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Italian Pages 288 [281] Year 2013
EDI Z I O N E NA Z I O NA LE DEL L E OP E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
d i retta da g io rg io ba roni
Co m m issione sc ie ntifica Giorgio Baroni, Presidente Franco Anelli (Rettore pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Marco Ballarini · Paolo Bartesaghi · Anna Bellio Davide De Camilli · Andrea De Pasquale, Segretario tesoriere Marco Elefanti (Direttore amministrativo pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Edoardo Esposito · Pietro Frassica · Bortolo Martinelli Silvia Morgana · Andrea Rondini · Giuseppe Savoca William Spaggiari · Corrado Viola
Ente che ha chiesto di istituire l ’ edizione
Istituzione conservatrice delle carte pariniane
S ede Biblioteca Nazionale Braidense Via Brera 28, i 20121 Milano, tel. 02/86460907, fax 02/72023910 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
Con il contributo di
odi G I US E P P E PA R I N I a c u r a d i m i r e l la d ’ etto r r e i n t ro d u z i on e d i g i o rg i o ba ron i
P I SA · ROMA FA B R I ZI O SER R A ED I TORE MMXIII
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S OM M AR IO Introduzione
11
Tavola delle abbreviazioni
23
Nota al testo Descrizione dei testimoni Ringraziamenti
25 25 45
Storia del testo Il libro delle Odi Le edizioni successive La presente edizione Criteri editoriali
47 47 49 55 57
Avviso dell’Editore
61 Odi
I.
L’innesto del vaiuolo – Al dottore Giammaria Bicetti de’ Buttinoni II. La salubrità dell’aria III. La vita rustica IV. Il bisogno – Al sig. Wirtz pretore per la Repubblica Elvetica V. Il brindisi VI. La impostura VII. Il piacere e la virtù VIII. La primavera IX. La educazione X. La laurea XI. La musica XII. La recita de’ versi XIII. La tempesta XIV. Le nozze
65 76 88 95 102 108 116 120 123 133 144 153 158 166
8 XV. XVI. XVII. XVIII. XIX.
sommario
La caduta Il pericolo Piramo e Tisbe – Ad uno improvvisatore Alceste – Al medesimo La magistratura – Per Cammillo Gritti pretore di Vicenza nel 1787 XX. In morte del maestro Sacchini XXI. Il dono – Per la marchesa Paola Castiglioni XXII. La gratitudine – Per Angelo Maria Durini cardinale XXIII. All’inclita Nice XXIV. A Silvia XXV. Alla Musa
174 182 189 192 195 206 213 218 235 244 257
Indice dei capoversi
269
Indice metrico
271
Indice dei nomi
273
Testi citati nel commento
277
a luca ed emanuele
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INTRODU ZIONE
S
i è deciso d’intitolare questo volume semplicemente Odi, senza l’articolo, per recuperare il titolo usato dall’allievo e amico Agostino Gambarelli nel pubblicare nel 1791, con l’assenso di Giuseppe Parini, la prima raccolta di tali composizioni: secondo i desideri del poeta, non tutte le odi da lui scritte erano comprese nella silloge, concepita come una scelta, che in quanto tale è stata rispettata. Un ampliamento sarebbe del resto piuttosto arbitrario, dato che per molte poesie rimarrebbe il dubbio se l’autore le considerasse odi o meno, distinguendosi l’ode da altre composizioni simili, come canzoni e canzonette, soprattutto per il contenuto alto e nobile, elemento soggettivo, ma certo valutato dal poeta che non desiderava allargare la selezione, come è testimoniato dall’Avviso dell’Editore (ovvero del Gambarelli), qui riportato a pagina 61, nel quale le odi escluse vengono addirittura rinnegate. Indubbiamente per contenuto elevato, non disgiunto da raffinate scelte stilistiche, si distinguono le odi pariniane, a partire da quelle che cantano i valori civili, come L’innesto del vaiuolo che apre la silloge riunendo fattori fondamentali per l’intramontabilità e quindi per l’attualità del grande poeta «milanese di Bosisio»: il valore della vita e della qualità di essa, l’amore per la conoscenza e per la verità, il superamento dei pregiudizi, il valore e l’etica dell’arte. Tale elemento, sintetizzato nell’ultima strofe e ripreso in altre liriche, è un punto chiave che giustifica la posizione iniziale dell’ode nella raccolta: il compito della poesia, che Parini proclama e per sé assume, consiste nel migliorare l’umanità indirizzandola, attraverso la bellezza, verso il bene e il vero, unendo così i tre requisiti essenziali della divinità. Perciò conclude parlando di blasfemia a proposito di quel terribile abuso dell’arte che è l’adulazione: «Nè mai con laude bestemmiò nocente / O il falso in trono o la viltà potente». L’ode corrisponde alle ambizioni illuministiche di umano progresso ed è volta a costruire il consenso per un’operazione di utilità rilevante e di interesse generale: così contrappone chi si impegna per l’avanzamento della conoscenza, agli ignoranti che
12 introduzione lo deridono; sottolinea come vita, salute e integrità siano beni universalmente riconosciuti e come la prole sia la maggior speranza per le famiglie e per la collettività; quindi rappresenta lo scatenarsi del vaiuolo e i suoi nefandi effetti contro i quali la medicina è, a posteriori, impotente. Alla lamentela che chiude la nona strofe («Oh debil’arte, oh mal secura scorta, / Che il male attendi, e no ’l previeni accorta!») segue un mutamento di prospettiva: «Già non l’attende in orïente il folto / Popol che noi chiamiam barbaro e rude». La nuova prassi, la prevenzione, è insegnata da un popolo definito barbaro solo perché straniero e ignoto, oggetto quindi di pregiudizio; con abile sintesi Parini spiega il metodo di cura e il suo vistoso successo e mostra le contraddizioni di un rifiuto, basato sulla «superstizïon del ver nemica», la quale viene finalmente sconfitta dalla costanza degli scienziati; essi accolgono la novità e ne documentano l’efficacia, portando così alla fine del contagio e a una sorta di nuova età felice. La disposizione sapiente è fondamentale per l’armonia dell’ode che si regge su pesi ben calibrati, con richiami che legano e danno vigore. Nel contempo la lirica è miniera di dettagli preziosi sin dal primo verso, in cui il poeta si rivolge al grande esploratore Cristoforo Colombo, aprendo il discorso sul buon diritto dell’umanità ad allargare i propri orizzonti sia attraverso viaggi ed esplorazioni sia con la ricerca scientifica; Parini si mostra ben informato sulle condizioni di vita anche di popoli lontani, come si legge pure nel Giorno e qui nell’efficace immagine della capitale cinese brulicante di gente e nell’accenno ai costumi dei Circassi. Esemplare di come il Parini usi alcuni artifici per sottolineare gli elementi salienti è l’uso dell’iterazione: nella prima strofe le sciocche «beffe dell’Europa» sono inserite fra due «senti»; dodici strofe dopo, lo stesso concetto è riproposto con l’analoga figura «Rise l’Anglia la Francia Italia rise», accompagnata da altre due ripetizioni nella stessa strofe: «la falsa ragione […] la falsa pietate / Contro al suo bene e contro al ver». I due «senti» e soprattutto i due «rise» danno proprio l’idea delle risate degli stolti che risuonano qua e là, su basi false e contra bonum et verum. Nella quindicesima strofe altre ripetizioni: nel primo verso, «Tal del folle mortal tale è la sorte», a sottolineare l’assurdità dell’umano errore; nel secondo, terzo e quarto verso, «contra», «ragione», «natura» e l’accostamento rimato «abusa» / «mal usa», formano una complessa, quasi chiastica costruzione che ben rende l’idea di come l’uomo
introduzione 13 finisca col contorcersi e accanirsi su di sé, quando si oppone alla propria ragione e alla natura. Il concetto è ripreso in chiusura di strofe con la ripetuta iterazione di «contro» e di «tal»: «Contro ai consigli di tal madre insorge». Basta un’occhiata alle varianti per scoprire che questo «tal» e quello di apertura non comparivano nella prima stampa del 1765, mentre si ripeteva una volta «Natura» ancora nel verso 135; invece ora a testo si riscontra la replica di «madre» (versi 132 e 135). Dopo l’apice della follia così efficacemente registrato, inizia nella strofe seguente, la sedicesima, la rimonta della saggezza; una iterazione qua mostra il metodo e la fatica del lavoro scientifico: «Prove accumula a prove»; la diciassettesima strofe si apre quindi con la ripresa del verso 109 mutato per descrivere la nuova situazione: non più il riso degli stolti, ma la costatazione della verità («Così l’Anglia la Francia Italia vide») difesa quasi militarmente da parte di un «Drappel» che non teme di «armarse» e di «combatter» «contro» al ben più numeroso «vulgo», «Contro all’armi omicide». Questa epica lotta ha pure le sue ripetizioni, come «contro», ai versi 146, 149 e 171, «popolo» e «terra» ai versi 148 e 171, «Tu» ai versi 154 e seguente, e le sue riprese per cui «il regno / dei saggi dietro all’utile s’ostina» per combattere «l’ostinata folle scola antica» (vv. 139 e 162) e «La pietà violenta» del verso 156 è la medesima «falsa pietate» del verso 115, armata «di lamento femminile» «Contro al suo bene e contro al ver»; lotta in cui, come si è visto, perfettamente s’inserisce il Parini con il suo ripetuto «Nobil plettro» che «invita / Con lusinghevol suono / Verso il ver, verso il buono» con un significativo cambiamento di strumento e di segno, da «contro» a «verso». Muta minimamente da «lusinghevol suono» a «lusinghevol canto» la definizione pariniana della propria poesia in chiusa della lirica seguente, la prima delle due odi ‘ecologiche’; in questo caso la lusinga della bellezza artistica si coniuga con l’utile secondo il dettame oraziano, ripreso da più d’uno – fra cui almeno si cita Torquato Tasso che, in apertura della Gerusalemme liberata, segnala l’utilità delle «dolcezze» del «lusinghier Parnaso» – ed elemento essenziale dell’estetica illuminista. L’«util», che compare due volte nella strofe conclusiva della Salubrità dell’aria, non può per Parini essere ricercato banalmente, ma impiegando la propria appassionata capacità creativa, «La calda fantasia», sperimentando temi o espressioni nuove («negletta via»). Con tali scelte il Parini giustifica pure l’utilità dell’arte, come si legge nel suo Discorso sopra la
14 introduzione poesia dove spiega che essa «non è già necessaria come il pane, né utile come l’asino o il bue; ma che […], bene usata, può essere d’un vantaggio considerevole alla società» perché «contribuisce a render l’uomo felice» e può «esser utile a quella guisa che utili sono la religione, le leggi e la politica» poiché «movendo in noi le passioni, può valere a farci prendere aborrimento al vizio, dipingendocene la turpezza, e a farci amare la virtù, imitandone la beltà». Analogamente il Parini, nell’ode Alla Musa, chiede alla dea: «chi la parola / Modulata da te gusta od imita; / Onde ingenuo piacer sgorga, e consola / L’umana vita?». Nelle strofe seguenti c’è la risposta: per corrispondere alla Poesia occorre in primis la divina Grazia, ovvero l’aver ricevuto dal «ciel placido senso / E puri affetti e semplice costume»; serve quindi tutta una serie di virtù che trova coronamento nell’ottava strofe in cui nuovamente s’incontrano in armonica sintesi i tre principali attributi della divinità: il buono, il vero e il bello. Riprendendo il tema dell’adulazione, nella Vita rustica il Parini dichiara di rinunciare alle ricchezze che gli incensamenti procurano («Quelle abbia il vate esperto / Nell’adulazion») e di scegliere «la virtute e il merto» come «legge» al proprio «suon»; così cinque strofe prima prevede: «Me non nato a percotere / Le dure illustri porte / Nudo accorrà, ma libero / Il regno de la morte». Nella Tempesta (vv. 66 sgg.) s’incontra un adulatore mal ricompensato. La caduta tratta dell’arte piegata all’utile privato, con compromessi della coscienza che ripugnano all’anziano vate che «Quando […] / Il bisogno lo stringe, / […] si fa, contro ai mali, / Della costanza sua scudo ed usbergo». Del resto la stoltezza di non comprendere l’importanza dell’interesse pubblico è uno dei temi civili cari a Parini, ben presente anche nella seconda ode, nella quale non soltanto egli canta la Salubrità dell’aria, riprendendo echi classici antichi e moderni, ma interviene esecrando i responsabili di attività economiche dannose alla salute pubblica, ai quali augura pene infernali calcolate con il dantesco sistema del contrappasso. Altre questioni sollevate sono tutte di primario interesse ancor oggi: dalla gestione del suolo a quella della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani, dalla miope preminenza del tornaconto privato all’ignavia nell’amministrazione del bene comune. Ben più di allora è attuale oggi il problema della sicurezza stradale, presentato in questa lirica, come nella Caduta e nel Giorno, in termini sociali, contrapponendo
introduzione 15 il lusso e la crudeltà degli abbienti al rischio dei miseri di finire travolti dai loro cocchi. Controcorrente appare la scelta di celebrar «col verso / I villan vispi e sciolti / Sparsi per li ricolti», ovvero impegnati nelle attività agricole, e «le ardite villane» ben colorite e abbronzate, in un mondo in cui eran di moda presso le classi agiate la vita oziosa e la pelle nivea; non c’è discontinuità fra questo programma e la sua attuazione anche nella mitica scena introduttiva del Mattino in cui «il buon villan sorge dal caro letto» e inizia la sua giornata con «i sacri arnesi». L’ambiente naturale determina le forme e i comportamenti degli abitanti ed è insieme il premio quotidiano per la fedeltà ad esso e per la sua conservazione; da qui la leggiadria del quadro della penultima strofe dell’ode: un panorama idillico allietato da piacenti «villanelle» quasi danzanti. Nell’ode La vita rustica il poeta ribadisce l’impegno a cantare chi si dedica all’agricoltura, qui pensando tuttavia di valorizzare il «villan sollecito», capace di migliorare la qualità e la resa del terreno con il proprio sapiente lavoro, ovvero apportando valide innovazioni e meritando così fama duratura: «Te co’ miei carmi a i posteri / Farò passar felice: / Di te parlar più secoli / S’udirà la pendice. / E sotto l’alte piante / Vedransi a riverir / Le quete ossa compiante / I posteri venir». Nella strofe seguente, quella conclusiva, il Parini accomuna se stesso al testé lodato «villan sollecito» augurandosi di «Chiuder campi beati / Nel vostro almo ricovero / I giorni fortunati» e proclamando che la sola vera fama che può sopravvivere a un uomo dipende dalla «Lunga ancor di sè brama» determinata dal suo buon agire in vita. Tali versi si connettono a quelli che aprono l’ode: «Perché turbarmi l’anima, / O d’oro e d’onor brame / Se del mio viver Atropo / Presso è a troncar lo stame?». Non le ricchezze, dunque, ma i buoni sentimenti contano in una prospettiva che non si ferma all’hic et nunc. Di fronte alla morte ben poco giovano i forzieri pieni e nella terza strofe l’immagine dell’«arca […] / Di gran tesoro carca», accostata a Pluto, dio della ricchezza e dell’Averno insieme, evoca immagini funeree, per cui il possidente «che felice stimasi», come il potente, ha in realtà la vita terrena rovinata dal «gelato timor»; al pari, tre strofe dopo, cure e affanni agitano «i tiranni / Superbi», costretti a viver circondati da guardie armate e tormentati dal sospetto. Ecco, al contrario, «la quïete, a gli uomini / Sì sconosciuta», trovata dal poeta fra i natii «Colli beati e placidi»; in tal contesto naturale (da notare la ripeti-
16 introduzione zione di «natura») sgorga l’ispirazione al canto e con essa la preghiera rivolta «spesso a i cieli» per la pace, valore indiscutibile per qualsiasi persona di buon senso sia per l’incolumità delle persone sia per l’ordinata economia primaria. Chi lotta tutta la vita per avere finisce coll’invidiare il poeta «di fior cinto / Tra la famiglia rustica / A nessun giogo avvinto». Con Il bisogno Parini nuovamente canta temi che coinvolgono la società e interessano il reggimento della cosa pubblica, sia per quanto riguarda la legislazione sia per l’amministrazione della giustizia: allora dedica l’ode a Pierantonio Wirtz, il quale, come annota il Gambarelli, «s’acquistò una lode straordinaria nell’amministrazione specialmente del Criminale; ma soprattutto per lo zelo ed attività sua in somministrare mezzi efficaci alla emedazione de’ malviventi». Evidente il collegamento con il capolavoro di Cesare Beccaria appena edito quando Parini scrisse e tosto pubblicò quest’ode che ben s’inquadra nel vasto movimento illuministico: di fronte alle palesi e gravissime ingiustizie sociali lesive dei diritti umani di molta parte della popolazione, a tal punto da rallentare il progresso impedendo un ordinato svolgersi delle attività umane, il Beccaria aveva appena chiarito come si dovessero prevenire i delitti con una legislazione costruita e gestita nell’interesse generale e non per difendere determinate classi. Il Parini, straordinario inventore di miti, presenta dunque il personificato Bisogno, come colui che esercita un potere incontrastato sui «miseri mortali»; scandisce con tre «Oh» e con un punto esclamativo la sequela di osservazioni sul potere di questo «tiranno» che è male in sé e «persuasore / Orribile di mali». Nelle strofe seguenti mostra le conseguenze del Bisogno, ancora definito «tiranno» e capace di spegnere la «Ragion» e «Ogni lume», responsabilità gravissima, specie all’epoca dei Lumi, e comunque tale da demolire per incapacità di intendere ogni procedimento giudiziario volto a reprimere i reati compiuti in stato di necessità. Di fronte a un sistema penale poco equilibrato e pronto a «giudizj funesti / Su la turba affannata» il poeta invita il Bisogno in persona a presentarsi con lui al cospetto della Giustizia a chieder pietà. Si giunge così nella quart’ultima strofe («Perdon, dic’ei, perdono / Ai miseri cruciati. / Io son l’autore io sono / De’ lor primi peccati. / Sia contro a me diretta / La pubblica vendetta.») a quattro versi davvero ‘cruciali’ con «Perdon […] perdono» e «Io son […] io sono» disposti a croce di Sant’Andrea con al centro i «miseri cruciati», certo nel
introduzione 17 senso di tormentati, ma con un riferimento etimologico e fonico alla croce, antico strumento di tortura che inevitabilmente porta il pensiero al Cristo Crocefisso, e con una rima «cruciati/peccati» particolarmente significativa, pure per i due versi conclusivi che richiamano la scelta del Redentore di assumere su di sé ogni colpa. Parini in tal modo, e nei versi seguenti con riferimenti al Wirtz e al Beccaria, mostra come non abbia senso e non raggiunga lo scopo una giustizia senza grazia. I temi del bisogno e del diritto son ripresi nell’ode La magistratura, rispettivamente nell’ottava strofe («la infame / Necessità, che brame / Cova malvage sotto al tetro fronte») e nella ventiduesima in cui è celebrata nel giudizio la ricerca della verità. Alla verità è sostanzialmente dedicata la lirica L’impostura, la quale (deificata con lo stesso meccanismo per cui in apertura del Mattino il poeta celebra la Moda) vien definita «venerabile» e «maestra», degna di un tempio con tanto di «simulacro» al quale con ironia il poeta si prostra «umilemente», non senza inserire già nella prima strofe un’eloquente chiave di lettura col cenno a «l’aria oscura» caratteristica di tale tempio. Parini mostra quindi i successi della frode sulla terra: come il Demonio è presentato nel Vangelo di Giovanni (8, 44; 12, 31; 14, 30) quale padre della menzogna e principe del mondo, così essa si trova di lato ai troni ed è ispiratrice di riti che servono a «soggiogar le […] menti»; il paganesimo antico è accostato alla deificazione dell’imperatore e all’Islam; infine ancora con l’aulico «Ave dea» è salutata sua «divinitade» l’Impostura, paragonata al sole, onorata da ogni popolo, seguita da ogni sfrontata «Mente pronta e ognor ferace / D’opportune utili fole». Il poeta finge d’essere egli stesso tentato dai vantaggi della falsità con un discorso che man mano si attorciglia a dare il senso del garbuglio in cui si caccia chi sceglie certe strade. Quasi faro nelle tenebre, «amabil lume», in distanza finalmente gli appare «Verità mio solo nume, / Che m’accenni con la mano; / E m’inviti al latte schietto, / Ch’ognor bevvi al tuo bel petto». Nuovamente si vedono uniti i requisiti della vera divinità: il vero, il buono (rappresentato dall’amorevole dono del latte) e la bellezza. Parini chiede perdono per aver sbagliato «seguendo / Troppo il fervido pensiere». La Verità gli apre gli occhi e gli svela il mostro celato dall’Impostura con un nuovo implicito accostamento di essa al demonio, «mostro orrendo» dalle «zanne fiere». Egli prega quindi la Verità, donandosi a lei per sempre: «me nudo nuda ac-
18 introduzione cogli», essendo la nudità emblema di povertà di beni, ma di libertà, ovvero della maggior ricchezza spirituale; in tal senso la nudità è continuamente rappresentata nella letteratura (e dallo stesso Parini nella Vita rustica) e nella tradizione religiosa, con specifico riferimento a San Francesco nei momenti della conversione e della morte. L’ode Il piacere e la virtù, composta per le nozze imperiali di Ferdinando d’Asburgo con Beatrice d’Este, è pure una celebrazione di valori fondamentali; nella forma di una favola, racconta come la vita sia stata complicata solo dalla trasgressione: «La virtù non move guerra / A i diletti onesti e belli. / Colà in ciel nacquer gemelli / Il piacere e la virtù. // […] // Folle stirpe de’ mortali / Che sé stessa ognor delude! / Il piacer da la virtude / Insolente dipartì.» L’occasione delle fauste nozze induce il poeta ad abbandonarsi al sogno di un ritorno del «secol d’oro» e a proferire un auspicio: «A scherzar tornan fra loro / Innocenza e libertà». Di fatto se la vera libertà non può che coniugarsi con la virtù, le «rose» colte «Da la man dell’onestà» non intaccan l’innocenza, rientrando fra «i diletti onesti e belli» previsti dal primordiale disegno («gli dei portàro in terra / Un tesoro così giocondo») reso vano dalla citata remota insolenza umana. Continuando a collocarsi controcorrente rispetto agli imperanti costumi del bel mondo del suo tempo, nell’ode Le nozze Parini ripropone il tema della compatibilità di piacere e virtù partendo dalla presentazione vaga e leggiadra di un matrimonio d’amore, con l’incanto della convivenza dei due giovani e qualche accenno alla sensualità che li accende nella libertà e nella gioia «Fra le grazie ingenue e schiette / De la brama e del pudor». Di fronte alla prospettiva che il tempo e l’uso tolgan freschezza al rapporto d’amore, il poeta svela allo sposo il segreto per farlo durare; così, se i primi giorni egli ammirerà «fra i lieti lari / Un tesor, che non ha pari / E di grazia e di beltà», poi imparerà a vedere «fra i lieti lari / Un tesor che non ha pari / Di bellezza e di virtù!», dato che «La virtù guida costanti / A la tomba i casti amori, / Poi che il tempo invola i fiori / De la cara gioventù.» La virtù, quindi, coltivata nella vita matrimoniale, non soltanto non contrasta, ma garantisce il piacere dello stare insieme nel tempo lungo in cui conta soprattutto lo spirito. La speranza di «veder tornata / L’età dell’oro, e il viver suo giocondo», tema peraltro diffuso in Arcadia, chiude la quartultima strofe dell’ode La Laurea a proposito dell’avvento su importanti
introduzione 19 troni europei di regine e, non ultima fra esse, dell’imperatrice Maria Teresa, sovrana pure del Ducato di Milano e quindi dello stesso Parini. Il tema scaturisce dall’occasione della laurea in utroque iure conseguita a Pavia da Pellegrina Amoretti, prima rappresentante del «leggiadro» «amabil sesso» a raggiungere siffatto traguardo, consolidando un’emancipazione femminile che il poeta con la sua ode festeggia mentre coglie l’occasione per celebrare, fiancheggiando l’opera del Beccaria, la certezza del diritto e lamentare – tema ancor oggi di straordinaria attualità – l’addensarsi fra le norme «di spini e di bronchi, / Che fra i rami intricati e i folti tronchi / A pena il sol vi raggia» con la conseguenza di renderne oscura e ambigua l’interpretazione. La mancata fedeltà all’antica tradizione giuridica italica induce il poeta a paragonare, in chiusura dell’ode La musica, il popolo d’Italia «a gli Affricani ignudi» e ad altri barbari: a scaldare così l’animo del Parini è la vergognosa pratica dell’evirare i giovinetti affinché mantengano la voce preadolescenziale e facciano con il loro canto la fortuna del genitore «Peggio che fera od angue / Crudel contro al suo sangue». Due volte compare il termine «tesoro»: la prima Parini, con evidenti richiami classici, ricorda che un figlio è un tesoro in sé da custodire integro, non da sfruttare empiamente precludendo anche una futura progenie e meritando la punizione di Sodoma; la seconda prefigura che il «tradito figlio» non si presterà a finanziare un siffatto padre, destinato quindi a una vecchiaia misera ovvero punito con contrappasso («Suo dritto / De’ avere il tuo delitto») proprio nella borsa, non raggiungendo alcun tesoro e non ottenendo nemmeno la pietà del figlio, tarpato anche nello spirito: «In vano in van pietade / Tu cercherai: chè l’alma / In lui depressa cade / Con la troncata salma / Ed impeto non trova / Che a virtude la mova». La ripetizione di «invano» suggerisce l’irreversibilità della miseria dell’indegno padre, come irreversibile è l’operazione subita dal figlio. L’inizio drastico della composizione corrisponde alla violenza contro natura praticata a danno dei giovinetti, cambiati in mostri e privati della loro dignità, tra l’altro senza che vi sia una giustificazione artistica, dato che la natura ha ben fornito la «femminea gola» di ogni tonalità e forza. Sul tema Parini ritorna circa un quarto di secolo dopo con l’ode In morte del maestro Sacchini accennando a «I prezïosi mostri, / Che l’Italo crudele ancor produce», accomunati a «le avare sirene» in una generale critica della venalità dell’ambiente canoro.
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introduzione Tutto un elogio della virtù («Chi de la gloria è vago / Sol di virtù sia pago») Parini pone in bocca a Chirone nell’ode La educazione, trovando così il modo di porgere dei precetti morali al giovane Carlo Imbonati. In ammirevole sintesi di tradizioni religiose antiche e di recenti interventi sull’etica, Parini parte dall’invito a onorare «il Nume / Che dall’alto ti guarda», nume senza nome, probabilmente per dare al messaggio poetico una valenza non legata a una definita scelta religiosa, ma ben collegabile alla formazione pariniana per riconoscibili riferimenti alla Bibbia (Is 1, 11-17) e al Nuovo Testamento (Gv 4, 23-24), particolarmente per l’invito ad adorare in spirito e verità, unendo l’amore di Dio con la carità verso il prossimo, coniugando giustizia e verità, sentimenti e «Ragione», con ripetuto riferimento ai «doni del cielo», i soli che possono istradare verso il bene l’uomo, il quale vi aderisce con la propria volontà, illuminata appunto dalla Ragione, giungendo a praticare ogni opera di misericordia, soprattutto nei confronti dei deboli e dei poveri. Parini seppe apprezzare la vita e cantarne le sodisfazioni amando il gentil sesso con il garbo del secolo e con la propria cetra. Nell’ode Il brindisi, riprendendo forme antiche e moderne, in primis da Anacreonte, rimpiange quanto l’età gli ha sottratto in questo campo; per consolarsi, «A Bacco, all’Amicizia» consacra «i venturi giorni», preparandosi serenamente al congedo dal «caro viver mio» con un estremo brindisi. Un’attrazione per Paola Castiglioni è pacatamente espressa nella chiusa della Recita dei versi: lei ha «duo bei lumi, / Onde spira calore / Soavemente periglioso al core»; ma più conta un comune sentire verso la poesia, dato che lei «il retto / E il bello atta a sentir formaro i Numi» ed è quindi in grado di riconoscere gli elementi essenziali dell’arte di Parini, che in quest’ode prende le distanze dai verseggiatori alla Casti, disposti a solleticare il rumoroso pubblico dei conviti con «lubric’arte», e solleva così il problema tuttora aperto dei limiti della licenziosità nella creazione artistica. Nell’ode Il pericolo nega che la canizie preservi dai rischi di cader preda di Venere e delle sue «Arme della beltà»; l’aver resistito a «lusinghiere giovani» tentatrici non basta a impedirgli di tornare «a i gemiti / E al duro sospirar»: per attaccarlo, Cupido si serve di una gentildonna veneziana sulle cui mirabili fattezze Parini indugia per quattro strofe con un crescendo di illecebre, alle quali seguono altre armi di seduzione: dal «vago labro, / E di rara facondia / E d’altre insidie fabro» alla lepida par-
introduzione 21 lata veneziana, dalla poesia al canto, con accostamenti a Saffo. Da un così «dolce pericolo» il poeta si salva per intervento soprannaturale che lo preserva dal ridicolo confinando nel solo pensiero «care immagini» e «soave desìo». Interamente nella fantasia dell’anziano poeta si consuma lo slancio rivolto All’inclita Nice, la giovane Maria Litta Castelbarco; basta un tenue pretesto per risvegliare la sua immaginazione: «Ed ecco ed ecco sorgere / Le delicate forme». Di qui la descrizione appassionata della vivace figura che occupa circa metà della lirica e quasi induce all’azione il poeta: «L’opra del mio pensiero / Seguir già tento; e l’aria / Con la delusa man cercando vo». Ritorna quindi il nome arcadico di Nice con le sue evocazioni letterarie a ripristinare distanze e contorni: nell’ormai imminente volgere del secolo il Parini accosta se stesso al tramontante Settecento, mentre annuncia che l’Ottocento «te vedrà nel nascere / Fresca e leggiadra ancora / Pur di recenti grazïe / Gareggiar con l’Aurora», ma basterà che un passante «Faccia a me intorno l’aere / Modulato del tuo nome volar» perché egli «Colpito […] da brivido / Religïoso il core», oda «del tuo cantore / Le commosse reliquie / Sotto la terra argute sibilar». In questi versi si riconoscono matrici classiche fuse con la nuova letteratura sepolcrale europea; nel contempo la bellezza trova il modo di coniugarsi con la sacralità oltre il limite della morte. Quasi in chiusura di questo libretto delle Odi si colloca A Silvia: anche in tal caso la bellezza di una giovane donna è punto di partenza e per il poeta basta una breve allusione ai «gigli» e alle «rose» per significar quelle ‘nevi’ che risvegliano l’ammirazione di ogni uomo; ma non è questo che conta. L’ode è per il Parini un’occasione per celebrare il rispetto del corpo, contro ostentazioni e mode, e per definire «stupide / E di mente e di core» le donne che si prestano a un’esibizione come quella del ‘vestire alla ghigliottina’ che palesa anche ferocia. Egli elogia quindi il pudore con riferimenti alla storia antica; mostra come certa arte abbia contribuito a pervertire i costumi, preparando con le finzioni l’indurimento dei cuori. Addita la ripugnante mostruosità dei cruenti giochi del circo, rappresentandone il meccanismo, il diletto, il trasporto, fino alla quartina che sembra aver raggiunto il colmo: «Creando a sè delizïa / E de le membra sparte, / E de gli estremi aneliti, / E del morir con arte». Ma l’atroce sconcio spettacolo divenuto piacere prelude ad altro: il terribile gladiatore esaltato come eroe diventa conseguentemente «ricercato amante» e, con la scomparsa di
22 introduzione «Ogni pudor», «Vigor da la libidine / La crudeltà raccolse». Perso ogni rispetto della vita ridotta a merce di divertimento, si arriva a quelle che il Parini addita come estreme conseguenze: gli avvelenamenti e l’aborto procurato e la decadenza di una civiltà. La chiusa è un invito a «Silvia ingenua» a fuggire una moda «petulante indizïo / […] di misfatto enorme» e a serbare «il titolo / D’umana e di pudica», riassumendo tutto il senso di quest’ode che suona ancor oggi come attualissima difesa di valori inscindibili: il pudore, la dignità e la vita umana sin dal suo sorgere e in tutte le sue forme. Difesa quanto mai difficile e necessaria in tempi rivoluzionari e di spettacolari esecuzioni. Si consolida così anche la figura dell’artista, il cui potere, come ogni mezzo, può portare al male o al bene a seconda dell’uso. L’ode Alla Musa chiude la raccolta e riporta il tema della poesia al centro, con la dea che indirizza l’arte «Al decente, al gentile, al raro, al bello», rispondendo al Parini che propone i valori fondamentali del buono, del vero e del bello, per fare e per intendere la poesia, meritandosi dalla stessa Musa un titolo («cigno») già pronunciato nella Caduta e qui completato, «Italo cigno», con riferimento a un volatile comune nelle acque del vago Eupili natio, emblema di canto raffinato e raro, di candore e d’eleganza, mentre l’aggettivo consolida il legame con tutta un’alta tradizione culturale e letteraria. L’atto della Musa di portargli un dono di poesia e di consacrarlo «Italo Cigno» conferma l’attesa di Parini di un riconoscimento del suo servizio all’arte italiana in un momento storico in cui i confini politici sono instabili e, più di essi, sembrano contare quelli linguistici e culturali e le comuni radici di valori e di civiltà. Giorgio Baroni
TAVO L A DEL L E ABBR EVI AZ I O NI i. Biblioteche e Archivi BAMi = Biblioteca Ambrosiana - Milano. BNBMi = Biblioteca Nazionale Braidense - Milano. BCCMi = Biblioteca Comunale Centrale - Milano (Sormani). BMLFi = Biblioteca Medicea Laurenziana - Firenze. ASCMi = Archivio Storico Civico di Milano e Biblioteca Trivulziana. ASMi = Archivio di Stato - Milano. BMRMi = Biblioteca Museo Risorgimento - Milano.
ii. Opere Ballarini et alii = Tra i fondi dell’Ambrosiana: manoscritti italiani antichi e moderni. Milano, 15-18 maggio 2007, a cura di Marco Ballarini, Gennaro Barbarisi, Claudia Berra, Giuseppe Frasso, Milano, Cisalpino-Monduzzi, 2008. Barbarisi-Bartesaghi = Giuseppe Parini, Prose ii . Lettere e scritti vari, a cura di Gennaro Barbarisi, Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2005. Bellorini = Giuseppe Parini, Il Giorno e le Odi, commentati da Egidio Bellorini, Napoli, Perrella, 1918. Bernardoni = Poesie scelte di Giuseppe Parini. Prima Edizione Milanese, Milano, Giovanni Bernardoni, 1814. Bertoldi = Giuseppe Parini, Le Odi, illustrate e commentate da Alfonso Bertoldi, Firenze, Sansoni, 1890. Bosco = Giuseppe Parini, Le Odi e Il Giorno, a cura di Umberto Bosco, Domenico Consoli, Brescia, La Scuola, 1972. Bustico = Guido Bustico, Bibliografia di Giuseppe Parini, Firenze, Olschki, 1929. Carducci = Giosue Carducci, Studi su Giuseppe Parini. Il Parini minore, Edizione Nazionale delle Opere di Giosue Carducci, vol. xvi, Bologna, Zanichelli, 1937. Caretti = Giuseppe Parini, Poesie e prose, con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di Lanfranco Caretti, MilanoNapoli, Ricciardi, 1951. Carrai = Giuseppe Parini, Odi. Edizioni 1791 e 1802, a cura di Stefano Carrai, Trento, Editrice Università degli Studi, 1999. Chiari = Alberto Chiari, Sulle Odi di Giuseppe Parini. Discorso critico, Milano, Vita e Pensiero, 1943. Ebani = Giuseppe Parini, Le Odi, a cura di Nadia Ebani, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Ugo Guanda, 2010.
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tavola delle abbreviazioni
Fubini = Giuseppe Parini, Il Giorno, le Odi e Poesie varie, a cura di Mario Fubini, Bologna, Zanichelli, 1963. Fumagalli = Giuseppe Fumagalli, Albo Pariniano, ossia iconografia di Giuseppe Parini, Bergamo, Istituto Italiano D’arti Grafiche, 1899. Jannaco = Carmine Jannaco, Nuove Osservazioni sui rapporti tra l’Alfieri e il Parini, in Studi in onore di Alberto Chiari, Brescia, Paideia, 1973, pp. 711-720. Isella = Giuseppe Parini, Le Odi, Edizione Critica a cura di Dante Isella, Milano-Napoli, Ricciardi, 1975. Maggini = Francesco Maggini, Il «fero Allobrogo» nell’ode pariniana Il Dono, in Vittorio Alfieri. Studi Commemorativi in occasione del centenario della nascita, a cura di Matilde Baravelli con prefazione di Bruno Borghi, Firenze, Soc. Ed. Universitaria, 1951, pp. 87-92. Mazzoni = Tutte le Opere edite e inedite di Giuseppe Parini, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925. Mengaldo = Pier Vincenzo Mengaldo, Sulla lingua delle Odi di Parini, in Idem, Gli incanti della vita. Studi su poeti italiani del Settecento, Padova, Esedra, 2003. Morgana-Bartesaghi = Giuseppe Parini, Prose i . Lezioni-Elementi di retorica, a cura di Silvia Morgana, Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2003. Porena = Giuseppe Parini, Il Giorno e le Odi, a cura di Manfredi Porena, Napoli, Rondinella, 1932. Pozzi = Francesco Pozzi, Il barnabita Carlo Schiera e un nuovo manoscritto settecentesco delle Odi pariniane, «Aevum», 2001, pp. 759-780. Reina = Opere di Giuseppe Parini pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano Genio Tipografico, 1801-1804, voll. 6 (per le Odi vd. il vol. ii delle Poesie liriche). Salveraglio = Le Odi dell’Abate Giuseppe Parini riscontrate su manoscritti e stampe, con prefazione e note di Filippo Salveraglio, Bologna, Zanichelli, 1881. Serianni = Luca Serianni, La lingua poetica italiana, Roma, Carocci, 2009. Tizi = Marco Tizi, Verso la lingua del Giorno: «La salubrità dell’aria» (1990), in Idem, La lingua del Giorno e altri studi, Lucca, Pacini Fazzi, 1997, pp. 11-30. Viola 2013 = Giuseppe Parini, Lettere, a cura di Corrado Viola, con la collaborazione di Paolo Bartesaghi e Giovanni Catalani, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2013 (Edizione Nazionale delle Opere di Giuseppe Parini, dir. Giorgio Baroni).
NOTA AL TES TO Descrizione dei testimoni I manoscritti e sopravvissute carte pariniane si trovano quasi tutte a Milano, principalmente nella Biblioteca Ambrosiana che le conserva nel Fondo Parini, cui va aggiunta la Miscellanea Pariniana, sfuggita ai precedenti editori perché compresa nelle carte Salveraglio e solo di recente confluita nel Fondo del poeta,1 e nella Biblioteca Nazionale Braidense per un codice proveniente dalla Miscellanea Morbio; esistono poi una copia di All’inclita Nice2 vergata da Gian Giacomo Trivulzio, nella Biblioteca Trivulziana, e il quaderno di uno scolaro di fine Settecento, il barnabita Carlo Schiera, di proprietà di Francesco Pozzi,3 in Milano, anche questo mai messo a profitto dalle edizioni passate. A tali documenti sono da aggiungersi la copia de Il dono posseduta da Alfieri, presente nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, e l’autografo di Per l’inclita Nice inviato alla dedicataria, contessa Castelbarco, probabilmente ancora in mano agli eredi, di cui si è consultata la riproduzione fotografica apparsa nel 1929 in 100 esemplari numerati; sempre della stessa ode, una copia allestita dalla famiglia Castelbarco è presente nella collezione privata di Giovanni Biancardi,4 a Milano.
L
Biblioteca Ambrosiana Milano Fondo Parini, S.P. 6 cartella 1 (Poesie i-ii), cartella 2 (Poesie iii), cartella 11 (Miscellanea Pariniana, fasc. 6). 1 La sistemazione e l’informatizzazione dei materiali presenti in BAMi ne ha permesso il ritrovamento; si ringraziano mons. Marco Ballarini, direttore della Classe di Italianistica della BAMi, che sta lavorando alla raccolta delle Biografie del Parini, e Paolo Bartesaghi, concuratore (con Silvia Morgana) delle Prose pariniane, per la viva sollecitudine dell’informazione. 2 Trivulzio la intitola semplicemente Ode; per la nostra scelta della preposizione a in luogo di per dell’autografo nella titolazione dell’ode, vd. il paragrafo La presente edizione, p. 45. 3 A Francesco Pozzi, cui va il mio ringraziamento per avermi permesso la consultazione del codice, si rimanda per il suo saggio: cfr. Pozzi, pp. 759-780. 4 Colgo l’occasione per ringraziare Giovanni Biancardi che sta apprestando il testo critico del Mattino ’63 e del Mezzogiorno ’65.
26 nota al testo – ii i a: L’innesto del vajuolo [ode i] (esemplare della stampa Galeazzi del 1765 – vd. Edizioni dei singoli componimenti1 n. 1 – con correzioni a penna autografe). b: La laurea [ode x] (esemplare della stampa Marelli del 1777; vd. Edizioni S. C. n. 3) con correzioni a penna di mano di Parini intitolato sempre a penna da Gambarelli La Laurea, su precedente Amoretti Laureata, poi cassato; in alto a sinistra, stesso inchiostro e medesima mano, c’è scritto 10. evidenziato con un tratto di penna obliquo. d: La caduta [ode xv] (estratto delle pp. xvii-xxiv del fascicolo delle «Memorie per le belle Arti» 3º del gennajo 1786; vd. Edizioni S. C. n. 6; l’ode è alle pp. xx-xxiv) con correzioni autografe e altre di mano di Gambarelli: l’allievo spesso ricalca i termini con un tratto più accentuato, ingrandendo i segni per una lettura più agevole del tipografo, altre volte corregge di suo pugno (al v. 12, in corrispondenza della consonante m di camino varia in mm, al v. 30 modifica la grafia della seconda i di incita in ì e al v. 68 opera nel medesimo modo con la terza ì di Insidìoso). f: quaderno autografo (mm 180 × 226) entro brossura grigio-sabbia su cui si legge P e, sotto, Poesie; di cc. 10, numerate modernamente per pagina a matita copiativa; pp. 1-12 In non so qual città dell’Indie un tempo [I ciarlatani]; pp. 13-16 Lascia gracchiare questi baciapile [La maschera]; 17-20 Ode.|In vano in van la chioma [ode xvi]. g: quaderno autografo (mm 182 × 236) con brossura giallo polenta su cui si legge Poesie; attualmente privo della prima c., reca le restanti 9 numerate modernamente a matita per pagina. Contiene: p. 1 Crispin non avea pan tre giorni è oggi; Ecco la reggia, ecco de’ prischi Incassi; p. 2 Quanto t’invidio bello uccellino; Scendi propizia dall’ardente sfera; p. 3 Oh beato colui che può innocente; O Pan capripede che tutto puoi; pp. 4-6 Offeso un giorno Amore; p. 6 Nel maschio umor più puro un verme stà; p. 7 Mirate come scioglie e come affrena; Se i lacci poi del tuo bel genio indegni; p. 8 La verginella, che dal ciel condotta; Occhio indiscreto or taci, e più non angi; Oh morte oh bella morte oh cara morte; pp. 10-12 Ode|O tiranno signore 1 Da questo momento Edizioni S. C.
nota al testo 27 [ode iv]; pp. 13-15 Ode|Venerabile impostura [ode vi]; p. 16 Viva o Signor viva in eterno viva; E dove o Temi per l’aereo vano; p. 17 No non si pianga un uom d’ingegno eletto; Signor tra i fasti onde più sorge altera; p. 18 L’arbor son io, Signor, che tu ponesti; Quel, che la lebbra de’ peccati nostri. h: quaderno autografo (mm 182 × 236) legato in brossura giallo polenta con la scritta Poesie; è composto di 22 fogli numerati a matita (1-44); mancano 8 fogli di cui sopravvivono alcuni lembi (4 dopo la p. 14, 2 dopo la p. 16, 1 dopo la p. 32, 1 dopo la p. 36). Le pp. 17-18, 32 e 44 sono bianche. Contiene: p. 1 Qual fra quest’erme inculte orride rupi; Qual virtù qual cagion qual moto innato; pp. 2-4 Apollo passeggiò; pp. 4-8 Ode|Oh beato terreno [ode ii]: manca dei versi 103-109; i vv. 110-114 sono stati aggiunti al margine destro dallo stesso Parini, dopo una crocetta di richiamo accanto alla fine della strofe precedente; p. 8 Nice la brutta al vago Elpin porgea; p. 9 La penitenza del mio fallo grave; Che spettacol gentil, che vago oggetto; p. 10 Più non invidio chi vedralla ignuda; p. 11 Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende; Teseo Osiri Giason Bacco ed Alcide; p. 12 Ecco del mondo e meraviglia e gioco; Tanta già di coturni, Altero Ingegno; p. 13 Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea; Alto germe d’eroi, cui diè Natura; p. 14 Bella gloria d’Italia alma Sirena; Ardono, il credi, al tuo divino aspetto; pp. 15-16 Ode|Vada in bando ogni tormento [ode vii]; p. 19 Grato scarpel, su questa pietra incidi; Garzon bellissimo, a cui con gli anni; p. 20 Sai tu gentil Grismondi; Mentre fra le pompose urne e i trofei; pp. 21-23 Ode|Volano i giorni rapidi [ode v]: la quarta quartina è stata trascritta in luogo della terza, ma poi cancellata; pp. 23-25 Ode|È pur dolce in su i begli anni [ode xiv]: riporta tre vistose correzioni: le prime due, ai vv. 24 e 57, sono l’intera riscrittura dei versi cassati; l’ultima, al v. 61, è una variante a latere dopo la cassatura della precedente lezione; p. 26 Volgi un momento sol volgi un momento; Precorre Imene, e rende luminosa; p. 27 Questa ch’or vedi Elpin, crinita stella; Virtù donasti al sol, che i sei pianeti; p. 28 Ah colui non amò, colui avversi; Che pietoso spettacolo a vedersi; p. 29 O tardi alzata dal tuo nuovo letto; Quell’io che già con lungo amaro carme; p. 30 O bella Venere, per cui s’accende; p. 31 Endecasillabi voi non diletti; Quando costei su la volubil scena; pp. 33-36 Torna a fiorir la rosa [ode ix]: si arresta al v. 120 perché sono stati strappati due fogli dal quaderno; pp. 37-38 Ahi qual fiero spettacolo [ode xvii]; pp. 38-39 Ne’ più remoti secoli [ode xviii]; pp. 40-43 Aborro in su la scena [ode xi].
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nota al testo
– ii 3 Sull’incarto la dicitura: «Ventisei pagine o fogli di rime varie; autografi in parte». I fogli autografi che contengono odi sono i seguenti: pp. 87-88: foglio doppio di mm 200 × 290 con, a p. 87, le prime tre quartine dell’ode v; la p. 88 è bianca; pp. 89-90: foglio semplice di mm 250 × 320 con, a p. 89, le ultime due quartine dell’ode v. Si legge insieme ad alcune quartine riportate da Mazzoni alle pp. 460-461 e, girando il foglio, ad una serie di nomi di divinità latine e di filosofi e di poeti classici (inizia con «Pallade» e termina con «Orazio»); p. 90: è la prima testimonianza dell’ode xiv, ma contiene soltanto i primi nove versi, oltre a diversi rifacimenti, tra cui quattro versi integralmente corretti e trascritti al margine destro. Dopo l’ultimo verso, «Al venir di quella sera», il foglio è completamente bianco. – ii 4 Sull’incarto si legge: «Odi autografe ed altre poesie. Sedici fascicoletti o pagine sparsi». Sono testimonianze autografe delle odi: pp. 25-26: foglio semplice piegato in due con l’indirizzo apografo Pour Monsieur l’Abbé Passeroni e il biglietto autografo «Stracciate di grazia la copia della canzone, che vi diedi iersera: e sostituite la presente. Il vostro Amico Parini»; pp. 27-30: foglio doppio (mm 198 × 290) in cui si legge l’ode xiv dal titolo Canzonetta cui Passeroni ha aggiunto Del Signor Abate Don Giuseppe Parini e, nell’ultima facciata, una minuta sempre del Passeroni; pp. 31-36: un foglio doppio e uno semplice (mm 198 × 256) cuciti assieme da un filo spesso con l’ode Per l’inclita Nice; pp. 37-44: due fogli doppi a righe (mm 178 × 212); le pp. 37-40 riportano il componimento xx dal titolo Ode; di mano di Gambarelli, la data, 1787, apposta in alto a sinistra della p. 37 (evidenziata da un punto dopo il 7 e da un rigo sottostante in diagonale), le rimanenti pagine sono bianche; pp. 45-48: foglio doppio (mm 200 × 287) in cui si legge il componimento xv dal titolo Ode e, girando il foglio, una poesia quasi illeggibile, Di me sento dire, con due versi corretti a latere senza aver cassato i precedenti; pp. 49-52: foglio doppio (mm 194 × 288) con l’ode xi priva di titolo.
nota al testo
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– iii 3 Quaderno (mm 182 × 250) con copertina in cartone bianco, di 4 fascc: i primi tre di 12 cc. (pp. 1-72) e l’ultimo di 6 (pp. 73-84). Sulla copertina la dicitura: «Poesie|dell’Abate Don Giuseppe Parini|R. Professore di Eloquenza in Brera». All’interno: pp. 1-5 Versi sciolti sopra la guerra|Al sig. don Francesco Fogliazzi Parmigiano; p. 6 bianca; pp. 7-9 l’ode xi, senza titolo, Abborro in su la scena; p. 10 bianca; pp. 11-14 l’ode ii, senza titolo, O quel popolo felice; pp. 15-19 Satira|Un di costor che per non esser sciocchi; p. 20 bianca; pp. 21-27 Il trionfo della spilorceria; p. 28 Mi vi acconciavo sopra [In morte dello Sfregia Barbiere], i vv. 53-66 sono stati cassati, con la segnalazione «v. avanti». Cfr. pp. 43-49: pp. 29-31 l’ode vi, Venerabile Impostura; p. 32 bianca; pp. 33-34 l’ode iii, senza titolo, Perchè turbarmi l’anima; pp. 35-38 Apollo passeggiò; pp. 39-41 l’ode ix, Pel Sig.r Contino Carlo Imbonati, che si ristabilisce d’una pericolosa malattia, ed oggi compie gli 11. anni di sua vita; p. 42 bianca; pp. 43-49 In morte dello Sfregia Barbiere; p. 50 bianca; pp. 51 Per l’Arciduchessa Beatrice, che disse che tutte le altre Donne avevano l’amante, e ch’ella sola non avea alcuno, che le dicesse amorose parole; pp. 52-54 l’ode xiv, Canzone Nuziale; pp. 55-56 il componimento iv, Il Bisogno|Ode, a latere la data 1765 seguita da un punto; p. 57 Un Prete vecchio brutto puzzolente; p. 58 Alto germe d’Eroi cui diè natura; p. 59 Bella gloria d’Italia alma sirena; p. 60 Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea; p. 61 Tanta già di coturni altero ingegno; p. 62 Ecco del mondo e meraviglia e gioco; p. 63 L’arbor fatale, che di rami annosi; p. 64 Qual fra quest’erme incolte orride rupi; p. 65 Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende; p. 66 Teseo, Osiri, Giason Bacco ed Alcide; p. 67 Quando il Nume improvviso al suol latino; p. 68 bianca; pp. 69-71 l’ode v intitolata Brindesi; p. 72 bianca; pp. 73-79 copia dell’ode xix dal titolo Pel Nobil Uomo Camillo Gritti Podestà e Capitan grande a Vicenza, che chiamato a Venezia prima del tempo prefisso alla sua pretura fu eletto Senatore. Segue una imprecisa trascrizione dell’epigrafe oraziana (Lib. iv . Ode xv ) monca dei dittonghi; il testo riporta molti errori, alcune cancellature e manca di un’intera strofa (vv. 133-138) per saut du même au même; l’indicazione della data, 1788, è posta in alto a sinistra; pp. 80-81 trascrizione dell’ode xi con la seguente intestazione preposta al titolo Replica con alcune correzioni fatte dall’Autore; pp. 82-84 copia dell’ode ix dal titolo Replica con alcune correzioni fatte dall’Autore pel Sig.r Contino Imbonati, che si ristabilisce.
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nota al testo
– iii 5 Sul foglio che funge da camicia a tutto l’incarto si legge: «Copie di sonetti e di qualche altra poesia di Parini, fatte di mano del M. se G. G. Trivulzio, di Gio Perego, e di altri. Alcuni de’ sonetti sono forse inediti, alcuni incerti se di Parini, qualche altro non suo». È una miscellanea costituita da fascicoli, fogli singoli e doppi di diverso formato; solo alcuni di essi contengono odi: pp. 1-18 fascicolo (mm 125 × 182) che riporta alle pp. 1-8 la trascrizione di Alla Sig.ra Contessa Castelbarco|Ode|; pp. 9-10 una copia del sonetto di Alfieri O gran Padre Alighier, se dal Ciel miri; p. 10 Quando il Nume improvviso al suol latino; pp. 11-17 O Sfregia, o Sfregia mio; p. 18 bianca; pp. 95-114 fascicolo (mm 167 × 222) cucito con un cordoncino doppio di colore sabbia e miele; le pp. 95-96 sono bianche; pp. 9798 indice con date, incipit di testi e numeri (delle odi si trovano le indicazioni di La bella Primavera 1769 e Volano i giorni rapidi 1778); pp. 99-100 bianche; p. 101 altro indice con date (delle odi si leggono i riferimenti a La bella Primavera 1769, Volano i giorni rapidi 1778, Odi Alcone il muggito 1786, Te con le rose ancora 1787, e In vano in van la chioma 1787); pp. 106-107 La bella Primavera [ode viii]. – iii 8 Sulla busta esterna a tutto l’incarto Mazzoni ha scritto: «Copie di rime per mano di A. Gambarelli»; in un foglio doppio, interno agli sparsa, un’altra grafìa, a matita, titola: «fogli volanti Gambarelli H 49½»; altre aggiunte di numeri, in alto a destra, di mano di Chiari e la sigla iii 8 a matita copiativa blu. Tutte le cc. sono numerate modernamente a matita per pagina, da 1 a 202; quelle che contengono odi sono le seguenti: pp. 19-22 foglio doppio (mm 185 × 252) con una copia calligrafica dell’ode xiii intitolata La Tempesta; nell’angolo a sinistra la data, 1786, e a destra una cancellatura sotto cui si legge a fatica Ode; pp. 23-24 foglio singolo, con la trascrizione dell’ode xxi, intitolata Alla Marchesa Paola Castiglioni (tra Paola e Castiglioni una cancellatura sotto cui sembra di poter leggere Alfieri); in alto a destra la data, 1790; pp. 25-28 foglio doppio con la trascrizione dell’ode xiv, intitolata Ode, e a p. 28, dell’viii, senza titolo, con l’indicazione della data 1769; vicino al bordo del foglio, una crocetta, sotto un segno “ e poi un’altra crocetta; i primi 4 vv. riportano a latere il medesimo segno; pp. 29-32 fo-
nota al testo 31 glio doppio con la trascrizione dell’ode xvii, intitolata Piramo e Tisbe (sotto si legge un altro titolo cassato, Tema ad uno improvvisatore) e della xviii intitolata Alceste (a fianco di un altro cancellato fortemente, sotto cui pare leggersi Stesso); pp. 87-90 foglio doppio (mm 182 × 252) con le odi v, titolo Brindesi e data in alto a destra 1778, e vii senza titolo; in basso, a p. 90, in un riquadro a penna, All’improvviso. Signor, poco dappoi; pp. 137-142 foglio semplice (mm 155 × 218) numerato fino al 138, intitolato Ode con la trascrizione dell’ode vi, e foglio doppio, dal 139 al 142, con la redazione di tutto il testo, comprese le strofe successivamente cassate (da Temerario menzognero fino a Nel tuo tempio il nome, il volto); pp. 143-150 due fogli doppi (mm 185 × 254) con, alle pp. 143-148, la trascrizione del testo II intitolato Ode; la p. 147, per l’aggiunta del v. 109, trascritto a piè pagina unitamente al v. 110, riporta l’unico intervento di un’altra mano, rispetto a quella gambarelliana (la stessa ad aver vergato l’ode xxiii nel iii 9). La p. 150 è bianca; pp. 151-154 foglio doppio (mm 185 × 254) con il testo xi intitolato Ode; pp. 155-162 due fogli doppi (mm 185 × 254) con il testo ix intitolato Ode; p. 162 bianca; pp. 163-166 foglio doppio con il testo xvi intitolato Ode e la dicitura, in alto a sinistra, Alla N. D.nna Cecilia Tron; in alto, a destra, la data 1787. – iii 9 42 fogli scritti da varie mani e numerati a matita da Mazzoni; quelli che contengono odi sono i seguenti: pp. 1-4 foglio doppio (mm 185 × 252) con la trascrizione di A Silvia|Ode dell’Ab.e Parini| Scritta nell’Inverno dell’anno 1795 nelle prime due pagine, bianche la 3 e la 4; pp. 5-8 bifoglio (mm 180 × 250) con la copia calligrafica, fino a p. 7, dell’ode xxi dal titolo Alla Sig.ra Marchesa D.a Paola Castiglioni nata Litta per le Tragedie del Conte Alfieri da Lei regalate all’Autore; la p. 8 è bianca, salvo una nota, a foglio rovesciato, in cui si legge: «dell’Ab.e D.n Gius.e Parini in Ap.le 1790», a penna, dopo una in matita, identica alla precedente, salvo per l’omissione del D.n e del nome del poeta; pp. 9-12 foglio doppio (mm 193 × 286) con una copia di Per l’Inclita Nice|Ode dell’ab.e Parini fino a p. 11; la p. 12 è bianca; pp. 1316 foglio doppio (mm 185 × 250) con l’ode vi priva di titolo: è una copia calligrafica dello stesso collaboratore che ha copiato le odi ii e xxv; pp. 17-20 foglio doppio (mm 190 × 257) che riporta l’ode xii intitolata in alto a sin. del foglio Ode; al centro, di altra mano e con inchiostro più marcato, l’attribuzione apposta successivamente «Del
32 nota al testo Sig.e Ab: Parini». Le strofe sono separate da una riga orizzontale; sotto l’ultima, cinque tratti doppi di penna segnalano la conclusione del testo; pp. 21-24 bifoglio (mm 182 × 256) con l’ode xv intitolata Ode; pp. 25-28 foglio doppio (mm 185 × 246) con la trascrizione dell’ode xxi intitolata Alla Sig.a M.a D.a Paola Castiglioni, nata Litta, per le Tragedie del Sig.re C.e Alfieri da Lei regalate all’Autore. Ode; riporta al margine sinistro della prima pagina, in basso, il segno % e l’aggiunta, in alto sotto la dedica, Abbate d. Giuseppe Parini di altra mano; pp. 29-32 foglio doppio (mm 202 × 265) con l’ultima ode, dal titolo Per Febo Marchese D’Adda|Ode|Alla Musa; è la stessa mano che ha copiato l’ode vi e spesso ricorre nelle carte pariniane; in calce all’ultima pagina si legge «Dell’Ab.e D.n Gius.e Parini composta in Giugno 1795 a Vaprio in Casa Castelbarco»; pp. 39-42 foglio doppio (mm 185 × 250) con l’ode xxiii; la mano è del collaboratore che ha inserito una nota anche nel iii 8, per il resto tutto di mano gambarelliana; le strofe sono numerate da 1 a 22; a p. 42 la nota: Dell’Ab.e D.n Gius.e Parini 1793. Poesia relativa alla S.a Contessina di Castelbarco per la premura datasi di mandargli ambasciate in occasione di sua malattia nell’antecedente Inverno. – iii 10 Di 14 cc., numerate modernamente per pagine da 1 a 28 (mm 219 × 330); furono vergate con particolare cura e in una grafia che
spesso indulse all’uso di grazie; le composizioni sono chiuse da un finalino; contengono: pp. 1-4 una copia dell’ode xi senza titolo fino alla p. 3; in alto a destra della p. 4 l’intestazione «Del sig. Abate Parini» cui segue un finalino; pp. 5-8: pp. 5-7 ode ix dal titolo Pel Sig.r Contino Carlo Imbonati, che si ristabilisce d’una pericolosa malattia, ed oggi compie gli 11. anni di sua vita, di mano di copista non identificato, sulla quale sono state apposte numerose correzioni più tarde da parte di Gambarelli; altre piccole aggiunte, in matita, in interlinea, paiono invece di mano moderna; p. 8 bianca con la solita intestazione; pp. 9-12: pp. 9-11: ode vi priva di titolo; p. 12 bianca con la solita annotazione; pp. 13-16: 13-14 ode iii priva di titolo; bianche le ultime due con la medesima intestazione. – Miscellanea Pariniana 11/6 Fascicolo di quaderno (mm 232 × 178) a righe, privo di copertina, di 12 cc. non numerate, di un’unica mano, identificabile in quella
nota al testo 33 che ha vergato integralmente la parte manoscritta della Miscellanea Morbio (vd. BNBMi); contiene testi poetici di vari autori. Il copista utilizza abbreviazioni non riscontrate in altri testimoni, spesso commette errori e solitamente semplifica le titolazioni; il ms. attribuisce a Parini le seguenti odi: pp. 1-4 ode xiii intitolata La Tempesta (del Sig. Ab. Parini), di seguito, pp. 4-7 l’ode xx dal titolo In morte di Sacchini celebre Maestro di musica, pp. 7-10 ode xv senza titolo, ma con la citazione: Impavidum ferient ruine (sic) e l’attribuzione (dell’Ab. Parini); pp. 14-20 ode xix dal titolo Per il N.U. Camillo Gritti Pretore di Vicenza (Parini), cui segue la citazione oraziana; pp. 20-21 l’ode xii intitolata invito fatto al Poeta di cantare ad un covitto (sic) presso la Sig. March. D. Paola Castiglioni, cui si fa seguire l’attribuzione (Parini). Biblioteca Nazionale Braidense Milano – Miscellanea Morbio 17. È un codice1 (mm 140 × 200) formato da una parte manoscritta con odi e sonetti del poeta e una stampa di opuscoli pariniani legato nell’Ottocento con carta marmorizzata e mezza pelle; sulla costola il titolo Parini|Poesie; dopo un foglio di risguardo, inizia la parte manoscritta che ha due frontespizi calligrafici in un doppio riquadro a inchiostro: Poesie|dell’Abate|Don Giuseppe Parini cui seguono le pp. 1-93 e, in una p. n. n. [94], il secondo con l’intestazione: Sonetti|Dell’Abate|Don Giuseppe Parini cui fanno seguito le pp. 1-38. Dopo due pagine bianche, l’Indice delle Canzoni e l’Indice dei Sonetti, privi di numerazione. La prima parte, in cui si trovano diverse odi, è così costituita: pp. 1-8 La Salubrità della Campagna paragonata con quella della Città|Ode scritta prima del 17770 [ode ii]; pp. 9-18 Per S. E. il N. Camillo Gritti improvisamente rich.to dal Reggimento di Vicenza|Ode [ode xix]; pp. 19-24 Per N. D. Veneziana Ode [xvi]; pp. 25-30 La Tempesta|Ode [xiii]; pp. 31-33 Alla Sig.ra M.se [sic] D.na Paola Castigl.ni Litta per le Tragedie del C.te Alfieri da Lei regalate all’Autore|Ode [xxi]; pp. 34-37 In Morte del Cel. Maestro di Cappella Sacchini|Ode [xx]; pp. 38-40 Canzone Sopra L’età [ode v]; pp. 40-44 Contro l’Evirazione|Ode [xi]; pp. 45-48 Sul Bisogno|Canzone [ode 1 Fa parte di una serie di manoscritti descritti da Lodovico Frati, I codici Morbio della Regia Biblioteca di Brera, Forlì, Luigi Bordandini, 1897, pp. 26-27, che gli attribuisce il N. Inv. 100913 e l’acquisto per lire 54.
34 nota al testo iv]; pp. 49-53 Per caduta dell’Autore|Ode [xv]; pp. 54-60 Per la salute ricuperata da Nobil garzone|Canzone [ode ix]; pp. 61-63 Canzone Epitalamia [xiv]; pp. 64-65 Cantata fatta in occasione d’una Festa data da S.E. il Sig.r Principe Sigismondo Ghigi, alla quale intervennero le LL. AA. RR.; pp. 64-74 Al Sig.r Dottore Giovammaria Bicetti de’ Buttinoni Che con felice successo eseguisce e promulga l’innesto del Vajuolo|Canzone [ode i]; pp. 75-77 Improvvisata per Mensa|Ode [xii]; pp. 78-87 Per la Laurea data a Pavia alla Sig.ra Pellegrina Amoretti d’Oneglia|Ode [x]; pp. 88-93 L’impostura|Ode [vi]; p. 94 bianca. La sezione dei Sonetti inizia, con una nuova numerazione, a p. 1, con Pel Conte Alfieri* Sonetto *Autore di varie tragedie delle quali lodasi la condotta ma non lo stile e termina a p. 38 con In morte di Domenico Balestrieri Celebre Poeta|Sonett, cui fa seguito, dopo un tratto orizzontale a penna, Vann, o morte crudel, vanne pur lieta. Biblioteca Trivulziana Milano – Trivulziano 890. Quaderno dalla copertina in cartone marrone marmorizzato (mm 125 × 90) diviso in tre Parti e un’Aggiunta, corredato da molte note relative alle singole sezioni; è per buona parte di mano di Gian Giacomo Trivulzio. Le sezioni sono tutte dedicate ai versi di Parini; quella che contiene un’ode è la seconda; il testo è stato trascritto in modo calligrafico da p. 27 a p. 37, è intitolato Ode [All’inclita Nice] e riporta un finalino; nelle Note alla Parte seconda si legge «ode a p. 27 Alla C.a Di Castelbarco che mandava a chieder nuove della salute del poeta»; p. 30 «“Ben puoi tu nuovo illepido|sceso tra noi costume”. Per dare un’idea alla posterità di questo immenso velo che usavano le Donne nel 1794 e prima basti riferire il principio di un’ode scritta dal nostro Poeta nell’inverno del 1793 sulla foggia di vestirsi detta “alla ghigliottina” per cui le Donne portavano affatto nudo il collo e le braccia e gran parte del petto. Ecco il principio dell’ode in cui si fa menzione di questa prima foggia “Perchè al bel petto e all’omero|con subita vicenda|Perchè mia Silvia ingenua|Togli l’Indica benda,|Che intorno al petto e all’omero,|Anzi alla gola e al mento|Sorgea pur or qual tumida| Vela nel mare al vento?”»; p. 35 v. 3 e 4 «“l’ultimo|Lustro già tocca”, essendo quest’Ode stata scritta nel principio del 1796»; p. 36 v. 7 e succ. «“Ma io forse già polvere”. Purtroppo questa fu una profezia perchè egli morì nel 1799 prima cioè che il nuovo secolo
nota al testo 35 cominciasse»; p. 37 v. 3 «“Su la via che fra gli alberi|Suburbana verdeggia”»: Gran viale in Milano fuori di Porta Orientale ove è il corso delle Carrozze. Là presso è la sepoltura del poeta. [sugli errori di datazione del Trivulzio circa le due odi si veda Giovanna Benvenuti, Precettor d’amabil rito: studi su Giuseppe Parini, Milano, Franco Angeli, 2009, p. 96] Raccolta privata di Francesco Pozzi, Milano1 Quaderno in cartone coevo rivestito in carta marmorizzata (mm 150 × 210) costituito da due parti: la prima di cc. 93 numerate, la seconda di 92 pagine numerate modernamente; dopo la p. 68 del secondo quaderno è stato aggiunto un inserto di 20 cc. n. n., composto da fogli meno consunti. In copertina l’intestazione, a penna, «Letteratura», sul primo risguardo il nome «Schiera Carolus» e la data «1790. Maggio addì 29»; la mano che materialmente ha vergato il codice è quasi esclusivamente quella di Carlo Schiera, un barnabita confratello di Giovan Battista Scotti, allievo di Parini. Contiene trascrizioni di autori della letteratura greca, latina e italiana, ma forte risulta la presenza dei testi pariniani, dal Discorso recitato nell’aprimento della nuova Cattedra delle belle lettere, alle opere poetiche. Le odi sono in numero di 12 e partono da c. 43r a c. 57r per le prime dieci trascritte una di seguito all’altra, con inserti: 43r-43v Piramo e Tisbe [ode xvii]; 43v-44r Il Bisogno|Al Sig. Wirtz| Pretore per la Repubblica Elvetica [ode iv]; 44r-45v La vita rustica [ode iii]; 45v-47r La educazione [ode ix]; 47r-47v Il Pericolo [ode xvi]; una pagina strappata, poi, da c. 49r a c.49v Canzonetta dell’A. P. [ode v]; 50r-52r La Tempesta|Ode [xii]; c. 53r-54r Oda [xxi]; 54r-55r Contro l’Evirazione [ode xi]; 55v-57r Il Cittadino giusto e costante|Ode|Impavidum ferient ruinae [ode xv]; seguono pagine tratte da altri autori, poi le ultime due odi: da c. 75v a 76v A Silvia|scritta nell’inverno del 1795|A. G. P.; da c. 76v a c. 78v Alla Musa|Ode. Raccolta privata del conte Castelbarco Albani Esemplare autografo intitolato Per l’inclita Nice|Ode; fascicolo di mm 170 × 250, inviato dal poeta alla dedicataria. Consta di pp. 6 più la prima, non numerata, in cui c’è il titolo soltanto e la seconda, egualmente non numerata, con la dedica seguente: «L’Inclita Nice 1 Procurataci dalla gentilezza del proprietario.
