désir. L’espérance modérée est la confiance ; la présomption est une espérance immodérée. La hardiesse est la conscience ou d’une force ou d’une adresse, ou d’un bonheur qui fait braver le danger. Elle attaque tête baissée, elle court et change le maintien. La crainte fuit, la hardiesse va au-devant. La honte est une espèce de crainte, ainsi que le respect ; l’appréhension est une crainte faible. L’assurance est la conscience de sécurité ; la confiance, l’espérance dans les moyens ; et la résolution, l’effort de la confiance. Peur avec surprise épouvante et fait fuir : on a peur du Diable, on craint Dieu. La consternation est l’effet de la terreur. Le désespoir est la certitude qu’on ne peut obtenir un bien violemment désiré ou éviter un mal violemment craint. Il est accompagné de toutes sortes de mépris ; il peut suivre toute passion. Le courage supporte, attend, se défend et n’attaque pas, on l’ébranle. La valeur est le courage du militaire ; la bravoure est l’ostentation de la valeur : elle peut être vraie ou fausse. | Force de corps, proportionnelle aux obstacles physiques qu’elle peut surmonter, arts : force d’esprit, proportionnelle aux obstacles moraux qu’elle peut surmonter, sciences : force d’âme, proportionnée aux dangers, combats ; alors, selon sa nature, c’est courage, ou intrépidité. La patience, peu de sensibilité avec beaucoup de solidité. La constance est la mesure de la durée des vices et des vertus. La constance passive résiste et supporte sans se démentir. La patience résiste et supporte, mais se dément. La constance reste à sa place, c’est une fermeté qui dure. La fermeté est la conscience de ce qu’on peut supporter sans rupture ou destruction. La haine est la colère continuée ; haine de soi-même, on se châtie. La colère se montre, la haine se cache quelquefois. L’opiniâtreté est une résistance sans égards à la durée. La jalousie est une espèce de haine passagère ou constante accompagnée de crainte de perdre ce qu’on a. L’envie, autre espèce de haine accompagnée du désir d’ôter à un autre ce qu’il possède. L’envie s’élance, la jalousie se retire. La malveillance est effet de la haine, de la jalousie, de la crainte. Le ressentiment, c’est ce mouvement pénible, plus ou moins violent, qui s’excite en nous par l’offense qu’on nous a faite, et qui nous porte à la vengeance. La magnanimité pardonne l’injure. La vengeance est l’effet de la colère et la réparation de l’injure. | L’indignation naît de l’opinion qu’on ne mérite pas l’injure et qu’on n’a pas dû s’y attendre.
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attingerete, al tempo stesso, la grazia e la bellezza: questa regola mi sembra non abbia eccezioni. Il disgusto è il passaggio dall’indifferenza o dal desiderio all’avversione, occasionato da certe cattive qualità dapprima ignorate, poi riconosciute. La gioia è chiacchierona, compagna della fiducia, compagna dell’indiscrezione, dell’indulgenza e della credulità.316 Familiare, essa abbraccia tutti: benevolente, essa è liberale; ha della pinguedine e della salute.317 La speranza, attesa del bene: essa è irrequieta. L’immaginazione accresce o indebolisce la speranza. La accresce nell’uomo forte, la diminuisce nell’uomo debole, essa è oscillante, costante, impaziente, credulona: sospira come il desiderio. La speranza moderata è la fiducia; la presunzione è una speranza immoderata.318 L’audacia è la coscienza o di una forza o di una destrezza, o di una fortuna che ci fa sfidare il pericolo. Essa attacca a testa bassa, corre e cambia il portamento.319 Il timore fugge, l’audacia si slancia in avanti.320 La vergogna è una specie di timore, così come il rispetto; l’apprensione è un timore debole. La baldanza è la coscienza della sicurezza; la fiducia, la speranza nei mezzi; e la risoluzione, lo sforzo della fiducia. Paura con sorpresa spaventa e fa fuggire: si ha paura del Diavolo, si teme Dio. La costernazione è l’effetto del terrore. La disperazione è la certezza che non si può ottenere un bene desiderato con violenza o evitare un male temuto con violenza. È accompagnata da ogni specie di disprezzo; può seguire ogni passione. Il coraggio sopporta, attende, si difende e non attacca, si scuote. Il valore è il coraggio del militare; la prodezza è l’ostentazione del valore: può essere vera o falsa. Forza del corpo, proporzionale agli ostacoli fisici che può superare, arti: forza di spirito, proporzionale agli ostacoli morali che può superare, scienze: forza d’animo, proporzionale ai pericoli, combattimenti; allora, a seconda della sua natura, è coraggio o intrepidezza.321 La pazienza, poca sensibilità con molta solidità. La costanza è la misura della durata dei vizi e delle virtù.322 La costanza passiva resiste e sopporta senza rottura o distruzione.323 L’odio è la collera continuata; odio di se stessi, ci si castiga. La collera si mostra, l’odio talvolta si nasconde. La caparbietà è una resistenza senza riguardo alla durata.324 La gelosia è una specie di odio passeggero o costante, accompagnato dal timore di perdere ciò che si ha. L’invidia, altra specie di odio accompagnata dal desiderio di togliere a un altro ciò che possiede. L’invidia si slancia, la gelosia si ritira. La malevolenza è effetto dell’odio, della gelosia, del timore. Il risentimento, è quel movimento penoso, più o meno violento, che si eccita in noi dall’offesa che ci è stata arrecata, e che ci porta alla vendetta. La magnanimità perdona l’ingiuria. La vendetta è l’effetto della collera e la riparazione dell’ingiuria. L’indignazione nasce dall’opinione che non ci si merita l’ingiuria e che non ce la si doveva aspettare.
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Le dédain naît de la haute opinion qu’on a de soi et de la pauvre opinion qu’on a du défenseur. Le dépit naît de la vengeance trompée. L’horreur est l’extrême de l’aversion : s’il s’y joint quelque sentiment religieux, exécration ; s’il s’y joint quelque pressentiment ou menace, malheur, abomination. Détestation est l’expression de l’horreur, de l’exécration et de l’abomination réunies : action si atroce qu’on souhaite, puisqu’elle a été commise, qu’elle reste sans témoins, ensevelie dans l’oubli. La douleur et la joie font également pleurer. L’enfant en venant au monde crie, mais ne verse pas de larmes, il ne rit qu’au bout de quarante jours. Ris, dans l’homme physique comme dans l’animal, effet de la joie. Les stupides rient comme les animaux et les enfants. Progrès du ris. L’œil, la lèvre, les poumons, le diaphragme, les flancs, tout le corps. Dans les uns, ris est produit par la mémoire d’un plaisir passé ; dans les autres, par la présence d’un objet qui les flatte. Ris dans la douleur, ris dans le délire, effets de la contraction des nerfs. | Le ris sans savoir pourquoi, c’est par l’idée du ridicule qu’on cherche à connaître : on cherche qui est-ce qui est bossu ; on cherche qui est-ce qui a dit une sottise. Le ris est contagieux, on fait rire en riant. Ris sobre, ris immodéré : le ris décompose, ôte la dignité : le gros ris est bourgeois : pourquoi n’éclate-t-on guère seul et souvent en compagnie ? Hommes et femmes de cour n’éclatent guère. Chap. VIII
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Les organes ont leur tact particulier : l’œil ne saurait souffrir l’huile ; l’estomac rejette l’émétique qui ne fait rien à l’œil, ils ont chacun leur enfance, leur jeunesse, leur âge de vigueur, leur vieillesse et leur décrépitude. Ces âges varient dans un individu. Ils varient d’un individu à l’autre. Si chaque organe a ses nerfs propres, comme l’œil, l’oreille etc., ils appètent, ils rejettent, ils se lassent. Tous ont leur vie particulière. A mesure que la ligature se serre, le mouvement, la sensibilité et la vie diminuent dans un muscle ; il vient un | instant où cet organe semble rester sans sensibilité et sans vie. Je demande s’il est mort, si l’âme en est retirée. On ne saurait dire qu’il est mort, puisque la ligature supprimée, le mouvement, la vie reparaît. Si l’organe vit, il a donc une vie propre et séparée du reste du système. S’il vit, il sent, il a donc sa portion de sensibilité qu’il garde. Pourquoi accorderait-on à la ligature ce qu’on refuserait à l’amputation ? Point d’organe qui, séparé de l’animal, ne conserve quelque temps la sensibilité, la vie. L’abeille a les pattes coupées et vole. L’anguille, la grenouille coupées, le muscle séparé du bœuf, se meuvent : les intestins séparés du corps gardent leur mouvement péristaltique. On coupe la tête à la vipère, on l’écorche, on l’ouvre, on lui arrache le cœur, le poumon, les entrailles. Pendant plusieurs jours après ce supplice elle se meut, elle s’agite, elle se plie et se replie. Son mouvement se ralentit ou s’accélère. Elle se tourmente, quand on la pique, comme si elle était entière et vivante. Pourquoi diraisje qu’elle ne vit pas ?
