Mi ami o mi vuoi bene? L'intelligenza affettiva 8860815304, 9788860815309

In questo libro viene approfondito il significato del “voler bene” e dell’”amare” per distinguere due sentimenti molto i

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Italian Pages 176/165 [165] Year 2009

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Mi ami o mi vuoi bene? L'intelligenza affettiva
 8860815304, 9788860815309

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Magda Maddalena Marconi

Mi aMi o Mi VUoi BeNe? L’intelligenza affettiva

ARMANDO EDITORE

MARCONI, Magda Maddalena Mi ami o mi vuoi bene? l’intelligenza affettiva ; roma : armando, © 2009 176 p. ; 22 cm. (scaffale aperto - psicologia) isBN: 978-88-6081-530-9 1. il percorso mentale dell’amore 2. la coppia 3. psicoterapia in coppia cDD 150

© 2009 armando armando s.r.l. Viale trastevere, 236 - 00153 roma Direzione - Uficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Uficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it e-Mail: [email protected] ; [email protected] 21-09-069 i diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi. fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, sNs e cNa, coNfartigiaNato, casa, claai, coNfcoMMercio, coNfeserceNti il 18 dicembre 2000. le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di speciica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

Sommario

Introduzione

9

I contenuti de/libro

Il

Prologo

15

Capitolo pr imo: Il processo mentale dell'amore Individuarsi per amare. L'innamoramento. Dopo l'innamora­

17

mento

Capitolo secondo: Siamo in grado di amare?

23

L'intelligenza emotivo-affettiva. Il nuovo periodo in cui viviamo: i disvalori. Cosa significa voler bene e cosa significa amare. Come posso capire se l'amo. Le domande che ci aiutano: A. Siamo in grado di amare? l a. Durante il dialogo riesco ad ascoltare

solo te? L'ascolto è per te?

È rivolto a te? 2a.

Le cose che scelgo,

le decido assieme a te? 3a. So pormi nel tuo modo di ragionare, pur rispettando il mio? 4a. Mi piace rispettare le tue idee? 5a. Ti stimo? 6a. Ti difendo? 7a. Percepisco che tu fai la stessa cosa nei miei confronti? B. Il nostro rapporto in coppia è vero amore?

Capitolo terzo: Le diversità tra i partner La fase di adattamento alla convivenza. I comportamenti peri­ colosi nella fase dell 'adattamento alla diversità: l . La negazione della diversità. 2. La critica svalutante. 3. Il controllo. 4. L'im­ medesimazione-sottomissione. 5. Lo scoraggiamento. La paura della diversità. Perché due persone che si amano provocano rea­ zioni negative?

43

Capitolo quarto:

L'equilibrio in coppia

57

Come sono io nella coppia? La tridimensionalità in coppia. Come stare bene insieme. l . Io, nella coppia, percepisco il mio corpo?

2. Sono presente mentalmente? 3. Il mio modo d'essere è autentico nella coppia?

Capitolo quinto:

I modi di

essere

in coppia

69

La coppia divergente: "Vai per la tua strada, io vado per la mia". La coppia parallela: "Camminiamo insieme senza toccarci". La coppia controllante. Quando il problema del controllo maschera qualcosa d'altro. La coppia in competizione. La coppia sbilan­ ciata. La coppia "ti cambierò". La coppia "uomo molestato". La coppia "donna molestata". La coppia "non cercare di raggiun­ germi". La coppia "facciamo tutto insieme". La coppia "lui, lei e l'altra persona"

Capitolo sesto:

I litigi

119

Quando non si litiga. Rapporto di amicizia o rapporto di coppia? L'adulterio. I preconcetti sull'adulterio. L'adulterio mascherato: "Ho sposato la sua famiglia". "Ho sperato che morisse". Le rea­ zioni psicofisiche dell'adulterio

Capitolo settimo:

Il cambiamento

141

Cos'è la psicoterapia in coppia centrata sul Senso. Superare i con­ flitti senza vincitori né vinti. L'amore come sfida. Perché ci si lascia? Riflessioni per le donne. Riflessioni per gli uomini

Note di approfondimento

161

Bibliografia

173

Introduzione

«Dottoressa… come faccio a capire se l’amo?», «non capisco se mi ama o se mi vuole bene…»: queste sono le domande – sempre più frequenti – che mi hanno motivato a scrivere questo libro, oltre al desiderio di proporre al lettore una ulteriore prospettiva di rilessione di fronte ai dubbi sui propri ed altrui sentimenti. Uno degli atteggiamenti più usuali che riscontro nelle coppie che vivono disagi relazionali, è la deresponsabilizzazione del singolo individuo, nella misura in cui si parla di coppia e non di persona nella coppia. La deresponsabilizzazione non dovrebbe essere intesa come un comportamento disimpegnato ma unicamente come segnale di un disagio che, proprio perché tale, necessiterebbe della possibilità di godere del diritto di trasformarsi in responsabilizzazione nei confronti della persona che si ama, non nell’obbligo di dovere esserlo: in questa consapevolezza non si creerebbe il senso di colpa e la fuga, ma il senso di appartenenza e di libertà responsabile come irrinunciabili prerogative dei diritti dell’essere umano. Notare e sidare l’abitudine di generalizzare certi luoghi comuni espressi dalle persone, mi dà la possibilità di stimolare delle alternative di senso che possono nascere dalle persone stesse e che, nella misura in cui vengono prese in considerazione e valorizzate, modiicano l’atteggiamento e il modo disfunzionale di pensare in coppia. Durante il percorso psicoterapeutico, mi avvalgo di una modalità integrata, ad orientamento umanistico-esistenziale (Note di approfoNdimeNto 1), che può essere di tipo sistemico (a favore del riequilibrio del sistema-coppia e del sistema-famiglia), come pure di tipo individuale (a favore della serenità dei due partner) sempre come una psicoterapia in coppia (non di coppia). Nella psicoterapia integrata, nessun concetto esposto che celi un problema, viene ignorato ma viene notato ed accolto assieme alla persona che lo esprime per risvegliare in lei il valore della libertà 9

responsabile che abbia un senso pieno ed appagante. È una sorta di auto trasformazione grazie all’ascolto del proprio corpo, delle proprie risorse interiori e della capacità di realizzarle. Dato che ogni persona possiede i propri valori, i propri signiicati e i propri scopi, nessuno può, né dovrebbe, convincerla a cambiarli: per ogni persona essi rappresentano la più autentica centratura tridimensionale. L’antropologia umanistico-esistenziale, in cui si inserisce questo tipo di intervento, rispetta ogni singolo essere umano e non può essere, in nessun caso, falsiicata perché si fonda sull’unicità e sulla originalità della singola persona cioè della sua tridimensionalità (Note di approfoNdimeNto 2). Non esiste una responsabilità di coppia o della famiglia ma soltanto del singolo nella coppia, del singolo nella famiglia, del singolo nella società. In questo “viaggio all’interno di sé” non viene mai proposta un’idea che sia del professionista o di una corrente di pensiero – quindi diversa dal modo di ragionare delle due persone, ma un’idea che sia già presente in loro – come possibilità di realizzarsi –, anche se nascosta da anni. L’interesse vivo per ciò che viene detto o fatto dai partner, mi sprona a rivisitare molti concetti che assumono nuovi signiicati: non si tratta di propugnare la verità assoluta ma di scoprire una verità relativa alla singolarità ed unicità della coppia calata – questo è importante – nella sua realtà oggettiva. Come a dire che, se un atteggiamento considerato disfunzionale per la maggior parte delle persone, risulta funzionale ad una coppia, è utile che rimanga tale nella misura in cui non danneggia alcuna persona. In questo modo devono essere rivisitati tutti i rigorismi teorici, comportamentali e moralistici a vantaggio di una coppia che deve però trovare in sé le ragioni d’essere rispettando le due singole persone, i valori di entrambe e dando loro la possibilità di sentirsi le uniche responsabili – non colpevoli – della propria storia in coppia. Se esiste una colpa reale, sarà il singolo individuo a trasformarla durante la psicoterapia. Credere che l’amore sia un moto spontaneo del genere umano, prelude al comportamento ingannevole del: “lasciare che tutto vada da sé”, senza cure, senza fatica e senza progetti! L’intelligenza affettiva – fondamentale per la cura dell’amore – si basa sulla consapevolezza di voler bene ad una persona e di volersi adoperare per lei. 10

I contenuti del libro

Nel Prologo espongo un breve e sintetico percorso storico-culturale che parte dal “sessantotto” e giunge ai nostri giorni ma solo per focalizzare l’attenzione sulle reazioni dell’uomo e della donna nei confronti della rivoluzione sessuale e per capire – anche se brevemente – le conseguenze di una impreparazione ad un cambiamento storico e psicologico che avrebbe avuto bisogno di grandi rilessioni. Come sempre succede, ed è naturale che sia così, l’uomo non solo non è preparato ai grandi eventi storici, ma non considera mai a quali sconvolgimenti valoriali va incontro e a quali esiti non è mai pronto a far fronte! Nel primo capitolo in cui propongo “Il processo mentale dell’amore”, espongo il percorso di evoluzione della “capacità di amare” che parte dal processo dell’Individuazione e che procede grazie alla possibilità che l’essere umano possiede di innamorarsi di una persona. Compio un breve escursus per spiegare i fallimenti dell’esperienza della cosiddetta “coppia aperta” a causa di un eccesso di libertà priva di responsabilità. Si è constatato, nel corso del tempo, che la “coppia aperta” non solo non ha risolto assolutamente il problema dello stare male in coppia ma ha minato profondamente i valori dello stare bene in coppia. Nel paragrafo “Dopo l’innamoramento” evidenzio alcune reazioni psicologiche di disillusione che possono sfociare in vari esiti comportamentali, tra i quali – molto comuni –, voler cambiare l’altro che non corrisponde più alla persona idealizzata precedentemente quindi, non rispettando la sua unicità, non le si permette di rimanere in coppia in modo autentico, spontaneo e libero. Nel secondo capitolo “Siamo in grado di amare?” metto il lettore nella condizione di porsi questa domanda facendo delle rilessioni per capire non solo la sua capacità attuale ma la sua potenzialità futura di coltivare il sentimento dell’amore. 11

Distinguo e spiego il signiicato dell’intelligenza affettiva cioè la capacità di affezionarsi, di curare la tenerezza per aumentare la capacità di interagire con la persona della propria vita e di sviluppare, nel tempo, la consapevolezza di essere affettuosamente legati ad una persona e responsabilmente preoccupati per lei. Subito dopo, approfondisco il signiicato del “voler bene” e dell’“amare” per distinguere due sentimenti molto importanti, diversi tra loro ma non distanti l’uno dall’altro. Una serie di domande che possiamo porci ci aiutano a capire se siamo capaci di amare e di farci amare. “Le diversità tra i partner” è il contenuto del terzo capitolo e mira a mettere in evidenza l’importanza di permettere al partner di rimanere se stesso, di coltivare i propri interessi e di accogliere il fatto che ciò continui a veriicarsi nel corso del tempo: questo dovrebbe veriicarsi reciprocamente ma mai trascurando la vita nella coppia! mai disimpegnandosi! Anche la “Fase di adattamento alla convivenza” è un periodo della storia in coppia molto signiicativo che prevede alcune capacità psicologiche rispettose del modo d’essere di entrambi i partner. Esistono delle reazioni che deinisco “I comportamenti pericolosi nella fase di adattamento alla diversità” che minano questo processo basilare che deve tendere verso il rispetto delle originalità delle due persone. Un altro argomento importante nella vita in coppia è la “Paura della diversità e il disagio che due persone che si amano provocano negli altri!” Il quarto capitolo contiene il tema dell’“Equilibrio in coppia” ed elabora una serie di domande che ogni persona può porsi come, ad esempio, “come sono io nella coppia? Qui, cerco di soffermarmi su questo quesito per valorizzare il senso di libertà e di responsabilità piuttosto che rimanere ostinatamente bloccati nella colpevolizzazione dell’altra persona. L’importanza della “Tridimensionalità in coppia” sottolinea un valore molto importante che è il rispetto del corpo, della mente e del modo d’essere dell’altra persona oltreché del proprio. A questo tema segue quello che suggerisce “Come stare bene insieme” e subito dopo, il capitolo quinto in cui espongo una serie di “Modi d’essere in coppia” estrapolati dalla mia lunga esperienza professionale; sono esempi non omologabili ma rappresentativi di situazioni reali che possono aiutare il lettore a riconoscersi per rilettere, elaborare e crescere. 12

In questi esempi di modi di essere in coppia, spiego le dinamiche ed elaboro una breve analisi di ciò che accade in coppia, espongo brevi considerazioni psicoterapeutiche unite ad alcuni pregressi culturali. Il tema de “I litigi” rappresenta il contenuto del capitolo sesto: la loro importanza, il loro signiicato (quando si palesano come comportamenti aggressivi) nei confronti del partner – anche quando non si litiga – e quelli nei confronti di se stessi; il tutto calato nella cultura antropologica da cui derivano e il modo per elaborarli al ine di renderli utili. Segue una breve elaborazione per spiegare la “differenza che esiste tra il rapporto di amicizia e il rapporto di coppia”. L’“adulterio”, che incute timori e perplessità ma anche angosce ed ansie, viene spiegato sulla base di esperienze dirette e protette – nello studio privato – dove si può parlare liberamente! Nel paragrafo “I preconcetti sull’adulterio”, cerco di proporre delle rilessioni partendo da alcuni esempi di adulterio mascherato che rappresentano simbolicamente una fuga dal partner. Anche le “reazioni psicoisiche dell’adulterio”, sono risposte interiori che si manifestano nel corpo a causa di qualcosa che l’essere umano raramente accetta completamente. Nel capitolo settimo espongo il tema de “Il cambiamento” parlando della “Psicoterapia in coppia centrata sul Senso” al ine di capire il Senso di sé, il Senso dell’altro e il “Senso di stare in coppia” promuovendo nelle due persone la consapevolezza di poter “superare i conlitti senza vincitori né vinti”. Rivolgo poi, alla ine, un invito alle donne e agli uomini a rilettere più che sulle risposte, sulle domande che ci si può fare relativamente ai dubbi, alle paure e alle incertezze che riguardano il nostro mondo affettivo. A questi messaggi faccio seguire delle “Note di approfondimento” che permettono a me di essere più chiara ed esauriente e al lettore di approfondire alcuni aspetti dei contenuti del libro anche se non possono essere esaustivi in quanto… naturalmente suscettibili di cambiamento.

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Prologo

Una delle più importanti svolte epocali ha inizio negli anni Sessanta e sfocia nel “sessantotto” con una rivoluzione sociale che si esprime anche con l’urgenza dell’“emancipazione femminile dal ruolo di sudditanza”. In piena contestazione studentesca, Mao Tse-tung deinisce poeticamente il mondo femminile “l’altra metà del cielo” e la donna si accorge che, nonostante l’ondata rivoluzionaria che sembrava lasciare alle spalle tutte le tradizioni, il suo ruolo nella società non è affatto cambiato e il maschio continua ad essere l’unico protagonista! La condizione femminile continua a rimanere l’esito di una millenaria storia di ingiustizie. Le femministe scoprono ed esibiscono il loro mondo, coniano slogan di protesta e vogliono “cambiare”, soprattutto nei confronti di loro stesse. Con il famoso “Io sono mia”, riiutano di venire considerate una “funzione”, ossia strumenti della volontà altrui nei compiti in famiglia e nella società. Prendono in prestito dai neri d’America lo slogan Black is beautiful (Nero è bello) e lo trasformano in “Donna è bello” che diventa la bandiera di una nuova identità femminile. Nella loro battaglia, le femministe hanno cercato di toccare tutte le corde, da quelle del sentimento con immagini di dolcezza sorridente, come nel manifesto UDI (Unione Donne Italiane) a quelle della “polemica arrabbiata”, come nei grandi striscioni portati nei cortei delle numerose manifestazioni di protesta. Nei rapporti personali in coppia, pesava ancora una divisione dei ruoli che voleva assegnare alle donne un destino precostituito. Luoghi comuni e vecchie discriminazioni fra uomo e donna resistevano ancora e venivano estrinsecate anche dalla pubblicità: quella di una birra, ad esempio, confermava all’uomo che una bella bionda poteva essere “sua” come una bevanda ed è a questi atteggiamenti che le 15

femministe replicarono seccamente con lo slogan: “Né strega, né Madonna, solo donna”. L’uomo si sentiva sempre più confortato nel considerarsi il centro del mondo per cui solo lui poteva essere forte e la donna non aveva possibilità di scegliere liberamente ma solo se autorizzata dall’uomo. Con la rivoluzione sessuale, i ruoli dell’uomo e della donna, non solo come partner ma anche come genitori, sono entrati in crisi: il sistema socio-familiare si è stravolto e la famiglia è stata abbandonata a se stessa! Nell’idea della rivoluzione sessuale esisteva già il magma per la distruzione che sarebbe avvenuta di lì a poco, ma nessuno ha pensato di mettere in salvo ciò che rappresentava e rappresenterà sempre un senso inalienabile: la salvaguardia della dignità umana del singolo e della coppia. Sarebbe stato suficiente discernere i valori da tutelare dai signiicati da modiicare. Mi spiego: il valore dell’amore in coppia è imprescindibile e irrinunciabile ma è stato svilito ed è stato confuso con i signiicati che sarebbe stato giusto modiicare, per esempio il fatto di gestire il tempo in coppia e di rispettare le scelte reciproche non sono mai stati presi in considerazione! Aver spostato l’attenzione sull’importanza del tempo, dell’autonomia personale, dei bisogni di esprimere i propri talenti ed i propri bollenti spiriti, ha messo in ombra tutti i valori che convergono nell’amore. Oggi l’uomo, che è disorientato, ha dovuto arretrare lasciando spazio ad una donna troppo aggressiva, odiosa e prepotente che perde sempre più la sua femminilità credendo, paradossalmente, di doverlo fare per rimanere al passo con i tempi. La donna realmente forte non ha avuto bisogno di dimostrare alcunché anche se nei primissimi anni ha commesso degli errori ravvedendosene per tempo. Al contrario, la donna fragile, esaltata dalla rivoluzione contro gli antichi soprusi psicologici e isici, ha ritenuto di aver diritto di sbraitare al mondo intero la sua rabbia e di sbranare il genere maschile comportandosi in modo sconveniente, dimostrando, proprio così, tutta la sua debolezza. Soltanto la donna meno equilibrata sente di dover dimostrare all’uomo di valere, di essere in grado di raggiungere i livelli professionali, culturali e politici già raggiunti dall’uomo! È un diritto sacrosanto che la donna salvaguardi la propria dignità ma non dovrebbe mai farlo a spese dell’uomo e, men che meno, con l’uso della violenza! 16

Capitolo primo

Il processo mentale dell’amore

Individuarsi per amare Per saper amare bisogna, prima di tutto, nascere psicologicamente avendo la chiara consapevolezza di essersi separati dalla propria madre e di essersi individuati come persone a sé stanti: la separazione consiste nell’emergere dalla fusione simbiotica con la madre ed è una conquista intrapsichica molto importante; la consapevolezza di essere separato è il vero presupposto per una autentica capacità di relazionarsi con una persona e con la realtà esterna. Il bambino disturbato non riesce a raggiungere il senso di essere separato quindi non sarà in grado, una volta adulto, di entrare in contatto con un’altra persona per dare vita ad una coppia. L’individuazione consiste in tutte quelle conquiste che denotano l’assunzione, da parte del bambino, delle proprie caratteristiche individuali. Se la persona non è ben individuata, non riesce a rimanere in una coppia dopo le prime fasi di frequentazione perché confonde e si confonde con l’altra persona. Separarsi non signiica allontanarsi isicamente e rinnegare la igura materna. Separarsi ed essere ben individuati signiica percepire la propria identità come consapevolezza del senso di essere un Io staccato dagli altri ma in relazione con gli altri e, nella coppia, sentire presente dentro di sé l’altra persona senza avere il bisogno costante e ansioso di vederla e di sentirla. In un rapporto equilibrato si dovrebbe percepire il piacere di vedere l’altra persona, non il bisogno angosciato. Per parlare d’amore dobbiamo possedere almeno una leggera infarinatura del concetto di “evoluzione psichica dell’amore” e, per far ciò, dobbiamo pensare a come si forma nella mente del bambino 17

la capacità di amare e di essere amato. Solo allora, saremo in grado di comprendere l’“evoluzione spirituale dell’amore” nell’essere umano. Il bambino, ino ad una certa età, non è ben individuato, infatti non è in grado di amare. Ciò che notiamo in lui è l’attaccamento che vive con la igura materna che non va confuso con l’amore ma semplicemente con il bisogno di simbiosi (intesa come condizione intrapsichica primitiva in cui non è ancora avvenuta la differenziazione tra il Sé e la madre). Soltanto dopo la fase simbiotica dell’attaccamento (che non andrebbe mai accelerata ma rispettata), il bambino vivrà l’esperienza dell’amore, prima nei confronti della madre, poi del padre, poi del resto della famiglia e del suo mondo. Siccome il nutrimento che il bambino riceve attraverso il latte e le cure materne è sempre gradito dal bambino, lui interiorizza che il latte-cure rappresenta concretamente l’amore della mamma. Nel corso del tempo, ricevendo costantemente queste cure, il bambino fa suo il concetto di amore, si innamora della mamma e impara a donarlo a sua volta perché riscontra nella madre il piacere di riceverlo. Questo bambino sarà più pronto a donare e a ricevere l’amore rispetto ad un bambino che non ne ha fatto esperienza. Da adulta, nei confronti dei genitori, la persona ben individuata si distingue da loro ma, contemporaneamente, li ha presenti dentro di sé e solo mantenendo un atteggiamento psicologico di distanziamento sano (non di distacco disimpegnato e rancoroso), è in grado di relazionarsi in modo adulto e di aiutarli nei momenti di bisogno.

L’innamoramento La fase dell’innamoramento, che spesso soddisfa sia l’istinto sessuale sia i bisogni affettivi, dà a tutti una sensazione di sicurezza: ci si sente coinvolti in una serie di sensazioni nuove molto piacevoli, mai provate prima, si pensa di aver trovato la persona ideale e si crede che il nuovo amore che si sta vivendo non possa esistere in un altro punto della terra, come se si fosse soltanto noi in grado di provare queste sensazioni di benessere e di eternità. A nessuno viene mai in mente che la fase dell’innamoramento – proprio perché fase – possa essere limitata nel tempo: infatti è una condizione illusoria che ha un inizio e, se non coltivata al ine di trasformarla in amore, ha inevitabilmente una ine. 18

In questa fase avvengono una o, spesso, due proiezioni prevalentemente inconsce (cioè si proietta inconsapevolmente sulla persona che ci piace qualcosa che ci piacerebbe ancora di più: la persona dei nostri sogni). Queste proiezioni sono delle illusioni che si mantengono in vita per breve tempo e possono essere percepite dalla coppia come base sicura della futura intimità ma succede, prima o poi, che le convinzioni che si radicano in questo primo periodo creino delle aspettative sull’altra persona che vengono, poi, inevitabilmente deluse da entrambe le parti. Che cosa accade in realtà nella fase della delusione? Siccome le due persone avvertono sia il bisogno dell’“attaccamento” all’altra persona sia il bisogno dell’“autonomia”, questi due bisogni umani fondamentali sembrano antitetici agli occhi delle coppie non ancora consolidate e le due persone non riescono a conciliare queste due necessità vitali. Il nostro partner non dovrebbe mai rilettere (come in uno specchio) la nostra identità ma mantenere integra la sua immagine ben coninata nel suo Io; spesso, però, la scelta del partner è al servizio del “bisogno di una identità” e del “bisogno di appoggiarsi a qualcuno” e non del piacere di condividere spazi di relazione a due in cui conoscersi e crescere insieme! Il partner, in genere, dificilmente accetta di rappresentare una base sicura come ha fatto la madre che permetteva l’allontanamento e l’avvicinamento: mentre dalla madre ci si può staccare quando si è piccoli, sapendo che lei rappresenta una base sicura dalla quale ci si può allontanare e verso la quale ci si può riavvicinare sapendo di venire sempre accolti bene, nella coppia non dovrebbe avvenire questo, pena il rischio di viversi come un iglio e non come un compagno di vita. Negli anni Settanta la cosiddetta “coppia aperta” non ebbe un esito positivo in quanto il valore di stabilità (con tutti i suoi correlati valoriali) non veniva rispettato né si tenevano molto in considerazione i bisogni dei bambini; molte volte si forzava la convinzione di “tollerare” le esperienze sessuali del partner e ciò, nella realtà, non ha retto, non ha funzionato. Già il fatto di tollerare ci dovrebbe far rilettere: si tollera ciò che si ritiene un peso insopportabile, si tollera ciò che non si ritiene vero, che non si considera giusto; nell’atto di tollerare o di essere tollerati, ci si pone in una posizione di superiorità e di inferiorità che non permette di costruire una relazione paritaria e serena. 19

Soprattutto in quegli anni si usciva dalla famiglia d’origine – vissuta come oppressiva – illudendosi di costruire una “famiglia aperta”, nella quale si credeva di raggiungere l’agognata libertà ma, in realtà, non venivano curate né l’intimità né la progettualità in coppia e, oltre a ciò, la vita sessuale non veniva considerata un’area comune intima da difendere. L’uomo e la donna si sentivano autorizzati a cercare nuovi partner sessuali, perdendo di vista il vero senso della coppia e, in seguito, il vero senso della famiglia. «Il senso della vita di coppia sarebbe […] ben poca cosa se risiedesse nella frequenza e nell’intensità degli orgasmi che essa può procurare o nella capacità che le qualità psichiche dei “partner” hanno di soddisfare i reciproci bisogni di sicurezza, di autostima o di appartenenza» (E. Fizzotti, 1998, p. 49). Quando la scelta di un rapporto aperto veniva fatta soltanto da uno dei due partner, si creava una coppia complementare all’interno della quale uno dei due (di solito la donna) attendeva in casa, rappresentando per l’altro una base sicura: una persona si sentiva autorizzata ad uscire sapendo di trovare sempre l’altra ad attenderla. L’accettazione di questa situazione minacciava l’autostima e l’identità propria. Si è potuto quindi constatare che la cosiddetta coppia aperta non solo non ha risolto assolutamente il signiicato dello stare insieme ma ha minato profondamente i valori dell’unione in coppia.

Dopo l’innamoramento Nella fase della disillusione (normale in tutte le coppie), si pensa che sia giusto insistere afinché l’altra persona cambi il carattere e il comportamento. Voler cambiare l’altra persona è l’errore più grande che un essere umano possa commettere e signiica non solo plasmarla come la si desidera, ma anche non rispettarla e, non permettendole di diventare ciò che vuole essere, privarla della sua libertà di scelta. Nell’atto di amare esiste un Io che si decide di accogliere un Tu così com’è e, nel contempo, un Tu che fa altrettanto; tutto questo in uno “spazio sacro in coppia in cui nessun altro deve poter entrare”; come a dire: faccio ciò che al Tu piacerebbe che io facessi per me (come possibilità e desideri ancora irrealizzati) e sento che il Tu fa altrettanto per sé; non per una reciproca autorealizzazione egoistica ma 20

per dare un senso pieno a ciò che conta per ciascuno all’interno della coppia. In questa realizzazione faccio ciò che al Tu piacerebbe che io facessi per lui e sento che il Tu fa altrettanto per me. «L’amore scorge e dischiude nel Tu amato possibilità di valori. Anch’esso dunque anticipa qualcosa nella sua visione spirituale; anticipa ciò che una persona concreta, ossia la persona amata, può celare in sé quanto a possibilità personali ancora irrealizzate» (V.E. Frankl, 2001, p. 78). Quando utilizzo l’espressione “spazio sacro in coppia in cui nessun altro deve poter entrare” non intendo dire che la coppia non dovrebbe relazionarsi con le altre persone e dovrebbe lasciar perdere tutti i rapporti amicali, assolutamente no! Intendo dire che nello spazio più personale, quando accadono incomprensioni all’interno della coppia, non dovrebbe entrare alcuna persona perché l’amore, quando è autentico, si autoregge e, proprio perché è tale, non necessita di altri pareri, di altri sostegni e di altri stimoli. Altra cosa, molto diversa, è la condivisione della coppia con l’amicizia tout court che aiuta a crescere socialmente, ma anche culturalmente e creativamente. Insomma! Sacro è solo lo spazio all’interno della coppia e in questo non dovremmo mai far entrare alcuna persona né amica né parente perché le crisi servono a crescere ma devono essere affrontate soltanto dalle due persone che possono trovare le risorse all’interno di loro. L’unica persona che può entrare in una coppia che non riesca a superare un conlitto grave è lo psicoterapeuta, perché sa come entrare delicatamente senza mai sostenere la ragione di una delle due persone a scapito della ragione e della serenità dell’altra.

21

Capitolo secondo

Siamo in grado di amare?

Un altro presupposto importante per capire se siamo in grado di amare è la consapevolezza di possedere e di esercitare l’intelligenza emotivo-affettiva, altrimenti ciò che si fa è uno sterile esercizio razionale, privo di calore umano e di intensità amorevole. Capiamo, prima di tutto, che signiicato possiedono i termini “intelligenza emotivo-affettiva”. Ogni essere umano eredita diversi tipi di intelligenza che gli permettono di affrontare molte realtà e che lo contraddistinguono da tutte le altre persone. In termini molto semplici possiamo dire che ogni tipo di intelligenza è ereditato ed è suscettibile di modiicazione grazie all’ambiente in cui viviamo e alle opportunità che abbiamo a disposizione: possiamo coltivarla, quindi migliorarla e possiamo trascurarla, quindi non utilizzarla al meglio delle sue possibilità. Secondo Howard Gardner, padre della teoria delle Intelligenze Multiple (1983), non esiste una sola intelligenza, ma ne esistono diverse, presenti in ogni persona sia pure con varia gradazione. In particolare Gardner individua nove intelligenze: logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. A Gardner va il merito di aver abbandonato l’idea che possediamo un’unica intelligenza. Dal canto suo, lo psicologo americano Robert J. Sternberg, nel 1994, ha individuato tre tipi di intelligenze: quella analitica, quella pratica e quella creativa, mentre Daniel Goleman approfondisce l’intelligenza emotiva che porta alla consapevolezza di sé, al controllo delle emozioni, anche attraverso la comprensione di quelle negative, alla valutazione delle proprie potenzialità e al riconoscimento dei propri limiti. Da qui deriva la capacità, secondo Goleman, di incrementare la propria motivazione per il raggiungimento dei propri 23

obiettivi e la capacità di conoscere se stessi per migliorare i rapporti con sé e con gli altri Né Gardner, né Sternberg, né Goleman, ipotizzano l’esistenza dell’intelligenza emotivo-affettiva che, invece, io ritengo di fondamentale importanza per capire le dinamiche in coppia.

L’intelligenza emotivo-affettiva Mentre l’intelligenza logico-matematica (è solo un esempio) ci aiuta a risolvere i problemi logici, l’intelligenza emotivo-affettiva ci facilita l’entrata in una relazione in coppia in cui poter percepire una serie di emozioni e di affetti, diversi tra loro, che accrescono la qualità del rapporto duale. Prima di procedere, è importante capire la differenza tra l’emozione e l’atto dell’emozionarsi e tra l’affetto e l’atto dell’affezionarsi perché sono concetti un po’ diversi tra loro. Le emozioni sono reazioni umane spontanee che si possono notare in dai primi giorni di vita in un neonato e sono: la collera, la gioia, la paura e la tristezza. L’atto dell’emozionarsi è il modo personale di vivere la vita attraverso le emozioni che sono molto più numerose perché sono caratteristiche del singolo che le vive. Nell’atto dell’emozionarsi esiste la consapevolezza e la scelta di volersi emozionare, di vivere le cose della vita assaporandone la piacevolezza e soffermandosi a gustarne le varie sfumature. L’“emozionarsi” è anche il modo di vivere il voler bene, è ciò che nutriamo per l’altra persona ma non sempre è già amore. Tutto è ancora molto efimero, di breve durata. L’affetto è un sentimento che si sviluppa da una emozione ma è evoluto ed è capace di entrare e di stabilirsi in un rapporto a due. L’atto dell’affezionarsi ha alla sua base l’atto dell’emozionarsi ed è una dinamica psichica e del nostro modo d’essere che ci permette di rimanere all’interno di una coppia d’amore. L’“affezionarsi” è il voler bene che, unito alla tenerezza, può condurre all’amore inteso come il sentimento più elevato che un essere umano possa esperire. L’intelligenza emotiva è la capacità di provare emozioni senza vivere l’atto dell’emozionarsi ed è priva dell’affezione cioè del legarsi ad una persona. L’intelligenza affettiva è più matura perché possiede le emozioni che si sono già trasformate in valori. 24

Se la nostra intelligenza è solo affettiva o solo emotiva, manca di una componente che priva il sentimento di una parte fondamentale. Un’emozione deve potersi trasformare in un sentimento altrimenti rimane cieca, caotica, breve e non inalizzata. Chi prova soltanto emozioni, non riesce a vivere in modo equilibrato e sereno un rapporto in coppia perché tutto rimane chiuso, isolato e inespresso: non esiste un Tu a cui trasmettere il piacere che si vive. Rilettiamo sull’emozione della gioia: se restasse tale come quando siamo piccini, rischieremmo di rimanere bloccati in un periodo della nostra vita, quello dell’infanzia. La gioia deve potersi trasformare nel sentimento del voler bene perché la gioia è supericiale e si rivolge ad ogni cosa e ad ogni persona senza che si crei un vero rapporto umano; il voler bene, che è un sentimento, è mirato ad alcune cose e ad alcune persone, è inalizzato alla formazione di una coppia, di un bene umano, non è supericiale quindi è superiore rispetto alla gioia. Altro esempio: la collera. Anche questa emozione deve potersi trasformare in un sentimento equilibrato, come quello dell’indignazione che ci mette nella condizione di ribellarci di fronte ad una ingiustizia ma senza perdere il controllo di noi stessi. Non basta, quindi, riconoscere e vivere le nostre emozioni se non riusciamo a trasformarle intenzionalmente in sentimenti preferenziali. Se ci si sente legati (affetto) al/alla partner ma non si prova alcunché per lui/lei (emozioni) non si possiede un’intelligenza emotivoaffettiva equilibrata; lo stesso accade se ci si sente emozionati nello stare con quella persona ma non legati a lei da un sentimento. L’intelligenza emotivo-affettiva, quindi, è tale quando ci si sente affettuosamente legati ad una persona e responsabilmente preoccupati per lei: la sentiamo (affetto) presente nella nostra vita mentale e ci preoccupiamo (emozioni) che lei stia bene. Sia l’affettività che l’emotività che ci caratterizzano dovrebbero essere rispettose del modo d’essere dell’altra persona, ma mai invadenti né possessive. Tornando alla domanda iniziale cioè se “siamo in grado di amare?” ipotizziamo i presupposti più rosei: siamo stati in grado di uscire dal guscio dell’egocentrismo (Note di approfoNdimeNto 3) e possediamo l’intelligenza emotivo-affettiva: probabilmente siamo in grado di amare una persona. 25

Cerchiamo, però, di capire meglio. Innanzitutto non bisogna confondere l’intelligenza con la cultura (conoscenze acquisite grazie allo studio): ho visto persone senza titoli di studio capaci di amare profondamente senza porsi mai il quesito se amavano o volevano bene; come ho visto persone laureate e titolate incapaci di amare. Potrà sembrare strano a molte persone ciò che sto per esprimere ma credo che per amare (inteso come processo attivo di relazione duale equilibrata) sia indispensabile essere intelligenti, perciò chi non possiede una buona intelligenza affettiva non è in grado di rimanere in coppia offrendo e ricevendo amore! Ma come?!… ho sempre pensato che amare fosse l’unica cosa spontanea per l’uomo…

…mi dicono spesso le persone che vogliono capire se il loro sentimento è di amore o di bene nei confronti della persona che hanno al loro ianco. L’amore – spiego spesso – è spontaneo se ha già messo le radici, altrimenti da dove parte se non le possiede? Se un essere umano non ha imparato ad amare, non ha radicato in sé l’intelligenza affettiva: come può amare spontaneamente? Se da bambini non avessimo imparato tutto ciò che abbiamo avuto modo di interiorizzare non riusciremmo, oggi, a vivere spontaneamente le cose che viviamo. Ci sono state insegnate tutte le cose che ormai eseguiamo meccanicamente e quasi tutte – proprio perché imparate – sono diventate spontanee! L’amore è il primo elemento vitale che abbiamo bisogno di apprendere. Se non lo acquisiamo dagli adulti di riferimento non saremo mai in grado di offrirlo né di riceverlo, quindi di apprezzarlo. Imparare signiica poter creare e migliorare, nel corso del tempo, vari tipi di intelligenza: a livello biochimico l’apprendimento stimola la produzione di nuovi contatti neuronali; a livello psicologico genera una nuova consapevolezza, una ulteriore capacità e una nuova competenza; a livello del nostro modo d’essere, sviluppa una pienezza esistenziale che corrobora le altre due dimensioni creando una persona che è in grado di amare e di ricevere amore. Imparare ad amare, quindi, ci offre anche la possibilità di interagire con le persone dell’ambiente sociale e culturale in cui viviamo. 26

Le persone fredde e anaffettive non hanno goduto di esempi amorevoli durante l’infanzia, quindi non hanno potuto sviluppare l’intelligenza emotivo-affettiva; queste persone potranno anche riuscire a convivere con qualcuno e a diventare genitori biologici ma non saranno in grado di vivere pienamente la loro esistenza: la famiglia che fonderanno sarà fredda e anaffettiva come loro! Credere che l’amore sia un moto spontaneo del genere umano prelude al comportamento ingannevole di “lasciare che tutto vada da sé”, senza cure, senza fatica e senza progetti! L’intelligenza emotivo-affettiva si basa sulla consapevolezza di voler bene ad una persona e di volersi adoperare per lei, sempre scientemente. Negli ultimi anni sto constatando una frequenza preoccupante di storie che iniscono nel momento appena precedente o appena successivo alla sistemazione dell’alloggio deinitivo: la coppia sembra interessata a trovare casa, ad arredarla e ad abitarla e, non appena questo avviene, accade qualcosa di veramente sconvolgente: una persona subisce la fuga dell’altra! Come se il fatto di toccare con mano l’abitazione – che rappresenta il luogo della stabilità ma, per molte persone, della scontatezza, della ripetitività, della quotidianità –, deresponsabilizzi una delle due persone la quale cambia repentinamente atteggiamento e la storia inisce senza spiegazioni logiche. In realtà una spiegazione c’è sempre e ciò che ho osservato è l’incuranza: una delle due persone trascura l’altra pensando che il rapporto cresca da solo, senza cure e quando viene meno l’attenzione ed entrambi si disimpegnano e trascurano ciò che prima aveva arricchito di senso il rapporto, la casa nuova non basta più. Non può bastare! Spesso il nervosismo, la fretta e l’ansia che accompagnano l’urgenza di concludere i lavori per l’alloggio, fa perdere di vista l’importanza di dare continuità al sentimento, di curare amorevolmente il rapporto. Cosa succede a queste storie? Le risposte delle persone sono sempre le stesse: «non eravamo compatibili», «era destino…», «si vede che doveva andare così…», «non capisco cosa sia successo!», «meno male che è successo adesso, prima di sposarci», «se quei due si fossero amati davvero, non sarebbe inita in questo modo…», «siamo cambiati nel tempo quindi non siamo adatti l’uno all’altra».

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Questi sfoghi autoconsolatori e nichilistici mi confermano l’ignoranza che serpeggia fra le persone quando si tratta di rilettere sulle ragioni del cuore che ogni individuo dovrebbe poter coltivare. Nessuna coppia regge il colpo dell’incuranza, della trascuratezza e del disimpegno! Amare signiica adoperarsi! Se non si agisce a favore dell’altra persona – e dev’essere reciproco – si spezza qualsiasi legame d’amore e ci si preclude la vera gioia! «solo l’intenzionalità in termini di sentimento verso i valori può dischiudere all’uomo la vera gioia. Questa pertanto non può essere ine a se stessa, non può essere mai oggetto a cui si tende. Essa è data soltanto nell’eseguire atti consapevoli, atti intenzionali» (V.E. Frankl, 1975, p. 76). In ogni ambito della nostra esistenza è il nostro decidere di fare qualcosa a favore di quegli ambiti a darci gioia, appagamento, soddisfazione. Così succede in amore: se mi adopero per la persona che amo, avverto dentro di me una sensazione di gioia e di felicità. Quindi la vera felicità non la dovrei mai programmare perché è irraggiungibile se diventa l’oggetto dei miei desideri; ma se decido di dedicarmi ad una persona con amore e mi impegno a farlo con dedizione e tenerezza, solo in questo caso raggiungo la felicità, perché do un senso al mio fare. «È la vita a porci delle domande, a sottoporci delle questioni vitali, alle quali rispondere. E noi siamo responsabili delle risposte che diamo. Ossia rispondiamo […] assumendoci la responsabilità per la nostra vita, e questo non a parole, ma, soltanto con le azioni» (Idem, 2006, p. 71). È naturale pensare che le responsabilità siano anche faticose, ma senza le fatiche, l’impegno e la tenacia, nessuna cosa è raggiungibile dall’uomo, men che meno nella vita in coppia!

Il nuovo periodo in cui viviamo: i disvalori Non viviamo, come molti credono, nel periodo delle separazioni! Viviamo nel periodo del disimpegno: è un contraccolpo grave a tutto ciò che culturalmente e storicamente ci ha preceduto. Non abbiamo avuto la capacità cognitiva e intellettiva di prepararci agli eventi successivi al “Sessantotto”, in particolare al periodo delle proteste delle femministe che miravano all’emancipazione femminile dal secolare ruolo di sudditanza: si è iniziato a deridere, a snobbare e a riiutare tutti i capisaldi che mantenevano vive le tradi28

zioni familiari e abbiamo eliminato tutto senza mai considerare che “in quel tutto” esistevano dei valori imprescindibili, dai quali non ci si doveva allontanare. È vero ed è stato importante che certi vincoli culturali stantii e retrivi venissero riiutati, soprattutto quelli che opprimevano alcune persone violando la dignità e la libertà di scelta, ma si sarebbe dovuto distinguere i valori del bene dai disvalori e non generalizzare calpestando la singolarità dell’essere umano che fonda la sua esistenza proprio sui valori. Fra quei valori buttati alle ortiche, esistevano anche il bene, la giustizia, la fedeltà, la sincerità, l’impegno, la famiglia, le tradizioni, le certezze affettive e ogni valore personale che per il singolo individuo ha un importanza vitale! Oggi le famiglie regnano nel caos a causa della perdita dei conini tra il bene e il male: i partner non valutano quasi mai che è bene lottare, curare e ambire a degli obiettivi in coppia; non considerano che è male violare la propria e l’altrui dignità quando si trascura e, magari, si tradisce il compagno di vita! «Certo, nell’uomo c’è anche il piacere del male, la voglia di perdizione, il mondo oscuro del sottosuolo, persino l’immonda perversione di voler profanare sessualmente l’innocenza di un bambino e altre cose del genere […]; ho scritto anche qualcosa al riguardo, ma in tali casi si tratta di uno stadio secondo, parassitario. Il primo stadio, il livello primordiale, è la logicità e la normalità del bene e della giustizia, da intendere non immediatamente in modo morale o peggio moralistico, ma come espressioni di quell’ordine fondamentale del mondo […] solo sulla base del fatto che la logica interiore della natura è l’ordine, la relazione l’armonia» (V. Mancuso, 2008, pp. 120-121).

