Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento. Convegno internazionale (Roma, 14-16 marzo 2012). Ediz. italiana, francese e spagnola 9788862275231, 9788862275248

Il volume raccoglie ventuno relazioni tenute in occasione del Convegno su "La mobilità dei mestieri del libro tra Q

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Italian Pages 398 [399] Year 2013

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Table of contents :
SOMMARIO
PRESENTAZIONE - Marco Santoro
CRONACA DEL CONVEGNO
SALUTO - Marco Santoro
I FLUSSI MIGRATORI IN ITALIATRA IL ’400 E IL ’600 - Cosimo Palagiano
LA MOBILITÀ DEI LETTERATI - Concetta Bianca
ÉMIGRATION ET TRANSFERTS CULTURELSDANS LA «LIBRAIRIE» AUX ÉPOQUESMODERNE ET CONTEMPORAINE: LE CAS DE L’ALLEMAGNE ET DE LA FRANCE - Frédéric Barbier
DIE AUSBREITUNG DES BUCHDRUCKSIN DEUTSCHLAND UND DURCH DEUTSCHEDRUCKER IN EUROPA (CA. 1454-1470) - Stephan Füssel
verbreitender buchhandel im deutschensprachraum von circa 1480bis zum ende des 16. jahrhunderts - Ursula Rautenberg
PRINTERS MOVE TO ENGLAND - Lotte Hellinga
APROXIMACIÓN AL ESTUDIO DE LA MOVILIDADDE LOS IMPRESORES EN LA CORONA DE ARAGÓNPENINSULAR EN LOS SIGLOS XV Y XVI - Por Manuel-José Pedraza-Gracía
LA MOVILIDAD DE LOS IMPRESORESEN CASTILLA EN EL SIGLO XV - Fermín de los Reyes
Mobilità tipografica in Francia durante le guerre di religione - Malcolm Walsby
UNA RETE DI LIBRAI COSMOPOLITI :I BRIANÇONESI IN ITALIAE IL LORO RUOLO DI EDITORI - Lodovica Braida
FLUSSI DI MOBILITÀDEGLI ARTISTI DEL LIBRO NAPOLETANODEL SEICENTO - Giuseppina Zappella
STAMPARE IN ITINERE : IL TORCHIO AL SEGUITO - Maria Gioia Tavoni
CANTASTORIE-EDITORINELL’ITALIA DEL CINQUECENTO - Lorenzo Baldacchini
NOTE SULLA COMMITTENZA EDITORIALEECCLESIASTICA NELL’ITALIADEL QUATTRO E CINQUECENTO - Edoardo Barbieri
CIRCOLAZIONE LIBRARIA E MOBILITÀDEI PRIMI TIPOGRAFI IN AREA MEDIO PADANA - Giorgio Montecchi
STAMPATORI E LIBRAI DEL QUATTROCENTO,CHE SI SPOSTANODA VENEZIA A MILANO E VICEVERSA - Arnaldo Ganda
MAPPA E TIPOLOGIA DELLE MIGRAZIONIDI TIPOGRAFI-EDITORI.RIFLESSIONI METODOLOGICHE :IL CASO DI PAVIA E GENOVA NEL XVI SECOLO - Anna Giulia Cavagna
LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO :CARATTERISTICHE E VALENZE - Marco Santoro
LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRONELLO STATO PONTIFICIO - Rosa Marisa Borraccini
LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO IN SICILIA - Giuseppe Lipari
LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRONELL’AREA VENETA TRA QUATTRO E SEICENTOGiancarlo Volpato
INDICE DEI NOMI
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Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento. Convegno internazionale (Roma, 14-16 marzo 2012). Ediz. italiana, francese e spagnola
 9788862275231, 9788862275248

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m o b i lità dei mestieri del libro t r a q uattro c e nto e se i ce n to Convegno internazionale Roma, 14-16 marzo 2012 a cu r a di marco san to ro e sa m a n ta s e gator i bi bli ot ec a d i « pa r at esto » · 8 .

P I S A · ROM A F A B RI Z I O SERRA E D I T O R E MMXI I I

BIBLIOTECA DI «PARATESTO» collana diretta da marco santoro 8.

Comitato scientifico Rosa Marisa Borraccini, Anna Giulia Cavagna, Giuseppe Lipari, Giuseppe Mazzocchi, Paola Pallottino, Carmela Reale, Giancarlo Volpato Comitato scientifico internazionale Frédéric Barbier, Pedro Cátedra, Robert Darnton, Georges Güntert, George Landow, Ursula Rautenberg, Mercedes López Suárez, Maria Antonietta Terzoli, Gennaro Toscano

m o b i lità dei mestieri del libro t r a q uattro c e nto e se i ce n to Convegno internazionale Roma, 14-16 marzo 2012 a cu r a di marco san to ro e sa m a n ta s e gator i

P I S A · ROM A F A B RI Z I O SERRA E D I T O R E MMXI I I

Volume pubblicato con il contributo del Prin 2008 “Mobilità dei mestieri del libro in Italia tra il Quattrocento e il Seicento”, dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale e dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico. * Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2013 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] * Stampato in Italia · Printed in Italy issn 1828-8693 isbn 978-88-6227-523-1 isbn elettronico 978-88-6227-524-8

SOMMARIO Marco Santoro, Presentazione Cronaca del Convegno, Roma, 14-16 marzo 2012, a cura di Marco Santoro Marco Santoro, Saluto

3 5 9

aula magna · viale regina elena 295 14 marzo 2012 · sessione antimeridiana Cosimo Palagiano, I flussi migratori in Italia tra il ’400 e il ’600 Concetta Bianca, La mobilità dei letterati

13 27

aula magna · viale regina elena 295 14 marzo 2012 · sessione pomeridiana Frédéric Barbier, Émigration et transferts culturels dans la « librairie » aux époques moderne et contemporaine : le cas de l’Allemagne et de la France Stephan Füssel, Die Ausbreitung des Buchdrucks in Deutschland und durch deutsche Drucker in Europa (ca. 1454-1470) Ursula Rautenberg, Verbreitender Buchhandel im deutschen Sprachraum von circa 1480 bis zum Ende des 16. Jahrhunderts Lotte Hellinga, Printers move to England Por Manuel-José Pedraza-Gracía, Aproximación al estudio de la movilidad de los impresores en la Corona de Aragón peninsular en los siglos xv y xvi Fermín de los Reyes, La movilidad de los impresores en Castilla en el siglo xv  





39 55 77 89 101 115

aula magna · viale regina elena 295 15 marzo 2012 · sessione antimeridiana Malcolm Walsby, Mobilità tipografica in Francia durante le guerre di religione Lodovica Braida, Una rete di librai cosmopoliti: i briançonesi in Italia e il loro ruolo di editori Giuseppina Zappella, Flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del Seicento Maria Gioia Tavoni, Stampare in itinere : il torchio al seguito  

135 151 163 205

aula magna · viale regina elena 295 15 marzo 2012 · sessione pomeridiana Lorenzo Baldacchini, Cantastorie-editori nell’Italia del Cinquecento Edoardo Barbieri, Note sulla committenza editoriale ecclesiastica nell’Italia del Quattro e Cinquecento Giorgio Montecchi, Circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi in area medio padana

219 231 245

2 sommario Arnaldo Ganda, Stampatori e librai del Quattrocento, che si spostano da Venezia a Milano e viceversa Anna Giulia Cavagna, Mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori. Riflessioni metodologiche : il caso di Pavia e Genova nel xvi secolo  

255 267

biblioteca alessandrina · piazzale aldo moro 16 marzo 2012 · sessione antimeridiana Marco Santoro, La mobilità dei mestieri del libro : caratteristiche e valenze Rosa Marisa Borraccini, La mobilità dei mestieri del libro nello Stato pontificio Giuseppe Lipari, La mobilità dei mestieri del libro in Sicilia Giancarlo Volpato, La mobilità dei mestieri del libro nell’area veneta tra Quattro e Seicento

285 299 319

Indice dei nomi, a cura di Samanta Segatori

361



333

PRESENTAZIONE Marco Santoro

G

li Atti che qui si offrono all’attenzione del lettore raccolgono le relazioni tenutesi in occasione del Convegno internazionale su “La mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento”, svoltosi a Roma dal 14 al 16 marzo 2012. Essi si sostanziano di ventuno contributi posti in essere dai seguenti studiosi : Lorenzo Baldacchini, Frédéric Barbier, Edoardo Barbieri, Concetta Bianca, Rosa Marisa Borraccini, Lodovica Braida, Anna Giulia Cavagna, Stephan Füssel, Arnaldo Ganda, Lotte Hellinga, Giuseppe Lipari, Giorgio Montecchi, Cosimo Palagiano, Por Manuel-José Pedraza Gracía, Ursula Rautenberg, Fermín de los Reyes, Marco Santoro, Maria Gioia Tavoni, Giancarlo Volpato, Malcolm Walsby, Giuseppina Zappella. Purtroppo non hanno potuto consegnare i loro testi Saverio Franchi, Angela Nuovo e Carmela Reale: naturalmente si estende anche a loro il ringraziamento per avere accolto prontamente ed entusiasticamente l’invito a partecipare alle tre giornate di studio e per avere contribuito, con il loro consueto apporto scientifico, alla realizzazione di questo evento, del cui spessore culturale, metodologico e documentario ciascun lettore potrà agevolmente prendere atto. Superfluo indugiare in questa pagina sui contenuti dei singoli saggi oppure sui filoni ermeneutici sapientemente investigati dai Colleghi ed Amici intervenuti ; al di là del fatto che qualche cenno in merito è già presente nel mio Saluto, penso che non sarà ostico recepire di primo acchito queste informazioni da un canto dai sunti, per quanto concerne le specifiche tematiche affrontate, dall’altro dall’articolazione stessa delle sedute, fedelmente riproposta nella successione dei saggi. Piace soltanto in questa sede da un canto porre in evidenza una sintetica considerazione e, dall’altro, ribadire una serie di doverosi quanto sentiti e non formali ringraziamenti. La considerazione attiene al tema generale del convegno : la mobilità. Fenomeno di incisiva rilevanza, finora non adeguatamente indagato, esso non solo determina significativi scambi di esperienze, che proprio a partire dal Quattrocento, anche in virtù di almeno due dei noti tre fattori baconiani che segnano l’età moderna (bussola/viaggi e stampa), assumono corposità più sistematica, ma al contempo testimonia sia disagi che speranze e aspettative, in una realtà vistosamente mutevole e pregna di istanze di rinnovamento. La innovativa “consapevolezza” umanistica, unitamente ad una visione “europea” inedita, calibrata per altro sugli scenari delle scoperte di nuovi territori, di una progressiva coscienza di differenti civiltà, di più efficaci procedure commerciali e di nuovi equilibri economico-politico-militari, promuove una stimolante weltanshaung, i cui artefici e promotori, in prima battuta, sono gli intellettuali, gli uomini di scienza. In tale contesto la specifica mobilità delle maestranze del libro nei primi due secoli e mezzo della stampa assume un ruolo di spicco ed una paradigmatica funzione esemplare. Protagonisti “materiali” e non raramente anche culturali della comunicazione  





4 marco santoro scritta, gli artieri del libro, nel corso del periodo in parola, fungono da poderoso albero di trasmissione delle idee, giacché, tramite il proprio lavoro, consentono che l’autentico rivoluzionario veicolo della conoscenza e della potenziale funzione democratizzante della stessa (occorre ricordare l’enfatico Fioravanti ?), e cioè il libro, assuma forma, sostanza e rilevanza. La loro mobilità richiede, e si potrebbe dire, esige, appropriato approfondimento, dal momento che da una parte contribuisce a comprendere meglio modalità e flussi della circolazione delle idee e dall’altra testimonia aspetti rilevanti del loro statuto professionale, e talvolta anche umano, evidenziando meccanismi e logiche lavorative, tensioni e misure di controllo alimentate nei confronti della loro attività, capacità e progettualità imprenditoriali modernissime. Il progetto Prin 2008, del quale mi onoro di essere il coordinatore e all’interno del quale il convegno romano costituisce tappa strategicamente rilevante, per le ragioni telegraficamente ricordate, ha inteso appunto recare un contributo per una più organica e documentata consapevolezza dell’itineranza quattro-secentesca di tipografi/editori/librai. Ed eccoci agli annunciati ringraziamenti. Non è dato non esordire con quelli rivolti ai Colleghi ed Amici del Prin, Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipari, Carmela Reale e Giancarlo Volpato, che, al di là della preziosa collaborazione scientifica e organizzativa prestata per il convegno, nella ricerca complessiva legata al progetto con competenza e dedizione da un canto hanno fiancheggiato egregiamente il mio lavoro e dall’altro hanno guidato i propri gruppi con ammirevole misura, irreprensibile acribia metodologica e consueta capacità organizzativa. Per il pregevole lavoro svolto ai fini logistici di queste giornate di lavoro, gratitudine va espressa alla dott.ssa Alessandra Turco e, per la progettazione e la realizzazione di programmi e locandine, alla dott.ssa Antonella Iacono. In merito agli Enti patrocinatori e a quelli che hanno recato il loro contributo organizzativo e finanziario, tutti puntualmente ricordati in altre pagine di questa pubblicazione, va dovutamente sottolineata la sensibilità culturale, in virtù della quale iniziative come la presente, in tempi notoriamente di crisi, possono essere realizzate all’insegna della probità scientifica e nel solco della tradizione intellettuale del nostro paese. Grazie davvero, poi, sia alle Istituzioni che ci hanno ospitato sia a coloro che hanno presieduto le varie sessioni, per la misura, la competenza e la vivacità con le quali hanno gestito i dibattiti susseguenti alle relazioni. Un ultimo convinto ringraziamento, infine, va alla dott.ssa Samanta Segatori che ha seguito con la consueta attenzione l’iter redazionale di questi Atti, curandone poi con padronanza bibliografica l’Indice dei nomi.  

CRONACA DEL CONVEGNO roma, 14-16 marzo 2012 Mercoledì 14 marzo

N

ell’Aula Magna della ex Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari della Sapienza - Università di Roma in Viale Regina Elena si è aperto, alla presenza delle Autorità accademiche e di rappresentanti di associazioni universitarie e professionali, con la partecipazione di un foltissimo pubblico, composto da numerosi docenti universitari italiani e stranieri e da larghissime rappresentanze di bibliotecari, di studenti universitari e di vari Istituti scolastici nonché di intellettuali sensibili alle iniziative culturali, il Convegno internazionale su « La mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento », promosso dal prin 2008 “La mobilità dei mestieri del libro in Italia tra il Quattrocento e il Seicento”, coordinato da Marco Santoro, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico di Roma, il Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche della Sapienza - Università di Roma e la Biblioteca Alessandrina di Roma. Dopo i saluti della Professoressa Marta Fattori (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza - Università di Roma), del Professore Paolo Di Giovine (Direttore del Dipartimento di Scienze documentarie, linguistico-filologiche e geografiche della Sapienza - Università di Roma), del Dottore Maurizio Fallace (Direttore generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d’autore), della Dott.ssa Maria Cristina Di Martino (Direttrice della Biblioteca Alessandrina di Roma), il Professore Marco Santoro, una volta riportato ai presenti il testo del telegramma della Segreteria della Presidenza della Repubblica nel quale si accordava al convegno l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, ha dato lettura di numerosi messaggi di compiacimento e di augurio per l’iniziativa pervenuti, fra i quali quelli del Professore Luigi Frati, Rettore della Sapienza - Università di Roma, della Dottoressa Rosa Caffo, Direttrice dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico di Roma, del Dottore Stefano Parise, Presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche. Successivamente il Professore Marco Santoro ha recato il proprio saluto nella triplice veste di Coordinatore del progetto prin 2008, di Vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale e di Presidente della Società Italiana delle Scienze bibliografiche e biblioteconomiche. Ha quindi assunto la presidenza della seduta antimeridiana Paolo Di Giovine e i lavori si sono aperti con le relazioni di Cosimo Palagiano (Sapienza - Università di Roma) Il flusso migratorio in Italia fra ’400 e ’600 e di Valentina Cazzaniga (Sapienza Università di Roma) e Maria Conforti (Sapienza - Università di Roma) La mobilità dei medici : un caso italiano. Nella seconda parte della mattinata sono intervenuti Aurelio Cernigliaro (Università di Napoli “Federico II”) La mobilità dei giuristi e Concetta Bianca (Università di Firenze) La mobilità dei letterati. La prima parte della seduta pomeridiana si è aperta, sotto la presidenza di Marco  





6 cronaca del convegno Santoro, con la relazione di Frédéric Barbier (École Normale Supérieure de Paris) La mobilità dei mestieri del libro in Francia, seguita da quelle di Stephan Füssel (Institut für Buchwissenschaft – Mainz) La mobilità dei mestieri del libro in Germania e Ursula Rautenberg (Universitat Erlangen-Nurnberg) Lo sviluppo del commercio librario in Germania fra ’400 e ’500. Nella seconda parte della sessione sono intervenuti Lotte Hellinga (British Academy) La mobilità dei mestieri del libro in Gran Bretagna, Manuel Pedraza (Universidad de Saragoza) La mobilità degli stampatori in Aragonia e Fermín de los Reyes (Universidad Complutense de Madrid) La mobilità degli stampatori in Castiglia. Giovedì 15 marzo Nella prima parte della seduta antimeridiana della seconda giornata (terza sessione), presieduta da Concetta Bianca, si sono succedute le relazioni di Malcolm Walsby (University of St. Andrews) I tipografi itineranti in Francia durante le guerre di religione, Lodovica Braida (Università Statale di Milano) Dalla Francia all’Italia : i librai briançonesi e la loro attività commerciale ed editoriale, Saverio Franchi (Sapienza Università di Roma) Per un approfondimento della mobilità dei mestieri del libro : le fonti archivistiche. In seguito, nella seconda parte, sono intervenute Giuseppina Zappella (Polo Museale Soprintendenza di Napoli) Flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del Seicento, Maria Gioia Tavoni (Università di Bologna) Si stampa in itinere : il torchio al seguito, e Angela Nuovo (Università di Udine) Mobilità periodica. I librai alle fiere (sec. xv-xvi). Nella quarta sessione, svoltasi nel pomeriggio e come le altre articolata in due parti, si sono avute, sotto la presidenza di Marta Fattori, prima le relazioni di Lorenzo Baldacchini (Università di Bologna) Tipografi itineranti e cantastorie e di Edoardo Barbieri (Università Cattolica di Milano) Note sulla committenza editoriale ecclesiastica nell’Italia del Quattro e Cinquecento e in seguito quelle di Giorgio Montecchi (Università Statale di Milano) Circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi in area medio padana, di Arnaldo Ganda (Università di Parma) Librai e stampatori del Quattrocento, attivi da Venezia a Milano e da questa città a Venezia, e di Anna Giulia Cavagna (Università di Genova) Tipologia e fortuna delle migrazioni di tipografi-editori in età moderna : il caso pavese e ligure.  







Venerdì 16 marzo Sotto la presidenza di Aurelio Cernigliaro, presso la Biblioteca Alessandrina, si è aperta nella mattinata la prima parte della quinta ed ultima sessione, nel corso della quale hanno tenuto le proprie relazioni Marco Santoro (Sapienza - Università di Roma) La mobilità dei mestieri del libro : caratteristiche e valenze, Rosa Marisa Borraccini (Università di Macerata) La mobilità dei mestieri del libro nello Stato pontificio e Giuseppe Lipari (Università di Messina) La mobilità dei mestieri del libro in Sicilia. Successivamente sono intervenuti Carmela Reale (Università della Calabria) La mobilità dei mestieri del libro nell’Italia meridionale e Giancarlo Volpato (Università di Verona) La mobilità dei mestieri del libro nell’area veneta. La seduta e i lavori del convegno sono stati chiusi da Marco Santoro con le Conclusioni.  

cronaca del convegno

7

Il Convegno, che ha beneficiato dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, si è avvalso del patrocinio di : Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d’autore, Regione Lazio, Comune di Roma, Università di Roma “La Sapienza”, Università della Calabria, Università di Macerata, Università di Messina, Università di Verona, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, Istituto Centrale per il Catalogo Unico, Società Italiana di Scienze Bibliografiche e Biblioteconomiche, Associazione Italiana Biblioteche.  

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SALUTO Marco Santoro

I

n effetti sono qui a porgere un breve saluto in una triplice veste. In quanto Presidente della “Società Italiana di Scienze Bibliografiche e Biblioteconomiche”, nella veste di Vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale e come Coordinatore del Progetto prin 2008, “La mobilità dei mestieri del libro in Italia dal Quattrocento al Seicento”, promotore e organizzatore di queste intense giornate di studio. La nostra Associazione, della quale, come detto, mi onoro di essere il Presidente, è nata da poco ma ha già messo a punto una serie di interventi strategici di carattere sia culturale che professionale e accademico. Considerato il taglio di queste giornate di lavoro e la presenza di autorevoli studiosi, la SISBB non poteva certo esimersi dal concedere il proprio patrocinio al quale si associa l’auspicio di buon lavoro. Patrocinante, nonché copromotore dell’iniziativa, è l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento meridionale di Napoli che, in ragione del periodo storico del quale ci apprestiamo ad occuparci, ha ritenuto quanto mai congruo il suo appoggio e il suo sostegno, nella scia di una strategia culturale particolarmente attenta a promuovere e a divulgare iniziative interdisciplinari, segnate da probità scientifica. In qualità di Coordinatore del progetto prin poche parole in più. Mi preme innanzitutto sottolineare che è questo il terzo progetto prin (nel 2003 si denominava cofin) che coordino e sono davvero lieto che il gruppo di ricerca nelle tre occasioni sia sostanzialmente rimasto il medesimo, a conferma di un non comune sodalizio non solo scientifico ma anche umano. Nel 2003 i responsabili delle 6 unità furono, oltre a chi vi parla per Roma, Maria Gioia Tavoni per Bologna, Anna Giulia Cavagna per Genova, Giuseppe Lipari per Messina, Carmela Reale per l’università della Calabria e Giancarlo Volpato per Verona. Nel 2005 le unità furono 5, a causa della forzata rinuncia della collega Cavagna. Ancora cinque le unità di questo prin, dove alla Tavoni è subentrata la collega Marisa Borraccini. Tre progetti, dunque, premiati complessivamente, e non suoni precisazione grossolana ma solo doverosa in tempi nei quali questo aspetto sembra di grande importanza, con oltre un milione di euro, a fronte dei quali si sono realizzati prodotti di qualità, come Convegni internazionali, pubblicazioni di Atti, di monografie, di miscellanee, di dvd, organizzazioni di mostre, ecc., fino a giungere alla fondazione di una rivista tuttora in attività e al finanziamento di numerose borse di studio e contratti per giovani ricercatori. L’idea del convegno è nata sin dal momento di approntare il progetto ai fini del finanziamento ministeriale. Non è il caso di soffermarsi sul ruolo e la funzione dei convegni in generale, quale occasione preziosa per un confronto di conoscenze e di metodologie nonché per un approfondimento mirato di problematiche di sicuro rilievo. Poche parole, invece, sull’articolazione dell’evento che oggi è all’esordio. Le cinque sessioni sono state progettate secondo un preciso disegno, che non a caso ha dettato l’intitolazione stessa del convegno, dove, rispetto a quella del progetto,

10 marco santoro latita la delimitazione geografica al solo territorio italiano. Pertanto, seppure è vero che molte relazioni sono incentrate sulla realtà peninsulare, è altrettanto vero che adeguato spazio si è voluto riservare a interventi inerenti ad altri paesi europei, proprio per saggiare entità e peculiarità del fenomeno della mobilità su scenari diversi dai nostri. Vi è poi un’altra esigenza alla quale abbiamo inteso dare una risposta, e cioè quella di contestualizzare l’incidenza dell’itineranza all’interno della realtà socio culturale del tempo. Da qui, il coinvolgimento di studiosi di aree disciplinari differenti da quelle proprie delle scienze librarie. Stamani, dunque, si aprono tre intense giornate di lavoro e non ci si può certo sottrarre al doveroso quanto gradito rito dei ringraziamenti, tanto calorosi quanto sentiti. Innanzitutto va sottolineato che il convegno beneficia dell’Alto patronato del Presidente della Repubblica e che si avvale del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale, dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, della Società italiana di Scienze Bibliografiche e Biblioteconomiche, dell’Associazione Italiana Biblioteche, delle Università della Calabria, di Macerata, Messina, La Sapienza di Roma e Verona : a tutti va espressa gratitudine, come va espressa agli amici che stanno per recare il proprio saluto, a conferma di encomiabile sensibilità culturale. Ai ringraziamenti rivolti al Dipartimento di Scienze documentarie, linguisticofilologiche e geografiche per l’ospitalità, si aggiungono quelli alla Direttrice e al personale della Biblioteca Alessandrina, dove si terrà la terza giornata di lavoro. Sincera gratitudine va espressa agli eminenti relatori italiani e stranieri che entusiasticamente hanno accolto il nostro invito a partecipare all’iniziativa e a Concetta Bianca, Aurelio Cernigliaro, Paolo Di Giovine e Marta Fattori, che presiederanno le varie sedute. Mi sia lecito chiudere con un particolare ringraziamento a tutti coloro che con il proprio entusiastico impegno hanno seguito sin dagli esordi l’organizzazione scientifica e logistica di queste tre giornate : mi riferisco naturalmente agli Amici e Colleghi del progetto prin, Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipari, Carmela Reale e Giancarlo Volpato. Grazie anche alla dottoressa Alessandra Turco per avermi coadiuvato efficacemente nell’organizzazione e alla dottoressa Antonella Iacono per i progetti grafici dell’invito e del manifesto. Grazie e buon lavoro a tutti.  



aula magna · viale regina elena 295 14 marzo 2012 · sessione antimeridiana

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I FLUSSI MIGRATORI IN ITALIA TRA IL ’400 E IL ’600 Cosimo Palagiano 1. Inquadramento storico, politico, economico e sociale

I

l movimento migratorio che ha interessato l’Italia tra il xv e il xvi secolo deve essere inquadrato nella situazione politica e sociale di quel periodo storico e di quello immediatamente precedente. Innanzi tutto il flagello della peste, definita black death (la morte nera) che fece sentire i suoi perversi effetti in tutta l’Europa per circa due secoli, sebbene in modo attenuato. Bisogna inoltre ricordare che il periodo è stato contrassegnato dalla cosiddetta « piccola età glaciale », che segue la fase calda del medioevo, « favorevole alla vita degli uomini e delle pratiche agricole, che ha occupato tutta la prima metà del ’500 ». 1 L’abbassamento della temperatura ebbe conseguenze notevoli per la vita economica e sociale soprattutto in agricoltura. 2 Come era avvenuto nelle epoche glaciali precedenti, si assiste ad uno spostamento di piante, colture, animali e anche uomini dalla montagna verso le aree pianeggianti e verso le regioni meridionali, come presto vedremo. L’anno di inizio della pestilenza fu il 1348. Ecco come raccontano la situazione economica e sociale due scrittori contemporanei. Giovanni Boccaccio e Matteo Villani. Giovanni Boccaccio scrive nell’Introduzione alla Prima Giornata del Decameron che la peste rende vano ogni ordine sociale e civile :  









Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn’altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza : la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi,  

1   Cfr. Mario Pinna, La storia del clima. Variazioni climatiche e rapporto clima-uomo in età postglaciale, « Memorie della Società Geografica Italiana », vol. xxxvi, Roma, Società Geografica Italiana, 1984, p. 165. Per altri autori, citati da Mario Pinna (G. Uttelström, Climatic fluctuations and Population Problems in Early Modern History, in Scandinavian Economic History Review, 1955, pp. 3-47, e Hubert Horace Lamb, Climate : Present, Past ad Future, London, Methuen, 19721) ritenevano che il periodo della piccola età glaciale comprendesse il periodo 1350-1550. Vedere ancora Mario Pinna, Le variazioni del clima dall’ultima glaciazione alle prospettive per il 21. secolo, Milano, Angeli, 1996. Dal 1300 vi fu un grande avanzamento e nascita di ghiacciai, che prima di quel periodo si erano ritirati o anche completamente sciolti. La grande espansione terminò intorno al 1800, con il progressivo ritiro, che dura tuttora. Un effetto visivo della piccola età glaciale è offerto dai quadri di Pieter Brueghel il Vecchio (1525 ?-1569) che raffigurano paesaggi innevati. Per il xvii secolo sono riferiti fiumi e canali dei Paesi Bassi congelati ; villaggi distrutti dal ghiaccio ; aumento delle malattie segnalate per l’Austria (v. Jonathan Cowie, Climate change : biological and human aspects, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, 164 p.) 2   Sulle relazioni tra ambiente e demografia, cfr. Lucio Gambi, La demografia storica e l’ambiente, « Bollettino di demografia storica », 28, 1998, pp. 15-18.  

















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cosimo palagiano

verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata […]. A cura delle […] infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto : anzi, o che natura del malore nol patisse o che la ignoranza de’ medicanti (de’ quali, oltre al numero degli scienziati, così di femine come d’uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse, non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra ‘l terzo giorno dalla apparizione de’ sopra detti segni, chi più tosto e chi meno e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano[...]. E erano alcuni, li quali avvisavano che il viver moderatamente e il guardarsi da ogni superfluità avesse molto a così fatto accidente resistere ; e fatta brigata, da ogni altro separati viveano, e in quelle case ricogliendosi e racchiudendosi, dove niuno infermo fosse e da viver meglio, dilicatissimi cibi e ottimi vini temperatissimamente usando e ogni lussuria fuggendo, senza lasciarsi parlare a alcuno o volere di fuori di morte o d’infermi alcuna novella sentire, con suoni e con quegli piaceri che aver poteano si dimovano. Altri, in contraria oppinion tratti, affermavano il bere assai e il godere e l’andar cantando attorno e sollazzando e il sodisfare d’ogni cosa all’appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male ; e così come il dicevano mettevano in opera a lor potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo e senza misura, e molto più ciò per l’altrui case faccendo, solamente che cose vi sentissero che lor venissero a grado o in piacere E ciò potevan far di leggiere, per ciò che ciascun, quasi non più viver dovesse, aveva, sì come se’, le sue cose messe in abbandono ; di che le più delle case erano divenute comuni, e così l’usava lo straniere, pure che ad esse s’avvenisse, come l’avrebbe il proprio signore usate ; e con tutto questo proponimento bestiale sempre gl’infermi fuggivano a lor potere […]. Alcuni erano di più crudel sentimento, come che per avventura più fosse sicuro, dicendo niuna altra medicina essere contro alle pestilenze migliore né così buona come il fuggir loro davanti ; e da questo argomento mossi, non curando d’alcuna cosa se non di se’ , assai e uomini e donne abbandonarono la propia città, le propie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado, quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa intendesse [… ]. Che più si può dire (lasciando stare il contado e alla città ritornando) se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra ‘l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati né lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a centomilia creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti, che forse, anzi l’accidente mortifero, non si saria estimato tanti avervene dentro avuti ?. 1  













Leggiamo nella Cronica di Matteo Villani :  

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Avendo per cominciamento nel nostro principio a raccontare lo sterminio della generazione umana e convenendone divisare il tempo e il modo, la qualità e la quantità di quella, stupisce la mente appressandosi a scrivere la sentenzia che la divina giustizia con molta misericordia mandò sopra gli uomini, degni per la corruzione del peccato di final giudizio. Ma pensando l’utilità salutevole che di questa memoria puote addivenire alle nazioni che 1   Alberto Benigno Falsini, Firenze dopo il 1348, « Archivio storico italiano », cxxix, 1971, pp. 425-503, ritiene che ci si possa avvicinare alla realtà 90.000 prima e 50.000 dopo (nota 43) (nota 44) a Pisa la mortalità colpì il 70% della popolazione. 2   Cfr. Giovanni Villani, Cronica. Con le continuazioni di Matteo e Filippo. Scelta, introduzione e note di Giovanni Aquilecchia, Torino, Einaudi, 1979, i, pp. 294-301.  



i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600

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dopo noi seguiranno, con più sicurtà del nostro animo così cominciamo. Videsi negli anni di Cristo, dalla sua salutevole incarnazione, 1346 la congiunzione di tre superiori pianeti nel segno dell’Acquario, della quale congiunzione si disse per gli astrologhi che Saturno fu signore : onde pronosticarono al mondo grandi e gravi novitadi ; ma simile congiunzione per li tempi passati molte altre volte stata e mostrata, la influenzia per altri particolari accidenti non parve cagione di questa, ma piuttosto divino giudicio secondo la disposizione dell’assoluta volontà di Dio. « Cominciossi nelle parti d’Oriente, nel detto anno, inverso il Cattai e l’India superiore e nelle altre provincie circustanti a quelle marine dell’Oceano, una pestilenzia tra gli uomini d’ogni condizione di catuna età e sesso : che cominciavano a sputare sangue e morivano chi di subito, chi in due o tre dì, e alquanti sostenevano più a morire. E avveniva che chi era a servire questi malati, appiccandosi quella malattia, o infetti, di quella medesimo corruzione incontanente malavano, e morivano per somigliante modo ; a a’ più ingrossava l’anguinaia, e a molti sotto le ditella delle braccia a destra e a sinistra, e altri in altre parti del corpo. Che quasi generalmente alcuna enfiatura singulare nel corpo infetto si dimostrava. Questa pestilenzia si venne/ di tempo in tempo e di gente in gente apprendendo : comprese infra il termine d’uno anno la terza parte del mondo che si chiama Asia. E nell’ultimo di questo tempo s’aggiunse alle nazioni del Mare Maggiore e alle ripe del Mare Tirreno, nella Soria e Turchia, e in verso lo Egitto e la riviera del Mar Rosso, e dalla parte settentrionale la Rossia e la Grecia, e l’Erminia e l’altre conseguenti provincie. E in quello tempo galee d’Italiani si partirono del Mare Maggiore e della Soria e di Romania per fuggire la morte e recare le loro mercanzie in Italia : e’ non poterono cansare che gran parte di loro non morisse in mare di quella infermità. E arrivati in Cicilia conversaro co’ paesani e lasciàrvi di loro malati, onde incontanente si cominciò quella pestilenzia ne’ Ciciliani. E venendo le dette galee a Pisa e poi a Genova, per la conversazione di quegli uomini cominciò la mortalità ne’ detti luoghi, ma non generale. Poi conseguendo il tempo ordinato da Dio a’ paesi , la Cicilia tutta fu involta in questa mortale pestilenzia. E l’Affrica nelle marine e nelle sue provincie di verso levante, e le rive del nostro Mare Tirreno. E venendo di tempo in tempo verso il ponente, comprese la Sardigna e la Corsica e l’altre isole di questo mare ; e dall’altra parte, ch’è detta Europa, per simigliante modo aggiunse alle parti vicine verso il ponente, volgendosi verso il mezzogiorno con più aspro assalimento che sotto le parti settentrionali. E negli anni di Cristo 1348 ebbe infetta tutta Italia, salvo che la città di Milano e certi circustanti all’Alpi che dividono l’Italia dall’Alamagna, ove gravò poco. E in questo medesimo/ anno cominciò a passare le montagne e stendersi in Proenza e in Savoia e nel Delfinato e in Borgogna e per la marina di Marsilia e d’Acquamorta, e per la Catalogna e nell’isola di Maiolica e in Ispagna e in Granata. E nel 1339 [ma 1349] ebbe compreso fino nel ponente, le rive del Mare Oceano, d’Europa e d’Affrica e d’Irlanda, e l’isola d’Inghilterra e di Scozia, e l’altre isole di ponente e tutto infra terra con quasi eguale mortalità, salvo in Brabante ove poco offese. E nel 1350 premette gli Alamanni e gli Ungheri, Frigia, Danesmarche, Gotti e Vndali e gli altri popoli e nazioni settentrionali. E la successione di questa pestilenzia durava nel paese ove s’apprendeva cinque mesi continovi, ovvero cinque lunari : e questo avemmo per isperienza certa di molti paesi. Avvenne, perché parea che questa pestifera infezione s’appiccasse perla veduta e per lo toccamento, che, come l’uomo o la femmina o i fanciulli si conoscevano malati di quella enfiatura, molti n’abbandonavano : e innumerabile quantità ne morirono che sarebbono campati se fossero stati aiutati delle cose bisognevoli. Tra gl’infedeli cominciò questa inumanità crudele, che le madri e’ padri, e l’uno fratello l’altro e gli altri congiunti : cosa crudele e maravigliosa e molto strana alla umana natura, detestata tra i fedeli cristiani, nei quali, seguendo le nazioni barbare, questa crudeltà si trovò. Essendo cominciata nella nostra città di Firenze, fu biasimata da’ discreti la sperienza veduta di molti, i quali si provvidono e rinchiusono in luoghi solitari e di sana aria, forniti di ogni  





















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cosa da vivere, ove non era sospetto di gente infetta ; in diverse contrade il divino giudicio (a cui non si può serrare le porti) gli abbatté come gli altri che non s’erano provveduti. E molti altri, i quali si dispuosero alla morte per servire i loro parenti e amici malati, camparono avendo male, e assai non l’ebbono continovando quello servigio ; per la qual cosa ciascuno si ravvide, e cominciarono senza sospetto ad aiutare e servire l’un l’altro : onde molti guarirono, ed erano più sicuri a servire gli altri. Nella nostra città cominciò generale all’entrare del mese d’aprile gli anni Domini 1348, e durò fino al cominciamento del mese di settembre del detto anno. E morì, tra nella città, contado e distretto di Firenze, d’ogni sesso e di catuna età de’ cinque i tre e più, compensando il minuto popolo e i mezzani e’ maggiori, perché alquanto fu più menomato, perché cominciò prima ed ebbe meno aiuto e più disagi e difetti. E nel generale per tutto il mondo mancò la generazione umana per simigliante numero e modo, secondo le novelle che avemmo di moti paesi strani e di molte provincie del mondo : Ben furono provincie nel Levante dove vie più ne moriro. Di questa pestifera infermità i medici in catuna parte del mondo, per filosofia naturale o per fisica o per arte d’astrologia, non ebbono argomento né vera cura. Alquanti per guadagnare andarono visitando e dando loro argomenti, li quali per la loro morte mostrarono l’arte essere fitta e non vera : e assi per coscienza lasciarono a ristituire i danari che di ciò aveano presi indebitamente. […]. Ma di presente restata la mortalità, apparve il contrradio : che gli uomini trovandosi pochi, e abbondanti per l’eredità e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata [.. ]. E il minuto popolo, uomini e femmine, per la soverchia abbondanza che si trovarono nelle cose, non volevano lavorare agli usati mestieri.  











La peste portò a sconvolgimenti sociali ed economici notevoli : 1) la crisi del mercato del lavoro fece aumentare i salari ; 2) molti morivano senza fare testamento, lasciando grandi ricchezze ai sopravvissuti, ma con scarse conseguenze ; 4) le industrie venivano colpite gravemente ; 5) i territori già coltivati estensivamente a grano venivano utilizzati ad altre attività, come l’allevamento, la pastorizia e la silvicoltura, causando la caduta dei prezzi di alcuni prodotti (carne, cuoio e legname) ; 6) l’esodo agricolo e il conseguente inurbamento creava il crollo del sistema feudale, che dovette essere sostituito con altri sistemi innovativi. Già dalla prima grande epidemia di peste (xiv Secolo) che coinvolse l’Europa, le città e l’economia del Mezzogiorno estremo furono pesantemente colpite, tanto da rendere quel territorio che dalla prima c0olonizzazione greca era rimasto per secoli uno dei più produttivi del Mediterraneo, una vasta campagna spopolata. I territori costieri pianeggianti (pianura del Metaponto, Sibari, Sant’Eufemia), ormai abbandonati, erano impaludati e infestati dalla malaria, ad eccezione della piana di Seminara, dove la produzione agricola accanto a quella della seta sosteneva una debole attività economica. Certamente la peste produsse un cambiamento del modo di vivere e di pensare. Nel passaggio dal Medio Evo all’età moderna molte caratteristiche del movimento migratorio che si erano registrate in Italia nel medioevo, e cioè la temporaneità della migrazione, il forte legame con il paese d’origine e la pratica del mestiere tradizionale, permangono immutate, anche se – dal punto di vista economico – l’Italia ha perduto il suo primato, a tutto vantaggio delle potenze dell’Europa settentrionale. 1  









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  Sulle migrazioni di lavoro che riguardano l’Italia come terra di emigrazione e di immigrazione, è utile consultare, anche per la vasta bibliografia, Giovanni Pizzorusso, Migrazioni di lavoro : la penisola  

i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600 17 Gli spostamenti nel Medio Evo erano stati determinati dalla presenza dei mercati nelle più importanti sedi di affari europei e delle colonie, che Venezia e Genova, soprattutto, avevano in oriente. Questi mercati erano frequentati da artigiani e da categorie professionali minori, che però non avevano abbandonato i legami con le famiglie e con le località di origine. 1 Vi erano inoltre flussi migratori dovuti a mestieri particolari, come quello dei militari, ad attività di alta specializzazione, come quelle dei vetrai liguri di Altare, agli studenti, ai religiosi, agli esiliati politici. Anche tutti questi, e nemmeno i rifugiati politici e i perseguitati a motivi della religione avevano perso i contatti con le loro famiglie, i loro legami commerciali e amministrativi con i paesi d’origine. Per quanto riguarda le persecuzioni religiose, viene citato il caso dei Valdesi, che dal Piemonte si erano diretti verso la Provenza e il Delfinato, e che non avevano perduto i loro contatti con i loro confratelli, che erano rimasti in patria o che si erano stabiliti altrove, in Puglia e in Calabria. Ciò favoriva gli spostamenti dei religiosi tra le varie comunità. 2 In questo periodo la popolazione italiana ebbe un forte incremento, registrato nelle campagne. Se consideriamo la struttura per età della popolazione rurale, la relativa piramide presentava una base molto larga, con un’eccedenza di manodopera giovanile. La principale causa di migrazioni nell’Italia settentrionale era costituita dalla forte presenza di giovani dai 15 ai 30 anni, che costituiscono movimenti molto rilevanti, e, soprattutto nell’Italia settentrionale, almeno in parte professionalizzati, connessi con specializzazioni tradizionali di queste aree (muratori comaschi, biellesi o luganesi). Tuttavia solo alcuni di questi svolgeranno per tutta la vita attività non agricole, mentre la maggioranza ritornerà, dopo i trent’anni, ad esercitare l’attività agricola nelle comunità d’origine. Una caratteristica di questo flusso migratorio, è che, proprio per la specializzazione e il forte legame con la comunità d’origine, questi migranti percorrono distanze notevoli, come gli scaricatori liguri che dalla valle dell’Impero andranno a Cadice ; i genovesi si recheranno nel Regno di Napoli, i panettieri comaschi di Peglio si trasferiranno a Palermo ; migranti lombardi che si dirigono in Sicilia ; i muratori luganesi che andranno a Torino, Genova, Roma, Milano ecc. Questo schema, legato al rapporto fra consumatori e lavoratori all’interno della stessa famiglia, prevede che l’espulsione temporanea costituisce un correttivo alla relazione consumo-lavoro squilibrato. Accanto a questo sistema che prevedeva il ritorno nelle aree di origine, ne esi 





italiana in età moderna, in Storia d’Italia. Annali 24. Migrazioni, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo Torino, Einaudi, 2009, pp. 41-54. 1   Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, a cura di Rinaldo Comba, Gabriella Piccinni, Giovanni Pinto, Napoli, esi, 1984 ; Italia felix. Migrazioni slave e albanesi in Occidente. Romagna, Marche, Abruzzi, secoli xiv-xvi, a cura di Sergio Anselmi, 1988, «Quaderni di proposte e ricerche», 3 ; Alain Ducellier, Bernard Doumerc, Brünehilde Imhaus, Jean de Miceli, Le chemin de l’exil. Bouleversement de l’Est et migrations vers l’Ouest à la fin du Moyen Age, Paris, Colin, 1992. 2   R. Comba, Emigrare nel medioevo. Aspetti economico-sociali della mobilità geografica nei secoli xi-xvi, in Strutture familiari, epidemie …, cit., pp. 45-74 ; Gabriel Audisio, Une grande migration alpine en Provence (1450-1560), « Bollettino storico-bibliografico subalpino », 87, 1989, pp. 65-139 ; Andrée Courtemanche, De Italie à Manosque : aspects des migrations internes en Provence à la fin du Moyen Age, « European Review of History-Révue européenne d’histoire », 5, 1998, 5, pp. 127-150.  

















18 cosimo palagiano steva un altro che si risolveva con una perdita secca di popolazione nei luoghi di partenza. Si tratta di lavoratori provenienti da famiglie rurali povere, che vengono espulsi per un’eccedenza demografica non compatibile con le condizioni economiche, per la presenza di una grande proprietà assenteista o condotta con salariati. Le classi di età sono più elevate rispetto al sistema precedente, composte da anziani e vedove. Questi lavoratori compiono migrazioni a corto raggio, dirigendosi verso le città, dove spesso lavorano in condizioni di precarietà o addirittura ingrossano le file dei mendicanti e necessitano di assistenza. 2. I modelli della migrazione in Italia Per una schematizzazione del problema migratorio in Italia, gli storici hanno proposto un modello diviso in quattro aree distinte per differenti caratteristiche demografiche ed economiche, anche se con tipologie migratorie pressoché simili. 1 Il modello alpino dell’Italia settentrionale era costituito da famiglie contadine delle Alpi e delle Prealpi, che esercitavano il mestiere di muratori nel Comasco o di facchini nel Bergamasco. L’emigrazione aveva una prospettiva imprenditoriale per l’incremento del reddito da riversare nel bilancio della famiglia rimasta nel paese d’origine, in modo che l’emigrante partecipava direttamente all’economica del luogo di partenza anche se si trovava a migliaia di chilometri distanza. Probabilmente l’emigrazione dalla montagna fu favorita da motivazioni di carattere fisico, come un irrigidimento del clima, come abbiamo visto sopra. La conseguenza negativa era il ritardo dell’età del matrimonio e la scarsa natalità. L’emigrazione avveniva da aree sotto popolate ad aree più ricche, per motivi economici. La famiglia era organizzata in modo da individuare le destinazioni più redditizie : per far questo era necessaria una buona preparazione amministrativa idonea per la scrittura di lettere e lo scambio di informazioni sulle città dove prestare l’opera di muratori. I mediatori presenti nei luoghi di destinazione dovevano essere preparati a svolgere le funzioni di smistamento della manodopera. Inoltre coloro che si dirigevano in aree lontane, come i comaschi in Sicilia o quelli che partivano per l’Europa settentrionale, erano assistiti in chiese e presso confraternite. Un’eccezione a questo modello era costituito dall’immigrazione a Torino, che attirava, oltre ai muratori specializzati della Val d’Adorno, anche lavoratori generici, come gli osti della Valle di Lanzo e i ciabattini della Val Sesia. Dalla campagna alla città, ma anche dalla città alla campagna, dove giungeva, attraverso la transumanza, manodopera aggiuntiva per i lavori agricoli. 2  

1   Giovanni Levi, Elena Fasano Guarini, Marco Della Pina, Movimenti migratori in Italia in età moderna, « Bollettino di demografia storica », 1990, 12, pp. 19-34 ; Giovanni Pizzorusso, I movimenti migratori in Italia in antico regime, in Storia dell’emigrazione italiana. Partenze, a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, Roma, Donzelli, 2001, p. 3 sgg. 2   Raoul Merzario, Una fabbrica di uomini. L’emigrazione dalla montagna comasca (1600-1750 circa), « Mélanges de l’Ecole Française de Rome. Temps modernes » 96, 1, 1984 ; Raoul Merzario, Il capitalismo nelle montagne. Strategie famigliari nella prima fase di industrializzazione del Comasco, Bologna, Il Mulino, 1989 ; Pier Paolo Viazzo, Comunità alpine. Ambiente, popolazione, struttura sociale nelle Alpi dal xvi secolo ad oggi, Roma, Carocci, 2001 ; Laurence Fontaine, Solidarités familiales et logiques migratoires en pays de montagne à l’époque moderne, « Annales E.S.C » 45, 1990, pp. 1433-1447 ; La montagna mediterranea : una fabbrica d’uomini ? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (ss. xv-xx), a cura di Dionigi Albera, Paola Corti, Cavallermaggiore, Gribaudo, 2000.  

























i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600 19 Nell’Italia centrosettentrionale, dove era prevalente la mezzadria, l’espulsione della popolazione eccedente le possibilità offerte dalla proprietà va ad accrescere la folla dei senza casa e dei senza terra. Non sempre la famiglia del mezzadro che emigra ritorna nelle campagne di origine, ma, nel Settecento, quando questa emigrazione diviene massiccia, non dà sempre luogo a fenomeni di vagabondaggio e di mendicità, e piuttosto presta manodopera alle opere di bonifica : questo contribuisce alla diffusione della mezzadria, alla pratica di attività extra-agricole, e all’industria rurale. Questa popolazione, inoltre, va a risiedere nei borghi commerciali, che si sviluppano, e mantiene i legami con la campagna d’origine attraverso una diffusa circolazione di « garzoni ». Il secondo modello è quello dell’Italia centrale (Toscana settentrionale, Marche, Umbria), dove prevale la mezzadria. Questo contratto agrario ha consentito l’impiego di braccia in eccesso della famiglia contadina nella coltivazione di nuove terre. Le caratteristiche di questa migrazione sono lo spostamento quasi sempre definitivo e a breve distanza di tutta la famiglia contadina. Esempi relativi ad alcuni comuni del Lazio per i primi 20 anni del xvii secolo forniscono informazioni sulla immigrazione definitiva da brevi distanze e sugli scambi matrimoniali con giovani donne, che giungono al matrimonio prima del 20 anni. 1 Per l’Umbria un ottimo studio riguarda la situazione delle campagne e del rapporto città-campagna dal xiii secolo. 2 Si crearono così nuovi borghi, dove prestavano la loro opera anche persone non coinvolte nel lavoro mezzadrile. In Toscana lo Stato tentò con parziale successo di colonizzare alcune terre, come la Maremma. Anche nell’Italia centrale si assiste al fenomeno della migrazione stagionale o temporanea dalla montagna alla pianura, però di operai non specializzati (contadini, minatori). 3 In questo modello è presente un’immigrazione dalle terre slave, in genere rivolta verso le aree adriatiche. Il modello dell’Italia meridionale, che si estendeva a nord fino a comprendere le zone tra Toscana e Stato Pontificio, era caratterizzato dal latifondo e dalla manodopera agricola salariata. Il flusso migratorio dei contadini e dei braccianti poteva coprire brevi o notevoli distanze, data da vastità del territorio. Il movimento migratorio era anche agevolato dalla diversa scansione dei periodi colturali. I borghi agricoli erano scarsi e abitati stabilmente soprattutto da popolazione femminile : i braccianti abbandonavano definitivamente il luogo di origine, perché trovavano facilmente una donna da sposare, data la notevole mortalità maschile. Nelle aree di piccola proprietà contadina (Promontorio del Gargano, Campania) la popolazione era più stabile, anche se la tendenza era quella di migrare verso le aree del latifon 







1   Renata Ago, Un esempio di mobilità nell’“Ancien Régime”. La diocesi di Sutri nel xvii secolo, « Mélanges de l’école française de Rome. Moyen Age. Temps modernes », Tome 86, 1974, 2, pp. 345-375, con chiara cartografia. 2   Henry Desplanques, Campagnes ombrienens. Contribution à l’étude des paysages ruraux en Italie centrale, Paris, Colin, pp. 477-505. 3   Marco Della Pina, Migrazioni interne e quadri regionali : riflessioni sul caso toscano, « Bollettino di demografia storica », 19, 1993, pp. 29-34 ; Italia felix : migrazioni slave e Albanesi in occidente : Romagna, Marche, Abruzzi, sec. xiv-xvi, a cura di Sergio Anselmi, 1988, «Quaderni di proposte e ricerche», 3 ; Karl-Heinz Ludwig, Raffaello Vergani, Mobilität und Migrationen der Bergleute – Mobilità e Migrazioni dei minatori in *Atti della “Ventesima settimana di studi“ dell’Istituto internazionale di storia economica “F. Datini“ di Prato (Prato, 3-8 maggio 1993), Firenze, Le Monnier, 1994, pp. 606-622.  

















20 cosimo palagiano do o nella grande città (Napoli). A completare questo modello socio-economico si inseriva la transumanza, che interessava la Puglia, l’Abruzzo, il Lazio e la Toscana : questa pratica consentiva di esercitare qualsiasi mestiere, agricolo o artigianale, lungo il percorso. 1 La pace di Lodi, firmata nella città lombarda il 9 aprile 1454, mise fine alle lotte tra Venezia e Milano, che duravano dall’inizio del Quattrocento, comportò da una parte un quarantennio di pace in Italia e la fioritura artistica e letteraria del Rinascimento, e dall’altra un nuovo assetto politico degli Stati. Il trattato venne ratificato dai principali stati regionali, primo fra tutti Firenze. 2 L’Italia settentrionale venne divisa tra i due stati nemici, nonostante la presenza di altre potenze (Savoia, Repubblica di Genova, i Gonzaga e gli Estensi). In Italia centrale si estendeva lo Stato Pontificio ; nell’Italia meridionale vi erano il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia e la Sardegna, con gli Aragonesi. La Puglia e tutto il versante adriatico del Regno di Napoli erano caratterizzati dalla coltura estensiva dei cereali e da grande mobilità stagionale degli uomini. Nel dominio del latifondo, con insussistenza della proprietà contadina, che potesse esercitare la policoltura di sussistenza, la popolazione rurale era debilitata dalle difficili condizioni economiche e dagli stenti, con classi di età elevate e con elevati tassi di mortalità. Questa popolazione non poteva emigrare, per smaltire gli eccessi demografici, ma anzi era accresciuta sia da flussi migratori provenienti dall’Appennino, che da tassi di natalità molto alti, dovuti a matrimoni precoci (18-20 anni). Il celibato era bassissimo. Le donne erano l’elemento essenziale di continuità e di stabilità. In Campania e in altre aree dell’Italia meridionale, con presenza di piccola proprietà contadina e dalla coltura promiscua (cereali e coltura arbustiva destinate in prevalenza all’autoconsumo), i tassi di mortalità erano più bassi. La popolazione era meno soggetta a crisi e fluttuazioni congiunturali. La manodopera eccedente si riversava verso la capitale, Napoli, o verso il latifondo. I tassi di natalità erano più bassi, mentre l’età per il matrimonio era più elevata (24-25 anni). Qui prevaleva il pa 



1   Agnese Sinisi, Migrazioni interne e società rurali nell’Italia meridionale (secoli xvi-xix), « S.i.de.s. Bollettino di demografica storica », 19, 1993, pp. 201-204 ; Saverio Russo, Immigrazioni nel tavoliere nel Seicento. Alcune ipotesi di ricerca, « S.i.de.s. », La popolazione italiana nel Seicento », Bologna, Clueb, 1999, pp. 207-224 ; Gérard Delille, Migrations internes et mobilité sociale dans le Royaume de Naples (xve-xixe siècle), in Fra storia e storiografia. Scritti in onore di Pasquale Villani, a cura di Paolo Macri e Angelo Massacra, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 559-570 ; Giovanna Da Molin, Mobilità dei contadini pugliesi tra fine Seicento e primo Ottocento, in Immigrazioni nel tavoliere nel Seicento, « S.i.de.s. » (a cura di Saverio Russo), Bologna, Clueb, 1980, pp. 435-475 ; Id., Demografia, famiglia e società in Capitanata in età moderna, in La Capitanata in età moderna, a cura di Saverio Russo, Foggia, Tip. Claudio Grenzi, 2004, pp. 75-94. 2   L’accordo, stipulato il 9 aprile 1454 tra i maggiori Stati italiani (ducato di Milano, repubbliche di Venezia e Firenze, Stato della Chiesa e regno aragonese di Napoli), poneva termine alla guerra di successione per il ducato di Milano tra Francesco Sforza, Firenze, Genova e il marchese di Mantova da una parte ; Venezia, Alfonso d’Aragona, il duca di Savoia e il marchese di Monferrato dall’altra. Venezia dovette restituire i territori occupati dallo Sforza tra il Bresciano e il Bergamasco, ad eccezione di alcuni castelli, ma conservava il dominio di Crema ; a Milano rimasero la Ghiara d’Adda e il Ponte di Brivio. Nel marzo del 1454 fu stipulato l’accordo di una « santissima lega » italica, benedetta a Roma dal papa, che avrebbe dovuto valere venticinque anni. Ma l’esaurimento delle spinte espansionistiche di Milano, Venezia e Firenze, e gli eventi internazionali (caduta dell’impero romano-bizantino e la fine della guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra nel 1453) lo lasciò inalterato fino alla discesa di Carlo VIII in Italia, nel 1494, due anni dopo la morte di Lorenzo de’ Medici.  





























i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600 21 triarcato. È stato notato la residenza nello stesso quartiere di famiglie con lo stesso cognome (i quartiers lignagers del Delille). La Sicilia è stata caratterizzata più dalla scarsità che dall’eccesso di popolazione. A partire dal 1450-1500 la crescita demografica, per due secoli, era più forte nelle campagne cerealicole a latifondo del centro e nella parte occidentale dell’isola, rispetto alle aree intorno a Messina e in quelle orientali e meridionali, dove era forte la specializzazione sericola. Ma fino alla fine del xviii secolo, la Sicilia fu piuttosto terra di immigrazione che di emigrazione : immigrazione di Albanesi, che con sette ondate migratorie, dal 1399 al 1774, crearono colonie anche in Puglia, Basilicata e Calabria ; altra immigrazione significativa fu quella dei lombardi. 1 Nel Cinquecento in Sicilia, forte esportatrice di grano, si assistette ad un forte popolamento ; mentre nel Seicento, la crisi delle esportazioni spinse l’aristocrazia a fondare nuovi villaggi, in cui la popolazione consumava i cereali prodotti. Nel 1650, sia a Messina che in Calabria, con la crisi dei prezzi della seta, vennero chiuse le economie delle aree sericole. La Sardegna non è stata interessata in età moderna da movimenti migratori, né in entrata, né in uscita, tranne che per limitati insediamenti nell’isola di San Pietro da parte di contadini piemontesi, liguri e savoiardi provenienti dal Regno di Sardegna nel xviii secolo. Le migrazioni erano temporanee, ma non di breve periodo. I figli seguivano l’apprendistato lontano da casa, e molti mercanti viaggiavano molto e per lunghi periodi all’estero. Vi furono trapianti definitivi e, in caso di crisi politica e religiosa, la partenza fu senza ritorno : agli inizi del ’400 molti banchieri e mercanti da Pisa, caduta sotto il dominio di Firenze, si erano trasferiti in Sicilia, dove avevano stabilito la loro residenza. Tra il 1535 e il 1600 molti patrizi di Lucca si erano trasferiti a Ginevra per motivi religiosi. La direzione dei flussi che fino al ’500 erano in senso est-ovest, con i Genovesi in prima linea, nel ’500 e ’600, in senso inverso, non verso i perduti mercati orientali, ma verso l’Europa nordorientale, decisamente più povera. Venezia vide ridimensionati i suoi rapporti con l’oriente, ma conservò ugualmente molti centri mercantili nelle regioni islamiche ; altrettanto fece Genova, sebbene i suoi interessi fossero più rivolti in Occidente, verso l’impero spagnolo, e la Sicilia, la Sardegna, il Regno di Napoli, Milano. In Spagna la colonia genovese toccò Siviglia, Medina del Campo, Cadice, Granada, Valenza, Madera, Canarie e Azzorre ; in Germania fu presente a Norimberga, Francoforte, Amburgo, Lubecca ; ad Anversa stabilì una forte colonia. Al di fuori delle divisioni politiche e religiose, Genova creò colonie in Italia, a Roma e Venezia ; altre in Francia – dopo le cambiate situazioni politiche – a Lione e Marsiglia ; a Ginevra ; e altre ancora in Inghilterra, al tempo della ribellione delle Province Unite. Nel Regno di Napoli l’immigrazione genovese si appropriò di feudi e baronie, oltre che adire a cariche pubbliche ed ecclesiastiche. Nella prima metà del xvii secolo i flussi genovesi cominciarono ad esaurirsi. I mercanti fiorentini, genovesi, lucchesi, milanesi, piemontesi godettero di un certo primato nel 1569 a Lione. Dopo il 1580, la crisi provocata dalla concorrenza dei  

















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  Durante la cosiddetta età glaciale, gli Albanesi poterono prendere il posto di alte terre spopolate, dati gli ambienti montuosi di provenienza e le attività prevalentemente pastorali praticate in patria.

22 cosimo palagiano tessuti inglesi fece calare la presenza. La stessa sorte, ma con minore intensità, fu registrata nel 1578 ad Anversa. La crisi indusse chi non rientrava in patria a recarsi in Germania (Colonia, Francoforte, Norimberga) o a Vienna o a Cracovia. Fino al ’700 inoltrato i mercanti italiani continuarono a rivolgersi all’Europa nord-orientale, senza però produrre flussi di un certo rilievo. Intanto Livorno assunse una notevole importanza, agevolata dal mercantilismo mediceo, nelle relazioni con l’Oriente, ma all’interno della città erano in maggioranza i mercanti stranieri, rispetto ai fiorentini, in numero di appena 12. 3. Le città capitali, poli di attrazione dell’emigrazione Pur essendo una emigrazione che riguardava essenzialmente le campagne, anche le città, soprattutto le capitali, erano meta di immigrazione. Soprattutto nei momenti di crisi, le città capitali costituivano un polo di attrazione dei singoli stati italiani, ma dovevano far fronte alla massa di vagabondi e diseredati che vi confluivano e a ricercare la manodopera qualificata. Sotto l’aspetto demografico l’immigrazione aveva la funzione di compensare in parte il calo naturale della popolazione. L’incremento demografico si registrò solo in poche città, come Livorno, fondata dai Medici alla fine del xvi secolo, che, grazie ad una legislazione favorevole agli stranieri, vide lo stanziamento nel suo territorio di portoghesi, ebrei levantini, armeni e altri orientali. Venezia, dopo le immigrazioni slave e tedesche durante il Medioevo, agevolò l’immigrazione dai suoi domini di terra e di mare, per colmare i vuoti di manodopera generica e qualificata : i bergamaschi, specializzati nel facchinaggio nelle grandi città e nei porti italiani (Roma, Genova), giunsero a Venezia, salendo anche alcuni gradini della scala sociale. Ma anche questa migrazione era a termine : i giovani rientravano nei loro paesi d’origine per formare una famiglia. Altri lavoratori immigrati provenivano da Brescia, dal Friuli, da Milano. I Cadorini portavano a Venezia il legname per l’Arsenale. Venezia accoglieva, al contrario di Livorno, anche non cattolici provenienti dall’oriente (ebrei, ortodossi, protestanti nederlandesi), incuranti delle proteste della Chiesa di Roma. A Napoli l’immigrazione da tutte le aree del grande stato compensò in parte le crisi demografiche dovute a mortalità ed epidemie. Gli immigrati soprattutto maschi prestavano servizio presso la nobiltà. Torino, che nel xvii secolo era di piccole dimensioni : era diventata 1559, dopo la Pace di Cateau-Cambrésis, capitale del ducato di Savoia e per questa sua funzione funse da polo di attrazione di tutto il Piemonte, fino ad attrarre, nel xviii secolo manodopera specializzata soprattutto edile da una vasta area, comprendente le valli alpine, il Ticino, la Liguria e Nizza. Particolarmente attrattiva era Roma, capitale del cattolicesimo, con una corte di famiglie nobili di cardinali provenienti da ogni dove e che utilizzavano ampiamente numerosi servitori. La città era caratterizzata da quartieri costituiti da immigrati provenienti da tutte la parti d’Italia (lombardi, genovesi, fiorentini, spagnoli, por 





i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600 23 toghesi). Gli immigrati, per lo più maschi, esercitavano mestieri poco specializzati : oltre agli addetti ai servizi, vi erano anche muratori e stuccatori provenienti dalle Alpi, e inoltre architetti e artisti di fama. Bisogna ricordare che sia la Campagna Romana che l’Agro Pontino erano aree in gran parte repulsive e malsane, e per questo motivo, ma non solo, gli immigrati provenivano da molto lontano. Era certamente prevalente l’attrazione universale della Chiesa cattolica e della sua corte. 1 Una costante particolarità di tutti i flussi migratori, che si riflesse anche per le grandi città, fu la stagionalità. I rapporti tra situazione politica, questione religiosa, popolazione e flussi migratori furono quasi sempre evidenti, perché i rivolgimenti politici e sociali indussero stati di malessere e di esigenza di cambiamento di lavoro e di residenza. I tre secoli che stiamo esaminando comprendono un periodo contrassegnato da vicende che, pur svolgendosi in parte lontano dall’Italia, la coinvolgono ugualmente perché fanno sentire i loro effetti negli stati dominati da potenze straniere. La pace di Cateau-Cambrésis, le guerre d’Italia, 2 il sacco di Roma, 3 le malattie  

1   Sull’immigrazione a Roma nell’antico regime, cfr. Eleonora Canepari, Immigrati, spazi urbani e reti sociali nell’Italia d’antico regime, in Storia d’Italia. Annali 24, cit., pp. 55-90. 2   Con la pace di Cateau-Cambrésis (2/3 aprile 1559), furono definiti gli accordi che posero fine alle guerre d’Italia e al conflitto tra gli Asburgo e la Francia. Furono firmati due trattati : uno tra Elisabetta I d’Inghilterra e Enrico II di Francia il primo giorno e uno tra Enrico e Filippo II di Spagna quello successivo, nella cittadina (oggi francese) di Le Cateau-Cambrésis, circa venti chilometri a Sud-Est di Cambrai. La Repubblica di Genova ottenne dalla Francia il Piemonte e la Savoia al Duca di Savoia. La Francia ottenne Calais, già mano inglese, e il Marchesato di Saluzzo, e i vescovati di Metz, Toul e Verdun, appartenuti all’Impero. I Gonzaga mantenenro la signoria sul Monferrato, e la Spagna la Franca Contea e il dominio su Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna, Stato dei Presidi, i Ducati di Parma, Modena e Mantova. I Savoia diventarono dei vassalli spagnoli e la Repubblica di Genova, anche se nominalmente indipendente, era alleata della Spagna, mentre il Papato era un alleato naturale della Spagna per motivi controriformistici. Solo la Repubblica di Venezia, il Granducato di Toscana (grazie alla politica di Cosimo I de’ Medici) rimase fuori dall’influenza spagnola, che per il resto durò fino agli inizi del xviii secolo. La pace di Cateau-Cambrésis decretò la fine dell’Italia dalla scena politica. Spagna e Francia risultarono le vere vincitrici. 3   Il sacco di Roma avvenne nel 1527 ad opera delle truppe dei lanzichenecchi al soldo dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo. La vicenda si inserisce nel secondo conflitto che vide impegnati Francesco I di Valois, Re di Francia e Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Spagna .dal 1526 al 1529. Il primo conflitto si era concluso con la sconfitta di Francesco I a Pavia che dovette rinunciare ad ogni suo diritto sull’Italia e restituire la Borgogna agli Asburgo. Nel maggio successivo, però, papa Clemente VII si rese promotore della cosiddetta Santa Lega di Cognac, composta, oltre che dal Papa e dal Re di Francia, anche dal Ducato di Milano, dalla Repubblica di Venezia, dalla Repubblica di Genova oltre che dalla Firenze dei Medici. L’Imperatore scatenò contro lo stato pontificio la famiglia romana dei Colonna, nemica della famiglia Medici. Clemente VII fu costretto a chiedere aiuto all’Imperatore in cambio della propria alleanza contro il Re di Francia, rompendo la Lega Santa. Ma Clemente VII non mantenne il patto stipulato e chiamò in suo aiuto Francesco I. A questo punto l’Imperatore inviò a Roma un contingente di lanzichenecchi, al comando del duca Carlo III di Borbone-Montpensier, uno dei più grandi condottieri francesi, inviso al re Francesco. I Lanzichenecchi, il 12 novembre 1526, riuscirono ad unirsi agli Spagnoli provenienti da Milano. Ma a causa del ferimento di Giovanni dalle Bande Nere, l’unico della lega anti-imperiale a contrastarne la discesa, i lanzichenecchi continuarono la loro avanzata. Il 6 maggio gli Imperiali cominciarono l’attacco : il Borbone venne colpito a morte da Benvenuto Cellini (secondo l’autobiografia dello stesso), ma questo fatto diede ancor più forza al suo esercito, che espugnò le mura entrando in città. Papa Clemente VII si rifugiò in Castel Sant’Angelo. Il 5 giugno, si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati. Il Papa riuscì a lasciare Castel Sant’Angelo e a fuggire dalla città eterna alla prima occasione. Il 7 dicembre  



24 cosimo palagiano infettive, tra cui la peste – come quella del 1629-30 raccontata principalmente nei capp. xxxi e xxxii dei Promessi Sposi, – le carestie, le guerre di religione, con la riforma luterana e la controriforma, la guerra dei Trent’anni, terminata con la pace di Vestfalia (1648), in cui si cominciò a formare l’identità dello stato nazionale, furono tutti eventi che ebbero riflessi certi sulla popolazione italiana, oltre che europea, e sui flussi migratori. 4. Le vie di comunicazione I flussi migratori percorrevano le numerose vie che attraversavano, soprattutto dall’epoca romana in poi, lungo la penisola. La Tabula Peutingeriana, gli Itinerari romani (come ad esempio, l’Itinerario Antonino), ci presentano una viabilità molto estesa, anche se non sempre assai sicura. Qui accenno a due vie importanti per il traffico dei migranti e dei pellegrini : una è la famosa Via Francigena, che portava i pellegrini a Roma, dove venivano accolti, secondo la loro nazionalità, nelle Scolae : una delle più celebri è quella Sassone, che ha dato il nome all’Ospedale di S. Spirito, detto appunto in Sassia. La Via Francigena, a cominciare soprattutto dall’anno 1000, portava da Canterbury a Roma migliaia di pellegrini, detti Romei 1 che percorrevano la strada a piedi e in compagnia. Si percorrevano circa 20-25 km al giorno. A queste di congiungevano, attraverso la Navarra il Cammino per Santiago di Compostela. Un altro pellegrinaggio portava a Gerusalemme. Un ramo della Via Francigena giungeva anche a Monte Sant’Angelo, nella grotta della cui basilica sono state rinvenute quattro epigrafi scritte con le rune, che testimoniano la presenza dei Longobardi e dall’xi secolo dei Normanni. Un’altra via, notevole per i traffici mercantili, era la Via degli Abruzzi, che veniva percorsa dai mercanti di stoffe e di altri beni, dai commercianti che andavano da Napoli a Firenze e viceversa.  



Clemente VII si travestì da ortolano per superare le mura della città : gli Imperiali decimati dalla peste e dalle diserzioni, si ritirarono da Roma tra il 16 ed il 18 febbraio 1528. Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III : « Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de’ santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de’ loro ornamenti, erano gittate per terra ; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de’ soldati (che furno le cose più vili) tolseno poi i villani de’ Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari, oro, argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore ». Francesco Guicciardini, Storia d’Italia, 18, 8. Al tempo del “Sacco”, si pensa che la città di Roma possedesse 50.000 residenti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina. Roma era una città insalubre, infestata dalla malaria. L’improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti. Alla fine di quell’anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20.000 morti causate dalle violenze o dalle malattie. Tra le vittime si annoverano anche alti prelati, come il Cardinale Cristoforo Numai da Forlì, che morì pochi mesi dopo per le sofferenze patite durante il saccheggio. 1   Da notare che in spagnolo per pellegrinaggio si usa il termine Romeria. Coloro che si recavano a Santiago di Compostela erano detti Jacopei e quelli che andavano a Gerusalemme erano detti Palmari.  









i flussi migratori in italia tra il ’ 400 e il ’ 600 25 La Via degli Abruzzi fu fortemente interessata dai commerci tra l’Abruzzo Aquilano e Firenze : la lana abruzzese fu lavorata per almeno un sessantennio, dal 1430 al 1490, dalle industrie fiorentine. È documentata la vendita dei panni aquilani a Firenze, Roma e Napoli. 1  

Università di Roma La Sapienza Abstract In questo articolo inquadro il periodo storico in cui si sono svolti i flussi migratori in Italia tra il ’400 e il ’600, a cominciare dalla grave epidemia di peste del 1348. Poi prendo in considerazione le guerre, che hanno favorito gli spostamenti di popolazione e diversificato le attività economiche. Infine esamino i diversi tipi di flussi migratori che differiscono a seconda della durata e della lunghezza percorsa. Salvo poche eccezioni, prevalgono gli spostamenti a lunga distanza (dal nord al sud) e quelli di breve durata. In this paper first consider the historical events, which occurred in Italy between the xv and xvii century, beginning from the serious plague of 1348. Then I highlight the recurrent wars which caused the population movements and the changes in economic activities. Finally I show the migrations types, which differ in length and route. Most of migrants set off on long journey from north to south for a short stay. 1   Cfr. la ricca documentazione riportata nel bel volume di Hisetoshi Hoshino, I rapporti economici tra l’Abruzzo Aquilano e Firenze nel Basso Medioevo, L’Aquila, Deputazione Abruzzese di Storia Patria, 1988 (Studi e testi, 11), in partic. cfr. pp. 47-166, con ampia documentazione. Alle pp. 164-165 è allegata una carta dei principali itinerari dei tratturi.

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LA MOBILITÀ DEI LETTERATI Concetta Bianca

I

l 18 ottobre 1455, a Roma, presso lo Studium Urbis, Lorenzo Valla recitava l’Oratio inauguralis per l’anno accademico 1455-56 : 1 dalla cattedra (ex hoc loco) lanciava un messaggio che egli stesso non esitava a definire nuovo, e che sicuramente era almeno nuovo per lui. 2 L’Ecclesia romana – egli sosteneva – è stata la fautrice e la garante della continuità della lingua latina 3 e per questo motivo nella curia romana il numero degli homines litterati è numericamente più alto rispetto alle altre città ; anzi – egli aggiungeva – alcuni di questi homines litterati sono optimi oratores, altri invece sono eruditissimi in ogni genere di discipline, ed in ogni caso nessuno di questi litterati esisterebbe se non ci fosse la curia romana. 4 L’affermazione del Valla non deve sorprendere : le radici ideologiche esistevano già nel testo della bolla di Innocenzo VII Ad exaltationem romanae Urbis del 1° settembre 1406, con la quale veniva rifondato lo Studium Urbis secondo un programma vasto di discipline, all’interno delle quali veniva dato spazio anche all’insegnamento del greco. 5 Agli uomini che studiorum gratia sarebbero arrivati nell’Urbe – proseguiva il testo della bolla che tra l’altro era stato stilato da Leonardo Bruni, novello secretarius di curia – veniva garantita una ricompensa economica (praemia laborum amplissima). 6 La stessa linea programmatica – di attrarre cioè in curia gli uomini dotti – era stata messa in campo quando nel 1422 Martino V conferiva la cittadinanza romana ad Antonio Loschi che, dopo la parentesi tumultuosa del Concilio di Costanza, tornava in curia. 7  





1   Lorenzo Valla, Orazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1455-1456. Atti di un seminario di filologia umanistica, a cura di S. Rizzo, Roma, Roma nel Rinascimento, 1994, pp. 192-200. Cfr. anche Maria Grazia D’Angeli, Per un nuovo commento dell’”Oratio in principio studii”, in Pubblicare il Valla, a cura di Mariangela Regoliosi, Firenze, Polistampa, 2008, pp. 461-467. 2   L. Valla, Orazione …, cit., p. 192 : « Mihi tamen aliam ingrediendam arbitror viam, ne detrita et pervagata et iam quasi fastidium moventia vobis inculcare videar. Aliquid potius novi dicendum, et id potissimum quod a nemine, ut reor, antehac dictum sit, quod, et si non sua magnitudine, quamquam non minus magnum quam novum erit, certe ipsa novitate aures erigat et sibi audientiam faciat, cum presertim non minus pertineat ad hodiernum munus oratoris quam illa disciplinarum laudatio ». 3   Ivi, pp. 192-194 : « Sedes romani pontificis, quam apostolicam vocant, est cui omnes scientie debent, que, ut iterum dicam, effecit ut ille incolumes sint, effectura, quod spero, ut incolumes perseverent ». 4   Ivi, p. 200 : « Plus igitur hic quam usquam gentium est hominum litteratorum ; plurimi hic atque optimi pro conditione temporum oratores ; plurimi in omni doctrinarum genere eruditissimi ; qui profecto nulli forent si curia romana non esset ». 5   Gordon Griffiths, Leonardo Bruni and the Restoration of the University of Rome (1406), « Renaissance Quarterly », xxvi (1973), p. (1-10) 10 : « Erit denique – sic enin providimus – ut nihil huic nostro desit studio, qui litteras grecas omnesque eius lingue auctores perfectissime doceat ». 6   Ivi, p. 10 : « Quam ob rem accelerent homines hanc Urbem studiorum gratia adire ut, in nostris atque Curie nostre oculis per virtutem cogniti, premia laborum amplissima consequantur ». 7   La bolla di Martino V è edita in Concetta Bianca, Dopo Costanza : classici e umanisti, in *Alle origini della nuova Roma : Martino V (1417-1431). Atti del Convegno, Roma, 2-5 marzo 1992, a cura di Maria Chiabò, Roma, Roma nel Rinascimento, 1992, pp. (85-110) 108. Cfr. Ead., La curia come “domicilium sapientiae” e la “sancta rusticitas”, in *Humanisme et Église en Italie et en France meridionale (xve siècle-milieu du xvie), sous la direction de Patrick Gilli, Rome, École française de Rome, 2004, pp. 97-113.  











































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concetta bianca Negli stessi anni in cui Valla esaltava l’Ecclesia romana, Giovanni Tortelli nella dedica del De orthographia 1 ricordava come il pontefice Niccolò V avesse convocato in curia uomini dotti utriusque linguae (cioè di latino e di greco), configurando questa operazione come asylum quoddam virtutis. 2 Si trattava, come è noto, del vasto programma di traduzioni dal greco – ed in qualche caso di correzioni a precedenti traduzioni – che Niccolò V aveva organizzato, proprio con l’aiuto di Tortelli che consegnava materialmente i testi da tradurre a quanti erano in grado di garantire ottimi livelli di traduzione. 3 Ed anche successivamente, nel 1481, Demetrio Guazzelli, nella dedica al cubiculario pontificio Giovanni Giacomo Sclaffenati che precede l’Inventarium bibliothecae vaticanae, avrebbe sottolineato come Sisto IV avesse radunato da ogni parte (undique) uomini dotti, con lo scopo, anche in questo caso, di traduttre testi dal greco, dall’ebraico e dall’arabo nella lingua latina, anzi – come scrive Guazzelli – in romanum sermonem. 4 Analogamente Pietro Marsi, nell’Oratio in die sancti Stephani, recitata il 26 dicembre 1482, secondo la consuetudine delle orationes coram papam, e dedicata al cardinale Stefano Nardini, avrebbe teorizzato l’importanza della curia. 5 Questa attrattività della curia non era solo di carattere dottrinale (ad esempio nel 1488 Felino Sandei si recava a Roma in quanto la curia è la madre di tutti i canonisti) 6 o di carattere ecclesiale (ad esempio Enea Silvio Piccolomini esortava il neoeletto cardinale Niccolò Cusano ad andare a Roma in quanto la vera 1

  La dedica, tratta dal codice autografo Vat. lat. 1478, è edita in Silvia Rizzo, Per una tipologia delle tradizioni manoscritte di classici latini in età umanistica, in *Formative Stages of Classical Traditions : Latin Texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of a conference held at Erice, 16-22 October 1993, ed. by Oronzo Pecere and Michael D. Reeve, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1995, pp. (371-407) 402-407. Sul De orthographia cfr. Antonio Manfredi, L’Orthographia di Giovanni Tortelli nella Biblioteca Vaticana, in *Miscellanea Bibliothecae Vaticanae, vi, Collectanea in honorem Rev.mi Patris Leonardi E. Boyle, O.P., septuagesimum quintum annum feliciter complentis, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1998, pp. 265-298 ; Gemma Donati, L’“Orthographia” di Giovanni Tortelli, Messina, Centro Interdipartimentale di Studi umanistici, 2006. 2   S. Rizzo, Per una tipologia …, cit., p. 403 : « Nam, licet ex magnificentia animi tui, qui non nisi clarissima in litteris aedificiisque et rebus ceteris aggrederis, viros utriusque linguae eruditissimos ex omnibus fere terris velut ad virtutis aliquod asylum convocaveris, quos ut suum possint excolere ingenium laudemque sibi parare et aliquid conficere quod posteritati prodesse possit maximis praemiis affeceris, non tamen deterrebor et ego aliquid pro mea parvitate tuae bibliothecae offerre, quam tametsi ex clarissimis altissimarum doctrinarum auctoribus fulcire cupis, quia tamen et minores aliquando facultates necessariae sunt, non dedignaberis pro tua sapientia etiam minorum facultatum libros inserere ». Cfr. Concetta Bianca, Il Pontificato di Niccolò V e i Padri della Chiesa, in *Umanesimo e Padri della Chiesa. Manoscritti e incunaboli di testi patristici da Francesco Petrarca al primo Cinquecento, a cura di Sebastiano Gentile, Roma, Rose, 1997, pp. 85-92. 3   Si veda il caso della traduzione della Lettera di Aristea, per la quale Tortelli consegnava a Mattia Palmieri il testo greco da tradurre : C. Bianca, Il soggiorno romano di Aristea, « Roma nel Rinascimento » (1996), pp. (36-41) 39-40. 4   La dedica dell’Inventarium è edita in Pietro Guidi, Pietro Demetrio Guazzelli da Lucca, il primo custode della Biblioteca Vaticana (1481-1511) e l’inventario dei suoi libri, in *Miscellanea Francesco Ehrle, v, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1936, pp. (193-218) 209 : « Sanctitas enim sua [Sixtus IV] doctissimos viros undique ad se convocat, liberalitate ac pollicitationibus invitat, alii e graeco in latinum, alii ex hebraico et arabico in romanum transferat sermonem ». Cfr. Emilio Russo, Guazzelli Demetrio, in Dizionario biografico degli Italiani, 60, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2009, pp. 520-523. 5   Cfr. Marc Dykmans, L’humanisme de Pierre Marso, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1988, pp. 69-70. 6   Mario Montorzi, Taccuino feliniano. Schede per lo studio della vita e l’opera di Felino Sandei, Pisa, Edistudio, 1984, p. 128.  





















la mobilità dei letterati 29 patria è la curia) : costituiva un approdo, anche materiale, di sicurezza. Per scelta ideologica, e non di sicurezza economica, Ermolao Barbaro, accettando la carica di patriarca, si era trasferito a Roma, suscitando le violente critiche di coloro che erano stati i suoi amici e soprattutto i suoi concittadini. 2 Certo qualcuno rifiutava di arrivare in curia, qualcun altro non ci riusciva : il primo caso è quello di Francesco Filelfo, più volte sollecitato dagli antichi amici, come Antonio Loschi, a raggiungere il « domicilium sapientie » ; 3 il secondo è quello del Poliziano che invano, e più volte, aveva cercato di trovare una propria definitiva sistemazione come bibliotecario della biblioteca papale. 4 Da questo punto vista, come osservava Agostino Sottili, vanno riconsiderate molte situazioni : ad esempio Iohann Roth arrivava a Roma non certo per ascoltare le lezioni del Valla, secondo un modello di letterato privo di esigenze economiche, ma per trovare lavoro in curia e solo dopo si sarebbe interessato a frequentare i corsi del Valla. 5 Riprendendo la distinzione del Valla, così come enunciata nell’Oratio inauguralis, tra gli uomini eruditi e gli oratores, emerge un altro percorso privilegiato, quello dell’ambasciatore, che ricopre l’incarico di rappresentare ora un sovrano, ora una repubblica. 6 È nota ad esempio l’orazione di Leonardo Bruni recitata davanti al pontefice Martino V durante la legazione del 1426, nella quale il Bruni, rappresentando gli interessi anche economici dei mercanti fiorentini, valutava positivamente la restaurazione di papa Colonna a garanzia della sicurezza delle strade e dei viaggi. 7 Ed altrettanto nota è l’ambasceria di Antonio Panormita che rappresentava il suo sovrano, Alfonso d’Aragona, e che ritornava da Padova a Napoli portando con sé una reliquia,  

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1   La lettera del Piccolomini, datata Roma 27 dicembre 1456, è edita in Erich Meuthen, Die letzten Jahre des Nikolaus von Kues. Biographische Untersuchungen nach neuen Quellen, Köln-Opladen, Westdeutscher, 1958, p. 133 : « precor igitur […] ut iam demum in patriam redeas ; nam cardinali sola Roma patria est ». Cfr. Concetta Bianca, La biblioteca romana di Niccolò Cusano, in *Scrittura, bibloteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del 2° Seminario (6-8 maggio 1982), a cura di Massimo Miglio, Città del Vaticano, Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, 1983, pp. (669-708) 670-671. 2   Cfr. Patricia Labalme, Sacred and secular heroes : Ermolao on wordly honor, in *Una famiglia veneziana nella storia : i Barbaro. Atti del Convegno di Studi in occasione del quinto centenario della morte dell’umanista Ermolao (Venezia, 4-6 novembre 1993), raccolti da Michela Marangoni e Manlio Pastore Stocchi, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1996, pp. 331-344 ; Vittore Branca, La “sapienza” civile. Studi sull’Umanesimo a Venezia, Firenze, Olschki, 1998, pp. 174-177. 3   Germano Gualdo, Francesco Filelfo e la curia pontificia. Una carriera mancata, « Archivio della Società romana di storia patria », cii (1979), pp. 189-236, rist. in Id., Diplomatica pontificia e umanesimo curiale, con altri saggi sull’Archivio Vaticano, tra medioevo ed età moderna, a cura di Rita Cosma, Roma, Herder, 2005, pp. 315-370. 4   Concetta Bianca, Poliziano e la curia, in *Agnolo Poliziano, poeta scrittore filologo. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Montepulciano, 3-6 novembre 1994), a cura di Vincenzo Fera e Mario Martelli, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 459-475. 5   Agostino Sottili, La formazione umanistica di Johannes Roth, vescovo principe di Breslavia, in *Italia e Boemia nella cornice del Rinascimento europeo, a cura di Sante Graciotti, Firenze, Olschki, 1999, pp. 211-226. 6   Cfr. Riccardo Fubini, L’ambasciatore nel xv secolo : due trattati e una biografia (Bernard de Rosier, Ermolao Barbaro, Vespasiano da Bisticci), « Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge », 108, 2 (1996), pp. 645-665. 7   Il testo è edito in Leonardo Bruni, Opere letterarie e politiche, a cura di Paolo Viti, Torino, utet, 1996, pp. 806-811. Cfr. Concetta Bianca, Le orazioni di Leonardo Bruni, in Leonardo Bruni cancelliere della Repubblica di Firenze. Atti del Convegno di Studi, Firenze, 27-29 ottobre 1987, a cura di Paolo Viti, Firenze, Olschki, 1990, pp. (227-245) 232-234.  























30 concetta bianca cioè l’osso del braccio di Tito Livio, di cui gli avevano fatto dono a Padova. 1 Questi, per così dire, erano viaggi legati alla funzione stessa del lavoro. Ma per lo più i viaggi significavano cambiamento di lavoro, ricerca di una nuova e più vantaggiosa sistemazione. Basta ripercorre la vita di Francesco Filelfo, da Bologna a Firenze, da Firenze a Siena, per poi approdare nel porto apparentemente sicuro dei Visconti (sostituiti poco dopo dagli Sforza) : 2 riguardo al lavoro di insegnante presso gli studia Filelfo preferiva non correre il rischio delle improvvise chiusure, legate per lo più agli eventi di guerra, e per questo motivo sceglieva una esistenza più tranquilla trasferendosi presso la corte milanese, 3 anche se di questa avvertiva a volte il peso, come quando era costretto in qualche modo a comporre un commento in volgare a Petrarca ; 4 ciclicamente quindi egli tentava di cambiare mestiere, come lascia supporre la pubblicazione del De obitu Valerii filii consolatio stampato a Milano nel 1475 con il falso luogo di stampa Roma, 5 e come si deduce dall’ultimo faticosissimo viaggio a Firenze, all’ombra del lauro, dove pensava di rimanere. 6 Anche per Giorgio Merula l’attrazione della corte ducale aveva avuto il sopravvento sul soggiorno veneziano, pur ricco di stimoli, che lo avevano introdotto come filologo nel mondo delle prime edizioni a stampa. 7 Rispetto all’incertezza di una condotta, era sempre preferibile rifugiarsi sotto le ali di un signore : del resto Guarino Veronese, trasferendosi a Ferrara, aveva abbandonato l’esperienza dirompente dei suoi esperimenti pedagogici veronesi e solo dopo, per via traverse, sarebbe ritornato ad insegnare. 8 Un anno soltanto, ad esempio, avrebbe insegnato a Firenze Giovanni Aurispa, 9 il quale, pur avendo trovato accoglienza presso  





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  Paolo Sambin, Il Panormita e il dono d’una reliquia di Livio, « Italia medioevale e umanistica », i (1958), pp. 276-281. 2   Cfr. Gianvito Resta, Francesco Filelfo tra Bisanzio e Roma, in *Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte. Atti del xvii Convegno di Studi maceratesi, Tolentino, 27-30 settembre 1981, Padova, Antenore, 1986, pp. 1-60. 3   Cfr. Diana Robin, Filelfo in Milan. Writings 1451-1477, Princeton, Princeton University Press, 1991. 4   Cfr. Rossella Bessi, Sul commento di Francesco Filelfo ai “Rerum vulgarium fragmenta”, « Quaderni petrarcheschi », iv (1987), pp. 229-270, rist. in Ead., Umanesimo volgare. Studi di letteratura fra Tre e Quattrocento, Firenze, Olschki, 2004, pp. 23-61. Cfr. anche Concetta Bianca, Filelfo, Petrarca “et alii” : ipotesi per un Commento ai “Trionfi ”, « Quaderni petrarcheschi », vii (1990), pp. 217-229. 5   istc ip00581000 ; cfr. Renata Fabbri, Le “Consolationes de obitu Valerii Marcelli” ed il Filelfo, in *Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, iii, Umanesimo e Rinascimento a Firenze e a Venezia, Firenze, Olschki, 1983, pp. 227-250 ; Margaret L. King, An Inconsolable Father and His Humanist Consolers. Jacopo Antonio Marcello, Venetiam nobleman, patron, and man of Letters, in *Supplementum festivum. Studies in honor of Paul Oskar Kristeller, Binghamton, New York, Medieval and Renaissance texts and studies, 1987, pp. 221-247. 6   La biblioteca del Filelfo confluì, come è noto, in quella di Lorenzo de’ Medici : Edmund B.Fryde, Greek manuscripts in the private library of the Medici : 1469-1510, Aberystwyth, The National Library of Wales, 1996. Cfr. anche Paolo Eleuteri, Francesco Filelfo copista e possessore di codici greci, in *Paleografia e codicologia greca. Atti del ii colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbüttel, 17-21 ottobre 1983), a cura di Dieter Harlfinger e Giancarlo Prato, i, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1991, pp. 163-179 ; David Speranzi, Codici greci appartenuti a Francesco Filelfo nella biblioteca di Ianos Laskaris, « Segno e testo », 3 (2005), pp. 467-496. 7   Cfr. Cfr. Maurizio Campanelli, Manoscritti antichi, testi a stampa e principi di metodo : spigolando negli scritti filologici di Giorgio Merula, « La Parola del testo », ii, 2 (1998), pp. 253-292. 8   Cfr. Nicoletta Marcelli, “Virum litteratissimum et huius aetatis nostrae eloquentiae fontem” : Guarino Guarini nel giudizio degli umanisti, « Medioevo e Rinascimento », n.s., xx (2009), pp. 181-207. 9   Al desiderio di giungere a Firenze, così come manifestato in una lettera spedita l’11 giugno 1425 da Bologna al Traversari (Carteggio di Giovanni Aurispa, a cura di Remigio Sabbadini, Roma, Istituto storico italiano, 1931, p. 28 : « istius vero civitatis iam diu amantissimus fui atque ibi habitandi avidissimus »), aveva fatto seguito la delusione, come emerge da una lettera a Guarino, spedita da Firenze nel febbraio 1426 (ivi, p. 41).  













































la mobilità dei letterati 31 gli Este di Ferrara, avrebbe a stento contenuto la sua inquietudine attraverso frequenti viaggi in curia ed intessendo rapporti con personaggi di alto livello. 1 Giannantonio Campano aveva d’improvviso lasciato il suo posto di insegnante presso lo Studio di Perugia per seguire il pontefice Pio II che iniziava il suo lungo viaggio verso Mantova, dove aveva convocato un concilio con i principi e i sovrani d’Europa. 2 L’esempio più eclatante del sopravvento della corte (o della curia) rispetto al lavoro di insegnare presso uno studium è dato proprio da quel gruppo di umanisti che si riunivano a corte intorno ad Alfonso d’Aragona : 3 in questo caso si trattava di una vera e propria teorizzazione dell’importanza dei letterati di corte, che poi erano ora storiografi, ora segretari di stato, ora ambasciatori. Il modello di Alfonso, da cui emergeva una corte sicuramente vivace, ma sempre sotto il costante controllo del sovrano, diveniva a sua volta oggetto di imitazione. Ad esempio Federico da Montefeltro tentava di ricopiare il modello aragonese, anche se con risultati non del tutto duraturi : 4 la corte di Federico, infatti, attraeva i letterati, ma questi, per lo più, rimanevano pochi anni, espletando la funzione di insegnante-precettore per i figli del conte o del duca, e dunque di una vera e propria corte non si può parlare : del resto gli incarichi di condottiero portavano Federico da Montefeltro, così come altri della piccola nobiltà, lontano dai propri possedimenti, lasciando in qualche modo alle donne della famiglia la gestione della casa, dei beni, degli stessi insegnanti per i giovani figli. Da questo punto di vista Federico non poteva uguagliare il sovrano aragonese che invece, attraverso una sapiente opera di persuasione, era riuscito ad attrarre gli uomini dotti a Napoli, non necessariamente provenienti dal Regno come Antonio Panormita, 5 ma da tutte le  





1   Sull’Aurispa cfr. Gianvito Resta, Un’ignota lettera di Giovanni Aurispa. Aspetti delle vicende del codice Orsiniano di Plauto, in *Filologia e forme letterarie. Studi offerti a Francesco Della Corte, V, Urbino, Università degli Studi, 1987, pp. 395-416 ; Peter Schreiner, Giovanni Aurispa in Konstantinopel. Schicksale griechischer Handschriften im 15. Jahrhundert, in *Studien zum 15. Jahrhundert. Festschrift für Erich Meuthen, hrsg. von Johannes Helmrath und Heribert Müller in Zusammenarbeit mit Helmut Wolff, ii, München, R. Oldenbourg, 1994, pp. 623-633 ; Agostino Sottili, Pellegrini italiani in Renania : Giovanni Aurispa pellegrino ad Aquisgrana (a Kornelimünster e Colonia ?), in *Umanesimo storico latino e realtà economiche socio-culturali contemporanee. Convegno di Studi (Università di Colonia, 2-3-4 novembre 2001), Treviso, Europrint, 2002, pp. 15-30. 2   Cfr. Concetta Bianca, I poeti e la Dieta di Mantova, in *Il sogno di Pio II e il viaggio da Roma a Mantova. Atti del Convegno internazionale, Mantova, 13-15 aprile 2000, a cura di Arturo Calzona et alii, Firenze, Olschki, 2003, pp. (579-590) 588. 3   Cfr. Concetta Bianca, Alla corte di Napoli : Alfonso, libri e umanisti, in *Il libro a corte, a cura di Amedeo Quondam, Roma, Bulzoni Editore, 1994, pp. 177-201 ; Gennaro Toscano, Le biblioteche dei sovrani aragonesi di Napoli, in *Principi e Signori. Le Biblioteche nella seconda metà del Quattrocento. Atti del Convegno di Urbino, 5-6 giugno 2008, a cura di Guido Arbizzoni, Concetta Bianca, Marcella Peruzzi, Urbino, Accademia Raffaello, 2010, pp. 163-216. 4   Cfr. Concetta Bianca, La presenza degli umanisti ad Urbino nella seconda metà del Quattrocento, in *Francesco di Giorgio alla corte di Federico da Montefeltro. Atti del Convegno internazionale di Studi, Urbino, 11-13 ottobre 2001, a cura di Francesco Paolo Fiore, i, Firenze, Olschki, 2004, pp. 127-145 ; Ead., La biblioteca e gli umanisti, in Ornatissimo Codice. La biblioteca di Federico di Montefeltro, a cura di Marcella Peruzzi, Milano, 2008, pp. 113-117 ; Marcella Peruzzi, Cultura potere immagine. La biblioteca di Federico di Montefeltro, Urbino, Accademia Raffaello, 2004 ; Ead., La biblioteca di Federico di Montefeltro, in Principi e Signori …, cit., pp. 265-304. 5   Si veda ora la voce Beccadelli Antonio, in Charles G. Nauert, Historical Dictionary of the Renaissance (2004) : http ://renaissance.academic.ru/50/Beccadelli,_Antonio.  





















32 concetta bianca parti d’Italia, dalla Liguria come Bartolomeo Facio, 1 o successivamente dall’Umbria come Giovanni Pontano. 2 Le grandi corti avevano senza dubbio il sopravvento su quelle di media grandezza ed ovviamente sulle piccole : non è un caso che in Ungheria, alla corte di Mattia Corvino, si rechino davvero numerosi homines litterati, anche se poi il ritorno per qualcuno era stato precipitoso, per altri meno, ma ugualmente deludente ; 3 Galeotto Marzio 4 aveva sperato di trovare una adeguata sistemazione, e così, sia pure per brevissimo tempo, anche Bartolomeo Fonzio. 5 In qualche caso la singola corte era stata rifugio per qualcuno in momenti di particolare tensione : ad esempio la Napoli di Alfonso aveva costituito un rifugio per Giorgio Trapezunzio che si era dovuto allontare da Roma a seguito di contrasti con Valla. 6 Anche per contrasti si era allontanato da Roma Teodoro Gaza, rifugiandosi nella sua diocesi in Lucania, per poi fare ritorno in un successivo e più favorevole momento. 7 Difficilmente la mobilità era limitata a brevi periodi, con eventuali ritorni : il caso di Giovanni Dondi dell’Orologio, medico e amico del Petrarca, che per un breve tempo insegna a Pavia e poi ritorna a Padova, costituisce un’eccezione. 8 Legato alla particolarità della situazione era stato il caso di Poggio Bracciolini che si era allontanato, come altri del resto, dal Concilio di Costanza, per poi tornare in curia dopo la deludente esperienza vissuta in Inghilterra. 9 Altra eccezione, in qualche modo, può essere considerato il caso di Leon Battista Alberti che, dopo le esperienze riminesi, ritorna in curia e muore a Roma. 10 Altro caso, ma di natura diversa, era stato l’allontamento di Biondo Flavio, antico curiale di Eugenio IV, che si era trovato in difficoltà al tempo di Niccolò V, ma poi era riuscito a tornare. 11 In linea di massima ci si trasferiva, quando era necessario, e ci si trasferiva per sempre : Valla non sarebbe più tornato a Pavia, come non sarebbe più tornato a Napoli ; Poggio Bracciolini lasciava nel 1453 definitivamente la curia, anche se con la morte nel cuore. 12 Diversa era infatti la situazione di studente rispetto a quel 











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  Cfr. *Studi su Bartolomeo Facio, a cura di Gabriella Albanese, Pisa, ets, 2000.   Cfr. Rita Cappelletto, La “lectura Plauti” del Pontano, Urbino, Quattro Venti, 1988. 3   Cfr. C. Bianca, La biblioteca di Mattia Corvino, in Principi e Signori ..., cit., pp. 377-392. 4   Cfr., da ultimo, Alessandro D’Alessandro, Galeotto Marzio e la scelta di Montagnana : case, terre e libri, « Nuova Corvina », 20 (2008), pp. 106-116. 5   Cfr. Concetta Bianca, Bartolomeo Fonzio tra filologia e storia, « Medioevo e Rinascimento », n.s., xv (2004), pp. 207-240. 6   Nell’Oratiuncula ex gratitudine de laudibus Alphonsi regis pronuntiata ab consilario eius Giorgio Trapezunzio affermava : « Itaque facta iam Neapolis est pre ceteris Italie urbibus doctorum hominum domicilium » (Collectanea Trapezuntiana. Texts, Documents, and Bibliographies of George of Trebizond, ed. by John Monfasani, Binghamton, New York, The Renaissance Society of America, 1984, p. 360). 7   Concetta Bianca, Gaza, Teodoro, in Dizionario biografico degli Italiani, 54, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999, pp. 737-746. 8   Si veda Claudio Pelucani, L’epistolario di Giovanni Dondi dell’Orologio. Tesi di dottorato, Firenze. 9   Cfr. Tino Foffano, Niccoli, Cosimo e le ricerche di Poggio nelle biblioteche francesi, « Italia medioevale e umanistica », xii (1969), pp. 113-128. 10   Concetta Bianca, Gli umanisti, in La Roma di Leon Battista Alberti. Umanisti, architetti e artisti alla scoperta dell’antico nella città del Quattrocento, a cura di Francesco Paolo Fiore, Milano, Skira, 2005, pp. 314-316. 11   Cfr. Riccardo Fubini, Biondo Flavio e l’antiquaria romana, in Id., La storiografia dell’umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, pp. 77-89 ; O. Clauvot, Biondos Schriften und an Filaretes Portal von St. Peter, in *Päpste, Pilger, Pönitentiarie. Festschrift für Ludwig Schmugge zum 65. Geburtstag, edd. Andreas Meyer, Constanze Rendtel, Maria Witter-Butsch, Tübingen, 2004, pp. 83-107. 12   Scriveva Poggio Bracciolini a Ludovico Scarampo nell’estate del 1454 : « Reliqui curiam non animo 2



























la mobilità dei letterati 33 la di homo litteratus che di fatto costituiva un titolo per essere introdotti in determinati ambienti come le corti e la curia ed essere chiamati a ricoprire alcune cariche : il Bruni, quando non era ancora famoso, da giovane, aveva dovuto sostenere un esame, anzi meglio una prova pratica, per entrare in curia. 1 Da studenti e da giovani si viaggiava, ovviamente, di più, alla ricerca di una stabile collocazione : e se per studiare aveva senso spostarsi, dalla Sicilia ad esempio si andava a Siena, a Bologna, a Padova, la mobilità di lavoro costituiva invece fonte naturale di preoccupazione. Le difficoltà incontrate da Antonio Cassarino, come ci ha raccontato nel 1959 Gianvito Resta con sensibilità pioneristica, sono emblematiche di un mondo in rapida e difficile evoluzione. 2 Le difficoltà, ovviamente, aumentavano per gli emigrés, come ad esempio dimostra la vita di Costantino Lascaris che, solo dopo molti tentativi, trovava una sua onorevole collocazione nella città di Messina. 3 Ed anche difficile – e sfortunato – era stato il percorso di Lapo da Castiglionchio il giovane, 4 il quale aveva ben compreso che il primo passo per entrare in curia era quello di mettersi al servizio come familiaris di un cardinale, al pari di quanto era riuscito a fare Leon Battista Alberti, 5 ma la sorte non era, allora come oggi, uguale per tutti e così i numerosi tentativi di Lapo erano stati interrotti dalla sua improvvisa morte. Sicuramente, laddove c’era una corte, piccola o grande, e soprattutto la curia, si potevano verificare situazioni non certo di collaborazione tra gli homines docti, ma sicuramente di discussione e dibattito. 6 L’episodio del 1435 a Firenze, durante il quale Biondo, Bruni e Poggio si trovavano a discutere a proposito della diglossia della lingua latina, era stato un episodio eccezionale ; 7 del resto, a Firenze, poco dopo, lo stesso certamen non ebbe una grande fortuna. 8 Ed ugualmente discussione e dibattito si erano verificati alla corte di Napoli, quando Panormita, Facio, Curlo e Valla si erano trovati su fronti opposti a scrivere di storia e soprattutto a guerreggiare di filologia : 9 certo qui la situazione era precipata, con il litigioso Valla che alla fine  







sed corpore, neque oblivisci possum iocunde consuetudinis, que mihi tecum et cum ceteris amicis erat » (Poggio Bracciolini, Lettere, iii, Epistolarum familiarium libri secundum volumen, a cura di Helene Harth, Firenze, Olschki, 1987, p. 252). 1   Cfr. Germano Gualdo, Leonardo Bruni, segretatio papale (1405-1415), in Leonardo Bruni …, cit., pp. 7395, rist. in Id., Diplomatica pontificia …, cit., pp. 405-433. 2   Gianvito Resta, Antonio Cassarino e le sue traduzioni da Plutarco e Platone, « Italia medioevale e umanistica », ii (1959), pp. 207-283. Si veda Concetta Bianca, Gianvito Resta nella storia degli studi umanistici, « Roma nel Rinascimento », 2011, pp. 13-20 e Gabriella Albanese, L’umanesimo di Gianvito Resta : filologia e storia, ivi, pp. 21-42. 3   Cfr. Massimo Ceresa, Lascaris, Costantino, in Dizionario biografico degli Italiani, 63, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004, pp. 781-785. 4   Cfr. Christopher S. Celenza, Renaissance Humanism and the Papal Curia : Lapo da Castiglionchio the Younger’s “De curiae commodis”, Ann Arbor, University of Michigan, 1999. 5   Luca Boschetto, Leon Battista Alberti e Firenze, Firenze, Olschki, 2000. 6   Cfr. C. Bianca, La curia come “domicilium sapientiae”..., cit. 7   Cfr. Mirko Tavoni, Latino, grammatica, volgare. Storia di una questione umanistica, Padova, Antenore, 1984. 8   De vera amicitia : i testi del primo Certame coronario, Edizione critica e commento a cura di Lucia Bertolini, Modena, Panini, 1993. 9   Cfr. Mariangela Regoliosi, Lorenzo Valla, Antonio Panormita, Giacomo Curlo e le emendazioni a Livio, « Italia medioevale e umanistica », xxiv (1981), pp. 164-188.  



















34 concetta bianca riusciva a realizzare l’antico sogno di lavorare a Roma, ma una qualche parvenza di accademia, da quella panormitana e poi pontaniana, dava in qualche modo il senso di appartenenza, se non di collaborazione ed amicizia. Per quanto soggetti alla benevolenza del signore e del principe, la situazione era sicuramente migliore che dover affrontare le sgradevoli incertezze delle condotte (universitarie e non), nelle quali lo stipendium a volte variava di molto tra un professore di successo ed un suo collega. Non erano infrequenti i casi di scontri, allontanamenti, fughe, ritorni : Angelo Sabino, Bartolomeo Fonzio avevano sperimentato in prima persona la presenza di ingombranti colleghi, Domizio Calderini 1 da un lato e Angelo Poliziano dall’altro. La partecipazione di homines docti, comunque, ai mestieri del libro risulta non essere determinante ai fini della mobilità : Giorgio Merula contribuiva con il suo lavoro di editore di testi a stampa sia a Venezia che a Milano, 2 e lo spostamento dall’una all’altra città non era certo dipeso dal fatto che in una città la stampa fosse più remunerativa che in un’altra, ma solo dalla scelta politica e culturale di entrare al servizio di un signore importante come il duca di Milano. Ovviamente la mobilità temporanea era ben altra cosa, legata molto spesso al ruolo, come nel caso di letterati-ambasciatori, o a specifici per così dire, ordini di servizio, come ad esempio i viaggi di Enoch d’Ascoli voluti da Niccolò V o quelli di Giano Lascaris. 3 Il caso di Poggio Bracciolini e dei curiali di Costanza o di Basilea che, relaxandi causa, impiegano il loro tempo di otium per visitare le biblioteche di antichi monasteri, rimane un caso isolato (ed ovviamente fortunato), che si spiega solo con la confusione che lo status di tre pontefici, ciascuno con una propria curia, aveva determinato. Nonostante tutto, rimaneva l’idea che questi luoghi di concetrazione di homines docti e litterati, come appunto le corti e la curia, potessero essere veramente domicilium sapientiae e dunque luogo di accademia : i Convivia mediolanensia del Filelfo nascevano sotto questi auspici, anche se i sogni si sarebbero ben presto infranti. 4 Poggio avrebbe rimpianto la sua accademia, ovvero l’esperienza che da giovane aveva vissuto accanto al Salutati, insieme con il Bruni, il Vergerio, Roberto de’ Rossi, Angelo da Scarperia. 5 Proprio Poggio, con lucidità, avrebbe scritto, ad anni di distanza, dedicandolo a Niccolò V, il De infelicitate principum, 6 che in qualche modo  





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  Cfr. Maurizio Campanelli, Polemiche e filologia nella Roma del Quattrocento : le “Observationes” di Domizio Calderini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001. 2   Vd. supra p. 30, nota 7. 3   Cfr. Sebastiano Gentile, Lorenzo e Giano Lascaris. Il fondo greco della biblioteca medicea privata, in *Lorenzo il Magnifico e il suo mondo. Convegno internazionale di studi, Firenze, 9-13 giugno 1992, a cura di Gian Carlo Garfagnini, Firenze, Olschki, 1994, pp. 177-194 ; David Speranzi, La biblioteca dei Medici, in Principi e Signori …, cit., pp. 217-264. 4   Cfr. Concetta Bianca, “Auctoritas” e “veritas” : il Filelfo e le dispute tra platonici e aristotelici, in Francesco Filelfo ..., cit., pp. (207-247) 219-221 ; Daniela Gionta, Per i Convivia Mediolanensia di Francesco Filelfo, Messina, Centro Interdipartimentale di Studi Umanistici, 2005. 5   Cfr. Concetta Bianca, Le accademie a Roma nel Quattrocento, in *On Renaissance Academies. Proceedings of the international conference “From the Roman Academy to the Danish Academy in Rome Dall’Accademia Romana all’Accademia di Danimarca a Roma”, ed. Marianne Pade, Roma, Quasar, 2011, pp. 47-59. 6   Poggio Bracciolini, De infelicitate principum, a cura di Davide Canfora, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998.  







la mobilità dei letterati 35 si inseriva all’interno del filone del De miseria, rinnovato dal De miseriis curialium di Enea Silvio Piccolomini ; 1 ben diverso sarebbe stato, molto tempo dopo, il De infelicitate litteratorum di Pierio Valeriano, dove l’infelicità non dipendeva più dalle lotte con i colleghi e i compagni di curia, ma dall’aver perso la possibilità di aver accanto quei poeti, letterati e amici che ormai le condizioni politiche non permettevano più. 2 Il sogno dell’umanesimo si infrangeva : Giovanni Dondi il 19 luglio 1374 aveva scritto all’amico Giovanni dell’Aquila che la morte del Petrarca era stata una iactura pubblica e privata, riconoscendo in tal modo al Petrarca, ma al letterato in genere, il suo ruolo attivo all’interno delle istituzioni. 3 Il De infelicitate litteratorum concludeva, invece, la parabola, ed i litterati avrebbero incominciato ad imboccare la strada di un declino crescente.  



Abstract Letterati, uomini dotti, oratori, ambasciatori sono animati, nel xv secolo, dal desiderio di trovare una sistemazione definitiva presso le corti italiane ed in particolare la curia, che si configurava come domicilium sapientiae e luogo di accademia. La loro mobilità sembra essere legata al raggiungimento di questo status piuttosto che essere determinata da un coinvolgimento con i mestieri del libro. Men of Letters, scholars, orators,ambassadors, during the xvth century, wish to arrive at a firm arrangement inside the italian courts and the Holy See, which was the domicilium sapientiae and place of accademy. The mobility of these men seems connected to the reaching of this status more than the involving with the business of the books. 1   Keith Sidwell, Il De curialium miseriis di Enea Silvio Piccolomini e il De infelicitate principum di Poggio Bracciolini, « Studi umanistici piceni », 14 (1994), pp. 190-206. 2   Cfr. Julia Haig Gaisser, The Dates of Pierio Valeriano’s “De litteratorum infelicitate”, in *Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento. Atti del Convegno internazionale di Studi, a cura di Stefano Colonna, Roma, De Luca, 2004, pp. 223-232. 3   Cfr. Concetta Bianca, Nascita del mito dell’umanista nei compianti in morte del Petrarca, « Quaderni petrarcheschi », ix-x (1992-1993), pp. 293-313.  







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aula magna · viale regina elena 295 14 marzo 2012 · sessione pomeridiana

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ÉMIGRATION ET TRANSFERTS CULTURELS DANS LA « LIBRAIRIE » AUX ÉPOQUES MODERNE ET CONTEMPORAINE : LE CAS DE L’ALLEMAGNE ET DE LA FRANCE  





Frédéric Barbier

L

es développements de la recherche historique récente mettent l’accent sur la transdisciplinarité, et sur l’articulation tout particulièrement étroite construite avec l’anthropologie, par le biais de problématiques comme celles des réseaux de parentés, des solidarités sociales, des pratiques et des représentations des différents groupes et, bien sûr, des identités collectives. Si l’histoire du livre n’échappe pas à la règle, 1 et si la perspective d’anthropologie apparaît par exemple dans un certain nombre d’articles du récent Dictionnaire encyclopédique du livre (sur les ouvriers typographes, sur leur argot, etc.), il n’en reste pas moins surprenant d’observer que la question des migrations, si importante à long terme pour l’économie du livre, s’est trouvée négligée, sinon par le biais d’études portant notamment sur les pratiques du colportage à l’époque moderne ou par celui de monographies de familles et d’entreprises. 2 Nous voudrions nous interroger sur les origines possibles de ce déficit, avant de proposer une double grille de lecture permettant d’aborder les migrations professionnelles dans le domaine de la « librairie » entre les pays germaniques et la France aux époques moderne et contemporaine.  



1. Une tradition historiographique Donc, d’abord, quelques mots d’historiographie. Ce qui est d’abord privilégié par les amateurs et par les savants s’intéressant au livre et à son histoire, c’est la période la plus ancienne : les débuts de la typographie ont de longue date attiré l’attention des « antiquaires » et des spécialistes en « bibliographie », pour reprendre les termes du xviiie siècle. Prosper Marchand publie, à l’occasion du jubilée de 1740, une Histoire de l’origine et des premiers progrès de l’imprimerie, 3 tandis que Johann Daniel Schoepflin discute, en 1760, des premiers témoignages de l’apparition de la techni 









1   Voir par exemple : Frédéric Barbier, Pour une anthropologie culturelle des libraires : note sur la librairie savante à Paris au xixe siècle, « Histoire et civilisation du livre », (ci-après hcl), 2009, 5, pp. 101-120. 2   Laurence Fontaine, Histoire du colportage en Europe, xve-xixe siècle, Paris, Albin Michel, 1993 (« L’Évolution de l’humanité »). La plupart des monographies d’entreprise n’envisagent pas l’approche anthropologique pour elle-même, mais fournissent souvent des éléments qui permettent de l’étudier plus ou moins précisément. Certaines exceptions se présentent pourtant, par ex. avec le travail consacré par Thomas Keiderling aux fêtes de la maison Brockhaus à Leipzig au xix e et au début du xxe siècle (Betriebsfeiern bei F. A. Brockhaus. Wirtschaftliche Festkultur im 19. und frühen 20. Jahrhundert, Beucha, Sax, 2001). 3   Prosper Marchand, Histoire de l’origine et des premiers progrès de l’imprimerie, À La Haye, chés la veuve Le Vier et Pierre Paupie, 1740.  











40 frédéric barbier 1 que nouvelle. Dans le même temps, les collectionneurs commencent à réunir les productions des ateliers anciens, en en privilégiant certains plus particulièrement célèbres (Alde Manuce ! 2) jusqu’à ce que, dans la seconde moitié du xviii e siècle, les « plaquettes gothiques » elles-mêmes, jusque-là négligées, n’atteignent des prix très élevés dans les ventes. Bornons-nous au seul exemple de Matteo Venturoli (17751860), bibliophile qui constitue une collection exceptionnelle (7646 titres pour 15 624 volumes, dont quelque 700 incunables et livres du xvi e siècle), en se fondant sur les répertoires donnés par les catalogues de ventes et par les recensements spécialisés des libraires – Panzer, 3 le catalogue La Vallière, ou encore le manuel de Graesse. 4 La collection Venturoli entre à l’Archiginnasio de Bologne en 1846, et on remarquera que, dans cette très belle bibliothèque, les incunables et les rarissima sont classés à part et en tête des sections systématiques. Le xixe siècle verra l’approfondissement de ces curiosités, avec des recherches, souvent conduites par les professionnels et par les libraires, qui s’attachent toujours aux anciens ateliers les plus célèbres. Le modèle en est donné, en France, par une famille d’émigrés installés à Paris : les Renouard viennent en effet de Guise, petite ville fortifiée de Thiérache. Le premier, Jacques Augustin vient à Paris en 1764 où, avec son frère cadet Nicolas Adrien, il se lance dans la fabrication et le commerce de gaze. Son fils, Antoine Augustin, né l’année suivante, fera son apprentissage et commencera à exercer dans la maison familiale. Mais, parallèlement, il se passionne pour les livres, qui constitueront son activité principale à partir de la Révolution :  









Pendant la déplorable inertie où les circonstances politiques avaient jeté mon commerce, je me suis réfugié chez les muses et ce qui, avant 1792, faisait seulement l’amusement de mes loisirs a, pendant ces dernières années, fait mon occupation presque entière … 5

En 1794, la bibliothèque personnelle de Renouard compte 9000 volumes, estimés quelque 100  000 livres et, en 1797, il franchit le pas et s’établit libraire rue SaintAndré-des-Arts. Retiré plus tard à St-Valéry-s/Somme, il y prépare ses Annales de

1   Johann Daniel Schoepflin, Jo. Danielis Schoepflini, Consil. Reg. ac Franciæ Historiogr. Vindiciæ typographicæ, Argentorati [Strasbourg], apud Joh. Gothofredum Bauer, Bibliopol., 1760. 2   À côté des Alde, les Elzevier et les Plantin, mais aussi les Estienne et les Giunta, à terme aussi les Didot et les Bodoni, voire les Cazin (de Reims), prennent bientôt rang parmi les adresses particulièrement recherchées des amateurs – Charles Nodier parlera à leur sujet de « familles patriciennes », voire « royales, de l’imprimerie ». 3   Denis Maittaire, Annales typographici ab artis inventae origine ad annum MD post Maittairii Denisii aliorumque doctissimorum virorum curas in ordinem redacti emendati et aucti opera Georgii Vvolfgangi Panzer capituli eccles. Cathedral. ad D. Sebald Norimberg. Praepositi societatis florigerae ad pegnesum praesidis. Volumen primum [undecimum], Norimbergae, impensis Joannis Eberhardi Zeh, bibliopolae, 1793. 4   Graesse (1814-1885), étudiant à Leipzig et à Halle, professeur de français à Dresde, spécialiste d’histoire littéraire. Il est appelé en 1843 comme bibliothécaire du roi de Saxe Friedrich August II, puis devient inspecteur et directeur du Cabinet de numismatique et de la Collection de porcelaines, enfin, directeur du Grünes Gewölbe. Jean Georges Théodore Graesse, Trésor de livres rares et précieux, ou Nouveau dictionnaire bibliographique..., par J. G. T. Graesse, conseiller aulique, bibliothécaire du feu roi Frédéric Auguste II, directeur du Musée japonais à Dresde et auteur de l’Histoire littéraire universelle, Dresden, Rudolf Kuntze, 1859-1869, 7 tome en 8 vol. 5   Denis Richet, Avant Philippe Renouard : sa famille aux xviiie et xixe siècles, dans Le Livre dans l’Europe de la Renaissance, Paris, Promodis, Éd. du Cercle de la Librairie, pp. 19-26 (ici p. 21).  









le cas de l ’ allemagne et de la france 41 1 l’imprimerie des Alde, sorties en deux volumes en 1824-1825. Il y joindra l’édition des Lettres inédites de Paul Manuce, telles qu’elles ont été réunies par Tosi, à Milan. Les Annales sont un travail monumental, donnant non seulement la suite chronologique des éditions publiées par Alde Manuce, Paul Manuce et Alde le jeune, mais aussi celles d’un certain nombre d’ateliers liés aux Alde et de contrefaçons, le tout complété par une table systématique, des tables par auteurs et par ateliers et une table des éditions sur vélin. Elles ont un succès remarquable, puisque la troisième édition en sort dès 1834, saluée par Charles Nodier, bibliothécaire de l’Arsenal, dans sa plaquette Des Annales de l’imprimerie des Aldes 2 – suivront, on le sait, les Annales de l’imprimerie des Estienne. 3 Ces répertoires s’imposent aussitôt comme des usuels pour les collectionneurs : Venturoli, déjà mentionné, possède les Annales (…) des Aldes (n° 773) dans la seconde édition (1825), mais il a aussi le Dictionnaire typographique, historique et critique des livres rares, singuliers, estimés et recherchés en tous genres de Jean-Baptiste Osmont (Paris, 1768, 2 vol. : n° 784), les différents titres spécialisés de Gabriel Peignot, etc. En définitive, l’histoire du livre n’intègrera en France que relativement tard le champ de l’histoire proprement dite, et cela surtout à la suite de l’aggiornamento proposé par la génération de savants de la fin du xixe siècle. Le premier cadre d’élaboration d’une nouvelle doctrine est à chercher dans la Revue de synthèse historique créée par Henri Berr, bientôt secondé par Lucien Febvre, en 1900 : 4 l’objectif est celui de réagir contre le cloisonnement des différents domaines de l’histoire, et contre une érudition jugée excessive et close sur elle-même, pour reconstruire la « psychologie historique », ou l’« outillage mental », d’une époque. La réponse sera donnée par l’interdisciplinarité (histoire et histoire de la littérature, mais aussi psychologie, sociologie, philosophie, etc.), par le comparatisme et par la synthèse. Le programme de la « Bibliothèque de synthèse historique », 5 élaboré en 1911, inclut précisément un volume sur L’Apparition du livre, que l’on prévoit de confier à Augustin Renaudet, lequel vient de publier son étude majeure sur Pré-Réforme et humanisme à Paris pendant les premières guerres d’Italie (1494-1517). 6 Dans le même temps, des spécialistes d’histoire littéraire comme Daniel Mornet renouvellent l’approche de leur discipline en s’appuyant, notamment, sur l’étude des bibliothèques et des collections de livres à travers les inventaires après décès. 7  

















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  Antoine-Augustin Renouard, Annales de l’imprimerie des Alde, ou Histoire des trois Manuce et de leurs éditions. Tome premier [deuxième], Paris, chez Antoine-Augustin Renouard, 1824-1825, 2 vol. (impr. de Paul Renouard). 2   Charles Nodier, Des Annales de l’imprimerie des Aldes, par M. Ch. Nodier, Paris, Techener, Libraire, place du Louvre n° 12, mai 1835, 12 p. 3   Antoine Augustin Renouard, Annales de l’imprimerie des Estienne, ou Histoire de la famille des Estienne et de ses éditions, 2e édition, Paris, chez Jules Renouard et Cie libraires, 1843. 4   «Revue de synthèse historique», tome premier (juillet à décembre 1900), Paris, Librairie Léopold Cerf (12 rue Sainte-Anne), 1900. Martin Fugler, Fondateurs et collaborateurs : les débuts de la «Revue de synthèse historique », dans Henri Berr et la culture du xxe siècle, dir. Agnès Biard, Dominique Bourel, Éric Brian, Paris, Albin Michel, 1997, pp. 173-188 (« Bibliothèque Idées »), p. 177. 5   J. Pluet-Despatin, Henri Berr éditeur, dans Henri Berr et la culture du xxe siècle, cit., pp. 241-267. 6   Augustin Renaudet, Pré-Réforme et humanisme à Paris pendant les premières guerres d’Italie (1494-1517), Paris, Champion, 1916 (« Bibliothèque de l’Institut de Florence »). 7   Daniel Mornet, Les enseignements des bibliothèques privées, 1750-1780, «Revue d’histoire littéraire de la France», 17, 1910, pp. 449-496.  











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frédéric barbier On sait comment le programme de Berr et surtout de Febvre est retardé, jusqu’à la parution effective de L’Apparition du livre, cosigné par Febvre et par Henri-Jean Martin, en 1958. 1 Il n’est pas de notre propos de revenir ici sur le mouvement engagé par la publication de ce qui est devenu un classique, 2 mais de souligner combien certaines problématiques se sont, paradoxalement, trouvées toujours négligées : parmi elles, les migrations professionnelles dans le domaine des « industries polygraphiques » et du livre. 3 L’émigration allemande de la fin du xv e siècle concerne, s’agissant de l’imprimerie, la plupart des pays d’Europe occidentale à l’exception de la GrandeBretagne, et son étude suivie a d’abord été conduite par des chercheurs allemands dans une perspective d’inventaire. Le classique reste celui de Conrad Haebler sur les Imprimeurs allemands du xve siècle dans les pays étrangers, 4 et il est prolongé par le répertoire monumental consacré par Ferdinand Geldner aux Imprimeurs allemands de l’époque des incunables, dont le tome ii traite précisément des géographies extérieures à la zone germanophone. 5 Parallèlement, d’autres chercheurs descendent la chronologie : Joseph Benzing publie en 1963 un monumental répertoire des imprimeurs ayant exercé aux xvi e et xviie siècles dans les pays germanophones, répertoire repris et augmenté dans sa seconde édition de 1982, 6 et surtout complètement refondu par Christoph Reske en 2007. 7 Mais, même si le rôle des techniciens et des financiers allemands a été évidemment très vite reconnu par les historiens du livre spécialistes du xv e et du début du xvie siècle, nous en sommes restés à des généralités : Henri-Jean Martin intitule L’heure de l’Allemagne le chapitre de son Histoire et pouvoir de l’écrit dans lequel il traite de l’apparition de l’imprimerie, 8 mais il n’aborde nulle 









1   Lucien Febvre, Henri-Jean Martin, L’Apparition du livre, Paris, Albin Michel, 1958 ; 3e éd., ibidem, 2000, avec une postface de Frédéric Barbier, Écrire L’Apparition du livre, pp. 537-588. Sur le cas de l’Italie, voir Mario Infelise, L’Apparition du livre et l’histoire du livre en Italie, trad. Frédéric Barbier, hcl, 2010, n° 6, pp. 7-16. L’ouvrage le plus récent sur le thème est, en France, celui de Frédéric Barbier, L’Europe de Gutenberg, Paris, Librairie Belin, 2006. 2   1958-2008 : cinquante ans d’histoire du livre. De L’Apparition du livre (1958) à 2008 : bilan et projets, éd. Frédéric Barbier, István Monok, Budapest, Orzságos Széchényi Könyvtár, 2009 (« L’Europe en réseaux / Vernetztes Europa », 5). 3   Ce déficit est d’autant plus remarquable que le thème est largement discuté aujourd’hui. Des synthèses anciennes comme celle de Jules Mathorez (Les Étrangers en France sous l’Ancien Régime. Histoire de la formation de la population française, Paris, Champion, 1919-1921, 2 vol.) n’ont pas réellement été renouvelées. En revanche, on dispose de monographies sur les communautés de professionnels installées à l’étranger : voir par exemple Christiane Berkvens, La librairie française à Berlin : le rôle de la diaspora huguenote et de la librairie hollandaise, hcl, 2009, 5, pp. 247-267. 4   Conrad Haebler, Die Deutschen Buchdrucker des XV. Jahrhunderts im Auslande, München, Jacques Rosenthal, 1924. 5   Ferdinand Geldner, Die Deutschen Inkunabeldrucker : ein Handbuch der deutschen Buchdrucker des xv. Jahrhunderts, Stuttgart, Hirsemann, 1968, 2 vol. 6   Joseph Benzing, Die Buchdrucker des 16. und 17. Jahrhunderts im deutschen Sprachgebiet, Wiesbaden, Harrassowitz, 1963 ; 2e éd., 1982 (« Beiträge zum Buch-und Bibliothekswesen », 12). 7   Christoph Reske, Die Buchdrucker des 16. und 17. Jahrhunderts im deutschen Sprachgebiet auf der Grundlage des gleichnamigen Werkes von Josef Benzing, Wiesbaden, Harrassowitz, 2007 (« Beiträge zum Buch-und Bibliothekswesen », 51) : 381 villes d’impression se trouvent présentées, dans un ordre alphabétique unique conduisant d’Aachen (Aix-la-Chapelle) à Zwickau ; et l’ouvrage donne les notices de 2662 imprimeurs ayant travaillé dans ces villes. Il convient de citer aussi, pour le xviii e siècle, David L. Paisey, Deutsche Buchdrucker, Buchhändler und Verleger, 1701-1750, Wiesbaden, Harrasowitz, 1988. 8   Henri-Jean Martin, Histoire et pouvoirs de l’écrit, préf. Pierre Chaunu, Paris, Librairie académique Perrin, 1988, pp. 179 et suiv.  





























le cas de l ’ allemagne et de la france 43 ment pour elle-même la question des migrations professionnelles et des «allemands de l’étranger». Le thème est en revanche présent dans un certain nombre d’études ponctuelles souvent liées à la recherche conduite sur les transferts culturels. 1 S’agissant de la France et de l’Allemagne, une deuxième période privilégiée est celle de la seconde moitié du xviii e et surtout du xix e siècle, quand un certain nombre de professionnels allemands s’établissent en France, surtout à Paris, 2 pour profiter du développement de la « librairie internationale », de l’intérêt croissant suscité par le monde germanique, et de l’influence de la recherche et de la pensée scientifiques d’outre-Rhin – des maisons comme celles de Reinwald, 3 de Treuttel et Würtz, 4 de Vieweg ou encore de Klincksieck, qui se sont fait un nom à Paris au xix e siècle, sont des maisons d’origine allemande, et qui travaillent toujours, même à l’étranger, selon les pratiques de la « librairie allemande ». 5 Le même phénomène touche bien évidemment l’Italie, avec des éditeurs comme le Prussien Olschki installé à Vérone, puis à Florence, à partir de 1886. 6 Bref : des compagnons de Gutenberg aux réfugiés huguenots de Francfort et surtout de Genève, 7 puis des Pays-Bas, d’Angleterre et du Brandebourg, aux colporteurs et aux libraires des Lumières, 8 aux inventeurs de la Révolution industrielle (rappelons que König et Bauer mettent au point la première presse mécanique à imprimer en Angleterre, et que Marinoni descend d’une famille italienne 9) et aux grands libraires internationaux du xix e siècle, c’est peu de dire que la problématique des migrations professionnelles intéresse l’historien du livre.  









2. Le dedans et le dehors : de la géographie à l’idéologie des migrations  

L’étude des migrations pose d’abord la question de son cadre géographique : sans nous arrêter au problème spécifique du colportage, on sait, par exemple, que l’économie française de la « librairie » est, depuis son apparition au bas Moyen Âge, très  





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  Michel Espagne, Transferts culturels et histoire du livre, hcl, 5, 2009, pp. 201-218.   Helga Jeanblanc, Des Allemands dans l’industrie et le commerce du livre à Paris, 1811-1870, Paris, cnrs, 1994 («De l’Allemagne »). Isabelle Kratz, La Librairie allemande à Paris de 1860 à 1914, thèse de l’École nationale des chartes, 1989, dactyl. 3   Cinquantenaire de la librairie C. Reinwald,…, Paris, Schleicher frères, 1899. 4   Frédéric Barbier, Une Librairie internationale au xixe siècle : Treuttel et Würtz, « Revue d’Alsace », 1985, pp. 111 et suiv. 5   Frédéric Barbier, Pour une anthropologie culturelle des libraires : note sur la librairie savante à Paris au xixe siècle, «hcl», 2009, 5, pp. 101-120. 6   Centotredici anni. Catalogo storico della mostra…, éd. Alessandro Olschki, Firenze, Bibl. naz. Centrale, 1999. 7   Albert Labarre, La répression du livre hérétique dans la France du xvie siècle, dans Le Berceau du livre : autour des incunables, dir. Frédéric Barbier, Genève, Librairie Droz, 2004, pp. 335-360. 8   On sait que d’anciens colporteurs du royaume, établis comme libraires, investissent l’Europe, voire certains pays d’Amérique (notamment les colonies espagnoles et portugaises d’Amérique latine), à partir surtout du xviii e siècle. Sur le cas italien, voir Renato Pasta, Hommes du livre et diffusion du livre français à Florence au xviiie siècle, dans L’Europe et le livre. Réseaux et pratiques du négoce de librairie, xvie-xixe siècles, dir. Frédéric Barbier [et al.], Paris, Klincksieck, 1996, pp. 99-135. 9   Éric Le Ray, Marinoni, le fondateur de la presse moderne (1823-1904), Paris, L’Harmattan, 2009 (« Graveurs de mémoire »). 2

















44 frédéric barbier 1 concentrée dans la capitale, et qu’elle fonctionne largement, à partir du xv e siècle, grâce à l’apport des migrations intérieures. Aux xviii e et xixe siècles, le nombre des jeunes gens « montés à Paris » pour se lancer dans la carrière des lettres ou dans la librairie sera tel que le fait passe au rang de cliché littéraire : on connaît l’exemple de Restif de la Bretonne, mais Balzac, lui-même ancien libraire-imprimeur, se fait l’écho d’un phénomène qu’il connaît bien, dans ses Illusions perdues, à partir de 1837. Si la majorité des émigrés reste à un niveau médiocre, certains anciens provinciaux s’imposent pourtant à la tête de la profession : « montés » de Lyon en 1691, les Anisson compteront, à Paris, parmi les principaux notables de la corporation – avec Étienne Alexandre Anisson-Duperron, guillotiné en 1794, et dernier directeur de l’Imprimerie royale sous l’Ancien Régime. 2 Nous avons déjà évoqué les Debure, mais voici, à un niveau supérieur, Charles-Joseph Panckoucke (1736-1798). 3 Ce Lillois commence sa carrière dans sa ville natale, avant de venir à Paris en 1762 et de s’y imposer comme le libraire des « philosophes » et comme un éditeur de haut vol, qu’il s’agisse des périodiques (Gazette de France, Journal de Genève, Mercure, Moniteur…) ou des grandes collections (réédition de l’Encyclopédie et de l’Histoire naturelle de Buffon, lancement de l’Encyclopédie méthodique, des Œuvres de Voltaire, etc.). Le phénomène s’accentue au lendemain de la Révolution et au xixe siècle : Louis Hachette, Calmann et Michel Lévy, Auguste et Hippolyte Garnier, tous viennent de province et tous comptent parmi les principaux éditeurs industriels. Flammarion et son commis Albin Michel, lui-même futur éditeur, viennent de Haute-Marne, tandis qu’Armand Colin est le fils d’un libraire de Tonnerre et que Pierre Larousse, autre bourguignon, est né à Toucy (Yonne) en 1817… Mais la problématique du cadre géographique défini pour l’étude prend une dimension plus cruciale à partir du moment où l’on passe au niveau international. Deux facteurs majeurs expliquent le fait, qui se réfèrent à la question de l’identité. D’abord, l’histoire du livre n’est pas un domaine neutre : accueillir des professionnels de la librairie, surtout des imprimeurs, entretenir de riches bibliothèques s’apparente, pour une certaine collectivité, à un brevet de civilisation. Puis, dans les dernières décennies du xviiie siècle, une conjoncture nouvelle monte peu à peu en puissance, avec l’affirmation des identités collectives, autrement dit des nationalités : la langue est au cœur du processus, donc aussi la tradition littéraire – et le rôle de l’imprimerie est à nouveau décisif. Les disciplines liées à la « philologie » au sens allemand du terme sont engagées par le statut désormais dévolu à la langue, et tendent dès lors à se développer dans le cadre de problématiques nationales : bibliographie et histoire du livre figurent au premier rang. La figure de Gutenberg est exaltée sous la Révolution, mais l’approche du qua 



























1   Richard et Mary Rouse, Illiterati et uxorati : Manuscripts and their makers. Commercial book producers in medieval Paris, 1200-1500, Turnhout, Brepols, 2000, 2 vol. 2   Frédéric Barbier, Sabine Juratic, Annick Mellério, Dictionnaire des imprimeurs, libraires et gens du livre à Paris, 1701-1789. A-C, Genève, Librairie Droz, 2007 (« Histoire et civilisation du livre », 30), notices n° 24-28. 3   Frédéric Barbier, Lumières du Nord. Imprimeurs, libraires et « gens du livre » dans le Nord au xviii e siècle (1701-1789) : dictionnaire prosopographique, Genève, Droz, 2002 (« Histoire et civilisation du livre », 25), notice 232.  















le cas de l ’ allemagne et de la france 45 trième jubilée de l’imprimerie, en 1840, est le temps d’une véritable « guerre des statues », comme l’a appelée Henri-Jean Martin, entre Haarlem, Mayence et Strasbourg. 1 Dès 1825, l’invention supposée de Coster est commémorée à Haarlem, ce qui permet à la ville de s’assurer un temps d’avance sur ses concurrentes. À Strasbourg, Jean-Frédéric Lichtenberger publie chez Heitz une Histoire de l’invention de l’imprimerie, destinée à faire pièce aux prétentions hollandaises : l’original allemand est rapidement traduit en français. 2 La première statue de Gutenberg est inaugurée à Mayence en 1836, ce qui constitue une manière démontrer l’antériorité de la ville dans le processus d’invention. En France, l’essentiel est moins du côté du nationalisme que de la signification politique prise par la commémoration d’un art particulièrement vanté sous la Révolution. Le Comité fondé à Strasbourg, toujours en 1836, pour réunir les fonds destinés à commander une statue de l’inventeur à David d’Angers ne parvient pas à boucler son budget, et sa réorganisation, en 1839, lui donne une couleur franchement libérale : les Parisiens s’organisent autour de Jacques Lafitte et de Lamartine, et ils bénéficient du soutien du National. Cette fois, le succès est au rendez-vous, cinquante villes françaises apportent leur contribution au projet et le maire de Mulhouse, André Koechlin, peut même écrire que sa ville « voit son immense développement sous tous les rapports aux bienfaits de l’imprimerie ». 3 Les Fêtes de Gutenberg se déroulent pendant trois jours à Strasbourg en 1840, leur point d’orgue étant marqué, le 24 juin, par l’inauguration de la statue de l’inventeur, place du Marché-aux-Herbes. Le socle de la statue présente quatre bas-reliefs qui illustrent « les bienfaits de l’imprimerie dans les quatre parties du monde ». Blanqui salue les fêtes strasbourgeoises dans un article du Courrier français, mais Auguste Luchet souligne, dans le Siècle, leur dimension nationale, à travers la concurrence entre Strasbourg et Mayence (jusqu’à David d’Angers, présenté comme meilleur artiste que le danois Thorwaldsen, auquel Mayence avait fait appel), tout en insistant sur la spécificité et sur l’ancienneté des rapports entre l’Alsace et la civilisation de l’écrit et du livre. Depuis le xixe siècle, l’histoire du livre est donc une histoire engagée, et cette caractéristique réagit puissamment sur les conditions dans lesquelles seront étudiés migrations et transferts. Ainsi, lorsque les « Pays-Bas méridionaux », la Belgique actuelle, prennent leur indépendance, en 1830, la question nationale surgit-elle bientôt : il est admis que le « prototypographe », alias le premier imprimeur du pays, serait Thierry Martens, né à Alost vers 1447 et qui aurait commencé à travailler dans cette ville en 1474. L’hypothèse selon laquelle un émigré allemand de Paderborn ou de sa région, Johann von Westfalen ( Jean de Westphalie) aurait dès ses débuts  

























1   Henri-Jean Martin, Le sacre de Gutenberg, « Revue de syntliése », ive série, 1-2, janv.-juin 1992, pp. 15-27. 2   Jean-Frédéric Lichtenberger, Geschichte der Erfindung der Buchdruckerkunst, zur Ehrenrettung Strassburgs und vollständiger Wiederlegung der Sagen von Harlem (…), mit einem Vorberichte von (…) Johann Godfried Schweighäuser, Strasbourg, Jean-Henri Heitz, 1825. L’ouvrage est accompagné de plusieurs reproductions en fac-similés. Donnée cette même année 1825, l’édition française est la traduction de l’original allemand (Histoire de l’invention de l’imprimerie, pour servir de défense à la ville de Strasbourg contre les prétentions de Harlem…, préf. J. G. Schweighæuser, Strasbourg, Jean-Henri Heitz ; Paris, Antoine Augustin Renouard. (Quérard v, 299, Haag, vii, 288). Lichtenberger avait également donné chez Treuttel et Würtz en 1811 une 3 étude des Initia typographica, 4°, x-260 p.   « Courrier du Bas-Rhin », 7 mai 1840.  









46 frédéric barbier collaboré avec lui, voire l’aurait précédé, même de peu, suscite l’indignation des chercheurs belges, à l’image de P. C. van der Meersch, lequel écrit, en 1856 :  

On aura beau entasser argument sur argument, accumuler hypothèse sur hypothèse, on ne parviendra pas à ternir la gloire de Martens et à détrôner celui-ci au profit de Jean de Westphalie. 1

L’exemple a contrario est fourni par Conrad Haebler, lequel n’hésite pas à enrôler Guillaume Le Roy, le prototypographe de Lyon, parmi ses  Typographes allemands du xve siècle dans les pays étrangers, 2 sous le prétexte au moins discutable qu’il s’agit d’un liégeois et que son nom se traduit par De Koning, nom banal en néerlandais et qui témoignerait donc d’une origine germanique… La réserve n’enlève rien à la qualité de l’information fournie par la somme de Haebler, qui signale par ailleurs que Le Roy a pu quitter Liège après le sac de la ville par Charles le Téméraire en 1468, et qu’il serait passé par Cologne et par les villes rhénanes jusqu’à Bâle avant d’être appelé à Lyon par les Buyer. 3 Nous passerons plus vite sur le second facteur principal à prendre ici en considération, qui concerne les variations de la géographie politique : il est évidemment difficile de rattacher des professionnels ayant exercé, par exemple aux xv e et xvi e siècles, à une géographie politique qui n’existait pas à cette date. La formulation utilisée par Anne Rouzet pour son dictionnaire biographique des hommes du livre belges de cette époque rend compte du problème, tout en le résolvant avec élégance. 4 Les provinces et régions ayant changé de cadre politique sont dans le même cas : on ne saurait considérer que l’Alsace (et Strasbourg) est une province française avant le dernier quart du xvii e siècle, et la même question se pose pour une partie importante de l’ancien espace politique de l’Allemagne (quid, par exemple, des deux provinces de Prusse, avec Danzig et Königsberg ? 5) et du royaume de Hongrie avant 1918 (avec la Slovaquie, la Transylvanie, etc.), sans parler de l’empire d’Autriche. Même un usuel récent comme celui de Reske, dont la qualité scientifique est indiscutable, ne résout pas le problème sur le plan théorique, mais adopte le modus operandi qui semble pratiquement le plus efficace : 6 l’auteur, qui traite de l’espace linguistique allemand, explique en effet qu’il s’est fondé sur la géographie politique actuelle, et qu’il envisage donc l’Allemagne, l’Autriche, la Suisse germanophone  







1   Dossier présenté dans : Renaud Adam, Jean de Westphalie et Thierry Martens. La découverte de la Logica vetus (1474) et les débuts de l’imprimerie dans les Pays-Bas méridionaux (avec un fac-similé), Turnhout, Brepols, Musée de la Maison d’Érasme, 2009 (« Nugae humanisticae »,  8). Renaud Adam, Alexandre Vanautgaerden, Thierry Martens et la figure de l’imprimeur humaniste (une nouvelle biographie), Turnhout, Brepols, Musée de la Maison d’Érasme, Bibliothèque Sainte-Geneviève, 2009 (« Nugae humanisticae », 11-2). 2   C. Haebler, Die Deutschen Buchdrucker des xv . Jahrhunderts im Auslande, cit. 3   Anatole Claudin, Histoire de l’imprimerie, cit., t. iii, pp 19-112. Lucien Febvre, Henri-Jean Martin, L’Apparition du livre, cit., pp. 177 et 179. Conrad Haebler, Die Deutschen Buchdrucker, cit., 193-200. Natalis Rondot, Les Graveurs sur bois et les imprimeurs à Lyon au xve siècle, Lyon, Impr. de Mougin-Rusand, 1896, p. 139. 4   Anne Rouzet, Dictionnaire des imprimeurs, libraires et éditeurs belges des xve et xvie siècles dans les limites géographiques de la Belgique actuelle, Nieuwkoop, de Graaf, 1975. 5   Rudof von Thadden, La Prusse en question. Histoire d’un État perdu, trad. Hélène Cusa, Patrick Charbonneau, préf. François Furet, Arles, Actes Sud, 1985. 6   Christoph Reske, Die Buchdrucker des 16. und 17. Jahrhunderts im deutschen Sprachgebiet, ouvr. cité.  









le cas de l ’ allemagne et de la france 47 et le Luxembourg. Mais il ajoute à cet ensemble certaines régions historiquement liées aux pays allemands : le Tyrol du Sud (Haut-Adige) et l’Alsace, 1 la Silésie et la Prusse orientale, le choix étant parfois fait en fonction de la bibliographie déjà existante, et qu’il serait inutile de dédoubler. 2 C’est ainsi que l’on ne trouvera rien sur la Transylvanie, où les principales villes sont pourtant des villes « saxonnes » peuplées d’émigrés germanophones, et où les Allemands occupent depuis le xvie siècle une place clé dans les activités de l’imprimé – avec un Johann Honter, par exemple, à Kronstadt / Brassov à partir de 1533/1539. On pourrait de même faire référence au dictionnaire des Editori italiani dell’ottocento, 3 qui s’attache à une géographie linguistique plutôt que politique et qui intègre par conséquent le canton du Tessin, la Dalmatie et l’Istrie, 4 les Alpes-Maritimes (Nice) et Monaco, Saint-Marin et le Haut-Adige. 5. Mais la cause est entendue : la géographie politique actuelle ne recouvre que très partiellement les réalités historiques, et c’est le rôle du chercheur que de faire apparaître les logiques et les solidarités sous-jacentes par rapport à des catégories plus récentes. 6  







3. Les mutations du modèle migratoire à l’autre Les premières décennies suivant l’apparition de la typographie en caractères mobiles sont marquées par un phénomène d’essaimage qui a frappé les contemporains eux-mêmes : en l’espace de deux générations, l’art nouveau apparu dans les années 1450 sur le Rhin « conquiert le monde » (Henri-Jean Martin), même si le réseau des villes européennes abritant des ateliers apparaît comme considérablement rétracté au tournant du xv e au xvie siècle. 7 Si les typographes allemands occupent bien évidemment une place clé dans cette diffusion, et cela à travers toute l’Europe, les logiques de l’émigration suivent en effet une conjoncture plus complexe. Trois périodes se succèdent jusqu’au début du xvi e siècle. 1. Le premier modèle est celui du secret : la mise au point de la technique typographique nécessite du temps et des investissements très lourds, de sorte que les capitalistes tout comme les inventeurs sont logiquement attentifs à préserver le secret d’un procédé complexe, dont ils s’emploient à conserver l’exclusivité. Mais la contestation autour du siège archiépiscopal de Mayence aboutit au siège, à la prise et au sac de la ville par les troupes d’Adolphe de Nassau (28 octobre 1462), à la suite  







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  Dont Strasbourg, pp. 868 à 909.   La Bohème et la Moravie, le royaume de Hongrie historique, la Posnanie, la Poméranie orientale (Stettin et Köslin) et la Prusse occidentale (Danzig) ainsi que les Pays baltes sont pratiquement exclus du répertoire. 3   Editori italiani dell’Ottocento, dir. Ada Gigli Marchetti [et alii], Milano, FrancoAngeli, 2004. 4   Avec Capodistria (Koper), Fiume (Rijeka), Raguse (Dubrovnik), Spalato (Šplit) et Zara (Zadar). 5   Cédé à l’Italie au lendemain de la Première Guerre mondiale. 6   Pour ne rien dire de la dénomination des noms de lieu. Si Strasbourg (Straßburg) ne pose pas vraiment de problèmes, il n’en va nullement de même dès lors que l’on entre dans l’espace de l’Europe centrale et orientale, où les dénominations se multiplient : Bratislava est une dénomination récente de l’ancienne capitale du royaume de Hongrie (Pozsony), mais la désignation historique la plus courante reste celle de Presburg, toponyme allemand francisé en Presbourg. 7   Philippe Niéto, Géographie des impressions européennes du xve siècle, dans Le Berceau du livre, cit., pp. 125-174, notamment la carte n° 10. 2



48 frédéric barbier de quoi les compagnons ayant jusque là travaillé pour Gutenberg prennent la route pour progressivement s’établir dans d’autres centres – au premier chef les villes de la région rhénane (Cologne), d’Allemagne méridionale (Bamberg, et surtout Augsbourg et Nuremberg), et Bâle. À Venise, nous retrouvons alors Johann et Wendelin von Speier (ils viennent de Spire), et il est possible qu’un jeune tourangeau, en la personne de Nicolas Jenson, ait lui aussi fréquenté l’atelier de Gutenberg, avant de s’établir moins de dix ans plus tard comme l’un des premiers typographes de la Sérénissime, en association avec des Allemands. 1 2. Dans un second temps, les ateliers créés dans un certain nombre de villes dans la décennie 1460 attirent à leur tour des compagnons imprimeurs, lesquels poursuivent le cas échéant leur route pour s’installer à l’étranger. Pour la première fois, des presses sont établies hors d’Allemagne, en Italie en 1465-1467, et ce sont des techniciens allemands qui les font « rouler ». 2 La ville de Bâle, où les presses apparaissent vers 1468, 3 fonctionne comme un pôle de redistribution non seulement des hommes et des savoirs techniques, mais aussi des modèles iconographiques et typographiques, et des capitaux : Bernhard Rihel (Richel) vient d’Ehrenweiler, il est un probable ancien compagnon de Gutenberg, et son atelier est un point de passage obligé pour nombre de pérégrins. En 1470, les typographes qui montent la première presse parisienne, dans l’enclos de la Sorbonne ont été recrutés à Bâle, 4 et Bâle occupe aussi une position clé dans les développements de l’imprimerie à Lyon, troisième ville de production de livres en Europe à la fin du xv e siècle. 5 3. Mais la dernière décennie du xve et le début du xvi e siècle voient la branche de la « librairie » intégrer progressivement une conjoncture nouvelle, marquée par la rationalisation : après la crise de surproduction de la décennie 1470 et l’« invention du  













1   Lotte Hellinga, Nicolas Jenson et les débuts de l’imprimerie à Mayence, dans Le Berceau du livre ..., cit., pp. 25-53. G. Sardini, Esame sui principi della francese ed italiane tipografia ovvero Storia critica di Nicolao Jenson, Lucca, Bonsignori, 1796-1798, 3 vol. G. Abrams, Nicolas Ienson Gallicus, Martin Lowry, Venetian printing : Nicolas Jenson and the rise of the roman letterform, Herning (Dk), Poul Kristensen, 1989, pp. 55-62. M. Lowry, Nicholas Jenson and the rise of Venetian printing in Renaissance Europe, Oxford, Basil Blackwell, 1991, pp. 49-52. 2   Conrad Haebler, Die Deutschen Buchdrucker, cit., pp. 8 et suiv. 3   Pierre L. van der Haegen, Der Frühe Basler Buchdruck, Basel, Schwabe & Co, 2001. 4   Robert Marichal, Le Livre des prieurs de Sorbonne (1431-1485), Paris, Aux amateurs de livres, 1987. Jacques Monfrin, Les lectures de Guillaume Fichet et de Jean Heynlin d’après le registre de prêts de la Bibliothèque de la Sorbonne, « Bibliothèque d’humanisme et Renaissance », 1955, xvii, pp. 7-23. Jeanne Veyrin-Forrer, Les premiers ateliers typographiques parisiens : quelques aspects techniques, dans Villes d’imprimerie et moulins à papier du XIVe au xvie siècle…, Bruxelles, Crédit communal de Belgique, 1976, pp. 317-335 (repris dans Jeanne Veyrin-Forrer, La Lettre et le texte, Paris, École normale supérieure de jeunes filles, 1987, pp. 213236). Hommage aux premiers imprimeurs de France, 1470-1970, Paris, Bibliothèque nationale, 1970 (repris dans le «Bulletin des bibliothèques de France», 1971, t. xvi, n° 2). Plus ancien : Anatole Claudin, Les Origines de l’imprimerie à Paris. Les premières presses de la Sorbonne, Paris, Claudin 1899. 5   Autour du livre à Lyon au xve et au début du xvie siècle, Le Berceau du livre ..., cit., pp. 189-275 (notamment le Dictionnaire des imprimeurs et libraires lyonnais du xve siècle, réd. Guillaume Fau [et al.], pp. 209-275). Sheza Moledina, Dominique Varry, Bibliographie de l’histoire du livre imprimé à Lyon : choix de travaux parus depuis 1970, «hcl», 2006, ii, pp. 259-277, notamment pp. 264-268. Henri et Julien Baudrier, Bibliographie lyonnaise. Recherches sur les imprimeurs, libraires, relieurs et fondeurs de lettres de Lyon au xvie siècle, nelle éd., Genève, Slatkine Reprints, 1999, 7 vol. (1ère éd., 1895-1921, 12 vol., et Tables, éd. Georges Tricou, Genève, Droz ; Lille, Giard, 1950).  













le cas de l ’ allemagne et de la france 49 livre imprimé », la branche est soumise à un processus accentué de concentration, avec la domination d’un certain nombre de pôles majeurs de production, la montée en puissance d’ateliers plus puissants et, parallèlement, la disparition de nombreux centres secondaires. Dans l’équilibre interne de la branche, ce sont désormais les grands entrepreneurs et les capitalistes qui occupent l’avant-scène – et certains ne sont plus imprimeurs. On connaît les démêlés de Gutenberg avec la famille Fust qui le finance, mais nombre d’ateliers n’ont pu s’établir et fonctionner que grâce aux investissements de familles de négociants-banquiers comme celle des Buyer à Lyon. À la fin du siècle, on devine le rôle de puissants groupements d’intérêts, organisés en réseaux et soutenant le développement de la branche. C’est le cas à Venise comme à Bâle, où la famille Amerbach, à la tête d’une des principales entreprises, contrôle un réseau qui s’étend à Paris, et qui finance les premières presses de Dole et de Dijon. 2 La statistique de la production lyonnaise permet de prendre la mesure du phénomène : les émigrés d’origine allemande donnent 44% des titres publiés dans ville jusqu’en 1501 (soit 638 titres), mais le déséquilibre interne s’accroît : les deux premiers ateliers, ceux de Johann Syber, de Nördlingen, et de Matthias Husz, assurent 43% de la production « allemande » de Lyon, quand les huit ateliers les moins importants n’en regroupent que 12%. Or, on repère autour de Husz tout une convergence d’intérêts, où se retrouvent les Buyer et Guillaume Le Roy, mais aussi Martin Husz, 3 Johann Faber et surtout Johann Schabeler, alias Cabiller. Celui-ci vient, comme les Husz, de Bottwar, il est inscrit à l’université de Bâle en 1473, et c’est certainement là qu’il se forme à la typographie avant de venir à Lyon en 1483 et de s’y établir imprimeur. Mais sa force est dans son réseau d’affaires, et on le repère à de nombreuses reprises dans l’édition et dans la diffusion, entre autres comme intermédiaires des Bâlois. Son surnom de Wattenschnee, alias Vatisné, « Trotte-en-neige », décrit bien l’activité d’un homme constamment la plume à la main pour rédiger sa correspondance d’affaires, ou en déplacement pour rencontrer les uns et les autres. Schabeler se retire à Bâle à la fin du XVe siècle (sa fille Anna épousera en 1518 Bruno, fils de Johann Amerbach), mais il continue à résider pour partie à Lyon, où il est associé avec son petit cousin Jean Vaugris (Vogryss). 4 Nous le retrouvons à Paris dans les premières années du xvie siècle, en affaires avec Jean Petit, Thielmann Kerver (de Coblence) et Conrad Resch, venu de Kirchheim sur le Neckar et lui aussi ancien typographe à Bâle. La firme de l’Écu de Bâle, rue Saint-Jacques, est le pôle de ces échanges intéressant Bâle, Francfort, Strasbourg, Paris et Lyon. Vaugris s’y rencon 

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1   Frédéric Barbier, Aux xiiie-xv e siècles : l’invention du marché du livre, « Revista portuguesa de história do livro », 2006, 20 (Lisboa, 2007), pp. 69-95. 2   Le Livre en Franche-Comté. Sources et documents, « Cahiers dolois. Revue des Amis de la Bibliothèque, des Archives et du Musée de Dole », 1984, 7. 3   Claudin, cit., pense que Martin et Matthias Husz sont deux frères, et qu’ils sont parents de Paul Hurus (alias Hutz), originaire de Constance et imprimeur à Saragosse. On connaît aussi un Léonard Husz (1422-1505), imprimeur à Valence (Espagne). 4   D’après Baudrier (cit., x, pp. 457-463), Vaugris est peut-être né à Charly, aux portes de Lyon, et il est le cadet de quatre frères. Sa sœur ou sa nièce, Claudia, a épousé Schabeler. Mais on ne peut que remarquer l’existence de plusieurs toponymes «Vaugris » en Dauphiné, notamment Reventin-Vaugris, près de Vienne.  











50 frédéric barbier tre aussi, qui meurt d’ailleurs au cours d’un déplacement d’affaires, à Nettancourt, une petite étape aux débouchés de l’Argonne sur la route de Lorraine, en 1527. 1 Henri-Jean Martin décrit ces réseaux caractéristiques de la librairie des années 1500 par la formule très juste d’« internationale des libraires ».  



4. Les migrations professionnelles : un problème d’anthropologie  

La seconde principale approche des phénomènes migratoires dans le domaine de la « librairie » relève de l’anthropologie. Nous évoquerons donc pour terminer le rôle des liens de parentés, et celui des processus d’apprentissage. Soulignons pourtant d’abord que, sur le plus grand nombre des émigrés, nous ne savons rien : il s’agit de ces gagne-petit, ouvriers typographes, colporteurs plus ou moins misérables, parmi lesquels seule une minorité réussira à s’implanter de manière indépendante tandis que les autres décèdent au loin ou rentrent dans leur patrie d’origine. L’exemple le plus connu est celui de Johann Neumeister, qui vient de Treysa (au nord de Marburg) 2 et qui a étudié à Erfurt en 1454 avant de faire l’apprentissage de la typographie à Mayence et, lui aussi, de gagner Bâle. Prototypographe de Foligno en 1469-1472, il exercera successivement à Mayence, à Lyon et à Albi, mais sans jamais réussir : il meurt sans fortune, probablement à Lyon autour de 1512… 1. La famille. Pour ceux qui réussissent, en revanche, le mariage marque souvent une étape stratégique, en ce qu’il permet l’intégration dans des réseaux de solidarités qui ont une importance décisive. Voici Johann Trechsel, probablement venu de Mayence et lui aussi étudiant à Erfurt puis apprenti typographe et graveur en lettres, mais que nous repérons plus précisément lorsqu’il arrive à Lyon, en 1486, et entre comme compagnon chez son compatriote Nicolaus Philippi, de Bensheim. 3 Deux ans plus tard, à la mort du maître, Trechsel épouse sa veuve, et succède donc à Philippi à la tête de l’entreprise, devenue l’une des principales de la ville : certains titres particulièrement célèbres sortent de chez lui, parmi lesquels les Comédies de Térence éditées par Josse Bade en 1493. 4 C’est en effet chez Trechsel que travaille, à compter de 1492, ce jeune émigré des Pays-Bas, avant de venir à Paris sept ans plus tard. Trechsel décède en 1498, et sa femme, à nouveau veuve, épouse alors le prote de l’atelier, Johann Clein dit Schwab, surnom qui désigne sa région d’origine (il viendrait d’Ulm). Thalie Philippi, se mariera en 1499 avec Josse Bade, tandis que sa demi-sœur, Katharina, fille de Johann Clein, épousera un autre émigré, en la personne de Conrad Resch, que nous avons déjà rencontré dans les réseaux de Schabeler. Parallèlement, le groupe renforce son courant d’affaires avec Paris.  









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  Staatsarchiv Basel, Briefen, xxxix, 105v°.   Anatole Claudin, Les Origines de l’imprimerie à Albi en Languedoc (1480-1484) : les pérégrinations de J. Neumeister, compagnon de Gutenberg en Allemagne, en Italie et en France…, Paris, [s. n.], 1880. Cornelia Schneider, Mainzer Drucker, Drucker in Mainz (ii ), dans Gutenberg : Aventur und Kunst, Mainz, Gutenberg Museum, 2000, pp. 226-229 et Catalogue pp. 379-384. Konrad Haebler, Die Deutschen Buchdrucker, ouvr. cité, pp. 55-56 et 208-210. Incunables albigeois. Les ateliers d’imprimerie de l’Aeneas Sylvius (av. 1475- c. 1480) et de Jean Neumeister (1481-1483), dir. Mathieu Desachy, Rodez, Éd. du Rouergue, 2005. 3   Conrad Haebler, Die Deutschen Buchdrucker, cit., p. 222. 4   Publius Terentius Afer, Comoediae, éd. Jodocus Badius Ascensius, Lyon, Johann Trechsel, 29 viii 1493 (hc 15424. Goff T 91). 2





le cas de l ’ allemagne et de la france

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Johann Clein ∞   veuve Philippi   ∞ Nicolaus Philippi, † 1488 dit Schwab (puis Trechsel) ! ! ! Katharina Clein Ostelye (Thalie) Philippi ∞ Conrad Resch ∞ Josse Bade  





La puissance d’intégration qui est celle des liens de famille est très grande, et concerne aussi bien l’acquisition des connaissances spécialisées que le développement d’affaires organisées en réseaux et la filiation des entreprises, sans oublier, bien évidemment, les solidarités financières – voire, à terme, les appartenances confessionnelles. Car la conjoncture ne tarde dès lors plus à changer, et les réseaux internationaux de la librairie humaniste à se cloisonner davantage, selon des logiques confessionnelles et politiques. Au début du xvi e siècle, en France, le temps est encore à l’intégration des nouveaux venus qui auront réussi : Sebastian Greyf, né vers 1493, est fils d’un imprimeur de Reutlingen, et il vient à Lyon sans doute au tout début du règne de François Ier. Greyf, qui a francisé son nom en Gryphe, se marie à Lyon en 1524, réussit à s’établir, à l’enseigne « parlante » du Griffon, en 1528, et obtient des lettres de naturalité quatre ans plus tard. À son décès, en 1556, il est à la tête d’une des principales maisons européennes d’imprimerie et de librairie. 1 Dans l’intervalle, la crise religieuse a pourtant éclaté, avec les Thèses de Luther contre les indulgences affichées en 1517, et avec le problème de la réforme de l’Église de Rome : on sait que l’essor de la Réforme protestante s’articule très étroitement, et d’abord en Allemagne, avec l’économie de l’imprimé. Rien que d’attendu à ce que les émigrés allemands installés en France et actifs dans la « librairie » comptent parmi les premiers agents à diffuser les textes des Réformateurs : nous savons que, dès 1519, Johann Froben envoie à Josse Bade six cents exemplaires de titres de Luther, 2 tandis que Conrad Resch publie le Réformateur en français et que Vaugris cherche à profiter de l’essor de la demande. Il écrit en effet à Guillaume Farel, en 1524 :  















Mès [ces livres] baillés les a quèque mersié, affin qui prène appétit de vandre des livres et il se ferat de peu en peu et parallèlement il gagnierat quque chose. Item je vous prie si il estoy possible que on fit translaté le noviau testament selon la translation de M[artin] L[uther] a quèque home qui le sut bien fère, que se seroy un grand bien pour le paii de Franss et Bugone et Savoie etc. Et si il fesoy beson de aporté une letre fransayse, je la feray aporté de Paris ou de Lion, et si nous en avons a Bassle qui fut bone, tant miex vaudroy. Item je part aujourd’hui de Bassle pour aller à Franckffort… 3

Le durcissement de la crise s’accompagne à partir de 1521 d’un contrôle de plus en plus sévère de la monarchie sur la production et sur la circulation des livres, de sorte que, peu à peu, un certain nombre de professionnels quittent le royaume : parmi les premiers, Conrad Resch rentre à Bâle, où il ouvre en 1526 sa maison du Fischmarkt,  

1   Quid novi ? Sébastien Gryphe, à l’occasion du 450e anniversaire de sa mort, dir. Raphaële Mouren, Villeurbanne, Presses de l’enssib, 2008. 2   W. G. Moore, La Réforme allemande et la littérature française. Recherche sur la notoriété de Luther en France, Strasbourg, Faculté des Lettres, 1930, pp. 46-47. 3   Cité par Lucien Febvre, Henri-Jean Martin, L’Apparition du livre, cit., p. 419.  

52 frédéric barbier à l’enseigne de la Cloche. L’affaire des Placards, en 1534, marque un tournant de la politique royale dans le sens de la répression, avec les premières exécutions capitales, et l’exode s’accentue dès lors pour atteindre son apogée avec la Saint-Barthélemy (1572). À la veille du massacre, l’un des derniers grands libraires imprimeurs allemands installés en France, André Wechel, se réfugie d’ailleurs à Francfort. La librairie européenne entre dès lors dans une période dominée par une organisation en marchés « nationaux » chacun contrôlé plus ou moins étroitement par les autorités politiques et religieuses. 2. La formation professionnelle. Recoupant parfois les systèmes de solidarités familiales, les cursus d’apprentissage constituent aussi un facteur majeur de mobilité, sous une forme que la centralisation française fait pourtant profondément différer de ce qu’elle peut être, par exemple, en Allemagne à la période moderne. La tradition allemande est en effet celle d’un apprentissage pérégrin, au fil duquel le jeune homme accumule un certain bagage de connaissances professionnelles, mais se constitue aussi un capital de reconnaissance sociale dont le rôle est décisif lorsqu’il cherchera à s’établir : l’atelier de Bernhard Rihel joue ce rôle à Bâle dès les années 1470, mais on pourrait aussi penser aux Amerbach. La théorie des maisons dans lesquelles chacun aura travaillé témoignera de la qualité professionnelle et humaine d’un futur collègue, et elle se mue en véritable instrument de crédit au moment où il s’agit de s’assurer des capitaux – sans qu’il faille, un nouvelle fois, négliger les appartenances confessionnelles ou les sensibilités politiques. Mais cette caractéristique s’inscrit dans le plus long terme. C’est un brevet de compétence et de crédit que se constitue par exemple le strasbourgeois Jean-Georges Treuttel lorsque, souhaitant s’orienter vers la « librairie internationale », il entreprend de se former : 1 le voici successivement qui travaille dans sa ville natale, puis dans les principaux centres d’Europe continentale (Paris, Turin, Venise, Florence, Rome, Marseille, Lyon, Leipzig, Weimar, Francfort-s/Main et Zweibrücken / Deux-Ponts) avant de revenir à Strasbourg et de s’y établir. La maison, sous la raison sociale de Treuttel et Würtz, profitera à plein du développement des échanges internationaux de librairie 2 pour étendre son réseau successivement à Paris et à Londres. Plus tard, Treuttel et Würtz, librairie désormais centrée sur Paris, passera à un allemand, en la personne du nurembergeois Friedrich Klincksieck : elle est alors devenue suffisamment réputée pour que son nom fonctionne comme une garantie professionnelle pour les jeunes gens qui sont admis à y travailler comme apprentis, tels Wilhelm Gilbers en 1853-1854, ou encore Johann Borstell en 1856-1857… La situation proprement française est différente, dans la mesure où Paris concentre les principaux acteurs de la branche (traditionnellement réunis dans les actuels v e et vie arrondissements), où le mouvement de l’émigration intérieure se fait majoritairement vers la capitale et où, jusqu’au xixe siècle (1870), la réglementation mise en place limite le nombre des professionnels autorisés à s’établir. Du coup, les nouveaux venus doivent non seulement résoudre un problème de financement  













1   Frédéric Barbier, Une librairie « internationale » : Treuttel et Würtz à Strasbourg, Paris et Londres, « Revue d’Alsace », 1985, 111, pp. 111-123, 2   Frédéric Barbier, Le commerce international de la librairie française au xixe siècle, « Revue d’histoire moderne et contemporaine », xxviii, 1981, pp. 94-117.  













le cas de l ’ allemagne et de la france 53 (financer leur établissement), mais aussi s’assurer qu’ils pourront effectivement être titulaires du précieux « brevet » leur permettant seul d’exercer. Pour ceux qui ne sont pas des liéritiers, la voie privilégiée pour réussir reste celle d’épouser la veuve ou la fille d’un maître auquel on pourra dès lors succéder. Parallèlement, l’exemple du Nord illustre la montée de la géographie politique : 1 les apprentis parcourent en effet d’abord les « anciens Pays-Bas », Lille, Tournai, Gand et Bruges, mais aussi Bruxelles et Anvers, voire Cologne et les villes du nord (Rotterdam, Utrecht, etc.). Paris n’apparaît qu’en arrière-plan jusqu’aux décennies 1680-1690, avant que le rattachement progressif des « Pays-Bas du sud » à la France ne bouleverse radicalement cette organisation. Les villes du royaume figurent alors dans certains circuits (Paris et les capitales de province, mais aussi Avignon), même si l’écrasement par la « librairie » parisienne relègue les provinciaux dans un cadre régional ou local pour lequel l’apprentissage se fait le plus souvent sur place, sans qu’il y ait plus guère de chances de s’établir de manière indépendante, du moins jusqu’aux dernières années de l’Ancien Régime. On le voit, l’étude des migrations professionnelles liées à l’imprimé demeure largement ouverte. S’agissant de l’Allemagne et de la France, mais aussi d’autres pays européens, une « pesée globale » de ces phénomènes est toujours à construire, qui permettrait si possible d’aboutir à une analyse statistique de la place et du rôle des nouveaux venus dans les champs de la production et de la distribution. Les perspectives géographiques et anthropologiques sont fondamentales, et elles débouchent sur d’autres approches privilégiant le repérage précis des espaces contrôlés et l’étude des pratiques et des solidarités. L’exemple des professionnels du xve siècle laisse à penser que la théorie des réseaux constituerait une méthode particulièrement appropriée : la construction de graphes rendant compte de l’organisation du réseau met en évidence la place de certains intermédiaires, dont le rôle est décisif pour la réussite ou pour l’échec des entreprises auxquelles ils participent. De même, les différents types d’activités sont à examiner, l’investissement des émigrés engageant des domaines variés – l’innovation technique et la fabrication de machines, l’imprimerie, la librairie de détail, l’édition, le courtage et les expéditions, mais aussi l’écriture, la traduction, la gravure d’illustration, etc., le cas échéant en privilégiant une spécialité comme la librairie internationale ou encore l’édition savante. Les sensibilités religieuses entrent bien évidemment en ligne de compte, ainsi que les choix politiques voire, plus généralement, les « styles de vie ». Enfin, avec les hommes, ce sont des représentations, des modèles et des contenus qui se déplacent et qui font l’objet de transferts : savoirs, textes, motifs iconographiques, esthétique typographique voyagent aussi, qui représentent un domaine encore pratiquement inexploré de la recherche sur les migrations professionnelles dans le domaine de la « librairie » depuis la seconde moitié du xve siècle.  

































Abstract Il ruolo dei professionisti di origine tedesca è chiaramente fondamentale agli inizi della tipografia a caratteri mobili, poiché l’invenzione stessa è tedesca e in molte città di tutta 1

  Frédéric Barbier, Lumières du Nord ..., cit.

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frédéric barbier

Europa i primi tipografi sono tutti naturalmente tedeschi – ma le reti dei commercianti e dei banchieri intervengono in modo sempre più prominente. Un secondo momento importante dell’emigrazione professionale tra Francia e Germania sarà quello del rifugio, alias l’insediamento in Germania degli ugonotti francesi rifugiati in seguito alla revoca dell’Editto di Nantes. La popolazione dei professionisti tedeschi insediati in Francia nel xv secolo può essere vista con lo sguardo dell’antropologia : l’esame delle reti familiari, delle pratiche di formazione e dei sistemi di solidarietà mette in evidenza il cambiamento congiunturale. Questo è inizialmente dominato dal modello di una “libreria internazionale”, prima che la territorializzazione e la confessionalizzazione spingano alla dislocazione di questa geografia allargata attorno a mercati «  nazionali  » : si apre così il periodo della “salita” a Parigi dei provinciali, che spesso occupano i primi posti del settore, come Anisson, Panckoucke o ancora Debure, oltre a molti importanti editori industriali.  







The role of German-born professionals is clearly essential at the dawn of movable type printing, since the invention itself is German and in lots of cities across Europe the first typographers are all, of course, German – but the networks of traders and bankers would more and more frequently step in, over time. Another important stage in this professional migration between France and Germany would be prompted by people looking for protection, notably the French Huguenots settling in Germany after the revocation of the Edict of Nantes. The population of German professionals living in France in the xv century can be regarded through an anthropologist’s eyes : a review of their family networks, educational practices and support systems shows clear signs of a new economic situation. At first, it is run as an “international bookshop” before territorialisation and confessionalisation bring this broad geography to gravitate around “domestic” markets : this prompts small-town people to move “up” to Paris, often becoming industry leaders, such as Anisson, Panckoucke or, again, Debure, as well as lots of prominent industrial publishers.  