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Lo sdegno nasce dall’alta opinione che si ha di sé e della povera opinione che si ha del difensore, La stizza nasce dalla vendetta mancata. L’orrore è l’estremo dell’avversione: se vi si unisce qualche sentimento religioso, esecrazione; se vi si unisce qualche presentimento o minaccia, sventura, abominio. L’aborrimento è l’espressione dell’orrore, dell’esecrazione e dell’abominio riuniti: azione tanto atroce che ci si auspica, poiché è stata commessa, che resti senza testimoni, seppellita nell’oblio. Il dolore e la gioia fanno ugualmente piangere. Il bambino venendo al mondo grida, ma non versa lacrime, non ride se non in capo a quaranta giorni. Riso, nell’uomo fisico come nell’animale, effetto della gioia. Gli stupidi ridono come gli animali e i bambini. Progresso del riso. L’occhio, il labbro, i polmoni, il diaframma, i fianchi, tutto il corpo. Negli uni, il riso è prodotto dalla memoria di un piacere passato; negli altri, dalla presenza di un oggetto che li lusinga. Riso nel dolore, riso nel delirio, effetti della contrazione dei nervi. Il riso senza sapere perché, è per l’idea del ridicolo che si cerca di conoscere: si cerca chi è che è gobbo; si cerca chi è che ha detto una sciocchezza. Il riso è contagioso, si fa ridere ridendo. Riso sobrio, riso smodato: il riso scompone, toglie la dignità: la grossa risata è borghese: perché non si scoppia a ridere soli e spesso in compagnia? Uomini e donne di corte non scoppiano mai a ridere. Capitolo VIII
Degli organi Gli organi hanno il loro tatto particolare: l’occhio non potrebbe soffrire l’olio; lo stomaco rigetta l’emetico che non fa nulla all’occhio, ciascuno di loro ha la propria infanzia, la giovinezza, l’età di vigore, la vecchiaia e la decrepitezza.325 Queste età variano in un individuo. Variano da un individuo all’altro. Se ciascun organo ha i suoi nervi propri, come l’occhio, l’orecchio ecc., appetiscono, rigettano, si stancano. Tutti hanno la loro vita particolare.326 Man mano che la legatura vi si stringe attorno, il movimento, la sensibilità e la vita diminuiscono in un muscolo; arriva un momento in cui quest’organo sembra restare senza sensibilità e senza vita. Io chiedo se è morto, se l’anima se n’è ritirata. Non si potrebbe dire che è morto, perché soppressa la legatura, il movimento, la vita riappare. Se l’organo vive, c’è dunque una vita propria e separata dal resto del sistema.327 Se esso vive, sente, ha dunque la sua porzione di sensibilità che conserva. Perché si dovrebbe accordare alla legatura quello che si rifiuterebbe all’amputazione? Non c’è organo che, separato dall’animale, non conservi per un certo tempo la sensibilità, la vita. L’ape ha le zampe tagliate e vola.328 L’anguilla, la rana tagliate, il muscolo separato del bue, si muovono: gli intestini separati dal corpo conservano il loro movimento peristaltico. Si taglia la testa alla vipera, la si scortica, la si apre, le si strappa il cuore, i polmoni, le viscere. Per diversi giorni, dopo questo supplizio, essa si muove, si agita, si piega e si ripiega. Il suo movimento rallenta o accelera. Essa si tormenta quando la si punge, come se fosse intera e vivente.329 Perché dovrei dire che non vive?330
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Chaque organe a son plaisir et sa douleur particulière, sa position, sa construction, sa chaîne, sa fonction, ses maladies accidentelles, héréditaires, ses dégoûts, ses appétits, ses remèdes, ses sensations, sa volonté, ses mouvements, sa nutrition, ses stimulants, son traitement approprié, sa naissance, son développement. Qu’a de plus un animal ? Comment se fait-il que nous traversions Paris, à travers toutes sortes d’obstacles, profondément occupés d’une idée, par conséquent parfaite | ment distraits sur tout ce qui se rencontre, se passe, nous touche, s’oppose à nous, nous environne, sans accidents, sans nous tuer, sans blesser les autres ? Comment se fait-il que dans les choses de pure habitude et de pure sensation nous les fassions d’autant mieux que nous y pensons moins ? Nous montons parfaitement bien notre escalier, pendant la nuit, si nous n’y pensons pas. Nous commençons à tâtonner quand nous y pensons. Le jour, l’esprit occupé, nous le montons, nous le descendons comme s’il faisait nuit. Il y a plus : il fait nuit en plein midi, dans les rues, pour celui qui pense profondément et nuit profonde. L’œil nous mène ; nous sommes l’aveugle. L’œil est le chien qui nous conduit ; et si l’œil n’était pas réellement un animal se prêtant à la diversité des sensations, comment nous conduirait-il ? Car ce n’est pas ici une affaire d’habitude. Les obstacles qu’il évite sont, à chaque instant, nouveaux pour lui. L’œil voit, l’œil vit, l’œil sent, l’œil conduit de lui-même, l’œil évite les obstacles, l’œil nous mène et nous mène sûrement : l’œil ne se trompe que sur les choses qu’il ne voit pas. L’œil est frappé subitement et il arrête ; l’œil accélère, retarde, détourne, veille à sa conservation propre et à celle du reste de l’équipage ; que fait de plus et de mieux un cocher sur son siège ? C’est que l’œil est un animal dans un animal, exerçant très bien ses fonctions tout seul. Ainsi des autres organes : idée à laquelle on peut donner toute la vraisemblance imaginable. Elle en reçoit beaucoup du fait suivant, dont j’ai été témoin. Un musicien est au clavecin : il cause avec son voisin ; la conversation l’intéresse ; il oublie qu’il fait sa partie dans un concert : cependant ses yeux, son oreille et ses doigts n’en sont pas moins d’accord entre eux : pas une fausse | note ; pas un accord déplacé, pas un silence oublié ; pas la moindre faute contre le mouvement, le goût et la mesure. La conversation cesse, notre musicien revient à sa partition ; sa tête est perdue ; il ne sait où il en est : l’homme est troublé, l’animal est dérouté. Si la distraction de l’homme eût duré quelques minutes de plus, l’animal eût suivi le concert jusqu’à la fin, sans que l’homme s’en fût douté. Voilà donc des organes sensibles et vivants, accouplés, sympathisants et concourants à un même but, sans la participation de l’animal entier. L’homme peut donc être regardé comme un assemblage d’animaux, où chacun garde sa fonction particulière et sympathise, soit naturellement, soit par habitude, avec les autres. Pourquoi ces petits animaux, ou organes, n’auraient-ils pas des goûts dépravés ? Pourquoi n’auraient-ils pas leur digestion ? Ils ont certainement leur nourriture et leur excrétion particulière : chacun a sa transpiration propre : bref toutes fonctions plus distinctes qu’en différents animaux. Qu’est-ce qu’un remède propre à tel organe ? C’est un aliment qui lui convient. Comment le discerner ? Par l’expérience. Examinez ce qui se passe en vous, ce n’est jamais vous qui voulez manger ou vomir, c’est l’estomac ; pisser, c’est la vessie ; et ainsi des autres fonctions. Veuillez tant qu’il
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Ciascun organo ha il suo piacere e il suo dolore particolare, la sua posizione, costruzione, concatenazione, funzione, le sue malattie accidentali, ereditarie, i suoi disgusti, i suoi appetiti, i suoi rimedi, le sue sensazioni, la sua volontà, i suoi movimenti, il suo nutrimento, i suoi stimolanti, il suo trattamento appropriato, la sua nascita, il suo sviluppo.331 Che cos’ha di più un animale? Com’è possibile che noi attraversiamo Parigi, attraverso ogni sorta di ostacoli, profondamente occupati da un’idea, di conseguenza perfettamente distratti su tutto ciò che s’incontra, che accade, ci tocca, si oppone a noi, ci circonda, senza incidenti, senza ucciderci, senza ferire gli altri? Com’è possibile che nelle cose di pura abitudine e di pura sensazione noi le facciamo tanto meglio quanto meno ci pensiamo? Noi saliamo perfettamente bene la scala di casa, durante la notte, se non ci pensiamo. Incominciamo ad andare a tastoni quando ci pensiamo. Di giorno, con la mente occupata, la saliamo, la scendiamo come se facesse notte. C’è di più: fa notte in pieno giorno, nelle strade, per colui che pensa profondamente ed è notte profonda.332 L’occhio ci conduce; noi siamo il cieco. L’occhio è il cane che ci conduce; e se l’occhio non fosse realmente un animale che si presta alla diversità delle sensazioni, come potrebbe condurci? Infatti, qui non è altro che un affare di abitudine. Gli ostacoli che evita sono, in ogni momento, nuovi per lui. L’occhio vede, l’occhio vive, l’occhio sente, l’occhio conduce da sé, l’occhio evita gli ostacoli, l’occhio ci conduce e lo fa con sicurezza: l’occhio non s’inganna se non su quelle cose che non vede. L’occhio è colpito improvvisamente e ci ferma; l’occhio accelera, ritarda, svia, veglia alla propria conservazione e a quella del resto dell’equipaggio; che cosa fa di più e di meglio un cocchiere sulla sua sella? Il fatto è che l’occhio è un animale in un animale, che esercita assai bene le sue funzioni da solo.333 Così degli altri organi: idea alla quale si può dare tutta la verosimiglianza immaginabile. Quest’idea ne riceve molta dal seguente fatto, di cui sono stato testimone. Un musicista è al clavicembalo: chiacchiera col suo vicino; la conversazione lo interessa; egli dimentica che sta suonando la sua parte in un concerto: tuttavia, i suoi occhi, le sue orecchie e le sue dita non vanno meno d’accordo tra loro: non una falsa nota; non un accordo fuori posto, non una pausa dimenticata; né il minimo errore contro il movimento, il gusto e la misura. La conversazione cessa, il nostro musicista ritorna al suo spartito; la sua testa è perduta, non sa dove si trova: l’uomo è turbato, l’animale è allo sbaraglio. Se la distrazione dell’uomo fosse durata qualche minuto di più, l’animale avrebbe eseguito il concerto fino alla fine, senza che l’uomo se ne fosse neanche accorto. Ecco dunque degli organi sensibili e viventi, accoppiati, simpatizzanti e concorrenti a uno stesso scopo, senza la partecipazione dell’animale intero. L’uomo può dunque essere considerato come un assemblaggio di animali, in cui ciascuno conserva la sua funzione particolare e simpatizza, o naturalmente, o per abitudine, con gli altri. Perché questi piccoli animali, o organi, non potrebbero avere dei gusti depravati? perché non potrebbero avere la loro digestione? Certamente hanno il loro nutrimento e la loro escrezione particolare: ciascuno ha la sua traspirazione propria: in breve, tutte funzioni distinte che in diversi animali. Che cos’è un rimedio proprio al tale organo? È un alimento che gli conviene. Come distinguerlo? Con l’esperienza. Esaminate quello che accade in voi, non siete mai voi che volete mangiare o vomitare, è lo stomaco; pisciare, è la vescica; e così delle altre funzioni. Vogliate pure quanto
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vous plaira, il ne s’opérera rien, si l’organe ne le veut aussi. Vous voulez jouir de la femme que vous aimez, mais quand jouirez-vous ? Quand l’organe le voudra. | Chaque organe a ses maladies particulières : de là, perplexité de la médecine, incertitude et danger des remèdes. Vomissement, diarrhée, tous les organes y sont sujets. Il y aura des maladies inexplicables et, dans presque toutes, des phénomènes qu’on ne concevra point, si l’on se refuse à l’idée des organes considérés comme animaux particuliers. Toute la langue de la médecine pratique semble avoir été faite d’après cette supposition ; le médecin ne l’avoue pas, mais il raisonne, mais il ordonne en conséquence. La même maladie transférée par métastase d’un organe à un autre, présente des phénomènes et produit des sensations plus variées que la même maladie fixée au même lieu, dans des animaux différents. La goutte brûle, pique, déchire le pied ; à la main, c’est autre chose ; sur les intestins, à l’estomac, aux reins, aux poumons, à la tête, aux yeux, aux articulations, autant de douleurs différentes. Chaque organe étant considéré comme un animal particulier, il n’est plus étonnant que chacun ait son poison, son miasme qui l’affecte. A différentes plantes, il faut des terres différentes : il n’est plus étonnant que ce qui blesse l’un et l’irrite, réjouisse un autre. L’urine âcre ne fait rien à l’urètre ; le sperme indolent, fade et doux l’affecte voluptueusement et fortement ; le chatouillement léger de la plante des pieds agite la machine entière. L’épine douloureuse n’y cause qu’une sensation locale. La diversité des sensations locales est infinie, on en a trop négligé l’étude. Les organes ont non seulement des formes, mais au goût, à l’odorat, des qualités tout à fait différentes, autant différentes que les animaux entre eux. | Il se fait un frémissement involontaire dans l’organe qui souffre : cette action lui est propre. C’est alors qu’il se montre un animal distinct Chaque organe d’abord a son caractère particulier, puis son influence sur les autres et l’influence des autres sur lui. De là, la variété de ces symptômes, qui semblent propres à un seul et étrangers aux autres, qui en sont pourtant affectés. De là, la sympathie qui existe entre plusieurs organes : des dents avec l’oreille, sons faux, sons aigus : de l’odorat avec l’estomac, l’odeur des médicaments purge ; de la matrice avec la gorge dans les femmes, les papilles du sein prennent de l’érection : du gland dans l’homme avec les vésicules séminales etc. Il y a une sympathie très marquée entre le diaphragme et le cerveau. Si le diaphragme se crispe violemment, l’homme souffre et s’attriste ; si l’homme souffre et s’attriste, le diaphragme se crispe violemment : diaphragme, cerveau, organes peu connus. Il y a encore une sympathie entre les yeux et le cerveau. La nuit, ou la privation de lumière, amène le sommeil ou la torpeur de l’origine des filets au cerveau. Si vous lisez pendant la nuit, vous sentirez le sommeil s’introduire à mesure que la lumière de votre lampe s’affaiblira. Nous appelons le sommeil en fermant les yeux. La plus forte distraction vient des yeux. Presque tout ce qui se dit de l’œil, se dit de l’entendement La sympathie fait qu’on sent la douleur où elle n’est pas, parce qu il se fait souvent que la partie sympathisante est ou plus sensible, ou plus gênée par la sympathie que l’organe affecté ne l’est par la douleur. Quelquefois la sympathie de douleur ou de plaisir, d’un organe à un autre, vient des | anastomoses des artères et des veines, qui poussent le sang de l’une dans l’autre partie ; quelquefois, de la similitude d’organisation (matrice et mamelle), de la continuation des membranes (pierre dans la vessie donne des démangeaisons au gland), enfin de la communication et anastomose