Spessissimo sotto lo stesso tetto vivono due persone che non si conoscono, che spiano, una all’insaputa dell’altra, siti internet in cui avvengono scambi indecenti di immagini genitali e frasi pregne di sozzure: la donna offre gratuitamente a tutto il mondo mediatico il proprio corpo come un oggetto e l’uomo sfrutta quell’immagine per alimentare la propria fantasia e rintanarsi negli sfoghi autoerotici. La donna alimenta i disvalori dell’impudicizia, dell’indecenza e della depravazione, mentre l’uomo coltiva i disvalori della morbosità, del feticismo e del voyeurismo: in questo modo i due mondi (squilibrati) 29

si trasmettono il chiaro messaggio: “non sono capace di relazionarmi con un essere umano in altro modo”. La fatica di decidere la separazione dal partner eterna una convivenza priva di qualsiasi interesse e noiosamente ripetitiva. Non si vuole considerare che il male di vivere spesso è nascosto tra le macchinazioni di ciò che si fa all’insaputa del partner. Il bisogno di rispettare il bene e il male è intrinseco in noi e lo dimostra il fatto che ne parliamo con ansia e ci vergogniamo se viviamo nel male. Perché il delinquente che viene stanato e arrestato si copre il volto? si copre il volto perché si vergogna di mostrarsi agli occhi degli altri in quanto sa di aver agito male e nel male. Se una persona non si vergogna signiica che è priva dei propri conini autoregolativi, quindi che è una persona disturbata, che non ha interiorizzato certi valori e che avrebbe bisogno di aiuto. La persona che tradisce lo fa nascostamente, teme di parlarne e, quando trova il coraggio di chiedere aiuto, ne parla con la voce turbata e gli occhi tristi perché non approva ciò che fa: il fatto stesso di chiedere aiuto dimostra che la persona non solo non accetta il male che sta perpetuando ma desidera uscire dal suo circolo lordo. L’indole di ciascuno di noi non dovrebbe mai diventare un alibi psicologico (“io sono così… sono fatto così!”) ma è fondamentale tener conto del fatto indiscutibile e irrinunciabile che “è la persona a decidere” – al di là dell’indole che possiede – ciò che vuole fare nel bene o nel male. La persona si decide, quindi ogni decisione che prende diventa autodecisione, cioè autoconigurazione: io mi coniguro come decido per me stesso; mentre io coniguro il mio destino, la persona che io sono conigura il carattere che ho quindi “si” conigura la personalità che sto diventando; «io agisco non soltanto in conformità con ciò che sono, ma io divento anche in conformità a come opero» (V.E. Frankl, 2001, p. 96). L’obiettivo non dovrebbe essere “diventare buoni” ma “operare il bene” cioè “fare per l’altro”: nella misura in cui io attuo il bene in coppia, stimolo l’altro a fare lo stesso. Un’azione, cioè il fare, non è altro che il trasferimento – dall’interno di noi all’esterno – di una possibilità per cui la mia azione morale non si accontenta di essere solo un comportamento ma diventa, nel tempo, un atteggiamento morale: si passa dall’azione morale all’atteggiamento morale (dalla potentia all’actus). Verso chi dirigere questa azione che diventa poi un atteggiamento morale? L’uo30

mo, quando si atteggia in maniera morale, lo fa per una persona, per qualcun altro o magari per una buona “causa”, non certo per la buona coscienza. Avere una buona coscienza non deve essere mai alla base del mio essere buono, ma deve piuttosto esserne unicamente la conseguenza. Certo una buona coscienza è il miglior cuscino su cui posare il capo, tuttavia dobbiamo guardarci dal fare della morale un sonnifero e dell’ethos un tranquillante. «La Peace of Mind (la pace dello spirito e la tranquillità dell’anima), non è un obiettivo, ma l’effetto del nostro comportamento etico» (ivi, pp. 98-99). Tutto questo discorso non deve essere frainteso e interpretato come un modo per dispensare buonismo (che è un disvalore in quanto si basa sull’esibizione dei buoni sentimenti!) ma permetterci una rilessione per capire e coltivare il valore della bontà. Per stare bene in coppia è molto importante uscire dal relativismo personale che si basa sul concetto del “ho ragione solo io” e che si traduce nel ripetere spesso: «eh… ma io la penso così…», «se io credo in una cosa tu devi stare a sentirmi perché io so di aver ragione e tu sbagli», «chi ti ha chiesto niente… io ho deciso così e basta», «ma perché devo rinunciare proprio io», «se mi viene l’impulso lo dico e basta!».

In questo tipo di reazione, chi esprime queste frasi ritiene di essere indiscutibilmente e sempre nel giusto, considera che la sua verità sia l’unica esistente, quindi tutto ciò che dice, pensa e decide non è discutibile: si crea, in questo modo, una chiusura della persona su se stessa la quale crede solo nella propria posizione di onnipotenza. Questa persona non solo non si mette mai in discussione (cioè non discute con se stessa su ciò che afferma, pensando di poter avere anche torto) ma viola i diritti dell’altra persona, non è in relazione con lei in quanto non crea uno spazio comune per rimanere in-dialogo: “tutto è relativo a me” e questo è il principio dal quale parte nel suo modo di ragionare. È un nostro diritto poter recuperare il valore del bene per riafferrare quella parte che è stata eliminata assieme a ciò che davvero andava buttato via: nel caso della discriminazione sessuale, andava eliminata tutta la disparità dei diritti umani, la sottomissione, le ingiustizie e i soprusi nei confronti delle persone, mentre andava tutelato tutto il mondo dei valori personali, familiari e sociali! Dovremmo mantenere fede ai valori della femminilità, della mascolinità e 31

della famiglia e considerare l’uomo e la donna persone da educare, non da demolire: se tratto l’uomo (o la donna) da oggetto sessuale che, magari, mi deve anche mantenere e aiutare in casa, lo cosiico, lo rendo una cosa per me, il mio zimbello e lui – ingiuriato e vilipeso – ripeterà spesso: mi sento sempre sotto esame e… con una costante ansia da prestazione.

Sentirsi cosiicati, controllati, giudicati e, magari, derisi, è la peggiore prigionia psicologica che un essere umano possa subire e dalla quale dovrebbe sempre poter fuggire sentendosi nel giusto a difesa della propria dignità.

Cosa signiica voler bene e cosa signiica amare L’amore e l’amicizia sono come l’eco: danno tanto quanto ricevono. A.I. Herzen (scrittore russo)

Amare è un atto mentale altruistico che è dificile creare con una persona e mantenere nel tempo se non si è liberi dai seguenti limiti: l’egoismo, l’egocentrismo, la ricerca dell’autoaffermazione senza il rispetto dell’altro, l’ascolto solo delle proprie esigenze, il timore che l’altra persona si realizzi, la gelosia esagerata, la possessività, l’invidia, la fatica a prestare attenzione all’altro, la convinzione di voler cambiare l’altra persona e la tendenza all’onnipotenza. Con tutti questi “intralci psicologici e comportamentali”, è impossibile che si capisca davvero cosa signiichi amare. Una persona vincolata ad alcuni di questi limiti conduce un’esistenza che, dall’esterno, può apparire normale, ma quando viene osservata dall’interno della coppia in cui vive, manifesta la sua limitatezza. Alla luce di queste considerazioni, possiamo comprendere meglio che non tutte le persone riescono ad amare in quanto, per raggiungere questa capacità, è importante individuarsi, saper amare, essere intelligenti, farsi amare e riuscire a capire che: 32

“Voler bene” signiica volere il bene dell’altra persona. “Amare” signiica amare l’idea che l’altra persona non si privi della sua autenticità e che diventi ciò che potenzialmente vuole diventare. “Amare” vuol dire rinunciare all’idea di voler cambiare l’altra persona. “Amare” signiica agire, applicarsi, adoperarsi per l’altra persona. “Amare in coppia” signiica tutte e quattro le cose in modo reciproco. In coppia, non si tratta di capire se si ama oppure se si vuole bene ma se si vuole il bene dell’altra persona, se si ama l’idea che raggiunga i suoi obiettivi personali: sarà lei, sentendosi compresa, a fare altrettanto. Se non desideriamo il bene dell’altra persona, è molto più onesto e saggio procedere per la separazione e il divorzio. Se il bene dell’altra persona non coincide con ciò che “noi” riteniamo essere il suo bene, dobbiamo rilettere sul nostro senso di onnipotenza. Voler stare bene non deve essere inteso come un capriccio o una fuga, ma come un sacrosanto diritto umano che ha bisogno di esplicarsi soprattutto nella coppia dove spesso gli spazi psicologici individuali sono angusti. Quando si ama si percepisce di voler bene incondizionatamente, non trascurando se stessi né rinunciando ai propri bisogni ma protendendosi verso l’altro in un atto di volontà affettuoso. Non esiste altra risposta alla domanda amo o voglio bene! Le persone si pongono mille domande e si danno altrettante risposte brancolando nel buio del dubbio. Se si pongono la domanda “amo o voglio bene”, rischiano di confondere l’amore con la passione e questo errore distrugge tante vite in coppia perché le risposte che giungono sono inevitabilmente diverse da quelle che alimentano i loro sogni, le loro illusioni e i loro luoghi comuni.

Come posso capire se l’amo Questa è una delle prime domande che spesso le persone si pongono nella relazione in coppia ed è la più importante che mi pongono. 33

La domanda “come posso capire se l’amo” fa presagire un’incapacità di fondo che è tipica delle persone autoreferenziali che non riescono ad entrare nell’altra persona per coglierne il modo d’essere e per apprezzarne le qualità. Amare è molto dificile e non è un atto naturale. L’amore precede l’amare: l’amore è un valore universale mentre l’amare è un atto che si decide di attuare; «[…] perché gli uomini fanno il bene? Che cosa li spinge talora a comportamenti giusti, talora così belli da essere eroici, sovra-naturali? È forse perché sono buoni? No, gli uomini non sono buoni, semmai lo diventano se fanno il bene, che preesiste a loro e che crea la loro bontà. Il bene viene prima della bontà» (V. Mancuso, 2008, pp. 22-23). Anche l’amore viene prima dell’amare quindi l’atto di amare una persona deve essere deciso, deve essere mirato, voluto quindi curato con attenzione. Non è, come molte persone credono, un fatto spontaneo che rimane immodiicato per sempre. Quell’atto spontaneo iniziale non è altro che simpatia o infatuazione o invaghimento o passione, certo! e la passione è fugace. Esistono coppie in cui si mantiene la passione grazie al fatto che si è creata o precedentemente o contemporaneamente una base affettiva sicura, ma la passione da sola non si autosostiene in quanto è solo emotiva: ci vuole l’intelligenza affettiva!

Le domande che ci aiutano Innanzitutto distinguiamo il tipo di domande che ci aiutano a capire se il nostro rapporto in coppia è di vero amore. Un rapporto di vero amore non può prescindere dalla capacità di saper amare, quindi possiamo chiederci: A. Siamo in grado di amare? B. Il nostro rapporto in coppia è vero amore? A. Per capire se siamo capaci di amare, poniamoci le seguenti domande: 1.a Durante il dialogo riesco ad ascoltare solo te? L’ascolto è per te? È rivolto a te? 2.a Le cose che scelgo, le decido assieme a te? 34

3.a 4.a 5.a 6.a 7.a

So pormi nel tuo modo di ragionare, pur rispettando il mio? Mi piace rispettare le tue idee? Ti stimo? Ti difendo? Percepisco che tu fai la stessa cosa nei miei confronti (senza che io te lo chieda)?

Se le risposte a queste domande che mi pongo sono tutte affermative, posso sostenere senza ombra di dubbio, di essere in grado di amare l’altra persona. Più risposte negative ci sono meno signiicativo è il rapporto in coppia. Facciamo una breve analisi delle risposte alle sette domande. 1.a Durante il dialogo riesco ad ascoltare solo te? L’ascolto è per te? È rivolto a te? Essendo già chiaro a noi stessi il nostro punto di vista, quando si parla in coppia, l’ascolto (Note di approfoNdimeNto 4) dovrebbe essere rivolto e dedicato solo all’altra persona; dovrebbe essere un tempo offerto perché fa piacere farlo; perché lo si sente consapevolmente e pienamente dedicato all’altra persona. Ciò che si stabilisce comunemente nella comunicazione fra due o più persone – amiche o conoscenti che siano – non dovrebbe avvenire, nello stesso modo, all’interno di una coppia: tentare di imporre la propria idea o di affermarsi per acquisire superiorità è un tipo di comportamento molto frequente nelle relazioni umane, soprattutto fra le persone insicure; d’altra parte, anche un atteggiamento che si basi sull’estraneità e la noncuranza, senza mai esprimere il proprio parere può, nel tempo, troncare un dialogo perché troppo fragile. Impegnarsi nell’ascolto dell’altra persona può far nascere un nuovo interesse per lei e trasformare i due atteggiamenti che ho descritto, in un comportamento emotivamente partecipe e vivo. Molte persone mi chiedono se si può imparare ad essere premurosi con un atteggiamento impegnato e proteso verso l’altra persona. Di solito rispondo che all’inizio ogni nostra azione è incerta e titubante ma che diventa sempre più sicura e stabile se viene ripetuta nel tempo. Credere e decidere di ripetere sono la vera molla (che conduce ad un nuovo modo di essere), la motivazione che ci aiuta a diventare premurosi e impegnati verso l’altra persona. Nessun atto 35

umano che sia a vantaggio di qualcuno resta inascoltato e ciò che conta è che ogni atto altruistico porta con sé reazioni altruistiche. “E se una persona non è motivata?” mi viene chiesto spesso! È chiaro che mancando la motivazione manca la spinta verso l’altra persona, quindi è assente l’interesse. Ma se l’esempio che viene dato è altruistico, è molto probabile che quel comportamento venga emulato. Quando si decide di impegnarsi seriamente ad ascoltare l’altro si è già dentro la fase del cambiamento perché si attiva in noi la volizione (cioè si vuole, si decide di ascoltare) e solo da questo momento in avanti si è in grado di notare se si ascolta davvero, accantonando momentaneamente la propria verità, sospendendo il proprio punto di vista. Dopo aver ascoltato si può rilettere sulle due prospettive per confrontarle, per trovare punti in comune o, magari, per constatare il divario che non deve essere per forza colmato. Quando non si è in grado di sospendere il proprio parere e si insiste nel voler dare credito solo alla propria ragione, il dialogo non può esistere: le due persone rimangono separate, distanti, autocentrate e orgogliosamente convinte di essere nel giusto. 2.a Le cose che scelgo, le decido assieme a te? Una persona che si estranea completamente dalla vita della coppia e che fa le sue esperienze come se vivesse da sola, non “trattiene a sé” la presenza dell’altra persona: il suo piacere personale assume un’importanza vitale, primaria, assoluta ed è talmente urgente il bisogno dell’appagamento, da allontanare da sé qualsiasi persona che possa distoglierla da questo intento, proprio come se vivesse da sola. Al contrario, una persona che vive la sua vita ragionando in funzione dell’altra e ne accoglie il parere non sente di sacriicare le sue scelte ma di condividere ogni cosa con amore e per amore. È un sentire l’importanza dell’altra presenza come un valore irrinunciabile non come un peso da sopportare, quindi tutte le decisioni vengono prese insieme percependone il piacere. 3.a So pormi nel tuo modo di ragionare pur rispettando il mio? Quando si ragiona in coppia è molto importante rimanere, il più possibile, dentro il modo di ragionare dell’altra persona per cercare di capirne il ilo logico-emotivo che la porta alle conclusioni alle quali arriva. Questo modo di ascoltare l’altra persona crea una aper36

tura mentale che pochissime persone riescono a raggiungere non perché siano davvero rare, ma perché tutte le altre pensano di non poterlo fare senza rischiare le proprie certezze. Il timore di perdere i propri riferimenti concettuali (ciò in cui si crede) frena le persone, le rende insicure e le limita soltanto al proprio punto di vista. Quando riusciamo a porci nell’altro modo di ragionare, ci rendiamo conto che il litigio non ha più senso di esistere in quanto non mantenendo dentro di noi il timore dello scontro, né di perdere le proprie certezze, tutto si risolve nella comprensione (da cum-prehendo). Porsi nell’altro modo di ragionare – e magari anche in più modi – allarga la mente e la rende ricettiva, produttiva e rilessiva. Questa apertura non signiica abbandonare il proprio modo di rilettere ma, invece, accogliere anche quello dell’altro, integrandolo e creando una estensione di pensiero molto più interessante, ricca e fertile oppure, semplicemente, ascoltare come ragiona la persona con la quale viviamo. L’intelligenza si sviluppa proprio ipotizzando soluzioni nuove che possono essere paragonate alle prospettive del pensiero altrui. 4.a Mi piace rispettare le tue idee? Nella misura in cui si è in grado di porsi nel modo di ragionare dell’altra persona, si riesce più facilmente a percepire se è piacevole o infastidente rispettare le sue idee. Se si ama una persona può succedere che, pur rispettando le sue idee, si avverta il fastidio di considerarle valide, ed è proprio su questo fastidio che mi soffermo un po’. Nel rispettare le altre idee non si dovrebbe temere di smarrire le proprie ma soltanto di decidere di “guardare da fuori”, accantonando, solo per un breve periodo di tempo, le proprie idee, al ine di avvicinarsi al modo di ragionare dell’altro che è sempre diverso, misterioso e vago, che quindi può anche spaventare. Più si è saldi nei propri valori, più ci si sente tranquilli nel momento in cui si entra in un modo di ragionare diverso dal nostro. I propri valori non dovrebbero essere mai confusi con le proprie idee, con i propri signiicati: Ho sempre creduto nel valore della famiglia, dice Laura, e ho sempre sostenuto che avrei messo al primo posto mio marito e i miei igli rinunciando al lavoro; ora so che devo riprendere l’attività pro37

fessionale per dare una mano alla mia famiglia che rimane sempre al primo posto.

Laura non rinnega il valore della famiglia ma è costretta a cambiare il signiicato di ciò che prima sosteneva (non i propri valori) e a riprendere il lavoro. In questo caso, è molto importante che il partner di Laura rispetti le sue idee senza appesantirla con critiche nei confronti della sua scelta rischiando, oltretutto, di causarle dei pesanti sensi di colpa. Le idee cambiano ed è auspicabile che ciò avvenga perché noi, negli anni, cambiamo, il nostro pensiero si evolve, si aggiorna e si imbatte nei cambiamenti del mondo esterno. Il rispetto delle idee dovrebbe essere, naturalmente, reciproco. Se non si è in grado di porsi nel modo di ragionare dell’altra persona, è molto più dificile rispettare le sue idee ma non è impossibile farlo: si tratta di decidere, nonostante la fatica, di lasciare all’altro la libertà di credere nelle proprie idee senza contrastarle solo perché non se ne comprende il senso. Rispettare l’alterità è un atto mentale di elevata sensibilità che, credo, si possa coltivare nella misura in cui si decide di farlo. 5.a Ti stimo? La stima (che dovrebbe procedere di pari passo con il rispetto) è il nostro modo personale di tenere in considerazione una persona, apprezzandone le idee e il suo modo d’essere. Se ponendomi la domanda “ti stimo?” sento dentro di me che l’altra persona è preziosa per come è, per alcune cose che fa, per alcuni concetti che esprime o per dei valori che ama, signiica che la stimo, che avverto dentro di me un piacere reverenziale per come lei è, per il suo modo d’essere. Ciò che stimo dell’altra persona non è necessariamente tutto di ciò che è o di ciò che fa, ma possono essere anche solo alcune sue caratteristiche che creano un basamento solido sul quale posso costruire il resto della stima per lei. Ovviamente la stima dovrebbe essere reciproca e non unidirezionale! 6.a Ti difendo? Difendersi (come istinto di sopravvivenza) è un bisogno innato che ogni persona eredita e, nella misura in cui ci si svincola dall’ego38

centrismo, si è in grado anche di difendere chi si ama: l’essere umano rimane autoreferenziale per un lungo periodo di tempo in cui non riesce a considerare il punto di vista delle altre persone né, tantomeno, a difenderle; quindi stare in coppia senza aver superato il pensiero autoreferenziale mantiene la persona nell’egocentrismo e non le permette assolutamente di porsi nel modo di ragionare dell’altra, né di difenderne le idee. Se, al contrario, si riesce a comprendere come ragiona l’altra persona ma si tende a screditarla agli occhi degli altri e non si difende il suo pensiero, bisognerebbe chiedersi se lo si fa perché non la si ama o perché non si ama ciò che dice nei momenti in cui la si demolisce. Se sento il piacere e l’orgoglio di difendere la tua persona isica, il tuo pensiero e il tuo modo d’essere (non solo nei momenti di dificoltà) signiica che sono in grado di tutelarti, che so proteggerti e, quindi, che ti amo perché mi preme il tuo benessere, la tua incolumità e la tua originalità. 7.a Percepisco che tu fai la stessa cosa nei miei confronti (senza che io te lo chieda)? Questa domanda la poniamo alla ine perché è naturale pensare che, nella misura in cui un partner si offre all’altro in modo incondizionato (quindi non si aspetta alcunché in cambio), in realtà, ciò che produce nell’altro è proprio ciò che non ci si aspetta ma che “arriva naturalmente” come conseguenza spontanea e gratuita. Nel rapporto d’amore autentico, nessuno dei due partner fa qualcosa per ricevere in cambio qualcosa d’altro, ma è naturale e ovvio che, nel dare, si sproni l’altro a dare a sua volta, quindi si riceva. Se in una coppia esistono tutte queste capacità non dobbiamo pensare che si tratti di un amore perfetto ma sicuramente di un rapporto adulto, equilibrato e gradevole che può anche caratterizzarsi per alcuni difetti. Molte persone credono che impegnarsi costantemente per il benessere dell’altra persona implichi necessariamente la perdita della propria libertà personale e dei propri principi e idee. È un preconcetto che va modiicato a vantaggio della relazione: nessuno perde alcunché di se stesso se presta attenzione all’altra persona e a ciò che esprime, se cerca di rilettere anziché tentare, continuamente, di farle cambiare idea. È un diritto di ogni persona potersi esprimere liberamente ed è un dovere lasciarglielo fare. 39

Se non si riesce in questo intento, può essere molto utile, quando ci si trova soli con se stessi, provare a sostenere a voce alta l’idea che non siamo riusciti ad accettare, proprio quell’idea che abbiamo contrastato con tutta la nostra collera. Rosa, una mia paziente che non riusciva a controllare la sua impulsività e contrastava ogni idea del marito, si impegnò quotidianamente a sostenere le sue convinzioni ripetendo, ad alta voce, nel suo bagno, da sola davanti allo specchio, proprio quelle frasi che lui sosteneva con convinzione: nel fare ciò si accorse di quanto fosse facile in realtà considerare la giustezza di quelle idee senza soffrirne. Lei rimase ferma nelle proprie convinzioni e non faticò a mettersi nei panni del compagno, nel suo modo di ragionare. Solo in questo modo riuscì ad abituarsi, nel corso del tempo, a rivolgere l’attenzione al partner, quindi a trasmettergli un autentico interesse che stupì molto, prima di tutti, se stessa. Di conseguenza lui, sentendosi considerato, cambiò atteggiamento nei confronti di Rosa e si creò un circolo virtuoso in coppia.

Bisogna sicuramente voler essere collaborativi, recuperando in sé la pazienza per mettersi nella condizione di provare questa esperienza: ne vale sempre la pena e solo così ci si rende conto che non si perde alcunché ma ci si arricchisce! È dificile che, nell’entrare nel modo d’essere dell’altra persona (come ha fatto Rosa), ci si senta incapaci di sostenere la sua idea; ciò accade solo nel caso di immaturità cioè di impossibilità a distanziarsi dalle proprie idee per paura di perdere i conini del proprio Io. Se questi ultimi sono solidi, sono anche in grado di essere tenuti in sospeso per il tempo necessario alla simulazione. La nostra mente è in grado di fare molte cose, anche di impersonare più esseri umani; basti pensare agli attori che entrano ed escono da ruoli che rappresentano personalità molto diverse dalla loro e tra loro. Spesso gli spettatori pensano: “chissà com’è nella vita reale quell’attore, quell’attrice” e gli stessi attori, intervistati, svelano di essere molto diversi, magari esattamente il contrario di come si presentano nelle inzioni attoriali. Stare bene in coppia, quindi, signiica anche imparare ad immaginare la vita dalla prospettiva dell’altra persona: vederla realmente è impossibile ma ipotizzarla è sicuramente fattibile. Il fatto di accettare questa prova è già di per sé una prerogativa delle persone adatte 40

a vivere in coppia, mentre chi riiuta aprioristicamente di entrare nel ragionamento dell’altra persona è sicuramente inadatto. B. Il nostro rapporto in coppia è vero amore? Per capire se il nostro sentimento è di vero amore, non dovremmo chiedere ai nostri amici oppure riferirci al luogo comune “si dice che” ma dovremmo rivolgere a noi stessi alcune domande e attendere che le risposte arrivino dal nostro profondo, dalla parte di noi che sentiamo essere la più autentica, la più sincera. Le domande molto importanti – e non sono tutte – sono le seguenti: • • • • • •

qual è la persona con la quale mi sento più me stesso? dalla quale non mi sento criticato né giudicato? con la quale condivido volentieri una parte del tempo? dalla quale mi sento ascoltato e compreso? che mi manca quando non posso vederla per lungo tempo? che si presterebbe ad aiutarmi in qualsiasi situazione di dificoltà? • alla quale sento di poter conidare i dubbi, le paure e le ansie? • con la quale mi sento bene in ogni circostanza? Se la risposta fosse, ad esempio, “mia madre” o “mio padre” o “la mia famiglia d’origine”, sarei autorizzata a pensare ad un rapporto ancora solo iliale, non adulto ma immaturo: la persona che risponde in questo modo, è rimasta vincolata al suo ruolo infantileadolescenziale! Quando si è usciti in modo sereno dalla dipendenza genitoriale-iliale, non si pensa più di stare bene solo con i genitori e di ricevere solo da loro tutte le risposte. Quando si è adulti ci si sente autoreferenziali ma con il desiderio di condividere con una persona diversa dalla famiglia di origine. Questo non signiica negare o rinnegare i genitori, ci mancherebbe altro! Signiica sapere di poter tornare a loro per il piacere di incontrarli, di condividere qualcosa con loro senza più percepire l’ansia della separazione da loro. Credo anche che, quando una persona è in equilibrio con se stessa, non dovrebbe riferirsi solo ad una persona perché le variabili dei contenuti degli argomenti che riguardano i nostri problemi sono talmente diverse e variegate, da essere impensabile che un compagno 41

di vita possa saperle affrontare tutte ma, soprattutto, voglia ascoltarle tutte! E anche se ciò fosse possibile, non sarebbe prudente né saggio riferirsi soltanto ad una persona privando la coppia dell’opportunità che l’amicizia e le relazioni sociali offrono alla stessa. Se Mario sa di poter contare su Anna, va bene che si rivolga a lei, ma se il suo problema si riferisce al suo lavoro o ad un interesse scientiico o sportivo o a qualsivoglia situazione e Anna non è in grado di far fronte a tutto ciò, sarà inevitabile e giusto che Mario chieda consigli ad una persona diversa e, questo fatto, non dovrebbe rappresentare assolutamente alcun sintomo di incompatibilità in coppia né alcun segnale di ine della storia. La persona a cui rivolgersi potrebbe essere anche il padre o la madre o un amico e questo è naturale perche noi siamo immersi in un mondo di possibilità relazionali che è giusto che rappresentino per ognuno di noi delle ricchezze. Sarà l’intelligenza di entrambe le persone a predominare e ad accettare il fatto che quando si avverte il piacere di chiedere un parere fuori dalla coppia sia funzionale farlo senza sentirsi in colpa. Per concludere questo discorso mi preme sottolineare l’importanza dell’elasticità mentale di due persone che, se si ascoltano davvero, non possono sottovalutare l’importanza del fatto che una coppia non può rimanere chiusa e girare sempre e solo attorno al proprio baricentro. Dopo la lettura di questo capitolo risulterà più chiaro il fatto, almeno spero, che se siamo in grado di amare, il nostro rapporto duale ha maggiori opportunità di diventare un rapporto di vero amore.

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Capitolo terzo

Le diversità tra i partner

La porta verso la felicità si apre solo verso l’esterno: chi tenta di sforzarla in senso contrario, inisce per chiuderla ancor di più. S. Kierkegaard

Non è umanamente possibile vivere un rapporto di vero ed eterno amore se non si è in grado di amare l’altro per come è. Credo che il buon esito della vita di una coppia si concretizzi non soltanto per il fatto che venga permesso al partner di continuare a coltivare i propri interessi (cosa, di per sé, già molto dificile), quanto nell’accogliere il fatto che ciò continui a veriicarsi ammettendone l’importanza per entrambi. Vivere in coppia non dovrebbe mai rappresentare la ine dei nostri interessi tanto amati, ma il rispetto di se stessi evitando di trascurare le scelte fatte prima dell’inizio della vita in coppia. Spesso, nel corso del tempo, si tende a contrastare l’altra persona cercando di dissuaderla da tutto ciò che non riguardi le attività in coppia: all’inizio si cede sostenendo la giustezza della limitazione, poi, dopo un periodo di rinuncia, unito magari alla delusione causata dai primi contrasti, si crolla e si crede di aver incontrato la persona sbagliata. Fingere che non esistano diversità tra le due persone signiica reprimere le identità e rischiare che le due persone non si riconoscano più e inizino a ripetere frasi del tipo: «sei cambiato…», «quando ti ho conosciuta non eri così…», «sembri un’altra persona!», «non ti riconosco più!», «evidentemente ingevi…», «ti sei trasformato…», «non sei più quella di una volta…». 43

In realtà le persone sono le stesse, ma la inzione di entrambe non regge più il gioco dell’illusione reciproca. Se, invece, le due persone s’impegnano a notare le diversità che emergono durante la vita in coppia e a rispettarle, riescono ad apprezzarne la bellezza. Si sa che “la diversità fa la differenza”: due persone diverse creano un terreno di interscambio molto più ricco e interessante che non due persone poco diverse o quasi simili nei gusti, nelle scelte, negli atteggiamenti e nei progetti. È anche vero che due persone molto diverse, o agli antipodi, non riusciranno mai ad incontrarsi veramente! Una buona diversità arricchisce il rapporto soprattutto quando le due persone sono impegnate intelligentemente a creare uno spazio comune di dialogo che non deve per forza mirare agli stessi interessi ma creare una curiosità reciproca per le scelte e le scoperte dell’altro; all’interno di questo spazio è bene che esista anche un interesse comune ma se tutti fossero comuni subentrerebbe la prevedibilità che spegne la fantasia quindi l’attesa di ciò che potrebbe suscitare un nuovo stupore! È chiaro che sulle inzioni e sugli assoggettamenti non si crea nulla; al contrario, sull’emancipazione delle due persone che curano anche la sintonia e non vogliono trascurare l’affettività, si possono formare delle coppie molto solide e poliedriche, interessanti e ricche! Emanciparsi non signiica solo, come si crede spesso, crescere culturalmente, raggiungere buoni livelli di conoscenza, migliorare professionalmente (trascurando l’affettività), ma, soprattutto, liberarsi dai vincoli della gelosia, dell’invidia, della permalosità, dell’aggressività e di tutto ciò che mina la vita a due. In particolare la gelosia ossessiva – che rappresenta una paura incontenibile di perdere il partner –, caratterizza il rapporto di coppia in cui predomina il “desiderio di potere” anziché il piacere e il desiderio di “gustare l’amare”. Le persone gelose sostengono in modo convinto di amare il partner ma, in realtà, lo amano come se fosse un incontestabile possesso, rimanendo quindi dipendenti dalla categoria dell’avere e non apprezzando la realtà dell’essere, cioè di come l’altro è. La gelosia, quindi, come vittima della categoria dell’avere – “tu sei mia”-“tu sei mio” –, è l’assillo continuo del tradimento e viene alimentata da una pesante disistima di se stessi. Alla luce di questo discorso, è lecito chiedersi se la persona gelosa sia davvero in grado 44

di amare o necessiti soltanto di alimentare la propria agognata stima di sé! Riscontrando che la persona gelosa mira, inconsapevolmente, a costruire un rapporto di coppia simbiotico (nel senso che non esiste in lei una equilibrata differenziazione Io-Tu), esiste una reale incapacità a considerare che il partner abbia il diritto di vivere in coppia rispettando la propria unicità. Si crea una ingenua ed ossessiva pretesa di sottomettere a sé il partner che, ignaro, all’inizio della storia fraintende e interpreta quelle attenzioni come splendide manifestazioni di amore incondizionato. Nel corso del tempo, la persona gelosa vive una forte condizione di angoscia da separazione, mentre chi subisce la gelosia vive una ancor più forte angoscia da simbiosi, proprio come sostiene Lacan quando afferma “l’angoscia appare quando viene meno il supporto di una mancanza”. Mancando fra le due persone uno spazio vitale di scambio, entrambe vivono un tipo di angoscia che toglie il respiro alla coppia e la fa languire nella morte. «Quindi il geloso più di ogni altro ha bisogno assolutamente di stabilire “una mancanza” che può essere una distanza isica nel senso di trovare l’esatta collocazione che metta a proprio agio il partner; ma è soprattutto distanza psicologica nel senso di non essere invadente e asissiante nei suoi confronti» (P. Ionata, 1991, p. 110). Finché la coppia non accetta le reciproche diversità, è molto dificile che si formi il rispetto, il piacere di stare al ianco di una persona diversa e di cooperare per stare bene insieme. Ognuno si arrocca nella propria posizione di difesa di sé per timore di perdere le certezze; però, nel contempo, si teme di perdere l’altra persona e si vive un conlitto talmente carico d’ansia da giungere, molto spesso, ad un crollo emotivo che può sfociare in un comportamento di fuga (o chiudendosi in sé o fuggendo letteralmente da casa). Le persone che spariscono all’improvviso sono proprio quelle che hanno retto per troppo tempo degli eventi emotivi fortemente ansiogeni e non hanno potuto “salvarsi” in altro modo. La sintonia tra due persone non dipende, come spessissimo si crede, dall’essere uguali, ma dall’essere complementari nella diversità: la curiosità, l’attesa e lo stupore di scoprire tutto ciò che il Tu apporta alla coppia mantengono elevato l’incanto della convivenza perché l’attrattiva è sempre protesa verso la scoperta di qualcosa di nuovo che offre continua linfa al rapporto; «[…] gli uomini sono ineguali per natura […] pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. […] 45

È infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano» (M. Buber, 1990, p. 28). Se si crede che essere uguali rappresenti la garanzia assoluta della buona riuscita della vita in coppia, all’inizio ci si sente protetti perché si sta accanto ad una persona che non minaccia di contrastare tutte le certezze acquisite ma, alla lunga, cala l’interesse perché manca il fascino dell’attesa, della novità, della particolarità dell’altra persona e il naturale disinteresse per la scontatezza della comunicazione crea l’indifferenza e l’inizio della ine: il disamore!

La fase di adattamento alla convivenza Durante la fase di adattamento alla convivenza (che ci si sposi o si conviva), è inevitabile ed auspicabile che emergano le diversità: se la coppia non è ben equilibrata, le inaspettate nuove decisioni di una delle due persone possono scatenare nell’altra delle reazioni di angoscia d’abbandono che sfociano spesso in comportamenti aggressivi seguiti dai primi gravi litigi. Il timore di perdere la persona (che si sveglia dal torpore della simbiosi) è talmente forte da indurre l’altra ad assumere anche atteggiamenti di controllo ossessivo che mineranno la blanda stabilità della coppia. Le coppie che non riescono ad affrontare le diversità del modo d’essere di entrambi i partner, spesso rinunciano e soffocano le loro emozioni diventando coppie amorfe in cui la quotidianità che si ripete monotonamente scandisce una vita insulsa e priva di qualsiasi interesse. Quando seguo coppie amorfe che si presentano per lamentare il comportamento dei loro igli apatici, non prendo quasi mai in carico i bambini: riscontro spesso che il problema dei genitori insulsi ricade sui igli, i quali non possono che manifestarsi svogliati e apatici. Quando i genitori iniziano a parlare delle loro diversità e si concedono di “osare un po’”, sembra che l’ossigeno vitale inizi a dare nuova linfa alla coppia la quale si modiica favorevolmente, creando un effetto domino anche sui igli. Solo dal quel momento è possibile stabilire una collaborazione in coppia e, di rilesso, anche in famiglia. 46

Felice e Feliciana rappresentano una coppia amorfa che chiede aiuto perché i tre igli, due maschi e una femmina, sembrano privi di vitalità, disimpegnati, tristi e svogliati. Mi chiedono una psicoterapia per tutti e tre i igli ma, prima di accettare, suggerisco ai genitori alcune sedute per spiegarmi nei dettagli la vita dei loro igli e della famiglia. Durante questi primi incontri con la coppia genitoriale, noto subito che entrambi espongono le vite dei loro igli come se stessero raccontando la storia di tre estranei: mancano l’espressione emotiva e il contatto affettivo tra loro due; si vede che sono legati da un sentimento ma non esiste il contatto emotivo. Man mano che esprimono tutti i dati, mi rendo conto sempre meglio che il problema lo generano loro due tramite un “comportamento ad eco”: quando parla uno di loro, l’altro ripete lo stesso concetto nello stesso, identico modo. Appena intravedo la possibilità di chiedere qualcosa della loro vita in coppia, emerge, a mo’ di sfogo, la frase di Feliciana “in passato mi sarei permessa di continuare gli studi di musica” e questo primo aggancio mi dà l’opportunità di far rilettere entrambi sul senso di questa frase che è rappresentativa di tante altre frasi che forse sono rimaste inespresse e che contiene tre messaggi: uno nascosto “se avessi potuto”, uno verbalizzato “mi sarei permessa” – come a dire mi sono repressa – e il terzo che rappresenta il desiderio accantonato “continuare gli studi di musica”. Dopo questa breve ma incisiva analisi, la coppia, pacatamente ma incessantemente, butta fuori tutto il malessere che l’ha costretta a ingere per anni: lei, per non deludere lui, ha sempre assecondato le sue aspettative e lui, convinto che lei fosse autenticamente appagata, non ha mai rilettuto sull’ipotesi che lei potesse ingere per essere esattamente come lui. Dopo alcune sedute di psicoterapia offro loro la possibilità di esprimere “cosa avrebbero fatto se avessero potuto essere se stessi come in una inzione scenica ma in tutta franchezza”. Lei si autodeinisce “la inta” e lui “lo sbadato” e iniziano una inzione molto sentita da entrambi ma molto forte anche per me che li guardo per circa mezz’ora in silenzio, notando tante sfaccettature dei caratteri, ma soprattutto il signiicato profondo delle loro sofferenze. L’idea della inzione scenica e del doppio legame (inzione e franchezza) offre loro la possibilità di esprimere per gioco la verità vera ed emergono due persone molto diverse ma complementari: entrambe sottolineano l’importanza di alcuni valori che li accomunano e, stupiti per la scoperta fatta, iniziano a dialogare per la prima volta, stupendosi e ridendo divertiti. Mentre ridono li sento talmente in sintonia che 47

avverto la chiara sensazione di restare fuori e lo faccio per lungo tempo notando che sulle guance di Feliciana scendono delle lacrime che lui asciuga quasi imbarazzato. Questa coppia si è annientata ino a diventare amorfa, si è distanziata psicologicamente e ha cresciuto i igli senza pathos rendendoli inevitabilmente apatici. Anche in questa storia di vita, la causa dell’annientamento è da attribuire al timore di accogliere la diversità che, invece, avrebbe dato loro l’opportunità di far sviluppare quella curiosità che, proprio nell’attesa dell’appagamento, trova il suo più alto signiicato di crescita sentimentale.

I comportamenti pericolosi nella fase dell’adattamento alla diversità Bisogna sicuramente esser già ben individuati per accettare le diversità del modo d’essere dell’altra persona, mentre quando si è insicuri, le diversità possono spaventare a tal punto da mettere in atto comportamenti nocivi. I comportamenti nocivi messi in atto nei confronti delle diversità possono essere i seguenti: 1. 2. 3. 4. 5.

la negazione della diversità la critica svalutante il controllo l’immedesimazione-sottomissione lo scoraggiamento

Approfondiamo un po’ questi comportamenti nocivi: 1. La negazione della diversità Inconsapevolmente, la negazione della diversità dell’altra persona si vive in dai primi momenti della vita in coppia: l’Io si convince che il Tu sia la persona giusta e, trasmettendole questa convinzione, condiziona il Tu a credersi realmente la persona giusta, quella che l’Io cercava da anni! In questo modo l’Io “vede” il Tu come lo vorrebbe e il Tu, per timore di deludere o di perdere l’Io, si adegua e si comporta in modo inautentico. Il danno è commesso! Si reprime il proprio modo d’essere e ci si costringe a ingere. 48

La costrizione della inzione ha alla sua base il fatto (in realtà molto importante) di non aver “faticato” per adattarsi all’altro così com’è e, in questo modo, entrambi stanno al ianco di una persona che non esiste autenticamente! esiste solo nella propria fantasia. Dottoressa, come faccio a riprendere me stesso? Come posso stare tranquillo temendo che lei possa rimanere delusa per come sono fatto…ho into per mesi ed ora non ce la faccio più… mi sento un pupazzo che deve giocare un ruolo che non è il suo… ma so che lei si è innamorata proprio di quel tipo che in realtà non ero io… mi aiuti, la prego.

Questo è il dramma esistenziale di Giacomo e di tutti gli uomini che cadono nel tranello della seduzione fasulla. Del resto emerge spesso dalle parole delle persone che vivono crisi in coppia, che rimanere nel ruolo della inzione può essere intrigante ma può diventare una corazza infernale in cui si nega la propria e l’altrui diversità. Naturalmente, non tutte le persone hanno bisogno di ingere per farsi accettare e quando solo uno dei due lo fa, è sicuramente meno faticoso riemergere alla normalità. 2. La critica svalutante Anche l’abitudine alla critica di tutto ciò che il Tu sceglie, decide e progetta, indebolisce le certezze affettive del Tu e dà vita ad una circolarità malsana che spesso crea due mondi separati, inconciliabili e muti fra loro. Se, oltre alla critica, il Tu si sente svalutato, i due mondi separati si allontanano irreversibilmente perché nessuna persona vive bene la critica svalutante. Ma io lo faccio per stimolarla a cambiare… lo faccio a in di bene.

