Memorie italiane 8820741458, 9788820741457

"Non può negarsi, ch'io non sia nato sotto gl'influssi di stella Comica, poiché la mia vita medesima è un

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Italian Pages 465 [468] Year 2012

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Frontespizio
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INDICE
INTRODUZIONE
NOTA AI TESTI
CARLO GOLDONI. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
MEMORIE ITALIANE
A SUA ALTEZZA REALE IL SERENISSIMO INFANTE DI SPAGNA DON FILIPPO DUCA DI PARMA, PIACENZA, GUASTALLA EC. EC.
PREFAZIONE DELL'AUTORE premessa all'edizione di Venezia MDCCL e a quella di Firenze MDCCLIII
TOMO I - L'Autore a chi legge
TOMO II - L'Autore a chi legge
TOMO III - L'Autore a chi legge
TOMO IV - L'Autore a chi legge
TOMO V - L'Autore a chi legge
TOMO VI - L'autore a chi legge
TOMO VII - L'Autore a chi legge
TOMO VIII - L'Autore a chi legge
TOMO IX - L'Autore a chi legge
TOMO X - L'Autore a chi legge
TOMO XI - L'Autore a chi legge
TOMO XII - L'Autore a chi legge
TOMO XIII - L'Autore a chi legge
TOMO XIV - L'Autore a chi legge
TOMO XV - L'Autore a chi legge
TOMO XVI - L'Autore a chi legge
TOMO XVII - L'Autore a chi legge
DELLI COMPONIMENTI DIVERSI
TOMO I - Agli Associati - CARLO GOLDONI
TOMO II - Agli Associati - CARLO GOLDONI
ALLEGATI
AL SERENISSIMO PRINCIPE DI VENEZIA
LETTERA DELL'AVVOCATOCARLO GOLDONI
LETTERA DELL'AVVOCATO GOLDONI AL SIGNOR GIAMBATISTA PASQUALI
LETTERA DEL SIG. DOTTOR CARLO GOLDONI A GIAMBATISTA PASQUALI
GIAMBATISTA PASQUALI LIBRAIO, E STAMPATORE VENETO, ALLI SIGNORI ASSOCIATI ALL'EDIZIONE DELLE COMMEDIE DEL SIG. DOTTOR CARLO GOLDONI
APPENDICE ICONOGRAFICA
INDICE DEI NOMI
INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI
Quarta di copertina
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Memorie italiane
 8820741458, 9788820741457

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Testi 13

Carlo Goldoni Memorie italiane a cura di Epifanio Ajello

ISSN 1972-0319

Liguori Editore

Il volume è stato stampato con il contributo del DIPSUM dell’Università di Salerno, su fondo FARB, anno 2008.

Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2012 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Giugno 2012 Ajello, Epifanio (a cura di): Carlo Goldoni - Memorie italiane/Epifanio Ajello (a cura di) Testi Napoli : Liguori, 2012 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5172 - 2 ISSN 1972-0319 1. Storia del teatro italiano 2. Storia della letteratura I. Titolo II. Collana

III. Serie

Aggiornamenti: ————————————————————————————————————————— 20 19 18 17 16 15 14 13 12 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

INDICE

1

Introduzione

45

Nota ai testi

51

Carlo Goldoni. Cronologia della vita e delle opere

Memorie italiane 75

A Sua Altezza Reale il Serenissimo Infante di Spagna Don Filippo Duca di Parma, Piacenza, Guastalla, ec. ec.

77

Prefazione dell’autore premessa all’edizione di Venezia MDCCL e a quella di Firenze MDCCLIII

97

L’Autore a chi legge. Tomo I

111

L’Autore a chi legge. Tomo II

119

L’Autore a chi legge. Tomo III

127

L’Autore a chi legge. Tomo IV

135

L’Autore a chi legge. Tomo V

145

L’Autore a chi legge. Tomo VI

151

L’Autore a chi legge. Tomo VII

159

L’Autore a chi legge. Tomo VIII

181

L’Autore a chi legge. Tomo IX

201

L’Autore a chi legge. Tomo X

225

L’Autore a chi legge. Tomo XI

viii

INDICE

249

L’Autore a chi legge. Tomo XII

267

L’Autore a chi legge. Tomo XIII

287

L’Autore a chi legge. Tomo XIV

303

L’Autore a chi legge. Tomo XV

317

L’Autore a chi legge. Tomo XVI

331

L’Autore a chi legge. Tomo XVII

Delli Componimenti diversi 349

Carlo Goldoni, Agli Associati, Tomo I

353

Carlo Goldoni, Agli Associati, Tomo II

Allegati 357

Al Serenissimo Principe di Venezia 29 dicembre 1760

359

Lettera dell’Avvocato Carlo Goldoni A’ suoi amorosissimi Mecenati, Padroni, Amici, ed Amatori delle Opere sue... Venezia, 1 Aprile 1761

366

Lettera dell’Avvocato Goldoni al Signor Giambatista Pasquali Parigi, lì 14 Febbraio 1763

369

Lettera del Sig. Dottor Goldoni a Giambatista Pasquali Parigi, lì 15 luglio 1772

371

Giambatista Pasquali libraio, e stampatore veneto, alli Signori Associati... Venezia, lì 31 agosto 1772

373

Appendice iconografica

445

Indice dei nomi

453

Indice delle opere di Carlo Goldoni

Ai miei studenti dei corsi di Letteratura italiana dell’Università di Salerno

INTRODUZIONE Oh quante favole di me si scriveranno quand’io averò terminato di vivere! Se tante se ne dicono ora, ch’io son vivo, è ragionevole il credere, che dopo la morte mia si raddoppieranno. CARLO GOLDONI

I. «Per quelle persone che amano i libri nobilmente stampati» I prodromi dell’edizione Delle commedie di Carlo Goldoni Avvocato Veneto, procurata Per Giambatista Pasquali, in Venezia, MDCCLXI, si manifestano ufficialmente il 29 settembre 1760. La data è quella messa in calce alla petizione con cui l’autore, per la nuova impresa editoriale, «supplica ossequiosamente» il Serenissimo Principe di Venezia, per «la clementissima grazia di un Privilegio per anni 20 a lui e suoi legittimi eredi [...]», giustificando la necessità di una nuova pubblicazione delle sue opere teatrali in quanto ormai: […] fra le edizioni di Venezia e quelle Straniere se ne contano fino a quest’ora dodici varie Impressioni, tutte per altro a brani a brani stampate, male impresse, scorrette, senza alcun fregio, con poco decoro dell’Autore e della Patria, dove sono nate, e per cui sono state e lavorate, e prodotte. Che però l’Oratore suddetto ha concepito la vasta idea di unirle tutte in una sola edizione, comprendendovi in vari Tomi, che arriveranno forse ai cinquanta, tutte le sue Commedie, Tragedie, Tragicommedie, Drammi seri, Drammi buffi, Farse, Introduzioni, Intermezzi, e di più tutte le di lui poetiche composizioni volanti, stampate in varie occasioni, e non stampate, unendovi trenta e più pezzi Teatrali finora inediti, ed altri che andrà componendo, facendo in tutte le dette Opere sue notabili cambiamenti, traduzioni da lingua a lingua, e di verso a prosa, e varie correzioni utili e decorose, dando a questa nuova edizione il titolo di Opere di Carlo Goldoni.1 1

Al Serenissimo Principe di Venezia, Venezia, 29 dicembre 1760, in E.N.M.I. (cfr. infra, nota al testo), pp. 377-78 (vedi Allegati, p. 357).

2

MEMORIE ITALIANE

Il «Privilegio», in pratica un particolare “diritto d’autore”, con cui Goldoni si riserva non soltanto di scegliere lo «stampatore»2, ma anche «di cambiarlo, occorrendo, se mal corrispondesse coll’esecutore al progetto», gli sarà accordato dalla «Serenissima Dominante» l’otto febbraio 1760. Non passano due mesi che il primo aprile ecco diffondersi per le calli di Venezia una Lettera volantino indirizzata dal commediografo A’ suoi amorosissimi Mecenati, Padroni, Amici ed Amatori delle Opere sue Teatrali, e delle serie, e giocose di lui Poetiche Composizioni3. È l’invito, suadente, a partecipare ad una sottoscrizione4 per la «voluminosa» e «novella edizione», stampata con «caratteri nuovi» su «carta della maggior bianchezza», e fatta «per quelle persone che amano i libri nobilmente stampati» con «adornamenti di Rami», che, a differenza delle precedenti, almeno nelle intenzioni, conterrà: […] tutte le Opere mie, consistenti in Commedie, Tragedie, Tragicommedie, Drammi seri, Drammi buffi, Intermezzi, Introduzioni sceniche, Poemetti sacri e profani, Serenate, Cantate, Sonetti ed altri Poetici Componimenti, che esciti mi sono, o mi esciran dalla penna sino al termine di essa edizione privilegiata, col titolo di Opere tutte dell’avvocato 5 CARLO GOLDONI .

La licenza di stampa viene rilasciata dai Riformatori dello Studio di Padova il 21 luglio 1761, avendo preso atto dell’approvazione «dell’Inquisitore Generale del Santo Offizio di Venezia»6. 2 La scelta di Goldoni cadrà sullo stampatore veneto per la lunga amicizia nata fin dai tempi della diatriba col Bettinelli, ma, nondimeno, per la solidità e serietà dell’azienda che aveva bottega e libreria in Venezia in S. Apostoli, e, non per ultimo, per la capacità del Pasquali di diffondere in Europa le proprie edizioni e per l’esperienza di stampare pregevoli edizioni illustrate; il che lascia supporre l’importanza che il commediografo assegnava al ruolo dei rami istoriati all’interno della sua opera: «M. Pasquali étoit un Libraire-Imprimeur honnête et accrédité» (Mémoires, II, 46). 3 In E.N.M.I., pp. 379-386 (vedi Allegati, pp. 359-365). Per una silloge dei paratesti goldoniani mi si consenta di rinviare a C. Goldoni, Storia del mio teatro, a cura di E. Ajello, Milano, Bur, 1993. 4 Le sottoscrizioni consistevano nell’impegno ad acquistare anticipatamente i tomi ad ogni uscita. Da qui deriveranno i malcontenti degli abbonati quando i volumi cominceranno ad essere pubblicati con larghissimo ritardo. 5 In E.N.M.I., pp. 380-381 (vedi Allegati, p. 361). 6 La motivazione è la seguente: «[…] avendo veduto per la Fede di Revisione, ed Approvazione del P. Fra Serafino Maria Maccarinelli Inquisitor Generale del Santo Offizio di Venezia, nel libro intitolato: Delle Commedie, Tragedie, Tragicommedie del Dottor Carlo Goldoni, il Teatro comico, la Bottega del caffè, la Pamela fanciulla, e la Pamela maritata. Tomo Primo, non v’esser cosa alcuna contro la Santa Fede Cattolica, e parimente per l’Attestato del Segretario Nostro niente contro Principi e buoni costumi, concediamo licenza a Giambatista

INTRODUZIONE

3

Nel piano editoriale, previsto dall’autore, ogni tomo7 deve contenere quattro commedie di cui una inedita8, le altre sono da prelevarsi, con modifiche più o meno rilevanti, dalle edizioni precedenti9 assieme ai rispettivi Autore a chi legge e alle lettere dedicatorie10, mentre Pasquali Stampator di Venezia, che possi essere stampato, osservando gli ordini in materia di Stampe, e presentando le solite Copie alle Pubbliche Librarie di Venezia, e di Padova. Li. 21 Luglio 1761. Il privilegio di stampa e la licenza degli Inquisitori furono stampati in coda al primo tomo della Pasquali (entrambe sono riprodotte in E.N.M.I., pp. 61-62). 7 Il primo tomo della Pasquali, fatte salve eventuali varianti tipografiche, è così ordinato: il «frontispizio istoriato», il frontespizio con impresso il titolo «Delle Commedie di Carlo Goldoni Avvocato Veneto, t. I°, In Venezia MDCCLXI, Per Giambatista Pasquali Con Licenza de’ Superiori e Privilegio», poi in successione il ritratto di «Sua Altezza Reale, il Serenissimo Infante di Spagna Don Filippo, duca di Parma, Piacenza, Guastalla ec. ec.», che precede la lettera dedicatoria dell’autore allo stesso, poi L’Autore a chi legge, l’indice delle commedie (Il teatro comico, La bottega da [sic] caffè, Pamela fanciulla, Pamela maritata), il ritratto di Goldoni ad opera di Lorenzo Tiepolo (1736-1776), inciso da Marco Pitteri, ed infine «la Prefazione dell’autore Premessa all’Edizione di Venezia MDCCL e a quella di Firenze MDCCLIII». I successivi tomi seguiranno la seguente prassi: Frontespizio istoriato, Antiporta con l’indicazione del tomo, L’Autore a chi legge, l’indice delle commedie. 8 Farà eccezione soltanto il tomo XI, dove ne appariranno ben tre inedite, ovvero quelle riferite alla “trilogia della villeggiatura”. 9 Dettagliatamente annota Roberta Turchi: «La preferenza andò alle commedie delle raccolte Bettinelli/Paperini (32 su 68), sporadicamente la scelta cadde su quelle della Pitteri, dalla quale attinse solo tredici pièces, distribuite dal nono al diciassettesimo tomo, tutte, ad eccezione del Padre per amore, ristampate almeno quattordici anni dopo la princeps per non incrociare la privativa dell’editore, per non ripetersi, per non entrare in conflitto con se stesso facendo concorrenza con una nuova impresa editoriale alla precedente in corso e sgg.», in R. Turchi, L’immagine di sé. Un’edizione «cólta e magnifica», introduzione a E.N.M.I., p. 17. Si vedano, anche, sempre a proposito dell’edizione Pasquali: M. Donaggio, Per il catalogo dei testi stampati da Giovan Battista Pasquali (1753-1784), in “Problemi di critica goldoniana”, II, a cura di G. Padoan, Ravenna, Longo Editore, 1995 (pp. 9-100); L. Rossetto, Tra Venezia e l’Europa. Per un profilo dell’edizione goldoniana del Pasquali, in Ivi, pp. 101-131). Per una disamina, invece, complessiva delle edizioni del teatro goldoniano, cfr. A. Scannapieco, «Io non soglio scrivere per le stampe…»: genesi e prima configurazione della prassi editoriale goldoniana, in “Quaderni veneti”, n. 20, 1994, pp. 119-186; Id., Scrittoio, scena, torchio: per una mappa della produzione goldoniana, in “Problemi di critica goldoniana”, VII, a cura di G. Padoan, Ravenna, Longo Editore, 2000, pp. 25-242, relativamente all’edizione della Pasquali pp. 214-217 e note 231-232; ma cfr. anche la nota sintetica ma informatissima Le edizioni dei testi, a cura di A. Scannapieco, in S. Ferrone, La vita e il teatro di Carlo Goldoni, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 183-192. 10 Le lettere dedicatorie, anteposte alle nuove commedie, spariranno dall’undicesimo tomo in poi, a partire dalla trilogia: Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura. E così nel t. XII mancherà quella al Filosofo inglese e all’Impresario delle Smirne; nel t. XIII la commedia La scozzese non avrà la dedicatoria, come nel quattordicesimo mancherà al Sior Todero brontolon, nel t. XV alle Baruffe chiozzotte, e ne saranno prive nel t. XVI, La donna vendicativa e nel t. XVII, Una delle ultime sere di carnovale. Stanchezza del Goldoni? oppure la sensazione dell’inutilità pratica delle lettere dedicatorie (vista la distanza ormai definitiva da Venezia), o, ancora, perché il commediografo – come osserva la Turchi – non sopportava più una prassi che lo «ancorava al passato, ad un modo superato di essere uomo di lettere»: cfr. R. Turchi, L’immagine di sé. Un’edizione «cólta e magnifica», cit., p. 27.

4

MEMORIE ITALIANE

saranno originali le prefazioni premesse alle commedie nuove11. Ogni commedia sarà preceduta da un’incisione riferita ad una scena teatrale disegnata dal veneziano Pietro Antonio Novelli e incisa dal bellunese Antonio Baratti, ma collaboreranno saltuariamente anche gli illustratori Marco Sebastiano Giampiccoli e Giuseppe Daniotto (cfr. Nota all’Appendice iconografica). L’asettica prosa della Lettera, ordinata per successivi paragrafi, nelle assicurazioni di un’attenta curatela «circa alla correzione della stampa», in cui l’autore s’impegna «di abbadarvi personalmente», sia nel delicato argomentare sui costi dovuti alla «gravosa spesa dei rami», sia nell’enumerazione delle varie attrattive dell’opera in fieri, mal trattiene, fra le righe, l’entusiasmo del commediografo che vede realizzarsi il lungo sogno di editare tutte le sue opere ordinatamente e «nobilmente stampate» in una definitiva opera omnia12. L’edizione sarà, dunque, «colta e magnifica», rilegata con filo, «che dicesi dai francesi broché», «per quelle persone che amano i libri nobilmente stampati, e che non guardano a spesa per il piacere d’averli»13, inizialmente in dodicesimo «di tal figura comodi a leggere ed a mettere in saccoccia» come un tascabile (poi, invece, stampata in un ottavo più grosso), al costo di «sei paoli romani» per volume, e conterrà, altra caratteristica importante, «cinque Rami per Tomo, disegnati e intagliati dagli ottimi Professori, che non mancano in questa Serenissima Dominante»14. Ovviamente – preciserà Goldoni – se «la carta sarà della maggior bianchezza e consistenza […], espressamente ordinata di quella grandezza, che possa formare un bel dodici, grande, e proporzionato, con bel Margine, sull’esempio delle migliori Edizioni»15, e «il carattere sarà nuovo, proporzionato, di bella veduta, e di facile intelligenza»16, ci si augurerà che il costo non 11 La trilogia della villeggiatura (XI), L’impresario delle Smirne (XII), La scozzese (XIII), Sior Todero brontolon (XIV), Le baruffe chiozzotte (XV), Una delle ultime sere di carnovale (XVI), Gli amanti timidi (XVII). 12 Va segnalato che nel mentre usciranno i primi sette tomi delle commedie della Pasquali (e il primo Delli Componimenti poetici diversi, 1764), Goldoni curerà ancora gli ultimi quattro (dal settimo al decimo) della edizioni Pitteri, creando una sorta di “conflitto d’interessi” tra edizioni, paratesti e commedie riprodotte, che imbarazzeranno non poco l’autore. Per gli approfondimenti cfr. E.N.M.I., p. 19. 13 «[...] una tale edizione – scriverà Goldoni – tanto colta e magnifica, quanto esser possano le migliori edizioni forestiere, e nella forma del libro, e nella scelta della carta e caratteri», in Al Serenissimo…, in E.N.M.I., p. 378 (vedi Allegati, p. 358). 14 Ibidem. 15 Lettera…, in E.N.M.I., p. 382 (vedi Allegati, p. 362). 16 Ivi. p. 384 (vedi Allegati, ibidem).

INTRODUZIONE

5

appaia «eccedente», non così «gravoso a chi vorrà riflettere alla spesa dei Rami, dei caratteri e della carta, e avrà riguardato alla fatica, e alla diligenza dell’edizione»17. E – mi si consenta aggiungere – anche a quella dell’autore impegnato ad offrire, convincere e, alla fine, vendere il suo prodotto ai lettori mediante una serie di possibili sconti e facilitazioni per chi volesse aderire anticipatamente all’acquisto della nuova edizione: Mi aspetto che alcuni per associarsi, e per favorirmi della desiderata anticipazione, mi domandino quale avvantaggio proponga io agli Associati, e qual maggiore prezzo pagheranno i Tomi quelli, che non si associano18.

Goldoni interpreta il ruolo, autonomo, di un moderno intellettuale di metà Settecento, di un autore alle prese con costanti problemi di finanziamenti, contributi e guadagni legati alla produzione delle proprie opere, fino a giungere a mercanteggiare clausole allettanti per gli acquirenti, a farsi in qualche maniera imbonitore: Se alcuni di quelli, che si saranno soscritti, ed avranno sborsata l’anticipazione pel primo Tomo, al ricevere dello stesso saranno malcontenti, e lo troveranno indegno della loro buona accoglienza, saranno in libertà di lasciarlo, e sarà restituito il danaro19.

Oppure: Per tutti quelli, che favoriranno di unirmi dieci Associati, esibisco un corpo intiero per grata ricognizione, cioè un Tomo ogni dieci Tomi, semprecché mantenghino lo stesso numero, e mi facciano avere in tempo le respettive anticipazioni20.

La Pasquali emerge, così, da un arcipelago di edizioni che come ondate di un mare in burrasca si erano contrapposte e sovrapposte (Bettinelli, Paperini, Pitteri, oltre le minori) e tutte mai concluse definitivamente. A tal punto che lo stesso Goldoni lo riconosce in una lettera a Giambattista Vicini, il 24 luglio 1761: 17

Ibidem (vedi Allegati, p. 363). Ibidem (vedi Allegati, p. 364). 19 Ivi, p. 386 (vedi Allegati, p. 365). Poiché a carico di Goldoni era l’intero costo della stampa dell’edizione, diveniva fondamentale acquisire abbonamenti all’opera prima della pubblicazione, ovvero farsi anticipare dai sottoscrittori l’acquisto dei singoli tomi, sia pure con la promessa di restituzione del denaro nel caso di insoddisfazione dell’acquirente. 20 Ivi, p. 385 (vedi Allegati, p. 364). 18

6

MEMORIE ITALIANE

Dite bene: mi faccio io stesso la guerra colle varie edizioni già sparse. Ma il mondo è grande, e l’edizione nova sarà migliore di tutte, onde spero che non anderà poi sì male21.

L’intenzione sembra essere quella di voler conferire una «migliore» “stabilità” testimoniale dei suoi lavori, una sorta di definitiva “identità testuale” «non più alterata» né corretta, ma definitivamente «polita», da dover essere l’opera finalmente «sempre la stessa» non più violata neppure dal suo autore22 che, invece, tradisce una voglia sempre latente e mai sopita (e attuata) di costantemente «migliorare» le commedie, come ha sempre fatto dalla scena al «torchio» e da edizione in edizione. Difatti non casualmente, nella stessa Lettera, fra le righe, affiorano alcune indicative precisazioni: […] vi aggiungo quella di correggere, e migliorare, e polire le Opere che sono per ristampare, rendendo a miglior coltura lo stile, i termini, ed alcune frasi. Ma ciò non ostante lo dico, e sono in impegno di farlo per lasciare, per quanto è possibile, dopo la mia morte, miglior riputazione di me, e rendere men disonore, ch’io posso alla mia Patria, ai miei posteri, alla mia Nazione. Posso bensì promettere, e sull’onor mio lo prometto, che, fin ch’io viva, non sarà da me in verun modo questa mia Edizione alterata, né presterò l’assenso né i mezzi ad alcuno, perché possa alterarla col pretesto de’ miei pentimenti, o cangiamenti, o correzioni; e se la sorte mi favorisse a segno di poter ristampare io medesimo quest’Opera voluminosa, sarà sempre la stessa […]23.

Finalmente, il 4 luglio 1761, Goldoni scrive al Marchese Francesco Albergati, preannunciandogli la «bella, laboriosissima, edizione»: La mia edizione, laboriosissima in questi principi, non mi permette di allontanarmi, e mi vieta venire a Zola. Si tratta di assai: danaro, fatica e riputazione; spero di essere compatito. Vedrà una bella edizione, e dal numero degli associati finora ho motivo di lusingarmi di non avermi ingannato24.

Lo stesso entusiasmo si coglie quando l’autore ricorda, nel capitolo quarantaduesimo della seconda parte dei Mémoires, durante la fine del 21

Lettera edita da Franco Fido in Id., Da Venezia all’Europa. Prospettive sull’ultimo Goldoni, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 161-62. 22 Per gli approfondimenti, in particolare sulla querelle Goldoni-Bettinelli-Medebach, si veda I. Mattozzi, Carlo Goldoni e la professione di scrittore, in “Studi e problemi di critica testuale”, n. 4, aprile 1972, pp. 95-153. 23 Lettera…, cit., in E.N.M.I., p. 383 (vedi Allegati, p. 363). 24 Opere, XIV, pp. 240-241.

INTRODUZIONE

7

Carnevale di quell’anno, l’«origine de mon Edition de Pasquali» in un contesto e con una atmosfera tutta diversa da quella burocratica della Lettera, molto più teatralmente godibile tutta legata all’occasione di una festosa convivialità: Le jour des Cendres suivant, je me trouvai à un de ces soupers en maigre, par où nos gourmands de Venise commencent leurs collations de Carême. Il y avoit tout ce que la mer Adriatique et le lac de Garda peuvent fournir en poissons. La conversation tomba sur les Spectacles, et la modestie de l’Auteur, qui étoit un des convives, ne fut pas ménagée: j’étois ennuyé de toujours entendre les mêmes propos; et pour détourner les complimens et les éloges qui ne finissoient pas, je fis part à la société d’un nouveau projet que je venois de concevoir. Les vins et les liqueurs avoient égayé les esprit: mais on fit silence, et l’on m’écouta avec assez d’attention25.

Goldoni presenta l’edizione Pasquali al raccolto uditorio e, da par suo, approfitta subito dell’occasione: C’étoit d’une nouvelle Edition de mon Théâtre que je voulois les entretenir: je tâchai d’être court: j’en dis assez cependant pour faire comprendre mon intention. On m’applaudit, on m’encouragea, on fit venir du papier et de l’encre. L’assemblée étoit composée de dix-huit personnes, sans me compter; on dressa sur-le-champ un billet de souscription, chacun souscrit pour dix exemplaires; je fis, d’un coup de filet, cent quatre-vingt souscriptions […]26.

Un passo scritto come un canovaccio teatrale, dove l’atmosfera conviviale è scandita dal rumore del rapido gioco dei piatti scostati per far posto alle sottoscrizioni, e tutto sembra suggerire la scena di un quadro, un dejuner en plein air di un Pietro Longhi27. Di converso, 25 Mémoires, (II, 42, p. 421); trad. it.: «Il giorno delle Ceneri, mi trovai a una di quelle cene di magro con cui i veneziani amanti della tavola cominciano i pasti di quaresima. C’erano tutti i pesci che il mar Adriatico e il lago di Garda possono fornire. La conversazione cadde sui teatri e la modestia del sottoscritto, che era uno dei convitati, non fu risparmiata: ero annoiato di sentire sempre i soliti discorsi e, per sviare i complimenti e gli elogi che non finivano mai, comunicai alla compagnia un nuovo progetto da me appena concepito. I vini e i liquori avevano rallegrato gli spiriti, ma fu fatto silenzio e mi si ascoltò con qualche attenzione (Memorie, pp. 512-513). 26 Ivi; trad. it.: «Volevo parlare loro di una nuova edizione del mio Teatro: cercai di essere breve: ne dissi, tuttavia, abbastanza per far capire il mio intento. Mi applaudirono, mi incoraggiarono, fecero portare carta e inchiostro. L’adunanza era composta da diciotto persone, senza contare me; sottoscrissero subito una carta di associazione, ognuno di loro si impegnò per dieci esemplari; in un sol botto di rete raccolsi centottanta sottoscrizioni» (Memorie, p. 513). 27 Sulla «connivenza che dovrebbe essere ormai pacifica nella storia della cultura (ma temiamo non lo sia abbastanza) del teatro di Carlo Goldoni colla pittura di Pietro Longhi»,

8

MEMORIE ITALIANE

molto più meditativo, e in qualche maniera con l’amarezza dell’esperienza e non con l’ottimismo del progetto, il Goldoni della Préface dei Mémoires: C’est d’après cette idée, qu’en 1760, voyant qu’après ma premiere édition de Florence, mon Théâtre étoit au pillage par-tout, et qu’on en avoit fait quinze éditions sans mon aveu, sans m’en faire part, et ce qui est encore pis, toutes très-mal imprimées, je conçus le projet d’en donner une seconde à mes frais, et d’y placer dans chaque volume, au lieu de la Préface, une partie de ma vie, imaginant alors qu’à la fin de l’Ouvrage l’histoire de ma Personne, et celle de mon Théâtre, auroient pu être complettes28.

Ma ecco accadere un altro evento straordinario, una «bella novità», «l’istoriella bellissima». Goldoni, cinquantaquattrenne, nel pieno di vedi R. Bacchelli e R. Longhi, Teatro e immagine nel Settecento italiano, Torino, Eri, 1953, p. 70. Su questo volume si veda anche la recensione di Walter Binni in Id., Classicismo e Neoclassicismo nella letteratura del Settecento, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 273-285. Inoltre, osserva Gianfranco Folena: «il risultato è una commedia in nuce, o se volete, un quadro di Pietro Longhi o una fine ceramica di Poggioreale» in Id., L’esperienza linguistica di Carlo Goldoni, in “Lettere italiane”, X, n. 1, gennaio-marzo 1958, pp. 21-54, poi in Id., L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, p. 112. 28 In Opere, I, pp. 5-6, trad. it.: «[…]. Con tale idea in testa, nel 1760, vedendo che, dopo la prima edizione di Firenze, il mio teatro era saccheggiato ovunque e che ne erano uscite quindici edizioni prive della mia approvazione, senza che ne fossi nemmeno informato e, quel che è peggio, tutte pessimamente realizzate, progettai di darne una seconda edizione a mie spese e di premettere a ciascun volume, in guisa di prefazione, una parte della mia vita in modo che, con la fine dell’opera, sarebbero risultate complete sia la storia della mia persona sia quella del mio teatro», (Memorie, p. 22). Nascono così due testi autobiografici apparentemente simili ma profondamente diversi, i cui quasi analoghi accadimenti, nella prima parte dei Mémoires, sono narrati spesso in versioni differenti. Le Memorie italiane risentono della vicinanza degli accadimenti narrati; la scrittura è più dettagliata, fredda, incisiva; l’altra, quella, in lingua francese, è una prosa più distante, sinuosa, conversevole, preoccupata di consegnare una definitiva (e apologetica) storia della riforma teatrale ad un pubblico più vasto, sconosciuto. I Mémoires hanno una funzione testamentaria che ne accresce l’aura. Il racconto, soprattutto nella prima parte, è svolto in una prosa avvincente, in una sintassi che riprende il piglio della teatralità, mescolando, a volte e meravigliosamente, dialogo e racconto, «piacendo» e «istruendo». Va, infine, ricordato che la scrittura è condotta in una lingua non materna, anche se ormai frequentata, e in uno stato di salute non eccellente (ma mentalmente lucidissimo) con gravi problemi alla vista, per cui è facile ipotizzare un aiuto redazionale nella stesura dei testi, forse, da parte del nipote Antonio, a cui Goldoni dettava o chiedeva di leggergli brani e appunti (le «paperasses»). Ma, per dare un esempio della vitalità del Nostro, basta scorrere la lettera inviata al conte Carlo Roncalli, proprio nell’anno dell’edizione dei Mémoires (agosto 1787): «Votre lettre, Monsieur, et votre livre charmant m’ont trouvé embarassé, à cause de l’édition de mes Mémoires. Vous savez ce que c’est que d’avoir à faire à des imprimeurs, qui sont partout les mèmes, et à Paris pis encore que partout ailleurs. lls ne travaillent que trois jours par semaine; et il faut bien payer, beacoup souffrir, et ne pas les perdre de vue», in Opere, XIV, CLXXX, p. 394.

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un agosto caldissimo, quello del 1761, è immerso nella stesura delle commedie della Trilogia della villeggiatura, quando, il conte de’ Baschi, durante una visita a Venezia, in qualità di ambasciatore di Francia (dal novembre 1760), gli recapita una lettera. A scrivergli, probabilmente nel luglio 1761, è un amico, il padovano Antonio Francesco Zanuzzi, conosciutissimo attore della Comédie Italienne di Parigi, per invitarlo a collaborare con la compagnia di quel teatro, a diventare autore per i «Comédiens du Roi de la Troupe italienne». Sul finire dell’estate del 1761 (5 settembre) Goldoni riscrive all’amico Albergati una lettera, prudente, incerta, ma nello stesso tempo densa d’entusiamo, del piacere dell’avventura, del nuovo: Oh che bella novità le recherà questa lettera! Goldoni va a Parigi, e partirà, a Dio piacendo, nella ventura quaresima […]. Il progetto è per due anni: viaggi pagati di andata e ritorno, e seimila franchi di assegnamento per anno. In detto tempo ho più da vedere, da osservare, che da operare. Se acquisterò qualche merito, resterò colà con patti molto migliori; se non farò niente, me ne tornerò in Italia; avrò veduto Parigi, avrò arricchita la fantasia per delle cose nuove in Italia, e sopra tutto avrò dato un moto grandissimo alla mia edizione, che sola meriterebbe ch’io intraprendessi un tal viaggio»29. 29

In Opere, XIV, pp. 243-244 (p. 243). Ma non mancherà a Goldoni, di lì a non molto, di scrivere propiziatrici ma amarissime quanto preveggenti parole sul suo viaggio a Parigi, come, ad esempio, nella lettera dedicatoria A Sua Eccellenza il Signor Conte de’ Baschi, premessa alla commedia I rusteghi: «Ma tardi è per me arrivata la buona sorte. Ho consumato l’età migliore tra le fatiche. Torno scolare allor ch’io dovrei aver finito di scrivere. Lo studio e la fatica non mi rincresce; vorrei saper profittare, e crederei ben sparsi i sudori, e ben vegliate le notti», in Opere, VII, pp. 619-623 (p. 623). In molte Prefazioni, in molte lettere Goldoni sembra volere convincersi della bontà della sua decisione di trasferirsi nella capitale francese, sforzandosi quasi di ricordare i dispiaceri avuti nella sua Venezia, come fa, ad esempio, nell’Autore a chi legge dell’Amore paterno o sia la serva riconoscente: «Niente di meglio posso presentemente desiderare. Sono in un gran paese, provveduto decentemente, amato più ch’io non merito, e calcolato piucch’io non vaglio. Aggiungasi a ciò un altro bene: fatico meno», in L’amore paterno, a cura di A. Fabiano, Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 99-101 (pp. 99-100). Ma qui e là zampilla sempre, mal trattenuto, il suo amore per Venezia, come nella lettera dedicatoria A sua Eccellenza il signor Gio. Domenico Almorò Tiepolo per la Serenissima Repubblica di Venezia Ambasciatore a sua Maestà Cristianissima situata come paratesto sempre alla commedia L’Amore paterno o sia la serva riconoscente: «Mi trovo in una grande città, in mezzo ad un gran Mondo; parmi di esserci fino ad ora ben situato, ma ho sempre la Patria nel cuore»; e non poche volte confiderà, ma non sappiamo quanto realmente, la voglia più che la volontà di abbandonare la capitale francese, di «non prolungare a Parigi la sua dimora», ivi, pp. 329-330 (p. 329), dilemma succintamente raccontato in una lettera a Gabriele Cornet, da Parigi in data novembre 1763: «Veggio che la mia patria mi ama, che continua a soffrire le cose mie, e faccio a me medesimo una questione: se sia più gloria per me il piacere in Francia, novello, straniero, mal pratico, o il piacere in Venezia dopo avere seccato il pubblico, diciott’anni continui», in Opere, XIV, CXI, pp. 300-302 (p. 301).

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Ma Goldoni non ritornerà più dalla Francia e, soprattutto, non ci sarà nessun «moto grandissimo» per la Pasquali, anzi tutt’altro che vantaggioso sarà il rapporto tra l’edizione e la permanenza nella capitale francese dell’autore. Il commediografo confesserà, nei Mémoires, forse ricordando quanto aveva confessato all’Albergati, di essere stato proprio il trasferimento a Parigi una delle cause del fallimento dell’edizione: Je me suis trompé; quand je commençai à Venise cette édition de Pasquali, in-8° avec figures, je ne pouvois pas me douter que ma destinée étoit de traverser les Alpes. Appellé en France en 1761, je continuai à fournir les changemens et les corrections que je m’étois proposés pour l’édition de Venise […] (mais) je ne vivrois pas assez pour voir cette édition terminée30.

Difatti, il ritmo della stampa non sarà, come previsto, di «quattro tomi l’anno»31, ma, in pratica, escluso il 1762 (in cui compariranno tre volumi), soltanto di un tomo per anno (senza contare il lungo vuoto dal 1767 al 1773), per ulteriormente diradarsi e cessare del tutto nel 1780, col diciassettesimo volume, a dispetto dei «quaranta» («trenta» o «forse cinquanta»32) inizialmente previsti33. L’intreccio tra l’edizione Pasquali e il soggiorno a Parigi è “calcolabile” proprio nel racconto di un Goldoni ottuagenario nel mentre trascrive, muta, «rimpasta»34 30

Mémoires, Préface, in Opere, I, p. 6: «Mi sbagliai; quando a Venezia incominciai questa edizione di Pasquali, in ottavo con illustrazioni, non potevo immaginare che il mio destino fosse di valicare le Alpi. Chiamato in Francia nel 1761, continuai a fornire i cambiamenti e le correzioni che mi erano richiesti per l’edizione di Venezia, […] (ma) io non vivrò abbastanza a lungo per vedere terminata questa edizione» (Memorie, Prefazione, p. 6). 31 Sappiamo con certezza che alla data del 20 marzo 1762 i primi due tomi erano usciti dal torchio, come si evince dalla lettera all’Albergati Capacelli, nella stessa data: «Unisco la farsetta ai due tomi secondi della mia edizione», in Opere, XIV, LXXVI, p. 246. 32 Nella supplica al Serenissimo Principe Goldoni farà riferimento a «cinquanta tomi», mentre nell’Autore a chi legge del t. II, ne promette soltanto «quaranta». Nella Préface ai Mémoires sarebbero dovuti essere trenta: «[…] un Ouvrage qui devoit être porté jusq’à trente volumes» (Opere, I, p. 6). 33 La data cronologica con cui termina il diciassettesimo tomo, il caso vuole, coinciderà con quella paradigmatica del 1742, anno di grazia della composizione della Donna di garbo (dic. ’42-gen. ’43) prima commedia interamente scritta. La pubblicazione dei volumi della Pasquali è così scandita: 1761: I; 1762: II, III, IV; 1763: V; 1764: VI, VII; 1765: VIII; 1766: IX; 1767: X; 1773: XI; 1774: XII; 1775: XIII; 1776-1777: XIV e XV; 1778-1779: XVI; 1780: XVII. Questo ordine di collazione si deve ad A. Scannapieco, Scrittoio, scena, torchio: per una mappa della produzione goldoniana, cit.. Le cinque commedie «inedite» e le relative prefazioni, nonché i cinque Autore a chi legge, che dovevano far parte dei tomi XVIII-XXII, non vedranno la luce e andranno smarriti, oppure deliberatamente non pubblicati dal Pasquali. 34 Guido Mazzoni, prefando i Mémoires, scriverà: «Da ciò in lui l’idea di rimpastare le prefazioni in un racconto unico», in G.M.ME. (cfr. infra, nota al testo), pp. V-XXII (p. VI).

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e diluisce le diciassette prefazioni nella prima parte delle memorie francesi nel freddo abbaino, probabilmente in rue Pavée Saint Sauveur 1, dove l’Alfieri, di ritorno da Londra, lo incontrerà «ingolfato in una lunga opera»35. Una prima avvisaglia delle difficoltà di gestione dell’edizione dovuta alla sua assenza da Venezia, è da riscontrarsi nella lettera inviata al Pasquali, da Parigi, il 14 febbraio 1763, dove Goldoni affannosamente tenta di rassicurare l’«impazientato» editore sul suo temporeggiare per la pubblicazione del tomo quinto, avendo voluto inserirvi una commedia (L’amore paterno) andata in scena a Parigi il 4 febbraio 1763, e della quale aveva voluto costatare l’effetto positivo sul pubblico e su lui stesso prima di darla alle stampe: Voi avete aspettato sin’ora, ch’io vi mandassi la dedica, e la prefazione per la quarta Commedia del tomo quinto; io ho diferito a mandarla, e non ve ne ho detto mai la cagione […]. Vi sarete voi impazientato, e più di voi impazientati si saranno quei, che aspettano il Tomo36.

Altro indicatore del «peso grande grandissimo» e delle complicazioni di Goldoni per l’edizione da preparare e coordinare da lontano (a «sue spese»), si evince dalla lettera densa di scuse agli «Associati», nel primo tomo del volume Delli componimenti diversi, edito agli inizi del 1764 e dato in omaggio, in ritardo, ai sottoscrittori della Pasquali: La nuova edizione delle mie Commedie, che si fa dal Pasquali, a mie spese, è un peso grandissimo, e per la spesa, e per la fatica. Ho bisogno dell’aiuto vostro, Associati miei cortesissimi […]37.

Nel 1764 usciranno il sesto e il settimo volume. Ma dal 1765 (con l’ottavo) i tomi cominceranno ad essere pubblicati in pratica uno per anno, dal nono, nel 1766, fino al tomo decimo nel 1767, fatidica data con la quale l’edizione s’interrompe per circa sei anni: l’undicesimo infatti vedrà la luce soltanto nel 1773, per proseguire affannosamente fino al tomo diciassettesimo nel 178038 e lì fermarsi definitivamente.

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237.

Cfr. V. Alfieri, Epistolario, a cura di L. Caretti, Asti, Casa d’Alfieri, 1981, vol. II, p.

36 Lettera dell’Avvocato Goldoni al Signor Giambatista Pasquali [1763], in E.N.M.I., pp. 389-391 (p. 389) (vedi Allegati, p. 366). 37 C. Goldoni, Delli componimenti diversi, t. I, Venezia, Pasquali, 1764, in E.N.M.I., pp. 407-410 (p. 408) (vedi qui, p. 350). 38 Vedi n. 33.

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Ma le difficoltà che l’edizione incontrava erano già percebili all’altezza del 1768, in occasione dell’uscita del secondo volume Delli Componimenti diversi: Dura, e malagevole impresa è quella di pubblicar colle Stampe un’opera lunga per associazione. Il mio progetto è stato felicissimo ne’ suoi principi, e poche opere si sono incominciate con sì buon numero di concorrenti […]. Sento a dirmi ch’è mia la colpa, che il ritardo annoia, e che il dubbio della continuazione raffredda. Ho tante volte avvanzate le scuse del mio ritardo, ch’è inutile, ch’io le ripeta. Mi si permetterà soltanto di rimarcare, che quest’opera non è un Dizionario, i di cui primi Tomi siano inutili senza gli ultimi […]39.

Goldoni si vedrà, allora, costretto a cedere all’editore i diritti della pubblicazione ovvero il «privilegio» di stampa ricevuto dal «Principe Serenissimo», sperando così di allettarlo alla continuazione (ma probabilmente dietro una recisa richiesta del Pasquali). Altresì è facile presumere che questa scelta sia anche convenuta all’autore a causa degli impegni e dei rischi economici a cui era esposto. L’opera probabilmente per il Pasquali stava divenendo più costosa del previsto per una più che legittima flessione delle sottoscrizioni, a causa dei ritardi nelle pubblicazioni dei volumi che diluivano e distraevano l’interesse dei lettori, e l’editore aveva, verosimilmente, minacciato di sospenderla. Ritardi che il Pasquali imputava al commediografo. In pratica l’autore si arrende (con la mediazione di uno sconosciuto) alle condizioni imposte dall’editore (anche se Goldoni nella lettera vorrebbe non farla apparire proprio così). Ma è del tutto evidente che la missiva inviata dal commediografo al Pasquali il 15 luglio 1772 è in sostanza una malcelata dichiarazione di colpevolezza: No, Signor Pasquali amatissimo, non ho perduto di vista la nostra Edizione […]. Vi ho ceduto la mia Edizione, vi ho ceduto il Privilegio, accordatomi dalla Clemenza del Prencipe serenissimo; Voi siete divenuto il solo Padrone delle Opere mie; sono contento delle condizioni proposte da terza persona, alle quali vi siete arreso assai docilmente, e sarebbe un abusare della vostra amicizia, e della buona fede, con cui avete meco trattato, se io vi lasciassi sprovveduto de’ materiali, per la continuazione dell’Opera, che deve certamente essere terminata […]. Ho spedito per la via di Lione all’onoratissimo sig. Gabriele Cornet un pacchetto contenente dodici Commedie mie inedite, rivedute, corrette, 39

C. Goldoni, Delli componimenti diversi, t. II, Venezia, Pasquali, 1768 (anche se indicata in calce al frontespizio la data 1764), in E.N.M.I., pp. 413-414 (vedi qui, pp. 353-354).

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e delle loro Prefazioni fornite. Se continuate il metodo sin ora osservato, eccovi provveduto per altri dodici Tomi, e a quest’oggetto v’invio nel pacchetto medesimo i ragionamenti preliminari, ne’ quali mi sono fatto lecito di parlare di me, delle mie opere, e delle mie avventure. Non vi è bisogno che io vi preghi ora di sollecitare quest’interrotta continuazione, poiché è noto a me, ed è noto a tutti con quale diligenza e con qual zelo avete sempre adempito gl’impegni vostri, e le vostre intraprese, né ho da rimproverare che me medesimo di questo vergognoso ritardo, a cui han dato causa, in parte le mie occupazioni, ma vi han contribuito altresì, e non poco, le distrazioni di questo gran Mondo, e l’ingannevole e sedizioso Cavami d’oggi e mettimi in domani.40

«Pacchetto di commedie inedite» dal quale andranno smarriti cinque apparati di altrettanti tomi (o, forse, “smarriti” volontariamente in un cassetto del Pasquali?)41. Goldoni scongiura titubante, infine, l’editore di giustificarlo presso i lettori e gli abbonati: Aggiungete, vi prego, qualche scusa per me… Ma quale scusa addurrete in mio favore? eh! dite la verità, ch’io ve lo permetto. Questa è la migliore scusa delle persone onorate. Cercherò dal canto mio di meritarmi il perdono da quelli, che si sono giustamente doluti di me […]42.

Invito che il Pasquali accoglie e con determinazione pubblica interamente la lettera, in carattere corsivo e in appendice al tomo dodicesimo, facendola seguire da una sua comunicazione, in carattere tondo, datata 31 agosto 1772, in cui nell’ufficializzare il passaggio a lui delle «proprietà delle Opere del Sig. Dottor Carlo Goldoni», non poco esacerbato, prende le distanze dall’autore rovesciandogli addosso senza attenuanti le colpe dei ritardi. Infine, il Pasquali si assume il compito di proseguire l’edizione «con la mia nota puntualità, e sollecitudine», senza più «vergognarmi – scrive – di una sì scandalosa remora, (innocente per parte mia)», e precisa seccamente: Avviso inoltre, che siccome non stamperò neppure un esemplare di più del numero degli Associati, che risolveranno di prendere questa continuazione, così sono pregati di farmi sapere le loro risoluzioni, se lontani per lettera, se vicini, al mio Negozio posto in Merzeria a S. Bortolamio, 40

Lettera del Sig. Dottor Carlo Goldoni a Giambatista Pasquali [1772], in E.N.M.I., pp. 392-393 (p. 392) (vedi Allegati, pp. 369-370). 41 Si deduce, quindi, che, almeno in questo caso, le prefazioni ai tomi dall’XI al XVII (e le successive) sarebbero state scritte tutte di seguito da Goldoni, probabilmente predisposte nello iato degli anni 1767-1773. 42 Lettera del Sig. Dottor Carlo Goldoni..., cit., in E.N.M.I., pp. 392-393 (p. 393) (vedi Allegati, p. 370).

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per essere registrati al fine del Tomo duodecimo. Vivete felici». Addì primo Aprile 1774. Li tomi XI. XII. sono pubblicati, ed ora è sotto il Torchio il Tomo XIII43.

L’edizione ha ormai vita breve e di lì a poco si interrompe definitivamente. Non sono chiari i motivi a tutt’oggi che hanno fatto cessare le pubblicazioni, e resta incerto l’esito di quel materiale inviato da Goldoni, che avrebbe permesso la continuazione dell’edizione almeno per altri cinque tomi. È molto probabile, come ipotizza Laura Rossetto, che la ragione dell’interruzione sia da attribuirsi soprattutto alla crisi economica che aveva, in quegli anni, investito l’editoria veneziana e in particolare l’editore Pasquali44. Ma, secondo consuetidine goldoniana, un’edizione che si conclude ne promuove subito un’altra. Questa volta, però, Goldoni sarà chiamato ad assistere più che ad attendere ad un’altra stampa delle sue commedie, e senza nemmeno averla decisa lui (per Goldoni la Pasquali resta la sua ultima edizione). Questa nuova nasce grazie all’insistenza del tipografo veneziano Antonio Zatta, e all’impresa Goldoni assegnerà soltanto il patrocinio e invocherà, come sempre, «correzione ed esattezza» nelle stampe; edizione che, preceduta dalla «traduzione delle memorie», con la morte, gli sfuggirà definitivamente dalle mani e sarà sostanzialmente postuma45: Voi volete dunque, valoroso e benemerito signor Zatta, intraprendere la ventesima edizione delle mie Opere. L’impresa è coraggiosa, e pare a prima vista pericolosa, ma il credito de’ vostri torchi può risvegliare la curiosità in quelli che lette e rilette avranno le mie commedie, e di me conservano grata e indulgente memoria […]. Io non vi domando decorazioni preziose; un’opera voluminosa non può pretenderle. Vi domando la correzione, e riposo sull’attenzione vostra e sull’esperienza dell’esattezza de’ vostri fogli46.

43 Giambatista Pasquali libraio, e stampatore veneto, alli Signori Associati all’edizione delle Commedie del Sig. Dottor Carlo Goldoni, in E.N.M.I., pp. 394-396 (pp. 395-396) (vedi Allegati, p. 372). 44 L. Rossetto, Tra Venezia e l’Europa. Per un profilo dell’edizione goldoniana del Pasquali, cit., p. 113. 45 C. Goldoni, Commedie del Sig. Carlo Goldoni, voll. XLIV, Venezia, Zatta e figli, 17881795. 46 Parigi, li 6 luglio 1788. Cfr. Opere, XIV, CLXXXIV, p. 398.

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II. La terza autobiografia «avec figures» Se la novità dell’edizione Pasquali è costituita dalle diciassette prefazioni con cui Goldoni narra, “a puntate”, la sua vita dall’«età di anni otto» fino al 1742, non meno originali sono i diciassette «Frontispizi istoriati» collocati ad inizio di ogni tomo, chiamati a rappresentare, anch’essi, «un sommario»47 della sua vita, “impaginando”, così, una sorta di terza autobiografia per immagini. Sui «Frontispizi» della «classe» delle commedie si attarda Goldoni nel primo Autore a chi legge, descrivendo «la qualità del novello progetto» e ricalcando, in pratica, quanto aveva già preannunciato nel quinto paragrafo della Lettera a’ suoi amorosissimi Mecenati…: Tutti i Tomi di Commedie, Drammi, Poesie etc. avranno due Frontispizi, uno istoriato contenente il titolo generale: Opere di Carlo Goldoni; l’altro in lettere, specificante la classe e il Tomo di cui si tratta. Tut-

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I «Rami» delle antiporte saranno disegnati da Pietro Antonio Novelli (1729-1804) e incisi, per la maggior parte, da Antonio Baratti (1724-1787), tranne per i disegni dei tomi XI e XII incisi da Marco Sebastiano Giampiccoli (1737-1809). L’illustrazione del t. X non ha nessuna indicazione del disegnatore, né dell’incisore. Inoltre, nei frontespizi dei t. XIII e XVII non appare il nome dell’incisore. Le vignette autobiografiche sono raccolte nelle Opere complete, edite dal Municipio di Venezia nel II centenario della nascita, Venezia, Tip. Zanetti, 1907, vol. I (Commedie, t. I), pp. 1-148; nell’edizione critica delle Memorie italiane. Prefazioni e polemiche III, a cura di R. Turchi, Venezia, Marsilio 2008; nel volume C. Goldoni, Il Teatro illustrato nelle edizioni del Settecento, introduzione di C. Molinari, Venezia, Marsilio 1993; ne La maschera e il volto di Carlo Goldoni. Due secoli di iconografia goldoniana, a cura di G.A. Cibotto, F. Pedrocco e D. Reato, Neri Pozza, Vicenza, 1993 e nelle Mémoires italiens, a cura di G. Herry, Paris, Circé, 1999. Per lo studio dei rapporti tra le illustrazioni e le prefazioni ai tomi della Pasquali, cfr. E. Bassi, Le illustrazioni italiane e francesi delle commedie goldoniane, in Goldoni in Francia, Atti Roma 29-30 maggio 1970, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1972, pp. 77-86, poi, con minime modifiche, Id., Le illustrazioni delle commedie goldoniane ed il loro ambiente culturale, in “Studi goldoniani”, n. 3, a cura di N. Mangini, Venezia, Casa Goldoni, 1973, pp. 115-124. Vedi, su questo tema, anche F. Fido, I Mémoires e la letteratura autobiografica del Settecento, in Id., Da Venezia all’Europa. Prospettive sull’ultimo Goldoni, Roma, Bulzoni, 1984, pp. 119-157; F. Angelini, Tre leggende per una vocazione, in “Ariel”, n. 3, 1992, pp. 9-16; Id., Vita di Goldoni, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 305-309; Id., Autobiographia ‘cum figuris’. Note sui frontespizi istoriati dell’edizione Pasquali, in Carlo Goldoni 1793-1993, Atti del convegno del Bicentenario, Venezia, 11-13 aprile 1994, a cura di C. Alberti e G. Pizzamiglio, Venezia, Regione del Veneto, 1995, pp. 122-129; Memorie e teatro in Carlo Goldoni, introduzione a Memorie di Carlo Goldoni e memoria del teatro, a cura di F. Angelini, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 7-21; M. Arnaudo, La scena muta. Le illustrazioni settecentesche di Goldoni nel loro rapporto coi testi, in “Intersezioni”, XXIII, n. 3, dicembre 2003, pp. 467-498; R. Turchi, Un’edizione «colta e magnifica», in AA.VV., Parola, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, a cura di G. Bazoli e M. Ghelfi, Venezia, Marsilio, 2009; e mi si permetta di rinviare anche a E. Ajello, Illustrare, in Id., Carlo Goldoni. L’esattezza e lo sguardo, Salerno, Edisud, 2001, pp. 121-227.

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to ciò dichiarai molto prima ne’ manifesti suddetti, ma qui ho voluto ripeterlo […]. Ciascun frontispizio, come dissi [corsivo mio] Istoriato, rappresenterà un qualche pezzo della mia vita […]48.

Seminascosta, però, nel brano vi è una contraddizione che ruota dintorno a quel «come dissi». «Nei Manifesti suddetti» ovvero nella Lettera…, l’unica presentazione ufficiale dell’edizione a noi pervenuta, Goldoni faceva riferimento alla funzione illustrativa delle commedie, «le respettive Opere» dei quattro «Rami», ma taceva sul ruolo che avrebbe assunto il «quinto», il «primo [che] servirà al frontispizio», ovvero il rame istoriato contenente il cartiglio: Opere di Carlo Goldoni, chiamato a rappresentare alcuni momenti salienti della sua vita. L’autore non faceva nemmeno cenno alle figure allegoriche e alla citazione latina che adorneranno l’antiporta, evidenziando soltanto le illustrazioni a corredo del «principale argomento» delle commedie: Tutti i Tomi saranno decorati con cinque Rami disegnati, e intagliati dai migliori professori, che qui non mancano, senza riguardo a spesa, de’ quali cinque Rami, il primo servirà al frontispizio, e gli altri quattro precederanno le respettive Opere, istoriandone nella miglior forma il principale argomento49.

È possibile, allora, dedurre che quando redige e pubblica la Lettera… (1 aprile 1761), ovvero in una zona temporale non troppo distante dall’uscita del primo tomo, da situarsi dopo il mandato dei Riformatori del 21 luglio ’61, Goldoni non aveva ancora ben chiaro come “riempire” il «Frontispizio istoriato». Se la decisione era scontata, non si spiegherebbe perché l’abbia taciuta, essendo quella una delle attrattive (e delle novità) tra le più importanti dell’opera. Sembra evidente, dunque, che dello “spazio bianco” nel primo «Rame» istoriato, il Nostro quando compila la Lettera…, non sa ancora cosa farne. La conferma è tutta nella prefazione al secondo tomo, dove il Nostro dichiara sì di aver avuto l’idea di una illustrazione nell’antiporta, ma di essersi subito reso conto di come fosse difficile «in seguito […] pensarla» in maniera originale senza ricadere nelle «cose fatte e rifatte»: Cercando io di adornare quest’opera quanto meglio potessi, pensai sin da principio a provvedere ogni Tomo di un Frontispizio Istoriato. Vidi poi in seguito, esser cosa difficilissima immaginare per tanti Tomi tanti 48 49

Cfr. L’Autore a chi legge, t. I, qui p. 97, in E.N.M.I., p. 98. Cfr. Lettera…, in E.N.M.I., p. 381 (vedi Allegati, p. 361).

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nuovi pensieri, che non avessero del comune, e si cavassero dell’ordinario: Muse, Apolli, Maschere, Tibie, Teatri, Satiri, Scimie sono cose fatte e rifatte, e si veggiono da per tutto impresse, dove trattisi di Commedie; ed i Pittori su tal proposito non sanno più che inventare, oltredicchè nulla interessano l’altrui curiosità questi simboli generali, quantunque ben disegnati ed elegantemente eseguiti.

Per giungere, soltanto successivamente, alla decisione definitiva di aver […] pensato di dare ne’ Frontispizi un sommario della mia vita, sparsa già da gran tempo in varie lettere, e prefazioni, e in qualche Scena ancora delle Opere mie finora stampate […]. Quaranta deggiono essere i Tomi da me proposti, ed altrettanti saranno i punti da me fissati delle mie circostanze. Avrei materia per fornire di me medesimo maggior copia ancora di Frontispizi, ma sceglierò i più essenziali, unicamente per rimarcare per quali vie, e con quai mezzi mi sono fin qui condotto50.

Resta, per tanto, inesplicabile perché Goldoni attenda l’uscita del secondo tomo per chiarire l’impianto complessivo delle vignette, mentre l’intero proponimento illustrativo dei tomi sarebbe stato logico comparisse sia nella Lettera…, sia nella prima prefazione, che fa sostanzialmente da introduzione alla Pasquali. Questo dà adito al sospetto che gli Autore a chi legge dei due primi tomi siano stati scritti a breve distanza di tempo l’uno dall’altro e nel mentre il progetto dei frontespizi istoriati si andava precisando. Difatti, se ritorniamo alla prefazione del primo tomo, Goldoni molto rapidamente liquida la funzione della vignetta, ribadendo il progetto con un incongruo «come dissi» ed entrando rapidamente nel commento della stessa: Ciascun frontispizio, come dissi, Istoriato, rappresenterà un qualche pezzo della mia vita, principiando dall’età d’anni otto, in cui il genio Comico principiava in me a svilupparsi, composta avendo in sì tenera età una Commedia […]51.

Il che lascia supporre che la vignetta anteposta al primo tomo non facesse parte di un progetto molteplice da sviluppare nei volumi successivi, ma che soltanto al momento della scrittura della relativa prefazione Goldoni cominciasse ad avere chiara una progressione delle immagini. E l’incipit dell’Autore a chi legge al secondo tomo con la de50 51

Cfr. L’Autore a chi legge, t. II, qui pp. 111-112, in E.N.M.I., pp. 103-104 (vedi Allegati). Cfr. L’Autore a chi legge, t. I, qui p. 98, in E.N.M.I., p. 96.

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finizione di «aggradimento pienissimo, con cui è stato ricevuto il mio primo tomo», potrebbe dare adito a che l’«aggradimento» derivasse anche dall’inserimento della vignetta autobiografica, per cui Goldoni è in grado ormai di presentare estesamente e definitivamente il progetto dei «punti essenziali da me fissati delle mie circostanze». Un’idea e una decisione, dunque, giunte in ritardo e in corso di precisazione, e che grazie al «compatimento» generale vengono accolte come prassi per tutte le successive antiporte. Questo innesca un ulteriore dubbio, ovvero se la scelta di rappresentare negli iniziali frontespizi «qualcosa di nuovo» sia stata di Goldoni, oppure frutto di un suggerimento a lui pervenuto, durante la realizzazione dei primi due tomi, dall’ambiente della bottega e libreria del Pasquali in Venezia, frequentata da illustratori e incisori, oltre che da intellettuali e autori. Che Goldoni, comunque, maneggiasse edizioni illustrate di romanzi e opere teatrali in francese (e in inglese, tradotti), non è necessario ribadirlo. In una lettera a Vittore Gradenigo, scritta a Parigi, per proporgli l’acquisto della propria biblioteca di 400 volumi, compaiono proprio le citazioni di testi «con figure e senza»: […] ho una raccolta di Teatri Francesi, consistente in 250 volumi, tutti autori classici, non edizioni da gabinetto, ma buone, corrette, e ben legate, e ben conservate […]. Ho in oltre a ciò un’altra raccolta di romanzi francesi in numero di 135 volumi, tutti scelti, tutti stimati, ben legati e ben conservati, la qual raccolta potrei far montare sino a 150 volumi, avendone il bisogno di sciolti che farei legar prontamente per far in tutto il numero complessivo di 400 volumi, e questi 400 volumi, grandi e piccioli, con figure e senza, li darei… oh quanto volentieri li darei all’ill.mo segretario Gradenigo52.

È nota la capacità di Goldoni di inventare nuove formule editoriali, tali da attirare l’interesse e la curiosità del pubblico acquirente. Il foglietto volante del manifesto della Pasquali è un perfetto esempio di animo commerciale. Il nuovo, «l’amore di novità», è registro fondante della sua attività artistica, e si ramifica fin dentro la febbrile operosità editoriale. Il Nostro intuisce l’importanza moderna del package, della copertina, del bell’oggetto. Inoltre, conoscendo la costante preoccupazione di Goldoni per il proliferare di edizioni pirata delle sue opere, è lecito sospettare che l’originale impostazione della Pasquali avesse anche lo scopo di do52

Versaglies, li 5 maggio 1780, in Opere,

XIV, CLXXIV,

pp. 387-390 (p. 389).

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tarla, con i «rami istoriati», di una sorta di imprimatur grafico, di un particolare copyright a salvaguardia di eventuali riproduzioni e ristampe non autorizzate, avendola munita di caratteristiche difficilmente emulabili e riproducibili; il che fa il paio (ma se la comparazione è incauta, l’uso strategico delle figurazioni non è fortemente dissimile) con la volontà (e preoccupazione) del Manzoni di illustrare la sua definitiva edizione dei Promessi sposi, come ha notato Carlo Dionisotti53. Il racconto biografico per immagini sembra costituire una novità almeno nell’editoria veneziana, sebbene percorsa da una lunga tradizione di edizioni illustrate dove erano di larga diffusione testi variamente ornati da figure. Valgano alcuni esempi quali le illustrazioni del Piazzetta per l’edizione delle Oeuvres del Bossuet (Venezia, Albrizzi, 1736). Lo stesso Pasquali nel 1740 aveva dato alle stampe una preziosa edizione illustrata, l’Officium Beatae Mariae Virginis, adornata da 37 rami a piena pagina incisi dal Pitteri su disegni, ancora, del Piazzetta54. L’abitudine, dunque, di abbellire le antiporte dei libri con incisioni in rame non costituiva nel XVIII secolo certamente una novità55, e in particolare nell’editoria francese (che aveva rapido corso a Venezia), dove appaiono i primi esempi di raccolte teatrali illustrate, tra le quali, per restare nel genere, le commedie di Racine con le incisioni di François Chauveau (Paris, chez Denys Thierry, 1697), l’edizione delle Oeuvres de Monsieur de Molière, (Lyon, Jacques Lyons libraire,

53 Cfr. C. Dionisotti, Biografia e iconografia, in Storia d’Italia, Annali IV: Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino, Einaudi, 1981, pp. 417-426 (p. 426): «Ma la duplice preoccupazione dello stesso Manzoni, nella piena maturità e al culmine della sua carriera, di procurarsi un’autentica e degna illustrazione figurativa del romanzo, e d’altra parte di salvaguardare da arbitrarie ristampe la sua proprietà letteraria, dimostra quanto fosse limitata ancora e grata di questioni insolute la rivincita della letteratura italiana nell’età romantica e risorgimentale. Il disimpegno della letteratura dalle arti figurative, della parola dall’immagine e, in termini manzoniani, dell’invenzione dalla storia, importava che anche finissero coll’accordarsi in sufficiente numero i parlanti e i lettori di un’Italia unita». 54 Non è certo questo il luogo per avviare un approfondimento sulla storia delle opere miniate e/o illustrate, ma va detto che l’illustrazione di particolari aspetti dei testi, teatrali e non, e gli stessi frontespizi istoriati, le silografie, in coerenza con quanto sin qui detto, datano a partire dal secolo XV in Venezia. Per questi aspetti, cfr. A. Petrucci, L’opera del genio italiano all’estero. Gli incisori dal secolo XV al secolo XIX, Istituto Poligrafico dello Stato, 1958; G. Morazzoni, Il libro illustrato veneziano del Settecento, Milano, Hoepli, 1943; M. Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano, F. Angeli, 1989; G. Moschini, Dell’incisione a Venezia, Zanetti, Venezia, s.i.d. 55 Cfr. P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana. Libri e periodici a figura dal XV al XX secolo, Bologna, Zanichelli, 1988 (soprattutto i capp. L’illustrazione a Venezia e La primavera delle vignette); F. Barberi, L’antiporta nei libri italiani del Seicento, in “Accademie e biblioteche d’Italia”, L, n. 4-5, 1982, pp. 347-370.

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1692-1696), «enrichies de figures» di Jacques Punt56, ma anche la più tarda (Paris, Pierre Prault, 1734), impreziosita dai disegni del pittore François Boucher (1703-1770) con le 33 singole scene tratte dalle commedie di Molière57, e incise da Laurent Cars, che ebbe ampia circolazione nella Serenissima. E proprio da queste – ma è soltanto un’ipotesi – Goldoni potrebbe aver preso spunto per le vignette58. Il disegnatore veneziano, incaricato dal Pasquali e da Goldoni, per istoriare i «Rami» dei frontespizi, sarà il poeta e pittore Pietro Antonio Novelli (Venezia, 1729-1804)59. L’incisore su rame sarà, invece, il bellunese Antonio Baratti (Belluno, 1724-Venezia, 1787), tranne per i disegni dei tomi XI e XII affidati a Marco Sebastiano Giampiccoli60 (Venezia, 1737-1809). Nell’impossibilità di distinguere la responsabilità inventiva del disegnatore dall’abilità dell’esecutore e nondimeno dai possibili interventi dell’editore, sembra ovvio dedurre che il commediografo, risiedendo ancora a Venezia durante la stampa dei primi quattro tomi (agosto 1761-aprile 1762), abbia avuto la possibilità di indicare, per ogni volume (e forse, anche per il quinto), direttamente al Novelli non soltanto la scelta delle due figure allegoriche e delle citazioni latine presenti nei frontespizi, quanto l’argomento, «un qualche pezzo della

56 Cesare Molinari ipotizza che proprio dai disegni di J. Punt, il Novelli possa aver preso spunto per le vignette della Pasquali, cfr. op. cit., pp. IX-XX. 57 Come ricorda Elena Bassi: «Nel 1682 Lagrange e Vivot, a Parigi, pubblicano un’edizione completa ed illustrata di Molière [che sarà tradotta da Nicolò Castelli, Lipsia, 16961698; cfr. D.B.M.I., p. 251]. Un’incisione di Jean Sauvé, da disegno di Paul Brissard, artisti entrambi attivissimi nella seconda metà del Seicento, illustra ciascuna commedia», in Id., Le illustrazioni italiane e francesi delle commedie goldoniane, cit., pp. 77-86. 58 Roberta Turchi osserva che riviste quali il «Mercure» e soprattutto lo «Spectator» di Addison e Steele, dal 1711 già tradotto in lingua italiana, e il romanzo di Fielding The History of Tom Jones, tradotto in italiano e ornato da rami, potrebbero avere influenzato l’organizzazione testuale dell’edizione Pasquali, cfr. R. Turchi, Un’edizione «colta e magnifica», cit., pp. 403-417 (pp. 403-408). 59 Cfr. R. Gallo, L’incisione nel ’700 a Venezia e a Bassano, Venezia, Libreria Serenissima, 1941: «le commedie del Goldoni in 17 volumi con 89 tavole disegnate quasi tutte dal Novelli ed incise da Antonio Baratti», p. 36. Il Novelli sarà anche l’illustratore delle Opere teatrali di Goldoni, pubblicate da Zatta in 47 volumi dal 1788 al 1795, con circa 600 tavole, ma molto più piccole, sommarie e di taglio orizzontale, rispetto ai rami della Pasquali. 60 Si deve alle ricerche del De Nard e ad una serie di suoi riscontri documentari inoppugnabili l’aver chiarito l’equivoco, facendo finalmente luce sull’identità di questo artista, figlio di Giuliano Giampiccoli e nipote di Marco Antonio Giampiccoli, cfr. E. De Nard, Marco Sebastiano Giampiccoli: un caso di omonimia, in “Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore”, LVII, 254 (gennaio-marzo 1986), pp. 14-23. Lo precisa R. Turchi, cfr. E.N.M.I., p. 398, n. 9.

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mia vita»61, da rappresentarsi nell’antiporta e di controllare successivamente di persona la bozza ultimata del disegno. Avendola così sotto gli occhi, gli sarà stato facile soffermarsi sull’immagine, descriverla e commentarla nella prefazione ad essa connessa62. E ci chiediamo: il soggetto della vignetta è stato scelto prima di scrivere il testo della prefazione al tomo, e in questo caso l’autore del racconto già sapeva dove e come collocare nello scritto il commento dell’immagine? Oppure con il testo già definito, già interamente abbozzato, Goldoni sceglie quale brano debba assumere l’importanza di rinviare all’illustrazione, indicandolo al disegnatore? Nel primo caso l’«immagine visuale»63 guida la scrittura, mentre, viceversa, nella seconda, è il testo a dettare la necessità di “quella” determinata figura. Questa procedura crea un evidente mutamento di strategia narrativa nelle prefazioni della Pasquali, scandita tra la permanenza di Goldoni a Venezia fino all’aprile del 1762 e il successivo soggiorno a Parigi. Difatti, dalla prima e fino alla quarta prefazione, il commediografo, ospite ancora della Serenissima, avrà la bozza della vignetta sott’occhi e la potrà, con dovizia di particolari, commentare nella relativa prefazione; mentre nelle seguenti, scritte a Parigi, Goldoni, non conoscendo con precisione l’immagine, farà soltanto cenno ad essa come a un episodio tra tanti. Non soltanto, dunque, i passi di commento alle illustrazioni delle prime quattro prefazioni (e della quinta), saranno più dettagliati rispetto alle brevissime chiose presenti

61 Nemmeno i «rami istoriati» (e il pittore Novelli) sfuggiranno agli strali di Carlo Gozzi. Nel recente ritrovamento del Fondo Gozzi, tra gli scartafacci preparatori a La Marfisa Bizzarra di Carlo Gozzi, è dato leggere: «A che ridotto un pittore per vivere, a fare disegni per i Rami. Commedie Matteo [Goldoni], lo stesso che a dipingere un cesso». E successivamente, sempre negli scartafacci, Gozzi rincara la dose facendo, in polemica sempre con Goldoni, dei nomi precisi: «Declamazioni e lamento con alcuni pittori nominati viventi che tal pazzo costume corre anche oggidì. Nogari, Tiepolo etc. Novello ridotto a far disegni da illustrar libri cattivi, quasi chiamato a rendere immortale col suo pennello e disegno lo stanzino del cesso». Su gentile indicazione di Marta Vanore. 62 Nota Del Beccaro: «La Prefazione al primo tomo Pasquali, pubblicato nell’agosto del ’61, precede dunque l’invito rivolto al Goldoni in quello stesso tempo di trasferirsi a Parigi; le tre successive sono pure stese a Venezia e rivelano tutte – nella loro sommarietà – troppo scoperto il fine meccanico d’illustrare le rispettive incisioni in rame riprodotte sulle antiporte dei volumi e raffiguranti altrettanti episodi della vita destinati a stimolare una sorta di narrazione radiale», in C. Goldoni, Memorie italiane, a cura di F. Del Beccaro, Milano, Mondadori, 1965, pp. 9-25 (pp. 12-13). 63 Cfr. I. Calvino, Visibilità, in Id., Lezioni americane, Milano, Garzanti, 1988, pp. 81-98 (pp. 88-89), ora in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, I, Milano, Mondadori, 1995, pp. 697-714 (p. 704).

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nelle successive inviate dal commediografo da Parigi64, ma sarà il tema stesso della vignetta, nel suo complesso, ad assumere un ruolo narrativo strategico all’interno di ogni Autore a chi legge (esemplare quella relativa al tomo IV), agevolato dalla esiguità delle stesse prefazioni: Egli è indicato nel Rame del Frontispizio suddetto, e vi è mia Madre, che compiacevasi infinitamente del mio genio ch’ella chiamava talento, e vedesi delineato un certo di lei Compare, cui pareva impossibile, ch’io sapessi far tanto, perché nell’età sua provetta sapeva forse assai meno. Io sono raffigurato nel fanciullo […] (t. I). […] ed ecco nel Primo Rame di questo secondo Tomo Goldoni in mezzo alla Scuola a sventolar la bandiera, che mai s’avrebbe sognato di dover servire di Frontispizio alle mie Commedie (t. II). L’Antiporta, o sia Frontispizio istoriato, che precede il presente Tomo rappresenta un Teatro coll’orchestra fornita de’ Suonatori, ed una figura di Giovanetto in abito femminile in atto di recitare il Prologo della Commedia. Questi è Goldoni, che in età di anni dodici […] (t. III). L’azione rappresentata nel primo Rame di questo Tomo, ed il verso d’Ovidio sottoposto al disegno vuol dire ch’io era costretto a studiare e a difendere la scolastica Filosofia […] (t. IV). Il Rame ch’io presento al pubblico per Frontespizio, o sia Antiporta di questo quinto Volume è un pezzo Comico da lavorarvi sopra una buona Commedia; ma prima di darne la spiegazione, vo’ premettere alcuni fatterelli anteriori interessanti risguardo alle mie vicende (t. V).

La figura, nei primi cinque tomi, assume il compito di una vera e propria «funzione narrativa»65 in stretta relazione con quanto viene raccontato all’interno dell’Autore a chi legge, oltre ad essere un’occasione per l’autore di rimarcare visibilmente «quella via che mi ha condotto al Teatro» (t. XI). 64 Nota Franco Fido: «Ma è facile osservare che mentre le prime quattro prefazioni, composte a Venezia, si limitano a commentare l’episodio raffigurato nell’incisione, dalla quinta in poi (scritte a Parigi) la narrazione si fa continua e tende a fornire non più solo la chiave […] bensì lo sfondo e il contesto dell’illustrazione», in F. Fido, op. cit., p. 120. Si sofferma sulla relazione tra prefazione e frontespizi illustrati anche Lorenzo Tomasin nel paragrafo Un progetto incompiuto, in Id., «Scrivere la vita». Lingua e stile nell’autobiografia italiana del Settecento, Firenze, Franco Cesati, 2009, pp. 165-177. 65 Cfr. G. Pozzi, Ancora il «Polifilo»: l’autore, le vignette, in Id., Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993, pp. 115-143: «All’opposto dell’intreccio, il rapporto tra scrittura e vignetta può essere pensato in relazione all’unità di minima, comparando la singola vignetta al frammento testuale che la concerne, cioè a quella che i narratologi designano col nome di funzione narrativa» (p. 125).

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Le cose, invece, cambiano dal sesto tomo in poi, quando il rapporto tra immagine e commento si modifica. Il motivo è da cercarsi nelle «distrazioni», nella «vita movimentata» di Parigi, «mes nouvelles occupations et la distance des lieux, ont diminué l’activité de mon côté»66, oppure, molto più concretamente, perché Goldoni non vede le illustrazioni disegnate e incise a Venezia dal Novelli?67 e nasce da qui la sua reticenza a chiosare le vignette sulle antiporte? Questo non esclude che Goldoni abbia potuto comunicare in qualche modo al Novelli le sue intenzioni in merito alle vignette da eseguire, accludendo, ad esempio, le indicazioni nel «pacchetto» dei manoscritti inviati da Parigi; ma questo presupporrebbe una posta di ritorno in cui il disegnatore sottoponeva la bozza al Nostro, con un vero e proprio giro di missive e disegni tra Venezia e la capitale francese, tra l’illustratore e l’autore, che poteva anche dirsi non soddisfatto, richiedendo mutamenti al disegno. Va considerato che almeno dal 1773, ovvero dall’undicesimo tomo in poi, questa prassi sarebbe stata del tutto impraticabile. Ribadiamo68, allora, una cauta congettura che rovescia il rapporto autore/disegnatore, e cioè che l’illustratore Pietro Antonio Novelli, una volta Goldoni a Parigi, ricavi il soggetto delle immagini unicamente dalla scrittura delle singole prefazioni inviate a lui dalla capitale francese. Il commediografo nell’appuntare brevemente nell’Autore a chi legge la scena di riferimento al disegno, di fatto la indica al Novelli, segna cosa va illustrato, e, talvolta, gli dà notizia anche delle figure allegoriche da rappresentare e della citazione in latino da inserire nel cartiglio69. Sarà quella, e soltanto quella, l’unica indicazione di un metodo preventivamente concordato. «Metodo» che, a leggerlo in tal senso, potrebbe stare nascosto nella lettera spedita da Parigi all’editore, il 15 luglio del ’72. Le prefazioni sono inviate, insieme alle commedie, direttamente al Pasquali che, a sua volta, le passa al Novelli:

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Cfr. Mémoires, Préface, in Opere, I, p. 6. Il Novelli, assieme al Baratti, era un abituale collaboratore della bottega tipografica, nonché libreria, del Pasquali a Venezia, situata in S. Apostoli e indicata con l’appellativo di «Felicità delle lettere». Per i librai-stampatori veneziani vedi M. Infelise, Gli stampatorilibrai, in Il teatro di Goldoni, a cura di M. Pieri, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 97-109. 68 Questa congettura è stata inizialmente proposta in E. Ajello, Goldoni. Una biografia per immagini tra Venezia e Parigi, in Ein europäischer Komödienautor. Carlo Goldoni zum 300, Geburtstag, München, Martin Meidenbauer, 2008, pp. 119-139. 69 Le indicazioni da parte di Goldoni delle citazioni da inserire in calce nell’antiporta sono presenti soltanto negli Autore a chi legge dei tomi: VI, X, XIII, XIV, XV, XVI, XVII. 67

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Se continuate il metodo sin ora osservato, eccovi provveduto per altri dodici Tomi, e a quest’oggetto vi invio nel pacchetto medesimo i ragionamenti preliminari, ne’ quali mi sono fatto lecito di parlare di me, delle mie opere e delle mie avventure70.