36 nota al testo è supplicata di|riconoscere, sotto la forma poetica|de’ seguenti versi, i veri sentimenti|da cui provengono: cioè il rispetto|l’ammirazione e la riconoscenza|dell’autore per l’esimie qualità di|Lei, e per la singolare benignità, con|cui Ella si degna di onorarlo». Segue la trascrizione del testo fino a p. 6.1 Raccolta privata di Giovanni Biancardi, Milano2 Miscellanea manoscritta con rilegatura in cartone coevo di cc. 152, di diversi copisti, differenti formati e qualità, allestita da un membro della famiglia Castelbarco, o comunque da persona assai vicina ad essa; al dorso, il titolo: Miscellanea|Poetica|MS.|Dopo il foglio di risguardo, una pagina bianca; le pagine non sono numerate; il testo di Parini, intitolato Per l’inclita Nice|Ode, si legge da c. 97r a c. 99r, è preceduto dall’attribuzione «Dell’Abate Parini» e dalla dedica alla destinataria; è stato trascritto con grafia calligrafica al centro della pagina ed è in tutto conforme all’originale privo delle cancellature. Biblioteca Medicea Laurenziana – Fondo Alfieri 13. È un codice di cc. 232 contenente la Vita e le Rime autografe di Alfieri (mm 221 × 274) restaurato con nuova legatura e copertina di carta bianco-rosso a giglio fiorentino. L’ode Il Dono [xxi] di Parini, inviata dalla contessa Castelbarco ad Alfieri, calligrafica, di mano non identificata, è a c. 42r; in basso è stata aggiunta una nuova numerazione, di mano moderna, secondo cui tale pagina risulterebbe la 43; il titolo è Alla Sig.ra Marchesa D.a Paola Castiglioni, nata Litta|Per le Tragedie del Conte Alfieri da Lei regalate|all’Autore|Ode|cui segue l’attribuzione, di mano di Alfieri, «dell’Abate Parini 1790»; al primo verso, senza cassare «Vate egregio», altra aggiunta, dopo un segno di inserzione, «fero Allobrogo», e, a sin. del foglio, sopra il capolettera Q relativo al primo verso, un altro segno di inserzione e la postilla: «dice così lo stampato». Al versus del
1 L’esemplare da noi consultato è quello presente nella Biblioteca e Libreria Civica di Cremona, Collocazione Gall. Misc. 65, copia fotografica dall’autografo, edizione in 100 esemplari numerati, Milano, Rizzoli, 1929. 2 Messa a disposizione dalla cortesia del proprietario.
nota al testo 37 foglio, in alto a sinistra, la data «1º Maggio 1790» e poi l’epigramma Forse alcun pregio aveano con diverse correzioni di Alfieri; rovesciando il foglio, varie prove di penna dell’Albany tra cui si legge, sempre della stessa mano, «per Madame, Madame dans ma maison». Edizioni delle Odi Vengono fornite le descrizioni delle raccolte di odi di cui ci si è serviti; le stampe di cui si è tenuto conto in apparato sono rubricate con la sigla e la data: – G 1791 [i-xxii] Odi|dell’Abate|Giuseppe Parini|Già divolgate.||[fregio]||Postera crescet laude recens.|Horat.|-|Milano. m.dcc.xci.| nella Stamperia di Giuseppe Marelli|Con Approvazione. 8º ant. fascc. 12: 1-10,8 11,4 11*8 preceduti da una carta sciolta e da un bifoglio non numerati, pp. [i-vi], 1-182.1 [1] Frontespizio [2] Bianca [iii-vi] Avviso dell’ editore . 1-157 Testo delle Odi i-xxii 158 Bianca 159-180 Indice|delle Odi | [181] Per un maggior comodo del lettore|si pone anche l’indice in succinto. [182] Correzioni. –Bx [i-xxv] Odi|Di Parini|Ultima Edizione|Accresciuta |Postera crescet laude recens|Horat.||Milano|Presso il Bolzani alla Piazza de Mercanti,|e nella Contrada di S. Margarita|all’Insegna dell’arma della Città. In 8º ant. fascc.11: a-k,8 l,4 preceduti da una carta recante frontespizio e un’altra per il ritratto; pp. (2), 1-167.
1 Tutti gli esemplari consultati riportano il titolo, il nome dell’autore e dello stampatore in rosso mattone e un fregio che rappresenta una lira e due trombe incrociate, circondate da una corona di alloro; in basso a sin. «Frey inc». La descrizione del fregio indicata da Bustico, p. 45 n. 212: «un rametto con giglio, lira e sol nascente», è una svista, dal momento che si tratta di quello bodoniano.
38 nota al testo [1] Frontespizio [2] Bianca 1-143 Testo delle Odi i-xxv [144] Bianca 145-167 Indice delle Odi Nel controfrontespizio un ritratto di Parini entro ovale cui è sottesa la seguente epigrafe …mihi…|Spiritum Grajae tenuem Camoenae|Parca non mendax dedit, et malignum|Spernere vulgus| Horat. Od. xvi. Lib. ii. – P 1799 Il Mattino|Il Mezzogiorno|e|le Odi|dell’Abate|Giuseppe Parini||[fregio] Milano mdccic|Nella Tipografia Pirola| con approvazione. 12º, fascc. 8: a-h,12 preceduti da una carta sciolta; pp. [3-4] 5-189. [1] Frontespizio [2] Bianca [3-4] Al Leggitore 5-40 Il Mattino 41-85 Il Mezzogiorno 86-189 Odi [190] Bianca [1] Indice [1] Bianca – R 1802 Opere|di|Giuseppe Parini|pubblicate ed illustrate|da| Francesco Reina||Volume secondo.|Milano|Presso la Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico.|1802. anno I. della Repubblica Italiana. 8º, fasc.18: 1-168 174 preceduti da un fascicolo di 4 cc. non numerate pp. [i-iv] v-viii, [1-2] 3-262. [1] Frontespizio [iii-iv] A Vittorio Alfieri il Tragico v-vii Avvertimento [1]-258 Poesie liriche : [1]-44 Sonetti [45]-213 Odi [215]-240 Canzonette [241]-258 Frammenti 259-262 Indice Bianche le pp. [viii], [2], [46], [214], [216], [242]
nota al testo
39
– Bm 1814 Poesie scelte|di|Giuseppe Parini.|Prima Edizione Milanese.|| [fregio] In Milano, mdcccxiv.|Nella Stamperia di Giovanni Bernardoni|a s. Marcellino|num.º 1799. 12º fascc.13: 1-1212 preceduti da un fascicolo di 8 carte non numerate, pp. xvi, 286. [v] – xiv Ai Leggitori [1-2] Indice [3] Frontespizio [4] Bianca 5-45 Il Mattino [46] Bianca 47-87 Il Mezzogiorno [88] Bianca 89-107 Il Vespro [108] Bianca 109-134 La Notte [135] Frontespizio 137-246 Odi [247] Frontespizio [248] Bianca 249-257 Canzonette [258] Bianca [259] Frontespizio [260] Bianca 261-267 Sonetti [268] Bianca [269] Frontespizio [270] Bianca 271-278 Canzone |in morte |del barbiere .| [279] Frontespizio [280] Bianca 281-285 Frammenti [286] Bianca Le Odi|dell’Abate|Giuseppe Parini|Riscontrate su manoscritti e stampe|con prefazione e note|di|Filippo Salveraglio||[ fregio ]||Bologna|Nicola Zanichelli|Libraio-Editore-tipografo|1882. 16º, pp. lxiv, 286; a p. 285 la dicitura: «Questa edizione differente da una prima del mdccclxxxi
40 nota al testo per emendazioni e aggiunte importantissime, sola fa parte della Collezione di Scrittori Italiani. Finito di stampare il 5 Aprile 1882». Tutte le opere|edite e inedite|di|Giuseppe Parini|raccolte da|Guido Mazzoni|[ fregio ]||Firenze|G. Barbèra Editore|1925. 16º, pp. xciv, 1056. Le odi si leggono alle pp. 125-205. Giuseppe Parini|Poesie|a cura|di|Egidio Bellorini|Volume primo|Poesie di Ripano Eupilino|Il Giorno e le Odi||[ fregio ]||Bari|Gius. Laterza e Figli|Tipografi-editori-librai|1929. 8º, n. 118 della collana «Scrittori d’Italia», pp. 400; le Odi si leggono alle pp. 275-360; Nota al Testo pp. 367-369; apparati pp. 381-398. Alberto Chiari|Sulle “Odi”|di Giuseppe Parini|Discorso critico||[ fregio ]|Milano|Società editrice «Vita e Pensiero».|mcmxliii-xxi. 8º, pp. viii, 294, (2). pubblicazioni dell’università cattolica del sacro cuore|serie quarta: scienze filologiche volume xl. Giuseppe Parini|Le Odi|Edizione critica a cura di|Dante Isella|Riccardo Ricciardi Editore|Milano - Napoli| mcmlxxv. Edizioni dei singoli componimenti 1 [i] Osservazioni|sopra alcuni|innesti di vajuolo|di|Giovammaria Bicetti de’ Buttinoni|da Trevì in Ghiaradadda,|medico in patria,|ed Accad. Trasformato di Milano|con l’aggiunta|di varie lettere d’uomini illustri,|e un’Ode dell’Ab. Parini|su lo stesso argomento.||[fregio dei Trasformati]||In Milano. mdcclxv.|Appresso Giuseppe Galeazzi.|Con licenza de’ Superiori, e privilegio. 16º; l’ode è alle pp. 4-[8]; a p. [9] Errori.1 2 [iv] Canzone|dedicata all’illustrissimo Signor|Don Pier-Antonio| Wirtz de Rudenz|del Senato dell’illustrissima, e potentissima Repubblica di Undervalden,|Commissario Reggente del Contado di Locarno, e sue pertinenze ecc. ecc.,|ed al magnifico suo Officio|dal prete Giambattista Galli|Prencipe dell’Accademia degl’Ifeliomachi, Laureato in Teologia nel Collegio Elvetico. In Milano. Appresso Giuseppe Galeazzi. mdcclxvi. Con licenza de’ Superiori. Foglio 1 Un esemplare è presente in BAMi di Milano, S.P. 6/1 (ii 1a).
nota al testo 41 volante anonimo su tre colonne con fregi vari alla fine di ogni strofa.1 3 [x] Per la laurea |in ambe le leggi |conferita |nella Regia Università |di Pavia |alla Signora |Pellegrina Amoretti|d’ oneglia. |Ode |di Giuseppe Parini.||In Milano m.dcc:lxxvii.|Nella Stamperia di Giuseppe Marelli.|Con licenza de’ Superiori. Le strofe sono separate da un piccolo fregio. 16º pp. 8 non numerate.2 4 [xiv] Per le nozze |de’ Nobili Signori |Marchese Carlo Malaspina|e |Cont . Teresa Montanari||In Verona| Nella Stamperia Moroni.|mdcclxxvii.|Con Licenza de’ Super. 4º; si tratta di una miscellanea stampata per l’occasione; le pagine sono numerate da numeri romani fino alla lxxxviii, l’ode è alle pp. xlvii-l dopo l’attribuzione: del sig. abate|d. giuseppe parini milanese.|canzonetta.3 5 [iii] Rime |degli |Arcadi |Tomo decimoterzo |A sua Eccellenza il Signor Conte|Jacop’Antonio|Sanvitale| Cavaliere degli Ordini di S. M. Cristianissima ||[fregio dell’Arcadia]||in Roma 1780. Presso Paolo Giunchi.|Con Licenza de’ Superiori. 8º; all’Indice, Il Sig. Abate Giuseppe Parini Milanese, pubblico Professore d’Eloquenza nel Regio Ginnasio di Brera, P. A. della Colonia Insubre. L’ode è alle pp. 146149, preceduta dai sonetti: Virtù donasti al sol, che i sei pianeti; Questa, che or vedi, Elpin, crinita stella, Quand’io sto innanzi a que’ due lumi bei; Che pietoso spettacolo a vedersi; Ecco, Bromio, Pastori, ecco Lieo; Ahi quante, ahi quante di pietade ignudi; Sì vaga pianta, e sì gentile avea; Quella pianta gentil, che avea battuta; Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo; Sciogli, Fillide, il crine, e meco t’ungi; Colei, Damon, colei che più d’un angue; Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende; O sonno placido, che con liev’orme; Rondinella garruletta.4 1 Esemplare dell’Archivio Cantonale di Bellinzona, fondo Comune di Bellinzona, sc. 51/13; riproduzione fotografica presente in Mazzoni, p. 150. 2 Pubblicata prima in due miscellanee nel medesimo anno in cui l’Amoretti si laureò, il 1777: presso gli editori Porro e Bianchi in Pavia e a Milano da G. Galeazzi, poi singolarmente da Marelli, sempre a Milano. Le diverse stampe sono descritte da Bustico, p. 54, nn. 256-258; ci siamo serviti dell’edizione Marelli corretta a margine da Parini presente in BAMi, S.P. 6/1 (ii 1b). 3 Collezione privata di Giovanni Biancardi. 4 Abbiamo consultato l’esemplare di BCCMi, VET. JVET. 170.13.
42 nota al testo 6 [xv] Memorie|Per le belle Arti|Tomo ii.|Anno mdcclxxxvi.|Admonere voluimus non mordere:|prodesse non laedere||In Roma,|nella stamperia Pagliarini|mdcclxxxvi.| Con licenza de’ Superiori. 4º. L’ode è nel iii fascicolo di gennaio, alle pp. (xx)-(xxiv), col titolo Ode|del Chiarissimo Sig. Ab. Parini ed è preceduta da una lunghissima nota che in parte riproduciamo in apparato alla xv ode (nota al v. 1); integralmente è riportata da Bustico, p. 68, n. 320.1 La sezione dedicata alla poesia inizia a p. (xvii) e riporta un sonetto|di franco di benci sacchetti|a p. (xvii). 7 [xii] Memorie|Per|le belle Arti [v. n. 6] al iii fascicolo di luglio, pp. clxxiii-clxxv, il titolo è Ode|del Chiarissimo Sig. Ab. Parini|Sopra l’uso di recitare i versi alle Mense, ed avanti persone incapaci di gustarli; è preceduta da un’ampia nota sullo stile dei versi pariniani in parte riprodotta da Bustico, p. 69, n. 321.2 8 [xix] Tributo|alla|Verità|Quem virum, aut heroa, lyra, vel acri|Tibia sumis celebrare, Clio?|Hor. Lib. i Od. xii.||Vicenza| nella Stamperia Turra|mdcclxxxviii|Con licenza de’ Superiori, 4º, pp. 106. L’Ode Del Signor Abate|Giuseppe Parini| Milanese|è alle pp. 37-52, senza titolo ma preceduta da un’epigrafe oraziana, tratta dalle Odi, come accade anche per gli altri testi della raccolta. A introdurre il testo pariniano i seguenti versi: «… Ordinem|Rectum et vaganti fraena licentiae|Injecit, amovitque culpas;|Et veteres revocavit artes.|Hor. Lib. iv. Od. xv». Il dedicatario del volume appare in un ritratto di P. Bini, inciso da G. Testolini nel controfrontespizio sotto cui è riportata la scritta: «Camillus Gritti |Vicetiae Praetor |An. mdcclxxxvii ».3 9 [xvi] Giornale poetico|o sia|Poesie inedite|d’|Italiani viventi||mdcclxxxix||In Venezia|Presso Pietro Marcuzzi.|Con approvazione. L’ode si trova nel tomo i, pp. 75-78, con l’indicazione: «Autore xvi»; nella tavola dei collaboratori è rubricato come: «Sig. Ab. Giuseppe Parini» e il componimento con il titolo Dama veneta giunta in Milano.|Ode .4 1 Ci siamo serviti del fascicolo di BAMi che riporta le correzioni di Parini, S.P. 6/1 (ii 1d). 2 BNBMi, Milano, 13. 51. G (9-12) vol. 10. 3 Collezione privata di Giovanni Biancardi. 4 Esemplare di BMRMi, 1084.
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nota al testo 43 [xv, xx, xiii] Giornale poetico [vd. n. 9]; le odi si leggono nel tomo ii alle pp. 52-55, 56-58, 59-62. La prima è priva di titolo, ma riporta l’epigrafe oraziana Impavidum ferient ruinae. Ode; la seconda è intitolata In morte del Sacchini celebre Maestro di musica.|Ode; la terza La Tempesta.|Ode. [xxii] Per|l’Eminentissimo Cardinale|Angelo Maria|Durini|Ode|di Giuseppe Parini.|Magnum hoc ego duco|Quod placuit tibi.|Horat. Milano, nella Stamperia di Giuseppe Marelli, con licenza de’ Superiori, 1792, 16º; pp. [1-20].1 [1] Frontespizio [2] Bianca iii-xix La Gratitudine [20] Bianca [xvi] Anno poetico|ossia|Raccolta annuale|di|poesie inedite|di autori viventi.|fregio |Venezia mdccxciv.| Dalla Tipografia Pepoliana|Presso Antonio Curti Q. Giacomo|Con approvazione. L’ode si legge al tomo ii, pp. 241-246 [nell’Indice il componimento è erroneamente indicato a p. 141] col titolo: Dell’Abate |Giuseppe Parini |Il Pericolo.|ODE.2 [xxiv] Giornale poetico [v. n. 9] mdccxciv, tomo vi, pp. 1216. Autore ii. Nell’indice, «Sig. Ab. Parini»; titolo: A SILVIA| Ode Scritta nell’inverno 1795|In occasione che s’introducea la moda della veste alla|Gugliottina adottata dalle|Belle più eleganti. [xxiii, xxiv] Anno poetico [v. n. 13], Tomo iii (1795). Le odi si leggono alle pp. 217-224, la xxiii con l’indicazione Dell’Abate |Giuseppe Parini .|Alla Signora Contessa Castelbarco|Ode . Alle pp. 225-231 Dello stesso |A Silvia.|Ode |Scritta nell’inverno dell’anno 1795. [xxiv] A Silvia|Ode|scritta nell’Inverno 1795. [Senza indicazioni di luogo, né di stampatore] 16º; pp. [1-8 non numerate].3 [1] Frontespizio [2] Bianca [3-8] A Silvia [xxiv]|Ode a Silvia molto bella|D’on Autor de conclusion,| Staa tradota in manch de quella|In lenguagg de buseccon|Per amor de quella gent,|Che ’l Toscan ghe liga i dent. 1 Ci si è valsi dell’esemplare presente in BAMi, S.P. 6/I (i 3). 2 Presente in BNBMi, Sala Fosc., 4, 88/2. 3 Esemplare di BAMi, Misc. S.N.D.IV. 21/7.
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nota al testo [Senza indicazioni di luogo, né di stampatore] 16º; pp. [1-8 non numerate].1 [1] Frontespizio [2] Bianca [3-8] Cossè l’è sta novitaa 17 [xxiv] A Silvia|Ode|del Sig. Ab. Parini|scritta|nell’ inverno del 1795.||(In Como)|Presso l’Ostinelli||; Opuscolo in 16º, pp. xvi [i]-xvi.2 (1) Frontespizio: Odi Morali sopra il vestire alla guillottina (2) Bianca [i] Titolo [ii] Bianca [iii-viii] A Silvia [ix] D’un altro autore|Ode a Silvia molto bella|D’on Autor de conclusion,|Staa tradota in manch de quella|In lenguagg de buseccon|Per amor de quella gent,| Che ’l Toscan ghe liga i dent.| [x] Bianca [xi-xvi] Cossè l’è sta novitaa 18 [xxiv] Sull ’ abito|detto|guillotine|Ode|a Silvia|Del Signor Abate|Giuseppe Parini|Reggio|Dalla Stamperia Davolio|Con Approvazione. Senza annotazione di anno, priva di numerazione. Opuscolo in 16º, senza datazione ma coevo all’originale, pp. [1-9].3 [1] Frontespizio [2] Nota: «Il vestire alla Guillotine è tutto bianco; il petto scoperto: un bindello rosso al collo: i capei neri, e che discendendo coprano alcun poco il volto, ed anche il seno». 1 Esemplare di BAMi, Misc. S.N.D.IV. 21/7bis. 2 BNBMi, Misc.1277/01. Altre copie in BAMi, Ins.G.D.433 in S.N.D.VII.108 (è una stampa Marelli cui è stato aggiunto questo inserto; pp. non numerate), S.Q.O. IV 37 (anche questo testo risulta giustapposto a una stampa Marelli, ma prima delle Correzioni e dell’Indice in succinto; contiene inoltre la traduzione in milanese di Bellati); una replica con differenti grafie è in Misc. Ambr. S.L.Q.VII.117. Una copia è presente in BCCMi, VETVA.JVETVAR.11. Esiste pure una risposta di Silvia a Parini, sempre in dialetto, in ottava rima, intitolata La donzella della sura Silvia che porta la resposta all’Autor della canzon sora el vestii alla guillottina, 1795, Milan, con so permess cant; ne abbiamo vista una copia manoscritta di 8 cc. n. n. di seguito a un’edizione Pirola in BAMi, S.N.X.IX.8. 3 Collezione privata di Giovanni Biancardi.
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[3-8] A Silvia [9] Bianca [xxv] Alla Musa |Ode|di Giuseppe Parini ; è un opuscolo in 8º di pp. 8 non numerate, [1] Frontespizio [2] Bianca [3-8] Alla Musa (prima del testo, un fregio che rappresenta una lira inscritta in una corona di alloro e di raggi) [8] In fondo alla pagina, Colophon (mdccxcv. In Milano. Presso il Bianchi).1 [xxv] Mercurio d’Italia|Storico-Letterario|Febbraio [1796]| Varietà filosofiche e letterarie|Non hoc semper erit liminis|Hor. Lib. iii, Od. x; l’ode è alle pp. 121-123 col titolo Alla Musa|Ode| di Giuseppe Parini.2 L’Amicizia |Ode|di |Febo D’Adda |;3 opuscolo in 8º di pp. 12 non numerate. [1] Frontespizio [2] Bianca (prima del testo il medesimo fregio descritto al n. 19) [3-10] L’Amicizia [11] Colophon (In Milano . 1795.||Per il Bianchi.) [12] Bianca [xxv] Anno Poetico [vd. n. 13] Tomo iv, 1796. L’ode si legge alle pp. 261-266 col titolo Dell’Abate|Giuseppe Parini| Ode|Alla Musa|
Ringraziamenti A lavoro ultimato mi sento in dovere di ringraziare Giorgio Baroni, direttore della presente Edizione Nazionale; Marco Ballarini, direttore della Classe di Studi di Italianistica della Biblioteca Ambrosiana; Edoardo Esposito e Giovanni Biancardi, curatori del Giorno; Andrea Rondini, curatore degli Scritti Teatrali, e tutto il comitato scientifico dell’Edizione. 1 Esemplari presenti in BAMi, S.Q.O.IV 37, S. N-. D.VII 108 (sono stampe Marelli cui è stato aggiunto questo inserto; pp. non numerate), e nelle collezioni private di Giovanni Biancardi (Milano) e Antonia e Roberto Tissoni (Genova), che ringrazio di cuore. Altre copie in BCCMi, VETVA.HVETVAR.14 e ASCMi, Triv. H. 1461.2. 2 BNBMi, Misc. 1277/4. 3 Ci siamo serviti dell’esemplare presente in BAMi, SC.L. IV 78/16; altre copie si trovano in BCCMi e in ASCMi.
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nota al testo La mia profonda riconoscenza va anche ai bibliotecari e agli archivisti che hanno reso possibile le consultazioni, in primis i collaboratori dell’Ambrosiana e della Braidense di Milano. A Barbara Scalvini (Quaritch, London) e a Maddalena Piotti (Queriniana, Brescia) un forte abbraccio.
S TOR IA DEL TES TO Il libro delle Odi gostino Gambarelli,1 editore nel 1791 della prima raccolta delle Odi (vd. Le edizioni, G), nell’Avviso posto in apertura della silloge di ventidue componimenti sottolineava a malincuore di non essere riuscito a strappare al maestro il consenso per pubblicare altro2 se non quanto impresso precedentemente e singolarmente dai torchi. Di fatto non tutte le odi erano già state stampate, molte di esse circolavano manoscritte in varie copie; l’elenco dei testi già editi comprende L’innesto del vaiuolo, La vita rustica, Il bisogno, La laurea, La recita de’ versi, La tempesta, Le nozze, La caduta, Il pericolo, La magistratura, In morte del maestro Sacchini, La gratitudine. Dalle pagine prefative si ricava la necessità di un volume che trova la sua ragion d’essere nell’affermare la precisa volontà autoriale contro «raccoglitori sconsiderati, e stampatori rapaci» e indica come obiettivi la «fedeltà» e la «correttezza del testo». Soltanto nell’Indice, molto esteso, come vedremo, il curatore del volume riuscirà, tra le note utili all’intelligenza dei testi, a inserire quattro sonetti: Ecco, del mondo è meraviglia e gioco; L’estro; Il lamento d’Orfeo; Tanta già di coturni, altero ingegno. Il lavoro di revisione globale dei componimenti è volto innanzitutto a salva-
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1 Contrastanti e scarse le notizie su Agostino Gambarelli: le fonti maggiormente accreditate lo danno nato a Fara Novarese nel 1747 e morto suicida nel 1792. Di umili origini, fu poeta, maestro d’inglese e traduttore; documentata la sua permanenza a Londra nel 1784-85, per sedici mesi, con la perorazione di Parini per Baretti; neppure in Inghilterra riuscì però ad avere fortuna: fece dunque ritorno a Milano dove si impiegò presso Maria Beatrice, arciduchessa d’Austria, come maestro d’inglese, ma perse l’impiego subito dopo. Tra i suoi lavori più noti, oltre alle traduzioni, il sonetto Laurea della Signora Pellegrina Amoretti, la canzone Omai di bronzi e marmi per il busto marmoreo del Parini scolpito da Giuseppe Franchi, il sonetto dedicato ad Andrea Appiani come ringraziamento per avere ricevuto un ritratto dal pittore. Cfr. Matteo Ubezio, L’Inghilterra vista da vicino. Note barettiane a uso dei connazionali, “Acme”, lxiii, 2, maggio-agosto 2010, pp. 171-211, a pp. 200 sgg. 2 «Tante altre cose […] è forza che se ne stiano per al presente dov’elle sono»; cfr. l’Avviso dell’Editore che riportiamo integralmente prima delle Odi, in coda alla Storia del testo.
48 storia del testo guardare il diffondersi di testi talmente travisati da non potersi più considerare d’autore. L’editore dunque, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni del poeta,1 copia, trasceglie e raccoglie le prime stampe occasionali di molte odi antiche, ma il lavoro coinvolge Parini in prima persona e si spinge fino all’emendamento di un aggettivo in un sonetto inserito nell’Indice.2 Il rigore correttorio del poeta non si limita alla parola o ai singoli testi, che andranno perdendo nella maggior parte dei casi il carattere di occasionalità per cui erano stati composti e spesso mutati o alleggeriti nella struttura strofica: la volontà è quella di perseguire un ordinamento preciso, di conferire unitarietà a un’opera improntata alla circolarità e alla rispondenza anche metrica delle composizioni,3 in linea con il canone oraziano,4 che autorizza l’alternanza di temi politici e privati e la convivenza di stile alto e leggero. Il lavoro di Gambarelli, diciamo anticipando quanto emergerà meglio dalle introduzioni filologiche che premettiamo a ogni singola ode, risulterà centrale nell’allestimento del corpus del libro del ’91, e spesso la fase preparatoria della silloge è riscontrabile in un faldone manoscritto tutto di sua mano, rubricato nelle carte ambrosiane sotto la segnatura III 8.5 In tale incarto sono raccolti duecentodue fogli che a causa della loro scarsa organicità hanno ricevuto poca attenzione dagli studiosi, a partire dallo stesso Guido Mazzoni, la cui opera è stata decisiva nel numerare e organizzare il materiale disperso. Le carte, vendute dai nipoti di Parini e acquistate dall’allievo Francesco Reina6 nel 1801, appena rientrato 1 Sappiamo che Gambarelli lavora da ben cinque anni a fianco di Parini da una Prefazione alle Odi scartata, presente nel Fondo Pariniano della BAMi (S.P. 6/5 XII 4 20) recentemente stampata in Appendice documentaria da Paolo Bartesaghi in Studi Ambrosiani di Italianistica, Roma, Bulzoni, 2011, pp. 197-198. 2 A p. 170 della stampa, al v. 6 de Il lamento d’Orfeo, una copia di G proveniente dalla collezione privata di Giovanni Biancardi, in luogo di bel riporta tuo, corretto successivamente dal poeta per implicazione con il tua del verso successivo. Tutti gli altri esemplari da me consultati risultano concordi nell’indicare bel. 3 Per ciò si veda Ebani, p. xiv sgg., in cui la studiosa prende in esame le strutture metriche di ogni testo. 4 Postera crescet laude recens. Tratta dall’ultimo testo del iii libro dei Carmina (exegi monumentum aere perennius […] postera crescam laude recens) e posta alla terza persona, la dichiarazione oraziana di gloria eterna funge da vero e proprio trait d’union tra le raccolte liriche dei due poeti. 5 BAMi, S.P. 6/2 III 8. 6 Cfr. Francesco Novati, Per la storia dei deportati del 1799 – La «Via crucis» di Francesco Reina, «La Lombardia nel Risorgimento italiano», i, Milano, 1914, pp. 10-23.
storia del testo 49 a Milano dopo la deportazione in Croazia, in seguito dal poeta e traduttore Felice Bellotti,1 furono infine donate alla Biblioteca Ambrosiana, ove sono tuttora custodite. Nella seconda cartella del Fondo Parini, sulla busta che funge da tavola sinottica all’incarto, Mazzoni appone la dicitura: «Copie di rime per mano di A. Gambarelli»; in un foglio doppio, piuttosto consunto, interno agli sparsa, un’altra grafia, a matita, titola genericamente: «Fogli volanti Gambarelli H 49 ½»; altre aggiunte di numeri, in alto a destra, sono di mano di Alberto Chiari: niente dunque, dalla consultazione dell’indice e della busta che contiene il cospicuo faldone, lascerebbe supporre la presenza dominante di odi, addirittura quattordici, nella stragrande maggioranza dei casi calligrafiche, che si susseguono unitamente alle testimonianze più disparate. Il III 8 si rivela per la genesi della stampa del ’91 un prezioso strumento preparatorio,2 dal momento che l’editore si serve in molti casi proprio di tali fogli per approntarla sotto la guida del poeta: sono questi i luoghi in cui preferibilmente l’allievo numera le strofe, pone in alto la datazione del componimento, elimina, se sovrabbondante, la dicitura ‘Ode’, pone delle crocette ai margini del testo laddove Parini riconosca l’esigenza di tornare a correggere, o di mutare le titolazioni. Non è stato ritrovato alcun quaderno di servizio, né probabilmente se ne ravvisava la necessità da parte del poeta e dell’allievo che insieme potevano esercitare il lavoro di lima, di revisione e di reperimento dei materiali basandosi sugli autografi, sulle copie di mano del Gambarelli stesso e sulle stampe già esistenti, come, ad esempio, nel caso de La laurea che, in quanto decimo testo della raccolta, registra il numero ordinale, siglato da Gambarelli, e la correzione del titolo direttamente sulla vecchia edizione utilizzata, come in molte altre occasioni, a mo’ di canovaccio per l’allestimento del volume. Le edizioni successive Sempre del 1791 la replica di Niccolò Orcesi, di Piacenza, e quella di Parma di Giambattista Bodoni che intende onorare i versi pariniani col suo prezioso torchio: quest’ultima probabilmente resa 1 Per ciò si rimanda ad Alberto Cadioli, Le carte di Felice Bellotti, in Ballarini et alii, cit., pp. 457-478. 2 Cfr. Giovanna Benvenuti, op. cit., pp. 90 sgg.
50 storia del testo necessaria proprio dalla scorrettezza dell’edizione piacentina;1 nel 1793 un’altra stampa, a Pavia, da parte degli Eredi Galeazzi. Nel ’99, anno della morte di Parini, altre due compagini riproducono nella sostanza G: la prima, ancora dai torchi bodoniani, è una ripresa della princeps, con una Giunta d’altre Odi, nell’ordine: A Silvia, Alla Musa, Per l’inclita Nice; l’altra, curata dal Pirola, in un unico volume dopo il Mattino del 1763 e il Mezzogiorno del 1765, è identica a G per le prime ventidue composizioni, cui fa seguire Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa, come si vede in un diverso ordine rispetto a quello della pregevole stampa parmigiana.2 Nel secondo volume delle Opere di Giuseppe Parini,3 Reina, nel 1802,4 in qualità di unico possessore degli autografi, si arroga il diritto di fornire un canone diverso: non intendendo la complessa tramatura sottesa alla princeps, espunge dalla raccolta testi quali Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe e Alceste, mantenendo La primavera e Il brindisi tra le Canzonette e disponendo in successione i testi delle venti odi (diciassette tratti dalla princeps, più le ultime tre odi tarde) secondo un criterio cronologico5 soggetto al suo gusto personale che lo porta a eliminare i componimenti giudicati troppo lievi oppure sconvenienti per motivazioni politiche. Senza dubbio influisce su di lui la volontà di sminuire il lavoro del precedente allievo: di qui le rivelazioni che il poeta gli avrebbe fatto circa le tre composizioni improvvise, Il Piacere e la Virtù, Piramo e Tisbe e Alceste, immesse nella raccolta del ’91: «Dolsegli amaramente, che Agostino Gambarelli gliele pubblicasse fra le odi: “Voi arrischiate”, gli disse, “di farmi perdere quel po’ di buon nome, che mi meritarono le mie fatiche”»,6 pur riconoscendo l’affetto che Parini, reso inconsolabile «sopra ogni credere» dalla morte dell’«aureo suo discepolo che per disperata malinconia si trafisse colla spada»,7 1 Per ciò vd. William Spaggiari, L’edizione Reina, in Interpretazioni e Letture del Giorno, a cura di Gennaro Barbarisi e Edoardo Esposito, Bologna, Cisalpino, 1998, pp. 136-137. Per le edizioni cfr. Bustico, pp. 45-46 nn. 213-215. 2 Sia Salveraglio sia Isella hanno riscontrato la singolarità di quest’ultima edizione; cfr. Salveraglio, p. lix e Isella, p. xxxvi. 3 Vd. Edizioni, R. Il volume comprende le Poesie Liriche distinte in Sonetti, Odi, Canzonette, Frammenti. 4 Anche se esistono discordanze tra le date che appaiono nei frontespizi e quelle dell’effettiva pubblicazione; il vol. ii, per esempio, uscirà effettivamente nel 1803. 5 Stesso atteggiamento, anzi ben più reciso, tenne col Ripano che addirittura scompare come raccolta. 6 Reina, i, pp. xl-xli. 7 Reina, i, p. lvii.
storia del testo 51 nutriva nei confronti del primo editore. Nel dare in stampa le opere complete del maestro, Reina incorre però in alcuni errori, addirittura due apocrifi, già rilevati da Isella,1 nonostante dichiari di possedere un «volume che disegnava egli [il poeta] di stampare, e che per buona ventura mi venne alle mani, allorchè credevasi fatalmente smarrito».2 Di certo però Reina non è riuscito ad accedere a molti testimoni: l’attenta collazione delle varianti da lui riportate fa emergere la mancata acquisizione, ad esempio, del ms. confluito nella Miscellanea Morbio (BNBMi Morbio 17), del fascicolo della stessa mano presente in BAMi (S. P. 6/11 Miscellanea Pariniana) e del quaderno di Carlo Schiera (ora nella collezione privata di Francesco Pozzi). Nel 1814 un altro allievo del poeta, Giuseppe Bernardoni, pubblica Poesie scelte di Giuseppe Parini, un’antologia di testi3 in cui le odi soggiacciono ad un canone più restrittivo che situa Le nozze tra le Canzonette, oltre a La primavera e Il brindisi, già relegate dal Reina a tale sezione, e mantiene il rifiuto per Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe e Alceste. Dall’avvertenza Ai Leggitori emerge il carattere di un’edizione che si prefigge di «porre tra le mani dei giovani, studiosi dell’amena letteratura, quanto di meglio è uscito dalla penna del nostro Parini», in una raccolta «comoda e di poca spesa» e priva di «Varie Lezioni». Quanto al testo delle odi, Bernardoni corregge la stampa del 1791 seguendo la tavola degli Errata, assume i titoli delle singole composizioni dalla princeps, inserisce molti segni interpuntori e grafici, optando per la forma sdoppiata delle preposizioni articolate,4 puntualizza alcune date nelle note esplicative, che risulteranno comunque molto più asciutte rispetto alla prima edizione, e aggiunge una precisazione metrica per La caduta desunta direttamente dalla lettera inviatagli dal poeta l’11 novembre 1795;5 fa poi seguire il testo delle tre ultime grandi odi. Nelle pagine introduttive, Bernardoni indica quale fondamento del suo lavoro 1 Isella, p. xxvi. 2 Reina, i, p. v. In tale volume, le odi espunte sarebbero state cancellate da Parini; in realtà, come ben intese Chiari, p. 6 n. 1: «la croce non doveva, dunque, significare disapprovazione, ma richiamo», segnalando dunque la scelta di Parini in una piuttosto che in un’altra direzione legata alle diverse raccolte. Sulla questione del ‘volumetto’ tutti gli editori moderni hanno a lungo dibattuto, dal momento che non è stato mai ritrovato tra le carte pariniane. Cfr. le conclusioni cui arriva Isella, pp. xxx sgg. 3 Vd. Edizioni delle Odi, Bm. 4 Ai Leggitori, p. ix. 5 Cfr. Viola 2013, p. 229.
52 storia del testo un esemplare delle Odi impresse in Milano nel 1791, in cui Parini avrebbe cancellato alcuni testi e dal quale l’editore desume le scelte: unica eccezione, La primavera, che ha giudicato opportuno ritenere, perché può insegnare ai giovani «come anche un trito argomento trattare si possa con eleganza e con nobiltà di stile».1 Tra queste tre raccolte fondamentali di odi si situa quella più rara2 e più densa di incognite, impressa da Bolzani a Milano, priva sia del nome del curatore sia soprattutto dell’anno di stampa. Trattasi di un’edizione di venticinque componimenti, i primi ventidue mutuati dalla princeps con l’aggiunta di Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa, che ha da sempre fatto discutere per la sua datazione, dal momento che non vi è alcuna notizia nei registri di archivio. Assegnata da Fumagalli al 1798 o 1799,3 Bustico la situa al 1795;4 in anni a noi più prossimi, Isella la colloca al 1795 e individua il curatore in Bernardoni basandosi sulla lettera del poeta che contiene le indicazioni metriche circa il v. 60 de La caduta.5 Tuttavia Felcini6 sottolinea la mancanza di prove documentarie per una sicura datazione, mentre Carrai afferma che «non può essere anteriore al novembre del ’95 né posteriore ai primi mesi del ’96».7 Decisivo ai nostri fini l’intervento di Giovanni Biancardi8 che, nell’esaminare le caratteristiche tipografiche del volume, ha notato come la fattura del frontespizio, con fregi più consoni all’età della Restaurazione, e soprattutto molti elementi del ritratto, un Parini dagli abiti e dall’acconciatura «tutt’altro che settecenteschi», portino verso una datazione certamente più tardiva di tale parte dell’edizione. Il frontespizio e il ritratto non fanno parte del primo fascicolo del volume e dunque l’allestimento del testo deve 1 Cfr. Ai Leggitori, p. vii. 2 Mazzoni la definisce «negata» (p. 127); dichiara di possederne un esemplare mutilo delle prime pagine e ammette di non volersi arrischiare a risolvere il dubbio che Salveraglio dedusse dal Melzi (Dizionario di opere anonime, Milano, Pirola, 1859, iii, 289) circa la datazione; al margine inferiore del foglio di risguardo della copia presente in BNBMi (Sala Foscol. I. 27), si legge il seguente appunto manoscritto: «Edizione rara. Vedi Fumagalli Albo Pariniano nº 7. Catalogo Zanichelli L 5. La da [sic] come 1795 – forse è del 1797-98»; in alto un’altra grafia, più antica, postilla: «Riccordati [sic] di Rota. Invendibile». 3 Fumagalli, p. 16, nº 7. 4 Bustico, p. 46, n. 216. 5 Riportate in nota «tale e quale»: Isella, p. xxiii. 6 Furio Felcini, Dell’ordinamento e del canone delle Odi pariniane, «Studi e problemi di critica testuale», 16 (1978), pp. 99-127. 7 Carrai, p. xii. 8 Giovanni Biancardi, Il Mattino e altri Parini, «Wuz, La rivista del collezionista di libri», i, 2002, pp. 32-39, a p. 39.
storia del testo 53 essere avvenuto in due momenti diversi: il curatore ha approntato un’idea di stampa seguendo l’edizione Gambarelli integrata dalle Correzioni e dai dati successivi – la lettera di Parini a Bernardoni e le ultime grandi odi – ma i rivolgimenti storici, dalla Lombardia austriaca fino al ’96 a quella francese degli anni successivi, ne hanno scoraggiato la pubblicazione. Dopo la morte di Parini, che, ricordiamolo, non diede mai il consenso a pubblicare una sua opera con la propria effigie, alla stampa viene aggiunto un frontespizio più tardo e un ritratto poco pregiato del maestro, in abiti che mal si conciliano con la moda di fine secolo, pessima copia della stampa incisa da Raffaello Albertolli che raffigura il poeta in un costume romano: un’opera ben più raffinata e datata con certezza 1796.1 L’epigrafe oraziana sottesa al ritratto è la medesima in entrambi i casi: non solo per la scelta dei versi, ma anche per la disposizione dei caratteri, la spaziatura e le omissioni,2 e il poeta, in una posa che lo ritrae di profilo, è rivolto a destra nell’edizione Bolzani, mentre, nella stampa dell’Albertolli, in cui con i capelli alla Bruto veste abiti romani, si volge a sinistra: segno evidente del legame tra le due immagini.3 L’edizione manca di una Prefazione, mantiene la struttura della Gambarelli, con l’indice in esteso cui fa seguire le ultime composizioni e le relative datazioni, assume per lo più le Correzioni dalla princeps ma è priva di un qualsivoglia riferimento personale al maestro ed è portatrice di alcune sviste. I luoghi del testo più interessanti ai nostri fini si trovano nell’Indice, a p. 151, in cui, in riferimento all’ode xii (p. 61, Stan. i), si riporta un verso mutato per errore: Osa portar novelle genti al popolo (in luogo di polo) e, sempre nell’Indice, a p. 154, per l’ode La caduta (p. 76, Stan. i), si riassume la lettera pariniana anziché trascrivere il 1 L’immagine di Parini è analoga a quella del busto scolpito dal Franchi nel 1791 e poi donato alle scuole di Brera; vd. Biancardi, cit., p. 39. 2 La citazione segue l’ovale del ritratto; al primo rigo, solo il pronome mihi preceduto e seguito da numerosi puntini sospensivi in luogo del v. 37 dell’ode oraziana (vestiunt lanae; mihi parva rura et); questa l’epigrafe completa: «…mihi… / Spiritum Grajae tenuem Camoenae / Parca non mendax dedit, et malignum / Spernere vulgus / Horat. Od. xvi. Lib. ii.». Vd. il controfrontespizio dell’edizione Bolzani, e Fumagalli, nº 6. 3 Già Fumagalli, p. 16, nº 7, affermava: «nulla c’è del tipo del P.[arini] e nemmeno c’è alcun valore artistico. Si confronti però col ritratto riprodotto al num. preced. [quello dell’Albertolli in costume romano] col quale sono molti punti di somiglianza a cominciare dall’identità dei versi latini apposti come epigrafe. Le dimensioni però sono assai più piccole».
54 storia del testo passo originale (da noi riportato alla n. 3) che precisa la metrica del v. 60; l’editore, inoltre, si sente autorizzato ad aggiungere un altro esempio (gioja) a quello del poeta circa l’uso dei dittonghi e trittonghi (noja). Abbiamo rilevato, inoltre, alcuni errori congiuntivi con l’edizione delle Odi di Pietro Agnelli del 1816 che potrebbero far pensare a un legame tra queste due edizioni;1 la stampa Agnelli del 1816 legge infatti i medesimi refusi alle pp. 116 e 118 dell’Indice, anche qui in esteso. Nel 1814 Bernardoni fornirà, invece, come abbiamo visto, una raccolta di odi orientata a un canone preciso, attribuendosi la piena responsabilità della silloge e senza mai alludere a una edizione precedente da lui curata:2 si riferisce a Gambarelli e a Reina citandoli nella prefazione, si intrattiene a spiegare distesamente il suo rapporto col maestro e riporta fedelmente un passo della lettera pariniana, esplicitandone la datazione, utile alla corretta lettura metrica del v. 60 de La caduta;3 nell’approntare il volume di Poesie 1 Vd. Callisto Calderari, Editoria e illuminismo fra Lugano e Milano, prefazione di Mario Infelise, postfazione di Giovanni Pozzi, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005; a tutt’oggi imprescindibile per la completa disamina sulla famiglia di stampatori, il volume di Pietro Borgo-Caratti, La famiglia Agnelli tipografi in Milano dal 1625 ad oggi, Milano, Agnelli, 1898. 2 Non si trova alcun riferimento neppure nella sua Per Giuseppe Parini considerato specialmente come poeta morale e civile. Epistola in versi del 1848, coi tipi di Giuseppe Bernardoni di Giovanni, in cui le Testimonianze concernenti Giuseppe Parini sono molteplici; l’assenza di allusioni ad una precedente edizione da parte di Bernardoni in entrambe le opere dedicate a Parini venne notata già da Salveraglio, p. lviii: «Se dovessimo credere al Melzi un’altra edizione delle odi pariniane sarebbe stata fatta a Milano, vivendo ancora il Parini, presso il Bolzani coll’aggiunta delle tre odi per l’inclita Nice, a Silvia e alla Musa scritte dopo il 91. In questa edizione si sarebbero, secondo il Melzi, replicate le dichiarazioni del Gambarelli e si sarebbe aggiunta dal nuovo editore una nota all’ode la caduta, per giustificare il verso Noia le facezie e le novelle spandi. Ma il Melzi non sa se questa edizione sia stata fatta alla fine del 1795 o nel susseguente 1796, e la dice senz’anno, nè sa se sia in 8º piccolo o in 16º; ed è lecito credere che l’autore del Dizionario di opere anonime sia stato tratto in errore dalla lettera che nel novembre del 1795 il Parini scrisse a Giuseppe Bernardoni, il quale certamente avrebbe parlato di questa edizione in quella che fece poi nel 1814 o nelle note che seguono l’Epistola per Parini considerato come poeta civile». 3 «Credette taluno, che questo verso non fosse esatto; ed in alcun’edizioni si leggono sostituiti ad esso i seguenti: Noja gli scherzi e le novelle spandi. Noja facezie, o pur novelle spandi. L’Autore, in una sua lettera degli 11 di Novembre del 1795, così scriveva al pubblicatore del presente volume: “Circa il verso noia le facezie ec. Ella potrà dire, che nelle altre edizioni dopo la prima di Milano vi si sono fatti de’ cangiamenti per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione Toscana, ed agli esempj de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole, che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola noja ec.”». Cfr. Bm, p. 193.
storia del testo 55 Scelte, l’allievo, non conservando, per le ragioni sufficientemente chiarite dalla titolazione, l’unitarietà della prima edizione, mostra estrema pacatezza e sobrietà nelle annotazioni1 e non il piccato risentimento di Reina («Credette qualche idiota, che questo verso non fosse esatto, e vi sostituì di proprio talento. Noja gli scherzi e le novelle spandi»),2 né si prende le libertà dell’editore della stampa Bolzani. La fedeltà al maestro si dimostra nel fare sue le direttive, espresse nell’epistola, di non rendere manifesto alcun riferimento alla destinataria dell’ode All’inclita Nice,3 di non inserire alcun ritratto del poeta, ma di porsi invece in continuità con il suo magistero didattico: sono gli studenti i naturali destinatari della raccolta ed è per questo che l’editore decide di inserire tra le odi il testo de La primavera, sebbene sia cassata nel suo esemplare. Da allievo riconoscente rende omaggio al maestro nel denominare Ai Leggitori la premessa al volume, citando così la pagina prefativa del Ripano. La presente edizione Leggendo come squisitamente pariniana la struttura e la lezione della prima raccolta del 1791, con la curatela dell’allievo Gambarelli, questo volume ne riconosce la piena validità adottandola come testo per le 22 odi che contiene; a tale raccolta organica si faranno seguire le prime edizioni delle ultime tre grandi odi, riservando all’apparato le lezioni dei manoscritti reperiti, quelle della stampa Bolzani, di cui non abbiamo riscontri certi, e quelle curate da Reina nel 1802 e da Bernardoni del 1814. La presente edizione mira dunque a offrire un quadro complessivo di quelle che furono le scelte editoriali di Parini riguardo al genere ‘ode’, mettendo in evidenza come le raccolte successive alla princeps, seppure significative nella loro valenza storico-documentaria, non riescano più a essere conformi ai dettami del primo volume. 1 Come esplicitamente richiesto da Parini: «qualora le paia di dovervi apporre qualche note, queste siano modestissime e semplicissime, senza rimprovero nè diretto nè indiretto di cosa o di persona veruna». Cfr. Viola 2013, p. 229. 2 Cfr. Reina ii, p. 140. 3 Diversamente dal Reina che esplicita in nota il nome della nobildonna nonostante il dichiarato veto del poeta: «La Canzone all’inclita Nice non amo che abbia nota veruna indicante la persona a cui è supposta diretta»; Viola 2013, p. 229. Evidentemente Parini scrive dopo l’edizione dell’ode nell’Anno poetico (vd. Edizioni S. C. n. 15), in cui uscì col titolo Alla contessa Maria Castelbarco.
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storia del testo Volume che vedrà la sua compiutezza una sola volta nel 1791, ma nell’itinerario mentale di Parini continuerà ad ampliarsi perfezionandosi attraverso la scrittura successiva: in tal modo potrebbero spiegarsi i numerosi Frammenti di Odi,1 apparentabili al corpus per qualità di dettato e di architettura metrica, degni di nota perché gettano luce sulla sua officina, idealmente compresi in un disegno complessivo che trova la sua motivazione anche e soprattutto nel suo essere «non finito»2 e di conseguenza ulteriore. In direzione unitaria riteniamo sia possibile interpretare anche la scelta del poeta, che noi assumiamo, di indicare, due anni più tardi rispetto alla sua composizione, nella lettera3 al Bernardoni, mediante il titolo All’inclita Nice, il componimento che negli autografi riportava la preposizione Per: contemporaneamente alla stesura delle ultime due odi, e dunque per uniformità, Parini potrebbe avere deciso di adottare la medesima preposizione di A Silvia e di Alla Musa. Per contribuire alla ricostruzione della fortuna del testo di A Silvia, si è deciso di farlo seguire in corpo minore dalla traduzione in milanese di Francesco Bellati,4 edita in un opuscolo separato, ma dai medesimi tipi e nel medesimo anno di quello pariniano; similmente, nell’ottica di una migliore contestualizzazione, dopo Alla Musa si è aggiunta L’Amicizia, l’ode dell’allievo Febo d’Adda, uscita dallo stesso torchio, nello stesso anno e con la curatela del discepolo che si occupò di fare stampare anche il testo del maestro seguendo fedelmente le sue indicazioni.
1 Che troveranno la loro adeguata collocazione nei volumi delle Poesie Varie di questa Edizione Nazionale. 2 La felice espressione è di Franco Fido, Le ‘altre’ odi del Parini e la sindrome del non finito, «Italica. Journal of the American Association of teachers of Italian», 77, 1, 2000, pp. 14-25, a p. 14. 3 Cfr. Carrai, p. xii: «Per inciso, il riscontro con la lettera obbliga a prospettare un problema relativo alla titolazione dell’ode, che Parini indicava per ben due volte come All’inclita Nice, con la stesa preposizione del titolo comparso nell’‘Anno poetico’». 4 A tale proposito, si veda quanto annotato da Bernardoni nella sua Epistola, cit., pp. 43-44: «Carlo Porta la stava traducendo in ottonarj; e già dalle strofe ch’egli mi aveva mostrate e che la facevano giugnere poco meno che alla metà, poteva giudicarsi bellissimo lavoro: quando si vide comparire stampata e distribuirsi in gran copia di esemplari e leggersi publicamente quella di Francesco Bellati, col titolo Ode a Silvia molto bella».
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Criteri editoriali Per rispettare il più possibile le finalità della princeps del 1791 si è scelto di trascrivere per intero l’Avviso dell’Editore, in coda alla Storia del testo, mantenendone la grafia originale, le maiuscole, le abbreviazioni e l’interpunzione. Nella pagina introduttiva a ogni ode, si riportano in ordine i testimoni utili a ricostruire la fase correttoria del testo fino all’editio princeps – la Gambarelli per le prime ventidue, le rispettive prime edizioni per le ultime tre – che segna dunque una fase di demarcazione netta cui seguiranno le revisioni delle stampe successive a opera dei diversi editori; in tale apertura filologica verrà ripercorsa la storia di ogni singolo componimento. Si è cercato poi di preservare la leggibilità dell’apparato relativo a ogni testo evitando un’eccessiva frantumazione: le versioni primigenie1 delle odi che avevano avuto una redazione molto lontana nel tempo sono state spostate in calce, mentre le varianti dei manoscritti, siglati in minuscolo, e poi delle stampe, rubricate in maiuscolo, sono state inserite in un’unica fascia che unisce sia le varianti instaurative, sia quelle evolutive. Grazie alla linea tracciata dalla princeps, all’ordine seriale dei testimoni e alla distinzione minuscolo/maiuscolo dei manoscritti e delle stampe sarà agevole distinguere la prima fase dalla seconda. In sintonia con le finalità dell’Edizione si è cercato di ridurre al minimo le note esplicative, stante l’abbondanza di ottimi e recenti commenti, cui necessariamente si rinvia. Per tutte le odi si è operata una scelta nella grafia e nell’interpunzione, assolutamente conservativa, comprese le dieresi, gli accenti, le maiuscole, le consonanti doppie/scempie, ma anche i caratteri inerenti la titolazione dei singoli testi o i dedicatari, intervenendo unicamente per sciogliere il segno =, con i due punti seguiti da virgolette, perché non più in uso e abbassando la seconda lettera della prima parola che la stampa del ’91 riporta in maiuscolo. Per le prime ventidue odi si è tenuto conto delle Correzioni presenti nell’ultima pagina della Gambarelli,2 segnalandole di volta in volta nell’introduzione e in 1 L’utilità di una lettura testuale unitaria anche delle composizioni originarie è stata sottolineata tra gli altri da Tizi, pp. 11-30; Gennaro Barbarisi, Giuseppe Parini, in Storia della Letteratura Italiana, dir. da Enrico Malato, vi, Roma, Salerno Editrice, 1998, pp. 592-593; Carrai, p. xvii. 2 Gli esemplari di G da me consultati non risultano sempre concordi nella lezione; gli errori comuni a tutti sono stati rinvenuti nell’Indice: una sbadataggine a p.
58 storia del testo apparato unitamente alle differenti lezioni degli editori successivi; si vedrà facilmente come a ognuno di loro pertenga un criterio personale e generalmente uniforme di scrizione delle preposizioni e di accenti grafici, oltre che di maggiore o minore abbondanza di segni interpuntivi. Infine è stato eliminato il punto fermo che chiudeva il titolo di ogni singola ode. I pochi errori di G che abbiamo emendato si riferiscono all’ode xvi.59 in cui Fiere, incongruo con il sostantivo, è da leggersi come Fiero, e all’ode xix.5 per la preferenza della geminata porterebbon in luogo della scempia porterebon, oltre al vivace per vicace in xxii.247; nei casi in cui, invece, sia stata riscontrata solo in alcuni esemplari la presenza di piccoli refusi tipografici, se ne è data notizia nella nota filologica di apertura (vd. xi.73 e xxii.90). Per il testo delle ultime tre odi, estranee al corpus del ’91, ci si è affidati alle prime edizioni; risultando corrette quelle di A Silvia e Alla Musa, si è reso necessario intervenire unicamente su quello di All’inclita Nice per emendare al v. 12 piacere per pensiero perché svista di S, al v. 15 Tutto per Tutta perché incongruo con il sostantivo femminile cui si riferisce, e, nello stesso verso, veggio per vegg’io perché lectio facilior; al v. 56 se è stato cambiato in sè perché pronome, al v. 67 portando i in portando a i perché semplice svarione; infine al v. 107 s’appressano per s’apprestano perché lezione semplificatoria della sola S. Sono state rispettate le oscillazioni grafiche peculiari al modus scribendi del poeta, tanto più che neppure le stesse correzioni di Parini si possono riportare a livello di una completa unitarietà testuale, come appare dalle diverse lezioni e dalle varianti che registrano, ad esempio, astrigne i.89, ma cinge iv.8, a evitare la fastidiosa iterazione del gruppo gn presente e inamovibile al v. 5, dove si trova Bisogno (titolo dell’ode omonima) e costringere in All’inclita Nice.3; stesso dicasi per la preferenza generalmente accordata ai 163, dove si pospone il titolo dell’ode x alla nota a essa relativa, che contiene a sua volta uno svarione (ungenti per unguenti); a p. 165 si trascrive polo in luogo di popolo; un altro refuso a p. 168, dove, per l’ode xvii si indica il titolo Piramo, e Tisbe, mentre nel testo la virgola è assente; a p. 175, in riferimento alla Stanza ii della xxii, si riporta in modo errato un verso (quel al posto di quello). Sempre nell’Indice, la copia servita per l’anastatica (vd. Carrai) riporta un errore a p. 164, soguito per seguito e un altro a p. 167, è venerabile in luogo di e venerabile; molto scorretta è risultata la copia conservata in BAMi (S.Q.O.IV. 37), con errori materiali nel testo dell’ode ii (vd. Introduzione filologica relativa). A tale proposito, vista la difformità dei testimoni, sarebbe auspicabile approntare un sistematico censimento degli esemplari dell’edizione Marelli.
storia del testo 59 sostantivi in -ade, -ude piuttosto che -ate, -ute, non seguita però in vii.37 sempre per ragioni di eufonia. Se a livello variantistico la cura del poeta per i particolari fu minuziosissima e analogo ci appare il suo rigore nel sottolineare una precisa finalità di discrezione, unitamente alla volontà di non ferire alcuno, e alla parsimonia e modestia delle note, d’altra parte sappiamo dall’epistolario che Parini per i particolari grafici e interpuntori accordò piena libertà ai suoi allievi-editori come Bernardoni e d’Adda, certo della loro scrupolosa perizia, ma anche consapevole di come tali particolari mutino col mutare dei tempi. Mirella d’Ettorre
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AV VIS O DEL L’ EDITORE .1 a sorte che questi componimenti hanno corsa da tanti anni in quà, è stata
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appunto quale ed essi e il loro Autore si meritavano. Il pubblico non ha mai cessato di andarli rammassando con una avidità proporzionata al conto che ne faceva: l’Autore non si curò mai di raccoglierli, e darli fuora stampati; ed essi frattanto ci avevano fatto il guadagno di passare da una mano all’altra, e da questa a quella città, tanto infedeli e scorretti e mutili e svisati, da non potersi talvolta più riconoscere per fattura dello ingegno che li aveva prodotti. Questo disordine era sempre doluto ad ogni amatore della buona poesìa: ma gli amici soprattutto dell’Autore non se ne potevano dar pace. Le istanze di questi a lui non furono nè scarse, nè tiepide. E benchè l’Ab. Parini sia ornato di quella tanta gentilezza, e di quel dilicato senso d’amicizia, che ognun sa; tuttavia, la sua estrema modestia, e una ripugnanza a lui naturale al correre attorno soverchio facilmente in istampa, prevalsero finora alle brame ed ai conforti de’ suoi tanti lodatori, ed amorevoli. A uno tra questi, nè certo de’ meno assidui e fervorosi, venne finalmente sentore di una edizione che stava per intraprendersi altrove di poesie di quest’uomo. Raccoglitori sconsiderati, e stampatori rapaci, che bei servigi e che decoro non sono atti a rendere a uno scrittore di vaglia, ed alle buone lettere? Cotale edizione, oltre alla fedeltà ed alla correttezza del testo; requisiti sì poco necessarj in questo genere di scritti; sarebbe ancora per soprammercato stata impinguata di quelle graziose balorderìe, con le quali altri ha tentato, quando a penna, e quando a stampa, di nobilitare vieppiù il nome dell’Ab. Parini. Ma fuor di scherzo. Un pericolo di questa fatta, oltre le ragioni già addotte, doveva eccitare tutti gli amici ed ammiratori del nostro Poeta a raddoppiare la forza delle loro esortazioni. Non mancarono essi a lui, nè egli a sè stesso; accordando da ultimo (però sempre al suo modo) a quegli fra loro poco sopra accennato, la facoltà di pubblicare queste Odi, e non più. A queste sole adunque ha dovuto l’Editore limitar per ora il suo desiderio. Tante altre cose, e di questo e di diverso genere, specialmente del giocoso: tante prose, quali versanti sulle belle arti e sulla erudizione letteraria in generale, quali attenenti più in particolare alla facoltà che l’Ab. Parini da ben ventidue anni professa pubblicamente in Patria, è forza che se ne stiano per al presente dov’elle sono. Chiunque si pregia di gentilezza, e d’onestà, non crederà mai lecito lo stampare checchessia di un autor vivente, senza il di lui consenso; e per belle che l’opere ne sieno, e per inopportuna che possa sembrare la ritrosìa di lui nello aderirvi, più se ne asterrà chi più ne farà stima. 1 Presente nell’edizione del 1791 di 22 componimenti.
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avviso all ’ editore
Si può frattanto asserire con certezza, che qualunque Ode, sì edita, che inedita, che giri sotto il nome dell’Ab. Parini, e non sia compresa nella presente raccolta, è farina di tutt’altro sacco che del suo. Questo, soprattutto, importava all’Editore che fosse avvertito.
odi
I S (vd. Edizioni S. C. n. 1). m Miscellanea Morbio 17, pp. 66-74. a Ambr. II 1a. G 1-11 (note 159-161). B 1-8 (note 145-147). R 66-77. Bm 153-160.
Parini tende a snellire S, la prima stampa del ’65, con l’eliminazione di molte virgole e l’abbassamento delle maiuscole per natura, uom ecc.; introduce poi diversi cambiamenti nella grafia riconducibili al sistema correttorio del Giorno (Isella, p. lvi), v. 7 Dell’immenso per De lo immenso, v. 39 Ringiovenisce in luogo di Ringiovanisce, v. 91 venen per velen. m segue la prima edizione ma non le correzioni di a. G accetta tutte le correzioni di a, corregge qualche svista (al v. 19 Eroe diventa eroe), puntualizza la dieresi di superstizïon (v. 161) e armonïoso (v. 182) e ripristina qualche virgola eliminata in a; modifica inoltre la grafia di alcune parole, v. 49 lusinghevol’, v. 103 diseppellendo e vaiuolo nel titolo. B interviene sulla grafia di preposizioni quali a i, da gli, de gli, ma commette un errore nella scrizione di su l’ (v. 154) e riporta Insegnogli al posto di Insegnolli (v. 15), diversamente da tutti gli altri testimoni precedenti, ma in accordo con R e Bm: si tratta di una lectio facilior, che il poeta avrà espunto «per eliminare il fastidioso seguito di gno e gli» (Isella, p. 3) nella direzione di una migliore eufonia. R fa suoi molti cambiamenti di B tranne quelli interpuntori. Bm modifica l’interpunzione e la grafia secondo le regole esposte nella Prefazione delle Poesie scelte del 1814, con un ritorno a molte delle virgole soppresse e alla corretta lezione della preposizione sull’ al v. 154; risulta l’unica stampa a segnalare le dieresi, mentre B ed R adottano l’accento.
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giuseppe parini
L’ INNES TO DEL VAI UO LO al dottore giammaria bicetti de ’ buttinoni.
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All’intentato piano Titolo: Al signor Dottore Giovammaria Bicetti De’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’Innesto del Vajuolo Canzone di Giuseppe Parini S, Al signor Dottore Giovammaria Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce e promulga l’innesto del vajuolo. Canzone m a, L’i. del vajuolo Bm; dedica: manca in R Bm; nota all’Ode: Premessa alle Osservazioni sull’Innesto medesimo, fatte dal Dottor Bicetti, amico e Coaccademico dell’Autore, medico egualmente colto che giudizioso. Fu egli de’ primi nella nostra Lombardia a promovere la pratica di quella utile operazione, ed assolutamente il primo a stenderne un pubblico Trattato. – L’Opera di lui fu stampata in questa Città dal Galeazzi l’anno 1765, e venne universalmente applaudita G B, Al Dottore GIAMMARIA BICETTI DE’ BUTTINONI medico colto e giudizioso. Quest’ode fu posta in fronte alle osservazioni sull’innesto del vaiuolo da lui pubblicate nel 1765. Egli fu il primo in Lombardia a stenderne un trattato R, Al Dottore Giammaria Bicetti de’ Buttinoni, il quale fu uno de’ primi in Lombardia a stendere Osservazioni sull’Innesto del Vajuolo; e le fece stampare in Milano nel 1765. Quest’Ode era posta in fronte alle Osservazioni medesime Bm 1 Genovese] Genovese, B; nota: Cristoforo Colombo, quantunque nato in Savona, vien giudiziosamente per maggior nobilitazione denominato dalla Metropoli a cui era suddito G B, Colombo R, Cristoforo Colombo Bm 3 temi oimè] temi, oime, S, temi, ohimè! Bm 4 degli] degl’ S a B Bm, de gli R 5 ti] t’ S I . Strofa di nove versi secondo lo schema ABbCaddCC. Oltre a esprimere vivo rin-
graziamento al dottor Giammaria Bicetti per avere sperimentato con successo la vaccinazione contro il vaiuolo, l’ode intende fugare ogni pregiudizio riguardo all’opportunità dell’importante scoperta scientifica. 1 Genovese: cfr. nota G. 2 antenne: gli alberi delle navi; vd. Tasso: «Tu spiegherai, Colombo, a un novo polo / Lontane sì le fortunate antenne / Ch’a pena seguirà con gli occhi il volo / La fama ch’ha mille occhi e mille penne» (GL xv.32). 3 penne: ali; presente nella tradizione classica, biblica ma anche in tutta la poesia italiana. Nella Commedia le occorrenze sono multiple: «al volo mi sentia crescer le penne» (Purg. xxvii.123). 6 piano: cfr. Virgilio: «vastum maris aequor» (Aen. ii.780).
ode i De lo immenso oceano? Senti le beffe dell’Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
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Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice, Che natura ponesse all’uom confine Di vaste acque marine, Se gli diè mente onde lor freno imporre: E dall’alta pendice Insegnolli a guidare I gran tronchi sul mare, E in poderoso canape raccorre I venti, onde su l’acque ardito scorre.
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Così l’eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d’Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell’orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All’Europa, che il beffa ancor sul lito.
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Più dell’oro, BICETTI, all’Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: 7 De lo] Dell’ S; oceano] oceàno B Bm 10 dispregia. Erra] dispregia: erra S a; dice,] dice R 11 natura … uom] Natura … Uom S 15 Insegnolli] Insegnogli B R Bm 19 eroe] Eroe S a 20 pilastri;] pilastri: S 24 orbe] Orbe S 25 portentoso.] portentoso: S 27 Europa, che] Europa che S a B R 28 BICETTI] Bicetti S a B Bm 29 Questa misera vita, che gli avanza; S, Questa vita mortal per cui s’avanza corr. in Q. v. mortale ov’ei s’avanza cassato e sostituito con la lezione a testo a 10 il vulgo dispregia: cfr. Orazio: «Odi profanum vulgus et arceo» (Carm. iii. i.1). 20 I paventati d’Ercole pilastri: le colonne d’Ercole, geograficamente situate nello stretto di Gibilterra; vd. i versi danteschi: «quella foce stretta / dov’Ercule segnò li suoi riguardi / acciò che l’uom più oltre non si metta» (Inf. xxvi.107-109). 21 novelli astri: le stelle dell’emisfero australe. 24 orbe ascoso: il mondo sconosciuto. 29 speranza: la scelta definitiva del termine (vd. apparato) rimanda ai vv. 2 (speme) e 9 (sperati) e contribuisce alla simmetria del testo, dal momento che siamo in presenza della seconda apostrofe, dopo quella di Colombo.
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giuseppe parini Più dell’oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all’evento Di chi ’l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
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Come biada orgogliosa in campo estivo, Cresce di santi abbracciamenti il frutto. Ringiovanisce tutto Nell’aspetto de’ figli il caro padre; E dentro al cor giulivo Contemplando la speme De le sue ore estreme, Già cultori apparecchia artieri e squadre A la patria d’eroi famosa madre.
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Crescete o pargoletti: un dì sarete Tu forte appoggio de le patrie mura, E tu soave cura, E lusinghevol’ esca ai casti cori. Ma, oh dio, qual falce miete De la ridente messe Le sì dolci promesse? O quai d’atroce grandine furori Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?
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Fra le tenere membra orribil siede Tacito seme: e d’improvviso il desta 31 bellezza.] bellezza: S 32 E pur] Eppur S 37 estivo,] estivo B R 38 santi] casti S m 39 Ringiovanisce] Ringiovenisce S 44 apparecchia] apparecchia, S 46 pargoletti:] pargoletti; S 49 lusinghevol S a B Bm; ai] a i B R 50 Dio S 54 verde] verde, S 55 Fra] Tra S a 33 cimento: lo sforzo. 35 doppio tesor: la vita e la bellezza, perché il vaiuolo, anche quando non provocava la morte, deturpava tremendamente il viso (vd. i versi successivi 59-63). 38 santi abbracciamenti: i figli nati dai legittimi matrimoni. 40 caro padre: cfr. RVF xvi.4. 42 speme: cfr. nota 29. 49 lusinghevol’: aggettivo caro al Parini.
ode i Una furia funesta De la stirpe degli uomini flagello. Urta al di dentro, e fiede Con liévito mortale; E la macchina frale O al tutto abbatte, o le rapisce il bello, Quasi a statua d’eroe rival scarpello.
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Tutti la furia indomita vorace Tutti una volta assale ai più verd’anni: E le strida e gli affanni Dai tugurj conduce a’ regj tetti; E con la man rapace Ne le tombe condensa Prole d’uomini immensa. Sfugge taluno è vero ai guardi infetti; Ma palpitando peggior fato aspetti.
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Oh miseri! che val di medic’ arte Nè studj oprar nè farmachi nè mani? Tutti i sudor son vani Quando il morbo nemico è su la porta; E vigor gli comparte De la sorpresa salma La non perfetta calma. Oh debil’ arte, oh mal secura scorta, Che il male attendi, e no ’l previeni accorta!
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58 degli] de gli B R Bm 60 Con] Il S 64 furia] Furia S 65 ai] a i B R Bm 67 Dai] Da i B R Bm 68 E con la man] E con mano S 71 taluno è vero] taluno, è vero, S B, talun R; a i R 72 Ma palpitando] ma, palpitando, S 76 porta;] porta, S 80 debil’] debil S a B Bm; scorta,] scorta S B R 61 la macchina frale: il corpo fragile. 67 Dai tugurj […] tetti: Orazio: «Pallida Mors aequo pulsat pede pauperum tabernas / Regumque turris» (Carm. i. iv.13-14). 68 La correzione, evidente in apparato, serve a rendere in modo molto più plastico e determinato l’arto del mostro mortifero che tutto annienta. 69 condensa: ammucchia; cfr. Orazio: «mixta senum ac iuvenum densentur funera» (Carm. i. xxviii.19). 77 E vigor: e gli dà forza. 78 salma: corpo, come spesso nella tradizione lirica italiana. 79 non perfetta calma: la perdita di tranquillità. 80 scorta: difesa.