DIE AUSBREITUNG DES BUCHDRUCKS IN DEUTSCHLAND UND DURCH DEUTSCHE DRUCKER IN EUROPA (CA. 1454-1470) Stephan Füssel 1. Der Ausgangspunkt : Gutenberg und Mainz  

V

on der Lebensgeschichte Gutenbergs sind nur wenige Fakten gesichert : Sogar das einzige Porträt, das wir kennen, ist erst 100 Jahre nach seinem Tod entstanden : in der Prosopographia Germaniae von Heinrich Pantaleon, Basel 1565, wird der bekannte Holzschnitt fürt verschiedene ( !) Personen verwendet. Johannes Gutenberg wurde etwa um das Jahr 1400 in Mainz geboren. Einen Großteil seiner technischen Erfindungen hat er in Straßburg gemacht, wo er sich etwa von 1434 bis 1444 auf hielt. Seit 1448 arbeitete er in Mainz an dem Werk der Bücher mit seinem Finanzier und Geschäftspartner Johannes Fust. 1454 wurde die Bibel mit 42 Zeilen (B 42) fertiggestellt, die gleich ein perfektes, ausgereiftes Satzbild zeigt. Im selben Jahr musste er einen Teil seiner Druckerei an den Geldgeber Fust übertragen, der mit dem Gesellen Peter Schöffer weiter arbeitete ; 1465 wurde er zum „Hofmann“ des Mainzer Kurfürsten und Erzbischofs Adolf von Nassau ernannt ; am 3. Februar 1468 starb Gutenberg in Mainz. 1 Aber nicht seine Lebensgeschichte, sondern seine Wirkungsgeschichte soll im Folgenden betrachtet werden. Denn zahlreiche seiner Setzer und Drucker aus der Mainzer Ur-Offizin verbreiteten die Kunde der neuen Technik durch Deutschland und Europa. Um das erste gedruckte Buch von Bedeutung, die Biblia Vulgata, mit 1.282 Seiten in 180 Exemplaren herzustellen, mussten zahlreiche Setzer und Drucker mehrere Jahre daran arbeiten. Durch eine genaue Analyse der Texte und der individuellen Abkürzungsgepflogenheiten konnte ermittelt werden, dass beim Satz der Gutenberg-Bibel anfangs vier und später sechs unterschiedliche Setzer beschäftigt waren. 2 Die Satzarbeit selbst hat etwa zwei Jahre in Anspruch genommen. Neben den Setzern waren mindestens noch zwölf Drucker an sechs Druckerpressen tätig, daneben Hilfskräfte zum Einfärben der Typen, zum Anlegen der Papierbogen etc. Die reine Druckarbeit wird mindestens 330 Arbeitstage erfordert haben, wegen der hohen Zahl an mittelalterlichen Feiertagen also etwa 1½ Jahre. Dazu muss man noch bedenken, dass 140 Exemplare auf Papier gedruckt wurden (mit hoher Wahrscheinlichkeit aus einer piemontesischen Papiermühle) und weitere 40 Exemplare auf Pergament, d. h. auf etwa 3.200 Tierhäuten. Aus all dem kann man folgern, dass eine große Zahl von gut ausgebildeten, experimentierfreudigen Setzern, Druckern und Hilfskräften bereits bei dem ersten  









1   Stephan Füssel, Gutenberg. Il mondo cambiato, Milano, Sylvestre Bonnard, 2001 ; Ders. : Johannes Gutenberg. Reinbek : 4. Aufl. 2007 (rororo monographien 50610). 2   Aloys Ruppel, Johannes Gutenberg. Sein Leben und sein Werk, Berlin, Gebr. Mann, 1939, S. 147-149.  





56 stephan füssel Meisterwerk, der Gutenberg-Bibel, im Einsatz waren, die anschließend auf ihren Gesellenreisen die Kunde der neuen Technik verbreiteten. Um 1500 kennen wir etwa 1000 Offizinen in Europa, die ca. 25.000 unterschiedliche Bücher in etwa 10 Millionen Exemplaren herstellten. Gutenberg, seine Werkstatt, seine Konkurrenten und Gesellen Zwar haben sich nur wenige quellenkundlich gesicherte Belege über Johannes Gutenberg erhalten, doch scheint seine Persönlichkeit im Zusammenhang mit juristischen Auseinandersetzungen in Erb- oder Rentenangelegenheiten in Mainz, Frankfurt 1 und Straßburg an einigen Stellen auf ; noch wichtiger sind zwei juristische Vorgänge, die recht plastisch die Erfindungsgeschichte und die Finanzierung seiner großen Vorhaben zeigen. Besonders aus der Straßburger Zeit haben sich sprechende Akten erhalten, darunter ein Prozess vom Dezember 1439, in dem Gutenberg von den Erben eines Geschäftspartners zur Rückzahlung von dessen finanzieller Einlage aufgefordert wird. 2 In diesen Dokumenten wird von Experimenten mit einer „Spiegel-Produktion“, (Wallfahrtsspiegel zur Aachener „Heiltumsfahrt“ (Reliquienverehrung) im Jahre 1439/40) gesprochen. Es handelte sich offenbar um eine innovative serielle Produktion, bei der mehrere Tausend Exemplare von metallenen Wallfahrtsabzeichen gestanzt oder geprägt und mit einem reflektierenden Spiegel versehen wurden, der – wie es die Volksfrömmigkeit glaubte - zum Auffangen des Segenscheins der Reliquien dienen sollte. Gleichzeitig wird aber auch von der Errichtung einer Presse gesprochen und von gemeinsamer „Aventure und Kunst“. Diese Wortverbindung kann durch Vergleich mit weiteren zeitgenössischen Quellen als ein « wagemutiges kaufmännisches und handwerkliches Unternehmen » übersetzt werden. Diese Dokumente und Zeugenbefragungen nennen auch eine ganze Reihe von interessierten Personen, Handwerker, Priester, Bankiers und Unternehmer, mit denen Gutenberg in geschäftlicher Verbindung stand. Offensichtlich sind in Straßburg noch keine Produkte aus der Buchdruckerpresse in einer solchen Qualität entstanden, dass sie zu der Zeit bereits veräußert werden konnten. Zurückgekehrt nach Mainz nahm er 1449 einen Kredit von 800 Gulden bei Johannes Fust auf, drei Jahre später erneut 800 Gulden, die nun einem gemeinschaftlichen Geschäft von Gutenberg und Fust dienen sollten. Als es 1455 zum Rechtsstreit zwischen Fust und Gutenberg kam, wurden erneut Rechtsakten angelegt, von denen sich wiederum ein zentrales Dokument erhalten hat, das sogenannte „Helmaspergersche Notariatsinstrument“ 3 (die Urkunde des kaiserlichen Notars Ulrich Helmasperger, einem Bamberger Kleriker und Schreiber des Mainzer Erzbischofs).  





1   Reinhard Schartl, Johannes Fust und Johannes Gutenberg in zwei Verfahren vor dem Frankfurter Schöffengericht, « Gutenberg Jahrbuch », 2001, S. 83-86. 2   Vgl. die Quellenedition mit sehr guter Kommentierung von Karl Schorbach : Die urkundlichen Nachrichten über Johannes Gutenberg. In : Festschrift zum fünf hundertjährigen Geburtstage von Johann Gutenberg. Im Auftrag der Stadt Mainz hrsg. v. Otto Hartwig. Leipzig, Harrassowitz, 1900, S. 133-256. 3   Digitales Faksimile der Universitätsbibliothek Göttingen mit Transcription vgl. http ://www.gutenbergdigital.de/notar.html  









die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 57 Aus dem Dokument kann man erschließen, dass Gutenberg offensichtlich Johannes Fust beim „Werk der Bücher“ nicht nur als Geldgeber, sondern auch einen Geschäftspartner akzeptieren musste. Da das endgültige Urteil nicht überliefert ist, kann man nur schlussfolgern, dass Johannes Fust ein Teil der Werkstatt übertragen wurde, da Fust und einer von Gutenbergs Gesellen, Peter Schöffer, gemeinschaftlich den Mainzer Psalter (H 13 479) druckten, der bereits am 14. August 1457 die Presse verließ, wie der erste Kolophon der Druckgeschichte eindeutig belegt. 1 Beim Psalter haben Fust und Schöffer Gutenbergs grundlegende Idee, die Handschriften nach Möglichkeit noch zu vervollkommnen, zu einer neuen Qualität geführt. Im Psalter verwendeten sie planmäßig Rotdruck und druckten die Initialen durch Metallschnitte in Rot und Blau mit. 2 Bis zum Tod Fusts bei einer Geschäftsreise am 30. Oktober 1466 in Paris bestand die Offizin Fust-Schöffer weiter, danach firmierte Peter Schöffer allein. 3 Sein Name „Peter Girnssheim“ ist aus dem Notariatsinstrument bekannt, da dieser Peter aus Gernsheim dort als Zeuge auftrat. Als Abgesandte von Johannes Gutenberg, der selbst bei diesem Gerichtstermin im Mainzer Franziskanerkloster am 6. November 1455 nicht teilnahm, werden zwei weitere seiner Gesellen benannt : Heinrich Keffer und „Bechtolff“ von Hanau. Beide Gesellen lassen sich später als Buchdrucker an anderen Orten nachweisen, Berthold Ruppel aus Hanau († 1494/95) als Erstdrucker in Basel, Heinrich Keffer in Bamberg und Nürnberg (s.u.) Peter Schöffer, geb. um 1430 in Gernsheim am Rhein, ist 1449 als Kleriker und Kalligraph an der Pariser Universität bezeugt, im Notariatsinstrument wird er als „Kleriker der Stadt und des Bistums Mainz“ bezeichnet. Schöffer heiratete nach dem Tode Fusts dessen Tochter Christine. Da der Finanzier Fust offensichtlich die Druckerwerkstatt 1455 übernommen hatte, wird er in der Literatur im Folgenden zusammen mit Peter Schöffer als „Verleger“ der weiteren Bücher genannt. Sie verwendeten dazu ab 1462 in der 48-zeiligen Bibel das erste Druckersignet (eine Allianzsignet beider Wappen), das ihre gedruckten Werke eindeutig zuordnen lässt (GW 4204). 4 Zu Peter Schöffers außergewöhnlichen Drucken gehörte 1484 ein Herbarius in lateinischer Sprache und ein Jahr darauf die deutschsprachige Übersetzung mit 378 neugeschnittenen Holzschnitten Gart der Gesundheit (H 8948), 5 zwei wichtige und reich illustrierte Pflanzenbücher und Gesundheitsratgeber. 6  

1   Der Mainzer Psalter von 1457. Faksimile-Druck. Kommentar von Otto Mazal. Dietikon-Zürich 1968/69 ; Stephan Füssel, Psalterium Moguntinum, in Lexikon des gesamten Buchwesens, 2. überarb. Aufl., Stuttgart, Hiersemann, 2003, Bd. 6, S. 123-124. 2   Isa Fleischmann, Metallschnitt und Teigdruck. Technik und Entstehung zur Zeit des frühen Buchdrucks, Mainz, Zabern, 1998. 3   Aloys Ruppel, Johannes Gutenberg. Sein Leben und Werk, Berlin, Verlag Gebr. Mann, 1939, S. 107-117. Vgl. auch S. Füssel, Gutenberg. Il Mondo Cambiato, S. 37-44. 4   Paul Needham, The 1462 Bible of Johann Fust and Peter Schöffer : A survey of its variants, « GutenbergJahrbuch » 2006, S. 19-49. 5   Reimar Walter Fuchs, Die Mainzer Frühdrucke mit Buchholzschnitten 1480-1500, « Archiv für Geschichte des Buchwesens » 2(1960), S.1-129, hier S.72-74 und 86-92 ; Brigitte Baumann, Helmut Baumann, Die Mainzer Kräuterbuch-Inkunabeln, Stuttgart, Hiersemann, 2010 (=Denkmäler der Buchkunst Bd. 15). 6   Zur weiteren Entwicklung Schöffers vgl. Hellmut Lehmann-Haupt, Peter Schöffer aus Gernsheim und Mainz, Wiesbaden, Reichert, 2003. Übersetzung der Ausgabe Rochester, N.Y. 1950 ; Cornelia Schneider, Peter Schöffer, Bücher für Europa, Ausstellungskatalog, Gutenberg-Gesellschaft, Mainz, 2003.  















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stephan füssel 2. Die Gründe für die Ausbreitung der Buchdruckerkunst

Es ist in einigen Fällen möglich, eine direkte Abhängigkeit neuer Offizinen von Drucker-Gesellen aus Mainz festzustellen : auf Mainz (1454/55) folgten u.a. Bamberg 1458/59, Straßburg 1459, Subiaco 1464/5, Köln 1465, Rom und Eltville 1467, Augsburg und Basel 1468, Venedig 1469 und Nürnberg ca. 1470. Die Gründe für die Verbreitung lagen zunächst einmal in der üblichen Ausbildungspraxis des Gesellenwanderns in der Zeit, zum zweiten an der lukrativen Aussicht, eine attraktive neue Erfindung an anderen Orten gewinnbringend zu vermarkten, und schließlich an direkten Anfragen von außen, diese neue Technik dort einzuführen. Z.B. wollte sich die Sorbonne in Paris für die Universität die neue Technik für die akademische Lehre nutzbar machen, oder die römische Kurie bzw. einige ihrer führenden Vertreter, holten sich Buchdrucker nach Rom und Subiaco, auch um den dortigen daniederliegenden Benediktinerkonvent aufzurichten, 1 möglicherweise sogar vermittelt durch Nikolaus von Kues. 2 Es gibt ein weiteres Argument, warum die Mainzer Gesellen die Buchdruckerkunst nicht in der Stadt der Erfindung weiter ausübten, sondern in die Welt hinauszogen : Die Mainzer Stiftsfehde zwischen den rivalisierenden Bischöfen Dieter von Isenburg und Adolf von Nassau von 1459 bis 1463 sorgte für nicht geringe Unruhe, für zahlreiche Übergriffe, bis hin zu einer Erstürmung der Stadt und einer zweifachen Ausweisung der arbeitenden Bevölkerung. 3 Die Erstürmung der Stadt am 28. Oktober 1462, die einen zwölf Stunden dauernden Straßenkampf mit sich brachte, etwa 500 Opfer forderte und 150 Häuser durch Feuer vernichtete, war der Höhepunkt der Durchsetzung von Adolf II. von Nassau gegen den gewählten Mainzer Erzbischof Diether von Isenburg, nachdem 1461 Papst Pius II. die Absetzung Diethers von Isenburg verfügt und an seiner Stelle den Mainzer Domkapitular Adolf von Nassau zum Erzbischof ernannt hatte.  



Im Laufe der Auseinandersetzung kam es übrigens auch zu einem politischen Meinungskampf durch gedruckte Pamphlete, die – als Flugblätter gedruckt – zum ersten Mal zur politischen Beeinflussung eingesetzt wurden. So wurden in der Druckerei von Fust und Schöffer 1461 sowohl die Bulla von Papst Pius II. (Copinger 2587), die die Absetzung Diethers von Isenburg als Erzbischof anordnete, als Einblattdruck gedruckt, als auch im Frühjahr 1462 in deutscher Sprache ein Manifest Adolf von 1   Vgl. Edwin Hall, Sweynheym and Pannartz and the Origins of Printing in Italy. German Technology and Italian Humanism in Renaissance Rome, McMinville (Oregon), 1991 ; Anna Mondegliani, Tipografia a Roma (1467-1477) in Gutenberg e Roma : le origini della stampa nella città dei papi (1467-1477), ed. M. Miglio e O. Rossini, Napoli, Electa, 1997, S. 41-48. Vgl. auch Leonhard Hoffman, Buchmarkt und Bücherpreise im Frühdruckzeitalter. Der Antoniter Petrus Mitte de Caprariis als Käufer der ersten Frühdrucke in Rom (1468/69), « Gutenberg-Jahrbuch », 2000, S. 73-81. 2   Albert Kapr, Gab es Beziehungen zwischen Johannes Gutenberg und Nikolaus von Kues ? « GutenbergJahrbuch », 1972, S. 32-40, hier S. 33. 3   Vgl. Kai-Michael Sprenger, Die Mainzer Stiftsfehde 1459-1463, in Mainz. Die Geschichte der Stadt. Hrsg. von Franz Dumont, Ferdinand Scherf, Friedrich Schütz, Mainz, Philipp von Zabern, 1998, S. 205225 und Wolfgang Dobras, Die kurfürstliche Stadt bis zum Ende des Dreißigjährigen Krieges (1462-1648). In : ebd., S. 226-263, hier S. 227-231.  















die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 59 Nassaus gegen Diether von Isenburg (Copinger 4331), und im März 1461 das Protestschreiben von Isenburgs an Papst Pius II. (GW 8339). 1 Die komplexen lokalhistorischen und regionalen Auseinandersetzungen können hier vernachlässigt werden, wichtig blieb aber, dass zwei Tage nach der Erstürmung der Stadt am 30. Oktober 1462 alle männlichen Bürger aufgefordert wurden, die Stadt zu verlassen, nur einige lebensnotwendige Handwerksbetriebe blieben verschont. War das Exil auch für einige auf kurze Zeit begrenzt, wiederholte Adolf von Nassau am 9. März 1463 diese Machtdemonstration. 700 Bürger mussten sich vor dem Dom versammeln, 400 Bürger wurden für immer der Stadt verwiesen. Sie mussten schwören, Mainz mindestens eine Meile weit zu meiden. Dadurch sollte jede Opposition unterdrückt werden. 2 Bamberg Der zweite Ort, an dem in Deutschland gedruckt wurde, war Bamberg. 3 Bei Bamberg lassen sich relativ leicht die Beziehungen zu Mainz feststellen. Der Bamberger Frühdruck arbeitete nämlich mit dem Mainzer Typenmaterial der „Donat-KalenderType“, mit der Gutenberg in der Mitte der 50er Jahre (neben dem großen Werk der B 42) eine Reihe von Kleindrucken erstellt hatte. Mit ihm wurden u. a. der Türkenkalender vom Dezember 1454, der Aderlasskalender im Dezember 1456 gedruckt und die Türkenbulle des Papstes Calixtus III. 1457. Diese Type wurde noch in Mainz 1457 weiterentwickelt und neu gegossen, u. a. für den Astronomischen Kalender. Darüber hinaus sind einzelne Probedrucke erhalten, die zeigen, dass mit dieser Type weitere Großprojekte, möglicherweise ein Missale, hergestellt werden sollten. 4 Möglicherweise haben um das Jahr 1458 Mitarbeiter Gutenbergs einen vollständigen Satz von Bleilettern der DK-Type mit auf ihre Wanderschaft genommen und in Bamberg eine neue Druckerei eingerichtet. Mit exakt dieser Type ist in den Jahren 1459 bis 1461 in Bamberg eine 36-zeilige Bibel (GW 4202) gesetzt und gedruckt worden, wie ein Rubrikatorenvermerk auf dem Exemplar der Bibliothèque Nationale in Paris ausweist. 5 Da der Satz der 36-zeiligen Bibel von erheblicher Qualität ist, die eine geschulte Hand des Setzers erforderte, ist bereits früh vermutet worden, dass sie von Gutenbergs Gesellen Heinrich Keffer, der bereits in der Notariatsurkunde des Bambergers Helmarsperger genannt wurde, gesetzt wurde. 6 Da die Type größer ist als die der B 42 und nur 36 Zeilen pro Seite gesetzt wurden, war der Umfang mit 884 Blatt deutlich größer. Ein philologischer Vergleich zeigt, dass die B 36 getreu der B 42 folgt, in vielen Fällen wurden die Abkürzungsgewohnheiten übernommen, obwohl das Schriftsystem mit 196 Typen geringer ist als das 1

  Gutenberg. Aventur und Kunst. Katalog Mainz, H. Schmidt, 2000, S. 372-374, Nr. GM 184-187.   Vgl. W. Dobras, Die kurfürstliche Stadt, S. 228. 3   Ferdinand Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker. 1. Bd. Das deutsche Sprachgebiet, Stuttgart, Hiersemann, 1968, S. 47-54. 4   Carl Wehmer, Mainzer Probedrucke in der Type des sogenannten Astronomischen Kalenders für 1448, München, Leibnitz, 1948. 5   Ferdinand Geldner, Hat H. Keffer aus Mainz die 36-zeilige Bibel gedruckt ? « Gutenberg-Jahrbuch » 1950, S. 100-110 ; Ders. : Ein neuer Hinweis auf Bamberg als Druckort der 36-zeiligen Bibel : Das Wappen des P. Knorr im Exemplar der Bibliothèque Nationale, « Gutenberg-Jahrbuch » 1964, S. 48-51. 6   Vgl. F. Geldner, Hat H. Keffer aus Mainz die 36-zeilige Bibel gedruckt ? Ebd. 2



















60 stephan füssel der B 42 mit 290 Typen. Die B 36 weist insgesamt einen sehr geschickten Zeilenabschluss auf, auch wurde es verstanden, mit dem Gutenbergischen Schriftsystem mit ihren Haupt- und Anschlussformen perfekt zu setzen. Auch dieses spricht für eine hohe Schulung in der Buchdruckerkunst, die von keinem Anfänger gewährleistet werden konnte. 1 Seit 1460 gehört dieses Typenmaterial dann dem Bamberger Erstdrucker Albrecht Pfister, der zuvor Sekretär von Georg I. von Schaumburg (seit 1459 Bischof in Bamberg) gewesen war.Pfister druckte damit die Ars minor von Aelius Donatus, vor allen Dingen aber 1461 den frühhumanistischen deutschsprachigen Text des Ackermann aus Böhmen mit fünf großformatigen Holzschnitten und ebenfalls 1461 die Fabelsammlung Der Edelstein des Fabeldichters Ulrich Boner aus Bern (Mitte des 14. Jahrhunderts) auf 88 Blättern mit 203 Holzschnitten (von 101 Holzstöcken), die ersten deutschsprachigen illustrierten Bücher überhaupt. 2 1462 druckte Pfister Von den vier Historien mit 61 Holzschnitten und 1462 eine Biblia pauperum, schließlich 1464 einen nicht illustrierten Belial mit 96 Blatt, wiederum in deutscher Sprache. Diese inhaltlich und volkssprachlich überaus interessante Produktion Pfisters mit der Type der 36-zeiligen Bibel ist aber – schon auf den ersten Blick erkennbar – von Setzern hergestellt worden, die das Gutenbergische System der Anschlussbuchstaben und deren ästhetische Perfektionierung (noch) nicht verstanden hatten. 3 Heinrich Keffer zog wohl schon Anfang der sechziger Jahre nach Nürnberg weiter und hinterließ Pfister in Bamberg offensichtlich sein Typenmaterial. Keffer erwarb 1472 in Nürnberg das Bürgerrecht und wurde dort – mindestens seit 1473, da er im Kolophon der Pantheologia des Rainerius de Pisis vom 8. April 1473 (Hain 13015) mit aufgeführt wird - Partner des Nürnberger Erstdruckers Johannes Sensenschmidt aus Eger und verstarb wahrscheinlich 1474/75. Es gibt Hinweise, dass auch Sensenschmidt am Druck der B 36 in Bamberg beteiligt war ; spätestens 1469 druckte er in Nürnberg theologische, juristische und kanonistische Werke. 4  

Eltville Noch zu Lebzeiten von Johannes Gutenberg wurde 1467 in Eltville im Rheingau, wo er 1465 zum Hofmann des Kurfürsten und Bischofs von Mainz ernannt worden war, eine kleine Druckerei eingerichtet. 5 Das Typenmaterial stammte aus der „Druckerei des Catholicon“, die 1460 in Mainz, mit einiger Wahrscheinlichkeit von Johannes Gutenberg betrieben wurde. 6 Die Einrichtungsgegenstände dieser Druckerwerkstatt gehörten eventuell dem Mainzer Humanisten und Stadtschreiber Dr. Konrad Humery, 7 der sie dem verschuldeten Johannes Gutenberg ab 1455 1

  Aloys Ruppel, Johannes Gutenberg. Sein Leben und Werk, Berlin, Gebr. Mann, 1939, S. 135-140.   Vgl. das Faksimile mit Kommentar : Ulrich Boner, Der Edelstein. Einleitung von Doris Fouquet, Stuttgart, Müller und Schindler, 1972. 3   Ruppel, Gutenberg, S. 140-142 ; Ferdinand Geldner, Die Buchdruckerkunst im alten Bamberg 1458/59 bis 1519, Bamberg, Meisenbach, 1964, S. 17-39. 4   F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. I. S. 161 f. 5   Hans Widmann, Eltvilles Anteil am Frühdruck, Wiesbaden, Ritter, 1970 (=Eltviller Drucke 19). 6   F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. i., S. 28f. und 108f. 7   Füssel, Gutenberg (2007), S. 75-78 ; Franz-Josef Worstbrock, Konrad Humery, in Die deutsche Literatur des Mittelalters, Verfasserlexikon Bd. 4. Berlin-New York, de Gruyter, 1983, Sp. 301-304. 2







die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 61 zur weiteren Arbeit überließ. Wir können dies daraus erschließen, dass Humery nach dem Tode von Gutenberg die hinterlassene Druckereieinrichtung, die sein Eigentum war, zurück erhielt und sich am 26. Februar 1468 verpflichtete, damit nur in der Stadt Mainz selbst zu drucken oder sie an einen Mainzer Bürger zu verkaufen. Es ist vorstellbar, dass ein Teil dieser Typen zuvor an die Brüder Bechtermünze in Eltville weitergegeben wurde. Heinrich Bechtermünze verstarb 1467, sein Bruder Nicolaus gab zusammen mit Wigand Spyeß von Orthenberg 1467 einen Auszug aus dem Catholicon, den Vocabularius ex quo, 1 heraus (Copinger 6311), eine zweite Ausgabe 1469 (Copinger 6312). 2 Die Bechtermünze gossen offensichtlich diese Type nach, mit der sie die Summa de articulis fidei des Thomas von Aquin 1472 druckten, ebenfalls eine dritte Ausgabe des Vocabularius ex quo (Copinger 6313) 1472 und eine vierte 1476. Danach sind mit einigem Abstand nur noch Kleindrucke nachweisbar, eventuell ein Ablassbrief oder eine Einladung zum Armbrustschießen 1480. Basel Es ist sicher nicht zufällig, dass die durch den Handelsweg des Rheins verbundenen Städte Köln, Eltville, Mainz, Straßburg und Basel zu den frühesten Druckerstädten in Deutschland gehören. Nicht zuletzt ließ sich auf diesem Wege das Papier aus den zumeist in Süddeutschland ansässigen Papiermühlen leicht transportieren. Severin Corsten hat zu Recht darauf hingewiesen, dass die Beschaffungswege für Papier und sein Preis zu den entscheidenden Faktoren einer Wirtschaftlichkeitsberechnung zur Einrichtung einer Druckerwerkstatt gehörten. Der Papierbedarf in der 2. Hälfte des 15. Jahrhunderts wurde ganz wesentlich durch die Buchdruckerkunst gesteuert und geprägt, da der Papierverbrauch in den Kanzleien etc. dagegen nur in einem verschwindenden Prozentsatz bestand. 3 Das Papier ließ sich nicht nur leicht auf dem Rhein transportieren, sondern die Haupthandelsstädte besaßen auch ein Stapelrecht, d. h. die vorbeifahrenden Schiffskaufleute mussten ihre Ware in den Städten zum Verkauf anbieten. Corsten geht so weit zu vermuten, dass dies auch ein Grund war, warum in Straßburg und Mainz mehr Folioformate verarbeitet werden konnten, in Köln aber zunächst kleinere Quartformate, da nicht mehr genügend Papier „durchgelassen“ wurde. 4 Auf dem Handelsweg des Rheins nun wiederum ist Berthold Ruppel aus Hanau, der Eideshelfer Gutenbergs aus dem Helmarspergerschen Notariatsinstrument, nach Basel gekommen und dort Erstdrucker geworden. Wie Gutenberg gab er zunächst eine lateinische Bibel im Folioformat, vermutlich wohl schon 1468, heraus (GW 4207). 5 Ruppel gab nur lateinische Texte theologischer Provenienz heraus (Nicolaus von Lyra, Thomas von Aquino, Papst Gregor I. u. a.), daneben das Digestum novum von Justinian (GW 7703). Deut1

  Klaus Grubmüller, Vocabularius ex quo, München, Niemeyer, 1967, S.75-100.   Hans Widmann, Mainzer Catholicon (GW 3182) und Eltviller Vocabularii, « Gutenberg-Jahrbuch », 1975, S. 38-48. 3   Severin Corsten, Köln und die Ausbreitung der Buchdruckerkunst in den Niederlanden, « Quaerendo » 1 4 (1971), S. 81-93 und S. 179-190.   S. Corsten, Köln und die Ausbreitung, S. 89. 5   F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, Bd. i., S. 109-114. 2









62 stephan füssel schsprachige oder illustrierte Drucke sind von ihm nicht bekannt. 1 In den 70er Jahren erwarb Ruppel das Baseler Bürgerrecht und brachte es in den ersten zehn Jahren zu einigem Wohlstand. Die Forschung schreibt seinen wirtschaftlichen Niedergang einer Fehlspekulation gemeinsam mit zwei Druckerkollegen, Michael Wenssler 2 und Bernhard Richel (auch : Reichel oder Rychel), 3 zu. Gemeinsam druckten sie den Decretalien-Kommentar des Nikolaus Panormitanus (Hain 12309), der offensichtlich – von allen dreien beklagt – ein großer wirtschaftlicher Misserfolg wurde. Bis zu seinem Tod 1495 war Ruppel danach offensichtlich nur noch als Lohndrucker und im Papierhandel in Basel tätig.  

Straßburg Johannes Gutenberg hatte in den Jahren 1434 bis mindestens 1444 in Straßburg gelebt und in dieser Phase wichtige Schritte hin zu einer seriellen Massenproduktion mit Wallfahrtsspiegeln entwickelt, aber auch schon am Guss von Bleilettern und der Entwicklung einer Presse gearbeitet. 4 Es lassen sich auf der anderen Seite aber keinerlei Brücken zwischen den Personen seiner damaligen Gesellschaft und dem frühen Buchdruck in Straßburg nachweisen. Zu den ersten Druckern in Straßburg gehörten der in Schlettstadt im Elsass um 1410 geborene Johannes Mentelin (gest. 12. Dezember 1478 in Straßburg) und Heinrich Eggestein (um 1420 in Rosheim bei Straßburg geboren, ca. 1488 in Straßburg verstorben). Eggestein ist in den Jahren der Anwesenheit von Gutenberg in Straßburg dort ebenfalls nachzuweisen, er war bereits 1440 Siegelträger des Straßburger Probsteigerichtes und erwarb 1442 das Bürgerrecht. Die Möglichkeit, dass sich Eggestein und Gutenberg kennenlernten, ist durchaus naheliegend, aber nicht nachzuweisen. Da Eggestein 1457 sein Bürgerrecht auf kündigte und es 1459 wieder erwarb, wird in der Forschungsliteratur immer wieder spekuliert, dass er möglicherweise bei Gutenberg in Mainz das Druckerhandwerk erlernte. 1459 und 1461 ist er wieder in Straßburg nachweisbar, seit 1464 bis zu seinem Tod 1488 war Eggestein ein erfolgreicher Drucker, der – wieder einmal – mit einer lateinischen Bibel 1466 begann (GW 4205), darüber hinaus das kanonische und zivile Recht, u. a. die Erstausgabe des Decretum Gratiani 1471 (Hain 7883) herausgab, daneben auch Vergils Bucolica (Copinger 6111) oder Ciceros Klassiker De Officiis 1472 (GW 6923), aber auch zeitgenössische humanistische Literatur wurde von ihm verlegt, wie etwa der Ackermann von Böhmen 1474 (GW 179) oder von Francesco Petrarca De remediis utriusque fortunae (Hain 12790). 5 Möglicherweise ist also Eggestein die persönliche Brücke von Mainz zum Straßburger Buchdruck ; der erste Drucker ist aber Johannes Mentelin, der seit 1447 das Straßburger Bürgerrecht besaß und als Kalligraph und bischöflicher Notar fungier 

1   Frederick R. Goff, Variations in Berthold Ruppels Bible, the first book printed in Switzerland, « Gutenberg-Jahrbuch » 1972, S. 66-78. 2   G. D. Painter, M. Wenssler’s devices and their predecessors, with special reference to Fust and Schöffer, « Gutenberg-Jahrbuch » 1959, S. 211-219 ; F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, S. 113f. 3   F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, S. 114-116 ; Arnold Pfister, Das deutsche Speculum humanae salvationis und der frühe Basler Inkunabelholzschnitt, Basel, Frobenius, 1937. 4   S. Füssel, Gutenberg. Il mondo cambiato, S. 14-16. 5   F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, S. 60-62.  











die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 63 te. Mentelin (1410-1478) verwendete anderes Typenmaterial als die Mainzer Offizin : eine Antiqua-Type und eine Gotico-Antiqua. Er verzichtete weitgehend auf Initialen oder Holzschnitte, sorgte aber für philologisch exakte Ausgaben der Kirchenväter Augustinus, Thomas von Aquin, Hieronymus und Albertus Magnus. Der erste firmierte Druck ist der Tractatus de arte praedicandi von Augustinus aus dem Jahre 1465 (GW 2871). Da mit denselben Typen bereits 1460 eine 49-zeilige lateinische Bibel gedruckt wurde (GW 4203), ist diese auch Mentelin zugeschrieben und der Beginn seines Buchdrucks mit etwa 1460 festgelegt worden. 1 Er druckte in seiner Gotico-Antiqua-Type über 40 Drucke theologisch-philosophischer Provenienz, aber auch die Opera des Vergil (um 1470) und die Comoediae des Terenz. Mentelin wird auch zum Vorreiter des deutschsprachigen Buchdrucks in Oberdeutschland, da er den Parzival Wolframs von Eschenbach 1477 (Hain 6684) und den Jüngeren Titurel (um 1477, Hain 6683) druckte und sein bis heute bekanntestes Werk, die erste gedruckte deutsche Bibelübersetzung von 1466, die sog. Mentelin-Bibel. Er benutzte dazu eine ältere Übersetzung aus dem 14. Jahrhundert aus dem fränkischen Raum, die nach dem Prinzip „Wort für Wort“ aus dem Lateinischen übertragen worden war. Sie konnte daher im Prinzip nur von den Lesern verstanden werden, die auch die lateinische Grammatik beherrschten. Trotz der veralteten Sprachform wurde sie offensichtlich mit großem Interesse rezipiert und nachfolgend immer wieder revidiert und sprachlich angepasst. Trotz ihrer veralteten Sprache wurde die Bibel bis 1518 insgesamt 13-mal, darunter 9-mal allein in Augsburg nachgedruckt. In der 2. und 3. Ausgabe, die 1470 bei Heinrich Eggestein in Straßburg und 1475 bei Jodokus Pflanzmann in Augsburg erschienen, wurden vereinzelte ungebräuchliche Worte ersetzt, jedoch wurde erst die 4. Ausgabe, die 1475 bei Günther Zainer (um 1420 bis 1478) in Augsburg gedruckt wurde, einer gründlichen Textrevision anhand der Vulgata unterzogen. Bis zur vollständigen Neuübersetzung von Martin Luther ab 1523 bis 1534 war die Tradition dieser deutschsprachigen Bibelübersetzung wegweisend. 2 Die weitere Entwicklung im deutschen Südwesten ging auf Straßburger Wurzeln zurück : Die Erstdrucker von Augsburg 1468 (Günther Zainer), Ulm 1473 ( Johannes Zainer), Esslingen 1473 (Conrad F(e)yner), Reutlingen 1476 (Michael Greyff ), Heidelberg 1485 (Heinrich Knoblochtzer, zuvor Drucker in Straßburg) und Pforzheim 1495 (Thomas Anselm, zuvor Drucker in Straßburg) haben alle ihr Handwerk in Straßburg erlernt oder dort zuerst ausgeübt. 3  



Köln Während wir wissen, dass die Ausbreitung des Buchdrucks Richtung Bamberg in Gestalt von Heinrich Keffer und in Richtung Basel in Gestalt von Berthold Ruppel 1   Immer noch grundlegend : Karl Schorbach, Der Straßburger Frühdrucker Johannes Mentelin (14581478), Mainz, Gütenberg-Gesellschaft, 1932 ; F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, S. 55-59. 2   Vgl. : Die deutsche Bibel vor Luther in : Stephan Füssel, Das Buch der Bücher. Die Luther-Bibel von 1534. Kulturhistorische Einführung, (Kommentarband zum Reprint der Cranach-Bibel von 1534.), Köln, London u. a. : Taschen, 2002, hier S. 15-29. 3   Vgl. den vorbildlichen Katalog der Ausstellung Der Frühdruck im deutschen Südwesten 1473-1500. Eine Ausstellung der Württembergischen Landesbibliothek Stuttgart 1979. Katalog : Peter Amelung, Bd 1 : Ulm.  













64 stephan füssel aus dem Gesellenkreis von Johannes Gutenberg erfolgte, können wir einen Mitarbeiter von Fust und Schöffer als Kölner Erstdrucker identifizieren. Es handelt sich um Ulrich Zell aus Hanau (ca. 1435-1503), der bei Peter Schöffer gelernt hatte, und auch in den nachfolgenden Jahrzehnten im engen Kontakt mit ihm blieb. 1 Er hatte an der zum Erzbistum Mainz gehörenden Universität Erfurt studiert, wo er 1453 immatrikuliert worden war. Bei der Ankunft in Köln 1464 nannte er sich Clericus der Mainzer Diözese. 2 Zell, der es in den ersten 20 Jahren seines geschäftlichen Wirkens zu einigem Reichtum brachte, das Kölner Bürgerrecht erwarb und eine vermögende Patriziertochter heiratete, hatte in den letzten 20 Lebensjahren finanzielle Schwierigkeiten. Er starb nach August 1503. Zu der uns hier interessierenden Ersteinrichtung einer Buchdruckerei in Köln ist zu erwähnen, dass er sich sofort im Juni 1464 in die ArtesFakultät der Universität eintragen ließ, um die Vorrechte eines Civis Academicus zu erwerben. 3 Sein erster datierter Druck erschien 1466, eine Abhandlung über den 50. Psalm von dem spätantiken Kirchenlehrer Johannes Chrysostomus (gest. 407) Super Psalmo Quinquagesimo (Hain 5032). Der kleinformatige Quartdruck mit nur zehn Blatt entsprach seiner Publikationsstrategie, sich den Markt in Köln erst einmal zu erschließen. 4 Er verwendete eine eng gefasste Gotico-Antiqua, die der von Schöffer nahekommt. Seine frühen Drucke entsprechen noch ganz dem Handschriftenvorbild, d.h. es wird kein Titelblatt vorgeschaltet, die zahlreichen in der lateinischen Handschrift üblichen Abkürzungen (wie auch bei der Gutenberg-Bibel etc.) werden verwendet und ein Rubrikator musste noch Initialen oder Seitenzahlen nachtragen. Diese Drucke sind erkennbar in der „Wiegenzeit“ des frühen Buchdrucks entstanden von einem Drucker, der das Handwerk noch nicht in Vollendung beherrschte. Allerdings fand er relativ schnell seine Zielgruppe, nämlich die Käufer der theologischen Literatur. Von den rund 100 Drucken, die er in den ersten zehn Jahren herausbrachte, sind 80 theologischen Inhalts. 5 Die Texte fanden bei den Geistlichen regen Absatz, da es sich in der Regel um kleinere Traktate erbaulichen Inhalts handelte. Anfang der 1470er Jahre konnte er bereits zwei Häuser erwerben und hatte offensichtlich, wie Severin Corsten aus den heutigen Auf bewahrungsorten seiner Inkunabeln geschlossen hat, die Fernhandelsbeziehungen Kölns über den Rhein weitsichtig genutzt. 6 Ebenso offensichtlich hatte er eine Vertriebsgemeinschaft mit Peter Schöffer, wonach er die Schöffer-Drucke in Köln und Schöffer die Zell-Drucke in Süddeutschland vertrieb. 7 Nach diesem frühen Anfang von Ulrich Zell blühte der Kölner Buchdruck rasch auf, 1473 arbeiteten bereits sieben Offizinen nebeneinander. 1   Johann Jakob Merlo, Otto Zaretzky, Ulrich Zell. Kölns erster Drucker, Köln, Kölner Verlagsanstalt, 1900 ; F. Geldner, Die deutschen Inkunabeldrucker, Bd. 1, S. 87-89. 2   Severin Corsten, Die Blütezeit des Kölner Buchdrucks (15. bis 17. Jahrhundert), « Rheinische Vierteljahrsblätter » 40 (1976), S. 130-149, hier S. 136f. Vgl. auch Ders., Ulrich Zells deutschsprachige Drucke, « Gutenberg3 Jahrbuch » 40 (1965), S. 110-117.   F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. I., S. 87. 4   Severin Corsten, Ulrich Zells früheste Produktion, « Gutenberg-Jahrbuch » 2007, S. 68-76. 5   Ernst Voulliéme, Der Buchdruck Kölns bis zum Ende des 15. Jahrhunderts. Ein Beitrag zur Inkunabelbibliographie, Bonn, 1903 (Neudruck Düsseldorf, Draste, 1978), S. ic. 6   S. Corsten, Die Blütezeit des Kölner Buchdrucks, S. 142. 7   Vgl. Hermann Knaus, Schöffers Handel mit Zell-Drucken, « Gutenberg-Jahrbuch », 1949, S. 91f.  

















die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 65 Ein Geselle von Zell, Arnold Ther Hoernen, immatrikulierte sich am 4. Mai 1468 an der Universität Köln und druckte bis zu seinem frühen Tode 1482 ein ähnlich theologisch-erbaulich geprägtes Programm wie sein Lehrmeister, dazu aber auch gängige, an den Bestsellern der Handschriften orientierte römisch-klassische und humanistische Schriften, darunter Plutarch, Aristoteles, aber auch die des in Deutschland bekannten Humanisten Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), der als Pius II. seit 1458 als Papst in Rom residierte. Zell hatte u. a. dessen Frühwerk, den weit verbreiteten Liebesroman De duobus amantibus publiziert, der später mit seinem stärker reflektiertenden De remedio amores zusammen gedruckt und vertrieben wurde. Ther Hoernen ist bekannt geworden durch den Druck der Werke des Kölner Kartäuserpaters und Historikers Werner Rolevinck (1425-1503), dessen Predigten, aber vor allen Dingen auch dessen Fasciculus temporum er mit großem Erfolg publizierte, nun auch bereits Drucke, die mit Holzschnitten aufwändig geziert waren. 1 Dass Ther Hoernen enge Beziehungen zu den Reformpriestern der „Brüder vom gemeinsamen Leben“ unterhielt, sicherte ihm in Köln erhebliche Aufmerksamkeit. 1472 ließ sich in Köln ein weiterer Drucker nieder, der ebenfalls aus der Diözese Mainz stammte, Johannes Schilling (genannt Solidi) aus Winternheim, der an der Universität Basel 1465 den Magistergrad erhalten hatte. Er druckte nur drei Jahre in Köln, vor allem klassisch-humanistische und zeitgenössische humanistische Literatur, darunter Ciceros Cato Maior oder Boccaccios Genealogia deorum. Köln wurde zur Schaltstelle der Verbreitung des Buchdrucks in den Niederlanden : der Frühdrucker in Aalst (Flandern), Johann von Westfalen, hatte – von Venedig kommend – 1473 in Köln Station gemacht, bevor er in Aalst eine Druckerei gründete und dann den Geschäftssitz nach Löwen verlegte. 2 Der Typenschneider und Buchdrucker Johann Veldener aus dem Bistum Würzburg hat nach Meinung von Severin Corsten zunächst in Köln für Arnold ther Hoernen und Johann Schilling Matrizen gefertigt, bevor er 1473 in Löwen und ab 1478 in Utrecht eine eigene Offizin unterhielt. 3 Auch der weitere europäische Buchdruck hatte in vielen Fällen seine Wurzeln in Köln : Der Londoner Erstdrucker William Caxton (1422-1491), ein gebildeter Tuchkaufmann – der 30 Jahre lang am Handelsplatz in Brügge als Leiter der Merchant Adventurers, der Auslandsorganisation der englischen Kaufleute, tätig war – lebte in den Jahren 1471/72 in Köln und lernte vermutlich in der Werkstatt des genannten Schriftgießers und Druckers Johann Veldener die Buchdruckerkunst kennen. 4 Dieser goss ihm auch seine ersten Typen, mit denen er 1474 in Brügge das erste Buch in englischer Sprache drucken ließ, das von Caxton selbst aus dem Französischen ins Englische übertragene Recuyell of the Historyes of Troye. In Westminster eröffnete er  



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  Francisco J. Cornejo, Iconografía de las ilustraciones del Fasciculus temporum, de Werner Rolevinck, « Gutenberg-Jahrbuch », 2011, S. 27-55. 2   Le cinquième centenaire de l’imprimerie dans les anciens Pays-Bas, Bruxelles, Bibliothèque royale Albert er I , 1973, S. 105-127 ; Severin Corsten, Beobachtungen zur Lebensgeschichte Johanns von Westfalen, « Gutenberg-Jahrbuch », 1958, S. 90-95. 3   Severin Corsten, Köln und die Ausbreitung der Buchdruckerkunst in den Niederlanden, « Quaerendo », 1 (1971), S. 81-89 u. hier besonders S. 179-190. 4   Severin Corsten, Caxton in Köln In : Ders. : Studien zum Kölner Frühdruck, Köln, Greven, 1985, S. 169194, bes. S. 183-186.  

















66 stephan füssel dann 1476 die erste Druckerei in England mit einem Ablassbrief und Geoffrey Chaucers Canterbury Tales (1476). 1 3. Die Ausbreitung nach Italien : Italien/Subiaco/Rom/Foligno/Venedig  

Entscheidend für die Verbreitung des Buchdrucks wurde aber vor allem der Weg über die Alpen : bereits 1465 arbeiteten die deutschen Buchdrucker Konrad Sweynheim († 1477) und Arnold Pannartz († 1477) im Benediktinerkloster Santa Scolastica in Subiaco bei Rom. Die Frage, warum sich relativ viele deutsche Buchdrucker in Italien ansiedelten, ist nicht für diesen Berufsstand allein zu beantworten, sondern im Kontext einer Migrationswelle, die zahlreiche Handwerker, Künstler und Intellektuelle in die italienischen Handels- und Kirchenstädte zog. In Italien finden wir im 15. Jahrhundert auch nicht wenige Patriziersöhne aus Nürnberg oder Augsburg, die Medizin oder Jura in den italienischen Universitäten studieren wollten. In der ersten Hälfte des 15. Jahrhunderts gewann Rom durch die Rückkehr des Papsttums und der Kurie aus dem Avignoner Exil erneut eine erhebliche Anziehungskraft, die sich nach dem groß gefeierten Heiligen Jahr 1450 durch die einsetzenden Bauten und Förderung von Künstlern durch die Renaissance-Päpste noch einmal steigerte. 2 In Rom finden sich deutsche Bäcker, Müller und Schuhmacher, Barbiere und Bader, Kürschner, Schneider, auch Uhrmacher und Feinmechaniker, Goldschmiede, schließlich Kaufleute und Bankiers, aber auch Lautenmacher und Kleriker. Ab 1465 sind auch zahlreiche Buchdrucker in Rom nachweisbar, bis 1480 sogar 22 deutsche Drucker. Sie standen alle offensichtlich der Kurie nahe und genossen dort großes Ansehen. Diese Nähe zur Kurie versetzte sie auch in die Lage, sich um Pfründenstellen zu bewerben. Und seit Mitte des 15. Jahrhunderts gab es zwei deutsche Bruderschaften und Kirchen in Rom, einmal die Santa Maria dell‘Anima und die Santa Maria della Pietà in Campo Santo dei Teutonici e Fiamminghi (Campo Santo Teutonico), 3 die sich um die Belange der deutschen Sprachgruppe kümmerten. Zwei deutsche Drucker spielen für die Vermittlung der Buchdruckerkunst nach Italien, für die Geschichte der Typografie und für den Nord-Süd-Kulturtransfer eine ganz besondere Rolle, die deutschen Buchdrucker Konrad Sweynheim (ca. 1430 in Schwanheim an der Bergstraße geboren, 1476/7 in Rom verstorben) und Arnold Pannartz (gest. 1476 in Rom). Beide sind ab 1462 in Rom nachweisbar, bauten dann aber im Kloster Santa Scolastica in Subiaco in den Sabiner Bergen eine Druckerei auf, für die sie ihr in Mainz erworbenes Know-how einsetzen konnten. Da sie im  

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  Lotte Hellinga, William Caxton and early printing in England, London, British Library, 2010 ; The Cambridge History of the Book in Britain, Vol. iii., Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1999, besonders Cap. 5-9. 2   Vgl. u. a. Knut Schulz, Deutsche Handwerkergruppen im Rom des 15. und beginnenden 16. Jahrhunderts, in Stephan Füssel, Klaus A. Vogel, Deutsche Handwerker, Künstler und Gelehrte im Rom der Renaissance, Akten des interdisziplinären Symposions vom Mai 1999 im Deutschen Historischen Institut in Rom, Wiesbaden, Harrassowitz, 2001 (= Pirckheimer Jahrbuch Bd. 15/16), S. 11-25. 3   Vgl. dazu auch Uwe Israel, Fremde aus dem Norden. Transalpine Zuwanderer im spätmittelalterlichen Italien, Tübingen, Max Niemeyer, 2005.  

die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 67 Unterschied zu den Frühdruckern in Bamberg kein Typenmaterial aus Mainz mitbrachten, entwarfen, schnitten und gossen sie nach den hier vorhandenen Handschriften die erste humanistische Antiqua für den Buchdruck. 1 Die Frage, warum die beiden deutschen Buchdrucker nicht in Rom, sondern in Subiaco ihre neue Druckerei einrichteten, ist vielfältig diskutiert worden, gerade auch durch die gründliche Analyse der Dokumente der Vatikanischen Archive. 2 Die Idee, dass die beiden Frühdrucker auf Einladung der Benediktinermönche nach Subiaco gekommen sind, findet sich bereits 1924 bei Konrad Haebler. 3 Die kirchenhistorischen Studien der letzten Jahre untermauern diese These, indem sie den Reformkonvent und die nationale Zusammensetzung der Mönche und Brüder in Subiaco näher betrachten. 4 In Subiaco hatten sich seit dem 13. Jahrhundert zwei Konvente gebildet, die Mutterabtei Santa Scolastica und das Felsenkloster San Benedetto. Seit 1276 war die Abtwahl vom Konvent an den Papst delegiert worden, der das Kloster ab 1455 als Kommende führte, d. h. die Pfründe einer dritten Person (ohne Amtspflichten) übertragen konnte. Die beiden Konvente handelten relativ selbstständig, suchten allerdings manchmal Schutz bei der Kurie gegenüber den exemten Äbten. 5 Um die Reform der Konvente durchsetzen zu können, bemühte man sich, reformwillige, ortsfremde Mönche, zum Teil von außerhalb Italiens, heranzuziehen. 6 So stammten von den 280 Mönchen, die von 1360 bis 1515 in Subiaco namentlich bekannt sind, nur 83 aus Italien. 110 kamen dagegen aus deutschen Ländern. Die Deutschen nahmen immer mehr zu, bis sie 1511 95% erreichten. Im Jahr 1464, als Sweynheim und Pannartz in Subiaco ankamen, waren dort 18 Konventualen verzeichnet, von denen nur zwei Brüder aus Italien stammten, einer aus Norcia, dem Geburtsort des Hl. Benedikts, der andere aus Sizilien. Die Übrigen kamen aus Frankreich oder aus den Ländern deutscher Zunge. Die beiden Drucker fanden offensichtlich interessierte Brüder vor, mit guten philologischen 1   Herbert E. Brekle, Anmerkungen zur Klassifikations- und Prioritätsdiskussion um die frühesten DruckAntiquaschriften in Deutschland und Italien, « Gutenberg-Jahrbuch », 1993, S. 30-43, hier S. 30-35 : « Für unsere Analyseziele reicht es aus, festzustellen, dass es sich bei der Type 120 SG um eine – wie auch immer geglückte – Nachbildung einer Humanistenschrift […] und nicht schon um eine von handschriftlichen Vorbildern emanzipierte Druck-Antiqua handelt ». 2   Arnold Esch, Deutsche Frühdrucker in Rom in den Registern Papst Pauls II, « Gutenberg-Jahrbuch », 1993, S. 44-52 ; ders. : I prototipografi tedeschi a Roma e a Subiaco. Nuovi dati dai registri vaticani su durata del soggiorno, status e condizioni di vita, in Subiaco, la culla della stampa, Subiaco, iter edizioni, 2010, S. 53-64.Vgl. auch Uwe Israel, Romnähe und Klosterreform. Oder : Warum die erste Druckerpresse Italiens in der Benediktinerabtei Subiaco stand, « Archiv für Kulturgeschichte » 88. Bd. (2006), S. 279-296. Massimo Miglio, Da Magonza a Subiaco : per una storia della prototipografia sublacenze, in La culla della stampa italiana. Subiaco 1965, S. iii-xiv. 3   Konrad Haebler, Die deutschen Buchdrucker des xv . Jahrhunderts im Auslande, München, Rosenthal, 1924, S. 8-13. 4   Barbara Frank, Subiaco, ein Reformkonvent des späten Mittelalters. Zur Verfassung und Zusammensetzung der Sublazenser Mönchsgemeinschaft in der Zeit von 1362 bis 1514, « Quellen und Forschung aus italienischen Archiven und Bibliotheken » 52 (1972), S. 526-656. 5   Vgl. Uwe Israel, Romnähe und Klosterreform, S. 289. 6   Vgl. Uwe Israel, Reform durch Mönche aus der Ferne. Das Beispiel der Benediktinerabtei Subiaco, in ders. (hrsg.),Vita communis und ethnische Vielfalt. Multinational zusammengesetzte Klöster im Mittelalter. Akten des Studientags Rom 2005, Münster, lit, 2006, S. 157-178.  





























68 stephan füssel Kenntnissen, und eine reiche Kloster-bibliothek, die sowohl die inhaltlichen als auch die typografischen Vorbilder für den Buchdruck bot. Besonders interessant ist es, dass sich in der Klosterbibliothek mit Augustinus De Civitate Dei der Kodex erhalten hat, der offenbar die Druckvorlage bot. 1 Die Handschrift 2 weist zahlreiche Drucker-Vermerke auf (Lagenwechsel) und auch einen Daumenabdruck in Druckerschwärze. Ihr erster datierter Druck vom 29. Oktober 1465 war eine Werkausgabe des Kirchenvaters Lactantius (um 260 bis um 325). Aus dem Jahr 1465 stammt eine Ausgabe von Ciceros De Oratore, 1467 folgte dann die genannte Ausgabe von De Civitate Dei des Augustinus. Gerade mit diesem Buch machten die Mönche offensichtlich ein gutes Geschäft, da einer der frühesten erhaltenen Zollbelege für Druckwerke nachweist, dass das Kloster noch im Jahr 1468 – nach dem Weggang der beiden Buchdrucker – 60 Exemplare dieses Buches in Rom eingeführt hat. 3 Auch in den Folgejahren wurden von Subiaco nach Rom Bücher im Schätzwert von jeweils 1400 bis 3000 Dukaten geliefert. Offensichtlich haben die beiden Drucker technisches Know-how, das Typenmaterial, die Presse und auch das Bücherlager dem Kloster überlassen, als sie nach Rom weiterzogen. Sweynheim und Pannartz zogen 1467 nach Rom um, wo bereits Ulrich Han aus Ingolstadt (gest. ca. 1479) als Drucker arbeitete, der dort 1466 die Meditationes des Kardinals Juan de Torquemada (H 15722) reich illustriert herausgab und in den folgenden Jahren sowohl römische Autoren als auch kanonische Werke, päpstliche Bullen und Reden. Über die Druckwerke von Sweynheim und Pannartz sind wir dürch ihre enge Anbindung an die Kurie unterrichtet und vor allem durch eine Bittschrift, die der Bischof von Aléria, Giovanni Andrea Bussi (1412-1475), im Jahr 1472 an Papst Sixtus IV. richtete, worin er um Unterstützung bei dem Verkauf ihrer Lagerexemplare bat : offensichtlich gab es inzwischen Absatzschwierigkeiten. Daraus ist ersichtlich, dass sie eine durchschnittliche Auflage von 275 Exemplaren druckten, die meist nicht vollständig abgesetzt werden konnte. Lediglich die Ars minor des Donat, die offensichtlich bereits in Subiaco begonnen oder vielleicht auch schon dort gedruckt worden war, war vergriffen. In zahlreichen Eingaben wandten sich beide an die Kurie, für Dritte oder für sich selbst Pfründe zu erbitten. 1469 erbat Konrad Sweynheim für seine Pfarrkirche St. Michael in Schweinheim in der Diözese Mainz (wohl Schwanheim an der Bergstraße) einen Ablass von sieben Jahren. Bewilligt wurde kurzfristig ein Ablass von fünf Jahren. 4 Seit 1470 wird Sweynheim in den Akten als Kleriker der Diözese Mainz genannt, Pannartz als Kleriker der Diözese Köln. Sie waren also offensichtlich in ihrer Zeit in Subiaco noch keine Kleriker. 1472 im Mai bittet Sweynheim u. a. um eine Vikarie am Dom von Speyer, die er eine Woche danach zugunsten eines Mit 

1   Vgl. Carla Frova, Massimo Miglio, Dal ms. sublacenze xlii al’editio princepts del “De Civitate Dei” di sant’Agostino (H 2046), in Concetta Bianca u. a. : Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Aspetti e problemi, Città del Vaticano, 1980, S. 245-273. 2   Die Handschrift konnte im April 2012 in Subiaco eingesehen werden. 3   A. Esch, Deutsche Frühdrucker in Rom, « Gutenberg-Jahrbuch », 1993, S. 48. 4   A. Esch, Deutsche Frühdrucker in Rom, S. 48.  





die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 69 bewerbers ablehnt, im Oktober sich aber um eine Pfründe in Brandenburg bewirbt. Arnold Esch weist darauf hin, dass er in diesem Falle wohl einen Informationsvorsprung hatte, weil der Vorbesitzer gerade an der Kurie verstorben war. 1 Interessant ist auch ein Widmungsbrief des genannten Bischofs Giovanni Andrea Bussi an Papst Paul II. in der Ausgabe der Epistolae des Hl. Hieronymus, die Sweynheim und Pannartz 1468 in Rom druckten. Bussi, späterer Bibliothekar der Vaticana, preist in dieser Widmung die Bedeutung des Buchdrucks, die besondere Bedeutung der Erfindung für Deutschland und nennt vor allen Dingen Nikolaus von Kues als einen der größten Förderer dieser neuen Kunst :  

Deutschland ist in der Tat wert, geehrt und durch alle Jahrhunderte hochgepriesen zu werden, die Erfinderin der segensreichsten Kunst. Das ist auch der Grund dafür, dass die stets rühmenswerte und des Himmelreiches würdige Seele des Nikolaus von Kues, des Kardinals zu St. Peter ad Vincula, den heißen Wunsch hatte, dass diese heilige Kunst (sancta ars), die man damals in Deutschland entstehen sah, auch in Rom heimisch werde. Schon sind diese Wünsche (…) in Deiner Zeit erfüllt worden. 2

Der kurz zuvor 1464 verstorbene Nikolaus von Kues, der sich bereits 1452 wegen des Drucks eines Ablassbriefes nach Mainz gewandt hatte, und der sich Zeit seines Lebens für die Verbreitung des Wissens und der Glaubenslehre eingesetzt hatte, 3 wird hier von Bussi in einem Druckwerk von Sweynheim und Pannartz offen als direkter Vermittler zwischen der deutschen Buchdruckerkunst und der Entwicklung dieser Technik in Italien genannt. Es kann daher darüber nachgedacht werden, ob die deutschen Druckergesellen, die nach der Stiftsfehde 1462 Mainz verlassen mussten, möglicherweise durch seine Vermittlung in Rom bzw. in Subiaco ein Unterkommen fanden. Sweynheim und Pannartz fanden ebenso wie Ulrich Han möglicherweise einen weiteren kirchlichen Förderer in dem (seit 1455) Kommendatarabt des Klosters von Subiaco, Kardinal Johannes de Turrecremata 4 ( Juan de Torquemada, 1388-1468). Dessen Meditationes waren als Erstdruck in Rom 1466 bei Ulrich Han erschienen. Ulrich Han war in diesem Jahr bereits ein Familiare des Papstes geworden und konnte sich daher direkt an den Papst mit der Bitte um die Übertragung einer Kaplanei der Kirche St. Ulrich vor den Toren Wiens wenden. Aus der Produktion von Sweynheim und Pannartz stammt die am 24. Januar 1469 abgeschlossene Ausgabe von Ciceros De officiis. 5 Das prachtvolle, breitrandige Exemplar der Göttinger Universitätsbibliothek mit ihrer gleichmäßigen AntiquaType besitzt ein Titelblatt mit einem geschlossenen Rankenrahmen, der oberitalie1

  Ebd., S. 49.   Giovanni Andrea Bussi, Prefazioni alle edizioni di Sweynheym e Pannartz prototipografi romani. Hrsg. v. Massimo Miglio (« Documenti sulle arti del libro », 12), Milano, Edizioni Il Polifilo, 1978, S. 4-6 und S. 17-19. 3   Kai-Michael Sprenger, volumus tamen, quod expressio fiat ante finem mensis Maii presentis – Sollte Gutenberg 1452 im Auftrag Nikolaus von Kues‘ Ablaßbriefe drucken ? « Gutenberg-Jahrbuch » 1999, S. 42-57 ; Karin Emmrich, St. Viktor bei Mainz, Nikolaus von Kues und der frühe Buchdruck – Klerikerkarrieren im Umfeld Johannes Gutenbergs, « Gutenberg-Jahrbuch » 2001, S. 87-97. 4   Zur Diskussion dieser Frage vgl. Uwe Israel, Romnähe und Klosterreform, S. 284 f. 5   Vgl. die Abbildung bei Füssel, Gutenberg. Il mondo cambiato, Abb. 22 (GW 6924). 2

















70 stephan füssel nische Einflüsse zeigt. Die Antiqua-Type ist nun sehr ausgereift im Unterschied zu der noch dem Handschriftenvorbild anhängenden Antiqua-Type aus Subiaco. Die deutschen Drucker haben also in Italien ihre handwerklichen Kenntnisse verfeinert. In den sechs Jahren (1467-73), in denen Sweynheim und Pannartz gemeinsam in Rom druckten, gaben sie etwa 48 Titel mit vermutlich 12.475 Exemplaren heraus, über die Hälfte davon römische Klassiker. In den letzten Lebensjahren widmete sich Sweynheim der Herausgabe der Cosmographia des Ptolemaeus (H 13538). Im Vorwort von 1477 ist vermerkt, dass er vor Abschluss der Arbeiten verstorben ist. Foligno Johannes Numeister (später : Neumeister) hat offensichtlich zwischen 1455 und 1457 bei Gutenberg in Mainz gelernt (sowohl die Qualität seines Satzes als auch die Ähnlichkeit der Schrift zur B 42 sind auffällig), hielt sich nach 1462 in Italien auf (vorher eventuell in Bamberg oder Nürnberg). 1 Ab 1470 führt er in Foligno in der Provinz Perugia den Buchdruck ein, nachdem er dort mit dem päpstlichen Münzmeister Emiliano di Piermatteo degli Orfini eine Gesellschaft gegründet hatte. Ihr erstes Werk war die Erstausgabe von De bello Italico adversus Gothos von Leonardo Bruni Aretino (GW 5600). Im Kolophon erwähnt er weitere Gesellschafter u.a. Steffen Arndes aus Hamburg, der in italienischen Urkunden auch „Stephanus de Moguntia“ genannt wird. Peruginer Urkunden verweisen auf diese frühere Tätigkeit von Arndes in Foligno und auf eine Zusammenarbeit mit dem westfälischen Drucker Johannes Vydenast (Widenast, gest. 1477) in Perugia. Dort publiziert er selbstständig seit 1481, bald danach in einer Gesellschaft mit den deutschen Druckern Gerhard Thomae und Paul Mechter. 2  

Numeister legte 1471 in Foligno Ciceros Epistolae ad familiares (GW 6804) vor. Von zentraler Bedeutung für die Geistes- und Druckgeschichte ist seine Erstausgabe von Dante Alighieris Divina Commedia aus dem Jahr 1472 (GW 7958). Die philologischen Untersuchungen ergaben, dass er sich bei der Textarbeit des aus Trevi stammenden Evangelista Angelini 3 versicherte, der den Text philologisch überarbeitete und mit umbrischem Dialekt versah. Druckhistorisch ist interessant, dass in den ersten Lagen erhebliche Varianten nachzuweisen sind, dass also offensichtlich in den laufenden Druck eingegriffen wurde. Als Besonderheit ist festzuhalten, dass sich die Druckvorlage, eine Handschrift aus der Seminarbibliothek in Belluno (Ms. Lolliniano 35), erhalten hat. 4 1   Ferdinand Geldner, Zum frühesten deutschen und italienischen Buchdruck (Mainz-Baiern-Foligno. Johannes Numeister und Ulrich Han), « Gutenberg-Jahrbuch », 1979, S. 18-38. Nicole Le Pottier, Matthieu Desachy, La production des ateliers dit de l’Aeneas Sylvius (non post 1475-1480) et de Jean Neumeister, dit Jean d’Albi (1481-1483), in Incunables albigeois. Les ateliers d’imprimerie de l’Aenas Sylvius (av. 1475-c.1480) et de Jean Neumeister (1481-1483), Hrsg. von Matthieu Desachy, Rodez, Editions du Rouergue, 2005, S. 38-47, hier S. 43 f. 2   Konrad Haebler, Die deutschen Buchdrucker im xv. Jahrhundert im Auslande, München, Rosenthal, 1924, S. 56f., 60-64. 3   Vgl. Paola Tentori, Evangelista Angelini in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 3, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1961. 4   Emanuele Casamassima, La prima edizione della Divina Commedia, Foligno 1472, Milano, Edizioni il Polifilo, 1972 (« Documenti sulle arti del libro », 9).  







die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 71 Numeister scheint Foligno 1472 verlassen zu haben, 1479 druckte er, mit hoher Wahrscheinlichkeit in Mainz, Torquemadas Meditationes (Hain 15 726). 1 Interessant ist, dass er für seine relativ einfachen Metallschnitte offensichtlich als Vorlage die Holzschnitte der Meditationes von Ulrich Han 1467 aus Rom (Hain 15722) verwendete. 2 Er wird von der Forschung oft als „Wanderdrucker“ bezeichnet, da er seine Tätigkeit in den nachfolgenden Jahrzehnten in Frankreich, in Albi und Lyon, 3 ausübte. In Albi druckte er erneut, mit den Metallschnitten des Mainzer Exemplars, die Meditationes 1481 (GW M 48252), ferner u.a. die Paradoxa Stoicorum Ciceros (GW 7012) und ein Missale Romanum (GW M 23908). 4 Möglicherweise eine französische Ausgabe von Jacobus de Teramos (1349-1417) Consolatio peccatorum unter dem Titel Procès de Bélial, übersetzt von Pierre Farget. 5 Von 1483 bis zu seinem Tod 1512 lebte er in Lyon und gab dort überwiegend liturgische Drucke heraus. Wie Frederic Barbier in seinem Beitrag in diesem Band detailliert nachweist, waren von 1477 bis 1500 zahlreiche deutsche Drucker und Buchhändler in Lyon tätig. 6 Venedig Ein weiterer früher italienischer Druckort, in dem anfangs deutsche Drucker wirkten, ist auf jeden Fall noch zu nennen : Venedig. 7 Johannes von Speyer, der in Mainzer Urkunden der Jahre 1460 und 1461 nachzuweisen ist, führte den Buchdruck in Venedig ein. Als Erstdruck gab er 1469 Ciceros Epistolae ad familiares (GW 6800) in einer Auflage von 300 Exemplaren heraus. Im Kolophon dieser Ausgabe brachte er das Wechselverhältnis zwischen Deutschen und Italienern auf einen einprägsamen Nenner.  

Un tempo ogni tedesco portava a casa dall’Italia un libro. Ciò che presero con sé, oggi un tedesco glielo ripaga ampiamente. Hans von Speyer, appunto, insuperato nelle arti Ha dimostrato, che i libri si scrivono meglio con lettere di metallo. 8

Besser kann auch das produktive Verhältnis zwischen Humanismus und Buchdruck, die sich gegenseitig stützen und bedingen, nicht beschrieben werden. Aufgrund dieser Ausgabe der Epistolae erhielt Johann von Speyer am 18. September 1469 vom venezianischen Stadtregiment das Monopol, für fünf Jahre den Buch1

  Exemplar des Gutenberg Museums in Mainz, Signatur Ink 1486.   F. Geldner, Zum frühesten deutschen und italienischen Buchdruck, ….., S. 18-38 ; Johannes Röll, Beobachtungen zu den Holzschnitten der Meditationes des Kardinals Juan de Torquemada, « Gutenberg-Jahrbuch », 1994, S. 50-59. 3   Vgl. Incunables albigeois. Les ateliers d’imprimerie de l’Aenas Sylvius (av. 1475- c.1480) et de Jean Neumeister (1481-1483), Hrsg. von Matthieu Desachy, Rodez, Editions du Rouergue, 2005. 4   Ebd., S. 62-65. 5   Exemplar in der Martinus Bibliothek der Diözese Mainz, Signatur : Inc 46. 6   Vgl. auch Frédéric Barbier, Emigrazione e trasferimenti culturali : i tipografi tedeschi e gli inizi della stampa in Francia nel xv secolo. In diesem Band S. X-Y. 7   Achille Bosisio, La stampa a Venezia delle origine al secolo xvi. I privilegi, gli stampatori, Trieste, ….., 1973 ; Marco Santoro, Geschichte des Buchhandels in Italien, Wiesbaden, Harrassowitz, 2003, S. 38-41. 8   Cicero, Epistolae ad familiares. Venezia, 1469 (GW 6800), Kolophon ; übersetzt in Füssel, Gutenberg, Il mondo cambiato, S 49. 2















72 stephan füssel druck in Venedig auszuüben. Da er allerdings bereits 1470 starb, führte sein Bruder Wendelin von 1470 bis 1477 die Druckerei fort. 1 Wendelin steigerte die Produktion erheblich und brachte 1470 bereits neun datierte Titel heraus, 1472 dreizehn Titel, vor allem klassisch-römische Schriften und juristische Werke. Wie sein Bruder druckte er zunächst mit einer sehr gefälligen Antiqua, später aber auch mit einer Rotunda. 2 Von besonderer Bedeutung ist die von Wendelin von Speyer 1471 auf Pergament gedruckte erste Bibel in italienischer Sprache, die von dem Kamaldulenser Abt Niccolò Malermi (1422-1481) übersetzt worden war. Der reich verzierte Anfang des Buches Genesis entspricht der Tradition norditalienischer Miniaturmalerei : das goldgrundierte Rankenwerk mit kräftigen Rot-, Blau- und Grüntönen, auf dem sich zahlreiche Putti tummeln, umzieht den Text, die Bildinitiale mit Gottvater und dem Titelholzschnitt, verschiedenen Szenen der Schöpfungsgeschichte, von der Erschaffung Adams bis zum Sündenfall und der Vertreibung aus dem Paradies. Die klare, kräftige Antiqua-Type ist für die venezianischen Drucke dieser frühen Jahre kennzeichnend. 3 Als ein wichtiges Zeugnis des volkssprachigen italienischen Humanismus druckte Wendelin von Speyer Dantes Divina Commedia (GW 1964) und den Canzoniere von Petrarca (1470). Wendelin von Speyer erfuhr eine verstärkte Konkurrenz durch die sich rasch ansiedelnden weiteren Drucker, darunter von Nicolas Jenson aus Sommevoir bei Troyes, der vorher bei dessen Bruder Johann Speyer mitgearbeitet hatte. Nicolas Jenson weist eine interessante gesamteuropäische Buchdruckerkarriere auf : König Karl VII. von Frankreich hat Jenson, den Stempelschneider der Königlichen Münze, im Oktober 1458 nach Mainz gesandt, um dort die Erfindung von Johannes Gutenberg kennenzulernen. 4 Jenson zog aber nach Venezia weiter und gab dort 1470 in einer besonders ausgewogenen und vorbildlichen Antiqua Schriften der lateinischen Klassiker und der Kirchenväter heraus. In seiner Gesellschaft waren außer der Witwe von Johann von Speyer auch zwei deutsche Kaufleute im Fondaco dei Tedeschi beteiligt. Kurze Zeit später vergrößerte er die Gesellschaft um zwei weitere deutsche, bisher selbstständige Drucker in Venedig, Johannes de Colonia und Johann Manthen aus Gerresheim (bei Düsseldorf ). Colonia und Manthen hatten beide zunächst bei den Brüdern Speyer gearbeitet und schlossen sich 1472 zu einer Gesellschaft zusammen, die 84 kanonistische, theologische und philosophische Werke herausbrachte. 1479/80 schlossen sie sich der Gesellschaft „Joannes de Colonia, Nicolaus Jenson et Socii“ an, die bis 1481 bestand. 5 In den Jahren danach  



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  F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. 2, S. 62-64.   F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. 2, S. 64-65 ; Frederick Richmond Goff, Illuminated woodcut borders and initials in early Venetian books (1469-1475), « Gutenberg-Jahrbuch », 1962, S. 380-389. 3   Vgl. die Abbildung des Exemplars aus der Herzog August Bibliothek in Wolfenbüttel. In : Stephan Füssel, Das Buch der Bücher. Die Luther-Bibel von 1534. Eine kulturhistorische Einführung. Kommentar zur Faksimile-Ausgabe der Cranach-Bibel von 1534, Köln u. a., Taschen, 2002, S. 27. 4   Alfred Swierk, Johannes Gutenberg als Erfinder in Zeugnissen seiner Zeit, in Der gegenwärtige Stand der Gutenberg-Forschung, Hrsg. v. Hans Widmann, Stuttgart, Hiersemann, 1972, S. 79-90 ; Martin Lowry, The social world of Nicolas Jenson and John of Cologne, « La Bibliophilia », 83 (1981), S. 191-218 ; M. Lowry, Nicholas Jenson and the Rise of Venetian Publishing in Renaissance Europe, Oxford, uk, 1991 ; K. Haebler, Die deutschen Buchdrucker des 15. Jahrhunderts im Auslande, S. 27-33. 5   M. Lowry, The social world, S. 216-218. 2



















die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 73 übernehmen federführend italienische Buchdrucker das Geschäft in Venedig, nur Erhard Ratdolt konnte sich bis 1485 halten. Erhard Ratdolt (1447-1528) war 1474 nach Venedig gekommen. 1 Er bildete dort ein Konsortium mit Peter Löslein, der aus Langenzenn bei Nürnberg stammte und mit Bernhard Maler (Pictor) aus Augsburg. 2 Bernhard Maler kümmerte sich offensichtlich in erster Linie um die Herstellung der Initialen und Randleisten, die zum Markenzeichen der Drucke dieses Konsortiums von 1476 bis 1478 wurden. Als Erstes brachten sie das Calendarium des Nürnberger Astronomen Johannes Müller ( Johannes Regiomontanus) in lateinischer und in italienischer Sprache (Copinger 13776 und 13789) heraus, das Regiomontanus selbst 1474 in Latein und in Deutsch in Nürnberg (Copinger 13775, Hain 13784) gedruckt hatte. Sie verwendeten dazu eine elegante venezianische Antiqua mit Zierbuchstaben und nahmen auch das von Regiomontanus in Nürnberg gedruckte Rankenwerk mit sogenannten Weißranken (italienisch : bianchi girari) auf und schufen mit diesem Werk das erste Buch mit einem vollständigen Titelblatt, das Autor, Titel, Druckort, Druckjahr und Drucker benennt. 3 In seinen hervorragend ausgestalteten Drucken entwickelte Ratdolt (vermutlich mit Hilfe von Maler) die Weißlinien-Initialen und im Weißlinien-Holzschnitt ausgeführte Rankenwerkeinfassungen weiter, die zu seinem Markenzeichen wurden. 4 Seit 1478 setzte das Konsortium (in seinem Breviarium Romanum (GW 5147)) eine Rotunda ein, die gefällige italienische Form einer gotischen Schrift, die zum ersten Mal Ulrich Han in Rom bei den Meditationes 1467 verwendet hatte. 5 Zwölf Werke erstellte Ratdolt mit seinem Konsortium, danach 61 Drucke in eigener Regie. Historisch besonders interessant ist seine Editio princeps der Elementa geometriae von Euclid (GW 9428), die er im Mai 1482 herausbrachte und die erstmals 620 mathematisch-geometrische Formen im Holzschnitt und aus Bleilinien zusammengesetzt enthält. 6 Nach ausgesprochen produktiven Jahren 1482-85 ging Ratdolt nach Augsburg zurück, was an der wachsenden Konkurrenz in Venedig gelegen haben mag. 7 Die  

1   Paul Geissler, Erhard Ratdolt, « Lebensbilder aus dem Bayerischen Schwaben » 9 (1966), S. 97-153 ; Werkverzeichnis S. 141-152. 2   K. Haebler, Die deutschen Buchdrucker des 15. Jahrhunderts im Auslande, S. 107-110 ; F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. 2, S. 72-80. 3   J. J. G. Alexander, Buchmalerei der italienischen Renaissance im 15. Jahrhundert, München, Prestel, 1977, S. 9f. ; Christoph Reske, Erhard Ratdolts Wirken in Venedig und Augsburg, in Venezianisch-deutsche Kulturbeziehungen in der Renaissance, Hrsg. v. Klaus Arnold, Franz Fuchs und Stephan Füssel (= PirckheimerJahrbuch Bd. 18), Wiesbaden, Harrassowitz, 2003, S. 25-43, hier S. 28f. – Eine Abbildung des Titelblatts der Ausgabe Venedig 1482 findet sich bei Colin Claer, A History of European Printing, London, New York, San Francisco, Academic Press, 1976, hier S. 42. 4   Vgl. Frederick R. Goff, Illuminated woodcut borders and initials in early Venetian books (1469-1475), « Gutenberg-Jahrbuch » 1962, S. 380-389 ; Lamberti Donati, I fregi xilografici stampati a mano negl’incunabuli italiani, « La Bibliophilia », 74 (1972), S. 157-164, 303-327 sowie 75 (1973) S. 125-174, hier S. 147. 5   Rudolf Juchhoff, Das Fortleben mittelalterlicher Schreibgewohnheiten in den Druckschriften des 15. Jahrhunderts. I. Italien, in Ders. : Kleine Schriften zur Frühdruckforschung, Hrsg. v. Richard Mummendey, Bonn, Bouvier, 1973, S. 11-35, hier S. 25. 6   Reske, Ratdolt, S. 33f. ; vgl. die Abbildung in S. Füssel, Gutenberg. Il mondo cambiato. Abb. Nr. 35. 7   Ingrid Bezzel, Ratdolt in Lexikon des gesamten Buchwesens. 2., völlig neu bearbeitete Auflage. Hrsg. v. Severin Corsten, Stephan Füssel und Günther Pflug. Bd. VI., Stuttgart, Hiersemann, 2003, S. 181 ; Reske, Ratdolt, S. 34-38.  

























74 stephan füssel Zahl der Druckereien und der hergestellten Werke hatte sich mit der Zeit in Venedig vervielfacht : 1485 gab es dort 31 Druckereien mit 94 Werken im Jahr. Zusätzlich lag Ratdolt eine Einladung des Augsburger Bischofs vor, dort die Liturgica im Auftrag der Diözese zu drucken. Schriftgeschichtlich hochinteressant ist sein vielfach zitiertes Schriftmusterblatt 1 vom 1. April 1486, in dem er interessanterweise neben drei Antiquaschnitten eine griechische und zehn Rotundaschnitte für seine künftige Augsburger Produktion anpries. Die Rotunda hatte sich in den zehn Jahren, sicher auch durch den Einfluss der modernen Rotunda von Nicolas Jenson, deutlich verändert und Ratdolts Schriftproben besaßen nun keine Bogenverbindungen (Ligaturen) mehr. Durch Ratdolts Initiative hat die Rotunda dann nach den 1485er Jahren in Deutschland einen wahren Siegeszug angetreten. 2 In Augsburg gab Ratdolt astronomische Werke heraus, zunehmend aber Liturgica, die wegen ihrer typografischen Qualität weit gerühmt wurden und mit Holzschnitten z. B. von Hans Burgkmair d. Ä. und Jörg Breu geziert wurden. Ratdolt hat sich insgesamt um die Herausarbeitung des Titelblattes, die Integration der Bianchi girari in den Buchdruck, um die Illustrierung mathematisch-geografischer Werke und später auch um den Notendruck verdient gemacht. 3 Ratdolt ist ein gutes Beispiel dafür, wie ein deutscher Buchdrucker in Italien wirken und bei seiner Rückkehr nach Deutschland von diesen Erfahrungen profitieren konnte.  

4. Buchdruck und Universitätsentwicklung Ein Gedanke, nämlich die enge Verzahnung von Buchdruck und universitärer Bildung soll hier nur noch kurz angesprochen werden : Der Vorteil der Buchdruckerkunst für die Verbreitung von Wissen und Kenntnissen wurde besonders an den Universitäten geschätzt und bald intensiv genutzt. Die erste Offizin in Frankreich befindet sich bezeichnenderweise als Universitätsdruckerei an der Sorbonne im Jahr 1470. Der Prior der Sorbonne, Johannes Heylin de Lapide (vom Stein) (1435-1496), und der Rektor und Universitätsbibliothekar Guillaume Fichet (1433-1480) beauftragten die drei deutschen Druckergesellen Ulrich Gering aus Konstanz († 1510), Michael Friburger aus Colmar († nach 1477) und Martin Crantz aus Straßburg (ca. 1440 bis 1480) 4 mit dem Druck von klassischen und humanistischen Schriften, für die sie eine relativ große Antiqua-Schrift verwendeten. Als erstes Buch erschienen bereits 1470 die Epistolae von Gasparinus Barzizius, die von Gering, Crantz und Friburger gedruckt wurden (GW 3675). 5 Herausgegeben wurden diese Epistolae von Johannes de Lapide und Guillaume Fichet selbst. Den Abschluss des Bandes bildet ein lateinisches Gedicht, in dem die Drucker ihre neue Werkstatt feiern :  



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  Einblattdrucke des xv. Jahrhunderts. Halle/Saale 1914 (Neudruck 1968), Nr. 1252.   Otto Mazal, Paläographie und Paläotypie. Zur Geschichte der Schrift im Zeitalter der Inkunabeln, Stuttgart, Hiersemann, 1984, S. 117 und 123. Die erste Rotunda war 1472 von Johann Koelhoff in Köln verwen3 det worden.   Vgl. Reske, Ratdolt, S. 42f. 4   F. Geldner, Inkunabeldrucker, Bd. 2, S 190-192 ; Jeanne Veyrin-Forrer, Les premiers ateliers typographiques parisiens in Villes d’imprimerie et moulins à papier du xive au xvie siècle, Bruxelles, 1976, S. 317-335. 5   Franz Stock, Die ersten deutschen Buchdrucker in Paris um 1500. Hrsg. und kommentiert von Ansgar Heckeroth und Hans-Walter Stork. Reprint der Ausgabe Freiburg 1940, Paderborn, Bonifatius, 1992. 2



die ausbreitung des buchdrucks in deutschland 75 « Wie die Sonne überallhin ihr Licht verbreitet, so nimm Du, Paris, die Hauptstadt des Königreichs und Nährerin der Musen, diese fast göttliche Kunst des Schreibens, die Deutschland erfand, als Belohnung hin. Sieh da, die ersten Bücher, die dieser Fleiß auf französischem Boden in Deinen eigenen Häusern verfertigte ! Die Meister Michael, Ulrich und Martin haben dies gedruckt und stellen noch andere her ». Aber nicht nur die Drucker, sondern auch ihre Förderer, die Universitätslehrer Fichet und Heynlin preisen immer wieder die Buchdruckerkunst und auch den Erfinder Johannes Gutenberg, z. B. in der Einleitung Guillaume Fichets in seiner Rhetorica und in einem Brief an Robert Gaguin 1471 :  







Ein gewisser Johannes, mit dem Beinamen Bonemontanus [Gutenberg] … hat als allererster die Druckkunst ersonnen, bei der nicht mit dem Schreibrohr, auch nicht mit der Feder, sondern mit Buchstaben aus Erz Bücher hergestellt werden, und dies in schneller, ansprechender und schöner Form. Darum verdient dieser Mann von allen Musen, allen Wissenschaftsfächern und allen Bücherfreunden mit göttlichem Lob geehrt zu werden. 1

Interessanterweise arbeiteten die drei Drucker Gering, Friburger und Crantz, von denen aus dieser Zeit an der Sorbonne 22 Titel bekannt sind, zu diesem Zeitpunkt nicht auf eigene Rechnung, sondern gegen feste Besoldung der Universität. 2 1473 machten sich die drei Drucker dann in der Rue St. Jacques (im Haus „Au Soleil d’or“) selbstständig und gaben nun bis 1478 die geläufige, ältere theologische oder juristische Literatur heraus, die z.T. schon in der Mainzer Uroffizin Gutenbergs die besten Gewinne versprach, nämlich eine Vulgata von 1476 (GW 4225) und das Rationale Divinorum Officiorum des mittelalterlichen französischen Theologen Guilelmus Durandus (Guillaume Durant, 1230/31-1296) im Jahr 1475. Es wurde oben schon darauf verwiesen, dass der frühe französische Buchdruck im besonderen Maße von deutschen Druckern beeinflusst wurde. 3 Auch die deutschen Buchdrucker in Spanien 4 könnten die enge Verzahnung zwischen der deutschen Buchdruckerkunst und ihrer europäischen Weiterentwicklung verdeutlichen. In diesem Sammelband werden diese Themen durch die Beiträge von Manuel-José Pedraza-Gracia und Fermin de los Reyes für Spanien 5 vertieft vorgestellt. Die deutschen wandernden Buchdruckergesellen der ersten zwanzig Jahre verbreiteten die neue Technik, arbeiten im Dienst der Kirche, im Geist des Humanismus und an den Universitäten für die Wissenschaft. Sie halfen, zusammen mit ihren Partnern in den anderen Ländern, ein europäisches Verbundnetz von Wissenschaft und Bildung zu schaffen, das die großen geistigen Herausforderungen der nachfolgenden Jahrhunderte nachhaltig beförderte und oft erst ermöglichte. 1

  Zitiert nach S. Füssel, Gutenberg, S. 138.   Severin Corsten, Universities and early printing in Lotte Hellinga, u. a. (Hrsg.) Bibliography and the study of 15th-century civilization, London, The British Library, 1987 (« British Library Occasional Papers Five »), S. 86. 3   Vgl. auch Frédéric Barbier, Emigrazione e trasferimenti culturali : i tipografi tedeschi e gli inizi della stampa in Francia nel xv secolo. In diesem Band S. X-Y. 4   Vgl. den Aufriss von Dietrich Briesemeister, Die deutschen Frühdrucker in Spanien, « GutenbergJahrbuch », 1993, S. 53-61. 5   Manuel-José Pedraza-Gracia, La mobilità degli stampatori della Corona di Aragona peninsulare nel xv e xvi secolo, Fermin de los Reyer, La mobilià dei tipografi in Castiglia nel xv secolo, in diesem Band S. X – X und Y -Y 2











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stephan füssel Abstract

Il contributo mostra che ci furono tre vie d’intermediazione che aiutarono a diffondere la stampa. In primo luogo, la trasmigrazione, consueta per quei tempi, degli apprendisti. Così a causa dei disordini quasi da guerra civile della “Stiftsfehde” alcuni degli apprendisti tipografi di Gutenberg, che si possono documentare per nome, portarono in viaggio con sé sia le conoscenze professionali sia i caratteri tipografici e stamparono nel 1459 a Bamberga o di lì a poco a Basilea, Strasburgo o Colonia. Dall’altro lato sia la Curia Papale di Roma sia l’università di Parigi promossero a loro modo la stampa dei libri, riconoscendo le opportunità che essa offriva alle loro istituzioni e facendo venire gli specialisti direttamente da Magonza. Dal canto loro nel 1465 i tedeschi Konrad Sweynheim e Arnold Pannartz su ordine della Curia stamparono nel monastero benedettino riformatore di Subiaco sui Monti Sabini. In modo simile il presidente della Sorbona fece venire a Parigi stampatori tedeschi per promuovere l’insegnamento universitario con la fornitura di testi didattici. In questo modo gli apprendisti stampatori itineranti crearono una rete europea di scienza e cultura, che diffondeva in modo duraturo le grandi sfide intellettuali dei secoli successivi. The spread of printing – invented by Johannes Gutenberg around 1450 in Mainz – was rapid : after approximately 50 years, 1,000 printing shops all over Europe had produced about 10 million copies of 25,000 different texts. These numbers illustrate the significance of this communication revolution. This contribution shows that the knowledge of the new technology was mediated in multiple ways : First of all, the journeyman years, which were normal at that time, played an important role. Due to the civil unrest in Mainz during a political conflict known as the “Stiftsfehde”, some of Gutenberg’s apprentices – whom we know by name – went on the road with their knowledge and their type material. The identical material from Gutenberg’s shop was used for printing in Bamberg in 1459 and later in Basle, Strasbourg and Cologne. On the other hand, the Roman Curia and the university in Paris promoted printing by recognizing the great opportunity for their institutions and both recruited specialists in Mainz. As early as 1465, the Germans Konrad Sweynheim and Arnold Pannartz printed for the Roman Curia in the reformed abbey of Benedictines in Subiaco in the Sabiane hills. Similarly, the president of Sorbonne University in Paris invited German printers to support teaching by producing texts for students. Thus the journeymen printers created a European network of sciences and education that effectively influenced the great intellectual challenges of the following centuries.  



verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum von circa 1480 bis zum ende des 16. jahrhunderts Ursula Rautenberg i. Der Forschungsstand im Überblick

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unächst ein kurzer Blick auf den Forschungsstand. 1994 hat Lotte Hellinga im Zusammenhang mit ihren Studien zu Peter Schöffer darauf hingewiesen, dass über die Jahrhunderte hinweg ein Übergewicht der Forschung auf der bibliographischen Verzeichnung der Drucke und der Buchproduktion liege, der Buchhandel und sein Einfluss auf das geistige Leben demgegenüber zu wenig gewürdigt worden seien. 1 2010 hat Oliver Duntze einen ausführlichen Literaturbericht veröffentlicht, in dem er die Forschungsliteratur über den deutschen Buchhandel der letzten beiden Jahrzehnte referiert. Duntze kommt zu einem ähnlichen Ergebnis, nennt auch Gründe für dieses Desiderat : Die Forschung ist überwiegend auf handschriftliches Quellenmaterial angewiesen, meist Archivgut, wie Rechnungsbücher und Geschäftsaufzeichnungen, aktenkundige Verträge, nicht selten auch Gerichtsakten bei Streitfällen, sowie Inventare von Buchhändlern bei Tod, Geschäftsübergabe und Konkursen. 2 Die Überlieferung dieser rechts- und wirtschaftsgeschichtlichen Quellen ist leider in hohem Maße vom Zufall bestimmt : in die Archive haben, zumindest für die frühe Neuzeit, eher die Ausnahmefälle gefunden als Dokumente über den normalen Geschäftsalltag ; Quellen zur Geschäftsführung haben sich dagegen nur im seltenen Glücksfall erhalten. Dem am Ende des 15. Jahrhunderts neu entstehenden, de facto noch unübersichtlichen, Berufsstand der Buchhändler steht auf Seiten der Forschung eine nur punktuell aussagekräftige Quellenlage gegenüber. So ergibt sich kein umfassendes Gesamtbild, und auch große Linien und Thesen zur historischen Entwicklung lassen sich nur skizzieren. Einzelne Fallbeispiele sind anhand der Quellen zwar gut aufgearbeitet, aber eine moderne Geschichte des deutschen Buchhandels in der Frühen Neuzeit ist noch zu schreiben. Von unschätzbarem Wert ist nach wie vor das mehrere hundert Seiten umfas 





1   Lotte Hellinga, Peter Schöffer and his organization, in *Biblis 1995/96 (1997). The Georg Svensson Lectures, hrsg. von Gunilla Jonsson, Stockholm, Föreningen för Bokhantverk, 1993-1995, p. 69. Vgl. auch Andrea Kollinger und Johannes Pommeranz, Fernando Colóns Buchkäufe in Nürnberg im Winter 1521/1522, in Anzeiger des Germanischen Nationalmuseums, Nürnberg, Verlag des Germanischen Nationalmuseums, 2002, p. 86. 2   Oliver Duntze, Verlagsbuchhandel und verbreitender Buchhandel von der Erfindung des Buchdrucks bis um 1700, in *Buchwissenschaft in Deutschland. Ein Handbuch, hrsg. von Ursula Rautenberg, Berlin/New York, De Gruyter Saur, 2010, Bd. 1, p. 205 ; vgl. auch Ursula Rautenberg, Buchhändlerische Organisationsformen in der Inkunabel- und Frühdruckzeit, in Die Buchkultur im 15. und 16. Jahrhundert, hrsg. von Barbara Tiemann, Hamburg, 1999, pp. 339-376.  

78 ursula rautenberg sende Verzeichnis von Heinrich Grimm aus dem Jahr 1967 « Die Buchführer des deutschen Kulturbereichs und ihre Niederlassungsorte in der Zeitspanne 1490 bis um 1550 ». 1 Das Werk enthält ungefähr 1000 Biographien von Buchführern und Skizzen ihrer Geschäftstätigkeit, die aus den Quellen erarbeitet wurden. Obwohl meist nur als Nachschlagewerk zu einzelnen Buchhändlern genutzt, gelingen aus der Gesamtschau jedoch generelle Beobachtungen zur Etablierung eines neuen Berufsstandes und seiner Usancen sowie der regionalen und überregionalen Vernetzung des Buchhandels. Berufsständische Etablierung, Organisation des Geschäftsbetriebs und Vertriebslogistik erschließen die wirtschafts- und sozialgeschichtliche Seite des Buchhandels. Demgegenüber stehen die Warenströme der Bücher, die – von den Händlern auf den Weg gebracht – gekauft, gesammelt, gelesen werden. Hier geht es um Kultur- und Wissensgeschichte, die Interdependenzen zwischen der Verfügbarkeit von gedruckten Lesestoffen und den kulturellen und wissenschaftlichen Strömungen. An der Schnittstelle vom Buchhändler zum Käufer und Leser steht der individuelle Buchtitel, der die Bedürfnisse der Leser über die Mittlerfunktion des Buchhändlers befriedigt, seien diese religiöser, wissenschaftlicher, unterhaltender Natur oder die Nachfrage nach pragmatischer und Lebenshilfeliteratur. Ein methodischer Weg führt über Bücherverzeichnisse oder die Bücher selbst, in denen Besitzer, Preise, Kaufumstände und Marginalien eingetragen sind. Bücher haben, anders als andere Gebrauchsgüter, die Zeiten häufiger überdauert. 2 Nach Cristina Dondi zeigen Besitz- und Provenienzeinträge « their movement in space, geographically, and time, throughout the centuries ». 3 Dondi hat jüngst methodische Möglichkeiten der « book based historical research » in einem Aufsatz am Beispiel des Venezianischen Buchhandels beschrieben. Die Methode der Erschließung exemplarspezifischer Besonderheiten bekommt neue Relevanz durch die Sammlung und Erschließung dieser einst vereinzelten Daten in groß angelegten Datenbanken. Der Index Possesorum Incunabulorum (IPI), die Datenbank Material evidence in Incunabula (mei) oder der Inkunabelkatalog deutscher Bibliotheken (inka) sind exemplarische Projekte.  











ii. Grundzüge der Struktur des frühen Buchhandels Die folgenden Ausführungen behandeln die wirtschaftsgeschichtliche Seite des frühen Buchhandels, wobei die drei Segmente herstellender Buchhandel, Zwischenund Großbuchhandel sowie Endbuchhandel oder Bucheinzelhandel beobachtet werden. Am Ende der Inkunabelzeit und in der ersten Hälfte des 16. Jahrhunderts 1

  Heinrich Grimm, Die Buchführer des deutschen Kulturbereichs und ihre Niederlassungsorte in der Zeitspanne 1490 bis um 1550, in Archiv für Geschichte des Buchwesens 7, Berlin/New York, De Gruyter, 1967, pp. 1153–1772. 2   Vgl. auch Jonathan Green, Frank McIntyre, Paul Needham, The Shape of Incunable Survival and Statistical Estimation of Lost Editions, in Papers of the Bibliographical Society of America 105/2, New York, Bibliographical Society of America, 2011, pp. 141-175. 3   Cristina Dondi, The Venetian booktrade : A methodological approach to and first results of book-based historical research, in Early printed books as material objects, hrsg. von Bettina Wagner und Marcia Reed, Berlin-New York, De Gruyter Saur, 2010, p. 219.  

verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum 79 setzt eine erste Ausdifferenzierung nach Tätigkeitsschwerpunkten und Berufsgruppen ein. Eine klare organisatorische und wirtschaftliche Trennung zwischen den Sparten entsteht mit den buchhändlerischen Reformen in Deutschland erst gegen Ende des 19. Jahrhunderts. Der Handel zwischen Akteuren auf der gleichen Wirtschaftsstufe, etwa zwischen Druckerverlegern oder Verlegersortimentern, wie er im Zeitalter des Meß- und Tauschhandels üblich war, wird aufgegeben. Voraussetzung dieser Trennung ist ein funktionsfähiger Zwischen- oder Großbuchhandel, der am Handelsplatz Leipzig entsteht. Im Folgenden stelle ich einige Unternehmenstypen im verbreitenden Buchhandel aus dem süddeutschen Raum vor, die für die frühen Entwicklungen charakteristisch sind : den Handel des Druckerverlegers Bernhard Richel in Basel, den Buchführer Peter Drach in Speyer, den Nürnberger Anton Koberger als international agierender Großbuchhändler und Georg Willer in Augsburg, bedeutender Zwischenbuchhändler und Erfinder des «Meßkatalogs».  

iii. 1. Ein vertreibender Druckerverleger der Inkunabelzeit : Bernhard Richel in Basel (um 1471-1482)  

Die erste Generation der Druckerverleger organisierte neben Druck und Verlag auch den Vertrieb. Nach Heinrich Grimm erscheint erst ab den 1480er Jahren der selbstständige, auf eigene Rechnung tätige, so genannte «Buchführer». Der Name wird in Analogie zum Beispiel zum Weinführer oder Kornführer gebildet, also dem Wein- oder Getreidehändler, der diese Waren im Angebot hat, also «führt», aber nicht produziert. Damit wird eine erste Trennung von überwiegend produzierenden oder handelnden Geschäftstypen erkennbar. Bernhard Richel gehört noch zu der ersten Generation der buchhandelnden Druckerverleger vor der Entstehung des Berufs des selbstständigen Buchführers. 1 Richel ist aus Nürnberg nach Basel eingewandert, mit einem Kredit des Nürnberger Bürgers Jacob Kungschaher im Gepäck. Er gehört zu den ersten in Basel tätigen Druckern, teils arbeitet er in Geschäftsgemeinschaft mit Bertold Ruppel und Michael Wenssler. Seine Produktionszeit umfasst etwas mehr als ein Jahrzehnt, von um 1471 bis 1482, in dem weniger als 30 Titel die Offizin verlassen. Bei drei Vierteln seiner Drucke handelt es sich um die üblichen, theologischen, kirchenrechtlichen und liturgischen Drucke in Latein, die allerdings meist umfangreich sind und im Folioformat erscheinen. Innovativ ist Richel mit fünf deutschsprachigen Illustrationswerken, die durchgehend illustriert sind und, teils als Erstausgaben, in harter Konkurrenz mit Ausgaben bzw. Nachdrucken in Augsburg und Straßburg stehen. Mit diesen ehrgeizigen und teuren Projekten hat Richel ein hohes unternehmerisches Risiko auf sich genommen, für die Absatz und Markt schwer einzuschätzen waren. Dank der Regesten zum Basler Buchdruck von Karl Stehlin läßt sich Richels Ge1   Zum Folgenden vgl. ausführlich Ursula Rautenberg, Die „Melusine“ des Thüring von Ringoltingen und der Basler Erstdruck des Bernhard Richel, in Thüring von Ringoltingen. Melusine (1456). Nach dem Erstdruck Basel : Richel um 1473/74, hrsg. von André Schnyder und Ursula Rautenberg, Wiesbaden, Reichert, 2006, Bd. 2, pp. 61-99.  

80 ursula rautenberg schäftserfolg erschließen : Bereits 1478 gehört er zu den vermögenden Bürgern der Stadt. Mit dem Gewinn aus der relativ schmalen Druckproduktion lässt sich dieser finanzielle Aufstieg allein nicht erklären, wenn auch die umfangreichen Werke für Theologen und Gelehrte überwogen, die vor der Absatzkrise um 1480 noch ein einträgliches Geschäft waren. Die Umrisse seines Handelsgeschäfts und des verbreitenden Buchhandels werden, meist aus Gerichtsakten, in den Basler Quellen sichtbar. Wie organisierte Richel den Vertrieb ? Richel beschäftigte mehrere reisende Diener, sogenannte Knechte. Drei sind namentlich bekannt. Kaspar Funk stand fest in Richels Diensten und erhielt einen Jahreslohn von 10 Gulden. Niklaus Kessler, sein späterer Schwiegersohn, wird aktenkundig, weil er 1475 auf dem Leipziger Weihnachtsmarkt Schulden von einem Ulmer Bürger eintreibt. 1476 legt Michael Alantsee ausführlich Guthaben, ausstehende Summen und eine Übersicht noch nicht verkaufter Bücher offen. Aus dieser Liste kennen wir Standorte einiger Bücherlager Richels : in Augsburg bei Johann Bämler, in Konstanz, Lindau am Bodensee und Freisingen. Das Verzeichnis verrät auch, dass Alantsee Drucke der Geschäftspartner Richels, Bernhard Ruppel und Michael Wenssler im Sortiment vertreibt. Richels Diener bereisen Süd- und Südwestdeutschland und Österreich bis in die Steiermark. Messebesuche sind für Leipzig und Lyon belegt. Dies, wie auch die in den Gerichtsakten aufscheinenden erheblichen Schuldanerkenntnisse von Handelspartnern Richels, zeigen einen florierenden Handel. Die Grundlage des Vertriebs bilden angestellte Knechte, die im Einzelwanderhandel mit der Buchware unterwegs sind, wobei die Lager feste Standorte bilden. Ein Zwischenhandel Richels wird in den Quellen nicht klar sichtbar, allerdings deuten die Messebesuche mit Schuldeintreibungen darauf hin. Zudem war es bereits üblich, dass die vertreibenden Druckerverleger untereinander auf der gleichen Wirtschaftsstufe Geschäfte machten. Alles in allem kann man Richels Organisationsformen als typisch für den frühen Buchvertrieb nach Gutenberg und die ersten Generationen der Druckerverleger bis ca. 1480/1490 charakterisieren. Aber auch, wenn Richel im Handel erfolgreich agierte, hat der Verkauf nicht den Verlag bestimmt : dies zeigen die ehrgeizigen illustrierten Ausgaben, deren Produktion mit einem hohen verlegerischen Risiko behaftet war.  







iii. 2. Der Druckherr, Verleger und Buchführer im Groß- und Einzelhandel : Peter Drach in Speyer (1479-1502)  

Erste Belege über den neu entstehenden Berufsstand der auch unabhängig von einem Verlagsherrn agierenden Buchführer erscheinen um 1480, nach 1490 ist der berufsmäßige Buchführer sozial etabliert. Bis um 1550 weist Grimm etwa 1000 Buchführer aus den Quellen nach. 1 Weiterhin gibt es den Typus des vertreibenden Druckerverlegers ; die hohe Zahl der selbstständigen Händler zeigt die Buchführer aber als zweite dominierende Gruppe. Grimm beschreibt darüber hinaus eine weitere interessante Entwicklung, die von der allmählichen Umstellung des Einzelwanderhandels als der überwiegenden Vertriebsform hin zum stärkeren Marktverkauf der (reisenden) Buchführer geht. Erst um 1500 verschiebt sich das Gewicht auf den beginnenden Platz- und Ladenhandel. 2 Nach und nach entsteht ein dichtes  

1

  H. Grimm, Die Buchführer des deutschen Kulturbereichs ..., cit., p. 1753.

2

  Ivi, p. 1168.

verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum 81 Netz von verbreitenden Buchhändlern, reisend oder im stationären Handel, das komplementär zu der wachsenden Anzahl der Druck- und Verlagsbetriebe, steigenden Titelproduktionszahlen und höheren Auflagen zu sehen ist. Ein gutes Indiz für einen Buchvertrieb über mehrere Teilnehmer und durch verschiedene Hände ist die Entstehung des Buchtitelblatts nach 1480 ; um 1500 ist das Titelblatt selbstverständlicher Teil des Buchs. Es ermöglicht dem Händler, der mit einem Sortiment aus unterschiedlichen Offizinen und in kleinen Stückelungen arbeitet, eine rasche Identifi kation der Buchware. 1 Das Rechnungsbuch des Peter Drach (der Mittlere) in Speyer, 1964 erstmals ediert von Ferdinand Geldner, ist eine der bekanntesten Quellen zum frühen Buchhandel. Der Zeitraum der Einträge von 1479-1502 fällt in die Übergangsphase vom Einzelwanderhandel zum organisierten Zwischenhandel und stationären Buchgeschäft. 2005 hat Hendrik Mäkeler das Rechnungsbuch als wirtschaftshistorische Quelle neu untersucht. 2 Der Zweck der Aufzeichnungen ist es, die Außenstände und Spesen der reisenden Buchführer festzuhalten. Ein Geschäftsbuch in doppelter Buchführung nach dem Vorbild der oberitalienischen Kaufleute und Bankiers legt Drach nicht an. Gewinn und Verlust bilanziert er in aller Regel nicht. 3 Drach bindet die Einträge der einzelnen Geschäftsvorfälle an Personen, meist Buchführer, und hält an dieser Stelle die ausgelieferten Titel, Exemplarzahlen und Preise fest. So entsteht ein detaillierter Einblick in den Klein- und Großhandel Drachs. Kleinkunden im Einzelhandel waren die Kleriker in Heidelberg, Speyer und Umgebung. Im Großund Zwischenhandel arbeitete er mit 21 Buchführern zusammen. Seine angestellten Diener wickelten überwiegend den Transport und die persönliche Abrechnung ab. Die Großabnehmer Drachs waren selbstständige Buchführer, die die Ware auf Kredit oder in Kommission übernehmen und auf eigene Rechnung handelten. Zentren des Handels sind neben dem Verlagssitz Speyer Augsburg und Nürnberg, die Universitätsstädte Heidelberg und Tübingen. Der geographische Handelsraum reicht aber bis Lübeck, Antwerpen und Köln, Breslau und Halberstadt, Landshut und Ulm. Häufiger Anlaufpunkt ist die Messestadt Leipzig, in der er seit 1483 ein ständiges Lager unterhält, über das er auch den Zwischenhandel nach Böhmen und Mähren mit der Hilfe des Buchführers Johannes Schmidthofer organisiert. Weitere Lager sind an den Messeplätzen Frankfurt, Straßburg und Köln. 4 Drach hat nach Mäkeler in 14 Jahren laut Rechnungsbuch sicher 17.000 Bücher umgeschlagen, geschätzt sogar 52.000 Exemplare. 5 Seine wichtigste Zielgruppe war der Klerus. Nur 18 % der Titel wurden in Drachs Offizin gedruckt, meist Nachdrucke von Werken, die sich gut verkauften. 6 Drach verkörpert den Typ des Buchhändlers, der neben dem Einzelhandel früh einen ausgedehnten Großhandel über ein Netz von Buch 

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  Ursula Rautenberg, Die Entstehung und Entwicklung des Buchtitelblatts in der Inkunabelzeit in Deutschland, den Niederlanden und Venedig. Quantitative und qualitative Studien, in Archiv für Geschichte des Buchwesens 62, Berlin-New York, De Gruyter, 2008, pp. 1-105. Open access : http ://www.alles-buch.unierlangen.de/rautenberg.pdf ; sowie : http ://www.degruyter.com/view/books/9783598441042/97835984 41042.1.1/9783598441042.1.1.xml 2   Hendrik Mäkeler, Das Rechnungsbuch des Speyerer Druckherrn Peter Drach d.M. (um 1450–1504), St. 3 Katharinen, Scriptura-Mercaturae-Verlag, 2005.   Ivi, pp. 10-20. 4   O. Duntze, Verlagsbuchhandel und verbreitender Buchhandel …, cit., p. 217. 5 6   H. Mäkeler, Das Rechnungsbuch …, cit., p. 86.   Ivi, pp. 59, 64.  









82 ursula rautenberg führern unterhält. Der Verlag in Speyer spielt eine untergeordnete Rolle, die Eigenproduktion ergänzt nur das Sortiment bei der gängigen Ware. iii. 3. Internationaler Großbuchhandel : Anton Koberger d. Ä. in Nürnberg (1472-1513)  

Nahezu gleichzeitig mit Drach ist Anton Koberger d. Ä. in Nürnberg tätig. Seine Druckerei gibt er 1504 auf und konzentriert sich in den folgenden Jahren ganz auf sein umfangreiches Handelsgeschäft. Geschäft und Handel Kobergers – im europäischen Maßstab einer der bedeutendsten Buchhändler –, können hier nicht annähernd ausreichend behandelt werden. 1 Am Beispiel Kobergers wird die hohe Mobilität der im oberen Segment tätigen großen Handelsherren sichtbar. Seine Reisetätigkeit kann im Detail aus seiner Korrespondenz mit dem Verleger Johann Amerbach in Basel nachgezeichnet werden, die Oscar von Hase ediert hat. 2 Sein europaweiter Handel zeigt ihn viele Monate des Jahres auf Reisen zu seinen Handelsniederlassungen in Krakau, Wien, Ofen, Venedig und Paris. Mehrmals im Jahr ist er auf Messereisen nach Frankfurt, Leipzig, Antwerpen, Lyon. Seine Hauptabsatzgebiete liegen in Süd- und Mitteldeutschland, in den Niederlanden, in Frankreich, der Schweiz und Oberitalien. Aus der Amerbach-Korrespondenz entsteht das Bild eines Kaufmanns, der die Bücherströme aus seinen Pressen oder aus den Messeeinkäufen vom Nürnberger Kontor und unterwegs auf Reisen in seine Bücherlager dirigiert. Koberger lässt in Hagenau und Straßburg und am Messeplatz Lyon (für den französischen und spanischen Markt) drucken. Große Projekte realisiert er in einer Handelsgesellschaft mit den Basler Druckern um Johann Amerbach, Johannes Petri und Johann Froben. Die Reisen dienen dem Ein- und Verkauf, dem Abrechnungs- und Messegeschäft, dem Kontakt mit den Handelspartnern, der Betreuung der auswärtigen Produktion und dem Besuch der Filialen. Die erste Dekade der Tätigkeit Kobergers deckt sich mit der des Basler Druckerverlegers Richel, denn beide beginnen fast gleichzeitig zu drucken, Richel um 1471, Kobergers erster Druck stammt von 1473. Anton Koberger sind, anders als Richel, noch zwei weitere Jahrzehnte zum Auf bau seines Unternehmens vergönnt, in denen es ihm gelingt zum Großbuchhändler in Europa aufzusteigen, der als Druckherr und Verleger Aufträge an Offizinen im Lohndruck vergibt. Exemplarisch zeigt sich an der Entwicklung des Kobergerschen Unternehmens, dass ein Aufstieg zum Großbuchhändler weitgehend über das Handelsgeschäft verläuft. Kurz nach dem Ende der Inkunabelzeit kündigt sich eine weitere Ausdifferenzierung der Sparten an : die zwischen Druckerei und Verlag.  

iii. 4. Messen und Meßkataloge : der Großhändler und Sortimenter Georg Willer in Augsburg (1548-1593)  

Der Groß- und Zwischenhandel als mittlere Wirtschaftsstufe zwischen Buchproduktion und Endhandel ist in der Geschichte des deutschen Buchhandels bis in die 1   Die umfangreiche Literatur ist zusammengesellt bei Christoph Reske, Die Buchdrucker des 16. und 17. Jahrhunderts im deutschen Sprachgebiet, Wiesbaden, Harrassowitz, 2007, pp. 654-657. 2   Oscar von Hase, Die Koberger. Eine Darstellung des buchhändlerischen Geschäftsbetriebes in der Zeit des Überganges vom Mittelalter zur Neuzeit, 2. Aufl., Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1885.

verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum 83 Moderne hinein kaum vom Endhandel abgegrenzt. Das bedeutet, dass Bündelungen von Geschäftsvorfällen, also Bestellung, Einkauf und Vertrieb bzw. Verkauf, in flexiblen Netzen und in relativ kleinen Portionierungen der Druckauflagen und geringen Stückzahlen mit unter Umständen vielen Handelspartnern organisiert werden mussten. Eine räumliche und zeitliche Konzentration erfolgte auf den großen Handelsmessen, die auch unmittelbar nach der Erfindung des Buchdrucks mit beweglichen Lettern für den Buchhandel genutzt wurden, neben Frankfurt und Leipzig auch Lyon oder Antwerpen. Ein über wenige Monopolisten gebündelt abgewickelter Großhandel, wie er Ende des 19. Jahrhunderts am Messeplatz Leipzig mit den Verleger- und Sortimenterkommissionären entsteht, gibt es in der Frühen Neuzeit im deutschen Raum nur in Ansätzen. Als Ausnahmeerscheinung hervorzuheben ist der Augsburger Großbuchhändler Georg Willer d. Ä., der ab den 1540er Jahren einen weit verzweigten Buchhandel in Süddeutschland auf baut. Der Standort Augsburg als bedeutender Großhandelsplatz und Hauptumschlagsort nach Österreich und Italien begünstigt Willers Geschäfte. Seine Karriere haben Hans-Jörg Künast und Brigitte Schürmann nach den Akten des Augsburger Staatsarchivs beschrieben. 1 Spätestens ab 1470 ist Willer der wichtigste Großsortimenter Süddeutschlands. Im Sortiment führt er alle Literaturgattungen vom Bauernkalender bis zur humanistischen Gelehrtenliteratur. Konfessionelle Schranken legt Willer sich nicht auf. Der Protestant liefert protestantische Flugschriften ebenso wie für die Jesuitenbibliothek in Hall in Tirol. Willer ist regelmäßig als Großabnehmer auf den Frankfurter Messen präsent. Er vertreibt die Bücher von Augsburg aus über nachgeordnete Messen weiter oder über ein Netz von Buchführern ; er beliefert auch hoch gestellte Persönlichkeiten im Direktverkauf. Maßgeblich ist er in den Auf bau der Bibliothek von Erzherzog Friedrich II. auf Schloß Ambras in Tirol eingebunden. Aufschlussreich für die Struktur des Willerschen Unternehmens ist, dass Willer im Verlagsgeschäft Aufträge stets im Lohndruck an Augsburger oder auswärtige Drucker vergibt ; anders als Koberger betreibt er keine eigene Druckerei. Mit Drach in Speyer ist er insofern vergleichbar, als er seine Verlagsproduktion, wie Grimm schreibt, ab 1555 darauf ausrichtete, welche Warengruppen und Titel auf der Frankfurter Messe besonders nachgefragt und verkäuflich waren. 2 Der Umfang seines Verlagsgeschäfts bleibt leider im Dunkeln, da Willer als Verleger nur selten auf dem Titelblatt firmiert, sondern der Drucker genannt wird. Das Großsortiment speist sich neben den im Lohndruck produzierten Titeln vermutlich weitgehend aus Fremdeinkäufen. Die besondere Bedeutung Willers liegt darin, dass er ein bahnbrechendes neues Hilfsmittel für den Vertrieb entwickelt hat : die Frankfurter Meßkataloge. Ab 1564 erscheinen halbjährlich von Willer zusammengestellte und in seinem Auftrag gedruckte Verzeichnisse der Titel, die er auf der Messe eingekauft hat, ergänzt durch  





1   Hans-Jörg Künast und Brigitte Schürmann, Johannes Rynmann, Wolfgang Präunlein und Georg Willer – Drei Augsburger Buchführer des 15. und 16. Jahrhunderts, in Augsburger Buchdruck und Verlagswesen. Von den Anfängen bis zur Gegenwart, hrsg. von Helmut Gier und Johannes Janota, Wiesbaden, Harrassowitz, 1997, pp. 23-40 ; Hans-Jörg Künast, “Getruckt zu Augspurg”. Buchdruck und Buchhandel in Augsburg zwischen 1469 und 1555, Tübingen, Niemeyer, 1997, p. 159 ; vgl. auch Duntze (2010). 2   H. Grimm, Die Buchführer des deutschen Kulturbereichs ..., cit., p. 1302.  



84 ursula rautenberg die eigenen Verlagswerke. Ab 1573 nimmt er in den Sortimentskatalog auch Titel auf, die er nicht führt, die aber auf der Messe gehandelt und von ihm besorgt werden können. Anhand der sogenannten «Meßkataloge» konnten sich Willers Kunden schnell und umfassend über sein Angebot informieren. Die Kataloge dürften das Bestellgeschäft und die Kundenbetreuung erheblich rationalisiert haben. Die regelmäßige Erfassung des Angebots in einer seriellen Publikation, die zu festen Terminen erscheint, ist ein großer Schritt zur Professionalisierung des Zwischenhandels. iv. Die Stadt als Sammelbecken der Buchware : Fernando Colón in Nürnberg (1521/1522)  

Wie stellt sich das Büchersortiment aus der Sicht des städtischen Kunden dar ? Vier Übersichtskarten von Heinrich Grimm stellen die Niederlassungsorte der von ihm verzeichneten Buchführer dar : im Süden des Reichs, entlang des Rheins von Vorarlberg bis in die Niederlande, im nord- und mitteldeutschen Raum sowie den von der Ostsee bis zur Adria. Diese nur grob gezeichneten Karten geben eine erste Vorstellung von der geographischen Verteilung des Handelsnetzes. Buchführer und Buchhandlungen haben sich in den großen Handelsstädten, Reichs- und Residenzstädten, Universitätsstädten, aber seltener in kleineren Städten angesiedelt. Der ländliche Raum wird vom stationären Buchhandel nicht versorgt und im Wanderhandel bedient. Hingegen sind die dominierenden Buchproduktionsstandorte, verkehrsgünstig an den Haupthandelsstraßen gelegen, auch bedeutende Sammelbecken für die Bücher. Diese gelangen über die Vertriebsnetze der Druckerverleger und Buchführer in die Städte, die Buchläden, die städtischen Kauf häuser, in die Warenlager und an die Stapelplätze. Ein stationäres Büchersortiment konnte nicht mehr allein im bilateralen Austausch mit und zwischen einzelnen Verlegern gebildet werden, sondern war zunehmend auf den Einkauf der Ware auf Märkten und Großmessen gestützt. Ohne diese Möglichkeit wären die selbstständigen Händler mit einem nennenswerten Handelsumfang nicht konkurrenzfähig gewesen, wenn sie ein ansprechendes und breites Sortiment in allen Warengruppen des gedruckten Buchs vorrätig halten wollten. Die vielen kleinen und mittleren Buchführer, die vor Ort einen Ladenhandel betrieben, deckten sich in den größeren Buchhandelsstädten oder auf Messen und Märkten mit Büchern ein. Die Leistungsfähigkeit des Buchhandels in einer dieser Bücher-Metropolen wird am Beispiel der Bücherkäufe des Fernando Colón in Nürnberg deutlich. 1 Von Dezember 1521 bis Januar 1522 hält der Diplomat sich in Begleitung Kaiser Karls V. in Nürnberg auf. Colón nutzt seine Reisen, um eine der bedeutendsten humanistischen Privatbibliotheken aufzubauen, die heutige Colombina. Da er Kaufvermerke in die Bücher einträgt, lassen sich die Herkunftsorte aus den noch ca. 5000 erhaltenen Titeln und dem von ihm angelegten Bibliothekskatalog nachvollziehen.  



1   Zum Folgenden vgl. Johannes Pommeranz, Fernando Colóns Buchkäufe in Nürnberg im Winter 1521/1522. Zum Vertrieb des Nürnberger Buchhandels im Zeitalter der Fugger, in *Quasi Centrum Europae. Europa kauft in Nürnberg 1400-1800, hrsg. von Hermann Maué, Nürnberg, Verlag des Germanischen Nationalmuseums, 2002, pp. 305-319.

verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum 85 Innerhalb weniger Wochen kaufte er in Nürnberg 296 Drucke ein, in lateinischer Sprache, nur eines ist deutsch. Abb. 1. In Nürnberg im Dezember 1521/Januar 1522 von Fernando Colón eingekaufte Titel nach Verlagsorten. 1 Druckort Paris Köln Straßburg Basel Nürnberg Leipzig Augsburg Hagenau Lyon Mainz Keine Angabe Erfurt Tübingen Antwerpen Mailand Rouen Schlettstadt Venedig Frankfurt (Oder)

Anzahl 54 43 33 21 20 18 16 14 8 8 7 6 4 3 3 3 3 3 2

Druckort Landshut Memmingen Pavia Turin Ulm Wittenberg Esslingen Heidelberg Krakau Leuven Magdeburg Oppenheim Pamplona Reutlingen Rom Speyer Wien Worms Würzburg

Anzahl 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Allein ein Sechstel der Titel (54) trägt den Verlagsort Paris auf dem Titelblatt, mit Abstand folgt Köln (überwiegend aus der Offizin Heinrich Quentell). Straßburg, Basel, Nürnberg, Leipzig (unter anderem musiktheoretische Werke), Hagenau und Nürnberg sind noch im niedrigen zweistelligen Bereich vertreten. Gekauft hat Colón in Nürnberg sogar Drucke aus Venedig, Mailand und Pavia, aus Rouen und Lyon, sogar aus Pamplona. Nach Johannes Pommeranz, der die Erwerbungen Colóns in die Nürnberger Buchhandelsbeziehungen einordnet, spiegelt das Angebot, das Colón vorfand, das Kobergersche Vertriebsnetz wider. Große Transaktionen werden über sein Haupthaus abgewickelt, im Nürnberger Platzhandel spielt Koberger hingegen eine geringe Rolle. 2 Nur einer der in Nürnberg gekauften Titel Colóns wurde von Koberger verlegt. Die Einkaufsliste Colóns zeigt eine Momentaufnahme des Buchangebots in der Stadt Nürnberg. Die Einkäufe des Augsburger Patriziers und Humanisten Konrad Peutinger, eines Zeitgenossen Colóns, machen langfristige Entwicklungen deutlich. Zwischen 1485 bis zu seinem Tod 1547 baut Peutinger eine Bibliothek mit über 6000 Drucken auf, die er über befreundete Gelehrte besorgen lässt oder über Agenten und Buchführer einkauft. Die detaillierten Analysen von Hans-Joachim Künast 1   Eigene Darstellung nach dem Katalog bei A. Kollinger, J. Pommeranz, Fernando Colóns Buchkäufe ..., cit., pp. 91-110. 2   J. Pommeranz, Fernando Colóns Buchkäufe ..., cit., p. 312.

86 ursula rautenberg 1 und Helmut Zäh ergeben unter anderem, dass die zunehmende Nationalisierung und Verengung des deutschen Buchhandels mit dem Beginn der Reformation auch die Einkäufe Peutingers beeinflusst. Für humanistische und theologische Literatur nehmen mit Beginn der Reformation die nicht-deutschen Druckorte bei den Erwerbungen ab. v. Ausblick : Die Phase des Mess- und Tauschhandels  

Nach der Mitte des 16. Jahrhunderts wird der so genannte Tausch- oder Changehandel im buchhändlerischen Geschäftsverkehr üblich. Die lang anhaltende Phase des Meß- und Tauschhandels setzt ein. Es handelt sich um eine Form der bargeldlosen Abrechnung der Verlegersortimenter untereinander, die bei ihren persönlichen Messebesuchen in Leipzig und Frankfurt getätigt wird. Die mitgebrachten Exemplare werden auf der gleichen Handelsstufe Bogen gegen Bogen getauscht, nur die darüber hinausgehenden Forderungen mit oft sehr langfristigen Zahlungszielen bar beglichen. Von Vorteil für den unterkapitalisierten deutschen Buchhandel ist, dass der Barverkehr bis zur letzten Handelsstufe, zum Käufer, umgangen werden kann. Man kann auch von Verschleierung der Gewinn- und Verlustrechnung sprechen. Die Nachteile sind erheblich : Die Verlegersortimenter produzieren mit Blick auf den Tausch, und zwar möglichst billig, aber nicht für den Markt. Dies führt zu erheblichen Qualitätsverschlechterungen und zur Überproduktion nicht nachgefragter, wertloser Ware. Die Buchhändler sitzen auf Lagern unverkäuflicher Rohbogen. Dies ist die Geburtsstunde des modernen Antiquariats und der «Bücherschleuderei», die wesentlich zum Niedergang des deutschen Buchhandels beitragen. Erste Reform- und Modernisierungsversuche setzen Mitte des 18. Jahrhunderts ein, als der Buchhändler Philipp Erasmus Reich in Leipzig versucht, den Tauschhandel durch den Nettohandel abzulösen : an die Stelle des Tauschs auf der gleichen Handelsstufe soll der Buchhändler die Ware beim Verlag mit nur geringem Rabatt und ohne Remissionsrecht beziehen. Die zweite Hälfte des 16. Jahrhunderts markiert den Beginn nachlassender internationaler Konkurrenzfähigkeit und Handelstätigkeit des deutschen Buchhandels. Als hauptsächliche Ursachen lassen sich die Regionalisierung und Nationalisierung als Folge der Reformation, die Konfessionalisierung des Buchhandels, der Dreißigjährige Krieg und, branchenintern, die Handelsusance des Tauschhandels benennen. Die fehlende Trennung der Wirtschaftsstufen von Verlag und Sortiment hat die Entstehung eines effizienten Zwischen- und Großbuchhandels verhindert, ausgeglichen wurde dies durch den Messehandel. Die in den ersten anderthalb Jahrhunderten nach der Erfindung des Buchdrucks beginnende Spartentrennung wird durch den Tauschhandel konterkariert. Erst die nach dem Stuttgarter Verleger und Vorsteher des «Börsenverein der deutschen Buchhändler», Adolf Kröner, so genannte Krönersche Reform (1888), die die Einführung des festen Ladenpreises für Bücher beim Verkauf an den Endkunden vorschreibt, markiert einen Wendepunkt.  



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  Hans-Jörg Künast, Helmut Zäh, Die Bibliothek von Konrad Peutinger. Geschichte – Rekonstruktion – Forschungsperspektiven, in Bibliothek und Wissenschaft 39, Wiesbaden, Harrassowitz, 2006, pp. 43-71.

verbreitender buchhandel im deutschen sprachraum

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Abstract Nell’ambito della ricerca sulla storia del libro, i tipografi e gli editori hanno ricevuto sempre una maggiore attenzione rispetto ai librai, dediti alla diffusione, quindi a quei gruppi di persone che organizzano la distribuzione e la vendita di libri. Tuttavia, in assenza dei molteplici librai di piccole e medie dimensioni e dei pochi grandi librai non sarebbe stato possibile alcun trasferimento a lunga distanza dell’articolo commerciale ‘libro’ anche nei luoghi più remoti e per gli interessi di lettura più svariati. I librai formano i nodi di una rete flessibile, che, a partire dagli anni 1480, ha dato vita ad un commercio librario efficiente per il libro stampato. In virtù di ciò, dedico le mie seguenti esposizioni a questa particolare categoria professionale : ai librai operanti nella distribuzione e nella vendita o nella diffusione. Mi limiterò all’area linguistica tedesca nel periodo compreso tra il 1480 circa fino alla fine del xvi secolo.  

Printers and editors have always received greater attention than the distributing booksellers.. The booksellers are the nodes in a network that has been creating an efficient book trade for the printed book. From the 1480s bookseller profession arose. An example for book distribution is the printer-publisher Bernhard Richel in Basel, who worked with employed “servants”. These travelled through South and South West Germany, Austria. Fair visits are proved for Leipzig and Lyon. The bookseller Peter Drach der Mittlere in Speyer based his vast trading network to a large extent on wholesalers who were acting on their own account. He traded throughout Germany and made Bohemia and Moravia accessible.. Anton Koberger operated from Nuremberg all over Europe. A separation of the different levels of trading was indicated for the wide-range bookseller and publisher Georg Willer from Augsburg, who published the first book catalogues. As early as 1500 the travelling book trade was being complemented by a stationary retail book trade. One clear example was the purchasing of books of Fernando Colón in Nuremberg, who bought 296 prints in order to expand his library. The second half of the 16th century marked the beginning of decreasing international competitiveness of the German book trade.

PRINTERS MOVE TO ENGLAND 1 Lotte Hellinga

F

or at least 75 years after the invention of printing in the middle of the fifteenth century, printed books and printers all arrived in the British Isles from overseas, the printers bringing their experience from other areas and other cultures, at a time when the production of printed books had already been established in quite a number of cities on the continent of Europe. A few printed books arrived in the 1460s with travellers who had visited the Continent, among them at least two copies of the Gutenberg Bible which were illuminated in London not long after they were printed, and in the mid-1460s two copies of Cicero’s De officiis printed by Fust and Schoeffer, which were bought in Bruges and in Hamburg by a travelling diplomat. But in the early years they are very much the exceptions ; later, such private initiatives remained one of the ways printed books reached the British Isles. I shall focus, however, on a period of about sixty years, from about 1475, when books began to be printed for and in England, until the time when the Reformation brought great changes in the English book-trade, between 1523 and 1534. It was also in the longer period of about sixty years that the importation of printed books from the Continent developed very rapidly. 2 First of all I should explain why I speak here of ‘England’. It is because in this period hardly any books were printed in the part of the British Isles that is Scotland, which until 1707 was a separate kingdom, while printed books mainly found their way to scholars at the old Scottish universities through individual travelling, and some through the import trade. Until the Reformation, to which in England the authorities began to react in 1523, the importation of books and the printing presses active in England were for a large part in the hands of ‘aliens’ – people not born in England, and without English citizenship. But this became different when the Reformation forced the conduct of the trade in printed books into new directions, with censorship and strict control of movement of books through the trade imposed by the church authorities and later by the government of the day. Books were recognised as the main vehicle for bringing in Lutheran heresy, and alien printers, especially from the German lands, were viewed with equal suspicion. Eventually a law promulgated in 1534 forbade al 

1   The present essay is mainly based on three publications of recent years : The Cambridge History of the book in Britain, eds. L. Hellinga, J. B. Trapp, vol. iii, Cambridge, 1999. From here on referred to to as : chbb iii. Catalogue of books printed in the xvth Century now in the British Library, ed. L. Hellinga (bmc vol. xi), With contributions by John Goldfinch, Paul Needham and Margaret Nickson.’t Goy-Houten, 2007. (Cf. Italian review by Luigi Balsamo, « La Bibliofilia », 2007, 2). From here on referred to as : bmc xi. Lotte Hellinga, William Caxton and early printing in England, London, …., 2010. (Cf. review by Magherita Spinazzola, « Schede Umanistiche », n.s. 23 (2009), pp. 299-308). From here on referred to as : Hellinga 2010. 2   M. L. Ford, Importation of printed books into England and Scotland, chhb iii, pp. 179-201.  















90 lotte hellinga iens to take part in the book-trade, whether as wholesale booksellers or as printers. From then on the book-trade in England became centrally regulated with censorship directed by thereto appointed bishops. The notion of central control did not change when only a few years later King Henry VIII left the Church of Rome and founded the Anglican church. Instead of the Church, the central control of the book-trade came under secular authorities and eventually the Stationers Company, but the effect of the law of 1534, banning aliens from the book-trade, endured. 1 Booksellers and printers were from then on almost exclusively English, and were far less inclined to move from place to place as they had been in the early years. From the point of view of mobility, the first sixty years of printed books in England offer a more interesting and varied picture than the politically very unstable years that followed. In those sixty years the production of printed books in the British Isles was almost entirely confined to the South-east corner of England, mainly in London, with a few small, short-lived enterprises in the university towns of Oxford and Cambridge, and one important Benedictine abbey in St Albans, not far from London. The trade in printed books had wider ramifications throughout the country. The printers who worked in England in this period had come from the Continent not only bringing their skills and experience of the art of printing, but also their printing types in styles that betrayed their origin, or there were some who knew to find the Continental specialists to produce founts of type for them. The paper they used was imported from Italy or France. Most significant of all is that most of the printed books that became available in England were not printed there, but had been imported from abroad. For printers in England, the decision whether to print and publish a text was entirely dominated by what was provided ready-made, through the booktrade. When editions of a text for which there was demand in England could be obtained by importation, it would not be printed in England. In other words, the small but interesting book-production by printers in England can only be understood in conjunction with the history of the book-trade. From the mid-1470s books were imported into England which had been produced by the great printing houses in Venice, Basel, Strasbourg, Nuremberg, Cologne, Lyon, Paris, Antwerp and Louvain. 2 and arrived in the shops of book dealers in London, Oxford and Cambridge, having passed through existing trade channels, through agents and entrepôts on the Continent, and through the customs of the English ports where aliens had to pay import duties at a higher rate than Englishmen. 3 England was at an extreme end of existing trade channels between the great commercial centres of Europe, a well developed network for trading in all kinds of goods. For example, the German merchants of the Hansa were established in the ‘Steelyard’, an important fortified establishment on a bank of the Thames in the City of London. In Southampton the Venetian fleet of galleys called every year, bearing luxury goods including books. 1

  P. Neville-Sington, Press, politics and religion, chbb iii, pp. 576-607.   M. L. Ford, chbb iii, pp. 183-185. 3   P. Needham, The customs rolls as documents for the printed-book trade in England, chbb iii, pp. 148-163, in particular the section ‘Natives, aliens and Hansards’, pp. 153-155. 2

printers move to england 91 Using the channels that had been established for all kinds of goods, the book-trade adapted remarkably fast to the great quantity of material that was produced by the printing presses, especially those active in the cities that were already hubs of metropolitan commerce. That the trade in printed books could develop so rapidly in the fifteenth century and was so universal is entirely due to the fact that most of its market consisted of readers (and even speakers) of Latin, the language of every kind of learning. In England, the import trade in books, which came to be called the ‘Latin trade’, largely provided the needs of the flourishing universities and other advanced learning. Another need that was mostly fulfilled from abroad was for the sophisticated skills that were required for printing liturgical works, a need that could only partly be met by the printers in England. Missals were printed by specialists in liturgical printing in Paris, Basel, Venice and Speyer, and in Paris a veritable industry developed of printing Books of Hours for the use of the diocese of Salisbury. Special mention deserve the liturgical works, books of hours and missals for the use of Salisbury and York, beautifully printed in the 1490s by a Venetian printer at the expense of two Dutchmen, Gerard Barrevelt and Frederick Egmondt, who had agencies or shops in Paris and London. 1 In contrast with the Continental commercial centres, the City of London, which was undoubtedly one of the great commercial centres of the period, was slow to develop printing houses itself, and it was by no means an exporter of books ; its commercial strength was entirely directed towards importation for which it was not slow to develop the necessary mechanism of wholesale and retail. This leads to an apparent paradox : the few printing presses in England, even if most of them were owned and led by ‘aliens’, not English-born, had an enormous influence on promoting and consolidating the appearance in print of works in the English language, as well as the legal language used in the courts of law, a form of French which is called Norman French. Such works could of course not be obtained from abroad. Only a few printers, in Paris, Rouen and Antwerp, decided to compete with printers in England and produce works in English. For the fifteenth century I can give precise figures, in so far as figures based on survival can be precise. Whereas overall in the fifteenth century, the percentage of Latin works is usually estimated at around 75%, in England it was only 28%, while 63% is in English and 9% in Law-French. Of the Latin works, a high proportion consist of liturgical works for local use. 2 The explanation for the predominance of English lies for a large part in the booktrade, but also in the personal choice of the first and most prolific printer in England, William Caxton. However, before I begin to relate some highlights of the story of printers in England, beginning with the beginning, I wish to make one remark : how much easier it  





1   Books printed in the fifteenth century on the Continent for the English market are listed in Printing in England in the fifteenth century : E. Gordon Duff ’s bibliography with supplementary descriptions, chronologies and a census of copies, ed. L. Hellinga, London, British Library, 2009, pp. 215-217. The works printed for Egmondt and Barrevelt by Johannes Hertzog in Venice, 1493-5, are breviaries for the use of York and Salisbury (Duff 59, 62, 63, 67, two Missals (Duff 324, 325), and a Book of Hours for the use of Salisbury (Duff 181). 2   bmc xi, pp. 35-46.  

92 lotte hellinga is to tell the story of printers and the books they produced, than it is is of the booktrade. Let me for a moment indulge in contemplating this. It is a commonplace to state that it did not take long after the the invention of printing for the floodgates to be opened to thousands and thousands of copies of books and other printed material which were disseminated over the reading world in Western Europe. It has taken very much longer for methods of recording and interpreting this mass of material to be established. Traditionally, from the eighteenth century onwards, two complementary methods have held each other in balance, the alphabetical listing of editions arranged by authors and texts, culminating in the Gesamtkatalog der Wiegendrucke, which emphasizes the content of the products of the printing presses, and the chronological /geographical method, known as the ‘Proctor method’, by which book-production by individual printing houses, in cities and countries are systematically arranged, and thus emphasizes the history of the spread of printing. Both methods, the alphabetical compilation and the chronological system have achieved major results. The recording of early printing is an on-going process, but we can be sure that there is now a much more comprehensive overview of fifteenth-century book-production relatively easily available than there has ever been before, and for the sixteenth century, much work is actively undertaken. For the British Isles, the record of early book-production reached a point of completion twenty years ago in 1991, with the completion of the Short-title Catalogue 1473-1640, best known under its acronym ‘stc’. 1 Although much of English early printing has been lost in a half a millennium, we are well informed of a high percentage of what survives, in terms of editions, and even in the location of copies. In recent years we can see that the approach to early printed material is changing. The attention is shifting from the listing of editions to the detailed description of copies, including their decoration, their early owners, and their bindings, all witnesses to the dissemination of books once they had left the printing press. This is much facilitated , of course, by the existence of electronic databases for recording and searching, and by digitisation programmes which magic books in far remote libraries onto the computer screen in your study. The extension of methodology, the attention to and recording of what is specific to individual copies of printed editions, has opened our eyes to the vast extension and complexity of the early booktrade, and also reveals the markets for the books produced locally. In a country such as England, where the archival documents relating to the book-trade are scarce, the accumulation of such information gives invaluable new insight. The bibliography of printing in England has been explored for more than a century and a half, with extreme thoroughness, not least because the production is so small compared with that in other countries. For the fifteenth century, that is the first twenty-five years of printing in England, the number of recorded items is just 1   A short-title catalogue of books printed in England, Scotland and Ireland, and of English books printed abroad 1475-1640. 2nd ed., eds. A. W. Pollard and G. R. Redgrave, revised and enlarged, begun by W. A. Jackson and F. S. Ferguson, completed by K. F. Pantzer, 3 vols., London, 1976-91. [Commonly abbreviated as stc].

printers move to england 93 over 400, to which can be added 69 items printed abroad for the English market. 1 For the years of the sixteenth century until 1535, the average is over three times higher, for there are 1859 items printed in or for England on record. 2 Let me now return to the story of the printers in England, to begin with the figure of William Caxton, who dominated the English book-trade for the first twenty years of its existence, until his death in 1492. 3 He was the only English-born printer of the early period, but what he brought to his native country reflected the influence of a life spent mainly in Flanders, and a brief but significant period spent in Cologne. Caxton was a prominent merchant, a mercer, and had spent some thirty years based in Bruges as a representative of the English cloth trade. He fulfilled diplomatic functions there, as well as acting as a kind of consul, and even became an adviser to the young, English duchess of Burgundy, Margaret of York, sister of the English king Edward IV. But his life as a prosperous merchant and part-time courtier in Flanders was interrupted by a period of exile in Cologne in 1471-2, precisely at a time when printing in Cologne was practised by several printers, with the backing of important, rich merchants, who knew how to distribute their wares along well established trade routes, up and down the river Rhine as well as East and west. Having observed this, Caxton decided to join forces, and backed the printing of three books in Latin, one of them, the medieval encyclopaedia of Bartholomaeus Anglicus, much larger than almost all books printed in Cologne at that time. He took as model the merchants who were interested in investing some money in the new technique, an obviously exciting and modern venture. The investments of the Cologne merchants were on a more modest scale than Caxton’s, and his business example may have been Johann Fust in Mainz, especially as the Bartholomaeus Anglicus was produced with the same generous proportions as the books printed by Fust and Schoeffer. Not a single copy of the three books printed for Caxton in Cologne, in a fount of type that is closely related to other books printed in the city, found its way to England at an early date. Caxton obviously followed the routes by which the Cologne merchants traded their wares. Caxton’s time in Cologne came to an end after only eighteen months, but in this short period which had brought him the experience of the printing and publishing business, he must have taken a momentous decision, which he put into effect immediately on his return to the court of duchess Margaret of York. At Margaret’s request he had produced a translation into English of a French text relating to the legendary ancestors of the dukes of Burgundy, Raoul Lefèvre’s Le Recueil des histoires de Troies. He decided to produce a printed version of his translation, and present it to his duchess. I have recently argued that the way he set about this was to engage the services of one of the most experienced scribes of the Burgundian court, David Aubert, who had produced spectacular manuscripts for the dukes of Burgundy, and was to produce more for duchess Margaret. 4 Caxton commissioned a fount of type that 1

  See above n. 6.   J. Barnard and M. Bell, chbb iv (2002), Appendix i. 3   bmc xi, pp. 5-12 ; Hellinga 2010, passim. 4   L. Hellinga, William Caxton, Colard Mansion, and the Printer in Type 1, « Le Bulletin du Bibliophile », 2011, 1, pp. 86-114, colour plates 6, 7. 2







94 lotte hellinga was modelled on the hand of David Aubert, and thus the first book printed in the English language, printed – I think – in Ghent had a family connection (as it were) to those splendid Burgundian manuscripts, besides having the virtue of being a technological novelty. Caxton continued with another translation, of a French version of Jacobus de Cessolis, De ludo scaccorum, this time dedicated to another royal sibling, the Duke of Clarence, but the court showed very little interest in the printing press. That was to wait another fifteen years, when the first Tudor king, Henry VII, showed an active interest in the potential of the printing press to convey the law of the land, or to set out the principles of the conducting of a military campaign to a large number of people. 1 Caxton’s decision to get his translations printed, and his apparent confidence in his own work as a translator, is a significant one, not only a milestone in English literature, but also in the development of the use of the printing press. Until then the printing of major literary texts in the vernacular languages had been few and far between, in German printed in Bamberg and Strasbourg, and the editions in Italian of Dante and Boccaccio. None of these early vernacular works are likely to have been known to Caxton. Although there were not many signs of interest in the new technique of printing at either the Burgundian or the English court, Caxton decided to persist in the course he had taken, and to base himself in England. But before returning to England there was another brief episode in Flanders, this time in Bruges, where he commissioned the scribe and bookseller Colard Mansion to print a small book for him, in a new fount of type that was modelled on Mansion’s beautiful and generous calligraphic handwriting. The first fount of type was probably left behind in Ghent with David Aubert. The new type, accompanied by a matching formal typeface, was designed and cut by a very experienced punchcutter, Johan Veldener, who had worked with printers in Cologne, and later moved between several places in the Low Countries, Louvain, Utrecht and Culemborg. 2 Caxton took the founts with him when he left Flanders and set up his printing house in the precincts of Westminster Abbey. Here he worked until his death in 1492 and produced almost a hundred works, almost all printed in the style of the type he had acquired while in Bruges. In this type, which represents the apogee of Flemish style and taste, Caxton first proceeded to print that most English of texts, Chaucer’s Canterbury Tales, with which to introduce printing in England. It was accompanied by some smaller books of English verse, by Chaucer and the poet John Lydgate, the beginning of a steady production of texts in English that continued for sixteen productive years. In 1488 he ordered a new fount of type from Paris, in Parisian style, but he made very little use of it. So the canon of English literature, by Chaucer, Lydgate, Gower, and Thomas Malory, joined a little later by a constant stream of his own translations from the French, all were printed in this foreign style which was apparently accepted by the readers in England as being the face of the new art of printing. Its influence was even greater, for the style is also found for printing in English and law-French in the printing 1

  bmc xi, pp. 58-60 ; Hellinga 2010, pp. 102-105.   Hellinga 2010, pp. 44-45 ; see also above n. 12 (in particular pp. 112-114).

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printers move to england 95 house of the first printers in the city of London, and for a Latin book at the abbey of St Albans. Caxton began to print in Westminster in 1476. Only two years later, in 1478, the first press in Oxford began with a very short-lived printing enterprise. 1 We do not know the name of this printer, but his typographical material is the same as that of a printer in Cologne, also anonymous, who was backed by the merchant Gerard ten Raem. It was perhaps the same man who was sent to Oxford, equipped with the same fount of type and not much else. In Oxford he printed three rather small books in Latin, only the third, the Latin translation of Aristotle ‘s Ethica ad Nicomachum by Leonardus Brunus Aretinus, linked to the university curriculum. The first book, Tyrannius Rufinus, Expositio in symbolum apostolorum, was probably commissioned by a bishop, James Goldwell, with a friend in Oxford acting as intermediary. The link between Cologne and Oxford continued with a second printer, whose name we do know. He was Theodericus Rood de Colonia, and there are reasons to assume that he was the stepson of the Cologne printer Arnold ther Hoernen. He started to print in Oxford in 1481, after the first printer had gone, and produced a few substantial books in Latin, but unlike his predecessor he had the active cooperation of several fellows in the colleges, who probably shared in the cost of printing copies of one of the books on vellum. Later he printed smaller books, some for the new school set up in Magdalen College, and finally a very large work, the Constitutiones provinciales of the Church province of Canterbury, that may have been commissioned by bishops, although there is no documentation to prove this. Theodericus Rood occurs in several of the university archives, so we know where he hired the space for his workplace, and that he had also skills as a goldsmith, for he was paid for repairing a beadle’s staff. He was probably capable of modifying and casting type, and in the few years he was active in Oxford he worked with five distinct founts of type. They were in the style of – but not identical with – the founts of type Arnold ther Hoernen used in Cologne. After Ther Hoernen died, in 1482/3, Theodericus Rood’s mother remarried with another printer, and he left Oxford. It is likely that he joined his new stepfather in Cologne where they produced books for the university at Arnold ther Hoernen’s old address. The two appearances of Cologne printers in Oxford may have been a form of commercial experiment of Cologne merchants and printers, setting up an outpost for manufacture instead of sending over the finished product, perhaps also with the notion that it would be possible in this way to respond to local demand, as indeed both printers did. Another consideration may have been that in this way the high custom duties were avoided that all aliens in the wholesale trade had to pay. There are several documents that are witnesses of the wholesale trade between continental entrepreneurs and the Oxford stationarius Thomas Hunt to show that in the early 1480s Latin books were indeed imported on a considerable scale. 2 At about the same time, in 1480 and 1481, two substantial works in Latin were 1

  bmc xi, pp. 13-15 ; Hellinga 2010, pp. 76-82.   P. Needham, Continental printed books sold in Oxford, c. 1480-3 : Two trade records’, in Incunabula : Studies in fifteenth-century printed books presented to Lotte Hellinga, ed. M. Davies, London, British Library, 1999, pp. 243-270. 2







96 lotte hellinga 1 printed in the City of London. As in Oxford, the new enterprise began with two sizeable and learned books, and the printer was an alien. But here the similarity ends, for the printer’s work was financed by a London merchant, the draper William Wilcock. We also have a name for this printer, but that does not mean that we can establish his identity and his origin with any certainty. In the colophons of the printed works he calls himself ‘Johannes Lettou’, which might indicate an origin in the Baltic region, in Latvia. In archival documents in London he is recorded as an alien ‘John Letowe Bokeprynter Theotonicus’. That would seem to be a clear indication of a printer who migrated from Northern Europe, but the printing type he used in London for his two books and some smaller items has a different tale to tell : it is a printing type that was used between 1477 and 1479 by a printer in Rome, whose name was also Johannes. He did not sign many of his books, and when he did it was as : ‘per Magistrum Johannem Bulle de Bremis’, or ‘Per Magistrum Johannem Bremer alias Bulle’, which suggests the city of Bremen in North-west Germany as his place of origin. He was a skilled printer, who mainly printed works commissioned by the papal Curia, and was apparently not in a position to finance his publications himself. He was not the first to use the small, but highly effective and economical printing type that links his editions in Rome with the first books printed in London. It was a type first used in Naples, in 1476, by Mathias Moravus. In this case the name ‘Moravus’ is unambiguous, for it is known he came from a village in Moravia, near the city of Olomouc. He was a very versatile printer, who left a trail of manuscripts and printed work in Northern Italy and Genoa, before settling for a long career as printer in Naples. If we accept the identification of John Bulle de Bremis’ in Rome with ‘John Lettou, theotonicus’ in London, supported by the evidence of the printing type, a complicated web of connections over a large part of Europe is revealed. It appears that Johannes Lettou was not in a position to conduct a bussiness on his own, either in Rome or in London. After printing the two books which were financially supported by William Wilcock, Johannes Lettou formed a partnership with another alien, William de Machlinia. Although the name with which this man signed his books in colophons indicates as his origin the city of Mechelen (or Malines) between Brussels and Antwerp, he is recorded in the London archives as a member of the Lettou’s household named William with the surname Ravenswalde, ‘Theotonicus’. Time and again we encounter the problem of identity : when people move to different locations their baptismal name remains a constant, but their surnames, or the cognomina, change according to environment and circumstances. With printers, their printing types can help to establish identity. To return to the record of John Lettou’s household in the London archives, it give us a glimpse of how a printing house could form a little community. Lettou’s ‘hospitium’. as it was called, was in Dowgate Ward, in the City near the river Thames, and consisted of his wife, an Englishwoman, William Ravenswalde, and four servants, all designated as ‘Theutonici’. The servants were employed jointly by Lettou and Ravenswalde, and were presumably the compositors and pressmen of the printing house, not  





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  bmc xi, pp. 15-18 ; Hellinga 2010, pp. 83-89.  

printers move to england 97 domestic servants. What we see here is the partnership heading the organization of nine persons who for a few years lived together, each with a role in the small printing business. Lettou’s printing of works in Latin did not continue ; we may consider it as an experiment similar to what happened in Oxford. Instead, the usefulness of the printing press was discovered by the lawyers of the Inns of Court, and the partnership of the two printers, Lettou and De Machlinia, laid the basis for what was to become one of the specialities of London printing, legal works of the common law, in lawFrench. These books were printed in versions of the Flemish-style types introduced by Caxton. Together they produced seven legal works. Then, in 1485, Lettou died. The business was continued for a few years by William de Machlinia alone, moving several times to addresses in the vicinity of the Inns of Court, where the lawyers remained his best customers. But after 1486 we do not hear about him any more, and he may have died. With the cessation of his printing house the earliest phase of London printing came to an end. For a few years, between 1486 and 1491, the only remaining printer in England was William Caxton, who produced very little in the years 1487 to 1488. He may have concentrated on importation, for the trade in Latin books continued as before. But in 1489 Caxton resumed the printing of mainly English texts, still printed with his Flemish-style types. In all he published 72 books in English (including reprints of successful titles), out of a total of 103 items. Of the other thirty items, a significant proportion are liturgical works for use in England. But most liturgical printing, such as Missals, was a specialism requiring very accurate presswork and great skills in red printing. This was beyond the competence of Caxton’s establishment. In 1487 and 1488 – the years in which he published hardly anything himself – he commissioned two liturgical works for Salisbury use from the Parisian printer Georges Maynyal, a Missal and a large collection of liturgical readings, the Legenda Sarum. 1 This commission also led to an important innovation. Caxton obtained the fount of type and also a set of initials that had been used in the Missal. The specialist punchcutters in Paris had developed a style that was very different from anything that had been seen in England, the Flemish-style types, the Cologne types, the type from Naples, and the only founts of type that could be said to be English in character, which were used in the short-lived enterprise in the Abbey of St Albans, and which were based on the handwriting in its famous scriptorium. Caxton hardly used the Parisian type himself, but after his death it came into the possession of his successor Wynkyn de Worde, who clearly rejected Caxton’s preference for the Flemish style, which he may have found old-fashioned. Wynkyn de Worde made the Parisian types, of which he obtained other founts, his characteristic house-style. This style became what in England was called the ‘black letter’ and which dominated printing in England until well into the seventeenth century. Wynkyn de Worde was a Dutchman from a small town in Western Holland, who must have joined Caxton in Westminster at a fairly early date. 2 What role he had in  

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  bmc xi, pp. 307-308 and pp. 359-360, Plate 9 ; Duff (see above p. 79, n. 1) Supplement 25, 30 ; Hellinga 2 2010, p. 101.   bmc xi, pp. 12-13 ; Hellinga 2010, pp. 131-155.  





98 lotte hellinga Caxton’s business is a matter of fantasy or speculation. Certain is that he continued the business after Caxton’s death in 1492, and that after a few years he became its outright owner. He also continued Caxton’s characteristic preference for printing in English, but unlike him, he did not produce literary works of his own, and his choice of texts tended more to the devotional than to the literary. There is only one exception to his preference for Parisian printing types which shows that he still had some Dutch connections. He published in 1496 a reprint of a work on hunting and hawking, and chose to do this in a Dutch type that some ten years earlier had first appeared in the Netherlands, and must have been the work of a punchcutter who is known under several names, depending on where he was working. In Gouda and Leiden in the Netherlands, where he published a few little books, he was Govert van Ghemen (possibly otherwise known as Gotfried van Os), he moved between Holland and Copenhagen, where he became its first printer, still recognisable as Govert aff Ghemen – and where he used the same type. This type was slightly adapted for English for Wynkyn de Worde’s book, squarish, a bit old-fashioned, and De Worde may have thought it just right for such a rustic theme as hunting. He never used it again. Much about the peripatetic Govert van Ghemen is speculative, but I like to add to these speculations a trip to England to assist Wynkyn de Worde. In 1496 Wynkyn de Worde obtained ‘denization’, giving him almost as many rights as a born Englishman. A few years later he moved from Caxton’s old premises in Westminster Abbey to Fleet Street, near the heart of the London book-trade which was in St Paul’s Churchyard. Unlike the tentative moves to Oxford and the first press in London, De Worde continued his printing house until his death in 1535, a very stable presence on the London scene. His publications remained predominantly English, but in the sixteenth century he also developed a sequence of endlessly reprinted schoolbooks for teaching elementary Latin, for which demand and therefore income could be assured. Almost as long as Wynkyn de Worde’s was the printing career of Richard Pynson, who was a native of Normandy. 1 He had come from the leather-business, is first recorded in London as glove-maker, and he remained involved in bookbinding, but he started a printing-house in London at the very end of Caxton’s life, in 1491. He reprinted some of Caxton’s English titles, and where Caxton had chosen the Flemish style for the Canterbury Tales, we find it reprinted by Pynson in types which he must have obtained from Rouen, including a very fine bastarda type, much lighter than the Flemish styles but also derived from scribes’ hands which were traditional in northern France. Pynson used this for a long time, next to a Parisian ‘black letter’, which makes some of his books rather similar to those of De Worde. Pynson, who established his business in Fleet Street, resumed the printing of legal works in Law-French for the Inns of Court and other legal works, including a splendid edition of all the Statutes, the parliamentary laws as issued from the earliest kings of England. He was a clever businessman, who apparently divided his risks equally over different kinds of clientele : clergy, lay people, lawyers, schools, and also official publications. Enduring connections with the Chancery led eventually,  

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  bmc xi, pp. 17-18 ; Hellinga 2010, pp. 113-130.  

printers move to england 99 in 1506, to his appointment as King’s Printer, the second printer to have this function. It is uncertain whether Pynson obtained denization, as Wynkyn de Worde had done. For at least fifteen years these two, Pynson and De Worde had virtually a monopoly on printing in England. A third generation of printers were predominantly born Englishmen, who had for a large part learned the metier in these two printing houses ; they were slow to come to the fore, although Pynson suffered from competition in legal printing. 1 The two older printers seem to have encouraged their former servants only if they stayed within limits. Once settled in their habits, they were slow to equip themselves with printing materials that would stand comparison with the presentation of books imported from the Continent. Most books printed by English printers in this period look characteristically clumsy. From the late 1490s a few other bookmen crossed the Channel to London, coming from Brittany, Normandy or the Netherlands, who were booksellers first, and also financed the printing of some books, or even led a short-lived printing house, never producing more than a few items. There is only one more ambitious enterprise. 2 In the 1520s a press was briefly active in Cambridge, a course of events that seems to repeat what had happened in Oxford 30 years before : the printer and bookseller Johann Siberch arrived from Cologne and was enthusiastically commissioned by professors at the university to print some small books in Latin with humanist associations, ten items in all. But their enthusiasm soon waned, and Johann Siberch left after two years. 3 Meanwhile large-scale importation continued, and we see the network of agents and booksellers, many of them aliens who linked continental book production with the booksellers in England, intensify and getting more complex, while the number of English books printed in Paris, Antwerp and Rouen also rose rapidly in the sixteenth century. The Reformation brought also a special new genre of English printing on the Continent : the printing of heretical works suppressed in England, which took place in Antwerp, and later in Emden and Cleve. A special case was the printing of William Tyndale’s translation of the New Testament, printed in Worms in 1526. Thousands of copies were shipped to England, where an old ecclesiastical law against Bible translations was invoked to confiscate and publicly burn them all. It was one of the earliest manifestations of rigorous censorship during the religious wars that is a dramatic chapter in the history of printing on both sides of the North Sea. Tyndale himself was an early victim.  





The long and stable careers of De Worde and Pynson tell a tale of complete integration into the society of their contemporaries in London, although I would hesitate to speak of acculturation, for in fact they were the bringers of enduring changes in the culture of the book. Their deaths virtually coincided with the statute of 1534 that ended the great influx of alien booksellers and agents, and the few printers, into England. It was the end of lively mobility, that had been characteristic of the world of books in England between 1475 and 1535. It was also an incentive for a new 1

  Ibidem, pp. 183-184.

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  Ibidem, pp. 176-182, 187.

3

  Ibidem, pp. 190-192.

100 lotte hellinga generation of printers to step out of the shadows, and, forced by censorship and strict control, develop in a much more static way a new tradition of book-production in England. Abstract Fino alla metà del 1530, l’importazione di libri stampati nelle isole britanniche superava di gran lunga la produzione libraria locale. In questo periodo, quasi tutti i tipografi inglesi avevano una formazione di tipo europeo continentale : Colonia, le Fiandre, Parigi, Rouen, Roma e l’Olanda, come appare evidente dalla varietà di stili dei loro caratteri a stampa e dei libri che producevano. L’amalgama che ne risulta può essere visto come caratteristico delle prime produzioni tipografiche inglesi.  

Until the mid-1530s the importation of printed books into the British Isles far exceeded local book-production. During that time almost all printers in England had a background in Continental Europe : Cologne, Flanders, Paris, Rouen, Rome, and Holland. This is evident in the variety of styles of their printing types, and of the books they produced.  The resulting amalgam may be seen as characteristic for early printing in England.  

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APROXIMACIÓN AL ESTUDIO DE LA MOVILIDAD DE LOS IMPRESORES EN LA CORONA DE ARAGÓN PENINSULAR EN LOS SIGLOS XV Y XVI Por Manuel-José Pedraza-Gracía

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os impresores localizados en la Corona de Aragón Peninsular en los siglos xv y xvi, incluidos maestros de imprenta, oficiales y aprendices, son 308 que trabajan en Barcelona, 1 Épila, 2 Gerona, 3 Híjar, 4 Huesca, 5 Lérida, 6 Montserrat, 7 Palma de Mallorca 8 Perpignan, 9 Tarragona, 10 Tortosa, 11 Valencia, 12 Valldemosa 13 y Zaragoza. 14 Los estudios biográficos de los impresores se fundamentan en la información que 1   Los datos referidos a esa localidad se obtienen de : Juan Delgado Casado, Diccionario de impresores españoles (siglos xv-xvii), Madrid, Arco/Libros, 1996, 2 v. ; Clive Griffin, Oficiales de imprenta, herejía e Inquisición en la España del siglo xvi, Madrid, Ollero y Ramos, 2009 ; José María Madurell Marimón, y Jorge Rubió y Balaguer, Documentos para la historia de la imprenta y librería en Barcelona, 1474-1553, Barcelona, Gremios de editores, de libreros y de maestros impresores, 1955 ; Josefina Mateu Ibars, Agustín Millares Carlo y las bibliotecas de Cataluña. Su estudio referente a obras impresas en Barcelona durante el siglo xvi, « Boletín Millares Carlo », 13 (1994), pp. 201-[258] ; Agustín Millares Carlo, Introducción al estudio de la historia y bibliografía de la imprenta en Barcelona en el siglo xvi. Los impresores del periodo renacentista, « Boletín Millares Carlo », 2 (1981), pp. 9-120. 2 3   Los datos se obtienen principalmente de : J. Delgado, Diccionario …, cit.   Ibidem. 4   Los datos se obtienen de : Juan Delgado, Diccionario …, cit. ; Asunción Blasco Martínez, Aportación documental para la identificación de Eliécer Ben Abraham Alantasí, impresor en Híjar entre 1485-90, en Litera scripta in honorem Prof. Lope Pascual Martínez, Murcia, Universidad de Murcia, Servicio de Publicaciones, 2002, pp. 75-88. y tambien en Aportación documental para la identificación de Eliécer Ben Abraham Alantansi, impresor en Híjar entre 1485-90 », « Rujiar », 7 (2006). 5   Los datos se obtienen principalmente de : J. Delgado, Diccionario… cit. 6   Los datos se obtienen de : J. Delgado, Diccionario … cit. ; Pere Sanahuja, Antiguos impresores y libreros de Lérida, Lleida, Artes Gráficas Ilerda, 1944. Romà Sol, i Carme Torres, La impremta de Lleida (segles xv-xix), Editorial Ribera & Rius, Alcoletge, 1996. 7   Los datos se obtienen principalmente de : J. Delgado, Diccionario …, cit. 8 9   Ibidem.   Ibidem. 10 11   Ibidem.   Ibidem. 12   Los datos se obtienen de : J. Delgado, Diccionario …, cit. ; C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit. ; Philippe Berger, Libro y lectura en la Valencia del Renacimiento, Valencia, Edicions Alfons el Magnánim, 1987, 2 v. 13   Los datos se obtienen principalmente de : J. Delgado, Diccionario …, cit. 14   Los datos se obtienen de : Manuel Abizanda y Broto, Documentos para la historia artística y literaria de Aragón procedentes del Archivo de Protocolos de Zaragoza, Zaragoza, La editorial, 1915-1932, 3 vols. ; J. Delgado, Diccionario …, cit. ; C. Griffin, Oficiales de imprenta…, cit. ; Miguel Ángel Pallarés Jiménez, La imprenta de los incunables de Zaragoza y el comercio internacional del libro a finales del siglo xv , Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 2003 ; Manuel José Pedraza Gracia, El libro español del Renacimiento : “la vida” del libro en las fuentes documentales contemporáneas, Madrid, Arco/Libros, 2008 ; Los talleres de imprenta zaragozanos entre 1475 y 1577, « Pliegos de bibliofilia », 11 (2000), pp. 3-22 ; La imprenta zaragozana del impresor Pedro Bernuz a través de los protocolos de Pedro Bernuz II, « Revista de Historia Jerónimo Zurita », 72 (1997), pp. 29-52 ; Ángel San Vicente Pino, Apuntes sobre libreros, impresores y libros localizados en Zaragoza entre 1545 y 1599. ii : Los Impresores, Zaragoza, Gobierno de Aragón, Departamento de Cultura y Turismo, 2003.  









































































102 por manuel-josé pedraza-gracía los propios impresores proporcionan en sus productos bibliográficos. Este marco informativo no parece el más adecuado para ser tratado de forma exclusiva en el estudio de los datos biográficos sobre los impresores, por varias razones. En primer lugar, ¿se ha de considerar como impresor al individuo que firma un colofón o que pone su nombre al pié de una portada por el mero hecho de hacerlo ? Ni herederos ni socios capitalistas poseen los conocimientos técnicos para ser considerados como artesanos (artistas) del arte de la imprenta y figuran en los colofones. 1 En segundo lugar, esta fuente oculta la estructura gremial del trabajo. Los oficiales y los aprendices, los grupos más complejos de localizar, son los que, en efecto, realizan el libro bajo la dirección técnica del maestro impresor. Pero, además, en algunas producciones bibliográficas, ¿es verdaderamente el maestro de la imprenta el que lleva a cabo las funciones del diseño del libro y de los materiales que se han de emplear en su confección, o, lo único que hace es seguir las indicaciones del editor o del comitente. 2 Si solamente se toma como fuente la documentación archivística, la identificación de los impresores de los primeros periodos de la imprenta presenta también importantes dificultades. Baste como ejemplo la ausencia de un principio establecido de identificación personal suficiente en la documentación. 3 Sobre el uso del término movilidad tampoco hay una única acepción aplicable sería mejor hablar de movilidades, porque no es fácil establecer qué se puede entender por movilidad. Como mínimo pueden deducirse dos tipos completamente diferentes de movilidad. La movilidad que podríamos denominar vertical o iter tipo 

1   Existen numerosos ejemplos de que esta circunstancia. Cfr. por ejemplo : Klaus Wagner, Martín de Montesdoca y su prensa : contribución al estudio de la imprenta y de la bibliografía sevillanas del siglo xvi, Sevilla, Universidad de Sevilla, 1982, p. 43, que opina que Montesdoca no era impresor ; o Manuel José Pedraza Gracia, La imprenta Gabriel de Híjar : (Zaragoza, 1576), Zaragoza, Institución Fernando el Católico, 1991, donde se analiza el taller de este empresario – mercader zaragozano – que entre sus múltiples negocios incluye una imprenta ; entre otros. 2   El 3 de diciembre de 1584 en Zaragoza Francisco Pérez de Pomar, castellán de Amposta, Alonso Gascón, canónigo del Sepulcro de Calatayud, Pedro d’Ixar, Antonio d’Ixar, Martín de Araus y Miguel López de Tolosa, diputados del Reino de Aragón y Juan Bautista de Negro, mercader genovés, domiciliado en Zaragoza, capitulan 750 ejemplares de la segunda edición de la primera parte de los « Anales de la Corona de Aragón ». El mismo acto se encuentra en el Archivo de Protocolos de Zaragoza (Protocolo de Jerónimo Andrés 1584, ff. 1.680 / 1.682 v.) y entre los actos comunes del Archivo de la Diputación del Reino de Aragón (Actos comunes 1584, cuaderno intercalado de 11 f.). Publicado en Ángel Canellas López, Los Anales de la Corona de Aragón de Jerónimo Zurita, en vii Congreso de Historia de la Corona de Aragón, Barcelona, Dirección General de Archivos y Bibliotecas, Dirección General Relaciones Culturales, 1962, pp. 7880, que menciona como fecha del contrato el mes de noviembre ; en Diego Navarro Bonilla, Noticias históricas en torno a la segunda edición de la primera parte de los Anales de Zurita (Juan bautista de Negro-Simón de Portonariis, 1585, « Jerónimo Zurita », 74 (1999), pp. 101-131, que menciona como folios 2.680 / 2.682 v. ; y en Ángel San Vicente, Apuntes sobre libreros, impresores y libros localizados en Zaragoza entre 1454 y 1599599. ii : Los Impresores, Zaragoza, Gobierno de Aragón, Departamento de Cultura y Turismo, 2003, nota 46, vol. 2, doc. 58. Cf. Manuel José Pedraza Gracia, Poder político e imprenta en el Renacimiento en la Península Ibérica : el libro y la Diputación del Reino de Aragón en los siglos xv y xvi, « Cuadernos para Investigación de la Literatura Hispánica », 29 (2004), pp. (295-320), 315-316. Cfr. C. Griffin, Oficiales de imprenta…, cit., p. 240. 3   Como ejemplo sirve el caso de los parisinos Stephabus Charles y Stephanus Xarla que, sin demasiadas reservas, se pueden identificar como la misma persona ya que ambos trabajaron para Luschner en 1505.  





























aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores 103 gráfico, esto es, la carrera profesional, desde sus primeros pasos como aprendiz hasta el acceso a la dirección de su propio taller ; y la movilidad geográfica, es decir, el conjunto de causas y procesos que llevan a numerosos artesanos a emigrar ; en cuyo análisis intervienen múltiples factores. Pero forzosamente es diferente la movilidad de un impresor formado que posee un taller y que cambia de localidad que el de un oficial de imprenta que, por no estar afincado en una población, puede ir ofreciendo sus servicios de localidad en localidad. Esta diferencia puede llevarse también al eje cronológico porque no tiene el mismo significado ni puede tratarse del mismo modo el fenómeno que se podría calificar como “colonización tipográfica” producido en el periodo incunable que las emigraciones de maestros impresores que se produjeron en momentos posteriores. En esta investigación ofrece algunas perspectivas sobre todos estos aspectos circunscritos a la Corona de Aragón Hispánica en los siglos xv y xvi. Se estudian algo más de 300 impresores de todos los niveles en catorce localidades con imprenta.  



1. La colonización tipográfica : la primera movilidad geográfica  

Treinta y cuatro maestros de imprenta son conocidos en el periodo incunable en la Corona de Aragón Peninsular, según los datos ofrecidos por Delgado. 1 Solo con seguridad se puede afirmar la procedencia dentro de los territorios del Rey de Aragón de cuatro, 2 caben dudas sobre otros tres 3 y otros tres proceden del Reino de Castilla. 4 El origen del resto de los maestros conocidos es centroeuropeo, principalmente de los territorios de la actual Alemania, veinte impresores. Habría que añadir un ginebrino, un flamenco, un lombardo y un norteafricano. 5 En consecuencia, los originarios de Europa Central suponen más de los dos tercios de estos primeros impresores. Resulta evidente que la expansión centrífuga de la imprenta llega a la Corona de Aragón desde los territorios de la actual Alemania. La confirmación de este fenómeno comporta que las relaciones existentes con la Península Itálica no favorecieron la introducción de la imprenta desde esa procedencia, mucho más previsible, al menos por lo que se refiere a los artesanos que la practicaron en los primeros años. Son alemanes los primeros impresores de : Barcelona, Valencia, Tortosa, Lérida, Tarragona, Montserrat y Perpignan. El primer impresor en Zaragoza es flamenco  

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  J. Delgado, Diccionario…, cit.   Miquel Albert de Valencia, Aunque firma algunas obras, caben serias dudas sobre su actividad como impresor, cfr. J. Delgado, Diccionario …, cit. ; Nicolau Calafat nacido en Valldemosa en el Reino de Mallorca, de Eliécer Ben Abraham Alantansi nacido en Huesca en el Reino de Aragón, cfr. A. Blasco, Aportación ..., cit., pp. 75-88. y Pere Posa nacido en San Juan de Avinyonet en Cataluña. 3   Pere Miquel y Joan Pla, citado como impresor sólo en un documento de 1496, cfr. J. Delgado, Diccionario …, cit., son casi con seguridad catalanes y Alfonso de Orta, posiblemente valenciano, también ha sido identificado con el portugués Abraham Ben Samuel d’Ortas 4   Son Alfonso Fernández de Córdoba, Diego de Gumiel, de y Juan de Valdés. 5   Son, respectivamente, Pedro Brun, Mateo Flandro, Jaime de Vila y Abraham Maimon Zanete que había nacido en Tremecén actual Argelia, cfr. A. Blasco Martínez, Aportación …, cit., pp. 75-88. 2



104 por manuel-josé pedraza-gracía y actúa de forma efímera con la impresión de un único libro, el segundo impulso impresor en esta ciudad tiene también un origen alemán. El primer impresor de Híjar procedía de Murcia y era originario del norte de África. El primer impresor en Valldemossa y Palma de Mallorca nace en Valldemosa, siendo la imprenta Mallorquina la única cuyo primer artífice es autóctono. Posiblemente estos primeros impresores hayan encontrado en los trabajos de imprenta un negocio con el que complementar otras actividades comerciales. 1 Algunas de esas ciudades como Barcelona o Valencia poseían un mayor atractivo por lo que rápidamente llegaron a ellas varios impresores o compañías de impresores que competían entre ellos por una cuota de mercado que no era muy amplia, Barcelona y Valencia poseían el doble de población que Zaragoza o cuatro veces más que Mallorca. 2 Por esta causa se producirá un movimiento hacia otras ciudades de menor capacidad económica y población como Zaragoza o Tarragona, o que poseían un mercado definido por otras características : Lérida que poseía universidad o Híjar que poseía una población de raza judía lo que especializaba la producción. 3 Existe un segundo avance colonizador que posee como centros de expansión las dos ciudades más importantes ya mencionadas Valencia y Barcelona y que conduce a que no sean pocos los impresores que trabajaron en ambas ciudades. 4 También hay impresores que culminaron su trabajo en otros reinos. 5 Así se producen las emigraciones de los maestros impresores entre ciudades con el afán de instalar negocios que pudiesen proporcionar la rentabilidad necesaria para mantener el negocio con vitalidad. Se han tratado frecuentemente algunas de estas emigraciones como consecuencia de fenómenos derivados de aspectos sanitarios, epidemias, o políticos, pero parece que son más los problemas de corte económico que otros fenómenos los que favorecieron estos cambios, tratándose de una verdadera colonización tecnológica. Quizás la última de las migraciones apuntadas, la de Eliezer Alantansi, por tratarse de una emigración forzosa de carácter religioso, sea la única que pueda ser destacable por el conocimiento evidente del desencadenante.  

