Novella di Belfagor. L'Asino 8884020409


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Novella di Belfagor. L'Asino
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4627

M2 B4

1990



-· /-.

,'.3o Novella o apologo che sia, la presenza, al­ l'interno d'un poema, di una digressione narrativa non è fatto inedito: di exempla, per lo piu, si tratta. Ed un exemplum è sembrato anche questo.31 A me pare che esso abbia piuttosto l'ufficio di tradurre una condizione dell'anima in una immagine con­ cretamente visibile. E mi vien fatto di ripensare a Giovanni Cavalcanti, lo storico che, tra l'altro, Ma­ chiavelli conobbe benissimo, utilizzandolo ab­ bondantemente per buona parte del quarto libro delle !storie fiorentine. Costui, nella cosiddetta sua Seconda istoria, dopo essersi lasciato andare ad una non breve tirata sulla corruzione dilagante nella Firenze a lui contemporanea, cosi pensa di com­ mentare il suo comportamento: E tante sono le innique colpe de' malvagi uomini, che

io ho travalicato la materia dell'ordine della nostra par­ latura, non altrimenti che facesse quel villano, che ave­ va due asinucci carichi di legne. Questo villano, quando giunse drento alla città, trovò una cerna co una corna­ musa, che per guardia di Prato era mandata; tanto piac­ que quel suono al menatore degli asini, che per insino in Prato entrò colla cerna insieme, e quivi ristato la 25

sampogna, domandò del Ponte Vecchio. A costui fu ri­ sposto: , >, >, ecc.), il Reggi­ mento e costumi di donna di Francesco da Barberino ( >; e p. 476: « Paura mi porse però ch'io cominciai a temere non quello luogo a lui forse per pro­ pia possessione assegnato fosse, e, recandosi ad ingiuria di ve­ dervi alcuno altro, le fiere del luogo, si come a lui familiari a vendicar la sua ingiuria sopra me incitasse e a quelle mi faces­ se dilacerare >>. 28. Cfr. LORENZO DE' MEDICI, Opere, a cura di A. SIMIONI, Bari, Laterza, 193�, p. 24. 29. Cfr. MACHIAVELLI, Operette satiriche, cit., p. 81. 30. 'Scacci la natura col forcone, e tuttavia immancabil­ mente ritorna'. Cfr. ToMMASINI, op. cit., II p. 325. 31. Al FERRONI, op. cit., p. 9. Dell' exemplum, in realtà, la no­ vella di Machiavelli ha la preoccupazione della veri.tas (il giovi­ netto, a norma di 1 31-33, è di antica e nobile famiglia, ancora vivente), ma di una veri.tas non definita da dati e da nomi preci­ si: E. MALATO, La nascita della novella italiana: un'alternativa lette­ rari.a borghese alla tradizione cortese, in AA.VV., La novella italiana, Atti del Convegno di Caprarola, 19-24 settembre 1988, Roma, Salerno Editrice, 1989, pp. 3-45; ora in E. MALATO, Lofedele con­ siglio de la ragione. Studi e ricerche di letteratura italiana, Roma, Sa­ lerno Editrice, 1989, partic. pp. 346-47. 32. Cfr. Biblioteca Riccardiana di Firenze, cod. n. 1870, c. 32 v. 33. La datazione è ricavata dall'autografo e dalle consuetu­ dini grafiche ivi seguite (cfr. P. GHIGLIERI, La grafia del Machia­ velli studiata negli autografi, Firenze, Olschki, 1969, p. 358): si presuppone che la trascrizione sia contemporanea della com• • pos1z1one. 34. È il v. 34 del prologo alla Mandragola (cfr. Opere, p. 868 b}.

35. Il saggio in questione, cui feci assolvere al compito d'in­ trodurre l'edizione citata nella nota 1, s'intitolava Il buon geo­ mètra di questo mondo. Di li, in questo paragrafo soprattutto, ri­ prendo alcune idee. 41

36. Cfr. ToMMASINI, op. cit., p. 372. 37. Cfr. SAN BERNARDINO, Opera, Venezia, Giunta, 1591, voi. 1 pp. 307-8. 38. Cfr. J.B. RussEL, Lucifer. The Devii in the Middle Ages, Ithaca and London 1984, in partic. le pp. 264-69. 39. C&. Tutte le opere di G. BoccAcc10, a cura di V. BRANCA, voi. 1 (il Filocolo è a cura di A.E. QUAGLIO), Milano, Mondado­ ri, 1967, pp. 75-76. 40. Nel proemio, a Giovanni delle Bande Nere, della no­ vella XL della parte prima (in Tutte le opere di M.B., a cura di F. FLORA, Milano, Mondadori, 1952, p. 464): « Come si fu desina­

to, voi rivoltato a messer Niccolò lo pregaste che con una del­ le sue piacevoli novelle ci volesse ricreare ». 41. Sulle due novelle, cfr. V. Rossi, Sulla novella del Bianco Alfani, in AA.VV., Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D'Ancona, ecc., Firenze, Barbèra, 1901, pp. 387-409, poi in Ros­ si, Scritti di critica letteraria, Firenze, Sansoni, 1930. 42. Sui problemi relativi alle due novelle, cfr. il mio Consi­ derazioni sulla tradizione della novella spicciolata, in AA.VV., La novella italiana, cit., pp. 215-44. 43. Cfr. A. MANETTI, Vita di Filippo Brunelleschi preceduta da La novella del Grasso, ediz. crit. di D. DE RoBERTIS, con introd. e note di G. TANTURLI, Milano, Il Polifìlo, 1976. 44. Cfr. Giacoppo Novella e Ginevra Novella incominciata. Dall'originale d'Anonimo quattrocentista nell'Archivio Mediceo. Con facsimile, a cura di I. DEL LuNGO, Bologna, Romagnoli, 1865; I. DEL LUNGO, Gli amori del Magni.fico Lorenzo. Diporto Mediceo di I.D.L. e due novelle di Lorenzo de'Medici ora per la prima volta pubblicate col nome di lui, Bologna, Zanichelli, 1923, pp. 109-46.

FAVOLA [NOVELLA DI BELFAGOR]



Leggesi nelle antiche memorie delle fiorenti­ 1 ne cose come già s'intese, per relazione, di alcu­ no santissimo uomo, la cui vita, apresso qualun­ que di quelli tempi viveva, era celebrata, che, 2 standosi abstratto nelle sue orazioni, vide me­ diante quelle come, andando infinite anime di quelli miseri mortali, che nella disgrazia di Dio morivano, all'inferno, tutte o la maggior parte si dolevano, non per altro che per avere preso mo­ glie essersi a tanta infelicità condotte. Donde che 3 Minos e Radamanto insieme con gli altri infer­ nali giudici ne avevano maraviglia grandissima. E, non potendo credere queste calunnie, che co­ storo al sesso femmineo davano, essere vere, e crescendo ogni giorno le querele, e avendo di tutto fatto a Plutone conveniente rapporto, fu 4 deliberato per lui di avere sopra questo caso con tutti gl'infernali principi maturo essamine, e pi­ gliarne dipoi quel partito che fussi giudicato mi­ gliore per scoprire questa fallacia, o conoscerne in tutto la verità. Chiamatogli adunque a conci­ lio, parlò Plutone in questa sentenza: - Ancora che io, dilettissimi miei, per celeste disposizione e fatale sorte al tutto inrevocabile possegga que­ sto regno, e che per questo io non possa essere 45

obligato ad alcuno iudicio o celeste o mondano, nondimeno, perché gli è maggiore prudenza di 5 quelli che possono piu, sottomettersi piu alle leggi e piu stimare l'altrui iudizio, ho deliberato essere consigliato da voi come, in uno caso, il quale potrebbe seguire con qualche infamia del nostro imperio, io mi debba governare. Perché, dicendo tutte l'anime degli uomini, che vengono nel nostro regno, esserne stato cagione la mo­ glie, e parendoci questo impossibile, dubitiamo 6 che, dando iudizio sopra questa relazione, ne possiamo essere calunniati come troppo creduli, e, non ne dando, come manco severi e poco amatori della iustizia. E perché l'uno peccato è da uomini leggieri, e l'altro da ingiusti, e volendo 7 fuggire quegli carichi, che da l'uno e l'altro po­ trebbono dependere, e non trovandone il modo, vi abbiamo chiamati, acciò che, consigliandone, ci aiutiate e siate cagione che questo regno, come per lo passato è vivuto sanza infamia, cosi per lo advenire viva -. Parve a ciascheduno di quegli principi il caso importantissimo e di molta considerazione; e, concludendo tutti come egli era necessario sco­ 8 prirne la verità, erano discrepanti del modo.

Perché, a chi pareva che si mandassi uno, a chi piu nel mondo, che sotto forma di uomo cono­ scessi personalmente questo vero;9 a molti altri 10 occorreva potersi fare sanza tanto disagio, co­ stringendo varie anime con varii tormenti a sco­ prirlo. Pure, la maggior parte consigliando che si mandassi, s'indirizorno a questa opinione. E non si trovando alcuno, che voluntariamente pren­ dessi questa impresa, deliberomo che la sorte fussi quella che lo dichiarassi. La quale cadde so­ pra Belfagor 11 arcidiavolo, ma per lo adietro, avanti che cadessi di cielo, arcangelo. Il quale, ancora che male volentieri pigliassi questo cari­ co, nondimeno, constretto da lo imperio di Plu­ tone, si dispose a seguire quanto nel concilio si era determinato, e si obligò a quelle condizioni che infra loro solennemente erano state delibe­ rate. Le quali erano: che subito a colui che fussi a questa commissione deputato fussino consegna­ ti centomila ducati, con i quali doveva venire nel mondo, e sotto forma di uomo prender moglie e con quella vivere dieci anni, e dipoi, fingendo di 12 morire, tornarsene, e per esperienza fare fede a i suoi superiori quali sieno i carichi e le incom­ modità del matrimonio. Dichiarossi ancora che 47