Questa convinzione ci conduce al senso del noto proverbio: “Di buone intenzioni è lastricata la strada che porta all’inferno!”. Nessuna persona dovrebbe permettersi di stimolare l’altra a cambiare. Ognuno di noi ha bisogno di scoprire dentro di sé qual è la scelta migliore per il proprio bene! Non perché l’altra lo faccia a in di bene! Quale bene? Il suo probabilmente! La critica svalutante non porta a nessun bene, questo è certo! 49

Chi tende a criticare, a svalutare e a interpretare la vita degli altri, dovrebbe chiedere l’aiuto di un professionista per liberarsi dal vincolo di questo grave atteggiamento relazionale e sociale. 3. Il controllo Questo tipo di atteggiamento può essere deinito come l’“esercizio del potere sulla vita di una persona” la quale, sentendosi obbligata a rimanere all’interno del giogo del potere, vive una vita insopportabile dalla quale non sempre è in grado di scappare. Questo tipo di asimmetria in coppia può condurre, nel corso del tempo, o ad una implosione in cui il Tu accetta passivamente tutto e perde la propria dignità, oppure ad un’esplosione con esiti a volte drammatici. La psicoterapia serve a canalizzare la collera coartata a lungo per reindirizzarla a favore della persona vittima del potere ma anche della persona che inligge il controllo. Nel capitolo quinto viene approfondito il tema del controllo all’interno delle coppie. 4. L’immedesimazione-sottomissione L’immedesimazione nell’altra persona e, magari, la sottomissione al suo modo d’essere, è un eccesso di avvicinamento e signiica “intromettersi psicologicamente nella vita dell’altro” per diventare come l’altro, o per manipolarlo, oppure per fare entrambe le cose. Immedesimarsi signiica identiicarsi nel modo d’essere di qualcuno ino a credere di essere quella persona. Comportandosi come quella persona, si perde di vista il proprio modo d’essere trascurando la propria spontaneità e restringendo sempre di più l’orizzonte della propria progettualità. Se l’altro ci affascina, rimaniamo con molto piacere dentro il suo abito mentale e facciamo nostro un comportamento intrigante dal quale non ipotizziamo neanche minimamente di voler uscire. Ma quando qualcosa, dentro di noi, inizia a stonare, corriamo ai ripari pagando, spesso, l’elevato prezzo della depressione. 5. Lo scoraggiamento Un altro modo subdolo di frenare la spontaneità del Tu – ogniqualvolta tenti di fare qualcosa per sé in modo autonomo – è lo scoraggiamento che, nei suoi esiti, corrisponde alla perdita progressiva 50

della iducia, dello spirito di iniziativa e della motivazione: quando il Tu chiede: “cosa faresti al posto mio?” e l’Io risponde: “se fossi in te non lo farei”, è palesemente implicito il tentativo di scoraggiare il Tu il quale, rimanendo bloccato nel dubbio, non sceglie. Successivamente il Tu (così indebolito) sa che non gli è permesso nemmeno di esprimere un desiderio né di immaginare una sua evoluzione. Paolo dice a Paola: «capisco benissimo che tu voglia riprendere il tuo lavoro ed è giusto che tu lo faccia, ma il bambino starebbe male senza di te».

Con questa frase Paolo sembra interessato al bene di Paola ma, in realtà, la blocca toccando nel vivo la sua sensibilità materna. In questo esempio Paolo si immedesima nel bisogno di Paola di riprendere la sua professione tanto amata ma, nel contempo, la scoraggia dicendole, in modo ambiguo, che deve rimanere a casa per il bambino. Durante la psicoterapia emerge, proprio da lui, che il bambino era solo il pretesto per non veder uscire da casa Paola quindi per non rischiare di perderla. Quando Paolo inizia ad accettare la diversità di Paola e il suo bisogno di reinserirsi nella sua attività professionale, i due partner decidono insieme la soluzione migliore per il loro bambino e questa scelta, concertata nel mio studio, inluisce positivamente sia sulla serenità del bambino che percepiva un clima di sofferenza, sia sull’umore di Paola e sui sonni notturni di Paolo che avevano generato grosse ansie all’intera famiglia.

La paura della diversità Da dove nasca e perché nasce la paura della diversità è un tema che non può prescindere dal passato dell’uomo. Il concetto di diversità si allaccia indiscutibilmente ai concetti di separazione, di separatezza e di cambiamento. La diversità dell’altra persona ai nostri occhi ci riporta alla prima diversità vissuta nell’infanzia: la mamma che cambia qualcosa di sé, la mamma assente che dà l’impressione di cambiare, la mamma che cura il fratellino appena nato quindi che cambia atteggiamenti, la mamma che riprende a lavorare fuori casa, insomma, la mamma che non è più quella di prima! Ho constatato spesse volte che conta assai poco il fatto che la madre sia stata attenta a non far pesare i cambiamenti al proprio 51

bambino in quanto, in realtà, il superamento dei disagi dipende quasi completamente dalla sensibilità del bambino, dal modo in cui viene elaborato da lui stesso il cambiamento della madre. Dico quasi completamente perché ogni storia va vista alla luce della sua dinamica interna e delle rispettive sensibilità. È sicuramente importante la cura sensibile e amorevole della mamma nei confronti del proprio bambino ma non è tutto. Spesso, proprio perché si accudisce con eccessiva attenzione – pur senza opprimere – si illude il bambino che le cose potranno andare per sempre allo stesso modo e, al primo cambiamento obbligato, il bambino si sentirà tradito dalla mamma e non troverà dentro di sé le risorse per farcela autonomamente, senza di lei. Quel bambino, diventato adulto, tenderà a trattenere a sé, tutta la vita, la donna che avrà al suo ianco senza saper rispettare la sua diversità, la sua originalità e i suoi bisogni di progettare. Il bambino deve poter sperimentare da solo di farcela quando qualcosa sembra diverso da prima, quando la continuità di alcune certezze viene meno per motivi casuali o scelti dai genitori. Nei periodi della nostra infanzia in cui ricordiamo di aver percepito la separazione dalle igure signiicative, è probabile che non abbiamo avuto sempre la sensazione della separatezza cioè dell’essere persone separate, a sé stanti e ben individuate. Separarsi dalla madre non signiica sentirsi separati! Come, del resto, separarsi dal coniuge, non signiica sentirsi separati! Infatti la separazione è una divisione (che io posso anche non volere, non scegliere in modo del tutto convinto), mentre la separatezza è una condizione mentale che mi dà la sensazione di essere staccato dalla situazione precedente. Quando, da separati (da qualsiasi persona o situazione precedente) percepiamo di essere separati, solo allora viviamo la separatezza e il vero cambiamento! Se, invece, da separati non percepiamo di essere separati, ci porteremo dentro anni di angoscia e di tormenti che rischieranno di trasformare i nostri pensieri martellanti in malattie psicosomatiche (Note di approfoNdimeNto 5). Quando si è igli, cambiamento dovrebbe signiicare cambiare la condizione mentale da igli (dipendenti e a volte rancorosi) ad adulti (indipendenti e sereni) che si sentono autonomi anche nello scegliere di continuare a frequentare e a condividere alcune esperienze con i genitori. Quando si è persone separate, cambiamento signiica cambiare la condizione mentale da partner (che ha sospesi irrisolti) a persona che si sente autonoma e che è anche in grado di incontrare, senza 52

rancori e tensioni, il partner dal quale si è separata. Quando i due partner separati devono vedersi per educare e curare la crescita dei igli, è importantissimo che riescano ad incontrarsi nella nuova veste esclusivamente genitoriale. Se da bambini abbiamo potuto vivere l’esperienza di questo passaggio evolutivo – il cambiamento – in modo piacevole, saremo in grado, da adulti, di apprezzare la diversità delle persone, altrimenti faticheremo e tenderemo ad intrudere nella loro vita pretendendo di far valere soltanto e sempre le nostre ragioni. L’evoluzione dalla separazione alla separatezza genera un cambiamento rasserenante oltreché funzionale alla propria saldezza interiore. Quando una persona non è autonoma affettivamente non è, come si crede, una persona egoista (anche se viene interpretato in questo modo), ma è un individuo con una incompletezza evolutiva che subisce! La diversità di ognuno di noi è il bene più prezioso che ci contraddistingue da tutti gli altri esseri umani e che va tutelata da qualsiasi persona che pretenda di modiicarla o di annullarla. Chi cerca di modiicare la diversità o, peggio ancora, di evitare che si evolva, crea un danno che conduce inesorabilmente alla ine della relazione. Dalla prigionia si cerca sempre di evadere: è un bisogno ineludibile svincolarsene, e se la coppia vi si barrica dentro per paura del mondo esterno o per timore di perdere la persona amata, non riesce da sola ad affrancarsi dalla prigionia che ha creato e si chiude sempre di più rischiando il collasso psicologico.

Perché due persone che si amano provocano reazioni negative? La reazione più immediata, quando vediamo una coppia felice, è la gioia. Per l’essere umano, la gioia è sempre un’emozione piacevole ed è qualcosa che, magari, egli ha perso nel tempo o non ha mai assaporato nella sua famiglia di origine o in coppia. Il bisogno di vivere la gioia o di recuperarla, causa nelle persone alcune reazioni negative come, per esempio, l’invidia nel momento in cui vedono due persone che si amano. L’invidia ha radici profonde che raggiungono il terreno dei bisogni infantili i quali, non avendo ottenuto risposte affettive suficientemente buone, rimangono sempre alla ricerca di qualcosa che, in realtà, sembra introvabile. 53

Proprio la visione di una coppia innamorata ristimola le radici dell’invidia che «è un sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode […], l’impulso invidioso mira a portarla via o a danneggiarla» (M. Klein, 1985, p. 17). Due persone che si amano possono provocare, inconsapevolmente, oltre all’invidia, anche un misto di gelosia e paura! In alcune persone gelose, il vedere una coppia che si ama può creare una inquietudine di fondo alimentata dalla paura: è piacevole osservarla ma si avverte qualcosa di strano che ci fa stare male. Secondo l’English Synonymus di Crabb «…il geloso teme di perdere ciò che possiede; l’invidioso si tormenta nel vedere che un altro ha ciò che egli vuole per sé…; soffre della gioia altrui e si sente a suo agio soltanto vedendo gli altri soffrire. Tutti gli sforzi di soddisfare una persona invidiosa, sono perciò inutili». La gelosia – per Crabb – «è una passione nobile od ignobile a seconda dell’oggetto. Nel primo caso è una emulazione resa aspra dalla paura, nel secondo caso è una bramosia stimolata dalla paura. L’invidia è sempre un sentimento ignobile, che porta con sé le peggiori passioni» (ivi, p. 19).

La paura, accennata prima, va vista come il timore di un mondo – la coppia felice – che è incomprensibile, irraggiungibile e misterioso. Le persone che osservano una coppia felice immaginano cose desiderate, sperate, invidiate a lungo, e queste fantasie generano la paura dell’ignoto in quanto, non avendo mai raggiunto quegli appagamenti – o avendoli persi –, rimangono nel vuoto, nel mondo dell’inaccessibilità che spaventa l’essere umano. Attorno alla coppia che si ama, si crea un alone di mistero che scatena spesso le invidie e le gelosie più meschine tanto è vero che, non appena si presenta l’occasione di appellarsi ad una piccolissima lamentela di uno dei due partner così felici, gli amici si impegnano prontamente ad interpretare quei semplici malumori come importanti segnali di incompatibilità e, senza rendersene conto, iniziano a demolire la coppia che avrebbe bisogno soltanto di capire e di superare il conlitto che si è creato! È facile intuire che, se il partner che ha espresso quella semplice lamentela sta vivendo un momento di calo dell’umore o di disagio esistenziale, diventerà facile preda dei preconcetti degli amici che non attendevano altro che smontare quella felicità! Se, oltretutto, si cade nel giogo del luogo comune che l’amore non esiste, anche questa coppia entrerà in crisi! 54

Lo dicono tutti che l’amore non esiste… perché il nostro dovrebbe esistere e… resistere?

E così, storia dopo storia, le persone si deresponsabilizzano vivendo i rapporti con estrema leggerezza e insigniicanza, senza impegno nei confronti dell’altra persona e rimanendo sospese ad attendere il momento in cui verrà riconfermato che è proprio vero che l’amore prima o poi inisce. La profezia negativa che si autodetermina riconferma per l’ennesima volta qualcosa che, in realtà, viene costruito dalla mente impigrita dell’uomo!

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Capitolo quarto

L’equilibrio in coppia

Ragioniamo sul concetto di equilibrio piuttosto che sul concetto di simmetria in coppia per evitare qualsiasi forma di staticità che non è mai funzionale alla vita dei partner; molto meglio essere asimmetrici ma in equilibrio, concetto che non va inteso come una forma di immobilismo. L’asimmetria è inevitabile, ma anche auspicabile che si crei se accettiamo le diversità: le due persone non dovrebbero pensare, stando in equilibrio, di possedere identiche competenze ma di viversi le proprie sapendo di poter sbagliare e di potersi correggere. In questa “dinamica viva” il concetto di equilibrio può essere rappresentato metaforicamente dal funambolo che, mentre procede, con molta attenzione, passo dopo passo sul ilo sospeso nell’aria, sa che può cadere ma sa anche che può prestare attenzione all’avanzamento dei suoi piedi sul ilo, correggendosi nel modo più prudente per non cadere. È molto bello sapere che le reciproche competenze si possono alternare in base ai bisogni del momento e tutto ciò si può imparare, nel corso del tempo, come l’acrobata che si allena ogni giorno per stare in equilibrio e per sentirsi sempre più sicuro di sé. Sappiamo che il corpo umano è asimmetrico: la parte destra non è identica alla parte sinistra, infatti se ci osserviamo attentamente allo specchio notiamo che ogni punto del nostro corpo è leggermente diverso dal suo opposto. L’equilibrista che procede sul ilo deve bilanciare proprio le sue asimmetrie per mantenersi in equilibrio. In coppia le due persone sono asimmetriche (come le parti del nostro corpo) ma non del tutto diverse e l’equilibrio deve essere mantenuto da entrambe, costantemente e mai con la fretta che, come si sa, è cattiva consigliera. Spesso i miei pazienti separati o divorziati mi esprimono con il volto il loro grande disagio mentre dicono: 57

«solo ora capisco che avrei potuto fare io certe cose»; «se l’avessi aiutata non sarebbe inita così»; «se mi fossi accorta della sua sensibilità non avrei lasciato perdere…»; «ho buttato alle ortiche il mio matrimonio per la mia stupida testardaggine».

Queste reazioni di dolore mi hanno fatto rilettere sull’importanza del tempo necessario per crescere: ogni persona in coppia ha bisogno di capire certe dinamiche e di concedersi il tempo necessario per elaborarle e creare, di volta in volta, l’adattamento più eficace per vivere bene in coppia. C’è un tempo per ogni cosa, soprattutto per le questioni personali! L’alternanza dei compiti, per aiutarsi reciprocamente, è un altro punto di forza all’interno delle coppie consolidate: le coppie giovani non si concedono né il tempo né la pazienza di curare la loro vita e, spesso, la fretta fa perdere la direzione. Dare importanza e analizzare da vicino i piccoli compiti reciproci non è affatto stupido come qualcuno potrebbe pensare! La quotidianità è costituita, prima di tutto, dalle cose piccole e ripetitive, non da grandi problemi, tant’è vero che sono proprio i grandi crucci ad avvicinare le persone mentre quelli piccoli le distruggono se diventano alibi inappellabili.

Come sono io nella coppia? Questo titolo ci mette di fronte al dato di fatto che non si può capire l’interazione in una coppia se non si parte dal singolo individuo che la compone il quale va visto nel contesto in cui vive determinate situazioni. L’analisi che propongo va oltre l’interazione Io-Tu (come interagiscono le due persone), va oltre la transazione nella coppia (cosa viene trasmesso) per soffermarci nelle due singolarità che sono sempre costituite da tre dimensioni imprescindibili: il corpo, la mente e il proprio modo d’essere. Due originalità (due persone) costituiscono una irripetibilità (una coppia)! Volendo uscire, quindi, dalla visione sistemica in cui la coppia (e la famiglia) viene considerata come un sistema omeostatico regolato o da “accordi nella relazione” (D. Jackson), oppure da un “sistema governato da regole” (P. Watzlavick), prediligo un tipo di approccio 58

che punti l’attenzione della singola persona su se stessa all’interno della coppia. Anziché porsi la domanda com’è la nostra coppia, è più importante chiedersi come sono io nella coppia: questo per sviluppare onestamente il senso di libertà e di responsabilità piuttosto che colpevolizzare l’altra persona. È importante, quindi, evitare di deresponsabilizzarsi cioè di pensare e di dire: “io non c’entro niente, è solo colpa sua, doveva impegnarsi di più”. Se mi soffermo nelle storie delle coppie, mi rendo conto che non esiste solo una dinamica duale ma esistono i singoli individui che la caratterizzano. Se pensiamo a dieci coppie con situazioni quasi uguali (uguali è impossibile) e ipotizziamo l’esempio dell’uomo che tradisce e della donna che è consapevole di ciò, notiamo che, paragonando i vissuti, le reazioni delle venti persone e la dinamica che si crea tra loro, non vi è mai identicità e, naturalmente, non vi potrà mai essere. Avendo seguito per anni, gruppi di persone con problemi simili tra loro, non ho mai constatato una stessa reazione in coppia: ognuna di loro esprimeva emozioni reattive diverse, a volte opposte a quelle degli altri membri del gruppo. Per questo motivo preferisco parlare di modo d’essere in coppia piuttosto che di “tipologie di coppia” in quanto, queste ultime, presuppongono una omologazione che costringe una coppia a rientrare obbligatoriamente in una categoria. È importante capire se nel “come sono io nella coppia”, vengono considerate e rispettate le tre dimensioni del corpo, della mente e del proprio modo d’essere.

La tridimensionalità in coppia Riprendo il tema del tempo per rilettere su ciò che intercorre tra il primo approccio e la consapevolezza di amare una persona. Inizialmente, quando ci si innamora di una persona, si rimane infatuati, eccitati e colpiti dalle sue qualità isiche cioè dal corpo, dal volto, dalle movenze, dal modo di vestirsi e dall’atteggiamento; solo successivamente ci si può innamorare delle sue qualità psicologiche (perché non sono così immediate e visibili come le qualità isiche) cioè del modo di ragionare, di vivere le emozioni, di voler bene, di condividere le cose della vita e di tutto ciò che è mentale. Nel corso 59

del tempo si riesce, volendolo, ad amare il modo d’essere dell’altra persona. “Ma come, scusi, volendolo?!” – mi rispondono spesso le persone –. Certo! Spiego: amare il modo d’essere di una persona è un atto di volontà, è un decidersi di amare l’essenza di quella persona e non di altre! È un darsi il tempo necessario per farlo! Non esiste la possibilità che si ami una persona nella sua essenza senza esserne consapevoli e sentire la voglia di coltivare con lei, di farla stare bene, di rispettarla così com’è, di renderla felice. Se non si coltiva tutto ciò (e coltivare presuppone un atto di volontà), la storia si conclude inevitabilmente. Per amare una persona io devo volere che il suo corpo mi piaccia anche se presenta dei difetti, devo volere che il suo modo di ragionare e di vivere la vita sia gradevole per me e devo voler vedere con occhi interessati e con il cuore accogliente il suo modo d’essere, la sua essenza di persona. Deve esistere un senso di responsabilità che mi dirige verso una persona, ma in questo mio dirigermi mi devo sentire libero, non costretto! Ecco perché è molto importante concedersi il tempo che serve per raggiungere questa pienezza. L’equilibrio nell’amore è tale se tutte e tre le dimensioni vengono suficientemente vissute e rispettate. Solo se esiste l’equilibrio è possibile rimanere insieme tutta la vita senza avvertire un senso di fastidio; l’unica dimensione che viene meno, nel corso del tempo, è quella relativa alle qualità isiche a causa dell’inevitabile decadimento del corpo rispetto alle qualità psicologiche e del modo d’essere dei due partner. Mentre le qualità psicologiche e il modo d’essere possono crescere, migliorare e afinarsi, il corpo decade, ma se si ama una persona, non pesa il suo decadimento. Insomma! Si decade insieme, ma si può ironizzare sui reciproci aflosciamenti senza mai scadere nel sarcasmo che offende la sensibilità altrui. Alcune persone sostengono che l’uomo è più fortunato perché invecchiando acquisisce un certo fascino mentre la donna invecchia. È vero, però è anche vero che se manca la base del sentimento, qualsiasi donna, anche molto più giovane del partner, apparirà meno affascinante agli occhi dell’uomo se manca l’amore. Se per una coppia la dimensione isica è l’unica ad assumere una signiicativa importanza, può succedere che si mantenga viva la relazione per tutta la vita solo ed esclusivamente, però, se le altre due dimensioni non risentono della trascuratezza che subiscono, ma siccome è molto improbabile che ciò accada (all’infuori delle coppie statiche), la coppia entra in crisi in quanto, avendo solo la garanzia 60

sessuale, vive grossi disagi relazionali e fatica ad evitare la ine della sua storia. Senza la consapevolezza e la responsabilità di un sentimento, la sessualità diviene ben poca cosa che si esaurisce nel breve tempo della genitalità lasciando spesso un fondo di amarezza perché null’altro esiste tra le due persone. È molto frequente, infatti, lo sfogo di pianto della donna che si manifesta subito dopo l’atto sessuale. Ecco perché, solo quando si raggiunge una certa maturità, ci si rende conto che sarebbe molto più funzionale curare la relazione prevalentemente dal punto di vista psicologico, almeno ino a quando non si sia radicata una chiara e piacevole sensazione-convinzione di aver trovato la persona più adatta e, solo da quel momento, la sessualità avrebbe il senso più pieno, quello di completamento, di coronamento di un sogno che diventa realtà non solo – e non per tutti – davanti all’altare religioso ma davanti al tempio della propria consapevolezza emotivo-affettiva. È molto frequente che gli uomini e i ragazzi si esprimano nel seguente modo: se una donna ci sta io approitto, intanto mi diverto, ma so per certo che non sarà la mia donna, non mi interessa una così!

Ma rimango sempre più colpita dal numero di donne, giovani e mature, che fanno avances e si propongono sessualmente pensando di fare la cosa giusta, di apparire all’avanguardia, di legare il partner in un vincolo irrinunciabile e di garantire così la serietà del rapporto; in effetti l’uomo gioca con loro e con i loro sentimenti e, appena qualcosa non va per il verso giusto (che in genere è la richiesta della donna di convivere o di sposarsi), le donne vengono abbandonate. Durante queste storie, si creano anche situazioni in cui l’uomo non trova più il coraggio di esprimere il suo disinteresse, si lascia manipolare ino al matrimonio e, da questo momento, accadono drammi veramente sconvolgenti che restano intrappolati, magari tutta la vita, nella loro insostenibilità. La consapevolezza di non voler rimanere al ianco di una persona dovrebbe sempre essere verbalizzata per evitare al “partner che subisce” di pensare: “ora non posso più tirarmi indietro… disilluderei anche la sua famiglia”. 61

Come stare bene insieme Non ama colui al quale i difetti della persona amata non appaiano virtù. (J.W. Goethe)

Per stare bene in coppia bisognerebbe chiedere solo ed unicamente a se stessi come ci si comporta e cosa si fa per l’altra persona piuttosto che il contrario, in quanto, puntare l’obiettivo critico e spesso demolitivo solo sull’altro, senza mai autoesaminarsi, conduce alla distruzione del Tu e alla salvazione dell’Io. Il principio da cui posso partire per capire come sono io nella coppia, si basa sulle seguenti domande: 1. Io, nella coppia, percepisco il mio corpo? 2. Sono presente mentalmente? 3. Il mio modo d’essere è autentico nella coppia?

Solo se mi rispondo sinceramente e solo se mi concedo la libertà di accogliere la mia risposta, riesco a capire davvero se esisto nella coppia con tutta la mia tridimensionalità: è un mio diritto esserlo ed è un mio dovere permettere che l’altra persona lo sia. Le tre dimensioni non dovrebbero mai essere percepite a comparti stagni cioè come se fossero divise tra loro e non interagenti. 1. Io, nella coppia, percepisco il mio corpo? Vivere nella coppia con il corpo non signiica solo vivere la sessualità ma concedersi reciprocamente i contatti isici quotidiani, ad esempio: la stretta, il bacio, la carezza, l’abbraccio, lo stare vicini sul divano, lo siorarsi in casa, l’andare a braccetto o per mano in strada, ma anche giocare alla lotta e tante altre manifestazioni isiche di contatto fra i due corpi. Se poi, a tutto questo, si aggiunge una vita sessuale suficientemente buona, la prima dimensione (quella del corpo) rimane soddisfatta. «Qual è il prototipo di vita sessuale soddisfacente?»: mi chiedono spesso le persone ed io rispondo che non esiste un prototipo ma esiste la singolarità della coppia quindi ogni storia di vita è a sé stante. 62

In alcune coppie la sessualità è carente o nulla ma questo fatto deve essere valutato dalle due persone soltanto considerando l’eventuale sofferenza dell’una, dell’altra o di entrambe; non il “si dice”: ogni persona nella coppia vive proprie esigenze psicoisiche che non dovrebbero essere condizionate dalle statistiche. Il proprio sentire e quello del partner sono gli unici criteri che possono rispondere in modo veritiero all’assenza della sessualità. Non è assolutamente vero, quindi, che la presenza di una soddisfacente vita sessuale sia garanzia di solidità come non è assolutamente vero che l’assenza o la carenza di intimità sessuale sia un segnale di disamore o di estenuazione del rapporto. 2. Sono presente mentalmente? Esistere nella coppia signiica “sentirsi presenti in relazione” con un chiaro ruolo di persona che dialoga, che esprime ciò che pensa, che discute, che scambia opinioni, che analizza le scelte, insomma! che vive in prima persona una relazione che comprenda tutto ciò che riguarda la vita mentale delle due persone anche se, in questa condivisione, deve esistere un’eccezione; quindi dialogare non signiica chiedersi chi va a prendere i bambini a scuola o chi assolve il compito dei riiuti o degli acquisti di routine. L’eccezione a cui ho accennato è quel limite oltre al quale è prudente non andare ed è molto importante per mantenere una sana distanza tra le due persone che non dovrebbero mai rischiare di “innestarsi a vicenda” quindi di perdere le reciproche identità: più ci si avvicina più si perde l’individualità che, invece, deve rimanere originale e se stessa tutta la vita. Nella coppia può succedere che, all’inizio, si instauri fra le due persone una sorta di simbiosi (proprio come avviene tra madre e iglio) che, a tutta prima, offre una reale sensazione di benessere, di sentirsi capiti, di percepirsi inalmente in sintonia con una persona che ci lusinga e che non si pensava potesse esistere. Quel benessere illude la coppia facendole credere di essere l’unica al mondo che sa veramente cosa signiichi amare ed essere amati; gli altri sono dei poveracci che non possono capire. La coppia è autocentrata e si sente anche al centro dell’universo: l’infatuazione si mescola con l’innamoramento ma anche con l’inciampo nella persona accanto. Il fatto di restare per un periodo di tempo così vicini, troppo vicini, crea una sorta di inviluppo all’interno del quale nasce il primo ordi63

gno esplosivo che manifesterà la sua potenza proporzionalmente al tempo che sarà trascorso. Non è possibile che due persone sane di mente rimangano troppo tempo impegolate in quell’ordigno! Ecco perché è importante, molto importante, mantenere quello spazio che permetta il rispetto vitale di due identità ben deinite e autonome: ogni persona della coppia necessita di proprie scelte, propri spazi e propri tempi per realizzare le cose desiderate, pur nel rispetto dell’altra. Quando lo spazio vitale non viene rispettato, si crede di possedere magicamente anche il pensiero del partner e questa convinzione si traduce in espressioni che rappresentano chiaramente la perdita della libertà di scelta. Mi spiego meglio entrando in una dinamica molto frequente, quando una delle due persone, che si sente interpretata dall’altra, si esprime così: Ma cosa stai dicendo!

Questa frase espressa con rabbioso stupore mi ha fatto rilettere molto sul concetto di unicità emotiva che consiste nel fatto che ogni essere umano possiede anche una unicità legata alle emozioni vissute durante le sue esperienze di vita. L’equivoco di fondo che emerge chiaramente nella comunicazione tra due persone è: «credere che ciò che l’altra persona esprime con la parola corrisponda solo a ciò che noi intendiamo». Non solo non si ipotizza che l’altro signiicato – quello vero – sia diverso da come noi lo intendiamo, ma non ci si abitua nemmeno a porsi nel modo di ragionare dell’altro. Quando ricevo due persone in conlitto, le ascolto attentamente e noto che quasi sempre esprimono i loro risentimenti, raccontando dei fatti che vengono caricati di emozioni e di vissuti che non corrispondono mai a quelli dell’altra persona. La frase (espressa nel mio studio): “ma cosa stai dicendo!” è un chiaro ed inequivocabile segnale di travisamento delle emozioni e, a volte, delle intenzioni, e credere che esista un solo modo per interpretarle signiica non comunicare e chiudere ogni contatto mentale, affettivo ed emotivo. Se provassimo ad allargare la nostra mente quando ascoltiamo le persone, ci renderemmo conto che ciò che loro dicono può avere vari signiicati oltre a quello che daremmo noi e, se rilettessimo sul fatto che, magari, quei signiicati non corrispondono nemmeno in minima 64

parte a ciò che le persone stanno dicendo, impareremmo a non imporre sempre e solo ciò che è il nostro punto di vista. Le frasi: «ma cosa stai dicendo!», «ma chi te l’ha detto», «ma come ti permetti di dire questo», «non hai proprio capito niente di me», «quello che dici non mi corrisponde», «questo lo dici tu», «io non l’ho mai pensato»

e tante altre, mi confermano questo signiicativo problema nella comunicazione in coppia! Quando durante la psicoterapia in coppia chiedo ad una persona il suo punto di vista rispetto a quanto è stato appena detto dall’altra, la risposta è sempre molto diversa ed elaborando insieme i due punti di vista, magari molto dissimili tra loro, si riesce a rilettere per la prima volta su due concetti che non devono per forza contrastarsi ma restare tali per cercare una alternativa che comprenda in sé le due posizioni. Se questo non è possibile, saranno le due persone, forti del fatto di trovarsi in una situazione neutra in cui non ha senso litigare, ad escogitare una soluzione. Spesso, proprio in questo modo, succede che una delle due persone ammetta che l’altra aveva avuto una buona idea ma che, magari, preferisca mantenere la propria. “Io faccio quello che voglio e tu fai quello che vuoi” è una frase utilizzata spesso dalle persone che pensano che sia questa la libertà da rispettare. In realtà è un messaggio che crea un chiaro e netto taglio, una reale divisione! Non è questo il vero modo per vivere in coppia: manca lo spazio della condivisione e manca anche la consapevolezza che il senso di responsabilità non può essere escluso dalla vita della coppia stessa. “Io faccio ciò che voglio e tu fai ciò che vuoi” può funzionare in un rapporto di amicizia in quanto i due amici possono anche non stare assieme per lungo tempo e vivere le proprie esperienze senza privare l’amicizia di elementi importanti. Sarà proprio quel tempo non condiviso a dare linfa nuova al rapporto. Nel rapporto in coppia non è possibile sopravvivere se entrambe le persone fanno ciò che vogliono senza mai condividere alcunché. Ciò che vale per le coppie in cui si sta troppo tempo insieme e in modo ravvicinato, vale per le coppie in cui si sta troppo tempo separati e in modo differenziato. 65

3. Il mio modo d’essere è autentico nella coppia? Stare in coppia con il proprio modo d’essere signiica percepirsi come persona che si sente veramente a suo agio per come è, non per ciò che ha. Avere, in questo contesto, non signiica tanto il mondo delle cose (danaro e oggetti), quanto l’avere un certo carattere, una certa personalità. Quindi sentirsi a proprio agio per come si è signiica percepirsi nella propria spontaneità libera, senza mai sentirsi in obbligo di ingere di possedere caratteristiche non proprie. Il proprio modo d’essere è qualcosa che va al di là della mente e del corpo. È anche quel nostro percepirci irraggiungibili dagli altri: nessuno ci capisce completamente! Spesso ciò che diciamo viene frainteso e il disagio ci sconforta ino a farci ritirare in noi stessi delusi e incompresi: «mi sento improvvisamente estraneo come quando ho creduto di parlare con qualcuno e girandomi mi sono accorto che ero solo. Conosco questa sofferenza. È la solitudine esistenziale. Mi sta attaccata come un’ombra» (P. Giordano, p. 22). Ma il proprio modo d’essere è anche la sensazione di essere persone irripetibili, uniche e originali quindi insostituibili: siamo sostituibili solo per le cose che si possono attuare meccanicamente, quelle, per intenderci, che svolgiamo in una catena di montaggio o nella quotidianità, ma per tutte le altre non siamo sostituibili perché ciò che facciamo è sempre e solo grazie al nostro modo d’essere. Il non poter parlare, il non poter esprimere, perché si è delusi e si pensa che nessuno possa capirci, determina spesso un “rovesciamento” nel corpo che può diventare patologico (cioè ammalare il corpo) perché la mente non regge più il peso del trattenere. Tutte e tre le dimensioni, quindi, andrebbero vissute sia nel nostro essere persone che danno nella coppia, sia nel nostro essere persone che ricevono nella stessa. Considerando, allora, come siamo noi nella coppia, proviamo a porci alcune domande osservando gli esempi che presento, che non devono essere valutati alla stregua di un elenco freddo di tipologie, ma solo di esempi, di modi d’essere in coppia che ci permettono di discutere con noi stessi e di criticarci costruttivamente al ine di migliorarci. Non ci si deve per forza riconoscere in una di queste coppie, ma semplicemente rilettere sulle varie dinamiche presentate anche se qualcuno potrebbe riconoscersi appieno e notare aspetti 66

interessanti sui quali porre attenzione per valutare la propria situazione personale. Se è chiaro il concetto di tridimensionalità nella coppia, vediamo di soffermarci in alcuni modi d’essere nelle coppie che ho potuto seguire negli ultimi anni. Ogni modo d’essere in coppia viene seguito da un esempio reale in cui utilizzo due nomi uguali al ine di memorizzarli più facilmente.

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Capitolo quinto

I modi di essere in coppia

La coppia divergente: “Vai per la tua strada, io vado per la mia” Spiegazione della dinamica: cosa succede In questa coppia le due persone vivono in modo divergente cioè in due percorsi di vita che partono da un punto comune (che di solito è il periodo in cui decidono di vivere insieme) e proseguono credendo di dover perseguire i propri reciproci scopi di vita senza pensare di creare e di coltivare uno spazio comune. In questa coppia può anche esistere una buona attività sessuale priva, però, di tutto il resto, quindi destinata ad impoverirsi nel tempo. La coppia divergente non può essere considerata coppia in quanto non crea nulla di stabile, nulla di futuribile: le soddisfazioni professionali tengono vive le due singolarità che restano sostanzialmente sole e lontane, manca il dialogo interpersonale e la conoscenza del modo d’essere reciproco.

Esempio di coppia Carlo e Carla, coetanei trentaseienni, sono sposati da alcuni anni e sostengono di credere nell’importanza del rispetto delle reciproche inclinazioni: lui insegna in un istituto tecnico e pratica uno sport a livello amatoriale, lei ha un impiego in banca e ama studiare ilosoia. Negli anni, Carlo e Carla si rendono conto che qualcosa non va per il verso giusto, infatti le amicizie sono completamente diverse, il tempo insieme non esiste e si allontanano costantemente pur sostenendo di credere nei valori della famiglia. Quando in terapia lei esprime l’ipotesi di diventare madre, è come se, per la prima volta, le due persone si trovassero di fronte ad una possibilità incongruente: Carla ipotizza di diventare madre senza coinvolgere Carlo nella 69

scelta, senza nemmeno sentire se è d’accordo e se si sente di diventare padre; proprio come ha sempre fatto nel suo divergere da lui. Noto subito lo stupore e il dolore di Carlo che, pur essendo abituato al modo di fare di Carla, sente di essere ignorato e umiliato.

Problema sotteso Il vero problema non è scoprire se Carlo e Carla vogliono diventare genitori ma, piuttosto, se sono motivati a non far divergere le loro strade, a non scappare l’uno dall’altra, a non ignorare i reali bisogni personali (che non sono più la palestra e la ilosoia). È importante capire se vogliono “accorgersi” di essere due persone distinte ma anche in coppia. Solo se mettono in chiaro tutte queste esigenze sepolte da anni, saranno in grado di pensare alla genitorialità.

Analisi Provenendo entrambi da famiglie in cui non era possibile scegliere liberamente senza il rischio di venir colpiti isicamente (nel caso di Carlo) e di venir severamente puniti (nel caso di Carla), si era creata in loro la convinzione egoistica di dover rimanere in un proprio binario senza rischiare nemmeno minimamente la vicinanza dell’altro che, per loro, rappresentava lo spettro di quelle igure genitoriali reprimenti, frenanti e condizionanti.

Psicoterapia La psicoterapia ha messo questa coppia nella condizione di scoprire che non succedeva nulla di pericoloso né di spiacevole nel condividere qualcosa dell’altra persona creando, così, uno spazio in comune che, sulle prime, li ha gettati nello sconforto del silenzio “e adesso cosa ci diciamo?” ma, subito dopo, li ha aperti ad una nuova possibilità esistenziale in coppia. Non è stato facile per Carlo e Carla riconoscere in se stessi il bisogno di non divergere l’uno dall’altra ma il tempo, il loro tempo psicoterapeutico, li ha fatti rilettere ed analizzare insieme, apprezzando il piacere della condivisione senza vivere quella sensazione, vissuta in famiglia, di perdere la libertà di scelta.

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Alla mia domanda: “Fatemi un esempio in cui avete avuto la chiara sensazione di venir frenati o condizionati in coppia ogniqualvolta avete desiderato fare qualcosa” Carla ha risposto immediatamente: «a pensarci ora…mio marito non si è mai permesso di condizionarmi, anzi… ha sempre accolto favorevolmente le mie decisioni e quello che mi stupisce è che non ci ho mai pensato prima!… Che cosa temevo? Forse era una paura inconscia…». Dopo un breve silenzio, Carlo ha replicato: «anch’io, se devo dirla tutta, mi sono sempre sentito libero con Carla, però ho sempre temuto, in cuor mio, che avvicinarmi troppo a mia moglie mi avrebbe fatto perdere quella libertà che avevo così faticosamente conquistato uscendo dalla mia famiglia d’origine…ora mi rendo conto che si può fare… anzi (sorride e guarda Carla) che è proprio piacevole l’idea di farlo…».

In questa coppia, la paura reciproca di perdere la libertà condizionava entrambe le persone le quali, spaventate, vivevano in due mondi separati non riuscendo mai a fare un passo di avvicinamento né a condividere alcunché. Un giorno mi rivolsi ad entrambi dicendo: «cosa immagina che farebbe molto piacere al suo partner (alla sua partner) se avesse molto tempo libero?». Ci fu, per loro, un silenzio imbarazzante seguito da un incontro di sguardi e da una risata liberatoria: «eravamo vittime delle paure del passato, dottoressa…», disse lui, seguito dall’assentimento del volto commosso di lei.

Pregressi culturali In passato, nelle famiglie a regime patriarcale vigeva la convinzione (e su questa si basava l’educazione) che la libertà di scelta dovesse essere appannaggio dei genitori: i igli dovevano aderire perfettamente soltanto a ciò che i genitori ritenevano giusto scegliere per loro e ogni tentativo di discussione veniva bloccato sul nascere. Questa coercizione non veniva considerata tale (anche se la si viveva come tale) e ogni membro della famiglia si adattava, più o meno bene, ad ogni regola senza mai metterne in discussione la limitatezza.

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La coppia parallela: “Camminiamo insieme senza toccarci” Spiegazione della dinamica: cosa succede Nella coppia parallela le due persone camminano su due binari individuali che sembrano convergere in fondo ma, in realtà, rimangono tali in quanto le due persone seguono soltanto i propri reciproci obiettivi senza incontrarsi mai. Vige un apparente disinteresse per la vita dell’altro, quindi non esiste nemmeno la possibilità di condividere la sessualità. È ovvio pensare che nella coppia “camminiamo insieme senza toccarci” non esista né il dialogo interpersonale, né la relazione sessuale, né la conoscenza del modo d’essere dell’altro. È una coppia che rimane nello spazio dell’anonimato reciproco: due estranei che non si incontrano mai. Ma perché due persone rimangono insieme, o meglio, vivono sotto lo stesso tetto per anni, non “toccandosi” mai?

Esempio di coppia Paolo e Paola, quasi quarantenni, decidono di sposarsi pur essendo ben consapevoli dei loro limiti interpersonali, ma sentendo entrambi, in modo diverso, il desiderio di «metter su casa». Quando lo fanno, decidono di portare nel loro nuovo appartamento ogni cosa personale tranne alcune: Paolo lascia nella casa dei suoi genitori il personal computer e la tastiera del pianoforte per coltivare, presso di loro, la sua passione e Paola lascia a casa dei suoi genitori il materiale per il decoupage e i suoi libri di testo “perché non si sa mai che li debba consultare”. Paolo e Paola si vedono sporadicamente a tavola, alla sera, senza mai programmare alcunché: quando lui non deve andare a suonare con gli amici, o non deve controllare la posta elettronica a casa dei genitori e Paola non deve consultare i suoi testi o non deve curare le sue creazioni artistiche per il mercatino della beneicenza… allora può capitare che cenino insieme! In quelle rare occasioni non avviene nulla tra di loro e l’imbarazzo è talmente forte da costringere entrambi ad accelerare la masticazione per concludere il più in fretta possibile la permanenza a tavola. Nel corso del tempo, Paolo si porta il piatto in salotto per seguire il telegiornale e Paola mangia da sola ascoltando la radio in cucina.

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Problema sotteso In questa coppia esiste, senza ombra di dubbio, un problema in entrambe le persone che la compongono: Paolo da bambino non è mai stato accudito amorevolmente da una igura materna quindi non è stato accompagnato affettivamente nella sua crescita; si è sempre dovuto destreggiare da solo per affrontare ogni problema della vita sia in famiglia, sia a scuola, sia successivamente. Non essendosi abituato alla relazione con la famiglia ma soltanto a tornare a casa da scuola come fosse stato un atto meccanico (la casa era solo un punto di riferimento oggettivo), Paolo ha interiorizzato un modo d’essere automatico privo di emozioni e di affetti espressi. In famiglia non stava male e tutto era regolato da norme ed abitudini rassicuranti ma solo dal punto di vista concreto. Ha sempre trovato un pasto caldo, il letto rifatto e le sue cose a posto ma non ha mai assaporato il piacere di una carezza, di un’attenzione personale, di uno scambio emotivo che lo facesse sentire accolto, amato e vivo. Paola, dal canto suo, ha vissuto in una famiglia di separati in cui il doversi spostare costantemente senza mai appartenere del tutto ad una delle due case – della madre e del padre – ha generato in lei il timore di afidarsi ad una persona di riferimento che l’aveva tradita già una volta, di concedersi un attaccamento rassicurante perché tutto le era sempre sembrato sfuggente e precario. Paola ha interiorizzato un modo d’essere autonomo-sofferente.