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  Sería difícil comprender este empuje sin la vinculación de muchos de estos impresores alemanes a las compañías comerciales alemanas que solían mantener factores en los principales centros comerciales. Lamberto Palmart, primer impresor en Valencia, está relacionado con Jacobo Vizlant factor de la compañía de Ravensburg, lo mismo ocurre con Pablo Hurus que imprime a caballo entre Barcelona y Zaragoza que también es factor de la Handelsgesellschaft de Ravensburg. Herman Kellenbenz, Las relaciones económicas y culturales entre España y Alemania meridional alrededor de 1500, « Anuario de Estudios Medievales », 10 (1980), pp. 539-545. 2   José Antonio Sesma Muñoz, La población urbana en la Corona de Aragón (siglos xiv-xv), en Las sociedades urbanas en la España medieval : Semana de Estudios Medievales (29ª. Estella. 2002), Pamplona, Gobierno de Navarra, Departamento de Educación y Cultura, 2003, pp. 151-193 ; y P. Iradiel Murugarren, Metrópolis y hombres de negocios (siglos xiv y xv), en Las sociedades urbanas en la España medieval : Semana de Estudios Medievales (29ª. Estella. 2002), Pamplona, Gobierno de Navarra, Departamento de Educación y Cultura, 2003, pp. 277-310. 3   Este mismo fenómeno se había producido con anterioridad. P. ej. : Lamberto Palmart llega a valencia procedente de París. 4   Juan Plank, Enrique Botel, Pedro Brun, Alfonso Fernández de Córdoba, Diego Gumiel, Pedro Hagenbach, Pablo Hurus, Leonardo Hutz, Lope de la Roca, Juan Rosembach, Nicolás Spindeler y Pere 5 Trincher.   Alantansi, Brun, Gherlinc, Gumiel, Hagenbach.  











aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores

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2. Los maestros itinerantes : la movilidad del conocimiento técnico  

En el siglo xvi se identifican noventa y nueve maestros impresores. Solamente se conoce el origen de la mitad de estos impresores, cincuenta y uno. Pero son suficientes como para poder apreciar algunos cambios en la tendencia. En el cambio de siglo se producen mutaciones. La más destacable es la práctica desaparición de impresores de origen centroeuropeo. Es un hecho, sin embargo, muy evidente : solo de entre los impresores cuyo origen es conocido uno procede de la actual Alemania 1 y dos en Flandes. 2 Los tres impresores llegan antes de la mitad del siglo, ya no se localizan maestros impresores de estas nacionalidades en la segunda mitad. Este cambio se debe sin duda a los problemas religiosos que se producen en la Europa Central durante esta época. Los impresores que llegan a los territorios de la Corona de Aragón peninsulares son predominantemente franceses, diecinueve ; 3 en menor medida, castellanos, ocho ; 4 italianos, dos ; 5 y navarros, uno. 6 De dentro de los territorios de la Corona se identifican ocho aragoneses, 7 cinco catalanes, 8 tres  







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  Wendelin Rosenhayer imprime en Barcelona en 1516 y 1517.   Juan Baldovino o Baldoví y Ian van Mey ( Juan Mey Flandro), ambos imprimen en Valencia en 1543 formando sociedad para una única obra y, Mey desde este año hasta 1555 ya en solitario. También firma algunas obras en Alcalá de Henares entre 1552 y 1554. Cfr. Juan F. Alcina Rovira, Nuevos datos sobre el impresor y helenista Felipe Mey, « Revista de estudios latinos », 5 (2005), pp. 245-255. 3   Los franceses se instalan con mayor frecuencia en Barcelona : Fernando Canterell imprime en 1567 y 1568, Giraldo Dócil desde 1596, Noel Baresson que trabaja en 1593 y 1596, el lionés Pedro Gotard que trabaja en 1588 y 1589, el saboyano de Rumilly Hubert Gotard que poseyó taller entre 1581 y 1590, Jaime Cendrat de Aubert que firma sus obras entre 1575 y 1589, Charles Boloç (Carlos Amorós) de Tarascón que imprime en Barcelona entre 1507 y 1548, el normando Pierre Regnier de Esteville que trabajó entre 1566 y 1570, Claudio Bornat de Pont de Ruan imprime en Barcelona entre 1556 y 1575, Pere Botín lo hace en 1550, Pere de Montpezat de Spaon imprime entre 1530 y 1562, Nicolás Durán de Salvanyach trabaja entre 1525 y 1531 y Jaime de Vingles en torno a 1520. En Valencia se encuentran Arnau Guillén de Montpezat que ha sido localizado en 1536, Juan Vinyau (Viñao) que imprime entre 1517 y 1529 y Juan Joffre de Briançon que trabaja en Valencia entre 1502 y 1530, todos en la primera mitad del siglo xvi. En Zaragoza sólo trabajan dos impresores de origen francés : Pedro Hardouyn que llega para instalarse como librero pero abre un taller entre 1528 y 1536 fecha en la que es condenado a galeras donde fallecerá y Juan Soler que se instala en Zaragoza en 1577 asociado con la viuda de Juan de Villanueva con quien imprime una única obra posteriormente imprimirá en solitario hasta 1583. También el Aragón en la localidad de Épila figura el francés Tomás Porral en 1580. 4   Entre los castellanos se ha de destacar la familia Robles que procedía de Alcalá de Henares, Pedro y su hijo, Antonio, trabajarán en Lérida mientras que Lorenzo y Diego lo hacen en Zaragoza. Otro alcalaíno, Sebastián de Cormellas el viejo trabajará en Barcelona desde 1591. Los otros tres son Francisco Díaz Romano de Guadalupe que imprime en Valencia en la década de los treinta, el sevillano Diego Hernández que imprime en Zaragoza tras su matrimonio con Juana Millán entre 1545 y 1548 y el palentino Fernando Cansoles que trabaja en Palma de Mallorca entre 1540 y 1580. 5   Son el piamontés Juan Siglo que sólo imprime en Barcelona en 1523, asociado con Dimas Bellestar, y el veneciano Ángelo Tavano que imprime en Zaragoza entre 1599 y 1608, editando, además algunos libros en Barcelona. 6   El navarro de Olite Juan Navarro imprime en Valencia entre 1552 y 1583. 7   Los aragoneses Pedro Bernuz, Juana Millán, Agustín Millán, Juan Millán, Miguel de Güesa o Huesa y Gabriel de Híjar poseerán taller en Zaragoza y Juan Pérez de Valdivielso en Huesca y Zaragoza con una pequeña incursión en Épila. Solamente Pedro Malo acabará trabajando en Barcelona entre 1568 y 1590. 8   Los catalanes Pere Posa sobrino de su homónimo, Juan Carlos Amorós, el perpiñanés Sansón Arbús, Gabriel Graels y Gaspar Letget trabajan en Barcelona, si bien Arbús imprime también en Perpignan. 2









106 por manuel-josé pedraza-gracía 1 valencianos y dos mallorquines. 2 Una división del siglo en sus dos mitades ofrece la perspectiva de una cierta evolución. En la primera mitad el predominio de impresores ajenos a los reinos de la Corona de Aragón es claramente predominante, dieciséis, frente a tres : nueve franceses, tres castellanos, dos flamencos, un italiano y un alemán ; y dos catalanes y un aragonés. En la segunda mitad se aproximan bastante diecisiete artífices de fuera de los territorios de la corona frente a catorce de los que le pertenecían : nueve franceses, seis castellanos, un italiano, un navarro ; y seis aragoneses, tres catalanes, tres valencianos y dos mallorquines, que tienden a trabajar en sus lugares de origen. Pero las causas que forzaban la emigración de los impresores, tal y como se ha tratado en el apartado anterior no son propias exclusivamente de la imprenta incunable aunque se reduce de forma muy considerable. Predominantemente, se encuentran maestros impresores que se asientan en una ciudad y desarrollan su actividad en el mismo lugar de forma continuada. Son muy pocos los impresores que mueven sus imprentas de lugar. 3 Por tanto, se aprecia que existen dos cuestiones que resaltan de forma notable al estudiar la movilidad de los maestros impresores en el siglo xvi : a) Paulatinamente los impresores originarios de las localidades con imprenta van sustituyendo en ellas a los impresos llegados desde otros lugares pudiendo establecerse un crecimiento mayor también de los oriundos de los otros reinos peninsulares de la monarquía española. b) Con el cambio de siglo se produce un cambio de tendencia por lo que se refiere a la inmigración de maestros impresores. Lo impresores alemanes prácticamente dejan de llegar y son sustituidos por impresores de origen francés. Curiosamente estos procesos coinciden con un descenso en la calidad de los productos impresos en el siglo xvi que culminará en el xvii, que tienen como causa la baja calidad de las materias primas y por la incorporación en los talleres de impresores poco experimentados. Pero no solo los maestros estaban sujetos a cierta movilidad, en ocasiones las prensas también eran itinerantes. 4 Mover la prensa y los elementos para imprimir  









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  Los valencianos Pedro Patricio Mey y Vicente de Miravet poseerán imprenta en Valencia y Juan Felipe trabajará en Tarragona entre 1578 y 1587. 2   Los mallorquines Gabriel Guasp y Gabriel Guasp Miquel imprimen en Mallorca desde 1583 hasta bien entrado el siglo xvii. 3   El francés Nicolás Durán de Salvanyach inicia su labor impresora en Barcelona entre 1525 y 1531 y la culmina en Valencia en 1535 y 1536. El francés Arnau Guillén de Montpezat Se instalará en Tortosa para imprimir entre 1538 y 1539 procedente de Valencia donde imprime en 1536. El castellano Pedro de Robles llega a Lérida para trabajar entre 1566 y 1576 procedente de Alcalá de Henares. El castellano Juan de Villanueva llega a Lérida donde imprime entre 1572 y 1576 procedente también de Alcalá de Henares. Su viuda dejará Lérida para instalarse en Zaragoza en 1577. Domingo de Portonariis de Ursino llega a Zaragoza para imprimir en tre 1578 y 1585 procedente de Salamanca, donde imprime entre 1569 y 1577. El valenciano Juan Felipe Mey imprime en Valencia entre 1589 y 1611 procedente de Tarragona en donde regenta una imprenta entre 1578 y 1587. El perpiñanés Sansón Arbús imprime en su ciudad entre 1584 y 1596 procedente de Barcelona. Miquel Prats imprime en Valencia entre 1591 y 1600 procedente de Lérida, donde imprimió en 1578 y 1579. 4   … Item, que si el autor quisiere se le trayga la dicha prensa a su casa y se ponga en la parte comoda que el diere… 1587, noviembre, 21, Zaragoza, Jerónimo de Blancas, infanzón y cronista del Reino de Aragón, domiciliado en Zaragoza, y Lorenzo y Diego de Robles, hermanos, impresores, vecinos de Zaragoza,

aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores 107 con objeto de acercarlos al corrector impuesto por el editor es también otro tipo de movilidad. 3. El iter tipográfico : la movilidad dentro del oficio  

Independientemente de la importancia que se le diese al proceso formativo era imprescindible pasar primero por un aprendizaje para llegar a ser oficial de la imprenta, y desde el conocimiento suficiente era posible alcanzar la posibilidad de ser maestro y de poseer una empresa de impresión propia. En realidad la adquisición de los conocimientos técnicos suponía una doble movilidad, la movilidad propiamente profesional y la movilidad de talleres. Es evidente que los conocimientos y habilidades que precisa un cajista no son comparables con los que necesitan los trabajadores de la prensa y tampoco son similares las actividades del batidor que las del tirador. 1 Además, hay otras funciones o trabajos que requerían especialistas cuya participación no es imprescindible de forma continuada : fundidores y correctores. Ninguno de los aprendices localizados aprende en la ciudad de la que es originario. De hecho, parece que esta es la costumbre y el método : se trata de que el aprendiz se integre en el taller y entre al servicio del maestro. 2 Se perseguía la huída del aprendiz de la casa del maestro, debido a que los esfuerzos del maestro por formar al aprendiz, comienzan a producirle frutos reales a partir de un determinado momento. Pero el aprendizaje debía de ser duro y comportar métodos acordes con el tiempo en el que se vivía, de hecho a los aprendices se les podía golpear como era costumbre en todos los países. 3 Pues bien, a pesar de ello, no son extraños los casos en los que los aprendices huyen de las casas de sus maestros antes de finalizar su formación profesional. 4 Los aprendices que se han localizado en la Corona de Aragón tienen orígenes diversos. De su análisis, que debe tomarse con una discreta reserva, 5 se infiere que la mayor parte de estos aprendices, diez, 6 proceden del norte de los Pirineos, mien 



capitulan la impresión de un libro del mencionado Jerónimo de Blancas. a.h.p.n.z., Protocolo de Jerónimo Andrés mayor, 1587, ff. 1.172-1.174 v. 1   C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., manifiesta la existencia de esclavos negros que se dedicaban en la imprenta de los Cromberger a la función de batidor, como función menos especializada, como había puesto de relieve en : Clive Griffin, Los Cromberger : la historia de una imprenta del siglo xvi en Sevilla y Méjico, Madrid, Cultura Hispánica, 1991. 2   1544, julio, 21, Zaragoza. Charles Buret, natural de Francia, firma como aprendiz de impresor con Diego Hernández, impresor, durante un año y medio. Percibirá 7 reales mensuales los seis primeros meses, 10 reales los seis siguientes y 12’5 reales los últimos seis meses. a.h.p.n.z., Protocolo de Juan Campi, 1544, ff. 257 / 258. 3   Cfr. C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., p. 212. 4   Es el caso de Guillermo de Roin (o Droin) que acaba huyendo de su maestro Pierre Regnier en Barcelona o el de Pierres de Reims (o de Rinz) que huye de Ginebra sin culminar su contrato de aprendizaje. Cfr. C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., pp. 116 y 125. 5   Las reservas se derivan de la procedencia de los datos. La fuente principal que ofrece los datos referidos a Barcelona proceden de la obra de C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., que se centra en la persecución de Regnier, que era de origen francés y de cuyo taller este investigador afirma que propendía a contratar operarios y aprendices de su mismo origen. No obstante en este listado se encuentran también Buret y Bureo que aprenden en Zaragoza y Petit en Valencia. 6   Son : el gascón Pierre Arbús, quizás de Perpignan, aprende con Regnier en Barcelona el oficio de tira 





108 por manuel-josé pedraza-gracía tras que los otros cuatro son de origen peninsular, un aragonés, 1 dos castellanos 2 y un navarro 3 Habría que seguir la pista de estos aprendices para comprobar si efectivamente tras el aprendizaje desarrollan su profesión en el mismo lugar en el que aprendieron. 4 Los datos a este respecto son por escasos poco concluyentes. Pero junto a estos raros casos se hallan oficiales y maestros que trabajan en la Corona de Aragón pero que aprenden en otros lugares. 5 La dependencia que el aprendiz tiene del maestro y su frecuente juventud tienen como consecuencia que su capacidad para participar en cualquier negocio jurídico fuese escasa lo que hace que se posean pocas noticias de los aprendices. De hecho los contratos de aprendizaje, en la mayoría de los casos se llevan a cabo por parte de los padres o tutores del que va a ser aprendiz. Una vez que se había aprendido el oficio se alcanzaba el grado de oficial. Estos oficiales se empleaban a cambio de un salario por un tiempo determinado o para la realización de un trabajo específico. Sólo algunos de ellos conseguirán alcanzar la categoría de maestro. 6 De las noticias obtenidas se desprende que la mayor parte de dor ; Germán del Buey, francés, aprende en el taller zaragozano de Juana Millán ; Charles Buret, francés, aprende con Diego Hernández en Zaragoza ; Antoni Clop, originario de Cahors (Francia) aprende con Regnier en Barcelona ; Joan Faure, francés de Pamiers, aprende con Regnier en Barcelona ; el normando Guillén aprende con Regnier en Barcelona ; el francés Jacques aprende con Bornat en Barcelona ; Juan Labori, francés, aprende con Montpezat en Barcelona ; Joan Petit, francés aprende en casa de Franciso Díaz Romano en Valencia ; Guillermo de Roin, posiblemente francés, huye del aprendizaje de Regnier. 1   Miguel Pérez, de Panzano en el Reino de Aragón, aprende con Agustín Millán en Zaragoza. 2   El castellano Juan aprende con Regnier en Barcelona y Luis Merchant de Salamanca, aprende con Agustín Millán en Zaragoza. 3   Carlos Castillo, de Lerín en Navarra, aprende con Robles en Zaragoza. 4   Los datos a este respecto son por escasos poco concluyentes. Juan Navarro (podría caber una reserva ya que el nombre no puede ser más común, debido a que muchos de los nacidos en Navarra, al llegar a Zaragoza cambiaban con frecuencia el apellido por el patronímico) que aprende con Juan Millán figura entre los oficiales de Portonariis, ambos mantuvieron su taller en Zaragoza. Germán de Buey no cambia de imprenta desarrollando su aprendizaje y su profesión en el taller de Juan Millán en Zaragoza. 5   Antonio de la Bastida de Albi, en Francia, fue aprendiz en Toulouse con Jacques Colonyes, el maestro de la imprenta Pierre Regnier, natural de Esteville en Francia, fue aprendiz en Rouen y el oficial Pierres de Reims (o de Rinz), natural de Reims, fue aprendiz en Ginebra. Cfr. C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit. 6   Se puede seguir la pista a alguno de ellos. Samsó Arbús, de Perpignan, que imprimió primero en Barcelona, entre 1574 y 1581, y posteriormente en Perpignan, entre 1584 y 1596, fue oficial batidor en las imprentas de Claudi Bornat de Barcelona y de Malo en la misma ciudad. Juan de Arcos, maestro de imprenta en Valencia en 1560 y 1561 fue oficial de imprenta en Barcelona. Carlos Amorós (Charles Boloç) de Tarascón, maestro de la imprenta en Barcelona entre 1507 y 1548 fue oficial de Diego Gumiel y de Juan Luschner que trabajaron también en Barcelona. El francés, Pere Botín, que firma obras en Barcelona en 1550, fue oficial en la imprenta de Jaime Cortey de Barcelona. Jorge Coci, maestro de la imprenta en Zaragoza entre 1499 y 1537 fue oficial de los hermanos Hurus adquiriendo la imprenta zaragozana de Pablo Hurus junto con Leonardo Hutz y Lope Appentegger, sobrino de Pablo Hurus. Cristóbal Cofman, propietario de imprenta en Valencia entre 1498 y 1530, trabajó en Valencia para Miquel Albert, impresor, notario y jurista. Sebastián de Cormellas el viejo, castellano de Alcalá de Henares, que figura en las portadas de los libros salidos de Barcelona desde 1591 hasta mediados del siglo xvii, fue oficial de Hubert Gotard, hijo del impresor de Milán Pietro Gotardo, en su imprenta barcelonesa. Su profesión original era la de fundidor. Jorge Costilla que poseyó imprenta en Valencia entre 1502 y 1532 y firma obras en Murcia en 1518, fue oficial en la imprenta de Diego Gumiel, que imprimió en Valencia. El platero castellano Alfonso Fernández de Córdoba que poseyó imprenta en Valencia, Murcia e Híjar, fue previamente oficial de Palmart en Valencia. Antonio Gener, que firmó obras en Palma de Mallorca en 1554, fue previamen 

















aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores 109 los oficiales que llegan a poseer taller lo obtienen en la misma localidad en la que eran oficiales, veinte de veintitrés impresores. 1 En consecuencia parece que en el iter profesional era frecuente cambiar de lugar desde el aprendizaje cuando se adquiría la condición de oficial, mientras que el acceso a la condición de maestro se realizaba con mucha frecuencia en el mismo lugar en el que se había ejercido como oficial. 4. La búsqueda de la estabilidad : la movilidad de los oficiales  

Pero, sin duda, de todos los trabajadores de las imprentas son los oficiales los que llevan una vida más itinerante. Se sabe que dentro de este grupo puede encontrarse una casuística muy diversa : desde oficiales que se mantuvieron con gran fidelidad al servicio de un maestro durante mucho tiempo hasta aquellos que solamente se contrataban con el taller para la confección de una única obra. El análisis de los oficiales de imprenta se sustenta en noticias de carácter archivístico correspondientes a Zaragoza y Barcelona y, en menor medida a Valencia y a Palma de Mallorca, casi ciento setenta oficiales. Entre los catorce oficiales localizados en el siglo xv solo conocemos la localidad  

te oficial de Cansoles que poseyó imprenta en la misma ciudad. El piamontés Juan Giglo maestro de imprenta en Barcelona en 1523 fue cajista de Carles Amorós y de Juan Rosembach, ambos maestros de imprenta en Barcelona. El saboyano, de Rumilly, Hubert Gotard, dueño de una imprenta en Barcelona entre 1581 y 1590, que también firma obras en la Cartuja de Scala Dei en Tarragona, fue oficial fundidor en imprentas de Zaragoza y Barcelona. El lionés Pedro Gotard, tío de Hubert, maestro de imprenta en Barcelona, fue oficial en Zaragoza y en la imprenta barcelonesa de Claudi Bornat. El sevillano Diego Hernández maestro de la imprenta en Zaragoza entre 1545 y 1548, tras su matrimonio con Juan Millán, viuda de Pedro Hardouyn, fue oficial en la imprenta valenciana. Pedro de Huete, dueño de una imprenta entre 1568 y 1580 en Valencia fue oficial en la misma ciudad del flamenco Juan Mey (Ian van Mey) tras su matrimonio con Jerónima Galés, viuda de Mey. Leonardo Hutz, de origen alemán y dueño de la imprenta de Zaragoza en sociedad con Coci y Appentegger, fue oficial de Pablo Hurus, impresor de Zaragoza, y del que fuera su socio Jorge Coci, también de Zaragoza. Antes de trabajar de nuevo para Hurus había sido maestro de imprenta en Valencia y Salamanca, en dos sociedades con Hagenbach y Lope Sanz. Tras su sociedad en Zaragoza regresa a Valencia, desde donde vuelve a Zaragoza como criado de su antiguo socio Jorge Coci. El saboyano Juan Joffré que fue maestro de la imprenta valenciana entre 1502 y 1530 trabajó en Valencia para Lope Roca (Wolf von Stein). Pablo Malo, hijo del maestro de la imprenta de Barcelona Pedro Malo natural del reino de Aragón, dueño de una imprenta en Barcelona entre 1591 y 1595, fue oficial de Jaime Cortey en su imprenta barcelonesa. Vicente de Miravet que poseyó imprenta en Valencia entre 1584 y 1587, fue previamente cajista en la imprenta valenciana de Juan Navarro. El francés Pere Montpezat, propietario de una imprenta en Barcelona entre 1530 y 1562, fue oficial de Juan Rosembach en 1528 y de Carles Amorós en sus talleres de Barcelona. El castellano Esteban de Nájera, propietario de una imprenta en Zaragoza entre 1550 y 1555, fue oficial de la imprenta zaragozana de Pedro Bernuz y Bartolomé de Nájera entre 1540 y 1544. Felipe Roberto, maestro de imprenta en Tarragona entre 1588 y 1618, fue oficial de la imprenta de Pedro Sánchez de Ezpeleta en Zaragoza. Pierre Regnier, dueño de una imprenta en Barcelona entre 1566 y 1570, aprendió el oficio en Rouen durante cuatro años con un tal Pedro o Pablo Cupin. Fue oficial en imprentas de Rouen con el mismo maestro ; de Rennes en casa de Thomas Mestrand y en la de Jean Georget, de nuevo en Rouen en la imprenta de Nicholas le Roux y en la de Pierre Hubault père ; en Londres en la casa del francés de Rouen Jean le Roux ; en Paris ; en Blois ; en Lyon en la imprenta de Cécile Peysson, viuda de Corneille de Septgranges y en la de Thibaud Payen ; y en Barcelona en la imprenta de Cortey. 1   Las excepciones son : Juan de Arcos que se traslada de Barcelona a Valencia, Diego Hernández que lo hace de Valencia a Zaragoza, aunque con seguridad era oficial de la imprenta de Juana Millán antes de contraer matrimonio con ella y Felipe Roberto que se traslada de Zaragoza a Tarragona.  







   



110 por manuel-josé pedraza-gracía o el país de nacimiento de ocho. Sucede con los oficiales en esta época algo similar a lo que ocurría con los maestros, predomina la procedencia Centroeuropea : cinco son alemanes, 1 dos son castellanos 2 y uno es veneciano. 3 En la primera mitad del siglo xvi se localizan setenta oficiales de los que de treinta y dos se conoce su procedencia. En la segunda mitad se han localizado ochenta y seis de los que es conocido el origen de cuarenta y uno. De los oficiales extrapeninsulares treinta y nueve son franceses, nueve alemanes, seis flamencos, tres italianos, dos portugueses y dos originarios de la actual suiza. Del resto de los reinos peninsulares de la corona hay seis castellanos y de la corona de Aragón se han encontrado cinco catalanes, un valenciano y un aragonés. Un desarrollo más pormenorizado revela que en esa primera mitad del siglo xvi llegan los nueve oficiales alemanes que se han encontrado en esta época, 4 trece oficiales proceden del reino de Francia, 5 dos son flamencos, 6 un piamontés 7 y un milanés 8 son los dos italianos, un portugués, 9 un originario de Sankt Gallen 10 en la actual Suiza y un castellano. 11 Además se han de añadir un aragonés 12 y dos catalanes 13 entre los súbditos de la Corona de Aragón. De los ochenta y cinco oficiales que se han identificado en la segunda mitad  

1   Juan de Colonia en 1489, Lope Appentegger, Leonardo Hutz y Jorge Coci antes de 1499 que trabajaron para los Hurus en Zaragoza, y Cristóbal Cofman que trabaja en Valencia para Miquel Albert antes de 1498. 2   El platero Alfonso Fernández de Córdoba que trabaja para Palmart antes de instalarse por su cuenta en 1477 y Sebastián de Escocia que trabaja para Gumiel en Barcelona en 1496. 3   Mateu Bonet, que trabaja también para Gumiel entre 1496 y 1498. 4   Son : Enricus Squirol en Barcelona en 1508 ; Antón de Rober de Nuremberg en 1511, Ans Suisca en 1512, el fundidor de tipos Anamocho en 1515 y Mauricio Guatier entre 1515 y 1519 en la imprenta de su compatriota Jorge Coci de Zaragoza ; Lorenç Ortuheny en la imprenta de Rosembach de Barcelona en 1517 ; Juan Alemán en 1530 en Zaragoza ; Jacobo Eceydel en 1546 y Jacobo Alemán entre 1549 y 1556, en Zaragoza. 5   Juan Joffre que fue oficial de Lope de la Roca en Valencia antes de 1502 ; el picardo Pedro Giralt, que trabaja para Coci, Hutz y Appentegger en 1502 en Zaragoza ; Antoni Boxeró focial en Barcelona en 1505 ; el parisino Stephanus Xarla o Charles que trabajan para Luschner en Barcelona en 1505 ; Carlos Amorós, o lo que es lo mismo Charles Boloç, oficial de Gumiel y Luschner en Barcelona antes de 1507 ; Juan Denbato de Toulouse oficial de Rosembach durante tres años desde 1518 ; Juan Onjolet de Casals y el borgoñón de Dolsa, Francisco Sapio oficiales en Zaragoza en 1530 ; Pere Montpezat oficial de Rosembach y Amorós en Barcelona en 1530 ; el normando de Rouen Nicolás Vossi, oficial de Carles Amorós en Barcelona en 1538 ; Juan de París oficial de Bernuz y Nájera en Zaragoza en 1540 ; Jacques Vallot o Balloc, oficial de Juana Millán en Zaragoza entre 1547 y 1553 ; Pere Botín oficial de Jaime Cortey en Barcelona en 1550. 6   Pedro Flamenco oficial de Bernuz y Nájera en Zaragoza entre 1544 y 1548 y Pedro La Copa o Calopa que fue oficial de Bernuz en Zaragoza y Regnier en Barcelona entre 1540 y 1558 ejerciendo funciones de cajista y fundidor de tipos. 7   Juan Giglo que trabaja como cajista en Barcelona para Carlos Amorós y para Rosembach en Barcelona en 1523. 8   Bautista Duel, alias Rospin que trabaja en Zaragoza en 1547. 9   Rodrigo Estévez, alias portugués, oficial de Bernuz entre 1546 y 1571 en Zaragoza. 10   Ambrosio de Sangala, oficial de Jorge Coci en Zaragoza en 1518. 11   Martín de Ayala, hijo del impresor toledano Juan de Ayala que trabajo durante un año como oficial de Montpezat en Barcelona en 1535. 12   García Martínez de la Cambra de Ateca, oficial de Coci en Zaragoza entre 1515 y 1521. 13   Miguel Huguet o Uguet de Tarragona que trabaja en Barcelona en 1504 y el cajista Juannot Luschner, hijo de Juan Luschner que trabajó para Amorós en 1538 en Barcelona.  































aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores 111 1 del siglo se conoce la procedencia de cuarenta y uno : veintiséis franceses, cinco castellanos, 2 cuatro flamencos, 3 un italiano, 4 un portugués, 5 otro originario de Ginebra. 6 Pero tan solo se localizan tres oficiales pertenecientes a los territorios de la Corona : dos catalanes 7 y un valenciano. 8 Hay dos características que hacen de esta segunda mitad particular, la fuerte presencia de oficiales franceses, más de la mitad de los oficiales cuya procedencia es conocida son franceses y prácticamente no hay oficiales locales.  



1   Los oficiales franceses identificados son : el tirador Antonio de la Bastida de Albi, trabajó en Zaragoza para Bernuz y Nájera en dos ocasiones desde 1554, para Juan Mey en Valencia en 1555 y con Bornat en Barcelona hacia 1570 ; el cajista Giles de Colomiés oficial de Pierre Regnier y Bornat en Barcelona hacia 1560 (C. Griffin, Oficiales de imprenta … cit., p. 125, da noticia de este oficial y duda de su origen francés) ; Pierre Pintiaban o Pintamenan, cajista y fundidor de tipos normando, que trabaja para Pedro Malo en Barcelona en torno a 1560 ; Bastián que procedente de Alcalá de Henares, trabajó para Regnier y Angulo en Barcelona en torno a 1560 ; Juan Probin de la localidad de Provins, oficial de Pierre Regnier en Barcelona en torno a 1565 ; el parisino Juan Molot, trabaja para Pedro Bernuz en Zaragoza en 1565 antes de regresar a Francia ; el cajista de Esteville Pierre Regnier, que tras un largo periplo por Francia y una corta estancia en Londres, trabaja para Jaime Cortey en Barcelona antes de 1566 ; el gascón Antoni Saliner o Salinas que es oficial de Regnier en 1567 ; Antonio Castelnerach trabaja con Bornat y con Regnier en Barcelona hacia 1569 ; el cajista Pierres de Rinz o de Reims, que procedente de Lyon, trabaja en Zaragoza en torno a 1569, desde donde se trasladará a Alcalá al servicio de Angulo ; el fundidor de tipos lionés Benito Doulcet que trabajó entre 1566 y 1571 en Zaragoza y en Barcelona para Claudi Bornat y Pierre Regnier ; el fundidor de tipos Pierre Relin que trabajó en Zaragoza en 1569 y en Barcelona en 1570 ; el tirador lionés Esteban Carrier, que trabajó en Barcelona para Pierre Regnier y posteriormente para Claudi Bornat hacia 1570 antes de trasladarse a Zaragoza ; el parisino Guillermo Herlin, que procedente de Ginebra Trabaja con Pierre Regnier en Barcelona en 1570, se ha identificado con Guillot el parisino o de Paris, empleado de Angulo en Alcalá ; el gascón Pierre Arbús que trabaja con Claudi Bornat en 1572 antes de desplazarse a Alcalá de Henares ; el fundidor de tipos saboyano Hubert Gotard fue oficial en Barcelona entre 1574 y 1578 ; Domingo Pérez de Narbona, oficial de Domingo de Portonariis en Zaragoza entre 1574 y 1597 ; el cajista lionés Pedro Gotard, tío de Hubert Gotard con quien llega a Zaragoza y Barcelona, que trabaja en Zaragoza y en Barcelona para Bornat hacia 1575 ; el gascón Juan de Zutera o Cusera que es oficial de Sánchez de Ezpeleta entre 1575 y 1579 ; el cajista Antonio Arnaut que procedente de Salamanca trabajó para Domingo de Portonariis en Zaragoza en 1578 ; el cajista Jacques, oficial de Juan Soler en Zaragoza en 1581 ; el marsellés Andreu Thomas, oficial en Barcelona en 1584 ; Arnau Perapin de Besançon trabaja en Barcelona en 1584 ; Narcís Sampsó Argués, del obispado de Rius, oficial en Barcelona en 1588 ; el lionés Juan Dumas o Dimas que trabaja en Barcelona en 1594 ; y Luis de los Ángeles de Toulouse, oficial en Zaragoza en 1599. 2   Los cinco oficiales castellanos son : Joan de Retesvies, oficial en Barcelona en 1552 ; Juan Serrat, oficial en Barcelona entre 1566 y 1583 ; Francesc Arnandis, oficial en Barcelona hacia 1570 ; el vallisoletano Sebastián Portillo oficial de Lorenzo de Robles en Zaragoza entre 1590 y 1591 ; y Sebastián Cormellas el viejo de Alcalá de Henares que trabaja para Hubert Gotard en Barcelona antes de 1591, año en el que comienza a firmar sus propias obras. 3   Los oficiales flamencos identificados en esta segunda mitad del siglo XVI son : Hendrik van der Loe (Enrique Loe), procedente de La Rochelle, trabaja durante dos meses con Pedro Bernuz en Zaragoza en torno a 1567, junto con su tío Leonardo Loe, antes de desplazarse ambos a Alcalá de Henares y posteriormente a Salamanca ; Adrian Gaspar o Adrián Alocomar o Alejandro de Alkmaar, que trabaja para Pierre Regnier en Barcelona en torno a 1562 ; y el fundidor de tipos Juan Flamenco, que trabaja para Lorenzo de Robles en Zaragoza en 1588. 4   El veneciano Mateu Spesaferro o Sepeteferro, oficial en Barcelona en 1590. 5   El tirador portugués de Frego Domingo Hernández, que trabaja en Zaragoza en 1594 para Lorenzo de Robles. 6   Juan de Rodas, oficial de Regnier en Barcelona hacia 1560. 7   Son el barcelonés Martí Caperot, oficial en Barcelona en 1590, y Juan Dalmau de Cardona, oficial en Barcelona en 1594. 8   El cajista Vicente de Miravet, oficial Juan Navarro en Valencia antes de 1584, cuando firma sus primeras obras en su propio taller.  



































































112 por manuel-josé pedraza-gracía Pero, ¿qué causas mueven a los oficiales de la imprenta a cambiar de domicilio o a permanecer estables en una localidad o taller ?, o si se quiere, ¿qué es lo que busca un oficial de imprenta con esa movilidad ? Las causas que generan la movilidad pueden ser diversas y encuadrarse dentro de otras que motivan la generalización de las movilidades de trabajadores de otros sectores de la producción de la época. Las guerras de religión o de cualquier otro tipo, los periodos de sequía que producen importantes hambrunas en determinados lugares, las epidemias que se centran en ámbitos geográficos específicos son factores que, sin duda, favorecen la movilidad de los impresores y, en especial de los oficiales de imprenta. Quizás también las causas principales para el asentamiento definitivo en una localidad sean las propias circunstancias personales. El hecho de estar casados o tener hijos y residencia fija, es una de las causas que pueden influir en la movilidad de los impresores. Por tanto, hay aspectos que más bien responden a procesos de emigración generales. Por ejemplo, algunos oficiales huían por motivos religiosos desde localidades protestantes a un país católico en el que supuestamente se encontraban protegidos. Pero hay también algunos aspectos que tienen que ver claramente con las circunstancias que se encuentran en el entorno de los talleres de imprenta. El primero de ellos es que la imprenta suele ser, además del lugar de trabajo el lugar en el que se vive. Los aprendices y los oficiales que no poseían residencia propia vivían en las casas de la imprenta. De esta manera, cuando un oficial itinerante realizaba un contrato con un maestro de imprenta obtenía trabajo, residencia y, en ocasiones, alimentación. Esta situación facilitaba claramente la movilidad. 1 La movilidad comporta también comunicación. El hecho de cambiar con frecuencia de taller, en una profesión tan endógena, proporcionaba el conocimiento, aunque solo fuese por referencias, de los talleres existentes en otros lugares, del comportamiento de los maestros con los oficiales, de las facilidades o dificultades para encontrar trabajo en las diversas localidades, de los compañeros de trabajo… El oficial que cambiaba de localidad y taller no se enfrentaba a ciegas a una situación completamente desconocida teniendo la garantía de que en el nuevo taller podría encontrar impresores que ya había conocido en trabajos anteriores, o con compatriotas de los que ya había oído hablar, o a los que les recomendarían sus propios conocidos. No siempre los contratos eran de carácter indefinido, frecuente los contratos se pactaban por un tiempo determinado o para la realización de una obra específica. Pero aún es más complejo este asunto, ya que no es imposible que el propio editor elija los oficiales que han de confeccionar la obra que edita o tenga derecho de veto sobre estos. 2  



1

  1594, septiembre, 21, Zaragoza. a.h.p.n.z., Protocolo de Martín Martínez de Insausti, 1594, ff. 598 v. / 599 v. 2   1581, junio, 20, Zaragoza, Melchor Sotes, mercader, Francisco Simón y Juan de la Cuesta, libreros, y Juan Soler, impresor, vecinos de Zaragoza, capitulan la impresión de 800 ejemplares de un libro titulado Historia Pontifical. a.h.p.n.z., Protocolo de Cristóbal Navarro padre, 1581, ff. 723 v. / 725 v. también se reserva el derecho de veto : 1561, septiembre, 13, Zaragoza. Los diputados del Reino de Aragón, Jerónimo Zurita, cronista de Aragón, y Pedro Bernuz, impresor, vecino de Zaragoza, capitulan la impresión de la Primera parte de la Crónica de Aragón del mencionado Jerónimo Zurita. a.d.p.z., Actos comunes, 1561, ms. 692, ff. 53 – 56 (55-58 de numeración actual).  

aproximacíon al estudio de la movilidad de los impresores 113 Hay que sumar a esto la escasez de personal especializado existente en la Península Ibérica. Este parámetro es uno de los que justifica el progresivo descenso en la calidad de los productos bibliográficos hispánicos. El Rey Felipe llegó a declarar que : “Nos somos informado que en las emprentas que hay en estos reynos y en la impresión y correción de los libros que en ellas se imprimen, no se guarda la orden que combiene, y que en los impresores, correctores y componedores y otros oficiales no hay la suficiencia que para ello se requiere.” 1 Los impresores que llegaban encontraban trabajo fácilmente con mejores salarios que en sus lugares de procedencia. Esta escasez era tan evidente que algunos oficiales dejaban trabajos sin concluir si percibían mejoras salariales en otra imprenta o en otro lugar. 2 Estos salarios altos y los bajos requerimientos eran una llamada para aquellos oficiales que quisiesen arriesgarse en el trayecto. Además, como ha demostrado Griffin, 3 el idioma no representaba un problema ya que muchos de los oficiales que localiza en sus encuentros con la Inquisición apenas hablaban castellano. Otro parámetro que incide en la movilidad de los oficiales es la propia aspiración profesional de los oficiales de imprenta. Los oficiales también aspiraban a completar su carrera profesional alcanzando el grado de maestro y la propiedad de un taller. Cada oficial estudiaría constantemente las posibilidades que tendría en los diversos talleres para llegar a este fin propuesto hasta que la visión de la imposibilidad de alcanzarlo en el taller en el que se trabajase fuese otro elemento que les llevase a desplazarse a otro taller, frecuentemente en otra localidad. Esta es una constante utilizando diversos medios para ello, el matrimonio con la viuda propietaria, 4 la sociedad con otros profesionales del libro, el arriendo de una imprenta, 5 etc. Por tanto, a no ser que los oficiales alcanzasen un grado de confianza muy alto con el maestro, normalmente estaban sujetos a una constante movilidad, que, como ya se ha dicho, provenía directamente desde el propio proceso de aprendizaje y que podía llevar al impresor ya formado a buscar mejores mercados. Además los impresores no solían conformar una sociedad discreta y poco amiga de riñas y pendencias. El trabajo de la imprenta era un trabajo muy duro, con un horario muy amplio, trece horas diarias, interdependiente, en el que el cumplimiento del trabajo de unos operarios dependía de que otros tuviesen concluido el propio, como era el caso de cajistas y prensistas y en el que la velocidad de trabajo de unos condiciona la velocidad de los otros. Algunas de estas circunstancias favorecían que las relaciones se estrecharan entre los oficiales que trabajaban juntos y esta misma  

1   Juan Martínez Ruiz, Visita a las imprentas granadinas de Antonio de Nebrija, Hugo de Mena y René Rabat en el año 1573, « Revista de dialectología y tradiciones populares », 24 (1968), pp. 75-110 : 93. 2   1561, septiembre, 13, Zaragoza. a.d.p.z., Actos comunes, 1561, ms. 692, ff. 53-56 (55-58 de numeración actual). Vid ut supra. 3   Cfr. C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., p. 108. 4   El caso de Diego Hernández es paradigmáticos. Cfr. Manuel José Pedraza, Gracia, Juana Millán, señora de la imprenta : aportación al conocimiento de una imprenta dirigida por una mujer en la primera mitad del siglo xvi, « Bulletin Hispanique », 111 (2009), pp. 51-74. 5   Juan de Aranda, cordonero, y Francisco Simón, librero, vecinos de Zaragoza, tutores y curadores de los hijos de los difuntos Juan Millán y Ana López, arriendan la imprenta que fue de Juan Millán a Juan Soler, impresor, vecino de Zaragoza, durante tres años por 1.000 sueldos jaqueses anuales. a.h.p.n.z., Protocolo de Martín Sánchez del Castellar, 1581, ff. 13-14 y una h. al fin del protocolo sin numerar.  











114 por manuel-josé pedraza-gracía relación intensa favorecía también el enfrentamiento. Baudel escribió a Calvino “Tu conoces perfectamente la vida y las costumbres de los oficiales de imprenta ; sabes que son disolutos, pendencieros, dispuestos a cualquier libertinaje y a cualquier fechoría, y ello de una forma absolutamente vergonzosa”. 1 Todo ello sin entrar en los problemas que las propias ideas religiosas llegaban a causarles. Son numerosos los casos en los que los impresores deben de huir de su imprenta o del taller en el que trabajan por alguna de estas causas : Alfonso Fernández de Córdoba huyó de Valencia por una condena a muerte en 1479, el aprendiz de Guillermo de Roin o Droin huyó de su maestro Reigner en torno a 1560 y, de la misma manera, Pierres de Rinz huye de su maestro en Ginebra sin haber cumplido un tercio de lo pactado para su formación. También se conocen hurtos en las imprentas como el cometido por el tirador Nicolás Roseo en la imprenta de Juana Millán, 2 peleas entre impresores como la que se produce entre bautista Duel y Rodrigo Estévez 3 o dilapidaciones de patrimonio, como la que le lleva a Jacobo Eceydel a regresar con su esposa en Zaragoza. 4  



Abstract Se ofrecen algunas perspectivas sobre la movilidad de los impresores en la Corona de Aragón Hispánica en los siglos xv y xvi. Se analizan la movilidad geográfica de los primeros impresores o « colonización tipográfica », la movilidad de los maestros itinerantes, la movilidad existente dentro del aprendizaje del oficio o « iter tipográfico » y la movilidad geográfica de los oficiales. Se estudian algo más de 300 impresores de todos los niveles en catorce localidades con imprenta.  







Some prospects into the mobility of printers in the Hispanic territories of the Crown of Aragon in the fifteenth and sixteenth centuries were presented. The geographical mobility of the first printers or “typographic colonization”, mobility of itinerant master printers, mobility due to learning or “typographical iter” and geographical mobility of the press workers was analyzed. More than 300 was studied at all levels in fourteen locations with printing. 1

  Citado C. Griffin, Oficiales de imprenta …, cit., p. 266.   1536, agosto, 21, Zaragoza, Juana Millán, esposa de Pedro Harduin, impresor de libros, vecino de Zaragoza, nombra procurador al Maestro Pierres, impresor, y a Landro Rius, criados suyos, para exigir a Nicolás Roseo, tirador, antes criado de la mencionada Juana Millán, la devolución de cierto material de imprenta que sustrajo de su casa. a.h.p.n.z., Protocolo de Jaime Talayero, 1536, ff. 362 / 362 v. 3   1547, abril, 11, Zaragoza. Bautista Duel, alias Rospin, impresor de libros, natural de Milán, habitante en Zaragoza, perdona a Rodrigo Portugués, impresor, habitante en Zaragoza, por las heridas que le produjo en la cabeza con una bola de madera. a.h.p.n.z., Protocolo de Juan de Longares, 1547, ff. 149-152 v. 4   1546, mayo, 19, Zaragoza. Jacobo Seydel, alemán, impresor de libros, habitante en Zaragoza, reconoce que, tras dos años de haber estado fuera de su casa, haber dividido los bienes conyugales y haberlos perdido todos, los bienes que actualmente posee por su matrimonio con Catalina Anezcar, pertenecen únicamente a ésta. a.h.p.n.z., Protocolo de Juan Mancho, 1546, ff. 579 v. / 581. 2

LA MOVILIDAD DE LOS IMPRESORES EN CASTILLA EN EL SIGLO XV Fermín de los Reyes

C

uando la imprenta llega a España, en 1472, la Corona de Castilla ocupa una parte importante de la Península Ibérica, a la que habría que añadir la Corona de Aragón, el Reino de Navarra, Portugal y el entonces musulmán Reino de Granada. Unas décadas después, en 1492, Granada es conquistada por los Reyes Católicos y, en 1515, Navarra se vincula con la Corona de Castilla. Éste es el espacio en el que se desenvuelven los impresores en el período analizado, lo que supone la mayor parte de la actual España. 1. Características y contexto de la imprenta incunable castellana

Antes de pasar a ver la movilidad de los impresores hay que destacar las características de la imprenta incunable castellana, que marcará las pautas para el siglo posterior. 1 Como se va a ver, el fruto de la actividad de las prensas es escaso en comparación con países con Italia, Alemania o Francia y su poco más de un millar de ediciones no llega al 4% del total de los incunables conocidos. 1. 1. Características generales La escasez de trabajo influirá en la necesidad de búsqueda del mercado por parte de los tipógrafos y, desde luego, en lo poco perdurable de muchos talleres. Las características generales de la imprenta castellana son : * Está muy dispersa, no hay focos donde se concentre la producción. En dos ciudades, Toledo y Valladolid, predomina la edición de bulas de indulgencias, mientras que hay cierta estabilidad en Burgos, Salamanca y Sevilla, ciudades que suman una buena parte de la producción, un 67% del total en período incunable. Sin embargo, no se puede hablar de un gran centro productor que destaque sobre los demás. * La Iglesia introduce y sustenta con sus encargos una buena parte de los primeros talleres, por lo que éstos perduran en función de sus necesidades. 2 Varias de ellas se deben a la iniciativa de Fray Hernando de Talavera o de Pedro Jiménez de Préjano.  

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  Una obra para una visión de conjunto de la imprenta española es Historia de la imprenta hispana. Madrid, Editora Nacional, 1982. Dentro de ella, para la castellana, Antonio Odriozola. La imprenta en la Castilla en el siglo xv, pp. 91-219. También Mª Luisa López-Vidriero, Pedro Cátedra, La imprenta y su impacto en Castilla. Salamanca, [s.n.], 1998. Un repaso de la historia de la imprenta española en Julián Martín Abad, Los primeros tiempos de la imprenta en España (c. 1471-1520), Madrid, Ediciones del Laberinto, 2003. 2   Fermín de los Reyes Gómez, La Iglesia y la introducción de la imprenta en España. En Memoria Ecclesiae xxxii. Imprenta y archivos de la Iglesia. Actas del xxii Congreso de la Asociación celebrado en Córdoba, Oviedo, Asociación de Archiveros de la Iglesia en España, 2009, pp. 67-110.

116 fermín de los reyes * La pervivencia de muchos talleres es mínima, de unos pocos años y con una producción exigua. Son excepcionales los de largo recorrido y asentados en una sola localidad, siendo ejemplo destacado de ello Fadrique de Basilea en Burgos. * Es muy difícil ver varios talleres trabajando simultáneamente en la misma ciudad, no suele haber demanda para ello. En definitiva, « la instalación de un taller de imprenta en una localidad responde siempre, sin excepción, a la existencia previa de una demanda ». 1 * La producción es escasa, de carácter local. En el xv el total de las ediciones castellanas ronda las 600, algo más de la mitad de toda España. * Hay un número de talleres, al menos tres, cuya localización se desconoce, si bien han dejado algunos impresos hoy no bien identificados. Su presencia en alguna localidad debió de ser tan efímera que su rastro no se ha conservado. Su identificación favorecería el mejor conocimiento del panorama de la temprana imprenta española. El trabajo es escaso, las localidades con mayor demanda son pocas y los profesionales han de buscar sus oportunidades. Sin embargo, la actividad cultural es significativa y las bibliotecas tienen libros de todas las materias, lo que nos indica un predominio de las importaciones, e incluso de encargos de otros centros europeos.  



1. 2. Legislación favorable Desde fechas tempranas Castilla fue un territorio propicio para la importación de libros y la instalación de imprentas debido en parte a una legislación favorable, que atrajo a un buen número de profesionales. Sólo en los comienzos del siglo xvi la legislación intervino en la publicación y circulación de los libros, lo que pudo ocasionar un retroceso. 2 Un factor importante que favoreció la importación de libros fue la exención de impuestos. El caso más antiguo conocido fue el de los impresores Miguel Dachauer y Teodorico Alemán, cuyas alegaciones a los Reyes Católicos sirvieron para que se establecieran diversas provisiones reales de Sevilla, 18 y 25 de diciembre de 1477, en que conceden la importación de libros impresos con exención de impuestos, ya existente en los Cuadernos de alcabalas de este siglo. 3 En 1480 se eleva a ley de Cortes en las de Toledo : « y de los libros, así de latín como de romance, encuadernados o por encuadernar, escritos de mano o de molde ». 4 Desde entonces se concedió la exención a otros profesionales como Antonio Penant de Saunaya (1484), que había  





1   Julián Martín Abad, Los albores del comercio del libro impreso en Castilla, en Libros y Ferias. El primer comercio del libro impreso. Quinto Centenario de la Imprenta en Medina del Campo 1511-2011, Medina del Campo, Fundación Museo de las Ferias, 2011, p. 17. 2   Para lo relacionado con la legislación sobre el libro en España y América véase Fermín de los Reyes Gómez, El libro en España y América. Legislación y censura (siglos xv-xviii), Madrid, Arco/Libros, 2000, 2 v. 3   Archivo General de Simancas (ags), Registro General del Sello, xii-1477, f. 70 y 576 (Citados en José García Oro, María José Portela, La Monarquía y los libros en el Siglo de Oro, Alcalá, Universidad de Alcalá, 1999, p. 35). Al primero se le suele citar como Miguel de Chanty, pero no parece corresponder con los datos de las fuentes, donde se lee Miguel de Chaur o Dachauer, según Elisa Ruiz, La balanza y la Corona. La simbólica del poder y los impresos jurídicos castellanos (1480-1520), Madrid, Ollero y Ramos, 2011, p. 40. 4   J. García Oro, M. J. Portela, La Monarquía y los libros en el Siglo de Oro, pp. 34-35.

la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv 117 1 editado en Venecia varios libros litúrgicos para la diócesis de Toledo. Pero también impresores como Paulo de Colonia, Juan Nuremberg o Juan Rosenbach, logran, en 1490, la ampliación de la franquicia a las imprentas en España. 2 Por otro lado, Meinardo Ungut y Estanislao Polono fueron llamados por los reyes para imprimir en Sevilla en 1491, para lo cual se les eximió de contribuciones. En Castilla la protección se amplió en 1539, por Real Decreto de Doña Juana en Toledo, a todo género de libros, en latín y en romance o de cualquier otra lengua, manuscritos o impresos, encuadernados o sin encuadernar. Sin embargo, en 1502 se promulgó la Pragmática referente a la impresión de libros, que imponía la obligación de la autorización por las autoridades de la impresión de libros, lo que supuso la censura previa de los originales y unos trámites que ralentizaban una de por sí ya exigua producción libraria. 1. 3. La edición de textos por la Iglesia Ya se ha comentado que la Iglesia fue consciente desde un primer momento de las ventajas de la utilización de las prensas para la elaboración de textos, lo que se comprueba en los numerosos impresos editados por ella. Las autoridades eclesiásticas siguieron dos sistemas para la publicación de las obras : financiar o propiciar la instalación de una imprenta y encargarlas en talleres de la ciudad o de fuera. El primer sistema se comprueba en Segovia, Coria, Granada, Valladolid o Toledo, cuyos primeros talleres se debieron al impulso de la Iglesia. De gran importancia será la producción de bulas de indulgencias, entre las que destacan las de Cruzada, que mantendrá talleres permanentes en Valladolid y Toledo desde el siglo xv hasta bien avanzado el siglo xix. Por sus prensas pasará un gran número de tipógrafos, incluso algunos que tienen talleres en otras localidades. A este medio se añaden los encargos a tipógrafos de la ciudad o de otras, en su mayoría a través de mercaderes de libros que trabajan como intermediarios. Personas conocidas son Melchor Gorricio en Toledo o García de Rueda en Alcalá, en ambos casos por encargo del cardenal Cisneros. Otras veces se trataba de comprar una parte importante de la tirada, como ocurrió en Burgos con la Gramática latina de Andrés Gutiérrez de Cerezo, donde el cabildo llegó un acuerdo con el autor para la adquisición de 120 ejemplares, mientras que el resto lo pagaba el autor. 3 Otro encargo es el del cabildo compostelano, en 1483, a los « maestros de hacer breviarios y escrituras de moldes » Juan de Bobadilla y Álvaro de Castro, que lo imprimieron o mandaron imprimir, tal vez en Zamora, pero no en Santiago, pues en el documento se indica que los libros había que « traer hechos a esta ciudad ». 4 También el acuerdo  







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  Breviarium Toletanum y Missale Toletanum, ambos impresos en Venecia por Johannes Herbert en 1483. 2   J. García Oro, M. J. Portela, La Monarquía y los libros, pp. 35-36. 3   Marco A. Gutiérrez, Sociedad, cultura y gramática en Burgos durante el último tercio del s. xv , en Surgimiento y desarrollo de la imprenta en Burgos, Burgos, Ayuntamiento, 2000, pp. 12-13. Marco A. Gutiérrez, Andrés Gutiérrez de Cerezo (c. 1459-1503) : la repercusión de su Ars Grammatica dentro y fuera de España. Homenaje en el v Centenario de su muerte, Burgos, Instituto Municipal de Cultura, 2003, pp. 16-22. 4   Publica el documento Atanasio López, La imprenta en Galicia. Siglos xv-xviii, Madrid, Patronato de la Biblioteca Nacional, 1953, pp. 11-12.  

118 fermín de los reyes del mismo cabildo con Nicolás de Sajonia para la impresión en Lisboa de un Breviario, en 1497, en el que se permite al impresor realizar una cantidad elevada, « mil breviarios compostelanos o más, si más quisiera », de los que el cabildo comprará y pagará trescientos. 1 Con frecuencia incluso se recurre para la impresión de libros litúrgicos a talleres extranjeros, de mayor capacidad técnica y con seguridad más baratos. Por lo que respecta a los eclesiásticos impulsores de la imprenta, destacan los tres personajes relacionados por su formación en Salamanca y por el recurso a los libros de molde.  



Juan Arias Dávila El primero de ellos es el obispo de Segovia Juan Arias Dávila, 2 formado en leyes en el Colegio de San Bartolomé de Salamanca, lo que le une con otros impulsores de la imprenta, como Pedro Jiménez de Préjano, Fray Hernando de Talavera y Pedro de Osma. Su bibliofilia le hizo conocer el arte de la imprenta, pues en su biblioteca tenía algunos de los primeros impresos romanos. Fue el superintendente del Estudio General, lo que, junto con su preocupación por la formación del clero de su diócesis, que se manifiesta en las actas del sínodo celebrado en Aguilafuente, le llevó a traer la primera imprenta a España. Aquellos años de 1471 y 1472 parece haber una crisis en la producción romana, lo que debió de favorecer la salida de Juan Párix hacia Castilla. 3 También intervino en la elaboración de una de las obras impresas en Segovia, las glosas al ordenamiento de Briviesca. 4 Pedro Jiménez de Préjano Un segundo protagonista es Pedro Jiménez de Préjano, 5 vinculado con los inicios de la imprenta en varios lugares. De hecho, Ramón Gonzálvez apunta :  

1   A. López, La imprenta en Galicia, pp. 14-15. Además, el cabildo se compromete a no comprar otros a nadie y a impedir que otro los venda ; el impresor a no vender ninguno hasta que se acaben los trescientos, para lo que se tomó mes y medio. Por supuesto, se establece un precio de venta. 2   Los datos biográficos del obispo en Pilar Rábade, Una élite de poder en la corte de los Reyes Católicos : Los Judeoconversos, Madrid, Sigilo, 1993, pp. 101-172, y en Bonifacio Bartolomé Herrero, Juan Arias Dávila, obispo de Segovia (1466-1497), en Juan Párix, primer impresor en España, [Burgos, etc.], Instituto Castellano y Leonés de la Lengua, 2004, pp. 203-224. Sobre su bibliofilia Fermín de los Reyes, El obispo bibliófilo : Arias Dávila y los libros en Juan Párix, primer impresor en España, [Burgos, etc.], Instituto Castellano y Leonés de la Lengua, 2004, pp. 225-261. 3   Así lo afirma, tras realizar un análisis bibliométrico, Marco Santoro, Storia del libro italiano, Milano, Editrice Bibliografica, 1998, p. 53. 4   Antonio Pérez Martín, El Ordenamiento de Briviesca de 1387 y sus glosas, en Arias Dávila : Obispo y Mecenas. Segovia en el siglo xv, Salamanca, Universidad Pontificia, 1998, p. 368 : « propongo la hipótesis de la autoría de Juan Arias Dávila como la mejor fundada. Ello no es obstáculo para que ante nuevos datos en el futuro proponga otra hipótesis, o que la actual hipótesis la defienda como tesis firme ». También en La literatura jurídica castellana en la Baja Edad Media. Historia de la literatura jurídica en la España del Antiguo Régimen, ed. Javier Alvarado, Madrid, Marcial Pons, 2000, pp. 65 y 77. 5   Algunos libros para consultar la biografía de Préjano : Gil González Dávila, Teatro eclesiástico de las ciudades e iglesias catedrales de España, Salamanca, 1618, I, pp. 41-43 ; Francisco Ruiz de Vergara, Historia del colegio viejo de San Bartolomé de Salamanca, 2ª ed. corregida por José de Rojas y Contreras, Madrid, 1880, i, pp. 554-555 ; J. Solano de Figueroa, Historia eclesiástica de la ciudad y obispado de Badajoz, Badajoz, 1933.  



















la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv

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Un sutil hilo conductor que podría enlazar las ciudades de Salamanca, Segovia, Toledo y Coria, a través de un personaje que desempeñó un destacado papel en la política religiosa y en la promoción de la imprenta castellana […] Pedro Ximénez de Préxano. 1

Jiménez está vinculado a otros protagonistas de la temprana imprenta española, como Arias Dávila, Hernando de Talavera y Pedro de Osma. Canónigo y provisor de Segovia bajo el ministerio de Arias Dávila, pudo conocer la imprenta de primera mano. También fue el acusador de oficio que juzgó la obra De confessione, de Pedro de Osma, declarada herética, y compuso, en 1478, su obra de réplica, el Confutatorium errorum contra claves ecclesiae. 2 Según Gonzálvez, « la postura doctrinal de Ximénez de Préxano fue decisiva para su promoción en la carrera eclesiástica y para la creación de las primeras imprentas toledanas ». 3 De Segovia pasó a ser, a partir de julio de 1476, canónigo de Toledo. 4 Se le nombró responsable de la recaudación de la cruzada 5 por parte de los reyes desde el 3 de junio de 1482 hasta 1489, junto con Hernando de Talavera. En Toledo tuvo que intervenir en la impresión de las bulas, elaborada en el monasterio de San Pedro Mártir, donde trabajó el impresor Bartolomé de Lila, primero en instalarse. Siendo obispo de Badajoz tuvo como familiar al clérigo impresor toledano Juan Vázquez. Nombrado obispo de Coria el 23 de enero de 1489, con él se trasladó Lila con su imprenta.  



Fray Hernando de Talavera El tercer personaje es Fray Hernando de Talavera, 6 también vinculado a la Universidad de Salamanca, donde imparte clases desde 1460. Su vinculación con la imprenta vendrá a partir de su nombramiento como prior del monasterio jerónimo de Nuestra Señora de Prado, de Valladolid, que ocupó desde 1470 hasta 1486. Estuvo presente en la junta de teólogos de Alcalá contra Osma en 1479. En Valladolid se introdujo la imprenta en el Monasterio, para la impresión de bulas, desde 1481. 7 Además, Talavera fue nombrado responsable de la recaudación de la Cruzada por parte de los reyes, desde el 3 de junio de 1482, junto con Jiménez de Préjano. En 1493 fue nombrado primer arzobispo de Granada, donde fue el responsable de la introducción de la imprenta al llamar desde Sevilla a los tipógrafos Meinardo Ungut y Juan Pegnitzer. 1

  Ramón Gonzálvez Ruiz, Las bulas de la catedral de Toledo y la imprenta incunable castellana, en Toletum, 1996, n. 18, p. 98. 2   Pese a su temprana elaboración, se publicó años más tarde. Jiménez de Préjano, Pedro, Confutatorium errorum contra Claves Ecclesiae nuper editorum, Toleti, Johannes Vasqui, 31 julio 1486. 3   R. Gonzálvez, Las bulas de la catedral de Toledo, p. 55. Sobre la pugna entre Jiménez y Osma se extiende en pp. 51-56. 4   Mª José Lop Otín, El Cabildo catedralicio de Toledo en el siglo xv : aspectos institucionales y sociológicos, Madrid, Fundación Ramón Areces, 2003, pp. 419 y 445-446. 5   Tenía su jurisdicción en los siguientes territorios : Toledo, Murcia, Andalucía, Extremadura y lugares adyacentes, Navarra, Vizcaya ; probablemente, la Corona de Aragón. 6   Un repaso biográfico en Luis Resines Llorente, Hernando de Talavera, prior del Monasterio de Prado, [Valladolid], Junta de Castilla y León, 1993. 7   Luis Fernández, La Real Imprenta del Monasterio de Nuestra Señora de Prado. 1481-1835, [Valladolid], Junta de Castilla y León, 1992.  





120 fermín de los reyes Como se puede comprobar, tres eclesiásticos formados en Salamanca son los responsables de la introducción de la imprenta en al menos cinco localidades castellanas, dado que sus traslados también implicaron a los tipógrafos. 2. Los casos de movilidad en Castilla Son abundantes los casos de movilidad que se producen en Castilla en el siglo xv y principios del xvi, período que se tratará a continuación. Como se verá, una parte importante de tipógrafos son alemanes que primero se desplazaron a Italia y luego a España. 2. 1. Juan Párix : Alemania-Roma-Segovia-Toulouse  

En Castilla introdujo la imprenta, llamado por el obispo de Segovia, un alemán de Heidelberg, ciudad cercana a Maguncia, procedente de Italia. Aún se desconocen datos más concretos de la llegada de la imprenta a otras ciudades, y también permanecen en el anonimato varios talleres que trabajaron en Castilla. Segovia a principios de los años setenta parecía reunir las condiciones propicias para el establecimiento de una imprenta. 1 Con Enrique IV la ciudad era Corte, había unos Estudios Generales y también un elevado desarrollo industrial y artesano. Figura clave fue su obispo, Juan Arias Dávila, humanista, preocupado por la formación del clero y conocedor del nuevo arte debido a sus relaciones y a las del cabildo con Italia. No es de extrañar que por ello reclamara la presencia de un impresor que trabajaba en Roma, de donde debió de ir el alemán Juan Párix de Heidelberg, que se titula “Magíster”. Las miradas de los estudiosos de la imprenta se volvieron hacia Roma en busca de los orígenes laborales de Párix, aunque aún no se ha encontrado ningún rastro documental. 2 No obstante, se puede deducir tanto por las relaciones del cabildo como por cuestiones tipográficas. Una de ellas, la tipografía que emplea en su taller, redonda (111 R) de un diseño similar al de las fundiciones de Konrad Sweynheym y Arnold Pannartz en Roma (1467-1473), y al del taller romano de Ulrico Han (1468-1478). 3 Otros datos revelan el buen conocimiento de las impresiones romanas por Párix, como la reproducción en el Repertorium iuris de Milis, del colofón versificado que solía poner Han en sus impresos elaborados entre 1470 y 1471 (versos elaborados por el obispo Juan Antonio Campano a Han). 4 Más llamativo es el conocimiento y la utilización de un sistema entonces innovador, el registro. En los libros con mayor número de cuadernos, los cuatro últimos, incluye al final un 1   Sinodal de Aguilafuente, 5ª ed. Ed. facsímil e introducción de Fermín de los Reyes. Transcripción de Susana Vilches y Pompeyo Martín, [Burgos], Instituto Castellano y Leonés de la Lengua, 2010. Fermín de los Reyes Gómez, Segovia y los orígenes de la imprenta española, « Revista General de Información y Documentación », 2005, vol. 15, 1, pp. 123-148. 2   En 1471 había en Roma once tipógrafos y otro más cuyo nombre se desconoce, pero no hay ninguna referencia a Párix. Véase Gedeon Borsa, Clavis typographorum librariorumque Italiae : 1465-1600, Aureliae Aquensis, Aedibus Valentini Koerner, 1980, ii, pp. 8-9. 3   En la biblioteca capitular de Segovia existen ejemplares de varios impresos de los tipógrafos romanos. 4   Un ejemplar del Scrutinium Scripturarum, de Pablo de Santa María, impreso por Han con el colofón versificado, y con ex libris de Arias Dávila, se encuentra en la catedral de Segovia.  





la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv 121 sumario compuesto por las primeras palabras de los rectos de la primera mitad de los cuadernos, lo que permitía comprobar la integridad del volumen. Este sistema es de origen romano y uno de los primeros en utilizarlo, en 1470, es Ulrico Han. Párix imprimió en Segovia, desde fines de 1472, y al menos hasta 1476, nueve ediciones, sobre todo de tema legal y religioso. El primer libro español es el Sinodal de Aguilafuente, al que siguen las Expositiones nominum legalium o los Commentaria de Pedro de Osma. Se conservan ejemplares de ocho de las nueve ediciones segovianas de Párix. En la mayoría aparece en el colofón el nombre del tipógrafo, pero nunca el año ni el lugar de impresión, por lo que la presencia del alemán en Segovia se explica por la acumulación de pruebas circunstanciales. Por ejemplo, parece lógico que las constituciones del sínodo celebrado en Aguilafuente se imprimieran en Segovia, y más cuando en el archivo del Cabildo se encuentra también el manuscrito (Códex canónum) que sirvió de modelo para la impresión ; 1 el hecho de conservarse seis de los ocho textos en la catedral también avala la tesis segoviana. Es más que probable la impresión por Párix del Tractatus de Confessione, de Martínez de Osma, obra prohibida por herética, que debió de tener una gran difusión. A ello se añade que el autor ya había publicado una obra en Segovia y las palabras de los testigos en la Junta de Teólogos de Alcalá, que hablan de publicación. Párix, hacia 1476 o 1477, tal vez por la impresión de este libro o quizá porque se acabaron los encargos del obispo, se trasladó a Toulouse, donde trabajó tanto en solitario (c. 1477-1482) como asociado con Henri Turner y con Esteban Cleblat, culminando sus impresiones hacia 1490 y dejando, al menos, una treintena de ediciones. En la década de los 90 editó algunas obras impresas en el taller de Henri Mayer. Ahora bien, parece que siguió teniendo relación con tierras españolas, incluso se conoce la concesión de carta de franqueza a “Juan Paris” por los jurados de Zaragoza en enero de 1494, para lo cual tenía que cumplir con requisitos como el de llevar viviendo un tiempo en la ciudad, mantener domicilio fijo y cumplir con las imposiciones fiscales ; de hecho, el 28 de junio de 1496 se registra a un Juan Paris en la calle de las Armas. 2  



2. 2. Bula de Borja, ¿imprenta itinerante ?  

Un enigma de la primitiva imprenta es la Bula de indulgencias para promocionar la cruzada contra los turcos, en castellano, también conocida como Bula de Rodrigo de Borja. Se proclamó en Segovia el 15 de febrero de 1473 con la presencia del legado pontificio, Rodrigo de Borja, en unas fechas en las que en Segovia debía de estar Párix. Esto ha hecho suponer que pudieron ser impresas en dicha ciudad, incluso en el taller de Párix, aunque los tipos góticos (78 G) en que está impresa no se corresponden con la redonda de Párix ni con la de ningún taller conocido. Haebler ve una similitud con 1

  Sonia Garza Merino, Un modelo manuscrito para la edición del Sinodal de Aguilafuente, en Juan Párix, primer impresor en España., [Burgos, etc.], Instituto Castellano y Leonés de la Lengua, Caja Segovia, 2004, pp. 165-170. 2   Miguel Ángel Pallarés, La imprenta de los incunables de Zaragoza y el comercio internacional del libro a finales del siglo xv , Zaragoza, Institución “Fernando el Católico” (csic), Diputación de Zaragoza, 2003, p. 792 : transcribe un documento de 29 de octubre de 1499, en que aparece un librero llamado Juan Paris asociado con Lázaro Gazanis.  

122 fermín de los reyes la tipografía de Arnold ter Hoerner, de Colonia y presume que fue impresa durante el verano de 1473. 1 El hecho de que hayan aparecido cinco ejemplares en Segovia 2 inclina la balanza hacia esta ciudad. Otras posibilidades son que se trajeran las bulas impresas desde otro lugar, algo poco probable, o que se tratara de una prensa preparada para la ocasión, una prensa itinerante que pudo hacer ediciones de la bula en periodos distintos, lo que llevaría a hablar de una cierta presencia del impresor en Castilla. No se puede descartar la impresión de las bulas en otro taller castellano, tal vez sevillano, o burgalés, sede del nuncio y colector pontificio Leonoro de Leonoris, encargado de la contabilidad de la recaudación. Odriozola afirmaba que se imprimió en un taller anónimo castellano y que « no parece muy aceptable la existencia de este tipo gótico en las cajas de Párix, que no aparece jamás en otras impresiones anteriores o posteriores de este impresor ». 3 Hasta la aparición de nuevos datos y, sobre todo, hasta que no se analice con mayor detalle el tránsito del documento manuscrito al impreso y la presencia de talleres itinerantes, será complicado avanzar. Con respecto a la tipografía, una interesante sugerencia de Gonzálvez es la impresión de tipografías especiales para evitar las falsificaciones, abundantes y bien documentadas. 4  



2. 3. Las inestabilidad de las imprentas hebreas Algunas de las más tempranas imprentas castellanas fueron hebreas, pues debían proporcionar libros a las respectivas comunidades. 5 Dos de ellas iniciaron su actividad en los años setenta, mientras que la tercera en el último año posible, 1492. Un judío español, Abraham ben R. Isaac ben Gartón, fue quien imprimió, en Reggio di Calabria (Nápoles), el primer libro hebraico, el comentario de Rashí al Pentateuco, el 17 de febrero de 1475. Parece que después volvió a España con sus tipos hebraicos, que pudieron ser el modelo para las prensas que se establecieron en nuestro país. En Guadalajara, Salomón Alqabes, ayudado por dos de sus hijos, Josué y Moisés, imprimió una veintena de ediciones, comenzando en 1476 por el mismo comentario al Pentateuco de Rashí que antes había estampado Gartón en Italia. El trabajo de este taller parece desarrollarse hasta 1482, si bien parece más activo en los últimos años. En La Puebla de Montalbán o tal vez en Toledo, estuvo instalado el taller de Juan 1   Konrad Haebler, Die Wiegendrucksanlung von Klemperer ibesondere deren Allassbrief, Dresden, 1927. Narra la historia de la adquisición de un ejemplar, hoy perdido, por el bibliófilo alemán Víctor von Klemperer. La historia la narra con detalle Carlos Romero de Lecea, La bula más antigua impresa fuera de Alemania, Madrid, Joyas Bibliográficas, 1980, pp. 49-70, a quien sigo. 2   Fermín de los Reyes Gómez, Las Bulas de Rodrigo de Borja y los orígenes de la imprenta española. En Pecia Complutense, Febrero 2008, 8. http ://www.ucm.es/BUCM/foa/pecia/num8/index08.htm. 3   Antonio Odriozola, Protoincunables españoles en Primeras Jornadas de Bibliografía, Madrid, Fundación Universitaria Española, 1977, p. 432. 4   R. Gonzálvez, Las bulas de la catedral de Toledo, cit., p. 44. 5   Una visión general de las prensas hebreas en Carlos del Valle Rodríguez, Los incunables hebreos españoles, en Catálogo de Hebraica, impresos, y de Judaica, manuscritos e impresos, de la Biblioteca Nacional de Madrid, Madrid, Aben Ezra Ediciones, 2004, pp. 41-62.  

la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv 123 1 de Lucena, al que dos de sus hijas ayudaban a imprimir « muchos libros de hebraico de molde ». 2 El hecho de que los tipógrafos hebreos italianos y españoles buscaran localidades pequeñas para evitar el control de las autoridades, inclina la balanza hacia La Puebla de Montalbán, máxime tras las persecuciones de judíos en Toledo de 1467. Pudo iniciar su actividad hacia 1477 o 1478, y finalizó sus tareas hacia 1480. El año siguiente Lucena, temeroso de la Inquisición, huyó a Roma, donde falleció. El posterior proceso de su hija Teresa dio a conocer buena parte de los datos del taller. También en Castilla, y más concretamente en Zamora, Samuel ben Musa, con los materiales que él mismo grabó, y con ayuda de R. Immanuel, imprimió al menos tres obras en 1492, una de ellas el ya citado comentario de Rashí a la Torá. El decreto de expulsión de los judíos de los Reyes Católicos, de 31 de marzo de 1492, acabó con su actividad y con la posibilidad de existencia de cualquier taller hebreo.  



2. 4. Sevilla y Granada Sevilla es uno de los centros neurálgicos del libro, ya se ha visto que allí acudieron libreros e impresores para realizar sus negocios. El origen de su imprenta sigue siendo enigmático, pues mientras hay constancia de dos impresos de 1473, la certeza de la presencia de un taller la tenemos a partir de 1477, año en que los españoles Antonio Martínez, Alfonso del Puerto y Bartolomé Segura declaran ser los primeros artífices a quienes viera la ciudad del Betis en el ejercicio del noble arte, como se muestra en el colofón del Repertorium de Díaz de Montalvo. Los dos impresos antes citados son tempranos, una bula de 1 de mayo 3 y dos bulas « para la fábrica y obra de la Catedral de Sevilla », de septiembre de 1473, localizadas en su momento en el archivo capitular, pero hoy sin localizar. 4 De ellas se conoce que tienen « un carácter redondo como el corriente de imprenta del día, a excepción de algunos abreviados y letras mayúsculas parecidos a las alemanas ». 5 En principio podría coincidir con la tipografía de los antes citados, pero sin verlas es difícil afirmar nada con seguridad. Otra circunstancia que favorecía la presencia de los españoles en 1473 era la datación de la Bula de indulgencias en favor de la cristianización de Guinea y las Islas Canarias, 6 o “Bula de Guinea”, que si para Harry Wohlmuth es de 1472-1473, 7 datación que se sigue en el reciente catálogo  







1   Fermín de los Reyes Gómez, Juan de Lucena, La Puebla de Montalbán y las imprentas hebreas incunables, en Crónicas. Julio 2010. n. 15, pp. 34-37. 2   Manuel Serrano y Sanz, Noticias biográficas de Fernando de Rojas, autor de La Celestina, y del impresor Juan de Lucena, « Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos », 1902, 6, pp. 245-299. 3   Apuntaciones que podrán servir para indicar el origen y el establecimiento de [la] imprenta en España, Manuscrito citado por Francisco Aguilar Piñal, Diego Alejandro Gálvez y el origen de la imprenta sevillana, « Archivo Hispalense », 1969, 50-51, pp. 107-116. 4   En el siglo xix se publicó un opúsculo titulado Proyecto de la impresión de las obras publicadas e inéditas del Doctor Rodrigo Caro, donde se hace constar la existencia de las dos últimas bulas en el Archivo Capitular. Citado por Joaquín Hazañas y La Rúa, La imprenta en Sevilla, Sevilla, Imp. de la Revista de los 5 Tribunales, 1892, pp. 5-6.   J. Hazañas, La imprenta, p. 6. 6   El único ejemplar se conserva en la Biblioteca Nacional de España. I-2710(10). 7   Harry Wohlmuth, Las más tempranas bulas de indulgencias españolas impresas : nuevos datos sobre la fecha de impresión de la Bula de Guinea y de la introducción de la imprenta en Sevilla, en El libro antiguo español. Actas del segundo Coloquio Internacional (Madrid), Salamanca, etc., Universidad, etc., 1992, pp. 493-553.  









124 fermín de los reyes de incunables de la Biblioteca Nacional de España, en realidad estaría realizada entre 1477 y 1478. 1 Ese año de 1477 es clave para la imprenta sevillana, pues los impresores Miguel de Chauro o Dachauer y Teodorico Alemán solicitan la exención de impuestos para la introducción de libros. Además, según la documentación, por aquellas fechas tenían una sociedad Diego Sánchez Cantalapiedra y Alonso de Porras, en la que éste aporta trescientos mil maravedíes a cambio de la cuarta parte « de lo que se hiciese y obrase en la dicha ciudad de Sevilla » y una quinta parte de lo impreso en Salamanca. 2 Así pues, inicio de negocio en Sevilla y posterior traslado a Salamanca hacia 1480, donde establecen un taller de amplia producción. En 1490, llamados por la reina Isabel, y posiblemente procedentes de Venecia, trabajan los cuatro compañeros alemanes (Pablo de Colonia, Magnus Herbst, Tomas Glöckner y Juan Pegnitzer) que imprimen juntos hasta 1492, luego tres de ellos hasta 1499. Por otro lado, procedentes de Nápoles, Meinardo Ungut y Estanislao Polono trabajan entre 1491 y 1499. En 1492 se había conquistado la Granada musulmana y su primer arzobispo, Hernando de Talavera, llamó a la ciudad a Ungut y a Pegnitzer, 3 que el 30 de abril de 1496 culminaron la obra de Francesc Eximenis, añadida por Talavera, el Primer volumen de Vita Christi, para adoctrinamiento de los conversos ; asimismo, dos meses después, una obra del mismo arzobispo, Breve e muy provechosa doctrina cristiana. Años más tarde, en 1504, llamado por el arzobispo, acudió Juan Varela de Salamanca, que utilizó los materiales de Pegnitzer. Los alemanes volvieron a Sevilla, donde continuaron imprimiendo. Tras la muerte de Ungut, Polono imprime solo y desde 1502 también lo hace en Alcalá de Henares llamado por el Cardenal Cisneros. Pegnitzer y Herbst trabajan en sociedad hasta 1502, luego Pegnizter en solitario en 1503. Hernando de Talavera, tras la vuelta de los alemanes a Sevilla, llamó a otro impresor, Juan Varela de Salamanca, que trabajó en la ciudad entre 1504 y 1508. Después Varela de Salamanca pasó a Sevilla y, durante una breve temporada (1510-1514) a Toledo a imprimir bulas al Monasterio de San Pedro Mártir.  





Se basa en las bulas y comunicados sobre el tema de la cristianización de Canarias y Guinea, hacia esas fechas, si bien cita otros documentos más tardíos que considera como fase final de la predicación de la bula. No debe olvidarse que el autor era el poseedor de la bula, que vendió a la Biblioteca Nacional de España. Hasta el estudio de Wohlmuth la datación de dicha bula oscilaba entre 1477 y 1480. 1   Un trabajo que argumenta la datación de 1477-1478 el de R. Gonzálvez, Las bulas de la catedral de Toledo y la imprenta incunable castellana. El autor se basa en la aparición de una bula manuscrita en la catedral de Toledo, datada el 29 de marzo de 1477, que tomó Constanza Fernández de Quirós. Supone que la predicación de la bula en Toledo debió de ser en los últimos días de la cuaresma de 1477, previa la versión manuscrita a la impresa. La revisión de la datación de la Bula de Guinea, entre otros asuntos, en Reyes F. Delos, Las Bulas de Rodrigo de Borja y los orígenes de la imprenta española. 2   Varona García, Mª Antonia, Identificación de la primera imprenta anónima salmantina, en Investigaciones Histórica, 1994, 14, pp. 25-33. 3   Acerca de Ungut y de Pegnitzer, véanse las correspondientes entradas en el Diccionario de impresores de Juan Delgado. Sobre la primitiva imprenta granadina, el trabajo de Julián Martín Abad, Apunte brevísimo sobre la imprenta incunable granadina, en La imprenta en Granada, Granada, Universidad de Granada y Consejería de Cultura de la Junta de Andalucía, 1997, pp. 13-20.

la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv

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2. 5. Dos focos de movilidad : la impresión de bulas en Toledo y Valladolid  

A partir de los años ochenta la imprenta se expande por diversas localidades, algunas de ellas de importancia para la producción intelectual. Sin embargo, un negocio seguro, pero que movilizará a distintos tipógrafos, es el de la impresión de bulas de indulgencias, actividad para la que se otorga privilegio a los monasterios de San Pedro Mártir, de Toledo, y de Nuestra Señora de Prado, de Valladolid. Por ambos lugares pasaron diversos impresores a lo largo de los siglos, algunos de ellos también dedicados a trabajos particulares en sus propios talleres, pero sin duda la impresión de bulas fue un factor que movilizó a más personas. Toledo Se ha comentado antes la influencia de Jiménez de Préjano en la introducción de la imprenta en Toledo en el monasterio dominico de San Pedro Mártir. Las impresiones toledanas parecen iniciarse en 1480 a cargo de Bartolomé de Lila (1480-1483), al que suceden Álvaro de Castro (1483-1492), Juan Vázquez (1484-1491) y Antonio Téllez (1494-1498) en el siglo xv. Tras ellos, Juan Varela de Salamanca (1510-1514), en cuyo período se debió de hacer una impresión fraudulenta de bulas, recayendo las sospechas sobre los tipógrafos sevillanos. Continúan Arnao Guillén de Brocar, Miguel de Eguía y otros muchos hasta su finalización. Todos ellos también realizan otros trabajos, pero son las bulas las que los mantienen o les hace ir a la ciudad. Pero ya se ha comentado la ocasionalidad de los trabajos. Así, la suspensión de la predicación de la Cruzada durante un año (entre el 12 de agosto de 1484 y el 26 de agosto de 1485) motivó que Álvaro de Castro fuese llamado por un anciano Alfonso Díaz de Montalvo a Huete (Cuenca) para realizar la impresión de las Ordenanzas reales de Castilla y de otras ediciones normativas en ese año. 1 Retomada la cruzada, Castro retorna a Toledo, donde imprimió bulas. El primer impresor toledano, Bartolomé de Lila, tras un periodo de aparente inactividad acompañó a Jiménez de Préjano a Coria (Cáceres), donde imprime, el mismo año de 1489, el Officium Visitationis beatae Mariae Virginis y el Blasón general y nobleza del universo, de Pedro Gratia Dei. 2 No se conoce más actividad de Lila. El final del taller de Téllez debió de influir en la llegada, procedente de Valencia, de Pedro Hagenbach, activo entre 1498 y 1502, año de su fallecimiento. Sin embargo se desconoce el nombre del responsable del taller que continuó con sus tipos, al que se denomina “Sucesor de Hagenbach”, activo entre 1503 y 1511. Asociado con Hagenbach en Valencia estuvo Leonardo Hutz, que años antes también salió para tierras castellanas, en concreto a Salamanca. Con los mismos materiales del taller imprimen, en 1512, Juan de Villaquirán y Nicolás Gazini de Piemonte, que el año anterior estuvo trabajando en Medina del Campo. El citado e inquieto impresor, 1   Francisco Mendoza Díaz-Maroto, Introducción bibliográfica en Cuaderno de alcabalas de 1484 (Huete, Álvaro de Castro, 1485), Albacete, Instituto de Estudios Albacetenses “Don Juan Manuel”, 2001, pp. 12-16. 2   Descripción de las obras en Antonio Rodríguez-Moñino, La imprenta en Extremadura (1489-1800), Badojoz, Diputación Provincial de Badajoz, 1945, pp. 37-46.

126 fermín de los reyes Villaquirán, trabaja en solitario en Toledo desde 1513 hasta 1524, año en que se traslada a Valladolid para imprimir bulas, labor que deja para volver de nuevo a trabajar en Toledo en compañía de Juan de Ayala hasta 1536. De nuevo vuelve a la imprenta del Monasterio de Prado y, finalmente, en 1545 se traslada a Medina a imprimir una obra con Pedro de Castro. Como se ve, un tipógrafo condicionado por las bulas y que estuvo a caballo entre Toledo y Valladolid. En 1510 acude a la Toledo, procedente de Granada y de Sevilla, Juan Varela de Salamanca, que estampa bulas de Cruzada en el monasterio, aparte de otras obras. Pasada su estancia toledana, vuelve a Sevilla, donde prolonga su actividad hasta 1539, año a partir del cual se dedica a la librería. Por San Pedro Mártir, entre 1518 y 1521, pasa también uno de los grandes tipógrafos, Arnao Guillén de Brocar. Procedía de Valladolid y Alcalá, lo que muestra un activo hombre de negocios que acaparó diversos privilegios y diversificó sus ingresos. Valladolid La primera imprenta de Valladolid está vinculada con las bulas elaboradas en el monasterio jerónimo de Nuestra Señora de Prado, actividad documentada desde 1481. 1 En este caso la imprenta aparece asociada al ya citado fray Hernando de Talavera, prior del monasterio entre 1470 y 1486, y primer arzobispo de Granada, donde introdujo el nuevo arte de la impresión. Se realizaron bulas a favor de la Orden de la Merced, de la Iglesia de San Salvador de Ávila (1481), de la Orden de San Juan para la defensa de Rodas (1482) y, a partir de 1501, las de Cruzada, junto las de indulgencia para la catedral de Santiago, para la mitad norte del reino, 2 compartiendo así el monopolio de las primeras con los dominicos toledanos de San Pedro Mártir. Los nombres de los primeros impresores de bulas son desconocidos, es posible que fueran los mismos monjes, aunque de finales de siglo se conocen tres bulas, para el Hospital de Saldaña y para la Iglesia de Santa María de la Fuente, del taller de Pedro Giraldo y Miguel de Planes. 3 Procedente de Burgos, donde estuvo desde 1489 a 1499, Juan de Burgos ocupa el lugar dejado por Giraldo y Planes, aunque tan solo permaneció hasta 1501. Eso sí, debió de hacerse con material tipográfico de los anteriores, con los que volvió a Burgos en 1502, falleciendo a finales de dicho año. 4 A partir del siglo xvi aparece Diego Gumiel, otro impresor inquieto de origen castellano, pero con talleres previos en la Corona de Aragón, tanto Barcelona como 1   Sobre la imprenta del Monasterio, véase el libro citado de L. Fernández, La Real Imprenta del Monasterio de Nuestra Señora de Prado. 2   Segovia, Ávila, Palencia, Zamora, Salamanca, Ciudad Rodrigo, Osma, Burgos, Calahorra, León, Astorga, Oviedo, Reino de Galicia, Reino de Aragón, Principado de Cataluña y otros territorios como Flandes, Inglaterra y Portugal. 3   Antonio Odriozola, La imprenta en Castilla en el siglo xv en Historia de la Imprenta Hispana, Madrid, Editora Nacional, 1982, pp. 176-177, dice de esta imprenta « que reserva muchas sorpresas a quien la investigue a fondo ». 4   Sobre el impresor Mercedes Fernández Valladares, La imprenta en Burgos (1501-1600), Madrid, Arco-Libros, 2005, pp. 191-199.  



la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv 127 Gerona. En 1501 se traslada a Valladolid, donde estampa indulgencias y otras obras hasta 1513. Ese año sale de Castilla y se desplaza a Valencia, donde se mantiene activo hasta 1517. Y justamente cuando sale Gumiel aparece por el Monasterio de Prado el omnipresente Arnao Guillén de Brocar, que siguió con su taller de Alcalá. Brocar se dedica también a la impresión de bulas en los monasterios de Nuestra Señora de Prado (Valladolid, 1513-1519) y San Pedro Mártir (Toledo, 1518-1521), lo que junto a otras grandes empresas, como la Biblia Políglota Complutense, le pusieron a la cabeza de sus contemporáneos 2. 6. Salamanca, referente de la imprenta Salamanca es una de las ciudades españolas que más incunables produce, unos 150, junto con Sevilla. La mayor parte de la producción se elabora en un taller, el que instalaron, hacia 1480, Diego Sánchez de Cantalapiedra y Alonso de Porras, que procedían de Sevilla. Del taller se hicieron cargo los herederos, quedando al final Juan de Porras como responsable. En 1493 el cabildo de Santiago de Compostela encarga a Porras y a Gonzalo Rodríguez de la Pasera la elaboración del Missale Auriense, que elaboran en Monterrey (Orense) 1 en 1494. Al año siguiente imprimen el Missale Compostellanum y una hoja de reliquias de la catedral de Santiago. 2 Tras separarse, Porras recibe más encargos de libros litúrgicos, si bien no se conservan. Coincidiendo con los encargos de Porras en Monterrey, en 1494, procedente de Valencia llegará a la ciudad universitaria Leonardo Huzt. Allí se asocia con Lope Sanz. Tras imprimir ambos entre 1495 y 1497, Huzt se traslada a Zaragoza, donde trabaja varios años hasta que en 1499 vuelve a Valencia. Hay que recordar que en su primera etapa valenciana, Huzt estaba asociado con Pedro Hagenbach, que fue a Toledo poco antes de la vuelta del primero. Otro caso de impresor activo que acaba en Salamanca es el de Juan Gherlinc. Comenzó su periplo en Barcelona en 1488 y luego se trasladó a Braga (1494). Tras la estancia de Porras en Monterrey, Guerlinc acudió a la ciudad gallega en 1496 y, finalmente, entre 1501 y 1503, a Salamanca. En las últimas ciudades se dedicó a la impresión de libros litúrgicos y de bulas de indulgencias, lo que parece motivó sus desplazamientos y la brevedad de las estancias. 2. 7. Pamplona, inicio del periplo de Arnao Guillén de Brocar En Pamplona, perteneciente al Reino de Navarra, inicia su andadura española uno de los más importantes impresores, Arnao Guillén de Brocar. 3 Es de origen francés 1

  Sobre esta imprenta puede verse la obra de A. López, La imprenta en Galicia, pp. 16-20 ; y el estudio y edición facsímil a cargo de José Ignacio Cabano Vázquez y José María Díaz Fernández, Missale Auriense, Santiago de Compostela, Xunta de Galicia, 1994. 2   José Ignacio Cabano Vázquez, Relación das reliquias da Catedral de Santiago en Santiago camiño de Europa. Culto e cultura na peregrinación a Compostela, Santiago, Xunta de Galicia, 1993, p. 339, n. 59. 3   Sobre la actividad de Brocar véase Juan Delgado Casado, Diccionario de impresores españoles (siglos xv-xvii), Madrid, Arco-Libros, 1996, I, p. 89-92. Más detalle en Julián Martín Abad, La imprenta en Alcalá de Henares (1502-1600), Madrid, Arco/Libros, 1991, i, p. 55-75. También se puede ver la obra de María Isabel Ostolaza Elizondo, Impresores y libreros en Navarra durante los siglos xv-xvi, Pamplona, Universidad  

128 fermín de los reyes y sus tipos tienen similitudes con los de Henri Mayer, de Toulouse. Al igual que en otros casos, su presencia en Navarra parece deberse a la iniciativa de la Iglesia, pues su primera obra es el Manuale secundum consuetudinem Ecclesie Pampilonensis, finalizada el 15 de diciembre de 1490. Imprime una treintena de ediciones, entre ellas libros litúrgicos pamploneses, para la diócesis de Tarazona (Zaragoza), en 1500, y para la catedral de Mondoñedo, además de bulas de indulgencias y otras obras. Desde Pamplona se traslada a la castellana Logroño, donde inicia sus impresiones en 1502, curiosamente con un Breviario para la diócesis de Pamplona (que posiblemente tendría iniciado), obras literarias, religiosas y de Antonio de Nebrija, de cuyas obras obtiene privilegio de impresión, lo que le convierte en el editor e impresor del humanista. Fruto de esta intensa relación, tanto en Logroño (1502-1517), como en Alcalá de Henares (1511-1523), el impresor francés dedica una buena parte de su actividad a las ediciones de Nebrija, 91 de 362 (entre 1502-1533), un 25% del total. 1 El prestigioso Brocar tuvo numerosos privilegios y encargos oficiales : licencia para importar papel y pergamino de Francia sin restricción (1523) ; privilegios de las obras de Nebrija y de las bulas de Valladolid (1524-27) y Toledo (1525-27) ; el del Libro de Agricultura, de Gabriel Alonso de Herrera ; el de la impresión de breviarios toledanos (desde 1526) ; y el de las obras de Erasmo (1525-1533). 2  









2. 8. Alcalá de Henares La ciudad de Alcalá de Henares fue la primera madrileña en tener imprenta, impulsada por el que fuera prelado de la diócesis, Francisco Jiménez de Cisneros. El arzobispo era conocedor de la imprenta, pues en Toledo, sede de su diócesis, había hecho encargos de libros litúrgicos en la mencionada imprenta de Pedro Hagenbach a través del mercader de libros Melchor Gorricio. Pese a lo tardío de su instalación, la imprenta alcalaína se convertirá en una de las más importantes de España en el siglo xvi por la pujanza de su universidad. De hecho, su producción sólo será superada por Salamanca y Sevilla. 3 El cardenal Cisneros invitó a Estanislao Polono, 4 que trabajaba en Sevilla, interviniendo en las ediciones como editor García de Rueda. Fue el 22 de noviembre de 1502 cuando se publicó la Vita Cristi cartuxano, voluminosa obra que la reina Isabel Pública de Navarra, 2004. La descripción de las obras logroñesas en María Marsá Vila, La imprenta en La Rioja (Siglos xvi-xvii), Madrid, Arco/Libros, 2002. 1   Julián Martín Abad, Nebrija en los talleres de Arnao Guillén de Brocar y Miguel de Eguía, en Actas del Congreso Internacional de Historiografía Lingüística. Nebrija V Centenario, ed. R. Escavy, J.M. Hernández Terrés y A. Roldán, Murcia, Universidad, 1994, pp. 23-57. Sobre el asunto de los privilegios de Brocar y Nebrija, véase Fermín de los Reyes Gómez, El privilegio de los Diccionarios de Antonio de Nebrija (siglos xv-xviii) : otro enredijo de mil diablos, (en prensa). 2   Sobre el privilegio en este periodo, véase José Luis Gonzalo Sánchez-Molero, Los impresores ante el Consejo Real : el problema de la licencia y del privilegio (1502-1540), in Actas xiii y xiv Jornadas Bibliográficas Bartolomé Gallardo, [Badajoz], Unión de Bibliófilos Extremeños, 2009, p. 119-184. 3   La historia y producción tipográfica de esta localidad en J. Martín Abad, La imprenta en Alcalá de Henares (1502-1600). 4   Polono imprimió en Alcalá entre 1502 y 1504, y tuvo privilegio para obras legislativas. Sobre el tipógrafo polaco, Julián Martín Abad ; Isabel Moyano Andrés, Estanislao Polono, Alcalá de Henares, Universidad de Alcalá, Centro Internacional de Estudios Históricos Cisneros, 2002. Las ediciones pueden verse, también del mismo autor, en Post-incunables ibéricos, Madrid, Ollero & Ramos, 2001.  





la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv 129 la Católica había encargado traducir al franciscano Ambrosio Montesino. Polono imprimió nueve ediciones por encargo, pero las expectativas no debieron deverse cumplidas y abandonó la ciudad en 1504, momento a partir del cual no se tiene noticia de él relacionada con la actividad tipográfica. Su sociedad con Jacobo Cromberger en Sevilla había finalizado en 1503, y desde entonces se inicia en solitario la gran saga de impresores. Tras un vacío de seis años, en 1511, el arzobispo llamó a Arnao Guillén de Brocar, que, sin dejar el taller logroñés, establece su imprenta hasta 1523, si bien simultanea durante unos años sus labores alcalaínas con sus sucursales de Toledo (1518-1523) y Valladolid (1514-1519), donde imprime bulas y otras obras. Como es bien conocido, en Alcalá realizó su gran obra, la Biblia Políglota Complutense. 1 2. 9. Algunos enigmas Antes se ha comentado la presencia en Castilla de talleres cuyo conocimiento deriva de la existencia de algún impreso ; sin embargo, se desconoce tanto los lugares como los responsables de las imprentas, dado que dejaron poca huella y o bien se trasladaron a otros lugares o bien fracasaron en sus iniciativas. Ya se ha visto el caso de la Bula de Borja, pero existen otros impresos enigmáticos. Uno de ellos, el Sacramental de Clemente Sánchez de Vercial, cuyo único ejemplar se conserva en la Fundación Lázaro Galdiano, y que se data c. 1474-1475, de taller castellano desconocido. A él hay que añadir un ejemplar de una rara edición del Flos Sanctorum, con ejemplar conservado en la Library of Congress, asignado también a un taller castellano desconocido y datado c. 1472-1475, pero sin más indicaciones. Por último, otras dos ediciones del Sacramental, que por el momento los repertorios asignan, sin motivo justificado, si bien con interrogantes, a Burgos, hacia 14751476, aunque ni coinciden los tipos con los de Fadrique de Basilea ni por esa época estaba instalado su taller. Son claros ejemplos de talleres que en fechas muy tempranas elaboraron trabajos y tuvieron una vida efímera que probablemente les llevaría a probar fortuna a otras tierras.  

3. Conclusiones. Causas y tipos de movilidad Una vez vistos los casos conocidos de movilidad en Castilla es conveniente recapitular para ver las diversas causas que motivaron el desplazamiento de los tipógrafos mencionados. • Llamada de algún patrocinador : autoridad eclesiástica, civil, autor. Es el caso más común, se han mencionado los casos de Arias Dávila y demás autoridades, aparte de cabildos e incluso la propia monarquía. Se ha podido ver cómo incluso algunos obispos, cuando cambian de diócesis también movilizan a un impresor. Un caso excepcional es el de Álvaro de Castro, que se trasladó desde Toledo a Huete llamado por Alfonso Díaz de Montalvo para imprimir sus obras. Debido a estas condiciones, las localidades que llegaron a tener taller pueden ser pequeñas y sin condiciones objetivas para la estabilidad de un taller, como Huete o Coria.  

1

  El análisis de los talleres complutenses y de su producción en J. Martín Abad, La imprenta en Alcalá de Henares.

130 fermín de los reyes • Búsqueda de nuevas posibilidades, ampliar el mercado. Es el caso de la mayoría, atentos a una necesidad o a una llamada, buscan nuevos mercados, como Arnao Guillén de Brocar, Pedro Hagenbach o Estanislao Polono. En estos casos suelen acudir a ciudades universitarias o grandes sedes eclesiásticas, dado que hay una mayor garantía de demanda de trabajo. En ocasiones, una vez establecidos en grandes ciudades reciben el encargo de localidades del área de influencia. • Problemas con la censura. Por motivos distintos, al menos hay tres tipógrafos que tienen que terminar su actividad e incluso salir del país. El primero pudo ser el pionero, Juan Párix, con motivo de la impresión de un libro condenado por la Inquisición, De confessione, que probablemente le llevó a Toulouse. Los otros dos regentan imprentas hebraicas : Juan de Lucena, impresor toledano, tiene que huir a Roma por temor a la Inquisición ; el otro, Samuel ben Musa, que deja sus trabajos por el decreto de expulsión de los judíos en 1492. En cuanto a las conclusiones, lo primero que hay que destacar es la procedencia de los impresores, en los comienzos la mayoría alemanes, si bien procedentes de Italia, aunque también los hay suizos (Fadrique de Basilea), polacos (Estanislao Polono), o franceses (Guillén de Brocar). Se desconoce la formación de los españoles, pocos en la década de los setenta (los sevillanos Martínez, Del Puerto y Segura, y los impresores de libros hebraicos). En territorio español se producen numerosos desplazamientos por las llamadas de los patrocinadores y por la búsqueda de nuevos mercados. El Reino de Castilla y la Corona de Aragón no son territorios estancos, sino que se producen cambios de territorio, más desde Aragón que a la inversa. La movilidad es debida a distintas causas, pero es muy importante en las primeras décadas el impulso de las autoridades eclesiásticas y civiles. Como se ha podido comprobar, son aún muchos los datos que quedan por conocer de la temprana imprenta española y que nos darían luz sobre los movimientos de los primeros tipógrafos, sus nombres y su producción. Mientras tanto, éste es el panorama de la movilidad en tierras castellanas.  



Abstract A partire da quando Juan Párix si stabilisce a Segovia per incarico del vescovo Juan Arias Dávila, nel 1472, la maggior parte delle nuove tipografie sono impiantate per iniziativa della Chiesa e della Corona. I primi stampatori sono tedeschi, svizzeri o francesi e, per la maggior parte, provengono dall’Italia. Terminate le commissioni e per mancanza di lavoro, molti di questi sono obbligati a trasferirsi in altre località alla ricerca di nuovi mercati, a volte anche due o tre volte. Pertanto, molte tipografie primitive sopravvivono pochi anni, tendono alla dispersione e producono pochi libri stampati, circa 600 edizioni nel xv secolo. A Toledo e Valladolid predomina l’edizione di bolle di indulgenza da parte di stampatori che vanno cambiando, mentre osserviamo certa stabilità a Burgos, Salamanca e Siviglia, città che sommano il 67% del totale nel periodo incunabile. Infine, ignoriamo il nome di tre officine castigliane attive nel xv secolo che hanno lasciato solo pochi libri. Since the bishop Juan Arias Dávila appointed Juan Párix to settle in Segovia in 1472, most of the new printeries had been born of the initiative of the Church or the Crown. The first

la movilidad de los impresores en castilla en el siglo xv

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printers are German, Swiss or French, and most of them come from Italy. As lots of them run out of commissions and have no work, they have no choice but move elsewhere in search of new markets, sometimes even two or three times. Therefore, many of the first printeries survive for just a few years, tend to go awry and produce few printed books, about 600 publications in the xv century. In Toledo and Valladolid the most widespread form of publications are the bulls of indulgence printed by ever-new printers, while some stability can instead be found in Burgos, Salamanca and Seville, which account for 67% of the total incunabulum market. Finally, there are three Castilian shops working in the xv century of which we do not know the names and that have left just a few books.

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aula magna · viale regina elena 295 15 marzo 2012 · sessione antimeridiana

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Mobilità tipografica in Francia durante le guerre di religione* Malcolm Walsby Prima delle guerre di religione : la mobilità come fenomeno economico  

I

primi decenni che seguirono l’arrivo dei torchi in Francia videro in città, villaggi e monasteri la nascita di numerose tipografie, che ebbero però durata effimera. Il tipografo Michael Wenssler, dopo aver stampato oltre centocinquanta edizioni a Basilea e Lione, si spostò nell’abbazia di Cluny, nella Borgogna orientale ; dopo aver stampato qui solo due testi tra 1492 e 1493, vista la mancanza di commissioni si trasferì di nuovo, prima a Mâcon e poi a Lione, dove rimase per il resto della sua carriera. 1 Si tratta di un caso tutt’altro che isolato. Robin Fouquet e Jean Crès, figure stavolta minori, si stabilirono nel villaggio di Bréhan, in Bretagna, nel 1484 ; la loro produzione si arrestò dopo poco più di un anno, con il bilancio di appena una dozzina di opere. Fouquet scomparve, mentre Crès tentò miglior fortuna in prossimità del monastero di Lantenac ; fallito anche questo nuovo tentativo, abbandò ogni progetto imprenditoriale legato alla stampa. Sia a Bréhan che a Lantenac la presenza di una tipografia fu di breve durata e il trasferimento era motivato dalla ricerca di una fonte di protezione. 2 Questo iniziale fallimento di avviare una attività editoriale redditizia riguardò anche città più grandi come Orléans, la cui prima produzione tipografica è limitata ad un solo incunabolo, 3 o Rennes, dove furono stampate soltanto due edizioni : da qui, il tipografo Pierre Belluscullée si spostò a Poitiers, dove diede alle stampe altre cinque edizioni. In alcuni casi, gli stampatori si spostavano alla ricerca di lavoro ;  









* Traduzione dall’inglese di Flavia Bruni. I punti qui discussi sono affrontati anche in Malcolm Walsby, Printer mobility in sixteenth-century France, in *Print Culture and Provincial Cities in Early Modern Europe : A Contribution to the History of Printing and the Book Trade in Small European and Spanish Cities, a cura di Benito Rial Costas, Leiden, Brill, 2012, pp. 249-268. Abbreviazioni utilizzate nel presente contributo : fb = Andrew Pettegree, Malcolm Walsby e Alexander Wilkinson, fb. French Vernacular Books. Books published in the French language before 1601, Leiden, Brill, 2007 ; gw = Gesamtkatalog der Wiegendrucke, online ; istc = Incunabula Short Title Catalogue, online . Controllo sulle risorse elettroniche aggiornato al 30 ottobre 2012. 1   See Victor Scholderer, Michael Wenssler and his press at Basel, « The Library », xi (1912), pp. 283321. 2   Malcolm Walsby, The Printed Book in Brittany, 1484-1600, Leiden, Brill, 2011, pp. 21-27. 3   Guido de Monte Rochen, Manipulus curatorum, translate de latin en francoys, Orléans. Mathieu Vivian, 1490/1 (ISTC ig00600700 ; GW 11834), datato erroneamente al 1481 in Louis Desgraves, Eloi Gibier, imprimeur à Orléans (1536-1588), Genève, Droz, 1966, p. 10. Si veda Louis Jarry, Les débuts de l’imprimerie à Orléans, « Mémoires de la société archéologique et historique de l’Orléanais », XX (1885), pp. (1-24), 7-8, per un documento relativo ad un « impresseur » attivo nel 1481, ma di cui non si conoscono stampe superstiti.  

























136 malcolm walsby in altri, migravano da centri maggiori verso la provincia per fornire competenza e materiali per commissioni specifiche, di solito in società con commercianti del luogo : 1 un esempio è quello del tipografo parigino Jean du Pré, che stampò a Nantes, Chartres e Amiens affiancato da librai che fecero probabilmente da tramite con le autorità locali. 2 In linea di massima, entrambe queste categorie di tipografia itinerante erano destinate a scomparire durante i primi decenni del xvi secolo. L’industria tipografica, evolutasi rapidamente, divenne più sofisticata e piuttosto che affidarsi a tipografi itineranti, il cui lavoro era non di rado di qualità scadente, i mercanti preferivano rifornirsi in centri di stampa affermati : così un libraio di Angers, nel 1518, per l’occasione dell’ingresso trionfale di Francesco i in città commissionò stampe celebrative ad uno stampatore parigino. 3 La creazione di compagnie finalizzate a cofinanziare la produzione editoriale dimostra la crescita del mercato oltre i confini locali. Nel 1511 dei librai di Rennes, Rouen e Caen si unirono in società per produrre una edizione destinata al pubblico di tutte e tre le città : il lungo colophon indica che l’edizione  





a este achevee complete et imprimee a Rouen [...] par Richard Goupil imprimeur pour Ricard Mace demourant a Rouen pres le portail nostre Dame a l’enseigne des chapeletz et pour Michel Angier libraire et relieur de l’uniuersite de Caen demourant audit lieu pres le pont Saint Pierre et pour Jehan Mace libraire demourant a Rennes pres Saint Saulveur a l’enseigne Saint Jehan l’evangeliste. 4

Anche stavolta, non si trattava di un caso isolato. Il miglioramento delle infrastrutture e l’esenzione dai dazi locali per il commercio librario garantita dal re contribuivano a mantenere basso il costo del trasporto dei libri dai principali centri di stampa verso la provincia. 5 Alcuni librai di Caen e Rennes si impegnarono in una collaborazione di lunga durata per fondare una società che promosse circa un centinaio di commissioni e che, in svariate occasioni, si allargò a comprendere altre città, come Angers, Nantes, Poitiers, Rouen, Saint-Brieuc, Morlaix e Moncontour. Alcuni tipografi si espansero aprendo filiali in città più piccole : la famiglia Marnef stampava a Parigi libri da vendere nelle proprie botteghe ad Angers, Bourges e Poitiers. 6 Questo fenomeno ha causato dei fraintendimenti. La menzione di un libraio di  

1   Si veda Philippe Nieto, Géographie européenne des incunables lyonnais : deux approches cartographiques, « Histoire et civilisation du livre », ii (2006), pp. (23-52), 43-46, in cui i movimenti di questi tipografi definiti « multi-localisés » sono efficacemente visualizzati in una serie di mappe. 2   Per una recente valutazione del ruolo di Jean du Pré si veda l’analisi del materiale tipografico usato a Nantes da o per Étienne Larcher : Diane Booton, Hand-Me-Downs : The (Re)use of Relief Metalcuts by Brothers Étienne Larcher at Nantes and Jean Du Pré at Paris, « Bulletin du Bibliophile » (2011), pp. 238-266. 3   William Kemp, L’entrée de François Ier à Angers le dimanche 6 juin 1518 : éditions et récits, in *Vérité et fiction dans les entrées solennelles à la Renaissance et à l’âge classique, a cura di John Nassichuk, Québec, Presses de L’Université Laval, 2009, pp. 87-106. 4   Jacobus a Varagine, La legende dorée, Rouen, Richard Goupil per Jean Macé a Rennes, Richard Macé a Rouen e Michel Angier a Caen, 1511 (fb 30566). 5   Su questi costi si vedano le stime in M. Walsby, The Printed Book ..., cit., pp. 69-70. 6   Cfr. Philippe Renouard, Répertoire des imprimeurs parisiens : libraires, fondeurs de caractères et correcteurs d’imprimerie, depuis l’introduction de l’imprimerie à Paris (1470) jusqu’à la fin du seizième siècle, Paris, Lettres modernes, 1965.  

   

















mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 137 Caen o Rennes non è indicativa, come spesso è stato erroneamente ritenuto, del luogo di stampa. I commercianti si associavano per commissionare a tipografie situate altrove edizioni di cui venivano condivise le spese prima e le copie poi. La facilità di questo tipo di contratti rese ancora più dura la concorrenza nei confronti delle piccole imprese locali. Furono i librai, più che i tipografi, a dominare il mercato della provincia francese. 1 La tipografia itinerante, estromessa dal mercato da grandi imprese situate nei centri urbani principali, perse la sua ragion d’essere. La ridistribuzione dei tipografi che comunque si verificò fu causata soprattutto da circostanze economiche particolari, quali spiegano, ad esempio, il trasferimento di Macé Bonhomme e dei fratelli Trechsel da Lione a Vienne nel 1542. Sia Bonhomme che i Trechsel erano figure ben affermate nel panorama del commercio librario lionese agli inizi degli anni Quaranta del Cinquecento, periodo però turbolento per l’industria tipografica cittadina. Un’agitazione, nota come il « grand tric », mise a rischio la posizione di Lione come terzo centro di stampa in Europa : i titolari delle stamperie dovettero fronteggiare l’opposizione organizzata dei lavoratori che lottavano per ottenere condizioni lavorative e salariali migliori. 2 Per scongiurare uno sciopero potenzialmente nefasto, le autorità cittadine, in considerazione dell’importanza economica dell’industria, accolsero alcune delle richieste, scontentando però i tipografi : già nel 1540 alcuni di essi minacciarono di lasciare la città se almeno una delle clausole non fosse stata revocata. 3 Così fecero sia Bonhomme che i fratelli Trechsel, che fondarono dei negozi più a sud, nella valle del Rodano, nella città di Vienne ; l’investimento si rivelò però ben presto poco proficuo e, nell’arco di un paio d’anni, entrambe le officine vennero riportate a Lione : il vantaggio economico di operare in un centro di commercio internazionale superava le perdite causate dalle concessioni ai lavoranti dei torchi.  











Le guerre di religione Il subbuglio causato dalle guerre di religione ebbe un forte impatto sul commercio librario. La natura regionale del conflitto comportò devastazione e insicurezza in tempi diversi a seconda delle zone. Si ritiene in genere che, fino al 1585, le guerre abbiano avuto un impatto limitato sugli scambi commerciali nella Francia settentrionale, forse con l’eccezione della Normandia, ma già le guerre che seguirono la morte di Francesco di Valois, duca di Angiò e Alençon, nel 1584, causarono problemi di rilievo. In condizioni di instabilità e incertezza politica già non propizie al commercio, lo scoppio della guerra civile che seguì l’assassinio dei fratelli di Guisa, a Blois, nel dicembre del 1588, portò l’economia al collasso. Le vie di collegamento non erano più sicure, in particolare per il trasporto dei 1   Cfr. Malcolm Walsby, The vanishing press : printing in provincial France in the early sixteenth century, in *The Book Triumphant. Print in Transition in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, a cura di Malcolm Walsby e Graeme Kemp, Leiden, Brill, 2011, pp. 97-111. 2   Si veda Natalie Zemon Davies, Protestantism and the Printing Workers of Lyons : A Study in the Problem of Religion and Social Class during the Reformation, University of Michigan, doctoral thesis, 1959, pp. 294329. 3   Delibere della città di Lione alla data del 23 e 25 novembre 1540, Lyon, Archives Municipales, bb 59, ff. 296r e 297v-298r.  



138 malcolm walsby libri. Per il commercio librario la situazione era resa ancor peggiore dal fatto che i due maggiori centri di produzione, Parigi e Lione, erano roccaforti della Lega Cattolica. Il partito realista di Enrico iii prima ed Enrico iv poi tentò a più riprese di riprendere Parigi causando disagi e carestie. Il devastante assedio che Enrico iv impose alla città causò la morte di un decimo della popolazione cittadina ; 1 l’assedio terminò con l’intervento dell’esercito spagnolo, ma Enrico iv minacciò nuovamente Parigi nel 1591 e nel 1593, finchè la città cadde nel 1594. In tali condizioni, la produzione dei torchi calò vistosamente in quantità e qualità. 2 La crisi dell’industria tipografica parigina e la frantumazione della rete di distribuzione libraria ebbero intense ripercussioni anche in provincia. Il mancato rifornimento dei magazzini causava l’insoddisfazione dei lettori. « Vous diriez qu’ils n’ont veu des livres de dix ans tant ils estoyent affamez de livres », osservò il libraio Theodore Reinsart nel visitare la città di Caen. 3 A ben vedere, la situazione offriva nuove possibilità. Reinsart, commerciante formatosi tra Lione ed Anversa, capì che i conflitti avevano scisso il pubblico dalla produzione ; 4 intraprese perciò la distribuzione in Francia di libri usciti dai torchi di Plantin ad Anversa, recapitandoli sia a città che si erano unite alla Lega Cattolica, come Nantes e Le Mans, sia ad altre che si erano schierate con Enrico iv, come Bordeaux, Caen o Tours. Questa iniziativa imprenditoriale non era esente da rischi. Scrisse da Le Mans di aver notato che « je ne suis que 20 lieues de Tours mays c’est le plus dangereux chemin du tout. Toutefoys j’espere que Dieu sera ma guide et sauvegarde en tout mon voyage par sa sainte grace ». 5 Reinsart si muoveva su più livelli : riforniva i magazzini dei librai ma allo stesso tempo vendeva anche al dettaglio a singoli acquirenti, cercando di offrire una selezione di libri abbastanza ampia a prezzi ragionevoli, che comprendeva edizioni dei classici e commenti degli umanisti ma anche breviari, messali e libri d’ore. 6 Vista l’elevata richiesta, la sua iniziativa ebbe un certo successo, 7 seppure non mancarono le difficoltà. Jan Moretus riponeva scarsa fiducia in Reinsart e in alcune occasioni lo rifornì in ritardo dei libri richiesti. 8 Inoltre, sebbene cercasse di rendere disponibili titoli  













1   Sugli effetti dell’assedio si veda il racconto coevo riportato in Adolphe-Marc Dufour, Histoire du siège de Paris par Henri IV d’après un manuscrit nouvellement découvert, Paris, Société de l’Histoire de Paris, 1881. 2   Il numero dei titoli crebbe, vista la grande quantità di letteratura polemica prodotta, ma la quantità di fogli effettivamente stampati registrò un drastico calo. 3   Lettera di Reinsart a Moretus, 27 marzo 1592, Antwerpen, Plantin-Moretus Archief, 92, p. 305. 4   Si veda il contesto illustrato in Denis Pallier, La firme plantinienne et le marché français pendant la Ligue : les voyages du libraire Théodore Rinsart en France (1591-1596), « De Gulden Passer », lxi-lxiii (19831985), pp. 117-135. 5   Lettera di Reinsart a Moretus, 15 aprile 1592, Antwerpen, Plantin-Moretus Archief, 92, p. 299. 6   Si veda l’analisi dei libri portati a Nantes in Malcolm Walsby, Le livre imprimé humaniste en Anjou et en Bretagne aux xve et xvie siècles, in Passeurs de textes : imprimeurs et libraires à l’âge de l’humanisme. Actes du colloque du 30 et 31 mars 2009, a cura di Christine Bénévent, Annie Charon, Isabelle Diu e Magali Vène, Paris, École nationale des Chartes, 2012. 7   Reinsart osservò che « si j’en eusse eu pour deux ou 3 foys autant je les eusse tous vendus. Je ne pouvoys chasser les personnes de la chambre ou estoyent les livres et quelquefoys y estoient bien 50 personnes ensemblement. Je les aÿ venduz a ma volonte et n’ÿ ay rien perdu » : lettera di Reinsart a Moretus, 27 marzo 1592, Antwerpen, Plantin-Moretus Archief, 92, p. 305. 8   Si veda per esempio la lettera di Reinsart a Moretus del 4 maggio 1592, in cui il libraio si lamentava « Je suis fort esbahÿ de ce que ne m’avez fait tenir la balle des poetes in 24o et les 50 brevieres 4o que m’aviez promis de envoyer des la mÿ Caresme » (Antwerpen, Plantin-Moretus Archief, 92, p. 327).  

















mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 139 particolari, Reinsart fu abbastanza accorto da evitare qualsiasi edizione polemica ; rimaneva in ogni caso impossibile soddisfare tutte le richieste, a dimostrazione dei limiti dell’importazione da centri di produzione remoti. Già prima degli scontri, la questione della rete di distribuzione era un problema di lunga data per gli editori protestanti che si rivolgevano ad un pubblico francofono. Una serie di editti aveva reso praticamente impossibile la vendita di edizioni ginevrine nel regno di Francia : l’alternativa era lo smercio clandestino da parte di commercianti simpatizzanti con le teorie riformate, incuranti dei rischi. 1 Durante le guerre di religione l’industria tipografica ginevrina sfruttò ampiamente l’attività di venditori ambulanti per recapitare libri in Francia. Gli sforzi delle autorità per identificare libri di provenienza ginevrina nelle casse consegnate nelle città francesi sortivano scarsi risultati, dato che il materiale portato dagli ambulanti era difficile da rintracciare. 2 Rappresentativa in tal senso fu la rete approntata dall’editore ginevrino Laurent de Normandie, sul cui libro contabile compaiono come debitori più di quaranta librai e ambulanti. 3 L’atteggiamento delle autorità di fronte alla flagranza di reato poteva variare considerevolmente da un caso all’altro. In alcune occasioni sembra che gli ambulanti siano stati trattati con un certo livello di clemenza : questo fu certamente vero in alcune aree fortemente cattoliche, tra cui la Bretagna. Nel 1562, due « marchands libraires de Geneve » furono scoperti a Nantes con tre casse di libri proibiti. Sebbene le autorità ecclesiastiche locali desiderassero una punizione esemplare, il parlement locale predispose una commissione presieduta da un giurista con simpatie protestanti per dirimere la faccenda. 4 La stessa mitezza prevalse anche in alcune zone di confine, come l’area di Verdun, dove nel 1561 un protestante fu arrestato con una cassa di scritti polemici : dopo alcune esitazioni, i libri furono confiscati e bruciati ma il corriere fu semplicemente ammonito e rilasciato. 5 Le autorità non furono sempre così permissive. Il traffico di libri protestanti era ovviamente un azzardo già prima delle guerre di religione. Dei librai elencati nei conti di Laurent de Normandie, tredici furono giustiziati tra 1551 e 1562 mentre altri quattro furono condannati in absentia. 6 Numerosi roghi sono riferiti da Jean Crespin, egli stesso stampatore, nella sua celebre Histoire des martyrs e nei successivi  











1   Un libraio, arrestato a Metz con materiale protestante, fu punito con il taglio delle orecchie e bandito dalla città. L’episodio è descritto da un sacerdote cattolico : Martin Meurisse, Histoire de la naissance, du progres et de la decadence de l’heresie dans la ville de Metz et dans le pays Messin, Metz, Jean Antoine, 1642, pp. 19-21. 2   Si veda per esempio l’Ordonnance et arrest de la Court de Parlement, que tous marchans, libraires, messagers et autres apportans livres, lettres et paquetz, de Genefve, ou autres villes suspectes d’heresie, soit en balles, tonnes et valises, seront tenuz les deployer en la premiere bonne ville, en la presence des officiers royaulx, sur peine de confiscation de corps et de biens, Paris, Vincent Sertenas, 1557 (fb 41304). 3   I conti sono riassunti in Heidi-Lucie Schlaepfer, Laurent de Normandie, in *Aspects de la propagande religieuse, a cura di Gabrielle Berthoud, Georgette Brasart-de Groër, Delio Cantimori et alii, Genève, Droz, 1957, pp. 176-230. 4   Il caso è descritto nel dettaglio in M. Walsby, The Printed Book ..., cit., pp. 197-200. 5   Cfr. M. Meurisse, Histoire de la naissance …, cit., pp. 173-174 e Nicolas Frizon, Petite bibliothèque verdunoise, Verdun, Ch. Laurent, 1885-1889, vol. ii, p. 125. 6   H.-L. Schlaepfer, Laurent de Normandie, cit., pp. 181-182.  

140 malcolm walsby 1 volumi del Recueil des martyrs. Ciononostante, la limitata quantità di volumi distribuiti nel regno, a causa della natura clandestina del commercio, spinse nuovi editori al tentativo di soddisfare la domanda locale, mentre i rischi di questo tipo d’impresa determinarono anche una nuova mobilità da parte di alcuni tipografi. Itineranza religiosa Le guerre di religione rappresentarono allo stesso tempo opportunità e rischi per i tipografi protestanti. Roccaforte della confessione calvinista all’inizio del conflitto, Orléans fu occupata dal principe di Condé nell’agosto del 1562, divenendo per un breve periodo il centro della resistenza protestante, con ripercussioni immediate sul mercato librario locale. Il principale tipografo della città, Éloi Gibier, intraprese la pubblicazione di una serie di trattati polemici in difesa dell’azione del principe di Condé, ristampati molte volte in seguito. 2 Tuttavia, è la carriera di Louis Rabier, anche lui di Orléans, ad essere più rilevante in questo contesto. Di famiglia protestante di Orléans fuggita a Ginevra nel 1554, Rabier apprese qui il mestiere tipografico, lavorando con Conrad Badius fino al marzo 1562. 3 Nel 1563 risulta attivo ad Orléans ; negli anni seguenti pubblicò una dozzina di edizioni che presentano tutte le caratteristiche distintive di un convinto tipografo protestante : 4 ogni sua pubblicazione era volta ad affermare la dottrina calvinista e il suo catalogo includeva due dei titoli di più ampia influenza e maggior successo all’interno dell’industria tipografica protestante : una edizione della Bibbia in volgare ed una traduzione del libro dei Salmi. 5 Il clima in città mutò considerevolmente dopo la seconda guerra di religione, rendendo impossibile la pubblicazione di materiale anticattolico. Per Éloi Gibier questo non rappresentò un ostacolo : si limitò a non sottoscrivere la produzione di argomento politico e religioso durante l’ascesa protestante ad Orléans, sebbene il reale anonimato delle sue pubblicazioni sia discutibile in quanto queste sono contraddistinte dalle sue caratteristiche iniziali ornate. 6 La sua produzione rifletteva l’adesione alla causa dei principi di Condé più che una forte affiliazione religiosa : 7  









1   Cfr. Paul Chaix, Recherches sur l’imprimerie à Genève de 1550 à 1564. Étude bibliographique, économique et littéraire, Genève, Droz, 1954, pp. 58-60. 2   Jean-François Gilmont, La première diffusion des “Mémoires de Condé” par Éloi Gibier en 1562-1563 in *Le livre dans l’Europe de la Renaissance. Actes du xviii e colloque international d’études humanistes de Tours, a cura di Pierre Aquilon e Henri-Jean Martin, Paris, Promodis, 1988, pp. 58-70. 3   Eugénie Droz, Deux études sur Eloi Gibier in Chemins de l’hérésie. Textes et documents, Genève, Slatkine, 1970-1976, vol. iv, pp. (100-134), 122 e Philippe Renouard, Imprimeurs et libraires parisiens du xvie siècle. Tome deuxième, Paris, Service des travaux historiques de la ville de Paris, 1969, p. 302. 4   Il Répertoire bibliographique des livres imprimés en France au seizième siècle, Baden-Baden, Koerner, 19681980, vol. x, p. 79, indica che pubblicò il Discours sur le denombrement des docteurs de l’Eglise de Dieu di Simon de Voyon nel 1563. 5   La Bible qui est toute la saincte escriture, Orléans, Louis Rabier, 1566 (fb 4380) ; Les cent cinquante pseaumes de David, composez en trois parties, Orléans, Louis Rabier, 1565 (fb 5017-5019). Sulla Bibbia, si veda Pierre Aquilon, Pierre Haultin et Louis Rabier, co-éditeurs de la Bible française, « Gutenberg Jahrbuch », l (1975), pp. 142-149. 6   Sulla questione dell’anonimato tipografico si veda Malcolm Walsby, L’auteur et l’imprimé polémique et éphémère français au seizième siècle in *Auteur, traducteur, collaborateur, imprimeur... qui écrit ?, a cura di Martine Furno e Raphaële Mouren, Paris, Classiques Garnier, 2012, pp. 37-57. 7   Si vedano le osservazioni in E. Droz, Deux études ..., cit., p. 106.  







mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 141 egli aveva coerentemente associato il suo nome a pubblicazioni ufficiali, quali decreti regi e ordini per regolare i pedaggi sulla Loira e sui suoi affluenti, il che gli assicurava comunque una certa protezione. Al contrario, Rabier dipendeva completamente dalla produzione religiosa e la caduta del partito protestante segnò il suo destino : nel 1569, o forse già prima, dovette lasciare la città, abbandonando officina e materiale tipografico e scomparendo per quasi un decennio. 1 Ricomparve poi ad una distanza notevole da Orléans. Nel 1577, il Consiglio di Montauban, nella Francia del sud, aveva iniziato a discutere l’opportunità di adottare misure volte ad incoraggiare l’insediamento di un tipografo all’interno delle mura urbane, in particolare l’installazione di due torchi in una casa dalla capienza sufficiente ad ospitare una officina tipografica. 2 La città tentava proprio allora di allargare le sue scuole e di promuovere lo sviluppo di un collegio, e a questa data disponeva già di un vivace mercato librario, con almeno quattordici librai attivi sulla piazza. 3 In questo contesto, un tipografo poteva aiutare a rifornire il mercato, ma soprattutto risollevare l’immagine di una comunità cittadina ormai considerata la roccaforte del protestantesimo in quello che è stato definito il quartier generale ugonotto. Per uno stampatore impegnato sul fronte religioso come Rabier, quella di lavorare a Montauban doveva essere una prospettiva allettante : la città godeva di forti legami con la dinastia di Navarra, il che gli offriva l’opportunità di diventare la colonna portante della stampa protestante in Linguadoca. Da parte sua, il re Enrico di Borbone dimostrò di aver compreso ben presto l’importanza della stampa nel contesto delle guerre di religione : già nel 1579 i torchi di Rabier erano parte della sua campagna strategica. Il re mandò un suo discorso ad uno dei suoi consulenti di fiducia, Guichard de Scorbiac, chiedendo « qu’il soit mis sur la presse » e specificando che il lavoro doveva essere affidato « à quelque homme advisé et prudent de le recueillir, et m’en envoyer une grande partie ». 4 Il compenso richiesto da Rabier per il lavoro indispose Scorbiac, ma, in una ulteriore lettera, il re di Navarra insisteva che « je desire fort que l’impression de ce que je vous ay envoyé soit faicte promptement, et que pour cest effect vous fassiés bailler les six escus que l’imprimeur demande ». 5 Una ricevuta emessa da Rabier e i registri dei conti del re di Navarra confermano che la somma fu effettivamente pagata. 6 Si trattava dell’inizio di una fruttuosa col 

















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  La sua presenza in città nel 1569 si deduce dalla citazione di Jacques-Charles Brunet di una edizione del La foi du frere Gabriel du Puyherbault, religieux de Haulte-Bruyere envoyé à une dame d’Orleans di Gabriel Dupuyherbault : cfr. Jacques-Charles Brunet, Manuel du Libraire et de l’Amateur de Livres, Paris, FirminDidot, 1860-1865, vol. iv, col. 988. 2   Émerand Forestié, Histoire de l’imprimerie et de la librairie à Montauban. Bibliographie montalbanaise, Montauban, Émerand Forestié, 1898, p. 43. 3   Philip Conner, Huguenot Heartland : Montauban and Southern French Calvinism during the Wars of Religion, Aldershot, Ashgate, 2002 : il numero dei librai è calcolato sulla base della lista a p. 199. 4   Lettera di Enrico di Borbone a Guichard de Scorbiac, 11 maggio 1579, in Recueil des lettres missives de Henri IV, a cura di Jules Berger de Xivrey, Paris, Imprimerie nationale, 1843-1876, vol. i, p. 229. 5   Lettera di Enrico di Borbone a Guichard de Scorbiac, 9 giugno 1579, in Recueil des lettres missives …, cit., vol. i, p. 230. 6   La ricevuta fu emessa in data 27 luglio 1579 (É. Forestié, Histoire de l’imprimerie …, cit., p. 45) e la somma di 18 livres ricavata nella sezione dei conti dedicata alle spese straordinarie di Navarra dal luglio al settembre 1579 : cfr. Paul Raymond, Notes extraites des comptes de Jeanne d’Albret et de ses enfants 1556-1608, « Revue d’Aquitaine et du Languedoc », xi (1867), pp. (544-549), 546.  











142 malcolm walsby laborazione. Nel 1581 il re era tanto coinvolto negli affari da suggerire addirittura la tiratura di uno dei suoi trattati 1 e la soddisfazione nei confronti di Rabier era tale che, nello stesso anno, richiese che il tipografo aprisse una nuova officina nel Béarn, vicino al suo quartier generale ; come controparte, Rabier avrebbe ottenuto il titolo di tipografo ufficiale del re di Navarra e uno stipendio annuale di 200 livres. 2 Il desiderio di Rabier di trasferirsi non derivava solo dalla considerazione degli incentivi economici che il re di Navarra gli aveva prospettato : c’era il suo profondo legame con la causa protestante e, soprattutto, mal tollerava le interferenze del Consiglio di Montauban nella scelta dei testi da pubblicare. Rabier aveva tentato di stampare una raccolta di composizioni poetiche di un autore locale, Auger Gaillard, intitolata Lou libre gras, 3 incorrendo però nella censura delle autorità : il tribunale aveva affermato che il libro conteneva « paroles sales et aultres que ne servoient qu’à escandalle plus tost que d’édification » e che il libro non poteva essere pubblicato. 4 Il tipografo tentò di aggirare la proibizione, ma fu condannato dalla chiesa locale e dal consiglio cittadino. Questa situazione rendeva la prospettiva di spostarsi nel Béarn ancora più invitante. Rabier ottenne dal re di Navarra un lasciapassare per il trasporto di un torchio e di materiale tipografico a Orthez. I consiglieri comunali di Montauban ovviamente non vedevano di buon occhio il trasferimento di Rabier, temendo che l’apertura di una officina nel Béarn potesse far calare la produzione locale, e tentarono di impedire la partenza, obiettando di aver già investito una somma pari a circa 6.000 livres nella sua attività e che non era perciò ammissibile che questi stampasse altrove. Rabier cercò di controbattere che non stava abbandonando la città ma solo allestendo una nuova officina altrove, secondo le normali leggi imprenditoriali. 5 L’impossibilità di raggiungere un compromesso esasperò Enrico di Borbone, il cui intervento sortì però a quanto pare risultati limitati, visto che Rabier doveva essere ancora attivo a Montauban alla fine dell’estate del 1582. 6 Nel febbraio del 1583 il tipografo riuscì finalmente a partire per Orthez, dove ottenne dalle autorità municipali dei locali per stabilirvi un’officina. 7 Qui potè finalmente dedicarsi alla pubblicazione di opere di polemica e di religione in francese, latino e dialetto della regione del Béarn ; inoltre, la stampa di un certo numero di tesi di teologia protestante evidenzia le nuove  











1   « Il en fauldra faire imprimer mille ou douze cens, afin que cela coure par plusieurs mains » : lettera di Enrico di Borbone a Guichard de Scorbiac, 23 ottobre 1581. Rabier ricevette altri 6 écus per questa commessa : si veda la ricevuta del 28 gennaio 1582. Entrambi i documenti sono pubblicati in Recueil des lettres 2 missives …, cit., vol. i, p. 408.   Cfr. É. Forestié, Histoire de l’imprimerie ..., cit., p. 50. 3   Auger Gaillard, Lou libre gras. Recoumendatious per estre mes en cabal per la sio majestat, Montauban, Louis Rabier, 1581 (FB 22122), nessuna copia nota. Per una bibliografia delle opere di Gaillard si veda François Pic, Bibliographie d’Auger Gaillard, « Écho du pays rabastinois », ccxiii (2001), pp. 36-60. 4   Registri del consiglio cittadino, alla data del 27 ottobre 1581. Cfr. É. Forestié, Histoire de l’imprimerie ..., cit., p. 53. 5   Registri del consiglio cittadino, alla data del 14 dicembre 1581 ; ivi, p. 60. 6   Rabier fu certamente ancora a Montauban per buona parte del 1582 : cfr. Athenagoras Atheniensis, Touchant la resurrection des morts, Montauban, Louis Rabier, 1582 (fb 2071), che contiene una dedica del traduttore Michel Bérauld agli abitanti di Béziers datata al 24 luglio di quell’anno (cc. A2r-4v). 7   Registri del consiglio cittadino, 17 febbraio 1583, citati in Louis Lacaze, Les imprimeurs et les libraires en Béarn (1552-1883), Pau, Léon Ribaut, 1884, p. 53 (Orthez, Archives Municipales, BB 2, f. 100).  















mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 143 opportunità che il trasferimento offriva ad un tipografo calvinista. 1 Rabier sarebbe rimasto ad Orthez per i successivi otto anni, fino a quando l’Accademia protestante fu ritrasferita a Lescar, nel 1591. Egli seguì questa istituzione e riprese lì la sua attività, dedicandosi soprattutto alla stampa di tesi per l’Accademia, nel 1592. Dopo una lunga carriera itinerante, Rabier e la sua famiglia si stabilirono a Lescar, dove investirono le loro sostanze. 2 La collaborazione con l’Accademia proseguì fino al xvii secolo, vedendo Rabier impegnato sia nella stampa che nel commercio di libri e addirittura in viaggi a Ginevra per rifornire la biblioteca dell’Accademia. 3 Come abbiamo visto, dopo l’apprendistato a Ginevra Louis Rabier fu dunque attivo ad Orléans, Montauban, Orthez e Lescar. La sua reticenza a fissare la sua dimora in una località in modo permanente era prima di tutto una conseguenza del suo desiderio di sostenere la causa calvinista. Da questo punto di vista, la sua carriera è simile a quella di un altro tipografo protestante, Thomas Portau. Discendente da una famiglia di tipografi di La Rochelle, Portau imparò il mestiere ed ebbe la sua prima bottega in questa città ; sembra però che, fin dall’inizio della sua attività, sia stato indipendente dalla famiglia, mentre le evidenze tipografiche mostrano una relazione con l’officina di Haultin. 4 Al tempo delle guerre della Lega Cattolica, la città di La Rochelle si era affermata come uno dei fari della resistenza protestante, in parte proprio grazie alla vitalità della locale industria tipografica. Gli anni Ottanta avevano visto la produzione in città di oltre centotrenta edizioni, la cui maggior parte costituita da testi legati, da un punto di vista religioso o politico, al partito ugonotto. I librai e tipografi locali avevano sviluppato forti legami con la dinastia di Navarra : nel 1587 il re aveva pagato 260 écus al solo Jérôme Haultin. 5 In presenza di tante figure già saldamente affermate, Portau percepì la necessità di stabilirsi in un contesto meno competitivo e fondò un’officina ancora più all’interno, a Pons, dove sottoscrisse le sue prime edizioni : una serie di libri religiosi in francese, con il chiaro intento di fare presa sulla comunità protestante locale. Ma, nel 1594, lasciò improvvisamente la città. Le ragioni della sua partenza sono rimaste a lungo oscure. È stato ipotizzato che le motivazioni fossero meramente economiche e che egli stesse cercando un mercato più ampio per le sue pubblicazioni. 6 Tuttavia, l’instabilità della zona e la vicinan 





1

  Cfr. Louis Desgraves, Les premières thèses de l’académie protestante d’Orthez et de Lescar (1585-1592), « Revue de Pau et du Béarn », v (1977), pp. 153-154 ; fb 63964 e 88371-88376 ; e Janine Garrisson, L’académie d’Orthez au xvi e siècle, in *Arnaud de Salette et son temps. Le Béarn sous Jeanne d’Albret, Actes du colloque international d’Orthez 16-18 février 1983, Orthez, Per Noste, 1984, pp. 77-88. 2   Si vedano i documenti relativi alla fattoria di Damborges dal 26 luglio 1596 al 20 settembre 1611 pubblicati in Victor Dubarat, L’imprimeur béarnais Louis Rabier (1583-1606). Renseignements inédits sur lui et sur sa famille, « Bulletin philologique et historique », xxiv (1896), pp. (752-764), 758-764. 3   Lettera di Louis Rabier a Jean d’Etchard, 14 settembre 1604, pubblicata in V. Dubarat, L’imprimeur béarnais …, cit., pp. 753-755. 4   Cfr. Louis Desgraves, Bibliographie des ouvrages imprimés à Niort par Thomas Portau (1594-1600), in *Refugium animae bibliotheca. Festschrift für Albert Kolb. Mélanges offerts à Albert Kolb, a cura di Émile van der Vekene, Wiesbaden, G. Pressler, 1969, pp. 177-203. 5   Paul Raymond, Notes extraites des comptes de Jeanne d’Albret et de ses enfants 1556-1608, « Revue d’Aquitaine et du Languedoc », xii (1868), pp. (417-424), 424. 6   Cfr. Louis Desgraves, Thomas Portau, imprimeur à Saumur (1601-1623), « Bibliothèque de l’École des chartes », cxxvi (1968), pp. (63-133), 64.  



















144 malcolm walsby za di una consistente armata di truppe cattoliche rappresentavano probabilmente una motivazione più stringente : a Pons, città fortificata, erano stati infatti trasferiti i proventi delle tasse, custoditi da cinque o seimila uomini armati, alcuni mesi dopo la prima rivolta dei croquants, alla fine del 1594. Le alte mura cittadine, tuttavia, non costituirono una protezione sufficiente a scongiurare l’attacco alla vicina cittadella di Barbezieux e il successivo massacro che ebbe luogo nel settembre 1595 : soffocata la rivolta, i soldati si lasciarono alle spalle parrocchie abbandonate, una nobiltà spaventata e un alto livello di tassazione : 1 condizioni non certo favorevoli alla stampa o al commercio di libri. L’idea iniziale di Thomas Portau era di trasferirsi nella roccaforte protestante di Saumur nella valle della Loira. Nonostante la presenza di Duplessis-Mornay, la città non disponeva di una officina tipografica attiva e la prospettiva di essere associato al ‘papa degli Ugonotti’ doveva sembrare particolarmente attraente. Ma, già dopo il primo esperimento di stampa in loco, Portau lasciò la valle della Loira per Niort. Il motivo non è chiaro, soprattutto se si considera che Saumur offriva migliori collegamenti commerciali oltre alla presenza di un autore prolifico e popolare e di un potenziale di lettura in crescita. Nonostante ciò, Portau riuscì a pubblicare un grande assortimento di opere religiose durante i cinque anni della sua permanenza a Niort. Con la fine delle guerre della Lega, egli cercò di spostarsi di nuovo, tornando a Saumur nell’anno 1600. La considerazione dell’epoca in cui fece ritorno nella città dove aveva stabilito la sua officina per un breve periodo sei anni prima fornisce una indicazione sul possibile motivo per cui non si fosse fermato lì inizialmente : Saumur forse non era sufficientemente sicura per le sue inclinazioni, mentre Niort era situata in una regione più saldamente protestante ; ma l’apertura dell’Accademia di Saumur, sotto la direzione di Duplessis-Mornay, rendeva ora la prospettiva più interessante.  









La mobilità dei tipografi cattolici L’itineranza per motivi religiosi, non insolita tra i protestanti, era invece più rara per la controparte cattolica. La maggioranza dei tipografi cattolici trascorse l’intera carriera in una singola città, ma ci sono delle eccezioni. Jacques Rousseau acquistò notorietà dapprima a Nantes, nella Bretagna del sud. Nel 1570, la città lo nominò tipografo ufficiale, acconsentendo all’erogazione di finanziamenti per l’acquisto di nuovo materiale tipografico, dopo che lo stampatore aveva argomentato che ciò « causera les bons espritz du pais ce faire paroistre par telles et semblables impressions ». 2 Nonostante questo promettente esordio, il soggiorno di Rousseau a Nantes non ebbe un buon esito. Pare che egli abbia stampato qui solo due edizioni : la prima fu una pubblicazione insignificante, finalizzata a convincere la comunità locale ad investire nell’acquisto di nuovo materiale tipografico ; la seconda, edita nel 1572, fu un volume di poesie sulla raccolta dell’uva e simili : non si trattava, evidentemente,  









1   Cfr. Victor Bujeaud, Chronique protestante de l’Angoumois : xvie, xviie, xviiie siècles, Paris, Meyrueis, 1860, pp. 104-106. 2   Richiesta di Jacques Rousseau alla città di Nantes, [1570], Nantes, Archives Municipales, BB 148. Sul contesto generale si veda M. Walsby, The Printed Book ..., cit., p. 110.  

mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 145 di quello che la città di Nantes si aspettava dal suo tipografo ufficiale. 1 Può anche darsi che Rousseau abbia effettivamente adempiuto ai suoi compiti istituzionali, sebbene l’ispezione dei registri cittadini non abbia fornito nessun indizio su queste presunte attività. 2 Non è chiaro quando Rousseau abbia lasciato Nantes ; come Louis Rabier, trascorse un periodo nell’oscurità prima di ricomparire nella Francia del sud alcuni anni dopo. Come abbiamo visto, la Francia sud-orientale comprendeva importanti roccaforti protestanti, sebbene molte città e regioni rimasero saldamente cattoliche. Jacques Rousseau riemerse ad Agen, una città circondata da protestanti ma rimasta incrollabile nel suo attaccamento alla fede tradizionale ; qui rimase un paio d’anni, prima di trasferirsi nei dintorni di Cahors, dove lavorò dal 1585 al 1593. Nel 1594 tornò ad Agen per un periodo molto breve : lo ritroviamo infatti in quello stesso anno a Cahors. Rousseau è particolarmente mobile anche se paragonato alla controparte protestante. Nel 1595 si trasferì di nuovo da Cahors a Montpellier, dove si fregiò del titolo di « imprimeur juré en l’Université ». La presenza di una famosa facoltà di medicina in città poteva esser stato un incentivo, ma di fatto si trattò ancora di una sistemazione temporanea. L’unico libro da lui stampato qui, un trattato di medicina, mostrava il suo forte legame con Cahors : era stato infatti tradotto da un abitante di questa città e dedicato al vescovo della stessa. 3 La dedica offre anche una spiegazione del motivo per cui Rousseau avesse stampato a Montpellier : si temeva che « la peste n’adviene après la famine, de laquelle le plat pays a esté travaillé ces moys passes » ; 4 inoltre, una variante di questa edizione reca sul frontespizio la parola « Caors » al posto di « Montpellier ».5 Dopo quest’unico episodio editoriale a Montpellier Rousseau tornò a Cahors, dove continuò a stampare per il resto della sua carriera. Pochi documenti aiutano a capire la sua vita nomade, ma la natura della sua produzione durante questi anni può invece essere indicativa in tal senso. Come Rabier, Rousseau non incarnava da nessun punto di vista la figura convenzionale del tipografo di provincia. Per quanto la sua produzione annoverasse alcuni brevi testi legali ed un Manuale parochorum et sacerdotum destinato alla diocesi di Cahors, egli produsse anche libri che avrebbero suscitato una prevedibile disapprovazione. 6 Come Rabier, diede alle stampe una edizione di composizioni poetiche di Auger Gaillard, un autore i cui scritti sarebbero apparsi scandalosi e privi di senso morale alle autorità cattoliche, come, più tardi, al consiglio di Montauban. 7 Rous 



























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  Paschal Robin du Faux, Les vendanges ensemble autres poesies, Nantes, Jacques Rousseau, 1572 (FB 46155). 2   Ciò è particolarmente degno di nota in quanto i registri contengono pagamenti sia ad altri tipografi del xvi secolo, come Jean Gaudin e Jean des Marestz, sia a librai locali come Mathurin Ménard e François Boucher : si veda M. Walsby, The Printed Book ..., cit., Appendix A. 3   Marsilio Ficino, Antidote des maladies pestilentes, Montpellier, Jacques Rousseau, 1595, var. A [copia : Paris, Académie de medicine, D 908]. Il traduttore era Isaac Constans, il dedicatario Antoine Ébrard de Saint-Sulpice (cc. A2r-4v). 4   M. Ficino, Antidote …, cit., c. A3r e ripetuto nell’epistola al lettore, a c. A6v. 5   Marsilio Ficino, Antidote des maladies pestilentes, Montpellier, Jacques Rousseau, 1595, var. B [copia : Paris, Bibliothèque nationale de France, Résac. te30 8] (fb 19716). 6   Manuale parochorum et sacerdotum ad usum insignis ecclesiae diocesis Cadurcensis, Cahors, Jacques Rousseau, 1593 (fb 85483). 7   Auger Gaillard, Oeuvres, [Agen, Jacques Rousseau, 1584] (fb 22127).  





146 malcolm walsby seau era certamente consapevole della natura provocatoria degli scritti di Gaillard ed ebbe cura di non porre il suo nome sull’edizione. Come nel caso di Rabier, la stampa di quest’opera sembra aver precipitato gli eventi verso un trasferimento. Nel 1585 egli si era spostato a Cahors, dove esordì prudentemente con la stampa di un commento al noto editto di Enrico iii che imponeva ai protestanti la conversione al cattolicesimo. 1 Tuttavia, ritornò ben presto a soggetti meno convenzionali, con la pubblicazione di due edizioni delle profezie di Nostradamus nel 1590. 2 È interessante notare anche il cambiamento tra l’essenza profondamente cattolica di quello che Rousseau aveva prodotto a Cahors, sede vescovile, e i testi che cominciò a stampare dopo il suo ritorno ad Agen nel 1594. Sembra che, dopo la conversione di Enrico iv nel 1593, Rousseau abbia sposato la causa reale. Fu lui a stampare l’editto celebrativo, sottoscritto nel maggio del 1594, che svelava il modo in cui Agen e le altre città dei dintorni si fossero sottomesse al re ; 3 seguirono poi dieci trattati che celebravano successi e decisioni di Enrico iv, accompagnando il riconoscimento progressivo di Enrico come legittimo sovrano. Con il ritorno della pace a livello locale, sembra che il tipografo si sia nuovamente indirizzato verso testi più intriganti : nel 1596 pubblicò il resoconto della vicenda di una giovane donna posseduta da spiriti maligni nella vicina regione del Rouergue. 4 L’itineranza non era, dunque, prerogativa esclusiva dei tipografi protestanti. In un Paese dominato dal cattolicesimo, le motivazioni per il trasferimento di una officina da una città all’altra furono solo di rado di natura puramente religiosa o, come dimostrato dal caso di Rousseau, semplicemente economica. Scelte editoriali ed affiliazioni politiche ebbero anch’esse un ruolo, specialmente durante le guerre della Lega Cattolica.  



Itineranza politica La complessità e durata delle guerre della Lega Cattolica furono la conseguenza di posizioni antagoniste sulla questione della successione all’interno della maggioranza cattolica del regno, che causarono la scissione della società francese in moderati e radicali. Per i tipografi la scelta di campo doveva essere ponderata con attenzione, in quanto un errore poteva avere effetti disastrosi sulla carriera ; ciò era particolarmente vero a Parigi, dove la Lega era al culmine della sua potenza. La partenza di Enrico iii da Parigi durante il giorno delle barricate nel 1588 segnò l’inizio di un’assenza di sei anni della corte dalla capitale. Il re, stabilitosi a Blois, convocò una riunione degli Stati Generali, evento di grande portata e risonanza. La maggioranza dei tipografi e librai parigini rimase in città e si schierò con la Lega, approfittando del flusso torrenziale di letteratura polemica ne scaturì ; ma un certo numero di importanti figure del mondo del commercio seguì la corte del re nella Valle della Loira.  



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  Antoine de Peyrusse, Discours sur l’edict du roy contenant la reünion de ses subjects à la religion catholique, Cahors, Jacques Rousseau, 1585 (fb 43090). 2   Nostradamus, Les propheties, Cahors, Jacques Rousseau, 1590 (FB 39659-39660). 3   Edict sur la reduction des villes d’Agen, Villeneufve, Marmande et autres, Agen, Jacques Rousseau, 1594 (fb 27916). 4   Nicolas Le Roy, Discours d’une damoiselle possedée par les malins esprits au païs de Roüergue au lieu de Cantoynet, Cahors, Jacques Rousseau, 1596 (fb 34036).

mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 147 Jamet Mettayer, Pierre L’Huillier, Claude de Montr’oeil e Jean Richer, esponenti di spicco del commercio librario parigino, pubblicarono libri a Blois tra 1588 e 1589. Dopo la morte di Enrico iii ed il fallimento del tentativo di riprendere Parigi, il centro del potere si spostò verso Tours, che fu teatro di cinque anni di intensa attività editoriale : la produzione tipografica locale salì da una media appena superiore alle tre edizioni all’anno tra 1583 e 1588 ad un totale di circa settanta edizioni stampate tra 1589 e 1594. 1 Gli imprenditori del libro ricalcarono in esilio le modalità commerciali già adottate a Parigi : nel 1591 otto tipografi e librai « reffugiez à cause des troubles » decisero di fondare una compagnia per due anni per finanziare la stampa e la distribuzione di « bons livres » non più disponibili sul mercato. 2 Jamet Mettayer, la cui carriera aveva avuto inizio a Parigi nel 1573, assunse nel gruppo il compito di stampatore e divenne l’anima dell’industria tipografica di Tours. Grazie alle connessioni con la corte divenne prima tipografo ufficiale del re per i libri di matematica per assumere poi il titolo di « Imprimeur du Roy » tout court. 3 All’arrivo nella valle della Loira al seguito del re, Mettayer iniziò a lavorare con gli esponenti dell’industria locale. 4 All’interno di questa, la figura principale era rappresentata da Barthélemy Gomet, con cui Mettayer stampò quattro edizioni, tra Blois e Tours, nel biennio 1588-1589. 5 Dopo il trasferimento a Tours, Mettayer ruppe la collaborazione con Gomet per dedicarsi da solo all’incarico di stampatore regio, stampando tra 1589 e 1594 oltre trecento edizioni. Mettayer, la cui produzione era dominata da stampe a carattere politico, assunse un ruolo fondamentale nella campagna propagandistica di Enrico IV stampando editti ufficiali e opuscoli. La scelta di seguire il re  















1   Laurence Augereau, Tours, capitale provisoire du Royaume, 1589, in *Henri III mécène des arts, des sciences et des lettres, a cura di Isabelle de Conihout, Jean-François Maillard e Guy Poirier, Paris, Presses de l’Université Paris Sorbonne, 2006, pp. 213-226. 2   L’atto, datato 16 ottobre 1591, si trova negli Archives Départementales d’Indre-et-Loire, 3 E 5 (252) ed è pubblicato in Eugène Giraudet, Une association d’imprimeurs et de libraires de Paris réfugiés à Tours au xvie siècle, Tours, Rouillé-Ladevèze, 1877. 3   Georges Lepreux, Gallia typographica ou répertoire biographique et chronologique de tous les imprimeurs de France depuis les origines de l’imprimerie jusqu’à la révolution. Série parisienne : Tome i, Livre d’or des imprimeurs du Roi, Paris, Honoré Champion, 1911, vol. i, pp. 385-386. 4   Va sottolineato che Mettayer iniziò a stampare a Tours in questa occasione. G. Lepreux, Gallia typographica … , cit., vol. i, p. 385 aveva attribuito a Mettayer due brevi periodi di attività in città già nel 1577 e 1580. La deduzione era basata su una edizione dell’editto di Poitiers datato 1577 (fb 25986) ; la stampa era però una riedizione dell’editto originale, recante la data originale sul frontespizio, probabilmente per ribadire l’autenticità della pubblicazione e sottolineare l’autorità regale in un periodo in cui non veniva messa in discussione dal partito cattolico. L’editto era d’altronde ancora valido durante gli anni di attività di Mettayer a Tours, essendo stato anzi ribadito dagli incontri di Nérac nel 1579 e di Fleix e Coutras nel 1580. Una edizione peraltro identica (fb 25970) dimostra questa tesi, recando sul frontespizio, immediatamente al di sopra della data, due linee aggiuntive a chiarire che l’edizione era stata stampata « Iouxte la coppie imprimee à Paris par Federic Morel », che aveva in effetti stampato il testo nel 1577 (fb 25967-25969). L’altra edizione citata da Lepreux come stampata a Tours nel 1580 era frutto di un suo errore di trascrizione, m.d.lxxx. per m.d.lxxxx. : il testo fu infatti scritto da Louis Servin solo nel 1590 per sostenere Enrico iv : si veda Auguste de Trémault, Biographie de Louis Servin, « Bulletin de la Société archéologique, scientifique et littéraire du Vendômois », x (1871), pp. (12-52), 31. Cfr. Louis Servin, Vindiciae secundum libertatem ecclesiae gallicanae, et defensio regii status Gallo-Francorum, Tours, Jamet Mettayer, 1590 (fb 86308). 5   Gomet era attivo a Blois da oltre un decennio, sebbene di lui ci sia giunta una produzione piuttosto modesta. Cfr. Patrick Daubignard, Imprimeurs et libraires blésois (1554-1790), Blois, Les Amis de la Bibliothèque de Blois, 1988, pp. 12-16.  















148 malcolm walsby si rivelò dunque un successo. Dopo che Parigi ebbe aperto le porte a Enrico IV nel 1594, anche lo stampatore tornò nella capitale, dove mantenne il titolo di tipografo regio continuando l’attività fino al xvii secolo. Jamet Mettayer non fu l’unico tipografo a seguire un percorso di questo genere. Claude Guyot iniziò a stampare a Parigi in « quay des Augustins » negli anni Ottanta ; quando esplosero le guerre della Lega Cattolica lasciò Parigi per trasferirsi a Langres con l’intento di rivestirvi il ruolo di tipografo regio. Vi rimase però poco tempo in quanto nel dicembre del 1589 decise di affrontare il pericoloso viaggio da Langres a Châlons-en-Champagne : 1 rimasta fedele a Enrico III ed Enrico IV nonostante fosse circondata da città che appoggiavano la Lega, come Reims e Troyes, Châlons aveva istituito un parlement per contrastare quello prevalentemente cattolico rimasto a Parigi. Guyot seppe sfruttare i contatti sia con la municipalità che con il parlement : dalle autorità cittadine ottenne un sussidio di 12 écus per fondare una bottega, ma per sostenere la sua attività contava soprattutto su un numero sufficientemente cospicuo di dichiarazioni ufficiali da stampare per il parlement. 2 La difesa del re e del suo partito divenne la sua specializzazione : tra 1589 e 1594 pubblicò 52 opere, la maggior parte delle quali trattati politici contro la Lega ; in questo caso, l’attaccamento alla causa di Enrico iv non si rivelò però particolarmente redditizio : per ben due volte, nel 1591 e nel 1594, Guyot si recò dalle autorità cittadine per chiedere ulteriori sussidi. La forza della Lega in Champagne determinava l’impossibilità di distribuire le stampe al di fuori della stessa Châlons3 e l’attività di Guyot dipendeva di fatto esclusivamente dal sostegno offertogli dalle istituzioni lealiste di Enrico IV.  















Conclusioni Negli anni precedenti le guerre di religione la tipografia itinerante era quasi del tutto scomparsa in Francia. L’alta qualità dell’industria tipografica nelle città principali del regno e l’efficienza della rete dei librai avevano eliminato le spinte economiche verso la mobilità. Lo scenario mutò con l’insorgere dei conflitti. I tipografi potevano essere costretti a spostarsi se volevano continuare a seguire la propria strategia editoriale e la mobilità era spesso una scelta obbligata per chi aveva punti di vista minoritari. Inizialmente, questo riguardò soprattutto i protestanti residenti in regioni dove non potevano osservare liberamente la propria religione né tantomeno stampare libri che sostenessero o professassero la loro fede. Per i cattolici, l’itineranza si presentò principalmente durante le guerre della Lega Cattolica come risultato di opinioni politiche incompatibili con la visione predominante tra le autorità locali. Per quanto tali elementi inquadrino bene il fenomeno, il confronto tra l’attività del protestante Louis Rabier e quella del cattolico Jacques Rousseau mette in evidenza una ragione forse ancor più sostanziale per la mobilità dei tipografi. L’itineranza di 1   Georges Lepreux, Gallia typographica ou répertoire biographique et chronologique de tous les imprimeurs de France depuis les origines de l’imprimerie jusqu’à la révolution. Tome ii : provinces de Champagne et de Barrois, Paris, Honoré Champion, 1911, vol. i, p. 268. 2   Delibera municipale, Châlons-en-Champagne, Archives Municipales, bb 15, f. 124, citata in G. Lepreux, Gallia typographica … Champagne, cit., vol. i, p. 268. 3   G. Lepreux, Gallia typographica … Champagne, cit., vol. i, p. 270 e vol. ii, pp. 9 e 12.  

mobilità tipografica in francia durante le guerre di religione 149 Rabier e Rousseau non si spiega solo in base a motivi religiosi o politici : entrambi gli stampatori si spostarono infatti anche all’interno di regioni che condividevano le stesse posizioni religiose e politiche. Entrambi, però, vollero pubblicare versi di Auger Gaillard, condannati allo stesso modo dalle autorità cattoliche e da quelle protestanti, sebbene privi di messaggio politico. Per questi tipografi, fu la libertà di poter scegliere quali libri stampare a costituire la vera motivazione a ri-stabilire la propria attività in una città diversa.  

Abstract Le guerre di religione in Francia sconvolsero il mondo dell’industria libraria. Dopo un periodo di instabilità nei primi decenni della stampa, i tipografi smisero di spostarsi da una città all’altra in cerca di lavoro. Con le guerre di religione alcuni tipografi ripresero le modalità peripatetiche del passato, non più per necessità economica ma piuttosto per la libertà di stampare opere che, per ragioni politiche o religiose, erano inammissibili nelle città in cui si erano stabiliti in precedenza. The French Wars of Religion caused much upheaval in the book world. After a period of instability in the first decades of print, printers no longer moved from one town to another in search of work. But with the Wars of Religion some printers returned to the peripatetic ways of the past. This was no longer the result of economic necessity, rather it was a choice made by printers who wished to have the freedom to print works that, for political or religious reasons, were unacceptable in the towns in which they had previously resided.

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UNA RETE DI LIBRAI COSMOPOLITI : I BRIANÇONESI IN ITALIA E IL LORO RUOLO DI EDITORI  

Lodovica Braida

T

ra i temi più innovativi che hanno caratterizzato gli studi di storia sociale del libro degli ultimi trent’anni del secolo scorso vi è certamente quello del commercio librario d’Antico Regime. 1 A partire dagli anni settanta, la scoperta dell’Archivio della Société Typographique di Neuchâtel (stn), gli studi sulle ramificazioni del commercio ginevrino in Europa, sulla circolazione dei giornali d’informazione e d’erudizione, sulla littérature de colportage, sui meccanismi della censura, hanno dato avvio a ricerche sulle strategie editoriali e sulle reti commerciali dei librai-editori che rifornivano l’Europa di libri leciti e proibiti. 2 È a partire dalla conoscenza dei circuiti commerciali, e quindi delle strade del libro, che si è potuto risalire a quell’insieme di uomini dai mestieri diversificati che consentivano la produzione e la circolazione di testi di tutti i tipi. Grazie ai lavori di Robert Darnton, a poco a poco i volti di uomini fino a quel momento sconosciuti hanno assunto le sembianze di avventurieri, colporteurs, muletiers, pauvres diables, dotati di scarsi mezzi e spesso sull’orlo del fallimento, che ogni giorno rischiavano la pelle sui sentieri di montagna per trasportare i libri dalla Svizzera alla Francia. 3 Altri studi hanno ricostruito i percorsi che consentivano di rifornire i librai italiani, a partire da Neuchâtel e da Ginevra, per arrivare alle città del Nord Italia, in particolare a Torino e a Genova, e da qui proseguire per essere smistati in altri centri della Penisola. 4 È emerso che, paradossalmente, proprio negli spazi dove 1   Per un quadro ampio delle ricerche sul commercio del libro in antico regime si vedano gli atti del convegno tenutosi a Lione nel 1993 : *L’Europe et le livre. Réseaux et pratiques du négoce de librairie xvie-xixe siècles, sous la direction de Frédéric Barbier, Sabine Juratic, Dominique Varry, Postface de Roger Chartier, Paris, Klincksieck, 1996. 2   Per una rassegna sugli studi di storia del libro tra gli anni settanta e ottanta, e in particolare su quelli relativi alla Francia e al commercio librario, mi sia consentito di rimandare al mio La storia sociale del libro in Francia dopo “Livre et société”. Gli studi sul Settecento, « Rivista Storica Italiana », ci (1989), pp. 412-467. In particolare sugli studi sui libri proibiti e sulle loro implicazioni per la storia della lettura cfr. Lodovica Braida, Lettura e circolazione del libro proibito in Ancien Regime, « La fabbrica del libro. Bollettino di storia dell’editoria in Italia », i (1995), 1, pp. 15-20. 3   Sono numerosi i contributi di R. Darnton su questi temi. In trad. italiana cfr. Id., L’intellettuale clandestino. Il mondo dei libri nella Francia dell’Illuminismo, Milano, Garzanti, 1990 (I ed. Cambridge Mass. 1982). Si vedano inoltre Id., Édition et sédition. L’univers de la littérature clandestine au xviiie siècle, Paris, Gallimard, 1991 ; Id., The Corpus of Clandestine Literature in France, 1769-1789, New York-London, 1995 ; Id., The Forbidden Best-Sellers of Prerevolutionary France, New York, 1995 (tradotto con il titolo Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all’origine della Rivoluzione, Milano, Mondadori, 1997). Per una riflessione metodologica sugli studi di R. Darnton, cfr. *The Darnton Debate : Books and Revolution in the Eighteenth Century, edited by Haydn T. Mason, Oxford, Voltaire Foundation, 1998, in particolare si veda il contributo di Renato Pasta). 4   Sull’attività dei librai-editori ginevrini in Europa si vedano i numerosi saggi di Georges Bonnant,  















152 lodovica braida le regole sulla censura erano più rigide – e il caso del Regno sabaudo è tra questi 1 – il circuito underground, parallelo a quello ufficiale, era meglio organizzato, essendo costituito da una fitta rete di canali clandestini e da una varietà di figure sociali (tra cui anche grandi librai) che garantivano la distribuzione di ogni genere di libro proibito, dai grandi classici dell’Illuminismo ai romanzi e alle cronache scandalose. Gli studi italiani dedicati sinora alle norme sulla censura libraria nel Settecento ci restituiscono realtà molto diverse, anche se caratterizzate da un elemento in comune : la ridefinizione delle pratiche censorie e la centralità che assumono i governi nel controllo sull’editoria, restringendo notevolmente il potere ecclesiastico, che dalla metà del xvi in poi aveva esercitato un ruolo di controllo quasi esclusivo. Certamente la nascita di una censura laica svincolata da quella ecclesiastica ebbe effetti significativi sulla produzione editoriale, sulla circolazione del libro e sull’ampliamento del pubblico dei lettori. 2  

Oggi, a distanza di quarant’anni dall’inizio delle ricerche, mettendo insieme i risultati di quella stagione vivace per l’ampiezza degli orizzonti e per il dialogo fruttuoso avviato con discipline esterne alla storia – in particolare, negli anni ottanta, con l’antropologia 3 – quale lezione si può trarre, anche alla luce degli studi di storia del libro avviati più recentemente e aperti all’apporto metodologico della bibliografia analitica e della filologia ? 4 Riassumerei i risultati in quattro punti. La principale lezione, restando sul tema da cui ho preso l’avvio, è che il commercio del libro in antico regime lo si può capire meglio in un contesto europeo, dal momento che se lo si osserva soltanto entro i confini di un singolo Stato non se ne comprendono le dinamiche. Anche quando si studiano i circuiti locali, questi vanno inquadrati in una rete più ampia, come si può rilevare dall’analisi dei luoghi di edizione dei libri elencati nei cataloghi a stampa dei librai, su cui negli ultimi anni vi sono stati studi rilevanti. 5  

pubblicati su varie riviste tra il 1961 e il 1981 e ora raccolti in Id., Le livre genevois sous l’Ancien Régime, Genève, Droz, 1999 ; il primo quadro ampio dei clienti italiani della stn si deve a Anne Machet, Clients italiens de la Société Typographique de Neuchâtel, in *Aspects du livre neuchâtelois, études publiées par Jacques Rychner et Michel Schlup, Neuchâtel, Bibliothèque Publique et Universitaire, 1986, pp. 159-185. Il tema è stato ripreso e ampliato da Renato Pasta, “Helvetia mediatrix”. Il mercato librario italiano e la Société Typographique de Neuchâtel, in Id., Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 225-283. 1   Sulla censura nel Regno sabaudo cfr. Lodovica Braida, Il commercio delle idee. Editoria e circolazione del libro nella Torino del Settecento, Firenze, Olschki, 1995, pp. 73-140. 2   Sulla censura cfr. Mario Infelise, Libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, Roma-Bari, Laterza, 1999 ; Lodovica Braida, Censure et circulation du livre en Italie au xviii e siècle, « Journal of Modern European History », vol. 3 (2005), 1, pp. 81-98  ; *La censura nel secolo dei Lumi. Una visione internazionale, a cura di Edoardo Tortarolo, Torino, Utet, 2011 (in particolare i saggi di Delpiano, Imbruglia, Landi, Trampus). 3   Si veda la riflessione di Pasta a proposito del libro di Darnton, The great cats massacre (I ed. New York 1984) : Renato Pasta, Una provocazione riuscita : la storia antropologica di Robert Darnton, postfazione a R. Darnton, Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese, Milano, Adelphi, 1988, pp. 375-399. 4   Fondamentali per questo dialogo tra le discipline storiche, letterarie e bibliografiche sono stati gli studi di Roger Chartier : si vedano in particolare Culture écrite et littérature à l’âge moderne, « Annales. Histoire, Sciences Sociales », lvi (2001), 4-5, pp. 783-803 ; Id., Inscrivere e cancellare. Cultura scritta e letteratura dall’xi al xviii secolo, Roma-Bari, Laterza, 2006 (ed. or. Paris 2005). 5   Cfr. soprattutto *Les ventes de livres et leurs catalogues, éd. par Annie Charon, Elisabeth Parinet, Paris,  





















i briançonesi in italia e il loro ruolo di editori 153 Il secondo insegnamento è che i circuiti del libro proibito non sfruttano solo canali clandestini ma anche percorsi del tutto leciti, potendo contare sull’appoggio di personalità ai vertici delle istituzioni e della gerarchia sociale. E proprio nel caso di sfruttamento dei canali commerciali legali (posta, muletiers, corrieri) le ordinazioni di libri proibiti sono sempre accompagnate da ordinazioni di libri leciti, anzi è necessaria la presenza di questi ultimi per garantire che i fogli dei primi vengano nascosti tra i fogli di libri scientifici o giuridici che non destano sospetti. Nel gergo dei librai di antico regime questa pratica ha un nome : “sposare” o “lardellare” : « Sposare un libro – scrive Darnton - significa infilarne i fogli in quelli di un altro, operazione resa possibile dal fatto che i libri venivano spediti non rilegati ». 1 In ultima analisi i circuiti del lecito e del proibito sono separati nelle mani dei censori, ma non in quelle dei librai. Il terzo punto riguarda la modalità di classificazione del sapere : nella mentalità dei librai-editori del Settecento spesso valgono distinzioni, e dunque l’uso di termini, che si riferiscono ad aspetti materiali dell’organizzazione commerciale e non solo ad una riflessione culturale. Robert Darnton ha messo in luce come nella corrispondenza commerciale degli editori del ’700 la definizione di livres philosophiques (che prevale su quella di mauvais livres, marrons, ouvrages libres, articles prohibés) non identifichi soltanto il trattato filosofico tout court, ma un insieme diversificato di generi che vanno dalla cronaca scandalosa, antinobiliare e anticlericale, fino al romanzo pornografico vero e proprio. 2 A rendere legittima questa unificazione in un unico corpus di libri philosophiques non è dunque tanto una logica interna a una tipologia testuale (si tratta infatti anche di opere molto diverse le une dalle altre), ma una logica di tipo commerciale. L’archivio della Société Typographique de Neuchâtel consente infatti di capire che questi libri erano accomunati dal fatto di essere proibiti e di essere venduti attraverso circuiti clandestini, o, come si diceva nel Settecento, “sous le manteau”. Vi è poi una quarta indicazione che riguarda le diverse tipologie di librai-editori, dal caso più semplice del libraio che ogni tanto investe in edizioni proprie al grande editore che è anche libraio-grossista, dal momento che nel suo catalogo raccoglie edizioni proprie, edizioni fatte in società con altri e libri d’assortimento provenienti da scambi con altri editori. Molte case editrici, da quelle olandesi a quelle svizzere, dispongono degli stessi libri, « ma ciascuno sviluppa un fondo e una rete di clienti che gli conferiscono un carattere particolare ». 3 È però difficile distinguere la funzio 













École des Chartes, 2000 ; *Le livre entre le commerce et l’histoire des idées. Les catalogues de libraires (xve-xixe siècle), études réunies par Annie Charon, Claire Lesage, Ève Netchine, Paris, École des Chartes, 2011. Va segnalato il repertorio dei cataloghi conservati alla Bibliothèque Nationale de Paris che censisce migliaia di cataloghi di numerosi librai europei d’antico regime : Catalogues de libraires 1473-1810, éd. Claire Lesage, Ève Netchine, Véronique Sarrazin, Paris, Bibliothèque Nationale de France, 2006. 1   R. Darnton, Libri proibiti…, cit., p. 26. 2   Sulla terminologia cfr. in particolare Robert Darnton, Livres philosophiques, in *Enlightenment Essays in Memory of Robert Shackleton, edited by G. Barber and G. P. Courtney, Oxford, The Voltaire Foundation, 1988, pp. 89-108. 3   Id., Entre L’éditeur et le libraire : les étapes des ventes, in *Le rayonnement d’une maison d’édition dans l’Europe des Lumières : la Société typographique de Neuchâtel 1769-1789. Actes du colloqué organisé par la Bibliothèque publique et universitaire de Neuchâtel et la Faculté des lettres de l’Université de Neuchâtel  







154 lodovica braida ne-editore da quella semplicemente commerciale, poiché i cataloghi, anche quelli bibliograficamente più raffinati, indicano il luogo di stampa ma quasi mai il nome del libraio-editore. Va detto che non mancano cataloghi in cui il libraio-editore inserisce un asterisco accanto ai titoli da lui pubblicati, ma nella maggior parte dei casi i cataloghi d’assortimento danno, come ha scritto Otto Lankhorst, « une vision de l’ensemble de la production livresque offerte à la clientèle en un moment donné ». 1 E dunque il loro obiettivo non è quello di segnalare ciò che è prodotto dal singolo libraio-editore ma quello di restituire l’ampiezza delle sue relazioni, tali da consentirgli di procurare ai clienti le novità editoriali provenienti dai più importanti centri europei. 2  



Queste quattro caratteristiche del commercio librario settecentesco valgono anche per quei librai provenienti dal Delfinato, e in particolare da Briançon, di cui Laurence Fontaine ha studiato le strategie di emigrazione dalle loro terre e la logica con cui costruivano le loro società non solo tra librai ma tra mercanti in genere (merciai, chincaglieri, mercanti di stoffe), indipendentemente dalla loro specializzazione. 3 Grazie a un complesso gioco di alleanze, circa un centinaio di famiglie, a partire dal Seicento, lasciarono le valli del briançonese per stabilirsi in alcune città del Sud della Francia, dell’Italia, della Spagna e del Portogallo. 4 La loro capacità nel commercio librario era nota a tutti i grandi librai dei principali centri europei. Secondo l’editore ginevrino François Grasset, i briançonesi avevano un ruolo di primo piano : « Le commerce de la librarie en Espagne et en Portugal de même que celui de beaucoup de villes d’Italie est presque tout entre les mains des Français, tous sortis d’un village situé dans une vallée du Briançonnais, dans le Dauphiné ». 5 Francia, Italia, Spagna e Portogallo erano dunque i Paesi nei quali i librai del Delfinato avevano messo solide radici. La loro forza era tale da meritare anche il sostegno di Malesherbes, direttore generale della Librairie. Nei suoi Mémoires, il magistrato amico dei philosophes e al tempo stesso censore regio, annotava : « J’ai appris par hasard qu’il se fait un très grand commerce de livres imprimés en France, avec l’Espagne, le  









(Neuchâtel, 31 octobre-2 novembre 2002), textes publiés par Robert Darnton, Michel Schlup avec la collaboration de Jacques Rychner, Neuchâtel-Hauterive, Bibliothèque publique et universitaire-Éditions Gilles Attinger, 2005, pp. 343-373, citazione p. 344. 1   Otto S. Lankhorst, Les catalogues du “Magasin de l’univers”. Intérêt et sauvegarde des catalogues de libraires néerlandais de l’Ancien Régime, in *Le livre entre le commerce et l’histoire des idées …, cit., pp. 11-23. L’esempio di un catalogo che contiene gli asterischi per identificare le proprie edizioni è quello del 1737 di Pierre Gosse, libraio di La Haye (ivi, p. 20). 2   Cfr. anche Maria Gioia Tavoni, Les accroches commerciales dans les catalogues de libraires italiens du xviiie siècle, ivi, pp. 127-144. 3   Sulle strategie familiari nel controllo del commercio del libro dei librai originari di Briançon cfr. Laurence Fontaine, Les vendeurs de livres : réseaux de libraires et colporteurs dans l’Europe du Sud (xviiie-xixe siècles), in *Produzione e commercio della carta e del libro, sec. xiii-xviii, a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier,1992, pp. 631-76 ; Ead., Histoire du colportage en Europe, xve-xixe siècle, Paris, Albin Michel, 1993. 4   Si devono a Georges Bonnant i primi studi sull’importanza di queste famiglie nel commercio del libro, ora raccolti in Id., Le livre genevois…, cit. 5   Si tratta di una lettera di Grasset à Malesherbes del novembre 1754. La citazione completa è in Lodovica Braida, Strategie familiari e commercio del libro. L’immigrazione dei librai briançonesi a Torino (xvii-xviii secolo), « Roma moderna e contemporanea », ii (1994), pp. 315-342, citazione p. 316.  







i briançonesi in italia e il loro ruolo di editori 155 Portugal et l’Italie ». E quello di questi librai cosmopoliti era forse « le seul commerce actif que fassent les libraires français ; car en Allemagne, en Hollande, en Suisse et ailleurs, on aime mieux contrefaire nos livres que de nous les acheter, parce que nos libraires les vendent trop cher ». 1 Diversi studi hanno analizzato le caratteristiche del commercio librario nelle città di immigrazione, in particolare nelle città italiane, sottolineando come all’origine del loro successo non ci fosse soltanto una straordinaria cultura dell’itineranza, ma anche un’altrettanta straordinaria capacità di adeguarsi al tessuto sociale delle città in cui si inserivano, e in alcuni casi, come in quello di Joseph Bouchard, libraio a Firenze, l’abilità di legarsi ad alcuni esponenti del patriziato fiorentino, coinvolti come padrini di battesimo dei propri figli. 2 Gli studi svolti finora hanno esaminato soprattutto le caratteristiche dell’organizzazione commerciale e dell’offerta libraria, a partire dall’analisi dei loro ricchissimi cataloghi e delle loro relazioni con i centri editoriali europei (in particolore con Neuchâtel e Ginevra), ma raramente l’attenzione è stata estesa a un altro aspetto dell’attività dei briançonesi : quello di editori. Quali libri pubblicarono a loro spese nelle città in cui emigravano ? A quali logiche rispondeva la loro strategia editoriale ? Ho già ricostruito in altra sede come e quando le famiglie briançonesi arrivarono a Torino e come avvenne che nel giro di pochi anni dalla loro immigrazione aprissero diversi negozi di « livres, papier, images ». Non tornerò dunque sugli aspetti commerciali, ma riprenderò alcuni tratti della loro attività editoriale per confrontarla con quella di altri librai briançonesi emigrati in altre città, e in particolare con quelli di Napoli, Genova e Roma, su cui esistono alcune ricerche che consentono qualche prima valutazione comparativa. 3 In effetti, da quanto sappiamo dell’attività editoriale dei librai briançonesi attivi nella capitale sabauda, si rileva una straordinaria capacità a pubblicare opere che si inserivano perfettamente nel tessuto culturale della città, dando lavoro a diversi  

















1   Malesherbes, Mémoires sur la librairie. Mémoire sur la liberté de la presse, présentation de Roger Chartier, Paris, Inprimerie Nationale Éditions, 1994, p. 149. 2   Su Pierre e Joseph Bouchard, cfr. Renato Pasta, Il libro francese e i suoi agenti, in Id., Editoria e cultura nel Settecento, Firenze, Olschki, 1997, pp. 87-143 ; sulla libreria Bouchard e Gravier di Roma, cfr. Fabio Tarzia, Libri e rivoluzioni. Figure ementalità nella Roma di fine ancien régime (1770-1800), Milano, Angeli, 2000 : in entrambi i casi gli studiosi analizzano i cataloghi e le relazioni commerciali ma non l’attività editoriale ; sui librai briançonesi a Torino cfr. L. Braida, Strategie familiari …, cit., per un’analisi dei loro cataloghi e per una riflessione sulle loro edizioni, sul rapporto con la stn e con gli editori ginevrini, cfr. Ead., Il commercio delle idee …, cit., pp. 255-313. Sulle relazioni tra la stn e librai italiani (compresi i briançonesi), è tornata Stefania Valeri, Libri nuovi scendon l’Alpi. Venti anni di relazioni franco-italiane negli archivi della Société typographique de Neuchâtel, Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2006 (si tratta di un lavoro che in gran parte utilizza le ricerche sulla stn e i clienti italiani già note). 3   I seguenti saggi contengono spunti per una riflessione sull’attività editoriale, e non solo su quella commerciale : sui librai francesi a Napoli, e in particolare su Jean Gravier, cfr. Pasquale Pironti, Bulifon, Raillard, Gravier, editori francesi in Napoli, Napoli, Pironti, 1982 ; Anna De Falco, Giovanni e Francesco Gravier, in *Editoria e cultura a Napoli nel xviii secolo, a cura di Anna Maria Rao, Napoli, Liguori, 1998, pp. 567577. Su Yves Gravier di Genova cfr. Elisa Parodi, Yves Gravier libraio-editore in Genova nel sec. xviii, « La Berio. Bollettino d’informazioni bibliografiche », xxiii (1983), 3, pp. 38-47 ; sulla libreria Bouchard e Gravier di Roma cfr. Gilles Montègre, La Rome des français au temps des Lumières. Capitale de l’antique et carrefour de l’Europe (1769-1791), Roma, École française de Rome, 2011, in particolare cfr. cap. iii, pp. 155-192.  