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giuseppe parini Già non l’attende in oriente il folto Popol che noi chiamiam barbaro e rude; Ma sagace delude Il fiero inevitabile demóne. Poichè il buon punto ha colto Onde il mostro conquida, Coraggioso lo sfida; E lo astrigne ad usar ne la tenzone L’armi, che ottuse tra le man gli pone.
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Del regnante velen spontaneo elegge Quel ch’è men tristo; e macolar ne suole La ben amata prole, Che non più recidiva in salvo torna. Però d’umano gregge Va Pechino coperto; E di femmineo merto Tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna Ove la Dea di Cipri orba soggiorna.
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O Montegù, qual peregrina nave, Barbare terre misurando e mari, 82 oriente] Oriente S, Orïente Bm 85 demóne] Demóne S 86 Poichè] Poi che B R Bm 90 armi, che] armi che S a B R 91 velen] venen S 94 Che non più recidiva] che, non più recidiva, S 95 Però] Quindi S 98 adorna] adorna, B 100 Montegù] MONTEGU’ S a; nota: Milady Maria Wortley Montaigue Dama Inglese celebratissima, singolarmente per le eleganti e vivacissime Lettere nelle 87 conquida: afferri; il mostro, cioè il vaiolo, non si è ancora scatenato. Si allude al periodo della fanciullezza. 89 astrigne: costringere, come in Tasso: «seco mill’alme semplicette astringe» (GL iv.90), «Scopre il disegno de la fuga, e finge / Ch’altra cagion a dipartir l’astringe» (GL vi.90). 91 velen: il vaiolo. 92 men tristo […] macolar: per l’innesto viene selezionato il siero meno pericoloso. 98 Tesoreggia il Circasso: il popolo Circasso, che si arricchisce con il commercio delle sue donne. 99 la Dea […] orba: la dea Venere, detta orba perché negli harem orientali il poeta individua un amore esclusivamente sensuale, privo di elevazione spirituale. 100 O Montegù: nuova apostrofe, dopo quella a Colombo e a Bicetti, nei confronti della signora che tanta parte ebbe nella diffusione del vaccino; vd. nota G. 101 misurando: percorrendo; cfr. Petrarca: «vo mesurando a passi tardi et lenti» (RVF 35.2).
ode i
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E di popoli varj Diseppellendo antiqui regni e vasti, E a noi tornando grave Di strana gemma e d’auro, Portò sì gran tesauro, Che a pareggiare non che a vincer basti Quel, che tu dall’Eussino a noi recasti?
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Rise l’Anglia la Francia Italia rise Al rammentar del favoloso Innesto: E il giudizio molesto De la falsa ragione incontro alzosse. In van l’effetto arrise A le imprese tentate; Chè la falsa pietate Contro al suo bene e contro al ver si mosse, E di lamento femminile armosse.
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quali descrisse i suoi viaggi, stampate infinite volte, sì originali, che tradotte in più lingue. Costei avendo seguitato a Costantinopoli il Cavaliere suo marito, quando nel 1716 vi fu spedito Ambasciatore della Corte Britannica, attese quivi a impratichirsi della Inoculazione. Tornata poi in Inghilterra, ne promulgò essa la prima il metodo e l’uso; avendola principalmente fatta eseguire, e con buon esito, su l’unica sua figliuola G B, Ladi Montaigue, la prima, che portò di Turchia in Inghilterra il metodo e l’uso dell’innesto del vaiuolo R, Milady Maria Wortley Montaigue, la prima, che di Turchia portò in Inghilterra il metodo e l’uso dell’innesto del Vajuolo Bm 102 varj] vari B R Bm 103 Diseppellendo] Disseppellendo S a 106 tesauro,] tesauro; S a 107 pareggiare] pareggiare, S a B 108 Quel, che] Quel che S a B R 109 Anglia la Francia] Anglia, la Francia S B Bm 110 Innesto] Innesto S a 111 E’l S 113 In van l’effetto] In van l’evento S, In vano il fine cassato, poi In van la fine a 114 Imprese] prove S 116 bene e] bene, S 105 strana: il ricco carico è detto tale in quanto ancora sconosciuto, ma il sostantivo gemma comunica immediatamente una luce preziosa sul tesoro recato dalla dama a tutti, tesoro superiore a quelli trasportati nei tempi antichi da terre lontane. 108 Eussino: il Mar Nero. 115 falsa pietate: l’aggettivo, usato simmetricamente al v. 112 per la ragione, conferisce in entrambi i casi un’accezione negativa che getta una luce maligna sul pregiudizio di chi si allontana dal vero del verso successivo. 116 Contro al suo bene: eco del petrarchesco: «’ncontr’ al suo ben fermo» (RVF cxxviii.36).
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giuseppe parini Ben fur preste a raccor gl’infausti doni Che, attraversando l’oceàno aprico, Lor condusse Americo; E ad ambe man li trangugiaron pronte. De’ lacerati troni Gli avanzi sanguinosi, E i frutti velenosi Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte De la vita succhiar spasimi ed onte.
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Tal del folle mortal tale è la sorte: Contra ragione or di natura abusa; Or di ragion mal usa Contra natura che i suoi don gli porge. Questa a schifar la morte Insegnò madre amante A un popolo ignorante;
118 fur] fùr B; nota: Indica l’Autore i varj abusi, che nel politico, nel morale, e nel fisico fecero gli Europei delle altronde felici scoperte di paesi nuovi G (abusi) B 119 oceàno] Oceano S, oceano a 120 Americo] Amerìco B R Bm 122-125 Si prosteser bocconi Su i frutti velenosi; Gli scettri sanguinosi Strinser gioiendo S, I lacerati troni Rapiron sanguinose; Le frutta velenose Morser cassato, poi, al margine inf. della c. succ. lezione a testo a 126 succhiar] succhiàr S B R 127 Tal del folle mortal] Dell’incerto Mortal S 128 ragione … natura] Ragione … Natura S 129 ragion] Ragion S 130 natura] Natura S 132 madre] Madre S 119 aprìco: esposto al sole e all’aria; aggettivo della tradizione classica e italiana; vd. Petrarca: «piagge apriche» (RVF ccciii.6). 121 ambe man […] pronte: l’errore degli uomini è stato talmente pernicioso da rifiutare la nuova cura portatrice di salvezza, dopo avere accolto invece con avidità i doni nocivi provenienti dal nuovo continente. 122-125 De’ lacerati […] gioiendo: la conquista e la distruzione del Messico e del Perù. 127-128 folle mortal […] Contra ragione: eco del dantesco viaggio di Ulisse, definito folle in Inf. xxvi.125 e Par. xxvii.83. Il medesimo sentimento negativo legato alla superbia è rintracciabile anche più avanti nella presunzione del popol colto che tropp’alto scorge del v. 134. 133 popolo ignorante: come poteva essere quello cinese o circasso.
ode i E il popol colto, che tropp’alto scorge, Contro ai consigli di tal madre insorge.
73 135
Sempre il novo, ch’è grande, appar menzogna, Mio BICETTI, al volgar debile ingegno: Ma imperturbato il regno De’ saggi dietro all’utile s’ostina. Minaccia nè vergogna No ’l frena, no ’l rimove; Prove accumula a prove; Del popolare error l’idol rovina, E la salute ai posteri destina.
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Così l’Anglia la Francia Italia vide Drappel di saggi contro al vulgo armarse. Lor zelo indomit’ arse, E di popolo in popolo s’accese. Contro all’armi omicide Non più debole e nudo; Ma sotto a certo scudo Il tenero garzon cauto discese, E il fato inesorabile sorprese.
153
Tu sull’orme di quelli ardito corri Tu pur, BICETTI; e di combatter tenta 134 scorge,] scorge S a 135 ai] a i B R Bm; tal madre] Natura S 136 novo,] Novo S, novo a G B R; grande,] grande R 137 Mio] O S; BICETTI] Bicetti B Bm 139 saggi] Saggi S 144 ai] a i B R Bm 145 Anglia la Francia] Anglia, la Francia, S B 146 saggi] Saggi S 153 fato] Fato S 154 Tu sull’] Sopra l’ S, su l’ B; corri, B 155 BICETTI] Bicetti B Bm 134 tropp’alto scorge: è la tracotanza del popolo europeo, già suggerita dal v. 127. Continua idealmente l’opposizione falso vs vero e folle vs ragione presente in entrambe le ultime stofe. 135 la scelta finale del poeta tra le varianti madre/natura è tesa a reiterare il vocabolo utilizzato al v. 132 e, nel contempo, l’assonanza tra madre e amante. 137 Mio BICETTI: nuova apostrofe al dedicatario dell’ode. 138-139 regno / De’ saggi: gli uomini sapienti appartengono a un mondo sublime. 151 certo scudo: quello rappresentato dalla vaccinazione. 152 tenero garzon: cfr. Petrarca: «’l vulgo inerme / De la tenera etate» (RVF liii.57-58); l’aggettivo, nella medesima accezione, è stato già impiegato al v. 55 in coppia col sostantivo membra.
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giuseppe parini La pietà violenta Che a le Insubriche madri il core implica. L’umanità soccorri; Spregia l’ingiusto soglio Ove s’arman d’orgoglio La superstizìon del ver nemica, E l’ostinata folle scola antica.
162
Quanta parte maggior d’almi nipoti Coltiverà nostri felici campi! E quanta fia che avvampi D’industria in pace o di coraggio in guerra! Quanta i soavi moti Propagherà d’amore, E desterà il languore Del pigro Imene, che infecondo or erra Contro all’util comun di terra in terra!
171
Le giovinette con le man di rosa Idalio mirto coglieranno un giorno: 156 violenta] vïolenta B R Bm 161 superstizìon] superstizion S a; ver] Ver S 170 Imene, che] Imene che S a B R; erra] erra, S 171 comun] comun, S 156 La pietà violenta: delle madri che non vogliono far vaccinare i figli. La pietà è definita con un aggettivo che ne sottolinea ossimoricamente l’irragionevolezza. 157 Insubriche […] implica: gli Insubri furono antichi abitanti della Lombardia. Il verbo indica l’impaccio delle madri che non riescono ad agire per il bene. 158-159 soccorri […] Spregia: altri due imperativi che rispondono alla coppia corri e tenta sempre nella medesima strofa. 161 superstizìon: «Ma la Superstizion col cieco morso» (Sonetti xiv.9). Cfr. Mengaldo, p. 86. 162 folle scola: l’aggettivo è stato impiegato con la medesima accezione al v. 127; il richiamo dantesco sottolinea gli errori di chi resta ancorato pervicacemente alle sue convinzioni erronee; cfr. «la gente folle» (Par. xvii.31). In tal senso è da intendersi anche l’aggettivo ostinata che riprende il s’ostina del v. 139 cambiandone il segno. 170 Del pigro Imene: il dio dei matrimoni è detto pigro perché il diffondersi del morbo devastante rende rare le unioni dei giovani. 172-173 Le giovinette […] Idalio mirto: l’atmosfera festosa intrisa di echi classici non manca di riferirsi a canzonieri in lingua italiana quali quelli di Cavalcanti, Fresca rosa novella.1-5; Poliziano, Ben venga maggio.5-7; il mirto è detto Idalio dalla città Idalia dell’isola di Cipro in cui la dea Venere godeva di un culto particolare. Per la profonda componente iconologica dei versi pariniani, vd. le Lezioni di Belle Lettere.
ode i All’alta quercia intorno I giovinetti fronde coglieranno; E a la tua chioma annosa Cui per doppio decoro Già circonda l’alloro, Intrecceran ghirlande, e canteranno: Questi a morte ne tolse o a lungo danno.
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Tale il nobile plettro infra le dita Mi profeteggia armonìoso e dolce, Nobil plettro che molce Il duro sasso dell’umana mente; E da lunge lo invita Con lusinghevol suono Verso il ver, verso il buono; Nè mai con laude bestemmiò nocente O il falso in trono o la viltà potente.
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176 annosa] annosa, B Bm 178 alloro,] alloro R 180 o] e S a 181 infra] in fra R 182 armonìoso] armonioso S a 187 ver] Ver S; buono;] Buono: S, buono: a 188 laude … nocente] laudi … innocente S 189 il falso in trono o la viltà] il Falso in trono, o la Viltà S 174 alta quercia: con le foglie di quercia venivano intrecciate le corone civiche presso i Romani. 175-176 I giovinetti […] annosa: le fonti del passo, varie e commiste, permettono un felice intarsio di voci in cui convivono Saffo, Pindaro, Ovidio, Virgilio accanto alla tradizione stilnovistica e rinascimentale; la chioma del dottor Bicetti è definita annosa, cioè canuta, perché la scena è proiettata nel futuro, quando ci si augura che il medico, ricco di fama, verrà omaggiato e venerato dai giovani cui aveva permesso una vita priva della terribile e mortifera malattia. 177 doppio decoro: il doppio prestigio deriva dal fatto che il dottor Bicetti è anche poeta; cfr. v. 35, in cui la coppia aggettivo/sostantivo, doppio tesor, proponeva il medesimo aggettivo e un sostantivo in assonanza con decor. 181 Tale: in tal modo. 183-187 Nobil plettro […] buono: l’iterazione della coppia aggettivo/sostantivo del v. 181 introduce una dichiarazione di poetica secondo la quale soltanto la poesia, tendendo al vero e al buono, è in grado di ammorbidire la durezza della mente umana. 188 nocente: malefica.
II m Ambr. III 3, pp. 11-14. a Ambr. II I h, pp. 4-8. o Misc. Morbio 17, pp. 1-8. n Ambr. III 8, pp. 143-148. G 12-19 (note 161); tra le copie da me consultate, BAMi (S.Q.O.IV.37) riporta degli errori al v. 32 stige e al v. 51 frec’ombra. B 9-14 (note 147). R 55-65. Bm 143-148.
Nel primo testimone l’ode ha ventisette strofe, cinque delle quali verranno soppresse nelle stampe, ed è vergata da un copista non molto attento (sue sviste al v. 66, E per È e mensa per menta al v. 104); nell’autografo il numero si riduce a venti, con l’aggiunta di una strofa, monca di un verso – per un totale quindi di ventuno. In n, inizialmente di ventuno strofe, Gambarelli interviene per trascrivere posteriormente al margine la ventiduesima, non seguendo la fase primitiva di m né quella di a, che ne è privo, ma proponendo una ulteriore fase elaborativa dell’ode; in o e nelle edizioni il numero è di ventidue. m rappresenta la fase più antica del testo, cui segue l’autografo a, privo di due strofe rispetto alla stampa del ’91; Parini, per mano dei suoi collaboratori, interviene su n proponendone una versione seriore rispetto a tutti gli altri testimoni; in fase di stampa muterà integralmente il v. 22, interverrà ancora sul v. 109 e con elementi correttori che pertengono alla punteggiatura, al cambiamento di qualche congiunzione, a due metonimie (v. 20 letto per grembo e v. 21b capi per corpi), e a due aggettivi (v. 119 stolto per folle e v. 125 vivo per puro) sempre nell’ottica di rendere più temperato e armonico il suo verso. Scorretto e portatore di una fase ancora non assestata né del testo, né della struttura o, nonostante in due casi (vv. 26-27) sia testimonianza conforme a G e in alcuni luoghi latore di una lezione prossima alla stampa. Le edizioni successive si discostano per le particolarità grafiche e interpuntorie, Bm segnalando un accento su vâgo. In calce la versione di m e la successione dei versi di o, come si diceva, differente rispetto a G.
ode ii
77
LA S ALU BR ITÀ DEL L’ ARI A
O h beato terreno Del vago EUPILI mio, Ecco al fin nel tuo seno M’accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
6
Già nel polmon capace Urta sè stesso e scende Quest’etere vivace, Che gli egri spirti accende,
Titolo: Ode a n, La Salubrità della Campagna paragonata con quella della Città Ode scritta prima del 1770 o 2 EUPILI] Eupili omnes tranne Bm che ha Èupili; mio,] mio R; nota: Il Lago di Pusiano o, Nome dato da Plinio a un lago, che dagli Eruditi si crede esser quello di Pusiano; ne’ cui amenissimi contorni ebbe la sua nascita l’Autore G B 3 Ecco] Dunque o; al fin] alfin B 5 Aere] Aëre B Bm; circondi;] circondi, a n o 6 E] Che o; inondi.] inondi! a n R Bm, inondi? o 9 Quest’] Un a o; vivace,] vivace B R 10 gli egri] i lassi o; accende,] accende a n II . Strofa di sei settenari piani secondo lo schema ababcc. Il componimento pone
in primo piano il contrasto città-campagna vissuto in prima persona, mettendo in luce la piacevolezza dell’aria dei luoghi natìi contro la malsana aria di Milano, in cui amministratori senza scrupoli, mossi unicamente dal lucro, disattendono al benessere dei cittadini; in opposizione a tale malcostume, il poeta estrinseca con energia il suo impegno veicolato da una poesia civile. 1 Oh beato: felice cambiamento rispetto alla prima redazione, in cui il poeta aveva posto tale strofa come seconda e, in apertura, una premessa meno personale e accorata. 2 EUPILI: l’antico nome del lago di Pusiano, presso Bosisio, ora Bosisio Parini, paese natale del poeta. 4-5: il forte enjambement non era presente nella prima stesura. 6 petto […] inondi: l’atmosfera è quella petrarchesca della canzone Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina (RVF l.1). 9 etere: cfr. RdA (Elviro Triasio), tomo vi, 2.247: «d’un sereno e puro etere cinti». 10 egri: il terzo latinismo, dopo Eupili ed etere, conferisce una certa solennità ai luoghi geografici.
78
giuseppe parini E le forze rintegra, E l’animo rallegra.
12
Però ch’austro scortese Quì suoi vapor non mena: E guarda il bel paese Alta di monti schiena, Cui sormontar non vale Borea con rigid’ ale.
18
Nè quì giaccion paludi, Che dall’impuro letto Mandino a i capi ignudi Nuvol di morbi infetto: E il meriggio a’ bei colli Asciuga i dorsi molli.
24
11 le forze] la forza o; rintegra,] rintegra a n 13 Però ch’austro] Poi che l’Austro a n, A te l’Austro o 14 Quì suoi] Lento o; mena:] mena, a n o Bm 15 Te guarda, o bel paese, o 16 schiena,] schiena R 18 ale.] ale: a n 19 paludi,] paludi B R 20 letto] grembo a n o 21 a i] ai o; capi] corpi a n 22 Molestissimo nembo: a n o 23 a’] ai o 11-12 E […] E: il polisindeto e la rima rintegra : rallegra mancavano nella prima redazione (vd. il testo in calce a questa ode): tutti i cambiamenti tendono verso una migliore musicalità del verso. 12 animo rallegra: echi classici e trecenteschi, ma il gusto per le immagini di stampo sensistico è tutto pariniano; cfr. Orazio (Serm. ii.1-5). Il verbo rafforza semanticamente quelli impiegati nei due versi precedenti e, unitamente all’aggettivo vivace, contribuisce alla luminosità della strofa tesa a sottolineare l’antitesi tra la vita di città e la felice e appagante vita di campagna. 13 austro scortese: ancora riferimenti ai testi classici, da Virgilio a Orazio, ma anche italiani. Vd. Boccaccio: «e quali io dovessi da Euro e quali da Borea o da Austro guardare» (Commedia delle ninfe fiorentine.xxvi); in m non compariva l’austro ma per due volte la borea. 15 E: la ripresa anaforica non era presente in m. 18 Borea: il vento di tramontana che, trovando ostacolo nelle Alpi, non influenza negativamente il clima della Brianza. 21 capi: sineddoche per ‘corpi’, come deduciamo dalla variante nei mss. a n. 22 di morbi: la malaria.
ode ii
79
Pera colui che primo A le triste ozìose Acque e al fetido limo La mia cittade espose; E per lucro ebbe a vile La salute civile.
30
Certo colui del fiume Di Stige ora s’impaccia Tra l’orribil bitume, Onde alzando la faccia Bestemmia il fango e l’acque, Che radunar gli piacque.
36
Mira dipinti in viso Di mortali pallori Entro al mal nato riso I languenti cultori;
25 Pera] Odio o 26 A le triste ozìose] A triste acque a n, Alle triste o. o 27 Acque] ozïose a n; e al fetido limo] Ed a fetido limo a n, Acque, e al fet.li. o 28 cittade espose;] Cittade espose, o 32 Stige] stige a n o 33 Tra] Fra a n, Nell’ o; bitume,] bitume R 39 mal nato] malnato a o 25 Pera: maledizione generica che ricalca l’uso classico (Tibullo, Properzio, etc.). 26-27 triste […] Acque: le acque delle risaie vengono paragonate a quelle infernali, per cui, oltre a Virgilio, Georg. iv.478, vd. Dante: «su la trista riviera d’Acheronte» (Inf. iii.78) e: «In la palude va ch’ha nome Stige / Questo tristo ruscel» (vii.106-107); in Inf. xiv vengono nominati Acheronte e Stige in successione. Il riferimento allo Stige, in questa ode, è al v. 32. In m il richiamo era molto più realistico: in luogo di ozïose, l’aggettivo impiegato era paludose. 28 La mia cittade: Milano; per contrapposizione, Parini passa a considerare l’aria insalubre di Milano e ne individua le cause nel desiderio di lucro degli uomini potenti; ovvio il riferimento classico a Virgilio: «auri sacra fames» (Aen. iii.57). 32 Stige: la palude infernale; evidenti i rimandi a Filippo Argenti, «un pien di fango» (Inf. viii.32); Argenti rappresenta la prepotenza della classe magnatizia. 37 Mira: imperativo a inizio verso frequentemente usato dal Frugoni (Ebani). 39 mal nato: perché produce malattie in chi lo coltiva e, di conseguenza, nei cittadini tutti; la variante va a sostituire il più generico malnato, conferendo all’espressione un’accezione profondamente negativa.
80
giuseppe parini E trema o cittadino, Che a te il soffri vicino.
42
Io de’ miei colli ameni Nel bel clima innocente Passerò i dì sereni Tra la beata gente, Che di fatiche onusta È vegeta e robusta.
48
Qui con la mente sgombra, Di pure linfe asterso, Sotto ad una fresc’ombra Celebrerò col verso I villan vispi e sciolti Sparsi per li ricolti;
54
E i membri non mai stanchi Dietro al crescente pane; E i baldanzosi fianchi De le ardite villane; E il bel volto giocondo Fra il bruno e il rubicondo,
60
41 trema] trema, m o; cittadino,] cittadino a n R 42 a te il soffri] tel soffri a n, il soffri a te o 43 Deh! Mi sia dato, o ameni o 44 Entro al clima innocente a n, Colli, o clima innocente o 45 Passerò] Vivere o 46 Tra] Fra o; gente,] gente R 49 Sotto ad una fresch’ombra o 50 Da chiare li. as. a n o; asperso o 51 Qui con la mente sgombra o 53 vispi] vivi a n, vivi, o 56 pane;] pane, a no 58 villane;] villane, a n o 60 Fra il] Tra il a n 41 E trema: altro imperativo scaturito dal primo. 43 Io: torna con forza la scelta di vita già affermata nella prima strofa, veicolata dal possessivo mio e dalla particella mi. 47 onusta: sovraccarica. 50 asterso: purificato. 56 pane: l’immagine del frumento che maturando promette il pane chiude il vivace quadro dei contadini operosi della Brianza; nella prima lezione dei mss. un membro della coppia aggettivale caratterizzante i lavoratori dei campi era vivi, probabilmente mutato in vispi per evitare implicazione con villan; l’attributo verrà però ricuperato in sede di stampa al v. 125, accanto a schietto, per determinare il respiro delle villanelle mentre tutti i mss. riportano puro e schietto.
ode ii
81
Dicendo: Oh fortunate Genti, che in dolci tempre Quest’aura respirate Rotta e purgata sempre Da venti fuggitivi E da limpidi rivi.
66
Ben larga ancor natura Fu a la città superba Di cielo e d’aria pura: Ma chi i bei doni or serba Fra il lusso e l’avarizia E la stolta pigrizia?
72
Ahi non bastò che intorno Putridi stagni avesse; Anzi a turbarne il giorno Sotto a le mura stesse Trasse gli scelerati Rivi a marcir su i prati
78
E la comun salute Sagrificossi al pasto 62 Genti,] Genti a B R, genti, n 63 Quest’] Un’ a n, Un o 65 fuggitivi] fuggitivi, o 66 rivi.] rivi! B Bm 67 Ben diede ancor natura o 68 Fu a la città] A la città o 69 E cielo, ed aria pura; o 71 Fra] Tra o 73 Ahi] Ma o, Ahi! Bm 74 avesse;] avesse, o, avesse: a n 75 Anzi a turbarne] Anzi a turbare a n, Poiché a turbare o 76 Sotto a le] Sotto alle o 77 scelerati] scellerati o 78 prati] prati; Bm 80 Sagrificossi] Sacrificossi o R 62 dolci tempre: il clima mite; cfr. Dante: «ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre» (Purg. xxx.94); Petrarca: «né mai in sì dolci o in sì soavi tempre» (RVF xxiii.64); Tasso: «in così dolci tempre» (Rime per Lucrezia Bendidio iii 36.13). 64-65 purgata […] Da venti: RdA (Altemio Leucianitico), tomo vi, 12.14: «L’aria, spirando, egli purgasse ancora, / Se la terra purgata avea col sangue»; RdA (Elagildo Leuconio), tomo ii, 128. 9: «O sia l’aria purgata e ’l Ciel sereno». 68 la città superba: Milano; nelle scelte lessicali pariniane si intravedono, come in lontananza, il dolore e l’astio dantesco nei confronti di Firenze, cfr. Inf. vi.74; a tale lettura si ascrivono anche i sostantivi che seguono ai vv. 71-72: lusso, avarizia, pigrizia. 74 Putridi stagni: le risaie. 77-78 Trasse […] prati: le marcite, nocive per la salute; il forte enjambement non era stato usato in m.
82
giuseppe parini D’ambizìose mute, Che poi con crudo fasto Calchin per l’ampie strade Il popolo che cade.
84
A voi il timo e il croco E la menta selvaggia L’aere per ogni loco De’ varj atomi irraggia, Che con soavi e cari Sensi pungon le nari.
90
Ma al piè de’ gran palagi Là il fimo alto fermenta; E di sali malvagi Ammorba l’aria lenta, Che a stagnar si rimase Tra le sublimi case.
96
81 mute,] mute R 83 Calpestin per le strade o 85 Mentre che il timo, e ’l croco o, il timo il croco a n 88 De’ varj atomi] Di varj attomi a, di varj atomi n, Di mille attomi o 91 Ma al] Al o 92 fermenta;] fermenta, o 94 lenta,] lenta R 96 Tra] Fra o 81 ambizìose mute: le pariglie di cavalli; il lusso sfrenato dei nobili. 84 popolo che cade: violenta opposizione tra l’ambizione e lo sfarzo dei ricchi e la debolezza del popolo travolto dai loro cavalli. 85 croco: zafferano; per tutta la strofa intrisa di colori e di profumi, le fonti sono molteplici e abbracciano la poesia classica – tra gli altri Orazio: «grata carpentis thima» (Carm. iv. ii.29) – e italiana, Ariosto: «di timo e di rugiada, / Si pasceranno e di celesti odori» (Rime Egl.ii), «Serpillo e persa, e rose, e gigli e croco» (OF xviii.138); Marino: «di fresco giglio e di vivace croco» (Adone i. 20). 88 atomi: le minute particelle. 91 gran palagi: cfr. Ariosto: «un gran palagio vede» (OF xliii.131); RdA (Lacone Cromizio), tomo iv,16: «il gran Palagio eretto». 92 fimo: il letame nella tradizione classica; in m il termine utilizzato era fieno. 93 sali malvagi: le cattive esalazioni. 94 lenta: immobile nel senso di stagnante. Cfr. i versi danteschi che descrivono la pioggia infernale del vii cerchio, iii girone, in cui si parla di un «cader lento […] come di neve in Alpe sanza vento» (Inf. xiv.28-30).
ode ii
83
Quivi i lari plebei Da le spregiate crete D’umor fracidi e rei Versan fonti indiscrete; Onde il vapor s’aggira; E col fiato s’inspira.
102
Spenti animai, ridotti Per le frequenti vie, De gli aliti corrotti Empion l’estivo die: Spettacolo deforme Del cittadin su l’orme!
108
Nè a pena cadde il sole Che vaganti latrine Con spalancate gole Lustran ogni confine 97 lari] Lari a n 100 indiscrete;] indiscrete, o, indiscrete a n 101 vapor] venen o; s’aggira;] s’aggira, o B R 103 animai,] animai o. I vv. 103-108 sono stati soppressi in a, in n sono reintegrati al margine 104 Per le] Nelle o 105 De gli] Degli o 106 die:] die, o, die; n 108 su l’orme!] orme. n, orme o, sull’orme! Bm cui segue una nota: La precedente, questa e la seguente strofe alludono a certe sozze costumanze, ch’erano in Milano, quando fu scritta la presente Ode, e che furono poscia corrette 109 a pena cadde] ancor caduto n, cade appena o; sole, o B, Sole, Bm; nota: Da questo cenno può dedursi, che l’Ode fosse scritta forse un trenta e più anni addietro, quand’erano in vigore alcune pubbliche costumanze, che in seguito vennero corrette G B, Alludesi a certe sozze costumanze, ch’erano in Milano, quando l’autore scrisse quest’ode verso il 1759 R. In a la strofa, inizialmente mancante, è reintegrata in un secondo momento e il v. 109 non è stato trascritto per svista; in n è già a testo priva del v. 109, reintegrato insieme al v. 110 a pie’ pagina 110 Che] E a 97-100 Quivi i lari […] indiscrete: i Lari, le divinità che proteggono le case, sono metonimia per le case stesse del popolo che a Milano ammorbano l’aria con i loro liquami versati nelle strade. Tutta la strofa nel suo crudo realismo evoca il già citato canto infernale di Capaneo. 98 spregiate crete: vasi da notte. 99 fracidi: metatesi per fradici. 103 Spenti […] ridotti: le carogne di animali ammucchiate nelle strade. 104 frequenti: nella accezione latina di ‘affollate’. 108 su l’orme: tra i piedi dei cittadini. Vd. nota di G. Nella prima redazione i riferimenti agli scheletri erano molto più realistici, né era presente il termine cittadin. 109-110 Nè a pena […] latrine: non appena tramonta il sole, latrine ambulanti. 111 spalancate gole: coperchi aperti. 112 Lustran: percorrono.
84
giuseppe parini De la città, che desta Beve l’aura molesta.
114
Gridan le leggi è vero; E Temi bieco guata: Ma sol di sè pensiero Ha l’inerzia privata. Stolto! E mirar non vuoi Ne’ comun danni i tuoi?
120
Ma dove ahi corro e vago Lontano da le belle Colline e dal bel lago E dalle villanelle, A cui sì vivo e schietto Aere ondeggiar fa il petto?
126
Va per negletta via Ognor l’util cercando La calda fantasìa, Che sol felice è quando L’utile unir può al vanto Di lusinghevol canto.
132
113 città,] Città o, città B R 115 leggi] leggi, B Bm 116 guata:] guata; o, guata. Bm 117 sè] se o 119 Stolto!] Folle! a n, Folle, o 121 Ma dove ahi] Ma dove ahi! o Bm che ha una virgola dopo dove 122 da le] dalle o 123 Colline] Colline, o; lago] Lago, o B 124 dalle] da le B R Bm; villanelle,] villanelle a n Bm 125 vivo] puro a n, puro, o 129 fantasìa] fantisia a 130 Solo felice quando a n, Sol di se paga quando o 116 Temi: Temide, la dea della giustizia. 121-126 Ma […] petto: viva contrapposizione tra l’inerzia dell’uomo, precedentemente stigmatizzata, e il volo alto della fantasia del poeta, che si compiace delle immagini rasserenanti e vivaci delle schiette contadine. 127 negletta: trascurata dagli altri poeti. 128-132 util […] lusinghevol: fortissima l’eco oraziana dell’utile dulci in tutta la strofa: «Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci / Lectorem delectando pariterque monendo» (Ars Poetica.343-344). Cfr. ode i.186 per l’aggettivo lusinghevol, caro a Parini. Confrontando le due redazioni, si rileverà facilmente come alcune strofe non abbiano subito modificazione alcuna.
ode ii
85
Si riporta integralmente il testo di m O quel Popol felice, Cui abitar fù dato Dalla comun Nodrice Un dolce aere purgato, Ov’uom non speri invano Viver canuto e sano! Tu beato terreno Del vago Eupili mio M’accogli entro ’l tuo seno Fra ’l puro aere natìo, Che tutto mi circondi, E ’l petto avido inondi. Qui nel polmon capace Urti se stesso, e scenda Un etere vivace, Che gli egri spirti accenda, Spingendo al corso il sangue, Che intorpidito langue? Pera colui che primo All’acque paludose, Ed al fetido limo La mia Cittade espose, Ch’ebbe per lucro a vile La salute civile.
6
12
18
42
Certo colui del Fiume Di stige ora s’impaccia Tra l’orribil bitume, onde alzando la faccia, Bestemmia il fango e l’acque, 48 Che radunar gli piacque? Omai sotto alle mure Il gran malnato cresce Tra le lagune impure Onde venen fuor esce
Che per l’aria si stende, E gli uman corpi offende.
54
Mira dipinti in viso Di mortali pallori Entro al palustre viso Gl’infelici cultori; E trema, o Cittadino, Che tel soffrì vicino.
60
Io de’ miei Colli ameni Entro all’aria innocente Passerò i dì sereni Tra la beata gente Che di fatiche onusta E vegeta e robusta.
66
Là con la mente sgombra D’importune tenèbre Sotto ad una fresc’ombra Fia che in versi celèbre I villan vivi e sciolti Sparsi per gli ricolti;
72
E i membri non mai stanchi Dietro al crescente pane, E i baldanzosi fianchi Delle ardite villane, E ’l bel volto giocondo Tra ’l bruno e ’l rubicondo,
78
Dicendo: o fortunate Genti che in dolci tempre Un’aura respirate Rotta e purgata sempre Da venti fuggitivi, E da limpidi rivi!
84
Ben larga ancor natura Fù alla città superba
86
giuseppe parini
Di Cielo, e d’aria pura; Ma chi i bei doni or serba Tra il lusso e l’avarizia, E la stolta pigrizia?
90
No non bastò che intorno Putridi stagni avesse, Onde annebbiare il giorno; Ch’entro alle mura stesse I rivi scellerati Trasse a marcir su i prati;
96
E la comun salute Sacrificossi al pasto D’ambiziose mute, Che poi con crudo pasto Calchin per l’ampie strade Il popolo che cade.
102
A voi il timo, il croco, E la mensa selvaggia L’aere per ogni loco Di mille atomi irraggia, Che con soavi e cari Sensi pungon le nari. Ma al piè de’ gran palagi Là il fieno alto fermenta, E di sali malvagi Ammorba l’aria lenta, Che a stagnar si rimase Tra le sublimi Case. Quivi i Lari plebei Dalle pregiate Crete D’umor fracidi e rei Versan fonti indiscrete, Onde il vapor s’aggira, E col fiato s’ispira. Spenti animai ridotti Sulle pubbliche vie Degli aliti corrotti Empion l’estivo die,
108
114
120
Finche ’l Sol gli trasformi In Scheletri deformi.
126
Nè ancor caduto è il Sole, Che ambulanti latrine Con spalancate gole Lustran ogni confine Della Città, che desta Beve l’aura molesta.
132
Tal cura ha del suo Cielo La Città che sì spesso Vide di morte il telo Nelle sue membra impresso, Quando a tempi funesti Regnaro orride pesti. 138 Gridan le leggi è vero, E Temi bieco guata; Ma sol di sè pensiero Ha l’inerzia privata: Folle! e mirar non vuoi Ne’ comun danni i tuoi?
144
Or ecco che si libra Da’Padri generosi Già ’l fulmine, e si vibra Contro a te che pur osi, Tra i comun beni e l’arti Di te sola curarti.
150
Ma dove, ahi, corro e vago Lontano dalle belle Colline, e dal bel Lago, E dalle Villanelle, A cui sì puro e schietto Aere ondeggiar fa il petto!
156
Va per negletta via Ognor l’util cercando La calda fantasia Che sol felice è quando L’util unir può al vanto Di lusinghevol canto.
162
ode ii
87
Il testo di o, pur essendo di ventidue strofe come nella stampa, presenta una diversa struttura strofica; i versi si succedono secondo il seguente schema: 1-6; 13-18; 19-24; 7-12; 85-90; 43-48; 49-54; 55-60; 61-66; 67-72; 25-30; 31-36; 37-42; 73-78; 79-84; 91-96; 103-108; 97-102; 109-114; 115-120; 121-126; 127-132.
III m Ambr. III 10, pp. 13-14. n Ambr. III 3, pp. 33-34. o Ambr. III 8, pp. 148-149. S (vd. Edizioni S. C. n. 5), pp. 146-149. sc Ms. Schiera, 44v-45v. G 20-27 (nota 162). B 15-19 (nota 148). R 47-54. Bm 137-141.
I testimoni m n rappresentano la prima fase del testo in cui il poeta preferisce utilizzare le maiuscole per Stame (v. 4), Nocchier (v. 6), Libertade (v. 12), Biade (v. 14), etc. e la forma piana Penètra (v. 54) che verranno normalizzate successivamente. Il codice di mano di Gambarelli, o, rappresenta invece una fase più evoluta del testo, mancando delle lezioni cui si è accennato per m n; oltre a ciò, o si distingue per alcune scelte di scrizione separata Però ch’ (v. 53) o di grafia adulazïon (v. 70), e per un alleggerimento della punteggiatura in accordo con la stampa del ’91, mentre a latere delle tre strofe eliminate da S si vede un tratto di penna lieve ma deciso; presenta poi due errori della medesima tipologia, al v. 2 fraintendendo l’o come disgiuntivo anziché come vocativo, in comune con S, e al v. 29 rendendo correlativo il nè. S espunge dunque tre strofe (vii, ix, xi) e, pur accordandosi in molti luoghi con i manoscritti, propone nuove lezioni che, tranne in due casi, v. 8 e v. 43, verranno accolte da G; sc presenta varie imprecisioni nella grafia e nell’interpunzione, a volte in accordo con altri mss, altre volte, segnatamente nelle prime strofe, gli accenti sono posizionati come a volere marcare le sillabe toniche: v. 3 A˘tropo, v. 6 brùn; in altri casi, non di scelte grafiche si tratta, ma di semplici errori: v. 1 Perche, v. 96 fu; in comune con gli altri testimoni manoscritti, il ne del v. 11. Come accade per altri testi vergati da Schiera, potrebbe anche darsi che lo scolaro abbia avuto sottomano un esemplare di G, ma la sua disattenzione non gli permette di trascriverne una copia fedele all’originale; in questo caso, potrebbe non avere controllato la Tavola delle Correzioni per il v. 11. G reintegra le tre strofe espunte, commette 3 errori che emenda nelle Correzioni (al v. 11 il ne viene sostituito dal ci; al v. 34 Eupìli diventa Èupili e al v. 104 viene inserito il punto dopo venir) e verrà ripreso da B senza alcuna variazione, mentre R opta per criteri contaminatori, preferendo la lezione di G e B (seppure esasperando il criterio di scrizione separata delle preposizioni articolate, v. 1 – v. 54, v. 81 delle lez. varie – e alleggerendo la punteggiatura), ma eliminando le tre strofe di cui sopra, in accordo dunque con S, con la nota a p. 47: «Il testo di quest’ode si dà quale fu pubblicato dall’autore nel vol. xiii dell’Arcadia di Roma, se tolgansi alcune correzioni, che vi fece dappoi. Le strofe, che trovansi nelle posteriori edizioni, erano state da lui precedentemente rifiutate. Essa fu scritta nel 1758». L’espunzione di tre strofe e il ricu-
ode iii
89
pero al v. 101 di una lezione comune ai manoscritti, meste per alte, «per certa coloritura patetica» (Isella, p. 25), esprimono l’intento dell’editore teso a veicolare una sua idea di uomo prima che di poeta. Bm si accorda con G ma non recepisce uno degli emendamenti (al v. 11 ci) riportati nelle Correzioni e ripristina il segno della dieresi che in B e R era stato mutato in accento.
LA VITA RU S TIC A
Perchè turbarmi l’anima, O d’oro e d’onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
8
Queste che ancor ne avanzano Ore fugaci e meste, Belle ci renda e amabili Titolo: manca in m n (aggiunto da Mazzoni a matita) S (ma nell’Indice si legge Sulla libertà campestre. Ode), Ode o 1 Perchè] Per che R; anima,] anima m n o S 2 oro e] oro, e m n, oro, o o S 3 Se] Se è m n, s’è o; Àtropo sc 4 è] manca in m n o; Stame m n 6 nocchier] Nocchier m n 7 niega] nega m n o, nega, S 8 più] ci S 9 Queste] Queste, m n o Bm; ne] ci m n o 10 meste,] meste m n o 11 ci] ne m n o sc G (corretto poi negli Errata con la lezione a testo) Bm; renda, m n III . Strofa di otto settenari distinta in due periodi metrici di quattro versi ciascuno
secondo lo schema: abcbdede. Nel contrasto classico città-campagna si innervano le novità della poesia pariniana in una profonda presa di coscienza della propria dignità civile e morale e nella consonanza con le innovazioni della nuova agricoltura. 1 Perchè: l’interrogativa è utilizzata da Chiabrera: «Perché mostrarmi a dito?» (Rime ii. Le vendemmie di Parnaso xlvii.1). 2-4 Atropo: la Parca che taglia il filo della vita (stame); le parole-rima e il riferimento ad Atropo sono presenti in Chiabrera: «E se Atropo comparte al viver mio / Alquanto de’ suoi stami, / Farò che indarno brami / Tue glorie il tempo ricoprir d’oblìo» (Rime i. Canzoni eroiche lxxxiv.43-46) e: «Non sì tosto Atropo al fuso / Lo stame troncherà dei miseri anni / Che spezzeransi l’arche ove rinchiuso / Serbato il frutto di cotanti affanni» (Rime i. Canzoni morali x.25-28). 7-8: traducono il catulliano «illuc unde negant redire quemquam» (Carm. iii.12).
90
giuseppe parini La libertade agreste. Quì Cerere ne manda Le biade, e Bacco il vin: Quì di fior s’inghirlanda Bella innocenza il crin.
16
So che felice stimasi Il possessor d’un’arca, Che Pluto abbia propizio Di gran tesoro carca: Ma so ancor che al potente Palpita oppresso il cor Sotto la man sovente Del gelato timor.
24
Me non nato a percotere Le dure illustri porte Nudo accorrà, ma libero Il regno de la morte. No, ricchezza nè onore Con frode o con viltà 12 libertade] Libertade m n 14 biade] Biade m n; vin; m o S Bm, Vin n 16 innocenza] Innocenza m n o S Bm 18 possessor] Possessor m n; arca,] Arca m, arca BR 21 ancor] ancor, m n o S Bm; potente] possente m n o S 27 libero] libero, o Bm 28 de la] della m n o; Morte o 29 No, ricchezza] No ricchezza, m n S, nè r. o 30 Con frode] con frode, m n o S 16: l’Innocenza personificata con la ghirlanda sul capo proviene dalla tradizione classica latina, italiana e arcadica, ma filtrata attraverso gli echi nuovi del sentire neoclassico; vd. i Soggetti per artisti, in Barbarisi-Bartesaghi, pp. 536 sgg. 17 So che: cfr. Ripano Eupilino (liv.9). 18-20 possessor […] tesoro: cfr. RdA (Tirinto Trofeio), tomo iv.2: «né chieggio, possessor d’ampio tesoro». – arca: scrigno. 19 Pluto: il dio delle ricchezze. 21 Ma so: l’avversativa divide in due la strofa, iterando il medesimo verbo e correggendo così la prima affermazione. 24 gelato: ha valore attivo, significa dunque ‘raggelante’; eco virgiliana: «gelidus … tremor» (Aen. ii.120-121) e petrarchesca: «gelata paura» (RVF clxxxii.2). Cfr. RdA, (Eladio Maleo), tomo v, 310.4: «da gelato timor stringer si sente». 27 Nudo […] libero: il poeta sottolinea, anche con toni un poco enfatici, la propria onestà intellettuale unitamente al rigore morale. Cfr. Testi: «ma nudo spirto, ombra mendica e mesta» (Le poesie liriche del conte D. Fulvio Testi Al Sig. Cavaliere Enea Vaini.35).
ode iii Il secol venditore Mercar non mi vedrà.
91 32
Colli beati e placidi, Che il vago Èupili mio Cingete con dolcissimo Insensibil pendìo, Dal bel rapirmi sento, Che natura vi diè; Ed esule contento A voi rivolgo il piè.
40
Già la quiete, a gli uomini Sì sconosciuta, in seno De le vostr’ombre apprestami Caro albergo sereno: E le cure e gli affanni Quindi lunge volar Scorgo, e gire i tiranni Superbi ad agitar.
48
31 secol] Secol m n o 33 beati] beati, m n; placidi B R 34 il vago] ’l v. m n; Èupili] Eupili n S, Eupìli m o G corretto negli Errata con la lezione a testo, Eupili B R, E˘upili Bm 36 pendìo,] pendìo; o, pendio S 37 sento,] sento o S B R 38 natura] Natura m n o 41 quiete] quiete, o, quíete B R, quïete Bm; a gli] agli m n o 42 sconosciuta,] sconosciuta R 43 De le] Delle m n o; vostr’] vostre S 44 Caro] dolce m n o S 45 E le cure] e le cure, o 46 Quindi] Indi m n o 47 Scorgo,] Scorgo; m n. La strofa che va dai vv. 49-56 è segnata a latere con un lieve tratto di penna in o e manca in S, riportata tra le Lezioni Varie R 32 mi: l’architettura della strofa si basa sull’alternanza di un mercanteggiare servile e un’estrema libertà di azione, imbrigliata tra i due pronomi di prima persona Me […] mi e l’allitterazione, a inizio verso, della M, N, N, M. 34 Èupili: in contrasto col secolo teso prevalentemente al negotium, cfr. ode ii, il poeta invoca la calma della sua terra brianzola; il termine Èupili è stato utilizzato con medesima finalità in ii.2, in cui il nome antico del lago è ugualmente affiancato alla coppia aggettivale vago e mio. Diversa però appare la scrizione: nell’ode ii il poeta intende omaggiare con il suo componimento l’aria salubre del suo luogo natìo, quasi personificandolo: di qui il carattere tutto maiuscolo riservato, anche in altre odi, ai dedicatari (BICETTI, WIRTZ, GRITTI, SACCHINI, DURINI), laddove il corsivo ha un valore più sfumato. 37 bel: bellezza. 39 esule: s’intende dalla città. 48 agitar: tormentare; la strofa è costruita sulla contrapposizione città-affanni / campagna-quiete, secondo la tradizione classica.
92
giuseppe parini In van con cerchio orribile, Quasi campo di biade, I lor palagi attorniano Temute lance e spade; Però ch’entro al lor petto Penetra nondimen Il trepido sospetto Armato di velen.
56
Qual porteranno invidia A me, che di fior cinto Tra la famiglia rustica A nessun giogo avvinto, Come solea in Anfriso Febo pastor, vivrò; E sempre con un viso La cetra sonerò!
64
Non fila d’oro nobili D’illustre fabbro cura Io scoterò, ma semplici E care a la natura. Quelle abbia il vate esperto 49 In van] Invan m n o; orribile,] orribile m n o 50 biade,] biade m n o 52 lance] lance, m n 53 Però ch’] Perocch’ m n 54 Penetra] Penètra m n, in o l’accento è stato cancellato 58 me,] me m n S B R; cinto] cinto, S Bm 62 Febo, Pastor vivrò, S 64 sonerò!] sonerò. sc, toccherò? m n o. La strofa che va dai vv. 65-72 è segnata a latere con un lieve tratto di penna in o e manca in S, riportata tra le Lezioni Varie R 66 fabbro] Fabbro m n 67 scoterò,] scoterò; o Bm; semplici] semplici, m n Bm 68 a la] alla m n o; Natura o 51 lor: dei tiranni. 61-62 in Anfriso […] pastor: Apollo ha pascolato il gregge del re Admeto in Tessaglia, sulle rive del fiume Anfriso. 63-64: su tali versi ironizzò il Carducci, p. 165: «Fortuna che l’abate, mobile e impaziente com’era, non durò molto a suonar la cetra con quel viso lì e scrisse poco di poi la Salubrità dell’aria». 65-67 fila […] scoterò: sono termini che afferiscono al campo semantico della cetra e, dunque, al canto. 67-72: in tutta la strofa vige la contrapposizione più volte rilevata tra virtutes e vitia.
ode iii Nell’adulazìon; Chè la virtude e il merto Daran legge al mio suon.
93
72
Inni dal petto supplice Alzerò spesso a i cieli, Sì che lontan si volgano I turbini crudeli; E da noi lunge avvampi L’aspro sdegno guerrier; Nè ci calpesti i campi L’inimico destrier.
80
E, perchè a i numi il fulmine Di man più facil cada, Pingerò lor la misera Sassonica contrada, Che vide arse sue spiche In un momento sol; E gir mille fatiche Col tetro fumo a vol.
88
E te villan sollecito, Che per nov’orme il tralcio 70 adulazìon] adulazion m n 71 Chè] Che m n G corretto poi negli Errata con la lezione a testo; virtude] virtude, m n 73 petto supplice] cor dettatimi m n o S 74 a i] ai m n o; cieli,] Cieli n 75 si volgano] rivolgano m n o 76 crudeli;] crudeli, S 77 noi] voi m n o 78 L’aspro sdegno] il fremito m n o S; guerrier, R 79 ci] vi m n o 81 E,] E m n o; perchè] perche sc; a i] a’ m n o; numi] Numi o. La strofa che va dai vv. 81-88 è segnata a latere con un lieve tratto di penna in o e manca in S, riportata tra le Lezioni Varie R 83-84 nota: Accenna le devastazioni fatte in Dresda, e nel suo territorio, dalle truppe Prussiane nel Novembre del 1758: nel qual torno fu composta le presente Ode G B, Si accennano le infelici vicende della Sassonia nel Novembre del 1758 Bm 86 sol;] sol, m n Bm 89 E] Ma m n o; te, B Bm 79-80: cfr. Orazio: «neu sinas Medos equitare inultos» (Carm. i. ii.51). 81-82 il fulmine […] cada: nell’intento di colpire i tiranni. 84-85: si allude alla guerra dei Sette Anni, che devastò la Sassonia nel 1756. 88 tetro: perché portatore di lutti. 90 per nov’orme: cioè con le nuove tecniche; in tutta la strofa sono evidenti l’interesse pariniano per le innovazioni benefiche di una progredita tecnica agraria, quale quella della Lombardia di Maria Teresa, e la sua volontà di porsi in sintonia con le posizioni dei fisiocratici.
94
giuseppe parini Saprai guidar frenandolo Col pieghevole salcio: E te, che steril parte Del tuo terren, di più Render farai, con arte Che ignota al padre fu:
96
Te co’ miei carmi a i posteri Farò passar felice: Di te parlar più secoli S’udirà la pendice. E sotto l’alte piante Vedransi a riverir Le quete ossa compiante I posteri venir.
104
Tale a me pur concedasi Chiuder campi beati Nel vostro almo ricovero I giorni fortunati. Ah quella è vera fama D’uom che lasciar può quì Lunga ancor di sè brama Dopo l’ultimo dì!
112
91 guidar] guidar, m n o S B Bm 93 te,] te m n 94 terren,] terren m n o S 95 farai con arte, m n o S Bm 96 Che] Ch’ m n; fu:] fu. m n, fu, S 97 a i] ai m n, a’ o 99 E del tuo nome un Secolo m n (secolo) o 100 S’udirà] Sonerà m n o 101 Sotto le meste piante m n o R 104 venir.] venir G corretto negli Errata con la lezione a testo 106 Chiuder] Chiuder, m n o S B Bm; beati, S Bm 107 vostro almo] bel vostro m n o S 108 fortunati.] fortunati; m n o 109 Ah] Che m n (ché) o 110 uom] uom, S m 112 dì!] dì m n o S sc 92 salcio: salice; cfr. De’ Medici: «con buon salcio poi si lega e cigne» (Canzona quarta degli innestatori.16). 100 la pendice: il pendìo dei colli, dunque, metonimicamente, gli abitanti; vd. il dolcissimo / Insensibil pendìo dei vv. 35-36. 105 Tale: allo stesso modo; cfr. ode i.181. 110 quì: nella campagna. 111 brama: nel senso di rimpianto.
IV a Ambr. II 1 g, pp. 10-12. S (vd. Edizioni S. C. n. 2). m Miscellanea Morbio 17, pp. 45-48. n Ambr. III 3, pp. 55-56. sc Ms. Schiera, 43v-44r. G 28-33 (nota 162). B 20-23 (nota 148). R 85-89. Bm 161-164.
a attesta la fase più antica del testo con la lezione cigne del v. 8, per cui si veda oltre, Ponendoti del v. 17, Giustizia del v. 43 corretto in Temide per implicazione con giudizi del verso successivo, sprezzar del v. 47 attutito in romper, di voi del v. 59 mutato in è che del v. 59 e il priega del v. 60 variato in prega per evitare il fastidioso ritorno del suono ie del verso precedente (niega). S lo segue con eguale posposizione dei vv. 19-24, e mantenimento di crucciati per cruciati del v. 62, ma con la correzione di tutte le occorrenze citate e pure del v. 53 che da Da lui con diventa Là con sereno – e ciò sussisterà anche negli altri due codici m n, poco precisi e portatori di vari errori, tra cui quello del v. 58 orecchie per orecchio; sc si rivela il più vicino a G, tranne per la geminata al v. 62; il copista al v. 39 corregge un suo errore: tormenti per stromenti (lectio facilior). G con un refuso al v. 10 (schiude; per schiude.) corretto nella tavola, propone un testo maggiormente curato, in cui i versi 19-24 vengono preposti alla strofa successiva con una felice progressione del ragionamento ed eliminate le fastidiose implicazioni per l’orecchio attento del poeta, a vantaggio di una migliore tornitura del verso che si avvale di riprese (vv. 15-17; 43-55; 67-69) utili alla simmetria delle strofe e di una scelta puntuale dell’uso della maiuscola (vv. 14-50-54-60). La variante del v. 8, cinge per cigne, si può spiegare come lezione maggiormente eufonica in luogo della fastidiosa iterazione del gruppo gn presente e inamovibile al v. 5 (Bisogno). B ed R riprendono G modificando spesso l’interpunzione e la scrizione delle preposizioni e optando per il punto esclamativo dopo le interiezioni; Bm si accorda spesso con esse, pur innovando secondo i criteri della prefazione.
96
giuseppe parini
IL BIS OGNO al sig. wirtz pretore per la repubblica elvetica.
Oh tiranno Signore De’ miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza!
6
Titolo: Ode a, Canzone dedicata all’illustrissimo Signor Don Pierantonio Wirtz etc. (vd. Edizioni S. C. n. 2) S, Sul Bisogno Canzone m, Il Bisogno Ode n, Il Bisogno R; nota: Stampata nel 1765 in Milano, e successivamente in più altri luoghi. L’Elvetico Pretore quì celebrato, s’acquistò una lode straordinaria nell’amministrazione specialmente del Criminale; ma soprattutto per lo zelo ed attività sua in somministrare mezzi efficaci alla emendazione de’ malviventi G B, Al Signor VIRTZ Pretore nel 1765, per la Repubblica Elvetica, il quale acquistossi lode singolare coll’amministrazione della giustizia criminale, e co’ provvedimenti atti a prevenire i delitti R, Al sig. Wirtz, Pretore per la Repubblica Elvetica, il quale acquistossi somma lode nell’amministrazione della giustizia criminale; ma soprattutto nel prevenire i delitti. Quest’Ode fu scritta nel 1765 Bm 1 Oh] O a S m n; tiranno] Tiranno S; Signore] signore a B Bm; mortali,] mortali; a n, mortali m 3 Oh] O a S m n; male oh] male, o S m n, male, oh B R Bm 4 di] de’ n 5 Bisogno] Bisogno S Bisogno! m n; spezza] sprezza n 6 fierezza!] fierezza? a S m IV . Strofa di sei settenari piani secondo lo schema ababcc. Entrando nel vivo dibattito politico del suo tempo circa l’utilità della pena di morte e della tortura, Parini consente con Cesare Beccaria nel sostenere come la giustizia, lungi dal limitarsi alle punizioni, debba invece prevenire i crimini e i delitti; in tale ambito si colloca e si distingue l’operato del pretore dedicatario dell’ode, un esempio da emulare per i magistrati coevi. 1 Oh: l’apostrofe a inizio verso è stilema ricorrente nelle odi; ripresa anaforica al v. 3, iterato anche al centro del verso. 2 miseri mortali: cfr. Virgilio (Aen. xi.182); Dante: «d’i miseri mortali aperse ’l vero» (Par. xxviii.2); Petrarca: «prendon riposo i miseri mortali» (RVF ccxvi.2) e: «inganni i ciechi et miseri mortali» (ccclv.2). 3-4 persuasore / Orribile di mali: la fonte è senza dubbio Virgilio (Aen. vi.274-278) in cui la «malesuada Fames» e la «turpis Egestas» sono individuate come personificazioni dei mali e abitano il vestibolo dell’Averno. A tale forte rimando sono da accostarsi, tra i classici, Orazio: «magnum pauperies obprobrium» (Carm. iii. xxiv.42) e Silio Italico: «et deforme malum ac sceleri proclivis egestas» (Pun. xiii.338); in ambito italiano, Petrarca «Ché ’l poverel digiuno / Ven ad atto talor che ’n miglior stato / Avria in altrui biasmato» (RVF ccvii.22-24).
ode iv
97
Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti.
12
Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d’orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
18
Con le folgori in mano La legge alto minaccia; Ma il periglio lontano Non scolora la faccia Di chi senza soccorso Ha il tuo peso sul dorso.
24
Al misero mortale Ogni lume s’ammorza: Ver la scesa del male Tu lo strascini a forza: 8 Cinge] cigne a, cinge sc; virtude;] virtude: S n 9 rovini;] rovini, a S, rovini m, ruini n, rovini: R 10 schiude.] schiude! a, schiude; S m, schiude: n B Bm, schiude; G (corretto negli Errata) 11 Entri, e] Entri e n 14 Ragion] ragion a (corretto in Ragion) m n; soglio;] Soglio m n 15 de la] della m n 17 E ti poni] Ponendoti a 19-24 l’intera strofa è posposta alla successiva in a S 19 (24) Con le] Colle a S m n 20 legge] Legge R 21 periglio] timor ch’è m n 26 (20) s’ammorza:] s’ammorza. S, s’ammorza; m, s’ammorza n 7 valli adamantini: bastioni resistentissimi; adamas per i classici vuol dire prima di tutto ‘acciaio’. 14 soglio: trono. 18 Tiranno: l’iterazione a distanza della parola-chiave del primo verso chiude circolarmente l’apostrofe. 20 alto: aggettivo in funzione avverbiale, caro a Dante, ai cinquecentisti e allo stesso Parini: «Temi bieco guata» (ode ii.116). 22 Non scolora: non intimorisce. 25 misero mortale: iterazione della coppia aggettivo/sostantivo presente al v. 2.
98
giuseppe parini Ei di sè stesso in bando Va giù precipitando.
30
Ahi l’infelice allora I comun patti rompe; Ogni confine ignora; Ne’ beni altrui prorompe; Mangia i rapiti pani Con sanguinose mani.
36
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d’atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d’orridi muri?
42
Colà Temide armata Tien giudizj funesti 29 sé] se S m n 30 precipitando.] precipitando n 31 Ahi] Ahi, S, Ahi! R Bm 32 rompe;] rompe, S, rompe m n 33 ignora;] ignora n 34 prorompe;] prorompe: n 38 catene;] catene, S m, catene n 39 stromenti] strumenti a S n, tormenti, poi corretto con la lezione a testo sc 40 Veggo] Veggio n 42 muri?] muri! n 43 Temide] giustizia corretto in Giustizia a 29 di sè stesso in bando: cfr. Petrarca: «anchor me di me stesso tene in bando» (RVF lxxvi.4); RdA (Lacone Cromizio), tomo iv, 14: «basta per me, che di me stesso in bando». 32: cfr. Beccaria: «uno scellerato, ma che non ha rotto i patti di una società» (Dei del. xxix). Fondamentale in entrambi i testi l’influenza del Contrat social di Rousseau. 34 prorompe: cfr. Virgilio: «Fas omne Obrumpit […] / Quid non mortalia pectora cogis, / Auri sacra fames!» (Aen. iii.55-57). 35-36 mani: il vocabolo sarà iterato a distanza, al v. 77, e ha valore di parola-chiave; in tutta la strofa è evidente la forte intensità realistica nella scelta del verbo mangia e degli aggettivi rapiti per i pani, e sanguinose per le mani; cfr. Orazio: «omne sacrum rapiente dextra» (Carm. iii. iii.52). 37-40 Ma quali […] atroci pene: l’iperbato mette in luce l’atrocità delle carceri e delle torture. Il poeta mostra tutto il suo sdegno anche nella scelta degli aggettivi che connotano gli strumenti coercitivi (es. ingegnosi), in sintonia con i più illuminati spiriti del tempo, quali Cesare Beccaria, per i riferimenti frequentissimi al suo Dei delitti e delle pene, e Pietro Verri, per le Osservazioni sulla tortura. 41 antri oscuri: cfr. Beccaria: «nell’oscurità di una prigione» (Dei del. xxix). 43-44 Temide armata: la dea della giustizia, Temi, armata perché infligge pene ai colpevoli. L’aggettivo funesti però fa pensare ad una condanna ingiusta; Bosco
ode iv Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti.
99
48
Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v’innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
54
O ministri di Temi Le spade sospendete: Da i pulpiti supremi Quà l’orecchio volgete. Chi è che pietá niega Al Bisogno che prega?
60
45 affannata,] affannata m n B R 47 romper … dritti] sprezzar … dritti a, a rompere gli altrui diritti n, dritti, B Bm 48 padre di] Padre de’ n 49 Meco vieni] Meco ne vieni n 50 nume] Nume S, Nume, m, nume, n Bm; siede.] siede a S n, siede; m, siede: B 51 No … dispetto] No; … dispetto, S, No, … dispetto Bm 52 piede.] piede: a S m n B 53 Da lui con lieto] Là con sereno S m n 54 Bisogno] bisogno (corretto in Bisogno a) S G 55 Temi] Temi, B Bm 56 sospendete:] sospendete; a S m n 57 Da i] dai S m n 58 Quà] Qui n, Qua B R Bm; orecchio] orecchie m n 59 Chi è che] Chi di voi a, Chi è, S n 60 Bisogno] bisogno, S, Bisogno, n; prega?] prega! n, priega. a opportunamente osserva: «Forse il Parini volle includere nell’attributo l’idea che i giudizi troppo rigidi fanno più male che bene alla società, in quanto spingono ad altri delitti chi potrebbe essere salvato se indulgentemente soccorso dopo il primo». 45 turba affannata: misera folla; cfr. Dante: «turba grama» (Inf. xv.109). 50 vi: riprende il Colà del v. 43. 51 dispetto: il verbo era nell’uso medievale. 55 O ministri: ancora una invocazione, ma questa volta ai magistrati, affinché non usino soltanto gli strumenti di condanna; cfr. v. 44. 57 pulpiti supremi: i seggi dei tribunali, alti anche idealmente rispetto a chi debba essere giudicato; Ebani cita Beccaria: «gli inesorabili e induriti ministri della giustizia» (Dei del. xxix). 59 niega: come nell’ode iii.7.
100
giuseppe parini Perdon, dic’ei, perdono Ai miseri cruciati. Io son l’autore io sono De’ lor primi peccati. Sia contro a me diretta La pubblica vendetta.
66
Ma quale a tai parole Giudice si commove? Qual dell’umana prole A pietade si move? Tu WIRTZ uom saggio e giusto Ne dai l’esempio augusto:
72
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl’infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell’altrui parte O per forza o per arte:
78
62 Ai] a i a; cruciati] crucciati: a S, crucciati. sc, cruciati! m corretto come a testo n 63 autore] autore, S m n Bm 64 peccati.] peccati; S, peccati m n, peccati: Bm 68 commove?] commove! n 69 Qual] Chi a S m n 70 pietade] pietate S 71 Tu WIRTZ] Tu Wirtz a m, Tu Wirtz S n, Tu, Wirtz, B Bm (Virtz) R; saggio, e m n 72 augusto:] augusto. a S m n 74 Dolor] Pietà a S m n; de gl’] degl’ S m n B Bm 75 Bisogno] bisogno S n G B 78 arte:] arte. S n, arte; Bm 61 Perdon […] perdono: epanalessi, come, subito dopo, al v. 63 Io son l’autore […] sono; la prima può leggersi come eco del tassiano «Amico, hai vinto: io ti perdon … perdona» (GL xii.66). 62 cruciati: latinismo per ‘tormentati’; cfr. Boiardo: «così cruciati, con le spade in mano» (OI i.91). 67-70 Ma quale […] move?: riprende il passaggio del v. 37 ma quali odo lamenti. 73-74 vinse/Dolor: eco dell’Inferno dantesco: «pietà mi giunse, e fui quasi smarrito», (v.72), come si evince anche dalla prima lezione, pietà in luogo di dolor, corretta per implicazione col v. 70. 76 rapitrici: cfr. Bembo: «è sola recatrice e rapitrice» (Asolani ii.iii) e «dalla sua rapitrice in quella guisa portata» (ii.xviii); «se ancora questa rapitrice degli animi» (Prose ii.xix). 78 O per forza o per arte: Bosco suggerisce di interpretare dantescamente: «in quanto ladri con violenza (e quindi eventualmente anche assassini) o con frode (truffatori o simili)».
ode iv E il carcere temuto Lor lieto spalancasti: E dando oro ed aiuto, Generoso insegnasti Come senza le pene Il fallo si previene. 79 il] ’l m 80 spalancasti:] spalancasti; a S Bm, spalancasti m n m n; ed] od m; aiuto] ajuto m n B Bm
101
84 81 oro] oro, S
83-84 senza […] previene: echeggia una delle massime fondanti dell’opera di Beccaria, in cui si afferma che è preferibile prevenire il crimine, piuttosto che punirlo.
V a Ambr. II 3, p. 87. b Ambr. II3, p. 89. c Ambr. II 1 h, pp. 21-23. sc Ms. Schiera, c. 49r-v. m Miscellanea Morbio 17, pp. 38-40. n Ambr. III 3, pp. 69-71. o Ambr. III 8, pp. 87-89. G pp. 34-37. B pp. 24-26. R tra le Canzonette, pp. 220-224. Bm tra le Canzonette, pp. 249-251.
La prima fase dell’ode, attestata da a è di sole tre quartine con diversi tentativi di inizi e molte cancellature; per le ultime due quartine, il primo abbozzo è costituito da b; l’unico autografo a riportare il testo per intero è c che legge al v. 5 oh dio, mutato in oimè in tutti gli altri testimoni, e al v. 48 fino agli estremi dì, comune solo a m, ma divenuto poi fino a l’estremo dì negli altri codici; altra lezione non fatta propria dal gruppo n o è il che del v. 49. c funge da capofila, sc, poco curato nella punteggiatura e nella trascrizione, (mancano i punti interrogativi ai vv. 17-18, 34, le maiuscole, molti segni interpuntori) deriva alcune delle scelte, come l’anticipazione della quarta quartina, le lezioni dei vv. 15 e 29, rendono per rendonvi e A Bacco, e all’amicizia in luogo di A Bacco, all’amicizia da c, ma riporta un proprio errore al v. 32, mesto per misto, per lectio facilior; m è portatore di molte scorrettezze dovute alla disattenzione del copista, n è una bella copia precedente alle ultime volontà autoriali, o mostra una maggiore vicinanza alla stampa del ’91, a volte grazie a interventi seriori attestati da differente inchiostro di tonalità più scura (v. 41 e v. 51), altre volte mediante una progressione degli interventi interpuntori più prossimi alla princeps. Le edizioni successive presentano particolarità grafiche non diverse da quelle segnalate negli altri testi; Bm inserisce la dieresi per Lïeo.
ode v
103
IL BR INDIS I
Volano i giorni rapidi Del caro viver mio: E giunta in sul pendìo Precipita l’età.
4
Le belle oimè che al fingere Han lingua così presta Sol mi ripeton questa Ingrata verità.
8
Con quelle occhiate mutole Con quel contegno avaro Mi dicono assai chiaro: Noi non siam più per te.
12
E fuggono e folleggiano Tra gioventù vivace; Titolo: Ode c, Canzone Sopra L’età m, Brindesi o n, Canzonetta dell’A. P. sc 5 oimè] oh dio, c, oimè! R Bm; al fingere] mentono c sc m n o 6 Han] con c sc m n o; presta] presta, c m o, grata corretto come nella lezione a stampa sc 8 Ingrata] noiosa poi corretto come nella lezione a stampa sc 9-12 c e sc riportano la quartina successiva per errore, c la cassa successivamente, sc la mantiene. 9 mutole] mutole, c m B Bm 14 Tra] Fra m, Con n V . Quartine di settenari raggruppate a due a due secondo lo schema: abbcdeec.
All’apparenza semplice e dilettevole, il testo conduce a una riflessione sulla fuggevolezza della gioventù e della vita senza indurre però alla malinconia. Molto curata dal punto di vista formale, come dimostrano gli abbozzi, le correzioni e le cancellature, è stata da Reina esclusa dal canone e inserita nelle Canzonette; in realtà risponde a un preciso disegno di alternanza di moduli e di temi della raccolta curata da Parini e Gambarelli. 1 Volano i giorni rapidi: immagine topica. In tutta la strofa tanti sono gli echi, sia classici, Orazio e Cicerone, sia italiani, tra cui primeggia Petrarca: «Ma perché vola il tempo, et fuggon gli anni» (RVF xxx.13), «Signor’, mirate come ’l tempo vola» (cxxviii.97), «sì corre il tempo et vola» (ccclxvi.127). 5-8: Carducci cita Anacreonte. 9 mutole: aggettivo molto usato dall’Ariosto delle commedie (Cassaria, Studenti, Suppositi); si trova anche nel Vasari (Vite) e nel Marino (Sampogna).