durante detto tempo ei fussi sottoposto a tutti quegli disagi e mali, che sono sottoposti gli uo­ 13 mini e che si tira drietro la povertà, le carcere, la malattia e ogni altro infortunio nel quale gli • uom1ru mcorrono, eccetto se con inganno o astuzia se ne liberassi. Presa adunque Belfagor la condizione e i da­ nari, ne venne nel mondo; e ordinato di sua ma­ 14 snade cavagli e compagni, entrò onoratissima­ mente in Firenze; la quale città innanzi a tutte l'altre elesse per suo domicilio, come quella che gli pareva piu atta a sopportare chi con arte usurarie essercitassi 15 i suoi danari. [ ...........] E, fattosi chiamare Roderigo di Castiglia, pre­ se una casa a fitto nel Borgo d'Ognisanti; e perché non si potessino rinvenire le sue condi­ zioni, disse essersi da piccolo partito di Spagna e itone in Soria 16 e avere in Aleppe 17 guadagnato tutte le sua facultà; donde s'era poi partito per venire in Italia a prender donna in luoghi piu umani e alla vita civile e allo animo suo piu con­ formi. Era Roderigo bellissimo uomo e mostra­ va una età di trenta anni; e avendo in pochi gior­ ni dimostro di quante ricchezze abundassi e dan­ do essempli di sé di essere umano e liberale, •









molti nobili cittadini, che avevano assai figliole e pochi danari, se gli afferivano. Intra le quali tutte Roderigo scelse una bellissima fanciulla chiama­ ta Onesta, figliuola di Amerigo Donati, il quale ne aveva tre altre insieme con tre figliuoli ma­ 18 schi tutti uomini, e quelle erano quasi che da marito; e benché fussi d'una nobilissima famiglia e di lui fussi in Firenze tenuto buono conto, nondimanco era, rispetto alla brigata avea 19 e alla nobilità, poverissimo. Fece Roderigo magnifi­ che e splendidissime nozze, né lasciò indietro al­ cuna di quelle cose che in simili feste si deside­ rano. Ed essendo, per la legge che gli era stata da­ ta nello uscire d'inferno, sottoposto a tutte le passioni umane, subito cominciò a pigliare pia­ cere degli onori e delle pompe del mondo e ave­ re caro di essere laudato intra gli uomini, il che gli arrecava spesa non piccola. Oltra di questo, non fu dimorato molto con la sua monna One­ sta, che se ne innamorò fuori di misura, né pote­ va vivere qualunque volta la vedeva stare trista e avere alcuno dispiacere. Aveva monna Onesta portato in casa di Roderigo, insieme con la nobi­ lità e con la bellezza, tanta superbia che non ne ebbe mai tanta Lucifero; e Roderigo, che aveva 49

provata l'una e l'altra, giudicava quella della mo­ glie superiore; ma diventò di lunga maggiore, come prima quella si accorse dello amore che il marito le portava; e parendole poterlo da ogni parte signoreggiare, sanza alcuna piatà o rispetto lo comandava, né dubitava, quando da lui alcuna cosa gli era negata, con parole villane e iniuriose morderlo: il che era a Roderigo cagione di ine­ stimabile noia. Pur nondimeno il suocero, i fra­ tegli, il parentado, l'obligo del matrit11onio e, so­ prattutto, il grande amore le portava gli faceva avere pazienza. Io voglio lasciare ire le grande spese, che, per contentarla, faceva m vestirla di nuove usanze e contentarla di nuove fogge, che continuamente la nostra città per sua naturale consuetudine varia; ché fu necessitato, volendo stare in pace con lei, aiutare al suocero maritare l'altre sue figliuole: dove spese grossa somma di 20 danari. Dopo questo, volendo avere bene con quella, gli convenne mandare uno de' frategli in Levante con panni, un altro in Ponente con 22 2 1 drappi, all'altro aprire uno battiloro in Firen­ ze: nelle quali cose dispensò la maggiore parte delle sue fortune. Oltre a di questo, ne' tempi de' camasciali e de' San Giovanni,23 quando tutta la 50

città per antica consuetudine festeggia e che molti cittadini nobili e ricchi con splendidissimi conviti si onorono, per non essere monna One­ sta all'altre donne inferiore, voleva che il suo Ro­ derigo con simili feste tutti gli altri superassi. Le quali cose tutte erano da lui per le sopradette ca­ gioni sopportate; né gli sarebbono, ancora che gravissime, parute gravi a farle, se da questo ne fussi nata la quiete della casa sua e s'egli avessi potuto pacificamente aspettare i tempi della sua rovina. Ma gl'interveniva l'opposito, perché, con le insopportabili spese, la insolente natura di lei infinite incommodità gli arrecava; e non erano in casa sua né servi né serventi che, nonché mol­ to tempo, ma brevissimi giorni la potessino sop­ portare; donde ne nascevano a Roderigo disagi gravissimi per non potere tenere servo fidato che avessi amore alle cose sua; e, nonché altri, quegli diavol� i quali in persona di famigli aveva condotti seco, piu tosto elessono 24 di tornarsene in inferno a stare nel fuoco, che vivere nel mon­ do sotto lo imperio di quella. Standosi adunque Roderigo in questa tumul­ tuosa ed inquieta vita, e avendo per le disordina­ 25 te spese già consumato quanto mobile si aveva 51



riserbato, cominciò a vivere sopra la speranza de' 26 ritratti, che di Ponente e di Levante aspettava; e avendo ancora buono credito, per non mancare 27 28 di suo grado, prese a cambio. E girandogli già molti marchi adosso,29 fu presto notato da que­ gli, che in simile essercizio in Mercato si trava­ 30 gliano. Ed essendo di già il caso suo tenero, vennero in un subito di Levante e di Ponente nuove come l'uno de' frategli di monna Onesta s'aveva giucato tutto il mobile di Roderigo, e che l'altro, tornando sopra una nave carica di sua mercatanzie sanza essersi altrimenti assicurato, era insieme con quelle annegato. Né fu prima publicata questa cosa che i creditori di Roderigo si ristrinsono insieme; e giudicando che fussi spacciato, né possendo ancora scoprirsi per non essere venuto il tempo de' pagamenti loro, con­ clusone che fussi bene osservarlo cosi destra­ mente, acciò che dal detto al fatto di nascose non se ne fuggissi. Roderigo, da l'altra parte, non veg­ gendo al caso suo rimedio e sapiendo a quanto la legge infernale lo costringeva, pensò di fuggirsi in ogni modo. E montato una mattina a cavallo, abitando propinquo alla Porta al Prato, per quel­ la se ne usci. Né prima fu veduta la partita sua, 52

che il romore si levò fra i creditori, i quali, ricorsi a i magistrati, non solamente con i cursori, ma popularmente 31 si missono a seguirlo. Non era Roderigo, quando se gli lievò drieto il romore, dilungato da la città uno miglio; in modo che, vedendosi a male partito, deliberò, per fuggire piu secreto, uscire di strada e atraverso per gli campi cercare sua fortona. Ma sendo, a fare que­ sto, impedito da le assai fosse, che atraversano il paese, né potendo per questo ire a cavallo, si mis­ se a fuggire a piè e, lasciata la cavalcatura in su la strada, atraversando di campo in campo, coperto da le vigne e da' canneti, di che quel paese abon­ 3 2 da, arrivò sopra Peretola a casa Gianmatteo del Brica, lavoratore di Giovanni del Bene, e a sorte trovò Gianmatteo che arrecava a casa da rodere a i buoi, e se gli raccomandò, promettendogli che se lo salvava dalle mani de' suoi nimici, i quali, per farlo morire in prigione, lo seguitavano, che lo farebbe ricco e gliene darebbe innanzi alla sua partita tale saggio che gli crederrebbe; e quando questo non facessi, era contento che esso proprio lo ponessi in mano a i suoi aversarii. Era Gian­ matteo, ancora che contadino, uomo animoso, e giudicando non potere perdere a pigliare partito 53

di salvarlo, liene promisse; e cacciatolo in uno monte di letame, quale aveva davanti a la sua ca­ sa, lo ricoperse con cannucce e altre mondiglie 33 che per ardere aveva ragunate. Non era Roderi­ 34 go apena fornito di nascondersi, che i suoi per­ seguitatori sopraggiunsono e, per spaventi che facessino a Gianmatteo, non trassono mai da 35 che lo avessi visto; talché, passati piu innan­ lui zi, avendolo invano quel di e quell'altro cerco, stracchi se ne tornarono a Firenze. Gianmatteo adunque, cessato il romore e trattolo del loco do­ 36 ve era, lo richiese della fede data. Al quale Ro­ derigo disse: - Fratello mio, io ho con teco un grande obligo e lo voglio in ogni modo sodisfare; e perché tu creda che io possa farlo, ti dirò chi so­ no -. E quivi gli narrò di suo essere e delle leggi 37 avute allo uscire d'inferno e della moglie tolta; e di piu gli disse il modo con il quale lo voleva ar­ ricchire: che insumma sarebbe questo, che, co­ me ei sentiva che alcuna donna fussi spiritata, 38 credessi lui essere quello che le fussi adosso; né mai se n'uscirebbe, s'egli non venissi a trarne­ 39 lo; donde arebbe occasione di farsi a suo modo pagare da i parenti di quella. E, rimasi in questa conclusione, spari via. 54