156 lodovica braida stampatori (Mairesse, Soffietti, Briolo, Stamperia reale) e dunque creando le condizioni per un rapporto meno conflittuale con i tipografi locali. Sono state individuate finora 65 opere da loro edite tra il 1758 e il 1790 : di queste 15 sono di argomento teologico e religioso, 13 di scienze, 10 di temi letterari, 7 manuali di stile epistolare, 4 di geografia e di descrizione di viaggi, 4 trattati di arte militare, 4 di storia, 4 di attualità politica. 1 La ricerca sull’attività editoriale non è agevole, dal momento che la maggior parte delle loro pubblicazioni non compaiono nei loro cataloghi, e quelle che vi compaiono non contengono indicazioni bibliografiche che le distinguano dai titoli di cui i librai francesi sono semplici rivenditori. Anche i cataloghi on line, da quello del sistema bibliotecario nazionale (sbn) a quelli delle grandi biblioteche straniere, restituiscono solo una parte minima della loro produzione, e in modo particolare le edizioni culturalmente più rilevanti. Sfuggono i titoli dei libri di larga circolazione (da quelli religiosi, agli almanacchi, ai fogli volanti e ai libri di divulgazione), poco conservati, anche se sicuramente più letti. 2 I cinque cataloghi sopravvissuti dei Reycends, usciti tra il 1760 e il 1790, riportano infatti i titoli delle opere che avevano in magazzino e quelli che erano in grado di procurarsi grazie alle loro relazioni commerciali ma in pochi casi quelli da loro editi. 3 Per informare i lettori sulla loro produzione, i Reycends utilizzavano tre diversi strumenti : le recensioni sui periodici letterari, e in particolare sulla « Biblioteca oltremontana », la pubblicazione di brevi cataloghi in appendice ad alcune opere di loro edizione, 4 i manifestini a stampa che inviavano ai clienti sia per annunciare la pubblicazione di un’opera sia per raccogliere le sottoscrizioni. Ne sono un esempio l’avviso della prima traduzione dal francese dei pensieri di Pascal, un foglio che riproduceva il frontespizio dei Pensieri di Pascal sopra la religione, ed alcuni altri soggetti colla vita del medesimo (1767), e l’avviso che annunciava Delle rivoluzioni d’Italia (1769-1770) di Carlo Denina. 5 Se dai loro cataloghi traspare la ricerca di un pubblico di eruditi e di letterati (i cataloghi del 1760 e del 1765 si intitolano Catalogue rangé dans un nouvel ordre pour l’utilité des gens de lettres), nelle scelte editoriali i Reycends di Torino sembrano puntare su un pubblico più ampio, come si può dedurre dall’interesse per la divulgazione scientifica, con manuali pratici di agronomia e di veterinaria, o dall’ampia proposta di libri di devozione e di dottrina cristiana, spesso direttamente in francese, come La journée du chrétien sanctifiée par la prière et la méditation (1775 e 1789), oppure in traduzione dal francese, come Lo stato coniugale secondo la religione a pro delle persone a quello destinate di Girard de Villethierry (1776). Nelle loro proposte emergono in  







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  Cfr. L. Braida, Il commercio delle idee…, cit., p. 285-290.   Sui libri di larga circolazione, cfr. *Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, a cura di Lodovica Braida e Mario Infelise, Torino, utet, 2010. 3   Sui cataloghi dei Reycends cfr., L. Braida, Il commercio delle idee …, cit., pp. 277-287 ; Emma Cabiati, I cataloghi a stampa dei librai torinesi nel Settecento, in *La collezione bodoniana della Biblioteca civica di Saluzzo, a cura di Giancarla Bertero, Collegno (Torino), Altieri, 1995, pp. 88-99. 4   Un elenco è in Lettres sur la Sicile et l’Ile de Malthe de monsieur le comte de Borch, Reycends, per i tipi di Soffietti, 1782. 5   Si tratta di documenti rarissimi : il primo è conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Torino (coll. Simeom, serie C, n. 4401) e il secondo è inserito nell’esemplare di Delle rivoluzioni d’Italia conservato presso la Biblioteca Provinciale di Torino. 2





i briançonesi in italia e il loro ruolo di editori 157 particolare nuovi generi di successo, tutti perfettamente compatibili con le severe norme censorie che regolavano quanto si stampava all’interno del Regno sabaudo, quali i manuali di stile epistolare e le guide di viaggio. Particolarmente interessante è l’offerta di libri di tecnica epistolare, tra cui il Secrétaire des négotiants (1752 e 1763), con formulari per le pratiche commerciali in italiano e in francese, e il Trattato di segreteria di Domenico Milone (1770 e 1784). Nella prefazione alla seconda edizione, l’autore sottolineava di essersi reso conto della necessità di un manuale di scrittura facendo il precettore « a non pochi nobili giovani » :  





E pure con mio sommo stupore, e rossor loro, si può dire, ne ho veduta una gran parte, poste in obblio le regole dello scriver pulito, e terso, non esser più al caso di comporre una ben ragionata lettera, distinta nelle sue parti, formare una relazione di qualche fatto cospicuo, se non confusamente, senz’alcun ordine rettorico : di modo che ciò che ne fa l’oggetto primario non si distingue, né si conosce : onde non vi si scorge più né la chiarezza, né la naturalezza delle espressioni. 1  



Milone osservava poi che l’arte di scrivere una bella lettera « nella toscana favella » era ormai decaduta anche perché si preferiva « la galanteria franzese », un segno che l’alta società parlava e scriveva il francese. Ma l’attenzione ai libri di modelli epistolari francesi rivelava anche che la lunga e straordinaria tradizione dell’epistolografia italiana era stata progressivamente sostituita da quella transalpina. 2 Non a caso, alla fine del trattato di Milone c’era un lungo elenco di Livres de lettres che si trovavano nella bottega dei Reycends di Torino, tutti in francese, tra cui il Secrétaire de la cour e il Secrétaire du cabinet, entrambi di Jean Puget de la Serre, ed entrambi editi dagli stessi Reycends. Abbondante era anche l’offerta di grammatiche, in particolare di quelle francesi : tra i titoli più significativi troviamo L’italiano di Parigi. Overo grammatica francese ad uso degli italiani (1786). Ma oltre ai generi di sicuro successo, i Reycends investirono anche in edizioni prestigiose : si è già detto della traduzione di Pascal e dell’edizione di Delle rivoluzioni d’Italia di Denina ; a queste occorre aggiungere importanti opere scientifiche, come quella in dodici volumi di Ambrogio Bertrandi, professore di chirurgia all’Università di Torino. Nessuna traccia della riflessione filosofica francese, ferocemente bandita dalle censura ecclesiastica e statale, ma semmai un’attenzione alle espressioni anti-illuministiche, in particolare con la pubblicazione di tre opere del barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil, tra cui, nel 1763, les Réflexions sur la theorie et la pratique de l’éducation contre les principes de M. Rousseau, più note come l’anti-Emile. La stessa strategia, attenta sia ai generi e agli autori di successo sia alla saggistica più impegnata, con un respiro però ben più europeo rispetto ai Reycends di Torino,  













1   Trattato di segreteria di Domenico Milone. Nuova edizione per ordine alfabetico. Accresciuto d’un trattato dello stile, Torino, presso li fratelli Reycends, 1784 (colophon : dalla stamperia d’Ignazio Soffietti), pp. vii-viii. 2   Nel Cinquecento, con il grande successo editoriale delle raccolte epistolari pubblicate soprattutto a Venezia, le edizioni di lettere italiane erano considerate un modello da imitare in tutta Europa : cfr. Lodovica Braida, Libri di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e “buon volgare”, Roma-Bari, Laterza, 2009. Sui libri di modelli epistolari francesi cfr. Roger Chartier, Des secrétaires pour le peuple ? Les modèles épistolaires de l’Ancien Régime entre littérature de cour et livre de colportage, in *La correspondance. Les usages de la lettre au xixe siècle, sous la direction de Roger Chartier, Paris, Fayard, 1991, pp. 159-207.  





158 lodovica braida la si riscontra anche nell’attività di Jean Gravier, libraio attivo a Genova negli anni quaranta e trasferitosi a Napoli sul finire degli anni cinquanta, il cui ruolo è stato finora poco studiato, anche se è stato sottolineato il carattere innovativo delle sue proposte editoriali, aperte al giurisdizionalismo e alle espressioni più significative dei Lumi italiani e francesi. Come ha notato Anna De Falco, la sua produzione « rispecchia un’attività fortemente orientata sul piano culturale » : 1 tra le sue edizioni troviamo infatti opere di Giannone, Beccaria, Pietro Verri e Giacinto Dragonetti, il cui Delle virtù e de’ premi di (1766 e 1767) ebbe un’ampia circolazione europea dovuta a un’edizione in francese pubblicata dal Pancoucke senza il nome dell’autore, e presentata come continuazione del Dei delitti e delle pene del Beccaria. 2 Ispiratore di molte delle iniziative editoriali di Gravier fu l’abate Antonio Genovesi, che nel 1765, in un momento in cui era vivo il dibattito sull’annona sollevato dalla carestia del 1764, curò l’edizione delle Riflessioni sull’economia generale de’ grani di ClaudeJacques Herbert. La dedica, firmata da Gravier, ma scritta da Genovesi, era indirizzata al ministro Bernardo Tanucci che aveva appoggiato l’iniziativa. Nella proposta di Gravier grande spazio aveva l’erudizione storica : fu editore degli Annali d’Italia di Muratori (1771 ; 1773-78) e della Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, in 23 volumi (1769-1772), dedicata a Maria Carolina, regina di Napoli. Pubblicò opere scientifiche in francese (le Réflexions sur les comètes di Lalande, 1779), commedie in francese e in italiano, la traduzione di opere di successo come Le avventure di Telemaco (1768) e la Dissertazione sull’educazione fisica de’ fanciulli di Jacques Ballexserd (1763), ad appena un anno dall’edizione in francese, e il primo libro della fortunata Biblioteca de’ fanciulli di Madame Leprince de Beaumont (1772), mostrando grande attenzione a un genere nuovo che si stava affacciando sul panorama editoriale anche in Italia : la letteratura per l’infanzia. 3 Di grande interesse sarebbe un confronto tra la produzione di Jean Gravier con quella di altri librai-editori napoletani e con quella dei librai briançonesi attivi in altre città italiane, in particolare con quella del nipote Yves Gravier, 4 libraio a Genova dagli anni sessanta ed editore di guide della città in francese e in italiano, di opere letterarie, tra cui le Poesie in 11 volumi di Pietro Metastasio (1766-69, con una riedizione nel 1773-74), di opere di philosophes italiani e francesi, tra cui La scienza della legislazione di Filangieri (1798) e l’Esquisse d’un tableau historique di Condorcet (1798). Nella produzione di Yves vi sono edizioni strettamente legate a quello dello zio sia quando questi era ancora in vita sia dopo la sua morte (1776) : colpisce, ad esempio, che nel 1771 entrambi dessero alle stampe le Meditazioni sulla economia politica di Pietro Verri e che nel 1773 Yves facesse uscire, a due anni dall’edizione dello zio, gli Annali d’Italia del Muratori, o che pubblicasse le Aventures de Telemaque di Fenelon (1776), dopoché Jean le aveva edite in traduzione italiana. Anche nel caso  













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  A. De Falco, Giovanni e Francesco Gravier, cit., p. 569.   Anna Maria Rao, “Delle virtù e de’ premi” : la fortuna di Beccaria nel Regno di Napoli, in *Cesare Beccaria tra Milano e l’Europa, Milano-Roma-Bari, Cariplo-Laterza, 1990, pp. 534 sgg. 3   Cfr. S. Valeri, La letteratura francese per l’infanzia in Italia, in Ead. Libri nuovi, cit., pp. 118-119. 4   Su Yves Gravier, oltre all’articolo di Parodi già citato, cfr. Alberto Petrucciani, L’editoria a Genova : stampa e vita sociale in una capitale repubblicana, in *Testo e immagine nell’editoria del Settecento, a cura di Marco Santoro e Valentina Sestini, Pisa-Roma, Serra, 2008, pp. 169-190, in particolare pp. 181-183. 2





i briançonesi in italia e il loro ruolo di editori 159 di Yves Gravier si riscontra l’uso di un periodico, gli « Avvisi di Genova », per raccogliere le associazioni a opere straniere e per pubblicizzare sia i libri editi da altri, in vendita nella sua bottega, sia le opere da lui edite. Ad esempio, su un numero della gazzetta del 1788, annunciava l’uscita del primo tomo delle Scuole delle fanciulle della stessa Leprince de Beaumont di cui lo zio Jean aveva già pubblicato la Biblioteca de’ fanciulli : « L’opera […] è abbastanza pregevole per se stessa ; a renderla sempre più compita ed interessante, non ha risparmiato il suo editore, Y.G., né diligenza, né spesa perché oltre a essere corretta da molti errori delle precedenti edizioni, è questa arricchita di vari rami e frontespici ». 1 Alla luce di queste riflessioni appare dunque necessario non disgiungere lo studio degli aspetti commerciali (analisi dei cataloghi, le relazioni con gli editori stranieri) da quello dell’attività editoriale, se si vuole ricostruire un quadro completo delle molteplici attività di questi uomini che con le loro botteghe in Italia, Francia, Spagna e Portogallo dominavano il mercato del libro nell’Europa del Mediterraneo. Un recente studio di Gilles Montègre sulla libreria romana di Jean Bouchard e JeanJoseph Gravier mette in luce come il loro ruolo di mediatori culturali andasse ben al di là della loro identità di commercianti. 2 L’attività di questi due librai-editori risulta inserita all’interno di un circuito più ampio di transazioni finanziarie, commerciali e culturali individuate nel mondo dei francesi residenti a Roma tra gli anni sessanta e la fine del secolo, nel ruolo del cardinal de Bernis, ambasciatore pontificio, dei banchieri francesi presenti a Roma e dell’ambasciata francese che aveva sede nel Palazzo dell’Académie française. È in questo contesto culturale che vanno analizzate le scelte dei due librai francesi i cui cataloghi erano ricchi di novità provenienti da tutta l’Europa, con un’attenzione ai gusti dei lettori romani colti che frequentavano la loro bottega di via del Corso. Jean Bouchard aveva esercitato la sua attività di libraio a Roma dalla seconda metà degli anni quaranta e dalla metà degli anni cinquanta si era associato con Gravier. La specialità della libreria, come quella dei loro colleghi francesi stanziati a Torino, Genova, Bologna, Firenze e Napoli, era quella di importare libri stampati dai più vivaci centri tipografici europei. L’analisi dei due cataloghi sopravvissuti, peraltro privi di data di stampa (ma databili il primo negli anni cinquanta e il secondo sul finire degli anni sessanta), evidenzia, come ha notato Fabio Tarzia (ai cui dati Montègre fa riferimento), parecchie trasformazioni a distanza di pochi anni. Il catalogo degli anni cinquanta, firmato dal solo Jean Bouchard, conteneva per la maggior parte (ben l’84%) libri francesi : nella prefazione si precisava che oltre a quei titoli il libraio « fait aussi venir tous les mois des marchandises nouvelles de Paris et autres villes, et plusieurs autres livres qui ne sont pas contenus dans ce catalogue ». Il secondo catalogo della fine degli anni sessanta era ancora ricchissimo di libri francesi (59%), anche se registrava un aumento dal 12 al 27% dei libri in latino e dal 4 al 14% dei libri in italiano rispetto al primo catalogo. Questa trasformazione si può interpretare come un graduale adattamento al mercato romano : se nei primi anni dell’apertura della libreria Bouchard aveva preferito offrire quello che gli altri  



















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  E. Parodi, Yves Gravier libraio-editore …, cit., pp. 41-42.   Gilles Montègre, La Rome des français au temps des Lumières. Capitale de l’antique et carrefour de l’Europe (1769-1791), Roma, École française de Rome, 2011, in particolare pp. 155-192. 2

160 lodovica braida colleghi avevano più difficoltà a far arrivare, non osando rischiare nei settori già coperti dai librai locali, negli anni sessanta, con il consolidamento dell’attività, anche grazie ai capitali di Gravier, aveva esteso l’offerta a tutti gli altri generi, come rivela il secondo catalogo. 1 Pur registrando i più diversi ambiti dell’editoria transalpina, non soltanto quelli letterari (21%), ma anche quello scientifico e artistico (28%), il catalogo non trascurava però il libro religioso (il 17%). E proprio questa attenzione rivela la capacità dei librai briançonesi ad adattarsi al mercato della città in cui operano : secondo Montègre, « cette dimension de l’offre constitue bien une spécificité romaine, le secteur religieux occupant une moindre place dans le catalogue des ouvrages proposés en 1765 par le libraire Bouchard de Florence ». 2 In realtà i cataloghi romani non erano i soli ad avere una percentuale alta di libri religiosi. Una più attenta analisi comparativa rivela, per esempio, che i cataloghi dei Reycends di Torino ne erano ancora più ricchi. Del resto proprio la censura sabauda, perfettamente in linea con quella ecclesiastica, orientava fortemente le scelte dei librai : nel catalogo del 1760 l’ambito religioso raggiungeva il 28% e in quello del 1765 il 27% ed era la voce più rilevante dell’intera offerta libraria. 3 Va però rilevata nel caso romano un’attenzione che nei cataloghi dei briançonesi di altri centri non si riscontra e che ovviamente è relativo ai condizionamenti di chi operava nella città del pontefice : pur presentando titoli delle opere dei più importanti philosophes francesi e opere letterarie proibite, i due librai avevano trovato il modo di segnalare i libri proibiti con un asterisco e nella prefazione del catalogo di fine anni sessanta si precisava che quei libri potevano essere venduti soltanto ai clienti che mostravano « la permission de lire et tenir les livres défendus ». Tra i libri asteriscati vi erano opere di Montesquieu e di Voltaire. Come i loro colleghi di altre città italiane, essi si rifornivano di libri proibiti dalle società editrici svizzere ma facevano di tutto per dare l’impressione di far convivere l’aggiornamento sulle novità d’oltre frontiera con l’attenzione alle opere teologiche e religiose gradite al clero romano, di cui numerosi esponenti frequentavano la fornitissima libreria. Dal 1785 nella loro bottega si poteva trovare anche il « Giornale ecclesiastico di Roma », organo di propaganda antigiansenista e legato al maestro di Sacro Palazzo Tommaso Maria Mamachi. Anche Bouchard e Gravier investivano parte dei loro guadagni nell’editoria, adattandosi bene al contesto socio-culturale in cui operavano. E in questo caso pubblicarono soprattutto prestigiosi libri d’arte e di vedute di Roma, tra cui i due volumi delle Magnificenze di Roma con le incisioni di Piranesi (1751) e i quattro tomi delle Antichità romane (1756), che videro ancora l’intervento dell’artista romano, cui si aggiunse quella del francese Jean Barbault. Fu ancora grazie alla collaborazione di quest’ultimo che nel 1761 i due librai fecero uscire un volume con 128 incisioni disegnate da Barbault e dedicate « aux plus beaux monuments de la Rome ancienne ». Era una scelta che corrispondeva alle attese dei loro clienti, come si può dedurre dal fatto che anche negli anni successivi questa strategia non fu abbandonata : nume 























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  F. Tarzia, Libri e rivoluzioni …, cit., p. 61.   G. Montègre, La Rome des français …, cit., p. 162. L’autore si riferisce al catalogo di Bouchard studiato da R. Pasta, Il libro francese …, cit., p. 126. 3   L. Braida, Il commercio delle idee …, cit., pp. 280-281. 2

i briançonesi in italia e il loro ruolo di editori 161 rose furono le pubblicazioni di antiquaria tra cui, nel 1770, il Recueil de divers monuments anciens répandus en plusieurs endroits de l’Italie, e nel 1783 una Collection choisie d’ancien bas-reliefs et fragments égiptiens, romains et étrusques, uscita nel momento in cui Pio VI, dedicatario e ispiratore dell’opera, « si apriva all’arrichimento e all’accessibilità pubblica dei musei pontifici ». 1 Si trattava dunque di opere di prestigio, in grande formato, per i clienti più facoltosi. Per i francesi residenti o di passaggio a Roma i due librai erano dei veri mediatori, dal momento che svolgevano un ruolo che andava ben al di là di quello commerciale : a volte aiutavano i loro compatrioti a trovare casa, o li mettevano in contatto con gli uomini di cultura e di potere con cui erano costantemente in relazione. Altre volte utilizzavano i circuiti del commercio del libro per esportare opere d’arte realizzate a Roma e destinate alle collezioni francesi, come dimostrano, ad esempio, alcune domande al cardinale camerlengo per ottenere l’autorizzazione a esportare oggetti d’arte nel loro paese d’origine. La loro scelta di pubblicare opere di antiquaria e stampe di monumenti italiani era dunque ben integrata in un circuito più ampio, come mostra il fatto che la libreria forniva di stampe l’Académie française, il cui palazzo era situato vicino alla loro bottega. Gli studi sui briançonesi hanno sottolineato la forte alleanza tra le famiglie, individuando modalità di inserimento molto simili, ed evidenziando comportamenti unitari soprattutto nelle strategie finanziarie e commerciali. Tuttavia questa analisi non basta per comprendere il loro modo di operare quando affiancano al loro ruolo di librai anche quello di editori. In questo caso, spesso la loro strategia appare slegata dalla rete familiare e invece strettamente connessa a un adattamento al mercato locale : se le edizioni dei Reycends di Torino appaiono orientate soprattutto verso i libri religiosi e i libri utili (guide urbane e libri per fare lettere), le scelte editoriali romane sembrano più orientate al mercato di lusso, del libro di antiquaria che strizzava l’occhio ai mercanti d’arte, ai viaggiatori stranieri e ai ceti sociali più agiati dell’urbe, quelle di Napoli al libro filosofico tout court, al giurisdizionalismo e alla storia della città partenopea, quelle di Genova ai libri pratici (anche qui troviamo molte guide della città) e alle novità letterarie e filosofiche, in questo caso in stretta relazione con le scelte di Jean Gravier, che, peraltro, in giovinezza aveva lavorato a Genova. Queste osservazioni vogliono essere un invito a studiare in modo capillare le strategie editoriali e a individuare tutte le edizioni dei briançonesi nel contesto delle singole città di immigrazione. E in questa direzione i cataloghi a stampa, pur essendo una fonte preziosa, come si è detto, non possono bastare, sia perché spesso non registrano i libri da loro editi sia perché anche quando li segnalano non danno le informazioni bibliografiche indispensabili all’identificazione dell’edizione. In questa direzione sono più utili gli avvisi (peraltro rarissimi), le recensioni sulle gazzette e sulle riviste letterarie, e gli elenchi di titoli alla fine delle singole pubblicazioni. L’analisi sulle singole edizioni sopravvissute può consentire poi di individuare coedizioni tra librai briançonesi, o collaborazioni con librai (o stampatori) locali, segnale importante della loro capacità di cercare alleanze (anche per evitare le com 







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  G. Montègre, La Rome des français …, cit., p. 173.

162 lodovica braida prensibili ostilità) con gli uomini che in quella città erano nati e che si vedevano sottrarre clienti e occasioni dai colleghi stranieri inseriti in una rete europea di relazioni e affari. Anche le lettere dedicatorie (a volte a firma del libraio-editore e non dell’autore) presenti nelle edizioni di prestigio possono diventare una fonte rilevante per ricostruire la rete di relazioni politiche, ecclesiastiche, istituzionali e culturali che i librai di origine francese erano riusciti a tessere dopo tanti anni di immigrazione e dopo aver conosciuto realtà urbane diverse, passando, per esempio, da Genova a Napoli, come nel caso di Jean Gravier, o da Milano a Lisbona, come nel caso Pietro Reycends. 1 Abstract Il saggio si sofferma sui librai briançonesi che dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento aprirono librerie in molti centri dell’Europa del Sud e in particolare in Italia. Finora gli studi si sono concentrati sulle caratteristiche della loro organizzazione commerciale e dell’offerta libraria, a partire dall’analisi dei loro ricchissimi cataloghi e delle loro relazioni con i centri editoriali europei (in particolare con Neuchâtel e Ginevra), ma raramente l’attenzione è stata estesa a un altro aspetto della loro attività : quello di editori. Il saggio intende concentrarsi sul loro ruolo di editori, in modo particolare per quanto riguarda le famiglie attive a Torino, Genova, Roma e Napoli.  

This essay focuses on the booksellers from Briançon who opened bookshops in many cities in Southern Europe, especially in Italy, from the late xvii century all through the xviii century. So far most studies have given pride of place to the features of their trade organisation and the range of books they provided, based on a review of their extremely rich catalogues and their contacts with Europe’s main publishing centres (mostly Neuchâtel and Geneva), but little attention has been focussed on another area of their business : publishing. This essay will review their role as publishers, especially the families that worked in Turin, Genoa, Rome and Naples.  

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  L. Braida, Il commercio delle idee …, cit., pp. 268 e 271.

FLUSSI DI MOBILITÀ DEGLI ARTISTI DEL LIBRO NAPOLETANO DEL SEICENTO Giuseppina Zappella

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gl i inizi del Seicento l’arte a Napoli è profondamente segnata dall’esperienza straordinaria dei due soggiorni partenopei di Caravaggio, che inaugura una nuova concezione estetica fondata sull’intensità dei contrasti e sulla drammatizzazione della luce. I suoi primi interpreti sono Battistello Caracciolo e Jusepe de Ribera. È un influsso che si rivelerà determinante nella formazione della scuola napoletana, che ne sarà come intrisa, impregnata durevolmente, secondo la similitudine oraziana (usata da Bernardo De Dominici, il maggiore biografo degli artisti napoletani) 1 del vaso nuovo che per la sua porosità conserva a lungo l’odore di ciò di cui è stato riempito la prima volta. 2 Luca Giordano è il più assoluto protagonista del processo di rinnovamento della tradizione locale per gli esiti di straordinaria intensità visiva dei suoi dipinti, a sua volta Mattia Preti formato sulle opere dei caravaggeschi romani e napoletani, ma influenzato anche da Lanfranco e Guercino, si apre alle scenografiche architetture del barocco e alle composizioni affollate di figure, che suggestioneranno gli artisti successivi. All’ombra delle molteplici esperienze pittoriche di questi maestri operano i protagonisti di una grande stagione artistica, in dialogo o in contrasto con le opere di Caravaggio. Sono tempi di profonde trasformazioni, non solo nella sfera dell’arte, ma anche nell’ambito politico, sociale ed economico. Pur nel rigido clima controriformista, prevalgono la fantasia e la libertà inventiva degli artisti, che riescono a superare la moda imperante delle raffigurazioni bibliche e agiografiche rinnovando l’interesse per i soggetti mitologici, storici e filosofici. Anche nell’editoria, fin dalla prima metà del Seicento, sono presenti i grandi nomi della pittura napoletana : Luca Giordano, Paolo De Matteis, Giacomo Del Po e, verso la fine del secolo, Francesco Solimena. Ad essi si aggiunge un folto stuolo di incisori, interpreti e traduttori dei grandi maestri, ma spesso anche « inventores » per conto proprio, che collaborano attivamente con gli artefici del libro, spesso firmando non solo le illustrazioni di maggior rilievo (antiporte, frontespizi, ritratti ecc.) ma anche le parti ornamentali. La partecipazione di questi artisti all’illustrazione libraria costituisce uno dei capitoli più interessanti, anche se non adeguatamente indagati, dell’editoria napoletana del Seicento : materia ancora assai confusa per difetto di interesse, e quindi di ricerca filologica, sia da parte degli storici dell’arte (attenti quasi esclusivamente alle opere  







1   Cfr. Bernardo De Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani non mai date alla luce da autore alcuno, Napoli, Ricciardi, 1742-1745, ii, p. 278 (a proposito di Battistello Caracciolo). 2   « Quo semel est imbuta, recens servabit odorem testa diu » (Orazio, Epist. i, 2, 69-70).  



164 giuseppina zappella cosiddette “maggiori”), sia da parte dei bibliologi (di solito poco coinvolti in queste problematiche). In molti casi si tratta di artisti affermati e conosciuti, eppure nei cataloghi, nelle mostre e nelle monografie specifiche si dedica ben poca attenzione alle incisioni librarie, 1 talvolta gli appartenenti ad una stessa famiglia sono persino confusi (Pierre con Fabien Miotte, Albert con Pieter Clowet) 2 o del tutto ignorati (Gaetano e Giuseppe Magliar). Così le notizie in bibliografia sono scarse e lacunose, probabilmente anche perché questi contributi non sono facili da censire e individuare all’interno della ricca produzione napoletana. Certo non difettano gli studi sugli incisori napoletani del periodo, 3 ma quello di cui si sente soprattutto la mancanza è una ricognizione sistematica delle illustrazioni presenti nei libri, indagate a tutto campo negli aspetti più specifici e peculiari : ‘zone d’ombra’ che gravano negativamente sulla valutazione complessiva di un patrimonio rilevante non solo a livello artistico, ma anche iconografico per complessità di scene, gioco di allusioni, per originalità di ritratti, antiporte, vignette e illustrazioni. Un’indagine comunque importante anche per accertare identità artistiche ancora nascoste sotto l’anonimato, nonché per approfondire contributi non conosciuti. Nel Seicento – come si diceva – Napoli è un centro importante, contraddistinto da una straordinaria vitalità intellettuale e culturale. Pur nelle innegabili vicissitudini sociali e politiche che lo caratterizzano, forse è proprio in questo secolo che nasce con caratteri di assoluta originalità ed eccellenza il linguaggio figurativo della pittura napoletana. In particolare la straordinaria esperienza del caravaggismo di Jusepe de Ribera e gli spettacolari effetti luministici di Giovanni Lanfranco influenzeranno in vario modo gli altri artisti : Luca Giordano è apprendista di Ribera e  



1   Meritano comunque di essere segnalati il censimento (parziale) della Nazionale di Napoli, Leggere per immagini. Edizioni napoletane illustrate della Biblioteca Nazionale di Napoli. Secoli xvi e xvii, Napoli, Arte tipografica, 2005 (pp. 45-76 profili biografici degli artisti e relativa bibliografia) ; il catalogo generale a cura di Marco Santoro, Le secentine napoletane della Biblioteca Nazionale di Napoli, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1986 ; il saggio di Anna Omodeo, Grafica napoletana del ’600. Fabbricatori di immagini. Saggio sugli incisori, illustratori, stampatori e librai della Napoli del seicento e il contributo di Rodney Palmer, I nomi di « chi le ha fatte » sulle incisioni nei libri stampati a Napoli intorno al 1700, in *Editoria e cultura a Napoli nel xviii secolo. Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Universitario Orientale, dalla Società Italiana di Studi sul Secolo xviii e dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Napoli 5-7 dicembre 1996, a cura di Anna Maria Rao, Napoli, Liguori, 1998, pp. 117-153. 2   Una sorte non molto diversa tocca anche ad importanti tipografi napoletani coevi, come Felice Carlo Mosca, confuso col padre Felice nelle schede del Servizio Bibliotecario Nazionale. Cfr. in proposito Giuseppina Zappella, Felice Mosca : un professionista “dimenticato”dell’arte tipografica, in *L’universo del sapere e la magnificenza della corte nelle edizioni Mosca. Saggio introduttivo di Giuseppina Zappella. Avellino, Provincia di Avellino – Biblioteca Scipione e Giulio Capone – Mediatech, 2010 (edizione digitale, di prossima pubblicazione l’edizione a stampa), pp. 7-92. 3   In particolare Incisori napoletani del ’600. Villa Farnesina, 19 marzo-24 maggio 1981, catalogo della mostra, Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, 1981 ; Rosa D’Amico, Incisori d’invenzione romani e napoletani del xvii secolo (consulenza tecnica di Paolo Bellini), Bologna, Ed. Compositori, 1978 (catalogo della raccolta di stampe antiche della Pinacoteca nazionale di Bologna, Gabinetto delle stampe). Nei volumi dedicati agli Italian masters of the seventeenth century della monumentale opera The illustrated Bartsch (general editor Walter L. Strauss ; poi founding editor Walter L. Strauss, general editor John T. Spike), New York, Abaris books, 1978-…, come artisti attivi a Napoli sono discussi : Giovanni Lanfranco nel v. 40 (edited by Veronika Birke, 1982) ; Jusepe de Ribera e Aniello Falcone nel v.44 (edited by Paolo Bellini and Mark Carter Leach, 1983) ; Pietro e Teresa Del Po nel v. 45 (edited by Mark Carter Leach and Richard W. Wallace, 1982) e nel relativo Commentary (by Donata Minonzio, 1990) ; Salvator Rosa e Luca Giordano nel v. 47 (edited by Paolo Bellini, 1983), Giordano anche nel relativo Commentary.1 (by Paolo Bellini, 1987).  





















flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 165 guarda a Preti e a Lanfranco, a loro volta Solimena e De Matteis sono seguaci di Giordano. Questi artisti, che spesso operano a stretto contatto, sia nell’esecuzione di opere pittoriche 1 sia nell’illustrazione libraria, 2 intrattengono intensi rapporti con altre città italiane (soprattutto Roma) e con paesi stranieri (Francia, Spagna, Paesi Bassi, Malta) attraverso frequenti spostamenti prima di studio e apprendistato, poi di lavoro. In questo contesto affatto particolare e straordinaria per i tempi è la vicenda femminile, a cominciare da Artemisia Gentileschi, che nella sua vita avventurosa si sposta da Roma a Firenze, a Venezia, a Napoli, a Londra, poi ancora a Napoli, fino a Teresa Del Po, di origine siciliana, pittrice e accademica romana che si trasferisce a Napoli, dove opera soprattutto nell’editoria collaborando spesso col fratello minore Giacomo. Altra vicenda esemplare e singolare è quella di Maria De Dominici, sorella del pittore Raimondo e zia dello storiografo Bernardo, alla quale la condizione monacale non impedisce, come a Isabella Piccini, di essere anche pittrice e scultrice, ma che a differenza di quest’ultima ha una vita molto movimentata. Nasce a Malta, poi a Napoli è allieva di Mattia Preti, successivamente si trasferisce a Roma, dove offre i modelli da cui trae le prime incisioni Andrea Magliar, destinato a diventare uno dei più importanti artisti del libro napoletano. 3 Genealogie artistiche e figurative trovano spiegazione in molti casi proprio nella mobilità di questi maestri lungo percorsi comuni e privilegiati, suggerendo così indicazioni utili per valutare alcune linee di tendenza generali e nuove vie di ricerca per la identificazione delle strategie di lavoro e di esecuzione artistica. Quello che può sembrare sulle prime un semplice viaggio di lavoro o di piacere, se comparato ad esperienze analoghe di artisti contemporanei, gravitanti nella stessa area geografica, disegna una trama di rapporti trasversali, di osmosi figurative, di parabole stilistiche, di cui costituisce talvolta l’indispensabile chiave interpretativa. All’interno di questo discorso è senza dubbio un tentativo impegnativo e ambizioso, ma comunque affascinante, quello di individuare l’influsso di determinati soggiorni sul linguaggio figurativo dei vari artisti. Così, solo per fare qualche esempio, Ribera mitiga l’esasperato e cupo realismo della sua pittura dopo l’incontro napoletano con Velazquez, mentre influenze marattesche caratterizzano i modi di penetrazione della maniera romana su molti artisti napoletani, tra cui De Matteis, Giacomo Del Po e il giovane Solimena. Alla fine del secolo il linguaggio pittorico dello stesso De Matteis subisce una graduale sterzata verso modi di più contenuto classicismo per la presenza a Napoli di Luigi Garzi, già conosciuto a Roma dall’artista. Tra le più significative è però la vicenda di Luca Giordano. Per questo grande pittore, geniale espressione dell’inquieto spirito napoletano, i viaggi, intervallati da frequenti ritorni a Napoli, non sono una semplice avventura, ma riflettono il suo personale itinerario stilistico : prima nella capitale del vicereame spinto dall’interesse per il naturalismo post-caraveggesco e Ribera, poi a Roma ammirato per le  

1   Così Solimena e Giordano a Montecassino (anche De Matteis vi dipinge la pala dell’Assunta), il Domenichino, Mattia Preti e Lanfranco a Roma in S. Andrea della Valle. 2   Solimena e De Matteis nei Bellica di Nicola Partenio Giannettasio (Raillard, 1699). 3   Anche tre figlie di Paolo De Matteis (Mariangela, Emanuela e Felice) sono pittrici e, essendo benestanti, non richiedono compenso per le loro opere.

166 giuseppina zappella suggestioni prospettiche cortonesche, a Parma quando dalla fase naturalista entra in contatto con i nuovi filoni veronesiani e correggeschi, a Venezia per approfondire la propria capacità espressiva, che si arricchisce di nuove trasparenze luminose nel soggiorno fiorentino, fino al periodo spagnolo, che inaugura una nuova stagione di contatti di respiro internazionale, che avrà notevole seguito soprattutto nel Settecento. Influenze e linee di tendenza sono talora negate o osteggiate dagli stessi artisti (è nota la polemica dei solimeniani contro la scuola romana), ma comunque costituiscono evidenti occasioni di confronto e arricchimento, soprattutto per i contatti con i maestri stranieri. Inoltre l’incisione, a differenza dei dipinti e delle altre opere d’arte, non è un unicum, ma un prodotto in serie, un multiplo, il che ovviamente implica importantissime conseguenze sotto il profilo della circolazione delle copie. Riproducibilità e diffusione delle immagini favoriscono anche imitazione, ripetitività, rispetto della tradizione : si individuano modelli, si fissano archetipi e tipologie, che, pur rinnovandosi, permettono di rintracciare percorsi iconografici comuni. La mobilità degli artisti del libro è un fattore importante di questo processo. Percorsi e forme dello scambio artistico favoriscono, dunque, una migliore conoscenza sia di maestri affermati, sia di incisori poco noti. A questi ultimi in particolare è necessario dedicare una maggiore attenzione, un esempio per tutti Pierre Miotte, francese e naturalizzato italiano, la cui ricchissima produzione, sia napoletana che romana, è pressoché ignorata e sicuramente sottovalutata. Né possono essere trascurati i rapporti dell’ambiente artistico napoletano con il mondo del libro e le strategie editoriali degli operatori del settore. La storia delle tipografie antiche passa anche attraverso il legame che alcuni artisti istituiscono a preferenza con determinate aziende (ad esempio Giordano con Bulifon, Solimena e De Matteis con Raillard e Muzio), così pure le scelte della committenza libraria in qualche caso sono determinanti negli spostamenti degli incisori. Seguire le tracce di questo itinerario di vita, di arte e di cultura offre materia per le riflessioni che seguono.  

1. « Inventores » e incisori  



L’ampio orizzonte di forme e suggestioni della Napoli barocca, esaltato nelle tele dei suoi più illustri pittori, trova una delle sue espressioni più originali nelle immagini appositamente create dagli artisti per i prodotti tipografici. La padronanza della tecnica tipografica e incisoria contribuisce a formare una schiera di autentici professionisti dell’arte libraria e rilevante appare l’intervento, lievitato in maniera evidente, degli artisti, sia come « inventores » che come incisori. Il loro ruolo è diverso. L’autore del disegno quasi sempre è persona diversa dal materiale esecutore dell’incisione e, senza aver partecipato al lavoro incisorio, può averne solo fornito l’abbozzo, più o meno completo. Anche i grandi maestri non disdegnano la loro opera per l’illustrazione, ma quasi mai sono incisori. Per essi l’attività al servizio dell’editoria napoletana rappresenta sicuramente – come si diceva in precedenza – il settore meno conosciuto e documentato nella letteratura scientifica. La seconda professionalità distinta è quella del materiale esecutore, che ha riportato e trasferito sulla matrice l’opera del disegnatore o del pittore in modo  



flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 167 più o meno fedele o con margini di libera interpretazione1. Oltre quelli che realizzano disegni altrui, ci sono anche incisori che disegnano (peintres-graveurs), spesso i due ruoli sono uniti nella stessa persona o distinti a seconda dell’importanza del disegnatore. È una sorta di gerarchia che accomuna soprattutto i seguaci di Solimena, che operano da incisori quando traducono il disegno del maestro o di un altro grande artista, ma poi in altri casi sono anche « inventores » e incisori, o solo « inventores ». 2 Talvolta i rapporti sono ancora più complessi e sfuggono alla convenzionalità delle formule : lo stesso artista può essere solo l’autore del disegno o anche l’incisore, ricoprire ruoli diversi a seconda delle circostanze, essere condizionato dalle scelte del committente ecc. Determinante in alcuni casi è il coinvolgimento di autori e editori nelle scelte iconografiche, a specchio della multiforme attività degli operatori locali (ma anche di quelli stranieri) nella ripresa della tipografia. Questo è tanto più vero nella prassi napoletana del tempo :  











Autori e stampatori erano normalmente i protagonisti decisivi nelle vicende degli usi e dei palesi abusi a cui erano soggette le incisioni una volta che “chi le aveva fatte” le sottoponeva alla cura dell’editoria napoletana. Lo studio del libro illustrato deve tener conto delle molteplici realtà testuali e pratiche che potevano influire nella stesura finale del libro. 3

Attori diversi si muovono in una realtà assai sfaccettata, che sfugge ad ogni rigida schematizzazione, rivestendo ruoli a volte atipici, che neanche la formula della sottoscrizione riesce a chiarire compiutamente. I rapporti di questi artisti, tra di loro e con gli stampatori, secondo precise gerarchie e a volte consuetudini fisse di lavoro, sono un altro aspetto di questa dinamicità aziendale e professionale : Magliar è incisore abituale sia di Solimena che di De Matteis e, come quest’ultimo, lavora a preferenza per Raillard; Luca Giordano illustra edizioni di Bulifon; i primi disegni di Solimena per il libro napoletano sono incisi da francesi e fiamminghi, provenienti da Roma (Blondeau e De Louvemont). Queste circostanze fanno molto riflettere sull’importanza del soggiorno di artisti stranieri a Napoli, tappa importante di un  

1   Di solito il diverso ruolo è chiarito dalle espressioni della sottoscrizione : invenit, inventor, delineavit per il creatore dell’immagine, sculpsit, incidit per l’incisore. Per altre formule analoghe cfr. Giuseppina Zappella, Il libro antico a stampa. Struttura, tecniche, tipologie, evoluzione, Milano, Editrice Bibliografica, 2001-2004, ii, pp. 207-208. 2   Antonio Baldi figura spesso in associazione con il Solimena, ma anche con altri artisti importanti come Vaccaro e De Mura, nei confronti dei quali per una sorta di rispetto e ossequio gerarchico firma soltanto in qualità di incisore. Per il resto si firma come « inventor » o sottoscrive nella forma comprensiva « invenit et sculpsit » (anche semplicemente « fecit »), altre volte compare solo in qualità di autore del disegno in abbinamento ad Andrea Magliar come incisore. Analogamente Francesco de Grado incide su disegno di Schor e Solimena, in altre occasioni contrassegna l’immagine solo con la sua firma. Vedi esemplificazione relativa ai vari artisti nelle schede dell’appendice. 3   R. Palmer, I nomi di « chi le ha fatte » …, cit., pp. 117-118. Alcuni esempi in proposito sono discussi in Giuseppina Zappella, Arte del libro a Napoli nel Settecento : i primi decenni, in *Le settecentine della Biblioteca Provinciale di Salerno, a cura di Giuseppe Gianluca Cicco, Anna Maria Vitale. ii. Marche e apparato iconografico, con un saggio di Giuseppina Zappella, Salerno, Provincia di Salerno, 2011, pp. (19-155), 34-35, 58-59 e Ead., Una tipografia nel segno della tradizione artistica napoletana, in *Le piacevolezze della musica e del teatro, l’arte degli illustratori : i nuovi modelli della tipografia Muzio, saggio introduttivo di Giuseppina Zappella, Avellino, Provincia di Avellino – Biblioteca Scipione e Giulio Capone – Mediatech, 2012, pp. (7-115), 36-37, 63-64.  





















168 giuseppina zappella itinerario che i napoletani a loro volta percorreranno in senso inverso, a testimonianza di un circuito artistico-culturale ad ampio raggio, che merita di essere indagato nelle sue modalità e motivazioni. In definitiva un mondo tutto da esplorare, purtroppo ancora ben poco considerato sia nella ricerca bibliografica e storica sull’editoria meridionale, sia in quella artistica sui protagonisti dell’illustrazione napoletana. 2. Perché spostarsi ? Percorsi di vita e di lavoro  

Se si consultano le biografie degli artisti attivi a Napoli, è facile constatare i loro frequenti spostamenti, nella penisola e anche fuori d’Italia, per le più svariate ragioni. Nei paragrafi successivi si cercherà di identificare gli itinerari più comuni, che non sono mai casuali e in più casi sembrano riproporre percorsi analoghi ed esperienze molto simili. Preliminarmente, però, occorre accertare le motivazioni più importanti che sono all’origine di questi viaggi e sollecitano gli artisti ad allontanarsi più volte dalla propria città per andare incontro a difficoltà, pericoli e qualche volta anche delusioni. È un frenetico andare e venire, per ragioni di studio e formazione, per cercare commesse ed eseguire lavori, alla ricerca di fama e successo, talvolta anche per ineludibili ragioni personali. Come si è detto, molti di questi motivi sono comuni a diversi artisti, pure ognuno ha una sua esperienza inconfondibile, che lo contraddistingue in maniera esclusiva ed arricchisce la casistica proponendo atipici modelli comportamentali : percorsi biografici, che sono anche artistici e, esaminati contestualmente, aiutano a comprendere meglio le complesse realtà che gravitano intorno alla “fabbrica” delle immagini del libro napoletano. 1



- Un’esperienza comune a molti artisti è il viaggio di studio e l’apprendistato presso un maestro o una scuola in un centro diverso dalla propria città. Talvolta si cambia semplicemente per seguire un percorso formativo : Giovanni Lanfranco dapprima è alunno al servizio di Agostino Carracci nella nativa Parma, ma poi si trasferisce a Roma alla scuola del fratello Annibale ; Luca Giordano viene guidato nella sua città a disegnare « l’opere più rare delle chiese e gallerie » dal padre, che poi lo porta con sé a Roma « per farlo studiare sopra l’antico, et opere di uomini insigni » 2 e dove il giovane pittore ritorna successivamente, da solo, per conoscere da vicino le pitture di Pietro da Cortona. Analogamente il cilentano Paolo De Matteis, secondo la testimonianza di De Dominici, « infin dagli anni della puerizia si mostrò inclinato alla pittura, laonde il padre per secondar il suo genio lo condusse a Napoli ove […] andò  













1   Il maggiore biografo degli artisti napoletani è B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., ma molte notizie si desumono anche dalle opere di Giovan Pietro Bellori, Le Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni co’ loro ritratti al naturale in questa seconda edizione accresciute colla vita e ritratto del cavaliere D. Luca Giordano, Roma, per il successore al Mascardi, a spese di Francesco Ricciardo e Giuseppe Buono, 1728 ; di Filippo Baldinucci, Cominciamento e progresso dell’arte dell’intagliare in rame. Colle vite di molti de’ più eccellenti maestri della stessa professione, Firenze, Piero Matini, 1686 (ristampato nella stessa città da Gio. Battista Stecchi e Anton-Giuseppe Pagani nel 1767) e di Giovanni Gori Gandellini, Notizie istoriche degli intagliatori, Siena, Porri, 1808-1819. 2   Le notizie si desumono dalla Relatione della vita del pittore appartenuta a Filippo Baldinucci e che si è supposto fosse scritta dallo stesso Luca o da persona a lui molto vicina. Questo primo viaggio a Roma non è però comprovato da altre fonti.  

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 169 disegnando nelle chiese le opere de’ più rinomati maestri di quel tempo ». 1 Sembra la copia della biografia di Luca Giordano, che diventa peraltro il suo primo maestro, poi nel 1682, a vent’anni, si trasferisce a Roma, dove entra in contatto con il folto gruppo di artisti francesi presenti in città e prende a « disegnare l’opere de’ migliori Maestri della Romana Scuola, e per lo più nelle Chiese ». 2 Qui anche Magliar apprende l’arte incisoria con un maestro straniero e i suoi primi modelli sono le opere di Maria De Dominici. Gli artisti siciliani, come Pietro Del Po, dopo una prima formazione di solito a Palermo, seguono un percorso obbligato prima a Napoli e poi a Roma alla ricerca di nuove esperienze e di un ambiente più stimolante. 3 Un emigrante è pure Mattia Preti, che nel 1630, all’età di 17 anni, si trasferisce a Roma dalla natia Taverna (Catanzaro), attratto dalle novità di Rubens e Lanfranco e vi rimane 25 anni, prima di trasferirsi a Napoli nel 1653 e successivamente nel 1661 a Malta, dove muore nel 1699. La formazione è molto importante per il giovane desideroso di migliorare la propria preparazione tecnica. Roma è una delle mete privilegiate per la presenza di monumenti antichi e delle opere dei grandi maestri (ad esempio Raffaello), la cui riproduzione d’après è uno dei primi cimenti dell’apprendista. 4 A un livello più alto il perfezionamento nell’arte è assicurato dalle Accademie, istituzioni cui è demandato il compito di predisporre un iter formativo sottoposto a canoni predefiniti. 5 La frequentazione di queste scuole è collegata in effetti proprio ad una maggiore mobilità, che facilita il rapporto e l’osmosi con altre personalità emergenti. Una delle più importanti accademie è quella romana di S. Luca, un’associazione di artisti fondata ufficialmente nel 1593 da Federico Zuccari (che ne fu anche il primo direttore o Principe) con lo scopo di elevare il lavoro degli artisti ben al di là del semplice artigianato. La partecipazione all’Accademia diventa ben presto un punto di partenza obbligato e un trampolino di lancio per chiunque desideri affermarsi nella Roma papale. 6 Eminenti personalità artistiche (il Domenichino, Gianlorenzo Bernini, Lanfranco, Pietro da Cortona) ricoprono la carica più elevata, ma tra i frequentatori troviamo pure artisti che si affermeranno nella città partenopea : Pietro, Teresa e Giacomo Del Po, Artemisia Gentileschi, Lanfranco. Anche Paolo De Matteis, grazie all’amicizia con Giovanni Maria Morandi, viene ammesso all’Accademia « per impossessarsi del nudo, oltre al disegnare le belle statue antiche ». 7 Napoli, invece, è un polo di attrazione per la fama dei suoi maestri. Il palermitano Pietro del Po vi si trasferisce nel 1644 per diventare studente di Domenichino e Lanfranco e qui entra in contatto con Ribera, Francesco Vaccaro, Massimo Stanzione. Nel 1647 però si sposta con la famiglia a Roma, dove ottiene importanti commissioni, per poi ritornare a Napoli, al seguito del marchese Del Carpio.  











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2   B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 518.   Ivi, p. 519.   Esperienza analoga è quella dei palermitani Francesco Aquila e Vincenzo Bongiovanni. 4   Vengono riprodotte anche grandi opere scultorie, così Gregorio De Rossi nella Cappella Strozzi in S. Andrea della Valle realizza copie in bronzo da celebri capolavori michelangioleschi : la Pietà e le statue di Rachele e di Lia (dal monumento sepolcrale di Giulio II). 5   Cfr. Silvia Bordini, Materia e immagine. Fonti sulle tecniche della pittura, Roma, Leonardo-De Luca, 1991, p. 66. 6   L’Accademia poteva vantare il diritto di stabilire la titolarità di “artista” a Roma e nel 1633 Urbano VIII concesse all’Istituto anche il monopolio su tutte le commissioni pubbliche dello Stato Pontificio. 7   B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 519. 3



170 giuseppina zappella Gli stranieri compiono frequenti viaggi di studio in Italia, da sempre patria della grande pittura. Il valenciano Jusepe de Ribera 1 si sposta prima in Lombardia ed Emilia, dove ha modo di conoscere le opere di Tiziano, Correggio e Veronese, per approdare a Roma dove può ammirare la pittura di Raffaello, Guido Reni e Ludovico Carracci, finché la sua ossessiva ricerca caravaggesca lo spinge finalmente a Napoli nel 1616, forse su invito del viceré conte di Ossuna. Qui finisce il suo viaggio ma inizia una straordinaria esperienza artistica, infatti si stabilisce nella città, sposa la figlia del pittore Giovanni Bernardino Azzolino e, anche grazie alla protezione dei vicerè, ottiene importanti incarichi in Spagna. - La protezione di potenti personaggi è determinante per gli spostamenti degli artisti. Il conte Orazio Scotti svolge un ruolo fondamentale nella formazione del giovane Lanfranco, che dalla nativa Parma si trasferisce a Piacenza, nella casa del suo benefattore, dove può ottenere protezione e lucrose commissioni. Ancora più indicativo il caso di Paolo De Matteis : dopo il suo alunnato a Napoli presso Luca Giordano si reca a Roma, dove il marchese del Carpio 2 lo presenta al pittore Giovanni Maria Morandi, che lo introduce nell’Accademia di S. Luca, ma quando nel 1682 il suo protettore è nominato viceré, lo segue a Napoli dove ritorna alla scuola del Giordano, che aveva appena lasciato Firenze. Da Napoli poi si trasferisce nuovamente a Roma nel 1723 e vi resta tre anni al servizio del cardinale de Polignac, eseguendo lavori per committenti ecclesiastici nonché per aristocratici portoghesi. Lo stesso del Carpio porta al suo seguito da Roma a Napoli anche Filippo Schor, che vi realizza numerosi apparati effimeri e scenografie per occasioni festive, e Pietro Del Po, che si trasferisce con la sua famiglia e vi rimane fino alla morte. I viceré, infatti, sono importanti committenti e protettori, così per Lanfranco, a parte i grandi ordini religiosi, 3 il più importante committente e protettore a Napoli è Manuel de Zúñiga y Fonseca conte di Monterrey, viceré dal 1631 al 1637 (e primo ambasciatore spagnolo a Roma), che lo chiama a partecipare a un ciclo di grandi quadri raffiguranti episodi dell’antica storia romana, destinato al castello di Filippo IV a Madrid, il Buen Retiro. Non diversa la sorte del Ribera, probabilmente venuto a Napoli su invito del conte di Ossuna, e al quale il conte di Monterrey procura  

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  Il suo nome non è presente in libri, ma contrassegna numerose incisioni, complessivamente una quarantina, prodotte nei primi decenni del secolo, perciò è considerato il più importante incisore spagnolo prima di Goya, cfr. Jonathan Brown, Jusepe de Ribera : prints and drawings. Catalogue of an exhibition, The Art Museum, Princeton University, Princeton, nj, Princeton University, 1973. Alcune stampe sono realizzate a Napoli, cfr A. Omodeo, Grafica napoletana del ’600 …, cit., pp. 18-19, tav. x : Don Giovanni d’Austria che salva Napoli da Masaniello (1648). 2   Personalità di grandi interessi artistici, raccoglie un’importante collezione di disegni e stampe, molti di maestri napoletani, conservata nelle sua residenza romana, poi trasportata a Napoli e ulteriormente incrementata dopo la sua nomina a viceré nel 1682. Alla sua morte i volumi sarebbero stati trasferiti a Madrid e messi all’asta insieme al resto della collezione, cfr. Beatrice Cacciotti, La collezione del vii marchese del Carpio tra Roma e Madrid, « Bollettino d’arte », 86-87 (1994), pp. 133-196. 3   Nel 1633 viene chiamato dai Gesuiti a Napoli, dove soggiorna poco più di un decennio, intervallato da viaggi a Roma (1638 e 1639), ed esegue importanti affreschi per la cupola del Gesù Nuovo, il Tesoro di S. Gennaro nel Duomo, la Chiesa dei S. Apostoli, la Certosa di S. Martino.  







flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 171 ordini da parte del monastero agostiniano di Salamanca (Natività, Pietà, La Vergine con i Santi Antonio e Agostino. 1631-1635). Luca Giordano ottiene importanti commissioni da parte di collezionisti e nobili spagnoli e nel 1692 si trasferisce a Madrid, al servizio di Carlo II. Tra i più munifici protettori sono però certamente i papi e molti artisti se ne contendono i favori in maniera molto competitiva. Lanfranco ha la meglio su Orazio Gentileschi per la protezione di Paolo V, di cui diventa il pittore prediletto, ricevendo l’incarico di decorare la loggia delle benedizioni in S.Pietro, progetto però vanificato alla morte del pontefice. All’opposto la mancanza di un protettore può essere altrettanto determinante – in senso negativo – per un artista, così Salvator Rosa è costretto a malincuore a lasciare Roma e ad accettare la proposta di recarsi a Viterbo, sotto la protezione del cardinale Francesco Maria Brancaccio, nella consapevolezza che « se rimaneva in Roma senz’appoggio e senza nove occasioni di smaltire le sue pitture, si sarebbe ridotto in miserie ». 1  



- Strettamente collegata è l’incidenza delle situazioni politiche nelle vicende personali degli artisti, che con grande disinvoltura riescono ad adattarsi alle mutevoli vicende del momento, passando al servizio dei potenti di turno. Paolo De Matteis lavora a preferenza per gli ambienti ecclesiastici, ma dopo l’insediamento degli Austriaci non esita ad accettare l’incarico di prestigiosi committenti stranieri, che sono poi i nuovi protagonisti della scena politica europea (viceré conte Daun, Eugenio di Savoia). Emblematico poi è il caso di Francesco Solimena : nel 1728 dipinge una tela raffigurante il cardinale Althann, viceré di Napoli in atto di offrire all’imperatore Carlo VI il catalogo della pinacoteca imperiale, ma dopo la caduta degli Asburgo realizza a partire dal 1735 i dipinti della Reggia di Caserta per Carlo di Borbone. Anche Magliar incide le tavole per l’opera celebrativa del Cesari in onore del filoaustriaco Eugenio di Savoia, 2 ma poi non si fa scrupolo di abbellire col suo intervento edizioni caroline celebrative del nuovo sovrano. 3  

- La ricerca di lucrose commissioni e la loro esecuzione rappresenta forse, fra tutti, il motivo determinante, che in qualche modo riassume quelli indicati in precedenza. L’artista è un professionista come tanti altri, che lavora soprattutto per realizzare un profitto personale, anche se non sono estranee altre ragioni come l’ambizione, la realizzazione delle proprie capacità, la volontà di emergere, la ricerca del successo e così via. Per soddisfare importanti incarichi il maestro non esita a intraprendere viaggi, perfino in paesi lontani, dovunque gli sia assicurata una conveniente remunerazione e il monopolio nell’esecuzione di opere importanti, che potranno gratificarlo artisticamente e garantirgli fama duratura. Oltre i prestigiosi esponenti del potere – di cui si è già detto – tra i più importanti committenti sono gli ordini religiosi : Lanfranco è chiamato a Napoli dai Gesuiti e  

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  B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 447.   Francesco Maria Cesari, Eugenius seu Mariæ Virginis per Eugenium Trophæa, Napoli, Domenico Roselli, 1724. 3   Salvatore Caputo, Di Carlo Borbone Re di Napoli, poema eroico, Napoli, Parrino, 1734. 2

172 giuseppina zappella poi dai Certosini, per gli stessi lavora anche De Matteis, mentre della decorazione dell’abbazia benedettina di Montecassino sono incaricati Giordano e Solimena. 1 A Napoli la corporazione dei pittori ha sede nella casa professa dei Gesuiti e lo stesso de Matteis, che nel 1686 vi risulta iscritto, realizza dipinti per la Chiesa del Gesù Nuovo, per il Collegio imperiale di Madrid e per la Farmacia della Certosa di S. Martino. Importanti committenti sono anche i collezionisti. Roma in particolare si distingue per importanti episodi di committenza artistica. Grande raccoglitore di antichità, il marchese Vincenzo Giustiniani 2 decide intorno al 1631 di far riprodurre i pezzi più prestigiosi della sua collezione archeologica ( statue, busti, sarcofagi, ecc.) in una serie di tavole incise a bulino, un vero e proprio catalogo illustrato, primo nel suo genere nella storia del collezionismo, che chiama la Galleria Giustiniana. 3 Allo scopo, incarica una fitta schiera di disegnatori e incisori (ben trentacinque) in quel momento attivi a Roma, ma anche fatti venire appositamente nella capitale, come Giovanni Lanfranco, Giovan Francesco Romanelli, il tedesco Ioachim von Sandrart, il francese Claude Mellan, il fiammingo Cornelis Bloemaert, alcuni dei quali risiedono durante l’impresa nel palazzo Giustiniani, creandovi una sorta di Accademia di grafica. Tra questi sono artisti, che ritroviamo attivi anche a Napoli : il ritrattista olandese Reiner van Persyn 4 e il fiammingo Joan Comin, incisore per Lazzaro Scoriggio e Giovanni Domenico Roncagliolo. 5 La raccolta 6 offre una preziosa docu 

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  Anche De Matteis, che dipinge per la chiesa la pala dell’Assunta.   Colto rappresentante dell’aristocrazia del primo Seicento, fu uno dei più importanti mecenati e collezionisti della corte di papa Barberini. Nato nell’isola di Chio nel 1564, dove la sua famiglia aveva raccolto un’ingente fortuna con i traffici commerciali nell’Egeo, si trasferì a Roma nel 1566, divenendo tra i più ricchi uomini di Roma e di Genova, città di provenienza dei Giustiniani. Insieme al fratello, il cardinale Benedetto, si dedicò all’attività di mecenate e collezionista e nel 1631 decise di documentare la sua ricca collezione con una vasta opera di incisione e disegno, chiamando al suo servizio alcuni tra i più illustri e celebri esperti del settore. 3   La prima serie di stampe fu impressa dalla bottega di Giuseppe De Rossi intorno al 1635.  Per disposizione di Vincenzo Giustiniani le matrici della Galleria Giustiniana furono successivamente ereditate dall’« albergo » Giustiniani di Genova affinché i ricavi delle tirature fossero investiti in Monti camerali inalienabili, a beneficio dei membri bisognosi dell’albergo. I rami giunsero a Genova in data imprecisata, fra il 1638 e il 1678, ma la nuova impressione vide la luce solo nel 1757 a cura di Carlo Losi e probabilmente non fu seguita da altre edizioni. Le incisioni sono riunite in due tomi e distinte per soggetto e tipologia di scultura. Il primo tomo contiene statue di divinità, eroi e uomini illustri ; il secondo busti o ritratti, erme di filosofi e divinità, rilievi, sarcofagi e are. Le incisioni comprendono anche alcuni ritratti dei membri della famiglia, una serie di vedute delle proprietà Giustiniani e otto riproduzioni di dipinti con soggetto di Madonne. 4   Incide l’antiporta di Giulio Cesare Recupito, Theologia.Tractatus primus de Deo uno, impresso da Ottavio Beltrano nel 1642. 5   Per Scoriggio incide il frontespizio della Praxis caeremoniarum di Andrea Castaldo Pescara (1625 e 1645) e del Promptuarium theologicum di Marcello Megalio (1633-1639), per Roncagliolo il ritratto dell’autore nel De collecta, seu bonatenentia […] tractatus absolutus di Nicola Antonio Marotta (1642). 6   Buona parte delle 322 matrici della Galleria Giustiniana, ritenute a lungo disperse, sono state ritrovate fortuitamente a Genova nel 1983, tra le carte della famiglia, e successivamente trasferite in deposito a Roma, presso l’Istituto Nazionale per la Grafica per essere studiate e restaurate. La mostra, organizzata nel 2001 dall’Istituto e curata da Giulia Fusconi, I Giustiniani e l’antico, Roma, L’Erma di Bretschneider, [2001], ha presentato i risultati di questa attività scientifica e istituzionale, esponendo, oltre le matrici, le stampe storiche relative, le ristampe tirate per l’occasione, dipinti e disegni di riferimento ed alcuni originali scultorei antichi e del Seicento, che hanno costituito i modelli per le tavole della Galleria. 2







flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 173 mentazione sulla storia dell’incisione nel Seicento e ha una sua rilevanza anche nella storia dell’editoria romana e dell’archeologia, documentando originali scultorei spesso perduti, i loro restauri e la lettura iconografica e stilistica dell’epoca. Altro importante interlocutore nel campo del mecenatismo, del collezionismo e degli interessi antiquari è quello straordinario personaggio che fu nella Roma del tempo Cassiano Del Pozzo. Accademico linceo, medico, alchimista, letterato, archeologo e botanico è uno degli intellettuali più importanti nell’Europa del Seicento, ma anche mecenate e grande collezionista, che teorizza e promuove la “rivoluzione” artistica e filosofica del Barocco. Tra gli artisti più celebri che frequentano il suo cenacolo, e da lui protetti e promossi, sono Nicolas Poussin, Simon Vouet, Alessandro Algardi, Artemisia Gentileschi, Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona, il Caravaggio. È corrispondente di Giovanni Battista Ferrari, 1 anch’egli legato alla cerchia dei Barberini, in particolare al cardinale Francesco, proprietario di un giardino di piante rare e patrocinatore del suo libro Flora seu de florum cultura (Roma, Stefano Paolini, 1633). Il gesuita ha libero accesso alla biblioteca e al famoso “Museo cartaceo” di Cassiano e lo coinvolge nelle sue due più importanti imprese editoriali. Le opere del Ferrari così vengono illustrate da grandi artisti, tra cui anche Lanfranco, che probabilmente proprio per le maggiori richieste da parte di committenti romani preferisce questa città per i suoi interventi nel campo editoriale. Strana vicenda quella di questo artista, mai documentato in libri napoletani (se non in reimpieghi postumi), ma che pure nelle incisioni romane predilige scenari tipicamente partenopei, tra le suggestioni antiche del mito e una realtà vicina alle sue esperienze artistiche (vedi scheda nell’appendice). Agli inizi del Settecento importanti committenti sono i banchieri parigini. De Matteis si trasferisce a Parigi per affrescare alcuni ambienti del palazzo del banchiere Pierre Crozat 2 e per eseguire lavori per il banchiere Thèvenin, mentre a Roma lavora per conto di aristocratici portoghesi. Ribera a Napoli è naturalmente avvantaggiato non solo dalla classe spagnola che governa in città, ma anche dalla comunità fiamminga (appartenente ad un altro territorio spagnolo), che vanta la presenza di importanti collezionisti e commercianti di arte. Dopo i successi alle corti di Spagna e di Francia, gli artisti napoletani ricevono importanti commissioni anche nel cuore dell’Europa continentale e nei paesi di cultura tedesca. Oltre De Matteis, anche Solimena, Giacomo Del Po e Francesco Peresi spediscono opere da Napoli, quando non le realizzano sul posto. - I motivi personali sono un’altra importante causa di mobilità. Lanfranco è molto legato a Roma perché sposa una romana, Cassandra Barli, che pare tra l’altro abbia 1   Gesuita e autore di opere di botanica e floricultura, riserva a Cassiano espressioni di significativo elogio (« cuius aeque animus ac domus Musarum omnium Parnassus est ») in Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu, Roma, Vitale Mascardi per Hermann Scheus, 1646, p. 360. 2   Ricco banchiere e collezionista, riuscì a concludere per conto del duca d’Orléans le trattative per l’acquisto della raccolta di opere d’arte in possesso della famiglia Odescalchi, che l’aveva indirettamente ereditata da Cristina di Svezia. Appassionato d’arte, ospitò nella sua casa artisti come Jean-Antoine Watteau e Rosalba Carriera e pubblicò nel 1729 a Parigi il primo volume del Recueil Crozat ovvero Recueil d’estampes d’après les plus beaux tableaux et d’après les plus beaux desseins qui sont en France dans le Cabinet du Roy et dans celui de Monsigneur le Duc d’Orléans, et dans d’autres Cabinets. Sull’importanza di questo personaggio nell’editoria di libri d’arte cfr. Francis Haskell, La difficile nascita del libro d’arte, Milano, Electa, s.a.  



174 giuseppina zappella molto influito sul suo successo, e nella stessa città si trasferisce, dopo un importante soggiorno a Napoli, proprio alla fine della sua vita. Non farà più ritorno nella capitale del Viceregno per svariati motivi : la monacazione della figlia, le insistenze della moglie, la mancanza di importanti commissioni, ma più probabilmente per la rivolta di Masaniello scoppiata proprio nel 1647. Luca Giordano nel 1682 interrompe a Firenze la decorazione del palazzo Riccardi Medici e torna a Napoli a causa delle precarie condizioni di salute del padre, ma in questo lasso di tempo esegue importanti lavori per le chiese napoletane (S. Gregorio Armeno e Gerolamini). Salvator Rosa, secondo De Dominici ed altri biografi, si rifugia a Roma dopo lo scioglimento della “Compagnia della morte”, della quale faceva parte insieme al suo maestro Aniello Falcone e ad altri artisti napoletani (una vicenda che richiama le ben note « fughe » di Caravaggio).  





I motivi che sollecitano gli artisti a spostarsi possono essere però i più diversi, se Roma richiama gli incisori stranieri per la sua importanza come centro di riproduzione grafica, Napoli invece diventa una meta allettante dopo la crisi demografica conseguente alla peste del 1656. Così De Louvemont, la cui attività è documentata solo in libri napoletani, potrebbe essersi trasferito da Roma a Napoli semplicemente perché nella capitale aveva avuto « meno fortuna ». 1 In questa alchimia di passioni, interessi, ambizioni ogni profilo biografico ha una sua storia inconfondibile, che conferma la categorizzazione che abbiamo proposto, ma pure arricchisce l’esemplificazione con esperienze comunque diverse e originali, quali si possono desumere dalle schede di artisti aggiunte in appendice.  



3. Le “vie” dell’arte : tra Napoli e Roma, e oltre  

Dopo aver analizzato le ragioni determinanti negli spostamenti degli artisti attivi nell’editoria meridionale, è facile rendersi conto che, indipendentemente dalle singole motivazioni, questi itinerari seguono percorsi obbligati, comuni a diverse personalità artistiche. Il risultato che colpisce con maggiore immediatezza è la frequenza dei viaggi tra Napoli e la capitale e viceversa, un flusso continuo e inarrestabile, a fasi alterne, carico di suggestioni, di attese e di speranze. Sicuramente Roma è un forte polo di attrazione per i napoletani, una tappa obbligata non solo per gli artisti, 2 e i motivi sono facilmente intuibili : - vicinanza geografica ; - possibilità di tirocinio presso grandi maestri e di frequentazione di Accademie ad hoc come quella di S. Luca, di cui si è detto in precedenza ; - grande ammirazione per i monumenti antichi : copiare queste opere diventa  







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  Cfr. R. Palmer, I nomi di « chi le ha fatte » …, cit., p. 121.   Discorso analogo potrebbe farsi per i tipografi fin dagli albori della stampa. Sixtus Riessinger prima è attivo a Roma, poi a Napoli, dove riceve una buona accoglienza alla corte di Ferdinando d’Aragona, è nuovamente a Roma alla fine del 1481, poi a Strasburgo. Anche Sweynheym e Pannartz da Subiaco (a metà percorso tra le due città) si spostano a Roma in cerca di protezione e occasioni di lavoro. Invece è la precaria situazione politica determinatasi a Napoli nel 1492 a seguito della discesa di Carlo VIII a spingere il Maestro dell’Esopo a trasferirsi a Roma. 2





flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 175 un esercizio molto importante e di routine anche per la formazione dei giovani artisti ; - presenza della corte papale e di un ceto aristocratico di ricchi committenti di opere d’arte ; - una fiorente industria collegata alla produzione di libri d’arte e grande diffusione di un’attività incisoria riproduzionistica, 1 che si estende anche ai capolavori degli artisti più famosi (Raffaello, Michelangelo ecc.) e non più solo ai monumenti antichi come nel secolo precedente. 2 - dimensione cosmopolita della capitale. Può riassumere tutte queste motivazioni la testimonianza di De Dominici, riferita a Salvator Rosa (ma anche a Lanfranco) che, dopo tre anni alla scuola di Aniello Falcone,  



risolvé di andarsene a Roma, ricordevole degli avvertimenti datigli dal Lanfranco, che Roma avea fatto de’ grandi uomini, e che valea più il solo studio di quella, che la direzione e la scuola di cento maestri. 3

La internazionalità e la preminenza artistica di Roma in questo periodo richiamano artisti da ogni parte della penisola e dalle più diverse parti d’Europa (Francia, Olanda, Germania, Spagna) con importanti riflessi anche sul linguaggio artistico. Se nei secoli precedenti, pur con le sue immancabili suggestioni artistiche, la capitale è soprattutto meta di pellegrinaggi religiosi, a partire dalla seconda metà del Seicento diventa un centro europeo di eccellenza per l’incisione e la produzione dei libri illustrati. 4 Nell’eclissi secentesca di Venezia, ora è Roma la vera capitale del libro illustrato barocco. 5 I primi libri d’arte con riproduzione di opere moderne (ancor più di quelle antiche) glorificano soprattutto i proprietari : Girolamo Teti nelle Aedes Barberinae fa conoscere gli affreschi di Pietro da Cortona, Lanfranco e Sisto Badalocchio riproducono le logge di Raffaello, numerosi artisti collaborano all’impresa voluta dal marchese Giustiniani per illustrare la sua splendida raccolta antiquaria. Alla fine del Seicento i centri più importanti per la riproduzione e i libri d’arte sono Roma e Parigi. La presenza a Napoli di incisori fiamminghi e francesi (Thiboust, Blondeau, Clowet, De Louvemont ecc.) si spiega proprio con la vicinanza geografica con la capitale. 6 Artisti stranieri, che lavoravano a preferenza nella città papale, periodicamente si trasferivano a Napoli, dove il loro nome è documentato  

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  Il fenomeno data già dal Cinquecento, come documentano la bella riproduzione dell’Apollo del Belvedere, da poco dissepolto, nell’edizione Mazzocchi 1513 dei Carmina apposita Pasquillo e soprattutto lo Speculum Romanae magnificentiae, ammirevole antologia delle bellezze archeologiche e artistiche romane, uscito nel 1575 dall’officina del borgognone Antonio Lafréry. 2   Non solo nell’incisione, ma anche nella scultura, vedi sopra nota 4 a p. 169. 3   B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 445. 4   Cfr. F. Haskell, La difficile nascita …, cit., pp. 11-13. Alla fine del secolo il commercio delle stampe di riproduzione è monopolio dei De Rossi, che avevano acquisito anche le lastre di generazioni di incisori e stampatori precedenti. Il ramo più importante della famiglia si stabilisce in via della Pace e dal 1677 comincia a pubblicare cataloghi divisi tematicamente (mappe e atlanti, vedute di Roma e monumenti, opere di singoli artisti, opere di diversi autori divise per soggetto). 5   Nel secolo successivo il centro dell’editoria del libro d’arte si trasferisce da Roma a Parigi (vedi quanto detto in precedenza a proposito di Pierre Crozat e la nascita del libro d’arte in Francia). 6   Cfr. R. Palmer, I nomi di « chi le ha fatte » …, cit., p. 121.  



176 giuseppina zappella in numerose edizioni. All’opposto Ribera, dopo un soggiorno nel settentrione (a Cremona, Milano e Parma) approda a Roma, ma di qui si trasferisce a Napoli dove realizza le sue opere più importanti. Sarebbe comunque troppo limitativo definire il rapporto Roma-Napoli (e viceversa) solo in termini di vicinanza geografica e di occasioni lavorative, dal momento che esso incide profondamente anche sul linguaggio figurativo degli artisti. 1 Significativi riscontri in proposito offre soprattutto la vicenda artistica di Paolo De Matteis, che introduce a Napoli gli elementi strutturali tipici delle composizioni allegoriche marattesche, assimilati nei ripetuti soggiorni romani, che non lasceranno indifferenti gli artisti locali, tra cui il giovane Solimena. 2 Altra importante pietra di paragone sono gli accademici di S. Luca, Pietro e Giacomo Del Po, il primo grazie alla diffusione delle sue incisioni, che divulgano a Roma la lezione poussiniana, il secondo con le tele di S. Antonino a Sorrento con cui mostra i frutti dell’esperienza maturata nel soggiorno romano. La morte di Carlo Maratta nel 1713 segna l’inizio di una singolare querelle, con accenni chiaramente polemici nei confronti della scuola romana e un’evidente rivalutazione dell’originalità dei maestri napoletani. Se ne fa portavoce Bernardo De Dominici, che prende spunto da dichiarazioni e giudizi dello stesso Solimena, per rivendicare il genio tutto napoletano, libero da schemi prefissati perché « sortito dalla natura », capace di creare opere grandi e magnifiche :  





A certi Pittori Romani, che lo tacciavano di non esser egli scelto nel disegno, rispondeva : dite a coloro che mi pongono insieme un componimento di copiose figure. Io non entro a dar giudizio di questo sentimento del Solimena, ma dico, che in Napoli vi è per anche la disgrazia di esser ignota la perfezione delle misure, e nobiltà di parti dell’ottime antiche statue, che veramente sono di perfettissima erudizione, e necessaria a costruire eccellente un Pittore : ma per contrario dico, che se da’ Napolitani si praticasse tal studio restarebbe raffreddato quel fuoco, che gli ha fatto partorire opere grandi, e magnifiche : come per ragion di esempio può vedersi in Luca Giordano che qual nuovo Pietro da Cortona suo maestro, non poté restringersi tra le severe regole delle misure prefisse dagli antichi maestri, le quali egli assai ben sapea, ed intendea avendole ottimamente studiate, ma se ciò fatto avesse non avrebbero le sue opere quel grande applauso che le dà tutto il mondo ; e quel furor poetico, sortito dalla natura, perduto con lo studio dell’antico si sarebbe in lui raffreddato, e senza quella feracità, che lo costituisce Pittore. 3  







E subito dopo, ironicamente, aggiunge :  

De’ Giovani che talvolta troppo per tempo si portavano in Roma per studiare, diceva per ischerzo : è segno che già sanno quello che si fa qui, e non vi è più che imparare in Napoli.  

Come il clima fosse cambiato si avverte anche nell’ostilità dell’ambiente romano nei confronti del cilentano Paolo De Matteis, 4 ne riferisce sempre il De Dominici, secondo quanto Onofrio Avellino scrive al maestro :  

1

  Cfr. Mario Alberto Pavone, Alcune considerazioni sui rapporti tra Napoli e Roma nel primo Settecento, in *Roma il tempio del vero gusto : la pittura del Settecento romano e la sua diffusione a Venezia e a Napoli. Atti del Convegno internazionale di studi, Salerno-Ravello 26-27 giugno 1997, a cura di Enzo Borsellino e Vittorio 2 Casale, Firenze, edifir, 2001, pp. 277-296.   Ivi, p. 287. 3   B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 633, mio il corsivo. 4   Ritorna a Roma dal 1723 al 1727, in coincidenza con il giubileo, all’inizio del pontificato di Benedetto XIII Orsini, del quale realizza un ritratto.  

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 177 Anzi divenne la favola de’ Romani pittori, perché in presenza l’adulavano, e poi andavan raccontando i suoi farfalloni per divertire le brigate ; né di ciò Paolo punto si accorgeva. Della qual cosa molto dispiacere sentiva il nostro celebre Francesco Solimena allor che gli venivano scritte queste bajate da Onofrio Avellino suo discepolo, che dimorava in Roma ; e le cui lettere mi ha mostrate più volte, non potendo sofferire, che un Pittore Napolitano di buon nome, anzi valentuomo, fusse burlato in Roma da chi sapea men di lui. 1  



Il giudizio negativo del Solimena viene ribadito con toni molto forti in un’altra lettera del 22 ottobre 1720 :  

Onde se V.S. mi vedesse nel Cuore, che antipatia ho con cotali Romani Pittori, mi fò vergogna far tal Professione, per non esser posto nel ruolo di sì ora vergognosa gente, che per un puoco di brodo di qualche Prelatuzzo, o sagrista nello di Roma le presentano non solo in sacrificio la loro libertà : ma ancora l’onore delle loro Case […] intanto faccia Cuore, et non s’imbratti in tal peste di gente, e difenda la nostra libertà a petto di quei spiriti servili, che cercano con protettione, e mezzi, che a loro costan l’onore, farsi conoscere, che siano nati nel mondo, perché s’avesser valore, non avrian bisogno di nulla. 2  

Nondimeno i discepoli solimeniani continuano a frequentare l’ambiente romano, anche se in modo più autonomo, per studiare i grandi artisti o eseguire opere, così Sebastiano Conca, 3 Andrea D’Asti, Ferdinando Sanfelice, Onofrio Avellino e altri ancora. Il fenomeno degli scambi di artisti tra Roma e Napoli, e viceversa, è comunque di più ampia portata e continua ancora negli anni successivi, basti menzionare gli interventi di Stefano Pozzi nell’abside del Duomo napoletano e la mediazione di Vanvitelli, ben introdotto presso la corte borbonica, nel favorire pittori romani per l’attribuzione degli incarichi più prestigiosi. 4 In questo caso però il motivo della preferenza è da ravvisare nella svolta antibarocca dell’artista e nella conseguente trasformazione del gusto in senso neoclassico, che si rafforza in coincidenza con il soggiorno a Napoli del Mengs tra il 1759 e il 1760. Ma con questo ci spingiamo oltre i limiti cronologici che ci siamo posti, anche se i flussi di mobilità rimangono sostanzialmente gli stessi. Numerosi sono poi i napoletani e i meridionali che nel Seicento si trasferiscono in città straniere, soprattutto per motivi di lavoro : Luca Giordano in Spagna ; Mattia Preti in Spagna, nelle Fiandre e a Malta (come Caravaggio) ; Paolo De Matteis a Parigi. Per alcuni di essi la vicenda biografica e artistica diventa un vero diario di viaggio da Roma a Napoli, da Nord a Sud, e viceversa, senza escludere soggiorni più o meno ripetuti e prolungati in città straniere. Anche in questo caso le schede degli artisti possono essere quanto mai indicative dell’entità e delle motivazioni di tali spostamenti.  





1

  B. De Dominici, Vite dei pittori ..., cit., iii, p. 535.   La lettera è pubblicata da Luigi Grassi, Una lettera di Francesco Solimena a Onofrio Avellino e gli statuti dell’Accademia di S. Luca, « L’Urbe », 6 (1941), pp. 1-6. Derivo la citazione da M. A. Pavone, Alcune considerazioni sui rapporti …, cit., p. 286. 3   Attivo anche nell’ornamentazione di edizioni romane, firma l’iniziale della dedica in Anton Maria Bonucci, Istoria della vita e miracoli del b. Pietro Gambacorti, Roma, Giovanni Maria Salvioni, 1716. 4   Cfr. M. A. Pavone, Alcune considerazioni sui rapporti …, cit., p. 293. 2





178

giuseppina zappella 4. Le migrazioni degli artisti “forestieri”

Già in precedenza si è avuto modo di accennare più volte agli spostamenti di artisti stranieri a Roma, fenomeno abbastanza generalizzato del quale si sono anche indicate alcune motivazioni, tra cui soprattutto la grande importanza della capitale come centro di eccellenza per l’incisione e la grafica di riproduzione. 1 I più numerosi sono i francesi, i fiamminghi e i tedeschi : Jacques Blondeau, Albert Clowet, Barend de Bailliu, Dominique Barrière, Nicola Billy, Martin van Buyten, Joan Comin, Mathäus Greuter, Pierre e Fabien Miotte, Nicolas Perrey, Reiner van Persyn, Sebastian Fürck, Cristoforo e Filippo Schor, Benoît Thiboust, Hubert Vincent, Arnold van Westerhout. In effetti saranno proprio gli incisori stranieri operanti a Roma a determinare la fortuna all’estero dei grandi protagonisti dell’arte italiana, come Guido Reni, che viene conosciuto grazie alle stampe d’après di Bloemaert e Billy, o il Domenichino, interpretato da Barrière e Langlois. Notevole è pure l’apporto degli spagnoli (Francesco Cassiano de Silva, Gregorio Fortsman e soprattutto Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto) in un contesto politico culturale strettamente legato non solo a problematiche artistiche (rapporti tra Caravaggio e la formazione di Velazquez) ma anche ad aspetti della committenza e del collezionismo. 2 Tutti questi artisti si inseriscono facilmente nel nuovo ambiente, alcuni portano con sé la famiglia e si trasferiscono in pianta stabile, ormai sono naturalizzati e profondamente assimilati alla popolazione locale, al punto di adottare una forma italianizzata del proprio nome e/o cognome : De Grado per van Graad, Sebastiano Fulcaro per Sebastian Fürck, 3 Pietro e Sebastiano per Pierre e Sebastien Miotte, Giovanni Paolo Tedesco per Johann Paul Schor ecc. Palesemente di origine spagnola è il pittore Alonso de Corduba, che si stabilisce a Bitonto (Bari), dove nasce il figlio Francesco, incisore attivo in Puglia e a Napoli, che preferisce la forma italianizzata Cordova. Molti li ritroviamo a Napoli, dove si spostano temporaneamente o in maniera più continua, mentre altri come François De Louvemont vi si stabiliscono in maniera fissa, preferendola alla stessa capitale. In realtà Napoli costituisce una tappa quasi obbligata per la sua vicinanza geografica e la speranza di nuove commissioni, soprattutto nella corte vicereale. Un discrimen importante è rappresentato dalla metà del secolo, segnata da due importanti avvenimenti : la rivoluzione di Masaniello (1647) e una terribile epidemia di peste (1656). Nei primi decenni del Seicento, invece, è soprattutto la folgorante apparizione di Caravaggio e la protezione dei viceré a calamitare a Napoli l’interesse degli stranieri. Qui approda, dopo una breve esperienza romana, Jusepe de Ribera che ottiene numerosi incarichi non solo dagli Spagnoli, ma anche dalla comunità fiamminga. Una riflessione diversa s’impone, invece, per le vere e proprie migrazioni di stra 





1

  Vedi anche quanto si è detto in precedenza a proposito della Galleria Giustiniani.   È il tema del recente convegno internazionale « I rapporti tra Roma e Madrid nei secoli xvi e xvii : arte, diplomazia e politica ». Roma, Accademia Reale di Spagna : 7-9 luglio 2011. 3   Si firma nelle sottoscrizioni come “Romanus”. 2









flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 179 nieri, che si intensificano a Napoli dopo la peste del 1656. La tremenda epidemia produce effetti terribili, le vittime sono più del 60% della popolazione e tra esse molti artisti napoletani (tra cui Artemisia Gentileschi). 1 Partito Mattia Preti per Malta, Luca Giordano è ormai il solo pittore della giovane generazione, scampata alla peste, ad affermarsi a Napoli come protagonista del processo di rinnovamento. Anche il mondo del libro vede più che dimezzato il numero degli operatori e la perdita di un patrimonio di energie umane e di conoscenze tecniche ed esperienziali. La ripresa è lenta e, mentre fino ad allora l’attrazione della capitale sulla immigrazione dal Mezzogiorno era stata molto forte, dopo il 1656 la situazione cambia radicalmente e la proporzione della popolazione napoletana su quella complessiva del Regno comincia progressivamente a decrescere. 2 La crisi interferisce anche con processi di ordine più generale ed in particolare con l’emarginazione del mondo mediterraneo rispetto al nuovo ambito storico formato dai paesi atlantici e la conseguente affermazione del mondo anglo-franco-olandese « come punta avanzata della civiltà europea ». 3 L’incidenza del fenomeno è tanto più forte nel Mezzogiorno e il Regno di Napoli diviene solo una lontana periferia della nuova Europa moderna. 4 Nonostante tutto la capitale conserva ancora un ruolo molto importante :  





Si era, infatti, al momento, ancora molto iniziale, di rovesciamento del moto storico che per due secoli aveva concentrato in Napoli pressoché tutte le maggiori energie e risorse del paese. Questo moto aveva determinato un processo di “provincializzazione” della periferia, a lungo andare insostenibile, e un correlativo processo di congestionamento della capitale, che pagava perciò la sua ascesa a grande metropoli con uno sviluppo abnorme e irrazionale dal quale le sarebbero derivati per il futuro innumerevoli problemi. Ora l’ago della provincia si spostava di nuovo a favore delle province […] Per il momento, però, prevaleva l’orgoglio per una capitale così ragguardevole. Nello specchio napoletano il Regno leggeva il contrassegno della propria importanza nella vita del tempo. Dal regno si veniva nella capitale per tutto : dal commercio agli studi, tutto passava per la mediazione della capitale. 5  

Pur in queste vistose contraddizioni, in una realtà segnata da contrasti e profonde lacerazioni, aggravata da catastrofici eventi naturali (terremoti e eruzioni), Napoli continua ad essere a tutti gli effetti caput regni e si cominciano a notare i fermenti di una vita sociale nuova. In questa situazione sono proprio gli operatori stranieri i nuovi protagonisti. Si tratta di una vera e propria immigrazione che è il più efficace motore della ripresa cittadina dopo la crisi. Mercanti, artigiani, affaristi, ma anche tipografi 6 ed 1

  Anche tipografi come Camillo Cavallo, che per sfuggire alla peste si trasferisce ad Avellino, dove però trova ugualmente la morte, cfr. Giuseppina Zappella, Camillo Cavallo e l’introduzione della stampa ad Avellino, in *Studi di varia umanità in memoria di Benito Iezzi, a cura di Mario Capasso e Enzo Puglia, Sorrento-Napoli, Di Mauro, 1994, pp. 219-241. 2   Cfr. Giuseppe Galasso, Napoli al tempo di Luca Giordano in *Luca Giordano. La imagen como ilusión (testo in spagnolo e in italiano), a cura di Nicola Spinosa e Alfonso E. Pérez Sánchez, Napoli, Electa Napoli, 3 2004, pp. 22-26.   Ivi, p. 24. 4   « Per un’antica condizione di dipendenza e di subalternità dalle attività finanziarie e mercantili delle più avanzate realtà economiche dell’Italia centro-settentrionale, che risaliva indietro nel tempo ad alcuni secoli prima, il Mezzogiorno si trovò così a scontare due volte la crisi di cui parliamo : come effetto della sua condizione generale e come effetto della crisi del “sistema” italiano nel quale esso era compreso dai primi tempi dell’affermazione mediterranea ed europea dell’economia italiana dopo il Mille » (ivi, p. 5 24).   Ivi, p. 26. 6   Nel luglio del 1670 giunge a Napoli Antonio Bulifon, libraio di Chaponay (che tanta rilevanza avrà  





180 giuseppina zappella artisti sono allettati dal ridimensionamento demografico della capitale, mentre l’economia cittadina è aperta a quanti siano in grado di attivare canali commerciali e introdurre tecniche artigianali. Gli stranieri si integrano a pieno titolo nel sistema socioeconomico napoletano. Molti provengono da Roma, ma a volte, come Jacques Blondeau, nella sottoscrizione tengono a precisare “Neapoli sculpsit” 1 quasi a voler sancire il loro legame privilegiato con la città, o come François De Louvemont risultano attivi solo a Napoli. Qui ancora, oltre quelli già nominati, operano anche altri artisti di origine francese, fiamminga o spagnola : Francesco De Grado, August Bouttats, Jean Baptiste Brisson, Francesco Cordova, Jacques Thouvenot, Giovanni Francesco Queuquelair. In alcuni casi la mobilità di questi stranieri è veramente sorprendente, come nel caso di Albert Clowet, originario di Anversa, le cui incisioni sono attestate a Amsterdam, Lisbona, Roma, Napoli, Firenze, Macerata, Milano, Parma e Venezia. Né gli è da meno il connazionale Jacques Blondeau, che troviamo attivo a Parigi, Roma, Napoli, Mazzarino, Bologna e Fermo. Insomma un mondo in movimento, che disegna scenari estremamente interessanti nell’ambiente artistico e nell’editoria napoletana del Seicento.  

5. Conclusione Se proviamo ora a tirare le fila del nostro discorso, non è difficile rendersi conto che anche la mobilità degli artisti è influenzata da motivazioni non molto dissimili da quelle degli altri operatori del libro, come tipografi, editori e librai. Situazioni contingenti, di natura politica, sociale o personale (anche eventi calamitosi), ricerca di opportunità di lavoro più convenienti, di commesse e di protezione, desiderio di elevare la propria posizione sono certamente comuni a tutte le categorie, anche se per gli artisti una sollecitazione molto importante resta quella dello studio e della conoscenza delle opere dei maestri nei grandi centri della pittura italiana. Pure le fonti da indagare ed esplorare sono in definitiva le medesime, soprattutto quelle archivistiche, bibliografiche e autoreferenziali. Queste ultime però non sono frontespizi, colophon e sottoscrizioni varie, ma soprattutto le firme e le formule che contrassegnano le incisioni, con tutta la relativa problematica di accertamento della titolarità e della qualifica degli autori. Un altro tipo di documentazione pertinente, e finora mai seriamente presa in considerazione, potrebbe venire, a mio avviso, dal sistematico censimento dei corredi tipografici, in particolare delle matrici, xilografiche o calcografiche, per aree allargate e periodi abbastanza lunghi. Il censimento dovrebbe comprendere quattro fasi : - Compilazione di una scheda di rilevamento per ogni pubblicazione censita, contenente notizie identificative dell’edizione (autore, titolo, anno, tipografo, editore) e delle tipologie illustrative ed ornamentali presenti (frontespizio, antiporta, marca, illustrazioni, ritratti, iniziali, cornici, testate, finalini ecc.). La descrizione di questi elementi deve essere ovviamente corredata di : riproduzione, misure, identificazio 



nella produzione libraria del periodo), di origine savoiarda è la famiglia Muzio attiva almeno a partire dal 1685, ancora prima arriva il mercante tedesco Giacomo Raillard, noto editore di libri illustrati, che riesce a rimodulare il commercio librario sul mercato internazionale. 1   Nell’antiporta di Carlo Casalicchio, Tuta conscientia, seu teologia moralis, Napoli, Marc’Antonio Ferro, 1681.

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 181 ne della tecnica, altre particolarità (ad es. cornice a blocchi mobili), indicazione degli artefici (se individuati o individuabili). - Contestuale elaborazione di una scheda tipo iconografico nella quale far confluire le singole tipologie figurative e ornamentali individuate. In particolare devono essere inserite le indicazioni degli editori e tipografi che le hanno impiegate e dei relativi luoghi di stampa, degli artisti, delle edizioni e della diacronia dell’utilizzo, della forma in cui si presentano (cornice, illustrazione ecc.). Queste informazioni sono necessarie per ricostruire la cronologia e il modo di impiego di una determinata matrice, che poteva presentarsi – come si è detto – in modalità morfologicamente differenziate. - Ricostruzione della stratificazione dell’impiego di ogni forma all’interno di ciascuna attività imprenditoriale. - Disegno della rete degli imprestiti e dei passaggi da un’azienda all’altra. Tanto richiede un’indagine più approfondita ed estesa nel tempo al fine di delineare la mappa dei passaggi di materiali di tipografia in un periodo più ampio. Questa trasmigrazione di immagini e di matrici è un fenomeno che si dilata nel corso del Seicento, sconfinando in territori più ambigui e di complessa definizione, come ad esempio l’uso non solo di marche tipografiche, ma anche di imprese e emblemi con funzione ornamentale nei finalini, passando da Napoli a Venezia1 (ma non solo) secondo percorsi già noti agli studiosi di storia del libro. Il fenomeno è connesso al commercio di materiali “usati” e ai numerosi passaggi di matrici per vendita, prestito, cambio di titolari ecc. Proprio per questo nei molteplici percorsi di ricerca del libro antico, si avverte sempre di più la necessità di ricostruire le stratificazioni dell’impiego di ogni forma, delineando la mappa dei passaggi in un periodo allargato. È superfluo aggiungere che con le tecniche moderne di digitalizzazione ad alta definizione sarebbe possibile confrontare sia singole illustrazioni, sia elementi ornamentali presenti a qualunque titolo nel libro, risalendo così alle matrici originali da cui sono impressi ed agli eventuali spostamenti di artisti. 2 Una documentazione del genere, oltre che ad altre finalità di ricerca, 3 potrebbe sicuramente offrire elementi importanti anche per una lettura « materiale » dei corredi tipografici e la ricostruzione di percorsi e forme di mobilità dei diversi artefici del libro. 4 Spero che da questo convegno possa venire un significativo contributo in tal senso.  



1   Un esempio in Giuseppina Zappella, La marca del Seicento tra invenzione e continuità. Un’introduzione, in Le Seicentine della Biblioteca Provinciale di Salerno, a cura di Giuseppe Gianluca Cicco e Anna Maria Vitale, iv, Le marche, con un saggio di Giuseppina Zappella, Salerno, Biblioteca Provinciale, 2009, pp. (72 87), 66-68.   Con le limitazioni indicate appresso nella nota 1 di p. 182. 3   Il progetto è stato da me proposto già molti anni fa in occasione di un convegno sull’illustrazione del libro greco a Venezia, cfr. Giuseppina Zappella, Per una definizione tipoiconologica dell’illustrazione greca (sec. xviii-xix). Osservazioni e proposte, in *La stampa e l’illustrazione del libro greco a Venezia tra il Settecento e l’Ottocento. Atti della giornata di studio (Venezia, 28 ottobre 2000), a cura di Chryssa A. Maltezou, Venezia, Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia, 2001, pp. (29-50), 47-50. 4   Indicazioni utili possono venire ad esempio anche dal reimpiego della stessa matrice con marca tipografica da parte di diversi tipografi appartenenti ad una medesima area geografica, cfr. Giuseppina Zappella, Il libro antico a stampa. Struttura, tecniche, tipologie, evoluzione. i, Milano, Editrice Bibliografica, 2001, pp. 596-600.

182

giuseppina zappella Appendice. I protagonisti

A chiusura della discussione faccio seguire : - una tabella (divisa tra artisti italiani e di origine straniera) in cui sono indicati molto sinteticamente spostamenti, luoghi tipografici di attestazione 1 e incisioni in edizioni napoletane ; 2 - schede biografiche relative ad alcuni degli artisti più importanti o meno conosciuti. I risultati che emergono da queste rilevazioni sono quanto mai interessanti e, pur nella evidente incompletezza, valgono a confermare le osservazioni proposte nelle pagine precedenti, soprattutto per quanto concerne la vastità e l’importanza del fenomeno della mobilità per gli artisti del libro napoletano del sec. xvii.  



1. Artisti italiani Spostamenti e attestazioni Roma, Urbino, Napoli

Cognome

Origine

Francesco Aquila, pittore e incisore

Palermo

Carlo Bagnini, incisore

Siena ?

Siena, Napoli

Tav. in A. Latini, Lo scalco alla moderna, Parrino e Muzio, 1694 e in Lo Tasso napolitano, Raillard, 1689.

Alessandro Baratta, incisore, editore

Scigliano Calabro

Napoli, Parma, Piacenza, Messina

16 tav. della pianta di Napoli (Fidelissimae Urbis Neapolitanae delineatio), 1627 e 1670; front. e tav. in Orazio Nardino, Vita e miracoli del padre santo Francesco di Paola [1622]

Cesare Bassano, pittore, incisore

Milano

Milano, Napoli

Front. in L. Duardo, Commentaria, Beltrano, 1641.

Francesco Bedeschini, pittore, disegnatore, scultore, architetto

L’Aquila

L’Aquila, Roma, Antip. in M. Terralavoro, MetaphiVenezia, Napoli sicae universalissimae tomus primus, Fasulo, 1672.

Vincenzo Bongiovanni, pittore, incisore

Palermo

Roma, Palermo, Antip. in A. Mastelloni, Litanie, PorNapoli sile, 1694.

Girolamo Cenatempo, Pittore e disegnatore

Napoli

Napoli, L’Aquila, Antip. in B. de Rojas, De formarum Sansevero generatione, Barba, 1694. (Foggia)



Incisioni in edizioni napoletane Antip. in G. N. Ciminelli Cardone, La R sbandita, Pittante, 1697 e Troisi, 1699.

1   Ovviamente è impossibile stabilire, in assenza di riscontri oggettivi, se la firma di un’incisione in una determinata edizione equivalga anche a una presenza fisica dell’artista nel relativo luogo di impressione, tanto più che una matrice poteva essere facilmente realizzata altrove. 2   L’indicazione è solo largamente esemplificativa, per maggiori notizie sulla produzione di questi artisti, oltre l’Appendice, si possono confrontare le opere citate nelle note 1 e 3 a p. 164.

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 183 Spostamenti e attestazioni

Incisioni in edizioni napoletane

Roma, Napoli, Venezia

Antip. in Celestino V, Opuscula, Beltrano, 1640.

Francesco Cordova, Bitonto incisore, pittore, architetto

Trani, Bari, Napoli

Front. in O. Persico, Consiliorum sive iuris responsorum, Longo, 1640.

Giovan Battista Coriolano, pittore e incisore

Bologna

Bologna, Napoli Ritr. in D. Regi, Memorie historiche del ven.Camillo de Lellis, Passaro, 1686.

Paolo De Matteis, pittore

Piano Vetrale (Sa.)

Napoli, Roma, Parigi, Taranto

Vedi SCHEDA.

Giacomo Del po, pittore, architetto, disegnatore, incisore

Roma

Roma, Napoli, Benevento

Vedi SCHEDA.

Pietro del po, pittore, disegnatore, incisore

Palermo

Palermo, Napoli, Vedi SCHEDA. Roma, Venezia

Teresa del po, pittrice, miniatrice, incisore

Roma

Roma, Napoli, Benevento

Vedi SCHEDA.

Francesco Donia, incisore

Messina

Messina, Catania, Roma, Napoli

Tav. in R. Fabretti, Apologema in eiusque Titiliuitia sive somnia de Tito Livio, De Bonis, 1686.

Cesare Fracanzano, Bisceglie pittore, disegnatore, incisore

Barletta, Conversano, Napoli

Front. in G. B. Basile, Epitalamio alla Sereniss. D.Maria d’Austria, [1630]

Francesco Maria Bologna Francia, disegnatore e incisore

Bologna, Parma, Tav. in P. Segneri, El devoto de Maria Milano, Padova, instruido, Parrino e Muzio, 1695. Venezia, Napoli

Luca Giordano, pittore

Napoli

Napoli, Roma, Parma, Venezia, Firenze, Madrid

Vedi SCHEDA.

Alessandro Grimaldi, pittore e incisore

Bologna

Roma, Napoli

Antip. in D. Regi, Memorie historiche del ven. Camillo de Lellis, Passaro, 1686.

Arcangelo Guglielmelli, architetto, pittore, scultore

Napoli

Napoli, Montecassino, Amalfi, Salerno

Tav. in C. Celano, Delle notitie del bello, dell’antico e del curioso, Raillard, 1692.

Cognome

Origine

Luca Ciamberlano, pittore e incisore

Urbino

184

giuseppina zappella Spostamenti e attestazioni

Cognome

Origine

Incisioni in edizioni napoletane

Giovanni Lanfranco, pittore, incisore

Parma

Piacenza, Roma, Vedi SCHEDA. Napoli

Andrea Magliar, incisore

Napoli

Napoli, Roma

Vedi SCHEDA.

Gaetano Magliar,pittore

Napoli

Napoli

Vedi SCHEDA.

Giuseppe Magliar pittore

Napoli

Napoli

Vedi SCHEDA.

Salvator Rosa, pittore, incisore

Napoli

Napoli, Roma, Ritr. dell’autore in James Alban Viterbo, Volterra Gibbes, Carminum pars lyrica, Roma, Fabio de Falco, 1668 ; antip. in Giuseppe Silos, Pinacotheca sive Romana pictura et sculptura, Filippo Maria Mancini, 1673.  

Francesco Solimena, pittore

Canale di Serino (Av.)

Nocera, Napoli, Solofra, Roma, Montecassino, Caserta

Vedi SCHEDA.

Giuseppe Tassoni, pittore

Roma

Roma, Napoli

Tav. in B. Aldimari, Historia genealogica della famiglia Carafa, Raillard, 1691.

2. Artisti di origine straniera Cognome

Origine

Barend de Bailliu, incisore

Anversa

Spostamenti e attestazioni Roma, Napoli

Incisioni in edizioni napoletane Ritr. in D. M. Marchese, Vita di suor Maria Villani, Passaro, 1674.

Dominique Barrière, Marsiglia disegnatore e incisore

Roma, Napoli

Antip. in L. Cattaneo De Volta, Aquilarum examen ad iustitiae solem, De Bonis, 1672.

Nicola Billy il vecchio, incisore

Francia

Roma, Napoli

Antip. di Emmanuele di Gesù Maria, Alphabetum Marianum, Monaco, 1692.

Jacques Blondeau, incisore

Anversa

Vedi SCHEDA. Parigi, Roma, Napoli, Mazzarino, Fermo, Bologna

August Bouttats, disegnatore e incisore

Belgio

Colonia, Napoli Ritr. in Breve relazion de la milagrosa imagen de nuestra señora, Parrino e Muzio, 1687.

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 185 Cognome

Origine

Spostamenti e attestazioni

Jean Baptiste Brisson, incisore

Francia

Napoli

Incisioni in edizioni napoletane Tav. in A. Bulifon, Lettere memorabili, Bulifon, 1693, in P. Sarnelli, Guida de’ forestieri, Roselli, 1685 e 1697 ; antip. in A. Dal Pozzo, Sermoni degli Angelisanti, De Bonis, 1692, in G. Fiore, Della Calabria illustrata, Parrino e Muzio, 1691 e in G. Pasquale, De’ sacrosanti misteri della fede, Raillard, 1687-1689 ; ritr. in A. Barone, Della vita del padre Francesco Pavone, De Bonis, 1700 e in Girolamo di S. Nicolò, Il coro de’ patriarchi, v. II, Mosca e eredi Layno, 1699.  



Martin van Buyten, incisore

Olanda

Napoli, Roma

Antip. di C. A. Mannarino, Glorie di guerrieri, Carlino e Pace, 1596; tav. in F. Periccioli, Il terzo gruppo delle cancellaresche corsiue intagliato per M.Vanbuiten in Napoli, 1619.

Francesco Cassiano Spagna de silva, disegnatore, incisore e cartografo

Napoli, Milano

Accuratissima e nuova delineazione del Regno di Napoli, Bulifon, 1692, eredi 1734; tav. in G. B. Pacichelli, Regno di Napoli in prospettiva, Parrino e Muzio, 1703.

Albert Clowet, incisore

Anversa

Amsterdam, Vedi SCHEDA. Lisbona, Roma, Napoli, Firenze, Messina, Macerata, Milano, Parma, Venezia, Borgo Nuovo

Joan Comin, incisore

Colonia

Roma, Napoli

Front. in A. Castaldo Pescara, Praxis caeremoniarum, Scoriggio, 1625 e Cavallo 1645, e in M. Megalio, Promptuarium theologicum, Scoriggio, 1633-1639; ritr. in N. A. Marotta, De collecta seu bonatenentia tractatus, Roncagliolo, 1642.

François de Louvemont, incisore

Nevers

Parigi, Napoli

Vedi SCHEDA.

Gregorio Fortsman, Spagna disegnatore e incisore

Madrid, Napoli Tav. in D. Xaravia de Castello, Maria Immaculada, Porsile, 1674.

186 Cognome

giuseppina zappella Origine

Spostamenti e attestazioni

Incisioni in edizioni napoletane

Sebastiano Fulcaro Germania (Furck), disegnatore e incisore

Francoforte, Roma, Napoli

Antip. in A. Mastrullo, Monte Vergine sagro, Di Fusco, 1663 e in Id. Relatione della vera imagine di S. Maria di Costantinopoli, Di Fusco, 1661; front. in D. D’Alessandro, La pesca de fedeli, Porsile, 1685.

Francesco De Grado, incisore

Olanda o Spagna

Napoli

Antip. e ritr. in R. M. Filamondo, Il Genio bellicoso di Napoli, Parrino e Muzio, 1694; antip. di B. Tauleri, Memorie historiche dell’antica città di Atina, Muzio, 1702; numerosi apparati scenici, funebri e festivi, la marca della fenice di Bernardino Gessari.

Mathäus Greuter, incisore

Strasburgo Strasburgo, Front. in A. D. de Ros, Sermon que Lione, predico, [1642]. Avignone, Roma, Venezia, Firenze, Genova, Napoli

Fabien Miotte, incisore

Roma

Napoli

Vedi SCHEDA.

Pierre Miotte, incisore, cartografo

Borgogna

Roma, Napoli, Venezia, Amsterdam

Vedi SCHEDA.

Nicolas Perrey

Borgogna

Napoli, Oltre un centinaio, tra cui molti Palermo, Roma, apparati, ritratti e immagini devoDouai, Torino zionali. Di particolare interesse le illustrazioni in Giovanni Battista Cacace, Theatrum omnium scientiarum, Roberto Mollo, 1650.

Reiner van Persyn, incisore

Alkmaar

Roma, Napoli

Antip. in G. C. Recupito, Theologia Tractatus, Beltrano, 1642.

Giovanni Francesco fiammingo Napoli Queuquelair, pittore

Front.e tav. in P. Sarnelli, Guida de’ forestieri per Pozzoli, Bulifon, 1702.

Jusepe de Ribera, pittore, incisore

Xàtiva

Valenza, Lombardia, Emilia, Roma, Gallipoli, Napoli

Stampa : Don Giovanni d’Austria vittorioso a cavallo, 1648.

Cristoforo Schor, Roma architetto e scenografo

Roma, Napoli

Vedi SCHEDA.



flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 187 Spostamenti e attestazioni

Cognome

Origine

Incisioni in edizioni napoletane

Filippo Schor, architetto, ingegnere, scenografo, pittore

Roma

Roma, Napoli, Spagna

Vedi SCHEDA.

Johann Paul Schor, pittore, scenografo, architetto

Innsbruck

Innsbruck, Roma

Vedi SCHEDA.

Benoît Thiboust, incisore

Chartres

Roma, Napoli

Almeno 10 tra cui antip. di G. Artale, L’alloro fruttuoso, De Bonis, 1672 e di C. Celano, Degli avanzi delle poste, Bulifon, 1676 ; ritr. in B. Aldimari, Tractatus de nullitatibus, Di Fusco, 1678.  

Jacques Thouvenot, Lorena incisore

Lecce, Napoli

Almeno una dozzina, tra cui tav. in F. M. Prato, Responsum ad detegendam veritatem, Eredi Roncagliolo, 1667 e in D. Sesti, Raguaglio dell’apparato nella regia sala della Vicaria, Mollo, 1653.

Hubert Vincent, incisore

Roma, Napoli

11 tav. e front. rispettivamente in N. P. Giannettasio, Halieutica, Raillard, 1686 e 1693 ; antip. in N. P. Giannettasio, Universalis cosmographiae elementa, Raillard, 1688 e in T. Strozzi, Poemata, Parrino e Muzio, 1689.

Lione



Arnold van Anversa Westerhout, incisore

Roma, Napoli, Firenze, Nocera, Venezia, Padova, Iesi, Lucca, Spoleto, Parma, Macerata, Palermo, Girgenti, Urbino

Tav. in A. Bulifon, Lettere memorabili, Bulifon, 1693, 1697 e 1698 ; ritr. in G. Rocca, Disputationum iuris volumen, Paci, 1686.  

Schede G i ova n n i L a n f r a n c o Il rinnovamento della pittura napoletana nel sec. xvii trova in questo artista uno dei suoi più illustri esponenti, la cui vita è un continuo e inarrestabile viaggio tra la nativa Emilia, Roma e Napoli. Nasce a Parma nel 1582. La sua prima esperienza si svolge a Piacenza dove viene avviato allo studio delle lettere ed è posto come paggio al servizio del conte Orazio Scotti di Montalbo. È proprio il suo protettore però a rendersi conto del talento artistico del giovane, che viene affidato come alunno ad Agostino Carracci a Parma e, alla morte del maestro, insieme al compagno di studi Sisto Badalocchio, all’età di venti anni si trasferisce a Roma alla scuola di Annibale Carracci.

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Il primo periodo romano dura dall’inizio del 1602 fino all’estate del 1610. Qui esegue poche opere, tra cui dipinti per la galleria di palazzo Farnese e per la cappella Herrera in S. Giacomo degli Spagnoli. In questo periodo (tra il 1605 e il 1607) esordisce anche nell’arte incisoria con un volume di 23 stampe di riproduzione dalle logge di Raffaello, che i due giovani dedicano al maestro. Alla morte di Annibale Carracci, nel luglio 1609, Badalocchio ritorna in Emilia e Lanfranco lo segue l’estate dell’anno successivo. Qui rimane circa un anno, soggiornando a preferenza a Piacenza nella casa del suo benefattore, il conte Scotti, che gli procura numerose commissioni sul territorio. Nel 1612 ritorna nuovamente a Roma, dove continua a lavorare ad alcune pale destinate alle chiese piacentine e comincia a frequentare, dalla fine del 1613, l’Accademia di S. Luca. Nella capitale non tarda ad affermarsi, dipinge numerose opere su commissione e raggiunge una posizione prestigiosa, realizzando in S. Agostino la prima cupola barocca a Roma, con un’originale interpretazione dell’illusionismo del Correggio in chiave annibalesca. Negli anni 1619-1620 ottiene l’importante commissione da Paolo V, che lo preferisce ad Orazio Gentileschi, della decorazione pittorica della volta della loggia delle benedizioni della Basilica di S. Pietro ed elabora i relativi disegni preparatori con varie scene della vita dei santi Pietro e Paolo, entro cornici di finte architetture (progetto mai eseguito per la morte del pontefice). Nondimeno realizza ancora opere imponenti come la cupola della chiesa di S. Andrea della Valle, affrescata secondo il modello correggesco, e nel 1631 viene nominato Principe dell’Accademia di S. Luca. Due anni dopo viene chiamato dai Gesuiti a Napoli, dove soggiorna poco più di un decennio, intervallato da viaggi a Roma (1638 e 1639), ed esegue importanti affreschi per la cupola del Gesù Nuovo, il Tesoro di S. Gennaro nel Duomo, la Chiesa dei S. Apostoli, la Certosa di S. Martino. Ritorna a Roma nel 1646, dove affresca il catino absidale di S. Carlo ai Catinari, e muore nel 1647. In definitiva i suoi spostamenti sono determinati prima dall’alunnato presso i Carracci e poi dalla ricerca tra Roma e Napoli di importanti commissioni, che al solito sono offerte da papi, viceré e ordini religiosi. L’asse Roma-Napoli si conferma come uno degli itinerari preferiti dagli artisti. Poco noti e citati i suoi interventi in edizioni a stampa, quasi tutte romane : - Giovanni Battista Ferrari, Flora ouero Cultura di fiori trasportata dalla lingua latina nell’italiana da Lodouico Aureli, Roma, Pier’Antonio Facciotti, 1638 (a p. 99 una tavola raffigurante Flora e il concilio degli dei, incisa da Frederic Greuter). L’edizione è molto bella dal punto di vista iconografico e riproduce le incisioni della precedente edizione latina 1633 di Stefano Paolino, alla quale avevano partecipato con illustrazioni e incisioni alcuni dei più importanti artisti dell’epoca barocca (disegni di Guido Reni, Pietro da Cortona, e Andrea Sacchi, incisioni di Friedrich Greuter, Anna Maria Vaiana e Claude Mellan). La tavola di Lanfranco non compare in tutti gli esemplari e rimpiazza quella di analogo soggetto disegnata da Pietro da Cortona nell’edizione latina 1633 (in alcuni esemplari le due incisioni si trovano entrambe, rispettivamente alle pp. 99 e 97) . - Giovanni Battista Ferrari, Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu, Roma, Vitale Mascardi per Hermann Scheus, 1646. Per questa edizione disegna l’illustrazione a p.447 (incisore ancora Greuter), raffigurante l’arrivo nel golfo di Napoli delle Esperidi, cui vanno incontro festose tre sirene nel tipico paesaggio partenopeo con il Vesuvio fumante, l’emergenza architettonica della Certosa (dove l’artista aveva realizzato alcuni dei suoi capolavori), il faro all’ingresso del porto. È lo stesso scenario che si ritrova nelle marche di Bulifon e Raillard e nelle immagini più caratteristiche dell’editoria napoletana del Seicento. Anche alla realizzazione di questa edizione collabora un folto stuolo di artisti : come disegnatori  



flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 189 Pietro Paolo Ubaldini, François Perier, Francesco Albani, Andrea Sacchi, Nicolas Poussin, Filippo Gagliardi, Giovan Francesco Romanelli, Guido Reni, Girolamo Rainaldi e come incisori Cornelis Bloemaert, Claude Gayrand, Johann Friedrich Greuter, Camillo Cungi, Dominique Barrière. - Lelio Guidiccioni, Breue racconto della trasportatione del corpo di papa Paolo V dalla basilica di S. Pietro a’ quella di S. Maria Maggiore, con l’oratione recitata nelle sue esequie, & alcuni versi posti nell’apparato, Roma, erede di Bartolomeo Zanetti, 1623. All’illustrazione del libro collaborano anche Sergio Venturi e Micco Spadaro, incisore Theodor Kreuger. - Marcello Giovannetti, Vita di S. Emiddio martire, primo vescovo e protettore della città d’Ascoli, Ronciglione, Lodovico Grignani, 1631 (antiporta incisa da Claude Mellan su disegno di Lanfranco). - Euangeliorum quadragesimalium decas prima annotationibus moralibus, & theologicis illustrata & appendice ex Sanctis Patribus locupletata. Authore Thoma de Aquino Neapolitano clerico regulari, Roma, eredi Corbelletti, 1641 (frontespizio). - BenedettoTromby, Storia critica-cronologica diplomatica del patriarca S. Brunone e del suo ordine Cartusiano, Napoli, Vincenzo Orsino, 1773-1779. Sono reimpiegate – con l’aggiunta di motivi decorativi per adattare le incisioni alla grandezza della pagina – le tavole del ciclo, disegnato da Lanfranco e inciso da Theodor Kreuger, Vita S. Brunonis cartusianorum patriarchae. Elegantissime monocromatis delineata, et iuncto pede simul, et soluto, adamussim expressa, et ornata, [1620-1621]. Tra le sue incisioni, inoltre, sono da menzionare anche quelle realizzate a Roma per la Galleria Giustiniani. Luca Giordano È uno dei capostipiti della pittura napoletana del Seicento, anch’egli impegnato in frequenti viaggi non solo in Italia (Roma, Parma, Venezia, Montecassino, Firenze), ma anche in Spagna. Nasce a Napoli nel 1634, il padre Antonio è un pittore e segue personalmente la sua formazione, dapprima nella sua città, poi a Roma, secondo un percorso che abbiamo visto essere comune ad altri artisti. È però soprattutto a Napoli che matura la sua esperienza artistica sulle orme di Caravaggio, grazie anche alla conoscenza di Ribera, alla cui bottega è possibile che sia stato introdotto dal padre, « famigliare » del pittore valenciano e suo testimone di nozze nel 1616. A Napoli, inoltre, fin dal 1653 era attivo Mattia Preti, che veniva da Roma, grazie al quale si apre alle suggestioni della pittura barocca e comincia ad interessarsi ai dipinti di Pietro da Cortona. Ed è proprio il desiderio di conoscere le opere del cortonese che lo spinge a recarsi nuovamente a Roma, questa volta da solo, nel 1654. Non contento si trasferisce in Lombardia, a Parma studia le opere del Correggio e del Veronese, poi a Venezia quelle dei vedutisti. Nel 1665 è invitato nella città lagunare dal marchese Agostino Fonseca e ottiene importanti commissioni, ma nello stesso anno ritorna ancora a Napoli da dove due anni dopo invia la pala con l’Assunzione della Vergine per la chiesa di S. Maria della Salute. Da buon napoletano è molto legato alla sua città, dove esegue pitture per la chiesa di S. Gregorio Armeno e di Santa Brigida. Nel 1677-1678 un altro viaggio di lavoro lo porta a Montecassino, dove dipinge la volta della chiesa. Un’altra tappa importante è quella del soggiorno fiorentino negli anni 1682-1685, quando è chiamato dal marchese Francesco Riccardi a decorare i nuovi ambienti del palazzo mediceo. Ritorna a Firenze nel 1685 ma si ferma a Roma dove esegue la pala con S. Anna per la cappella omonima in S. Maria in Campitelli e nel 1686 è ancora a Napoli. Preceduto dal successo di queste opere, che gli procura numerosi incarichi di prestigio e commissioni da parte di collezionisti e nobili spagnoli, si trasferisce a Madrid nel 1692, al servizio di Carlo II. In questa città produce una quantità straordinaria di dipinti ed inizia  



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la decorazione dell’Escorial, per poi decorare la volta della cattedrale di Toledo. È un periodo di frenetica attività artistica, che continua anche a Napoli, dove ritorna nel 1702. Qui racconta la sua ultima esperienza nel Trionfo di Giuditta per la cappella del tesoro della Certosa di S. Martino : la pittura è accordata magicamente allo spazio, accrescendo le dimensioni del cupolino con uno straordinario artificio pittorico, che esalta gli effetti illusionistici del barocco ormai declinante. Muore a Napoli nel 1705. Suoi seguaci sono De Matteis e Solimena, la cui partecipazione all’illustrazione libraria si mostra ben più consistente e rilevante, a conferma di una indiscutibile affermazione dell’arte tipografica nel contesto culturale napoletano della seconda metà del secolo. Ben documentata è la sua attività al servizio dell’editoria napoletana, in particolare per due edizioni bulifoniane, rispettivamente del 1676 e 1677 : - Antiporta, incisa dal francese Benoît Thiboust, del primo volume di Carlo Celano, Gli avanzi delle poste e, nel secondo volume, ritratto dell’autore, d’après l’originale di Giordano dipinto ad olio (nel Museo di S. Martino) ed inciso da Albert Clowet (1676). Lo stesso viene anche reimpiegato nel primo tomo dell’edizione napoletana Giacomo Raillard 1692 di altra opera del Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, mentre nell’edizione Giovanni Francesco Paci 1725 della stessa opera il ritratto dipinto da Giordano è presentato in un’incisione di Giuseppe Magliar. - Antiporta, incisa sempre dal Thiboust, di Flavio Costantino il Grande di Camillo De Notariis (1677).  



Pa o l o D e M a t t e i s È il primo degli artisti della seconda generazione, che continua e approfondisce le sue esperienze nel solco della tradizione napoletana, ma compie numerosi e continui viaggi pur con frequenti ritorni a Napoli. Cilentano di nascita (1662), secondo la testimonianza di De Dominici, dapprima studia a Napoli le opere dei più importanti maestri e diventa allievo di Luca Giordano, poi nel 1682, a vent’anni, si trasferisce a Roma sempre per disegnare le opere dei grandi maestri, ma qui fa un incontro, fondamentale per la sua carriera, con il marchese del Carpio, che grazie all’amicizia con Giovanni Maria Morandi, lo introduce nell’Accademia di S. Luca. Quando il marchese nel 1683 viene nominato viceré, ritorna però a Napoli di nuovo alla scuola del Giordano. Riceve importanti commissioni dai Gesuiti (affreschi del Gesù Nuovo, ma anche ventidue tavole per il collegio imperiale di Madrid) e dai Certosini (farmacia della Certosa). Nel 1703, su invito del duca d’Estrées, si reca a Parigi, dove subisce l’influsso di Mignard ed esegue lavori per importanti committenti e collezionisti (i banchieri Crozat e Thèvenin). Con grande disinvoltura, come molti artisti contemporanei, passa poi al servizio dei nuovi esponenti del potere : a Vienna per il palazzo del viceré austriaco conte Daun, a Pommersfelden per Eugenio di Savoia. Da Napoli il pittore ancora si sposta per nuovi incarichi, così nel 1713 affresca il cappellone del duomo di Taranto, un decennio dopo ritorna a Roma per tre anni, al servizio del cardinale de Polignac, che aveva conosciuto a Parigi, e lavora sia per la corte papale, sia per aristocratici portoghesi. Muore a Napoli nel 1728 ed è sepolto nella chiesa della Concezione. Fornisce disegni per molti libri stampati a Napoli (perlopiù presso Raillard) che vengono incisi a preferenza da Andrea Magliar, e in qualche caso da Paolo Petrini e da Francesco Aquila. Un po’ di esemplificazione ordinata cronologicamente : - Frontespizio, inciso da Magliar, di Nicola Partenio Giannettasio, Aestates Surrentinae, Raillard, 1696. È la sua prima invenzione nota e reca anche la singolare attestazione che è stata realizzata presso lo stampatore : « P. de Matteis In. – Neapoli apud Iac. Raillard an. 1696 – Andreas Magliar Scul. ».  









flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 191 - Antiporta (incisa da Magliar) di Pietro Giustiniani, Nomenclator plagarum Jesu crucifixi, Raillard, [1696]. - Antiporta (incisa da Magliar) di Antonio Palmieri, Psalterium davidicum, Raillard, 1697. - Antiporta di Antonio Palmieri, Cantica xi et sacra salmodia, De Bonis, 1699. È la stessa della precedente con modifiche, anche se con le stesse sottoscrizioni . - Dieci illustrazioni (tavole iv-viii, x-xiv ) in Nicola Partenio Giannettasio, Bellica, Raillard, 1699, tutte incise da Magliar (partecipa anche Solimena con tre incisioni). - Antiporta di Antonio Ardia, La tromba apostolica, Michele Luigi Muzio, 1703, sottoscritta da Paolo de Matteis come « inventor » e da Paolo Petrini come incisore. Viene riadoperata in altra opera dello stesso autore, pubblicata sempre dal Muzio, di argomento analogo (La tromba quaresimale, 1704). - Antiporta (incisa da Magliar) di Nicola Partenio Giannettasio, Historia neapolitana, Michele Luigi Muzio, 1713, ultima incisione libraria documentata dell’artista. Senza nessuna indicazione di luogo e tipografo (ma probabilmente a Roma, alla fine della sua carriera di pittore) pubblica Picturae artis exempla, un libro ad uso didattico (« ut tyrones addiscant »), dedicato a Adriano Ulloa, con 16 figure di nudi in prevalenza maschili incisi da Francesco Faraone Aquila e nel cui frontespizio spicca il suo autoritratto. Un’attività, dunque, importante e rilevante al servizio del libro, della quale tuttavia, a conferma delle riserve espresse in apertura, è molto difficile trovare traccia nella pur ricca letteratura specifica sul pittore.  







Fr a n c e s c o S o l i m e n a È uno dei nomi più importanti tra gli artisti attivi nell’illustrazione libraria, ma per quanto riguarda gli spostamenti rappresenta un po’ l’eccezione che conferma la regola. Infatti nella sua vita lunghissima (1657-1747) a cavallo tra due secoli, segnata da un’attività molto ricca al servizio della maggiori corti europee, non si spostò quasi mai da Napoli. A parte la sua indole, forse incise su questa scelta anche la considerevole notorietà e fama che aveva ottenuto presso importanti committenti, al punto da consentirgli di lavorare nella sua dimora abituale. Il suo primo viaggio lo porta da Nocera, dove riceve una prima formazione alla bottega del padre Angelo guardando soprattutto alle opere di Francesco Guarino, a Napoli. Qui comincia a maturare un suo stile personale rifacendosi alla pittura di Luca Giordano e di Mattia Preti. Le sue prime opere sono realizzate a Nocera, a Solofra e a Salerno, ma ad assicurargli il successo è soprattutto la nuova classe di governanti austriaci. Così pur rinunciando a muoversi da Napoli, nel secondo decennio del secolo conosce un eccezionale successo internazionale, ricevendo importanti commesse da parte di illustri personaggi, soprattutto austriaci e bavaresi, per la decorazione di cappelle e residenze private, nonché per la realizzazione di ritratti ufficiali (il cardinale d’Althann, il principe Eugenio di Savoia, il conte Harrach, il conte Daun, primo viceré austriaco della città). Uniche eccezioni a questa congeniale sedentarietà sono brevi spostamenti di lavoro : a Montecassino per la decorazione della chiesa abbaziale, a Roma nel 1700 per l’anno santo, a Caserta nel 1735 per realizzare i dipinti per la reggia su commissione di Carlo di Borbone. Già presente nell’editoria napoletana fin dal 1681, quando ha solo 24 anni, con l’antiporta dell’opera di Antonio Mazza (imitata in quella successiva del Tauleri) disegna numerose illustrazioni, ritratti e antiporte. Le sue opere vengono incise da artigiani forestieri, come il fiammingo Jacques Blondeau e il francese François de Louvemont, ma i suoi interpreti migliori sono Andrea Magliar e Antonio Baldi, con il quale collabora fino al 1738. Figura solo come « inventor ». Alcune delle sue più importanti collaborazioni in edizioni napoletane : - Antiporta, incisa da Blondeau, di Antonio Mazza, Historiarum epitome de rebus Salernitanis, Giovanni Francesco Paci, 1681.  







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- Antiporta, incisa da De Louvemont, di Pietro Gisolfo, Prodigio di mature virtù. Nicola di Fusco fanciullo di tre anni, Francesco Mollo, 1682. - Antiporta, incisa da De Louvemont, di Giuseppe Toppi, De furti virtuosi al tempo, poesie, Salvatore Castaldo, 1683. - Frontespizio e 10 tavole, incise da De Louvemont, di Nicola Partenio Giannettasio, Piscatoria e nautica, Giacomo Raillard, 1685. - Antiporta, incisa da De Louvemont, e 11 tavole incise da Hubert Vincent in N. P. Giannettasio, Halieutica. Giacomo Raillard, 1686. - Antiporta, incisa da A. Magliar, di N. P. Giannettasio, Universalis geographiae elementa, Giacomo Raillard, 1692. - Tre tavole (i, ii, x), incise da Magliar, dei Bellica di N. P. Giannettasio, Raillard, 1699. - Antiporta, incisa da Francesco De Grado, di Bonaventura Tauleri, Memorie historiche dell’antica città di Atina, Michele Luigi Muzio, 1702. - Antiporta doppia, incisa da Jakob Sedelmayr, e 7 tavole (nel dettaglio quelle relative a Il Domiziano, I Massimini, Flavio Valente, La Draomira, Il Ridolfo, L’Eustachio, L’Ermenegildo, tutte incise da Antonio Baldi, tranne le ultime due da J.Sedelmayr) in Annibale Marchese, Tragedie cristiane, Felice Mosca, 1729. - Antiporta, incisa da Baldi, di Girolamo Maria di S. Anna, Istoria della vita, virtù e miracoli di San Gennaro, Stefano Abbate, 1733. - Antiporta con ritratto dell’autore, incisa da Baldi, in Giovanni Della Casa, Opere, s.t.1733. - Antiporta, incisa da Baldi, di Annibale Marchese, Il Viticondo, Gennaro e Vincenzo Muzio, 1738. D e l Po Originari della Sicilia, gli artisti di questa famiglia sono attivi soprattutto a Napoli e a Roma, dove svolgono anche il tirocinio e l’alunnato presso i più affermati maestri. Il capostipite è il pittore palermitano Pietro, che nella città d’origine entra in contatto con Pietro Novelli, detto il Monrealese, su disegno del quale incide nel 1641 l’arco trionfale per l’Almirante di Castiglia (in Giuseppe Spucces, Mercurio panormeo, Palermo, Decio Cirillo, 1641). Nel 1644, all’età di trentaquattro anni, si trasferisce a Napoli, dove conosce le opere del Domenichino, di Lanfranco, anche se non risulta essere stato loro alunno, e dei contemporanei Ribera, Francesco Vaccaro, Massimo Stanzione e Charles Mellin. Qui mette radici sposandosi due volte, ma nel 1647 si sposta a Roma dove frequenta soprattutto artisti classicheggianti come il Cesi e il Cozza e francesi come Jean Dughet e forse Nicolas Poussin. A Roma si inserisce con successo nell’ambiente artistico e raggiunge il successo soprattutto grazie alla protezione di influenti personaggi spagnoli. Nel 1652 si iscrive all’Accademia di S. Luca ed ottiene importanti incarichi nell’ambito di questa istituzione. Nel 1683 torna nuovamente a Napoli con la sua famiglia forse per seguire il marchese del Carpio, ambasciatore spagnolo a Roma nominato in quell’anno viceré, ma ancor prima compie un breve soggiorno a Palermo e un viaggio in compagnia del Cesi in molte località dell’Italia centrale e forse anche a Venezia. A Napoli rimane fino alla morte nel 1692. Come pittore realizza dipinti prevalentemente di soggetto religioso per la cattedrale di Toledo, la chiesa di S. Maria di Costantinopoli a Roma e la cappella di S. Barbara in Castelnuovo a Napoli. Notevole è anche la sua attività di disegnatore e di incisore, soprattutto di temi classici, sia con opere originali, sia con traduzioni da Domenichino, Poussin, Lanfranco e i Carracci. Più attivi nell’editoria sono i due figli Teresa e Giacomo.

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 193 Teresa è conosciuta soprattutto come ritrattista, miniatrice, pittrice e intagliatrice. Nasce a Roma nel 1649, dove si afferma ben presto come pittrice, grazie anche all’appoggio paterno. Nel 1678 insieme al fratello Giacomo, è ammessa all’Accademia di S. Luca (spesso si firma come Academica Romana), ma si trasferisce nuovamente a Napoli insieme alla famiglia nel 1683, dove dimora stabilmente (tranne un soggiorno a Benevento nel 1687 per realizzare le incisioni del celebre arco) e vi muore trenta anni dopo. Se la sua produzione pittorica purtroppo è andata quasi tutta dispersa, molto ben documentata è invece la sua attività incisoria, che comincia a Roma, dove realizza un gruppo di stampe tratte dai dipinti che il padre aveva realizzato per la cattedrale di Toledo e illustrazioni per libri di carattere religioso, generalmente disegnate dal fratello, tra cui le tavole di Giuseppe Agnelli, Arte di conoscer l’ottimo osseruata nelle meditazioni proposte nella prima settimana degli esercizii spirituali di Santo Ignazio di Loiola, Giovanni Giacomo Komarek, 1695, inoltre collabora alle Vitae, et res gestae pontificum romanorum et s.r.e. cardinalium (fino a Clemente IX) di Alfonso Chacón, cui partecipa, tra gli altri, anche Albert Clowet. La sua attività più importante però si sviluppa soprattutto a Napoli, al servizio dell’editoria, con antiporte, ritratti e illustrazioni in prevalenza per libri di piccolo formato e per testi devozionali, scientifici, d’occasione (perlopiù per Raillard e Roselli). Autore dei disegni, oltre il fratello Giacomo, risultano Francesco De Angelis, Aniello Perrone e qualche volta lei stessa. Alcune sue opere in edizioni napoletane : - Una tavola, su disegno del fratello, a corredo dell’opera di Carlo Casalicchio, Gli stimoli al s. timor di Dio cavati dalla morte pessima de’ peccatori, Giuseppe Roselli, 1686. - Antiporta di Tommaso Cornelio, Progymnasmata physica, Giacomo Raillard, 1688. - Ritratto dell’autore, d’après il dipinto di Vincenzo Noletti, su disegno del fratello Giacomo, in Pompeo Sarnelli, Memorie cronologiche de’ Vescovi ed arcivescovi della chiesa di Benevento, Giuseppe Roselli, 1691, reimpiegato nelle Memorie de’ vescovi di Bisceglia dello stesso autore (Roselli, 1693). - Una grande tavola raffigurante l’imponente apparato di festa, realizzato da Giacomo e inciso da Teresa su disegno di Aniello Perrone, in Matteo di Santo Stefano, Relazione della solennissima festa celebrata in Napoli per la canonizzazione de’ due gloriosi santi Gio.da Capistrano e Pasquale Baylon, Giovanni Francesco Paci, 1691. - Antiporta (su disegno di Francesco De Angelis) di Nicola Gaetano Ageta, Annotationes pro regio aerario, Giacomo Raillard, 1692. - Una tavola (disegnata dal fratello) nel vol. iii di Carlo Maria Carafa, Opere politiche-cristiane, Mazzarino, Jan van Berg, 1692. - Una tavola ripiegata (su disegno del fratello) in Antonio Bulifon, Lettera nella quale si dà distinto ragguaglio dell’incendio del Vesuvio succeduto nel mese d’aprile 1694, Giuseppe Roselli, 1694. - Il ritratto di Giovanni Della Casa e quello di Gregorio Caloprese, da un dipinto di Vincenzo Noletti, nelle Rime degli stessi autori, pubblicate insieme a quelle di Sertorio Quattromani e Marco Aurelio Severino (Antonio Bulifon per Giuseppe Roselli, 1694). - La tavola riproducente la macchina funebre (la « castellana »), progettata dal Vaccaro, e il ritratto di Antonio Miroballo, di cui firma sia il disegno che l’incisione (« del. et scul. ») in Emanuele Cicatello, Funerali nella morte del signore D. Antonio Miroballo celebrato nella real chiesa di S. Giovanni a Carbonara, Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Muzio, 1695. - Ritratto del biografato in Paolo D’Ipolito, Vita del P. D. Michele Trabucco, Francesco Mollo, 1697. - Due illustrazioni, che firma entrambe come « Teresia del Po Academica Romana del. et sc. », in Andrea Giuseppe Gizzi, La bilancia istorica, politica e giuridica, Antonio Gramignano, 1697, e ne Lo scettro del despota dello stesso autore (Giacomo Raillard, 1697).  













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- Ritratto di Filippo V in Antonio Bulifon, Giornale del viaggio d’Italia dell’invittissimo e gloriosissimo monarca Filippo V, Antonio Bulifon, 1703. Realizza, inoltre nel 1687, sempre su disegno del fratello Giacomo, una serie di nove incisioni riproducenti le decorazioni dell’arco romano di Benevento, conservate a Roma nell’Istituto Nazionale per la Grafica. Giacomo, fratello minore di Teresa, oltre che pittore e architetto, è disegnatore e incisore. Nasce nel 1652 a Roma, dove compie il suo primo tirocinio alla scuola paterna e nel 1674 diventa accademico di S. Luca come la sorella, poi dal 1683 con la famiglia si trasferisce a Napoli, probabilmente al seguito del marchese del Carpio. Come Solimena e De Matteis riceve importanti incarichi dalla committenza austriaca (sue sono le tele dipinte nel 1723, su incarico del principe Eugenio di Savoia, per i soffitti dei saloni del Belvedere a Vienna) e agli inizi del Settecento diventa uno dei pittori più famosi e apprezzati. Muore a Napoli nel 1726. Notevoli i suoi contributi all’editoria napoletana, per la quale spesso fornisce i disegni, incisi poi dalla sorella. Altri suoi incisori abituali, oltre la sorella, sono Andrea Magliar e Francesco De Grado. Alcune sue opere, oltre quelle già indicate eseguite in collaborazione con Teresa : - Due tavole (incise da Hubert Vincent) in Tommaso Strozzi, Poemata varia, Parrino e Muzio, 1689. - Antiporta di Lo Tasso napoletano, Raillard, 1689. - Ritratto dell’autore (inciso da Magliar) in Biagio Altomare, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, Raillard, 1691. - Antiporta (incisa da De Grado) di Giacomo Lubrano, Il cielo domenicano, Raillard, 1691. - Antiporta (incisa da Magliar) di Francesco Maria Giordano, Panegirici sagri, Giacinto Pittante, 1691-1695. - Due tavole (la prima incisa da Magliar, la seconda dalla sorella) nei vol. II e III di Carlo Maria Carafa, Opere politiche-cristiane, Mazzarino, Jan van Berg, 1692. - Antiporta (incisa da Magliar) di Tommaso Strozzi, L’huomo-Dio overo la verità della religion cristiana, Parrino e Muzio, 1692. - Antiporta (incisa da De Grado) nei tre vol. di Simpliciano Bizozeri, La sagra lega contro la potenza ottomana, Parrino e Muzio, 1692. - Antiporta (incisa da Magliar) nel vol. i di Giovanni Marciano, Memorie historiche della congregatione dell’oratorio, De Bonis, 1693-1699. - Antiporta (incisa da De Grado) di Raffaele Maria Filamondo, Il genio bellicoso di Napoli, Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Muzio, 1694. - Illustrazione raffigurante il battesimo di S. Aspreno (incisione di Magliar) in Sigismondo Sicola, La nobiltà gloriosa nella vita di S. Aspreno, Carlo Porsile, 1696. Di grande valore simbolico è anche un’esecuzione, incisa da Magliar, della celebre marca di Antonio Bulifon, in cui la sirena, accompagnata dal Tempo, tiene tra le mani una clessidra (motto “frustra nunc labitur”).  

S ch o r È una famiglia di origine austriaca (Tirolo) naturalizzata italiana e molto attiva in campo artistico. Johann Paul, detto anche Giovan Paolo Tedesco, è pittore, scenografo e architetto. Dapprima allievo del padre Hans, si trasferisce nel 1641 a Roma, dove lavora alla bottega di Gian Lorenzo Bernini. Per l’editoria disegna il frontespizio della Musurgia Universalis di Athanasius Kircher (Ludovico Grignani, 1650). Muore a Roma ed i figli Filippo e Cristoforo proseguono

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 195 l’attività paterna, ma si trasferiscono a Napoli, dove stabiliscono rapporti con i più importanti esponenti dell’architettura dell’epoca. Filippo, nasce a Roma nel 1646. La sua attività di architetto, ingegnere, scenografo e pittore si svolge dapprima a Roma, dove realizza per il marchese del Carpio nel 1681 l’apparato per la nascita di Maria Luigia, infanta di Spagna Nel 1683 si trasferisce a Napoli (sempre al seguito del marchese del Carpio, divenuto viceré) con il titolo di Regio Ingegnere e realizza numerosi apparati festivi e scenografie teatrali diventando impresario del teatro S. Bartolomeo insieme a Nicola Vaccaro e Francesco della Torre. Nel 1697 si reca in Spagna al servizio dei reali e vi muore presumibilmente nel 1701. Per le biografie del Genio bellicoso di Napoli di Raffaele Maria Filamondo (Napoli, Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Muzio, 1694) disegna la vignetta frontispiziale (incisa da Paolo Petrini) e i numerosi ritratti di capitani (incisi da Francesco De Grado). Per l’edizione 1694 degli stessi tipografi de Lo scalco alla moderna di Antonio Latini realizza alcune tavole (come il Trionfo allegorico della Chiarezza) incise dal senese Carlo Bagnini, riproducenti gli ornati da tavola per il banchetto nuziale di Tommaso d’Aquino, principe di Feroleto, e Fulvia Pica, duchessa della Mirandola. Cristoforo, come il fratello minore Filippo, inizia a Roma la sua attività, ma poi si trasferisce a Napoli con l’appoggio del viceré, il duca di Medinaceli. È architetto e scenografo di corte e assume l’appalto del teatro San Bartolomeo nella stagione 1699-1700, per cui chiama a Napoli il celebre Bibiena. Sovrintende ai lavori di Palazzo, dimostrandosi particolarmente abile nell’invenzione dei numerosi apparati allestiti in occasione di feste e funerali, come l’addobbo della sala e l’albero della cuccagna per il compleanno dell’imperatrice Elisabetta, riprodotti nelle due tavole incise da Francesco De Grado per illustrare la Serenata di Giuseppe Papis (Napoli, Michele Luigi Muzio, 1713), nonché l’allestimento per la celebrazione dei martiri della congiura di Macchia per cui disegna le incisioni a corredo dell’orazione funebre di Giambattista Vico (Publicum Caroli Sangrii et Josephi Capycii funus, Napoli, Felice Mosca, 1708). Muore intorno al 1725. Con lui e con il fratello Filippo l’effimero celebra il suo trionfo, attraverso l’uso diffuso di elementi architettonici e di apparati, assunti a icone simboliche del potere. M a gl i a r Andrea è un incisore molto presente sulla scena napoletana dal 1683 al 1734, anni nei quali il suo nome ricorre in oltre un centinaio di libri pubblicati dai maggiori editori del tempo, da Bulifon a Raillard, a Parrino, a Mollo, a Roselli, a Mosca, a Muzio. A Roma studia incisione da modelli di Maria De Dominici. Nelle sottoscrizioni il suo nome compare seguito dall’espressione sculpsit, alla quale in qualche caso si aggiunge la specificazione Neapoli, segno che qui svolse di preferenza la sua attività. È incisore abituale di Francesco Solimena e Paolo De Matteis, i più importanti pittori suoi contemporanei, ma anche di altri artisti, come Domenico Antonio Vaccaro, Antonio Baldi, il ritrattista Fabio Trombatore, Giacomo del Po, Thomas Martini, Filippo Vucchetta, Giuseppe Simonelli, Giovanni Francesco Queuquelair, Arnold van Westerhout, i suoi figli Giuseppe e Gaetano ecc. Altre volte compare solo il suo nome. Sarebbe impossibile qui menzionare tutte le sue incisioni. Tra queste a scopo largamente esemplificativo si segnalano, oltre quelle già indicate in precedenza a proposito di Solimena, De Matteis e Schor : - Antiporte : alcune opere di Andrea Mastelloni tra cui Il Misterio del corpo di Giesù Christo, Antonio Abri, 1710 (« inventor » il figlio Gaetano), di Filippo Maria Macchiarelli, La favola che ‘l sacro corpo del patriarca S. Benedetto dorma nel sepolcro Floriacese, Felice Mosca 1713 (su  







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disegno di Vaccaro) e di Nicola Partenio Giannettasio, Historia Neapolitana, Michele Luigi Muzio, 1713 (su disegno del De Matteis). - Frontespizi : di N. P. Giannettasio, Autumni Surrentini, Raillard, 1698. - Vignette frontispiziali : di Antonio Minturno, Arte poetica, Gennaro Muzio, 1725, su disegno di Baldi, mentre firma da solo quella di Scipione Cigala, Cleopatra, Gennaro e Vincenzo Muzio, 1736 (più volte reimpiegata in edizioni Muzio). - Ritratti : di Carlo VI, di Giovanni Francesco Gemelli Careri, di Torquato Tasso, di Elisabetta Albano, due diversi di Antonio Bulifon, di S. Romualdo, di Tommaso Mazzacara, di Carlo Maria Carafa, di Baldassarre Pisani e di Vincenzo Avinatri (su disegno di Fabio Trombatore), di Ottavio Liguoro, di Scipione Cigala (su disegno di Thomas Martini), di Antonio Torres, di Andrea Cantelmo. - Illustrazioni : alcune riproduzioni di monumenti nella guida di Napoli di Carlo Celano (Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Giovanni Francesco Paci, 1725), le incisioni, su disegno del fiammingo Queuquelair, della guida di Pozzuoli di Pompeo Sarnelli (La guide des etrangers curieux de voir les choses plus memorables de Poussol, Bulifon, 1702), la serie di tavole celebrative nell’Eugenius di Francesco Maria Cesari (Domenico Roselli, 1724), scene incise su disegno di artisti locali nella descrizione dei viaggi di Giovanni Francesco Gemelli Careri (Giro del mondo, Domenico Antonio e Nicola Parrino, 1721), le 19 tavole del Calix inebrians di Vincenzo Avinatri (Raillard, 1694). A Roma realizza il ritratto di Innocenzo XII per l’edizione del Concilium provinciale Neapolitanum, impresso nella tipografia della Camera Apostolica nel 1700.  







Suo figlio Giuseppe, allievo precocemente scomparso del Solimena, è ricordato sia da De Dominici, sia da Gori Gandellini, che lo dice superiore al padre e menziona sue incisioni anche da De Matteis (Ercole al bivio e altre). Per il resto è quasi completamente ignorato in letteratura, mentre il suo contributo, alla luce delle mie ultime ricognizioni di libri napoletani, sembra essere stato assai più rilevante, particolarmente nelle edizioni Mosca. Per questa tipografia firma i ritratti di Antonio e Adriano Carafa (da dipinti di Giovanni Stefano Maia) ed elementi dell’ornamentazione in Giambattista Vico, De rebus gestis Antonj Caraphaei (1716), sottoscrive in proprio il ritratto di don Josepho de Palma in Michele Mondegai e Luigi D’Anna, Aloysii Gonzagae gesta (1721), quello di Annibale Marchese e una tavola nel Poema per la nascita di Leopoldo d’Austria (1716), mentre è solo incisore del ritratto di Francesco di Geronimo, da un dipinto di Antonia Palumbo, nella Vita scritta da Simone Bagnati (1725). È ancora incisore del ritratto di Carlo Celano dall’originale di Luca Giordano nelle Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, (Giovanni Francesco Paci, 1725) e di una tavola, disegnata dall’architetto Bartolomeo Granucci per gli Ufici funerali di Clemente XI Albani (Michele Luigi Muzio, 1721). Pittore e « inventor » è anche un altro figlio di Andrea, Gaetano, il cui nome figura due volte sempre in associazione a quello del padre incisore : l’antiporta già citata di Mastelloni e l’antiporta e alcuni ritratti in Girolamo Maria di Santanna, Della storia genealogica della famiglia Del Ponte (Felice Mosca, 1708). Non viene citato nemmeno da Gori Gandellini.  





Miotte Di origine borgognona è la famiglia Miotte, rappresentata da Pierre e Fabien, entrambi attivi sia a Roma che a Napoli. Spesso sono confusi nelle attribuzioni ed anche in bibliografia le notizie sono incomplete e lacunose, nonostante la loro produzione sia veramente molto ricca.

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 197 Pierre, cartografo, è noto soprattutto per la bella carta di Napoli a volo d’uccello stampata nel 1648 a Roma, dove incide anche riproduzioni d’arte, tra cui la Raccolta delle principali fontane dell’inclita città di Roma su disegno di Domenico Parasacchi (1647). La sua attività nell’editoria sia romana che napoletana è molto consistente. Edizioni romane (1645-1667) : - Frontespizio con ritratto dell’autore in Giambattista Marino, Strage degl’innocenti (senza note tipografiche, ma con data topica Roma 18 novembre 1645 nella dedica). - Ritratto dell’autore in Philippe Alegambe, De vita, & morib. P. Ioannis Cardim Lusitani, Francesco Cavalli, 1645. - Frontespizio di Athanasius Kircher, Ars magna lucis et umbrae, Ludovico Grignani per Hermann Scheus, 1645 (data del colophon 1646, che in alcuni esemplari è anche nel frontespizio del vol. I). - Ritratto di S. Francesco Saverio in Antonio Francisco Cardim, Fasciculus e Iapponicis floribus, eredi Corbelletti, 1646. - Antiporta di Serafino Leggi, Le quattro stagioni sempre floride de’ santi, Giovanni Battista e Giuseppe Corvo, 1646. - Ritratto dell’autore in Francesco Tolosa, Elogi, poesie, e prose, Mario Cattalani, 1646. - Antiporta di Giovanni Battista Corradi, Bonciarius adultus, siue de vniuersa grammatica Latina libri duo, Francesco Moneta, 1647. - Frontespizio di Antonio Agustín, Dialoghi intorno alle medaglie, traduzione italiana di Dionigi Ottaviano Sada (Filippo de’ Rossi, 1648, ristampata nel 1650 in occasione del giubileo). - Frontespizio di Giulio Cesare Benedetti, Epistolarum medicinalium libri decem, Andrea Fei per Giovanni Bertano, 1649. - Antiporta con stemma del dedicatario in Felice Maria Invrea, Theoriae ex prima parte Summae Theologicæ d. Thomae Aquinatis excerptæ, eredi di Manelfo Manelfi, 1649. - Frontespizio con stemma del dedicatario in Giovanni Tommaso Gastaldi De potestate angelica, Francesco Cavalli, 1650. - Una tavola nel to. II di Athanasius Kircher, Musurgia universalis, Ludovico Grignani, 1650. - Vignetta frontispiziale di Vincenzo Tanara, Economia del cittadino in villa, Francesco Moneta per Giovanni Battista e Giuseppe Corvo, 1651 (data del colophon 1650). - Antiporta di Francesco Carafa, Theses philosophicae, Francesco Moneta, 1651. - Antiporta di Madeleine de Scudéry, Historia d’Ibrahim Bassa tradotta dal francese da Paris Cerchiari, Francesco Moneta a spese di Giovanni Battista e Giuseppe Corvo, 1652. - Antiporta di Carlo Giaconia, Panegirici sagri, Francesco Moneta, 1652. - Frontespizio di François Britius, Annalium ecclesiasticorum Caesaris Baronij S.R.E. card. arabica epitome, Congregazione di Propaganda Fide, 1653-1671. - Antiporta di Giovanni Battista Corradi, Elio Donato romano che fù del glorioso san Girolamo, dottore della chiesa maestro : ouero di tutta la gramatica latina, Michele Cortellini, 1654. - Vignetta in Giovanni Giacomo Palamolla, Orationes et epigrammata in laudem B. Mariae Virginis, Angelo Bernabò, 1655. - Antiporta di Jacob Hugues, Vera historia Romana seu origo Latii, Francesco Moneta, 1655. - Ritratto di Gregorio X in Pietro Maria Campi, Gregorii X vita, eredi Corbelletti, 1655. - Antiporta di Sebastian Salelles, De materiis tribunalium, Tommaso Coligni, 1656. - Frontespizio con ritratto di Alessandro VII in Franciscus Bermingham, Sacra theologia de Deo uno et trino, eredi Coligni, 1656. - Frontespizio e 7 tavole in Domenico Segneri, Opus Dei admirabile, eredi Corbelletti, 1656.  



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- Frontespizio araldico degli Statuti della venerabile archiconfraternita della S.ma Nuntiata, Roma stampatori Camerali, 1614 [ma 1658 ?]) ; - Antiporta di Pietro Lippa Mattei, Il finto Eugenio, tragedia christiana, Francesco Moneta, 1660. - Frontespizio e ritratto del biografato in Zaccaria Barbieri, Ritratto delle virtù e vita del padre Antonio da Modana Montecuccoli, Filippo Maria Mancini, 1667. Edizioni napoletane (1665-1716) : - Una tavola (albero genealogico della santa) in Tommaso Auriemma, Historia panegirica delle attioni, glorie e gratie di S. Anna, Luc’Antonio di Fusco 1665, anche in Vita, e gratie di s. Anna genetrice della gran Madre di Dio Maria, cauata dall’historia panegirica della medesima santa dello stesso autore, eredi Roncagliolo, 1668. - Frontespizio di Costantino Cafaro, Speculum peregrinarum quaestionum, Giovanni Francesco Paci, 1665. - Antiporta di Francesco Maria Gioia, La marauigliosa conversione della regina Singa, Giacinto Passaro, 1669. - Una tavola in Camillo Tutini, Notizie della vita e miracoli di due Santi Gaudiosi, Luc’Antonio di Fusco, 1671. - Antiporta della prima parte di Tommaso di Sant’Agostino, Strada franca al cielo per il peccatore, Francesco Mollo, 1677. - Antiporta di Luca Tozzi, In Hippocratis aphorismos commentaria, Domenico Antonio Parrino e Michele Luigi Muzio, 1693. Dopo questa data non si trovano più sue incisioni e solo molti anni dopo compare una sua antiporta (probabilmente reimpiego) in Pirro Schettino, Poesie, Domenico Antonio Parrino, 1716. Inoltre sue incisioni corredano anche libri stampati a Venezia (frontespizio di Giulio Cesare Benedetti, Consultationum medicinalium opus utile, Venezia, Bertano, 1650) e ad Amsterdam (alcune tavole di Athanasius Kircher, Romani Collegii Societatis Jesu Musaeum celeberrimum, Janssonius van Waesberge, 1678).  





Fabien, imparentato con Pierre (probabilmente il figlio) è attivo a Napoli tra la fine del xvii e l’inizio del xviii secolo con almeno una quindicina di incisioni. A Roma non risultano sue opere, probabilmente la famiglia si era trasferita a Napoli intorno agli anni sessanta, dove Fabien esordisce nel 1683. Esegue incisioni per vari artisti tra cui Giovanni Verino e Francesco Aurora. Edizioni napoletane (1683- 1710) : - Antiporta di Manuel Ponze de Soto, Memorial de las tres Partenopes, Novello de Bonis, 1683. - Ritratto di Domenico Ottomano in Ottaviano Bulgarini, Vita del Padre Maestro F. Domenico di S. Tomaso, Giuseppe Roselli, 1689. - Antiporta di Sigismondo Fanelli, La vita allo specchio, Giuseppe Roselli, 1693. - Antiporta doppia araldica (stemma Bitonto), su disegno di Giovanni Verino, in Apollinare di S. Gaetano, Il Caualiere romito, storia panegirica del venerabile padre f. Ambrogio Mariano di S. Benedetto, Giovanni Vernuccio e Nicola Layno, 1693 e 1694. - Antiporta di Antonio Palmieri, Hippocratis aphorismi poeticis salibus aspersi, Felice Mosca, 1699. - Antiporta di Antonio Palmieri, Propheticae lacrymae in funere Dei hominis poeticis naeniis temperatae, De Bonis, 1699. - Ritratto di Marcello Celentano su disegno di Francesco Aurora in Ludovico Paglia, Istorie della città di Giouenazzo, Carlo Troisi, 1700, reimpiegato in Ubaldo Ubaldini Pratica de’ notari o sia formolario d’instrumenti, Carlo Troisi, 1704.  

flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 199 - Ritratto dell’autore in Jean le Jeune, Il missionario dell’oratorio overo Discorsi sagri di tutti li santissimi sagramenti tradotti dal francese in italiano da fra Matteo da Borgogna, eredi Monaco, 1702. - Ritratto dell’autore in Giacomo Lubrani, Prediche quaresimali, Giacomo Raillard per Carlo Porpora, 1702. - Frontespizio inciso di Giacinto Gimma, Elogj accademici della società degli spensierati di Rossano, Carlo Troise, 1703. - Ritratto dell’autore in Girolamo Maffettone, Pratica di catechistiche domande, Giacinto Pittante, 1704. - Tavole in Giovanni Battista Trutta, Novello giardino della prattica et esperienza, Novello De Bonis, 1707. - Ritratto di Vincenzo Orsini in Bonaventura Trotta, De justitia et jure, eredi Michele Monaco 1707. - Tavole in Simone da Napoli, Horologio della Passione di Giesu Christo, Felice Mosca, 1708. - Tavola ripiegata con la planimetria urbana e gli stemmi cittadini nell’opera storica di Giuseppe Bisogni dei Gatti, Hipponii seu Vibonis Valentiae, vel Montisleonis historia, Felice Mosca, 1710. È una documentazione che sicuramente contribuisce ad una migliore conoscenza dell’artista, del quale non molte sono le opere registrate in repertori. Jacques Blondeau Nato ad Anversa (si firma come “fiamengo”) e morto a Roma, è uno dei tanti artisti stranieri che si trasferisce in Italia seguendo i consueti itinerari di spostamento. Esordisce a Parigi dove risulta attivo nel 1675 (ritratto di Innocenzo XI in Jacques Le Pelletier, Instruction tres facile et necessaire pour obtenir en Cour de Rome toutes sortes d’expeditions de benefices, dispenses de mariages & autres, Paris, chez l’auteur et Christophe Journel, 1682) e vi incontra Bernini, al cui seguito giunge a Roma. È soprattutto un incisore di riproduzione e lavora , come Clowet, a preferenza per Gian Giacomo De Rossi, titolare della calcografia presso S. Maria alla Pace. Tra le sue opere romane : - Numerosi ritratti (dei cardinali Tussano Forbin de Janson, Giovanni Battista Costaguti, Marco Galli, Giovanni Battista Spinola, Fulvio Astalli, Pietro Bonzi ecc.) per l’opera Effigies nomina et cognomina s.d.n. Alexandri Papae VII et Cardinalium nunc viventium, De Rossi, 1658. - Una tavola, su disegno di Domenico Piola, in Massimiliano Dezza, Vita del venerabil padre Cesare Franciotti, Mascardi, 1680. - Ritratto di Leopoldo I in Sigismundi Augusti Mantuam adeuntis profectio ac triumphus […] Opus ex archetipo Iulij Romani[ ...] cum notis Io. Petri Bellorij a Petro Sancti Bartoli ex veteri exemplari traductum, aerique incisum, De Rossi, 1680. - Antiporta, su disegno di Giacinto Calandrucci, per Giovan Pietro Bellori, Veterum illustrium philosophorum, poetarum, rhetorum et oratorum imagines ex vetustis nummis, gemmis […] desumptae, De Rossi,1685. - Collabora (insieme a Barend de Bailliu, Gaspar van Wittel, Giovan Battista Falda e altri artisti), all’illustrazione di Cornelis Meyer, L’arte di restituire a Roma la tralasciata nauigatione del suo Tevere, Lazzari Varese, 1685. - Ritratti, su disegno di Ciro Ferri, nella Series chronologica et imagines regu[m] Hispaniae ab Ataulpho ad Carolum II , De Rossi, 1685. - Ritratto del biografato in Cristoforo Antici, Vita del ven. seruo di Dio p. Antonio Grassi, Giuseppe Vannacci, 1687. - Ritratto del card. Ottoboni, su disegno di Marco Mangano e con sottoscrizione editoriale del De Rossi, in Vniuersa scholastica theologia sub auspicijs Petri Otthoboni S.R.E. cardinalis  

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amplissimi Romae publicè defendendam exponit D. Sebastianus a Melficto in Collegio Anselmo-Benedictino P. P. Casinensium alumnus, Roma, Angelo Bernabò, 1690. - Ritratto del biografato, su disegno di Andrea Orazi in Paolo Mariani, Vita, e miracoli del venerabile seruo di Dio fr. Sebastiano d’Apparisio de’ Minori, Marcantonio e Orazio Campana, 1696. Nella città papale illustra anche avvisi di tesi, come l’incisione in due fogli per quella di Niccolò Piccolomini (stampata probabilmente nel 1685, anno della relativa discussione) su disegno di Dionisio Montorselli, di cui esegue la parte centrale, mentre la cornice è del Westerhout. A Napoli risulta attivo a partire dal 1681, quando incide il primo disegno del giovane Solimena per l’editoria napoletana : l’antiporta di Antonio Mazza, Historiarum epitome de rebus salernitanis , Giovanni Francesco Paci, 1681. Nel medesimo anno realizza l’antiporta di Giuseppe Maria Zucchi, La militia angelica, Antonio Bulifon, 1681 e il frontespizio di due opere di Carlo Casalicchio, Tuta conscientia seu theologia moralis, Marcantonio Ferri, 1681 e Resolutiones morales selectorum casuum conscientiae , Giuseppe Roselli, 1686. Documentato è il suo intervento in edizioni siciliane : - Ritratto del principe Carlo Maria Carafa, disegnato da Clemente Bruno e più volte reimpiegato (come dedicatario in Giovambattista Marino, Innocentium cladis, Palermo, Tommaso Romolo, 1691, come autore ne l’Istruttione cristiana per i principi. Mazzarino, Giuseppe La Barbera, 1687 e ne L’idiota volgarizzato, Mazzarino, stesso tipografo, 1688). - Due tavole a corredo di Carlo Maria Carafa, Il principe politico-cristiano cioè istruzione cristiana per i principi, e regnanti, Mazzarino, per Giouanni Van Berge, fiamengo, 1692. Il suo nome compare anche in un’edizione fermana : - Ritratto della biografata in Venanzo Bevilacqua, I frutti dello Spirito Santo riconosciuti nella vita della serua di Dio Lauinia Sernardi. Fermo, Gio. Francesco Bolis e fratelli, 1684. e in alcuni libri bolognesi : - Antiporta di Domenico Tommaso Mannelli, Theologicus animae Paradisus, Bologna, Giuseppe Longo, 1686. - Ritratto del celebrato, su disegno di Marco Mangano, in Romano Merighi, Rimprovero agli Accademici Concordi in lode del reuerendiss. P. abate D. Paolantonio Zaccarelli, Bologna, eredi del Sarti, 1691. - Ritratto del dedicatario, card. Benedetto Pamphili, in Alamanno Laurenzi, Tributo votivo a S. Filippo Benizi, Bologna, eredi di Antonio Pisarri, 1692.  