Prassi in qualche maniera ribadita già da quanto scriveva il commediografo da Parigi al Pasquali il 14 febbraio 1763, a proposito dei «Rami» dedicati alle illustrazioni delle scene delle commedie: «fate, che dal bravo Novelli, e dal valoroso Baratti sia disegnato, ed eseguito il rame adatto»71. Infatti, sotto la vignetta (ma non in tutte) riferita alle commedie è riportata l’indicazione dell’Atto e della Scena cui l’immagine si riferisce. La raccomandazione è sibillina e lascia aperto il sospetto che il disegnatore potesse liberamente scegliere il «principale argomento» della commedia da istoriare72. È evidente, comunque, che nella scrittura delle prefazioni, a partire dal tomo sesto, non è più presente un commento al disegno73. Tutte le parti degli Autore a chi legge scritte a Parigi e relative ai «Frontispizi istoriati», divengono semplici didascalie delle immagini, rispetto alle più dense di dettagli (e di trame) delle prime quattro (con l’eccezione della quinta, forse, “vista” da Goldoni prima di partire). L’autore evita di commentare l’immagine e sposta la narrazione verso altri contesti, dando l’impressione che quel rivolgersi al lettore sia soprattutto un’indicazione al pittore: Voi mi vedeste, lettor Carissimo, al principio del Tomo quinto, seguace della Medicina, sotto mio Padre; ecco, ora si cambia scena. Miratemi al Tavolino, sotto la dettatura di un Procuratore, che chiamasi in Venezia Interveniente, o Sollecitatore. (t. VI)

E, se hanno fondamento le nostre induzioni, Novelli legge ed esegue; puntualmente combina in un disegno quanto desume dalle parole: Vedetemi ora nel Frontispizio di questo Tomo, in età di anni sedeci; vedetemi, dico, a Milano in casa del mio Protettore e Benefattore, 70 Lettera del Sig. Dottor Carlo Goldoni..., cit., cfr. E.N.M.I., pp. 392-393 (vedi Allegati, pp. 369-370). 71 Lettera dell’Avvocato Goldoni..., cit., cfr. E.N.M.I., p. 389 (vedi Allegati, p. 366). 72 Osserva Marco Arnaudo: «Tradurre in immagine l’ambientazione riportata dalle didascalie e, entro quella, un’azione significativa del testo, è la norma generale che guida l’opera dell’illustratore», in M. Arnaudo, op. cit., pp. 469-70. Le indicazioni degli atti e scene delle commedie, messe in calce alle antiporte e da cui sono ripresi i soggetti delle immagini, sono però discontinue. Si cfr. l’Appendice iconografica. 73 Cfr. F. Angelini, op. cit., p. 126.

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il Signor Marchese Senatore Goldoni, di cui vi ho parlato nel Tomo quinto. (t. VII) Faceami specie ne’ primi tempi vedere un uomo attaccato alla Corda, e doverlo esaminare tranquillamente, come vedesi nel Frontispizio di questo tomo […]. (t. IX) Osserva, Lettor mio gentilissimo, osserva il tuo Goldoni nel Frontispizio di questo Tomo, e vedilo colla toga forense […]. (t. X) Ciò non ostante ho posto nel frontispizio di questo Tomo il Bellisario in trionfo, perché sendo la prima Opera ch’io ho dato al Pubblico, la sua buona riuscita ha prodotto in me il Contento, ed il buon Augurio, spiegati nelle due figure che sostengono il Cartello del frontispizio medesimo. (t. XIII) Ebbe la mia Accademia perciò tutto l’applauso che poteva desiderare, e l’onore, ch’ella mi ha fatto, mi ha indotto a prenderla per soggetto del Frontispizio di questo Tomo, esprimendo nelle due figure al di sopra la Verità e la Gratitudine, che m’hanno indotto a farla. (t. XIV) Questo bene, questa felicità me l’ha portata in casa e me l’ha conservata la mia virtuosa Consorte. Ne ho fatto giustamente il soggetto del Frontispizio figurato di questo Tomo. La stampa rappresenta il mio Matrimonio, e le due figure al dissopra la Concordia, e la Pace. (t. XV) Il bravo Signor Colonnello colle sue lettere, colle sue patenti, e co’ suoi Sigilli occupa il Frontispizio di questo Tomo. La Fraude e l’Ingratitudine, che sostengono il Cartello, lo accompagnano degnamente; ed il motto latino: Cum relego, scripsisse pudet etc. spiega la vergogna ch’io provo anche al giorno d’oggi rileggendo la confession della mia stolidezza. (t. XVII)

Ma non sempre l’indicazione nell’Autore a chi legge è chiara. Ad esempio, all’inizio e nel finale del Tomo VI è presente soltanto un rapidissimo ragguaglio per la vignetta, di cui evidentemente Goldoni ignora la fattura: «Miratemi al tavolino, sotto la dettatura di un Procuratore […]. Ecco il Signor Procuratore del Foro», ma lo zio Indrich è soltanto una comparsa lì in mezzo agli altri, dietro la scrivania. Un’incongruenza è presente anche nel Tomo X, dove il disegno contraddice vistosamente la didascalia, là dove l’autore scrive rivolgendosi al lettore: Osserva, Lettore mio gentilissimo, osserva il tuo Goldoni nel Frontispizio di questo Tomo, e vedilo colla Toga Forense, all’uso degli Avvocati del suo Paese. (t. X)

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Ma, se la descrizione minutissima dell’abito forense occupa nella prefazione un’intera pagina, non così dettagliata appare la toga nell’immagine. Si vede, invece, un Goldoni nient’affatto in primo piano, ma seduto alla scrivania intento a conversare con due probabili clienti. Non appare la firma del Novelli in calce alla vignetta, ma il tratto sembra suo. Il disegno della toga è dunque confuso e approssimativo a dispetto della minuziosa descrizione presente nel relativo Autore a chi legge. È evidente che l’autore non conosce l’antiporta, mentre la immagina riprodotta nei dettagli da lui così meticolosamente esposti. Voglia di economizzare fantasia da parte dell’illustratore, oppure frutto della decisione di non ornare con una simile noiosa vignetta il frontespizio, che avrebbe anche corso il rischio di duplicare, in qualche maniera, l’antiporta del Tomo VIII? Generico è, anche, il cenno al frontespizio del Tomo XIII: «Ciò non ostante ho posto nel frontispizio di questo Tomo il Belisario in trionfo», che lascia ampia libertà al Novelli per il disegno e crea una liaison tematica con il tomo precedente (il Belisario è concepito a Verona). Medesimo discorso per il Tomo XVI, dove il commediografo nel dare l’indicazione della citazione virgiliana da inserire in calce al frontespizio è invece abbottonato per quanto riguarda il soggetto della vignetta, se non per un vago riferimento all’«epoca per me sfortunata», e lasciando di fatto ampio arbitrio alla fantasia del Novelli: […] onde fra il lucro cessante, e il danno emergente, e coll’aggiunta di quelle avventure, che si combinarono in mio danno, come vedremo, ebbi occasion di dire a me stesso col Principe de’ Poeti Latini: Quo diversus abis? E mi son servito del motto medesimo sotto il frontispizio di questo Tomo, che rappresenta quest’epoca per me sfortunata. (t. XVI)

Il Novelli si sottrae rapidamente al dilemma con un disegno incongruente con gli episodi narrati nella prefazione, disegnando un irriconoscibile Goldoni alla scrivania assediato da una torma di giovani abbigliati in maniera approssimativa, che potrebbe riferirsi, in equilibrata semiosi, sia alla sua attività di avvocato quanto a quella di console della Repubblica genovese74. Non così per il Tomo XIV, nella cui vignetta Novelli interpreta esattamente la pur vaga indicazione ricevuta:

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Vedi, a proposito, anche quanto osserva Roberta Turchi, in Un’edizione «colta e magnifica», cit., pp. 412-413.

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Avvezzo il Popolo a veder sempre sortire la prima Donna a recitare quel Complimento, che sapevano tutti a memoria, riuscì una sorpresa piacevole il vedere tutta la Compagnia in semicircolo, e sentir cose nuove, e in vari metri, e con arie invenzioni sentir gli elogi della Città, del Governo, e degli ordini vari delle persone. (t. XIV)

In alcuni tomi, Goldoni sembra addirittura dimenticare del tutto l’esistenza dell’illustrazione. Nell’Autore a chi legge del Tomo VIII, ad esempio, non c’è alcuna allusione alla vignetta che avrebbe potuto far comprendere al Novelli il tema da illustrare; e poiché questa prefazione include molti episodi di possibili soggetti, il disegnatore potrebbe avere scelto di sua iniziativa il «rame adatto»; e sarebbe, quindi, soltanto sua la decisione di raffigurare emblematicamente la presenza, in qualità di convittore al Collegio Ghislieri, del giovane Goldoni. Nemmeno nella prefazione al Tomo XI vi è allusione alla vignetta che rappresenta il viaggio, o meglio la fuga, in burchiello, di Goldoni dai debiti e dall’impegno matrimoniale, da Venezia a Padova. Soltanto un frammentario riferimento al viaggio, che funziona soprattutto da collegamento narrativo con l’ultima parte del tomo decimo: Alla fine del mio ragionamento nel tomo decimo voi mi lasciaste nella Barca, o sia Burchiello di Padova, di cui avete la descrizione nel primo Tomo de’ miei componimenti diversi. Immaginatevi con qual rammarico, e con qual pena intrapresi un viaggio suggeritomi dalla disperazione. (t. XI)

Forse il Novelli aveva già abbozzato per il tomo precedente il disegno del viaggio in barca, e volendo evitare di rappresentare la toga dell’avvocato Goldoni, coglie ora l’occasione di tirare la vignetta via dal cassetto? Eppure l’Autore a chi legge dell’undicesimo tomo è denso di avventure illustrate, ad esempio la lettura del dramma per musica «Amalassunta» a Milano, in teatro, ospite del conte Prata, la distruzione della stessa nel caminetto della stanza d’albergo, l’assunzione presso il veneto Residente nel capoluogo lombardo, l’incontro con i commedianti del ciarlatano Buonafede Vitali e l’amicizia con l’attore Casali, e, per ultimo, l’incontro con la bella veneziana all’osteria della Cazzola nella periferia di Milano. Lascia perplessi anche la prefazione al Tomo XII, dove Goldoni non invita il lettore (e il Novelli) a «vedere» il «Frontispizio istoriato». Soltanto nel mezzo della narrazione l’autore narra del casuale ingresso nell’Arena di Verona, dovuto ad una rappresentazione teatrale dei Comici del teatro del San Samuele, a cui segue la descrizione di un

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teatrino dell’Arte montato «nel piano di quell’ampio recinto». E il disegnatore coglie da qui l’occasione per proporre una bella vignetta di esterni. Medesimo discorso si pone per i «rami istoriati» che adornano, rispettivamente, l’antiporta dei due tomi Delli componimenti diversi, dove, nelle prefazioni, non vi è nessun riferimento alle illustrazioni e appare evidente che Goldoni non li conosce. È soltanto il Novelli a scegliere e disegnare il senso oltre che il tono di quelle scritture? Nella prima introduzione, Goldoni si scusa con gli abbonati per il ritardo nella pubblicazione delle sue «barzellette […] dette abusivamente Poesie». Tutta la Lettera agli Associati gira intorno a questo motivo e le cause (e le discolpe) per la mancata puntualità nell’uscita dei volumi sono essenzialmente due: l’una, gli impegni eccessivi a seguito delle richieste insistenti di «comporre per debito, o per gratitudine. In occasioni di Monache, o di Sposalizi», in cui si ricorre «al Poeta Comico per rallegrare la festa»; l’altra: la permanenza nella capitale francese: «Chi conosce Parigi, sa l’effetto che può produrre ne’ primi mesi una sì grande, una sì strepitosa Città»75. Novelli tra queste due motivazioni sceglie la prima e ci consegna la godibile scena di un Goldoni trafelato, seduto a tavolino, con le mani nei capelli (o nella parrucca), mentre sulla scrivania si affastellano fogli scritti e stuoli di questuanti gli si affollano dintorno. Stessa osservazione per la vignetta del secondo tomo Delli componimenti diversi, dove è raffigurato un signore (Goldoni) che consegna un «grosso» libro a quello che potrebbe essere un cocchiere pronto a partire, visto che stringe nella mano un frustino da cavallo. Sullo sfondo campeggiano i giardini e la reggia di Versailles, ma potrebbero anche essere le ville venete lungo il Brenta. Anche qui Novelli disegna un’intenzione, ovvero il gesto racchiude il senso di quanto scritto dall’autore nella premessa, che, mortificato del ritardo nelle stampe dei volumi, riconosce le proprie colpe. Ma l’incisore non ferma nel disegno soltanto l’atto di una ricompensa simbolica, quanto soprattutto l’allegoria di un’amara quanto definitiva lontananza dell’autore dalla sua Venezia. Ma al di qua di tutte le oscillazioni di proporzione tra testo e figura, appare evidente l’intenzione di Goldoni a che immagine e prefazione si rafforzino in maniera vicendevole, consegnando più sorpresa 75

Cfr. Agli Associati, t. I, in E.N.M.I., p. 408 (vedi qui Delli Componimenti diversi, pp. 350-351).

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all’evento e imprimendo una maggiore memorizzazione (una maggiore memorabilità) di quanto narrato. La figura assume sempre un ruolo di testimonianza; autentica l’accaduto. Il «Frontispizio istoriato» consegna credito al racconto della prefazione che, a sua volta, legittima l’immagine, come a dire: “questo è sicuramente accaduto”, o, come avrebbe detto Roland Barthes, a proposito del noema della fotografia: «la chose a été là […] Ça-a-été»76. Ciò è stato. Si crea, insomma, un circuito semanticamente virtuoso. La vignetta assume un ruolo di certificazione come messa su un «passaporto da esibire immancabilmente alla frontiera di ogni racconto dell’io»77, anche per cautelare, fin dove è possibile, le menzogne nascoste, talvolta, sotto le parole. Quale, se non altro, ad esempio, la ragione del testimone Signor Abate Valle, incontrato nella prefazione e mostrato nella vignetta del primo tomo, testimone letteralmente oculare della prima commedia di Goldoni scritta «in tenera età»78. 76 Cfr. R. Barthes, La chambre claire. Note sur la photographie, Paris, Seuil, 1980, p. 120; trad. it. La camera chiara, Torino, Einaudi, 1980, p. 78. 77 Cfr. A. Battistini, L’«io» autobiografico tra professione di veridicità e menzogne della scrittura, in “Revue des études italiennes”, XLI, nos. 1-4, Janvier-Décembre 1995, pp. 39-46 (p. 39). 78 Questo medesimo aneddoto, ad essere esaustivi, era già stato raccontato, quasi con le stesse parole (Signor Abate Valle compreso) da Goldoni nella Prefazione all’edizione Bettinelli di dieci anni prima (1750): «[…] mi sovviene, che sul solo esemplare di quelle del Cicognini in età di ott’anni in circa una Commedia, qual ella si fosse, composi prima d’averne veduto rappresentar alcuna in sulle Scene, di che può render testimonianza ancora il mio carissimo Amico il Sig. Abate Don Giacopo Valle», Prefazione all’edizione Bettinelli (1750), in E.N.P.E., p. 89, qui p. 79; e nella stessa Pasquali, con modifiche; e sarà di nuovo raccontato nel primo capitolo della prima parte dei Mémoires. Dove, se il passo della Pasquali potrebbe essere accostato ad un canovaccio da commedia dell’Arte, nei Mémoires la commedia è già un microscopico copione da consegnare agli attori per una recita (visto il maggiore intrigo e l’inserimento di nuove comparse). Nella riscrittura dell’episodio nei Mémoires (I, 1) compaiono altri personaggi (la governante, la zia) e la trama è leggermente più complessa: «[…] à l’âge de huit ans, j’eus la témérité de crayonner une Comédie. J’en fis la premiere confidence à ma bonne, qui la trouva charmante; ma tante se moqua de moi; ma mere me gronda et m’embrassa en même tems; mon Précepteur soutint qu’il y avoit plus d’esprit et plus de sens commun que mon âge ne comportoit; mais ce qu’il y eut de plus singulier, ce fut mon parrain, homme de robe, plus riche d’argent que de connoissances, qui ne voulut jamais croire que ce fût mon Ouvrage. Il soutenoit que mon Précepteur l’avoit revue et corrigée: celui-ci trouva le jugement indécent. La dispute alloit s’échauffer: heureusement une troisieme personne arriva dans l’istant, et les appaisa. C’étoit M. Vallé, depuis l’Abbé Vallé, de Bergame. Cet amis de la maison m’avoit vu travailler à cette piece: il avoit été témoin de mes enfantillages et des mes saillies. Je l’avois prié de n’en parler à personne: il m’avoit gardé le secret; et dans cette occasion faisant taire l’incrédule, il rendit justice à mes bonnes dispositions» (p. 13); trad. it.: «[…] a otto anni osai abbozzare una commedia. Ne feci una prima confidenziale lettura alla governante che la trovò graziosa; mia zia mi prese in giro; il mio precettore giudicò che vi fosse più ingegno e buon senso di quel che la mia età comportasse; ma il fatto più singolare fu che il mio

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Ciascheduna immagine dei «Rami istoriati» assume così un duplice ruolo: sintetizza e rinvia; semplifica un discorso in un giro ristretto di tratti ma si amplia, contemporaneamente, nel racconto di un’esistenza, senza falsificazioni apparenti o infedeltà. L’analogico del disegno ribadisce insistentemente un dato che non si può contraffare, un fatto, e lì non vi può essere trucco. Il che richiama, d’altro lato, il ruolo dei ritratti in pittura79 del commediografo. Nella Pasquali ce n’è uno riprodotto e collocato nel primo tomo: un disegno del Tiepolo, inciso dal Pitteri. Dei suoi ritratti, Goldoni ne fa un uso autoriale insistente. Quasi ogni edizione, da lui curata, possiede una sua riproduzione in posa e in bella mostra, dalla Bettinelli80 alla Paperini, alla Gavelli81, al Nuovo Teatro Comico (Pitteri), alla Fantino-Olzati82, al primo tomo della Zatta e ad inizio degli stessi Mémoires83. Un uso quasi epidittico dell’immagine. Come per i ritratti, le vignette ribadiscono la medesima funzione, indicativa, deittica (ecco, guarda) nell’insistenza di un «io», che si conferma nel ruolo di autore (di contro all’autonomia dell’attore) in quella «identificazione, – come scrive Lotman – non soltanto mistica ma anche giuridica, tra l’individuo e il suo ritratto»84. Ed è così che padrino, un uomo di toga che aveva più familiarità con il denaro che non con la cultura, sempre si rifiutò di credere che essa fosse opera mia. Egli sosteneva che l’avesse riveduta e corretta il mio precettore: costui reputò tale giudizio del tutto sconveniente. La disputa andava rinfocolandosi: per fortuna arrivò una terza persona al momento opportuno e li calmò. Era il signor Valle, poi abate, di Bergamo. Tale amico di famiglia mi aveva visto lavorare alla commedia: era stato testimone delle mie esuberanze e delle mie bambinate. L’avevo scongiurato di non parlarne ad alcuno: aveva mantenuto il segreto, ma in codesta occasione, ponendo a tacere l’incredulo, rese giustizia al mio talento» (Memorie, p. 30). 79 Sui ritratti di Goldoni, cfr. G.M. Pilo, Ritratti di Carlo Goldoni, Venezia, Edizioni della fortuna, 1957. 80 Nell’edizione Bettinelli (1750) il ritratto lo si deve ad un anonimo disegnatore; ritratto che non piacque al Goldoni che non volle si ristampasse nelle edizioni successive. Il disegno aveva inciso in basso a sinistra una scimmia, come era nell’«ordinario» delle illustrazioni delle raccolte di testi teatrali. A questo proposito cfr. L’autore a chi legge, t. II. 81 Nell’edizione della Stamperia Gavelliana, Pesaro, 1753, Goldoni è raffigurato nella effigie di una moneta e con la scritta in circolo: Carolus Goldonius advocatus venetus. 82 Le commedie del Dottor Carlo Goldoni avvocato veneziano, Torino, Rocco Fantino ed Agostino Olzati, 1756. 83 Nell’edizione Paperini (nel terzo tomo), il ritratto è di Giambattista Piazzetta (16821754), l’incisione di Marco Alvise Pitteri; il ritratto di Goldoni che adornava l’antiporta del primo volume della Zatta era opera di Giuseppe Daniotto, ritratto che, secondo Filippo Pedrocco, fu derivato da quello eseguito a Parigi da Nicolas Cochin e inciso da Pierre Adrien le Beaum, come antiporta del primo volume dei Mémoires (cfr. Il teatro illustrato, cit., p. 573). Vedi, a questo proposito, La maschera e il volto di Carlo Goldoni. Due secoli di iconografia goldoniana, cit. 84 Cfr. J. Lotman, Il ritratto, in Id., Il girotondo delle muse. Saggi sulla semiotica delle arti e della rappresentazione, a cura di S. Burini, Bergamo, Moretti & Vitali, 1998, pp. 63-96 (p. 64).

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se la successione delle prefazioni sembra anticipare i migliori feuilletons ottocenteschi, illustrazioni comprese, nello scandire le puntate precedenti: «Voi mi vedeste, Lettor carissimo, al principio del tomo V» (t. VI); nell’accompagnare la trama: «Proseguisco, Lettor carissimo a intrattenerti col racconto delle mie avventure» (t. X), o nelle brevi anticipazioni: «come mi riserbo a dire nel Tomo sesto» (t. V), i frontespizi assumono un compito ulteriore: marcano un memorabile dato autoriale. Documentano l’esistenza visibile, concreta, lì nella figura, di una «funzione autore»85 – come dire? – performativa, assolutamente inscindibile sia dalla didattica protocollare della riforma, sia dai testi stessi delle commedie raccolte più avanti in volume. Chiarire, precisare, informare, fornire dati, è una prassi costante del testo, la messa in racconto della prosa saggistica della Prefazione alla Bettinelli, insomma. Inoltre, queste vignette assumono un ruolo – come dire? – di “movimento”. Le immagini scandiscono, mettono in evidenza, una condizione dell’autore in puntuali momenti di successo o fallimento, e non necessariamente in una linea ininterrotta – potremmo dire – di formazione. Divengono decisamente dei “successi”, dei compimenti positivi di un percorso, le vignette che racchiudono ed esaltano, appunto, il trionfo dell’eroe quali quelle raffigurate nelle antiporte dei tomi I, II, VI, VII, VIII, IX, X, XII, XIII, XIV, XV, XVI; mentre rappresentano un insuccesso o un rischio corso dal protagonista quelle presenti nei tomi: III, IV, V, XI e XVII. Mobilità è lemma da tener di conto. Le prefazioni della Pasquali si susseguono legate alla committenza dell’edizione che impone un costante avanzamento, a «pezzi», della storia. Quasi ogni incipit delle prefazioni riassume il trascorso: «Voi mi vedeste, Lettor carissimo, al principio del Tomo quinto, seguace della Medicina, sotto mio Padre; ecco ora si cambia scena» (t. VI), e quasi ogni exit anticipa gli accadimenti del prossimo «come vedrai, Lettore carissimo, nel Tomo seguente, se avrai la bontà e la sofferenza di leggere» (t. IX), e tutto il percorso spinge innanzi, «per quante strade diverse la mia stella mi ha fatto passare» (t. VII). In questo utile riassumere al lettore e nell’anticipargli gli eventi prossimi, di tomo in tomo, si dispiega una mobilità “in avanti” dell’intera scansione narrativa delle prefazioni, consegnando l’impressione di un testo rivolto al futuro. La ricerca ossessiva del 85

Cfr. M. Foucault, Qu’est-ce-qu’un auteur?, trad. it. Che cos’è un autore?, in Id., Scritti letterari, a cura di C. Milanese, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 1-21.

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nuovo, dell’originale, così eclatante dappertutto in Goldoni, è indice di un un’ansia di sottrarsi al definitivo, al trascorso. Nelle Memorie italiane non c’è posto per i gesti nostalgici, malinconici, per i finali, ma è ogni volta un vivace riprendere daccapo vita e teatro, tra entusiasmi, sorprese, novità: un arcipelago sconfinato di imprevedibili «fatterelli» messi in successione fino a costruire una pertinente processione di grandi eventi. Il movimento, la partenza, il viaggio sono temi a cui sa adeguarsi il Novelli e che trasmette bene alle figure come fermate, momentaneamente, nel corso di un’azione. Questa procedura “mossa” si lega con l’etimo della stessa riforma teatrale. L’avere rivoltato, da parte di Goldoni, le regole della commedia dell’Arte è stato anche un aver voluto spostare innanzi una prassi recitativa (e inventiva), estrarre da una tradizione l’originale che conteneva e assicurarle la possibilità di una differente continuità. L’autore rivolgendosi al lettore (e non soltanto al lettore a lui contemporaneo) dà l’impressione di voler far rimbalzare le Memorie italiane innanzi86, istruirne una continuità leggibile anche forzando la stasi, con «argomenti o soggetti per nuovi intrecci […] fatterelli interessanti riguardo alle mie vicende» (t. V), che gli oppone il genere autobiografico in cui sono costrette. L’inserimento di una nuova commedia «non più stampata» tra le quattro già edite in ogni tomo, è indice non soltanto di una semplice attrattiva all’acquisto dell’opera, ma di una strategia progressiva «delle opere mie […] che andrò scrivendo nel corso del tempo necessario al termine di questa mia voluminosa Edizione»87. Non è da trascurare nemmeno il dato che l’infausta esperienza recitativa dei comédiens parigini, le commedie del Chiari lasciate in strabilianti successi a Venezia e il sopraggiungere delle Fiabe del Gozzi, consegnavano a Goldoni, nel mentre scrive le sue lettere da Parigi, la sensazione di una riforma rimasta tronca, non ancora ben assestata, non entrata pienamente nelle prassi recitative del teatro comico, e tutto questo all’altezza dei tomi dall’XI al XVII, prefazioni redatte con molta probabilità nell’arco degli anni 1768-73, relative alla pub86

Cfr. Nicola Mangini: «[…] potrà sembrare che Goldoni scrivendo i Mémoires guardasse al suo passato, in un atteggiamento come di superiore saggezza; invece la sua attenzione è proiettata nel futuro: la sua preoccupazione sono i posteri e ad essi, appunto, con un “animus” non molto diverso da quello di tanti altri scrittori, dedica questa sua estrema fatica», in N. Mangini, Interpretazione dei Mémoires, in Id., La fortuna di Carlo Goldoni e altri saggi goldoniani, Firenze, Le Monnier, 1965, pp. 140-173 (p. 146). 87 Cfr. Lettera..., in E.N.M.I., p. 380 (vedi Allegati, p. 360).

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blicazione dei volumi editi tra il 1773 e il 1780 e che raccontano gli eventi degli anni tra il 1731 e il 1742. Eventi che, non casualmente, nelle Memorie italiane, al di là della logica scansione dei tempi, si fanno più utili per una storia del teatro che per una biografia, in quanto Goldoni ha probabilmente la percezione (da Parigi) di una riforma teatrale, ripeto, ancora fragile, non del tutto assimilata e nemmeno accolta completamente dagli attori. Bisognerà attendere la seconda noiosa parte dei Mémoires, per ritrovare nel catalogo (ossessivo) dei riassunti delle commedie, la tranquillità di una sistemazione definitiva delle commedie (da leggere), sistemate per capitoli o per teche successive, in un ideale e sfogliabile museo di carta. Le vignette, inoltre, si possono usare anche secondo due differenti modalità. C’è la possibilità di un loro duplice utilizzo: plurale oppure singolare. Nel primo caso, le illustrazioni si susseguono in una sequela di eventi, come sfogliando un album, voltandone le pagine e questo induce il lettore a volerne sapere di più, a scovare nello scritto il punto esatto, la “didascalia” che spieghi il senso dell’immagine. La collocazione della vignetta nell’antiporta si distingue dall’abituale sistemazione delle illustrazioni nei libri cum figuris. Non all’interno della prefazione, ma sul davanti. Il «frontespizio istoriato» fa soltanto da vestibolo, da copertina illustrata e innesca curiosità. La posizione è strategica perché asseconda un movimento oculis di lettura e sguardo in una sorta di andirivieni tra figura e testo. Nasce, come osserva Giovanni Pozzi, in altro contesto, «sconcerto» (provvido sconcerto) in chi legge: «la vignetta anticipata proietta il lettore in avanti alla ricerca di un contenuto linguistico confacente a quello che gli offre la figura e non ancora la parola»88. Inoltre ad utilizzare un letterale cursore, appare evidente che le didascalie a commento dell’immagine scorrono in maniera differente lungo lo spazio testuale degli Autore a chi legge. Se la collocazione dell’immagine è costante nelle antiporte, non così il riferimento ad essa nella scrittura della prefazione. Ad esempio, il rinvio didascalico all’illustrazione è situato in una posizione iniziale nei tomi: I, III, IV, VI, VII, XI, mentre nei restanti tomi: IX, X, XII, XIII, XIV, XV, il brano relativo alla vignetta è inserito e seminascosto nel giro di due righe nel corpo del testo, o addirittura verso il finale: tomi II, V, 88

Cfr. G. Pozzi, Ancora il «Polifilo»: l’autore, le vignette, in Id., Sull’orlo del visibile parlare, cit., pp. 115-143 (p. 130).

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XVII (sono esclusi il tomo VIII e XVI, dove non vi sono riferimenti all’immagine). Il lettore, mentre legge, è indotto a tornare indietro verso l’immagine e da questa, di rimbalzo, allo scritto creando una passeggera sinestesia tra parola e figura, utile a chiarire, ma soprattutto a legittimare, più che a spiegare l’accadimento. Inoltre, il riferimento alla figura, in alcune prefazioni, è ben nascosto nella prosa, ed è tutto da scovare, come in un giuoco di società. Viene da pensare, con un temerario, ma non del tutto improponibile paragone, all’illustrazione dei “santini”, quei leggeri bigliettini che ad aprirli hanno di lato l’immagine del santo e a lato la preghiera, e dove lettura e sguardo costruiscono istantaneamente un tutt’uno coreografico. La preghiera rinvia costantemente alla vicina icona, affonda nella combinazione del figurato e dell’inno e tutte e due si confermano in «reciproca relazione»89. L’accezione di fedeltà di relazione che una scrittura e un’immagine sacra pretendono dal credente è quanto poi Goldoni, a sua volta, reclama dal suo lettore nel rinvio “consustanziale” tra immagine biografica e testo biografico, beninteso senza nessuna «contemplazione astratta», anzi per «evocare» (ed accreditare) soltanto quanto concretamente accaduto. E – osserva la Turchi – anche in un gioco di sovversioni avversative, di «ma», di contrasti tra quanto raffigurato e quanto poi diversamente narrato90. Ma, volendo (seconda modalità), le immagini si possono anche “leggere” indipendentemente dal testo, come un fumetto senza ballons o didascalie. In tal senso la serie delle vignette può assumere una valenza autonoma assecondando una particolare paratassi figurata. Presi uno per volta, i «Frontispizi» non innescano un racconto molteplice, ma singolare. Ne basta uno per sintetizzare una vicenda «essenziale», senza procedere di stazione in stazione. Il che suggerisce una sorta di nuova percezione del mondo da parte di Goldoni; il «mondo nuovo» con i suoi oculari e cartoni disegnati è lì di fianco, nelle strade (e nei suoi versi).

89 Cfr. G. Pozzi, Dall’orlo del «visibile parlare», in Id., Sull’orlo del visibile parlare, cit.: «Testi da una parte, immagini dall’altra, che a noi appaiono come indipendenti, erano in realtà in reciproca relazione: preghiere formulate con riferimenti alle varie parti di un’immagine, immagini delineate secondo gli schemi di determinate preghiere. Era un rapporto così frequente che poteva anche venir contestato o sconsigliato, sia perché l’immagine impediva la contemplazione astratta, sia perché la figura evocava in modo troppo corposo la realtà accennata dal testo», pp. 439-464 (p. 451). 90 Cfr. R. Turchi, L’immagine di sé, in E.N.M.I., pp. 39-41.

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È un concetto visivo che s’impone, aiutato da un profluvio di esortative: «Miratemi», «Osservate», «Vedetemi» presenti nella prosa degli Autore a chi legge. Si osservi, ad esempio, il frontespizio del matrimonio anteposto al Tomo XV; sembra una istantanea immessa, appunto, in una lanterna magica (allora già ben funzionanti) o da incollare, eventualmente, in un album91. L’incisione ad apertura del primo tomo, ad esempio, sembra contenere in nuce un’intera fabula. Vediamo un giovanissimo Goldoni seduto alla scrivania alle prese con la sua prima commedia. Nella prefazione che l’accompagna, si legge: […] principiando dall’età d’anni otto, in cui il genio Comico principiava in me a svilupparsi, composta avendo in sì tenera età una Commedia, di quel valore, che aspettar si potea da un bambino. Non mi sovviene ora, né il titolo, né l’intreccio, ma vive tuttavia un Testimonio di tal verità nella persona del Signor Abbate Valle Bergamasco, amico di casa mia fin d’allora. Egli è indicato nel rame del Frontispizio suddetto, e vi è mia Madre, che compicevasi infinitamente del mio genio, ch’ella chiamava talento, e vedesi delineato un certo di lei Compare, cui pareva impossibile, ch’io sapessi far tanto, perché nell’età sua provetta sapeva forse assai meno. Io sono raffigurato nel fanciullo, che pel Compare incredulo si adirava, e vedesi la mia libreria di quel tempo, consistente in Commedie di quel genere, che in allora correva92.

Difatti, avvicinando lo sguardo al disegno, sui dorsi dei volumi riposti in bell’ordine sulle mensole della libreria, è possibile scorrere finanche i nomi degli autori teatrali, dal Gigli al Fagiuoli, dal Maggi al De Lemene, tradizione alla quale Goldoni si riferisce (e si distingue) nella sua riforma. Il «Rame istoriato» è quasi un elenco di dramatis personae, di personaggi utili ad una breve scena di commedia: un evento straordinario (un «bambino» che compone un testo teatrale), una meraviglia amorosa (la «madre»), un ostacolo (l’incredulità del «Compare»), lo 91 La prima fotografia, «la veduta di Graz» scattata da Joseph Nicéphore Niepce è del 1826, e le sperimentali proto-fotografie, i «disegni fotogenici» di Thomas Wedgwood sono di fine Settecento, e Goldoni muore nel 1793. Viene da pensare che per poco più di trent’anni non abbiamo un dagherrotipo del nostro commediografo. Sir Joshua Reynold, nel suo Journey to Flanders and Holland (1781), scrive: «Vista di una chiesa, di van der Heyden, il suo quadro migliore: due frati neri salgono gli scalini. Benché il quadro sia rifinito, come sempre, con molta accuratezza, egli non ha dimenticato di lasciare, nello stesso tempo, una grande fascia di luce. I suoi quadri hanno lo stesso effetto della natura vista in una “camera oscura”», cit. in S. Alpers, The Art of Describing. Dutch Art in the Seventeenth Century [Chicago, 1983], trad. it. Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, Milano, Bollati Boringhieri, 1984, pp. 1-2. 92 Cfr. L’Autore a chi legge, t. I, qui pp. 98-99, in E.N.M.I., p. 96.

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scioglimento felice (la testimonianza dell’«Abate»). Ma non è soltanto un artificio teatrale. L’illustrazione assume ancora un altro ruolo, uno splendido «movimento scenico del periodare», per dirla con Folena93, un’autonoma capacità di racconto. L’immagine dipana da sola una velocissima storia e i dettagli, i personaggi, come le prospettive e anche gli oggetti stessi assumono un ruolo narrativo del tutto indipendente, simbolico, memorabile ancora una volta. Se, come scrive Goldoni, «esaminiamo un poco la scena»94, l’illustrazione raccoglie non soltanto quattro personaggi, ma campiscono la figura anche tre cose: la penna d’oca levata in aria, la scrivania e la libreria. Oggetti reali, consistenti nella loro funzionalità. La “morale” laica, il verisimile del teatro goldoniano è fatto di cose, di “sostanze”: lavoro, denaro, relazioni, impegno. Centrale, nell’illustrazione, è quel gesto dello scrivere. Ogni sguardo conduce lì, indica la passione della scrittura ma anche il lavoro. La genialità e lo studio, «l’uomo coll’ingegno e con la pazienza fa tutto quello che vuole» (t. XVI). La penna levata in alto, il calamaio, il testo e l’illustrazione muovono insieme verso il luogo passionale della letterarietà, fatta non soltanto di «genio comico» ma anche di costanza e dello «sfadigar» (la scrivania), di tradizione (la libreria) e «della fretta con cui parecchie volte ho dovuto scrivere». Questo luogo concreto e il disegno delle sue cose, la camera, il tavolo, la penna, la carta, gli sguardi dei personaggi come spettatori, sembrano avvolgere e suggellare in un disegno e rendere – perché no? – indimenticabile l’onorata «professione di Scrittor di commedie» dell’Avvocato Goldoni95.

III. Amalgamare A “metterle contro luce” le Memorie italiane sono duali, appaiono fatte, innegabilmente, di due testi autonomi (ma non indipendenti) e soprattutto di difficile amalgama: il racconto di una vita e la storia di 93

Cfr. G. Folena, L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, cit., p. 111. Nei «Rami istoriati» è presente una sorta di “effetto Ventaglio”. Mi riferisco alla commedia Il ventaglio (1764) che, secondo la didascalia dettata da Goldoni, a sipario sollevato, offre allo sguardo degli spettatori una scena soltanto da guardare, una sorta di pantomima silenziosa: «Alzata la tenda, tutti restano qualche momento senza parlare, ed agendo come si è detto, per dar tempo all’uditorio di esaminare un poco la scena», in C. Goldoni, Il ventaglio, a cura di P. Ranzini, Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2002, p. 90. 95 Già nostro contemporaneo come dal titolo del volumetto di C. De Michelis, Goldoni nostro contemporaneo, Venezia, Marsilio, 2008. 94

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una riforma teatrale, come ben riassunto, dall’autore stesso, nell’incipit del Tomo XII: Ho intrapreso a scrivere la mia Vita, niente per altro, che per fare la Storia del mio Teatro, ma il preliminare è sì lungo, e la mia vita sì poco interessante, ch’io mi vergogno d’aver impiegato le Prefazioni di dieci Tomi [non calcola il primo quasi tutto dedicato a presentare l’edizione n.d.r.] per raccontare gli aneddoti. Non è l’amor proprio, che mi ha condotto a far ciò, poiché non ho raccontato le mie virtù, ma piuttosto le mie debolezze, e qualche volte le mie pazzie, ed è unicamente l’amore di verità, che mi ha fatto dir per minuto tutto quello che la memoria mi ha suggerito. Questo è l’anno finalmente, in cui ho cominciato a scrivere per il Teatro (l’anno 1733) [1734]. Ma pria d’arrestarmi a questo cominciamento, mi sia permesso di continuare il racconto di quegli accidenti […].

Ma, al di là della perplessità, per cui sarebbe lecito chiedersi perché Goldoni abbia impiegato ben dieci prefazioni per «raccontare aneddoti» e poi vergognarsene, se fossimo chiamati, con cautela, a perlustrare questo temibile nesso tra vita e teatro nelle Memorie italiane, potremmo, ingenuamente, glissare l’impegno chiedendoci, a nostra volta, soltanto come e soprattutto dove Goldoni abbia tenuto insieme due “grandezze” così incommensurabili. La risposta apparirebbe semplice, ma soltanto per illusione ottica, relativamente alla veste di stampa della Pasquali e alle sue vignette. Se, difatti, prendiamo nelle mani un tomo qualsiasi e poggiamo il pollice nel pieno delle pagine, lasciandole velocemente fuggire, ecco le figure delle antiporte e i disegni di scena delle singole commedie subito mescolarsi tra loro e l’autore confondersi con i personaggi, complice lo stesso tratto della matita del medesimo disegnatore. E questo vale anche all’interno di una stessa vignetta; ad esempio, il «Rame istoriato» preposto alla commedia del Teatro comico, nel primo tomo, dove balza centrale il personaggio del capocomico Orazio dietro cui è facile identificare, nel testo teatrale, Goldoni; e sembra proprio di vederlo lì al centro della scena l’autore (non Orazio) a dare direttive ai suoi attori in una sorta di ipotetico diciottesimo Frontespizio (cfr. Appendice iconografica). I rami autobiografici e le scene delle commedie, dunque, non si distinguono facilmente e, consegnano l’impressione di un tutto unico, di un’unica commedia, di una sola cronologia. Questo accade nonostante che nelle vignette relative alle scene delle commedie venga tratteggiato, in alto, un drappo svolazzante di sipario, mentre in basso

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è la linea diritta di una soglia a limitare un immaginario palcoscenico (cfr. Appendice iconografica). L’illusione di avere sotto gli occhi un unico racconto di immagini deriva, inoltre, dalla stessa mise en scène di interni nei disegni (e dall’economia d’uso della matita da parte del Novelli). Soltanto due vignette, contigue, della vita di Goldoni rappresentano esterni, a Venezia, una darsena (t. XI) e a Verona, l’Arena, (t. XII), mentre tutte le rimanenti sono concepite all’interno di camere o di fondali di teatro (t. III e t. XIV). Questo agevola il sovrapporsi, senza sbavature, delle tre pareti delle stanze in cui si muove il Nostro, con gli analoghi appartamenti veneziani, la maggioranza, rappresentati nei disegni relativi alle commedie. Tratteggiati, questi ultimi senza alcun fondale o quinta teatrale, dove, ogni volta, a girar la pagina, sembra per davvero – scriverà Goldoni – che «nella commedia della mia vita, si cambia Scena»96 (cfr. Appendice iconografica). Ma se la modalità di coniugare vita e teatro è apparentemente semplice a livello visivo, tutt’altra difficoltà assume all’interno della scrittura delle singole prefazioni. L’escamotage più semplice per assemblare solidamente una “vocazione teatrale” e “pezzi” di una vita (oltre tutto lì a portata di mano e già di pratico uso nei romanzi di Defoe, Richardson, Fielding, Rousseau), sarebbe stato quello di mettere il tutto in corretta ellissi in un ben fatto romanzo di formazione, che, del resto, Goldoni sarebbe stato in grado di scrivere97 (e con la “traduzione” dell’Istoria di Miss Jenny di Madame Riccoboni, ci è andato vicino98). Ma questo non accade. Tra le mani abbiamo, invece, secondo la categoria distintiva dei generi letterari, una ben fatta autobiografia e non un classico romanzo. Un motivo della scelta da parte di Goldoni potrebbe essere stato quello di aver avuto timore di una eccessiva diluizione nel novel del 96 Cfr. L’Autore a chi legge, t. IX, qui p. 181, in E.N.M.I., p. 151. Disegni coniugati tra loro dallo stesso Goldoni: «Tutti i Tomi saranno decorati con cinque Rami […] de’ quali cinque Rami il primo servirà al frontespizio, e gli altri quattro precederanno le rispettive Opere istoriandone nella migliore forma il principale argomento» (Lettera..., cit., p. 381). Ed è il tempo verbale del gerundio, quell’«istoriando», a tenere unite le singole vignette che illustrano il «principale argomento» di ogni commedia. 97 Su questo aspetto vedi B. Anglani, Dal Teatro al Romanzo I e II, in Id., Le passioni allo specchio. Autobiografie goldoniane, Roma, Kepos edizioni, 1996, pp. 17-72. 98 Sempre a Parigi, Goldoni si farà traduttore e riscriverà ampiamente, riducendoli a «due tometti», i tre volumi del romanzo l’Histoire de Miss Jenny di Mme Marie Jeanne Riccoboni (Venezia, 1791). Il romanzo si trova nel t. XIV delle Opere, pp. 503-535, ed è stato ristampato a cura di F. Vazzoler, Padova, Franco Muzzio editore, 1993.

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suo esercizio teatrale, preferendo seguire una vocazione garbatamente apologetica e sostanzialmente notarile. Insomma, Goldoni sembra avere avvertito il rischio ben sintetizzato da Starobinski: «sotto l’aspetto dell’autobiografia o della confessione, e nonostante il desiderio di sincerità, il “contenuto” della narrazione può venir meno e perdersi nella finzione, senza che nulla possa arrestare questo passaggio da un piano all’altro e senza neppure che alcun indizio lo riveli con certezza»99. E allora proprio per evitare dispersione tra «finzione» e «riforma teatrale» e volendo, invece, rimarcarne le connessioni, Goldoni mette in campo, proprio seguendo la lezione dello studioso ginevrino, alcuni “marcatori” dell’amalgama tra vita e teatro, contrassegni che evidenzino, tenendo separate le rispettive dosi di invenzione e realtà nelle prefazioni della Pasquali, dosi poi gradatamente da ben miscelare. Ma questa prudente operazione di creare gradi nell’amalgama tra il disordine di una vita e l’esattezza di una riforma teatrale, gli sfuggirà (e forse volontariamente) di mano e il “romanzesco” del racconto e il suo piacere, invaderà larghe zone delle prefazioni scostando in angoli laterali l’asettica didattica della lezione storica (e basterebbero per questo citare i primi dodici Autore a chi legge). Gli sfuggirà di mano in quanto Goldoni segue una prassi del resto obbligatoria nel genere scelto, ovvero, di inserire quale primo mediatore del rapporto tra vita e teatro il suo “io” autobiografico. Il narratore, insomma, si fa protagonista e decide, secondo prassi, di gestire in prima persona lo svolgere degli eventi. Goldoni ne ha tutte le qualità; possiede, oltre tutto, un pedigree ineccepibile: «la mia vita medesima è una commedia, e qualor mi manchino argomenti o soggetti per nuovi intrecci, un’occhiata ch’io dia alla mia vita passata, trovo materia da lavorare […]» (t. V), per governare il racconto, per fare che non sia troppo “finzionale” e né abbia la leziosità del saggio teatrale, che sia avventuroso e riflessivo, di amabile lettura ma didatticamente ineccepibile. Ed è così che Goldoni, autore teatrale, inizia ad usare, anche qui, un registro teatrale che sa manovrare splendidamente: il vedere, utilizzando anche il sostegno delle vignette: «Vedetemi ora nel frontespizio di questo Tomo, in età di anni sedici» (t. VII); «Ecco ora si cambia scena. Miratemi al tavolino» (t. VI); «Eccomi dunque a Verona» (t. XII); «Eccomi in una nuova carriera» (t. XVI). Tutto inizia ad essere raccontato come in una pantomima, con lui sempre al centro nel 99

Cfr. J. Starobinski, La relation critique [1970], trad. it. L’occhio vivente, Torino, Einaudi, 1975, p. 206.

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mentre la prosa delle prefazioni gli si fa intorno e lo muove come un “eroe”, lasciando che convergano su di lui gli sguardi dei lettori come quelli delle comparse. Insomma, la prosa biografica sposta il suo baricentro verso una vera e propria scenografia teatrale, ma senza i fruscii, le tossi, le voci di sala. Il personaggio-Goldoni è dappertutto. Ogni “gesta” è svolta in superficie, tutto è mostrato per scene, finanche quel suo rimanere «stupido» mentre brucia nel caminetto, all’Osteria del Pozzo, l’Amalasunta. Di sentimentale, nell’accezione buona, non vi è nulla, né alberga nel protagonista alcuna velleità introspettiva, da avvicinare al Rousseau delle Confessions, per intenderci, o al prossimo Ortis. L’autore è “visto dal di fuori” sempre e per tutto il tempo nelle pagine e nelle antiporte. Entra ed esce dagli avvenimenti come fossero palcoscenici, celandosi temporaneamente dietro inesistenti quinte teatrali, lega gli avvenimenti, ne conferma la veridicità, li scioglie come una trama. Insomma, si fa personaggio di commedia. Nasce così una scrittura veloce, “superficiale”, che inanella storielle e dialoghi di risibile peso strategico per essere utili ad una «histoire de son théâtre», invece molto più aderenti ad una cronaca privata, leggera, divertita, ad una vivace «histoire de sa vie». Aneddoti pieni di movimenti, di irrequietezze, insomma di “recitato”; zone zeppe di avventure amorose dichiarate o meno, e che vanno da faccende che era meglio non raccontare (come quella con la figlia del caffettiere (t. IX), poi cassata nei Mémoires) fino al brano casanoviano della seduzione del Nostro da parte dell’attrice Passalacqua. (t. XIV) Inoltre, in questo trambusto narrativo, è facile riscontrare anche una sorta di sostanziale isolamento del personaggio Goldoni, che è condizione, mi permetto di suggerire, consona agli eroi epici100. Al fondo e al di là della connaturata estroversione, delle sue intense relazioni sociali, l’autore non trascura di presentarsi in una sostanziale emarginazione, solitario eroe (destino che emerge anche nei tratti di alcune vignette), indaffarato in una risibile, moderna e borghese, chanson de geste, di contro alle avversità, alle resistenze, alle incom100 Cfr. F. Fortini, Autobiografia, in Id., Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Milano, Il Saggiatore, 1968, pp. 83-90: «Finalmente, quando un’opera autobiografica supera un certo livello di complessità, sembra legittimo che essa debba essere considerata e letta come una composizione epica e lirica, non solo storiografica. Nessuna classificazione potrà allora render ragione di come una scrittura, che in origine è rituale, deprecatoria o compensatoria, analitica o scientifica, trapassi a creazione stilistica. […] In questo senso l’autobiografia, cioè il romanzo di se stessi, si propone di tramutare una cronaca in una storia e una esistenza in un destino» (pp. 84-85).

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prensioni che gli derivano dalla caparbia volontà di attuare la riforma del teatro comico. Non si tratta, quindi, di solitudine, che è quasi sempre scelta individuale, e Goldoni non è un solitario, è colui – non dimentichiamolo – che scrive: «la più amena, la più deliziosa Villeggiatura. Caccie, Pesche, Giardini, conversazioni, cavalcate, feste, giochi, tripudi, niente mancava alla sontuosità del soggiorno [nel Castello di Vipacco]», (t. IX). Si tratta, più drammaticamente, di un isolamento dettato dalle incomprensioni, dalle diffidenze, dagli odi. Prende, così, corpo, in alcune zone delle prefazioni, una narrazione che sembra celare la voglia di un racconto epico, di un’epica, ben inteso, tascabile, “bastonata”, ridotta ad una conduzione domestica, borghese, ma che regge una sua particolare enfasi, in cui sembra di ascoltare echi provenienti dalla non lontana «comédie humaine», di là da venire, in una sorta di documentata epopea, per calli e tra «servette», verso la terra promessa della riforma. Come lo stesso colloquiare con il «Lettore amatissimo», che emerge talvolta, eclatante, in superficie: «Sentirete, Lettori miei amatissimi, quali e quante avventure» (t. XVII), «Vedrai ben presto, Lettore carissimo». (t. X) E proprio questa particolare insistenza dialogica con i lettori, mette in evidenza un altro aspetto dei singoli Autore a chi legge che sembrano farsi, letteralmente, vere e proprie missive. Le prefazioni giungono saltuarie ai lettori della Pasquali da lunghe distanze di tempo (e spazio) come vere lettere, scandite dai ritardi editoriali. Sono lettere – a pensarci – che, inconsapevolmente, non sfigurerebbero, adeguate le norme di genere, in un ipotetico romanzo epistolare (come lo saranno sul serio, di lì a poco, anche da noi, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, anche queste frutto di una splendida amalgama tra vita vera e finzione letteraria). Goldoni – per citare Walter Benjamin – diventa, così, nelle prefazioni, «persona di consiglio per chi lo ascolta»101. Il suo narrare «non mira a trasmettere [soltanto] il puro “in sé” dell’accaduto, come un’informazione o un rapporto; ma cala il fatto nella vita del relatore, e ritorna ad attingerlo da essa. Così il racconto reca il segno del narratore come una tazza quello del vasaio»102. C’è, dunque, il racconto di un’esperienza che non vuol darsi come finita, ma sempre recuperabi-

101 Cfr. W. Benjamin, Der Erzähler. Betrachtungen zum Werk Nicolai Lesskows, trad. it. Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, in W. Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Torino, Einaudi, 1962, pp. 235-260 (p. 238). 102 Ivi, p. 243.

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le, riascoltabile come nel cerchio di una conversazione, nel possibile ricominciare, in un chiacchierare amabilmente in un convito, in un salotto, tra amici, tra un accavallarsi di gambe e un sorridere. Sono queste, allora, alcune zone del testo che svelano uno scarrucolare, uno slittamento della prosa verso quello che Barthes ha definito il «piacere del testo», si avvicinano pericolosamente al novel mentre la lezione sulla riforma resta sullo sfondo. Non sappiamo quanto lucidamente Goldoni acconsenta a che questo accada. Ma di fatto sguscia via sempre più decisiva nelle prose prefative una sorta di fabula dissimulata, tale da rendere, fuori da ogni usurabile diagramma saggistico, il lavoro di una riforma teatrale soprattutto da potersi leggere come può leggersi, ad esempio, un romanzo, e da potersi leggere sempre, da poter mettere accanto, in un «coin de bibliothèque», alle edizioni delle sue commedie senza nessun senso d’inferiorità, anzi con baldanza: «Se avrai la sofferenza, Lettor carissimo, di leggere le mie Prefazioni e le mie Lettere dedicatorie, vi troverai degli aneddoti e delle notizie che non ti aspetti, e qualche volta una lettera o una prefazione valerà a compensarti la noia che avrai a leggere una Commedia, o cattiva per se medesima, o mal confacente al tuo genio» (t. II). Ed è qui, forse in questo (inconsapevole?) gusto per il piacere del racconto che un’amalgama si dà. Gradi accettabili di amalgama si raggiungono non negli incontri quotidiani dell’autore con gli attori, nella frequentazione delle compagnie volanti, nei rapporti con i capocomici o con le prime donne, ma su quelle superfici narrative, dove gli accadimenti si fondono in scene teatrali pur restando reali. Partirei, per qualche esempio, dalla visibile pantomima del ritorno di Goldoni a Venezia, ad incipit del tomo XIII, che sembra leggersi mentre si solleva un sipario e sul palcoscenico si dispongono, gridando e muovendosi, le comparse di una scenografia, come, mutati i personaggi, detterà la didascalia iniziale del Ventaglio; per giungere alla seduzione, letteralmente recitata, dell’attrice Passalacqua, nel tomo XIV, dove non è possibile distinguere il «verisimile» dal vero, chi sta recitando e quando, ma tutta la scena è una lezione teatrale sulla prevalenza dell’attore sul personaggio, tra “teatro” e racconto autobiografico, per concludersi con la vendetta didatticamente condotta dall’autore sul seduttore (e traditore) Vitalba costretto, assieme alla Passalacqua, a recitare sul serio successivamente la vera vicenda del tradimento. Non per ultimo, ancora, una buona zona di amalgama tra riforma e biografia è circoscrivibile, nel tomo XVI, nella esemplare punizione da parte di Goldoni dell’attore Golinetti, reo di aver fatto intendere

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al pubblico e agli attori di recitare a soggetto la parte del Momolo sulla Brenta e non di seguire pedissequamente il copione scritto dall’autore. Ed è così che i due generi, le commedie e gli Autore a chi legge possono posarsi l’uno accanto all’altro, sul medesimo scrittoio. Gli intrighi e le Birbe, i ciarlatani e le servette, l’avvocato e l’astrologo, scivolano liberamente l’uno dentro l’altro testo, fanno incetta insieme di tutto il corredo di attrezzerie che fa di un testo autobiografico un testo teatrale (che fa del reale un testo letterario). «Ogni autobiografia – anche se si limita a una pura narrazione – è una autointerpretazione – scrive Starobinski – in cui lo stile è il segno della relazione tra “chi scrive” e il proprio passato, nel momento stesso in cui manifesta il progetto, orientato verso il futuro, di un modo specifico di rivelarsi all’altro»103. Per finire, non riusciamo a sottrarci ad un ultimo, impertinente interrogativo, ovvero quale sarebbe stata la struttura finale dell’opera a cui pensava Goldoni. Se la cadenza della Pasquali fosse stata rispettata e terminata, e avessimo avuto tra le mani tutti i tomi completi, completa sarebbe stata anche l’autobiografia e i Mémoires avrebbero perso ogni ragione di esistere. Le ventidue prefazioni (considerando le smarrite) erano probabilmente già tutte scritte all’altezza del 1773, e saremmo giunti, con le vicende narrate, dintorno al 1750, ma ben oltre se la cadenza di quattro tomi per anno fosse stata mantenuta: gli Autori a chi legge sarebbero ammontati allora a ben quaranta, lasciando tale limite all’edizione. E – ci chiediamo – come Goldoni avrebbe narrato la vicenda col Medebach? La svolta degli anni ’60? La permanenza a Parigi? Quali disegni sarebbero comparsi su quelle antiporte, quali i momenti salienti scelti? Il suo pubblico di lettori non sarebbe più stato quello francese, europeo, ma veneziano, soltanto italiano. E se Goldoni avesse deciso di raccogliere successivamente in un unico volume le prefazioni, come avrebbe ordinato questo materiale? Certo non si fa ermeneutica con i «se»; ma le illazioni, pur deboli nelle loro premesse, possono essere di una utilità, sia pure disdicevole, disegnando scenari possibili in proficuo contrasto con i dati effettivi e illuminandoli, questo sì, diversamente in controluce. E soprattutto questo vale per le Memorie italiane, un’opera non finita, incompleta e che si offre, proprio per questo e di per sé, perennemente ad ogni impossibile continuazione, ad ogni possibile suspence. 103

Cfr. J. Starobinski, op. cit., p. 205.

NOTA AI TESTI

Si rende necessaria una premessa. Questa edizione delle Memorie italiane, era stata esemplata già da lungo tempo sui diciassette tomi dell’edizione Pasquali (Delle Commedie di Carlo Goldoni Avvocato Veneto, Venezia, Per Giambatista Pasquali, 1761-1780), e giunge, soltanto ora, a ridosso e a seguito dell’edizione nazionale, curata da Roberta Turchi (Venezia, Marsilio, 2008). Ragione per cui il testo delle prefazioni ai tomi non riprende quello fissato nell’edizione nazionale, ma gli originali della Pasquali; mentre, ovviamente, vengono citati in nota i riferimenti all’edizione nazionale. Caratteristica principale del presente lavoro è stata quella di attirare l’attenzione su alcuni passi del testo dove il commediografo ha modificato parzialmente gli eventi narrati o, addirittura, li ha espunti del tutto nei Mémoires (per agevolare i confronti si sono riportati in nota i brani più brevi; per i più lunghi necessariamente si è dovuto rinviare). Metodo questo che ha consentito, almeno in alcune zone testuali, una comparazione immediata tra due scritture, lontane nel tempo, che raccontano, o nascondono, o travisano, gli stessi accadimenti. Le note hanno puntato, poi, essenzialmente ad una esemplificazione dei termini desueti e dei riferimenti culturali del tempo, ad una spiegazione di particolari concetti teatrali, alla definizione di bibliografie minime, a collocare nel tempo le azioni narrate. Si è data attenzione alla relazione tra le immagini dei frontespizi e i passi a commento di queste da parte di Goldoni. In nota, si è preferito chiarire, suggerire riflessioni, avanzare congetture, tracciando una sorta di costante chiosa al racconto goldoniano. Per quanto riguarda i criteri grafici si è rispettato l’usus scribendi dell’edizione, tenendo di conto la frequente, talvolta casuale, differenza delle norme usate nel carattere grafico. Si è lasciato l’uso abbondante della maiuscola (sebbene non sempre costante, forse, anche,

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a causa dell’estro (o delle distrazioni) dei vari proti alternatisi in tipografia, oppure dell’invalsa abitudine di coinvolgere in subappalto altre stamperie esterne; non costanti, ad esempio, sono alcune forme abbreviate quali «San» in «S.», oppure «Modona» corretta alternativamente in «Modena» (poi, sempre, a partire dal tomo XIV). Soltanto al fine di rendere più agevole la lettura, si è preferito normalizzare nell’uso moderno alcuni lemmi, le «j» intervocaliche, la grafia delle «s», come gli accenti e le apostrofi, e adeguare alcune parole all’uso ortografico attuale, seguendo il criterio della maggiore comprensibilità del testo. D’altro lato, non si è scelto di emendare le grafie derivate dall’uso del dialetto, né i toponimi, né di mutare la punteggiatura, corretta soltanto dove poteva dar adito ad equivoci significativi. Non si è intervenuto nemmeno sull’uso del corsivo, anche se usato con larghezza e non sempre con un criterio univoco, come, sovente, nelle citazioni degli autori. Si è uniformata la quantità dei puntini sospensivi, molte volte stampati in numero differente. Alcuni evidenti errori di stampa sono stati emendati, mentre si sono volute conservare alcune forme arcaizzanti per un loro insito fascino lessicale. Si può sospettare che Goldoni non sia stato in condizione di intervenire, almeno dal quinto tomo in poi, sulle eventuali bozze edite dei testi, le cui curatele grafiche appaiono discontinue, il che lascia ipotizzare che siano state affidate non sempre allo stesso correttore (e tra questi ci fu, anche se per breve tempo, Gasparo Gozzi), considerando la notevole distanza di tempo, a volte, tra un volume e l’altro. Questo vale anche per l’oscillazione grafica dei titoli delle opere non sempre costantemente uniformi. Per la Prefazione dell’autore, premessa all’Edizione di Venezia MDCCL e a quella di Firenze MDCCLIII, pubblicata, come l’autore stesso ricorda, per la prima volta, nel primo tomo dell’edizione Bettinelli (Venezia, 1750), con il titolo L’Autore a chi legge, poi riproposta, con variazioni, nelle successive edizioni Bettinelli (1751, 1752, 1753) e nell’edizione Paperini (Firenze, 1753), assente nel primo tomo della edizione Pitteri (Venezia, 1757), si è riprodotta, per coerenza, quella edita nel primo tomo della Pasquali, sebbene presenti alcune modifiche o soprattutto cassature, talvolta vistose, di brani, rispetto sia alla versione epifanica apparsa nell’edizione Bettinelli, sia a quella premessa all’edizione Paperini. I brani espunti sono stati riprodotti in nota. Le variazioni segnalate in nota si riferiscono soltanto all’edizione Bettinelli 1750.

NOTA AI TESTI

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Per la versione francese della première partie dei Mémoires de M. Goldoni, pour servir à l’histoire de sa vie, et à celle de son théâtre (Paris, Chez la Veuve Duchesne, 1787, tre tomi), citata nelle note, ci si è valsi di quella riprodotta (con la vecchia grafia) nel primo tomo dell’edizione di Tutte le Opere di Carlo Goldoni, a cura di Giuseppe Ortolani, 14 voll., Milano, Mondadori, 1935, che, a sua volta, riconduce al testo originale francese; mentre per la traduzione in italiano si è trascritta quella di Paola Ranzini nell’edizione a cura di Paolo Bosisio. Inoltre sono state consultate le seguenti edizioni dei Mémoires: quella a cura di E. Von Loehner, Venezia, Visentini, 1883, e di G. Mazzoni, 2 voll., Firenze, G. Barbèra, 1907; e quella nelle Opere complete, edite dal Municipio di Venezia nel II centenario della nascita, a cura di G. Ortolani, 41 voll., Venezia, Tip. Zanetti, 1907-1971, voll. XXXVI-XXXVII. Le traduzioni delle citazioni latine in calce ai Frontespizi sono del curatore, tranne quelle delle illustrazioni dei due tomi dei Componimenti diversi, rispettivamente di F. Lechi e G. Leto.

Bibliografia di riferimento Il lavoro ha comportato un proficuo misurarsi con le precedenti edizioni delle prefazioni dell’edizione Pasquali, che, qui, di seguito, si elencano: C. Goldoni, Opere complete, cit. (qui, Prefazioni di Carlo Goldoni ai 17 tomi di Commedie dell’ed. veneziana di G.B. Pasquali, vol. I, Commedie, t. I, pp. 1-148); Tutte le Opere di Carlo Goldoni, cit. (qui, Prefazioni di Carlo Goldoni ai diciassette tomi delle Commedie edite a Venezia da G.B. Pasquali [1761-1778] vol. I, pp. 623-753); Memorie italiane, a cura di F. Del Beccaro, Milano, Mondadori, 1965; Opere, a cura di G. Folena e N. Mangini, Milano, Mursia, 1969 (qui, Prefazioni ai diciassette tomi delle commedie edite a Venezia da G. B. Pasquali (1761-1778), pp. 1369-1473); Il teatro comico. Memorie italiane, a cura di G. Davico Bonino, Milano, Mondadori, 1983, (qui, pp. 97-231); Memorie, a cura di P. Bosisio, Milano, Mondadori, 1993, (qui, Prefazioni ai diciassette tomi delle Commedie di Carlo Goldoni Avvocato Veneto, 1761-’78, pp. 775-932); Les Mémoires italiens, a cura di G. Herry, Paris, Circé, 1999; Memorie italiane. Prefazioni e polemiche, III, a cura di R. Turchi, Carlo Goldoni. Le Opere. Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2008. Per la biografia dell’autore, riferita alla cronologia delle Memorie italiane: Franca Angelini, Vita di Goldoni, Roma-Bari, Laterza, 1993;

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Ginette Herry, Carlo Goldoni. Biografia ragionata. Tomo I 1707-1744, Venezia, Marsilio, 2007. Per la prefazione di Goldoni all’edizione Bettinelli (1750): Carlo Goldoni, Polemiche editoriali. Prefazioni e polemiche, a cura di R. Turchi, vol. I, Carlo Goldoni. Le Opere. Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2009. A proposito di tutte le incisioni che illustrano le edizioni del teatro di Carlo Goldoni: C. Goldoni, Il teatro illustrato nelle edizioni del Settecento, introduzione di C. Molinari, schede di F. Pedrocco (Carlo Goldoni. Le Opere. Edizione Nazionale), Venezia, Marsilio, 1993; C. Ripa, Iconologia, a cura di P. Buscaroli, 2 voll., Torino, Fògola, 1986.

Abbreviazioni Opere: Carlo Goldoni, Tutte le Opere di Carlo Goldoni, a cura di G. Ortolani, 14 voll., Milano, Mondadori, 1935-1956. D.B.M.I.: Il teatro comico. Memorie italiane, a cura di G. Davico Bonino, Milano, Mondadori, 1983. G.H.M.I.: Les Mémoires italiens, a cura di G. Herry, Paris, Circé, 1999. E.N.M.I.: Carlo Goldoni, Memorie italiane. Prefazioni e polemiche, III, a cura di R. Turchi, Carlo Goldoni. Le Opere. Edizione Nazionale, Marsilio, Venezia, 2008. E.N.P.E.: Carlo Goldoni, Polemiche editoriali. Prefazioni e polemiche, I, a cura di R. Turchi, Carlo Goldoni. Le Opere. Edizione Nazionale, Marsilio, Venezia, 2009. E.L.ME.: Mémoires de M. Goldoni pour servir à l’histoire de sa vie et à celle de son théâthre dédiés au Roi, t. I, a cura di E. von Loehner, Venezia, Fratelli Visentini, 1883. G.M.ME.: Memorie di Carlo Goldoni, riprodotte integralmente dalla edizione originale francese con prefazione e note di Guido Mazzoni, 1 vol., Firenze, G. Barbera, 1907. Mémoires: Carlo Goldoni, Tutte le Opere di Carlo Goldoni, cit. Memorie: Memorie, a cura di P. Bosisio, trad. di P. Ranzini, Milano, Mondadori, 1993. G.H.B.R.: Ginette Herry, Carlo Goldoni. Biografia ragionata. Tomo I 1707-1744, Venezia, Marsilio, 2007.

NOTA AI TESTI

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Si ringraziano per la disponibilità e l’aiuto la Biblioteca del Burcardo e la Biblioteca Nazionale di Roma (in particolare Giuseppe D’Errico), Casa Goldoni, la Biblioteca Marciana, la Biblioteca Correr, la Biblioteca della Nuova Manica Lunga della Fondazione Cini a Venezia e il Centro culturale Vittore Branca, che mi ha ospitato. Un grazie anche a Sebastiano Martelli Direttore del DipSUm dell’Università di Salerno, Paolo Esposito, Vittorio Gatto, Giuseppe Izzi, Gilberto Pizzamiglio, Carlo Santoli, Vincenzo Acampora che ha seguito con competenza l’edizione per Liguori, e a Marisa per la pazienza (e ancora al gatto Pippo per la sua compagnia). Un grazie particolare va a Roberta Turchi che, con la sua magistrale edizione critica delle Memorie italiane, apparsa nella Edizione Nazionale delle Opere, ha fatto da corrimano a questa più tarda, minore edizione.

CARLO GOLDONI. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

1707 - 1724. La nascita del «genio comico» La famiglia di Goldoni era originaria di Modena. Il nonno Carlo Alessandro (Modena, 1645-Venezia, 1703) si era trasferito a Venezia nella seconda metà del secolo XVII, dove aveva esercitato la professione di notaio presso il Collegio della Mercanzia. Qui nasce il suo unico figlio maschio, Giulio, che sposerà nel 1703 la veneziana Margherita Salvioni (o Savioni). Dal loro matrimonio verrà al mondo, il 25 febbraio 1707, Carlo Goldoni, quarto di sei fratelli. La giovinezza del futuro commediografo fu serena, nonostante l’agiatezza economica della famiglia non fosse più quella di un tempo, con il padre (ventottenne) sovente lontano da casa per completare gli studi in medicina a Roma. Scrive Goldoni nel primo capitolo dei Mémoires: «Ero il tesoro della casa: la balia diceva che ero intelligente; mia madre s’incaricò di educarmi, mio padre di divertirmi. Fece costruire un teatro delle marionette: le faceva ballare lui stesso insieme a tre o quattro amici; e io, a quattro anni, trovavo che era un delizioso divertimento». La Venezia settecentesca oramai al culmine della sua vita teatrale, con ben sei teatri funzionanti, contro i tre di Parigi («e tutti e tre starebbero in corpo al San Crisostomo», come scrive Goldoni), la dolcezza materna, le letture giovanili e l’amicizia col padre giramondo e appassionato di teatro, costituiscono l’humus su cui va ad innestarsi la formazione del «genio comico» del giovinetto Goldoni, già in grado di «abbozzare» a otto anni una commedia, e i cui primi «trastulli» infantili «consistevano principalmente nell’abbozzare piccole Commediole per uso de’ Burattini»: «Niuno meglio di Lei, Illustriss. Sig. Conte, può giustificare, se sia vero che da un genio Comico sino ne’ primi anni dell’età mia trasporato io fossi; poiché avendo io

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l’onore di esser seco frequentemente fin d’allora, il nostro più geniale trastullo, i nostri fanciulleschi diporti, consistevano principalmente nell’abbozzare piccole Commediole per uso de’ Burattini, che dalle nostre mani medesime venivano poi regolati» (Lettera dedicatoria a Parmenione Trissino). A Perugia (1719), nel collegio dei padri Gesuiti, Goldoni studia, con poco profitto, «rettorica e grammatica», e il padre, come racconta nei Mémoires: «contento di me, cercò di ricompensarmi e farmi divertire durante le vacanze. Sapeva che mi piacevano gli spettacoli; piacevano anche a lui; riunì una compagnia di giovani. Gli fu accordato una sala del palazzo Antinori, e vi fece costruire un teatrino; ammaestrò egli stesso gli attori, e vi rappresentammo la commedia» (la commedia è La Sorellina di Don Pilone di Girolamo Gigli), e il giovanissimo attore vi recitò una parte femminile: negli Stati Pontifici, in quei tempi, le donne non erano tollerate in scena. È poi a Rimini, dove è costretto a studiare la «scolastica Filosofia», impartita dai Domenicani (1720-21), ma a questa preferisce «un’altra Filosofia più certa, più piacevole e meno oscura» che scopre leggendo di nascosto le commedie di Plauto. Il tredicenne Goldoni, quindi, non si lascia sfuggire l’occasione di abbandonare i tediosi studi filosofici e s’imbarca, da Rimini a Chioggia (dalla madre), con una compagnia di comici (quella di Florindo de’ Maccheroni) in un viaggio splendidamente raccontato nei Mémoires (I, 5). Compagnia di attori che così descrive nella prefazione del tomo V della Pasquali, e la penna sembra ancora tremargli al ricordo: «Andai a teatro la prima sera, mi parve uno zucchero e non avea più cuore d’abbandonarli. M’introdussi a poco a poco sul palco, contrassi qualche amicizia con quelle cortesi donne, comunicai ad esse il mio Genio comico, mi chiesero dei Dialoghi, dei Soliloqui; ed io ogni sera andava provveduto di fogli scritti, che mi venivano ricompensati con gentilezze e con libero ingresso alla Porta, nella platea, sul palco e nelle loro case particolari». Alla medicina, a cui vorrebbe avviarlo il padre, Carlo preferisce gli studi di giurisprudenza, e, non contrariato dai genitori, ritorna a Venezia, dove farà pratica legale presso lo studio dello zio Gian Paolo Indrich, procuratore del Foro veneto. Ma contemporaneamente «cercava mille pretesti per sfuggire dal tavolino e correre al mio diletto teatro. Oh, quanta carta ho io consumata al mio principale per scarabocchiare delle Scene, delle Commedie! Oh, quante volte mi hanno trovato sul fatto a formare il sommario di una Commedia, in luogo di sommariare un processo!».

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Nel 1722 è a Milano; poi a Pavia, dove entra, sedicenne, nel Collegio Ghislieri (1723) per l’interessamento del senatore Pietro Goldoni Vidoni. Frequenta i corsi di diritto e compone le prime poesie. Nel maggio del 1725 viene, però, espulso dalla scuola per una satira in versi (andata perduta) dal titolo Il Colosso scritta contro le fanciulle della buona borghesia di Pavia. Sono anni di letture intense, casuali (resterà ammaliato dalla Mandragola del Machiavelli), di vita dissipata, di incontri, i primi, col teatro, dove la suggestione delle scene, l’amicizia con i commedianti, preludono alla scoperta di un nuovo mondo e di un diverso modo di vivere che affascinerà il giovanissimo autore. Sempre meravigliato, curioso, apparentemente dispersivo, Goldoni è anche capace di decisioni improvvise, di tenacia, di coraggio. L’avventura della vita lo affascina e ama sciogliere (spesso con la fuga) le più complicate situazioni in cui s’invischia, come saprà poi fare con le trame delle commedie. «Storia di una vita» e teatro diventano inscindibili, e i Mémoires come le Memorie italiane stanno lì a dimostrarlo. I due canonici libri del Mondo e del Teatro vengono in questi anni squadernati e assorbiti con straordinaria intensità. Coniuga esperienze e letture, con meticolosa attenzione agli avvenimenti, colti e mandati a memoria, ai caratteri degli attori, i futuri personaggi, pronti a fornire occasioni e trame alle commedie. Le scene «vere, verissime – come lui stesso scriverà – vedute da me, da me udite, e con particolare attenzione nel magazzino del mio cervello riposte per valermene all’occasione», faranno parte di una prassi costante.