Analisi Due bambini che vivono come hanno vissuto Paolo e Paola dificilmente riescono, da adulti, a gettare le basi di una futura famiglia dissimile dalla loro. Entrambi, con problemi molto diversi, portano nella coppia l’eredità di un atteggiamento simile: la siducia nel dialogo; il non sapere come instaurarlo; da dove iniziare e cosa dire se l’altra persona inizia a parlare. Ecco perché ogni pretesto è valido per non entrare in contatto: è troppo spaventoso provare delle emozioni e così la coppia perpetua proprio le modalità acquisite in famiglia.

Psicoterapia Mentre nella coppia “vai per la tua strada io vado per la mia” fra Carlo e Carla esiste l’attività sessuale, quindi la coppia riesce a 73

concedersi uno spazio intimo in cui incontrarsi, nella coppia “camminiamo insieme senza toccarci” fra Paolo e Paola non esiste proprio alcun contatto: ci si rispetta e ci si viene incontro, ma ino ad un certo punto. I due partner sembrano due mondi isolati, preoccupati per l’altra persona, ma senza cromìa nel tono della voce, senza slanci empatici. Durante la psicoterapia è importante trovare gli agganci psicologici ideali, quelli fantasticati e tanto desiderati da bambini, quelli che possano fungere da appigli relazionali, quelli che non appesantiscano le due persone ma le riportino ai desideri infantili in cui agognavano le attenzioni familiari e le stabilità affettive per costruirsele ora in coppia con i dovuti adattamenti e tutto il rispetto dei tempi delle due persone. È un lavoro di cesello, molto delicato ma molto avvincente perché i partner possiedono le emozioni ma non ne sono mai venuti in contatto diretto: il pianto, la collera, la tristezza, la gioia e lo stupore si svegliano per la prima volta e ognuno di loro può scegliere di viversele per conto proprio e poi di condividerle.

Pregressi culturali L’uomo, in passato, non doveva far trapelare le sue emozioni perché ciò rappresentava un segno di debolezza, signiicava non essere uomini, appartenere al genere femminile che era considerato fragile e debole. Nemmeno oggi è infrequente trovare persone convinte che sia molto meglio nascondere le emozioni anziché manifestarle come parti importanti dell’essere umano. Trattenere signiica essere forti e saper gestire tutto ciò che si vive; bisogna però chiarire il signiicato del concetto “trattenere signiica essere forti” considerandolo da due prospettive: la prima riguarda il caso di una persona forte, ben individuata che, proprio perché tale, è in grado di trattenere (per scelta), quindi di rimanere in equilibrio; la seconda riguarda il caso di una persona che non si è ancora distinta, che non si è ben individuata e che trattiene perché si sente costretta a farlo; sta male perché non riconosce l’importanza di ciò che vive e, trattenendo, rischia di somatizzare la potenza delle emozioni ammalando il corpo. La prima persona trattiene perché è forte, la seconda trattiene perché è debole!

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La coppia controllante Spiegazione della dinamica: cosa succede Nella vita in coppia, in cui le due persone si abituano al controllo – reciproco o unilaterale –, vengono gettate le basi di alcuni problemi che, quasi sempre, diventano dei comportamenti di fuga o di attacco perché l’essere umano possiede l’istinto di sopravvivenza e ha il bisogno vitale ed esistenziale di reagire per salvarsi. Le componenti che caratterizzano il bisogno di controllare sono: la paura che l’altra persona commetta qualcosa di sbagliato – di solito il tradimento – quindi di perderla e la siducia, unita all’angoscia, di non essere più al centro dei suoi pensieri. La paura che l’altra persona commetta qualcosa di sbagliato alimenta una fantasia negativa e ogni comportamento (uscite da casa, scelte nuove di vita, telefonate continue) viene interpretato alla luce di quella fantasia. Se una persona immagina di essere tradita (fa cioè una fantasia negativa), crea in sé un pensiero angosciante che si struttura a sfavore della serenità della coppia. «Però – dicono molti partner assillati da questo problema – io ho le prove evidenti del tradimento». Queste prove, così evidenti, non sono quasi mai il vero problema ma sono l’esito di un comportamento controllante che, proprio perché tale, lo causa. Dico quasi mai perché non è vero che chi tradisce viene sempre controllato ma può essere vero il contrario, tenendo conto che tradire non vuol dire solo avere una doppia vita con un’altra persona ma anche vivere una doppia vita con “qualcosa”, ed ecco un altro comportamento di fuga: l’alcool, la droga, il gioco d’azzardo, le escursioni in rete, le uscite notturne, il lavoro eccessivo (quando non sia necessario) e ogni comportamento ripetitivo che guasti la routine serena della coppia.

Esempio di coppia Giovanna e Giovanni si sposano e in pochi anni completano la famiglia con la nascita di tre igli che adorano ma che li mette nella condizione di dover far fronte a spese molto elevate rispetto alle loro possibilità economiche. Giovanna deve abbandonare la sua attività professionale di designer per accudire i bambini e Giovanni accetta un’offerta di lavoro che è molto allettante ma che lo costringe a vivere all’estero per poter fare carriera allo scopo di offrire maggiori 75

agi alla sua famiglia. Il suo ine è quello di “unire l’utile al dilettevole” ma questa frase dà vita, nella mente di Giovanna, ad una serie di fantasie deleterie di tradimento: «se dici dilettevole vuol dire che pensi di divertirti stando all’estero, quindi anche di trovarti una donna per spassartela mentre io rimango qui coi tuoi igli». La reazione di Giovanna è molto rabbiosa e parte da ipotesi che si basano sull’interpretazione di una parola che per Giovanni ha un altro signiicato: «quando dico dilettevole intendo dire piacevole perché il lavoro che mi hanno proposto soddisfa pienamente gli sforzi che ho fatto per laurearmi». Questo discorso non convince Giovanna, la quale si sente carica di siducia, sente di uscire dal centro dell’attenzione del suo partner e inizia il suo controllo ossessivo nei confronti di Giovanni perché, solo in questo modo, crede di modiicare qualcosa che alimenta la sua fantasia di tradimento. Il mondo di Giovanna si blocca in questo incaglio insano e iniziano, così, i suoi controlli: gli telefona molte volte al giorno per sapere dov’è, con chi è, cosa fa, a che ora tornerà e non gli chiede più come sta; ogni domanda diventa inquisitiva e Giovanni, che vive il disagio della lontananza dalla famiglia e dell’adattamento alla nuova realtà sociale piuttosto arretrata, diviene preda facile di una situazione di inviti insistenti da parte di un gruppo di persone che collaborano professionalmente con lui. Queste uscite serali lo aiutano a far fronte al senso di solitudine che viene peggiorato proprio dalla siducia della moglie e, in questi incontri amicali, Giovanni inizia a parlare con una ragazza che gli si dimostra affettuosa e gentile e, in breve tempo, viene invitato a casa sua e inizia una relazione extraconiugale che lui non avrebbe mai voluto. Durante i suoi rientri a casa, Giovanna intuisce “qualcosa di strano in lui” e aggiunge a tutti i suoi controlli anche quello della prestazione sessuale così Giovanni, ovviamente, cade nel suo tranello: fallisce sessualmente perché si sente pressato dalle aspettative della moglie. A questo punto anche Giovanni inizia a controllare le proprie prestazioni e così si crea il circolo vizioso in cui Giovanna controlla se lui è presente o se pensa ad un’altra donna e se raggiungono l’orgasmo e Giovanni controlla se lei controlla. Questa trappola psicologica obbliga Giovanni a negarsi sessualmente e, per paura delle richieste insistenti di lei, a prolungare la permanenza all’estero adducendo motivi professionali non realmente necessari. Ovviamente tutto questo ingranaggio malsano crea ansietà e collera in entrambi i partner, determinando una sequela di litigi, anche telefonici, che guastano quotidianamente ciò che rimane della vita 76

in coppia e il tempo insieme si riduce a sporadici incontri “perché i bambini hanno bisogno di vedere il papà”.

Problema sotteso Durante gli incontri emerge, da entrambi, il desiderio di capire, prima di tutto, la causa del loro problema più che il problema in sé e, dopo alcune rilessioni sui comportamenti e varie analisi, si rendono conto che il vero “alimentatore” del tradimento è il reciproco controllo. Giovanna fatica a mettere a fuoco il meccanismo mentre Giovanni si sente immediatamente capito proprio perché io tocco nel vivo il vero problema scatenante. Lui non vorrebbe tradire ma è l’unico modo per sopravvivere ai continui ed estenuanti controlli da parte della moglie che gli danno la sensazione spiacevole che tutta la sua vita debba passare sotto il “rullo compressore” dei controlli della moglie, la quale riesce a distruggere anche la indiscussa prestazione sessuale vissuta molto bene durante i primi anni di vita insieme.

Analisi Giovanna non si rende conto di creare due problemi a Giovanni: di offendere la sua virilità e di costringerlo, paradossalmente, al tradimento sia per ritrovare il calore umano che non riscontra più nella moglie, sia per dimostrare a se stesso di non essere impotente. Nella dinamica del controllo reciproco è inevitabile tutto questo sconvolgimento emotivo che getta inevitabilmente i semi del dubbio: “ti amo o ti voglio bene?”. Quindi il tumulto diventa anche affettivo. Lei reagisce anche con la domanda: “e perché io non ti tradisco?”. “Perché fa parte dello schema che, involontariamente, avete creato!” Questa risposta stupisce entrambi ma li fa rilettere. Spesso i partner di una coppia si tradiscono a vicenda non perché entrambi lo desiderino, ma perché il primo dei due che subisce il tradimento reagisce per ripicca. Nella misura in cui Giovanna è impegnata mentalmente a controllare suo marito, non può avere la mente suficientemente sgombra per tradire a sua volta e, anche se lo facesse, non lo farebbe per disamore nei confronti di Giovanni. 77

Controllando suo marito, lei rinforza negativamente proprio ciò che non vorrebbe: la sua fuga! E quando Giovanni rincasa, cade nel tranello di controllare se lei continua a controllare lui! Lo schema che Giovanni e Giovanna hanno creato, prevede che sia lei a controllare lui che tradisce e che lui tradisca perché – dice – «sento di dover fare questa cosa per ricevere quelle attenzioni che negli ultimi anni si sono dirette unicamente sui nostri igli». Se fosse stato lui a controllare per primo, i parametri di quello schema sarebbero stati sicuramente diversi. Il controllo non rappresenta mai un’attenzione amorevole ma un assillo che si trasforma in valore d’uso, come a dire “ti controllo perché sei una cosa mia” e spesso si crede che smettere di controllare sia un comportamento disinteressato. È un dato di fatto che chi riceve attenzioni amorevoli torni a casa volentieri e, se può, anticipi i rientri; mentre chi subisce i controlli rincasi mal volentieri ritardando l’ora del rientro. Questo comportamento dovrebbe far rilettere tutte le persone che si lamentano per quei rientri sempre più posticipati dal o dalla partner.

La psicoterapia Per me l’intervento più proicuo, nei casi delle coppie controllanti, è sempre quello improntato all’utilizzo della derelessione e dell’intenzione paradossa: modalità che devono essere personalizzate – quindi calibrate alla speciica coppia – e che sbloccano la rigidità di questo comportamento in modo da stupire i partner per la stranezza dei contenuti e di metterli nella condizione (guidata) di rovesciare il problema su se stessi. Ogni professionista deve saper trovare il giusto mezzo per raggiungere il ine risolutivo per la coppia che ha di fronte. Se avessi chiesto loro (usando modalità logiche, tipiche del buon senso) di evitare di controllarsi a vicenda, avrei scatenato un ulteriore controllo: “controllo se fai quello che ha detto la psicoterapeuta”; mentre l’ingiunzione, accettata da entrambi, di controllare in tempi predeiniti con me, li ha messi nella condizione paradossale di andare oltre i loro limiti quindi di derelettere dal controllo, ipercontrollando, come a dire: ciò che apparentemente conduce ad un esito, oltre certi limiti produrrà risultati opposti! 78

Controllare signiica dirigere, costringere, togliere spontaneità al rapporto in coppia. Ipercontrollare in tempi prestabiliti è una stravaganza terapeutica che annulla deinitivamente il problema, all’insegna dell’antica saggezza che si basava sulla logica-illogica del paradosso per superare eventi e situazioni solo in apparenza irrisolvibili. Solo in questo modo la curiosità di lei si svincola dalla morbosità e, in lui, avviene la distensione in quanto il meccanismo del controllo si smonta da sé. La richiesta direttiva di inalizzare temporalmente il controllo lascia stupiti entrambi e noto nei loro occhi una luce diversa confermata dalla reazione di Giovanna che esordisce dicendo: “dovremmo, allora, controllare…? Ma come facciamo, scusi?”. Questa immediata sensazione di sgomento crea in lei una sorta di sana ribellione che è esattamente ciò che io mi auspicavo. Giovanni, guardandola con dolcezza e con occhi ironici risponde: “ti impegnerai a farlo… l’hai sempre fatto…non sarà dificile per te!”. Ribadendo l’importanza di seguire ciò che ho appena proposto, dico a Giovanna di attenersi solo per il tempo che trascorre tra questa seduta e la prossima e che dopo questo periodo potrà, se lo vorrà, riprendere a controllare a modo suo. A casa avviene proprio ciò che è naturale che avvenga: Giovanni nota che lei fa tutt’altro che controllare perché sa che lui si attende il controllo (non lo teme più come prima) e sentendosi alleggerito si sente ben disposto a proporle delle cose che prima era impossibile vivere insieme a causa della collera e del rancore accumulati nel tempo. Grazie alla capacità di Giovanni di ironizzare e di Giovanna di accettare l’ironia senza impermalirsi, questo nuovo comportamento di entrambi li ha liberati dal peso del controllo reciproco. In breve tempo si sono riappropriati del piacere di incontrarsi anche dal punto di vista sessuale e, di conseguenza, hanno allentato i controlli malsani trasformandoli in interesse autentico. “Quanto durerà?” mi chiedono: la durata è conseguenza della qualità del tempo trascorso insieme, nel senso che il piacere di stare di nuovo insieme spronerà Giovanni a tornare a casa più frequentemente e questo fatto smobiliterà la gelosia controllante di Giovanna. Ma tutto questo lo dovranno scoprire da soli. Il circolo diventerà inevitabilmente virtuoso! I tempi predeiniti da me hanno creato dei limiti temporali che mancavano e hanno improntato quella giusta distanza psicologica che era completamente assente. 79

Pregressi culturali Nell’abitudine del controllo troviamo, inevitabilmente, dei pregressi ilogenetici che appartengono all’uomo in dalla preistoria: controllare se gli animali feroci sostavano nelle vicinanze della caverna e adattarsi a questo rischio munendosi sempre di una clava era il modo più prudente per sopravvivere. Da qui, l’uomo (e con lui la donna nella cura della prole) si evolve anche grazie all’attenzione alla sua incolumità che non poteva prescindere dal controllo. Nel corso del tempo, il controllo non si esercita soltanto nei confronti della sopravvivenza ma di tutto ciò che fa parte della vita umana: in ogni ambito esperienziale umano, se ci pensiamo, esiste l’aspetto evolutivo del controllo che può trasformarsi nella meticolosità, o nell’attività della ricerca scientiica, nell’approfondimento di qualcosa che porti ad un esito; ino alla tenacia, alla costanza, alla fermezza, alla perseveranza ma, se consideriamo l’involuzione del controllo, soprattutto nelle relazioni umane, non possiamo non notare caratteristiche comportamentali molto sgradevoli come l’ostinazione, la rigidità e la cocciutaggine che diventano tutti aspetti del più bieco atteggiamento umano: il controllo ossessivo dell’altra persona. Si potrebbe dire, in senso involutivo, che il controllo per la sopravvivenza dell’uomo preistorico diventa, nel corso del tempo, il controllo per la sopravvivenza dell’altra persona con l’assunzione di comportamenti possessivi. Spesso questo tipo di controllo viene erroneamente interpretato come un comportamento di premura e di interessamento amorevole per l’altra persona.

Quando il problema del controllo maschera qualcosa d’altro Il controllo sussiste, o meglio si instaura, perché un “controllante” (colui che controlla) e un “controllato” (chi si lascia controllare), iniziano a frequentarsi. L’uno sopravvive grazie all’altro e viceversa: chi deve smettere per primo? La risposta che vada bene a tutte le coppie controllanti non esiste perché ognuna è a sé stante, quindi è importante scoprire quale relazione crea la singola coppia per favorire e perpetuare il controllo. Ci sono casi in cui un piccolo cambiamento modiica radicalmente la storia della coppia. 80

Esempio di Claudio e Claudia Claudio controllava tutta la giornata di Claudia, dal momento in cui si svegliava ino alla sera in cui lei spegneva il cellulare. Lei era esasperata dal continuo controllo di Claudio, il quale la bombardava di domande: da com’era vestita a cosa avrebbe fatto il giorno dopo, a che ora sarebbe rientrata; chi aveva incontrato durante la giornata; chi le aveva telefonato; perché non lo aveva cercato come al solito; cosa aveva fatto durante la pausa-pranzo e ogni altro dettaglio della sua vita quotidiana. Quando propongo a Claudio di fare una cosa piccolissima per sé, mentre continua a dedicarsi ai suoi controlli, lui ci pensa e decide di telefonare ad un amico che non sentiva da molto tempo: si accordano di vedersi e iniziano a frequentarsi tutte le sere. Claudia nota, con grande stupore, che Claudio la cerca sempre meno. All’inizio si sente alleggerita ma dopo pochi giorni inizia a preoccuparsi per il disimpegno di Claudio e dopo alcune settimane… si lasciano! Cos’è successo? È successo che il piccolissimo cambiamento di rotta di Claudio (la telefonata all’amico) ha infranto l’abitudine malsana di controllare perché l’amico, che ha gradito molto il nuovo contatto con Claudio, ha risvegliato in Claudio stesso il piacere di controllare: mentre con Claudia non riusciva a gustare il piacere di controllare (in quanto lei si lamentava di ciò), con l’amico ritrova il piacere di contattarlo frequentemente e dà nuova linfa al suo bisogno di controllare; così inizia a farlo nei confronti della vita dell’amico il quale apprezza il fatto di essere cercato quindi anche di essere controllato. Ovviamente Claudio e Claudia non erano una coppia d’amore ma una coppia disturbata che si modiica (in questo caso dividendosi) grazie ad un piccolissimo cambiamento e tutto il problema si sposta sulla coppia Claudio-amico. Il mio suggerimento – messo in atto da Claudio (che evidentemente aveva il bisogno di trovare un’altra persona che apprezzasse il suo modo d’essere controllante) – ha facilitato la ine di una coppia malsana e l’inizio di una nuova storia malsana (non omosessuale) con l’amico. Il problema non si è risolto, perché Claudio continuerà a controllare e, intantoché non inizierà un percorso di psicoterapia personale, avrà sempre bisogno di una persona che gradisca essere controllata. Nessuno avrebbe detto che la coppia Claudio-Claudia fosse strutturata attorno al problema “bisogno di controllare” e a nessuno 81

sarebbe venuto in mente di interpretare quei comportamenti come atteggiamenti patologici e non come sentimento d’interesse amorevole. Gli amici avevano cercato di far capire a Claudia che quei comportamenti erano segni evidenti di interesse per lei; in realtà erano tutt’altro che sentimenti: si trattava di pulsioni insane.

La coppia in competizione Spiegazione della dinamica: cosa succede Nelle coppie in cui si creano, più o meno palesemente, situazioni di competizione, i vissuti emotivi dei due partner sono sempre in “stato di allerta” a grave detrimento dell’affettività. Sembra che l’unico modo per sentirsi vivi nella coppia sia quello di gareggiare senza mai soffermarsi a notare che tutto il mondo degli affetti all’interno della coppia si modiica in senso peggiorativo. Lo spostamento dall’affettività iniziale all’emotività competitiva del “voglio vincere io”, causa una reazione in cui i due partner trascurano tutta la parte sentimentale perché sono troppo coinvolti nella lotta ad oltranza e, alla ine della giornata, il tempo che rimane serve solo a se stessi per cenare e per dormire. Competere in coppia per il lavoro o per la carriera, per l’educazione dei igli, per le scelte di vita e per ogni cosa che riguardi la quotidianità, riduce la relazione in coppia ad una snervante lotta intestina.

Esempio di coppia Alessio e Alessia sono due medici, in dai tempi dell’università – in cui erano compagni di corso –, hanno costruito la loro relazione alimentando il meccanismo della competizione: all’inizio ciò li ha stimolati a raggiungere degli ottimi esiti accademici in modo divertente, cioè tutto era improntato al gioco della seduzione-competizione in cui entrambi cercavano di raggiungersi per superarsi e vivere i loro incontri corroborati dalla sessualità. Tra loro esisteva una buona intesa emotiva che li spronava a vivere la competizione come una stimolazione reciproca anche per concludere in fretta il percorso di studi. Le due famiglie elogiavano questi comportamenti e, durante i loro incontri, alimentavano l’aspettativa del successo di entrambi gli studenti. Subito dopo il conseguimento della laurea, entrambi i 82

giovani si trovarono di fronte ad un “vuoto di senso” perché soprattutto Alessio non aveva ancora capito il percorso di specializzazione da seguire, mentre Alessia aveva le idee più chiare. Dopo un anno circa dall’inizio della scuola di specializzazione, Alessia si trova di fronte all’enigma più doloroso che una donna possa esperire: decidere se tenere o abortire il bambino che portava in grembo. Nonostante la sua situazione di precarietà economica e dopo molti dubbi e ripensamenti, decide di portare avanti la gravidanza e accetta di sposare Alessio il quale, ben felice di assumersi la responsabilità di una famiglia, riesce a farsi assumere nell’azienda di uno zio e procede, sempre più motivato, il suo percorso di studi. Alessio e Alessia si sposano, accolgono il bambino e si abituano a vivere come una giovane famiglia che, dall’esterno, sembra ben equilibrata. In realtà, Alessia inizia a provare, in dai primi mesi, delle forti sensazioni di rabbia e di tristezza: rinunciare al suo sogno e vedere che il marito raggiunge proprio l’obiettivo che lei aveva agognato la obbliga a subire una profonda depressione.

Problema sotteso Nella nuova situazione esistenziale in cui Alessio è libero di procedere per specializzarsi e Alessia è costretta a rinunciare alla sua aspirazione, emerge, paradossalmente, non tanto il problema della rinuncia quanto piuttosto l’obbligo di non poter più competere con Alessio. Infatti, l’esistenza di Alessia, priva del vissuto della competizione, modiica completamente il suo modo di vivere in coppia: «da quando è nato il bambino – sfoga piangendo in studio – Alessio per me è un estraneo… lui continua per la sua strada e io devo rinunciare». Tutto il dramma di Alessia è imperniato esclusivamente sulla dinamica competitiva come se il resto della loro vita non esistesse, nemmeno cioè lo stare insieme per condividere la quotidianità, i progressi evolutivi del bambino e la progettualità in coppia. Nulla più riesce ad infrangere il pensiero competitivo di Alessia.

Analisi Durante il percorso psicoterapeutico emerse un dato molto interessante della vita infantile di Alessia: quand’era bambina veniva considerata la più intelligente tra i suoi fratelli perché si applicava più di loro e, nel corso del tempo, per non deludere le aspettative 83

del padre, continuò a dedicarsi in modo quasi ossessivo allo studio, ino al punto di rendersi dipendente dallo studio stesso. Ovviamente, quando incontrò Alessio, lei visse una sorta di prolungamento di quel modo d’essere in quanto la famiglia d’origine continuava ad alimentare la iducia in lei soltanto attraverso l’attività dello studio, e la rabbia trattenuta per anni a causa di questo obbligo morale iniziò a trasformarsi in lei nel meccanismo della competizione proprio con una persona dello stesso sesso del padre cioè con Alessio. Con nessuna compagna di studi visse la stessa dinamica quindi Alessio rappresentava per lei solo una igura maschile da sidare e da superare. Ovviamente la nascita del bambino bloccò questo suo intento e lei cadde nella depressione. Venne a galla il fatto che per lei non si trattava di un vero sentimento d’amore nei confronti di Alessio ma soltanto del bisogno di competere col padre che riviveva nella persona del partner.

La psicoterapia In questa coppia esisteva la dinamica (inconscia) dell’autorealizzazione egoistica trattenendo a sé l’altra persona; quindi esisteva l’uso dell’altro, la cosiicazione (rendere cosa l’altro e non viverlo come persona). La psicoterapia mette Alessia nella condizione di svincolarsi psicologicamente dal padre reale e di accorgersi della persona che aveva al suo ianco, ma solo nel tempo inizia ad apprezzarne le qualità reali. È stato molto faticoso per lei – nel percorso psicoterapeutico – imbattersi in una persona, Alessio, che praticamente non conosceva e il fatto di considerare, dopo alcuni anni, la possibilità di riprendere il suo percorso di specializzazione senza più il peso di doversi misurare con lui l’aiutò a vivere questa esperienza in modo del tutto nuovo e a rendersi conto personalmente che la sua agognata aspirazione non faceva più parte di lei. Se il raggiungimento di un obiettivo viene stimolato dalla competizione e non dalla passione, non conduce ad altro esito che alla constatazione di aver perso del tempo!

Pregressi culturali Molto spesso il problema della competizione nasconde un grave disagio giovanile causato da comportamenti genitoriali di tipo coercitivo-denigratorio. 84

Sentirsi denigrati può generare nella mente dei giovani o una pericolosa chiusura oppure una reazione aggressivamente competitiva. Come a dire: “mi svaluti e io mi rivaluto ai tuoi occhi lottando in continuazione”; questa lotta è insana perché viene creata dal bisogno (e non dal piacere motivato) di emergere da una situazione psicologica di coercizione, di soffocamento, di ricatto. È sano il fatto di lottare per rideinire le proprie scelte, la propria libertà e la propria soggettività; è, al contrario, insano trasformarlo, nel corso del tempo, in un “modo d’essere” perché si rischia di rimanere tutta la vita in uno stato di sospensione carico d’ansia e privo di stabilità. La competizione è insita nell’uomo in dagli albori della storia (come spiego nei pregressi culturali della storia precedente in cui elaboro il tema del controllo) ed è irrinunciabile perché ci aiuta a far fronte ai problemi che limitano la nostra libertà come, appunto, l’uomo della preistoria che competeva con gli eventi esterni per non farsi sopraffare; ai nostri tempi, competere signiica impegnarsi per raggiungere obiettivi molte volte vitali; ma quando questo modo di vivere è una reazione ad una coercizione del tipo “tu non vali niente”, iniziare a competere porta con sé un insieme di sofferenze che causano una forte instabilità psicologica perché, spesso, si sviluppano a causa di una lotta in un campo d’azione che è di un’altra persona, non del nostro!

La coppia sbilanciata Spiegazione della dinamica: cosa succede Mai come oggi riscontro, nella mia pratica professionale, la frequenza di questo tipo di comportamento in coppia in cui esiste una donna (mediamente trentenne) che ambisce a costruire una famiglia e un uomo (mediamente trentacinquenne) che fugge in modo fulmineo e senza dare spiegazioni plausibili. Di solito sono storie che iniziano in modo eccessivamente plateale lasciando tutti i familiari e gli amici attoniti per le manifestazioni di entusiasmo che esprimono: emozioni forti, attenzioni premurose che rasentano l’esagerazione, l’abbandono delle amicizie reciproche, le corse in macchina per gli incontri serali dopo gli orari di lavoro, i regali sproporzionati alle possibilità economiche reali; ma ciò che colpisce maggiormente sono le promesse reciproche, o di uno solo, che 85

fanno pensare ad un sentimento che si trasformerà, senza ombra di dubbio, nel più grande e imperituro amore del secolo! La sessualità è altamente appagante e rimane, per molto tempo, l’unico scambio reale: si parla poco perché il tempo che rimane è scarso e viene utilizzato per dire cose estremamente impegnative come, ad esempio: «ti amerò per tutta la vita»; «sei tu la persona che cercavo»; «non ti lascerò mai»; «conta su di me perché starò sempre al tuo ianco»; «non ho mai amato nessuno prima d’ora come amo te»; «morirei per te»; «vorrei dei igli solo da te»; «farei qualsiasi cosa per te».

Tutte queste frasi illudono l’altra persona la quale crede ciecamente ad ogni parola ed è convinta di aver trovato, inalmente, la persona della sua vita.

Esempio di coppia Augusto e Augusta si innamorano perdutamente durante una festa in casa di amici. Si frequentano assiduamente e iniziano, in dai primi giorni, a concedersi sessualmente. Tutta la loro esistenza si sconvolge per il modo frenetico che caratterizza i loro incontri: pur risiedendo in località distanti, spesso si incontrano anche due volte al giorno vivendo in modo smanioso il tempo che li divide per poi cercarsi in maniera sfrenata. Non parlano mai di loro e, solo dopo alcuni mesi, Augusto sembra convinto nell’affermare che Augusta sia proprio la sua donna; glielo ripete spesso e lei gli propone una convivenza che lui accetta immediatamente. Entrambi svolgono una professione redditizia che li mette nella condizione di vivere agiatamente e senza preoccupazioni. Così iniziano la loro convivenza e, dopo pochi mesi di vita insieme, tutto sembra procedere in modo tranquillo, ino al giorno in cui Augusto non rientra più dal lavoro. I tentativi da parte di Augusta di rintracciarlo non durano a lungo in quanto lei scopre subito che Augusto è rientrato in famiglia dicendo: “ho bisogno di prendermi una pausa di rilessione”. Augusta, nel mio studio, si esprime piangendo: «tutto andava benissimo, procedeva come un orologio svizzero, non ci mancava niente e lui se n’è andato da un momento all’altro senza motivarmi niente… voleva fare tutto con me… mi ha promesso un sacco di cose e adesso?». Augusta si 86

dispera, singhiozza e si arrovella nel cercare la causa di quel comportamento.

Problema sotteso Questa è una coppia sbilanciata in quanto Augusto non è in grado di vivere la responsabilità della convivenza, oltre a non capire qual è il ruolo che deve rivestire: nella sua famiglia di origine vigeva un disordine di competenze a causa del quale ogni persona “saltava” improvvisamente da un ruolo all’altro senza mai rispettare i conini di ognuno. Oltre a ciò, Augusto, da bambino, non aveva neanche mai potuto interiorizzare i suoi doveri a causa del lassismo e del disimpegno educativo da parte dei genitori; di conseguenza, crescendo, non ha mai avuto la possibilità di individuarsi saldamente perché privo di modelli stabili. Da adulto riesce a mantenersi il posto di lavoro perché riveste un ruolo da sottoposto (ha bisogno di questo ruolo) ma, in coppia, crolla perché avrebbe dovuto gestire autonomamente una parte di compiti senza alcun aiuto. Il messaggio ricevuto da bambino è stato: “ti deresponsabilizzo quindi faccio io, non ti preoccupare” e quando Augusta inizia a criticargli dei comportamenti su alcuni compiti svolti male (faceva la spesa dimenticando alcune cose, vuotava la lavastoviglie senza riporre negli armadi le stoviglie e si faceva ripetere le richieste), lui non riesce nell’intento di eseguirli bene e Augusta, dopo varie insistenze, inizia a diventare insofferente. Augusto e Augusta non riescono a litigare e non riescono a parlare del problema: il clima cambia e lui avverte il peso di “qualcosa” che ha già vissuto in passato e così… scappa.

Analisi Non avendo avuto la possibilità di interiorizzare il senso di responsabilità per le cose che avrebbe dovuto fare da bambino, Augusto fatica molto da adulto; questo limite lo spinge a fuggire da qualsiasi storia in coppia. Augusta, dal canto suo, essendo più matura e responsabile nei confronti degli impegni da assolvere, fatica ad accettare l’immaturità di Augusto ed entra in crisi depressivo-reattiva. Augusto è l’ultimo di quattro fratelli ed è sempre stato considerato: “il piccolino che non deve affaticarsi” anche a causa di frequenti bronchiti che lo costringevano spesso a letto. Il problema della confusione dei ruoli nella sua famiglia d’origine, unito al fatto di essere 87

considerato il piccolino, ha radicato in lui la convinzione che le responsabilità sono sempre degli altri. Tutto questo non per disimpegno o cattiva volontà, ma proprio a causa di una inabilità genitoriale trasformata in una inadeguatezza iliale. Augusta proviene da una famiglia più equilibrata ma troppo inlessibile: tutto deve funzionare al meglio, bisogna fare e basta! senza rispettare i bisogni dei singoli né le rispettive sensibilità.

Psicoterapia Quando Augusta comprende che il comportamento sbilanciato all’interno della coppia dipende da un limite e non dalla cattiva volontà di Augusto, non viene più messo in discussione il sentimento fra loro. Iniziamo a considerare il problema non la persona di Augusto né la persona di Augusta. Tenendo molto al rapporto in coppia, Augusta si impegna a capire il partner e ad attendere che lui faccia i primi passi verso l’autonomia; nello stesso tempo, Augusta si lascia guidare da me imparando ad autocorreggersi in modo che lui cresca e la coppia proceda verso il cambiamento. Lei comprende che i primi compiti per lui non possono essere fare la spesa e vuotare la lavastoviglie ma iniziare con impegni molto più leggeri come quando un bambino impara a normarsi, ad autoregolarsi. Lei capisce il problema perché lo ama, lui si sente capito e fa i suoi primi piccoli passi per scoprire l’ordine, il rispetto dei ruoli, la sequenzialità dei compiti da svolgere e anche il piacere di concluderli. Piano piano scopre dentro se stesso la sicurezza e l’autostima e questo fatto mette in salvo la sua individualità. Anche una coppia sbilanciata può recuperare l’equilibrio nella misura in cui viene considerata la causa del problema e non l’effetto! Criticare, ad esempio, il modo di fare la spesa non può portare alla soluzione del problema perché ci si sofferma su una azione (il modo di fare la spesa) che non è la causa ma l’effetto di qualcosa di pregresso che non l’ha perfezionata. Augusto aveva bisogno di scoprire dentro di sé la soluzione del problema. Partendo dall’esterno, cioè dal dirsi a voce alta, nel mio studio, i passi da eseguire partendo dalle piccole cose in modo da interiorizzarle consapevolmente (grazie all’autogestione sentita dalla sua propria voce) e di esserne l’arteice indiscusso, si è smobilitato in lui il rigido preconcetto genitoriale che lo considerava, da anni, il 88

piccolino incapace! Quel piccolino incapace è stato accudito da Augusto adulto e le sensazioni piacevoli vissute gli hanno rimandato la motivazione ad accorgersi di se stesso e a prendersi cura di sé. Nel caso speciico di Augusto e Augusta si è potuto risolvere il conlitto grazie al fatto che tra loro due si era stabilito primariamente un rapporto sentimentale che rappresentava una garanzia; se il loro rapporto si fosse basato soltanto sulla relazione isica, non avrebbe potuto reggere il colpo della disparità delle educazioni e della fuga repentina di Augusto.

Pregressi culturali Questa storia è emblematica di tante storie all’interno delle quali esiste una persona che ha ricevuto, durante l’infanzia, degli esempi poco o per nulla educativi (la mancanza di chiarezza dei ruoli, il non rispetto delle singolarità e il disimpegno). Gli esempi che si possono fare sono innumerevoli, ma ora considero il caso in cui, come è successo ad Augusto, in una famiglia caotica non venga rispettato, dal punto di vista dei diritti e dei doveri, l’ultimo bambino nato. L’esperienza ci insegna che chi è piccolo ha bisogno di cure e chi ha bisogno di cure, spesso, rimane tale agli occhi degli altri: come se quel “piccolo” non crescesse mai! Spesso le madri scivolano nel tranello mentale del: «se non curo assiduamente mio iglio, lui potrebbe pensare che non gli voglio più bene» senza considerare, invece, che non curare eccessivamente non signiica trascurare ma, al contrario, facilitare l’autonomia del bambino pur standogli accanto. Nella crescita dell’autonomia, il bambino impara a rispettare i diritti e i doveri portando a termine, sempre meglio, gli impegni quotidiani. Solo in questo modo, quel bambino, diventerà un adulto responsabile che sarà in grado, non solo di vivere in coppia senza fuggire ma, anche, di godere di tanti aspetti relazionali che il vivere in due offre.

Il “partner perfetto” Non è raro riscontrare, in alcune coppie, comportamenti estremi che vengono interpretati in modo sbagliato dalla maggior parte delle persone. L’esempio che segue lo inserisco nella realtà delle coppie sbilanciate anche se molto diverso da quello precedente. 89

Alcuni uomini manifestano, con malcelato orgoglio, il desiderio di badare soltanto all’appagamento sessuale della loro donna come se fosse un esito irrinunciabile. Bellissimo! si potrebbe pensare, inalmente una persona che ama davvero! ma, in realtà, la persona che si esprime in questo modo è seduta davanti ad una professionista alla quale chiede aiuto. Quale aiuto? A questo punto bisogna evitare di ipotizzare qualsivoglia risposta ma, piuttosto, è importante che la persona dialoghi con se stessa per incontrarsi davvero. Alcune volte emerge una forma mascherata di sacriicio generoso che viene espressa proprio con la frase: «per me l’unica cosa che conta è l’orgasmo della mia donna»; «a me non interessa il mio appagamento…non sto bene se non penso prima a lei!». Questa convinzione maschile attecchisce favorevolmente nella dinamica della relazione e, almeno per un certo periodo di tempo, la donna si illude che il suo appagamento isico sia l’attestato del vero amore, ma proprio questa illusione nasconde la sua necessità esistenziale di stare accanto ad un uomo in equilibrio. Quando, nel corso del tempo, lo stare insieme manifesta le prime avvisaglie di vuoto relazionale – perché l’uomo non riesce ad avvicinarsi realmente alla sua partner – si creano i primi disagi e, per timore di cedere alla donna, non per timore di perderla – come si potrebbe pensare – l’uomo fugge e sparisce oppure continua a vivere inautenticamente! Se l’uomo non riesce ad esprimersi e rimane nella coppia, l’unica via di scampo per lui è riconquistare la donna facendola godere, cioè rendendola… inoffensiva! Ciò che appare è un uomo generoso e altruista ma, in realtà, è un uomo insicuro che teme di venir sopraffatto dalla donna, quindi un uomo infelice che maschera il suo vero modo d’essere. Cerchiamo di capire meglio: per evitare di generalizzare, dobbiamo ragionare nei termini dell’unicità del singolo individuo. Quando in una relazione esiste un rapporto affettivo consolidato, non ci dovrebbe essere il bisogno sacriicale di mettersi da parte per far stare bene l’altra persona, ma dovrebbe esistere il piacere spontaneo e autentico della condivisione senza temere alcunché: né la persona che abbiamo al nostro ianco, né di fallire, né di essere giudicati! Far stare bene l’altra persona è implicito nella relazione a due ma non deve forzare la spontaneità o essere un obbligo. Quando dico che per evitare di autocentrarsi è bene protendersi verso l’altro, non intendo dire che nel farlo metto da parte la mia persona 90

ma, semplicemente “dimentico me stesso” perché sono già in me stesso. Se io sono già in me stesso non temo di perdermi: mi perdo se non mi sono mai incontrato o perché il contatto è inconsistente! Nell’uomo che dice: “per me l’unica cosa che conta è l’orgasmo della mia donna”, vi è un forzato disinteresse nei confronti della parte equilibrata di sé che avrebbe voglia di venir rispettata. In queste situazioni, il concetto di sono già in me stesso non esiste, tant’è vero che in una coppia del genere, l’uomo sta a guardare l’appagamento della donna e lei non si sente mai in coppia ma da sola. La frase più comune da parte delle donne che vivono questo conlitto è: «con lui mi sento come se fossi con un gigolò, con la differenza che non lo pago».

La coppia “ti cambierò” Spiegazione della dinamica: cosa succede Ciò che fonda la coppia “ti cambierò” è la convinzione, soprattutto di uno dei due partner, di poter cambiare il carattere o le abitudini dell’altro. Ci si conosce, ci si frequenta e, non appena si notano l’indole e i comportamenti non pienamente soddisfacenti, ci si convince di poterli modiicare a proprio piacimento. Chi ragiona in questo modo non rispetta l’autenticità dell’altra persona e, quest’ultima, si sente obbligata a dover soddisfare delle aspettative. Si crea una sorta di duplice convinzione: uno è convinto di poter cambiare l’altro e l’altro è convinto di dover cambiare per amore del primo. Ambedue le persone perdono di vista l’obiettivo di vivere spontaneamente il rapporto in coppia perché vengono distolte da questa duplice convinzione, così, nel tempo, perdono anche l’opportunità di conoscersi veramente nel loro essere unici e, ad un certo punto, accade qualcosa.

Esempio di coppia Lino, a trentasette anni, conosce Lina, ventinovenne, ad un corso di perfezionamento infermieristico: si frequentano con assiduità e Lino nota, molto presto, il carattere espansivo di Lina, la quale si sente libera di poter coltivare varie attività sociali e ricreative che 91

ingelosiscono Lino. Dopo poche settimane di frequentazione, Lino le manifesta il suo disappunto chiedendole di limitare i suoi impegni al ine di stare più tempo insieme, ma per lei è dificile frenarsi perché abituata, in dall’età infantile, ad appagare le sue curiosità in molti ambiti. In famiglia le è sempre stata concessa molta libertà e lei, essendosi sentita rispettata per non aver mai commesso nulla di scorretto, viveva le sue esperienze con molta tranquillità senza temere alcunché. Ora, però, Lino le chiede di rallentare e confessa ad un amico che il suo obiettivo è quello di cambiare il carattere vivace di Lina limitandole gli svaghi. Lino è convinto che ciò sia un suo diritto, quindi persevera nel pretendere di cambiare Lina. Lei, all’inizio della loro storia, accetta di buon grado di frenare i suoi entusiasmi perché sostiene di amare Lino, quindi crede che sia giusto sacriicare una parte della propria vita, ma dopo poco più di un anno di frequentazione, Lina si incupisce, la coppia inizia a manifestare i primi segnali di disaccordo, e ogniqualvolta lei manifesta il desiderio di riprendere alcuni contatti sociali, Lino sfoga tutta la rabbia contro di lei criticandola e sostenendo che il suo cambiamento capriccioso è un chiaro segno di disamore. Lino insiste nel dire che per amore è giusto cambiare ma Lina, pur dandogli ragione, soffre, si sente oppressa, inizia a somatizzare con attacchi d’ansia sempre più frequenti, piange e avverte un forte senso di smarrimento che non viene compreso da lui. La coppia “ti cambierò” si divide e lei, recuperando tutti i suoi precedenti contatti, riprende a vivere come desiderava, però non sta bene e si rende conto che dovrebbe risolvere il suo problema relazionale.