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vi piace, non accadrà niente, se l’organo non lo vuole anche lui. Volete godere della donna che amate, ma quando godrete? Quando l’organo lo vorrà. Ciascun organo ha le sue malattie particolari: da ciò, la perplessità della medicina, l’incertezza e il pericolo dei rimedi. Vomito, diarrea, tutti gli organi ne sono soggetti. Ci saranno delle malattie inspiegabili e, in quasi tutte, dei fenomeni che non si potranno immaginare, se ci si rifiuta all’idea degli organi considerati come animali particolari.334 Tutta la lingua della medicina pratica sembra esser stata fatta secondo questa supposizione; il medico non lo confessa, ma ragiona, ordina di conseguenza. La stessa malattia trasferita, per metastasi, da un organo a un altro, presenta dei fenomeni e produce delle sensazioni più varie della stessa malattia fissata nello stesso luogo, in animali diversi. La gotta brucia, punge, vi lacera il piede; alla mano, è altra cosa; sugli intestini, allo stomaco, ai reni, ai polmoni, alla testa, agli occhi, alle articolazioni, altrettanti dolori diversi. Poiché ciascun organo è considerato come un animale particolare, non c’è più da stupirsi che ciascuno abbia il suo veleno, il suo miasma che lo influenza. A diverse piante, occorrono terre diverse: non c’è più da stupirsi del fatto che ciò che ferisce l’uno e lo irrita, ne lenisce un altro. L’urina acre non fa nulla all’uretra; lo sperma indolente, scialbo e molle lo influenza voluttuosamente e con forza; il solletico leggero alla pianta dei piedi agita l’intera macchina. La spina dolorosa non vi causa altro che una sensazione locale. La diversità delle sensazioni locali è infinita, ne è stato trascurato troppo lo studio. Gli organi hanno non soltanto delle forme, ma delle qualità del tutto diverse, al gusto, all’odorato, altrettanto diverse quanto gli animali tra loro. Si compie un fremito involontario nell’organo che soffre: quest’azione gli è propria. È allora che si mostra un animale distinto. Ciascun organo innanzitutto ha il suo carattere particolare, poi la sua influenza sugli altri e l’influenza degli altri su di lui. Da ciò, la varietà di quei sintomi che sembrano propri a uno solo ed estranei agli altri, che ne sono nondimeno affetti. Da ciò, la simpatia che esiste tra diversi organi: dei denti con l’orecchio, suoni falsi, suoni acuti: dell’odorato con lo stomaco, l’odore delle medicine purga; della matrice con il seno, nelle donne, le papille del seno prendono una sorta di erezione: del glande nell’uomo con le vescicole seminali ecc..335 C’è una simpatia assai marcata tra il diaframma e il cervello. Se il diaframma si contrae violentemente, l’uomo soffre e si rattrista; se l’uomo soffre e si rattrista, il diaframma si contrae violentemente: diaframma, cervello, organi poco conosciuti.336 C’è inoltre una simpatia tra gli occhi e il cervello. La notte, o la privazione di luce, porta il sonno, o il torpore dell’origine dei filetti al cervello. Se leggete durante la notte, sentirete il sonno insinuarsi, man mano che la luce della vostra lampada s’indebolirà. Noi chiamiamo il sonno chiudendo gli occhi. La distrazione più forte viene dagli occhi. Quasi tutto ciò che si dice dell’occhio, si dice dell’intelletto. La simpatia fa sì che si senta il dolore dove esso non c’è, perché accade spesso che la parte simpatizzante è o più sensibile o più impedita dalla simpatia dell’organo affetto, di quanto l’organo affetto non lo sia dal dolore. Talvolta la simpatia di dolore o di piacere, da un organo a un altro, viene dalle anastomosi delle arterie e delle vene, che spingono il sangue dall’una all’altra parte; talvolta, dalla somiglianza di organizzazione (matrice e mammelle), dalla continuazione delle membrane (la pietra nella vescica dà pruriti al glande), infine dalla comunicazione e anastomosi dei nervi. L’eu-
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des nerfs. L’eunuque veut jouir, comme celui qui a la main coupée veut prendre avec cette main qu’il n’a plus. Il y a je ne sais quelle singerie dans les organes, qui est un effet de sympathie, ou cette singerie leur est ordonnée par l’imagination. On rit quand on voit rire, on pleure quand on voit pleurer ; cela peut jeter quelques lumières sur les émotions populaires et autres maladies épidémiques. A Harlem il y a un Conservatoire ou espèce d’hospice. Là des filles sont occupées à différents ouvrages, propres à leur sexe. Parmi ces filles, une était sujette à un court accès d’épilepsie, qui la prenait tous les jours à la même heure. Cette maladie gagna une, deux, trois de ses compagnes. Le nombre de ces épileptiques croissait de jour en jour et les symptômes devenaient plus fâcheux. Le médecin de la maison en perdit la tête. On appelle Boerhaave. L’Hippocrate de Leyde, instruit de l’origine et des progrès de cette maladie, se transporte le lendemain au Conservatoire, une heure ou deux avant l’attaque d’épilepsie, devenue presque générale : il fait allumer un brasier et rougir, dans ce brasier, un fer pointu. Il tire ce fer du feu, il le montre étincelant à ces jeunes filles et déclare que le seul remède qu’il connaisse à leur indisposition c’est de percer le bras à toutes celles qui en seront attaquées. L’heure de l’épilepsie arrive, toutes continuent de | travailler. Aucune ne tombe épileptique, pas même celle qui avait eu la première attaque. La frayeur, ou l’émotion violente portée à l’origine du faisceau, suspendit l’action de tous les autres brins. Une terreur bizarre aurait produit le même effet. C’est le paralytique que la crainte des flammes fait courir. Les mots de néphrétique, goutte, fièvre, prononcés ou entendus, sont quelquefois accompagnés d’un mouvement sympathique des organes. Comment s’excitent ces mouvements ? Par la force de l’imagination, qui nous rend la présence des objets et des sensations qu’ils occasionnent. L’image de quelqu’un qui pleure se transmet au cerveau. Le cerveau se meut en conséquence et va affecter les nerfs, les mêmes qui sont affectés dans le pleurer. C’est souvent une affaire d’habitude. Cela n’arrive pas aux enfants, ils sont incapables des idées accessoires qui se joignent aux images. La sympathie ne suppose pas toujours connexion, il suffit d’une habitude ; l’habitude a fixé l’ordre des sensations et l’ordre des actions. Si par les mêmes actes réitérés, vous avez acquis la facilité de les exécuter, vous en aurez l’habitude. Ainsi un premier acte dispose a un second, un second à un troisième, parce qu’on veut faire facilement ce qu’on fait ; cela s’entend de l’esprit et du corps. Les organes prennent des habitudes. La faim, le sommeil, le réveil à certaines heures. Le flux menstruel se périodise beaucoup par l’habitude, | comme toutes les autres excrétions. Mais comment les organes prennent-ils des habitudes ? C’est peut-être le seul point sur lequel ils sont forcés de se concilier et de se mettre en société. Un chacun sacrifie une partie de son bien-être au bien-être d’un autre. On commande aux organes par l’habitude. L’acteur a pris l’habitude de commander à ses yeux, à ses lèvres, à son visage. Ce n’est pas l’effet du sentiment subit de la chose qu’il dit, c’est l’effet d’une longue étude ; c’est habitude. Les organes s’accoutument à une lésion, qui s’accroît par des degrés insensibles. On peut percer les pieds et les mains. La douleur subite aurait tué l’animal. Il en est des organes ainsi que des animaux, on les accoutume à tout, on brise leur indocilité.
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nuco vuole godere, come colui che ha la mano tagliata, vuole prendere con quella mano che non ha più. C’è non so quale scimmiottamento degli organi, che è un effetto di simpatia, o questo scimmiottamento è ordinato loro dall’immaginazione. Si ride quando si vuole ridere, si piange quando si vuole piangere; questo può gettare qualche lume sulle emozioni popolari e altre malattie epidemiche. A Harlem c’è un Conservatorio o una specie di ospizio. Là delle fanciulle sono occupate in differenti lavori propri del loro sesso. Tra queste fanciulle, una era soggetta a un breve accesso di epilessia che la prendeva tutti i giorni alla stessa ora. Questa malattia prese una, due, tre delle sue compagne. Il numero di queste epilettiche cresceva di giorno in giorno e i sintomi diventavano più fastidiosi. Il medico dell’istituto ci perse la testa. Si chiamò Boerhaave.337 L’Ippocrate di Leida, istruito sull’origine e i progressi di questa malattia, si reca l’indomani al Conservatorio, un’ora o due prima dell’attacco di epilessia, diventato quasi generale: fa accendere un braciere e arrostire, in questo braciere, un ferro appuntito. Tira fuori il ferro dal fuoco, lo mostra scintillante a quelle giovani fanciulle e dichiara che il solo rimedio che conosca, a loro disposizione, è di perforare il braccio a tutte quelle che ne saranno attaccate. Arriva l’ora dell’epilessia, tutte continuano a lavorare. Nessuna cade epilettica, neanche quella che aveva avuto il primo attacco. Lo spavento, o l’emozione violenta portata all’origine del fascio, sospende l’azione di tutti gli altri fuscelli.338 Un terrore bizzarro avrebbe prodotto lo stesso effetto. È il paralitico che si mette a correre per il timore delle fiamme. Le parole di nefritico, gotta, febbre, pronunciate o intese, sono talvolta accompagnate da un movimento simpatico degli organi. Come si eccitano questi movimenti? Con la forza dell’immaginazione, che ci restituisce la presenza degli oggetti e delle sensazioni che essi occasionano. L’immagine di qualcuno che piange si trasmette al cervello. Il cervello si muove di conseguenza e va a influenzare i nervi, gli stessi che sono influenzati nel pianto.339 È spesso un affare di abitudine. Ciò non accade ai bambini, sono incapaci delle idee accessorie che si uniscono alle immagini. La simpatia non presuppone sempre connessione, basta un’abitudine; l’abitudine ha fissato l’ordine delle sensazioni e l’ordine delle azioni. Se con gli stessi atti reiterati avete acquisito la facilità di eseguirli, ne avrete l’abitudine. Così un primo atto dispone a un secondo, un secondo a un terzo, perché si vuol fare facilmente quel che si fa; questo si intende per la mente e per il corpo. Gli organi prendono delle abitudini. La fame, il sonno, il risveglio a certe ore. Il flusso mestruale si periodizza molto per abitudine, come tutte le altre escrezioni. Ma come prendono gli organi delle abitudini? È forse il solo punto sul quale essi sono obbligati a conciliarsi e a mettersi in società. Ciascuno di loro sacrifica una parte del suo benessere al benessere di un altro. Si comanda agli organi con l’abitudine. L’attore ha preso l’abitudine di comandare ai suoi occhi, alle sue labbra, al suo viso. Non è l’effetto del sentimento subitaneo della cosa che dice, è l’effetto di un lungo studio; è abitudine. Gli organi si adattano a una lesione, che cresce per gradi insensibili. Si possono perforare i piedi e le mani. Il dolore improvviso avrebbe ucciso l’animale. Accade agli organi così come agli animali, li si abitua a tutto, si spezza la loro indocilità.