Né passorno molti giorni, che si sparse per tutto Firenze, come una figliuola di messer Am­ bruogio Amidei, la quale aveva maritata a Bo­ naiuto Tebalducci, era indemoniata; né mancor­ no i parenti di farvi tutti quegli remedii, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la te­ sta di san Zanobi ed il mantello di san Giovanni Gualberto. Le quali cose tutte da Roderigo era­ 40 no uccellate. E, per chiarire ciascuno come il male della fanciulla era uno spirito e non altra fantastica imaginazione, parlava in latino e di­ sputava delle cose di filosofia e scopriva i peccati di molti; intra i quali scoperse quelli d'uno frate che si aveva tenuta una femmina vestita ad uso di fraticino piu di quattro anni nella sua cella: le quali cose facevano maravigliare cascuno. Vive­ va pertanto messer Ambruogio mal contento; ed avendo invano provati tutti i remedi, aveva per­ duta ogni speranza di guarirla, quando Gianmat­ teo venne a trovarlo e gli promisse la salute de la sua figliuola, quando gli voglia donare cinque­ cento fiorini per comperare uno podere a Pere­ tola. Accettò messer Ambruogio il partito: don­ de Gianmatteo, fatte dire prima certe messe e fatte sua cerimonie per abbellire la cosa, si acco55



stò a gli orecchi della fanciulla e disse: - Roderi­ go, io sono venuto a trovarti perché tu mi osservi la promessa -. Al quale Roderigo rispose: - Io sono contento. Ma questo non basta a farti ricco. E però, partito che io sarò di qui, enterrò nella fi­ gliuola di Carlo, re di Napoli, né mai n'uscirò sanza te. Farà'ti allora fare una mancia a tuo mo­ do. Né poi mi darai piu briga-. E detto questo s'usci da dosso a colei con piacere e admirazione di tutta Firenze. Non passò dipoi molto tempo, che per tutta Italia si sparse l'accidente venuto a la figliuola del re Carlo. Né vi si trovando rimedio, avuta il re notizia di Gianmatteo, mandò a Firenze per lui. ll quale, arrivato a Napoli, dopo qualche finta ce­ rimonia la guari, ma Roderigo, prima che partis­ si, disse:- Tu vedi, Gianmatteo, io ti ho osserva­ to le promesse di averti arricchito. E però, sendo disobligo,41 io non ti sono piu tenuto di cosa al­ cuna. Pertanto sarai contento non mi capitare piu innanzi, perché, dove io ti ho fatto bene, ti farei per lo avvenire male-. Tornato adunque a Firenze Gianmatteo ricchissimo, perché aveva avuto da il re meglio che cinquantamila ducati, pensava di godersi quelle ricchezze pacifìca56

mente, non credendo però che Roderigo pensas­ si di offenderlo. Ma questo suo pensiero fu subi­ to turbato da una nuova che venne, come una fi­ gliuola di Lodovico settimo, re di Francia, era spiritata. La quale nuova alterò tutta la mente di Gianmatteo, pensando a l'auttorità di quel re ed a le parole che gli aveva Roderigo dette. Non trovando adunque quel re alla sua figliuola rime­ dio, e intendendo la virtu di Gianmatteo, mandò prima a richiederlo semplicemente per uno suo cursore. Ma, allegando quello certe indisposizio­ ni, fu forzato quel re a richiederne la Signoria. La quale forzò Gianmatteo a ubbidire. Andato per­ tanto costui tutto sconsolato a Parigi, mostrò pri­ ma a il re come egli era certa cosa che per lo adrietro aveva guarita qualche indemoniata, ma che non era per questo eh'egli sapessi o potessi guarire tutti, perché se ne trovavano di si perfida natura che non temevano né minacce né incanti né alcuna religione; ma con tutto questo era per fare suo debito e, non gli riuscendo, ne doman­ dava scusa e perdono. Al quale il re turbato disse che se non la guariva, che lo appenderebbe. Senti per questo Gianmatteo dolore grande; pure, fat­ 42 to buono cuore, fece venire la indemoniata; e, 57



accostatosi all'orecchio di quella, umilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benifì­ cio fattogli e di quanta ingratitudine sarebbe es­ semplo, se lo abbandonassi in tanta necessità. Al 43 quale Roderigo disse: - Do! villan traditore, si che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'essere arricchito per le mia ma­ ni? Io voglio mostrare a te e a ciascuno come io so dare e tòrre ogni cosa a mia posta; e innazi che tu ti parta di qui, io ti farò impiccare in ogni mo­ do -. Donde che Gianmatteo, non veggendo per allora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via. E fatto andare via la spiritata, dis­ se al re: - Sire, come io vi ho detto, e' sono di molti spiriti che sono si maligni che con loro non si ha alcuno buono partito, e questo è uno di quegli. Pertanto io voglio fare una ultima spe­ rienza; la quale se gioverà, la vostra Maestà e io aréno la intenzione nostra;. quando non giovi, io sarò nelle tua forze e arai di me quella compas­ sione che merita la innocenzia mia. Farai pertan­ to fare in su la piazza di Nostra Dama un palco grande e capace di tutti i tuoi baroni e di tutto il clero di questa città; farai parare il palco di drappi di seta e d'oro; fabbricherai nel mezzo di quello 58

uno altare; e voglio che domenica mattina pros­ sima tu con il clero, insieme con tutti i tuoi prin­ cipi e baroni, con la reale pompa, con splendidi e ricchi abigliamenti, conveniate sopra quello, do­ ve, celebrata prima una solenne messa, farai ve­ nire la indemoniata. Voglio, oltra di questo, che da l'uno canto de la piazza sieno insieme venti persone almeno che abbino trombe, corni, tam­ buri, cornamuse, cembanelle, cemboli e d'ogni altra qualità romori; i qual� quando io alzerò il cappello, dieno in quegli strumenti, e, sonando, ne venghino verso il palco: le quali cose, insieme con certi altri segreti rimedii, credo che faranno • • • parttre questo spirito -. Fu subito da il re ordinato tutto; e, venuta la domenica mattina e ripieno il palco di personag­ gi e la piazza di populo, celebrata la messa, venne la spiritata condutta in sul palco per le mani di dua vescovi e molti signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme e tanto apparato, ri­ mase quasi che stupido, e fra sé disse: - Che cosa ha pensato di fare questo poltrone di questo vil­ lano? Crede egli sbigottirmi con questa pompa? non sa egli che io sono uso a vedere le pompe del cielo e le furie dello inferno? Io lo gastigherò in 59

ogni modo -. E accostandosegli Gianmatteo e pregandolo che dovessi uscire, gli disse: - O, tu hai fatto il bel pensiero! Che credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggire per questo la potenza mia e l'ira del re? Villano ribaldo, io ti farò impiccare in ogni modo -. E cosi ripregan­ dolo quello, e quell'altro dicendogli villania, non parve a Gianmatteo di perdere piu tempo. E fat­ to il cenno con il cappello, tutti quegli, che erano a romoreggiare diputati, dettano in quegli suoni, e con romori che andavano al cielo ne vennono verso il palco. Al quale romore alzò Roderigo gli orecchi e, non sapiendo che cosa fussi e stando forte maravigliato, tutto stupido domandò Gian­ matteo che cosa quella fussi. Al quale Gianmat­ teo tutto turbato disse: - Oimè, Roderigo mio! 44 quella è m6gliata che ti viene a ritrovare -. Fu cosa maravigliosa a pensare quanta alterazione di mente recassi a Roderigo sentire ricordare il nome della moglie. La quale fu tanta che, non pensando s'egli era possibile o ragionevole se la 45 fussi dessa, sanza replicare altro, tutto spaven­ tato, se ne fuggi lasciando la fanciulla libera, e volse piu tosto tornarsene in inferno a rendere ragione della sua azioni, che di nuovo con tanti 60

fastidi, dispetti e periculi sottoporsi al giogo ma­ trimoniale. E cosi Belfagor, tornato in inferno, fece fede de' mali che conduceva in una casa la moglie. E Gianmatteo, che ne seppe piu che il diavolo, se ne ritornò tutto lieto a casa. •

FINIS

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per relazione: per racconti orali. 2. abstratto: intento, assorto. 3. Minos e Radamanto: erano con Eaco i giudici dell'oltretomba classico. 4. per lui: da lui. 5. quelli ... piu: quelli che hanno piu potere. 6. dando... relazione: formulando un giudizio in base a quanto ci è stato riferito. 7. quegli carichi: quelle accuse (di leggerezza e ingiustizia}. 8. erano . .. modo: erano discordi sul modo (di scoprire la ve­ rità). 9. conoscessi. . . vero: verificasse di persona.. 10. occorreva: veniva; sottlnteso, 1n mente. 11. Belfagor. dall'ebraico Baal Peor (Signore del Peor, altura della regione di Moab}; fu un dio dei moabiti e dei madianiti, adorato soprattutto dalle donne; in piu luoghi S. Girolamo lo indica come il corrispondente ebraico di Priapo. 12. fare fede: testimoniare. 13. che sono... e che: il primo « che » è complemento di ter­ mine, il secondo è complemento oggetto. 14. ordinato ... masnade: avendo scelto tra le schiere infernali. 15. essercitassi: adoperasse. 16. Soria: Siria. 17. Aleppe: l'odierna Aleppo (in arabo Halab), città della Si­ ria nord occidentale. 18. uomini: adulti. 19. rispetto ... avea: rispetto alla famiglia che aveva, e che doveva mantenere. 20. avere bene: avere buoni rapporti, stare in pace. 21. in Levante... drappi: è da sottintendersi: affinché ne facessero commercio. 22. uno battiloro: una bottega di orafo. 1.









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23. San Giovanni: la festa di S. Giovanni Battista ricorre il

24 giugno; a Firenze, come altrove, era festeggiata con parti­

colare solennità. 24. elessono: scelsero, preferirono. 25. quanto mobile: tutto il capitale mobile, il denaro liquido. 26. ritratti: guadagni, proventi. 27. per ... grado: per non essere da meno del suo livello so­ ciale. 28. prese a cambio: fece acquisti fumando cambiali. 29. girandogli . .. addosso: circolando già molte cambiali con la sua fuma. 30. tenero: maturo, avviato al fallimento. 31. non ... popularmente: non soltanto con gli ufficiali giudi­ ziari, ma personalmente, con grande concorso di popolo. 32. Pereto/a: sobborgo a ovest di Firenze. 33. mondiglie: i rami e gli sterpi che si tolgono o cadono mondando una pianta. Per altri: immondizie. 34. Non era ... fornito: non aveva appena finito. 35. non ... da lui: non riuscirono a fargli confessare. 36. lo... data: gli chiese di mantenere la parola data. 37. della moglie tolta: della moglie che aveva preso. 38. credessi . .. addosso: fosse certo che era Roderigo il demone che la invasava. 39. a trarne/o: a scacciarlo, a esorcizzarlo. 40. uccellate: derise. 41. sendo disobligo: essendomi disobbligato. 42. fatto... cuore: fattosi coraggio, rincuoratosi. 43. Do: piu spesso: doh. Interiezione di sdegno (esprime anche dolore, stupore, gioia}. 44. mogliata: tua moglie. 45. se ... dessa: che fosse proprio lei.