Problema sotteso Nel caso di questa coppia, esiste una sorta di iperattività che non è presente in tutte le coppie “ti cambierò”. In genere succede che la persona convinta che sia giusto modiicare l’altra si impunti nel volerla cambiare sostenendo che “se si ama si deve cambiare”. In realtà dovrebbe succedere che, amando sinceramente, ci si senta cambiare per effetto; ci si arricchisca grazie al modo d’essere dell’altra persona, quindi si migliori vivendo in coppia. Lino è cresciuto in una famiglia in cui qualsiasi cosa decidesse di fare veniva bloccata o riiutata e lui, temendo l’autorità dei genitori, si adattava pensando che fosse giusto ciò che loro gli intimavano e, in questo modo, si mortiicava tacendo. Le sue continue frustrazioni lo hanno reso fra92

gile e insicuro e, non appena ha conosciuto una persona che, come lui da piccolo, era ricca di interessi e motivata alla vita, ha pensato (proiettando) che fosse naturale frenare e riiutare le sue scelte, senza tener conto della sofferenza di Lina. La credenza di Lino espressa con la frase «ma anch’io da bambino ho dovuto adattarmi al volere dei miei genitori e mi è servito per crescere», viene trasposta nella dinamica di coppia creando una vera e propria barriera tra le due persone.

La psicoterapia Nella coppia “ti cambierò” bisogna scoprire il senso profondo della dinamica sottesa al bisogno di modiicare l’altra persona non tanto per il suo senso logico (o illogico), quanto per dare dignità ai propri disagi sepolti che non dovrebbero più perpetuarsi facendoli subire a chi si ama. È inevitabile che chi subisce una costrizione tenda a reagire: o fuggendo o ammalandosi o facendo ciò che è funzionale per sopportare il peso relazionale interno alla coppia. Non si dà, quindi, accesso al ragionamento critico, ma si facilita – nello studio di psicoterapia – una elaborazione autoanalitica che conduca al riiuto di far soffrire la persona che si ama e alla curiosità di conoscerla nel suo modo d’essere. Le varie elaborazioni che emergono dalle rilessioni di entrambi vanno fatte veicolare nel setting terapeutico al ine di raggiungere una buona consapevolezza di tutte le dinamiche all’interno del singolo che le vive. “Ti cambierò per farti diventare come voglio io” spesso viene trasmesso anche da alcuni atteggiamenti che rinforzano, nella persona che li riceve, il desiderio di accondiscendere alle aspettative dell’altra persona per non deluderla e per non perderla. Ma in questo modo… perdiamo noi stessi!

Analisi Quando viene capito il concetto del “perdersi per non perdere l’altro”, entrambe le persone si sentono pronte per rimettersi in discussione anche perché nessuna persona sana accetta di perdersi. Perdere se stessi signiica sprofondare nel baratro della paura, del vuoto, del non ritorno: tutto questo scaraventa l’essere umano nella più cupa angoscia di morte. 93

La fuga di Lina nella depressione reattiva è stata un segnale molto importante in quanto ha messo in luce la sua forza interiore che reclamava l’autonomia e ha dato a Lino l’opportunità di riassaporare, attraverso la gioia di Lina, quell’antico piacere che lui da bambino avrebbe voluto provare ogni volta che manifestava la sua voglia di vivere esperienze nuove.

Pregressi storici La criticabile abitudine di voler cambiare le persone nasce in alcune famiglie in cui esiste un atteggiamento genitoriale immaturo che consiste nel volere un iglio a propria immagine e somiglianza o nel volere che percorra una strada prestabilita e che diventi una persona con determinate caratteristiche. Queste ultime non coincidono mai con quelle possedute dal iglio e questo fatto ingenera in lui uno stato di grave disagio. L’insicurezza e la fragilità di alcuni genitori rinforzano la convinzione che il bambino non possieda le sue potenzialità per farcela da solo ma che abbia bisogno di una guida esterna per formarsi. In linea di principio è vero che i bambini hanno bisogno della guida genitoriale, ma questo vale e dovrebbe valere solo per le guide valoriali, mai per le scelte di vita! Il caso molto frequente di vivere, nella persona del iglio, la speranza della propria autorealizzazione egoistica ci fa capire meglio il concetto del “ti cambierò”. Un padre che non ha potuto raggiungere obiettivi sportivi e invita o, peggio ancora, obbliga il proprio iglio a farlo, in realtà, proietta sul iglio un suo bisogno profondo inappagato. Una coppia genitoriale che progetta, in dalle scuole materne, l’ingresso del proprio iglio nell’azienda di famiglia con un ruolo ben determinato, rappresenta il bisogno di dare continuità agli scopi familiari: anziché valutare con attenzione la predisposizione del iglio, lo si incanala in qualcosa che non gli appartiene. Oltretutto, gli si trasmette un comportamento scorretto e, probabilmente, lui farà la stessa cosa con i suoi igli oppure, cosa ugualmente pericolosa, farà l’esatto contrario nel timore di far subire ciò che lui ha subìto precedentemente e che si tradurrà nel dire: “mi hanno condizionato, quindi io gli lascio fare ciò che vuole” non tenendo conto che, spesso, questo atteggiamento viene vissuto dai igli come un chiaro segno di disinteresse, di disimpegno affettivo e di distanza emotiva. 94

Soltanto una persona priva di personalità accetta di sottoporsi al volere di un’altra persona che le chiede esplicitamente o velatamente di diventare qualcun altro. In generale riscontro che la donna spesso si illude di cambiare l’uomo ma lui non cambia e, paradossalmente, l’uomo spera che la donna non cambi mai, ma lei cambia! Entrambi sbagliano perché puntano la loro attenzione su un’aspettativa (che lui cambi e che lei non cambi mai) non sul naturale ed autentico diritto di vivere il proprio modo d’essere. Solo grazie ad un percorso di psicoterapia, in cui ci si mette in discussione correggendosi, non usando più l’altro ma impegnandosi a conoscerlo per come è, è possibile svincolarsi dal terribile vizio di pensare “eh, ma io ti cambierò!”. Il pretesto di cambiare l’altra persona “per il suo bene” è, in realtà, un segnale che dimostra che si crede di doverlo dire perché ciò che è giusto per noi, deve essere per forza giusto per l’altro e ci si sostituisce all’altro per non farlo faticare o per l’illusione di evitargli un errore (un genitore al iglio e una persona al proprio partner o al proprio amico). In realtà la persona che riceve il messaggio “lo faccio per il tuo bene”, ha bisogno soltanto di dire a se stessa: “io, per il mio bene, di che cosa ho bisogno?”.

La coppia uomo molestato L’amore non può coesistere col timore. Seneca

Spiegazione della dinamica: cosa succede Nella coppia “uomo molestato” vige un silenzio inquietante in cui la donna molesta l’uomo e, quest’ultimo, non denuncia l’accaduto per timore di “perdere la faccia” agli occhi degli altri. Il fatto di non parlare rinforza, nella donna, la convinzione di poter continuare indisturbata e di essere autorizzata dal partner. Questa è una realtà sommersa molto frequente che, a differenza della realtà “donna molestata”, viene vissuta come se non fosse un fatto grave. La causa scatenante può essere di varia natura ma si innesta sempre in coppie disturbate dal punto di vista emotivo. 95

Esempio di coppia Giorgio e Giorgia vivono un periodo molto lungo di gioie coniugali che viene peggiorato a causa di una serie di riiuti di Giorgia alle attenzioni che lui le offre. Giorgia è stanca a causa degli impegni che deve sostenere e avverte un calo del desiderio sessuale: tutto ciò scatena in Giorgio una reazione emotiva molto dolorosa caratterizzata dalla sensazione di non essere più interessante agli occhi della donna che ama e, durante una chiacchierata serale con amici, la semplice battuta ironica di un amico circa l’importanza di coltivare fuori casa i propri svaghi per risvegliare il torpore matrimoniale, stimola in Giorgio la curiosità di provare e, in breve tempo, architetta una serie di congetture che lo “costringono” ad uscire più di due volte alla settimana per motivi professionali. Giorgia, che si stupisce per questa novità, inizia a preoccuparsi e ad architettare, a sua volta, un assiduo controllo che la mantiene costantemente in stato di allerta, convinta del fatto che le domande che rivolge a Giorgio, ogni volta che lui si prepara per uscire, debbano sortire l’effetto di invogliarlo a rimanere a casa. In questo modo, al contrario, Giorgio si sente costretto ad uscire per la pesantezza del clima indagatorio creato da Giorgia: più lei insiste nel voler sapere dove lui va, con chi esce e perché rientra sempre più tardi, più Giorgio, irritato e rattristato, sfugge per svagarsi. Nei rari momenti di possibile intimità, le due persone non riescono più ad avvicinarsi, in quanto la tensione e la rabbia accumulate frenano ogni possibile scioglimento tensionale necessario ad una sessualità appagante. Giorgia, indispettita, congegna una trappola seduttiva in cui far cadere Giorgio: acquista e indossa indumenti intimi molto succinti, si fa notare da lui recitando una serie di atteggiamenti che, apparentemente, dovrebbero sembrare di estrema casualità e, quando lui le si avvicina, lei lo riiuta in modo deciso. Questa situazione si ripete poche volte in quanto Giorgio, snervato, si sente talmente umiliato da rinunciare ad ogni ulteriore approccio e questo lo costringe a cercare fuori casa appagamenti che considera diritti di ogni essere umano ma che lui vive con tristezza e rassegnazione in quanto sente di amare Giorgia. Venendo a conoscenza di questi comportamenti di Giorgio lei, pur continuando a chiedergli di non uscire, inizia a percuoterlo con qualsiasi oggetto si trovi fra le mani: la situazione peggiora in modo inumano e la coppia non riesce più a trovare il bandolo della matassa della serenità dei primi anni. Giorgio subisce percosse senza 96

difendersi perché teme di poter scatenare, contro di lei, tutta la propria rabbia maschile danneggiandola isicamente in modo grave e lei sfoga tutta la sua collera perdendo il controllo di sé. Ognuno dei due pretende che sia l’altro a cambiare e così, giunti allo stremo delle forze, decidono di chiedere aiuto ad un professionista.

Problema sotteso Il problema sotteso alla coppia Giorgio Giorgia (non a tutte le coppie di questo tipo) è suddivisibile in quattro circoli malsani: 1. Giorgia vive un sovraccarico di stanchezza che si ripercuote sfavorevolmente sulla sua libido tanto è vero che il solo pensiero di un approccio sessuale le crea una sensazione di forte fastidio; il suo desiderio si spegne e, suo malgrado, si sente costretta a respingere l’avvicinamento isico del marito. Giorgio si sente riiutato e si convince del fatto che la loro vita sessuale non sarà più recuperabile e, così, evita di avvicinarsi a lei. Più si convince di questo, meno tentativi mette in atto per il timore di sentirsi nuovamente umiliato e così il primo cerchio si chiude rendendo ripetitivo il comportamento di entrambi. 2. Giorgio deve rivalersi ai propri occhi e, per fare ciò, inizia ad uscire sperando di attivare in lei una reazione di sospetto o, meglio, di paura di perderlo, cosa che avviene immediatamente: Giorgia si insospettisce ed inizia una serie di controlli e di domande insistenti che, da una parte, offrono a Giorgio la sensazione di essere desiderato ma, dall’altra, lo obbligano ad uscire “per tirare il iato”. In realtà lui raggiunge l’obiettivo di stanare lei dal disinteresse ma non in modo funzionale alla vita di coppia: più lei lo assilla con domande sulla misteriosità delle uscite serali, più lui esce e, nel tempo, si sente costretto a farlo per non restare sotto il giogo del controllo ossessivo. Il secondo cerchio si chiude! 3. Il giogo diventa ancora più perverso: quando Giorgia traduce le uscite serali del partner come un fallimento che conferma la ine della storia, viene presa dal timore di perdere Giorgio e inizia a stimolarlo visivamente, comparendo con biancheria provocante, senza mai farsi siorare. L’aggressività trattenuta da entrambi determina in lui una reazione di fuga ancor più costante e, in lei, l’attacco isico alla persona che ama ma che non sa più come raggiungere. Vige il principio psicologico, “non ti posso amare, quindi ti odio” ma anche l’atteggiamento comportamentale “non ti posso accarez97

zare quindi ti massacro”. Anche qui, il rientro a casa diventa, ripetutamente, una resa dei conti a causa della collera accumulata. I sensi di colpa (Note di approfoNdimeNto 6) di Giorgia la rendono sempre più dura e, paradossalmente, la incitano a percuotere sempre più aggressivamente la persona che ama con pugni, calci, grafi e oggetti scaraventati addosso. Questo terzo comportamento, così grave e drammatico, crea il quarto cerchio esclusivamente psicologico. 4. Giorgio ribadisce più volte: «se lei mi aggredisce signiica che mi odia» e Giorgia insiste nel dire: «se lui esce non mi ama più, non sono attraente quindi non c’è più nulla da fare». In realtà non è affatto così ma loro non lo sanno. Questi sono tutti tentativi maldestri e insani che la coppia mette in atto per recuperare l’equilibrio vissuto nella prima parte della convivenza e, il fatto stesso che li perpetui, sta a signiicare che vi è realmente un desiderio inconsapevole di ritrovarsi.

Analisi Le quattro circolarità viziose messe in atto da questa coppia, partono da alcuni malintesi: apparentemente può sembrare che il problema nasca dal primo riiuto sessuale di Giorgia ma, in realtà, nasce da un fraintendimento nella comunicazione emotivo-affettiva in quanto Giorgio, nel primo riiuto di Giorgia, si impermalisce e non mette a fuoco che “lei si sottrae all’atto sessuale non alla persona che ama” e Giorgia non pensa che «la propria stanchezza non è un segnale di calo d’interesse nei confronti di suo marito ma un reale e sacrosanto sinimento» causato dall’eccesso di fatica psicoisica degli ultimi mesi che coincideva con l’allattamento del loro iglio, l’accudimento della iglia più grande che manifestava dei comportamenti di gelosia e con tutte le incombenze di casa. La tridimensionalità in questa coppia viene minata alla radice in quanto il corpo nella sessualità viene trascurato, la mente viene sfruttata solo per disquisire sul “perché esci, con chi esci e a che ora torni” e il rispetto del modo d’essere reciproco non viene più percepito come parte importante nel legame d’amore. In questo disastro relazionale, entrambi i partner cercano fughe compensatorie, stabilendo di uscire ogni settimana con amici e colleghi ma, mentre lui lo fa con facilità (a causa del carico per l’aggressività subìta) lei lo fa al solo scopo di irritarlo e, dopo poco tempo, rinuncia ai suoi “svaghi forzati”. Proprio a causa di questo periodo di chiusura dal mondo 98

esterno, tutta la collera trattenuta e i rancori accumulati scatenano in lei – in modo preoccupante e prorompente – un comportamento di vera e propria violenza isica che allontana sempre di più il partner il quale, oltre a parlare sempre meno con lei, perpetua proprio ciò che lei detesta, le uscite serali. I igli, in questa situazione di grave disagio familiare, si alleano in posizione di difesa della madre che ai loro occhi appare la vittima (in quanto viene lasciata sola dal marito), mentre il padre porta i segni delle violenze isiche che si guarda bene dal mostrare ai igli e si sente costretto a scappare per evitare le angherie della moglie. I lividi al torace, alle braccia e… alla persona nella sua totalità, non vengono espressi e le critiche mosse al padre allontanano ulteriormente quest’uomo dalla famiglia.

La psicoterapia In questa situazione, così intricata, bisogna mettere in luce subito le dinamiche dei circoli anomali e stabilire, di volta in volta, una modalità d’intervento che scalzi anche l’abitudine di rimanere vittime di rigidità preconcettuali. La psicoterapia deve aprire molte alternative di senso che permettano alle due persone di rivalutare i vecchi schemi del pensiero con tutti i rituali che frenano la coppia in atteggiamenti di riiuto, di controllo, di rivalsa, di vendetta e che demoliscono la parte più autentica, quella iniziale, di sentimento partecipato. Giorgio e Giorgia si amano profondamente ma qualcosa si inceppa dopo quel primo diniego di Giorgia, e il fatto che lui voglia nascondere ai igli i segni delle molestie subite dimostra chiaramente che vuole tutelare l’immagine della moglie e della madre ai loro occhi; il fatto, poi, che sia lei a decidere e a proporgli di iniziare un percorso di psicoterapia (cosa che lui accetta molto volentieri), sta a signiicare il desiderio di ripartire in modo nuovo e più maturo. Quando faccio loro presente queste scelte, entrambi si commuovono e questo mi dimostra l’urgenza, ma anche il desiderio di superare il problema. Il tema della colpa viene affrontato da Giorgia perché ne sente il peso insopportabile: io ero nel pieno delle mie facoltà mentali perché sapevo benissimo di limitare la sua libertà… di ferirlo isicamente e moralmente quindi sono proprio colpevole nei suoi confronti… ho capito in 99

questo percorso di psicoterapia che non ho tenuto saldo in me il senso della responsabilità… avrei dovuto gestire la mia rabbia… avrei dovuto tutelare la sua persona… io lo amo… perché non l’ho fatto…?

Non serve dire alcunché a Giorgia. In questo percorso di psicoterapia, molto piacevole anche per me, entrambi comprendono molto bene il meccanismo iniziale, l’equivoco di fondo e, soprattutto, i quattro circoli anomali, tutti riconducibili al bisogno profondo di ritrovarsi e di non ferirsi più.

La coppia donna molestata La violenza non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna ma soltanto distruggitrice. B. Croce

Spiegazione della dinamica: cosa succede Per affrontare il tema, purtroppo molto frequente, della violenza sulla donna, mi preme offrire questo contributo esperienziale presentando la storia di Sandro e Sandra che rappresenta abbastanza bene un modello di comportamento riscontrabile in molte storie familiari. Ciò che succede in queste coppie è molto variegato e dipendente da pregressi storici che, almeno in parte, cercherò di spiegare. In generale, la molestia può dipendere da un disturbo della personalità dell’uomo, dall’alcolismo, dall’uso di sostanze stupefacenti o da motivi inconsci che scatenano la depressione e l’aggressività, oppure, da modelli familiari che si sono trasmessi e sono stati acquisiti dal molestatore e dalla molestata come unici modelli relazionali.

Esempio di coppia Sandro è un ragazzo, come tanti, che in da quando frequentava la discoteca, aveva la necessità di trascorrere i ine settimana bevendo cocktail alcolici e fumando marijuana. Lo scopo esistenziale di Sandro era quello di attendere le serate in cui “potersi sballare”. Nel 100

corso degli anni, Sandro mantiene l’abitudine insana di fare uso di alcol ino ad abusarne perché, dice: «mi aiuta a socializzare… a divertirmi senza timidezza, e poi non mi viene l’ansia, e per me quelle sono ore liberatorie». Quando Sandro e Sandra iniziano a frequentarsi, l’abitudine all’alcol non viene considerata un problema ma un fatto normale, accettato dalla società come elemento aggregante e Sandra – che non approva del tutto questa abitudine – per amore si adegua e sopporta credendo che sia giusto trascorrere il tempo insieme in questo modo. Viene più volte invitata da Sandro a partecipare alle “serate liberatorie” ma lei riiuta e lo critica dicendogli più volte “guarda che faccia hai… sembri uno zombi… mi fai schifo…”. La reazione di Sandro perpetua un cliché spaventoso: più lei lo critica più lui si carica di astio e dirige tutta la sua rabbia trattenuta sul corpo di Sandra con pugni, calci e spinte contro le pareti di casa. In un paio di occasioni Sandra si rivolge al servizio del Pronto Soccorso per farsi medicare alcune lesioni cutanee ma lei, pur sapendo che l’esito di questi litigi le è e le sarà sempre sfavorevole, non riesce a trattenersi dall’offenderlo. A peggiorare il quadro già drammaticamente preoccupante, subentra la convinzione di Sandra che la nascita di un iglio farebbe responsabilizzare Sandro. Il bambino nasce ma la situazione, com’era prevedibile, peggiora ulteriormente perché Sandra bombarda il partner con richieste che lui non è in grado di soddisfare. Oltretutto, quelle già scarse attenzioni che prima Sandra rivolgeva a lui vanno a rafforzare le cure che offre al bambino, togliendole completamente a Sandro che si sente criticato, giudicato e… abbandonato! I comportamenti ricattatori di Sandra minano la scarsa autostima del partner e Sandro non riesce più a controllare le sue pulsioni aggressive costringendo lei a chiedermi aiuto.

Problema sotteso Sandro proviene da una famiglia in cui il padre era dedito all’uso dell’alcol e la madre era una donna passiva, rassegnata e vittimista. Nonostante il modello paterno non rappresentasse un riferimento solido, Sandro lo interiorizza e lo fa suo: tra padre e iglio si era creato un legame di odio-amore pregno di sofferenza per la tristezza costante di questo padre che non riusciva a liberarsi dalla schiavitù 101

dell’alcol e di questo iglio che si sentiva impotente quando tentava di dissuadere il padre dal bere. Nessuna cosa riusciva a dare un senso alla vita di questo padre il quale avvinghiava sempre più a sé le attenzioni preoccupate di suo iglio. Diventato adolescente, Sandro non riesce a relazionarsi con i coetanei e si lascia facilmente inluenzare da altri ragazzi che, timidi e insicuri come lui, avevano già “beneiciato” degli effetti liberatori dell’alcol. Quegli effetti liberatori si trasformano, nel tempo, in effetti incatenanti e la strada della dipendenza diventa sempre più larga. L’alcolismo non è, come spesso si crede, un gene ereditato ma è un comportamento acquisito, per emulazione, dal gruppo di appartenenza o dalla igura genitoriale dello stesso sesso. Anche la depressione – che spesso accompagna le famiglie con questo problema – può essere trasmessa attraverso comportamenti siduciati, passivi, rassegnati e, mancando un dialogo aperto, continuo e sereno, la famiglia implode in comportamenti di chiusura patologica.

La psicoterapia Credo che una coppia di questo tipo necessiti di un lavoro in un gruppo di mutuo-auto-aiuto presso strutture simili a quella degli Alcolisti Anonimi che è un’associazione di persone che mettono in comune la loro esperienza personale per aiutare chi desidera uscire dal tunnel dell’alcolismo. È importante sentirsi motivati e iniziare questo percorso senza alcun obbligo. L’associazione Alcolisti Anonimi (A.A.) (Note di approfoNdimeNto 7) non è afiliata ad alcuna confessione religiosa, né istituzione, né setta ma persegue l’obiettivo di aiutare gli alcolisti a rimanere sobri.

La coppia “non cercare di raggiungermi” Spiegazione della dinamica: cosa succede In questo tipo di relazione spesso esiste un buon dialogo interpersonale ma, incredibilmente, a causa di alcuni svaghi che “distraggono” eccessivamente, o della crescita personale di uno dei due partner, succede di distanziarsi talmente tanto dall’altra persona 102

da non accorgersi di perderla. Si crea, nel tempo, uno squilibrio culturale, professionale e relazionale che mantiene viva, a stento, l’iniziale base sicura all’interno della quale, non si creano più quegli scambi affettivi e relazionali: uno dei due “cammina” più velocemente dell’altro o, in alcuni casi, cammina mentre l’altro rimane fermo. Quasi sempre nella coppia “non cercare di raggiungermi” esiste la necessità di fondo di allontanarsi dal proprio partner perché lo si sente inadeguato ai propri cambiamenti interiori. Riscontro più frequentemente nella donna l’esigenza di svincolarsi dall’uomo e questo fatto, in base alla mia esperienza professionale, può dipendere sostanzialmente da due motivi: 1. Quando la donna sceglie inconsapevolmente un uomo come igura sostitutiva paterna e, nel tempo, matura psicologicamente, avverte in sé il forte bisogno di allontanarsi dal partner-padre. Essendo stata troppo coinvolta in un rapporto di tipo edipico (Note di approfoNdimeNto 8), la donna idealizza l’uomo «come certezza assoluta della perfezione di un’altra persona, oppure può riferirsi a un senso sottile e vago che qualcuno sia speciale o superiore, anche se ha dei limiti riconoscibili» (N. McWilliams, 1999, p. 120). Non riuscendo a percepire il suo compagno di vita alla stregua di un uomo, sta male e usa ogni pretesto per allontanarsi da lui. 2. Quando la donna stabilisce una buona relazione con un uomo ma, grazie all’ascolto che presta alle proprie esigenze, inizia a frequentare dei corsi di formazione personale o ricreativi e si distanzia da lui sostenendo di essere cambiata. Questo cambiamento, anziché favorire la relazione e portare nuova linfa all’interno della coppia, in alcune donne, crea la sensazione di essere le depositarie della verità e, se non sono suficientemente mature per evitare di usare la crescita personale come arma contro il partner, scatena in loro una pericolosa supponenza onnipotente che distrugge la vita della coppia. Il partner si sente considerato una nullità e più cerca di far rilettere la compagna per recuperare il rapporto, più viene sbeffeggiato e considerato incapace di comprendere. La distanza che si crea tra i due partner sembra incolmabile e la coppia “non cercare di raggiungermi” crede di non avere più alcuna motivazione al recupero. Esiste anche il caso in cui sia la donna a cercare di raggiungere l’uomo, il quale si crea una vita segreta fatta di misteriosi ritardi, di corsi e di aggiornamenti professionali inaspettati ma, soprattutto, di risposte insoddisfacenti alle domande fatte dalla partner. Anche in 103

questo caso, più la donna indaga, più l’uomo fugge e il “non cercare di raggiungermi” dell’uomo getta nello sconforto più cupo la donna che perde se stessa nella sua indagine a vuoto.

Esempio di coppia Roberto e Roberta si amano e si sposano dopo circa due anni di frequentazioni. La loro storia appare, agli occhi degli amici e dei familiari, come l’esempio più confortante del “grande amore indissolubile”. Lui lavora in banca, lei gestisce un negozio di articoli per la casa e, dopo un po’ di tempo, il loro unico scopo è quello di diventare genitori. Dopo alcuni anni di tormentati tentativi di concepire un bambino, riescono nell’intento e nasce loro un iglio sano e intelligente e la loro vita familiare procede all’insegna della tranquillità. La loro attenzione si dirige esclusivamente sul bene del bambino ma la coppia si priva di tutte quelle cure che, in passato, avevano rappresentato una garanzia per la sua vita: Roberta non mantiene le attenzioni che prima rivolgeva al marito e lui, di conseguenza, fa altrettanto. Quando il loro iglio cresce e diventa meno bisognoso della loro presenza, Roberta si lascia facilmente inluenzare da alcune amiche separate e divorziate, le quali la sollecitano ad uscire la sera e a frequentare un corso di ballo con loro. In breve tempo Roberta scopre una forte attrazione isica per un allievo del corso e, proprio a causa del vuoto che vive in coppia, si lascia coinvolgere da quest’uomo, sperando di colmarlo. Roberta si presenta nel mio studio convinta di voler vivere con quest’uomo e di doversi separare da Roberto.

Problema sotteso Nelle coppie in cui non viene curato l’aspetto relazionale tra le due persone e si punta l’attenzione prevalentemente al ruolo genitoriale (o professionale), non ci si rende conto che, per il futuro della coppia, non viene investito alcun bene e, quando i igli vanno per la loro strada e le due persone si ritrovano nell’unico ruolo di partner, avvertono il vuoto esistenziale che non si è suficientemente riempito di senso durante la fase precedente. Roberto e Roberta si sono dedicati esclusivamente al lavoro, poi soltanto al bambino, senza mai preoccuparsi del loro rapporto duale. 104

È un fatto di pigrizia? No! È un fatto di distrazione, di supericialità, di disimpegno e di mancanza di responsabilità. Roberto e Roberta non sono stati lungimiranti, si sono persi, hanno vissuto alla giornata senza progettare la loro serenità, senza prevedere che un giorno si sarebbero ritrovati in due.

La psicoterapia Roberto e Roberta non si conoscono e io mi metto a loro disposizione per offrire tutto il tempo che serve afinché inizino a prendere conidenza con il loro modo d’essere. Dopo alcuni mesi di lento e graduale avvicinamento reciproco, iniziamo a focalizzare l’attenzione su ciò che si sono lasciati sfuggire nel tempo, cioè su alcuni “spazi privati” in cui coltivare le loro cose personali e, entrambi, iniziano a rilettere e a guardarsi stupiti. A tutta prima sembra quasi puerile per loro rilettere su questa possibilità, poi però il loro stupore si trasforma in autoaccusa ironica e la voglia di scherzare come bambini, che scoprono giocattoli nuovi, emerge da entrambi che iniziano a commuoversi e a vivere alcune emozioni. Li faccio rilettere su quali potrebbero essere i loro “spazi privati” e, dopo alcuni secondi di silenzio, si guardano, sorridono e si inviano messaggi con gli occhi che solo loro due possono comprendere. Si crea una nuova intesa che allontana da Roberta il pensiero del compagno di ballo e sprona Roberto a reinventarsi come partner vivace. Dopo questa fase di ristrutturazione del pensiero che dura qualche settimana, noto che lei si attiva modiicando il suo atteggiamento quando il partner rincasa e lui, sentendosi rispettato e considerato, si attiva a sua volta non trattenendo più il suo bisogno di abbracciarla. Lei dà libero sfogo alla sua fantasia in cucina per preparare le pietanze preferite da Roberto e lui, ormai dentro un circolo virtuoso, le offre sorprese gradite: il teatro e il cinema che avevano trascurato da lungo tempo, da sempre. Alla ine della psicoterapia Roberta arriva in studio raggiante, sembra un’altra persona e con estrema tranquillità dice: «mi rendo conto solo adesso che l’uomo del corso di ballo è stato un abbaglio per me… non so come ho fatto a pensare che fosse lui l’uomo per me». Questa presa di coscienza, nata spontaneamente, non si sarebbe mai veriicata se io l’avessi dissuasa dal continuare la sua storia extraconiugale. 105

Spostando naturalmente l’attenzione sull’uomo che aveva scelto, Roberto, e non sull’uomo del corso di ballo, lei si è sentita libera di chiudere la storia e di continuare il suo corso di ballo in veste di allieva piuttosto che di donna che cercava consolazioni extraconiugali. Molte persone sono convinte del fatto che i sentimenti crescano da soli: è l’errore più frequente e più distruttivo! In realtà, i sentimenti crescono se vengono alimentati dall’interesse di farlo, altrimenti si spengono e muoiono. Cos’è quella sensazione di piacere che proviamo quando offriamo ad una persona delle attenzioni? È l’esito di un atto messo in pratica perché lo si è voluto realizzare non perché è accaduto spontaneamente. Né l’atto né l’esito.

La coppia “facciamo tutto insieme” Spiegazione della dinamica: cosa succede Nella coppia “facciamo tutto insieme”, apparentemente tutto è perfetto ma, ad un’analisi un po’ più approfondita, si scopre che la sovrapposizione di una persona all’altra crea la morte psicologica di quella che si sottopone o si fa sottoporre, di quella che accetta passivamente di rimanere nell’ombra della prima. In genere, nella coppia “facciamo tutto insieme”, esistono due personalità fragili che si distinguono a) per la componente dell’“egocentrismo” di una delle due e b) per la “dipendenza dal bisogno di apparire la persona giusta” dell’altra: l’egocentrico è come una stella che non brilla di luce propria ma ha sempre bisogno di una sorgente esterna per rendersi visibile, quindi ha l’esigenza di trattenere a sé almeno una persona (quella che le offre il brillìo) che sia in grado di alimentare il suo bisogno; si crea così una coppia fragile che procede in un unico binario, quello della persona egocentrica. Il tempo rivela il dramma di questa coppia che non ha più la sensazione di essere costituita da due persone in quanto nessuna delle due sta bene; nessuna delle due riesce più a percepire la propria originalità in quanto una ha assorbito e l’altra si è fatta assorbire, perdendo il proprio senso di libertà. Inevitabilmente il dialogo perde l’interesse dello scambio, in quanto relazionarsi signiica interagire, cioè percepire due Io con 106

personalità ben distinte da conini chiari e uno spazio interno che faciliti lo scambio sia di pareri diversi sia di opinioni simili, altrimenti non esiste il dialogo ma il monologo.

Esempio di coppia Michele conosce Michela e la affascina immediatamente con la sua prestanza isica. Oltre ad essere un bell’uomo, lui è colto e ben avviato professionalmente ma ha una personalità fortemente bisognosa di essere gratiicata da qualcuno e di rimanere in una posizione sociale centrale. Michela avverte, in dall’inizio, questa malsana esigenza di Michele, ma la forte attrazione che subisce la trattiene e la condiziona emotivamente. Nella misura in cui Michele riceve consensi, plausi e gratiicazioni, riesce a brillare perché sono gli altri ad alimentare il suo egocentrismo. Ma se non riceve un nutrimento sociale si sente sempre alla ricerca di questo elemento vitale, quindi è sempre insoddisfatto e fondamentalmente depresso. Quando incontra Michela scopre in lei questo potenziale nutrimento che si guarda bene di evitare. Michela, per paura di perdere una persona così prestante e colta, si convince che la sua vita avrà un vero senso solo se seguirà le stesse orme di Michele e, credendo di trattenerlo totalmente a sé, non si discosta per nulla da ciò che fa lui: segue lo stesso corso parauniversitario di marketing, frequenta una scuola di arti marziali e accetta di prendersi cura di alcuni animali esotici facendo credere a Michele di aver sempre sognato proprio quel tipo di animali. In questo modo la loro quotidianità non viene mai scalita da qualcosa di diverso che non sia condiviso da entrambi. Il menage “facciamo tutto insieme” procede per alcuni anni poi… accade qualcosa che modiica la vita di queste due persone. La vita di Michela subisce una forte limitazione che la costringe a ingere e a mascherare ogni emozione: non riesce più ad esternare la collera quando si sente infastidita, teme di manifestare le sue opinioni per timore di essere vista realmente com’è; si mantiene sempre in un equilibrio fasullo a costo di pesanti rinunce e, quando per una banale discussione sulla scelta di un programma televisivo si fa scappare la frase “tanto scegli sempre tu”, Michele si impermalisce e la maschera di Michela si scolla e cade a terra. Da quel momento Michela non riesce più – per sua fortuna – a rientrare nei panni della inzione e, smarrita nella sospensione, inizia la sua ri107

cerca di normalità che la allontana dal pesante impegno di “nutrire i bisogni narcisistici” di Michele e di rimanere nel suo binario esistenziale, e lui non la riconosce più. «Se alla percezione esteriore delle mie virtù non corrisponde la mia reale capacità, prima o poi questa maschera ingannevole cadrà e mostrerà le miserie» (G. Nardone, 2003, p. 102).

Problema sotteso Ciò che risalta nella persona di Michele è una modalità narcisistica di relazionarsi nei confronti della compagna, un bisogno di mantenersi al centro della sua attenzione per ricevere qualcosa in cambio. Che cosa? Solo di rimanere per sempre nella stessa posizione! Quando, però, le cose cambiano – ed è inevitabile che ciò accada – la relazione si modiica con gravi sofferenze per entrambi i partner: la persona narcisista perde il suo alimento vitale perché non viene più venerata e la persona con “dipendenza dal bisogno di apparire la persona giusta” si disimpegna perché siancata. Gli psicoanalisti deiniscono narcisistiche le personalità organizzate intorno al mantenimento della propria autostima tramite le conferme provenienti dall’esterno. Tutti noi siamo in una certa misura suscettibili circa la nostra identità personale e il nostro valore e cerchiamo di vivere in modo da sentirci bene con noi stessi. Il nostro orgoglio viene aumentato dalla approvazione e ferito dalla disapprovazione. In alcuni di noi la continua ricerca di “rifornimenti narcisistici”, o “sostegni dell’autostima”, eclissa totalmente ogni altra questione da farci apparire eccessivamente concentrati su noi stessi. Termini come “personalità narcisistica” e “narcisismo patologico” si applicano a questo grado sproporzionato di preoccupazione per sé, e non alla normale sensibilità all’approvazione o alla critica (N. McWilliams, 1999, p. 190).

In ognuno di noi, quindi, esiste il piacere di ricevere un po’ di attenzioni e di gratiicazioni – e questo è normale – ma quando questo piacere diventa l’esito di una ricerca spasmodica di attenzioni e di plausi, evidentemente siamo di fronte ad una situazione di immaturità della persona.

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Psicoterapia La luna, inché è sola nel cielo, campeggia su tutte le stelle, ma quando poi spunta il sole: o scompare, o non si vede più. Non v’accostate mai a chi vi può eclissare, ma a chi vi può mettere in evidenza. (B. Gracian)

È aiutare Michele a distanziarsi dal narcisismo la psicoterapia più adatta? No, certamente! Lui non chiede di liberarsi dal suo modo d’essere ma di venir rispettato così com’è. Chiede di capire perché, ad un certo punto, tende a ricercare consensi e gratiicazioni dalla compagna della sua vita ino a stremarla, pur sentendo di amarla. Il lavoro psicoterapeutico va organizzato con entrambe le persone cercando di aiutarle a rendere funzionale e non disfunzionale il “narcisismo” di Michele e la “dipendenza dal bisogno di apparire la persona giusta” di Michela. La coppia “facciamo tutto insieme” rappresenta l’antitesi della “coppia divergente” e, nell’intimità, il contrario della “coppia aperta”: per entrambe le caratteristiche di personalità di Michele e di Michela, è molto utile far scoprire attraverso un dialogo produttivo (maieutico) il senso del “narcisismo” e della “dipendenza dal bisogno di apparire la persona giusta” riconoscendo l’importanza delle esigenze personali. Nella misura in cui entrambe le persone riusciranno a rispettare il proprio modo d’essere, sorgerà spontaneo in loro il distanziamento dal precedente modello comportamentale, quello malsano. Alla ine della psicoterapia, le due persone percepiranno il piacere di ritrovare in se stesse la gioia dell’autonomia in coppia godendo degli spazi psicologici e del proprio modo d’essere nella coppia, tenendo sempre bene a mente che se si è troppo lontani ci si perde e se si è troppo vicini, non si riesce ad amare perché manca lo spazio dell’incontro.

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La coppia “lui, lei e l’altra persona” Spiegazione della dinamica: cosa succede La coppia “lui, lei e l’altra persona”, in realtà, è una coppia inserita all’interno di una triade sbilanciata in cui esiste un lui, una lei e una terza persona che non viene mai lasciata. In queste storie umane esistono varie emozioni che si caratterizzano per la loro prepotenza cioè per la rabbia, per l’angoscia, per l’odio, per la passione, per la menzogna, per i nascondimenti e per le persecuzioni. La coppia principale (lui e lei), che può essere convivente o sposata, conduce una vita apparentemente normale ma priva di emozioni: in genere esiste un blando legame affettivo con la componente della pena, del senso di colpa e della paura di troncare. Chi vive in coppia e ha l’amante soffre perché non può o non riesce a troncare; la partner (o il partner) percepisce che qualcosa non va per il verso giusto, si sente trascurata e quindi è insoddisfatta; l’amante esterno soffre perché si sente meno importante rispetto al coniuge della coppia principale. In queste “storie a tre” non è possibile raggiungere la serenità ed è bandita la felicità: esistono tre persone tristi, insoddisfatte e ansiose. I rari momenti di evasione nella clandestinità sono “briciole di passione” che non reggono il peso di tutta la sofferenza della persona che si sente solo l’amante, ma neanche il peso della persona che si sente bombardata dalle pressioni della critica da parte dell’amante: «non hai carattere», «perché non glielo dici?», «perché non la lasci?», «ma quando ti decidi?», «preferisci lei a me!», «preferisci lui a me!».

Esempio di coppia Antonio e Antonia vivono insieme da alcuni anni, lei è una turnista e lui un libero professionista, non hanno igli e il loro stile di vita si basa sulla ripetitività e sulla scontatezza delle azioni: si alzano ad orari diversi, non condividono nulla, non pranzano insieme, si dividono le mansioni domestiche in modo automatico senza mai rivederle insieme e quando i turni favorevoli di Antonia coincidono con il tempo libero di Antonio, trascorrono il tempo separatamente 110

perché – dice Antonio – “è giusto che io coltivi le mie attività isiche” e, replica Antonia: “voglio uscire con le mie amiche e nessuno me lo deve togliere!”. In questa coppia non viene coltivato il rapporto affettivo, quindi non viene nemmeno vissuto il rapporto emotivo: esiste una inta armonia in cui nessuno dei due conosce il piacere di fare e di ricevere attenzioni, di intrattenersi per dialogare, di inventare piccole sorprese per dimostrare il proprio sentimento né di progettare nuove e invitanti uscite serali. Insomma, la loro vita è piatta, monotona e priva di novità! A causa di questa noiosità si crea una “fessura” attraverso la quale lei fa passare un uomo che le scombussola la vita ma gliela riempie di emozioni: proprio quelle… inesistenti in coppia! All’inizio la passione, unita all’emozione della novità e della clandestinità, offre ad Antonia la sensazione di aver trovato “la persona giusta che mi fa divertire” poi, nel corso del tempo, è proprio il dover fare tutto di nascosto a crearle forti stati ansiosi, con attacchi di panico e disturbi del sonno notturno. Antonio avverte il suo cambiamento ma, ingenuamente, lo attribuisce all’affaticamento causato dai turni di lavoro. La terza persona, l’amante di Antonia (divorziato e padre di due preadolescenti) pretende che lei lasci il partner e vada a vivere con lui. Le manifestazioni di gelosia dell’amante – che incalza con domande indagatrici – appesantiscono lo stato ansioso di Antonia e i suoi sonni notturni diventano sempre più disturbati: gli incubi e i risvegli continui le tolgono ogni speranza di recupero della sua serenità. Gli unici momenti in cui Antonia spera di rasserenarsi sono quelli relativi agli incontri con l’amante ma il desiderio sessuale non le offre più alcun appagamento in quanto l’ansia è eccessiva e l’abbandono alla sessualità è scarso. Oltretutto, quando lei si ritrova con Antonio, viene assalita dai sensi di colpa nei suoi confronti e, le rare volte in cui si parlano, non riesce più a guardarlo negli occhi. La paura di dover poi giustiicare all’amante la sua assenza e l’angoscia di doversi sempre discolpare per la sua indecisione, appesantiscono la situazione. La storia procede nel seguente modo: lei non vuole abbandonare Antonio perché non se la sente; le dispiace dargli la notizia e ha paura di parlare, si sente insicura e ripete: «non so se è la cosa giusta…», «e se sbagliassi?», «e se un giorno mi pentissi?» e poi «la mia famiglia ne soffrirebbe troppo… non potrebbero capirmi…». 111

Antonio, dal canto suo, si sente a disagio ma si adatta alla depressione e ai disturbi d’ansia della partner. L’amante continua ad assillare Antonia senza rendersi conto di spegnere, proprio in questo modo, ogni passione iniziale: le fa credere che i disagi che vivono sono causati dalla sua fragilità e dall’insicurezza costante e tutta questa situazione appiattisce ogni possibilità di espressione affettiva ed emotiva sia nella coppia principale sia nella coppia clandestina. A questo punto, le emozioni del piacere si disintegrano e gli affetti procedono all’insegna dei dubbi: «amo o voglio bene?», «sto insieme per paura o per abitudine?», «sono così solo io o succede anche agli altri?», «dovrei troncare o no?», «e se poi rimango da sola?», «e se perdo tutti e due?».