1725 - 1737. L’incontro col teatro Nel 1725 è col padre a Udine. Vi stampa una raccolta di 38 sonetti sacri: Il Quaresimale in epilogo (1726). È poi a Gorizia e a Vipacco. Qui, presso il conte Lantieri, organizza con successo uno spettacolo di marionette, rappresentando la «bambocciata» di Pier Jacopo Martello: Lo starnuto di Ercole. Nel 1727 riprende gli studi giuridici a Modena, ma vinto da un profondo abbattimento morale, si lascia suggestionare dalla vocazione sacerdotale che, per altro, farà presto a dimenticare. Nel 1728 è a Chioggia dove assume l’incarico di coadiutore aggiunto presso la Cancelleria criminale del Podestà, poi è a Feltre in qualità di vicecancelliere. Qui mette in scena, con alcuni amici, la Didone e il Siroe del Metastasio; scrive e recita anche due intermezzi: Il buon padre

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(andato perduto) e La cantatrice (poi La Pelarina). Ma, all’improvviso gli muore il padre a soli quarantasette anni (29 gennaio 1731) per un’epidemia influenzale, a Bagnacavallo. È una svolta nella sua vita. Goldoni ritorna a Venezia dalla madre e riprende gli studi presso l’avvocato Francesco Radi; si laurea rapidamente in legge all’Università di Padova nel 1731 ed inizia ad esercitare la professione a Venezia, dove vince la prima causa contro il celebre principe del Foro Carlo Cordellina. Ma gli affari non vanno al meglio e il teatro è sempre lì a suggestionarlo. Ripiglia a scrivere e compone il melodramma Amalasunta. Predispone anche un almanacco: L’esperienza del passato fatta astrologa del futuro; incontra a Milano il ciarlatano detto l’“Anonimo” (Buonafede Vitali) e scrive per la sua compagnia di commedianti dell’Arte l’intermezzo Il barcarolo veneziano, «il primo componimento ch’io ho lavorato pe’ Comici». Si lega d’amicizia con l’attore Gaetano Casali. Sono gli anni in cui Goldoni è incerto sulla scelta della sua professione definitiva; il teatro è visto ancora come divertissement, non come un’attività proficua, onorevole. Gli agi e le gratificazioni di una brillante carriera di stimato avvocato seducono il suo spirito borghese, ma è difficile scacciare il fascino del teatro e il demone della scrittura, quello che lui chiama il «prorito di comporre commedie». L’indecisione si protrarrà a lungo, in pratica fino al 1747, quando, dopo uno straordinario incontro con il celebre comico dell’arte Cesare D’Arbes (e dopo aver conosciuto a Livorno il capocomico Medebach), Goldoni, vinto dalla passione riprende a scrivere commedie, e ritornato a Venezia, si voterà definitivamente (con il consenso benevolo della madre) alla professione di «poeta di teatro». Il lento avvicinamento alle scene è, dunque, in atto; questo “secondo lavoro” prende sempre più il posto del primo. Nelle ore deserte dello studio veneziano dello zio Indrich, Goldoni, come al tempo del suo apprendistato, discosta le relazioni, i faldoni dei processi, e scrive dialoghi, abbozza canovacci; la fantasia lavora trame di commedie: «... per non abbandonare le serie occupazioni [...] giunsi sovra i cartoni del Codice e dei Digesti, ad abbozzar Commedie». Se di giorno frequenta le aule del tribunale, la sera è nei teatri tra gli attori, studiando e imparando sul palcoscenico le tecniche recitative più scaltrite, conoscendo dal vivo i problemi e le gelosie dei comici, i rapporti con gli impresari, in pratica tutto l’armamentario teatrale che farà di lui prima che un autore, un tecnico, in pratica, un vero capocomico. Colma un vuoto di prassi teatrale che aveva contraddistinto i ben «regolati» testi

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astratti di tanti autori (dal Cicognini al Fagiuoli) e di tanti teorici accademici della riforma della commedia (dal Muratori allo Zeno). Comunque, prima di scegliere la commedia come genere principale, Goldoni saggia le proprie capacità attraversando la tradizione colta teatrale italiana che si rifaceva alla drammaturgia dello Zeno, del Metastasio, del Maffei, fino al Gigli, ma misurandosi contemporaneamente con la stesura di canovacci, libretti per musica, tragicommedie, con generi diversi. Nel tragitto tra la tragicommedia dell’Amalasunta (1732) e fino alla prima commedia con la parte del protagonista interamente scritta, il Momolo cortesan (1738), Goldoni dispiega una serie di incursioni in ambiti drammaturgici differenti riportando giudizi negativi (l’Amalasunta finirà bruciata dall’autore), ma raccogliendo anche successi come il celebre intermezzo del barcarolo veneziano, recitato a Milano nel 1732, e che prefigura la propensione dell’autore per le commedie. Nello stesso lasso di tempo scriverà un’impeccabile tragicommedia, Belisario, un genere sempre frequentato, e che gli aprirà le porte del San Samuele di Venezia con la compagnia di Giuseppe Imer. La commedia resterà, comunque, l’ambito preferito nel complesso di tutta la sua produzione teatrale, edita ed inedita, e difatti, sia pure con buona approssimazione, a fronte di ben centotrentasette commedie e cinquantasette scenari per i comici dell’arte, staranno appena cinque tragedie, sedici tragicommedie, tredici drammi e non più di quarantanove drammi giocosi. Discorso a parte va fatto con la produzione dei libretti delle opere buffe, delle tragicommedie, che Goldoni, insieme agli intermezzi, continuerà a scrivere occasionalmente per tutta la vita, e che testimoniano un proficuo rapporto con i musicisti famosi del tempo, quali Vivaldi, Piccinni, Galuppi, per citarne alcuni. Il genere musicale settecentesco, frivolo e veloce, si lega spontaneamente con la fresca e disinvolta trama dei testi goldoniani; e anche questi esercizi, come gli intermezzi, saranno un proficuo lavoro di formazione del suo «genio comico». Nel 1733, oppresso dai debiti e per sottrarsi ad un incauto impegno matrimoniale, lascia Venezia e fugge a Milano, dove è assunto come gentiluomo di camera dal Residente veneto Orazio Bartolini. Frequenta gli ambienti artistici e i salotti della città lombarda (e fa esperienza in ambito diplomatico, cosa che gli riuscirà utile in futuro). Scoppiata la guerra tra i franco-sardi e gli austriaci, è costretto a seguire il Residente a Crema, prima di abbandonarlo definitivamente (a causa di un dissidio sorto tra il Bartolini e il fratello di Goldoni, che lo stesso commediografo aveva fatto assumere al suo servizio). Assiste

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dalle mura di Parma alla battaglia di San Pietro che gli ispirerà più di una commedia sul tema della guerra. Giunto a Verona, incontra e conosce, all’Arena, tramite l’attore Gaetano Casali, il capo-comico del teatro veneziano di San Samuele, Giuseppe Imer, che gli propone di mettere in scena la tragicommedia Belisario, che riscuote, sembra, un bel successo la sera della prima (24 ottobre 1734). Questo felice accadimento, per intercessione dell’Imer, gli apre le porte del teatro San Samuele di proprietà del gentiluomo Michele Grimani. S’incontra col compositore Vivaldi alle cui musiche adatta il libretto della Griselda dello Zeno. Scrive gli intermezzi della Pupilla e della Birba. È poi a Padova e ad Udine sempre con la compagnia Imer. Scrive il Don Giovanni Tenorio (tragicommedia) e Monsieur Petiton (intermezzo). Durante un viaggio di lavoro, in compagnia dell’Imer, in Liguria, conosce a Genova, in via Pré, Maria Nicoletta Connio, figlia diciannovenne di un ricco notaio del Banco di San Giorgio, che sposa, sempre a Genova, il 22 agosto 1736. La Connio sarà sua fedele compagna per tutta la vita. Di ritorno a Venezia, Goldoni assume l’incarico di direttore del teatro d’opera veneziano San Giovanni Grisostomo, incarico che manterrà fino al 1741.

1738 - 1752. Verso la riforma È una fredda sera d’inverno quella di Santo Stefano del 1738, quando si rappresenta, a Venezia, il Momolo cortesan. La commedia inaugura la stagione del carnevale e il San Samuele è strapieno di «popolo». Il Pantalone, interpretato da un Golinetti in gran forma, sul cui carattere Goldoni ha interamente adattato e scritto la parte del personaggio, riceve applausi a scena aperta. «[Il Golinetti], l’osservai attentamente sopra la Scena, l’esaminai ancora meglio, alla conversazione, al passeggio, e mi parve uno di quegli attori che io andava cercando. Composi dunque una Commedia a lui principalmente ‘appoggiata’, col titolo di Momolo cortesan». Le altre parti della commedia, a differenza di quella del protagonista, sono a canovaccio, come nella tradizione del teatro dell’Arte e affidate alle “improvvisazioni” degli attori bravissimi della compagnia dell’Imer. È il successo. La commedia è replicata più volte, sempre a teatro pieno. Nasce così, insieme alla fama del commediografo, il primo «carattere» del teatro goldoniano, un «tipo» di giovane veneziano, che sa «di mondo», che sa fare; quello che poi

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crescendo abbandonerà le vesti di un personaggio «libertino, sciocco, ridicolo» e indosserà, maturo, le vesti dell’avveduto, «onesto mercante» Pantalone, «buon personaggio». Dal Momolo parte il grande lavoro sui «caratteri» che contraddistinguerà la scrittura teatrale del commediografo veneziano. Dalla particolare attenzione che Goldoni assegna alla recitazione dell’attore, muovono i primi risultati del «verisimile» nella sua drammaturgia. L’autore calza come un guanto il personaggio nel carattere dell’attore, sovrapponendoli perfettamente, per cui nessun artificio straniante viene a rallentare l’effetto di verosimiglianza, come, invece, teorizzerà Diderot nel suo Paradosso dell’attore (ma un particolare effetto di straniamento “per eccesso di verità”, in qualche maniera, pur si produce e si consegna alla platea che si riconosce nei personaggi). La scena diventa una tranche de vie, “riscritta” e riannodata, “letta” in un nuovo stile e talvolta con malessere e con ironia, ma comunque sempre da poco tolta da un interno veneziano o da un qualsiasi campiello: «tutte le opere teatrali che ho poi composte, le ho scritte per quelle per persone ch’io conosceva, col carattere sotto gli occhi di quegli attori che dovevano rappresentarle, e ciò, cred’io, ha molto contribuito alla buona riuscita de’ miei componimenti». Il Momolo, che sarà scritto dall’autore interamente nel 1755 mutandogli il titolo in L’uomo di mondo, pur legato ai moduli dell’Arte, segna il lento avvio della riforma teatrale di un Goldoni trentenne, che di lì a non molto, preso dall’entusiasmo, farà rappresentare la continuazione della prima commedia: il Momolo sulla Brenta. Dovranno, però, passare ancora cinque anni (durante i quali è nominato console a Venezia della Repubblica di Genova (12 dicembre 1740), incarico onorifico che manterrà fino al 7 gennaio 1743, perché Goldoni scriva per intero una commedia «senza lasciare a’ comici libertà di parlare a talento loro» e sarà La donna di garbo che il commediografo vedrà rappresentata soltanto nel 1747 a Livorno. Emblematica commedia, che se da un lato avvia la riforma del teatro comico, lascia apparire per la prima volta sulle scene, con un ruolo predominante, la figura femminile che d’un balzo attraverserà tutto il teatro goldoniano, da Rosaura, appunto, alla Mirandolina della Locandiera, dalla Pamela alle donne nevrotiche delle commedie degli anni cinquanta, fino alle popolane delle Baruffe, delle Massere, fino alla Giacinta della Trilogia della villeggiatura, tutte impersonate da grandi attrici quali la Baccherini, la Passalacqua, la Bastona, la Maddalena e la Teodora Raffi, la Caterina Bresciani. La donna nella commedia

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goldoniana assumerà sempre più una parte centrale (e ne sarà spettatrice attenta), come del resto lo sarà il ruolo femminile (di lettrici) nella cultura europea dei salotti nel Settecento, indicativo di un’epoca non soltanto teatrale. «Per piacere al pubblico, bisogna cominciare con il lusingare le donne», scriverà Goldoni. È un procedere cauto quello del nostro commediogrado, «un pochetto alla volta», verso la riforma della commedia dell’Arte, senza strappi, con costanza. La scrittura delle parti da recitare segna uno iato incolmabile con la tradizone del teatro dell’Arte, dove gli attori erano chiamati, sera per sera, ad improvvisare le battute e i dialoghi, sulla falsariga di un canovaccio, legati ai ruoli stereotipati delle maschere. Maschere che Goldoni, però, non abolisce di colpo, ma lascia cadere lentamente, creando quasi la necessità che questo avvenga, disponendo la trama delle commedie a non averne bisogno, disegnando le psicologie dei personaggi a tal punto da rendere perfettamente «naturale» la recita a volto scoperto, come se i caratteri affiorassero all’esterno attraversando costumi e maschere. Reciterà il capocomico Orazio nel Teatro comico, (II, 10): «Una volta il popolo andava alla commedia solamente per ridere, e non voleva vedere altro che le maschere in iscena; e se le parti serie facevano un dialogo un poco lungo, s’annoiavano immediatamente: ora si vanno avvezzando a sentir volentieri le parti serie, e godono le parole e si compiacciono degli accidenti, e gustano la morale, e ridono dei sali e dei frizzi cavati dal serio medesimo, ma vedono volentieri anche le maschere, e non bisogna levarle del tutto, anzi convien cercare di bene allogarle e di sostenerle con merito nel loro carattere ridicolo, anche a fronte del serio più lepido e più grazioso». Le maschere (Arlecchino, Truffaldino, Brighella) saranno lentamente svuotate (altre spariranno del tutto: Tartaglia, il Capitano), convivranno in ruoli sempre più marginali, per poi mutarsi di nome (Filippo, Costanza, Todero) e con i nomi propri dissolversi del tutto. Bandito, poi, l’armamentario delle macchine di scena secentiste, tutto procede secondo «verosimiglianza», secondo le regole non scritte del «buon gusto» e dell’«onestà morale»: il suo teatro si apre – come scriverà – anche alla «famigliuola innocente» e alle «persone dotte e dabbene». Gli anni dal 1743 al 1748 ovvero dalla Donna di garbo (1743), la prima interamente scritta, e dal Servitore di due padroni (1745), commedia parzialmente scritta, sino alla Vedova scaltra (1748), è tutto un lento distacco dai modi e dalle maniere del gioco recitativo dell’improvviso (anche se la scrittura di canovacci non è ancora del tutto abbandonata, anzi; ed è bene ricordare che tutti gli scenari composti

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da Goldoni tra il 1738 e il 1745, dal Momolo al Servitore di due padroni, sono andati perduti. Oggi noi leggiamo la loro ri-scrittura per le stampe con correzioni e aggiunte di cui non conosciamo l’entità, senza la possibilità di un’ecdotica. Nel periodo del soggiorno pisano (1744-48), Goldoni sperimenta, avanza e retrocede incerto, scrive copioni e canovacci (I Cento e quattro accidenti in una notte), fa pratica della propria abilità, scrive rime e fa l’avvocato. Nella volontà di “attraversare” l’esperienza della commedia dell’Arte, il commediografo si misura per certi versi con il teatro della tradizione di un Nelli, di un Fagiuoli, di un Gigli, e con quello contemporaneo dei salotti, dilettantesco e “letterario”; si confronta con la contigua riforma arcadica del teatro, tutta annegata in una finta sceneggiatura pastorale di gusto razionale, e che ansima sotto il peso di un classicismo ben regolato sull’artificiale voglia di naturalezza. Oltre tutto l’auspicare il «verisimile», l’abolire il barocchismo nel teatro, non soltanto scenografico, furono concetti che Goldoni trova in parte già elaborati sul piano teorico: basti pensare, per quel che riguarda il melodramma, all’Apostolo Zeno; o per quanto riguarda la commedia dell’Arte, al Muratori, con il suo Della perfetta poesia italiana (1706), allo Jacopo Martello o al Benedetto Marcello col suo Teatro alla moda (1720). Le più giuste intenzioni, una volta a teatro, però, si dimostravano incapaci di rompere una tradizione teatrale stereotipata e stucchevole, di derivazione classica: «dopo aversi ben stillato il cervello sui libri degli egregi maestri […] si potrà, dico, far delle regolatissime Opere», scrivere in «purgatissima lingua», ma si «avrà la disgrazia che tuttavia non piacerà sul teatro». Oppure, si ricascherà nella stantia recitazione «improvvisa», ma di fatto ripetitiva quando non folgorata dalla sempre più rara bravura di un grande comico dell’Arte. Si ha l’impressione in questi anni di un esercizio eccellente, ovvero che Goldoni miri ad impadronirsi, praticandoli, dei canoni recitativi della commedia dell’Arte. Gli scenari che lui scrive, da Pisa, su commissione dell’attore Sacchi (o Sacco) per le scene veneziane, saranno stati canovacci francamente nella migliore tradizione della commedia a soggetto, in parte scritti e in parte abbozzati. Basti ricordare Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato (1746) o Il servitore di due padroni (1745), per renderci conto di quale grande autore della commedia dell’Arte sarebbe stato il Goldoni; fama per altro che gli restò all’estero, soprattutto in Francia, dove, non a caso, sarà chiamato sulla scia di quella fama, e i suoi scenari, che ritornerà a scrivere a Parigi, riscuoteranno i successi alla Comédie Italienne. Per cui è lecito pensare

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che il riformismo teatrale di Goldoni, altro non sia, semplificando, che uno “squadernare” in maniera diversa, e con un occhio insistente alla drammaturgia (e alla cultura) francese e inglese del tempo, la recitazione stessa della buona commedia dell’Arte. Sarebbe impensabile che dopo La donna di garbo, interamente redatta nel 1743 («questa, per dir vero, è la prima commedia da me disegnata e interamente scritta», e che apre, non casualmente, il primo tomo dell’edizione Bettinelli, nel 1750), Goldoni ritorni alla tradizione delle recite all’improvviso, a «giocare» di nuovo con le maschere. Eppure lo fa (e lo farà, tutto sommato, sempre, se pensiamo al nuovo praticantato parigino che l’attende). È un intelligente esercizio di scuola compositiva; apprende l’artigianato del recitare direttamente dai prosceni battuti dai lazzi e dalle piroette dei comici. La scrittura di quei canovacci di cui non ci restano tracce, ma soltanto le notizie dei successi dei Pantaloni D’Arbes e Sacchi, diviene per Goldoni apprendimento. Il commediografo veneziano sembra voler fermare su carta l’inventiva, il brio, la magia recitativa all’improvviso dei bravi commedianti. Ne ruba i segreti, li riordina e li studia mentre li dispone. Apprende una tecnica, assorbe i ritmi scenici, le suggestioni mimetiche e la velocità, l’inventiva, il dosaggio dei colpi di scena e la suspense, da cui depenna le scurrilità, i lazzi indecenti, le battute stantie, insomma, mette ordine nello straordinario crogiuolo di intelligenza inventiva che è stata la nostra commedia all’improvviso. Ma, anche – non dimentichiamolo – traccia una sorta di palinsesto a stampa, attraverso cui è dato “ascoltare”, sia pure soltanto come un rimbombo, la recitazione dei commedianti dell’Arte, perduta ogni sera per sempre al calare del sipario. Truffaldino, impersonato dall’attore Antonio Sacchi, per cui scrive due scenari, Il servitore di due padroni (1745) e Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato (1746), è il primo dei grandi personaggi goldoniani, in cui, però, lo scavo caratteriale non ha lavorato in profondo, ma soltanto intorno alla sua figura, nel dialogato, nella rapidità delle battute, nella precisione e tempismo dei gesti. Intanto, nel 1743, impelagato in una truffa in cui lo coinvolge il fratello Giovanni Paolo, Goldoni abbandona precipitosamente, con la moglie, Venezia. Va a Bologna, poi a Rimini dove assume la direzione degli spettacoli del teatro di quella città durante l’occupazione austriaca. Nel 1744 è in Toscana, a Pisa, dove ritorna ad esercitare l’avvocatura. Qui viene accolto nella colonia arcade Alfea col nome di Polisseno Fegejo. Goldoni amerà usare questo pseudonimo in quasi tutti i suoi drammi giocosi per musica e ne fregerà i frontespizi del-

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l’edizione Bettinelli, della Gavelliana (Pesaro, 1753), della Paperini e della Agostino Olzati (Torino, 1758); esso scomparirà definitivamente dalla Pitteri (1757). Sono gli anni delle frequentazioni delle Accademie arcadiche di Firenze, di Siena, di Pisa. Ma a Pisa in quella calda estate del 1745 accade un avvenimento apparentemente di poco conto ma decisivo per la futura carriera del Nostro, precisamente «un singolare colloquio con un comico». Nel capitolo cinquantunesimo della prima parte dei Mémoires, l’avvocato Goldoni riceve, nel suo studio, inaspettata la visita di Pantalone in persona, nei panni del celebre attore comico Cesare D’Arbes: «Io sono un commediante, io mi annuncio a un autore, io ho bisogno di lui...» – «Avete bisogno di me?» – «Sissignore, sono qui per chiedervi una commedia...». E Goldoni, alla fine di questo straordinario dialogo già teatrale, sedotto dalla bravura dell’attore, esaudirà e scriverà a lui «appoggiata» una commedia, il Tonin Bellagrazia, rappresentata a Livorno nel ’47 (rielaborato con il titolo Il frappatore nella edizione Paperini, 1757). La toga forense è riposta definitivamente nell’armadio (non così il titolo di avvocato che comparirà sul frontespizio delle edizioni dalla Bettinelli alla Pasquali, ma non nella Zatta, sostituito da un «SIG.»): «dappoiché abbandonata affatto ogni altra professione, come quella di avvocato civile, e criminale, che in Pisa allora esercitava, mi son tutto consagrato alla comica poesia». Seguirà all’incirca nello stesso periodo l’incontro a Livorno col capocomico romano Girolamo Medebach, con cui, nel 1747, Goldoni sigla un impegno per il teatro Sant’Angelo di Venezia a partire dall’anno succesivo. Dal 1748 Goldoni è a Venezia; e inizia a dare identità al suo teatro. Con Il teatro comico apre la stagione 1750-51 del Sant’Angelo (in cui lavorerà dall’autunno del 1748 al carnevale del 1753, a seguito di una «privata Scrittura» col capocomico Girolamo Medebach), e ci conduce all’interno del suo laboratorio poetico elaborando una commedia che è di fatto una prova teatrale. È scritta assieme ad altre quindici in appena un semestre dell’anno comico 1750-51. All’indomani, infatti, dell’insuccesso dell’Erede fortunata, Goldoni aveva lanciato, per bocca della prima attrice Teodora Raffi, moglie del Medebach, la sfida di comporre sedici commedie «nuove» per l’anno successivo. L’intento didattico di questa commedia-saggio è evidente: “rappresentare” i criteri essenziali del suo teatro riformato, descrivendo il difficile rapporto con gli attori recalcitranti ai nuovi canoni, e lo scontro con i pregiudizi della critica e del pubblico. Il teatro comico vive in forte sintonia con la Prefazione dell’edizione Bettinelli, pubblicata nello stesso anno

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(1750), e se quest’ultima è la teorizzazione della riforma, la commedia è la sua mise en scène. L’effetto pratico a teatro, però, sarà limitato perché poche saranno le repliche (appena due) ad inaugurazione della stagione teatrale 1750-51. Comunque, Goldoni pur contrastando la libertà degli attori sarà sempre dalla loro parte. Ha ben chiaro che soltanto dalla professionalità degli interpreti potrà scaturire una buona conduzione del teatro riformato. La genialità dell’autore passa attraverso la professionalità dell’attore. Non sappiamo nella battuta del personaggio Placida, nel teatro comico, quanto parli l’attrice che ne impersona il ruolo, la Teodora Raffi e quanto il Goldoni stesso: «Se facciamo le commedie dell’arte, vogliamo star bene. Il mondo è annoiato di veder sempre le cose istesse, di sentir sempre le parole medesime, e gli uditori sanno cosa deve dir l’Arlecchino, prima ch’egli apra la bocca. Per me vi protesto, signor Orazio, che in pochissime commedie antiche reciterò, perché se la commedia non è di carattere, è almeno condotta bene, e si sentono ben maneggiati gli affetti...» (I, 2). Il terremoto formale non è lieve: salta un’intera tradizione recitativa, si configura una nuova coralità scenica e la si consegna ad un pubblico più vasto, più esigente nelle attese. Un pubblico, d’altro canto, che Goldoni sta formando lentamente nel gusto. C’è un passo fondamentale nella prefazione dell’edizione Bettinelli (cassato poi nella Pasquali) dove si coglie apertamente l’orgoglio dell’autore nell’essere riuscito a creare una particolare aspettativa nel pubblico attraverso le sue commedie, nell’avere «avvezzato» gli spettatori ad un gusto diverso: «Che se alle mie commedie ne sono state fatte (di critiche), o se faran tuttavia in avvenire, io trarrò quindi un sicuro argomento che degne sieno di osservazione, e però fornite di qualche merito. Infatti, se quelli che o due o tre anni fa sofferivano sul Teatro improprietà, inezie, Arlicchinate da mover nausea agli stomachi più grossolani, son divenuti al presente così dilicati, che ogn’ombra d’inverisimile, ogni picciolo neo, ogni frase o parola men che toscana li turba e travaglia, io posso senza arroganza attribuirmi il merito d’aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse Commedie che alcuni di essi indiscriminatamente, ingratamente, e fors’anche talvolta senza ragione si sono messi, o si metteranno a lacerare». Il 1750 è anche l’anno di nascita della storia editoriale delle commedie goldoniane, con la loro pubblicazione presso il libraio veneziano Giuseppe Bettinelli. Seguirà un affollamento di stampe («pirate» o meno) e di ristampe, non sempre autorizzate, che spesso si acca-

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valleranno cronologicamente le une alle altre costituendo un vero e proprio reticolo di varianti. Difatti, già a partire dalla Bettinelli anche le successive edizioni da lui direttamente curate in vita, come la Paperini, la Pitteri, la Pasquali, (oltre le svariate ristampe e le altre edizioni minori, che pullulano in varie città italiane) si sovrapporranno tra di loro in un intrigo di date e di tomi. Ma cinque saranno quelle, più o meno, ufficialmente seguite dall’autore. Alla Bettinelli (Venezia, nove tomi, 1750-1757), curata dal Goldoni fino al 1752 (t. I, II, III), e poi proseguita autonomamente dal Medebach e dall’editore), seguiranno quattro principali edizioni: la Paperini (Firenze, dieci tomi, 1753-1757), la Pitteri (Venezia, dieci tomi, 1757-1763/64), la Pasquali (Venezia, diciassette tomi, (1761-1780), la Zatta (Venezia, quarantaquattro tomi, 1788-1795, ma non curata direttamente da Goldoni). Prove evidenti del febbrile desiderio che accompagnerà per tutta la vita il commediografo: «ordinare» la produzione teatrale in raccolte sempre più complete e corrette (ed anche entrare, ma forse senza averlo del tutto chiaro in senso moderno, attraverso questa “porta di carta” nella storia, non soltanto teatrale, della letteratura italiana.

1753 - 1761. Le incomprensioni, le rivalità, i successi Nel 1753 Goldoni passa al Teatro di San Luca con un contratto decennale firmato con il proprietario, il nobile Antonio Vendramin. Lascia quindi il Sant’Angelo e la compagnia di attori con cui aveva sperimentato la riforma, e rompe con il capocomico Medebach. Con quest’ultimo erano sorti numerosi dissapori, legati soprattutto all’edizione delle commedie presso l’editore Bettinelli. Probabilmente non senza malizia, il Medebach sostituirà Goldoni al Sant’Angelo con il suo rivale di sempre, lo scrittore Pietro Chiari. Nascono, così, i partiti dei “chiaristi” e dei “goldonisti” acerbamente contrapposti. Tra i primi, ma giusto per osteggiare il Goldoni, Carlo Gozzi, e poi il poeta e senatore Giorgio Baffo; tra i secondi, il conte Pietro Verri, Gasparo Gozzi e Giacomo Casanova, che ne parlerà nella sua Histoire de ma fuite des prisons de la République de Venise qu’on appelle les Plombes. Si apre per il nostro autore un periodo difficile, incerto, ma denso di risultati. Un lavoro sfibrante che metterà più volte in dubbio le sue certezze, lo vedrà brancolare tra generi diversi, ma che gli consentirà di sperimentare nuovi percorsi e di produrre, alla fine del decennio, i grandi capolavori della maturità.

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Se il contratto col Vendramin era più vantaggioso, anche in termini economici, di quello col Medebach (e soprattutto gli permetteva la massima libertà nell’editare le sue commedie), non così poteva dirsi per la sala del San Luca, molto più vasta di quella del Sant’Angelo, dove il palcoscenico più grande disperdeva, nell’ampiezza delle scenografie, gli effetti dei dialoghi. Nella prefazione alla commedia La donna di testa debole, Goldoni annoterà: «In un teatro picciolo riescono bene alcune azioni leggere, familiari, o critiche, ma in un Teatro grande colpiscono difficilmente e conviene scegliere azioni grandiose, strepitose, massicce». Inoltre, nel nuovo teatro non esisteva un capocomico e l’autore aveva un rapporto con gli attori non mediato da un direttore artistico. Goldoni era direttamente pagato dal Vendramin, mentre gli attori ricevevano gli incassi delle recite. Non per ultimo, la Compagnia, in cui figuravano valenti attori e attrici quali la Caterina Bresciani, Francesco Rubini, Teresa Gandini, non era avvezza a mandare a memoria il copione, ma era legata ai vecchi stilemi della commedia dell’Arte. Questo giustifica, in parte, l’immediato insuccesso delle prime due commedie recitate al San Luca: Il geloso avaro e La donna di testa debole, rappresentate nell’ottobre del 1753. Mentre il Chiari al Sant’Angelo, con i tratti di autore secentista, gran manovratore di trame di romanzi inglesi e francesi, con una spiccata attenzione per l’esotico e per le storie mirabolanti, si porrà come l’alternativa fantasiosa al Nostro. Il pubblico veneziano probabilmente stanco dei verosimiglianti racconti goldoniani, dà consenso alle pièces del Chiari, affolla le sale, lo applaude (e si prepara ad accogliere le fiabe gozziane), mentre al contrario la platea del San Luca si svuota ogni sera di più. Il Vendramin, preoccupato, sollecita al cambiamento un Goldoni disorientato, intestardito nella sua riforma, che sembra ripetersi, diperdersi nella formalizzazione estenuata di caricature di personaggi afflitti da tic ossessivi: Il vecchio bizzarro, I puntigli domestici, La donna stravagante, I malcontenti, infiacchirsi in commedie con figure desuete, spesso grottesche: La donna volubile, La madre amorosa, L’avaro, Il cavaliere di spirito, ecc. A queste commedie stereotipate, risponderanno quelle fiabesche del Gozzi, fatte di città immaginarie e di personaggi sognanti. Al realismo goldoniano, Carlo Gozzi ribatterà puntando sul ritorno di un teatro apparentemente nuovo, aristocratico, sostanzialmente arcaico (ma di straordinario fascino e qualità), affidato alle macchine, alle cineserie, alle storie irreali, in pratica alla «poetica del mirabile» e alla ripresa parziale dei canovacci. Goldoni, travolto dalle mode, smette, allora, di andare controcorrente, si adegua, va in

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cerca del nuovo gusto del pubblico, cambia tono e registro, scende sul terreno del Chiari, cede all’esotico e mette in versi martelliani, come il gusto del tempo chiedeva, le commedie (senza dimenticare che Goldoni aveva già scritto e fatta rappresentare a Torino una commedia in versi, Il Moliere, già nel 1751). Nel carnevale del 1753-54 scrive La sposa persiana, una tragedia in versi, orientaleggiante e ben romanzata: un successo. A questa seguono altre due: Ircana in Julfa (1756) e Ircana in Ispaan (1757). Goldoni non disdegna nemmeno l’esotismo di carattere con La peruviana (1755), La bella selvaggia (1758) e La dalmatina (1758); sperimenta le commedie di costume, alcune ambientate nei tempi passati: Terenzio (1754), Torquato Tasso (1755), Enea nel Lazio (1760). Ma in tanto guazzabuglio di generi e di scenografie, che, comunque riscuotono successo e riempiono le «cassette» del teatro, Goldoni individua ed esplora altre linee di ricerca che proprio i diversi temi gli hanno permesso di conoscere, quale la possibilità di coniugare il verso martelliano con l’uso del dialetto, guadagnando spontaneità e realismo; nascono così Le massere (1755) e il capolavoro del Campiello (1756); inoltre, si confronta con le idee illuministiche che si vanno diffondendo nelle capitali europee descritte nei drammi di sapore esotico; spinge Venezia dentro l’Europa col raffrontare le inevitabili differenze di costume e di ideologie (ci aveva già provato ai tempi della Pamela (1750) tratta dal romanzo epistolare del Richardson); riesuma e mette in scena tracce del suo passato: Il filosofo inglese (1753) e Il medico olandese (1756), e il folto manipolo di commedie in cui appaiono gli avvocati. Tutto questo lo sconterà con una grave prostrazione di nervi, da cui cercherà di uscire con frequenti viaggi in Toscana nel 1753, in Lombardia nel 1754, in Emilia nel 1756 e con un lungo soggiorno di sette mesi a Roma (dal 25 novembre 1758), dove lavorerà per i teatri Tordinona e Capranica (Napoli resterà un progetto). Forse proprio la distanza dalla Serenissima, durante il soggiorno romano (1758-59), consente al commediografo di guardare in maniera diversa alla società veneziana e al ceto borghese che aveva osannato nel passato e di cui scopre i segni involutivi, i contrasti generazionali, le chiusure mentali. Questo ripensare una classe sociale, la borghesia, si riflette in una riconsiderazione dei contenuti delle sue commedie, che, per la prima volta non offrono risposte (o battute) rassicuranti al pubblico, ma gli rivolgono, tra le pieghe, domande inquiete. Portando sulle scene l’epicità dimessa del popolo, la grettezza della borghesia, la vanità inconcludente dei nobili, l’autore offre agli spettatori straordina-

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ri affreschi sociali che faranno grande il suo teatro negli anni che vanno dal 1758 fino al 1762, ovvero dagli Innamorati ai Rusteghi, alla Casa nova, alla trilogia della Villeggiatura, al Sior Todero brontolon, alle Baruffe chiozzotte. Il ritorno della Chiozza della sua gioventù sulle scene sembra chiudere in un giro a tondo l’intera esperienza del lavoro drammaturgico (di una «drammaturgia veneziana», come dirà Mario Baratto), che non a caso termina con la rappresentazione di una borghesia chiusa nelle camere, nel dramma di un ormai invecchiato Pantalone a cui risponde la vitalità di un popolo che di lì a non molto non occupererà trionfante soltanto la scena del San Luca, ma le strade di Parigi. È un’estate torrida quella del 1761 e Goldoni, cinquantaquattrenne, è immerso nella stesura delle commedie della Trilogia della villeggiatura, quando, durante una visita dell’ambasciatore di Francia a Venezia, il conte de’ Baschi, gli viene recapitata una lettera. Gli scrive un amico, il padovano Antonio Francesco Zanuzzi, conosciutissimo attore della Comédie Italienne di Parigi, per invitarlo a collaborare presso quel teatro e a diventare autore dei “Comédiens du Roi de la Troupe Italienne”. I tempi, per Goldoni, non sono tra i più felici. Qualcuno addirittura ha messo in giro la voce della sua morte, offrendo false testimonianze. La concorrenza del Chiari non gli lascia respiro e da tempo lo costringe a rincorrere le platee con i gusti delle mode passeggere, complice il ritorno del Sacchi al Sant’Angelo con la commedia dell’Arte. Lo stesso Carlo Gozzi con il successo delle Fiabe teatrali, che proprio in quell’anno (1761) iniziano ad essere rappresentate, sembra togliere certezze al suo lavoro, lo critica e lo ridicolizza mettendolo alla berlina addirittura sulle scene, appaiandolo al rivale Chiari, come, ad esempio, nell’Amore delle tre melarance (1761) che ottiene uno strepitoso successo. I versi di lode giunti al Goldoni da Voltaire non mitigano l’amarezza delle critiche, le angosce derivanti da un futuro incerto. Lo stesso viaggio a Roma era stato anche un tentativo infruttuoso di cercare alternative a Venezia. Goldoni è alla ricerca di una stabilità professionale non più affidata alle incertezze del suo scrivere per gli impresari. (Anche se va detto che ricerche recenti – Andrea Fabiano – hanno stabilito una costante e forte presenza delle commedie di Goldoni sulle scene veneziane negli anni 1761-62, ovvero in quelli della decisione e della partenza per la capitale francese). Nel caso restasse a Venezia, pensa ad un incarico governativo, in qualità di avvocato, ma nonostante le assicurazioni di amici e protet-

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tori non ottiene «la maggioranza dei voti» necessaria, e amaramente commenta: «Se c’è concorrenza di aspiranti, le arti utili hanno sempre la meglio sulle cosiddette arti amene». E ora a portata di mano è Parigi. La gioia della nuova avventura è tutta in questa lettera all’amico Albergati, il 5 di settembre del 1761: «Se acquisterò qualche merito resterò colà con patti molto migliori; se non farò niente, me ne tornerò in Italia; avrò veduto Parigi, avrò arricchita la fantasia per delle cose nuove in Italia». Sembra esserci in questa decisione il condensato dell’ottimismo goldoniano (ma anche un velato presago pessimismo) quasi frutto di un’etica protestante, di una concezione laica dello «sfadigar» e del possibile «progredire». Non casualmente, nella lettera dedicatoria indirizzata al conte de’ Baschi (premessa alla commedia dei Rusteghi), prefigurando la sua partenza per la capitale francese, Goldoni si descrive nell’amaro ossimoro dello scolaro anziano: «Ma tardi è per me arrivata la buona sorte. Ho consumato l’età migliore tra le fatiche. Torno scolare allor ch’io dovrei aver finito di scrivere. Lo studio e la fatica non mi rincresce; vorrei saper profittare, e crederei ben sparsi i sudori, e ben vegliate le notti». La decisione è presa, «costretto da ragioni di previdenza». Firma un contratto di due anni con l’incarico di comporre nuove commedie per la compagnia del Théâtre italien che non attraversava un periodo particolarmente felice. Ma prima di lasciare Venezia, Goldoni ne racconta l’addio. La commedia Una delle ultime sere di carnovale (1762) può essere letta come l’allegoria della sua partenza, che istintivamente avverte come definitiva: «Come non mi pareva ben fatto di parlare sfacciatamente e alla scoperta di me, e delle cose mie, ho fatto de’ Commedianti una società di Tessitori, o sia di fabbricanti di stoffe, ed io mi sono coperto col titolo di Disegnatore. L’allegoria non è male adattata. I comici eseguiscono le opere degli Autori, ed i Tessitori lavorano sul modello de’ loro Disegnatore». Parigi si rivelerà una gran disillusione (non sapremo mai quanto prevista) e anni amari attenderanno il Nostro in Francia. Sembra intuirlo il Goldoni/Anzoletto della commedia nel prendere congedo dal suo pubblico: «Confesso, e zuro su l’onor mio, che parto col cuore strazzà: che nissun allettamento, che nissuna fortuna, se gne n’avesse, compenserà el piaser de star lontano da chi me vol bene...». Raccontano le cronache della prima che all’abbassarsi del sipario del teatro di San Luca, i veneziani, tra gli applusi, gridassero all’indirizzo di Goldoni un beneaugurante «Torné presto!», ma l’augurio a nulla valse. Era la sera del 16 febbraio 1762.

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1762 - 1793. A Parigi Il 22 aprile del 1762 Goldoni parte, in compagnia della moglie e del nipote Antonio, alla volta della capitale francese. Il viaggio sarà tortuoso, pieno di soste. Raggiunge Ferrara e Bologna (dove si ammala per due mesi), poi è a Reggio Emilia, successivamente a Parma, dove resta per circa un mese, infine arriva a Genova da dove si imbarca per Marsiglia; e così, dopo un viaggio di circa quattro mesi, raggiunge Parigi il 26 agosto. Sin dal XVII secolo l’edificio del Théâtre italien di Parigi aveva ospitato compagnie di attori della commedia dell’Arte italiana. Nel pubblico francese era ben radicata una consuetudine teatrale fatta di scenari, di recite all’«improvviso» con lazzi e motteggi, quasi tutte in lingua italiana e nel migliore spirito della comicità «a soggetto». È quanto trova il nostro autore all’arrivo nella capitale. La disillusione è cocente (ma prevedibile). Prevedibile, per la verità, per un uomo informato di teatro come Goldoni, ma non così perentoria. Netto sarà il suo giudizio, di lì a non molto, quando scriverà all’amico Albergati: «il gusto delle buone commedie in questo paese è finito. Fa pietà il Teatro moderno francese». All’ombra dell’Opera, Goldoni ritrova la Venezia del 1748 quando si rimboccava le maniche per attuare la riforma. Sembra essere tornato indietro di vent’anni, con gli attori restii a mandare a memoria le parti da recitare, gelosi dei ruoli, inguaribilmente portati ai lazzi e alle battute salaci, innamorati delle «regole» e soprattutto delle maschere, insomma di tutto il vecchio armamentario recitativo della commedia dell’Arte. A questo fa da contrappunto un pubblico non educato alla nuova commedia e che, dimentico del teatro di Molière, cercava alla Comédie soltanto di divertirsi con le macchiette e i mots clés degli stantii repertori des Italiens. Goldoni, non sappiamo quanto a malincuore, si adegua, «torna scolare» e scrive scenari, canovacci, brevi arlecchinate quali l’Arlequin cru mort, Arlequin héritier ridicule, Arlequin valet de deux maîtres, temi ripresi, non a caso, dal vecchio e celebre Servitore di due padroni. Si cimenta subito con una commedia, L’amore paterno, con maschere, ma interamente scritta, e di cui al pubblico francese offre un sunto, l’Extrait de L’amour paternel, tradotto dal Meslé a cui l’affida: ma è un tonfo secco alla ‘prima’, nel gennaio 1763. Nel dicembre 1762, in una lettera all’amico Albergati, parlando degli attori, li definisce dei «paresseux», degli infingardi, mentre serpeggia l’insofferenza e la voglia di abbandonare tutto e di far ritorno a Venezia: «Non imparano le commedie scritte, quelle a

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soggetto nemmeno le sanno fare. Io faccio il mio dovere; s’essi non lo fanno, tanto peggio per loro. Alla fine di questo mese termina il mio primo anno a Parigi. Se il secondo non migliora, lo lascierò: de solo pane non vivit homo; la riputazione è l’alimento dei galantuomini, e questa mi farà ritornare in Italia più presto». Ma il secondo anno andò meglio. Un grande successo arriderà nella stagione teatrale 1763-64 agli scenari della trilogia Les amours d’Arlequin et de Camille, La jalousie d’Arlequin, Les inquiétudes de Camille, e alla “locandiera francese”, Camille aubergiste. Goldoni scrive al suo amico Albergati, il 3 ottobre 1763: «Oggi ho dato al pubblico una mia commedia intitolata Les amours d’Arlequin et de Camille. Questa ha avuto un incontro sì universale e sì pieno, che ora posso dire che la mia reputazione è stabilita a Parigi [...]. Me voilà content». Merito di questi successi va anche ascritto ai bravissimi comici dell’Arte veneziani che recitavano a Parigi, quali il celeberrimo Carlin, così chiamato dai francesi, il Bertinazzi e la Camilla Veronesi. Nel frattempo Goldoni continua a stendere per intero le commedie per il San Luca di Venezia, travasando in italiano quanto abbozza in francese, ma non sempre con successo. A proposito del Matrimonio per concorso, tratta dal testo de Les deux Italiennes, scrive al marchese Francesco Albergati, l’undici luglio 1763: «Ho spedito una nuova commedia per il teatro San Luca a Venezia, intitolata Il matrimonio per concorso. Ne ho fatta una per qui, intitolata Les deux italiennes, ma tutta scritta, avendo protestato a questi signori di non voler fare più commedie a soggetto, le quali non ponno fare onore all’autore, né profitto al teatro. Mi ho sagrificato a farne sei o sette, per compiacenza, ma ci perderei del mio onorifico a seguitare. Vero è che staranno molto ad impararle, ma almeno saranno commedie». Scrive, ancora, gli Amanti timidi portato sulle scene veneziane nell’ottobre del ’64, e soprattutto la trilogia di Zelinda e Lindoro (Gli amori di Zelinda e Lindoro, La gelosia di Lindoro, Le inquietudini di Zelinda) interamente scritte e desunte dagli scenari parigini della trilogia d’Arlequin et Camille. Tutt’altro discorso per il capolavoro del Ventaglio, commedia rappresentata a Venezia il 4 febbraio 1765, rielaborazione di un canovaccio francese L’éventail. «Questa è una gran commedia», scriverà da Parigi, ma non avrà il successo sperato. Il commediografo consiglia, preoccupato, nelle lettere al Vendramin, l’attenzione nella scelta dei ruoli dei personaggi da affidare agli attori veneziani (ritorna uno dei suoi metodi teatrali: cucire sulla personalità dell’attore il realismo del personaggio), come si desume dalla

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lettera allo Sciugliaga, dove Goldoni sottolinea: «Raccomandate [agli attori] che facciano diverse prove. Tutto dipende dall’esecuzione. La commedia dipende dai comici». Ma da Venezia non gli giungono buone nuove, se non le severe recensioni, a firma del Baretti, che appaiono puntuali sulla Frusta letteraria. A queste Goldoni ribatte inviando commedie che competono con le Fiabe teatrali del Gozzi, una per tutte la «favola», appunto, di Il Genio buono e il genio cattivo (1767), scritta proprio sulla falsariga dei mondi magici delle commedie gozziane e che ottiene ben ventisette repliche. Il 1765 è un anno di svolta. Il Teatro Italiano di Parigi, visti anche i magri successi, è, per decreto regio, fuso con l’Opéra Comique, e nel febbraio dello stesso anno, scaduto l’impegno con la Comédie Italienne, il commediografo sembra accingersi a ritornare a Venezia (ma pensa anche a Lisbona, a Londra), quando, all’improvviso, gli viene offerto l’incarico di «maestro di lingua italiana» presso la Corte reale. Goldoni diviene insegnante della principessa Adelaide, figlia del re Luigi XV, e poi delle principesse Clotilde ed Elisabetta, sorelle di Luigi XVI. Ricaverà da questo impiego soltanto un modesto vitalizio annuo di tremilaseicento lire francesi, ma considera l’incarico un riconoscimento alla sua fama di autore. Comincia a frequentare la Corte a Versailles, senza saper essere, come dirà, un «cortigiano». Sono gli anni degli incontri con celebri intellettuali francesi quali Favart, Diderot, Rousseau, Marmontel e La Place e l’«amico» Voltaire. La perdita di un occhio non rallenta il suo ritmo di lavoro, continua a scrivere scenari e drammi giocosi per i palcoscenici di Lisbona, Londra, Vienna e soprattutto cura, con le sue prefazioni (che diventeranno le Memorie italiane, così dette da Giuseppe Ortolani), i preziosi volumi dell’edizione Pasquali, che però si fermeranno al XVII volume (1780). Poi, all’improvviso, gli ambienti di corte gli chiedono un’opera per le nozze tra Maria Antonietta e il delfino di Francia. È un’occasione straordinaria. Goldoni torna all’improvviso al successo delle scene, scrivendo interamente in francese una commedia, Le bourru bienfaisant, un capolavoro che, rappresentato alla Comédie Française, la sera del 4 novembre 1771, fu trionfalmente accolto dal difficile pubblico parigino. Lapidario l’elogio di Voltaire: «Très gaie, très purement écrite, très morale». Non così felice sarà la versione italiana, scritta più tardi e pubblicata nel 1789 col titolo Il burbero di buon cuore. Goldoni nel 1772 termina un’altra commedia in lingua francese, L’avare fasteux, che viene rappresentata direttamente a Corte, a Fontainebleau, nel 1776, ma questa volta, anche per cause accidentali, l’imminente partenza del

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Re per Parigi, la commedia non ha successo. Goldoni, ferito nell’orgoglio, non ne chiede la replica. Tenterà soltanto in seguito di farla rappresentare dagli attori della Comédie française, tiranneggiato dalle difficoltà economiche. Anche di questa commedia scriverà la versione italiana con il titolo L’avaro fastoso. Intanto, per pagarsi il trasloco a Parigi, è costretto a vendere, nel 1780, la sua amata biblioteca teatrale di «400 volumi». Ma ciononostante l’ottimismo continua a non mancare (o almeno così fa credere) al settantenne autore che prefigura la fondazione di un «Giornale di Corrispondenza italiana e francese» di cui non si conoscerà alcun esito. L’età avanzata non limita le iniziative, anche di quella faticosa e interamente spesa a beneficio di un connazionale, certo Paolo Bernardo, che è la traduzione in italiano (e la riduzione in «due tometti») di un voluminoso romanzo di Madame Riccoboni, Histoire de Miss Jenny, che Goldoni pubblicherà nel 1791. Ma questi sono essenzialmente gli anni, per citare il Gibbon della «più bella commedia di Goldoni»: la stesura dell’autobiografia dei Mémoires de M. Goldoni, pour servir à l’histoire de sa vie, et a celle de son théâtre, una fatica di tre anni iniziata sul finire del 1783, terminata nel 1786, e che vede la luce, in tre tomi, nell’estate del 1787. Goldoni vi racchiude il racconto della sua vita e del suo teatro, dove il ripasso di una memoria, non sempre lucida, testimonia ai posteri il racconto di un’esistenza interamente dedicata alle scene. Ancora, nel 1788, Goldoni trova la forza per impostare e avviare (ma soltanto con il suo patrocinio) l’ultima edizione delle commedie: la Zatta di Venezia, che si concluderà, postuma, in quarantaquattro tomi, nel 1795. Nel 1792 Parigi è attraversata dalla Rivoluzione, e a Goldoni, ormai ammalato, l’Assemblea Legislativa decreta (30 gennaio 1793) la sospensione della pensione elargitagli dal Re. Soltanto le pressioni e le cure del deputato Joseph Marie Chénier, fratello dell’omonimo poeta, varranno a fargliela restituire il 7 febbraio 1793, ma troppo tardi: il pomeriggio del giorno prima, assistito dal nipote e dalla moglie, in completa miseria (le sue ossa andranno disperse), Carlo Goldoni si è spento all’età di 86 anni, probabilmente in Rue Pavé Saint-Sauveur n. 1. Il 18 giugno dello stesso anno, gli attori francesi del Théâtre national mettono in scena in suo onore una recita del Bourru bienfaisant. Il ricavato della vendita dei biglietti è devoluto alla vedova che morirà due anni dopo, il 9 gennaio 1795.

Lorenzo Tiepolo (Venezia, 1736-Madrid, 1776), ritratto di Carlo Goldoni. L’incisione è di Marco Alvise Pitteri (Venezia, 1703-1786).

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A SUA ALTEZZA REALE IL SERENISSIMO INFANTE DI SPAGNA DON FILIPPO DUCA DI PARMA, PIACENZA, GUASTALLA EC. EC.* CARLO GOLDONI

La Grazia Clementissima, che mi ha accordata l’A.V.R. di dichiararmi suo attual Servitore, Poeta, e Pensionario è il maggior fregio, che possa onorare le opere mie, e l’umilissima mia persona. Sotto l’altissima Real di Lei protezione pongo questa mia completa voluminosa edizione, implorando per essa i Sovrani auspici del mio Reale Padrone. Questa non è una Dedica, ma un Memoriale. Non sono sì temerario per dedicare le miserabili mie fatiche a un sì gran Principe, il di cui sangue deriva dalle due più vaste, e più eccelse Monarchie dell’Europa, venuto a render felice la nostra Italia1. * L’opera omnia, «colta e magnifica», come l’aveva sognata Goldoni, non poteva non aprirsi con una lettera al Duca di Parma, Don Filippo V di Borbone (I Mémoires saranno, per rispettare le proporzioni, «dédiés au Roi»). Le lettere dedicatorie, non certo una novità goldoniana, sotto le mentite spoglie di un’offerta spontanea (ma già convenuta, e attentamente meditate nella scelta del destinatari), nascondevano, in squisita prosa, la richiesta di una «protezione» per l’autore, da parte di persone di lignaggio o di riguardo, ma anche di intellettuali e dame di ragguardevoli famiglie. Da questo rapporto così creato col dedicatario dipendevano molte volte prebende, coperture sociali, aiuti finanziari, ovvero tutti i benefici, compresa la stima, che ancora un intellettuale del Settecento poteva godere da mecenati o personalità di rilievo. Lo stesso editore Pasquali lasciava sovente precedere le sue pubblicazioni da dediche ad esponenti importanti della nobiltà e non solo veneziana. Nel nostro caso, per Goldoni, oltre al vantaggio di un particolare prestigio acquisito da un’edizione nata sotto gli auspici di un rapporto instaurato con un Principe regnante, è questo soprattutto un atto di riconoscenza, visto che godeva dal 1756 di una piccola pensione elargitagli da Sua Altezza Reale per la direzione degli spettacoli presso la corte di Parma. Ma la «Reale munificenza» a cui fa cenno Goldoni potrebbe anche alludere ad un sostegno finanziario per l’edizione, come suggerisce la Turchi (cfr. E.N.M.I., p. 401, n. 5). A Don Filippo succederà (1765) l’Infante Don Ferdinando che, amante anche lui del teatro, continuerà a elargire una pensione a Goldoni. 1

Filippo, fratello di Carlo III di Spagna e duca di Parma, Piacenza e Guastalla, regnò dal 1748 fino al 1765, e con lui ebbe inizio la casa dei Borboni di Parma e Lucca.

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Il Genio antichissimo per l’armi, e per le lettere de’ sempre Grandi, e sempre Amati BORBONI fiorisce or piucchemai nell’A.V.R., e trovano nel di Lei cuore magnanimo, e generoso il loro asilo le Scienze, e le Belle Arti. Luogo io non merito fra i letterati da Lei protetti2, ma accordata una volta dal Principe una beneficenza, è accordata per sempre; onde, prostrato umilmente al Trono dell’A.V.R., le pongo a’ piedi tutte le opere mie, che ora sono per raccogliere, ed unitamente stampare, in una guisa meno indegna degli sguardi suoi clementissimi, prendendo da ciò coraggio ad un’impresa per me grandissima, animata dalla di Lei Reale Munificenza.

2 Annotazione che giustifica in parte il motivo della stessa lettera. Goldoni sottolinea la grande attenzione che il duca Filippo mostrò di avere per le lettere e le arti nel suo lungo regno, rendendo il ducato di Parma un centro culturale di grande importanza e richiamo per letterati, artisti e autori teatrali.

PREFAZIONE DELL’AUTORE premessa all’edizione di Venezia MDCCL e a quella di Firenze MDCCLIII *

Cedendo1 alle persuasioni, e agli amorevoli desideri de’ miei Padroni, e de’ miei amici, di molti de’ quali è non men venerabile il giudizio, che rispettabile l’autorità, do alle stampe le Commedie, che ho scritte finora2, e che tuttavia vo scrivendo ad uso de’ Teatri d’Italia. Molti si aspetteran forse, ch’io ponga loro in fronte una Prefazione erudita, e compiuta3, in cui ragionando dell’Arte comica, su i4 principi degli antichi, e moderni buoni Maestri, venga a render poi conto della mia esatta obbedienza5 a’ loro precetti nella composizione delle * Si riproduce la Prefazione dell’Autore, premessa all’edizione Pasquali, che presenta non poche modifiche da parte dell’autore rispetto alla princeps dell’edizione Bettinelli, Venezia (1750), e alle varie ristampe della stessa a partire da quella del 1751 fino all’edizione Paperini, Firenze (1753). Le variazioni indicate in nota si riferiscono all’edizione Bettinelli 1750 e non a quelle successive. Non si è dato conto tra i due testi delle varianti dei segni d’elisione e di troncamento, né del differente uso delle maiuscole iniziali dei lemmi, né dell’uso differente dei segni d’interpunzione. Le note con esponente alfabetico sono di pugno del Goldoni. Si è preferito, infine, non appesantire eccessivamente le note con rinvii a quanto già annotato in margine alle prefazioni dei tomi dell’edizione Pasquali. La Prefazione, anche se con vistose e importanti eliminazioni di brani, ricalca quella apparsa ad apertura della Bettinelli, ed è in pratica l’unico testo teorico di Goldoni a proposito della sua riforma teatrale, a cui va aggiunto il conciso quanto denso terzo capitolo della seconda parte dei Mémoires, scritto in Francia almeno trent’anni dopo, e che nel ripercorrerne i tratti fondamentali, aggiunge non poche originali osservazioni, tra le quali, citiamo: «Dans tous les arts, dans toutes les découvertes, l’expérience a toujours précédé les préceptes: les écrivains ont donné par la suite une méthode à la pratique de l’invention, mais les Auteurs modernes ont toujours eu le droit d’interpréter les anciens» (Mémoires, II, 3; p. 255); trad. it.: «In tutte le arti, in tutte le scoperte, l’esperienza è sempre venuta prima dei precetti; gli scrittori hanno in un secondo momento fornito un metodo alla pratica dell’invenzione, ma gli autori moderni hanno sempre avuto il diritto di interpretare gli antichi» (Memorie, p. 315). 1 2 3 4 5

«Rassegnandomi». «sinora». «completa». «sui». «ubbidienza».

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Teatrali mie Opere, ma di gran lunga s’inganna, chi da me attende una così inutil fatica. Dopo tanti secoli, che si sono scritti interi volumi su questo proposito da valentissimi Uomini d’ogni colta Nazione, dovrò io per avventura fare ancora il Maestro6, ed in tuono7 pedantesco profferir per nuovi oracoli le cose tante volte dette, e ridette da tanti? O pur sotto specie di una preventiva giustificazione mi farò io vanaglorioso delle stesse mie Commedie?8 Non vuol ragione però, che affatto nude io le dia9 al Pubblico col mezzo delle stampe, come fo sulle Scene. Si dee usar da qualunque Autore questo rispetto a’ suoi Leggitori di non creder le opere proprie non bisognose di veruna10 giustificazione. Mi parrebbe presunzione11, tanto il voler sostenerle perfette in ogni parte12 col mezzo di una diffusa apologia, quanto l’abbandonarle affatto, quasi mostrando in tal guisa di stimarle ottime, e di non temere, che potesse trovarsi in esse cosa degna di censura13. Io per tanto14 intendo unicamente di supplire a questo rispettoso dovere, col render conto al Pubblico di ciò, che mi ha impegnato in questa sorta di applicazione, e de’ mezzi che ho tenuti, e che tengo per abilitarmi a servire il meglio, che per me si può a’ generosi Spettatori delle mie Commedie. 6

«per avventura erigermi ancora in Maestro». «tuon». «Un vanaglorioso Commentatore delle mie stesse Commedie?». Nella Pasquali viene espunto da Goldoni il seguente passo presente nell’ediz. Bettinelli (ed anche nell’edizione Paperini): «Poca fatica invero potrebbe costarmi il raccoglier qua e là da tre o quattro Scrittori alquanti passi al proposito mio convenevoli, e quindi, comecchessia annicchiandoli, provarmi anch’io come tanti altri fanno, di comparir Uomo di profonda dottrina, e di universal Letteratura; ma nemico naturalmente delle superfluità, e della ostentazione, abborrisco l’impostura, e non mi so risolvere a perder vanamente quel tempo, che con maggior profitto posso, e debbo impiegare nella composizione di qualche nuova Commedia; massimamente che son nell’impegno di produrne sedici nel corso dell’anno presente», in E.N.P.E., pp. 87-88. Perché – ci chiediamo – Goldoni espunge questo passo dalla Pasquali? Esistono nel brano cassato considerazioni non certo felici per la sua «onorevole» reputazione di scrittore nell’adombrare la possibilità di millantare conoscenze teatrali parafrasando citazioni altrui, e apparire così «uomo di profonda dottrina, e di universal Letteratura». Inoltre vi è sottesa una contraddizione: nel periodo precedente l’autore ha dichiarato di non volere ostentare (ben dissimulando) il proprio talento e, subito dopo, invece, afferma, immodestamente, di essere capace di scrivere ben sedici commedie in un trimestre (ma questa è, forse, malizia nostra). 9 «le esibisca». 10 «nessuna». 11 «Mi parrebbe egual presunzione». 12 «in ogni lor parte». 13 «quanto il mostrar di tenerle per tali abbandonandole affatto, come se non se ne potesse temere nessun attacco», in E.N.P.E., p. 88. 14 «pertanto». 7 8

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Bisogna confessare, che gli uomini tutti traggono15 sin dalla nascita un certo particolar loro genio, che gli16 spigne più ad uno, che ad un altro genere di professione, e di studio, al qual chi si appiglia, suole riuscirvi con mirabile facilità. Io certamente mi sono17 sentito rapire, quasi18 per una interna insuperabile forza agli studi teatrali sin dalla più tenera mia giovinezza19. Cadendomi fra le mani Commedie, o Drammi io vi trovava le mie delizie; e mi sovviene, che sul solo esemplare di quelle del Cicognini in età di nov’anni20 in circa, una Commedia, qual ella si fosse, composi, prima d’averne veduto rappresentar alcuna in sulle Scene, di che può render testimonianza ancora il mio carissimo amico Signor Abate Don Jacopo Valle di Bergomo21. Crebbe in me vieppiù questo genio, quando cominciai ad andare spesso a’ Teatri22; né mai mi abbandonò esso23 ne’ vari miei giri per diverse Città dell’Italia, dove m’è convenuto successivamente passare, o a cagione24 di studio, o di seguir mio Padre secondo le differenti direzioni della Medica sua professione. In Perugia, in Rimini, in Milano, in Pavia, in mezzo alla disgustosa occupazione di quelle applicazioni, che a viva forza mi si volean far gustare, come la Medicina prima, e poi la Giurisprudenza, si andò sempre in qualche maniera sfogando il mio trasporto per la Drammatica Poesia, or con Dialoghi, or con Commedie, or con rappresentar nelle nobili Accademie un qualche teatral Personaggio. Finalmente ritornato in Venezia mia patria, fui obbligato a darmi all’esercizio del Foro, per provvedere, mancato di vita mio Padre, alla mia sussistenza; dopo d’essere stato già in Padova onorato della laurea Dottorale, e di aver qualche tempo servito nelle assessorie di alcuni ragguardevoli25 Reggimenti di questa Serenissima Repubblica in Terra ferma26. Ma chiamavami al Teatro il mio genio, e con ripugnanza pe15

«sortiscono». «li». 17 «ho». 18 «come». 19 «Giovanezza». 20 «ott’anni». Cfr. t. I, p. 98, nota 8. 21 «D. Giacopo Valle». Manca nella Prefazione alla Bettinelli l’indicazione «di Bergomo» [di Bergamo]. Cfr. t. I, pp. 99-100, nota 14. 22 «cominciando a frequentar i Teatri». 23 «egli». 24 «motivo». 25 «riguardevoli». 26 «Terraferma». Goldoni si riferisce agli incarichi di coadiutore ricoperti a Chioggia e Feltre. 16

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nosa adempiva i27 doveri d’ogn’altro, comecché onorevolissimo Uffizio. In fatti, se mai in altro tempo applicai con diletto, e con osservazion diligente alle Drammatiche composizioni, che su que’ famosi Teatri rappresentavansi, certamente fu in quello28. Dimodoché sebbene da’ miei principi formar potessi un non infelice presagio dell’avvenire nella profession nobilissima dell’Avvocato29 in quel celebre Foro; pure rapito dalla violente mia inclinazione, mi tolsi alla Patria, risoluto di abbandonarmi affatto a quella interna forza che mi voleva tutto alla Drammatica Poesia. Scorse molte Italiane Città, intento ad apprendere i vari usi, e costumi, che pur diversi fioriscono ne’ vari Domini di questa nostra deliziosa30 parte d’Europa; fermatomi31 finalmente in Milano, colà principiai a compor di proposito per servigio degl’Italiani Teatri. Tuttociò32 ho voluto riferir ingenuamente colla sola mira di far rilevare il vero, e solo stimolo, ch’ebbi per darmi intieramente a questo genere di studio. Altro non fu esso certamente33, se non se la invincibile forza del genio mio pel Teatro, alla quale non ho potuto far fronte. Non è perciò maraviglia se in tutti i miei viaggi, le mie dimore, in tutti gli accidenti della mia vita, in tutte le mie osservazioni, e sin ne’ miei passatempi medesimi, tenendo sempre rivolto l’animo, e fisso a questa sorta di applicazione, m’abbia fatta un abbondante provvisione34 di materia atta a lavorarsi pel Teatro, la quale riconoscer debbo, come un’inesausta miniera d’argomenti35 per le teatrali mie composizioni; ed ecco come insensibilmente mi sono andato impegnando nella presente mia Professione di Scrittor di Commedie. E per verità come mai lusingar36 alcuno senza di questo particolar genio dalla natura stessa donato, di poter riuscire fecondo, e felice Inventore, e Scrittor di Commedie? «La cosa più essenziale della Commedia (scrive un valente Francese) è il ridicolo (a). Avvi un ridicolo nelle parole, ed un ridicolo nelle 27

«ai». «in questo». 29 «d’Avvocato». 30 «di questa vasta deliziosa». 31 «fermato». 32 «Tutto ciò». 33 «Altro egli non fu certamente». 34 «provigion» (provvista). 35 «una inesausta Miniera di Argomenti». 36 «lusingarsi». (a) Rapin Reflex. sur la Poetique [René Rapin, Les Réflexions sur la poëtique d’Aristote et sur les ouvrages des poëtes anciens et modernes, Paris, 1674]. René Rapin (1621-1687), gesuita francese, polemista accanito e difensore degli antichi nella querelle secentesca, ebbe buona fama nel Settecento e fu citato e apprezzato dal Muratori. 28

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cose; un ridicolo onesto, e un ridicolo buffonesco. Egli è un puro dono della natura il saper trovar il ridicolo d’ogni cosa. Ciò nasce puramente dal genio. L’arte, e la regola vi han poca parte, e quell’Aristotile, che sa così bene insegnar a far piangere gli uomini, non dà alcun formale precetto per farli ridere». Che cosa può dunque far mai chi non ha questo genio dalla natura? Potrà ben egli, quando abbia formato collo studio un buon senso, rettamente giudicar forse delle opere altrui in questo genere medesimo, ma non produrne felicemente delle proprie. Potrà forse anche, dopo di aversi bene stillato37 il cervello su i libri degli egregi Maestri, che dell’Arte della Commedia diedero le ottime regole tratte dall’esempio de’ bravi Poeti Comici, che ne’ secoli andati fiorirono; potrà, dico, far delle regolatissime38 Opere: scriverà in purgatissima Lingua, ma avrà la disgrazia, che tuttavia non piacerà sul Teatro. Così non piacendo non potrà nemmeno istruire, giacché l’istruzione vuole dalle Scene esser porta al popolo, addolcita dalle grazie, e lepidezze poetiche, se l’Uditore, che viene al Teatro col fin primario di ricrearsi, ha da indursi a gustarla. (b) Nam... Pueris absynthia terra39 Medentes Cum dare conantur, prius oras pocula circum Contingunt mellis [dulci] flavoque liquore Ut Puerorum aetas improvida ludificetur Labrorum tenus; interea perpotet amarum Absynthi laticem, deceptaque non capiatur, Sed potius tali facto40 recreata valescat. Chi non avrà in somma questo Comico genio non saprà dare41 ai suoi pensieri quel giro piacevole, quel brio giulivo, che sa sostenere la giocondità del proprio carattere, senza cadere in freddezza, oppure42 37

«ben lambiccato». «regolarissime». (b) Luc[cretius]. Carus. [Lucrezio, De rerum natura, I, vv. 936-942]. 39 «tetra». 40 «tactu». Si corregge al v. 942 facto in pacto; trad. it.: «come i medici, quando cercano di somministrare ai fanciulli / l’amaro assenzio, prima cospargono l’orlo / della tazza di biondo e dolce miele / affinché l’inconsapevole età dei fanciulli ne sia illusa / fino alle labbra, e frattanto beva l’amaro / succo dell’assenzio, senza che l’inganno le nuoccia, / e anzi al contrario in tal modo rifiorisca e torni in salute» (trad. di Luca Canali). 41 «dar». 42 «o pure». 38

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in buffoneria; e non saprà finalmente innestare43 quella delicata barzeletta44, che al45 detto del sovrallodato P. Rapin, è il fiore d’un bel ingegno46, e quel talento, che vuol la Commedia. Ora fu in me questo genio medesimo, che rendendomi osservator attentissimo delle Commedie, che su i47 vari Teatri d’Italia rappresentavansi48, me ne fece conoscere, e compiangere il gusto corrotto, comprendendo nel tempo stesso, che non poco utile ne sarebbe potuto derivare49 al Pubblico, e non iscarsa lode a chi vi riuscisse, se qualche talento animato dallo spirito comico tentasse di rialzare l’abbattuto Teatro Italiano. Questa lusinga di gloria finì di determinarmi all’impresa. Era in fatti50 corrotto a segno da più di un secolo nella nostra Italia il Comico Teatro, che si era reso abbominevole oggetto di disprezzo51 alle oltramontane Nazioni. Non correvano su le pubbliche Scene se non isconce52 Arlecchinate; laidi, e scandalosi amoreggiamenti, e motteggi; Favole mal inventate, e peggio condotte, senza costume, senza ordine53, le quali anzicché54 correggere il vizio, come pur il primario55, antico, e più nobile oggetto della Commedia, lo fomentavano, e riscuotendo le risa dalla ignorante plebe, dalla gioventù scapestrata, e dalle genti più scostumate, noia poi facevano, ed ira alle persone dotte, e dabbene, le quali se frequentavano tal volta56 un così cattivo Teatro, e vi erano strascinate dall’ozio, molto ben si guardavano dal condurvi la famigliuola innocente, affinché il cuore non ne fosse guastato, giacché questi per verità erano quegli spettacoli, da’ quali (a) Pudicitiam saepe stratam, semper impulsam vidimus... multae inde domum impudicae, plures ambiguae rediere: castior autem

43 «annicchiare». «Collocare in una nicchia» (Tommaseo). Si intende, qui, saper usare a proposito una definizione, o motto. 44 «dilicata barzelletta». 45 «a». 46 «bell’ingegno». 47 «sui». 48 «Teatri d’Italia già diciotto vent’anni in qua rappresentavansi». 49 «ridondar». 50 «infatti». 51 «di sprezzo». 52 «sconce». 53 «senz’ordine». 54 «anziché». 55 «come pur è il primario». 56 «talvolta». (a) Franc.Petrarc.De rem.Utr.Fort. 30. [F. Petrarca, De remediis utriusque fortunae, I, 30].

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nulla. Per la qual cosa Tertulliano (b) a’ Teatri sì fatti dà nome di Sacrari di Venere ed il Grisostomo (c) dice, che nelle Città furono edificati dal Diavolo, e che da essi diffondesi57 per ogni luogo la peste del mal costume; quindi a ragione i Sacri Oratori fulminavano da’ pulpiti così corrotte Commedie, ch’erano in fatti oggetto ben giusto dell’abbominazione de’ Saggi. Molti però negli ultimi tempi si sono ingegnati di regolar il Teatro, e di ricondurvi58 il buon gusto. Alcuni si son provati di farlo, col produrre in iscena Commedie dallo Spagnuolo, o dal Francese tradotte. Ma la semplice traduzione non poteva far colpo in Italia. I gusti delle Nazioni son differenti, come ne son differenti i costumi, e i linguaggi59. E perciò i Mercenari Comici nostri, sentendo con lor pregiudizio l’effetto di questa verità si diedero ad alterarle, e recitandole all’improvviso, le sfiguraron per modo, che più non si conobbero per Opere di que’ celebri Poeti, come sono Lopez di Vega60, e il Moliere61, che di là da’ monti, dove miglior gusto fioriva, le avean felicemente composte. Lo stesso crudel governo hanno fatto delle Commedie di Plauto62, e di Terenzio63; né la risparmiarono a tutte le altre antiche, o moderne Commedie ch’eran nate, o che andavan nascendo nell’Italia medesima, e specialmente da quelle della pulitissima64 Scuola Fiorentina65, che andavan loro cadendo tra mano. Intanto i Dotti fremevano: (b) De Spect. l. I c. 1. [Tertulliano, De spectaculis, I, X, 3: «A loci vitio theatrum proprie sacrarium Veneris est»], cfr. E.N.P.E., n. 17, p. 149. (c) Homil. 6. In Matth. [G. Grisostomo, Homiliae in Matthaeum, VI, t. 7: «Ideo theatra in urbibus struxit (diabolus), et mimos illos exercens, illorum opera contra totam civitatem hanc pestem excitat»], cfr. E.N.P.E., ibidem. 57 «difondesi». 58 «ricondurci». 59 Fa riferimento alle svariate traduzioni e adattamenti da parte del Cicognini, del Gigli e di altri; ma a Goldoni sta soprattutto a cuore l’originalità dei testi e non il “travestimento” degli stessi che finiscono appunto per essere «sfigurati». 60 «Poeti, come Lopez di Vega». Vega Carpio, Felix Lope de, (1562-1635), drammaturgo spagnolo. 61 Jean-Baptiste Poquelin (detto Molière, 1622-1673), commediografo francese. Goldoni sarà autore di una commedia Il Moliere (1751). 62 Plauto Tito Maccio (Sarsina, Umbria 259-Roma 184 ca. a.C.), commediografo latino. 63 Terenzio Afro Publio (190 ca.-159 ca. a.C.), commediografo latino. 64 «politissima». 65 La scuola teatrale fiorentina, i cui protagonisti erano molto attenti alla corretta curatela redazionale dei testi editi, molte volte pieni (soprattutto nelle edizioni pirate) di grossolanità, errori, manchevolezze. Goldoni fa riferimento agli autori teatrali senesi Girolamo Gigli e Jacopo Nelli e al fiorentino Giovanbattista Fagiuoli, nomi che leggeremo sui dorsi dei testi teatrali nella libreria di Goldoni, raffigurati nel «rame istoriato» del primo tomo dell’edizione Pasquali.

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il Popolo s’infastidiva: tutti d’accordo esclamavano contra le cattive Commedie, e la maggior parte non aveva idea delle buone66. Avvedutisi i Comici di questo universale scontento, andarono tentoni cercando il loro profitto nelle novità. Introdussero le macchine67, le trasformazioni, le magnifiche decorazioni; ma oltre al riuscir cosa di troppo dispendio, il concorso del popolo ben presto diminuiva. Andate68 però in fumo le macchine, hanno procurato di aiutar la Commedia cogl’Intermezzi in musica; ottimo riuscì lo spediente per qualche tempo, ed io fui de’ primi a contribuirvi69. Ma i Comici non essendo70 Musici, non tardò l’Uditorio a sentire quanto poca relazione colla Commedia abbia la Musica. Le Tragedie in ultimo luogo, e i Drammi composti per la Musica, recitati da i Comici han sostenuti i Teatri. In fatti si son recitate eccellenti Tragedie, e bellissimi Drammi, che mirabilmente riuscirono71. Qual incontro non ebbero i Drammi del Celebre Signor Abate Pietro Metastasio72, quelli dell’Illustre Signor Apostolo Zeno73, le Tragedie del Sapientissimo Patrizio Veneto Signor Abate Conti74, la Merope dell’Eruditissimo Signor Marchese Maffei75, 66 Ben disegnato da Goldoni questo lento, all’unisono, montare della ribellione, anche se privo di idee ancora ben chiare. 67 Macchine da scena. Erano ordigni atti a stupire il pubblico mostrando, ad esempio, prodigi, effetti particolari, facendo apparire all’improvviso attori, costruendo spericolate messinscene. Le usava abbondantemente la commedia dell’Arte e le userà il teatro di Carlo Gozzi. 68 «Ite». 69 MANCA: «ed io stesso fui de’ primi a contribuirvi con moltissimi intermezzi, fra’ quali mi ricordo aver fatta molta fortuna la Pupilla, la Birba, il Filosofo, l’Ippocondriaco, il Caffè, L’Amante cabala, la Contessina, il Barcaiuolo». Vedi E.N.P.E., p. 94. Il Caffè è da intendersi probabilmente con l’intermezzo La bottega da cafè (Teatro di San Samuele, 1736); il Barcaiuolo prenderà il titolo del Gondoliere veneziano; la Contessina è inserita erroneamente tra gli intermezzi, trattandosi di un dramma giocoso. Gli intermezzi citati sono quelli rappresentati tra il 1733 e il 1736. 70 «sendo». 71 «Drammi in plausibilissima forma da’ nostri valenti Attori, che mirabilmente vi riuscirono». Il giudizio, con questa cassatura, diventa meno espansivo, più prudente, rispetto alla Bettinelli, nell’elogio della riuscita dei drammi musicali. Vedi E.N.P.E., p. 151, n. 32. 72 Pietro Trapassi (detto Metastasio, 1698-1782), poeta e drammaturgo. Scrisse il celebre e innovativo melodramma Didone abbandonata (1724), insieme ad innumerevoli altri. Successe ad Apostolo Zeno come poeta cesareo alla corte di Vienna. 73 Apostolo Zeno (1688-1750), drammaturgo e librettista, attuò una riforma del melodramma, elevandolo a tragedia per musica, e in questo, precorrendo il Metastasio. Tra le sue innumerevoli opere si ricordano Gli inganni felici (1695) e la Merope (1711), citata da Goldoni. 74 Antonio Conti, padovano (1677-1749), letterato e critico, nonché autore di quattro tragedie: Giunio Bruto, Marco Bruto, Druso, Giulio Cesare. Traduttore di Il ricciolo rapito di Alexander Pope. 75 Scipione Maffei (1675-1755), veronese, erudito e letterato, la cui Merope (rappresentata a Modena nel 1713) ispirò Voltaire e Alfieri. Scrisse anche due commedie, Le cerimonie (1728) e Il Raguet (1747), quest’ultima volta alla riforma della commedia italiana.

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l’Elettra, ed altre molte o interamente composte, o eccellentemente dal Francese trasportate dal peritissimo Signor Conte Gasparo Gozzi76, non men che altre eziandio, così di antichi, come di recenti valorosi Poeti, Italiani, Francesi, ed Inglesi, i quali per brevità, non per mancanza di stima, o di rispetto tralascio di nominare: e mi sia lecito il dirlo, qual compatimento non ebbe anche alcuna delle mie Rappresentazioni? cioè il Bellisario77, l’Enrico78, la Rosmonda, il Don Giovanni Tenorio, il Giustino, il Rinaldo da79 Montalbano, tuttoché non ardisca dar loro il titolo di Tragedie, perché da me stesso conosciute difettose in molte lor parti? Ma codesti applausi stessi, che riscuotevano i Drammi, e le Tragedie rappresentate da’ Comici erano appunto la maggior vergogna della Commedia, come80 la più convincente prova della estrema sua decadenza. Io frattanto ne piangea fra me stesso, ma non avea ancora acquistati lumi sufficienti per tentarne il risorgimento. Aveva per verità di quando in quando osservato, che nelle stesse cattive Commedie eravi qualche cosa81 ch’eccitava l’applauso comune, e l’approvazione de’ migliori, e mi accorsi, che ciò per lo più accadeva all’occasione d’alcuni gravi ragionamenti, ed istruttivi, d’alcun delicato82 scherzo, di un accidente ben collocato83, di una qualche viva pennellata di alcun osservabil carattere, o di una delicata84 critica di qualche moderno correggibil costume; ma più di tutto mi accertai, che sopra del maraviglioso, la vince nel cuor dell’uomo il semplice, e il naturale. Al barlume di queste scoperte mi diedi immediate a comporre alcune Commedie. Ma prima di poter farne delle passabili, o delle buone, anch’io ne feci85delle cattive. Quando si studia sul libro della Natura, e del Mondo, e su quello della sperienza, non si può per verità divenire maestro tutto d’un colpo; ma egli è ben certo, che non vi si diviene86 giammai se non si studiano codesti libri. Ne composi alcune 76 Gasparo Gozzi (1713-1786), letterato e giornalista, curatore di giornali quali la “Gazzetta veneta” e l’“Osservatore veneto”. Tradusse testi teatrali dal francese (Destouches, Voltaire, e altri). A differenza del fratello Carlo, fu un estimatore del Goldoni. 77 «Belisario». 78 «l’Errico». 79 «di». 80 «perché». 81 «v’era qualcosa». 82 «dilicato». 83 «ben annicchiato». Collocato al posto giusto. 84 «d’una dilicata critica». 85 «ne ho fatte». 86 «che non si diviene».