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J’ai vu un enfant, en qui l’orifice de la vulve avait pris l’action d’un sphincter, s’ouvrant et se resserrant pour lâcher et retenir l’urine qui descendait dans le vagin à travers une crevasse restée au plancher, qui sépare ce canal de celui de l’urètre, à la suite d’une opération de la taille maladroitement faite. Combien de causes inconnues produisent en nous des habitudes et forment des retours périodiques ! Preuve des habitudes sourdes, c’est que la fièvre reprend quelquefois sans que le principe fébrile subsiste. L’homme vieillit et les habitudes aussi. Si la machine devient inhabile à servir les habitudes, l’ennui naît. L’habitude de penser ne pouvant supporter ce qui ne l’entretient pas, ou ce qui la distrait, dispose à l’ennui, comme la délicatesse du tact dispose au dédain. Fixez les organes dans l’inaction et vous produirez l’ennui. Un plat ouvrage nous endort comme le murmure monotone d’un ruisseau. Tel est encore l’effet du silence, des ténèbres, des forêts de pins et de sapins, des vastes campagnes stériles et | désertes ; rien de plus contraire que le repos, à la nature d’un être vivant, animé, sensible. Le défaut essentiel d’exercice anéantit les organes. L’exercice violent les fortifie et les exagère. Rameurs à gros bras ; portefaix à gros dos ; jambes du sauvage ; grosseur de la tête et masse du cerveau dans les enfants rachitiques ; ils sont sédentaires et méditatifs. L’abstinence des femmes produit sur les moines l’effet de la castration. La mémoire négligée se perd. Le long séjour dans les ténèbres rend les yeux tendres etc. Je ne suis pas éloigné de croire qu’il y a des organes superflus ; mais je ne l’assure pas. Tous ne sont pas essentiels à la vie de l’animal entier ou du système. Point d’organe qu’on ne trouve manquant dans un animal. La nature se plie à l’habitude. Peut-être la longue suppression d’un bras amènerait-elle une race manchote ; cette tache, qu’on remarque à la jambe du bœuf, est un ongle oblitéré. Le sanglier de Thessalie, autrefois unicorne, a aujourd’hui le pied fourchu. Nos vices et nos vertus tiennent de fort près à nos organes. L’aveugle qui ne voit pas les formes de l’homme qui souffre, le sourd qui n’entend pas ses cris ; celui qui a la fibre raide ou racornie et qui n’a que des sensations obtuses, celui qui manque d’imagination et ne peut se rappeler le spectacle des événements passés, ne peuvent être doués ni d’une grande commisération, ni d’un goût bien exquis de la bonté et de la beauté, ni d’un violent amour de la vérité. | Il est vrai que quelquefois le vice naturel d’un organe se répare par l’exercice plus fréquent d’un autre. Si l’aveugle a perdu la sensation des formes et de tous les sentiments qui en émanent, il est bien plus sensible aux cris : le son de la voix est pour lui ce qu’est la physionomie pour celui qui voit. J’ai connu une jeune aveugle qui recevait par l’oreille des sentiments et des idées qui nous sont inconnus. Elle distinguait des voix blondes et des voix brunes. Chap. IX
Maladies Il n’est qu’une manière de se porter bien ; il y en a une infinité de se porter mal : de là, le petit nombre de tempéraments gais : il est à celui des tempéraments tristes, comme les instants du bien aise aux instants du malaise : de là, l’uniformité des caractères gais et la variété des caractères tristes : de là, la fréquence des caractères gais qui
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Ho visto una bambina nella quale l’orifizio della vulva aveva preso l’azione dello sfintere, aprendosi e richiudendosi per rilasciare o trattenere l’urina che scendeva nella vagina attraverso una fenditura rimasta sul pianale che separa questo canale da quello dell’uretra, in seguito a un’operazione di taglio fatta in modo maldestro. Quante cause sconosciute producono in noi delle abitudini e formano dei ritorni periodici! Prova delle abitudini sorde, è che la febbre riprende talvolta senza che il principio febbrile sussista. L’uomo invecchia e anche le abitudini. Se la macchina diventa inabile a servire le abitudini, nasce la noia. L’abitudine di pensare, non potendo sopportare ciò che non intrattiene il pensiero, o ciò che lo distrae, dispone alla noia, come la delicatezza del tatto dispone allo sdegno. Fissate gli organi nell’inazione e produrrete la noia. Un’opera piatta ci addormenta come il mormorio monotono di un ruscello. Tale è inoltre l’effetto del silenzio, delle tenebre, delle foreste di pini e di abeti, delle vaste campagne sterili e deserte; nulla di più contrario della quiete rispetto alla natura di un essere vivente, animato, sensibile. Il difetto essenziale dell’esercizio annienta gli organi. L’esercizio violento li rafforza e li esagera. Rematori dalle grosse braccia; facchini dalle grosse spalle; gambe da selvaggio; grandezza della testa e massa del cervello nei bambini rachitici; essi sono sedentari e meditativi. L’astinenza dalle donne produce sui monaci l’effetto della castrazione. La memoria trascurata si perde. La lunga permanenza nelle tenebre rende gli occhi delicati ecc. E non sono lungi dal credere che vi siano degli organi superflui; ma non lo garantisco. Non sono tutti essenziali alla vita dell’animale intero o del sistema. Nessun organo che non si trovi mancante in un animale. La natura si piega all’abitudine. Forse la lunga soppressione di un braccio porterebbe a una razza monca; questa macchia, che si nota sulla coscia del bue, è un’unghia obliterata. Il cinghiale di Tessaglia, un tempo unicorno, ha oggi il piede biforcuto. I nostri vizi e le nostre virtù dipendono molto dai nostri organi. Il cieco che non vede le forme dell’uomo che soffre, il sordo che non sente le sue grida; colui che ha la fibra rigida o raggrinzita e che non ha se non sensazioni ottuse, colui che manca d’immaginazione e non può rammentare lo spettacolo degli eventi passati, costoro non possono essere dotati di una grande commiserazione, di un gusto assai squisito per la bontà e la bellezza, né di un violento amore della verità.340 È vero che talvolta il vizio naturale di un organo si ripara con l’esercizio più frequente di un altro. Se il cieco ha perso la sensazione delle forme e di tutti sentimenti che ne emanano, è ben più sensibile alle grida: il suono della voce è per lui ciò che la fisionomia è per colui che vede. Ho conosciuto una giovane cieca che riceveva con l’orecchio dei sentimenti e delle idee che ci sono ignoti. Ella distingueva delle voci bionde e delle voci brune.341 Capitolo IX
Malattie C’è una sola maniera di stare bene; ce ne sono un’infinità di stare male: da ciò, il piccolo numero di temperamenti allegri:342 tale numero sta a quello dei temperamenti tristi, come i momenti di benessere stanno ai momenti di malessere: da ciò, l’uniformità dei caratteri allegri e la varietà dei caratteri tristi: da ciò, la frequenza dei caratteri
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deviennent tristes et la rareté des caractères tristes qui deviennent gais, à moins que ce ne soit dans l’enfance, lorsque la machine n’est pas développée. La gaieté est la qualité des hommes communs. Le génie suppose toujours quelque désordre dans la machine. Il y a deux sortes de maladies. L’une est produite par une cause étrangère qui apporte le désordre, l’autre par une partie trop vigoureuse qui jette le trouble dans la machine, c’est un citoyen trop puissant dans la | démocratie. La matrice est saine, mais son action est trop forte pour le reste. On ne peut douter qu’il y ait des maladies héréditaires. Quels que soient les premiers rudiments de l’homme, il est certain qu’ils ont fait partie de l’animal ; et si cet animal est vicié dans ses humeurs, il est évident qu’il en partagera le vice vérolique, scorbutique, scrofuleux, goutteux etc. Raison pour obvier à ces maladies de très bonne heure. Certaines maladies dégénèrent en tic. Sans doute la femme que j’ai connue avait pris un tressaillement ou tremblement convulsif de tout le système nerveux, mais ce tremblement devenu habituel avait continué, lorsque la cause ne subsistait plus. C’était une véritable habitude. La preuve c’est qu’il ne lui causait aucune infirmité ; c’est qu’elle l’a gardé dans d’autres maladies, sans qu’il y eût aucun rapport entre lui et ces maladies, sans que ces maladies en fussent ni augmentées, ni diminuées, sans que le traitement exigeât d’autres remèdes, sans que les remèdes en eussent plus ou moins d’effet, et qu’il a duré et continué après la guérison des autres maladies. Ce tremblement avait eu primitivement pour cause une suppression de règles prématurée, à l’âge de dix-huit à dix-neuf ans. Il y a des maladies où la vie cesse subitement ; d’autres où elle se retire successivement. La putréfaction est plus rapide dans les premières, quoiqu’on soit prêt à imaginer le contraire. Il y a un reste de vie dans les secondes. Dans le tétanos le corps est raide, insensible, il n’a plus de mouvement, la tête seule est vivante ; il en est de même de la paralysie. | L’extrême divisibilité de la matière lui donne le caractère du poison. En Hollande, ceux qui scient le grès périssent pulmoniques et phtisiques. La poussière du grés coupé pénètre les bouteilles scellées hermétiquement, les vessies, les œufs, aucun ouvrier n’y peut exercer ce métier pendant quatorze ans ; il en est de même des répareurs de porcelaine en biscuit, de ceux qui fouillent les mines etc. Il y a une multitude d’arts malsains pour ceux qui s’y livrent ; la peinture, les vernis, les chaux d’étain, les doreurs sur métal, le cardeur de laine : ils ont presque tous mal à la poitrine et aux yeux ; les compagnons imprimeurs périssent presque tous par les jambes. Ce qui est poison pour un animal, ne l’est pas pour un autre. Celui-ci se nourrit de ce qui tue celui-là. Miasmes, contagion. La frayeur de la peste la répand. Les parents, les amis sont plus disposés à prendre les maladies contagieuses par la crainte et par le chagrin que le médecin indifférent. Pas de livres que je lise plus volontiers, que les livres de médecine, pas d’hommes dont la conversation soit plus intéressante pour moi, que celle des médecins ; mais c’est quand je me porte bien. Danger pour le malade de savoir la langue courante de la médecine. Il s’exprime par des mots techniques et tenant à des hypothèses bien ou | mal fondées et il abandonne les vraies voix de la sensation, qui signifieraient toujours quelque chose de vrai. Ce ne sont pas les remèdes qui communément agissent sur la machine entière, c’est le temps, c’est l’âge qui guérit ou qui accroît le désordre.