Ciò che rimane è una storia costituita da tre persone nervose, tristi e deluse dalla vita. Antonio si lascia assorbire sempre più dalla sua professione; l’amante si fa sempre più pressante e indiscreto con la sua ostinatezza, e tutto ciò desta in lei la consapevolezza di aver bisogno di chiedere aiuto ad un professionista.

La psicoterapia Questa scelta importantissima – la psicoterapia – può sbloccare e modiicare una situazione di esasperazione che non dovrebbe avere vita eccessivamente lunga per evitare che si radichino rancori troppo forti. È frequentissima, al giorno d’oggi, l’abitudine di concedersi queste “fughe libertine” che non hanno né futuro né basi signiicative sulle quali costruire alternative di senso in coppia né fuori dalla coppia. Il fatto di vivere tutta una serie di disagi psicologici e isici fa rilettere e, dalla scelta di chiedere aiuto, emerge chiaramente e indiscutibilmente che l’essere umano, pur essendo attratto da qualsiasi novità che scuota la monotonia della vita in coppia, ha un bisogno vitale di ricomporsi con i suoi valori traditi. Nessuna persona riesce a stare veramente bene quando sa di tradire, o di essere tradita o di essere preferita a qualcun altro. Una persona psicologicamente in contatto con se stessa, avverte in sé un certo disagio quando fa esperienze che minano le sue certezze. 112

Perché chiede aiuto? Perché sta male? Sta male perché vive un conlitto con i propri valori di lealtà, di onestà, di fedeltà, di rispetto e sente l’urgenza di riequilibrarli. Nel caso di Antonia ho preferito riceverla alcune volte da sola e, solo in seguito, con il suo partner. Con l’ausilio di alcune domande poste ad entrambi, sono emerse delle rigidità che ho cercato di stemperare facendo rilettere entrambi sulla paura che avevano di creare volutamente spazi comuni in coppia in cui avrebbero potuto spaventarsi nel trovarsi l’uno di fronte all’altra: «senza saper cosa dire…chi dovrebbe cominciare?», «che argomento dovremmo trattare?», «e se poi ci sentiamo in imbarazzo?», «io non so di che cosa dovrei parlare», «non l’abbiamo mai fatto…».

Le domande derelettive “che cosa immagino che lei/lui si aspetti da me” e “che cosa penso che lei/lui pensi di me”, hanno smosso delle montagne di paura che, non solo hanno lasciato basiti entrambi, ma li hanno stimolati a vivere nuovi atteggiamenti che hanno realmente risvegliato l’intesa iniziale. La mia presenza è servita ad accompagnarli verso l’opportunità di rilettere sulle loro risposte e evitando accuratamente di dare suggerimenti, ho lasciato che fossero loro a gestire la psicoterapia. Il mio stupore, espresso volutamente, li ha incentivati a sorprendermi sempre di più e questo gioco psicologico ha concentrato “dentro” la loro coppia tutta la motivazione a procedere in modo alternativo. Antonio e Antonia, proprio grazie a quello che hanno vissuto, hanno trovato il coraggio di farsi aiutare e di capire che certe paure: “di apparire ridicola”, “di non sentirmi capito” e, per entrambi: “che fosse banale lasciarsi andare alle emozioni”, li aveva allontanati sempre di più ino a restare vittime di due fughe: lui nel lavoro, lei nei disturbi d’ansia (a causa del tradimento) a scapito, ovviamente, anche dell’intimità. Il permettere che attraverso quella fessura passasse un uomo è stato una conseguenza della crisi in coppia: il vero problema non era il tradimento ma la crisi in coppia e quindi si è scelto di non informare Antonio. In questi casi è meglio evitare che il partner sappia del tradimento perché è reattivo ad un conlitto: alla base di questa scelta ci dev’es113

sere – da parte della persona che sceglie di non dire – la piena consapevolezza e la ferma volontà di evitare successivi tradimenti. “Non dire” non signiica essere bugiardi o falsi ma deve avere il signiicato di omettere una informazione che creerebbe soltanto un’enorme sofferenza. Informare non serve perché scatena un vero e proprio sconvolgimento che può distruggere deinitivamente la iducia e la stima nei confronti della persona che ha sbagliato. Chi ha sbagliato può avere la sensazione di liberarsi di un peso ipotizzando di “vuotare il sacco” ma, alla luce degli esiti tangibili che riscontro, non porta mai, in nessun caso, all’accettazione dell’errore commesso né all’alleggerimento dal senso di colpa. Se una persona si redime facendo un’analisi accurata dei propri errori e, in modo maturo e serio, garantisce a se stessa di non commettere lo stesso errore anche in considerazione del recupero autentico del sentimento per il proprio partner, non ha alcun senso “vuotare il sacco” solo per liberarsi in senso egoistico. Garantire a se stessi di non commettere lo stesso errore non signiica fare una promessa a se stessi ma essere sinceramente consapevoli che qualcosa è cambiato profondamente all’interno di sé; signiica volersi riabilitare al cospetto della propria coscienza a tal punto da percepire il tradimento come qualcosa di ripugnante che non appartiene più alla persona. La volontà ferma di riscatto ai propri occhi vale molto di più di qualsiasi promessa fatta in modo meccanico e infantile.

L’omosessualità Il fenomeno dell’omosessualità – esploso così prepotentemente, anche se antico come il mondo – è il chiaro ed inequivocabile segno di un malessere sociale e culturale sotteso ad alcuni comportamenti ai quali l’uomo non era preparato e che non avrebbe mai dovuto manifestarsi così virulentemente. Mai come oggi la libertà di espressione ha danneggiato la stabilità di genere di molti individui che sono entrati in un labirinto di dubbi, di domande, di paure e di depersonalizzazioni che minano l’equilibrio di tutte quelle persone che temono di essere anormali solo perché avvertono alcune pulsioni e non riescono a parlare liberamente con un professionista di iducia senza il timore di venir giudicate folli o omosessuali senza volerlo. Oltre a questo grave timore, riscontro sempre più frequentemente che, nell’intimità, la donna tiene sotto controllo la prestazione dell’uomo, lo critica, lo 114

svaluta e, in alcuni casi, lo deride per le défaillance prestazionali che sono inevitabili sia per lo stress che si vive e che ricade anche sulla vita sessuale, sia per il timore del giudizio. Con l’assunzione della pillola anticoncezionale – e quando la coppia non è equilibrata affettivamente – è la donna a decidere il tempo del concepimento di un iglio e un’altra componente distruttiva è che la donna vive una sessualità più maschile, quindi non lascia all’uomo alcun margine di libertà espressiva. Ora cerco di spiegare alcune posizioni assunte dalle persone nei confronti dell’omosessualità all’interno della coppia, anche se il tema andrebbe sviscerato in modo più ampio. Fino ad oggi, la mia esperienza nel campo della psicoterapia mi permette di notare due tipi di atteggiamenti: il “non detestare l’omosessualità ma nasconderla senza soffrirne” e l’“essere realmente omosessuali”. Per quanto riguarda “il non detestare l’omosessualità ma nasconderla senza soffrirne”, noto frequentemente che riguarda uomini e donne che, siancati da continue critiche o trascuratezze da parte dei partner, cambiano rotta essendo fermamente convinti che nel mondo eterosessuale non ci sia posto per loro. L’uomo rinuncia al continuo dileggio pungente della donna e si avvicina al mondo gay perché dice: «almeno gli uomini non mi criticano se fallisco e, con loro, sento la complicità!». Questa scoperta raccapricciante l’ho fatta molti anni fa – approfondendo la psicologia dell’uomo gay, padre di famiglia, che esteriormente è uomo a tutti gli effetti e il suo stile di vita non fa alcuna piega – notando che la ripercussione causata dalla durezza della donna è stata – naturalmente non in tutti i casi – la fuga autotutelante per poter sopravvivere. Così la donna perde l’uomo senza rendersi conto di esser stata lei – o meglio, il suo comportamento – ad allontanarlo. La soluzione sarebbe – ovviamente – modiicare l’aggressività della donna capendone le cause scatenanti, quindi lavorare all’interno della coppia. Nel caso della donna maltrattata o trascurata, può succedere che si crei in lei il desiderio di fare altre esperienze e, in alcuni casi, le vuole vivere nel mondo del lesbismo non perché sia realmente lesbica ma per un bisogno impellente di ricevere attenzioni di tipo femminile. Queste ultime le potrebbe offrire anche l’uomo qualora 115

si impegnasse ad avvicinarsi in modo dolce e attento alle esigenze della sua donna. Ogni donna (come ogni uomo) necessita di attenzioni e di contatti isici personalissimi mai generalizzabili ad ogni persona. L’uomo e la donna che non vivrebbero mai esperienze omosessuali e si imbattono in situazioni nuove in cui perdono l’autocontrollo credono di essere in ritardo nella scoperta di questa loro caratteristica; in realtà ho constatato che l’omosessualità vissuta in questo modo non è la vera natura di quelle persone ma soltanto l’emergere momentaneo di reminiscenze giovanili che, se non fossero state stimolate dalle circostanze, sarebbero rimaste sotto il livello della coscienza. Certe correnti di pensiero che proclamano l’importanza della libertà integrale contesterebbero ciò che sto per esprimere, ma credo che l’essere umano abbia bisogno, prima di tutto, di capire cosa si debba intendere con il termine libertà. Ogni persona ha in sé, come sappiamo, delle componenti omosessuali, ma ciò non signiica dover diventare omosessuali per forza e a tutti gli effetti; anche le pulsioni aggressive esistono in ogni persona ma questo non ci costringe né ci autorizza ad essere delle persone violente! Entrare forzatamente nella realtà gay – perché non ci si capisce più – signiica, quasi sempre, non restare più in contatto con se stessi; signiica dover fare cose strane per reggere il peso di una scelta che non si sarebbe mai fatta (mentire, fuggire, travestirsi, non rispettare se stessi, cercare luoghi lontani per nascondersi, ingere di essere persone diverse quindi… snaturarsi). Questo lo dico perché le domande che mi pongono le persone gay – donne e uomini – sono sempre di questo tipo: «ma secondo lei…io sono etero o omo?», «come faccio a capire se sono nato così?», «ma perché sono diventato padre se sono gay?», «ma io…chi sono realmente?», «perché mi nascondo?», «perché mi fa schifo vedere i gay e le lesbiche?», «con la psicoterapia posso ridiventare etero?», «io non sono più me stessa», «frequentare ambienti gay mi piace ma mi lascia qualcosa dentro che…mi amareggia…non so…».

Tutte queste esternazioni cariche di dubbi, paure, ansie e angosce non possono lasciarci indifferenti. Il concetto di libertà è fondamentale per capire tutto questo mondo di angosce: la libertà è libera, è infantile, caotica e senza controllo 116

mentre la responsabilità è una guida, è adulta: se la libertà va per conto suo, si perde nel nulla, nello smarrimento! Libertà e responsabilità hanno bisogno l’una dell’altra, per far sentire davvero libera la persona che le vive. I veri ed autentici omosessuali sono pochissimi e, soprattutto, non manifestano mai, assolutamente mai, queste perplessità: loro sono intimamente in contatto con la loro natura gay e si sentono bene e in pace con se stessi. Le annuali manifestazioni “gay pride” sono delle vere buffonate in quanto la maggior parte di loro è costituita da persone ribelli, persone insicure, che traggono la loro forza da un gruppo di individui che si dà visibilità agli occhi del mondo a causa del vuoto esistenziale che vive!

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Capitolo sesto

I litigi

Litigare signiica disputarsi qualcosa in cui si crede. Vuol dire far conoscere la propria idea e salvaguardarla per tutelarne il signiicato, anche a costo di entrare in conlitto. Entrambi i partner si disputano un pensiero e, spesso, oltrepassano i limiti della pazienza sfociando nel contrasto. Durante il litigio non ci dovrebbe essere il predominio di una idea sull’altra ma uno scambio chiariicatore per far capire il proprio punto di vista senza temere di essere prevaricati dall’altro. È anche vero che la mancanza o la carenza di litigi può esasperare, nei due partner lo sforzo di somigliarsi sempre di più a scapito di chiarimenti liberatori (non dell’aggressività ma del proprio bisogno di parlare chiaramente) che stempererebbero vecchie ansie trattenute, oppure comportamenti aggressivi più o meno trattenuti che riscontro essere di due tipi: verso il partner e verso se stessi.

Quando non si litiga Comportamenti aggressivi nei confronti del partner L’aggressività trattenuta nei confronti del proprio partner si nota nella persona che trasmette chiaramente uno stato interno di tensione che, tradotto, può essere verbalizzato in questo modo “non ne posso più di ingere e, prima o poi, esploderò”. In genere, questo stato interno di tensione, si crea nella mente della persona che si controlla celandosi dietro una maschera di buonismo (da non confondere con la bontà d’animo) accomodante e conciliante. Il proprio punto di vista non viene mai esplicitato attraverso un sano litigio chiariicatore. 119

Chi trattiene ogni espressione di sé ed evita i litigi crea un accumulo pericoloso costituito da tensioni, rancori, ansie e paure. Molte persone riescono ad indirizzare quell’accumulo verso forme creative, sportive o professionali che aiutano a non trattenerlo; altre persone, che non possiedono un’indole creativa o sportiva – o non possiedono risorse interiori compensative – sfogano in modo repentino tutta la rabbia trattenuta creando, a volte, delle vere e proprie tragedie (dalle molestie isiche ai reati più efferati). Alla luce di tutto questo discorso, possiamo considerare che il litigio non è solo utile ma indispensabile al ine di mantenere in equilibrio la vita della coppia che si trovi in situazioni di accumulo d’ansia. Ciò non signiica che si deve litigare ma che è più funzionale alla salute psicologica di una coppia sciogliere le tensioni grazie ad un litigio vissuto al momento giusto. Anche per i litigi vale il discorso della “giusta misura”: se si eccede in un senso (l’attacco pesante) o nell’altro (la difesa rassegnata), non si sfrutta il tempo del litigio come un tempo di crescita. Eccedendo si sbaglia perché si rischia di ammucchiare una serie lunghissima di esperienze drammatiche che portano inesorabilmente alla morte psicologica della coppia. Durante il tempo del litigio si ha la possibilità di trasformare l’opposizione tra le due idee in opportunità di cambiamento, di espansione, di formazione umana delle due persone. Per fare ciò, è importante essere sempre presenti a se stessi, evitando volutamente e accuratamente l’attacco verbale e isico, scegliendo l’ascolto e decidendo di stimare le reciproche idee nel rispetto della loro diversità.

Comportamenti aggressivi nei confronti di se stessi Ci sono persone che non manifestano all’esterno la loro collera ma la sfogano all’interno di sé creando spesso delle implosioni psicologiche con conseguenti fughe dalla realtà che non è la realtà reale – quella della quotidianità – ma la realtà delle proprie emozioni. Queste persone si creano inconsapevolmente delle privazioni interiori frenando, ino allo stremo, ogni manifestazione emotiva, cioè non si stupiscono di fronte alle cose che accadono, non si concedono il calore dei rapporti umani, non si abbandonano a ciò che può offrire piacere ed eseguono tutto come se fossero robotizzati, quindi privi di slancio vitale e di spontaneità. 120

Alla domanda “cosa provi nel fare ciò” la risposta è sempre “niente, cosa dovrei provare?”. Questo appiattimento delle emozioni può far pensare ad una forma di auto-privazione emotiva ma può essere anche una forma di autodifesa per resistere alla tentazione di esplodere e danneggiare qualcuno ino a commettere atti illeciti. Chi vive la consapevolezza di tutto ciò, si ritrova a pensare “se mi lasciassi andare avrei paura”: paure antiche, paure ignote, paure frenanti che privano la persona della propria libertà di scelta e la costringono a trattenere tutto, a ingere, facendosi vivere dalla vita anziché viverla. Trattenere a sé la collera, che servirebbe per parlare liberamente al partner, è sempre un errore perché la coppia si adatta alla inzione, si trincera in un silenzio angosciante che fa scorrere le giornate nella ripetitività monotona e priva di senso. Tutto è scontato, insipido, vuoto e la vita diventa insopportabile. Imparando ad evitare di trattenere ciò che si vorrebbe dire al partner, si scopre di tutelare anche se stessi, perché dire ciò che si pensa offre la sensazione di rispettare la propria dignità pensante. Se l’altra persona sa che non verrà criticata, imparerà, a sua volta, a non criticare e a non giudicare, creando una sorta di circolo virtuoso, un’alleanza contro un virus relazionale che non deve entrare nella vita della coppia. Molte persone raccontano le loro storie come se si dovessero rassegnare ad un futuro negativo per il fatto di provenire da una famiglia colpita da vari eventi dolorosi. A causa di questa paura, in coppia vige una situazione di passività come se, da un momento all’altro, dovesse accadere la stessa cosa avvenuta nella famiglia di origine: una separazione, un tradimento, un suicidio, una depressione, un abuso sessuale, un omicidio o altri comportamenti che l’hanno segnata profondamente. Poche persone pensano in modo libero ed autonomo considerando che è la nostra indiscutibile unicità a garantirci di poter dare vita ad una esistenza a sé stante che è sicuramente proveniente da un passato inseparabile ma non deve esserne per forza condizionata: se i genitori sono stati disonesti, non saremo disonesti contro la nostra volontà; se un familiare si è tolto la vita, non saremo destinati a fare la stessa cosa, come non saremo schizofrenici o depressi se un nostro genitore lo è stato; la stessa cosa vale per le qualità: ogni comportamento che assumiamo dipende esclusivamente dalla nostra volontà, dal nostro voler essere nel modo in cui decidiamo di essere e sempre secondo il principio di ragionevolezza. Tornando al 121

discorso del litigio, è molto più funzionale e corretto ripensare al suo signiicato come possibilità ed opportunità per sbloccare un conlitto e per modiicare una staticità insana.

Rapporto di amicizia o rapporto di coppia? Vivere con qualcuno o vivere in qualcuno fa gran differenza… Riunire le due cose è dato solo all’amore e all’amicizia più pura. J.W. Goethe

Confondere il rapporto di amicizia con il rapporto di coppia ingenera, nelle persone, una forte tensione ansiosa. È bene capire che i due rapporti sono molto diversi fra loro anche se hanno alcune componenti psicologiche simili: nell’amico possiamo anche sperare di scoprire molte somiglianze, mentre nel partner sarebbe meglio non trovarne troppe perché, come dicevo, per vivere buone esperienze in coppia è fondamentale consentirsi la libertà di essere diversi ma non troppo, afini come conformità di idee e di sentimenti ma non troppo. Due amici possono concedersi di essere molto simili perché tra loro esiste un tempo non vissuto insieme (quando non possono frequentarsi) che serve da “ossigeno psicologico e relazionale”. Due partner (che non usufruiscono di quei tempi lunghi) non dovrebbero essere molto simili ma, al contrario, poter sfruttare una distanza psicologica e relazionale che è fondamentale per non soffocarsi a vicenda. In tutte le coppie umane dovrebbe esistere l’“ossigeno psicologico e relazionale” ma, in modo particolare, fra due partner. Essere diversi ma non del tutto, avere afinità ma non completamente: questo signiica avere buone prospettive per poter vivere in coppia! Scoprire un po’ di somiglianze o di afinità che possano essere emotive, culturali, creative e relazionali, al ine di stabilire dei contatti, di condividere alcune esperienze e gioirne, è fondamentale ma, allo stesso tempo, devono essere anche abbastanza diverse per impedire alla relazione di stagnare, quindi di precludere il piacere della meraviglia, dell’attesa e dello stupore di ciò che entrambi vivono. 122

Chiariamo però una cosa molto importante. Le somiglianze che si creano nelle coppie consolidate da tempo non devono essere confuse con le somiglianze delle coppie che si sono costituite da pochi mesi in quanto le somiglianze delle prime rappresentano ottimi esiti relazionali mentre quelle delle coppie costituite da poco tempo, se sono eccessive, frenano la crescita della coppia in quanto non vi è ancora stato il percorso esperienziale che le ha portate, attraverso tante rinegoziazioni e assestamenti, all’esito delle prime coppie, quindi anche le somiglianze vanno analizzate alla luce del “tempo vissuto insieme” e del “modo d’essere nella coppia”. La relazione in coppia cresce grazie al superamento del disagio nei confronti delle divergenze di opinioni in dal momento in cui la coppia stessa fatica per superarlo. È importante che le due persone dialoghino, discutano, rilettano e, se necessario, litighino. Quindi, mentre nell’amicizia può essere molto positivo essere simili, nel rapporto di coppia può essere molto rischioso: vivere all’insegna del principio: “siamo identici e siamo solo l’uno per l’altra”, “condividiamo le amicizie, le attività sportive e gli hobby” e, magari, il lavoro, signiica raggiungere in tempi minori la ine della storia in quanto nessuno dei due si sente individuo a sé stante con uno spazio proprio né, tantomeno, ci si sente la metà della coppia. Teniamo conto che con un amico non passiamo tutto il nostro tempo come facciamo con il/la partner; infatti grandi amicizie muoiono proprio a causa di periodi di convivenza eccessivamente lunghi in cui quegli spazi di condivisione, così piacevoli all’inizio, diventano angusti perché i due mondi sono troppo simili, troppo ravvicinati e perdono il fascino dell’attesa che si vive nel periodo della lontananza. Da questo punto di vista paragonare una coppia di amici con una coppia d’amore conduce proprio a queste rilessioni e alla conclusione che due amici si salutano e sanno di dover attendere un certo tempo per rivedersi, mentre una coppia non vive un’attesa lunga. Ecco perché le storie tra due amanti che si incontrano clandestinamente possono durare anche tutta la vita, proprio per questa attesa sospirata! Ciò che fa la differenza non è tanto la passione quanto il desiderio, l’attesa, la speranza, quel qualcosa che tiene in sospeso le due persone e che alimenta il piacere di pensare di potersi incontrare. Questa “sospensione” andrebbe coltivata dai partner, infatti le coppie riuscite amano proprio questa caratteristica della vita insieme. 123

Una coppia consolidata e ben riuscita sa che anche all’interno della propria casa è importante che entrambi abbiano la possibilità di coltivare le proprie cose e che quel tempo goduto sotto lo stesso tetto, ma in modo autonomo, permette di rispettare le singolarità e di godere il tempo delle pause in cui si condivide qualcosa insieme. Maria e Luigi erano molto impegnati, avevano due igli e una vita professionale molto intensa ma, proprio per questo motivo, credevano che fosse importante curare la loro intimità in ogni momento in cui potevano stare insieme in casa e da questa cura traevano continue conferme oltre al piacere di offrire piacere all’altro. Loro si divertivano ad inventare delle “sorprese piacevoli”: lei, quando era possibile, senza disturbare Luigi gli passava accanto per dargli un bacio, senza parlare, per non distoglierlo dal suo lavoro; lui le portava (tutti i giorni in cui poteva rimanere in casa) una spremuta d’arancia per segnalarle il suo amore; lei, spesso e volentieri, gli portava un assaggio di ciò che stava preparando in cucina; ogni sera gli lasciava il dentifricio sullo spazzolino da denti; lui le prendeva i piedi e le massaggiava le dita mentre guardavano un ilm insieme; bigliettini e sms erano all’ordine del giorno da parte di entrambi ma senza attendersi nulla dall’altro. Insomma, un’ininità di piccoli gesti d’amore per testimoniarsi reciprocamente un sentimento che voleva rimanere per entrambi al centro della loro attenzione. Esisteva in loro la piena consapevolezza di voler curare il rapporto responsabilmente proprio partendo da queste piccole cose. Nessuno dei due chiedeva quei favori ma entrambi offrivano per amore quindi era logico che si creasse un sistema virtuoso che motivava entrambi a perseverare con intenso piacere.

L’adulterio Il concetto di adulterio – o tradimento – andrebbe analizzato ogni volta alla luce del tipo di coppia in cui avviene. Non si dovrebbe mai estendere la stessa risposta a tutte le coppie anche se il tradimento, di per sé, è un inganno, è un venir meno alla lealtà, è essere infedele, e nessuno mai potrebbe dire il contrario o ammorbidirne i signiicati: quindi l’adulterio – come comportamento scorretto – “parte svantaggiato”, ma va comunque considerato alla luce di chi lo commette. Per intenderci meglio: rubare è un reato ma se chi ruba ha realmente e umanamente delle ragioni comprensibili (un padre disoccupato 124

che ruba del cibo per il iglio affamato) quel furto avrà un signiicato diverso al di là del fatto che la legge voglia punire quell’uomo come un ladro qualsiasi. Anziché chiederci perché si tradisce, sarebbe più importante chiedersi perché si rinuncia alla cura della relazione: da quale momento della vita in coppia si allenta l’impegno verso la persona che si è scelto di amare; in che modo si attua il disimpegno o, peggio ancora, la trascuratezza. Alcuni pazienti traditi reagiscono a queste rilessioni sentendosi responsabili del tradimento del partner. Ciò che mi preme è far capire che solo partendo da questi presupposti rilessivi si può gettare un fascio di luce sulle possibili cause che scatenano il tradimento capendo, prima di tutto, che chi si sente amato non riesce a tradire, a meno che non esistano dinamiche profonde di altra natura che andrebbero scoperte in un percorso di psicoterapia. Il tradimento è l’esito di un rapporto disfunzionale tra due persone e radica sempre in un terreno di insoddisfazioni relazionali, non è mai faccenda di una singola persona, ma sempre di quest’ultima-in relazione-ad un’altra. Molte persone adultere sostengono di non aver realmente tradito il proprio partner ma addirittura, di aver provato notevoli sensi di colpa anche mentre vivevano l’esperienza extraconiugale: una parte di loro sapeva di sbagliare ma un’altra parte perseguiva il ine di tradire per sbloccare un problema personale. Alla luce di questa sensazione si scopre, sempre più spesso, che il tradimento è un bisogno compensativo di far qualcosa per eliminare qualcosa d’altro che crea un disagio. Nessuna persona tradisce per il solo gusto di tradire, ma perché si è infranto l’equilibrio emotivo-affettivo che dava senso alla vita della coppia. Uno dei due partner, piano piano, trascura la relazione e viene meno all’impegno assunto nella fase in cui la storia procedeva bene. È molto dificile, a volte impossibile, che chi viene privato di quelle attenzioni amorevoli, riesca a sopravvivere psicologicamente all’interno della stessa coppia! È vero che non tutti coloro che vengono trascurati diventano traditori ma è altrettanto vero che tutti, indistintamente, cercano una compensazione personale per far fronte al vuoto di senso che si crea, nel corso del tempo, all’interno della relazione adulterina. Questo vuoto di senso, seguito dalla compensazione messa in atto, dividerà ancor di più i due partner. Ci si chiede a questo punto: se un partner tradisce è perché si sente trascurato? La risposta va sempre adattata alla situazione singola e 125

mai generalizzata a tutti gli adulteri. Alcuni miei pazienti tradiscono la loro compagna ma sostengono di non sentirsi affatto trascurati. Esiste in questi uomini uno squilibrio pulsionale che non sanno gestire: le loro pulsioni genitali devono venir soddisfatte e basta! In questi casi di immaturità affettivo-emotiva, l’uomo perde il controllo di sé e segue l’istinto. Sicuramente una psicoterapia sarebbe la scelta più giusta da fare nella misura in cui la persona ne valutasse l’importanza. Un’altra domanda importante e produttiva da porsi è la seguente: io offro affettivamente ciò di cui la persona che amo ha veramente bisogno? Oppure mi accorgo di offrire soltanto ciò che mi porto come bagaglio acquisito nella mia famiglia di origine pensando che sia la cosa più giusta da fare? Non sarebbe più saggio e rispettoso offrire al partner ciò di cui ha bisogno e non ciò di cui io ritengo abbia bisogno? Quel bisogno è davvero suo o è una mia convinzione, magari una mia proiezione su di lui? In genere l’adulterio, come dicevo, non è mai ine a se stesso cioè non si tradisce per il semplice piacere di farlo ma per sostituire ciò che manca (affetti, considerazione e attenzioni) con qualcosa che, illusoriamente, pensiamo possa riempire quel vuoto. La sostituzione può tradursi in un appagamento isico, oppure psicologico o, ancora, in un appagamento esistenziale per dare un nuovo senso alla relazione. L’appagamento isico, cioè puramente genitale, non è, come si pensa di solito, molto frequente in quanto spesso viene accompagnato da bisogni affettivi come le coccole, le attenzioni e il calore isico. L’appagamento psicologico è quello relativo ad uno scambio emotivo e alla condivisione di esperienze piacevoli, mentre quello esistenziale mira a dare un nuovo senso alla relazione, quando una persona si rende conto della povertà intellettuale ed emotiva del proprio partner a causa della quale il dialogo si svilisce sempre più e gli scambi verbali si riducono a noiose e ripetitive informazioni quotidiane che nulla hanno a che fare con il dialogo in coppia. Può accadere che si tradisca e ci si crei una vita parallela in quanto non si vuole rischiare di perdere la relazione con i propri igli o con un vantaggio economico acquisito precedentemente. La ricorrente e burlesca pubblicità estiva: “agosto moglie mia non ti conosco”, non solo giustiica, ma sprona a tradire creando alibi sociali e bloccando le relazioni in coppia nella miserabilità dell’inganno. 126

I media che autorizzano a tradire creano una cultura dell’inganno, una cultura in cui imbrogliare non è un disvalore da condannare ma un valore moderno come la furbizia più meschina, quella che fa credere di liberare l’uomo da vecchi modelli comportamentali. In realtà si inaridiscono i sentimenti dando sempre più importanza e spazio alle pulsioni. Certa pubblicità e certi messaggi inviati, ahimè, anche da psicologi e psicoterapeuti di fama nazionale, confondono il lettore il quale percepisce anche da loro una passiva rassegnazione al fatto che non sia possibile gestire le pulsioni sessuali disordinate, quindi che si debbano trasformare in nuovi modelli comportamentali ai quali attenersi per non apparire antiquati, fuori dal tempo e risibili. A causa di tutto ciò, il lettore si conforma all’idea che tradire sia un bene culturale, un bene della modernità! È noto che Freud, non riuscendo a sostenere lo sguardo dei suoi pazienti, sfruttò questo suo limite per divulgare un modello psicoterapeutico (la psicoanalisi) in cui il paziente rimane sdraiato a guardare il sofitto mentre parla a ruota libera e l’analista sta seduto dietro al lettino senza incrociare mai lo sguardo del paziente stesso. Come Freud sfruttò una sua dificoltà psicologica trasformandola in un vantaggio, così succede che alcuni psicoterapeuti creino, attraverso i mass media, un’“illusione liberatoria” di questo tipo: dato che nemmeno io, professionista, riesco ad evitare il tradimento, lo rendo accettabile alla coscienza collettiva così mi assolvo e trasformo un comportamento irrispettoso in uno alternativo! Resta il fatto, però, che nessuna persona equilibrata vive serenamente l’idea di offendere la dignità della persona che ha al suo ianco, soprattutto se la ama. Da queste considerazioni possiamo sostenere che i media hanno sicuramente una grossa responsabilità, però ognuno di noi ha il diritto di sentirsi libero di scegliere di non seguire errori del genere. La responsabilità non può e non deve essere collettiva: la responsabilità è esclusivamente del singolo individuo che sceglie una data cosa. Nella responsabilità collettiva ogni essere umano si confonde nella massa e si deresponsabilizza perdendo non solo la sua libertà di scelta ma soprattutto la sua dignità. Sabrina, una giovane madre di famiglia che seguo per alcuni problemi d’ansia, mi esprime spesso: 127

la paura di essere troppo diversa dalle altre donne perché le mie amiche hanno tutte l’amante e dicono che dovrei adeguarmi a loro, che io sono vecchia dentro, che sono una mummia… cosa devo fare?…

Queste esternazioni mi fanno rabbrividire ma mi rendo conto che non sono così strane, considerando ciò che si legge e si sente! Scivolare dentro la rigidità dei luoghi comuni è alquanto facile quando la propria autostima viene messa in discussione dalle persone che contano, da quelle, come i propri amici, dalle quali non ci si può discostare senza il rischio di perderle! Si ha l’idea che non aderire a quei luoghi comuni allontani da sé i propri amici e si rischi di rimare soli! E così sorgono le depressioni reattive.

I preconcetti sull’adulterio Finché i matrimoni sono stati vissuti come dei contratti d’interesse reciproco, stipulati dalle famiglie d’origine, il tradimento ha assunto un signiicato di tacita regolazione sociale in cui alla moglie non veniva concesso e la sorveglianza dei familiari e dell’ambiente sociale le impedivano la trasgressione e, quando ciò accadeva, non era tanto il rapporto di coppia quanto l’onore del capo famiglia ad esserne mortalmente offeso. Per l’uomo, al contrario, esisteva una maggiore permissività a patto che lui non minacciasse con la presenza di igli illegittimi gli interessi della discendenza familiare. La dimensione psicologica dell’adulterio subentra nel corso del tempo solo quando il matrimonio diviene l’espressione di scelte libere tra due persone. La passione amorosa che il matrimonio fa presagire non può mantenersi nel tempo in quanto non è possibile che coincidano l’intensità della passione con la durata della stessa. Quando una persona avverte lo spegnimento della passione amorosa ritrova nella clandestinità il piacere della scoperta di un’altra persona che possa offrirle maggiori attenzioni; riscopre il gusto del gioco ma, soprattutto, il piacere dell’attesa, della sorpresa e della trasgressione. La felicità viene percepita soprattutto nella fase dell’attesa: in quegli strani tormenti in cui l’immaginazione e la fantasia possono giocare un ruolo molto importante e plasmare a proprio piacimento la persona desiderata mentre, al contrario, la realtà del vissuto del tradimento è sempre foriera di amarezze e di delusioni. Succede che 128

assieme al piacere della segretezza si avverta la tentazione di urlare al mondo la propria felicità ma, in alcuni casi, le persone che tradiscono diventano meno prudenti come se, inconsciamente, sperassero di essere scoperte per uscire dal doppio gioco e desiderassero ricomporre l’ordine della loro esistenza anche a scapito di grandi sofferenze. Tutto questo accade in quanto nel doppio gioco costituito dall’intimità e dalla segretezza, dall’illusione ma anche dalla frustrazione, la persona non regge questo peso e si autodistrugge ino a cedere. Spesso, dopo la scoperta di un tradimento, avvengono reazioni di vario tipo che si manifestano in frasi preconcette e il traditore dice al tradito: «tu sei troppo intransigente», «bisogna essere elastici e di larghe vedute», «il tradimento stimola la relazione di coppia, la vivacizza», «bisogna stare al passo con i tempi», «non ti tradisco se faccio sesso e poi torno da te», «cosa vuoi che sia qualche scappatella!».

Cosa signiicano queste frasi? Signiicano forse che si dovrebbe essere permissivi di fronte ai tradimenti? E se invece di parlare di eccessiva intransigenza si parlasse di bisogno di rispettare i propri valori? Chi rispetta i valori in cui crede (onestà, lealtà, fedeltà, sincerità e trasparenza) non va considerato eccessivamente rigido o all’antica, non dovrebbe per forza adattarsi all’attuale moda sociale che si avvale degli strumenti mediatici e informatici per esaltare, anziché modiicare, certi comportamenti! Se oggi molti giovani si perdono nei meandri informatici, è proprio a causa della faciloneria con cui vengono trasmessi messaggi che contengono eccessi di permissivismo che a volte penetrano nella vacuità e nella vuotaggine amorale. Tradire non signiica solo vivere un’esperienza sessuale appena se ne presenti l’occasione, ma signiica anche tradire se stessi; altrimenti non si spiegherebbe l’enorme richiesta di aiuto da parte di persone che tradiscono la persona amata! E tradire se stessi signiica non riuscire a rimanere in equilibrio con i propri principi, con i valori della propria storia personale; signiica voltare le spalle a se stessi, non ascoltandosi più; signiica dipendere da qualcosa che non riusciamo a gestire da soli, come la pulsionalità cieca e il caos primordiale. Sa dottoressa, per me andare con altre donne non signiica tradire, perché io amo mia moglie però, per essere proprio sincero con 129

lei, sento dentro di me che qualcosa non va… non so cosa sia… ma lo sento… secondo lei dovrei smettere?

No, non deve smettere – rispondo – dovrebbe innanzitutto capire cos’è quel “qualcosa che non va” che sente dentro di sé. Io le posso spiegare alcune cose ma poi sarà lei a rilettere e a decidere se modiicare o se mantenere la sua abitudine. Quando spiego cosa succede dentro le persone in situazioni di questo tipo, dico che in ognuno di noi esiste un mondo di signiicati e di valori che vengono, per così dire, nutriti da noi stessi nella misura in cui noi, per primi, li rispettiamo. Come curiamo il nostro corpo quando ci segnala che ha bisogno di essere lavato, o ha freddo o ha fame o ha sonno o ha sete, così abbiamo l’esigenza di rispettare i nostri valori che sentiamo essere fondamentali per noi. Se, ad esempio, crediamo nel valore della giustizia e assistiamo ad un evento in cui proprio la giustizia viene calpestata, avvertiamo immediatamente un malessere che ci innervosisce e ci rattrista: ci sentiamo impotenti e se non riusciamo ad esprimere questa sofferenza, tratteniamo qualcosa di doloroso. Ogni valore ha due signiicati: uno soggettivo che è nostro e che causa in noi quel malessere, e uno oggettivo che è fuori di noi e che possiamo deinire col termine “universale”, un “terreno comune” in cui nessuno negherebbe che la giustizia è importante, ma è anche un terreno in cui interagire, dialogare e crescere. Ogni persona equilibrata sostiene il valore della giustizia come bene acquisito nei secoli soprattutto grazie a tutte le lotte sociali e alle trasformazioni avvenute. Quando una persona pensa “sento che dentro di me qualcosa non va”, è proprio lì dentro che avviene una lotta personale che necessita di una trasformazione, proprio come è avvenuto nel corso del tempo per l’umanità. Esiste una ineludibile necessità che si estende nel tempo dell’umanità (necessità ilogenetica del rispetto della giustizia) che si può paragonare ad una altrettanto ineludibile necessità del singolo uomo che si estende nel tempo della soggettività (necessità ontogenetica del rispetto della giustizia). Quindi, in ognuno di noi esiste il bisogno vitale e costante di curare e rispettare i valori ai quali crediamo. Se li neghiamo stiamo male e, stando male a lungo, somatizziamo, cioè convertiamo un disagio psichico in un sintomo o in un disturbo nel corpo. Ma per rispettare tutto questo nostro mondo di valori e signiicati, è molto importante sentirsi liberi di scegliere: 130

bisogna lasciare da parte ordini e abitudini, premi e punizioni, in una parola tutto ciò che ti dirige dal di fuori; […] devi porti il problema da solo di fronte al tribunale interno della tua volontà. Non chiedere a nessuno come devi gestire la tua vita chiedilo a te stesso. Se desideri sapere come impiegare al meglio la tua libertà, non perderla mettendoti al servizio di un altro o di altri, per buoni, saggi e rispettabili che siano: sul modo di usare la tua libertà interroga la libertà stessa (F. Savater, 1992, p. 35).

Noi siamo essere initi (c’è un momento in cui nasciamo e c’è un momento in cui moriamo) e tutto ciò che caratterizza la nostra vita si muove sempre tra due poli temporali, spaziali, e del nostro essere tridimensionali e, come tali, abbiamo sempre bisogno di limiti tranquillizzanti per vivere bene. Le droghe danno sensazioni contrarie di illimitatezza e questo stato-non stato di uscita dai limiti, all’inizio dà sensazioni di euforia ma, nel tempo, distrugge l’Io: l’Io-corpo (i neuroni cerebrali muoiono), l’Io-mente (i ragionamenti si squilibrano) e l’Io-spirito (il senso della vita si svuota). Credere che ognuno di noi possieda la propria verità che è l’unica a dover essere presa in considerazione signiica perdere quei limiti e rischiare la follia. Capiamoci bene: è vero che il mondo delle emozioni, degli affetti e del pensiero che ci caratterizza è solo nostro e va rispettato, ma sostenere che la nostra verità sia l’unica valida signiica eliminare tutte le forme di relazione umana perché gli altri vengono vissuti come portatori di idee false. Da qui a cadere nel solipsismo nichilista quindi, nella depressione, il passo è breve. “Per me andare con altre donne, con altri uomini, non signiica tradire”, è già una chiusura psichica non, come tante persone credono, una mentalità aperta ed elastica, perché pensare che tradire non sia sbagliato, signiica rimanere dentro la propria convinzione credendola giusta. In quel “terreno comune” è sicuramente più dificile e faticoso rimanere ma è solo in quello che si ha la possibilità di crescere e di elevarsi dalla rigidità del pensiero riduttivista (ridurre tutto al pensiero singolo che crede che la propria ragione sia quella giusta). Se ognuno di noi mantenesse la convinzione della giustezza del riduttivismo, non comunicheremmo più e il genere umano imploderebbe nell’egoismo ino a morire nella disperazione: oltre a ciò, nelle donne e negli uomini non si creerebbe più il desiderio di diventare geni131

tori perché nel ruolo genitoriale si ama e nell’amore esiste necessariamente il contatto umano che non può prescindere dallo scambio delle emozioni, degli affetti e del proprio punto di vista! È necessario, quindi, coltivare nel “terreno comune” uno scambio di idee che accolga tutti i pensieri e tutti i mondi psicologici, possibilmente anche quelli che sorgono nella realtà delle altre culture per evitare di bloccarsi nel “relativismo culturale” (Note di approfoNdimeNto 9).