A lb e r t C l owe t Originario di Anversa, talvolta confuso con lo zio Pieter, viene in Italia per specializzarsi alla scuola di Cornelis Bloemaert e, come Blondeau, lavora per Gian Giacomo De Rossi. Sue incisioni sono attestate a Amsterdam, Lisbona, Roma, Napoli, Firenze, Macerata, Messina, Milano, Parma e Venezia. Muore a Napoli nel 1679. Ad Amsterdam firma il ritratto del card. Mazzarino in Le testament du defunct cardinal Jul. Mazarini. A Cologne, imprimè juxte la copie [ma Amsterdam, AbrahamWolfgang], 1663. A Lisbona realizza il ritratto del dedicatario, disegnato da Pietro Paolo Veglia, in Manuel Alvares Pegas, Opusculum de simultanea libera, Miguel Deslandes,1690 e l’antiporta di Simão de Vasconcellos, Chronica da Companhia de Jesu do estado do Brasil, Henrique Valente de Oliveira, 1673. A Roma incide ritratti : - di cardinali (Galeazzo Marescotti, Celio Piccolomini, Sigismondo Chigi, Antonio Bichi) per le già citate Effigies nomina et cognomina, De Rossi, 1658, per cui realizza anche il frontespizio ;  



flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 201 - di papi, collaborando con altri artisti (Teresa Del Po, Francesco Gualdo, Matthaeus Greuter ecc.), per le Vitae, et res gestae pontificum romanorum et s.r.e. cardinalium (fino a Clemente IX) di Alfonso Chacón, continuate fino a Clemente XII da Mario Guarnacci ; - di artisti (Annibale Carracci e Poussin) in Giovanni Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, successori al Mascardi, 1672 ; - del personaggio biografato o celebrato in Giovanni Battista Cancellotti, Vita della venerabile serua di Dio Francesca dal Serrone di San Seuerino (Varese, 1665), in Jean Jacques Bouchard, Petri Lasenae vita, (eredi di Vitale Mascardi, 1666) e in Giovanni Battista Pacichelli, Della vita di suor Maria Vittoria Angelini (Nicolò Angelo Tinassi, 1670) ; - dell’autore, su disegno di Salvator Rosa, in James Alban Gibbes, Carminum pars lyrica (Fabio de Falco, 1668), in Clemente Tosi, Dell’India orientale descrittione geografica, et historica (Michele Ercole, 1669) , in Giovanni Francesco Raimondi, Lettere, su disegno di A. Voet (Francesco Tizzoni, 1673), in Vincenzo Maria Fontana, Monumenta dominicana breuiter in synopsim collecta, disegnato da Lazzaro Longino (Nicolò Angelo Tinassi, 1675) e in Vincenzo Armanni Della nobile, & antica famiglia de’ Capizucchi baroni romani, su disegno di Francesco Allegrini (Nicolò Angelo Tinassi, 1668) ; - del dedicatario Innocenzo XI in Conclusiones theologicae Innocentio XI pontifici maximo a Carmelitis Discalceatis Collegij Sanctae Mariae de Victoria prouinciae Romana dicatae (Roma, Mancini, 1677) ; - di altri illustri personaggi : Amedeo III di Savoia in Congregatione sacrorum rituum siue eminentissimo, ac reuerendissimo D. card. De Maximis sabaudiæ. Canonizationis beati Amedei Sabaudiæ ducis tertij. Positio super dubio (Stamperia Camerale, 1676), S. Ignazio in Giuseppe Agnelli, Arte di conoscer l’ottimo osseruata nelle meditazioni proposte nella prima settimana degli esercizii spirituali di Santo Ignazio di Loiola (Giovanni Giacomo Komarek, 1695), il card. Antonio Bichi in Pietro Tallian, Conclusiones theologicae propugnatae publice Romae in Collegio Romano Societatis Iesu. A Fr. Pietro Tallian Ordinis Sancti Pauli primi eremitae Vngaro. Sub felicissimis auspicijs ... Antonij Bichi S.R.E. presbyteri cardinalis ( Angelo Bernabò, 1686), il cardinale Gaspare Carpineo in Franz Theodor von Gutenberg, Caelestis beatorum patria domus misericordiae Oratio habita ad SS. D.N. Clementem X (eredi Corbelletti, 1673). antiporte : - Giovanni Domenico Leoni, Breue ristretto della vita merauigliosa della venerabil serua di Dio suor Rosa di S. Maria da Lima, Nicolò Angelo Tinassi, 1665 ; - Marco Aurelio Massa, Philosophicae margaritae seu theses ex universa doctrina aristotelica, eredi Corbelletti, 1667 ; - James Alban Gibbes, Carminum pars lyrica, Fabio de Falco, 1668 (su disegno di Pietro da Cortona) ; - Jean Antoine Rampalle, Historia generalis fratrum Discalceatorum, ordinis B. Virginis Mariae de Monte Carmelo Congregationis S. Eliae, Filippo Maria Mancini, 1668-1671 ; - Giovanni Francesco Raimondi, Lettere, Michele Ercole, 1669 e 1673 (su disegno di Giovanni Battista Vassallo) ; - Konstanty Zielinski, Virtus coronata, Ignazio Lazzari, 1669 ; - Ottavio Boldoni, Epigraphae religiosae memoriales mortuales encomiasticae restitutio Boldoni, Nicolò Angelo Tinassi,1670 ; - Giuseppe Silos, Pinacotheca sive Romana pictura et sculptura, Filippo Maria Mancini, 1673 (su disegno di Salvator Rosa) ; - Giuseppe Agnelli, Il parrocchiano istruttore, Lazzari Varese, 1677 ; - Giuseppe de Camillis, La vita diuina ritrouata fra’ termini del tutto e del nulla, Lazzari Varese, 1677 ; - Agostino Monti, Latium restitutum, seu Latina lingua in veterem restituta splendorem, Antonio De Rossi, 1720.  

































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frontespizi : - con ritratto in Carlo Francesco Luca, Iter Lauretanae domus, Lazzari Varese, 1661 ; - Antonio Guzzi, Agrophilus, sive rusticatio tusculana, Fabio de Falco, 1669 ; - vignetta frontispiziale (Giustizia e Verità) in Giovanni Battista De Luca, Theatrum veritatis, et iustitiae siue Decisiui discursus ad veritatem editi in forensibus controuersijs canonicis, & ciuilibus, eredi Corbelletti, 1669-1678, ripetuta nell’Index a cura di Nicolao Falconio, eredi Corbelletti, 1680-1681 ; illustrazioni : - una tavola, su disegno di Luigi Garzi, in Cristobal de Arta, Vita, virtù e miracoli del beato Pasquale Baylon, Michele Ercole, 1672 ; iniziali : - nelle Vite dei pittori di Giovanni Pietro Bellori, successore al Mascardi, 1672. Realizza diverse incisioni per edizioni napoletane : - il ritratto, già citato, di Celano disegnato da Luca Giordano ; - l’antiporta su disegno di Giuseppe Donzelli per il Teatro farmaceutico dello stesso (Giacinto Passaro, 1667) e per lo Specchio del clero secolare di Pompeo Sarnelli (A. Bulifon, 1678-1679) ; - il ritratto del viceré Faxardo nella Escuela de principiantes di Pedro Texedo Sicilia (Giovanni Francesco Paci, 1678), quello del biografato (inciso a Roma) in Andrea Mastelloni, Narrativa historica del servo di Dio fra Paolino Zabatta (Gramignani, 1697) . È invece solo un reimpiego il ritratto di Clemente X eseguito a Roma per De Rossi, reimpiegato a Napoli in Matteo Terralavoro, Metaphisicae universalissimae tomus primus (Girolamo Fasulo, 1672). A Firenze esegue riproduzioni dai dipinti di Palazzo Pitti ed incisioni librarie : - ritratto del dedicatario Cosimo III in Domenico Maria Brancaccini, Sylloge dialecticorum, seu de ijs, quae Aristotelis organo continentur, scholasticorum fere omnium dissidentium accurata collectio, Vincenzo Vangelisti e Piero Matini, 1677. Sono attestate sue opere anche in edizioni messinesi : - ritratto del biografato in Giovanni Paolo dell’Epifania, L’idea del caualier Gerosolimitano mostrata nella vita di fra D. Agostino Grimaldo, Giacomo Mattei, 1662 ; veneziane : - ritratto dell’autore in Alessandro Sperelli, Paradossi morali, Venezia Paolo Baglioni 1666 e in Della preziosità della limosina, stesso autore, anno e tipografo ; milanesi : - antiporta, disegnata da Antonio Gherardi, di Giuseppe Paravicini, Theses ex universa philosophia, Federico Agnelli, 1669 ; maceratesi : - antiporta e ritratto dell’autore nel primo volume di Vincenzo Armanni, Delle lettere, Giuseppe Piccini, 1673 ; parmensi : - antiporta, disegnata da Lodovico Geminiani, di Philosophia rationalis, naturalis, transnaturalis, digesta in propositiones logicas, physicas, et metaphysicas quas propugnanda exhibuit comes Philippus Cattaneus Genuensis, Mario Vigna, 1674 ; e persino a Borgo Nuovo : - ritratto del gran Maestro Nicola Cotoner in Statuti della sacra religione gerosolimitana, Bartolomeo Cotta, 1674-1676 (prima edizione stampata in questo piccolo centro in provincia di Genova). Dunque un’esistenza caratterizzata da un’estrema mobilità, stando ai luoghi di impressione, e da un’attività artistica molto intensa in vari centri italiani.  











































flussi di mobilità degli artisti del libro napoletano del ’ 600 203 Fr a n ç o i s

de

L o u ve m o n t

Nato a Nevers nel 1648, lavora dapprima a Parigi, ma poi si trasferisce a Napoli dove muore intorno al 1695. È un po’ l’eccezione che conferma la regola perché, a differenza di molti suoi connazionali, non sceglie Roma come sede della sua attività, forse perché non riesce ad avere fortuna nella capitale. A Napoli riproduce opere di Lanfranco, Giacomo Del Po, Solimena (vedi sopra), inoltre realizza ritratti, antiporte e tavole soprattutto per Giacomo Raillard. Sottoscrive in proprio l’antiporta di Giacomo Lubrano, Suauiludia musarum (G. Raillard, 1690) e di Giovan Battista Pacichelli, Memorie novelle de’ viaggi per l’Europa (Parrino e Muzio, 1690), il ritratto di Giuseppe Toppi, autore di De furti virtuosi al tempo. Poesie (S. Castaldo, 1683), di Francesco Redi nella sua opera Esperienze intorno alla generazione degl’insetti (G. Raillard, 1687), e di Antonio Carafa nelle Pompe funerali per la sua morte (G. Raillard, 1694).

Abstract La mobilità degli artisti del libro napoletano del Seicento è influenzata da motivazioni non molto dissimili da quelle degli altri operatori del libro, come tipografi, editori e librai. Situazioni contingenti, di natura politica, sociale o personale (anche eventi calamitosi), ricerca di opportunità di lavoro più convenienti, di commesse e di protezione, desiderio di elevare la propria posizione sono certamente comuni a tutte le categorie, anche se per gli artisti una sollecitazione molto importante resta quella dello studio e della conoscenza delle opere dei maestri nei grandi centri della pittura italiana. Questi itinerari seguono percorsi obbligati, comuni a diverse personalità artistiche : se Roma richiama gli incisori stranieri per la sua importanza come centro di riproduzione grafica, Napoli invece diventa una meta allettante dopo la crisi demografica conseguente alla peste del 1656. Genealogie artistiche e figurative trovano spiegazione in molti casi proprio nella mobilità di questi maestri lungo percorsi comuni e privilegiati, suggerendo così indicazioni utili per valutare alcune linee di tendenza generali e nuove vie di ricerca per la identificazione delle strategie di lavoro e di esecuzione artistica.  

The mobility of 17th-century Neapolitan book artists is prompted by reasons that are not too far from those of other book professionals, such as printers, publishers and booksellers. Contingent situations of a political, social or personal nature (including calamities), the search for more profitable jobs, commissions and protection, the wish to raise their status are certainly shared by all of these categories, even if artists are of course mostly led to travel by a desire to study and learn about the works of the masters in Italy’s greatest painting centres. Such tours follow set routes, shared by several artistic figures : while Rome attracts foreign engravers because of its importance as a graphic printing centre, Naples becomes instead an attractive destination after the demographic crisis that followed the plague in 1656. Artistic and figurative genealogies are often accounted for by the mobility of such masters along shared, privileged routes, thus providing useful suggestions about some general trends and new researching methods for a better understanding of their working strategies and artistic techniques.  

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STAMPARE IN ITINERE : IL TORCHIO AL SEGUITO*  

Maria Gioia Tavoni

M

i occupo in questa sede di un argomento che in Italia, a quanto mi risulta, non è ancora stato affrontato. In Spagna invece alcuni studiosi hanno già parlato della consuetudine di produrre materiali a stampa durante un tragitto. Fernando Bouza, ad esempio, ha affidato a una breve frase di un suo libro la notizia relativa al tipografo Alonso Gómez, lo stesso che in società con il francese Pierre Cosin per primo stampò a Madrid a partire dal 1566, 1 il quale accompagnò il re Filippo II nel viaggio in Portogallo per produrre, strada facendo, materiali inneggianti all’augusto committente. Fondandonsi su documenti inediti, Bouza informa che l’attività di Gómez, impressore reale, è attestata nel Libro Mastro con un pagamento di 6000 reali a proposito dei quali si dice che tale compenso era dovuto allo stampatore « per essersi egli occupato [...] delle stampe che ha fatto al servizio di sua Maestà » e « per l’acquisto della carta e per la locazione di una casa e di una cassa grande di noce per custodire tutto quanto si pubblicava ». Sebbene le stampe manchino di sottoscrizione, il confronto dei caratteri mobili impiegati in questa impressione con quelli di Gómez dimostra che questi ne è il responsabile. 2 Trovandosi Filippo II con una piccola corte a Badajoz in posizione avanzata verso la frontiera portoghese nella primavera del 1580 è presumibile che proprio questo fosse il luogo in cui il corteo reale fece una sosta per consentire la stampa di una buona parte di questi materiali che dovevano fungere da cassa di risonanza della propaganda di Filippo II. Se questo esempio, tratto dal Cinquecento, offre allo studioso anche la possibilità di ipotizzare che il tipografo spagnolo si sia spostato in un secondo tempo per raggiungere il corteo reale e abbia approfittato di una sosta per collocare nella casa affittata le sue dotazioni di stampa, le testimonianze del xvii secolo che mi accingo ad esporre, riguardano invece torchi in movimento per occasioni solenni o visite pastorali. Ancor più esplicativa, rispetto all’esempio offerto da Bouza, è infatti la narrazione compresa in un volume, sempre spagnolo, che non ci parla di un tipografo al seguito, ma di un carro, sul quale è issato un torchio che stampa in itinere durante una processione. Vale la pena soffermarsi su questa importante occasione. Nel 1662 a Valenza, fra danze di gitane e di gitani, il folto popolo dei fedeli segue la solenne processione della Immacolata Vergine Maria che, accompagnata da  







* Ringrazio per preziose informazioni gli amici Pedro M. Cátedra e Antonio Castillo Gómez. 1   Frédéric Barbier, Storia del libro : dall’antichità al xx secolo, Postfazione di Mario Infelise, Bari, Dedalo, 2004, p. 277. 2   Fernando Bouza, Imagen y propaganda. Capítulos de historia cultural del reinado de Felipe II, Madrid, Akal, 1998, in particolare pp. 150-151 ; la nota 53 informa che il pagamento avvenne il 9.7.1581 per un lavoro svolto tra febbraio e marzo del 1580.  



206 maria gioia tavoni carri e da suoni e canti, si snoda per le piazze e le calli della città. 1 Sull’articolata manifestazione fa fede il libro scritto da Juan Bautista de Valda, cronista attento a tutto ciò che si offre ai suoi occhi di spettatore e ad un tempo capace di individuare e collegare tra loro le strategie editoriali e pubbliche che si registrano durante la cerimonia religiosa, come con la sua consueta capacità critica ha messo in rilievo Antonio Castillo Gómez. 2 La cronaca redatta da Valda è adorna di splendide incisioni che seguono la narrazione degli spostamenti della processione, con la folla acclamante. L’occasione è importante : tutta la città partecipa all’avvenimento, che trova la sua ragion d’esere nel Breve del papa Alessandro VII, emanato nel 1661, che pose al centro del suo atto la concezione della Vergine immacolata prima del divino concepimento. Le pagine di Valda furono stampate l’anno successivo alla cerimonia da Jerónimo Vilagrasa, che si presenta nella sottoscrizione come tipografo della città 3 e che così si firma a partire dal 1660. Dalla cronaca si evince il gran tripudio della festa con cui si celebra la Vergine, destinataria di un culto assai sentito nel Regno di Spagna. In realtà la Reseña historica en forma de diccionario de las imprentas que han existido en Valencia, 4 informa, sebbene in modo succinto, che Vilagrasa è stampatore a Valenza fin dal 1651 e che non pubblica unicamente il volume composito che accompagna le diverse fasi dell’occasione solenne, comprensivo degli epigrammi e di altri versi inneggianti l’Immacolata, oltre alle preghiere che vi si recitano. Sebbene le Solenes fiestas que celebró Valencia a la Inmaculada Concepción de la Virgen Maria, siano l’espressione più rilevante del suo catalogo, Vilagrasa è infatti responsabile di numerosi altri  

1   Sulle feste per l’Immacolata a Valenza e nel Regno, si veda Carmen Rodrigo Zarzosa, Solemnes fiestas en honor de la Immaculada Conceptión celebradas en Valencia en nel siglo xvii, in La Inmaculada Concepción en España : religiosidad, historia y arte. Actas del simposium, 1/4-ix-2005, coord. por Francisco Javier Campos y Fernández de Sevilla, San Lorenzo de El Escorial, Ediciones Escurialenses ; Real Centro Universitario Escorial-María Cristina, 2005, vol. 1, pp. 475-500 e di Antonio Castillo Gómez, Défense et critiques de l’Inmaculée Conception : écriture et événement dans la première moitié du xviie siècle, in L’écho de l’événement. Du Moyen âge à l’époque contemporaine, a cura di Christine Rivalan-Guégo et Denis Rodrigues, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2011, pp. 55-64. 2   Antonio Castillo Gómez, No sólo libros, Papeles efímeros en la sociedad hispana de la temprana Edad Moderna, in El libro en el mundo hispánico : nuevas tendencias y direcciones, ed. Clive Griffin & Juan-Carlos Conde, New York, Hispanic Seminary of Medieval Studies, 2012 o 2013 e Id., Panfletos, coplas y libelos injuriosos. Palabras silenciadas en el Siglo de Oro, in Las Españas que (no) pudieron ser. Herejías, exilios y otras conciencias (siglos XVI-xx), a cura di Manuel Peña Díaz, Huelva, Ediciones de la Universidad de Huelva, 2009, pp. 59-73. 3   Solenes fiestas que celebro Valencia, a la Immaculada Concepcion de la Virgen Maria : por el svpremo Decreto de N.S.S. Pontifice Alexandro VII. ofrecelas al Rey Nvestro Señor. Escrivelas de orden de la misma Ciudad Ivan Bavtista de Valda. Con licencia, en Valencia, por Geronimo Vilagrasa, Impresor de la Ciudad, en la calle de las Barcas, año 1663. [36], 632 [i.e.634], 112 p., 21 tav. : ill. ; 4º. Contiene i sermoni recitati in occasione della festa dal canonico Melchor Fuster, pp. 1-112. Segn. : []±4, *-**±4, ***±6, A-Z, Aa-Zz±4, Aaaa-Gggg±4, Hhhh±2, A-O±4. Tavole incluse nella paginazione, eccetto la n.° 8, 9, 12-17, 21, che non sono computate nella paginazione stessa, in sequenza errata. (esemplare descritto : Valencia, Biblioteca Valenciana, coll. : XVII/1004, versione digitale disponibile dal sito della Biblioteca Valenciana Digital : http ://bivaldi.gva.es).  Antip. calc. con stemma di Valenza, con la firma : “Apud Vilagrasa”, “A. Marco invenit” “F. Candi f. an. 1663”. 4   José Enrique Serrano y Morales, Reseña histórica en forma de diccionario de las imprentas que han existido en Valencia : desde la introduccion del arte tipográfico en España hasta el año 1868 : con noticias biobibliográficas de los principales impresores, Valencia, [s.n.], 1898-99.  

























stampare in itinere: il torchio al seguito 207 testi religiosi strettamente legati alla città catalana ed è anche il maggiore, se non unico per importanza, tipografo a Valenza del xvii secolo. In questa cerimonia, che si svolge in Spagna in ossequio ad una tradizione consolidata, 1 va rilevato che Vilagrasa partecipa a quel processo che intende la celebrazione religiosa un momento anche in cui è lecito produrre e diffondere, quasi in simultanea, fogli stampati in itinere, posti sotto la protezione della Vergine e a lei dedicati, come si rileva dalle pagine del volume e dalle parole di Valda. Due in particolare sono le incisioni che consentono di entrare nel vivo del tema. La prima che qui si considera svetta per la sua magnificenza compositiva (Fig. 1) : il torchio vi appare ben visibile, issato sul carro a forma di nave, in ricordo dei trionfi romani. La Vergine, ritta sul trono, assiste alla stampa che si svolge sotto il controllo di due giovani, i quali sorvegliano l’uscita dalla platina di materiali, che vengono consegnati a un personaggio presumibilmente di rango, il quale li distribuisce a sua volta ai fedeli plaudenti.  

Fig. 1. Prima immagine del torchio issato sul carro, come si può ammirare nelle Solenes fiestas alla p. 284. 1

  Si veda di Pilar Pedraza, Las fiestas de la nobleza valenciana en el siglo xvii : ejemplo caracteristico (1662), « Estudis », vi (1977), pp. 101-121 ; sulla consuetudine religiosa delle feste dell’Immacolata e sulle le solenni feste mariane che furono una tradizione almeno dal 1623 : cfr. Juan Nicolas Creuhades, Solenes y grandiosas fiestas que la noble y leal Ciudad de Valencia ha hecho por el nueuo Decreto que la Santidad de Gregorio XV ha concedido en fauor de la Inmaculada Concepcion de Maria Madre de Dios ... : Con el Decreto de su santidad, y el certamen poético, Valencia : por Pedro Patricio Mey ..., vendese es la misma emprenta, 1623, dove si descrive nel dettaglio una complessa e articolata precedente processione mariana. Per la bibliografia su questo importante avvenimento e sulle controverse interpretazioni sulla Immacolata, si veda di A. Castillo Gómez, Panfletos, coplas y libelos injuriosos. Palabras silenciadas en el Siglo de Oro, cit.  













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maria gioia tavoni

Del congegno tipografico, issato sul carro, si danno nel libro molti ragguagli : il « Torculo o presa » con « una lámina fina » stampava poi, come si può vedere nella seconda incisione qui riprodotta (Fig. 2), l’immagine della Vergine dalla testa incoronata da dodici stelle e sormontata dal « divino Espiritu » che la illumina coi suoi raggi ; per tutti l’incisione era approntata su carta di pregio ma, per alcune persone altolocate, perfino « en tafetan », ossia in seta. La Vergine apparre contornata da angeli, con la luna ai suoi piedi mentre calpesta il drago, espressione « de la culpa » ; nella parte bassa della tavola, alla sua destra, è raffigurato il papa Alessandro VII col Breve fra le mani e alla sinistra si colloca la schiera dei dignitari. Valda inserisce nelle pagine anche i versi, i motti e le epistole nel « volgar IdioFig. 2. Immagine della Vergine Immacolata che ma » a lei inneggianti e oggetto venne stampata durante la processione dell Sole- anch’essi di pubblicazione lungo il nes fiestas, e che costituisce l’antiporta del volume tragitto della processione. Così si pubblicato da Vilagrasa. legge nel capitolo e così si coglie dall’antiporta incisa della Purisima Concepción data in luce da Vilagrasa, la medesima illustrazione che viene stampata durante la grande festa dedicata all’Immacolata. La seconda immagine del torchio (Fig. 3), ultima di quelle raffiguranti carri all’interno di questo volume, mostra il torchio a stella tipico delle stampe calcografiche in un tripudio di suoni e di angeli che fanno da corona alla pratica tipografica. Il torchio si ammira in tutta la sua fenomenologia nella immagine dove due alabardieri chiamano a raccolta il corteo che segue la processione. Sicuramente il veicolo che dava fuori stampe effimere si fermava in zone strategiche e nelle soste avviava l’attività della pressa : l’impressione su rame è infatti molto più delicata della xilografia ed anche il solo eseguirla su un carro è azione che solo veri esperti della morsura potevano intraprendere. Il resoconto spagnolo, dunque, fa luce su di un torchio che viaggia e stampa in itinere materiali della letteratura popolare di consumo quasi immediato. Ma in Italia si può trovare documentata analoga situazione di un torchio caricato su di un carro o che, in ogni caso, stampasse strada facendo ?  

































stampare in itinere: il torchio al seguito

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Fig. 3. Seconda immagine del carro con il torchio a stella per le incisioni, come si può ammirare nelle Solenes fiesta alla p. 287.

Sebbene le mie ricerche si siano estese ad alcuni archivi statali e religiosi, oltre che a numerose biblioteche della regione Emilia-Romagna, per il xvii secolo un solo caso mi è stato possibile individuare. A Imola, nella Biblioteca Comunale, si conserva infatti un prezioso documento che attesta come un torchio viaggiasse a seguito di una visita vescovile che si estese nel contado. 1 L’occasione è differente 1   Biblioteca Comunale di Imola, ms. n. 11, c. 314, s.d. Difesa del vescovo d’Imola Costanzo Zani, contro molti addebiti e accuse fatte al suo governo ecclesiastico. Trascrivo integralmente, con accenti e punteggiatura attualizzati, la parte del documento, articolato in xxi capi d’accusa, che ha preciso riferimento con la stampa in itinere al seguito del vescovo. « All’xia stafilata, che il Vescovo lassi vendere le solite polize o fedi stampate della Cresima, che per occcasione di visita 3 baiochi e che sopra ciò facci notabil guadagno è falsissimo come è stato provato da [...] Governatore di Lugo, che doppo essere stato scomunicato dal Vescovo l’imputò di simil calunnia nella Congregazione delle Immunità, la quale alla medesima Sacra Congregazione de Vescovi transmise le giustificazioni le quali contengono che ab inmemorabili si costuma nella Diocese de Imola queste fedi in stampa dove si notano li nomi delli Cresimati e Padrini per poterli notare su i libri delli Parochi, le quali fedi sotto al signor Cardinale Donghi si vendevano dallo stampatore 5 baiochi atteso l’obbligo havea di viaggiare col Vescovo per la Diocese a proprie spese, sotto Monsignor Ghislieri furono ridotte a 3 e sotto Monsignor Zani a 2 baiochi, né si puole diminuire il prezzo perché alli poveri si fa dare gratis, né di questi dennari che in sostanza è una miseria il Vescovo non ne sente un minimo utile et intanto si attaccano a queste debolezze, perché non sano che dire del suo Vescovo, il quale havendo visitato in due anni tutta la Diocese, havrebbero con altre tanta tristizia censurato i suoi mancamenti, se ne havesse commesso, il che tutto fu approvato nella Sacra Congregazione dell’Immunità con fedi che mandavano a Monsignor Taia ponente della causa ».  



210 maria gioia tavoni rispetto alle Solenes fiestas pur tuttavia simile quanto al processo che vi si compie e ai presupposti che la animano. Procediamo per gradi, cercando di capire come e perché questo documento, segnalato per la prima volta dallo studioso romagnolo Ivanno Cervellati, 1 e da me trascritto in alcune sue parti in altro intervento, 2 riferisca sull’occasione che si verificò a Imola. Così facendo tenteremo anche di scoprire perché agli stampatori fosse concesso il privilegio di stampare in itinere. Nella città romagnola la stampa nasce tardi rispetto al momento in cui appare altri centri della regione. Imola, inclusa nella Legazione di Romagna, si trovò ad essere schiacciata non solo da Bologna in cui i primi torchi tipografici si azionarono nel 1471, ma anche da Ferrara, dato che le due più importanti Legazioni beneficiavano di particolari attenzioni da parte dello Stato Pontificio ; in conseguenza di tale situazione, per Imola fu impossibile ospitare officine tipografiche fino al 1587. Fu in quell’anno, infatti, grazie all’opera breve ma innovatrice degli stampatori ravennati Andrea e Ludovico Miserocchi, anch’essi tipografi in mobilità in cerca di nuovi sbocchi che, uniti in società con l’imolese Lorenzo Gianotti, fu consentito pure a Imola l’entrata in azione di torchi e caratteri mobili. Gianotti, rimasto solo, nel 1587 diede fuori La nuova tragedia del Garzoni, primo libro a stampa a Imola, e da quello stesso anno rimase l’unico tipografo in città, stampando dal 1587 al 1589. 3 E forse non a caso sono di Gianotti, anche gli Statuti della città, 4 presenti in un unico esemplare alla Comunale della città romagnola e, sicuramente uscì dai suoi torchi, il volume di Gregorio Nazianzieno, creduto per molto tempo la prima impressione imolese, di formato molto piccolo, in ventiquattresimo, composto di 571 pagine oltre 69 con indice « locupletissimo » ed errata corrige. 5 Tuttavia, tra il 1590 e la metà del xvii secolo, l’iniziativa tipografica a Imola si arrestò e stentò a decollare un’altra volta. Si dovette attendere l’autoctono Giacinto Massa, dapprima libraio e  



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  Ivanno Cervellati, Carta, « cartulari », stracciaroli, librai e stampatori in Imola tra xiii e xvii secolo, « Pagine di vita e storia imolesi » 5, 1994, pp. 49-94, in particolare nota 128. 2   Maria Gioia Tavoni, I “materiali minori” : uno spazio per la storia del libro, in Gli spazi del libro nel xviii secolo, Bologna, Pàtron, 1997, pp. 87-112. 3   Tommaso Garzoni, Nuoua tragedia de’ diauoli composta da vn capriccioso poeta per celebrare il Palazzo de gl’incanti opera rara del Garzoni. Doue si descriue la ribellione de’ demoni fatta da Plutone, causata da vna oratione di Calcabrino, a questo nuouo palagio ; con le lagrime disperate di Plutone, & Proserpina, i quali per tal ribellione s’impiccano per la gola di dolore, In Imola : per Lorenzo Gianotti, 1587. Edit 16 cnce 25811. Si fa presente che la forma del cognome dello stampatore in Edit 16 è Zanotti mentre dai documenti da me consultati lo stampatore risulta sempre citato come Gianotti, cognome, peraltro come quello di Zanotti, ancora assai presente nella realtà imolese. 4   Statuti decreti, et ordinationi della magnifica citta d’Immola et pertinenti all’officio de gli illustri signori confalonieri, & de’ signori conservatori [...], 1587, Stampato presumibilmente ad Imola da Lorenzo Gianotti. Edit 16 cnce 67170. Si segnala dello stesso tipografo anche la lettera ai consiglieri del senato imolese Molto illustrissimi signori et patroni mei sempre osseruandissimi ... [1587] data che si ricava dal testo : Edit 16 cnce 47899, in copia unica alla Comunale imolese. Cfr. anche Claudia Giuliani, La stampa a Ravenna nel xvi secolo, in Il libro in Romagna : produzione commercio e consumo dalla fine del secolo xv all’età contemporanea. Convegno di studi, Cesena 23-25 marzo 1995, a cura di Lorenzo Baldacchini e Anna Manfron, Firenze, Olschki, 1998, pp. 179-197. 5   D. Gregorii Nazianzeni, Cognomento theologi Tetrasticha, et monosticha spiritualia cum commentario Nicetae qui & Dauid philosophi nunc primum in Latina lingua in lucem edito interprete Hercule Phaello, presbytero Imolensi. Accessit dicti Herculis commentarium super eisdem versibus ad discendam, instituendamque vitam spiritualem perutile cum indice rerum locupletissimo in fine, Imolae : apud Laurentium Gianottum, 1588.  



















stampare in itinere: il torchio al seguito 211 venditore di carta poi tipografo ed editore di opere anche di una certa mole, il quale donò finalmente continuità e stabilità ai torchi imolesi. La città vantava allora poco più di 6.000 abitanti contro i 14-15.000 di Ravenna, il centro trainante della Romagna. 1 L’attività di Giacinto Massa si fondò, a partire dal 1629, unicamente sul commercio di libri e di quegli articoli di cancelleria, di cui il Comune avesse bisogno. Solo più tardi essa fece affidamento sulla stampa di quei materiali minori che alla Comunità e alla Diocesi, in grande fermento normativo dopo il Concilio di Trento, necessitavano sempre di più. I materiali cosiddetti « burocratici », tipologie testuali dirette ai sudditi e ai fedeli, ovvero documenti a stampa ufficiali sia di ambito laico sia frutto della sfera religiosa, costituirono dapprima le forme più consolidate di produzione a stampa del Massa. Circa i particolari prodotti del torchio, va rilevato che non solo a Imola, ma pressoché in tutta la Romagna, sebbene le botteghe artigiane di librai/stampatori fossero nel xvii secolo triplicate rispetto al Cinquecento, si diedero fuori queste stampe e altre quasi esclusivamente destinate allo smercio interno alle singole città. I materiali minori non erano tuttavia prerogativa dei soli centri periferici. Si ricorda, come ulteriore esempio, che anche a Bologna, seppure città egemone delle Legazioni pontificie quanto a produzione libraria, i tipografi spesso sono assiepati lungo i margini delle strade protette da cui provengono ordini di notevole entità. Il cantore di S. Domenico nel 1716 commissiona infatti alla tipografia alla Rosa un numero di copie impensabili, ovvero settemila e cinquecento unità di « calendini », sorta di calendari liturgici da distribuire ai fedeli. 2 In Romagna, a questo mercato si aggiungeva la richiesta di una produzione popolare costituita da sillabari, lunari e panegirici poetici. Per quanto riguardava, invece, le esigenze degli studiosi più importanti e dei professionisti del diritto, altre erano le piazze ricercate, dove l’attività tipografica di qualità poteva vantare una lunga tradizione. In primis fu Bologna, come facilmente si può immaginare, che si accaparrò le commesse più impegnative dei centri limitrofi, compreso il commercio librario di notevole consistenza. Insomma, si può affermare senza tema di smentite che la presenza dello Studium bolognese e dell’attività culturale ad esso legata inflisse ad Imola una forte limitazione. Fu difficile, se non impossibile, per la piccola città romagnola, intraprendere pubblicazioni di una clientela selezionata e attrezzata intellettualmente in modo tale da fornire testi per le stampe di indiscussa qualità erudita. A Imola, come peraltro in altri piccoli centri della Penisola, ci si accontentava di stampare su commissione della Comunità, oltre ai materiali burocratici dovuti alla sovvenzione pubblica, vera e propria fonte di sostentamento, quasi solo le stampe occasionali. Esse sono tipiche di un secolo,  





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  Pierangelo Bellettini, Stampare in provincia : le tipografie romagnole nel xvii secolo, « La Bibliofilia », xcv (1993), 3, pp. 271-301, in particolare p. 272. Si veda anche Romeo Galli, La stampa in Romagna, in Tesori delle biblioteche d’Italia : Emilia e Romagna, a cura di Domenico Fava, Milano, Hoepli, 1932, pp. 593-621 e per un approccio al tema, Luigi Balsamo, I centri di produzione e diffusione libraria, in Le sedi della cultura nell’Emilia Romagna. L’epoca delle signorie : le città, Federazione delle Casse di Risparmio e delle Banche del Monte dell’Emilia e Romagna, 1986, pp. 63-84. 2   Archivio di Stato di Bologna, Archivi privati, Boschi, b. 300. Cfr. Maria Gioia Tavoni, Tipografi e produzione libraria, in Produzione e circolazione libraria nel Settecento. Avvio di un’indagine. Atti del v colloquio, Bologna 22-23 febbraio 1985, p. 110.  









212 maria gioia tavoni il Seicento, che vantò una sorta di « mania versaiola », come la definì Romeo Galli. 1 Ancor più esplicitamente si espresse Gian Vincenzo Gravina, in Della division d’Arcadia, lettera ad un amico, il quale si scagliò contro le « cicalate pastorali » costituite da « sonettini e canzoncine » che andavano a discapito di « qualche più solida e più profittevole applicazione » e di più « nobili argomenti ». 2 Questo ruolo “minore” nell’attività tipografica, non per quantità ma per qualità, fu la caratteristica che segnò le tipografie di Imola e del resto della Romagna. Spesso i tipografi si legarono al Comune, come Massa e il suo socio, il forlivese Giovanni Cimatti, i quali nel 1651, quando misero in funzione i loro torchi, chiesero all’amministrazione cittadina l’esclusiva commerciale e una contribuzione annuale di 40 lire per 15 anni e l’esenzione dai dazi sia sulla casa di abitazione che sulla bottega nonché sui materiali importati ed esportati per avviare la propria attività. In cambio venne richiesta loro la fornitura gratuita di cancelleria e la stampa di bandi, decreti, notificazioni, tariffe, bollette, moduli, prestampati, contratti d’affitto, ecc., che non eccedessero la pagina, al prezzo della sola carta. 3 Si trattava di pubblicazioni che non consentivano uno slancio produttivo ma permettevano la sopravvivenza andandosi ad aggiungere al sussidio annuale concesso dalla Comunità, la quale era incline a finanziare la reintroduzione della stampa, considerata un servizio importante che non poteva certo mancare in una città, anche se di piccole dimensioni. Quasi tutte le imprese degli stampatori del Seicento, in Romagna, possono dirsi nate a seguito di una sovvenzione pubblica, ragion per cui tali stampatori poterono così fregiarsi, nelle sottoscrizioni, della qualifica di tipografi camerali o pubblici. Essere insigniti del titolo di stampatore camerale e/o arcivescovile o della Comunità significava dunque non solo esibire valide credenziali, ma assicurarsi commesse che davano la facoltà di continuare a produrre a lungo, e consentivano di sbarcare il lunario, come avvenne al Massa che poté stampare a Imola in società dal 1651 e poi da solo fino alla fine degli anni settanta del secolo, senza incontrare sulla strada altri concorrenti. Fu proprio Giacinto Massa il protagonista della stampa in itinere nella città romagnola. Massa venne chiamato al seguito del bolognese Costanzo Zani, vescovo della diocesi di Imola dal 1672 al 1694 anno della sua morte, per stampare durante la visita pastorale le fedi della cresima. L’insigne prelato, si recò infatti, in data non precisata, in visita nel contado insieme con il Massa, portandosi al seguito la sua attrezzatura tipografica. Quest’ultimo fu incaricato di mettere sotto il torchio, lungo la via, i particolari materiali burocratici legati ai sacramenti, attestati che comprovavano non solo l’identità del cresimato ma anche la sua provenienza e, quindi, in età di particolarismo giuridico, i suoi diritti soggettivi. 4 Tali documenti erano necessari perché i dati personali fossero poi trascritti nei registri parrocchiali, in uso anco 



















1   Romeo Galli, L’arte della stampa in Imola : note e appunti, Imola, Cooperativa Tipografica Editrice, 1901, p. 9. 2   Gian Vincenzo Gravina, Scritti critici e teorici, a cura di Amedeo Quondam, Bari, Laterza, 1973, pp. 3 472-473.   Ivi, p. 14. 4   Poche sono le informazioni su questi particolari documenti. Un esempio, quanto al loro uso, lo si ricava da Pasquale Tola, Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, volume primo, Torino, Tipografia Chirio e Mina, 1857 a proposito delle fedi di battesimo e di cresima di Carlo Buragna, nato a Cagliari nel 1632 e morto a Napoli nel 1697.  

stampare in itinere: il torchio al seguito 213 ra prima del Concilio tridentino, divenuti obbligatori nel 1563, per quanto riguarda battesimi, cresime e nozze, e per i decessi nel 1614, lo stesso anno in cui la Santa Sede ne regolamentò le norme proprio per la loro compilazione. Non fu con ogni probabilità la prima volta che Massa si trovò a seguire il suo vescovo, il quale lasciò il memoriale manoscritto (Fig. 4), di cui si è detto, per scagionarsi dalle accuse, mossegli dai consiglieri comunali, di aver fatto stampare le suddette fedi lucrando su di esse. Venivano infatti vendute alla cifra di 3 baiocchi e si disse pertanto che « sopra ciò [il vescovo ricavasse] notabil guadagno ». Cervellati, dichiara, relegando la frase esclusivamente in una nota del suo articolato e ricco testo : « Si sa che lo stampatore della Comunità, ai Fig. 4. Difesa del vescovo d’Imola Costanzo Zani, contempi dei vescovi Donghi 1 e Zani, tro molti addebiti e accuse fatte al suo governo ecclesiaera obbligato a viaggiare con loro, stico. Biblioteca Comunale di Imola, ms. n. 11. Al durante le visite alla Diocesi, con il paragrafo xi si legge la sintesi dell’accusa rivolta al vescovo Zani. compito di predisporre e vendere, a prezzi concordati, fedi e attestati inerenti all’attività pastorale ». 2 E in effetti il documento parla di visite precedenti, oltre a quelle del vescovo Zani che in due anni si portò in tutta la Diocesi. Varrà pertanto la pena indirizzare le ricerche anche sul vescovo Giovanni Stefano Donghi, che forse non è un caso avesse studiato a Salamanca in Spagna dove la pratica della stampa in itinere era diffusa, in quanto le parole del documento danno quasi per scontato che l’usanza di pubblicare materiali minori, lungo il percorso stabilito dai responsabili della Diocesi, fosse una costante anche dei torchi imolesi. Ma come si difese il vescovo Zani dalle accuse che gli erano state rivolte ? Affidandoci sempre al documento, si rileva che il vescovo sottolinea che era costume di stampare tali fedi che « sotto al signor Cardinale Donghi si vendevano dallo stampatore 5 baiochi atteso l’obbligo [che lo stampatore] havea di viaggiare col Vescovo per la Diocesi a proprie spese », e che le fedi « con li nomi delli Cresimati, e Padrini per poterli notare sui libri delli Parochi, le quali fedi [...] sotto monsignor Ghislieri  

















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  Giovann Stefano Donghi fu vescovo di Imola dal 1655 al 1663.   Cfr. I. Cervellati, Carta, « cartulari », stracciaroli, librai e stampatori in Imola tra xiii e xvii secolo, cit., che sul tipografo Giacinto Massa si sofferma alle pp. 73-75, ma che sul documento del vescovo Zani dice solo le parole citate, nella nota 128 a p. 91. 2





214 maria gioia tavoni furono ridotte a 3 e sotto monsignor Zani a 2 baiochi, né si puole diminuire il prezzo perché alli poveri si fa dare gratis, né di questi dennari che in sostanza è una miseria il vescovo non ne sente un minimo utile, si vendevano dallo stampatore 5 baiochi », 1 sempre citando la fonte difensiva di Zani. Per avere un’idea della capacità d’acquisto dei baiocchi utilizzo un documento che, sebbene del 5 settembre 1739, fa luce sul prezzo di generi di prima necessità, ovvero su « Cacciatelle, Buffette, Scarpette, Ciambelle, Bracciatelli, Piadine, e simili » che si vendevano infatti sia a Faenza sia a Imola, secondo questo piano tariffario :  







« Per bajocchi quattro _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ oncie 29 Per bajocchi dua _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _oncie 14 1/2 Per bajocchi uno _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _oncie 7 1/4 Per quattrini tre _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ oncie 3 5/8 Bruno la Tiera da bajocchi quattro _ _ _ oncie 51 Tiera da baiocchi dua _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ oncie 25 ½ ». 2  



Come si è visto, insistendo sul fatto che il tipografo era gravato dalle spese, tutte a suo carico, Zani tentò di far ricadere il costo delle fedi unicamente sullo stampatore, dichiarandosi estraneo al commercio in proprio di tali documenti. Si tratta di un contenzioso di cui purtroppo non conosciamo l’esito ma che svela come questi materiali fossero appetiti non unicamente da coloro che li producevano ma pure da chi ne era il primo committente. Una cosa comunque è certa : i torchi, pur di non restare inoperosi, si muovevano e si prodigavano anche in attività episodiche che comportavano sicuramente molte difficoltà tecniche, ma che assecondavano innegabilmente la produzione su larga scala e il relativo smercio come si è visto accadere anche in Spagna. Ma a questo punto è bene che mi avvii alle conclusioni. Molti tipografi, anche nella veste di librai e editori – lo abbiamo appreso nel corso dell’importante convegno sulla mobilità dei mestieri del libro –-, sono in Italia niente di più che semplici artigiani in possesso delle conoscenze tecniche o ancor più spesso piccoli imprenditori che si spostano da un centro all’altro, a volte da uno periferico ad uno più grande, ma non sempre, disponendosi ad attrezzare nuove officine per tentare la sorte in realtà diverse della Penisola, rincorrendo quei barlumi di aspettative che si aprivano nel clima di difficoltà proprie del mestiere. I risultati cui si è pervenuti con tali ricerche sono importanti e le fonti utilizzate risultano di vario tipo tuttavia assai differenti da quelle da me impiegate. Basti pensare che quelle alle quali ho attinto per il mio intervento sono di varia natura : non solo archivistiche ma pure cronachistiche tratte da un resoconto letterario, che lascia sempre il dubbio sulla propria attendibilità. Da tutte le fonti a cui ho fatto ricorso emerge in ogni caso che la ricerca si fonda su testimonianze in cui si parla unicamente della produzione di materiali minori sia politici sia religiosi, sempre destinati a un rapido consumo, anche se voluti dai maggiori centri di potere. E sebbene tali pubblicazioni non siano di certo estranee ai cataloghi di altri stampatori dell’epoca,  



1   Vedi il documento trascritto alla nota 1, p. 209 e M. G. Tavoni, I materiali minori : uno spazio, cit., p. 99, n. 45. 2   Biblioteca Comunale ; Archivio Storico Comunale di Imola, Editti e notificazioni varie, Bandi e notificazioni riguardanti l’Abbondanza dal 1556 al 1796.  



stampare in itinere: il torchio al seguito 215 è il loro modo di essere prodotte che le rende qualche cosa di particolare rispetto alle stampe della maggioranza dei tipografi e/o editori stanziali o che si muovevano da una città ad un’altra in cerca di protezioni e di sempre nuove commesse. Il caso del torchio al seguito è infatti sostanzialmente diverso da altri spostamenti di attrezzature per la stampa : presuppone che il tipografo, nei casi esaminati quello preminente, se non addirittura l’unico della città, usufruisca di occasioni favorevoli per stampare con poco dispendio di mezzi e di capitali investiti, quei materiali minori soprattutto religiosi che incontravano il favore dei fedeli e che si potevano quindi smerciare con grande facilità e in quantità neppure immaginabili per altre pubblicazioni ancorché sempre devozionali. Il ritorno economico delle spese sostenute (carta, caratteri, matrici e altro) era inoltre immediato giacché l’intera tiratura andava esaurita nel breve arco di tempo di una processione o di una visita pastorale. Era cioè concesso a quei tipografi, cui era data la facoltà di seguire le manifestazioni a cui si è accennato, una sorta di privilegio aggiuntivo a quelli che già detenevano nelle varie città per provvedere meglio alle loro esigenze economiche, che nei piccoli centri dipendevano quasi unicamente dal mercato del territorio e dalle commesse locali, come si è dimostrato. Il fenomeno della stampa occasionale in itinere, qui considerata prevalentemente per il Seicento, fu in realtà caratterizzato dalla lunga durata, sopravvivendo per tutto l’antico regime tipografico. La pratica si ripeté infatti in Italia nell’Ottocento. In occasione della festa « patria » popolare del Gnoccolare, che si tiene l’ultimo venerdì di Carnevale, 1 nel 1838 a Verona, la Tipografia Provinciale issò sul proprio carro, trainato da quattro buoi, un torchio « in atto di stampare varie composizioni allusive al baccanale, distribuite al popolo ». 2 La Tipografia Provinciale si identifica in quegli anni per essere di proprietà di Paolo Libanti (1785-1852) e dall’« intraprendente veronese » condotta. Libanti che da « cartajo » divenne stampatore ed anche editore, diede fuori dapprima molte pubblicazioni d’occasione poi altre dedicate non solo alla scuola che consentirono al suo catalogo di divenire uno strumento sempre più circostanziato e funzionale ad una lettura su vasta scala : vi figuravano infatti opere anche mediche, di economia e di filosofia. Notevole il suo sforzo editoriale nei confronti di testi classici come il Vocabolario degli Accademici della Crusca, uscito a fascicoli fra il 1806 e il 1811, curato dal purista Antonio Cesari che vi inserì solo i vocaboli utilizzati dagli scrittori anche minori del Trecento. La dotazione di stamperia della Libanti per i tempi era assai notevole : poteva infatti avvalersi di 13 torchi e 30 operai. L’ impresa si fregiò anche del titolo di « Tipografia vescovile » e non c’è alcun dubbio che per tutta la lunga attività dei suoi torchi la Libanti fosse la maggiore e la più produttiva stamperia della città scaligera. 3  

























1   Per alcune notizie su questa festa si consulti il sito : http ://it.wikipedia.org/wiki/Pap%C3%A0_del_ Gnoco (ultima consultazione febbraio 2012). 2   Cfr. La festa del Gnoccolare a Verona, « La Moda », iii, 1838, 19, pp. 74-75, part. p. 74. Sulle origini della festa carnevalesca veronese si veda, Cenni intorno all’origine, e descrizione della festa che annualmente si celebra in Verona l’ultimo Venerdì del Carnovale comunemente denominata Gnoccolare, in Verona, dalla Tipografia Mainardi, 1818, books.google.com/.../Cenni_intorno_all_origine_e_descrizione.html ?. 3   Si veda la voce di Fabio Targhetta, Libanti Paolo, in Teseo : tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento, diretto da Giorgio Chiosso, Milano, Bibliografica, [2003], alle pp. 323-324, che chiarisce la  











216 maria gioia tavoni Quanto alle pubblicazioni che produsse al seguito della « festosa istituzione » del Gnoccolare in cui avveniva pure la distribuzione gratuita di viveri, la tipografia risulta, sempre dai Cenni intorno all’origine, e descrizione della festa, essere stata pagata in precedenza : il contributo al tipografo era infatti compreso nel preventivo della festa sotto la voce « Per la stampa de’ sonetti relativi alla funzione » per un totale di L. 125, esclusi i costi, 250 lire, previsti per i « facchini » ai quali era riservato il compito di issare sui carri anche altri torchi come quelli da vino e di provvedere a tutte le incombenze faticose. La spesa per il tipografo veniva computata fra quelle d’obbligo per dar corso all’iniziativa molto sentita e partecipata dai veronesi, la quale costava all’epoca complessivamente oltre le cinque mila lire. La ricerca è agli inizi : ci si augura che qualche giovane studioso la continui. Credo che investigando soprattutto nella Biblioteca Apostolica e nell’Archivio Segreto Vaticani, non solo nelle memorie, ma anche nella corrispondenza, nei resoconti, nelle visite pastorali e in altri documenti, come pure nelle illustrazioni del tempo, altri casi possano emergere in grado di confortare questa prima indagine. L’aver ritrovato, seppure di epoca molto posteriore rispetto alla mia ricerca, un carro con un torchio in una festa di carnevale apre poi nuove prospettive circa le occasioni propizie alla stampa in itinere. Le cronache dei carnevali sia fiorentini sia veneziani o di altre città importanti sono tante. Da un primo scandaglio di queste fonti appare un canto dedicato agli stampatori seppur di « drappi » che andavano con carri al seguito dei carnevali « dal tempo del Magnifico Lorenzo de’ Medici fino all’Anno 1559 ». 1 Proseguendo per le strade intraviste e indicate sarà pertanto possibile avvalorare o prendere le distanze dalla tesi che sono venuta a delineare e a proporre.  























Abstract Il torchio al seguito era una modalità diversa di stampare rispetto all’attività di tipografi e/o editori che si spostavano da un centro all’altro in cerca di nuovi mercati e sempre maggiori commesse. La produzione degli stampatori in itinere assumeva infatti le forme di un lavoro episodico che tuttavia, nonostante le difficoltà tecniche, consentiva lo smercio immediato su larga scala di materiali minori soprattutto diretti ai fedeli o ai bisogni delle comunità locali. The production of printing presses which accompanied journeys and functioned during them should be distinguished from the activity of printers and/or publishers who moved from place to place in search of new markets and ever more profitable commissions. The work of printers in itinere – while they were travelling – was episodic in nature and yet, despite the technical problems involved, gave them the opportunity to sell, directly off the press and on a large scale, minor material intended for the faithful or for local communities and their needs. diverse sottoscrizioni della tipografia veronese, e la sintetica scheda, sotto la voce Libanti Paolo in Editori italiani dell’Ottocento. Repertorio, in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, a cura di Ada Gigli Marchetti, Mario Infelise, Luigi Mascilli Migliorini, Maria Iolanda Palazzolo, Gabriele Turi, Milano, Franco Angeli, 2003 a p. 605 in cui non si menziona la “Tipografia provinciale”, come in verità appare su tanti volumi pubblicati da Libanti, ma appare invece la sotoscrizione “Tipografia vescovile”. Ringrazio Daniela Brunelli per avermi guidato nell’identificare la Tipografia Provinciale con il suo conduttore Paolo Libanti. 1   Si veda : Tutti i trionfi, carri, mascherate o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del magnifico Lorenzo De’ Medici, fino all’anno 1559, parte prima [-seconda] / [raccolti dal Lasca ; a cura di Neri del Boccia]. In questa seconda edizione corretti, con diversi mss collazionati, delle loro varie lezioni arricchiti, notabilmente accresciuti, e co’ ritratti di ciascun poeta adornati, In Cosmopoli [i.e. Lucca], 1750, 2 v.  



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aula magna · viale regina elena 295 15 marzo 2012 · sessione pomeridiana

CANTASTORIE-EDITORI NELL’ITALIA DEL CINQUECENTO Lorenzo Baldacchini

S

ulla figura del cantastorie pesa forse ancora un poco l’immagine stereotipa di impronta romantica del “poeta popolare”, con tutto quello che questo comporta, sia in termini dispregiativi (a lungo hanno pesato i pregiudizi sulla volgarità, vera o presunta di questi personaggi) che di idealizzazione (la quale ritorna periodicamente con l’oscillare delle mode culturali). A questa immagine però in mancanza di uno studio complessivo non è facile sostituirne altre. Sia chiaro che qui non si vuole affrontare globalmente il tema dei cantastorie, ma cercare di individuare esclusivamente l’aspetto del legame tra questi “artisti di piazza” e il libro tipografico con le sue professioni, in particolare nell’Italia del Cinquecento, per quel connubio tra oralità e stampa che venne definito “cantare a libro”. Ho segnalato la mancanza di studi organici sull’argomento (una vera monografia sulla figura del cantastorie d’ancien régime di fatto manca), che però è almeno in parte giustificata da una grande frammentarietà della documentazione che pure non è scarsa. Per esempio piuttosto carente è la documentazione archivistica conosciuta (ma non necessariamente quella conoscibile). 1 Allora si può provare a mettere insieme qualche pezzo di questa documentazione, vere e proprie tessere di mosaico, e vedere se ne esce fuori se non un profilo completo, almeno un’immagine meno legata ad un clichè o meno sbiadita. Ieri ad esempio – nell’intervento di Valentina Gazzaniga e Maria Conforti – si è evocata la figura del ciarlatano, che è uno stretto parente del cantastorie, tanto che spesso le due figure si confondono. 2 Chi “canta in panca” come si diceva secoli fa, spesso vende anche profumi, saponi, unguenti, medicamenti, dei quali vanta in piazza 1

  Contributi interessanti per quanto riguarda l’Italia anche se necessariamente parziali, sono quelli recenti di Marina Roggero, Le carte piene di sogni. Testi e lettori in età moderna, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 147-178, che si occupa degli improvvisatori con particolare riguardo al xviii secolo ; Tiziana Plebani, Voci tra le carte. Libri di canzoni, leggere per cantare, in Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea, a cura di Lodovica Braida e Mario Infelise, Torino, utet, 2010, pp. 5775 che mette l’accento sull’aspetto del canto. Ancora utile Marco Villoresi, La biblioteca del canterino Michelengelo di Cristofano da Volterra, in Id., La fabbrica dei cavalieri. Cantari, poemi, romanzi in prosa fra Medioevo e Rinsacimento, Roma, Salerno Editrice, 2005, pp. 175-209, già pubblicato in Bibliografia testuale o filologia dei testi a stampa ? Definizioni metodologiche e prospettive future. Convegno di studi in onore di C. Fahy. Udine, 24-26 febbraio 1997, a cura di Neil Harris, Udine, Forum, 1999, pp. 87-124 ; interessanti, anche se non sempre originalissimi i lavori di Rosa Salzburg, The Lyre, the Pen and the Press : Performers Cheap Print in Early Cinquecento Venice, in The Books of Venice. ll libro veneziano, a cura di Lis Pon – Craig Callenedorf, Venezia, La Musa Talia, 2008, « Miscellanea Marciana », 20 (2005-2007), pp. 251-276, trad. it. La lira. La penna e la stampa : cantastorie ed editoria popolare nella Venezia del Cinquecento, trad. di Luisa Casanova Stua con la collaborazione di Eleonora Nespoli, Milano, c.r.e.l.e.b. – Università Cattolica, Edizioni cusl, 2010, « Minima Bibliographica », 10 ; Ead., In the mouths of charlatans. Street performers and the dissemination of pamphlets in Renaissance Italy, « Renaissance Studies », 24, 5 (2010), pp. 638-653. 2   David Gentilcore, Medical Charlatanism in Early Modern Italy, Oxford, University Press, 2006.  























220 lorenzo baldacchini le miracolose virtù. Spesso pratica anche piccoli interventi, quali l’estrazione dei denti. Che la professione del “cavadenti” fosse in qualche modo legata ai “mestieri del libro” lo dimostrano varie sottoscrizioni come quella che si legge in un libretto dei primi del Seicento : Demostene Rinalducci, Terribili et mostruose visioni di alcune anime dannate … Napoli, Carlino, 1612 ad istanza di Sebastiano Guardij di Forlì cavadenti. 1 Non di rado può esercitare altri mestieri come quello del barbiere. In molti libretti, frutto di questo connubio fra oralità e stampa, troviamo riferimenti al fatto che l’opera recitata si poteva comprare dallo stesso artista, come accadde – per esempio – a Ferrara dove un cantore concluse l’esibizione con queste parole : « Chi vol listoria la qual canto in banco... ma porta i soldi chi la vol avere. E per che ugnu[n] ne posi comperare sol tre quatrini vi avera costare ». 2 Vorrei partire quindi da un testo poco noto di un autore che in qualche modo viene proprio dal mondo di quelli che un’antropologa, Clara Gallini, definì anni fa : “intellettuali artigiani”. 3 Si tratta de Il ciarlone di Angelo Cenni poeta della senese Congrega dei Rozzi, nato probabilmente nell’ultimo decennio del sec. xv a Monistero (Monastero), presso Siena, da un certo Giovanni. Nulla sappiamo circa la posizione sociale della famiglia e sui primi anni di vita del Cenni, il quale c’informa (nelle stanze premesse ad una sua opera intitolata Calindera) che a un certo momento andò ad abitare dentro le mura di Siena, scegliendo l’arte del maniscalco come mezzo di sussistenza : ciò avvenne prima del 1519 (o in quell’anno), quando, cioè, risulta entrato come fratello nella Compagnia della SS. Trinità. Proprio la fondazione, insieme con altri, della Congrega dei Rozzi a Siena, è l’evento principale della sua vita. 4 Tutto quello che sappiamo sul Cenni dal 1531 in poi ci viene fornito o dalle sue opere edite ed inedite o dall’archivio della Congrega. Così, per esempio, dal registro originale dei capitoli, e delle deliberazioni 5 si apprende che ricoprì la più alta carica della Congrega (quella di “signor Rozzo”) nell’ottobre 1531, nel maggio-giugno 1532, nel febbraio-marzo 1534, nel settembre-novembre dello stesso anno, nel marzoaprile 1548 e nel marzo-aprile 1552, a dimostrazione di quanto egli fosse autrorevole. Che sia proprio una figura così a delineare il ritratto del ciarlatano-cantastorie non sembra affatto sorprendente. Il mondo degli artisti girovaghi, anche se non esattamente coincidente con il suo, doveva essergli certo piuttosto familiare.  











1   Cfr. Lorenzo Baldacchini, Bibliografia delle stampe popolari religiose del xvi-xvii secolo. Biblioteche Vaticana, Alessandrina, Estense, Firenze, Olschki, 1980, n. 334. 2   Gli orrendi e magnanimi fatti del duca Alfonso, [Ferrara ca. 1510], incluso in Guerre in ottava rima, Modena, Panini, 1988-1989, i, pp. 62-63. 3   Clara Gallini, Forme di trasmissione orale e scritta nella religione popolare, « Ricerche di storia sociale e religiosa », 11 (1977), pp. 96-108 : 103. 4   La data ufficiale di nascita della Congrega è l’ottobre 1531, ma i dodici artigiani fondatori avevano stretto un legame d’amicizia e avevano cominciato a riunirsi fin dal 1520, fra l’altro per leggere e commentare insieme prose e poesie in volgare, componendone e recitandone essi stessi. Il trapasso da quel libero sodalizio alla Congrega solidamente costituita e organizzata fu certo dovuto alla volontà di contrapporre un’“accademia” di rozzi e modesti artigiani a quella aristocratica e intellettuale degl’Intronati, fondata nel 1525 per opera di sei nobili senesi, allo scopo di coltivare le lettere greche, latine e italiane. Cfr. Ilio Calabresi, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 23, 1979, sub voce Cenni, Angelo. 5   Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati., ms. Y.II.27  





cantastorie-editori nell ’ italia del cinquecento 221 Nel Ciarlone è proprio un ciarlatano che ci parla di sé : Il titolo infatti recita : Il ciarlone cioè uno che canta in Bancho, & conta come ha medicine, & rimedi a molte infermità, & come cava un dente a un villano. Opera dilettevole & da recitare per trattenimento di conviti, veglie & feste. Composto per il Resoluto senese della congrega de Rozi. Non c’è data, né vengono indicati luogo di stampa o tifpogafo, ma non si sbaglierà nel collocarlo intorno alla metà del Cinquecento :  



El Ciarlone in Bancha incomincia Zentil homini mei popol degno pregovi ch’ascoltare state attenti restare in breve vi farò contenti se gratie presta a me Giove benigno Piccolo abbandonai mia patria e regno & conversate ho sempre strane genti & ho imparato a far nescere i denti che molto è del cavar mazor disegno Piu mirabil secreti ho non mai visti da far crescer Mamelle e ingravidare herbe ho chan piu virtu chel dirumpisti chi vuol di me i’esperienza fare vedrà senz’altri impiastri pesti o pisti cose da fare ognun maravigliare Et chi non può cacare Venga alla stanza mia a trovarmi a posta che sempre tengo in hordin la sopposta Seguitando dice queste stanze Io sono in Cerosia sperimentato & con molti son stato al paragone & vulgarmente da tutti chiamato Mastro Charagio buon Medicastrone

L’ironia e l’autoironia sono quasi sempre presenti […] Mi vo insegnarvi una buona ricetta che so che a molti giova e viene in taglio a chiunche a Moglie & non se ne diletta per uscir fuor di stento & di travaglio dagli in sul capo una testa d’azzetta o veramente sei colpi di maglio & chi non crede che questo li zovi ognun la sperimenti ognun la provi […] Per dar piazer a tutta questa zente mo son volsuto hozzi montar in bancha dunque state al mio parlar attente Mi son Maestro Zorzo barba bianca la fama mia per tutto il mondo suona per la mia gran virtu ardita & franca La patria mia chiamata e Babilonia sopra d’ogni Zitta ricca & possente dov’al Soldan lo scetro, & la corona



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lorenzo baldacchini M’intendo farvi veder di presente di me piu prove & non e miga zanza che ogni gran dotto Tisico il consente Che far gran prove sempre ho per usanza.

Dopo averci informati che ha appena guadagnato 17 ducati “a castrar le porzelle”, Maestro Zorzo barba bianca fa seguire un dialogo tra Ciarlone (cioè appunto Mastro Barba Bianca) e un Villano. Chissà che il Cenni non avesse in mente Zanobi della Barba : se la sua data di nascita presunta è attendibile, poteva aver assistito in gioventù a qualche sua performance. Naturalmente c’è da chiedersi quale rapporto ci sia tra l’immagine trasmessa da un poeta “artigiano” contemporaneo e i reali cantastorie del Cinquecento e quanti di questi siano spesso anche anche colporteurs, venditori ambulanti di libri (che è poi ciò che qui ci interessa di più). In sostanza fino a che punto possono essere considerati in qualche modo arruolabili nelle schiere dei mestieri del libro ? Perché il tema della mobilità è inevitabilmente legato alla risposta che possiamo dare a questa domanda. È chiaro che un cantastorie si sposta perché – come scriveva già anni fa Peter Burke 1 – è per lui più facile cambiare pubblico che cambiare repertorio. A questo proposito sono senz’altro da tenere presenti figure come quella di Strascino Campani e altri, definiti “comici artigiani”. 2 È da avvertire che non è facile distinguere questi personaggi dalla figura dell’attore itinerante. Ma, come vedremo, in questo suo girovagare il cantastorie/ciarlatano può incontrare e di fatto incontra numerosi uomini del libro, in particolare ovviamente i tipografi. E nel girovagare può anche esercitare il mestiere dell’editore in quanto finanziatore della stampa di libretti opuscoli e fogli volanti, nonché quella del libraio ambulante. La nota formula “ad istanza di” prefigura ovviamente questo tipo di rapporto. Il “canterino” e il cantimbanco dovettero essere ottimi clienti dei tipografi perché, dopo aver cantato dall’alto del palco poemi cavallereschi e vite di santi, canzonette politiche o satiriche, avevano la necessità di diffonderne i testi fra i loro ascoltatori. Il cantimbanco può quindi essere considerato l’“editore” delle stampe popolaresche e i tipografi, che talvolta non sottoscrivevano le edizioni, non mancavano di ricordarne il nome nel colophon a seguito delle parole “a petitione di” o “ad istantia di”. È questa spesso l’unica notizia tramandata dell’esistenza di una di quelle celebrità di fiera e di piazza che lasciarono tuttavia così labile traccia della grande popolarità che ebbero ai loro tempi in città e paesi d’Italia. Vediamo, partendo da fonti bibliografiche come la base dati Edit16, 3 alcuni di questi veri o presunti cantastorie che però siano anche considerati in qualche modo arruolabili nei mestieri del libro. Tra i molti personaggi individuabili nell’Italia del Cinquecento, le figure più significative possono essere considerate, a mio avviso, quelle di Zanobi della Barba, Ippolito Ferrarese e Vincenzo di Polo.  



1   Peter Burke, Popular Culture in Early Modern Europe, trad. it. Cultura popolare nell’Europa moderna, Milano, Mondadori, 1980, pp. 44-49. 2   Cristina Valenti, Comici artigiani. Mestiere e forme dello spettacolo a Siena nella prima metà del Cinquecento, Modena, Panini, 1992, pp. 34-69 e 181-212. 3   Edit16 on line. Censimento delle edizioni italiane del xvi secolo http ://edit16.iccu.sbn.it.  

cantastorie-editori nell ’ italia del cinquecento

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Zanobi della Barba Veramente poco si sa di questo cantastorie-editore attivo a Firenze nel secondo decennio del Cinquecento. Sue sottoscrizioni in qualità di editore compaiono in almeno una trentina di opuscoli stampati quasi certamente sulle rive dell’Arno, spesso illustrati con incisioni xilografiche. Nella Firenze del primo Cinquecento dovette essere un personaggio assai popolare, tuttavia quello che di lui ci è noto si ricava essenzialmente proprio dalle sue sottoscrizioni e dagli stessi testi che fece stampare. In un colophon si firma come « Zanobi da Barberino che mai in casa non ha un fiorino ». Sarebbe dunque nativo di Barberino. Ma resta il dubbio se prestar fede a questo dato anagrafico o sospettare – come fa Paolo Veneziani, autore della voce relativa del Dizionario Biografico degli Italiani – una deformazione scherzosa dovuta alle esigenze della rima. Sono frequenti richiami alla propria povertà : « a petizione del poverino maestro Zanobi della Barba », « Zanobi poverino che a sua posta non ha mai un fiorino », « Zanobi della Barba poverino che non ricoglie né pan né vino », « mastro Zanobi della barba... poverino... spera per virtù di questi santi quattro danar haver da tutti quanti ». Il profilo di Zanobi, che non fu solo libraio-editore di stampe popolari, ma anche cantastorie, ci si delinea, anche se non certo a tutto tondo, solamente attraverso gli opuscoli che egli fece stampare e dei quali fu spesso anche autore. 1 Si è perfino ipotizzata l’esistenza di una vera e propria marca editoriale : uno scudo gentilizio che appare nei Sonetti della morte, 2 anche se è più probabile che si tratti di un ornamento xilografico. 3 Come già detto, le edizioni conosciute sono oltre trenta, ma è difficile stabilire quanto questa cifra sia effettivamente rappresentativa della sua produzione che, come tutta la letteratura “muricciolaia”, sarà andata in buona parte perduta. I testi appartengono infatti a quella letteratura in volgare che si suole definire “popolare”. Prevalentemente si tratta di opere di carattere religioso, vite di santi, sacre rappresentazioni, laudari ; una parte significativa è costituito da edizioni di contenuto moraleggiante o satirico. Recentemente sono stati studiati alcuni suoi componimenti poetici, tutti anonimi, che si discostano dai temi di tutto il resto della sua produzione editoriale e che sembrano collocarlo politicamente nel partito mediceo : la Vittoria e acquisto del ducato d’Urbino, che si riferisce agli avvenimenti del 1516 quando i Medici conquistarono Urbino ai Della Rovere, due raccolte di versi per il ritorno dei Medici a Firenze, ornate di una xilografia con le armi del cardinale Giovanni de’ Medici, i Sonetti morali bellissimi 4 per la morte dei duchi d’Urbino. Dedurne che egli fosse un partigiano dei Medici non è poi così ardito, come riteneva invece Paolo Veneziani. Il lavoro bibliografico su Zanobi è ancora in buona parte da fare. Ma è chiaro che oltre a promuovere la stampa di opere sue, fece stampare anche quelle di suoi contemporanei e conterranei, con i quali era in contatto come ad esempio Castel 



























1   Paolo Veneziani, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 2 36, 1988, sub voce Della Barba, Zanobi.   Edit16, cit., cnce 60690. 3   È senz’altro da considerare diversamente invece lo scudo che compare nelle edizioni di un altro canterino, Vincenzo Citaredo da Urbino, definito da Piero Camporesi, Il palazzo e il cantimbanco. Giulio Cesare Croce, Milano, Garzanti, 1994, p. 27 “cantastorie d’assalto”, sul quale mi riprometto di produrre un 4 approfondimento in futuro.   Edit16, cit., cnce 61511.

224 lorenzo baldacchini lano Castellani e Bernardo Giambullari. Ma anche Gherardo da Prato, Antonio di Guido, 1 Bernardo Accolti e Bernardo Davanzati. Ma per lui un discorso che lo inserisca nelle dinamiche della mobilità non è molto proponibile, legato come sembra essere molto strettamente all’ambiente fiorentino, che peraltro rappresentava una piazza importantissima per questi « antesignani di una moderna officina multimediale », come sono stati recentemente definiti i cantastorie legati al mondo dell’editoria. 2 Forse è eccessivo parlare di “officina multimediale” per questi cantimpanca-editori. Ma certo si tratta di figure di mediatori culturali molto più rilevanti delle esigue tracce che possono aver lasciato. Mentre sarà da approfondire – e non solo per lui – il rapporto con la politica, con il potere. È stato posta recentemente, proprio a proposito di Zanobi, la domanda : « operazioni editoriali di questa natura [scil. di propaganda filomedicea], possono considerarsi soltanto frutto dell’iniziativa personale e del servo encomio di un canterino ? Mirano esclusivamente, queste pubblicazioni, ad un immediato tornaconto economico, a far raggranellare all’umile poeta e venditore di strada qualche fiorino ? » 3 È possibile che siano operazioni volte a veicolare nella “piazza” messaggi in qualche modo eterodiretti per orientare un embrione di pubblica opinione ? Bisognerebbe saperne di più sulla reale indipendenza di queste figure dal potere. Molti canterini « godettero del rispetto delle più alte autorità culturali e seppero mantenere stretti legami con il potere ». 4  



















Ippolito Ferrarese Da considerare vero proprio esempio di “mobilità” è invece Ippolito, nato a Ferrara morto a Lucca presumibilmente dopo il 1545. La sua biografia è assolutamente all’insegna di un vivace “rapporto col territorio”. Si servì delle tipografie di Damiano Turlino a Brescia e a Venezia di quelle di Venturino Ruffinelli, Guglielmo da Fontaneto e della società tra Francesco Bindoni e Maffeo Pasini. Ma risulta attivo, sempre come editore anche almeno a Bologna, Pesaro Perugia e Parma. A Venezia fu anche in società con Leonardo Furlano. Su di lui è comparso recentemente un contributo di un giovane studioso. 5 Ippolito da Ferrara o ferrarese fu certamente un cantimbanco che godette di una certa fama come dimostra la presenza di un epitaffio che ne descrive il lamento di morte e che fu pubblicato in almeno due stampe prodotte dopo il 1545. L’opera a cui ci si riferisce ebbe almeno un paio di edizioni : Il pianto e il lamento fato per Hippolito Ferrarese in Luca un giorno avanti la morte sua. Con uno epitaphio sopra de la sepoltura molto bellissimo. 6 e il Lamento d’Hyppolito detto il Ferrarese checantava in bancha, 7 entrambi stampati senza note tipografiche. 8  

1

  A sua volta canterino, cartolaio, editore e venditore ambulante.   Marco Villoresi, Zanobi della Barba, canterino ed editore del Rinascimento, in Picone Rubini, Il cantare italiano tra folklore e letteratura. Atti del Convegno Internazionale di Zurigo, Landesmuseum, 23-25 giugno 2005, a cura di Michelangelo Picone e Luisa Rubini, Firenze, Olschki, 2007, pp. 461-476 : 461. 3   Ivi, pp. 471-472. 4   Ibidem. Si veda sempre il caso di uno Strascino Campani, già citato. 5   Giancarlo Petrella, “Ad instantia d’Hippolito ferrarese” : un cantimbanco editore nell’Italia del Cinquecento, « Paratesto. Rivista internazionale », 8 (2011), pp. 23-79. 6 7   Edit16, cit., cnce 50117.   Ivi, cnce 50116. 8   Vittorio Rossi, Di un cantastorie ferrarese del secolo xvi, « Rassegna emiliana », 2 (1890), pp. 435-446. 2













cantastorie-editori nell ’ italia del cinquecento 225 Da Edit16 (cnce 63151) si ricava che dapprima fa stampare a Bologna un’opera della quale è autore : La guerra di Firenze, poi a Pesaro il 26 luglio 1531 il Lamento di Firenze a cura di Bernardino Zoppo (cnce 37860) attribuito dal Petrella alla tipografia di Baldassarre Cartolari. A Venezia nel 1532 pubblica il Lunario di Camillo Leonardi (cnce 64473) e, presso Guglielmo da Fontaneto, l’Opera nuova del superbo Rodamonte (cnce 63146). È stata ipotizzata Roma nel 1534 come luogo di stampa di Sonetti e strambotti … composti al faceto homo maistro Pasquino (cnce 61508), ma praticamente basandosi solo sulla citazione di Pasquino (Petrella la assegna invece all’officina veneziana di Francesco Bindoni e Maffeo Pasini). Un’edizione del 1536, ancora su istanza di Ippolito Ferrarese, delle Stanze bellissime de vno gentilhuomo qual essendo inamorato..., Edit16 cnce 62893, è stata anche attribuita a Bindoni e Pasini sulla basa di una cornice xilografica che vi appare e che è stata usata anche in altri lavori di questi stampatori. 1 Nel 1537 pubblica le Forze d’amore attribuito erroneamente a Lodovico Ariosto (cnce 2598), ma non è chiaro dove, forse a Venezia. Nel 1538 a Brescia fa stampare da Damiano Turlino l’Opera santissima & vtile a qualunque fidel christiano , attribuita a Cherubino da Spoleto (cnce 11066), ma in realtà, secondo la ricostruzione di Petrella, di Pietro da Lucca (altra emissione ?). Sempre nello stesso anno a Venezia commissiona a Venturino Ruffinelli il Canto primo del caualier del Leon d’oro qual seguita Orlando Furioso e a Bologna la Potentia d’amore di Diomede Guidalotti (cnce 52753). L’anno dopo (1539) a Perugia fa stampare Varii pensieri amorosi di Gregorio Riccardi (cnce 72586, Petrella ipotizza come tipografo Girolamo Cartolari). Successivamente nel 1540 a Parma fa stampare da Antonio Viotti Lume di marte al arte militare (cnce 64498) e da Francesco da Prato Capitulo in lode del Verno di Francesco Maria Molza (cnce 72896). A queste quindici edizioni censite da Edit16 Petrella ha meritoriamente aggiunto altri otto titoli. Ma la costruzione di un vero e proprio itinerario proposta dallo studioso sulla base sostanzialmente delle sole sottoscrizioni risulta appesa al sottilissimo filo rappresentato dal fatto che nessuno è in grado di dire fino a che punto le edizioni sopravvissute siano rappresentative di quanto fu a suo tempo effettivamente prodotto. Inoltre non vi può essere l’assoluta certezza che la commissione di un’edizione ad un tipografo da parte di un cantastorie avvenga necessariamente “in presenza” di lui. Non possiamo ignorare che la rete di relazioni intessuta da tipografi e librai (e di conseguenza da editori) nell’Italia del Cinquecento, consentiva di realizzare anche transazioni “a distanza”. Con questo non si vuol certo negare l’effettiva mobilità di un personaggio come Ippolito (ci mancherebbe altro), solo che, prima di trarre conclusioni definitive sui suoi viaggi, si auspicherebbe qualche riscontro documentario in più. Vero è che i documenti d’archivio (quelli noti) su queste figure scarseggiano, ma almeno quei pochi che sono stati individuati e studiati sarebbe bene non ignorarli. E invece il Petrella commette sviste anche un po’ grossolane, proponendo di attribuire, ad esempio, ad un altro cantastorie (Vin 



1

  Dennis E.Rhodes, Silent Printers : Anonymus Printing at Venice in the Sixteenth Century, London, The British Library, 1995, p. 251.  

226 lorenzo baldacchini cenzo di Polo, socio del ben più famoso Nicolò Zoppino) edizioni stampate anni dopo la sua morte, quando è noto il suo testamento del 1524 che infatti non a caso coincide con la scomparsa del suo nome dalle sottoscrizioni. 1 Discutibile anche l’ipotesi di attribuire a Zoppino un’edizione di Ippolito (Forze d’amore. Opera nova nella quale si contiene sei Capitoli di Messer Lodouicco Ariosto sopra diuersi sogetti non piu venuti in luce … 1537) sulla base di una cornice che, ad un’analisi approfondita, rivela poi differenze in più di un dettaglio da quella usata dall’altro ferrarese in molte sue edizioni. 2 Prima di dire qualcosa sull’ultimo dei tre personaggi prescelti, vorrei ricordare altri cantastorie certi o presunti, la cui identificazione si basa solo sulla fonte Edit16 : Giovanni Giacomo Sacco da Mozzanica presso Bergamo, che pubblica l’Opera nuova nella quale ritroverai molti bellissimi secreti, nuovamente ritrovati per molti eccellentissimi medici. Baldassarre Faentino detto il Tonante, attivo tra 1545 e1552. Editore e cantastorie di Faenza. Attivo a Firenze, dove risulta iscritto all’Arte dei medici e speziali dal 1544, a Mantova, dove si servì di Venturino Ruffinelli.[1545]. A Firenze fa stampare Comedia nuoua di Piero Francesco da Faenza 1549 e l’Opera nuoua nella quale trouerai molti bellissimi secreti. A proposito di Faentini possiamo ricordare l’Herbolato. Questo breve opuscolo, un monologo che da la voce di un ciarlatano chiamato Antonio Faentino, è stato interpretato variamente come una satira dei medici ciarlatani o la registrazione scritta di un ciarlatano imbonitore. 3 Inoltre ricordiamo Francesco Maron detto il Faventino che pubblicò almeno una mezza dozzina di opere a Venezia e in moltissime altre città tra il 1530 e il 1540, tra cui commedie pastorali, ecloghe e componimenti amorosi. Queste includono due edizioni di un’anonima storia d’amore in ottava rima : Una morte finta d’amore, entrambe senza note editoriali eccetto le date 1542 e 1543 e probabilmente stampate a Venezia 4 e l’Opera noua d’vn gentil’huomo Florentino chiamato Tibaldo Eliseo, Venezia, [Venturino Ruffinelli ?], 1540 ca. 5 Avevo supposto potesse rientrare nella categoria dei cantastorie Cristoforo Stampone da Milano (attivo a Venezia dal 1528 al 1531), ma la sua produzione sembra piuttosto lontana da quella degli altri cantimbanca. Dopo un rapido esame delle sue edizioni, sembra invece più semplicemente un libraio specializzato nel promuovere la stampa di testi teatrali.  





1   G. Petrella, “Ad instantia d’Hippolito ferrarese” …, cit., p. 44. Sul testamento di Vincenzo si veda oltre. 2   Comunque sullo scambio e la copia delle cornici xilografiche tra gli stampatori veneziani, si veda Neil Harris, Nicolò Garanta editore a Venezia 1525-1530, « La Bibliofilia », 97 (1995), pp. 99-148 : 121-123. 3   Salvatore Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari da Trino di Monferrato stampatore in Venezia, Roma, presso i principali librai, 1890-1897, ii, p. 29 ; Giulio Ferroni, Nota sull’Erbolato, « La rassegna della letteratura italiana », 79 (1975), pp. 202-214. 4   Edit16, cit. cnce 61580 e 62314. 5   L’attribuzione dell’Opera noua a Ruffinelli è di Dennis E. Rhodes, Francesco detto il Faventino, « Gutenberg Jahrbuch », 1977, pp. 144-145, ed è basata sulla xilografia che appare sul frontespizio. Rhodes fa menzione anche delle pubblicazioni di Faentino in Some Rare Florentine and Venetian Printers and Booksellers, 16th Century, « La Bibliofilia », 95 (1993), pp. 39-44, sebbene in nessuno di questi articoli si faccia riferimento al caso di blasfemia. Cfr. n. 6.  



















cantastorie-editori nell ’ italia del cinquecento 227 Altra tipologia di documenti che ci possono parlare di queste figure è ovviamente quella degli archivi. Tra tutti sono da ricordare quelli quelli citati da Gustavo Bertoli in una Lista di librai, cartolai e mabulanti immatricolati nell’Arte dei medici e speziali di Firenze dal 1490 al 1600. 1 Tra questi si segnalano :  

Magister Zanobius olim olmi della barba cerretanus & cantator in pancha & faciens etiam exercitium Cartolarijj in uendendo et stampando

[(1518) ovviamente è il nostro Zanobi della Barba]. Michelangelus stephani alterius stephanj de stephanis de Padua uendens hystorias et cantans (’44) [forse fratello di Vincenzo De Stefanis] Baldassar olim sebastianj Romani de Fauentia cantans palum et uendens Pallas saponis et hystorias (’44) [È il Baldassarre Faentino di cui si è detto] Vespasianus Poli de medaglis venetianus uendens Historia et alias res in pancha (1561) Francisci Antonij Gottardi montecchi de verona cantans in pancha et uendens hystorias merces et alias res suppositas ad hanc artem (1563-’64) Petrus Francisci Mariae de Noctis Hebreus uendens impancha hystorias et alias res (1567)

In questo prezioso documento complessivamente i venditori di storie, leggende, pronostici, insieme con altre merci, sapone, profumi ecc. sono 51 su 252, esattamente un quinto del totale. Di questi non si dice che cantassero in panca, ma non lo si può escludere ed è anzi probabile che lo facessero. Vincenzo di Polo Per tornare a Faenza, questa città sembra aver avuto un ruolo particolarmente significativo nell’attività dei cantastorie (forse legato alla particolare posizione geografica, tra la Toscana e la Romagna, porta della pianura padana, nonché tappa sulla strada per Venezia). Questo potrebbe spiegare perché proprio lì, il 15 novembre 1524, risulta fare testamento Vincenzo di Polo, cantastorie, socio in affari di Nicolò Zoppino, definito “cantor circumforaneus” cioè letteralmente quello che canta intorno al foro, alla piazza. Vincentius quondam Pauli de Venetiis bibliopola ac cantor circumforaneus […] addubitans de irreparabilis et certe mortis […] voluit eius cadaver sepeliri in eo loco et cum eo exequiarum et funeralium impendio et divinis orationibus et officiis in beneficium anime dicti testatoris, ubi et de quo et quibus videbitur prudenti et ingenioso viro Nicolao alia Zoppino olim Aristotelis de Rubeis ferrariensi […] quem non ut socium sed ut patrem a pluribus annis et citra habuit tenuit et coluit popter illius probitatem et mutuum amorem quo ad invicem vinciuntur et propter dicti Nicolay fidem integritatem et bonitatem sibi impluribus et plures cognitas et probatas 2

Come sappiamo tra Vincenzo e Nicolò Zoppino, ci fu un lungo rapporto non basato solo sugli affari, ma anche sull’affetto. Si trattò di un legame durato almeno dal 1513 al 1524. In questi dodici anni pubblicarono non meno di 140 edizioni, tutte datate. 1   Gustavo Bertoli, Lista di librai, cartolai e mabulanti immatricolati nell’Arte dei medici e speziali di Firenze dal 1490 al 1600, « La Bibliofilia », 94 (1992), pp. 125-164, 227-262. 2   Documento pubblicato in Giuseppe Rossini, Ulteriori notizie su la cartiera, i librai e le prime stampe faentine, « Studi Romagnoli », 7 (1956), pp. 283-292 : 287.  









228 lorenzo baldacchini Lo Zoppino personaggio aretiniano1 è indicato come qualcuno che canta in banco. Non è troppo fantatstico pensare ad una sovrapposizione col socio Vincenzo. Infine, sul crinale tra xvi e xvii secolo, non possiamo ignorare una figura come quella di Giulio Cesare Croce per il quale Franco Bacchelli ha recentemente sottolineato le frequentazioni anche di ambienti sociali elevati. 2 Poco incline agli spostamenti, il Croce Non frequentemente e, si direbbe, malvolentieri lasciò Bologna …Fu spesso a Ferrara, qualche volta si spinse fino a Modena e nel Frignano, conobbe, nell’autunno del 1600, la Parma di Ranuccio Farnese, certamente raggiunse Savona nel 1593, fu probabilmente a Mantova e approdò felicemente a Venezia, salendo spesso per motivi profssionali (e forse anche sentimentali) ai borghi dell’Appennino emiliano. Si tenne lontano dalla Romagna … 3

Da non pochi documenti si ricava che comunque il rapporto tra questi cantastorie e il potere non fosse esattamente idilliaco. Già alla fine del Quattrocento l’oratore milanese presso la Repubblica di Venezia notava che era stata fatta una “crida” annunciando punizioni contro chi cantava una canzone contro Carlo VIII (21 dicembre 1496).4 Per tutto il Cinquecento si susseguono notizie come quella del 12 febbraio 1542 :  

… Quelli veramente, che vendeno de tal libri et opere, pronostichi, historie canzone, lettere, et altre simel cose sul ponte de Rialto, et in altri lochi di questa città, se loro, ò chi li farà vender, non haverà havuta la licentia dalli capi prditti, siano frustati da San Marco a Rialto, et poi star debbano sei mesi in preson seradi. … 5

Tre anni dopo gli Esecutori contro la bestemmia punirono Francesco Faentino, Giovanni Padovano e Guglielmo Fontaneto :  

[V]isto il processo formato contra franc[esc]o faencino canta in banco, Zuan padoan stampador, et vielmo da monfera[to] olim stampador habitante nella contra de san moyse, per ilqual consta esso vielmo haver fatto stampar, esso Zuan haver stampato, et dicto faencino haver in banco venduto una operainhonesta titulata Il dio priapo et altre senza licentia hanno terminato che l’opera predetta et tutte altre sien brusate et Vielmo sia condennato a pagar duc. 5, Zuan Padoan stampador duc. 3 et Franc. Faencino duc. 3 et sia relaxato de prison. 6.

L’“opera inhonesta” non è stata identificata ; è possibile che abbia avuto una qualche parte nella Priapea di Niccolò Franco, pubblicata per la prima volta nel 1541. 7  

Poi il 20 novembre 1551 :  

Per autorità ecc. noi ecc. commettemo a voi Capitano grande che doman facciate condur 1

  Su cui mi permetto di rinviare a L. Baldacchini, Alle origini dell’editoria ..., cit., pp. 1-3.   Franco Bacchelli, Alcuni documenti sulla vita di Giulio Cesare Croce, in Le stagioni di un cantimbanco. Vita quotidiana a Bologna nelle opere di Giulio Cesare Croce, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, Editrice Compositori, 2009, pp. 11-33 : 26. 3   Piero Camporesi, Il palazzo e il cantimbanco. Giulio Cesare Croce, Milano, Garzanti, 1994, p. 27. 4   Manlio Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, Venezia, Neri Pozza, 1956, I, p. 24. 5   ASV Cons. X. Com. R° 15. 6   ASV, Esecutori contro la bestemmia, Notatorio, b. 56, vol. I, fol. 49r (12 agosto 1545). 7   Giuliano Pesenti, Libri censurati a Venezia nei secoli xvi-xvii, « La Bibliofilia », 58 (1956), p. 17, sebbene l’identità di Faentino non sia nota. 2







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fra le due colonne di San Marco Zuanantonio Bindoni stampador et Paris Mantoan, carcerati in liona, et li farete metter sopra uno soler eminente, dove coronati della mitria diabolicis imaginibus depicta, star debbano tra terza fino a nona, et poi li farete retornar nella ditta preson, de onde li averete fatti cavar. 1

Precedentemente infatti il 16 novembre Bernardin Bindoni ditto Pachiuco stampador absente et Zuan Ant. suo fiol [….] hanno fatto una littera che par sia venuto da Ravena et quella hanno stampata et fatta vender in questa città, imputando contra ogni verità doi frati zoccolanti da Ravena che abbiano nella pignea di Ravena amazato un mercadante, et toltoli li denari, et loro frati siano stati squartati in Ravena la qual littera è in tutto falsissima […] però comendemo che el ditto Bernardin sia bandito per anni 10 da Venetia, Z. Ant. suo fiol sia posto fra le 2 colonne et poi bandito per anni 5, Paris Mantoan sia posto fra le 2 colonne et poi bandito per anni 2. 2

Infine il 10 ottobre 1565, in un Proclama degli Esecutori contro la Bestemmia leggiamo : « Quelli veramente che vendessero Historie o altre simil cose stampate senza licentia sopra il ponte de Rialto et altrove per la Città siano frustati … ». D’altra parte sono documentati problemi giudiziari per i cantastorie anche nel periodo anteriore alla stampa :  







Giovanni in forza di tale feudo riscuoterà da ciascun giullare che venga e si fermi a Beauvais un diritto fisso di dodici denari per quelli che cantano in panca e se essi rifiutano di pagare può sequestrare il loro libro e la loro viola se l’hanno e se non l’hanno li può costringere a pagare. 3

In definitiva la mobilità di questi cantastorie, cantimpanca o canterini che dir si voglia, si può muovere su due piani. Da una parte quello direttamente legato alla loro professione, che inevitabilmente li porta ad affrontare viaggi e spostamenti per raggiungere di volta in volta il luogo dove dar vita alle loro performances. Dall’altra c’è un particolare tipo di “mobilità” che si manifesta sul piano delle relazioni che sono in qualche modo costretti ad instaurare con gli stampatori che non di rado si trovano distanti e comunque in sedi non sempre coincidenti con quelle di residenza, se così si può dire, del cantimbanca. Inoltre non si può escludere che la mobilità sia legata alla ricerca di un rapporto con qualche patrono, con il potere. Oppure che sia per un motivo esattamente contrario, per sfuggire cioè alla morsa della censura, che – come abbiamo visto – non di rado si è abbattuta su questi personaggi. Alma mater studiorum - Università di Bologna Abstract I cantastorie e i ciarlatani d’ancien régime sono spesso un esempio particolare di mobilità nell’ambito dei mestieri del libro, dal momento che hanno in molti casi assunto il ruolo di editori e venditori dei testi che recitavano nelle piazze. La loro mobilità è quindi caratteristica del mestiere, ma può essere messa in relazione con la ricerca di patronage e perfino 1

  ASV, Esecutori contra la bestemmia, c.113 ; Not. I b. 56.   ASV, Esecutori contra la beetemmia, vol. 65 (Terminaz.1593-1614, Raspe 1548-1570 ; 1624-1632), c. 33v. 3   Citato da Silvio D’Arco Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d’oc, a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1993, pp. 29-30 e p. 61 ripreso da T. Plebani, Voci tra le carta, cit., pp. 57-75 : 62. 2







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lorenzo baldacchini

con la necessità di sfuggire alla repressione della censura. Vengono analizzate alcune figure significative nell’Italia del xvi secolo, tra le quali Zanobi della Barba, Ippolito Ferrarese e Vincenzo di Polo Street performers and charlatans were often publishers of texts to sing and recit on the square. This is a particular case of mobility of book men in the ancien régime, sometimes caused by the need of patrons or necessity to escape from censorship. Some figures in xvith century Italy like Zanobi della Barba, Ippolito Ferrarese and Vincenzo di Polo, are here examinated.

NOTE SULLA COMMITTENZA EDITORIALE ECCLESIASTICA NELL’ITALIA DEL QUATTRO E CINQUECENTO Edoardo Barbieri

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l termine “committenza” è comunemente impiegato dagli storici dell’arte per indicare l’azione di un finanziatore (costituito da un singolo, una famiglia o un gruppo sociale come, per esempio, una confraternita) che affida l’esecuzione di una data opera a un certo artista : 1 tale rapporto è indicato da fonti documentarie nonché dalla presenza della raffigurazione del committente nell’opera stessa, magari nell’atto di implorare una particolare benedizione o protezione da parte di un santo. Il termine deriva dal latino committĕre che significa “affidare”, per cui il committente è colui che ordina ad altri l’esecuzione di un lavoro per proprio conto e la commissione indica primariamente l’incarico affidato, e, in secondo luogo, il compenso stabilito. La committenza implica perciò sempre il rapporto tra almeno due soggetti, l’esecuzione di un lavoro, una transazione economica. Con ciò, una committenza artistica presuppone la realizzazione di un prodotto singolo solo eventualmente fruibile in modo pubblico, mentre il prodotto editoriale è sempre un multiplo definito da una pluralità tendenzialmente non contemporanea e compresente di lettori. Quello della committenza è uno dei modi possibili della riproduzione testuale, sistematicamente applicata nella produzione del manoscritto, quasi sempre realizzato su ordinazione e, da questo punto di vista, sottratto quindi al vero e proprio gioco del mercato. 2 Nello specifico campo della produzione libraria a stampa il committente determinerà la scelta del testo da riprodurre, fisserà i modi di tale riproduzione (dal formato all’illustrazione, dal numero di copie alla lingua) e anticiperà il capitale per la realizzazione della edizione : queste tre azioni sono però esattamente le stesse che sono di solito attribuite come specifiche dell’opera di colui che storicamente sarà in senso proprio l’editore (per l’epoca che qui interessa si tratta piuttosto di un libraio-editore o di un imprenditore-editore). Tale ambiguità si ricollega, in ambito storiografico e bibliografico, all’individuazione e alla sottolineatura della funzione editoriale, che indica il superamento di una visione della produzione libraria limitata all’esercizio della tecnica tipografica a favore di una storia sociale del libro, che tenta piuttosto di ricostruire – per usare una nota definizione di Luigi Balsamo – l’intero “ciclo vitale” del libro. 3  



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  In Tullio De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Milano, Paravia, 2000, p. 518, al significato 2 del termine committenza si legge « attività di enti pubblici o privati che commissionano spec. opere d’arte ». 2   Si veda però Giovanni Bonifati, Dal libro manoscritto al libro stampato. Sistemi di mercato a Bologna e a Firenze agli albori del capitalismo, Torino, Rosenberg & Sellier, 2008. 3   Luigi Balsamo, Per la storia del libro. Scritti di Luigi Balsamo raccolti in occasione dell’80° compleanno, Firenze, Olschki, 2006.  



232 edoardo barbieri Naturalmente, stante la varietà dei rapporti attestati tra il tipografo (colui che realizza il libro tramite la composizione e l’impressione delle forme tipografiche) e colui che svolge le funzioni editoriali prima indicate, nei primi secoli dell’arte della stampa il rapporto tra i due potrà essere definito solo attraverso una geometria variabile disegnata tra numerose alternative. Si consideri per esempio il fatto che i due soggetti possono non essere singoli, ma costituiti da vere e proprie aziende composte da più persone ; oppure la complessa distribuzione dei ruoli fra autore-editoretipografo quando si presentano totali o parziali interferenze tra le funzioni, come nel caso di un autore finanziatore di una propria edizione ; o la differenza – non sempre esplicita – dei rapporti tra editore e tipografo indicata dall’uso di formule diverse o dalla presenza o meno di marche tipografiche o editoriali ovvero dalla loro collocazione al frontespizio ovvero al colophon, generando talvolta anche emissioni differenti della stessa edizione ; o, ancora, alla molteplicità di fonti utilizzabili per individuare tale rapporto (con una problematica non coincidenza di formule e definizioni, “per”, “alle spese di”, “impensis”...), da quelle archivistiche come veri e propri contratti o anche documenti giudiziari inerenti a cause, contestazioni, denunce, alle fonti librarie, con l’analisi di dichiarazioni presenti nell’edizione stessa, magari nelle dedicatorie ; o – da ultimo – la delocalizzazione della produzione, quando l’editore è insediato in una località diversa, talvolta anche molto distante, rispetto al tipografo. La committenza libraria di realtà comunitarie pare avere però caratteristiche sue proprie abbastanza determinabili. Da questo punto di vista la realizzazione di edizioni a stampa di statuti relativi al diritto comune locale volute dalle diverse realtà sociali (comuni, intere vallate, confraternite e “scuole”) presenta molti aspetti confrontabili se non sovrapponibili alla committenza ecclesiastica che si vorrebbe iniziare ad analizzare. Forse l’unica vera differenza sostanziale sta in un dato che occorre non scordare : per i secoli xv e xvi la Chiesa cattolica è anche la maggiore istituzione culturale dell’Occidente, cui fa riferimento, non solo in termini limitativi con l’azione censoria – come sembra esclusivamente sottolineare certa miope storiografia odierna – ma anche positivi, una larga percentuale dell’intera produzione libraria. 1 Ciò non solo nel senso, più facilmente calcolabile, della percentuale di produzione di libri di argomento liturgico, teologico, devozionale, canonistico, ma anche in quello, dalla valutazione tanto aleatoria quanto però significativa, non solo dell’alfabetizzazione, ma della capacità di leggere il latino (per quell’epoca la lingua internazionale della scienza e della cultura) e della possibilità economica di acquistare i libri, sia che entrassero poi in possesso di singoli sia che divenissero proprietà di una comunità religiosa. 2 La committenza ecclesiastica nel xv e xvi secolo deve perciò essere osservata all’interno di un contesto nel quale un’abbondante per 









1   Sulla produzione religiosa rimando al profilo proposto da Ugo Rozzo, Linee per una storia dell’editoria religiosa in Italia (1465-1600), Udine, Arti Grafiche Friulane, 1993. 2   Ciò si connetterà, evidentemente, con la storia della costituzione delle biblioteche ecclesiastiche : si vedano da ultimo almeno *Dalla notitia librorum degli inventari agli esemplari. Saggi di indagine su libri e biblioteche dai codici Vaticani latini 11266-11326, a cura di Rosa Marisa Borraccini, Macerata, eum, 2009 e *Claustrum et armarium. Studi su alcune biblioteche ecclesiastiche italiane tra Medioevo ed Età moderna, a cura di Edoardo Barbieri, Federico Gallo, Roma, Bulzoni, 2010 (con la mia introduzione metodologica Cultura cristiana e biblioteche ecclesiastiche : una breve premessa, pp. 9-24).  



note sulla committenza editoriale ecclesiastica 233 centuale della produzione libraria a stampa faceva esplicito riferimento alla Chiesa cattolica, sia per contenuto, sia per avere come autori membri del clero diocesano o regolare (in misura assai minore le monache), sia per il pubblico, programmato e reale, di acquirenti e lettori. In un simile contesto, nel quale la produzione esplicitamente religiosa non solo non è svantaggiata, marginalizzata o ostacolata, ma gode di una sicura e generale approvazione, se non addirittura di uno statuto sociale e istituzionale che la promuove, la consiglia, la rende quasi obbligatoria, come mai esiste la necessità di una “committenza ecclesiastica” ? 1 O, in altri termini, quali soggetti metteranno in atto, in quali condizioni si svilupperà, in riferimento a quali testi si applicherà un esplicito finanziamento editoriale di natura ecclesiastica ? Nell’impossibilità, e forse, nell’inutilità di una analisi complessiva dei dati forniti da istc (quantomeno per l’Italia) o da Edit16 on line, si proporrà semplicemente una certa casistica basata su alcuni esempi (con una qualche preferenza per il mondo camaldolese, che meglio conosco). 2 Un’ultima specificazione è l’omologazione qui messa in atto tra committenza degli ordini religiosi e committenza delle diocesi, tra le quali pure qualche distinguo si potrebbe applicare, se non altro perché la diocesi farà riferimento a un territorio specifico e limitato, mentre un ordine a una serie di insediamenti determinati in una pluralità di territori, tendenzialmente illimitati quanto a possibile espansione. Proprio a documentare tale diffrazione, si inizia col caso di un’edizione per la quale non esiste alcuna documentazione, se non l’evidenza dell’esistenza stessa dell’edizione, che essa sia frutto dell’iniziativa della committenza ecclesiastica. Si tratta del piccolo e rarissimo Officium sanctorum Gavini, Prothii et Januarii, impresso a Venezia da Pietro Quarenghi nel 1497 (istc io00055600). 3 La considerazione nasce dalla domanda circa quale interesse potesse suscitare a Venezia l’ufficio proprio dei santi martiri di Torres in Sardegna. Si deve quindi ipotizzare una iniziativa probabilmente del capitolo della cattedrale turritana che, in assenza di una tipografia in loco, promosse l’edizione a Venezia : ma allora i membri del clero locale conoscevano i libri a stampa e potevano immaginare di finanziarne uno a loro uso in una data non solo precedente l’arrivo della stampa sull’isola, ma anteriore a qualunque nota di possesso conservata su incunaboli ora nella Sardegna settentrionale. Come documenta anche un brillante e recente intervento relativo al Cinquecento, la mutazione di prospettiva, dal problema delle origini della stampa in Sardegna a quello dello sviluppo di locali iniziative editoriali presso tipografie continentali, offrirà una nuova prospettiva sulla storia del libro sull’isola ! 4  







1   Per il quadro milanese tra Cinque e Seicento, oltre ai numerosi studi dell’amico Danilo Zardin, per rendere il tono di una cultura libraria vivace ma fortemente controllata mi permetto di rimandare al mio La lettura e lo studio della Bibbia nella Milano borromaica : prime schede, in *Milano borromaica atelier culturale della Controriforma, « Studia Borromaica », xxi (2007), pp. 41-71. 2   Si veda da ultimo “Le lectre belle ne lo suo stampire”. Cultura camaldolese a arte tipografica tra Quattro e Cinquecento, in *San Michele in Isola – Isola della conoscenza. Ottocento anni di storia e cultura camaldolesi nella laguna di Venezia, a cura di Marcello Brusegan et alii, Torino, utet, 2012, pp. 353-361. 3   Avevo già accennato all’edizione in Di alcuni incunaboli conservati in biblioteche sassaresi, in *Itinera sarda. Percorsi tra i libri del Quattro e Cinquecento in Sardegna, a cura di Giancarlo Petrella, Cagliari, cuec, 2004, pp. 41-65. 4   Alessandro Ledda, Per l’attribuzione della Carta de logu del 1560, « La Bibliofilia », cxiv (2012), pp. 133-152.  









234 edoardo barbieri In questo senso, il principale contributo della committenza ecclesiastica sarà stato relativo appunto alle pubblicazioni liturgiche. Ciò non solo in quanto si trattava delle pubblicazioni idonee all’esercizio del culto divino, fosse la celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia, o della liturgia delle ore (dai breviari ai corali), ma anche per altri due ordini di ragioni. La prima è di tipo tecnico ed è relativa alla definizione di “rossi e neri” usata per designare tali edizioni : si tratta di pubblicazioni complesse dal punto di vista tecnologico, necessitando almeno di un doppio passaggio sotto la pressa per realizzare la stampa a due colori, senza parlare dell’ulteriore investimento a causa della frequente presenza di incisioni (per cui, nel caso di calcografie, si doveva anche programmare un terzo passaggio sotto l’apposito torchio), e quindi particolarmente costose sia per l’aumento di lavoro necessario, sia per la più alta frequenza di errori e fogli di scarto. La seconda è relativa alla storia della liturgia e più in generale alle vicende ecclesiastiche : fino a dopo il Concilio di Trento e alle riforme promosse in quell’occasione, esisteva una tale proliferazione di usi liturgici locali da rendere necessaria la realizzazione di un’infinità di redazioni speciali di ciascun libro liturgico, da prodursi spesso in un numero abbastanza limitato di esemplari. 1 Tale dato, unito alla “dispersione” che l’immissione sul mercato generale di una produzione localmente caratterizzata avrebbe provocato, causava una scarsa convenienza commerciale di tale edizione, se non fosse stata per l’appunto commissionata dai diretti destinatari. Quando invece si arriverà alla standardizzazione dei testi liturgici, il “libero mercato”, semmai calmierato dalla concessione di speciali privilegi ed esclusive, si impadronirà di tale prodotto, divenuto commercialmente interessante. L’opposizione risulta evidente anche nel caso di due edizioni del breviario stampate a Milano a metà del xvi secolo. 2 Nel primo caso si tratta del Breviarium Humiliatorum impresso in soli 300 esemplari presso Giovanni Antonio di Castiglione nel 1548 per iniziativa del superiore dell’ordine, Girolamo Torchio (Edit16 cnce 23906), che compie in questo caso un investimento a fondo perso motivato da esclusivi interessi spirituali. 3 Si noti che l’edizione fu in uso nell’ordine fino agli inizi del xvii secolo, quando si fece stampare a Pavia un Breviarium Romanum a uso degli Umiliati : l’edizione, impressa da Giovan Battista Rossi nel 1620, riuscì però zeppa d’errori e alle monache umiliate fu affidato il compito di correggere il testo fissando cartigli con l’amido. 4 Ciò indica da un lato che, a fianco dell’iniziativa economica, era mancato un parallelo impegno per assicurare la correttezza testuale, dall’altro che il prodotto tipografico era totalmente proprietà dell’ordine e che il tipografo aveva svolto una pura funzione tecnica.  





1   Per un quadro generale si veda Marcel Metzger, Storia della liturgia. Le grandi tappe, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1996. 2   Kevin M. Stevens, Liturgical Publishing in med-Sixteenth-Century Milan : The Contracts for the Breviarium Humiliatorum (1548) and the Breviarium Ambrosianum (1557), « La Bibliofilia », ic (1997), pp. 111-134. 3   Ennio Sandal, L’arte della stampa a Milano nell’età di Carlo V. Notizie storiche e annali tipografici (15261556), Baden-Baden, Koerner, 1988, n° 223. 4   *Edizioni pavesi del Seicento. Il primo trentennio, a cura di Elisa Grignani, Carla Mazzoleni, Milano, Cisalpino, 2000, n° 254 (l’anno successivo ne fu realizzata una ristampa corretta : ivi, n° 262) ; Edoardo Barbieri, Una prassi correttoria della tipografia manuale : il cartiglio incollato, « La Bibliofilia », cvii (2005), pp. 115-142.  















note sulla committenza editoriale ecclesiastica 235 Nel secondo caso, invece, si è davanti al Breviarium Ambrosianum impresso da Cristoforo Carono nel 1557 (Edit16 cnce 11195). Il rito ambrosiano, pur non essendo adottato neppure in tutta la diocesi di Milano, riguardava però una porzione così vasta del clero secolare, degli ordini di diritto locale, del laicato devoto, che l’edizione del Breviario poteva divenire un investimento economico vantaggioso, tanto da vedervi coinvolti il libraio Nicolò Landriani e l’imprenditore Camillo Figini, che evidentemente si aspettavano dall’impresa un certo ritorno economico. Ma si veda ora il caso dei Camaldolesi. Anche se sin dal 1471 e 1475 Niccolò Malerbi, un camaldolese, aveva già pubblicato rispettivamente la princeps della Bibbia volgarizzata e della Legenda aurea sempre in italiano, un impegno ufficiale e diretto dell’ordine è documentabile solo qualche anno dopo per iniziativa di Pietro Dolfin (Delfinus), monaco e priore di S. Michele, poi generale dell’ordine. 1 L’unione di un sincero afflato di riforma e osservanza della regola, nonché di ripresa della vita religiosa, portò il Dolfin a usare senza esitazione della stampa tipografica. 2 Un caso particolarmente interessante, e per il quale esiste ampia documentazione, è costituito dall’edizione del Breviario camaldolese realizzata a Firenze nel 1484 (istc ib01132000). 3 Vennero in quell’occasione impresse 300 copie dal tipografo Antonio Miscomini, per conto di un Battista d’Agnolo Vernacci, un investitore in svariati settori che poi scompare però dall’affare. Il progetto inizia a metà del 1483 con l’acquisto di una grossa partita di carta di provenienza bresciana, alla quale si aggiunge la fornitura di una partita di pergamene, tanto che oggi dei 4 esemplari che se ne conservano, sia pur talvolta lacunosi, ben 3 sono membranacei. Per la realizzazione di questa edizione a due colori vengono impiegati diversi lavoranti, tra i quali Andrea Ghirlandi da Pistoia alla composizione e Francesco Bonaccorsi (che di lì a poco diverrà tipografo in proprio) al torchio. Il tutto è documentato da un prezioso contratto nel quale è più volte esplicitato l’intervento di commissione : « a ’stanza de’ monaci bianchi di camaldoli », « al gienerale di chamaldoli », « si fanno per li generale di chamaldoli ». 4 L’operazione, voluta quindi e guidata dal Dolfin, portò a Camaldoli ben 40 copie del Breviario. Come si accennava, una caratteristica propria della committenza ecclesiastica, e che la accomuna a quella delle istituzioni locali per la pubblicazione di statuti e regolamenti, è la sostanziale assenza della prospettiva commerciale sostituita dalla distribuzione degli esemplari dell’edizione ai membri della comunità o all’interno della diocesi interessata. 5 Si ricordi, tra parentesi, che proprio ciò portò alle molte copie invendute della princeps degli Statuti di Brescia, che tanto fecero indispettire  













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  Raffaella Zaccaria, voce in dbi, xl, 1991, pp. 565-571.   Mario Fois, Osservanza. Congregazioni di osservanza, in *Dizionario degli istituti di perfezione, vi, Roma, Paoline, 1980, col. 1036-1058. 3   William A. Pettas, The cost of printing a Florentine incunable, « La Bibliofilia », lxxv (1977), pp. 67-85. 4   Dal documento pubblicato da W. A. Pettas, The cost of printing ..., cit. 5   Vedi (con la bibliografia pregressa) il saggio di Federigo Bambi premesso a *Gli statuti in edizione antica (1475-1799) della Biblioteca di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. Catalogo. Per uno studio dei testi di “ius proprium” pubblicati a stampa, a cura di Federigo Bambi, Lucilla Conigliello, Roma, Storia e letteratura, 2003, pp. 1-16, cui si aggiunga Giorgio Montecchi, I primi statuti a stampa : le procedure tipografiche di un genere letterario aperto, in Id., Il libro nel Rinascimento, ii, Roma, Viella, 2005, pp. 145-170. 2







236 edoardo barbieri 1 Tommaso Ferrando. Detto altrimenti, la committenza ecclesiastica mette in gioco un completo finanziamento dell’edizione prima della sua realizzazione e senza che sia previsto un piano di rientro, se non di incremento, del capitale investito. Ma ciò era nel senso che le copie venivano distribuite gratuitamente, cosicché le istituzioni ecclesiastiche potevano permettersi non solo di finanziare, a vantaggio dei propri membri, la pubblicazione di libri funzionali allo scopo dello svolgimento dei compiti loro propri, ma anche di offrirli senza pagamento di sorta ? In assenza di una risposta che valga per tutte le situazioni, si veda qualche esempio. Tornando al Breviario camaldolese del 1484, il generale, scrivendo al confratello Pietro da Portico, affermava : « Antequam imprimerentur Breviaria, fere habebat nemo. Postquam vero imprimi iussa sunt, habent singuli bina vel terna ». Tale frase è stata fin qui interpretata come una generica testimonianza della grande disponibilità di copie del testo dopo la sua impressione. Se però la si legge attentamente, forse il significato è diverso. « Prima di stamparlo, sembrava che nessuno avesse il Breviario, mentre dopo che ho dato l’ordine di imprimerlo tutti dicono di averne due o tre ». Cioè : non è che il generale si lamenta del fatto che i monaci si rifiutano di acquistare il Breviario, giustificandosi col fatto di averne già più copie ? Sono probabilmente esistite due modalità di finanziamento : l’una “a fondo perduto”, che prevedeva il dono dell’edizione (magari realizzata su pergamena, miniata, riccamente legata) ai suoi naturali fruitori (forse, in specie membri di ordini religiosi), l’altra – più diffusa quando si intravede la presenza di un libraio-editore che fa da mediatore – che prevedeva invece una cessione secondo prezzi prestabiliti. Si veda innanzitutto il caso della princeps del Messale ambrosiano, impresso a Milano nel 1475 da Antonio Zarotto su finanziamento di Marco Roma (istc im00644100), il cui acquisto durante la visita pastorale viene imposto da parte del vescovo ausiliare alle diverse comunità religiose che ne abbisognavano. 2 Ma si consideri, nel medesimo anno, anche l’impressione su committenza ecclesiastica di un libro non liturgico, quanto piuttosto di un manuale pastorale, il Manipulus curatorum di Guido di Montrocher, impresso a Saragozza da Matheus Flanders (istc ig00569000). Il caso è interessante perché è stato individuato un documento nel quale il vicario generale della diocesi di Saragozza, Pedro Miguel, a pochi giorni dal termine dell’impressione, impone, sotto pena di scomunica, l’acquisto del volume a coloro « qui curam animarum gerunt ». 3 Addirittura nel Missale Caesaragustanum, Saragozza, Pablo Hurus, 1485 (istc im00653130), il cui acquisto fu anch’esso imposto ai curati, si specifica che tale norma era dovuta alla necessità di evitare diversità di lezione, aggiunta di testi spuri, errori testuali. 4 Oggetto di un’editoria su committenza saranno però state anche le pubblicazioni di testi giuridici interni all’ordine, comprese le regole, le raccolte di privilegi o di do 





















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  Oltre ai noti saggi dedicati al Ferrando da studiosi come Dennis E. Rhodes e Luigi Balsamo, alcune novità si attendono ora dai lavori del mio allievo Alessandro Tedesco. 2   Arnaldo Ganda, La prima edizione del messale ambrosiano (1475). Motivi pastorali e aspetti commerciali, « La Bibliofilia », lxxxiii (1981), pp. 97-112. 3   Manuel José Pedraza Garcia, La introducción de la imprenta en Zaragoza : la producción y distribución del Manipulus curatorum de Guido de Monterroterio, Zaragoza, Matheus Flanders, 15 de octubre de 1475, « Gu4 tenberg Jahrbuch », 1996, pp. 65-71.   Ivi, p. 68 con bibliografia.  









note sulla committenza editoriale ecclesiastica 237 cumenti, ovvero le lettere circolari destinate ai vari insediamenti. In tal senso, non meno curioso è il reperimento di un avviso a stampa voluto sempre dal generale dei camaldolesi Dolfin e realizzato non molto dopo il 9 marzo 1487 da Bartolomeo de’ Libri, sempre a Firenze (istc id00138200) : si tratta di una lettera circolare ai diversi monasteri camaldolesi riguardante una tassa imposta a ciascuno di essi per sopperire alle gravi necessità della casa camaldolese fiorentina di S. Maria degli Angeli. 1 Anche altre edizioni occasionali (non però le pubblicazioni per monacazione, che saranno state finanziate dalla famiglia di provenienza) possono essere state finanziate da un ordine o da una diocesi. Più volte sollecitato a raccogliere il proprio epistolario, solo in tarda età Dolfin si decise all’impresa : ne uscì un parziale ma ampio volume in folio, pubblicato da Bernardino Benali nel 1524 (Edit16 cnce 17444), nel quale non solo si mostra al frontespizio il generale inginocchiato davanti a s. Romualdo (che regge con una mano la regola benedettina e con l’altra la “ca’ Maldoli”, simbolo dell’intero ordine), a segnalare la sua indiscussa fedeltà all’ordinamento romualdino, ma egli viene insignito dei titoli che formalmente ancora possedeva quale generale dell’ordine. Pur mancando un’esplicita indicazione in tal senso, è probabile che dietro l’edizione della raccolta epistolare dolfiniana si nascondesse un qualche intervento economico dell’ordine. Particolarmente interessante è anche il problema della stampa di materiali liturgici per territori nei quali la stampa o non era ancora giunta (vedi la Sardegna evocata) o non aveva raggiunto il necessario sviluppo. Si prenda il caso, assai ben documentato, del Messale per i territori ungheresi. 2 La princeps del Missale dominorum ultramontanorum fu impressa anonimamente a Verona nel 1480 (istc im00729800) : ne esiste però anche un’emissione parzialmente diversa col titolo di Missale Strigoniense, cioè secondo l’uso della cattedrale di Esztergom, sede primaziale d’Ungheria (ISTC im00722800) : è secondo tale denominazione che l’opera fu ristampata ben nove volte tra il 1484 e la fine del secolo, alternando tipografi di Norimberga e di Venezia. Non stupirà poi che i non pochi esemplari sopravvissuti della princeps del 1480 siano sostanzialmente distribuiti sul vasto territorio corrispondente a quella che viene definita l’Ungheria storica, comprendente, oltre all’attuale Repubblica ungherese, almeno Slovacchia e Transilvania : appena realizzata, l’edizione, il cui smercio nell’Italia settentrionale era assai improbabile, fu dunque interamente trasferita presso il committente e poi distribuita alle istituzioni interessate. La princeps fu sicuramente realizzata col materiale tipografico di Pierre Maufer, che da Padova si sarà momentaneamente trasferito a Verona a causa di un’infezione pestilenziale che in quel momento imperversava in città, tanto da spingere ben l’80% degli studenti ad abbandonarla. Una volta lasciata Padova, il Maufer non era  









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  Edoardo Barbieri, Un nuovo incunabolo fiorentino, « Italia Medioevale e Umanistica », xxxiii (1990), pp. 351-354. 2   Si vedano almeno Imrich Kotvan, Missale Strigoniense – H 11428, « Beiträge zur Inkunabelkunde », iii (1967), p. 189 e figure 52-54 ; Dennis E. Rhodes, An outline of Veronese bibliography, in Id. Studies in Early Italian Printing, London, Pindar Press, 1982, pp. 235-253 : 238-239 ; Daniela Fattori, Nuove ricerche sulla tipografia veronese del Quattrocento, « La Bibliofilia », lxlvii (1995), pp. (1-20), 13-16 ; Francesco Piovan, Una società di stampa tra Pierre Maufer e Zaccaria Zaccarotto (con note per il Missale Dominorum Ultramontanorum : C 4125), « Quaderni per la storia dell’Università di Padova », xl (2007), pp. 209-216 ; Norbert Mátyus, Antonio di Sánkfalva e il primo missale all’uso della Chiesa ungherese, « Nuova Corvina », iv (2008), pp. 63-68.  































238 edoardo barbieri più neppure tenuto a sottostare al monopolio lì imposto per l’approvvigionamento del materiale scrittorio dalle cartiere di Federico Corner a Battaglia, e, in effetti, per questa edizione acquistò 260 risme dalla cartiera di Scalabrino Agnelli di Toscolano. Esiste addirittura un contratto tra il Maufer e Zaccaria Zaccarotto per la stampa di Messali secondo l’uso italiano, nella cui premessa si legge Cum zò sia cossa che maestro Piero franzosso stampadore, habitta al presente a Padoa in la contrà di Collumbini in caxa de miser Antonio ungaro, vada a Verona a stampar i messali al modo de Ungaria a miser Antonio ungaro ed abia intention de lavorar a Verona e altro, è venutto cum miser Zacharia de Zacharoti, citadin de Padoa ... a questi atti, convention e acordi : fornitto che sarano i ditti mesalli del ditto miser Antonio, nui debiamo stampar a bona compagnia i mesalli al modo de Italia.  

Se dunque i contorni della vicenda sono ben chiari, più incerta restava l’identità di questo “Antonio ungaro” (citato anche nel contratto per l’acquisto della carta di Toscolano) che ora si è potuto identificare con un ben noto ecclesiastico ungherese che aveva studiato a Vienna alla metà del secolo, era segretario della cancelleria regia, fu responsabile di importanti incarichi diplomatici in Italia e non solo, Antonio di Sánkfalva canonico di Vác : la Biblioteca Nazionale d’Ungheria possiede persino un incunabolo a lui appartenuto (Angelo da Chivasso, Summa angelica, Venezia, Giorgio Arrivabene, 1487, Inc. 720). 1 Antonio avrà dunque svolto in loco la funzione di controllore e pagatore per conto di un finanziatore ungherese rimasto però in patria : per l’impresa si è suggerito l’intervento di re Mattia Corvino, se non di Miklós Báthory vescovo di Vác, entrambi committenti di edizioni liturgiche ungheresi. 2 Ma si prenda ora il caso del Breviario di Aquileia, sede patriarcale abolita solo nel 1751. Come è facile immaginare, per la pubblicazione del volume ci si rivolse a officine veneziane : nel 1481 a Franciscus Renner con una tiratura in parte su pergamena (istc ib01146500), nel 1496 ad Andrea Torresano (ISTC ib01146550). 3 Pur rimanendo ignoto l’editore, l’area di diffusione degli esemplari noti, tranne Londra e Cambridge, concentrati tra Veneto e Friuli, Austria e Slovenia, attesta un prodotto rivolto a una particolare regione ecclesiastica. Non a caso l’edizione del 1481 specifica, sin dall’inizio : « Ordo psalterij secundum morem et consuetudinem alme ecclesie Aquileiensis ». Invece l’edizione del Messale di Aquileia, realizzato sempre a Venezia nel 1508 da un editore specializzato in materiale liturgico come Lucantonio Giunta (Edit16 cnce 2269) rivela anche il nome dell’editore, che avrà fatto da intermediario nell’impresa, un Johann Oswald di Augusta, che inserisce la propria insegna di libraio-editore addirittura al frontespizio. 4 Peraltro, il Giunta non era certo nuovo  











1   *Catalogus incunabulorum quae in bibliothecis publicis Hungariae asservantur, ediderunt Géza Sajó, Erzsébet Soltész, Budapest, In aedibus Academiae scientiarum Hungaricae, 1970, n° 194. 2   Oltre al Messale, si pensi anche al Breviarium Strigoniense, più volte ristampato : Venezia, Erhard Ratdold per Johann Cassis, 1480 impresso per conto di Mattia Corvino sotto il controllo di Michael Toron vescovo di Milkow e suffraganeo di Esztergom (istc ib01183050) ; [Norimberga, Georg Stuchs] per Theobaldus Feger, 1484 (istc ib01183100) ; Venezia, Tommaso Blavi [circa 1486] (istc ib01183120) ; Venezia, Giorgio Arrivabene per Johann Paep, 1497 (ib01183150). Sul Paep vedi Gedeon Borsa, Il rapporto dei primi editori di Buda con Venezia e le loro marche (1480-1526), « Il Corsivo », iii (1999), pp. 9-32. 3   Si veda anche Stefano Cancarini, Luca Rivali, Gli incunaboli della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia. Catalogo, « Studi Goriziani », ci-cii [2008 ?], pp. 73-108, n° 12 e 13. 4   Paolo Camerini, Annali dei Giunti, 2 vol., Firenze, Sansoni Antiquariato, 1962-1963, n° 120. Sull’at 

















note sulla committenza editoriale ecclesiastica 239 a collaborazioni con librai di Augusta se, cito a esempio, nel 1504 aveva realizzato l’edizione del Messale tipico proprio di quella diocesi, alle spese però del libraio Christoph Thun “civis Augustensis” (Edit16 cnce 42849). 1 La interazione tra committenza ecclesiastica e iniziativa di un libraio-editore può essere ugualmente ben testimoniata dall’edizione del Missale ecclesie Majoricensis impressa nel 1506 a Venezia da Johann Emerich e soci per conto di Lucantonio Giunta, ma grazie al finanziamento del libraio di Majorca Jacobus Hirdus (Edit16 cnce 29143) ; il colophon legge :  



Impressum Venetiis per Lucam Antonium de Giunta florentinum virum magnificum, arte vero et industria magistri Ioannis Emerici alemani et sociorum, impensis autem magistri Iacobi Hirdis librarii maioricensis. 2

Con ciò, esistono anche esempi di commissione a Venezia di edizioni liturgiche da parte di istituzioni ecclesiastiche site in località dove la stampa esisteva da tempo : ciò sarà stato dovuto assieme sia all’inadeguatezza dell’attività tipografica locale e alla qualità raggiunta dai maestri veneziani grazie alla buona carta e alla tecnica, sia alla convenienza economica che, nonostante gli ingenti costi di trasporto, i veneziani erano in grado di offrire. Interessante il caso del breviario fatto imprimere a Venezia per Alonso di Aragona arcivescovo di Saragoza : nelle more dell’attesa, le autorità locali avevano permesso la pubblicazione di un breviario in loco, ma nel 1503 ordinarono che all’arrivo di quello fatto imprimere in laguna dal libraio Francí Ribera di Barcellona venisse messa in vendita solo la nuova edizione. 3 Come ha evidenziato il caso delle monache umiliate alle prese con la correzione dei loro Breviari, naturalmente esisteva pure il problema di certificare e garantire la correttezza del testo prodotto, un tema questo particolarmente sentito dalla committenza degli statuti locali che, in quanto testi giuridici, richiedevano particolare attenzione. Si veda l’esempio del breviario ambrosiano pubblicato nel 1487, attribuito a Milano, Iacopo Sannazzaro della Ripa (istc ib01145600) : il curatore, il canonico milanese Gentilino Del Maino, ne fu anche il finanziatore, tanto da far giungere appositamente da Voghera il tipografo, installandolo presso S. Ambrogio, onde poterne controllare l’operato. 4 Ma si considerino anche le edizioni primo cinquecentesche del Messale monastico della Congregazione benedettina Cassinese, già detta di S. Giustina. 5 Presso il citato Lucantonio Giunta uscirono nel 1506 un’edizione in folio (Edit16 cnce 5200), 6 nel 1507 una in 8° tacitamente impressa da Giacomo Penzi (Edit16 cnce 5201), 7 nel 1515 un’altra in 8° (Edit16 cnce 5205) 8 e  





tività dei Giunta di Venezia si veda ora anche Edoardo Barbieri, Il giglio e la Bibbia. I Giunti di Venezia editori della Sacra Scrittura, nella Miscellanea Franco Giacone, Paris, Garnier, 2012, in stampa. 1 2   P. Camerini, Annali dei Giunti ..., cit., n° 87.   Id., Annali dei Giunti ..., cit., n° 105. 3   Manuel José Pedraza Gracia, Documentos para el estudio de la historia del libro en Zaragoza entre 1501 y 1521, Zaragoza, Centro de Documentación Bibliográfica, 1994, doc. 140. 4   Arnaldo Ganda, Iacopo Sannazzaro della Riva stampatore di un breviario ambrosiano del 1487 (igi 2066a ; gw 5250), « La Bibliofilia », lxxxviii (1986), pp. 117-130. 5   Rimando semplicemente a Mariano Dell’Omo, Storia del monachesimo occidentale dal Medioevo all’Età contemporanea. Il carisma di san Benedetto tra vi e xx secolo, Milano, Jaca Book, 2011, pp. 300-305 e 3306 336, con la bibliografia indicata.   P. Camerini, Annali dei Giunti ..., cit., n° 99. 7 8   Ivi, n° 112.   Ivi, n° 173.  





240 edoardo barbieri nel 1526 un’altra in folio (Edit16 cnce 5212). 1 È interessante notare che il volume del ’15 non solo si presenta « cum multis missis de novo additis », ma più precisamente « divi Georgij maioris auspicijs diligentissime revisum, correctum et emendatum », indicando cioè chiaramente il coinvolgimento dei monaci di S. Giorgio Maggiore a Venezia nell’allestimento dell’edizione. Ancora più esplicito il caso del Breviario cassinese impresso dal Giunta nel 1526 (Edit16 cnce 5211) : non solo viene specificato che l’edizione è stata corretta da p. Agostino da Venezia, ma essa è accompagnata da decreti dell’ordine circa la sua conformità al testo stabilito e la precisa volontà di pubblicarlo. 2 In altri casi la presenza di un revisore direttamente collegato ai fruitori dell’edizione non presuppone necessariamente un finanziamento da parte dell’ordine. Per il Messale carmelitano del 1500-1501, a esempio, realizzato da Johannes Emerich da Spira per Lucantonio Giunta (istc im00633700), sembra quasi che l’iniziativa, compreso l’onere della revisione testuale, sia tutta dell’editore. Vi si legge infatti che il libro  









per venerabilem sacre theologie magistrum fratrem ioannem mariam de polucijs seu prandinis de novalaria eiusdem sacri ordinis magna cum diligentia emendatum. Quod impensa sua ac solerti cura nobilis vir Lucantonio de giunta florentinus [...] impressit. 3

In altri casi, invece, si resta più incerti, anche se l’ampia diffusione dell’ordine qui in gioco, i francescani, rende possibile anche un’iniziativa puramente commerciale da parte dell’editore. Si veda a esempio l’edizione del Breviario romano secondo l’uso francescano realizzata da Emerich per Giunta nel 1497 (istc ib01126200). Qui interviene come revisore un frate Filippo da Rodigo, personaggio noto per altre iniziative nell’ambito editoriale : « magna cum diligentia revisum et fideli studio emendatum per fratrem Philippum de Rotingo mantuanum ordinis minorum de observantia ». 4 Il caso estremo e più stretto di un rapporto tra promozione ecclesiastica del prodotto librario e sua realizzazione a stampa si ha, ovviamente, con l’apertura di officine tipografiche vuoi direttamente dipendenti dal potere del vescovo, come quello di Michele Tini, stampatore del Seminario nella Milano borromaica 5 (ma è una tradizione che giunge fino alla fondazione, con aspettative e pretese ben maggiori, della tipografia del Seminario di Padova), 6 vuoi all’interno di monasteri. In realtà, quantomeno i nuovi ordini e le famiglie religiose di fondazione cinquecentesca potrebbero mostrare anche esempi di una fiorente attività editoriale data sostanzialmente in appalto, 7 forse in modo non sostanzialmente diverso dalla stessa autorità ponti 





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2 3   Ivi, n° 312.   Ivi, n° 310.   Ivi, n° 54.   Ivi, n° 34. Si veda anche Edoardo Barbieri, Une vie de saint Joseph du xve siècle peu connue, « Cahiers de Joséphologie », xxxvii (1989), pp. (197-255), 236-246. 5   Kevin M. Stevens, Printing and Politics : Carlo Borromeo and the Seminary Press of Milan, in *Stampa, libri e letture a Milano nell’età di Carlo Borromeo, a cura di Nicola Raponi, Angelo Turchini, Milano, Vita & Pensiero, 1992, pp. 97-133. 6   Marco Callegari, Dal torchio del tipografo al banco del libraio. Stampatori, editori e librai a Padova dal xv al xviii secolo, Padova, cna, 2000, pp. 73-95. 7   Per l’Oratorio di san Filippo Neri si veda Giuseppe Finocchiaro, Cesare Baronio e la Tipografia dell’Oratorio. Impresa e ideologia, Firenze, Olschki, 2005. 4







note sulla committenza editoriale ecclesiastica 241 ficia. Relativamente alla seconda tipologia, bastino qui gli esempi, che dovrebbero comunque essere i più significativi per il periodo considerato, delle monache di S. Iacopo a Ripoli di Firenze ancora nel xv secolo, dei monaci di Camaldoli all’inizio del Cinquecento (ma l’officina avrà una breve ripresa a fine secolo), delle monache Convertite di S. Maria Maddalena di Murano nella seconda metà del Cinquecento e degli Eremiti di Monte Corona a Rua presso Padova un poco più tardi. In realtà le quattro realtà evocate sono tra loro molto diverse, non solo per l’essere allocate le une in comunità religiose femminili le altre in maschili, ma anche per scelte culturali e strategie commerciali differenti. A Ripoli innanzitutto è impiegata manodopera esterna al monastero onde proporsi sul mercato come una tipografia concorrenziale alle altre e disponibile a stampare libri e fogli volanti di qualunque tema : l’unico testo in qualche modo riferito alla vita delle monache è il primo impresso, la Vita di s. Caterina da Siena del 1477 (istc iv00295800). 2 A Murano la produzione, realizzata invece proprio dalle monache – che erano impegnate non meno nella composizione che nella stampa – e tutta di argomento strettamente religioso, punta ugualmente a giungere sul mercato “reale”, accettando addirittura ordini da un editore esterno laico come la Libreria della Speranza in S. Maria Formosa. 3 Le due tipografie maschili, sulle quali ci si sofferma in chiusura, sono invece riservate a una produzione sostanzialmente interna, probabilmente interamente sottratta alla circolazione commerciale. 4 Infatti, al monastero di Fontebuona a Camaldoli, nel 1520 si stampavano libri. 5 Assurto alla testa dei camaldolesi, Paolo Giustinian si diede a un’assidua opera di riforma dell’intera congregazione, sul modello dei nuovi ordini che sorgevano in quegli anni. 6 In quest’ottica venne promossa anche una risistemazione dei testi giuridici relativi alla vita camaldolese, opera in realtà promossa sin dal 1512 dal Dolfin. Tale lavoro, di natura insieme filologica e giuridica per stabilire la certezza della norma camaldolese, trovò una sua espressione nella necessità di una riproduzione sicura di un certo numero di esemplari. In considerazione della necessità sia di vigilare sulla correttezza dell’edizione, sia del rispetto della clausura monastica, si decise di impiantare una tipografia a Camaldoli, una scelta che escludeva la possibilità di de1



1   Valentino Romani, Per lo Stato e per la Chiesa. La tipografia della Reverenda Camera Apostolica e le altre tipografie pontificie (secc. xvi-xviii), « Il Bibliotecario », n.s., 1998, ii, pp. 175-192, con la bibliografia indicata. 2   Edoardo Barbieri, Devozioni a stampa, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto, Gabriele Pedullà, i, Torino, Einaudi, 2010, pp. 520-524, con la bibliografia pregressa. 3   Ho raccolto quanto noto sul tema in “Per monialium poenitentium manus”. La tipografia del monastero di Santa Maria Maddalena alla Giudecca, detto delle Convertite (1557-1561), « La Bibliofilia », cxiii (2011), pp. 303-353. 4   Per brevità rimando al mio Dallo scriptorium all’officina tipografica : i benedettini italiani e la stampa entro la metà del xvi secolo, negli atti sulla storia benedettina del Cinquecento, Società Storica Benedettina, Cesena, Santa Maria del Monte, in stampa, dove peraltro sono analizzati altri esempi di committenza ecclesiastica. 5   Placido Lugano, Del tipografo bresciano Bartolomeo de Zanettis al servizio di Camaldoli e della “Regula Vite Eremitice” stampata a Fontebuona nel 1520, « La Bibliofilia », xiv (1912), pp. 177-183, 210-227, 285-294 e 338344. 6   Eugenio Massa, L’Eremo, la Bibbia e il Medioevo in umanisti veneti del primo Cinquecento, Napoli, Liguori, 1992.  













242 edoardo barbieri legare l’impresa ai monasteri veneziani (S. Michele in Isola e S. Mattia di Murano) o a quello di Firenze (S. Maria degli Angeli) : evidentemente, la necessità che fosse presente Giustinian stesso giustificò l’impresa. Così nel 1520 viene pubblicata la Regula Vite Eremitice, un’opera assai complessa, nella quale più volte si ribadisce l’importanza dell’iniziativa che è realizzata per rendere disponibile a tutti gli eremiti e i monaci camaldolesi il testo della Regola di s. Benedetto con la Vita di s. Romualdo e le costituzioni dell’ordine (Edit16 cnce 8633) : anzi, a sottolineare la vocazione universalistica della stampa, si afferma che due copie dell’edizione devono essere incatenate e rese disponibili a tutti nel coro monastico. 1 L’edizione è realizzata riccamente, a sottolineare l’importanza dell’evento. Sono inseriti ritratti silografici dei due santi protettori, ma all’interno del volume. Il frontespizio è invece quanto di meno attraente si possa immaginare – a indicare la natura non commerciale dell’edizione – essendo costituito, dopo l’incipit in grandi caratteri maiuscoli « in hoc volumine » seguito dal verbo « continentur », da un lungo elenco di una trentina di righe in caratteri gotici relativo ai materiali pubblicati. A realizzare l’impresa fu il bresciano Bartolomeo Zanetti da Castrezzato, appositamente trasferito in loco. 2 Con la pubblicazione della Regula Vite Eremitice l’esperienza si interrompe. In effetti, però, alla metà degli anni ’80 del xvi secolo si ricominciò a stampare con la supervisione testuale di Alessandro Ceva e di Silvano Razzi (e forse con l’aiuto del tipografo Giovanni Battista da Venezia, che nel 1589 entrò a Camaldoli). 3 Nel 1585 uscì il discorso al papa di Niccolò Lorini del Monte (un semplice opuscolo, forse una prova di stampa : Edit16 cnce 59575) ; anche se con alterne vicende, l’attività proseguì assai discontinuamente per meno di un decennio (vedi Edit16 cnce 8647, cnce 8649 e cnce 8648). Sta di fatto che, fosse per la confusione generata dall’attività tipografica, o per le difficoltà sorte per la riforma del breviario, oppure perché l’impresa aveva esaurito il suo compito, nel 1595 il priore di Camaldoli Simeone da Perugia ordinò la cessione del materiale tipografico, stabilita nel capitolo del 5 agosto 1595. In realtà, anche gli Eremiti camaldolesi di Monte Corona stanziati all’Eremo di Rua, vicino a Padova, ebbero una loro tipografia, nella quale le funzioni di tipografo venivano forse svolte da un fra Riccardo da Fagnano. Nel 1585 si pubblicò sant’Ephrem il siro, nella traduzione latina di Ambrogio Traversari, l’antico generale dei Camaldolesi (Edit16 cnce 18133). Nel 1587 uscì invece la Romualdina di Luca Hispano (Edit16 cnce 34222), dopodiché, sembra per la disobbedienza dell’autore, l’officina venne chiusa. Già dopo la pubblicazione dell’Ephrem c’era però stata una sospensione delle attività, così stabilita in data 16 maggio 1585 :  

















Perché l’essercitio di stampare non si può fare, come per esperientia havemo quest’ano veduto, senza gran distrattione et mancamento delle buone osservanze, pertanto fu ordinato 1   P. Lugano, Del tipografo bresciano Bartolomeo de Zanettis, cit., p. 338 : « istarum quoque constitutionum semper in choro duo sint exemplaria cathenulis bene firmata [...] ita omnes legere eas possint ». 2   Si veda da ultimo, con la bibliografia pregressa, Giordano Castellani, Identikit del tipografo bresciano Bartolomeo Zanetti, in *Il libro fra autore e lettore. Atti della terza giornata di studi “Libri e lettori a Brescia tra Medioevo ed età moderna”, a cura di Valentina Grohovaz, Roccafranca, La compagnia della stampa, 2008, pp. 191-202. 3   Placido Lugano, Intorno alle prime e alle ultime vicende della Tipografia di Camaldoli (1520-1595), « Rivista storica benedettina », viii (1913), pp. 321-336.  









note sulla committenza editoriale ecclesiastica

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detta stampa [il torchio] fosse rinchiusa in una cassa et non si aprisse senza espressa licentia di superiori maggiori.

In realtà, come si osserva dal fatto stesso che le diverse iniziative menzionate ebbero una vita piuttosto breve, esiste una latente contraddizione tra attività tipografica e vita monastica. Si potrebbe insistere su tale contrapposizione ricordando gli scritti, ancora quattrocenteschi, del domenicano (ma ospite dei benedettini dei SS. Cornelio e Cipriano di Murano) Filippo da Strada. Predicatore in diversi centri dell’Italia settentrionale, volgarizzatore e copista, egli fu un feroce nemico della stampa, da lui ritenuta un mezzo per diffondere testi zeppi di errori a scapito degli ingenui acquirenti1. E, in effetti, il grande abate Trithemius, esaltatore e fruitore attento dell’arte tipografica, scrisse un De laude scriptorum manualium... 2 Guardacaso, però, proprio nella Regula Vite Eremitice del 1520, al cap. 35, tra le opere manuali cui è utile applicarsi, non c’è la stampa, quanto piuttosto « libros scribere, minio decorare, necnon compaginare », cioè le antiche attività dello scriptorium medioevale, copiare libri, miniarli, rilegarli. Tutto ciò per una nostalgia del passato, per un rifiuto della modernità o un orrore per la tecnica ? Probabilmente no, perché altrimenti i libri a stampa non sarebbero stati commissionati e acquistati dai monasteri. 3 Piuttosto per l’insofferenza a un’attività che faceva interagire in modo complesso lavoro meccanico e intellettuale. A metà Seicento il cistercense Juan Caramuel y Lobkowitz, una vita errabonda per l’Europa, impegnato nell’insegnamento, nella ricerca matematica, poi nella cura pastorale, volle consegnare al trattatello Syntagma de arte typografica alcune sue riflessioni sulla stampa (in larga parte autobiografiche). 4 Tra i molti temi trattati vi è quello se sia lecito lavorare in tipografia di giorno festivo : la risposta si incentra su una diversa valutazione dei vari compiti svolti nell’officina impressoria. Il compositore sarebbe assimilabile al copista perché svolge un compito eminentemente intellettuale e quindi può lavorare di domenica ; invece l’opera dei torcolieri è decisamente manuale e quindi è lecita solo nei giorni feriali. 5 Tale distinzione, assai più che indicare un criterio “morale”, dice della considerazione che negli ambienti  









1   Su di lui fondamentali le notizie fornite ai primi del ’900 da Arnaldo Segarizzi in un articolo ripubblicato in *Arnaldo Segarizzi storico, filologo, bibliotecario. Una raccolta di saggi, a cura di Giancarlo Petrella, Trento, Provincia Autonoma, 2004. Si veda ora anche *Stampa meretrix. Scritti quattrocenteschi contro la stampa, a cura di Franco Pierno, Venezia, Marsilio, 2011. 2   Klaus Arnold, Johannes Trithemius (1462-1516), Würzburg, Schöningh, 1991. 3   Un esempio recente è costituito da *L’amore dello studio e il desiderio di Dio. Libri di lettura dai monasteri bresciani, a cura di Ennio Ferraglio, Luigi Radassao, Roccafranca, La compagnia della stampa, 2010. 4   Se ne vedano l’edizione in *Il Syntagma de arte typographica di Juan Caramuel ed altri testi secenteschi sulla tipografia e l’edizione, a cura di Valentino Romani, Manziana, Vecchiarelli, 1988 o in Juan Caramuel y Lobkowitz, Syntagma de arte typographica, edición de Pablo A. Escapa, Madrid, Instituto de Historia del libro y de la lectura, 2004. Sull’autore vedi anche Alfredo Serrai, “Phoenix Evropae” : Juan Caramuel y Lobkowitz in prospettiva bibliografica, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005. 5   Simile contrapposizione è già reperibile in Jean Gerson (applicata al mondo dei copisti), mentre, sempre nel xvii secolo, è nota pure negli scritti del teologo Antonio Diana (Resolutiones morales, numerose edizioni), fonte appunto del Caramuel, o in Francesco Risicato, De stato hominum in Republica, Palermo, Pietro Camagna, 1673 : si veda Anna Giulia Cavagna, La tipografica professione di Niccolò Capaci, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005, pp. 20-22.  



244 edoardo barbieri ecclesiastici si poteva avere dell’arte tipografica. Che si stampassero dunque i libri, anche a spese dei monasteri, ma lontano dalle mura dei chiostri. 1 Università Cattolica di Milano Abstract La questione della committenza ecclesiastica va innanzitutto inquadrata nella tipologia dei rapporti tra editore-finanziatore e tipografo, in secondo luogo deve essere letta all’interno della produzione tipografica legata alla Chiesa cattolica. Il contributo intende riflettere su alcune diverse prospettive : l’affido della stampa di un’opera a un tipografo geograficamente lontano dal committente, il tipo di distribuzione dell’opera impressa per committenza, il controllo esercitato sul testo pubblicato dall’autorità ecclesiastica. Il caso estremo è quello di una tipografia impiantata ad hoc per rispondere alle esigenze di un committente ecclesiastico, soluzione questa però assai problematica.  

Firstly, the matter of commissions for the church should be viewed in terms of the relations between the publisher-investor and the printer, and secondly it must be set in the context of printed products associated with the Catholic Church. This paper intends to reflect on some different perspectives : commissioning a book to be printed by a printer who is a geographically distant from the client, the kind of distribution of a commissioned printed work, the control of the church authority over the published text. An extreme case is that of a printery that was specially set up to respond to the needs of an ecclesiastic client, a solution however that turned out to be fairly complicated.  

1

  Oltre a ringraziare coloro che, nel corso della discussione dopo la mia relazione al convegno di Roma, hanno voluto indicarmi utili integrazioni o correzioni (tra gli altri Marisa Borraccini, Domenico Ciccarello, Arnaldo Ganda, Giorgio Montecchi, Manuel Pedraza, Marco Santoro), manifesto la mia gratitudine ai primi lettori, Giancarlo Petrella, Alessandro Ledda e Luca Rivali.

CIRCOLAZIONE LIBRARIA E MOBILITÀ DEI PRIMI TIPOGRAFI IN AREA MEDIO PADANA Giorgio Montecchi

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 alcuno potrebbe sollevare obiezioni sulla portata culturale e politica da atu tribuire, nel nostro caso, all’area medio padana nella seconda metà del secolo xv, cui si fa riferimento nel titolo. Si possono incontrare due diversi ordini di rilievi. Da un parte – immergendoci completamente nella contemporaneità – si può incorrere nel rischio di spostare tutto sul piano delle scelte politiche e, a seconda del proprio orientamento, giungere a sostenere o che la parola Padania vada addirittura cancellata del vocabolario italiano, oppure sul versante opposto ritenere che ad essa vada attribuita una valenza tale da acquisire sia gli attributi culturali della patria che quelli politici della nazione e in prospettiva (come alcuni sostengono, pare farneticando, al Nord) di stato autonomo. Sul versante opposto si potrebbe, invece, ricordare che fino a circa una ventina d’anni fa la parola Padania circolava con pieno diritto negli ambienti accademici della ricerca storica con un significato e con connotazioni semantiche radicalmente diverse da quelle entrate in circolazione dopo l’uso (o l’abuso) fattone dagli uomini della Lega. Il riferimento va a « Padania. Storia, cultura, istituzioni » la rivista semestrale dell’Istituto di storia contemporanea del movimento operaio e contadino fondata a Ferrara nel 1985 e rimasta attiva fino al 1994 sotto la direzione di un qualificato gruppo di storici che nel presentare il periodico ne illustrava gli scopi, o come oggi si dice la mission nella volontà di cogliere gli elementi di raccordo tra le diverse anime dei territori padani non nella dimensione politica o amministrativa, quanto piuttosto nella ricostruzione di una storia « fatta dalla gente, dalla lingua, dalla mentalità, dalle modalità del lavoro, dai paesaggi, dalle colture, dai rapporti col potere, dalle espressioni artistiche, dalle forme di accumulazione, da una ‘civilizzazione’, in definitiva, fatta con caratteri similari ». 1 L’attenzione veniva portata non tanto agli scenari politici ed istituzionali quanto piuttosto all’esistenza, anzi alla sopravvivenza delle classi più deboli che si trascinavano a fatica nel lento trascorrere delle epoche e nel ciclico riproporsi delle stagioni. Ci ritornano così alla mente, intrisi di una malinconica nostalgia, i colori, il clima e le immagini del Novecento di Bernardo Bertolucci o, nell’intimità della famiglia, l’aria che si respira in L’albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi. A questo mondo ormai lontano, rivisitato non solo in chiave antropologica e di costume ma osservato ed analizzato sotto le insegne della storia e della ricerca  







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  Si veda la premessa a « Padania. Storia, cultura, istituzioni », i(1987), p. 3. Gli studi sulla Padania nella sua dimensione territoriale e culturale sono stati molto numerosi nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, si rinvia solo alla pubblicazione congiunta del Comitato per la valorizzazione turistica delle aree padane dell’Emilia-Romagna e del Comitato laghi e fiumi della Lombardia e dell’Amministrazione provinciale di Rovigo : Padania : cultura e territorio. Una mostra in costruzione, Reggio Emilia, Amministrazione provinciale, 1978. Ma per i percorsi di questa area verso la contemporaneità si veda anche Roberto Mainardi, L’Italia delle regioni. Il Nord e la Padania, Milano, Bruno Mondadori, 1998.  







246 giorgio montecchi scientifica, si rivolgeva il periodico ferrarese, i cui collaboratori facevano, però, un uso molto sobrio della parola Padania. Sapevano infatti che il vastissimo bacino del Po aveva ed ha valichi aperti verso ogni paese e che lungo i secoli è sempre stato percorso ed attraversato in lungo e in largo da persone, da cose ed anche da idee provenienti da tutta Europa. Si distende, inoltre, su territori ed aree geografiche con tratti distintivi molto marcati in relazione a specifiche caratteristiche ambientali e a particolari condizionamenti storici, sociali e culturali. Per questo la parola Padania, pur facendo riferimento a un bacino geografico ben delineato ed unitario, nell’analisi storica si stempera fin quasi a dissolversi nelle numerose e diverse comunità che popolano le sue terre e, paradossalmente, finisce per riconoscersi nella complessità e nella molteplicità delle loro differenze orami stratificate nei secoli. Tra le aree subregionali che le danno vita si può certamente annoverare anche quella porzione di pianura padana che comprende, a settentrione e a mezzogiorno del grande fiume, le terre che da Brescia si protendono verso Verona, per poi volgersi a mezzogiorno verso Mantova e Ferrara, proseguire per Bologna, Modena, Reggio e Parma, lambire Piacenza e Cremona prima di ricongiungersi con Brescia : un territorio popolato da città, da corti, da castelli, da monasteri, da conventi, da pievi, da parrocchie, da villaggi, da cascine e da case arroccate nei villaggi o sparse nella campagna, con strade e vie d’acqua che si diramano in tutte le direzioni e sulle quali transitano ogni giorno uomini e merci di ogni tipo. È questa l’area medio padana che nella seconda metà del secolo xv vide unirsi ai soliti mercanti e artigiani gli stampatori e i librai con una merce mai vista in precedenza : i libri a stampa. Legami non solo dinastici e contatti culturali con l’intera Europa erano, in area medio padana, consolidati ormai da molti secoli, fin dal più lontano Medioevo. Fu a Parma che nel 781 Alcuino di York, di ritorno da Roma, incontrò Carlo Magno e, invece di raggiungere l’Inghilterra, lo seguì ad Aquisgrana e dalla scuola palatina diede vita alla riforma carolingia del sapere. Ma forse non è il caso di riandare così indietro nel tempo. A Bologna nel secolo xi rinacquero gli studi universitari del diritto, che nel loro cammino verso l’Europa ebbero i primi punti di approdo lungo la direttrice della via Emilia nelle università di Modena (1175), di Reggio Emilia (1188) e di Parma (sec. xii), ancor prima di raggiungere Padova (1222) ed incamminarsi lungo le strade che, superato il Po, conducono ai paesi d’Oltralpe. 1 È sempre stata un’area aperta all’Europa, che però conosceva, al proprio interno, una frammentazione dei poteri civili ed ecclesiastici variamente compenetrati tra loro e articolati su diversi piani gerarchici, i quali finivano per disegnare sul territorio un reticolo inestricabile di giurisdizioni, di regalie, di competenze e di prerogative d’ogni genere. Ma le decime, i dazi e le tasse imposte dall’alto non riuscirono a rallentare la crescita delle attività artigianali e dei traffici quando, a partire soprattutto dal Duecento e dal Trecento, le città, le strade e le vie d’acqua cominciarono ad essere protagoniste nella vita economica e commerciale europea. Era dunque l’area medio padana un territorio aperto all’esterno e permeabile  



1   Mi sia lecito per questi riferimenti e per più specifiche indicazioni bibliografiche rinviare a una mia storia del libro prima di Gutenberg di imminente pubblicazione e a mie lontane ricerche sulle università emiliane nel Medioevo : Giorgio Montecchi, Le antiche sedi universitarie, in Le sedi della cultura in Emilia Romagna. L’età comunale, Milano, Silvana, 1984, pp. 117-129.  

circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi 247 all’interno in ogni senso e in tutte le direzioni. Dopo il tramonto dell’età dei castelli e dei monasteri arroccati sulle alture o trincerati nelle campagne, i nuovi centri di aggregazione sociale e culturale, cementati da nuove forme di convivenza civile, si erano moltiplicati e andavano ricostituendo sull’intera area medio padana una fitta rete di scambi e di relazioni che congiungeva tra loro città, corti signorili, chiese e conventi. Legami culturali e sociali che mettevano in contatto con i grandi centri del sapere anche località minuscole, apparentemente lontane e isolate tra i monti o nelle basse terre della pianura. Carpineti, ad esempio, nell’alta valle del Tresinaro, antico castello matildico in cui nel 1077 si erano incontrati per ratificare una pace incerta l’imperatore Enrico IV, il papa Gregorio VII, l’abate di Cluny e la gran contessa Matilde di Canossa, era ridotto a ben misera cosa nel xv secolo, tanto che Francesco Ariosto, giunto fin lassù come parroco dopo i fasti cittadini, nel 1469 scrisse al podestà di Modena della gioia che provava quando passava per caso dalla sua parrocchia qualche letterato con cui conversare, accolto in « una mia celletta libraria a guisa d’uno studiolino, alhora di novo fabricada, per recreatione de la mia solitudine grande conforto ». 1 Erano le estreme propaggini sul territorio della nuova cultura umanistica che si respirava ormai nelle città e presso la corte di Ferrara, alla vigilia della diffusione dei libri a stampa. Anzi secondo alcuni e con un alto grado di probabilità fu proprio in una pieve, non tra i monti ma a ridosso del Po, che per la prima volta, cioè nell’anno 1463, si stampò in Italia con caratteri mobili di metallo nel piccolo centro di Bondeno, non lontano da Ferrara. Già nel 1954 Lamberto Donati aveva riproposto la convinzione già avanzata da altri che il frammento di una Passio presente sul mercato antiquario fosse stato stampato in area medio padana : a questa convinzione diede nuova forza Piero Scapecchi che esaminò il frammento riapparso sul mercato antiquario e che, collegandolo a documenti già noti agli studiosi, giunse alla conclusione che fosse stato stampato proprio a Bondeno. 2 Il legame tra la documentazione archivistica e i manufatti librari, in assenza di prove certe e dirette, lascia sempre aperti ampi margini al dubbio, tuttavia a rafforzare questa convinzione si può allegare il fatto che la pieve di Bondeno vantava relazioni istituzionali e culturali molto strette con le città emiliane e con la corte di Ferrara. Nell’anno 1460 ne era arciprete Francesco Fiessi, al quale si attribuisce la stesura del Diario ferrarese dal 1409 al 1502, e che verso il 1460 aveva scritto il Liber de visitazione, un trattato sulle visite pastorali dedicato al vescovo di Reggio Emilia Battista Pallavicino. 3 L’unico codice, miniato a bianchi girari, che lo conserva è uno dei più bei prodotti di scuola ferrarese posto in vendita nel 2006 da una libreria antiquaria con sede a Parigi e a Chicago. Chi  





1   Si veda la lettera di Francesco Ariosto a Luchino Negri, podestà di Modena, datata da Carpineti il 6 dicembre 1469, e conservata a Modena, Biblioteca Estense, alpha. W.4.4. Non mi è stato possibile una ulteriore verifica per completare questa citazione in modo più esteso, per la chiusura della Biblioteca Estense in seguito ai terremoti del 20 e 29 maggio 2012. 2   Si vedano : Piero Scapecchi, Subiaco 1465 oppure [Bondeno 1463] ? Analisi del frammento Parsons-Scheide, « La Bibliofilìa », 103 (2001), pp. 1-24 ; Lamberto Donati, Passio Domini nostri Iesu Christi. Frammento tipografico della Biblioteca Parsoniana, « La Bibliofilìa », 56 (1954), pp. 181-215. 3   Si veda Francesco Fiessi, Liber de visitazione, pergamenaceo, scritto e miniato in area ferrarese, anno 1460 ca. Si veda anche Diario ferrarese dall’anno 1409 sino all’anno 1504 di autori incerti, a cura di Giuseppe Pardi, Bologna, Zanichelli, 1928-1933.  













248 giorgio montecchi aveva scritto e pubblicato il Liber de visitatione ed era in grado di seguire e registrare gli avvenimenti più significativi della vita ferrarese del tempo, era certamente ben inserito nel variegato mondo della produzione libraria e poteva valutare i vantaggi di una rapida scrittura dei testi con l’ausilio di un torchio, soprattutto in quelle pubblicazioni che non miravano tanto all’eleganza formale del manufatto come il Liber de visitatione, ma si proponevano di dare ampia circolazione a un testo di devozione come la meditazione della passione di Cristo : si ricordi che anche uno degli ultimi incunaboli stampati in area medio padana, nella parrocchia di San Cesario tra Modena e Bologna l’anno 1499, fu proprio una meditazione in volgare sulla passione di Cristo. 1 L’arciprete di Bondeno ed ancor più il vescovo di Reggio Emilia, appartenente alla nobile famiglia dei marchesi Pallavicino, avevano vissuto da vicino anche i fasti della Dieta di Mantova del 1459 tenuta dal papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini che quattro anni prima, nel 1455, in una lettera al domenicano spagnolo Juan de Carvajal ci ha lasciato la prima informazione sulla stampa della bibbia da parte di Johann Gutenberg. 2 Erano dunque le città, le corti, le pievi e i conventi punti di aggregazione e di circolazione degli uomini, delle cose e delle idee. L’area medio padana era infatti attraversata o lambita dalle grandi linee di mobilità che dalla città di Venezia ma anche da Milano, da Bologna e dalla più distante Firenze, disegnavano sull’intero territorio dell’Italia centro settentrionale altrettante raggiere che, come rose dei venti non marittime ma terrestri, da queste città raggiungevano su strade e vie d’acqua i paesi del mediterraneo, quelli d’oltremare e quelli al di là delle Alpi. Sono molto note le strade percorse dagli stampatori europei per raggiungere Venezia dai tempi di Giovanni da Spira e di Nicolas Jenson fino a Lucantonio Giunta e oltre, o di quelli che da Venezia si dispersero in tutte le direzioni per insegnare e praticare l’arte tipografica così come là si era perfezionata : alcuni, come Erhard Ratdolt, ripresero la via della stessa Germania ; altri tipografi si diressero verso Occidente, come Panfilo Castaldi che puntò su Milano o come più tardi il dalmata Bonino de Bonini, che dopo aver fatto tappa a Verona e a Brescia, raggiunse Lione ; altri come Andrea Torresani alimentarono da Venezia la stampa con gli alfabeti delle lingue slave ; altri intrapresero la via che lungo l’adriatico portava a mezzogiorno e a oriente, come quando Federico veronese, partito da Venezia, andò a Jesi per stamparvi nel 1472 la Commedia di Dante, o come quando Gregorio de Gregori approdò a Fano e mise sotto i torchi il primo testo in lingua araba per i cristiani d’oriente nel 1514. 3 Le linee di mobilità interne all’area medio padana erano tutte riconducibili a percorsi che avevano come tappe principali Venezia, Milano e Firenze da cui si ridistribuivano di nuovo a raggiera in ogni direzione : va tuttavia tenuto presente che specialmente per trasportare carichi pesanti come le attrezzature tipografiche e le balle di carta, si preferivano le vie d’acqua a quelle di terra. Le strade di terra  











1   Si veda Meditazione a contemplare la passione di nostro Signore Jesu Christo a le sette ore del die, composta per lo devotissimo Sancto Bernardo, San Cesario sul Panaro, Ugo Ruggeri, 1499. 2   Anche sulla lettera di Enea silvio Piccolomini e sulla Dieta si Mantova si rinvia alla bibliografia della mia breve Storia del libro dalle origini a Gutenberg di imminente pubblicazione. 3   Per l’area veneta e la sua centralità nella mobilità dei tipografi in area non solo italiana si rinvia al contributo di Giancarlo Volpato in questo stesso volume.

circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi 249 che facevano corona all’area padana ricalcavano direttrici a noi ben note poiché nell’Ottocento furono grosso modo consacrate dalle linee ferroviarie : da Milano si raggiungeva così Venezia passando per Bergamo, Brescia, Verona e Padova ; da Venezia la strada per Firenze passava per Padova, Ferrara e Bologna ; mentre da qui si giungeva a Milano sul tracciato dell’antica via Emilia : Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Dobbiamo però aggiungere all’interno di questo triangolo sia le mille strade che congiungevano trasversalmente ciascuna di queste città a tutte le altre, sia soprattutto, come si diceva, le via d’acqua : primo tra tutte il corso medio e basso del Po, che da Piacenza e Cremona alle terre di Mantova e Ferrara accoglieva lungo il suo tragitto fiumi e canali navigabili provenienti dalle città a ridosso delle Alpi e degli Appennini. Su questo reticolo, a partire dagli anni Settanta del secolo xv, mossero i loro passi anche i primi tipografi dell’area medio padana. Fu certamente altamente meritorio l’intento erudito che, a partire dalla metà del xviii secolo, ha consegnato alla storia delle tipografie gli elenchi delle prime edizioni pubblicate nelle principali città italiane. Tra Otto e Novecento la compilazione degli annali tipografici di singoli stampatori o di dinastie di tipografi, l’attenta rilettura di colophon e dediche, la ricerca spesso fortunata di documenti negli archivi più disparati, hanno consentito una ulteriore conoscenza degli uomini, delle vicende e dei manufatti che hanno caratterizzato l’esordio della stampa tipografica in Italia. Tuttavia l’amore per la piccola patria locale, che ha spesso fatto assaporare il gusto per la scoperta di cimeli e la gioia di primati reali o supposti, ha contribuito ad allontanare l’attenzione degli studiosi dal contesto, cioè dal panorama storico e culturale in cui, come avrebbero insegnato Lucien Febvre e Henri Jean Martin, si inserirono gli esordi della stampa a caratteri mobili. La storia si riduceva insomma ad essere solo una lontana eco di quanto affermavano con orgoglio i loro primi fruitori, come ad esempio Francesco dal Pozzo che nella dedica alla prima edizione bolognese del tipografo Baldassarre Azzoguidi, lo additava con enfasi quale primus in sua civitate artis impressorie inventor : colui che per primo aveva introdotto la stampa a Bologna. 1 Sembrava, verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso, che sulla stampa delle origini ci fosse ormai ben poco da aggiungere alla gran massa di informazioni raccolte in due secoli di indagini sistematiche e minuziose, fondate sia sull’analisi bibliologica delle edizioni che su una solida documentazione archivistica. Fin dal manuale degli incunaboli di Domenico Fava, apparso nel 1953, il panorama delle prime tipografie appariva ormai consolidato in Italia e in Europa. Ma questa serena e condivisa certezza non durò a lungo. Ricerche parallele e incrociate non solo negli archivi locali ma anche in quelli delle città vicine, condotte assieme alla rilettura e a nuove interpretazioni dei colophon, delle dediche e dei documenti, hanno cambiato il panorama dell’introduzione della stampa nelle città dell’area medio padana. Si trovarono così informazioni importanti su Mantova a Verona, su Verona a Brescia,  











1   Sul peso di L’apparition du livre (Paris, Albin Michel, 1958) sulla storiografia europea relativa alla stampa in età moderna, mi limito qui a ricordare tra le numerose commemorazioni tenute in occasione del primo cinquantennio dalla sua pubblicazione La storia della storia del libro. 50 anni dopo “L’apparition du livre”. Atti del Seminario internazionale, Roma, 16 ottobre 2008, a cura di Maria Cristina Misiti, Roma, Biblioteca di archeologia e storia dell’arte, 2009.

250 giorgio montecchi su Parma a Mantova, su Modena a Bologna e viceversa : è un gioco di spostamenti, di transiti, di abbandoni e di rientri che rispecchiano, di fatto, l’estrema mobilità dei tipografi che vi furono attivi in quegli anni. Una mobilità che storicamente è stata recensita in due diversi modi : da una parte negli annali tipografici delle singole città in cui le edizioni dei tipografi stanziali o di passaggio erano registrate in ordine cronologico consentendo così di individuare agevolmente la loro presenza in città ; dall’altra negli annali tipografici degli stampatori in cui si catalogavano, sempre in ordine cronologico, le edizioni che avevano prodotto nelle città o nei paesi in cui si erano fermati. Incrociando i dati offerti da questi annali tipografici si possono facilmente disegnare gli itinerari degli stampatori nel corso degli anni e constatare che in area medio padana, ad esempio, per tutto il secolo xv furono frequentissimi i loro spostamenti da una città all’altra, tanto che a volte resta difficile, come vedremo, attribuire edizioni in cui si abbia il nome del tipografo e dei curatori, senza però il luogo di stampa. La storia di questi spostamenti, tenendo come punto di riferimento l’introduzione e la storia della stampa nelle diverse città alla luce delle nuove acquisizioni documentarie è stata esposta anche in anni recenti. 1 A Verona, contrariamente a quanto s’era creduto fino a poco tempo fa, la stampa non fu introdotta nel 1472 da Giovanni di Niccolò d’Alemagna ma nel 1471 da Paolo Butzbach e Giorgio d’Augusta in società col maestro di grammatica Cosma Bogioni, che però cedette ben presto la sua quota a don Pietro Villa da Orzinuovi, facendo, a quanto pare, irritare i due stampatori tedeschi che lasciarono Verona ed andarono a Mantova per insegnare l’arte tipografica a Pietro Adamo de’ Micheli. 2 Fu così che quest’ultimo divenne, a sua volta, il primo tipografo di Mantova nel 1472, anno in cui anche i suoi due istitutori Paolo Butzbach e Giorgio d’Augusta vi stamparono una delle prime edizioni della Commedia di Dante. Paolo Butzbach non si mosse più dalla città di Mantova dove continuò a stampare per una decina di anni e dove fece testamento il 17 novembre 1495. 3 Era però rimasto aperto il contenzioso tipografico veronese di Paolo Butzbach  





1   Per una breve sintesi e per alcune indicazioni bibliografiche relative alle città di Ferrara, Verona, Brescia e Mantova si può ricorrere, spero utilmente, a Giorgio Montecchi, Il libro nel Rinascimento. Scrittura immagine testo e contesto, Volume secondo, Roma, Viella, 2005, pp. 198-202. Per l’area emiliana si veda Luigi Balsamo, Produzione e circolazione libraria in Emilia, Parma, Casanova, 1983, pp. 11-99 ; ma si veda anche Andrea Canova, Tipografi, librai e cartolai tra Mantova e l’Emilia nel Quattrocento, in Rhegii Lingobardiae. Studi sulla cultura a Reggio Emilia in età umanistica, Reggio Emilia, Aliberti, 2004, pp. 139-167. 2   Su Verona e sulle città collegate di Brescia, Mantova e Ferrara si veda Gian Maria Varanini, I primordi della tipografia veronese (1471 anziché 1472), « La Bibliofilìa », 87 (1985), pp. 209-225 ; Dennis E. Rhodes, Due nuovi incunaboli : uno senese, uno veronese, « La Bibliofilìa », 88 (1986), pp. 183-188 ; Daniela Fattori, Nuove ricerche sulla tipografia veronese del Quattrocento, « La Bibliofilìa », 97 (1995), pp. 1-20 ; Ead., Nuovi documenti sull’introduzione della stampa a Verona e sulla Compagnia di Giovanni da Colonia, « La Bibliofilìa », 106 (2004), pp. 117-133. 3   In particolare sulla stampa a Mantova e le città vicine si si veda : Luigi Pescasio, L’arte della stampa a Mantova nei secoli xv-xvi-xvii, Mantova, Padus, 1971 ; Id., Pietro Adamo de’ Micheli protoeditore mantovano, Mantova, Editoriale Padus, 1972 ; Libri stampati a Mantova. Catalogo di mostra a cura di Giancarlo Schizzerotto, Mantova, Biblioteca Comunale, 1973 ; Rodolfo Signorini, Inediti su Pietroadamo de’ Micheli. Il protostampatore, l’uomo di legge e la sua morte violenta, « Civiltà Mantovana », n.s. i (1983), pp. 43-62 ; A. Canova, Tipografi, librai e cartolai…, cit., pp. 139-167 ; Id., Paul Butzbach organista, Andrea Torresani mercante e le letture del marchese Federico Gonzaga, in Mantova e il Rinascimento italiano. Studi in onore di David S. Chambers, a cura di Philippa Jackson e Guido Rebecchini, Mantova, Sometti, 2011, pp. 25-36.  









































circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi 251 e Giorgio d’Augusta contro Cosma Bogioni e Pietro Villa da Orzinuovi. Finalmente il 15 febbraio 1472 si giunse, a Mantova, ad un accomodamento tra le parti : Cosma Bogioni liberò i due tipografi tedeschi da ogni obbligo nei suoi confronti e Pietro Villa entrò nel pieno possesso dei beni della società e di tutti i libri prodotti. Inoltre i due tipografi tedeschi si impegnano a cedere a Pietro Villa due torchi da trasportare a loro spese a Verona e ad insegnare anche a lui, come avevano già fatto a Mantova con Pietro Adamo de’ Micheli, l’arte della stampa : non sappiamo però se questa ultima clausola sia poi stata applicata. 1 È certo che di lì a poco incontriamo Pietro Villa non a Verona ma a Brescia, dove il 20 luglio 1473 fece stampare, probabilmente in società con Giorgio d’Augusta, le satire di Giovenale e di Persio e dove erano già attivi i torchi di Tommaso Ferrando che nel 1471 si era accordato a Ferrara con Andrea Belfort e Stazio Gallo per apprendere l’arte tipografica che introdusse per primo nella città di Brescia. Stazio Gallo a sua volta lasciò Ferrara ed andò anch’egli a stampare a Brescia dove fu attivo a partire dal 1474. 2 Erano presenti a Mantova dopo il 1472 altri due tipografi tedeschi : Johann Wurster e Thomas Siebenburger, che però lasciarono ben presto la città in direzione di Modena. Johann Wurster, originario della Baviera, sottoscrisse la sua prima edizione modenese nel 1475, ma pare vi fosse già attivo da almeno due anni quando fu stampato il Liber Pandectarum Medicinae di Matteo Silvatico già attribuito dai bibliografi a tre diverse città : a Mantova dove il Wurster aveva lavorato nella prima parte dell’anno ; a Bologna dove risedevano i committenti Matteo Moretti e Domenico de Lapi ; e infine a Modena, dove Johann Wurster avrebbe continuato la sua attività. 3 In seguito Michele Volmar, probabilmente un suo operaio, si mise a stampare opere di più ampia circolazione. Thomas Siebenburger (Septemcastrensis, alla latina) giunse invece a Modena più tardi assieme al bresciano Giovanni Francesco Stellini Tintori, libraio a Mantova, per la stampa di un Aesopus moralisatus pubblicato il 19 maggio 1481 a spese del libraio modenese Domenico Rococciola, che fu così avviato all’esercizio dell’arte tipografica, praticata in edizioni per il popolo con l’ausilio di numerose illustrazioni silografiche. 4 In questi generi, pur avendo stampato soprattutto per gli studi universitari, si cimentò anche Pierre Maufer, un tipografo proveniente da  











1   In particolare su queste complesse transizioni si vedano i contributi appena ricordati : D. Fattori, Nuove ricerche …, cit., pp. 6-8 ; Ead., Nuovi documenti …, pp. 122-124. 2   Su Brescia si vedano : I primordi della stampa a Brescia. 1472-1511. Atti del convegno internazionale, Brescia, 6-8 giugno 1984, a cura di Ennio Sandal, Padova, Antenore, 1986 ; Ennio Sandal, Agli inizi della tipografia bresciana, 1471-1474, « Commentari dell’Ateneo di Brescia », 1988, pp. 81-95. 3   Per l’intera questione si rinvia a Luigi Balsamo, Origini dell’industria tipografica a Modena : 1475 o 1473 ?, « Atti e Memorie della Accademia nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Modena », s. vi, vol. xviii (1975), pp. 171-181 ; ristampato in L. Balsamo, Circolazione …, cit., pp. 89-99. Si veda anche Domenico Fava, Modena, Reggio Emilia, Scandiano, Modena, Cavallotti, 1943, pp. 17-32. 4   Le ricerche sui manufatti librari, sui testi e sui documenti condotte da Andrea Canova hanno consentito di disegnare il panorama della produzione e della circolazione libraria nelle città che facevano corona alla città e alla corte di Mantova : frutto di queste indagini è l’aver attribuito il Johannes Franciscus che stampa a Modena con Thomas Siebenburger non a un fantomatico Coroni, già accettato da me e dall’intera tradizione di studi sulla stampa a Modena, ma al libraio mantovano, di origine bresciana, Giovan Francesco Stellini Tironi. Si veda A. Canova, Tipografi, librai e cartolai …, cit., pp. 150-152. Si veda anche Giorgio Montecchi, Aziende tipografiche, stampatori e librai a Modena dal Quattrocento al Settecento, Modena, Mucchi, 1988, pp, 37-62.  