104
giuseppe parini E rendonvi loquace L’occhio la mano e il piè.
16
Che far? Degg’io di lagrime Bagnar per questo il ciglio? Ah no; miglior consiglio È di godere ancor.
20
Se già di mirti teneri Colsi mia parte in Gnido, Lasciamo che a quel lido Vada con altri Amor.
24
Volgan le spalle candide Volgano a me le belle: Ogni piacer con elle Non se ne parte alfin.
28
A Bacco, all’Amicizia Sacro i venturi giorni. Cadano i mirti; e s’orni D’ellera il misto crin.
32
Che fai su questa cetera, Corda, che amor sonasti? 15 rendonvi] rendono c sc m n o 16 e il] il sc m n, e ’l o 17 far? Degg’io] far degg’io? m, far degg’io n 19 Ah no;] Ah! no, m, Ah no! n Bm, Ah no: o 24 con altri] con altro sc, cogli altri n 25 candide] candide, B Bm 28 alfin] al fin R Bm 29 Bacco, all’Amicizia] Bacco, all’amicizia m, Bacco e alla amicizia n, Bacco e all’Amicizia c o con la virgola dopo Bacco sc 33 cetera,] cetera c sc, Cetra m, cassato e corretto in Cetera n 34 Corda,] Corda R 18-19 ciglio […] consiglio: la rima ricorre in Guidi, Alla santità di Nostro Signore Clemente undecimo.132-33. 22 Gnido: la città della Caria famosa per il culto di Venere. 25-26 Volgan […] Volgano: l’anafora richiama il verbo del v. 1 in una forte assonanza, ma anche le anafore dei vv. 9-10. 29 A Bacco, all’Amicizia: vd. Canzone Carnascialesche, in primis la Canzona di Bacco di Lorenzo de’ Medici. 31-32 mirti […] ellera: agli amori si sostituisca il vino; mirto è metonimia per Venere ed edera per Bacco; cfr. Orazio: «Me doctarum hederae praemia frontium» (Carm. i. i.29); Chiabrera (Rime ii. Le vendemmie di Parnaso iv e xliv).
ode v Male al tenor contrasti Del novo mio piacer.
105 36
Or di cantar dilettami Tra’ miei giocondi amici, Augurj a lor felici Versando dal bicchier.
40
Fugge la instabil Venere Con la stagion de’ fiori: Ma tu Lièo ristori Quando il dicembre uscì.
44
Amor con l’età fervida Convien che si dilegue; Ma l’amistà ne segue Fino a l’estremo dì.
48
Le belle, ch’or s’involano Schife da noi lontano, Verranci allor pian piano Lor brindisi ad offrir.
52
E noi compagni amabili Che far con esse allora? Seco un bicchiere ancora Bevere, e poi morir.
56
35 Male al] Perchè c o, Tu col m n corretto poi con la lezione a testo sc 36 novo] nuovo sc n; piacer.] piacer? c o 38 Tra’] Fra’ c, Fra m, Tra c sc n o 41 la instabil] l’instabil c m n, corretto in la o 42 con la] colla m o; de’] de i o; fiori:] fiori, m, fiori n, fiori; c o 43 Ma] E n; ristori] dimori c sc m n o 44 Quando il] fin che c sc m n o 45 con l’] coll’ n o 47 Ma] E n; amistà] Amistà R; segue] siegue n 48 Fino a l’estremo] Fino (Fin m) agli estremi c, all’ n o B R Bm 49 belle,] belle B R; ch’or] che c m; allor che fuggono sc 50 lontano,] lontano R 51 allor pian piano] a mano a mano n, corretto con la lezione a testo o 52 brindisi] brindesi m n; Brindisi ad offerir, con e aggiunto in interlinea sc 53 noi compagni amabili] noi, compagni amabili, B 54 allora?] allora; c, allora! n 56 Bevere,] Bevere R 43 Lièo: altro nome di Bacco. 44 dicembre: l’inverno della vita. 52-56 Cfr. Chiabrera: «Vadano a volo i canti […] Amici, ecco d’argento / Ben lucidi bicchieri / Beviamo, e diansi al vento / I torbidi pensieri […] La stagion futura / A tutti è scura» (Rime ii. Le vendemmie di Parnaso xxiv.1).
106
giuseppe parini
Si riportano di seguito i primi abbozzi dell’ode: il primo, Ambr. II 3 (p. 87), si riferisce alle prime tre quartine ed è stato cassato integralmente nei diversi tentativi di inizio che si leggono a latere; alcuni tratti di penna verticali mostrano di disapprovarne la globalità fino all’ultimo tentativo (I miei giorni sen volano): Volano i giorni rapidi (dopo «Dissi: e i fastosi amanti» completamente cassato)
Del caro viver mio: Belle fanciulle addio, Non fate più per me Dissi: e gli amanti insipidi
5
Volàro i dolci istanti (dopo «Volaro i dolci» e «Volano i dolci istanti dell’età», completamente cassati)
Dell’età mia novella: Avvedasi ogni bella Che passa in me l’età. Dissi: e i fastosi amanti A se mal noti ancora:
5
I giorni miei sen volano Più de’ miei dì non spirano Le vaghe aure novelle: Non è più per le belle La mia fuggente età. Dissi agli amanti insipidi, A se mal noti ancora: E le belle allora Mi diero in libertà. Folli! di lor si risero Le belle incustodite Ed al mio fianco unite Arser per me d’amor
5
10
Il secondo abbozzo, Ambr. II 3 (p. 89), si riferisce alle ultime due quartine; si legge insieme a un primo abbozzo dei vv. 1-12 dell’ode xiv e, girando il foglio, a una serie di nomi di divinità latine e di poeti e filosofi classici: Le belle che sen volano Schife da noi lontano
ode v Verran di mano in mano (corretto senza essere cassato in con noi pian piano)
Lor brindisi ad unir. E noi compagni amabili, Noi che faremo allora? Seco un bicchiere ancora Bevere e poi morir.
107
VI m Ambr. III 10, pp. 9-10. n Ambr. III 3, pp. 29-31. o Ambr. III 9, pp. 13-16. p Miscellanea Morbio 17, pp. 88-93. a Ambr. II 1 g, pp. 13-15. q Ambr. III 8, pp. 137-142. G 38-43 (nota 162). B 27-31 (nota 148). R 78-84. Bm 149-160.
L’ode si presenta con un numero variabile di strofe da testimone a testimone: in m n o p q il numero è di ventuno, viene ridotto a dodici nell’autografo a (che muta anche la successione delle strofe vii e viii), per passare a sedici nella princeps e nelle edizioni successive; a è spesso il più vicino all’edizione del ’91 quanto a scrizione delle preposizioni, grafia, alleggerimento delle maiuscole e alla generale volontà di ridurre il numero delle strofe. Come già constatato precedentemente in altri luoghi (cfr. ode iii), il poeta, circa i componimenti scritti molti anni prima e successivamente ridotti in modo significativo, in occasione della revisione dei testi per la stampa del ’91, tende al ricupero di alcuni versi soppressi ed è lecito supporre si sia avvalso, in questo caso, insieme al suo fedele allievo ed editore, di q, di mano gambarelliana: di qui, infatti, scaturiscono molte delle lezioni circa le strofe soppresse da a e la loro stessa successione, diversa dall’autografo: è q infatti della serie m n o p q il testo più curato e innovativo, maggiormente in linea con le innovazioni interpuntorie e grafiche del poeta maturo, cfr. vv. 13, 15, 25, 44, 51, 62, 70, 80, 87, 50 e 56 (gli ultimi due nei versi soppressi dalla stampa), la scelta della minuscola per clienti e pupilli del v. 84, ma anche l’opzione per la forma integra rispetto a quella apostrofata del v. 20, la iperbole. Nonostante sia intervenuto per correggere, Gambarelli lo fa immediatamente dopo la prima scrittura, come attesta la coincidenza degli inchiostri, e ciò avviene pure per il v. 72, lo incognito, in cui lo risulta sovrascritto con un segno del medesimo inchiostro di tonalità mattone-rossiccio. Il v. 51 registra una lezione innovativa, Have il, accolta dalla stampa, laddove tutti gli altri testimoni, compreso l’autografo, riportavano quella espunta; la stessa cosa avviene per l’interpunzione del v. 84, pupilli!, unica in accordo con la princeps. I codici n o p sono copie di m, lo attestano errori comuni, ai vv. 63 (suo per tuo) e 88 (con per un) mancanti nella stampa, p risulta essere il testimone maggiormente scorretto; m si presenta molto impreciso a causa delle numerose maiuscole arbitrariamente disseminate, della punteggiatura poco accorta e delle scelte grafiche spesso arbitrarie. B ed R si attengono a G salvo per alcune preferenze nella punteggiatura e nella grafia. Bm inserisce un numero molto superiore di virgole, segnalando le particolarità grafiche nell’accentazione degli omografi secondo le nor-
ode vi
109
me esposte; precisa inoltre, rispetto a G e B, la data in cui l’ode è stata recitata tra gli Accademici Trasformati. Si riportano, in calce al testo, la versione di a e le strofe presenti nella serie di testimoni m n o p q ma soppresse dalla stampa.
L A IM POS TU R A
Venerabile Impostura Io nel tempio almo a te sacro Vo tenton per l’aria oscura; E al tuo santo simulacro, Cui gran folla urta di gente, Già mi prostro umilemente. Tu de gli uomini maestra Sola sei. Qualor tu detti Ne la comoda palestra I dolcissimi precetti, Tu il discorso volgi amico Al monarca ed al mendico.
6
12
Titolo: manca in m, Ode q; Nota all’Ode: Recitata in una pubblica adunanza de’ Trasformati, circa un trent’anni fa G B, Quest’Ode fu recitata in una pubblic’adunanza degli Accademici Trasformati circa il 1760 Bm 1 Impostura] Impostura, m q, Impostura, B R Bm 4 simulacro,] simulacro R 5 folla] calca m q; gente,] gente R 7 de gli] degli m q 9 Ne la] Nella m q 12 monarca] Monarca, m q VI . Strofa di ottonari piani secondo lo schema ababcc. Parini coglie l’occasione proposta dall’Accademia dei Trasformati, come annota Gambarelli, per sottolineare come l’oggetto della poesia debba e possa essere soltanto il vero; si rivolge all’Impostura e immagina di cantare per lei, quando si fa strada in modo vivo ed energico la sola divinità che intende venerare, la Verità. 1 Impostura: cfr. Tasso: «Magnanima menzogna, or quand’è il vero / Sì bello che si possa a te preporre?» (GL ii.22). Tra gli amici di Parini, Balestrieri, Tanzi e Passeroni avevano utilizzato il termine come parola-rima (Ebani) 2-4 almo […] sacro […] simulacro: sia gli aggettivi sia il sostantivo cui si riferiscono calcano il tono ironico dell’apostrofe; per la rima sacro: simulacro vd. tra i tanti, Marino, Adone Le meraviglie.2-4. 3 aria oscura: eco ariostesca: «Ne l’aria oscura e nei principii pravi» (OF xxxiii.19). 9-11 comoda […] amico: gli aggettivi impiegati per palestra, precetti, discorso, rinviano semanticamente alla facilità d’azione dell’Impostura vista come maestra.
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giuseppe parini L’un per via piagato reggi; E fai sì che in gridi strani Sua miseria giganteggi; Onde poi non culti pani A lui frutti la semenza De la flebile eloquenza.
18
Tu dell’altro a lato al trono Con la Iperbole ti posi: E fra i turbini e fra il tuono De’ gran titoli fastosi Le vergogne a lui celate De la nuda umanitate.
24
Già con Numa in sul Tarpèo Desti al Tebro i riti santi, Onde l’augure potèo Co’ suoi voli e co’ suoi canti 13 reggi;] reggi, m 14 sì che in gridi strani] che per grida strane m q 15 giganteggi;] giganteggi, m, giganteggi: Bm 16 poi non culti pani] non sudato pane m q 17 A lui] Poi gli m q 18 De la] Della m q 19 dell’] de l’ q; a lato] accanto m q 20 la] l’ m corretto in la q; posi; m q 21 E ambe prodighe, col dono m senza virgola q 22 fastosi] ventosi m q, fastosi, Bm 24 De la] Della m q 25 Tarpèo] Tarpeo m R 26 santi,] santi R 27 augure] Augure m q, àugure Bm; poteo R Bm 28 voli] voli, m 13: seguendo la guida di una maestra come l’Impostura, il mendicante simula piaghe ed esagera i lamenti. 16 non culti pani: la correzione, oltre a esprimere con maggiore pregnanza l’associazione aggettivo / sostantivo, rende appieno l’immagine del mendicante che ottiene il pane senza essersi dedicato alla coltivazione della semenza di cui al verso successivo. 20 Iperbole: personificazione della figura retorica per indicare una esagerata adulazione. 24: diverse le interpretazioni dei critici; la più convincente ci pare quella suggerita da Porena e avallata da Bosco, secondo cui a lui è da leggersi come dativo di vantaggio: l’Impostura e l’Iperbole nasconderebbero per il monarca, di fronte ai sudditi, la sua condizione di uomo simile a tutti gli altri. 25 Tarpèo: il Campidoglio. 26 Tebro: il Tevere. 27-30: si narra l’istituzione da parte di Numa Pompilio dei riti religiosi secondo cui il collegio degli àuguri, interpretando la volontà degli dei attraverso il volo degli uccelli, in realtà piegava le menti dei romani, dominatori del mondo, al volere del re.
ode vi Soggiogar le altere menti Domatrici de le genti.
111 30
Del Macedone a te piacque Fare un dio, dinanzi a cui Paventando l’orbe tacque: E nell’Asia i doni tui Fur che l’Arabo profeta Sollevàro a sì gran meta.
36
Ave dea. Tu come il sole Giri e scaldi l’universo. Te suo nume onora e cole Oggi il popolo diverso: E fortuna a te devota Diede a volger la sua rota.
42
I suoi dritti il merto cede A la tua divinitade, E virtù la sua mercede. Or, se tanta potestade Hai qua giù, col tuo favore Che non fai pur me impostore?
48
30 de le] delle m q 32 dio,] Dio; m q, dio R; dinanzi a cui] e innanzi a lui, m senza virgola q 33 orbe] Orbe m q; tacque:] tacque. m q, tacque; Bm 34 E nell’] Pure in m q 35 profeta] Profeta m q 36 Sollevàro] -va- m q 37 Ave] Ave, B Bm; dea.] Dea. m, Dea! q 38 Giri e scaldi] Scaldi e movi m q; universo.] universo: m q 39 onora] invoca m q 40 Oggi] Tutto m q; diverso:] diverso; m q 41 fortuna] Fortuna m q; devota] divota m q 42 Diede] Ti diè m q 44 A la] Alla m q; divinitade,] Divinitate m -d- q 46 Or,] Or q; potestade] podestate m q 47 qua giù] quaggiù m q 48 Che] Chè B Bm; impostore] Impostore m q che riportano a questo punto le tre strofe cassate in a e nelle edizioni 31 Del Macedone: Alessandro Magno. 33 Paventando: eco biblica segnalata da D’Ancona: Machab. i.3. 35 Arabo profeta: Maometto. 37 Ave dea: in tutto il testo molti sono i riferimenti a Lodovico Adimari (Sat. iii.Contro il vizio della bugia, e suoi seguaci). 41-42 fortuna […] rota: cfr. Orazio (Carm. i. xxxix.14); Dante: «però giri Fortuna la sua rota» (Inf. xv.95); colpisce il fatto che addirittura la Fortuna debba cedere, di fronte all’Impostura, tutto il suo potere. 48: la soppressione delle strofe si può ascrivere al fatto che fossero molto precise nell’identificare personaggi viventi (vd. apparato).
112
giuseppe parini Mente pronta e ognor ferace D’opportune utili fole Have il tuo degno seguace: Ha pieghevoli parole; Ma tenace, e quasi monte Incrollabile la fronte.
54
Sopra tutto ei non oblìa Che sì fermo il tuo colosso Nel gran tempio non starìa, Se qual base ognor col dosso Non reggessegli il costante Verosimile le piante.
60
Con quest’arte Cluvìeno, Che al bel sesso ora è il più caro Fra i seguaci di Galeno, Si fa ricco e si fa chiaro; Ed amar fa, tanto ei vale, A le belle egre il lor male.
66
Ma Cluvien dal mio destino D’imitar non m’è concesso. Dell’ipocrita Crispino 51 Have il] Ave ’l m 52 parole;] parole, m 55 oblìa] obblia, m senza virgola q 57 starìa] staria Bm 58 Se qual base] Se, qual base, m 59 reggessegli] reggessegl’ q 60 Verosimile] Verisimile m q 61 Cluvìeno,] Cluvieno m, Cluvïeno B R 62 ora è il più] or è ’l più m (il) q 63 Galeno,] Galeno m R 64 ricco] ricco, m q; chiaro m 65 fa, … vale,] virgole sostituite da parentesi in m 66 A le] Alle m q in cui sono presenti altre due strofe soppresse 69 Dell’] de l’ q 51 Have: l’arcaismo veicola una maggiore gravità al testo, sempre nell’ottica della profonda ironia di cui è intessuto. 61 Cluvìeno: personaggio di Giovenale (Sat. i.80); in questo caso rappresenta un medico frivolo e alla moda. 63 Galeno: il medico greco del ii sec. d.C. 64-66 chiaro […] egre: i latinismi sottolineano maggiormente la marca ironica. 69 Crispino: sempre un personaggio tratto dalle Satire di Giovenale (iv.1), presente nelle Varie cxxxvi.1: «Crispin non avea pan, tre giorni è oggi»; ricorre pure nel Canzoniere di Nicolò Franco, Rime contro Pietro Aretino. Per la tipologia dell’ipocrita e del medico frivolo, vd. il Discorso che ha servito d’introduzione all’Accademia sopra le caricature.
ode vi Vo’ seguir l’orme da presso. Tu mi guida o Dea cortese Per lo incognito paese.
113
72
Di tua man tu il collo alquanto Sul manc’ omero mi premi: Tu una stilla ognor di pianto Da mie luci aride spremi: E mi faccia casto ombrello Sopra il viso ampio cappello.
78
Qual fia allor sì intatto giglio Ch’io non macchj, e ch’io non sfrondi, Dalle forche e dall’esiglio Sempre salvo? A me fecondi Di quant’oro fien gli strilli De’ clienti e de’ pupilli!
84
Ma qual arde amabil lume? Ah, ti veggio ancor lontano Verità mio solo nume, Che m’accenni con la mano; 70 da presso.] d’appresso: m, da presso: q 71 guida] guida, m q; cortese, q 72 lo incognito] l’ m corretto con la lezione a testo q 74 premi:] premi; m q Bm 76 spremi:] spremi; m q Bm 78 Sopra il] Sopra ’l m 79 giglio] giglio, m q 80 Ch’io] Che io m; sfrondi,] sfrondi m 81 forche] forche, m q 84 clienti e de’ pupilli!] Clienti, e dei pupilli. m, clienti, e de’ pupilli! q 86 Ah,] Ah m q, Ah! B R Bm; veggio ancor] veggo di m q; lontano, B Bm 87 Verità] Verità, m B Bm; nume,] nume. m q, nume R 88 Che] Tu m q; con la] colla m q; mano, m, mano q 70-71 seguir […] guida: gli echi danteschi disseminati nel testo fin dall’inizio (aria oscura al v. 3), unitamente agli arcaismi e agli epiteti ornamentali (almo, al v. 2), tendono a sottolineare lo scarto ironico che attraversa tutta l’ode. 72 incognito: perché non frequentato dal poeta; dopo il sacrificio del merto (43) e della virtù (45), in ottemperanza al potere dell’impostura, si prepara l’apostrofe alla Verità, unica dea venerata da chi scrive. 77-78 ombrello […] cappello: per nascondervi sotto gli occhi e l’espressione del viso (Caretti). 79 intatto giglio: un’anima candida; cfr. RdA (Montano Falanzio), tomo ii.302: «giglio / Del bel seno intatto». 86-88 lontano: mano: le stesse parole-rima presenti nell’ode iv.19-21. 87 Verità: «si fa qui valere una costante stilistica dell’arte pariniana; la Verità non è una forma viva, ma una statua» (Bosco).
114
giuseppe parini E m’inviti al latte schietto, Ch’ognor bevvi al tuo bel petto.
90
Deh perdona. Errai seguendo Troppo il fervido pensiere. I tuoi rai del mostro orrendo Scopron or le zanne fiere. Tu per sempre a lui mi togli; E me nudo nuda accogli.
96
89 schietto,] schietto q R 90 Ch’] Che q 91 Deh] Ah m q, Deh! R; perdona: errai m, perdona! errai q, perdona! Errai B con la virgola dopo E. Bm 95 togli;] togli, m 96 nudo] nudo, m q 89-90: per l’immagine della divinizzazione della Verità, del suo aspetto, della lactatio, vd. i Soggetti per Artisti, ad esempio Giunone, Barbarisi-Bartesaghi, p. 447. 94 zanne: cfr. Alcune rime di Ripano Eupilino liii.13; Varie xci.2.
Si riporta integralmente la versione dell’ode secondo l’autografo a Venerabile impostura Io nel tempio almo a te sacro Vo tenton per l’aria oscura; E al tuo santo simulacro, Cui gran calca urta di gente Già mi prostro umilemente. Tu de gli uomini maestra Sola sei. Qualor tu detti Ne la comoda palestra I dolcissimi precetti, Tu il discorso volgi amico Al monarca ed al mendico. L’un per via piagato reggi; E fai sì che in grida strane Sua miseria giganteggi Onde poi non culto pane A lui frutti la semenza De la flebile eloquenza.
6
Tu dell’altro a canto al trono Con l’Iperbole ti posi; E ambe prodighe col dono Di gran titoli ventosi Le vergogne a lui celate De la nuda umanitate.
24
12
Già con Numa in sul Tarpeo Desti al Tebro i riti santi, Onde l’augure poteo Co’ suoi voli e co’ suoi canti Soggiogar le altere menti Domatrici de le genti.
30
18
Del Macedone a te piacque Fare un dio, dinanzi a cui Paventando l’orbe tacque; E nell’Asia i doni tui Fur che l’arabo profeta Sollevàro a sì gran meta.
36
ode vi
115
Mente pronta e ognor ferace D’opportune utili fole Ave il tuo degno seguace; Ha pieghevoli parole; Ma tenace e quasi monte Incrollabile la fronte. 42
I suoi dritti il merto cede A la tua divinitade, E virtù la sua mercede. Or se tanta potestade Hai qua giù, col tuo favore Che non fai pur me impostore? 60
Sopra tutto ei non obblia Che sì fermo il tuo colosso Nel gran tempio non starìa, Se qual base ognor col dosso Non reggesse gli il costante Verosimile le piante. 48
Ma, qual arde amabil lume? Ah ti veggio ancor lontano Verità mio solo nume. Tu m’accenni con la mano, E m’inviti al latte schietto Ch’ognor bevvi al tuo bel petto. 66
Ave Dea. Tu come il sole Scaldi e movi l’universo; Te suo nume invoca e cole Tutto il popolo diverso; E fortuna a te devota Diede a volger la sua rota.
Deh perdona: errai seguendo Troppo il fervido pensiere. I tuoi rai del mostro orrendo Scopron or le zanne fiere. Tu per sempre a lui mi togli; E me nudo nuda accogli.
54
72
Si riportano le strofe mancanti nell’autografo a ma anche in G B R Bm secondo la lezione di q; molti, come si vedrà, sono i termini sottolineati dal Gambarelli nella sua copia. Temerario menzognero Già su l’Istro non vogl’io Al geografo Buffiero Torre un verso, e farlo mio; E buscar gemme e fischiate Falso Conte e falso Vate.
Abbian titol d’Impostori; Ma sien risi, ed abbian pene, Poi che impor non sepper bene. 66 Ei, non come i pari suoi 54 Pompa fa di lingua argiva;
Né me stesso, od altri io voglio Por nel coro de i Celesti: Vana speme, e pazzo orgoglio, Onde or porta gli occhi mesti Il Biografo beffato; Quel che ’l Bruni ha effeminato. 60 Non invidio il losco ingegno Di sì sciocchi mentitori. Dea, costor nel tuo bel regno
Ma vezzoso i mali tuoi Chiama un’aura convulsiva; E la febbre, ch’ei nutrica, Chiama dolce e chiama amica.
90
Ei primiero il varco aperse A un ristoro confidente; Egli a’ medici scoperse Come l’utero si pente. Dea, ben dritto e se n’hai scolto Nel tuo tempio il nome, e il volto. 96
VII a Amb. II 1 h, pp. 15-16. m Ambr. III 8, p. 90. G 44-47 (nota 163). B 32-34 (nota 149).
a propone la prima versione dell’ode da cui deriva m, la copia di mano di Gambarelli che rivede e corregge i vv. 37-38 con lezioni coincidenti con G nel primo caso e di poco difformi nella punteggiatura nel secondo. G si discosta dai manoscritti per il rifacimento dei vv. 21-22, 29 e 39-40, oltre che per una serie di scelte grafiche e interpuntorie; nell’Indice in succinto il titolo contiene un refuso: Il Piacre e la Virtù. B deriva direttamente da G pur essendo portatore di due errori (al v. 19 de al posto di da e al v. 21 arra invece di atra). R esclude l’ode dalle sue stampe, non riservandole un posto neppure negli altri volumi delle opere pariniane; le motivazioni vanno ricercate nell’omaggio ai due sovrani austriaci di cui il componimento tratta. Stesso comportamento di omissione viene scelto da Bm, che proprio al criterio di R ammette di rifarsi.
IL PIAC ER E E L A VI RT Ù
Vada in bando ogni tormento: Titolo: Ode a, manca in m; nota: Scritta e stampata frettolosamente intorno al 1744, a istanza di un Cavaliere amico dell’Autore, per servire a un ballo mascherato di Corte, dove poi fu distribuita G B 1 tormento:] tormento; a m VII . Strofa di quattro ottonari secondo lo schema abbcaddc. Componimento leggiadro e fiabesco, inserito nella raccolta per quel criterio di variatio sia tonale sia contenutistica cui Parini si rifece in nome della poetica oraziana; sotto tale veste di leggerezza, però, si può leggere l’utopia civile dell’età dell’oro equata con le teorie di Rousseau. 1 ogni tormento: vd. nota di G; secondo alcuni commentatori l’ode è da riferirirsi al matrimonio tra Ferdinando d’Austria e Beatrice d’Este, celebrato nel 1771, ma non esistono prove in tal verso e non c’è ragione per non credere al Gambarelli che lavorava sotto il controllo parininiano; il testo potrebbe sì essere stato composto per quell’occasione, ma, a vent’anni di distanza, il poeta intende svincolarlo da riferimenti storici precisi, come altrove nella raccolta. D’altra parte, «Sposi del v. 29 non evoca necessariamente festeggiamenti nuziali né autorizza una sbrigativa retrodatazione» (Isella, p. 51). Vd. Poliziano: «Io ti ringrazio, Amore, / D’ogni pena e tormento» (Canzone a ballo cv.1-2). La prima e la seconda quartina, e, di conseguenza, le ultime due, con cui si innesta una significativa circolarità, fungono da cerniera con la composizione precedente nel focalizzare la centralità di una poesia civile.
ode vii Ecco riede il secol d’oro. A scherzar tornan fra loro Innocenza e libertà.
117
4
Sol fra noi regni il contento; Coroniamo il crin di rose: Su si colgan rugiadose Da la man dell’onestà.
8
La virtù non move guerra A i diletti onesti e belli. Colà in ciel nacquer gemelli Il piacere e la virtù.
12
E gli dei portàro in terra Un tesor così giocondo; E così beàr del mondo La primiera gioventù.
16
2 oro.] oro: a m 4 libertà] Libertà m 6 rose:] rose; a m 7 Su] Su, m 8 Da la] Dalla a m; onestà] Onestà m 10 A i] Ai m; belli: m, belli; B 12 piacere] Piacere a m; virtù] V- a, V-; m 13 portàro] portaro m 15 beàr] bear m 2 riede: ritorna. 6 crin di rose: in sintonia con quanto dichiarato da Gambarelli circa il ballo mascherato, in tutta l’ode si riscontrano echi derivanti dalla Canzona di Bacco, di Lorenzo de’ Medici e dai Canti Carnascialeschi del Rinascimento. 7 rugiadose: la rima rose : rugiadose ricorre in G. Alfonso Mantegna (Rime xxvi); in Ariosto la rima è interna: «tra fresce rose e candidi ligustri / Far rugiadose le crudette pome» (OF x.96). Vd. Bernardino Baldi (Egloghe miste, Epitalamio) in cui le rugiadose gote si riferiscono pure a una sposa di nome Beatrice. 8 onestà: cfr. RdA (Dalete Carnasio), tomo vi.18: «Chinò i lumi la sposa, e a lei, che teme, / Tal diè bella onestà cauto consiglio». 10 onesti e belli: cfr. Petrarca: «E ’l volger de duo lumi honesti et belli» (RVF lix.13), ma anche Bernardino Rota, Egloghe pescatorie in cui parlando del buon tempo felice il poeta fa riferimento a «Memoria de la ninfa onesta e bella» (Egloga vi). In tutta la Canzone a ballo cv di Poliziano, numerosi sono i riferimenti alla rosa e alla donna «bella e onesta»; nel sonetto lxxxiii di Varchi, dedicato a Beatrice Pia degli Olbizzi, ricorre la medesima coppia che era già in Petrarca (TM ii.66) e in Marino (Adone xi.63). Cfr. Lezioni di Belle Lettere, Morgana-Bartesaghi, p. 144: «La rosa, anche veduta in distanza può in noi risvegliare […] l’idea della gioventù». 16 gioventù: stesso clima festoso si respira nell’ode v.14: «tra gioventù vivace» e nella xiv.64: «de la cara gioventù», assimilabili alla presente anche nel metro.
118
giuseppe parini Folle stirpe de’ mortali, Che sè stessa ognor delude! Il piacer da la virtude Insolente dipartì.
20
L’atra allor di tutti i mali Si destò nova procella: E la coppia amica e bella Solo in ciel si riunì.
24
Ma tornàro i dì beati. Or veggiam congiunti ancora Con un nodo, che innamora La virtude ed il piacer.
28
Sposi eccelsi a voi siam grati, Che il bel dono a noi rendete: Siete voi che l’uomo ergete A lo stato suo primier.
32
Ah perchè velar l’aspetto Sotto strane e varie forme? Al fulgor de le vostr’orme Si conosce il divin piè.
36
17 de’] dei m; mortali a m 19 Piacer … Virtude a m 20 dipartì.] dipartì: a m 21 e così di tutti (tutt’ m) i mali a 22 Si destò l’atra procella; a m 23 coppia] Coppia m 25 tornàro] tornaro m; felici a m 27 nodo,] nodo a m B; innamora] innamora, B 28 virtude] Virtude a m; piacer] Piacer a 29 Siete voi due Numi amici a m; Sposi eccelsi, B 32 A lo] Allo a m 21-22 atra […] procella: cfr. B. Tasso: «che doppo così lunga atra procella» (Ode 49), Tasso «non move atra procella» (Rime d’Occasione o d’Encomio iv.i), RdA (Dalete Carnasio), tomo vi.4: «Ch’ei move, ruinosa atra procella». 23 coppia amica e bella: cfr. Guarini: «Coppia beata e bella, / Tanto del cielo e de la terra amica» (Pastor Fido v.ix). 25 tornàro: ripresa del riede del v. 2 ed è un nuovo inizio, dopo le prime sei strofe, che sancisce l’apertura della seconda parte dell’ode, composta anch’essa di sei strofe. 30-48 bel dono […] libertà: si proclama una nuova età dell’oro, come suggerisce la struttura bipartita del testo, che esiterà nella ripresa finale delle prime due quartine disposte in ordine inverso per sottolinearne la specularità.
ode vii
119
La Virtude et il Diletto, FERDINANDO e BEATRICE! Oh spettacolo felice, Che rapisci ogn’alma a te!
40
Sol fra noi regni il contento: Coroniamo il crin di rose: Su si colgan rugiadose Da la man dell’onestà.
44
Vada in bando ogni tormento. Ecco riede il secol d’oro: A scherzar tornan fra loro Innocenza e libertà.
48
37 La Virtude et] La V. ed a m che corregge La Virtute ed con la lezione a testo 38 Beatrice, a, Beatrice: m sovrascritto, insieme a Ferdinando, con caratteri più grandi e maggiormente marcati 39-40 Un accordo sì felice Mai nel mondo non si diè. a m 41 contento:] contento; a m 43 Su] Su, m 44 Da la] Dalla a m; Onestà m 45 tormento.] tormento: a m 46 oro:] oro. a m 48 libertà] Libertà a m 37 Virtude et il Diletto: la scelta della congiunzione latina è da attribuirsi al criterio eufonico del verso cui Parini era particolarmente attento; cfr. la nota introduttiva del Bernardoni alla sua raccolta del 1814 in cui spiega come il poeta «schivava scrupolosamente ogn’incontro di lettere, che potessero produrre la menoma asprezza». Bernardoni, Ai Leggitori p. xiii. 41 regni il contento: cfr. Dante: «l’esser di tutto suo contento giace» (Par. ii.114), RdA (Tirinto Trofeio), tomo iv.18: «Trar dall’altrui periglio il suo contento». 45-48: eco rousseauviana, secondo cui la condizione originale di libertà è dello stato di natura e il ritorno alla natura, cioè all’innocenza, è precondizione di libertà: sin dalla prima strofa il poeta connette la teoria del filosofo francese con il mito classico dell’età dell’oro, fornendo dunque una sorta di utopizzazione del suo dettato da cui poter accogliere la lezione morale ribadita dalla pregnanza della coppia Innocenza e libertà; cfr. il componimento precedente.
VIII m Ambr. III 5, pp. 106-107. n Ambr. III 8, p. 28. G 48-50 (nota 163). B 35-36 (nota 149). R 217-219 tra le Canzonette. Bm 253-254 tra le Canzonette.
G si lascia indietro la tradizione manoscritta che vede in m e n un testo identico; i primi quattro versi sono semplicemente contrassegnati da un segno “ nel primo testimone, mentre, nella copia di Gambarelli, riportano una crocetta a latere sotto il segno “ e un’altra crocetta in alto, vicino al bordo del foglio, dopo la data, 1769, posta a sinistra proprio a indicare chiaramente che la strofa necessita di un cambiamento, come di fatto avverrà. Le stampe successive si attengono a G attestando le preferenze del poeta per la scrizione separata delle preposizioni, a i al v. 11 e per la mancata elisione dell’articolo la al v. 23. La nota riportata da G retrodata al 1765 la stesura del testo, che nei manoscritti viene assegnata a quattro anni più tardi.
L A PR IM AVE RA
La vaga Primavera Ecco che a noi sen viene; E sparge le serene Aure di molli odori.
4
Titolo: manca in m n; nota: Stesa anche questa [come l’Ode vii] pressochè improvvisamente nel 1765, per compiacere una persona che la desiderò da mettere in musica per il cembalo G B 1 La vaga Primavera] La bella Primavera m n 2 Verso di noi ritorna m n 3 D’erbe e di fiori adorna m n 4 A rinnovar gli amori m n VIII . Strofa di quattro settenari secondo lo schema abbc. Rinascita della natura, bellezza femminile, giovinezza accomunano questo componimento al precedente, dando ragione dell’assegnazione della data e della improvvisazione per cui si mostrano legati e della loro posizione nella raccolta del ’91. 1 Primavera: tra le fonti, cfr. Poliziano: «Ma lieta Primavera mai non manca, / Ch’e suoi crin biondi e crespi all’aura spiega» (Stanze per la giostra, i.72). Molte le analogie con la Primavera di Metastasio e il sonetto xxii del Frugoni, oltre alla canzonetta Già riede Primavera, opportunamente rilevate da Ebani, p. 84.
ode viii L’erbe novelle e i fiori Ornano il colle e il prato. Torna a veder l’amato Nido la rondinella.
121
8
E torna la sorella Di lei a i pianti gravi: E tornano a i soavi Baci le tortorelle.
12
Escon le pecorelle Del lor soggiorno odioso; E cercan l’odoroso Timo di balza in balza.
16
La pastorella scalza Ne vien con esse a paro; Ne vien cantando il caro Nome del suo pastore.
20
Ed ei, seguendo Amore Volge ove il canto sente; E coglie la innocente Ninfa sul fresco rio.
24
5 De’ vaghi suoi colori m n 6 si veste il colle e il prato: m n 8 rondinella.] rondinella; B Bm 9 E la di lei sorella m n 10 torna a’ suoi pianti gravi; m n; di lei a i p. g.; Bm 11 a i] ai m n 14 odioso;] odioso m n 18 paro;] paro, m n 21 ei,] ei m n; Amore] Amore, B Bm 23 la] l’ m n 8-9 rondinella […] sorella: Progne e Filomela, trasformate, secondo il mito, in rondine e usignuolo. L’apparato dà conto del labor limae del poeta; il complesso gioco retorico di anafore e di enjambement che ne deriva sarà ripreso simmetricamente nella seconda parte del componimento. 13-15 pecorelle […] odoroso: cfr. RdA (Siralgo Ninfasio), tomo I.6: «Mirto odoroso, che le verdi braccia / Porgi sul fiume, e ’l piede hai sulla riva, / Onde la greggia, che qui a ber s’affaccia, / Vagheggia i rami tuoi nell’onda viva». 21-27 Amore: personificazione, dopo la Primavera del v. 1. 24 Ninfa: fanciulla.
122
25 desio] desìo R
giuseppe parini Oggi del suo desio Amore infiamma il mondo: Amore il suo giocondo Senso a le cose inspira.
28
Sola il dolor non mira Clori del suo fedele: E sol quella crudele Anima non sospira.
32
30 fedele:] fedele, m n
32 sospira.] sospira! m n
26 Amore infiamma il mondo: nelle RdA (Eustrio Cauntino), tomo iv.33: «Amore […] l’Universo infiamma». 30 Clori: cfr. tra i Sonetti pariniani, A Clori inspiratrice dell’estro. Come divinità è assimilabile in questo caso alla Flora latina e dunque alla Primavera. 32 Anima non sospira: cfr. Dante: «va dicendo a l’anima: Sospira» (VN xxvi Tanto gentile e tanto onesta pare.14).
IX m Ambr. III 10, pp. 5-7. n Ambr. III 3, pp. 39-41. o Ambr. III 3, pp. 82-84. p Ambr. III 8, pp. 155-161. a Ambr. II 1 h, pp. 33-36. q Miscellanea Morbio 17, pp. 54-60. sc Ms. Schiera, cc. 45v-47r. G 51-60 (nota 163). B 37-44 (nota 149). R 90-101. Bm 165-170.
Come sempre per le odi composte alcuni decenni prima, il poeta mostra la sua insoddisfazione nei confronti di molti versi che riportano lezioni differenti in tutte le copie: in questo caso m, di mano di copista non identificato, funge da testo primitivo di riferimento su cui Gambarelli interviene a posteriori per correggere in interlinea o a piè pagina (vv. 53-54 aggiunti dopo una sorta di croce) potendo tenere conto della fase più antica del componimento; il v. 21 ci offre la possibilità di verificarlo: la prima versione Natura ecco ecco il porta di m, ma non di o p, successivi e dunque portatori di una lezione diversa, non viene mutata da Gambarelli in interlinea, ma verrà ripristinata in sede di stampa. In apparato verranno indicate con m1 le correzioni di Gambarelli apposte su m. Sempre su m, le aggiunte a matita di un ductus diverso non appartengono al primo collaboratore e non sono dunque da ritenersi elementi validi per la successione dei testimoni: non esiste alcun luogo in tutto il Fondo Parini di bami in cui gli interventi a matita non siano da considerarsi come moderni. Le lezioni innovative di o e di p a volte non vengono accettate dall’edizione, e lo stesso si può dire anche in alcuni casi (vv. 35, 77-78, 79, 148 etc.) per m1: nonostante Gambarelli abbia apposto le correzioni, in sede di stampa verrà preferita la lezione primitiva di m (al v. 35 ciò accade per evitare implicazione col v. 9 - m1 coincide con o p a); altre volte le innovazioni di o e di p risultano preparatorie nei confronti di G che comunque in molti casi si distacca da tutti i mss. Caso a sé è da ritenersi q, in alcune scelte molto vicino a G, sia nei ricuperi della prima lezione (vv. 35, 79, 84 etc.), sia nel cambiamento effettivo del verso (v. 151), ma trattandosi di una copia molto scorretta risulta poco affidabile ed è inoltre difficile dire se le lezioni originali possano ritenersi d’autore, anche perché in molti casi non si impiantano nella stampa. Impreciso quanto a scelte grafiche e interpuntorie, sc riporta una serie di errori ai vv. 113 s’inalzi, 125 d’Achille, 128 labro, ma molte sono le scelte in linea con la stampa. (Anche in questo caso, il copista potrebbe avere avuto sotto mano G senza avvedersi ai vv. 30 e 132 delle Correzioni, come per l’ode iii). G (comprese le Correzioni al v. 30 diletto. per diletto? e al v. 132 Stillan per Stillin) viene ripreso integralmente da B e da R che si differenziano per i soliti interventi nella grafia e nella punteggiatura; R si comporta in modo ecletti-
124
giuseppe parini
co, spesso contaminando le lezioni, come al v. 137, quando riporta la variante Indi la man rettrice, derivante dalla fusione di m e del gruppo m1 o p. Bm segue i criteri esposti nella prefazione quanto a grafia degli accenti, punto esclamativo e maggiore uso delle virgole che lo portano, unico testimone, a coincidere al v. 13 con G. La scrizione nel v. 15 della preposizione articolata Sull’, diversa da tutte le altre testimonianze, ma in accordo con le norme cui già si alludeva, rivela la personale scelta grafica di Bernardoni.
L A EDU C AZIONE
Torna a fiorir la rosa Che pur dianzi languìa; E molle si riposa Sopra i gigli di pria. Brillano le pupille Di vivaci scintille.
6
La guancia risorgente Tondeggia sul bel viso: E quasi lampo ardente Va saltellando il riso Tra i muscoli del labro Ove riede il cinabro.
12
Titolo: Pel Sig.r Contino Carlo Imbonati, che si ristabilisce d’una pericolosa malattia, ed oggi compie gli 11. anni di sua vita m, Replica con alcune correzioni fatte dall’autore Pel Sig.r Contino Carlo Imbonati, che si ristabilisce o, Ode p, Per La salute Ricuperata Da Nobil garzone Canzone q; manca in a; nota: Composta molti anni or sono, per la salute ricuperata dal figlio di un colto e savio Cavaliere, a cui l’Autore professò stima ed amicizia distinta G B 1 rosa] rosa, m a 2 Che dianzi illanguidia m a, di anzi R 4 gigli] giglj m o; pria: m o p a 8 viso:] viso, m q, viso; o p a Bm 11 labro] labro, m o Bm 12 riede] siede m IX . Sestina di settenari secondo lo schema ababcc. Dall’occasione della ritrovata salute del giovane Carlo Imbonati il poeta articola una dichiarazione programmatica che è nel contempo pedagogica e poetica. Nell’edizione del ’91 il riferimento al ragazzo scompare dal titolo, come accade per molte altre composizioni. 1 fiorir la rosa: il colorito roseo tipico della salute riacquistata; cfr. RdA (Eladio Maleo), tomo v.312: «Fanno a gara sul tuo viso / Tutto riso / A fiorir la rosa e ’l giglio». 12 il cinabro: il rosso intenso delle labbra indicato dalla metonimia che allude al minerale; il termine, in rima con labro, si trova nelle RdA (Siralgo Ninfasio), tomo i.47-48: «Non so che corre del labro / Sul cinabro»; Ariosto: «La bocca sparsa di
ode ix
125
I crin, che in rete accolti Lunga stagione ahi foro, Su l’omero disciolti Qual ruscelletto d’oro Forma attendon novella D’artificiose anella.
18
Vigor novo conforta L’irrequieto piede: Natura ecco ecco il porta Sì che al vento non cede Fra gli utili trastulli De’ vezzosi fanciulli.
24
O mio tenero verso Di chi parlando vai, Che studj esser più terso E polito che mai? Parli del giovinetto Mia cura e mio diletto?
30
13 crin,] crin omnes tranne Bm 14 ahi] manca in m n o p a q, Ahi! R Bm 15 Scorrendo alfin disciolti, m, Sull’ o. d. Bm 19 novo] nuovo o 20 irrequieto] irrequïeto B R Bm 21 ecco ecco] ecco già o p, ecco lo q; porta] porta, m o p a B Bm 22 cede] cede, B 27 studj] studi B, studii Bm 28 polito] pulito m o q (corr. in po. m a p) 30 cura] cura, m o q; diletto?] diletto. sc G corretto nella tavola degli Errata con la lezione a testo natio cinabro» (OF vii.13); Varchi: «Cui cedono rubini, ostro e cinabro» (A messer Cesare del Bagno.3). 14 foro: furono. 18 anella: plurale arcaizzante. 20 irrequieto piede: il giovane riprende a correre e a saltare, come già suggeriva il verbo saltellando associato al sorriso al v. 10. 21 ecco ecco: l’epanalessi dell’avverbio, inesistente nella maggior parte dei manoscritti, conferisce efficacia all’immagine del giovane che riprende le sue naturali attività ludiche. 22: il fanciullo corre quindi come il vento. 23 utili trastulli: nell’infanzia il gioco è da considerarsi come una vera attività formativa. 25 O mio tenero verso: l’apostrofe risulta una dichiarazione di poetica, ponendo in primo piano gli aggettivi tenero, terso e polito. 30 Mia […] diletto: cfr. Testi: «O Reina di Pindo, / Mia cura e mio diletto» (Poesie liriche Al Signor Conte Duca.1-2).
126
giuseppe parini Pur or cessò l’affanno Del morbo ond’ei fu grave: Oggi l’undecim’ anno Gli porta il sol, soave Scaldando con sua teda I figliuoli di Leda.
36
Simili or dunque a dolce Mele di favi Iblèi, Che lento i petti molce, Scendete o versi miei Sopra l’ali sonore Del giovinetto al core.
42
O pianta di bon seme Al suolo al cielo amica, Che a coronar la speme Cresci di mia fatica, Salve in sì fausto giorno Di pura luce adorno.
48
Vorrei di genìali Doni gran pregio offrirti; 32 grave:] grave. o p a 34 sol,] Sol m o p q Bm 35 Scaldando] Ardendo o p m1 a 37 Dolci adunque, qual dolce m 38 Iblèi,] iblei, m, Iblei o p a q R 39 molce,] molce B R Bm 40 Scendete, o versi miei, B R Bm 41 ali] aure m o 43 bon] buon omnes 44 suolo] suolo, m o q B Bm; amica,] amica R 46 Cresci] Vieni q 49 genìali] geniali m o p q 50 gran pregio] tesoro m 35 Scaldando: la variante a testo elimina l’implicazione col v. 9 in cui il poeta aveva usato l’aggettivo ardente. – teda: fiaccola. 36 i figliuoli di Leda: Castore e Polluce, dunque la costellazione dei Gemelli, essendo nato Imbonati il 24 Maggio. 38 Mele di favi Iblèi: miele degli alveari di Ibla, in Sicilia. 43 bon seme: la madre del giovane era Francesca Bartolomea Bicetti de’ Buttinoni, sorella di Giammaria, il dottore cui è dedicato L’innesto del vaiuolo; il padre, il conte Giuseppe Maria, era uno dei primi soci dell’Accademia dei Trasformati. 44 Al suolo al cielo amica: Porena fa rilevare la specificità dell’immagine: «tu sei una pianta che ha tutte le condizioni necessarie per una crescita rigogliosa: sei di buon seme (la famiglia), il terreno è favorevole, il clima è propizio». 49 genìali: i doni del compleanno, ossia del genetliaco, ricorrenza in cui si festeggia il genius, una sorta di nume che per gli antichi custodisce ogni individuo.
ode ix Ma chi diè liberali Essere ai sacri spirti? Fuor che la cetra, a loro Non venne altro tesoro.
127
54
Deh perchè non somiglio Al Tèssalo maestro, Che di Tetide il figlio Guidò sul cammin destro! Ben io ti farei doni Più che d’oro e canzoni.
60
Già con medica mano Quel Centauro ingegnoso Rendea feroce e sano Il suo alunno famoso. Ma non men che a la salma Porgea vigore all’alma.
66
A lui, che gli sedea Sopra la irsuta schiena, 52 ai] a i a q B R Bm 53 cetra,] Cetra p m1, cetra o a q 53-54 Il lor tesoro è il canto, Ch’oggi è negletto tanto m 55 Deh] Ahi m 56 Tèssalo] Tessalo m o p a q Bm; maestro,] maestro R 58 sul] pel m o; destro!] destro? m o p a q Bm 60 D’altro che di Canzoni m; e] o o 62 Quel] Il m 64 alunno] Alunno m p; famoso; m p a q B 65 Ma più assai ch’alla salma m 67 A lui, che gli] Al Giovin che m, Al garzon che o p m1 a, Il garzon che q, A lui B R 68 la] l’ m p a q; schiena,] schiena p a q R 53-54 Fuor che la cetra: già in Orazio (Carm. iv. viii.1-12). 56 Tèssalo maestro: il centauro Chirone, maestro in Tessaglia; all’interesse del poeta per le arti figurative (cfr. i Soggetti per artisti, cit. p. 506) si uniscono i ritrovamenti di Ercolano, in cui la coppia classica docente-discente era spesso incarnata dal centauro e dal giovane Achille; in tale fervore culturale non stupisce il fatto che molti autori coevi, tra cui Testi, Chiabrera, Guidi, Passeroni, abbiano citato le medesime figure mitologiche. 57 di Tetide il figlio: Achille, figlio di Teti. 58 cammin destro: cfr. Petrarca (RVF cccvi.1). 61 medica mano: secondo la mitologia, Chirone era esperto di medicina. 63 feroce: nel senso di fiero. 65-66 salma […] alma: la rima alma : salma ricorre in numerosi luoghi in Petrarca, tra cui: «Vostra mercede, i’ sento in mezzo l’alma […] La qual ogni altra salma» (RVF cclxiv.56-57), «Con faticosa et dilectevol salma / Sedendosi entro l’alma» (RVF lxxi.77-79), ma anche nella poesia cinquecentesca, tra cui Guarini, Ariosto, Tasso. – salma: corpo.
128
giuseppe parini Chiron si rivolgea Con la fronte serena, Tentando in su la lira Suon che virtude inspira.
72
Scorrea con giovanile Man pel selvoso mento Del precettor gentile; E con l’orecchio intento, D’Eacide la prole Bevea queste parole:
78
Garzon, nato al soccorso Di Grecia, or ti rimembra Perchè a la lotta e al corso Io t’educai le membra. Che non può un’alma ardita Se in forti membri ha vita?
84
Ben sul robusto fianco Stai; ben stendi dell’arco Il nervo al lato manco, Onde al segno ch’io marco Va stridendo lo strale Da la cocca fatale.
90
Ma in van, se il resto oblìo, Ti avrò possanza infuso. 70 serena,] serena a q 71 in su la] sulla m 72 inspira] ispira m 73 Scherza la giovenile m, Scorrea con giovenile o 76 E con l’orecchio] Ma con o. m, Ma per l’o. o p m1 a; intento,] intento m o p a q 77-78 sono invertiti in o p m1 a q 77 Eacide] Eàcide R Bm 78 Bevea] Beve poi corretto con la lezione a testo m 79 Garzon,] Garzon m q, Fanciul o p m1 a 80 Grecia,] Grecia m o a q 81 Perchè] Per che R; a la] alla m o q; lotta e] lotta, m o p a q 84 Se] Che o p m1 a; vita?] vita! q 87 manco,] manco; o p a, manco q R 88 Onde] Onde, R; marco] marco, B R 90 Da la] Dalla m 91 il] ’l m; oblìo] obblìo m o 92 Ti] T’ m o p a; infuso.] infuso; a 77 D’Eacide la prole: Pelèo, il padre di Achille, era figlio di Èaco. 81 al corso: alla corsa, latinamente. 87 il nervo: la corda. 90 cocca: è il punto in cui la freccia appoggia sulla corda dell’arco. 91 se il resto oblìo: se manca l’educazione dello spirito.
ode ix Non sai qual contro a dio Fe’ di sue forze abuso Con temeraria fronte Chi monte impose a monte?
129
96
Di Teti odi o figliuolo Il ver che a te si scopre. Dall’alma origin solo Han le lodevol’ opre. Mal giova illustre sangue Ad animo che langue.
102
D’Èaco e di Pelèo Col seme in te non scese Il valor che Tesèo Chiari e Tirintio rese: Sol da noi si guadagna, E con noi s’accompagna.
108
Gran prole era di Giove Il magnanimo Alcide; Ma quante egli fa prove, E quanti mostri ancide, Onde s’innalzi poi Al seggio de gli eroi?
114
93 contro] contr’ m; dio] Dio m m1 o p a q 95 Con] La m 96 Chi] Che m 98 ver] ver, p a 100 lodevol’] ol a q, -oli o p m1 101-102 Mal può giovare il sangue Ad anima che langue m (animo) o 103 Èaco] Eaco p a q; Pelèo] Peleo m aq 104 in te] a te m 105 Il valor] la virtù m; Tesèo] Teseo m a q 106 Chiari e Tirintio] E Alcide illustri; m; Tirinzio o; rese:] rese. o p, rese a 107-108 Da noi sol si guadagna, E l’animo accompagna m, E con noi si a. o 111 prove,] pruove aq 112 ancide,] ancide o p a q R 113 Onde] Finchè m; s’innalzò q 114 de gli] degli m o p a; eroi] Eroi m o p q 96 Chi monte impose a monte: la vanità della sola forza fisica è veicolata da una delle molte immagini mitologiche presenti nel testo: in questo caso si allude all’impresa dei Giganti, che sovrapposero il monte Pelio al monte Ossa per scalare l’Olimpo; l’iterazione del termine monte accentua il risultato fallimentare dell’impresa dei Giganti contro Giove. 105-106 valor […] rese: la virtù che rese illustri Tesèo ed Ercole. – Tirintio: Ercole, allevato nella città di Tirinto, in Argolide. 110 Alcide: Ercole, che discendeva da Alceo da parte della madre Alcmena.
130
giuseppe parini Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago.
120
Onora o figlio il Nume Che dall’alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim’arda. È d’uopo Achille alzare Nell’alma il primo altare.
126
Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
132
Perchè sì pronti affetti Nel core il ciel ti pose?
116 Lascia o Garzon che] Lascia, o G. che m p a; Lascia che vanti e q 118 Son di vil alma i fregi: m, fregi: q 119 de la] della m q 120 a si arresta a questo verso 121 Onora, o Figlio, m (f-) p, Onora, q 122 guarda:] guarda; m p q 124 Incenso] Incenso, m o q; e] o m o p q sc B R; arda.] arda: m o q 125 È] E q; uopo Achille] uopo, A., m o p 128 Sieda] Segga, m o p, Reda q 129 sieno] siéno R 130 Albero forestiero m o p; a. straniero R 132 Stillin] Stillan q sc G corretto nella tavola degli Errata con la lezione a testo 133 Perchè] Per che R; sì pronti] i possenti m, sì ardenti o p m1 134 Nel core] Nell’alma m; Ciel m o 115 altere cune: culle aristocratiche. 120 Sol di virtù: torna il concetto già espresso ai vv. 104-108; il giovane viene ora sollecitato alla gloria attraverso la virtus. 123 fume: fumi. 126 Nell’alma il primo altare: anche in campo religioso l’insegnamento morale tende a un esercizio interiore. 127-128 Giustizia […] Sieda: il verbo è utilizzato in modo estensivo anche da Dante. 130 albero straniero: la mirra, da cui si estraggono unguenti con proprietà terapeutiche. 133 sì pronti […] affetti: sentimenti così spiccati e vivi.
ode ix Questi a Ragion commetti; E tu vedrai gran cose: Quindi l’alta rettrice Somma virtude elice.
131
138
Sì bei doni del cielo No, non celar Garzone Con ipocrito velo, Che a la virtù si oppone. Il marchio ond’è il cor scolto Lascia apparir nel volto.
144
Da la lor meta han lode Figlio gli affetti umani. Tu per la Grecia prode Insanguina le mani: Qua volgi qua l’ardire De le magnanim’ ire.
150
Ma quel più dolce senso, Onde ad amar ti pieghi, 135 commetti;] commetti, m o 136 tu] ne m; cose:] cose; R 137 Quindi] Indi o p m1; l’alta] la man m 138 virtude] virtute m 139-144 mancano in q 139 cielo] Cielo m o 140 No, non] No non m o p; garzone m o; celar, Garzone, R 141 velo,] velo R 142 a la] alla m o; si] s’ m 143 il] ’l m 145 Da la] Dalla m; lode, m o p B 146 Figlio] Figlio, m p B Bm 148 Di ferro arma le mani; o p m1, Insanguina le mani q 149 Qua volgi qua] Quà v., quà m o q senza virgola p; volgi, B 150 De le] Delle m o 151 Quel dolce amabil senso m, Ma l’altro dolce senso o p m1; senso R 152 Che l’anima ti piega m 135 commetti: affida. 136 gran cose: solo grazie alla vigile guida della ragione si possono raggiungere grandi fini; il dettato pariniano ruota intorno alla fiducia settecentesca nella razionalità che sola è in grado di indirizzare i sentimenti verso la virtù. Tali versi costituiscono un ponte col componimento successivo, x.141. 138 elice: estrae; latinismo. 141-142 ipocrito velo […] virtù: ancora un’antitesi tra l’ipocrisia che si oppone al perseguimento della virtù. 143 scolto: scolpito. 149 Qua […] qua: a difendere la Grecia. 151-156 dolce senso […] pietade: la dolcezza, l’amore, la pietà verso i deboli: il diagramma delle virtutes cui il giovane deve attenersi insieme alla pietas; il richiamo è a Enea che in questo momento va a sovrapporsi ad Achille, privo di pietà nei con-
132
giuseppe parini Tra lo stuol d’armi denso Venga, e pietà non nieghi Al debole che cade E a te grida pietade.
156
Te questo ognor costante Schermo renda al mendico; Fido ti faccia amante E indomabile amico. Così, con legge alterna L’animo si governa.
162
Tal cantava il Centauro. Baci il giovan gli offriva Con ghirlande di lauro. E Tetide che udiva, A la fera divina Plaudìa dalla marina.
168
153 Tra] Fra m o p q sc; denso] denso, m o 154 Usa, e pietà non niega m 155 debole] suddito m, debile o p m1; cade] cade, m p q B Bm 157 Te questo] Quello te m 159 amante] amante, m p Bm 161 Così,] Così m o p 163 Centauro.] Centauro; m o p q 164 giovan] giovin m o p 165 lauro] Lauro m o q 166 E fea Teti che udiva q, udiva R 167 A la] Alla m; Fera m o p 168 Plaudìa] Plauso q; dalla] da la m o p B R Bm fronti del nemico Ettore. L’aggettivo dolce, che connota i sentimenti, è reso più pregnante dal deittico e dall’avverbio presenti dopo la correzione ed è speculare al dolce del v. 37 e al tenero del v. 25 in cui il poeta si riferisce alla propria poesia. 158-160 Schermo […] amico: difesa; ti renda dunque sempre difensore del povero, amante fedele e amico leale. 161 legge alterna: moderando l’indulgenza con la fermezza. 163. Tal: così; cfr. ode i.181 e ode iii.105. 166: alla scena affettuosa tra docente e discente si unisce l’intervento commosso della ninfa Teti, madre dell’eroe, che dal mare manifesta il proprio consenso. 167 fera divina: Chirone era figlio di Saturno.
X m Miscellanea Morbio 17, pp. 78-87. S (vd. Edizioni S. C. n. 3). a Ambr. II 1 b. G 61-70 (nota 163-164, con un refuso, ungenti per unguenti e la scorretta posizione della nota stessa che viene stampata prima del titolo dell’ode); tre emendamenti nelle Correzioni ai vv. 23, 92, 144. B 45-54 (nota 149-150). R 102-111. Bm 171-177.
L’unico manoscritto in nostro possesso, compreso in m, è come al solito molto scorretto nella lezione, oltre che trasandato nella cura dei particolari grafici e interpuntori; grazie ad alcune sue varianti proprie nei vv. 9, 20, 67b, 120, 123, 145, è possibile ritenerlo precedente a S e, a causa di molte coincidenze con S, ai vv. 55, 79, 90, 117, 131, 155, certamente anteriore alle correzioni di a, ossia la stampa S su cui Parini è intervenuto. Le scelte di a passano integralmente nell’edizione del ’91, come pure sono da ritenersi spie importanti quelle di mano gambarelliana che ci mostrano l’evoluzione del titolo che passa dalla situazione occasionale Per la laurea data a Pavia alla Sig.ra Pellegrina Amoretti d’Oneglia, ad Amoretti Laureata, apposto manoscritto sulla sommità dell’intestazione della Stampa del ’77, per giungere al definitivo e più universale La Laurea in a. Il numero progressivo dell’ode (x) è apposto già in a: è questa dunque la copia di cui Parini si servì, unitamente al suo discepolo, per il lavoro preparatorio delle Odi già divolgate. Se si esclude l’emendamento dell’errore al v. 110, È predicato confuso con E congiunzione, gli interventi correttori del poeta pertengono tutti all’ambito della scrizione e dell’interpunzione, essendo sempre alla ricerca di quella perfezione formale che lo porterà a mutare lievemente il testo in sede di stampa definitiva (al v. 23 de’ suoi è stato corretto in di suoi nelle Correzioni, sarà fatto proprio dalla stampa Bolzani e non sfuggirà a Bernardoni nell’edizione da lui curata, ma a Reina). B segue G con le abituali differenze legate alla punteggiatura e alla grafia delle preposizioni articolate, e riporta uno svarione al v. 60, dove legge interro per intero; R si uniforma spesso a B, con oscillazioni (vd. apparato) soprattutto in occasione di apocopi e di punteggiatura; singolare il caso del v. 171, già notato da Chiari (p. 30): la preposizione articolata alla nella copia dell’Ambrosiana L.P. 426/1-2 è stata stampata a la, mentre in quella della Nazionale di Firenze c’è alla; in altre due copie da me consultate nella Biblioteca Queriniana di Brescia ho potuto riscontrare entrambe le lezioni: in 6º CC II 26 c’è a la e in 4 H IV 19 alla (così registrata pure nell’anastatica). Osservando le pagine in controluce, in tutti gli esemplari che riportano a la si intravede una abrasione che testimonia la cancellatura della seconda l. Bm innova la grafia inserendo maiuscole, accenti e la dieresi al v. 107 per trïonfi, oltre all’interpunzione con un uso maggiore soprattutto della virgola; seguendo i principi dell’Avvertenza, unisce la preposizione articolata sull’ al v. 131, in ac-
134
giuseppe parini
cordo solo con R, mentre sia G sia B l’avevano sdoppiata. Si omettono in apparato molte varianti ed errori patenti di m.
L A L AU R EA
Quell’ospite è gentil, che tiene ascoso Ai molti bevitori Entro ai dogli paterni il vino annoso Frutto de’ suoi sudori; E liberale allora Sul desco il reca di bei fiori adorno, Quando i Lari di lui ridenti intorno Degno straniere onora: E versata in cristalli empie la stanza Insolita di Bacco alma fragranza.
10
Tal io la copia che de i versi accolgo Entro a la mente, sordo Titolo: Per la laurea data a Pavia alla Sig.ra Pellegrina Amoretti d’Oneglia Ode m, Per la Laurea in ambe le leggi conferita nella Regia Università di Pavia alla Signora Pellegrina Amoretti d’Oneglia Ode di Giuseppe Parini S a (Gambarelli scrive a penna il titolo, La Laurea, su un altro cassato, Amoretti Laureata); nota: Per Pellegrina Amoretti d’(di Bm) Oneglia laureata in ambe le leggi nell’ (nella Bm) università di Pavia, l’anno 1777 R Bm 1 gentil,] gentil B R 2 Ai] a i B R Bm 3 ai] a i B R Bm 4 sudori;] sudori: S 8 onora:] onora; S 9 cristalli] bicchieri m 11 de i] dei S, de’ a 12 mente,] mente R 13 volgo,] volgo B R X . Strofa di dieci versi endecasillabi e settenari secondo lo schema AbAbcDDcEE. L’occasione della laurea in discipline giuridiche di una giovane donna che nutre ideali illuministici offre il destro al poeta per un componimento di lode al genere femminile, unitamente al valore e alla virtù, sempre indicati come le mete cui tendere. 1-8 ascoso […] straniere: i frequenti latinismi, peraltro diffusi in tutto il componimento, ascoso (presente anche nella prima ode al v. 24), dogli, annoso o le forme auliche straniere per ‘straniero’, testimoniano la volontà del poeta di preferire termini cólti, nobilitati dall’uso degli scrittori antichi, nell’ottica di un classicismo sempre vivo. – dogli: botti – di bei fiori adorno: secondo l’abitudine antica di ornare la tavola con fiori e fronde. – Lari: la casa. 11-14 Tal […] ingordo: la comparazione tra il vino versato e i versi profusi deriva da Pindaro (Ebani). Il poeta si rifiuta di offrire al volgo desideroso solo di fama i suoi versi. La rima sordo : ingordo è utilizzata da Petrarca: «ma l’engordo / Voler ch’è cieco et sordo» (RVF cxxxv.41-42) e nei canzonieri di Poliziano, Tansillo, Marino, Fontanella.
ode x Niego a le brame dispensar del volgo, Che vien di fama ingordo. In van l’uomo, che splende Di beata ricchezza, in van mi tenta Sì che il bel suono de le lodi ei senta, Che dolce al cor discende: E in van de’ grandi la potenza e l’ombra Di facili speranze il sen m’ingombra.
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20
Ma quando poi sopra il cammin dei buoni Mi comparisce innanti Alma, che ornata di suoi propri doni, Merta l’onor dei canti, Allor da le segrete Sedi del mio pensiero escono i versi, Atti a volar di viva gloria aspersi Del tempo oltra le mete: E donator di lode accorto e saggio Io ne rendo al valor debito omaggio.
30
Ed or che la risorta insubre Atene, Con strana meraviglia, 15 uomo,] uomo B R 17 senta,] senta R 18 discende:] discende; S a 19 de’] dei S 20 sen] cor m 21 dei] de i B R 23 Alma,] Alma B R; di] de’ G (corretto nella tavola degli Errata) R; proprj R Bm; doni B R 24 dei] de i B R Bm 31 nota: Nell’atto appunto del conferirsi la Laurea dall’Università di Pavia alla Sig. Pellegrina Amoretti l’anno 1777, vennero distribuite e sparse delle copie di questa Ode, che in seguito fu poi ristampata più volte G senza l’ultima virgola B 18 dolce al cor discende: cfr. RdA (Coralbo Aseo), tomo ii.120: «Che dolce al cor disceso». 21 Ma: inizia la pars costruens introdotta dalla forte avversativa e chiarisce come la condizione necessaria affinché il poeta canti sia la virtù, punto centrale della poesia pariniana. 27 Atti a volar: cfr. v. 180. -aspersi: Bembo: «d’altri versi […] di maggior lumi aspersi» (Rime xxii.2-4); RdA (Uranio Tegeo), tomo i.41: «Di qual nuova ambrosia aspersi / Veggio i versi»; RdA (Perideo Trapenunzio), tomo vi.17: «saranno un dì miei versi / Di tua dolcezza aspersi». 30 rendo […] omaggio: il poeta rende omaggio al merito. 31 insubre Atene: la città di Pavia. Nell’ode i.157 lo stesso uso di Insubriche come aggettivo per lombarde; la città è risorta grazie alle riforme universitarie volute da Maria Teresa. 32 strana: perché la situazione è inconsueta.
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giuseppe parini Le lunghe trecce a coronar ti viene O di Pallade figlia, Io rapito al tuo merto Fra i portici solenni e l’alte menti M’innoltro, e spargo di perenni unguenti Il nobile tuo serto: Nè mi curo se ai plausi, onde vai nota, Pinge ingenuo rossor tua casta gota.
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Ben so, che donne valorose e belle A tutte l’altre esempio Veggon splender lor nomi a par di stelle D’eternità nel tempio: E so ben che il tuo sesso Tra gli ufizi a noi cari e l’umil’ arte Puote innalzarsi; e ne le dotte carte Immortalar sè stesso. Ma tu gisti colà, Vergin preclara, Ove di molle piè l’orma è più rara.
50
Sovra salde colonne antica mole Sorge augusta e superba, Sacra a colei, che dell’umana prole, Frenando, i dritti serba. 33 viene] viene, S B R Bm 39 ai] a i B R Bm; plausi R; nota R 46 cari] cari, S; umil’] umil B 47 innalzarsi;] innalzarsi, S B Bm se stesso: S a 53 colei,] colei B R
41 so,] so B R 48 sè stesso.]
34 Pallade: Atena, dea della sapienza. 36 Fra i portici solenni: quelli dell’Università. 37-38 perenni unguenti […] serto: l’immortalità conferita dalla Poesia alla laurea della giovane. 45 E so ben: la ripresa anaforica in chiasmo del v. 41 amplifica la convinzione del poeta. 47 dotte carte: cfr. il Frammento ccii: «O saggio amico, che corregger tenti / Con dotte carte il popolar costume», Mazzoni, p. 508; RdA (Pisandro Antiniano), tomo iv.2; Tasso: «in dotte carte / A l’immortalità, Varchi, il consacri» (Rime d’Occasione o d’encomio ii.1). 49 colà: nel campo del Diritto, cui le donne raramente si dedicavano. 50 molle: femminile. 53-54 colei […] serba: la Giustizia personificata ha le sembianze di una dea che si erge con maestà.
ode x
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Ivi la Dea si asside Custodendo del vero il puro foco; Ivi breve sul marmo in alto loco Il suo volere incide: E già da quello stile aureo, sincero Apprendea la giustizia il mondo intero.
60
Ma d’ignari cultor turbe nemiche Con temerario piede Osàro entrar ne le campagne apriche, Ove il gran tempio siede: E la serena piaggia Occuparon così di spini e bronchi, Che fra i rami intricati e i folti tronchi A pena il sol vi raggia; E l’aere inerte per le fronde crebre V’alza dense all’intorno atre tenèbre.