L’adulterio mascherato “Ho sposato la sua famiglia” Quando una persona si sente accolta in modo caloroso ed entusiasta, in dalla prima volta in cui entra nella famiglia del partner, è inevitabile che rimanga favorevolmente colpita ino al punto di sentire un autentico piacere ed un appagamento irrinunciabile. Di una famiglia accogliente e serena ci si può innamorare! Si avverte la sensazione di non poter più rinunciare ad essa e, anche quando la relazione in coppia non funziona più molto bene, si accantona la delusione pensando al piacere di rimanere in quella famiglia della quale non si vuole più fare a meno: in questo modo si rischia di “sposare la famiglia”. “Sposare la famiglia del partner” può essere un bisogno pregresso rimasto inappagato, che trova solo in questo modo la possibilità di soddisfarsi: non si pensa più alla coppia – quindi a curarla – ma ad un bisogno personale che dimostra che la persona non solo non era pronta e matura per vivere in coppia, ma aveva un vuoto profondo rimasto in sospeso ino al momento prima di entrare nella nuova famiglia. Questa persona, spesso, viene soggiogata e manipolata dalla stessa famiglia che l’accoglie in quanto si dimostra sempre troppo disponibile a fare tutto ciò che le viene chiesto. Poi, ad un certo punto, accade l’inevitabile: così strumentalizzata e per niente investita del ruolo di partner, la persona reagisce e scappa! Molte volte ci si sente in obbligo di “sposare la famiglia del partner” per una forma di gratitudine soprattutto quando viene offerto un posto di lavoro all’interno dell’azienda familiare. Ribellarsi alla compagna o al compagno e, magari, comunicare di volere la separazione, signiica anche perdere il posto di lavoro e 132

tutti i suoi beneici. Spesso, allora, si rinuncia e si subisce, si tace e si trattiene. Quando si sposa la famiglia perché si trova in essa anche un surrogato della propria coppia genitoriale, il problema diventa ancora più pesante perché si diventa igli di quei genitori acquisiti e nei confronti del proprio partner si crea un rapporto fraterno: un vero dramma! Si ha la sensazione chiara e dolorosa di perdere se stessi, di non comprendere più il senso di appartenenza precedentemente acquisito e, nel corso del tempo, se non ci si ribella, accade di precipitare nella depressione reattiva. Esistono anche storie in cui si sposa la famiglia del partner per timore di farla soffrire: deludere quella famiglia così generosa e gentile diventa un pensiero insopportabile; si indugia nel disagio che si crede di dover sopportare in futuro e, anche in questo caso, se non si riesce ad assumere una posizione chiara e leale, si rischia la depressione!

“Ho sperato che morisse” Raramente le persone che si portano dentro un macigno psicologico per anni, riescono ad esprimere la frase “ho sperato che morisse” perché temono di essere giudicate ed etichettate in vari modi. È un peso, questo, che crea pesanti sensi di colpa e tristezze che inducono a sentirsi dei mostri! La persona si intorcina su se stessa per capire il motivo di questo pensiero e più pensa ad eventuali motivi, più si ripiega e soffre. Nessuna persona esprime tranquillamente la frase “ho sperato che morisse” se non è supportata dalla giustiicazione della sofferenza terminale e questo silenzio espressivo alimenta – spesso in modo drammatico – il timore di essere diversi, cattivi, pazzi ino a strutturare un pensiero suicida! Il fatto di poterlo dire senza sentirsi giudicati, permette alla persona di capire il motivo di questa inquietante speranza ma, soprattutto, il senso che ha in sé. Sperare che la persona che amiamo muoia è un fatto abbastanza comune ogniqualvolta avvertiamo dentro di noi un forte senso di costrizione che ci limita la libertà di scelta. Questa speranza può essere percepita anche quando non si può più fare alcunché per evitare la morte di un caro: nessun medico offre un’alternativa per prolungargli la vita. Di fronte all’ineluttabilità dell’evento morte, succede di avvertire dentro di sé una vera speranza di morte che abbrevi la 133

sofferenza del morente. Questo non signiica non amare o non amare più ma, signiica, soffrire per una limitazione e, di conseguenza, anticipare l’evento come se il farlo tuteli da una sofferenza straziante, una sofferenza che ci cattura prima che ci si possa preparare. Le persone che vivono questa esperienza hanno bisogno di capire il motivo di questo pensiero così sconvolgente. Anche nel caso in cui una giovane madre pensa di uccidere il proprio bambino e non riesce ad esprimere il suo dramma, trattiene a sé un grave tarlo che le toglie il piacere di vivere e la chiude sempre di più. Se valutiamo solo oggettivamente la speranza che la persona che amiamo muoia, non possiamo evitare di pensare subito ad una speranza mostruosa, ignobile e inumana. Non essendo noi degli oggetti ma delle persone, non dovremmo mai rilettere su queste dinamiche in termini così aridi e impersonali ma pensare di contestualizzare ogni persona che vive un disagio del genere nella sua propria situazione esistenziale. Piero e Piera convivono da parecchi anni senza riuscire a dialogare in modo profondo e continuativo: in particolar modo la sofferenza di Piero, persona molto sensibile e premurosa, diventa sempre più sorda e costante e quando incontra casualmente una ex compagna di liceo e trascorre con lei qualche ora in cui si scambiano informazioni sulla loro vita, Piero scorge in lei quella profondità e quella sensibilità che avrebbe voluto scoprire nella sua partner. Nel periodo della frequentazione nasce una forte intesa psicologica che completa Piero il quale, pur amando la moglie, avverte in sé una forte emozione dolorosa quando inizia a pensare “se Piera morisse”. Questo assillo crea in lui un turbamento talmente forte che gli toglie il sonno, l’appetito e la voglia di vivere: preoccupato e ansioso, decide di rivolgersi ad uno psicoterapeuta perché avverte l’urgenza di capire il motivo di quel pensiero che lo sconvolge. Quando capisce che sono proprio quell’urgenza e quei sintomi a garantirgli l’importanza del suo sentimento per la moglie, comprende anche che, in situazioni in cui si viene privati di qualcosa di importante (il dialogo profondo e l’intesa sessuale), quel pensiero così terribile per la coscienza diviene spontaneo per l’inconscio il quale trasmette un messaggio salviico anche se appare irrazionale e inquietante. 134

Anche nelle grandi opere di Antonio Canova, dalle quali emerge chiaramente la sua esistenza sublimata attraverso di esse, ritroviamo l’incontro tra la vita e la morte. Come sostenevano i Greci, «Eros rinvia a Thanatos e viceversa: […] ad Eros avevano attribuito le stesse caratteristiche di Thanatos solo che Eros ha la iaccola eretta, iammeggiante, mentre Thanatos la porta capovolta e spenta […] il binomio Eros – Thanatos è inscindibile e capire l’uno riiutando l’altro mi sembra una contraddizione» (A. Centin, 2008, p. 120).

Le reazioni psicoisiche dell’adulterio La persona che tradisce non sta mai bene con se stessa perché va oltre (tradire = andare oltre) il suo reale bisogno di amare e di essere amata e l’amaro in bocca che prova, appena ha tradito, ne è la conferma più signiicativa. Chi tradisce subisce svariate reazioni psicosomatiche cioè mette in atto, inconsapevolmente, dei segnali che rappresentano qualcosa che non va tra la mente che non approva e il corpo appagato e, alla lunga, quei segnali possono tradursi in alcuni tipi di patologie. Vediamo due tipici esempi che rappresentano le reazioni che l’inconscio mette in atto nei confronti del corpo umano.

L’esperienza di Antonio: Antonio ha quarantasei anni, è sposato da un decennio, tradisce sua moglie dall’inizio della loro storia ma non mette mai in dubbio i sentimenti che lo legano a lei. Parlandomi della sua ulcera peptica (e sapendo che l’ipersecrezione gastrica costituisce il correlato isiologico della “fame di amore e di cure”), Antonio esprime spontaneamente il «fastidio che mi dà tradire la mia compagna e fare sempre tutto di nascosto». Quando gli faccio notare che, proprio mentre stava parlando della sua ulcera peptica, ha espresso la frase sul tradimento, lui si ferma, rilette ed esordisce dicendo: «sa…è proprio importante per me, in questo momento della mia vita, capire che c’è una parte di me che non approva ciò che faccio… io amo la mia donna e non so perché sono caduto così in basso… doveva succedere qualcosa e la mia malattia è un chiaro segnale…». Attuando un lavoro psicoterapeutico integrato, mirato alla scoperta della causa del suo comportamento disordinato che, ovvia135

mente, risaliva alla sua “fame di cure” durante l’infanzia, ma soffermandoci soprattutto sul suo presente e sulle possibilità nel futuro, Antonio riesce a sbloccare tutte le emozioni trattenute in da allora e si rende conto che potrebbe non aver più bisogno di cercare fuori dalla coppia quei surrogati illusori. Nella misura, e dal momento, in cui riporta dentro la coppia tutti i suoi desideri ma anche tutti i suoi appagamenti, lui sente che anche l’ulcera peptica si fa sentire molto meno e, nel tempo, gli rimane soltanto uno strascico funzionale che impara a gestire con le tecniche autogene.

Se ci fossimo soffermati sul comportamento adulterino, non solo Antonio avrebbe indugiato sull’effetto del suo problema senza modiicarlo minimamente, ma si sarebbe ulteriormente caricato di sensi di colpa peggiorando la sua situazione. L’esperienza di Marianna: Marianna, sposata da alcuni anni, non riusciva a guarire da una patologia vaginale che la tormentava da parecchio tempo. Nel percorso psicoterapeutico che fece con me, mise a fuoco da sola che il suo problema vaginale (la dispareunia) non le permetteva più di incontrarsi sessualmente con il suo amante a causa del forte dolore che accusava durante la penetrazione e che questo limite le aveva fatto pensare ad «una chiusura inconscia che la mia parte più intima segnala a me stessa, come se la mia vagina si ribellasse al tradimento». Questa spontanea rilessione venne più volte elaborata da Marianna e, nel prosieguo della psicoterapia, diede i suoi frutti: il bisogno ansioso ma lucido di chiudere la storia extraconiugale e di rivolgere, a trentanove anni, l’attenzione alla sua possibile prima maternità. La repentinità della decisione l’aiutò sicuramente a chiudere la relazione con l’amante ma non le fu di aiuto nel concepire il primo iglio. Le spiegai che sforzarsi di concepire è l’atteggiamento mentale meno adatto perché ciò possa accadere, soprattutto quando la donna non è veramente in relazione con il proprio partner. Avendo capito l’importanza del giusto tempo e della calma psicoisica, Marianna si dispose ad accogliere la sua maternità mettendo al primo posto un lavoro psicologico personale che mirasse al recupero sia della igura del suo partner che a quello del suo sentimento per lui. Il senso di colpa che lei provava a causa dell’adulterio aveva reso 136

la sua vagina inaccessibile al suo amante e aveva determinato la relazione con il marito priva di signiicato: nessuno dei due si impegnava più a coltivare il dialogo e l’affettività. Dopo pochi mesi di psicoterapia e grazie al suo più autentico avvicinamento al marito, Marianna riuscì a concepire il suo primo iglio e a liberarsi di una parte fasulla della sua vita che lei, evidentemente, non accettava più.

Questi due esempi sono chiariicatori di ciò che accade dentro di noi quando ignoriamo i nostri valori credendo che sia antiquato rispettarli. Come mai nella maggior parte dei casi di adulterio, chi tradisce non sta più bene come prima? Cosa succede nella mente? Perché la psiche modiica il corpo? Perché non si riesce più a sostenere lo sguardo del partner? Perché non si dorme più come prima? Cosa signiica tutta quell’ansia che si avverte durante la giornata e in alcuni casi anche durante la notte? Perché non si riesce più a tornare indietro? Queste e tante altre domande affollano la mente delle persone che tradiscono e rendono la loro vita insopportabile. Di solito le cause sono o il senso di colpa o la vergogna o la paura: tre moti psicologici che vengono somatizzati, cioè trasformati in malattia che si manifesta nel corpo. La coppia è una realtà tridimensionale che evolve nel tempo ma in modo discontinuo perché viene, inevitabilmente, condizionata sia dai cambiamenti psicologici dell’uomo e della donna sia dalle reciproche esperienze esistenziali. Monogamia (dal greco: monògamos, composto da mònos “mono”- e gàmos “nozze”) signiica rapporto d’amore che unisce un solo uomo e una sola donna e sottintende la scelta di rispettare la fedeltà. Partendo dal presupposto che a chi si assume un “impegno di lealtà” nei confronti del proprio partner può capitare di sentirsi tentato di tradire, possiamo fare delle brevi considerazioni. Fino a quando, nel corso della storia, la coppia si basava sulla divisione dei compiti, esistevano dei valori di stabilità che giocavano a favore della libertà sessuale (che preferirei deinire disordine affettivo-comportamentale) che un tempo veniva considerata appannaggio esclusivo dell’uomo: era impedita alla donna e si sapeva che, mentre le adultere venivano lapidate (realmente o moralmente), all’uomo tutto ciò veniva evitato. 137

Oltre a ciò, in dai tempi antichi, lo scopo della coppia non era la ricerca della felicità ma il raggiungimento di una stabilità familiare, economica e sociale. La coppia di oggi, al contrario, si unisce scegliendo liberamente e in modo svincolato dalle famiglie di origine. Rispetto al passato, i due partner pensano di poter restare insieme soltanto a patto di raggiungere la felicità senza considerare il fatto che la felicità non può e non dovrebbe essere considerata una condizione costante nel tempo: la realtà di tutti i giorni ci insegna che può essere soltanto l’esito di un percorso insieme, non può essere il ine ultimo della storia della coppia ma un effetto raggiunto grazie ad un impegno proteso verso un obiettivo che offra anche la felicità, non soltanto la felicità. Consideriamo i concetti di libertà sessuale (cioè di disordine affettivo-comportamentale) e di fedeltà mentale. Per capire meglio, immaginiamo un cavallo al galoppo: il cavallo (libertà sessuale), per essere utile all’uomo, deve essere sellato e governato altrimenti vive la sua vita ine a se stessa senza dipendere da alcuno ma senza essere nemmeno utile ad alcuno. L’uomo, diversamente dagli animali, proprio perché è possessore di una coscienza, sente la necessità, in dalla nascita, di essere educato, anche se la sua parte pulsionale sessuale rimane sempre in lui. Ma non rimane così com’è, tanto è vero che l’uomo sente il bisogno di darsi delle norme affettive, soprattutto dal momento in cui avverte dentro di sé la necessità di una famiglia, di diventare padre, di prendersi cura dei bambini e di tutto ciò che riguarda la sua vita. È proprio questa necessità a farci capire che esiste nell’uomo anche la fedeltà caratterizzata da una affettività che guidi la pulsionalità. La fedeltà è un valore oggettivo e universale che diventa soggettivo, quindi personale, nella misura in cui lo si fa proprio: è una scelta libera, come è libera la scelta di governare un cavallo. Mentre la libertà sessuale è come se fosse un cavallo che rischia di imbizzarrirsi, la fedeltà è il cavaliere. Esiste la fedeltà sessuale? Se rilettiamo pensando alla metafora del cavallo e del suo cavaliere la risposta non può che essere negativa: non esiste la fedeltà sessuale perché il concetto “sessuale” (inteso come pulsionalità) è primordiale, cieco, pulsionale, non governato, libero, quindi non è possibile che sia fedele perché la fedeltà è scelta, è voluta, è curata. Se consideriamo la sessualità all’interno di un rapporto duale, non possiamo prescindere dalla dimensione umana della fedeltà. Se manca quest’ultima, si parla soltanto di disordine affettivo-comportamentale. 138

Alcuni uomini, all’inizio di una storia sentimentale, avvertono il bisogno di affermare la loro identità maschile prevalentemente sul versante erotico e, solo nel corso degli anni, tendono verso bisogni di tipo sentimental-fusionale. Altri uomini, soprattutto oggi, prediligono il dialogo perché stanchi delle delusioni scottanti precedenti, superate a fatica; molti altri appaiono disillusi e, quindi, demotivati a dare vita ad una nuova relazione: la loro siducia, spesso, sfocia in atteggiamenti depressi a causa della convinzione che nessuna donna sia più degna di essere considerata fedele e afidabile. Ciò che sconcerta e preoccupa è il fatto che anche i ragazzi stanno scoprendo che il mondo femminile è dificile: molti di loro, neanche ventenni, mi raccontano, in modo piuttosto accorato, lo stupore che avvertono quando ragazzine eccessivamente spigliate li seducono in modo aggressivo. Un giorno stavo andando verso la segreteria – mi racconta Maurizio di vent’anni – e mi sono sentito chiamare da una tipa che mi ha preso per la maglietta mi ha spinto in bagno, mi ha fatto sdraiare davanti al water… si è seduta sopra di me, si è alzata la maglietta in dietro al collo e mi ha fatto capire chiaramente che voleva fare sesso subito… io mi sono sentito schifato e l’ho lasciata là così… mi ha fatto rabbia fatto così… in quel modo… non la conosco neanche… ma come si fa…

Maurizio rappresenta la realtà di molti giovani che, stupiti dalla sfacciataggine di alcune ragazze che credono, atteggiandosi in questo modo, di sedurre, rimangono profondamente delusi dalla mancanza di femminilità e di dolcezza nelle loro coetanee. Proprio oggi, periodo storico in cui i giovani, igli di madri che non hanno potuto seguire da vicino i loro igli a causa dell’obbligo di un impiego fuori casa, avrebbero bisogno di relazionarsi con ragazze femminili, dolci e afidabili.

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Capitolo settimo

Il cambiamento

È un dato di fatto che i piccoli cambiamenti modiicano le situazioni più complesse. Perché? Perché i piccoli cambiamenti sono invisibili, non danno fastidio ad alcuno, non sono dificili da attuare e radicano indisturbati. Dico spesso ai miei pazienti che più le radici di una piantina sono sottili, più è facile che si insinuino nel terreno per scendere a cercare le sostanze nutritive; poi, nel tempo, si rinforzano, crescono e danno solidità alla pianta che si ergerà verso l’alto proprio grazie a quelle radici diventate solide e aggraniate. La stessa cosa succede ai piccolissimi cambiamenti umani: tanti insieme e continui nel tempo, creano solidità in un rapporto. Per cambiare le situazioni conlittuali all’interno della coppia, bisogna innanzitutto percepire dentro di sé di volerlo fare: sentirsi motivati e risoluti. Bisogna, inoltre, esser certi che anche l’altra persona desideri la stessa cosa altrimenti si rischia di forzare una situazione che, magari, nel frattempo ha già trovato una nuova stabilità emotivo-affettiva. Un passo molto interessante è rivolgersi ad un professionista preparato alla psicoterapia integrata per ripristinare le dinamiche conlittuali all’interno delle coppie. Personalmente credo che quasi tutte le coppie siano in grado di recuperare i precedenti equilibri psicologici – e a volte addirittura di migliorarli – perché ho notato, nel corso degli anni, una moltitudine di “rancori caricati di collera inespressa” che si sono trasformati in nuovi sentimenti nella misura in cui hanno avuto la possibilità di esprimersi, prima attraverso la parola, poi con sfoghi liberatori che erano rimasti latenti per lunghi anni e, alla ine, grazie all’elaborazione delle cause, degli effetti e del Senso di ciò che è accaduto. Di solito metto al corrente le persone che mi chiedono aiuto, che io non opero per facilitare la separazione (tranne nei casi – rarissi141

mi – in cui mi viene richiesto) ma, principalmente, per ripristinare l’equilibrio in coppia. È un accanimento psicologico? Può darsi! Ma se proprio quell’accanimento serve a recuperare i sentimenti sommersi e inespressi, mi sento autorizzata a procedere per stanarli. Penso che i sommersi siano sempre più importanti degli elementi visibili: un albero può essere ancora accettabile alla vista ma avere alcune radici già in putrescenza. Perché farlo cadere repentinamente rischiando di danneggiare qualcuno? Non è meglio posizionare attorno al tronco dei tutori e andare a vedere sotto il livello del terreno come poter risanare le radici, togliendo quelle putrescenti o rinsecchite? Questo è ciò che avviene durante la psicoterapia!

Cos’è la psicoterapia in coppia centrata sul Senso «Dottoressa – mi chiese una persona durante un incontro di formazione per coppie in crisi esistenziale, dal titolo: “La psicoterapia in coppia centrata sul Senso” – perché non dice psicoterapia di coppia anziché in coppia?». Spiegai subito e con molto piacere che la coppia, come realtà soggettiva, non esiste: esistono due persone distinte che compongono la coppia e possiedono un corpo, una mente e un modo d’essere che le caratterizza e le mantiene diverse l’una dall’altra. Ciò che distingue una persona dall’altra sono la mente e il modo d’essere non solo il corpo, anche se è il primo ad essere visivamente notato. “Che differenza c’è tra una persona e una coppia?”. Beh… è presto detto: la singola persona che compone una coppia, possiede un suo mondo di valori non falsiicabili tranne che da lei stessa, mentre la coppia è un concetto astratto che non possiede alcunché. La coppia cambia solo quando le due persone decidono di renderla diversa: intantoché una delle due persone (o entrambe) non decide di migliorare l’andamento della relazione o di modiicare una situazione statica, non cambia nulla né nelle due persone né, di conseguenza, nella relazione. Capita a tutti di farsi accompagnare in macchina e di abbandonarsi alla guida del conducente senza prestare attenzione al nome delle vie e di notare che quando ci si trova a dover fare lo stesso percorso non ci si orienta più. È un piccolo ma signiicativo esempio per ca142

pire cosa vuol dire farsi portare senza badare più al proprio senso di orientamento. È naturale vivere anche il piacere di farsi guidare, ma quando questo diventa uno stile di vita, si perde la propria consapevolezza di essere in grado di orientarsi. Se invece, nella coppia, rimane sempre viva la propria consapevolezza di possedere l’autocoscienza quindi si è in grado di “fare per essere”, fare cioè qualcosa di concreto per sentirsi vivi all’interno della coppia, ci si assume la responsabilità di essere autonomi e liberi in coppia. All’inizio ci si deve sforzare di “fare per essere” poi, nel corso del tempo e con la ripetizione, “si è per fare” cioè si diventa come si è voluto diventare e ciò che si fa per l’altro diviene naturale. Naturale e piacevole. Purtroppo succede molto spesso che di fronte a delle scelte importanti ci si abbandoni all’altra persona pensando che sia lei a dover risolvere i problemi, dai più piccoli ai più importanti. Se quest’insieme di problemi superati da entrambi non fondano una base sicura su cui tutte e due le persone possono camminare ma anche… cadere, si entra in crisi. La coppia avrà un Senso profondo nella misura in cui sarà costituita da “un Io e da un Tu che vivono in una coppia”. Confondere un Io e un Tu, cioè due persone originali e uniche, con una coppia, signiica interpretare una realtà che non esiste e se una delle due persone si rintana pigramente nella coppia (non sceglie, non decide, non assapora le opportunità), rischia davvero di smarrirsi, di perdere la propria identità ma, soprattutto, quelle potenzialità che potrebbero essere vissute per realizzare il proprio Senso della vita. La psicoterapia in coppia centrata sul Senso mira a riattivare quelle dinamiche – affettive ed emotive – bloccate nella coppia, evitando qualsiasi tipo di critica e di giudizio. Viene ripristinato, o creato, quello spazio comune in cui dovrebbero avvenire molti scambi tra le due persone, non tanto come signiicato dell’avere (interessi) quanto dell’essere (attenzioni reciproche), l’essere in coppia. Ogni essere umano è una persona che necessita di scoprire e vivere un proprio Senso della vita che dovrebbe sempre interagire ed integrarsi nella coppia senza disturbare la progettualità del partner ma senza nemmeno mai svincolarsi dalla direzione che entrambe le persone hanno progettato di darsi. Se uno dei due, per motivi inderogabili, deve cambiare direzione, sarà necessario rinegoziare assieme al partner quel progetto iniziale. 143

Sembra complicato ma in realtà è molto semplice se si tiene a mente che la diversità del Tu ha necessariamente esigenze diverse, ma queste ultime non dovrebbero allontanare le due persone da quello spazio comune che le tiene unite, interessate e innamorate. Mi accorgo sempre più spesso di quanto sia facile riavvicinare due persone in crisi di Senso semplicemente parlando della disillusione di entrambe di fronte alla perdita della speranza di ciò che pensavano di realizzare come singole persone all’interno della coppia. Che senso ha stare insieme? Io pensavo di poter fare tutte le mie cose uscendo dalla casa dei miei genitori… non ne potevo più dei miei e speravo davvero di poter fare tutto per avere quello che prima non avevo potuto avere…

Questo concetto dell’avere, ci riporta a quanto prima speciicato sull’importanza dell’essere in coppia piuttosto che dell’avere. Cerco di approfondire il concetto dell’essere in coppia. Se io mi sento me stesso in coppia, signiica che sto rispettando il mio modo d’essere, ma ciò non signiica che non mi privo di alcunché: è inevitabile doversi privare di qualcosa per convivere con una persona, ma è una rinuncia accettabile perché si ama l’altro. Quindi l’essere in coppia signiica sostanzialmente essere se stessi sapendo di doversi privare di qualcosa che guasterebbe la serenità dell’altra persona. Il fare solo per se stessi – «Io pensavo di poter “fare” tutte le mie cose uscendo dalla casa dei miei genitori» – è un pensiero egoistico che, proprio perché tale, non è funzionale all’equilibrio e alla serenità in coppia. Si nota, da questa frase, che la persona fugge per trovare qualcosa che somigli alla libertà ma, essendo una libertà egoistica, è priva di responsabilità e non riesce a radicare in un rapporto a due. Quando si sfrutta una persona, non esiste un Senso per cui stare bene in coppia, quindi il malessere esistenziale si insinua in dai primi giorni perché alla persona sfruttata viene attribuito un valore d’uso non un valore sentimentale. Altra cosa, molto importante, è il fare per essere premurosi, è il fare per migliorare la vita in coppia, come quando decidiamo di fare qualcosa (anche faticando) per una persona che amiamo. Nella misura in cui amiamo quella persona ci piace fare qualcosa come segno di amore e, nella misura in cui facciamo delle cose, ci rendiamo conto di amarla. 144

“Per nessuna persona al mondo farei le cose che faccio per quella persona” è un pensiero che garantisce a noi stessi che amiamo davvero quella persona. Quindi il fare dovrebbe essere un fare privo di spinte egoistiche se si vuole parlare di amore in coppia, quindi il fare per noi stessi, che è sicuramente importante, non dovrebbe mai essere lo scopo primario. Detto questo, l’uscita dalla famiglia di origine per realizzare i propri obiettivi dovrebbe rappresentare una possibilità che la vita ci offre, non che la vita in coppia ci offre! Se non lo si considera in questo modo, è molto meglio vivere da soli per un periodo in cui capire se stessi e, solo dopo, scegliere di convivere con una persona. Quando i due partner sentono di essere se stessi in coppia, si tratta di patteggiare in modo maturo e rispettoso i ruoli, gli spazi personali, i compiti e gli svaghi in coppia. Grazie a questo accordo che dovrebbe essere sempre accettato e, possibilmente, gradito ai due partner, si raggiunge un buon equilibrio in coppia che sia però sempre, in qualsiasi momento, rinegoziabile da entrambi.

Superare i conlitti senza vincitori né vinti I conlitti fanno parte di tutte le interazioni umane e non devono essere considerati buoni o cattivi ma momenti – o fasi – inevitabili ed auspicabili in quanto sono degli “accomodatori” utili che ricreano un equilibrio necessario in coppia. Un conlitto divide una fase di accumulo di tensioni da una fase successiva di decompressione, di scioglimento di tensioni, quindi di benessere; coinvolge almeno due persone e, indipendentemente dalla gravità della collisione, una delle due (ma spesso entrambe) avverte di subire una dificoltà, quindi una sofferenza. In genere si pensa che la risoluzione dei conlitti preveda una vittoria e una sconitta: una persona perde e l’altra vince! una ha ragione e l’altra ha torto! In linea di massima i conlitti sorgono anche quando uno dei due partner oppone resistenza all’altro: è naturale che si tenti di inluire sull’altra persona quando si ha bisogno di soddisfare le proprie esigenze ma è importante che la resistenza che si crea venga modiicata e trasformata in una ricombinazione degli accordi. Se in coppia si mantiene troppo a lungo il potere di una persona sull’altra o, addi145

rittura, del potere reciproco, avviene inevitabilmente la rottura del rapporto. Quando in coppia predomina il principio del rigorismo, esiste un malessere di fondo che porta, prima o poi, alla distruzione del rapporto perché si inibisce la crescita dell’autonomia, soprattutto nella persona che lo subisce. Nelle persone fragili, il rigorismo produce sottomissione a causa della paura che ingenera, ma anche nelle persone meno fragili può scatenare reazioni che inibiscono lo spirito di collaborazione e smorzano il desiderio di mantenere il dialogo in coppia. Anche nella persona rigorosa (il vincitore) si può ingenerare un senso di colpa: fa più male a me che a te dirti queste cose… lo sai che lo faccio per il tuo bene… devi capire che sono cose giuste.

Pensare in questo modo e ripetere frequentemente queste frasi, può dare la sensazione di sentirsi degli aguzzini. Esiste poi la relazione in cui vige un permissivismo eccessivo (che rasenta, magari, il disinteresse) nei confronti di ciò che l’altra persona fa; anche in questo caso la persona che subisce un eccesso di permissivismo cova dentro di sé il risentimento, l’ostilità e la sensazione di essere troppo libera, quindi troppo trascurata. Spesso succede che l’uomo che giustiica sempre l’assenza della donna per gli impegni professionali, scappi repentinamente dalla famiglia sostenendo con inequivocabile disamoramento, di non voler più tornare indietro. In una coppia ben assortita e serena non si dovrebbe mai imporre o subire il rigorismo o il permissivismo perché sono atteggiamenti mentali di tipo genitoriale non da partner. Purtroppo, però, succede spesso che nella coppia uomo-donna si ricrei un rapporto di tipo genitoriale e, quest’ultimo, se non viene modiicato nel tempo, rischia di rimanere tale oppure, nel corso del tempo, di allontanare le due persone. Sia il rigorismo che il permissivismo creano dinamiche negative per la coppia in quanto la persona rigorosa impone e quindi non permette il dialogo che possa dirigere la coppia verso il superamento del conlitto: non lascia che l’altra persona esponga il suo parere e negozi delle soluzioni; nel permissivismo, invece, si dà l’impressione di lasciar perdere qualcosa di importante senza mai lottare per una soluzione. 146

Anche l’oscillazione tra i due modi di essere – rigoroso e permissivo – è rischiosa in quanto genera confusione in coppia e una sensazione di squilibrio affettivo: «mi vuole bene o no?..», «è interessato a me o no…», «è interessata o indifferente?», «come mai cambia così spesso?».

Il doversi adattare, ora al rigorismo, ora al permissivismo può, alla lunga, creare nella persona che subisce, uno sconforto e uno scarso senso di appartenenza alla coppia; l’ansia e la depressione possono accompagnare questi stati di disagio a causa della sensazione di perdere i conini affettivi. La cosa importante sarebbe – come dicevo – che, all’interno della coppia, il concetto di potere o di permissivismo non fosse mai presente a disturbare i suoi equilibri. Solo in questo modo si risolvono i problemi: nessuno dei due partner vince sull’altro ma entrambi devono poter avere la possibilità di concludere favorevolmente un conlitto. Non ha alcuna importanza “chi” sia a trovare la soluzione inale al contrasto in quanto è la cooperazione, non la competizione, a poter risolvere i conlitti nel modo migliore. Per realizzare ciò è indispensabile essere suficientemente rilessivi e generalmente motivati al superamento dei problemi. Questo processo di risoluzione del problema mette in luce il fatto che un conlitto può sempre diventare un problema risolvibile e non dovrebbe rappresentare un motivo per esercitare il potere, per litigare e per giungere alla infausta conclusione che una persona vinca e l’altra perda. Alla luce di tutto questo discorso è evidente che i conlitti devono essere considerati degli eventi normali ma anche delle opportunità non distruttive per far crescere le due persone in coppia che dovrebbero sentirsi allo stesso livello di dignità e di rispettabilità. Dopo aver individuato il problema-conlitto, entrambi i partner dovrebbero poter proporre delle possibili soluzioni, valutarle insieme, individuarne una che sia risolutiva per entrambi e poi stabilire il modo di attuazione della stessa. Nel tempo, ci si dovrebbe accertare che quella soluzione presa insieme abbia effettivamente risolto il contrasto. Questa modalità, che è sempre un processo dialogico rispettoso, può essere considerata un momento importante per un ulteriore avvicinamento qualitativo delle due persone; ciò che si 147

nota, subito dopo questo nuovo comportamento, è l’assenza del risentimento che prima guastava la vita in coppia. La presenza di una buona motivazione nell’affrontare i conlitti in modo produttivo fa emergere chiaramente che questa modalità diventa un vero e proprio toccasana per una interessante interazione tra le due persone. Ad alcuni lettori potrà sembrare utopistico e irrealizzabile superare i conlitti, ma esistono davvero molte coppie che riescono, durante il percorso psicoterapeutico, ad attivarsi e a credere fermamente nell’importanza di mantenere un impegno costante. In questo nuovo modo di relazionarsi non è necessaria alcuna opera di convincimento da parte del professionista, in quanto entrambe le persone collaborano, cooperano e si accordano sulla soluzione migliore e, nel tempo, essendo più distesa la relazione, imparano a puntualizzare meno su tutti quei piccoli – e a volte assurdi – motivi che prima scatenavano conlitti enormi. La coppia diviene più responsabile e matura e si libera da tutti quegli obblighi rigidi, vincolati al potere, che si manifestavano con battute del tipo: «taci! ho ragione io», «tu vuoi sempre aver ragione», «devo sempre cedere io», «ma perché non mi ascolti», «come al solito io ho torto, eh?», «con te non si può parlare», «perché devi sempre fare a modo tuo?».

Ogni problema personale, all’interno della coppia, mantiene in stallo la coppia stessa e non permette di vivere serenamente. Non si dovrebbero mai trattenere i problemi pensando che questo non inluisca negativamente sulla vita in coppia. Esiste sempre un modo per risolvere i conlitti e, per quelli che non sono risolvibili, un aspetto molto importante nella vita a due è che i partner accettino ciò che non possono e non dovrebbero mai tentare di cambiare, cioè i valori, i signiicati e gli scopi dei propri compagni di vita. Soltanto l’integrazione dei propri modi d’essere permette la condivisione di uno spazio mentale comune che rispetti entrambi e permetta di superare i conlitti senza vincitori né vinti.

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L’amore come sida Sii amabile se vuoi essere amato. Ovidio

Perché lottiamo per la vita e non lottiamo per l’amore? Perché sidiamo la ine della vita e non sidiamo la ine dell’amore? È un nostro diritto sidare la ine della vita: ogni giorno lo facciamo curando la nostra sopravvivenza con il cibo, con il sonno, con lo svago, con le attenzioni, con le relazioni e con la cura degli scopi che ci stanno a cuore. Se non ci concedessimo tutte queste attenzioni, potremmo morire. Perché non ci concediamo di curare l’amore? Oltre che per la vita, anche per l’amore è un nostro diritto farlo e, nella misura in cui ci concediamo questo “diritto”, ci possiamo concedere anche il “dovere” di renderlo appagante, cioè la nostra voglia di dare un senso alla nostra vita decide di dare un signiicato importante al nostro amore. Soltanto in questo modo ci si può sentir liberi di essere responsabili di “fare nell’amore”. Il rischio che corriamo quando trascuriamo la nostra volontà di dare signiicato al nostro amore è quello di scivolare in altre direzioni che divergono dall’amore e lo trascurano ino a rischiarne la perdita; «quando viene frustrata la volontà di senso […] interviene la volontà di piacere, la ricerca spasmodica di soddisfazione a tutti i livelli, primariamente a livello sessuale, con il compito di stordire la consapevolezza dell’uomo di fronte al suo inappagamento esistenziale, e di celare questo agli occhi della sua coscienza» (E. Fizzotti, 1998, p. 31). Durante la psicoterapia in coppia avvengono tali e tante scoperte da indurre molte persone a dire cose che non avrebbero mai pensato di dire prima come, ad esempio, Anna che si è espressa nel seguente modo: ora che ho capito, per me è diventata una sida!

Caterina, dal canto suo: il mio matrimonio, adesso che ho messo a fuoco in che tranello eravamo caduti, dovrà essere una meraviglia! 149

Anche Luca nel dirmi: Dottoressa… perché non mi è venuto in mente prima di attivarmi in questo modo?

…mi ha fatto capire quanto sia ancora presente, fra le persone, il luogo comune che recita: “l’amore è spontaneo e non ha bisogno di nulla”. Amare è un atto mentale che si decide, che si vuole mettere in pratica. L’amore è l’esito di questo atto intenzionale, è il ine, è l’obiettivo! Il mezzo è l’atto di amare, il ine è l’amore. Se io mi impegno ad amare una persona, mi accorgo che amo perché stimolo in me qualcosa che esiste già, che è latente e che ha solo bisogno di essere trasformato in un atto, in un insieme di atti. Se amo produco amore! L’esempio dell’amore per un iglio può spiegare meglio questo discorso: se amo mio iglio devo necessariamente attivarmi producendo delle azioni, cioè devo fare: dargli attenzioni, offrirgli cose di cui ha bisogno, dargli ascolto, accompagnarlo isicamente, parlargli e fare ogni cosa che lo aiuti a vivere e a diventare indipendente e autonomo; quindi eseguo degli atti e mi accorgo che nel fare amo! Se non facessi le cose appena elencate, perderei mio iglio: se fosse neonato morirebbe, se fosse più grande la trascuratezza, il disimpegno e il fare le cose che non riguardano la sua vita ma solo la mia, darebbero a lui e a me la sensazione di morte del rapporto. Tornando al rapporto in coppia, se amo il/la partner, devo necessariamente fare per creare l’amore. È un dovere piacevole che scelgo di attuare perché decido di fare e di essere una parte importante per la sua vita. eh… ma scusi… io mica dovevo fare qualcosa quando incontravo il mio ragazzo… io lo amavo e basta…

Quindi Lei mi sta dicendo che quando lo frequentava non si curava per essere più carina? Non faceva ciò che lui gradiva? Non creava situazioni piacevoli?

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beh… certo che facevo tutte queste cose (ride)… anche di più… se è per quello, mi ricordo che mi mettevo proprio a pensare come potevo fare per stupirlo… e questo è vero… mi gratiicava molto perché vedevo lui sempre più innamorato e contento di incontrarmi…

Accorgersi di aver fatto tutti quei tentativi per colpire favorevolmente l’altra persona ci dà, ancora meglio, la possibilità di capire che amare presuppone il fare. Quando questa donna dice “mi mettevo proprio a pensare come potevo fare per stupirlo”, capiamo che è stato un atto di volontà il suo modo di amare e che questo atto volitivo ha determinato un esito che si chiama amore. Il problema reale è che quel modo di pensare non è stato mai coltivato! Se in coppia non si agisce volendo fare qualcosa per l’altra persona (naturalmente dovrebbe essere reciproco), il rapporto si modiica in senso peggiorativo. Ad una persona che mi ha risposto: “anche una badante fa azioni ma mica ama… a volte detesta la persona che deve curare”, ho risposto che le rilessioni sul modo di amare vanno viste dalla prospettiva dell’intenzione che si vuole manifestare, della disposizione d’animo verso il nostro ine che si basa sulla buona o sulla cattiva intenzione; anche nella dinamica dell’odio o del comportamento offensivo, si determina un’azione che è, però, dannosa, lesiva, nociva. Quel fare non sarà di sicuro a vantaggio della persona verso la quale dirigiamo l’azione ma sempre a svantaggio!

Perché ci si lascia? Quando le crisi in coppia causano e decretano la ine di una relazione, ci si chiede spesso: «perché quelle due persone, che ino a ieri sostenevano di amarsi si sono separate?», «perché prima erano talmente convinte da trasmettere sicurezza a tutti gli amici e ora sono così indifferenti e distaccate?», «avrei messo la mano sul fuoco per quella coppia», «loro due rappresentavano per me l’esempio vivente che l’amore esiste».

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Scoprire quali “sistemi” regolano le relazioni in famiglia e constatare che spesso si perpetuano nel tempo come fossero dei mandati generazionali (i ruoli che si ripetono) è sicuramente affascinante, ma non è risolutivo e può essere addirittura frustrante e condizionante. Credo che la presa di coscienza del proprio comportamento, il “come sono io nella coppia” – indipendentemente da come sono stati i miei genitori e i miei nonni – sia la strada più percorribile soprattutto quando è la persona stessa a volerla intraprendere. Solo usando la propria volontà di agire si può uscire dai tranelli dell’essere in un certo modo: decidere di bloccarli sul nascere è una strada che dà maggiori garanzie; non si tratta solo di autoconigurazione o autocontrollo ma di scelta libera e responsabile che, proprio perché tale, evita alla persona di trattenere tensioni e rancori. Se sono io a decidere una data situazione, mi accorgo subito di sentirmi libero. «eh ma… se io porto la spazzatura nel cassonetto le faccio credere di obbedire come fossi un bambino… invece se non lo faccio impongo la mia scelta di non farlo!» – mi dice Alfredo in un periodo di crisi. Gli rispondo: quindi Lei preferisce farsi ripetere le richieste? Si sente meglio nel ruolo del iglio che si fa redarguire dalla mammapartner? Non preferirebbe essere lei a decidere di assumersi dei compiti in famiglia? Non le darebbe una sensazione di maggior libertà? «eh… lo so ma… non avevo mai pensato che ci stiamo comportando come un iglio e una madre… è vero, è proprio così come dice lei e non mi sento affatto di fare l’adolescente, però ci siamo abituati così, ma sa… adesso che lei mi fa rilettere, vorrei provare… almeno provare…».

Nella frase “ma… vorrei provare… almeno provare” si percepisce una buona motivazione ad attivarsi per migliorare la situazione di crisi. Quello della pattumiera (peraltro molto frequente) è solo un esempio di una serie lunga di incombenze che spettano ad entrambi i partner e dalle quali non si può prescindere a meno che la coppia non sia così benestante da possedere una schiera di collaboratori familiari (cameriere, cuoco, maggiordomo, giardiniere, lavandaia, autista, segretaria, stiratrice, baby-sitter, lavavetri, aspiratrice, lava152

piatti, amministratrice ecc.), che è realisticamente impossibile che esista! Grazie ad un lavoro psicoterapeutico calato nella realtà della singola coppia, ci si rende conto che ogni peso condiviso si dimezza e ogni gioia partecipata si raddoppia. Un aspetto molto importante nella dinamica della condivisione delle gioie e della suddivisione dei pesi è il non confonderla con un valore d’uso da attribuire al partner né con il meccanismo del do ut des (ti do afinché tu mi dia): in coppia questo non dovrebbe mai avvenire in quanto si rischia di diventare oggetti di possesso reciproco. È di fondamentale importanza anche evitare di lasciarsi usare da una persona pur di non perderla. Un altro motivo – molto frequente nelle coppie – è il fatto di riferirsi sempre alla famiglia di origine per trovare le cause delle crisi. In realtà dovremmo poterci sentire liberi di pensare a due cose: prima di tutto di concederci la libertà di essere autonomi nelle scelte della vita e nei comportamenti, quindi di assumerci tutta la responsabilità; la seconda, altrettanto importante, è di salvaguardare il passato pensando, come sosteneva Frankl, che “essere stato è la forma più sicura di essere”: se io rinnego tutto il mio passato, perdo le radici e, come un albero che le perdesse, crollo e mi schianto nella crisi depressiva. Bisogna derelettere soltanto dal passato condizionante e recuperare quello umanamente ricco di Senso e ciò deve valere nei confronti della propria famiglia di origine e, in coppia, delle due famiglie di origine. Dottoressa… – mi dice un ragazzo – ho bruciato in un falò tutti i miei ricordi: le fotograie di quando ero bambino, i giochi, gli oggetti che mi riportavano indietro nel tempo, i numeri telefonici degli amici, i regali che mi avevano fatto i miei genitori e i miei familiari… l’ho fatto pensando che mi sarei liberato dal passato e che sarei stato meglio, però ora sono qui per chiederle aiuto perché sto male…

Questo ragazzo di ventiquattro anni pensava di stare meglio eliminando tutta la sua storia. In realtà, avendo avuto la sensazione di aver perso il passato, non di essersene liberato, ha percepito l’urgenza di recuperare, con il mio aiuto, tutto ciò che aveva eliminato. Il recupero del ricordo gli ha ridato la sensazione di essere stato in una 153

famiglia, di essersi sentito in un certo modo e di poter diventare una persona libera da alcuni condizionamenti, ma anche libera di trattenere a sé quei valori così importanti per il suo equilibrio. Solo grazie a questo lavoro di recupero dei suoi valori, questo ragazzo è riuscito a dare un Senso al passato, al presente e al suo progetto futuro. Anche la brutta abitudine di “interpretare” i comportamenti e i ragionamenti dell’altra persona può causare la ine di una storia. Non è infrequente che in coppia ci si rassegni al fatto che la persona che abbiamo al nostro ianco interpreti a modo suo ogni nostra azione e ogni nostro ragionamento; che non si riesca più a convincerla che ciò che dice non corrisponde proprio per nulla con il nostro modo d’essere. Interpretare signiica credere fermamente in ciò che noi sosteniamo non in ciò che l’altra persona sostiene: in questo modo creiamo la sua morte psicologica, non le diamo la possibilità di risollevarsi ai propri e ai nostri occhi. Spesso le depressioni all’interno di una coppia dipendono dallo sinimento in cui le persone si sentono obbligate a rimanere – magari per anni – non percependo più la forza di reagire a continue illazioni ingiuste e assurde.