252 giorgio montecchi Rouen in Normandia, passato per la Germania e giunto in Italia, dove stampò libri soprattutto a Padova e in area veneta prima di approdare per pochi anni a Modena. Del resto l’attività tipografica a Modena, come s’è osservato a proposito dell’edizione del Liber Pandectarum Medicinae, e nelle altre città lungo la via Emilia, conosce legami consolidati di collaborazione non solo con la città di Mantova, che sembra giocare un ruolo di smistamento tra le città a settentrione e a mezzogiorno del Po, ma anche con Bologna, dove le esigenze di libri per l’università era avvertita fin dal XIV secolo, tanto che, ad esempio, Enrico da Colonia, il tipografo tedesco che vanta forse in Italia il più alto numero di luoghi di stampa, tra il 1477 e il 1484 sembra stampare, quasi alternativamente, a Bologna e a Modena. 1 A Bologna si assiste a partire dal 1471 all’intensa attività nella produzione libraria di alcuni valenti imprenditori come i librai Domenico Lapi e Sigismondo Libri, i professori Annibale Malpigli, Francesco dal Pozzo, Filippo Beroaldo e Matteo Moretti, i reggiani Donino Bertocchi, Ugo Ruggeri e tanti altri. 2 Francesco dal Pozzo fu il più attivo nel chiamare a raccolta tipografi attivi altrove, come Andrea Portilia, il prototipografo di Parma sua città natale, chiamato a Bologna per stampare una Lectura sul Digesto di Alessandro Tartagni nel 1472, dove poi portò a termine nel 1475 l’impresa del Repertorium juris di Pietro dal Monte. A Parma era allora attivo il francese Stefano Corallo che nel 1473 pubblicò l’Achilleide di Stazio, forse in diretta concorrenza con un altro francese, Andrea Belfort che l’aveva appena pubblicata a Ferrara. Negli anni che seguirono Stefano Corallo continuò a stampare a Parma opere di classici e edizioni giuridiche ad uso dell’Università di Bologna con la collaborazione di Francesco dal Pozzo e dello stesso Filippo Beroaldo che curò la sua edizione dell’Historia naturalis di Plinio del 1476, riedita poi negli anni seguenti da Andrea Portilia. Si ritiene che Stefano Corallo, attivo a Parma nei periodi di assenza di Andrea Portilia, ne facesse in un certo senso le veci e collaborasse con lui ; di certo sappiamo che egli era molto impegnato nel commercio librario e che dopo il 1478 non stampò più a Parma ed avendo solidi legami con librai e tipografi della città di Mantova vi acquistò, nel 1482, una bottega da Giovan Francesco Stellini Tironi per esercitarvi l’attività di libraio. 3 Tra i tipografi che raggiunsero Bologna per contribuire alla produzione libraria in favore degli studi universitari acquistarono un posto di rilievo, accanto ai tedeschi Enrico da Colonia, Enrico di Harlem e Giovanni Walbeck, diversi stampatori appartenenti alle due famiglie reggiane dei Ruggeri e dei Bertocchi che, separatamente o collegati in vario modo tra loro e con la famiglia bolognese dei Bazalieri, diedero in luce numerose edizioni a Bologna e in altre città italiane. Ugo Ruggeri fu certamente il più attivo con circa un centinaio di edizioni che stampò non solo a Bologna ma anche a Pisa, a Reggio Emilia e nel minuscolo centro di San Cesario, tra Bologna e Modena, chiamatovi probabilmente dal signore del luogo, il conte Albertino Bo 

1   Si veda, ad esempio, la tabella di Gedeon Borsa in I primordi della stampa a Brescia, 1472-1511. Atti del Convegno internazionale, Brescia, 6-8 giugno 1984, a cura di Ennio Sandal, Padova, Antenore, 1986, pp. 45-52. 2   Sulla stampa a Bologna resta fondamentale la monografia di Albano Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, Bologna, Zanichelli, 1929. Si veda anche Sul libro bolognese del Rinascimento, a cura di Luigi Balsamo e Leonardo Quaquarelli, Bologna, clueb, 1994. 3   Si veda in proposito A. Canova, Tipografi, librai e cartolai …, cit., pp. 145-155.

circolazione libraria e mobilità dei primi tipografi 253 schetti, per stamparvi nel 1499 una meditazione della passione di Cristo. Dionisio Bertocchi non si limitò, come il fratello Donino e Ugo Ruggeri, a semplici incursioni in altre città ma fu attivo con successo a Treviso e a Venezia. In queste due città ebbe come socio Pellegrino Pasquali, che dal 1487 si mise a stampare da solo belle edizioni per la scuola, per la religione e per gli studi giuridici e fu attivo a Venezia fino al 1494, quando dopo la morte del suo signore naturale, il conte di Scandiano Matteo Maria Boiardo, fu richiamato in patria dalla vedova per stamparvi l’Orlando Innamorato nell’ultima versione lasciata incompiuta dal marito. Ricordare qui tutti gli spostamenti che fecero in area medio padana gli stampatori per raggiungere da soli o in società città, corti e monasteri (a Nonantola, appena giunto da Venezia, si era fermato nel 1480 il modenese Antonio Miscomini per stamparvi col fratello Giorgio un breviario prima di recarsi a Firenze) sarebbe impresa non facile che richiederebbe tempi e spazi che qui non ci sono concessi. Di certo possiamo dire che un nuovo approccio, più attento al territorio che alla singola città o alla singola azienda tipografica, offre un panorama dei primi insediamenti delle tipografie molto variegato e pieno di vita e di vitalità, ed apre non poche possibilità di sviluppo a ricerche future. Se infine escludiamo le primizie di Bondeno del 1463 (una rondine non faceva primavera neppure allora) è solo attorno all’anno 1471 che compaiono le prime tipografie in area medio padana, dopo Roma e dopo Venezia e, pare, anche dopo Milano, specialmente se ne anticipiamo la data di introduzione della stampa al 1468 o all’anno seguente. 1 Dopo di allora, come s’è visto, fu percorsa in ogni direzione, su strade e su vie d’acqua, da coloro che sperimentavano per la prima volta i nuovi mestieri del libro a stampa. In verità non è facile individuare un modello di mobilità e di diffusione delle attività tipografiche da applicare in modo univoco all’introduzione della stampa in questa e in altre regioni, dal momento che i primi stampatori sembrano essere guidati soprattutto da motivazioni casuali ed occasionali. Si potrebbe pertanto parlare di un modello di diffusione di tipo medievale, in cui i trasferimenti da una sede all’altra obbediscono più a motivazioni fortuite e a contingenti situazioni familiari e patrimoniali che alle linee strategiche di mirati interventi professionali. Insomma se un modello esiste, esso appare guidato dall’incoerenza ed è probabilmente costituito non da parametri fissi che si mantengono stabili col trascorrere del tempo ma da parametri variabili e, per così dire, di tipo orizzontale, che si riproducono con caratteristiche simili in più località, in cui però operano più persone appartenenti a professioni diverse e con ruoli differenti svolti, ogni volta secondo modalità differenti, da stampatori, editori, librai, cartolai, curatori e correttori, ai quali si possono aggiungere tutti coloro che per i motivi più disparati erano interessati alla produzione e alla circolazione di libri a stampa : dai professori universitari ai maestri di grammatica, dai medici ai giuristi, dai prelati ai religiosi, dai signori delle corti alle autorità cittadine. Per parlare di un modello di diffusione e di radicamento delle attività tipografiche  

1   Il riferimento va al contributo di Piero Scapecchi, Il problema dei primordi della stampa a Milano … e non solo, in La tipografia a Milano nel Quattrocento. Atti del convegno di studi nel v centenario della morte di Filippo Cavagni di Lavagna, 16 ottobre 2006, a cura di Emanuele Colombo, Comazzo (Lodi), Comune di Comazzo, 2007, pp. 65-71.

254 giorgio montecchi di tipo, per così dire, verticale, che cioè si riproduca con caratteristiche simili nel corso del tempo, da una generazione all’altra, e che riguardi espressamente non tanto le città principali come Venezia, Milano o Firenze ma il territorio e le città medie e piccole, come quelle dell’area padana qui esaminata, si deve aspettare, per lo meno, l’ultimo quarto del secolo xvi, quando diventò per così dire sistematica l’introduzione delle stamperie in queste città su esplicita richiesta delle autorità con lo scopo espresso di garantire, da una parte, i servizi di stampa alle cancellerie comunali e alle curie vescovili, e di offrire, dall’altra, ai poeti, ai letterati, agli eruditi, agli insegnanti e agli studiosi locali la possibilità di stampare in loco le loro produzioni intellettuali senza ricorrere a tipografie di altre città. Solo due esempi tra i tanti : Ravenna assistette all’introduzione della stampa solo nel 1578 ; Reggio Emilia, invece, che pure aveva conosciuto una discreta fioritura di testi a stampa nell’ultimo ventennio del Quattrocento e nei primi anni del Cinquecento, rimase poi senza alcuna attività tipografica fino al 1562, quando il comune chiamò a esercitavi l’arte Ercoliano Bartoli i cui figli vi rimasero attivi anche nel secolo seguente. Il reclutamento da parte delle autorità, il contratto per gli usi di cancelleria, l’attività editoriale al servizio degli scrittori locali e, infine, l’apertura accanto alla stamperia di un negozio di libreria furono i parametri di un modello di diffusione dell’attività tipografica in età moderna che, con poche variazioni, si sarebbe imposto non solo in area medio padana ma anche in molte altre regioni italiane ed europee : avrebbe resistito a lungo, fino all’introduzione di modalità di stampa industriali nei primi decenni del xix secolo.  





Abstract Il territorio che dalle città di Brescia e Piacenza, si estende verso oriente alle città di Parma, Reggio, Mantova e Ferrara fino a raggiungere Verona e Bologna, fu attraversato in ogni tempo e in tutte le direzioni da strade e vie d’acqua che favorirono le attività commerciali e gli scambi culturali. I primi stampatori che vi giunsero nel corso degli anni Settanta del xv, prima di fissarvi fissa dimora o di trasferirsi altrove, toccarono più di una di queste città. Per questo i recenti studi sull’introduzione della stampa hanno conosciuto nuove ed importanti acquisizioni, proprio per avere cominciato a tenere in debito conto l’estrema mobilità dei prototipografi dell’area medio padana. The area that extends east of Brescia and Piacenza to encompass Parma, Reggio, Mantova and Ferrara through to Verona and Bologna has been run through, at any time and in all directions, by roads and waterways that have boosted trade and cultural exchanges. The first printers who got there in the 1470s, before settling in or moving elsewhere, touched several of these cities. That is why the latest studies about the introduction of printing have found new, important information just because they have started to duly consider the extreme mobility of the first typographers from the central Po region.

STAMPATORI E LIBRAI DEL QUATTROCENTO, CHE SI SPOSTANO DA VENEZIA A MILANO E VICEVERSA Arnaldo Ganda

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a sempre gli uomini si sono spostati da una località all’altra per trovare condizioni di lavoro più favorevoli e migliori possibilità di guadagno. Questo fenomeno compare anche agli albori della nuova attività tipografica con stampatori e librai che nel Quattrocento si spostano da Venezia a Milano e viceversa. All’epoca, fra le due città esisteva un intenso traffico commerciale : Milano inviava a Venezia armi, armature, stoffe, calzature di vario tipo, pellami, granaglie, oro e argento filato. Da Venezia giungevano a Milano, proseguendo a volte anche per Genova e Lione, spezie, sete, vetri, palle di bronzo ecc. Tanto per fare due esempi, in un contratto notarile stipulato a Milano il 12 maggio 1469, i fratelli Cristoforo e Gabriele Sartirana si unirono a Stefano da Melzo per « trafigare in mercantiis a civitate Venetiarum ad civitatem Mediolani » ; 1 in un altro, stipulato sempre a Milano, l’11 maggio 1479 i fratelli Cristoforo e Lazzaro Beolchi costituirono una società « pro mercando et seu emendo, vendendo et baratando mercanzias et robas cum Venetiis toto tempore huius societatis ». 2 Venezia nel Quattrocento era ricca, popolosa, cosmopolita, vivace sotto l’aspetto culturale, notevole crocevia di traffici, e colà arrivarono a insediarsi già nel 1469 gli stampatori tedeschi Giovanni e Vindelino da Spira ; l’anno seguente (1470) i tedeschi Francesco Renner, Cristoforo Valdarfer, Giovanni da Colonia e il francese Nicolas Jenson. Questa fioritura di stamperie era stata agevolata da favorevoli condizioni fiscali e dai privilegi che la Serenissima aveva concesso a quelle officine. Milano, pur essendo anch’essa una città popolosa, centro dell’industria dei metalli, indispensabili per l’esercizio della tipografia ; dotata di numerose cartiere ; ricca culturalmente (vi esercitava Francesco Filelfo intorno al quale si erano radunati numerosi studiosi, bisognosi di libri), 3 non aveva ancora una sua stamperia. Fra i primi a intuire che introdurvi la nuova arte sarebbe stata una straordinaria fonte di lucro, fu il nobile Galeazzo Crivelli, castellano di Trezzo, località sull’Adda ai confini con lo Stato Veneto, e sovrintendente del dazio, 4 incarico che evidentemente gli aveva permesso di notare il traffico di libri in entrata nel ducato. Il 14  

















1   Archivio di Stato di Milano (d’ora innanzi : ASMi), Notarile, Not. Sartirana Antonio q. Albertino, filza 869. 2   Ivi, Not. Sudati Lancillotto q. Giovanni, filza 1225. 3   Eugenio Garin, La cultura a Milano alla fine del Quattrocento, in *Milano nell’età di Ludovico il Moro. Atti del Convegno Internazionale 28 febbraio – 4 marzo 1983, vol. i, Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, 1983, pp. 2-27. 4   Arnaldo Ganda, I primordi della tipografia milanese. Antonio Zarotto da Parma (1471-1507), Firenze, Olschki, 1984, p. 6 nota 21.  

256 arnaldo ganda marzo 1469 quindi, questo Crivelli stipulò accordi notarili con il medico Antonio Caccia, originario di Ceresole nell’Astigiano per « scribere libros in forma cum impressione » in gran quantità e smerciarli a comune lucro. 1 Per motivi che ci rimangono ignoti, gli accordi intercorsi tra il medico Caccia e Crivelli non ebbero seguito. Crivelli però non desistette dal suo proposito. Infatti si mise in contatto con uno stampatore tedesco (di cui ignoriamo il nome) perché si recasse a Milano con dodici compagni. A tal fine aveva predisposto per loro anche l’abitazione. 2 L’iniziativa di Galeazzo Crivelli era concomitante con quella intrapresa dal giureconsulto Gerardo Colli, ambasciatore milanese a Venezia. In una lettera dell’aprile 1470, indirizzata da tale località al duca Galeazzo Maria Sforza l’ambasciatore chiedeva la concessione di un privilegio decennale a una persona intenzionata a trasferirsi a Milano per avviarvi l’attività tipografica : « He qua uno homo da bene, qual voria venir a star a Milano et fare de li libri a stampa et fa molto miglior littera che non quella da Roma ». 3 Si sa dell’esistenza di stamperie a Roma precedenti a questa data, e sappiamo che Milano si riforniva di libri anche dalle stamperie romane. Infatti Francesco Filelfo nel dicembre 1470 scrisse a Giovanni Andrea Bussi, editore della prototipografia di Conrad Sweinheim e Arnold Pannartz per chiedere se le opere di alcuni autori si stavano stampando in Roma e quale era il costo dei singoli esemplari. 4 Ma torniamo all’ambasciatore Colli che continuava così la sua lettera : « me pararia che Vostra Excellentia […] li compiacesi, però che darà utile alla terra et mostrarà l’arte in Milano, et habundiarà tutto il paese de libri che quello si vende dieci si darà a Milano per sei […] me pare serà ben facto. Vostra Excellentia me po’ advisar de la volontà Sua a la quale semper mi ricomando ». 5 È chiaro per tutti l’importanza di avere una stamperia nel proprio Stato : non dover quindi dipendere per le proprie necessità librarie da officine straniere, che facevano uscire ogni anno dai confini una notevole quantità di denaro, che invece poteva benissimo essere fatto circolare all’interno, creando inoltre nuovi posti di lavoro per la manodopera locale. E questo a maggior ragione era chiaro a Gerardo Colli che avendo svolto per gli Sforza diverse missioni diplomatiche in Germania e, dettaglio non da poco, avendo soggiornato presso l’arcivescovo elettore a Magonza, 6 città ove era nata la tipografia, aveva senz’altro capito, già da allora, l’importanza economica di questa nuova arte. Il duca, in merito alle due richieste a lui inoltrate rispettivamente da Galeazzo Crivelli e da Gerardo Colli : la prima, lo ricordiamo, per far andare a Milano un tedesco, non meglio identificato e l’altra a favore dell’« Homo da bene », demandò ogni decisione al Consiglio Segreto. Non andò a buon fine la proposta di Crivelli per lo stampatore tedesco. Venne infatti accolta la richiesta inoltrata dall’ambasciatore  





















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  Emilio Motta, Un tipografo a Milano nel 1469, « Archivio Storico Lombardo », xxii (1895), pp. 150-154.   Id., Pamfilo Castaldi, Antonio Planella, Pietro Ugleimer e il vescovo di Aleria, « Rivista Storica Italiana », i, 3 1884, p. 269.   Ivi, pp. 254-255. 4   Francesco Filelfo chiedeva « fieri certior […] et qui libri istic imprimantur et quae singulis sint praetia constituta » (si veda Luigi Balsamo, La bibliografia. Storia di una tradizione, Firenze, Sansoni, 1984, p. 21). 5   E. Motta, Pamfilo Castaldi …, cit., pp. 254-255. 6   Carlo Paganini, Divagazioni sulla documentazione fra Milano e l’Impero per l’investitura ducale, in *Squarci d’archivio sforzesco, Milano, Archivio di Stato di Milano, 1981, pp. 30-34.  

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stampatori e librai del quattrocento 257 Colli che a Venezia aveva intrattenuto accordi preliminari con Antonio Planella, appunto l’« Homo da bene » desideroso di trasferirsi a Milano. A lui e ai soci, fino al numero di venti, che da Venezia lo dovevano accompagnare nella metropoli lombarda, il Consiglio Segreto sforzesco concesse un privilegio quinquennale di esclusiva di stampa e l’esenzione dal dazio per libri, armi e strumenti di lavoro. 1 Poco sappiamo di questo Planella, ignoto agli annali tipografici. Era medico, attivo a Capodistria prima di trasferirsi a Venezia. Si sa che nella cittadina istriana svolse la professione medica, come anche Panfilo Castaldi. 2 Quest’ultimo, secondo alcuni cronisti, avrebbe Fig. 1. Marca silografica di Panfilo Castaldi, rinveimpiantato in quella cittadina, cioè nuta a Feltre nel 1868. Già nel Museo Civico della a Capodistria, allora sotto il dostessa città. minio veneziano, una stamperia domestica. Sembra che i Francescani di quella località conservassero due plaquette sottoscritte da Castaldi nel 1461 : il Responsorium di Sant’Antonio di Padova e l’Orazione alla Santa Sindone. I due incunaboli, che presumiamo di poche carte, andarono smarriti in seguito alla soppressione del convento e all’incameramento dei beni e della biblioteca decretati da Napoleone nel 1806. E Castaldi aveva anche una sua marca tipografica : una P e una C sormonate da una croce a due bracci. La silografia, rinvenuta nel 1868 a Feltre durante la demolizione della casa dei Castaldi, venne collocata nel Museo di quella città. Il legno è ora irreperibile, ma fortunatamente disponiamo di una sua riproduzione fotografica. 3 Planella non andò a Milano, nonostante l’esenzione dal dazio e il privilegio quinquennale che gli erano stati concessi. Il privilegio venne pertanto ‘volturato’ a nome Castaldi, come attesta una successiva lettera ducale. 4 Sui dati anagrafici del feltrino permane una certa confusione, equivocando tra lui e il nonno suo omonimo. Per alcuni biografi Panfilo sarebbe nato nel 1398. Vide invece la luce alcuni decenni dopo, nel 1430. 5 A Milano non andò quindi un Castaldi  







1   Sul privilegio concesso ad Antonio Planella, si veda Rossana Sordelli Locatelli, Il primo privilegio milanese in materia di stampa, « Rivista di Diritto industriale », vi (1957), pp. 84-87. 2   Pusterla Gedeone [Andrea Tommasich], I Rettori di Egida Costantinopoli – Capo d’Istria, Capodistria, Tip. Cobol & Priora, pp. 63-64 nota 21. 3   Cenni biografici su Panfilo Castaldi. Omaggio del Municipio di Feltre in occasione del raduno Poligrafici Italiani per il quinto centenario dell’invenzione della stampa, Feltre, s.n.t., 1940, p. 6. 4   E. Motta, Pamfilo Castaldi …, cit., p. 267. 5   A. Ganda, I primordi della tipografia milanese …, cit., pp. 10-11 e nota 39.  



258 arnaldo ganda settantaduenne ma un quarantenne pieno di energia, forte del privilegio quinquennale. Prima di partire per la nuova destinazione però, mentre era ancora a Venezia, il 6 febbraio del 1471, Castaldi prese accordi con i fratelli Antonio e Fortuna Zarotto al fine di portarsi tutti a Milano e aprirvi una stamperia. 1 Gli Zarotto erano nativi di Parma. È verosimile che si siano trasferiti a Venezia dalla loro città natale per apprendervi l’arte della stampa. Nel marzo 1471 i due fratelli Zarotto e il medico erano già a Milano ove, sempre in quell’anno, pubblicarono tre testi scolastici : il De verborum significatione di Festo Pompeo, la Cosmographia di Pomponio Mela e le Epistolae di Cicerone. Castaldi era il proprietario dell’attrezzatura tipografica, tra l’altro tecnologicamente avanzata, in quanto la vite e la madrevite del torchio erano di bronzo, quando gli stampatori, fino ai primi del Cinquecento, l’avevano di legno. Gli Zarotto gestivano l’officina. Fra i tre però sorsero controversie in merito alla spartizione degli utili. In seguito a un compromesso venne stabilito che al medico andassero otto esemplari ogni cento delle singole edizioni stampate. 2 Il 4 marzo di un anno dopo, cioè del 1472, lo Sforza incaricò il suo segretario Giovanni Simonetta, di rintracciare « quello venetiano Maestro da stampare li libri » perché voleva incontrarlo. 3 Due giorni dopo Simonetta rispose al duca che « quello Maestro da libri dal stampo, che è venetiano et che se trova qui [cioè a Milano] et ha nomine domino Pamphilo de Castaldis medico » 4 si sarebbe recato subito a Vigevano, ove era la corte sforzesca. Ignoriamo il contenuto di quel colloquio. Però, due mesi dopo (5 maggio 1472), Galeazzo Maria Sforza, premesso che Castaldi « venuto qua in questa nostra inclita cità a fare lavorare libri ad stampi, secundo la conventione che se contene ne le nostre littere patente a luy concesse » era rimasto « contento de tornarsene a Venetia, acioché ognuno possa lavorare et fare de dicti libri per più commodità deli nostri cittadini et subditi » gli concedeva un salvacondotto per « reportare et condure et fare condure via tutti li suoi instrumenti, ferramenti, et cose pertinente al dicto mestero, et così tuti li libri facti et lavorati ad stampi ». 5 Suona quasi come un benservito ! L’attrezzatura era ancora in mano agli Zarotto dai quali Castaldi la ricevette solo il 14 luglio, in seguito a un compromesso arbitrale dell’umanista Gabriele Paveri Fontana, docente nelle pubbliche scuole, 6 e di Giovanni Squassi, figlio di Melchione, fornitore di registri e carta alla segreteria ducale. 7 Nel frattempo, però, erano intercorsi accordi notarili fra lo stesso Squassi e Castaldi. Ignoriamo sia il contenuto sia la data della loro stipulazione, avvenuta però antecedentemente al 1° luglio 1472. 8  























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2   Ivi, p. 85, doc. 1.   Ivi, pp. 85-86, doc. 5. 3   E. Motta, Pamfilo Castaldi …, cit., p. 267.   Ivi, p. 266. 5   Gerolamo Biscaro, Panfilo Castaldi e gli inizi dell’arte della stampa a Milano (1469-1472), « Archivio Storico Lombardo », xxli (1915), pp. 13-14. 6   Su Gabriele Paveri Fontana si veda Eugenio Garin, Orientamenti culturali milanesi e pavesi. La cultura milanese nella seconda metà del xv secolo, in Storia di Milano, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1957, 6 vol. vii, p. 564 sg.   ASMi, Famiglie, cart. 181. 8   Il riferimento a questi accordi è nei patti intercorsi il 1° luglio 1472 tra Panfilo Castaldi, Marco Roma, Biagio e Giovanni Antonio Terzago. Vedi nota seguente. 3





stampatori e librai del quattrocento 259 1 Infatti, in tale data venne stipulato un altro contratto per costituire fra Castaldi, Biagio Terzago e i medici Marco Roma e Gian Antonio Terzago (è sorprendente l’interesse dei medici per l’arte della stampa) una società tipografico-editrice in cui si menzionano i precedenti accordi fra il veneziano e il cartolaio Giovanni Squassi, accordi che, comunque, si affermava, dovevano essere rispettati. La durata della nuova società era stabilita in tre anni. Il contratto venne stipulato in casa di Marco Roma, il medico che finanziò nel giro di pochi anni la stampa di importanti opere liturgiche e soprattutto scolastiche. 2 Biagio Terzago era l’unico dei soci, oltre a Castaldi, a essere in possesso di una pur breve esperienza nel campo editoriale, avendo, l’anno prima, con prete Giuliano Merli, finanziato la stampa delle Epistolae ciceroniane presso gli Zarotto. 3 Castaldi, che in questo contratto risulta residente a Venezia ma domiciliato nel capoluogo lombardo, si impegnava a insegnare ai soci, direttamente o per interposta persona, le tecniche di composizione e di stampa, il modo di fabbricare l’inchiostro e i caratteri tipografici che dovevano risultare « sine deffectu et vitio aliquo », e a insegnare il tutto in modo accurato e completo (« fideliter et complete »). Inoltre, per l’arco dei tre anni stabiliti nel contratto, egli si impegnava formalmente e solennemente (« promissit et promittit obligando se ») a non addestrare altre persone, a non entrare in altre società tipografico-editoriali, all’infuori di quella già costituita con Giovanni Squassi appunto. E via via altre clausole che tralascio. Ho elencato solo queste, in quanto rivelano che Castaldi era reputato organizzatore ed esperto tipografo, vero « maestro di libri dal stampo » come aveva affermato la lettera ducale, oltre che capace incisore e gettatore dei caratteri. Tuttavia non posso tralasciare di riferire un’altra clausola di questo contratto, indubbiamente di grande interesse e cioè che il feltrino dovesse obbligatoriamente risiedere a Milano per tutto il periodo ritenuto necessario alla fabbricazione dei caratteri e all’organizzazione del lavoro fino alla composizione tipografica e alla stampa del primo fascicolo, unità sovrana del libro come è noto. Anche se poi venne depennata, questa clausola ci fa capire quanto fosse itinerante questo tipografo che passò da Capodistria a Venezia, da Venezia a Milano e da qui era pronto ad andarsene nuovamente, tanto che i soci cercarono di trattenerlo contrattualmente. Castaldi morì a Zara in Dalmazia 4 ove però non sembra risultino libri da lui sottoscritti. Nuovi protagonisti itineranti si erano insediati nel frattempo nella piazza milanese, avviando un’intensa attività tipografica. In primis già nel 1471 (ma probabilmente anche prima), l’orefice Filippo Cavagni da Lavagna, paese del Lodigiano, rientrato a Milano, forse da Padova o da Venezia, ove si sarebbe rifugiato, in quanto espulso dal ducato per omicidio, e dove avrebbe imparato l’arte tipografica. 5  















1   Il contratto è edito in Arnaldo Ganda, Panfilo Castaldi : vero « Maestro da libri dal stampo », « Libri & Documenti », xxii (1996), 2-3, pp. 42-45. 2   Id., Marco Roma, sconosciuto editore dei prototipografi milanesi (1473-1477) e un nuovo incunabulo : il catalogo di vendita dei suoi libri, « La Bibliofilia », lxxxii (1980), pp. 97-129 ; 219-246. 3   Id., I primordi della tipografia milanese …, cit., p. 126 nota 5. 4   Tullia Gasparini Leporace, Documenti dell’Archivio di Stato di Zara sulla vita e l’attività di Panfilo Castaldi, in Miscellanea in onore di Giuseppe Praga storico e patriota dalmata, Venezia, Associazione Nazionale Dalmata, 1959, pp. 27-72. 5   Arnaldo Ganda, Filippo Cavagni da Lavagna editore, tipografo e commerciante a Milano nel Quattrocento, (« Storia della tipografia e del commercio librario », vii), Firenze, Olschki, 2006, pp. 60-64.  





















260 arnaldo ganda Nel 1473 si trasferì nella metropoli lombarda anche Cristoforo Valdarfer, altro tipografo itinerante, arrivato da Ratisbona, si era fermato un pai0 d’anni a Venezia. Portatosi poi a Milano, via Padova, rimase nella capitale del ducato sforzesco fino al 1488, associato a Filippo da Lavagna, Cola Montano e a Marco Roma. I suoi annali registrano un inspiegabile intervallo produttivo, durato ben quattro anni, dal 1482 al 1486. 1 Spostò forse i torchi in altra località ? Tornò in quel lasso di tempo nella nativa Ratisbona ?  



Un cenno ora agli stampatori e agli editori che, lasciata Milano, sempre nel corso del Quattrocento, operarono a Venezia. Tralascio di menzionare quelli che giunsero nella città lagunare da almeno dieci località del ducato sforzesco (Cremona, Lecco, Monza, Parma, Pavia, Valenza Po, Alessandria, Como, Mandello del Lario e Novara). Spulciando le accurate liste cronologiche e onomastiche degli stampatori e degli editori attivi a Venezia, compilate nel 1889 da Carlo Castellani,2 nel 1933 da Ester Pastorello 3 e nel 1980 da Gedeon Borsa ; 4 consultando i repertori bibliografici di Georg Wolfgang Panzer (1797-1803), 5 Konrad Burger (1902) 6 e gli indici di altri cataloghi, in particolare l’Indice Generale degli Incunaboli delle Biblioteche d’Italia, 7 sono emersi i nomi di otto personaggi, tutti « de Mediolano » o « Mediolanensis » legati a vario titolo all’arte tipografica. Sono solo alcuni dei numerosi milanesi presenti a vario titolo nella città di Venezia nel corso del Quattrocento, riuniti in una corporazione, ospitata per le assemblee già dai primi decenni del Quattrocento, nella cappella dei Santi Giovanni Battista e Ambrogio in Santa Maria Gloriosa dei Frari. 8 Li elenco in ordine cronologico, in relazione all’anno di avvio dell’attività veneziana di librai – editori o di stampatori : Marchesino Savioni (1481) ; 9 Antonello Bernasconi (1485), 10 Francesco Maggi (1485), 11 Giovanni Battista Sessa (1490), 12 Damiano Gorgonzola (1493), 13 Giovanni Luigi Varesi (1493), 14 Giovanni Antonio Legnano (1494), 15 Giorgio Rusconi (1500). 16 La loro produzione tipografica o editoriale, a  













1   Si vedano gli annali di Valdarfer in Teresa Rogledi Manni, La tipografia a Milano nel xv secolo, Firenze, Olschki, 1980, pp. 253-254. 2   Carlo Castellani, Serie dei tipografi veneziani 1469-1515, in La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di Aldo Manuzio seniore, Venezia, F. Ongania, 1889, pp. xxxiii-xlv. 3   Ester Pastorello, Bibliografia storico-analitica dell’arte della stampa in Venezia, Venezia, La Reale Deputazione Editrice, 1933. 4   Gedeon Borsa, Clavis typographorum librariorumque Italiae 1465-1600, Aureliae Aquensis, V. Koerner, 1980. 5   Georg Wolfgang Panzer, Annales Typographici ab artis inventae origine ad annum md …, Norimberga, Michael Joseph Schmid, 1797-1803. 6   Konrad Burger, The printers and publishers of the xv . Century. Index to the supplement to Hains repertorium bibliographicum, London, Sotheran, 1902. 7   Indice Generale degli Incunaboli delle Biblioteche d’Italia, Roma, Libreria dello Stato, 1943-1981. 8   Cesare Cantù, Scorsa di un lombardo negli archivi di Venezia, Milano-Verona, Tip. di G. Civelli e Co., 1856, p. 153. 9 10   G. W. Panzer, Annales Typographici …, cit., iii nota 561.   Ivi, iv nota 900. 11   E. Pastorello, Bibliografia storico-analitica …, cit., nota 266. 12 13   K. Burger, The printers and publishers of the xv …, cit., p. 589.   Ivi, p. 419. 14   C. Castellani, Serie dei tipografi veneziani …, cit., p. xliii. 15   G. W. Panzer, Annales Typographici …, cit., iii nota 1828. 16   C. Castellani, Serie dei tipografi veneziani …, cit., p. xlv.

stampatori e librai del quattrocento 261 onor del vero, è circoscritta a poche edizioni. Fanno eccezione Giovanni Battista Sessa con una trentina di opere da lui stampate e il libraio Damiano Gorgonzola che a Venezia finanziò la stampa di almeno dodici edizioni, in parte giuridiche, in parte di classici latini. Damiano era fratello del ben più famoso Niccolò. 1 Nel 1495 Damiano si trasferì a Perugia, ove gestì una libreria presso le Scuole Nuove. Morì in quella città nel 1507. Della maggior parte di questi milanesi attivi a Venezia si sa molto poco e non risulta una loro attività nel capoluogo lombardo ad eccezione di Giovanni Antonio Legnano (figlio del rinomato editore Giovanni), l’unico di cui è documentata un’intensa produzione editoriale, anche in Milano, assieme ai fratelli Giovanni Giacomo e Bernardino. 2 Prendiamo ora in esame l’attività più propriamente commerciale. Da Venezia il 26 ottobre 1476 il tedesco Conrad Doll, agente librario residente nella città lagunare, si portò a Milano per vendere al libraio Giovanni Legnano, per l’importo di 775 lire, una partita di volumi a stampa, non meglio specificati. 3 Per lo smercio a Milano e in Lombardia dei libri da lui stampati, il 30 gennaio 1476 Nicolas Jenson costituì a Venezia una società con i due venditori Giovanni Rauchfas, originario di Francoforte e Pietro Ugleimer, anch’egli di Francoforte ma residente a Milano in casa di Andrea Torresani, suocero di Aldo Manuzio, casa ubicata nella centralissima parrocchia di S. Paolo in Compedo, nei pressi del duomo. 4 Questa compagnia si sciolse quattro anni dopo (1480) con il decesso dello stesso Jenson. 5 A Milano si importarono volumi a stampa da Venezia, a volte anche senza il tramite di agenti librari. Giovanni Antonio Ghilio, libraio milanese, il 24 gennaio 1480 promise di pagare 300 lire a Ottaviano Scotti, residente a Venezia, per l’acquisto di cinquanta breviari stampati dallo stesso Ottaviano e di quaranta esemplari del Supplementum Summae Pisanellae di Nicolaus de Ausmo, impressi da Leonardo Wild nella città lagunare il 1° gennaio 1479. 6 Il pagamento doveva essere effettuato tramite Brandano Scotti di Monza, procuratore di Ottaviano. 7 Non si trattò di un acquisto sporadico, in quanto il 3 settembre 1489 lo stesso Ghilio ricevette da Catellano Dugnani di Milano una quietanza, conseguentemente al pagamento corrisposto al libraio Alessandro Calcedonio di Venezia « occaxione librorum et voluminum librorum a stampa ». L’importo e i volumi non sono specificati. 8 Anche Antonio Ghinati, « legum doctor » e personaggio di spicco presso la corte sforzesca ove ricopriva il  







1   Arnaldo Ganda, Niccolò Gorgonzola editore e libraio in Milano (1496-1536). Firenze, Olschki, 1988 (« Biblioteca di Bibliografia Italiana », 115). 2   Si veda Guido Sutermeister, Gli editori ‘da Legnano’ 1470-1525, Varese, Tipografia arcivescovile dell’Addolorata, 1946-1948. 3   ASMi, Notarile, Not. Sudati Lancillotto q. Giovanni, filza 1225, q. vi. 4   Ivi, Not. Alessandro Mantegazza q. Giorgio, filza 4034, doc. 165. 5   Si ricorda che, agli inizi dello stesso anno (19 gennaio 1480), Angelo e Paolo Panigarola, reggenti l’Ufficio degli Statuti del Comune di Milano, rilasciarono una procura speciale a Niccolò Jenson « nobilem mercatorem et habitatorem Venetiis », incaricandolo di riscuotere alcuni crediti da Gaspare e Luigi loro fratelli, dimoranti nella città lagunare (ivi, Not. Capitani Antonio q. Cristoforo Elia, filza 1946). 6   hc 2169 ; igi 6877 ; istc im00071000. 3437. 7   ASMi, Notarile, Not. Cernuschi Antonio q. Giacomo, filza 3437. 8   Ivi, Not. Zunico Antonio q. Beltrame, filza 1879.  











262 arnaldo ganda ruolo di cantore ducale, fece arrivare libri da Venezia. Il 2 marzo 1480 promise infatti 240 lire imperiali allo stampatore Zuan da Colonia « occaxione resti certorum librorum a stampo ». Il pagamento doveva essere effettuato tramite Giovanni Leonardo Solenni da Verona, procuratore dello stesso Zuan « et Sociorum ». 1  







Un cenno a parte merita il grande editore Pietro Antonio Castiglione che con il socio Ambrogio Caimi, banchiere, proprietario di una cartiera 2 e partecipe di diverse società commerciali, finanziò a Milano la stampa di numerose edizioni giuridiche, commissionate soprattutto ai fratelli Giovanni Antonio e Benigno Onate. 3 L’espressione « grandissimi lavorerii in fare stampire » lascia ben intendere la loro intensa attività in questo settore. Ma il Castiglione fu attivissimo anche nel commercio librario. La sua attività incessante è ben compendiata nell’affermazione contenuta in una sua lettera a Giovanni Giacomo Simonetta per convincerlo a finanziare la stampa delle opere di Francesco Filelfo : « Ogni hora sono a cavallo per questa merchantia ». 4 Castiglione doveva essere ben introdotto a Venezia, come lascerebbe intendere il fatto che il 5 luglio 1486 era stato chiamato a fungere da padrino in occasione del battesimo di una neonata (il documento ne tace il nome e così quello dei genitori). 5 Lui e il socio Caimi, con l’evidente l’intento di monopolizzare buona parte del mercato librario, avevano unito le proprie risorse alla società tipografico-editrice, ‘Compagnia Zuan di Colonia e Socii’, costituita a Venezia il 29 maggio 1480. 6 Ne facevano parte : Zuan di Colonia, Zuan Manthen de Gerretzheim, Gaspare de Islach, Paola vedova di Giovanni da Spira, i due figli di quest’ultimo (deceduto nel 1470) : Pietro Paolo e Hieronyma moglie di Gaspare de Islach, infine Nicolas Jenson. La direzione delle vendite venne affidata a Pietro Ugleimer, residente a Milano come abbiamo visto. In tutto, compresi Caimi e Castiglione, dieci soci. Caimi e Castiglione, si impegnavano a fornire la carta per alimentare i torchi veneziani (Caimi, come si è detto, era proprietario di una cartiera) e a mettere a disposizione dei venditori della società i libri stampati a Milano. Le cose non funzionarono come i dieci soci avevano prospettato. Verso la fine dello stesso 1480 venne a mancare il contributo fondamentale dello stampatore Jenson che il 7 settembre « corpore languens » aveva dettato testamento, disponendo per molti legati e lasciando erede universale il fratello Albert, dimorante a Sommevoire nell’Alta Marna. 7 Costui non subentrò nella società, ma si limitò a venire più  

















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  Ivi, Not. Comi Filippo q. Luigi, filza 2288, q. iv.   La « folla de Caymis » si trovava nei Corpi Santi di Milano, fuori porta Ticinese, parrocchia di S. Lorenzo (Ivi, Not. Sudati Salomone q. Giovanni, filza 959, atto 16 agosto 1484). 3   Si veda Arnaldo Ganda, « Grandissimi lavorerii in fare stampire ». Giovanni Antonio e Benigno Onate stampatori a Milano e a Pavia nel sec. xv, « Archivio Storico Lombardo », cxxx (2004-2005), pp. 137-182. 4   Gerolamo D’Adda, Indagini storiche artistiche e bibliografiche sulla libreria viscontea sforzesca del castello di Pavia … con documenti inediti per cura di un bibliofilo. Appendice alla parte prima, Milano, Tip. Bernardoni, 1879, pp. 8-9 doc., lxxviii. 5   ASMi, Notarile, Not. Albignano Bernardo q. Pietro, filza 3478. 6   Gustavo Ludwig, Contratti tra lo stampador Zuan di Colonia ed i suoi socii. Inventario di una parte del loro magazzino, « Miscellanea di Storia Veneta. Regia Deputazione Veneta di Storia Patria », s. ii, viii (1902), pp. 45-88. 7   Il testamento di Jenson, edito da Bartolomeo Cecchetti, Stampatori, libri stampati nel secolo xv : 2



















stampatori e librai del quattrocento 263 volte in Italia, rilasciando diverse procure al fine di ottenere il saldo creditizio per i libri stampati da Jenson e depositati in più località per la loro vendita sia nell’ambito della società costituita con gli agenti Rauchfass e Ugleimer sia nell’ambito della compagnia appena fondata con ‘Zuan da Colonia e Soci’, Caimi e Castiglione. 1 I sospesi con costoro vennero regolati il 1° agosto 1486 ; 2 quelli con Ugleimer il 30 agosto con Margherita Moli la di lui vedova. Costei, dopo aver dichiarato che nella compagnia ‘Zuan da Colonia e Soci’ « multa et multa peracta fuerint in exercitio stampandi libros et aliunde dependentium et proinde in ipsa societate causata fuerint multa et multa debita et credita, ascendentia ad maximas quantitates ducatorum » quindi a somme rilevantissime, riconobbe di essere debitrice di 666 ducati verso Albert Jenson, per pendenze nell’ambito della commissaria gestita dal marito. 3 Anche Castiglione e Caimi ben presto ebbero contrasti con i soci veneziani da loro accusati non solo di aver occultato i rendiconti, ma anche di aver presentato una situazione molto sfavorevole nei loro confronti. Da una supplica inoltrata il 27 marzo 1481 allo Sforza, Castiglione e Caimi dichiararono che l’annuale volume di affari della società era di ca. 10.000 ducati d’oro (attualmente € 1.050.000) per ca. 7.000 volumi. Affermando che i loro libri erano stati depositati dai veneziani anche in numerose città del ducato per essere esitati, chiesero l’intervento del duca affinché tutti i feudatari intimassero ai librai delle rispettive località di presentare una relazione sulle giacenze dei volumi di Caimi e Castiglione da loro ricevuti per la vendita dalla ‘Compagnia Zuan da Colonia e Soci’. Questo per avere sotto controllo la situazione. Il 20 dicembre 1481 i due soci milanesi nominarono loro procuratore Giovanni Ambrogio Malabarba, abitante a Venezia, per recuperare i crediti di loro spettanza. 4 Neppure due mesi dopo (12 febbraio 1482), Zuan da Colonia a nome proprio e dei soci (compreso Nicolas Jenson, espressamente menzionato come vivo, anche se deceduto) si recò a Milano per contestare un compromesso fatto a Venezia l’anno precedente, in quanto la società, da lui presieduta, veniva penalizzata nei riguardi di Caimi e Castiglione. 5 Risulta da un atto notarile del 2 marzo 1482 che questi ultimi erano creditori dai soci di Venezia di ben 1906 ducati « occaxione tante quantitatis papiri dati per dictum dominum Ambrosium » cioè da Caimi. A sua volta la compagnia veneziana vantava crediti per libri dati a quest’ultimo e a Castiglione in conto  









testamento di Nicolò Jenson e di altri tipografi in Venezia. Note, « Archivio Veneto », xxxiii (1887), pp. 457-467, è stato ripubblicato da Martin Lowry, Nicolas Jenson e le origini dell’editoria veneziana nell’Europa del Rinascimento, Roma, Il Veltro, 2002, pp. 351-360. 1   Il 9 ottobre 1483 Albert Jenson nominò suoi procuratori Pietro Antonio Castiglione, Ambrogio Caimi e Giovanni Landriano, incaricandoli di recuperare i crediti del fratello Nicolas (ASMi, Notarile, Not. Zunico Antonio q. Beltrame, filza 1853 q. vi ; 1854 q. xiii). Rilasciò altra identica procura il 27 marzo del 1484 (ivi, Not. Lodi Pinamonte q. Antonio, filza 4107). Il 14 giugno dello stesso anno ne fece un’altra al solo Landriano (ivi, Not. Albignano Bernardo q. Pietro, filza 3478). Nello stesso giorno incaricò Alberto Nerozzi di Bologna di recuperare i crediti di Nicolas in quest’ultima città (ibidem). 2   In tale data Albert fece una nuova procura in Caimi e Castiglione per recupero dei crediti ancora non riscossi (ivi, Not. Frisiani Marco q. Luigi, filza 3372). 3   Ivi, Not. Zunico Antonio q. Beltrame, filza 1870, q. vii, c. 14. 4   Ivi, Not. Sovico Gabriele q. Giovanni, filza 2014. 5   Ivi, Not. Zunico Antonio q. Giovanni, filza 1851, q. iii, cc. xiiiv-xiv.  





264 arnaldo ganda 1 vendita a Milano. Ancora il 1° aprile 1484 Castiglione e Caimi intimarono a Pietro Ugleimer, direttore delle vendite della società, di saldare quanto di loro spettanza, recapitandogli la denuncia a Milano alla presenza dello stesso Andrea Torresani, padrone di casa, come detto. A loro volta, il 31 agosto 1485, gli stampatori Zuan Manthen de Gerretzheim e il socio Gaspare Islach rilasciarono una procura al libraio milanese Francesco Gaffuri al fine di definire le pendenze debitorie e le liti con Pietro Antonio Castiglione, Ambrogio Caimi e Luca Caudario (quest’ultimo abitante a Venezia) nell’ambito della società ‘Zuan da Colonia e Soci’. 2 Sembra che anche il libraio milanese Francesco Gaffuri smerciasse libri a Venezia, come risulta dalla procura da lui rilasciata il 1° settembre 1485 al già ricordato Gaspare Islach, al fine di recuperare crediti da Giovanni Manthen de Gerretzheim e in particolare dalla compagnia ‘Zuan da Colonia et Socii’. 3 Un’altra procura venne rilasciata da Gaffuri nello stesso giorno a Giovanni Bianchi e Gaspare Fiocchi, residenti in Venezia per recuperare altri crediti nella stessa città. 4 Nonostante tutte le loro controversie, i rapporti commerciali tra Caimi, Castiglione e Ugleimer non devono essersi mai interrotti, in quanto, dopo la morte « ex ydropesi et asmate » di Ugleimer stesso, avvenuta all’età di cinquant’anni in Milano, a porta Cumana, parrocchia di S. Protaso ad Monacos, il 18 dicembre 1487, 5 Ambrogio Caimi compilò (4 ottobre 1488) la lista dei libri avuti in deposito da lui, e ora da restituire alla vedova Margherita, erede universale. 6 Indipendentemente dalla società ‘Zuan da Colonia e Soci’, il giro d’affari nel campo librario di Caimi e Castiglione, era notevole, ma difficile era il recupero dei crediti, come risulta da procure, rilasciate per numerose località : Bergamo, Brescia, Firenze, Modena, Novara, Pavia, Piacenza, Verona, Venezia, Lione, Sicilia. Il 1° luglio 1490 il solo Castiglione « ritrovandosi havere de presente in molti loci grande quantitate de libri et debitori » assunse Filippo Cavagni da Lavagna per il recupero dei crediti o, in alternativa, dei libri stessi, incaricandolo di « vendere, comparare e baratare » andando in ogni dove, ma particolarmente a Lione e a Venezia. 7 I patti così particolareggiati di tale compagnia non ebbero seguito, anche per la vita sregolata di Filippo Cavagni da Lavagna. « Grande quantità di libri », ma anche molti « debitori » come si affermava in quel contratto. Anche allora, come ora, la strada dell’editoria era tutta in salita, irta di difficoltà.  















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  Ivi, Not. Zunico Antonio q. Beltrame, filza 1851, q. V, cc. 1-5 ; q. xi, cc. 19v-21.   Ivi, Not. Bossi Bernardino q. Antonio, filza 3140. Su Francesco Gaffuri, tra l’altro importatore, nel settembre 1485, di ben quarantadue casse di libri a stampa e di altre merci che da Venezia erano destinate a Napoli, depredate però da un corsaro napoletano, si veda Angela Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, Milano, Franco Angeli, 1998, pp. 81-82. 3   Ivi, Not. Bossi Bernardino q. Antonio, filza 3140, q. i. 4   Ivi, Not. Bossi Bernardino q. Antonio, filza 3140, q. ii. 5   ASMi., Popolazione p. a., busta 77. 6   E. Motta, Pamfilo Castaldi …, cit., pp. 66-67. 7   Id., Di Filippo di Lavagna …, cit., pp. 59-64. 2



stampatori e librai del quattrocento

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Abstract Il saggio presenta i vani tentativi compiuti negli anni 1469-1470 dal nobile Galeazzo Crivelli per introdurre la stampa a Milano e l’esito positivo ottenuto da Gerardo Colli, ambasciatore sforzesco a Venezia. Da Venezia nel 1471 si portarono a Milano gli stampatori Panfilo Castaldi (fu breve la sua permanenza) con i fratelli Antonio e Fortuna Zarotto. Poi si trasferì nel capoluogo lombardo anche Cristoforo Valdarfer, attivo fino al 1488. Furono almeno otto gli operatori del libro che, nel corso del Quattrocento, lasciata Milano si portarono a Venezia. Nel saggio si accenna anche a Corrado Doll e a Pietro Ugleimer, agenti librari sulla piazza di Milano, a Giovanni Antonio Ghilio e a Francesco Gaffuri, librai che importavano i volumi da Venezia senza ricorrere a intermediari. Nuovi documenti (1480-1488) riguardano gli editori milanesi e commercianti librari Pietro Antonio Castiglione e Ambrogio Caimi, membri della società veneziana Zuan da Colonia – Nicolas Jenson, e soprattutto i rapporti intercorsi tra i due milanesi con Albert Jenson, erede di Nicolas, e con Margherita Moli, vedova di Pietro Ugleimer, per definire le rispettive pendenze economiche. This essay presents the fruitless attempt made in 1469-1470 by the nobleman Galeazzo Crivelli to introduce printing in Milan and the success met by Gerardo Colli, the House of Sforza’s ambassador to Venice. The printers Panfilo Castaldi (who stayed there for just a short time) and brothers Antonio and Fortuna Zarotto were taken from Venice to Milan in 1471. Then, Cristoforo Valdarfer also moved to Lombardy’s capital city where he worked until 1488. In the fifteenth century, at least eight book professionals left Milan for Venice. This essay also mentions Corrado Doll and Pietro Ugleimer, publishing agents in Milan, Giovanni Antonio Ghilio and Francesco Gaffuri, booksellers who imported their books directly from Venice. New evidence (1480-1488) has been found about the Milan-based publishers and booksellers Pietro Antonio Castiglione and Ambrogio Caimi, partners of Venice-based company Zuan da Colonia – Nicolas Jenson, and above all the contacts the two Milan-born professionals had with Albert Jenson, Nicolas’ heir, and with Margherita Moli, Pietro Ugleimer’s widow, to settle their outstanding accounts.

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MAPPA E TIPOLOGIA DELLE MIGRAZIONI DI TIPOGRAFI-EDITORI. RIFLESSIONI METODOLOGICHE : IL CASO DI PAVIA E GENOVA NEL XVI SECOLO  

Anna Giulia Cavagna Il tema della mobilità, e il suo affine la migrazione, implica l’idea di spazio, della multilocalità. In campo storico, ultimamente lo spazio fisico e metaforico (definito dalla influenza reciproca di comuni relazioni e pratiche), per la stessa natura intrinseca della cultura italiana riconosciuta ‘multipolare’, ha conquistato maggiore attenzione storiografica, anche per il più frequente ricorso a dati numerici georeferenziati, alla rappresentazione cartografica di atlanti tematici che evidenziano la dimensione spaziale nello studio del passato. 1

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o spazio, dimensione ogni volta da definire nelle sue relazioni di grandezza e nella sua essenza comunitaria, è divenuto tema entro cui verificare spostamenti materiali e sociali ma anche pratiche testuali, discorsive e professionali, per esempio grafico-bibliologiche, che caratterizzano determinati gruppi economicosociali o intellettuali. Negli studi italiani di storia dell’editoria, per esempio, l’elemento spaziale nella duplice natura, concretamente geografica e simbolico-concettuale, compare nell’ultimo quindicennio oggetto di studio di due convegni internazionali. Tuttavia, a ben vedere, fin dal primo ’900 ci fu chi collegò libro italiano e spazio geografico nazionale in un, purtroppo insuperato, dizionario. 2 In questa sede ci si rivolge non più solo all’oggetto libro, alla sua presenza e uso, ma agli spazi percorsi dai soggetti che quei beni realizzarono e distribuirono. I loro spostamenti, conosciuti per singoli dettagli, mancano di un quadro epistemologico di riferimento, di una esegesi critica : in Italia del resto il tema della migrazione in generale ha assunto valore euristico solo nel secolo scorso. In letteratura l’attenzione è, nel xix secolo, scarsa ; il tema della migrazione non sedusse gli scrittori, rimanendo quasi laterale anche fra politici e meridionalisti, mentre la storiografia erudita delle accademie si concentrava su personaggi celebri  



1   Ha giovato anche la predisposizione di dipartimenti ministeriali per gli studi statistici e i sistemi informativi territoriali : si veda al sito del Miur, Trasparenza-Valutazione e Merito-Organizzazione, il Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali e L’insediamento meridionale e la sua rappresentazione cartografica. Temi e prospettive di un atlante storico « Bollettino aic », 123-125, 2005, pp. 371-383 ; Robert Nadler, Multilocalità : un concetto emergente fra mobilità e migrazione « Sociologia urbana e rurale », (2011), 94, pp. 119-134. 2   Gli spazi del libro nell’Europa del xviii Secolo. Atti del Convegno di Ravenna, Bologna, Pàtron, 1997 ; Dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Roma, Accademia editoriale, 2005 ; Giuseppe Fumagalli, Lexicon typographicum italiae. Dictionnaire géographique d’Italie pour servir à l’histoire de l’imprimerie dans ce pays, Florence, Leo S. Olschki Edit., (Impr. L. Franceschini e C.) 1905 che incentivò studi del tipo Giuseppe Giorcelli, Tipografi di Alessandria e di Valenza del secolo xv, e tipografi monferrini dei secoli xv e xvi che stamparono in Venezia, « Rivista di storia, arte, archeologia della provincia di Alessandria » 24 (1915), 57, pp. 26-84.  





















268 anna giulia cavagna studiati come esploratori geografici. 1 Una latitanza nemmeno mitigata editorialmente dalla viva testimonianza letteraria postunitaria di un diplomatico intitolata Emigrati, dapprima pubblicata a Milano da editori immigrati briançonesi. 2 L’opera fu un successo, subito ristampata mentre uscivano altre testate giornalistiche sull’argomento, ma il tema non sembra entrare negli interessi storiografici ufficiali, al massimo confinato in pagine deamicisiane. 3 In tempi successivi la migrazione forse perché « la storia passata si rifà presente via via che lo svolgimento della vita così richiede », ha occupato la riflessione storiografica secondo categorie di ricerca basate su etnicità, professionalità, provenienza/destinazione dei soggetti studiati. Sono emersi elementi metodologici che ne hanno rinnovato l’interpretazione o frantumato stereotipi : per esempio quello temporale che legava il fenomeno alla contemporaneità post-industriale, ignorando quasi del tutto la prima età moderna, non ricca di congruenti fonti amministrative atte allo scopo. 4 Emerge, quale caratteristica della migrazione intesa come permanente o duraturo trasferimento del centro della propria vita in altri luoghi, l’essere quasi una costante antropologica, un continuo adattamento dei modi di vivere in relazione al cambiamento delle condizioni di vita. Gli studi storici talvolta prediligono categorie di analisi spesso derivate dalle tipologie documentarie usate (fonti seriali fiscali e catastali che registrano insediamenti urbani, professionali, etnici) : un’ esegesi concentrata sul documento presta minor enfasi alla comparazione di fenomeni analoghi ma riscontrabili diversamente su altre fonti o in contesti meno tradizionali. Nell’indagare i due centri urbani e librari della prima età moderna, Pavia e Genova, scelti per quest’indagine ho pertanto focalizzato l’interpretazione del fenomeno prettamente editoriale e tipografico in una cornice  







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  Per Giuseppe Prezzolini, I trapiantati, Milano, Longanesi, 1963, p. 409 l’ emigrazione italiana non fu guardata « perché non si voleva guardare » ; Francesco Saverio Nitti, L’emigrazione italiana e i suoi avversari, Torino-Napoli, L. Roux, 1888. 2   Antonio Marazzi, Emigrati. Studio e racconto, Milano, Fratelli Dumolard, 1880-1881 è segnalato dal giornale milanese L’Esploratore : giornale di viaggi e geografia commerciale, vol. 4, (1880), p. 271 come « opera è egregia ; l’intendimento buono, eccellente » ma non adatta « in mano a un emigrante ». L’edizione è registrata da poche biblioteche italiane ; la ristampa (Milano, Gussoni 1898, posseduta dalla Cornell University) recita « 2. migliaio. per l’Esposizione nazionale di Torino, 1898 ». Cfr. anche Piero Brunello, Pionieri. Gli italiani in Brasile e il mito della frontiera, Roma, Donzelli, 1994, p. 47. 3   « L’Emigrante. Periodico economico, commerciale e d’annunzi. Organo della emigrazione italiana », a. 1, n. 1 (6 apr. 1880) Milano, Tip. Milanese, 1880-1882. 4   Per Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza, 1954, pp. 4, 16-17 quel che si presenta agli uomini non è tutta la storia nel suo insieme ; quanto « interessa la vita presente » spinge ad indagare il passato : « la storia morta rivive e la storia passata si rifà pesente via via che lo svolgimento della vita così richiede [… ] tanti documenti che ora per noi sono muti, saranno, a volta volta, percorsi da nuovi guizzi di vita, e torneranno a parlare ». Cfr. anche Storia d’Italia, Annali 24 : Migrazioni, a cura di Paola Corti e Matteo Sanfilippo, Torino, Einaudi, 2009 pp. 1-803 ; Enrico Nuzzo, Coscienza storica e storia del pensiero nella cultura italiana del secondo Novecento. La riflessione di Pietro Piovani, in Piero Di Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana nel xx secolo, Milano, Franco Angeli, 2002, pp. 366-385 ; Giovanni Pizzorusso, Mobilità e flussi migratori prima dell’Età moderna : una lunga introduzione, « Archivio storico dell’emigrazione italiana », 3, 2007, pp. 205-222 ; Danilo Romeo, L’evoluzione del dibattito storiografico in tema di immigrazione : verso un paradigma transnazionale, « Altreitalie. Rivista internazionale di studi sulle migrazioni italiane nel mondo » 23, 2001 url : http ://www.altreitalie.it/Pubblicazioni/Rivista/Rivista.kl. L’ultima verifica di questo, come di tutti gli altri citati nelle note, è del 12 maggio 2012 ; Salvatore Palidda, Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Milano, Cortina, 2008.  

































































mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 269 concettuale che tenesse conto dei nuclei metodologici ora discussi dalla storiografia della migrazione. 1 Ho usato il paradigma della mobilità, verificandone il valore epistemologico, indagando quattro aspetti che concorrono a qualificare le migrazioni degli uomini del libro : la direzione e la durata ; le cause anche presunte dello spostamento ; gli esiti lavorativi della migrazione ; gli sbocchi personali nella nuova sede.  







1. Direzione e durata Le direzioni spaziali in cui i flussi migratori si attuano configurano trend costanti o ricorrenti, oppure tracciano percorsi direzionali che segnalano connessioni non evidenti alla macro economia. Nel caso della tipografia-editoria la nozione di spazio si afferma in funzione anche di altri fenomeni e processi sociali peculiari all’attività. La dimensione del flusso che quello spazio occupa, cioè la misura che determina l’estensione dell’evento per l’antico regime librario, non può che essere, ad esempio, assai inferiore alle grandezze contemporanee. La migrazione di tipografi, editori o librai è nella prima età moderna un espatrio di professionalità, uno spostamento di piccoli nuclei, pochi individuai, al massimo di un gruppo famigliare o societario ; è una mobilità, all’interno di una rete costruita spesso su basi personali, cronologicamente diluita nel tempo e nello spazio, sicché si può parlare di flussi solo esaminando gli aspetti ricorrenti in periodi lunghi e ambiti geografici considerevoli, pena il derubricare il fenomeno a semplice inurbamento. Con queste puntualizzazioni si può dire che i tipografi stranieri che arrivarono in Italia nel ’400, secondo la traiettoria Nord-Sud- furono un flusso d’area germanica che si sparpagliò nella penisola, così come un altro flusso, dalla Germania, e dalla Svizzera, giunse in Spagna nelle maggiori città mercantili. 2 Non è noto il tragitto effettivo percorso da questi Alamanni verso la Spagna, ma se scelsero la via del mare, s’imbarcarono a Genova sulle galeazze con cui gli armatori liguri collegavano i porti del mediterraneo : e a Genova 5 di loro (3 fiamminghi, 1 bavarese e un moravo) si fermarono come tipografi, negli anni 1470-1480 circa, prima di sparire o indirizzarsi ancora più a Sud, a Napoli, come fece il Moravo avendo sperimentato i magri affari che si potevano concludere nella Repubblica. 3 Passarono anche per la Lombardia, dove sin dal medioevo mercanti tedeschi godevano di privilegi e facilitazioni commerciali e a Milano qualcuno si fermò a lavorare come tipografo, qualcun altro, arricchitosi con il commercio librario, vi morì. Altri, come noto, si istallarono a Venezia dove da tempo esisteva una comunità germanica. 4  



1   Les étrangers dans la ville. Minorités et espace urbain du bas Moyen Age a l’époque moderne, sous la direction de Jacques Bottin et Donatella Calabi, Paris, Éditions de la maison des sciences de l’homme, 1999 ; Anne Winter, Migrants and urban change : newcomers to Antwerp, 1760-1860, London, Pickering & Chatto, 2009. 2   Frederick J. Norton, Printing in Spain, 1501-1520 with a note on the early editions of the « Celestina », Cambridge, University Press, 1966. 3   Sono Heinrich von Antwerpen, Antonius Matthiae, Matthias von Olmütz, Michael von München ; cfr. i repertori tradizionali, ora in linea, e Anna Giulia Cavagna, Incunaboli genovesi e tipografi stranieri in *Biblia. Libri del secolo di Gutenberg, Genova, Erredi grafiche editoriali, 2003, pp. 15-17. Anche in Sicilia i primi tipografi sono tedeschi : Massimo Ceresa Forti, Enrico (Rigo), dbi on line, vol. 49 (1997) url : http ://www.treccani.it/biografie/ d’ora in poi abbreviato dbi on line, il rinvio all’url viene fornito qui una volta per tutte. 4   Patrizia Mainoni, Una nazione che non c’è : i tedeschi a Milano fra Tre e Quattrocento, Comunità forestie 

















270 anna giulia cavagna Nel ’500 il Nord da cui vengono le migrazioni di artigiani è un Nord più vicino. Nel 1516 il tipografo, zecchiere e xilografo, milanese di nascita ma residente a Torino, Pietro Paolo Porro migra a Genova, dove da oltre trent’anni non c’era alcuna stamperia. Produsse, su commissione e sovvenzionato, una sola edizione economicamente fallimentare in caratteri greci, ebraici e arabi. Al termine rientrò immediatamente in Piemonte. 1 La sua esperienza negativa probabilmente contribuì a dissuadere il libraio, nativo del lago di Como e poi destinato a lavorare a Roma, Francesco Calvo, dal trasferirsi da Milano a Genova. Egli nel 1517 accennava in una lettera a Froben l’intenzione di impiantarvi una tipografia, ma il progetto non ebbe seguito. Era fratello del libraio Andrea che con deposito a Pavia importava libri, anche eretici, da Basilea e Francoforte negli anni 30 del ’500, commerciando anche altri beni. 2 Antonio Bellone è un altro torinese che dal Nord subalpino viene a Genova, chiamato dalla Repubblica verso il 1530 per colmare un vuoto cinquantennale. Lavorò sino a morte (1573 ca.) allorquando la stamperia fu ancora di più controllata intelletre e nationes nell’ Europa dei secoli xii-xvi, a cura di G. Petti Balbi, Napoli, Liguori, 2001, pp. (201-229), p. 224 ; Teresa Rogledi Manni, La tipografia a Milano nel xv secolo, Firenze, Leo S. Olschki, 1980 ; Marino Zorzi, Stampatori tedeschi a Venezia, in Id., Venezia e la Germania, Milano, Electa, 1986, pp. 115-40 ; Wilson Bronwen, The World in Venice : Print, the City and Early Modern Identity, Toronto, University Press, 2005. A Venezia, dove il Fondaco della nazione aveva lunga attività, il primo privilegio di stampa fu conferito a un tedesco. 1   Anna Giulia Cavagna, Tipografia ed editoria d’antico regime a Genova, in *Storia della cultura ligure, a cura di Dino Puncuh, Genova, 2005, vol. 3, pp. 355-448 ; Pietro Paolo Porro, Edit 16 cnct 1442 a Torino, lavorò con l’ editore pavese Giovanni Dossena, ricoprendo anche (secondo Filippo de Boni, Biografia degli artisti, Volume unico, Venezia, Co’ tipi del gondoliere, 1840, p. 810) cariche fiscali. Il committente dell’opera Psalterium Hebraeum, Graecum, Arabicum et Chaldeum, era un biblista genovese cfr. Aurelio Cevolotto, Giustiniani Agostino, DBI on line, vol. 57 (2002). 2   Francesco Barberi, Calvo Marco Favio (Francesco Giulio), dbi on line, vol. 17 (1974) ; Jesús Martinez de Bujanda, Index de Venise, 1549, Venise et Milan, 1554, par J. M. De Bujanda, introduction historique de Paul F. Grendler, Sherbrooke, Centre d’études de la Renaissance, 1987, p. 31 ; Rhenanus Beatus, Briefwechsel des Beatus Rhenanus gesammelt und hrsg. von Adalbert Horawitz und Karl Hartfelder, Hildesheim, Olms, 1966 per la lettera del maggio 1517 che menziona l’intenzione di Calvo espressa a Froben. F. C. era ben informato sui movimenti ereticali cfr. Girolamo Muzio, Lettere del Mutio iustinopolitano. Diuise in quattro libri, de’ quali il quarto vien nuouamente publicato, In Firenze, a stanza di Matteo Galasi e compagni librari in Lucca al Vaso d’oro, 1590, pp. 101-109, ed era in contatto con Erasmo cfr. Erasmus Roterodamus, Collected works of Erasmus,Toronto, University of Toronto Press, vol. 8, 1988 : The correspondence of Erasmus. Letters 1122 to 1251 (1520 to 1521) translated by Roger Mynors, Aubrey Baskerville, annotated by Peter G. Bietenholz, pp. 299-301 lettera 1233a di Bonifacio Amerbach del settembre 1521 ; vol. 11 Letters 1535 to 1657, (1525) notes by Charles G. Nauert Translated by Alexander Dalzell, Toronto, University of Toronto Press, 1994, lettera 1604 di Erasmo a F. C. del 31 agosto 1525 p. 257-258 ; il latore della missiva fu il tipografo francese Anianus Burgonius di Orléans, evidentemente migrante ! Andrea Calvo fu processato per importazioni ereticali cfr. Francesco Barberi, Calvo Andrea dbi on line, vol. 17 (1974). La testimonianza del suo ricco emporio pavese, punto di smistamento per altre sedi oltre l’ urbana, gestito da Bernardino Merate è fornita da Teseo Ambrogio da Albonesi, Introductio in Chaldaicam linguam, Syriacam, atque Armenicam, & decem alias linguas. Characterum differentium alphabeta, circiter quadraginta, & eorundem inuicem conformatio. Mystica et cabalistica quamplurima scitu digna. Et descriptio ac simulachrum Phagoti Afranij…, Papiae, excudebat Ioan. Maria Simoneta Cremonen. in canonica Sancti Petri in caelo aureo. Sumptibus & typis, autoris libri, 1539 kal’ Martij, Edit16 cnce 816 pp. 178v-179r. ; qui apprendiamo che Calvo nell’estate del 1538 era in Germania presso il corrispondente di Francoforte “Bibelio”. Il Merate è ipotizzato essere agente dei Giolito cfr. Christian Coppens, Angela Nuovo, I Giolito e la stampa nell’Italia del xvi secolo, Genève, Droz, 2005, p. 153.  























mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 271 tualmente dal patriziato urbano. Gli eredi finirono con il trasformarsi in manodopera tecnica, non autonoma nelle scelte, all’interno di una compagnia sorvegliata dal capitale mercantile e dalle sue direttive politiche che li riduceva a salariati ; rientrarono in Piemonte : a Carmagnola (ove lavorava l’abiatico Marc’Antonio di Cristoforo di Antonio) mentre a Torino agiva un diverso ramo della famiglia (facente capo a un altro Cristoforo figlio di Giovanni fratello di Antonio). 1 Anche a Savona nel 1502-3 arriva un tipografo da Torino ove ritorna per poi lavorare anche per un poco ad Asti. 2 Dal Nord lombardo al porto ligure giunsero a fine ’500 il tipografo Bartoli e Giuseppe Pavoni. Nei loro casi va rilevato che siamo o alla seconda generazione di tipografi in movimento o al secondo spostamento del medesimo titolare. Oriundo di Salò, il bresciano Bartoli era immigrato a Pavia a fine anni 50 ottenendo cittadinanza, privilegi fiscali e daziari, facilitazioni abitative ; vi restò in posizione di semimonopolio e di preminenza tecnico-impiantistica e culturale e gli eredi furon spazzati via solo dalla crisi economica, che rese inesigibili i crediti, e dalla peste del ’600. 3 Pochi anni dopo la migrazione pavese Bartoli concorda con la città di Reggio Emilia, dirigendosi a Est, l’apertura di una tipografia dove manda a lavorare, nel 1565, un parente, forse nipote, già lavorante a Pavia che diverrà il titolare (benché almeno un avviso e una pubblicazione d’occasione sian siglate proprio dallo zio pavese). Gli eredi emiliani proseguiranno sino a ’600 inoltrato. 4 All’apice espansivo della sua bottega pavese Bartoli apre nel 1585 una nuova seconda filiale, a Genova, forse invitato da aristocratici locali, e vi produce, in 12 anni, almeno 117 titoli, cioè circa il 70% di quanto la dinastia dei precedenti stampatori aveva prodotto invece in 50 anni. Alla sua morte l’esperienza genovese si chiude. Il padre di Giuseppe Pavoni, invece, aveva abbandonato il territorio bresciano per lavorare a Venezia e poi, pare, in Emilia. Giuseppe giunse a fine ‘500 a Genova su invito del cancelliere della Repubblica e vi rimase sino a estinzione della casata il secolo successivo. 5 Sempre Nord-Sud, anche se è un Nord lombardo subalpino, è la direttrice degli interessi editoriali e finanziari di Luigi Castelli da Como e dei fratelli Morandi verso Pavia. 6 Il primo a inizio ’500 finanzia con altri soci inseriti nell’ambiente universita 





1   Oriana Cartaregia, Per un censimento delle edizioni uscite dall’officina tipografica della famiglia Bellone (1534-1579) « La Berio » 38 (1998), 2, pp. 5-64 ; Ead. Bellone Antonio, Marc’Antonio e Cristoforo, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento, diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Milano, Bibliografica, 1997, vol. 1 A-F (d’ora in avanti abbreviato in ditei) pp. 92-98. 2   Francesco Silva Edit 16 cnct 197. 3   Un erede settecentesco era incisore cfr. Nova Giuseppe, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Seicento, Brescia, Fondazione Civiltà bresciana, [2005] p. 111. 4   Maurizio Festanti, Ercoliano Bartoli, ditei, pp. 75-79. 5   Giuseppe Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia, Fondazione Civiltà bresciana, [2000] pp. 93-108. 6   Il patronimico Castello-Castelli è registrato a Menaggio ove è attestato un omonimo Luigi vicario a Mendrisio a fine ’400 (Ticino ducale : il carteggio e gli atti ufficiali, 3 voll. tomo I Francesco Sforza, a cura di Luciano Moroni Stampa e Giuseppe Chiesi, parte III 1462-1466, Bellinzona, Stato del Cantone Ticino, 1995, pp. 10, 510) ; altri Castello furono librai editori a Milano e a Venezia nel ’500 ditei pp. 274-275. I fratelli Bartolomeo, Gerolamo e Francesco Morandi forse parenti dell’omonimo tipografo bresciano (Giovanni Antonio Morando) figurano librai accolti dalla città e bidelli dell’Università Archivio di Stato Pavia, Amministrazione cart. 15697, Edit 16 cnct 209 809.  









272 anna giulia cavagna rio pavese edizioni mediche e giuridiche, riproponendo, almeno in un caso, titoli di successo internazionale e lunga durata, già usciti a Venezia da conterranei. 1 La sua attività denuncia l’appartenenza del Castelli a un network editoriale fatto di emigrati italiani all’estero (i Gabiano a Lione) di conterranei comaschi dislocati a Venezia, di privati finanziatori piemontesi, che si muovevano lungo l’intero asse padano avendo legami anche coi Giolito : i loro spostamenti sono una mobilità di ‘rete’. 2 I Morandi invece avevano in Pavia bottega libraria e vendevano libri importati da Venezia stampati dal piemontese immigrato Soardi. 3 Una seconda direzione che si coglie evidente nelle migrazioni tipografiche dei due centri esaminati è la direttrice di senso Ovest-Est. A Genova arriva dapprima semplice forza lavoro salariata che si inurba dai territori costieri della repubblica, e dal nizzardo. 4 Veri imprenditori del libro giungeranno dall’ovest francese, come  

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  L’edizione illustrata con ritratto degli Aforismi di Ippocrate Que in hoc volumine continentur. Antiqua Hippocratis translatio supra septem sectiones Aphorismorum : vna cum eruditissima Galeni commentatione. Nova … translatio s… per Theodorum Gazam habita cum Jacobi Forliuiensis Marsilijque expositionibus ... Questiones eorumdem Jacobi & Marsilij …nova castigatio textuum Hippocratis : commentationis Galeni : expositionisque Jacobi Forliviensis .... Ep. ded. L. Castello et B. Morandi Andreae Bryello. [Papie, per Jacob. de Burgofranco, sumpt. L. Castello et B. Morandi, 1 iii 1512] è registrata come pavese dalla Bibliothèque municipale de Lyon, Rés 22726 : reca ex-libris del medico Loys Cler ; è citata nel repertorio Johannes Antonides van der Linden, De scriptis medicis libri duo, Amsteledami, apud Iohannem Blaeu, 1651 p. 293. Riprende per contenuto una stampa veneziana (Habes in hoc volumine iucundissime lector particulas septem Apho. Hippo. cum duplici translatione antiqua valet et Theodo. Gaze ... et cum expositionibus magni Gal. medicine illustratoris … Et hoc industria et labore D. Hieronymi Pompili de Olearijs de Verona, Impressum Venetijs, per Iacobum Pentium de Leucho, arte eimpensa vero Iuncte de Iunctis florentini, 1508 vltimo Octobris Edit 16 cnce 22503) opera di un tipografo lecchese immigrato e riproposta nel 1519 dalla tipografia Eredi Scoto, cnce 22504. 2   L’edizione pavese di Ibn Ridwan, Abu al-Hasan Ali, Commentum ... in veterem librorum Techni Galeni translationem. Expositio Ja. Forliviensis in nouam librorum Techni Galeni translationem del Garaldi cnce 23874, e finanziata da Castello, ha intervento editoriale di Bartolomeo Trotti Salomoni da Ceva (copia in Bibliothèque municipale de Lyon, Rés 23746) ; per i Gabiano Edit 16 cnct 486 763 4205, Henri Baudrier, Bibliographie lyonnaise. Recherches sur les imprimeurs, libraires, relieurs et fondeurs de lettres de Lyon, vii, Paris, Librairie ancienne d’Auguste Brun, 1908, pp. 1-245, Jean Dominique Mellot, Antoine Monaque, Élisabeth Queval, Répertoire d’imprimeurs/libraires (vers 1500-vers 1810), Paris, Bibliothèque nationale de France, 2004, p. 421 e Mario Infelise, Gabiano, Baldassarre da (di), dbi on line, vol. 51 (1998). 3   Archivio di Stato di Venezia, Notarile-Testamenti b. 1184 n° 301 notaio Giacomo Grasolario : il Soardi testa il 1 vi 1514 e si dichiara debitore di Andrea milanese legatore mentre parte delle sue polizze, forme e matrici sono presso Polo, gittador ; dichiara di avere propri libri in conto vendita presso i librai : Battista de Lessis da Asola a Salamanca, Moisè Martin spagnolo a Lione, Bartolomeo e Gerolamo Morandi a Pavia, Gerolamo de Bindelli (Vindelli) a Bologna, Mauro Franzoso a Rimini, Antonio di Jacomo da Trino a Ancona, Giovanni Giacomo Malacreo a Napoli, Francesco de Sanvitale spetiaro a Ferrara, Giovanni de Villanovo spagnolo a Roma ; Giovanni Amadeo di Prato a Lisbona, Andrea milanese a Lanciano. È creditore di Gasparo de Rosignolis monferrino libraio a Salamanca, Bernardino Landriani milanese, Guido Lavezaris ; nomina suoi commissari Amedeo Scoto, Bernardino Benalio, Andrea de Longis milanese, Francesco Valente, Giovanni Falletto vercellese ; fra i testi Fabian de Comaschi stampador de lino e Lazaro da Salò stampador. Trascritto con incertezze da Giuseppe Sergio Martini, Il testamento di L. S., editore e stampatore in Venezia, 1490-1517. Pubblicato in occasione del settantesimo anniversario della fondazione della casa ed. Leo s. Olschki, 1886-1956, Firenze, L. S. Olschki, (Tip. Giuntina) 1956 e ritrascritto da Dennis Everard Rhodes, Annali tipografici di Lazzaro De’ Soardi Firenze, Leo S. Olschki, 1978 il documento è stato ora rivisto sull’originale per verificarne i nomi estesi dei librai. 4   Nel 1590 i Savoia invadono la Provenza e forse questi lavoratori migranti ne sono la conseguenza ; Giovanni Santorusso, Matteo Sanfilippo, Un caso di mobilità montagna-pianura (Piemonte-Liguria-Provenza) « Bollettino di Demografia Storica », 13, (1991) : Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal Basso Medioevo al secondo Dopoguerra, pp. 28-30.  































mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 273 ricorda in questo stesso convegno L. Braida, solo con una immigrazione tardiva, del ‘700, rimanendo per altro il porto ligure prevalentemente snodo di passaggio per il commercio librario verso il sud Italia. A Pavia arrivano artigiani o editori dall’Ovest piemontese ma dalla città, anche, partono migrando a oriente, a Venezia, maestranze varie nel corso del ’500. Il primo a volgere a Est i propri investimenti fu un editore (e tipografo) quattrocentesco Nicolò Girardengo originario di Novi, un crocevia importante fra due direttrici vitali di comunicazione che univano Genova e Torino alla Lombardia. La temporanea esperienza tipografica svolta a Novi lo indusse a meglio sfruttare la piazza pavese ove il padre era stato scolaro di Leggi e dove operava anche un congiunto attratto dalle potenzialità commerciali e intellettuali dello Studium. 1 La città padana fu solo una tappa, benché ultradecennale, verso quella Venezia ove contemporaneamente all’attività pavese l’editore comprense di poter ben lavorare producendo – a volte contestualmente alla uscita pavese – letteratura giuridica o nuovi testi per la chiesa e gli ordini religiosi. La sua traiettoria verso l’Oriente lagunare fu ripetuta anche da altri operatori quattrocenteschi pavesi ; dal punto di vista di storia della migrazione sono un piccolo flusso di maestranze in movimento che aveva incuriosito già il bibliografo Cicogna che a metà ‘800 le registra nel proprio censimento di tipografi stranieri operanti in Laguna. 2 Medesimo tragitto da Ovest a Est compì il tipografo cinquecentesco Giacomo Pocatela, di Borgofranco feudo al confine piemontese di una potente famiglia di giuristi pavesi che può aver favorito la sua decisione di inurbarsi a Pavia. Realizzò una elegante, composita, produzione al servizio dei programmi universitari, avendo per altro un fratello bidello allo Studium. 3 Egli, come l’altro tipografo urbano concorrente, riceve commesse editoriali e finanziamenti dal libraio Giovanni Giolito, che dal Monferrato muove un fiume di libri fra pianura padana Venezia e la Francia. Abbandona la città per cause esterne (guerra e peste) a metà degli anni 20 migrando in Laguna da dove uno dei figli migrerà a Sud, a Palermo, agente dei Giunta. Dal Piemonte a Pavia arriveranno anche altri librai-editori e da Pavia, sempre secondo la direttrice ovest-est, si dirigono a Venezia come fecero i Somasco, su cui ritornerà più oltre. 4 La mobilità geografica degli “attori sociali” coinvolti nel comparto alto, progettuale e imprenditoriale, dell’azienda trova riscontro nella mobilità dei salariati a livelli più bassi, anche se è molto più difficile rilevare il loro fenomeno migratorio,  

1   La città riforniva di granaglie la repubblica di Genova e la Lombardia, era stata possedimento del Marchese del Monferrato e degli Sforza, poi dei genovesi : Goffredo Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna, vol. xii Torino, G. Maspero librajo, 1843, pp. 583, 600, 609-610 ; per i Girardengo Angelo Francesco Trucco, Antiche famiglie novesi, Novi, A. Sartorelli, 1927, passim. 2   Venezia, Biblioteca Museo Correr codici Cicogna 3044 Matricola delli stampadori e librari, e copia di questo manoscritto in Venezia, Biblioteca Marciana, mss. marciani 8481. 3   Edit 16 cnct 347 ; per gli eredi cnct 763 2772 2276 4   Giovani Battista Vismara è un editore libraio attivo in Pavia a fine ’500 sino al primo ’600. Si firma taurinenses e lì il nipote Paolo, per certo periodo residente in Lombardia o a Pavia dato che sposa una lodigiana, torna a lavorare quando è chiaro che la bottega pavese, senza eredi maschi continuatori, è destinata a esaurirsi con G. B. padre di sole femmine. Archivio di Stato di Pavia, Notarile di Pavia atti G. F. Bissi 5 gennaio 1605 ; atti A. Paludi 13 febbraio 1610.  







274 anna giulia cavagna perché la documentazione non è facile da individuare e in qualche caso è del tutto assente. Sappiamo, per Genova, di un famulo milanese che nel ’400 era salariato di tipografia da Antonio Mathie ; che nel ’600 lavoravano operai di lingua francese. 1 A cavallo fra i due secoli attorno alla stamperia della Repubblica invece gravitava un gruppo di operai, forse non tutti impiegati dal tipografo in carica, ma in tale familiarità con lui da presenziare ai suoi atti notarili in qualità di testimoni o da vivere presso il suo desco, dunque forse in qualità di garzoni. Tranne un caso, sono nomi di sconosciuti ma sono interessanti le loro provenienze perché, nell’insieme, confermano le direttrici d’ immigrazione dei maestri artigiani, da Nord o da Ovest (ci sono infatti fra i lavoratori 2 torinesi, un ‘tedesco’ miles stipendiato della Repubblica 2 nizzardi, 1 ligure del levante, 1 veneto). 2 L’unico noto è uno stampatore che di lì a poco troveremo attivo a Napoli. Le migrazioni di tipografi verso le città esaminate ricalcano tragitti di comunicazione fluviale o stradale consolidati dal commercio medioevale che usava la pianura padana e le sue cascine come campo base, funzionale endica per la ridistribuzione delle merci. 3 Sono migrazioni fra territori di culture contigue, in rapporti economici da tempo : i librai genovesi a Palermo sono solo la punta emergente di una mobilità medioevale mercantile e di maestranze edili che dalla Liguria (e dalla Lombardia) si spinse all’isola e che influenzò almeno parzialmente certi contenuti editoriali pubblicati in città. 4 Le distanze coperte con le migrazioni terrestri, attorno ai 200 chilometri, denunciano una mobilità interregionale : sono migrazioni fra Stati diversi per istituzioni o regimi politici, ma dalle economie correlate. La contiguità socio-culturale di tipo continentale europeo, che facilita questa mobilità ha in campo bibliologico spie lessicali sorprendenti. A Genova nel ’500, dovendo scegliere un elemento di confronto qualitativo su cui tarare la produzione interna, lo si individua nel prodotto librario di Basilea, prim’ancora che su quello  





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  A. G. Cavagna, Incunaboli genovesi e tipografi stranieri, cit., p. 16 e nota 11 retro.   Ausilia Roccatagliata sta pubblicando le vicende contrattuali che coinvolsero i Bellone e i loro finanziatori. Ringrazio l’A. per la segnalazione. Per quanto noto alla storiografia, il miles definito tedesco era probabilmente svizzero, cfr. Luca Codignola, Maria Elisabetta Tonizzi, The Swiss Community in Genoa from the Old Regime to the late Nineteenth Century, « Journal of Moden Italian Studies », xiii, 2 ( June 2008) : Élite Migrations in Modern Italy. Patterns of Settlement, Integration and Identity Negotiation, a cura di Daniela Luigia, pp. 152-170 ; Luca Codignola, Andrea Zanini, Le relazioni tra Genova e la Svizzera in antico regime, 1563-1806, Genova crocevia tra Svizzera e Italia. Il Consolato Generale di Svizzera a Genova 1799-1999, a cura di Catherine Bosshart-Pfluger, Frauenfeld, Stuttgart, Wien, Huber, 2000, pp. 37-51. 3   Oltre a Calvo, anche i Giunta avevano un deposito in pianura padana a Vercelli : Alberto Tenenti, Luc’Antonio Giunti il Giovane stampatore e mercante, in *Studi in onore di Armando Sapori, Milano, Cisalpino, 1957, vol. ii, pp. 1021-1060 a p. 1038-1039. 4   Girolamo Fazello, Prima parte delle prediche quadragesimali di f. Girolamo Fazello palermitano, In Genoua, appresso Girolamo Bartoli, 1588 ; Pietro Marchesi, Panegirici sacri … Del padre d. Pietro Marchese … lettore …nello Studio Publico della… citta di Messina. Parte prima, In Genoua, per Pier Giouanni Calenzani ; Emanuele Caruso, Discorso panegirico sopra la Sacra adorabile Lettera scritta da Maria sempre Vergine a messinesi. del p. Manuello Caruso palermitano … detto … nella … città di Messina, In Genova, per il Graffeo, 1738 (In Messina, per d. Placido Grillo, 1738). Enea Bellone libraio genovese a Palermo è quasi certamente parente degli omonimi tipografi cfr. Miriam Fileti Mazza, Giovanna Gaeta Bertelà, La banca dati della collezione Chigi Saracini. Un progetto di classificazione, [Siena], Monte dei paschi di Siena, 1996 p. 114. Un altro mercante di libri genovese Pietro Scaniglia fece fortuna e divenne anche proprietari di immobili, cfr. Maurizio Vesco, Librai-editori veneti a Palermo nella seconda metà del xvi secolo, in www.storiamediterranea.it/public/md1_dir/r801.pdf. 2















mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 275 1 genericamente italiano o veneziano. Il riferimento risulta più comprensibile se si pensa che la Repubblica, rivale di Venezia, era storicamente in contatto con i territori Svizzeri da dove reclutava armigeri per le proprie necessità militari. 2 Spesso nei territori di provenienza degli immigrati c’è un coacervo di giurisdizioni sovrapposte, in competizione reciproca, e pertanto le migrazioni possono dipendere da queste logiche feudali di potere territoriale gestito da élites varie. Gli spostamenti riflettono, pertanto, dinamiche gentilizie di immagine più che lo spirito imprenditoriale dell’artigiano. Così si spiega la vicenda di Bartolomeo Cotta stampatore in val Borbera per i genovesi Spinola che nel 1675 si accorda con Giovanni Durazzo, altro nobile genovese, per una commessa che lo vedeva però trasferito a Ronco, contea controllata dagli Spinola, e che si conclude con una stampa impegnativa e propagandistica con cui la famiglia Durazzo figura bene, favorendo la diplomazia genovese e l’accredito politico della Repubblica stessa a Parigi. 3 Gli storici inquadrano le migrazioni in ragione anche del loro carattere temporale : a tempo definito o permanenti. I casi presentati consentono una prima sintesi, utile per delineare possibili ipotesi di lavoro. Quando sono migrazioni motivate da ragioni di dissesto politico-militare o crisi del sistema produttivo, come accadde ad alcuni pavesi dopo le guerre franco-imperiali ; o quando sono determinate dall’estinzione di una parte del nucleo familiare, lo spostamento è conclusivo. Un ritorno in una madrepatria impoverita non ha senso. Inoltre lo spostamento è perenne se l’espatrio è economicamente redditizio, come accade al ramo dei Bartoli che da Brescia s’insedia definitivamente a Pavia e a Reggio. Le migrazioni fatte con intenti di espansione, come nel caso dei Bartoli a Genova, si risolvono in un ritorno al paese natale solo se l’attività nella città di destinazione è poco appetibile, problematica economicamente o istituzionalmente. Se non c’è radicamento dinastico, la migrazione riprende. Il radicamento però richiede almeno una generazione e condizioni ambientali e normative favorevoli : legislazioni e corporazioni aperte ai forestieri, cittadinanze facili da conseguire ; equiparazione giuridica del nuovo cittadino ai residenti sul piano fiscale e amministrativo ; accesso al credito e all’investimento, per esempio nel debito pubblico, e al reinvestimento dei capitali con speculazioni immobiliari e terriere. Tutte esigenze meglio attuabili nell’ordinamento statuale veneziano che non nella Repubblica di Genova. Se la migrazione è sollecitata da un qualche potere locale, da un autore con un preciso, a volte unico, scopo, nonostante i contatti personali, come per l’edizione poliglotta Porro, l’azione dell’artigiano è temporanea : raggiunto l’ obiettivo la mi 











1   La Repubblica imponeva una produzione tipo « de stampe Baxilee vel ex meliori stampa Italie » : O. Cartaregia, Bellone, cit., p. 93. La superiore qualità libraria ‘tedesca’ e veneziana, è denunciata dal frontespizio di Titus Livius, Ex xiiii T. Liuii Decadibus. Prima, tertia, quarta nuper maxima diligentia recognitae, collatis simul tum antiquissimis quotquot reperta sunt exemplaribus, tum illis quae hactenus et Venetijs & in Germania excusa fuerunt Florentiae, per haeredes Philippi Iuntae, 1522 septimo idus Augusti, cnce 28769. 2   Cfr. retro p. 274 nota 2. Merci svizzere presenti in Genova transitavano anche per Milano dove i mercanti Lucernesi avevano privilegi fiscali : P. Mainoni, Una nazione che non c’è : i tedeschi a Milano …, cit., p. 206 ; gli ordinamenti genovesi sui forestieri prevedevano la possibilità di matrimoni misti (ivi, p. 226). 3   Stampa e potere a Rocchetta Ligure e Ronco Scrivia nella seconda metà del Seicento. La famiglia Spinola gli statuti dell’Ordine di Malta e la Stamperia camerale di Borgo Nuovo, in Davide Arecco, Andrea Sisti, Non si rimuova dal convento sotto pena di scomunica : storie della stampa fra Piemonte e Liguria, Gavi, Traverso, 2001, pp. 134-139.  













276 anna giulia cavagna grazione riprende. Soprattutto a partire da metà ’500 la mobilità è meglio premiata se a determinarla c’è un ufficializzato impegno politico, essendo ancora troppo aleatoria l’iniziativa costante di privati finanziatori. 1 A Pavia, per esempio, Giovanni Simonetta cremonese e Francesco Moscheni bergamasco si fermano pochissimo, pur essendo la città in quel momento senza tipografia. 2 Il primo, che in un trentennio lavora a Bologna a Faenza, Ferrara, Napoli, Piacenza oltre che Pavia ove si concentra quantitativamente la sua produzione, fu chiamato da un canonico filologo orientalista per la stampa di un complicato testo in alfabeti non latini a fine anni 30. 3 Finito l’esperimento la domanda urbana non resse l’azienda. Il secondo lavorò anche a Alessandria per finire la carriera a Milano e se non proprio ufficialmente invitato dall’establishment universitario pavese per una ghiotta occasione funeraria, fu verosimilmente attratto dall’idea di produrre editoria effimera (come infatti fece). Stampò negli anni ’50, andandosene poi quasi subito dopo, gli elogi funebri di un celeberrimo giurista appena morto, ex studente e poi docente d’ateneo, amico di tipografi e librai francesi e svizzeri incontrati nel girovagare europeo : libelli che avrebbero venduto bene anche fuori città. 4 Le migrazioni ripetute di codesti artigiani itineranti hanno, in parte, il medesimo significato economico di quelle dei venditori ambulanti, capaci di commercio o micro-investimenti editoriali solo se sorretti dal ricambio continuo del pubblico acquirente (e non dalla pianificazione di nuove letture). In realtà la loro funzione economica, a posteriori, risulta essere quella di decentrare, e diffondere, la merce tipografica, di radicarla su territori nuovi o in crisi, di incrementare i punti vendita moltiplicando luoghi produttivi e di consumo. Non se ne conoscono finora per Pavia ma a Genova i cantimbanchi circulatores, da Bologna, Alessandria e Firenze, furono osteggiati dall’opposizione corporativa di cartai e tipografi, anche se vendevano materiale a stampa inferiore alla dimensione di un foglio di forma. 5  

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  A Firenze la chiamata medicea dell’immigrato Torrentino (Edit 16 cnct 169) sollecita gli arrivi dei francesi Marescotti, cfr. Franco Pignatti, Marescotti (Marescot, Mariscot, Mariscotti, Maliscotti), Giorgio dbi on line, vol. 70 (2007). 2   Giovanni Maria Simonetta, attivo nel periodo 1523-1563 fu a Alessandria in società con un fratello Simone suo agente a Pavia e Milano ; a Pavia si legò a Giovanni Battista Negri, a Milano con Cesare Pozzo. Edit 16 cnct 183 434. Apparizione fugace fece a Pavia l’editore Franceschi, che finanziò, probabilmente senza neanche spostarsi da Venezia, un testo medico, cfr. Lorenzo Baldacchini, De Franceschi, Francesco, dbi on line, vol. 36 (1988), Edit16, cnce 18814. 3   Ambrogio Teseo de Albonesi, Introductio in chaldaicam linguam …, cit., pp. 140v. e 206 cita i rapporti con letterati tedeschi e fiamminghi (Nicolaus Franciscus germanus gli promette in visione copia di alfabeti tedeschi e Gherardo di Anversa gli rende visita) e col tipografo fiammingo residente a Venezia e specializzato in editoria ebraica Daniel Bomberg, su cui cfr. Alfredo Cioni, Bomberg Daniel, DBI on line, vol. 11 (1969) ; Anna Maria Habermann, Ha-Madpis Daniel Bomberg u-Reshimat Sifre Beth Defusso (The Printer Daniel Bomberg and the List of Books published by his Press) Zefat, Museum of printing art, 1978 ; Giorgio Levi della Vida, Albonesi Teseo Ambrogio degli, dbi on line, vol. 2 (1960). 4   Roberto Abbondanza, Alciato (Alciati), Andrea, DBI on line, vol. 2 (1960). 5   Paolo Marini, Antonio Bellone e i « circulatores ». Un documento per la storia dell’editoria genovese di antico regime, in *« Books seem to me to be pestilent things ». Studî in onore di Piero Innocenti per i suoi 65 anni, Manziana, Vecchiarelli, 2011, vol. i, pp. 295-308 ; O. Cartaregia, Bellone ..., cit., p. 93. Le stagioni di un cantambanco. Vita quotidiana a Bologna nelle opere di Giulio Cesare Croce, Bologna, ibc Regione Emilia-Romagna [Compositori], 2009 ; in generale cfr. Gustavo Bertoli, Librai, cartolai e ambulanti immatricolati nell’Arte dei medici e speziali « La Bibliofilia » 94 (1992), 2, pp. 125-164, 3, pp. 227-262 ; Laurence Fontaine, Histoire du colportage en Europe xv-xix siècle, Paris, Albin Michel, 1993 ; Rosa Salzberg, In the Mouths of  

























mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 277 Tutti i tipografi genovesi del ’500 e più dei 2/3 dei pavesi sono immigrati e soggetti a ulteriore mobilità dopo la permanenza lavorativa in loco. Un dato in linea con altre sedi italiane : a Firenze il 30% degli addetti al mondo del libro e il 5% dei cartolai librai nella seconda parte del secolo era immigrata.1 Sarà da verificare se anche in altre città minori dell’editoria italiana si ripresentino analoghe direttrici spaziali di mobilità, durate temporali, motivazioni di scelta ; se ci sia ricorrente mobilità di maestranze da medesime macro-aree. Il caso bresciano da questo punto di vista sembra unico, visto che in un secolo centinaia di operatori si diramarono da quel territorio verso tutta l’Italia, il che fra l’altro denuncia una sovrabbondanza locale di artigiani con competenze nel settore carto-librario. 2 Infine occorrerebbe sapere se eventuali costanti analoghe che caratterizzano la mobilità siano annoverate non solo in centri minori, ma pure a Venezia, dove il rapporto fra presenze straniere e nativi urbani o regionali inurbati, calcolato su fonti seriali amministrative e burocratiche va certo comparato con l’inurbamento attestato in altri settori merceologici e dove l’immigrazione assume un significato e una contestualizzazione diversa. 3  



2. Le cause Un altro tema indagato dagli storici delle migrazioni è quello delle cause che determinano la volontà migratoria. Non pare che gli artigiani del libro abbiano motivazioni diverse dai lavoratori in cerca di fortuna o in fuga da situazioni strutturali difficili ; né sono costretti dagli obblighi di gruppo a una mobilità istituzionale (come i religiosi i cui spostamenti meglio rispondono a concettualità di ecumenismo più che di mobilità, anche nei casi in cui l’atto tipografico è presente). La mobilità registrata nelle aree esaminate si risolve in un allargamento di confini ove espletare l’azione produttiva e commerciale, è un allargamento dello spazio realizzato mediante la parola scritta-stampata, così come facevano in altro modo i venditori ambulanti europei. Il centro urbano svolge un ruolo attrattivo egemone nel ’500 ; diversamente la mobilità tipografica del ’600 punta anche a centri minori o semirurali. I luoghi di provenienza degli artigiani, le montagne lombarde e la campagna feudale piemontese, sono territori ove il frazionamento terriero è elevato e diffusa la possidenza microscopica che rende insufficiente la produrre reddito facilitando l’esodo. Nei due centri esaminati non son noti fuoriuscitismi religiosi (o politici), benché attestati altrove. 4  



Charlatans. Street Performers and the Dissemination of Pamphlets in Renaissance Italy, « Renaissance Studies », 24/5, 2010, pp. 638-53. 1   R. Burr Litchfield, Florence ducal capital, 1530-1630, New York, N.Y., acls Humanities E-Book, 2008, url : http ://quod.lib.umich.edu/cgi/t/text/text-idx ?c=acls ;idno=heb90034. 2   Edit 16 conta 45 tipografi-librai bresciani e 16 da Salò operanti nel 500 in città diverse, ma un recente studio, seppur con criteri diversi- ne elenca quasi 400 cfr. Nova Giuseppe, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Seicento, Brescia, Fondazione Civiltà bresciana, [2005]. 3   Edit16 che registra una quindicina di artigiani milanesi (ricercati con tale lemma) operativi in varie città italiane (nessuna a sud di Roma) nel ’500 ; altrettanti pavesi (che invece vanno anche a Firenze e Napoli) ; l’unico tipografo genovese fuori Genova noto lavora a Messina (altri sono editori occasionali o letterati-mercanti e si dirigono a Venezia). 4   Luigi Dal Pane, Storia del lavoro in Italia dagli inizi del secolo 18. al 1815, Milano, Giuffrè, 1958. Sono  















278 anna giulia cavagna È registrata comunque una motivazione assai moderna : la mobilità per istruzione tecnico-artigianale. Nel proprio testamento il libraio pavese Turlini impone al figliolo minorenne di trasferirsi a Venezia da Valgrisi, nominato tutore, al fine di imparare la mercatura librorum et biliopolae. 1 La necessità di un apprendistato serio, di uno studio delle varie realtà bibliologiche oltre che delle consuetudini contabili è una costante anche nel ’700-’800 tipografico. Il figlio vagabondo del veneziano Antonio Zatta nel primo ’800 si dirige in varie contrade europee svolgendo lavori saltuari, ma frequentando stamperie realizza incisioni. Anche il fiorentino Barbèra girerà fra Germania, Parigi e Londra, in visita a impianti tipografici, su cui raccoglie minute informazioni, raffrontandole con la realtà italiana e imparando nuove tecniche. 2 Un punto controverso della storia della mobilità tipografico-editoriale è quello dei criteri magari anche culturali, e non solo tecnico-professionali o relazionali, sottesi alla scelta della meta finale. 3 Credo sia dipanabile solo avendo a disposizione un panorama prosopografico degli artigiani assai più dettagliato dell’esistente e che includa, ad esempio, notizie sulla loro educazione, sulle fortuite letture svolte o sull’eventuale abitudine loro di prestare attenzione a segnali indiretti, paratestuali, presenti nella produzione libraria coeva. Gli artigiani sceglievano un centro per sentito dire o perché sapevano, e come ?, che era in fase di fioritura e necessitava di manodopera ? Si industriavano a esaminare i prodotti della ipotetica destinazione per trarne motivo si spostamento ? A Pavia nel ’600 c’erano due officine, una con caratteri greci ma personale incapace di comporlo, l’altra senza neanche i caratteri : qualcuno infine arrivò perché si stamparono libri con brevi brani in quella lingua. Non sapremo mai se ad attirare in città gli operai, oltre che la pressione del titolare d’azienda, sia stata anche la conoscenza da parte dei migranti di un pezzo semipubblicitario uscito all’epoca. In una raccolta epistolare pubblicata allora, infatti, apertamente si lamentava la ricerca infruttuosa di personale, quasi a sollecitarne la richiesta. 4  









insufficienti le informazioni su Giovanni Battista Cavazza genovese tipografo a Bordeaux ove fu condannato a morte nel 1794 ; la sua attività anche a La Rochelle potrebbe far supporre motivazioni confessionali per l’esilio da Genova, cfr. Ernest Labadie, Notices biographiques sur les imprimeurs et libraires bordelais des xv., xvii et xviii, siècles, suivies de la liste des imprimeurs et libraires de Bordeux et du département de la Gironde au xix. Siècle, Bordeaux, M. Mounastre-Picamilh, 1900, pp. 20-21. 1   Archivio Stato di Pavia, notarile di Pavia, atti G. A. Boldoni 28 maggio 1577. Damiano Turlini coi figli era tipografo a Brescia ma non risulta il grado di parentela. Il pavese era incappato nei rigori dell’inquisizione locale gestita da un controverso religioso oltranzista : Tiziana Rolleri, Un libello antiluterano ignorato : il “De Sanctorum vitae, et Lutheri discrepantia” di Pietro Della Porta (Pavia 1570) « Rivista di Storia della Chiesa in Italia » 1, (1970), pp. 31-68. 2   Giuseppe Morazzoni, Il libro illustrato veneziano del Settecento, a cura di Alberta Pettoello, Sala Bolognese, Forni, 2010, (rist. anast. 1a ed. Milano, Hoepli, 1943), p. 136 ; Gaspero Barbèra, Memorie di un editore pubblicate dai figli, Firenze, G. Barbèra, 1883, pp. 59, 131, 167, 239, 258. 3   Per l’oggi cfr. European mobility. Internal, international, and transatlantic moves in 19th and early 20. Centuries, eds. Annemarie Steidl ; Josef Ehmer ; Stan Nadel ; Hermann Zeitlhofer, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht Unipress, 2008. 4   Girolamo Bossi, Epistolarum … libri 5, Ticini, apud Ardizzonium, & Rubeum (colophon Ticini, Iacobus Ardizzonius, et Io. Baptista Rubeus typographicam vná facientes excudebant, 1613) pp. 211-213 (la c.211 erroneam. num 111).  

















mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori

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3. Il nuovo lavoro Il terzo modello di analisi utilizzato dagli storici concerne la verifica di quanto o se la mobilità incida nel mutamento del lavoro del migrante, in sostanza sulla sua professionalità. Nel caso di tipografi e editori è scontato che vadano a fare lo stesso mestiere. La questione è però sapere se nella nuova destinazione producano le stesse cose, cioè se, e come, i contesti storici incidano sull’oggetto libro, se il mutamento geografico implichi pure un ripensamento dello spazio simbolico della parola stampata. Se influisca anche sulla nozione di comunicazione, cioè condizioni (o crei) pratiche discorsive differenti o se incida nella pubblica sfera ove si trasmettono informazioni, indirizzandosi, per esempio, ad un contesto pubblico temporaneo o viceversa a un ambito permanente, di tipo habermasiano. Poiché gli operatori dipendono dalle richieste del mercato, è ovvio che la produzione in termini di generi letterari e contenuti muti in virtù del nuovo ambiente culturale o economico della nuova sede. Eventuali continuità dipendono semplicemente da esigenze comunicative simili nei due contesti sociali. 1 Ma il libro è un sistema integrato di segni e significanti, i codici bibliografici incarnati in un dato libro si legano al presunto pubblico cui il libro è diretto. Pertanto potrebbe essere interessante, credo, per non incapsulare l’oggetto di studio entro categorie di analisi precostituite, superare le tipologie delle fonti documentarie e mettere in rapporto la mobilità artigianale con un eventuale mutamento grafico-bibliologico, di consuetudini di formati o imposizioni delle forme, di gestualità lavorative peculiari nel lavoro corrente di bottega : cercare cioè eventuali tracce di una bibliologia, e bibliografia, specifica dell’itinerante, tipica di quando l’attrezzatura era limitata. Posso avanzare un’osservazione. Bartoli arrivato a Genova, città senza università, ha una produzione più di consumo, remunerativa nell’immediato ; in 12 anni pubblica più che nello stesso periodo a Pavia. Le risorse grafiche dell’officina genovese sono maggiori. Le serie di lettere illustrate e decorate sono diverse dalle pavesi, come pure fregi e finalini ; sebbene improntate al medesimo gusto e stile grafico e usate con parsimonia in entrambe i casi, esse appaiono di sapore manierista maggiormente spiccato, in fondo più moderno. La sua produzione cioè risente delle suggestioni iconografiche e pittoriche urbane di una città che nel 1604 sarebbe stata scelta da Rubens per il proprio soggiorno italiano. 2 Muta anche la pratica del formato : sia intermini assoluti, che in termini percentuali riferiti alla città d’edizione nel predetto periodo, i libri genovesi sono più piccoli (8°, 12°), trasportabili (anche sulle navi), più illustrati che non nella città universitaria. 3 Il raffronto fra la produzione  







1   I pavesi Girardengo a Venezia ripresero la tradizionale produzione giuridica mentre i Pocatela spostandosi sul libro popolare e sul classico latino cambiando anche lingua attinsero ad un pubblico completamente diverso da quello universitario precedente. Anche Mattia Moravo a Napoli da Genova cambia completamente repertorio producendo anche stampati raffinati : Joseph-Basile-Bernard Van Praët, Catalogue des livres imprimés sur vélin de la bibliothèque du roi, Paris, Chez De Bure Frères, 1822, pp. 267, 271, 257, 297. 2   Pubblica ad esempio una sontuosa Gerusalemme Liberata con incisioni di Agostino Carracci e Giacomo Franco su disegno di Bernardo Castello : Giuliana Biavati, Castello, Bernardo dbi on line, vol. 21 (1978). 3   Il Trattato della natura de’ cibi, et del bere. Del signor Baldassare Pisanelli, medico bolognese … con molte  



280 anna giulia cavagna prima e dopo lo spostamento di un consistente nucleo di artigiani migranti dunque potrebbe concorrere a stabilire se esistano caratteristiche peculiari di una tipografia migrante, se la mobilità artigianale contribuì a diffondere pratiche bibliologiche locali – utili quanto, ad esempio, le pratiche rilevate da Sayce – o a diffondere conoscenze comuni come accadde in altri settori della mobilità. 1 Nel caso specifico del lessico tipografico ad esempio si generò una sorta di koinè gergale, ancora apertamente apprezzata da un emigrato dell’800. Esule politico a Torino e poi in Francia, prima di passare per Genova e ritornarsene nella patria siciliana, un tipografo carbonaro constatava di non aver avuto difficoltà nel riciclarsi lavorante a Marsiglia perché capiva senza difficoltà il codice di bottega. 2 4. Conseguenze della migrazione : la mobilità sociale  

L’ultimo aspetto proposto per l’indagine sono le conseguenze personali della migrazione. La mobilità spaziale comporta anche cambiamenti di status per l’operatore ? In sostanza si verifica anche una mobilità sociale in un mestiere che già favorevolmente colpiva i contemporanei per le insite possibilità di miglioramento individuale ? 3 Le manifestazioni di successo si articolano a seconda della struttura e consuetudine economico-sociale ove insiste l’attività che lo genera. Mercanti genovesi vendono a un tipografo, immigrato a Palermo da Verona, grandi immobili ; altri genovesi mercanti librai sempre a Palermo si danno a costose ristrutturazioni edilizie finalizzate ad un potenziamento della loro immagine pubblica. 4 Il fatto che il figlio del tipografo Bellone, immigrato a Genova, fosse illegittimo deve aver pesato alquanto sul proprio mancato inserimento in una città dalla legislazione se 





belle historie naturali, In Genoua, appresso Gieronimo Bartoli, 1587, è un vero long seller ripubblicato una quindicina di volte in molte città fra 1583 e 1600 e ancora una quindicina sino al xviii secolo ; secondo i dati di Edit 16 la produzione pavese è l’80%circa della genovese ; i libri in 12° sono il 9% a Pavia e il 12% a Genova. 1   Richard Anthony Sayce, Compositorial practices and the localization of printed books, 1530-1800, a reprint with addenda and corrigenda, Oxford Bibliographical Society, Bodleian Library, Occasional publication 13, 1979 o anche C. J. Mitchell, Quotation Marks, National Compositorial Habits and False Imprints, « The Library », (1983), 4, pp. 359-384 ; Jean François Belhoste, Le migrazioni dei fabbri bergamaschi nel Delfinato, Mobilità imprenditoriale e del lavoro nelle Alpi in età moderna e contemporanea, a cura di Andrea Leonardi, Luigi Trezzi, Giovanni Luigi Fontana, Milano, cuesp, 1998 pp. 47-54 ; Dirk Hoerder, Cultures in contact. World migrations in the second millennium, Durham, Duke University Press, 2002. 2   Francesco Giliberti, Studi storici sulla tipografia intorno l’origine dell’arte della stampa, Palermo, Stab. tip. dell’autore, 1870 ; il fenomeno delle parlate di finzione comunicare senza che altri comprendano è noto da tempo, cfr. Antonio Tiraboschi, Parre ed il gergo de’ suoi pastori. Memoria, Bergamo, Tip. Pagnoncelli, 1864, Ugo Pellis, Il gergo dei seggiolai di Gosaldo in *Silloge linguistica dedicata alla memoria di Graziadio Isaia Ascoli nel primo centenario della nascita, Torino, Chiantore, 1929 pp. 542-586 ; Giocondo Dalle Feste, Skapelament del konza gergo dei seggiolai, Gosaldo-Tiser : dizionarietto, Gosaldo, Union ladin da Gosalt, 2003. 3   Tommaso Garzoni, La piazza vniuersale di tutte le professioni del mondo, In Venetia, appresso l’herede di Gio. Battista Somasco, 1593, pp. 830-834 argomenta i favorevoli effetti che stampa e libri hanno sugli intelletti riverberando, indirettamente, il giudizio positivo su coloro che tali mestieri esercitano. 4   M. Vesco, Librai-editori veneti a Palermo …, cit., pp. 283 e 295 per il mercante genovese Scaniglia che con un libraio locale e un veneto aprendo una libreria e investendo i ricavati in immobili a Genova. Il nipote un decennio dopo aveva facoltà sufficienti per iniziare restauri e ingenti lavori edilizi, con materiali e maestranze fatte venire da Genova con un architettor lombardo.  

















mappa e tipologia delle migrazioni di tipografi-editori 281 1 vera per i forestieri. In generale ciò che attira sembra essere la compartecipazione finanziaria e decisionale alla cosa pubblica : un erede Giolito finisce col far parte del consiglio comunale e dell’amministrazione urbana, un libraio fiorentino penetra le leve economiche cittadine e l’apparato statuale. 2 I tipografi camerali milanesi del ’600, come ho già rilevato altrove, si fanno ritrarre in panni di possidenti nobili avendo cumulato fortune terriere considerevoli ; oppure inviano il figlio all’università, facendolo poi cooptare nella esclusiva corporazione dei (nobili) giuristi cittadini. A Pavia un figlio di Bartoli investe sulla fiscalità urbana divenendo agiato appaltatore del remunerativo dazio sulle carni e ha successo anche a livello ‘statale’ detenendo il lucroso servizio postale fra città e capitale. 3 Il caso forse che meglio illustra in positivo la tendenza di questi artigiani-imprenditori a impiegare le entrate per migliorare tenore di vita e status sociale, spesso nel paese natale, viene dai Somasco. Vincenzo arrivò in Pavia negli anni ’30 per sostituire il titolare della filiale del libraio Andrea Calvo ; editò immediatamente in città lucrativi testi scolastici e avviò un fiorente commercio librario anche in proprio ; fu bidello alla Facoltà Giuridica. 4 Collocò i suoi figli lungo l’asse padano. Sisto Jr. a Torino fu il libraio in affari con un giurista piemontese di cui vende importanti partite librarie. 5 Un altro figlio nel 1562, Giovanni Battista, sostenuto dal padre che ne è l’ editore, stampò a Venezia, ottenendo una ventina di privilegi di stampa, mantenendo intensi rapporti con Pavia ove negli anni ’70 è procuratore di Giovanna Giunta. 6 Coltivò relazioni con giuristi pavesi da cui rilevò quote di società editrici ; fu irruente membro del Capitolo dell’Arte veneziana ricoprendo cariche corporative. L’irancondia (per aver parlato « arrogantemente mettendo confusione e partendosi senza licenza » fu esonerato  













1   Cfr. Ennio Poleggi, Les espaces des étrangers à Gênes sous l’Ancien Régime, in D. Calabi-Lanaro, La città italiana …, cit., pp. 241-254 e al contrario Reinhold C. Mueller, Veneti facti privilegio : les étrangers naturalisé à Venise entre xve et xvie siècle, ivi, pp. 41-51 ; Anna Bellavitis, “Per cittadini metterete…”. La stratificazione della società veneziana cinquecentesca tra norma giuridica e riconoscimento sociale, « Quaderni storici » 89, (1995), pp. 359-383 ; Ead., Identité, mariage, mobilité sociale. Citoyennes et citoyens à Venise au xvie siècle, Rome, Ecole française, 2001 ; Giuseppe Trebbi, I diritti di cittadinanza nelle repubbliche italiane della prima età moderna : gli esempi di Venezia e Firenze, in *Cittadinanza a cura di Gilda Manganaro Favaretto, Trieste, Edizioni Università di Trieste 2001, pp. 135-181. 2   Raffaella Zaccaria, Gorini, Lattanzio, dbi on line, vol. 58 (2002) ; C. Coppens, A. Nuovo, Giolito e la stampa …, cit., p. 39. 3   Archivio Comunale di Pavia, Comunale cart. 303, 17 ottobre 1617 appalto per le carni “teste e piedi di vitello” ; cart. 372 “Capitoli stabiliti tra […] deputati della città” e Traiano Bartoli, s.d. 4   Kevin M. Stevens, New light on Andrea Calvo and the book trade in Sixteenth-century Milan, « La Bibliofilia », 103, 2001, 25-54 ; C. Coppens-A. Nuovo, Giolito e la stampa …, cit., pp. 151 153 155 ; Archivio di Stato di Pavia, Università. Rotuli Studii Ticinensis, cart. 21 atti Griffi, 1562 ; Francesco Bernardino Cipelli, Compendium institutionum grammaticarum … In ciuitate Papien., per Ioannem Mariam Simonetam, ad instantiam Vincentij Somaschi, 1540 ; Aelius Donatus, Author ad studiosos. En vobis literariae militiae studiosi tyrunculi breue …De octo partibus orationis opusculum … a Francisco Bernardino Cypellario accurate recognitum, … cum ethicis Catonis doctus, … Valete, Impressum Papiae, per Ioannem Mariam Simonetam Cremonensem, ad instantiam Vincentij Somaschi, 1540. cnce 14166 51570. 5   Piero Craveri, Bruno (Bruni) Alberto, DBI on line, vol. 14 (1972). 6   Sulla famiglia cfr. Williams Pettas, History and bibliography of the Giunti (Junta) printing family in Spain : 1526-1628, New Castel, Delaware, Oak Knoll Press, 2005 ; Andrea Ottone, L’attività editoriale dei Giunti nella Venezia del Cinquecento « Dimensioni e problemi della ricerca storica » [risorsa elettronica], Roma, Università degli studi di Roma “La Sapienza”, 2003, pp. 43-80 ; Archivio di Satato di Pavia, atti G. A. Gargano, substitutio procuratoris, 25 ottobre 1576.  







































282 anna giulia cavagna multato) è senza conseguenze lavorative. È sostituito a Venezia dal fratello Giacomo Antonio eletto perito dell’arte dei libraima anche libraio a Milano. 1 Un quarto figlio, Giulio, rimase a Pavia gestendo terreni e mercanzie. La terra, gli affitti, i livelli, gli immobili costituivano nella Lombardia spagnola la primaria fonte e strumento di credito e mutuo e i Somasco comprano case, terreni, con larghezza di mezzi sempre proseguendo nella mercatura e probabilmente nel prestito a usura. La carriera sociale della famiglia si rafforza quando un nipote di Vincenzo, (Giovanni Battista Jr di Giulio) entra anche nella matricola dei mercanti pavesi e quando il di lui figlio diviene membro della corporazione professionale dei fisici e medici collegiati, cui non si accedeva senza un minimo di nobiltà. E nobil uomo viene definito proprio Giulio allorché un altro figlio Lodovico preposito di una Colleggiata urbana fa il testimone in atti redatti per conto della propria chiesa. 2 L’ emigrazione in Laguna dei Somasco si convertì, in tre generazioni, in un successo sociale nel paese natale con cui mai cessarono gli intensi rapporti commerciali, patrimoniali e affettivi. È probabile che la loro vicenda delinei dinamiche riscontrabili meglio (forse solo) in città minori ove la mobilità che si traducesse in fortuna economica spingeva a tesaurizzare i compensi in sede locale, più che reinvestirli in nuove operazioni imprenditoriali, cercando la penetrazione di ambienti aristocratici, amministrativi del potere urbano, prima concreta tappa di una lunga marcia verso l’inserimento a livello statuale con una patente di nobiltà, che nessuno dei tipografi o editori qui studiati conseguì ma che qualcun altro, altrove, riuscì a comperare. Università di Genova Abstract Il saggio analizza  gli spostamenti e la mobilità territoriale di tipografi-editori nella prima età moderna utilizzando quattro categorie d’analisi che la recente storiografia ha elaborato per lo studio dei fenomeni migratori in genere : direzione dei movimenti migratori ; durata dei medesimi ; cause della mobilità ; ricadute o cambiamenti economico-professionali in seguito allo spostamento, e dunque mobilità sociale dei migranti.  







The paper focuses on the migration of printers and publishers in the light of four modern historiographical interpretations : the directions of migration ; the causes of migration ; the changes that migration and movement cause in book production ; the social mobility that migration can put in place for the individual printer.  







1   Anticipo qui i risultati parziali di una complessa ricerca in corso sui Somasco che negli anni ha permesso di individuarli come proprietari terrieri facoltosi anche nel ‘600. Archivio di stato di Venezia, Arti b. 163, l’insubordinazione è del 6 maggio 1586. Per le edizioni milanesi cfr. Alessandro Gherardini, Discorsi sopra la parabola del figliuol prodigo …In Milano, appresso Benedetto Somasco 1620 ; Francesco Birago, Dichiarationi, et auertimenti poetici, istorici, politici, cauallereschi, & morali… nella Gerusalemme Conquistata del signor Torquato Tasso. Con la Tauola delle cose piu notabili, che in essi si contengono, In Milano, appresso Benedetto Somasco, 1616. 2   Renata Crotti Pasi, La matricola dei mercanti di Pavia, Pavia, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, stampa 1979 p. 91 ; Archivio di Satato di Pavia, atti G. B. Pergami Promissio del 17 aprile 1638 di Francesco Roveda verso Gio. Battista Jr. Somasco che figura esattore generale dei tributi di città e provincia ; atti G. F. Pellizzari, testamento Astolfi 22 gennaio 1657, tra i testi Siro Somasco, abitante nella parrocchia tuttora esistente in centro di S. Primo.  





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biblioteca alessandrina · piazzale aldo moro 16 marzo 2012 · sessione antimeridiana

LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO : CARATTERISTICHE E VALENZE  

Marco Santoro Quando, quarant’anni fa, lo scià persiano Tahmasp […] cominciò a invecchiare, per prima cosa si allontanò dai divertimenti, dal vino, dalla musica, dalla poesia e dalla miniatura. Una volta smesso di bere anche il caffè, la sua mente si fermò del tutto ; in preda alle paure dei vecchi annebbiati, trasferì la capitale del regno da Tabriz a Lazvin, che allora era possedimento persiano, perché fosse lontana dai soldati ottomani. E invecchiando ulteriormente, un giorno ebbe una crisi, sembrava posseduto dagli spiriti, si pentì e giurò che non avrebbe mai più bevuto vino, non avrebbe mai più avuto a che fare con i fanciulli e non si sarebbe mai più interessato della miniatura ; la prova che questo grande scià, dopo aver perduto il piacere del caffè, aveva perduto anche il buon senso. Così, rilegatori, calligrafi, doratori e miniaturisti dalle mani miracolose che, da vent’anni, a Tabriz creavano le più belle meraviglie del mondo, si dispersero di città in città come uno sciame d’api. I più brillanti furono chiamati a Mashhad dal governatore Sultano Ibrahim Mirza, nipote e genero di Scià Tahmasp. Li sistemò nel suo laboratorio di miniatura e li fece lavorare a un meraviglioso libro illustrato con i sette poemi de I sette troni di Giami, il massimo poeta di Herat ai tempi di Tamerlano. Scià Tahmasp, che amava e insieme invidiava il nipote, pentito di avergli dato in sposa la figlia, quando seppe di questo libro meraviglioso s’ingelosì e in un accesso d’ira cacciò il nipote dalla provincia di Mashhad e lo spedì nella città di Kain e da lì nella ancor più piccola città di Sebzivar. Così i calligrafi e i miniaturisti di Mashhad si dispersero in altre città, in altri paesi, nei laboratori di altri sultani e altri principi. Ma, per un miracolo, il meraviglioso libro di Ibrahim Mirza non rimase incompiuto grazie a un suo fedelissimo amante dei libri. Quest’uomo montava a cavallo e andava fino alla lontana Shiraz perché lì c’era il maestro che faceva le dorature più belle, da lì portava due pagine a Isfahan al calligrafo con lo stile più fine, attraversava le montagne fino a Bukhara dove faceva impostare la struttura dei disegni e i personaggi della storia dal più grande maestro miniaturista che lavorava il khan uzbeco ; poi andava a Herat e, questa volta, faceva disegnare a memoria da uno dei vecchi maestri quasi ciechi l’erba e le foglie ricciute ; sempre a Herat, si recava da un altro miniaturista e gli faceva scrivere a caratteri d’oro in stile rika la lastra sopra la porta del disegno.  







1.

Q

uesta pagina, questa bella pagina è tratta, non pochi lo avranno individuato, da Il mio nome è rosso dello scrittore turco Orhan Pamuk. 1 Una bella pagina, certo, che in questo contesto mi è sembrato interessante richiamarla non tanto per la sua qualità letteraria quanto per una serie di considerazioni che può legittimamente stimolare e quasi provocare. Al di là della equiparazione sul confine quasi dell’equipollenza, innegabilmente curiosa per noi occidentali di oggi, fra inclinazione al bere, familiarità con i fanciulli e interesse per la miniatura, non può non colpire la insistita cronaca sugli avventu1

  Orhan Pamuk, Il mio nome è rosso, Torino, Einaudi, 2005, p. 52.

286 marco santoro rosi quanto precisamente motivati pellegrinaggi del “meraviglioso libro di Ibrahim Mirza”, che, per essere portato a compimento, grazie all’impegno di un “fedelissimo amante dei libri”, viaggia fisicamente da un posto all’altro e da un bottega di miniatori e calligrafi all’altra. Ma, che i libri “viaggino”, che quasi per intrinseco statuto strutturale possano passare da una mano all’altra, da un luogo all’altro, per non dire, e ricorro malvolentieri ad un reiterato slogan, che seguano la filiera “dal produttore al consumatore”, è certamente lapalissiano ; come lo è il fatto che anche nelle sue fasi realizzative, in specie nel passato, il manufatto librario prima di giungere a completamento fosse soggetto a fasi lavorative espletate presso differenti officine artigiane (e si pensi, solo per fare un esempio, al di là dell’intervento dei miniaturisti ben attivi nell’era incunabolistica, al variegato approdo alla legatura). Nessuna sorpresa, quindi, solo una suggestiva e significativa conferma. Maggiormente congruo alle problematiche di queste giornate di studio è viceversa il riferimento alla “dispersione” di rilegatori, calligrafi, doratori e miniaturisti, giacché non solo si incunea organicamente nel discorso che ci apprestiamo a fare, ma ci fornisce una delle possibili ragioni in conseguenza delle quali alcuni artisti della produzione libraria possono avere deciso di abbandonare l’atelier originario e cercare altrove la possibilità di svolgere il proprio mestiere, la propria arte. Nel caso narrato da Pamuk, la molla che determina la forzata emigrazione alberga nella gelosia e nell’invidia : ipotesi anche plausibile ma che in effetti poco si attaglia alle possibili e più documentabili ragioni della mobilità degli artieri del libro. Resta comunque il fatto che è dato registrare il fenomeno, frutto non esclusivo della fantasia dello scrittore turco, dell’itineranza e talvolta della “dispersione” di artisti legati a vario titolo alla realizzazione del prodotto librario.  



2. Lo scenario di specifico interesse e competenza in merito al quale si dispongono queste giornate, si sa, è quello costituito dal libro a stampa, in particolare il libro dai suoi esordi sino alla fine del diciassettesimo secolo. Uno scenario, quindi, che non può non individuare fra i protagonisti principi tre categorie di professionisti : editori, tipografi e librai ; tutti determinanti ai fini della produzione e della distribuzione del nuovo manufatto realizzato in virtù dell’avvento dell’ars artificialiter scribendi. Superfluo dilungarsi sul primo deflagrante caso di mobilità che impresse una svolta fondamentale per l’espansione della nuova invenzione. Eppure il celebre sacco di Magonza non può non essere almeno citato, giacché costituì una prima pregnante testimonianza di quanto fondamentale possa essere stato sin dagli esordi il fenomeno dello spostamento, in questo caso “forzato” (e ci può in qualche modo ricollegare alla pagina di Pamuk), spostamento in virtù del quale il nuovo procedimento ebbe modo di inoltrarsi in Europa con una rapidità probabilmente imprevedibile. Dalla cittadina tedesca, infatti, nel giro di pochi anni emigrarono stampatori che introdussero la nuova “arte” in vari paesi europei. Fra questi, è noto, l’Italia. Sweynheim e Pannartz a Subiaco e poi a Roma ; ma teutonici furono anche Ulrich Han a Roma, Johann von Speyer a Venezia, Sixtus Riessinger a Napoli, Johannes Numeister a Foligno, solo per citare pochi notissimi casi ; né furono pochi i maestri francesi, e basti ricordare la realtà ferrarese. Insomma, gli stampatori stranieri giunti in Italia soprattutto nel corso del Quat 







la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 287 trocento furono davvero tanti, e questo lo si sa. Come d’altronde si è bene a conoscenza di altri celebri artieri stranieri ma anche italiani che si spostarono in vari centri per svolgere la loro attività. Eppure, è lecito interrogarsi se e come questa particolare e certamente non insignificante peculiarità dell’articolazione del microsmo librario abbia beneficiato di una riflessione apposita, volta a investigarla in termini di fenomeno significativo e fortemente incisivo. Come su altri versanti, anche in merito alla mobilità, su specifici casi eclatanti di itineranza non latitano pregevoli studi, che hanno ripercorso, spesso col ricorso sapiente alla documentazione sia bibliografica che archivistica, percorsi, rapporti, attività. Eppure, come per altri versanti, lo spirito ricognitivo non è stato saldamente ancorato alla ricerca sia delle ragioni autentiche della mobilità sia della complessità del fenomeno, doverosamente indagato all’interno di un contesto generale. Insomma, al centro dell’indagine è stata costantemente posta la vicenda biografica e professionale del soggetto esaminato, all’interno della quale gli eventuali spostamenti da un centro all’altro, e talvolta anche da un bottega all’altra, hanno assunto rilievo per testimoniare orientamenti, tendenze e inclinazioni del soggetto stesso e non sono stati invece decodificati anche nella direzione di un costume molto più diffuso di quanto finora si potesse essere portati a pensare. Altre volte, poi, la presenza di un soggetto in luogo diverso da quello solitamente eletto a residenza professionale, presenza enucleata eventualmente da preziosa documentazione archivistica, è stata recepita per dimostrare l’attribuzione di una pubblicazione. Altre volte, ancora, periodi di attività più o meno lunghi in centri differenti da quelli abituali, sono stati desunti e inquadrati per lo più nella tendenza a rilevare una continuità professionale altrimenti non registrabile. In poche parole, anche se tutti coloro che nei propri studi si sono imbattuti non raramente in tipografi, editori, librai operanti in più luoghi, non hanno certo bypassato l’esame dei loro movimenti, nella maggioranza dei casi, se può passare il paragone, si sono comportati come un medico che, nel prendere atto di alcuni valori impropri nelle analisi di un paziente, si è impegnato a rapportare il dato esclusivamente allo stato generale del paziente stesso, sottovalutando o addirittura ignorando eventuali conseguenze dovute alla situazione e allo stato ambientali. 3. Nel 2009 è partito il progetto prin “La mobilità dei mestieri del libro in Italia dal Quattrocento al Seicento” (ufficialmente con bando 2008), un progetto dalle precise coordinate geografiche e cronologiche : rispettivamente la situazione peninsulare e il periodo che va dall’introduzione della stampa fino a tutto il secolo xvii. La delimitazione geografica è agevolmente comprensibile e quindi non mi soffermo. Quella cronologica necessita di telegrafiche precisazioni, ancorché per molti dei presenti scontate. Che il xv secolo sia stato, per un’invenzione agli esordi, un periodo di vistosi quanto progressivi assestamenti, tesi a razionalizzare logiche e procedure non solo interne ma anche, per così dire, di autoreferenzialità e di promozione, è noto. Come è altrettanto noto, e lo si è accennato, che i primi trent’anni circa della prototipografia, per limitarci all’Italia, sono stati profondamente segnati da fenomeni migratori delle maestranze, sollecitate a impiantare officine ma anche rudimentali e poco attrezzati “laboratori” ora nei centri per molteplici ragioni più  

288 marco santoro appetibili (Venezia, Roma, Bologna, Napoli, ecc.) ora nei centri cosiddetti minori, potenzialmente garanti di ben più contenuta concorrenza. Il Cinquecento può essere considerata la stagione del consolidamento, nel corso della quale una serie di soluzioni, tecniche, produttive e commerciali, dopo opportuni se non necessari esperimenti e riscontri, giungono a maturazione, sulla dinamica scia, per altro, della crescente e dialettica evoluzione della fruizione, contraddistinta in parte da nuovi accessi sociali. Il Seicento, epoca sotto tutti gli aspetti di straordinaria vitalità e di intriganti innovazioni (e spiace, detto per inciso, che negli ultimi anni non siano riscontrabili analoghe suggestioni ermeneutiche espresse nel trentennio 1970-90), il Seicento, dicevo, anche all’interno dello scenario librario, costituisce affascinante, e apparentemente contraddittoria mescolanza fra spinte conservative e pulsioni progressiste, che danno la stura a processi di mobilità non solo consistenti, come vedremo, ma soprattutto contraddistinti da forme e articolazioni sempre più in linea con le incipienti istanze di fruizione da un canto e, dall’altro, di sorveglianza e promozione avvertite da specifici gruppi oligarchici. Ecco, per queste ed altre intuibili ragioni si è ritenuto oltremodo opportuno investigare il fenomeno della mobilità di editori, tipografi e librai in ottemperanza alle summenzionate coordinate, non solo per comprendere meglio, sulla base di una più sistematica ricognizione, il fenomeno stesso, ma soprattutto perché si ritiene che l’itineranza di tali artieri sia efficace cartina di tornasole delle fitte e spesso complesse relazioni tra le tre figure professionali (e si pensi quanto ancora incerto sia, in specie per il quattrocento, l’effettivo spartiacque fra i tre ruoli e la loro intercambiabilità), delle motivazioni a monte di molteplici pubblicazioni, delle strategie comunicative poste in essere da gruppi o da singoli individui, degli intrecciati percorsi delle edizioni, della formazione delle raccolte librarie, dell’effettiva consistenza del comparto editoriale nelle economie locali e territoriali, dei flussi e dei sodalizi culturali, delle sensibilità e degli statuti profondamente diversi all’interno delle tre professionalità, esercitate ora con autorevolezza e piena dignità corporativa ora su l’onda, spesso imprevedibile, di vicende politico-culturali, ora nell’alveo di tenaci tentativi di sopravvivenza. Posto che le snodature del fenomeno in parola sono assai complesse, con non poche variabili, in linea di massima esso giostra su tre differenti coordinate, talvolta interattive : 1) la necessità di finalizzare altrove il proprio lavoro per evitare il rischio di incorrere nelle verifiche o addirittura nelle sanzioni del controllo censorio laico o ecclesiastico oppure per allontanarsi da tensioni politiche o tragici eventi naturali ; 2) l’opportunità di beneficiare in altro centro per periodi più o meno duraturi di appalti di lavoro convenienti ; 3) il più o meno calcolato obiettivo, ma sempre comunque frutto di spirito intraprendente, di espandere l’attività in luoghi e situazioni dai promettenti sviluppi aziendali. Fughe, ingaggi e dinamiche imprenditoriali, in sostanza, determinano, a seconda dei casi, l’attività itinerante che, sarà appena il caso di precisarlo, va qui intesa come procedura ben distinta da quella enucleabile nei casi di singoli artieri (torcolieri, compositori, ecc., fino a giungere ai vari garzoni di officine tipografiche e di librerie), dove la precarietà lavorativa e lo statuto ondivago (talvolta segnato dall’irrequietezza) è determinato da altri fattori, spesso imprevedibili e occasionali.  





la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 289 4. Glissando per comprensibili ragioni di tempo sulla strategia investigativa con la quale il gruppo prin da me coordinato ha finora condotto le ricerche (ma, sarà appena il caso di precisare che prevedibilmente l’indagine è partita con il puntuale controllo di molteplici e note fonti bibliografiche, a mano a mano integrate, e con l’utilizzo di preziose fonti archivistiche), andranno appena richiamate schematicamente le risultanze perseguite e quelle che si intende perseguire. La ricerca congiunta delle cinque unità ha consentito di allestire un primo elenco di soggetti itineranti, sul quale tornerò fra poco. Ci si propone di realizzare, a conclusione del lavoro, un repertorio cartaceo dei soggetti individuati, per ognuno dei quali, a seconda della loro importanza e dei dati enucleabili, sarà predisposta una scheda biobibliografica, allo scopo di segnalare non solo la loro effettiva mobilità, ma soprattutto le ragioni della stessa e, in non pochi casi, i motivi di mestieri del libro differenti esercitati in luoghi diversi o in un solo centro. Posso anticipare, a riguardo, che già si è potuto da una parte integrare i casi di itineranza finora non documentati, dall’altra smentire ipotetiche o supposte mobilità segnalate in alcune fonti. Sono poi previsti studi monografici e miscellanei su famiglie, individui o questioni che possano costituire paradigmatica e documentata testimonianza dei vari aspetti della mobilità ; studi destinati alla pubblicazione. Come alla pubblicazione approderanno le relazioni di questo convegno, che non potranno non qualificarsi come preziosa opportunità per una riflessione complessiva, per altro su scenari non soltanto italiani. Ma è tempo di fornire qualche dato, con la ineludibile precisazione che in itinere e fino a giungere al momento conclusivo non è possibile escludere qualche ritocco statistico. Colgo l’occasione a riguardo per ringraziare sia i colleghi Borraccini, Lipari, Reale e Volpato per avermi fornito i preziosi dati delle proprie unità, sia la dott. ssa Sestini, per altro validissima collaboratrice per il lavoro che sta svolgendo l’unità romana, per avere messo a punto alcuni schemi qui da me utilizzati per un’elaborazione complessiva. Va doverosamente aggiunto che per la stesura delle voci ci si sta giovando del prezioso ausilio di molti studiosi, dai più esperti ai più giovani, che mi piace ricordare. Per l’unità dell’Università di Macerata : Lorenzo Baldacchini, Maria Paola Barlozzini, Monica Bocchetta, Rosa Marisa Borraccini, Flavia Bruni, Andrea Capaccioni, Livia Castelli, Lorenzo Di Lenardo, Claudia Giuliani, Giovanna Granata, Anna Manfron, Romina Marcattili, Giorgio Montecchi, Maria Moranti, Alessia Parolotto, Tiziana Pesenti, Giancarlo Petrella, Simona Piredda, Graziano Ruffini, Paolo Tinti, Natale Vacalebre ; per l’unità dell’Università della Calabria : Silvana Acanfora, Marcello Andria, Marina Dattola, Maria Gabriella Mansi, Lucia Marinelli, Simona Pignalosa, Carmela Reale, Vincenzo Trombetta, Giovanna Maria Pia Vincelli, Giuseppina Zappella, Paola Zito ; per l’unità dell’Università di Messina : Luciano Carcereri, Domenico Ciccarello, Vincenzo Fugaldi, Giuseppe Lipari, Mauro Messina, Mariangela Orlando, Carmen Puglisi, Giovanna Quartarone, Pietro Scardilli, Elena Scrima, Valentina Sestini, Pina Tuttocuore, Sebastiano Venezia ; per l’unità dell’Università di Roma : Pasqualino Avigliano, Lorenzo Baldacchini, Walter Capezzali, Oriana Cartaregia, Massimo Ceresa, Giovanni Colucci, Agostino Contò, Federica Fabbri, Saverio Franchi, Stefania Liberatore, Marco Menato, Ilde Menis, Giorgio Montecchi, Irene M. Civita Mosillo, Paola Pagano, Alessia Parolotto, Giancarlo Petrella, Alberta Pettoello, Alfonso Ricca, Fiorella Romano, Graziano Ruffini, Valentina Sestini, Paolo  















290 marco santoro Tinti, Vincenzo Trombetta, Daria Verzilli, Giovanna Maria Pia Vincelli, Giuseppina Zappella ; per l’unità dell’Università di Verona : Alessio Bettio, Silvia Brentegani, Giulia Caldana, Marco Callegari, Lorenzo Carpanè, Agostino Contò, Mariagrazia Dalai, Paolo De Riz, Federica Formiga, Marco Girardi, Niccolò Gironi, Mariella Magliani, Valeria Mafezzoli, Marco Menato, Sergio Merlo, Alessia Parolotto, Elena Pastori, Alessandra Pignatta, Luca Rivali, Ennio Sandal, Piero Scapecchi. Può servire precisare che i soggetti da noi presi in considerazione sono di due tipi : individuali e di famiglie. Quest’ultima categoria è stata tenuta presente soprattutto, ma non solo, per cogliere strategie imprenditoriali disposte su un piano di sapiente distribuzione di compiti assegnati ai vari componenti, per trasferire differenziati volumi di affari in luoghi diversi da quelli originari. Non va per altro sottaciuto che il controllo su omonimie di cognomi ci ha consentito di escludere, di confermare o di accertare rapporti di parentela. Pertanto, da un primo elenco di oltre 1.800 soggetti edificato in virtù dei vari controlli e riscontri, ci si è al momento assestati su un totale di 750 voci, molte delle quali costituite appunto da più componenti le diverse famiglie. Ed eccoci ad alcuni dati sia pure, come precisato precedentemente, provvisori. Se inquadriamo l’itineranza per periodi, emerge che il Cinquecento è la stagione nella quale il fenomeno acquisisce maggiore rilevanza. Infatti, per il xv secolo abbiamo registrato sul totale una quota del 15,6% , per il xvi secolo del 31,0% circa, per il xvii del 25,0%. Va doverosamente aggiunto che alcune vicende di mobilità si sono materializzate a cavallo fra xv e xvi secolo, per una percentuale del 10,4%, e altre a cavallo fra xvi e xvii secolo, con percentuale del 18,1%. Anche queste ultime quote confermano, in sostanza, come principalmente nel xvi secolo molti professionisti del libro abbiano deciso di spostare la propria attività dal centro originario, anche se non raramente con decisione non definitiva, tant’è che non sono sporadici i casi di soggetti che sono tornati nel luogo di partenza o di altri che hanno lavorato in contemporanea su due o più piazze. Altro dato interessante concerne quali tipologie di artieri risultano essere maggiormente inclini agli spostamenti. Per oltre il 57,2% dei casi sono i tipografi a variare la sede di attività, seguono coloro che risultano avere ricoperto il duplice ruolo di editori e di librai (14,4%) e via via gli editori (9,1%), i tipografi/editori (col 7,9%), i librai/tipografi e i soggetti che sembrano avere svolto le tre attività di tipografo, editore e libraio (in entrambi i casi la percentuale è del 4,7%) e, infine, i librai (2,0%). Un terzo dato merita di essere riportato e concerne le tappe della mobilità. Nella maggioranza dei casi (siamo sul 61% circa) gli spostamenti avvengono solo da un centro all’altro, consistenti però sono anche i “pellegrinaggi” in tre centri (siamo al 19,7%) e addirittura in più di tre luoghi (qui la percentuale tocca il 19,3%). Qualche specifica a riguardo potrà giovare. La mobilità all’interno del medesimo stato è consistente : si raggiunge la percentuale del 44% . Ancora più alta la quota degli spostamenti in due stati diversi : in questo caso la percentuale supera il 51%. Poco più del 4% i casi di itineranza fra tre stati diversi. Non mancano poi, anche se non sono frequenti, soggetti che svolgono la propria attività in addirittura quattro, cinque o sei stati differenti. Ad esempio Benedetto Dolcibelli opera nella Repubblica di Venezia, nel Ducato di Milano e in quello di Modena e Reggio nonché nel Ducato di Savoia. Dal canto loro Giovanni Maria Simonetta è attivo nello Stato Pontificio, nel Ducato di Milano e in quello di Modena e Reggio, nel Ducato di Parma e Piacenza  









la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 291 e nel Regno di Napoli, mentre Enrico da Colonia, dopo un periodo di apprendistato a Venezia, probabilmente presso l’officina di Niccolò Jenson, fece gemere i torchi nel Ducato di Milano, nello Stato Pontificio, nella Repubblica di Siena, in quella di Lucca, nel Ducato di Urbino e nel Ducato di Modena e Reggio. Dai sintetici dati appena riportati si possono enucleare al momento alcune telegrafiche considerazioni. Innanzitutto pare evidente che il fenomeno della mobilità non è certo marginale ; comprensibilmente emergente nella seconda parte del Quattrocento, allorché il nuovo procedimento comincia ad essere introdotto in varie città ad opera di professionisti spesso stranieri (e la vicenda di Enrico da Colonia non può non risultare esemplare), esso acquisisce maggiore rilievo nel secolo del consolidamento, in perfetta sintonia con la montante istanza di dotare grandi, medi e piccoli centri di stamperie, e non a caso è proprio in questo lasso di tempo, e in buona parte nel xv secolo, che sono per lo più i tipografi a fare registrare la più alta percentuale di mobilità. Appare per altro degno di sottolineatura il fatto che non solo gli stampatori sono propensi agli spostamenti ma anche i librai e gli editori : è il segno non certo di irrequietezza ingiustificata bensì di un’articolata e complessa attività professionale che, in espansione, va debitamente rimarcato, ricerca e intuisce, talvolta erroneamente, nuovi mercati, nella sovrana esigenza di promuovere il prodotto-libro. Se ci si immerge ulteriormente nelle risultanze finora acquisite, emergono altre interessanti peculiarità. E, a riguardo, sarà opportuno richiamare poche quanto significative vicende specifiche.  



5. Precedentemente si è fatto riferimento a tre macrocategorie di propulsione alla mobilità : fughe, ingaggi e dinamiche imprenditoriali. Al proprio interno ciascuna ingloba molteplici variabili. Prendiamo il caso delle “fughe”. Qui, possono albergare ragioni dettate da contrasti con le autorità locali (ad esempio, Giorgio Arnazzini si sposta da Iesi a Spoleto per tensioni con la magistratura locale ; Domenico Siliprandi da Mantova si rifugia a Venezia, dopo essere riuscito a fuggire dalle carceri mantovane ; anche Ponzio Bernardon da Roma si reca a Venezia, dopo essere stato incarcerato con le accuse di attività antipapale e filoimperiale ; dal canto suo Francesco de Fabris, attivo per lo più a Napoli ma itinerante in varie località del Viceregno, a causa di ragioni politiche si allontana da Salerno per approdare a Nusco) o da ragioni legate a cause naturali (si pensi a Cordero Baldassarre e al socio Antonio Mathias che abbandonano Genova per trasferirsi a Mondovì a causa dello scoppio di una pestilenza nella città ligure). Per quanto concerne gli “ingaggi”, si possono registrare committenze pubbliche laiche ed ecclesiastiche (ad esempio Angelo Bernabò da Bracciano si reca ad Urbino per impegni presi con i duchi locali ; Claudio Perciminei da Ancona si reca a Iesi per incarico del vescovo Lorenzo Cybo), ma anche committenze “private” (è il caso di Stefano Scaccioppa, che da Perugia si sposta a Fabriano per imprimere le opere di Mezenzio Carbonio, oppure il caso di Giovanni Rossi che si reca a Militello su invito del principe di Pietraperzia, o ancora dell’aquilano Giuseppe Cacchi che, dopo avere lavorato a l’Aquila si trasferisce a Napoli e poi, nel 1584, a Vico Equense su invito di Paolo Regio, desideroso di attivare un’officina nei locali della sua casa). Più complessa ma anche per certi versi più stimolante la focalizzazione della mo 









292 marco santoro bilità dovuta ad intraprendenza imprenditoriale. Molto spesso, in questo caso, l’approfondimento si concentra su famiglie e vere e proprie dinastie che hanno segnato la storia della stampa italiana. Certo, non mancano vicende di singoli artieri (e basterà ricordare il solo caso, fra i tanti documentati, di Sigismondo Mayr che, attivo a Roma in società col Besicken, decise di trasferirsi a Napoli proprio in ragione di un’oculata analisi della realtà editoriale partenopea, che dagli ultimissimi anni del Quattrocento, in non casuale sintonia con la generale situazione politica e sociale, stava vivendo un stagione estremamente critica), eppure l’esame delle strategie aziendali di alcuni nuclei familiari può consentire la messa a fuoco di attività dal considerevole impatto finanziario, di logiche e itinerari economici e commerciali, di procedure di promozione e di distribuzione, di investimenti in vari settori, non soltanto quello prettamente librario, di interessi ragguardevoli, frutto e nel contempo volano di e per iniziative di grande respiro. Per chiudere col mio intervento, vorrei quindi soffermarmi brevemente su uno di questi casi “familiari”, in buona parte noto eppure, alla luce della documentazione inedita da me rintracciata presso l’Archivo Histórico de Protocolos di Madrid, per vari aspetti ancora da approfondire. Mi riferisco alla famiglia Giunta, sulla quale spero che entro il 2013 possa vedere la luce una mia monografia. 6. Devo essere in proposito necessariamente rapido, pur se davvero numerosi sono i documenti rintracciati, molto utili a ricostruire fortune e attività di una azienda dalle risorse e dall’intraprendenza davvero notevoli. Come è noto, la dinastia “tipografica” nasce con Filippo il Vecchio a Firenze e con Lucantonio, trasferitosi giovanissimo a Venezia. Presenti su varie piazze oltre che a Firenze e a Venezia (da Lione a Salamanca a Burgos, ecc.), accennerò qui al ramo attivo a Madrid. Il figlio di Filippo, Bernardo il Vecchio, sposò Dorotea Modesti e ebbe sette figli. Fra questi Giulio, che si trasferì appunto nella città spagnola, divenuta sede della corte nel 1561. Il primo dei Giunta ad avviare una propria attività di tipografo in Spagna fu Giovanni (il cui nome ispanizzato era Juan de Junta), figlio di Filippo il Vecchio, fratello minore di Bernardo e Benedetto, e quindi zio di Filippo il Giovane, Jacopo, Giulio e Bernardo il Veneziano. La prima notizia sulla sua presenza in terra iberica è del 1520, anno in cui gli venne concessa una licenza reale per stampare, assieme ai tipografi-editori Bernardino de Castronovo e Gaspare Rosignoli, le Siete Partidas di Alfonso X. Nel 1532 Alexandre de Cánova e Giovanni Giunta comprarono dal tipografo francese Pierres Tovans un torchio per impiantare una tipografia a Salamanca : in tal modo, Giovanni poteva garantire la presenza della sua azienda sia a Burgos che a Salamanca, due rilevanti piazze del commercio librario in Spagna. Impegnata per lo più nella pubblicazione di opere liturgiche e a carattere legislativo, la società Giunta- Cánova si sciolse nel 1552 ; in crisi in quegli anni anche l’officina di Burgos, che riuscì a risollevarsi grazie a Matías Gast, tipografo originario di Anversa e marito della figlia di Giovanni, Lucrecia, che alla morte del suocero (1557) dette vita alla società « Herederos de Juan de Junta », insieme alla moglie e alla suocera Isabel. Giunge in Spagna verso la fine degli anni ’60 Luca, uno dei figli del fiorentino Bernardo di Filippo Giunta e di Dorotea de’ Modesti, e dunque fratello di Giulio Giunta e nipote di Giovanni Giunta. Intorno al 1571 egli viene raggiunto da  







la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 293 Giulio. Davvero poche finora le notizie su Giulio e sulla sua attività. Camerini nel suo saggio introduttivo agli Annali dei Giunta annota :  

Di Giulio, di poco maggiore a Bernardo, riportiamo quel poco che ci riuscì di rintracciare in Firenze sul suo conto, e per lo più di riflesso, dato che in epoca imprecisata, ma presumibilmente dopo il 1590, si stabilì nella capitale spagnola per esercitarvi, e con profitto, il commercio librario. Non risulta infatti, come alcuni affermano, che esercitasse l’attività della stampa.

Non molto di più ci dice Juan Delgado Casado alla voce dedica a Giulio Giunta nel suo Diccionario de impresores españoles, ma sottolinea la rilevanza del personaggio :  

[Giulio Giunta] occupa un posto immenso nella storia della tipografia spagnola senza aver stampato un solo libro […] più che un tipografo è un commerciante che gestirà vari affari, alcuni particolarmente importanti, in relazione allo sviluppo della stampa in Spagna […].

Giulio, dunque, decide, probabilmente in accordo con le strategie espansionistiche della famiglia, di trasferirsi a Madrid. Scelta avveduta, considerato, come detto, il nuovo ruolo rivestito dalla città spagnola, divenuta sede della corte, nonché l’orientamento di Filippo II, teso a promuovere, anche mediante il ricorso alla stampa, la vita culturale della città. Non a caso nel 1566 venne istitutita la stamperia gestita da Alonso Gómez e, dopo la morte di questi, dalla moglie. Va per altro appena ricordato che vengono promosse attività di studio. I due centri più importanti in proposito erano l’Estudio de la Villa, diretto da Juan López de Hoyos e nel quale studiò per un periodo della sua giovinezza anche Cervantes, e il Colegio de los Padres de la Compañía de Jesús, presso il quale per volere del re in persona era stato istituito nel 1569 lo studio di Grammatica e Retorica per i giovani della corte. La principessa Juana aveva inoltre dotato il Colegio di una cattedra di Teologia morale. Il terzo centro di istruzione madrileno era la Academia de Matemáticas y Arquitectura civil y militar, progettata da Juan de Herrera e posta sotto la protezione di Filippo II. Superfluo sottolineare che i centri di istruzione richiedevano un costante approvvigionamento di testi aggiornati secondo gli ultimi progressi dei campi del sapere. Va appena aggiunto che anche per stimolo di Filippo II a Madrid si concentrò un elevato numero di scrittori, spesso appartenenti a ordini religiosi, che necessitavano della stampa per la diffusione delle loro opere. Ben presto, si fece strada in Filippo II l’idea che fosse più conveniente far stampare i libri liturgici direttamente nel territorio spagnolo piuttosto che importarli. A tale scopo, nel 1572 avviò delle indagini in varie città spagnole per determinare quale fosse il tipografo più adatto ad assolvere a tale compito. Si conosce solamente la risposta della città di Granada, che individuò in Giovanni Giunta e nella sua tipografia di Salamanca il miglior candidato a rifornire l’intero regno, a patto che aggiungesse sei torchi ai quattro già in suo possesso e che non si dedicasse ad altra attività. Il progetto non andò in porto, ma questo episodio, come d’altronde il coinvolgimento di Giulio Giunta nel commercio di libri liturgici in Spagna nonché il fatto che l’azienda giuntina e quella plantiniana iniziavano a porsi come i due principali contendenti per il predominio nella produzione e nella vendita di tali opere sul mercato spagnolo, sono segnali vistosi dei nuovi scenari editoriali madrileni. Il fatto che Giulio Giunta non risulti materialmente il tipografo di nessun libro

294 marco santoro ma sempre e soltanto il finanziatore della pubblicazione non deve indurre a pensare che egli non fosse edotto nell’arte della stampa. La sua era una delle famiglie di tipografi più importanti d’Europa, e sicuramente Giulio aveva avuto modo di imparare le tecniche di stampa, tanto a Firenze come a Salamanca. Probabilmente egli valutava più redditizio l’investimento in qualità di “editore” e l’attività commerciale. D’altro canto che Giulio conoscesse il mestiere impressorio è attestato dai contratti relativi all’acquisto di attrezzature oltre che di pubblicazioni. Grazie anche all’influenza di Giulio Giunta, a corte si fece ben presto strada l’idea di istituire una tipografia nella quale poter stampare tutti i libri del Nuovo Ufficio Divino, nonché testi di altro genere, per lo più di carattere normativo. L’esigenza di disporre di una tipografia alle dirette dipendenze della corte si era già fatta sentire, soprattutto per la stampa di tutti quei documenti ufficiali (prammatiche, decreti, leggi speciali, bandi, ecc.) che la Real Cámara produceva in continuazione. In tal senso, nel 1567 si era insignito Alonso Gómez, il primo tipografo a essersi stabilito a Madrid, del titolo di « Impresor de su Magestad », o “Tipograpohus Curiae Regiae”, titolo per il quale subentrò alla morte di questi la moglie María Ruiz e che restò in possesso dei Gómez fino alla morte della donna, avvenuta nel 1595. In merito alla Imprenta Real, Cristóbal Pérez Pastor cita il Discurso sobre las excelencias del arte de la imprenta, di don Melchor de Cabrera Núñez de Guzmán, in cui si dice che :  





Trattando la Maestà del signor Re Don Filippo secondo che l’Arte rimanesse alla sua Corte con ogni perfezione, chiamò Giulio Giunti, che aveva a Salamanca ogni sorta di eccellente matrice, Greca, Ebrea e le altre necessarie per l’Ufficio e i Libri di Cantim e altre ; con torchi dei migliori che da diversi Regni poté riunire ; e dipendenti assai premurosi, nativi e stranieri. Gli diede alloggio tra quelli a uso della Corte : onorò la sua officina e casa con la sua Reale presenza, e con il titolo di suo Tipografo, per il quale gli succedette Tommaso Giunti, suo nipote, sua moglie e viene conservato tra i suoi successori.  





E Pérez Pastor annota anche :  

[…] Avendo [Giulio Giunta] una tipografia a Salamanca, gli dovette venire in mente che il gran consumo che si faceva dei libri degli uffici avrebbe potuto essere soddisfatto stampandoli in Spagna, senza la necessità di portarli da Venezia. Per questo bisognava avere prima l’appoggio del re e poi quello dei monaci dell’Escorial, che avevano in concessione questo privilegio da vent’anni.

E Giulio, abile uomo d’affari, non tardò a conquistarsi anche l’appoggio dei religiosi, per altro in virtù degli affari conclusi con Juan del Espinar, amministratore del monastero di San Lorenzo. L’Imprenta Real venne istituita nel 1594. Sebbene l’accordo fosse tra Giulio Giunta e Filippo II, il titolo di « Impresor del Rey » venne conferito a Tommaso Giunta, figlio di Bernardo il Veneziano e quindi nipote di Giulio, che collaborava con lo zio. Tommaso era arrivato in Spagna intorno al 1593 e aveva all’epoca della nomina diciassette anni. Pare dunque evidente che assunse il titolo di Impresor del Rey solo di nome. Tuttavia, i Giunta non se ne fregiarono per riguardo alla vedova di Gómez fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1595 ; fino al 1596 nemmeno la tipografia viene citata nei frontespizi delle opere stampate come Imprenta Real.  





la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 295 Poiché l’incarico di Impresor del Rey non prevedeva un salario, fu promesso a Giulio Giunta di fargli ottenere un alloggio, comprensivo dei locali in cui installare la tipografia, tra quelli riservati ai membri della Corte. Era questo il sistema cosiddetto delle « casas de aposento », secondo il quale la municipalità di Madrid, con la Junta de Aposentos, riservava parte delle case della città agli ospiti del re, chiamati « huéspedes de aposento », che potevano dimorarvi fino a che godevano dei suoi favori. La promessa non venne però mantenuta e Giulio dovette provvedere con le proprie risorse all’affitto di una casa con annessa tipografia che occupava parte dei locali di una casa che la contessa del Castellar possedeva nella zona di Santa Justa : nel 1601 si trovava ancora lì. Era evidente che, per trasferire tutte le sue attrezzature tipografiche da Salamanca a Madrid, Giulio si era assai indebitato e non voleva provvedere con le proprie finanze anche all’alloggio e all’affitto dei locali della tipografia. Sempre nel 1601, a causa del temporaneo trasferimento della corte a Valladolid deciso da Filippo III, Giulio Giunta presentò al re un memoriale in cui chiedeva esplicitamente una « casa de aposento » per la sua tipografia, nonché un alloggio in cui risiedere. Intorno al 1603, in seguito a delle incomprensioni sorte con la contessa del Castellar in merito all’affitto dei locali della sua casa, Giulio e il nipote Tommaso trasferirono la loro attività nella zona di San Andrés, sulla carrera de San Francisco, non lontano dal Palazzo Reale, dove la tipografia rimase fino al 1660, usufruendo dei benefici concessi agli « huéspedes de aposento ». Nonostante la mancanza di un salario fisso, la corona e le altre istituzioni provvedevano a mantenere sempre in attività la tipografia, con la continua commissione di opere, garantendo così a Giulio e al nipote Tommaso guadagni sicuri e abbondanti. Quando Filippo II era ancora in vita, oltre a tutti i documenti reali, fece stampare a sue spese libri costosi, come le opere di San Isidoro e altre opere di sicuro successo di vendite, o la Gramática di Nebrija, le cui edizioni tornarono a moltiplicarsi a partire dal 1598. Il re non era l’unico committente della stamperia : anche i monaci dell’Escorial, durante l’attività dell’Imprenta, vi fecero stampare tutte le opere che pubblicarono in quegli anni e il Consejo de Indias si avvalse dei servigi della Imprenta Real, anticipando a Giulio Giunta varie somme di denaro per la pubblicazione dei quattro tomi delle Provisiones de Indias (1596), e della Historia de Indias (1601) di Antonio de Herrera, finanziata tra il 1596 e il 1600. Giulio Giunta nel 1598 iniziò a stampare a Madrid il Missale Romanum, terminato l’anno successivo. Ne stampò una nuova edizione nel 1600. Le cedole di questo periodo che si riferiscono al trasferimento di denaro esentasse in Italia da parte di Giulio Giunta non si riferiscono al pagamento dei libri bensì al pagamento della carta fatta venire appositamente dall’Italia per la stampa di queste opere. Giulio si avvalse, seppure in maniera non sistematica, della collaborazione delle tipografie dei suoi familiari in Spagna, coinvolgendoli così nell’affare della stampa di libri liturgici. Ne è un esempio il mandato conferito da Giulio Giunta al nipote Felipe, il figlio di Giovanni Giunta che aveva ereditato la tipografia di Burgos, per stampare nella sua bottega alcuni breviari. Per i libri del Nuovo Ufficio, di grande tiratura, si impiegarono caratteri di nuova fabbricazione e carta di alta qualità proveniente dalle rinomate cartiere genovesi, con incisioni di notevole pregio, comprate soprattutto all’estero, ma anche prodot 



















296 marco santoro te dalle manifatture madrilene. Ben presto, la Imprenta Real divenne un punto di riferimento per le altre tipografie, soprattutto dal momento in cui nella tipografia stessa venne installata un’officina per la fusione dei caratteri mobili. Tuttavia, agli inizi del Seicento, la ripresa dell’attività di Plantin, ora gestita dal genero Jan Moretus, ridimensionò il volume di affari dell’Imprenta Real. Per i primi vent’anni del secolo, El Escorial si era prevalentemente rivolto a tipografi stranieri come i Plantin e i Giunta di Venezia per la stampa di opere liturgiche. Inoltre, le speculazioni di alcuni mercanti che, per aggirare le restrizioni dei privilegi, facevano stampare i breviari e gli altri libri di preghiera con caratteri più piccoli e, quindi, meno pagine, danneggiarono non poco i progetti di Giulio Giunta. Gli affari dovevano andare comunque bene se nel 1606 Giulio decise di tornare a Firenze, dove aveva comprato una casa per sé, lasciando in Spagna la procura al nipote Tommaso per l’attività dell’Imprenta e le faccende a essa collegate. Accanto a Tommaso operava Juan Flamenco, un tipografo fiammingo stabilitosi a Madrid nel 1596. Juan Flamenco era molto probabilmente il secondo uomo di fiducia di Giulio Giunta dopo il nipote Tommaso, dal momento che la sua firma compare in vari contratti, sia per la stampa di opere che per gli approvvigionamenti di carta. Non ci è dato sapere la data precisa del ritorno di Giulio Giunta in Spagna, ma non dovette essere di molto anteriore al 27 gennaio 1619 – giorno in cui, ormai settantenne, morì. Tommaso inviò la notizia ai parenti di Firenze. Siccome era morto prima di poter finire di dettare il testamento, Tommaso si incaricò di far rispettare le ultime volontà dello zio. La maggior parte dei beni andò proprio a lui, compresa la gestione dell’Imprenta Real e 4.000 ducati per i servigi resi, più altri 800 per pagare le spese del matrimonio del nipote con Teresa Junta. A Modesto, nipote di Firenze, Giulio lasciò il titolo e i relativi benefici ereditati dallo zio Modesto. A questi due lasciti più importanti ne seguirono altri minori a parenti e amici, nonché quelli relativi alle opere di carità e alle messe in suffragio. Il suo corpo venne sepolto come da lui stesso richiesto nella chiesa di San Francisco a Madrid. Ma a questo punto, per non tediarvi più del lecito, sarà opportuno chiudere con un sintetico accenno a Tommaso. Questi, alla morte dello zio, assunse la direzione effettiva de la Imprenta, ma la sua fortuna durò poco : morì improvvisamente nel 1624, lasciando la gestione dell’attività nelle mani della moglie Teresa, alla morte della quale, avvenuta nel 1656, succedette il figlio Bernardo morto appena due anni dopo : con Bernardo sembra giungere alla fine l’attività dei Giunta a Madrid. Una famiglia esemplare, quella dei Giunta, per le istanze investigative sulla mobilità, giacché testimonia una poderosa strategia aziendale (ma anche, per inciso, tutte le possibili tensioni spesso scaturite all’interno di gruppi familiari vincolati da forti interessi, tensioni non raramente approdate a laceranti discordie se non addirittura a processi), sapientemente impostata sulla conquista di piazze diverse e sulla gestione di competenze e inclinazioni diversificate, ma tutte accomunate da una approfondita conoscenza del microcosmo librario.  



Abstract Una volta evidenziate l’importanza e l’incidenza del fenomeno della mobilità di tipografi/ editori/librai e ricordate quindi le collegate coordinate scientifiche del progetto prin 2008

la mobilità dei mestieri del libro: caratteristiche e valenze 297 “La mobilità dei mestieri del libro in Italia dal Quattrocento al Seicento”, si accenna ad alcuni criteri metodologici seguiti dal gruppo di ricerca e ad alcuni iniziali esiti. Successivamente, puntualizzato che sono state schematizzate principalmente tre ragioni della mobilità, fughe, ingaggi e dinamiche imprenditoriali, ci si sofferma sul caso esemplare della famiglia Giunta, con specifico riferimento al ramo attivo a Madrid. After emphasising the importance and impact of the printers/publishers/booksellers’ mobility and recalling the relevant scientific details of the prin 2008 project, “Mobility of book professions in Italy from the xv to the xvii century”, this essay mentions some methodological criteria chosen by the research team and some of its first results. Then, having said that this essay mainly focuses on three reasons for such mobility, fleeing, commissions and business dynamics, it lingers on the exemplary case of the Giunta family, and specifically the branch of the family that worked in Madrid.

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LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO NELLO STATO PONTIFICIO Rosa Marisa Borraccini Storia curiosa, quella del piccolo gruppo di uomini, il cui spirito intraprendente e avventuroso ci fa stupire, che, come molti lavoranti di allora, lasciano l’officina del maestro, e se ne vanno attraverso l’Europa, portandosi dietro l’attrezzatura, praticando e insegnando la nuova arte. Veri e propri nomadi, si fermano nelle città secondo le ordinazioni e, ricchi solo della loro scienza e d’una attrezzatura spesso limitata, vanno tutti in cerca e d’un finanziatore che permetta loro di impiantarsi, e di una città dove si ritrovino le condizioni necessarie per fondare un’officina tipografica stabile. 1

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’an alisi di Febvre e Martin, che risale a più di cinquanta anni fa, è ancora condivisibile e gli studi successivi hanno semmai ulteriormente evidenziato e documentato il fenomeno del nomadismo come tratto caratteristico delle nuove professioni del libro. In Italia però esso non è stato fatto oggetto di uno studio organico e di uno sguardo d’insieme, pur a fronte di un’ampia bibliografia su singoli personaggi o aziende editoriali e su centri o ambiti territoriali specifici. 2 È acquisizione storiografica consolidata che la diffusione iniziale della nuova tecnica di produzione libraria sia stata promossa dal consistente movimento di tipografi itineranti che, guidati più dall’intuito che da una chiara visione strategica, diedero vita ad episodi tipografici spesso effimeri e senza futuro. 3 L’instabilità e la ricerca di piazze più redditizie non si limitarono però al primo periodo dell’affermazione e diffusione dell’ars artificialiter scribendi, al contrario si protrassero nei secoli successivi e continuarono per tutto l’arco dell’antico regime tipografico. E ciò soprattutto, ma non solo, nei centri editoriali minori e periferici rispetto alle capitali della produzione libraria, dove l’intreccio di fattori geopolitici ha condizionato pesantemente lo sviluppo e le caratteristiche dell’attività tipografica, non di rado ingessandola in una dimensione di arte assistita e subordinata all’inizia1   Lucien Febvre, Henri-Jean Martin, La nascita del libro, a cura di Armando Petrucci, Roma-Bari, Laterza, 1977 (ed. orig. L’Apparition du livre, Paris, Albin Michel, 1958), p. 210. 2   Marco Santoro, Materiali per una bibliografia degli studi sulla storia del libro italiano, con la collaborazione di Samanta Segatori e Valentina Sestini, Pisa-Roma, Serra editore, 2008 ; Id., Storia del libro italiano. Libro e società in Italia dal Quattrocento al nuovo millennio. Nuova edizione rivista e ampliata, Milano, Bibliografica, 2008. 3   Jean-François Gilmont, Les centres de la production imprimée aux xve et xvie siècles, in *Produzione e commercio della carta e del libro, secc. xiii-xviii . Atti della ventitreesima settimana di studi, 15-20 aprile 1991, a cura di Simonetta Cavaciocchi, Firenze, Le Monnier, 1992 (Atti delle Settimane di studi e altri convegni. Istituto di storia economica “F. Datini”, Prato, 23), pp. 343-364 ; Lorenzo Baldacchini, I centri di produzione del libro nell’Italia del Cinquecento, in *Il linguaggio della biblioteca. Scritti in onore di Diego Maltese, raccolti da Mauro Guerrini, Firenze, Regione Toscana, Giunta regionale, 1994, vol. i, pp. 121-139 ; Rosa Marisa Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv-xviii, in *Collectio thesauri : dalle Marche tesori nascosti di un collezionismo illustre, II : L’arte tipografica dal xv al xix secolo, a cura di Mauro Mei, Firenze-Ancona, Edifir-Regione Marche, 2004 (stampa 2005), pp. 97-131.  