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allegri che diventano tristi e la rarità dei caratteri tristi che diventano allegri, a meno che non sia nell’infanzia, quando la macchina non è sviluppata. L’allegria è la qualità degli uomini comuni. Il genio presuppone sempre qualche disordine nella macchina.343 Ci sono due specie di malattie. L’una è prodotta da una causa estranea che apporta il disordine, l’altra da una parte troppo vigorosa che getta il turbamento della macchina, è un cittadino troppo potente, nella democrazia.344 La matrice è sana, ma la sua azione è troppo forte per il resto. Non si può dubitare che vi siano delle malattie ereditarie. Quali che siano i primi rudimenti dell’uomo, è certo che hanno fatto parte dell’animale; e se quest’animale è viziato nei suoi umori è evidente che ne condividerà il vizio sifilitico, dello scorbuto, della scrofola, della gotta ecc. Ragione questa per ovviare a tali malattie molto presto. Certe malattie degenerano in tic. Probabilmente, la donna che ho conosciuto aveva contratto un sussulto o un tremito convulsivo di tutto il sistema nervoso, ma tale tremito, divenuto abituale, era continuato, mentre la causa non sussisteva più. Era una vera abitudine. La prova ne è che non le causava alcuna infermità; e lei l’ha conservato in altre malattie, senza che vi fosse alcun rapporto tra lo stesso e queste malattie, senza che tali malattie ne venissero né aggravate, né diminuite, senza che il trattamento esigesse altri rimedi, senza che i rimedi avessero maggiore o minore effetto, ed è durato e continuato dopo la guarigione delle altre malattie. Questo tremito aveva avuto al principio, come causa, una prematura soppressione di mestruazioni, all’età di diciotto o diciannove anni. Vi sono malattie in cui la vita cessa improvvisamente; altre in cui essa si ritira poco a poco. La putrefazione è più rapida nelle prime, benché si sia portati a immaginare il contrario. C’è un resto di vita nelle seconde. Nel tetano il corpo è rigido, insensibile, non ha più movimento, solo la testa è viva; accade lo stesso nella paralisi. L’estrema divisibilità della materia le dà il carattere del veleno. In Olanda, coloro che segano l’arenaria periscono affetti ai polmoni e tisici. La polvere dell’arenaria tagliata penetra le bottiglie sigillate ermeticamente, le guaine, le uova, nessun operaio può esercitare questo mestiere per più di quattordici anni; accade la stessa cosa ai riparatori di porcellana in biscotto, a coloro che scavano nelle miniere ecc.345 Esiste una gran quantità di arti malsane per coloro che vi si dedicano; la pittura, le vernici, le calci di stagno, i doratori di metallo, i cardatori della lana: hanno quasi tutti male al petto e agli occhi; i garzoni stampatori periscono quasi tutti per le gambe. Ciò che è veleno per un animale, non lo è per un altro. Quest’ultimo si nutre di ciò che uccide l’altro. Miasmi, contagio. Lo spavento della peste, la diffonde. I parenti, gli amici sono più disposti a prendere le malattie contagiose, per il timore e per il dolore, piuttosto che il medico indifferente. Non ci sono libri che io legga più volentieri dei libri di medicina, non ci sono uomini la cui conversazione sia per me più interessante che quella con i medici; ma ciò accade quando sto bene in salute. Pericolo per il malato di conoscere la lingua corrente della medicina. Il malato s’esprime con parole tecniche e facendo affidamento su ipotesi bene o mal fondate, abbandona le vere voci della sensazione, che significherebbero sempre qualcosa di vero. Non sono i rimedi ad agire di solito sulla macchina intera, è il tempo, è l’età a guarire o ad aumentare il disordine.
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Jusqu’à présent il n’y a que quelques remèdes généraux auxquels on puisse avoir confiance, comme le régime, les exercices, la distraction et le temps et la nature ; le reste pourrait être plus fréquemment nuisible que salutaire, n’en déplaise à M. Le Camus, à ses lumières et à l’intrépidité avec laquelle il ordonne la saignée, la purgation, les eaux, les bains, les infusions, les décoctions et tout l’appareil de l’art de guérir, qui est si rarement approprié aux grandes maladies et dont les grands médecins sont si économes. Nature. Qu’est-ce que cet agent. Ce sont les efforts mêmes de l’organe malade ou de toute la machine. Efforts conséquents au malaise, pour s’en soulager. La nature fait en tout temps dans le malade ce que le malaise de la machine exécute pendant le sommeil ; elle se meut spontanément, s’agite jusqu’à ce qu’elle ait trouvé la situation la plus commode, excepté dans la faiblesse extrême ou la lassitude. Alors on est plus las à son réveil qu’en se couchant, lorsque le malaise vient de la situation gênante des parties externes ; s’il vient des internes, c’est autre chose. Rien n’est plus contraire à la nature que la méditation habituelle ou l’état du savant. L’homme est né pour agir. Sa santé tient au mou | vement. Le mouvement vrai du système n’est pas de se ramener constamment de ses extrémités au centre du faisceau, mais de se porter du centre aux extrémités des filets. Tous les serviteurs ne sont pas faits pour demeurer dans l’inertie ; alors les trois grandes opérations sont suspendues, la conservation, la nutrition, la propagation. L’homme de la nature est fait pour penser peu et agir beaucoup : la science, au contraire, pense beaucoup et se remue peu. On a très bien remarqué qu’il y avait dans l’homme une énergie qui sollicitait de l’emploi, mais celui que l’étude lui donne n’est pas le vrai, puisqu’elle le concentre, et qu’elle est accompagnée de l’oubli de toutes les choses animales. Nous ne faisons pas assez d’usage des indications de la nature. On a remarqué que les habitants des climats brûlants ont la peau huileuse et aucun des étrangers ne s’avise de recourir aux onctions de la même espèce. Les Américains graissent leur peau, quand elle cesse d’être huileuse, ou lui restituent la vigueur par l’onction de l’huile du palmier. Toute sensation, toute affection étant corporelles, il s’ensuit qu’il y a une médecine physique également applicable au corps et à l’âme ; mais je la crois presque impraticable, parce qu’il n’y aurait que la dernière perfection de la physiologie, portée du tout aux organes, des organes à leur correspondance : en un mot presque jusqu’à la molécule élémentaire, qui prévint les dangers de cette pratique. Je ne sais s’il n’en est pas de la morale ainsi que de la médecine qui n’a commencé à se perfectionner qu’à mesure que les vices de l’homme ont rendu les maladies plus communes, plus compliquées et plus dangereuses. | Quand les mœurs nationales sont pures, les corps sont sains et les maladies simples. Les préceptes de cette morale délicate et relevée, la science de cette médecine subtile et profonde ne sont pas communs et l’on n’a point eu d’intérêt à les rechercher. Où trouverez-vous, donc, des grands médecins et des grands moralistes ? Dans les sociétés les plus nombreuses et les plus dissolues, dans les capitales des empires. Comment perfectionner la médecine ? En multipliant, en rendant générale l’ouverture des cadavres. L’ouverture des cadavres serait très avantageuse aux progrès de la médecine. Tel, dit M. de la Mettrie, a pris une hydropisie enkystée dans la duplication du péritoine, pour une hydropisie ordinaire, qui eût toujours commis cette erreur, si la dissection ne l’eût éclairé. Mais pour trouver les causes des maladies par l’ouverture des cadavres, il ne faudrait pas se contenter d’un examen superficiel ; il faudrait fouiller les viscères et
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Fino a oggi esistono solo pochi rimedi generali ai quali si possa dare fiducia, come il regime, la dieta, gli esercizi, la distrazione e il tempo e la natura; il resto potrebbe essere più di frequente nocivo che salutare, e ciò non dispiaccia al signor Le Camus,346 ai suoi lumi e all’accanimento con il quale ordina il salasso, la purga, le acque, i bagni, le infusioni, i decotti e tutto l’apparato dell’arte di guarire, che è così raramente appropriato alle grandi malattie e di cui i grandi medici sono così economi.347 Natura. Che cos’è questo agente. Sono gli sforzi stessi dell’organo malato o di tutta la macchina. Sforzi conseguenti al malessere per alleviarsene. La natura fa, in ogni momento, nel malato, ciò che il malessere della macchina esegue durante il sonno; essa si muove spontaneamente, si agita finché non abbia trovato la situazione più comoda, eccetto nella debolezza estrema o nel tedio. Allora s’è più stanchi al risveglio che nell’andare a dormire, quando il malessere proviene dalla situazione importuna delle parti esterne; se il malessere viene dalle parti interne, è altra cosa. Niente è più contrario alla natura della meditazione abituale o della condizione del dotto. L’uomo è nato per agire. La sua salute dipende dal movimento.348 Il movimento vero del sistema non è da ricondursi costantemente dalle sue estremità al centro del fascio, ma di portarsi dal centro alle estremità dei filetti.349 Tutti i servitori non sono fatti per restare nell’inerzia; allora le tre grandi operazioni sono sospese, la conservazione, la nutrizione, la propagazione.350 L’uomo della natura è fatto per pensare poco e agire molto: la scienza, al contrario, pensa molto e si muove poco. Si è notato molto bene che c’era nell’uomo un’energia che sollecitava un utilizzo, ma quell’utilizzo che lo studio gli dà, non è il vero utilizzo, perché esso lo concentra ed è accompagnato dall’oblio di tutte le cose animali. Noi non facciamo abbastanza uso delle indicazioni della natura. Si è notato che gli abitanti dei climi molto caldi hanno la pelle oleosa e nessuno straniero si permette di ricorrere alle unzioni della stessa specie.351 Gli Americani ingrassano la loro pelle, quando essa cessa di essere oleosa,352 o le restituiscono il vigore con l’unzione dell’olio di palma. Poiché ogni sensazione, ogni affezione è corporea, ne consegue che vi è una medicina fisica applicabile in ugual modo al corpo e all’anima; ma io credo sia quasi impraticabile, perché a prevenire i pericoli di questa pratica vi sarebbe solo la perfezione ultima della fisiologia, portata dal tutto agli organi, dagli organi alla loro corrispondenza: in una parola fin quasi alla molecola elementare. Io non so se vale per la morale come per la medicina, che ha iniziato a perfezionarsi solo man mano che i vizi dell’uomo hanno reso le malattie più comuni, più complicate e più pericolose. Quando i costumi nazionali sono puri, i corpi sono sani e le malattie semplici. I precetti di questa morale delicata ed elevata, la scienza di questa medicina sottile e profonda non sono comuni e non si è affatto avuto l’interesse di ricercarli. Dove troverete dunque dei grandi medici e dei grandi moralisti? Nelle società più numerose e più dissolute, nelle capitali degli imperi. Come perfezionare la medicina? Moltiplicando, rendendo generale l’apertura dei cadaveri.353 L’apertura dei cadaveri sarebbe assai vantaggiosa per i progressi della medicina. Il tale, disse il signor La Mettrie, ha scambiato un’idropisia incistata nello sdoppiamento del peritoneo, per un’idropisia ordinaria, e avrebbe sempre commesso quest’errore, se la dissezione non l’avesse illuminato.354 Ma per trovare le cause delle malattie con l’apertura dei cadaveri, non bisognerebbe accontentarsi di un esame superficiale; bisogne-
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remarquer attentivement les accidents produits dans chacun et dans toute l’économie animale ; car un corps mort diffère plus encore au-dedans d’un corps vivant, qu’il n’en diffère à l’extérieur. La conservation des hommes et les progrès de l’art de les guérir, sont des objets si importants, que dans une société bien policée les prêtres ne devraient recevoir les cadavres que des mains de l’anatomiste, et qu’il devrait y avoir une loi qui défendit l’inhumation d’un corps avant son ouverture. Quelle foule de connaissances n’acquerrait-on pas, par ce moyen ? Combien de phénomènes qu’on ne soupçonne pas, et qu’on ignore toujours, parce qu’il n’y a que la dissec | tion fréquente des cadavres qui puisse les faire apercevoir ! La conservation de la vie est un objet dont les particuliers s’occupent assez, mais qui me semble trop négligé par la société. Conclusion