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L'ASINO

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CAPITOLO PRIMO

I vari casi, la pena e la doglia che sotto forma d'un Asin soffersi, canterò io, pur che fortuna voglia. Non cerco ch'Elicona altr'acqua versi, o Febo posi l'arco e la faretra e con la lira accompagni i miei versi: si perché questa grazia non s'impetra in questi tempi, si perch'io son certo ch'al suon d'un raglio non bisogna cetra. Né cerco averne prezzo, premio o merto; e ancor non mi curo che mi morda un detrattore, o palese o coperto; ch'io so ben quanto gratitudo è sorda a' preghi di c.iascuno, e so ben quanto de' benefici un Asin si ricorda. Morsi o mazzate io non istimo tanto quanto io soleva, sendo divenuto de la natura di colui ch'io canto. S'io fossi ancor di mia prova tenuto piu ch'io non soglio, cosi mi comanda quell'Asin sott'il quale io son vissuto. Volse già farne un bere in fonte Branda 67

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ben tutta Siena; e poi gli mise in bocca una gocciola d'acqua a randa a randa. Ma se 'l ciel nuovi sdegni non trabocca contra di me, e' si farà sentire per tutto un raglio, e sia zara a chi tocca. Ma prima ch'io cominci a riferire dell'Asin mio i diversi accidenti, non vi rincresca una novella udire. Fu, e non sono ancora al tutto spenti 1 suoi consortl, un certo giovanetto pure in Firenze infra l'antiche genti. A costui venne crescendo un difetto: ch'in ogni luogo per la via correva, e d'ogni tempo, senza alcun rispetto. E tanto il padre vie piu si doleva di questo caso, quanto le cagioni de la sua malattia men conosceva; e volse intender molte opinioni di molti savi, e 'n piu tempo vi porse mille rimedi di mille ragioni. Oltra di questo, anco e' lo botò forse; ma ciascadun rimedio ci fu vano, perciò che sempre, e in ogni luogo, corse. Ultimamente, un certo cerretano, de' quali ogni di molti ci si vede, •

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promise al padre suo renderlo sano. Ma, come avvien che sempre mai si crede a chi promette il bene (onde deriva ch'a' medici si presta tanta fede: e spesso, lor credendo, l'uom si priva del bene: e questa sol tra l'altre sètte par che del mal d'altrui si pasca e viva), cosi costui niente in dubbio stette, e ne le man gli mise questo caso; ch'a le parole di costui credette. Ed ei gli fe' cento profumi al naso; tràssegli sangue de la testa; e poi gli parve aver il correr dissuaso E fatto ch'ebbe altri rimedi suoi, rendé per sano al padre il suo figliuolo, con questi patti eh'or vi direm noi: che mai non lo lasciasse andar fuor solo • per quattro mesi, ma con seco stesse chi, se per caso e' si levasse a volo, che con qualche buon modo il ritenesse, dimostrandogli in parte il suo errore, pregando! ch'al suo onor riguardo avesse. Cosi andò ben piu d'un mese fòre onesto e saggio, infra due suoi fratelli, di riverenza pieno e di timore;

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ma giunto un di ne la via de' Martelli, onde puossi la via Larga vedere, cominciaro arricciarsigli i capelli. Non si poté questo giovin tenere, vedendo quella via dritta e spaziosa, di non tornar ne l'antico piacere; e, posposta da parte ogni altra cosa, di correr gli tornò la fantasia, che mulinando mai non si riposa; e giunto in su la testa de la via lasciò ire il mantello in terra, e disse: - Qui non mi terrà Cristo; - e corse via. E di poi corse sempre, mentre visse, tanto che 'l padre si perdé la spesa e 'l medico lo studio che vi misse. Perché la mente nostra, sempre intesa dietro al suo natural, non ci consente contr'abito o natura sua difesa. Ed io, avendo già volta la mente a morder questo e quello, un tempo stetti • • • assai quieto, umano e paziente, non osservando piu gli altrui difetti, cercando in altro modo fare acquisto; tal che d'esser guarito i' mi credetti. Ma questo tempo dispettoso e tristo 70

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fa, senza ch'alcuno abbia gli occhi d'Argo, piu tosto il mal che 'l bene ha sempre visto; onde, s'alquanto or di veleno spargo, bench'io mi sia divezzo di dir male, mi sforza il tempo di materia largo. E l'Asin nostro, che per tante scale di questo nostro mondo ha mosso i passi, per lo ingegno veder d'ogni mortale, se bene in ogni luogo si osservassi per le sue strade i suoi lunghi cammini, non lo terrebbe il ciel che non ragghiassi. Dunque, non fìe verun che s'avvicini • a questa rozza e cap1tosa gregge, per non sentir degli scherzi asinini: ch'ogniun ben sa, che sua natura legge, ch'un de' piu destri giuochi che far sappi è trarre un paio di calci e due corregge. E ognuno a suo modo ciarli e frappi, e abbia quando voglia e fumo e fasto, ch'omai convien che questo Asin ci cappi; e sentirassi come il mondo è guasto, perch'io vorrò che tutto un vel dipinga, avanti che si mangi il freno e 'l basto: e chi lo vuol aver per mal, si scinga. 71

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CAPITOLO SECONDO

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Quando ritorna la stagione aprica, allor che primavera il verno caccia, a' ghiacci, al freddo, a le nevi nimica, dimostra il cielo assai benigna faccia, e suol Diana con le Ninfe sue ricominciar pe' boschi andar a caccia; e 'l giorno chiaro si dimostra piue, massime se, tra l'uno e l'altro corno il sol fiammeggia del celeste bue. Sentonsi gli asinelli, andando attorno, romoreggiar insieme alcuna volta la sera, quando a casa fan ritorno; tal che chiunque parla, mal si ascolta; onde che per antica usanza è suta dire una cosa la seconda volta; perché con voce tonante e arguta alcun di loro spesso o raglia o ride, se vede cosa che gli piaccia, o fiuta. In questo tempo, allor che si divide il giorno da la notte, io mi trovai in un luogo aspro quanto mai si vide. Io non vi so ben dir com'io v'entrai, né so ben la cagion perch'io cascassi 72



là dove al tutto libertà lasciai. Io non poteva muover i miei passi pe 'l timor grande e per la notte oscura, ch'io non vedeva punto ov'io m'andassi. Ma molto piu mi acc;rebbe la paura un suon d'un corno si feroce e forte, ch'ancor la mente non se ne assicura. E mi parea veder intorno Morte con la sua falce, e d'un color dipinta che si dipinge ciascun suo consorte. L'aria di folta e grossa nebbia tinta, la via di sassi, bronchi e sterpi piena avean la virru mia prostrata e vinta. A un troncon m'er'io appoggiato a pena, quando una luce subito m'apparve, non altrimenti che quando balena; ma come il balenar già non disparve, anz� crescendo e venendomi presso, sempre maggiore e piu chiara mi parve. Aveva io fisso in quella l'occhio messo, • e mtorno a essa un mormono sentivo d'un frascheggiar, che le veniva appresso. Io era quasi d'ogni senso privo, e, spaventato a quella novitate, teneva vòlto il volto a ch'io sentivo, •

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quando una donna piena di beltate, ma fresca e frasca, mi si dimostrava con le sue trecce bionde e scapigliate. Con la sinistra un gran lume portava per la foresta, e da la destra mano teneva un corno con ch'ella sanava. Intorno a le� per lo solingo piano, erano innumerabili animali, che dietro le venian di mano in mano. Orsi, lupi e leon fieri e bestiali, e cervi e tassi e, con molte altre fiere, uno infinito numer di cingiali. Questo mi fece molto piu temere, e fuggito sarei pallido e smorto, s'aggiunto fosse a la voglia il potere. Ma quale stella m'avria mostro il porto? O dove gito, misero, sarei? O chi m'avrebbe al mio sentiere scòrto? Stavano dubbi tutti i pensier miei, s'io doveva aspettar ch'a me venisse, o reverente farmi incontro a lei; tanto ch'innanzi dal tronco i' partisse, sopragiunse ella, e con un modo astuto e sogghignando: - B.uona sera - disse. E fu tanto domestico il saluto, 74

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con tanta grazia, con quanta avria fatto, se mille volte m'avesse veduto. Io mi rassic,urai tutto a quello atto; e tanto piu chiamandomi per nome nel salutar che fece il primo tratto. E di poi, sogghignando, disse: - Or come, dimmi, sei tu cascato in queste valle da nullo abitator colte né dome? Le guance mie, ch'erano smorte e gialle, mutar colore e diventar di fuoco, e tacendo mi strinsi ne le spalle. Avrei voluto dir: - Mio senno poco, • vano sperare e vana opemone m'han fatto ruinare in questo loco; ma non potei formar questo sermone in nessun modo, cotanta vergogna di me mi prese, e tal compassione. Ed ella sorridendo: - E' non bisogn a tu tema di parlar tra questi ceppi; ma parla, e di' quel che 'l tuo core agogna; ché, benché in questi solitari greppi i' guidi questa mandra, e' son piu mesi che tutto 'l corso di tua vita seppi. Ma perché tu non puoi aver intesi i casi nostri, io ti dirò in che lato 75

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ruinato tu sia, o in che paesi. Quando convenne, nel tempo passato, a Circe abbandonar l'antico nido, prima che Giove prendesse lo stato, non ritrovando alcuno albergo fido, né gente alcuna che la ricevesse, tanto era grande di sua infamia il grido, in queste oscure selve, ombrose e spesse, fuggendo ogni consorzio umano e legge, suo domicilio e la sua sedia messe. Tra queste, adunque, solitarie schegge agli uomini nimica, si dimora, nodrita da' sospir di questa gregge. E perché mai alcun non usci fuora, che qui venisse, però mai novelle di lei si sepper, né si sanno ancora. Sono al servizio suo molte donzelle, con le quai solo il suo regno governa, ed io sono una del numer di quelle. A me è dato per faccenda eterna, che meco questa mandria a pascer venga per questi boschi, e ogni lor caverna. Però convien che questo lume tenga e questo corno: l'uno e l'altro è buono, s'avvien che 'l giorno, ed io sia fuor, si spenga.