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alla Spagnuola87, cioè a dire, Commedie d’intreccio, e d’inviluppo88; ed ebbero qualche insolita buona riuscita per un certochè di metodico89, e di regolato, che le distingueva dall’ordinarie, e una cert’aria di naturalezza, che in esse scoprivasi. Fra le altre mi sovviene una data90 al Teatro intitolata: Cento e quattro accidenti in una notte91, che per varie sere successivamente replicata, riuscì anche dall’universale compatita. Non ne restai però intieramente contento. Mi provai a farne una di carattere, intitolata Momolo Cortigiano92. Piacque essa93 estremamente, e fu tante volte replicata con estraordinario concorso, che fui allora tentato di crederla perfetta Commedia, sulla fede di un dotto Commentatore di Orazio (a) sopra que’ versi: Haec amat obscurum, volet haec luce videri94 Judicis argutum quae non formidat acumen: Haec placuit semel, haec decies repetita placebit95. Giacché gli96 spiega con dire, che quella Commedia può con franchezza esporsi al pubblico, come appunto una perfetta Pittura, senza temer la critica di severo Giudice, la quale dieci volte ripetuta ancor piaccia. Ma conobbi dipoi quanto migliori Commedie si potessero scrivere. Tuttavia presi da essa coraggio; ed avvedutomi che le Commedie di carattere più sicuramente di tutte le altre colpivano, composi il Momolo sulla Brenta97, e l’altro due volte fallito98, alle quali venne pur 87

«alla maniera Spagnuola». «di Viluppo». 89 «atteso un nonsocché di metodico». 90 «mi sovviene averne una data». 91 Scenario scritto per l’attore Sacchi. 92 Goldoni allude al Momolo cortesan, con la sola parte del protagonista interamente scritta, che sarà recitata il 26 dicembre (?) 1738 a Venezia, e stampata col titolo L’uomo di mondo nel t. x della edizione Paperini (1757). 93 «ella». (a) Giason de Nores. Giason de Nòres (Cipro 1530 ca-Padova 1590), letterato e filosofo, di famiglia padovana, si scagliò contro la tragicommedia e il dramma pastorale in quanto disformi dalle norme aristoteliche, e fu noto soprattutto per la violenta polemica con il Guarini a proposito del Pastor fido. 94 «haec sub luce videri». 95 Orazio, Ars poetica, vv. 363-365. 96 «li». 97 Sarà stampato col titolo Il prodigo nel t. x dell’edizione Paperini, dove Goldoni annota: «La presente Commedia parte scritta e parte all’improvviso fu rappresentata un anno dopo della precedente [L’uomo di mondo], per la prima volta in Venezia, nel Teatro detto di San Samuele». 98 Ovvero Il mercante fallito (o Pantalone due volte fallito), stampato col titolo La bancarotta o sia Il mercante fallito nel t. x dell’edizione Paperini, dove Goldoni annota: «Rappresentata 88

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fatta99 una cortesissima accoglienza. Pensai allora, che se tanto eran riuscite Commedie, nelle quali era vestito de’ suoi convenienti costumi, parole, e sali il solo principal Personaggio, lasciati in libertà gli altri di parlar a soggetto, dacché procedeva, ch’elle riuscivano ineguali, e di pericolosa condotta; pensai, dico, che agevolmente si avrebbe potuto render la Commedia migliore, più sicura, e di ancor più felice riuscita scrivendo la parte di tutti i Personaggi, introducendovi vari caratteri, e tutti lavorandoli al tornio della Natura, e sul gusto del Paese, nel quale dovean recitarsi le mie Commedie. Nell’anno adunque 1742, seguendo questo100 pensamento diedi alle Scene la Donna di garbo101. Ritrovò essa102 dappertutto ove fu rappresentata, e principalmente in Venezia, e in Firenze, una gentilissima accoglienza103; benché104 molte di quelle grazie peravventura105 le manchino, che a mio parere adornan le altre posteriormente fatte, dappoiché106 abbandonata affatto ogni altra professione, come quella di Avvocato Civile, e Criminale, che in Pisa allora esercitava, mi son tutto consagrato alla Comica Poesia107. I due Gemelli Venela prima volta in Venezia, un anno dopo alla precedente [Il prodigo], parte scritta e parte a soggetto, ed ora cambiata, riformata ed in miglior forma ridotta». 99 «fu pur fatta». 100 «a norma di questo». 101 La donna di garbo fu scritta e rappresentata nell’anno comico 1743-1744. Goldoni costretto a partire con urgenza da Venezia, potè vederla rappresentata a Livorno soltanto nel 1747. L’anno comico, ovvero l’anno teatrale, a Venezia, durava dagli inizi di ottobre fino alla quaresima, ed era diviso in due periodi: l’autunnale e quello del carnevale, distinti dalla novena di Natale. MANCA: «la Donna di Garbo la qual io chiamo mia prima Commedia, e che prima dell’altre comparirà in questa raccolta, giacché in fatti è la prima, ch’io abbia intieramente scritta», in E.N.P.E., p. 96. Goldoni è costretto a cassare questo periodo, in quanto l’edizione Pasquali si apre, al primo tomo, con Il teatro comico, come già accaduto per la Paperini e come sarà per la Zatta; mentre nel tomo I dell’edizione Bettinelli le commedie erano stampate nella seguente successione: La donna di garbo, I due gemelli veneziani, L’uomo prudente, La vedova scaltra. 102 «Conseguì ella». 103 MANCA: «ottimi giudici del buono, un abbondantissimo compatimento». 104 «abbenché». 105 «per avventura». 106 «dopo che». 107 MANCA: «scrivendo a profitto dell’onoratissimo Girolamo Medabach, il quale alla testa di valorosi Comici va dai più celebri Teatri d’Italia spargendo nei popoli, col mezzo di costumate Commedie l’istruzione, e il diletto», in E.N.P.E., p. 97. Girolamo Medebach (Roma ca. 1706-ca. 1790), attore di origine tedesca, fece il suo apprendistato, recitando il personaggio di Ottavio, con una troupe di funamboli, diretta da Gasparo Raffi, di cui sposò la figlia, l’attrice Teodora. Fu poi capocomico al teatro San Moisè di Venezia (1745), per passare, con la stessa qualifica, al Sant’Angelo, a capo di una celebre compagnia di straordinari attori dell’Arte (D’Arbes, Collalto), e per la quale impegnò Goldoni a scrivere le commedie, avendone intuito il grande talento. Goldoni decide di cancellare

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ziani108, l’Uomo Prudente109, la Vedova Scaltra110, furono in seguito tre fortunatissime Commedie; e dopo di esse la Putta onorata111, la Buona Moglie112, il Cavaliere e la Dama113, l’Avvocato114, e la Suocera e la nuora115, replicate con indicibile applauso moltissime sere in varie Città fecero molto ben l’interesse dei Comici116, e ricolmarono me di consolazione, dandomi a riconoscere, che non affatto inutili sono state le mie applicazioni per ricondurre sul Teatro Italiano il buon costume, e ’l buon gusto della Commedia. Mi va poi di giorno in giorno raffermando in questa opinione, la fortuna che incontrano, comunemente le altre Opere mie, che in questo genere si van recitando, secondo, ch’io le vo componendo. il passaggio in lode del Medebach, in quanto, probabilmente, non era in lui del tutto placato il rancore verso l’impresario con cui aveva stabilito un contratto quadriennale il 10 marzo 1749, interrotto bruscamente nel 1752, e successivamente anche con l’editore Bettinelli. In seguito alla rottura col Medebach, infatti, Goldoni era passato al teatro San Luca, mentre l’impresario continuava a far pubblicare nell’edizione Bettinelli, contro il volere del commediografo, i testi teatrali ancora in suo possesso, affidandone correzioni e integrazioni allo scrittore l’abate Pietro Chiari. Ai primi tre volumi dell’edizione Bettinelli curati direttamente da Goldoni, seguiranno altri sei tomi (fino al nono del 1755, anche se quest’ultimo allestito con testi del X della Paperini) editi con gran disinvoltura dal Medebach. Nel frattempo, Goldoni aveva avviato (aprile, 1753) una seconda edizione, la Paperini (Firenze, dieci tomi, 1753-1757), dove compaiono gli Autore a chi legge in cui il commediografo “autentica” le sue commedie di contro a quelle che appaiono nell’edizione corsara curata dal Chiari, definito, da Goldoni, spregiativamente il «Correttore». Non è quindi un caso che i primi sette tomi della Paperini si susseguiranno a breve distanza negli anni 1753-54, mentre l’VIII e il IX usciranno nel 1755, e l’ultimo nel 1757. La lite col Medebach si ricomporrà nel 1755, e il nono e ultimo volume (1757) della Bettinelli sarà curato da Goldoni stesso e coinciderà con il decimo della Paperini. Nei Mémoires Goldoni scrive: «Medebac»; Ortolani: «pare che il nome originale tedesco fosse Metembach» (Cfr. Opere, I, p. 1104, n. 1). 108 Commedia scritta a Pisa su commissione dell’attore «valorosissimo» Cesare D’Arbes, che la recitò senza maschera, nella compagnia del Medebach, sempre a Pisa, nell’estate del 1747. 109 La commedia, secondo Goldoni, fu composta a Pisa e rappresentata a Mantova per la prima volta nella primavera del 1748. 110 Fu rappresentata a Venezia, al teatro Sant’Angelo, il 26 dicembre 1748. 111 Fu recitata, secondo Goldoni, per la prima volta nel 1748 a Venezia, e successivamente durante il carnevale del 1750. 112 «Bona Muggier». Rappresentata a Venezia per la prima volta nell’autunno del 1749. Con il titolo di La buona moglie comparirà nel t. II dell’edizione Bettinelli. 113 Rappresentata a Verona per la prima volta nell’estate del 1749. 114 Rappresentata a Venezia per la prima volta nell’anno comico 1749-1750. Prenderà poi il titolo L’avvocato veneziano. 115 Rappresentata a Venezia per la prima volta nell’anno comico 1749-1750. Prenderà poi il titolo La famiglia dell’antiquario. 116 MANCA: «del benemerito suddetto comico». Ovviamente, qui Goldoni corregge e declina al plurale la lode ai «Comici», mentre nella Bettinelli questa era diretta soltanto al Medebach.

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Non mi vanterò io già d’essermi condotto a questo segno, qualunque ei si sia, di miglior senso, col mezzo di un assiduo metodico studio sull’Opere o precettive117, o esemplari in questo genere de’ migliori antichi, e recenti Scrittori, e Poeti, o Greci, o Latini, o Francesi, o Italiani, o d’altre egualmente colte Nazioni; ma dirò con ingenuità, che sebben non ho trascurata la lettura de’ più venerabili, e celebri Autori, da’ quali come da ottimi Maestri, non possono trarsi che utilissimi documenti, ed esempli: contuttociò i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo, e il Teatro. ll primo mi mostra tanti, e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per somministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose, ed istruttive Commedie. Mi rappresenta i segni, la forza, gli effetti di tutte le umane passioni: mi provvede di avvenimenti curiosi, m’informa de’ correnti costumi; m’istruisce de’ vizi, e de’ difetti, che son più comuni del nostro secolo, e della nostra Nazione, i quali meritano la disapprovazione, o la derisione de’ Saggi e nel tempo stesso mi addita in qualche virtuosa Persona i mezzi co i118 quali la Virtù a codeste corruttele resiste, ond’io da questo libro raccolgo, rivolgendolo sempre, o meditandovi, in qualunque circostanza, od azione della vita mi trovi, quanto è assolutamente necessario che si sappia da chi vuole con qualche lode esercitare questa mia professione119. Il secondo poi, cioè il libro del Teatro120, mentre io lo vo maneggiando, mi fa conoscere con quali colori si debbano121 rappresentare sulle Scene i caratteri, le passioni, gli avvenimenti, che nel libro del Mondo si leggono; come si debba ombreggiarli per dar loro il122 maggiore rilievo, e quali sieno quelle tinte, che più gli123 rendon grati agli occhi delicati degli Spettatori. Imparo in somma124 dal Teatro a distinguere ciò, ch’è più atto a far impressione sugli animi, a destar la maraviglia, o125 il riso, o quel tal dilettevole solletico nell’uman cuore, che nasce principalmente dal 117

Normative. «coi». 119 «Je l’écoutois attentivement, et je plaçois dans ma tête des embrions de Comédie que je vis éclore par la suite, à l’aide de la réflexion et de la morale» (Mémoires, II, 31, p. 381), trad. it.: «Lo ascoltavo con attenzione e mi mettevo in testa germogli di commedia che in seguito vidi sbocciare, con l’aiuto della riflessione e della morale» (Memorie, p. 465). 120 «il libro cioè del Teatro». 121 «debban». 122 «un». 123 «li». 124 «insomma». 125 «od». 118

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trovar nella Commedia, che ascoltasi, effigiati al naturale, e posti con buon garbo nel loro punto di vista i difetti, e ’l ridicolo che trovasi in chi continuamente126 si pratica, in modo però, che non urti troppo offendendo. Ho appreso pur dal Teatro, e lo apprendo tuttavia all’occasione delle mie stesse Commedie il gusto particolare della nostra Nazione, per cui precisamente io debbo scrivere, diverso in ben molte cose da quello dell’altre. Ho osservato alle volte riscuoter grandissimi encomi alcune coserelle da me prima avute in niun conto, altre riportarne pochissima lode, e talvolta eziandio qualche critica, dalle quali non ordinario applauso io avea sperato; per la qual cosa127 ho imparato, volendo render utili le mie Commedie, a regolar tal volta128 il mio gusto su quello dell’universale, a cui deggio principalmente servire, senza darmi pensiero delle dicerie di alcuni129, i quali pretendono di dar la legge al gusto di tutto un Popolo, di tutta una Nazione, e forse anche di tutto il Mondo, e di tutti i secoli colla lor sola testa, non riflettendo, che in certe particolarità non integranti i gusti possono impunemente cambiarsi, e convien lasciar padrone il Popolo egualmente, che delle mode del vestire, e de’ linguaggi. Per questo, quando alcuni adoratori d’ogni antichità esigono indiscretamente da me sull’esempio de’ Greci, e Romani Comici, o l’unità scrupolosa di luogo, o che più di quattro Personaggi non parlino in una medesima scena, o sommiglianti130 stiticità, io loro in cose, che così poco rilevano all’essenzial bellezza della Commedia, altro non oppongo, che l’autorità del da tanti secoli approvato uso contrario. Moltissime son quelle cose nelle antiche Commedie, massimamente Greche, ed in particolare in quelle di Aristofane, quando esse recitavansi sopra Palchi mobili, come le nostre Burlette131, le quali assaissimo a’ quei tempi piacevano, e riuscirebbono intollerabili ai nostri: e però io stimo che più che scrupolosamente, che alcuni precetti di Aristotele, o di Orazio, convenga servire alle leggi del Popolo in uno spettacolo destinato all’istruzion sua per mezzo del suo divertimento, e diletto. Coloro, che amano tutto all’antica, ed odiano le novità, assolutamente 126

«tuttogiorno», francesismo. «io mi era sperato, dacché». 128 «talvolta». 129 «senza mettermi in pena delle dicerie di alcuni o ignoranti o indiscreti, e difficili», in E.N.P.E., p. 99. 130 «somiglianti». 131 Farse. 127

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parmi, che si potrebbono132 paragonare a que’ Medici, che non volessero nelle febbri periodiche far uso della Chinachina133 per quella sola ragione, che Ippocrate o Galeno134 non l’hanno adoperata. Ecco quanto ho io appreso da’ miei due gran libri Mondo, e Teatro. Le mie Commedie sono principalmente regolate, o almeno ho creduto di regolarle co’ precetti, che in essi due libri ho trovati scritti: libri per altro, che soli certamente furono studiati dagli stessi primi Autori di tal genere di Poesia, e che daranno sempre a chicchessia135 le vere lezioni di quest’Arte. «La natura è una universale, e sicura maestra a chi le osserva136. Quanto si rappresenta sul Teatro (scrive un illustre Autore)(a) non deve essere, se non la copia di quanto accade nel Mondo. La Commedia, soggiunge, allora è quale esser deve, quando ci pare di essere in una compagnia del vicinato, o in una famigliar137 conversazione, allorché siamo realmente al Teatro, e quando non vi si vede se non se ciò che si vede tutto giorno nel Mondo. Menandro, segue a dire, non è riuscito, se non per questo tra i Greci, ed i Romani credevano di trovarsi in conversazione quando ascoltavano le Commedie di Terenzio, perché non vi trovavano se non quel, ch’eran soliti di trovare nelle ordinarie lor Compagnie». Anche il gran Lopez di Vega per testimonianza del medesimo Scrittore non si consigliava138, componendo le sue Commedie con altri Maestri, che col gusto de’ suoi Uditori. Io però violentato da un genio, oso dir somigliante a quello di questo Celebre Spagnuolo Poeta, e a un dipresso139 seguendo la medesima scorta, ho scritto le mie Commedie. Trattati di Poetica, Tragedie, Drammi, Commedie d’ogni sorta ne ho lette anch’io in quantità, ma dopo d’avermi già formato il mio particolare sistema, o mentre me lo andava formando dietro ai lumi, che mi somministravano i miei due sovrallodati gran libri Mondo, e Teatro; e solamente dopo mi sono avveduto d’essermi in gran parte conformato a più essenziali precetti dell’arte raccomandati140 dai gran Maestri, ed eseguiti dagli eccellenti 132

«potrebbero». «Chinchina», ma correttamente «chinachina»: è la scorza amara di un albero del Perù con particolari virtù terapeutiche sperimentate già a partire dal secolo XVII. 134 Due celebri medici dell’antichità: Ippocrate di Cos e Galeno di Pergamo. 135 «a chiunque». 136 Nella Bettinelli le virgolette di citazione dal Rapin iniziano qui: «Quanto si rappresenta […]». (a) Rapin. Rèflex. sur la Poètique. 137 «familiar». 138 «non consigliava». 139 «e presso poco». 140 «inculcati». 133

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Poeti, senza aver di proposito studiati né gli uni, né gli altri; a guisa di quel Medico, che trovata talora141 dal caso, e dalla sperienza una salutevole medicina, applicandovi poi la ragione dell’arte, la conosce regolare, e metodica142. Non pensi alcuno però, ch’io abbia la temerità di creder le mie Commedie esenti da ogni difetto. Tanto son io lontano da una tal presunzione, quanto mi vo ogni giorno affaticando per migliorar in esse il mio gusto. Parmi solamente di esser giunto a segno di non aver da vergognarmi d’averle fatte, e di poter arrischiarmi di darle alle stampe con isperanza di qualche compatimento143. 141

«tal ora». C’è un riferimento sotteso all’esperienza della pratica medica del padre? 143 Goldoni è costretto ad espungere il seguente (importante) passo presente nell’edizione Bettinelli, in quanto, avendo inserito in ogni tomo della Pasquali una commedia inedita, affidandole così una veste di novità (anche per acquisire nuovi lettori ed abbonamenti), è costretto a modificare il criterio della raccolta. L’autore rivendica, sempre nel brano espunto, con malcelata amarezza ma non velato orgoglio, di essere riuscito ad affinare talmente bene il gusto del pubblico da doverne poi, lui stesso, soffrirne le critiche (e questa è una considerazione importante). Inoltre, in questo passo si adombra l’incertezza di un procedere, tra critiche e riserve, che Goldoni non giudica necessario e nemmeno utile riportare in una edizione che considera come la summa della sua produzione (meglio evitare la possibilità che si continuino a «lacerare» le sue commedie). In effetti, in quest’ultima parte della prefazione è come se il commediografo spostasse innanzi il discorso sul suo fare teatro, lo “contemporaneizzi”, e si preoccupi di dire soltanto quanto sta facendo e in quale maniera, evitando di ritornare troppo sovente sul passato, sulla sua iniziazione, comprese le vicissitudini di autore teatrale. MANCA: «Io le lascio correre candidamente quali esse furono dapprima scritte, e rappresentate. Non voglio che si dica, ch’io correggendole, abbia cercato di accrescere il merito delle mie prime fatiche oltre alla verità; anzi desidero che il mondo conosca nella differenza che si ravvisa tra le prime, e le ultime come gradatamente, a forza di osservazione, e di sperienza, mi sono andato avanzando. A questo fine, stampandole nell’ordine stesso con cui furon composte, rinuncio anche al maggior credito che potrei proccurar al mio libro, se io facessi preceder alle prime più deboli, le ultime a mio parere manco imperfette, e specialmente il Cavaliere e la Dama, che superò le altre tutte in applauso, e nella quale veramente ho posto più studio, e fatica. Per altro, come io ho sempre, egualmente volontieri, che gli stessi applausi, ascoltate le varie critiche, che furon fatte alle mie Commedie, mentre si recitavano, poiché se quelli mi animavano a comporre, queste m’insegnavano a compor meglio; così senza irritamento son apparecchiato ad accogliere anche quelle che lor venissero fatte all’occasione che escon dai Torchi, collo stesso unico oggetto di approfittarmi de’ buoni lumi, che potessi indi trarne, ora per sempre disobbligandomi per altro dal far loro la minima risposta. Le composizioni di niun valore non son nemmeno oggetto di critica. Che se alle mie Commedie ne sono state fatte, o se ne faran tuttavia in avvenire, io trarrò quindi un sicuro argomento, che degne sieno di osservazione, e però fornite di qualche merito. Infatti, se quelli, che due o tre anni fa sofferivano sul Teatro improprietà, inezie, Arlecchinate da mover nausea ai stomachi più grossolani, son divenuti in presente così dilicati, che ogn’ombra d’inverisimile, ogni picciolo neo, ogni frase, o parola men Toscana li turba, e scompone, io posso senza arroganza attribuirmi il merito d’aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse Commedie, che alcuni d’essi indiscretamente, ingratamente, e fors’anche talvolta senza ragione si sono messi. o si metteranno a lacerare. Quanto alla lingua ho creduto 142

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Lo stile poi l’ho voluto qual si conviene144 alla Commedia, vale a dir semplice, naturale, non accademico, od elevato. Questa è la grand’arte del Comico Poeta di attaccarsi in tutto alla natura, e non iscostarsene giammai. I sentimenti debbon esser veri, naturali, non ricercati, e le espressioni a portata di tutti; conciosiaché145 osserva a questo proposito il da me tante volte nominato Padre Rapin: «Bisogna mettersi bene in capo, che i più grossolani tratti della natura piacciono sempre più, che i delicati146 fuori del naturale». Io mi accorgo d’essere uscito dal mio primo proponimento, e di aver già fatta alle mie Commedie senza avvedermene, e senza volerlo una Prefazione se non erudita, certamente lunga. Finisco però senza più dilungarmi, pregando147 i miei Leggitori di volere148 usar verso di me149 tanto maggior discretezza, quanto in loro coscienza si sentissero minor forza150 di farne delle migliori.

di non dover farmi scrupolo d’usar molte frasi, e voci Lombarde, giacché ad intelligenza anche della plebe più bassa che vi concorre, principalmente nelle Lombarde Città dovevano rappresentarsi le mie Commedie. Ad alcuni vernacoli Veneziani, ed in quelle di esse che ho scritte apposta per Venezia mia Patria, sarò in necessità di appor qualche notarella, per far sentire le grazie di quel vezzoso dialetto a chi non ne ha tutta la pratica. Il Dottore che recitando parla il Bolognese, parlerà qui volgar Italiano», in E.N.P.E., pp. 101-103. 144 «qual conviene». 145 «conciossiaché». 146 «i più dilicati». 147 «Finisco però senza più, pregando». 148 MANCA: «volere ne’ Tomi, che seguiran questo primo aspettarsi Commedie meno imperfette delle quattro che do in presente, e ad usar […]», in E.N.P.E., p. 103. Le quattro commedie a cui si riferisce l’autore e presenti nel tomo I dell’edizione Bettinelli erano: La donna di garbo, I due gemelli veneziani, La vedova scaltra. La cassatura del brano è ovviamente dettata da congruità editoriali. 149 «verso di esse». 150 «si sentissero manco in forze».

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TOMO I L’Autore a chi legge*

A Tenore de’ manifesti1, che ho fatto a questa mia edizione precedere, eccomi a dar principio alla stampa, che avrà per titolo: Opere di Carlo Goldoni2. Sono dette mie opere in varie classi divise; Ma io le dividerò in tre parti soltanto. Comprenderà la prima Commedie, Tragedie e Tragicommedie3. Comprenderà la seconda i Drammi Musicali seri, e giocosi, Oratori, cantate, e simili Componimenti per Musica. Comprenderà la Terza tutte le mie Poetiche composizioni

* Questa prefazione, scritta a Venezia, è pubblicata alla fine dell’estate del 1761. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: Il teatro comico (Milano, 1750), La bottega del caffé (Mantova, 1750), Pamela fanciulla (Mantova, 1750), Pamela maritata (Roma, 1760). Il frontespizio illustra un giovanissimo Goldoni intento a scrivere la sua prima commedia. Il disegno allegorico è rappresentato, come annota l’autore, da «Melpomene e Talia, muse conosciute da tutti, l’una della tragedia, l’altra della Commedia protettrici, e custodi». La citazione che fregia il frontespizio è di Virgilio: «Dii ne [sic, Dine] hunc ardorem mentibus addunt» (Eneide, IX, 184); trad. it.: «Sono gli dei che ci ispirano questo ardore». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati si riferiscono agli anni 1715 o 1716. Nei Mémoires corrispondono al primo capitolo della prima parte. Questo Autore a chi legge ha essenzialmente una funzione prefativa alla raccolta di commedie; non a caso è collocato nell’edizione Pasquali subito dopo la lettera dedicatoria e prima della Prefazione dell’autore, che è in pratica, come abbiamo visto, una ristampa, con modifiche, di quella apparsa per la prima volta nell’edizione Bettinelli. 1 Il riferimento è in particolare al Manifesto dell’edizione Pasquali. Lettera dell’avvocato Carlo Goldoni, Venezia 1 aprile 1761 (vedi Allegati), apparso su un foglio volante, in cui era presentato, dettagliatamente, in venti paragrafi, il progetto dell’opera da farsi. L’autore, nel Manifesto, non precisava se il frontespizio sarebbe stato istoriato con un’immagine rappresentante un momento della sua vita. 2 Il frontespizio recherà la seguente titolazione: Delle Commedie di Carlo Goldoni Avvocato Veneto, t. I, In Venezia, MDCCLXI, Per Giambatista Pasquali, Con licenza de’ Superiori, e Privilegio. 3 Goldoni scriverà, lungo l’arco della sua vita, a noi note, «114 commedie e 18 tragicommedie, 6 drammi per musica, 55 drammi giocosi per musica, 15 intermezzi per musica, 7 tra cantate e serenate, 2 oratorii, 2 rappresentazioni allegoriche, 6 scenari» (cfr. D.B.M.I., p. 245).

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edite, e inedite4, in vari tempi, ed occasioni prodotte5. Ciascheduna di queste tre parti formerà un corpo da sé, separato dagli altri, onde potrà alcuno aver le Commedie senza i Drammi, e senza le Poesie Miscellanee, ed avrà un corpo perfetto, e così parimenti sarà perfetto il corpo delle Poesie Musicali, o Miscellanee, principiando, e quelle, e queste coll’indicazione di Tomo I. Di più le Opere Musicali, e le Poesie diverse non avranno, che un solo Rame nel Frontispizio, e le Commedie ne avranno cinque6, onde il prezzo sarà diverso, quantunque la forma della stessa grandezza, per unirli insieme volendo. Tutti i Tomi di Commedie, Drammi, Poesie ecc. avranno due Frontispizi, uno istoriato contenente il titolo generale: Opere di Carlo Goldoni. L’altro in lettere, specificante la Classe, e il Tomo, di cui si tratta. Tutto ciò dichiarai molto prima ne’ manifesti suddetti, ma qui ho voluto ripeterlo7 acciò rimanga perpetuamente la maniera, con cui s’hanno a dividere le cose mie, che ponno susistere separate, ed unite; e do frattanto principio alla prima classe, che è quella delle Commedie, Tragedie, e Tragicommedie. Ciascun frontispizio, come dissi Istoriato, rappresenterà un qualche pezzo della mia vita, principiando dall’età d’anni otto8, in cui il genio Comico9 principiava in me a svilupparsi, composta avendo in sì tenera età una Commedia, di quel valore, che aspettar si potea da 4 Queste «barzellette», come le definisce l’autore, si conservano in due tomi, con il titolo Delli componimenti diversi di Carlo Goldoni (Venezia, Pasquali, 1764 e 1768). Goldoni non riuscì a stampare tutti i volumi previsti. Anche questi due tomi sono adornati, rispettivamente, da un «Frontispizio istoriato» rappresentante un aspetto della sua vita e comprendono una prefazione. Mancano, invece, all’interno dei volumi altri «Rami disegnati». 5 Le «occasioni», di cui parla Goldoni, erano le più varie, da quelle private (nozze, lauree, ecc.) a quelle ufficiali (nomine politiche, visite di rappresentanti di uno stato straniero, ecc.). 6 Quattro illustrazioni, una per ogni singola commedia, più il frontespizio dedicato alla vita di Goldoni. I «Rami» dei frontespizi saranno disegnati da Pietro Antonio Novelli (17291804) e incisi, per la maggior parte, da Antonio Baratti (1724-1787), tranne per i disegni dei t. XI e XII incisi da Marco Sebastiano Giampiccoli (1706-1782). L’illustrazione del t. X non ha nessuna indicazione del disegnatore, né dell’incisore. Inoltre, nei frontespizi dei t. XIII e XVII non appare il nome dell’incisore. Per i dettagli cfr. Il teatro illustrato, cit. 7 Difatti il primo tomo è quasi tutto dedicato alla presentazione dell’edizione come lo sarà la Préface ai Mémoires. 8 L’età è la stessa indicata nella Prefazione all’edizione Bettinelli, mentre sarà corretta in «nove» nella Prefazione dell’autore e negli Autore a chi legge dei tomi II e VI dell’edizione Pasquali, e parimenti accadrà nei Mémoires, tra il primo e il secondo capitolo della prima parte. 9 «Genio comico» da intendersi come vocazione, attitudine, ma sottende talvolta anche genialità; mentre «ingegno» va inteso come talento, capacità. Questo concetto sarà ribadito più innanzi, con malcelata modestia, nella Prefazione al t. IV: «Il mio scarso talento non mi ha permesso di gir tant’alto, quanto il mio genio mi spronava».

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un bambino. Non mi sovviene ora, né il titolo, né l’intreccio, ma vive tuttavia un Testimonio di tal verità nella persona del Signor Abbate Valle Bergamasco, amico di casa mia fin d’allora. Egli è indicato nel rame del Frontispizio suddetto, e vi è mia Madre10, che compiacevasi infinitamente del mio genio, ch’ella chiamava talento, e vedesi11 delineato un certo di lei Compare12, cui pareva impossibile, ch’io sapessi far tanto, perché nell’età sua provetta sapeva forse assai meno. Io sono raffigurato nel fanciullo, che pel Compare incredulo si adirava, e vedesi la mia libreria di quel tempo13, consistente in Commedie di quel genere, che in allora correva14. Al disopra di detto quadro vi è il titolo dell’edi10

Margherita Salvioni, nata nel 1676, sposa, nel 1703, Giulio Goldoni, da cui avrà sei figli, quattro morti rispettivamente (e prematuramente) nel 1704, 1706 (gemelli) e 1709. Carlo sarà il terzo (1707), l’ultimo sarà Gian Paolo, nato il 10 gennaio 1712. La madre morirà, all’età di 78 anni, il 7 novembre 1754. 11 Nel brano è costante il riferimento alla funzione del vedere («indicato», «vedesi», «vedesi delineato», «raffigurato») che sottende uno stretto rapporto tra il commento dell’immagine e l’illustrazione stessa che molto probabilmente Goldoni ha sott’occhio. 12 Giovanni Calichiopulo, di origine greca (Candia), avvocato del Foro veneto, è citato come «padrino» di battesimo, e così risulta dagli atti, nel primo capitolo della prima parte dei Mémoires. 13 La libreria potrebbe essere un’idea escogitata da Goldoni, oppure è esistita realmente e in questo caso apparteneva credibilmente al nonno materno, sebbene molti suoi beni, alla sua morte, furono venduti o ipotecati. Sui dorsi di alcuni volumi della biblioteca, si leggono i nomi di autori teatrali o librettisti (molto probabilmente indicati da Goldoni al disegnatore): Giambattista Della Porta (Napoli 1535-1615), Giovanbattista Fagiuoli (1660-1742), Giacinto Andrea Cicognini (1606-1651?), Carlo Maria Maggi (1630-1699), Francesco De Lemene (1634-1704), Girolamo Gigli (1660-1722). Va segnalato che molte delle opere degli autori indicati non erano state pubblicate quando Goldoni era ancora giovanetto; ad esempio quella del Fagiuoli (cfr. t. VIII, p. 160, n. 7). A proposito di questa illustrazione Giorgio Strehler ha scritto: «Ci resta anche una commovente immagine, nel primo tomo delle opere complete dell’edizione Pasquali, che mostra l’autore, questa volta giovinetto, con una piccola biblioteca familiare alle spalle: da uno scaffale fuoriesce un volume che ha un titolo chiaramente leggibile [sic]. È il titolo di una commedia, unica nel suo genere, scritta da Francesco De Lemene: si chiama La sposa Francesca, ed è un capolavoro solitario scritto peraltro in dialetto lodigiano», in G. Strehler, Lezione goldoniana agli studenti di Firenze [16 marzo 1993], ora in Id., Memorie. Copione teatrale da Carlo Goldoni, a cura di S. Casiraghi, introduzione di S. Ferrone, Firenze, Le Lettere, 2005, pp. 277-295 (p. 283). 14 Il «vedesi», collocato dall’autore ad inizio di ogni commento dell’immagine, sembra situare l’autore accanto al lettore, nel mentre insieme guardano l’illustrazione. La citazione dei volumi teatrali riposti nella libreria, l’enumerazione puntuale di tutti i personaggi della vignetta, indicano in maniera evidente la conoscenza diretta dell’immagine da parte di Goldoni, da lui così voluta. L’episodio era già stato narrato, come più avanti affermerà lo stesso autore, nella Prefazione all’edizione Bettinelli, e sarà ripreso nei Mémoires con un andamento spiccatamente teatrale: i personaggi aumenteranno di numero, le azioni saranno più dettagliate, la vicenda si legherà in un brevissimo intreccio con un esile ma pertinente scioglimento finale. Precede il passo indicato un riferimento all’influenza del Cicognini sulla stesura del suo primo testo teatrale: «Je m’y attachai infiniment: je l’étudiai beaucoup; et à l’âge de huit ans, j’eus la témérité de crayonner une Comédie. J’en fis la premiere confidence à ma bonne, qui la trouva charmante; ma tante se moqua de moi; ma mere me

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zione, abbracciato da Melpomene, e Talia muse conosciute da tutti, l’una della Tragedia, l’altra della Commedia protettrici, e custodi. Nella ristampa, che ora intraprendo non mi affaticherò a tessere una più lunga, o più studiata Prefazione. Vagliami quella, qualunque siasi, che ho posta in fronte alla Edizione prima del Bettinelli15 in Venezia, indi da me adoperata nella edizione mia Fiorentina16. Io gronda et m’embrassa en même tems; mon Précepteur soutint qu’il y avoit plus d’esprit et plus de sens commun que mon âge ne comportoit; mais ce qu’il y eut de plus singulier, ce fut mon parrain, homme de robe, plus riche d’argent que de connoissances, qui ne voulut jamais croire que ce fût mon Ouvrage. Il soutenoit que mon Précepteur l’avoit revue et corrigée: celui-ci trouva le jugement indécent. La dispute alloit s’échauffer: heureusement une troisieme personne arriva dans l’istant, et les appaisa. C’étoit M. Vallé, depuis l’Abbé Vallé, de Bergame. Cet ami de la maison m’avoit vu travailler à cette piece: il avoit été témoin de mes enfantillages et de mes saillies. Je l’avois prié de n’en parler à personne: il m’avoit gardé le secret; et dans cette occasion faisant taire l’incrédule, il rendit justice à mes bonnes dispositions» (I, 1, p. 13); trad. it.: «Mi ci appassionai moltissimo, lo studiai attentamente e, a otto anni, osai abbozzare una commedia. Ne feci una prima confidenziale lettura alla governante che la trovò graziosa; mia zia mi prese in giro; mia madre mi sgridò e mi abbracciò a un tempo; il mio precettore giudicò che vi fosse più ingegno e buon senso di quel che la mia età comportasse; ma il fatto più singolare fu che il mio padrino, un uomo di toga che aveva più familiarità con il denaro che non con la cultura, sempre si rifiutò di credere che essa fosse opera mia. Egli sosteneva che l’avesse riveduta e corretta il mio precettore: costui reputò tale giudizio del tutto sconveniente. La disputa andava rinfocolandosi: per fortuna arrivò una terza persona al momento opportuno e li calmò. Era il signor Valle, poi abate, di Bergamo. Tale amico di famiglia mi aveva visto lavorare alla commedia: era stato testimone delle mie esuberanze e delle mie bambinate. L’avevo scongiurato di non parlarne ad alcuno: aveva mantenuto il segreto, ma in codesta occasione, ponendo a tacere l’incredulo, rese giustizia al mio talento» (Memorie, pp. 29-30). Risulta effettivamente che il Valle frequentò la casa del commediografo come lui stesso dichiara, riferendosi a Goldoni fanciullo: «L’ho conosciuto da putello perché praticavo in casa sua» (G.M.ME., p. 390). Goldoni affida all’episodio un’importanza notevole, se ribadisce come aveva fatto nella Bettinelli e farà nella Pasquali, l’importanza testimoniale del Valle: «Nel primo volume dell’edizione Pasquali, avevo citato, a prova di questa verità, l’Abate Valle, che nel 1770, era ancora vivo, sospettando che vi fossero altri padrini increduli», (ivi). L’abate Giacomo Valle, di Bergamo (1693-1773), come risulta da alcuni documenti (e dalle dichiarazioni del Loehner, cfr. E.L.ME., p. 34), fu anche testimone, per iscritto, delle nozze di Goldoni, a Genova, con Nicoletta Connio nel 1736. Ma, Ginette Herry, avvalorando una illazione del Mazzoni (G.M.ME., p. 389), fa notare che l’abate Valle arriverà a Venezia nel 1718 ovvero quando il nostro Goldoni aveva undici anni, e si domanda: «Faut-il reporter à l’âge de onze ans la primière comédie?», (G.H.M.I., p. 33). Tra i lavori comparativi tra le prefazioni alla Pasquali e i Mémoires, si ricordano: E. Von Loehner, Carlo Goldoni e le sue «Memorie» Frammenti, in “Archivio Veneto”, t. XXIII, 1882 pp. 45-65; G. Ziccardi, I «Mémoires», in Id., Forme di vita e d’arte nel Settecento, Firenze, Le Monnier, 1931, pp. 19-81 (in part. pp. 26-33 e 42-49); il capitolo di Gianfranco Folena Il francese di Goldoni, in op. cit., pp. 35996; G. Herry, Goldoni de la Préface Bettinelli aux Préfaces Pasquali ou le destin des souvenirs, in Il tempo vissuto, Atti del convegno “Percezione, impiego, rappresentazioni”, Gargnano 9-11 settembre 1985, Bologna, Cappelli, 1988, pp. 197-211. 15 Il titolo dell’«edizione» è Le Commedie del dottore Carlo Goldoni avvocato veneto fra gli Arcadi Polisseno Fegejo, Venezia, per Giuseppe Bettinelli, 1750. 16 È l’edizione Paperini di Firenze, avviata nel 1753.

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l’ho soltanto presentemente in qualche parte, o cangiata, o corretta17, siccome ho fatto di tutte le opere mie, che ora sono per ristampare, e da ciò prendo motivo di prevenire il Pubblico con qualche notizia, che alla novella Impresa appartiene. Dirò, prima di tutto, non aver io osservato nella presente impressio18 ne delle mie Commedie l’ordine de’ tempi, ne’ quai furono, o scritte, o rappresentate, poiché, volendo io a tenore della promessa fatta ne’ miei manifesti, che in ogni Tomo vi fosse una Commedia non più stampata, non era possibile, ch’io seguitassi la loro Cronologia. Seguendo però il costume che ho praticato fin’ora di porre sotto il titolo di ciascheduna Commedia il luogo, e il tempo della prima sua rappresentazione, ponno facilmente quei, che sono di ciò curiosi, soddisfarsi anche in questo, ed osservarne ad evidenza l’ordine, e la successione. Ciò forse interesserà qualcheduno, con animo di rilevare, come di mano in mano, coll’uso quotidiano di scrivere, sia andato io migliorando le mie produzioni, ma la regola non è sicura, poiché trattandosi di operazioni di spirito, dipende l’esito il più delle volte dalla disposizione accidentale dell’animo, anziché dall’arte stabilita, e provetta19; quindi è, che fra le opere di qualunque Scrittore, sovente le prime sono migliori dell’ultime, e talvolta l’ultime delle prime, e spesso avvi quella vicenda fra esse di buone, e di cattive, che è l’effetto della disposizione sopraccennata20. Io forse più di tutti sarò caduto in disuguaglianza di condotta, di pensiero, di stile, a causa delle tante cose in pochi anni prodotte, e della fretta, con cui parecchie volte ho dovuto scrivere21, e per la 17 Per le modifiche e le cancellazioni di brani rispetto all’edizione Bettinelli (Venezia, 1750) si vedano qui le note alla Prefazione. 18 Stampa. 19 Abile per lunga esperienza. 20 La dichiarazione è in netto contrasto con quanto riferito alla cronologia delle sue commedie pubblicata nella prefazione alla Bettinelli, dove veniva affermato esattamente il contrario: «Io le [commedie] lascio correre candidamente quali esse furono dapprima scritte, e rappresentate. Non voglio che si dica, ch’io correggendole abbia cercato di accrescere il merito delle mie prime fatiche oltre alla verità; anzi desidero che il mondo conosca nella differenza che si ravvisa tra le prime, e le ultime, come gradatamente, a forza di osservazione, e di sperienza, mi sono andato avanzando. A questo fine, stampandole nell’ordine stesso con cui furono composte, rinunzio anche al maggior credito che potrei procurar al mio libro, se io facessi preceder alle prime più deboli, le ultime a mio parere manco imperfette […]» (in E.N.P.E., pp. 101-102, qui p. 92, n. 143). Va ricordato che con la differente organizzazione dell’edizione Pasquali in cui era presente una nuova commedia in ogni tomo, era impossibile una successione cronologica delle opere. Goldoni omette, sia nella Prefazione alla Paperini che in quella alla Pasquali, quanto aveva appunto dichiarato differentemente nella Prefazione alla Bettinelli. 21 «Questa Commedia fu da me scritta nel brevissimo giro di cinque giorni, dando a copiare un atto, mentre stavami scrivendo l’altro», in L’Autore a chi legge premesso alla

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poca voglia, che bene spesso ne avea. Presentemente le mie correzioni daranno alle Opere mie un poco più di uguaglianza, rendendole a miglior coltura di stile, di lingua, e di buone frasi, ma ciò nonostante saprà dire il Lettore accorto: Questa fu scritta dall’Autore, di genio; quest’altra l’ha composta di mal’umore. A ciò non vi è rimedio, che giovi. Quando la pianta non è felice, la Machina non può mai raddrizzarsi perfettamente. Io per altro con quella ingenuità, che non ho mai saputo alterare, ho confessato in pubblico la buona, e la trista sorte, ch’hanno sortito le Opere mie sul Teatro, e seguirò sempre collo stesso sistema22. Mi valerò23 pertanto nelle Commedie altre volte stampate delle prefazioni medesime, riguardo all’interesse, o all’avventure di esse, togliendo via soltanto ciò, che risguardava la sola circostanza del tempo, in cui le ho scritte la prima volta, e qualche cosa aggiungendo, che abbia maggior rapporto alle congiunture presenti24. Fra le Dediche25 commedia Il festino (rappresentata la prima volta nel 1754), ora in Opere, V, pp. 437-439; «Una Commedia all’E.V. offerisco, dono sproporzionato alla grandezza sua; ma che a me costa sudori, poiché se il Mondo crede che facilmente dall’intelletto mio e dalla mia mano escano queste Opere che giornalmente produco, di gran lunga s’inganna; e se misurar si vuole la supposta facilità all’abbondanza delle produzioni, risponderò che la necessità e l’impegno mi costringono a farlo collo scapito del mio riposo», nella lettera dedicatoria a Sua Eccellenza il Nobil Uomo signor Giovannantonio Ruzzino II patrizio veneto, premessa alla commedia L’amante militare (rappresentata la prima volta nel 1751), ora in Opere, IV, pp. 71-73 (p. 73). 22 Questo passo richiama quanto precedentemente dichiarato dallo stesso Goldoni nel Manifesto dell’edizione Pasquali: «Alcuni si lagnano degli autori viventi, perchè nel ristampare che fanno le Opere loro, cambiano sempre, ed aumentano, e migliorano le cose stesse, e non sono mai certi, che l’Edizione che comprano abbia ad essere la perfetta, temendone in appresso un’altra migliore. Lo stesso diranno di me, se oltre le proposizioni suddette, vi aggiungo quella di correggere, e migliorare, e polire le Opere che sono per ristampare, rendendo a miglior coltura lo stile, i termini, ed alcune frasi. Ma ciò non ostante lo dico, e sono in impegno di farlo, per lasciare, per quanto mi è possibile, dopo la mia morte, miglior riputazione di me, e rendere men disonore ch’io posso alla mia Patria, ai miei posteri, alla mia Nazione», in E.N.M.I., p. 383; (vedi Allegati, p. 363). 23 Mi avvarrò. 24 Goldoni si riferisce alle prefazioni premesse alle singole commedie a partire dall’edizione Paperini, con la precipua funzione di informare il lettore sul contenuto della commedia (ed anche sui suggerimenti di lettura da parte dell’autore, oltre che a distinguere le commedie da quelle editate dal Medebach e dal Bettinelli), prassi del resto abbastanza consueta nella tradizione drammaturgica (e non solo). 25 Il riferimento è alle lettere dedicatorie che precedono gli Autore a chi legge. Queste “lettere aperte” erano, in genere, dedicate a personaggi di rango, aristocratici, amici, intellettuali, ambasciatori, che con il loro prestigio assicuravano (la loro accondiscendenza si limitava, spesso, al permesso di essere citati) un formale “patrocinio” alla commedia, anche, se, talvolta, l’attenzione dell’autore veniva in qualche modo ricompensata (vedi qui n. 26). Un mecenatismo spesso del tutto nominale, ma che consegnava, comunque, una particolare autorevolezza al testo (e soprattutto all’autore). Insomma, più alto era il titolo

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parimenti di questa nuova edizione vi saranno le medesime, da cui onorate furono le Commedie mie anteriormente stampate, ed essendo mancato di vita alcuno de’ miei Mecenati, non lascierò di venerare la di lui memoria, imprimendo le stesse lettere in questi Fogli26. Ecco dunque alla luce del Mondo il primo Tomo della nuova edizione delle mie Commedie, ed eccolo a fronte di altre dieci Edizioni27, che lo hanno fin’or prevenuto, ed hanno, posso dir senza ostentazione, empito il Mondo delle Opere mie, onde la maggior guerra, ch’io soffro è quella, che mi vien fatta da me medesimo28. Cinque edizioni del Bettinelli, una del Pitteri in Venezia; la mia di Firenze, quantunque spacciata prima ancora di terminarla, le ristampe di Pesaro, di Torino,

aristocratico, più decisivo era il rilievo della “protezione”. L’edizione Pasquali è preceduta, infatti, da una dedicatoria a Sua Altezza Reale il Serenissimo Infante di Spagna Don Filippo, duca di Parma, Piacenza, Guastalla (e i Mémoires saranno dedicati, in debita proporzione, «Au Roi»). È da notare come lo stile usato da Goldoni nello stendere le lettere è più adulatorio, sontuoso, ampolloso che non quello degli Autore a chi legge, scritti con altro piglio, con altro stile, più confidente, chiaro, comunicativo, quasi complice: un borghese che parla ad altri borghesi. Ma va comunque ricordato quanto scrive Goldoni: «Le dediche si fanno per tre ragioni: o per affetto, o per rispetto, o per interesse: agiendo con tale estraordinaria cautela, non otterrai alcuno di questi effetti. L’amico non ti ringrazia, il protettore non si obbliga, il liberal non ti ricompensa», (Al mio carissimo amico N.N., premessa a La casa nova, in Opere, VII, p. 837). 26 Vale la pena di leggere quanto annoterà Goldoni nei Mémoires all’occasione dell’uscita del II tomo della Bettinelli e sugli effetti delle lettere dedicatorie: «Arrivé à Venise, je trouvai mon premier volume imprimé, et de l’argent chez mon Libraire; je reçus, en même-tems, une montre d’or, une boîte du même métal, un cabaret d’argent avec du chocolat, et quatre paires de manchettes de point de Venise. C’étoient les présens de ceux à qui j’avois dédié mes quatre premieres Comédies» (II, 12, pp. 297-298); trad. it.: «Giunto a Venezia, trovai dal mio libraio il primo volume stampato e un po’ di denaro; ricevetti anche un orologio d’oro, una tabacchiera del medesimo metallo, cioccolata su un vassoio d’argento e quattro paia di manichetti in punto di Venezia. Erano i regali di coloro ai quali avevo dedicato le mie prime quattro commedie» (Memorie, p. 367). 27 Il conteggio è approssimativo. 28 Il commento autoironico ricorda, sia pure alla lontana (ma la prassi è quella, ed è consentito pensare ad un riferimento alle critiche di Carlo Gozzi) quanto affermato da Goldoni nella Prefazione alla Bettinelli (brano espunto nella Pasquali), dove con malcelata vanità dichiarava essere lui stesso causa delle critiche che gli piovevano dal pubblico, quel pubblico che lui stesso aveva contribuito ad «ispirare»: «Le composizioni di niun valore non son nemmeno oggetto di critica. Che se alle mie Commedie ne sono state fatte, o se ne faran tuttavia in avvenire, io trarrò quindi un sicuro argomento, che degne sieno di osservazione, e però fornite di qualche merito. Infatti, se quelli, che due o tre anni fa sofferivano sul teatro improprietà, inezie, Arlecchinate da mover nausea ai stomachi più grossolani, son divenuti in presente così dilicati, che ogn’ombra d’inverisimile, ogni picciolo neo, ogni frase, o parola men Toscana li turba, e scompone, io posso senza arroganza attribuirmi il merito d’aver il primo loro ispirata una tal dilicatezza col mezzo di quelle stesse Commedie, che alcuni d’essi indiscretamente, ingratamente, e fors’anche talvolta senza ragione si sono messi o si metteranno a lacerare», in E.N.P.E., p. 102 (qui Prefazione dell’autore, p. 92, n. 143).

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di Napoli, di Bologna29; le traduzioni in Francese, in Inglese, in Tedesco dovevano certamente disanimarmi ad intraprenderne una, di tutte le altre più dispendiosa, e per conseguenza più dificile ad esitarsi30. Ma appunto là dove potea avvilirmi, ho preso argomento di animosità, e di speranza, ragionando fra me medesimo in cotal modo: Se tanta, e sì inaspettata fortuna ebbero le produzioni mie fin’ad ora, in una maniera, cui, modestamente parlando, chiamerò mercantile, con una economia di carta, e di caratteri, che basterebbe a screditare il miglior libro del Mondo, con iscorrezioni patentissime, e grossolane, non potrò io sperare miglior ventura, spendendo assai più in carta, in caratteri, in Rami, e lungo tempo impiegando nella riforma, e nella correzione delle Opere stesse? Sì, mi dirà taluno, tu dici bene, e ti potresti lusingare moltissimo, se il tuo libro avesse lo stesso prezzo degli altri, e non lo volessi vendere al doppio. Caro amico, rispondo io, non siete voi di quelli, che amano l’eleganza, la pulizia, gli ornamenti? Se non lo siete, vi compatisco; servitevi a tre Paoli31 al Tomo, dove vi

29 Pesaro (Gavelli), Torino (Fantino e Olzati), Napoli (Venaccia), Bologna (San Tommaso d’Aquino). 30 Vendere, smerciare. Soltanto della Bettinelli, ad esempio, vengono in pratica avviate da Goldoni tre edizioni (1750, 1751, 1752), e soltanto i primi tre tomi sono controllati direttamente dall’autore, e una quarta (1753) non autorizzata (fino al 1755, ovvero dal quarto tomo fino all’ottavo, i testi saranno curati dal Chiari e dal Medebach, senza l’avallo di Goldoni), e varie ristampe. Va considerato a parte il tomo IX della Bettinelli esemplato sul X della Paperini. Senza contare che le successive principali edizioni delle opere, ufficialmente curate in vita dall’autore, come la Paperini, la Pitteri, la Pasquali, si sovrapporranno tra di esse in un intrico di date e di interrelazione di tomi e senza tener di conto le ristampe, queste ultime non sappiamo se sempre direttamente controllate da Goldoni («Pesaro, Torino, Napoli, Bologna», ma anche Livorno), per non parlare delle edizioni pirate, molte volte soltanto manoscritte o riprodotte in singoli opuscoli. Ne dà un rammaricato ironico resoconto Goldoni stesso nell’Autore a chi legge, premesso alla Sposa persiana: «Alcuni vi furono fra i Spettatori, che non contenti di replicatamente vederla, mi vollero far l’onore di scriverla dai Palchetti; il che riuscì loro di fare in più e più volte che provati si sono. Videsi, dopo, passare di mano in mano copiata e ricopiata a tal segno, che pochi eran quelli che non l’avessero, tutti però scorretta, come l’avean potuta rapir di volo, e sempre più rovinata nel ricopiarla […]», in Opere, IX, pp. 521-526, (p. 521). Inoltre, vari manoscritti delle commedie goldoniane, probabilmente mal tradotte in lingua francese, tedesca e inglese, circolavano in Europa senza, ovviamente, nessun controllo da parte dell’autore. La mole consistente delle edizioni smesse e febbrilmente ricominciate, sta chiaramente ad indicare la volontà che accompagnerà per tutta la vita il commediografo: ordinare le proprie opere in edizioni sempre più definitive e corrette. Per una dettagliata disamina dell’edizione Bettinelli, vedi A. Scannapieco, Giuseppe Bettinelli editore di Goldoni, in “Problemi di critica goldoniana”, a cura di G. Padoan, vol. I, Ravenna, Longo Editore, 1994, pp. 63-183; e Id., Ancora a proposito di Giuseppe Bettinelli editore di Goldoni, in “Problemi di critica goldoniana”, a cura di G. Padoan, vol. II, Ravenna, Longo Editore, 1995, pp. 281-292. 31 Moneta d’argento di corso nello Stato pontificio.

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aggrada. Io mi affatico presentemente per le persone di miglior gusto, e non è di esse sì scarso il numero, ch’io diffidi di essere delle mie attenzioni ricompensato. Era poi giusto, ch’io procurassi una volta di rendere a miglior forma, ed a miglior lettura le cose mie, per lasciare miglior memoria di me a’ miei posteri, e recar meno disonore alla Patria mia. Il celebre M. Voltaire, di cui avrò occasione di parlare più lungamente innanzi alla quarta Commedia di questo Tomo32, mi scrive in una sua lettera33 de’ 12. Giugno 1761. Je veus34 que la petite fille du grand Corneille que j’ai l’honneur d’avoir chez moi, aprenne l’Italien dans vos pièces35. Elle y aprendra en meme36 temps tous les devoirs de la societé37, dont tous vos ècrits38 donnent des leçons ecc. Da altri moltissimi Oltramontani ho inteso dire, a mia confusione, che si valevano de’ miei Tomi per imparar la lingua Italiana. So bene, che le opere mie non vengono in ciò preferite pe’l merito del loro stile, ma in grazia della materia, piacevole per se stessa, e conosciuta per tutto. Pure io sono in debito di purgarle, per quanto posso, dai difetti di lingua per non ingannare i stranieri, che di me si fidano, e per non fare un torto alla nostra Italia medesima. Procurerò di farlo colla maggior esattezza possibile, e là dove sarò forzato di usare le parole, o le frasi Veneziane, o Lombarde, darò in piè di pagina la traduzione39. Non prendo impegno per altro di scrivere 32 Si riferisce alla Commedia Pamela maritata (1759-60), dedicata al Voltaire e presente nel tomo I della edizione Pasquali. 33 Dell’originale di questa lettera non si hanno tracce. 34 veux. 35 pièces. 36 même. 37 société. 38 écrits. 39 Le osservazioni sulla lingua sono ricorrenti in Goldoni. Da citare quelle riportate nella Prefazione all’edizione Bettinelli e nel capitolo 32 della seconda parte dei Mémoires. Resterà, invece, una promessa il suo «Dizionario veneto» (a cui aveva fatto cenno nel Manifesto della Pasquali parlando di un «Dizionario comico», forse pensato più come esplicitazione delle tecniche teatrali). Goldoni ne riparlerà, ma con la consapevolezza di non riuscire nell’impresa, e giustificandone in qualche modo la poca praticità, nella premessa alla commedia I rusteghi (Pasquali, t. III): «Molti bramerebbero un Dizionario Veneziano per intendere questa lingua, ed io stesso ho pensato di farlo; ma credo sieno meglio i leggitori serviti dando loro la spiegazione sul fatto, anziché distrarli dalla lettura, per ricorrere al Dizionario, il quale non si può aver sempre vicino quando bisogna», in Opere, VII, pp. 625-626 (p. 625). Sull’argomento era anche già tornato nella prefazione alla commedia Le massere (IV, Venezia, Pitteri): «Sto facendo ora un vocabolario colla spiegazione dei termini, delle frasi e dei proverbi della nostra lingua per uso delle mie Commedie, e questo servirà comodamente per tutte quelle che si sono stampate finora; e se altre se ne stamperanno dopo il vocabolario, e in alcuna di esse qualche nuovo termine si ritrovasse, sarà in piè di pagina puntualmente spiegato. Nella ristampa in Torino dei dieci tomi della mia

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quel Toscano, che usavasi a’ tempi del Boccaccio, del Berni40, e d’altri simili di quella classe, ma come scrivono i Toscani de’ giorni nostri, quali si vergognerebbono di usare que’ riboboli41, che sono rancidi, e della plebe, e abbisognano di commento, e di spiegazione per gli stranieri non solo, ma ancora per la maggior parte degl’Italiani. Rispetto, questo venero, e stimo chiunque si è reso in stile eccellente. Non è malfatto, anzi è lodevolissimo, che siavi chi prenda cura di conservare una lingua, che è quasi morta, poiché dagl’Italiani medesimi inusitata; Ma Dio mi guardi, che io di ciò m’invaghisca; Dovrei pensare a tutt’altro, che a scrivere pe’l Teatro, e a dar piacere all’universale42. Due volte mi son provato di farlo. Una volta seriosamente nella Scuola di Ballo43, ed ho riscosso poco meno, che le fischiate; un’altra volta in caricatura nel Tasso44, e ne ho riportato l’universale compiacimento. Che vuoi dir ciò? Il Lettore ne tragga la conseguenza. edizione fiorentina [è l’edizione, in 12 tomi, Fantino e Olzati, 1756-58] evvi una specie di vocabolario simile, nell’ultimo tomo, stampato, ma questo non serve per uso delle mie Commedie, sendo stato fatto altre volte per la traduzione in lingua veneta del Bertoldo [G. Picchi, Traduzion dal toscan in lingua veneziana da Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, Padova, 1747], onde io prometto uno completo, a dio piacendo, in quest’anno», in Opere, V, pp. 937-938. Riparlerà del vocabolario, ancora, nella prefazione alla commedia Il cavaliere di buon gusto (1753) e in quella alla commedia Donne de casa soa (1758). Nei Mémoires (III, 38, p. 599), Goldoni, con ironia, ricorda ancora l’impresa editoriale, ma definendola «ennuyeux, dégoûtant» e affidandole una funzione soltanto utilmente «narcotique»: «J’avois projetté depuis long-tems de donner un vocabulaire du dialecte Vénitien, et j’en avois même fait part au Public qui l’ettend encore; en travaillant à cet Ouvrage ennuyeux, dégoûtant, je vis que je m’endormois; je le plantai-là, et je profitai de sa faculté narcotique. Toutes les fois que je sens mon esprit agité par quelque cause morale, je prends au hasard un mot de ma langue maternelle; je le traduis en Toscan et en François; je passe en revue de la même maniere les mots qui suivent par ordre alphabétique, je suis sûr d’être endormi à la troisieme ou à la quatrieme version; mon somnifere n’a jamais manqué son coup»; trad. it.: «Da lungo tempo avevo progettato di redigere un vocabolario del dialetto veneziano e ne avevo dato comunicazione al pubblico che ancora l’attende, lavorando a tale opera noiosa e disgustosa, vidi che mi addormentavo; la abbandonai, ma approfittai della sua facoltà narcotica. Tutte le volte che mi sentivo lo spirito agitato da qualche ragione morale, prendo a caso una parola della mia lingua materna, la traduco in toscano e francese; passo poi in rassegna allo stesso modo le parole che seguono in ordine alfabetico: sono sicuro di essermi già addormentato alla terza o alla quarta parola che traduco; il mio sonnifero non ha mai fallito un colpo» (Memorie, p. 720). 40 Goldoni, forse, si riferisce al rifacimento in pura lingua toscana dell’Orlando innamorato di Boiardo compiuto da Francesco Berni, poeta (Lamporecchio, 1497ca-Firenze, 1535). 41 Parola o modo di dire molto espressiva, tipica della parlata popolare toscana. 42 A tutti, al pubblico nella sua interezza. 43 Cfr. La scuola di ballo (1759-60), commedia di cinque atti, in versi martelliani, andò in scena il 22 ottobre 1759, e fu stampata per la prima volta nell’edizione Zatta (cfr. Opere, VII). 44 Cfr. Torquato Tasso (1754-55), commedia di cinque atti, in versi martelliani, fu rappresentata nel 1755, stampata nella Pitteri e successivamente nalla Pasquali (cfr. Opere, V).

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Orsù quel, che ho detto fin’ora potrà bastare, perché non vada nuda affatto di qualche preliminare ragionamento una nuova edizione45. Ma poteasi anche ciò risparmiare. Nulla ho detto, che non vaglia il Lettore a raccogliere da se medesimo, e chi volesse per avventura fare il confronto di questa mia edizione coll’altre, rileverà molto più, ch’io non dico, e comprenderà se abbia io mantenuto decentemente quanto ho ne’ miei manifesti promesso, da che ne risulteranno due cose buone, una pei leggitori, l’altra per me46; Per essi, m’intendo, il

45 Come già detto a proposito delle singole commedie nella Prefazione alla Bettinelli: «Non vuol ragione però che affatto nude io le dia al Pubblico col mezzo delle stampe, come fo sulle Scene», in E.N.P.E., p. 88, qui Prefazione dell’autore, p. 78. 46 Goldoni, appena può, non manca di sottolineare la competenza «onorata» della sua «profession di scrittore di Commedie». Nel brano si avverte, sottesa, un’amarezza che allude alla difficoltà di una scrittura volta all’«utile» e al diletto e, soprattutto, libera. Sembra delinearsi un nuovo compito dell’intellettuale, lontano dai compromessi con un mecenatismo spesso corrotto, e che con Goldoni si apre all’originale, autonomo, ruolo sociale dello scrittore da situarsi pienamente dentro la modernità letteraria. C’è, gli anni sono quelli, dirimpetto a queste considerazioni la scrittura favolosa del teatro di Carlo Gozzi e il ruolo così aristocratico e differente di écrivain engagé. Non dimentichiamo che Goldoni ha vissuto (con la breve ma turbolenta pausa delle pensioni reali in Francia) alle condizioni capestro del botteghino e dei contratti con gli impresari e i capocomici, e con l’obbligo di «far correre la gente a teatro e rendere del profitto a chi mi paga le opere mie» (Lettera dell’autore dell’opera intitolata Nerone scritta ad un suo amico che serve da prefazione all’opera stessa, in Opere, XIV, pp. 425-426, p. 426. «Mes affaires alloient mal, j’étois dérangé […]. Mon cabinet ne me rapportoit rien: j’avois besoin de tirer parti de mon tems. Les profits de la Comédie sont très-médiocres, en Italie, pour l’Auteur; il n’y avoit que l’Opéra qui pût me faire avoir cent sequins d’un seul coup» (Mémoires, I. 24; p. 112); trad. it.: «Gli affari andavano male, io ero fuori posto […]. Lo studio non mi rendeva nulla: dovevo pur trarre qualche profitto dal mio tempo. I guadagni che offre la commedia ad un autore sono, in Italia, assolutamente mediocri; solo il melodramma avrebbe potuto farmi guadagnare d’un colpo cento zecchini» (Memorie, p. 147). Il discorso si farà più amaro, contraddittorio, a Parigi, sempre nei Mémoires, nel confronto con il teatro francese, con gli scrittori e con la professione abbandonata di avvocato: «Un homme-de-lettres, dira-t-on, doit être libre, doit mépriser la servitude et la gêne. Si cet Auteur est à son aise comme l’étoit Voltaire, ou cinique comme Rousseau, je n’ai rien à lui dire; mais si c’est un de ceux qui ne se refusent pas au partage de la recette et au profit de l’impression, je le prie en grâce de vouloir bien écouter ma justification […]. Je suis tenté quelquefois de me regarder comme un phénomene; je me suis abandonné sans réflexion au génie comique, qui m’a entraîné, j’ai perdu trois ou quatre fois les occasions les plus heureuses pour être mieux, et je suis toujours retombé dans les mêmes filets; mais je n’en suis pas fâché; j’aurois trouvé par-tout ailleurs plus d’aisance peut-être, mais moins de satisfaction» (I, 52, pp. 235-236); trad. it.: «Un uomo di lettere, si dirà, deve essere libero, deve disprezzare la servitù e la soggezione. Se tale autore è benestante, come lo era Voltaire, o cinico come Rousseau, non ho nulla da ridire; ma se è uno di quelli che non si sottraggono alla divisione dell’incasso e ai proventi della stampa, lo prego, per favore, di voler ascoltare la mia giustificazione […]. A volte sono tentato di considerarmi un fenomeno; mi sono abbandonato, senza riflettere, al genio comico che mi ha trascinato; ho perduto tre o quattro volte le più felici occasioni per avere una migliore posizione e sono sempre ricaduto nella medesima rete, ma non me ne dispiace: da ogni altra parte avrei ricavato, forse, più ricchezza, ma meno soddisfazione» (Memorie, pp. 292-293).

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diletto, e la compiacenza, e per me l’utile, ed il decoro; due motivi, che non isconvengono fra di loro, e che hanno servito di sprone a tanti altri galant’uomini di questo Mondo.

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TOMO II L’Autore a chi legge*

L’Aggradimento pienissimo, con cui è stato ricevuto il mio primo Tomo, mi lusinga di un’egual Fortuna per tutti gli altri, né cesserò di porvi ogni studio per rendere la mia edizione degna sempre più della pubblica grazia. Cercando io di adornare quest’opera quanto meglio potessi, pensai sin da principio a provvedere ogni Tomo di un Frontispizio Istoriato. Vidi poi in seguito, esser cosa difficilissima immaginare per tanti Tomi tanti nuovi pensieri, che non avessero del comune, e si cavassero dell’ordinario: Muse, Apolli, Maschere, Tibie, Teatri, Satiri, Scimie1 sono cose fatte, e rifatte, e si veggiono da per tutto impresse, dove trattisi di Commedie, ed i Pittori su tal proposito non sanno più, che inventare, oltredicchè nulla interessano l’altrui curiosità questi simboli generali, quantunque ben disegnati, ed elegantemente eseguiti. Pensato ho adunque a qualche cosa di nuovo, per quell’amore di novità, che è stato sempre il mio scopo, e che diletta, più ch’altro, l’universale. Ho pensato di dare ne’ Frontispizi un * Questa prefazione, scritta a Venezia, è pubblicata nel 1762. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: Il cavaliere e la dama (Verona, 1749); Il bugiardo (Mantova, 1750); Il tutore (Venezia, 1751); Gl’innamorati (Venezia, 1761). Il frontespizio rappresenta Goldoni che eccelle, inaspettatamente, nell’esame di latino, presso il Collegio dei Gesuiti di Perugia, e viene incoronato «Imperatore dei Romani». La citazione che fregia il frontespizio è di Orazio: «Occupet extremum scabies [;] mihi turpe relinqui est» (Ars poetica, 417); trad. it.: «La scabbia si impadronisce dell’ultimo; sarebbe per me un’onta restare ultimo» [si tratta di un gioco tra fanciulli, dove chi giunge per ultimo è penalizzato]. Al di sopra dell’illustrazione sono rappresentate la grammatica (a sinistra) e la retorica nel mentre sostengono il cartiglio. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati si riferiscono agli anni 1719 e 1720, a Perugia. Nei Mémoires corrispondono al secondo capitolo della prima parte. 1 Consueti fregi che adornavano i testi teatrali del tempo. Le «tibie» erano particolari strumenti musicali a fiato, in uso nei tempi antichi. Evidente l’attenzione di Goldoni per gli aspetti grafici del testo e la resa estetica del volume. L’autore conosceva molto bene la questione visto che il suo ritratto nella prima edizione Bettinelli era adornato proprio da una «Scimia», ma che nelle successive, per sua decisione, non fu più utilizzato.