70
Ben tu di Saffo e di Corinna al pari, O donne altre famose, Per li colli di Pindo ameni e vari 55 si] s’ m S 58 incide:] incide; S 63 Osàro] Osaro S Bm; apriche R 66 spini] spini, S; bronchi R 67 intricati] intricati, S; folti] verdi m 68 raggia;] raggia, S 71 pari,] pari a 57-58 sul marmo […] incide: come in un bassorilievo marmoreo, la divinità si mostra nell’atto di consegnare al mondo le leggi. 59-60 E già […] giustizia il mondo: le leggi romane. 61 d’ignari cultor: interpreti ignoranti delle leggi. 62 temerario piede: oltre che nell’Egloga xiii di Baldi, il sintagma ricorre in Cesarotti (Poesie di Ossian. Fingal. vi). 63-70 apriche […] tenèbre: soleggiate; il paesaggio, inizialmente ridente, viene invaso dalle sterpaglie e l’aria ristagna sotto il fogliame fitto (fronde crebre) divenendo buia caligine. Cfr. Muratori (Dei difetti della giurisprudenza. ix), in cui si fa riferimento alla giurisprudenza come a un «giardino, il quale al rovescio dei veri, quanto più è coltivato, tanto più si riempie di sterpi e spine»; viva era la polemica contro la teoria giuridica sul codice di Giustiniano ad opera di Cesare Beccaria e di Alessandro Verri. 64 Ove il gran tempio siede: dove si trova il tempio della Giustizia; per l’uso del verbo siede, cfr. Dante: «Siede la terra dove nata fui» (Inf. v.97). Nell’ode precedente, al v. 128. 66-7: bronchi : tronchi: rima dantesca (Inf. xiii.26-28). 69 fronde crebre: fogliame fitto. 71 Saffo e Corinna: le poetesse greche. 73 Pindo: il monte sacro alle Muse.
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giuseppe parini Potevi coglier rose: Ma tua virtù s’irrìta Ove sforzo virile a pena basta; E nell’aspro sentier, che al piè contrasta, Ti cimentasti ardita Qual già vide ai perigli espor la fronte Fiere vergini armate il Termodonte.
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Or poi, tornando dall’eccelsa impresa, Quì sul dotto Tesino Scoti la face al sacro foco accesa Del bel tempio divino: E dall’arguta voce Tal di raro saper versi torrente, Che il corso a seguitar de la tua mente Vien l’applauso veloce, Abbagliando al fulgor de’ raggi tui La invidia, che suol sempre andar con lui.
90
Chi può narrar qual dal soave aspetto E da’ verginei labri Piove ignoto finora almo diletto Su i temi ingrati e scabri? Ecco la folta schiera De’ giovani vivaci a te rivolta 75 s’irrìta] s’irrita S a 77 sentier,] sentier B R; contrasta,] contrasta R 78 ardita] ardita; S Bm 79 Qual] Tal m S; a i B R Bm 81 poi,] poi S 90 La] l’ m S; invidia,] invidia B R 91 aspetto] aspetto, S a Bm 92 da’] da S a, dai G (corretto nella tavola degli Errata con la lezione a testo), da i Bm 93 finora] fin ora R 74 coglier […] rose: coltivare la poesia. 75 s’irrìta: è spronata. 80 Termodonte: il fiume della Cappadocia sulle cui rive abitavano le Amazzoni. 82 Tesino: Pavia, dal toponimo latino Ticinum. 83-84 la face […] divino: la fiaccola accesa al sapere nel tempio della Giustizia. 85 arguta: efficace; l’aggettivo si riferisce al dibattito pubblico e al discorso in latino pronunciato dalla laureanda. 88 applauso veloce: è quello che segue le argomentazioni dell’Amoretti. 90 invidia […] lui: l’invidia, solitamente suscitata dai successi, viene in questo caso abbagliata e vinta dalla luce della dotta fanciulla. 94 ingrati e scabri: si insiste fonicamente su gruppi molto aspri, quali gr e br, per alludere a un campo di studi fino a quel momento dominato unicamente da figure maschili.
ode x Vede sparger di fior, mentre t’ascolta, Sua nobile carriera: E al novo esempio de la tua tenzone Sente aggiugnersi al fianco acuto sprone.
139
100
Ai detti al volto a la grand’alma espressa Ne’ fulgid’ occhi tuoi Ognun ti crederìa Temide stessa, Che rieda oggi fra noi: Se non che Oneglia, altrice Nel fertil suolo di palladj ulivi, Alza ai trionfi tuoi gridi giulivi; E fortunata dice: Dopo il gran Doria, a cui died’ io la culla, È il mio secondo sol questa fanciulla.
110
E il buon parente, che su l’alte cime Di gloria oggi ti mira, A forza i moti del suo cor comprime, E pur con sè s’adira, Ma poi cotanto è grande La piena del piacer, che in sen gli abbonda, Che l’argin di modestia alfine innonda, 101 Ai] A i B R Bm; detti, al volto, S Bm 103 stessa,] stessa R 107 ai] a i B Bm R 109 Doria,] Doria R; culla,] culla R 110 È] E S 111 parente,] parente B R 112 mira,] mira R 114 sè] se S a 116 piacer,] piacer B R 117 alfine] al fine R Bm; inonda m S 97-100 sparger […] sprone: la coppia acuto sprone, nel sottolineare l’efficacia dell’exemplum fornito dalla giovane ai suoi giovani colleghi, risulta simmetrica a quella del v. 85 arguta voce, cui rinvia anche per l’assonanza del sostantivo; i due aggettivi in rima si trovano in Ariosto: «sonator sopra il suo instrumento arguto, / […] ricercando ora il grave, ora l’acuto» (OF viii. 29); Fontanella: «Fai rimbombar soavemente acuto / Da le picciole canne il suono arguto» (Ode i Alla cicala. 20-21). 105-106 Oneglia […] ulivi: Oneglia, produttrice di ulivi, è la patria dell’Amoretti. 109 gran Doria: l’ammiraglio Andrea Doria (1466-1560), nato anche lui ad Oneglia. 110 secondo sol: dopo quella del celebre Doria, Pellegrina Amoretti è la seconda gloria della città. 111 buon parente: il padre Francesco Amoretti. 116-117 La piena […] innonda: la metafora fluviale, qui allusiva della commozione paterna, riprende quella del torrente al v. 86, riferita alla fanciulla, ma risponde anche alle segrete / Sedi della poesia ai vv. 25-26 e al vino che esce dalle botti, in un’unica immagine che accomuna il vino pregiato, la poesia e l’orgoglio paterno.
140
giuseppe parini E fuor trabocca e spande: E anch’ei col pianto, che celar desía, Grida tacendo: questa figlia è mia.
120
Ma dal cimento glorìoso e bello Tanto stupore è nato, Che già reca per te premio novello L’erudito Senato. Già vien su le tue chiome Di lauro a serpeggiar fronda immortale: E fra lieto tumulto in alto sale Strepitoso il tuo nome; E il tuo sesso leggiadro a te dà lode De’ novi onori, onde superbo ei gode.
130
Oh amabil sesso, che su l’alme regni Con sì possente incanto, Qual’ alma generosa è che si sdegni Del novello tuo vanto? La tirannìa virile Frema, e ti miri a gli onorati seggi 118 trabocca] trabocca, S 119 pianto,] pianto B R; desía,] desía R 120 figlia è] è Figlia m 121 glorìoso] glorioso S a 123 premio] serto m 124 Senato] senato R 130 De’] Dei S; onori R 131 Oh] O m S; sesso B R; su l’] sull’ R Bm 133 Qual’] Qual S a B Bm 136 a gli] agli S 120 Grida tacendo: tutta basata sui contrasti, da cui l’ossimoro, la figura del padre che non vuole superare del tutto l’abituale riserbo legato anche al pudore virile; i commenti citano Petrarca: «La doglia mia, la qual tacendo i’grido» (RVF lxxi.6) e «Et vo contando gli anni, et taccio et grido» (cv.79). 124 erudito Senato: il collegio dei professori accademici. 127 lieto tumulto: ancora un ossimoro per comunicare lo sfondo sonoro delle acclamazioni su cui si staglia il nome della laureata. 128 Strepitoso: quadrisillabo con valore avverbiale. 131 amabil sesso: il termine sesso ricorre per la terza volta nell’ode. È infatti il sesso della laureata che fa nuova l’occasione della laurea. E la poesia celebra, ancora una volta, il merito: la fatica e la capacità (Ebani). 135 tirannia virile: gli uomini hanno assoggettato a lungo il genere femminile, relegandolo a mansioni subalterne; per ciò si veda J.-J. Rousseau: «Considérons d’abord les femmes privées de leur liberté par la tyrannie des hommes» (Sur les femmes); il concetto è ripreso nell’Émile. 136: miri […] onorati seggi: gli stessi uomini sono tenuti a guardare con ammirazione la giovane e tutto l’amabil sesso mentre ascende ai vertici più alti della società.
ode x Salir togato, e de le sacre leggi Interprete gentile, Or che d’Europa ai popoli soggetti Fin dall’alto dei troni anco le detti.
141
140
Tu sei, che di ragione il dolce freno Sul forte Russo estendi; Tu che del chiaro Lusitan nel seno L’antico spirto accendi. Per te Insubria beata, Per te Germania è glorìosa e forte; Tal che al favor de le tue leggi accorte Spero veder tornata L’età dell’oro, e il viver suo giocondo, Se tu governi, ed ammaestri il mondo.
150
E l’albero medesmo, onde fu colto Il ramoscel, che ombreggia A la dotta Donzella il nobil volto, Convien che a te si deggia. In esso alta Regina 139 ai] a i B R Bm 140 dei] de i R Bm 141 sei,] sei B R 144 accendi.] accendi; S a; accendi, G (corretto nella tavola degli Errata con la lezione a testo) 145 beata] è beata m 146 glorìosa] gloriosa S a 150 governi,] governi B 151 medesmo,] medesmo R 152 ramoscel,] ramoscel R 153 volto,] volto R 154 Convien] Convien, S a 155 Regina] Reina m S 140 alto dei troni: alcuni stati europei erano infatti retti da donne. 141-142 Tu sei […] estendi: riferimento a Caterina II, imperatrice di Russia dal 1762 al 1796, che simpatizzò con il pensiero illuminista; il discorso sulla ragione funge da cerniera col componimento precedente: cfr. ode ix.135-136. 143 Lusitan: il Portogallo, retto da Maria I di Braganza dal 1777, anno di composizione dell’ode; Parini dunque non può ancora conoscere l’operato della sovrana e si limita a un augurio. Le anafore del Tu ai vv. 141-43, 150 e del Per te ai vv. 146-47, sono entrambe da riferire all’amabil sesso, sintagma centrale dell’ode; il Per è da intendersi come strumentale. 146 Per te: Maria Teresa, imperatrice di Germania e Austria dal 1740 al 1780. 149 L’età dell’oro: in tale allusione si può riscontrare una cerniera significativa con l’ode vii.2. 151 albero: alloro. 154 a te: l’omaggio all’intero genere femminile passato attraverso Maria Teresa dal v. 145 è ora diretto alla sovrana stessa quale autrice di opere giuridiche e mecenate della cultura.
142
giuseppe parini Tien conversi dal trono i suoi bei rai; Tal che lieto rinverde, e più che mai Al cielo s’avvicina. Quanto è bello a veder che il grato alloro Doni al sesso di lei pompa, e decoro!
160
Ma già la Fama all’impaziente Oneglia Le rapid’ ali affretta; E gridando le dice: olà, ti sveglia; E la tua luce aspetta. Insubria, onde romore Va per mense ospitali ed atti amici, Sa gli stranieri ancor render felici Nel calle dell’onore. Or quai, Vergine illustre, allegri giorni Ti prepara la patria allor che torni?
170
Pari alla gloria tua per certo a pena Fu quella, onde si cinse Colà d’Olimpia nell’ardente arena, Il lottator che vinse; Quando tra i lieti gridi Il guadagnato serto al crin ponea; E col premio d’onor, che l’uomo bea,
175
160 lei] Lei S a 163 olà,] olà S a 165 Insubria,] L’Insubria S a m, Insubria R; rumore m 166 ospitali] ospitali, S a; amici,] amici R 168 onore] Onore S 171 alla] a la B (alcune copie di R) Bm 172 quella,] quella R 173 arena,] arena B R Bm 175 tra i] fra m 177 onor,] onor B R; bea R 156 conversi […] rai: rivolti gli occhi; la regina, rappresentata sul trono da cui benevolmente rivolge il suo sguardo verso il mondo, rimanda all’iconografia mariana e si nutre della letteratura salmistica ad essa dedicata. 164 la tua luce: la città attende la sua illustre cittadina, colei che le dispensa la luce, la fanciulla che al v. 110 era stata denominata secondo sol. 165 Insubria: la Lombardia era famosa per l’ospitalità e l’amicizia riservata a chi, benché non fosse nato sul suo suolo, si distinguesse per virtù. Bosco fa notare che l’Amoretti aveva inutilmente chiesto di sostenere gli esami di laurea presso l’Università di Torino. 167 gli stranieri: la giovane Pellegrina Amoretti era ligure. 174 Il lottator: il lottatore che vince nei giochi olimpici. 175 lieti gridi: ripresa del lieto tumulto del v. 127, a conferire similarità alle due scene di gloria e di vittoria.
ode x Tornava ai patrj lidi; E scotendo le corde amiche ai vati Pindaro lo seguìa con gl’Inni alati. 178 ai] a i B R
179 ai] a i B R Bm
143
180
180 Inni] inni Bm
180 Pindaro: il poeta di Tebe (518-438 a.C.) che nelle sue odi celebrò i vincitori dei giochi olimpici. Per l’idea dei versi alati, cfr. v. 27 e l’ode ix.41.
XI a Ambr. II 4, pp. 49-52. m Ambr. III 10, pp. 1-3. n Ambr. III 3, pp. 7-9. o Ambr. III 3, pp. 80-81. b Ambr. II 1 h, pp. 40-43. p Ambr. III 8, pp. 151-154. q Miscellanea Morbio 17, pp. 40-44. sc Ms. Schiera, cc. 54r-55r. G 71-76 (nota 164), con un emendamento nelle Correzioni al v. 73. B 55-59 (nota 150). R 112-120. Bm 179-182.
Come per le odi ii, iii e vi, siamo di fronte a un testo composto di un maggior numero di strofe, in questo caso diciotto, nella versione più antica documentata dai testimoni a m n o e successivamente ridotto a sedici nel gruppo dei codici b p q sc. La prima elaborazione dell’ode è attestata da a, una bella copia di mano pariniana, come già riconosciuto da Mazzoni, p. 152, e da Isella, p. 78, che aveva invece tratto in inganno Chiari, p. 127, stante la grafia giovanile del poeta. I manoscritti m n, come per le odi iii e vi, si palesano molto simili tra loro: sono gli unici ad essere corredati da due note, al v. 40 e al v. 44, e riportano al v. 25 la lezione femminea per feminea, differentemente dagli altri testimoni; l’altro errore congiuntivo, fingi per pingi al v. 68 (80 in a m n o) potrebbe essere segno che n sia un apografo di m, dal momento che il copista di m presenta una grafia poco chiara (al v. 74 in cui la selce viene equivocato in le selce da chi trascrive n); o rappresenta una “Replica con alcune correzioni fatte dall’Autore”, come esplicitamente dichiarato in esergo, dunque funge da spartiacque tra il primo e il secondo gruppo di codici, essendo per numero di strofe e alcune lezioni vicino a a m n, per molte altre scelte portatore di una fase di elaborazione successiva. Quanto alle ultime quattro copie, le più vicine a G, si riscontra grande vicinanza tra l’autografo b e p, il testo di mano gambarelliana: a far propendere per la redazione successiva di p le lezioni dei vv. 38, 85 e 88, presenti in b come correzioni e in p come lezioni a testo; in alcuni casi q, benché fortemente scorretto, risulta il più vicino alla stampa insieme a sc, ma la sua nota imprecisione e trascuratezza, unitamente a molti luoghi (vd. apparato) in cui la coppia b p appare come quella maggiormente in linea con G, ci fanno ipotizzare una redazione finale dell’ode molto elaborata da Parini, in cui alcuni punti fluidi del testo vengono testimoniati ora dall’uno ora dall’altro codice, portatori a loro volta di scelte che non si impianteranno nella stampa. Poco curato nella grafia e nella punteggiatura, sc presenta numerose cancellature e correzioni ma anche diversi errori al v. 58 (a lui co suoi membri insieme), al v. 84 (lo muova) e al v. 85 (a Regi); il testo è composto di 16 strofe ed è spesso concorde con q; in molti luoghi la maggiore vicinanza a G è dovuta a interventi
ode xi
145
successivi derivati o dal confronto con un altro codice smarrito o dalla volontà di uniformare il testo alla stampa, come nel v. 89, ma questo non accade in tutto il testo. G si stacca dunque da tutti i testimoni per le scelte dei vv. 58 e 89; in alcuni esemplari manca della virgola a conclusione del v. 73 che è infatti riportata tra le Correzioni. B e R si comportano come al solito quanto a interpunzione e grafia, R introducendo però due errori al v. 25 e al v. 66. Bm interviene nella punteggiatura più massicciamente, segnala la dieresi aëre al v. 27 e utilizza più spesso le maiuscole (Natura, Orïente), oltre a eliminare completamente la nota circa i cruenti costumi degli Ottentotti. Si riportano, in calce al testo, le due strofe presenti in a m n o ma soppresse negli altri mss. e nelle edizioni.
L A M U S IC A
Aborro in su la scena Un canoro elefante, Che si strascina a pena Su le adipose piante, E manda per gran foce Di bocca un fil di voce.
6
Ahi pera lo spietato Genitor che primiero Titolo: Ode p, Contro l’Evirazione Ode q, Contro l’E. sc, manca in a m o b; nota: Quest’Ode aveva già per titolo: La Evirazione Bm 1 Aborro] Abborro m o, Abboro q sc; sulla m; Scena m o q 2 elefante,] Elefante m o, elefante B R 3 a pena] appena m q sc 4 Su le] Sulle m sc; piante; b p 5-6 E per immensa foce Manda un fil di voce a m 7 Ahi] Ah a m o; pera] Perisca q, corretto poi con la lezione a testo sc 8 Genitor] Genitor, m b p Bm XI . Sestina di settenari secondo lo schema ababcc. Ancora un tema civile, quello dei musici castrati, affrontato partendo dall’etica di chi intende proteggere i giovani dal desiderio di fama e di ricchezza di adulti senza scrupoli. 1 Aborro […] scena: irrompe sulla pagina il biasimo del poeta come un grido pronunciato sulla scena. 2-4 elefante […] piante: l’evirazione aveva come conseguenza un’innaturale diffusione dell’adipe. 5-6 foce […] voce: stessa occorrenza di parole-rima, con ordine inverso, voce : foce in Dante, nel canto degli ipocriti (Inf. xxiii.127-129). 7 Ahi pera: imprecazione consueta, cfr. ode ii.25.
146
giuseppe parini Tentò di ferro armato L’esecrabile e fiero Misfatto onde si duole La mutilata prole.
12
Tanto dunque de’ grandi Può l’ozìoso udito, Che a’ rei colpi nefandi Sen corra il padre ardito, Peggio che fera od angue Crudel contro al suo sangue?
18
Oh misero mortale Ove cerchi il diletto? Ei tra le placid’ ale Di natura ha ricetto: Là con avida brama Susurrando ti chiama.
24
11 Misfatto] Misfatto, m q B; dole m 12 prole.] prole! p B R Bm 13 dunque] adunque a m o b p; Grandi a m p 14 Può] Val a m; ozioso m o q, oppioso corretto in ozioso sc; udito,] udito; o 15 a’] a b q sc 16 padre] Padre a m o; ardito o b 17-18 E con fronte secura Calpesti la Natura? a m 17 od] ed o p 18 al] il o p dove è stato corretto con la lezione a testo 19 Oh] O a m o b p, Ahi! q, corretto come a testo sc; mortale] mortale, B Bm 20 il] ’l m o 21 tra] fra p q 22 ricetto:] ricetto; m b p q Bm 24 Susurrando] Sussurrando m o, Sussurando q sc 9 Tentò: osò commettere. 14 l’ozìoso udito: l’inversione ben descrive la vacuità dei nobili sempre alla ricerca di novità per i loro passatempi. 15 nefandi: latinismo, ‘esecrabili’, che non si possono narrare. 16 ardito: feroce; è il genitore che era stato chiamato spietato al v. 7. 17 angue: serpente; grazie all’iperbole zoomorfa si conferisce una spietatezza estrema al genitore che opera contro il figlio; i versi originariamente risultavano più generici e privi della plasticità loro conferita dalla correzione. 18 sangue: nel senso di discendenza; cfr. Dante: «O avarizia, che puoi tu più farne, / Poscia ch’ha’ il mio sangue a te sì tratto, / Che non si cura de la propria carne?» (Purg. xx.82-84). 19-21: mortale : ale è rima che ricorre in Petrarca: «quell’ale / Co le quai del mortale» (RVF cclxiv.6-7) e (ccclxv. 2-3). 21 Ei: il piacere. 22 Di natura: soltanto nella natura può risiedere il diletto.
ode xi
147
Ella femminea gola Ti diede, onde soave L’aere se ne vola Or acuto ora grave; E donò forza ad esso Di rapirti a te stesso.
30
Tu non però contento De’ suoi doni, prorompi Contro a lei vìolento, E le sue leggi rompi; Cangi gli uomini in mostri, E lor dignità prostri.
36
Barbara gelosìa Nel superbo oriente So che pietade oblìa Ver la misera gente, Che da lascivo inganno Assecura il tiranno:
42
25 Ella] e la q, corretto come a testo sc; femminea] feminea a b p R 26 diede, onde] diè per cui a, offerse, onde o b p, diede onde R 27 aere] aëre Bm 28 acuto] acuto, m o q B Bm; grave, a 30 A questo punto, in a m o è presente un’altra strofa che riportiamo in calce al testo 31 non però] però non q sc, (il non è stato aggiunto sopra in q) 32 doni,] doni a 33 Contro a] Contr’a m; violento a m o b p q sc 34 rompi;] rompi: a 35 mostri,] mostri; b p 38 superbo] lascivo a m b in cui è corretto con la lezione a stampa; oriente] Oriente a m o p q sc, (o-) b con la dieresi Bm 39 Fa che pietà s’obblìa a m o b p; obblia q (con la -b- aggiunta in alto) 40 gente,] gente m o R; nota: Gli Eunuchi del Serraglio m 41-42 Che non può a Cipro offrire Altro fuor che ’l desire a m 42 tiranno:] Tiranno. o (-t-) b p sc 25 Ella: la natura. 35 Cangi: gallicismo da changer (Serianni). 38 superbo oriente: con connotazione negativa, addirittura tirannica in B. Tasso: «Già ’l superbo / Tiranno d’Oriente» (Rime ii.12). 39 pietade: secondo riferimento alla pietas dopo quello del v. 7 (spietato). 40 misera gente: gli eunuchi del serraglio, come recita la nota della prima stesura autografa, vigilavano sulla fedeltà delle donne negli harem; cfr. Ariosto: «Fuggesi Alcina, e sua misera gente» (OF x.55), «de la misera gente che perìa» (OF xiv.134), «per quella gente misera non buona» (OF xxvi.24). 41-42 lascivo […] tiranno: assicuravano il tiranno dai tradimenti.
148
giuseppe parini E folle rito al nudo Ultimo Caffro impone Il taglio atroce e crudo, Onde al molle garzone Il decimo funesto Anno sorge sì presto.
48
Ma a te in mano lo stile Italo genitore Pose cura più vile Del geloso furore: Te non error ma vizio Spinge all’orrido ufizio.
54
Arresta empio! Che fai? Se tesoro ti preme,
44 Ultimo] umile poi corretto come a testo sc; nota: Gli Ottentotti (sovrascritto su -oti) m; nota: Quando l’Autore scriveva questo componimento era opinione, che gli Ottentotti troncassero per superstizione ai loro figlj nell’anno decimo della loro nascita, una parte della virilità. I recenti viaggiatori pretendono che ciò non sia vero G B, Eravi opinione, che gli Ottentotti troncassero per superstizione a’ loro figli nell’anno decimo di vita una parte della virilità. I recenti viaggiatori pretendono che ciò non sia R 45 atroce] atroce, o q 46 al] il a,’l m 47-48 Vede non senza (senz’ m) affanno Sorgere il decim (-im’ m) anno a m 49 stile] stile, a m o p B Bm 50 genitore] Genitore, m (g-) o p B Bm 52 furore:] furore; a 53 error] error, a m o b p B Bm 54 Chiama al barbaro ufizio a m, Spinge all’atroce u. o b p; s. all’o. uffizio q; spinse all’o. uffizio sc 55 Arresta empio, che fai? a b p, T’a. empio, che f.? m o, Arresta, B Bm 56 preme,] preme o b q 43 folle: epiteto carico di echi danteschi, cfr. Inf. ii. 35, viii. 91, xii. 49, xix. 88, fino ad arrivare al «folle volo» del canto xxvi.125. Nell’ode però il rito assume una connotazione che non è tanto di empietà deliberata, quanto di ignoranza. 44 ultimo Caffro: l’aggettivo è usato alla latina, nel senso di ‘lontanissimo’; i Caffri sono la popolazione dell’Africa meridionale, limitrofa a quella degli Ottentotti che evirava i ragazzi al decimo anno d’età mediante un rito religioso definito folle dal poeta al v. 43; (vd. nota G). 49 lo stile: lo strumento, già nominato al v. 9 per metonimia. 53 vizio: l’avidità di guadagno, denominata vile al v. 51. 55 Arresta: apostrofe al genitore ritratto mentre col pugnale compie l’atto esecrabile; fortissima la carica figurativa della strofa e la catena di rimandi biblici e mitologici.
ode xi Nel tuo figlio non l’hai? Con le sue membra insieme, Empio! il viver tu furi Ai nipoti venturi.
149
60
Oh cielo! E tu consenti D’oro sì cruda fame? Nè più il foco rammenti Di Pentapoli infame, Le cui orribil’ opre Il nero àsfalto copre?
66
No. Del tesor, che aperto Già ne la mente pingi, Tu non andrai per certo Lieto come ti fingi
58 Ah: co’ suoi membri insieme, a m o b p, Ah! q 59 Empio!] Empio a o sc 60 Ai] A i b B R Bm; nipoti] nepoti o p q 61 Oh cielo!] Natura a m, Ah! C.! o, Oh! c. q; E] e a m o b p q B 62 cruda fame?] crude brame, a, cruda fame; m o 63 il] ’l m 64 infame,] infame a o R 65 orribil’] orribili m p (corretto in entrambi su precedente –bil’), terribil q sc 66 àsfalto] asfalto m p q sc R, A- o; qui si inseriscono gli altri versi presenti in a m o e soppressi in b p q e nelle stampe. 67 Ma de le gran venture, a (delle) m, Ma del tesor che a. b p; No: (no. sc) del t- (T- sc) che a. q, No; B Bm, tesor B R 68 Che già in (’n m) tua mente pingi (fingi m) a m, pingi R 69 Tu non andrai nè pure a (neppure) m 70 fingi] fingi, B Bm 59 furi: latinismo per ‘rubi’; cfr. Dante, sempre il canto dell’avarizia: «come furò le spoglie, sì che l’ira» (Purg. xx.110). 60 nipoti venturi: in queste due strofe il richiamo all’Antico Testamento è molto forte: per gli Ebrei il tema della procreazione come benedizione, garanzia di felicità su questa terra e garanzia d’immortalità è centrale; si pensi al Salmo 111 del Beatus Vir, ritratto dell’uomo saggio e felice, o al Magnificat, oppure alla promessa fatta ad Abramo. Togliere la possibilità di procreare è atto empio, che costituisce un rigetto deliberato della benedizione divina. 62 D’oro […] fame: cfr. Virgilio: «auri sacra fames» (Aen. iii.57). 64 Pentapoli: le cinque città corrotte di cui si narra nella Bibbia (Sodoma, Gomorra, Adama, Seboim, Segor). Si rende esplicito il riferimento alle Scritture; la strofa soppressa riferiva pure del diluvio universale. 66 nero àsfalto: acque del Mar Nero; l’accento sulla prima a è un grecismo (Serianni). 67 aperto: pronto. 68 pingi: immagini; la voce è molto diffusa nei canzonieri del Cinque e Seicento: Fregoso, Bandello, Marino, Fontanella. 70 ti fingi: credi.
150
giuseppe parini Padre crudel! Suo dritto De’ avere il tuo delitto.
72
L’oltraggio, ch’or gli è occulto, Il tuo tradito figlio Ricorderassi adulto; Con dispettoso ciglio Da la vista fuggendo Del carnefice orrendo.
78
In vano in van pietade Tu cercherai: chè l’alma In lui depressa cade Con la troncata salma; Ed impeto non trova Che a virtude la mova. 71 crudel! Suo] crudel: suo a m b q sc, crudel! suo o p 72 avere] aver o 73 oltraggio,] oltraggio a b p q sc B R; occulto a b p q sc R 75 Ricorderassi] Rammenterassi a m o; adulto, a m 76 E il (’l m) paventoso ciglio a m 77 Rivolgerà temendo a m 78 Del] Dal a m 79 A la (Alla m) tua prole in seno a m, Misero! In van b (corretto con in vano), In vano, in van p q B Bm 80 Con la troncata salma, a m; cercherai; b p q R Bm 81 A cui vigor vien meno, a m 82 Depraverassi l’alma, a (alma;) m 83 Ed impeto] e impeto su altro termine fortem. cassato sc 84 virtude] -ute a m 71-72 Suo dritto […] delitto: il tuo delitto deve avere la punizione adeguata. 74-76: figlio : ciglio è rima che ricorre in Dante (Par. xx.43-45) e in molti canzonieri del Cinque e Seicento, ma con maggiore affinità di dettato in Petrarca: «Padre m’era in onore, in amor figlio, / Fratel negli anni, onde onde obedir convenne, / Ma col cor tristo e con turbato ciglio» (Triunphus cupidinis ii.55-57) e Ariosto: «Spinse il demonio inanzi al mesto figlio / Del re Troiano, in forma di cavallo; / E con gran voce e con turbato ciglio» (OF xxxix.5). – dispettoso: sprezzante, come in Farinata: «Com’ avesse l’inferno a gran dispitto» (Inf. x.36) o in Capaneo: «Chi è quel grande che non par che curi / Lo ’ncendio e giace dispettoso e torto» (Inf. xiv.46-47). 80 In vano in van: cfr. RdA (Griseldo Toledermio), tomo iii 553.5: «invano invan si serra» e Rota (Egloghe Pescatorie xiv). 81 depressa cade: la variante rende con maggiore pregnanza l’idea della minorazione. 82 la troncata salma: la mutilazione corporea; la medesima coppia di parole-rima in successione opposta e con valenza positiva, nell’ode ix. 65-66: «Ma non men che a la salma / Porgea vigore all’alma». Per altre occorrenze vd. la nota a quell’ode. 83-84 impeto […] virtude: il ragazzo è impossibilitato a dirigere positivamente l’indole verso la virtù: di ciò è responsabile il padre che ne ha fiaccato il corpo, mutilandolo.
ode xi Misero! A lato a i regi Ei sederà cantando Fastoso d’aurei fregi; Mentre tu mendicando Andrai canuto e solo Per l’Italico suolo: Per quel suolo, che vanta Gran riti e leggi e studj; E nutre infamia tanta, Che a gli Affricani ignudi, Benchè tant’alto saglia, E a i barbari lo agguaglia.
151 85
90
95
Si riporta il testo di a per le due strofe soppresse: vv. 31-36
Poi con più aperta strada Diè a’ maschj poderoso Petto onde l’aere cada Turgido impetuoso
85 A la (Alla m) mensa de’ Regi a m, Misero a lato ai r- o (M-!) p, E mentre a lato ai r- b corretto sopra con la lezione a testo 86 Ella starà c. a m 87 Pomposa d’aurei fregi: (Fregi. m) a m; Fastoso] Superbo o b p 88 Tu n’andrai m. a m, E tu andrai m. o b (corretto in interlinea su prec. Tu n’andrai q) corretto come a testo sc 89 Canuto infame e solo a m o b p q, poi corretto come a testo sc 90 Italico] italico a m; suolo. a m o R, suolo; b p q Bm 91 suolo,] suolo a B R; suolo che, adorno o b p 92 Gran] Di o b p; studj;] studj a (s-, o), studi, m b p, s.: sc 93 E glorie onde s’ammanta; a m (si q) corretto poi come a testo sc, Tale in sè pate scorno, o b p; tanta B R 94 Che] Ma a m, E q; a gli] agli a m o q; Affricani] affricani o b q 95 Benchè] Ben che b R; tant’alto] cotanto a m o b p 96 a i] ai a m o; lo] s’ a m (corretto in si) q corretto poi come a testo sc; lo] l’ o b p 85 Misero!: cfr. Petrarca: «Misero, a che quel caro ingegno altero» (RVF ccclx.39), Tasso: «Misero, di che godi?» (GL xii.59). 88 mendicando: cfr. Dante: «Indi partissi povero e vetusto […] mendicando sua vita a frusto a frusto» (Par.vi. 139-141). 89 canuto e solo: eco petrarchesca: «Movesi il vecchierel canuto et biancho» (RVF 16.1). 91 suolo: il lemma iterato acquista qui, metonimicamente, valore di popolo. 92 Gran riti e leggi e studj: il polisindeto comunica le fondamenta del vivere civile. 95-96 Benchè […] lo agguaglia: l’amara conclusione rimanda al v. 37 barbara gelosia.
152
giuseppe parini Che d’alta meraviglia Ti sospenda le ciglia.
vv. 73-78
Nè il dì, che arrampicasti Tra la selce, e tra ’l ghiaccio Dietro agli uomini guasti Col gran pelago in braccio, E festi alte vendette Su le inondate vette?
XII S (vd. Edizioni S. C. n. 7), pp. clxxiii-clxxv. m Ambr. III 9, p. 17. o Miscellanea Pariniana 11/6, pp. 20-21. n Miscellanea Morbio 17, pp. 75-77. G 77-80 (note 165-167). B 60-62 (note 151-153). R 121-124. Bm 183-185.
S risulta precedente alle versioni manoscritte se si considerano i versi 45-46 in cui la lezione Punse i costumi rei / Tullio lodando è stata variata in Volse a pungere i rei / Di Tullio i casi in tutti i codici e poi in G. S contiene due errori (lectio facilior) al v. 52, (due per duo) e al v. 16 (spezzati per sprezzati). G è vicinissimo alle copie manoscritte, emendato degli errori dei copisti poco rigorosi e mutato secondo le consuetudini grafiche di Parini a questa altezza, come, ad esempio, nella scelta di novo in luogo di nuovo del v. 46, presente in tutti i testimoni vergati a mano; o sceglie una propria titolazione, non riscontrata in altri esemplari, appesantita da uno svarione; per il resto i mss. risultano identici tra loro, a eccezione della scrizione delle preposizioni che in o vengono sdoppiate in un secondo momento (vd. apparato). B ed R seguono G salvo per le scelte grafiche e interpuntorie sempre osservate finora; si noti però l’erronea lettura del Reina nel segnalare il mai del v. 41 al posto del già come una variante e non come un’errata trascrizione di copista che invece, molto probabilmente, aveva in orecchio il mai del v. 40, come già osservato da Isella, p. 86: scelta, quella del Reina, quanto mai singolare, dal momento che in tutta l’ode non ritiene opportuno segnalare alcuna lezione diversa riportata in altri manoscritti. B commette due sviste nell’Indice: nel riportare i vv. 21-22, prima della nota, legge popolo in luogo di polo (si tratta, tra l’altro, di un errore congiuntivo con la stampa Agnelli del 1816; vd. Le Edizioni successive) e nel trascrivere il v. 49, che nella stampa registrava entrambe le virgole del vocativo (O te, Paola,), ne tralascia la prima. Bm asciuga le note e rende omogenea la grafia, come dall’Avvertenza Ai leggitori.
154
giuseppe parini
L A R EC ITA DE’ VE RSI
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all’acre foco Dell’arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro? Non odi alto di voci I convitati sollevar tumulto, Che i Centauri feroci Fa rammentar, quando con empio insulto All’ospite di liti Sparsero e guerra i nuzìali riti?
6
12
Titolo: Ode del Chiarissimo Sig. Abate Parini Sopra l’uso di recitare i versi alle Mense, ed avanti persone incapaci di gustarli S, Ode m, Improvvisata per Mensa Ode n, Invito fatto al Poeta di cantare ad un covitto presso la Sig. March. D. Paola Castiglioni o cui segue l’attribuzione (Parini); nota all’ode: A Paola Castiglioni ornatissima donna, e singolare amica dell’autore, la quale invitavalo a dir versi R, Alla Marchesa Paola Castiglioni, la quale invitava l’Autore a dir versi Bm 2 otterranno,] otterranno B R 3 Scendano;] Scendano, S m n Bm; a l’ su precedente all’ o 4 Dell’] De l’ su precedente Dell’ o; Camena S n R 6 pregio] pregio, S m n; decoro o 8 tumulto,] tumulto R 12 Sparsero] Sparsero, S m; nuzìali] nuziali S m n XII . Strofa di sei settenari ed endecasillabi secondo lo schema aBaBcC. Un’ode sulla poesia e sulla necessità del silenzio, della concentrazione e della meditazione quali elementi imprescindibili per la sua creazione. Nell’Introduzione stampata nelle Memorie per le belle Arti, il redattore dà conto del significato del testo e dell’importanza di un componimento solo in apparenza leggero; il primo rimando è alla classicità: «Orazio da leggerissimi temi ricava talvolta odi piene di robustezza», per passare poi ad analizzare lo stile di Parini: «Dell’inversione delle parole egli si giova moltissimo ad acquistar robustezza». 3 acre: vivo. 4 sottil Camena: è la Musa esperta. 5 Meditante lavoro: riferito alla Musa, ma, per estensione, al poeta che compone (meditari in latino); cfr. Virgilio: «silvestrem tenui musam meditaris avena» (Eglog. i.2). 9 Centauri feroci: i banchetti rumorosi fanno venire in mente l’episodio dei Centauri che, ubriachi, scatenarono una rissa feroce durante le nozze di Piritoo, re dei Lapiti, e Ippodamia. Cfr. Ovidio (Met. xii.219-225). 10 empio insulto: perché cercarono di rapire la sposa e le altre donne presenti ai festeggiamenti.
ode xii
155
V’ha chi al negato Scaldi Con gli abeti di Cesare veleggia; E la vast’onda e i saldi Muri sprezzati, già nel cor saccheggia De’ Batavi mercanti Le molto di tesoro arche pesanti.
18
A Giove altri l’armata Destra di fulmin spoglia; ed altri a volo Sopra l’aria domata Osa portar novelle genti al polo. Tal sedendo confida Ciascuno; e sua ragion fa delle grida.
24
13 Scaldi] Scaldi S m o n; nota: È abbastanza noto quanti disastri abbia minacciato all’Europa il passaggio libero dello Schelda richiesto da Cesare, e negato dagli Olandesi S, Accenna le ostilità che seguivano, l’anno in cui fu scritta quest’Ode, tra l’Imperadore e gli Olandesi per la navigazione della Schelda G B, Alludesi alle ostilità, che seguivano, l’anno, che fu scritta quest’ode, tra l’Imperadore, e gli Olandesi per la libera navigazione della Schelda R, Si accennano le ostilità, che seguivano l’anno, in cui fu scritta quest’Ode, tra l’Imperadore e gli Olandesi per la navigazione della Schelda Bm 14 veleggia;] veleggia, S n 15 onda] onda, S m 16 sprezzati] spezzati S, il copista scrive spe, poi si avvede e corregge in sprezzati o n; cor] cuor m 17 mercanti] Mercanti S m 20 spoglia;] spoglia, S m o; nota: Questa strofe accenna i parafulmini, e le macchine aerostatiche R 21 nota: Questa allusione alle macchine aerostatiche, che allora massimamente eccitavano cotanto la pubblica curiosità, induce l’Editore a ristampar quì il sonetto, che l’Ab. Parini compose sul soggetto di quelle [segue Ecco, del mondo è meraviglia e gioco] G B, Si allude ai parafulmini ed alle macchine aerostatiche Bm 22 genti al polo] Genti al Polo m n, polo; S 23 Tal] Tal, S 24 Ciascuno;] Ciascuno, S m n B; de le m o B R Bm 13 Scaldi: il fiume Schelda; l’imperatore d’Austria Giuseppe II mosse le navi contro l’Olanda per ottenere il passaggio sullo Schelda nel 1783. 14 abeti di Cesare: le navi dell’imperatore. 16 sprezzati: riferimento alle chiacchiere dei banchetti, dunque alla pigra faciloneria di chi parla senza tenere conto delle difficoltà delle difese olandesi, come pure dei pericoli legati al mare. 17 Batavi mercanti: gli Olandesi. 18 arche: i forzieri. 19-20 Giove […] spoglia: alcuni commensali parlano dell’invenzione del parafulmine, inventato da B. Franklin nel 1753. 20-22 altri […] polo: altri discutono del pallone aerostatico, una scoperta dei fratelli Mongolfier nel 1783; – al polo: al cielo. 23-24 sedendo […] grida: i convitati ritengono di poter mostrare le proprie ragioni urlando, ma di fatto restando seduti a degustare placidamente i piatti.
156
giuseppe parini Vincere il suon discorde Speri colui che di clamor le folli Mènadi, allor che lorde Di mosto il viso balzan per li colli, Vince; e, con alta fronte, Gonfia d’audace verso inezie conte.
30
O gran silenzio intorno A sè vanti compor Fauno procace, Se del pudore a scorno Annunzia carme onde ai profani piace; Da la cui lubric’arte Saggia matrona vergognando parte.
36
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda.
42
26 colui] colui, S m n Bm 27 Mènadi,] Menadi S m n 28 li colli,] gli colli o, li colli S m n 29 e,] e S m n Bm; fronte,] fronte S m o n Bm 34 ai] a i B R Bm; piace, S m n 35 Da] De n 36 matrona] Matrona S m 38 Musa, e mente arguta, e c. g. S m n Bm, musa, B; gentile; S n 40 cetra] Cetra m n 41 già] mai m 42 ciance] ciancie S m 29-30 con alta fronte […] conte: soltanto il poeta spavaldo può riuscire a cantare sciocchezze già risapute. 32 Fauno procace: chi compone versi osceni. Chiara l’allusione del poeta all’abate Giambattista Casti, autore di Novelle licenziose che ebbero molta fortuna; per lui Parini compose il sonetto caudato Un prete brutto, vecchio e puzzolente. 34 profani: ascoltatori lascivi. 36 Saggia matrona […] parte: la donna matura, ritratta nel momento in cui saggiamente e pudicamente si allontana dalla tavolata in cui trionfano versi osceni, pare prefigurare l’assenza della musa in tali volgari contesti. 37-38 Orecchio […] e cor gentile: in prima posizione l’oggetto dell’amore della musa. Foscolo riporterà i due versi con una piccola differenza in esergo alla sua traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne: «Orecchio ama pacato…».
ode xii
157
Ben de’ numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei Di Tullio i casi; ed or, novo maestro A far migliori i tempi, Gli scherzi usa del Frigio e i propri esempj.
48
O te Paola, che il retto E il bello atta a sentir formaro i Numi; Te, che il piacer concetto Mostri dolce intendendo i duo bei lumi, Onde spira calore Soavemente periglioso al core.
54
44 cantor,] Cantor S m n, (c-) B R; nota: Encomia giustamente l’Ab. Passeroni, celebre singolarmente per il suo Poema faceto sopra Cicerone, e per le sue Favole Esopiane; e (è G) venerabile a tutti i buoni per gli (li B) suoi virtuosi costumi G B, GianCarlo Passeroni celebre pel suo Cicerone e per le sue Favole Esopiane, e venerabile a’ tutti i buoni pe’ suoi virtuosi costumi R 45-46 Punse i costumi rei Tullio lodando; S 46 or, novo maestro] or nuovo Maestro S m (maestro o n) (maestro, Bm) 47 tempi,] tempi S m o n Bm 48 Frigio] Frigio, S m n Bm; esempj] esempi o B R (e-;) Bm; nota: L’Abate Passeroni noto alla Repubblica delle lettere pel suo poema faceto sulla vita di Cicerone S, L’Ab. Gian-Carlo Passeroni, celebre singolarmente pel suo poema sopra Cicerone, e per le sue Favole Esopiane Bm 49 te] te, Paola B Bm (PAOLA) R; nota: La Marchesa Paola Castiglioni. Vedi all’Ode xxi. di quest’Indice [con riferimento a Il dono] G B; retto] retto, S n 50 formaro] formàro R 51 Te,] Te S n B R 52 Mostri] Mostri, B; duo] due S; lumi,] lumi S m R 54 nota: La Marchesa D. Paola Castiglione nata Litta, Dama assai rispettata in Milano per la sua illustre nascita, e pei suoi rari talenti S 43 numeri: ritmi, cioè versi, latinismo. 44 il buon cantor: Gian Carlo Passeroni, amico di Parini, scrisse il poema satirico Il Cicerone, in cui metteva a nudo i costumi decaduti della sua epoca. – destro: abilmente. 46 Di Tullio i casi: attraverso la vita di M.T. Cicerone; l’anastrofe è assente nella prima edizione. 48 scherzi del Frigio: Passeroni fu anche autore di favole alla maniera di Esopo. 49-50 il retto […] bello: la donna cui qui il poeta si rivolge è la marchesa milanese Paola Litta Castiglioni, dedicataria dell’ode e destinataria ideale della poesia perché persona sensibile e raffinata. È la terza immagine femminile, la più vivida e sensuale, fuori dal repertorio topico della matrona e della musa e carica invece di quella grazia densa di pericoli che il poeta canterà spesso nelle composizioni dedicate alla bellezza muliebre. 51 concetto: che senti. 52 bei lumi: eco petrarchesca; moltissime le occorrenze tra cui: «duo bei lumi accensi» (RVF cciv.7). 54 Soavemente periglioso: eco oraziana: «dulce Periculum» (Carm. iii. xxv.18).
XIII S (vd. Edizioni S. C. n. 10), pp. 59-62. o Miscellanea Pariniana 11/6, pp. 1-4. m Miscellanea Morbio 17, pp. 25-30. sc Ms. Schiera, cc. 50r-52r. n Ambr. III 8, pp. 19-22. G 81-89. B 63-68. R 125-131; al v. 27 registra una variante di cui non c’è traccia negli altri testimoni che sigliamo con Rv. Bm 187-190.
S riporta errori, imprecisioni e un numero di versi inferiore a quello definitivo: è lecito dedurre quindi un palese intervento correttorio del poeta che, come in altre occasioni, coadiuvato dal suo primo collaboratore, intende limare linguisticamente il testo, scegliere la soluzione grafica e interpuntoria in accordo con il volume che si andava formando, ma anche ripensare alcuni versi, come i 51-55 sui quali era in dubbio, oppure reintegrarne altri, come i 61-65, espunti da S e mancanti anche in o e in m. Casi a sé quello di o, che riporta lezioni diverse rispetto a tutti gli altri testimoni ai vv. 20, 42, 53, 80, 84, 89, 94 e molte imprecisioni nella grafia, e di sc di cui abbiamo scelto di riportare in apparato soltanto un campione: nessun segno grafico per la dieresi, scrizione delle preposizioni sempre unita, segni interpuntori non rispettati, accenti mancati e diversi errori del copista (v. 11 però per sperò, v. 21 suono per tuono, v. 35 secco per cieco). I mss., a parte n fortemente scorretti, non permettono una sicura seriazione: gli accordi potrebbero essere irrelati e gli errori risultano tali da compromettere la lettura di quelle che potrebbero essere lezioni proprie. Le scelte di n ai vv. 89, 100, 105, le correzioni aggiunte posteriormente, ai vv. 21, 49, 102, 108, unitamente alle indicazioni dei versi dubbi (un segno a latere dei vv. 51-55, a sinistra, unitamente ad un altro, molto più piccolo, a destra, in corrispondenza del verso conclusivo della medesima strofa) e alla presenza dei vv. 61-65, di cui anche o m e sc sono privi, fanno propendere per una copia di servizio molto vicina alle intenzioni ultime dell’autore: potrebbe trattarsi di una trascrizione precedente agli altri testimoni su cui però Parini e Gambarelli tornano a lavorare in vista dell’edizione definitiva del ’91, come lascerebbe pensare la cancellazione del titolo generico Ode a vantaggio del solo La Tempesta, presente poi in G. G dunque è portatore di un testo rinnovato cui si rifanno anche B e R con le consuete differenziazioni; Bm inserisce un numero maggiore di virgole, la j intervocalica e sostituisce spesso i due punti col punto e virgola (non sempre lo registriamo in apparato); muta inoltre la scrizione di alcuni termini quale intanto al v. 26 e trascrive, come avvertito nella Prefazione, gli accenti che segnalano i termini sincopati (Rôta, fidâte).
ode xiii
159
L A TEM PES TA
Odi Alcone il muggito Nell’alto mar de la crudel tempesta E la folgor funesta, Che con tuono infinito Scoppia da lungi, e rimbombar fa il lito.
5
Ahimè miseri legni, Che cupidigia e ambizìon sospinse; E facil’ aura vinse
Al titolo segue la dicitura ODE in S (Ode) m; era presente in origine anche in n, dove però è stato successivamente cassato; nota: Allegorìa risguardante i cangiamenti politici avvenuti in Lombardìa sotto Giuseppe II R 1 Odi Alcone] Odi, Alcone, S B R Bm; Alcone] sottolineato in m n (come ai vv. 41, 87, 101); muggito] mugito m o 2 Nell’] Ne l’ S; de la] della m o; tempesta, B R Bm 3 funesta,] funesta B R 5 lito.] Lito m, lito? o sc 6 Ahimè] Ahimè! S o sc Bm; legni S m n R 8 facil’] facil S m sc B Bm XIII . Strofa di cinque versi, due endecasillabi e tre settenari secondo lo schema aBbaA. Il testo segnala, nei termini dell’allegoria, le riforme attuate in Lombardia da Giuseppe II attraverso l’arciduca Ferdinando, che decurtarono le pensioni e gli stipendi di molti dipendenti a tutti i livelli. La cattedra del poeta, unitamente a quella di Vincenzo d’Adda, suo collega a Brera, fu in pericolo e a Gian Carlo Passeroni era stata revocata la pensione qualche anno prima. 1 Alcone: è nome mitologico dell’arciere allievo di Chirone, molto diffuso nella tradizione bucolica da Virgilio in avanti (Egl. v.11); cfr. Calpurnio Siculo (Egl. vi.1), Nemesiano (Egl. ii.1), Modoino (Egl. ii.49); più tardi nelle Egloghe del Pontano, del Castiglione latino e in quelle piscatorie del Rota e del Baldi. Ricorre pure nelle Rime del Marino e nelle RdA; Parini chiude il Ripano con tre Egloghe piscatorie ed è dunque lecito pensare che l’allegoria presente nel testo sia stata costituita seguendo la modalità di quella tipica dell’egloga piscatoria. Molto discussa l’identificazione del personaggio: secondo alcuni commentatori (Bertoldi) dietro Alcone si cela Vincenzo d’Adda, collega di Parini a Brera; più probabilmente si tratta dell’amico Gian Carlo Passeroni, cui peraltro si rifà la chiusa dell’ode precedente. Molti commenti citano la fonte oraziana per la navigazione vista come allegoria della vita politica, ma pare poco consentanea al componimento. 5 da lungi: da Vienna, dove Giuseppe II promosse le riforme della burocrazia.
160
giuseppe parini Per li mobili regni Lor speme a sciorre oltre gli Erculei segni!
10
Altro sperò giocondo Tornar da ignote prezìose cave; E d’oro e gemme grave Opprimer col suo pondo De la spiaggia nativa il basso fondo.
15
Credeva altro d’immani Mostri oleosi preda far nell’alto; Altro feroce assalto Dare a gli abeti estrani, E dell’altrui tesoro empier suoi vani.
20
Ma il tuono e il vento e l’onda Terribilmente agita tutti e batte; Nè le vele contratte Nè da la doppia sponda Il forte remigar, l’urto che abbonda
25
Vince nè frena. E in tanto Serpendo incendìoso il fulmin fischia: E fra l’orribil mischia 10 Erculei] erculei S n; segni!] segni. S sc n, segni o 12 cave;] cave, S Bm 17 far preda nell’] far preda ne l’ S 19 a gli] agli m n 20 E dell’altrui tesoro] E della merce altrui o; dell’] de l’ S 21 il tuono, il vento, e l’onda S m, il tuono il vento e l’onda con le virgole e la e cancellate n 22 batte;] batte, S n dove però la virgola è cassata 25 remigar,] remigar S; urto] urto, S o m Bm; abbonda, Bm 26 Vince] Vince, S Bm; frena: o; Intanto S, E intanto m n (E i.) Bm 27 incendìoso] incendiario Rv; fischia:] fischia, S n 9 mobili regni: il movimento del mare. Molte le fonti classiche citate dai commenti, da Ovidio a Tibullo, ma «mobil mare» e «mobil flutto» ricorrono anche in Ariosto (OF xvi.68), (OF xxx.13). 10 Erculei segni!: cfr. ode i.20: «I paventati d’Ercole pilastri». Cfr. Dante: «dov’Ercule segnò li suoi riguardi / Acciò che l’uom più oltre non si metta» (Inf. xxvi.108109); l’idea della sfida di Ulisse, ma anche quella del suo naufragio continueranno ad agire sottotraccia fino al v. 40. 16-17 immani / Mostri oleosi: le balene. 21 Ma il tuono: per l’allegoria della nave in tempesta senza guida, immagine topica già nei filosofi antichi (Platone e Aristotele), cfr. Dante: «nave sanza nocchiere in gran tempesta» (Purg. vi.77). 27 incendìoso: in luogo di incendiario.
ode xiii De’ venti e il buio manto Del cielo, ognun paventa essere infranto.
161 30
E già più l’un non puote L’alto durar tormento: uno al destino Fa contrario cammino; Un contro all’aspra cote Di cieco scoglio il fianco urta e percote:
35
E quale il flutto avverso Beve già rotto: e qual del multiforme Monte dell’acque enorme Sopra di lui riverso Cede al gran peso; e alfin piomba sommerso.
40
Alcon, non ti rammenti Quel che superbo per ornata prora Veleggiava finora, Di purpurei lucenti Segni ingombrando gli alberi potenti?
45
A quello d’ambo i lati Ignivome s’aprían di bronzo bocche; Onde pari a le rocche 29 venti e il] venti, e ’l S o (v., e il Bm); buio] bujo S o m n B Bm 30 cielo,] Cielo m 32 alto] altro m; tormento:] tormento; S m n; Destino m 33 cammino;] cammino: S 34 all’] a l’ S 35 percote:] percuote S, percote. o B Bm 37 rotto:] rotto, S 38 dell’] de l’ S; enorme, Bm 40 peso;] peso, S Bm; alfin] al fin R Bm 42 per ornata] per dorata o 43 Veleggiava] Velleggiava m; finora,] finora S m n 44 purpurei] purpurei, Bm 45 gli] gl’ m; potenti o 46 ambo] ambi m o sc 47 Ignivome] Ognivome S; bocche;] bocche. S, bocche: Bm 32 durar tormento: sopportare la forte sollecitazione dovuta alla tempesta in corso. 34 cote: pietra. 35 cieco scoglio: cfr. Guarino: «il cieco scoglio / È quel ch’inganna i marinai ancora» (Il pastor fido ii.iv). 40 alfin piomba sommerso: il mare inghiotte la fragile nave, come era avvenuto nel fatale viaggio di Ulisse: «infin che ’l mar fu sovra noi richiuso» (Inf. xxvi.142). 41 Alcon: l’insistenza del nome Alcon è segno che Parini ne fa un tema centrale, come è costitutivo del genere egloga. 45 Segni: bandiere. 47 Ignivome: che vomitano fuoco.
162
giuseppe parini Forza sprezzava e agguati D’abete o pin contro al suo corso armati.
50
E l’onde allettatrici Stendeansi piane a lui davanti: e ai grembi Fregiati d’aurei lembi De’ canapi felici Spiravan ostinati i venti amici:
55
Mentre Glauco e i Tritoni Pur con le braccia lo spingean più forte; E da le conche torte Lusingavano i buoni Augurj intorno a lui con alti suoni.
60
E lungo i pinti banchi Le Dee del mar sparse le chiome bionde Carolavan per l’onde, Che lucide su i bianchi Dorsi fuggian strisciando e sopra i fianchi.
65
Fra tanto, senza alcuno Il beato nocchier timor che il roda, 49 sprezzava e] sprezzava, e S m (in n la virgola è stata cassata); agguati] aguati S 50 abete] abeti m sc; armati.] armati: S 51-55 sono i versi contraddistinti da un segno a latere in n 52 davanti:] davanti, S m n o, davanti; Bm; a i S B R Bm 53 Fregiati] Orlati o, fregiato sc 54 De’] Di n 55 Spiravan] Spiravano o m sc n; ostinati] fortunati S; amici:] amici. S m, amici; Bm 57 forte;] forte, S 61-65 versi mancanti in S o m sc 62 Dee] dee B Bm; mar, … bionde, Bm 63 onde,] onde R 65 Dorsi] Colli corretto poi con la lezione a testo n 66 Fra tanto,] Frattanto S m sc, senza virgola S n; senza] su precedente senz’ n 67 che il] che ’l m o m; roda,] roda S m 52-55 ai grembi […] amici: alle vele orlate d’oro spiravano venti costantemente favorevoli; grembo è da intendersi come il sinus (seno) latino, e cioè piega delle vele. – canapi: vele. 56 Glauco e i Tritoni: Glauco è il pescatore della Beozia che si traformò in divinità marina dopo essersi cibato di un’erba particolare; il mito ovidiano è citato da Dante: «Qual si fé Glauco nel gustar de l’erba / Che ’l fé consorto in mar de li altri dei» (Par. i.68-69); i Tritoni sono divinità marine per metà uomini e per metà pesci. Dietro tali figure si celano i potenti funzionari dello stato. 58 conche torte: le conchiglie attorcigliate che fungevano da tromba. 61 pinti banchi: vd. v. 42; banchi: fiancate. 62 le Dee: dame influenti. 63 Carolavan: danzavano.
ode xiii Dall’alto de la proda Al mattin primo e al bruno Vespro così cantava inni a Nettuno:
163
70
A te sia lode o nume, Di cui son l’opre ognor potenti e grandi, O se nel suol ti spandi Con le fuggenti spume O di Cinzia t’innalzi al chiaro lume.
75
Tu col tridente altero Al tuo piacer la terra ampia dividi; Tu fra gli opposti lidi Del duplice emispero Scorrevole a i mortali apri sentiero.
80
Rota per te le nuove Con subitaneo piè veci Fortuna: E quello, che con una Occhiata il tutto move, Non è di te maggior superno Giove.
85
Tale adulava. Or mira Or mira, Alcon, come del porto in faccia, Lungi dal porto il caccia
68 Dall’] Da l’ S 69 mattin] matin o; primo] primo, S m n 70 Vespro] Vespro, Bm 71 lode o nume,] lode o Nume S m R (con la virgola prima della o) n Bm 74 fuggenti] possenti sc; spume] spume, S m n B R 75 Cinzia] Cintia S; t’innalzi] tinnalzi m; chiaro] alto m; lume.] lume; S, Lume m 77 Al tuo] A tuo S m sc B R Bm 78 Tu] E o; Tu, Bm; opposti] oposti m 79 emispero] emisfero S m n, emispero, Bm 80 a i] ai m n; ai tesori o; il sentiero o n 81 Rota] Ruota S; nuove] nove m 82 Fortuna:] fortuna; S (F-) n Bm 83 E quel che nubi aduna o 84 e il ciel col guardo move o; move] muove S 85 maggior] maggior, S Bm; superno] Supremo m sc 86 adulava: or mira, S; mira, B Bm 70 Nettuno: solitamente identificato nell’arciduca Ferdinando d’Austria. 73-75: il fenomeno della bassa e dell’alta marea: la luna è indicata mediante Cinzia, altro nome di Diana. 83-85 E quello […] Giove: cfr. Orazio: «cuncta supercilio moventis» (Carm. iii. i.8), Dante: «La gloria di colui che tutto move» (Par. i.1).
164
giuseppe parini Nettuno stesso; e a dira Sorte con gli altri lo trasporta e aggira!
90
E la ricchezza imposta Indi con la tornante onda ritoglie; E le lacere spoglie Ne gitta, e la scomposta Mole a traverso dell’arida costa.
95
Ahi qual furore il mena Pur contra noi d’ogni avarizia schivi, Che sotto a i sacri ulivi Radendo quest’arena Peschiam canuti con duo remi a pena!
100
Alcon, che più s’aspetta? Ecco il turbine rio, che omai n’è sopra. Lascia che il flutto copra La sdrucita barchetta; E noi nudi salvianci al sasso in vetta.
105
O giovanetti, piante Ponete in terra; quì pomi inserite;
89 stesso;] istesso, S o m 90 con] co S; trasporta e aggira!] condanna e aggira; S 92 tornante] sonante S sc; ritoglie, S m 93 Le già temute spoglie o 94 Ne gitta,] getta S, Gettando o, gitta Bm 95 a traverso dell’] attraverso de l’ S 96 Ahi] Ahi, Bm 97 contra] contro S o; schivi,] schivi R 98 sacri] sani sc; a i] ai m n; ulivi, Bm 99 quest’] questa n; arena] Arena m, arena, Bm 100 duo] due S m; a pena!] appena. S, appena! o m n 102 rio,] rio B R; sopra.] sopra, S m (in n la virgola è corretta con la lezione a testo) 103 Lascia] Lascia, Bm 104 sdrucita] sdruscita S m sc n; barchetta;] barchetta, S n 105 salvianci] salviamci S o m 106 giovanetti] giovinetti m (con i corretto su a o) 89 dira: crudele. 90 aggira: lo fa girare vorticosamente; ancora un’eco dantesca relativa al naufragio di Ulisse: «tre volte il fé girar con tutte l’acque» (Inf. xxvi.139). 92 tornante: che si ritira. 96 Ahi: la strofa esprime il dolore del poeta per la sua sorte e per quella dei suoi colleghi-amici, come il d’Adda o il Passeroni che, pur essendo lontani da ogni avidità, vengono comunque colpiti dal furore di chi governa. 105 nudi […] in vetta: fuor di metafora: abbandoniamo la vita politica.
ode xiii Quì gli armenti nodrite Sotto a le leggi sante De la natura in suo voler costante.
165
110
Quì semplici a regnare; Quì gli utili prendete a ordir consigli; Nè fidate de’ figli La sorte, o de le care Spose a l’arbitrio del volubil mare.
115
108 armenti] Armenti m; nodrite] nudrite S m (in n la u è corretta con la lezione a testo) 109 leggi sante] Leggi Sante m 110 natura] Natura n (N-,) Bm 111 regnare;] regnare, S 112 consigli] consiglj m 113 de’] de i S, dei m n; figli] figlj m 115 a l’] all’ B Bm; mare] Mare m 111-112 Quì […] prendete: l’invito ai giovani affinché vivano con semplicità in armonia con la natura, coltivando i campi. 113 fidate: affidate. 115 volubil mare: il mare è visto come pericolo; tutte le occupazioni, mosse dall’ingordigia delle ricchezze, sono da evitare, a vantaggio di un sereno rapporto con la terra e con l’agricoltura. Cfr. ode iii.
XIV a Ambr. II 3, p. 90. b Ambr. II 4, pp. 27-29. S (vd. Edizioni S. C. n. 4). m Miscellanea Morbio 17, pp. 61-63. n Ambr. III 3, pp. 52-54. o Ambr. III 8, pp. 25-27. c Ambr. II 1 h, pp. 23-25. G 90-94. B 69-72. R 132-136. Bm Tra le Canzonette 255-257.
Il testo è individuabile nella sua prima forma, incompleta, in a: trattasi di un primo abbozzo autografo di nove versi in cui è presente la riscrittura di molti luoghi ritenuti insoddisfacenti; nella sua piena estensione, con la dicitura Canzonetta, si trova, sempre autografo, tra le carte di b, unitamente al foglietto accompagnatorio (siglato al recto e al verso con i numeri 25-26) per l’abate Passeroni recante la seguente dicitura: «Stracciate di grazia la copia della Canzone, che vi diedi iersera: e sostituite la presente. Il Vostro Amico Parini». Non è stata fin qui rinvenuta la copia successiva, che il destinatario inviò a Verona per la miscellanea nuziale di Paolo Patuzzi, ma solo questa prima versione, conservata dall’amico Passeroni e intestata di suo pugno come pariniana. Dopo la stampa veronese, il poeta torna nuovamente sui suoi versi e a questa altezza si situano m n in cui permangono i due riferimenti precisi alla sposa (vv. 47-48 e 59-60); passo successivo verso la versione definitiva, le due copie o e c, di mano di Gambarelli e di Parini che escludono entrambi dai vv. 59-60 e c anche dai vv. 47-48 il rimando all’occasionalità per cui il testo è stato composto: tale visione è propria del Parini più maturo che tende a una visione di poesia sempre più assoluta e scevra da legami temporali. Stabilire la successione delle due copie di Gambarelli e Parini (o e c) risulta abbastanza complesso: se il ms. di mano pariniana appare più tardo rispetto a quello del suo discepolo per la scelta di abbassare le maiuscole, dividere le preposizioni articolate, eliminare i riferimenti occasionali – l’unica eccezione in cui o coincide con la stampa è il v. 21 (oltra), oltre alla scrizione di oimè al v. 49 contro tutti gli altri testimoni – tuttavia non mancano oscillazioni tra l’uno e l’altro codice dal momento che entrambi riportano delle lezioni che non si impiantano definitivamente in G, per c il v. 24 e il v. 57, per o il solo v. 62 che in c risulta incongruo (vd. oltre). Se si circoscrive il discorso ai due versi che maggiormente hanno tormentato il poeta, il 57 e il 61, o legge il v. 57 come in G (dopo avere cancellato una vecchia lezione, quella di n) mentre c lo riporta come correzione interlineare, dopo una variante non accolta; al v. 61 o ha la stessa lezione di G, mentre in c metà verso è cassato e corretto a latere; vero è altresì che la strofa pariniana, priva delle correzioni, non potrebbe sussistere a causa della rima che non lega (te garzon felice a pieno / la virtù con-
ode xiv
167
duce a lato) e della svista al v. 62, in cui permane de la tomba, incongruo con la reggenza (conduce) del verso precedente. Il ductus degli interventi correttori è il medesimo di quello della scrittura del testo e l’inchiostro utilizzato diverge solo per la diversa concentrazione che rende le correzioni meno marcate: non pare plausibile che Parini abbia corretto la sua copia dopo l’edizione del ’91 per inserire una sola variante innovativa e riportare delle lezioni di G, per di più imperfette; si individua dunque c come la versione più tarda dell’ode con lezioni nuove che in sede di stampa definitiva verranno abbandonate, a vantaggio di quelle precedenti già presenti in o, che rimane una copia in pulito (unica distrazione del Gambarelli al v. 57, immediatamente corretto), precisa e affidabile, la cui sola nuova lezione (v. 62), non accolta dall’edizione del ’91, coincide con un verso che nell’autografo non è coerente con la correzione del verso precedente: potrebbe trattarsi di una semplice distrazione del poeta, ma potrebbe anche essere stato ritenuto uno dei luoghi fluidi del testo risolti solo in sede di stampa. G si attiene a o e c introducendo un solo cambiamento all’ultimo verso: l’implicazione di bella con Bellezza di 4 vv. precedenti porta Parini a preferire cara; B si basa su G con le consuete scelte interpuntorie, R si comporta come al solito quanto a scelte grafiche, ma ripristina a testo una lezione di m (v. 16 vagheggiar) e una di c (v. 24 Che va e viene all’onda egual!) non accolte dalla stampa del ’91. Bm modifica l’interpunzione con l’utilizzo di gran copia di virgole, molti punti esclamativi e diverso impiego del punto e virgola; ripropone inoltre alcune maiuscole già della prima stampa. Si riportano in calce le versioni di b e di a.
L E NOZZE
È pur dolce in su i begli anni De la calda età novella Lo sposar vaga donzella, Che d’amor già ne ferì.
4
Titolo: Canzonetta S, Canzone epitalamia m, Canzone Nuziale n, Ode o c 1 dolce] dolce, Bm; su i] sui m 2 De la] Della m n o; novella, Bm 3 sposar vaga] sposare una m; donzella,] Donzella S n o, donzella B R 4 ferì.] ferì! B Bm XIV . Ode anacreontica: strofa di quattro ottonari secondo lo schema abbcaddc.
Composta per le nozze di Teresa Montanari e Carlo Malaspina, avvenute nel 1777, perde nelle diverse stesure ogni carattere di occasionalità e si situa nella raccolta come uno di quei componimenti rispondenti all’esigenza di variatio sia metrica sia tonale già ravvisati nella struttura profonda della silloge. 1-8: le diverse stesure del testo evidenziano il labor limae nella prima e seconda strofa. – calda: piena di passione, come nell’ode ii.129, dove è unita alla fantasìa.
168
giuseppe parini In quel giorno i primi affanni Ci ritornano al pensiere: E maggior nasce il piacere Da la pena che fuggì.
8
Quando il sole in mar declina Palpitare il cor si sente: Gran tumulto è ne la mente: Gran desìo ne gli occhi appar.
12
Quando sorge la mattina A destar l’aura amorosa, Il bel volto de la sposa Si comincia a contemplar.
16
Bel vederla in su le piume Riposarsi al nostro fianco, L’un de’ bracci nudo e bianco Distendendo in sul guancial:
20
6 pensiere:] pensiere m n, pensiere; Bm 8 Da la] Dalla m, Dalla n o; pena, S n c Bm 9 sole] Sole S m n Bm; declina, Bm 10 Palpitare] Palpitar n; sente; Bm 11 è ne la] nella m, è nella n o; mente:] mente m, mente; S Bm 14 amorosa,] amorosa m n c 15 de la] della m o; SPOSA S, Sposa o 16 Si comincia] S’incomincia m; contemplar] rimirar S, vagheggiar m R 17 in su le] fra le S m 18 Riposarsi] Riposare m 19 L’un de’] Un dei m 20 in sul] pel m; guancial! n o, guancial; Bm 7-8 maggior […] fuggì: la teoria sensistica del piacere come cessazione della pena, definita in Italia per la prima volta proprio in questi termini da Pietro Verri nei Discorsi sull’indole del piacere, il primo dei quali uscì nel 1773. L’occasionalità del componimento e il tono di leggerezza sono riscattati improvvisamente da questa ‘cerniera’. 10 Palpitare: la voce verbale all’infinito, già nel v. 3, è stilema ricorrente in tutta la prima parte dell’ode; vd. i vv. 10, 14, 16, 17, 22, 23, 25, 27, 33, 35, 36, 37, 43. 14 aura amorosa: cfr. Petrarca: «l’aura amorosa che rinova il tempo» (RVF cxlii.5). 17 piume: metonimia per il letto nuziale. 19-20 bracci […] guancial: la donna è ritratta come una delle tante divinità dei Soggetti per artisti.
ode xiv
169
E il bel crine oltra il costume Scorrer libero e negletto; E velarle il giovin petto, Ch’or discende or alto sal.