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Comment est-il arrivé qu’il n’y a rien de si fou, qui n’ait été dit par quelque philosophe ? Point de songe extravagant, qui n’ait été donné pour la vérité par un sage ? C’est l’ignorance qui ne connaît pas les phénomènes, l’imbécillité qui n’y voit aucune difficulté, l’insouciance qui les prend pour ce qu’ils sont, sans en chercher la raison, qui sauve les autres hommes de ces écarts. N’est-il pas bien étonnant de voir des auteurs, dont les ouvrages sont remplis de visions, affecter du mépris pour ceux dont l’esprit juste et ferme n’admet que ce qu’il conçoit clairement ? (Parcourez les dernières pages de Needham). Si l’on juge de la clarté de leurs idées par la manière dont ils s’expriment, que leur tête est ténébreuse ! Pour expliquer ce qu’ils ne peuvent comprendre, ils ont recours à un petit harpeur inintelligible, qui n’est pas même atomique, qui n’a point d’organes, qui n’est pas dans le lieu, qui est essentiellement hétérogène avec l’instrument, qui n’a aucune sorte de toucher et qui pince des cordes. L’organisation et la vie, voilà l’âme. | Ils accusent les athées de mauvaises mœurs, les athées à qui ils n’ont jamais vu faire d’action malhonnête au milieu de dévots souillés de toutes sortes de crimes. Ils assurent que l’existence de Dieu est évidente et Pascal dit expressément de Dieu : on ne sait ni ce qu’il est, ni s’il est. L’existence de Dieu évidente ! Et l’homme de génie est arrêté par la difficulté d’un enfant ; et Leibniz est obligé, pour la résoudre, de produire avec des efforts de tête incroyables, un système qui ne résout pas la difficulté et qui en fait naître mille autres ! Les causes finales, disent les défenseurs de ces causes, ne démontrent-elles pas l’existence de Dieu ? Mais Bacon dit que la cause finale est une vierge consacrée à Dieu, qui n’engendre rien et qu’il faut rejeter. Voyez l’homme, ajoutent ces défenseurs : de quoi parlent-ils ? Est-ce de l’homme réel ou de l’homme idéal ? Ce ne peut être de l’homme réel, car il n’y a pas sur toute la surface de la terre un seul homme parfaitement constitué, parfaitement sain. L’espèce humaine n’est qu’un amas d’individus plus ou moins contrefaits, plus ou moins malades : or quel éloge peut-on tirer de là, en faveur du prétendu créateur ? Ce n’est pas à un éloge, c’est à une apologie qu’il faut penser. Ce que je dis de l’homme, il n’y a pas un seul animal, une seule plante, un seul minéral dont je n’en puisse dire autant. Si le tout actuel est une conséquence de son état antérieur, il n’y a rien à dire. Si l’on veut en faire le chef-d’œuvre d’un être infiniment sage et toutpuissant, cela n’a pas le sens commun. Que font donc ces préconiseurs ? Ils félicitent la
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rebbe scavare le viscere e notare con attenzione gli incidenti prodotti in ciascuno e in tutta l’economia animale; infatti, un corpo morto differisce ancor più al di dentro, da un corpo vivo, di quanto non ne differisca all’esterno.355 La conservazione degli uomini e il progresso dell’arte di guarire, sono oggetti così importanti, che in una società ben costumata i preti non dovrebbero ricevere i cadaveri se non dalle mani dell’anatomista, e dovrebbe esserci una legge che proibisca l’inumazione di un corpo prima della sua autopsia. Quale grande massa di conoscenze non si acquisirebbe con questo mezzo? Quanti fenomeni che non si sospettano, ma che s’ignorano sempre, perché non c’è che la frequente dissezione dei cadaveri che possa farli percepire! La conservazione della vita è un oggetto di cui i singoli si occupano abbastanza, ma che mi sembra troppo trascurato dalla società.356
Conclusione Com’è accaduto che non vi sia niente di così folle, che non sia stato detto da qualche filosofo? Nessun sogno stravagante che non sia stato dato per verità da un saggio?357 È l’ignoranza, che non conosce i fenomeni, l’imbecillità che non ci vede alcuna difficoltà, l’incuranza che li prende per ciò che sono senza cercarne la ragione, la quale salva gli altri uomini da questi sviamenti. Non è assai stupefacente vedere degli autori, le cui opere sono piene di visioni, mostrare disprezzo per coloro il cui spirito giusto e fermo non ammette altro se non ciò che concepisce chiaramente?358 (Scorrete le ultime pagine di Needham359). Se si giudica della chiarezza delle loro idee dalla maniera in cui si esprimono, quanto è tenebrosa la loro testa! Per spiegare ciò che non possono comprendere fanno ricorso a un piccolo arpista inintelligibile,360 che non è neanche atomico, non ha affatto organi, non è in un luogo, è essenzialmente eterogeneo rispetto allo strumento, non ha alcun tipo di tatto e pizzica delle corde. L’organizzazione e la vita, ecco l’anima. Costoro accusano gli atei di cattivi costumi, gli atei ai quali non si è mai visto fare alcuna azione disonesta, in mezzo a devoti insozzati di ogni sorta di crimini.361 Costoro assicurano che l’esistenza di Dio è evidente e Pascal dice espressamente di Dio: non si sa bene né che cos’è, né se è.362 L’esistenza di Dio evidente! E l’uomo di genio è fermato dalla difficoltà di un bambino; e Leibniz è obbligato, per risolverla, a produrre – con sforzi di testa incredibili – un sistema che non risolve la difficoltà e ne fa nascere mille altre!363 Le cause finali, dicono i difensori di queste cause, non dimostrano l’esistenza di Dio? Ma Bacone dice che la causa finale è una vergine consacrata a Dio che non genera nulla e che bisogna respingere.364 Guardate l’uomo, aggiungono questi difensori: di cosa parlano costoro? Dell’uomo reale o dell’uomo ideale? Non può essere l’uomo reale, perché non c’è su tutta la faccia della terra un solo uomo perfettamente costituito, perfettamente sano. La specie umana non è che un ammasso di individui più o meno contraffatti, più o meno malati: pertanto, quale elogio si può trarre da ciò, in favore del presunto creatore? Non è a un elogio, è a un’apologia che bisogna pensare. Non c’è un solo animale, una sola pianta, un solo minerale di cui io non possa dire altrettanto di quello che dico dell’uomo. Se il tutto attuale è una conseguenza del suo stato precedente, non c’è niente da dire. Se si vuole farne il capolavoro di un essere infinitamente saggio e onnipotente, questo non ha il senso comune dalla sua parte. Che cosa fanno, dunque, questi preconizzatori? Si complimentano con la provvidenza per ciò che essa
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providence de ce qu’elle n’a pas fait : ils supposent que tout est | bien, tandis que relativement à nos idées de perfection tout est mal. Pour qu’une machine prouve un ouvrier, faut-il qu’elle soit parfaite ? Assurément, si l’ouvrier est parfait. Le monde est la maison du plus fort : je ne saurai qu’à la fin ce que j’aurai perdu ou gagné, dans ce vaste tripot où j’aurai passé une soixantaine d’années le cornet à la main, tesseras agitans. Felices quibus ante annos secura malorum Atque ignara sui per ludum elabitur aetas. Qu’aperçois-je ? Des formes ; et quoi encore ? Des formes ; j’ignore la chose. Nous nous promenons entre des ombres, ombres nous-mêmes, pour les autres et pour nous. Si je regarde l’arc-en-ciel tracé sur la nue, je le vois ; pour celui qui regarde sous un autre angle, il n’y a rien. Une fantaisie assez commune aux vivants, c’est de se supposer morts, d’être debout à côté de leurs cadavres et de suivre le convoi. C’est un nageur qui regarde son vêtement étendu sur le rivage. Hommes qu’on ne craint plus, qu’avez-vous alors entendu ? Un autre apprentissage de la mort est la philosophie, méditation habituelle et profonde qui nous enlève à tout ce qui nous environne et qui nous anéantit. La crainte de la mort, dit le stoïcien, est une anse par laquelle le robuste nous saisit et nous mène où il lui plaît. Rompez l’anse et trompez la main du robuste. Il n’y a qu’une vertu, la justice ; qu’un devoir, de se rendre heureux ; qu’un corollaire, de ne pas se surfaire la vie et de ne pas craindre la mort.
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non ha fatto: suppongono che tutto è bene, mentre relativamente alle nostre idee di perfezione, tutto è male.365 Perché una macchina provi un operaio, occorre che essa sia perfetta? Assolutamente si, se l’operaio è perfetto.366 Il mondo è la casa del più forte:367 soltanto alla fine io saprò ciò che avrò perduto o guadagnato, in questa vasta bisca dove avrò passato una sessantina d’anni, con il cornetto in mano, tesseras agitans. Felices quibus ante annos secura malorum Atque ignara sui per ludum elabitur aetas.368 Che cosa percepisco? Delle forme; e che cosa ancora? Delle forme; ignoro la cosa. Noi ci aggiriamo tra ombre, ombre noi stessi, per gli altri e per noi.369 Se guardo l’arcobaleno tracciato sulla nuvola, io lo vedo; per colui che guarda sotto un altro angolo, non c’è nulla. Una fantasia abbastanza comune ai vivi è di immaginarsi morti, di essere in piedi accanto ai loro cadaveri e di seguire il convoglio funebre. È un nuotatore che guarda il suo vestito disteso sulla riva. Uomini che non temono più, che cosa avete sentito allora?370 Un altro apprendistato della morte è la filosofia, meditazione abituale e profonda che ci strappa a tutto ciò che ci circonda e ci annichila. Il timore della morte, dice lo stoico,371 è un manico con il quale il robusto ci afferra e ci conduce dove gli pare.372 Rompete il manico e liberatevi della mano del robusto.373 C’è una sola virtù, la giustizia; un solo dovere, rendersi felici; un corollario, non sopravvalutare la vita e non temere la morte.374
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Essai sur les règnes de Claude et de Néron
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Saggio sui regni di Claudio e di Nerone (1778-82)
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Nota introduttiva di Valentina Sperotto
Nel 1777 su sollecitazione degli amici Diderot intraprende le ultime due grandi imprese della sua vita: il contributo alla terza edizione della Storia delle due Indie, diretta dall’abate Raynal e la prefazione alla traduzione delle opere di Seneca. Quest’ultima era stata realizzata da Nicolas La Grange, già traduttore di Lucrezio, che non aveva potuto portare a termine l’impresa a causa della sua morte prematura nel 1775. La Grange era stato il precettore dei figli di d’Holbach che aveva ispirato e sostenuto entrambe le traduzioni, e che affidò la revisione e la curatela delle opere di Seneca a André Naigeon. La prefazione fu chiesta a Diderot sia da d’Holbach, sia da Naigeon. La sua stesura richiese al filosofo circa un anno di tempo, ma la dimensione del testo era divenuta tale da trasformarsi in una postfazione contenuta in un volume a parte. Così, nel 1778 i sei volumi delle opere di Seneca furono pubblicati, il settimo volume ottenne l’approvazione del censore il 25 novembre e fu pubblicato poco dopo riportando sulla pagina del titolo la data del 1779 presso gli l’editore Frères de Bure. La seconda edizione, decisamente ampliata, in particolar modo con una risposta alle critiche che erano state rivolte alla prima edizione dell’opera, fu pubblicata con permesso tacito, stampata a Bouillon (città che attualmente si trova in Belgio, ma che al tempo era un principato straniero indipendente) con l’indicazione di Londra quale luogo di edizione. Una volta arrivate a Parigi le seicento copie furono sequestrate dalla corporazione dei librai parigini, attirando l’attenzione delle autorità, costringendo Diderot a pentirsi dello scritto e, probabilmente, ad accettare come punizione la libertà condizionata.1 Il Saggio sui regni di Claudio e di Nerone è diviso in due parti, la prima in cui Diderot ricostruisce la vita di Seneca e la seconda in cui ne ripercorre le opere. Le due parti sono suddivise in paragrafi numerati collegati tra di loro dall’ordine cronologico degli eventi relativi alla vita di Seneca nella prima parte. Questa parte è inframezzata da varie digressioni, ma è nel secondo libro del Saggio che il filosofo ritrova quella scrittura frammentaria caratteristica del suo stile fin dai Pensieri filosofici. Occorre però precisare che nel Saggio i frammenti assumono spesso la forma di una massima morale, come suggerisce anche il richiamo alle opere di La Rochefoucauld e di La Bruyère che si trova nelle prime pagine. Tale scelta stilistica fa dunque arretrare il punto di vista dell’autore, a favore di un’espressione più astratta e atemporale. Questo è stato interpretato come un modo di assumere radicalmente il ruolo di precettore dei sovrani e dei popoli, ma anche come una traduzione del discorso in una postura filosofica di distacco e autonomia dalla scena politica di un saggio la cui attitudine è paragonabile a quella dell’antico oratore.2 Inoltre, se letta attentamente, tale teatralizzazione connota uno sguardo che grazie al suo distacco osserva il mondo e costruisce un discorso di rivolta, indirizzato al popolo.3 1 A.M. Wilson, Diderot: The Appeal to Posterity, tr. it. Diderot: l’appello ai posteri, Feltrinelli, Milano 1977, p. 342 2 P. Casini, Diderot apologiste de Sénèque, in Dix-huitième Siècle, n. 11, 1979, p. 238.