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sommario della mia vita2, sparsa già da gran tempo in varie lettere, e prefazioni, e in qualche Scena ancora delle Opere mie fin’ora stampate3. La storia della mia vita non è quella di un uomo, che vaglia ad interessare il pubblico per risaperla; pure di tutti gli uomini, che hanno scritto, si legge, dopo morte la loro vita, e se alcuno vorrà prendersi un giorno per me tal cura, avrà facilitata la guida al suo amichevole pensamento4. Quaranta5 deggiono essere i Tomi da me proposti, ed altrettanti saranno i punti da me fissati delle mie circostanze. Avrei materia per fornire di me medesimo maggior copia ancora di Frontispizi, ma sceglierò i più essenziali, unicamente per rimarcare per quali vie, e con quai mezzi mi sono fin qui condotto6. 2 A cui affiderà il titolo L’Autore a chi legge, riprendendo l’uso dei brevi scritti prefativi comparsi per la prima volta nell’edizione Paperini, come avantesti delle singole commedie. 3 Oltre all’osservazione di Goldoni che episodi della sua vita privata possano trovarsi in alcune «scene» teatrali (splendida commistione di biografia e vita), è utile ricordare che nella Préface ai Mémoires Goldoni darà importanza, di nuovo, a questo particolare aspetto: «[…] d’y placer dans chaque volume, au lieu de Préface, une partie de ma vie, imaginant alors qu’à la fin de l’Ouvrage l’histoire de ma Personne, et celle de mon Théâtre, auroient pu être complettes» (Mémoires, Préface, p. 6); trad. it.: «[…] di premettere a ciascun volume, in guisa di prefazione, una parte della mia vita in modo che, con la fine dell’opera, sarebbero risultate complete sia la storia della mia persona sia quella del mio teatro (Memorie, p. 22). 4 Anche questo concetto sarà ripreso da Goldoni nella Préface ai Mémoires: «Il est vrai que la vie d’un homme ne devroit paroître qu’après sa mort […]. Ma vie n’est pas intéressante; mais il peut arriver que, d’ici à quelque tems, on trouve dans un coin d’une ancienne Bibliotheque, une collection de mes Oeuvres. On sera curieux, peut-être, de savoir qui étoit cet homme singulier qui a visé à la réforme du Théâtre de son pays» (p. 5); trad. it.: «È vero che la vita di un uomo non dovrebbe apparire se non dopo la sua morte […]. La mia vita non è particolarmente interessante; può succedere però che, fra un po’ di tempo, in un angolo di qualche vecchia biblioteca, si ritrovi una collezione delle mie opere. Si sarà curiosi, forse, di sapere chi fosse quell’uomo singolare che ha mirato alla riforma del teatro del suo paese» (Memorie, p. 21). 5 Goldoni nella Supplica al Serenissimo Principe di Venezia (29 dicembre 1760) nel chiedere il «privilegio» sull’edizione Pasquali, aveva avanzato l’ipotesi che i tomi sarebbero potuti arrivare «forse a cinquanta» (E.N.M.I., p. 378; vedi Allegati, p. 357). Il motivo del non completamento della Pasquali è da cercarsi in una disattenzione e irregolarità (o stanchezza) da parte di Goldoni, distratto dalla vita parigina, come del resto lui stesso dichiara nei Mémoires: «[…] mai le tourbillon de Paris, mes nouvelles occupations et la distance des lieux, ont diminué l’activité de mon côté, et ont mis de la lenteur dans l’exécution de la presse […]» (Préface, p. 6); trad. it.: «[…] il turbine di Parigi, le mie nuove occupazioni e la distanza tra le due città hanno diminuito la mia attività e hanno rallentato l’esecuzione della stampa» (Memorie, p. 22); oppure nella decisione dello stesso editore che, nonostante avesse rilevato dall’autore i proventi dell’edizione: «vi ho ceduto la mia edizione, vi ho ceduto il privilegio accordatomi […]. Voi siete divenuto il solo padrone delle opere mie» (cfr. Lettera a Giambatista Pasquali, Parigi, 15 luglio 1772, in E.N.M.I., pp. 392-93; vedi Allegati, p. 369), giudicò eccessivamente gravoso l’impegno economico (probabilmente anche per il sempre più ridotto numero di vendite e abbonamenti). 6 Qui trapela, forse, il motivo della scelta, da parte di Goldoni, di ordinare questa sua terza autobiografia illustrata: non soltanto per legare visivamente la storia della sua vita

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Si è già veduto nel primo Tomo, che in età di nov’anni7 principiavasi a sviluppare in me il genio Comico, ma la Madre, e i Parenti, che aveano cura della mia educazione non m’avrebbero lasciato mai camminare sì presto per cotal via; e senza gli studi metodici8, e necessari, sarebbe stato un porre, come dir si suole, il Carro innanzi a’ Buoi. Trovavasi allora mio Padre9 nella Città di Perugia, esercitando colà l’Arte Medica10; pensò bene, ch’io passassi vicino a Lui, e in a quella del teatro, ma per lasciare assumere alle illustrazioni una funzione documentaria (il «rimarcare») di quanto raccontato nelle singole prefazioni. Inoltre, il riferimento alle immagini negli Autore a chi legge ha, soprattutto nelle prime cinque prefazioni, non soltanro una semplice funzione di commento delle vignette, quanto il testo sembra affidare ad esse una sorta di funzione testimoniale (se non testamentaria) di quanto “dice”. È come se le illustrazioni facessero le veci di istantanee fotografiche, e alcuni passi delle prefazioni assumessero il compito di didascalie delle immagini. In tal senso, il rammarico di Goldoni (che si coglie) è forse dettato dal dover scegliere fra tanti accadimenti soltanto un numero limitato di «Frontispizi istoriati» (ed è per questo che essi assumono vieppiù una valenza emblematica). Inoltre, la teatralizzazione visiva della sua vita passa, sfogliando le pagine dei tomi, anche nel confondersi, sovrapporsi delle immagini autobiografiche con le singole illustrazioni che precedono e illustrano le commedie di ogni volume (mallevadore la stessa “mano” del Novelli, che, economicamente, si ripete in alcuni dettagli), creando una sorta di continuum visivo così che, veramente, e anche lì, “tipograficamente”, vita e teatro felicemente si confondono. 7 Confusione. Nel precedente tomo Goldoni aveva dichiarato di avere «otto» anni. Qui si corregge in «nov’anni», mentre nella Prefazione alla Bettinelli gli anni erano ancora otto. Più avanti, nel t. VI, ribadirà i nove anni: «non era più il fanciullo di nove anni, che facea pompa di tutte le semplicità che mi cadevano dalla penna». Nei Mémoires la confusione resta inalterata: «otto anni» nel primo capitolo (I, 1), e «nove» nel successivo (I, 2). 8 Gli «studi metodici» sono, in effetti, la pratica teatrale, l’esperienza accumulata. 9 Giulio Goldoni (Venezia, 1683-Bagnacavallo, 1731). Sulla laurea in medicina del padre ci sono molte riserve; iniziò, infatti, a studiarla tardivamente, a Roma, a circa trent’anni, e su consiglio, come racconta nei Mémoires, del «signor Lancisi» (Roma 1654-1720), celebre medico negli ambienti vaticani che ebbe in cura i papi Innocenzo XI e Clemente XI. Riserve del resto adombrate, con ironia, dallo stesso Goldoni quando sottolinea che il genitore evitava di curare le «malattie che non conosceva bene». La medicina di Giulio sarà stata una medicina «empirica» sebbene volesse apparire specialista di malattie urinarie. Vedi nota seguente. 10 Mémoires: «À Rome […], un ami intime, M. Alexandre Bonicelli, Vénitien […], reçut avec sensibilité son ami Goldoni: il le logea chez lui, il le présenta à toutes ses sociétés à toutes ses connoissances, et il le recommanda vivement à M. Lancisi, premier Médecin et Camérier secret de Clément XI […]. Lancisi lui conseilla de s’appliquer à la Médecine: il lui promit sa faveur, son assistance, sa protection. Mon pere y consentit; il fit ses études au College de la Sapience, et fit son apprentissage dans l’hôpital du Saint-Esprit. Au bout de quatre ans il fut reçu Docteur, et son Mécene l’envoya à Perouse faire ses premieres expériences. Le début de mon pere fut très-heureux: il avoit l’adresse d’eviter les maladies qu’il ne connoissoit pas; il guérissoit ses malades, et le Docteur Vénitien étoit fort à la mode dans ce pays-là» (I, 2, pp. 14-15); trad. it.: «A Roma […], un amico intimo, il signor Alessandro Bonicelli, di Venezia [1674-1744], […] accolse benevolmente l’amico Goldoni: lo ospitò in casa sua, lo presentò a tutti i suoi amici, e a tutte le sue conoscenze, in particolare lo raccomandò assai caldamente al signor Lancisi, primo medico e cameriere segreto di Clemente XI […]. Lancisi gli consigliò di dedicarsi alla medicina e gli promise

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compagnia di un venerabile Monaco Olivetano, della Nobile Famiglia Ariminese de’ Rinalducci11, partii da Venezia mia Patria, e m’incamminai a Perugia12. Colà fui posto alle Scuole de’ Padri della Compagnia di Gesù13 nella Classe inferiore della Gramatica, ov’era Maestro in allora il Padre Filippo Liggi14. Non voglio lasciar qui di enunciare un fenomeno assai curioso accadutomi in tale incontro. Io aveva di già scorsi in Venezia i principi della Gramatica, e mi credea sufficiente per comparire ovunque in una simile Classe15. Giunsi alla Scuola in il suo appoggio, la sua assistenza e la sua protezione. Mio padre acconsentì; compì i suoi studi al Collegio della Sapienza e fece pratica all’ospedale di Santo Spirito. In quattro anni divenne medico e il suo mecenate lo mandò a Perugia a farvi le prime esperienze. Gli esordi furono per mio padre assai promettenti: egli aveva l’accortezza di evitare le malattie che non conosceva; portava alla guarigione i suoi ammalati e così il dottore veneziano divenne ben presto alla moda in quelle contrade» (Memorie, p. 31). Quest’ultima affermazione lascia qualche sospetto sulla qualità della carriera e degli studi del padre di Goldoni. E poco innanzi il Nostro aggiunge un temibile «peut-être»: «Mon pere qui étoit peut-être bon Médecin» (Mémoires, I, 2, ivi), trad. it.: «Mio padre che era, forse, un buon medico» (ivi). A Perugia viene inviata al padre la celebre, ormai, commedia «composta in sì tenera età»: «C’est dans ce pays et dans cette heureuse position qu’il reçut le premier essai des bonnes dispositions de son fils aîné. Cette Comédie, toute informe qu’elle devoit être, le flatta infiniment […]» (ivi); trad. it.: «Fu in questa città e in questa felice situazione che ricevette il primo saggio delle buone inclinazioni di suo figlio maggiore. Questa commedia, appena abbozzata com’era, lo lusingò moltissimo […]» (Memorie, p. 32). 11 Monaco benedettino di Rimini, Pietro Felice Modesti Rinalducci (1670-1730). 12 Secondo i Mémoires, Goldoni fu accompagnato nel suo viaggio dall’Abate Rinalducci: «Le Pere Abbé Rinalducci, Bénédictin, et frere du Comte, devoit aller à Rome; il s’engagea de passer par Perouse, et de m’y conduire» (I, 2; p. 15); trad. it.: «L’abate Rinalducci, benedettino, fratello del conte, doveva recarsi a Roma; si impegnò a passare da Perugia e ad accompagnarmici» (Memorie, p. 32). Bello il lungo racconto, sempre nei Mémoires (I, 2), del viaggio a cavallo attraversando l’Umbria fino a Perugia, dove giunse, con molta probabilità, nella primavera del 1719. 13 Il Collegio dei Gesuiti di Perugia. Siamo negli anni 1719-20 e Goldoni vi fu iscritto, probabilmente, nella primavera del 1719, «les Jésuites étoient en vogue» (Mémoires, I, 2, p. 17); trad. it.: «I Gesuiti erano in voga» (Memorie, p. 34). 14 Padre Filippo Liggi era in quel tempo (1719-20) Rettore del Collegio. 15 «Les classes des humanités en Italie […]; il n’y en a que trois: Grammaire inférieure, Grammaire supérieure, ou humanité proprement dite, et Rhétorique» (Mémoires, I, 2, p.17); trad. it.: «Le classi di studi umanistici in Italia […] sono solo tre: Grammatica inferiore, Grammatica superiore o umanità propriamente detta, e Retorica» (Memorie, p. 34). Diverso il racconto dell’episodio nei Mémoires, dove Goldoni sottolinea l’intenzione del padre di non immetterlo direttamente nella classe superiore ma di iscriverlo nella prima classe; il che giustifica, in qualche modo l’exploit del successo finale: «J’avois fait à Venise ma premiere année de Grammaire inférieure: j’aurois pu entrer dans la supérieure; mais le tems que j’avois perdu, la distraction du voyage, les nouveaux maîtres qui j’allois avoir, tout engagea mon pere à me faire recommencer mes études, et il fit très-bien» (Mémoires, I, 2, ibidem); trad. it.: «Già a Venezia avevo frequentato il primo anno di Grammatica inferiore; avrei potuto essere ammesso alla superiore, ma il tempo perduto, la distrazione del viaggio, i nuovi insegnanti che avrei avuto, tutto ciò spinse mio padre a farmi ricominciare da capo gli studi, e fece benissimo» (Memorie, ivi). E ancora una volta, sia pur di sfuggita, Goldoni ricorda di essere stato precoce autore di commedie: «[…] vous allez voir, mon cher Lecteur,

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Perugia a mezzo il corso della stagione, e per tutto il restante dell’anno mi trovai sì confuso, debole di fantasia, e d’intelletto, che non sapeva fare una concordanza, ed era io il ridicolo della Scuola, caricando gl’insolenti Scolari di derisioni, e d’ingiurie il povero Veneziano novellamente arrivato. Venne il giorno in cui si dà da’ Maestri il Latino, che chiamasi del Passaggio16, e già tutti aspettavano, ed io aspettava cogli altri vedermi rimandato alle concordanze. Oh inaspettato evento, per me di giubbilo, e per gli altri d’invidia! Il mio Latino riuscì il migliore di tutti; mi diedi animo nell’esame17. Passai alla Superiore. Fui creato Imperator dei Romani18; sostenni la dignità tutto l’anno, ed ecco nel comme ce Grammairien Vénitien, qui ne manquoit pas de se vanter d’avoir composé une Piece, se trouva rapetissé en un instant»; trad. it.: «Vedrai, mio caro lettore, come questo studentello veneziano, che si vantava di aver scritto una commedia, si ritrovasse di colpo rimpicciolito» (ibidem). 16 Esame che consentiva il passaggio da una classe scolastica alla successiva. 17 Molto più dettagliato il racconto, quasi teatrale, dell’episodio nei Mémoires, da cui emerge, attraverso un martellante «je», la forza di volontà, l’amor proprio, la perseveranza del giovane Goldoni, nonché la dimostrazione dell’innata genialità, del resto già (immodestamente) raccontata nel tomo precedente: «Le jour arrive: le Régent dicte; les Ecoliers écrivent; chacun fait de son mieux. Je rassemble toutes mes forces, je me représente mon honneur, mon ambition, mon pere, ma mere; je vois mes voisins qui me regardent du coin de l’oeil, et qui rient; facit indignatio versum. La rage, la honte m’enflamment; je lis mon theme, je sens ma tête fraîche, ma main légere, ma mémoire féconde; je finis avant les autres, je cachete mon papier, je l’apporte au Régent, et je m’en vais content de moi. Huit jours après, on appelle et on rassemble les Ecoliers: on publie la décision du College. Premiere nomination, Goldoni en supérieure; voilà un brouhaha général dans la classe; on tient des propos indécens. On lit ma traduction à haute voix, pas une faute d’ortographe; le Régent m’appelle à la chaire: je me leve pour y aller, je vois mon pere à la porte, je cours l’embrasser» (Mémoires, I, 2, pp. 17-18); trad. it.: «Viene il giorno: il rettore detta; gli scolari scrivono; ognuno cerca di fare del suo meglio. Quanto a me, chiamo a raccolta tutte le mie forze, penso al mio onore, alla mia ambizione, a mio padre, a mia madre; vedo i compagni vicini guardarmi con la coda dell’occhio e ridono; facit indignatio versum. L’ira e la vergogna mi infiammano; leggo il mio tema, mi sento la mente fresca, la mano leggera, la memoria feconda; finisco prima degli altri, pongo il sigillo al foglio, lo consegno al rettore e me ne vado fiero. Otto giorni dopo gli allievi sono convocati e riuniti: viene resa pubblica la decisione del collegio. Prima nomina: Goldoni ammesso in grammatica superiore; baccano generale nella classe; si fanno battute sconvenienti. La mia traduzione viene letta ad alta voce: non un errore d’ortografia; il rettore mi chiama alla cattedra; mi alzo per andarvi, vedo mio padre alla porta, corro ad abbracciarlo» (Memorie, p. 35). Ancora, in questo secondo capitolo, Goldoni amplia il brano riferito al «rame istoriato» della sua vita, ne dettaglia il racconto, gli imprime un’andatura scenica, “muove” i personaggi, con il padre che possiamo immaginare come se stesse nascosto dietro una quinta teatrale (difatti poi entra in scena). Il frontespizio del Novelli certo non consegna intera questa mobilità scenica. Goldoni sta semplicemente al centro dell’aula, agitando la nota bandiera, con gli studenti nei banchi, a circolo, già a presagire i futuri spettatori od anche i futuri attori. (Cfr. E.N.M.I., pp. 300-301, n. 9). 18 Qualifica di merito che veniva assegnata a chi si distingueva nello studio della lingua latina. Di questa “investitura” non si farà nessun cenno nei Mémoires, anzi l’incipit del terzo capitolo è in velata contraddizione con il finale della prefazione Pasquali, e suggerisce qual-

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Primo Rame di questo secondo Tomo Goldoni in mezzo alla Scuola, a sventolar la bandiera19, che mai s’avrebbe sognato di dover servire di Frontispizio alle mie Commedie20. Se avrai la sofferenza, Lettor carissimo, di leggere le mie Prefazioni, e le mie Lettere Dedicatorie, vi troverai degli aneddoti, e delle notizie, che non ti aspetti, e qualche volta una lettera, o una Prefazione valerà a compensarti la noia, che avrai nel leggere una Commedia, o cattiva per se medesima, o mal confacente al tuo genio.

che dubbio su come siano andate effettivamente le cose (Goldoni era stato semplicemente raccomandato?): «Le Pere Régent voulut me parler en particulier: il me fit compliment; il me dit que, malgré les fautes grossieres que je faisois de tems en tems dans mes leçons ordinaires, il avoit diviné que je devois avoir de l’esprit par des traits de justesse qu’il rencontroit par-ci, par-là, dans mes themes et dans mes versions. Il ajouta que ce dernier essai l’avoit convaincu que je m’étois caché par malice, et il badina sur la ruse des Vénitiens» (I, 3, p. 18); trad. it.: «Il padre rettore volle parlarmi privatamente: mi elogiò; mi disse che, nonostante gli errori banali che commettevo di tanto in tanto durante le lezioni, si era accorto delle mie buone qualità per via dei tratti di finezza che egli trovava qua e là, nei miei temi e nelle mie versioni. Aggiunse che l’ultima prova l’aveva convinto che io avevo dissimulato per malizia e scherzò sull’astuzia dei veneziani» (Memorie, p. 36). 19 Nel frontespizio istoriato Goldoni agita una bandiera su cui è scritto: «S.P.Q.R.» e getta in aria la corona di «imperatore dei romani». 20 Ma se il brano commenta con precisione il «rame istoriato», l’ultima osservazione di Goldoni appare sibillina. A rifletterci bene, l’episodio da Goldoni non è scelto a caso, fa parte proprio di una stesura visiva della sua formazione fatta puntualmente di colpi di scena, tutti legati alla sua geniale capacità di risolverli. Risolvere un difficile compito di latino non è diverso da sciogliere genialmente il difficile intreccio di una commedia. La velocità, il brio, «la mente fresca, la mano leggera, la memoria pronta», questi gesti sembrano anticipare il futuro Goldoni commediografo. Sembra, però, in seguito alle ricerche condotte da Antonio Valeri (Una bugia di Carlo Goldoni, in “La Rassegna Internazionale”, Firenze, VIII, 1902, pp. 195-203) sui registri del Collegio, come riportato dall’Ortolani (cfr. Opere, I, p. 1090), che Goldoni, insieme ad altri due collegiali, sia stato respinto all’esame e non sia stato affatto ammesso alla classe superiore, oppure sia stato costretto a sostenere un esame di riparazione. Il fatto di aver dovuto ripetere l’anno giustifica quanto poi scritto nei Mémoires, e cioè la decisione paterna di fargli iniziare il corso dal primo anno (cfr. n. 15).

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TOMO III L’Autore a chi legge∗

L’Antiporta, o sia Frontispizio istoriato, che precede il presente Tomo, rappresenta un Teatro1 coll’orchestra fornita de Suonatori2, ed una figura di Giovanetto in abito femminile in atto di recitare il Prologo della Commedia. Questi è Goldoni, che in età di anni dodici, in Compagnia di persone oneste, e Civili, in una Casa de Galant’uomini3, si espose per la prima volta in Perugia al prediletto esercizio delle Comiche Rappresentazioni. Confesso il vero, piacer più grande io non aveva di questo. Supplito al debito della Scuola, e faticato bastantemente per mantenere la mia Bandiera4, tutti i miei respiri erano da me sagrificati al Teatro. * Questa prefazione, scritta a Venezia, è pubblicata nell’aprile del 1762. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: I rusteghi (Venezia, 1760); La serva amorosa (Bologna, 1752); Il Moliere (Torino, 1751), L’adulatore (Mantova, 1750). Il frontespizio rappresenta Goldoni, «in età di anni dodici», che recita un prologo a Perugia, nel ruolo femminile di primadonna nella Sorellina di don Pilone, commedia di Girolamo Gigli. La citazione che fregia il frontespizio è di Orazio: «Qui studet optatam cursu contingere metam. Multa tulit, fecitque puer» (Ars poetica, 412-413); trad. it.: «Chi, nella sua corsa, ha l’ambizione della meta, ha molto sofferto e lo ha fatto nell’infanzia». Al di sopra dell’illustrazione non è chiara la funzione allegorica delle figure che sostengono il cartiglio: sono illustrati una donna che regge una scodella e un ramoscello, di lato un angelo con delle fiammelle sul capo e una cornucopia rovesciata contenente monete. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati si riferiscono all’estate del 1720, nei Mémoires corrispondono al terzo capitolo della prima parte. 1 Saranno soltanto due i teatri raffigurati nelle diciassette illustrazioni, l’altro sarà quello rappresentato nel frontespizio del t. XII, costruito all’interno dell’Arena di Verona per le recite dei commedianti dell’Arte. 2 Goldoni fa notare la presenza di un’orchestra, indicazione che potrebbe essere stata data al Novelli. Un riferimento importante per il futuro autore di «drammi musicali seri e giocosi». 3 Nei Mémoires, Goldoni precisa che il «petit théâtre» fu eretto nel Palazzo Antinori. In realtà occupava una sala ovale (ampiamente poi ristrutturata) nel Palazzo, oggi denominato dei Gallenga Stuart. 4 Il riferimento è al disegno del frontespizio del t. II. Il rinviare da parte dell’autore ai tomi precedenti o susseguenti caratterizza più volte l’andamento della narrazione auto-

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Non so s’io abbia sollecitato i compagni, o se da essi sia stato graziosamente invitato, so che fu promossa una recita5, e ch’io fui scelto per

biografica scandita a puntate, e che diverrà caratteristica della narrazione del feuilleton. Inoltre, queste tre prime illustrazioni stanno emblematicamente a rappresentare le tre «fatiche» o “resistenze” contro cui il giovane Goldoni deve e dovrà «alzare la Bandiera» e in futuro battersi con successo: l’incredulità e la diffidenza per la sua bravura; il disprezzo degli studenti (in futuro, dei critici) nei cui confronti sarà costretto a dimostrare la sua genialità; l’incombenza delle «regole» teatrali. È indicativo che il futuro autore teatrale è chiamato impropriamente a rivestire i panni di attore, ma Goldoni reciterà, a quanto ci racconta, soltanto un’altra volta, nel t. IX: «scelsi per me le ultime parti, e mi riservai di comparire un po’ meglio negli intermezzi». Ma, se vogliamo essere esaustivi, racconterà di aver recitato la «parte di Amoroso» e altre, in una compagnia di dilettanti, ospite a Bagnoli del conte Windmann (cfr. Mémoires, II, 26); e apparirà per sbaglio, in maniera imprevista, sul palco del teatro dei commedianti dell’Arte nell’Arena di Verona, e sarà fischiato, come racconta sempre nei Mémoires (I, 34). Vale, invece, la pena di ricordare la sua ultima apparizione sul proscenio, ma condottovi a viva forza, in occasione del successo del Bourru bienfaisant alla Comédie Française di Parigi, come splendidamente raccontato sempre nei Mémoires: «A la premiere représentation de ma Comédie, je m’étois caché, comme j’avois toujours fait en Italie, derriere la toile qui ferme la décoration; je ne voyois rien, mais j’entendois mes Acteurs, et les applaudissemens du Public; je me promenois en long et en large pendant la durée du Spectacle, forçant mes pas dans les situations de vivacité, les ralentissant dans les instans d’intérêt, de passion, content de mes Acteurs, et faisant l’écho des applaudissemens du Public. La Piece finie, j’entends des battemens de mains, et des cris qui ne finissoient pas. M. Dauberval arrive, c’étoit lui qui devoit me conduire à Fontainebleau. Je crois qu’il me cherche pour me faire partir: point du tout: venez, Monsieur, me dit-il, il faut vous montrer. – Me montrer! A qui? – Au Public, qui vous demande. – Non, mon ami; partons bien vite, je ne pourrois pas soutenir… Voilà M. Le Kain et M. Brizard qui me prennent par les bras, et me traînent sur le Théâtre. J’avois vu des Auteurs soutenir avec courage une pareille cérémonie; je n’y étois pas accoutumé; on n’appelle pas les Poëtes en Italie sur la scene pour les complimenter; je ne concevois pas comment un homme pouvoit dire tacitement aux Spectateurs: me voilà, Messieurs, applaudissez-moi» (III, 16, p. 506); trad. it.: «Alla prima rappresentazione della commedia mi ero nascosto, come sempre avevo fatto in Italia, dietro la tenda che chiude la scena; non vedevo nulla, ma sentivo gli attori e gli applausi del pubblico; durante lo spettacolo camminavo su e giù, affrettando il passo nelle scene vivaci, rallentandolo nei momenti interessanti o appassionanti, contento degli attori e facendo eco agli applausi del pubblico. Terminata la commedia sento battimani e grida che non accennano a finire. Arriva il signor d’Auberval: egli avrebbe dovuto condurmi a Fontainebleau. Credo che venga a cercarmi per accompagnarmi, e invece no: – Venite, signore, mi dice, dovete mostrarvi. – Mostrarmi! A chi? – Al pubblico che vi reclama. – No, mio caro; andiamocene subito, non potrò sopportarlo… Ma ecco il signor Le Kain e il signor Brizzard che mi prendono per le braccia e mi trascinano sul palcoscenico. Avevo visto autori sostenere con coraggio una simile cerimonia, ma io non ne avevo l’abitudine; in Italia non si chiamano in scena i poeti per fare loro complimenti; io non concepivo come un uomo potesse tranquillamente dire agli spettatori: eccomi, signori, applauditemi» (Memorie, pp. 611-612). 5 Nei Mémoires la recita è organizzata tutta dal padre: «[…] il rassembla une société de jeunes gens; on lui prêta une salle dans l’hôtel d’Antinori, il y fit bâtir un petit Théâtre; il dressa lui-même les Acteurs, et nous y jouâmes la Comédie» (I, 3, pp. 18-19); trad. it.: «[…] riunì una compagnia di giovani, gli venne concessa una sala nel palazzo Antinori, vi fece allestire un teatrino; egli stesso preparò gli attori e vi rappresentammo la commedia» (Memorie, p. 36).

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sostenere la parte di prima Donna6. Grandissimo fu il mio piacere per questo, ma si accrebbe ancor maggiormente allor ch’io seppi, che a me riserbato era l’onor del Prologo. Oh che Prologo maraviglioso, sublime dato mi fu ad imparare! Che fior di roba! Che sforzo di fantasia seccentista7! Opera egli era del vecchio padron di casa, il quale fatto aveva erigere il Palco, e suppliva a tutte le spese per la gloria soltanto di far gustare agli uditori l’esquisito suo stile. Me ne ricordo ancora il principio, e ne vo’ fare un presente8 al mio Cortese Lettore. Ecco com’io parlava al popolo, per conciliarmi la stima, l’ammirazione, e l’aggradimento. Benignissimo Cielo, ai rai del vostro splendidissimo sole eccoci qual Farfalle, che spiegando le debol’ ali de’ nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo. Deh scintillando le tremule faville della grazia vostra, non permettete, che cadano incenerite le molli piume della nostra ignoranza, ma contraponendo al foco del vostro talento la pietosa mano della vostra bontà, fate sì, che possiamo vivere lietamente, per sempre mai festeggiare d’intorno alle chiare faci del vostro merito, e della luminosissima clemenza vostra9. Peccato ch’io non me ne ricordi di più! S’udì prorompere l’uditorio in una solenne risata10, che fu interpretata dall’Autore del Prologo 6 Goldoni glissa sul motivo di dover recitare in abiti femminili perché negli stati pontifici non erano tollerate le attrici sulle scene teatrali. Il divieto era stato emanato da Papa Innocenzo XI nel 1676, cfr. E.L.ME., p. 43. È più esplicito nei Mémoires: «Dans les Etats du Pape (excepté les trois Légations), les femmes ne sont pas tolérées sur la scene. J’étois jeune, je n’étois pas laid, on me destina un rôle de femme, et on me donna même le premier rôle, et on me chargea du Prologue» (I, 3, p. 19); trad. it.: «Nello Stato Pontificio (escluse le tre legazioni) non sono ammesse donne sulla scena. Io ero giovane e non ero brutto: mi fu assegnata una parte di donna, mi fu dato anzi la parte di prima donna e fui incaricato anche del Prologo» (Memorie, p. 36). Ritornerà, più avanti, sull’argomento, a Rimini, e ancora nei Mémoires: «[…] c’étoit pour la primiere fois que je voyois des femmes sur le Théâtre, et je trouvai que cela décoroit la scene d’une maniere plus piquante. Rimini est dans la légation de Ravenne, les femmes sont admises sur le Théâtre, et on n’y voit point comme on voit à Rome, des hommes sans barbe ou des barbes naissantes» (I, 4, pp. 2223); trad. it.: «[…] era la prima volta che vedevo donne recitare in teatro e trovai che ciò conferisse alla scena un che di seducente. Rimini fa parte della legazione di Ravenna, le donne sono ammesse sulla scena, e non si vedono, come invece a Roma, uomini imberbi e con la barba che spunta appena» (Memorie, p. 41). 7 Ironia di Goldoni contro l’ampolloso, sofisticato teatro barocco. 8 Un omaggio. 9 Nei Mémoires la citazione è ridotta e con qualche variante corretta (quai per qual), e tradotta anche in francese: «Benignissimo Cielo! (je parlois à mes Auditeurs) ai rai del vostro splendidissimo sole eccoci quai farfalle, che spiegando le deboli ali de’ nostri concetti, portiamo a sì bel lume il volo etc. Cela voudroit dire bêtement en françoise: Ciel trés-benin, aux rayons de votre soleil très-éclatant, nous voilà comme des papillons qui, sur les foibles ailes de nos expressions, prenons notre vol vers votre lumiere etc.» (I, 3, p. 19). 10 La «solenne risata» del pubblico non è da attribuirsi alla recitazione del giovane attore, ma ai versi del padrone di casa. Differente la versione dell’episodio nei Mémoires, dove

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per vero applauso, ed a me parve una sontuosa corbellatura11. Capìa benissimo sin d’allora, quant’erano stucchevoli le caricature del Secolo oltrepassato; e quanto mi annoiava lo stile del Prologo, altrettanto mi dilettava quello della Commedia, che da noi recitavasi, ed era questa: La sorellina di Don Pilone del Gigli12. Grandi obbligazioni abbiam noi ai primi Scrittori del nostro Secolo, i quali hanno liberata l’Italia dalle iperboli, dalle metafore, dal sorprendente, ed hanno richiamata l’antica semplicità dello stile, e la naturalezza del dire. Non può negarsi, che i Secentisti non abbiano affaticato moltissimo, e non vi sieno stati fra loro de’ peregrini talenti13. L’amore di novità, e il desiderio di segnalarsi sopra gli antichi gli ha fatti allontanare dalla purezza del buono stile, e per disavventura de’ loro tempi, prevalse l’incantesimo alla verità, finché stancato il Mondo dell’impostura, rinacque l’onor delle Lettere, e della flagellata Poesia Italiana. Gli ultimi ad arrendersi al rinnovato miglior sistema furono i Commedianti. Continuarono essi fino a’ dì nostri a coltivare il sorprendente, il maraviglioso, perché allattati dal pessimo nutrimento, ed Goldoni è addirittura applaudito con una cascata di confetti: «Ce charmant Prologue me valut un boissseau de dragées, dont le Théâtre fut inondé et moi presqu’aveuglé. C’est l’applaudissement ordinaire dans les Etats du Pape» (I, 3, p. 19); trad. it.: «Tale prologo vezzoso mi valse uno staio di confetti, da cui il teatro fu inondato ed io quasi accecato: è l’applauso usuale nello Stato Pontificio» (Memorie, p. 36). 11 Presa in giro. 12 Il titolo completo è La sorellina di Don Pilone o sia l’Avarizia più forte nella padrona che nella serva, rappresentata la prima volta nel 1722, a Siena. Girolamo Gigli, senese, (16601722), noto commediografo. La commedia (1712, ma stampata soltanto nel 1721), era la prosecuzione di un’altra commedia più celebre dal titolo Don Pilone. Dal nome di questo personaggio, storpiandolo, Goldoni prenderà spunto per il personaggio di Don Pirlone del Tartufo nella sua commedia intitolata Il Moliere (1751). Il Don Pilone del commediografo toscano, infatti, rappresentava il personaggio dell’ipocrita. Il nome del Gigli compare sul dorso di uno dei libri conservati nella libreria raffigurata nell’illustrazione del primo tomo. Nei Mémoires, Goldoni aggiungerà più esplicitamente di aver recitato la parte della primadonna nella commedia e di averne ricevuto cauti applausi: «La Piece dans laquelle j’avois joué étoit la Sorellina di don Pilone: je fus beaucoup applaudi; car dans un pays où les Spectacles sont rares, les spectateurs ne sont pas difficiles» (I, 3, p. 19); trad. it.: «La commedia in cui avevo recitato era La sorellina di don Pilone: fui molto applaudito; infatti in un paese dove rari sono gli spettacoli, gli spettatori non sono di gusti difficili» (Memorie, p. 37). Soltanto nei Mémoires Goldoni lascia esprimere al padre un giudizio poco lusinghiero sulle capacità di attore del figlio: «Mon pere trouva que j’avois de l’intelligence, mais que je ne serois jamais bon Acteur; il ne se trompa point» (I, 3; ibidem); «Mio padre trovò che avevo qualche capacità, ma che non sarei mai stato un buon attore, e non si ingannò» (ibidem). 13 È il «sorprendente» ad essere preso di mira. La condanna, prudente, di Goldoni è per la «meraviglia» gratuita, lo stupore, l’«incantesimo» architettato, talvolta, solo per gioco dal teatro secentesco (e dalla commedia dell’Arte); mentre, di contro, elogia, subito dopo, la voglia di «naturalezza» che sarà il principale registro del suo teatro.

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incapaci da per se stessi a cambiar sistema14. Presentemente le nostre scene sono molto più regolate, e la grand’opera sarebbe perfezionata, se i buoni talenti, che vi s’impiegano tendessero ad un tal fine, e non piuttosto si affaticassero per adular gl’Istrioni, invaghiti del loro primo mestiere. Io non intendo dire per ciò, che si avessero ad esiliare le nostre Maschere15, e né tampoco a privare l’Italia delle Commedie, all’improvviso rappresentate, cosa onorevole, e maravigliosa, che fa distinguere da tutte le altre nazioni la prontezza di Spirito de’ nostri Attori. Quel, ch’io vorrei l’ho già detto nel mio Teatro Comico, prima Commedia del Tomo Primo16, né qui lo voglio ripetere, per non abusarmi della sofferenza de’ Leggitori, e per non infastidire più oltre 14 Appena ne ha l’occasione, l’autore sottolinea l’ostilità dei «commedianti» alla riforma teatrale, e la resistenza ad essere guidati verso una nuova maniera di recitare, nell’abituarsi a mandare a memoria le parti di contro alla libertà dell’improvvisazione. Le riflessioni che seguono sono illuminanti per comprendere il lento e costante compromesso da raggiungere proprio con gli attori, nell’indurli a lentamente «cambiar sistema», ad investire le loro abilità in una nuova architettura recitativa, salvando della commedia dell’Arte le qualità indiscusse quali il brio, la vivacità, la rapidità, le fulminanti battute che si esaltavano vieppiù in presenza di attori di eccellente bravura, e che ne avevano sancito la tradizione e il successo internazionale. 15 Sono le celebri maschere della commedia dell’Arte: Arlecchino, Brighella, Pantalone, Balanzone, e altre ancora. Goldoni nei Mémoires scriverà: «Le masque doit toujours faire beaucoup de tort à l’action de l’Acteur, soit dans la joie, soit dans le chagrin; qu’il soit amoureux, farouche ou plaisant, c’est toujours le même cuir qui se montre; et il a beau gesticuler et changer de ton, il ne fera jamais connoître, par les traits du visage qui sont les interpretes du coeur, les différentes passions dont son ame est agitée. Les masques chez les Grecs et les Romains étoient des especes de porte-voix qui avoient été imaginés pour faire entendre les personnages dans la vaste étendue des Amphithéâtres. Les passions et les sentimens n’étoient pas portés dans ce tems-là au point de délicatesse que l’on exige actuellement; on veut aujourd’hui que l’Acteur ait de l’ame, et l’ame sous le masque est comme le feu sous les cendres» (II, 24, p. 349); trad. it.: «La maschera non può non arrecare danno alla recitazione dell’attore, quando rappresenta la gioia come quando rappresenta il dolore; che egli sia innamorato, sdegnoso o burlesco, si vede sempre il medesimo cuoio; ed egli ha un bel gesticolare e cambiare tono, non potrà mai rivelare, nei tratti del volto, che sono gli interpreti del cuore, le diverse passioni da cui il suo spirito è agitato. Le maschere presso i greci e i romani erano una sorta di megafono, inventate per far sentire la voce dei personaggi nella vasta distesa degli anfiteatri. Le passioni e i sentimenti non erano in quei tempi spinti al punto di delicatezza che si esige, invece, attualmente; oggi si pretende che l’attore abbia un’anima, e l’anima sotto la maschera è come il fuoco sotto le ceneri» (Memorie, p. 426). Poi «a poco a poco ho potuto arrischiarmi a levarle da alcuna Commedia del tutto, ed ebbi la consolazione di vedere smascellar dalle risa anche il popolo basso, senza le storpiature, senza gli spropositi dell’Arlecchino» (cfr. Lettera dedicatoria al Moliere, a cura di B. Guthmüller, Carlo Goldoni. Le Opere, Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2004, p. 90). Ma, non dimentichiamo, che negli anni parigini, Goldoni sarà costretto a far tornare, controvoglia, sulle scene, le maschere. 16 Nell’edizione Bettinelli, Il teatro comico apparirà soltanto nel t. II. Successivamente, aprirà il t. I dell’edizione Paperini di Firenze (1753), dove Goldoni dichiara: «Questa ch’io intitolo Il Teatro comico, piuttosto che una Commedia, Prefazione può dirsi alle mie Commedie». E così sarà anche per la Pasquali fino alla Zatta.

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chi non ne è persuaso. Vero egli è, che tanto s’empirà il Teatro con una buona Commedia di Carattere, quanto col Convitato di Pietra, il Bernardo del Carpio, Arlecchino Mago17, e cose simili, e i Comici, che lavorano per la cassetta non pensano più in là del guadagno, ma è da compiangere il destino de’ Teatri d’Italia, condannati tuttavia all’impossibile, o al sorprendente. Equivoco troppo è l’applauso dell’uditorio, contento spesse volte di un bel Volo, di una bella Trasformazione. Ascoltisi bene quel, che si dice ne’ circoli, nelle Piazze, nelle botteghe, e i buoni Talenti, che conoscono il buono non tradiscano se medesimi per assecondare il piacere del volgo18.

17 Sono i titoli di alcune commedie dell’Arte, i cui canovacci, molto popolari nella prima metà del Settecento, erano per lo più tratti (e poi manipolati) dalle opere di grandi autori del secolo precedente quali Tirso de Molina e Lope de Vega. 18 Il commediografo è contro la miopia gretta e immediata della «cassetta» da parte di alcuni attori che badano solo al successo personale e al guadagno. Il commediante dell’Arte asseconda troppo il gusto del «volgo» e cerca il riso sguaiato di un «uditorio» stordito e ammaliato facilmente dai «voli» e dal «sorprendente» ovvero dagli artifici scenici, già in voga dalla metà del Cinquecento. L’invito dell’autore agli attori è di non lasciarsi sedurre dal facile applauso, ma di riflettere sui giudizi più meditati. Per Goldoni è assolutamente nevralgico «regolare» il «gusto universale» del pubblico sul nuovo registro recitativo, cosa che sarà possibile ottenere soltanto alla condizione che i comici si pieghino al nuovo modo di recitare, abbandonando le vecchie regole dell’Arte. È una scommessa da vincere, una complessa macchina, dal delicato equilibrio, da mettere in moto, la cui posta è la riuscita (o il fallimento) della riforma.

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TOMO IV L’Autore a chi legge∗

L’azione rappresentata nel primo Rame di questo Tomo1, ed il verso d’Ovidio sottoposto al disegno vuol dire, ch’io era costretto a studiare, e a difendere la scolastica Filosofia; ma un’altra Filosofia più certa, più piacevole, e meno oscura formava internamente la mia delizia. Credo, che utili sieno le scuole, che ammaestrano in tal materia, credo * Questa prefazione, scritta a Venezia, è pubblicata nel 1762. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: L’avventuriere onorato (Venezia, 1751); Il cavaliere di buon gusto (Venezia, 1750); La locandiera (Venezia, 1753); L’avaro (Bologna, 1756). Il frontespizio rappresenta Goldoni nel mentre sostiene, di fronte ai professori, le tesi della «scolatica Filosofia», nel collegio di Rimini. La citazione che fregia il frontespizio è di Ovidio: «Sed nunc quid faciam? Vis me tenet ipsa Sororum» (Tristia, IV, 1, 29); trad. it.: «Ma ora che fare? Io sono posseduto dalla stessa forza delle Muse». Al di sopra dell’illustrazione sono rappresentate la logica e la fisica mediante due figure allegoriche: la prima stringe una spada e quattro chiavi, mentre la fisica è contraddistinta dagli strumenti della conoscenza: l’astrolabio e un orologio ad acqua. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati coprono il periodo dall’autunno del 1720 all’estate del 1721; nei Mémoires corrispondono a parte del terzo e al quarto capitolo della prima parte. 1

Bella la prospettiva di questa vignetta (idea del Novelli o del Goldoni?). Da notare, anche, che queste prime quattro prefazioni si aprono tutte in relazione con i «Frontispizi». Lo sguardo di chi osserva l’immagine attraversa d’infilata la scena (che sembra essere quella di un teatro), muovendo dalle spalle dei professori seduti in poltrona e raggiungendo gli studenti anche loro seduti in cerchio sullo sfondo. Sulla destra, in piedi, Goldoni conferisce di filosofia. Il «Rame», per com’è strutturato, ricorda l’illustrazione del commediografo fanciullo intento a scrivere la sua prima commedia, dove, come qui, gli sguardi (e i gesti) sono quasi tutti convogliati verso di lui. Lo stesso prospetto si ritrova nella vignetta del secondo tomo, che raffigura lo studente Goldoni nominato «Imperatore dei Romani», anche lì, al centro di un semicerchio di studenti. Sono tutte metafore delle future platee teatrali (ben presente anche nel frontespizio del terzo tomo). La circolarità dei protagonisti sta come un registro di spettacolarità teatrale (stare seduti, vedere e ascoltare) e che anticipa, in qualche maniera, gli attori in circolo, sul palcoscenico, del frontespizio del t. XIV. Poi, come sempre, campeggia la centralità dell’autore: «Revenons à moi, car je suis le héros de la piece» (Mémoires, I, 2, p. 12). Goldoni sembra volersi mostrarsi come costantemente sottoposto ad un giudizio: è giudicato dal «Compare» nella prima scena, poi a teatro dagli spettatori, ancora nell’esame di latino; ed ora, anche qui, soggetto ad una valutazione non sempre benigna o distratta sia da parte dei docenti che degli scolari.

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ottimo il sistema, che vi si osserva, non ardirei di parlare in contrario, ma in quanto a me posso dir certamente, che da tali scuole, e da un tale metodo ho approfittato pochissimo. Eppure senza la scorta della Filosofia non avrei potuto intraprendere l’arte delle Commedie, né scandagliar le passioni, né argomentare sulla condotta degli uomini, né penetrare nel cuore umano. Qual è dunque la Filosofia, di cui mi sono servito? Quella, che abbiamo impressa nell’anima, quella, che dalla ragione ci viene insegnata, quella, che dalla lettura, e dalle osservazioni si perfeziona; quella in fine che dalla vera Poesia deriva, non già dalla bassa Poesia, che chiamasi versificazione, ma dalla sublime, che consiste nell’immaginare, nell’inventare, e nel vestire le favole d’allegorie, di metafore, e di misteri2. Aristotile istesso lasciò scritto: la Poesia insegna la Filosofia, ma così dicendo non intese egli di parlare dell’oda, dell’elegia, e molto meno de’ nostri sonetti, e delle nostre canzoni, che non erano nate ancora al suo tempo, ma della grande Poesia, consistente nell’Epopeia, nella Tragedia e nella Commedia, i quali componimenti, per essere perfettamente Poemi, non hanno bisogno dei versi, ma di quella elevazion di pensieri, chiamata da Orazio: quid divinum3. Non pensar già, Lettor mio gentilissimo, ch’io presuma per questo di essere qualche cosa di grande. In tutti gli ordini, in tutte le facoltà si dà il più, ed il meno. Il mio scarso talento non mi ha permesso di gir tant’alto, quanto il genio mio mi spronava, ma pure ho battuto anch’io quel sentiero, e innamorato della poetica Filosofia mordeva il freno delle scolastiche Tesi 4.

2 Si avverte l’insofferenza del commediografo per i lacci e i laccioli dei generi, per la «scolastica filosofia» impartita stolidamente per regole. Si respira, di contro, il desiderio e la voglia di novità, di un’altra filosofia «argomentata sulla condotta degli uomini» e che vuole sgattaiolare via, libera dalle panie del «versificare» e accedere alla «vera Poesia». Su questi temi Goldoni tornerà nei Mémoires, nello splendido teatrale dialogo col padre al ritorno della fuga da Rimini: «Ah! La Philosophie scholastique, les syllogismes, les enthymêmes, les sophismes, les nego, probo, concedo; vous en souvenez-vous, mon pere? […]. Ah, mon pere! ajoutai-je, faites-moi apprendre la Philosophie de l’homme, la bonne morale, la physique expérimentale» (I, 6, p. 30); trad. it.: «Ah la filosofia scolastica, i sillogismi, gli entimemi, i sofismi, i nego, probo, concedo; ve ne ricordate padre mio? […] – Ah, padre! aggiunsi, fatemi imparare piuttosto la filosofia dell’uomo, la buona morale, la fisica sperimentale» (Memorie, p. 49). 3 I riferimenti culturali danno l’impressione di essere molto approssimativi, e come piegati al senso che Goldoni vuole affidare ad essi, o meglio, piegarli a suo tornaconto. Nota Guido Davico Bonino: «Goldoni […] invece di citare, parafrasa e spesso distorce», cfr. D.B.M.I., p. 248. 4 Un Goldoni sempre combattuto tra (falsa) modestia e stima (malcelata) di sé.

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Rimini5 fu la Città, in cui dovetti due anni divertirmi assai magramente col Barbara Celarent Darii Ferio Baralipton6, e tanto piacere io ne aveva, che sopraggiuntomi colà il Vaiuolo7, mi parve una delizia a fronte del Blichtri e dell’ente di ragione. Due mesi, ch’io stetti in casa gl’impiegai saporitamente nella lettura di Plauto8, in cui coll’aiuto de’ buoni comentatori trovai tanta buona Filosofia da saziare ogni umano intelletto, e da farmi ridere sempre più delle sottilissime argomentazioni. S’io fossi stato in Perugia, dov’era prima, s’io fossi stato tuttavia con mio Padre, che aveva per me tutta la ragionevole condiscendenza, avrei troncato assai presto, non lo studio, ma il metodo di studiare9. Per mia sventura mi trovava soggetto a persone10, che si faceano una legge di tiranneggiare il mio spirito. L’amor grandissimo, che avea mia Madre per me, la rese afflittissima dappoi, che io partii da Venezia, per istare vicino al mio Genitore, che esercitava in Perugia la medicina. Ciò che non poté l’amor del Marito ottenne quello del Figlio; spiantò ella la casa Dominicale in Venezia, e venne colà a

5 Nell’autunno del 1720 la famiglia Goldoni è a Rimini. Morto, a Perugia, il nobile Antinori e venuta quindi a mancare la protezione al padre, questi è costretto a partire, molto probabilmente anche a causa dell’invidia dei colleghi medici, come è riferito nei Mémoires: «[…] les Médecins de Perouse ne le regardoient pas de bon oeil» (I, 3, p. 20); trad. it.: «[…] i medici di Perugia non lo vedevano di buon occhio» (Memorie, p. 38). 6 Esametro concepito (da Pietro Ispano) per aiutare gli studenti a mandare a memoria uno dei modi diretti del sillogismo. Insomma, noiosissime filastrocche. 7 «Vaiuolo» che sarà recidivo in occasione delle nozze di Goldoni a Genova, nel 1736, come ricordato nell’Autore a chi legge del t. XIV. Appare evidente che le grandi tensioni emotive si somatizzino nel Nostro. Identicamente sembra accadere per i «vapori», le «ipocondrie». Emblematica, in tal senso, la grave depressione dovuta allo sforzo delle sedici commedie scritte in un semestre nel 1750 per onorare l’impegno. Goldoni lo ricorderà all’inizio del dodicesimo e del quindicesimo capitolo della seconda parte dei Mémoires, dove farà riferimento complessivamente al gran lavoro svolto per il Sant’Angelo, causa, nel 1754, di un altro violento attacco di «vapori» (cfr. Mémoires, 22, II). E ancora nei Mémoires: «J’étois naturellement gai, mais sujet, depuis mon enfance, à des vapeurs hypocondriaques ou mélancoliques, qui répandoient du noir dans mon esprit» (I, 7, p. 33); trad. it.: «Per natura ero allegro, ma, fin dall’infanzia, andavo soggetto a certi vapori ipocondriaci e malinconici che offuscavano il mio spirito» (Memorie, p. 53). Resta, comunque, una maliziosa perplessità sulla malattia del vaiolo, plausibilmente affiorata a seguito di un’esperienza spiacevole quale l’esame delle tesi filosofiche; ma in occasione delle nozze, come spiegarla? 8 Nei Mémoires, non soltanto Plauto, ma anche «Térence, Aristophane, et les fragmens de Ménandre» (I, 4, p. 22); ma senza far cenno al periodo della malattia come unica occasione per leggerli. Plauto resterà tra gli autori letti e amati. Nell’Autore a chi legge del t. VII, in casa del «dottore Lauzio, pubblico professore di legge in quella università [di Pavia]», fisserà gli occhi su una raccolta di poeti comici antichi, tra i quali spiccherà, di nuovo, Plauto. Vedi t. VII, p. 155, n. 21. 9 Goldoni amerebbe tutt’altro «metodo», lo studio senza vincoli, libero; gesto che associa alla liberalità paterna, di contro alle costrizioni dei «metodi» accademici. 10 I docenti.

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raggiungerci11, unita a una sua Sorella ancor nubile, ed a Giovanni mio Fratello minore12. Fu poi inquietissima in quel soggiorno; l’aria le facea male; il Paese non le piaceva; le Donne per lo più non sanno vivere fuori del lor Paese; persuase mio Padre a partire13; passammo per Rimini, e colà un buon amico e buon compatriota14 persuase mio Padre a lasciar me in educazione a terminare i miei studi. Partirono i miei Genitori col resto della Famiglia. Giunsero a Chiozza; colà mio Padre trovò ch’era suo interesse il fermarsi ad esercitar la sua Professione15, ed io stetti a Rimini per due anni a studiare la deliziosa Filosofia16. Giovommi se non altro un simile studio ad imparare a

11 Molto probabilmente nella primavera del 1720. Nelle Prefazioni della Pasquali Goldoni pone in risalto l’«amor grandissimo» della madre, cosa che non accade, con eguale evidenza e frequenza, nei Mémoires. Inoltre, nelle memorie francesi, è presente una diversa versione dei fatti, dove appare meno spontanea la decisione materna: «Pendant ce tems-là, il arriva beaucoup de changemens dans notre famille; ma mere ne pouvoit pas soutenir l’éloignement de son fils aîné, elle pria son époux de revenir à Venise, ou qu’il lui permît d’aller le rejoindre où il étoit. Après beaucoup de lettres et beaucoup de débats, il fut décidé que Madame Goldoni viendroit avec sa soeur, et avec son cadet, se réunir au reste de sa famille; tout cela fut exécuté» (I, 3, pp. 19-20); trad. it.: «Nel frattempo si verificarono nella nostra famiglia molti cambiamenti. Mia madre non poteva sopportare la lontananza del figlio maggiore; pregò, allora, il marito di fare ritorno a Venezia o di concederle almeno il permesso di raggiungerlo. Dopo molte lettere e discussioni, si decise che la signora Goldoni, con la sorella e il figlio minore, si sarebbe ricongiunta al resto della famiglia e così avvenne» (Memorie, p. 37). 12 Giovanni Paolo, nato il 10 gennaio 1712, era di cinque anni più giovane di Carlo. 13 Sembra, maliziosamente, la madre essere venuta a Perugia non per il figlio, ma per seguire il marito. Gelosia? 14 Sul finire del 1720, la famiglia è ospite, in Rimini, del Conte Rinalducci, amico di lunga data della famiglia. Il Rinalducci consiglierà Giulio Goldoni ad avviare il figlio agli studi di logica, affidandolo alla scuola dei Domenicani che in Rimini avevano una buona reputazione. Ma poiché il Conte non può ospitarlo in casa, lo studente viene messo a pensione presso il signor Battaglini, un «Négociant et Banquier, ami et compatriote de mon pere» (Mémoires, I, 4, p. 21); trad. it.: «negoziante e banchiere, amico e compatriota [modenese] di mio padre» (Memorie, p. 39). Professore e tutore di Goldoni sarà, invece, il Candini. Da osservare come il padre di Goldoni, e non soltanto qui, sia spesso persuaso da altri nell’assumere le proprie decisioni. 15 Sarà la madre, come ci informano i Mémoires (I, 6), a trovare lavoro al marito a Chioggia, attraverso la sua amicizia col canonico della cattedrale Don Niccolò Gennari. 16 Ma questi «due anni» si devono ridurre al massimo a nove mesi, se Goldoni fuggirà da Rimini l’anno successivo, nella primavera del 1721. «Deliziosa» è definita, con ironia, la filosofia. Goldoni sottolinea, non marcatamente come farà nei Mémoires, lo smembrarsi di nuovo del nucleo familiare, narrando un diverso percorso del padre: «[…] voilà mon pere a Modene, ma mere à Chiozza et moi à Rimini» (I, 4, p. 21); trad. it.: «[…] ecco mio padre a Modena, mia madre a Chioggia e io a Rimini» (Memorie, p. 40). Da Rimini, Goldoni partirà nel suo viaggio nella barca dei commedianti per raggiungere la madre a Chioggia, viaggio splendidamente e lungamente narrato nei Mémoires (I, 5), ma appena accennato nelle Memorie italiane.

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vincer me stesso, ad assoggettare l’inclinazione al dovere, e procurai con ogni sforzo di comparire alla meglio, difendendo in pubblico alcune Tesi, delle quali io era pochissimo persuaso17.

17 Goldoni sottolinea la propensione a far profitto degli ammaestramenti, ovvero ad «assoggettare l’inclinazione al dovere» anche nelle condizioni più ostili, soffermandosi, di nuovo e in chiusa, a commentare l’illustrazione del frontespizio con cui aveva dato inizio alla Prefazione. Nei Mémoires la giustificazione del suo comportamento è più articolata: «Je ne brillois pas, il est vrai, dans les cercles qui se tenoient journellement: j’avois l’adresse cependant de faire comprendre à mes camarades que ce n’étoit ni la lourde paresse, ni la crasse ignorance qui me rendoient indifferent aux leçons du maître, dont la longueur me fatiguoit et me révoltoit; il y en avoit plusieurs qui pensoient comme moi» (I, 4, p. 22); trad. it.: «Non brillavo, è vero, nelle riunioni che si tenevano quotidianamente: avevo, tuttavia, l’accortezza di far capire ai miei compagni che non era né torbida pigrizia né una volgare ignoranza a rendermi indifferente alle lezioni del maestro, la lunghezza delle quali mi affaticava e mi rivoltava; molti la pensavano come me» (Memorie, p. 41).

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TOMO V L’Autore a chi legge*

Non può negarsi, ch’io non sia nato sotto gl’influssi di stella Comica, poiché la mia vita medesima è una Commedia, e qual or mi manchino argomenti, o soggetti per nuovi intrecci, un’occhiata, ch’io dia alla mia vita passata, trovo materia da lavorare, e da farmi onore1. Il Rame, ch’io presento al pubblico per Frontespizio, o sia Antiporta di questo quinto Volume è un pezzo Comico da lavorarvi sopra una buona Commedia2; ma prima di darne la spiegazione, vo’ premettere alcuni fatterelli anteriori interessanti risguardo alle mie vicende. Partito da Perugia mio Padre (come in altro luogo accennai) spronato dalla Consorte, a cui mal conferiva l’aria sottilissima di quella Città montuosa, andò cercando altrove di stabilirsi. Passò per Rimini, e ritrovato colà un buon Amico, e buon Patriota, pensò bene lasciar me sotto la sua custodia, per non distrarmi più lungamente dagl’incamminati miei studi. Mi pose allo studio della Filosofia, indi con mia Madre, e con mio * Questa prefazione, scritta probabilmente a Venezia, è pubblicata nel 1763. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: La moglie saggia (Venezia, 1752); La vedova scaltra (Milano, 1748); Il servitore di due padroni (Milano, 1749); L’amore paterno o sia la serva riconoscente (Parigi, 1763). Il frontespizio rappresenta il giovane Goldoni al capezzale della bella ammalata di Chioggia. La citazione che fregia il frontespizio è di Seneca: «Multa; sed trepidus solet Detegere vultus magna nolentem quoque Consilia produnt...» (Tieste, 330-332); trad. it.: «Un volto turbato rivela molto, è così che grandi progetti, senza volere, sono traditi». Al di sopra dell’illustrazione è rappresentata una donna giovane con la testa cinta da una ghirlanda e un cupido bendato e innocuo. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra la primavera e l’estate del 1721; nei Mémoires comprendono i capitoli dal quarto al sesto della prima parte. 1

Splendida, riassuntiva rappresentazione della “permeabilità” tra «vita» e «commedia». Questo Rame è per davvero un’«occhiata» sull’«intreccio» della sua vita, come può esserlo la scena di una commedia. Anche il quinto tomo, come i precedenti, si apre a partire da un riferimento all’illustrazione (e questo lascia supporre un Goldoni che ha tra le dita il «Frontispizio istoriato»; che Goldoni abbia scritto la Prefazione a Venezia, lasciandola al Pasquali, prima di partire per la Francia?). 2

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fratello Giovanni, proseguì il suo cammino, e giunto a Chiozza, pensò colà trattenersi3. Chiozza è Città non grande, ma popolata, contandosi in essa quarantamila persone4; Città da Venezia distante venticinque miglia Italiane, Isolata per ogni parte, se non che congiunta è da un lato alla Terraferma per via di Ponti. In essa non mancano case nobili; e case ricche, persone di spirito, di talento, ma ciò, che forma principalmente la sua ricchezza, si è la quantità prodigiosa di Pescatori, e di Marinari, e quella delle loro Donne, abilissime nel lavoro de’ pizzi, de’ quali si fa abbondante commercio per varie parti; e que’ pizzi, e quelle Donne, e que’ pescatori mi hanno l’argomento somministrato di una Commedia, rappresentata sopra le Scene, e che un giorno occuperà il suo luogo in questa edizione5. Tornando al mio Genitore, ei prese Casa in Chiozza, si diede colà all’esercizio della Medica sua professione, incontrò nel genio di quella buona nazione, e si stabilì. Aveva egli per altro lo spirito ambulatorio, che in me trasfuse6, e 3 Goldoni riassume quanto accaduto nel finale dell’Autore a chi legge precedente. Da considerarsi che queste Prefazioni escono a distanza notevole di tempo l’una dall’altra, e all’autore, come al lettore, appare utile riprendere il filo della narrazione. Nel progetto iniziale (disatteso) dell’edizione dovevano essere pubblicati quattro tomi per anno. Il che fa pensare anche alla possibile stesura di un blocco di quattro prefazioni, poi da suddividere. 4 La cifra non è attendibile, come anche la distanza da Venezia, calcolata nei Mémoires «à huit lieues» (I, 4); trad. it.: «a otto leghe». 5 Più politico e sociale (anche se molto schematico e poco apologetico) il resoconto sulla città (e soprattutto sui cittadini) nei Mémoires: «[Chiozza] on y compte quarante mille ames, tout peuple; des pêcheurs et des matelots, des femmes qui travaillent en grosse dentelle, dont on fait un commerce considérable, et il n’y a qu’un petit nombre de gens qui s’élevent au-dessus du volgaire. On range dans ce pays-là tout le monde en deux classes, riches et pauvres; ceux qui portent une perruque et un manteau sont les riches, ceux qui n’ont qu’un bonnet et une capotte sont les pauvres; et souvent ces derniers ont quatre fois plus d’argent que les autres» (I, 4, p. 21); trad. it.: «[Chioggia], vi si contano quarantamila anime, tutte del popolo: pescatori e marinai, donne che lavorano grossi merletti, di cui un commercio considerevole; soltanto un esiguo numero di persone si eleva al di sopra del volgo. In quel paese tutte le persone si dividono in due classi, ricchi e poveri; quelli che portano una parrucca e un mantello sono i ricchi, quelli che non portano altro che un berretto e un cappotto sono i poveri; e spesso questi ultimi hanno quattro volte più denaro degli altri» (Memorie, pp. 39-40). Quest’ultima osservazione sottende una critica all’incapacità imprenditoriale dell’aristocrazia, a fronte delle iniziative economiche degli artigiani. Un sapore da «Caffè» milanese. La commedia sarà Le baruffe chiozzotte (rappresentata nel gennaio 1762, al teatro San Luca di Venezia) e apparirà quarta nel t. XV della Pasquali (1776-77). Anche qui un cenno al legame tra «mondo» e «teatro». 6 L’irrequietezza, l’amore del girovagare di papà Goldoni è una dote che sarà trasmessa al figlio come confessa lo stesso commediografo. D’altronde, non va nemmeno taciuta la necessità del padre di muoversi, molte volte dettata dal bisogno di lavoro e per rimpinguare le scarse finanze familiari, com’è raccontato nel t. V della prima parte dei Mémoires (cfr. qui la n. 7). Lo «spirito ambulatorio» è dunque anche segno di traversie e necessità economiche.

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volontà gli venne di andare a Modena, col pretesto di rivedere i propri interessi, sendo originario di quel Paese, e possedendo colà degli effetti. Trovò del danaro ammassato, se ne prevalse per fare un viaggio, e giunse, non so per quale strada, a Pavia7. Diede all’Oste il suo nome, come suol farsi da chi alberga la notte nelle Città. Fu portata la consegna de’ Forestieri al Governatore, che ha titolo in quel Paese di Podestà, ed era questi per avventura il Marchese Goldoni, Cavaliere Cremonese, Amplissimo Senator di Milano8. Leggendo il Podestà fra i nomi de’ Forestieri quel di Giulio Goldoni, volontà gli venne di vederlo, e conoscerlo, e sentendo, ch’era un Dottore, gli mandò una gentile ambasciata. Andò mio Padre a Palazzo; si diede a conoscere per quel galant’uomo, ch’egli era, e con quello spirito, che a Lui non mancava, guadagnò l’animo del Cavaliere. Lo guadagnò a tal segno, che interrogatolo, se aveva Figliuoli maschi, e sentendo, che era provveduto di due, gli esibì9 di collocar il maggiore in uno di que’ Collegi, e segnatamente nel collegio Ghisleri, detto volgarmente del Papa, perché instituito fu da Pio Quinto10. L’esibizione 7 Non è il caso, però, a farlo giungere a Pavia. Giulio Goldoni sta rincorrendo un parente (Tommaso Barilli, consigliere di Stato) e un credito, come specificherà nei Mémoires, con dovizia di dettagli (e anche per spiegare, mediante l’escamotage della lettera alla moglie, quanto nel frattempo è accaduto): «J’ai quitté Modene, comme tu sais, pour aller à Plaisance, et pour y arranger les affaires avec M. Barilli, mon cousin, qui me doit encore un reste de dot de ma mere; et si je peux réunir cette somme aux arrérages que je viens de toucher à Modene, nous pourrons nous rétablir à notre aise. Mon cousin n’étoit pas a Plaisance, il étoit parti pour Pavie, pour assister au mariage d’un neveu de sa famme. Je me trouvois en route, le voyage n’étoit pas long, je pris le parti de venir le rejoindre à Pavie» (I, 5, pp. 26-27); trad. it.: «Ho lasciato Modena, come sai, per andare a Piacenza a sistemare certi affari con il signore [Tommaso] Barilli, mio cugino, che mi deve ancora una parte della dote di mia madre; se potrò aggiungere tale somma agli arretrati che ho appena riscosso a Modena, potremo tornare ad avere una certa agiatezza. Mio cugino non era a Piacenza: era andato a Pavia, per assistere al matrimonio di un nipote della moglie. Io ero già in viaggio, il percorso non era poi così lungo; presi, dunque, la decisione di raggiungere il cugino a Pavia» (Memorie, p. 46). 8 Pietro Goldoni Vidoni (1675-1758), di origine cremonese, giurista e senatore, marchese di San Raffaele. La casualità, molte volte, aiuta lo «spirito ambulatorio» di Giulio Goldoni (ma sarà stato così?). È interessante notare come l’autore sottolinei l’imprevisto, la combinazione casuale, a volte fortunata, a volte meno, che è il registro strategico degli intrecci e dei relativi scioglimenti delle sue commedie (sempre verosimili). Sembra però che questo evento non poté darsi, in quanto il senatore Goldoni Vidoni, come riferisce Roberta Turchi, sulla base di ricerche del Corbellini, non fosse più residente in Pavia negli anni indicati, (cfr. E.N.M.I., p. 308, n. 13). Un’altra delle tante bugie “romanzate” del Nostro? Questi accadimenti saranno inseriti, più distesamente, nella lettera citata nei Mémoires (cfr. I, 5). 9 Gli offrì. 10 Il Collegio, ancora oggi attivo, fu fondato nel 1569 dal marchese Michele Ghislieri divenuto Papa col nome di Pio V.

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poco, è vero, costava al Signor Marchese, ma la sua protezione molto potea giovarmi, ed avrebbe fatta la mia fortuna, se avessi saputo io prevalermene, e non mi avesse precipitato una ragazzata, di cui mi riserbo altrove parlare, senza risparmiarmi quel rossore, e quei giusti rimproveri, che sono dovuti alla mia giovanile condotta11. Partì dunque mio Padre di là contento, destinando me a quel Collegio, come suo primogenito, allora quando avessi l’età per entrarvi, mancante ancor di due anni. Dicea fra sé giubbilante: Frattanto il mio caro Figlio terminerà con profitto in Rimini lo studio della Filosofia. Non vedea l’ora di giungere a Chiozza per partecipare alla Moglie questa buona ventura12, ma qual fu mai la di lui sorpresa13, allora quando colà tornato, trovò il suo Filosofo, innanzi il tempo, e senza di lui saputa, partito da Rimini, è da pochi giorni in casa sua ricovrato? È superfluo il dire quai fossero i suoi rimproveri, e le sue correzioni; dirò piuttosto per qual motivo, e con quale occasione partii da Rimini, ed a Chiozza mi trasportai. Giunse nella Città dov’io era una Compagnia di cattivi Comici a rappresentare le loro triste Commedie14. Andai al Teatro la prima sera, mi parve un Zucchero, e non avea più cuore d’abbandonarli. M’introdussi a poco a poco sul palco, contrassi qualche amicizia con quelle cortesi Donne, comunicai ad esse il mio genio Comico, mi chiesero dei Dialoghi, dei soliloqui; ed io ogni sera andava provveduto 11 Tecnica narrativa usata spesso da Goldoni: anticipare un accadimento senza svelarne lo svolgimento, accentuando così la curiosità e il coinvolgimento del lettore nella vicenda. 12 Nei Mémoires, invece, scrive alla moglie comunicandole l’avvenuto incontro con il marchese Goldoni. È una lunga lettera, ma è soprattutto un artificio romanzesco: il lettore dei Mémoires nel mentre legge l’avvincente fuga del giovane Goldoni da Rimini a Chioggia, non sa di quanto accaduto a Pavia; ma non lo sa nemmeno Goldoni che l’apprende, come la madre, leggendo la lettera, strategicamente sistemata tra la scapestrata gita in barca, l’arrivo a Chioggia e il rimprovero paterno. Rimprovero, quest’ultimo, che se accentua il senso di colpa dello scolaro, d’altro lato evidenzia, di contro, esemplarmente, la relativa severità paterna che si stempera rapidamente nel bellissimo dialogo finale, brano introspettivo (il lento mutare della reazione del padre), dialogo quasi da copione delle migliori commedie di carattere. Cfr. Mémoires (I, 5 e I, 6). 13 Nei Mémoires il padre non è affatto sorpreso. Il Signor Battaglini aveva già provveduto a scrivergli a Modena, informandolo della partenza del figlio sulla barca dei commedianti (cfr. Mémoires, I, 6). 14 Il giudizio è severo, ma in contraddizione con l’atteggiamento successivo del giovane Goldoni. Si tratta della Compagnia di Paolo Antonio Foresi, napoletano, detto Florindo de’ Maccheroni, non soltanto per le sue origini partenopee ma anche perché, quando il canovaccio lo prevedeva, mangiava sul serio in scena un piatto di maccheroni, aggiungendo la gag di infilarseli in tasca (cfr. G.M.ME., p. 392); trovata comica riproposta (non sappiamo quanto consapevolmente) dal comico Antonio De Curtis, in arte «Totò», nella celebre scena del film Miseria e nobiltà (da Eduardo Scarpetta).

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di Fogli scritti, che mi venivano ricompensati con gentilezze, e con libero ingresso alla Porta, nella Platea, sul Palco, e nelle loro case particolari. Ciò rincresceva al mio ospite, e mio custode, che non mancava di ammonirmi, e rimproverarmi; ed io con una Filosofia, che non avea imparata alle scuole, soffriva in pace i rimbrotti, e seguitava a fare a mio modo. Frattanto giunsero i Commedianti al termine delle loro recite; si disponevano alla partenza, ed io mi sentiva portar via il cuore. Si avevan eglino ad imbarcar per Venezia, sapevano, ch’io aveva la Casa in Chiozza, conobbero la mia debolezza, e mi esibirono15 di condurmi colà nella loro barca. Accettai il partito, mi congedai dal mio albergatore, poco di me soddisfatto, e diedi un addio per sempre alla stucchevole, scolastica Filosofia16. L’amico di Rimini scrisse lettere poco a me favorevoli al mio Genitore, ma egli non era in Chiozza, e la Madre tenera, ed amorosa, mi accolse pietosamente, e mi compatì. Coll’occasione, ch’io sbarcare doveva, sbarcarono i Commedianti ancora, e veduti passeggiar colle loro Donne, fu loro fatto il progetto di trattenersi per venti recite in quel Paese. Accettarono essi il partito, ed io ebbi la bella sorte di non perdere il mio prediletto divertimento17. Giunse frattanto, com’io diceva, mio Padre, e fattomi il complimento, ch’io meritava, mi allontanò da’ Comici, e diede alle fiamme 15

Mi invitarono, mi proposero. Perché – ci chiediamo? – Goldoni non dedica un «Rame istoriato» al viaggio in barca con i commedianti dell’Arte, da Rimini a Chioggia? Episodio lungamente e magnificamente raccontato nei capitoli quarto e quinto della prima parte dei Mémoires. Dedica, invece, a questo accadimento soltanto una semplice menzione, relegando l’episodio tra quelli non degni di essere dettagliatamente raccontati. Forse perché nella Pasquali si sente ancora “dentro” la lunga stagione della riforma, da non potersi permettere un disegno così vivace ed amorevole dei «cattivi comici», mentre nei Mémoires, la nostalgia di una gioventù oramai lontana, accompagna la mano di Goldoni in questo amoroso disegno dei suoi odiati quanto amati comici dell’Arte. 17 Non così nei Mémoires, dove l’ingaggio teatrale a Chioggia appare non casuale ma progettato: «[…] nous devons aller à Venise, mais nous nous arrêterons quinze ou vingt jours à Chiozza pour y donner quelques représentations en passant» (I, 4, p. 23); trad. it.: «[…] dobbiamo andare a Venezia, ma ci fermeremo quindici o venti giorni a Chioggia, per darvi qualche rappresentazione di passaggio» (Memorie, p. 42). Non si fa cenno all’incontro con la madre, che è, invece, occasione nei Mémoires di un bellissimo dialogo all’arrivo del figlio, mediatore il capocomico Florindo che fa letteralmente da regista dell’intera scena, cfr. Mémoires (I, 5). Inoltre, dietro espresso divieto del canonico Gennari e della madre, di frequentare, a Chioggia, il teatro, Goldoni, nei Mémoires, “obbedisce” a modo suo: «Il falloit bien obéir: je n’allois pas à la Comédie, mais j’allois voir les Comédiens, et la Soubrette plus fréquemment que les autres. J’ai toujours eu par la suite un goût de préférence pour les Soubrettes» (Mémoires, I, 6, p. 29); trad. it.: «Bisognava pur obbedire: io non andavo a vedere la commedia, ma andavo a trovare i comici e la Servetta più frequentemente degli altri. Anche in seguito ebbi sempre una certa predilezione per le Servette» (Memorie, p. 48). 16

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tutti quegli originali preziosi18, che poté ritrovare da me composti per un cattivo Teatro. Io poi, per dire la verità, sempre mai stato sono di docile temperamento. M’arresi alle di lui insinuazioni, e gli prestai obbedienza. Comunicommi l’idea del Collegio, non mi dispiacque; mi disse, che mi volea applicato alla Medicina19; vi avea della ripugnanza, ma pure non ebbi coraggio di contraddire. Finché giungesse il tempo, in cui passar doveva a Pavia, per colà studiare la medicina teorica, pensò mio Padre, per occuparmi, di farmi seco lui applicare alla pratica. Mi conduceva seco alle visite, mi faceva far delle osservazioni, e m’impratichiva dei polsi. Avvenne un giorno, che fu chiamato ad assistere ad una Giovane assai più bella, che onesta, la quale aveva una malattia, ch’io mi dispenso di nominare. Andai io seco secondo il solito, entrai nella stanza dell’ammalata, ma poco dopo mi fece uscire, e perch’io non istessi solo in cucina, venne in mia compagnia la vecchia Madre della Fanciulla, lasciando solo il Medico colla Figliuola. Oh quante cortesie mi praticò quella buona Donna! M’invitò gentilmente in sua casa; mi disse, che la giovane aveva un picciolo male20, che non le impediva di 18 Minaccerà di farlo anche con la Mandragola del Machiavelli (cfr. L’Autore a chi legge, t. VIII). Diverso il comportamento del padre nelle memorie francesi; non si avverte tanta severità che giunge a distruggere gli abbozzi teatrali del figlio. Di tutt’altro tono e qualità teatrale è, infatti, l’episodio snodato in un bellissimo dialogo dove è dato assistere al lento stemperarsi del cruccio iniziale del padre, accompagnato da un giuoco di mimiche facciali, di frasi spezzate, di falsi interrogativi, mentre, di contro, monta, complice il racconto del figlio, il perdono e soprattutto l’entusiasmo per il teatro, alla notizia finale che la Compagnia dei comici è ancora a Chioggia (cfr. Mémoires I, 6). 19 Appare evidente che il padre coltivasse il sogno di fare del figlio un medico, come è ribadito nei Mémoires: «Il me destinoit à la Médecine, et en attendant les lettres d’appel pour le College de Pavie, il m’ordonna de le suivre dans les visites qu’il faisoit journellement; il pensoit qu’un peu de pratique avant l’étude de la théorie, me donneroit une connoissance superficielle de la Médecine, qui me seroit très-utile pour l’intelligence des mots techniques et des premiers principes de l’art» (I, 6, p. 31); trad. it.: «Mi destinava alla Medicina; così nell’attesa della lettera di ammissione al collegio di Pavia, mi ordinò di seguirlo nelle visite che faceva quotidianamente; pensava che un po’ di pratica prima degli studi teorici mi avrebbe dato una conoscenza, sia pure superficiale della medicina, la quale mi sarebbe stata molto utile ai fini della comprensione dei termini tecnici e dei fondamenti di tale disciplina» (Memorie, pp. 50-51). 20 Goldoni non chiarisce la natura del «picciolo male», «ch’io mi dispenso di nominare» e non lo farà nemmeno nei Mémoires (I, 6), ma la malattia la si intuisce chiaramente. Due le differenze sostanziali, al di là di quelle stilistiche, nei due testi: velocissimo e sensuale quello della prefazione; più dettagliato, lento e narrativo quello dei Mémoires. Nella prefazione l’ammalata non è guarita del tutto quando Goldoni le fa visita a differenza dei Mémoires dove, invece, «Grace au talent et aux soins de mon pere, son enfant étoit hors d’affaire» (I, 6, p. 32); trad. it.: «Grazie alla bravura e alle cure di mio padre, la figlia era ormai fuori pericolo» (Memorie, p. 51). Nei Mémoires, la scelta di tornare dalla giovane ammalata è

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stare in buona conversazione, e che poteva andarvi senza mio Padre. In fatti mi approfittai dell’esibizione. Appena mi liberai dal fianco del mio Genitore, tornai colà da me solo. M’introdusse la buona Madre, dicendo: Vedi, Figliuola mia, con qual premura torna qui il Dottorino per intendere del tuo stato: si accosti al letto: dagli da sentire il tuo polso; favorisca di sedere: veda, esamini, osservi21; frattanto andrò alla spezieria a prendere il medicamento, che le ha ordinato il Signor Dottore. Partì ella così dicendo. Io restai solo coll’ammalata, ch’era però seduta nel letto, coperta con un grazioso vestito color di rosa, con una cuffia in capo annodata sotto la gola, e con sì vivi colori in viso, che faceano ammalare il Medico. Quand’ecco all’improvviso mio Padre, avvisato non so da chi di questa mia troppo sospetta visita, e pericolosa; entra con faccia burbera, e risoluta; rimprovera l’ammalata, mi prende per un braccio, seco lui mi trascina, mi guida in casa, e con una maniera la più patetica di questo mondo, mi corregge, mi rimprovera, mi ammonisce22; sul gusto quasi di Pantalone nella mia Commedia intitolata: La buona Moglie allora quando il buon vecchio sorprende all’osteria Pasqualino23. Di là in poi non mi condusse in pratica, che da vecchi ammalati informandosi prima, se vi era gioventù in casa pericolosa. Ciò mi rese ancor più noiosa la Medicina24, attraversata da continue perplessità che durano un’intera giornata, mentre nelle Memorie italiane la decisione è immediata. Accomuna entrambi i testi il disegno malvagio e cinico, celato dietro l’apparente gentilezza, della vecchia «canaille», quasi tenebroso personaggio da fiaba, a cui fa da contrasto l’ingenuità imberbe del giovane Goldoni. 21 Rapida successione di verbi “imperativi” che aumentano visibilmente l’atmosfera erotica della scena. 22 L’accadimento è raccontato da Goldoni (che sembra avere sott’occhio l’illustrazione o una sua bozza) come un vero e proprio scenario teatrale. È davvero «un pezzo Comico da lavorarvi sopra una buona Commedia», come l’autore stesso scrive ad inizio della prefazione, una sorta di canovaccio visivo. A renderla tale sono soprattutto le “uscite” e le “entrate” dei personaggi: la Madre, il Dottore, il Dottorino, nelle singole scene di questa sorta di breve intermezzo teatrale. Rapidissimi dialoghi si avvicendano e ruotano dintorno alla scena princeps che resta quella della giovane ammalata a letto fino allo scioglimento finale, anche quest’ultimo contraddistinto da un’entrata, quella del padre che risolve felicemente, appena in tempo, l’esilissima trama. Un vero coup de théâtre. Di diverso tono e struttura l’episodio narrato nei Mémoires (I, 6), dove qui il racconto si distende notevolmente, frammentato in eccessivi dettagli, e con un personaggio in più (il domestico); di contro, il dialogo (teatrale) ha un’indubbia maggiore consistenza e sviluppo. La differenza più eclatante tra le due versioni è che il padre nella Pasquali salva il giovane Carlo rimbrottandolo successivamente, mentre nei Mémoires è la madre ad inviare il cameriere per distoglierlo: «è un angelo che me lo aveva mandato» (I, 6). 23 La bona muggier, poi col titolo La buona moglie, fu rappresentata a Venezia per la prima volta nell’autunno del 1748, stampata nel 1753 (Paperini, Firenze, t. IV) e poi nella Pasquali (Venezia, t. VI, 1764). 24 Humour goldoniano.

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e tutte le osservazioni, che io faceva, non erano, che una continua critica sull’incertezza dei mali, sulla vanità dei pronostici, e spesse volte sull’inutilità dei Medicamenti25. Se mi accadeva sentir de’ consulti in luogo di riflettere alle Dottrine, agli argomenti, alle ragioni de’ consultanti, non facea, che badare alle loro varie caricature, allo studio ch’essi faceano de’ loro Grecismi, e talvolta alla manifesta impostura de’ loro vani suggerimenti. Non ho però perduto il mio tempo, poiché qualche cosa mi è restata nella fantasia impressa, ed ho avuto occasion di valermene posteriormente in alcuna delle mie Commedie26. Quest’abito di osservare, e di riflettere, e di ritenere l’ho fatto senza avvedermene, ed è un effetto del genio Comico, che non si acquista coll’arte, ma proviene dalla natura. Durai circa due anni27 a secondar mio Padre in tale esercizio, finché giunto il tempo di passare al divisato Collegio, cambiai l’arte Medica nello studio legale, come mi riserbo a dire nella prefazione del Tomo sesto.

25 Il giudizio è severo nei confronti di una Medicina ancora non del tutto efficace (Goldoni si riferisce anche alla vanità delle cure per i suoi ricorrenti «vapori»?), senza escludere un biasimo verso il particolare comportamento di alcuni medici. Non è lontana nemmeno una velata critica, dettata dall’esperienza diretta, all’attività del padre più vicina a quella di uno speziale che a quella di un vero medico. 26 Goldoni, dunque, negli incontri con gli ammalati, non fa tesoro della «dottrina», ma guarda e osserva i comportamenti, i linguaggi, le «caricature» dei pazienti. Nella commedia della Finta ammalata (1751) c’è qualche traccia dell’episodio da poco raccontato, ma soprattutto nell’Autore a chi legge preposto alla commedia, Goldoni puntualizza: «io non ho avuto che dir co’ Medici, e non sono in collera con alcuno di loro, [mentre] poco o nulla mi cale, che di me si lagnino gl’impostori e gl’ignoranti» (Opere, III, p. 647). 27 Si legga, probabilmente, «due mesi».

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TOMO VI L’autore a chi legge*

Voi mi vedeste, lettor Carissimo, al principio del Tomo quinto, seguace della Medicina, sotto mio Padre; ecco, ora si cambia scena1. Miratemi al Tavolino, sotto la dettatura di un Procuratore, che chiamasi in Venezia Interveniente, o Sollecitatore2. Era questi un mio Zio, che

* Questa prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1764. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: Le femmine puntigliose (Mantova, 1750); La finta ammalata (Venezia, 1750); Le donne curiose (Venezia, 1753); La guerra (Venezia, 1760). Nel «Rame» è rappresentato Goldoni nello studio dello zio Indrich, a Venezia, nel mentre trascrive pratiche legali. La citazione che fregia il frontespizio è di Properzio: «Naturae sequitur semina quisque suae» (Elegie, III, 9, 20); trad. it.: «Ciascuno fa ciò che ha seminato in lui la natura». «Osservate le due figure sopra del quadro – commenta Goldoni – L’ordine col livello: La pratica col composto; le due guide dei Causidici del Foro». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra l’ottobre del 1721 e il settembre del 1722; nei Mémoires corrispondono al capitolo settimo della prima parte. 1 I rinvii goldoniani da tomo in tomo si svolgono anche per immagini. Esemplare l’incipit: «Voi mi vedeste», da cui si perviene al successivo «Miratemi». Giocando con l’insistenza dei sinonimi del verbo «vedere», l’autore si colloca di fatto accanto al lettore nel mentre osserva l’illustrazione. Il frontespizio rappresenta lo studio del procuratore legale Gian Paolo Indrich. Sullo sfondo dell’immagine, alla libreria dell’incisione del primo tomo è stato sostituito un archivio di faldoni e pratiche. Goldoni sta di lato e, come nel primo «Rame», è intento a scrivere; ma l’irrequietezza (la voglia di «correre al diletto teatro») è denunziata dallo stare seduto sull’estremità della sedia con le gambe quasi pronte allo scatto «per isfuggire dal tavolino». Un suggerimento di Goldoni al disegnatore, o una semplice interpretazione del testo da parte del Novelli? Non si fa cenno a quanto accade nell’intera prima parte del settimo capitolo dei Mémoires, dove è raccontato in dettaglio la sofferta decisione del padre (a seguito del deciso intervento materno) di rinunciare ad avviare il figlio agli studi di medicina a favore di quelli di giurisprudenza. Sarà ancora della madre il suggerimento di far fare pratica al giovane Goldoni presso lo zio Indrich «un des meilleurs Procureurs du Barreau» a Venezia, prima di iniziare gli studi regolari presso l’università di Pavia. Questo rapido passaggio era stato preannunziato, sempre in maniera stringata, alla fine del tomo quinto: «cambiai l’arte medica nello studio legale». Manca, anche, la suggestiva lunga descrizione di Venezia guardata «con gli occhi di un ragazzo di quindici anni», presente nel t. VII dei Mémoires. 2 Procuratore legale.