24
Bel veder de le due gote Sul vivissimo colore Splender limpido madore, Onde il sonno le spruzzò:
28
Come rose ancora ignote Sovra cui minuta cada La freschissima rugiada, Che l’aurora distillò.
32
Bel vederla all’improvviso I bei lumi aprire al giorno; E cercar lo sposo intorno, Di trovarlo incerta ancor:
36
21 E il] E ’l n; oltra] oltre S m n c; il] ’l o; costume, S 22 Scorrer] Cader m; negletto;] negletto S m 23 E] A S m n; petto,] petto B R 24 discende] discende, S m n B; c su quella che è diventata la lezione a testo aveva aggiunto nell’interlinea tra le quartine v-vi e vii-viii, la lezione: Che va e viene all’onda egual, Che va e viene all’onda egual! R; sal! Bm 25 de le] delle m n; due] sue n 27 madore,] madore R 28 le spruzzò:] le spruzzò; S c, la (sovrascritto su le) spruzzò. m n, spruzzò! R 29 ignote] ignote, S o Bm 30 Ove appar minuta e rada S m; Sopra n o 32 distillò.] distillò! Bm 33 improvviso] -v- m n 34 giorno;] giorno, S 36 ancor:] ancor; S c Bm 21-28: per il repertorio lessicale relativo alla bellezza femminile, nonostante il rovesciamento dell’immagine, nel nostro caso aliena dalla seduttività di Armida, si vedano i versi di Tasso: «Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, / E ’l crin sparge incomposto al vento estivo; / Langue per vezzo, e ’l suo infiammato viso / Fan biancheggiando i bei sudor più vivo» (GL xvi.18). 27 limpido madore: lieve sudore. 29 ancora ignote: confrontando con la prima lezione, al guardo ignote, si legge una maggiore sfumatura dell’immagine muliebre; il richiamo alla rosa attraversa tutta la letteratura, da quella classica a quella in lingua volgare, da Catullo: «ut flos…» (Carm. lxii.39) ad Ariosto: «La verginella è simile alla rosa» (OF i.42); cfr. la comparazione istituita da Tasso: «la rosa / Dal verde suo modesta e verginella, / Che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa» (GL xvi.14).
170
giuseppe parini E poi schiudere il sorriso E le molli parolette Fra le grazie ingenue e schiette De la brama e del pudor.
40
O Garzone amabil figlio Di famosi e grandi eroi, Sul fiorir de gli anni tuoi Questa sorte a te verrà.
44
Tu domane aprendo il ciglio Mirerai fra i lieti lari Un tesor, che non ha pari E di grazia e di beltà.
48
Ma oimè come fugace Se ne va l’età più fresca, E con lei quel che ne adesca Fior sì tenero e gentil!
52
Come presto a quel che piace L’uso toglie il pregio e il vanto;
37 sorriso] sorriso, S m Bm 38 parolette] parolette, R 40 De la brama] Dell’affetto, S, della b. m n o; pudor! R Bm 41 O Garzone] Oh GARZONE, S, O gm o c, O G-, B Bm; amabil] nobil n 42 eroi] Eroi S m n o 43 de gli] degli b m n o 44 verrà.] verrà! n o 45 domane] dimane, S m; ciglio] ciglio, S Bm 46 i] manca in m n; Lari S m n o c 47-48 Nell’amata (bella m) MONTANARI Gran tesoro di beltà S m n o 47 tesor,] tesor c B R; pari, Bm 49 Ma] Ma, S Bm; oimè] ohimè, S, ohimè m n c, ohimè! Bm 50 fresca,] fresca; S Bm 51 quel] quel, S Bm; adesca, Bm 52 tenero] tenero, S 54 L’u. t. il primo vanto: S; e il] e ’l n o 37-38 sorriso […] parolette: cfr. Dante: «per le sorrise parolette brevi» (Par. i.95), Tasso: «sorrise parolette, e dolci stille / Di pianto, e sospir tronchi, e molli baci» (GL xvi.25). 41-42 figlio […] eroi: la famiglia dello sposo, il marchese Carlo Malaspina, di antica nobiltà feudale. 47 un tesor […] pari: nella prima stesura era presente il nome della sposa, la contessa Teresa Montanari. 49-56: cfr. la storia della rosa di Tasso, emblematica della vita umana: «Così trapassa al trapassar d’un giorno / De la vita mortale il fiore e ’l verde» (GL xvi.15).
ode xiv E dileguasi l’incanto De la voglia giovanil!
171 56
Te beato in fra gli amanti, Che vedrai fra i lieti lari Un tesor, che non ha pari Di bellezza e di virtù!
60
La virtù guida costanti A la tomba i casti amori, Poi che il tempo invola i fiori De la cara gioventù.
64
56 De la] Della m n o c; giovanil!] femminil. m 57 Te GARZONE avventurato, S (g-) m n (Te, G-) o che corregge subito dopo con la lezione a testo (Amanti,); Te garzon felice a pieno c che cassa e corregge con la lezione a testo nello spazio tra le quartine xiiixiv e xv-xvi; amanti R 58 i] manca in m n; lari] Lari S m n o c 59 Ne la bella MONTANARI S (Nella) m, Nell’amata Montanari n; tesor,] tesor o c B R; pari, Bm 60 Gran tesoro di virtù S m n; virtù. m c 61-62 La virtù conduce a lato De la (Della m n) tomba S m c; c interviene scrivendo di seguito al margine destro la lezione a testo del v. 61 ma lascia invariato il v. 62 61 virtù!] Virtù o 62 A la tomba] Fino al rogo o 63 Poi che] Come m; il] ’l n o 64 De la] Della m n o; cara] bella S m n o c; Gioventù o 57 Te beato: le correzioni del poeta tendono a privare il testo di quelle note che l’avrebbero ricondotto alle originarie coordinate spaziotemporali. 62 i casti amori: si veda Baldi (Egloghe miste, Epitalamio). 63 i fiori: numerosi i riferimenti al fior (v. 52), alle rose (v. 29), al fiorir (v. 43) per veicolare «l’idea della gioventù, che se ne [della rosa] vuole ornare e di cui essa è simbolo, l’idea della caducità della nostra vita […] soave malinconia», cfr. Lezioni di Belle Lettere, cit., p. 144.
172
giuseppe parini
Si riporta integralmente il testo di b e, di seguito, il primo abbozzo di a. Canzonetta
Bel vederla all’improvviso Riaprire i rai lucenti: E restar pochi momenti Di suo stato incerta ancor:
E’ pur dolce in su i prim’anni De la calda giovinezza Lo sposare una bellezza, Onde Amor già ne ferì.
4
In quel dì gli antichi affanni Ci ritornano al pensiere: Ed accrescesi il godere De la doglia, che finì.
Indi schiudere il sorriso, E le molli parolette Fra le grazie ingenue e schiette 40 Dell’affetto e del pudor.
8
Giovinetto, amabil figlio Di famosi e grandi eroi, Sul fiorir degli anni tuoi Sì bel giorno a te verrà.
Quando il sole in mar declina Palpitare il cor si sente: Gran tumulto è ne la mente: Gran desìo ne gli occhi appar. 12 Quando riede a la mattina Con la luce avventurosa, Il bel volto de la sposa Si comincia a contemplar.
Bel veder de le sue gote Sul vivissimo colore Sparso un limpido madore, Onde il sonno le spruzzò; Come rose al guardo ignote, Ove appar minuta e rada La freschissima rugiada, Che l’aurora distillò.
44
Tu domane, aprendo il ciglio, Mirerai fra i lieti Lari Nell’amabil Montanari 48 un tesoro di beltà.
16
Bel vederla fra le piume Riposarsi al nostro fianco, L’un de’ bracci nudo e bianco Distendendo in sul guancial: 20 E, contrario al suo costume, Il bel crine andar negletto A velarle il giovin petto, Ch’or discende, or alto sal.
36
24
Ma oimè, come fugace Se ne va l’età più fresca; E con lei quel, che ne adesca Fior sì tenero e gentil!
52
Come mai quel, che ne piace, Posseduto perde vanto E dilegua coll’incanto 56 De la voglia giovenil!
28
Giovinetto fortunato, Che vedrai fra i lieti Lari Ne la bella Montanari un tesoro di virtù!
32
La virtù non cangia stato; Ma risplende ognor più chiara. Senza lei sarìa discara 64 La più bella gioventù.
60
ode xiv
173
Primo abbozzo di a: riporta quattro cancellature di diversa ponderazione; al v. 3 sotto Lo sposare si legge, cassato, Possedere; il v. 5 nella sua prima forma era Benedetti allor gli affanni, cassato, cui seguono altri versi cancellati da un segno verticale, di cui si legge il rifacimento nel margine destro: Rammentar gli antichi affanni / È pur dolce in quel momento: / Al pensier dei prischi affanni / Ci ritorna in quei momenti / E già crescono i contenti / Quanto più si sospirò. Seguono altri versi su cui è stato posto un frego verticale: Quando il sole in mar declina / Palpitare il cor si sente: / Gran tumulto è nella mente / È penoso anche il piacer. È pur dolce in sui prim’anni De la calda giovinezza Lo sposare una bellezza, che di sé c’innamorò. In quel giorno i prischi affanni
Ci ritornano al pensiere E maggior si fa il godere Quanto più si sospirò. Al venir di quella sera
XV Sr (vd. Edizioni S. C. n. 6), pp. xx-xxiv. Sv (v. Edizioni S. C. n. 10), pp. 52-55. m Ambr. III 9, pp. 21-24. sc Ms. Schiera, cc. 55v-57r. n Miscellanea Morbio 17, pp. 49-53. o Miscellanea Pariniana 11/6 pp. 7-10. a Ambr. II 4, pp. 45-47. b Ambr. II 1d (esemplare di Sr corretto da Parini e Gambarelli). G 95-104. B 73-78 (nota 153-154). R 137-143. Bm 191-195.
Nella lettera dell’11 novembre 1795 scritta a Giuseppe Bernardoni da Vàvero d’Adda, Parini alludendo a La caduta indica la corretta lezione del verso 60, di cui l’editore tenne debitamente e perspicuamente conto nella stampa del ’14; non intesero così Mazzoni (p. 168 n) e Chiari (p. 31) quando pensarono a una prima edizione milanese precedente a quella di Roma e di Venezia; il fraintendimento è stato individuato da Isella (p. 106), che giustamente colloca il riferimento del poeta alla prima edizione milanese del ’91, come già B e Bm. B però non riporta in nota la citazione esatta della lettera pariniana, si limita a riassumerla (vd. apparato) e, nel contempo, aggiunge un termine (gioia) inesistente nell’epistola: pare poco corretta l’inclusione di un secondo vocabolo esplicativo a quanto detto dal poeta, così come suona contraddittorio in chi prima abbia snellito l’indicazione, l’inserimento di un altro esempio. Tutti i testimoni presentano grande varietà nella grafia e nell’interpunzione, ma anche molte imprecisioni e scorrettezze, già segnalate da Isella (p. 107) per i codici da lui conosciuti; si decide dunque di tener conto, per la seriazione, dell’unica correzione del testo ai vv. 25-26 (Te di censo comune / Ricca la patria loda Sv m sc n o a, Te ricca di comune / Censo la patria loda; b G B R Bm), e di quelle varianti capaci di attestare le preferenze del poeta nei suoi anni più tardi come l’abbassamento delle maiuscole o l’accentazione della ì, la scrizione delle preposizioni sdoppiate e dell’articolo secondo la forma integra al v. 87 (l’ingegno Sr Sv m sc n o a, lo ingegno b G B R Bm), senza però pretendere di individuare, prima di a e di b una successione certa. o riporta una variante propria al v. 2 e molte delle oscillazioni grafiche degli altri mss., oltre a non segnalare il dittongo nell’epigrafe; il v. 60 coincide con G e risulta variamente scritto in tutti i testimoni: dalle leggere oscillazioni grafiche e interpuntorie dell’autografo a, della stampa corretta dal poeta b e delle edizioni Bolzani, Reina e Bernardoni, al Noia, e facezie, e novellette spandi di Sr, Noia le arguzie e le novelle spandi di Sv e sc, Noja le inezie e le novelle spandi in n; in P (vd. Edizioni), la lezione è quella a testo salvo per la scrizione della j (Noja) e per la chiosa al v. 31: «La Sera non ancora pubblicata». Sul v. 60 è ne-
ode xv
175
cessario soffermarsi ulteriormente e perché Bm riporta in nota due versi di precedenti stampe scorrette (Noja gli scherzi e le novelle spandi, Noja le facezie, o pur novelle spandi) – il primo in comune con le Lezioni varie di R derivante dalla bodoniana – e perché, a differenza di B, Bernardoni è l’unico a citare esplicitamente il poeta, la lettera, il significativo dato di essere stato lui il destinatario e a riportarne fedelmente il testo. Bm inserisce accenti circonflessi, come in Avvertenza, per gônfa 14, pôrte 53, psca 67, insŭlti 74, e la dieresi per clïenti 54. In apparato non si riportano i numerosi errori di Sr dovuti alla sbadataggine degli stampatori.
L A C ADU TA
Quando Orìon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa,
4
Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Titolo: ODE DEL CHIARISSIMO SIG. AB. PARINI Sr b; manca, ma in luogo del titolo si riporta l’oraziano Impavidum ferient ruinae cui segue ODE Sv sc, Ode m a, Per caduta dell’Autore Ode n, Impavidum ferient ruine [sic] cui segue l’attribuzione, Dell’Ab. Parini o 2 Declinando] Dominando o, Minacciando cassato e corretto con la lezione a testo a; imperversa, Bm 5 Me] Me, Bm; ne la] nell’ Sr, ne l’ Sv XV . Strofa di tre settenari e un endecasillabo finale secondo lo schema abaB. Al cen-
tro del dialogo tra il poeta e un passante la tematica dell’indipendenza dal potere e la coscienza di una vita tesa unicamente all’onestà intellettuale, che sdegna i compromessi e i facili guadagni. Quando l’ode apparve nelle Memorie per le belle Arti, il redattore la introdusse con una lunghissima nota da cui estraiamo questo passaggio: «recentissima ode scritta nell’occasione delle dirotte pioggie, che hanno più dell’usato reso incomodo il corrente inverno. Un nostro associato di Lombardia, che ce la manda, non ne assegna l’Autore; ma nel leggere l’ode medesima, quando vediamo, che da lui s’aspetta, che ponga fine al Giorno, riconosciamo il leggiadrissimo scrittore del Mattino. […] L’Autore è pieno del gusto Oraziano, e i suoi versi sono dettati veramente dal furore poetico, e non dallo stento, e dalla fatica». p. xix. 1 Orìon: Orione è il cacciatore della Beozia, trasformato in stella perché innamoratosi di Diana, che tramonta nel cuore dell’inverno; in tale stagione il poeta colloca l’episodio con una perifrasi classica. 5-6 Me […] infermo il piede: la prolessi del complemento oggetto, l’accusativo di relazione – anche ai vv. 15 e 16 – insieme alla perifrasi del primo verso contribuiscono a innalzare il tono del testo.
176
giuseppe parini Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede;
8
E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente.
12
Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
16
Altri accorre; e: oh infelice E di men crudo fato Degno vate! mi dice; E seguendo il parlar, cinge il mio lato
20
Con la pietosa mano; E di terra mi toglie; E il cappel lordo e il vano Baston dispersi ne la via raccoglie:
24
Te ricca di comune Censo la patria loda;
7 obliqua] obbliqua Sv 10 sorgente,] sorgente n a 12 (in corrispondenza della consonante m di camino, Gambarelli varia in mm b); sovente.] sovente; Sv 17 e: oh] e: Oh a Bm, e, oh b, e oh Sv 19 vate!] vate, Sv o a, (V-) Sr m n; dice;] dice! Sv 20 E] E, n a 23 lordo] lordo, Bm 24 Baston dispersi ne la via] Baston, d. ne la via, Bm 25-26 Te di censo comune (senso commune Sr n) Ricca (-o n) la P- Sr (p- Sv) m sc n o a corretto con la lezione a testo b 8 città: metonimia per cittadini. 11 lubrico passo: luogo sdrucciolevole. 20 lato: fianco. 21 pietosa mano: cfr. Virgilio: «pias […] manus» (Aen. iii.42), Tasso: «Vieni, o pietosa, e con pietosa mano» (Rime per Lucrezia Bendidio lxxiii.13). 23 vano: perché si è rivelato inutile. 25-26: ricca di comune / Censo: Milano, città ricca di denaro pubblico; cfr. la dolorosa ironia dantesca nel parlare di Firenze: «Tu ricca, tu con pace, e tu con senno» (Purg. vi.137).
ode xv Te sublime, te immune Cigno da tempo che il tuo nome roda
177 28
Chiama gridando intorno; E te molesta incìta Di poner fine al Giorno, Per cui cercato a lo stranier ti addita.
32
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura:
36
Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta.
40
Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio.
44
27 sublime,] sublime m a 28 tempo] tempo, Bm; roda] roda, b 30 (Gambarelli modifica la grafia della seconda i di incita in ì b) 31 Giorno,] Giorno, a, giorno Sv o, Giorno R 36 paura:] paura. Sr m b 38 appresta,] appresta n a R 39 a traverso] attraverso o 40 de la] della Sr m o a; trivj Sv o B R Bm 41 anima!] anima Sr Sv m n a 42 novo] nuovo Sv o 27-28: Te sublime […] roda: ti proclama poeta sublime, il cui nome non sarà consumato dal tempo; con cigno si indica tradizionalmente il poeta perché animale sacro ad Apollo e a Venere. 30 molesta: insistentemente fastidiosa. 32 cercato […] addita: ti indica agli stranieri che desiderano conoscerti. 33 il debil fianco: cfr. Petrarca: «indi trahendo poi l’antiquo fianco» (RVF 16.5). 34 per natura: la malattia aveva colpito il poeta in età giovanile. 38 vile cocchio: una carrozza modesta. 40 trivii […] tempesta: gli incroci delle strade in cui infuria il maltempo, ma anche l’obliqua / Furia de’ carri dei vv. 7-8. 41-42 Sdegnosa anima!: è eco dantesca: «Alma sdegnosa!» (Inf. viii.44); l’aggettivo ha connotazione positiva nel significare l’anima fiera e piena di sdegno del poeta. – prendi / Prendi: l’iterazione comunica la concitazione del soccorritore acché il poeta assuma un nuovo stile di vita.
178
giuseppe parini Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
48
Dunque per l’erte scale Arrampica qual puoi; E fa gli atrj e le sale Ogni giorno ulular de’ pianti tuoi.
52
O non cessar di porte Fra lo stuol de’ clienti, Abbracciando le porte De gl’imi, che comandano ai potenti;
56
E lor mercè penètra Ne’ recessi de’ grandi; E sopra la lor tetra Noja le facezie e le novelle spandi.
60
45 hai,] hai n a 46 amiche,] amiche a (A-) n; ville B R 48 nell’u.] ne l’u. Sv; mille: B 51 atrj] atrii a b, (A-) Sr n, seguito da virgola Sr 52 tuoi.] tuoi; Bm 54 clienti,] clienti Sv a (C-) n 56 De gl’] Degl’ Sr b; imi Sv n a (I-) Sr; a i Sv m n a 57 E lor mercè] E, lor m., Bm 60 Noia a B R Bm; facezie, b; Noia, e facezie, e novellette spandi: Sr, Noia le arguzie e le novelle spandi: Sv, Noja le inezie e le novelle spandi n; nota: Nelle edizioni posteriori alla prima di Milano del 1791 si sono fatti de’ cangiamenti a questo verso per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana ed agli esempi de’ buoni scrittori nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola noia, gioia, ec. B, Credette qualche 48 urna del favor: nelle vicende della fortuna. 49 erte scale: come in Dante, il «duro calle» è rappresentato da «lo scendere e ’l salir per l’altrui scale» (Par. xvii.59-60). 53 porte: porti; rima equivoca col v. 55. 55 Abbracciando le porte: «Me non nato a percotere / Le dure illustri porte», aveva detto Parini nell’ode iii.25-26; il verbo, accompagnato dal medesimo oggetto ricorre in Ariosto: «e abbraccian gli usci e i genïali letti» (OF xvii.13). 56 imi: i cortigiani di infima condizione che pure influenzano i potenti; è un latinismo presente in Ariosto, nella forma sostantivata: «non la faràn già quei che son degli imi» (Satira v.132). 57 lor mercé: grazie a loro. 58 recessi: stanze segrete. 59-60 E sopra […] spandi: il passante lo invita a lenire la noia dei potenti raccontando facezie e storielle frivole.
ode xv
179
O, se tu sai, più astuto I cupi sentier trova Colà dove nel muto Aere il destin de’ popoli si cova;
64
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidìoso nel turbato stagno.
68
Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa?
72
Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
76
Mia bile, al fin costretta, Già troppo, dal profondo idiota, che questo verso non fosse esatto, e vi sostituì di proprio talento: Noja gli scherzi e le novelle spandi R, Credette taluno, che questo verso non fosse esatto; ed in alcun’edizioni si leggono sostituiti ad esso i seguenti: Noja gli scherzi e le novelle spandi. Noja facezie, o pur novelle spandi. L’Autore, in una sua lettera degli 11 di Novembre del 1795, così scriveva al pubblicatore del presente volume: «Circa il verso noia le facezie ec. Ella potrà dire, che nelle altre edizioni dopo la prima di Milano vi si sono fatti de’ cangiamenti per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione Toscana, ed agli esempj de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole, che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola noja ec.» Bm 65 E] E, a; nuova Sv; nov’ o 66 pubblico] publico o 68 Insidìoso] Insidioso Sr 69 potrìa] potria Sr Sv n b 70 illusa,] illusa; b 72 Te] Te, Bm 73 Lasciala:] Lasciala; Bm 74 insulti,] insulti Sr Sv m n a 76 genj] genii Sr n a; genj, Bm 77 bile,] bile Sr Sv m n a Bm; alfin, m n a, (senza virgola) Sr Sv; al fin, costretta Bm 63-64 muto / Aere: nelle stanze segrete della politica. 65 nova esca: nuovi incentivi. 68 Insidìoso: astutamente. 73-74 vile / Mima: volgare commediante. 76 I bassi genj […] occulti: i bassi istinti nascosti dietro le ricchezze dei potenti.
180
giuseppe parini Petto rompendo, getta Impetuosa gli argini; e rispondo:
80
Chi sei tu, che sostenti A me questo vetusto Pondo, e l’animo tenti Prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
84
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi.
88
Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge.
92
E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
96
Nè si abbassa per duolo, Nè s’alza per orgoglio.
79 rompendo,] rompendo Sr Sv m n a 80 rispondo:] rispondo. Sr m n a 81 tu,] tu Sv m n a R 83 Pondo,] Pondo; n a b 85 cittadino,] cittadino Sv m a (C-) n 87 ordinàr,] ordinar Sr Sv m sc n o b; lo] l’ Sr Sv m sc n o a 88 così,] così Sv n a R; Patria o 91 parco] parco, b 92 liberal,] liberal m n a B R; pinge.] pinge: a 93 E] E, m a 95 fa,] fa Sr Sv a, (fà) m n; ai] a i Sv m n a B R Bm; mali Sr Sv m n a 96 Della] De la Sv m n a B R Bm; usbergo.] usbergo: Sv a 97 duolo,] duolo; Bm 98 orgoglio.] orgoglio: Sv m n a 82-83 vetusto / Pondo: latinismi per indicare il corpo appesantito dalla vecchiaia. 86-87 primi / Casi: le prime circostanze della vita. 90 Il bisogno: cfr. l’ode iv. 92 fronte […] pinge: la fronte alta riflette la nobiltà interiore. 93 duri mortali: uomini privi di pietà. 94-96: la rima tergo : usbergo ricorre in Ariosto (OF xxiii.133). – usbergo: corazza, dunque protezione.
ode xv E ciò dicendo, solo Lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
100
Così, grato ai soccorsi, Ho il consiglio a dispetto; E privo di rimorsi, Col dubitante piè torno al mio tetto.
104
100 appoggio;] appoggio, Sr Sv m n a si,] rimorsi Sr Sv n a.
101 ai] a i Sv m n a B R Bm
181
103 rimor-
100 bieco: con volto accigliato, sdegnoso. 102 a dispetto: disprezzo, come il «dispitto» di Farinata, anch’egli «quasi sdegnoso» (Inf. x.36 e 41). 104 dubitante piè: vd. vv. 7, 33-34; l’espressione e l’immagine legata al pericolo dello scivolamento riecheggiano il «pede lapsus» di Orazio (Sat. ii. viii.72); il sintagma è impiegato in un contesto diverso, quello della cena a casa di Nasidieno, ma anche il poeta latino discute della fama, delle ricchezze e dell’emendare con l’ingegno alle disgrazie della fortuna (arte emendare fortunam).
XVI a Ambr. II 1, f, pp. 17-20. m Ambr. III 8, pp. 163-166. n Miscellanea Morbio 17, pp. 19-24. S (vd. Edizioni S. C. n. 9), pp. 75-78. sc Ms. Schiera, cc. 47r-47v. G 105-110 (note 167-168). B 79-84 (note 154). R 144-149. Bm 197-200.
Tutti i manoscritti esaminati, a parte sc, riportano una lezione precedente rispetto a G ai vv. 38, 52, 56; si tratta, nel primo caso della sostituzione della preposizione articolata coi con la semplice di (essendo dispiaciuta all’orecchio di Parini la successione Che coi consigli), nel secondo della soppressione del lemma nevi a vantaggio di gigli, molto più congruo con l’altro termine contiguo, rose, e del ricupero di nevi a soppiantare il precedente tesoro del v. 56. Le altre varianti pertengono alla scrizione (vd. apparato). n si stacca dai precedenti per alcuni errori, ma anche per la lezione almo del v. 50, come nell’edizione e come in sc, laddove l’autografo a e la copia gambarelliana hanno ancora alto. S contiene già alcune correzioni (vv. 49, 50) ma negli altri casi si trova ancora in accordo con i mss. (escluso sc), situandosi in una posizione mediana tra questi e G. (Del 1794 la stampa dell’«Anno poetico» – vd. Edizioni S. C. n. 12 –, replica senza importanza per i nostri fini). Caso a sé sc, in cui grafia e interpunzione spesso non corrispondono all’edizione, ma le lezioni dei vv. 38, 52 e 56, già a testo, e soprattutto l’errore in comune con G al v. 59, non emendato nelle Correzioni, fanno propendere per una trascrizione molto vicina all’edizione del ’91 o una sua copia. B R Bm correggono l’errore di G al v. 59, Fiere in luogo di Fiero, e si attengono ai soliti criteri di scrizione e di punteggiatura, Bm con maggiori divergenze rispetto alla princeps tra cui la soppressione della virgola alla fine dei vv. 61 e 63; Bm segnala la dieresi per Adrïache al v. 99.
ode xvi
183
IL PER IC OLO
In vano in van la chioma Deforme di canizie, E l’anima già doma Dai casi, e fatto rigido Il senno dall’età,
5
Si crederà che scudo Sien contro ad occhi fulgidi A mobil seno a nudo Braccio e all’altre terribili Arme della beltà.
10
Gode assalir nel porto La contumace Venere; E, rotto il fune e il torto Ferro, rapir nel pelago Invecchiato nocchier;
15
Titolo: Ode a m (cui è stato premesso in alto a sinistra anche Alla N. D.na Cecilia Tron), Per N. D. Veneziana Ode n, Dama veneta giunta in Milano. ODE S 1 In vano in van] Invano, invan n S sc; nota: Per CECILIA TRON Veneziana, che trovandosi in Milano nel 1787 volle conoscere ed onorare l’autore con tratti di nobile cortesia R, Scritta verso il 1787 Bm 4 Dai] Da i a m S B R Bm 5 dall’e.,] da l’e.; S 7 fulgidi] fulgidi, a m S B R Bm 8 mobil] nobil S; seno] seno, omnes 9 Braccio] Braccio, a m n S Bm; e] o n S; all’] a l’ S 10 Arme] Armi n; della] de la S B Bm XVI . Strofa doppia di cinque settenari secondo lo schema abacd efegd. Dedicata alla
gentildonna veneziana Cecilia Tron, già destinataria del sonetto Grato scarpel, su questo marmo incidi, rappresenta un momento di pericolo per il poeta sedotto dalle grazie dell’avvenente signora e delinea con raffinata eleganza la bellezza femminile e nel contempo la malinconia del poeta non più giovane. 2 Deforme: deturpata è il contrario del latino formosa (Ebani); per l’immagine nel suo complesso si vedano Orazio: «rugae / Turpant et capitis nives» (Carm. iv. xii.1112), «arida […] canitie» (Carm. ii. xi.6-8), Virgilio: «Canities inculta» (Aen. vi.300). 4 rigido: severo. 7 occhi fulgidi: cfr. Orazio: «fulgentis oculos» (Carm. ii.xii.15). 8 mobil seno: cfr. ode xiv.23-24: «e velarle il giovin petto / Ch’or discende or alto sal». 8-9 nudo / Braccio: cfr. ode xiv.19: «l’un de’ bracci nudo». 12 contumace: cfr. Ariosto: «A me, per esser stato contumace» (Satire i.127); nel senso di ‘sprezzante’, dal contemno latino. 13-14 fune […] torto / Ferro: si tratta della gomena e dell’ancora.
184
giuseppe parini E per novo periglio Di tempeste, all’arbitrio Darlo del cieco figlio, Esultando con perfido Riso del suo poter.
20
Ecco me di repente, Me stesso, per l’undecimo Lustro di già scendente, Sentii vicino a porgere Il piè servo ad amor:
25
Benchè gran tempo al saldo Animo in van tentassero Novello eccitar caldo Le lusinghiere giovani Di mia patria splendor.
30
Tu dai lidi sonanti Mandasti, o torbid’Adria, Chi sola de gli amanti Potea tornarmi a i gemiti E al duro sospirar;
35
16 E] E, Bm; novo] nuovo S 17 tempeste,] tempeste a m; all’] a l’ S 18 Darlo] Darle n 21 repente,] repente a m n S 22 stesso,] stesso a m n S 23 scendente,] scendente a m n S 25 amor:] Amor a m, amor, Bm 26 Benchè] Ben che R 27 in van] invan S sc 29 giovani] giovani, Bm 31 dai] da i a m S B R Bm 32 Mandasti,] Mandasti a n S 33 de gli] degli n 34 a i] ai n sc 35 sospirar;] sospirar: a m 18 cieco figlio: Amore (o Cupido) rappresentato con gli occhi bendati. 19-20 perfido / Riso: cfr. Orazio: «perfidum ridens Venus» (Carm. iii. xxvii.67). 22-23 undecimo / Lustro: in realtà sarebbe il dodicesimo lustro, ma tale precisazione risulta di scarsa importanza nell’economia del testo; essendo molto discussa la datazione dell’ode, si potrebbe pensare a un momento precedente in cui tali strofe possano essere state scritte. Cfr. il frammento nelle Varie cxciv: «Chi noi per l’undicesimo / Lustro scendente con l’età fugace» e la reminiscenza oraziana: «circa lustra decem» (Carm. iv. i.6). 31 lidi sonanti: cfr. F. Petrarca: «nullo resonantia litora» (Bucolicum carmen x.61). 32 torbid’Adria: Orazio: «dux inquieti turbidus Hadriae» (Carm. iii. iii.5); cfr. il frammento nelle Varie lxvii.3: «Colei che Diva de gli Adriaci lidi».
ode xvi
185
Donna d’incliti pregi Là fra i togati principi, Che di consigli egregi Fanno l’alta Venezia Star libera sul mar.
40
Parve a mirar nel volto E ne le membra Pallade, Quando, l’elmo a sè tolto, Fin sopra il fianco scorrere Si lascia il lungo crin:
45
Se non che a lei dintorno Le volubili grazie Dannosamente adorno Rendeano ai guardi cupidi L’almo aspetto divin.
50
Qual, se parlando, eguale A gigli e rose il cubito Molle posava? Quale, Se improvviso la candida Mano porgea nel dir?
55
36 nota: Ragguardevolissima Gentildonna Veneta, che trovandosi in Milano nel 1787, volle conoscere ed onorar l’Autore con tratti di nobile cortesia G B 37 fra] tra m S; principi,] principi R 38 di] coi a m n, co i S 39 Venezia] Vinegia S 41 Parve a mirar] Parve, a mirar, Bm 42 ne le] nelle n, per le S; Pallade,] Pallade amn 44 sopra] sovra S 46 dintorno] d’intorno n S 49 Rendeano] Rendean a m n; ai] a i a m S B R Bm 50 almo] alto a m 51 Qual,] Qual a m n S; eguale] uguale S 52 gigli] nevi a m n S; rose, a m Bm 53 posava?] posava! a m S; Quale,] Quale a m n (q-) S 55 dir?] dir! a m S 36 Donna: Cecilia Renier, gentildonna veneziana moglie di Francesco Tron. 37 togati principi: i senatori veneziani, appunto. 42-45 Pallade […] crin: la dea è colta nel momento di maggiore sensualità, attraverso la sua corporea presenza ispiratrice del sentimento amoroso. 47 volubili grazie: intorno all’immagine della donna che evoca la dea Pallade, forte, bella e saggia, danzano con leggerezza le Grazie, come in molte indicazioni per i Soggetti per Artisti. 52 cubito: diversamente dal v. 15 dell’ode xv in cui ha il significato di ‘gomito’, qui è sineddoche per ‘braccio’ (vv. 8-9). Per gigli e rose vd. ode ix.1-6; il bianco delle nevi, nella lezione cassata, trasmigra in quello dei gigli; cfr. v. 56.
186
giuseppe parini E a le nevi del petto, Chinandosi da i morbidi Veli non ben costretto, Fiero dell’alme incendio! Permetteva fuggir?
60
In tanto il vago labro, E di rara facondia E d’altre insidie fabro, Gìa modulando i lepidi Detti nel patrio suon.
65
Che più? Da la vivace Mente lampi scoppiavano Di poetica face, Che tali mai non arsero L’amica di Faon;
70
Nè quando al coro intento De le fanciulle Lesbie 56 a le nevi] al tesoro a m n S 57 Chinandosi] Chinandosi, a Bm; da i] dai m n 58 costretto,] costretto; R 59 Fiero] Fiere sc G; dell’] de l’ S; incendio S, cassato e corretto con virgola in m 60 fuggir?] fuggir. a, fuggir! m S 61 In tanto] Intanto n sc S; labbro a m n S; labro Bm 63 d’] di n; fabbro a m S, fabro n Bm 68 face,] face R 70 amica] amante n; Faon: a m; nota: La poetessa Saffo G B, Saffo R Bm 72 De le] Delle n; lesbie S 56 nevi del petto: il candore della pelle passa dai gigli alle nevi, sostituite al più generico ‘tesoro’ dei manoscritti; cfr. Orazio: «niveo colore» (Carm. ii. iv.3); nella stessa ode, anche Orazio fa riferimento al tempo e all’età. 61 labro: l’oscillazione doppia/scempia, come si può osservare in apparato, attesta la preferenza pariniana per il latinismo in sede di rima; per Mengaldo, p. 78, si tratta di condizionamento legato proprio alla rima difficile; Serianni, p. 72: «labro è tipo assai diffuso in ogni secolo, anche al di là dalla rima». 63 fabro: «molto comune fino a tutto l’Ottocento». Serianni, p. 71. 64-65 lepidi / Detti: cfr. Lucrezio: «da dictis, diva, leporem» (De rerum natura i.28); Catullo: «Cui dono lepidum novum libellum» (Carm. i.1), ma anche Frugoni: «Le cagioni, ecco veraci / Dori candida perchè / Versi lepidi e vivaci» (Alla vezzosa Dori Delfense.9-12). 70 L’amica di Faon: la poetessa Saffo, amante di Faone, funge da soggetto anche per il verso successivo.
ode xvi L’errante vìolento Per le midolle fervide Amoroso velen;
187
75
Nè quando lo interrotto Dal fuggitivo giovane Piacer cantava, sotto A la percossa cetera Palpitandole il sen.
80
Ahimè quale infelice Giogo era pronto a scendere Su la incauta cervice, S’io nel dolce pericolo Tornava il quarto dì!
85
Ma con veloci rote Me, quantunque mal docile, Ratto per le remote Campagne il mio buon Genio Opportuno rapì.
90
Tal che in tristi catene Ai garzoni ed al popolo Di giovanili pene Io canuto spettacolo Mostrato non sarò.
95
75 velen;] velen: a m 76 lo] l’ a m n S 79 A la] Alla n 81 Ahimè] Aimè, a m (Ah-, S), Ahimè! Bm 83 Su la] Su l’ S 87 docile,] docile R 89 Genio] genio n S 90 rapì.] rapì; Bm 91 Tal che] Talchè S 92 Ai] A i a m S B R Bm; popolo] pascolo S, popolo, Bm 73-75 L’errante […] velen: ricordo del frammento di Saffo ripreso da Catullo: «Ille mi par esse deo videtur» (Carm. li.1). 77 fuggitivo giovane: Faone. 83 incauta cervice: il collo del poeta. 89 buon Genio: lo spirito protettore farà in modo che il poeta si allontani da Milano e non veda per la quarta volta la bella signora. 90 Opportuno: opportunamente. 94 canuto spettacolo: per gli echi classici vd. Orazio: «Heu me, per urbem […] fabula quanta fui!» (Ep. xi.7-8) e Tibullo: «ne turpis fabula fiam» (El. i. iv.83); in lingua volgare Petrarca: «al popol tutto / Favola fui gran tempo» (RVF i. 9-10).
188
giuseppe parini Bensì, nudrendo il mio Pensier di care immagini, Con soave desìo Intorno all’onde Adriache Frequente volerò.
96 Bensì] Ben sì R adriache S
97 immagini] imagini Bm
100
99 all’] a l’ S; adriatiche n,
96 nudrendo: significativo il passaggio del Parini nel Giorno da nutre nutra a nudre nudra; per ciò si rimanda a Tizi, p. cxiv. 100 Frequente: con valore avverbiale, ‘frequentemente’, simmetrico all’opportuno del v. 90.
XVII a Ambr. II 1 h, pp. 37-38. m Ambr. III 8, pp. 29-30. sc Ms. Schiera, c. 43r-v. G 111-114 (nota 168 comune anche all’ode xviii). B 85-87 (nota 154-155 come G).
Nell’autografo a il componimento risulta privo del titolo e di interventi correttori; a seguire, dopo un semplice segno grafico atto a indicare la divisione (:-) il testo successivo (xviii) egualmente senza titolo; la copia di Gambarelli, m, molto vicina a quella pariniana, mostra però una revisione maggiore: a una prima titolazione, fortemente cassata in ambedue i testi, viene sostituita, in un secondo momento, rispettivamente Piramo e Tisbe e Alceste, come nell’edizione, che però aggiunge in entrambe le odi un sottotitolo molto probabilmente derivante dalle primitive intestatazioni (sembra infatti di leggere Tema ad uno improvvisatore sotto la cancellatura del primo testo e Stesso sotto quella del secondo); sc, a parte piccole imprecisioni interpuntorie e la maiuscola per Dio al v. 9, è copia in tutto identica a G (come in altri casi, Schiera potrebbe anche avere avuto sotto mano una copia dell’edizione del ’91). G modificherà infatti in alcuni casi la scrizione e la punteggiatura di a e di m (v. 20 di Piramo e Tisbe, per cui vd. apparato), oltre ai vv. 2 e 24 sempre della xvii, per Alceste limitandosi a piccole difformità riportate in apparato. B si attiene a G salvo per poche divergenze grafiche e uno svarione al v. 30 pensierò; emenda inoltre una virgola nel titolo in Indice delle Odi, dopo Piramo, apparsa per errore in G, che nell’Indice in succinto non compare.
PIR AM O E TIS BE Ad uno improvvisatore.
Ahi qual fiero spettacolo Vegg’ io, che il cor mi fiede, Titolo: manca in a (aggiunto in m dopo la cancellatura di una precedente titolazione ricuperata nell’edizione come sottotitolo) 2 Da gli occhi miei si vede a, Dagli occhi miei si vede, m, V. io che B XVII . Quartina di settenari secondo lo schema abcb. Scritta, come la successiva, per
dare due temi a un nobile improvvisatore presente a Milano alcuni anni prima. Vd. nota del Gambarelli all’ode xviii. 2 fiede: moltissimi gli echi letterari; esemplificando, Dante: «Elli mi fiede sotto il braccio manco / Sí forte, che ’l dolor nel cor rimbalza» (Rime Cosí nel mio parlar voglio esser aspro.48-49). Cfr. ode i.59: «Urta al di dentro, e fiede».
190
giuseppe parini Sotto a la luna pallida, Là di quel gelso al piede?
4
Una donzella e un giovane In loro età più acerba, Ecco trafitti giacciono Insanguinando l’erba.
8
Oh dio, che orror! La misera Sembra morir pur ora; E il crudo acciar nel tiepido Seno sta immerso ancora.
12
L’altro comincia a spargere Già le membra di gelo; E ne la mano languida Tien lacerato un velo.
16
Ahi per gelosa furia Un tanto error commise Il dispietato giovane… Ma chi lui stesso uccise?
20
Intendo. Aperse un invido Rivale i bianchi petti, O un parente implacabile Ai furtivi diletti.
24
Indi fuggendo, il barbaro Ferro lasciò confitto, 3 pallida,] pallida a m 4 Là di quel] Di questo a m 6 acerba,] acerba a m 9 dio, che] dio! che a m, Dio sc 20 uccise?] uccise. a, uccise m 22 petti,] petti; am 23 parente] marito a m 24 Nemico a i lor diletti a; ai m, A i B 4 gelso: Cfr. il mito raccontato da Ovidio: «ardua morus» (Met. iv.90). 6 età più acerba: eco petrarchesca: «Parmi vedere in quella etate acerba / La bella giovenetta, ch’ora è donna» (RVF cxxvii.21-22). 11 crudo acciar: vd. Tasso: «Co ’l durissimo acciar preme ed offende» (GL vi.92). 18 un tanto: tanto grande. 19 dispietato: nel senso di ‘senza pietà’ è aggettivo frequente in poesia, cfr. Dante: «i dispietati artigli» (Inf. xxx.9). 25-26 barbaro / Ferro: spada crudele; l’enjambement rafforza l’immagine dolorosa.
ode xvii Che testimon del perfido Esser potea delitto.
28
Ma tu sorridi? Ingannomi Forse nel mio pensiero? Tu dal crudel mi libera Dubbio; e mi spiega il vero.
32
A te diè di conoscere Le cose Apollo il vanto; E dilettarne gli uomini Col divino tuo canto.
36
32 Dubbio;] Dubbio, a
191
34 vanto;] vanto, a
28 delitto: paronomasia con diletti del v. 24. 31 Tu: le ultime due quartine apostrofano direttamente l’improvvisatore e mutano completamente il dettato che si era aperto in modo solenne con la scena tratta dal mito. 33-36 A te […] divino canto: l’ultima strofa, simmetrica alle ultime due dell’ode successiva, fa riferimento all’arte dell’improvvisatore, che, in questo caso, ironicamente trae ispirazione da Apollo in persona.
XVIII a Ambr. II 1 h, pp. 38-39. m Ambr. III 8, pp. 31-32. G 115-118 (nota 168 comune alla xvii). B 88-90 (nota 155 come G).
Vd. l’ode xvii con la quale costituisce un dittico e per la tradizione manoscritta e per l’aspetto occasionale.
ALC ES TE Al medesimo.
Ne’ più remoti secoli Apparver strane cose, Che poi son favolose Credute a questa età.
4
Lascio conversi in alberi In sassi in fonti in fiumi E gli uomini ed i numi, Cose che il vulgo sa.
8
Titolo: manca in a (aggiunto in m dopo la cancellatura di una precedente titolazione ricuperata nell’edizione come sottotitolo); nota: Invitato l’Ab. Parini a dare due temi ad un nobile e applaudito Improvvisatore, che fu a Milano varj anni fa, stese questi piccioli componimenti [odi xvii e xviii], che poi andarono per varie mani G B 2 Apparver] Si vider a m; cose a m 5 alberi] alberi, B 6 sassi in fonti] sassi, in fonti, B 7 numi,] numi; m 8 il vulgo] ognun le a m XVIII . Quartina di settenari secondo lo schema abbc. Strettamente legata alla
precedente, per cui vd. la nota di Gambarelli, mostra tutta l’ironia del poeta nel descrivere il furore legato alla poesia di improvvisazione. L’interesse del poeta per il dramma ha dato vita anche al rifacimento del libretto dell’Alceste di Ranieri de’ Calzabigi, rappresentato per la prima volta a Vienna nel 1767 con la musica di Christoph W. Gluck. 5-6 Lascio conversi in alberi / In sassi in fonti: per le molteplici immagini, vd. de’ Medici: «Converso in un di quei più duri sassi! / Converso nelle fronde ond’io mi chiamo! / Converso in fonte quello sguardo umano» (Poemetti in ottava rima Selve.57); Ariosto: «converso in pietra o in onda» (OF vi.52).
ode xvii
193
Sol parlo d’un miracolo, Ch’or niegan le persone, Non so se per ragione O per malignità.
12
Questo è una donna egregia, Che per salvar da morte Uno infermo consorte Lieta a morir sen va.
16
Ed ei, da morte libero E da la moglie insieme, Odia la vita e geme E vuol la sua metà.
20
Fin che un amico intrepido Per lui sceso a lo inferno, La toglie al fato eterno; E intatta a lui la dà.
24
Alceste, Admeto ed Ercole A te gentil cantore Poetico furore Veggo che inspiran già.
28
Dunque il bel caso pingine; E fa de’ prischi tempi Veri parer gli esempi D’amore e d’amistà.
32
9 d’] di m; miracolo m B 10 Ch’] Che a m; persone a 13 egregia,] egregia B 15 Uno] Un, a m 20 metà.] metà: a, metà; B 21 intrepido] intrepido, a m 22 a lo] all’ a m 23 eterno;] eterno, a m 25 Alceste,] Alceste a m 26 te gentil cantore] te, gentil Cantore, m (c-) B 28 Veggo] Vedo a m 9 miracolo: fatto mirabile. 13 Questo: il pronome è legato al fatto che si vuole raccontare, alla latina. 14 per salvar: il mito di Alcesti secondo Euripide. 21 un amico: Ercole.
194
33 Sai] Sai, m
giuseppe parini Sai che d’Admeto pascere Febo degnò gli armenti: Sai che de’ suoi lamenti Ebbe di poi pietà.
36
Oh quanto a tai memorie Avrà diletto! Oh quanto Dal sublime tuo canto Rapito penderà!
40
35 Sai] Sai, m; lamenti] tormenti a m
38 Oh] oh m
34 Febo: è stato Apollo, secondo la tragedia euripidea, a concedere che Admeto avesse la possibilità di sovravvivere se qualcun altro fosse morto al suo posto. Per il riferimento al dio della Poesia, vd. l’ultima strofa dell’ode precedente.
XIX S (vd. Edizioni S. C. n. 8), pp. 37-52. o Miscellanea Pariniana 11/6, pp. 14-20. m Miscellanea Morbio 17, pp. 9-18. n Ambr. III 3, pp. 73-79. G 119-129 (note 171-172 con due refusi emendati nelle Correzioni ai vv. 108-120). B 91-99 (note 158-159). R 150-160 (note non riscontrate in nessun altro testimone ai vv. 43, 115, 119, 144 che indichiamo con Rv). Bm 205-212.
S è la prima versione conosciuta dell’ode: alcune sue lezioni risultano modificate dai mss. mentre in altri luoghi permane l’accordo almeno con uno di essi; i testimoni manoscritti, fortemente scorretti, non permettono una sicura seriazione dal momento che gli errori e gli eventuali accordi potrebbero essere irrelati; unici indizi per l’indicazione fornita in apertura potrebbero essere la coincidenza, al v. 30, della lezione audace in S m, divenuta ardita in n o e agile in G e la correzione del v. 152 che passa da Vien di sotterra e collocato al giorno di S a Vien di sotterra, e sale al chiaro giorno di m, per poi arrivare ad uno stadio molto vicino alla stampa definitiva in n Vien da sotterra, e s’apre al chiaro giorno e alla perfetta coincidenza in o. Quest’ultimo codice riporta una sua lezione al v. 171, probabilmente una svista; permane inoltre la consueta scorrettezza nella grafia, unitamente alla mancata registrazione della preferenza del poeta per la forma integra dell’articolo in luogo di quella apostrofata; molte le correzioni del copista sulle preposizioni articolate nell’intento di renderle sdoppiate, non sempre riportate in apparato. B e R seguono G accogliendo integralmente le note, unitamente alle Correzioni (ai vv. 108 e 120) ed emendando l’errore di G al v. 5 con la geminata bb in luogo della scempia (porterebon); come di consueto, tali edizioni modificano la punteggiatura e la scrizione delle preposizioni, R non mancando di intervenire di propria iniziativa dopo aver desunto da G le informazioni circa l’occasione dell’ode e il dedicatario; le Lezioni varie riportate ai vv. 43, 115, 119, 144 non trovano riscontro in nessuno dei testimoni da noi reperiti; un errore di R al v. 28. Bm interviene sul testo segnalando la dieresi al v. 182 per glorïoso e adottando i soliti criteri interpuntori.
196
giuseppe parini
L A M AGIS TR ATURA Per cammillo gritti pretore di vicenza nel 1787.
Se robustezza ed oro Utili a far cammino il ciel mi desse, Vedriansi l’orme impresse De le rote, che lievi al par di Coro Me porterebbon, senza Giammai posarsi, a la gentil Vicenza:
6
Onde arguta mi viene E penetrante al cor voce di donna, Titolo: in S manca, ma è presente l’epigrafe oraziana: …Ordinem / Rectum et vaganti fraena licentiae / Injecit, amovitque culpas; / Et veteres revocavit artes. / Hor. Lib.iv. Od. xv; Per il N. U. Camillo Gritti Pretore di Vicenza, cui fa seguito la citazione oraziana (senza riferimento al Libro e al nº dell’ode) e l’attribuzione (Parini) o, Per S.E. il N. Camillo Gritti improvvisamente rich. to dal Reggimento di Vicenza Ode m, Pel nobil Uomo Camillo Gritti Podestà, e Capitan grande a Vicenza, che chiamato a Venezia prima del tempo prefisso alla sua Pretura fu eletto Senatore n cui segue la medesima epigrafe oraziana riportata in S, La Magistratura R; nota: Per CAMMILLO GRITTI Pretore di Vicenza nel 1787: essa fu inserita nella Raccolta ivi stampatasi l’anno 1788 in lode del Pretore medesimo, che si era straordinariamente segnalato nel proprio ufficio, e che fatto Senatore fu richiamato avanti alla fine del solito quinquennio R, Per Cammillo Gritti, Pretore di Vicenza nel 1787, il quale si era segnalato nel proprio uficio, e fatto Senatore, fu richiamato a Venezia avanti la fine del solito quinquennio Bm 2 cammino] camino n; ciel] Ciel n 4 De le] Delle o n; Coro] loro S; rote B R; che, Bm 5 porterebbon] porterebon G 8 donna,] Donna, S o m, donna R; nota: La Sig. Elisabetta Caminer Turra, (senza virgola B) che richiese all’Autore un suo XIX . Strofa di tre settenari e tre endecasillabi alternati secondo lo schema aBbAcC.
Dedicato al magistrato vicentino che si distinse per il suo operato e per i meriti acquisiti fu eletto senatore a Venezia, il componimento fu sollecitato dalla letterata vicentina Elisabetta Caminer Turra. 1 robustezza: gagliardia, fortezza di membra. 4 Coro: è il nome latino del Maestrale; cfr. Virgilio: «In Boream Caurumque» (Georg. iii.278). 8 voce di donna: Elisabetta Caminer Turra è la poetessa che curò la miscellanea di versi Tributo alla verità per i tipi della stamperia Turra nel 1788, a Vicenza, dedicata al magistrato Camillo Gritti, quando lasciò la città prima del tempo stabilito perché eletto Senatore a Venezia.
ode xix Che vaga e bella in gonna, Dell’altro sesso anco le glorie ottiene; Fra le Muse immortali Con fortunato ardir spiegando l’ali.
197
12
E da gli occhi di lei Oltre lo ingegno mio fatto possente, Rapido da la mente Accesa il desìato Inno trarrei, Colui ponendo segno Che de gli onori tuoi, Vicenza, è degno.
18
Che dissi? Abbian vigore Di membra quei che morir denno ignoti; E sordidi nipoti Spargan d’avi lodati aureo splendore. Noi delicati, e nudi Di tesor, che nascemmo ai sacri studj,
24
Noi, quale in un momento Da mosso speglio il suo chiaror traduce componimento per la Raccolta, (senza virgola B) che poi si stampò in Vicenza stessa l’anno 1788, in lode dello scaduto Pretore, che in quel uficio (quell’uffizio B) si era straordinariamente distinto G B, Elisabetta Caminer Turra, che richiese all’autore questo componimento R, La signora Elisabetta Caminer Turra, che richiese all’Autore un suo componimento per la Raccolta, che poi si stampò in Vicenza l’anno 1788 in lode del Gritti Bm 9 gonna,] gonna S m n R 10 anco] anche n; ottiene, S 11 Muse] muse o n 13 da gli] dagli n 15 da la] dalla n o 16 Inno] inno Bm 17 Colui] COLUI S 18 de gli] degli m n 19 Abbian] abbian n 20 quei] que’ n; quei, Bm 21 nipoti] nepoti n 22 splendore.] splendore: S 24 tesor,] tesor R; ai] a i S B; studi o m, studi R Bm 10-11 Dell’altro sesso […] immortali: cfr. ode x.45-48: «E so ben che il tuo sesso / […] Puote innalzarsi; e ne le dotte carte / Immortalar sè stesso». 14 fatto possente: cfr. Ariosto: «Così la facea l’animo possente» (OF x.23). 16 desìato Inno: l’ode richiesta dalla committente. 19-24: si assiste al ribaltamento dell’associazione classica tra mens sana e corpus sanum. 25 Noi: i poeti. 26-28: l’immagine del raggio riflesso da una superficie speculare, virgiliana (Aen. viii.22-25) è molto diffusa anche nella poesia italiana; cfr. Dante: «come raggio di sole in acqua mera» (Par. ix.114), Poliziano: «Così raggio, che specchio mobil ferza, / Per la gran sala or qua or là si scherza» (Stanze i.64), Ariosto: «qual d’acqua chiara il tremolante lume, / Dal sol percossa o da’ notturni rai» (OF viii.71).
198
giuseppe parini Riverberata luce, Senza fatica in cento parti e in cento, Noi per monti e per piani L’agile fantasìa porta lontani.
30
Salute a te, salute Città, cui da la Berica pendice Scende la copia, altrice De’ popoli, coperta di lanute Pelli e di sete bionde, Cingendo al crin con spiche uve gioconde.
36
A te d’aere vivace A te il ciel di salubri acque fe’ dono. Caro tuo pregio sono Leggiadre donne, e giovani a cui piace Ad ogni opra gentile L’animo esercitar pronto e sottile.
42
Il verde piano e il monte, Onde sì ricca sei, caccian la infame Necessità, che brame Cova malvage sotto al tetro fronte; Mentre tu l’arti opponi All’ozio vil corrompitor de’ buoni.
48
28 parti] pari R; cento S n 30 agile] audace S m, ardita o n 31 salute] salute, R Bm 32 Berica] Betica n; nota: I Colli Berici (Berici G B), al piè de’ quali è situata Vicenza G B R Bm 33 la copia] la Copia S o, copia n; altrice] felice n 34 De’] Di S o; Lanute m 35 Pelli] Pelli, o Bm; Sete m 36 spiche] Spiche m 37 vivace] vivace, S m R 38 ciel] Ciel S n; dono; S, dono: o, dono, R 40 giovani] giovani, S o n Bm 41 Ad] In m 43 verde] fertil Rv; e il] e ’l o n; monte,] monte R 45 Necessità,] Necessità B R 46 malvage] malvagie n 30 agile fantasìa: la rapida immaginazione del poeta; cfr. ode ii.129, ma anche l’alta fantasia dantesca nel Purg. xvii.25 o nel Par. xxxiii.142. 32 Berica pendice: i colli Berici sulle cui falde si situa Vicenza. 33 altrice: latinismo per nutrice. 35 sete bionde: il colore della seta grezza. 37 vivace: che dà vita; cfr. ode ii.9: «l’etere vivace». 42 sottile: acuto. 44-46 infame / Necessità […] tetro fronte: cfr. ode iv.31-33. 47 arti: industria, da opporsi all’ozio corrompitor del v. successivo.
ode xix
199
E lungi da feroce Licenza e in un da servitude abbietta, Ne vai per la diletta Strada di libertà dietro a la voce, Onde te stessa reggi, De’ bei costumi tuoi, de le tue leggi.
54
Leggi, che fin dagli anni Prischi non tolse il domator Romano; Nè cancellàr con mano Sanguinolenta i posteri tiranni; Fin che il Lione altero Te amica aggiunse al suo pacato impero.
60
E quei mutar non gode Il consueto a te ordin vetusto; Ma generoso e giusto Vuol che ne venga vindice e custode Al varìar de’ lustri Fresco valor degli ottimati illustri.
66
Ahi! quale a me di bocca Fugge parlar, che te nel cor percote, A cui già su le gote Con le lagrime sparso il duol trabocca, 49 E] E, S m 50 servitude] schiavitude o 51 vai] vai, Bm 52 a la] alla n, corretto con la lezione a testo o; voce,] voce R 53 reggi,] reggi R 54 leggi.] leggi: B Bm 55 Leggi,] Leggi B R; dagli] da gli S m B R Bm 57 cancellàr] cancellar S m n 59 Fin che] Finche m (-è) n; Lione] Lïone R Bm 61 quei] quel n 63 Ma] Me n 65 varìar] variar S m n 66 degli] de gli m B R Bm; Ottimati S m 68 parlar,] parlar B R; cor] cuor n; percuote n, percote R 70 sparso] sparse m 50 Licenza: sorvegliatissima la selezione lessicale anche nel paragramma Licenza, Vicenza (vv. 6 e 18). 55-60 anni […] impero: Vicenza ebbe leggi proprie non abrogate dai Romani, né dai tiranni che la dominarono successivamente, fino a quando si aggregò spontaneamente alla repubblica di Venezia, Lione altero. 61 quei: il Leone di San Marco. 65-66 Al varìar […] illustri: ogni cinque anni, Venezia inviava a Vicenza due suoi magistrati, un Capitano e un Podestà. 68 te: Vicenza.
200
giuseppe parini E par che solo un danno Cotanti beni tuoi volga in affanno!
72
Lassa! davanti al tempio Che sul tuo colle tanti gradi sale, Supplicavi che uguale A un secol fosse con novello esempio Il quinquennio sperato Quando l’inclito GRITTI a te fu dato.
78
Ed ecco, a pena lieto Sopra l’aureo sentier battea le penne, A fulminarlo venne Repentino cadendo alto decreto, Che, quasi al vento foglie, Ogni speranza tua dissipa e toglie.
84
E qual dall’anelante Suo sen divelto innanzi tempo vede Lungi volgere il piede Nova tenera sposa il caro amante, Che tromba e gloria avita Per la patria salute altronde invita:
90
Così l’eroe tu miri Da te partirsi: e di te stessa in bando, 72 beni] doni n 73 davanti] Davanti m Bm; Tempio, S senza virgola m 74 sale,] sale R; nota: La Madonna di Monte Berico, Monastero e Santuario (Monastero R) (Santuario Bm), sopra il colle, che domina Vicenza G B R Bm 75 uguale] eguale m 76 secol] Secol n 77 sperato] beato S o m n 78 Quando] Per cui S o m n; Gritti m n 79 a pena] appena m n, corretto con la lezione a testo o 82 decreto,] decreto R 86 divelto] divelta S 88 Nova] Nuova n; amante,] amante R 89 tromba] tromba, Bm 90 altronde] altrove m; invita; Bm 91 eroe] EROE S, Eroe m n 92 partirsi:] partirsi, R, partirsi; Bm 71 un danno: quello cioè di aver perso il Gritti. 73 tempio: la chiesa della Madonna sul Monte Berico. 85 anelante: affannato; continua la personificazione della città che teme di perdere lo sposo. 89 tromba e gloria: chiamata alle armi e obbligo di mantenere fede al coraggio. 92 di te […] bando: fuori di sé; Petrarca: «di me stesso tene in bando» (RVF lxxvi.4); cfr. ode iv.29.
ode xix Vedova afflitta errando E di querele empiendo e di sospiri I fori ed i teatri E le vie già sì belle e i ponti e gli atrj
201
96
E i templi a le divine Cure sagrati, che di te sì degni, De’ tuoi famosi ingegni Ahimè! l’arte non pose a questo fine, Altro più ben non godi Che tra gli affanni tuoi cantar sue lodi.
102
Non già perch’ei non porse Le mani a l’oro o a le lusinghe il petto; Nè sopra l’equo e il retto Con l’arbitro voler giammai non sorse; Nè le fidate a lui Spada o lanci detorse in danno altrui.
108
Vile dell’uomo è pregio Non esser reo. Costui da i chiari apprese Atavi donde scese, 93 errando] errando, S Bm 95 I fori, ed i teatri, S; Teatri n; nota: È noto generalmente quanto la Città di Vicenza sia ragguardevole per le tante sue magnifiche fabbriche, sì pubbliche che private; buona parte delle quali sono di disegno del grande Andrea Palladio G B, Vicenza è ragguardevole per le tante etc., le quali in gran parte sono architettate da Andrea Palladio R Bm 96 E le vie, già sì belle e i ponti, e gli atrj S; ponti] punti n; atri m R Bm, atrj, B 97 templi a le] tempj alle n 98 sagrati,] sacrati, n, sagrati B R 99 ingegni] ingegni, S Bm 102 lodi.] lodi: Bm 103 Non] Nè S; perch’] perche m (-è) n, per ch’ R; ei] Ei S 104 a l’] all’ o m n B R Bm; o a le] e alle n; petto: B 105 Nè] O S o m, E n; sopra l’equo e il] sovra l’equo e ’l n 107 lui] LUI S 108 Spada] Spade m n; lanci] lance S (L-) n; altrui.] altrui: S G (corretto poi nella tavola degli Errata) 110 Costui] COSTUI S, costui n, Cossui B; da i] dai m n o; chiari] grandi m 111 Atavi] Atavi, Bm; donde] d’onde S n, onde o; scese,] scese S o m n 99 De’ tuoi […] ingegni: il verso è retto da arte del verso successivo. 102 sue: di Gritti. 108 lanci: bilance; spada e bilancia sono i simboli della Giustizia di cui Gritti è stato degno ministro. – detorse: rimalmezzo. 109-110: la virtù non è mai vista dal poeta in modo passivo, ossia come un comportamento privo di colpe, ma assume sempre una valenza costruttiva. 111 Atavi: latinismo per avi.
202
giuseppe parini D’alte glorie a infiammar l’animo egregio, E a gir dovunque in forme Più insigni de’ miglior splendano l’orme.
114
Chi sì benigno e forte Di Temide impugnò l’util flagello? O chi pudor sì bello Diede all’augusta autorità consorte? O con sì lene ciglio Fe’ l’imperio di lei parer consiglio?
120
Davanti a più maturo Giudizio le civili andar fortune, O starsene il comune Censo in maggior frugalità securo Quando giammai si vide Ovunque il giusto le sue norme incide?
126
Ei, se il dover lo impose, Al veder lince, al provveder fu pardo; Ei del popolo al guardo Gli arcani altrui, non sè medesmo ascose; Nè occulto orecchio sciolse, Ma solenne tra i fasci il vero accolse.
132
112 a] manca in n 114 insigni] belle S m n; de’] del n; splendano] splendono S o n, splendeano m 115 Chi] Che n; sì] più Rv 116 Di] Ti n 117 sì] più n 118 autorità] verità n 119 sì] più Rv 120 imperio] impero n G (corretto nella tavola degli Errata con la lezione a testo) 121 Davanti] Dinanzi S m n 123 O] E n 127 Ei,] EI S 128 lince,] Lince o m; proveder n; Pardo o 129 Ei] EI S, E m; del popolo] de’ popoli n 130 sè] se S m 132 tra i] tra’ n; fasci] Fasci S 115-116 benigno […] flagello: il magistrato operò contemperando indulgenza e severità; Temide (o Temi) è la dea della Giustizia, cfr. ode iv.55. 117-118 pudor […] consorte: modestia e prestigio del potere unite insieme. 119 lene: dolce. 120 di lei: cioè dell’autorità. 126 il giusto […] incide: dovunque esistano leggi scritte. 128 al proceder fu pardo: ebbe la prontezza di un leopardo. 132 tra i fasci il vero: in tribunale accolse soltanto la testimonianza della verità (dalle antiche insegne dei consoli, fasci).
ode xix
203
Ei gli audaci repressi Tenne con l’alma dignità del viso; Ei con dolce sorriso, Poi che del grado a sollevar gli oppressi Tutto il poter consunse, A la giustizia i beneficj aggiunse.
138
E tal suo zelo sparse, Che grande a i grandi, al cittadino pari, Uom comune ai volgari, Rettor, giudice, padre, a tutti apparse; Destando in tutti, estreme Cose, amicizia e riverenza insieme.
144
Ben chiamarsi beata Può fra povere balze e ghiacci e brume, Gente cui sia dal nume Simil virtude a preseder mandata. Or qual fu tua ventura, Città, cui tanto il ciel ride e natura!
150
Ma balsamo, che tolto Vien di sotterra, e s’apre al chiaro giorno, Subitamente intorno 133-138 mancano in n 133 Ei] EI S; repressi] soppressi o 135 Ei] EI S 138 A la] Alla m o; beneficj] benefizj S, -ci m 139 sparse,] sparse 140 a i] ai o m n 141 ai] a i S B R Bm 143 Destando in tutti,] Conciliando, o m 144 amicizia] amistade Rv 146 Può] Puo n; balze e ghiacci e brume,] balze, e ghiacci, e brume S m n, balze e gh. e brume B 147 Gente cui] Gente, a cui S m n, Gente, cui B; nume] Nume S n B Bm 148 Simil] Simìl S; presseder n; mandata: S n 149 tua] sua n 150 ciel] Ciel S n; natura] Natura S n 151 balsamo,] balsamo B R 152 di] da n; sotterra, e s’apre al chiaro giorno,] sotterra e collocato al giorno S; s’apre] sale m 137 consunse: adoperò. 140-144 Che grande […] insieme: il pretore seppe trattare da pari a pari con tutti, suscitando sentimenti altamente lodevoli quali l’amicizia e il rispetto. 145 Ben […] beata: echi danteschi: «ben! Ben son, ben son Beatrice» (Purg. xxx.73) e: «veramente Giovanna, / Se, interpretata, val come si dice» (Par. xii.80-81). 147 dal nume: dalla divinità. 149 ventura: fortuna. 151 balsamo: profumo.
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giuseppe parini Con eterea fragranza erra disciolto; Tal che il senso lo ammira, E ognun di possederne arde e sospira.
156
Quale stupor, se brama Del nobil figlio al gran Senato nacque; E repente, fra l’acque Onde lungi provvede, a sè il richiama? Di tanto senno ai raggi Voti non sorser mai, altro che saggi.
162
Non vedi quanti aduna Ferri e fochi su l’onda e su la terra Vasto mostro di guerra, Che tre Imperi commette a la Fortuna; E con terribil faccia Anco l’altrui securità minaccia?
168
Or convien che s’affretti, Cotanto a le superbe ire vicina, Del mar l’alta Regina 154 disciolto;] disciolto: S 155 Tal che il] E ogni S o m n; ammira; Bm 156 E all’uopo ognun di possederlo aspira S; E ognun] Ognun n; possederne] -derlo m n 157 Quale stupor,] Qual fia stupor S 158 figlio] FIGLIO S; nacque;] nacque, S 159 repente,] repente S m n Bm; acque] acque, S Bm 160 provvede,] provede n; sè] se m n; il richiama] lo chiama m 161 ai] a i S B R Bm 162 sorser] sorgon m n; mai,] mai S m n 164 fochi] fuochi m n; su l’onda e su la] sull’o., e sulla m (su la o Bm) 166 Imperi] Imperj S, imperii m, imperj n; alla m n; Fortuna;] Fortuna, S, fortuna m n, Fortuna: R 169 convien] convien, Bm 170 a le] alle n 171 Regina] Reina o 154 eterea fragranza: i termini selezionati pertengono al campo semantico del profumo, già preannunciato al v. 128 dal pardo, il cui statuto è intimamente legato alla sfera olfattiva. 157 Quale […] brama: eco petrarchesca: «qual meraviglia se di sùbito arsi?» (RVF xc.8). 158 gran Senato: quello di Venezia. 160 provvede: presiede. 161 tanto senno: una saggezza così grande. 162 Voti: decisioni. 165-166 Vasto […] commette: riferimento alla guerra tra l’impero russo, quello d’Austria e quello turco (1784-1792). 170-171 Cotanto […] Regina: Venezia, tanto vicina, dunque esposta. Cfr. ode xvi.39-40: «l’alta Venezia / Star libera sul mar».
ode xix Il suo fianco a munir d’uomini eletti, Ov’ardan le sublimi Anime di color che opposer primi
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174
Al rio furore esterno Il valor la modestia ed i consigli; E dai miseri esigli Fecer l’Adria innalzarsi a soglio eterno; E sonar con preclare Opre del nome lor la terra e il mare.
180
Godi, Vicenza mia, Che il GRITTI a fin sì glorioso or vola: E il tuo dolor consola, Mirando qual segnò splendida via Co’ brevi esempi suoi Alla virtù di chi verrà da poi.