L'un mi scorge il cammin; con l'altro i' suono s'alcuna bestia nel bosco profondo fosse smarrita, sappia dove i' sono. E se mi domandassi, io ti rispondo: sappi che queste bestie che tu vedi, uotnini, come te, furon nel mondo. E s'a le mie parole tu non credi, risguarda un po' come intorno ti stanno, e chi ti guarda e chi ti lecca i piedi. E la cagion del guardar eh' elle fanno è eh'a ciascuna de la tua ruina rincresce, e del tuo male e del tuo danno. Ciascuna, come te, fu peregrina in queste selve, e poi fu trasmutata in queste for111e da la mia regina. Questa propria virtu dal ciel gli è data, che in varie forme faccia convertire, tosto che 'l volto d'un uom fiso guata. Per tanto a te convien meco venire e di questa mia mandra seguir l'orma, se in questi boschi tu non vuoi morire. E perché Circe non vegga la forma del volto tuo, e per venir secreto, te ne verrai carpon fra questa torma -. Allor si mosse con un viso lieto; 77

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e io, non ci veggendo altro soccorso, carpendo con le fiere le andai drieto, infra le spalle d'un cervio e d'un orso.

CAPITOLO TERZO

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Dietro a le piante de la mia duchessa andando, con le spalle volto al cielo, tra quella turba d'a.nimali spessa, or mi prendeva un caldo ed or un gelo, or le braccia tremando mi cercava s'elle avevan cangiato pelle o pelo. Le mani e le ginocchia io mi guastava; o voi ch'andate a le volte carponi, per discrezion pensate com'io stava. Er'ito forse un'ora ginocchioni tra quelle fiere, quando capitamo in un fossato tra duo gran valloni. V edere innanzi a noi non potevamo, però che il lume tutti ci abbagliava di quella donna che noi seguavamo; quando una voce udimmo, che fischiava col rumor d'una porta che si aperse, di cui l'uno e l'altro uscio cigolava.

Come la vista el rigu ardar sofferse, dinanzi agli occhi nostri un gran palazzo di mirabile altura si scoperse. Magnifico e spazioso era lo spazzo; ma bisognò, per arrivare a quello, di quel fossato passar l'acqua a guazzo. Una trave faceva ponticello, sopra cui sol passò la nostra scorta, non potendo le bestie andar sopr'ello. Giunti che furruno a pié de l'alta porta, pien d'affanno e d'angoscia i' entrai drento, tra quella turba ch'è peggio che morta, e fummi assai di minore spavento; ché la mia donna, perch'io non temessi, avea ne l'entra.r quivi il lume spento. E questo fu cagion ch'io non vedessi d'onde si fosse quel fischiar venuto, o chi aperto ne l'entrar ci avessi. Cosi, tra quelle bestie sconosciuto, mi ritrovai in un ampio cortile, tutto smarrito, senza esser veduto. E la mia donna bella, alta e gentile, per ispazio d'un'ora, o piu, attese le bestie a rassettar nel loro ovile. Poi, tutta lieta, per la man mi prese, 79

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ed in una sua camera menommi, dov'un gran fuoco di sua mano accese; col qual cortesemente rasciugo1nn1i quell'acqua che m'avea tutto bagnato, quando il fossato passar bisognommi. Poscia ch'io fui rasciutto, e riposato alquanto de l'affanno e dispiacere che quella notte m'avea travagliato, incominciai: - Madonna, il mio tacere nasce non già perch'io non sappia a punto quanto ben fatto m'hai, quanto piacere. Io era al termin di mia vita giunto, per luogo oscuro, tenebroso e cieco, quando fui da la notte sopragiunto. Tu mi menasti, per salvarmi, teco: dunque, la vita da te riconosco e ciò ch'intorno a quella porto meco. Ma la memoria de l'oscuro bosco col tuo bel volto m'han fatto star cheto {nel qual ogni mio ben veggo e conosco), che fatto m'hanno ora doglioso or lieto: doglioso, per quel mal che venne pria; allegro, per quel ben che venne drieto; ché potuto non ho la voce mia esplicar a parlare, infìn ch'io sono 80

posato in parte de la lunga via. Ma tu, ne le cui braccia io m'abbandono, e che tal cortesia usata m'hai che non si può pagar con altro dono, cortese 1n questa parte ancor sarai, che non ti gravi si, che tu mi dica quel corso di mia vita che tu sai -. - Tra la gente moderna e tra l'antica cominciò ella -, alcun mai non sostenne piu ingratitudin, né maggior fatica. Questo già per tua colpa non ti avvenne, come avviene ad alcun, ma perché sorte al tuo ben operar contraria venne. Questa ti chiuse di pietà le porte, quando ch'al tutto questa t'ha condutto in questo luogo si feroce e forte. Ma perché il pianto a l'uom fu sempre brutto, si debbe a' colpi de la sua fortuna voltar il viso di lagrime asciutto. Vedi le stelle e 'l ciel, vedi la luna, vedi gli altri pianeti andare errando or alto or basso, senza requie alcuna; quando il ciel vedi tenebroso, e quando lucido e chiaro; e cosi nulla in terra vien ne lo stato suo perseverando. •





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Di quivi nasce la pace e la guerra; di qui dipendon gli odi tra coloro ch'un muro insieme ed una fossa serra. Da questo venne il tuo primo martora; da questo nacque al tutto la cagione de le fatiche tue senza ristoro. Non ha cangiato il cielo opinione ancor, né cangerà, mentre che i fati tengon ver te la lor dura intenzione. E quelli umori i quai ti sono stati • • • cotanto avversi e cotanto n1m1c1, • non sono ancor, non sono ancor purgatt; ma come secche fìen le lor radici e che benigni i ciel si mostreranno, torneran tempi piu che mai felici; e tanto lieti e giocondi saranno, che ti darà diletto la memoria e del passato e del futuro danno. Forse eh'ancor prenderai vanagloria a queste genti raccontando e quelle de le fatiche tue la lunga istoria. Ma prima che si mostrin queste stelle liete verso di te, gir ti conviene cercando il mondo sotto nuova pelle; ché quella �rovvidenza che mantiene •

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l'umana spezie, vuol che tu sostenga questo disagio per tuo maggior bene. Di qui conviene al tutto che si spenga in te l'umana effigie, e, senza quella, meco tra l'altre bestie a pascer venga. Né può mutarsi questa dura stella; e, per averti in questo luogo messo, si differisce il mal, non si cancella. E lo star meco alquanto t'è permesso, acciò del luogo esperienza porti, e deg� abitator che stanno in esso. Adunque fa che tu non ti sconforti; ma prendi francamente questo peso sopra gli omeri tuoi solidi e forti; ch'ancor ti gioverà d'averlo preso -.

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CAPITOLO QUARTO

Poi che la donna di parlare stette, leva'mi in pié, rimanendo confuso per le parole ch'ella aveva dette. Pur dissi: - Il ciel né altri i' non accuso, né mi vo' lamentar di si ria sorte, perché nel mal piu che nel ben sono uso. 83

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Ma s'io dovessi per l'infernal porte gire al ben che detto hai, mi piacerebbe, non che per quelle vie che tu m'hai porte. Fortuna, dunque, tutto quel che debbe e che le par, de la mia vita faccia; ch'io so ben che di me mai non le 'ncrebbe -. Allora la mia donna apri le braccia, e con un bel sembiante, tutta lieta, mi baciò dieci volte e piu la faccia; poi disse festeggiando: - Alma discreta, • questo v1agg10 tuo, questo tuo stento, cantato fìa da istorico o poeta. Ma perché via passar la notte sento, vo' che pigliam qualche consolazione e che mutiam questo ragionamento. E prima troverem da colezione, ché so bisogno n'hai forse non poco, se di ferro non è tua condizione; e goderemo insieme in questo loco -. E detto questo, una sua tovaglietta apparecchiò su un certo desco al fuoco. Poi trasse d'uno armario una cassetta, dentrovi pane, bicchieri e coltella, un pollo, una insalata acconcia e netta, e altre cose appartenenti a quella. •

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Poscia, a me volta, disse: - Questa cena ogni sera m'arreca una donzella. Ancor questa guastada porta piena di vin, che ti parrà, se tu l'assaggi, di quel che Val di Grieve e Poppi mena. Godiamo, adunque; e, come fanno i saggi, pensa che ben possa venire a.ncora; e chi è dritto, al fin convien che caggi. E quando viene il maL che viene ognora, mandalo giu come una medicina; ché pazzo è chi la gusta o l'assapora. Viviamo or lieti, infìn che domattina con la mia greggia sia tempo uscir fuori, per ubbidire a l'alta mia regina -. Cosi, lasciando gli affanni e i dolori, lieti insieme cenammo: e ragionossi di mille canzonette e mille amori. Poi, come avemmo cenato, spogliossi, e dentro al letto mi fe' seco entrare, come suo amante o suo marito io fossi. Qui bisogna a le Muse il peso dare, per dir la sua beltà; ché senza loro sarebbe vano il nostro ragionare. Erano i suoi capei biondi com'oro, ricciuti e crespi, tal che d'una stella 85

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pareano i raggi, o del superno coro. Ciascuno occhio pareva una fiammella, tanto lucente, si chiara e si viva, ch'ogni acuto veder si spegne in quella. A vea la testa una grazia attrattiva, tal ch'io non so a chi me la somigli, perché l'occhio al guardarla si smarriva. Sottili, areati e neri erano i cigli, perch'a plasmargli fur tutti gli Dei, tutti i celesti e superni consigli. Di quel che da quei pende dir vorrei cosa ch'al vero alquanto rispondesse, ma taccio!, perché dir non lo saprei. Io non so già chi quella bocca fesse; se Giove con sua man non la fece egli, non credo ch'altra man far la potesse. I denti piu che d'avorio eran begli; e una lingua vibrar si vedeva, come una serpe, infra le labbra e quegli: d'onde usci un parlare, il qual poteva fermare i venti e far andar le piante, si soave concento e dolce aveva. Il collo e 'l mento ancor vedeasi, e tante altre bellezze, che farian felice ogni meschino e infelice amante. 86

Io non so s'a narrarlo si disdice quel che segui da poi; però che 'l vero suole spesso far guerra a chi lo dice. Pur lo dirò, lasciandone il pensiero a chi vuol biasimar; perché, tacendo . . . ' un gran piacer, non e piacer intero. Io venni ben con l'occhio discorrendo tutte le parti sue infìno al petto, a lo splendor del quale ancor m'accendo; ma piu oltre veder mi fu disdetto da una ricca e candida coperta, con la qual coperto era il picciol letto. Era la mente mia stupida e incerta, frigida, mesta, timida e dubbiosa, non sapendo la via quanto era aperta. E come giace stanca e vergognosa e involta nel lenzuol, la prima sera, presso al marito la novella sposa, cosi d'intorno, pauroso, m'era la coperta del letto inviluppata, come quel che 'n virtu sua non ispera. Ma poi che fu la donna un pezzo stata a riguardarmi, sogghignando disse: - Sare' io d'ortica o pruni armata? Tu puo' aver quel che sospirando misse 87