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avea per moglie una Sorella del mio Genitore, il Signor Paolo Indrich3, uomo della maggiore abilità, ed onoratezza, che ha goduto in vita la più fondata riputazione, ed ha lasciato di sé onorata memoria. Vive tuttavia, e merita di vivere lungo tempo, per esempio delle Saggie Donne, delle buone Mogli, e delle perfette Madri, la degnissima Signora Antonia, fu di lui Sposa, e mia veneratissima Zia, con tre Figliuoli Maschi, e una Femmina. Il primo, il mio carissimo Cugino Giambatista, continua con merito, ed estimazione la carriera del Padre, stimato nel Foro, amato, e desiderato, colla Fortuna di avere una Sposa al fianco, piena di talento, e di virtù. Il secondo è un ottimo esemplar Sacerdote; il terzo si affatica per imitarlo, e la Sorella, Monaca nel Venerabile Monistero di San Rocco, e Santa Margherita in Venezia, fa onore a se stessa, ed a’ suoi Congiunti4. Mio Padre, che ad esempio degli Spartani, mi andava ponendo sotto degli occhi ora l’uno, ora l’altro mestiere, provò se a questo, piucché alla medicina inclinassi5. Mi pose sotto la 3 Gian Paolo Indrich (1688-1761), marito della giovanissima Antonina Goldoni, sorella di Giulio, padre di Goldoni. Era un apprezzato Procuratore legale del Foro veneziano. 4 È un elogio abbastanza lungo e plateale rivolto ad alcuni familiari ancora in vita. Più sbrigativo, ovviamente, sarà Goldoni nei Mémoires. 5 Nei Mémoires la versione è totalmente diversa. È la madre a convincere il padre ad avviare il figlio agli studi di giurisprudenza con un ragionamento solido e deciso: «Un jour que nous étions à table en famille, sans convives étrangers et sans valets, ma mere fit tomber la conversation sur mon compte, et il y eut un débat de deux heures; mon pere vouloit absolument que je m’appliquasse à la Médecine: j’avois beau me remuer, faire des mines, bouder, il n’en démordoit pas; ma mere enfin prouva à mon pere qu’il avoit tort, et voici comment. Le Marquis de Goldoni, dit-elle, veut bien prendre soin de notre enfant. Si Charles est un bon Médecin, son Protecteur pourra le favoriser, il est vrai; mais pourra-t-il lui donner des malades? Pourra-t-il engager le monde à le préférer à tant d’autres? Il pourroit lui procurer une place de Professeur dans l’Université de Pavie; mais, combien de tems et combien de travail pour y pervenir! Au contraire, si mon fils étudioit le Droit, s’il étoit Avocat, un Sénatur de Milan pourroit faire sa fortune sans la moindre peine et sans la moindre difficulté. Mon pere ne répondit rien: il garda le silence pendant quelques minutes; il se tourna ensuite de mon côté, et me dit en plaisantant: Aimerois-tu le Code et le Digeste de Justinien? Oui, mon pere, répondis-je, beaucoup plus que les Aphorismes d’Hippocrate. Ta mere, repritil, est une femme: elle m’a dit de bonnes raisons et je pourrois bien m’y rendre; mais en attendant il ne faut pas rester sans rien faire, tu me suivras toujours. Me voilà encore dans le chagrin. Ma mere alors prend vivement mon parti; elle conseille mon pere de m’envoyer à Venise, de me placer chez mon oncle Indric, un des meilleurs Procureurs du Barreau de la capitale, et se propose de m’y accompagner elle-même et d’y rester avec moi jusqu’à mon départ pour Pavie» (I, 7, pp. 33-34); trad. it.: «Un giorno in cui eravamo a tavola in famiglia, senza invitati estranei e senza domestici, mia madre portò la conversazione su di me e vi fu un dibattito di due ore; mio padre voleva assolutamente che mi dedicassi alla medicina: potevo così agitarmi, fare smorfie e capricci, egli non desisteva; ma mia madre, alla fine, provò a mio padre che aveva torto, ed ecco come. Il marchese Goldoni, ella disse, accetta volentieri di prendersi cura di nostro figlio. Se Carlo diventerà un buon medico, il suo protettore potrà forse procurargli dei pazienti? Potrà obbligare la gente a preferirlo a tanti altri? Potrebbe procurargli un posto di professore all’università di Pavia, ma quanto

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direzione dell’ottimo suo Cognato, e per dir vero, non mi dispiaceva un tale esercizio, tanto più, che le Copie, che si facevano delle Scritture, e le mance de’ buoni Clienti accrescevano la mesata6. Ma qual uso faceva io del danaro, che guadagnava? L’abitazione del Zio era vicinissima al Teatro di San Samuele7, dove in quel tempo brillava la miglior Compagnia de’ Commedianti d’Italia, ed io sacrificava ad essi il mio picciolo Tesoretto, e tutte le sere, che mi restavano in libertà, cercando mille pretesti per isfuggire dal Tavolino, e correre al mio diletto Teatro8. Oh quanta Carta ho io consummata al mio Principale per scarabocchiare delle Scene, delle Commedie! Oh quante volte mi hanno trovato sul fatto a formare il sommario di una commedia, in luogo di sommariare un processo! Lo sa il mio Carissimo Signor Vincenzo Duramani9, in oggi accreditato, benemerito Interveniente, ed allora primo Giovine del nostro studio, il quale, amante niente meno di me del Teatro, non m’inquietava sopra di ciò al Tavolino, e veniva meco sovente al delizioso spettacolo della Commedia. Non avea per altro in allora la debolezza di andar mostrando quel, ch’io faceva; non era più il Fanciullo di nove anni10, che faceva pompa di tutte le tempo e fatica per arrivarci! Se, invece, mio figlio studiasse il diritto, se diventasse avvocato, uno che è Senatore di Milano potrebbe fare la sua fortuna senza la minima fatica e senza alcuna difficoltà. Mio padre non seppe che replicare: rimase in silenzio per qualche minuto, poi si rivolse a me e mi disse con aria di scherno: E a te converrebbero il Codice e il Digesto di Giustiniano? – Sì, padre, risposi io, molto di più degli Aforismi di Ippocrate. Tua madre, egli riprese, è una donna: mi ha dato buone ragioni e io potrei arrendermi, ma, nel frattempo, tu non devi restare senza far nulla: continuerai ugualmente a seguirmi. Eccomi ancora nelle più tristi afflizioni. Mia madre allora prende con forza le mie difese: propone a mio padre di mandarmi a Venezia e di sistemarmi dallo zio Indrich, uno dei migliori procuratori del tribunale della capitale: si offre anzi di accompagnarmi essa stessa e di restare là con me fino alla mia partenza per Pavia» (Memorie, pp. 53-54). 6 Il mensile. Il giovane Goldoni dispone già di una piccola cifra da poter spendere in divertimenti teatrali. 7 Il Teatro di San Samuele, edificato nel 1656 dalla nobile famiglia dei Grimani (ristrutturato in seguito ad un incendio nel 1748), era dedicato inizialmente alla rappresentazione di commedie, poi a partire dal 1720 si cominciò a caratterizzarlo anche per opere musicali, spettacoli, balletti. In questo teatro Goldoni fece le prime esperienze da spettatore e, nel quasi decennio successivo (1734-1743), il suo primo apprendistato di autore. 8 Osserva Guido Davico Bonino: «il che lascia supporre che Goldoni fosse a Venezia già nell’autunno 1721, in apertura di stagione teatrale», (D.B.M.I., p. 250). Si noti come il Novelli disegni un inquieto Goldoni con le gambe flesse, sui bordi della sedia pronto a scappare via. 9 Il «carissimo signor Vincenzo Duramani», compagno di studi e di passione per il teatro, sparirà del tutto nel capitolo relativo dei Mémoires (I, 7) e non sarà più citato da nessuna parte. 10 Continua il disordine delle date relative all’anno di composizione della prima commedia. Ancora l’autore corregge (o si confonde?), come nella prefazione al t. II, gli otto anni in nove.

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semplicità, che mi cadevano dalla penna. In età di anni quattordici, mi sentiva il prorito di comporre per il Teatro11; Conosceva che quel, ch’io faceva era tutto mal fatto; Lacerava le scene, un momento dopo d’averle scritte, tenendo fisso però nell’animo di farne sempre fino a tanto, che mi riescisse di farne bene. Ecco il Signor Procuratore del Foro, Procuratore appassionato de’ Comici. Osservate le due figure sopra del quadro: L’ordine col livello: La pratica col composto12, le due guide dei Causidici al Foro13, le ho convertite in un altro ordine, in un’altra Pratica; le ho studiate sui miei due libri Mondo, e Teatro14. Condannatemi, se vi pare. Compatitemi, se vi do piacere.

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La voglia spasmodica, irrefrenabile, di scrivere per il teatro. Il riferimento al «Frontispizio» è davvero laconico; si ha l’impressione che Goldoni non lo conosca. Lo zio Indrich, nel disegno, non ha alcun rilievo come vorrebbe il riferimento di Goldoni; è soltanto una comparsa tra due clienti e il giovane apprendista. 13 Avvocati di nome, non di fatto, che si esibivano in piccole cause civili. 14 Goldoni cita la Prefazione all’edizione Bettinelli: «i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il Mondo e il Teatro», brano, del resto, non espunto nella stessa Prefazione riprodotta nella Pasquali. 12

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TOMO VII L’Autore a chi legge*

Soffrite, amici Lettori, ch’io vi faccia passare per le varie situazioni, nelle quali mi sono trovato nella mia giovanezza; soffrite il poco d’interessante, che vi trovate, rapporto al principale oggetto della Commedia. Quando sarò arrivato all’epoca del mio presente esercizio, e quando di anno in anno vi farò conoscere intorno a ciò le mie scoperte, i miei progressi, i miei cambiamenti, non mi saprete malgrado, che vi abbia presentato io medesimo il corso della mia vita; poiché niuno meglio di me può sapere i motivi, che mi hanno spinto, e quelli, che mi hanno guidato al genere delle Commedie, ed alla costruzione di ciascheduna di esse1. Vedrete allora, che ad ognuna ha preceduto qualche motivo; avrete delle memorie istoriche de’ Teatri, per i quali ho scritto, de’ Personaggi, ai quali ho adattato le opere mie; in somma spero, che le mie prefazioni non vi saranno discare, e ardisco dire, non saranno inutili2.. Ma frattanto soffrite, vi supplico, i tempi della mia * Questa prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1764. Il tomo comprende le seguenti commedie: La famiglia dell’antiquario, o sia la suocera, e la nuora (Venezia, 1750); Un curioso accidente (Venezia, 1760); Il vero amico (Venezia, 1750); Il padre di famiglia (Venezia, 1750). L’illustrazione raffigura Goldoni, «in età di anni sedici» presentato dal padre al senatore Goldoni, a Milano. La citazione che fregia il frontespizio è di attribuzione incerta, probabilmente è di Ovidio: «Fallitur eheu nimium qui se putat esse beatum»; trad. it.: «Troppo s’inganna chi crede d’esser felice». Le due figure allegoriche sovrastanti sono rappresentate in un lato del frontespizio da una donna nuda che simbolizza i piaceri del vivere e la fortuna, e nell’altro dal tempo, un vecchio con le ali e con l’immancabile falce e clessidra. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra l’ottobre del 1722 e l’inizio del 1723; nei Mémoires corrispondono al capitolo ottavo della prima parte. 1 Goldoni è ancora un attivo autore teatrale, pienamente coinvolto nel lavoro alla Comédie-Italienne, teatro che lascerà l’anno successivo, nel 1765, quando assumerà l’incarico d’insegnante di lingua italiana per la figlia del re Luigi XV, Adelaide, a Versailles. 2 Goldoni nel riprendere a fare pubblicità all’edizione è come se intuisse le difficoltà che si preannunciano per la Pasquali. Infatti dall’anno seguente, il 1765, i tomi inizieranno ad uscire uno per anno fino al 1767 (col t. X), a cui seguirà una lunga interruzione di

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vita meno interessanti; ma che però hanno sempre qualche rapporto all’oggetto principale, a cui dobbiamo condurci. Vi serviranno, se non ad altro, queste leggiere notizie, a sapere per quante strade diverse la mia stella mi ha fatto passare, e quanto debito ho io alla Provvidenza, che mi ha sempre assistito, malgrado i traversi3 della Fortuna; e dirò anche di qualche mala condotta. Vedetemi ora nel Frontispizio di questo Tomo, in età di anni sedeci; vedetemi, dico, a Milano in casa del mio Protettore, e Benefattore, il Signor Marchese Senatore Goldoni, di cui vi ho parlato nel Tomo quinto; e dire quai progetti avvantaggiosi mi ha offerti la sua generosa bontà; e aspettate poi di sentire nell’ottavo Tomo seguente4, in qual maniera una gioventù sconsigliata, un estro comico mal diretto, troncato ha il filo5 delle mie più belle speranze6. Credendo mio Padre, ch’io fossi a tempo di profittare dell’esibizioni del Cavaliere suddetto, e parendo a Lui, ch’io avessi bastante talento per passare in un Collegio di gioventù provetta, per istudiarvi la Legge7, scrisse al Signor Marchese Goldoni, il quale, in conseguenza delle sue promesse, ottenne dal Signor Marchese Ghislieri di Pavia (uno de’ Compatroni del Collegio di questo nome) la Patente8 per essere ammesso fra quegli Alunni9. Volle accompagnarmi mio Padre circa sei anni. Nel 1773 riprenderà la pubblicazione dei volumi, ma sempre in maniera discontinua. 3 Le avversità. 4 Questo lascia presagire che Goldoni abbozzasse una sorta di traccia delle prefazioni da scrivere (aveva, oltre la Pasquali, certamente dei taccuini, degli appunti accanto a sé, ed è quanto lascia sospettare un brano nella terza parte dei Mémoires: «C’est à l’occasion des recherches que je fais actuellement pour mes Mémoires, que fouillant dans mes paperasses, je l’ai retrouvée […]» (III, 14, p. 501), trad. it.: «Solo in occasione delle ricerche che conduco attualmente per le Memorie, frugando tra le mie cartacce l’ho ritrovata […]» (Memorie, p. 605). È anche possibile ipotizzare che Goldoni scrivesse successivamente più d’una prefazione, o addirittura, a Parigi, abbia abbozzato un unico testo da suddividere, successivamente, nei vari Autore a chi legge. 5 Allusione alle Parche della mitologia latina. La morte è pochissimo presente nelle Prefazioni. Anche in occasione della scomparsa del padre, il ricordo è concluso in poche battute, ed egualmente accade per gli episodi cruenti della guerra. 6 Ma le «più belle speranze» di Goldoni erano quelle della giurisprudenza o del teatro? 7 Dai Mémoires, però, abbiamo appreso che il convincimento paterno è frutto delle insistenze materne (cfr. t. VI, n. 5). 8 L’autorizzazione, il benestare. 9 Siamo nell’autunno del 1722, è l’inizio dell’anno accademico, ma essendo il Collegio a numero chiuso, la possibilità d’iscrizione del Goldoni appare del tutto casuale, come annota Roberta Turchi: «il 14 settembre 1722 si era liberato il posto di Giuseppe Maria Wierner, laureatosi in sacra teologia, e con grande tempestività il 25 settembre il marchese Giovanni Battista Ghislieri, compatrono del Collegio con due suoi fratelli, spedì a Goldoni l’atto di nomina» (cfr. E.N.M.I., p. 311). Anche quanto scrive succintamente Goldoni nei

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stesso. Si passò per Modona10; si provvide egli colà di qualche somma considerabile di danaro, e si fece il viaggio sino a Milano11. Ci accolse il Signor Marchese con bontà, e con giubbilo. Parve contento di me. Mi trattenne colà quindici giorni col mio Genitore; e in questo tempo ci fece godere, quanto vi è di bello, e di grande in quella Città illustre, magnifica, ch’io ho cominciato sin d’allora ad amare, e stimare, e che in tante altre occasioni ho poi sempre più rispettata, ed amata. Quello però, ch’è più rimarcabile in tale fortunata occasione, si è, che il Signor Marchese promise a mio Padre una Protezione alla mia persona, durevole, operosa, e che doveva stabilire per sempre il mio stato, e la mia Fortuna. Io doveva restare nel Collegio Ghislieri a Pavia, fintanto che fossi in istato di prendere la Laurea Dottorale in quella cospicua Università. Fatto ciò, dovea io passare in Milano, alloggiare nella casa dei Signor Marchese, far la pratica di quel foro, instradarmi per l’avvocatura, sicuro, che la protezione di un Senatore, mi avrebbe acquistato del credito, anche prima di meritarlo12. Era un grande avvantaggio per me la somiglianza del casato; e la sua interessatezza per me potea farmi passare per una persona, che gli appartenesse più da vicino. Ciò stabilito, il Signor Marchese ci mandò a Pavia, bene accompagnati delle sue più calde raccomandazioni. Giunti colà, credevasi, ch’io dovessi passare immediatamente in Collegio, ma quale fu lo stordimento di mio Padre, allor ch’ei seppe, che per entrarvi vi mancavano tre indispensabili condizioni13. Mémoires avalla quanto citato: «La place dans le College du Pape étoit devenue vacante: elle avoit été arrêtée pour moi; le Marquis de Goldoni nous en faisoit part, et nous conseilloit de partir» (I, 8, p. 37); trad. it.: «Si era liberato un posto nel Collegio del Papa: era stato riservato per me; il Marchese Goldoni ce ne informava e ci consigliava di partire» (Memorie, p. 58). 10 Sono ospiti del notaio Francesco Zavarisi, come si apprende dai Mémoires, figlio di Scipione Zavarisi aveva sposato (1699) Virginia Goldoni (la seconda delle tre sorelle di Carlo); inoltre lo Zavarisi «[…] avoit entre ses mains toutes les affaires de mon pere: c’étoit lui qui touchoit nos rentes à l’Hôtel-de-ville, et le loyer des maisons; il nous fournit de l’argent, et nous allâmes à Plaisance» (I, 8, p. 37); trad. it.: «[…] teneva nelle sue mani tutti gli affari di mio padre: egli riscuoteva le nostre rendite al palazzo del comune, così come gli affitti delle case; ci consegnò il denaro e noi andammo a Piacenza» (Memorie, p. 58). L’andata a Piacenza non sarà casuale, la motivazione è ancora una volta economica: Carlo Goldoni si farà rimborsare degli arretrati dal cugino Barilli (vedi t. V, p. 137, n. 7). 11 Amore per il dettaglio nei Mémoires: «En arrivant à Milan, nous prîmes notre logement à l’auberge des Trois-Rois» (I, 8, p. 37); trad. it.: «Giunti a Milano, prendemmo alloggio all’albergo dei Tre Re» (Memorie, p. 59). Rinomata locanda milanese del tempo. 12 Come previsto dalla madre. Cfr. L’Autore a chi legge, t. VI, p. 146, n. 5. 13 È dunque a Pavia, e non a Milano, che Giulio Goldoni conosce le difficoltà subentrate per l’iscrizione del figlio? Nei Mémoires Goldoni offre un’altra versione dell’accaduto; la colpa del disguido è imputata al segretario del Senatore: «[…] mais M. le Marquis me

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La prima si è, che per legge del Pontefice fondatore non si poteano colà ricevere gli Alunni, che nell’età di diciott’anni, ed io non aveva, che sedeci14. La seconda, che bisognava esser chierico, ed aver la prima Tonsura15, al che non si aveva pensato. La terza, che vi volevano varie Fedi16, di stato libero, di buoni costumi, di non esser processato, le quali cose non erano difficili in certo modo ad aversi, ma vi volea del tempo per ottenerle. Si prese dunque un alloggio per aspettarle. Vennero le Dimissorie17 per la Tonsura, e l’ebbi dalle mani dell’Eminentissimo Cardinale Cusani, Vescovo di Pavia18. Le altre Fedi vennero parimente nello stesso tempo; ma la massima difficoltà era quella degli anni. Non so, non mi ricordo, e non mi curo di ricordarmi, come siasi a ciò rimediato. So, che mi coricai una sera nell’età d’anni sedici, e che mi svegliai la mattina d’anni diciotto: avrò dormito probabilmente due anni19. regardant plus attentivement, demanda à mon pere et à moi pourquoi j’étois en habit séculier, pourquoi je n’avois pas le petit collet. Nous ne savions pas ce que cela vouloit dire; bref, nous fûmes instruits pour la premiere fois que, pour entrer dans le College Ghislieri, dit le College du Pape, il falloit de toute nécessité, 1° que les Boursiers fussent tonsurés; 2° qu’ils eussent un certificat de leur état civil et de leur conduite morale; 3° autre certificat de n’avoir pas contracté de mariage; 4° leur extrait de baptême. Nous restâmes interdits, mon pere et moi, personne ne nous en avoit prévenus; M. le Sénateur étoit persuadé que nous devions en être instruits, il en avoit chargé son Secrétaire; il lui avoit donné une note pour nous l’envoyer. Le Secrétaire l’avoit oublié: cette note étoit restée dans son bureau» (I, 8, p. 38); trad. it.: «il Marchese, guardandomi più attentamente, chiese a mio padre e a me perché mai fossi in abito secolare, perché non indossassi il collarino. Noi non sapevamo che cosa egli volesse dire con ciò; in breve, fummo informati, allora per la prima volta, che, per entrare nel Collegio Ghislieri, detto il Collegio del Papa, era assolutamente necessario: 1° che i convittori beneficiari delle borse fossero tonsurati; 2° che avessero un certificato di stato civile e di buona condotta morale; 3° un altro certificato attestante di non avere mai contratto matrimonio; 4° la fede di battesimo. Mio padre ed io restammo storditi; nessuno ci aveva informati. Il senatore era convinto che noi ne fossimo al corrente: egli aveva incaricato di ciò il suo segretario, gli aveva dato una nota affinché ce la inviasse. Il segretario se n’era dimenticato: la nota era rimasta nel suo ufficio» (Memorie, p. 59). 14 Siamo nel 1722. Ma il padre non sapeva già che bisognava avere diciotto anni per potersi iscrivere al Collegio come è raccontato chiaramente nell’Autore a chi legge del t. V: «Partì dunque mio Padre di là contento, destinando me a quel Collegio, come suo primogenito, allora quando avessi l’età per entrarvi, mancante ancor di due anni»? 15 Atto simbolico per accedere agli ordini sacri che consiste in un particolare taglio rotondo di alcune ciocche di capelli sulla sommità della testa. Goldoni ricevette la tonsura il giorno di Natale del 1722. L’entrata ufficiale in Collegio risale al 5 gennaio 1723. 16 Le autorizzazioni. 17 Particolare dispensa vescovile per poter essere ordinato chierico fuori dalla propria diocesi. 18 Agostino Cusani (1655-1730), vescovo di Pavia dal 1711 fino al 1724. 19 Più che «dormito», si sarà, probabilmente, intrallazzato con l’atto di nascita del fratello che portava il nome di Carlo Antonio, nato nel 1704 e morto appena undici giorni dopo la nascita. Compito, anche questo, assolto e risolto dalla madre. Il Loehner informa di aver «potuto coi miei occhi accertarmi che, nella copia della fede di battesimo presentata al

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Tre mesi passarono prima di poter aver la Tonsura. Vi furono delle difficoltà in Venezia per ottenere le Dimissorie dal Patriarcato, a causa del Patrimonio. Mio Padre avrebbe avuto il modo di costituirlo su i beni di Modona, o di Venezia; ma ciò avrebbe portato le cose in lungo20. Il Signor Giovanni Cavanis dell’ordine rispettabilissimo de’ Segretari Veneti, fu egli il mallevadore alla Cancelleria Patriarcale, che il mio Patrimonio sarebbe stato regolarmente fondato, quando io avessi continuato per la via ecclesiastica; egli non aveva niente a rischiare, poiché io non ho mai avuto il dono di una tal vocazione. Il Teatro mi stava troppo nel cuore, ed ho messo bene a profitto i tre mesi, ch’io doveva passare nell’ozio. Raccomandato dal Signor Marchese Senatore Goldoni al celebre Dottore Lauzio21, Pubblico Professore di Legge in quella Università, andava sovente nel di lui studio, col pretesto d’impratichirmi de’ libri legali; ma io aveva fissato l’occhio sur una raccolta di Poeti comici antichi, e questo era il mio unico studio. Io non conoscea, che di nome Aristofane, Plauto22, e Terenzio. Li lessi da prima con avidità, con semplice curiosità. Li rilessi coll’aiuto de’ migliori comenti, e vi feci le mie osservazioni, per quanto mi suggeriva il genio, e mi permetteva l’età. Mi pareva impossibile sul principio, che tali autori fossero così universalmente stimati; non sapeva trovar in essi quel diletto, che io mi era proposto. Trovava in loro delle cose, che mi piacevano, e ne trovava assai di più, che non valevano a persuadermi. collegio e tuttora conservata nell’archivio di esso, la data è falsificata. Dell’anno di nascita le prime tre cifre (170) sono genuine; al quarto posto con altro inchiostro e d’altra mano è sostituito un 5 al 7» (cfr. E.L.ME., p. 79). 20 Dell’indispensabile aiuto materno qui non si fa cenno. Tutto sembra caduto dal cielo. Invece, secondo le memorie francesi, sarà la madre a Venezia ad impegnarsi per appianare tutti i problemi legati alle certificazioni, mentre padre e figlio si danno al bel vivere a Milano! Cfr. Mémoires: «Il falloit y remédier: mon pere prit le parti d’écrire à sa femme. Elle se transporta à Venise, sollicita de tous les côtés […]. Ma mere se donna des soins qui lui réussirent enfin; mais pendant qu’elle travaille pour son fils à Venise, que ferons-nous à Milan? Voici ce que nous avons fait. Nous restâmes pendant quinze jours à Milan, dînant et soupant tous le jours chez mon Protecteur, qui nous faisoit voir ce qu’il y avoit de plus beau dans cette ville magnifique […]» (I, 8, pp. 38-39); trad. it.: «Bisognava trovare un rimedio: mio padre decise di scrivere alla moglie. Mia madre si recò a Venezia, si diede da fare parecchio […]. Mia madre tentò tante vie che si rivelarono buone; ma, mentre ella si dà da fare per suo figlio a Venezia, che faremo noi a Milano? Ecco quello che abbiamo fatto. Restammo a Milano quindici giorni, pranzando e cenando tutti i giorni presso il mio protettore, che ci faceva vedere tutto quanto vi fosse di più bello in quella magnifica città […]» (Memorie, pp. 59-60). 21 Francesco Lauzi (1658-1745), noto giurista all’università di Pavia. 22 A stare, però, a quanto dichiarato dallo stesso Goldoni nell’Autore a chi legge premesso al t. IV, aveva già letto Plauto «saporitamente» a Rimini.

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Ma a poco a poco trasportatomi coll’immaginazione a que’ tempi, ne’ quali questi valorosi Maestri scrivevano, cominciai a gustare la verità, e ad imparare da essi a conoscere i caratteri, ed i costumi antichi, prestando fede ai loro ritratti. Così, diss’io allora fra me, così si dovrebbe fare presentemente da’ nostri Comici Autori. Non mancano originali a’ dì nostri, e meriteremmo noi da’ nostri Posteri la stessa stima, che noi accordiamo agli antichi23. Vidi poscia in un altro canto il celebre Autor Francese Moliere. Ardea di voglia di leggerlo, ma non avea sin’allora alcuna notizia di quella lingua. Mi proposi di apprenderla, tosto ch’io avessi posto il piede in Collegio, non per altro motivo, che per intender Molier24. Vennero frattanto le Dimissorie per la Tonsura. Entrai nel posto assegnatomi. Partì mio Padre; cominciai il mio studio legale; ma cogli occhi sul Codice, e col cuore al Teatro25. 23 Nei confronti degli autori classici, Goldoni riprende alcune considerazioni già presenti nella Prefazione alla Bettinelli. Ma nei Mémoires più che abbandonarsi alla querelle tra antichi e moderni, sottolinea di aver trovato, nella biblioteca del Lauzi, soltanto edizioni di vecchie commedie italiane di nessun valore, rispetto a quelle del teatro inglese, spagnolo o francese. Il commediografo lascia, quindi, intravedere che suo compito sarà di elevare i fasti dell’arte drammatica italiana; cfr.: «Fouillant toujours dans cette Bibliotheque, je vis des Théâtres Anglois, des Théâtres Espagnols et des Théâtres François; je ne trouvai point de Théâtres Italiens. Il y avoit par-ci, par-là, des Pieces Italiennes de l’ancien tems, mais aucun Recueil, aucune Collection qui pussent faire honneur à l’Italie. Je vis avec peine qu’il manquoit quelque chose d’essentiel à cette Nation, qui avoit connu l’Art dramatique avant toute autre Nation moderne; je ne pouvois pas concevoir comment l’Italie l’avoit négligé, l’avoit avili et abâtardi: je desirois avec passion voir ma patrie se relever au niveau des autres, et je me promettois d’y contribuer» (I, 8, p. 40); trad. it.: «Sempre rovistando in codesta biblioteca, vidi edizioni di teatro inglese, teatro spagnolo e teatro francese; non ne trovai di teatro italiano. C’erano qua e là alcune commedie italiane dei secoli addietro, ma nessuna raccolta, nessuna collezione che potesse fare onore all’Italia, mi resi conto dolorosamente che mancava qualcosa d’essenziale alla nazione che aveva conosciuto l’arte drammatica prima fra tutte le nazioni moderne; non potevo concepire come l’Italia avesse potuto trascurarla, avvilirla e imbastardirla; desideravo ardentemente vedere la mia patria risollevarsi al livello delle altre e mi ripromettevo di fornire il mio contributo» (Memorie, pp. 61-62). 24 Nell’ottavo capitolo dei Mémoires Goldoni non cita Molière, lo farà più innanzi nel decimo (in un gioco di raffronti con la Mandragola del Machiavelli) e con le stesse motivazioni della Pasquali: «Je ne connoissois pas encore ce grand homme, car je n’entendois pas le François; je me proposois de l’apprendre […]» (1, 10, p. 45); trad. it.: «Io non conoscevo ancora questo grande uomo, perché non capivo il francese, mi proposi d’impararlo […]» (Memorie, p. 68). Ma Goldoni poteva aver già cominciato a leggere le opere di Molière nella traduzione italiana, in quattro volumi, a cura di Nicolò Castelli (cfr. D.B.M.I., p. 251). Verso Parigi, Goldoni partirà ancora sotto l’egida propiziatoria di Molière: «[…] je renouvellai mes adieux à mon pays, et j’invoquai l’ombre de Moliere pour qu’elle me conduisît dans le sien» (Mémoires, II, 46, p. 437); trad. it.: «dissi di nuovo addio al mio paese e invocai l’ombra di Molière perché mi fosse da guida nel suo» (Memorie, p. 531). 25 Goldoni, quando gli riesce, escogita sublimi concisioni, come qui. Preciso, rapido.

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TOMO VIII L’Autore a chi legge*

Finalmente nell’anno 1722 fui ricevuto nel Collegio Ghislieri1. Questo Collegio, composto di quaranta Alunni, vien governato da un Sacerdote Secolare, che ha titolo di Prefetto, ed era in quel tempo il Reverendissimo Don Jacopo Francesco Bernerio2, Dottore, Proto-Notario Apostolico, e Pubblico Lettore di Jus Civile nell’Università di Pavia, Uomo celebre non meno per la pietà, che per il sapere. Appena entrato in Collegio, mi diedi subito a studiar la legge. Questo studio, siccome quello della Medicina, e della Teologia, si fanno nella Pubblica Uni-

* Questa prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1765. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: La donna di maneggio (Venezia, 1759), L’avvocato veneziano (Venezia, 1752), Il feudatario (Venezia, 1752), La figlia obbediente (Venezia, 1752). Il frontespizio raffigura Goldoni accolto nel Collegio Ghislieri di Pavia. La citazione che fregia il frontespizio recita: «Invidia vel amore vigil torquerere» (Orazio, Epistole, I, 2, 37); trad. it.: «L’odio o l’amore mi angustieranno fino all’insonnia». Il disegno allegorico, in alto, rappresenta un giovane mattiniero (il gallo sta ad indicarlo) che legge (studia) alla luce di una lampada, e accanto una giovane donna che stringe nelle mani una tromba e una palma. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra l’inizio del 1723 e il mese di maggio del 1725; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli dal nono al quindicesimo della prima parte. 1 Il 5 gennaio 1723, all’età di sedici anni (diciotto ufficialmente). Goldoni non fa nessun riferimento al «Rame istoriato» che lo raffigura nei panni del collegiale, al centro di un salone, mentre sullo sfondo altri studenti lo osservano. Non c’è, quindi, alcuna indicazione utile per far comprendere al Novelli, qualora non ne fosse stato informato diversamente, il tema da illustrare. Il disegnatore sceglie l’immagine da rappresentare probabilmente di sua iniziativa, sebbene il testo contenga molti episodi di possibili soggetti per un’incisione. Ma Goldoni avrebbe potuto comunicare da Parigi le sue intenzioni per altre vie (una lettera) al Pasquali, o direttamente al Novelli. Un’indicazione potrebbe venire dall’incipit del tomo seguente, il nono, dove Goldoni precisa il passaggio dal «Frontispizio» (questo del t. VIII) al successivo: «Nella Commedia della mia vita si cambia scena. Deposto il collarino, riprendo l’abito secolare, colla spada al fianco, e la parrucca a tre nodi», che sembra a sua volta l’indicazione per un’altra vignetta. 2 Abate Jacopo Francesco Bernerio (1665-1725), professore di diritto civile nell’università di Pavia.

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versità, onde i Collegiati sono obbligati a sortire, e si valgono di tal pretesto per divertirsi. Io non so, se più abbia studiato, o più mi sia divertito. Credo di aver fatto l’uno, e l’altro egualmente. Poiché circa allo studio, so, ch’io non era degl’inferiori, e circa al divertimento, io non la cedeva a nessuno3. Mi riuscì in poco tempo di far moltissime conoscenze. I Veneziani sono assai ben veduti per tutta la Lombardia. Io era il primo Veneziano entrato in quel Collegio, dopo la fondazione. La gioventù, l’allegria naturale portata dal mio Paese4, la lingua piacevole Veneziana, un poco di estro Poetico, e sopra tutto, il genio Comico, che non poteva stare celato, mi facilitavano le amicizie, e l’ingresso. Non credo, che Collegiale al Mondo sia mai stato tanto contento, quant’io lo era. Arrivato il mese di Giugno, in cui cominciano le vacanze, e durano sino al mese di Ottobre, partii cogli altri, m’imbarcai sul Ticino, e per la via del Po giunsi a Chiozza a consolare i miei Genitori, contenti di rivedere il Sig. Abbate loro figliuolo, non male iniziato nell’Instituta di Giustiniano5. Avrebbero voluto, che io avessi occupato il mio tempo nel ripassare le mie lezioni, ed avevami proveduto mio Padre di una Persona capace di mantenermi nell’esercizio legale, ma io voleva profittare delle vacanze per abbandonarmi allo studio delle Commedie. Rilessi tutto il mio Ciccognini6, e cominciai a conoscere le bellezze, e i difetti di quell’Autore, che se nato fosse nel nostro secolo, avrebbe avuto il talento di far delle cose buone. Lessi il Faggiuoli7; vi trovai la verità, la semplicità, la natura, ma poco interesse, e pochissima arte, e i suoi riboboli Fiorentini m’incomodavano infinitamente. Mi

3 Gusto dell’equilibrio, ma Goldoni non ci consegna l’impressione di essere stato uno studente modello. 4 Si corra all’incipit dell’Autore a chi legge premesso al t. XIII per misurare l’amore di Goldoni per la sua città. 5 Nello studio del diritto, citato metaforicamente mediante le Institutiones dell’imperatore Giustiniano (482-565). 6 Giacinto Andrea Cicognini, noto commediografo fiorentino (1606-1651?), autore di melodrammi e opere sceniche. Goldoni racconta nei Mémoires che il libro era stato sciupato dal fratello Giovanni Paolo, «[…] je cherchai mon ancien Cicognini, et je n’en ai trouvé qu’une partie; mon frere avoit employé le reste à faire des papillotes» (I, 10, p. 44); trad. it.: «[…] cercai il mio vecchio Cicognini, e ne ritrovai solo una parte, con il resto mio fratello aveva fatto pallottole di carta» (Memorie, p. 67). Ricordiamo che il nome del Cicognini come quello del Fagiuoli e di altri autori teatrali è leggibile sul dorso dei volumi nella libreria alle spalle del giovane Goldoni, nell’illustrazione del t. I. 7 Giovanbattista Fagiuoli, noto commediografo fiorentino (1660-1742). Fa notare Davico Bonino che «il primo volume del suo teatro completo uscì soltanto nel 1734: lo lesse proprio allora il Goldoni?» (D.B.M.I., p. 251).

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capitò alla mano la Mandragora di Niccolò Macchiavelli 8. Oh quella sì, che mi piacque. La divorai la prima volta, la rilessi più volte, e non poteva saziarmi di leggerla. Non era certamente, che mi allettasse, né l’argomento lubrico, né le frasi amorose, né le licenziose parole, ma mi parea di riconoscere in quella Commedia maravigliosa quell’arte, quella critica, quel sapore, ch’io non aveva gustato nell’altre. Mio Padre mi trovò sul fatto, ch’io la leggeva, me la strappò dalle mani, volea abbruciarla9, e l’avrebbe fatto, se non fosse arrivata a tempo mia Madre per impedirlo. Ella, che amava tutto quello, che mi piaceva, e che credeva ben fatto tutto quel, ch’io faceva, prese talmente a difendermi, che ne successe un Dialogo riscaldato fra Marito, e Moglie. Disse finalmente mio Padre, che il libro era scandaloso, e proibito, che trattava d’amori illeciti, e di abuso di Confessione. Mia Madre allora si mostrò un poco turbata, mi guardò bruscamente, e mi disse: Perché briccone, perché leggere di cotai libri? Poi voltandosi a suo Marito: L’avrà fatto, soggiunse, senza malizia. Mio figlio è buono, va spesso al Confessionale, ed aveva appena quattr’anni, che diceva meco l’uffizio della Madonna. La Commedia non fu abbruciata, vollero sapere da chi io l’aveva avuta, e stupirono, sentendo la persona rispettabile, che me l’aveva data10. Per poco mia Madre non mi diede la permissione di leggerla. 8 La Mandragola, commedia regolare in prosa (tranne il prologo) del Machiavelli, rappresentata la prima volta in Firenze (1520?). 9 È un sistema punitivo molto amato e già praticato dal padre (cfr. L’Autore a chi legge, t. V). 10 All’ira incontrollata del padre, risponde, ancora una volta, la tranquilla razionalità della madre. Il “colpevole”, che qui non è citato, è il canonico Gennari. L’apprendiamo dai Mémoires, dove, con sottile ironia, si aggiunge che il religioso aveva con sé (nascosto) il testo della Mandragola senza conoscerne il contenuto e quindi «[…] me la confia, et me fit bien promettre de la lui rendre incessamment; car il l’avoit prise sans rien dire dans le cabinet d’un de ses confreres» (Mémoires, I, 10, p. 44); trad. it.: «[…] me la affidò, e mi fece promettere di rendergliela al più presto; infatti l’aveva presa, senza dir nulla, nello studio di uno dei suoi confratelli» (Memorie, p. 67). Inoltre, la vicenda nei Mémoires è più articolata e alquanto diversa (nessuna minaccia di bruciare la commedia): «Ma mere ne faisoit pas attention au livre que je lisois, car c’étoit un Ecclésiastique qui me l’avoit donné; mais mon pere me surprit un jour dans ma chambre, pendant que je faisois des notes et des remarques sur la Mandragore. Il la connoissoit: il savoit combien cette piece étoit dangereuse pour un jeune homme de dix-sept ans; il voulut savoir de qui je la tenois, je le lui dis; il me gronda amerement, et se brouilla avec ce pauvre Chanoine qui n’avoit péché que par nonchalance» (I, 10, ibidem); trad. it.: «Mia Madre non faceva attenzione al libro che leggevo, dal momento che me l’aveva dato un ecclesiastico; ma mio padre mi sorprese un giorno in camera mia intento a scrivere note e osservazioni sulla Mandragola. La conosceva: sapeva quanto essa fosse dannosa per un ragazzo di diciassette anni; volle sapere da chi l’avessi avuta, io glielo dissi; mi sgridò severamente e si guastò con il povero canonico, il quale non aveva peccato se non di negligenza» (Memorie, ibidem).

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Giunto il tempo di ritornare al Collegio, m’imbarcai col Corriere di Modona, e fui colà raccomandato da mio Padre ad un suo Cugino, che faceva gli affari nostri11. Alloggiai nella nostra casa antica di quel Paese, ch’era affittata ad uno, che ne faceva locanda, indi mi fu provveduta una sedia12 fino a Pavia. Alzatomi per tempo, la mattina ch’io doveva di là partire, e passeggiando la sala per aspettare il calesso, venne la Serva13 di casa a tenermi un poco di compagnia. Costei era giovine, e non era brutta. Né ella era sfacciata, né io libertino, ma il demonio ci aveva presi tutti e due talmente, che la scena avrebbe finito male, se non fosse venuto il vetturino a picchiare all’uscio. La Giovane era talmente accesa, che voleva partir con me ad ogni patto. Io mi trovava nel maggior imbarazzo del Mondo. Finalmente alzatosi il Padrone di casa, per augurarmi il buon viaggio, si allontanò la Serva, piangendo. Cercai di rivederla col pretesto di volerle dare la mancia. La chiamarono, venne colle lagrime agli occhi. Le offersi mezzo Filippo14, e l’amorosa Giovane, lagrimando, lo prese. Ella fece il suo mestiere in quell’atto, ed io feci il mio. Ella cedé all’interesse; io cedetti alla riflessione. La Scena mi parve comica, ne ho fatto nota, e me ne sono poscia servito15. Montato in calesso, esaminai la mia borsa, e vidi, che in otto giorni l’aveva estenuata. Non ne aveva colpa la povera Serva poiché aspettò all’ultimo giorno per dichiararsi16. 11

È il notaio Francesco Zavarisi (cfr. L’Autore a chi legge, t. VII, p. 153, n. 10). Un posto a sedere sul calesse. 13 Avrà un nome nei Mémoires (I, 10): «Toinette» (Antonietta, Tonietta). 14 Moneta milanese d’argento del valore di dieci paoli. Traeva il suo nome dall’omonima moneta spagnola coniata da Filippo II. 15 Frequenti le dichiarazioni di Goldoni che ribadiscono quanto scritto nella Prefazione alla Bettinelli: «Non è perciò meraviglia se in tutti i miei viaggi, le mie dimore, in tutti gli accidenti della mia vita, in tutte le mie osservazioni, e fin ne’ miei passatempi medesimi, tenendo sempre rivolto l’animo e fisso a questa sorta di applicazione, m’abbia fatta un’abbondante provvisione di materiale atta a lavorarsi pel Teatro, la quale riconoscer debbo come una inesausta miniera d’argomenti per le teatrali mie composizioni […]» (in E.N.P.E., p. 90; qui p. 80). 16 Versione alquanto differente nei Mémoires, in cui Goldoni, durante la permanenza nella locanda, sembra aver corteggiato per più tempo la «Serva» e di esserne stato ricambiato. Lo si deduce dal dialogo finale (alquanto comico) e dalle ridicole scuse dell’imbarazzato Goldoni: «Toinette […] m’embrasse sans autres préliminares; je n’étois pas assez libertin pour en tirer parti: je l’évite; elle insiste, et veut partir avec moi» (I, 10, p. 45); trad. it.: «Antonietta […] mi abbraccia e senza troppi preamboli; io non ero abbastanza libertino per approfittarne: la evito; ella insiste e vuole partire con me» (Memorie, p. 68). Ma che tutto questo non tradisca un atteggiamento di voluto distacco del giovane Goldoni da eventuali disattese promesse? Inutile sottolineare l’uso del dialogo del tutto assente nell’Autore a chi legge; dialogo, invece, più che teatrale, romanzesco nei Mémoires: «[…] elle me regardoit d’un oeil d’amitié, et prenoit soin de moi avec des attentions singulieres; je badinois avec 12

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Arrivato a Reggio all’osteria della Posta, inesperto com’era, non aveva coraggio di proseguire il mio viaggio. Mi rimproverava di non aver domandato a Modona nuovi soccorsi a chi avea l’incombenza di darmene17. Volea tornare indietro, ma temendo, che in tale risoluzione vi avesse parte la buona Serva, pensai meglio di proseguire il cammino sino a Piacenza, per dove avea una lettera di mio Padre, diretta al Consigliere Barilli; Fratello di quel Barilli, che fu il Cognato di mio Avo Paterno18. Giunto colà, non tardai a portarmi al suo albergo, ed a presentargli la lettera. Mi accolse assai gentilmente, m’invitò seco a pranzo, ed io accettai l’invito con gran piacere, meditando di cogliere un buon momento, per domandargli qualche danaro in prestito fino a Pavia. A tavola eravamo in sei, e non ardii di parlarne. Dopo tavola mi fece passar nel suo gabinetto, e senza ch’io facessi parola del mio bisogno, ecco qual discorso mi tenne: Figliuolo mio, diss’egli, sono assai avanzato negli anni. Poco ancor posso vivere, e vorrei morire tranquillo. Io credeva, ch’ei volesse lasciarmi erede. Ho trovato, proseguì dicendo, ho trovato ne’ fogli, ch’io aveva un debito con quel galant’uomo di vostro Avo di trecento scudi di Modona. Mi sovviene d’avergliene dati a conto, ma non elle, elle s’y prêtoit de bonne grace, et de tems en tems elle laissoit tomber quelques larmes. Le jour de mon départ, je me leve de bonne heure pour achever mes paquets; voilà Toinette (c’étoit le nom de la fille) qui vient dans ma chambre, et qui m’embrasse sans autres préliminaires; […] je l’évite; elle insiste, et veut partir avec moi. – Avec moi! – Oui, mon cher ami, ou je me jette par la fenêtre. – Mais, je vais en chaise de poste. – Eh bien, nous ne serons que nous deux. – Mon Domestique. – Il est fait pour monter derriere. Le maître et la maîtresse cherchent Toinette par-tout. Il entrent: ils la trouvent fondant en larmes. – Qu’est-ce que c’est? – Ce n’est rien. Je me dépêche: il faut partir. J’avois destiné un sequin pour Toinette: elle pleure, je ne sais comment faire; j’allonge le bras, je lui offre la piece: elle la prend, la baise; et tout en pleurant, la met dans sa poche» (I, 10, ibidem); trad. it.: «[…] mi guardava amichevolmente e si prendeva cura di me con singolare premura; io scherzavo con lei, ella vi si prestava volentieri, e, di tanto in tanto, lasciava cadere qualche lacrima. Il giorno della mia partenza mi alzo di buon’ora per ultimare i bagagli; ecco Tonina (questo era il nome della ragazza) che viene in camera mia e mi abbraccia senza troppi preamboli; io non ero abbastanza libertino per approfittarne: la evito; ella insiste e vuole partire con me. “Con me!”. “Sì, mio caro, altrimenti mi butto dalla finestra”. “Ma io viaggio in un calesse di posta”. “Ebbene, saremo noi due soli”. “E il mio servo?”. “Quello deve salire dietro”. Il signore e la signora cercano Tonina dappertutto. Entrano: la trovano in lacrime. “Cosa succede?”. “Niente”. Mi sbrigo: devo partire. Avevo destinato uno zecchino a Tonina: essa piange e io non so come fare; allungo la mano, le offro la moneta: la prende, la bacia e, sempre piangendo se la mette in tasca» (Memorie, pp. 68-9). Ma forse la ragazza l’accetta non per il valore (come lascia credere Goldoni) – ipotizziamo noi – ma come ricordo di lui («la bacia»). Un’ultima osservazione: quell’«entrano», messo dappertutto da Goldoni nelle Prefazioni, come a suggerire l’entrata di personaggi in scena dalle quinte e poi lo scioglimento, come qui, da brevissimo intermezzo. 17 Francesco Zavarisi, già ricordato. 18 Virginia Barilli, madre del nonno di Goldoni, Carlo Alessandro.

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mi sovviene la somma. Se voi voleste ricevere cento scudi... io dissi di sì senza dargli tempo di terminare. Aspettate, mi disse, non ho finito di dire. Può essere, che questi cento scudi sieno di più di quel, ch’io devo, e può essere, che siano di meno. Fatemi il piacere di scrivere a vostro Padre... qui cominciai un poco a turbarmi. Ma, soggiunse, facciamo così, perché in questo tempo potrei morire. Ricevete voi questi cento scudi... l’ascoltai con grande attenzione. Riceveteli, e fatemi una ricevuta per saldo di tutto quello, che io dovessi... Sì Signore, sì Signore, gridai, è giusto, ben volentieri. Voi poscia, soggiunse egli, scriverete al Sig. Giulio, e gli scriverò anch’io, e spero, che accorderà il fatto, e confermerà la quietanza, che voi mi farete. Senz’alcun dubbio, risposi, senza alcun dubbio. Ed eccolo, che mi conta in belli, e grossi Filippi, cento scudi di Modona, che sono quattrocento lire di Venezia. Mi sovviene ancora, che facendo la ricevuta mi tremava la mano, parte per l’allegrezza d’intascar il danaro, parte per la paura, ch’ei si pentisse, tenendo sempre un occhio alla carta, su cui scriveva, e l’altro ai Filippi, ch’egli contava. Finalmente i Filippi passarono nelle mie mani, feci i miei complimenti all’onoratissimo Consigliere; partii contento, scesi la scala a due gradini per volta, consumai il resto della giornata passeggiando per la Città, e la mattina dopo avviatomi per Pavia, vi giunsi felicemente la sera19. Passai colà con piacere, e dirò anche con qualche maggior profitto, questo secondo anno. Feci qualche progresso nello studio legale, con poca fatica, egli è vero, ma eccitato da una certa facilità naturale, di cui poteva fidarmi. Non potendo esercitarmi in allora nello studio delle Commedie, mi diedi a quello della Poesia. Non sono mai stato bravo Poeta, ma ho sempre avuto dell’estro, dell’immaginazione, e della vivacità. Tutti quei, che si addottoravano in quel tempo in quella Università, ricorrevano a me per aver dei Sonetti in lode20, ed io pro19 Meno conciso l’analogo passo nei Mémoires, e con qualche variazione. Goldoni fa riferimento ad una promessa al Signor Barilli di consegnare, al suo rientro, la somma al cappellano del Collegio di Pavia, cassiere delle sue somme, promessa che mantiene trattenendo per sé sei zecchini. Di quest’ultimo dettaglio Goldoni qui non fa menzione, e la vivacità di quei «gradini scesi due per volta», con la borsa delle monete «nelle mani», e quel «partii contento», non lasciano presagire nessuna voglia di oculatezza nelle future spese o di mantenere promesse da parte del nostro giovane. Difatti, leggendo con attenzione quanto scriverà nei Mémoires è facile intuire che non furono soltanto sei gli zecchini che riserverà a se stesso: «[…] et je sus si bien ménager le reste de cette somme, que j’en eus suffisamment pour toute mon année au College et pour mon retour» (I, 11, p. 49); trad. it.: «Seppi amministrare così bene il resto della somma, da avere denaro a sufficienza per tutto quell’anno in collegio e anche per il viaggio di ritorno» (Memorie, p. 73). 20 A quei tempi era invalsa l’abitudine di festeggiare la laurea (ma anche ricorrenze, cerimonie, feste) con la declamazione di versi, panegirici, ecc. Lo ricorda Goldoni nei

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fondea le rime, e le lodi egualmente. Il mio Protettore, il Sig. Marchese Senatore Goldoni venne per una causa del Senato di Milano a visitare alcune acque nel Territorio Pavese; mi fece l’onore di farmi andare con esso lui per alcuni giorni21; credeva io di farmi un gran merito, leggendogli le mie Poesie, ma in luogo di lodarmi il saggio Senatore mi disse, che la Poesia era una seduzione, una distrazione dagli studi, e che aspettava di consolarsi, quand’io le avessi presentata una Dissertazione legale. Restai un poco mortificato, ma Dio volesse, che l’avessi meglio ascoltato. Ritornando a Pavia, con qualche vanità per altro per l’onorevole villeggiatura, che aveva fatta, cercai di farla valere, per promovere dell’invidia ne’ miei compagni, e può essere, che da ciò principiasse l’inimicizia di alcuni di essi, che contribuì poi a rovinarmi nell’anno appresso. Ritornata la stagione della partenza, avea destinato di passare a Milano, e di colà trattenermi in casa del Protettore sino all’Ottobre, ma una compagnia assai piacevole mi distornò dal progetto, e mi fece risolvere di portarmi a Venezia. Era morto in Milano il Salvioni, Residente in quella Città per la Repubblica Serenissima di Venezia22. Il suo equipaggio era imbarcato a Pavia in un delizioso burchiello23, condotto dal suo Mastro di casa. Aveva egli dato l’imbarco a cinque, o sei Veneziani di estrazione civile, di umore allegro, che suonavano vari strumenti. Mi proposero di accompagnarmi con essoloro; accettai il partito, e in fatti non si può immaginar un viaggio più allegro, più Mémoires: «Il semble qu’en Italie on ne puisse faire aucune cérémonie qu’elle ne soit décorée d’un sonnet» (I, 11, p. 49); trad. it.: «Sembra che in Italia non ci possa essere cerimonia senza che sia celebrata da un sonetto» (Memorie, p. 73). Indicativa in tal senso l’illustrazione del t. I dei Componimenti diversi. 21 Sei giorni e durante le vacanze di Natale (Mémoires, I, 11). 22 Francesco Salvioni, morì a Milano il 7 maggio 1723, ma, cronologicamente, dovremmo essere all’inizio dell’estate del 1724. Goldoni, forse, confonde le date delle due vacanze estive, come suggerisce Ginette Herry? (Cfr. G.H.M.I., p. 100, n. 20). 23 Agile barca a vela o a remi, in genere coperta, utilizzata per trasportare persone o merci lungo i fiumi: «C’étoit une salle et une anti-salle couvertes en bois, surmontées d’une balustrade, éclairées des deux côtés, et ornées de glaces, de peintures, de sculptures, d’armoires, de bancs et de chaises de la plus grande commodité. C’étoit bien autre chose que la barque des Comédiens de Rimini» (Mémoires, I, 12, p. 50); trad. it.: «Era costituita da una sala e da un’anticamera rivestite in legno, sormontate da una balaustra, illuminate da un lato come dall’altro e corredate da specchi, pitture, sculture, armadi, panche e sedie molto confortevoli. Tutt’altra cosa rispetto alla barca dei comici di Rimini» (Memorie, p. 75). Allora l’itinerario seguiva la tratta Venezia-Padova lungo il fiume Brenta. Questa navigazione sarà lungamente narrata nei Mémoires, dove l’autore, unitamente alla considerazione finale, sembra voler “riscattare” con la descrizione di questo viaggio pieno di seduzioni aristocratiche, pieno di lusso, di “bella gente”, il viaggio con i commedianti dell’Arte accennato soltanto nell’Autore a chi legge al t. V, ma distesamente raccontato nel quarto capitolo delle memorie francesi. Il burchiello sarà celebrato da Goldoni in due componimenti poetici.

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comodo, e più delizioso. Mettevasi piede a terra tutte le sere. Piantavasi dappertutto una festa di ballo, si passava la notte in divertimento, e il giorno si viaggiava, e si dormiva comodamente. Passai a Chiozza, dove stavano i miei Genitori, ma in vece di colà arrestarmi, tirai di lungo fino a Venezia, per non lasciare una compagnia sì piacevole24. Tutti i dì nel burchiello sagrificava una, o due ore alla descrizione in versi del nostro viaggio, e questa mi valse regalandola ai cari amici, per una specie di riconoscenza alle finezze, che mi avevano praticate25. Restai qualche tempo a Venezia. Mio Padre se ne dolse, mia Madre venne a trovarmi, e seco lei mi condusse a Chiozza. Feci colà un Panegirico in lode di San Francesco d’Assisi, e fu recitato con qualche applauso da un Cherico, che aveva buona memoria26. Feci una quantità di Sonetti, che non valevano niente, ma che l’età, in cui era, li facea parer qualche cosa; ma quello, in che riuscii meno male, furono alcuni Dialoghi comici per alcune Fanciulle in un Monastero27. Alla metà di Settembre ripresi il cammino verso Pavia, non per 24

Altra la versione nei Mémoires (I, 12): i compagni sbarcano a Chioggia, dove Goldoni presenta loro il padre, che li invita a restare, ma questi declinano l’invito e partono subito per Venezia, mentre il Nostro resta a Chioggia. 25 Non rimane traccia di queste composizioni. 26 È una delle tante scritture religiose con cui Goldoni mostra di avere dimestichezza, un’arte che non gli sembrerà, anche in futuro, «extrêmament difficile». Nei Mémoires Goldoni si dilunga sull’episodio, accentuando l’importanza di essere lui l’autore del testo che l’abatino ha mandatolo a memoria, e che ha ben «recitato» dal pulpito: una prima prova della futura riforma, e del rapporto tra un autore ed un particolare attore, insomma «heureux presages». 27 Le «Fanciulle di un Monastero» saranno il pubblico del panegirico scritto da Goldoni e recitato in chiesa dal giovane abate, come è chiarito nei Mémoires, e dove avremo il primo successo “teatrale” di un testo scritto dal giovanissimo commediografo e recitato da altri con strepitosa accoglienza di pubblico, non senza maliziose considerazioni finali: «Ma mere avoit fait la connoissance d’une Religeuse du Couvent de Saint François. C’étoit Donna Maria-Elisabetta Bonaldi […]. Elle protégeoit un jeune Abbé qui avoit de la grace et de la mémoire, et elle me pria de composer un sermon, et de le confier à son protégé, sûre qu’il le débiteroit à merveille. Mon premier mot fut de m’excuser et de refuser; mais faisant réflexion depuis, que tous les ans on faisoit dans mon College le panégyrique de Pie V, et que c’étoit un Boursier pour l’ordinaire qui s’en chargeoit, j’acceptai l’occasion de m’exercer dans un art, qui d’ailleurs ne me paroissoit pas extrêmement difficile. Je fis mon sermone dans l’espace de quinze jours. Le petit Abbé l’apprit par coeur, et le débita comme auroit pu faire un Prédicateur très-habitué. Le sermon fit le plus grand effet; on pleuroit, on crachoit à tort et à travers, on se remuoit sur les chaises. L’Orateur s’impatientoit, il frappoit des mains et des pieds; les applaudissemens augmentoient, ce pauvre petit diable n’en pouvoit plus; il cria de la chaire: Silence, et silence fut fait. On savoit que c’étoit moi qui l’avois composé; que de complimens! que d’heureux presages! J’avois bien flatté les Religieuses; je les avois apostrophées d’une maniere délicate, en leur donnant toutes les vertus, sans le défaut de la bigotterie (je les connoissois, et je savois bien qu’elles n’étoient pas bigottes), et cela me valut un présent magnifique en broderie, en dentelles et en bombons), (Mémoires, I, 12, pp. 52-53); trad. it.: «Mia madre aveva

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la via di Modona, ma per quella di Padova, Vicenza, Verona, Brescia, e Milano. Mio Padre mi accompagnò fino a Padova, mi consegnò ad un vetturino conosciuto, ed accreditato, e questi prese l’impegno di condurmi sino a Milano. Uscito dalle porte di Padova, e staccato dal mio Genitore amoroso, vidi, che il vetturino erasi accompagnato con un altro suo camerata, che aveva una sola persona nel suo Calesso, come io era solo nel mio. Erano tutti e due di ritorno, non è maraviglia, che si contentassero di una sola persona per ciascheduno. Vidi, che la persona dell’altro era una Donna, e mi parve non fosse il Diavolo. Smontati alla prima osteria per rinfrescare, non i cavalli, ma i vetturini, scesi velocemente dalla mia sedia, e andai a dar braccio a Madama. Ella mi accolse assai gentilmente, ed io proposi, che in luogo di occupare la metà di due calessi, se ne poteva occupare un solo. Ella vi acconsentì facilmente, e i vetturini ancora, accordandosi fra di loro, che trovando de’ passeggieri, avrebbero diviso per metà il guadagno, e non trovandone, avrebbero un giorno per uno attaccati i loro cavalli alla nostra sedia28. Tutti quelli, che c’incontravano per la strada, guardavano con attenzione per entro il nostro Calesso; io non sapea concepirne il perché29; la Donna, di me più accorta, mi disse, che probabilmente ne era causa il mio collorarino30, e ch’io avrei dovuto levarmelo. Mi parve, ch’ella dicesse bene, m’accorsi, ch’io aveva ancora del zottico, e mi arresi al di lei consiglio. Se il viaggio, ch’io aveva fatto sul Po, mi riuscì piacevole, questo lo fu per me ancora più; ma non voglio lasciar di narrare un fatterello curioso, che mi è fatto conoscenza con una religiosa del convento di San Francesco. Era suor Maria Elisabetta Bonaldi […]. La signora proteggeva un giovane abate che aveva garbo e buona memoria; ella mi pregò di scrivere un sermone e di darlo al suo protetto, sicura che egli l’avrebbe recitato a meraviglia. Mio primo istinto fu di presentare scuse e rifiutare, ma poi, pensando che nel mio collegio si usava comporre ogni anno un panegirico di Pio V e che era in genere un convittore a occuparsene, finii per accettare quell’occasione di esercitarmi in un’arte che, d’altronde, non mi sembrava troppo difficile. Composi il sermone in quindici giorni. Il giovane abate lo imparò a memoria e lo recitò come avrebbe fatto un predicatore esperto. Il sermone fece grandissimo effetto: c’era chi piangeva, chi deglutiva male o per traverso, chi si agitava sulla sedia. L’oratore si spazientiva, batteva le mani e i piedi, ma gli applausi aumentavano e il povero diavolo non ne poteva più: gridò dalla cattedra: Silenzio, e silenzio fu fatto. Tutti però sapevano che ero stato io a comporre il discorso; quanti complimenti, quanti buoni auspici per il futuro! Avevo adulato ben bene quelle religiose, le avevo apostrofato con delicatezza, attribuendo loro ogni virtù e non il difetto della bigotteria (le conoscevo bene e sapevo che non erano bigotte); e ciò mi valse qualche magnifico regalo: ricami, pizzi e dolci» (Memorie, p. 77). 28 Un calesse. 29 Davvero così ingenuo il giovane Goldoni? 30 Striscia di tela bianca che adornava il collare dell’abito sacerdotale. Lo slacciare il collarino è un iniziale assenso di sensuale complicità.

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accaduto nella terra di Desenzano31. Tutti quelli, che hanno fatto quel viaggio, andando, e venendo di Milano, sanno, quanto me, che tutti si fermano a Desenzano, che vi è una buonissima osteria sopra il lago di Garda, dove si suol mangiare del pesce esquisito, e dove si tratta bene, ed a poco prezzo32. Eranvi in quella sera colà alloggiati moltissimi Passeggieri, ed io, e la mia compagna di viaggio non potemmo avere, che una sola camera con due letti, che furono religiosamente occupati uno per ciascheduno. Dormiva io saporitamente, quando tutto in un tempo mi risvegliarono alcune voci sì forti, e sì riscaldate, che mi obbligarono nel momento medesimo a balzar dal letto, come era. Vidi al chiaror della Luna una Donna in camiscia con una pistola alla mano, ed un uomo in ginocchio, che a lei si raccomandava. Confesso il vero, questo spettacolo non mi diè gran piacere, e mezzo assonnato ancora, non sapea né distinguer gli oggetti, né concepirne il motivo. La Donna, ch’era la sopraddetta mia compagna di viaggio, rivoltasi a me, ecco, mi disse, ecco uno scellerato, che per la ringhiera, che circonda l’appartamento, è entrato in camera per la finestra, e fortunatamente per noi, mi sono svegliata in tempo, ch’egli si approssimava al mio letto. Egli è un ladro, che venia per assassinarci... Ah no, gridò colui in ginocchioni, non sono un ladro, non son qui venuto con quest’indegna intenzione; confesso la verità, ho arrischiato tutto, per profittar di una bella Donna... Come!, esclamò la mia brava eroina, un villano, che puzza di cucina, o di stalla può concepire sopra di me un tal disegno? Alzò la pistola, così dicendo, più offesa forse di un tal progetto, che dell’immagine di un assassinio. Le trattenni il braccio, impedii il colpo, ma riscaldatomi io pure contro di quel ribaldo: No, gli dissi, non è possibile, che tu sia qui venuto con questo fine, poiché saper dovevi, che vi era io...33. Odesi in questo mentre picchiare all’uscio, corro ad aprire. L’oste, che aveva sentito lo strepito, 31

A Desenzano. In qualche maniera gli Autore a chi legge, come anche i Mémoires, in alcuni punti, possono essere usati come una sorta di baedeker, di guida turistica, tanti sono gli itinerari, le descrizioni dei luoghi visitati, le attrattive, le annotazioni sugli usi e i costumi. Il viaggiare in sé assume nelle Prefazioni una cadenza narrativa, il movimento dell’autore si mescola alla rapidità del racconto, la geografia alla storia. Possiamo considerare queste scritture autobiografiche anche come racconti di viaggio di un personaggio inquieto e sempre in movimento. Il viaggio non è soltanto un motivo narrativo, assume anche la funzione di una sorta di “cornice” che racchiude gli accadimenti in successione. L’atto dello spostarsi consegna la cadenza alla vicenda narrata, da potersi seguire, volendo, come su una carta geografica, in un giuoco di toponomastiche e indirizzi. 33 Ingenua se non ridicola la giustificazione di Goldoni, anche se sottilmente maliziosa. Sembra essere una risposta da teatro comico per «mover il riso» della platea e stemperare una situazione evidentemente licenziosa. 32

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venia col lume, e seguitato da tre de’ suoi Camerieri. Conobbero il temerario per un garzone di stalla, capace di essersi introdotto egualmente, e per la Donna, e per i danari; lo presero per le braccia, si lasciò condur senza far parola, né so cosa sia di esso seguito. So bene, ch’io ebbi la parte mia di paura, ch’io ringraziai la mia valorosa compagna, e che passammo il resto della notte tranquillamente34. Giunti a Milano, ci separammo alla Porta; ella andò all’osteria del Falcone, io andai a scendere alla casa del Senatore. Stetti colà cinque giorni, ne’ quali non mancai alla gratitudine, ch’io doveva alla mia compagna, ed ella mi rese il contraccambio politamente, venendomi, dopo qualche tempo, a ritrovare a Pavia35. 34 Racconterà Goldoni (sia nell’Autore a chi legge del t. XI della Pasquali che nei Mémoires nel ventisettesimo capitolo della prima parte) che il «garzone di stalla» sarà successivamente impiccato, a causa di altri delitti commessi. 35 A noi non compete, anche per discrezione, sapere come siano effettivamente andate le cose quella notte. Possiamo soltanto aggiungere che confrontando il passo con quello relativo, molto più breve, dei Mémoires, appaiono in evidenza alcuni dettagli differenti (ma indicativi) sia pure nell’unità di azione. Innanzitutto la decisione di stare in un’unica carrozza deriva, nei Mémoires, dal fatto di non essere troppo sballottati dal viaggio: «[…] pour ne pas être ballotés dans les mauvais chemins, nous occuperions la même chaise […]» (I, 12, p. 53); trad. it.: «[…] per non subire troppi scossoni nel percorrere sentieri accidentati, decidemmo di riunirci in un solo calesse […]» (Memorie, p. 78), ovvero cercando di stare molto stretti in un’unica carrozza, ed è l’unico rinvio sottilmente pruriginoso come quello, per contrappasso, sulla precisazione (non richiesta) sulla distanza tra i letti, che sempre nei Mémoires, «ne se touchoient pas» (ivi); «non si toccavano»; oppure dell’ambiguissima precisazione di quanto accaduto lungo il tragitto prima di Desenzano: «[…] je voyois bien que ma compagne de voyage n’étoit pas une Vestale; mais elle avoit le ton de la bonne compagnie, et nous passions les nuits dans des chambres séparées avec la plus grande régularité» (I, 12, ivi); trad. it.: […] «non era una vestale, ma essa era di buona compagnia; passammo le notti rigorosamente in camere separate» (Memorie, p. 78). Ma nel racconto di quanto accadde nella camera da letto dell’albergo di Desenzano, si ha l’impressione di una donna molto adirata (forse perché delusa dal comportamento del compagno di viaggio?), quando, nell’occasione della scoperta del ladro, la «belle héroïne», non soltanto sarcasticamente chiama Goldoni «signor Abate», ma gli intima in modi bruschi di andarsi letteralmente a coricare, sottolineando la sua insulsaggine: «[…] ma belle héroine, tenant un pistolet à la main, me dit d’un ton fier et moqueur: ouvrez la porte, Monsieur l’Abbé, criez au voleur, et puis allez vous coucher […]; je fais des questions à ma camarade, elle ne daigne pas me rendre compte de sa bravoure. Patience! je me recouche, et je dors jusq’au lendemain» (I, 12, p. 54); trad. it.: «[…] la mia bella eroina, che aveva in mano la pistola, mi dice in tono fiero e insieme beffardo: aprite la porta, abate, gridate al ladro e poi tornate a letto […]. Faccio qualche domanda alla mia compagna, ma essa non si degna di mettermi a parte della sua prodezza. Pazienza! Torno a letto e dormo fino al giorno successivo» (Memorie, p. 79), e come chiarissimo appare nel finale: «Là [à Milan] nous nous quittâmes très-poliment, moi très-content de sa retenue, elle mécontente, peut-être, de ma continence» (ibidem); trad. it.: «[A Milano] ci lasciammo cortesemente, molto contento del suo comportamento morigerato io; ella scontenta, forse, della mia continenza» (Memorie, ibidem). Che Goldoni abbia voluto apparire nei Mémoires, «continente» ed ingenuo è fuor di dubbio. Non così, invece, nelle Memorie italiane, dove nel complice e sensuale gesto dello «slacciarsi il collarino» sta già tutto lo sviluppo degli avvenimenti e delle debite “conclusioni”, se ci tocca leggere

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Eccomi il terzo anno in Collegio; colà potea restare sett’anni, dovea colà addottorarmi, dovea stabilirmi a Milano, goder i frutti della protezione del Senatore, e divenir qualche cosa di buono, in un Paese, dove un poco di sapere, e un poco di buona condotta può far fortuna. Ma tutto miseramente precipitai; diedi un cenno della mia Ragazzata nella Prefazione del Tomo quinto di questa edizione36, ecco il momento di pubblicarla, per far conoscere, che il genio Comico non arriverà mai a farmi tanto di bene, quanto in quell’occasione mi ha fatto di male. Le Scuole, come già dissi, in Pavia non sono altrimenti costituite nei rispettivi Collegi, ma nella pubblica Università, dove tutti i Collegiali si rendono, e ciò li mette in necessità di uscire ne’ giorni di studio, e a poco a poco hanno introdotto il costume di uscir, quando vogliono, e andar, dove loro piace, purché escano, e rientrino accompagnati a due a due almeno, e si trovino in casa all’ora del pranzo, ed al tramontare del Sole. Una tal libertà, per dir il vero, un poco troppo eccedente, e pericolosa, fa sì, che questi Giovani s’introducono facilmente per tutto, e le case de’ Cittadini ne sono piene. Godono i Collegiali all’incirca il privilegio, e la fortuna de’ Militari37. Sono più coraggiosi, e più liberi de’ Paesani, e le giovani Donne li preferiscono, ma quando sono essi obbligati ad andarsene, le Donne sono costrette a rivogliersi ai Cittadini, alcuni de’ quali profittano della Piazza vacante, e alcuni altri si vendicano col disprezzarle38. Ciò fa, che fra i Collegiali, e i Terrieri39 vi è un astio perpetuo, una inimicizia giurata; e da ciò ancora procede, che alcune giovani, rese più caute dall’esperienza, ricusano i loro favori a questi amanti volubili, e passeggieri. Io fui nel caso di questi. Lasciata nell’anno avanti una bella con cento proteste40 di fedeltà, e con impegno di coltivar di lontano la nostra corrispondenza, mi scordai di scriverle, e ritornato a Pavia, pretesi di riprendere il posto, che io aveva, in buona coscienza, demeritato, di una successiva appendice pavese di quell’avventura: «ed ella mi rese il contraccambio politamente, venendomi, dopo qualche tempo, a ritrovare a Pavia». 36 Consueti, ormai, questi rinvii tra prefazioni, con cui Goldoni tende ad unire il tempo della narrazione e i testi tra loro. 37 Cfr. Mémoires: «[…] aussi les Collégiens à Pavie sont regardés par les gens de la ville comme les Officiers dans les garnisons; les hommes les détestent, et les femmes les reçoivent» (I, 9, p. 42); trad. it.: «[…] a Pavia i collegiali sono considerati dai cittadini come gli ufficiali nelle guarnigioni: gli uomini li detestano e le donne li ricevono» (Memorie, p. 64). 38 Col ricusarle. 39 Gli abitanti del luogo, i nativi. 40 Promesse. Nei Mémoires (I, 13), però la cosa accade anche presso altre fanciulle che si fanno negare.