186
172 D’unire al fianco suo le menti e i petti S; eletti R 173 Ov’] Ove n; ardon S n 174 color] color, S Bm 176 valor] valor, B Bm; consiglj n 177 dai] da i S m Bm; esiglj n 179-180 E d’opere preclare Ampiamente sonar la terra, e il mare m 179 suonar n 180 e il] e ’l n 182 GRITTI] Gritti o m n; glorïoso R (in alcune copie) Bm; vola; Bm 183 consola,] consola S m n 184 via] via, Bm 185 suoi] suoi, Bm 186 Alla] A la B R Bm; dappoi n 177 miseri esigli: Venezia fu fondata da un gruppo di fuggitivi che cercava rifugio alle stragi di Attila. 178 l’Adria: Venezia. 181 Godi, Vicenza mia: i dolorosi echi danteschi: «Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande» (Inf. xxvi.1), «Fiorenza mia, ben puoi esser contenta» (Purg. vi.127) incidono a livello memoriale perdendo completamente la vis polemica della fonte. 185 brevi esempi: azioni esemplari benché durate soltanto sedici mesi.
XX S (vd. Edizioni S. C. n. 10) tomo II, pp. 56-58. o Miscellanea Pariniana 11/6, pp. 4-7. a Ambr. II 4, pp. 37-40. m Miscellanea Morbio 17, pp. 34-37. n Autografo appartenente a collezione privata G 130-135 (nota 172). B 100-104 (nota 159). R 161-165. Bm 201-204.
Considerato introvabile per lunghi anni l’autografo cui fa cenno Mazzoni, p. lix, che non riuscì a vederlo perché ne ebbe notizia mentre la sua «Avvertenza era in gran parte consegnata al tipografo», proprio durante la correzione di queste bozze, è stato rinvenuto da Edoardo Esposito, che darà prossimamente notizia del ritrovamento. Attualmente in mano a privati, non mi è stata concessa l’opportunità di visionarlo, ma mi avvalgo della trascrizione di Edoardo Esposito cui va il mio più sentito ringraziamento per la cortesia e la sollecitudine della segnalazione. Tutti i mss. attestano una fase successiva del testo rispetto a S e si seriano nell’ordine indicato. Quanto a scrizione delle preposizioni e grafia a pare maggiormente in linea con le scelte che il poeta fisserà nell’edizione curata insieme a Gambarelli di lì a poco; anche le varianti di a, a parte due casi di mancata accettazione (v. 45 aere per aria e v. 62 sdegnando in luogo di sprezzando per implicazione con gregge e orgogli) ma comunque di estrema vicinanza con G, sono manifestatamente in accordo con l’edizione del 1791: cfr. i vv. 47 in cui da Ove di S si passa a Poiché di m per arrivare a O se di a e della lezione a testo, 68 fortuna in tutti i testimoni, ma in a la F è posta come correzione immediatamente dopo la scrittura (l’osservazione degli inchiostri lo attesta con certezza), 85 più vaghe S (supplici m gioconde a e lezione a testo), 87 Già tante nel tuo petto S (Che tante nel t. p. m Che tante a te n. p. a e lezione a testo). o, spesso portatore di lezioni proprie, oltre ai numerosi luoghi di coincidenza con S, di cui potrebbe avere avuto sotto mano una copia corretta, legge armonioso al v. 13, ma è lectio facilior. Per le peculiariarità di m invece ai vv. 54 (Sperar più gravi alle alme) 29 (chiude) e 30 (rimove), trattasi, nel primo caso, di variante insorta su lezione precedente reintegrata, e negli altri due di probabile lectio facilior del copista, come già registrato in apparato all’ode xix (vv. 114, 162). n utilizza una litote al v. 24 (non facile per difficile) lasciandosi dietro tutte le altre testimonianze concordi tra loro; similmente opera al v. 42 sostituendo il plurale orecchie con il metonimico orecchio, in linea con altri luoghi delle odi e legge al v. 8 i due punti a metà verso in luogo del punto e virgola, come nelle Correzioni di G. Confrontato dunque tale codice con gli altri già noti, si giunge a considerarlo come quello più vicino all’edizione del 1791; nei punti maggiormente critici del testo, infatti, ossia i vv. 24, 42, 45 e 62, n riporta lezioni successive rispetto ad a tali da lasciar supporre o a una ulteriore fase di rielaborazione da parte del
ode xx
207
poeta, dal momento che le varianti verranno fatte proprie da G, o a una trascrizione posteriore alla stampa del ’91. B ed R seguono G introducendo le consuete scelte grafiche e di punteggiatura; Reina, nell’Avvertimento, p. vii cita l’ode tra le «composizioni brevi ed animate» insieme a «il Pericolo, il Messaggio, in morte del Maestro Sacchini, la Laurea, ed alla Musa» che avrebbero pochissime «Lezioni Varie»; esaminando e collazionando i testi apparirà chiaramente come tale affermazione sia priva di riscontro. Bm legge le dieresi al v. 39 inquïeto, come B e R, e l’accento per cônverse al v. 67, oltre a una serie di virgole non sempre riportate in apparato.
In morte D EL M AES TRO S AC C H I NI
Te con le rose ancora Della felice gioventù nel volto Vidi e conobbi, ahi tolto Sì presto a noi da la fatal tua ora O di suoni divini Pur dianzi egregio trovator SACCHINI!
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Titolo: In morte del Sacchini celebre Maestro di musica. ODE S, In morte di Sacchini celebre Maestro di musica o, Ode a, In Morte del Cel. Maestro di Cappella Sacchini Ode m; nota: Si crede superfluo il dire quanto eccellente compositore in musica sia stato Antonio Sacchini Napoletano. Morì in Parigi nel 1787 G B, Antonio Sacchini, Napoletano, morì in Parigi nel 1787 Bm 2 Della] De la S B R Bm; nel] sul m 3 Vidi] Vidi, S m; conobbi Sm 4 da la] dalla m; ora] ora, S a m R Bm 6 dianzi] di anzi R con la seguente nota: ANTONIO SACCHINI Napoletano morì in Parigi nel 1787. Egli si fu egregio compositore di musica, eccellente poi nel maneggio degli affetti, e nella grazia; SACCHINI!] Sacchini. S a o (Bm con il punto esclamativo) XX . Strofa di tre settenari e tre endecasillabi alternati secondo lo schema aBbAcC.
Sincero compianto dell’amico musicista, l’ode diventa parte del programma civile e morale del poeta quando si apre alla celebrazione del maestro delineato nella sua liberalità e onestà. 3 Vidi e conobbi: cfr. Dante: «vidi e conobbi l’ombra di colui» (Inf. iii.59), Tasso: «vidi e conobbi pur l’inique corti» (GL vii.12). 6 Pur dianzi: fino a non molto tempo fa. Nato a Firenze nel 1730, Antonio Sacchini studiò a Napoli dove iniziò la sua carriera di musicista; viaggiò e lavorò in varie città italiane ed europee, sempre distinguendosi per meriti e fama. A Milano, nel 1766, andarono in scena due suoi melodrammi; molto probabilmente Parini lo conobbe ed ebbe modo di apprezzarlo in tale occasione.
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giuseppe parini Maschia beltà fiorìa Nell’alte membra: dai vivaci lumi Splendido di costumi E di soavi affetti indizio uscìa: Il labbro era potente Dell’animo lusinga e de la mente. All’armonico ingegno Quante volte fe’ plauso; e vinta poi Da gli altri pregi tuoi Male al tenero cor pose ritegno Damigella immatura, O matrona di sè troppo secura! Ma perfido o fastoso Te giammai non chiamò tardi pentita: Nè d’improvviso uscita Madre sgridò nè furibondo sposo, Te ingenuo, e del procace Rito de’ tuoi non facile seguace. Amò de’ bei concenti Empier la tromba sua poscia la Fama; Tal che d’emula brama Arser per te le più lodate genti
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8 Nell’] Ne l’ S; membra; S o m G (negli Errata la lezione a testo) R Bm; dai] da i a B R Bm, da o 10 uscìa:] uscìa; a Bm 11 labbro] labro S o 12 Dell’] De l’ S; de la] della m 13 All’armonico] Armonioso o; All’] A l’ S 15 Da gli] Dagli m; tuoi, Bm 17 immatura,] immatura a 18 sè] Se S m; secura. S, sicura o 19 perfido] perfido, Bm; o] e S m 22 sgridò] sgridò, Bm; sposo a B R Bm 23 Te ingenuo,] Te ingenuo a 24 non facile] difficile S o a m 25 de’] di S 26 Fama] fama S m o 28 genti] genti, S a m Bm 11 Il labbro: il fascino della parola del maestro. 13 armonico ingegno: ingegno musicale. 14 fe’ plauso: applaudì. 16 Male […] ritegno: non riuscì a frenare gli effetti suscitati dalle virtù del maestro. 19 perfido o fastoso: traditore o millantatore delle tue conquiste. 23-24: ingenuo […] seguace: onesto e non licenzioso, come invece molti uomini di teatro. 25 concenti: musiche.
ode xx Che Italia chiuda, o l’Alpe Da noi rimova, o pur l’Erculea Calpe.
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E spesso a breve oblìo La da lui declinante in novo impero Il Britanno severo America lasciò: tanto il rapìo, Non avveduto ai tristi Casi, l’arguzia onde i tuoi modi ordisti.
36
O, se la tua dal mare Arte poi venne a popol più faceto, Nel teatro inquieto Tacquer le ardenti musicali gare; E in te sol uno immoti Stetter dei cori e de l’orecchio i voti:
42
Poi che da’ tuoi pensieri Mirabile di suoni ordin si schiuse, Che per l’aria diffuse 29 Che] Ch’ S; chiuda,] chiuda; a, chiude o m; alpe S a 30 rimova,] rimova a, rimove o m; erculea calpe S (C-) m n 31 oblìo] obblìo S m 32 in novo impero] a nuovo i. S, in nuovo I. m, n. i. n 34 lasciò:] lasciò; a; rapìo S a R 35 ai] a i S a B R Bm 36 Casi,] Pensier S o, Casi a; l’arguzia, Bm 37 O,] O S a m Bm 39 Nel] Sul S; inquïeto B R Bm 42 dei] de i S a B R Bm, de’ m; de l’orecchio] de l’ (de le a, delle m) orecchie S o a m, dell’ B R Bm; voti. S m, voti; Bm 43 Poi che da’] Poichè da m 44 schiuse,] chiuse S, schiuse R 45 Che] Chi S; aria] aere a 30 Erculea Calpe: il punto dello stretto di Gibilterra in cui Ercole, secondo il mito, piantò una delle sue colonne. 34 America […] rapìo: allusione alla permanenza del maestro in Inghilterra (17721782), quando cioè le colonie americane erano in guerra con la madrepatria; grazie alla dolcezza della musica, anche il severo popolo inglese finisce per dimenticare per qualche momento l’emancipazione americana. 36 arguzia: la penetrante e felice sonorità della musica del maestro. 38 popol più faceto: il popolo francese, in contrapposizione a quello inglese detto severo. 39-40: teatro […] gare: i teatri francesi erano agitati dalle polemiche tra i sostenitori di Gluck (scuola tedesca, che metteva in primo piano l’aspetto strumentale) e quelli di Piccinni (scuola italiana, con preminenza del canto); grazie alla musica del Sacchini si placarono le lotte, non tanto perché si riuscì a risolvere la contesa, ma perché la sua musica piaceva abbastanza a entrambi i partiti. Rivale di Piccinni e sostenitore di Gluck, Sacchini in realtà non giunge mai ai livelli del suo modello nel produrre quella musica delle passioni che gli Enciclopedisti andavano sostenendo. 44 ordin: l’orditura delle note.
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giuseppe parini Non peranco al mortal noti piaceri, O se tu amasti vanto Dare a i mobili plettri, o pure al canto.
48
Fra la scenica luce Ben più superbi strascinaron gli ostri I prezìosi mostri, Che l’Italo crudele ancor produce; E le avare sirene Gravi a l’alme speràro impor catene;
54
Quando su le sonore Labbra di lor tuo nobil estro scese; E novi accenti apprese Delle regali vergini al dolore, O ne’ tragici affanni Turbò di modulate ire i tiranni.
60
Ma tu, del non virile Gregge sprezzando i folli orgogli e l’oro, 46 peranco] per anche S, per anco a m R; noti] nuovi S; piaceri; a, piaceri: Bm 47 O se] Ove S, Poichè m; il vanto S 48 a i] ai m; plettri a; pure] pur m 49 Fra] Per S o a 51 mostri,] mostri a B R 52 produce;] produce: a 53 le] l’ S; sirene] Sirene a n 54 Sperar più gravi alle alme m (all’o); a ’l] all’ a B Bm; catene, Bm 56 Labbra] labra o, alme n; estro] genio S 57 novi] nuovi S m n 58 Delle] De le S a B R Bm; dolore; a Bm 59 ne’] fra i S o 60 modulate] modulanti S 62 sprezzando] sdegnando a; il folle orgoglio m 47-48 O se […] canto: sia che tu preferisti far primeggiare gli strumenti, sia il canto. 49 scenica luce: quella dei teatri. 50 ostri: le porpore, vale a dire le ricche e sontuose vesti teatrali. 51 prezìosi mostri: i cantanti evirati, molto ben pagati; cfr. ode xi.2: «canoro elefante»; tali cantanti sono detti mostri nella medesima ode al v. 35. 52 Italo crudele: cfr. ode xi, quando il poeta allude allo «spietato / Genitor» (vv. 7-8). 53 avare sirene: cantanti avide. 56 nobil […] scese: la tua alta ispirazione discese sulle loro labbra. 57-60: E novi […] tiranni: e insegnò a dare vita al dolore delle giovani oppure a dare forma all’ira dei tiranni negli ambiti della rappresentazione tragica. Probabilmente Parini allude qui al melodramma più noto di Sacchini, Edipo a Colono, e alle figure di Antigone e di Creonte. 61-62: non virile / Gregge: quello composto dai cantanti evirati e dalle cantanti avide; il verbo riferito al maestro, sprezzando, risulta particolamente incisivo nei confronti della sete dell’oro anche grazie alla correzione (da sdegnando di a) per evitare un eccesso del suono g (gregge e orgogli).
ode xx Innalzasti il decoro Della bell’arte tua, spirto gentile, Di liberi diletti Sol avido bear gli umani petti.
211
66
Nè, se talor converse La non cieca Fortuna a te il suo viso; E con lieto sorriso Fulgido di tesoro il lembo aperse, Indivisi a gli amici I doni a te di lei parver felici.
72
Ahi sperava a le belle Sue spiagge Italia rivederti alfine; Coronandoti il crine Le già cresciute a lei fresche donzelle, Use di te le lodi Ascoltar da le madri e i dolci modi!
78
Ed ecco l’atra mano Alzò colei, cui nessun pregio move; E te, cercante nuove Grazie lungo il sonoro ebano in vano, Percosse; e di famose Lagrime oggetto in su la Senna pose.
84
64 Della] De la S a B R Bm; tua a 65 Di] Con S o 66 Sol avido] Avido di S 67 Nè, se] Che se S 68 Fortuna] f- S o m (in a è corretto come a testo con lo stesso inchiostro); viso. o, viso, B Bm 70 di] del m; lembo] grembo S 71 a gli] agli m 73 sperava] credea S o a; a le] fra le S o a, alle m 74 spiagge] piagge S; alfine;] alfine, S B, al fine a, al fine; R, al fine, Bm 77 le lodi] la lode n 78 da le] dalle m; madri, S m; modi. S 80-81 Alzò la morte, e con funeste prove Te meditante nuove S o 80 colei,] colei a R 82 in vano] invano S m 84 su la] sulla m; Senna S a m 67-68 converse […] Fortuna: la Fortuna non cieca ha rivolto gli occhi verso Sacchini premiandolo per i suoi alti meriti. 70 il lembo: il grembo della Fortuna pieno di ricchezze. 76 Le già cresciute […] donzelle: le ragazze cresciute mentre il maestro si trovava ed esercitava all’estero la sua arte. 79 atra: nera; cfr. Dante: «la morte prese subitana e atra» (Par. vi.78); Orazio: «atra nubes» (Carm. ii. xvi.2). 80 move: commuove. 82 ebano: il clavicembalo. 84 in su la Senna: a Parigi, dove furono tributati gli onori funebri a Sacchini.
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giuseppe parini Nè gioconde pupille Di cara donna, nè d’amici affetto, Che tante a te nel petto Valean di senso ad eccitar faville, Più desteranno arguto Suono dal cener tuo per sempre muto.
90
85 gioconde] più vaghe S o, supplici m 86 donna] Donna n; affetto,] aspetto S, affetto; a m, affetto B R 87-88 Già tante nel tuo petto Validi d’estro ad eccitar faville S o, Che tante nel tuo petto Valean di senso ad e. f., m, Che tanto n che fa poi seguire la lezione a testo 89 Destar potranno affetto S 85 gioconde pupille: cfr. Dante: «come letizia per pupilla viva» (Par ii.144). 88 Valean […] faville: suscitavano tanti sentimenti. 89 arguto: felice, come l’arguzia del v. 36, sempre a ribadire il concetto dell’armonia melodiosa. 90 cener […] muto: cfr. Catullo: «mutam […] cinerem» (ci.4).
XXI m Ambr. III 9, pp. 5-7. n Ambr. III 9, pp. 25-28. o Misc. Morbio 17, pp. 31-33 p Biblioteca Laurenziana, Fondo Alfieri 13, c. 42r. q Ambr. III 8, pp. 23-24. sc Ms. Schiera, cc. 53r-55r. G 136-140 (note 172-175). B 105-107 (note 159-162). R 166-168. Bm 213-215.
m e n sono copie calligrafiche; n registra un’unica integrazione di parola omessa al v. 36, vezzi; o è copia poco curata: manca di un’intera strofa, la sesta, per saut du même au même. Benché G si differenzi da tutti i testimoni manoscritti per le lezioni dei vv. 1, 7, 38 (vd. apparato), il codice copiato da Gambarelli risulta il più prossimo alle scelte definitive del poeta; prova ne sia la dedica semplificata rispetto agli altri mss., Alla Marchesa Paola Castiglioni, cui sarà aggiunto Il dono in sede di stampa e soprattutto la correzione del v. 1, in cui quello che sarà l’editore del volume cassa la lezione comune a tutti i mss., Vate egregio, per il molto più peculiare fiero Allobrogo che passerà in G nella forma del monottongo fero Allobrogo; a ciò si aggiunga la soluzione di abbinare le strofe a due a due seguendo lo schema metrico, sola di q e di G, e particolari più minuti, come la scelta della maiuscola per Grazia del v. 9 e della minuscola per madre del v. 44, o della scrizione di alcune preposizioni, come da le del v. 35. p con la correzione di mano alfieriana al primo verso e la postilla: «dice così lo stampato», nel manifestare apprezzamento per la «bellissima variante» (Iannaco, p. 713), riconosce piena legittimità e consenso profondo a G. sc è portatore di molte imprecisioni nella grafia e nella scrizione, oltre a numerose cancellature ai vv. 1, 6 (inizialmente spiriti unito poi corretto come a testo), 7, ai vv. 9 e 18 (riscrittura su sillabe fortemente cassate) e al v. 27 (di mutato in in), tutte a parte l’ultima presenti nelle prime tre strofe, e due errori ai vv. 23 (eccittandomi) e 39 (e mirar […] tavole). I luoghi maggiormente interessanti risultano essere il v. 1, corretto senza aver cancellato integralmente la prima versione e il v. 38 che riporta già la lezione a stampa. La seconda parte del testo appare come una copia in pulito (il che non esclude tuttavia alcuni errori di distrazione di cui lo Schiera non si avvede) che potrebbe essere stata vergata direttamente da G. Le stampe successive si attengono alla princeps salvo per le particolarità grafiche e interpuntorie, Bm segnalando gli accenti anche per Vêrsi e dêsta e fondendo insieme il sottotitolo con la prima nota, giusta l’avvertenza Ai Leggitori (p. viii), affinché la raccolta fosse «comoda e di poca spesa».
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giuseppe parini
IL DONO Per la Marchesa paola castiglioni.
Queste, che il fero Allobrogo Note piene d’affanni Titolo: Alla Sig.ra Marchesa (M.sa o, M.a n) D.a Paola Castiglioni nata Litta per le Tragedie del (Sig.re Conte n) Conte Alfieri da Lei (l- sc) regalate all’Autore (a- sc). m sc; n o p aggiungono anche Ode, Alla Marchesa Paola Castiglioni q Sottotitolo: manca in R e in Bm che lo sostituiscono con la nota: A PAOLA CASTIGLIONI pel regalo da lei fatto a PARINI delle Tragedie di ALFIERI R, Alla Marchesa Paola Castiglioni, la quale presentò l’Autore di una copia della edizione delle Tragedie d’Alfieri, fatta da Didot in Parigi Bm 1 Queste,] Queste B R; nota: Le Tragedie del Conte Vittorio Alfieri. Benchè questi sia nativo della città d’Aste (Asti B), e quindi Piemontese, e non Savoiardo, nè Delfinate; è piaciuto tuttavia al Poeta di denominarlo, anzi che dalla sua Provincia, dal nome della Sovrana famiglia sotto cui è nato G B, Piacque all’autore di chiamare Alfieri Savojardo benchè sia Piemontese da Asti (e perciò Piemontese Bm), in grazia della famiglia di Savoja, che allora comandava (che c. Bm) in Piemonte R Bm; fero Allobrogo] Vate egregio in tutte le copie manoscritte; in p Alfieri cassa e corregge con la lezione a testo, in q Gambarelli corregge a latere la vecchia lezione con fiero Allobrogo, in sc viene cancellato solo egregio ma si riporta la correzione a testo XXI . Strofe doppie: ogni semistrofa composta da cinque settenari e un endecasilla-
bo secondo lo schema abcbdE; l’endecasillabo tronco rima con quello della seconda semistrofa. Dedicataria del testo è la marchesa Paola Castiglioni, per cui il poeta aveva già scritto l’ode xii; la gentildonna aveva donato a Parini i sei volumi dell’edizione parigina delle tragedie alfieriane. Il componimento, nel temperare efficacemente la grazia muliebre della dama alla severità del grande tragico, finisce per avere due destinatari d’eccezione. 1 fero Allobrogo: la variante rende appieno la peculiarità del grande astigiano e rimanda al cognome del destinatario anche grazie all’anagramma (Ebani); gli Allobrogi sono gli antichi abitanti della Savoia e del Delfinato, cfr. Cicerone: «Sollicitantur Allobroges» (Catilinarie iv.4), Orazio: «infidelis Allobrox» (Ep. xvi.6); «l’espressione ben rende quel che di barbarico e di primitivo era nell’animo di lui e l’impressione che la sua comparsa fece nel mondo dei letterati italiani» (Fubini). Lo stesso Alfieri si definisce «barbaro Allobrogo» (Vita iii.i) rievocando il momento in cui, a Milano, nella Biblioteca Ambrosiana, rifiutò di compulsare il codice virgiliano postillato da Petrarca. La caratterizzazione Allobrogo sarà posta nella Vita nel 1803, dopo aver mutuato l’espressione pariniana, evidentemente molto gradita; inizialmente Alfieri si era definito semplicemente barbaro. Cfr. Maggini, p. 91. 2 Note: versi; Cfr. RdA (Coridone Marachio), tomo vi.1: «Molte sventure in poche note accumulo», Dante: «E mentr’io li cantava cotai note» (Inf. xix.118), Petrarca: «continùando l’amorose note» (RVF lxxiii.23).
ode xxi Incise col terribile Odiator de’ tiranni Pugnale, onde Melpomene Lui fra gl’Itali spirti unico armò; Come oh come a quest’animo Giungon soavi e belle, Or che la stessa Grazia A me di sua man dielle, Dal labbro sorridendomi, E dalle luci, onde cotanto può!
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6
12
Me per l’urto e per l’impeto De gli affetti tremendi, 5 Pugnale,] Pugnale R 6 nota: il giudizioso carattere che l’Autore fa quì di questo gravissimo Tragico, non può venire ragionevolmente contrastato da chiunque abbia le debite disposizioni per assaporare la buona tragedia; ma soprattutto energia d’animo proporzionata a quella con cui questo originale fervidissimo ingegno ha saputo condurre le sue. Un sensato ed elegante Sonetto dell’Ab. Parini corse per l’Italia fin da questi anni addietro in lode del Conte Alfieri. L’Editore crede opportuno di recarlo quì tale appunto, quale fin da prima fu scritto: godendo intanto di vedere, quanto notabilmente abbia il nostro Tragico, d’allora in poi, migliorata la forma del suo stile, e della sua verseggiatura. Potrebbe ancora questo Sonetto servir di norma a lodare con giudizio i buoni ingegni, e addestrarli per tal modo a meritarsi d’esserlo poi maggiormente; com’è stato il caso di questo Conte [a seguire, il sonetto Tanta già di coturni, altero ingegno] G B 7 Come] Come, m Bm; oh] ahi in tutti i mss, ma sc corregge con la lezione a testo 9 Grazia] grazia m n o 10 nota: La Marchesa Paola Castiglioni presentò l’Ab. Parini d’una copia della sontuosa edizione di queste Tragedie fatta ultimamente a Parigi in sei volumi in ottavo reale GB 12 dalle] da le B R Bm; luci R 14 De gli] Degli m n o p q 4 Odiator de’ tiranni: un richiamo all’universo alfieriano dominato dal desiderio di libertà. 6 armò: in tutta la prima semistrofa il campo semantico dominante è quello delle armi, cui ben si concilia l’iconografia relativa alla musa della tragedia (Melpomene) munita di pugnale. 8 soavi e belle: la seconda strofa rimanda all’elegante figura della Marchesa Castiglioni, definita ai vv. 20 e 60, amabil donatrice; i due attributi petrarcheschi «e ’n belle donne honeste atti soavi» (RVF cccx.13) erano già nel Ripano: «E di soavi, e belle lagrimette» (xciii.11). 9 Grazia: più canonicamente, ma in modo più cristallizzato, nell’ode xvi.47, il poeta parlava di «volubili grazie». 13-18: tutta la semistrofa risente, anche a livello di costruzione retorica, delle immagini proprie delle tragedie alfieriane, con le numerose anafore e le allitterazioni di suoni aspri e forti.
216
giuseppe parini Me per lo cieco avvolgere De’ casi, e per gli orrendi Dei gran re precipizii, Ove il coturno camminando va,
18
Segue tua dolce immagine, Amabil donatrice, Grata spirando ambrosia Su la strada infelice; E in sen nova eccitandomi Mista al terrore acuta voluttà:
24
O sia che a me la fervida Mente ti mostri, quando In divin modi, e in vario Sermon, dissimulando, Versi d’ingegno copia E saper che lo ingegno almo nodrì:
30
O sia quando spontaneo Lepor tu mesci a i detti; E di gentile aculeo Altrui pungi e diletti Mal cauto da le insidie, Che de’ tuoi vezzi la natura ordì.
36
17 Dei] De i B R Bm; precipizii R 19 immagine] imagine Bm 21 spirando] spargendo q 23 nova] nuova m n; eccitandomi, Bm 24 terrore] terrore, Bm; acuta] occulta o 25 sia] sia, Bm 29 copia] copia, Bm 30 nodrì] nudrì n 31-36 strofa mancante in o 32 a i] ai m n p q; detti, Bm 34 diletti] diletti, Bm 35 da le] delle m, dalle n; insidie,] insidie R 19 Segue: l’architettura del testo intreccia la figura della destinataria palesata nel sottotitolo all’illustre astigiano: il verbo, posposto, si riferisce al Me della strofa precedente. 19-36: in tutte e tre le semistrofe abbondano i contrasti rinvenibili nei sostantivi e nelle voci verbali antitetiche – su tutte la coppia terrore/voluttà – negli ossimori più o meno velati che alludono alla violenza della tragedia temperata dalla dolcezza della dama. – gentile aculeo: nell’ode xvi.84, si alludeva al «dolce pericolo». 32 Lepor […] detti: nell’ode xvi.64-65, il poeta aveva parlato di «lepidi/Detti»; cfr. Lucrezio: «Quo magis aeternum da dictis, Diva, leporem» (De rerum natura i.28).
ode xxi
217
Caro dolore, e specie Gradevol di spavento È mirar finto in tavola E squallido, e di lento Sangue rigato il giovane Che dal crudo cinghiale ucciso fu.
42
Ma sovra lui se pendere La madre de gli amori, Cingendol con le rosee Braccia si vede, i cori Oh quanto allor si sentono Da giocondo tumulto agitar più!
48
Certo maggior, ma simile Fra le torbide scene Senso in me desta il pingermi Tue sembianze serene; E all’atre idee contessere I bei pregi, onde sol sei pari a te.
54
Ben porteranno invidia A’ miei novi piaceri Quant’altri a scorrer prendano I volumi severi. Che far, se amico genio Sì amabil donatrice a lor non diè?
60
38 Gradevol] Piacevol m n o p q; spavento, Bm 41 giovane] giovane, Bm 44 madre] Madre m n o; Amori Bm; de gli] degli m n o p q 46 Braccia] Braccia, Bm 51 desta] detta m 53 atre] altre m o 54 pregi,] pregi R; sol sei] sei sol o 56 novi] nuovi m n o 59 genio] Genio Bm 38 Gradevol: in luogo di ‘piacevol’ dei mss. per implicazione con piaceri del v. 56. 39 mirar […] in tavola: è una delle peculiarità della poesia pariniana, sul modello oraziano dell’ut pictura poesis, quella di rappresentare su una tela una scena, in primis mitologica. Cfr. Ovidio (Met. x.515). 44 madre […] amori: anche nell’ode xvi.12 si cita Venere. 55 Ben porteranno invidia: cfr. ode iii.57: «Qual porteranno invidia». 56 novi: non provati da altri (Bosco). 59 Che far: cfr. ode v.17. – genio: cfr. ode xvi.89.
XXII S (vd. Edizioni S. C. n. 11). G 141-157 (note 175-180). B 108-124 (note 162-167). R 169-185. Bm 217-229.
La coincidenza della stamperia, quella di Giuseppe Marelli, e della data di uscita di S con G rendono plausibile l’assenza di testimonianze manoscritte, probabilmente copie di servizio andate perdute o distrutte in sede di stampa; l’edizione in volume del ’91, tuttavia, oltre a emendare alcuni errori di S e a uniformare in molti punti la grafia e la punteggiatura, riporta tre diverse lezioni ai vv. 91 (oltra per oltre), 93 (onde per sì che), 223 (rimote per remote). Permangono tre errori: al v. 247 (vicace per vivace); nell’Indice, a p. 175, nel citare il v. 61, Ed ecco, i passi a quel dio (in luogo di quello dio); a p. 176, in riferimento alla prima stanza, Allussione per Allusione. In alcuni esemplari di G è presente un errore tipografico al v. 90 (nnme per nume). B corregge i quattro svarioni di G, ma mantiene la grafia auspici al v. 219 (in luogo di auspicj) e uniforma la scrizione della preposizione a lo al v. 250, (allo) intervenendo inoltre nella punteggiatura. R segue solitamente B ma si comporta in modo autonomo in molti luoghi per le scelte grafiche, spesso anche in contraddizione tra loro (vd. apparato) e per quelle interpuntorie, a volte modificando le intenzioni del poeta. Bm uniforma la grafia e la punteggiatura secondo i suoi criteri.
ode xxii
219
L A GR ATITU DINE Per angelo maria durini cardinale .
Parco di versi tessitor ben fia Che me l’Italia chiami; Ma non sarà che infami Taccia d’ingrato la memoria mia. Vieni o Cetra al mio seno; E canto illustre al buon DURINI sciogli, Cui di fortuna dispettosi orgogli Duro non stringon freno; Sì che il corso non volga ovunque ei sente Non ignobil favilla arder di mente.
10
Titolo: Per l’Eminentissimo Cardinale Angelo Maria Durini Ode di Giuseppe Parini Magnum hoc ego duco / Quod placui tibi Horat. S Nota: PER ANGELO MARIA DURINI Cardinale, più amico della Filosofia, e delle Belle Arti, che dell’ostro Romano. Giovane fu Nunzio in Polonia, e Legato in Avignone; vi si segnalò per zelo, attività e giustizia, non che per la pubblicazione ed illustrazione di parecchie opere di buoni scrittori. Maturo allontanossi dagli intrighi della Corte Romana, e visse privatamente in Lombardia coltivando le Lettere, ed i Letterati fra gli ameni piaceri della villa fino all’ultima vecchiaja R, Per Angelo Maria Durini Cardinale. Quest’Ode fu scritta circa la fine del 1790 Bm 5 Vieni o Cetra] Vieni, o Cetra, R, (c-) Bm 6 sciogli,] sciogli R XXII . Ode pindarica di strofe di dieci versi secondo lo schema AbbAcDDcEE. Nel-
l’elogio sincero e commosso dell’illustre destinatario, il poeta ribadisce la sua dichiarazione di poetica conferendo un’alta valenza al testo posto in chiusura della silloge del ’91. 1 tessitor: classico riferimento al Petrarca: «al buon testor degli amorosi detti» (RVF xxvi.10); nell’ode xii.39-40, Parini aveva fatto ricorso all’immagine della tessitura: «se a me fia dato / Ordir mai su la cetra opra non vile». 6 DURINI: il cardinale milanese (1725-1796) amante della cultura e dei letterati, come recita la nota del Reina; fu egli stesso poeta e compose, tra l’altro, dei versi in latino, tra cui un centone dedicato al poeta, Divo Parinio, che inizia con Italiae, Parine, decus quas dicere grates, leggibile in un foglio volante del Fondo Parini in BAMi (SP 6/ii,9). L’annotazione di Gambarelli sullo stesso foglio lo colloca al momento in cui il cardinale si era recato in casa di Parini per ringraziarlo dell’ode a lui dedicata; non trovandolo in casa, lasciò il componimento al portinaio. Tra i poeti della cerchia pariniana, Domenico Balestrieri dedicò al Durini molti versi in dialetto milanese. 8 Duro: epanalessi con il cognome del destinatario al v. 6.
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giuseppe parini Me pur dall’ombra de’ volgari ingegni Tolse nel suo pensiero; E con benigno impero Collocò repugnante in fra i più degni. Me fatto idolo a lui Guatò la invidia con turbate ciglia; Mentre in tanto splendor gran meraviglia A me medesmo io fui: E sdegnoso pudore il cor mi punse, Che all’alta cortesia stimoli aggiunse.
20
Solenne offrir d’ambizìose cene, Onde frequente schiera Sazia si parta e altera, Non è il favor di che a bearmi ei viene. Mortale, a cui la sorte Cieco diede versar d’enormi censi, Sol di tai fasti celebrar sè pensi E la turba consorte. Chi sovra l’alta mente il cor sublima Meglio sè stesso e i sacri ingegni estima.
30
Cetra il dirai; poi che a mostrarsi grato, Fuor che fidar nell’ali 19 punse,] punse R 20 cortesia] cortesìa R Bm 21 cene,] cene R 23 altera,] altera R 24 favor] favor, Bm 25 Mortale,] Mortale R 26 censi,] censi R 29 sublima] sublima, BBm 31 Cetra] Cetra, Bm; grato,] grato S 11 Me: già dalla prima strofa si era istituita una sorta di dialogo tra il poeta e il cardinale articolato sui pronomi di prima persona e il destinatario, Durini, idealmente legato a Parini anche dalla corrispondenza fonica delle ultime due sillabe dei rispettivi cognomi. – de’ volgari ingegni: eco dantesca: «Ch’uscì per te de la volgare schiera?» (Inf. ii.105). 14 repugnante: riluttante. 15 Me fatto idolo: si allude, come nella terzultima strofa, alla collocazione del busto di Parini, insieme a quelli di altri grandi letterati del tempo, nel cortile della villa del Cardinale a Mirabello, presso Monza. – idolo: effigie. 28-31 la turba consorte: la folla di uomini volgari della stessa specie; cfr. ode xii.41-42. 32-34 Fuor che […] è dato: cfr. ode ix.53-54: «Fuor che la cetra, a loro / Non venne altro tesoro», ode xix.24: «che nascemmo ai sacri studj».
ode xxii De la fama immortali, Non altro mezzo all’impotente è dato. Quei, che al fianco de’ regi Tanto sparse di luce e tanto accolse Fin che le chiome de la benda involse Premio di fatti egregi, A me, che l’orma umìl tra il popol segno, Scender dall’alto suo non ebbe a sdegno.
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40
E spesso i Lari miei, novo stupore! Vider l’ostro romano Riverberar nel vano Dell’angusta parete almo fulgore: E di quell’ostro avvolti Vider natìa bontà, clemente affetto, Ingenui sensi nel vivace aspetto Alteramente scolti, E quanti alma gentil modi ha più rari, Onde fortuna ad esser grande impari.
50
Qual nel mio petto ancor siede costante Di quel dì rimembranza, Quando in povera stanza L’alta forma di lui m’apparve innante! 33 immortali,] immortali S 35 Quei,] Quei B R 36 accolse] accolse, R 39 me,] me B R; segno,] segno R 47 sensi] sensi, Bm 48 scolti,] scolti; R 49 rari,] rari R 36 sparse di luce: cfr. Dante: «s’accende / Di tutto il lume de la spera nostra» (Par. iii.110-111). 37 le chiome de la benda: Dante: «di capo l’ombra de le sacre bende» (Par. iii.114); il Vocabolario della Crusca, nella quarta edizione (1729-1738) riportando il verso del Paradiso, chiosa con «quì vale il velo delle monache». 39 orma umìl: il poeta ama ribadire la sua ascendenza popolare; cfr. «Te di stirpe gentile / E me di casa popolar», in Frammenti di un’ode per Andrea Appiani (ccvii). 42 ostro: la porpora; metonimia per la veste del cardinale. 46 bontà […] affetto: l’affabilità dell’alto prelato viene espressa attraverso il nobile portamento e la bontà d’animo. 48 Alteramente scolti: nobilmente scolpiti; cfr. ode ix.143: «Il marchio ond’è il cor scolto». 50 fortuna: i beni di fortuna; chi è dotato soltanto di ricchezze impari pure a essere nobile nell’animo.
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giuseppe parini Sirio feroce ardea: Ed io, fra l’acque in rustic’ urna immerso, E a le Naiadi belle umil converso, Oro non già chiedea Che a me portasser dall’alpestre vena, Ma te cara salute al fin serena.
60
Ed ecco, i passi a quello dio conforme Cui finse antico grido Verso il materno lido Dal Xanto ritornar con splendid’orme, Ei venne; e al capo mio Vicin si assise; e da gli ardenti lumi E da i novi spargendo atti e costumi Sovra i miei mali oblìo, A me di me tali degnò dir cose; Che tenerle fia meglio al vulgo ascose.
70
Io del rapido tempo in vece a scorno Custodirò il momento, 60 Ma te, cara salute, B R Bm 61 nota: Applica con isquisita proprietà, alla circostanza del Cardinale, (senza virgola B) che muove alla sua volta, quel nobilissimo passo di Virgilio, ove descrive il dignitoso portamento d’Enea: Qualis, ubi hybernam Lyciam, Xantique fluenta Deserit, ac Delum maternum invisivit Apollo &c. Lib. IV 143 ec. GB 69 cose;] cose, B Bm, cose R 72 momento,] momento B R 55 Sirio feroce: nel periodo più caldo dell’anno, tra luglio e agosto, quando la stella Sirio, della costellazione del Cane, ardeva atrocemente. Cfr. Virgilio: «Iam rapidus torrens sitientis / Sirius Indos Ardebat coelo» (Georg. iv.425-426) e «Sirius ardor» (Aen. x.273). 56 rustic’urna: il poeta stava facendo il bagno in una tinozza disadorna. 57 a le Naiadi […] converso: rivolto umilmente alle Ninfe delle sorgenti e dei fiumi; cfr. Petrarca: «e lei conversa / Indietro veggio, e così bella riede» (RVF cxliii.9-10). 59 alpestre: genericamente ‘montano’ in Dante; per la sorgente, Petrarca: «Rapido fiume, che d’alpestra vena» (RVF ccviii.1). 61-64: Ed ecco […] orme: il portamento maestoso del cardinale ricorda quello del dio Apollo; eco virgiliana, come già avvertiva il primo editore. 67 novi: non comuni. 70 tenerle […] ascose: la modestia impedisce al poeta di divulgare quanto il cardinale ebbe a dire in occasione della sua visita. 71 del rapido […] scorno: a dispetto del tempo che fugge inesorabile; cfr. Catullo: «non possum reticere […] Ne fugiens saeclis obliviscentibus aetas / Illius hoc caeca nocte tegat studium» (Carm. lxviii.41-44). 72 Custodirò: nella memoria, ma anche nella poesia.
ode xxii Ch’ei con nobil portento Ruppe lo stuol, che a lui venìa dintorno; E solo accorse; e ratto, Me, nel sublime impazìente cocchio Per la negata ohimè forza al ginocchio Male ad ascender atto, Con la man sopportò lucidi dardi Di sacre gemme sparpagliante a i guardi.
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80
Come la Grecia un dì gl’incliti figli Di Tindaro credette Agili su le vette De le navi apparir pronti a i perigli; E di felice raggio Sfavillando il bel crin biondo e le vesti, Curvare i rosei dorsi; e le celesti Porger braccia, coraggio Dando fra l’alte minaccianti spume Al trepido nocchier caro al lor nume:
90
Tale in sembianti ei parve oltra il mortale Uso benigni allora; Onde quell’atto ancora 74 stuol,] stuol B R; d’intorno R 75 ratto,] ratto Bm 76 cocchio] cocchio, Bm 77 negata] negata, Bm; ohimè! R Bm; ginocchio, Bm 81 nota: Castore e Polluce, rappresentati dalle Favole (f- B) nella costellazione de’ Gemini, creduta poeticamente dagli antichi segno di buon augurio quando appariva nelle burrasche di mare. I moderni la chiamano Sant’Ermo, ch’è il Protettore (p- B) de’ marinai cristiani G B, Castore, e Polluce R, rubricata al v. 82 senza virgola Bm 90 nocchier] nocchier, Bm; nume; Bm 91 parve] parve, Bm; oltra] oltre S 92 Uso] Uso, Bm, allora: Bm 93 Onde] Sì che S 76 sublime […] cocchio: la carrozza è alta, anche in senso metaforico, ed è detta impaziente a causa dei cavalli scalpitanti. 80 Di sacre […] guardi: i preziosi anelli che ornavano la mano del cardinale. 82-86 gl’incliti […] Tindaro: i Dioscuri, Castore e Polluce, figli di Leda e di Tindaro, secondo una leggenda antica, apparivano ai naviganti per proteggerli dalla tempesta. Cfr. Catullo: «Hic, velut in nigro iactatis turbine nautis / Lenius aspirans aura secunda venit / Iam prece Pollucis, iam Castoris implorata, / Talis fuit nobis Allius auxilium» (Carm. lxviii.63-66). La figura di Durini viene equiparata a quella di Allio, l’amico di Catullo di cui vengono celebrate la magnanimità e la cortesia. 91-92 sembianti […] benigni: iperbato sottolineato dall’enjambement.
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giuseppe parini Di giocondo tumulto il cor m’assale: Chè la man, ch’io mirai Dianzi guidar l’amata genitrice, Ahi prima del morir tolta infelice Del sole a i vaghi rai, E tolta dal veder per lei dal ciglio Sparger lagrime illustri il caro figlio:
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Quella man, che gran tempo a lato a i troni Onde frenato è il mondo, Di consiglio profondo Carte seppe notar propizie a i buoni: Quella che, mentre ei presse De le chiare provincie i sommi seggi, Grate al popol donò salubri leggi; Quella il mio fianco resse Insigne aprendo a la fastosa etade Spettacol di modestia e di pietade.
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Uomo, a cui la natura e il ciel diffuse Voglie nel cor benigne, Qualor desìo lo spigne 94 assale, R, assale; Bm 95 man,] man B R 95-96 nota: Allusione convenientissima alla pietà, e riverenza filiale di questo Porporato, da lui esercitata fino all’ultimo in maniera degna del suo cuore, e del suo grado G B 96 Dianzi] Di anzi R 97 Ahi] Ahi! R Bm 101 man,] man B R; troni, B Bm 102 nota: Sono indicate le cariche di Nunziature, di Governi ec. dal Cardinale coperte con prudenza, attività, e zelo G B 107 nota: Sono indicate le cariche di Nunziature, di Governi ec. avute dal Cardinale Bm 111 Uomo,] Uomo R 94 giocondo tumulto: nell’ode xxi.48, la medesima coppia aggettivo/sostantivo segue un intervento divino, quello di Venere, che cingendo con le sue braccia rosee Adone dà luogo ad un gioioso palpito nel cuore di chi osserva la scena. 98-100 Del sole […] figlio: la cecità impediva alla madre del cardinale di vedere le lacrime di compassione del figlio. 101-104 Quella […] buoni: la mano del cardinale seppe redigere documenti di grande saggezza, mentre era nunzio pontificio in Polonia. – a lato a i troni: al fianco dei principi. – frenato: governato. 105-106: presse […] seggi: premette gli scanni, nel senso di occupare le cariche. 109-110 Insigne […] pietade: un grande esempio di modestia in un’epoca che inseguiva soltanto il fasto. – etade : pietade: i rimanti sono un’eco dantesca (VN xxiii Donna pietosa e di novella etate.1 e 4).
ode xxii L’arti a seguir de le innocenti Muse, Il germe in lui nativo Con lo aggiunto vigor molce ed affina, Pari a nobile fior, cui cittadina Mano in tiepido clivo Educa e nutre, e da più ricche foglie Cara copia d’odori all’aria scioglie.
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120
Costui, se poi dintorno a sè conteste D’onori e di fortuna Fulgide pompe aduna, Pregiate allor che a la virtù son veste, Costui de’ proprj tetti Suo ritroso favor già non circonda; Ma con pubblica luce esce e ridonda Sopra gl’ingegni eletti, Destando ardor per le lodevol’ opre, Che le genti e l’età di gloria copre.
130
Non va la mente mia lungi smarrita Co’ versi lusinghieri; Ma per varj sentieri Dell’inclito DURIN l’indole addita: E, come falco ordisce Larghi giri nel ciel volto a la preda; Tal, benchè vagabondo altri lo creda, Me il mio canto rapisce A dir com’egli a me davanti egregio Uditor tacque; ed al Licèo diè pregio.
140
Quando dall’alto disprezzando i rudi Tempi a cui tutto è vile 114 Muse] muse R 117 fior,] fior R 119 nutre,] nutre; Bm 121 dintorno] d’intorno R 122 fortuna] fortuna, R 123 aduna,] aduna S 129 opre,] opre R 132 Co’] Co i R 134 addita:] addita; R Bm 137 benchè] ben che R 140 pregio.] pregio; Bm 142 Tempi] Tempi, B; vile, B 121 conteste: intrecciate. 137 vagabondo: errante. 140 al Licèo diè pregio: ascoltando la lezione di Parini al Liceo di Brera, Durini diede lustro alla scuola. 142 vile: rima inclusiva con servile del verso successivo
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giuseppe parini Fuor che lucro servile; Solo de’ grandi entrar fu visto; e i nudi Scanni repente cinse De’ lucidi spiegati ostri sedendo; E al giovane drappel, che a lui sorgendo Di bel pudor si tinse, Lene compagno ad ammirar sè diede; E grande a i detti miei acquistò fede.
150
Onde osai seguitar del miserando Di Làbdaco nipote Le terribili note E il duro fato e i casi atroci e il bando; Quale all’Attiche genti Già il finse di colui l’altero carme, Che la patria onorò trattando l’arme E le tibie piagnenti; E de le regie dal destin converse Sorti, e dell’arte inclito esempio offerse.
160
Simuli quei, che più sè stesso ammira, Fuggir l’aura odorosa 143 servile;] servile, Bm 144 grandi] Grandi Bm 146 ostri] ostri, Bm 147 drappel,] drappel B R 148 tinse,] tinse R 150 fede.] fede: Bm 151 nota: Quando il Cardinale visitò la Cattedra (scuola R) dell’Ab. Parini (di P. R Bm), questi stava dichiarando l’Edipo (E. Re R Bm) di Sofocle G B R Bm 152 Làbdaco] Labdaco S 153 note] note, B 156 carme,] carme B R 157 nota: Questo principe de’ Tragici Greci si sa, che fu non meno gran Poeta, che valente uomo nelle magistrature, e nella milizia G con un’unica virgola dopo Poeta B 159 regie] regie, Bm 160 nota: Sofocle fu non meno gran poeta, che valente uomo nelle magistrature e nella milizia Bm 161 quei,] quei S B R; ammira,] ammira R 162 odorosa] odorosa, S Bm 143 lucro servile: cfr. ode ii.29-30: «E per lucro ebbe a vile / La salute civile». 144-146 i nudi […] sedendo: il cardinale arricchì con la porpora delle sue vesti i banchi spogli. 152 Di Làbdaco nipote: Edìpo, figlio di Laio e nipote di Làbdaco. 153 terribili note: cfr. ode xxi.2: «Note piene d’affanni». 156 di colui: Sofocle. 158 tibie: gli strumenti a fiato che accompagnavano le tragedie. 159 converse: anche le sorti dei re possono essere ribaltate. 161-170 Simuli […] sprone: è falso l’atteggiamento di chi simula di fuggire la lode, personificata da una immagine di bellissima donna, che in realtà è ben accetta a tutti perché giusto premio alla fatica, e incitamento a fare sempre meglio.
ode xxii Che da i labbri di rosa La bellissima lode a i petti inspira; Lode figlia del cielo, Che mentre a la virtù terge i sudori, E soave origlier spande d’allori A la fatica e al zelo, Nuove in alma gentil forze compone; E gran premio dell’opre al meglio è sprone.
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170
Io non per certo i sensi miei scortese Di stoico superbo Manto celati serbo, Se propizia giammai voce a me scese. Nè asconderò che grata Ei da le labbra melodìa mi porse, Quando facil per me grazia gli scorse Da me non lusingata; Poi che tropp’alto al cor voto s’imprime D’uom che ingegno e virtudi alzan sublime.
180
Pur, se lice che intero il ver si scopra, Dirò che più mi piacque Allor che di me tacque, E del prisco cantor fe’ plauso all’opra. Sorser le giovanili Menti da tanta autorità commosse: Subita fiamma inusitata scosse Gli spiriti gentili,
164 lode] Lode Bm 165 cielo,] cielo R 166 Che] Che, R; Virtù Bm 168 fatica] Fatica Bm; Zelo Bm 172 stoico] stoïco B Bm 174 giammai] già mai R 175 asconderò] asconderò, Bm 180 D’uom] D’uom, Bm 182 Dirò] Dirò, Bm 188 gentili,] gentili R 167 origlier: francesismo per cuscino. 171 Io: altra è la posizione del poeta, che non affetta una stolta superbia, ma mostra di accettare di buon grado la lode di una persona degna. 176 Ei: il cardinale. 177-178 grazia […] non lusingata: parole spontanee di lode non sollecitate da me. 179 voto: giudizio. 184 prisco cantor: Sofocle.
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giuseppe parini Che con novo stupor dietro a gl’inviti De la greca beltà corser rapiti.
190
Onde come il cultor, che sopra il grembo De’ lavorati campi Mira con fausti lampi Stendersi repentino estivo nembo; E tremolar per molta Pioggia con fresco mormorìo le frondi; E di novi al suo piè verdi giocondi Rider la biada folta, Tal io fui lieto, e nel pensier descrissi Belle speranze a la mia Insubria, e dissi:
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Vedrò vedrò da le mal nate fonti, Che di zolfo e d’impura Fiamma e di nebbia oscura Scendon l’Italia ad infettar da i monti; Vedrò la gioventude I labbri torcer disdegnosi e schivi; E a i limpidi tornar di Grecia rivi, Onde natura schiude Almo sapor, che a sè contrario il folle Secol non gusta, e pur con laudi estolle.
210
189 a gl’] agl’ Bm 191 cultor,] cultor B R 196 frondi;] frondi, R 198 folta,] folta; RBm 199 lieto,] lieto; Bm 201 Vedrò] Vedrò, B Bm; fonti,] fonti B R; nota: Lo zelo di questo Professore per lo ravvisamento de’ buoni studj (studi B) in Italia, (senza virgola B) e per l’estirpazione della corruttela che ci prevale, è sempre andato del pari col suo purgato giudizio, (senza virgola B) e coll’ottimo metodo ch’egli tiene per conseguire un sì lodevol fine G B 207 rivi,] rivi R 208 natura] Natura Bm 209 sapor,] sapor R; che, Bm; contrario, Bm 190 De la greca […] rapiti: la lode del Durini alla tragedia sofoclea produce un influsso benefico sulla platea dei giovani studenti. 199 Tal io fui lieto: la felicità di Parini nella veste di docente che spera in un esito positivo delle Lettere in Lombardia. 201-210: si sottolineano negativamente gli influssi della poesia preromantica a tutto vantaggio dei limpidi fiumi della classicità. – a sè contrario: nel senso di danneggiare se stessi. – estolle: innalza. L’occorrenza di folle in sede di rima marca l’antitesi.
ode xxii
229
Questi è il Genio dell’arti. Il chiaro foco Onde tutt’arde e splende Irrequieto ei stende Simile all’alto sol di loco in loco. Il Campidoglio e Roma Lui ancor biondo il crine ammirar vide I supremi del bello esempi e guide, Che lunga età non doma; E il concetto fervore e i novi auspicj Largo versar di Pallade a gli amici.
220
Nè già, benchè per rapida le penne Strada d’onor levasse, Da sè rimote o basse Le prime cure onde fu vago ei tenne: O se con detti armati D’integra fede e cor di zelo accenso Osò l’ardua tentar fra nuvol denso Mente de i re scettrati; O se nel popol poi con miti e pure Man le date spiegò verghe e la scure.
230
Però che dove o fra le reggie eccelse Loco all’arti divine O in umili officine 212 splende] splende, B 213 Irrequieto] Irrequïeto] B Bm 214 sol] Sol Bm 216 Lui] Lui, Bm; crine, Bm 217 guide,] guide B R 219 auspicj] auspici B, auspìci R Bm 221 benchè] ben che R 223 rimote] remote S 224 cure] cure, Bm; vago, B Bm 225 se] sè S 226 fede] fede, Bm 230 scure.] scure; Bm 211 Questi: il cardinale. 213 Irrequieto: senza posa; come nell’ode ix.20. 216 biondo il crine: mentre Durini era giovane. 219 concetto: concepito. 220 Largo: in modo generoso. 221-224 Né già […] tenne: il cardinale non pensò di allontanarsi dai piacevoli studi giovanili benché avesse raggiunto rapidamente onori altissimi. – rapida: da collegarsi a Strada. 225 detti armati: robusta eloquenza. 226 accenso: ardente. 230: i compiti di governo esercitati dal cardinale; cfr. ode xix.132: «solenne tra i fasci il vero accolse».
230
giuseppe parini O in case ignote la fortuna scelse, Ivi amabil decoro E saggia meraviglia al merto desta Venne guidando, e largità modesta, E de le grazie il coro Co’ festevoli applausi ora discinti Or de’ bei nodi de le Muse avvinti.
240
Anzi, come d’Alcide e di Tesèo Suona che da le vive Genti a le inferne rive L’ardente cortesìa scender potèo; Ed ei così la notte Ruppe dove l’oblìo profondo giace; E al lieto de la fama aere vivace Tornò le menti dotte; E l’opre lor, dopo molt’anni e lustri, Di sue vigilie allo splendor fe’ illustri.
250
Tal che onorato ancor sul mobil etra Va del suo nome il suono Dove il chiaro Polono Dell’arbitro vicino al fren s’arretra; 234 fortuna] Fortuna Bm 238 grazie] Grazie Bm 239 applausi] applausi, Bm; discinti] discinti, B 240 Muse] muse S 241 nota: Con questa felice comparazione rende il Poeta la debita lode al Cardinale per le opere di buoni Scrittori, sì edite, che inedite, da lui date in luce, ed illustrate, altre nella Nunziatura di Polonia, ed altre nella Legazione Avignonese G B 242 Suona] Suona, Bm 244 cortesìa] cortesia S; potèo] poteo R 245 nota: L’Autore allude alle opere di buoni Scrittori, dal Cardinale date in luce ed illustrate, altre nella Nunziatura di Polonia, ed altre nella Legazione Avignonese Bm 249 lor,] lor S; lustri,] lustri S 250 allo] a lo B Bm 253 nota: Come l’Autore scriveva questi versi circa la fine dello scorso anno 1790, così gli è venuto acconciamente descritto la Polonia, (senza virgola B) e la Francia dalle loro attuali circostanze politiche, più che da altro G B 234 la fortuna scelse: ovunque la fortuna fece nascere un artista. 237 modesta: la generosità di Durini non è mai ostentata. 239-240 discinti […] avvinti: in prosa o in versi. 241 Alcide e Tesèo: Ercole e Teseo da vivi scesero negli Inferi. 245-246 la notte / Ruppe: Durini fece emergere dalle tenebre alcuni scrittori del passato. 251 etra: aria, grecismo. 254 s’arretra: allude agli eventi storici della Polonia che cerca di sottrarsi al suo potente vicino russo.
ode xxii Dove il regal Parigi Novi a sè fati oggi prepara, e dove L’ombra pur anco del gran Tosco move Che gli antiqui vestigi Del saper discoperse, e fèo la chiusa Valle sonar di così nobil Musa.
231
260
È ver che, quali entro al lor fondo avito I Fabrizi e i Cammilli Tornar godean tranquilli Pronti sempre del Tebro al sacro invito: Tal di sè solo ei pago Lungi dall’aura popolar s’invola; E mentre il ciel più glorìosa stola Forse d’ordirgli è vago, Tra le ville natali e l’aere puro Da i flutti or sta d’ambizìon securo.
270
256 nota: Si accennano le politiche circostanze della Polonia e della Francia verso il 1790 Bm 257 move] move, S; nota: L’immortale Francesco Petrarca. A questo chiarissimo lume dell’Italia, specialmente, (spezialmente e senza le due virgole B) deve il mondo il risorgimento delle buone lettere, delle belle arti, (senza la virgola B) e della critica erudizione. – La maggior parte delle tante sue opere furono stese da lui nell’amenissima solitudine di Valchiusa, nel distretto Avignonese, ov’egli si ridusse per attendere più posatamente ai suoi studj (studi B), lontano dall’ambizione, (senza la virgola B) e dallo strepito della Corte Papale, che allora risiedeva in Avignone. – Gl’Italiani, pressochè generalmente, riguardano il Petrarca come un mero poeta amoroso senza più. Ma perchè i sommi poeti sono stati in ogni tempo, dal più al meno, grandi uomini così nelle scienze gravi, come ne’ pubblici impieghi, sia di pace, sia di guerra; è quindi da ammirarsi sempre più il buon discernimento del nostro Poeta, che ha saputo in quest’Ode tanto propriamente caratterizzare e Sofocle, e Petrarca G B, Francesco Petrarca sommo Poeta e Filosofo, cui specialmente si dee il risorgimento delle Belle Arti e della critica erudizione presso i moderni. – Quest’ode fu scritta nel 1790 quando la Polonia e la Francia erano agitate dalle politiche novità R, Francesco Petrarca, cui specialmente è dovuto il risorgimento delle Belle Arti e della critica erudizione Bm 259 fèo] feo R Bm 261 È] E R; ver, Bm 262 Fabrizi] Fabrizj R Bm 264 invito:] invito; Bm 255 Parigi: città in cui viveva la Rivoluzione. 257 gran Tosco: Petrarca; si veda la nota di Gambarelli. 262-264 Fabrizi e i Cammilli […] Tebro: la modestia dei due generali romani, tornati alle cure dei loro poderi dopo le guerre contro Pirro e i Veienti, ma sempre disponibili al richiamo della patria, Roma, di cui Tebro, Tevere, è metonimia. 269 ville natali: quelle ereditate dal cardinale a Monza, ovvero Mirabello e Mirabellino, poste frontalmente l’una rispetto all’altra e separate da un enorme parco; la seconda era destinata prevalentemente agli ospiti.
232
giuseppe parini Ma i cari studj a lui compagni annosi, E a i popoli ed all’arti I beneficj sparti Son del suo corso splendidi riposi. Vedi ampliarsi alterno Di moli aspetto ed orti ed agri ameni, Onde quei che al suo merto accesser beni E il tesoro paterno Versa; e dovunque divertir gli piaccia, L’ozio da i campi e l’atra inopia caccia.
280
Vedi i portici e gli atrj ov’ei conduce Il fervido pensiere, E le di libri altere Pareti, che del vero apron la luce: O ch’ei di sè maestro Nell’alto de le cose ami recesso Gir meditando, o il plettro a lui concesso Tentar con facil estro; E in carmi, onde la bella alma si spande, Soavi all’amistà tesser ghirlande.
290
Ed ecco il tempio ove, negati altronde, 271 studj] studi B 275 ampliarsi] amplïarsi B R Bm 276 ameni,] ameni R, ameni; Bm 277 quei] quei, Bm; beni, Bm 281 atrj] atrj, Bm 284 Pareti,] Pareti B R 285 ei] ei, Bm; maestro, Bm 287 meditando,] meditando; Bm 289 carmi,] carmi R; spande,] spande R 291 nota: Quand’anche non fosse generalmente noto, (senza virgola B) che il Cardinale ha collocati in una sua magnifica villa i ritratti, fra gli altri, di varj (vari B) Letterati viventi della sua patria, ci è quì espresso con tanta chiarezza, (senza virgola B) da rendere superfluo qualunque commento G B, Il CARDINALE aveva raccolto in una magnifica sala i busti de’ grandi uomini Italiani, e fra gli altri, di alcuni viventi Lombardi, siccome di PARINI, dell’Agnesi, e simili R, Il Cardinale aveva raccolto in una magnifica sala i busti de’ grandi uomini Italiani; e, tra gli altri, di alcuni celebri Milanesi, che vivevano ai suoi tempi, siccome di Parini e d’altri molti Bm 271 compagni annosi: vecchi compagni. 276 moli: edifici. 279 divertir: soggiornare, allontanandosi dalla città; latinismo, come agri (campi) e accesser (si aggiunsero). 280 atra inopia: oscura miseria, latinismo. 285-286 di sè maestro […] recesso: ammaestrandosi da solo, nel più alto silenzio. 288 Tentar con facil: si riferisce alle due occupazioni intellettuali del cardinale, sia mentre passeggia e medita, sia quando compone versi.
ode xxii Qual da novo Elicona Premj all’ingegno ei dona; E fiamme acri d’onore altrui diffonde. Ecco ne’ segni sculti Quei che del nome lor la patria ornaro, Onde sol generoso erge all’avaro Oblìo nobili insulti; E quelle glorie a la città rivela, Ch’ella a sè stessa ingiurìosa cela.
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300
Dove o Cetra? Non più. Rari i discreti Sono: e la turba è densa Che già derider pensa I facili del labbro a uscir segreti. Di lui questa all’orecchio Parte de’ sensi miei salgane occulta, Sì che del cor, che al beneficio esulta, Troppo limpido specchio Non sia che fiato invidìoso appanni, Che me di vanti e lui d’error condanni.
310
Lungi o profani! Io d’importuna lode Vile mai non apersi Cambio; nè in blandi versi Al giudizio volgar so tesser frode. Oro nè gemme vani 292 Elicona] Elicona, Bm 293 Premj] Premi R 296 Quei] Quei, Bm; ornaro,] ornàro R 299 rivela,] rivela R 300 ingiurìosa] ingiuriosa S 301 Dove] Dove, Bm 302 Sono:] Sono; Bm; densa] densa, S 306 occulta,] occulta; S Bm 307 cor,] cor B R; esulta,] esulta R 309 appanni,] appanni R 311 Lungi] Lungi, Bm; profani!] profani. S R 313 Cambio;] Cambio: S 315 Oro] Oro, Bm 291 tempio: riferimento alla galleria della villa di Mirabellino, per cui si veda la nota di Gambarelli. 301 Dove o Cetra?: cfr. Orazio: «Quo, Musa, tendis?» (Carm. iii. iii.70); il poeta per modestia non rivela la presenza del suo busto tra quelli della galleria nella villa del cardinale. 309 fiato […] appanni: Parini non vuole che i sentimenti sinceri del suo cuore siano appannati dall’invidia come uno specchio terso dal fiato. 311 Lungi o profani!: cfr. Orazio: «Odi profanum vulgus et arceo» (Carm. iii. i.1); Virgilio: «Procul o procul este, profani» (Aen. vi.258).
234
giuseppe parini Sono al mio canto: e dove splenda il merto Là di fiore immortal ponendo serto Vo con libere mani: Nè me stesso nè altrui allor lusingo Che poetica luce al vero io cingo.
316 canto:] canto; Bm; merto] merto, B Bm stesso, Bm; lusingo, Bm
318 mani:] mani; Bm
320 319 stesso]
318 libere mani: libere dal servilismo. 320 vero: parola chiave della poesia pariniana, ribadita nell’ultimo verso del componimento che nel 1791 chiudeva la silloge di odi.
XXIII a Raccolta Alberto di Castelbarco Albani. b Ambr. II 4, pp. 31-36. m Ambr. III 9, pp. 9-11. o Ambr. III 5, pp. 1-8. n Ambr. III 9, pp. 39-42. P (vd. Edizioni P), pp. 177-181. S (vd. Edizioni S. C. n. 14), pp. 217-224. t Trivulziano 890, pp. 27-37. Copia calligrafica presente nella collezione di Giovannni Biancardi (vd. I manoscritti). B 125-129 (nota 167). R 186-195. Bm 231-235.
Analizzando il testo base, le due copie autografe a e b rappresentano la prima versione dell’ode, le oscillazioni essendo minime; quanto alle correzioni, in a si registrano al v. 28, completamente cassato e corretto con freschi ligustri e rose, e ai vv. 77 e 125, implicati tra loro dal termine aere (al v. 77, al precedente aere è stato sostituito aria e al v. 125 è accaduto il contrario); essendo tutte già recepite da b – l’unico caso in cui a contiene già la lezione a testo è il v. 66 – si propende per indicare a come capofila. Inviato l’esemplare di dedica alla destinataria, Parini apporrà alcuni cambiamenti in b, al v. 66 cassando molle e sostituendolo con lene (già nel testo in a, segno di una indecisione iniziale del poeta), che lo soppianterà in tutti gli altri luoghi – tranne in P, in cui lo stampatore riporta la lezione da un autografo in suo possesso senza badare alla successione dei testimoni – e proponendo ai vv. 37-38 due possibili soluzioni: inizialmente, in interlinea, Ben può ben può sollecito / D’altro pudor costume e poi, a margine, senza cancellare la correzione precedente, Ben può ben puoi tu rigido / Di bel parlar costume; al v. 102, il lemma giovinetto viene sostituito da pargoletto, al v. 105, Esercitan viene mutato in Provan tra lor e al v. 107 sospiran corregge in interlinea s’apprestano. Le correzioni di b appaiono tutte del medesimo inchiostro più scuro e dunque posteriori alla stesura del testo base dell’ode, compreso il lene del v. 66 mutato, per implicazione col v. 31, in molle e passato in tutti gli altri codici prima della stampa del ’95; oltre a ciò i cambiamenti dei vv. 37-38 non mostrano una scelta definitiva, non essendo stato cassato un verso a favore dell’altro e, al v. 39, la voce verbale di terza persona ama ricalcata sulla precedente ami è incongrua col ‘tu’ soggetto della soluzione riportata a latere; al v. 102 il termine giovinetto è comune a tutti i testimoni manoscritti e alle stampe (nell’apparato di Isella manca la segnalazione nell’esemplare di dedica, nella stampa B e in R che registra pargoletto tra le lezioni varie) e la variante di b risulta poco plausibile in un poeta che non ammette l’iterazione dello stesso vocabolo in posizione ravvicinata (implicherebbe con pargoletti al v. 58), se non con evidenti motivazioni retoriche. Tali varianti, poco consentanee all’esigenza dei Parini sempre tesa all’eufo-
236
giuseppe parini
nia e alla tornitura del verso, non verranno accolte né dagli altri codici né dalle stampe e sono pertanto da considerarsi innovazioni momentanee legate a una fase ancora fluida del testo, come accade, ad esempio, nelle odi v e xiv, anche alla luce della consuetudine del poeta, ricavabile dall’analisi del suo modus operandi nei confronti dell’intero corpus delle odi, di apporre le correzioni successive in margine a un esemplare a stampa in suo possesso. Si deve infine aggiungere che le lezioni base di b riportavano al v. 3 la forma palatizzata costrignere al posto di costringere, vulgo invece di volgo al v. 79 e Fra invece di Tra al v. 118, mentre in tutti gli altri testimoni manoscritti e nelle stampe erano state soppiantate (per il gruppo gn stesso intervento si riscontra tra mss. e stampe all’ode iv.8 in cui cigne diventa cinge) e parrebbe davvero inusuale che Parini, intervenendo sul codice, cosa che, come si è detto, non avviene in nessun’altra ode, non abbia corretto quanto già da lui legittimato dalla stampa. Non ci pare convincente l’ipotesi di Isella (p. 65) secondo cui il poeta sarebbe tornato a correggere il manoscritto dopo la princeps dell’«Anno poetico» del ’95. Nonostante non sia stato ritrovato alcun documento che comprovi l’invio del testo da parte del poeta al periodico, sappiamo che ne aveva contezza dal momento che scrive da Vàvero d’Adda l’11 novembre 1795 a Bernardoni per modificare il titolo con il quale era apparso nell’«Anno poetico», Alla signora contessa Castelbarco: «La Canzone all’inclita Nice non amo che abbia nota veruna indicante la persona, a cui è supposta diretta» (Viola, p. 229). In mancanza di dati certi circa la datazione dell’edizione Bolzani e seguendo il criterio dell’uniformità cui si riferisce ne La presente edizione, non possiamo che adottare anche in questo caso il testo della princeps emendandolo di alcuni manifesti errori che risultano alla collazione con gli autografi e con le stampe successive P B R Bm, e mutuando il titolo dalla lettera di Parini e non dalla prima edizione perché rifiutato. Tale scelta trova peraltro un perfetto accordo con le diverse testimonianze di cui siamo in possesso, dal momento che né l’edizione Bolzani, né quella di Pirola, né i torchi del Bodoni del 1799 né la Bernardoni del 1814 si sono discostati dal testo dell’«Anno poetico» se non per le consuete particolarità grafiche proprie di ogni editore, a eccezione della variante al v. 66 di P e delle lezioni di R che risultano contaminatorie, dal momento che a volte scelgono il testo base di b e a volte le sue correzioni. L’ordine dei testimoni è puramente elencatorio e verranno trasferite in apparato le lezioni di b non accolte dalle stampe unitamente alle piccole divergenze relative alle altre redazioni ed edizioni, tralasciando le minuzie grafiche di o e di t, copia calligrafica del Trivulzio, molto vicina alla princeps. Si è intervenuti sul testo dunque per correggere al v. 12 piacere per pensiero perché svista di S, al v. 15 Tutto per Tutta perché incongruo con il sostantivo femminile cui si riferisce e, nello stesso verso, veggio per vegg’io perché lectio facilior; al v. 35 de’ in di e al v. 39 de l’ in dell’; al v. 56 se è stato cambiato in sé perché pronome, al v. 67 portando i in portando e i, perché semplice svarione, al v. 107 s’apprestano per s’appressano perché lezione semplificatoria della sola S.
ode xxiii
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AL L’ INC L ITA NIC E
Quando novelle a chiedere Manda l’inclita Nice Del piè, che me costringere Suole al letto infelice, Sento repente l’intimo Petto agitarsi del bel nome al suon.