300 rosa marisa borraccini tiva della committenza pubblica e privata locale. In molti casi pertanto, esaurite le ragioni della permanenza che poteva limitarsi ad alcuni mesi o protrarsi per anni, gli stampatori, per lo più privi di risorse proprie e di strategie produttive autonome, riprendevano la vita errabonda in cerca di nuove opportunità – Enrico da Colonia (Brescia 1474-1477, Bologna 1477-1484, Modena 1482-1483, Siena 1484-1500, Lucca 1490-1491, Nozzano 1491, Urbino 1493 ; Johann Neumeister, Foligno 1470, Magonza 1479-1494, Albi 1475-1482, Lione 1485-1508) – 1 oppure sparivano senza lasciare traccia di sé – Bernardino da Bergamo e Roberto da Fano della tipografia di Cagli allestita nel 1475-1476 da Lorenzo Astemio per impulso di Ottaviano Ubaldini, ministro di Federico da Montefeltro – o, peggio, dopo aver subito l’onta del carcere per insolvenza, come avvenne a Federico de’ Conti a Jesi nel 1473 e al tedesco Guglielmo de Linis in Ascoli Piceno nel 1477, imprigionato per debiti dopo aver realizzato l’unica pubblicazione per cui è noto, la princeps del volgarizzamento del Chronicon di Isidoro di Siviglia : « La Cronica de sancto Isidoro Menore, per mano del degno impresore magistro Golielmo de Linio ». 2 L’onda migratoria non si arrestò neppure nel secolo xvi – periodo di espansione e di consolidamento dell’arte tipografica –, quando alle ragioni anzidette si aggiunsero anche i motivi di condizionamento legato allo scontro religioso e culminato nelle condanne degli Indici dei libri proibiti. 3 A puro titolo esemplificativo valga l’esperienza di Gershom Soncino, a cui certo non facevano difetto capacità tecniche, doti imprenditoriali, chiarezza di linea editoriale e forti motivazioni ideologiche e culturali e che, nondimeno, da Soncino emigrò a Brescia, a Barco e quindi a Venezia da dove continuò a spostarsi dal 1502 al 1530 lungo le coste dell’Adriatico tra Fano, Pesaro, Ortona a Mare, Rimini e Cesena, in cerca di condizioni politico-religiose favorevoli alla realizzazione del suo programma editoriale inteso alla pubblicazione di testi ebraici. Le trovò nelle cittadine marchigiane e romagnole dove, con la protezione dei Montefeltro e di Cesare Borgia – nel 1501 proclamato « Duca di Romagna » da Alessandro VI –, si fece interprete delle istanze del circolo umanistico fanese dei Costanzi, del Cleofilo e di Lorenzo Astemio 4 e dove contestualmente poté produrre  











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  L. Febvre, H. J. Martin, La nascita del libro, cit., pp. 210-212.   Rosa Marisa Borraccini, La tipografia nelle Marche. Tessere per un mosaico da comporre, in *La cultura nelle Marche in età moderna, a cura di Werther Angelini e Gilberto Piccinini, Milano, Motta, 1996, pp. 68-81, 341-343 ; Ead., Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv-xviii, cit., con bibliografia precedente. 3   Ugo Rozzo, Editori e tipografi italiani operanti all’estero “religionis causa”, in *La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del convegno, Roma, 17-21 ottobre 1989, a cura di Marco Santoro, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 89-118 ; Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura, 1471-1605, Bologna, Il mulino, 1997 ; Libri, biblioteche e cultura degli Ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice. Atti del Convegno internazionale, Macerata, 30 maggio-1 giugno 2006, a cura di Rosa Marisa Borraccini e Roberto Rusconi, Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, 2006. 4   Giuseppe Castellani, Lorenzo Abstemio e la tipografia del Soncino a Fano, « La Bibliofilia », xxxi (1929), pp. 413-423, 441-460 ; xxxii (1930), pp. 113-130, 145-160 ; Claudio Mutini, Astemio (Abstemius, Abstemio), Lorenzo, in Dizionario biografico degli italiani, IV, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1962, pp. 460-461 ; Corrado Marciani, La tipografia di Girolamo Soncino a Ortona a Mare e l’umanista Oliviero da Lanciano, « Rivista Abruzzese », xxi (1968), pp. 1-14 ; Nando Cecini, La cultura delle corti. Note sull’umanesimo a Urbino, Pesaro, Fano e nei centri minori, in *Arte e cultura nella provincia di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, a cura di Franco Battistelli, Venezia, Marsilio, 1986, pp. 261-278 ; L’attività editoriale di Gershom Soncino, 1502-1527. 2

























la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 301 libri della sua cultura e religione, che andarono in gran parte distrutti dopo la bolla di confisca di Giulio III del 13 agosto 1553 e la successiva espulsione nel 1569 delle comunità ebraiche dalle città dello Stato pontificio. 1 La mobilità dei professionisti del libro continuò ad essere un fenomeno ancora molto diffuso nel secolo xvii e oltre. Gli studi degli ultimi decenni, condotti con nuovi ed efficaci approcci metodologici, hanno chiarito le dinamiche impreditoriali sottese alle strategie di mobilità delle grandi aziende protagoniste della produzione e della commercializzazione del libro lungo i canali europei ed extra-europei grazie all’attivazione di sinergie societarie, familiari e non, alla diffusione di filiali, alla presenza di agenti nelle piazze commerciali più importanti e alle fiere. 2 Ancora da chiarire sembrano invece le iniziative tese al superamento della dimensione localistica – che pure ci furono – da parte della microimprenditoria più intraprendente. Le indagini già svolte hanno fornito molti elementi e altri più puntuali ne forniranno le ricerche in corso per la compilazione delle voci del Dizionario, previsto nell’ambito del prin. In linea generale il movimento migratorio nelle professioni del libro sembra seguire le direttrici dei centri del potere politico, economico e culturale della penisola per cogliere le opportunità lavorative e i profitti garantiti dai mercati più aperti e dai circuiti commerciali più ampi. Nello Stato pontificio con ovvia evidenza, è Roma – la Dominante – a costituire il polo di attrazione, già a cominciare dall’esempio archetipico dei due proto-tipografi italiani Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz che da Subiaco si trasferirono a Roma. Nei secoli presi in considerazione, tuttavia, i domini pontifici presentano una geografia composita e confini in via di continua ridefinizione, tanto che si è parlato di ‘regioni introvabili’ a proposito dell’alternante politica di centralizzazione e regionalizzazione dello Stato pontificio. 3 Alla fine del Quattrocento esso si presentava suddiviso nelle cinque province del Patrimonio di San Pietro, del Ducato di Spoleto, della Marca Anconitana, della Romagna e di Campagna e Marittima, secondo l’articolazione stabilita nelle Constitutiones Aegidianae, emanate dal card. Gil de Albornoz nel Parlamento generale di Fano del 1357, che aveva esteso a tutti i domini temporali Atti del Convegno, Soncino, 17 settembre 1995, a cura di Giuliano Tamani, Soncino, Edizioni dei Soncino, 1997 ; Ennio Sandal, Geršom Ben Mošeh, tipografo, da Soncino alla Romagna (1488-1527), in *Il libro in Romagna : produzione, commercio e consumo dalla fine del secolo xv all’età contemporanea. Convegno di studi, Cesena, 23-25 marzo 1995, a cura di Lorenzo Baldacchini e Anna Manfron, Firenze, Olschki, 1998, pp. 103-114 ; Gershom, Girolamo, Hieronymus, le edizioni del Soncino nelle città adriatiche 1502-1527. Catalogo della mostra, Soncino, Rocca sforzesca, 1 aprile-27 maggio 2001, a cura di Ennio Sandal, Soncino, Edizioni dei Soncino, 2001 ; Elio Giannetti, Girolamo Soncino e l’arte tipografica in Ortona nel xvi secolo, Ortona, [s. n.], 2001. 1   Testimonianze sui roghi e sulle dispersioni dei libri in Yacov Boksenboim, Letters of Jewish Teachers in Renaissance Italy (1555-1591), Tel Aviv, The Chaim Rosenberg School of Jewish studies, Tel Aviv University, 1985, pp. 276-278 ; Mauro Perani, Documenti sui processi dell’Inquisizione contro gli ebrei a Bologna e la loro tassazione alla vigilia della prima espulsione (1587-88), in *Verso l’epilogo di una convivenza. Gli ebrei a Bologna nel xvi secolo, a cura di Maria Grazia Muzzarelli, Firenze, Giuntina, 1996, pp. 245-284 ; Id., Un convegno internazionale sui frammenti ebraici rinvenuti negli archivi italiani (la « Ghenizàh italiana ») e sul loro contributo allo studio del giudaismo, Gerusalemme, 9 gennaio 1996, « Rassegna degli Archivi di Stato », lvi (1996), pp. 104-118. 2   Angela Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento. Nuova edizione rivista e ampliata, Milano, Franco Angeli, 2003. 3   Roberto Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato pontificio, Bologna, Il Mulino, 1983.  



















302 rosa marisa borraccini del Papa il modello politico e amministrativo in vigore nella Marca. Nel giro di alcuni decenni i confini settentrionali dello Stato si dilatarono con la riconquista delle città della Romagna, sottratte alla Repubblica di Venezia, con il recupero di Perugia, tolta ai Baglioni, e di Bologna dopo la sconfitta dei Bentivoglio. Nel 1524 il territorio recuperato, da Rimini a Piacenza fu organizzato in due legazioni : quella di Bologna e della Romagna e quella della Gallia Cispadana che comprendeva Parma e Piacenza, Modena e Reggio. La situazione tuttavia era in continuo movimento e già nel 1530 Modena e Reggio tornarono sotto il dominio degli Este e nel 1545 Parma e Piacenza furono erette in ducato per i Farnese. Nel corso del Cinque-Seicento i territori immediate subiecti si ampliarono per successive congiunture : la fine della signoria dei Da Varano di Camerino nel 1539, le devoluzioni del Ducato di Ferrara nel 1598 e di quello di Urbino nel 1631. Inoltre, sotto il governo papale si trovavano anche Avignone e il contado Venassino, Benevento e Pontecorvo nel Regno di Napoli e a metà Seicento anche i ducati di Castro e Ronciglione tornarono nel diretto dominio del Papa. 1 In una entità statuale tanto composita e polimorfa, nonostante la sempre più decisa azione normalizzatrice delle Congregazioni della Sacra Consulta e del Buon Governo, 2 la giurisdizione territoriale dei Legati, Governatori e Vicari pontifici dovette confrontarsi duramente, da una parte, con le resistenze delle classi dirigenti cittadine che reclamavano l’esercizio delle proprie prerogative di autonomia e, dall’altra, con il potere di interposizione e il ribellismo della nobiltà feudale, gelosa custode di antichi privilegi. 3 Basti pensare al difficile equilibrio dei rapporti con i Farnese del ducato di Castro e con gli Orsini del ducato di Bracciano nel territorio del Patrimonio di San Pietro, oppure con i Caetani del feudo di Sermoneta e con i Colonna dei principati di Palestrina e Paliano nel territorio di Campagna e Marittima, che rappresentavano centri nevralgici per il controllo delle vie di comunicazione con la Toscana e il Regno. È nel quadro di tali coordinate geopolitiche che ho cercato di interpretare la distribuzione e la durata dei centri editoriali, la dimensione delle aziende, la tipologia e il raggio d’azione della loro produzione, gli itinerari dei professionisti del libro e il reticolo dei loro spostamenti che risultano ad esse strettamente connessi e correlati. 4 Gli impianti di Farnese (1599-1601) e Ronciglione (1609-) e il potenziamento dell’attività editoriale a Viterbo furono funzionali al go 



1   Mario Caravale, Alberto Caracciolo, Lo Stato pontificio, da Martino V a Pio IX, Torino, utet, 1978 (Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, 14) ; Paolo Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime : la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna, Il mulino, 1982 ; Bandino Giacomo Zenobi, Le « ben regolate città ». Modelli politici nel governo delle periferie pontificie in età moderna, Roma, Bulzoni, 1994 ; Irene Fosi, La giustizia del papa. Sudditi e tribunali nello Stato pontificio in età moderna, Roma-Bari, Laterza, 2007. 2   Gabriella Santoncini, Il buon governo : organizzazione e legittimazione del rapporto fra sovrano e comunità nello Stato pontificio, secc. xvi-xviii, Milano, Giuffrè, 2002. 3   Gigliola Fragnito, Istituzioni ecclesiastiche e costruzione dello Stato. Riflessioni e spunti, in *Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, a cura di Giorgio Chittolini, Anthony Molho, Pierangelo Schiera, Bologna, Il Mulino, 1994 (« Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento », Quaderno 39), pp. 531-550. 4   Francesco Barberi, Libri e stampatori nel Lazio tra Quattro e Cinquecento, e Industria e arte del libro nel Lazio del Sei e Settecento, in Id., Per una storia del libro : profili, note, ricerche, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 236-254, 255-273.  



















la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 303 verno del ducato di Castro e Ronciglione del cardinale Odoardo Farnese, che dal 1592 lo resse a nome del fratello Ranuccio I, duca di Parma, aggiungendo al titolo di governatore del Ducato la dignità di Legato della Provincia del Patrimonio, e determinarono i movimenti incrociati di molti professionisti del libro che vi si alternarono, tra i quali Agostino Colaldi, il figlio Antonio e il genero Nicolò Mariani, nonché Domenico Dominici, Girolamo, Pietro e Agostino Discepolo, Bernardino, Mariano e Girolamo Diotallevi, Lodovico Grignani, Palmerio Giannotti, Carlo Bilancioni, Pietro Martinelli. 1 L’introduzione della stampa a Bracciano nel 1614 fu promossa e favorita dai duchi Virginio e Paolo Giordano Orsini che, al pari dei Farnese, intendevano dotare il loro feudo di una stamperia ufficiale. Ne affidarono la gestione ad Andrea Fei, subito insignito del titolo di « Stampatore ducale », che la condusse e la fece prosperare grazie alla sinergia con l’azienda romana e con l’aiuto del figlio primogenito Giovanni Battista a cui nel 1664 subentrò il fratello Giacomo fino al 1682. 2 A Palestrina, sottratta ai Colonna e divenuta capoluogo del feudo principesco dei Barberini dopo l’elezione di Urbano VIII, la Tipografia Barberina fu voluta nel 1692 dal cardinale Francesco junior che la allestì con la collaborazione attiva del suo tipografo di fiducia, Domenico Antonio Ercole, e la diede in gestione a Giovanni Antonio Ruzzoli, operaio dell’officina romana di Ercole, a cui nel 1714 subentrò Giovanni Domenico Masci. Dal 1719 al 1721 la tipografia fu spostata a Subiaco, altro centro importante del feudo dei Barberini. 3 I fattori politico-culturali hanno influenzato fortemente la distribuzione territoriale dei centri editoriali anche nelle province governate dai Legati e Governatori che nel corso del secolo xvi si articolarono progressivamente in un sistema frantumato di organismi autonomi e di governi separati che erosero le prerogative del potere centrale sempre più spesso oggetto di contese e di negoziazioni. Valga l’esempio della Marca Anconitana che vide gradualmente sgretolarsi il territorio soggetto alla Curia del Legato generale con sede a Macerata a favore della creazione dei Governi di Ancona, di Loreto, di Fabriano, di Matelica, di San Severino, degli Stati di Camerino, di Fermo, di Ascoli e del Presidato di Montalto. La congiuntura favorì il ripristino di alcuni luoghi editoriali episodici del ‘400 (Ascoli Piceno, Jesi, Urbino) e la formazione di nuovi e più stabili (Ancona, Camerino, Macerata, Fer 



1   F. Barberi, Libri e stampatori nel Lazio tra Quattro e Cinquecento, e Industria e arte del libro nel Lazio del Sei e Settecento ..., cit., pp. 244-247, 257-259 ; Attilio Carosi, Librai, cartai e tipografi in Viterbo e nella provincia del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia nei secoli xv e xvi, Viterbo, Comune di Viterbo, Assessorato alla cultura, 1988 ; Id., Girolamo, Pietro e Agostino Discepoli, 1603-1631, 2. ed., Viterbo, Agnesotti, 1993 ; Id., Le edizioni di Bernardino, Mariano e Girolamo Diotallevi (1631-1666) e di Pietro Martinelli (1666-1704) : annali e documenti. In appendice : Ancora edizioni Discepoli (1603-1631), Viterbo, Comune di Viterbo, Assessorato alla cultura, 1990 ; Francesco M. D’Orazi, Aspetti culturali, benessere economico e pubbliche allegrezze nella Ronciglione farnesiana e barocca: nota storica introduttiva, e Attilio Carosi, Le officine tipografiche ronciglionesi nei secoli xvii e xviii, in *Stamperie, carte e cartiere nella Ronciglione del xvii e xviii secolo. Atti della Giornata di studio presso la Sala Riunioni della Cassa Rurale e Artigiana, 26 ottobre 1991, a cura di Francesco Maria D’Orazi, Ronciglione, Centro ricerche e studi, 1996, pp. 13-119, 121-130. 2   F. Barberi, Industria e arte del libro nel Lazio del Sei e Settecento ..., cit., pp. 262-263. 3   Franca Petrucci Nardelli, Francesco Barberini iunior e la Stamperia Barberini di Palestrina, « Accademie e biblioteche d’Italia », lii (1984), pp. 238-267 ; Saverio Franchi, Le impressioni sceniche. Dizionario bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800. Ricerca storica, bibliografica e archivistica condotta in collaborazione con Orietta Sartori, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1994, pp. 241-255 (Ercole), 538-539 (Masci), 685-687 (Ruzzoli).  

















304 rosa marisa borraccini mo), in ogni caso incentivati dalle autorità locali che sollecitarono l’impianto di laboratori tipografici i cui vantaggi pratici, accanto a quelli simbolici di prestigio, erano del tutto evidenti e collegati prioritariamente ad esigenze di informazione e comunicazione con i cittadini. 1 Sempre più spesso esse concessero ai tipografi locali sussidi, sgravi fiscali, privative di vario genere nel territorio di competenza, anche per compensarli degli insufficienti guadagni derivanti dalla limitata attività condizionata ulteriormente dai privilegi riservati ai tipografi romani. A fronte delle sovvenzioni e delle agevolazioni fiscali lo stampatore produceva di norma, gratis o dietro la sola fornitura di carta e inchiostro, la pubblicistica di servizio e la modulistica burocratica per la comunità. 2 Nei Capitula impressoris sottoscritti dal comune di Ascoli Piceno con Giacomo Pinetti nel 1581, esemplati sulla falsariga di quelli già pattuiti nel 1578 con il tipografo napoletano Anello Benamati e nel 1579 con Giuseppe De Angelis, la comunità concedeva al tipografo il monopolio di stampa e di vendita in tutto il territorio dello Stato di libri scolastici « Donati, Regole, Vespri, Santecroci, overo Alfabeti, Abachini e Dottrine cristiane », con la sola eccezione del periodo della fiera annuale di agosto, in cui lo smercio era consentito anche ai mercanti forestieri. La città si obbligava inoltre al pagamento dell’affitto « unius domus et unius apothece apte pro habitatione et bybliotheca », alla concessione dell’esenzione fiscale sui redditi dell’attività tipografica e alla provvigione annua. Per parte sua lo stampatore sussidiato si impegnava a  







exercere artem excudendi typis cum decem speciebus characterum convenientium pro libris et aliis rebus impressionis, ac tenere in dicta civitate bybliothecam apertam cum variis librorum speciebus et generibus pro publica et privata utilitate et commoditate cuiuscumque de ipsa civitate et compaginare libros tam novos quam veteres cuiuscumque liciti generis, soluta tamen sibi competenti mercede, nec non gratis imprimere et excudere pro ipsa magnifica comunitate quicquid licite opus fuerit dummodo non excedat unum folium et cum hoc quod civitas subministret ei chartam et atramentum suis sumptibus. 3

Queste clausole, con lievi differenze, sono comuni a tutti i contratti finora noti che per i tipografi delle città sedi di Studia generalia, come i maceratesi Luca Bini e Sebastiano Martellini, prevedevano anche la prerogativa di ricoprire il ruolo di bidello e di libraio per la comunità universitaria. 4 Con l’avanzare del secolo xvii e in coincidenza con la generale decadenza si assi1   Un mosaico suggestivo di vita quotidiana reale delle città di antico regime, ricostruito attraverso la varia tipologia della pubblicistica informativa e di intrattenimento – bandi, avvisi, gazzette, componimenti popolari – emerge dal catalogo della mostra Una città in piazza : comunicazione e vita quotidiana a Bologna tra Cinque e Seicento, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Sala dello Stabat Mater, 24 maggio-31 agosto 2000, a cura di Paolo Bellettini, Rosaria Campioni, Zita Zanardi, Bologna, Compositori, 2000. Utili anche Bononia manifesta. Catalogo dei bandi, editti, costituzioni e provvedimenti diversi, stampati nel xvi secolo per Bologna e il suo territorio, a cura di Zita Zanardi, Firenze, Olschki, 1996, e l’originale riflessione di Ugo Rozzo, La strage ignorata. I fogli volanti a stampa nell’Italia dei secoli xv e xvi, Udine, Forum, 2008. 2   Paolo Bellettini, Stampare in provincia : le tipografie romagnole nel xvii secolo, « La Bibliofilia », xcv (1993), pp. 271-301, e Maria Gioia Tavoni, I “materiali minori” : uno spazio per la storia del libro, in *Gli spazi del libro nell’Europa del xviii secolo. Atti del convegno di Ravenna, 15-16 dicembre 1995, a cura di Maria Gioia Tavoni, Françoise Waquet, Bologna, Pàtron, 1997, pp. 87-111. 3   R. M. Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv-xviii ..., cit., p. 103. 4   Ead., Martellini, Sebastiano, in Dizionario biografico degli italiani, lxxi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2008, p. 72-75.  









la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 305 ste al fenomeno diffuso di aziende sempre più in difficoltà e alla ricerca di ulteriori garanzie e protezioni da parte del potere politico ed ecclesiastico locale, formalmente espresse anche nelle denominazioni che accompagnano, o addirittura sostituiscono, il nome del titolare : « stampatore pubblico », « camerale », « vescovile », « universitario », « del Sant’Offitio ». In veste di tipografie ufficiali delle città e degli organismi istituzionali più rappresentativi i gerenti produssero materiale di interesse locale e di consumo che, per la sua natura effimera, è sopravvissuto in esemplari rarissimi o è del tutto scomparso ma ha assicurato alle aziende gli introiti necessari per la sussistenza e in taluni casi la crescita. L’immagine prevalente che ne emerge è però quella di un’attività “assistita” e – nonostante l’innegabile abilità professionale di alcuni – subordinata alla volontà dei committenti, incapace di elaborare progetti editoriali autonomi e di elevarsi al rango di significativa risorsa produttiva. Tuttavia, studi recenti e la conoscenza più ampia della produzione complessiva fanno intravedere anche iniziative imprenditoriali per il superamento della dimensione localistica da parte degli operatori più intraprendenti che in larga parte puntarono su Roma. Su Roma, infatti e con ovvia evidenza, tra ’500 e ’600 si accentrarono le mire di stampatori, editori e librai che vi confluirono da ogni parte per approfittare di un mercato dalle ampie potenzialità. Un ruolo di primo piano svolsero i grandi editori e librai veneziani, in crisi per la sempre più agguerrita concorrenza dei centri editoriali europei dopo lo slancio produttivo della prima metà del secolo, che aprirono o ampliarono le loro filiali sulla piazza romana allo scopo di presidiare i luoghi della produzione libraria post-tridentina e conquistare posizioni di mercato garantite dalla politica editoriale del potere centrale prodigo di privilegi di stampa e di esclusività di vendita ai tipografi romani. 1 Non a tutti gli operatori giunti a Roma, mossi da spirito imprenditoriale, la fortuna arrise però in pari grado. Esemplifico con alcuni casi significativi. Lepido Faci fece l’apprendistato in Ascoli Piceno negli anni Ottanta del Cinquecento presso Giacomo Pinetti. Nel 1589 insieme al fratello Isidoro tornò nel luogo d’origine, Teramo, in cui introdussero la stampa, in seguito si spostò a Campli – feudo dei Farnese per i quali i due prototipografi stamparono opuscoli celebrativi – e, dopo la separazione dal fratello, nel 1594 raggiunse L’Aquila dove fu tipografo cittadino molto ben remunerato e da dove nel 1600 si trasferì a Roma, attratto dalle prospettive di guadagno favorite dall’anno giubilare. 2 La sua prima edizione romana fu infatti un testo legato al Giu 





















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  Si vedano gli esempi restituiti da Maria Cristina Misiti, “Torchi, famiglie e libri” : nuove indagini sui librai romani di fine Cinquecento, in *Libri, biblioteche e cultura degli Ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice ..., cit., pp. 439-471. Utili anche i contributi di Francesco Barberi, Libri e stampatori nella Roma dei Papi ; Un inventario e un catalogo di librai romani del Cinquecento ; Due società e un catalogo di librai romani del Seicento, in Id., Per una storia del libro, cit., rispettivamente pp. 236-254, 325-350, 376-393, oltre ovviamente a Gian Ludovico Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento : documenti inediti, Roma, Palombi, 1980; Franca Petrucci Nardelli, Torchi, famiglie, libri nella Roma del Seicento, « La Bibliofilia », lxxxvi (1984), pp. 159-172, e al prezioso repertorio di S. Franchi, Le impressioni sceniche …, cit., Id., Le impressioni sceniche, ii : Integrazioni, aggiunte, tavole, indici, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2002. 2   Lorenzo Baldacchini, Facio, Isidoro, in Dizionario biografico degli italiani, xliv, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1994, pp. 121-123 ; Id., Facio, Isidoro e Lepido, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani : Il Cinquecento, i : A-F, diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Milano, Bibliografica, 1997, pp. 415-417 ; Luciano Artese, Le origini della stampa a Teramo. Nuovi documenti e alcune  





















306 rosa marisa borraccini bileo, il Trattato di tutte l’opere pie dell’alma città di Roma di Camillo Fanucci, stampato dal tipografo Stefano Paolini. Produsse opere di impegno notevole, impreziosite da importanti apparati iconografici, tra cui la prima edizione illustrata dell’Iconologia di Cesare Ripa del 1603. 1 Nei sette anni di attività conseguì una posizione di riguardo e ottime condizioni economiche che lo convinsero a investire altrove i capitali e a cedere la stamperia a un altro personaggio proveniente dalla periferia : Girolamo Discepolo. Questi, dopo avere esercitato un ruolo di primo piano a Verona nell’ultimo quindicennio del ’500, abbandonò la città in modo repentino, forse per ragioni politiche, e nel 1603 ricomparve a Viterbo in veste di tipografo della comunità. La sua vera aspirazione, però, era la capitale e nel 1608, affidata ai figli Pietro e Agostino la gestione del laboratorio viterbese, allestì un’officina a Roma, dove gli affari tuttavia non decollarono nonostante la determinazione e la perizia tecnica che certo non gli mancavano. L’intento non riuscì neppure al figlio maggiore, Pietro, che dopo l’esperienza autonoma folignate, avviata tra il 1611-1612 per ampliare il raggio d’azione dell’azienda di famiglia, nel 1614 raggiunse il padre in un altro, anch’esso inefficace, tentativo su Roma che abbandonò l’anno successivo dopo la morte di Girolamo per riunirsi a Viterbo con il fratello Agostino. Nel 1621 Pietro tentò, ancora inutilmente, la via di Roma dove un anno dopo venne a morte. 2 Lodovico Grignani, siciliano di origine, dal 1623 al 1650 gestì a Roma in prima persona un’officina di primaria importanza, allestita con i materiali già appartenuti a Pietro Discepolo, senza peraltro rinunciare alle sinergie con il laboratorio di Ronciglione, centro principale del ducato farnesiano di Castro, dove aveva iniziato l’attività nel 1619 con l’attrezzatura acquistata da Caterina Vullietti, vedova di Carlo, che a sua volta aveva raggiunto Roma nel 1597 proveniente da Chieti dove era stato in società con Isidoro Faci. 3 Non pago dell’ottima posizione raggiunta nel mondo editoriale romano e del presidio di Ronciglione dato in gestione nel 1622 a Francesco Mercuri, nel 1637 Grignani ampliò l’orizzonte della sua azienda verso il territorio della provincia di Campagna e Marittima, sino ad allora sprovvista di tipografie stabili, con l’impianto dei primi torchi a Velletri. Li affidò alla gestione del beneventano  

considerazioni, in *Cultura umanistica nel Meridione e la stampa in Abruzzo. Atti del convegno, L’Aquila, 12-14 novembre 1982, L’Aquila, nella sede della Deputazione, 1984, pp. 243-257 ; Id., I fratelli Faci tipografi oltre i confini, in *Il confine nel tempo. Atti del convegno, Ancarano, 22-24 maggio 2000, L’Aquila, Deputazione abruzzese di storia patria, Ed. Libreria Colacchi, 2005, pp. 617-642 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., ii, cit., pp. 96-99. 1   Sonia Maffei, La politica di Proteo : trasformazioni e peripezie dell’Iconologia di Cesare Ripa, in *Officine del nuovo : sodalizi fra letterati, artisti ed editori nella cultura italiana fra Riforma e Controriforma. Atti del simposio internazionale, Utrecht, 8-10 novembre 2007, a cura di Harald Hendrix e Paolo Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2008, pp. 479-495 ; Giuseppina Zappella, L’Iconologia di Cesare Ripa. Notizie, confronti e nuove ricerche, Salerno, Opera edizioni, 2009, pp. 32-33. 2   Dennis E. Rhodes, La stampa a Viterbo “1488”-1800. Catalogo descrittivo, Firenze, Olschki, 1963 ; Tiziana Pesenti, Discepolo (Discepoli), Girolamo, in Dizionario biografico degli italiani, xl, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1991, pp. 271-275 ; Lorenzo Baldacchini, Discepolo (Discepoli), Pietro, ivi, pp. 275-276 ; Lorenzo Carpanè, Marco Menato, Annali della tipografia veronese del Cinquecento. i : 1503-1588, Baden-Baden, Koerner, 1992, pp. 37-40 ; A. Carosi, Girolamo, Pietro e Agostino Discepoli ..., cit. ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 211-225 ; Lorenzo Carpanè, Discepolo, Girolamo, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani ..., cit., pp. 381-383. 3   Prima libraio e poi tipografo con edizioni dal 1601 al 1609 : L. Artese, I fratelli Faci tipografi oltre i confini ..., cit., pp. 638-639 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 779-780.  



























la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 307 Alfonso dell’Isola, esperto tipografo attivo a Palermo fin dal 1628 e mediatore degli interessi del Grignani in Sicilia, e nel 1645, quando Alfonso tornò a Palermo, all’officina veliterne ormai ben avviata Grignani prepose l’orvietano Palmerio Giannotti destinato negli anni successivi a divenire l’amministratore dell’azienda romana che dopo la sua morte Giannotti riconsegnò agli eredi per tornare a Orvieto in veste di tipografo pubblico. 1 Sostenuto dalla fitta rete di relazioni amicali e professionali e dai rapporti di patronage da cui seppe trarre ampio profitto, Grignani svolse infatti un’attività frenetica e poliedrica, versata in prevalenza nel settore del proto-giornalismo – « il più famoso stampatore di avvisi non solo in Italia ma anche in Europa »2 – e del genere teatrale e musicale, ma capace anche di pubblicazioni scientifiche di grande impegno editoriale : a lui si devono le Apes urbanae di Leone Allacci (1633), il Magnes sive de arte magnetica di Anastasius Kircher (1641), Roma sotterranea di Antonio Bosio (1650), Le arti di Bologna disegnate da Annibale Carracci ed intagliate da Simon Guillain (1646). Figura di vero imprenditore editoriale, fu uno dei protagonisti italiani della produzione e del commercio librario della prima metà del ’600. 3 Diversa ma altrettanto significativa fu la carriera del camerte Maurizio Bona, fondatore di una delle librerie più fiorenti e longeve di Roma, “Al Morion d’oro” di Piazza Navona, gestita continuativamente dalla famiglia Bona da 1609 al 1773. Le doti imprenditoriali e relazionali di Maurizio gli consentirono di promuovere e sostenere una ricca attività editoriale orientata in via privilegiata al genere teatrale, in gran voga nella società del tempo, che lo connota come « uno dei principali editori teatrali della sua epoca » e rese la libreria un polo d’attrazione non solo per gli appassionati di teatro e per gli acquirenti dei libri di periegetica o di devozione ma per molti esponenti dell’aristocrazia e del mondo delle professioni. 4 La strategia editoriale del Bona si esplicitò nella individuazione di opere e di autori nuovi, nella ricerca di dedicatari autorevoli – ai quali non di rado si indirizzò in prima persona – e nella diversificazione degli artefici che coinvolse nel duplice intento di evitare il controllo della censura ecclesiastica romana e di ottenere costi di stampa inferiori tramite la concorrenza. Le sottoscrizioni « ad istanza di Maurizio Bona » – ma anche quelle con il solo indirizzo « all’insegna del Morion d’oro » oppure « si vendono in Piazza Nauona al Morion d’Oro » – compaiono su pubblicazioni prodotte da tipografi di diverse località. Tra essi i romani Francesco Cavalli, Francesco Corbelletti, Pietro Discepolo, Guglielmo Facciotti, Giacomo e Vitale Mascardi, la Stamperia Camerale, ma anche i fratelli Pietro e Agostino Discepolo a Viterbo, Andrea Fei a Bracciano, i fratelli Imberti a  





















1   Lucia Tammaro Conti, Annali tipografici di Orvieto, Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria, 1977, pp. 40-44. 2   Il giornalismo romano delle origini, sec. xvii-xviii : mostra bibliografica. Catalogo a cura di Alberta Bertone Pannain, Sandro Bulgarelli e Ludovica Mazzola, Roma, Biblioteca nazionale centrale, 1979, p. 13 ; Sandro Bulgarelli, Tullio Bulgarelli, Il giornalismo a Roma nel Seicento, Roma, Bulzoni, 1988. 3   Dennis E. Rhodes, Accertamenti sulla stampa a Velletri prima del 1700, « Studi secenteschi », ii (1961), pp. 287-291 ; Valentino Romani, La stampa a Velletri, « Lazio ieri e oggi », vii (1971), pp. 218-221 ; L’ arte della stampa in Ronciglione nei secoli xvii e xviii. Catalogo descrittivo, Ronciglione, 26 ottobre-15 novembre 1991, Sala riunioni della Cassa rurale e artigiana, [a cura di] Francesco M. D’Orazi, Ronciglione, Centro ricerche e studi, 1991 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 327-345, 543-544 ; Carla Casetti Brach, Maria Carmela Di Cesare, Grignani, Lodovico, in Dizionario biografico degli italiani, lix, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2003, pp. 418-421. 4   S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 73-87 : p. 80 per la citazione.  





















308 rosa marisa borraccini Venezia, Francesco Gioioso a Camerino, gli eredi Salvioni & Grisei a Macerata, Cesare Scaccioppa a Fabriano. 1 Sulla stessa falsariga si pose Antonio Maria Gioioso – anch’egli originario di Camerino – che guidò la libreria dal 1644 al 1690 a seguito del matrimonio con Francesca Fontana, vedova del Bona. 2 A Piazza Navona nel 1627 aprì una propria libreria anche il non più giovane Pietro Salvioni. Esponente della famiglia veneziana istallata con Francesco in Ancona negli anni Settanta del ‘500, dopo la separazione dal fratello Marco, Pietro aveva sperimentato una non breve fase di nomadismo tra i comuni della Marca – Macerata, Fermo, Recanati (chiamato dal vescovo Rutilio Benzoni) – per approdare definitivamente a Macerata nel 1609. Insoddisfatto della dimensione della provincia, tuttavia, rivolse con intraprendenza le sue attenzioni all’ambiente romano, dove da subito aprì una tipografia affidandone la gestione a Cesare Scaccioppa. Questi infatti nello stato delle anime del 1614-1615, recuperato da Franchi, viene censito in una casa dell’Ospedale di S. Spirito e qualificato come « stampatore del Salvioni ». 3 In assenza di ulteriore documentazione la questione resta aperta ma è certo che i rapporti tra i due continuarono, se ancora in un documento del 1626 Salvioni si dichiarava debitore di Scaccioppa. E del resto anche le testimonianze bibliografiche documentano legami precoci di Pietro con la piazza editoriale romana come mostra il raro esemplare pervenuto delle Opere poetiche di Cesare Caporali, prodotte nel 1614 « In Macerata, ad instantia di Lorenzo Sforzino libraro in Roma, all’Arco di Camigliano, appresso Pietro Saluioni ». 4 Al 1626 risalgono il trasferimento definitivo e il presidio diretto di Pietro della libreria romana senza tuttavia recidere i contatti con l’azienda maceratese guidata dal figlio Girolamo e dal socio Agostino Grisei, di cui egli smerciava i prodotti nella capitale. 5 Originaria di Fermo era anche la famiglia dei tipografi/editori/librai Michele e Domenico Antonio Ercole, imparentati con gli Zanetti per via del matrimonio di Michele con Agnese Zanetti, vedova di Giacomo Facciotti. Svolsero un’attività molto intensa nella seconda metà del Seicento sotto la protezione dei principi Rospigliosi e dei cardinali Pamphili e Barberini. Dei Barberini, soprattutto, di cui Michele  







1   Luciano Mariti, Commedia ridicolosa : comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento. Storia e testi, Roma, Bulzoni, 1978, pp. xl-lxx. 2   Saverio Franchi, Drammaturgia romana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988, pp. 304-307, 331, 459 ; Id., Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 310-311 ; Rosa Marisa Borraccini, All’ombra degli eredi. L’invisibilità femminile nelle professioni del libro. La fattispecie marchigiana, in *La donna nel Rinascimento meridionale. Atti del convegno internazionale Roma, 11-13 novembre 2009, a cura di Marco Santoro, Pisa-Roma, Serra, 2010, pp. 413-428. 3   S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 699-701, che a p. 328 allude, senza documentazione probante, anche a un rapporto di lavoro con Lodovico Grignani. 4   Suzanne P. Michel, Paul-Henri Michel, Répertoire des ouvrages imprimés en langue italienne au xvii siècle conservés dans les bibliothèques de France, Paris, Centre national de la recherche scientifique, 1968, vol. ii, p. 36, in Italia esemplare presso la Biblioteca comunale « Giosuè Carducci » di Spoleto (FA XVII.H.326). 5   Elena Cinti Federici, La stampa a Macerata fino all’anno 1700 seguendo specialmente i documenti dell’Archivio Priorale, in *Studi sulla Biblioteca comunale e sui tipografi di Macerata. Miscellanea, a cura di Aldo Adversi, Macerata, Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, 1966, pp. (189-233), pp. 203-209 ; Filippo Maria Giochi, Alessandro Mordenti, Annali della tipografia in Ancona, 1512-1799, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1980, pp. lvi, 70, 95-96 ; R. M. Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv-xviii ..., cit.  













la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 309 pubblicò testi relativi agli uffici e alle dignità di decani del Sacro Collegio, di vescovi di Ostia e Velletri, di abati commendatari di Farfa e Subiaco e di titolari del feudo principesco di Palestrina, per cui dal 1673 poté fregiarsi del titolo di « Stampatore Barberino » trasmesso alla sua morte nel 1684 al nipote Domenico Antonio che lo mantenne fino al 1692, fino cioè all’effettivo avvio della Tipografia Barberina a Palestrina al cui allestimento aveva attivamente collaborato. 1 Di origine maceratese era Gaetano Zenobi, figlio di Giuseppe e di Barbara Cavallo, a sua volta figlia di Camillo, uno dei più importanti tipografi napoletani con stamperie anche a Castellammare, Isernia e Avellino. Dopo aver fatto l’apprendistato a Roma, dove Giuseppe si era trasferito per presidiare il nodo romano degli interessi dell’azienda maceratese del padre, Gaetano nel 1684 raggiunse Foligno, chiamato dal vescovo Giovanni Battista Pallotta di Caldarola nei pressi di Macerata, dove ancora operava il nonno Carlo. Nel giro di pochi anni affermò l’importanza della sua officina, monopolizzando l’attività editoriale cittadina con i ruoli di « Stampatore vescovile e pubblico » (1686) e « del S. Ufficio » (1689). Le funzioni poliedriche di tipografo, incisore e gettatore di caratteri, apprese da giovane verosimilmente nel laboratorio romano di Fabio De Falco, e la qualità dei suoi prodotti richiamarono su di lui le attenzioni di papa Innocenzo XII per cui, ceduta la stamperia folignate al maceratese Nicolò Campitelli, Gaetano Zenobi tornò a Roma, dove dal 1697 al 1701 fu in società con il tirolese Giorgio Placho. Ebbe il favore anche dei due pontefici successivi – Clemente XI Albani nel 1704 lo insignì del titolo di « Stampatore e intagliatore di Sua Santità », confermato poi da Innocenzo XIII – e continuò fino al 1721 a gestire la redditizia bottega con annessa tipografia e fonderia presso cui produsse più delle 150 pubblicazioni oggi note. 2 Le scelte e i percorsi professionali di questi personaggi, mentre aprono scenari sulle dinamiche innescatesi tra centro e periferia e sulla ininterrotta reciprocità degli scambi durante tutto l’antico regime, confermano l’attrazione esercitata dalla metropoli sui professionisti del libro desiderosi di inserirsi nel mercato editoriale della Dominante senza recidere i legami col territorio d’origine. La documentazione rivela una fitta rete di rapporti intrattenuti a vario titolo tra le diverse figure implicate nei mestieri del libro – autori, editori, tipografi, incisori, librai – e i loro patroni e committenti, nonché la trama di relazioni parentali, amicali, professionali, clientelari e commerciali da essi intessuta. Queste ultime soprattutto sono testimoniate dalle coedizioni, dalle ristampe delle stesse opere effettuate alternativamente in località diverse, dallo smercio dei prodotti della periferia presso le botteghe romane, dalle commissioni a tipografi locali da parte di librai ed editori romani in un intreccio variegato ancora nel complesso da definire e ricondurre a sistema. Solo qualche esempio tra i tanti : la Historia della morte di Henrico quarto rè di Francia e di Nauarra di Pierre Matthieu, pubblicata nello stesso anno, 1615, a Modena da Giuliano Cassiani  

















1   Franca Petrucci Nardelli, Il card. Francesco Barberini senior e la stampa a Roma, « Archivio della Società romana di storia patria », cviii (1985), pp. 133-198 ; Ead., Francesco Barberini iunior e la Stamperia Barberini di Palestrina ..., cit. ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit. 2   Michele Faloci Pulignani, L’arte tipografica a Foligno nei secoli xvii e xviii, « La Bibliofilia », xix (1917), pp. (51-67), pp. 61-65 ; E. Cinti Federici, La stampa a Macerata fino all’anno 1700 ..., cit., pp. 225-227 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 823-834.  















310 rosa marisa borraccini e a Macerata da Pietro Salvioni ad istanza del cognato, il libraio veneziano Francesco Manolesso con bottega in Ancona, fu ristampata nel 1621 a Viterbo a spese di Giovanni Manelfi, libraio a piazza Navona ; la Rappresentazione della vita e miracoli di S. Guglielma, stampata nel 1616 da Simone Martinelli a Viterbo, fu riedita con integrazioni nel 1619 dal Salvioni a Macerata e nello stesso anno ripresa da Lodovico Grignani a Ronciglione ; fu ristampata ancora a Macerata nel 1643 dal Grisei, che era stato in società con Salvioni, e a Viterbo nel 1667 da Pietro Martinelli. 1 Valga a pari titolo l’esempio di Bartolomeo Lupardi, celebre libraio in Piazza Navona all’« Insegna della Pace », che nel corso di venti anni di attività (1662-1682) si servì di tipografie di diverse località : Bologna (Giacomo Monti), Bracciano (Andrea Fei), Ronciglione (Giacomo Menichelli), Terni (Bernardino Arnazzini), Todi (Vincenzo Galassi), Venezia (Nicolò Pezzana), Viterbo. Gran parte della sua produzione teatrale di grande successo, per converso, fu a più riprese e a lungo ristampata da tipografi e librai di varie città : a Bologna da Giacomo Monti e Giuseppe Longhi, da Antonio Pisarri e Giovanni Recaldini ; a Macerata dagli eredi Grisei e Giuseppe Piccini ; a Napoli da Novello De Bonis ; a Genova da Teramo Codelago ; a Venezia da Nicolò Pezzana e Giovanni Battista Cestari. Se per alcuni operatori la meta più ambita era Roma, ove speravano di trovare fortuna sotto la protezione della Curia pontificia e dei grandi mecenati laici ed ecclesiastici, un numero ragguardevole di essi si incamminò verso centri periferici per porsi al servizio delle autorità locali, dando vita ad un movimento migratorio che vide nei secoli xvi-xvii uno sciame di tipografi provenienti da centri importanti come Venezia, Roma, Bologna e Napoli percorrere le strade delle cittadine dell’Italia centrale e allestire impianti provvisori, spesso abbandonati per riprendere il cammino lungo direttrici periferiche : Giovanni Giacomo Benedetti, Luca Bini, Astolfo Grandi, Giovanni Giubari, Sertorio Monti, Giacomo Pinetti, i fratelli Giorgio e Girolamo Stringario, Antonio Braida, Pietro Farri, Cesare Scaccioppa, Ottavio Bersano ne sono alcuni rappresentanti. La più che trentennale vicenda biografica del bolognese Giovanni Giacomo Benedetti si è svolta all’insegna del nomadismo professionale ed è segnata ancora oggi da lunghi periodi di buio rischiarato solo dai pochi esemplari pervenuti delle edizioni da lui sottoscritte a Bologna (1492 e 1503), Cesena e Forlì (1495 e 1507), Ancona (1522), Camerino (1523/24). Un documento, segnalato a suo tempo da Giuseppe Fabiani, invita a orientare le indagini anche su Ascoli Piceno dove negli anni 1518-1519 un « magister Io. Iacobus Benedicti de Bononia librarius » è attore di contratti, uno dei quali con Giovanni Primo di Giovan Piero « de Burgo, ligator librorum » che si impegnò con lui per due anni « in arte ligandi et actandi libros et stampandi ». Oltre a riempire il vuoto di due anni nella vita del bolognese e a rivelare il nome di un altro artigiano del libro finora sconosciuto, il documento reclama attenzione per quel « in arte [...] stampandi » in un periodo in cui ad Ascoli non è testimoniata alcuna attività tipografica. 2 Dopo i due episodi occasionali degli anni Settanta del ’400, infatti, essa  





































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  S. Franchi, Drammaturgia romana ..., cit., p. 400.   Michele Santoni, Il primo tipografo a Camerino, « L’Appennino », iii (1878), n. 22 ; Francesco Novati, La raccolta di stampe popolari della Biblioteca di Francesco Reina, « Lares », ii (1913), pp. (17-50), pp. 39-40 ; Giuseppe Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, i : Vita pubblica e privata, Ascoli Piceno, Società Tipolitografica 2















la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 311 ricomparve nella cittadina picena grazie al breve soggiorno di Giuseppe De Angelis di Spilimbergo che nel 1579 vi si stabilì seguendo un itinerario in controtendenza e abbandonando Roma, dove aveva lavorato dapprima nella Stamperia del Popolo Romano diretta da Paolo Manuzio poi, dal 1568 al 1570, alla Minerva in società con Domenico Giglio, in fine nell’officina propria con cui svolse un ruolo decoroso nell’affollata e competitiva piazza della capitale. 1 Nel 1579, senza apparenti motivi, De Angelis si trasferì ad Ascoli Piceno, dove certo fu attratto dalle garanzie di sussidi e privilegi concessi dal Comune per favorire la ripresa dell’arte tipografica in città. È anche verosimile tuttavia che la realizzazione del suo desiderio di spostarsi in provincia sia stata favorita dalla rete di relazioni intessute con l’ambiente prelatizio romano allora rappresentato in Ascoli da Nicolò Aragonia, governatore della Marca dal 1577 e vescovo proprio dal 1579. Del resto De Angelis aveva maturato da tempo l’intenzione di allontanarsi da Roma se è vero che già nel 1577 aveva presentato istanza al comune di Viterbo per essere assunto come tipografo cittadino al posto di Agostino Colaldi, richiamando quale credenziale l’esperienza fatta nella Stamperia del Popolo Romano ed esaltando la qualità dei propri prodotti ben superiore – a suo dire – « alle bagattelle » viterbesi. Le sue richieste considerate troppo onerose – tra cui « una casa grande per haver gran quantità di stampe » – non avevano però trovato accoglienza. 2 Istallatosi nel 1579 con la famiglia e il ricco armamentario professionale nella casa con officina e bottega libraria situata nei pressi di Piazza del Popolo, nel luglio 1580 – ad appena un anno dal trasferimento – Giuseppe venne a morte. La vedova Livia Desideri, rimasta sola con il figlio Tiberio e senza rete di protezione, scelse di tornare a Roma e di cedere la scorta di libri giacenti in bottega al libraio Giovanni Salvioni. 3 Il corredo tipografico e iconografico, invece, fu acquistato il 25 settembre dalla municipalità ascolana che lo diede in uso ai tipografi cittadini successivi. Della perizia del materiale fu incaricato il veronese Girolamo Stringario, appositamente chiamato da Camerino dove allora era in società con Francesca  







ed., 1950, p. 295, nota 86 ; Giacomo Boccanera, L’arte della stampa a Camerino, in *Studi sulla Biblioteca comunale e sui tipografi di Macerata ..., cit., pp. (235-246), pp. 237-238 ; Alfredo Cioni, Benedetti, Giovan Giacomo, in Dizionario biografico degli italiani, viii, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1966, p. 256 ; R. M. Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv -xviii ..., cit., p. 101. Alla luce del documento ascolano e dell’argomento dell’edizione anconetana, non supportata per altro da nessun’altra informazione sulla sua presenza ad Ancona, si può ipotizzare che il Benedetti nel 1522 si trovasse ancora in Ascoli e avesse solo commissionato l’edizione del Sanctissimi martyris Migdii episcopi Asculani officium a Bernardino Guerralda che era l’unico tipografo allora operante nella Marca : F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., p. 26, n. 26. Sull’edizione dell’antico Officium in onore del santo che si recitava nella chiesa cattedrale di Ascoli cfr. La passione di S. Emidio di Ascoli, introduzione, testo, commento [a cura di] Serafino Prete, Ancona, Studia Picena, 1972. 1   G. L. Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento ..., cit., pp. 143144, 148-149. 2   A. Carosi, Librai, cartai e tipografi in Viterbo e nella provincia del Patrimonio di S. Pietro ..., cit., pp. 61, 123 ; Lorenzo Baldacchini, Il libro popolare viterbese nel Cinquecento, in *Cultura umanistica a Viterbo per il v centenario della stampa a Viterbo (1488-1988), 12 novembre 1988, a cura di Teresa Sampieri e Giuseppe Lombardi, Viterbo, Comune, Assessorato alla cultura, 1991, pp. (181-191), pp. 181-182. 3   Giuseppe Fabiani, Ascoli nel Cinquecento, Ascoli Piceno, Società tipolitografica, 19722, vol. ii, pp. 293295, 362-363, doc. xxvi ; Franco Pignatti, De Angelis Giuseppe, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani ..., cit., pp. 364-366 ; R. M. Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv -xviii ..., cit., p. 99 ; Ead., All’ombra degli eredi. L’invisibilità femminile nelle professioni del libro ..., cit., p. 422.  















312 rosa marisa borraccini Amorosa Aspri, vedova di Antonio Gioioso. Stringario non sostituì De Angelis ereditandone il corredo tipografico – come pure è stato scritto 1 –, in Ascoli si trasferì con il fratello Giorgio solo dopo la fine del sodalizio con gli eredi Gioioso e vi soggiornò per un anno nel 1582 quando insieme sottoscrissero la Legenda del glorioso martire san Venanzo. Nel 1583 gli Stringario tornarono a Verona, dove stamparono in proprio e in società con Sebastiano Dalle Donne. 2 Un altro caso emblematico di itineranza periferica, esorbitante peraltro dai confini dello Stato dei pontefici, è rappresentato dal percorso del romano Lorenzo Valeri. Dopo una fugace apparizione a Firenze e Macerata nel 1614, Valeri emigrò nelle Puglie dove dal 1619 con i suoi torchi itineranti realizzò su richiesta delle autorità religiose e civili locali i primi prodotti tipografici di una lunga serie di località pugliesi e campane ad iniziare da Trani (1622), in cui si stabilì su invito dell’arcivescovo Diego Alvarez, per spingersi poi a Brindisi (1627) chiamato dall’arcivescovo Juan de Falces a stampare le sue opere « in Archiepiscopali Palatio ». Qui ebbe modo di arricchire il suo laboratorio con l’acquisto del corredo tipografico e iconografico appartenuto a Giovanni Bernardino Desa che aveva operato a Copertino alla fine del xvi secolo. Raggiunse per singole committenze anche Montefusco (1636), Foggia (1645), Barletta (1647), Bari (1656), dove fu in società con il romano Francesco Zannetti che vi si era trasferito forse su richiesta dell’arcivescovo Diego Sersale. Alla morte di Lorenzo nel 1656 la tipografia continuò a lavorare a Trani per opera degli eredi che nel 1661 stamparono le Constitutiones synodales della diocesi di Melfi e Rapolla del vescovo Luigi Branciforte con la data topica di Melfi. 3 Nello Stato pontificio caratterizzato, come si è visto, da un pullulare di autonomie in latente conflitto e alla ricerca di affermazione o di consolidamento delle proprie prerogative la stampa fu intesa come strumento di primaria importanza e l’esigenza dei privati o degli organismi civili ed ecclesiastici di avere a disposizione il tipografo in loco costituisce la ragione più importante della mobilità. In taluni casi essa diede luogo a fenomeni isolati e limitati alle esigenze momentanee del committente mentre in altri pose le basi per impianti stabili e duraturi destinati persino a formare dinastie che, mediante la costruzione di una rete strategica di rapporti con gli ambienti del potere cittadino, la sagace politica matrimoniale, la diversificazione delle attività commerciali e gli investimenti nei beni immobiliari, raggiunsero i ranghi del patriziato cittadino, come avvenne per i Salvioni di Ancona e i Monti di Fermo che protrassero la loro attività dal secolo xvi al xviii inoltrato. 4  



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  F. Pignatti, De Angelis, Giuseppe ..., cit., p. 366.   L. Carpanè, M. Menato, Annali della tipografia veronese del Cinquecento ..., cit., pp. 32, 257-266. 3   Giovanni Beltrani, Lorenzo Valerii, tipografo romano in Puglia durante il secolo xvii, Trani, V. Vecchi, 1892 ; Dennis E. Rhodes, The early bibliography of Southern Italy. ii : Bari, « La Bibliofilia », lvi (1954), pp. 216-224 ; Id., The early bibliography of Southern Italy. iii : Trani; iv : Copertino, « La Bibliofilia », lvii (1955), pp. 28-41 ; Antonino Caterino, La Puglia nella storia della stampa, secc. xvii-xviii, Bari, Cressati, 1961 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., p. 796 ; Luciano Carcereri, Valeria Cormio, Emilia Nenna, Daniela Pellegrino, La tipografia a Trani nel xvii e xviii secolo. Un’analisi dei generi, « Lares », lxviii (2002), 4, pp. 681-701. 4   Sui Salvioni vd. F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. liii-lviii ; R. M. Borraccini, All’ombra degli eredi. L’invisibilità femminile nelle professioni del libro ..., cit., p. 425 ; sui Monti Rosalia Bigliardi, Bonibello, Giovanni e De Monti, Sertorio, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani ..., cit., pp. 177-178, 371-372 ; R. M. Borraccini, Libri e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli xv-xviii ..., cit., pp. 101-102. 2



































la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 313 Nella più parte dei casi si tratta però di dignitosi e intraprendenti professionisti, pronti a cogliere le opportunità che si presentano nelle circostanze date. Il veneziano Giovanni Giubari nel 1579 fu protagonista di un evanescente fenomeno tipografico a Fabriano, dove si era recato nell’intento di ampliare il raggio di azione dell’azienda fermana del suocero Astolfo Grandi o di rendersi autonomo da lui. Dopo pochi mesi, tuttavia, la morte di Astolfo lo indusse a tornare precipitosamente a Fermo dove gestì l’attività ed esercitò in qualità di tipografo pubblico dal 1580 al 1586. Grazie ai rapporti intessuti nella cittadina con l’entourage del neo-pontefice Sisto V, che ne era stato a lungo arcivescovo, nel 1586 Giubari pattuì condizioni molto vantaggiose per il trasferimento a Montalto Marche, terra d’origine del papa e da lui innalzata subito dopo l’elezione a città e sede vescovile. Vi rimase per tutta la durata del pontificato sistino producendo quasi esclusivamente pubblicazioni ufficiali e materiali burocratici commissionati dagli organismi politici ed ecclesiastici del territorio. Prevedendo la decadenza della cittadina dopo la morte del pontefice, all’inizio del 1591 Giubari abbandonò Montalto per dirigersi verso Ascoli Piceno, attratto dai sussidi e dalle garanzie di monopolio offerte dal Comune. Come tipografo al servizio della comunità, infatti, gli furono concessi la casa per uso di abitazione e di bottega, la privativa decennale di stampa e di vendita di testi per la scuola, « regulas, Donatos et vesperas », esenzioni fiscali e due scudi mensili di salario. Nel 1604 tuttavia, a tredici anni di distanza, l’inquieto tipografo ripartì pure da Ascoli, diretto alla volta di Roma dove si iscrisse alla confraternita degli stampatori, 1 affidando la ridotta attività tipografica e commerciale di famiglia alla moglie Chiara Grandi che dalla capitale continuò a rifornire di libri e di materiali per la tipografia. Il soggiorno romano non fu coronato dal successo atteso se è vero che ancora nel 1625 chiese alla magistratura ascolana l’autorizzazione per tornare a condurre la tipografia municipale ma la domanda non fu accolta e gli fu preferito Maffio Salvioni. Chiara restrinse il ventaglio della produzione editoriale limitandola ai testi per la scuola (abachi, santecroci, regole grammaticali) – di cui aveva conservato la privativa –, ai materiali burocratici (bollette, bandi, editti, notificazioni, calendari, lunari), richiesti dalla comunità in cambio delle provvigioni, e alla pubblicistica d’occasione di più ampio smercio. 2 Non diversa la fattispecie rappresentata dal già menzionato Cesare Scaccioppa nel continuo andirivieni tra Roma e le cittadine umbro-marchigiane. Vera figura di tipografo itinerante, compare sulla scena editoriale a Perugia in società con Vincenzo Colombara (1610-1611) e con Marco Naccarini (1612-1613) – con la ragione sociale rispettivamente di « Stampa Insensata » e « Stampa Augusta » – per la pubblicazione di operette di circostanza. La collaborazione tuttavia fu occasionale e il tentativo di rendersi autonomo non riuscì per la presenza in città di una realtà tipograficoeditoriale molto strutturata che consigliò allo Scaccioppa di non tagliare i ponti con  











1   Maria Cristina Misiti, Le confraternite dei librai e stampatori a Roma, « Rivista storica del Lazio », vii (1999), 10, pp. (29-55), p. 46. 2   Rosa Marisa Borraccini, Astolfo Grandi e Giovanni Giubari, prototipografi fermani, e le ‘Stanze sopra la morte di Rodomonte’, Fermo, Andrea Livi, 2003 ; Ead., All’ombra degli eredi : l’invisibilità femminile nelle professioni del libro ..., cit., pp. 423-424.  







314 rosa marisa borraccini Roma dove lo stato delle anime del 1614-1615 lo censiva in una casa dell’Ospedale di S. Spirito con la moglie Lucrezia e i figli Giovanni Paolo, Massenzio e Ottavia. Tuttavia negli anni 1615-1616 è documentato di nuovo a Perugia dove produsse pubblicazioni commissionate da religiosi locali e una raccolta di Poetici componimenti curata in prima persona per commemorare la morte di una esponente della famiglia dei marchesi Del Monte Baldeschi. Nel 1617 Scaccioppa si trasferì a Fabriano dove reintrodusse la tipografia dopo il breve fenomeno editoriale che nel 1579 aveva visto per pochi mesi protagonista Giovanni Giubari. Il soggiorno nella città della carta fu procurato dal Governatore, Mezenzio Carbonario, che intendeva dare alle stampe il suo trattato Il governatore politico e christiano, dedicato a Paolo V, il papa che nel 1615 gliene aveva conferito il governo. Dopo alcuni anni di attività, però, l’irrequieto tipografo ripartì per la piazza anconitana dove nel 1620 lo si ritrova insieme al figlio Giovanni Paolo, nella speranza di profittare delle commesse di Marco Salvioni e del libraio Francesco Manolesso, rispettivamente fratello e cognato di Pietro, già da tempo suo datore di lavoro e patrono a Roma. Il tentativo di radicarsi in provincia, tuttavia, non riuscì neppure in questo caso e, dopo un breve silenzio, lo si incontra di nuovo nella capitale dove dal 1623 al 1625 sottoscrisse pubblicazioni di circostanza. Non si può sottacere però, pur in assenza di ulteriore contestualizzazione, che nel 1625 a lui si rivolse Marcantonio Eugeni junior, nipote dell’omonimo, più noto giurista perugino, per la princeps postuma del secondo libro dei Consilia et responsa civilia et criminalia del nonno, il cui primo libro era stato pubblicato nel 1588 – vivente l’autore – da Pietro Paolo Orlando a Perugia. Una pubblicazione impegnativa che, mentre mostra la piena operosità dell’officina romana dello Scaccioppa, ne testimonia anche la continuità dei rapporti con l’ambiente perugino e lo sguardo costantemente rivolto alla provincia pontificia. Non altrimenti interpretabile appare, infatti, la terza edizione fabrianese nel 1628 de’ Il gouernatore politico e christiano di Mezenzio Carbonario ad istanza del libraio romano Maurizio Bona. Né pare, per altro, che egli abbia mai abbandonato del tutto Roma, dove ancora nel 1630 fu censito nella casa « alla salita del monte di S. Spirito » con la moglie e i figli Ottavia e Massenzio. Giovanni Paolo nel frattempo si era svincolato dal padre e impiegato dapprima nella Stamperia Camerale di Andrea Brogiotti e, in seguito, nell’officina di Manelfo Manelfi per il quale nel 1641 firmò la dedica della raccolta di Leporeambi distici trisoni del poeta friulano Lodovico Leporeo, indirizzata alla duchessa Margherita Savelli Cesarini. 1 Alle richieste delle municipalità locali e alla protezione delle autorità religiose è strettamente legata anche l’attività di Gregorio e Bernardino Arnazzini che si mossero tra la Marca e l’Umbria, due province dello Stato pontificio in costante reciprocità di rapporti durante l’antico regime favoriti anche, ma non solo, dalla presenza delle due antiche università. Gregorio, dopo l’apprendistato maceratese presso Sebastiano Martellini, nel 1621 si trasferì a Jesi con la funzione di stampatore  



1   F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. lviii, 101-104 ; Dalmazio Pilati, L’arte tipografica a Fabriano. Cenni storici, Fabriano, Libreria Babele, 1989, pp. 16-17, 39 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 499, 700-701 ; Rosalia Bigliardi Parlapiano, L’arte della stampa nella provincia di Ancona, in *Collectio thesauri. Dalle Marche tesori nascosti di un collezionismo illustre. ii : L’arte tipografica dal xv al xix secolo ..., cit., pp. (29-93), pp. 35-36, 89-93.  







la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 315 1 comunale – che dal 1594 al 1609 era stata del veneziano Pietro Farri – e dove ebbe incarichi pure dal vescovo Tiberio Cenci che nel 1626 si rivolse a lui per la stampa dei Decreta synodi dioecesanae. Incappò in condanne dell’Inquisizione per la pubblicazione dell’opera di astrologia del medico e lettore dell’Università di Macerata Giovanni Francesco Spina, Catastrofe del mondo del 1625 che, sebbene dedicata a due cardinali – lo stemma di Lorenzo Magalotti, segretario di Stato di Urbano VIII, compariva nel frontespizio – e sebbene provvista della licenza di stampa, fu proibita il 4 febbraio 1627 e di nuovo nel 1635. Condannata fu anche l’editio princeps della Monarchia Messiae di Tommaso Campanella dedicata dal domenicano jesino Alberto Boni al cardinale Giovanni Battista Pallotta, uscita dai suoi torchi nel 1633, le cui copie furono sequestrate e distrutte. 2 Non furono tuttavia le disavventure con l’Inquisizione a determinare la decisione di Gregorio di abbandonare Jesi, bensì i dissapori con il comune che erano iniziati nel 1631 con la minaccia di revoca del titolo di stampatore comunale e il licenziamento per il rifiuto da lui opposto di stampare gratuitamente materiali burocratici come previsto dai patti stipulati. 3 La rottura del contratto avvenne nel 1640 quando, nonostante l’intenzione del Governatore della città di confermarlo nell’incarico, Gregorio si diresse a Spoleto dove forse lo aveva indirizzato, preparandogli il terreno, il vescovo Cenci che ne era stato il Governatore prima di essere nominato alla guida della diocesi jesina. Spoleto del resto, dopo la fugace presenza del girovago Luca Bini negli anni Quaranta del xvi secolo, era stata priva dei torchi tipografici e Gregorio vi operò fino al 1669, mentre a Jesi nel 1641 furono chiamati i fratelli Paolo e Giovan Battista Serafini, provenienti da Loreto. 4 Non dissimile l’avventura del figlio di Gregorio, Bernardino, che fece l’apprendistato presso l’officina paterna. La sottoscrizione « per gli Arnazzini » in due edizioni spoletine del 1645-1646 indica già il suo ruolo attivo e maturo a fianco del padre e nel 1650, nell’intento di affermare la propria autonomia professionale, Bernardino si stabilì a Terni dove operò fino al 1685, con un breve intermezzo a Narni richiesto dal vescovo Raimondo Castelli per la stampa delle Constitutiones et decreta dioecesanae synodi (1665) e del Manuale per la diocesi, e clero di Narni (1666), opera dello stesso Castelli. Si trattò di un’esperienza temporanea, per la quale Bernardino trasferì a  



1   Antonio Gianandrea, Della tipografia jesina dal suo rinnovamento sullo scorcio del secolo xvi insino alla metà del presente. Note storiche e bibliografiche, « Il Bibliofilo », vi (1885), pp. 145-150 ; Fernanda Ascarelli, Marco Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze, Olschki, 1989, pp. 204-205 ; Mario Infelise, Farri, Pietro, in Dizionario biografico degli italiani, xlv, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1995 pp. 176-178 ; Rosalia Bigliardi Parlapiano, Giuseppina Boiani Tombari, Farri, Pietro, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani ..., cit., pp. 428-430. 2   Luigi Firpo, Bibliografia degli scritti di Tommaso Campanella, Torino, Tipografia Vincenzo Bona, 1940, pp. 103-105 ; Tommaso Campanella, Monarchia Messiae con due « Discorsi della libertà e della felice suggezione allo Stato Ecclesiastico ». Facsimile dell’edizione originale del 1633 con il testo critico dei Discorsi a cura di Luigi Firpo, Torino, Bottega d’Erasmo, 1960 ; Rodolfo De Mattei, Il pensiero politico italiano nell’età della Controriforma, Milano-Napoli, Ricciardi, 1982, vol. i, pp. 211-229. 3   Rosalia Bigliardi Parlapiano, Gli studi del Gianandrea sui tipografi jesini, in *Omaggio a Gianandrea. Atti del convegno Antonio Gianandrea nel 1° centenario della morte, Jesi-Osimo, 16 dicembre 1998, Ancona, Deputazione di storia patria per le Marche, 2000, pp. (59-86), p. 66 ; Ead., L’arte della stampa nella provincia di Ancona ..., cit., pp. 72-73. 4   F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. lviii-lix, 135-150 ; R. Bigliardi Parlapiano, L’arte della stampa nella provincia di Ancona ..., cit., pp. 74-75.  





















316 rosa marisa borraccini Narni parte dell’attrezzatura poiché, come si legge nei colophon, le opere vennero impresse « in palatio episcopali, typis Bernardini Arnazzini ». L’impegno occasionale pertanto non determinò la chiusura dell’officina ternana che continuò a produrre operette, per lo più celebrative e devozionali nonché, a conferma di quanto si è detto sopra sulla reciprocità degli scambi tra centro e periferia dello Stato pontificio, pubblicazioni commissionate da librai romani, come La schermita cortigiana, commedia di Giovanni Maria Alessandrini, stampata nel 1668 su istanza di Bartolomeo Lupardi, libraio in Piazza Navona. A Jesi, dopo l’esperienza di Gregorio Arnazzini e dei Serafini, nel 1675 si trasferì Claudio Perciminei che proveniva da Ancona, dove dirigeva una ben avviata « Stamperia musicale », e aveva accolto l’invito del vescovo Lorenzo Cybo e del suo segretario, futuro vescovo e cardinale, Pier Matteo Petrucci, uno dei principali esponenti del quietismo italiano. Perciminei vi rimase fino al 1687 con il titolo di « Tipografo vescovile » segnalandosi soprattutto per la stampa di 14 delle 16 edizioni jesine delle opere del Petrucci e della sua cerchia di accoliti – il fermano Benedetto Biscia, i fabrianesi Carlo Caldori e Tommaso Menghini e la “conventicola” osimana di Giacomo Lambardi –, replicate in forme massicce dai torchi di tutta Italia e ben presto censurate e requisite dal Sant’Uffizio. 1 Non del tutto chiarite sono, al contrario, le ragioni del trasferimento in Ancona nel 1651 di Ottavio Beltrano, originario di Terranova – poliedrica figura di scrittore, tipografo, libraio – che iniziò l’attività a Cosenza e già nel 1619 si era insediato a Napoli dove, al dire di Cioni, possedeva una « botteguccia di libraio e la stamperia in San Biagio dei librai ». Ben diversa caratura sembra emergere dall’analisi della sua ricca produzione che contempla generi letterari diversi e di sicuro successo commerciale come l’Almanacco perpetuo del cosentino Rutilio Benincasa, da lui ampliato e corretto, che conobbe grande fortuna e numerose ristampe. Nel 1637 si portò occasionalmente a Sorrento per stamparvi le Animaduersiones del chierico regolare Giovanni Battista Castaldi, primo prodotto tipografico della cittadina, e nel 1642 si recò a Montefusco dove diede alle stampe nel convento dei domenicani due opere del padre Eliseo Danza. Né Cioni né Giochi-Mordenti hanno trovato ragioni plausibili per il suo soggiorno ad Ancona, all’epoca per altro ben presidiata dalle famiglie Salvioni e Serafini, che si concluse con la morte nel 1654. 2  















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  F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. lxii-lxiii, 151-161 ; Paola Zito, Granelli di senapa all’Indice. Tessere di storia editoriale (1585-1700), Pisa-Roma, Serra, 2008, pp. 83-85 ; Massimo Morroni, L’eretico Giacomo Lambardi da Trevi e la setta quietista osimana, Osimo, Università della Terza età, 2008. Sull’attività del Tribunale della fede nella Marca anconitana, anche sul versante del controllo della produzione e del commercio librari nelle tipografie, nelle librerie e nelle fiere si vedano Rosa Marisa Borraccini, Un sequestro librario alla fiera di Recanati del 1600, in *Libri, biblioteche e cultura degli Ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice ... cit., pp. 397-438, e da ultimo gli originali contributi di Vincenzo Lavenia, Giudici, eretici, infedeli. Per una storia dell’Inquisizione nella Marca nella prima età moderna, « Giornale di storia », 6 (2011), , pp. 1-36, e Id., L’Inquisizione romana nella Marca (secoli xvi-xvii). Prime ricerche, in *Alberico Gentili (San Ginesio 1552-Londra 1608). Atti dei convegni nel quarto centenario della morte, Vol. iii : Inaugurazione del Centenario Gentiliano, San Ginesio, 13-14 gennaio 2008 ; Le Marche al tempo di Alberico Gentili : religione, politica, cultura, San Ginesio, 13-14 giugno 2009, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 119-168. 2   Alfredo Cioni, Beltrano, Ottavio, in Dizionario biografico degli italiani, viii, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1966, pp. 83-84 ; F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. lix-lxii.  















la mobilità dei mestieri del libro nello stato pontificio 317 Per finire – e a conferma di una mobilità che perdura ancora nel secolo xviii – non si può passare sotto silenzio il trasferimento di un esponente della famiglia Sartori di Velletri che vi ha operato dal 1734 con il capostipite Pietro Paolo fino al 1845 con la ragione sociale « Eredi Sartori ». Dal 1745 al 1753 l’azienda fu gestita in società dai fratelli Cesare e Federico che in un’edizione si sottoscrivono « Stampatori, librari e santari » per rivendicare l’aspetto prevalente della propria produzione impegnata sul versante istituzionale, religioso, antiquario e giuridico-aministrativo e poco incline alla letteratura popolare che aveva segnato i prodotti delle tipografie di Bracciano, Ronciglione e Viterbo. 1 Sciolto per dissapori il sodalizio con il fratello Cesare nel 1753, Federico si pose alla ricerca di opportunità lavorative nelle cittadine della Marca fermandosi dapprima a Osimo, dove rimase dal 1756 al 1760 quando cedette la tipografia a Domenico Antonio Quercetti, e poi a Loreto (1760-1785) attratto dalla prosperità del mercato dei libri per i pellegrini e dalla promessa di committenze dei prelati-governatori del santuario nonché del materiale devozionale caratteristico della S. Casa come le fedi di confessione e di comunione da distribuire ai fedeli dopo la somministrazione dei sacramenti. Federico si fregiò del titolo di « Stampatore, libraio e incisore vescovile, del S. Offitio e pubblico », e dal 1771 ottenne anche la patente di « Stampatore della S. Casa » che gli garantirono esenzioni fiscali e privilegi. Dal 1781, senza lasciare il laboratorio lauretano, esercitò nella vicina Recanati e alla sua morte nel 1785 gli subentrò il figlio Michele Arcangelo che già dal 1773 era in attività sulla piazza di Ancona. Profondamente radicata nell’ambiente marchigiano e in specie anconitano, la famiglia Sartori raggiunse una condizione professionale e sociale elevata – « comoda » la si definiva in un censimento delle tipografie locali nel 1817 – e superò la congiuntura rivoluzionaria e napoleonica per transitare nel nuovo regime e operare fino al 1834 sotto la guida di Alessandro, figlio di Michele Arcangelo, che svolse un ruolo di primo piano all’interno dei circoli intellettuali e politici liberali della città. 2 Si dirà, non a torto, che si tratta per lo più di personaggi minori che ben poco hanno in comune nei loro percorsi di corto raggio con le dinamiche imprenditoriali nazionali e internazionali delle grandi aziende leader del settore come i Manuzio, i Giunta, i Giolito. Fatta salva, tuttavia, l’importanza di approfondire l’attività poli 



















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  Valentino Romani, “Storiame” e “libri” : frammenti di cultura popolare nella “Stamperia di Velletri del Sig.r Lodovico Grignani” (1641 e 1648), in *I saggi documenti del vecchio Guidone, opera virtuosa e piacevole. Con un’appendice di V. Romani sulla diffusione del libro popolare a Velletri nell’età moderna, Velletri, Vela Editrice, 1980, pp. 11-35 ; L. Baldacchini, Il libro popolare viterbese nel Cinquecento ..., cit. ; Velletri accademica e tipografica. Accademie in Velletri e velletrani accademici. Tipografie in Velletri e velletrani tipografi al 1870, a cura di Filippo Alivernini, Latina, Il Gabbiano, 2005. 2   F. Barberi, Industria e arte del libro nel Lazio del Sei e Settecento ... cit., pp. 267-268 ; F. M. Giochi, A. Mordenti, Annali della tipografia in Ancona ..., cit., pp. lxvii-lxviii, 305-368 ; S. Franchi, Le impressioni sceniche ..., cit., pp. 710-711 ; Floriano Grimaldi, Il libro lauretano. Secoli xv-xviii, Loreto, Diocesi di Macerata Tolentino Recanati Cingoli Treia, 1994, pp. 238-240. Sul ruolo culturale e politico di Michele Arcangelo e Alessandro cfr. Carla Carotenuto, Arcangelo Sartori, e L’attività editoriale di Arcangelo Sartori attraverso la corrispondenza epistolare, in *Microcosmi leopardiani. Biografie, cultura, società, a cura di Alfredo Luzi, Fossombrone, Metauro, 2000, pp. 387-394, 675-703, e la tesi di laurea di Luca Frontini, condotta su documentazione di prima mano, Alessandro Sartori tipografo-libraio nell’Ancona di inizio Ottocento, Università di Macerata, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Storia e memoria delle culture europee, a.a. 2005-2006, rel. Rosa Marisa Borraccini.  











318 rosa marisa borraccini valente di esse, di non minore importanza appare indagare, declinare e ricondurre a sistema anche l’insieme dei fattori sottesi al fenomeno della mobilità del nugolo di titolari di aziende e società minori, diffuse sul territorio italiano, che hanno dato voce alle istanze locali e costituito il tessuto connettivo della microimprenditoria editoriale, alimentando un ingente patrimonio bibliografico, strumento di formazione e nel contempo testimonianza di identità. Abstract È acquisizione consolidata che la diffusione della stampa sia stata promossa dal consistente movimento di tipografi itineranti e che il nomadismo sia il tratto caratteristico delle nuove professioni del libro. Il movimento migratorio segue di norma le direttrici dei luoghi del potere politico, economico e culturale per cogliere le opportunità lavorative e i profitti garantiti dai circuiti produttivi e commerciali più ampi. Nello Stato pontificio è Roma il polo di attrazione ma non mancano esempi di segno contrario. Il contributo intende esplorare la distribuzione dei centri editoriali, gli itinerari dei professionisti, la dimensione delle aziende, la tipologia e il raggio d’azione della loro produzione alla luce delle complesse e mutevoli coordinate geopolitiche dello Stato dei Papi. It is by now widely acknowledged that the spreading of printing has been boosted by the travelling printers’ impressive mobility and that nomadism is the distinctive trait of the new book professions. Such migratory flows usually follow the thoroughfares of political, economic and cultural power to seize job opportunities and the profits that could be earned in wider production and trading markets. In the Papal State, Rome is the attraction but there are quite a few examples that go in the opposite direction. This essay tries to explore the distribution of the publishing centres, the professionals’ routes, the size of the companies, the type and range of action of their products in the light of the complex, ever-changing geopolitical coordinates of the Popes’ State.

LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO IN SICILIA Giuseppe Lipari

I

« mpressor Henricus nomine, cum operariis ab urbe Roma Cathinam venit, al lectus magna spe lucri ». Con queste parole alla fine del secolo xv Giovan Pietro Appulo, nella gratulatio delle Consuetudines et capitula Regni Siciliae, 1 ricordava il tentativo, fatto nel 1471, di introdurre nell’Isola l’ars artificialiter scribendi. Testimonianza di una vicenda, peraltro non andata a buon fine, che pur nella peculiarità del contesto politico-culturale siciliano che indusse lo stampatore « territus tanto chao » a desistere dall’impresa e ad abbandonare la Sicilia, offre con il suo richiamo esplicito alla spes lucri una ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, alla tesi che riconduce a motivazioni prevalentemente economiche il fenomeno della mobilità dei prototipografi. Magna spes lucri spinse, infatti, un cospicuo numero di maestranze delle officine tipografiche della Renania e delle Fiandre, a lasciare le contrade dove era stata messa a punto l’innovativa tecnica di riproduzione libraria e a disperdersi per l’Europa intera fino a giungere in località, come appunto la Sicilia, decisamente remote. 2 Così, ad appena sette anni di distanza dall’approdo di Swenheym e Pannartz a Subiaco, un ignoto stampatore, dai più identificato con quel Heinrich Alding che sarà poi attivo a Napoli e Messina, varca lo Stretto accompagnato da un manipolo di collaboratori, cum operariis, per tentare, nell’unica città siciliana sede di uno Studio generale, di mettere a frutto quelle competenze professionali che non era probabilmente riuscito a far valere sul piano imprenditoriale nell’affollato ambiente tipografico-editoriale romano. 3 Bisognerà, però, aspettare altri sette anni perché vedano la luce i primi libri impressi in Sicilia ad opera di due tipografi ‘alamanni’, Andreas Vyel a Palermo 4 e Heinrich Alding a Messina, 5 che rappresentano l’avanguardia di quel nutrito grup 







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  Messina, Andrea da Bruges, 1497. Giuseppe Repici, Il Quattrocento, in *Cinque secoli di stampa a Messina, Messina, G. B. M., 1987, p. 20 ; Concetta Bianca, Stampa cultura e società a Messina alla fine del Quattrocento, Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, 1988, pp. 263-319. 2   Demetrio Marzi, I tipografi tedeschi in Italia durante il secolo xv, Mainz, Druck Von Philipp Von Zabern, 1900 ; Niccolò Domenico Evola, Ricerche storiche sulla tipografia siciliana, Firenze, Olschki, 1940 ; Id., Stampa e cultura in Sicilia nel secolo xv, « Atti dell’Accademia di sc. lett. e arti di Palermo », 13 (1952-53), pp. 349-93 ; Franco D’Angelo, Aspetti economici dei primordi della tipografia in Sicilia, « Economia e storia », 4 (1967), pp. 457-483 ; Marco Santoro, Il libro a stampa. I primordi, Napoli, Liguori, 1990. 3   Mariano Fava, Giovanni Bresciano, La stampa a Napoli nel xv secolo, i , Notizie e documenti, Leipzig, R. Haupt, 1911, pp. 81-85 ; Marco Santoro, La stampa a Napoli nel Quattrocento, Napoli, Istituto Nazionale di studi sul Rinascimento meridionale, 1984, p. 155. 4   Consuetudines urbis Panormi, Andreas Vyel, 1478 ; Filippo Meli, Documenti inediti sull’arte della stampa e sul commercio librario in Palermo nel periodo della Rinascenza, « Archivi », 19 (1952), pp. 214-15 ; Carlo Pastena, Libri, editori e tipografi a Palermo nei secoli xv e xvi. Saggio biobibliografico, Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana, 1955, p. 23. 5   Vita et transito et li miracoli del beatissimo Hieronimo, Heinrich Alding, 1478 ; Antonio Boselli, La produzione tipografica di Enrico Alding in Messina, « Gutenberg Jahrbuch », 25 (1931), pp. 122-138 ; G. Repici, Il Quattrocento …, cit. pp. 27-32.  



































320 giuseppe lipari po di maestranze di oltralpe che nell’ultimo ventennio del Quattrocento fanno registrare, ma solo nella Città dello Stretto, una significativa ancorché limitata sul piano quantitativo produzione libraria. 1 Le opere impresse da Rigo Forti, Johann Schade, Georg Ricker, Wilhem Schomberger, Andrea e Olivino da Bruges se documentano la vivacità di un ceto politico isolano sensibile alle sollecitazione apportate dal nuovo medium e l’abilità tecnica degli stampatori, offrono altresì ulteriori tessere sul versante della mobilità dei mestieri del libro ma non esauriscono certamente il panorama dell’universo librario siciliano che risulta affollato da una serie di figure professionali – stampatori, librai, lavoratori subalterni – per lo più di provenienza transalpina che, attivi nelle due più importanti città dell’Isola, non disdegnano di frequentare gli altri centri urbani soprattutto, ma non solo, in occasione delle periodiche fiere. 2 Testimonianze significative in proposito si ricavano dalla documentazione archivistica che per un verso evidenzia come l’attività impressoria fosse rivolta in maniera più costante alla produzione di materiale effimero di carattere liturgico-devozionale ed amministrativo e per un altro verso che insieme ai prototipografi, personaggi dal profilo biografico spesso evanescente, viaggiavano verso la Sicilia dai centri culturalmente ed commercialmente più avanzati dell’Italia peninsulare e dell’Europa continentale materiali librari e attrezzature utili per avviare e sostenere le imprese editoriali e tipografiche. 3 Raramente, però, i protagonisti, tedeschi e fiamminghi, di questa prima stagione della tipografia siciliana hanno lasciato tracce della loro attività al di là di quelle desumibili dalle poche edizioni sottoscritte e dagli ancor più rari reperti documentari. Quasi nessuno di loro, ma così è avvenuto non solo in Sicilia, si è fermato definitivamente nell’Isola e come improvvisamente erano apparsi così repentinamente si eclissavano forse per cercare altrove una solidità di impresa e di vita che non erano riusciti a trovare nel troppo instabile quadro socio-politico siciliano oppure per ritornare nella terra natia gratificati dal lucro ottenuto o delusi per il fallimento dei progetti messi in cantiere. Agli inizi del Cinquecento due volumi del giurista Paolo Viperano impressi nel 1503 da Olivino da Bruges documentano per la prima volta una mobilità tutta interna all’Isola, soprattutto fra Messina e Palermo, e segnano la fine della « gloriosa attività dei tipografi stranieri in Sicilia ». 4 Al di là, infatti, di qualche sporadica incursione, come quella di Melchiorre della Fossa intorno alla metà del secolo e di Giovanni Van Berg sul finire del Seicento, 5 su cui ritorneremo, i soli operatori di ori 



1   Gaetano Oliva, L’arte della stampa in Messina. Dei tipografi e delle tipografie messinesi e dei loro più importanti prodotti della stampa in Messina fino a tutto il secolo xvii, Messina, D’Amico, 1901 ; C. Bianca, Stampa cultura …, cit. 2   Ludovico Perroni Grande, A proposito di libri e librai a Messina nel Quattrocento, in Per la storia del libro in Sicilia. Notizie e documenti inediti dei secoli xv e xvi, Reggio Calabria, Fata Morgana, 1934, pp. 11-13. 3   È documento l’acquisto fatto a Napoli da Andrea Vyel di un torchio per sostituire quello, evidentemente inadatto, fornitogli dal Senato palermitano per la stampa delle Consuetudines. 4   Gianvito Resta, La stampa in Sicilia nel Cinquecento, in *La stampa in Italia nel Cinquecento, a cura di Marco Santoro, Roma, Bulzoni, 1992, p. 810. Per la vicenda della pubblicazione dei due volumi (Paolo Viperano, Adnotationes ad consuetudines urbis Panhormi ; Id. Opus aureum seu repeticio utilissima…) : Gioacchino di Marzo, Di Olivino e Lorenzo di Bruges stampatori in Sicilia nella fine del secolo xv ed il sorgere del xvi, 5 « Archivio storico siciliano », 4 (1879), pp. 337-342.   Infra, p. 329.  









la mobilità dei mestieri del libro in sicilia 321 gine transalpina presenti in Sicilia apparterranno a famiglie che hanno ormai messo solide radici nell’Isola assumendone la cittadinanza, come il fiammingo Giorgio Bert libraio a Palermo che il 19 novembre 1502 si dichiarava « citatino di la dicta cita di Palermo » 1 e Giorgio e Pietro Spira stampatori a Messina. 2 Conclusa così la stagione della protostampa, dominata da tedeschi e fiamminghi, il panorama imprenditoriale risulta ancora popolato, soprattutto, da operatori forestieri provenienti adesso dall’Italia settentrionale. Se si esclude l’intensa attività impressoria del palermitano Antonio Mayda e degli Spira ormai naturalizzati messinesi, e quella meno significativa, ancora a Palermo di Antonino e Giovanni Pasta, 3 nonché la modesta presenza di bibliopolae locali, il mercato librario siciliano, almeno nella prima metà del secolo, sembra proprio terra di conquista : il genovese Lorenzo Gandolfo stampa nel 1504 materiale effimero, bolle, per la chiesa della SS. Trinità di Palermo 4 e nella stessa città opera fra il 1509 e il 1511 il tipografo mantovano Anselmo De Benedetti ; 5 sempre a Palermo stampano o fanno stampare due volumi il pavese Giovanni Antonio da Caneto, 6 nel 1514, il Compendio della storia dell’Antico e del Nuovo testamento, nel 1517, il bresciano Antonio De Mussis, 7 a Messina è attivo come libraio ed editore intorno al 1520 un altro bresciano, Giovanni de Ghidelis.8 Dalla documentazione archivistica emergono poi numerosi personaggi che in  







1   Ludovico Perroni Grande, Librai e legatori in Sicilia nei primi anni del Cinquecento. Documenti inediti, Reggio Calabria, F. Sicuro, 1933, p. 13 ; F. Meli, Documenti inediti …, cit. p. 216 ; G. D’Angelo, Aspetti …, cit. pp. 472-473. “Ad expensas Georgii Bert de Flandria” era stata pubblicata nel 1496 a Napoli “per Cristianum Preller Bavarum” la ristampa delle Constitutiones palermitane del 1478. Sulla genesi e sulle vicende di questa edizione : Vito La Mantia, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, Palermo, A. Reber, 1900. 2   Giorgio Spira aveva contratto matrimonio con una messinese nel 1490 : Ludovico Perroni Grande, Tipografi e librai messinesi nel primo ventennio del sec. xvi, notizie e documenti inediti, Messina, Tip. F. Nicastro, 1908, pp. 12-20 ; Maria Intersimone Alibrandi, Stampatori e librai nel primo ventennio del xvi secolo, in *Cinque secoli …, cit. pp. 528-529. 3   Angela Daneu Lattanzi, Aggiunte e correzioni alla storia della tipografia siciliana del primo cinquecento, in *Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 1963, i, pp. 445-56. Per un quadro complessivo della produzione tipografica siciliana del Cinquecento è sufficiente il rinvio all’esaustivo bilancio condotto da G. Resta, La stampa …, cit. 4   Raffaele Starrabba, rec. [ad alcuni saggi sulle origini della stampa in Sicilia], « Archivio storico siciliano », 2 (1874), pp. 473-474 ; N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., p. 19 ; G. Resta, La stampa …, cit., p. 810 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 49-50. 5   A. Daneu Lattanzi, Aggiunte e correzioni …, cit., pp. 445-456 ; G. Resta, La stampa …, cit., p. 810 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 40-42. 6   Giuseppina Zappella, Tipografia campana del Cinquecento : centri e stampatori. Dizionario storico bibliografico, Napoli, Accademia Pontaniana, 1984, p. 13 ; G. Resta, La stampa …, cit., p. 810 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 42-43 ; 7   C. Pastena, Libri, editori …, cit. pp. 47-48 ; 8   Giorgio e Pietro Spira stampano nel 1521 e nel 1526 due edizioni dei Capitula del Regno di Sicilia “ad instantiam Petri de Philippo et Joannis de Ghidelis de Brexia bibliopolarum” e “ad expensas et istantiam Ioannis de Gydelis de Brexia et Pelegrini de Andrea consocii”. Achille Bonifacio, Gli annali dei tipografi messinesi del Cinquecento, Vibo Valentia, Grafica meridionale, 1977, pp. 37-38 e 40-41. Sul Ghidelis : Achille Bonifacio, Ancora su tipografi ed editori messinesi del secolo xvi, « Accademie e biblioteche d’Italia », 48 (1979), p. 306 ; L. Perroni Grande, Tipografi e librai ..., cit., pp. 8, 11-12 ; Id., Notizie e documenti da servire per la storia del libro in Sicilia nel secolo decimo sesto, « Atti della r. Accad. Peloritana », 38 (1936), pp. 41-61 ; G. Resta, La stampa …, cit., pp. 798-799 ; Giuseppe Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia, Fondazione Civiltà bresciana, 2000, pp. 318-319.  



















































322 giuseppe lipari proprio o come rappresentanti di affermate officine tipografiche continentali, per lo più veneziane, svolgono un’efficace attività di diffusione della produzione libraria. Risultano, ad esempio, attivi a Messina Innocenzo de Brexia (nel 1521), 1 Giovanni Domenico de Trento (nel 1528), il lombardo Rocco Bonichello (nel 1538), e il già ricordato Giovanni de Ghidelis. È con tutta probabilità libraio il bergamasco Antonio De Giovanni, abitante a Catania, che nel 1517 viene nominato procuratore proprio dal Ghidelis per riscuotere le somme relative alla vendita di materiale librario. 2 Sempre in rapporto con il Ghidelis risulta il libraio Antonio “Melanensi” che a Siracusa viene incaricato di smerciare la grammatica dello Scobar edita a Venezia da Giovanni Tacuino. 3 Ad ulteriore conferma degli intensi rapporti intercorrenti fra Venezia e la Sicilia si possono ricordare le numerosissime attestazioni documentarie relative alla spedizione di materiale librario da parte dei più importanti tipografi ed editori della città lagunare e all’arrivo nei porti siciliani, soprattutto a Messina, di detto materiale che poi ad opera appunto delle succursali locali veniva distribuito in tutta l’Isola. I librai forestieri, ma non solo loro, operavano poi come agenti anche per il disbrigo di diverse transazioni economiche : nel 1548 a Messina Giovanni Bartoletti, di sicura anche se non accertata origine continentale, i cui eredi qualche anno dopo promuoveranno la pubblicazione per i tipi dello Spira dell’opera di Vincenzo Colocasio4, è affidata per procura la riscossione di un credito di ben 22 onze che l’editore veneziano Vincenzo Valgrisi vantava, per acquisto di una partita di libri, nei confronti del medico di Caltabellotta Paolo Collica. 5 È il caso poi, aprendo una parentesi, di segnalare il singolare legame dell’ambiente dei prototipografi veneziani con la Città dello Stretto : al di là dei non accertati ma possibili rapporti di parentela fra Giovanni e Vindelino da Spira e l’omonima famiglia di stampatori messinesi, è attestato che Giovanni sposò una tal Paola, figlia di Antonio da Messina (si era addirittura ipotizzato che si trattasse del noto pittore) che in prime nozze era stata coniugata con il messinese Bartolomeo de Benacio e che, dopo la morte dello stampatore convolò a nozze prima con Giovanni da Colonia e poi con Rinaldo da Nimega, entrambi tipografi, e la cui figlia andò sposa a Gaspare da Colonia, ancora una volta stampatore. 6 Accanto a questa mobilità ab extra, sia pure con ovvie ricadute in ambito locale,  



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  In un atto del 9 novembre 1517 si sottoscriveva come “librarius messanensis” (L. Perroni Grande, Tipografi e librai …, cit. pp. 8-10). 2   L. Perroni Grande, Tipografi e librai…, cit. pp. 11-12 ; G. Resta, La stampa …, cit. p. 798. 3   L. Perroni Grande, Notizie e documenti …, cit., pp. 41-61 ; G. Resta, La stampa …, cit., p. 798. Non mancano, seppure più rare, attestazioni di una presenza di operatori del settore librario provenienti da oltralpe (Un Leonardo Sichi “libraio teutonico” a Messina e il borgognone Enrico Del Porto a Palermo). 4   Vincenzo Colocasio, Quarti belli punici libri sex, Messina, 1552. A. Bonifacio, Gli annali …, cit., p. 51. 5   La notizia di questa inedito rapporto del Valgrisi con l’ambiente siciliano è tratta dai primi risultati di un ampio sondaggio nel patrimonio archivistico della Città dello Stretto in corso di pubblicazione negli atti del Seminario (In nobili civitate Messanae. Contributi alla storia dell’editoria e della circolazione libraria a Messina e in Sicilia in età moderna) svoltosi a Montalbano Elicona (Messina) nel maggio del 2011 : Rosaria Stracuzzi, Carta e libri, cartai e librai. Viaggio negli archivi messinesi tra il xv ed il xvi secolo. In quella stessa sede si possono leggere numerose attestazioni della feconda operosità del Bartoletti a 6 Messina.   R. Stracuzzi, Carta e libri …, cit.  





la mobilità dei mestieri del libro in sicilia 323 si registra in questa prima metà del Cinquecento una certa mobilità interna al Viceregno, segno probabilmente di vivacità imprenditoriale e/o allo stesso tempo spia delle difficoltà che l’industria tipografica incontrava per consolidarsi in un mercato, come si è visto, dominato dalle ben più solide imprese veneziane. Antonino Pasta, già ricordato per la sua attività impressoria a Palermo insieme al congiunto Giovanni, risulta attivo qualche anno prima, almeno dal 1512, a Messina come libraio ; 1 il messinese Pietro Spira per ben due volte tenta di affermarsi nell’ambiente palermitano, prima nel 1527 stampando in società con Antonio Mayda la Vita sancti Angeli martyris e poi nel 1550 pubblicando due volumi di Federico da Girgenti e di Jean Taisnier insieme ad un altro emigrante messinese forse di origine transalpina, Antonio Anay che già qualche anno prima si era trasferito nella capitale del Viceregno. 2 Nella seconda metà del secolo è possibile rilevare una marcata evoluzione del mercato librario isolano dove, nei due poli di Palermo e Messina, incominciano ad affermarsi imprese che rivelano una discreta e costante capacità produttiva ma non per questo viene ridimensionata la forte dipendenza dall’industria editoriale veneziana. Rari, però, sono gli spostamenti di maestranze locali all’interno dell’Isola : Pietro Spira offre il suo supporto a Catania alle fasi iniziali del progetto editoriale di Giuseppe Cumia, 3 Antonio Anay pubblica a Monreale, nel 1554, le Constitutiones sinodales della diocesi e nella stessa cittadina gli eredi di Giovan Matteo Mayda danno alle stampe nel 1582 La Regola del santissimo padre Benedetto volgarizzata dall’arcivescovo Luigi De Torres. 4 La mobilità più significativa è sempre di origine forestiera e, infatti, si registrano accanto alla costante presenza di librai dell’Italia settentrionale (a Messina operano Martino Patavino, nel 1565, il veneto Baldassare Bordino, nel 1569, il biellese Battista Calligaris, nel 1572, i fratelli Bericchia bresciani intorno agli anni Ottanta, la famiglia Zenaro ; a Palermo Vincenzo Pelagallo che poi sarà attivo a Roma e Venezia, il torinese Enea Bellone e i bresciani Pederzano), sul piano più propriamente editoriale la pubblicazione a Palermo di un volume per conto di Giovanni Maria Scotto, un editore attivo a Roma e a Napoli, l’interessante vicenda, nel 1559-60, del fiammingo Melchiorre della Fossa e, soprattutto, l’insediamento della famiglia Carrara, di Lorenzo Pegolo e di Giovanni Antonio De Franceschi a Palermo e la controversa attività di Giovanni Comencini a Messina. 5 Dello stampatore fiammingo che nella Guida de’ peccatori pubblicata Messina nel 1560 si sottoscrive come Melchiorre della Fossa mentre nell’epistola dedicatoria delle Ordinationes et reformationes magne curie, edite l’anno precedente sempre nella Città dello Stretto, si firmava Melchior a Cavea si conosce ben poco : 6 non risulta se e dove  







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  A. Bonifacio, Ancora su tipografi …, cit., p. 306.   G. Resta, La stampa …, cit., p. 805 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 27-28 e 68-70. 3   Filippo Evola, Sulla stampa siciliana fuori di Palermo e di Messina nei secoli xvi e xvii, Palermo, Tip. dello Statuto, 1885, pp. 10-15 ; Giuseppe Boemi, Giuseppe Cumia e la prima stamperia in Catania, « Rivista del Comune di Catania », 3 (1931), pp. 17-23 ; Gian Filippo Villari, Catania e la stampa, Catania, s.n., 1983 ; G. Resta, La stampa …, cit., pp. 187-188. 4   Fra ’500 e ’600 risultano edite a Monreale 8 edizioni, quasi tutte di diretta committenza istituzionale, con tutta probabilità impresse a Palermo o con il materiale tipografico delle officine palermitane. F. 5 Evola, Sulla stampa ..., cit.   Infra, p. 326. 6   G. Lipari, La prima edizione italiana della Guida de peccatori di Luis de Granada : Messina, Petruccio Spira, 1560, in corso di pubblicazione nei già citati atti del Seminario (supra p. 321) svoltosi a Montalbano Elicona (Messina) nel maggio del 2011. 2















324 giuseppe lipari abbia esercitato la sua professione (un accenno, autobiografico presente nelle sue stampe, di lettura non univoca, potrebbe far pensare a un soggiorno nella penisola iberica) e neppure se in maniera autonoma o in un ruolo subalterno presso qualche altra officina tipografica. Lo stesso nome è, forse, solamente la traduzione, in italiano e in latino, dell’originale non attestato cognome fiammingo (van Greppel, van Groef o van Groeve), ma l’apparato paratestuale dell’edizione della fortunata opera di Luis de Granada (si tratta dell’editio princeps italiana, sopravvissuta in un unico esemplare conservato nella Biblioteca della Facoltà di Lettere di Messina), un documento ritrovato nell’Archivio di Stato di Palermo e una puntuale segnalazione tramandata dalla storiografia gesuitica offrono elementi interessanti utili a lumeggiare il contesto storico e culturale in cui si è verificato questo singolare episodio di mobilità tipografico-editoriale. 1 Nell’epistola dedicatoria del volume lo stampatore afferma « finalmente … mi risolsi di voler fermarmi qui in Messina per alcuni anni, in compagnia dil nobil Pietro Spira » per « adoperar l’arte in servitio universal di questo regno », attribuisce la decisione di fermarsi nella Città dello Stretto all’esortazione degli « honorati padri della compagnia di Giesù », alla « fatta istantia da i Signori Giurati di questa nobil Città », all’ordine ricevuto dallo stesso arcivescovo, e dichiara l’intenzione di cimentarsi in « impresa di cose maggiori ». 2 Che si trattasse di un concreto progetto sostenuto dai gesuiti messinesi in accordo con il ceto politico cittadino risulta appunto evidente da un passo della cronaca dell’Aguilera « Domenecchi opera Petri Spirae officina typographica publico aere et Belgae typographi societate Messanae aucta est » che sembra proprio contenere un riferimento preciso al nostro stampatore. 3 E, infatti, appena due giorni dopo la pubblicazione della Guida i due soci, Pietro Spira e Melchiorre della Fossa, come risulta da un documento « datum in urbe filici Panhormi die x° maii iii° Inditionis 1560 », pubblicato qualche anno fa da Adelaide Baviera Albanese, ottennero ampia privativa per le stampe che avevano dichiarato di voler immettere nel mercato librario siciliano « cussì per la presenti nostra provisioni statuymo providimo et ordinamo che tucti quelli operi di qualsivoglia qualità [….] donati alli preditti Petro Spira e Melchioni La Fossa per imprimere seu stampare da li autori di essi operi seu loro heredi et successori, li quali libri seu operi non siano may stampati in questo Regno né fora di quello per spacio di anni sei da contarsi dal jorno che loro li acabiranno di stampari non si pozano stampari né vindiri in quisto Regno per altra persona che per li dicti exponenti ». 4 E tuttavia, nonostante il forte legame con i padri gesuiti all’intraprendenza professionale dello stampatore fiammingo non dovette arridere il successo sperato e della sua vicenda biografica non si scorgono altre tracce nel variegato universo messinese dei mestieri del libro. La parabola produttiva del fiammingo sembra concludersi in quello stesso anno e, in mancanza di altre pubblicazioni, impresse anche in altre  































1   Adelaide Baviera Albanese, In Sicilia nel sec. xvi : verso una rivoluzione industriale ?, CaltanissettaRoma, Sciascia, 1974, pp. 90-96 ; Emmanuele Aguilera, Provinciae Siculae societatis Jesu ortus et res gestae, Palermo, Angelo Felicella, 1737-1740. 2   Luis de Granada, Guida de’ peccatori, Messina, Petruccio Spira, 1560. 3   E. Aguilera, Provinciae Siculae …, cit., p. 194. Utili annotazioni in Rosario Moscheo, I gesuiti e le matematiche nel secolo xvi. Maurolico, Clavio e l’esperienza siciliana, Messina, Società messinese di storia patria, 1998, pp. 119-120. 4   A. Baviera Albanese, In Sicilia …, cit.  





la mobilità dei mestieri del libro in sicilia 325 sedi, a lui attribuibili (le ricerche condotte in tal senso utilizzando tutte le possibili varianti linguistiche del cognome non hanno avuto esito positivo) si può solo avanzare, fra le tante possibili, l’ipotesi di una permanenza nella città siciliana in altro ambito professionale (ma le ricerche d’archivio non sono di conforto in tal senso, anche se il cognome La Cava, con cui lo ricordano l’Oliva e il Borsa, è ampiamente attestato ancora oggi a Messina) oppure la ripresa di una itineranza per destinazioni non individuabili e in una posizione lavorativa subordinata che, proprio per questo, non ha lasciato alcuna attestazione. Ben diversa la vicenda di Giovan Francesco Carrara « intraprendente uomo d’affari, a capo di una solida impresa familiare ». 1 Arrivati, ma non è noto quando, da Verona i Carrara intorno alla metà del secolo risultano pienamente inseriti nel tessuto sociale siciliano. Il capofamiglia, « citatino di quista città di Palermo per ductionem uxoris », è titolare di molteplici attività economiche che gestisce insieme al fratello Faustino e opera intensamente nel settore librario come distributore, quasi monopolista dei prodotti dell’editoria veneziana e, occasionalmente, come editore in proprio utilizzando per le sue pubblicazioni la stamperia dei Mayda. Un altro fratello, Lodovico, tiene bottega di libraio a Messina e si occupa, soprattutto della ricezione e distribuzione del materiale librario proveniente da Venezia e dagli altri centri impressori dell’Italia settentrionale, mentre un ultimo fratello, Giovanni Battista è insediato nel territorio etneo per curare gli affari di famiglia connessi al patrimonio terriero. Giovan Francesco, dopo un ventennio nel quale risulta, apparentemente inattivo, sul finire degli anni ottanta si ripropone sul mercato libraio palermitano come tipografo-editore e da alle stampe un numero considerevole di pubblicazioni. Questo lungo intervallo e la documentazione d’archivio che ha rivelato il precipitoso abbandono dell’Isola dei Carrara nel 1564 (peraltro rientrati in Sicilia quasi subito) ha fatto ipotizzare l’esistenza, smentita definitivamente dalla nuova documentazione rintracciata da Maurizio Vesco, di due omonimi attivi in ambito tipografico-editoriale in tempi diversi. 2 Giovan Francesco Carrara svolge, infatti, un ruolo fondamentale in quella fitta ragnatela di rapporti che lega le officine tipografiche veneziane, la case madri, con un cospicuo numero di aziende ad esse consociate presenti nel territorio e spesso rette da parenti e congiunti. Il trait d’union con Venezia è rappresentato per Carrara da Lorenzo Pegolo, ‘librarius venetus’ originario di S. Felice della Riviera di Salò con bottega a Palermo, per conto del quale risultano impresse presso Domenico e Giovan Battista Guerra un certo numero di pubblicazioni. 3 Il Pegolo, che ha sposato una sorella degli stampatori veneziani, è di fatto un socio subalterno del Carrara e, con tutta probabilità, le edizioni da lui patrocinate sono da ascrivere all’iniziativa imprenditoriale di quest’ultimo (il contratto di un volume impresso nel 1575 sumptibus Laurentii Peguli Panhormi  







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  Carmelo Trasselli, Un tipografo e libraio veneziano a Palermo. 1595-96, « Economia e storia », 15 (1968), pp. 201-230 ; Paolo Veneziani, Carrara, Giovanni Francesco, DBI, 20, pp. 283-84 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit. pp. 35-39; Maurizio Vesco, Librai-Editori veneti a Palermo nella seconda metà del xvi secolo, « Mediterranea », 10 (2007), pp. 271-298. 2   M. Vesco, Librai-Editori …, cit. ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 33-39. 3   G. Resta, La stampa …, cit. pp. 838-39 ; C. Pastena, Libri, editori …, cit., pp. 66-67 ; G. Nova, Stampatori, librai …, cit., pp. 315-316.  

















326 giuseppe lipari bibliopolae da Domenico e Giovan Battista Guerra risulta sottoscritto solamente dal Carrara). Agente dei Guerra e in rapporti intensi con i Giunta e molte altre imprese veneziane (il fratello Lodovico è titolare di diversi accordi con il ramo fiorentino dei Giunta) Giovan Francesco Carrara è il simbolo di una intraprendenza imprenditoriale, in questo caso non limitata all’ambito dei mestieri del libro, che rivela indubbie capacità di adattamento in contesti socio-culturali profondamente diversi da quelli natii e, nello stesso tempo, saldamente legata alla madrepatria per ragioni squisitamente economiche e, forse, anche culturali. 1 Allo stesso milieu è riconducibile l’operosità, che si dipana per circa un cinquantennio, di un’altro tipografo di probabile origine veneziana, Giovanni Antonio De Franceschi, approdato nella città siciliana dopo un soggiorno di durata non precisabile a Pesaro. 2 Al di là dei suoi possibili legami di parentela, non accertati ma probabili, con gli omonimi De Franceschi attivi a Venezia, e in mancanza di ulteriori attestazioni documentari o di dati desumibili dalle pubblicazioni da lui prodotte, il De Franceschi evidenzia una progressiva trasformazione della presenza in Sicilia delle maestranze forestiere, non più confinate al ruolo di terminale subordinato agli interessi delle aziende della madrepatria. Giovanni Comencini « bresciano, ma di derivazione aziendale veneziana », invece, è ascrivibile alla « schiera di operatori della commercializzazione del prodotto editoriale » per i quali la mobilità ha carattere decisamente occasionale e transitorio. 3 Attivo nel commercio dei libri e della carta, « verso la fine degli anni Sessanta forse in cerca di uno sbocco commerciale lasciò Venezia e si trasferì in Sicilia » e aprì bottega a Messina per la distribuzione ad altri librai siciliani i volumi forniti da librai-editori veneti (come risulta dall’abbondante documentazione d’archivio). Nella Città dello Stretto stampò, nel 1570, un volume del gesuita André de Freux, mentre a Venezia fece stampare alcuni volumi d’evidente interesse siciliano. 4 Rientrato nella città veneta continuò a mantenere stretti rapporti con l’ambiente messinese, facendosi spesso intermediario, come nel caso degli Opuscula matematica di Francesco Maurolico, presso le aziende locali per la stampa di opere del ceto intellettuale peloritano. 5 Al di là della diversità dei percorsi personali in ogni caso è indiscutibile che l’universo librario cinquecentesco siciliano è sostanzialmente dominato da operatori di provenienza extraisolana : Su trentacinque operatori censiti (librai, tipografi ed editori) solo 8 sono sicuramente siciliani, mentre ben 19 sono forestieri (di altri 8 è ignota la provenienza). Nel Seicento il panorama cambia radicalmente e alla crescente consolidamento  













1   G. Resta, La stampa …, cit., p. 808. Per i rapporti con i Giunta : Alberto Tenenti, Luc’Antonio Giunta il giovane stampatore e mercante, in *Studi in onore di Armando Sapori, ii, Milano, 1957, p. 1037. 2   G. Nova, Stampatori, librai …, cit., pp. 316-317. 3   Corrado Marciani, L’arte della stampa a Messina nel 1500 e Giovanni Comencini di Brescia, « La Bibliofilia », 70 (1968), pp. 291-295 ; Id., Editori, tipografi, librai veneti nel Regno di Napoli nel Cinquecento, « Studi veneziani », 10 (1968), pp. 482-485 ; G. Nova, Stampatori, librai …, cit., pp. 317-318 ; Ennio Sandal, Cartai e stampatori nel Bresciano tra Quattro e Seicento, Brescia, 2001. 4   De utraque copia verbo rum et rerum praecepta (A. Bonifacio, Annali …, cit., p. 40). G. Resta, La stampa …, cit., pp. 807 e 837-838. 5   Per un quadro esaustivo della vicenda : Rosario Moscheo, Francesco Maurolico tra Rinascimento e scienza galileiana. Materiali e ricerche, Messina, Società messinese di storia patria, 1988.  

















la mobilità dei mestieri del libro in sicilia 327 di aziende tipografiche locali fa riscontro una presenza quasi irrilevante di maestranze ed imprenditori provenienti da oltre Stretto mentre diventa più frequente la mobilità in ambito regionale. Tuttavia i legami con Venezia non cessano e la presenza di bibliopolae veneziani è costante anche se spesso non lascia tracce. Fra il 1616 e il 1628 opera, infatti, a Palermo il libraio veneziano Francesco Ciotti, finanziando prima e stampando poi un cospicuo numero di pubblicazioni per lo più di carattere giuridico ; 1 a Messina tiene bottega, prima di trasferirsi a Cosenza, Francesco Rodella, di origine bresciana (o veneziana), la cui presenza nella città siciliana è forse legata al ruolo svolto nel mercato librario cittadino dalla nota famiglia di tipografi ed editori dei Zenaro ; 2 e sempre nella Città dello Stretto è documentato il passaggio dell’editore Andrea Baba al quale si deve, per altro, la pubblicazione di un certo numero di opere di autori messinesi. 3 Ma, al di là di queste accertate presenze l’attenzione dell’industria tipografica veneziana verso il mercato librario siciliano si manifestata attraverso una capillare rete di agenti, rappresentanti, venditori ‘porta a porta’ raramente documentabile ma non per questo meno certa. In un volume appartenuto a Nicolò Castagna, arciprete di Tusa, un minuscolo centro dei Nebrodi in provincia di Messina, si legge un’illuminante annotazione manoscritta : « liber iste est Nicolai Castagna quem emi a bibliopola quoddam veneto ». 4 Se i rapporti con l’area veneziana sono certamente più rilevanti, non mancano tuttavia presenze che rinviano ad altri contesti geografici e culturali come, ad esempio, quella del tipografo, originario di Trento, Giovanni Rossi 5 che nel 1617 si stabilì a Militello in Val di Catania per volere del principe Francesco Branciforti, o di Paolo Bonacota 6 proveniente da Malta che nel 1659 si insedia a Messina, o ancora come la famiglia Matarozzi, 7 di lontana origine toscana, che sempre nella Città dello Stretto  









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  N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., p. 56.   Vito Capialbi, Memorie delle tipografie calabresi, a cura di C. F. Crispo, Tivoli, Arti Grafiche Aldo Chicca, 1941, p. 160 ; Nicola Macrì, Una mostra sull’arte della stampa, « Biblioteche oggi », 4 (1986), pp. 112114 ; Giuseppe Lipari, Committenza messinese per i tipografi calabresi del Seicento, in Messina e la Calabria dal basso Medioevo all’età contemporanea, Messina, Società Messinese di Storia patria, 1988, p. 399 ; Id., Gli annali dei tipografi messinesi del ’600, Messina, Sicania, 1990, p. 42 ; G. Nova, Stampatori, librai …, cit., p. 319. 3   Giuseppe Lipari, Libri, ritratti e varia erudizione : le lettere di Giovanni e Francesco Ventimiglia ad Angelico Aprosio, « Esperienze letterarie », 31 (2006), p. 16. 4   Id., Incunaboli e cinquecentine della Provincia dei Cappuccini di Messina, Messina, Sicania, 1995, p. 917. 5   Vincenzo Natale, Sulla storia de’ letterati ed altri uomini insigni di Militello nella Valle di Noto. Discorsi tre, Napoli, Tip. F. Del Vecchio, 1837, pp. 16, 52-53, 114-116 ; Pasquale Castorina, I tipografi e le tipografie esistenti in Catania dall’origine della stampa fino a’ nostri giorni, « Il Bibliofilo », 11, 8-9 (1890), p. 129 ; Orazio Viola, Saggio di bibliografia storica catanese, Catania, Tip. Giuseppe Russo, 1902, pp. 37, 95, 137, 225 ; Giuseppe Majorana, Francesco Branciforti Barresi e le due Principesse d’Austria, « Archivio storico per la Sicilia orientale », 13 (1916), pp. 89-90 ; Filippo Evola, Storia tipografico-letteraria del secolo xvi in Sicilia, Palermo, Stab. tip. Lao, 1878, p. 153 ; N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., pp. 189-194, 217-220 ; G. F. Villari, Catania e la stampa ..., cit., p. 24 ; Id., Giovanni de’ Rossi da Trento, in Enciclopedia di Catania, diretta da Vittorio Consoli, Catania, Tringale, 1987, ii, pp. 643-644 ; Carmelo Erio Fiore, Sulla stampa a Militello in Val di Catania negli anni 1617-1623 : le edizioni di Giovanni Rossi da Trento, « Lèmbasi », 1 (1995), pp. 29-50. 6   Alberto A. Gauci, Origine e sviluppo della stampa in Malta durante il governo dell’Ordine gerosolimitano, « Archivio storico di Malta », 8 (1937), pp. 180-82 ; A. Cioni, Bonacota, Paolo, dbi, 11, Roma, 1969, pp. 48788 ; G. Lipari, Gli annali …, cit., p. 37 ; William Zammit, Printing in Malta 1642-1839 : its cultural role from inception to freedom of the press, Malta, Gutenberg, 2008. 7   G. Oliva, L’arte della stampa …, cit., pp. 86-87 ; G. Lipari, Gli annali …, cit., pp. 41-42. 2































































328 giuseppe lipari affianca a quella prevalente di commercializzazione di materiale librario una discontinua ma rilevante attività di promozione editoriale in ambito non esclusivamente siciliano. Più rilevante risulta, come si diceva, la mobilità interna all’Isola che ha il suo centro di irradiazione principale a Palermo, la città che nel xvii secolo esercita un ruolo predominante nel panorama variegato delle attività legate al mondo del libro. Sono, ad esempio, tutti palermitani gli editori e i tipografi che sottoscrivono le pubblicazioni edite a Monreale (Angelo Orlandi, Pietro Scaglione, Decio Cirillo, Pietro dell’Isola), anche se con tutta probabilità in questi casi la mobilità deve ritenersi non fisica ma meramente editoriale (si tratta di volumi di committenza per lo più istituzionale che implicava l’esplicito richiamo alla località in cui queste istituzioni avevano sede, mentre la vicinanza della località alla Capitale del Viceregno rendeva non necessario lo spostamento certamente oneroso delle attrezzature dell’officina tipografica). 1 Alla stessa tipologia di mobilità non fisica è riconducibile l’unica edizione sottoscritta a Polizzi Generosa, centro minore delle Madonie, dal palermitano Alfonso dell’Isola. 2 Implica, invece, un effettivo trasferimento da Palermo l’attività a Trapani, dal 1681 al 1687 di Giuseppe La Barbera, un valente tipografo che dopo un soggiorno a Mazzarino alle dipendenze del signore del luogo Carlo Caraffa concluderà la sua parabola produttiva nella città natale. 3 Due interessanti episodi di itineranza, in parte già accennati, sono legate all’iniziativa di due rilevanti figure del patriziato siciliano del tempo, Francesco Branciforti e Carlo Caraffa. Al primo, principe di Pietraperzia e marchese di Militello si deve l’impianto della tipografia, attiva fra il 1617 e il 1625, affidata al trentino Giovanni Rossi fatto venire dal Veneto con un certo numero di maestranze e il coinvolgimento nell’iniziativa editoriale del libraio Francesco Petronio. 4 Quest’ultimo, alla morte del Branciforti, acquisterà la stamperia e in società con il Rossi avvierà una vivace azienda tipografica a Catania. Carlo Caraffa, marchese di Mazzarino e principe di Butera, figura controversa di mecenate e di uomo di cultura, impiantò nella sua residenza di Mazzarino una tipografia fornita di eccellente materiale affidandola appunto a Giuseppe La Barbera e, poi, al fiammingo Giovanni Van Berg. 5 Il caso più interessante di mobilità nella Sicilia del xvii secolo è senza dubbio quello della famiglia Bisagni. 6 Editori e tipografi attivi nei tre più importanti centri 1

2   N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., pp. 215-217.   Ivi, p. 221.   F. Evola, Sulla stampa siciliana …, cit., p. 75 ; Leonarda Maria Paladino, Una stamperia a Trapani nel ’600, « La Fardelliana. Rivista di scienze, lettere ed arte » 5, (1986), 1-2, pp. 155-163. 4   F. Evola, Storia tipografico-letteraria …, cit., p. 153 ; Id., Ricerche storiche …, cit., pp. 189-193, 217-220 ; V. Natale, Sulla storia de’ letterati …, cit., pp. 16, 52-53, 114-116 ; N. D. Evola, Sulla stampa siciliana …, cit., pp. 31-36 ; Salvina Bosco, Lo strano caso di una biblioteca, in *Tra memoria e storia. Ricerche su di una comunità siciliana : Militello in Val di Catania, a cura di Francesco Benigno, Catania, Giuseppe Maimone, 1996, pp. 78-79 ; P. Castorina, I tipografi e le tipografie …, cit., p. 129 ; O. Viola, Saggio di bibliografia …, cit., p. 225 ; G. Majorana, Francesco Branciforti Barresi …, cit., pp. 89-90 ; Fedele Marletta, La vita e la cultura catanese ai tempi di Don Francesco Lanario (sec. xvii), « Archivio storico per la Sicilia orientale », 27 (1931), 37-38, 352-353. 5   N. D. Evola, Ricerche storiche…, cit., pp. 221-222. 6   G. Lipari, Gli annali …, cit., p. 38 ; Id., Il falso editoriale a Messina nel Seicento, Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2001. 3































la mobilità dei mestieri del libro in sicilia 329 dell’Isola, Palermo Messina Catania, e poi fino ai primi decenni dell’Ottocento solamente a Catania dove nel 1730 si registra una “Nuova stamperia del Bisagni”. Iniziano ad operare a Catania negli anni quaranta del secolo con Giuseppe e poi a partire dal 1649 a Palermo. Giuseppe da Palermo si trasferisce dapprima a Catania e poi a Messina, anche se per un certo periodo risulta contemporaneamente attivo in tutte due le città. Paolo, forse figlio o fratello di Giuseppe, lavorò in stretto collegamento con lui in tutte tre i centri siciliani e, poi da solo, a Catania fin quasi alla fine del secolo. Nella città etnea risulta attivo pure Biagio ma solo nel 1679. All’officina dei Bisagni sono certamente riconducibili un cospicuo numero di pubblicazioni di committenza messinese apparse con la ragione sociale di editori e stampatori dell’Italia peninsulare (Novello de Bonis, Andrea Colicchia, Marco Filippi, Domenico Ferro, Giovan Battista Russo) che sono da ascrivere al controverso fenomeno della false date. 1 Per i loro tipi, nel 1684, fa stampare l’Albina, una tragedia di Francesco Morabito, Ignazio Calatro che a partire dal 1693 opererà come tipografo a Palermo. 2 Si registra nel Seicento una significativa inversione di tendenza nel panorama della mobilità dei mestieri del libro : sempre meno metà di maestranze forestiere la Sicilia incomincia invece ad esportare imprenditori ed artieri, ma solo nel vicino Viceregno napoletano, e ad acquisire committenze al di fuori del suo territorio. Nella vicina Calabria, oltre al già citato Francesco Rodella, spostano la propria attività i messinesi Matteo La Rocca e Basilio Lombardo pubblicando a Cosenza alcuni volumi sul finire del secolo 3 e sempre nel capoluogo bruzio è presente nel ruolo non del tutto definito di intermediario con la committenza messinese Nicolò Vatacci, gestore per lungo tempo dell’officina tipografica degli eredi di Pietro Brea. 4 A Reggio, intorno alla metà del secolo, aveva tentato di insediare una succursale il messinese Giacomo Mattei 5 e intensissimi anche se non del tutto chiari appaiono i rapporti fra Giovan Battista Russo, impressore attivo in diversi centri della regione, e l’ambiente culturale ed istituzionale della Città dello Stretto. 6 La metropoli partenopea costituisce l’approdo finale dell’impegno professionale di Andrea Colicchia che da Palermo, dove aveva iniziato ad operare nel 1647 insieme al Portanova, dopo una parentesi messinese sposta i propri interessi nel settore librario a Napoli. 7 Allo stesso modo è problematico illustrare gli innegabili rapporti intessuti tra al 

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  G. Lipari, Il falso editoriale …, cit., pp. 49, 80-81.   N. D. Evola, Ricerche storiche…, cit., p. 197. 3   G. Oliva, L’arte della stampa …, cit., pp. 93-96 ; N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., pp. 175, 196 ; G. Lipari, Gli annali … ; Giuseppe Rota, Annali dei tipografi siracusani del xviii secolo, Caltagirone, Silvio Di Pasquale, 2004, p. 25 ; Alessandro Loreto, I libretti musicali della Biblioteca Alagoniana di Siracusa, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2006, p. 290 ; V. Capialbi, Memorie …, cit., p. 23 ; G. Lipari, Committenza …, cit., pp. 396-401 ; N. Macrì, Una mostra sull’arte …, cit., pp. 112-14 ; G. Nova, Stampatori, librai …, cit., p. 319. 4   G. Lipari, Gli annali …, cit., p. 156. 5   Id., Gli annali …, cit., pp. 35-37 ; Id., Committenza messinese …, cit. ; Id., Il falso editoriale …, cit. 6   V. Capialbi, Memorie delle tipografie …, cit. ; G. Lipari, Committenza messinese …, cit. ; Id., Il falso editoriale …, cit. 7   N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., p. 68 ; Giovanni Lombardi, Tra le pagine di San Biagio. L’economia della stampa a Napoli in età moderna, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, pp. 164, 260-261 ; G. Lipari, Il falso editoriale …, cit., pp. 35, 39-40, 61-63, 81 ; Giampiero Di Marco, Librai, editori e tipografi a Napoli nel xvii secolo, « La Bibliofilia », 112 (2010), p. 51. 2



































330 giuseppe lipari cuni operatori napoletani dell’universo librario (D’Alecci, Longo, ecc.) e l’ambiente intellettuale siciliano, messinese in particolar modo. Ma il dato che un certo numero di pubblicazioni sottoscritte da costoro sia stato indiscutibilmente impresso nelle officine siciliane permette di ipotizzare l’esistenza di una mobilità, o per lo meno di flussi di committenza, non rilevabili dal solo rilevamento delle pubblicazioni a noi pervenute. 1 A completare il quadro fin qui tracciato resta da segnalare la presenza in area ligure sul finire del secolo di Domenico Maringo, epigono di una delle più floride imprese tipografiche operanti in Sicilia fra Cinque e Seicento. 2 Riassumendo si può evidenziare come la vicenda siciliana dei mestieri del libro sotto il profilo della mobilità presenti un progressivo sviluppo da una fase di assoluta dipendenza da maestranze di provenienza transalpina nel xv secolo, a una in cui, pur in presenza di imprese autoctone, è netta la prevalenza degli interessi e delle figure professionali dell’Italia settentrionale, soprattutto, veneziane per tutto il Cinquecento, ad una, infine, in cui la presenza forestiera diventa marginale e gli imprenditori siciliani, per quanto produttori soprattutto di manufatti di committenza e di fruizione locale, consolidano il loro ruolo di assoluta autonomia e, in qualche caso, si muovono alla ricerca di nuovi spazi di affermazione professionale al di là dei confini dell’Isola. Università di Messina Abstract La storia della mobilità dei mestieri del libro in Sicilia tra xv e xvii attraversò tre differenti fasi di sviluppo progressivo, sulle quali si sofferma il presente contributo. La prima, quella del xv secolo, fu dominata dalla mobilità “in entrata” di prototipografi di origine tedesca e fiamminga, che ebbero l’indubbio merito di introdurre la stampa nell’Isola, senza però lasciarvi tracce delle loro attività, al di là di quelle desumibili dalle poche sottoscrizioni presenti nelle loro pubblicazioni. La seconda, quella del Cinquecento, fu caratterizzata dalla presenza di numerosi artieri del libro – provenienti perlopiù dall’Italia settentrionale – coadiuvati, molto spesso, da molteplici personaggi che, in proprio, o come rappresentanti di officine tipografiche continentali soprattutto veneziane, svolsero un’efficace attività di diffusione della produzione libraria. La terza ed ultima fase fu invece quella che vide, durante il xvii secolo, un crescente consolidarsi delle aziende tipografiche locali, a cui fece riscontro una sempre più frequente mobilità regionale. Quest’ultimo fenomeno testimoniò una progressiva marginalità delle presenze forestiere nella Sicilia libraria del Seicento, a vantaggio di un incisivo potenziamento delle figure professionali isolane. The history of the mobility of book trades in Sicily between the xv and the xvii century went through three progressive stages, which are the focus of this essay. The first one, in the xv century, was ruled by the ”inflows” of the first printers from Germany and the Flanders, who had the undisputable merit of introducing printing into the island, without however leaving any trace of their business, apart those that can be argued from a few signatures in their publications. The second one, the xvi century, stood out for a high number of book 1

  G. Lipari, Il falso editoriale …, cit., pp. 35, 39-40, 61-63, 81.   Sebastiano Caronito, Il doppio tributo cordiale d’amore e dolore, Genova, Domenico Maringo, 1692 (N. D. Evola, Ricerche storiche …, cit., p. 43). 2

la mobilità dei mestieri del libro in sicilia

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pioneers – mostly coming from Northern Italy – very often assisted by many other professionals, who, either independently or as agents for continental printeries, mostly based in Venice, effectively contributed to the success of the printing trade. The third and last stage was the one that, in the xvii century, saw more and more local printeries settling in, while regional mobility grew all the time. The latter phenomenon was evidence of the fact that, in xvii century Sicily, local printers were expanding while progressively pushing foreign professionals out of the book trade.

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LA MOBILITÀ DEI MESTIERI DEL LIBRO NELL’AREA VENETA TRA QUATTRO E SEICENTO Giancarlo Volpato 1. L’alba dei libri

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e Subiaco è stata l’aurora, Venezia fu l’alba dei libri a stampa : un’alba radiosa, splendente, ricca di straordinarie novità e che illuminò l’universo della cultura sino ad un mezzogiorno di grande fulgore, con un pomeriggio che s’avviò – lentamente e in un tempo piuttosto lungo – sino ad un tramonto con poca luce. La città lagunare – assai meno può dirsi per l’intera area veneta – fu il luogo prediletto di tutti i tipografi, degli stampatori, di coloro che a qualsiasi titolo (come compositori, come lavoratori nei ruoli più diversi, come editori, come committenti e come buoni venditori di se stessi e delle proprie opere) si occuparono della nuova arte che in tempi relativamente brevi riuscì a cambiare buona parte della cultura del mondo, anche se la sua fu una rivoluzione inavvertita almeno sino al Settecento allorquando le idee che il libro ha sempre portato con sé non cominciarono ad essere conosciute da un pubblico sempre più vasto grazie anche ad un’arte – quella della stampa – fattasi estremamente adulta con implicazioni economico-commerciali di tutto rispetto oltreché di raffinata esecuzione. Gli eventi susseguenti all’invenzione gutenberghiana – che qui non è certamente il caso di elencare – videro l’Italia come luogo prediletto per stampatori e tipografi : la cultura del passato, la fama di un Rinascimento che nella penisola aveva già dato frutti copiosi e bellissimi avviandosi ad espandere la sua influenza nell’Europa continentale, una committenza invero sconosciuta all’estero e buone ricchezze economico-commerciali attirarono i prototipografi che in breve tempo divennero provetti artigiani e, in tanti casi, veri artisti della nuova attività. Probabilmente non contarono molto le suddivisioni politiche nelle quali giaceva l’intera penisola né, pensiamo, ebbero grande rilevanza governi e regimi del tutto diversi tra loro, ma furono ben altre le ragioni, come sopra esposto, cui si aggiunsero senz’altro quella della capacità di accoglienza di figure e personalità diverse, la comprovata liberalità di alcuni stati, la mai sopita ricchezza della cultura italiana (quasi sempre rinnovantesi senza mai cancellare le precedenti) ed infine, una versatilità delle maestranze (straniere o italiane che fossero) che seppero cogliere il momento favorevole e il gusto intelligente delle buone novità. A tutte queste qualità – sempre raramente sottolineate dagli studiosi, attenti ai fatti ma non altrettanto curiosi di capire le ragioni dello spirito che spinsero molte persone a scegliere una penisola, di per sé divisa e sovente approdo insensato di guerre e di appropriazioni indebite, ma la cui accoglienza e la cui ospitalità intellettuale oltreché fisica non vennero mai meno – Venezia aggiunse le proprie qualità : una città ricchissima (la più importante dell’intero mondo, per un certo periodo, sotto questo aspetto) dall’apparato economico rigido ma preparato e che non ven 





334 giancarlo volpato ne mai meno ad una gerarchizzazione che portò frutti per secoli, un luogo mirabile la cui bellezza non ebbe e non ha neppure oggi paragoni concreti, la capacità infinita di accoglienza – pure con delle regole rispettate e quasi mai neglette dagli stessi operatori e dagli abitanti – ed un’acculturazione sconosciuta al mondo italiano di quei secoli e certamente più avanzata anche di alcuni paesi europei. Qui, come noto, vennero i tedeschi a fondare le loro imprese stampatorie, qui vi furono grandissimi artisti del libro, qui piantarono radici italiani e stranieri, tipografi e incisori, musicisti e pittori, architetti e maestranze qualificatissime lasciando segni inconfondibili della loro arte e tracce incancellabili nella storia della cultura del mondo e di tutte le epoche. Il mito di Venezia, la città più studiata in assoluto, diventò – a poco a poco – discorso pubblico, discorso di stato, di persuasione, di realtà concrete, di realizzazioni, di governo : qui tutte le temperie furono note, ma tutte furono guardate e ricomposte con la sicurezza di uno Stato dove la vita attiva sia del patriziato sia dei ceti umili – pure nelle diverse posizioni e con le debite distanze – operò per un bene che ogni nazione al mondo riconobbe alla terra della Serenissima. 1 Nella città lagunare, sin dai primordi della stampa, vi furono le condizioni ideali per una radicazione dell’attività cui concorsero molteplici ragioni – sulle quali ritorneremo nel paragrafo successivo – e che permisero davvero un’alba diventata ben presto mezzogiorno : qui, nel giro di non molti anni, seppure con modalità diverse e con avventi legati a fatti ed eventi di natura politica, economica, commerciale, culturale, religiosa sconosciute in altri luoghi, videro la luce libri importanti che fecero la storia del mondo e delle civiltà ; non vogliamo certamente trascurare Giovanni e Vindelino da Spira e Nicolas Jenson, i primi a mettere le radici della stampa a Venezia, né desideriamo passare sotto silenzio il principe degli artisti quale Aldo Manuzio ma sarà bene citare – perché non sempre cose note – che qui uscirono dai torchi il primo Talmud, sia nella versione babilonese sia in quella gerosolimitana, il primo Corano, il primo libro di medicina, le prime Bibbie rabbiniche, quella utraquista, la prima grammatica della lingua ebraica, il primo libro armeno (Il libro del venerdì, 1512), libri in greco (le grammatiche di Manuele Crisolora, gli Erotemata, regole di grammatica a guisa di domanda e risposta del 1471 e poi la Batracomiomachia del 1486 ora nel Monastero di San Pietro Martire), qui soffiò il primo vento dell’Est portando libri di quella cultura poiché a Venezia vide la luce il Breviarium (1491/92) in glagolitico e subito dopo il primo libro in caratteri cirillici ;2 qui apparve con un  







1   Tra i molti studi sull’argomento, ci limitiamo ad un libretto dove le diverse angolature del mito furono equamente suddivise tra curiosità iniziale e sicuro riconoscimento successivo ; cfr. Il mito di Venezia : una città tra realtà e rappresentazione, a cura di Peter Schreiner, Roma-Venezia, Edizioni di Storia e Letteratura-Centro tedesco di Studi Veneziani, 2006 ; sempre molto suggestivo il lungo saggio di Franco Gaeta, L’idea di Venezia, in *Storia della cultura veneta : dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, v. 3, t. iii, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, Vicenza, Pozza, 1981, pp. 565-641. 2   Per una visione corretta di quanto avvenne nell’incunabolistica veneziana dedicata ai popoli “forestieri” e alle loro lingue si rimanda a *Armeni, ebrei, greci stampatori a Venezia, a cura di Scilla Abbiati, Venezia, Tipo-Litografia Armena, 1989 ; citiamo – non escludendo gli altri contributi – perché più inerenti all’argomento quelli di Baykar Sivazlyan, Venezia per l’Oriente : la nascita del libro armeno, quello di Riccardo Calimani, Gli editori di libri ebraici a Venezia, quello di Despina Vlassi Sponza, I greci a Venezia : una presenza costante nell’editoria (secc. xv-xx) e quello di Simonetta Pelusi, La stampa in caratteri glagolitici e cirillici ; altrettanto importante, anche se dedicato alle pubblicazioni religiose, *Le civiltà del  















la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 335 clamoroso successo il libro delle Navigationi di Ramusio e si stamparono, compresa la terraferma, i trattati di idraulica per i corsi d’acqua e per irrigare le campagne, 1 qui, già prima e in concomitanza con l’opera testé citata, esplose (dopo un inizio in sordina) la stampa di opere geografiche e cartografiche che conobbe momenti fulgidi (era accaduto anche prima dell’avvento dei torchi) con Nicolò de’ Conti, Alvise da Mosto, Girolamo Fracastoro, Pietro Bembo, Giacomo Gastaldi, Vincenzo Porcacchi e Vincenzo Coronelli ; 2 qui apparve il primo frontespizio librario ottenuto con mezzi grafici e grafico-decorativi (il Kalendarium del Regiomontano, 1476) ; ma non vogliamo dimenticare i resoconti dei viaggi, 3 le opere musicali, i libri illustrati, i primi fogli su cui venivano riportate le quotazioni di mercati e moltissime altre opere delle quali v’è cognizione e su cui, qua e là, studiosi diversi hanno appuntato le loro attenzioni come, ad esempio, il primo trattato militare uscito dai torchi veronesi : in terraferma, quindi, ma pure sempre nell’area veneta ; 4 qui videro la luce a stampa, per la prima volta, gli elementi euclidei della geometria e nello stesso anno, sempre dai torchi del medesimo tipografo – tedesco anch’egli come i suoi colleghi importanti – la cosmografia di Pomponio Mela e Prisciano cesariense, del i secolo d.C., conobbe l’onore della pubblicazione con un’edizione che fece scuola a tutti i cartografi e ai geografi europei ; 5 in laguna nacque la prima rete commerciale e la più potente per la distribuzione dei libri : quella irradiatasi dalla Compagnia di Venezia, una società editoriale nata dall’alleanza di due gruppi aziendali che fino ad allora si erano fatti concorrenza diretta : da una parte il grande tecnico e stampatore Nicolas Jenson e il suo socio Peter Ugelheimer, dall’altra l’affarista Giovanni da Colonia affiancato da Giovanni Manthen ed alcuni personaggi minori ; 6 e, accanto, le botteghe degli xilografi, quelle dei fonditori di caratteri, quelle degli incisori e dei punzonatori. Non è certamente questo il compito di questo articolo : di rifare, cioè,  

















libro e la stampa a Venezia : testi sacri ebraici, cristiani, islamici dal Quattrocento al Settecento, a cura di Simonetta Pelusi, Padova, Il Poligrafo, 2000. 1   Soprattutto il Cinquecento fu il secolo nel quale la riscoperta dell’agronomia in terraferma portò ad una riconsiderazione degli studi e dei progetti di idraulica ; tutte le città venete ne furono interessate e massimamente si pubblicò a Venezia e a Verona ; per tutti rimandiamo ad una recentissima opera che fa la storia di questi lavori : cfr. *Cristoforo Sorte e il suo tempo. Atti del Seminario di studi, Verona, 31 ottobre 2008, a cura di Silvino Salgaro, Bologna, Patron, 2012 e aggiungiamo Salvatore Ciriacono, Scrittori d’idraulica e politica delle acque, in *Storia della cultura veneta : dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, v. 3, t. ii, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, Vicenza, Pozza, 1980, pp. 491-512. 2   Su questo interessante argomento si veda Eugenia Bevilacqua, Geografi e cosmografi, in *Storia della cultura veneta : dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, v. 3, t. ii, cit., 1980, pp. 355-374. 3   Cfr. Giacomo Lucchetta, Viaggiatori e racconti di viaggio nel Cinquecento, in *Storia della cultura veneta …, cit., v. 3, t. ii, cit., pp. 433-489. 4   Ci riferiamo a Roberto Valturio, De re militari, Verona, Giovanni di Niccolò, 1472 : un’opera di straordinaria bellezza grafica e con eccellenti xilografie di Matteo Pasti. 5   Parliamo di Euclides, Praeclarissimus liber elementorum Euclidis perspicacissimi : in artem geometriae incipit qua[m] felicissime, Venetiis, Erhardus Radtolt augustensis, 1482 con 137 carte illustrate della geometria del celebre scienziato e di Pomponius Mela, Pomponij Mellae cosmographi Geographia : Prisciani quoque ex dionysio Thessalonicensi de situ orbis interpretatio, Venetiis, Erhardus Ratdolt, 1482 composto di 48 carte illustrate e una carta geografica. 6   Su questo argomento si veda Angela Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento. Nuova edizione riveduta e ampliata, Milano, Angeli, 2003, pp. 76-88 ; sui commerci in Terraferma della più potente società libraria dell’epoca cfr. anche Angelo Colla, Tipografi, editori e libri a Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Trento, in *La stampa degli incunaboli nel Veneto, Vicenza, Pozza, 1984 soprattutto alle pp. 49-52.  



















336 giancarlo volpato la storia della stampa a Venezia o in terra veneta sui cui, peraltro, la letteratura è assai numerosa ed estremamente qualificata dal punto di vista scientifico, anche se non esiste, a nostra conoscenza, un vero e proprio trattato sulla città quale capitale dei primi libri a stampa1 se si eccettuano pure lunghi articoli e seri lavori ma dal respiro limitato che troveranno opportuna citazione in séguito. Di fronte alla perentoria affermazione della stampa in laguna, non corrispose, tuttavia, un’altrettanta diffusione nelle terre sotto l’egida della Serenissima ; la Dominante, come fu chiamata Venezia (e la dice lunga questa denominazione), non vide mai di buon occhio la sua terraferma che sottopose sovente a normative e regolamenti piuttosto drastici e che, a ben riflettere, facevano a pugni con la liberalità con la quale agiva il governo dogale : ciononostante qualcosa si mosse e anche le città della vastissima sua dominazione godettero di favorevoli momenti per la neonata arte della stampa ; ma anche su questo avremo modo di ritornare più avanti.  





2. Venezia e l’area veneta Se oggi a qualsiasi lettore può apparire abbastanza agevole definire l’area veneta, non altrettanto lo fu nel corso dei secoli. Quando Venezia, agl’inizi del Quattrocento, s’affermò come potenza di prima grandezza assicurandosi l’egemonia dei mari interni del sud europeo spingendosi, in tempi diversi, con mire assecondate, verso il Medio Oriente dove diventò padrona indiscussa del Mediterraneo e delle terre ad esso collegate, cominciò parimenti ad allargare il proprio potere sulla terraferma spingendosi sino al bergamasco : forse di ben altra dimensione sarebbe stata la sua espansione se la sconfitta di Agnadello (1509), in seguito alla lega di Cambrai, non avesse arrestato le sue ambizioni sfrenate (una lega che poi, grazie al papa Giulio II e a Massimiliano d’Asburgo, si trasformò in una coalizione antifrancese) : ma tanto bastò perché il potentato veneziano subisse una battuta quasi definitiva dal punto di vista territoriale. 2 Dall’altro lato, tutta la costa dalmata sino a Ragusa, con l’Istria e buona parte del Friuli furono assoggettati : cui devonsi aggiungere, a séguito delle guerre, le isole greche, il Peloponneso, Candia e altri domini che piano a piano fecero della città lagunare il fulcro della potenza e delle attività commerciali più importanti sino a quando – ma ormai era inevitabile dati i mutamenti geografici – si aprirono gli oceani e le nuove terre. La storia della lingua veneta – da sempre ritenuta un dialetto, ma che in verità ebbe una dignità di ben altra struttura per secoli interi – sta a dimostrare l’influsso veneziano sulle terre e il radicamento del potere. 3  





1   Per questo, quindi, rimandiamo ad un’opera uscita di recente, di Alessandro Marzo Magno, L’alba dei libri : quando Venezia ha fatto leggere il mondo, Milano, Garzanti, 2012. Il volume, divulgativo nella sua composizione, appare molto seriamente documentato ed offre la possibilità di una lettura intelligente di alcune prime edizioni in laguna descritte come l’evolversi di un romanzo. 2   Tra i molti contributi sull’argomento, segnaliamo il più recente che contiene, tra l’altro, delle relazioni pertinenti i centri urbani e tutti i territori della terraferma ; cfr. 1509-2009 : l’ombra di Agnadello : Venezia e la Terraferma. Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia 14-15-16 maggio 2009, a cura di Giuseppe Del Torre e Alfredo Viggiano, Venezia, Ateneo veneto, 2011. Più specifico (riportato quale esempio della storiografia veneta) *La battaglia di Agnadello e il Trevigiano, a cura di Danilo Gasparini e Michael Knapton, Verona, Cierre-Vedelago (tv), Antico Brolo, 2011. 3   Tra i vari contributi si possono leggere *Manuale di cultura veneta : geografia, storia, lingua e arte, a cura di Manlio Cortelazzo, Venezia, Regione del Veneto-Marsilio, 2004 e Giovanni Rapelli, La lingua  









la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 337 Per bene visivamente conoscere le terre dove si esplicò il potere veneziano, date le difficoltà di rappresentazione della cartografia, si dovette aspettare sino agl’inizi del Cinquecento quando questa diventò uno dei punti fermi ed importanti della stampa grazie anche alle novità introdotte dal punto di vista della prospettiva : ma era veramente imponente, contestualizzando storicamente, l’espansione : e questa era terra veneta, comprensiva, cioè, di quel territorio che, partendo dalla zona bergamasca arrivava sino alla parte bassa della Dalmazia sfiorando, a nord, le Alpi. 1 Con consumata abilità i governanti veneziani fecero tesoro delle ricchezze che la terraferma portava con sé, ma concessero assai poco ai proprietari legittimi ; i “beni communali” della Repubblica Veneta (pascoli, boschi e paludi) goduti da tempo immemorabile dalle comunità dei sudditi di Terraferma, vennero considerati, dalla legislazione veneziana, dominio della Signoria e come tali censiti, confinati ed in misura consistente alienati nel quadro delle misure di finanza straordinaria adottate per le guerre di Candia, di Morea e per qualsiasi altro evento anche interno ma di beneficio della Dominante. 2 Così, parimenti, si comportò la Repubblica nei confronti delle attività delle città di terraferma, compresa la stampa : nonostante Verona e Brescia, ad esempio, con oltre 45.000 abitanti ciascuna, rientrassero tra le grandi città europee : poca cosa se si pensa alla metropoli lagunare che sfiorava i 150.000 abitanti e configurandosi tra le tre grandi del continente con Parigi e Napoli. Ciononostante, come più sopra si accennava, la nuova arte cominciò a radicarsi, piano a piano, in quasi tutti i luoghi veneti, anche in alcuni di piccole dimensioni grazie a ragioni diverse che andavano – oltre quelle meramente economiche – anche laddove vi erano possibilità di altra natura, in primis, qualche cartiera che riforniva di materia prima le officine di stampa e delle quali il governo della Serenissima si definiva proprietario. L’area veneta si presentava sostanzialmente ricca seppure con qualche disuguaglianza territoriale, ma godeva certamente di una possibilità di reddito che altre zone della penisola non conoscevano ; inoltre, nonostante le difficoltà comprensibili, tutto il territorio padano offriva facilità di comunicazioni relativamente buone. Ma era Venezia il fulcro economico del mondo : qui convenivano beni, spezie, derrate, ricchezze che alimentavano una costante e forte crescita : anche se il popolo minuto, quello che lavorava duramente e nei mestieri più umili, poteva sopravvivere senza godere di tutto quanto la produzione di ricchezza avrebbe potuto – se spartita meno gerarchicamente – loro offrire.  















veneta e i suoi dialetti, prefazione di Giancarlo Volpato, Zevio (Verona), Perosini, 2009 : in entrambi i volumi le cartine dimostrano, attraverso i secoli, le zone della parlata e, conseguentemente, della cultura veneta. 1   Per meglio comprendere la vastità delle terre “venete” si rimanda a Luciano Lago, Imago mundi et Italiae : la versione del mondo e la scoperta dell’Italia nella cartografia antica (secoli x-xvi), Trieste, La Mongolfiera, 1992 soprattutto al v. ii alle parti riservate ai territori di cui si parla ; utile pure la consultazione del Saggio di cartografia della regione veneta, [a cura di Giovanni Marinelli], Venezia, a spese della Società [Regia Deputazione veneta di storia patria], 1881 : questa bibliografia, aggiornata sino all’anno della stampa, è uscita in edizione anastatica presso Bologna, Forni, 1981. 2   Su questo argomento si veda il volume di Stefano Barbacetto, « La più gelosa delle pubbliche regalie » : i « beni communali » della Repubblica Veneta tra dominio della Signoria e diritti delle comunità (secoli xv-xviii), Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2008.  

















338 giancarlo volpato Venezia, allo scadere del secolo xv e all’inizio del successivo, 1 si presentava già come un mondo quasi perfetto dove la struttura abitativa aveva largamente vinto sulle difficoltà del mare, dove le attività economiche, commerciali, marinare ne avevano fatto un unicum, irripetibile e invidiabile. La straordinaria precisione ottica offerta dalla pianta di Jacopo de’ Barbari, Veduta di Venezia, xilografia stampata su sei fogli (« Venetie. M.D. »), specchio fedele delle minuziose ricerche del maestro sia nell’osservare la città sia nello studio delle sue mappe oltre la padronanza prospettica derivata dalla difficoltà di unificare i punti di vista più disparati in una visione a volo d’uccello, ci regala una conoscenza della città che fa bene comprendere le possibilità che fecero dei veneziani i conquistatori, i colti, i civilizzati, gli ospitali abitanti di un mondo multiculturale. Senza entrare nella dimensione artistica dell’opera del Barbari – che a noi non compete e sarebbe al di fuori di ogni assunto impostoci – non si potrà tuttavia non convenire che essa s’impone come documento (siamo nel 1500, anno dirimente per molte ragioni) e come testimonianza della realtà di quell’epoca ; la quale – sempre rimanendo nell’ambito della laguna – si avvarrà poi della bella xilografia di Benedetto Bordone del 1528 con una Vinegia pienamente e felicemente contenuta nell’orizzonte orbicolare dei suoi lidi e delle sue terre per giungere alla grande veduta a volo d’uccello di Matteo Pagan del 1559. 2 L’espansione veneziana aveva certamente contribuito ad allargare il rapporto tra gli abitanti della città e coloro che, sin dal basso Medioevo, trovarono in laguna lavoro, abitazione e praticamente vissero sino alla loro morte : ma tutto questo non implicava affatto che gli stranieri – lo erano anche i non veneti – potessero diventare cives ; la questione della cittadinanza veneziana, problema studiato da giuristi, storici, economisti e sociologi, non era affatto facile da ottenere né la legislazione della Serenissima allentò mai la rigidità con la quale aveva sempre avuto accortezza di non concedere agli “stranieri”. Eppure, senza riandare alla ricostruzione della storia dell’accoglienza veneziana verso persone di altre lingue, di altre nazioni, di altri continenti, di altre razze, di altre religioni, 3 nei secoli che ci interessano la presenza di lavoratori, imprenditori, faccendieri, marinai, umili persone che offrivano le loro braccia e ricchi signori provenienti dai luoghi più disparati fu altissima. Venezia aveva bisogno di manodopera, aveva necessità di accogliere gente addetta a qualsiasi  









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  Per conoscere lo svolgersi degli eventi della città più studiata del mondo, per comprendere il succedersi dei fatti e per cogliere le ragioni di molti interventi riteniamo indispensabile la consultazione di Giovanni Distefano, Atlante storico di Venezia : non in terra neque in aqua sumus nos viventes, Venezia, Supernova, 2008 che disegna, pedissequamente, l’avvicendarsi dei giorni dagli inizi del v secolo sino al 2008. 2   Sull’opera del Barbari si vedano *A volo d’uccello : Jacopo de’ Barbari e le rappresentazioni di città nell’Europa del Rinascimento, Venezia, Arsenale, 1999 con, tra gli altri, i due significativi saggi di Giandomenico Romanelli, Venezia 1500, pp. (12-20) e di Jürgen Schulz, La grande veduta “a volo d’uccello” di Jacopo de’ Barbari, pp. (58-68) oltreché la visione dei sei fogli illustrati e rappresentati alle pp. 132-141 e il volume di Simone Ferrari, Jacopo de’ Barbari : un protagonista del Rinascimento tra Venezia e Dürer, Milano, Paravia Bruno Mondadori, 2006 soprattutto alle pp. 150-154 dove l’autore dedica attenzione alla Veduta di Venezia. Un vero e proprio monumento grafico viene considerato questo lavoro da Giuseppe Mazzariol, Urbanistica nella Pianta di de Barbari del 1500, in *La stampa degli incunaboli nel Veneto, cit., pp. 97-101 per il senso della superficie piana, per la campitura cromatica, per l’occasione temporale. 3   Da leggersi, come documentazione arricchita di importanti testi normativi, il volume di Reinhold C. Mueller, Immigrazione e cittadinanza nella Venezia medievale, Roma, Viella, 2010.  





la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 339 tipologia di occupazione : qui – se non peccassimo di eccessiva modernità – potremmo dire che già da quei secoli, ma forse anche prima, si formò la più ampia multiculturalità che la storia ricordi. Sfuggendo anche al rischio d’idealizzare troppo la lungimiranza dei governanti veneziani – il “mito” di Venezia ha contribuito, spesso a torto, ad attribuire alla Serenissima caratteristiche del tutto esclusive – bisogna comunque convenire sull’immagine molto concreta di una città, di un ceto dirigente, di una società che, pure non potendo essere portati ad esempio per il mondo contemporaneo (data la grande distanza cronologica che ci separa da quell’esperienza), seppero affrontare il rapporto con lo straniero in modo flessibile ed intelligente riuscendo ad evitare quelle contrapposizioni violente che caratterizzarono (e caratterizzano ancora oggi) altre realtà urbane dell’Europa moderna e contemporanea, ma anche a favorire processi di convivenza e di integrazione che contribuirono in modo decisivo alla prosperità e alla qualità della vita nella città di San Marco. 1 Venezia, che fu una delle più grandi città europee dal medioevo sino alla fine dell’età moderna e centro economico-commerciale di prima grandezza, si confrontò lungo tutta la sua storia millenaria con la necessità di assorbire dall’esterno manodopera qualificata e meno qualificata per alimentare le sue strutture commerciali e manifatturiere oltreché accogliere menti elette e importanti personalità per accrescere la sua fame di cultura (peraltro molto affermata). La stampa, figlia del suo tempo e divulgatrice prediletta del sapere, non poteva non portare in laguna le menti migliori che con il loro spirito d’imprenditorialità, che contraddistinse i primi anni ma che diventò vera e propria industria nel tempo a venire, diedero impulso alla circolazione delle idee nel mondo e contribuirono in maniera determinante alla crescita spirituale della gente, oltreché aiutare per il benessere economico della città. In questo modo, anche, Venezia vide nascere e svilupparsi al suo interno importanti comunità di “stranieri” (lo erano anche gli italiani non sudditi veneti) : greci, levantini di diverse etnie, turchi, armeni, 2 gente dell’est europeo, dalmati, croati e serbi, albanesi nonché ebrei. Così come si trovò nel corso dei secoli ad intessere complessi rapporti di tipo economico, politico e culturale con grandi potenze quali l’impero ottomano 3 e le monarchie europee. Le differenze culturali – moneta sonante di accrescimento spirituale e intellettivo – e quelle religiose (si pensi ai turchi, mussulmani, con i quali la Repubblica si trovò assai spesso a combattere lunghi e duri conflitti militari ; oppure ai tedeschi che dopo la riforma luterana divennero in parte “nemici della fede”, o ancora agli ebrei verso i quali nessun popolo è stato mai molto accondiscendente o, infine, alle minoranze – spesso dimenticate – ma  





1   Su questi aspetti molto acuto l’esame di Andrea Zannini, Venezia città aperta : gli stranieri e la Serenissima xiv-xviii sec., Venezia, Marcianum Press, 2009 ; l’autore riporta una copiosa bibliografia sull’argomento soprattutto i saggi contenuti nella *Storia della cultura veneta (più sotto più volte citati) di Giorgio Fedalto cui rimandiamo anche noi. 2   Su questo mondo si veda il libro di Aleramo Hermet, Paola Cogni Ratti di Desio, La Venezia degli armeni : sedici secoli, tra storia e leggenda, Milano, Mursia, 1993. 3   Con questo impero Venezia ebbe rapporti lunghissimi, anche difficoltosi, ma sempre importanti : per egemonia economico-commerciale, per questioni religiose, per possedimenti sul Mediterraneo e per altri fattori ancora. D’altro canto la città lagunare era l’unica, vera, grande porta europea sull’Oriente ; si legga di Maria Pia Pedani, Venezia porta d’Oriente, Bologna, Il Mulino, 2010.  









340 giancarlo volpato che praticavano fedi diverse e anche in contrasto con quelle dominanti) non rappresentarono mai degli ostacoli insormontabili al mantenimento di relazioni stabili di collaborazione costruttiva : cosicché la presenza degli stranieri nella città lagunare costituì una vera ricchezza e un patrimonio da incrementare piuttosto che un pericolo da sconfiggere. 1 La straordinaria eterogeneità della popolazione veneziana risalta ancora oggi appieno dall’osservazione delle corporazioni di mestieri ; in origine esse erano chiuse all’accesso di imprenditori o lavoratori che non fossero “veneti”, cioè veneziani, ma poi il Senato andò emanando delle norme assai più favorevoli : anche i lavoratori della stampa ne usufruirono e ciò conferma come una sana e corretta imprenditorialità che porta benefici non potrà mai – qualunque sia il governo – essere sconfessata. Non furono sempre facili, tuttavia, queste leggi né l’accesso ai forestieri fu accolto con grande amore soprattutto nel Settecento allorquando la stella della Serenissima iniziò il lento declino. E in questa lunga considerazione che rappresentò forse la parte più “esclusiva” della liberalità veneziana, sarà opportuno ribadire che solamente i turchi e gli ebrei occupavano nella città spazi ben delimitati e i tedeschi prediligevano Cannaregio e San Luca per le loro attività anche stampatorie ma nessuno disdegnò di vivere accanto a persone d’altra lingua e d’altra fede. Certamente la coscienza dell’essere straniero in una società urbana influisce ancora oggi sui processi d’integrazione : tanto più lo era nei secoli passati ; ma ciò che forse sarà necessario ribadire è che Venezia non lavorò mai all’integrazione (se non in rari casi) degli stranieri : erano accolti, erano ospiti, erano comunque “stranieri” e i forestieri non ebbero mai dignità di cittadini (non lo divennero neppure i “rustici” della terraferma, tenuti lontano da qualsiasi favore di cives). Non avvenne del tutto così con gli stampatori, soprattutto tedeschi, attratti dal mondo veneziano, dalla ricchezza del luogo, dalla floridezza del denaro e delle istituzioni, dalla possibilità d’ingrandirsi e di prendere il largo : emblematico, infatti, è il loro caso ; il ruolo egemone della città attrasse e consolidò questo gruppo di stranieri che si organizzarono in comunità unita, volta a mantenere l’identità, ma nello stesso tempo – dal punto di vista economico – attenta ad attuare politiche di pressione sulle autorità centrali : ne sono casi precisi i privilegi e, per quanto attiene il nostro assunto, quelli sulla stampa sovente accordati a qualche importante stampatore sì da tarpare le ali alla concorrenza. 2  

















3. Venezia, polo d’attrazione Da quanto abbiamo sopra scritto, appare indubitabile che la città lagunare abbia agito come un polo d’attrazione straordinario per qualsiasi attività commerciale ; e la stampa non poteva sottrarsi a questo invito, essa che era appena nata, che poteva  

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  Sulla presenza “forestiera” risultano particolarmente appropriati alcuni articoli contenuti nel volume *La città italiana e i luoghi degli stranieri : xiv-xviii secolo, a cura di Donatella Calabi e Paola Lanaro, Roma-Bari, Laterza, 1998 ; segnaliamo, per il nostro assunto, gli scritti di Heleni Porfyriou, La presenza greca : Roma e Venezia tra xv e xvi secolo e di Reinhold C. Mueller, « Veneti facti privilegio » : stranieri a Venezia tra xiv e xvi secolo. 2   Su quest’argomento si veda Giovan Battista Gasparini, La natura giuridica dei privilegi per la stampa in Venezia, in *La stampa degli incunaboli nel Veneto, cit., pp. 103-120.  











la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 341 configurarsi come il bene primario per la mente, che aveva bisogno di grandi aperture per farsi conoscere e per ricompensare chi l’aveva abbracciata. Se potessimo riandare nel tempo e percorrere la strada detta delle Mercerie nella Venezia di fine Quattrocento e d’inizio Cinquecento, saremmo colpiti dalle decine e decine di botteghe librarie che avevano qui una concentrazione ineguagliata in Europa. Questi negozi, tra l’altro largamente descritti e conosciuti, proponevano libri (talvolta nascondendo all’interno le officine di stampa) per un pubblico certamente attento, ma anche scopertamente adusato ad un oggetto fisico sostanzialmente diverso dalla mercanzia abituale : e dalla città lagunare partivano – accadde per molti anni – navi cariche di libri prendendo rotte verso l’Inghilterra, 1 il nord della Francia, il basso Mediterraneo. Tutto questo durò per molto tempo, pure tra momenti felici ed altri più difficili : significa che vi erano state delle ragioni molto forti perché la stampa avesse trovato qui, più che altrove, un posto sicuro, un porto cui ancorare, un luogo dove svilupparsi in modo più adeguato e forse migliore che non in altri. Se tutto ciò che ci siamo sforzati di fare capire nei paragrafi precedenti risiede in alcune considerazioni desunte da realtà storiche e studi non superficiali, e se corrisponde al vero che nessuna città e nessuna terra – come quella veneta in generale – si presentarono quali capitali della carta stampata per un periodo di qualche decina d’anni bisogna ammettere che molti artieri del libro (tipografi, stampatori, calcografi, incisori, intagliatori, correttori, gettatori, librai) abbracciarono volentieri queste terre : ne divennero lavoratori, a volte temporanei, ma pur sempre incuriositi dai commerci, dalle sperate risorse che non sempre arrivavano : furono dei sedentari allorquando la loro impresa diventava forte e remunerativa, diventavano itineranti allorquando se ne presentava l’occasione o quando potevano intravvedere delle opportunità. E il libro, da sempre – al contrario degli altri oggetti – è uno strumento per la mente, per lo spirito, per l’arricchimento culturale, per l’intelletto : non è, pertanto, frutto di un’acquisizione effimera o superficiale. A Venezia si leggeva perché la popolazione era più colta che altrove, più largamente alfabetizzata che in qualsiasi altro luogo ; a Venezia era più facile raggiungere la fama e, se ci si sapeva fare, si poteva diventare ricchi ; nella città lagunare il Rinascimento artistico (in tutte le sue forme) non aveva nulla da invidiare a Firenze, madre per eccellenza, altrettanto importante ma forse meno ricca per la popolazione. A Venezia vivevano e prosperavano – come già illustrato – comunità straniere e di diverse razze e religioni e lingue ed ognuna di queste presentava esigenze, desideri, necessità che altrimenti non si conoscevano. Ma qui vi era qualcosa che molti non possedevano : una libertà sconosciuta ; rispetto ad altri stati suoi contemporanei, la Serenissima offriva un inarrivabile clima di libertà ; anche quando la censura (primo atto 1526, more veneto 1527 per attestarsi più compiutamente nel 1553) sulla stampa si abbatteva fortemente, nelle terre della Serenissima essa godette di molte riserve giacché il governo dogale fu sempre rigorosamente autonomo in molte questioni : e tutto ciò significava ampia possibilità di mercato. Il potere ecclesiastico, assai forte in altri contesti, aveva qui molto meno  



















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  Si legga, in questi stessi Atti, il contributo di Lotte Hellinga che affronta questo argomento.



342 giancarlo volpato potere (gli stessi vescovi dovevano essere veneti e graditi a Venezia) : 1 la stampa godette di committenze patrizie, di circoli umanistici dove l’aristocrazia contava. Nella città lagunare, per decine di anni mercato continuo del libro, confluirono grandi e piccoli stampatori, uomini geniali e semplici faticatori, ma tutti accomunati dalla consapevolezza che qui, più che altrove, ci si poteva arricchire con quest’oggetto : si investiva nella stampa e si poteva trattare di cartolai, di mercanti, di tipografi, di letterati, talvolta di autori, straordinari venditori di se stessi e propositori delle proprie opere2 : basterebbe, per tutti, l’Aretino, forse il più importante curatore della propria immagine e certamente grande procacciatore d’affari attraverso i propri scritti3. Gli agenti non dovevano scomodarsi molto : il mercato editoriale a Venezia era il più importante in assoluto, come una fiera libraria permanente, anche se quelle di Francoforte e Lione occupavano i loro spazi notevoli ma nulla era comparabile con ciò che si trovava nella città lagunare :  









Sta di fatto che in Italia non vi era alcun bisogno di recarsi alle fiere per rifornirsi di libri, come ci confermano numerosissime testimonianze sull’abbondanza permanente di libri di ogni tipo a Venezia. Normalmente, chi aveva in animo un grosso acquisto di libri spediva un proprio emissario in quella città con l’incarico di visitare i migliori librai, di farsi stilare le polizze dei libri necessari e migliori, di confrontare i prezzi… Abbiamo testimonianza che il rifornimento a Venezia potesse essere conveniente, in caso di grossi acquisti, persino dalla lontana Salamanca… Venezia, vista dall’estero, era sì, il maggiore emporio di libri in Europa, ma ne rimaneva ancora uno dei centri industriali più importanti. 4

Da queste note si desume che le librerie potevano godere di buoni introiti : e se ciò accadeva ai rivenditori, perché non si può riflettere sull’attrazione che la città lagunare aveva potuto dimostrare per coloro che i libri li facevano, li stampavano, li mettevano in circolazione ? Se Francesco de’ Madi, un libraio veneziano che disponeva di buone risorse economiche, nel suo Zornale scriveva che lo smercio nella sua bottega andava piuttosto bene, 5 perché lo stampatore non avrebbe potuto ricavarne, egli stesso, profitto ? E l’editore, che metteva dei propri mezzi finanziari, perché non poteva pensare di accrescere gli introiti ? Queste domande, chiaramente pleonastiche giacché sembrano implicite le risposte, ci aiutano, una volta di più a capire perché nelle terre venete – massimamente e senza confronti in Venezia – arrivarono artieri della stampa e molti furono itineranti nel loro lavoro. Da ultimo non si può non ricordare la ricca presenza di biblioteche in Venezia (ed in verità anche al di fuori della città lagunare) oltreché nelle principali città venete ; il patriziato, anche se non sempre colto, era ricco e amava mostrare le proprie librerie private ; in altri casi, invece, letterati di valore (fra tutti e sopra tutti in questo campo  











1   Sull’argomento di veda Giuseppe Del Torre, Stato regionale e benefici ecclesiastici : vescovadi e canonicati nella Terraferma veneziana all’inizio dell’età moderna, « Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti », cli (1992-93), pp. 1172-1236. 2   Cfr. Giovanni Ragone, Classici dietro le quinte : storie di libri e di editori : da Dante a Pasolini, RomaBari, Laterza, 2009, p. 44. 3   Cfr. Fabio Massimo Bertolo, Aretino e la stampa : strategie di autopromozione a Venezia nel Cinquecento, Roma, Salerno, 2003. 4 5   Così A. Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, cit., p. 97.   Ivi, pp. 112-114.  











la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 343 Marin Sanudo, i Grimani e molti altri) possedevano importanti biblioteche nelle loro case e nei loro palazzi :  

In pochi luoghi si ritrovava una simile concentrazione di grandi biblioteche private, specchio della ricchezza e della seria cultura di una parte almeno della classe dirigente. E se è vero che non si ritrovavano libri in molte case più modeste, mentre non vi mancavano quadri e stampe, è anche vero che vi era sempre per tutti la possibilità di accedere alla Pubblica Libreria e alle biblioteche dei religiosi, e soprattutto era facile profittare di quelle dei patrizi e dei cittadini. Ad esse facevano ricorso largamente anche gli editori, grandi e piccoli, come il celebre Aldo, che poco si servì dei codici bessarionei ed assai più si valse di quelli degli amici. Il libro, dunque, circolava grazie all’attività di copisti, degli stampatori, dei librai, grazie al prestito che veniva largamente concesso dai privati raccoglitori, e persino, in via irregolare, per il furto di cui erano vittime tutte le biblioteche a cominciare da quella di S. Marco.

Questa citazione, tratta da uno dei grandi studiosi del libro veneziano, 1 riporta conseguentemente a pensare una volta ancora al commercio librario, anima pulsante per l’attività – non solo del venditore – ma anche dello stampatore che proprio grazie a questo mercato dava un senso completo al proprio lavoro ; strumento della diffusione, come sopra affermato, erano le biblioteche pubbliche e private e i singoli acquirenti ; al vertice del commercio stavano sovente i grandi editori, con proprie tipografie e punti di vendita (Giunta, Scoto, Giolito), ma anche gli stampatori che vendevano i loro prodotti e poi la lunga sequenza di coloro che noi amiamo definire, comunque, lavoratori del libro. E si vendevano anche libri proibiti ; ma soprattutto – e questa fu un’altra ricchezza della multiculturalità – le comunità “straniere” possedevano proprie biblioteche, propri luoghi di adunanza sovente adornati di libri senza contare le ricche comunità religiose che possedevano patrimoni bibliografici importanti e preziosi. Ma ciò che qui non si poteva vendere (vi furono momenti dove l’offerta superava di gran lunga la domanda) trovava le strade del mare aperte su rotte che diventarono poi, per i commercianti veneziani, quelle dei traffici più redditizi allorquando la vendita del libro non poteva più essere accattivante : e fu allora che, inevitabilmente, anche per i mestieri della carta stampata l’attività diventò più difficoltosa e l’itineranza in terra veneta andò affievolendosi sino a morire. E nessuno, più dei mercanti, conosceva bene le regole prime, fondamentali, affinché un’impresa producesse quanto da essa ci si aspettava : qui, nella città lagunare, si applicava – prima che altrove – la partita doppia che proprio un itinerante stampatore bresciano (di grande lustro e della Terraferma “veneta”) pubblicò facendo diventare celebre nel mondo il suo autore2. Ragion per cui, senza tema di smentite, anche coloro che si cimentarono nella stampa dei libri capirono che qui, nella città lagunare, vi era possibilità di diventare famosi anche, ma non solo (seppure con primaria rilevanza), mettendo in piedi buone e redditizie officine.  









1   Si veda Marino Zorzi, La circolazione del libro a Venezia nel Cinquecento : biblioteche private e pubbliche, « Ateneo veneto », xxviii (1990), p. 167. 2   Ci riferiamo, anche se è cosa nota, a Luca Pacioli, Summa de arithmetica geometria proportioni & proportionalita, Nella excelsa cita de vinegia : … opificio del prudente homo Paganino de Paganini da Brescia …, 1494 adi. 10 de nouembre. Il nome dell’autore appare nella dedica a Marin Sanudo sul verso del frontespizio.  







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giancarlo volpato 4. La Terraferma

Se, come la storia ci ha tramandato, Venezia fu la città per eccellenza della stampa e polo d’attrazione per tutte le arti (certamente in misura minore per quella delle lettere rispetto alle altre) non altrettanto accadde, invece, per la Terraferma, cioè per tutta quell’ampia fascia di territori che dalla città lagunare dipendevano. “La Dominante e i domini”, come fu la terminologia ufficiale per la Repubblica della Serenissima, percorsero sovente vie abbastanza diverse e seguirono tracciati in grande parte segnati da Venezia stessa che assai poco lasciava alle città della Terraferma ; tuttavia, sarebbe fuori luogo pensare che le arti – e mettiamo la stampa tra esse – non avessero avuto qualche possibilità di svilupparsi pure “in provincia”. Senza percorrere – giacché impresa impossibile e assolutamente fuori dalle nostre ricerche – il lungo tratto di secoli, dobbiamo dire che lo Stato da Terra, dai primi del Quattrocento, seguì le sorti della Dominante sino al tremendo zorno del dodeze, quel dodici maggio 1797, quando per voto del Maggior Consiglio la Serenissima Repubblica di Venezia decise di scomparire dalla storia. Attraverso dedizioni, che cominciarono proprio al debutto del secolo xv e si susseguirono per circa una quarantina d’anni, le città venete e le “veneto-lombarde” quali Brescia e Bergamo, vissero all’interno della Repubblica anche se con un rapporto spesso problematico e controverso. Lo sviluppo della tipografia veneta, soprattutto dal 1475 in poi, avvenne in funzione delle esperienze che maturavano in laguna e della politica libraria di Venezia. Il rapporto di sudditanza non fu, tuttavia, privo di aspetti positivi. I contatti frequenti e lo scambio di maestranze tra le tipografie della capitale e quelle delle altre città venete contribuirono a dare alla stampa di terraferma una qualità dignitosa. Le pagine equilibrate di Vindelino da Spira, i caratteri gotici e romani dello Jenson furono modelli imitati dai tipografi del Dominio. 1 Tuttavia la fortissima concorrenza della tipo-editoria veneziana rese difficile l’autonomia d’indirizzi e di scelte di quella di terraferma che riuscì ad essere originale solo episodicamente a Vicenza e a Verona : con maggiore continuità, invece, a Brescia. Tutta la produzione tipografica veneta fu costretta a difficili riequilibri dallo sviluppo disordinato della produzione libraria in laguna e dai suoi momenti di crisi. Ma ciononostante anche in terraferma – seppure non sempre con misure uguali – la legislazione veneziana vigeva, anche qui l’economia era discretamente fiorente, anche qui, forse nel segno delle antiche glorie e delle fortune delle quali avevano goduto quasi tutte le zone venete, vi era possibilità, da parte degli “stranieri”, di inserirsi nell’ambiente sociale e di esercitare le proprie attività ; si poteva godere, insomma, di una certa quale libertà. 2 Era evidente, quindi, che anche nelle terre venete l’arte della stampa attecchisse seppure – come sopra detto –  





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  Francesco Griffo imitava a Padova per Pietro Maufer con il quale lavorò per diversi anni – di cui parleremo più avanti – il gotico dello Jenson ; cfr. Giovanni Mardersteig, La singolare cronaca della nascita di un incunabolo : il commento di Gentile da Fabriano all’Avicenna stampato da Pietro Maufer nel 1477, « Italia medioevale e umanistica », viii (1965), pp. 249-267. 2   Anche qui tra i numerosi contributi sull’argomento, ci limitiamo a citare, perché recente, Michael Knapton, Venezia e la Terraferma, 1509-1797 : istituzioni, politiche e pratiche di governo, rapporti di potere, cultura politica, in 1509-2009 : l’ombra di Agnadello …, cit., pp. 103-136.  











la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 345 con difficoltà maggiori che in laguna ; d’altro canto la relativa facilità delle comunicazioni che in terra padana non presentarono mai ostacoli insormontabili, la buona – a volte eccellente – posizione geografica (si pensi a Verona, corridoio per il nord, punto nodale per le reti viarie per Milano e per Bologna), la prestigiosa cultura e la fama delle quali godeva Padova, la buona sorte economica della Marca trevigiana, le cartiere che nel trevigiano e nei territori vicentini producevano materia prima di valore e a bassi costi (Santorso, quelle dell’Oliero in comune di Valstagna e poco lontano da Bassano), la ricchezza del territorio bresciano con le cartiere di Toscolano Maderno e lungo il lago di Garda presentavano valori inconfutabili sui quali qualsiasi impresa commerciale – e la stampa era tale – avrebbe cercato di mettere delle basi. 1 Gli artieri del libro, quindi, non disdegnarono queste città nelle quali si pubblicarono anche opere importanti e l’itineranza dei veneti si mescolò a quella degli altri lavoratori italiani e stranieri : poiché in queste città (e non solamente nella laguna) trovarono temporanea residenza stampatori tedeschi, francesi, olandesi, belgi oltreché “veneti” lontani, venuti dagli estremi confini della Dalmazia. I territori della terraferma subirono – anche se non sempre in maniera uguale – i contraccolpi che si abbatterono sulla stampa anche perché, come può essere comprensibile, molte norme e molte cose arrivavano attutite : per quanto riguarda il campo di cui ci occupiamo, ad esempio, sui domìni veneti solamente l’Interdetto del 1606 ebbe qualche ripercussione mentre passarono quasi in silenzio i due precedenti del 1483 e quello del 1508 che fu il contributo politico del Papa alla Lega di Cambrai. Mercanti, patrizi ricchi, proprietari terrieri, intellettuali facoltosi furono sovente i veri committenti di opere a stampa e facili richiami, quindi, per i mestieri del libro. Lo spirito che regolava la vita e le relazioni di uno Stato dal profilo territoriale ricchissimo di forme e di popoli diversi, oltreché dipanarsi con sapiente intreccio nella storia delle istituzioni, si manifestava nella vita corrente, nell’applicazione delle norme e delle gerarchie, nella diffusione agronomica, nel continuo aprirsi ad interventi commerciali che pure la Terraferma conobbe e dove, sovente, i domìni non ebbero né vincoli né forme seconde verso la Dominante. 2 Queste condizioni non potevano non incentivare quel mondo della carta stampata che stava cambiando gli orizzonti dei giorni a venire e al quale la terra veneta non poteva né voleva restare estranea.  