Rilessioni per le donne Soffermiamoci un po’ sul seguente interrogativo: nel nostro modo di vivere in coppia, abbiamo la sensazione di fare le partner o di essere partner? (Note di approfoNdimeNto 10). Mi spiego: fare le partner signiica sostanzialmente atteggiarsi, simulare, signiica assumersi un ruolo, ripetere dei comportamenti che non nascono da un sentimento ma da un controllo di sé in cui esiste un interesse, quindi un ine utilitaristico: tutto questo è egoistico, venale e non corretto. Essere partner, al contrario, signiica percepire la sensazione chiara e netta di agire autenticamente e disinteressatamente nei confronti del proprio partner. L’essere ha implicito in sé il fare mentre non è vero il contrario! Quando una donna è una partner sente in sé la piacevolezza e, nel tempo, la spontaneità di fare la compagna di vita della persona che ha al suo ianco. È importante rilettere su queste considerazioni. Per aiutarci possiamo fare un paragone con un iglio o, se non siamo genitori, con 154

una persona, un animale, o una cosa che ci sta molto a cuore: in quella relazione facciamo o siamo? Ora cerchiamo di capire insieme alcune cose che riguardano dubbi, paure e incertezze all’interno del nostro mondo affettivo. Più che dare risposte penso sia utile porci delle domande in quanto rispondere blocca la mente in modo deterministico, come a dire, “è così e basta”, mentre le domande smuovono, lasciano aperta la mente a molte possibilità, permettono la rilessione, l’elaborazione e la messa in discussione. Le domande più importanti che ci possiamo porre sono le seguenti: perché curiamo l’uomo amorevolmente solo per un periodo (di solito quello iniziale) e poi, nel corso del tempo, lo trascuriamo? Perché non ci interessiamo di tutte le cose della sua vita (senza cadere nella trappola del controllo)? Perché lo svalutiamo quando fallisce? Perché lo dimentichiamo quando diventiamo madri? Perché non riprendiamo il nostro ruolo di donna dopo la maternità? Perché ci trascuriamo o ci nascondiamo? Perché lo tradiamo? Perché lo svalutiamo agli occhi dei nostri igli? Perché lo deridiamo davanti agli amici? Insomma, perché? E perché non gli chiediamo mai scusa? Anche senza rispondere a tutte queste domande (per non rischiare di chiudere, come dicevo) cerchiamo di porcele, di rilettere e di mettere in atto comportamenti nuovi, comportamenti diversi, come quando ci impegniamo a fare meglio le cose che ci stanno a cuore, per le quali lottiamo e non demordiamo. Altro argomento che mi sta molto a cuore: la donna, in passato, doveva aderire ad un modello sociale puritano che la costringeva a sottomettervisi senza scegliere liberamente i comportamenti da tenere. Quindi vigeva il puritanesimo (come atteggiamento di eccessiva intransigenza morale) che veniva imposto senza permettere alla donna di scegliere, per esempio, la purezza. Oggi, la donna, non solo non aderisce più a quelle norme – e questo è un bene – ma non si pone nemmeno nella visione etica del voler evitare il tradimento: la donna di oggi non sceglie la libertà di non tradire se stessa, di non tradire i suoi valori – e questo è un male! Oggi la donna salta un passaggio che si trova proprio tra il dover sottomettersi e il poter scegliere liberamente di rispettare se stessa: si crea un “vuoto etico”. La donna, in quel “vuoto etico” potrebbe sperimentare il valore della scelta responsabile; potrebbe soffermarsi per chiedersi: «ma io voglio davvero tradire mio marito, tradire il mio partner… o lo faccio solo perché devo dimostrare a me, alle amiche e alla società che mi 155

lascio alle spalle la sottomissione a certe norme sociali, a quel modo d’essere di mia madre, di mia nonna, delle mie ave?». In questo modo confondiamo, care donne, i valori con i signiicati! Il valore della libertà responsabile – che va protetto come si suol dire, a spada tratta – viene confuso con il signiicato di ciò che rappresenta davvero il valore della libertà che è: stare insieme ad una persona essendo partner non solo facendo la partner. Il signiicato dell’essere partner – tutelando e valorizzando la femminilità e la tenerezza nei confronti dell’uomo – non deve mai essere confuso – quindi annullato – dal signiicato del fare la partner! Il “signiicato” dell’essere partner ha in sé implicito il “valore” dell’essere partner. Soffermiamoci ancora a rilettere sul nostro “vuoto etico” perché se lo bypassiamo rischiamo di trascurare una parte importante della dimensione soprasensibile che è propria del nostro modo d’essere. Rischiamo di sostituire i danni di quel moralismo gretto ed eccessivo con i danni di un liberismo spregiudicato, dannoso e con il conseguente rischio, oltretutto, di perdere noi stesse. Il liberismo non va mai confuso con la libertà di scelta. Rilettendo quindi sul “vuoto etico”, possiamo concederci la libertà di un’etica laica priva di assolutismi e di dogmi, che sia caratterizzata dall’autonomia, dalla non sottomissione, dall’amore di sé ma non dall’egoismo, da un’autonomia che non calpesti l’autonomia del partner. Nella libertà di scelta dobbiamo recuperare quanto prima la moralità che signiica conformarsi ad un insieme di regole ragionevoli e rispettose di sé e degli altri, mentre il moralismo, al contrario, è una eccessiva intransigenza di giudizio in campo morale che, in passato, veniva imposta da un sistema rigido e gretto e che oggi dobbiamo riiutare. Tornando alla coppia, pensiamo che essa ha bisogno che entrambe le persone evolvano, cioè che crescano, che producano conferme affettive al suo interno badando a non sconvolgere tutta la base precedentemente costruita. Solo in questo modo si garantisce di poter coltivare anche ciò che sta “fuori dalla coppia”: i igli, la famiglia, il lavoro e le attività quotidiane. Senza una base affettiva sicura non è possibile svolgere con serenità tutto il resto. Stare in coppia non è facile e credo possa diventare per noi un impegno voluto a qualsiasi costo. Non è affatto utopistico pensare in 156

questi termini: lo confermano le coppie riuscite, quelle che credono nel proprio rapporto e vogliono mantenere in vita la propria storia, quelle che amano l’idea di amarsi e di rendere originale il loro amore. Molte donne mi dicono di non sentirsi di fare lo sforzo del primo passo perché il partner è fermo, non le aiuta, non le capisce, non dimostra amore. Di solito spiego che deve esserci almeno una persona nella coppia ad “iniziare a cambiare il gioco bloccato” e chi chiede aiuto ad uno psicoterapeuta ha l’opportunità, prima dell’altro, di sapere come fare. Basta iniziare a modiicare un comportamento per notare, subito dopo, qualcosa di diverso anche dall’altra parte; ma se tutti e due rimangono ad attendere il cambiamento dell’altro, nulla si modiicherà in meglio. La “non scelta” è, in realtà, una scelta e l’attesa orgogliosa che sia l’altra persona a cambiare è un pericoloso atteggiamento di passività che rischia di demolire deinitivamente la coppia e, di conseguenza, la famiglia. La persona, invece, che decide di fare il primo passo ha due possibilità: di fare la scelta più funzionale per la coppia, quindi di essere l’arteice dell’inizio del cambiamento, oppure di fallire sentendosi perlomeno attiva agli occhi di se stessa e della sua coscienza, come a dire: ho fallito ma ho tentato, a in di bene, ciò che credevo utile alla coppia! «Non basta sapere, bisogna anche applicare; non basta volere, bisogna anche fare» (J.W. Goethe). Consigli? Certo! Provate a scoprire com’è il vostro partner. Provate a capire il suo modo d’essere. Provate a sospendere il vostro giudizio e ad evitare di dirgli “cosa dovrebbe fare”: scoprirete, con grande stupore, che farà delle cose che mai vi sareste aspettate! Notate che ciò che lui fa e pensa è diverso da ciò che fate e pensate voi? È ovvio che sia così! Perché siamo tutti diversi. Anziché imporgli delle richieste provate a fermarvi e ad accoglierlo così com’è: vi cambierà la vita! Mettetevi nell’ottica di meravigliarvi per come lui è e non per ciò che fa: scoprirete il piacere di stare insieme. Provatelo subito! Nella quasi totalità dei casi il cambiamento avviene, cioè chi effettua il primo passo si accorge che l’altro rimane favorevolmente colpito e, siccome qualsiasi forma di bene porta con sé altro bene, inizia un nuovo comportamento in coppia e da quel momento si tratta di renderlo… costante nel tempo. 157

Rilessioni per gli uomini Anche a voi chiedo di rilettere se nel vostro modo di stare in coppia: vi sentite di fare i partner o di essere partner? Fare i partner signiica sostanzialmente ingere, signiica assumersi un ruolo ripetitivo che non nasce dal sentimento ma da un controllo di sé di tipo utilitaristico: si fa perché si deve e perché si ottiene qualcosa in cambio, magari il silenzio! Essere partner, al contrario, signiica percepire una sensazione piacevole di agire autenticamente e liberamente nei confronti e a favore della compagna. Essere diventa un abito mentale che ha in sé il fare. Scopro sempre più che i vostri atteggiamenti di chiusura o di fuga, di attacco o di indifferenza, dipendono spesso da ciò che non riuscite più a realizzare all’interno della vostra coppia. So, per esperienza professionale, che vi trovate, ad un certo punto, bloccati dal timore di procedere con tentativi affettivi che temete possano venir frenati, controllati, criticati o derisi dalla vostra partner. Il più delle volte quei vostri tentativi sono stati seguiti da reazioni del tipo: “non potevi svegliarti prima?”, “troppo comodo, a buoi scappati”, “lo fai perché hai paura che ti molli”, “fai queste cose perché sai che mi fanno piacere non perché le senti spontanee”. Tutte queste frasi mortiicano ogni vostro tentativo di recupero e voi non rischiate più per timore di sentirvi umiliati. Così vi fermate, siete spenti, apatici, distaccati oppure assenti, disinteressati e freddi. Anche a voi chiedo di porvi delle domande piuttosto che soffermarvi sulle risposte. Le domande che mi sento di rivolgervi sono le seguenti: perché non coltivate tutto ciò che di positivo ha reso bella la vostra relazione all’inizio della storia? Perché fuggite anziché parlare dei problemi che vi assillano? Se conoscete i vostri bisogni, perché non provate a soddisfarli chiarendovi con lei? Perché non provate a sostenere la vostra donna quando diventa madre? Perché non l’aiutate a recuperare il suo modo d’essere donna? Perché non ipotizzate che la sessualità scadente possa dipendere dalla vostra frettolosità? O, magari, dalla eccessiva lentezza? Perché non vi impegnate a curare con attenzione il tipo di intimità che sapete essere gradita alla vostra compagna? Perché svalutate i suoi comportamenti agli occhi dei vostri igli? Perché la deridete davanti agli amici? Insomma, perché? e perché non le chiedete mai scusa? Se, nel leggere queste righe, notate che tutte o solo alcune di queste domande vi 158

riguardano, provate a modiicare i vostri comportamenti senza temere risposte mortiicanti, ma pensando che se la vostra compagna non capisce il senso vero del vostro nuovo atteggiamento bisogna spiegarle che lo fate a in di bene e non certo per interesse personale. Come dicevo alle donne, qualsiasi forma di bene porta con sé altro bene questo è indiscutibile! Mi permetto di darvi alcuni suggerimenti. Alla frase: “non potevi svegliarti prima” potreste rispondere: «avrei potuto se me ne fossi reso conto e se lo faccio ora è perché sono in grado solo ora di farlo, ognuno ha i suoi tempi interni da rispettare e quello che conta è che io lo faccia consapevolmente e volendolo davvero fare». Alla frase: “troppo comodo, a buoi scappati” potreste farla rilettere sull’importanza del concetto di rialzarsi dopo una caduta; del resto nel matrimonio si cade più di una volta ma ci si può anche rialzare! E alla frase: “lo fai perché hai paura che ti molli” potreste rispondere: «ho paura di perderti, non che tu mi molli; ho paura di perderti perché tengo a te, ti amo e desidero recuperare un terreno perso per inesperienza; ma ora ne sono consapevole e questo è ciò che conta!». E all’ultima frase: «fai queste cose perché sai che mi fanno piacere non perché le senti spontanee», potreste rispondere che chi ama davvero fa proprio le cose che sa che all’altra persona piacciono ma che succede che la vita sfrenata e piena di impegni conduca all’incuria; poi ci si rende conto che si sta perdendo l’opportunità di amare curando e allora ci si riprende lo spazio e il tempo giusti per ridare vita a quella cura… solo nel tempo poi quelle cure diventano spontanee. Questo è giusto capirlo ma soprattutto spiegarlo!

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Note di approfondimento

1. Il movimento Umanistico-Esistenziale che vede in M. Heidegger, L. Binswanger, G.W. Allport, A.H. Maslow, R. May, V.E. Frankl, E. Fizzotti e E. Lukas alcuni tra i suoi massimi rappresentanti, rimanda ad una concezione dell’uomo e ad una visione dell’esistenza che si contrappone ad ogni riduzionismo di tipo meccanicistico ed assume come inalità immediata quella di ricondurre l’uomo alla sua dimensione più ampia e complessa: quella della sua unicità, originalità ed irripetibilità. In quest’ottica anche il disagio mentale viene considerato come una delle tante possibilità di essere dell’uomo. Il modo di essere della singola persona è l’esistenza: l’uomo, in altri termini, in quanto Singolo, realizza la sua speciica essenza solo attraverso i singoli atti della sua esistenza. Se l’esistenza, quindi, costituisce il modo di essere del Singolo bisogna dire, secondo Kierkegaard, che l’uomo è ciò che sceglie di essere, è quello che diventa e l’esistenza è libertà, è poter-essere, cioè possibilità. L’orientamento umanistico-esistenziale non si attiene ad una epistemologia inquadrabile in teorie scientiiche ma si avvale di una visione di ampio respiro rispettosa della singolarità delle persone e, come tale, non falsiicabile perché appartenente ad un essere umano – ai suoi valori e ai suoi principi – e non ad una teoria. L’uomo è un essere sociale, inserito in un contesto di relazioni umane ma, soprattutto, è un essere che possiede la facoltà di scegliere liberamente grazie al valore oggettivo della possibilità intesa come potenzialità destinata a realizzarsi. Nella libertà dell’uomo vi è sempre un signiicato da realizzare (altrimenti non è libertà ma schiavitù) ed è solo con il senso della responsabilità che si attua. L’indiscutibilità e l’infalsiicabilità dei valori del singolo mettono quest’ultimo nella condizione di essere l’unico responsabile delle sue scelte, quindi l’unico possessore della sua libertà e l’unico depositario della sua dignità. 161

Gli psicoterapeuti ad indirizzo umanistico-esistenziale possono appartenere a scuole differenti per ciò che concerne la prassi clinica. Ogni particolare tecnica applicata, perciò, dipenderà dalla situazione esistenziale, per cui caratteristica fondamentale del terapeuta sarà, di necessità, una sostanziale lessibilità: la differenza rispetto agli altri indirizzi terapeutici, quindi, è da rilevare nella cornice entro la quale ogni tecnica è compresa, nonché nell’atteggiamento proprio del terapeuta nei confronti dell’essere umano in dificoltà. Il quadro teorico di riferimento della psicoterapia integrata a cui io mi attengo non è unitario ma si avvale di più contributi che vanno dalla psicoterapia breve ad orientamento analitico (integrata con la Psicoterapia Autogena di J.H. Schultz e l’ipnosi di M. Erickson), alla psicoterapia strategico-sistemica (P. Watzlawick, C. Madanes, J. Haley) sempre in chiave umanistico-esistenziale (V.E. Frankl). La psicoterapia breve è da intendersi sostanzialmente come un processo aperto, nel senso che in esso possono essere recepiti apporti sia teorici sia tecnici anche molto diversi tra loro e che non si tratta di creare una concorrenzialità bensì una scelta libera ed oculata al ine di aiutare la persona che chiede aiuto. 2. Per spiegare la tridimensionalità mi riferisco all’orientamento antropologico e terapeutico di Vickor Emil Frankl (Vienna 1905-1997), dottore in medicina e in ilosoia. Egli è stato Professore di Neurologia e Psichiatria all’Università di Vienna e per 25 anni Primario del Policlinico neurologico di Vienna. Ha insegnato all’Università di Harvard, Dallas e Pittsburgh. Gli sono state conferite complessivamente 27 lauree ad honorem da università di tutto il mondo. I suoi 32 libri sono stati tradotti in 26 lingue. La sua vita è stata segnata dall’esperienza vissuta in diversi campi di concentramento, tra cui Auschwitz. Viktor Emil Frankl è il fondatore della Terza Scuola Viennese di Psicoterapia (dopo Freud e Adler) e, nella seconda metà del secolo scorso, ha teso a riscattare l’uomo nella sua fondata dignità di “persona”. Se Freud ha “rivoluzionato” il pensiero psicologico col suo Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie (Tre saggi sulla teoria sessuale), Frankl ha “rivoluzionato” l’esito di tanto tecnicismo clinico contemporaneo con la proposta di una nuova modalità terapeutica con il suo Aerztliche Seelsorge (Cura medica dell’anima). Dall’analisi psichica, propria dell’approccio freudiano (Psicoanalisi), si è pervenuti, nel corso del Novecento, all’analisi frankliana dell’essere individuale (Analisi Esistenziale), in una dinamica non di 162

contrapposizione, ma di evoluzione e coronamento di quell’azione volta alla chiariicazione dell’esistenza (Explikation der Existenz), che è approdata poi alla Logoterapia, intesa come metodo psicoterapeutico fondato sulla ricerca di un senso (logos) e, quindi, sulla volontà di signiicato. Un itinerario, quello delineato, che sembra adattarsi speciicamente alle complesse tematiche dell’uomo contemporaneo, sempre più esplicitamente attanagliato dalla frustrazione esistenziale, determinata dall’incapacità di dare una risposta valida al senso della propria esistenza e, quindi, di soddisfare i propri bisogni ed interrogativi più profondi. Nella prospettiva della Logoterapia frankliana, infatti, l’essenza più speciica dell’Uomo sta nel “trascendere se stesso”, dirigendosi verso gli altri, verso il mondo, verso una “persona da amare” ed uno “scopo da realizzare”. Solo attuando “responsabilmente” tale caratteristica e peculiare possibilità di trascendenza, è possibile conseguire un congruo e adeguato appagamento esistenziale attraverso la realizzazione di quella signiicatività cui ogni essere umano fondamentalmente aspira. La Logoterapia si propone di aiutare la “persona” a prendere coscienza delle proprie risorse noetiche (“spirituali”), al ine di utilizzarle in vista di uno scopo, una méta, un signiicato (logos). Tutto ciò, nella consapevolezza che ogni individuo, unico ed irripetibile, è immerso nel campo polare della tensione tra ciò che egli è, e ciò che egli può essere: l’uomo è l’essere che in ogni istante della propria esistenza è chiamato a “costruire” la propria essenza. In altri termini, il compito speciico della Logoterapia sta nell’aiutare l’uomo “angosciato” a scoprire, riconoscere ed utilizzare le fondamentali possibilità (spesso nascoste) del suo essere, al ine di consentirgli lo slancio verso il superamento di se stesso e la realizzazione di valori, autenticamente signiicativi ed appaganti. Con l’Analisi Esistenziale e la Logoterapia, Frankl va ben oltre l’ambito della mera istintualità e preferisce rivolgersi alla totalità dell’essere umano che è intrinsecamente un corpo, una mente e una dimensione spirituale (che non dev’essere confusa né con la teologia, né con la ilosoia) cioè la dimensione del modo d’essere del singolo individuo con i suoi valori, signiicati e scopi. Nessuna delle tre dimensioni determina le altre ma le può condizionare. L’essenza umana si esplica solo quando vi è la libertà di vivere la dimensione della spiritualità, dell’umanità, dell’esser così. 163

La tridimensionalità mette la persona nella condizione di realizzare se stessa e ciò è possibile nella misura in cui l’uomo liberamente e responsabilmente si autotrascende, mai prima: è un esito consequenziale e non è mai esclusivamente psichico ma prevalentemente spirituale. L’esistenza della dimensione spirituale non viene ereditata ma trovata e decisa, scoperta e coltivata, notata e vissuta. 3. L’egocentrismo. – Le persone egocentriche tendono a ruotare attorno a se stesse e faticano a porsi nella visione del mondo delle altre. Meno evidente e meno crudo dell’egoismo anche esso è un grosso ostacolo perché tende a fare del sé personale l’unico punto di riferimento, a considerare ogni cosa dall’angolatura della propria personalità, a concentrarsi esclusivamente sulle proprie idee e reazioni emotive. Si può nascondere molto bene, dato che coesiste con un sincero attaccamento agli altri e con atti di sacriicio. L’individuo egocentrico può non essere egoista e spesso non lo è affatto. Può essere altruista e desiderare sinceramente di fare del bene. Ma vuole farlo a modo suo. È dunque incline ad essere invadente e fanatico. Cerca di convertire tutti alle sue convinzioni, di imporre i suoi metodi, e vede la salvezza solo nei rimedi che egli suggerisce. Tale atteggiamento è un errore fondamentale di prospettiva, un vero modo di vedere “Tolemaico” piuttosto che “Copernicano”. Così, con le migliori intenzioni può fare effettivamente del male, come la scimmia gentile della storia che, vedendo nell’acqua un pesce, corre a salvarlo dall’annegamento portandolo sui rami di un albero (R. Assaggioli, 1977, p. 69).

4. L’ascolto. – Nell’atto del sentire si può fare anche qualcosa d’altro, nell’atto dell’ascoltare ci si ferma “dentro l’Altro” per capire cosa può signiicare quella cosa detta – o comunicata senza l’uso della parola – e non si riesce a fare null’altro. Io mi sento ascoltato quando percepisco che l’altra persona non solo coglie la mia autenticità, ma entra nella mia espressione emotiva senza condizionarmi con i suoi schemi mentali, cioè con critiche, giudizi, derisioni, banalizzazioni, considerazioni personali, analisi, intrerpretazioni, consigli non richiesti. Se mi accorgo che l’altra persona usa i suoi schemi mentali (è naturale che accada) ma riesco a farle capire che ciò limita “il suo sentire me”, allora inizio a sentirmi ascoltato. 164

L’ascolto dovrebbe essere sempre attivo (cioè sensibile alle emozioni che il comunicante trasmette, più che alle parole o ai contenuti). Se mentre io parlo, il Tu analizza i contenuti senza tener conto delle emozioni, io non mi sento ascoltato. Nell’ascolto dell’altro dovrei sentire spontaneo in me “l’andare nel Tu” senza disturbare nulla del Tu. Se invece interpreto il mondo delle idee dell’altra persona, ascolto me stesso, egocentricamente, in modo autocentrato e non creo un dialogo ma un monologo. Da tutta questa premessa dovrebbe essere naturale rilettere sul fatto che nella relazione Io-Tu l’ascolto dovrebbe avvenire in modo diverso rispetto a ciò che accade quando ci si appresta solo a sentire. Nella libertà che percepisco sentendomi ascoltato mi autotrascendo e stimolo l’Altro ad autotrascendersi verso di me, perciò, ascoltare ed essere ascoltati signiica autotrascendersi reciprocamente, quindi amare. Se per farmi capire ho bisogno di utilizzare preconcetti e comportamenti rigidi di tipo adolescenziale (siccome tu, allora io) non sto ascoltando ma sto cercando un terreno fertile per il mio narcisismo e la mia autocommiserazione. In ultima analisi, l’ascolto è la forma più rispettosa dell’amore perché mentre ascolto mi metto al servizio dell’Altro, del suo esser così (http://magdamaddalenamarconi.myblog.it). L’aprirsi all’ascolto dunque equivale ad ammettere la propria initezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è un mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro un collaboratore, una persona che è portatrice di ragioni che non debbono essere sottovalutate e, nel contempo, è un ammettere che l’altro è chiamato a valutare, e, quindi, ad accogliere o respingere le nostre ragioni. Sottrarsi all’ascolto equivale a compiere un voto di povertà non necessario, ma offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o totale abbandono (M. Baldini, 1988).

5. Malattie psicosomatiche. – Nella malattia psicosomatica di conversione, se esiste una conlittualità tra le varie parti della men165

te, la forza prorompente che alimenta il conlitto viene convertita in uno o più sintomi. Esiste cioè un conlitto intrapsichico che converte sul corpo e nel corpo la parte affettiva. Si forma nel corpo un sintomo (detto appunto di conversione) che possiede un suo simbolismo implicito: il simbolo e il sintomo sono sempre correlati. Il sintomo si vede ma il suo correlato simbolico rimane nascosto. Ad esempio, una malattia della pelle ha due signiicati: uno evidente, cioè che si vede sulla pelle ed è il cosiddetto sintomo il quale è anche – e questo è l’altro signiicato – simbolo della causa che genera la malattia. Spesso la causa di questi disturbi è un problema di relazione Io-Tu (nella coppia madre-iglio o uomo-donna o nel sociale). Proprio per questo motivo, nel disturbo di conversione esiste un costrutto interiore di tipo psicodinamico. Come sappiamo, nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma per cui l’energia umana (affetti, emozioni, libido, rabbia) viene tramutata in sintomi isici, cioè viene somatizzata nella misura in cui non riesce a manifestarsi naturalmente. Gli esempi li ritroviamo nelle nevrosi più comuni che non sono psicosomatiche in senso funzionale come, ad esempio, l’isteria di conversione e tutti i disturbi d’ansia. Possono esistere anche solo dei sintomi di conversione senza strutturarsi mai in disturbi o sindromi, ad esempio l’arrossire di fronte agli altri (eritrofobia). Le somatizzazioni sono sempre presenti ma non devono essere trattate solo come sintomi perché la parte rappresentativa del trauma che le ha causate, cioè il ricordo, viene rimossa, e la parte emotiva viene convertita nei sintomi del corpo, le somatizzazioni appunto! La differenza tra i due tipi di disturbi consiste nel fatto che nel disturbo funzionale di somatizzazione la persona sta male solo nel corpo, come se evitasse a se stessa la sofferenza psichica e dell’anima. Abbiamo visto che manca l’elaborazione del conlitto. Anche nel disturbo di conversione il conlitto psichico genera disturbi nel corpo ma la sofferenza è anche psichica (paura, angoscia, disturbi d’ansia). A tutta prima può sembrare che la persona con disturbi funzionali stia meglio della persona con disturbi di conversione; in realtà non è così, perché la prima non ha la possibilità di guarire e vive la vita come se fosse un peso, senza gioia, in modo apatico, passivo, senza emozioni, senza la possibilità di esprimere i sentimenti. La persona 166

con disturbo di conversione, al contrario, ha la possibilità, quando vuole, di svincolarsi dai suoi problemi. Anche dai problemi d’ansia. La persona con disturbi funzionali non rischia molto di subire i disturbi d’ansia ma non gode nemmeno la vita! Oltre a ciò, nel disturbo di conversione, essendo avvenuto un moto, appunto, di conversione, la mente è potenzialmente in grado di fare anche l’opposto, cioè di riconvertire l’energia a proprio vantaggio. La persona con disturbo di conversione è in grado di elaborare il suo conlitto ma ha bisogno di una persona esperta che le offra un aiuto. Nella persona con disturbo funzionale di somatizzazione, invece, non esiste la capacità di elaborare il conlitto perché tutte le dinamiche interiori sono bloccate. Sono talmente ferme e antiche da impedire l’emergere delle emozioni collegate ai contenuti dei conlitti. La persona avverte di stare male ma non ne conosce la causa e non tollera nemmeno di considerare che sia qualcosa di psicologico a causare il suo malessere. Dificilmente questa persona si rivolge ad uno psicoterapeuta perché ritiene che i suoi disturbi siano soltanto causati da varie disfunzionalità del corpo e che quest’ultimo non sia né in contatto né condizionato dalla psiche. In alcuni casi succede che questa persona chieda l’intervento dello psicoterapeuta solo per ricevere un’ulteriore conferma dell’aspetto esclusivamente medico dei suoi problemi: si presenta in studio portando con sé malloppi di esiti clinici e, per lei, sono solo quelli ad avere un valore diagnostico. Questa persona trasmette la sensazione di essere priva di reazioni emotive e non considera nemmeno i discorsi relativi ai sogni e al mondo fantasmatico, come se il suo corpo e la sua mente fossero due entità staccate, a sé stanti e non interagenti (M.M. Marconi, 2006). 6. La colpa. – Non è possibile affrontare il tema della colpa se non si considera e non si rispetta la capacità che un singolo uomo possiede di rendersi conto di aver commesso un errore: il bambino molto piccolo ma anche una persona adulta immatura (che non abbia sviluppato il senso della responsabilità) non sono in grado di percepire l’errore né, di conseguenza, il senso di colpa. Maturità psiconoetica (la psiche e il Nous) e responsabilità sono un tutt’uno nella persona matura. La dimensione-psiche fa ragionare su un dato errore commesso e la dimensione-Nous (Spirito-modo d’essere-valori irrinunciabili) fa esprimere, attraverso i propri valori e il proprio modo 167

d’essere, la sofferenza per aver commesso quell’errore. L’una dimensione non può esistere senza l’altra. «[…] il presupposto necessario afinché siano possibili l’angoscia e la colpa è costituito dalla libertà e responsabilità dell’uomo. Soltanto un essere libero può provare l’angoscia (Kierkegaard: “L’angoscia è la vertigine della libertà”), soltanto un essere responsabile può diventare colpevole. Da ciò consegue che all’essere cui tocca la grazia (della libertà e della responsabilità) tocca la condanna (dell’angoscia e della colpa)» (V.E. Frankl, 1978, p. 138). “Libertà-responsabilità-valori morali” da un lato e senso di colpa dall’altro sono strettamente legati sia nella dottrina che nella pratica e sollevano complessi argomenti non solo dal punto di vista psicologico-ilosoico, ma anche da quello giuridico e religioso. In pratica si incontrano casi estremamente complessi in cui è dificile stabilire la fondatezza del senso di colpa nonché se esiste una correlazione «comprensibile» tra la gravità della colpa e l’entità del sentimento di colpa. Il Logoterapeuta affronta la problematica del senso di colpa con riferimento alla concezione di Frankl che ritiene la “colpa” uno degli elementi della tragica triade (pena, colpa, morte), propria dell’uomo e la considera strettamente correlata al binomio libertàresponsabilità (cfr. Fizzotti, parte prima). Come sostiene Tournier, possiamo anche aggiungere che, appena si riconosce l’importanza di valori spirituali nell’ambito della morale, nasce la possibilità di “tradirli” e quindi di essere colpevoli. Il Logoterapeuta non condanna né assolve, ma di fatto esprime più o meno esplicitamente un giudizio sulla natura nevrotica (falso senso di colpa) o esistenziale (vero senso di colpa) non fosse altro che nell’indicare al soggetto come deve “prendere posizione” (T. Bazzi, E. Fizzotti, 1986, pp. 147 seg.)

7. Alcolisti Anonimi (A.A.). – Nasce negli U.S.A. nel 1935 ed è presente in 176 Paesi nel mondo con più di centomila gruppi e milioni di alcolisti recuperati. In Italia è attiva dal 1972 e si è rapidamente diffusa su tutto il territorio nazionale, dove oggi conta circa 500 gruppi. Fra i suoi tratti originali, A.A. ha in pratica “inventato” il metodo dei gruppi di auto-aiuto, cioè l’alcolista che ha smesso di bere mantiene e consolida la propria sobrietà utilizzando la sua capacità di aiutare un altro alcolista ancora problematico. In genere chi si rivolge ad A.A. non si riconosce subito alcolista ma tende, piuttosto, 168

a considerarsi un forte bevitore; sa di avere problemi con l’alcol e, in molti casi, ha tentato più volte – senza riuscirci – di smettere o di moderarsi nel bere, da solo o con supporti esterni. Frequentando le riunioni del gruppo A.A., il nuovo arrivato si rende conto che quello che considerava un vizio – da nascondere e negare spesso anche a se stesso – è in realtà una malattia: si innesca un processo di identiicazione che scatta automaticamente quando gli amici già sobri cominciano a parlargli delle loro personali esperienze di recupero. Per info: A.A. Centro di Ascolto Nazionale, Roma - tel. 06.6636620. www.alcolisti-anonimi.it - e-mail:[email protected]. 8. «Il “conlitto edipico” rappresenta, più che un porto di scambio, una “stazione di testa”, quella da dove si può ripartire per ogni direzione. Si tratta dunque di un momento fondamentale per lo sviluppo psicosessuale, perché prevede, prima di tutto e con l’aiuto della igura paterna, la prima fase del distacco dalla igura materna, quella che avviene in fantasia. In questo periodo emerge infatti, ai ini della futura vita di coppia, l’importanza dell’intervento diretto del padre sui igli, intervento che si conigura in due modi diversi per maschio e femmina. Per il maschio deve avere il ine di permettere la nascita del desiderio di “diventare come” il padre e successivamente di “essere come” lui. L’idealizzazione della igura paterna, a cui segue l’identiicazione con la stessa, rappresenta la base per il raggiungimento di una identità maschile certa. Per la femmina invece, il rapporto corretto con la igura maschile paterna deve avere il ine di permettere il consolidarsi dell’identità femminile attraverso la “seduttività ritualizzata” del padre. Va chiarito che si parla di comportamenti “ritualizzati” quando questi sono “inibiti nella meta”. La seduttività materna o paterna, che peraltro esprime un naturale affetto e una giusta ammirazione per la propria creatura, non dovrebbe tendere infatti al rapporto sessuale con il iglio, ma a rispecchiare la mascolinità o la femminilità nascente. Quando il “desiderio” del genitore è invece ambiguo, come più spesso avviene tra padre e iglia, può portare all’incesto» (J. Baldaro Verde, 1990, p. 116). Spesso all’interno della coppia ricadono degli effetti di tipo edipico causati da preesistenti conlitti irrisolti, che si traducono in meccanismi mentali che vengono deiniti Edipo negativo e Edipo positivo. 169

Spesso l’Edipo negativo attenua le dinamiche di quello positivo per cui domina, nei confronti dei genitori prima e del coniuge poi, una fondamentale ambivalenza emotiva. In deinitiva, lo schema completo è il seguente: per l’uomo, forte amore per la madre e rivalità per il padre (Edipo positivo) ma anche, più attenuato, amore per il padre e ostilità verso la madre (Edipo negativo); per la donna, invece, intensa corrente erotica verso il padre e di rivalità nei confronti della madre (Edipo positivo) ma anche, sullo sfondo, amore per la madre e oppositività verso il padre (Edipo negativo). In certi casi accade però che l’Edipo negativo, invece di essere in ombra, sia determinante e che l’uomo chieda alla propria compagna di prendere il posto del padre e la donna, al proprio compagno, di comportarsi come una madre. Dalla combinazione delle igure coniugali con le posizioni edipiche si formano quattro tipologie matrimoniali: il marito-padre e la moglie-madre, e questa è l’eventualità più frequente, ma anche la moglie-padre e il marito-madre, secondo una aggregazione meno prevedibile ma non impossibile. Naturalmente non esistono, di fatto, conigurazioni così rigide perché vi è in ogni caso l’inluenza reciproca di tutte e quattro le posizioni, oltre che di altre dimensioni della vita. Tuttavia tratteggiare tipologie ben caratterizzate serve a riconoscere con maggior eficacia emotiva, le determinazioni dell’inconscio (S.Vegetti Finzi, 1992, p. 59).

Personalmente credo che, più che di “determinazioni dell’inconscio”, si debba parlare di possibilità dell’inconscio noetico in quanto ogni persona, essendo unica, non può pensare di cadere dentro tranelli deterministici dai quali non può uscire. 9. Il Relativismo culturale. – In generale, i relativismi, causano pensieri deterministici in quanto tendono a chiudere anziché ad aprire alla relazione. Ogni chiusura crea la morte della realtà in cui si genera: sia che si parli di relativismo culturale, sia che si tratti di relativismo sociale, si rischia di implodere in esso. Non, quindi, un mondo umano vittima del relativismo culturale che costituisce un fattore di tolleranza, poiché lascia che ognuno percorra la propria strada culturale. Tuttavia, anch’esso presenta dei limiti. Innanzitutto, nella ricerca e difesa del punto di vista del nativo si rischia di realizzare etnograie opache, con la conseguente impossibilità di fare confronti fra diverse culture. Una data comunità 170

diventa una realtà chiusa in se stessa, inaccessibile e impenetrabile, come una monade leibniziana, senza né porte né inestre, arroccata nella sua unicità opaca e incomprensibile in quanto intraducibile. Siamo all’interno di una condizione di solipsimo e isolazionismo mentale e istituzionale. In secondo luogo, la versione radicale del relativismo culturale implica il rischio del panculturalismo, poiché ritiene che tutti gli aspetti della vita umana, compresi quelli biologici, siano culturalmente vincolati. Secondo questo determinismo culturale, gli esseri umani inirebbero per essere soltanto dei “prodotti culturali”, anziché dei produttori e protagonisti di cultura. In terzo luogo, il relativismo conduce alla giustiicazione di qualsiasi perversione e patologia culturale; questa prospettiva giustiicazionista prevede di regolare le relazioni umane unicamente in base a una sorta di “legge della giungla”, in cui valgono solo i rapporti di forza e dove qualsiasi morale potrebbe essere accettata in quanto “culturale”. Di conseguenza, in nome del relativismo sarebbe permessa e giustiicata ogni aberrazione e ogni crudeltà, comprese le forme più spietate di schiavitù, tortura e dittatura. In quarto luogo, inine, implicando l’esaltazione delle differenze e delle identità culturali, il relativismo può diventare l’origine di nuove forme di razzismo. In conclusione, si comprende, dunque, come il relativismo sia di per sé un potenziale detonatore di fenomeni di intolleranza e di emarginazione (L. Anolli, 2006, pp. 138-139).

10. L’essere nell’amore. – L’antropoanalisi di Binswanger evidenzia che l’uomo deve sempre essere considerato nella sua concretezza così come egli è e come si palesa in ogni singola situazione esistenziale. Binswanger, parlando dell’uomo, prescinde dal fatto che si tratti di un individuo “sano” oppure di un “malato mentale”: per lui questa distinzione non esiste. La base dell’esistenza umana, per Binswanger, resta sempre la stessa e costituisce un punto comune ad ogni presenza umana. Ogni uomo si manifesta in continua novità di modi di essere di “essere nel mondo”. Il merito di Binswanger, riconosciutogli da Frankl, è di aver riportato la malattia mentale nella sfera dell’essere, sottraendola alla sfera dell’avere, e indicandola come un modo di essere un individuo umano. Binswanger, esaminando i modi con cui si rivela la presenza umana globalmente ed interamente, trova che uno di essi, e certo il 171

principale, è il modo di essere nell’amore e nell’amicizia. Tale modo di “essere-insieme” nell’amore, o modus amoris, non è da riportare all’amore sessuale, né alla passione amorosa, né all’amore romantico, né all’amore cristiano, né all’amore platonico oppure all’intenzionalità di Husserl o all’immedesimazione di Scheler. Con tale espressione Binswanger vuole riferirsi esclusivamente «al modo di essere insieme nell’amore nel “Noi”, nella dualità dell’amore, al “come” il “Noi-due” sia nell’amore, all’essere insieme “di me e di te” nell’amore». Tale modus amoris è estraneo ad ogni sorta di imposizione, di comando, di commercio. In esso la lontananza dei due amantes non provoca un indebolimento, anzi un rinvigorimento del modus, come pure non ha alcun senso parlare di impenetrabilità nell’amore, come invece si può affermare della res extensa di Cartesio. Infatti, l’asserzione amorosa: “Dove ci sei tu ci sono anch’io”, esprime in modo unico e singolare l’attuarsi totale della dualità dell’Io e del Tu. Inoltre, solamente nell’amore l’Io può liberarsi da ogni legame costrittivo, appunto perché non è possibile essere pienamente se stessi se non si è con un altro, se non ci si costruisce in un “Noi”. In tal modo vengono a convergere l’ipseità e la dualità, e l’Io che vive nell’amore sperimenta un accrescimento continuo ed armonico. E poiché nell’amore l’Io non dà qualcosa ad un altro ma propriamente si dona, offrendo se stesso a se stesso costituito in relazione duale, esso trascende l’individualità e va al di là della paura e della felicità, del dolore e della speranza. Quindi, costituendosi nella dualità dell’amore, i due amantes sanno di superare gli aspetti caduchi e transitori delle realtà terrene e di eternizzare se stessi. L’amore perciò è totalmente indipendente dalla temporalità, dalla cronologia, dalle speciicazioni limitate e limitanti dello spazio e del tempo per cui resta immutato ed immutabile anche nella separazione, nella lontananza, nella morte di uno dei due amantes. In tali rilessioni si vede rispecchiato l’atteggiamento di Frankl quando, nell’impossibilità di avere notizie della moglie, rinchiusa in un diverso campo di concentramento, instaura un dialogo silenzioso, eppure altamente eloquente, con l’immagine di lei, contemplandola in amorosa pienezza (E. Fizzotti, 1980, pp. 115-116).

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