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Un altro elemento caratteristico di quest’opera è l’eterogeneità dei contributi inseriti al suo interno, un collage costituito principalmente da una scrittura configuratasi come reazione e commento delle opere altrui, opere su e di Seneca, a cui si aggiungono delle sovrapposizioni testuali, in particolare nella seconda edizione, in cui Diderot risponde ai critici riportando parte degli articoli a cui si riferisce. A questi inserimenti si aggiungono le citazioni tratte dalle opere di Seneca, Tacito, Svetonio, Cassio Dione, Giusto Lipsio, ecc. Il commentario, modalità già utilizzata anche di altre opere diderotiane, si trasforma qui in una costruzione dialettica in cui la pluralità delle voci (altro tratto distintivo del filosofo) non comporta più (o non sempre) una scrittura originale dell’autore, quanto una costruzione stratificata del testo, della sua critica, della risposta a tali obiezioni. Oltre a essere connotato da questa sovrapposizione testuale, il Saggio è caratterizzato dai numerosi riferimenti ed echi alle opere precedenti; in esso, infatti, Diderot porta a compimento il suo pensiero filosofico, soprattutto etico e politico. Per quanto riguarda gli altri aspetti del suo materialismo essi sono, appunto, richiamati, ma non ripresi, poiché costituiscono delle basi che qui il filosofo, per diverse ragioni, non ha ritenuto opportuno sviluppare, in parte anche perché Diderot ha continuato a lavorare agli Elementi di fisiologia fino alla fine della sua vita, quindi è quello il luogo in cui trovano sviluppo gli aspetti biologici del suo pensiero. L’intento esplicito del Saggio sui regni di Claudio e di Nerone era quello di riabilitare Seneca confutando l’accusa di ipocrisia, che era già stata addebitata allo stoico nel corso dei secoli (Quintiliano e Suillio nell’antichità, Xifilino nel medioevo, e poi La Rochefoucauld e Saint‑Evermond nella modernità) e riproposta nel dibattito culturale del XVIII secolo, tanto che lo stesso Diderot l’aveva condivisa in una nota alla sua traduzione del Saggio sul merito e la virtù di Shaftesbury del 1745. In particolare va ricordato il testo di La Mettrie L’Anti-Sénèque nonostante la prossimità fra alcuni aspetti delle opere dei due autori (l’ateismo in primis, ma va ricordato che il materialismo del Sogno di D’Alembert non è così lontano da quello espresso nell’Uomo Macchina), ma l’edonismo e l’individualismo di La Mettrie avevano fornito molti argomenti di critica e attacco ai filosofi materialisti, da parte della propaganda antifilosofica. La difesa di Seneca costrinse Diderot a un ripensamento, per le critiche mosse al filosofo in gioventù, ma anche per far fronte a un difetto di considerazione: egli aveva letto poco o per nulla le opere dello stoico, come testimonia la scarsa considerazione accordatagli all’interno dell’Encyclopédie compresi gli articoli in cui ci si aspetterebbe di trovare qualche considerazione su di lui: «Stoicismo» (Stoïcisme) e «Filosofia degli Etruschi e dei Romani» (Philosophie des Étrusques et des Romains).4 In quest’ultimo, in effetti, si trova un solo riferimento a Seneca, citato per criticare il principio di corrispondenza tra virtù e natura, considerato da Diderot come un sofisma. Questa critica peraltro permane anche nel Saggio sui regni di Claudio e di Nerone, soprattutto per due ragioni: la morale rigida degli stoici, che prevede il sacrificio delle passioni per il raggiungimento della virtù va contro la natura umana, in questo senso è impraticabile per la maggior parte delle persone, inoltre i vizi sono altrettanto naturali, per questo anche il saggio stoico, per quanto virtuoso e coerente, è destinato all’imperfezione. D’altra parte, già nell’Encyclopédie lo stoicismo viene assimilato al 3 S. Lojkine, Du détachement à la révolte: philosophie et politique dans l’Essai sur les règnes de Claude et de Néron, inLieux littéraires / La Revue, n. 3, 2001, pp. 95-127. 4 I due articoli si trovano nell’Encyclopédie, rispettivamente nei volumi XV, pp. 525-533 e vol. XIV, pp. 338-340.
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materialismo: «non è difficile desumere da questi principi», aveva scritto Diderot «che gli stoici erano materialisti, fatalisti, e in senso stretto atei»:5 interpretazione coerente con quella di d’Holbach, che infatti cita le opere di Seneca nel Sistema della natura a sostegno delle tesi materialiste in esso espresse. Come si è ricordato, l’impulso a occuparsi di Seneca proveniva proprio dal barone d’Holbach, che considerava di primaria importanza valorizzare quelle opere e quei pensatori antichi, e in particolare stoici, che avevano elaborato una morale indipendente da riferimenti soprannaturali, funzionale a sostenere e nobilitare il materialismo propugnato dalla sua coterie. Accanto a tali motivazioni all’origine del Saggio, occorre considerare quelle proprie di Diderot. Il saggio su Seneca diventa, infatti, l’occasione per affrontare una questione cruciale, cioè il problema dell’utilità del filosofo nella vita pubblica e del suo ruolo rispetto a chi detiene il potere. Fin dalle affermazioni conclusive della Passeggiata dello scettico, Diderot si era interrogato su questo tema, e poco tempo dopo aveva affrontato l’imprigionamento a Vincennes in conseguenza delle idee sostenute nelle sue prime opere. In seguito, pur avendo accettato di non pubblicare più nulla che potesse entrare in contrasto con la politica o la religione (i due poteri più rilevanti della Francia del tempo), nel suo ruolo di direttore dell’Encyclopédie aveva dovuto far fronte ai problemi sollevati dalla censura quando, nonostante le precauzioni e lo sforzo di moderazione e mascheramento delle tesi più radicali dei collaboratori e dello stesso Diderot, nel 1759 era stato revocato il permesso reale e la stampa dei volumi portata a termine con permesso tacito.6 Infine, con il viaggio in Russia le aspettative di filosofo erano andate incontro a una forte disillusione verso Caterina II e più in generale nei confronti del dispotismo illuminato, teoricamente ispirato dalle riflessioni dei filosofi, praticamente ben lontano dall’attribuire a questi un vero ruolo di rilievo e di riconoscimento. Diderot torna dunque a riflettere sui rapporti di potere e sulla filosofia, potendo avvalersi anche della sua esperienza personale. Così, nel Saggio, quella che era considerata come la maggior colpa di Seneca, vale a dire l’essere rimasto a corte durante il regno di Nerone, viene trasformata in motivo di lode, per i mali che questo ha permesso di evitare e il bene che egli è riuscito a compiere nonostante tutto. Diversi studi critici convergono nel sostenere che Diderot tenta in questo modo di ricostituire la propria reputazione di filosofo, nonostante la sua amicizia con la zarina, che aveva considerato poco o per nulla le sue proposte di riforma che lo aveva costretto a constatare quanto fosse illusoria la possibilità che una despota come Caterina II o come Federico II potesse realmente esercitare il potere in favore del popolo. Le vicende relative ai regni di Claudio e Nerone sono ripercorse con rigore, ma nell’opera Diderot dedica ampio spazio anche dell’attualità del tempo, cioè dei primi anni del regno di Luigi XVI, costruendo un parallelismo dall’intento critico, ma anche analitico (il filosofo non si limita a criticare il suo tempo, ma riconosce anche gli elementi positivi, come l’azione dei tre grandi ministri Malesherbes, Turgot, Necker). Il Saggio è, insieme ai contributi alla Storia delle due Indie, l’opera in cui Diderot affronta le questioni di filosofia politica cruciali del pensiero illuminista: il dibattito sulle forme di potere, sui diritti dell’uomo, sul ruolo della filosofia e del filosofo nella società.7 5
D. Diderot, Encyclopédie, art. «Stoicismo» (Stoïcisme), vol. XV, p. 525. Per una sintesi delle vicende della censura che colpirono l’Encyclopédie si veda P. Quintili, Illuminismo ed Enciclopedia, Carocci, Roma 2005, pp. 133-138. 7 P. Quintili, Le stoïcisme révolutionnaire de Diderot dans l’Essai sur Sénèque par rapport à la Contribution à l’Histoire des deux Indes, in RDE, v. 36, 2004, p. 32. 6
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Seneca viene presentato come difensore dei diritti dell’umanità di fronte al tiranno, contro i particolarismi, gli interessi di alcuni: la critica stoica del potere è anche una battaglia culturale di cui in quest’opera Diderot delinea i tratti mostrando come essa sia stata il cuore pulsante del lavoro enciclopedico: egli interpreta lo stoicismo come filosofia critica (della politica, della religione, della società) in quello che è stato efficacemente definito come «stoicismo rivoluzionario»8 trasformando la libertà interiore del saggio in libertà esterna, democratica. Con le aggiunte della seconda edizione, inoltre, il concetto di libertà si evolve e diviene più ampio e preciso, nonché più radicale: qui come nella Storia delle due Indie Diderot sostiene che la violazione delle leggi naturali e dei diritti dell’uomo da parte di un tiranno, implica e autorizza la resistenza all’oppressione da parte dei cittadini. Diderot formula un quesito radicale: «Chi si rese colpevole del crimine di lesa maestà? I Romani o Nerone?», in cui riecheggia la nuova espressione «lesa società» coniata per i contributi alla Storia delle due Indie.9 Tali prese di posizione derivano soprattutto dall’accostamento delle opere di Seneca e Tacito e da una messa in scena di Seneca come personaggio, narrando la vicenda di un filosofo dai rigorosi principi morali che svolge il ruolo di precettore e consigliere di un sovrano, Nerone, vizioso e spietato. Questa teatralizzazione è storicamente ben fondata, tanto che l’opera è stata definita come un insolito «romanzo storico-filosofico».10 Il Saggio, dunque, ruota intorno alla contraddizione tra l’ideale morale, quell’ideale stoico considerato eccessivamente duro da Diderot e che, in aggiunta, prevedeva un distacco del saggio dal mondo, che avrebbe implicato l’abbandono del ruolo pubblico che Seneca era chiamato a ricoprire. Diderot tuttavia difende Seneca proprio perché non interpreta il distacco come ritiro, quanto come presa di distanze salutare nel rapporto con chi detiene il potere sovrano, con il principe e la sua corte.11 Questa situazione coincide anche con la posizione personale di Diderot che nel periodo di composizione dell’opera di era ritirato in campagna a Sèvres, lontano dalla vita filosofica, mondana e politica parigina, studiando per comporre un’opera in difesa di Seneca, un filosofo morto secoli prima: un quadro che sembra coincidere con la decisione di Cleobulo, personaggio della Passeggiata dello scettico, di fare il saggio e vivere felice nel suo ritiro. Eppure questa è un’uscita di scena solo apparente, poiché Diderot conclude la sua vita pubblicando un’opera di critica al potere e alla religione, proprio come quelle che in gioventù gli erano costate la condanna. Nelle lunghe meditazioni sulla virtù contenute nel Saggio, il filosofo sostiene che i principi etici hanno un valore regolativo e che l’esercizio della virtù è una prassi in cui l’azione varia secondo le circostanze: Seneca è saggio, come afferma a più riprese Diderot, ma agisce in un contesto caratterizzato dalle peggiori passioni. Come avevano già sottolineato Montaigne e Hume, la virtù va esercitata anche nel senso che essa è un’abitudine, quando egli parla di gusto nei costumi, riprendendo il pensiero di Shaftesbury, si riferisce all’acquisizione tramite abitudine rinforzata dal soliloquio o esame di coscienza previsto dalla dottrina stoica, come strumento di riflessione sulla propria azione. Valorizzare questo aspetto della virtù significava anche porre l’accento sull’importanza dell’educazione, rivalutando l’impegno di Seneca nell’aver educato Nerone alla virtù, cioè alla moderazione delle passioni, ma anche mettendo in rilievo i possi8