6
Rapido il sangue fluttua Ne le mie vene: invade Acre calor le trepide Fibre: m’arrosso, cade
Titolo: Alla Sig.ra (signora S) Contessa (c- S) Castelbarco ODE o S (solo Ode t); Per l’inclita Nice a b; al titolo a fa seguire Ode; m ricalca I- su i- e fa seguire Ode dell’Ab.te Parini, Il messaggio R, cui segue la nota: Per l’inclita Nice, ossia MARIA DI CASTELBARCO; B nella nota scrive: Fatta nel 1793; Bm la intitola Per l’inclita Nice e poi annota: Quest’Ode fu composta nel 1793. Nella edizione del sig. Reina, essa ha per titolo: Il Messaggio. In una lettera, che l’Autore scriveva il dì 11 Novembre del 1795 al pubblicatore del presente volume, si notano le seguenti parole: «La Canzone all’inclita Nice non amo che abbia nota veruna, indicante la persona, a cui è supposta diretta». 2 inclita] Inclita a b m (ricalcato come nel titolo) 3 piè,] piè m o n P B; costringere] costrignere a b 8 ne le] nelle n o; vene; Bm 10 Fibre:] Fibre, R, Fibre; Bm; arrosso,] arrosso: B, arrosso; Bm XXIII . Coppie di strofe formate da cinque settenari e un endecasillabo secondo lo schema abcbdE; l’endecasillabo tronco rima con quello della seconda semistrofa. Omaggio alla bellezza e al fascino femminile, il componimento si carica di una valenza ancora più profonda nel momento in cui il poeta immagina la sua morte e il perdurare del suo sentimento in una sorta di fremito proveniente dalla tomba alla percezione auditiva del nome della donna, non dissimile da quanto accade in vita. 2 Nice: nome arcadico; anche nelle Rime del Sannazzaro rappresenta il forte disincanto degli amori giovanili e, nel contempo, la memoria dell’innamoramento. Cfr. Metastasio: «Grazie agl’inganni tuoi / Alfin respiro o Nice» (La libertà A Nice 1-2); il nome è utilizzato molte volte da Parini negli epigrammi per i parafuochi, ventole, ventagli e nei sonetti. 3 Del piè: la malattia agli arti inferiori che affliggeva il poeta. 7 Rapido […] fluttua: cfr. Saffo (xiv.9-15) e la versione di Catullo (Carm. li). Cfr. ode xvi.73-75. 10-11 cade / La voce: il flebile e tremante suono della voce, messo in evidenza dall’enjambement, tornerà nell’ultima strofa a caratterizzare il motivo portante del-
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giuseppe parini La voce, ed al rispondere Util pensiero in van cerco e sermon.
12
Ride, cred’io, partendosi Il messo, e allor soletto Tutta vegg’ io con l’animo Pien di nuovo diletto Tutta di lei la immagine Dentro a la calda fantasia venir.
18
Ed ecco ed ecco sorgere Le delicate forme Sovra il bel fianco, e mobili Scender con lucid’orme, Che mal può la dovizia De l’ondeggiante al piè veste coprir.
24
Ecco spiegarsi e l’omero E le braccia orgogliose, Cui di rugiada nudrono Freschi ligustri e rose; 11 la voce,] la voce: a b n, la voce; B R Bm 12 pensiero] piacere S, pensiere o; in van] invan n o 14 Il messo, e] Il messo. E a b B R Bm 15 Tutta] Tutto S; veggio S; io, a b 16 nuovo] novo a b P B R Bm 17 la] l’ m; imagine Bm 18 a la] la P, alla n; fantasìa B R 19 Ed ecco] Ed ecco, Bm 20 delicate] dilicate P 21 fianco,] fianco; b 24 De l’] Dell’a b B R Bm 25 omero] omero, a Bm 26 orgogliose,] orgogliose R 27 nudrono] nutrono P m o t 28 Bianche viole e rose cassato e corretto con la lezione a testo a; rose, B R l’ode. Vd. Orazio: «Cur […] inter verba cadit lingua silentio?» (Carm. iv. i.35-36), la tradizione provenzale e i poeti medievali fino a Dante: «Ch’ogne lingua deven tremando muta» (VN xxvi. Tanto gentile e tanto onesta pare.3). 13 Ride: il probabile sorriso di dileggio del messaggero è visto come un’esclusione, dal momento che il servo è estraneo al sentimento del poeta che, rimasto solo, potrà liberamente vagheggiare l’immagine della donna; di tutt’altra matrice, il sorriso di Nice ai vv. 61-62. 18 calda fantasia: la stessa coppia aggettivo/sostantivo impiegata nell’ode ii.129. 22 lucid’orme: le membra ben visibili della donna, nonostante la veste ondeggiante. 27 Cui: Bertoldi fa notare che le braccia e le spalle si nutrono di bianchi ligustri e rose, dunque il freschi risulta aggettivo di entrambi.
ode xxiii E il bruno sottilissimo Crine, che sovra lor volando va,
239 30
E quasi molle cumulo Crescer di neve alpina La man, che ne le floride Dita lieve declina Cara de’ baci invidia, Che riverenza contener poi sa.
36
Ben puoi tu nuovo illepido Sceso tra noi costume, Che vano ami dell’avide Luci render l’acume, Altre involar delizie Immenso intorno a lor volgendo vel.
42
Ma non celar la grazia Nè il vezzo che circonda Il volto affatto simile A quel de la gioconda Ebe, che nobil premio Al magnanimo Alcide è data in ciel.
48
Nè il guardo, che dissimula Quanto in altrui prevale, 30 Crine,] Crine B R; va,] va. a P B, va: b B, va; t o Bm 32 alpina] alpina, a 33 man,] man B R; ne le] nelle m 35 de’] di S; invidia B R 37-38 Ben può ben può sollecito D’almo pudor costume sovrascritto sulla lez. a testo e poi, al margine destro, senza aver cancellato la lezione precedente, Ben puoi ben puoi tu rigido Di bel pudor costume, b; novo omnes 39 ami] ama b; dell’] de l’ S 40 acume,] acume R 41 delizie] delizie, b B R Bm 42 vel.] vel: a b R Bm, vel; B 43 la grazia] le grazie P 44 vezzo] vezzo, a b n Bm 46 de la] della n 47 Ebe,] Ebe B R 48 ciel.] ciel: B, ciel; m Bm 49 guardo,] guardo B R 50 prevale,] prevale; a b R Bm 35 Cara […] invidia: la mano suscita un forte desiderio di baci, dal francese envie. 36 riverenza: il rispetto a bloccare l’impeto, anche nell’immaginazione. 37-42 illepido […] vel: la moda francese di coprire la scollatura e le spalle con un velo. 47 Ebe: la dea della giovinezza, andata in sposa a Ercole; Parini gioca con l’onomastica, dal momento che il coniuge della destinataria si chiamava Ercole. 50-52 Quanto […] assale: quanto è grande il potere che il suo fascino esercita sugli uomini.
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giuseppe parini E volto poi con subito Impeto i cori assale Qual Parto sagittario Che più certi fuggendo i colpi ottien.
54
Nè i labbri or dolce tumidi, Or dolce in sè ristretti A cui gelosi temono Gli amori pargoletti Non omai tutto a suggere Doni Venere madre il suo bel sen.
60
I labbri, onde il sorridere Gratissimo balena, Onde l’eletto e nitido Parlar, che l’alme affrena, Cade, come di limpide Acque lungo il pendio lene rumor.
66
Seco portando e i fulgidi Sensi ora lieti or gravi, E i geníali studj, E i costumi soavi, 51 volto] vòlto B Bm 52 cori] cuori m 53 sagittario] sagittario, a b P Bm 54 Che più certi, fuggendo, i colpi ottien: B Bm 56 sè] se S t 58 amori] Amori a b B Bm t 60 sen.] sen: a b m R, sen; B Bm 61 I labbri,] Il labbro P, I labbri BR 62 balena,] balena; B Bm, balena n R 64 Parlar,] Parlar B R 65 Cade,] Cade B 66 lene] molle cassato e corretto con la lezione a testo b (lezione anche di P); pendìo omnes; rumor; b m Bm, rumor, a B R 67 e i] i o S t 69 geníali] geniali abPmn 70 soavi,] soavi; b, soavi n R 53 Parto sagittario: la similitudine ricorda l’abilità dei Parti nel colpire i nemici con le frecce mentre simulano la fuga. 57-60 gelosi […] bel sen: gli Amorini temono che Venere li possa trascurare, porgendo a Nice il suo nutrimento. 61-62 I labbri […] balena: il sorriso della dedicataria si diffonde come un lampo; già nell’ode ix.9-10: «lampo ardente […] riso» il poeta aveva accostato i due termini; cfr. Dante: «Un lampeggiar di riso dimostrommi?» (Purg. xxi.114), Tasso: «balenar di riso» (GL xviii.13), «E repente fra i nuvoli del pianto / Un soave sorriso apre e balena» (GL xix.70). 64 affrena: soggioga. 66 lene: piacevole. 68 Sensi: i sentimenti nobili. 69 genííali studj: conformi cioè alle proprie inclinazioni.
ode xxiii Onde salir può nobile Chi ben d’ampia fortuna usa il favor.
241 72
Ahi la vivace immagine Tanto pareggia il vero, Che del piè leso immemore L’opra del mio pensiero Seguir già tento, e l’aria Con la delusa man cercando vo.
78
Sciocco volgo, a che mormori? A che su per le infeste Dita ridendo noveri Quante volte il celeste A visitar aríete Dopo il natal mio dì Febo tornò?
84
A me disse il mio Genio, Allor ch’io nacqui: l’oro Non fia che te solleciti, Nè l’inane decoro De’ titoli, nè il perfido Desio di superare altri in poter:
90
73 Ahi] Ahi, a b, Ahi! P B R Bm 74 vero,] vero R 75 Che] Che, a b 77 tento,] tento; a b R; aria] aere cassato e corretto con la lezione a testo a 79 volgo,] vulgo a b R, volgo n; mormori, a b m R, mormori n 81 Dita ridendo] dita, ridendo, a B, ridente n; nòveri, Bm 83 visitar] visitare omnes; Ariete a b m, ariete P n o R t 86 l’oro] L’oro a b B Bm 90 Desio] Desìo R B Bm; poter:] poter. a b P n R Bm, poter; B 71 Onde: attraverso cui. 76 L’opra del mio pensiero: l’immagine pare reale e il poeta vorrebbe afferrare il fantasma; cfr.Virgilio: «ter frustra comprensa manus effugit imago» (Aen. ii.793, Aen. vi.701). 79 Sciocco […] mormori: come il servo del v. 14, che non potendo comprenderne i sentimenti ride del poeta, così generalmente il volgo sciocco si perde a contare l’età avanzata di Parini (nel 1793 aveva 64 anni): in entrambi i casi si tratta di voci prosaiche che nulla hanno a che fare con il dialogo stabilito tra Nice e il suo cantore. La costellazione dell’Ariete e il riferimento a Febo, il sole, indicano quante volte il segno zodiacale sia stato visitato dal sole, cioè quante sono le primavere del poeta. 85 Genio: nume tutelare.
242
giuseppe parini Ma di natura i liberi Doni ed affetti, e il grato De la beltà spettacolo Te renderan beato, Te di vagare indocile Per lungo di speranze arduo sentier.
96
Inclita Nice, il secolo, Che di te s’orna e splende, Arde già gli assi, l’ultimo Lustro già tocca, e scende Ad incontrar le tenebre, Onde una volta giovinetto uscì.
102
E già vicine ai limiti Del tempo i piedi e l’ali Esercitan le vergini Ore, che a noi mortali Già di guidar s’ apprestano Del secol, che matura, il primo dì.
108
Ei te vedrà nel nascere Fresca e leggiadra ancora Pur di recenti grazie 94 beato,] beato a b (B-) n 97 Nice,] Nice. b, Nice: R; Il secolo b; secolo n o B R 99 assi,] assi. b, assi: P R, assi; a B Bm 102 giovinetto] giovanetto m, giovinetto poi cassato e corretto in pargoletto b 103 già] già, a; vicine] vicino b (con la -o ricalcata su precedente -e, mentre in a -e su -o); a i B R Bm 105 Esercitan] cassato in b e corretto in Provan tra lor (che è lezione anche di R) 106 Ore,] Ore o B Bm 107 s’apprestano] cassato in b e corretto in sospirano (che è lezione anche di R), s’appressano S 108 secol,] secol o B R 95 Te […] indocile: dopo la pars destruens, il poeta afferma con vigore il suo ideale di vita e di poesia già espresso nei testi precedenti, come nelle odi ii, iii, xv e xix. 99 Arde già gli assi: il secolo sta concludendo il suo corso; cfr. Virgilio: «volat vi fervidus axis» (Georg. iii.107). 102 giovinetto: la variante di b non è stata accettata perché implicherebbe col pargoletti del v. 58. 106 Ore: le ministre di Giove. 108 Del secol, che matura: il secolo imminente. 109 Ei: il secolo.
ode xxiii Gareggiar con l’Aurora, E di mirarti cupido De’ tuoi begli anni farà lento il vol.
243
114
Ma io forse già polvere, Che senso altro non serba Fuor che di te giacendomi Fra le pie zolle e l’erba Attenderò chi dicami Vale passando, e ti sia lieve il suol.
120
Deh alcun, che te ne l’aureo Cocchio trascorrer veggia Su la via che fra gli alberi Suburbana verdeggia, Faccia a me intorno l’aere Modulato del tuo nome volar.
126
Colpito allor da brivido Religíoso il core Fermerà il passo, e attonito Udrà del tuo cantore Le commosse reliquie Sotto la terra argute sibilar.
132
113 cupido] cupido, a B Bm 115 io] io, a b R Bm; polvere,] polvere B R 116 serba] serba, B Bm 118 Fra] Tra B Bm 119 dicami] dicami: a B R Bm 120 Vale] Vale, B Bm; passando; Bm 121 Deh] Deh! m n R; nell’ a b B R Bm 122 veggia] veggia, R 123 via] via, a b n; tra m 124 nota: Gran viale in Milano fuori di Porta orientale, ove è il corso di carrozze. Là presso v’ha il campo santo: detta parrocchia del poeta S 125 l’aere] l’aere, a su precedente aria, aëre Bm 126 nome volar.] nome, sonar! a Bm (senza virgola) B P, nome volar; m, nome suonar! n 128 Religíoso] Religioso P m n o; core, a b B Bm 129 passo,] passo; a b 113 E di mirarti cupido: desideroso di poterti ammirare. 115 Ma io: il poeta immagina malinconicamente il suo sepolcro, pie zolle v. 118. Cfr.: «Tempo verrà anchor forse» (RVF cxxvi.27). 120 Vale: è il topos del saluto alla tomba da parte dei latini, Vale, sit lerra levis. 127-128 brivido / Religíoso: il suono del nome di Nice provocherà un brivido nel passante che coglierà la sacralità della voce, quasi atteggiata in atto di preghiera. 132 sibilar: la corporeità del suono; come se il soffio dell’interiorità dei vivi potesse essere capace di generare un’armonia tale da suscitare il gemito del poeta.
XXIV m Ambr. III 9, pp. 1-2. Sv (vd. Edizioni S. C. n. 14), iii, pp. 225-231. sc Ms. Schiera cc. 75v-76v. Svv (vd. Edizioni S. C. n. 13), vi, pp. 12-16. S (vd. Edizioni S. C. n. 15). Sc (vd. Edizioni S. C. n. 17), pp. iii-viii. Sr collezione Giovanni Biancardi. B 131-137 (nota 167). R 197-205. Bm 237-241.
m risulta molto accurato e precise appaiono le correzioni volute dal poeta ai vv. 69, 73, 81, 82, 111, 113 che trasmigreranno nelle edizioni successive, tranne che nell’«Anno poetico», portatore di lezioni ancora legate al testo base di m (vv. 69, 82, 111, 113) e di molte altre sviste grafiche e interpuntorie, unitamente a veri e propri svarioni come ai vv. 64 nefando, 73 Lidia, 96 licenziosi, 112 Latine; sc risulta posteriore all’«Anno poetico» e probabilmente coevo al «Giornale poetico», altra pubblicazione veneziana uscita nei primi mesi del 1795, ma mai messa a profitto dai precedenti editori per via della data del periodico, 1794, quarto trimestre, uscita in ritardo (cfr. Pozzi, pp. 759-780). In tale edizione, il testo del «Giornale poetico» accoglie gli emendamenti del poeta, ma commette un manifesto errore al v. 52 (avvenue) ed è ancora impreciso nella grafia come sc, peraltro, anch’esso in linea con i cambiamenti di m, fatta eccezione per la doppia variante del v. 82 dove l’espressione Di più nefando in m è stata cassata e corretta prima con Di più ferale, poi con d’abbominando; sc farà propria di più ferale, ossia la lezione intermedia, mentre il «Giornale poetico», pur accogliendo l’ultima lezione, la legge in modo impreciso di abbominando. Altro testimone non conosciuto finora, Sr, la Stampa Davolio, di Reggio, senza annotazione di anno, priva di numerazione, ha in comune con sc alcuni errori, spesso lectio facilior; molte le grafie approssimative riscontrate anche nel «Giornale poetico», altri svarioni propri; tale stampa è successiva a Sv perché i luoghi cruciali, ai vv. 69, 82, 111, corretti in m, rappresentano già la lezione a testo; due i fraintendimenti, per lectio facilior, ai vv. 25 e 45, Che fai? e Ah! In luogo di Che fia? e Ahi!, il primo in comune con sc. Contiene inoltre una nota esplicativa prima dell’ode: «Il vestire alla Guillotine è tutto bianco; il petto scoperto: un bindello rosso al collo: i capei neri, e che discendendo coprano alcun poco il volto, ed anche il seno». S, priva di note tipografiche, in realtà uscita a Como presso Ostinelli, come si deduce dai caratteri e dai fregi, da noi assunta a testo, risulta molto corretta sia nel riportare fedelmente gli interventi correttori del Parini, sia nelle scelte grafiche; la replica del medesimo editore, Sc, invece, è meno curata: in diversi luoghi le lezioni ne risultano trivializzate (vv. 22 nuovo, 25 dubbia, 54 studi, 94 ed), al v. 75 uno svarione: Empièan d’urla e fremito in luogo del corretto Empièan d’urla e di fremito. B R Bm aderiscono alle scelte di S, ad eccezione della geminata al v. 25 dubbia e della scem-
ode xxiv
245
pia al v. 39 imagine per Bm e ancora della scempia al v. 32 scelerata per B e Bm, oltre alle scelte consuete in ambito interpuntorio. L’apparato non registra le varianti di Sc Sr perché repliche di scarsa importanza ai nostri fini. L’ode pariniana, composta nel 1795, ebbe molta fortuna: Carlo Porta aveva cominciato a trasporla in milanese, quando l’arciduca Ferdinando ne diede l’incarico a Francesco Bellati al fine di erudire anche gli strati bassi della popolazione. (Cfr. Giuseppe Bernardoni, Per G. P. considerato specialmente come poeta morale e civile, cit., p. 44). Ci è parso utile, dunque, per ricostruire la storia del testo, farne seguire in corpo minore la versione dialettale.
A S ILVIA
Perchè al bel petto e all’omero Con subita vicenda Perchè, mia Silvia ingenua, Togli l’Indica benda,
4
Che intorno al petto e all’omero, Anzi a la gola e al mento Titolo: A Silvia Ode dell’Ab.e Parini Scritta nell’Inverno dell’anno 1795 m, A Silvia Ode Scritta nell’inverno dell’anno 1795 Sv (senza la dicitura Ode sc), A Silvia Ode Scritta nell’Inverno 1795 S, Sul vestire alla Ghigliotina R; nota: Scritta nell’inverno del 1795 B, Quest’Ode fu scritta nell’inverno del 1795. Nella edizione del sig. Reina essa è intitolata: Sul vestire alla ghigliotina Bm 1 all’] a l’ Sv 2 vicenda] vicenda, m B Bm 3 Perchè] Per che; nota: Quest’ode indirizzata a Silvia, nome immaginario, fu scritta nell’inverno 1795 R 4 Indica] indica m Sv Svv; benda,] benda m 5 all’] a l’ Sv 6 a la] alla Svv XXIV . Quartina di settenari, il primo e il terzo sdruccioli e privi di rima, il secondo e il quarto piani e legati dalla rima secondo lo schema abcb. Nel Carnevale del 1795 si diffuse a Milano una moda che fu chiamata à la guillotine da quando il conte Carlo Leopoldo Stein, comandante generale di S. M. Imperiale, definì scherzosamente con tale espressione abito e acconciatura di una bella signora intervenuta ad un ricevimento. Cfr. Bertoldi. 1 bel petto e all’omero: l’abito e l’acconciatura prevedevano per le signore le spalle scoperte, unitamente al collo su cui si annodava un nastro rosso per simulare il taglio della mannaia. 2 subita vicenda: cambiamento improvviso. 3 Silvia: nome pastorale ricorrente in poesia dal Tasso al Frugoni. Molti antichi commentatori hanno cercato di identificarla con qualche dama milanese, ma non ci sono riscontri certi, né tantomeno è opportuno pensare alla veronese Silvia Curtoni Verza, amica del poeta. 4 Indica benda: sottile sciarpa di seta indiana; cfr. l’Immenso […] vel dell’ode precedente, v. 42.
246
giuseppe parini Sorgea pur or, qual tumida Vela nel mare al vento?
8
Forse spirar di zefiro Senti la tiepid’ora? Ma nel giocondo ariete Non venne il sole ancora.
12
Ecco di neve insolita Bianco l’ispido verno Par che, sebben decrepito, Voglia serbarsi eterno.
16
M’inganno? O il docil animo Già de’ feminei riti Cede al potente imperio: E l’altre belle imiti?
20
Qual nome o il caso o il genio Al novo culto impose, Che sì dannosa copia Svela di gigli e rose?
24
Che fia? Tu arrossi? E dubia, Col guardo al suol dimesso,
9 zefiro] Zefiro m, Zeffiro sc 10 ora?] ora B 11 ariete] arïete B Bm 12 sole] Sole sc Bm 13 Ecco] Ecco, m Bm; neve, Svv 14 verno] verno, m Bm 17 docil] docil’ m 18 feminei] femminei Sv Svv 19 imperio:] imperio; m 20 l’] le Sv 21 nome] nome, Sc Svv 22 novo] nuovo Sc Sv; impose R 25 Che fia?] Che fai? sc; dubia m, dubbia Sv Svv Bm 26 dimesso,] dimesso m 7 tumida: gonfia. 9 zefiro: cfr. Dante: «Zefiro dolce le novelle fronde» (Par. xii.47), Petrarca: «Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena» (RVF cccx.1). 10 ora: aria, brezza; grecismo. 11 ariete: la costellazione che accoglie il sole primaverile non è ancora arrivata. 13 insolita: per il rigore invernale che in quell’anno si protrasse oltre il consueto. 15 decrepito: l’inverno rappresentato come un vecchio. 21 genio: il capriccio della moda. 25 dubia: confusa.
ode xxiv Non so qual detto mormori Mal da le labbra espresso?
247 28
Parla. Ma intesi. Oh barbaro! Oh nato da le dure Selci chiunque togliere Da scellerata scure
32
Osò quel nome, infamia Del secolo spietato; E diè funesti augurii Al femminile ornato;
36
E con le truci Eumenidi Le care Grazie avvinse; E di crudele immagine La tua bellezza tinse!
40
Lascia, mia Silvia ingenua, Lascia cotanto orrore All’altre belle, stupide E di mente e di core.
44
Ahi, da lontana origine, Che occultamente noce, Anco la molle giovane Può divenir feroce.
48
28 espresso?] espresso. Svv 32 scellerata] scelerata m (poi corretto con la lezione a testo) Sv sc Svv B Bm 39 immagine] imagine Bm 42 cotanto] cotant’ Svv 43 All’] A l’ Sv; belle Svv 45 Ahi] Ahi! R Bm; origine,] origine B R 46 noce,] noce m, nuoce, Sv Svv 47 giovane] giovine Sv 28 Mal […] espresso: la risposta di Silvia è incomprensibile perché mal pronunciata, come se provenisse da chi si trovi in imbarazzo. 32 scellerata scure: da cui la moda, alla ghigliottina appunto. 34 spietato: l’epoca del Terrore. 37 truci Eumenidi: le Furie, figlie della Notte; cfr. Ovidio (Met. iv.450 sgg.). 38 care Grazie: per antifrasi vengono a questo punto citate le figlie della dea Venere; cfr. Ovidio (Met. vi.430-431) in cui sono egualmente accostate alla negatività delle Eumenidi. 45 lontana origine: causa lontana. 47-48 molle […] feroce: l’uso antitetico degli aggettivi è quasi un’eco tassiana delle due fanciulle della Gerusalemme Liberata, Erminia e Clorinda; la prima cercherà di
248
giuseppe parini Sai de le donne esimie, Onde sì chiara ottenne Gloria l’antico Tevere, Silvia, sai tu che avvenne;
52
Poi che la spola e il Frigio Ago e gli studj cari Mal si recàro a tedio E i pudibondi Lari;
56
E con baldanza improvvida, Contro a gli esempi primi, Ad ammirar convennero I saltatori e i mimi?
60
Pria tolleraron facili I nomi di Terèo E de la maga Colchica E del nefario Atrèo.
64
49 de le] delle Svv; esimie,] esimie R 53 Poi che] Poichè Svv; frigio Svv 55 recàro] recaro Sv Svv Bm 56 Lari] lari, Svv 57 improvvida,] improvvida m, -v- Sv Svv 58 contro a gli] contro gli Svv; primi,] primi m 63 de la] della Sv; Maga m 64 nefario] nefando Sv emulare l’amica vestendone l’armatura, «benché sia debile e molle» (vi.86); alla seconda si addice invece il secondo epiteto, «la feroce» (xii.61). 53-54 Frigio / Ago: le classiche occupazioni femminili della tessitura e del ricamo in cui eccellevano le donne frigie. – studj cari: le altre cure domestiche, come in Dante: «l’una vegghiava a studio de la culla» (Par. xv.121). 55 a tedio: cfr. Dante: «vedi le triste che lasciaron l’ago» (Inf. xx.121). 56 Lari: riferimento alla casa come luogo di riservatezza e di raccoglimento anche grazie alla protezione delle divinità del focolare. 59 convennero: le donne abbandonano il luogo protetto della casa per accorrere in frotta verso l’esterno. 62 Terèo: serie di riferimenti a miti del repertorio classico, accomunati dall’atrocità, che le donne si abituarono ad ascoltare senza inorridire (facili); il primo è quello di Terèo, il re della Tracia che dopo aver violato Filomela, sorella della moglie Progne, ebbe da lei in pasto le carni di loro figlio Iti. 63 maga Colchica: Medea, figlia del re dei Colchi e famosa per le arti magiche; innamoratasi di Giasone, lo aiutò nella conquista del vello d’oro, ma quando fu da lui abbandonata per Glauce, uccise la rivale e i figli avuti dallo stesso Giasone. 64 Atrèo: padre di Agamennone e Menelao; per punire il fratello Tieste che aveva sedotto sua moglie, prima lo mandò in esilio, poi gli offrì in pasto il figlio.
ode xxiv
249
Ambìto poi spettacolo A i loro immoti cigli Fur ne le orrende favole I trucidati figli.
68
Quindi, perversa l’indole, E fatto il cor più fiero, Dal finto duol, già sazie, Corser sfrenate al vero.
72
E là dove di Libia Le belve in guerra oscena Empièan d’urla e di fremito E di sangue l’arena,
76
Potè all’alte patrizie Come a la plebe oscura Giocoso dar solletico La soffrente natura.
80
65 Ambìto] Ambito R 66 A i] Ai Sv 68 figli.] figli: m 69 Onde, mutata l’i. m poi corretto come a testo, Onde perversa l’i. Sv Svv 71 Del finto duol già sazio Sv 72 Corser sfrenate] Corse sfrenato Sv 73 E là] Allora m poi corretto come a testo, là, Bm; Lidia Sv 75 Empièan] Empiean R; d’urli e di Sv, d’urle Svv 77 all’] a l’ Sv; Patrizie Sv, patrizie, B 80 natura] N- sc Svv 66-67 immoti […] favole: il termine favole designa le azioni drammatiche; i medesimi riferimenti agli stessi miti contraddistinti da crudele atrocità si trovano nell’Ars Poetica di Orazio, che si adopera per scoraggiarne la rappresentazione sulla scena in nome del decoro e della misura, peculiarità necessarie al poeta scenico. Nello stesso passo, il riferimento all’altissima ricettività del senso visivo e l’accostamento di nefarius ad Atreus (181-187): «quam quae sunt oculis subiecta fidelibus et quae / ipse sibi tradit spectator: non tamen intus / digna geri promes in scaenam multaque tolles / ex oculis, quae mox narret facundia praesens: / ne pueros coram populo Medea trucidet / aut Humana palam coquat exta nefarius Atreus, / aut in avem Procne vertatur». 72 Corser […] vero: il verbo riprende il convennero del v. 59, come fiero del v. 70 risponde al feroce del v. 48 e pone in primo piano il desiderio delle donne di assistere a spettacoli atroci nella realtà e non più nella finzione scenica. 73 Libia: estensivamente l’Africa, come in Tasso: «In vano / S’armò d’Asia e di Libia il popol misto» (GL i.1). 77-78 patrizie […] plebe: tutte le donne accomunate dalla crudele eccitazione degli spettacoli degradanti del circo.
250
giuseppe parini Che più? Baccanti, e cupide D’abbominando aspetto, Sol dall’uman pericolo Acuto ebber diletto:
84
E da i gradi e da i circoli Co’ moti e con le voci, Di già maschili, applausero A i duellanti atroci:
88
Creando a sè delizia E de le membra sparte, E de gli estremi aneliti, E del morir con arte.
92
Copri, mia Silvia ingenua, Copri le luci; et odi Come tutti passarono Licenzìose i modi.
96
Il gladiator, terribile Nel guardo e nel sembiante, Spesso fra i chiusi talami Fu ricercato amante.
100
Così, poi che da gli animi Ogni pudor disciolse, 81 Baccanti,] Perverse m che corregge come a testo, Baccanti B Bm 82 D’abbominando] Di più nefando m Sv in m cassato e corretto prima con Di più ferale, poi con la lezione a testo, di più ferale a. sc, di a. a. Svv 83 dall’] da l’ Sv 84 diletto:] diletto; Svv Bm 85 da i … da i] dai … dai Sv Svv 88 A i] Ai Sv; atroci; m Sv Bm 89 sè] se m Sv sc 90 de le] delle Svv; sparte m 91 de gli] degli Svv; aneliti m 93 Copri,] Copri m; luci, Sv Svv; ingenua m 94 et] ed Sv sc R 96 Licenzïose] Licenziose Svv 98 guardo] guardo, sc Svv 101 Così,] Così m; poichè dagli Svv 81-84 Baccanti […] diletto: cfr. ode xii.26-27: «folli/Mènadi». 82 abbominando: riprovevole; cfr. Ariosto: «ma ne li vizii abominandi e brutti» (OF ii.58). 84 Acuto: sottolinea l’intensità di quel piacere morboso. 85 da i gradi e da i circoli: endiadi, dai gradini dell’anfiteatro.
ode xxiv Vigor da la libidine La crudeltà raccolse.
251 104
Indi a i veleni taciti Si preparò la mano: Indi le madri ardirono Di concepire in vano.
108
Tal da lene principio In fatali rovine Cadde il valor la gloria De le donne Latine.
112
Fuggi, mia Silvia ingenua, Quel nome e quelle forme, Che petulante indizio Son di misfatto enorme.
116
Non obliar le origini De la licenza antica. Pensaci: e serba il titolo D’umana e di pudica.
120
103 da la] de la sc 105 a i] ai Sv 106 mano:] mano, Sv, mano; Svv, mano B, mano; Bm 107 ardirono] ardirono: B 108 in vano] invano Svv 111 il valor] l’onor m (che poi sovrascrive la lezione a testo) Sv Svv, valor, B 112 Latine] latine m Sv sc Svv 113 Fuggi,] Togli m che poi sovrascrive la lezione a testo priva di virgole Sv Svv; ingenua,] ingenua m 114 forme,] forme B R 117 obliar] obblïar Sv Svv BR 118 De la] Della Svv 120 D’umana] Di umana Svv 109 lene principio: da una causa di poco conto, come il non dedicarsi più alle tranquille occupazioni domestiche, il genere femminile ha intrapreso una sorta di descensio degradante verso ben più turpi vizi. 114 nome […] forme: il vestire alla ghigliottina, sia nel nome attribuito alla moda, sia nelle forme degli abiti che ad essa alludono, è da evitarsi: il poeta si astiene perfino dal nominarlo. 115-116 petulante […] enorme: non si conviene a una gentile fanciulla neppure scherzare, come propone la civetteria tipica della moda, con i crudeli reati di cui si è narrato in precedenza. 119 Pensaci: la chiusa riporta a un tono maggiormente pacato.
252
giuseppe parini
Si riporta la traduzione in milanese di Francesco Bellati. Il testo è stato stampato privo del nome dell’autore, come del luogo di stampa e dello stampatore; vd. Edizioni S. C. n. 16. D’UN ALTRO AUTORE ODE a SILVIA molto bella D’on Autor de conclusion, Staa tradota in manch de quella In lenguagg de buseccon Par amor de quella gent, Che ’l Toscan ghe liga i dent. Cossè, l’ è sta novitaa La mia Sura Regolizia? Gh’ è pù ’l vell inamedaa? Coss’ett faa, brutta sporchizia? T’ee scovert i spall, e ’l sen, Mostrand quell che no stà ben? Per che cossa t’ee tolt via Quij sgonfion faa col ramett, Che a bon cunt quattaven via La pell tencia, col gossett, E no se vedeva on pel Con quel piatt de laccemel? Credet fors che la stagion La comenza a vegnì caìda? Che’l panett faa sù a sgonfìon El soffega, e ’l te rescalda? Cara ti, cuntel ai mort: Fa anmò fregg, e de che sort. Vedet nò che gh’è sui tegg La nev volta tant inscì? E che anch ben che’l temp del fregg El sia vora de fornì, El paar propi che l’inverna El s’ incoccia d’ess eterna? El inscì? o eel fors perchè Ambiziosa che te see, T’è piasuu de fatt vedè, Brutta squinzia, a corr adree Aj usanz de j olter donn
ode xxiv Par fass cred gran chiccheronn? Chi ha daa ’l nomm a sta toa usanza, Che fa ved tugg i sporchizzi? Eela stada pettulanza, Eel staa ’l caas, o eel staa on caprizzi? O l’ è stada, giuradina! La Madamm della guardina? Cossè l’è? te vegnet rossa, E te fee la vergognosa? Te me mettet propri ingossa A vedett inscì smorfiosa. Parla ciar, o stortacoll; Mi no vuj di mezz paroll. Dì sù donca. Ma hoo capii; L’ è en canaja razza porca Quell ch’ ha miss a sto vestii Quell brutt nomm, quell nomm de forca, Tolt da on porch d’ on istroment, Ch’ ha mazzaa tanci innozent. Istroment che ne fa orror, Istroment d’iniquitaa, La vergogna, e ’l desonor De sto sequel d’ empietaa, Che l’ ingura ai mod di donn Conseguenz i pù baronn. Con sta moda i tò bei grazi Paren propri in man di strij: No minaccien che desgrazi Baronad, e porcarij; E la toa figura bella La deventa ona porscella. Cara Silvia, trà al malann Quella vesta bolgironna. I donn savi no han de usann: Quella moda l’ è giust bonna Par i donn ch’ hin leggerinn. Sguansg, baltrocch, e facc bronzinn. Quand gh’ è el dolz, ah no ghe voeur Minga j argen, nè la mennera Par guastà, par voltà el coeur D’ ona donna, che sia tenera: In pocch temp lee la deventa Ona turca reneghenta. T’havaree, Silvia, sentuu
253
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giuseppe parini A descorr de quij matronn, Che in Romma even cognossuu Donn de cà, modest, e bonn; Che i soeu oper hin staa in somma Par tanc agn l’onor de Romma. Seet coss’è suzzess in fin De sti donn tant vertuos Dopo ch’ han traa via el cossin, E no hin staa pù studios, Che han lassaa in bandon la cà, E s’in miss a baltroccà? Pettulant comè ona sprella Se vedeven par i piazz A dà ment ai Porcinella, Ciarlatan, Buffon, Pajazz; E sentiven con savor i porcad, che dis costor. E l’istoria de Medea, E de tugg quij olter boja Eren coss par lor de ea; E i sentiven con gran gioja Quant pussee gh’ intrava dent Crudeltaa, e mazzament. Han possuu dopo resist A vedè sti istori in scenna: Con piasè costor han vist Ona mader, che la svenna Cont on still i soeu fancitt, Che al ciel alzen i manitt. Inscì avend faa denter l’oss A sta sort de cagnitaa, S’ hin stuffii de ved sti coss Solament rappresentaa, Han volsuu peù in quai manera Vedenn anch de quij davvera. S’hin faa lezzet sti sciarbatter D’ andà a ved a fa la lotta Cont i tigher in tijatter Ona truppa de gent biotta, Che sgariva, e urlava fort, E paricc restaven mort. Lì gh’ aveven on gust matt Tant el Poppel, che quij Damm De ved i omen a combatt
ode xxiv Cont i besti mort de famm, E i vedeven con legrìa A dà ai ant a bagnmaria. Anzi peù quij crudelasc Sangu de scimes, coeur de can, Han avuu pussee el corasc De vedè coi still in man Ommen e ommen a strappass I cavij, e sbuseccass. E mezz foeura di palchitt Tugg vosaven, e rideven A vedè quij spadazzit lnscì biott, che se batteven: E quand daven di ferid Se metteven pussee a rid. Lor l’aveven par un spass De vedè morì quij gent; De sentij a lumentass, Tappellaa, tutt sanguanent, Senza gamb, o senza brasc Voltaa in tera come on strasc. Voeutt sentinn de pesg anmò, La mia Silvia, de costor? Quatra j oeugg, e bassi sgiò, Che l’ è robba de fa orror: Sent al segn ch’ hin arrivaa In lusuria, e libertaa. Quij balloss de spadazzin Negher, ruved, e pelos, Facciann rustegh de facchin, Spuzzolent e desgustos Paricc veult hin staa par lor Bei giojett par fa l’amor. E inscì dopo ch’han perduu La vergogna tutta affacc, Cara ti, l’è suzzeduu, Che s’è vist in sù quij facc On cert anem preparaa A ogni sort de crudeltaa. Per quest lor no han avuu s’cess De tradì, de dà ’l velen Ai parent, e ai marì istess E fagh cred de vorregh ben: Se mazzaven in del venter
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giuseppe parini I fioeu che gh’ even denter. Ecco lì; da on piasè piquel Ch’ el gh’ è pars lezzet e onest, No han possuu schivà el periquel De fass femmen desonest; E in pocch temp l’ è andaa al malann El bon nomm de quij Romann. Donca, Silvia, lassa andà Quell vestii de brutta nomina: No te lassa ingattijà Dalla moda che predomina; Parchè l’ è propi un indizzj De mandatt in perzepizzj. Reflett ben sora el motiv, Che ha voltaa quij donn antigh: Sia modesta, e pensa a viv Del guadagn di tò fadigh: Cerca d’ess graziosa e umana, E ona bonna Cristiana. EL FIN.
XXV P (vd. Edizioni P), pp. 186-189. m Ambr. III 9, pp. 29-32. S (vd. Edizioni S. C., n. 19) n. n. sc Ms. Schiera cc. 76v-78v. B 138-143 (nota 167). R 206-213. Bm 243-246.
Inviato il componimento al dedicatario (vd. Titolo in apparato), il marchese Febo d’Adda, e ricevuta in risposta l’ode L’amicizia, Parini acconsente all’invito del suo allievo di far stampare il testo con pochi cangiamenti: E novo entro al tuo cor sorger affetto Giuno che i preghi de le incinte ascolta E vergin io de la Memoria prole (Viola 2013, p. 227)
I manoscritti di cui siamo in possesso mostrano di avere già recepito tali innovazioni; m è una trascrizione in pulito di copista molto accurato che riporta in calce la data 1795 e il luogo, Casa Castelbarco, in cui l’ode fu composta; a livello testuale accoglie due delle tre correzioni volute da Parini ai vv. 94 e 95, mentre ha una diversa lezione per il v. 82 (vd. apparato) e sc, poco preciso nella grafia e nell’interpunzione, veicola diverse sviste non sempre riportate in apparato ai vv. 5 ne, 7 molta, 39 e 60 di, 48 obblio, 63 per, 74 nudria, alcune (ai vv. 48 e 63) in comune con l’«Anno poetico». L’editio princeps S, molto corretta, è stata scelta da noi a testo; diversamente il «Mercurio d’Italia storico letterario» (vd. Edizioni S. C. n. 20) del febbraio 1796 e l’«Anno poetico» (vd. Edizioni S. C. n. 23) del medesimo anno, portatori di numerosi errori, rappresentano una versione trivializzata, dunque poco interessante ai nostri fini. Difforme il caso di P, già segnalato da Isella, il cui editore, incurante delle correzioni apportate dal poeta ai vv. 82, 94 e 95, probabilmente avendo in mano un manoscritto più antico, volle seguirlo nella sua stampa consentendoci in tal modo la possibilità di leggere la prima versione dell’ode. B R e Bm seguono la princeps, salvo per le consuete norme grafiche. A seguire, in corpo minore, L’amicizia, ode di Febo d’Adda, che fu stampata sempre nel 1795 dal Bianchi in un opuscolo di identiche dimensioni, caratteri e fregi.
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giuseppe parini
AL L A M U S A
Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia nel remoto flutto, Musa, non ama.
4
Nè quei, cui l’alma ambizìosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna.
8
Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace.
12
Titolo: Per Febo Marchese D’Adda Ode Alla Musa m, Alla Musa Ode sc; nota: Scritta anche questa nel 1795 B, Per FEBO D’ADDA caro alle muse ed a tutti i buoni R, Pel Marchese Febo d’Adda. Quest’Ode fu composta nel 1795 Bm 1 mercadante,] mercadante B R 5 quei,] quei R 6 cura;] cura, B Bm, cura R 9 giovane,] giovine P, giovane B R 11 donna,] donna B R XXV . Strofa saffica di tre endecasillabi e un quinario secondo lo schema ABAb. Ultima delle odi, testamento dunque poetico ed etico, riannoda i fili di un discorso mai interrotto sin dal primo testo. L’occasione del componimento è offerta dal marchese Febo d’Adda, allievo e amico di Parini e poeta egli stesso, sposo della contessa Leopolda Kewenhüller, e in procinto di diventare padre. 1 Te il mercadante: è l’oggetto del non ama posto al v. 4 e si riferisce alla Musa. Racconta Bernardoni: «allorchè uscì a luce l’ode Alla Musa, un amico fece al nostro poeta osservare che nel primo verso leggevasi mercadante invece di mercatante, contro l’uso del vocabolario della Crusca […] Egli ne giustificò la lezione col rispondere d’aver con essa evitato il vizioso avvicinamento di troppi t nel principio del medesimo verso», Ai Leggitori, pp. xiii-xiv. – ciglio asciutto: cfr. Orazio: «siccis oculis» (Carm. i. iii.18), Tasso: «mirasti il regno tuo co ’l ciglio asciutto?» (GL ix.86). 6 Fulgida cura: desiderio appassionato di risplendere. 8 Torbido sogna: sogna in modo agitato. 9-11 Nè giovane […] Nè donna: è la strofa della lussuria; sono citati i tre vizi cui, secondo l’interpretazione tradizionale, rimandano le tre fiere infernali (avarizia, superbia, lussuria). 10 la cieca più Venere: il giovane viene ritratto completamente in balìa di colei che già nell’ode i.99 era stata denominata la Dea di Cipri orba. 12 procace: sfacciatamente.
ode xxv
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Sai tu, vergine dea, chi la parola Modulata da te gusta od imita; Onde ingenuo piacer sgorga, e consola L’umana vita?
16
Colui, cui diede il ciel placido senso E puri affetti e semplice costume; Che di sè pago e dell’avito censo Più non presume.
20
Che spesso al faticoso ozio de’ grandi E all’urbano clamor s’invola, e vive Ove spande natura influssi blandi O in colli o in rive.
24
E in stuol d’amici numerato e casto, Tra parco e delicato al desco asside; E la splendida turba e il vano fasto Lieto deride.
28
Che a i buoni, ovunque sia, dona favore; E cerca il vero; e il bello ama innocente; E passa l’età sua tranquilla, il core Sano e la mente.
32
14 Modulata] Modulare m; od] ed P; te, Bm 17 Colui,] Colui R 19 censo] censo, Bm 20 presume.] presume; Bm 21 grandi] Grandi, Bm 22 all’] a l’ P 23 natura] Natura Bm 24 rive.] rive: R, rive; Bm 26 Tra] Fra P 29 a i] ai P m; buoni] boni P 13-16 parola […] vita: seguendo il principio oraziano dell’utile dulci, il poeta si esprime in modo analogo nel Discorso sopra la Poesia: «la poesia, movendo in noi le passioni, può valere a farci prendere abborrimento al vizio, dipingendocene la turpezza, e a farci amar la virtù, imitandone la beltà». Cfr. l’ultima strofa dell’ode ii. 17-20 Colui […] non presume: concetto topico nella letteratura classica; i commenti citano in primis Orazio (Carm. ii. xvi) e Giovenale (Sat. xiv). 21 faticoso ozio: è la vita vuota di chi cerca con affanno piaceri effimeri. 24 O in colli o in rive: concetto simile a quello già espresso nelle odi ii e iii. 29-32 buoni […] mente: altri concetti classici, ma anche echi di odi precedenti, già dalla i.187: «Verso il ver, verso il buono»; vd. nota al v. 16.
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giuseppe parini Dunque perchè quella sì grata un giorno Del Giovin, cui diè nome il dio di Delo, Cetra si tace; e le fa lenta intorno Polvere velo?
36
Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio, Ei già scendendo a me giudice fea Me de’ suoi carmi: e a me chiedea consiglio: E lode avea.
40
Ma or non più. Chi sa? Simile a rosa Tutta fresca e vermiglia al sol, che nasce, Tutto forse di lui l’eletta Sposa L’animo pasce.
44
E di bellezza, di virtù, di raro Amor, di grazie, di pudor natìo L’occupa sì, ch’ei cede ogni già caro Studio all’oblìo.
48
Musa, mentr’ella il vago crine annoda A lei t’appressa; e con vezzoso dito
33 perchè] per che R 34 Giovin,] g- m P, Giovin R; Delo R 35 lenta] lento P 36 velo?] velo! P 38 me] me, B Bm 39 de’] di sc; carmi; Bm 42 sol,] S- m Bm, sol B R 43 Sposa] sposa B 44 pasce.] pasce: P 46 grazie] grazia m 47 sì,] sì R 48 all’] a l’P 34 Giovin […] Delo: il nome del dedicatario, Febo, vale a dire luminoso, è lo stesso del dio di Delo (Febo Apollo). 35 lenta: la polvere che si è depositata sulla cetra a poco a poco. 38 Ei già scendendo: come nell’ode xxii.40: «Scender dall’alto suo non ebbe a sdegno», cui implicitamente si richiama anche per la posizione nella raccolta: in entrambi i casi i testi fungono da chiusa. 39 Me […] me: l’insistenza sul pronome, già nel verso precedente, sottolinea la differenza sociale esistente tra il nobile d’Adda e il poeta; lo stesso atteggiamento dimostrato nell’ode xxii.138-139: «Me il mio canto rapisce / A dir com’egli a me» dedicata al cardinal Durini. 41 Simile a rosa: per il topos della rosa e della bellezza femminile, cfr. ode xiv. 46 natìo: a lei naturale. 48 Studio: occupazione. 50 t’appressa: avvicinati.
ode xxv A lei premi l’orecchio; e dille: e t’oda Anco il marito.
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Giovinetta crudel, perchè mi togli Tutto il mio d’Adda, e di mie cure il pregio, E la speme concetta, e i dolci orgogli D’alunno egregio?
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Costui di me, de’ genj miei si accese Pria che di te. Codeste forme infanti Erano ancor, quando vaghezza il prese De’ nostri canti.
60
Ei t’era ignoto ancor quando a me piacque. Io di mia man per l’ombra, e per la lieve Aura de’ lauri l’avviai ver l’acque, Che al par di neve
64
Bianche le spume, scaturir dall’alto Fece Aganippe il bel destrier, che ha l’ale: Onde chi beve io tra i celesti esalto E fo immortale.
68
Io con le nostre il volsi arti divine Al decente, al gentile, al raro, al bello: 51 dille:] dille; 52 marito.] marito: B Bm 53 crudel,] crudel; per che R 54 d’Adda] D’ADDA R 57 accese] accese, Bm 59 ancor,] ancor B 60 De’] Di sc 61 ancor] ancor, Bm 62 ombra] ombre m 63 de’] di P; per sc; avvìai B, avvïai Bm; acque B R 64 Che] Che, Bm 65 spume,] spume R; da l’ P 66 destrier,] destrier B R 67 io tra] fra P, e io tra m; esalto, Bm 70 bello:] bello; Bm 51 premi l’orecchio: orecchio come sede della memoria; aurem vellere è il richiamare l’attenzione di qualcuno. 55 speme concetta: la speranza che avevo riposto in lui (è la Musa a parlare). 62-63 per l’ombra […] lauri: attraverso l’aria leggera dei lauri ombrosi. 66 Aganippe […] destrier: nel mito, Pegaso (il cavallo alato) con un calcio fece sgorgare sul monte Elicona la fonte Ippocrene; cfr. Ovidio (Met. v.256); Aganippe è un’altra fonte del medesimo monte; cfr. Ovidio (Met. v.312). Nelle stesse pagine ovidiane è la Musa a parlare al v. 294: «Musa loquebatur». 68 fo immortale: cfr. Dante: «O diva Pegasëa, che li ’ingegni / Fai glorïosi e rendili longevi» (Par. xviii.82-83). 69 il volsi: lo indirizzai. 70 decente […] bello: dichiarazione di poetica, come al v. 30: «E cerca il vero; e il bello ama innocente».
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giuseppe parini Fin che tu stessa gli apparisti al fine Caro modello.
72
E, se nobil per lui fiamma fu desta Nel tuo petto non conscio: e s’ei nodrìa Nobil fiamma per te, sol opra è questa Del cielo e mia.
76
Ecco già l’ale il nono mese or scioglie Da che sua fosti, e già, deh ti sia salvo, Te chiaramente in fra le madri accoglie Il giovin alvo.
80
Lascia che a me solo un momento ei torni; E novo entro al tuo cor sorgere affetto, E novo sentirai da i versi adorni Piover diletto.
84
Però ch’io stessa, il gomito posando Di tua seggiola al dorso, a lui col suono De la soave andrò tibia spirando Facile tono.
88
Onde rapito, ei canterà che sposo Già felice il rendesti, e amante amato; E tosto il renderai dal grembo ascoso Padre beato.
92
71 Fin che] Finché P m 73 E,] E Bm 74 conscio:] conscio; Bm; nudria sc 75 te,] te: Bm 77 Ecco] Ecco, Bm 78 Da che] Dacchè m; fosti; B Bm; deh! R Bm 79 in fra] fra m, infra Bm 81 Lascia] Lascia, Bm 82 E nuovo entro il tuo cor destarsi affetto P, E in te novo per Lui sorgere affetto m 83 novo] nuovo, adorno P; da i] dai m 84 diletto.] diletto; Bm 85 ch’] che m 87 de la] della m 88 tono.] tono: Bm 89 rapito,] rapito R; canterà, Bm 91 dal] da l’ P 76 Del cielo e mia: la corrispondenza del cielo e dell’arte. 79-80 madri […] alvo: la contessina sta per divenire madre. 83 versi adorni: quelli eleganti che d’Adda, nella speranza della Musa, tornerà a scrivere. 84 Piover diletto: il piacere dei versi scenderà anche nell’animo della giovane. 87 tibia: flauto. 89 ei canterà: l’oggetto del canto saranno dunque gli affetti domestici. 91 grembo ascoso: il nascituro.
ode xxv
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Scenderà in tanto dall’eterea mole Giuno, che i preghi de le incinte ascolta. E vergin io de la Memoria prole Nel velo avvolta
96
Uscirò co’ bei carmi; e andrò gentile Dono a farne al Parini, Italo cigno, Che a i buoni amico, alto disdegna il vile Volgo maligno.
100
93 in tanto] intanto P m 94 Giuno,] Giuno B R; preghi] voti P 95 E vergin io] Ed io, che son P, e v. io, de la M. prole, Bm 96 avvolta] avvolta, Bm 97 co’] coi m 98 cigno,] cigno R 99 a i] ai P m; amico R 93 dall’eterea mole: dall’Olimpo. 94 Giuno: la dea Giunone Lucina, protettrice delle partorienti in tutti i poeti classici. 95-96 io […] Nel velo: la Musa avvolta dal velo per pudicizia. – prole: le Muse sono figlie di Giove e di Mnemosine. 97 bei carmi: le poesie di Febo d’Adda. 97-100 gentile […] maligno: cfr. Orazio: «mihi parva rura et / Spiritum Graiae tenuem Camenae / Parca non mendax dedit, et malignum / Spernere vulgus» (Carm. ii. xvi.37-40). – Parini, Italo cigno: solo nell’ultima ode si completa il discorso intessuto già dai componimenti xv.29-31 e xxii.1-2, cui si aggiunge la firma del poeta, insieme all’attributo e all’apposizione con cui intende consegnare ai lettori di tutta Italia la sua poesia.
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giuseppe parini FEBO D’ADDA · L’AMICIZIA
Il testo è apparso per i torchi del Bianchi, nel 1795 (vd. Edizioni S. C. n. 21). Santa Amistà, che in cielo Diletta figlia di Virtù nascesti, Poi che in terra scendesti L’uomo a bear del tuo divino zelo, Tu spargi in cor de’ buoni I più sublimi tra i celesti doni. Te il vantato decoro Di beltà passeggera unqua non move: Nè, se ne l’arche piove Pluto de’grandi a larghe mani l’oro, Te fra l’eccelse porte Desio conduce di novella sorte. Ma, dove ingenuo core Amor del retto o di virtude accenda, Ivi tu vuoi che scenda, Qual benefico nembo, il tuo favore; Che sol temprar soave De la vita mortal sa il duro e il grave. Me pur reggesti, o Dea, Per l’angusto di Pindo erto cammino Col tuo braccio divino; Poi ch’opra è tua se quei, che Italia or bea Col canto, a me si volse, E me tra i cari suoi seguaci accolse. Or odi, o stolto mondo, Quali incognite a te piovan dolcezze Su le genti, che avvezze Al tranquillo silenzio ed al giocondo Ozio d’ameni studi Non col rumore non col fasto illudi. Me già di rozzi carmi Giovanetto testor pungea desire
ode xxv Di più eccelso salire In Elicona, e glorioso farmi: Ma quale al fosco ingegno Il difficil de l’arte era ritegno Allor, come tra il il flutto Di sconosciuto mar, speme novella, Appar la nota stella Al nocchier, che premea l’estremo lutto; Tale a l’alma smarrita L’alta rifulse del Parini aita. Ei di benigne lodi I miei spargendo meno incolti versi, D’alti più adorni e tersi Giva scoprendo i fonti ignoti e i modi, E ognor del grande e bello De i vetusti poneva a me modello. Ed io, qual fior nascente Accoglie i rai del mattutino sole, De le saggie parole Facea tesor ne la bramosa mente, Dicendo: ei ben discopre Ne i detti anco il sapere, onde son l’opre Di lui colme, ch’ eguale Il fero a quanti sul cammin di gloria Lasciar di sè memoria Ne’ carmi eletti chiara ed immortale. Oh nostri lieti tempi Dal ciel segnati con sì rari esempi! Ma quanto in giovin petto La leggiera incostanza oprar mai puote! Ella duro a la cote Me di tanta lusinga, ed al diletto Del già nascente vanto Fece, e cessar dal non ignobil canto. In ozio indegno immerso Io giacqui, ond’ or mi punge aspra vergogna: Ben secreta rampogna Era al mio cor se del Parini il verso
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giuseppe parini Sonar con laude udia, E altera gir di lui la patria mia. Non ch’ io nudrissi folle Pensieri d’ emularlo audaci e vani; Che ben gli sforzi insani Sapea di chi tant’ alto il volto estolle, E con Icarie piume Il nome impone a le marine spume. Sol l’orme luminose Seguir da lungi, che in Parnaso imprime, E di non basse rime Tentar le mute corde polverose Volea: ma in un baleno Venia il desir per la pigrizia meno. Ed ecco, qual la voce Del divin messaggier d’Anchise al figlio Portò l’alto consiglio, Ond’ ei pel dubbio pelago veloce De l’amata Cartago Fuggi il riposo e sol d’Italia vago, Tal grato al cor mi scese Il novo suon de’ carmi alti e divini, Onde tu, gran Parini, Chiaro il mio nome nel natio paese Festi, e per l’alma terra, Che l’Alpe e la marina onda rinserra; E con l’incanto dolce Di facil laude e d’ amistà non finta, Che con le grazie avvinta De la nobil tua Musa ogni alma molce, Nel poetico agone Al mio spirto aggiungesti acuto sprone. Ond’io scosso e rapito, Gli occhi volgendo a l’immutabil fronda, Tu questo crin circonda Pur di novo, gridai franco ed ardito: Tu cetra al sen mi riedi, E de’ suoni primier l’aure pur fiedi.
ode xxv M’udrà con facil estri Sciorre il canto l’Italia ove più spande Puro splendore il grande, Il buono, il vero a l’uom guide e maestri E di virtute a i rivi Lui trar con versi di lusinghe schivi. Versi, cui non potranno D’ inclementi censor l’amaro morso, O l’infrenabìl corso De le venture età recar mai danno, Se il tuo, Parini egregio, Favor benigno lor fia scorta e pregio. Tal l’arbor, dolce cura Del biondo Nume, l’ognor verde testa Ne la crudel tempesta Da i fulmini stridenti alza secura: Mentre percosse e infrante Cadonle ai piè le più robuste piante.
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I N DIC E DEI C APOVE RSI Aborro in su la scena Ahi qual fiero spettacolo È pur dolce in su i begli anni In vano in van la chioma La vaga Primavera Ne’ più remoti secoli Odi Alcone il muggito O Genovese ove ne vai? qual raggio Oh beato terreno Oh tiranno Signore Parco di versi tessitor ben fia Perchè al bel petto e all’omero Perchè turbarmi l’anima Qual fra le mense loco Quando novelle a chiedere Quando Orìon dal cielo Quell’ospite è gentil, che tiene ascoso Queste, che il fero Allobrogo Se robustezza ed oro Te con le rose ancora Te il mercadante, che con ciglio asciutto Torna a fiorir la rosa Vada in bando ogni tormento Venerabile Impostura Volano i giorni rapidi
xi xvii xiv xvi viii xviii xiii i ii iv xxii xxiv iii xii xxiii xv x xxi xix xx xxv ix vii vi v
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I NDIC E M ETR IC O ABbCaddCC (strofa di nove versi endecasillabi e settenari) i ababcc (sestine di settenari) ii, iv, ix, xi abcbdede (quartine doppie di settenari) iii abbcdeec (quartine doppie di settenari) v ababcc (sestine di ottonari) vi abbcaddc (quartine doppie di ottonari) vii, xiv abbc (quartine di settenari) viii, xviii AbAbcDDcEE; AbbAcDDcEE (strofa di dieci versi, endecasillabi e settenari) x, xxii aBaBcC (strofa di sei versi, settenari ed endecasillabi) xii aBbaA (strofa di cinque versi, endecasillabi e settenari) xiii abaB (quartine di tre settenari e un endecasillabo) xv abacdefegd (strofe doppie di cinque settenari) xvi
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indice metrico
abcb (quartine di settenari) xvii, xxiv aBbAcC (strofe di tre settenari e tre endecasillabi) xix, xx abcbdE (strofe doppie di cinque settenari e un endecasillabo) xxi, xxiii ABAb (strofa saffica di tre endecasillabi e un quinario) xxv
I NDIC E DEI NOM I
Achille
IX.57 («di Tetide il figlio») – 77 («d’Eacide la prole») – 97 («di Teti … figliuolo») – 125 Admeto XVIII.25 – 33 Alceo IX.110 («Alcide») Alceste XVIII. titolo – 25 Alcide IX.110; XXII.241; XXIII.48 Alcone o Alcon XIII.1 – 41 – 87 – 101 [Alessandro Magno] VI.31 («Macedone») Alfieri, Vittorio XXI. nota al titolo (in apparato) – 1 («fero Allobrogo») Amor V.24 – 45 Amore (i) VIII.21 – 26 – 27; XIV.62; XVI.18 («cieco figlio [di Venere]»); XXIII.58 Amoretti, Pellegrina X. titolo (in apparato) Apollo XVII.34; XXII.61 nota (in apparato) Atrèo XXIV.64 Atropo III.3 Aurora XIV.32; XXIII.112
Bacco
III.14; V.29; X.10; Baccanti XXIV.81 Beatrice d’Este VII.38 («BEATRICE») Bicetti de’ Buttinoni, Giammaria I. dedica – 28 («BICETTI») – 137 («BICETTI») – 155(«BICETTI») Buffiero VI.51 (lezione di q)
Camena XII.4 Cammillo XXII.262 («Cammilli») [Caronte] III.6 («il nocchier brun»)
Castelbarco, Maria XXIII. titolo (in apparato) Castiglioni, Paola vd. Litta Castiglioni [Castore e Polluce] XXII.81-82 («gl’incliti figli Di Tindaro») Centauri XII.9; vd. Chirone Cerere III.13 Cesare (GiuseppeII) XII.14 Chirone IX.56 («Tèssalo maestro») – 62 («Centauro») – 69 («Chiron») – 163 («Centauro») – 167 («fera divina») Cicerone, Marco Tullio XII.46 («Tullio») Cinzia XIII.75 Clori VIII.30 Cluvìeno VI.61 – 67 («Cluvien») [Colombo, Cristoforo] I.1 («Genovese») Corinna X.71 Crispino VI.69 Crudeltà XXIV.104
D’Adda, Febo
XXV.titolo (in apparato) – 54 – («Giovin, cui diè nome il dio di Delo») Diletto VII.37; XI.20 Doria, Andrea X.109 («Doria») Durini, Angelo Maria XXII. dedica – 6 – 134 («DURIN»)
Èaco
IX.77 («d’Eacide la prole») – 103 Ebe XXIII.47 [Edipo] XXII.151-152 («miserando Di Làbdaco nipote») Enea XXII. 61 nota (in apparato)
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indice dei nomi
Ercole I.20; ix.106 («Tirintio»); IX.110 («Alcide»); XIII.10 («Erculei»); xviii.25; XX.30 («Erculea») [Esopo] XII.48 («Frigio») Eumenidi XXIV.37
Faon
XVI.70 Fauno XII.32 Fabrizio XXII.262 («Fabrizi») Fama X.161; XX.26; XXII.33 Febo III.62; xviii.34; XXIII.84; XXV.34 («dio di Delo») Ferdinando d’Austria VII.38 («FERDINANDO») Fortuna VI.41; XIII.82; XIX.166; XX.68; XXII.234
Galeno VI.63 [Gemelli] IX.36 («I figliuoli di Leda») Genio XVI.89; XXII.211; XXIII.85 Giove IX.109; XII.19; XIII.85 Gioventù XIV.64 Giuno XXV.94 Giuseppe II XIII.titolo (in apparato) [Giustizia] X.53-54 («colei, che … i dritti serba») Glauco XIII.56 Grazia XXI.9 Grazie XVI.47; XXII.238; XXIV.38 Gritti, Cammillo XIX. dedica – 78 («GRITTI») – 182 («GRITTI») Imene
I.170 Impostura VI. titolo – 1 («Impostura») Innocenza III.16; VII.4 – 48 Invidia X.90; XXII.16
Lari
II.97; X.7; XIV.46 – 58; XXII. 41; XXIV.56 Leda IX.36 Legge IV.20
Libertà VII.4 – 48; XIX.52 Libidine XXIV.103 Licenza XIX.50 Lièo V.43 Litta Castiglioni, Paola XII.49 (nota); XXI.dedica
Maometto
VI.35 («Arabo profeta») [Maria Teresa d’Austria] X.155 («alta Regina») Medea XXIV.63 («maga Colchica») Melpomene XXI.5 Memoria XXV.95 Musa XXII.260; XXV. titolo – 4 – 49 – 95 («de la Memoria prole»); Muse XIX.11; xxii.114 – 240
Naiadi
XXII.7 Natura XI.22; XXI.36 Necessità XIX.45 Nettuno XIII.70 – 89 Nice XXIII. titolo – 2 – 97 Numa Pompilio VI.25 («Numa»)
Ore
XXIII.106 Orìon XV.1 Ozio XIX.48; xxii.280
Pallade X.34; XVI.42; XXII.220 Parini, Giuseppe XXV.98 («Parini») Pelèo IX.77 («d’Eacide la prole») – 103 Petrarca, Francesco XXII.257 nota (in apparato) Piacere VII. titolo –12 – 19 – 28 Pindaro X.180 Pindo X.73 Piramo XVII. titolo Pluto III.19 [Polluce] vd. Castore e Polluce Primavera VIII.1 Pudor XXIV.102
indice dei nomi
Ragion
IV.14; IX.135 – 137 («l’alta rettrice»)
Sacchini, Antonio
(«Maestro Sacchini») XX. titolo – 6 («SACCHINI») Saffo X.71; XVI.70 («L’amica di Faon») Servitude XIX.50 Silvia XXIV. titolo – 3 – 41 – 93 – 113 Sirene XX.53 Sirio XXII.55 [Sofocle] XXII.156 («di colui l’altero carme») – 184 («prisco cantor») Sonno XIV.28
Temi II.116 Temide IV.43; X.103; XIX.116 Tempo XIV.63 Tereo XXIV.62 Teseo IX.105; XXII.241 Tetide IX.57 – 166 Teti IX.97
275
Tindaro XXII.82 Tisbe XVII. titolo Tritoni XIII.56 Tron, Cecilia XVI. titolo (in apparato) Turra Caminer, Elisabetta XIX.8 («voce di donna»)
Venere
I.99 («Dea di Cipri»); V.41; XVI.12; XXI.44 («madre de gli amori»); XXIII.60; XXV.10 Verità VI.87 [Vespucci, Amerigo] I.120 («Americo») Vigor XXIV.103 Virgilio XXII. 61 nota (in apparato) Virtù VI.45; VII. titolo – 9 – 12; XIV.61; XXII.124 – 166 Virtude VII.19 – 28 – 37; XIX.148
Wortley
Montaigue, Maria I.100 («Montegù») [Montague] Wirtz, Pierantonio IV. dedica – 71 («WIRTZ»)
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T ES T I C ITATI NEL C OM ME NTO (oltre quelli elencati nella tavola delle abbreviazioni) Ariosto, OF = Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Cesare Segre, Milano, Mondadori, 1990. Ariosto, Sat. = Ludovico Ariosto, Satire, edizione critica a cura di Cesare Segre, Torino, Einaudi, 1987. Baldi, Egl. = Bernardino Baldi, Egloghe miste, a cura di Domenico Chiodo, Torino, res, 1992. Beccaria, Dei del. = Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Renato Fabietti, Milano, Mursia, 1973. Bembo, Asolani = Pietro Bembo, Asolani, edizione critica a cura di Giorgio Dilemmi, Firenze, Accademia della Crusca, 1991. Bembo, Prose = Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, edizione critica a cura di Claudio Vela, Bologna, clueb, 2001. Bembo, Rime = Pietro Bembo, Prose, Gli Asolani, Rime, a cura di Carlo Dionisotti, Torino, utet, 1966. Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine = Giovanni Boccaccio, Commedia delle ninfe fiorentine, in Tutte le opere ii, a cura di Vittore Branca, Milano, Mondadori, 1964. Boiardo, OI = Matteo Maria Boiardo, Orlando Innamorato, a cura di Aldo Scaglione, Torino, utet, 1984. Calpurnio Siculo, Egl. = Tito Julio Calpurnio Siculo, Egloghe, a cura di Maria Assunta Vinchesi, Milano, Rizzoli, 1996. Catullo, Carm. = Gaio Valerio Catullo, I Canti, introduzione di Alfonso Traina, traduzione di Enzo Mandruzzato, Milano, Rizzoli, 2001. Cavalcanti, Rime = Guido Cavalcanti, Rime, a cura di Domenico De Robertis, Torino, Einaudi, 1986. Chiabrera, Rime = Antonello Chiabrera, Delle opere di Antonello Chiabrera in questa ultima impressione tutte in un corpo novellamente unite, Venezia, Geremia, 1730. Dante, Inf., Purg., Par. = Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, Firenze, Le Lettere, 1994. Dante, VN = Dante Alighieri, Vita Nova, a cura di Michele Barbi, Firenze, Bemporad, 1932. Della Casa, Rime = Giovanni Della Casa, Rime et prose. Latina monimenta, a cura di Stefano Carrai, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006. De’ Medici, Canzoniere = Lorenzo De’ Medici, Opere, a cura di Tiziano Zanato, Torino, Einaudi, 1992.
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comp osto i n c a r att e re da n t e m on otype da lla fa br i z i o se rr a e d i to re, p i sa · ro m a . sta m pato e ri l e gato n e l la ti p o g r af i a d i agna n o, ag na n o p i sa no (pisa ).
* Dicembre 2013 (cz 2 · fg 21)
EDI Z I O N E NA Z I O NA LE DEL L E OP E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
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