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alcun già, per averlo, piu d'un grido, e fe' mille quistioni e mille risse. Bene entreresti in qualche loco infido, • per ntrovartt meco, o noteresti come Leandro infra Sesto e Abido; poi che virtute hai si poca, che questi panni che son fra noi ti fanno guerra, e da me si discosto ti ponesti -. E come quando nel carcer si serra, dubbioso de la vita, un peccatore, che sta con gli occhi guardando la terra; poi, s'egli avvien che grazia dal si gnore impetri, e' lascia ogni pensiero strano e prende assai d'ardire e di valore, tal er'io, e tal divenni per l'umano suo ragionare; e a lei m'accostai, stendendo fra' lenzuol la fredda mano. · E come poi le sue membra toccai, un dolce si soave al cor mi venne qual io non credo piu gustar già mai. Non in un loco la man si ritenne, ma, discorrendo per le membra sue, la smarrita virtu tosto rinvenne. E non essendo già timido piue, dopo un dolce sospir, parlando dissi: •

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- Sian benedette le bellezze tue Sia benedetta l'ora, quando io missi il pié ne la foresta, e se mai cose, che ti fossero a cor, feci né scrissi -. E pien di gesti e parole amorose, rinvolto in quelle angeliche bellezze che scordar mi facean l'umane cose, intorno al cor sentii tante allegrezze con tanto dolce, ch'io mi venni meno gustando il fìn di tutte le dolcezze, tutto prostrato sopra il dolce seno.

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CAPITOLO QUINTO

Veniva già la fredda notte manco: fuggivansi le stelle ad una ad una, e d'ogni parte il ciel si facea bianco; cedeva al sole il lume de la luna, quando la donna mia disse: - E' bisogna, poi ch'egli è tale il voler di Fortuna, s'io non voglio acquistar qualche vergogna, tornar a la mia mandra, e menar quella dove prender l'usato cibo agogna. Tu ti resterai solo in questa cella,

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e questa sera, al tornar, menerotti dove tu possa a tuo modo vedella. Non uscir fuor; questo ricordo dotti; non risponder s'un chiama, perché molti degli altri questo errore ha mal condotti -. Indi partissi; ed io, ch'aveva volti tutti i pensieri a l'a,moroso aspetto che lucea piu che tutti gli altri volti, sendo rimaso in camera soletto, per mitigar, del letto i' mi levai, l'incendio grande che m'ardeva il petto. Come prima da lei mi discostai, mi riempié di pensieri la saetta quella ferita che per lei sanai. E stav'io come quello che sospetta di varie cose, e se stesso confonde, desiderando il ben che non aspetta. E perché a l'un pensier l'altro risponde, la mente a le passate cose corse, che 'l tempo per ancor non ci nasconde; e qua e là ripensando discorse, come l'antiche genti, alte e famose, fortuna spesso or carezzò e or morse; e tanto a me parver maravigliose, che meco la cagion discorrer volli 90

del variar de le mondane cose. Quel che ruina da' piu alti colli, piu ch'altro, i regni, è questo: che i potenti di lor potenza non son mai satolli. Da questo nasce che son mal contenti quei ch'han perduto, e che si desta umore . per ruinar quei che restan vincenti; onde avvien che l'un sorge e l'altro muore; e quel ch'è surto, sempre mai si strugge per nuova ambizione o per timore. Questo appetito gli stati distrugge: e tanto è piu mirabil, che ciascuno conosce questo error, nessun lo fugge. San Marco impetuoso ed importuno, credendosi aver sempre il vento in poppa, non si curò di ruinare ognuno; né vide come la potenza troppa era nociva, e come il me' sarebbe tener sott'acqua la coda e la groppa. Spesso uno ha pianto lo stato ch'egli ebbe, e, dopo il fatto, poi s'accorge come a sua ruina e a suo danno crebbe. Atene e Sparta, di cui si gran nome fu già nel mondo, allor sol ruinorno, quando ebber le potenze intorno dome. 91

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Ma di Lamagna nel presente giorno ciascaduna città vive sicura, per aver manco di sei miglia intorno. A la nostra città non fe' paura Arrigo già con tutta la sua possa, quando i confini avea presso a le mura; ed or ch'ella ha sua potenza promossa intorno, e diventata è grande e vasta, teme ogni cosa, non che gente grossa. Perché quella virtute che soprasta un corpo a sostener, quando egli è solo, a regger poi maggior peso non basta. Chi vuol toccar e l'uno e l'altro polo, si truova ruinato in sul terreno, com'Icar già dopo suo folle volo. Vero è che suol durar o piu o meno una potenza, secondo che piu o men sue . leggi buone e ordin fieno. Quel regno che sospinto è da virtu ad operare, o da necessitate, si vedrà sempre mai gire a l'insu; e per contrario fìa quella cittate piena di sterpi silvestri e di dumi, cangiando seggio dal verno a la state, tanto ch'al fìn convien che si consumi 92

e ponga sempre la sua mira in fallo, che ha buone leggi e cattivi costumi. Chi le passate cose legge, sallo come gl'imperii comincian da Nino, e poi finiscono in Sardanapallo. Quel primo fu tenuto un uom divino, quell'altro fu trovato fra l'ancille com'una donna a dispensar il lino. La virtti fa le region tranquille: e da tranquillità poi ne risolta l'ozio: e l'ozio arde i paesi e le ville. Poi, quando una provincia è stata involta ne' disordini un tempo, tornar suole virtute ad abitarvi un'altra volta. Quest'ordine cosi permette e vuole chi ci governa, acciò che nulla stia o possa star mai fermo sotto 'l sole. Ed è, e sempre fu, e sempre fìa che 'l mal succeda al bene, il bene al male, e l'un sempre cagion de l'altro sia. Vero è ch'un crede sia cosa mortale pe' regni, e sia la lor distruzione l'usura, o qualche peccato carnale; e de la lor grandezza la cagione, e che alti e potenti gli mantiene, 93

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sian digiuni, limosine, orazione. Un altro, piu discreto e savio, tiene ch'a ruinargli questo mal non basti, né basti a conservargli questo bene. Creder che senza te per te contrasti Dio, standoti ozioso e ginocchioni, ha molti regni e molti stati guasti. E' son ben necessarie l'orazioni: e matto al tutto è quel ch'al popol vieta le cerimonie e le sue divozioni; perché da quelle in ver par che si mieta unione e buono ordine; e da quello buona fortuna poi dipende e lieta. Ma non sia alcun di si poco cervello, che creda, se la sua casa ruina, che Dio la salvi senz'altro puntello; perché e' morrà sotto quella ruina. CAPITOLO SESTO

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Mentre ch'io stava sospeso ed involto con l'affannata mente in quel pensiero, aveva il sole il mezzo cerchio volto: il mezzo, dico, del nostro emispero; 94

tal che da noi s'allontanava il giorno, e l'oriente si faceva nero; quano io conobbi pe 'l sonar d'un corno e pe 'l ruggir de l'infelice armento, come la donna mia facea ritorno. E bench'io fossi in quel pensiero intento che tutto il giorno a sé mi aveva tratto, e del mio petto ogni altra cura spento, com'io sentii la mia donna, di fatto pensai eh'ogni altra cosa fosse vana fuor di colei di cui fui servo fatto; che, giunta dov'io era, tutta umana il collo mio con un de' bracci avvinse, con l'altro mi pigliò la man lontana. Vergogna alquanto il viso . mi dipinse, né potti dire alcuna cosa a quella, tanta fu la dolcezza che mi vinse. Pur, dopo alquanto spazio, e io ed ella insieme ragionammo molte cose, com'uno amico con l'altro favella. Ma, riposate sue membra angosciose e recreate dal cibo usitato, cosi parlando la donna propose: - Già ti promisi d'averti menato in loco dove comprender potresti 95

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tutta la condizion del nostro stato; adunque, se ti piace, fa t'appresti, e vedrai gente con cui per l'adrieto • gran conoscenza e gran pratica avesti -. Indi levossi, e io le tenni drieto, com'ella volse, e non senza paura; pur non sembrava né mesto né lieto. Fatta era già la notte ombrosa e scura; ond'ella prese una lanterna in mano, ch'a suo piacer il lume scuopre e tura. Giri che fummo, e non molto lontano, mi parve entrar in un gran dormitoro, si come ne' conventi usar veggiàno. Un landrone era proprio come il loro, e da ciascun de' lati si vedeva porte pur fatte di pover lavoro. Allor la donna ver me si volgeva, e disse come dentro a quelle porte il grande armento suo meco giaceva. E perché variata era la sorte, eran varie le loro abitazioni, e ciaschedun si sta col suo consorte. - Stanno a man destra, al primo uscio, i leoni cominciò, poi che 'l suo parlar riprese -, co' denti acuti e con gli adunchi unghioni. •

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Chiunque ha cor magnanimo e cortese, da Circe in quella fera si converte; ma pochi ce ne son del tuo paese. Ben son le piagge tue fatte deserte e prive d'ogni gloriosa fronda, che le facea men sassose e meno erte. S'alcun di troppa furia e rabbia abbonda, tenendo vita rozza e violenta, tra gli orsi sta ne la stanza seconda; e ne la terza, se ben mi ramn1enta, voraci lupi e affamati stanno, tal che cibo nessun non gli contenta. Suo domicilio nel quarto loco hanno buffoli e buoi; e se con quella fiera si trova alcun de' tuoi, àbbisi il danno. Chi si diletta di far buona ciera, e dorme quando e' veglia intorno al fuoco, si sta fra' becchi nella quinta schiera. Io non ti vuo' discorrere ogni loco: perché a voler parlar di tutti quanti, sarebbe il parlar lungo e 'l tempo poco. Bàstiti questo: che dietro e davanti ci son cervi, pantere e leopardi, e maggior bestie assai che leofanti. Ma fa ch'un poco al dirimpetto guardi 97