Ivi. Ivi, pp. 35-36. 10 P. Casini, Diderot apologiste de Sénèque, op. cit., p. 236. 11 S. Lojkine, Du détachement à la révolte, op. cit. 9
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bili fallimenti cui il filosofo e precettore può andare incontro. Si aggiunga a questo che, come già detto, Seneca è innanzitutto un essere umano, pertanto quel che vale per i despoti vale anche per i saggi: per quanto ci si eserciti alla virtù, non sempre è possibile vincere le proprie passioni. Diderot prende coscienza delle illusioni della capacità da parte dei filosofi di influire sui despoti, ma pone qui anche la necessaria attenzione alla natura umana, alla serie di cause che ci determinano ad agire. Con quest’opera siamo di fronte a un passaggio di riferimenti, Diderot infatti cambia il suo modello ideale di filosofo da Socrate a Seneca, con tutte le rielaborazioni e reinterpretazioni dello stoicismo che questo comportava. Il ritratto che egli fa di Seneca, martire della filosofia, ha anche un ulteriore significato: il saggio rimasto alla corte del tiranno perché solo da quella posizione avrebbe potuto agire per il bene della nazione è, di per sé, una risposta contraria alle tesi espresse da Jean-Jacques Rousseau. Il filosofo, sostiene Diderot, eserciterebbe più facilmente la virtù tra gli amici e nella solitaria meditazione dei grandi autori, ma è proprio la dialettica che si instaura tra i principi ideali e la loro realizzazione che richiede l’impegno del filosofo a corte. Al contrario Rousseau aveva scelto di ritirarsi da Parigi e rifiutare la pensione reale, perché considerava impossibile che un filosofo potesse esprimersi con verità, indipendenza e disinteresse, vivendo a spese di deteneva il potere. Si trattava di una posizione coerente con le sue idee, ma evidentemente opposta rispetto a quanto sostenuto da Diderot e dagli altri illuministi. La distanza tra i due «fratelli-nemici» si manifesta più direttamente nella seconda edizione del Saggio su Seneca, in cui, a seguito delle critiche ricevute, Diderot esplicita il nome di Jean Jacques Rousseau, che era stato omesso nel testo del 1779, nonostante fosse il bersaglio evidente di alcune considerazioni polemiche contenute già nella prima edizione. Il rapporto con Rousseau è analizzato di alcune lunghe digressioni in cui Diderot cerca di prendere una posizione preventiva a fronte dell’imminente pubblicazione delle Confessioni, dopo la morte dell’autore avvenuta nel luglio del 1782. Preoccupato per l’attacco ai philosophes che sapeva essere contenuto nell’opera, Diderot ritorna sulla questione della sua amicizia con Rousseau, argomento che è opportuno valutare su un piano strettamente filosofico. L’amicizia è, infatti, un tema che attraversa tutto il testo e che costituisce un aspetto importante del rapporto tra pensiero e azione, nonché un tassello fondamentale per comprendere l’etica diderotiana.12 L’amicizia si connette qui alla meditazione sulla morte e sulla posterità, perché Diderot non solo era stato unito da un profondo legame di amicizia con Rousseau, ma aveva assicurato il nome dell’amico alla posterità inserendone l’elogio nell’articolo «Enciclopedia» (Encyclopédie), uno dei più importanti dell’Encyclopédie e, come spiega nel frammento § 66 del primo libro: «domandate a un benefattore la ragione del suo attaccamento o dei suoi rimpianti per un ingrato, e comprenderete che tra tutti i legami che uniscono gli uomini, uno dei più difficili da rompere è quello delle buone azioni, da cui l’amor proprio è adulato». Aspetto questo che viene affrontato nuovamente nelle considerazioni sul De Beneficiis di Seneca, che aveva come oggetto il legame tra benefattore e beneficiario, sottolineando un altro elemento fondamentale di questa vicenda umana e filosofica, cioè il rapporto tra segreto e indiscrezione. Se si tiene presente che la rottura tra Rousseau e Diderot si era consumata per un’indiscrezione e che con la «parola indiscreta» delle Confessioni Rousseau aveva fatto un altro «cattivo servizio» al 12 M. Leca-Tsiomis, Diderot et le nom d’ami: à propos de l’Essai sur les règnes de Claude de Néron, in RDE, n. 36, 2004, pp. 97-108.
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filosofo e ai suoi amici più prossimi. Le posizioni espresse verso Rousseau erano valse molte critiche a Diderot e chi difendeva Rousseau aveva invocato i suoi scritti come prova della sua onestà, questo riporta il filosofo alla sua difesa di Seneca, chiedendo «ai suoi censori» che per assicurarsi della virtù di quest’ultimo gli fosse permesso di rinviare ai suoi scritti e agli Annali di Tacito. Prendere le parti di Seneca in quest’opera significava per Diderot difendere una postura filosofica, cioè una maniera di concepire il ruolo svolto dal filosofo in società che fosse coerente con i propri principi filosofici, di cui fanno parte anche tutti i rapporti di amicizia connessi alla sfera pubblica della vita di questi due grandi pensatori moderni. Benché la prosa diderotiana in queste pagine sia a tratti più greve rispetto agli altri suoi scritti e talvolta lo slancio polemico prenda il sopravvento sulla riflessione filosofica, Diderot ha tracciato un grande affresco di un epoca e ha delineato a partire da Seneca un moderno modello di saggezza e di vita filosofica, considerando le sue contraddizioni, anzi tenendo conto della natura umana coerentemente con la sua concezione materialistica, offrendo un esempio e non un ideale irraggiungibile. Il Saggio sui regni di Claudio e di Nerone pertanto va letto e interpretato nella sua complessità e ricchezza, quale luogo di elaborazione e messa a punto di un pensiero sistematico, ma senza sistema.
Nota al testo Per la nostra traduzione ci siamo basati sul testo stabilito da Annette Lorenceau per l’edizione critica DPV (vol. XXV), edizione di riferimento anche per il commentario di Jean Deprun insieme alla recente edizione a cura di Michel Delon (OP, pp. 6591019). Si è utilizzato come riferimento e confronto l’ottima traduzione di Secondo Carpanetto e Luciano Guerci (Saggio sui regni di Claudio e Nerone, Palermo, Sellerio, 1987).
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Frontespizio dell’edizione del 1782 del Saggio sui regni di Claudio e di Nerone. (Fonte: gallica.bnf.fr)
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essai sur les règnes de claude et de néron et sur les mœurs et les écrits de séneque, pour servit d’introduction a la lecture de ce philosophe
[DPV, XXV, 35-431]
A Monsieur Naigeon
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Saggio sui regni di claudio e di nerone, e sui costumi e gli scritti di seneca, per servire da introduzione alla lettura di questo filosofo.1
A Monsieur Naigeon2
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Cet essai, que les mêmes lectures multipliées sont porté successivement d’un très petit nombre de pages à l’entendue de ce volume, est le fruit de mon travail, ou, pour mieux dire, de mon loisir pendant un des plus doux intervalles de ma vie. J’étais à la campagne, presque seul, libre de soins et d’inquiétudes, laissant couler les heures sans autre dessein que de me trouver le soir, à la fin de la journée, comme on se trouve quelquefois le matin après une nuit occupée d’un rêve agréable. Les années ne m’avaient laissé aucune de ces passions qui tourmentent, rien de l’ennui qui leur succède : j’avais perdu le goût de ces frivolités auxquelles l’espoir d’en jouir longtemps donne tant d’importance. Assez voisin du terme où tout s’évanouit, je n’ambitionnais que l’approbation de ma conscience et le suffrage de quelques amis. Plus jaloux de préparer des regrets , que d’obtenir des éloges , je m’étais dit : « Quand le peu que j’ai fait et le peu qui me reste à faire périraient avec moi, qu’est-ce que le genre humain y perdrait ? Qu’y perdrais-je moi-même ? » Je ne voulais point amuser ; je voulais moins encore être applaudi ; j’avais un plus digne objet, celui d’examiner sans partialité la vie et les ouvrages de Séneque, de venger un grand homme, s’il était calomnie ; ou s’il me paraissait coupable, de gémir de ses faiblesses, et de profiter de ses sages et fortes leçons. Telles étaient les dispositions dans lesquelles j’écrivais, et telles sont les dispositions dans lesquelles il serait à souhaiter qu’on me lût. | Chaque âge écrit et lit à sa manière : la jeunesse aime les évènements ; la vieillesse, les réflexions. Une expérience que je proposerais volontiers à l’homme de soixante-cinq ou six ans, qui jugerait les miennes ou trop longues, ou trop fréquentes, ou trop étrangères au sujet ce serait d’emporter avec lui, dans la retraite, Tacite, Suétone et Séneque ; de jeter négligemment sur le papier les choses qui l’intéresseraient, les idées qu’elles réveilleraient dans son esprit, les pensées de ces auteurs qu’il voudrait retenir, les sentiments qu’il éprouverait, n’ayant d’autre dessein que celui de s’instruire sans se fatiguer ; et je suis presque sûr que, s’arrêtant aux endroits où je me suis arrêté, comparant son siècle aux siècles passés, et tirant des circonstances et des caractères les mêmes conjectures sur ce que le présent nous annonce, sur ce qu’on peut espérer ou craindre de l’avenir, il referait cet ouvrage à peu près tel qu’il est. je converse, j’interroge ou je réponds. Si l’on n’entend que moi, on me reprochera d’être décousu, peut-être même obscur, surtout aux endroits où j’examine les ouvrages de Séneque ; et l’on me lira, je ne dis pas avec autant de plaisir, comme on lit les Maximes de La Rochefoucauld, et un chapitre de La Bruyere : mais si l’on jette alternativement les yeux sur la page de Séneque et sur la mienne, on remarquera dans celle-ci plus d’ordre, plus de clarté, selon qu’on se mettra plus fidèlement à ma place, qu’on aura plus ou moins d’analogie avec le philosophe et avec moi Aucune preuve n’a la même force, aucune idée la même évidence, >