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e che ad un Pavese era stato giustamente, e con miglior intenzione accordato41. Piccatasi per ciò più la vanità, che l’amore, feci parte del mio dispetto a’ miei amici, e compagni, ed essi accordarono meco, essere necessaria una vendetta per l’onore de’ Collegiali42. Fra i vari eroici 41 Nei Mémoires la versione è un’altra e la diffidenza delle giovani pavesi è giustificata in maniera diversa, non c’è nessuna singola fanciulla né nessun «posto» perduto per Goldoni: «Les bourgeois de Pavie étoient les ennemis jurés des écoliers, et pendant les dernieres vacances ils avoient fait une conspiration contre nous; ils avoient arrêté dans leurs assemblées, que toute fille qui en recevroit chez elle, ne seroit jamais demandée en mariage par un citoyen de la ville, et il y en avoit quarante qui avoient signé. On avoit fait courir cet arrêté dans chaque maison; les meres et les filles s’étoient allarmées, et tout d’un coup l’écolier devint pour elles un objet dangereux» (I, 13, pp. 55-56); trad. it.: «I borghesi di Pavia erano nemici giurati degli studenti, e durante le ultime vacanze, avevano ordito una congiura contro di noi; avevano deciso in adunanza che le fanciulle che avevano ricevuto studenti non sarebbero mai state chieste in matrimonio da un concittadino e quaranta avevano apposto la loro firma. Tale proclama aveva fatto il giro di tutte le case; madri e figlie si erano allarmate e, d’un tratto, lo studente era divenuto per loro un oggetto scomodo» (Memorie, p. 81). Lascia soltanto perplessi che tutto questo pandemonio sia sorto a Pavia, «toute d’un coup», proprio durante il soggiorno dello studente Goldoni! Cosa si nasconde, allora, dietro queste differenti versioni? 42 Molto articolato il racconto dell’episodio nei Mémoires, dove Goldoni lascia trasparire, invece, di essere stato vittima di un complotto ordito da alcuni suoi compagni che, per invidia, lo indussero volutamente, in più tentativi, alla «rovina» (addirittura gli avrebbero fatto ritrovare indosso armi da fuoco): «Courage, courage, s’écrient-ils tous à la fois, nous vous fournirons des anecdotes singulieres, vous serez vengé et nous aussi. Je vis bien à quel danger et à quels inconvéniens on vouloit m’exposer, et je leur représentai les suites fâcheuses qui en devoient résulter. Point du tout, reprirent-ils, personne ne le saura; nous voilà quatre bons amis, quatre hommes d’honneur, nous vous promettons la discrétion la plus exacte, nous vous faisons le serment solemnel et sacré que personne ne le saura. J’étois foible par tempérament, j’étois fou par occasion; je cédai, j’enterpris de satisfaire mes ennemis, je leur mis les armes à la main contre moi» (I, 12, p. 57); trad. it.: «Coraggio, coraggio, esclamano tutti insieme, noi vi forniremo aneddoti singolari, voi otterrete così la vostra e insieme la nostra vendetta. Compresi a quali pericoli e a quali inconvenienti volessero espormi e illustrai loro le conseguenze spiacevoli che ne sarebbero derivate. Niente affatto, replicarono, nessuno lo saprà; siamo quattro buoni amici, quattro uomini d’onore, vi promettiamo assoluta discrezione, vi giuriamo solennemente che nessuno lo saprà. Io ero debole per temperamento e, a volte, ero insensato; cedetti, mi impegnai a soddisfare i miei nemici e li armai io stesso contro di me» (Memorie, p. 83). È questo un tardivo effetto di quanto narrato nell’undicesimo capitolo dei Mémoires? Sono sempre i «quattro compagni» degli allievi, accusati da Goldoni, a vendicarsi?: «Deux d’entr’eux me tendirent un piege qui manqua de me perdre. Ils m’emmenerent dans un mauvais lieu que je ne connoissois pas; j’en voulois sortir, les portes étoient fermées; je sautai par la fenêtre, cela fit du bruit, le Préfet du College le sut. Je devois me justifier, et je ne pouvois le faire qu’en chargeant les coupables; dans pareil cas, sauve qui peut. Il y en eut un d’expulsé, l’autre fut aux arrêts; mais voila bien du monde contre moi!» (I, 11, p. 49); trad. it.: «Due di loro mi tesero un tranello che per poco non mi rovinò. Mi condussero in un postaccio a me ignoto; io volevo scappare, ma le porte erano chiuse; saltai allora dalla finestra, non senza rumore: il prefetto del collegio venne a conoscenza del fatto. Dovevo giustificarmi e non potevo farlo se non accusando i colpevoli; in un simile caso, si salvi chi può. Uno fu espulso, l’altro fu messo agli arresti: ma ecco tante

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progetti, fu preferito un affronto al nemico, ma cedendo la prudenza al calore, fu pubblicato il disegno pria di esseguirlo, ed arrivato alle orecchie del Superiore, ebb’io il sequestro per otto giorni in Collegio. Qui è, dove la collera, il puntiglio, e la falsa meditazione mi riscaldarono la fantasia, e qui è dove in mio danno il genio comico principiò a lavorare. Aveva fresca ancor la memoria di quanto avea letto ne’ buoni Autori, intorno ai tre generi di Commedia: antica, mezzana, e moderna. Mi ricordai, che la prima non era, che una cosa informe, tratta per altro da fatti veri, e con nomi veri di persone assai conosciute, che noi diremmo piuttosto presentemente: Una Satira Dialogata43. Questo è il genere di Commedia, che allora io scelsi per isfogar la mia collera, e per vendicarmi. L’intitolai il Colosso44. V’introdussi dodici persone coi loro nomi, e come i primi inventori di cotal genere di Commedia andavano colla faccia coperta di creta, pubblicando, e cantando le loro Satire qua e là sopra delle carrette, io aveva divisato nel carnovale una mascherata, in cui da Attori incogniti m’immaginava di poterla far pubblicare, lusingandomi, assai pazzamente, di non esserne io scoperto l’Autore. Ma la leggierezza, la vanità, l’amor proprio m’indussero a communicarla agli amici, o per meglio dire, a quelli, che io prendeva per tali, e servendosi alcuni di essi della mia dabbenaggine, me la levarono dalle mani, e la pubblicarono immediatamente. Per meglio farmi conoscere, e meglio accreditare l’opera di mia mano, vi posero in fronte un Sonetto, ch’io aveva composto in altra occasione, e in cui vi era espresso, ed in rima, il mio nome, il mio cognome, e la mia Patria, onde pareva, che a bello studio lo avessi fatto per pubblicarmi sfacciatamente l’autore di quella Satira. La cosa si divulgò, senza che io lo sapessi; i maligni se ne compiacquero; gl’indifferenti mi condannarono, e gli offesi mi volevano morto. Ho camminato due giorni colla persone contro di me!» (Memorie, p. 74). Nessun accenno a questo episodio compare nella Prefazione. 43 Nei Mémoires: «Atellane»; genere di antica commedia farsesca romana, che trae origine dalla città di Atella. 44 Questa «satira dialogata» è andata perduta. Ne riassume il disegno, con ironia, Goldoni, nei Mémoires: «Pour donner la perfection à la Statue colossale de la Beauté dans toutes ses proportions, je prenois les yeux de Mademoiselle une telle, la bouche de Mademoiselle celle-ci, la gorge de Mademoiselle cette autre, etc., aucune partie du corps n’étoit oubliée; mais les Artistes et les Amateurs avoient des avis différens, ils trouvoient des défauts partout» (I, 13, p. 57); trad. it.: «Per dare perfezione alla statua colossale della Bellezza in tutte le sue proporzioni, prendevo gli occhi della tal signorina, la bocca di tal altra, il seno della tal altra ancora, ecc., senza dimenticare parte alcuna del corpo, ma gli artisti e gli amatori erano di parere discorde e trovavano dappertutto difetti» (Memorie, p. 83).

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vita in pericolo senza saperlo. Fui avvertito, che m’insidiavano, e stetti in guardia per qualche tempo. Giunse frattanto a Pavia il Superiore del Collegio, chiamato espressamente da Voghera per questo. Non era più il Bernerio, ma lo Scarabelli45 poiché il primo era passato all’altra vita, sei mesi avanti. Aveva per me questo nuovo Prefetto tutto l’amore, e tutto l’impegno, poiché egli dipendea in qualche modo dal Senatore Goldoni. Mi chiamò, appena giunto, nella sua camera, mi rimarcò assai pateticamente il fallo, ch’io aveva commesso, mi fece ancora più arrossire, dicendomi, che fra le persone, ch’io avea maltrattate, eravi compresa una sua Nipote, e finì per dirmi, che la Città tutta era contro di me sollevata, che il Collegio era obbligato a sagrificarmi, e che per salvarmi la vita non vi era altro rimedio, che farmi partire segretamente. Lascio considerar al Lettore, qual io restassi in quel punto, veggendomi nella dura necessità di dover partire, con poco onore, e colla perdita totale di tutte le mie speranze. Lo supplicai colle lagrime agli occhi di non lasciar nulla intentato per rimediarvi, si commosse, me lo promise, operò quanto gli fu possibile di operare, ma nulla si ottenne. Spedì un espresso a Milano al Senatore Goldoni, impiegò l’autorità del Marchese Ghislieri, quella per fino del Senatore Erba Odeschalchi46, in allora Potestà, o sia Governator di Pavia. Tutti si mossero in mio favore, ma tutti inutilmente. Dodici famiglie offese ne attiravano a sé un gran numero colle amicizie, e le parentele. La causa era diventata comune, ed io doveva essere sagrificato. Restai quindici giorni in Collegio, con proibizione di uscire, e non sarei uscito, potendo, perché mi premeva salvar la pelle. Un giorno finalmente, che era caldissimo, nel mese di Maggio, mentre i Collegiali erano a pranzo nel Refettorio, venne il Prefetto nella mia camera, e m’intimò la partenza in quel momento medesimo47. Il baule era fatto da qualche giorno, lo spedì subito avanti, al Ticino, ed io scortato dallo spenditor48 del Collegio, e da quattro uomini per mia difesa, giunto alla riva del fiume, m’imbarcai in un battello coperto, e in meno di due ore di tempo arrivai al Po ad una barca, che aveva scaricato 45

Giuseppe Antonio Scarabelli fu nominato Prefetto del Ghislieri a partire dal 1725, carica che occuperà per dieci anni. Succedeva a Giacomo Bernerio, morto sei giorni prima, il 15 febbraio 1725 (cfr. E.L.ME., p. 100). 46 Girolamo Erba Odescalchi, marchese, governatore di Pavia dal 1723 al 1725. 47 Maggio 1725, e non 1727, come si evince dai registi del Ghislieri, con le parole: propter satiricam poesim fuit ejectus (cfr. G.M.ME., pp. 395-396). 48 L’economo che aveva incarico, nel Collegio, di far fronte alle spese quotidiane.

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del sale. Mi cacciarono sotto la poppa della barcaccia, lo spenditore diede al Padrone i suoi ordini segretamente, poi ritornato a vedermi, mi pose in mano del danaro involto in una carta; mi disse, che tutto era pagato fino a Chiozza, che quel poco danaro mi avrebbe servito per qualche picciola spesa, mi augurò il buon viaggio, e se ne andò con Dio. Restai lunga pezza afflitto, dolente, mortificato; cento cose tetre, lugubri, mi venivano in mente, e non aveva forza di spirito per arrestarmi in alcuna. Pure fra tanti tristi pensieri, trovò luogo la curiosità di vedere, che danaro mi aveva dato lo spenditore49. Apro il foglio, (oh sorpresa!) ritrovo dentro dell’oro, conto i zecchini, e li trovo quarantadue. Quarantadue gigliati50 in quell’occasione mi pareano un tesoro. Io credetti un prodigio, e siccome avea ragion di temere, che prevenuto mio Padre da qualche lettera di Pavia, mi avrebbe accolto assai bruscamente, pensai sul momento medesimo di prendere un’altra strada; mi venne in mente di andare a Roma, e mi preparava a lasciar la barca, tosto ch’io avessi potuto mettere piede a terra51. Ma come, dicea fra me stesso, come mai si è consigliato il 49 Bellissima aporia, del tutto goldoniana, tra «cento cose tetre, lugubri» e la «curiosità di vedere» cosa ci fosse nell’involtino, per poi mettersi subito a contare i denari. La «mortificazione» è dimenticata rapidamente in quel trafficare con i soldi, contarli e poi doverli restituire. Dolore, gioia, disappunto, ottimismo, si mescolano nel giro di poche righe. Neanche per un istante, da nessuna parte, il sospetto di un errore o di un raggiro da parte dello «speditore». 50 Zecchini con l’immagine del giglio fiorentino. Non c’è quasi nessuna prefazione in cui non compaiano monete, denaro. 51 Nei Mémoires, l’autore esporrà meglio le sue intenzioni immaginarie: «Oui, j’irai à Rome, je trouverai peut-être cet ami de mon pere qui lui a fait tant de bien, et qui ne m’abandonnera pas. Ah! si je pouvois devenir l’Ecolier de Gravina, l’homme le plus instruit en belles-lettres, et le plus savant dans l’Art Dramatique… Dieu! s’il me prenoit en affection comme il avoit pris Métastase! n’ai-je pas aussi des dispositions, du talent, du génie? oui à Rome, à Rome» (I, 14, p. 60); trad. it.: «Sì, andrò a Roma, riuscirò forse a trovare quell’amico di mio padre che tanti favori gli ha procurato e che non mi abbandonerà. Ah! Se potessi diventare il discepolo di Gravina, l’uomo più colto nelle lettere, il più sapiente nell’arte drammatica…! Dio! Se egli mi prendesse in affetto come ha fatto con il Metastasio! Forse che non ho abbastanza doti, talento, genio? Sì, a Roma, a Roma» (Memorie, p. 86). Nei Mémoires si confondono due Goldoni, il giovane eroe della vicenda e l’ottuagenario scrittore che lo racconta, ma a prevalere è l’anziano commediografo che veste i panni dell’adolescente. Rovesciando non i tempi della narrazione ma quelli del trascorrere di una vita, Goldoni non si giudica con meno «talento» e «genio» del contemporaneo Pietro Metastasio (1698-1782), e si autocelebra sia pure al condizionale. L’importante è accostare il suo nome al grande poeta per musica (come poi farà con altri autori, ed anche nelle sue opere: con Molière, con Tasso, ecc.). È il messaggio che Goldoni consegna al pubblico francese dei lettori (e dei suoi futuri spettatori che conoscono il poeta viennese), poco curandosi della congruità delle date (Gianvincenzo Gravina era morto il 6 gennaio 1718). Roma assume il valore emblematico delle scelte non fatte, di un possibile (più felice?) altro destino non colto.

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buon uomo a darmi questi zecchini? Se il viaggio è pagato, io non avea bisogno di tanto, e se dovessi ancora pagare il viaggio, mi basterebbe assai meno. Sapeva, che mio Padre aveva dato degli ordini, perché mi fosse somministrato il bisognevole, ma i suoi commissionari non erano mai stati sì generosi. Credetti per un momento, che questo potesse essere un resto di danaro inviato a Pavia da mio Padre, ma riflettei poco dopo, ch’ei non era né sì ricco, né sì prodigo, né sì diligente52. Stava immerso in queste considerazioni, quando sento chiamarmi per nome. Alzo gli occhi, e vedo lo spenditore. Cominciò a battermi il cuore, e gli domandai per qual novità ritornava egli dopo due ore: Signore, la novitade è questa, (mi disse) ho sbagliato nel darvi il pacchetto. Vi ho dato quaranta due Zecchini che avea in saccoccia per pagare un debito del Collegio. Favoritemi i miei gigliati, e prendete qui questi trenta Paoli53, che sono per voi destinati. In così dire, mi mette in mano l’involto, a poco presso della stessa grandezza. Io aveva i zecchini in mano, e con un sospiro li rendo. Li vuol contare, mi pare un affronto; mi dice: La non si scaldi; mi saluta, e va a rimontare nel suo barchetto54. Cominciai allora nuovamente a riflettere sopra tutte le mie disgrazie. Aveva in tasca quel maledetto libretto, ch’era stato la cagion della mia rovina; era l’unica copia, che io ne aveva; lo stracciai in mille pezzi, e dopo quel tempo, non l’ho mai più riavuto, né più mi son curato di averlo55. Mi è restato soltanto il rossore, ed il pentimento di averlo fatto. Compresi allora il danno, ch’io aveva recato a me stesso, e l’ingiustizia, ch’io aveva commessa verso degli altri. Questo ultimo riflesso mi si attaccò talmente al cuore, che per più, e più mesi non sapea rallegrarmi di cosa alcuna, e non passava notte, che con sogni torbidi, e spaventosi non mi sentissi inquietare. Oh orribile maldicenza. Pagherei anche in oggi una porzion del mio sangue, se si potesse scancellare del tutto dalla mia memoria un tal fatto. Voglia Dio almeno, che a Pavia non se ne ricordino ancora; se mai per avventura alcuno se ne ricordasse, se alcuno degli offesi si sovvenisse ancora di questa mia leggierezza, gli chiedo perdono, e lo 52 Il giudizio sul padre è perentorio. Nei Mémoires (I, 14) Goldoni riceve una lettera affettuosa dal genitore, da cui si evince che non era al corrente dell’espulsione. 53 Moneta d’argento coniata durante il pontificato di Paolo III (1534-1549). Il nome fu mantenuto anche in seguito per monete di eguale peso. 54 Dialogo assente nei Mémoires (I, 14). 55 Desta stupore che Goldoni avesse comunque conservato e portato con sé il «maledetto libretto» per poi «stracciarlo» successivamente. Nei Mémoires non si fa cenno alla distruzione del Colosso. Il Mazzoni (G.M.ME., p. 395) racconta di averne veduta una copia, poi smarrita.

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prego di non negarmelo56. Quella è stata la prima satira, che ho avuto l’ardir di fare, ed è stata l’ultima. Mai più mi è venuto in mente di farne, ed ho sempre aborrito di leggerne. Ne sono state fatte contro di me57, che ho sofferte pazientemente per castigo di averne fatta una nell’età di diciott’anni. Tornando alla mia situazione d’allora, restai sì afflitto, e mortificato, ch’io non aveva coraggio di sortir di dov’era58. Venuta la sera, mandò il Padron della barca ad annunziarmi la cena. Ricusai di andarvi, e domandai un materasso per coricarmi. Da lì a qualche tempo, veggio accostarsi qualcheduno alla poppa, e sento una voce, che dice pateticamente: Deo gratias. Questi era un Padre Domenicano, che dovea colla stessa barca viaggiar meco verso Venezia. Mi obbligò di uscire, mi obbligò di cenare, procurò consolarmi, e ritornai un poco più tranquillo, dopo la cena, al riposo. La mattina seguente mi trovai parecchie miglia lontano, e non vedea l’ora di prendere terra, deliberato dentro di me di voler andarmene all’avventura. A quest’effetto unii della biancheria, e qualche libro, con animo di portar meco il fardello, e rendere tutto il resto. Giunti a Piacenza, domandai di sbarcare; ma il Padrone della barca, che aveva avuto le sue istruzioni, me lo impedì, e mi obbligò di restar prigioniero fino a Chiozza, dove ei doveva consegnarmi a mio Padre. Fortunatamente per me, non vi si ritrovava al mio arrivo. L’accomodai con mia Madre, ed ella poi fu la mia protettrice all’arrivo del Padre. Il religioso Domenicano59 contribuì molto ad ottenermi 56

Stessa richiesta di scuse anche nei Mémoires (I, 14). Il riferimento è a Carlo Gozzi e agli accademici dei Granelleschi. 58 Quale contrasto col delizioso viaggio sul burchiello in compagnia degli amici musicisti. 59 Molto più dettagliato, nei Mémoires, l’episodio dialogato dell’incontro con il domenicano che appare chiaramente poco “educatore di anime”. Non approfitterà soltanto del disagio e dell’inesperienza del giovane Goldoni, ma il «religioso» cercherà di turlupinare anche i genitori e «molte persone» di Chioggia in una improvvisata cerimonia religiosa con annesso finto miracolo. Ma, alla fine, vistosi scoperto, farà perdere le proprie tracce. Goldoni è molto prudente nel definirlo, ma risulta evidente che costui era un vero e proprio lestofante che si spacciava (o lo era sul serio) per uomo di chiesa, e il cui «carattere» sarà utile a Goldoni sulla scena, visto che tutto sommato ne apprezza le qualità di recitazione, anche se ne è stato vittima. Splendida, per concisione e comicità, la confessione del Nostro, nel finale del quindicesimo capitolo dei Mémoires, dove appare appieno la “religiosità” del nostro domenicano, che gli ha sottratto da poco «trenta paoli»: «Je voulois continuer encore, j’avois des choses à dire que je croyois avoir oubliées; le Révérend Pere tomboit de sommeil, ses yeux se fermoient à tout moment; il me dit de me tenir tranquille, il me prit par la main, il me donna sa bénédiction, et alla bien vite se coucher» (I, 14, pp. 62-63); trad. it.: «Io volevo continuare la mia confessione, avevo da dire altre cose che mi sembrava di aver dimenticato; il reverendo cascava dal sonno, aveva gli occhi che si 57

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il perdono. Vero è, che mi ha costato i miei trenta Paoli, e qualche libro, e qualche camiscia, ma non lasciai di profittare dell’occasione per conoscere davvicino il carattere di Ottavio nel Padre di famiglia60, e di Pancrazio nei Due gemelli61.

chiudevano. Mi disse di tacere, mi prese la mano, mi diede la sua benedizione e andò in tutta fretta a dormire» (Memorie, p. 89). Cfr. per questi aspetti, l’ultima parte del capitolo quattordicesimo e l’inizio del quindicesimo dei Mémoires. 60 Il padre di famiglia, rappresentato per la prima volta a Venezia durante il carnevale del 1750. 61 I due gemelli veneziani, apparirà nel terzo tomo della Paperini (1753). È la messa in pratica di quanto dichiarato a suo tempo nella Prefazione alla Bettinelli, ovvero l’«abbondante provigion di materia atta a lavorarsi per il Teatro» (cfr. E.N.P.E., p. 90, qui p. 80). Goldoni mescola sapientemente i ricordi della propria vita con i testi teatrali. In questa prospettiva, se pensiamo soprattutto ai Mémoires, il mosaico autobiografico è fatto anche di copioni, non sempre del tutto “inventati” dal suo «genio comico», e che vanno giudiziosamente incasellati, scena per scena, commedia per commedia, l’una accanto all’altra, al fine di costruire l’ordinato puzzle della sua vita.

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TOMO IX L’Autore a chi legge*

Nella Commedia della mia vita si cambia Scena1. Deposto il Collarino, riprendo l’abito Secolare, colla Spada al fianco, e la Parrucca a tre nodi2. In quell’età un parruccone a tre nodi non lasciava di fare una deliziosa caricatura. Mio Padre era Medico: i Medici anche in quel tempo aveano l’uso della parrucca quadrata, per comparire seriosi; sperava egli con un tal peso correggere la leggerezza della mia testa, e che una delle sue parrucche valesse ad acquistarmi riputazione3. Avvenne poco dopo, che mio Padre passò da Chiozza ad Udine Città4, che se non è la Capitale, è almeno la più grande, e la più popolata di quella Provincia, che chiamasi la Patria del Friuli5; e non * Questa prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1766. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: La donna di garbo (Venezia, 1743), I mercatanti (Venezia, 1753), La buona madre (Venezia, 1761), Il padre per amore (Venezia, 1757). L’illustrazione rappresenta Goldoni mentre interroga un inquisito sotto tortura. La citazione che fregia il frontespizio recita: «Nunc animis opus…, Nunc pectore firmo» (Virgilio, Eneide, VI, 261); trad. it.: «Ora con forza d’animo, … ora con cuore saldo». Le figure allegoriche sono rappresentate da due donne. La prima, nuda, regge un libro e una palma, lo sguardo verso il sole, rappresenta la giustizia (divina?), la verità; la seconda guarda il fuoco, e forse rappresenta la pena, la bugia. Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra la primavera del 1725 e l’inizio del 1731; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal quindicesimo al ventunesimo della prima parte. 1 Vita e teatro nel racconto autobiografico seguono le stesse modalità della tecnica teatrale. 2 Una parrucca particolare, alla moda francese, con tre riccioli pendenti. Potrebbe sembrare questo un commento dell’immagine, ma non lo è. Nel «Rame» non si notano né parrucca, né spadino, che invece si notano nell’illustrazione del t. XIII. A confrontare questo frontespizio con quello del tomo precedente, cui si riferisce Goldoni, il contrasto è violento. 3 La metafora della parrucca (che nasconde la tonsura) allude all’essere ritornato agli studi di giurisprudenza, alla «riputazione», dopo gli anni di «leggerezza» a Pavia. 4 Siamo sul finire del 1725. A Udine, Giulio Goldoni eserciterà la professione medica dal 1727 al 1728. 5 Il Boccaccio nel Decameron: «In Frioli, paese quantunque freddo lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane, è una terra chiamata Udine» (X, 5).

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fidandosi di lasciarmi senza di lui, mi condusse seco. Esercitava egli al solito l’arte sua Medica, ed acciò non iscordassi io totalmente il poco, che avea imparato a Pavia, mi raccomandò all’ornatissimo Signor Dottore Moulli6, celebre Leggista, e valoroso Avvocato di quel Paese, il quale coll’occasione, che instruiva un Nipote suo nelle Leggi, ammetteva qualche altra persona alle sue lezioni, e mi fece partecipe degli eruditi suoi insegnamenti. Confesso di aver profittato più sotto di lui in poco tempo, di quel ch’io abbia fatto nel Collegio, e nell’Università per tre anni7, ma l’animo mio ad altri studi inclinato, non mi lasciò profittare abbastanza. Il Teatro era la solita mia distrazione. Ma giunta poi la Quaresima8 rivolsi ad uso sacro la Musa profana. Predicava dall’insigne Pulpito del duomo di detta Città il Padre Jacopo Cataneo9, Agostiniano Scalzo Milanese. Fui a sentirlo il dì delle Ceneri. Mi piacque infinitamente, e intesi, che tutto il popolo lo applaudiva. Infatti, oltre il suo sapere, il suo zelo, la sua eloquenza, aveva una maniera di predicare, ed erano immaginate, e tessute le di lui prediche diversamente dagli altri, con quell’aria di novità, e con quel dilettevole artifizio, che (cambiata la materia) si usa, ed è necessario nell’arte Comica. Per prova di quel, ch’io asserisco, parlerò della prima sua predica. Sogliono i Predicatori nel dì delle Ceneri far la predica della Morte. Egli quella facea del ben vivere, ed erano i tre punti della sua divisione. Vivere 1. più allegramente, che si sa. 2. più lungamente, che si può. 3. onoratamente come si deve. Non può negarsi, che non siavi della bizzarria nell’argomento, e nelle proposizioni, ma la predica era maneggiata con sì buona Morale, e con sì forte dottrina,

6 Non è chiara l’identificazione dell’avvocato indicato da Goldoni nei Mémoires come «Movelli [o Morelli], célebre juriconsulte» (I, 16). 7 Goldoni sembra voler attutire gli svantaggi derivati dalla sua espulsione dal collegio Ghislieri e, quindi, ridimensiona l’eccellenza della didattica colà impartita. 8 Quaresima del 1726. Siamo sempre a Udine. 9 Jacopo Cataneo, agostiniano scalzo, celebre per la sua eloquenza, fu autore di orazioni e poesie, predicò nella cattedrale di Udine dal 6 marzo al 21 aprile 1726. Morì a Milano nel 1737. Sul Cataneo si veda però il giudizio non del tutto lusinghiero del Provveditore Generale, riportato da Goldoni nel diciassettesimo capitolo della prima parte dei Mémoires: «Ce digne Sénateur nous reçut avec beaucoup de bonté; il avoit vu mon Carême Poëtique, et il m’en fit compliment; mais en me regardant avec un souris [sic!] malin, il me dit que les Sermons du Pere Cataneo ne paroissoient pas m’avoir beaucoup sanctifié, me faisant comprendre qu’il étoit instruit de mes étourderies postérieures» (I, 17, p. 79); trad. it.: «Il degno Senatore ci accolse con molta cordialità; aveva letto il mio Quaresimale poetico e se ne complimentò con me, ma, guardandomi con un sorriso ironico, osservò che i sermoni del padre Cataneo non parevano avermi reso molto santo, facendomi con ciò capire che egli era al corrente delle sciocchezze che avevo combinato» (Memorie, pp. 108-109).

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che valeva a persuadere, a convincere, a commovere, e a dilettare10. Dilettato anch’io, (non so, se commosso, e convinto) coll’aiuto di una memoria non infelice, ritenni in mente le parole della divisione suddetta, e tanto della sua predica, che mi bastò per epilogarne in un Sonetto la principale sostanza. Comunicai il mio Sonetto al Nobile Signore Lucrezio Trèo11, erudito gentiluomo di quel Paese, e dotto, ed elegante Poeta. Lodò il mio Sonetto, si diede anche la pena di correggerlo, e mi animò a continuare. Continuai di maniera, che andando tutti i giorni alla Predica, e facendo tutti i giorni lo stesso, mi trovai al fine della Quaresima con tanti Sonetti, quant’erano state le Prediche del valoroso Oratore. Fatta quest’Opera, l’amor proprio mi sedusse a stamparla, e fu seduzione piucché consiglio, poiché io non sono stato mai buon Poeta, e i miei versi d’allora erano frutti immaturi di un albero per natura cattivo. Stampai la raccolta in un libricciuolo, composto di trent’otto Sonetti, altrettanti Epiloghi delle Prediche, che componeano il Quaresimale12. Alla testa d’ogni Sonetto vi era l’argomento, e la division litterale, e alla fine del libro un Sonetto diretto al Padre Cataneo Predicatore. Dedicai l’Operetta agl’Illustrissimi Signori Deputati della Città di Udine, e fu colà stampata presso Gio. Battista Fongarino nell’anno 1726. Mio Padre, per animarmi, fece la spesa dell’Edizione, e si regalarono gli Esemplari. La Comunità in corpo accettò la dedica con gentilezza, e per dimostrazione di aggradimento, mi venne offerta la Cittadinanza di quel Paese, che avrei accettata, se avessi avuto in animo di colà trattenermi. L’opera non valea gran cosa, ma l’età mia, la novità del pensiere, e la sollecitudine, con cui 10 Ritorna il parallelo tra recitazione teatrale e sermone ecclesiastico (cfr. L’Autore a chi legge, t. VIII). Goldoni nota una straordinaria somiglianza tra l’«arte Comica» e la predica del Cataneo ben «maneggiata», da cui prende spunto per stendere una rapidissima lezione di tecnica recitativa. Il commediografo nota come siano miscelati sapientemente teatro e oratoria religiosa nella spettacolarità stessa della predica, registri apparentemente dissimili, e, invece, contigui nella prassi (dagli «applausi» al «diletto» o alla «commozione» del pubblico fino alle stesse finalità pedagogiche del teatro: la «buona morale» e il suo «convincimento»). Sembra di riascoltare, in sunto, una lezione sul suo teatro: «convincere, commovere, e dilettare». 11 Lucrezio Trèo (1677-1745), patrizio udinese, storico e poeta. Da notare che Goldoni non si esime dal citare gli autori anche più oscuri che l’hanno favorito, mentre tace i nomi degli avversari anche se celebri. 12 «Il Quaresimale in epilogo del M.R.P. Giacomo Cattaneo agostiniano scalzo insigne predicatore nel Duomo della città di Udine nell’anno 1726. Estro religioso e poetico di Carlo Goldoni veneto. Dedicato all’autorevole merito degl’illustrissimi Deputati della città, dalla tip. di G. B. Fongarino, 1726, in 8°, di p. 44», cfr. E.N.M.I., p. 317, n. 6. Questa raccolta di sonetti è la prima pubblicazione di Goldoni.

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ebbi l’arte di farla comparire alla luce, produssero un effetto mirabile, e ne riportai tutto quel plauso ch’io potea desiderare, e fui in appresso il ben veduto da tutti, e l’invidiato da qualcheduno13. Non mi trattenni però colà lungo tempo, avendo poco dopo seguitato mio Padre a Gorizia; ma mi trattenni colà tanto, che bastò per farmi incontrare due avventure bizzarre, che divertiranno il Lettore, che mi hanno dato motivo di conoscere davvicino alcuni di quegli artifizi donneschi, che ho posti in iscena, e mi giustificheranno, se qualche volta ho caricato un poco la penna contro il bel Sesso. Ecco la prima. Eravi poco distante dalla mia abitazione una giovinetta civile, bella, gentile, ed altrettanto modesta. Mi piacque, e mi posi in capo di amoreggiarla. Se ne accorse la sua Cameriera, ch’era scaltra, maliziosa, e di mala fede. Venne Ella stessa a parlarmi per parte della Padrona, la quale appena mi conosceva, e non erasi accorta della mia inclinazione. Mi fece credere la scaltra donna, ch’io era corrisposto, e felice. Mi trovò facile a prestarle fede, e mi persuase a far dei regali alla Padroncina. Mi domandò fra le altre cose un gioiello di pietre false, che mi costò sei zecchini. Lo comprai, glielo diedi; lo vidi al collo della Signora, a cui la Serva lo aveva venduto per tre zecchini. Faceami andar sotto le finestre la sera, promettendomi, che avrei parlato alla Padroncina. Eravi questa effettivamente, ma vi era ancora la Cameriera. Ella avea dato ad intendere, ch’io era il suo innamorato, e tutte due di me si burlavano. Finalmente la misi al punto di farmi avere qualche maggior sicurezza. Mi disse due giorni dopo, ch’io mi trovassi un certo giorno determinato in Casa di una Lavandaia poco lontano dalla Città. Vi andiedi, pieno di quel foco, che arde la Gioventù. Vi trovai la Cameriera sola. Trovò de’ pretesti, e infine mi domandò per Lei stessa quella corrispondenza, che avrei voluto accordare14 alla sua Padrona. Mi mosse a sdegno, e mi pose in sospetto. Comunicai il mio caso ad una brava donna, pratica del mestiere, e in grazia di uno zecchino, che le promisi, seppe Ella sì bene condursi con la Cameriera, che le cavò di bocca il segreto. Allora usai anch’io dello stesso artifizio. Finsi di esser disposto ad accordarle corrispondenza, la feci andare dalla medesima Lavandaia, e là mi ricattai delle sue menzogne con tutte quelle ingiurie, che la mia collera mi ha suggerite. Ella non facea, che

13 Gli anni di Pavia e del Colosso sono dimenticati e definitivamente riscattati dai riconoscimenti della città di Udine (il Quaresimale, come ricordato, è stato dedicato astutamente dal giovane autore ai «Signori Deputati della città di Udine»). 14 Riconoscere.

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ridere, ed accordare senza scomporsi, cosa che mi avrebbe portato a rompere negli eccessi, se non avessi avuto timore di render pubblica la mia dabbenaggine, e di farmi ridicolo nel Paese15. Per guarir d’una malattia, mi esposi ad un’altra. Ecco la seconda avventura. Mi posi a vagheggiare la figlia di un Caffettiere, men bella, e meno prudente dell’altra. Le cose si avvanzarono a segno, ch’Ella mi dié l’accesso in Casa, in tempo di notte. Era assente suo Padre, ed un suo Fratello, e non eravi in Casa, che la Figlia, la Madre, ed una Serva, tutte tre d’accordo per attrapparmi16. Ardì Ella di farmi passar all’oscuro dalla Camera di sua Madre, per entrar nella sua. Io che non era pratico della Casa, restai di sasso, quando, condotto per mano dalla figliuola, sentii la voce della Madre, ch’era nel letto, e che domandolle, o finse di domandarle, dove andava a quell’ora. Rispose Ella, ch’era andata a bere dell’acqua, e che ritornava nella sua Camera. Così dicendo, mi fece animo colla destra, perch’io la seguissi; tremante, com’era, urtai una Sedia, feci dello strepito, e la Madre credette, o finse di credere, che fosse stata la figlia. Entriamo nell’altra, dove ci aspettava la Serva, affinché la modestia non avesse a soccombere. La Madre, fingendo d’insospettirsi, si alzò, e accese il lume. Qual fu la mia sorpresa nel veder lume nella Camera della Vecchia? La giovine dal canto suo fingeva di essere intimorita, io volea discendere per la finestra; ma il salto mi parve troppo azzardoso. La Madre chiamò, picchiò all’uscio; persona non voleva rispondere17. Diede la Vecchia due colpi assai leggieri alla porta, che essendo debole, e mal chiusa, si aprì. Andò di primo lancio ad assalire la Figlia. La Serva, senza dir parola, sortì. Io mi posi in difesa della Giovine, che 15 La versione dell’accaduto che Goldoni consegna ai Mémoires (frastagliato in veri e propri quadri teatrali) lascia il sospetto nel lettore sulla reale condotta della serva. Che questa fosse, in qualche maniera, non del tutto insensibile al Nostro (o recita meravigliosamente il trasporto amoroso?) In tal senso, tutta la vicenda, è stata costruita ad arte dalla cameriera (di cui, nei Mémoires, conosciamo il nome: Teresa, e la troviamo trasformata in una donna «brutta da fare spavento») per sedurre il giovane inesperto oltre che per carpirgli denaro e regali: «[…] elle me sauta au col, et il fallut bien l’embrasser»; «[…] ella mi salta al collo, e devo baciarla per forza», «Adieu, Monsieur… embrassez-moi»; «Addio, signore… abbracciatemi», «Elle savoit, l’ingrate, oui, elle le savoit, que j’avois de l’inclination pour vous», … «la prudente Thérese me prit par la man, et tournant vers moi ses regards languissans»; «– Vous m’aimez donc, Mademoiselle? (lui dis-je avec tranquillité). – Oui, me réponditelle, en m’embrassant, je vous aime de toute mon ame, et je suis prête à vous en donner les preuves les plus convaincantes» (I, 16, pp. 69-73): trad. it.: «– Voi mi amate dunque, signorina? (le chiesi in tutta calma). – Sì, essa mi rispose, abbracciandomi, vi amo con tutto il cuore, e sono pronta a darvene le prove più convincenti» (Memorie, p. 101). 16 Francesismo: per tendermi una trappola («pour m’attraper»). 17 Francesismo: nessuno («personne») voleva rispondere.

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sapeva piangere, e disperarsi. La Madre si rivolse contro di me; volea sollevare il vicinato colle sue strida, e l’unico modo per acquietarla fu il farle credere, ch’io volessi sposare la sua Figliuola. Allora cambiò di tuono, poiché tutte le smanie non tendevano, che a questo fine. L’ora era tarda per ritornarmene a Casa, la buona Vecchia mi offrì il suo letto, ed io l’accettai. La mattina mi diede da colazione, e mi ricordò la promessa. E come io aveva impiegata la notte in ben riflettere sul mio caso, e sul carattere di tai persone, delusi l’arte con l’arte. Andai il giorno dopo a ritrovar mio Padre a Gorizia; gli confidai il mio caso, e trovò egli il modo di liberarmene18. 18

Ma non sapremo mai come. L’episodio ricorda quello, abbastanza analogo, della bella ammalata di Chioggia, a cui Goldoni ha dedicato il frontespizio in rame del t. v. La situazione è grosso modo la stessa: l’inesperto giovane rischia di cadere negli «artifizi donneschi», ovvero nella trappola concordata della madre e della figlia. Questa volta, a differenza dell’episodio precedente, è il giovane Goldoni (non più inesperto) a comprendere il tranello (il verbo «fingere» spadroneggia dappertutto). Sarà, ancora, il padre a «liberarlo», ma non nel racconto dei Mémoires (I, 17), dove appare, inizialmente, essere all’oscuro dell’accaduto. La vicenda si snoda con delle vere e proprie scene teatrali in successione di grande effetto visivo come, ad esempio, quel passare incauto nel buio della camera da letto della madre, della quale sembra percepirsi lo stare in agguato, silenziosa. Nei Mémoires, stranamente, l’«aneddoto» è pressoché taciuto ed è rinviato, cosa eccezionale, all’edizione Pasquali con una motivazione bizzarra, liquidando l’accaduto come non meritevole d’attenzione, pur convenendo di aver corso «grossi rischi»: «Pour me dédommager du tems perdu, je fis la connoissance de la fille d’un Limonadier, où je rencontrai moins de difficultés, mais beaucoup plus de danger. Je motivai cette seconde anecdote Fourlane dans mon Edition de Pasquali; c’est pourquoi j’ai cru devoir en parler, afin qu’on n’imaginât pas que je fais des contes à plaisir; mais comme l’aventure ne mérite pas d’occuper mes Lecteurs, je passerai sous silence tous les détails étrangers, et je dirai seulement que je courus les plus grands risques; qu’on vouloit me tromper d’une maniere bien plus sérieuse, et que revenant à moi-même, je me sauvai bien vite pour aller rejoindre mon pere» (I, 17, p. 75); trad. it.: «Per rifarmi del tempo perduto, strinsi amicizia con la figlia di un caffettiere e qui incontrai minori difficoltà, ma rischi maggiori. Esposi con dovizia di particolari il secondo aneddoto friulano nell’edizione Pasquali; perciò ho ritenuto di doverne fare cenno anche qui, affinché non si creda che io inventi storie; ma, siccome l’avventura non merita l’attenzione dei lettori, ne passerò sotto silenzio i dettagli trascurabili e mi limiterò a dire che, in quell’occasione, corsi un rischio gravissimo, che mi si voleva imbrogliare in modo molto più serio e che io, ritornato in me stesso, fuggii in fretta per andare a raggiungere mio padre» (Memorie, p. 104). Perché Goldoni tace l’episodio nei Mémoires pur definendolo rischiosissimo? Eppure lo ricorderà, sempre nei Mémoires, almeno tre volte: la prima, dove, come già osservato, lascia credere che il padre non fosse a conoscenza di quanto accaduto: «En prenant la poste à Gorice, je priai mon pere de préférer la route de Palma-Nova que je n’avois pas vue; mais dans le fond, c’étoit pour éviter de passer par Udine, où la derniere aventure me faisoit craindre quelque rencontre désagréable. Mon pere y consentit de bonne foi, et nous y arrivâmes à la premiere dînée» (Mémoires, I, 17, p. 79); trad. it.: «Prendendo la posta a Gorizia pregai mio padre di optare per la strada di Palmanova [la fortezza di Palmanova distava venti chilometri da Udine, n.d.r.] perché non l’avevo mai vista; a dire il vero era per evitare di passare da Udine, dove l’ultima avventura mi faceva temere qualche spiacevole incontro. Mio padre acconsentì volentieri e giungemmo a Palmanova per l’ora di pranzo» (Memorie, p. 108). La seconda: «[…] mais sur l’article de la Limonadiere, en

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Gorizia è Città del Friuli Austriaco, distante da Udine, se ben mi ricordo, dodici, o quattordici miglia. Fu chiamato colà mio Padre per ordine di Sua Eccellenza il Signor Conte Francesco Lantier19, una delle più Illustri Famiglie di quel paese, e della Germania, il quale sosteneva l’importante Carico di Capitano, cioè di Governatore dell’armi di quella Provincia, non meno che della Carnia, e d’altre ancora adiacenti. Soffriva questo degno, ed amabile Cavaliere una cronica malattia d’Urina, ed informato, che mio Padre avea particolare esperienza, e cognizione per questi mali, volle essere medicato da Lui, e lo condusse al suo Castello di Vipacco20, dove ebbi anch’io la fortuna di seguitarlo, e dove si godette per lo spazio di cinque mesi la più amena, la più deliziosa Villeggiatura. Caccie, Pesche, Giardini, conversazioni, cavalcate, feste, giochi, tripudi, niente mancava alla sontuosità del soggiorno. Cercai anch’io di contribuire al divertimento col genio comico che m’inspirava. Eravi un Teatrino di bambocci21. Io era il Capo di questi Attori di Legno, e si recitarono delle Commedie22. Terminata la cura con soddisfazione dell’ammalato, ed avuta mio Padre una generosa ricompensa, lasciammo il Friuli, e si ritornò alla residenza di Chiozza23, dove era rimasta mia Madre, e dove aspettavaci Ella con ansietà. Dopo qualche tempo, mio Padre mi mandò a Modona a me parlant plus en ami qu’en pere, il me fit voir mes torts, et il me fit pleurer» (I, 17, p. 80); trad. it.: «[…] quanto all’avventura con la figlia del caffettiere, parlandomi più da amico che da padre, mi fece notare i miei errori e mi fece piangere» (Memorie, p. 109); e infine: «Je passai en revue tous les événemens qui m’étoient arrivés, et qui auroient pu être dangereux pour moi: la malade de Chiozza, la femme-de-chambre et la limonadiere de Frioul, la satyre de Pavie, et d’autres fautes que j’avois à me reprocher» (I, 18, p. 85); trad. it.: «Passai in rassegna tutte le vicende che mi erano capitate e che avrebbero potuto rivelarsi pericolose per me; l’ammalata di Chioggia, la serva e la figlia del caffettiere in Friuli, la satira di Pavia, e altri errori che avevo da rimproverarmi» (Memorie, p. 115). E, ancora, nel prossimo t. XIV e nel capitolo trentasettesimo dei Mémoires, quando Goldoni si ritroverà ad Udine (e saranno passati ben circa dieci anni) cosa farà il Nostro se non cercare ancora un «fugace incontro con la figlia del caffettiere». Come mai? 19 Il conte Francesco Antonio di Lantieri (1663-1729), gran capitano di Gorizia. 20 Vippacco, oggi Wippach in territorio sloveno; ai tempi del Goldoni era un comune del Goriziano. 21 Pupazzo, fantoccio, marionetta di legno. Nei Mémoires Goldoni ricorda che lo stesso autore, Pier Jacopo Martello (1665-1727), letterato, noto per i suoi versi alessandrini detti «martelliani», assegna alla sua farsa per marionette la definizione di «bambocciata». 22 Tra queste, Lo starnuto di Ercole di Pier Jacopo Martello, espressamente scritta nel 1717, in cinque atti, per il teatro dei burattini, pubblicata nel 1723, e recitata a Venezia nel 1746. Dal racconto dettagliato della commedia che Goldoni ne fa nei Mémoires (I, 17), sembra di riscontrare una similarità con il romanzo Gulliver’s travels (1726) di Jonathan Swift. 23 Nei Mémoires (cfr. I, 17) Goldoni narra di aver fatto, prima del rientro a Chioggia, un lungo itinerario toccando, via via, Lubiana, Graz, Trieste, «Aquileia e Gradisca».

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terminare i miei studi con animo di addottorarmi24. Colà mi riprese fieramente la Malattia de’ Vapori effetti Ipocondriaci crudeli, onde abbandonai lo studio25, e credendo ad ogni momento dover morire, mi diedi alla divozione26. Mio Padre lo seppe; egli era uomo dabbene, ma non bacchettone, e mi volea Cristiano, ma non Santocchio. Mi richiamò Egli a Chiozza, vi andiedi per obbedienza, e in aria penitente, e col collo torto, gli dissi, che io mi sentiva inspirato di farmi Frate. Conobbe egli meglio di me, che i miei Vapori erano la mia inspirazione. Ne fece anche la prova, cercando di divertirmi; e un mese dopo, non si parlò più nè di Chiostro, nè di Cappuccio27. Era in quel tempo Podestà, cioè Governatore di Chiozza, Sua Eccellenza il Signor Francesco Bonfadini28 di gloriosa ricordanza, degnissimo Cavaliere, Patrizio Veneto, che morì poi prestantissimo Senatore, alla di cui nobilissima, e gentilissima Dama Sposa dedicata è la Donna di garbo che è la prima Commedia di questo stesso Volume29. Era 24

Su consiglio e indicazione sempre dello Zavarisi (Mémoires, I, 18). Ritornano i «vapori» goldoniani che avevano fatto la loro apparizione nel tomo precedente, a causa dell’espulsione dal collegio Ghislieri di Pavia. Anche qui in coincidenza con lo studio. 26 Goldoni sorvola su molti episodi dettagliatamente raccontati nei Mémoires (I, 8): l’incontro e le frequentazioni con il religiosissimo corriere Bastia e la vista angosciosa di un inquisito «l’abate G.B.V.» torturato per strada (forse l’abate Giovanni Battista Vicini; però l’episodio, forse realmente accaduto nel 1748, non è attribuibile con certezza al Vicini, che non è, comunque, citato nelle Memorie italiane perché il religioso (1709-1782), qualora fosse stato lui, era ancora in vita). Questi saranno accadimenti che turberanno profondamente il Nostro e lo avrebbero risolto alla decisione di entrare nell’ordine dei cappuccini. Goldoni non cita nemmeno l’intricata storia d’amore con un’educanda presso le suore di San Francesco, gestita in maniera torbida dalla direttrice, tale «suor B***», risoltasi con l’aiuto delle altre suore e con uno stratagemma di comunicazioni visive attraverso delle vetrate e con l’ausilio di lettere dell’alfabeto, che ricorda un quasi analogo episodio nel romanzo La Certosa di Parma (1839) di Stendhal. 27 Rapida la conversione laica del Nostro nella Pasquali; un po’ più tormentata nei Mémoires, ma con identico scioglimento, artefice sempre l’abilità del padre: «Mon pere me proposa de m’emmener à Venise, je le refusai avec la franchise de la dévotion: il me dit que c’étoit pour me présenter au Gardien des Capucins, j’y consentis de bon coeur. Nous allons à Venise; nous voyons nos parens, nos amis; nous dînons chez les uns, nous soupons chez les autres. On me trompe: on m’emmene à la Comédie: au bout de quinze jours, il ne fut plus question de clôture. Mes vapeurs se dissiperent; ma raison revint» (I, 18, p. 86); trad. it.: «Mio padre mi propose di portarmi con sé a Venezia: io rifiutai con la fermezza che mi veniva dalla vocazione; mi disse che era per presentarmi al guardiano dei cappuccini: io acconsentii di buon grado. Andiamo a Venezia; incontriamo parenti e amici; pranziamo dagli uni, ceniamo dagli altri. Mi ingannano: mi portano a teatro a vedere la commedia; dopo quindici giorni soltanto, non si parlò più di clausura» (Memorie, p. 116). 28 Francesco Bonfadini (1701-1760), aveva allora 27 anni. Fu eletto senatore (nel Collegio dei Dieci) nel 1753. 29 Apparsa nel primo tomo dell’edizione Bettinelli (1750), sempre dedicata ad Andriana Dolfin, nobildonna, che sposò il Bonfadini nel 1723 e morì tragicamente nel 1789. 25

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il suo Cancellier Criminale il Sig. Egidio Zabottini di Castelfranco30, uomo integerrimo, e di gran concetto in tal professione, ed era suo Coadiutore il Sig. Stefano Porta31, della Città di Feltre, Giovane di abilità, e d’illibati costumi. Mio Padre, che aveva la maniera di farsi amare, ebbe la fortuna di acquistarsi la protezione del Cavaliere, e l’amicizia del Ministro, onde accordarono fra di loro, ch’io entrassi in quella Cancelleria, sotto la direzione del Zabottini, ed associato al Porta32. Vi entrai senza saper un principio di tal mestiere, ed in tre o quattro mesi di tempo me ne impossessai intieramente, dimodochè il Coadiutor principale facea lavorar me volentieri, per sollevarsi dal peso, il Cancelliere era di me contento, e il Podestà mi prese a proteggere con particolar affezione. La facilità, ch’io trovai in una Professione che par difficile, derivò dal piacere, ch’io sentia nell’esercitarla. Pareva, ch’io fossi nato per questa sola. Proposi di mai più abbandonarla, ma si vedrà in appresso, per qual ragione l’abbandonai33. Non potendo io in tal impiego esercitar il mio genio comico, parevami di essere soddisfatto con un esercizio, che insegna più di ogni altro a conoscere il cuore umano, ed a scoprire la malizia, e l’accortezza degli uomini. L’esame de’ Testimoni, per lo più maliziosi, o interessati, e ancora più l’esame de’ Rei mette in necessità di assottigliare lo spirito per isviluppare la verità34. Faceami specie ne’ primi tempi vedere un uomo attaccato alla corda, e doverlo esaminare tranquillamente, come vedesi nel Frontispizio di questo tomo35; ma si fa l’abito a tutto, e malgrado l’umanità, 30

Cancelliere a Feltre dal 1728 (cfr. D.B.M.I., p. 253). Cancelliere a Bergamo dal 1732 (cfr. D.B.M.I., ibidem). 32 Gennaio 1728. Goldoni ha ventuno anni. 33 Saranno dunque accadimenti casuali a distogliere Goldoni dall’amata professione di cancelliere criminale e ad avviarlo a quella di autore di commedie? E il suo «genio comico»? E la passione per il teatro? 34 Goldoni accosterà sempre la professione di «autor di commedie» a quella di avvocato, per la possibilità che questa attività permette di conoscere a fondo i casi umani, i comportamenti sociali, le morali, i giudizi, insomma, tutto l’agire degli uomini «atto a lavorarsi per il teatro». 35 Il suggerimento di Goldoni al Novelli sul tema dell’illustrazione è rispettato in pieno. Un’immagine classica da feuilleton o da romanzo gotico, con tutte le attrattive di uno sguardo morboso, ma che stride, non poco, con i temi degli altri frontespizi istoriati. Forse Goldoni nel ricordo sovrappone anche l’immagine dello «spectacle affreux» della tortura all’abate Vicini? (vedi qui, n. 26). Da notare l’uso dell’avverbio «tranquillamente» messo in urto con una situazione non certo idillica, come ad indicare la professionalità dell’inquisitore ma anche a volerne contenere la violenza esercitata. Di nuovo vediamo un Goldoni seduto al tavolino a brandire l’immancabile penna e a sfogliare le carte. Il riferimento all’efferatezza dell’immagine è taciuto nei Mémoires. Effetti, tardivi, del Beccaria e del suo Dei delitti e delle pene (1764)? 31

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non si ascolta, che la giustizia, e il dover dell’impiego. Quello che mi recava ancor più diletto, e metteva in impegno il mio spirito, era l’epilogo de’ Processi, con cui dovevasi informare il Giudice, che dovea pronunziar la Sentenza. L’operazion non è facile, poiché conviene esattamente pesare i termini per non aggravare le colpe in pregiudizio del Reo, e non isminuirle in detrimento della Giustizia. Quest’era la parte, in cui io riusciva il meglio, e tanto il mio Cancelliere fu di me contento, che terminato il Reggimento di Chiozza, passò egli a quello di Feltre, e mi volle seco per primo suo Coadiutore, col titolo di Vice Cancelliere. Era il nostro Podestà, o sia Governatore in detta Città 1’Eccellentissimo Signor Paolo Spinelli36, Patrizio Veneto, Cavaliere umanissimo, ottimo Giudice, e di angelici esemplari costumi. Feltre è Città piccola, montuosa, situata nella Marca Trivigiana, Provincia dello Stato Veneto. Ella è antichissima, conosciuta sino ai tempi di Giulio Cesare, di cui dicesi sia quel verso: Feltria perpetuo Nivium damnata rigori 37. In questa Città non vi sono ricchezze, ma non vi è miseria; il terreno è fertile, la gente laboriosa, ma non ha alcun commercio, a cagion della sua situazione lontana da ogni navigazione. Vi è molta nobiltà, antica, e colta. Vi si fanno delle bellissime Villeggiature. La Caccia è abbondante, e i frutti sono squisiti, fra quali sono ricercatissime le Noci Feltrine, come fra le biade riesce colà perfettamente il Grano di Turchia, che ridotto in farina gialla, e di farina gialla in Polenta, serve di nutrimento ai poveri, e di piacere ai ricchi38. Io non mi scorderò mai di un Paese, dove sono stato sì bene accolto, e dove ho soggiornato sedici mesi col maggior piacere del Mondo. Due cose contribuirono alla mia intiera soddisfazione. La buona Compagnia, che ho sempre amata, e desiderata, ed un Teatro nel palazzo medesimo del Podestà, di cui mi pareva poter disporre. In fatti non tardai ad usarne. Legata amicizia con quei principali Signori, divisai di unire una Compagnia 36

Paolo Spinelli, padovano, governatore di Feltre (1729-1730). Si tratta di un distico attribuito tradizionalmente a Cesare: «Feltria perpetuo nivium damnata rigore;/ terra vale posthac non adeunda mihi». Lo stesso verso sarà citato parzialmente anche nei Mémoires e tradotto: «En François: “Feltre toujours livrée à la rigueur des neiges”» (I, 20, p. 92); trad. it.: «“Feltre condannata in eterno al rigore delle nevi”» (Memorie, p. 123). 38 Il granoturco. Spesso il testo goldoniano – l’abbiamo notato – assume le fattezze di una guida turistica, descrive i luoghi, i costumi degli abitanti, le caratteristiche e le attrattive, e talvolta suggerisce utili consigli per i viaggiatori. 37

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di giovani dilettanti, per recitarvi, e mi riuscì l’intento. Si recitarono due Drammi di Metastasio, la Didone, e l’Artaserse39, e vi recitai io medesimo. Come io era il distributor delle parti, ed il direttore dello spettacolo, scelsi per me le ultime parti, e mi riservai di comparire un po’ meglio negl’intermezzi, che composi io medesimo; e questa è la prima volta, ch’io esposi qualche cosa del mio sul Teatro, e là principiai a gustare il piacer dell’applauso, e del pubblico aggradimento40. Due furono gl’intermezzi in allora da me composti, uno comico, e l’altro critico. Il primo era intitolato Il Buon Vecchio41, e consisteva in tre Personaggi: Un Pantalone, Padre semplice, una Figlia accorta, ed un Amante intraprendente. Io faceva quest’ultimo Personaggio, mascherato con diversi abiti, e coll’uso di più linguaggi, tutti però Italiani. Il secondo avea per titolo La Cantatrice42. Conoscea sin d’allora l’arte, e il costume della maggior parte di queste Sirene Armoniche, e delle loro Mamme, e ne feci un ritratto passabile, capace d’instruire, e di divertire. Perduto ho poscia intieramente il primo Intermezzo per la poca cura, ch’io avea delle cose mie; ed avrei perduto anche il secondo, ma è stato esso da qualchedun conservato, e l’ho veduto, qualch’anno dopo, rappresentare in Venezia col titolo della Pelarina, che significa in veneziano una Donna, che pela, cioè, che pilucca gli amanti: e come l’intermezzo riuscì in Venezia felicemente, e altri se ne avea fatto merito, e ne avea ricavato non poco utile43, dissi anch’io col poeta: 39

La Didone è rappresentata nel 1724 a Napoli, mentre l’Artaserse nel 1730. Forse per un evidente errore di date Goldoni nei Mémoires sostituirà l’Artaserse col Siroe rappresentato la prima volta a Venezia nel 1726. 40 Ricordiamo, anche se in altro contesto, che Goldoni aveva già recitato a Perugia, in abiti femminili, come ha raccontato nel t. III. Nei Mémoires sarà molto più sincero e drastico sulle sue qualità di attore: «Je distribuai les rôles adaptés au personnel de mes Acteurs, que je connoissois; je gardai pour moi les derniers, et je fis bien; car, pour le tragique, j’étois complètement mauvais» (I, 20, p. 95); trad. it.: «Distribuii le parti secondo il carattere di ciascuno degli attori che io conoscevo bene; tenni per me le parti meno importanti e feci bene: infatti, per il tragico, non valevo proprio nulla» (Memorie, p. 126). Da notare come il commediografo sottolinei il ruolo svolto di regista teatrale, attività che continuerà a fare per le sue opere, come espressamente dettato dai contratti col Medebach e col Vendramin. Attività non secondaria quella di seguire sulle scene e verificare sul pubblico l’effetto dei suoi testi recitati, questo, anche, al fine di meglio rifinirli e migliorarli prima di passarli, definitivamente, dai copioni al «torchio». 41 L’opera, in dialetto, è andata perduta. Il «buon vecchio», impersonato dalla maschera di Pantalone, ma già con caratteri originali e dissimili da quelli della tradizione, fu recitato da Vittorio Facen (e non Faggen, come Goldoni ricorderà più innanzi). 42 Cfr. Opere, X, pp. 1-29. 43 Fa riferimento ad Antonio Gori (ma senza nominarlo, nemmeno nei Mémoires, I, 35), avvocato, che plagiò la sua opera mutandone il nome in La Pelarina e portandola in scena a Venezia, nel teatro di San Samuele (1734). L’episodio è così citato nei Mémoires: «Un jeune Avocat s’en étoit emparé: il la donnoit comme son ouvrage, et il en recevoit les

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Sic vos non vobis, ecc.44 In questo, per me sì amabile, divertimento passai in Feltre felicemente l’Inverno, e parte della Primavera. L’estate poi trovai la mia delizia nelle Villeggiature, allora quando mi permettea il mio Ministero di profittarne, e talvolta la Carica stessa me ne fornia l’occasione, per visitare i Tagli de’ Roveri, proibiti dalle leggi45, o per esaminare persone, che non poteano venire in Città. Potea mandarvi qualche mio sostituto, ma preferiva il piacere di andarvi io stesso, ed arrischiai più volte la vita, internandomi tra le foreste, occupate da Contrabandieri, e Banditi, contro de’ quali eseguiva la mia spedizione. Mi sovviene aver fatto una volta un giro di dodici giorni, ma accompagnato da altre dieci persone, uomini, e donne d’allegria, ed ottima compagnia. In questi dodici giorni non si è mai pranzato, e cenato nel medesimo luogo, e non si è mai toccato il letto la notte. Dove arrivavasi, erano feste, allegrie, pransi, e cene, e divertimenti. Non voglio ommettere un tratto comico dell’egregio Sig. Vettor Faggen Gentiluomo Feltrino, quello, che sostenne mirabilmente nei miei Intermezzi il Personaggio di Pantalone. Arrivammo alla di lui Campagna improvvisamente, e di notte. L’imbarazzò una truppa di gente, che col seguito de’ Servitori consisteva in venti persone. Rimediò alla cena coi Polli del suo Cortile, ma sprovveduto, per accidente, di pane, e lontano da ogni luogo per provvederne, trovò l’espediente di far in modo, che il poco pane bastasse. Fece scaldare il Forno, fe biscottare il poco pane, che aveva, e lo ridusse a tale secchezza, che non potendo esser mangiato, ne restò sulla Tavola. Io pubblico questo bel segreto per chi si trovasse nel caso di prevalersene46. Né a caso ho parlato di questo viaggio piacevole, poiché per me è stato di conseguenza. Tra le persone, che complimens; mais ayant osé la faire imprimer sous son nom, il eut le désagrément de voir son plagiat démasqué» (I, 20, p. 95); trad. it.: «Se ne era appropriato un giovane avvocato: la dava come opera sua e ne riceveva gli applausi, ma, avendo egli avuto la sfrontatezza di stamparla a nome suo, ebbe il dispiacere di vedere smascherato il plagio» (Memorie, p. 126); e a noi, soprattutto, il piacere di non vedere smarrito l’intermezzo. 44 Sic vos vobis nidificatis, aves è un verso attribuito, non con certezza, a Virgilio (cfr. D.B.M.I., p. 254). 45 Disboscamenti abusivi. 46 L’espediente colpì evidentemente Goldoni a tal punto da ricordarlo (ma non lo farà nei Mémoires). Questo conferma come il Nostro ami le digressioni e inserire nel suo racconto aneddoti e particolari divertenti di una qualche relativa utilità, come può accadere in una conversazione tra amici, e come dichiarerà nei Mémoires: «Voilà une digression étrangere à ces Mémoires, mais j’aime à bavarder quelquefois; et sans courir après l’esprit, rien ne m’intéresse davantage que l’analyse du coeur humain» (I, 18, p. 81); trad. it.: «Ecco una digressione estranea alle Memorie, ma qualche volta mi piace chiacchierare e, pur senza

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componevano sì deliziosa truppa, ve ne era una, che meritava assai, e mi piaceva moltissimo47. Acquistai in tal occasione la sua buona grazia, e a tal segno, che parlossi poco dopo di Matrimonio, e sarebbe stata mia Moglie, se avessi potuto farlo senza il consentimento48 di mio Padre, dal quale ho sempre voluto dipendere. Trovavasi egli in allora non più a Chiozza, ma a Bagnacavallo49, Terra grossa dello Stato della Chiesa, situata nella Legazione di Ferrara, dove aveva Egli rincorrere sempre lo spirito, niente mi interessa di più dell’analisi del cuore umano» (Memorie, p. 110). 47 Goldoni esaurisce troppo brevemente questa avventura amorosa, che, invece, nei Mémoires è più lunga e inizialmente appare ben solida e seria verso la sua «Angelica» (è il nome della donna). Sennonché, a leggerla tutta fino in fondo, facciamo conoscenza con un Goldoni inaspettatamente assai greve nel suo comportamento da innamorato che liquida decisamente ogni prospettiva matrimoniale «riflettendo» sul rapido sfiorire delle bellezze della donna (darà, invece, al padre, più avanti, l’onere di sollevarlo ufficialmente dall’impegno per «non essere provveduto d’impiego»). Quel che stupisce è che il Nostro non ha nessun riserbo nel manifestare le sue grossolane «réflexions» su quella che, poco prima, aveva definito la prima persona che aveva veramente amato: «Il y avoit, dans cette société, deux soeurs dont l’une étoit mariée et l’autre ne l’étoit pas. Je trouvois celle-ci fort à mon gré, et je puis dire que ce n’étoit que pour elle que j’avois fait la partie. Elle étoit sage et modeste autant que sa soeur étoit folle: la singularité de notre voyage nous fournit la commodité de nous expliquer, et nous devinmes amoureux l’un de l’autre […]. La pauvre petite m’aimoit tendrement et de bonne foi; je l’aimois aussi de toute mon ame, et je puis dire que c’étoit la premiere personne que j’eusse aimée. Elle aspiroit à devenir ma femme, et elle le seroit devenue, si des réflexions singulières, et cependant bien fondées, ne m’eussent pas détourné. Sa soeur aînée avoit été une beauté rare; et à ses premieres couches, elle devint laide. La Cadette avoit la même peau, les mêmes traits; c’étoit de ces beautés délicates que l’air flétrit, que la moindre peine dérange: j’en ai vu une preuve évidente. La fatigue du voyage que nous fîmes ensemble l’avoit furieusement changée. J’étois jeune; et si ma femme, au bout de quelque tems, eût perdu sa fraîcheur, je prévoyois quel auroit dû être mon désespoir. C’étoit trop raisonner pour un amant; mais soit vertu, soit foiblesse, soit inconstance, je quittai Feltre sans l’épouser» (I, 20, pp. 94-96); trad. it.: «Della compagnia facevano parte due sorelle, una sposata e l’altra no. Quest’ultima mi piaceva molto e posso anzi dire di avere organizzato l’escursione per lei soltanto. Era tanto saggia e modesta, quanto sua sorella era pazza: la singolarità del viaggio ci diede la possibilità di parlarci e finimmo per innamorarci l’uno dell’altra […]. La povera piccola mi amava teneramente e sinceramente; anch’io l’amavo con tutto il cuore e posso dire che era la prima persona che io avessi amato davvero. Desiderava diventare mia moglie e lo sarebbe stata se alcune riflessioni singolari, ma fondate, non me ne avessero distolto. Sua sorella maggiore era stata di una rara bellezza ma, dopo i primi parti, si era imbruttita. La minore aveva la medesima pelle, le stesse fattezze; era di una bellezza delicata, di quelle che l’aria appassisce e la minima fatica sciupa: ne avevo già avuto una prova evidente. La fatica del viaggio fatto insieme l’aveva enormemente cambiata. Io ero giovane e, se mia moglie avesse perduto la sua freschezza di lì a poco tempo, potevo facilmente immaginare quale sarebbe stata la mia disperazione. Troppo raziocinio per un amante: ma, fosse virtù, debolezza e incostanza, lasciai Feltre senza sposarla» (Memorie, pp. 125-127). Sul cinismo di Goldoni, vedi R. Alonge, Goldoni il libertino, Roma-Bari, Laterza, 2010. 48 Consenso. 49 Piccolo borgo nella pianura romagnola, in provincia di Ravenna. Un’epidemia influenzale particolarmente virulenta, esplosa nell’inverno 1729-1730, aveva fatto richiamare

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ottenuto l’onorevole, e lucrativo impiego di Medico Condotto, cioè da quel Pubblico stipendiato. Gli scrissi anche la mia intenzione, e mi rispose da Padre, e da Amico, facendomi toccar con mano, ch’io non era in istato di maritarmi, non avendo ancora terminato il corso delle Cancellerie, per divenir Principale, e divenir decorosamente Marito, e Padre. Feci vedere la lettera alla giovane non solo, ma ai Parenti suoi, e conclusero tutti, che avrebbero aspettato il tempo, e ch’io doveva sposarla50. Mi cade ora a proposito di rammemorare un fatto, che fece a me dell’onore, e aumentò l’attaccamento, e la speranza della Figliuola, e de’ suoi Congiunti. Un Giovane dipendente di quella Casa ebbe che dire con un garzon bottegaio, e diedegli una ferita. Arrivommi nel medesimo tempo la querela del ferito, e la raccomandazione della Persona, ch’io amava. Non potea servire all’amore, ed alla Giustizia, onde per non mancare né all’uno, né all’altra, pregai il mio Cancelliere di voler egli formare questo Processo, ed intrapresi io di essere l’Avvocato difendente del Reo. La cosa riuscì sì bene, che provando io la necessaria difesa, lo feci assolvere liberamente; e fu allora, che il Cancelliere suddetto, ed il Signor Alessandro Novello di Castelfranco, degnissimo Vicario in quella Curia, e il Potestà medesimo e gli Avvocati della Città mi presagirono, che sarei ben riuscito nell’avvocatura Criminale, come in fatti male non mi riuscì, quando in appresso mi trovai in grado di esercitarla. Terminati i sedici mesi di quel Reggimento, mi convenne partire. Fu quella la prima volta, ch’io conobbi la forza del vero Amore, e la pena d’un violente distaccamento; ma fu forza di superarla, e partii con animo di ritornare a legarmi colla mia Bella. Passai a Venezia, mi trattenni colà qualche giorno, indi m’imbarcai col Corrier di Ferrara, per andar da mio Padre, con animo di pregarlo, e di persuaderlo fidandomi nell’estrema tenerezza, che aveva per me mia Madre. In quella Barca, che chiamasi la Corriera, fra le molte persone, che vi erano, trovavasi un certo giovane Padovano, di bella figura, ma di costumi indegni. M’invitò egli a giocare, ed io, che per mio malanno dalle autorità, a Bagnacavallo, Giulio Goldoni, in qualità di medico supplente. Di questa epidemia fu vittima, probabilmente, lui stesso. 50 Classico espediente teatrale, la lettera. La decisione viene dall’alto e assume una funzione “deliberante”! È evidente che Goldoni spesso approfitti del padre per togliersi da improvvise difficoltà (in genere amorose), scaricando su di lui le responsabilità o la riconoscenza per alcune decisioni o consigli. Anche qui, ogni amore si chiude puntualmente con un volontario allontanamento e una promessa di ritorno disattesa.

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non ho mai saputo dire di no, accettai l’invito51. Il gioco propostomi era un gioco innocente, chiamato il gioco di Cala Carte, in cui vince quello, che è superiore nel numero delle Carte, che ha preso, e quello, che trovasi avere più quantità di Spade, usando Carte Italiane, o più quantità di Picche, usando Carte Francesi. Mescolava egli sì bene le Carte, che ne faceva sempre al doppio di me, ed aveva sempre le Spade in mano. Mi rubbò, e me n’accorsi, ma non ardii di parlare. Arrivati a Ferrara, venne costui a trovarmi all’Osteria del San Marco, dove seppe, ch’io mi trovava. Mi propose il solito divertimento. Io, facendo l’accorto, con un sorriso lo ringraziai. Mi esibì di giocare alla Bassetta52. Io maggiormente m’insospettii, e ricusai. Soggiunse, che s’io aveva qualche sospetto, potea tener io la banca53, e tagliare54, ed avendo io solo le Carte in mano, non aveva niente a temere. La voglia di ricattarmi del Cala Carte, e la poca esperienza di simili bricconate, mi fe cader nella rete. Si fece portar delle Carte; posi il mio danaro su la tavola, e mi accinsi a tagliare col pretesto, che i giochi d’invito55 sono rigorosamente in tutto lo Stato della Chiesa proibiti, andò il Padovano a serrar la porta col chiavistello, e poi si assise, e puntò. Il primo punto fu per me favorevole, e mi consolai. Il secondo venne per lui, mise il paroli56 e lo perdette; io giubilava dall’allegrezza. Al terzo taglio, mostrando collera, e bestemmiando, volle egli mescolare le Carte, e me le rese, dopo di averle ben mescolate. Io faccio il taglio, ed egli mi mette al banco, cioè a tutto il danaro, ch’io aveva sulla tavola, ed era tutto quello, ch’io aveva meco. Mi sgomenta il colpo, e non volea tenerlo. Salta in piedi, s’infuria, e a forza di bestemmie mi persuade, ch’io era in obbligo di tener la posta; dico fra me: arrischiamo. Faccio il taglio, sfoglio le Carte, viene il punto per me favorevole, allungo la mano per prendere il suo danaro, mi dice il bestemmiatore: fermate; prende con dispetto le Carte, ch’io aveva sfogliato, ne trova, o per meglio dire, ne caccia destramente una di più, e grida: Il taglio è falso, la Carta è per me, il punto è mio, ho vinto, e vuol prendere il mio danaro. Io lo voglio difendere, rimproverandolo di Barattiere, egli piccatosi dell’insulto, 51

Ricordiamo le serate passate al tavolo da gioco nel collegio Ghislieri e la partita a carte che avrà luogo per tutta la notte prima della seduta di laurea a Padova. 52 Gioco di carte d’azzardo di origine veneziana, di moda nel Settecento. 53 Il banco ovvero la direzione del gioco. 54 Dividere il mazzo di carte per mischiarle via via nella conduzione del gioco. 55 Giocare d’azzardo con denari, invitando ad alzare la posta. 56 Particolare regola del gioco della Bassetta, per acquisire il banco.

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mette mano ad una pistola, ed io prudentemente gli cedo il campo. Prende egli allora il danaro, e lo mette in tasca, poi mi dice politamente, che gli dispiaceva un tale accidente, ch’era uomo d’onore, e che in altra occasione avrebbe dato la mia revincita, e sempre giocando colla Pistola. Aprì poscia la porta, mi salutò cortesemente, e partì57. Rimasi colà stordito, e rinvenuto poscia del mio stordimento, volea ricorrere alla Giustizia, ma pensai, che essendo il gioco proibito, e soggetto alla stessa pena chi vince, e chi perde, correa pericolo di essere carcerato, e punito, onde presi il partito di non parlare. Nelle mie Commedie non mi sono scordato il mio Padovano, e di là ebbe origine quella collera, con cui mi sono scagliato contro del gioco nella mia Commedia del Giocatore, nella Bottega del caffè, ed in altre, nelle quali ho avuto occasion di parlarne58. Ricorsi ad un amico di mio Padre per aver del danaro, ed avuto il mio bisognevole, presi un Calesso, e me ne andiedi a Bagnacavallo, dove gli accoglimenti, e gli abbracci de’ miei Genitori, e lo stato comodo, e decoroso, nel quale li ritrovai, mi fecero svanir la melancolia, e mi consolarono pienamente. Restai colà qualche mese, non in altro occupato, che a divertirmi; ma il povero mio Genitore cadé ammalato di febre maligna, ed in pochi giorni morì59: e la di lui morte causò una totale rivoluzione ne’ miei affari, ed un cangiamento totale60; come 57 Differente, per non pochi dettagli, è la versione finale dell’accaduto nei Mémoires: «Au bruit de ma voix plaintive et tremblante, un garçon de l’hôtel entre, et d’accord peut-être avec le filou, nous annonce que nous avions encouru, l’un et l’autre, les peines les plus rigoureuses lancées contre les jeux de hasard, et nous menaçoit d’aller nous dénoncer sur-le-champ, si nous refusions de lui donner quelqu’argent. Je lui donnai bien vite un sequin pour ma part; je pris la poste sur-le-champ, et je partis enragé d’avoir perdu mon argent, et encore plus d’avoir été filouté» (I, 21, p. 98); trad. it.: «Allo strepito della mia voce piagnucolosa e tremante, entra un cameriere dell’albergo e, d’accordo, forse, con quel furfante, ci annuncia che avevamo rischiato, l’uno e l’altro, le pene più severe previste per i giochi d’azzardo e minaccia di andare a denunciarci immediatamente se non gli diamo un po’ di denaro. Da parte mia gli diedi in fretta uno zecchino; presi al più presto la posta e partii, irritato per aver perduto il denaro e, ancor di più, per essere stato giocato» (Memorie, p. 130). 58 Il giocatore (1750-51), La bottega del caffè (1750-51), La guerra (1759-60). 59 Il 29 gennaio 1731, all’età di quarantasette anni. Giulio Goldoni fu poi sepolto nella Chiesa di San Gerolamo a Bagnacavallo, il 19 marzo dello stesso anno (cfr. E.N.M.I., pp. 320-21, n. 35). 60 Goldoni racconta, a circa trentacinque anni di distanza, la perdita improvvisa del padre, riassumendola rapidamente in una veloce riga di scrittura, per diffondersi subito sulle preoccupazioni e sui cambiamenti profondi che la scomparsa del genitore procureranno alla sua esistenza, e sulle responsabilità materiali che attendono un giovane di appena ventiquattro anni. Non un giudizio, non una nota di riconoscenza. Non molto differente nei Mémoires dove il momento della dipartita paterna, sebbene sia raccontata con una maggiore partecipazione affettiva, si esaurisce rapidamente: «Je ne m’arrêterai pas ici à

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vedrai, Lettor carissimo, nel Tomo seguente, se avrai la bontà, e la sofferenza di leggere. Dirò solamente qui di passaggio, che la lontananza, il tempo, e le mie circostanze mi fecero a poco a poco scordare la mia bella Feltrina, e credo abbia ella fatto lo stesso dal canto suo, poiché dopo cinque, o sei mesi, non ho più inteso parlarne61.

peindre la fermeté d’un pere vertueux, la désolation d’une femme tendre, et la sensibilité d’un fils chéri et reconnoissant. Je tracerai rapidement les momens le plus cruels de ma vie; cette perte coûta cher à mon coeur, et occasionna un changement essentiel dans mon état et dans ma famille» (I, 26, p. 99); trad. it.: «Non mi soffermerò ora a dipingere la fermezza di un padre virtuoso, la desolazione di una tenera moglie e la sofferenza di un figlio amato e riconoscente. Traccerò i momenti più duri della mia vita; una tale perdita costò cara al mio cuore e fu la causa di un profondo cambiamento nella mia condizione personale come nella mia famiglia» (Memorie, p. 131). 61 La morte del padre contribuisce, un po’ paradossalmente, a fargli scordare l’amore per la bella feltrina, ma l’avere accostato due momenti così differenti, non giova certo a consegnare una bella immagine di sensibilità del Nostro. Nei Mémoires non vi farà cenno.

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TOMO X L’Autore a chi legge*

Proseguisco, Lettor carissimo, a intrattenerti col racconto delle mie avventure, e prendo animo maggiormente a farlo, poiché mi vo accostando al tempo in cui troverai nella mia vita qualche cosa di più interessante, rapporto al cominciamento, ed al seguito della mia intrapresa. Passato dunque a miglior vita mio Padre, e seppellito nella Chiesa de’ Padri di San Girolamo in Bagnacavallo, rimasto io alla testa della famiglia, ricondussi mia Madre, e mio fratello in Venezia1. Si andò ad alloggiare in Casa de’ cugini nostri Bertani, situata nella Parrocchia di San Tommaso, appiè del Ponte di legno, in fondo alla strada, detta la Calle dei Zingani. I Bertani erano parenti di mia Madre2, che nacque da una figlia di Giacomo Bertan, Stampatore, in quel secolo, accreditato, e le di cui edizioni fanno onore al suo nome. Dimorava nella medesima Casa la Sorella di mia Madre, di cui ho altre volte parlato, cioè * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata in Venezia nel 1767. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: La dama prudente (Venezia, 1753); I puntigli domestici (Venezia, 1752); L’amante militare (Venezia, 1751); La casa nova (Venezia, 1761). Il frontespizio rappresenta l’avvocato Goldoni, con indosso la toga forense in uso da Pasqua alla fine di ottobre, nel suo studio a Venezia, nel mentre ascolta due clienti. Il disegno allegorico, in alto, raffigura, come indica Goldoni, a sinistra, la dea della giustizia Astrea e a destra Adria, divinità del mare Adriatico. La citazione che fregia il frontespizio è di Marziale: «Casibus hic nullis, nullis delebilis annis Vivet» (Epigrammi, VII, 84, 7-8); trad. it.: «Né gli anni né i casi della vita si cancelleranno, essi vivranno». Non appaiono i nomi né del disegnatore, né dell’incisore. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra l’aprile del 1731 e il gennaio del 1733; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal ventiduesimo al ventiseiesimo della prima parte. 1 Goldoni si riallaccia al finale del tomo precedente, chiusosi appunto con la morte del padre. Anche qui nessuna parola particolarmente contrita per la perdita del genitore, ma soltanto attenzione agli aspetti materiali e ai problemi organizzativi causati dalla sua scomparsa. 2 Giacomo Bertani, nonno della madre di Goldoni, Margherita Salvioni.