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quell'ampia porta ch'a l'incontro è posta, ne la quale entrerem, benché sia tardi -. E prima ch'io facessi altra risposta, tutta si mosse, e disse: - Sempre mai si debbe far piacer quando e' non costa. Ma perché, poi che dentro tu sarai, possa conoscer del loco ogni effetto e me' considerar ciò che vedrai, intender debbi che, sottp ogni tetto di queste stanze, sta d'una- ragione d'animai bruti, come già t'ho detto. Sol questa non mantien tal condizione, e, come avvien nel Mallevato vostro che vi va ad abitar ogni prigione, cosi colà in quel loco ch'io ti mostro, può ir ciascuna fiera a diportarsi, che per le celle stan di questo chiostro; tal che, veggendo quella, potrà farsi, senza riveder l'altre ad una ad una, dove sarebbon troppi passi sparsi. E anche in quella parte si raguna fiere che son di maggior conoscenza, di maggior grado e di maggior fortuna. E se ti parran bestie in apparenza, ben ne conoscerai qualcuna in parte

a' modi, a' gesti, a gli occhi, a la presenza -. Mentre parlava, noi venimmo in parte dove la porta tutta ne appariva, con le sue circostanze a parte a parte. Una figu ra, che pareva viva, era di marmo scolpita davante sopra 'l grande arco che l'uscio copriva: e come Annibal sopra un elefante, parea che trionfasse; e la sua vesta era d'uom grave, famoso e prestante. D'alloro una ghirlanda aveva in testa; la faccia aveva assai gioconda e lieta; d'intorno, gente che li facean festa. - Colui è il grande abate di Gaeta disse la donna -, come saper dei, che fu già coronato per poeta. Suo simulacro da' supemi Dei, come tu vedi, in quel loco fu messo, con gli altri che gli sono intorno a' piei, perché ciascun che gli venisse appresso, senz'altro intender, giudicar potesse quai sian le genti là serrate in esso. Ma facciam si ornai, ch'io non perdesse cotanto tempo a risguardar costui, che l'ora del tornar sopragiungesse. 99

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Vienne, adunque, con meco; e se mai fui cortese, ti parrò a questa volta, nel dimostrarti questi luoghi bui, se tanta grazia non m'è dal ciel tolta -.

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CAPITOLO SETTIMO

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Noi eravam col piè già 'n su la soglia di quella porta, e di passar là drento m'avea fatto venir la donna voglia; e di quel mio voler restai contento, perché la porta subito s'aperse, e dimostronne il serrato convento. E perché me' quel potesse vederse, il lume ch'ella avea sotto la vesta chiuso, ne l'entrar là tutto scoperse. A la qual luce si lucida e presta, com'egli avvien nel veder cosa nuova, piu che due mila bestie alzar la testa. - Or guarda ben, se di veder ti giova disse la donna -, il copioso drappello che 'n questo loco insieme si ritruova. Né ti paia fatica a veder quello, ché non son tutti terrestri animali; ben c'è tra tante bestie qualche uccello -. 100

Io levai gli occhi, e vidi tanti e tali animai bruti, ch'io non crederei poter mai dir quanti fossero e quali; e perché a dirlo tedioso sarei, narrerò di qualcun, la cui presenza diede piu maraviglia a gli occhi miei. Vidi un gatto per troppa pazienza perder la preda, e restarne scornato, benché prudente e di buona semenza. Poi vidi un drago tutto travagliato voltarsi, senza aver mai posa alcuna, ora sul destro ora su l'altro lato. Vidi una volpe, maligna e 'mportuna, che non truova ancor rete che la pigli; e un can còrso abbaiar a la luna. Vidi un leon che s'aveva gli artigli e' denti ancor da se medesmo tratti, pe' suoi non buoni e non saggi consigli. Poco piu là, certi animai disfatti, qual coda non avea, qual non orecchi, vidi musando starsi quatti quatti. Io ve ne scorsi e conobbi parecchi; e se ben mi ricordo, in maggior parte era un mescuglio fra conigli e becchi. Appresso questi, un po' cosi da parte,. 101

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vidi un altro animal, non come quelli, ma da natura fatto con piu arte. Aveva rari e delicati e' velli; parea superbo in vista e animoso, tal che mi venne voglia di piacelli. Non dimostrava suo cuor generoso, Gli ugnoni avendo incatenato e i denti; però si stava sfuggiasco e sdegnoso. Una . . . . . . . . . . . . . . . . . . . • • • • • • • • •

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Poi vidi una giraffa, che chinava il collo a chiascheduno; e da l'un canto aveva un orso stanco che russava. Vidi un pavon col suo leggiadro ammanto girsi pavoneggiando, e non temeva se 'l mondo andasse in volta tutto quanto. Uno animal che non si conosceva, si variato avea la pelle e 'l dosso, e 'n su la groppa una cornacchia aveva. Una bestiaccia vidi di pel rosso, eh' era un bue senza corna; e dal discosto 102

m'ingannò, che mi parve un caval grosso. Poi vidi uno asin tanto mal disposto, che non potea portar, non ch'altro, il basto; e parea proprio un citriuol d'agosto. Vidi un segugio, ch'avea il veder guasto: e Circe n'aria fatto capitale, se non foss'ito, com'un orbo, al tasto. Vidi uno soricciuol, ch'avea per male d'esser si piccoletto, e bezzicando andava or questo, or quell'altro animale. . Poi vidi un bracco, ch'andava fiutando a questo il ceffo, a quell'altro la spalla, come s'andasse del padron cercando. Il tempo è lungo, e la memoria falla; tanto ch'io non vi posso ben narrare quel ch'io vidi in un di per questa stalla. Un buffol, che mi fe' raccapricciare col suo guardare e 'l suo mugliar si forte, d'aver veduto i' mi vo' ricordare. Un cervio vidi, che temeva forte, or qua or là variando il cammino, tanto avea paura de la morte. Vidi sopra un trave un armellino, che non vuol ch'altri il guardi, non che 'l tocchi, ed era a una allodola vicino. 103

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In molte buche piu di cento allocchi vidi, e una oca bianca come neve, e una scimia che facea lo 'mbocchi. Vidi tanti animai, che saria greve e lungo a raccontar lor condizioni, come fu il tempo a riguardarli breve. Quanti mi parver già Fabi e Catoni, che, poi che quivi di lor esser seppi, mi riusciron pecore e montoni! Quanti ne pascon questi duri greppi, che seggono alto ne' piu alti scanni! Quanti nasi aquilin riescon gheppi! E bench'io fossi involto in mille affanni, pur parlare a qualcuno arei voluto, se vi f assero stati i torcimanni; ma la mia donna, ch'ebbe conosciuto questa mia voglia e questo mio appetito, disse: - Non dubitar, ch'e' fìa adempiuto. Guarda un po' là dov'io ti mostro a dito, senz'esserti piu oltre mosso un passo pur lungo il muro, come tu se' ito -. Allora io vidi entro in un luogo basso, com'io ebbi ver lui dritto le cigli� tra 'l fango involto un porcellotto grasso. Non dirò già chi costui si somiglia; 104

bàstivi ch'e' saria trecento e piue libbre, se si pesasse a la caviglia. E la mia guida disse: - Andiam là giue presso a quel porco, se tu se' pur vago d'udir le voglie e le parole sue. Che se trar lo volessi di quel lago, facendo! tornar uom, e' non vorrebbe; come pesce che fosse in fiume o in lago. E perché questo non si crederebbe, acciò che far ne possa piena fede, domandera'lo se quindi uscirebbe -. Appresso mosse la mia donna il piede; e per non separarmi da lei punto, la presi per la man eh'ella mi diede; tanto ch'io fui presso a quel porco giunto.

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CAPITOLO 01TAVO

Alzò quel porco al giunger nostro il grifo tutto vergato di meta e di loto, tal che mi venne nel guardarlo a schifo. E perch'io fui già gran tempo suo noto, ver me si mosse mostrandomi i denti, stando col resto fern10 e senza moto. 105

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Ond'io li dissi, pur con grati accenti: - Dio ti dia miglior sorte, se ti pare; Dio ti mantenga, se tu ti contenti. Se meco ti piacesse ragionare, mi sarà grato; e perché sappia certo, pur che tu voglia, ti puoi sodisfare. E per parlarti libero e aperto, tel dico con licenza di costei, che mostro m'ha questo sentier deserto. Cotanta grazia m'han fatto li Dei, che non gli è parso il salvarmi fatica e trarmi degli affanni ove tu sei. Vuole ancor da sua parte ch'io ti dica che ti libererà da tanto male, se tornar vuoi ne la tua forma antica -. Levassi allora in pié dritto il cignale, udendo quello; e fe' questa risposta, tutto turbato, il fangoso animale: - Non so d'onde tu venga, o di qual costa; ma se per altro tu non se' venuto che per trarmi di qui, vanne a tua posta. Viver con voi io non voglio, e rifiuto; e veggo ben che tu se' in quello errore, che me piu tempo ancor ebbe tenuto. Tanto v'inganna il proprio vostro amore, 106

che altro ben non credete che sia fuor de l'umana essenza e del valore; ma se rivolgi a me la fantasia, pria che tu parta da la mia presenza, farò che 'n tale error mai piu non stia. lo mi vo' cominciar da la prudenza, eccellente virru, per la qual fanno gli uomin maggiore la loro eccellenza. Questa san meglio usar color che sanno, senz'altra disciplina, per se stesso seguir lor bene ed evitar lor danno. Senz'alcun dubbio, io affermo e confesso esser superior la parte nostra; e ancor tu nol negherai appresso. Qual è quel precettar che ci dimostra l'erba qual sia, o benigna o cattiva? Non studio alcun, non l'ignoranza vostra. Noi cangiam region di riva in riva, e lasciare uno albergo non ci duole, pur che contento e felice si viva. L'un fugge il ghiaccio e l'altro fugge il sole, seguendo il tempo al viver nostro amico, come natura che ne insegna, vuole. Voi, infelici assai piu ch'io non dico, gite cercando quel paese e questo, 107