1   Per meglio comprendere lo sviluppo che tutti i territori veneti ebbero, rimandiamo il lettore a consultare i molti studi sulla storia, sull’economia, sulla cultura, sugli eventi delle singole città e zone finitime : ve ne sono di eccellenti e straordinariamente ricchi anche e soprattutto dal punto di vista scientifico ; ad essi è giusto rivolgersi per non entrare pedissequamente in una citazione bibliografica lunghissima e facilmente reperibile. Ricordiamo, invece, come modello esemplare di attenzione e cura la *Storia della cultura veneta, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, Vicenza, Pozza in 6 volumi suddivisi in 10 tomi, in alcune occasioni già citata ; si veda pure A. Colla, Tipografi, editori e libri a Padova …, cit., pp. 81-96. Molto interessante, per una larga visione d’insieme, il saggio di Ennio Sandal, La tipografia e il commercio dei libri nei domini della Serenissima, in *Cartai e stampatori in Veneto, a cura di Giovanni Luigi Fontana e Ennio Sandal, Brescia, Grafo, 2001, pp. 137-217. 2   Da consultarsi, per visione d’insieme dei molteplici percorsi “dell’eterno giuridico” che resse le vicende pubbliche e statuali della Serenissima, il volume di Ivone Cacciavillani, Venezia e la Terraferma : un rapporto problematico e controverso, 2° ed., Padova, Panda, 2009.  







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giancarlo volpato 5. L’itineranza e gli artieri del libro tra Venezia e la Terraferma veneta

Prima di addentrarci specificatamente tra gli stampatori, riteniamo opportuno scrivere qualche riga su un’itineranza sovente trascurata ma che con il lavoro del libro, non solo ha piena attinenza, ma rimane la più visibile e certamente per secoli quella che fu, per alcuni versi, la vera fonte del lavoro dei tipografi, degli stampatori e degli editori. In tutto il Veneto – e, allargando correttamente la visuale verso quella che ora è terra lombarda ma che per lunghissimi periodi rientrò nella Terraferma della Serenissima – anche nel bresciano e sulle rive del lago di Garda, fiorente fu, da sempre, l’attività cartaria ; qualche accenno sopra espresso ci esime dal prolungare l’affermazione : ciò che qui, invece, interessa è lo stretto rapporto esistente tra cartai e stampatori, spesso uniti nella medesima azienda familiare, a volte facente parte di società, a volte invece come attività del tutto avulse economicamente l’una dall’altra ; gli spostamenti – che anche in questo caso ebbero raramente continuità vitalizia ma che si limitarono a periodi strettamente legati all’evoluzione dell’officina – furono molto frequenti ; se le cartiere trovavano i loro luoghi adatti e radicati, erano i loro imprenditori gli itineranti ; 1 ma il connubio avveniva anche tra cartai e librai e massimamente tra stampatori e librai : questi ultimi, una vera e propria potente corporazione che nelle terre venete trovò ampi spazi anche per allargare l’attività al di fuori dell’Italia spingendosi sino ai paesi nordici dell’Europa. Fu un’itineranza fattiva, che non conobbe interruzioni né s’arrestò di fronte a molte difficoltà sinché il libro ebbe una sua redditività : poi, i mercanti di esso, veri e propri artieri anche se poco dediti al valore intrinseco del manufatto, ripiegarono su altre attività. Venezia, in primis, ma anche Vicenza, Padova, Verona e Treviso – seppure in maniera ridotta riguardo la Dominante – godevano di buone librerie e di parecchi smerci del manufatto della stampa : segno delle feconde condizioni economiche e della discreta cultura dei loro abitanti. Non è oggetto di questo lavoro individuare quali essi siano stati, ma qui si vuole sottolineare come la classe dei cartolai, dei librai, dei cartai e degli stampatori che abbinarono più attività tra loro collegate non rappresentarono casi isolati né scarsi : vi furono veri e propri imprenditori del libro che possedevano cartiere, stamperie, librerie o che, ad alcune di queste avevano fatto assumere aspetti quasi internazionali ; o, almeno, i loro gestori avevano aperte nelle città delle vere e proprie succursali per vendere i loro prodotti. 2 Basterebbe citare i Giunta, stampatori e librai di fama, Girolamo Strozzi fiorentino che in laguna pose la sua sede per esportare libri in tutta Europa, Andrea Bochini – piccolo stampatore ma eccellente imprenditore della carta stampata – che tra Verona e le altre città venete riuscì a impiantare librerie e cartolerie di assoluto prestigio senza contare Aldo Manuzio che divenne l’artefice di questo mondo complesso e arricchente per  



















1   Per quanto riguarda l’area che ci interessa – ben sapendo che non è l’unica – si rimanda a *Cartai e stampatori in Veneto, cit., con i saggi pertinenti alle varie aree. 2   Rimandiamo all’accurato lavoro di A. Nuovo, Il commercio librario …, cit., dove ampiamente si concede risalto a queste forme di imprenditorialità libraria.

la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 347 dare solamente una parvenza di quanto, in un tratto di tempo relativamente breve, il mondo della carta stampata fosse diventato un campo di prestigio economico e sociale di tutto rispetto. Abbandonando, perché chiaramente espresso, un aspetto della permanenza temporanea di alcuni lavoratori della grande area della carta stampata, pare opportuno interessarsi anche e soprattutto di coloro che “fabbricarono” l’oggetto libro. Escludendo i prototipografi stranieri che, scesi dalla Germania (alludiamo ai fratelli Giovanni e Vindelino da Spira, in particolare, ma non solamente a loro) o venuti dalla Francia (Nicolas Jenson che aprì la strada ai connazionali) i quali fissarono la loro dimora di lavoro in laguna 1 – giacché questa tipologia d’itineranza non interessa il nostro lavoro dal momento che essi non emigrarono poi in altre località italiane – il primo stampatore che non s’accontentò di restare solamente in terra veneta fu Clemente da Padova ; ecclesiastico, colto, proveniente da Lucca dove aveva fatto scuola di miniatura ed era stato copista, dette alle stampe a Venezia – il 18 maggio 1471 – il trattato di Giovanni Mesue, De medicinis universalibus su commissione di Pellegrino Cavalcabò, medico veronese ; nella sua introduzione, Nicola Gupalatino medico veneto, oltre elogiare l’eleganza e l’accuratezza dell’arte tipografica del sacerdote « abile nelle arti meccaniche e manuali » lo definì « primo fra gli italiani a comporre libri con questa tecnica ». 2 Su quest’argomento, inconfutabile sino a pochi anni orsono, pare oggi non vi sia assolutamente la possibilità che davvero Clemente sia stato “Italorum primus” : qualche anno avanti, ed esattamente nel 1468 (anche se sull’esattezza della data gli studiosi si orientano per la nota di possesso nell’esemplare della Biblioteca Nazionale di Firenze), Filippo da Lavagna dava alle stampe, a Milano, un Chronicon in latino di Eusebio Panfilo. 3 Il suo probabile ritorno a Lucca, in verità alquanto controverso, dimostrerebbe  













1   Sulla storia della stampa a Venezia ci limitiamo a citare solo alcuni lavori poiché il campo degli studi registra una letteratura copiosissima e quasi sempre di eccellente livello : *La stampa degli incunaboli nel Veneto, cit., Neri Pozza, L’editoria veneziana da Giovanni da Spira ad Aldo Manuzio. I centri editoriali di Terraferma, in *Storia della cultura veneta : dal primo Quattrocento …, v. 3, t. ii, cit., pp. 215-244, Marino Zorzi, La Libreria di San Marco : libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano, Mondadori, 1987, *Aldo Manuzio e l’ambiente veneziano : 1494-1515, a cura di Susy Marcon e Marino Zorzi, ma soprattutto Tiziana Pesenti, Stampatori e letterati nell’industria editoriale a Venezia e in Terraferma, in *Storia della cultura veneta : dalla Controriforma alla fine della Repubblica, v. 4, t. I, a cura di Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi, Vicenza, Pozza, 1983, pp. 93-129 che tratta l’evolversi della stampa dal Cinquecento ; da non dimenticare gli eccellenti lavori – oggi datati ma pure sempre rilevanti – di Ester Pastorello, Bibliografia storicoanalitica dell’arte della stampa a Venezia, Venezia, Deputazione di storia patria, 1933 e *Tipografi, editori, librai a Venezia nel secolo xvi, Firenze, Olschki, 1924. Ha fatto scuola, comunque, l’opera di Carlo Castellani, La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di Aldo Manuzio seniore, Venezia, Ongania, 1889 dove l’autore si occupò di 246 tipografi. 2   Cfr. Valentino Romani, Clemente da Padova, in Dizionario Biografico Italiani (d’ora in poi dbi), v. 26, Roma, Ist. Enc. It., 1982, pp. 367-369 ; Mario Bevilacqua, Tipografi ecclesiastici nel Quattrocento, « La Bibliofilia », xlv (1943), pp. 11-12 e Mary A. Rouse-Richard H. Rouse, Nicolaus Gupalatinus and the Arrival of Print in Italy, « La Bibliofilia », lxxxviii (1986), pp. 221-251. 3   Si vedano il contributo del grande incunabolista Piero Scapecchi, I libri del Duomo di Firenze. Codici liturgici e Biblioteca di Santa Maria del Fiore, secoli xi-xvi, a cura di Lorenzo Fabbri e Marica Sacconi, Firenze, Centro Di, 1997, pp. 168-170, scheda 56 e Arnaldo Ganda, Filippo Cavagni da Lavagna : editore, tipografo, commerciante a Milano nel Quattrocento, Firenze, Olschki, 2006, segnatamente alla p. 213. Sfuggì il particolare, tutt’altro che irrilevante, anche a Lorenzo Ferro che scrisse la voce Cavagni, Filippo (Filippo da Lavagna), in dbi, v. 22, Roma, Ist. Enc. It., 1979, pp. 571-574.  























348 giancarlo volpato l’itineranza che l’ecclesiastico patavino compì – questa volta davvero per primo tra gli stampatori – stigmatizzando, una volta ancora, l’eccellente scuola dell’ateneo di Padova dove gli studi medici godevano di grande prestigio europeo e, nel contempo, la supremazia veneziana sulla città dei cólti. È notorio, tra l’altro, che Venezia considerasse quella di Padova la sua università e quanto tenesse alla mobilità di docenti e studenti. Assai più celebre di Clemente, uomo pressoché dimenticato a causa della sua alquanto ridotta attività stampatoria, fu Panfilo Castaldi sulla cui persona ha aleggiato per troppi anni la fama d’essere stato l’inventore della stampa ; 1 medico di professione, a Capodistria pare avesse avuto la possibilità di pubblicare a stampa due opere (ma entrambe senza note tipografiche) per approdare a Venezia da cui, a causa del privilegio che la città aveva concesso a Giovanni da Spira, pensò bene di trasferirsi a Milano dove stampò dando inizio, così, all’arte nella città lombarda ; fece anche l’editore, fu straordinariamente perito nella nuova professione nella quale gli va ascritta l’attendibilità di una tradizione coeva che attribuiva a Castaldi la prima reinvenzione indigena di un’arte che era, allora, e per parecchi anni rimase ancora, prevalentemente affidata alle tradizioni tecniche e alle capacità personali di artigiani stranieri. Nel 1472 – venuto a contrasti con Galeazzo Visconti che gli toglieva il privilegio in modo d’affidare anche ad altri la possibilità di misurarsi con le nuove tecniche – ritornò a Venezia per dare alla luce nuove opere prima di ritirarsi definitivamente ad esercitare la sua originaria professione di medico a Zara. Panfilo Castaldi fu un veneto itinerante, un po’ sui generis, come accadde peraltro abbastanza frequentemente : medico, esercitò per anni il mestiere di stampatore, si misurò con l’editoria essendo il “committente” di Antonio Zarotto : capì che i privilegi – quello di Venezia inizialmente che lo allontanava e quello di Milano che lo beneficiava – non potevano essere di gradimento per i nuovi imprenditori ; andò, forte della sua bravura, installandosi nelle corti e laddove vi era possibilità di buon guadagno : queste furono le ragioni dominanti della sua itineranza tra terra veneta e terra lombarda 2 cui dovevasi aggiungere un’innegabile curiosità per la nuova arte. Non volendo accostarsi al variegato mondo di tutti gli artieri itineranti – peraltro impossibile da seguire nell’ampiezza che presentò – riteniamo, anche come esempio per gli altri territori, soffermare la nostra attenzione su quanto avvenne, in questo specifico settore, nelle città e nei territori di Brescia, Verona e Treviso.  











5. a. Il territorio bresciano L’area geografica afferente la città lombarda godette di grande importanza ; quello che fu chiamato come il distretto cartario di Venezia conobbe qui, sulle rive del Garda, esempi sconosciuti altrove. Gli artigiani di Salò, di Toscolano, di Maderno e degli altri centri finitimi seppero cogliere le opportunità che si presentarono loro,  

1   La sua città natale, Feltre, gli ha dedicato una statua con una scritta inequivocabile in tale senso ; essa si trova nella piazza principale davanti al duomo. 2   Su questo importante personaggio e sulla sua figura quale stampatore esiste una bibliografia piuttosto nutrita ; rimandiamo alla voce di Paolo Veneziani, Castaldi, Panfilo, in dbi, v. 21, Roma, Ist. Enc. It., 1978, pp. 558-561 oltreché ad Arnaldo Ganda, Panfilo Castaldi e le origini della tipografia milanese (1471-1475), « La Bibliofilia », lxxxiii (1981), pp. 97-112. Di lui parla ancora Arnaldo Ganda nell’articolo in questi Atti.  







la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 349 per le quali furono necessari capitali da investire nelle tecnologie, nelle materie prime, nelle maestranze. In capo a pochi decenni le manifatture seppero attrezzarsi abilmente per fornire il nuovo prodotto. Nelle loro relazioni al Senato Veneto, al termine dei rispettivi mandati, i Rettori ponevano in evidenza la concentrazione dei molini da carta, la qualità e la quantità, gli addetti ; Giovanni Giolito, ad esempio, nel 1527 aveva acquistato un enorme quantitativo di risme di carta sulle rive salodiane per le sue stamperie e conglobava, nella propria attività, che si estendeva non solo in tutta l’area della Serenissima ma che spaziava ben oltre i confini delle Venezie, una vera e propria azienda di stampo “moderno”. Furono, i Giolito, grandi imprenditori che dalla natia Trino nel vercellese, con un capostipite d’eccezione quale Bernardino detto lo Stagnino, 1 emigrarono a Venezia diffondendosi poi in molte attività nei luoghi diversi della penisola. 2 I mastri cartari, i mercanti, i tipografi si muovevano tra riviera bresciana e laguna ; tra coloro che fabbricavano e vendevano carta e le officine di stampa sussistevano rapporti commerciali ed economici strettissimi tanto che il mercante del prodotto di base veniva coinvolto in progetti editoriali sempre più frequentemente : a Venezia ciò accadeva quasi normalmente, ma non devesi dimenticare che anche nei territori di terraferma poteva capitare. L’emigrazione tra la riviera lacustre bresciana e la laguna fu quasi una costante : sia perché gli stampatori non sempre trovavano la soddisfazione economica nel luogo temporaneo della loro attività sia perché – e l’età medievale ne è stata maestra – l’artigiano era un itinerante per natura ; da ultimo, tuttavia, non va dimenticato che alcuni di questi lavoratori (ma ciò valeva per tutti) mutavano sede delle loro officine a causa di eventi naturali, della concorrenza spesso spietata, delle decisioni politiche e di coloro che governavano : sovente questi ultimi abbattevano sui sudditi (e sui tipografi-stampatori con una facilità maggiore) decisioni che non permettevano di continuare con facilità il lavoro intrapreso. Tuttavia nella città di Brescia e in tutto il territorio salodiano l’arte della stampa si sviluppò abbondantemente ; Gabriele di Pietro da Treviso vi lavorò per due anni nella zona di Toscolano, Bartolomeo Zanni alternò la sua attività tra Portese di San Felice del Benàco, suo luogo natale, e la laguna dove si era spostato per ritornare poi in terra bresciana. Da qui Giovanni Paoli intraprese la prima attività che sia dato conoscere al di fuori dell’Europa ed esattamente nel Nuovo Mondo ; considerato il primo tipografo delle terre scoperte, dalla zona di cui stiamo parlando approdò a Vera Cruz in Messico nel 1539 e da lì si propagò, grazie a lui, l’avventura della carta stampata oltreoceano ; poi rientrò in Spagna aprendovi un’altra similare attività. Ma coloro che dettero lustro più d’ogni altro furono i Paganini ; il padre Paganino e il figlio Alessandro fecero ulteriore fortuna a Venezia e ritornarono nell’originaria Toscolano dove la loro fama di grandi tipografi e di straordinari artisti della carta stampata non venne assolutamente meno ; ad essi si attribuisce – tra le molte opere pubblicate – anche il Corano del quale più sopra si è parlato, al secondo, in  





















1   Si veda Stefano Pillinini, Bernardino Stagnino : un editore a Venezia tra Quattro e Cinquecento, Roma, Jouvence, 1989. 2   Sulla straordinaria attività della dinastia cfr. Angela Nuovo, Christian Coppens, I Giolito e la stampa in Italia nel 16° secolo, Genève, Droz, 2005.  

350 giancarlo volpato particolare, una capacità invidiabile di imprenditore e di stampatore : 1 gli stessi loro matrimoni con donne appartenenti a famiglie di tipografi (casi assolutamente non rari né di scarso rilievo sia dal punto di vista dell’attività vera e propria sia per quella economica) e di origine veneziana li imparentò con vincoli sodali con altri contemporanei che dall’esercizio del mestiere traevano profitto, rinomanza e affidavano alla cultura del mondo opere imperiture. Ciò accadde – ma ci limitiamo solamente a nominarne alcuni tra i più noti – anche per Francesco Ziletti, tipografo attivo a Venezia e a Roma come già era avvenuto ad Aldo Manuzio con la figlia di Andrea Torresani : fortune editoriali che s’intrecciavano con i luoghi dove essi esercitavano qualunque fosse il loro permanere in quel territorio : anche questi legami erano causa non secondaria di emigrazioni. Per ritornare un momento ai Paganini – e soprattutto per cercare di capire come potessero avvenire questi itinerari di andate, di ritorni, di lunghi soggiorni o di brevi permanenze : cosa che avvenne per molti altri stampatori – bisognerà cercare di riassumere brevemente alcuni percorsi. Alessandro Paganini lavorava a Toscolano, a Brescia servendosi della cartiera di proprietà e portando a Venezia – attraverso i tragitti via acqua com’era consuetudine allora – quanto poteva servire all’attività ben sapendo, tra l’altro, che il rientro in termini finanziari di un’edizione era un’operazione lunga e dunque era necessario un lasso di tempo considerevole per capire i vantaggi : bisognava tenere presente – elemento determinante e che valeva per chiunque avesse intrapreso tale attività – che Venezia era il centro del commercio, della vendita, dei probabili guadagni, mentre i piccoli centri di terraferma non potevano minimamente competere con la Dominante ; ma non sempre la città lagunare si poteva rivelare amica. La presenza ventennale nel Toscolanense apparve davvero come una scelta ponderata le cui motivazioni furono di natura economica, potendo i Paganini, contare, in questo luogo, su una struttura commerciale collaudata ; inoltre la situazione produttiva a Venezia nel primo ventennio del Cinquecento si era fatta quanto mai complessa a causa di ricorsi sregolati ai privilegi che finivano per bloccare il mercato nonostante Alessandro Paganino fosse stato il geniale inventore delle collezioni in ottavo, nonostante avesse contribuito più di altri a ridare un nuovo abito linguistico alle opere restituendole al volgare (di più facile accesso ai lettori)2. Molti furono i loro collaboratori, spesso anonimi, ma a volte divenuti stampatori in proprio a loro volta come quel Guido Bonazzari che da Isola Dovarese, piccolo centro del cremonese, andò a mettere i suoi torchi a Salò e sull’Isola di Garda. Altri, invece, lavorarono assieme spostandosi nelle terre venete come la famiglia dei Fracassini che ebbe in Collio Valtrompia la sua sede naturale ma arrivando a stampare a Brescia e a Trento fino a pervenire a Perugia con Andrea e Giacomo junior : librai, stampatori (soprattutto Maffeo e Gabriele) che con Giovan Pietro Pezzoni aprirono luoghi di vendita nel basso Trentino avendo garantita la diffusione e una buona committenza da parte di aristocratici ed ecclesiastici del luogo. L’arte dei libri “per mantener il viver”, come sovente si giustificarono i lavoratori  















1   Per questa famiglia d’imprenditori è d’obbligo la lettura di Angela Nuovo, Alessandro Paganini (15091538), Padova, Antenore, 1990. 2   Su queste vicende si vedano Ugo Baroncelli, La stampa nella riviera bresciana del Garda nei secoli xv e xvi, Salò, Edizioni dell’Ateneo, 1964, pp. 49-59, A. Nuovo, Alessandro Paganini …, cit., pp. 61-67.

la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 351 della carta stampata, aveva visto e vedrà altri bresciani alternare la loro permanenza tra la laguna, le città venete e i luoghi d’origine : il cartaio Bartolomeo Collesino, “fattore” di Marchiò Sessa per Verona e Vicenza, i Nicolini da Sabbio migranti fra la terra d’origine, Bergamo, la città scaligera con lunghe puntate in laguna, Giovanni Bariletto ed eredi tra queste terre, Venezia e Ragusa, Grazioso Percaccino che da Portese di San Felice del Benàco andò ad esercitare il mestiere di libraio e stampatore a Padova e poi a Venezia per nominare ancora Antonio Moretto che dalla nativa Angolo in Valle Camonica si spostò a Brescia, poi a Venezia, poi di nuovo a Salò. 1 Luogo di particolare attività legata alla stampa fu tutta la riviera bresciana lacustre se si pensa, oltre ai citati artieri, anche alla famiglia Lantoni che con Bernardino e Giacomo ramingò nei centri benacensi tra Gazzane di Roé Volciano, la costa bassa del Garda e la stessa Salò. Segni importanti delle loro presenze nelle città venete, ad iniziare da quelle terre lombarde dominate dalla Serenissima, lasciarono i Britannico, una dinastia di stampatori eccelsi i quali, nei territori ove si esplicò la loro permanenza, affidarono competenze e capacità imprenditoriali lavorando anche con altri e restituendo alla storia del libro italiano opere significative. Anche per le loro migrazioni non poté esservi mai un’unica causa : matrimoni, eventi storici, fortune più accattivanti, volontà di consolidamento dell’attività, fama da non disprezzare, legami economici con altri operatori ; passarono così quasi centosettanta anni di lavoro, da Iacopo insegnante celebre e primo ad iniziare l’attività sino a Luca Antonio attraverso tipografie, cartiere, librerie con percorsi a volte anche difficili e con consolidate certezze fossero essi a Venezia, a Brescia o in altri luoghi ; 2 raccolse l’eredità di questa grande dinastia Policreto Turlini, itinerante lui pure tra Brescia, Verona e Venezia, uno degli ultimi della famiglia di tipografi con i quali i Britannico si erano confrontati per generazioni. Da ultimo appare corretto citare la famiglia Fontana con il capostipite Bartolomeo, originaria della Val Sabbia come i Nicolini che ebbe interessi editoriali a Venezia, aprì librerie a Brescia, aveva bottega almeno in tre città delle terre della Serenissima, ebbe scontri con altri stampatori e subito fu pronta, con gli eredi particolarmente attivi, a ritornare nella città lombarda per emigrare temporaneamente accogliendo committenze favorevoli presso gli ecclesiastici negli operosi centri della riviera. 3  







5. b. Il territorio veronese Nella città scaligera la nuova arte taceva quando già a Venezia e in altri luoghi aveva dato segni plausibili della vivacità e della capacità artigianale dei suoi lavoratori. Quando accadde per la prima volta, era il 1472, fu come un lampo di singolare bel1   Su queste ed altre vicende dei tipografi bresciani si può consultare Ennio Sandal, Cartai e stampatori nel bresciano tra Quattro e Seicento, in Angela Nuovo, Ennio Sandal, Il libro nell’Italia del Rinascimento, Brescia, Grafo, 1998, pp. 161-217. 2   Si veda di Ennio Sandal, Una dinastia di stampatori bresciani : i Britannici (1476-1644), in A. Nuovo-E. Sandal, Il libro nell’Italia del Rinascimento …, cit., pp. 197-216. 3   Su questa piccola dinastia si veda Luca Rivali, Librai-editori tra Brescia e Venezia nella prima metà del Seicento : il caso della famiglia Fontana, in *« Books seem to me to be pestilent things ». Studi in onore di Piero Innocenti per i suoi 65 anni, a cura di Cristina Cavallaro, Manziana (Roma), Vecchiarelli, 2011, pp. 377-392.  







352 giancarlo volpato lezza, di straordinaria genialità, di raffinata sensibilità artistica : quel Valturio, a cui molti studiosi si sono accostati per dipingerne i pregi, segnò un punto fermo nella storia della stampa veronese e italiana a cui seguì un altro lungo silenzio : una Verona assopita, quasi staccata, apparentemente lontana dal fervore che nelle altre città venete esplodeva con buoni esiti. 1 Non sarà inutile – anche se vagamente a latere del problema che in questo intervento si sta affrontando – ricordare che probabilmente nella città scaligera già un anno avanti vi era stata attività stampatoria della quale, però, non si è sinora ritrovata traccia mancando l’oggetto di quello specifico lavoro ; restano, invece, carte significative negli archivi dove appare chiaramente un contratto – non soddisfatto dal punto di vista finanziario ma non da quello fisico – tra Pietro Villa, un prete da Orzinuovi, e i Butzbach ai quali egli aveva commissionato la pubblicazione di almeno un’opera. 2 Qui, forse più che nelle altre città venete, non si produsse molto nei primi anni dell’affermarsi della stampa : e abbastanza chiare appaiono le ragioni, alle quali si attennero pure gli artieri itineranti che commisurarono le loro presenze a quanto accadeva ; per Giuliari ciò accadde per mancanza di commesse : una città ricca e fiorente che, secondo il canonico, non offriva garanzie sufficienti non era un buon segno per la cultura ; per il Rhodes 3 fu invece la peste, secondo lui più forte che altrove (ma l’opinione non appare suffragata da riscontri reali) a tenere lontane le maestranze ; per Riva – certamente con acume maggiore – furono i cattivi rapporti tra la più importante città della terraferma e la Dominante la causa frenante del lento affermarsi della stampa a Verona ; la città scaligera, dopo la scomparsa dei Della Scala e l’avvicendarsi breve del periodo visconteo non si sottomise di buon grado alla Serenissima : e Venezia fece pagare a caro prezzo, per molti decenni, questa indomita città, molto abitata, centro di affari e di mercanzie, luogo di ottima cultura con scuole importanti : la colpì con i governanti, con un ferreo controllo e certamente non vide favorevolmente neppure questa nuova arte. Sarà il Cinquecento il secolo d’oro della stampa a Verona, che diverrà importante poiché in essa si costituiranno le sedi dei tipografi, assai più sedentari che itineranti. 4 Furono i Butzbach, Paul e Georg magontini, i primi a fermarsi a Verona dove  





















1   Sulla storia della stampa a Verona esistono ottimi contributi dei quali ci limitiamo a citare i seguenti : Giovan Battista Carlo Giuliari, Della tipografia veronese : saggio storico-letterario, Verona, Merlo, 1871 sul quale si rifecero tutti i seguenti ; qualche anno più tardi, riprendendo e raccogliendo insieme i contributi apparsi sul bolognese « Il Propugnatore », lo stesso Giuliari pubblicava Della letteratura veronese al cadere del secolo xv e delle sue opere a stampa, Bologna, Fava e Garagnani, 1876 ; in tempi più recenti se ne occupava Franco Riva, “City of book”, il recupero di un primato, in *Nella bella Verona, a cura di Pier Paolo Brugnoli, 2° ed., Bologna, Cappelli, 1977, pp. 277-292 ripreso, poi, con ben altra visuale e con altra tensione interpretativa dallo stesso F. Riva, Tipografi ed editori dal 1472 al 1800, in *Cultura e vita civile a Verona : uomini e istituzioni dall’epoca carolingia al Risorgimento, a cura di Gian Paolo Marchi, Verona, Banca Popolare di Verona, 1979, pp. 319-370. 2   Cfr. Gian Maria Varanini, I primordi della tipografia veronese (1471 anziché 1472), « La Bibliofilia », lxxxvii (1985), 3, pp. 209-225. 3   Dennis E. Rhodes, An outline of veronese bibliography 1472-1600, « Annali della Facoltà di Economia e Commercio, Università di Padova, Sede di Verona », s. i, 5, 1971, estr. di pp. 21. 4   Si cita, per tutti i contributi sul secolo, Lorenzo Carpané-Marco Menato, Annali della tipografia veronese del Cinquecento, con un contributo di Daniela Brunelli, prefazione di Dennis E. Rhodes, 2 v., Baden-Baden, Koerner, 1992-1994.  





















la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 353 ebbero rapporti con maestranze del luogo e dove stabilirono i loro torchi, fecero società con Cosimo Bogioni, presto interrotta, e con Pietro Villa da Orzinuovi con i quali ebbero forti contrasti : da qui il loro passaggio a Mantova e poi a Brescia ; 1 l’itineranza dei fratelli tedeschi fu la prima poiché la città scaligera sembrò essere un luogo di passaggio, quasi in attesa d’emigrare altrove. Se escludiamo Felice Feliciano che dal centro urbano preferì ritirarsi a Poiano – un piccolo centro, ora sobborgo del comune veronese – e che molti non considerarono come un vero e proprio viaggio dello stampatore dovremmo almeno ricordare che il grande personaggio andò, in lungo e in largo, con Andrea Mantegna sulle rive bresciane del Benàco intrattenendo rapporti con quasi tutti gli stampatori di allora anche se la sua meta – peraltro nota e dagli studiosi riconosciuta – era la ricerca delle epigrafi romane per la calligrafia che andava allora facendo notevoli adepti e che alla nuova arte della stampa offriva rigogliosi frutti ; da scriptor Feliciano s’era fatto tipografo usufruendo di Innocente Zileti che andava girovagando anch’egli tra i centri veneti. Fugace fu la comparsa di Pierre (Pietro) Maufer che da Rouen s’accostò alle rive dell’Adige lasciando pochi segni e andando poi tra Padova, Venezia, Treviso, Modena e Bologna ; stampò anche a Cremona, fu proprietario di 4-5 torchi, costituì società tipografiche ovunque soffermò la sua attività imprenditoriale affermandosi come un grande e raffinato stampatore ; 2 nella città scaligera pubblicò un’opera di Flavio Biondo e, probabilmente anche, più un’altra attribuitagli, quell’Ordo Missalis secundum ritum dominorum ultramontanorum cum quibusdam officiis novis che prese subito la strada per l’Ungheria : 3 la sua precipitosa fuga non poteva non essere legata all’eresia montanista che l’opera da lui data alla luce propagandava : le cure religiose veronesi, sempre piuttosto strette, non potevano certamente permettergli un’ulteriore permanenza. La raffinatezza dei suoi lavori lo qualificò tra i migliori tipografi dell’epoca e il suo gotico – quello elaborato da Francesco Griffo – utilizzato sia nel messale sopra citato sia nello stupendo Avicenna patavino entrarono nella storia della stampa. 4 Il terzo straniero, per un poco fermatosi sulle rive atesine, fu Bonino de Bonini, raguseo che, venuto dalla profonda Dalmazia, da Verona prese il volo per spostamenti lunghi, brevi permanenze, ritorni, con un’attività frenetica che lasciò segni importanti – anche se non proprio accurati – in un alto numero di stampe, ivi compresa la riedizione (a più riprese) del Valturio che aveva inaugurato, probabilmente, la nuova arte in riva all’Adige. Bonino fu un irrequieto : i suoi torchi furono a Brescia, a Bologna, a Verona, a Milano, a Lione dove fece l’agente librario, poi a Padova e a Treviso e forse in altri luoghi ; questa sua itineranza certamente  

















1   Sulle loro vicende, tra l’altro piuttosto controverse durante la presenza veronese, si veda almeno Daniela Fattori, Nuove ricerche sulla tipografia veronese del Quattrocento, « La Bibliofilia », xcvii (1995), pp. 5-20. Sulla presenza nella città dei Gonzaga Luigi Pescasio, L’arte della stampa a Mantova nei secoli 15.-16.17, Mantova, Padus, 1971 e Giancarlo Schizzerotto, Libri stampati a Mantova nel Quattrocento, Mantova, Biblioteca comunale, 1972. 2   Su di lui si veda la voce di Piero Scapecchi, Maufer, Pierre, in dbi, 72, Roma, Ist. Enc. It., 2009, pp. 352-353 con la bibliografia annessavi. 3   Cfr. D. E. Rhodes, An outline of veronese bibliography, cit., p. 7. 4   Si veda G. Mardersteig, La singolare cronaca di un incunabolo …, cit. Tuttavia, secondo il F. Riva, Tipografi ed editori …, cit., p. 335 il gotico del messale non appare affatto secondario a quello utilizzato per l’opera patavina.  



354 giancarlo volpato dipendeva dalla sua innata capacità imprenditoriale e dall’esigenza di mettere dei punti fermi in molti luoghi anche se, a volte, non furono disgiunte alcune vicende personali. Ai suoi impegni tipografici si ascrivono opere dei maggiori umanisti dell’epoca e fu uno dei più attivi stampatori ; la sua fama, forse, più che altre ragioni, fu la spinta al suo peregrinare. 1 L’ultimo straniero a collocarsi nella città scaligera – anche questa volta per brevi tratti – fu Paul Fridenperger, originario di Passau. Una decina di edizioni a lui vengono attribuite e sulla sua presenza veronese non molto è dato sapere se non che impresse alcune opere bellissime da Donato a Guarino a Lucrezio ; ma dalla città scaligera se ne andò, probabilmente di fretta, per stabilirsi poi sui lidi veneziani dove prese in affitto i torchi di Bernardino Benaglio (o Benali) poiché, dopo l’allontanamento forzato dalla città scaligera, lasciò ivi anche le sue cose. Fu accusato di avere stampato una “frotola”, non gradita dal potente ordine dei Domenicani : di quest’opera, certamente bruciata, non se ne ha traccia, ma quest’impresa costò cara al tedesco che non rimise più piede sulle rive dell’Adige. 2 Anche il Benaglio, che non si fermò mai a Verona, emigrò sovente giacché dalla natia Bergamo passò ai lidi veneziani per arrestarsi, poi, a Padova. Erano arrivati in riva all’Adige, alla fine degli anni settanta del Quattrocento, provenendo da Piacenza anche i fratelli Giovanni e Alberto Alvise ; furono gli stampatori di quel gioiello – sul quale si sono fermati tanti studiosi – che fu l’Esopo illustrato con splendide tavole dipinte di Liberale, tradotto da Accio Zucco e impresso il 26 giugno 1479 ; restarono a Verona dove esercitarono con perizia l’arte tipografica dopo essere stati abili miniatori e legatori di libri ; poi emigrarono e nelle calli veneziane dettero alle stampe alcune altre opere ; senonché, se per Alberto era stata accertata l’itineranza, per il fratello ciò non era apparso : eppure nel 1499 in laguna uscì dai torchi di quest’ultimo un’Historia naturalis pliniana di pregevole fattura ; con la sua attività – seppure numericamente ridotta – anche Giovanni Alvise (probabilmente della famiglia dei Griffisoli come sembra dalle carte d’archivio) andò ad arricchire quella transumanza generosa di periti stampatori che nella ricca Venezia pensavano forse di meglio adattarsi vista la concorrenza di Bonino a Verona. Nessuno studioso, sinora, s’era accorto di quest’opera lagunare anche se molte istituzioni italiani ne sono in possesso o, probabilmente, si era reputata secondaria quest’attività rispetto a quella, ben più celebre e nota, che era uscita dalle sedi scaligere. 3 Non furono ancora molti gli artieri del libro itineranti per la città scaligera ; brevi  



















1   Su questo ramingo stampatore si veda la voce di Alfredo Cioni, Bonini, Bonino, in DBI, 12, Roma, Ist., Enc. It., 1970, pp. 215-219. 2   Su questa vicenda Daniela Fattori, Un caso di censura sulla stampa a Verona alla fine del Quattrocento, « Bollettino della Biblioteca civica di Verona », 3 (1997), pp. 43-50 dalla stessa ripreso in Il tipografo Paolo Fridenpergher e un nuovo incunabolo veronese, « La Bibliofilia », civ (2002), pp. 19-24. 3   Era sfuggita ad un’attenta indagatrice della stampa cittadina quale Daniela Fattori, Due studi sulla tipografia veronese del Quattrocento. I. I fratelli Giovanni Alvise e Alberto da Piacenza tipografi veronesi, « La Bibliofilia », civ (2002), pp. 7-18 ; non se n’era accorto neppure Gian Maria Varanini, Nuove schede e proposte per la storia della stampa a Verona nel Quattrocento, « Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona », s. vi, 38 (1986-87), pp. 253-260. Lo ha catalogato, invece, Giancarlo Petrella, Gli incunaboli della biblioteca del seminario patriarcale di Venezia : catalogo, Venezia, Marcianum, 2011, p. 93.  



















la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 355 approdi, con pochissime pubblicazioni, fecero Camillo Franceschini, Andrea Carnaccioli, Andrea Bochini che più sopra era stato citato per la sua attività di libraio, 1 certamente Vincenzo de’ Conti che invece dei lidi adriatici come gli appena nominati, preferì accostarsi a Cremona, Sabbioneta e Piacenza ; 2 Giovanni Battista Ciotti, eminente personaggio dell’epoca tipografica della seconda metà del Cinquecento si fermò poco alternando Venezia, Bergamo, Ferrara, Vicenza, Milano per arrestarsi ad Ancona ; Astolfo Grandi fu a Verona, anche al soldo di Paolo Ravagnan libraio, ma svolse la sua attività massimamente nelle Marche e lì trovò piena contezza del suo lavoro ; 3 Lucantonio Fiorentino (al secolo, Lucantonio Degli Uberti), proveniente da Firenze, si fermò per riprendere poi la strada per Venezia ; non disdegnò Verona neppure Bernardino Misinta che si era spostato da Brescia : ma in riva all’Adige rimase due anni per rientrare subitamente nella città da cui era provenuto non senza, prima, avere stretto rapporti societari con Girolamo da Arcole e lo stesso Fiorentino sopra citato e pubblicando, insieme, almeno un paio di opere in riva all’Adige. Quando a Verona divenne vescovo Gian Matteo Giberti – erano gli anni venti del Cinquecento – sembrò che il nuovo presule prendesse a cuore la non brillante situazione della stampa e chiamò Stefano Nicolini da Sabbio con i fratelli ; il bresciano arrivò da Venezia e non fu cosa di poco conto poiché, grazie alla committenza dell’ecclesiastico, dette alle stampe delle opere egregie, nelle quali si ricordano un memorabile corsivo, dei caratteri raffinati, molto belli anche greci e molto manuziani ; ma poi, nel 1533, s’interruppe la magnificenza gibertiana e i Nicolini ritornarono in laguna ; 4 vi fu Antonio Putelleto, probabilmente lo stesso che Antonio da Portese, il quale stampò buone cose a Verona dove risultava pure “libraro de l’anno 1564” e ne editò forse una anche in Brescia. Vennero poi i Berno, prima a Vicenza, poi acclimatatisi per sempre in Verona. Pietro Diserolo, venuto da Vercelli si fermò in riva all’Adige. 5 Gli ultimi itineranti di una certa importanza furono i Discepolo : Giorgio libraio, sedentario in città presso Santa Maria Antica, il luogo dei Della Scala, Girolamo e Pietro. A Verona, alla fine del Cinquecento gli ultimi due pubblicarono molto, si occuparono di qualsiasi evento potesse essere dato alle stampe ; poi se ne andarono : a Viterbo, indi a Roma. Lasciarono in città un numero discretamente alto di opere anche se non così rilevanti, dal punto di vista grafico, ma certamente di buon livello ; le mire della Chiesa chiamarono padre e figlio anche se la committenza nella  























1   Cfr. la voce di Lorenzo Carpané, Bochini, Andrea ed eredi, in Dizionario dei tipografi e degli editori italiani : il Cinquecento. v. I : A-F, a cura di Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappella, Milano, Bibliografica, 1997 (d’ora in poi ditei), pp. 150-151. 2   Vincenzo Conti fu uno stampatore di grande valore, ma le sue opere più importanti furono proprio al di fuori del Veneto ; su di lui si veda la voce di Rita Barbisotti, Conti, Vincenzo de’, in ditei, pp. 329336. 3   Si veda Rosa Marisa Borraccini, Astolfo Grandi e i primordi dell’arte tipografica a Fermo nel 16. secolo, in *I beni culturali di Fermo e territorio. Atti del Convegno di studi, Fermo 15-18 giugno 1994, a cura di Enzo Catani, Fermo, Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, 1996, pp. 343-358. 4   Su questa famiglia si veda Ennio Sandal, Cristina Stevanoni, Il mestier de le stamperie de i libri : le vicende e i percorsi dei tipografi di Sabbio Chiese tra Cinque e Seicento e l’opera dei Nicolini ; annali tipografici di Lorenzo Carpané, Brescia, Grafo-Sabbio Chiese, Comune di Sabbio Chiese, c2002. 5   Cfr. Lorenzo Carpané, Diserolo, Pietro, in ditei, pp. 383-384.  









356 giancarlo volpato città scaligera non era loro mancata, ma certamente le prospettive laziali dovevano avere solleticato i loro interessi. 1 Non apparirà giusto, probabilmente, dimenticare Jakob Bak, l’unico – o, forse, il secondo – che, in società con Basevi “libraro”, pubblicò tutte e cinque le edizioni ebraiche stampate a Verona prima d’andarsene, anch’egli, a respirare l’aria della laguna e installarsi sulle calli veneziane. 2 Finiva così, all’inizio del Seicento, quel movimento di artieri del libro che aveva fortemente caratterizzato le città venete anche se Verona ne aveva usufruito in misura minore delle altre. 5. c. Il territorio trevigiano A Treviso la stampa approdò con Gerardo da Lisa (Geraert van der Leye) nel 1471 e dopo di lui vi operarono una decina di tipografi sino al cadere del secolo quindicesimo ; anche qui l’arte della stampa ebbe minori sviluppi che in altre città quali Vicenza – che non è oggetto di questo intervento ma che occupa lo spazio più importante dopo Venezia – e Padova, anch’essa con una buona attività grazie soprattutto alla sua università. 3 Il fiammingo arrivò alla stampa relativamente tardi ; la sua parabola esistenziale trevigiana fu ricca di altre incombenze : cantore e maestro di cappella, uomo di primo piano nella cultura della Marca, amico di Francesco Rolandello e di altri umanisti, iniziò ad occuparsi della nuova arte quando probabilmente vide le prospettive interessanti e raccolse l’esaltazione dei primordi che sanno comprendere le persone intelligenti. Calligrafo, maestro di grammatica, non fu mai, probabilmente, tipografo a tempo pieno giacché tutte le passioni intellettuali andavano ugualmente coltivate. Ebbe inizialmente pochi concorrenti e l’amicizia degli umanisti, soprattutto il Rolandello e Girolamo Bologni, suoi committenti prediletti, lo aiutarono molto ; poi, rimasto senza di loro, la concorrenza di Michele Manzolo lo fece espatriare a Venezia dove lavorò per due anni ; la nostalgia della città che l’aveva gratificato lo richiamò nel 1478 ma l’aria di Treviso non gli era più congeniale ; ripartì per il Friuli dove fu il primo stampatore installandosi ora a Udine ora a Cividale, per finire i suoi giorni ad Aquileia. Equilibrato, forse non sempre originale, Gerardo fu un artiere molto attento e curato ; anch’egli, come tutti in quell’epoca, si fece trasportare da pubblicazioni antiebraiche sull’onda della morte di Simonino a Trento o a quella di Sebastiano Novello a Portobuffolé : fu proprio Gerardo da Lisa a stampare i primi tre libelli antisemitici di Giorgio Sommariva, poeta veronese esiliato a Treviso. Anche Michele Manzolo unì alcune attività, tutte peraltro redditizie : a Vicenza condu 

















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  Sull’attività di questi importanti tipografi si vedano le voci di Tiziana Pesenti, Discepolo, Girolamo, in DBI, 40, Roma, Ist. Enc. It, 1991, pp. 271-275 e di Lorenzo Baldacchini, Discepolo, Pietro, ivi, pp. 275-277. Da non trascurare Lorenzo Carpané, Discepolo, Girolamo, in ditei, pp. 381-383. 2   Si veda Lorenzo Carpané, Bak, Jakob, in ditei, p. 57. 3   Sugli inizi della stampa a Treviso si vedano A. Colla, Tipografi, editori e libri a Padova …, cit., pp. 6167 e Paolo De Riz, « Impressum Tarvisii ». Stampa e cultura umanistica nella Treviso del Quattrocento, tesi di laurea specialistica, Università degli studi di Verona, Fac. di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Editoria e Comunicazione multimediale, a.a. 2008-2009 (rel. Prof. Giancarlo Volpato) : a quest’ultimo si rinvia per gli annali di Gerardo.  





la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta 357 ceva una cartiera sul Bacchiglione, a Treviso quella di stampatore e imprenditore della materia prima di cui era proprietario, e anche a Venezia impiantò i suoi torchi seppure per breve periodo. 1 Gli altri tipografi che lavorarono a Treviso vi rimasero per non lunghi tratti di tempo e vi impressero pochi libri : Bernardino Celeri (o Celerio) che venne da Padova e poi si stabilì a Venezia, Bartolomeo Confalonieri che non si mosse mai dalla sua città ma intraprese società con l’itinerante Pietro Maufer, Stefano Curti che predilesse la laguna, Aurelio ed Angelo Righettini che pure indirizzarono i loro luoghi di lavoro a Venezia mentre tutta la dinastia operò a Treviso, Giovanni Rosso, arrivato da Vercelli e poi definitivamente emigrato a stampare e commerciare nelle calli della laguna. Gli ultimi, forse, a mostrare interesse per la loro attività imprenditoriale cercando di collocare i loro torchi tra Treviso e Venezia furono i Deuchino, una dinastia attiva tra le due città dal 1570 ad almeno il 1629 ; a Pietro si devono importanti realizzazioni che lo fecero apprezzare anche da Aldo Manuzio il Giovane ; Evangelista, invece, strinse società con Giovanni Battista Pulcini, libraio : la qual cosa gli permise di rilanciare l’attività e ricollocarsi a Venezia da dove era ritornato per scendere, poi, a Pesaro ; si cimentò pure nella calcografia per superare la temibile concorrenza degli avversari. 2  









6. Parole finali Pure sapendo, come sopra rilevato, che in questo intervento mancano attenzioni particolari verso i centri di Vicenza e di Padova (quelli di Rovigo e Belluno non hanno assolutamente rappresentato qualche rilevanza nel campo di cui ci occupiamo), se potessimo trarre delle conclusioni – sulle quali peraltro siamo sempre cauti giacché esse non saranno mai esaustive – potremmo affermare che nelle terre della Serenissima vi fu un alto convergere di tipografi e di tutti quegli artieri in qualsiasi modo legati al libro, alla sua stampa, alla sua composizione, alla sua confezione, alla sua diffusione con assoluta e incomparata supremazia veneziana. Ma ciò che qui, probabilmente, più interessa sarebbe di riuscire – ammesso che sia possibile – a offrire delle ragioni precise per questo andirivieni tra le città venete, tra esse e quelle della penisola, tra i piccoli e i grandi centri urbani. Avendo consapevolezza che le cause del peregrinare degli uomini sono sempre molte e non tutte facilmente individuabili, possiamo comunque trarre qualche fattiva indicazione da quanto espresso in questo intervento. Alla base degli spostamenti vi furono certamente le prospettive di miglioramento economico ; le travagliate fasi della storia sovente s’abbatterono inesorabili anche sugli imprenditori della stampa : era naturale, quindi, che ciascuno cercasse luoghi meno pesanti e dove la già difficile situazione potesse allentarsi ; legata a questa ricerca appare chiara l’affinità con il commercio dei libri, con la loro vendibilità cercando la remunerazione migliore. La concorrenza fu molto spesso una ragione  





1   Su questi artieri della Marca si può consultare Agostino Contò, Calami e torchi : documenti per la storia del libro nel territorio della Repubblica di Venezia, sec. xv , Verona, Della Scala, 2003. 2   Cfr. Tiziana Pesenti, Deuchino (Dehuchino), in dbi, 39, Roma, Ist. Enc. It,. 1991, pp. 497-498 ; si veda pure Agostino Contò, Deuchino, Evangelista, in ditei, pp. 374-376.  



358 giancarlo volpato dei cambiamenti : accaddero giorni davvero tristi per la stampa anche in laguna per molti dei piccoli o per coloro che non potevano godere di privilegi, di committenze forti, di amicizie a tutta prova : era naturale, quindi, emigrare laddove meno cogenti fossero ingiuste normative o collaudate corporazioni : per suffragare tale affermazione, a titolo d’esempio ricordiamo la morte quasi contemporanea nel 1480 di Nicolas Jenson e di Giovanni da Colonia ; improvvisamente il momento critico della tipografia in laguna ebbe ripercussioni nelle terre venete : Treviso, Vicenza, Padova stamparono un numero d’incunaboli, in due anni, che mai si erano contati prima ; poi, ristabiliti i comandi, si assestarono le cose. E la presenza di Andrea Torresani e poi di Aldo Manuzio, potenti e scarsamente attenti agli altri, non fece patire la concorrenza ? Molti libri videro la luce grazie alla committenza : la Chiesa, l’aristocrazia, il potere, i governanti, i potenti, qualche illuminato intellettuale ne furono portatori : e nelle città venete – abbastanza fiorenti ma certamente non altrettanto colte – questo non mancò, ma con diverse impostazioni da quanto Roma o Napoli o Torino avessero potuto fare : in terra veneta la predilezione non andò mai alla cultura. Non furono aliene agli spostamenti le questioni religiose né quelle politiche : durante il percorso di questo articolo più volte s’è cercato di illustrare alcuni fattori legati a questa o a quella vicenda : ma non si devono dimenticare eventi quali la Riforma, la Controriforma (si pensi ai librai Alciati che da Vicenza furono chiamati a Riva del Garda e a Trento dai padri presenti al Concilio e impostarono così una nuova loro fortuna) oltreché i continui e costanti richiami dell’Indice anche se non sempre furono ascoltati ; ricordiamo – ma sono cose note e anche scritte più sopra – le battaglie, le guerre, le leghe antiveneziane ; non facciamo passare sotto silenzio neppure la ricerca della gloria, costante silenziosa e muta passione oltreché pervicace suono della mente per molte persone ; più lontane, ma niente affatto trascurabili, le parentele, le acquisizioni di patrimoni grazie a matrimoni più o meno d’interesse : anche questi legami contribuirono a creare itinerari lunghi e pervasivi ma forieri di buone novità. Non vorremmo chiudere queste righe, tuttavia, senza sottolineare che, a volte, (e si pensi all’irrequieto Bonino de Bonini, ramingo e zingaro per scelta) il peregrinare fu una costante dell’uomo : la storia ha insegnato che la curiosità intellettuale, ma anche quella materiale, hanno spinto generazioni, etnie, singoli individui a cercare altrove quello che forse una visione più empirica e razionale avrebbe potuto fare vedere all’intorno della propria casa ; i tempi della vita, tuttavia, non furono mai quelli della storia e l’uomo ha ricercato un luogo che gli apparisse più conveniente affinché quell’esistenza potesse anche diventare storia.  



































Abstract Il saggio cerca di delineare la realtà economica, commerciale, politica e culturale della Repubblica della Serenissima che, all’avvento della stampa, aveva già delineato compiutamente i propri confini. L’a. passa, poi, a tracciare l’affermarsi della stampa a Venezia, terra madre e alba dei libri cercando di spiegarne le ragioni ; quindi, attraverso l’esame delle altre città venete (compresa l’area lombarda che era dominio veneziano), passa in rassegna l’itineranza degli artieri del libro (stampatori, tipografi, editori, librai, calligrafi, correttori, autori di caratteri, cartai)  

la mobilità dei mestieri del libro nell ’ area veneta

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cercando di individuare le motivazioni di queste emigrazioni, spesso temporanee, ma altre volte definitive. The essay aims to outline the economic, commercial, political and cultural status of the Most Serene Republic which, at the time of the introduction of the printing press, has already define its borders. The author subsequently moves to describe the development of printing in Venice, by attempting to explai its role as homeland and dawn of books ; by examining the other regional centres, including the Lombard cities under Venetian rule, he follows the travels of the book craftsmen (printers, typographers, publishers, booksellers, calligraphers, proofreaders and print correctors, type designers, papermakers) and tries to identify the reasons for such often temporary, other times permanent migrations.  

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INDICE DEI NOMI

Abad Julián Martín, 115 n, 116 n, 124 n, 127

n, 128 n, 129 n Abbiati Scilla, 334 n Abbondanza Roberto, 276 n Abizanda y Broto Manuel, 101 n Abrams G., 48 n Abri Antonio, 195 Acanfora Silvana, 289 Accolti Bernardo, 224 Adam Renaud, 46 n Adolf von Nassau, 47, 55, 58, 59 Adolphe de Nassau vedi Adolf von Nassau Adversi Aldo, 308 n Ageta Nicola Gaetano, 193 Agnelli Federico, 202 Agnelli Giuseppe, 193, 201 Agnelli Scalabrino, 238 Agnolo Vernacci Battista de, 235 Ago Renata, 19 n Agostino Aurelio, santo, 63, 68 Aguilar Piñal Francisco, 123 n Aguilera Emmanuele, 324, 324 n Agustín Antonio, 197 al-Hasan Ali Abu, 272 n Alantsee Michael, 80, 81 Albanese Gabriella, 32 n, 33 n Albani Francesco, 189 Albano Elisabetta, 196 Albera Dionigi, 18 n Albert Miquel, 103 n, 108 n, 110 n Alberti Leon Battista, 32, 33 Alberto Magno, santo, 63 Albertus Magnus vedi Alberto Magno, santo Albin Michel, 44 Albonesi Teseo Ambrogio de, 270 n, 276 n Albornoz Gil Álvarez de, 301 Alciati, famiglia, 358 Alcina Rovira Juan F., 105 n Alcuino di York, 246 Aldimari B., 184, 187 Alding Heinrich, 319, 319 n Alegambe Philippe, 197 Alejandro de Alkmaar, 111 n

Alemán Jacobo, 110 n Alemán Juan, 110 n Alemán Teodorico, 116, 124 Alessandrini Giovanni Maria, 316 Alessandro VI, papa, 300 Alessandro VII, papa, 197, 206, 208 Alfonso de Orta, 103 n Algardi Alessandro,173 Alighieri Dante, 70, 72, 94, 248, 250 Alighieris Dante vedi Alighieri Dante Alivernini Filippo, 317 n Alkmaar Gazanis Lázaro, Alejandro de vedi Gaspar Adrian Allacci Leone, 307 Allegri Antonio (detto il Correggio), 170, 188, 189 Alocomar Adrián vedi Gaspar Adrian Alonso de Corduba, 178 Alqabes Salomón, 122 Althann Michele Federico, cardinale, 171, 191 Altomare Biagio, 194 Alvarez Diego, 312 Alvise Alberto, 354 Alvise da Mosto, 335 Alvise Giovanni, 354 Amadeo Giovanni, 272 n Ambrosio de Sangala, 110 n Amedeo III di Savoia, 201 Amerbach Bonifacio, 270 Amerbach Johann, 49, 82 Amerbach, famiglia, 49, 52, 82 Amorós Carles vedi Amorós Juan Carlos Amorós Juan Carlos, 105 n, 108 n, 109 n, 110 n Anay Antonio, 323 Andrea da Bruges, 319 n, 320 Andria Marcello, 289 Anezcar Catalina, 114 n Angelini Evangelista, 70 Angelini Werther, 300 Angelo da Chivasso, 238 Angelo da Scarperia vedi Iacopo di Angelo da Scarperia Angers David d’, 45

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indice dei nomi

Angier Michel, 136, 136 n Anglicus Bartholomaeus, 93 Angulo en Alcalá, 111 n Aniello Tomaso, 174, 178 Anisson-Duperron Alexandre, 44, 54 Anselm Thomas, 63 Anselmi Sergio, 17 n, 19 n Antici Cristoforo, 199 Antonio d’Ixar, 102 n Antonio da Messina, 322 Antonio da Portese, 355 Antonio de la Bastida, 108 n, 111 n Antonio di Guido, 224 Antonio di Jacomo da Trino, 272 n Antonio di Padova, santo, 257 Antonio di Sánkfalva, 238 Antwerpen Heinrich von, 269 n Apollinare di S. Gaetano, 198 Appentegger Lope, 108 n, 109 n, 110 n Appulo Giovan Pietro, 319 Aquila Francesco, 169 n, 182, 190, 191 Aquilon Pierre, 140 n Aragona Alfonso d’, 20 n, 29, 31, 239 Aragona Alonso d’ vedi Aragona Alfonso d’ Aragona Ferdinando d’, 174 n Aragonia Nicolò, 311 Aranda Juan de, 113 n Araus Martín de, 102 n Arbizzoni Guido, 31 n Arbús Pierre, 107 n, 111 n Arbús Samsó vedi Arbús Sansón Arbús Sansón, 105 n, 106 n, 108 n Arcos Juan de, 108 n, 109 n Ardia Antonio, 191 Arecco Davide, 275 n Arias Dávila Juan, 118, 118 n, 119, 120, 120 n, 129, 130 Ariosto Francesco, 247, 247 n Ariosto Lodovico, 225 Aristotele, 65 Aristoteles vedi Aristotele Armanni Vincenzo, 201, 202 Arnaldi Girolamo, 334 n, 335 n, 345 n, 347 n Arnandis Francesc, 111 n Arnaut Antonio, 11 n Arnazzini Bernardino, 314, 315 Arnazzini Giorgio, 291 Arnazzini Gregorio, 314, 315 Arnazzini, famiglia, 315

Arndes Steffen, 70 Arnold Klaus, 73 n, 243 n Arouet François-Marie (detto Voltaire), 44, 160 Arrivabene Giorgio, 238, 238 n Artale G., 187 Artese Luciano, 305 n, 306 n Asburgo, famiglia, 23 n, 171 Ascarelli Fernanda, 315 n Astalli Fulvio, 199 Astemio Lorenzo, 300 Atanasio López, 117 n Athenagoras, 142 n Aubert David, 93, 94 Audisio Gabriel, 17 Augereau Laurence, 147 n Auguste de Trémault, 147 n Augustin Antoine, 40, 41 n Augustin Jacques, 40 Augustin Nicolas Adrien, 40 Augustinus vedi Agostino Aurelio, santo Auriemma Tommaso, 198 Aurispa Giovanni, 30, 31 n Aurora Francesco, 198 Avellino Onofrio, 176, 177 Avigliano Pasqualino, 289 Avinatri Vincenzo, 196 Ayala Juan de, 110 n, 126 Ayala Martín de, 110 n Azzoguidi Baldassarre, 249 Azzolino Giovanni Bernardino, 170

B

aba Andrea, 327 Bacchelli Franco, 228, 228 n Badalocchio Sisto, 175, 187, 188 Bade Josse, 50, 51 Badius Conrad, 140 Bagnini Carlo, 182, 195 Bailliu Barend de, 178, 184, 199 Bak Jakob, 356 Baldacchini Lorenzo, 1, 3, 6, 210 n, 219, 220 n, 228 n, 276 n, 289, 299 n, 301 n, 305 n, 306 n, 311 n, 317 n, 356 n Baldi Antonio, 191, 167 n, 168, 191, 192, 195, 196 Baldinucci Filippo, 168 n Baldoví Juan vedi Baldovino Juan Baldovino Juan, 105 n Ballexserd Jacques, 158

indice dei nomi Balsamo Luigi, 89 n, 211 n, 231, 231 n, 236 n, 250 n, 251 n, 252 n, 256 n Balzac Honoré de, 44 Bambi Federigo, 235 n Bämler Johann, 80 Baratta Alessandro, 182 Barbacetto Stefano, 337 n Barbari Jacopo de’, 338 Barbaro Ermolao, 29, 29 n Barbault Jean, 160 Barber G., 153 n Barbèra Gaspero, 278 n, Barberi Francesco, 270, 302 n, 303 n, 305 n, 317 n Barberini Francesco, cardinale, 308 Barberini, famiglia, 303, 308 Barbier Frédéric, 1, 3, 6, 39, 39 n, 42 n, 43 n, 44 n, 49 n, 52 n, 53 n, 71, 71 n, 75 n, 151 n, 205 n Barbieri Edoardo, 1, 3, 6, 231, 232 n, 234 n, 237 n, 239 n, 240 n, 241 n Barbieri Giovanni Francesco (detto il Guercino), 163 Barbieri Zaccaria, 198 Barbisotti Rita, 355 n Baresson Noel, 105 n Bariletto Giovanni, 351 Barli Cassandra, 173 Barlozzini Maria Paola, 289 Baroncelli Ugo, 350 n Barone A., 185 Barrevelt Gerard, 91, 91 n Barrière Dominique, 178, 184, 189 Bartoletti Giovanni, 322, 322 n Bartoli Ercoliano, 254, 271, 279 Bartoli Traiano, 281 n Bartoli, famiglia, 275, 281 Barzizius Gasparinus, 74 Bassano Cesare, 182 Báthory Miklós, 238 Battistelli Franco, 300 n Baudel, 114 Baudrier Henri, 48 n, 49 n, 272 n Baudrier Julien, 48 n, 49 n Bauer Gothofredum Johannes, 43 Baumann Brigitte, 57 n Baumann Helmut, 57 n Baviera Albanese Adelaide, 324, 324 n Beccaria Cesare, 158

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Bedeschini Francesco, 182 Belfort Andrea, 251, 252 Belhoste Jean François, 280 n Bellavitis Anna, 281 n Bellestar Dimas, 105 n Bellettini Paolo, 304 n Bellettini Pierangelo, 211 n Bellini Paolo, 164 n Bellone Antonio, 270 Bellone Enea, 274 n, 323 Bellone, famiglia, 274 n, 280 Bellori Giovan Pietro, 168 n, 199, 201, 202 Belluscullée Pierre, 135 Beltrani Giovanni, 312 n Beltrano Ottavio, 316 Bembo Pietro, 335 ben Eliécer Alantansi Abraham vedi ben Eliécer Alantansi ben Eliécer Alantansi, 103 n ben Gartón Abraham ben R. Isaac, 122 ben Musa Samuel, 123, 130 ben Ortas Abraham Samuel vedi Alfonso de Orta Benacio Bartolomeo de, 322 Benaglio Bernardino, 237, 272, 354 Benali Bernardino vedi Benaglio Bernardino Benalio Bernardino vedi Benaglio Bernardino Benamati Anello, 304 Benedetti Giovanni Giacomo, 310, 311 n Benedetti Giulio Cesare, 197, 198 Benedetto da Norcia, santo, 242 Benedetto XIII, papa, 176 n Bénévent Christine, 138 n Benigno Francesco, 328 n Benincasa Rutilio, 316 Bentivoglio, famiglia, 302 Benzing Joseph, 42, 42 n Benzoni Rutilio, 308 Bérauld Michel, 142 n Berg Giovanni van vedi Berg Jan van Berg Jan van, 193, 194, 320, 328 Bericchia, famiglia, 323 Berkvens Christiane, 42 n Bermingham Franciscus, 197 Bernabò Angelo, 291 Bernardino da Bergamo, 300 Bernardino de Castronovo, 292

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indice dei nomi

Bernardon Ponzio, 291 Bernasconi Antonello, 260 Bernini Gian Lorenzo, 169, 173, 194 n, 199 Bernis Francesco de, cardinale, 159 Berno, famiglia, 355 Bernuz Pedro, 105 n, 109 n, 110 n, 111 n, 112 Beroaldo Filippo, 252 Berr Henri, 41, 42 Bersano Ottavio, 310 Bert Giorgio, 321 Bertero Giancarla, 156 n Berthoud Gabrielle, 139 n Bertocchi Dioniso, 253 Bertocchi Donino, 252 Bertocchi, famiglia, 252 Bertoli Gustavo, 227, 227 n, 276 n Bertolini Lucia, 33 n Bertolo Fabio Massimo, 342 n Bertolucci Bernardo, 245 Bertone Pannain Alberta, 307 n Bertrandi Ambrogio, 157 Besicken Johann, 292 Bessi Rossella, 30 n Bettio Alessio, 290 Bevilacqua Eugenia, 335 n Bevilacqua Mario, 347 n Bevilacqua Piero, 18 n Bevilacqua Venanzo, 200 Bezzel Ingrid, 73 n Bianca Concetta, 1, 3, 5, 6, 10, 27, 27 n, 28 n, 29 n, 30 n, 31 n, 32 n, 33 n, 34 n, 35 n, 68 n, 319 n, 320 n Biard Agnès, 41 n Biavati Giuliana, 279 n Bichi Antonio, 200, 201 Bigliardi Parlapiano Rosalia, 312 n, 314n, 315 n Bigliardi Rosalia vedi Bigliardi Parlapiano Rosalia Bilancioni Carlo, 303 Billy Nicola, 178, 184 Bindelli Gerolamo de, 272 n Bindoni Bernardino, 229 Bindoni Francesco, 224, 225 Bindoni Zuanantonio, 229 Bini Luca, 304, 310, 315 Biondo Flavio, 32, 33, 353 Birago Francesco, 282 n Bisagni, famiglia, 328, 329

Biscaro Gerolamo, 258 n Biscia Benedetto, 316 Bizozeri Simpliciano, 194 Blanqui Louis-Auguste, 45 Blasco Martínez Asunción, 101 n, 103 n Bloemaert Cornelis, 172, 178, 189, 200 Blondeau Jacques, 167, 175, 178, 180, 184, 191, 199, 200 Bobadilla Juan de, 117 Boccaccio Giovanni, 13, 65, 94 Boccanera Giacomo, 311 Bocchetta Monica, 289 Bochini Andrea, 346, 355 Bodoni Giovanni Battista, 40 n Boemi Giuseppe, 323 n Bogioni Cosimo vedi Bogioni Cosma Bogioni Cosma, 250, 251, 353 Boiani Tombari Giuseppina, 315 n Boiardo Matteo Maria, 253 Boksenboim Yacov, 301 n Boldoni Ottavio, 201 Boloç Charles, 105 n, 108 n, 110 n Bologni Girolamo, 356 Bomberg Daniel, 276 n Bona Maurizio, 307, 308, 314 Bona, famiglia, 307 Bonacota Paolo, 327 Bonazzari Guido, 350 Boner Ulrich, 60, 60 n Bonet Mateu, 110 n Bongi Salvatore, 226 n Bongiovanni Vincenzo, 169 n, 182 Bonhomme Macé, 137 Boni Alberto, 315 Bonichello Rocco, 322 Bonifacio Achille, 321 n, 322 n, 323 n, 326 n Bonifati Giovanni, 231 n Bonini Bonino, 248, 353, 358 Bonis Novello de, 310, 329 Bonnant Georges, 151 n, 154 n Bonucci Anton Maria, 177 n Bonzi Pietro, 199 Booton Diane, 136 n Bordini Silvia, 169 n Bordino Baldassare, 323 Borgia Cesare, 300 Borja Rodrigo de, 121, 122 n, 124 n Bornat Claudi vedi Bornat Claudio Bornat Claudio, 105 n, 108 n, 109 n, 111 n

indice dei nomi Borraccini Rosa Marisa, 2, 3, 4, 6, 9, 10, 232 n, 244 n, 289, 299, 299 n, 300 n, 304 n, 308 n, 311 n, 312 n, 313 n, 316 n, 317 n, 355 n Borsa Gedeon, 120 n, 238 n, 252 n, 260, 260 n Borsellino Enzo, 176 n Borstell Johann, 52 Boschetto Luca, 33 n Bosco Salvina, 328 n Boselli Antonio, 319 n Bosio Antonio, 307 Bosisio Achille, 71 n Bosshart-Pfluger Catherine, 274 n Bossi Girolamo, 278 n Botel Enrique, 104 n Botín Pere, 105 n, 108 n, 110 n Bouchard Jean Jacques, 159, 160, 160 n, 201, Bouchard Joseph, 155, 155 n Bouchard Pierre, 155 n Boucher François, 145 n Bourel Dominique, 41 n Bouttats August, 180, 184 Bouza Fernando, 205, 205 n Boxeró Antoni, 110 n Bracciolini Poggio, 32, 32 n, 33 n, 34, 34 n Braida Antonio, 310 Braida Lodovica, 1, 3, 6, 151, 151 n, 152 n, 154 n, 155 n, 156 n, 157 n, 160 n, 162 n, 219 n, 273 Branca Vittore, 29 n Brancaccini Domenico Maria, 202 Brancaccio Francesco Maria, 171 Branciforte Luigi, 312 Branciforti Francesco, 327, 328 Brasart-de Groër Georgette, 139 n Brea Pietro, 329 Brekle Herbert E., 67 n Bremer Johannem, 96 Brentegani Silvia, 290 Bresciano Giovanni, 319 n Breu Jorg, 74 Brian Éric, 41 n Briolo Giammichele, 156 Brisson Jean Baptiste, 180, 85 Britannico Iacopo, 351 Britannico Lucantonio, 351 Britannico, famiglia, 351 Britius François, 197 Brocar Arnao Guillén de, 125, 126, 127, 127 n, 128, 128 n, 129, 130

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Brogiotti Andrea, 314 Bronwen Wilson, 270 n Brown Jonathan, 170 n Brueghel Pieter il Vecchio, 13 n Brugnoli Pier Paolo, 352 n Brun Pedro, 103 n, 104 n Brunelli Daniela, 216 n, 352 n Brunello Piero, 268 n Brunet Jacques-Charles, 141 n Bruni Flavia, 135 n, 289 Bruni Leonardo, 27, 29, 29 n, 33, 34, 70, 95 Brunus Leonardus vedi Bruni Leonardo Brusegan Marcello, 233 n Buey Germán de, 108 n Bujanda Jesús Martinez de’, 270 n Bujeaud Victor, 144 n Bulgarelli Sandro, 307 n Bulgarelli Tullio, 307 n Bulgarini Ottaviano, 198 Bulifon Antonio, 166, 167, 179 n, 185, 187, 188, 193, 194, 195, 196, 200 Bulle Johannem vedi Bulle John Bulle John, 96 Buonarroti Michelangelo, 175 Buono Giuseppe, 168 Buragna Carlo, 212 n Buret Charles, 107 n, 108 n Burger Konrad, 260, 260 n Burgkmair Hans, 74 Burgonius Anianus, 270 n Burgos Juan de, 126, 292, 295 Burke Peter, 222, 222 n Burr Litchfield R., 277 n Bussi Giovanni Andrea, 68, 69 n, 256 Butzbach Georg, 352 Butzbach Paolo vedi Butzbach Paul Butzbach Paul, 250, 352 Butzbach, famiglia, 352 Buyer Barthélemy, 46, 49 Buyten Martin van, 178, 185

C

abano Vázquez José Ignacio, 127 n Cabiati Emma, 156 n Cabiller vedi Schabeler Johann Cabrera Núñez de Guzmán Melchor de, 294 Cacace Giovanni Battista, 186 Cacchi Giuseppe, 291 Caccia Antonio, 256

366

indice dei nomi

Cacciavillani Ivone, 345 n Cacciotti Beatrice, 170 n Caetani, famiglia, 302 Cafaro Costantino, 198 Caimi Ambrogio, 262, 263, 263 n, 264, 265 Calabi Donatella, 281 n, 340 n Calabresi Ilio, 220 n Calafat Nicolau, 103 n Calandrucci Giacinto, 199 Calatro Ignazio, 329 Calcedonio Alessandro, 261 Caldana Giulia, 290 Calderini Domizio, 34 Caldori Carlo, 316 Calixtus III vedi Callisto III, papa Callegari Marco, 240 n, 290 Calligaris Battista, 323 Callisto III, papa, 59 Calmann Lévy, 44 Caloprese Gregorio, 193 Calvino Giovanni, 114 Calvo Andrea, 270 n, 274 Calvo Francesco, 270 Calzona Arturo, 31 n Camerini Paolo, 238 n, 239 n, 293 Camillis Giuseppe de, 201 Campanella Tommaso, 315, 315 n Campanelli Maurizio, 30 n, 34 n Campani Strascino, 222, 224 n Campano Giannantonio, 31, 120 Campano Juan Antonio vedi Campano Giannantonio Campi Juan, 107 Campi Pietro Maria, 197 Campioni Rosaria, 304 Campitelli Nicolò, 309 Camporesi Piero, 223 n, 228 n Campos Francisco Javier, 206 n Cancarini Stefano, 238 n Cancellotti Giovanni Battista, 201 Canellas López Ángel, 102 n Canepari Eleonora, 23 n Canfora Davide, 34 n Canova Andrea, 250 n, 251 n, 252 n Cánova Alexandre de, 292 Cansoles Fernando, 105 n, 109 n Cantelmo Andrea, 196 Canterell Fernando, 105 n Cantimori Delio, 139 n

Cantù Cesare, 260 Capaccioni Andrea, 289 Capasso Mario, 179 n Caperot Martí, 111 n Capezzali Walter, 289 Capialbi Vito, 327 n, 329 n Caporali Cesare, 308 Cappelletto Rita, 32 n Caputo Salvatore, 171 n Caracciolo Alberto, 302 n Caracciolo Battistello, 163, 163 n Carafa Adriano, 196 Carafa Antonio, 196, 203 Carafa Carlo Maria, 193, 194, 196, 200 Carafa Francesco, 197 Caraffa Carlo, 328 Caramuel Lobkowitz Juan, 243, 243 n Caravaggio vedi Merisi Michelangelo Caravale Mario, 302 Carbonario Mezenzio, 291, 314 Carbonio Mezenzio vedi Carbonario Mezenzio Carcereri Luciano, 289, 314 Cardim Antonio Francisco, 197 Carlo II re di Spagna, 171, 189 Carlo III di Borbone, re di Spagna, 171, 191 Carlo III di Borbone-Montpensier, duca, 23 n Carlo il Temerario, duca di Borgogna, 46 Carlo Magno, re dei Franchi, imperatore romano, 246 Carlo V d’Asburgo, 23 n Carlo VI, imperatore, 171, 196 Carlo VII, re di Francia, 72 Carlo VIII, re di Francia, 20 n, 174 n, 228 Carnaccioli Andrea, 355 Caronito Sebastiano, 330 n Carono Cristoforo, 235 Carosi Attilio, 303 n, 306 n, 311 n Carotenuto Carla, 317 n Carpanè Lorenzo, 290, 306 n, 312 n, 352 n, 355 n, 356 n Carpineo Gaspare, 201 Carpio, Gaspar de Haro marchese del, 169, 170, 190, 192, 194, 195 Carracci Agostino, 168, 187, 279 n Carracci Annibale, 187, 188, 201, 307 Carracci Ludovico, 170 Carracci, famiglia, 188, 192 Carrara Giovan Francesco, 325, 326 Carrara Lodovico, 325, 326

indice dei nomi Carrara, famiglia, 323, 325 Carrier Esteban, 111 n Carriera Rosalba, 173 n Cartaregia Oriana, 271 n, 275 n, 276 n, 289 Carter Leach Mark, 164 n Cartolari Baldassarre, 225 Cartolari Girolamo, 225 Caruso Emanuele, 274 n Carvajal Juan de, 248 Casale Vittorio, 176 n Casalicchio Carlo, 180 n, 193, 200 Casalis Goffredo, 273 n Casamassima Emanuele, 70 n Casanova Stua Luisa, 219 n Casetti Brach Carla, 307 n Cassarino Antonio, 33 Cassiani Giuliano, 309 Cassiano De Silva Francesco, 178, 185 Castagna Nicolò, 327 Castaldi Giovanni Battista, 316 Castaldi Panfilo, 248, 257, 258, 258 n, 259, 265, 348 Castaldo Pescara Andrea, 172 n, 185 Castellani Carlo, 260, 260 n, 347 n Castellani Castellano, 224 Castellani Giordano, 242 n Castellani Giuseppe, 300 n Castelli Livia, 289 Castelli Luigi, 271, 272 Castelli Raimondo, 315 Castello Bernardo, 279 n Castello, famiglia, 271 n, 272 n Castelnerach Antonio, 111 n Castiglione Pietro Antonio, 262, 263, 263 n, 264, 265 Castillo Carlos, 108 n Castillo Gómez Antonio, 205 n, 206, 206 n, 207 n Castorina Pasquale, 327 n, 328 n Castro Álvaro de, 117, 125, 129 Castro Pedro de, 126 Catani Enzo, 355 n Cátedra Pedro M., 115 n, 205 n Caterina da Siena, santa, 241 Caterino Antonino, 312 n Cattaneo De Volta L., 184 Caudario Luca, 264 Cavaciocchi Simonetta, 154 n, 299 n Cavagna Anna Giulia, 2, 3, 6, 9, 243 n, 267, 269 n, 270 n, 274 n

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Cavagni da Lavagna Filippo, 253 n, 259, 264 Cavalcabò Pellegrino, 347 Cavallaro Cristina, 351 n Cavallo Barbara, 309 Cavallo Camillo, 179 n Cavazza Giovanni Battista, 278 n Caxton William, 65, 91, 93, 94, 95, 97, 98 Cazin, famiglia, 40 n Cecchetti Bartolomeo, 262 n Cecini Nando, 300 n Celano Carlo, 183, 187, 190, 196, 202 Celentano Marcello, 198 Celenza Christopher S., 33 n Celeri Bernardino, 357 Celerio Bernardino vedi Celeri Bernardino Celestino V, papa, 183 Cellini Benvenuto, 23 n Cenatempo Girolamo, 182 Cenci Tiberio, 315 Cendrat de Aubert Jaime, 105 n Cenni Angelo, 220, 222 Ceresa Forti Massimo, 33 n, 269 n, 289 Ceresa Massimo vedi Ceresa Forti Massimo Cernigliaro Aurelio, 10 Cervellati Ivanno, 210, 210 n, 213, 213 n Cesari Antonio, 215 Cesari Francesco Maria, 171 n, 196 Cesi Bartolomeo, 192 Cestari Giovanni Battista, 310 Ceva Alessandro, 242 Cevolotto Aurelio, 270 n Chacón Alfonso, 193, 201 Chaix Paul, 140 n Chanty Miguel de vedi Chaur Miguel de Charbonneau Patrick, 46 n Charles le Temeraire vedi Carlo il Temerario, duca di Borgogna Charon Annie, 138 n, 152 n, 153 n Chartier Roger, 151 n, 152 n, 155 n, 157 n Chaucer Geoffrey, 66, 94 Chaunu Pierre, 42 n Chaur Miguel de, 116, 116 n, 124 Chauro Miguel de vedi Chaur Miguel de Cherubino da Spoleto, 225 Chiabò Maria, 27 n Chigi Sigismondo, 200 Chiosso Giorgio, 215 n Chittolini Giorgio, 302 n

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indice dei nomi

Ciamberlano Luca, 183 Cicatello Emanuele, 193 Ciccarello Domenico, 244 n, 289 Cicco Giuseppe Gianluca, 167 n, 181 n Cicero vedi Cicerone Marco Tullio Cicerone Marco Tullio, 62, 65, 68, 69, 70, 71, 71 n, 89, 258 Ciceros vedi Cicerone Marco Tullio Cigala Scipione, 196 Cimatti Giovanni, 212 Ciminelli Cardone G. N., 182 Cinti Federici Elena, 308 n, 309 n Cioni Alfredo, 276 n, 311 n, 316, 316 n, 327 n, 354 n Ciotti Francesco, 327 Ciotti Giovanni Battista, 355 Cipelli Francesco Bernardino, 281 n Ciriacono Salvatore, 335 n Cirillo Decio, 328 Citaredo Vincenzo, 223 n Claer Colin, 73 n Claudin Anatole, 46 n, 48 n, 49 n, 50 n Clauvot O., 32 n Cleblat Esteban, 121 Clein Johann, 50, 51 Clein Katharina, 51 Clemente da Padova, 347 Clemente IX, papa, 193, 201 Clemente VII, papa, 23 n, 24 n Clemente X, papa, 202 Clemente XI, papa, 309 Clemente XII, papa, 201 Cleofilo Francesco Ottavio, 300 Clop Antoni, 108 n Clowet Albert, 164, 175, 178, 180, 185, 190, 193, 199 Clowet Pieter, 164, 175 Coci Jorge, 108 n, 109 n, 110 n Codelago Teramo, 310 Codignola Luca, 274 n Cofman Cristóbal, 108 n, 110 n Cogni Ratti di Desio Paola, 339 n Colaldi Agostino, 303 Colaldi Antonio, 303 Colicchia Andrea, 329 Colin Armand, 44 Colla Angelo, 335 n, 345 n, 356 n Collesino Bartolomeo, 351 Colli Gerardo, 256, 257, 265

Collica Paolo, 322 Colocasio Vincenzo, 322, 322 n Colombara Vincenzo, 313 Colombo Emanuele, 253 n Colón Fernando, 84, 85 Colonna Pompeo, cardinale, 24 n Colonna Stefano, 35 n, 354 Colonna, famiglia, 234, 302, 303 Colonyes Jacques, 108 n Colucci Giovanni, 289 Comaschi Fabian de, 272 n Comba Rinaldo, 17 n Comencini Giovanni, 323, 326 Comin Joan, 172, 178, 185 Conca Sebastiano, 177 Conde Juan-Carlos, 206 n Condé, Louis I di Borbone principe di, 140 Condorcet Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat marchese di, 158 Confalonieri Bartolomeo, 357 Conforti Maria, 219 Conigliello Lucilla, 235 Conihout Isabelle de, 147 n Conner Philip, 141 n Conti Vincenzo de’, 355 Contò Agostino, 289, 290, 357 n Coppens Christian, 270 n, 281 n, 349 n Corallo Stefano, 252 Cordero Baldassarre, 291 Cordova Francesco, 178, 180, 183 Coriolano Giovan Battista, 183 Cormellas Sebastián de, 105 n, 108 n, 111 n Cormio Valeria, 312 n Cornejo Francisco J., 65 n Cornelio Tommaso, 193 n Corner Federico, 238 Coronelli Vincenzo, 335 Coroni, 251 n Corradi Giovanni Battista, 197 Correggio vedi Allegri Antonio (detto il Correggio) Corsten Severin, 61, 61 n, 64, 64 n, 65, 65 n, 73 n, 75 n Cortelazzo Manlio, 336 n Cortey Jaime, 108 n, 109 n, 110 n, 111 n Corti Paola, 17 n, 18 n, 268 n Corvino Mattia, 32, 238, 238 n Cosimo I de’ Medici, granduca di Toscana, 23

indice dei nomi Cosimo III de’ Medici, granduca di Toscana, 202 Cosin Pierre, 205 Cosma Rita, 29 n Costaguti Giovanni Battista, 199 Costilla Jorge, 108 n Cotoner Nicola, 202 Cotta Bartolomeo, 202, 275 Courtemanche Andrée, 17 n Courtney G. P., 153 Cowie Jonathan, 13 n Cozza Francesco, 192 Crantz Martin, 74, 75 Craveri Piero, 281 n Crès Jean, 135 Crespin Jean, 139 Creuhades Juan Nicolas, 207 n Crisolora Manuele, 334 Cristina di Svezia, 173 n Cristoforo Marc’Antonio di, 271 Crivelli Galeazzo, 255, 256, 265 Croce Benedetto, 268 n Croce Giulio Cesare, 228 Cromberger Jacobo, 107 n, 129 Crotti Pasi Renata, 282 n Crozat Pierre, 173, 175 n, 190 Cuesta Juan de la, 112 n Cumia Giuseppe, 323 Cungi Camillo, 189 Cupin Pedro (o Pablo), 109 n Curlo Giacomo, 33 Curti Stefano, 357 Cusa Hélène, 46 n Cusano Nicolò, 28 Cybo Lorenzo, 291, 316

D

’Adda Gerolamo, 262 n D’Alecci Sebastiano, 330 D’Alessandro Alessandro, 32 n D’Alessandro D., 186 D’Amico Rosa, 164 n D’Angeli Maria Grazia, 27 n D’Angelo Franco, 319 n, 321 n D’Anna Luigi, 196 D’Arco Avalle Silvio, 229 n D’Asti Andrea, 177 D’Ipolito Paolo, 193 D’Orazi Francesco M., 303 n, 307 n Da Molin Giovanna, 20 n Da Varano, famiglia, 302

369

Dachauer Miguel vedi Chaur Miguel de Dal Pane Luigi, 277 n Dal Pozzo A., 185 Dal Pozzo Francesco, 249, 252 Dalai Mariagrazia, 290 Dalle Donne Sebastiano, 312 Dalle Feste Giocondo, 280 n Dalmau Juan, 111 n Daneu Lattanzi Angela, 321 n Danza Eliseo, 316 Darnton Robert, 151, 151 n, 152 n, 153, 153 n, 154 n Dattola Marina, 289 Daubignard Patrick, 147 n Daun Wirich Philipp Lorenz, conte, 171, 190, 191 Davanzati Bernardo, 224 Davies M., 95 n Dazzi Manlio, 228 De Angelis Francesco, 193 De Angelis Giuseppe, 304, 311, 312 De Angelis Tiberio, 311 De Benedetti Anselmo, 321 De Boni Filippo, 270 n De Bonis Novello, 329 De Clementi Andreina, 18 n De Dominici Bernardo, 163, 163 n, 168, 169 n, 171 n, 174, 175, 175 n, 176, 176 n, 177 n, 190, 196 De Dominici Maria, 165, 169, 195 De Dominici Raimondo, 165 De Falco Anna, 155 n, 158, 158 n De Falco Fabio, 309 De Franceschi Giovanni Antonio, 323, 326 De Giovanni Antonio, 322 De Grado Francesco, 178, 180, 186, 192, 194, 195 De Koning, 46 De Louvemont François, 167, 174, 175, 178, 180, 185, 191, 192, 203 De Luca Giovanni Battista, 202 De Mattei Rodolfo, 315 De Matteis Emanuela, 165 n De Matteis Felice, 165 n De Matteis Mariangela, 165 n De Matteis Paolo, 194, 195, 196 De Mauro Tullio, 231 n De Mura Francesco, 167 n De Mussis Antonio, 321

370

indice dei nomi

De Notariis Camillo, 190 De Riz Paolo, 290, 356 n De Torres Luigi, 323 Debure Guillaume-François, 44, 54 Del Maino Gentilino, 239 Del Monte Baldeschi, famiglia, 314 Del Po Giacomo, 163, 165, 169, 173, 176, 203 Del Po Pietro, 164 n, 169, 170 Del Po Teresa, 164 n, 165, 201 Del Po, famiglia, 192 Del Porto Enrico, 322 n Del Pozzo Cassiano, 173, 173 n Del Torre Giuseppe, 336 n, 342 n Del Valle Rodríguez Carlos, 122 n Delgado Casado Juan, 101 n, 103, 103 n, 124 n, 127 n, 293 Delille Gérard, 20 n, 21 Dell’Aquila Giovanni, 35 Dell’Epifania Giovanni Paolo, 202 Dell’Isola Alfonso, 307, 328 Dell’Isola Pietro, 328 Dell’Omo Mariano, 239 n Della Barba Zanobi, 222, 223, 224, 227, 230 Della Casa Giovanni, 192, 193 Della Fossa Melchiorre, 320, 323, 324 Della Pina Marco, 18 n, 19 n Della Rovere, famiglia, 223 Della Torre Francesco, 195 Delos Reyes F., 124 n Denbato Juan, 110 n Denina Carlo, 156, 157 Des Freux Andrè, 326 Desa Giovanni Bernardino, 312 Desachy Mathieu, 50 n, 70 n, 71 n Desgraves Louis, 135 n, 143 n, Desideri Livia, 311 Desplanques Henry, 9 n Deuchino Evangelista, 357 Deuchino Pietro, 357 Deuchino, famiglia, 357 Dezza Massimiliano, 199 Di Cesare Maria Carmela, 307 n Di Giovanni Piero, 268 n Di Giovine Paolo, 10 Di Lenardo Lorenzo, 289 Di Marco Giampiero, 329 n Di Marzo Gioacchino, 320 n Di Polo Vincenzo, 222, 227, 230 Diana Antonio, 243 n

Díaz de Montalvo Alfonso, 123, 125, 129 Díaz Fernández José María, 127 n Díaz Romano Francisco, 105 n, 108 n Didot François, 40 n Dimas Juan vedi Dumas Juan Diotallevi Bernardino, 303 Diotallevi Girolamo, 303 Diotallevi Mariano, 303 Discepolo Agostino, 303, 307 Discepolo Giorgio, 355 Discepolo Girolamo, 303, 306, 355 Discepolo Pietro, 303, 306, 307, 355 Discepolo, famiglia, 355 Diserolo Pietro, 355 Distefano Giovanni, 338 n Diu Isabelle, 138 n Dobras Wolfgang, 58 n, 59 n Dócil Giraldo, 105 n Dolcibelli Benedetto, 290 Dolfin Pietro, 235, 237, 241 Doll Conrad, 261, 265 Domenichino, Il, vedi Zampieri Domenico (detto Il Domenichino) Dominici Domenico, 303 Donati Gemma, 28 n Donati Lamberto, 73 n, 247, 247 n Donatus Aelius, 60, 281 n Dondi Cristina, 78, 78 n Dondi Giovanni, 32, 35 Donghi Giovanni Stefano, cardinale, 209, 213, 213 n Donia Francesco, 183 Donvito Cinzia, 290 Donzelli Giuseppe, 202 Dossena Giovanni, 270 Doulcet Benito, 111 n Doumerc Bernard, 17 n Drach Peter, 79, 80, 81, 82, 83 Dragonetti Giacinto, 158 Droz Eugénie, 140 n Du Pré Jean, 136, 136 n Duardo L., 182 Dubarat Victor, 143 n Ducellier Alain, 17 n Duel Bautista, 110 n, 114 n Dufour Adolphe-Marc, 138 n Dughet Jean, 192 Dugnani Catellano, 261 Dumas Juan, 111 n Dumont Franz, 58 n

indice dei nomi Duntze Oliver, 77, 77 n, 81 n, 83 n Duplessis-Mornay Philippe, 144 Durán de Salvanyach Nicolás, 105 n, 106 n Durandus Guilelmus vedi Durant Guillaume Durant Guillaume, 75 Durazzo Giovanni, 275 Durazzo, famiglia, 275 Dykmans Marc, 28 n

É

brard de Saint-Sulpice Antoine d’, 145 n Eceydel Jacobo, 110 n, 114 Edoardo IV, re d’Inghilterra, 93 Edward IV vedi Edoardo IV, re d’Inghilterra Eggestein Heinrich, 62, 63 Egmondt Frederick, 91, 91 n Eguía Miguel de, 125 Eleuteri Paolo, 30 n Elisabetta I d’Inghilterra, 23 n Elisabetta, imperatrice d‘Austria, 195 Elzevier, famiglia, 40 n Emerich Johann vedi Emerich Johannes Emerich Johannes, 239, 240 Emmanuele di Gesù Maria, 184 Emmrich Karin, 69 n Enoch d’Ascoli, 34 Enrico da Colonia, 252, 290 Enrico di Borbone, 141, 141 n, 142, 142 n Enrico di Harlem, 252 Enrico II di Francia, 23 n Enrico III, 138, 146, 147, 148 Enrico IV, 120, 138, 146, 147, 147 n, 148, 247 Enrico VII, 94 Enrico VIII, re d’Inghilterra, 90 Enrique IV vedi Enrico IV Erasmo da Rotterdam, 128, 270 n Erasmus Roterodamus vedi Erasmo da Rotterdam Ercole Domenico Antonio, 308 Ercole Michele, 308 Erhard Ratdolt, 73, 248 Erio Fiore Carmelo, 327 n Erzbischofs Adolf, 55 Erzherzog Friedrich, 83 Escapa Pablo A., 243 n Escavy R., 128 n Esch Arnold, 67 n, 68 n, 69 Esopo, 354 Espagne Michel, 43 n

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Espinar Juan del, 294 Este, famiglia, 31 Estévez Rodrigo, 110 n, 114 Etchard Jean d’, 143 n Euclide, 335 n Euclides vedi Euclide Eugenio IV, papa, 32 Evola Filippo, 323 n, 327 n, 328 n Evola Niccolò Domenico, 319 n, 321 n, 327 n, 328 n, 329 n, 330 n, Eximenis Francesc, 124

Fabbri Federica, 289

Fabbri Renata, 30 n Faber Johann, 49 Fabiani Giuseppe, 310, 310 n, 311 n Fabretti R., 183 Fabris Francesco de, 291 Facciotti Giacomo, 308 Facciotti Guglielmo, 307 Facciotti Pier Antonio, 188 Faci Isidoro, 306 Faci Lepido , 305 Facio Bartolomeo, 32, 33 Faentino Antonio, 226 Faentino Baldassarre, 226, 226 n, 227 Faentino Francesco, 228, 228 n Falces Juan de, 312 Falcone Aniello, 164, 174, 175 Falda Giovan Battista, 199 Falletto Giovanni, 272 n Faloci Pulignani Michele, 309 n Falsini Alberto Benigno, 14 n Fanelli Sigismondo, 198 Fanucci Camillo, 306 Farel Guillaume, 51 Farnese Odoardo, cardinale, 303 Farnese Ranuccio, 228 Farnese, famiglia, 302, 303, 305 Farri Pietro, 310, 315 Fasano Guarini Elena, 18 n Fattori Daniela, 237 n, 250 n, 251 n, 353 n, 354 n Fattori Marta, 10 Fau Guillaume, 48 n Faure Joan, 108 n Faux Paschal Robin du, 145 n Fava Domenico, 211, 249, 251 n Fava Mariano, 319 n

372

indice dei nomi

Fazello Girolamo, 274 n Febvre Lucien, 41, 42, 46, 51 n, 249, 299, 299 n, 300 n Fedalto Giorgio, 339 n Federico da Girgenti, 323 Federico da Montefeltro, 31, 300 Fei Andrea, 197, 303, 307, 310 Fei Giacomo, 303 Fei Giovanni Battista, 303 Feliciano Felice, 353 Fénelon, François de Salignac de la Mothe, 158 Fera Vincenzo, 29 n Ferguson F. S., 92 n Fernández de Córdoba Alfonso, 103 n, 104 n, 108 n, 110 n, 114 Fernández de Quirós Constanza, 124 n Fernández de Sevilla, 206 n Fernández Luis, 119 n, 126 n Fernández Valladares Mercedes, 126 n Ferraglio Ennio, 243 n Ferrando Tommaso, 236, 236 n, 251 Ferrarese Ippolito, 222, 224, 225, 230 Ferrari Giovanni Battista, 173, 188 Ferrari Simone, 338 Ferri Ciro, 199 Ferro Domenico, 329 Ferro Lorenzo, 347 n Ferroni Giulio, 226 n Feyner Conrad, 63 Fichets Guillaume, 75 Ficino Marsilio, 145 n Fiessi Francesco, 247, 247 n Figini Camillo, 235 Filamondo Raffaele Maria, 186, 194, 195 Filelfo Francesco, 29, 30, 30 n, 34, 255, 256, 256 n, 262 Fileti Mazza Miriam, 274 n Filippi Marco, 329 Filippo da Rodigo, 240 Filippo da Strada, 243 Filippo II di Spagna, 23 n, 205, 293, 294, 295 Filippo III, 295 Filippo IV, 170 Filippo V, 194 Finocchiaro Giuseppe, 240 n Fiore Carmelo Erio, 327 n Fiore Francesco Paolo, 31 n, 32 n Fiore G., 185

Fiorentino Lucantonio, 355 Firpo Luigi, 315 n Flamenco Juan, 110 n Flamenco Pedro, 111 n, 296 Flammarion Ernest, 44 Flanders Matheus, 236 Flandro Mateo, 103 n Fleischmann Isa, 57 n Foffano Tino, 32 n Fois Mario, 235 n Fontaine Laurence, 18 n, 39 n, 154, 154 n, 276 n Fontana Bartolomeo, 351 Fontana Francesca, 308 Fontana Giovanni Luigi, 345 n Fontana Vincenzo Maria, 201 Fontana, famiglia, 351 Fontaneto Guglielmo, 224, 225, 228 Fonzio Bartolomeo, 32, 34 Forbin de Janson Tussano, 199 Ford M. L., 89 n, 90 n Forestié Émerand, 141 n, 142 n Formiga Federica, 290 Forti Rigo, 320 Fortsman Gregorio, 178, 185 Fosi Irene, 302 n Fouquet Robin, 135 Fracanzano Cesare, 183 Fracassini Andrea, 350 Fracassini Gabriele, 350 Fracassini Giacomo, 350 Fracassini Maffeo, 350 Fracassini, famiglia, 350 Fracastoro Girolamo, 335 Fragnito Gigliola, 300 n, 302 n Franceschini Camillo, 355 Francesco da Prato, 225 Francesco de Geronimo, santo, 196 Francesco Ercole di Valois, duca di Angiò e Alençon, 137 Francesco I di Valois, re di Francia, 23 n Francesco Saverio, santo, 197 Franchi Saverio, 289, 303 n, 308 n Francia Francesco Maria, 183 Franciscus Nicolaus, 276 n Franco Giacomo, 279 n Franco Niccolò, 228 Frank Barbara, 67 n Franzina Emilio, 18 n Franzoso Mauro, 272 n

indice dei nomi Friburger Michael, 74, 75 Fridenperger Paul, 354 Frizon Nicolas, 139 n Froben Johann, 51, 82, 270, 270 n Frontini Luca, 317 n Frova Carla, 68 n Fryde Edmund B., 30 n Fubini Riccardo, 29 n, 32 n Fuchs Franz, 73 n Fuchs Reimar Walter, 57 n Fugaldi Vincenzo, 289 Fugler Martin, 41 n Fulcaro Sebastiano vedi Fürck Sebastian, Fumagalli Giuseppe, 267 n Funk Kaspar, 80 Fürck Sebastian, 178, 186 Furet Francois, 46 n Furno Martine, 140 n Fusconi Giulia, 172 n Füssel Stephan, 1, 3, 6, 55, 55 n, 57 n, 60 n, 62 n, 63 n, 66 n, 69 n, 71 n, 72 n, 73 n, 75 n Fust Johann vedi Fust Johannes Fust Johannes, 49, 55, 56, 57, 58, 64, 89, 93 Fust, famiglia, 49, 57, 58, 64, 89, 93 Fuster Melchor, 206 n

G

aeta Bertelà Giovanna, 274 n Gaeta Franco, 334 n Gaffuri Francesco, 264, 264 n, 265 Gagliardi Filippo, 189 Gaguin Robert, 75 Gaillard Auger, 142, 142 n, 145, 145 n, 146, 149 Galasi Matteo, 270 n Galassi Vincenzo, 310 Galasso Giuseppe, 179 n, 302 n Galés Jerónima, 109 n Galli Marco, 199 Galli Romeo, 211 n, 212, 212 n Gallini Clara, 220, 220 n Gallo Federico, 232 n Gallo Stazio, 251 Gálvez Diego Alejandro, 123 n Gambi Lucio, 13 n Ganda Arnaldo, 2, 3, 6, 236 n, 239 n, 244 n, 255, 255 n, 257 n, 259 n, 261 n, 262 n, 347 n, 348 n Gandolfo Lorenzo, 321 García Oro José, 116 n, 117 n Garfagnini Gian Carlo, 34 n

373

Garin Eugenio, 255 n, 258 n Garnier Auguste, 44 Garnier Hippolyte, 44 Garrisson Janine, 143 n Garza Merino Sonia, 121 Garzi Luigi, 165, 202 Garzoni Tommaso, 210, 210 n, 280 n Gascón Alonso, 102 n Gaspar Adrian, 111 n Gaspare da Colonia, 322 Gasparini Danilo, 336 n Gasparini Giovan Battista, 340 n Gasparini Leporace Tullia, 259 n Gast Matías, 292 Gastaldi Giacomo, 335 Gastaldi Giovanni Tommaso, 197 Gauci Alberto A., 327 n Gaudin Jean, 145 n Gayrand Claude, 189 Gaza Teodoro, 32 Gazanis Lázaro, 121 Gazzaniga Valentina, 219 Gazzola Mattea, 290 Geissler Paul, 73 Geldner Ferdinand, 42, 42 n, 59 n, 60 n, 61 n, 62 n, 63 n, 64 n, 70 n, 71 n, 72 n, 73 n, 74 n, 81 Gemelli Careri Giovanni Francesco, 196 Geminiani Lodovico, 202 Gener Antonio, 108 n Genovesi Antonio, 158 Gentilcore David, 219 n Gentile Sebastiano, 28 n, 34 n Gentileschi Artemisia, 165, 169, 173, 179 Gentileschi Orazio, 171, 188 Georget Jean, 109 n Gerardo da Lisa, 356 Gerdil Giacinto Sigismondo, 157 Gering Ulrich, 74, 75 Gerson Jean, 243 n Gherardi Antonio, 202 Gherardini Alessandro, 282 n Gherardo da Prato, 224 Gherardo di Anversa, 276 n Gherlinc Juan, 104 n, 127 Ghidelis Giovanni de, 321, 321 n, 322 Ghilio Giovanni Antonio, 261, 265 Ghinati Antonio, 261 Ghirlandi Andrea, 235

374

indice dei nomi

Giaconia Carlo, 197 Giambullari Bernardo, 224 Giami, 285 Gianandrea Antonio, 315 n Giannettasio Nicola Partenio, 165, 165 n, 187, 190, 191, 192, 196 Giannetti Elio, 301 n Giannone Pietro, 158 Giannotti Palmerio, 303, 307 Gianotti Lorenzo, 210, 210 n Gibbes James Alban, 184, 201 Giberti Gian Matteo, 355 Gibier Éloi, 140 Gier Helmut, 83 n Giglio Domenico, 311 Giglo Juan, 109 n, 110 n Gilbers Wilhelm, 52 Giles de Colomiés, 111 n Giliberti Francesco, 280 n Gilli Patrick, 27 n Gilmont Jean-François, 140 n, 299 n Gimma Giacinto, 199 Giochi Filippo Maria, 308 n, 311 n, 312 n, 314 n, 315 n, 316, 316 n, 317 n Gioia Francesco Maria, 198 Gioioso Antonio Maria, 308, 312 Giolito de’ Ferrari Giovanni, 273, 349 Giolito de’ Ferrari, famiglia, 270 n, 272, 281, 317, 343, 349 Gionta Daniela, 34 n Giorcelli Giuseppe, 267 n Giordano Francesco Maria, 194 Giordano Luca, 163, 164, 164 n, 165, 165 n, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 174, 176, 177, 179, 183, 189, 190, 191, 196, 202 Giorgio d’Augusta, 250, 251 Giovannetti Marcello, 189 Giovanni Amadeo di Prato, 272 n Giovanni Antonio da Caneto, 321 Giovanni Antonio di Castiglione, 234 Giovanni Battista da Venezia, 242 Giovanni Crisòstomo, santo, 64 Giovanni da Colonia, 72, 255, 262, 322, 335, 358 Giovanni da Spira, 48, 71, 72, 248, 262, 286, 347, 348 Giovanni dalle Bande Nere, 23 n Giovanni de Villanovo vedi Juan de Villanueva

Giovanni di Niccolò d’Alemagna, 250 Giovanni Domenico de Trento, 322 Giovenale Decimo Giunio, 251 Giraldo Pedro, 110 n, 126 Girard de Villethierry, 156 Girardengo Nicolò, 273 Girardengo, famiglia, 273 n, 279 Girardi Marco, 290 Giraudet Eugène, 147 n Girnssheim Peter, 57 Girolamo da Arcole, 355 Girolamo Maria di S. Anna, 192, 196 Girolamo, santo, 63 Gironi Niccolò, 290 Gisolfo Pietro, 192 Giubari Giovanni, 310, 313, 314 Giuliani Claudia, 210 n, 289 Giuliari Giovan Battista Carlo, 352, 352 n Giulio II, papa, 169 n, 336 Giulio III, papa, 301 Giunta Benedetto, 292 Giunta Bernardo il Giovane, 292, 294 Giunta Bernardo il Vecchio, 292 Giunta Filippo il Giovane, 292 Giunta Filippo il Vecchio, 292 Giunta Giovanna, 281 Giunta Giovanni, 292, 293, 295 Giunta Giulio, 292, 293, 294, 295, 296 Giunta Jacopo, 292 Giunta Lucantonio, 238, 239, 240, 248 Giunta Lucrecia, 292 Giunta Modesto, 296 Giunta Teresa, 296 Giunta Tommaso, 294, 296 Giunta, famiglia, 40 n, 239 n, 273, 274 n, 292, 293, 294, 296, 297, 317, 326, 326 n, 343, 346 Giuseppe da Palermo, 329 Giustinian Paolo, 241, 242 Giustiniani Benedetto, cardinale, 172 n Giustiniani Pietro, 191 Giustiniani Vincenzo, 172, 175 Gizzi Andrea Giuseppe, 193 Glöckner Tomas, 124 Goff Frederick Richmond, 62 n, 72 n, 73 n Goldfinch John, 89 n Goldwell James, 95 Gomet Barthélemy, 147, 147 n Gómez Alonso, 205, 293, 294

indice dei nomi Gonzaga, famiglia, 20, 23 n, 353 n González Dávila Gil, 118 n Gonzalo Sánchez-Molero José Luis, 128 Gonzálvez Ruiz Ramón, 118, 119, 119 n, 122, 122 n, 124 n Gorgonzola Damiano, 260, 261 Gori Gandellini Giovanni, 168 n, 196, Gorricio Melchor, 117, 128 Gosse Pierre, 154 n Gotard Hubert, 105 n, 108 n, 109 n, 111 n Gotard Pedro, 105 n, 108 n, 109 n, 111 n Goupil Richard, 136, 136 n Gower, 94 Graciotti Sante, 29 n Graels Gabriel, 105 n Graesse Théodore Jean Georges, 40 n Granata Giovanna, 289 Grandi Astolfo, 310, 313, 355 Grandi Chiara, 313 Granucci Bartolomeo, 196 Grasolario Giacomo, 272 n Grasset François, 154, 154 n Gravier Giovanni vedi Gravier Jean Gravier Jean, 155, 158, 159, 160, 162 Gravier Jean-Joseph vedi Gravier Jean Gravier Yves, 155 n, 158, 158 n, 159 Gravina Gian Vincenzo, 212, 212 n Green Jonathan, 78 n Gregori Gregorio de, 248 Gregorio VII, papa, 247 Gregorio X, papa, 197 Greuter Johann Friedrich, 188, 189 Greuter Mathäus, 178, 186, 201 Greyf Sebastian, 51 Greyff Michael, 63 Griffin Clive, 101 n, 102 n, 107 n, 108 n, 111 n, 113, 113 n, 114 n, 206 n Griffisoli, famiglia, 354 Griffiths Gordon, 27 n Griffo Francesco, 344 n, 353 Grignani Elisa, 234 n Grignani Lodovico, 303, 306, 307, 308 n, 310 Grimaldi Alessandro, 183 Grimaldi Floriano, 317 n Grimani, famiglia, 343 Grimm Heinrich, 78, 78 n, 79, 80, 80 n, 83, 83 n, 84 Grisei Agostino, 308, 310

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Grohovaz Valentina, 242 n Grubmuller Klaus, 61 n Gualdo Francesco, 201 Gualdo Germano, 29 n, 33 n Guardij Sebastiano, 220 Guarini Guarino, 30, 170, 189, 354 Guarino Francesco, 191 Guarino Veronese vedi Guarini Guarino Guarnacci Mario, 201 Guasp Gabriel , 106 n Guasp Gabriel Miquel, 106 n Guatier Mauricio, 110 n Guazzelli Demetrio, 28 Guercino, Il vedi Barbieri Giovanni Francesco (detto il Guercino) Guerra Domenico, 326 Guerra Giovan Battista, 325, 326 Guerrini Mauro, 299 n Güesa Miguel de, 105 n Guglielmelli Arcangelo, 183 Guglielmo da Fontaneto vedi Fontaneto Guglielmo Guicciardini Francesco, 24 n Guidalotti Diomede, 225 Guidi Pietro, 28 n Guidiccioni Lelio, 189 Guido de Monte Rochen vedi Guido di Montrocher Guido di Montrocher, 135 n, 236 Guillain Simon, 307 Guillermo de Roin (o Droin), 107 n, 108 n, 114 Guisa, famiglia, 137 Gumiel Diego, 103 n, 104 n, 108 n, 110 n, 126, 127 Gupalatino Nicola, 347 Gutenberg Franz Thedore von, 201 n Gutenberg Johannes, 43, 44, 48, 49, 55, 56, 56 n, 57, 59, 60, 61, 62, 64, 70, 72, 75, 76, 80, 89, 246, 248 Gutiérrez de Cerezo Andrés, 117 Gutiérrez Marco A., 117 n Guyot Claude, 148 Guzzi Antonio, 202

H

abermann Anna Maria, 276 n Hachette Louis, 44 Haebler Conrad vedi Haebler Konrad

376

indice dei nomi

Haebler Konrad, 42, 42 n, 46, 46 n, 48 n, 50 n, 67, 67 n, 70 n, 72 n, 73 n, 121, 122 n Haegen Pierre L. van der, 48 n Hagenbach Pedro, 104 n, 109 n, 125, 127, 128, 130 Haig Gaisser Julia, 35 n Hall Edwin, 58 n Han Ulrich, 68, 69, 71, 73, 286 Han Ulrico vedi Han Ulrich Hardouyn Pedro, 105 n, 109 n, 114 n Harduin Pedro vedi Hardouyn Pedro Harlfinger Dieter, 30 n Harrach, Ernst Adalbert, conte di, 191 Harris Neil, 219 n, 226 n Harth Helene, 33 n Hartwig Otto, 56 Hase Oscar von, 82, 82 n Haskell Francis, 173 n, 175 n Haultin Jérôme, 143 Hazañas y La Rúa Joaquín, 123 n Heckeroth Ansgar, 74 n Heitz Jean-Henri, 45 Hellinga Lotte, 1, 3, 6, 48 n, 66 n, 75 n, 77, 77 n, 89, 89 n, 91, 93 n, 94 n, 95 n, 96 n, 97 n, 98 n, 341 n Helmasperge Ulrich, 56 Helmrath Johannes, 31 n Hendrix Harald, 306 n Henry VII vedi Enrico VII Henry VIII, re d‘Inghilterra vedi Enrico VIII, re d’Inghilterra Herbert Claude-Jacques, 158 Herbst Magnus, 124 Herlin Guillermo, 111 n Hermet Aleramo, 339 n Hernández Terrés J. M., 128 n Hernández Diego, 105 n, 107 n, 108 n, 109 n, 113 n Hernández Domingo, 111 n Herrera Gabriel Alonso de, 128 Herrera Juan de, 293 Herrera y Tordesillas Antonio, de, 295 Herrero Bonifacio Bartolomé, 118 n Hertzog Johannes, 91 n Hieronymus vedi Girolamo, santo Híjar Gabriel de, 105 n Hirdus Jacobus, 239 Hispano Luca, 242 Hoerder Dirk, 280 n

Hoernen Arnold ther, 65, 95, 122 Hoffman Leonhard, 58 Hoshino Hisetoshi, 25 n Hubault Pierre, 109 n Hubert Vincent, 178, 187, 192, 194 Huesa Miguel de vedi Güesa Miguel de Huete Pedro de, 109 n Hugues Jacob, 197 Huguet (o Uguet) Miguel, 110 n Humery Konrad, 60, 61 Hurus Pablo vedi Hurus Paul Hurus Paul, 49 n, 104 n, 108 n, 109 n, 110 n, 236 Husz Leonard, 49 n Husz Martin, 3, 49, 49 n Husz Matthias, 49, 49 n Hutz Leonardo, 104 n, 108 n, 109 n, 110 n, 125

I

acono Antonella, 10 Iacopo di Angelo da Scarperia, 34 Imhaus Brünehilde, 17 n Infelise Mario, 42 n, 152 n, 156 n, 205 n, 216 n, 219 n, 272 n, 315 n Innocenzo de Brexia, 322 Innocenzo VII, papa, 27 Innocenzo XI, papa, 199, 201 Innocenzo XII, papa, 196, 309 Innocenzo XIII, papa, 309 Intersimone Alibrandi Maria, 321 n Invrea Felice Maria, 197 Iradiel Murugarren P., 104 n Isidoro di Siviglia, santo, 295, 300 Islach Gaspare de, 262, 264 Israel Uwe, 66 n, 67 n, 69 n Iusi Francesco, 289

J

ackson Philippa, 250 n Jackson W. A., 92 n Jacobus a Varagine vedi Jacopo da Varazze Jacobus de Cessolis, 94 Jacobus de Teramos, 71 n Jacopo da Varazze, 136 n Janota Johannes, 83 n Jarry Louis, 135 n Jeanblanc Helga, 43 n Jenson Albert, 262, 263, 263 n, 265 Jenson Niccolò vedi Jenson Nicolas

indice dei nomi Jenson Nicolas, 48, 72, 74, 248, 255, 261, 262, 262 n, 263, 265, 334, 335, 344, 344 n, 347, 358 Jerónimo de Blancas, 106, 107 Jiménez de Cisneros Francisco, 117, 124, 128 Jiménez de Préjano Pedro, 115, 118, 118 n, 119, 119 n, 125 Jodocus Badius Ascensius vedi Bade Josse Joffré Juan, 105 n, 109 n, 110 n Johann von Westfalen vedi Jean de Westphalie, 45, 65 Johannes Chrysostomus vedi Giovanni Crisòstomo Johannes de Colonia vedi Giovanni da Colonia Johannes Heylin de Lapide, 74 Johannes von Speyer vedi Giovanni da Spira Jonsson Gunilla, 78 n Josepho de Palma, 196 Juan de Colonia vedi Giovanni da Colonia Juan de Villanueva, 105 n, 106 n, 272 n Juan de Zutera (o Cusera), 111 n Juchhoff Rudolf, 73 n Junta Teresa vedi Giunta Teresa Juratic Sabine, 44 n, 151 n

K

apr Albert, 58 n Keffer Heinrich, 57, 59, 60, 63 Keiderling Thomas, 39 n Kellenbenz Herman, 104 n Kemp Graeme, 137 n Kemp William, 136 n Kerver Thielmann, 49 n Kessler Niklaus, 80 King Margaret L., 30 n Kirchenvater Augustinus, 63 Kircher Athanasius, 194, 197, 198, 307 Klemperer Víctor von, 122 n Klincksieck Friedrich, 52 Knapton Michael, 336 n, 344 n Knaus Hermann, 64 Knoblochtzer Heinrich, 63 Koberger Anton, 79, 82, 83, 85 Koechlin André, 45 Kollinger Andrea, 77 n, 85 n Kotvan Imrich, 237 n Kratz Isabelle, 43 n Kreuger Theodor, 189

377

Kröner Adolf, 86 Künast Hans-Joachim vedi Künast HansJorg Künast Hans-Jorg, 83, 83 n, 85, 86 n Kungschaher Jacob, 79

L

’Huillier Pierre, 147 La Barbera Giuseppe, 328 La Copa (o Calopa) Pedro, 110 n La Mantia Vito, 321 n Labadie Ernest, 278 n Labalme Patricia, 29 n Labarre Albert, 43 n Labori Juan, 108 n Lacaze Louis, 142 n Lafitte Jacques, 45 Lafréry Antonio, 175 n Lago Luciano, 337 n Lamartine Alphonse-Marie-Louis Prat de, 45 Lamb Hubert Horace, 13 n Lambardi Giacomo, 316 Lanaro Paola, 340 n Landriani Bernardino, 272 n Landriani Nicolò, 235 Landriano Giovanni, 263 n Lanfranco Giovanni, 163, 164, 164 n, 165, 165 n, 168, 169, 170, 171, 172, 173, 175, 184, 188, 189, 192, 203 Langlois Jérome Martin, 178 Lankhorst Otto S., 154, 154 n Lantoni Bernardino, 351 Lantoni Giacomo, 351 Lantoni, famiglia, 351 Lapi Domenico, 251, 252 Lapo da Castiglionchio, il Giovane, 33 Larcher Étienne, 136 n Larousse Pierre, 44 Lascaris Costantino, 33 Lascaris Giano, 34 Latini Antonio, 182, 195 Laurent de Normandie, 139 Laurenzi Alamanno, 200 Lavenia Vincenzo, 316 n Lavezaris Guido, 272 n Lazaro da Salò, 272 n Le Jeune Jean, 199 Le Pelletier Jacques, 199 Le Ray Eric, 43 n

378

indice dei nomi

Le Roux Jean, 109 n Le Roux Nicholas, 109 n Le Roy Guillaume, 46, 49 Le Roy Nicolas, 146 Ledda Alessandro, 233 n, 244 n Lefevre Raoul, 93 Leggi Serafino, 197 Legnano Bernardino, 261 Legnano Giovanni Antonio, 260 Legnano Giovanni Giacomo, 261 Legnano Giovanni, 261 Lehmann-Haupt Hellmut, 57 Leonardi Camillo, 225 Leonardi L., 229 n Leoni Giovanni Domenico, 201 Leopoldo I, 199 Leporeo Lodovico, 314 Lepreux Georges, 147 n, 148 n Leprince de Beaumont, Jeanne-Marie, 158, 159 Lesage Claire, 153 n Lessis Battista de, 272 n Letget Gaspar, 105 n Lettou Johannes, 96, 97 Levi della Vida Giorgio, 276 n Levi Giovanni, 18 n Levy Michel, 44 Leye Geraert van der vedi Gerardo da Lisa Libanti Paolo, 215, 216 n Liberatore Stefania, 289 Libri Bartolomeo de’, 237 Libri Sigismondo, 252 Lichtenberger Jean-Frederic, 45, 45 n Liguoro Ottavio, 196 Lila Bartolomé de, 119, 125 Linden Johannes Antonides van der, 272 n Linis Guglielmo de, 300 Lipari Giuseppe, 2, 3, 4, 6, 9, 10, 289, 319, 323 n, 327 n, 328 n, 329 n, 330 n Lippa Mattei Pietro, 198 Loe Enrique, 111 n Loe Hendrik van der vedi Loe Enrique Loe Leonardo, 111 n Lombardi Giovanni, 329 n Lombardi Giuseppe, 311 n Lombardo Basilio, 329 Longhi Giuseppe, 310 Longis Andrea de, 272 n Longo, famiglia, 330

Lop Otín Maria José, 119 n López Ana, 113 n, 118 n, 127 n López de Hoyos Juan, 293 López de Tolosa Miguel, 102 n López-Vidriero Maria Luisa, 115 n Lorini Niccolò, 242 Loschi Antonio, 27, 29 Losi Carlo, 172 n Loslein Peter, 73 Lowry Martin, 48 n, 72 n, 263 n Lubrani Giacomo, 199 Luca Carlo Francesco de’, 202 Lucantonio Fiorentino vedi Uberti Lucantonio degli Lucchetta Giacomo, 335 n Lucena Juan de, 123, 123 n, 130 Luchet Auguste, 45 Lucrezio Caro, Tito, 354 Ludwig Karl -Heinz, 19 n Lugano Placido, 241 n, 242 n Luigia Daniela, 274 n Luis de Granada, 324, 324 n Luis de los Ángeles, 111 n Lupardi Bartolomeo, 310, 316 Luschner Juan, 102 n, 108 n, 110 n Lutero Martin, 51, 63 Luther Martin vedi Lutero Martin Luzi Alfredo, 317 n Luzzatto Sergio, 241 n Lydgate John, 94

Macchiarelli Filippo Maria, 195

Macé Bonhomme, 137 Macé Jehan, 136, 136 n Macé Ricard, 136, 136 n Machet Anne, 152 n Machlinia William de, 96, 97 Macrì Nicola, 327 n, 329 n Macri Paolo, 20 n Madi Francesco de’, 342 Madurell Marimón José María, 101 n Mafezzoli Valeria, 290 Maffei Sonia, 306 n Maffettone Girolamo, 199 Magalotti Lorenzo, 315 Maggi Francesco, 260 Magliani Mariella, 290 Magliar Andrea, 165, 167, 167 n, 169, 171, 184, 190, 191, 192, 194

indice dei nomi Magliar Gaetano, 164, 184 Magliar Giuseppe, 164, 184, 190 Maia Giovanni Stefano, 196 Maillard Jean-François, 147 n Maimon Zanete Abraham, 103 n Mainardi Roberto, 245 n Mainoni Patrizia, 269 n, 275 n Mairesse, famiglia, 156 Maittaire Denis, 40 n Majorana Giuseppe, 327 n, 328 n Makeler Hendrik, 81, 81 n Malabarba Giovanni Ambrogio, 263 Malacreo Giovanni Giacomo, 272 n Maler Bernhard, 73 Maler Hilfe von, 73 Malerbi Niccolò, 72, 235 Malermi Niccolò vedi Malerbi Niccolò Malesherbes Chretien Guillaume Lamoignon de, 154, 154 n, 155 n Malo Pablo, 109 n Malo Pedro, 105 n, 109 n, 111 n Malory Thomas, 94 Malpigli Annibale, 252 Maltezou Chryssa A., 181 n Mamachi Tommaso Maria, 160 Manelfi Giovanni, 310 Manelfi Manelfo, 314 Manfredi Antonio, 28 n Manfron Anna, 210 n, 289, 301 n Mangano Marco, 199, 200 Mannarino C. A., 185 Mannelli Domenico Tommaso, 200 Manolesso Francesco, 310, 314 Mansi Maria Gabriella, 289 Mantegna Andrea, 353 Manthen Giovanni vedi Manthen Johann Manthen Johann, 72, 262, 264, 335 Manthen Zuan vedi Manthen Johann Manuce Alde vedi Manuzio Aldo Manuce Paul vedi Manuzio Paolo Manuzio Aldo, 40, 41, 261, 334, 346, 350, 358 Manuzio Aldo, il Giovane, 357 Manuzio Paolo, 41, 311 Manuzio, famiglia, 317 Manzolo Michele, 356 Marangoni Michela, 29 n Maratta Carlo, 176 Marazzi Antonio, 268

379

Marcattili Romina, 289 Marcelli Nicoletta, 30 n Marchand Prosper, 39, 39 n Marchese Annibale, 192, 196 Marchese D. M., 184 Marchesi Pietro, 274 n Marchetti Ada Gigli, 47 n, 216 n Marchi Gian Paolo, 352 n Marciani Corrado, 300 n, 326 n Marciano Giovanni, 194 Mardersteig Giovanni, 344 n, 353 n Marescotti Galeazzo, 200 Marescotti, famiglia, 276 n Marestz Jean des, 145 n Margaret of York, 93 Marìa Carolina d’Asburgo-Lorena, regina di Napoli, 158 Maria Luigia di Spagna, 195 Mariani Nicolò, 303 Mariani Paolo, 200 Marichal Robert, 48 n Marinelli Giovanni, 337 n Marinelli Lucia, 289 Maringo Domenico, 330 Marini Paolo, 276 n Marino Giambattista, 197, 200 Marinoni Hippolyte Auguste, 43 Mariti Luciano, 308 n Marletta Fedele, 328 n Marnef, famiglia, 136 Maron Francesco, 226 Marotta Nicola Antonio, 172 n, 185 Marsá Vila María, 128 n Marsi Pietro, 28 Martelli Mario, 29 n Martellini Sebastiano, 304, 314 Martin Henri-Jean, 42, 42 n, 45, 45 n, 46 n, 47, 50, 51 n, 140 n, 249, 299, 299 n, 300 n Martin Moisè, 272 n Martín Pompeyo, 120 n Martinelli Pietro, 303, 310 Martinelli Simone, 310 Martínez Antonio, 123, 130 Martínez de Osma Pedro, 121 Martínez García, 110 n Martínez Martín, 112 n Martínez Ruiz Juan, 113 n Martini Giuseppe Sergio, 272 n Martini Thomas, 195, 196

380

indice dei nomi

Martino V, papa, 27, 27 n, 29 Marzi Demetrio, 319 n Marzio Galeotto, 32 Marzo Magno Alessandro, 336 n Masaniello vedi Aniello Tomaso Mascardi Vitale, 307 Masci Giovanni Domenico, 303, 303 n Mascilli Migliorini Luigi, 216 n Masetti Zannini Gian Ludovico, 305 n, 311 n Massa Eugenio, 241 n Massa Giacinto, 210, 211, 212, 213, 213 n Massa Marco Aurelio, 201 Massacra Angelo, 20 n Massimiliano d’Asburgo, 336 Mastelloni Andrea, 182, 195, 196, 202 Mastrullo A., 186 Mateu Ibars Josefina, 101 n Mathias Antonio vedi Mathie Antonio Mathie Antonio, 274, 291 Mathorez Jules, 42 n Matilde di Canossa, contessa, 247 Matini Piero, 168 n, 202 Mattei Giacomo, 202 Matteo di Santo Stefano, 193 Matthiae Antonius, 269 n Matthieu Pierre, 309 Mátyus Norbert, 237 n Maué Hermann, 84 n Maufer Pierre, 237, 238, 251, 344 n, 353, 357 Maufer Pietro vedi Maufer Pierre Maurolico Francesco, 326 Mayda Antonio, 321, 323 Mayda Giovan Matteo, 323 Mayda, famiglia, 325 Mayer Henri, 121, 128 Maynyal Georges, 97 Mayr Sigismondo, 292 Mazal Otto, 57 n, 74 n Mazza Antonio, 191, 200 Mazzacara Tommaso, 196 Mazzariol Giuseppe, 338 n Mazzola Ludovica, 307 n Mazzoleni Carla, 234 n McIntyre Frank, 78 n Mechter Paul, 70 Medici Giovanni de’, 223 Medici Lorenzo de’, 20 n, 30 n, 216 Medici, famiglia, 22, 23, 223 Medinaceli, Luis Francisco de la Cerda duca di, 195

Meersch P. C. van der, 46 Megalio M., 172 n, 185 Mei Mauro, 299 n Mela Pomponio, 258, 335 Melanensi Antonio, 322 Meli Filippo, 319 n, 321 Mellan Claude, 172, 188, 189 Mellerio Annick, 44 n Mellin Charles, 192 Mellot Jean Dominique, 272 n Ménard Mathurin, 145 n Menato Marco, 271 n, 289, 290, 305 n, 306 n, 312 n, 315 n, 352 n, 355 n Mendoza Díaz-Maroto Francisco, 125 n, 206 Menghini Tommaso, 316 n Menichelli Giacomo, 310 Menis Ilde, 289 Merate Bernardino, 270 n Merchant Luis, 108 n Mercuri Francesco, 306 Merisi Michelangelo (detto il Caravaggio), 163, 173, 174, 177, 178, 189 Merli Giuliano, 259 Merlo Johann Jakob, 64 n Merlo Sergio, 290 Merula Giorgio, 30, 34 Merzario Raoul, 18 n Messina Mauro, 289 Mestrand Thomas, 109 n Mesue Giovanni, 347 Metastasio Pietro, 158 Mettayer Jamet, 147, 147 n, 148 Metzger Marcel, 234 n Meurisse Martin, 139 n Meuthen Erich, 29 n Mey Flandro Juan, 105 n, 106 n, 109 n, 111 n Mey Ian van vedi Mey Flandro Juan Mey Juan Felipe vedi Mey Flandro Juan Mey Pedro Patricio, 106 n, 207 n Meyer Andreas, 32 n Meyer Cornelis, 199 Miceli Jean de, 17 n Michel Paul-Henri, 308 n Michel Suzanne P., 308 n Micheli Pietro Adamo de’, 250, 251 Miglio Massimo, 29 n, 58 n, 67 n, 68 n, 69 n Mignard Pierre, 190 Miguel Pedro, 236

indice dei nomi Milanese Andrea, 272 Millán Agustín, 105 n, 108 n Millán Juan, 105 n, 108 n, 109 n, 113 n Millán Juana, 105 n, 108 n, 109 n, 110 n, 113 n, 114, 114 n Millares Carlo Agustín, 101 n Milone Domenico, 157 Minonzio Donata, 164 n Minturno Antonio, 196 Miotte Fabien, 196, 198 Miotte Pierre, 196, 198 Miotte Sebastian, 178 Miquel Pere, 103 n Miroballo Antonio, 193 Mirza Ibrahim, 285, 286 Miscomini Antonio, 235, 253 Miscomini Giorgio, 253 Miserocchi Andrea, 210 Miserocchi Ludovico, 210 Misinta Bernardino, 355 Misiti Maria Cristina, 249 n, 305 n, 313 n Mitchell C. J., 280 n Modesti Dorotea de’, 292 Moledina Sheza, 48 n Molho Anthony, 302 n Molot Juan, 111 n Molza Francesco Maria, 225 Monaque Antoine, 272 n Mondegai Michele, 196 Mondegliani Anna, 58 n Monfasani John, 32 n Monfrin Jacques, 48 n Monok István, 42 n Montano Cola, 260 Montecchi Giorgio, 1, 3, 6, 235 n, 244 n, 245, 246 n, 250 n, 251 n, 289 Montègre Gilles, 155 n, 159, 159 n, 160, 160 n, 161 n Montesquieu, Charles-Louis de Secondat barone di La Brède e di, 160 Monti Agostino, 201 Monti Giacomo, 310 Monti Sertorio, 310 Monti, famiglia, 312 n Montorselli Dionisio, 200 Montorzi Mario, 28 n Montpezat Arnau Guillén de, 105 n, 106 n, 108 n Montpezat Pere de’, 109 n, 110 n

381

Montr’oeil Claude, 147 Moore W. G., 51 n Morabito Francesco, 329 Morandi Bartolomeo, 271 n, 272 n Morandi Gerolamo, 271 n, 272 n Morandi Giovanni Antonio, 271 n Morandi Giovanni Maria, 169, 170, 190 Morandi, famiglia, 271, 272 Moranti Maria, 289 Moravo Mattia, 96, 269, 279 n Moravus Mathias vedi Moravo Mattia Morazzoni Giuseppe, 278 n Mordenti Alessandro, 308 n, 311 n, 312 n, 314 n, 315 n, 316, 316 n, 317 n Moretti Matteo, 251, 252 Moretto Antonio, 351 Mornet Daniel, 41, 41 n Morroni Massimo, 316 n Mosca Felice Carlo, 164 n Moscheni Francesco, 276 Moscheo Rosario, 324 n, 326 n Mosillo Irene Maria Civita, 289 Motta Emilio, 256 n, 257 n, 258 n, 264 n Mouren Raphaële, 51 n, 140 n Moyano Andrés Isabel, 128 Mueller Reinhold C., 281 n, 338 n, 340 n Müller Heribert, 31 n Müller Johannes, 66, 73 Mummendey Richard, 73 n Munchen Michael von, 269 n Muratori Ludovico Antonio, 158 Mutini Claudio, 300 Muzio Gennaro, 166 Muzio Girolamo, 270 Muzio Michele Luigi, 191 Muzio, famiglia, 180 n Muzzarelli Maria Grazia, 301 n

N

accarini Marco, 313 Nadler Robert, 267 n Nájera Bartolomé de, 109 n, 110 n, 111 n Nájera Esteban de, 109 n Nardini Stefano, cardinale, 28 Nardino Orazio, 182 Nassichuk John, 136 n Natale Vincenzo, 327 n, 328 n Nauert Charles G., 31 n Navarro Bonilla Diego, 102 n Navarro Cristóbal padre, 112 n

382

indice dei nomi

Navarro Juan, 105 n, 108 n Nazianzieno Gregorio, 210 Nebrija Elio Antonio de, 128, 295 Needham Paul, 57 n, 78 n, 89 n, 90 n, 95 n Negri Giovanni Battista, 276 n Negri Luchino, 247 n Negro Juan Bautista de, 102 n Nenna Emilia, 312 n Nespoli Eleonora, 219 n Netchine Ève, 153 n Neumeister Johann, 50, 70, 300 Neville-Sington P., 90 n Niccolò V, papa, 28, 32, 34 Nickson Margaret, 89 n Nicolaus von Lyra, 61 Nicolini da Sabbio Stefano, 355 Nicolini da Sabbio, famiglia, 351 Nicolò de’ Conti, 335 Nieto Philippe, 47 n, 136 n Nikolaus von Kues, 58, 69 Nitti Francesco Saverio, 268 n Nodier Charles, 40, 41, 41 n Noletti Vincenzo, 193 Norton Frederick J., 269 Nostradamus vedi Nostredame Michel de, 146, 146 n Nostredame Michel de, 146, 146 n Nova Giuseppe, 271 n, 277 n, 321 n, 325 n, 326 n, 327 n, 329 n Novati Francesco, 310 n Novelli Pietro, 192 Novello Sebastiano, 356 Numai Cristoforo da Forlì, cardinale, 24 n Numeister Johannes, 70, 286 Nuovo Angela, 264 n, 270 n, 281 n, 301 n, 335 n, 342 n, 346 n, 349 n, 350 n, 351 n Nuremberg Juan, 117 Nuzzo Enrico, 268 n

O

driozola Antonio, 117, 115, 122, 122 n Oliva Gaetano, 320 n, 327 n, 329 n Olivino da Bruges, 320 Olmi Ermanno, 245 Olmutz Matthias von, 269 n Olschki Alessandro, 43 n Olschki Leo Samuel, 43 Omodeo Anna, 164 n, 170 n Onate Benigno, 262 Onate Giovanni Antonio, 262

Onjolet Juan, 110 n Orazi Andrea, 200 Orlandi Angelo, 328 Orlando Mariangela, 289 Orlando Pietro Paolo, 314 Orsini Paolo Giordano, 303 Orsini Vincenzo, 199 Orsini Virginio, 303 Orsini, famiglia, 302 Ortuheny Lorenç, 110 n Osmont Jean-Baptiste, 41 Ostolaza Elizondo María Isabel, 127 n Oswald Johann, 238 Ottobòni Pietro, cardinale 199 Ottone Andrea, 281

Pablo de Colonia vedi Paulo de Colonia

Pablo de Santa María, 120 n Pacichelli Giovan Battista, 201, 203 Pacioli Luca, 343 n Pade Marianne, 34 n Padovano Giovanni, 228 Pagani Anton-Giuseppe, 168 Paganini Alessandro, 350 Paganini Carlo, 256 Paganini, famiglia, 349, 350 Paganini Paganino, 343 n Pagano Paola, 289 Paglia Ludovico, 198 Paisey David L., 42 n Paladino Leonarda Maria, 328 Palagiano Cosimo, 1, 3, 5, 13 Palamolla Giovanni Giacomo, 197 Palazzolo Maria Iolanda, 216 n Palidda Salvatore, 268 Pallarés Jiménez Miguel Ángel, 101 n, 121 n Pallarés Miguel Ángel vedi Pallarés Jiménez Miguel Ángel Pallavicino Battista, 247 Pallavicino, famiglia, 248 Pallier Denis, 138 n Pallotta Carlo, 309 Pallotta Giovanni Battista, 309, 315 Palmart Lamberto, 104 n, 108 n, 110 n Palmer Rodney, 164 n, 167 n, 174 n, 175 n Palmieri Antonio, 191, 198 Palmieri Mattia, 28 n Palumbo Antonia, 196 Pamphili Benedetto, cardinale, 200, 308

indice dei nomi Pamuk Orhan, 285, 285 n, 286 Panckoucke Charles-Joseph, 44, 54 Panfilo Eusebio, 347 Panigarola Angelo, 261 n Panigarola Gaspare, 261 n Panigarola Luigi, 261 n Panigarola Paolo, 261 n Pannain Alberta Bertone, 307 n Pannartz Arnold, 66, 67, 68, 69, 70, 76, 120, 174 n, 256, 286, 301, 319 Panormita Antonio, 29, 31, 33 Panormitanus Nikolaus, 62 Pantaleon Heinrich, 55 Pantzer K. F., 92 n Panzer Georg Wolfgang, 40, 260, 260 n Paoli Giovanni, 349 Paolini Stefano, 306 Paolo III, papa, 24 n Paolo V, papa, 171, 188, 314 Papis Giuseppe, 195 Paravicini Giuseppe, 202 Pardi Giuseppe, 247 n Parinet Elisabeth, 152 n Párix Juan, 110 n, 118, 120, 120 n, 121, 121 n, 122, 130 Parodi Elisa, 155 n, 158 n, 159 n Parolotto Alessia, 289, 290 Parrino Domenico Antonio, 195 Partenio Giannettasio Nicola, 165, 190, 191, 192, 196 Paschal Robin du Faux, 145 n Pasini Maffeo, 224, 225 Pasquale G., 185 Pasquali Pellegrino, 253 Pasta Antonino, 321, 323 Pasta Giovanni, 321 Pasta Renato, 43 n, 151 n, 152 n, 155 n, 160 n Pastena Carlo, 319 n, 321 n, 323 n, 325 n Pastore Stocchi Manlio, 29 n, 334 n, 335 n, 345 n, 347 n Pastorello Ester, 260 n, 347 n Pastori Elena, 290 Patavino Martino, 323 Paulo de Colonia, 117, 124 Paveri Fontana Gabriele, 258, 258 n Pavone Mario Alberto, 176 n, 177 n Pavoni Giuseppe, 271 Pecere Oronzo, 28 n Pedani Maria Pia, 339 n

383

Pederzano, famiglia, 323 Pedraza Pilar, 207 n Pedraza-Gracía Manuel-José, 1, 3, 6, 75, 75 n, 101, 101 n, 102 n, 113 n, 236 n, 239 n, 244 n Pedro d’Ixar, 102 n Pedullà Gabriele, 241 n Pegas Manuel Alvares, 200 Pegnitzer Juan, 119, 124, 124 n Pegolo Lorenzo, 323, 325 Peignot Gabriel, 41 Pelagallo Vincenzo, 323 Pellegrino Daniela, 312 n Pellis Ugo, 280 n Pelucani Claudio, 32 n Pelusi Simonetta, 334 n, 335 n Peña Díaz Manuel, 206 n Penant de Saunaya Antonio, 116 Penzi Giacomo, 239 Perani Mauro, 301 n Perapin Arnau, 111 n Percaccino Grazioso, 351 Perciminei Claudio, 291, 316 Peresi Francesco, 173 Pérez de Narbona Domingo, 111 n Pérez de Pomar Francisco, 102 n Pérez de Valdivielso Juan, 105 n Pérez Miguel, 108 n Pérez Sánchez Alfonso E., 179 n Periccioli F., 185 Perier François, 189 Perrey Nicolas, 178, 186 Perroni Grande Ludovico, 320 n, 321 n, 322 n Persico O., 183 Persio Flacco, Aulo, 251 Persyn Reiner van, 178, 186 Peruzzi Marcella, 31 n Pescasio Luigi, 250 n, 353 n Pesenti Giuliano, 228 n Pesenti Tiziana, 289, 306 n, 347 n, 356 n, 357 n Petit Jean, 49, 107 n, 108 n Petit Joan vedi Petit Jean Petrarca Francesco, 30, 32, 35, 62, 72 Petrella Giancarlo, 224 n, 225, 226 n, 233 n, 243 n, 244 n, 289, 354 n Petrini Paolo, 190, 191, 195 Petronio Francesco, 328 Petrucci Armando, 299 n Petrucci Nardelli Franca, 303 n, 305 n, 309 n Petrucci Pier Matteo, 316

384

indice dei nomi

Petrucciani Alberto, 158 n Pettas William A., 235 n, 281 n Pettegree Andrew, 135 n Petti Balbi G., 270 n Pettoello Alberta, 278 n, 289 Peyrusse Antoine de, 146 n Peysson Cécile, 109 n Pezzana Nicolò, 310 Pezzoni Giovan Pietro, 350 Philippi Nicolaus, 50 Pic François, 142 n Pica Fulvia, 195 Piccini Giuseppe, 202, 310 Piccini Isabella, 165 Piccinini Gilberto, 300 n Piccinni Gabriella, 17 n Piccolomini Celio, 200 Piccolomini Enea Silvio, 28, 29, 35, 65, 248, 248 n Piccolomini Niccolò, 200 Picone Michelangelo, 224 n Piermatteo degli Orfini, Emiliano di, 70 Pierno Franco, 243 n Piero Francesco da Faenza, 226 Pierres de Reims vedi Pierres de Rinz Pierres de Rinz, 107 n, 108 n, 111 n, 114 Pietro da Cortona, 168, 169, 173, 175, 176, 188, 189, 201 Pietro da Lucca, 225 Pietro da Portico, 236 Pietro da Treviso, 349 Pignalosa Simona, 289 Pignatta Alessandra, 290 Pignatti Franco, 276 n, 311 n, 312 n Pilati Dalmazio, 314 n Pillinini Stefano, 349 n Pinetti Giacomo, 304, 305, 310 Pinna Mario, 13 n Pintamenan Pierre vedi Pintiaban Pierre Pintiaban Pierre, 111 n Pinto Giovanni, 17 n Pio II, papa, 31, 248 Pio VI, papa, 161 Piola Domenico, 199 Piovan Francesco, 237 n Piranesi Giovanni Battista, 160 Piredda Simona, 289 Pironti Pasquale, 155 n Pisani Baldassarre, 196 Pisarri Antonio, 310

Pius II vedi Pio II, papa, 31, 248 Pizzorusso Giovanni, 16 n, 18 n, 268 n Pla Joan, 103 n Placho Giorgio, 309 Planella Antonio, 257, 257 n Planes Miguel de, 126 Plank Juan, 104 n Plantin Estienne, 138, 296 Plantin, famiglia, 40, 296 Plebani Tiziana, 219 n, 229 n Pluet-Despatin J., 41 n Plutarch vedi Plutarco Plutarco, 65 Pocatela Giacomo, 273 Pocatela, famiglia, 279 n Poirier Guy, 147 n Poleggi Ennio, 281 n Polignac Melchior de, cardinale, 170, 190 Poliziano Angelo, 29, 34 Pollard A. W., 92 n Polono Estanislao, 117, 124, 128, 128 n, 129, 130 Pommeranz Johannes, 77 n, 84 n, 85, 85 n Pompeo Festo, 258 Pontano Giovanni, 32 Ponze de Soto Manuel, 198 Porcacchi Vincenzo, 335 Porfyriou Heleni, 340 n Porral Tomás, 105 n Porras Alonso de, 124, 127 Porras Juan de, 127 Porro Pietro Paolo, 270, 270 n, 275 Portau Thomas, 143, 144 Portela María José, 116 n, 117 n Portilia Andrea, 252 Portillo Sebastián, 111 n Portonariis Domingo de, 106 n, 108 n, 111 n Portugués Rodrigo, 114 n Posa Pere, 103 n, 105 n Poussin Nicolas, 173, 189, 192, 201 Pozza Neri, 347 Pozzo Cesare, 276 Praët Joseph-Basile-Bernard van, 279 n Prato F. M., 187 Prato Giancarlo, 30 n, Prats Miquel, 106 n Preti Mattia, 163, 165, 165 n, 169, 177, 179, 189, 191 Prezzolini Giuseppe, 268 n

indice dei nomi Probin Juan, 111 n Procaccioli Paolo, 306 n Prodi Paolo, 302 n Puerto Alfonso del, 123, 130 Puget de la Serre Jean, 157 Puglia Enzo, 179 n Puglisi Carmen, 289 Pulcini Giovanni Battista, 357 Puncuh Dino, 270 n Pusterla Gedeone, 257 n Putelleto Antonio, 355 Pynson Richard, 98, 99

Q

uaquarelli Leonardo, 252 n Quarenghi Pietro, 233 Quartarone Giovanna, 289 Quattromani Sertorio, 193 Quercetti Domenico Antonio, 317 Queuquelair Giovanni Francesco, 180, 186, 195, 196 Queval Élisabeth, 272 n Quondam Amedeo, 31 n, 212 n

Rábade Pilar, 118 n

Rabier Louis, 140, 140 n, 141, 142, 142 n, 143, 143 n, 145, 146, 148, 149 Radassao Luigi, 243 n Raffaello Sanzio, 169, 170, 175, 188 Ragone Giovanni, 342 n Raillard Giacomo, 166, 167, 180, 188, 190, 193, 195, 203 Raimondi Giovanni Francesco, 201 Rainaldi Girolamo, 189 Rampalle Jean Antoine, 201 Ranuccio I, duca di Parma, 303 Rao Anna Maria, 155 n, 158 n, 164 n Rapelli Giovanni, 336 n Raponi Nicola, 240 n Ratdolt Erhard, 73, 73 n, 74, 248, 335 n Rauchfas Giovanni, 261 Rautenberg Ursula, 1, 3, 6, 77, 77 n, 79 n, 81 n Ravagnan Paolo, 355 Ravenswalde William, 96 Raymond Paul, 141 n, 143 n Razzi Silvano, 242 Reale Carmela, 9, 10, 289 Rebecchini Guido, 250 n Recaldini Giovanni, 310 Recupito Giulio Cesare, 172 n, 186

385

Redgrave G. R., 92 n Redi Francesco, 203 Reeve Michael D., 28 n Regi D., 183 Regio Paolo, 291 Regnier Pierre, 105 n Regoliosi Mariangela, 27 n, 33 n Reich Philipp Erasmus, 86 Reinsart Theodore, 138, 138 n, 139 Reinwald, famiglia, 43 Relin Pierre, 111 n Renaudet Augustin, 41, 41 n Rendtel Constanze, 32 n Reni Guido, 170, 178, 188, 189 Renner Francesco, 238, 255 Renner Franciscus vedi Renner Francesco Renouard Antoine Augustin, 41 n, 45 n Renouard Philippe, 136 n, 140 n Repici Giuseppe, 319 n Resch Conrad, 49, 50, 51 Resines Llorente Luis, 119 n Reske Christoph, 42, 42 n, 46, 46 n, 73, 73 n, 74, 82 n Resta Gianvito, 30 n, 31 n, 33, 33 n, 320 n, 321 n, 322 n, 323 n, 325 n, 326 n Restif de la Bretonne, 44 Retesvies Juan de, 111 n Reyes Gomez Fermín de los, 1, 3, 6, 75, 115, 115 n, 116 n, 118 n, 120 n, 122 n, 123 n, 124 n, 128 n Rhenanus Beatus, 270 n Rhodes Dennis Everard, 225 n, 226 n, 236 n, 237 n, 250 n, 272 n, 306 n, 307 n, 312 n, 352 n, 353 n Rial Costas Benito, 135 n Ribera Francí, 239 Ribera Jusepe de, 163, 164, 164 n, 165, 169, 170, 173, 176, 178, 186, 189, 192 Ricca Alfonso, 289 Riccardi Francesco, 189 Riccardi Gregorio, 225 Riccardo da Fagnano, 242 Ricciardo Francesco, 168 n Richel Bernhard, 48, 52, 62, 79, 80, 82 Richer Jean, 147 Richet Denis, 40 n Ricker Georg, 320 Ridwan Ibn, 272 n Riessinger Sixtus, 174 n, 286 Righettini Angelo, 357

386

indice dei nomi

Righettini Aurelio, 357 Rihel Bernhard vedi Richel Bernhard Rinaldo da Nimega, 322 Rinalducci Demostene, 220 Ripa Cesare, 306 Risicato Francesco, 243 n Riva Franco, 352 n, 353 n Rivalan-Guégo Christine, 206 n Rivali Luca, 238 n, 244 n, 290, 351 n Rizzo Silvia, 27 n, 28 n Rober Antón de, 110 n Roberto da Fano, 300 Robin Diana, 30 n Robles Diego, 106 n Robles, famiglia, 105 n Robles Lorenzo, 106 n, 108 n, 111 n Robles Pedro de, 106 n Roca Lope de la, 104 n, 109 n, 110 n Rocca G., 187 Rococciola Domenico, 251 Rodas Juan de, 111 n Rodella Francesco, 327, 329 Rodrigo Zarzosa Carmen, 206 n Rodrigues Denis, 206 n Rodríguez de la Pasera Gonzalo, 127 Rodríguez-Moñino Antonio, 125 n Roggero Marina, 219 n Rogledi Manni Teresa, 260 n, 270 n Rojas B. de, 182 Rojas José de, 118 n Rolandello Francesco, 356 Roldán A., 128 n Rolevinck Werner, 65 Roll Johannes, 71 n Rolleri Tiziana, 278 n Roma Marco, 236, 258 n, 259, 260 Romanelli Giandomenico, 338 n Romanelli Giovan Francesco, 172, 189 Romani Valentino, 307 n, 317 n, 347 n Romano Fiorella, 289 Romeo Danilo, 268 n Romero de Lecea Carlos, 122 n Romualdo, santo, 196, 236, 242 Roncagliolo Giovanni Domenico, 172, 172 n Rondot Natalis, 46 n Ros A. D. de, Rosa Salvator, 164 n, 171, 174, 175, 184, 201 Roselli Domenico, 195 Roselli Giuseppe, 193, 195

Rosembach Juan, 104 n, 109 n, 110 n Rosenhayer Wendelin, 105 n Roseo Nicolás, 114, 114 n Rosignolis Gasparo de, 272 n, 292 Rospigliosi, famiglia, 308 Rospin vedi Duel Bautista Rossi de’, famiglia, 175 n Rossi Filippo de’, 197 Rossi Giacomo de’, 199 Rossi Gian Giacomo de’, 199, 200 Rossi Giovan Battista, 234 Rossi Giovanni, 291, 328 Rossi Giuseppe de’, 172 n Rossi Gregorio de’, 169 n Rossi Roberto de’, 34 Rossi Vittorio, 224 n Rossini Giuseppe, 227 n Rossini O., 58 n Rosso Giovanni, 357 Roth Iohann, 29 Rouse Mary A., 44 n, 347 n Rouse Richard H., 44 n, 347 n Rousseau Jacques, 144, 144 n, 145, 146, 148, 149 Rouzet Anne, 46, 46 n Rozzo Ugo, 232 n, 300 n, 304 n Rubens Peter Paul, 169, 279 Rubini Luisa, 224 n Rubini Picone, 224 Rubió y Balaguer Jorge, 101 n Rueda Garcia de, 117, 128 Ruffinelli Venturino, 224, 225, 226, 226 n Ruffini Graziano, 289 Ruggeri Ugo, 248 n, 252, 253 Ruggeri, famiglia, 252 Ruiz de Vergara Francisco, 118 n Ruiz Elisa, 116 n Ruiz María, 294 Ruppel Aloys, 55 n, 57 n, 60 n, Ruppel Bernhard, 80 Ruppel Berthold, 57, 61, 62, 63, 79 Ruppel Bertold vedi Ruppel Berthold Rusconi Giorgio, 260 Rusconi Roberto, 300 n Russo Emilio, 28 n Russo Giovan Battista, 329 Russo Saverio, 20 n Ruzzoli Giovanni Antonio, 303, 303 n Rychner Jacques, 152 n, 154 n

indice dei nomi

Sabbadini Remigio, 30 n

Sabino Angelo, 34 Sacchi Andrea, 188, 189 Sacco Giovanni Giacomo, 226 Sada Dionigi Ottaviano, 197 Sajonia Nicolás de, 118 Salelles Sebastian, 197 Salgaro Silvino, 335 n Salinas Antoni vedi Saliner Antoni Saliner Antoni, 111 n Salvioni Francesco, 308 Salvioni Giovanni, 311 Salvioni Girolamo, 308 Salvioni Maffio, 313 Salvioni Marco, 308, 314 Salvioni Pietro, 308, 310 Salvioni, famiglia, 308, 312, 312 n, 316 Salzburg Rosa, 219 n Sambin Paolo, 30 n Sampieri Teresa, 311 n Sampsó Argués Narcís, 111 n San Vicente Ángel vedi San Vicente Pino Ángel San Vicente Pino Ángel, 101 n, 102 n Sanahuja Pere, 101 n Sánchez Clemente, 129 Sánchez de Cantalapiedra Diego, 124, 127 Sánchez de Ezpeleta Pedro, 109 n, 111 n Sánchez Martín, 113 n Sandal Ennio, 234 n, 251 n, 252 n, 271 n, 290, 301 n, 305 n, 326 n, 345 n, 351 n, 355 n Sandrart Ioachim von, 172 Sanfelice Ferdinando, 177 Sanfilippo Matteo, 17 n, 268 n, 272 n Sannazzaro Iacopo, 239 Santoncini Gabriella, 302 n Santoni Michele, 310 n Santoro Marco, 1, 2, 3, 5, 6, 9, 71 n, 118 n, 158 n, 164 n, 244 n, 285, 299 n, 300 n, 308 n, 319 n, 320 n Santorusso Giovanni, 272 n Sanudo Marin, 343, 343 n Sanvitale Francesco de, 272 n Sapio Francisco, 110 n Sarnelli Pompeo, 185, 186, 193, 196, 202 Sartirana Cristoforo, 255 Sartirana Gabriele, 255 Sartori Alessandro, 317

387

Sartori Cesare, 317 Sartori Federico, 317 Sartori Michele Arcangelo, 317 Sartori Orietta, 303 n Sartori Pietro Paolo, 317 Sartori, famiglia, 317 Savelli Cesarini Margherita, 314 Savioni Marchesino, 260 Savoia Eugenio di, 171, 190, 191, 194 Savoia, famiglia, 20 n, 23 n, 272 Sayce Richard Anthony, 280, 280 n Scaccioppa Cesare, 308, 310, 313, 314 Scaccioppa Giovanni Paolo, 314 Scaccioppa Lucrezia, 314 Scaccioppa Massenzio, 314 Scaccioppa Ottavia, 314 Scaccioppa Stefano, 291 Scaglione Pietro, 328 Scaniglia Pietro, 274 n, 280 n Scapecchi Piero, 247, 247 n, 253 n, 290, 347 n, 353 n Scarampo Ludovico, 32 n Scardilli Pietro, 289 Schabeler Johann, 49, 49 n, 50 Schade Johann, 320 Schartl Reinhard, 56 n Scherf Ferdinand, 58 n Schettino Pirro, 198 Schiera Pierangelo, 302 n Schilling Johann, 65 Schizzerotto Giancarlo, 250 n, 353 n Schlaepfer Heidi-Lucie, 139 n Schlup Michel, 152 n, 154 n Schmidthofer Johannes, 82 Schneider Cornelia, 50 n, 57 n, 66 Schnyder André, 79 n Schoffer Peter, 55, 57, 57 n, 58, 64, 77 Scholderer Victor, 135 n Schomberger Wilhem, 320 Schor Cristoforo, 178, 186 Schor Filippo, 170, 178, 187 Schor Hans, 194 Schor Johann Paul, 178 Schor, famiglia, 194 Schorbach Karl, 56 n, 63 n Schreiner Peter, 31 n, 334 n Schulz Jürgen, 338 n Schulz Knut, 66 n Schürmann Brigitte, 83, 83 n

388

indice dei nomi

Schutz Friedrich, 58 n, 67 Schwab vedi Clein Johann Schweighauser J. G., 45 n Sclaffenati Giovanni Giacomo, 28 Scorbiac Guichard de, 141, 141 n, 142 Scoriggio Lazzaro, 172, 172 n Scoto Amedeo, 272 n Scoto, famiglia, 272 n, 343 Scotti Brandano, 261 Scotti Orazio, 170, 187, 188 Scotti Ottaviano, 261 Scotto Giovanni Maria, 323 Scrima Elena, 289 Scudéry Madeleine de, 197 Sedelmayr Jakob, 192 Segneri Domenico, 197 Segneri P., 183 Segura Bartolomé, 123, 130 Sepeteferro Mateu vedi Spesaferro Mateu Serafini Giovan Battista, 315 Serafini Paolo, 315 Serafini, famiglia, 316 Serrai Alfredo, 243 n Serrano y Morales José Enrique, 206 n Serrano y Sanz Manuel, 123 n, 206 n Serrat Juan, 111 n Sersale Diego, 312 Servello Maria Rosaria, 289 Servin Louis, 147 n Sesma Muñoz José Antonio, 104 n Sessa Giovanni Battista, 260, 261 Sessa Marchiò, 351 Sesti D., 187 Sestini Valentina, 158 n, 289, 299 n Severino Marco Aurelio, 193 Seydel Jacobo, 114 n Sforza Francesco, 20 n Sforza Galeazzo Maria, 256, 258, 263, 265 Sforza, famiglia, 30 n, 256, 273 Sforzino Lorenzo, 308 Sicola Sigismondo, 194 Sidwell Keith, 35 n Siebenburger Thomas, 251, 251 n Siglo Juan, 105 n Signorini Rodolfo, 250 n Siliprandi Domenico, 291 Silos Giuseppe, 184, 201 Silvatico Matteo, 251 Simão de Vasconcellos, 200

Simeone da Perugia, 242 Simón Francisco, 112 n, 113 n Simone da Napoli, 199 Simonelli Giuseppe, 195 Simonetta Giovanni Giacomo, 262 Simonetta Giovanni Maria, 258, 276, 276 n, 290 Simonetta Simone, 276 n Simonino a Trento, 356 Sinisi Agnese, 20 n Sisti Andrea, 275 n Sisto IV, papa, 28 Sivazlyan Baykar, 334 n Soardi Lazzaro, 272, 272 n Soffietti Ignazio, 156 Sol i Clot Romà, 101 n Solano de Figueroa J., 118 n Solenni Giovanni Leonardo, 262 Soler Juan, 105 n, 111 n, 112 n, 113 n Solimena Francesco, 163, 165, 165 n, 166, 167, 167 n, 171, 172, 173, 176, 177, 184, 190, 191, 194, 195, 196, 200, 203 Somasco Giacomo Antonio, 282 Somasco Giovanni Battista Jr., 281, 282, 282 n Somasco Giovanni Battista, 280 n Somasco Giulio, 282 Somasco Lodovico, 282 Somasco Siro, 282 n Somasco Sisto Jr., 281 Somasco Vincenzo, 281, 282 Somasco, famiglia, 273, 281, 282 Sommariva Giorgio, 356 Soncino Gershom, 300 Sorbelli Albano, 252 n Sordelli Locatelli Rossana, 257 n Sotes Melchor, 112 n Sottili Agostino, 29, 29 n, 31 n Spadaro Micco, 189 Speier Johann vedi Giovanni da Spira Speier Wendelin vedi Vindelino da Spira Speranzi David, 30 n, 34 n Sperelli Alessandro, 202 Spesaferro Mateu, 111 n Speyer Bruder Johann, 72 Speyer Hans von, 71 Speyer Johann von vedi Giovanni da Spira Speyer Wendelin von vedi Vindelino da Spira Spina Giovanni Francesco, 315 Spinazzola Magherita, 89 n

indice dei nomi Spindeler Nicolás, 104 n Spinola Giovanni Battista, 199 Spinola, famiglia, 275 Spinosa Nicola, 179 n Spira Giorgio, 321 Spira Pietro, 321 Sprenger Kai-Michael, 58 n, 69 n Spucces Giuseppe, 192 Squassi Giovanni, 258, 259 Squassi Melchione, 258 Stagnino Bernardino, 349 Stampone Cristoforo, 226 Stanzione Massimo, 169, 192 Starrabba Raffaele, 321 n Stecchi Giovanni Battista, 168 n Stefano da Melzo, 255 Stehlin Karl, 79 Stellini Tintori Giovanni Francesco, 251, 251 n, 252 Stephanus de Moguntia, 70 Stevanoni Cristina, 355 n Stevens Kevin M., 234 n, 240 n, 281 n Stock Franz, 74 Stracuzzi Rosaria, 322 n Stringario Giorgio, 310, 312 Stringario Girolamo, 310, 311, 312 Stringario, famiglia, 312 Strozzi Girolamo, 346 Strozzi Tommaso, 187, 194 Suisca Ans, 110 n Sutermeister Guido, 261 n Sweynheim Konrad, 66, 67, 68, 69, 70, 76, 286 Swierk Alfred, 72 n Syber Johann, 49

Tahmasp di Persia, 285

Taisnier Jean, 323 Talavera Hernando de, 115, 118 n, 119, 124, 126, Tallian Pietro, 201 Tamani Giuliano, 290, 301 n Tamerlano, 285 Tammaro Conti Lucia, 307 n Tanara Vincenzo, 197 Tanucci Bernardo, 158 Targhetta Fabio, 215 n Tartagni Alessandro, 252 Tarzia Fabio, 155, 159, 160 n

389

Tasso Torquato, 196 Tassoni Giuseppe, 184 Tauleri Bonaventura, 186, 191, 192 Tavano Ángelo, 105 n Tavoni Maria Gioia, 1, 3, 6, 9, 154 n, 205, 210 n, 211 n, 214 n, 304 n Tavoni Mirko, 334 Tedesco Alessandro, 236 n Tedesco Giovanni Paolo vedi Schor Johann Paul Tedesco Paolo vedi Schor Johann Paul Téllez Antonio, 125 Tenenti Alberto, 274 n, 326 n Tentori Paola, 70 n Terentius vedi Terenzio, Afro Publio Terenzio, Afro Publio, 50 n Terralavoro Matteo, 182, 202 Terzago Biagio, 258 n, 259 Terzago Giovanni Antonio, 258 n, 259 Teti Girolamo, 175 Thadden Rudof von, 46 n Theodericus Rood de Colonia, 95 Thèvenin, 173, 190 Thiboust Benoît, 175, 178, 187, 190 Thomas Andreu, 111 n Thomas von Aquin vedi Tommaso d’Aquino, santo Thorwaldsen Bertel, 45 Thouvenot Jacques, 180, 187 Tiemann Barbara, 77 n Tini Michele, 240 Tinti Paolo, 289, 290 Tiraboschi Antonio, 280 n Tito Livio, 30, 275 n Titus Livius vedi Tito Livio Tiziano Vecellio, 170 Tiziano vedi Tiziano Vecellio Tola Pasquale, 212 n Tolosa Francesco, 197 Tommaso d’Aquino, principe di Feroleto, 195 Tommaso d’Aquino, santo, 61, 63, 195 Tommaso di Sant’Agostino, 198 Tonizzi Maria Elisabetta, 274 n Toppi Giuseppe, 192, 203 Torchio Girolamo, 234 Toron Michael, 238 n Torquemada Juan de, 68, 69, 71 Torres Antonio, 196

390

indice dei nomi

Torres Carme, 101 n Torres i Graell, Maria del Carme, 101 n Torresani Andrea, 238, 248, 261, 264, 350, 358 Torresano Andrea vedi Torresani Andrea Tortarolo Edoardo, 152 n Tortelli Giovanni, 28, 28 n Toscano Gennaro, 31 n Tosi Clemente, 41, 201 Tovans Pierres, 292 Tozzi Luca, 198 Trapezunzio Giorgio, 32, 32 n Trasselli Carmelo, 325 n Traversari Ambrogio, 30 n, 242 Trebbi Giuseppe, 281 n Trechsel Johann, 50, 50 n, 51 Trechsel, famiglia, 137 Treuttel Jean-Georges, 43, 45 n, 52 Tricou Georges, 48 n Trincher Pere, 104 n Tritèmio Giovanni, 243 Tritheim Johannes vedi Tritèmio Giovanni Trithemius vedi Tritèmio Giovanni Trombatore Fabio, 195, 196 Trombetta Vincenzo, 289, 290 Tromby Benedetto, 189 Trotta Bonaventura, 199 Trotti Salomoni Bartolomeo, 272 n Trucco Angelo Francesco, 273 n Trutta Giovanni Battista, 199 Turchini Angelo, 240 n Turco Alessandra, 10 Turi Gabriele, 216 n Turlini Damiano, 224, 225, 278, 278 n Turlini Policreto, 351 Turlino Damiano vedi Turlini Damiano Turner Henri, 121 n Tutini Camillo, 198 Tuttocuore Pina, 289 Tyndale’s William, 99 Tyrannius Rufinus, 95

U

baldini Ottaviano, 300 Ubaldini Pietro Paolo, 189 Ubaldini Ubaldo, 198 Uberti Lucantonio degli, 355 Ugleimer Pietro, 261, 262, 263, 264, 265 Ugo il Grande abate di Cluny, santo, 247 Uguet Miguel vedi Huguet Miguel

Ungut Meinardo, 117, 119, 124, 124 n Urbano VIII, papa, 169 n, 303, 315 Uttelström G., 13 n

V

acalebre Natale, 289 Vaccaro Domenico Antonio, 195, 196 Vaccaro Francesco, 167, 169, 192, 193 Vaccaro Nicola, 195 Vaiana Anna Maria, 188 Valda Juan Bautista de, 206 Valdarfer Cristoforo, 255, 260, 260 n, 265 Valdés Juan de, 103 n Valente Francesco, 272 Valenti Cristina, 222 n Valeri Lorenzo, 312 Valeri Stefania, 155 n, 158 n Valeriano Pierio, 35 Valgrisi Vincenzo, 278, 322 Valla Lorenzo, 27, 27 n, 28, 29, 32, 33 Vallot (o Balloc) Jacques, 110 n Valturio Roberto, 335 n, 352, 353 Van Graad Francesco vedi De Grado Francesco Vanautgaerden Alexandre, 46 n Varanini Gian Maria, 250 n, 352 n, 354 Varela de Salamanca Juan, 124, 125, 126 Varesi Giovanni Luigi, 260 Varry Dominique, 48 n, 151 n Vatacci Nicolo, 329 Vaugris Jean, 49, 49 n, 51 Vázquez Juan, 119, 125 Veglia Pietro Paolo, 200 Vekene Émile van der, 143 n Velázquez, Diego Rodríguez de Silva y, 165, 178 Vène Magali, 138 n Venezia Sebastiano, 289 Veneziani Paolo, 223, 223 n, 325 n, 348 n Venturi Sergio, 189 Venturoli Matteo, 40, 41 Vergani Raffaello, 19 n Vergèrio Pietro Paolo, il Vecchio., 34 Vergil vedi Virgilio Marone Publio Verino Giovanni, 198 Vermiglia Elisa, 289 Veronese Federico, 248 Verri Pietro, 158 Verzilli Daria, 290 Vesco Maurizio, 274 n, 325, 325 n

indice dei nomi Veyrin-Forrer Jeanne, 48 n, 74 n Viazzo Pier Paolo, 18 n Vicente de Miravet, 106 n, 109 n, 111 Vico Giambattista, 195, 196 Viggiano Alfredo, 336 n Vila Jaime de, 103 n Vilagrasa Geronimo vedi Vilagrasa Jerónimo Vilagrasa Jerónimo, 206, 207, 208 Vilches Susana, 120 n Villa Pietro, 250, 251, 352, 353 Villani Giovanni, 14 n Villani Matteo, 13, 14 Villari Gian Filippo, 323 n, 327 n Villoresi Marco, 219 n, 224 n Viñao Juan vedi Vinyau Juan Vincelli Giovanna Maria Pia, 289, 290 Vincent Hubert, 178, 187, 192, 194 Vindelino da Spira, 48, 72 Vindelli Gerolamo de vedi Bindelli Gerolamo de Vingles Jaime de, 105 n Vinyau Juan, 105 n Viola Orazio, 327 n, 328 n Viotti Antonio, 225 Viperano Paolo, 320, 320 n Virgilio Marone Publio, 62, 63 Visconti Galeazzo, 348 Visconti, famiglia, 30 Vismara Giovani Battista, 273 n Vismara Paolo, 273 n Vitale Anna Maria, 167 n, 181 n Viti Paolo, 29 n Vivian Mathieu, 135 n Vizlant Jacobo, 104 n Vlassi Sponza Despina, 334 n Vogel Klaus A., 66 n Vogryss Jean vedi Vaugris Jean Volmar Michele, 251 Volpato Giancarlo, 2, 3, 4, 6, 9, 10, 248, 289, 333, 337 n, 356 n Volpi Roberto, 301 n Voltaire vedi Arouet François-Marie (detto Voltaire) Vossi Nicolás, 110 n Vouet Simon, 173 Voullieme Ernst, 64 n Voyon Simon de, 140 n Vucchetta Filippo, 195

391

Vullietti Carlo, 306 Vullietti Caterina, 306 Vydenast Johannes, 70 Vyel Andreas, 319, 319 n, 320 n

Wagner Bettina, 78 n

Wagner Klaus, 102 n Walbeck Giovanni, 252 Wallace Richard W., 164 Walsby Malcolm, 1, 3, 6, 135, 135 n, 136 n, 137 n, 138 n, 139 n, 140 n, 144 n, 145 n Waquet Françoise, 304 n Watteau Jean-Antoine, 173 n Wechel André, 52 Wehmer Carl, 59 n Wenssler Michael, 62, 79, 80, 135 Westerhout Arnold, van, 178, 187, 195, 200 Westerhout Gaetano van, 195 Westerhout Giuseppe van, 195 Widmann Hans, 60 n, 61 n, 72 n Wilcock William, 96 Wild Leonardo, 261 Wilkinson Alexander, 135 n Willer Georg, 79, 82, 83, 84 Winter Anne, 269 n Wittel Gaspar van, 199 Witter-Butsch Maria, 32 n Wohlmuth Harry, 123, 124 n Wolff Helmut, 31 n Wolframs Eschenbach von, 63 Worstbrock Franz-Josef, 60 n Wurster Johann, 251 Wurtz Jean Godefroy, 43, 45 n, 52

Xaravia de Castello D., 185

Xarla (o Charles) Stephanus, 102 n, 110 n Ximénez de Préxano Pedro, 119

Zaccaria Raffaella, 235 n, 281 n

Zaccarotto Zaccaria, 238 Zäh Helmut, 86, 86 n Zainer Gunther, 63 Zainer Johannes, 63 Zammit William, 327 n Zampieri Domenico (detto il Domenichino), 165 n, 169, 178, 192 Zanardi Zita, 304 n Zanetti Agnese, 308

392

indice dei nomi

Zanetti Bartolomeo, 242 Zanetti, famiglia, 308 Zani Costanzo, 209, 212, 213, 214 Zanini Andrea, 274 n Zannetti Francesco, 312 Zanni Bartolomeo, 349 Zannini Andrea, 339 n Zappella Giuseppina, 1, 3, 6, 163, 164 n, 167 n, 179 n, 181 n, 271 n, 289, 290, 305 n, 306 n, 321 n, 355 n Zardin Danilo, 233 n Zaretzky Otto, 64 n Zarotto Antonio, 236, 258, 265 Zarotto Fortuna, 258, 265 Zarotto, famiglia, 258, 259 Zatta Antonio, 278 Zemon Davies Natalie, 137 n

Zenaro, famiglia, 323, 327 Zenobi Bandino Giacomo, 302 n Zenobi Gaetano, 309 Zenobi Giuseppe, 309 Zielinski Konstanty, 201 Zileti Innocente, 353 Ziletti Francesco, 350 Zito Paola, 289, 316 n Zoppino Nicolò, 226, 227, 228 Zoppo Bernardino, 225 Zorzi Marino, 270 n, 343 n, 347 n Zuan de Colonia vedi Juan de Colonia Zuccari Federico, 169 Zucchi Giuseppe Maria, 200 Zucco Accio, 354 Zúñiga y Fonseca Manuel de, 170 Zurita Jerónimo, 112 n



co mp osto, in car atter e da n t e m on oty pe, da l la fabrizio serr a editore, p i s a · roma . imp r ess o e r ilegato i n i ta l i a n e l la tip o g r afia di ag nan o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) .

* Aprile 2013 (cz2/fg13)

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BIBLIOTECA DI «PARATESTO» collana diretta da marco santoro 1. I dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, Atti del convegno internazionale, Roma, 15-17 novembre 2004 - Bologna, 18-19 novembre 2004, a cura di Marco Santoro, Maria Gioia Tavoni, 2 voll., 2005. 2. Marco Santoro, Michele Carlo Marino, Marco Pacioni, Dante, Petrarca, Boccaccio e il paratesto. Le edizioni rinascimentali delle ‘tre corone’, a cura di Marco Santoro, 2006. 3. Marco Santoro, Uso e abuso delle dediche. A proposito del Della dedicatione de’ libri di Giovanni Fratta, 2006. 4. Testo e immagine nell’editoria del Settecento, Atti del convegno internazionale, Roma, 26-28 febbraio 2007, a cura di Marco Santoro, 2008. 5. Paola Zito, Granelli di senapa all’Indice. Tessere di storia editoriale (1585-1700), 2008. 6. Marco Santoro, Materiali per una bibliografia degli studi sulla storia del libro italiano, con la collaborazione di Samanta Segatori e Valentina Sestini, 2008. 7. Pietro Sisto, «I’ son legato perch’io stesso mi strinsi». Storie e immagini di animali nella letteratura italiana, 2010. 8. Mobilità dei mestieri del libro tra Quattrocento e Seicento, Atti del convegno internazionale, Roma, 14-16 marzo 2012, a cura di Marco Santoro e Samanta Segatori, 2013.