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non per aere trovar freddo od aprico, ma perché l'appetito disonesto de l'aver non vi tien l'animo ferino nel viver parco, civile e modesto; e spesso in aere putrefatto e infermo, lasciando l'aere buon, vi trasferite; non che facciate al viver vostro schermo. Noi l'aere soL voi povertà fuggite, cercando con pericoli ricchezza, che v'ha del bene oprar le vie impedite. E se parlar vogliam de la fortezza, quanto la parte nostra sia prestante si vede, come 'l sol per sua chiarezza. Un toro, un fer leone, un leofante e 'nfìniti di noi nel mondo sono, a cui non può l'uom comparir davante. E se de l'alma ragionare è buono, vedrai di cori invitti e generosi e forti esserci fatto maggior dono. Tra noi son fatti e gesti valorosi senza sperar trionfo o altra gloria, come già quei Roman che fur famosi. Vedesi ne' leon gran vanagloria de l'opra generosa, e de la trista volerne al tutto spegner la memoria. 108

Alcuna fera ancor tra noi s'è vista, che, per fuggir del carcer le catene, e gloria e libertà morendo acquista; e tal valor nel suo petto ritiene, ch'avendo perso la sua libertate, di viver serva il suo cor non sostiene. E se a la temperanza risguarate, ancora e' vi parrà eh' a questo gioco abbiam le parti vostre superate. In Vener noi spendiamo e breve e poco tempo; ma voi, senza alcuna misura, seguite quella in ogni tempo e loco. La nostra specie altro cibar non cura che 'l prodotto dal ciel senz'arte, e voi volete quel che non può far natura. Né vi contenta un sol cibo, qual noi, ma, per me' sodisfar le 'ngorde voglie, gite per quelli infin ne' regni Eoi. Non basta quel che 'n terra si ricoglie, ché voi entrate a l'Oceano in seno, per potervi saziar de le sue spoglie. Il mio parlar mai non verrebbe meno, s'io volessi mostrar come infelici voi siete piu ch'ogni animal terreno. Noi a natura siam maggiori amici; 109

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e par che in noi piu sua virtu dispensi, facendo voi d'ogni suo ben mendici. Se vuoi questo veder, pon mano a' sensi, e sarai facilmente persuaso di quel che forse pe 'l contrario pensi. L'aquila l'occhio, il can l'orecchio e 'l naso, e 'l gusto ancor possiam miglior mostrarvi, se 'l tatto a voi piu proprio s'è rimaso; il qual v'è dato non per onorarvi, ma sol perché di Vener l'appetito dovesse maggior briga e noia darvi. Ogni animai tra noi nasce vestito: che 'l difende dal freddo tempo e crudo, sotto ogni cielo e per qualunque lito. Sol nasce l'uom d'ogni difesa ignudo, e non ha cuoio, spine o piume o vello, setole o scaglie, che li faccian scudo. Dal pianto il viver suo comincia quello, con tuon di voce dolorosa e roca; tal eh'egli è miserabile a vedello. Da poi, crescendo, la sua vita è poca, senz'alcun dubbio, al paragon di quella che vive un cervo, una cornacchia, un'oca. Le man vi diè natura e la favella, e con quelle anco ambizion vi dette, 110

e avarizia che quel ben cancella. A quante infermità vi sottomette natura, prima, e poi fortuna quanto ben senz'alcun effetto vi promette! Vostr'è l'ambizion, lussuria e 'l pianto, e l'avarizia, che genera scabbia nel viver vostro che stimate tanto. Nessun altro animai si truova ch'abbia piu fragil vita, e di viver piu voglia, piu confuso timore o maggior rabbia. Non dà l'un porco a l'altro porco doglia, l'un cervo a l'altro; solamente l'uomo l'altr'uom ammazza, crocifigge e spoglia. Pens'or come tu vuoi ch'io ritorni uomo, sendo di tutte le miserie privo, ch'io sopportava mentre che fui uomo. E s'alcuno infra gli uomin ti par divo, felice e lieto, non gli creder molto, ché 'n questo fango piu felice vivo, dove senza pensier mi bagno e vòlto -.

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CAPITOLO PRIMO 4. Elicona: il monte della Beozia sacro alle Muse, dai cui

boschi, secondo il mito, sgorgavano le acque di due fonti ispi­ ratrici di poesia. 15-17. ch'io ... si ricorda: terzina di malagevole interpretazio­ ne. Leggendo « si ricorda» come forma intransitiva pronomi­ nale, risulterebbe che il protagonista del poema, trasfor1nato in asino, dà dell'asino a chi gli si è mostrato ingrato. Conforta questa prima possibilità di interpretazione il frequente ricor­ rere dell'immagine dell'ingratitudine asinina nei proverbi e nella letteratura (del 1507 è l' Asinus del Pontano, dialogo sot­ totitolato De ingratitudine). Ma forse sono troppi due asini: uno, il protagonista, fatto oggetto di ingratitudine, ingrato l'al­ tro. Eliminare il secondo è possibile leggendo « si ricorda» co­ me forma passiva; lettura, questa, sintatticamente problemati­ ca, ma, tutto considerato, preferibile all'altra. 19-21. s'io ... vissuto: se io pure provassi a trattener1ni piu di quanto non sia solito fare, cosi mi imporrebbe (di non temere, cioè, « morsi o mazzate») l'asino nel quale mi sono mutato. 22. fonte Branda: la fonte senese le cui acque, secondo una leggenda, rendevano matto chi ne bevesse. 24. a randa a randa: a poco a poco; cfr. PULCI, Morgante, XXVII 225: « era apparita l'alba a randa a randa». 27. sia ... tocca: oltre che il nome del gioco di dadi, ''zara" indicava anche il punteggio piu basso che a quel gioco si po­ tesse realizzare. L'espressione proverbiale vale pertanto co­ me: 'suo danno a chi tocca'. 31-32. non sono ... consorti: non si è ancora del tutto estinto il suo casato. 43. lo botò: gli fece fare voto. 46. cerretano: ciarlatano. 47. d: qui, cioè in Firenze. 67. che: è superfluo. 112

98. fa ... visto: fa si che uno, anche senza avere i cento occhi d'Argo, veda piuttosto il male che il bene. 106. si osseroassi: cercasse di trattenersi. 110. capitosa: testarda, caparbia. 112. ch'ognun ... legge: giacché chiunque studi la sua natura (ad esempio sui trattati di zoologia), sa bene ecc. 115. frappi: parli a vanvera, si vanti; dr. LORENZO DE' MEDI­ CI, Rappresentazione di San Giovanni e Paolo: « convien far fatti, e non che ciarli e frappi >>. 117. ci cappi: ci acchiappi, ci raggiunga coi suoi calci. 120. avanti... basto: cioè, prima che diventi pazz,o del tutto. 121. si scinga: si cali le brache; come dire: peggio per lui; cfr. Mandragola, II 1: «e s'è l'ha per male scingasi!».

CAPITOLO SECONDO 9. celeste bue: la costellazione del Toro: tra aprile e maggio. 19 sgg. È evidente in questo passo la parodia del primo canto dell'Inferno. Ma non tutti i frequenti richiami dell'Asi­ no al poema dantesco avranno il medesimo tono caricatu­ rale. 33. che ... consorte: di cui sono dipinti i suoi consort� cioè i morti. 35. bronchi: grossi sterpi, tronchi. 50. frasca: donna leggera e volubile in amore. Qui l'aggetti­ vo è usato forse, piu che per il suo significato proprio, per l'in­ tonazione giocosa che assume, accanto a del v. 45. 94. greppi: luoghi scoscesi. 107. fuggendo ... le� e: dr. Inferno, xx 85: , XXIII 1985, p. 230). È il caso di ricordare che l'autografo della Novella è con­ servato nel codice siglato Banco Rari 240 della Bibliote­ ca Nazionale di Firenze; fonte dell'Asino è invece l' edi­ tio princeps, titolata L'Asino d'oro di Nico/o Machiavelli con alcuni altri cap. e novelle del medesimo, nuovamente messi in luce e non piu stampati. Il titolo Asino {senza quindi la ''doratura'', ritenuta dai piu una indebita aggiunta del primo editore) risulta da una lettera del 1517, scritta da Machiavelli a Lodovico Alamanni, e da una del 1518, scritta da Giuliano Branc.acci a Francesco Vettori, nella quale sono riferite parole di Machiavelli. Per le note si è tenuto presente, tra l'altro, il com­ mento di Luigi Foscolo Benedetto in N. MACHIAVELLI, Le operette satiriche, Torino, UTET, 1920, quello di Ezio I2I

Raimondi in N. MACHIAVELLI, Opere, Milano, Mursia, 1967, quello di Luigi Blasucci in N. MACHIAVELLI, Opere letterarie, Torino, UTET, 1989.

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INDICE Per un dittico machiavelliano

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FAVOLA {NOVELLA DI BELFAGOR}

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L'ASINO

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NOTA DEL CURATORE E INDICE 121

NOTA DEL CURATORE

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FINITO DI STAMPARE NEL MARZO DEL MCMXC PRESSO BERTONCELLO ARTIGRAFICHE IN CITTADELLA (PADOVA)

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Volumi pubblicati: 1. FRANCESCO PETRARCA, Lettera ai posteri, a cura ·di Gianni Villan1, pp. 152. 2. NiccoLò MACHIAVELLI, Novella di Belfagor. L'Asino, a cura di Maurizio Tarantino, introduzione di Mario Martelli, p. 128. 3. ORAZIO IlINALDI, Dottrina delle virtu efuga dei vizi, a cura di En­ rico Malato, pp. 144. 4. STENDHAL, Vittoria Accoramboni, a cura di Bruno Itri, introdu­ zione di Claudio Galderisi, pp. 124. •

Volumi di prossima pubblicazione: 5. G1ovANNI VERGA, Cavalleria rusticana, a cura di Roberto Fedi. 6. EMANUELE TESAURO, La politica di Esopo frigio, a cura di Denise Aricò. 7. Poesie d'amore provenzali del secolo XII, a cura di Luciano Rossi. 8. FRANCESCO Gu1cc1ARDINI, Ricordi, a cura di Vincenzo De Ca•

pno. 9. GIACOMO LEOPARDI, Il manuale di Epitteto, a cura di Claudio Moreschini. 10. CARLO Gozzi, Turandot, a cura di Carlachiara Perrone.



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