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la Signora Maria Salvioni, che vive al giorno d’oggi, piena ancora di robustezza di corpo, e di spirito, in età di ottanta, e più anni3. Sendo la Casa grande, e assai comoda, ci fu assegnato un appartamento, sufficiente al nostro bisogno. Da lì a qualche mese4 passai a Modona per rivedere i beni Paterni, e prender possesso del fideicommisso5, di cui ho altrove parlato. La Signora Contessa Diana Belincini volea colà maritarmi. Mi fece l’onor di propormi una Giovane assai civile, ch’io conosceva. Feci l’uomo di garbo6, rispondendole, ch’io non potea aderirvi senza il consentimento di mia Madre, e senza essere provveduto d’impiego; ma la cagion più forte si era, che un altro oggetto in Venezia avea di già preoccupato il mio cuore. Dato dunque buon ordine alle cose di Modona coll’assistenza utile, ed amorosa del Signor Francesco Zavarisi, Notaio in detta Città, e mio Cugino; e ammassato tutto quel danaro, che colà potei ammassare, me ne ritornai alla Patria. Voleva io continuare nel mio diletto esercizio di Cancellier Criminale, tanto più, che avea di già i requisiti per divenir principale, ma vi si oppose mia Madre, non con violenza, che non ne era capace, ma colle più tenere dimostrazioni, dissemi, che il Cancelliere non è mai stabile in alcun loco7, ch’ella sarebbe costretta, o a vivere da me lontana, o a seguitarmi per tutto, con doppia spesa, e con grave incomodo; soggiunse, ch’ella avrebbe desiderato, ch’io mi stabilissi in Venezia, e intraprendessi la professione dell’Avvocato; ch’io poteva addottorarmi in Padova, ed avrebbe Ella pensato alla spesa; e colle lagrime agli occhi, mi fe acconsentire al di lei progetto8. Mi piacque di contentar mia Madre, ma fui ancor più contento, quando comunicato il pensiere alla persona amata lo vidi da essa con allegrezza approvato. 3 Sorella di Margherita e zia di Goldoni. Nata nel 1683, l’età è da situarsi tra gli ottantadue e ottantaquattro anni. 4 Siamo nel 1731, in aprile. Goldoni ha ventiquattro anni. 5 Fedecommesso. Antica disposizione del diritto successorio in base alla quale chi ha disposto un testamento impone all’erede di conservare e trasmettere il patrimonio ereditario ai discendenti, senza alienarlo. 6 Comportamento corretto, da galantuomo. 7 Nei Mémoires l’impiego di cancelliere è definito dalla madre «emploi de Bohémiens» (I, 21); un «impiego da zingaro» (Memorie, p. 131). 8 Goldoni non è propriamente alla «testa della famiglia» come inizialmente dichiarato, ma continua ad ubbidire alle direttive, sia pure amorose, della madre più che mai decisa ad avviarlo verso la professione di avvocato. Un pochino più di contrasto si avverte nel racconto dei Mémoires: «A mon arrivée à Venise, tous nos parens, tous nos amis s’unirent à ma mere pour le même objet; je résistai tant que je pus, mais enfin il fallut céder» (I, 21, p. 99), trad. it.: «Al mio arrivo a Venezia, tutti i nostri parenti si unirono a mia madre in vista del medesimo fine; mi opposi finché potei, ma alla fine dovetti cedere» (Memorie, p. 131).

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Due erano le difficoltà per riuscirvi; l’una, che per legge, i sudditi Veneti, che vogliono addottorarsi in Padova, devono far i loro studi in quella Università, e consumarvi cinqu’anni; l’altra, che avendo io perduto di vista lo studio delle leggi civili, e canoniche, per abbandonarmi a quello della pratica criminale, avea bisogno di riprendere quell’esercizio per mettermi in istato di ottenere la Laurea. Rispetto alla prima difficoltà, come i Forestieri sono esenti in Padova dall’obbligo dei cinqu’anni, e come io sono oriondo di Modona, mi fu fatta grazia, benché nato, io, e mio Padre in Venezia, e fui ammesso al Dottorato de’ forestieri. Circa alla seconda difficoltà, siccome non ho mai mancato di coraggio in simili incontri, mi lusingai di potermi mettere in poco tempo in istato di espormi al pubblico esame, fondandomi anche sulla prevenzione, che la cosa era ridotta alla più comoda facilità. Ricorsi al Signor Gio. Francesco Radi9, Avvocato Veneto, amico mio fin dall’Infanzia, uomo di talento, e buon conoscitore delle Leggi comuni, non meno, che di quelle del nostro Foro. Ripassai coll’aiuto suo, in termine di sei mesi, tutto il corso legale, m’instruì egli del metodo che si tiene in Padova per conferire la Laurea, e si esibì di accompagnarmi, e di assistermi nell’occasione. Accettai l’esibizione cortese, e ci portammo in Padova unitamente. Fatto colà il deposito del danaro (parte esenzialissima del Dottorato), fatte le visite di rispetto, e di convenienza a tutti quei, che compongono quel collegio, scelto per Promotore il Dottor Pighi10, celebre Professore in quella Università, si deputò la giornata per l’estrazione de’ Punti, e la susseguente pe’l dottorato. Il zelantissimo Signor Abbate Dottore Arrighi11 Corso di Nazione, e Lettore Primario nella Università di Padova, veggendo con quanta facilità si facevano i Dottorati avea ottenuto un decreto, in virtù del quale i giovani, pria d’esporsi alla grande azione, dovevano essere esaminati particolarmente, ed era proibito rigorosamente a quelli, che dovevano argomentare contro del Candidato, fargli la politezza12 solita di comunicargli la sera innanzi gli argomenti medesimi, affinché non avesse l’incomodo di rispondere all’improviso. Passato io dunque alla Casa del Signor Abbate per semplice cerimonia, e non instruito del 9

Giovanni Francesco Radi, giovane avvocato. Siamo alla metà del 1731. Lodovico Pighi, veronese (1682-1768), «uomo di mediocri talenti ma di onorati costumi» (cfr. E.L.ME., p. 175). 11 Antonio Arrighi, abate, (1689-1765) insegnò nell’università di Padova dal 1727 fino all’anno della morte. 12 L’attenzione, la cortesia. 10

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nuovo metodo, ebbe egli la bontà di avvertirmi di tutto questo, e nel tempo medesimo mi fece l’onore di esaminarmi egli stesso con tutto il rigore possibile, balzando colle interrogazioni qua, e colà per tutto il corso legale. Confesso, che una tale sorpresa m’imbarazzò non poco, e le mie risposte non lo contentarono intieramente, dimodocché ebbe la bontà di dirmi, che mi consigliava a meglio riflettere, pria d’espormi al cimento. Pensai un momento; poi gli risposi con arditezza, ch’io era andato a Padova per questo, che la mia riputazione non mi permetteva di ritornarmene così vilmente, che la sorpresa mi aveva intimidito per quel momento, ma che mi sentiva bastante coraggio per azzardarmi. Parve un poco piccato della mia franchezza. Mi disse: domani ci rivedremo, e mi congedò13. Arrabbiato, piucché avvilito, tornai all’albergo, comunicai all’amico Radi la conversazione avuta col suddetto Lettor Primario. Stupì egli di una tal novità: disse, che se tal rigore avesse avuto lunga durata l’Università avrebbe molto perduto, e in fatti l’anno dopo fur rimesse le cose al primiero sistema14. Intanto toccò a me a resistere a questo fuoco. Mi posi a ripassare i Punti Legali, che mi aveano toccato in sorte15, studiai la materia seriosamente; fecemi il buon amico tutti quegli argomenti, che gli suggerì il suo talento, ed io male non rispondeva, ma siccome l’esito dipende moltissimo dalla memoria, e che la ripetizione degli argomenti malfatta, o la falsa citazione di un testo può rovinar il merito di un Candidato, tremava internamente, malgrado il coraggio, ch’io dimostrava. In mezzo alle mie più serie occupazioni, ed alla più interessata assistenza dell’amico ecco degli Scolari che vengono al solito a ritrovarci, e per passar la sera con noi. La civiltà16 non vuole, che si ricusino. Si burlano della novità del rigore, e della mia apprensione, dicono, che non conviene affaticare lo spirito soverchiamente, e che convien divertirsi17. Ci propongono di giocare. Fan venire delle Carte. Uno di essi propone il gioco della Bassetta, fa la Banca, e taglia. L’amico mio, che amava il gioco, si lascia sedurre, e punta; Io che non era più virtuoso di lui, metto a parte i punti legali, e prendo quei delle Carte. 13

Nei Mémoires (I, 22) è riportato un lungo, asciutto dialogo. Si ritornò al «primiero sistema», ovvero si resero partecipi, preventivamente, i laureandi degli argomenti su cui dovevano elaborare la discussione di laurea. 15 Secondo quanto scrive Goldoni nei Mémoires, gli argomenti estratti furono «le successioni degli intestati» e «la bigamia» nel diritto canonico. 16 La buona educazione, il convivere civile. 17 Riecheggia l’atteggiamento dei compagni del Ghislieri di Pavia. Goldoni ama apparire tentato dalle suggestioni e dai consigli di amici scapestrati (invece è sempre padrone delle sue azioni). 14

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Io prendo il mio danaro, l’amico il suo. Si passa la notte, e il nuovo Sole ci trova al tavolino giocando. Ecco il bidello dell’Università, che viene per risvegliarci, e per avvertirci, che l’ora si approssimava. Poca fatica abbiamo fatto a vestirci. Se ne andarono gli Scolari col nostro danaro augurandoci miglior fortuna. L’amico, ed io non osavamo guardarci in faccia. Prendo i punti legali in mano, e appena poteva leggere. Penso un poco, mi scuoto, mi riscaldo, mi fo animo, e dico: andiamo. Si arriva al Collegio, mi destinano una Stanza per ritirarmi; richiamo tutti i spiriti sconcertati; li riunisco al solo punto d’onore. Viene il momento fatale; entro nell’assemblea de’ Dottori18, non guardo in faccia a nessuno. Salgo alla cattedra col Promotore, faccio la recita de’ miei punti, e la memoria mi serve felicemente. Eccoci agli argomenti. Ascolto il primo; lo riassumo, e sbaglio una citazione. Il mio Promotore vuol suggerirmi. Si oppone il zelantissimo Signor Dottore Arrighi. Io mi ricordo del domani ci rivedremo, riprendo forza, e rispondo, al primo argomento, ed agli altri in seguito, non come un difendente risponde, ma come fatto avrebbe un assistente, facendo tante dissertazioni quanti erano gli argomenti, senza il metodo ordinario Scolastico, senza faticar la memoria colla materiale inutile ripetizione delle parole, e delle citazioni dei Testi, ma facendo conoscere, ch’io possedeva la materia, ch’era informato delle questioni, e che la Scienza del Jus comune non consisteva nella ripetizione degli argomenti, ma nella cognizione del Codice, e dei Digesti19. Non so se male, o bene parlassi, ma so, che l’audacia, e tuono di voce, e la velocità del discorso ha prodotto un movimento estraordinario in tutto quel venerabile consesso, con delle dimostrazioni d’applauso, seguite da una pienissima ballottazione20 favorevole, pubblicata poi dal Bidello col nemine penitus, penitusque discrepante21. Aperte allora le porte, entrava entro molta gente. Vidi l’amico Radi, che si asciugava gli occhi, piangendo per tenerezza, e vidi i Scolari, che mi avevano trattenuto la notte, e che ridevano, non so, se per piacere di vedermi contento, o per quello di avermi vinto il danaro. 18

La commissione dei docenti. Definizione assegnata, nella letteratura giuridica, ad un’opera che raccolga tutti gli scritti di un autore o di un gruppo di autori. È comunemente usato per indicare la compilazione di diritto romano voluta dall’imperatore Giustiniano. 20 Votazione. La discussione della tesi appare come una sorta di straordinaria recita da primo attore, con l’aggiunta degli applausi finali da parte degli «uditori». 21 Goldoni conseguì la laurea il 22 ottobre 1731, con giudizio unanime. Ma fa notare Ginette Herry che «secondo l’archivio dell’università [Goldoni] fu dichiarato dottore soltanto con i due terzi dei voti» (Cfr. G.H.B.R., p. 118). 19

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Il Dottor Pighi mio Promotore fece allora la solita cerimonia, dandomi in Nome dell’Università gli onori, e le facoltà Dottorali, formando il solito elogio al suo candidato, e come egli era uomo di talento, pronto di spirito, e buon Poeta, terminò con alcuni versi, che non poteano esser fatti, che all’improvviso, poiché alludevano alla maniera mia di rispondere, non usitata, e calcolata da lui per la migliore di tutte. Terminate le Solennità ordinarie22, scesi dal posto, ed accolsi le congratulazioni di tutti23, ma quelle, che più mi piacquero, furono le congratulazioni dell’Abbate Arrighi, e lo ringraziai di avermi messo a quella disperazione, che dato mi aveva il maggior vigore. Ritornato alla Locanda coll’amico Radi, e fatte le nostre riflessioni sull’accaduto, consolandoci dell’esito fortunato, rivolgemmo i nostri pensieri alle nostre saccoccie, sicuri che la Laurea Dottorale non ci dava il modo di pagar la Locanda, né di supplire alle altre spese occorrenti. Vi erano ancor delle mance indispensabili da pagarsi. Vuole il costume, che si presenti una guantiera d’argento al Promotore24; Evvi la spesa del Privilegio in Pergamena25. Dovevasi pagar il viaggio di ritorno in Venezia. Mia Madre mi aspettava, mi aspettavan gli amici, e non volea far sapere la mia condotta. Qual partito si avea a prendere in tale occasione? Io avea un diamante in dito di qualche prezzo, confidatomi dalla mia Bella. L’impegnai, e mene prevalsi26. Lo ricuperai qualche mese dopo, ma quante invenzioni mi costò il nascondere la verità! Sic22

I rituali. L’episodio ricorda quanto raccontato nell’Autore a chi legge (e nell’illustrazione) del t. II, quando lo studente Goldoni del tutto impreparato in latino, ma, punto dall’orgoglio, si dà «animo nell’esame», supera la prova «del passaggio» e finisce con l’essere addirittura incoronato «imperatore dei romani». 24 Vassoio. Per quanto attiene il dono della «guantiera» la versione presente nei Mémoires è diversa: il vassoio d’argento è donato da Goldoni al Promotore Pighi, prima della seduta di laurea e non dopo: «Arrivés dans la grande Ville des Docteurs, nous allâmes d’abord chez M. Pighi, Professeur en droit civil, pour le prier de vouloir bien être mon Promoteur; c’est-à-dire celui qui, en qualité d’assistant, devoit me présenter et me soutenir. Il m’accorda la grace que je lui demandai, et il reçut avec beaucoup d’honnêteté un cabaret d’argent dont je lui fis présent» (I, 22, p. 101); trad. it.: «Giunti nella grande città dei dottori, andammo in primo luogo dal Signor Pighi, professore di diritto civile, per pregarlo di acconsentire a essere mio promotore, cioè colui che, in qualità d’assistente, doveva presentarmi e sostenermi. Mi concesse il favore che gli domandai e accettò molto cortesemente il vassoio d’argento che gli offrii» (Memorie, p. 134). 25 Il certificato di laurea. 26 L’episodio dell’anello non è presente nei Mémoires, ed è non semplice individuare chi fosse mai la «bella», sempre che sia per davvero esistita e l’episodio non sia un’invenzione e il «diamante» appartenga soltanto alla Rosaura del Giocatore. Ma se quanto raccontato è realmente accaduto, l’anello potrebbe essere quello che la matura signora «Mar***», che conosceremo tra poco, gli aveva donato durante la loro relazione (cfr. G.H.B.R., p. 130). 23

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come il gioco era stato la Causa di tal disordine, me ne son ricordato nella mia Commedia del Giocatore, allora quando Florindo impegna il gioiello di Rosaura27. Ritornato in Venezia, e consolata sopra tutti mia Madre, ricorse ella a mio Zio Indrich28, di cui altrove ho parlato, acciò mi mettesse nello Studio di qualche buon’ Avvocato, affine ch’io facessi la pratica necessaria per esercitare tal professione, e necessaria per ottenere il Mandato, cioè la permissione di esercitarla in Venezia. Mio Zio in fatti mi appoggiò ad uno de’ più accreditati, e de’ più onesti Avvocati di quel tempo, il Signor Carlo Terzi. Consumati i due anni di pratica, dalla legge voluti, mi esposi all’esame ordinario, al Magistrato Eccellentissimo de’ Censori; ottenni subito il mio Mandato29; vestii la Toga Forense, e furono miei Compari, cioè assistenti amichevoli in tal funzione il celeberrimo Signor Avvocato Sebastiano Uccelli, ed il Signor Fiscale Roberti, e presi alloggio nella Parrocchia di San Paterniano, in una Casa del fu Signor Andrea Ceroni Interveniente, o sia Sollicitatore, situata sopra il Ponte storto, e sopra il Rio, cioè sul canale detto di San Paterniano, coll’entrata in una picciola strada che per di dietro alla Casa stessa, conduce al Canale, e dove abitava in quel tempo il prefato Signor Sebastiano Uccelli. Osserva, Lettore mio gentilissimo, osserva il tuo Goldoni nel Frontispizio di questo Tomo, e vedilo colla Toga Forense, all’uso degli Avvocati del suo Paese. Se tu non sei Veneziano, e se mai ti trovassi in detta Città, sappi, che il vestimento, onde la figura è abbigliata, è quello, che usasi nella Primavera, e nell’estate, e si prende ordinariamente a Pasqua, e portasi sino tutto il mese d’Ottobre30. Un Avvo27

Cfr. Il giocatore, (C. Goldoni, Il giocatore, a cura di A. Zaniol, Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2003). 28 Nei Mémoires, invece: «Arrivé à Venise, aprés avoir embrassé ma mere et ma tante, qui étoient au comble de leur joie, j’allai voir mon oncle le Procureur, et le priai de me placer chez un Avocat, pour m’instruire des formes qui se pratiquent au Barreau» (I, 23, p. 105), trad. it.: «Giunto a Venezia, dopo aver abbracciato mia madre e mia zia che erano al colmo della gioia, andai a fare visita allo zio procuratore e lo pregai di sistemarmi presso un Avvocato, affinché divenissi esperto delle formalità che si praticano presso il tribunale» (Memorie, p. 139). 29 Goldoni entra nell’ordine degli avvocati il 20 maggio 1732, quindi, come fa notare il Loehner, molto meno (sei mesi) dei due anni dalla laurea (22 ottobre 1731) come dichiarato (cfr. E.L.ME., p. 180). 30 Il disegno non ricalca fedelmente la descrizione dell’«ormesino» che ne dà Goldoni. L’illustratore avrebbe dovuto disegnarlo in una posa in piedi, invece ha preferito rappresentare uno studio legale con il Nostro seduto e intento a discutere con due clienti. Questo perché, probabilmente, un secondo ritratto in toga poteva apparire una ripetizione dell’illustrazione del t. VIII, in cui il giovane Goldoni è rappresentato in divisa di collegiale del Ghislieri, a Pavia (una divisa assai simile, del resto, a quanto qui descritto: una «Toga,

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cato, vestito come tu vedi, dicesi essere in ormesini31, tratta la parola dall’ormesino, ch’è il drappo di seta, con cui si forma la sottoveste, ed il gonnellino, e con cui si fodera la lunga, e vasta Toga, che in detto tempo si porta aperta, come tu vedi. Negli altri tempi, portasi la Toga affibbiata con una cintura di velluto nero, adornata di varie lamine lavorate d’argento, e con larghe liste di Pelli attaccate dall’alto al basso all’orlo della parte diritta, che copre l’altra, ed alle maniche di detta Toga, le quali pelli si cambiano, secondo la stagione più o meno avvanzata, e le une si chiamano Dossi, e le altre Vari32. Le maniche tanto nell’estate, che nell’inverno, fra il gomito, ed il polso si allungano verso terra, e formano una specie di sacco, o di tasca, che serve per riporvi le cose, che portansi ordinariamente sopra di sé, poiché l’abito, sia in pelli, sia in ormesini non ha saccoccie. Portasi ancora affibbiato alla spalla sinistra un pezzo di panno nero, della lunghezza di una canna33 in circa, e di due palmi in circa di largo, il qual panno discende egualmente, parte sul dinanzi, e parte al di dietro della persona, sino alla cintura, e sino al gomito. Chiamasi questo panno la Stola, molti non la portano, specialmente in estate, ma è necessaria in tutte le occasioni di pubblicità, o di cerimonia, e quando l’Avvocato presentasi ai Tribunali, dee distaccar la Stola dal sito ordinario, e per segno di rispetto, e di sommissione la ritiene attraversata al braccio sinistro, fra il gomito, e il polso. Aggiungerò in questa occasione, che l’abito degli Avvocati in Venezia è simile in tutto a quello dei Patrizi generalmente, a riserva di quando alcuni di essi occupano le dignità principali della Repubblica, e portano le vesti, che si dicon Segnate, o rosse, o violate, o di panno, o di seta, secondo le cariche e le stagioni. Eccomi dunque vestito di un abito rispettabile, e decoroso, ed adornato di un titolo, che ho sempre apprezzato, e conservato con

che in detto tempo si porta aperta»). Il Novelli (se è stato lui, ma i tratti sembrano confermarlo) pare aver avuta maggiore ispirazione dal racconto delle attese dei clienti da parte del giovane avvocato, se lo ritrae nel suo studio, alla scrivania in ascolto di due «litiganti», riprendendo (ed economizzando) il disegno del t. VI, ovvero lo studio del Procuratore Indrich, dove dieci anni prima, il futuro avvocato aveva iniziato a far pratica presso lo zio. Infine, è da notare come sia eccessivamente didascalica (e prolissa) l’accurata descrizione dell’abbigliamento che ne fa l’autore, attenta a particolari del tutto superflui ai fini del racconto. Attraverso l’accuratezza descrittiva dell’abbigliamento, Goldoni forse vuole fermare l’attenzione del lettore sull’importanza di un ruolo professionale, come dirà più innanzi, «rispettabile», «decoroso». 31 Tessuto pregiato di seta, molto leggero, originario dell’antica Persia. 32 Stola di pellicce. Il vaio è un animale siberiano simile allo scoiattolo. 33 Antico metodo, in voga, di misura; equivaleva ai due metri.

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gelosia, ponendolo in fronte alle opere mie34, malgrado l’abbandono dell’esercizio, né mai per qualunque evento lascierò di gloriarmene, sperando di non avermene reso indegno, e che non ostante la distanza, in cui sono, sarà conservato il mio nome al Magistrato Eccellentissimo de’ Censori fra il ruolo degli Avvocati, poiché, come disse Marziale in altra occasione, e come trovasi inciso sotto il frontispizio suddetto, Casibus hic nullis, nullis delebilis annis Vivet35. Astrea, che mi ha adottato per figlio, e 1’Adria36 mia clementissima Madre, e Protetrice, e Sovrana furono da me a questo fine collocate al dissopra del Quadro, ed il mio nome fra le loro mani è in sicuro37. Torniamo a noi; torniamo a riprendere il filo del ragionamento interrotto. Contento io era per una parte del novello mio impiego, ma per l’altra rincrescevami in quei primi tempi vedermi disoccupato. Il mestiere dell’Avvocato è il più utile, e il più decoroso del mondo, ma convien fare un lunghissimo noviziato, prima di essere conosciuti; pochi arrivano ad essere di quelli del primo rango, che sono i soli felici, e tutti gli altri restano nella turba de’ malcontenti. Non so a qual grado foss’io arrivato, se continuato avessi per lungo tempo in un tale esercizio. So bene, che i miei principi sono stati assai fortunati, e che tutti mi presagivano buona sorte. Non ho portata la Toga, che otto mesi soli38, e in otto mesi ho trattato due cause, fra le quali una di 34 La lunga descrizione dell’abbigliamento, l’esaltazione della ricercatezza del vestito, ha evidentemente la finalità di rimarcare l’importanza del titolo conseguito, dell’«onorata professione» di cui Goldoni si glorierà sempre, anche nei frontespizi delle sue edizioni, «malgrado l’abbandono dell’esercizio», e non ultimo proprio nell’edizione Pasquali. Non così puntiglioso sarà, invece, nei Mémoires nel ricordare l’abbigliamento e l’onorabilità della professione di avvocato. 35 Marziale, Epigrammi, 1, VII, 84, 7-8. Nel frontespizio per un errore di stampa è riportato «Vires». 36 Astrea, nella mitologia greca, è la dea della giustizia, mentre Atria, ninfa dell’Adriatico, corrisponde all’odierna Adria (Rovigo), nata in epoca romana, e che darà il nome al mare Adriatico. Qui, però, Goldoni si riferisce a Venezia. 37 Probabilmente questa è l’indicazione al disegnatore per le due figure statuali che adornano il festone del frontespizio. 38 Maggio 1732-gennaio 1733, secondo le ricerche del Loehner, cfr. “Archivio veneto”, cit., p. 51. Nei Mémoires è decisamente più dettagliato e amaramente comico il racconto dell’iniziale tirocinio del giovane e inesperto Avvocato: «J’allai donc au milieu de mes deux Comperes, au bas du grand Escalier, dans la grande Cour du Palais, faisant pendant une heure et demie tant de révérences et de contorsions, que mon dos en étoit brisé, et ma perruque étoit devenue la criniere d’un Lion. Chaque personne qui passoit devant moi, disoit son mot sur mon compte; les uns, voilà un garçon qui a de la phisionomie; les autres, voilà un nouveau balayeur du Palais; quelques-uns m’embrassoient, d’autres me rioient au nez» (I, 23, pp. 105-106), trad. it.: «Procedendo in mezzo ai due compari

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grandissima conseguenza39, cosa assai rara nel nostro Paese, dove un giovane Avvocato dura fatica, dopo un più lungo tempo, ad esporsi, poiché non è facile a ritrovar la persona, che voglia confidar la sua causa alle mani di un principiante. Io aveva dato qualche saggio di me nell’Accademia del Dottore Ortolani, famoso per gli allievi da lui fatti nello Studio legale, e famoso altresì, perché essendo egli divenuto cieco del tutto, non voleva esserlo, e non lo pareva. Vi sono in Venezia varie di queste Accademie, nelle quali si esercita la gioventù, che vuole incamminarsi per la via dell’Avvocatura. Si figura una Causa fra due, o più persone. Due Accademici prendono a difendere una parte, e due l’altra. Si disputa alla maniera del Veneto foro. Gli astanti sono i Giudici, si presenta una pallottola a ciascheduno di loro, e ponendola essi nell’urna, o per il sì, o per il no, i difensori dell’una parte, o dell’altra vincono l’opinione, e gli altri la perdono. Mi ricordo aver io proposto in detta Accademia il caso, che ho poi disteso nella mia Commedia dell’Avvocato40, e mi sovviene che cedendo io la miglior Causa ai miei avversari, mi ha toccato difender la Giovane, e sostenere la donazione. Ho perduto, egli è vero, ma so, che la mia disputa non mi fe disonore41. mi portai ai piedi dello scalone, nell’ampio cortile del palazzo, continuando a fare, per un’ora e mezzo, inchini e contorsioni varie, tanto da averne la schiena a pezzi e la parrucca ridotta a una criniera leonina. Tutti quelli che mi passavano davanti non mancavano di dire la loro sul mio conto: chi diceva: ecco un ragazzo che ha portamento, e chi, invece: ecco ancora uno spazzino del palazzo; alcuni mi abbracciavano, altri mi ridevano in faccia» (Memorie, p. 140). 39 Di notevole effetto. 40 L’avvocato veneziano, commedia rappresentata nella stagione teatrale 1749-1750, interpretata da Cesare D’Arbes. 41 A questa altezza, ovvero agli inizi del difficile tirocinio di giovane avvocato, nel mentre sta «costruendo castelli in aria», Goldoni inserisce nei Mémoires il racconto di uno strano incontro con «una donna di una trentina d’anni, non brutta d’aspetto», che vistosamente lo adula, ma dalla quale istintivamente diffida. Goldoni difatti la sottopone ad una raffica di domande fino a scoprire che si trova di fronte ad una «sollecitatrice di processi», ben introdotta nel Tribunale, e che gli propone incarichi non di prestigio, ambigui, ma ben retribuiti di cui lei è procuratrice. Il giovane avvocato si ritiene offeso dalla proposta e ribatte subito: «Ma bonne, lui dis-je, vous avez parlé, je vous ai laissé dire; je vais parler à mon tour. Je suis jeune, je vais commencer ma carriere, et je desire des occasions de m’occuper et de me produire; mais l’envie de travailler, la démangeaison de plaider, ne me feront jamais commencer par les mauvaises causes que vous me proposez […], non, vous ne me connoissez pas; je suis homme d’honneur […]» (I, 23, p. 108); trad. it.: «Mia cara, le dissi, voi avete parlato e io vi ho lasciato dire; ora parlerò io. Sono giovane, sto per cominciare la mia carriera e desidero occasioni che mi tengano occupato e mi facciano conoscere; ma il desiderio di lavorare, la smania di arringare, non mi faranno mai incominciare dalle pessime cause che mi proponete […], no, voi non mi conoscete; io sono un uomo d’onore […]» (Memorie, p. 142). Ma la storia finisce con un classico coup de théâtre, la donna, alla fine, si rivela essere addirittura una spia inviata per sondare le sue

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Nell’ozio, in cui io era obbligato di vivere, il dopo pranzo, dovendo restare in casa, nel mio Mezà42 per aspettare, se la fortuna volea mandarmi de’ litiganti, o almeno per acquistare concetto di giovane attento, ed attaccato al mestiere, mi si risvegliavano in mente di quando in quando le idee Teatrali; ma siccome la Toga Forense mi aveva inspirata la serietà, invece di pensare a Commedie, rivolsi l’animo alle opere Musicali, e composi un dramma per musica, intitolato Amalasunta43, Opera di mia testa, di mia invenzione, ma per la quale avea spogliato bastantemente la Didone, e l’Issipile di Metastasio44. Ciò non ostante, mi pareva di aver fatto moltissimo, ed era assai contento della mia produzione. Ho trovato de’ lodatori, che mi hanno un po’ insuperbito, ed ho tenuto quest’opera presso di me con grandissima gelosia, finché, trovandomi poi a Milano, ne rimasi disingannato; come avrò occasione di dire, allorché parlerò del mio viaggio nella Città suddetta45. Un’altra opera ho fatto, in que’ tempi d’ozio, e vuò parlarne (ben-

doti di onestà: «Elle me prend par la main, et me dit d’un air sérieux: Bravo. Continuez toujours dans les mêmes sentimens […]. Adieu, Monsieur, soyez toujours sage, soyez toujours honnête, et vous vous en trouverez bien; – elle s’en va, et je reste interdit. Je ne savois ce que cela vouloit dire, mais je sus depuis que c’étoit une espionne, qu’elle étoit venue pour me sonder, et je ne sus et ne voulus savoir qui me l’avoit adressée» (ibidem); trad. it.: «Ella mi prende per mano e mi dice in tono serio: Bravo. Continuate sempre così. Addio, Signore, siate sempre saggio, siate sempre onesto e vi troverete bene. Si allontana e io rimango stupito. Non capivo cosa volesse dire, ma venni a sapere, in seguito, che si trattava di una spia, venuta per mettermi alla prova. Quel che non seppi, né volli sapere, è chi me l’avesse mandata» (Memorie, p. 143). 42 Voce dialettale veneziana, sta per “ammezzato”, mezzanino, locale dove Goldoni aveva collocato il suo studio (cfr. D.B.M.I., p. 256). 43 Sembra disdicevole per Goldoni comporre commedie vestendo la toga forense, non così per le opere musicali, decisamente più serie, drammatiche, e quindi consone al ruolo. Non sappiamo quanta autoironia si nasconda in questa frase, poiché l’autore confesserà di lì a poco di aver scritto addirittura un lunario, in cui ogni «pensiero poteva servir da soggetto a una commedia». Lo ribadirà nei Mémoires: «L’envie me reprit alors de revenir à mon ancien projet, et j’ébauchai quelques pieces; mais faisant réflexion que le genre comique ne convenoit pas infiniment à la gravité de la robe, je crus plus analogue à mon état la majesté tragique, et fis infidélité à Thalie, en me rangeant sous les drapeaux de Melpomene» (I, 24, p. 112); trad. it.: «Allora mi si risvegliò il desiderio di tornare al mio vecchio progetto e abbozzai qualche lavoro; ma, osservando che il genere comico non era troppo conveniente alla gravità della toga, pensai che la maestà tragica meglio si confacesse alla mia condizione e fui fedele a Talia, ponendomi sotto le insegne di Melpomene» (Memorie, p. 147). 44 L’Issipile andò in scena, a Vienna, nel 1732, e fu rappresentata a Venezia nello stesso anno (in autunno). La Didone abbandonata fu scritta nel 1724 e rappresentata, nella stessa data, la prima volta a Napoli; fu «il primo esempio di melodramma in cui il testo acquista dignità poetica e autonomia creativa nei confronti della musica» (Ettore Bonora). 45 Vedi L’Autore a chi legge, t. XI.

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ché sia cosa, che non lo meriti), per una ragione che si vedrà parimenti nel mio viaggio di Bergamo. Quando un uomo pensa, e medita, e non ha faccende, dicesi, ch’ei fa de’ lunari 46. Chi avesse detto così di me, non l’avrebbe sbagliata, poiché effettivamente composi un lunario. Qualchedun, che lo vide, trovollo degno del Pubblico, ne parlò ad uno Stampatore, io non voleva darlo, ma offrendomi dodici zecchini in regalo, e diverse copie, non potei resistere, e glielo diedi, con condizione però, che non si pubblicasse il mio nome. Era intitolato: L’esperienza del passato fatta astrologa del futuro47. Il discorso generale, e quelli delle stagioni erano tante critici, che poteano passar per buoni, trattandosi di un lunario; e certamente erano veri, ed avevano l’aria di novità. Di più non solamente ogni lunazione, ma ogni giorno 46

Ovvero fantasticare. Il titolo completo del lunario riportato nei Mémoires è L’esperienza del passato fatta astrologa del futuro, Almanacco critico per l’anno 1732. Per questo almanacco, definito un «enfantillage qui n’en merite pas la peine»», l’autore si contraddirà, mostrando, con apparente distacco, una particolare affezione verso il suo lunario: «Ce petit ouvrage, tel qu’il étoit, m’amusa beaucoup; car, dans ces tems-là, il n’y avoit pas de Spectacles à Venise, et mes différentes occupations m’avoient empêché d’y songer. Les critiques et les plaisanteries de mon Almanach étoient vraiment d’un genre comique, et chaque pronostic auroit pu fournir le sujet d’une Comédie» (I, 24, p. 112); trad. it.: «Quel lavoro di poco conto, così come era, mi divertì molto; infatti, in quel tempo, non c’erano spettacoli a Venezia e le mie diverse occupazioni mi avevano impedito di pensarvi. Le critiche e le battute del mio Lunario appartenevano al genere comico e ogni pronostico avrebbe potuto fornire il soggetto per una commedia» (Memorie, p. 147). E ancora ne parlerà, lo citerà, lo descriverà sempre nei Mémoires: «Il y avoit un discours général sur l’année, et quatre discours sur les quatre saisons en tersets, entrelassés à la maniere de Dante, contenant des critiques sur les moeurs du siecle, et il y avoit, pour chaque jour de l’année, un pronostic qui renfermoit une plaisanterie, ou une critique, ou une pointe» (I, 24, p. 111); trad. it.: «In esso vi era un discorso generale sull’anno e quattro discorsi sulle stagioni in terzine, a rima incrociata secondo l’uso dantesco, contenenti critiche sui costumi del secolo; c’era, inoltre, per ogni giorno dell’anno, un pronostico che racchiudeva una battuta umoristica, una critica, o un’allusione satirica (Memorie, p. 147). E, non contento, Goldoni ritornerà a citare il Lunario nel prossimo t. XI, quando, a Bergamo, in casa di Francesco Bonfadini, sarà presentato come l’«Astrologo» (con suo grande imbarazzo), conosciuto a causa di un suo «quartetto» divenuto celebre e colà contenuto. «Quartetto» interamente ripreso, sempre nel capitolo ventiquattresimo dei Mémoires: «In sì gran giorno una gentil Contessa / al perucchier sacrifica la Messa» e trascritto anche in francese («Dans ce grand jour une aimable Comtesse / A son coëffeur sacrifira la Messe») (I, 24, p. 112). Goldoni si giustificherà della «barzelletta», «[…] parce que cette plaisanterie, qui étoit peut-être la moins saillante, fit un effet admirable à cause du pronostic vérifié, et me procura de l’agrément et des services essentiels», (I, 24; pp. 111-112); trad. it.: «[…] perché questa battuta, che era forse la meno arguta, produsse un mirabile effetto per via del verificarsi del pronostico, e mi procurò diletto e importanti favori» (Memorie, p. 147). Di questo lunario si sono perdute le tracce. Mi si consenta qui di rinviare al mio recente Dintorno al Lunario di Carlo Goldoni, in Oltre la Serenissima Goldoni, Napoli e la cultura meridionale, giornata di studio, 9 settembre 2008, Benevento Città Spettacolo - 29a edizione, a cura di A. Lezza e A. Scannapieco, Napoli, Liguori, 2012. 47

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eravi un quartetto48, che conteneva un prognostico, cioè una Critica del costume; e come io aveva naturalmente lo spirito Comico, ogni pensiere potea servir di Soggetto per una Commedia, ed io medesimo mene sono qualche volta servito. In fine il mio Lunario fece strepito, fu ristampato, ed ecco la prima volta, ch’io ho avuto il piacere di dar qualche cosa alle Stampe49, è vero senza il mio nome, ma non ho mai negato di esserne io l’autore. So, che dopo la medesima idea è stata copiata, e contraffatta da altri, onore, che mi è stato fatto in tutti i tempi, e che io non credeva di meritare50. Un giorno, ch’io mi occupava, al solito, in cose di tal natura, venne a ritrovarmi nel mio Mezà il Signor Paolo Indrich mio Zio, e com’era egli qualche volta burlevole, e pungeva con buona grazia, cominciò a divertirsi, prendendomi per mano, e lodando il mio bel talento. Compresi bastantemente la sua gentile ironia. Mi difesi alla meglio, e conclusi, che tralascierei di occuparmi in simili barzellette, se avessi l’occasione d’impiegar il mio tempo in cose serie, e specialmente nella mia professione51. Postosi mio Zio anch’egli in serietà, mi propose una Causa, lo ringraziai, mi accinsi ad ascoltarlo con attenzione, ed egli con quella bravura, che lo rese rispettabile al foro, m’informò con tanta energia, e con tanta chiarezza, ch’io potei, quand’ebbe finito, riassumere tutta l’informazione, e ripeterla, come s’io l’avessi trovata scritta, ed imparata a memoria. La Causa era del Territorio di Crema; trattavasi di servitù, di acque, di abuso, e d’impedimento. Gli Avversari avevano presentato un dissegno. Eravi per parte nostra un picciolo modello in legno, che mio Zio aveva portato seco. Vi era l’articolo legale, la dimostrazione di fatto, ed in virtù di Lettere Avogaresche, la Causa era devoluta all’Avogaria52 dinanzi a Sua Eccellenza il Signor Avogador Tiepolo di gloriosa memoria. L’Avvocato della parte avversaria era il celeberrimo Signor Corde53 lina , che dovea parlare prima di me, ed io rispondendo alla disputa 48

Una quartina, quattro versi. Goldoni aveva già pubblicato il Quaresimale in epilogo, Udine, 1726. 50 Goldoni sembra andare orgoglioso del successo del suo lunario, tanto ne parla, tanto lo decanta; e sia pure con una nota di amarezza, facilmente riferibile all’“altro” lunario, quello di Carlo Gozzi e alla sua Tartana degli influssi per l’anno bisestile 1756 (Venezia, Colombani, 1757), dove il Nostro, con cattiveria, era stato messo in ridicolo. 51 Quindi non il Teatro, ma la «professione» di avvocato! 52 Tribunale che giudicava sia cause civili che penali. 53 Carlo Giorgio Maria Cordellina o Cordelina (1703-1794), celebre avvocato veneziano è ricordato anche da Carlo Gozzi nelle Memorie inutili. Comunque a questa altezza (1732) era ancora molto giovane (29 anni), mentre Goldoni ne aveva 25. 49

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dovea soffrire l’interruzione del valoroso Signor Interveniente Monello, quanto bravo per i suoi Clienti, altrettanto acerrimo contro gli avversari. La qualità della Causa, e il credito, ed il valore de’ difensori avversari metteano in soggezione mio Zio medesimo, e mi confessò, ch’ei venne a tentarmi, senza coraggio di abbandonarmi la Causa, ma veggendomi sì bene dalle sue parole instruito, e così diposto all’impegno, volle esperimentarmi in azione, con animo di dimandare una seconda disputa, s’io non avessi fatto il dover mio al Tribunale, per non pregiudicare ai Clienti. Tre giorni dopo andiedi al cimento. Feci il mio dovere, feci bene la parte mia, riportai la vittoria, e tutto il mondo mi fece applauso, assicurando mio Zio, che suo Nipote gli avrebbe fatto non poco onore, e sarebbe divenuto un de’ bravi Avvocati54. Ma oimè! riuscì la cosa molto diversamente. Questa Causa, che fu la prima, che mi fece del credito, fu l’ultima, ch’io trattai in Venezia, da dove non istetti molto ad allontanarmi55. Il cambiamento totale della mia situazione, quel cambiamento, che mi ha portato in seguito a consacrarmi al Teatro, merita bene, Lettor gentilissimo, ch’io ti narri distesamente i motivi, che l’han prodotto. Vorrei, che tu avessi tanto piacere nel leggerli, quanto io mi diverto nel raccontarli. Un amore, o per meglio dire, un impegno ha originato questa Catastrofe56, non so s’io dica per me sfortunata, o felice. S’io mi fondo 54 Molto più dettagliato l’episodio nei Mémoires: «Le jour est appointé; je me rends au Tribunal de l’Avogarie. Mon adversaire parle pendant une heure et demie; je l’écoute, je ne le crains pas. Sa harangue finie, je commence la mienne; je tâche, par un préambule pathétique, de me concilier la faveur de mon Juge. C’étoit la premiere fois que je m’exposois, j’avois besoin d’indulgence: j’entre en matière: j’attaque de front la harangue de Cordelina; mes faits sont vrais, mes raisons sont bonnes, ma voix est sonore, mon éloquence ne déplaît pas; je parle pendant deux heures, je conclus, et je m’en vais trempé de la tête aux pieds. Mon domestique m’attendoit dans une chambre voisine; je changeai de chemise; j’étois fatigué, épuisé» (I, 25, p. 113); trad. it.: «Il giorno è fissato; mi reco al tribunale dell’Avogaria. Il mio avversario parla per un’ora e mezzo; io l’ascolto, ma non mi fa paura. Terminata la sua arringa, incomincio la mia; cerco, con un preambolo patetico, di conciliarmi il favore del giudice. Era la prima volta che mi esponevo, avevo bisogno di indulgenza, quindi entro in argomento: attacco frontalmente l’arringa di Cordellina; i fatti che presento sono veri, le ragioni che adduco sono valide, la mia voce è sonora, la mia eloquenza non dispiace; parlo per due ore, concludo e mi allontano, sudato dalla testa ai pedi. Il mio servo mi aspettava in una stanza vicina; cambiai camicia; ero stanco, spossato» (Memorie, p. 149). Sembra davvero una recita teatrale in cui l’attore è Goldoni (il cambio della camicia, dietro le quinte, per tornare in scena!) come né più né meno era già accaduto, da non molto, per l’esame di laurea a Padova nel t. IX. 55 Goldoni avrà l’incarico di «Avvocato Veneto» (20 maggio 1732) soltanto per otto mesi, ma non dimentichiamo che si fregerà sempre della «professione onorata»; il personaggio dell’avvocato sarà presente in numerose commedie, una per tutte: L’avvocato veneziano (1749-1750). 56 Sono sempre gli «amori» ad originare «catastrofi» nella vita privata (e artistica) di Gol-

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sulle speranze d’allora, e su i prognostici favorevoli degli amici, ho perduto uno stato comodo, e decoroso, ho perduto, può essere, dodici, quindici, o venti mila ducati l’anno, frutto delle onorate fatiche dei primari Avvocati del mio Paese; ma siccome non era io inclinato al risparmio, avrei fatto anch’io probabilmente, come fanno tant’altri, che profondono con magnificenza i loro profitti, e in capo all’anno si trovano, come io mi trovo presentemente, e forse peggio di me, poiché io non ho danari, ma non ho debiti, o almeno pochi. Tutti non hanno il talento, ed economia giudiziosa del famosissimo Avvocato Vecchia di onorevole ricordanza. Mi sovviene aver pranzato un giorno con esso lui, in Casa di un suo Collega di professione, suo Compare, e suo Amico, uomo anch’egli di merito, e di fortuna, ma che aveva fama di essere troppo prodigo, e soverchiamente magnifico. Il Vecchia avea volontà di rimproverarlo, con idea di correggerlo, e lo fece con arte, e con buona grazia. Propose ai commensali l’istoria della sua vita. Ne fece in pochi periodi un epilogo delizioso, con quella energia, e con quel tuono di voce, che furono le sorgenti della sua fortuna. Disse, come avea principiato dal niente, come aveasi lungo tempo contentato del poco, e come era arrivato al molto, ch’ei possedeva. Narrò, che dei piccioli, come dei grandi guadagni aveva fatte sempre tre parti. Una parte per il proprio mantenimento, che aumentò a misura, che aumentavano i suoi profitti. Una parte per i prossimi suoi parenti, tutti da lui resi comodi, e ben collocati; indi soggiunse col suo vernacolo Veneziano: La terza parte la metteva da banda per aver un pero da cavarme la sé co son vecchio57; e rivoltosi verso l’amico, che dato aveagli un sontuoso pranzo: Compare, gli disse, per Dio, se farè cusì, co sarè vecchio, no ghaverè un pero da cavarve la sé.

doni. Le donne sono causa di svolte epocali («non so s’io dica sfortunata, o felice») come nel caso delle pavesi del Colosso; e anche qui la carriera di successo dell’avvocato Goldoni s’interrompe bruscamente a causa di un matrimonio mancato, per il quale impiega impiega ben due capitoli (25 e 26) dei suoi Mémoires. Ma sarà poi una «catastrofe» – si chiede l’autore? – alla fine della «digressione». Sembra paradossale, eppure è stata semplicemente una «catastrofe» amorosa a ricondurre Goldoni al teatro e non il suo «genio comico», così lungamente, sin qui, decantato. Si ha l’impressione di essere in una zona assai delicata nella vita privata ed artistica del Nostro. Goldoni, nell’enumerare i successi raccolti in tribunale, sembra essere fortemente tentato di proseguire la professione di avvocato. Si noti, anche, come, per molte pagine, non si è più parlato di scritture teatrali, ma soltanto di laurea in legge, di «ormesini», di giurisprudenza, di carriera forense; una carriera, quest’ultima, che si mescolerà e avvolgerà, a tratti, con la sua attività teatrale almeno fino a tutti gli anni pisani (1745-1748). 57 Proverbio veneziano che allude alla previdenza in vista della vecchiaia: “una parte della pera è da conservare per togliersi la sete da vecchio”.

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Troppi erano gli amici, ed i compari del Vecchia, perché tu possa, lettor carissimo, indovinare la persona, a cui era diretta l’apostrofe . Poteva dunque esser anch’io nel numero di quegli Avvocati, che quantunque celebri, e fortunati, non hanno il Pero in vecchiaia, e poteva anch’essere di quegl’infelici, che ne penuriano in gioventù, onde, com’era incerto il destino, che mi attendeva al foro, così non posso dolermi di una perdita, ch’io non conosco. Il Teatro all’incontro58 non mi ha dato, è vero, grandi fortune, ma ho sempre vissuto bene, ho veduto molti Paesi, ho fatto degli amici per tutto, ed ho il piacere di essere conosciuto assai di lontano, in tempo, che se fossi il primo Avvocato del nostro foro, non mi conoscerebbero appena dieci miglia lontano dal mio Paese. Tutta questa digressione a che serve? Serve per comprovare, che un disordine qualche volta produce un bene, e, come dice il proverbio, tutto il male non vien per nuocere: onde non dirò, né infelice, né fortunata la catastrofe, di cui ho principiato a parlare, e di cui proseguisco il racconto. Un amore dunque ne fu la causa, ma siccome nella mia giovanezza era io soggetto facilmente ad innamorarmi, e con altrettanta facilità mi disnamorava; ne attribuisco dunque il motivo, piucché all’amore, all’impegno. Fin quando vivea mio Padre, ebbi occasione, col mezzo suo di conoscere una Signora, che avea una quindicina di anni più di me59, per lo meno, ma che non era stata mai maritata, quantunque da lungo tempo desiderasse di esserlo. Non le mancava, né merito personale, né beni di fortuna per collocarsi. In età di trentacinqu’anni60, incirca, era fresca, come di quindici, e malgrado la pingue corporatura, ed una fisionomia più virile, che feminina, sapea sì ben usare

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Al contrario. Diversa la versione nei Mémoires, dove sarà la madre a procurare al figlio «un partito più conveniente» con la «Signorina Mar***» (ma di cui conosciamo solo le iniziali): «Ma mere avoit été très-liée avec Madame St*** et Mademoiselle Mar***, qui étoient deux soeurs faisant chacune ménage à part, quoique logées dans la même maison. Ma mere les avoit perdues de vue à cause de ses voyages et renouvella connoissance avec elles, aussi-tôt que nous vinmes nous rétablir à Venise. Je fus présenté a ces Dames […]» (I, 25, p. 114); trad. it.: «Mia madre era stata molto legata con la signora St*** e con la signorina Mar***, due sorelle che abitavano nella stessa casa, pur avendo ciascuna un proprio alloggio. Mia madre le aveva perdute di vista per via dei suoi numerosi trasferimenti, ma, non appena ci fummo ristabiliti a Venezia, riannodò i legami di amicizia con loro. Venni presentato a tali signore […]» (Memorie, p. 150). Differente è anche il grado di parentela delle due donne: zia e nipote diventano nei Mémoires sorelle. 60 Nei Mémoires sarà di «quarant’anni» e decisamente meno brutta. In questa fase della vita di Goldoni, le donne di cui s’innamora sono quasi sempre più anziane di lui. 59

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le grazie, e i vezzi della gioventù, che avrebbe potuto nasconder gli anni, se qualche ruga non li avesse manifestati. Bianca come la neve, colorita senza artifizio, occhi neri, e vivaci, labbro rubicondo e ridente; il naso solo, un poco troppo elevato nella sommità, sconciavala un pocolino61, ma davale altresì un’aria di maestà, allora quando si componeva in attitudine grave, e seriosa62. Padrona di se medesima, teneva ella una casa, in cui nulla mancava al comodo, e alla proprietà. Avea dello spirito, dell’educazione, del sentimento. Sapea la musica perfettamente. Facea dei versi, che non erano intieramente cattivi; amava la conversazione, parlava assai volontieri, e parlava molto di se medesima, amando quelli, che sapevano meglio lodarla, ed affettavano63 di più attentamente servirla. Savia però, ed onestissima, sapeva unire il contegno alle buone grazie, e l’esemplarità dei costumi alla vita lieta, e civile: eppure con tutto questo, e con ventimila ducati di dote, malgrado la volontà decisa di collocarsi, non avea trovato ancora il partito64. La difficoltà proveniva dal suo carattere. Estremamente sensibile, e delicata, trovava dei difetti in tutti quelli, che le potean convenire, e non sapeva determinarsi alla scelta. Io era fra il numero di quelli, che meno le dispiacevano. L’estro poetico, ch’io possedeva, lusingava la sua inclinazione, e i versi ch’io componeva in sua lode me la rendevano affezionata. Molti difetti avrà ella scoperti in me; ma quello, che più dovea disgustarla, si era lo stato mio di fortuna. Calcolando essa però, ch’io potea un giorno divenir qualche cosa, e che una dote passabile potea farmi arrivar più presto a migliorar condizione, so, che non era lontana dal preferirmi; dissemi cose tali da potermene lusingare; parlò a mia Madre in maniera, ch’ella ne era

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La deturpava leggermente. La descrizione fisica della «Signorina Mar***» è quasi identica nei Mémoires, come se Goldoni l’avesse letteralmente ricopiata da questa pagina: «Mademoiselle Mar*** n’étoit pas jeune; mais elle avoit encore de beaux restes: à l’âge de quarante ans, elle étoit fraîche comme une rose, blanche comme la neige, avec des couleurs naturelles, de grands yeux vifs et spirituels, une bouche charmante et un embonpoint agréable; elle n’avoit que le nez qui gâtoit un peu sa phisionomie: c’étoit un nez aquilain, un peu trop relevé, qui, cependant, lui donnoit un air d’importance quand elle prenoit son sérieux» (I, 25, p. 114); trad. it.: «La signorina Mar*** non era più giovane, ma conservava i residui della passata bellezza: all’età di quarant’anni, era fresca come una rosa, bianca come la neve, aveva un colorito naturale, grandi occhi vivaci e profondi, una bocca graziosa e una piacevole rotondità; soltanto il naso le deturpava un po’ il viso: era un naso aquilino, un po’ troppo sporgente, che, però, le conferiva un’aria di maestà quando assumeva un atteggiamento serio» (Memorie, p. 150). 63 Ostentavano, rimarcavano. 64 Goldoni disegna quasi il suo ideale di donna, di possibile moglie. 62

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più di me lusingata, e si sollecitò il mio Dottorato per questo65; ma allora quando io mi credea più sicuro di possederla, un’avventura mi fece perdere la speranza. S’introdusse in casa della Signora un personaggio di nascita assai superiore alla mia, di fortune poco più avvantaggiose. Dandole il rango maggior franchezza, e maggior libertà di parlare, si dichiarò spasimato66, e si esibì67 di sposarla. Lusingata Ella dal titolo, si lasciò vincere dalla vanità, ed aderì alla proposizione68. Io me ne accorsi, me ne assicurai, e acceso più di sdegno, che di gelosia69, non degnai di dolermene, ma ne meditai la vendetta. Viveva in Casa con essa una sua Nipote, che non aveva altro merito, che quello della gioventù, e come io sapeva quant’era la zia sensibile, allora quando le parea di non essere preferita, mi posi ad amoreggiar questa giovine, e ad usarle tutte quelle attenzioni, ch’io solea praticare a quell’altra. Se ne accorse la Zia, e pagar volendo col dispetto il dispetto, e la vendetta colla vendetta sollecitò l’affare70 col nuovo Amante. Ma qual fu il di lei stordimento, allorché seppe, che non a Lei, ma alla sua robba si faceva l’amore? Quando intese farsi l’ingiuriosa proposizione, che se voleva essere la Moglie di un Cavaliere dovea comprarsi un sì bel onore colla donazione della metà de’ suoi beni? Rinunziò Ella all’idolo dell’ambizione, congedò l’amante interessato, ed io godendo del disordine, in cui la vedeva, continuai a coltivar la Nipote, per maggiormente punirla71. Era già qualche tempo, ch’io avea composta per essa una canzonetta assai tenera, ed espressiva, e che dovea servirmi di mezzo per dichiararle l’amor mio, e la mia inclinazione. Non glie l’aveva 65

L’autore spiega questo salto temporale nei Mémoires: «L’évenement malheureux que je vais raconter, et que j’ai annoncé dans le chapitre précédent, auroit pu se trouver entremêlé parmi les anecdotes des deux années précédentes; mais j’ai mieux aimé rassembler l’histoire en entier, que d’en couper le fil, et de la morceler» (I, 25, p. 114); trad. it.: «Il triste accadimento che racconterò ora e che ho annunciato nel capitolo precedente avrebbe potuto essere compreso fra gli aneddoti dei due anni precedenti, ma io ho preferito riunire l’intera vicenda, piuttosto che interromperne il filo e spezzarla», (Memorie, p. 150). Siamo nel 1731. 66 Innamorato. 67 Si propose. 68 Alla proposta. 69 Il famoso «ponto d’onor» di Goldoni che gli fa prendere decisioni non sempre lucide, ma talvolta lo aiuta a superare momenti difficili. Sembra di dedurre, d’altro lato, che Goldoni non amasse così perdutamente la «Signora», a considerare la sua ostinata vendetta. 70 Il contratto di matrimonio. 71 Goldoni, anche in questa occasione, si mostra vendicativo. Non certo pronto a dimenticare (e a perdonare), insiste, invece, freddamente nella sua vendetta «per maggiormente punirla».

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ancora comunicata poiché mi riserbava di farlo in una serenata, che doveva eseguirsi sotto le di lei finestre, e a tal’effetto m’avea composto l’aria il Sig. Francesco Brusa72, dilettante in quel tempo, e poi per sua disgrazia, professore di musica. Il nuovo partito, che lusingato avea la Signora, mi fece sospendere la serenata, ed ora mi venne in animo di eseguirla, non per Lei, ma per la Nipote. Una sera di grand’estate giocavasi all’ombre in terzo73, quand’ecco tutto in un tempo odesi nel canale una sinfonia strepitosa, poiché niente risparmiai acciò la serenata fosse magnifica. Si lasciò il gioco, si corse al poggiuolo, e fu cantata la mia canzone dalla brava Agnese, che passò poscia al Teatro di San Samuele per gl’intermezzi, e di cui avrò occasion di parlare74. Terminata la serenata, strolicavano75 tutti, chi ne poteva esser l’autore. Io sosteneva assai bene l’incognito, però tutti si unirono a credere, che da altri non potesse venir, che da me, ma non sapevasi, s’io ordinata l’avessi per obbligar76 la Nipote, o per riguadagnare la Zia. Questa se ne lusingava moltissimo, e tutto avrebbe accordato in quel punto, purch’io dichiarassi la cosa fatta per lei. In fatti, il giorno dopo, vedutomi ella entrare nella sua casa, in tempo, ch’io volgea i passi verso l’appartamento della Nipote, mi chiamò a sé, e mi fece passare nelle sue camere. Colà, colla maggior serietà possibile, m’interpellò novamente, se io era l’autor della serenata, e il compositor della canzonetta, e per chi intendeva io di aver ordinato un simile divertimento. Soggiunse, che da questa mia dichiarazione potea dipendere... non disse che, ma uno sguardo tenero me lo fece capire. Io ebbi la crudeltà di nascondermi, o almeno di farle capire, che non aveva agito per Lei77. Mi disse: Andate, ve ne pentirete. In fatti me ne andiedi, e me ne sono poscia pentito. 72 Celebre musicista, ma non sappiamo a quale «disgrazia» faccia allusione Goldoni. Nei Mémoires Goldoni ne tiene celato il nome. 73 In tre. «Ombre»: gioco di carte di origine spagnola (hombre, uomo), molto in voga a quei tempi. 74 Agnese Amurat, a Venezia celebre cantante e attrice, «allora in voga per le serenate», e che incontreremo ancora. Sempre nei Mémoires Goldoni racconta di aver reso pubblica e celebre a Venezia la sua canzone: «Cette chanson fit fortune à Venise, car on la chantoit par-tout» (I, 25, p. 116); trad. it.: «La canzone fece fortuna a Venezia; infatti la si cantava ovunque» (Memorie, p. 153). L’Ortolani avanza l’ipotesi (cfr. Opere, I, p. 1094) che Goldoni abbia riprodotto la «canzonetta» della serenata nella commedia del Bugiardo (1750). 75 Congetturavano, supponevano. 76 Per impegnare. 77 Molto più dettagliato, aspro e ambiguo, e soprattutto più romanzesco, il racconto dell’episodio nei Mémoires: «[…] elle me fit asseoir à côté d’elle, et d’un air serieux et passionné: vous nous avez régalées, me dit-elle, d’un divertissement très-brillant, mais nous sommes plusieurs femmes dans cette maison; à qui cette galanterie a-t-elle pu être

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Veggendo Ella, che nulla potea sperare da me, e temendo di veder sua Nipote maritata prima di Lei, pose gli occhi sopra di una persona, che avea del merito, ma non osava di dichiararsi, e in brevissimo tempo si accordarono le condizioni fra loro, e ne seguirono gli sponsali. La Nipote allora cominciò ad essere l’invidiosa, ed io mi credeva in debito di sostenere un impegno contratto per bizzarria. Non era in caso allora di prendere Moglie, e molto meno una Moglie, che prometteami di dote seimila ducati, ma senza alcun fondamento; onde per far qualche cosa anche noi, si segnò il contratto, si pubblicarono le nozze stabilite, con un anno di tempo a concludere; si ricevettero le congratulazioni, e le visite dei parenti, e degli amici; si mise la Sposa in una pompa superiore alla sua, ed alla mia condizione, e mia Madre, che mi credeva vicino a sposar la Zia, ch’era ricca, fu costretta per l’amore, che mi portava, a contentarsi, che io sposassi la Nipote assai povera78. Quello,

adressée? Je ne sais pas si c’est à moi à vous remercier. Mademoiselle, lui répondis-je, je ne suis pas l’auteur de la sérénade… Elle m’interrompt d’un air fier et presque menaçant: eh, ne vous cachez pas, dit-elle, c’est un effort inutile; dites-moi seulement si c’est pour moi, ou pour d’autre, que cet amusement a été imaginé? Je vous préviens, continua-t-elle, que cette déclaration peut devenir sérieuse, qu’elle doi être décisive, et je ne vous en dirai pas davantage. Si j’avois été libre, je ne sais pas ce que j’aurois répondu; mais j’étois lié, et je n’avois qu’une réponse à faire. Mademoiselle, lui dis-je, en supposant que je fusse l’auteur de la sérénade, je n’aurois jamais osé vous l’adresser. Pourquoi? dit-elle. Parce que, répondis-je, vos vues sont trop au-dessus de moi, il n’y a que les grands Seigneurs qui puissent mériter votre estime… C’est assez, dit-elle en se levant, j’ai tout compris; allez, Monsieur, vous vous en repentirez» (I, 25, p. 117); trad. it.: «[…] mi fece sedere accanto a lei, e con aria seria e appassionata: voi ci avete fatto dono, mi disse, di uno splendido divertimento, ma in questa casa ci sono molte donne; a chi di noi avete potuto rivolgere una tale galanteria? Non so se devo essere io a porgervi i ringraziamenti. Signorina, le risposi, non sono io l’autore della serenata… Ella mi interruppe con aria fiera e quasi minacciosa: suvvia, non nascondetevi, disse, è uno sforzo inutile; ditemi soltanto se tale divertimento è stato ideato per me o per qualcun’altra. Vi avverto che questa dichiarazione, soggiunse può diventare seria, deve essere decisiva e non aggiungerò altro. Se fossi stato libero, non so cosa avrei risposto; ma ero legato e non avevo scelta. Signorina, le dissi, anche se fossi io l’autore della serenata, non avrei mai osato destinarla a voi. Perché? mi disse. Perché, risposi, le vostre aspirazioni sono troppo alte per me, e soltanto i gran Signori possono meritare la vostra stima… Basta, disse allora ella alzandosi, ho capito tutto; andatevene, Signore, ve ne pentirete» (Memorie, pp. 153-154). 78 Nei Mémoires sarà proprio la «Signorina Mar***» ad avvisare con cattiveria la madre di Goldoni: «Ma mere ne savoit rien de ce qui se passoit dans une maison où elle n’alloit pas souvent. Mademoiselle Mar*** emprunta des cérémonies d’usage un trait de méchanceté pour l’en instruire: elle lui envoya un billet de mariage: ma mere en fut très-étonnée: elle m’en parla: je fus obligé de tout avouer» (I, 26, p. 118); trad. it.: «Mia Madre non era al corrente di quello che stava accadendo in una casa in cui ella non si recava spesso. Per informarla, la signorina Mar*** non mancò di unire un tratto di cattiveria alle cerimonie d’uso: le inviò una partecipazione di nozze: mia madre ne fu stupita; me ne parlò: fui costretto a dirle tutto (Memorie, p. 155).

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che sconcertò ancor d’avantaggio79 gli affari miei fu la gara, in cui si pose la giovane di comparire al pari dell’altra, che potea farlo senza verun incomodo, ed io alla fine dell’anno, quando dovea concludere il Matrimonio, mi trovai senza danaro, coi beni miei ipotecati, con poco guadagno, e senza alcuna speranza di conseguire la dote80. Qual partito doveva io prendere in una tal circostanza? Rovinarmi per sempre, e rovinar la giovine, che era acciecata dall’amore, e dall’ambizione? Confesso che quantunque cominciato avessi a trattarla per mero capriccio, coll’uso, e col tempo, e per le buone grazie, che mi faceva, aveva cominciato ad amarla, ma grazie al mio buon temperamento, mi sentiva forza bastante per lasciarla senza morir di dolore81. Compresi, che se restato fossi in Venezia, non mi avrei potuto sottrar dall’impegno, onde presi la risoluzione di andarmene, ed abbandonare la Patria, i Parenti, gli Amici, e la mia Professione, in mezzo alle più belle speranze, che lusingar mi potevano con fondamento82. Mia Madre sola fu a parte della mia risoluzione, e del mio segreto. Aveva fatti dei debiti, bisognava pagarli, ed ella sola poteva assistermi col sagrifizio de’ suoi effetti dotali83. Lo fece colle lagrime agli occhi, ma conobbe la necessità di farlo, per non vedermi perduto affatto con una Moglie al fianco. Andò ella a ritirarsi a Modona con mio fratello, per vivere colà economicamente col prodotto de’ miei effetti, e abbandonò i suoi in Venezia ai miei Creditori, finché fossero soddisfatti. Accomodate così le cose alla meglio, 79

Maggiormente. Nei Mémoires Goldoni si dilunga a spiegare tutte le cerimonie (costose) che precedevano il matrimonio; questo dato accanto alla non solvibilità della dote promessa dalla sposa, rende il Nostro sempre più convinto di evitare le nozze per le quali aveva già sperperato il patrimonio familiare. 81 Cinismo, concretezza di Goldoni. Il danaro, i problemi economici hanno la meglio sull’amore. Nei Mémoires: «Me voilà bien arrangé et bien content. Je n’avois pas un état suffisant pour soutenir un ménage coûteux, encore moins pour égaler le luxe de deux couples fortunés: mon cabinet ne me rendoit presque rien: j’avois contracté des dettes, je me voyois au bord du précipice, et j’étois amoureux. Je rêvai, je réfléchis, je soutins le combat déchirant de l’amour et de la raison; cette derniere faculté de l’ame l’emporta sur l’empire des sens» (I, 26, p. 120), trad. it.: «Eccomi sistemato per bene e davvero soddisfatto. Io non ero in una condizione tanto agiata da poter affrontare un matrimonio costoso e, ancor meno, da poter eguagliare il lusso di due coppie ricche: poco o niente mi rendeva il mio studio; mi ero indebitato, mi vedevo sull’orlo d’un precipizio e ero innamorato. Fantasticai, riflettei, sostenni la lotta straziante tra l’amore e la ragione; quest’ultima facoltà dell’animo prevalse sul dominio del sentimento» (Memorie, p. 157). 82 Un gesto, supponiamo, che non avrebbe impensierito affatto Giacomo Casanova, sempre nel caso che gli scrupoli goldoniani rispondano al vero. La frase è identica nei Mémoires: «[…] je quitte ma Patrie, mes parens, mes amis, mes amours, mes espérances, mon état […]» (I, 26, p. 120). 83 Con la sua dote. 80

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e con segretezza, affinché la giovine non lo penetrasse, mi determinai a partire. Ma per dove, con quali mezzi, ed a che fare fuor di Venezia? Tutte le mie speranze fondate erano sopra la mia Amalassunta. Pensai di portarla a Milano, credendo, che gl’impresari di quel famoso Teatro84 me l’avrebbero ben pagata, e me ne avrebbero ordinate dell’altre, e in poco tempo avrei fatto il credito, e la mia fortuna. La cosa è arrivata85 diversamente, come dirò a suo luogo; ma intanto, fissata la risoluzion di partire, niente ha potuto arrestarmi. Scrissi una lettera alla sfortunata giovine, che mi aspettava, e glie la feci pervenire allora quando io era partito. Le dipinsi il mio stato, le dissi tutte quelle ragioni che ho in questi fogli distese, e concludeva, dicendo, che s’ella avesse il modo sicuro di mandare ad effetto la promessa dei seimila ducati di dote, sarei volato alla Patria, e l’avrei sposata col maggior piacere del mondo, e non mentiva in questo sicuramente, e l’avrei fatto di cuore per debito86, e per attaccamento, quando riparato avessi a quel precipizio, che mi vedea sovrastare. Non ebbi da lei risposta, perché non le dissi allora, dove addrizzarmela87. M’imbarcai per Padova88; ecco il primo passo già fatto, eccomi per quella via, che mi ha condotto al Teatro. Non fu il dramma per musica, che mi vi ha condotto. Non era questa la mia vocazione. Vedrai ben presto, lettor carissimo, quali accidenti, quali avventure mi hanno fatto abbracciare il miglior partito.

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Il Teatro Regio di Milano, inaugurato nel 1717 e distrutto nel 1776 da un incendio (cfr. E.N.M.I., n. 59, p. 327). 85 È andata. 86 Per dovere. 87 Incredibile dichiarazione bugiarda e palesemente comica. Goldoni non ne fa menzione, infatti, nei Mémoires, dove, invece, la lettera è indirizzata alla madre della mancata sposa: «J’écrivis, en partant de Venise, une lettre à la mere de l’infortunée; je mis sur son compte la cause immédiate du parti auquel j’avois été réduit; je l’assurai que le trois conditions du contrat une fois remplies, je n’aurois pas tardé à revenir; et en attendant la réponse, je marchois toujours» (I, 26, p. 120); trad. it.: «Partendo da Venezia scrissi una lettera alla madre di quella sventurata; le attribuii la responsabilità principale della risoluzione a cui ero stato costretto; le assicurai che, una volta soddisfatte le tre condizioni del contratto, io non avrei esitato a tornare; e, nell’attesa di una risposta, andavo per la mia strada» (Memorie, p. 157). 88 Tra il finire del 1732 e l’inizio dell’anno successivo.

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TOMO XI L’Autore a chi legge*

Piacciavi, Lettori umanissimi, di accompagnarmi ancora pazientemente per quella via, che mi ha condotto al Teatro. Il viaggio non sarà lungo. Alla fine del mio ragionamento nel Tomo decimo voi mi lasciaste nella Barca, o sia Burchiello di Padova, di cui avete la descrizione nel Primo Tomo de’ miei componimenti diversi1. Immaginatevi, con qual rammarico, e con qual pena intrapresi un viaggio suggeritomi dalla disperazione. La buona compagnia del Burchiello servì a divertirmi, ed il mio facile temperamento non tardò ad arrendersi alle circostanze. Giunto a Padova, vi passai la notte, e il giorno dopo mi condussi a Vicenza2. Fatta colà una visita al nobile, e virtuoso Cavaliere, il Signor Conte Parmenione Trissino3, quegli, a cui è dedicata la mia Commedia * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata in Venezia nel 1773, dopo una pausa editoriale di circa sei anni. Il tomo comprende le commedie, ordinate nella seguente successione: Terenzio (Venezia, 1754); Le smanie per la villeggiatura, Le avventure della villeggiatura, Il ritorno dalla villeggiatura (Venezia, 1761). Il frontespizio rappresenta Goldoni nel mentre si imbarca sul burchiello, a Venezia, diretto a Padova (notare la gondola in basso a destra). Il disegno allegorico, in alto, rappresenta, a sinistra, la dea della fortuna, mentre a destra una strana figura di un giovane con un copricapo di piume che trattiene uno sperone e un mantice come ad indicare la bizzarria degli eventi. La citazione che fregia il frontespizio in basso è tratta dalle Satire di Persio: «[…] Rupi jam vincula dicas» (V, 158); trad. it.: «Ormai spezzato è ogni vincolo, tu dirai». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Marco Sebastiano Giampiccoli. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il gennaio del 1733 e gli ultimi mesi dello stesso anno. Nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal ventisettesimo al trentesimo della prima parte. 1

Si riferisce al poemetto in ottave veneziane, Il Burchiello di Padova, stampato per nozze nel 1756 e poi raccolto nel t. I dei Componimenti diversi (Pasquali, Venezia, 1764). 2 Questo soggiorno vicentino è “dimenticato” nei Mémoires. 3 Discendente dalla famiglia del celebre letterato e trattatista teatrale vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550), autore della tragedia Sofonisba (1523). Parmenione Trissino fu amico d’infanzia di Goldoni; cultore di teatro, ricoprì la carica di bibliotecario a Vicenza dal 1744 al 1779. Morì nel 1782. A lui Goldoni dedicherà la commedia Il giocatore (1750).

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del Giocatore4, mi obbligò egli cortesemente di alloggiare nel suo Palazzo. Mi trattenni sei giorni. Si parlò molto fra noi del nostro antico genio per la Commedia5. Ci comunicammo a vicenda le riflessioni, gli studi, e le scoperte, che fatte avevamo collo studio, e col tempo; e si concluse, che il Teatro andava di male in peggio, ed aveva bisogno di una riforma. Il talento fecondo, ed universale del fu Signor Marchese Maffei6 di Verona credette degna di lui quest’Opera meritoria, e pubblicò il suo Teatro, consistente in una Tragedia, e in due Commedie; ma quanto applauso gli recò la sua Merope7, altrettanto furono malgustate dal pubblico le Cerimonie, ed il Raguu8. Ne esaminammo col Signor Conte Trissino le ragioni, e si concluse, che la Riforma propostasi dal Maffei col modello delle sue suddette Commedie era troppo violenta, e che bisognava condurre a poco a poco gli spettatori a gustare il meglio per innamorarli del buono9. Passando di ragionamento in ragionamento gli feci parte della mia Amalassunta. Glie la lessi; me la lodò freddamente, e mi consigliò ad applicarmi piuttosto al genere comico, di cui l’Italia aveva più di bisogno, e per il quale gli pareva scoprire in me una disposizione più vera, e più naturale. Presi la scarsa lode al mio dramma per un effetto della preferenza, ch’ei dar volea alla Commedia10; gli promisi, che mi vi sarei applicato col tempo, ma intanto l’Amalassunta mi lusingava. 4

Vedi L’Autore a chi legge, t. IX, p. 196, n. 58. Forse si fece cenno, in quelle chiacchierate, ai comuni giochi d’infanzia fatti con le marionette di legno. Ricordiamo di Goldoni la lettera dedicatoria al Trissino (anteposta alla commedia Il giocatore): «poiché avendo io l’onore di esser seco frequentemente fin d’allora, il nostro più geniale trastullo, i nostri fanciulleschi diporti, consistevano principalmente nell’abbozzare piccole Commediole per uso de’ Burattini, che dalle nostre mani medesime venivano poi regolati. Oh, dove sono eglino andati que’ felicissimi giorni, ne’ quali tanto piacere io provava nel passar l’ore colla di Lei amabilissima compagnia?» (cfr. Opere, III, p. 485).Va ricordato anche quanto Goldoni scrisse nella lettera dedicatoria All’illustrissimo Signor Conte Antonio Maria Zanetti Q. Girolamo, anteposta alla commedia del Ricco insidiato: «Parmi vedere ancora quell’alta Loggia coperta, che noi diciamo in lingua nostra Terrazza, in cui piantato vi era un industrioso edifizio di burattini, giocati mirabilmente da voi, da mio padre, e da altri compagni vostri: ed ecco come il destino, che mi voleva portare al teatro, principiava fin da quel tempo a spargerne i semi nella fantasia e nel cuore», Venezia, Pitteri, t. VII, in Opere, VI, pp. 863-866 (p. 863). 6 Vedi la Prefazione dell’Autore, p. 84, n. 75. 7 Rappresentata a Modena nel 1713. 8 Primi esperimenti accademici di riforma della commedia italiana: Le cerimonie (1728) e Il Raguet (1747). 9 Questo dettagliato dialogo col Trissino a proposito del Maffei non è presente nei Mémoires, mentre vi è puntuale l’informazione “turistica” a proposito del celebre Teatro Olimpico del Palladio. 10 Il passo è praticamente identico nei Mémoires: «Je lui fis voir mon Amalasonte, il l’applaudit très-froidement, et il me conseilla de m’appliquer toujours au comique pour 5

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Preso congedo dall’ospite generoso passai a Verona con animo di presentarmi al Marchese Maffei, e di fargli leggere, ed esaminare il mio Dramma. Tre giorni prima il dottissimo Cavaliere era di là partito11. Mi trattenni due giorni per vedere quella deliziosa Città, ch’io non avea più veduta, indi proseguii il mio viaggio per Brescia. Giunto a Desenzano, ed alloggiato, in quella stessa Osteria, dove mi arrivò l’avventura raccontata nel Tomo Ottavo, seppi, che il disgraziato, che volea assassinar me, e la donna, che mi ha salvato, era stato per altri delitti impiccato a Brescia12. Passando colà la notte, mi venne in mente, che a Salò, dodici miglia di là lontano, io possedeva una Casa13, di cui da molto tempo non ne aveva novella alcuna. Questo picciolo interesse, e il desiderio di vedere la Riviera amenissima del Lago di Garda, mi fe’ risolvere di allungare la strada, e di condurmi a Salò. Le due intenzioni mi riuscirono fortunate. Mi divertì estremamente la deliziosa Riviera, e trovai qualche danaro ammassato degli affitti della mia Casa, che servì ad accrescere un poco le mie scarse finanze. Partito di là per Brescia, trovai in quella ricca, e popolosa Città il Sig. Alessandro Novello di Castel Franco, ch’io aveva conosciuto Vicario a Feltre14, ed era allora Assessore del Pubblico Rappresentante di Brescia. Mi accolse con generosa amicizia, mi alloggiò seco lui nel Palazzo Pretorio, e mi fece passare parecchi giorni felici. Sovvenendosi egli del mio genio poetico, per qualche cosa, ch’io fatta avea, quand’eravamo impiegati a Feltre, mi chiese, s’io aveva niente del mio da fargli sentire. Gli parlai del mio Dramma; si mostrò desideroso di

lequel il me connoissoit des dispositions. Je fus fâché de ce qu’il ne trouva pas mon opéra charmant, et j’attribuai sa froideur à la préférence qu’il donnoit lui-même à la comédie» (I, 27, p. 121); trad. it.: «Gli feci leggere la mia Amalasunta, la lodò molto freddamente e mi consigliò di applicarmi sempre al genere comico, per il quale egli conosceva le mie disposizioni. Mi infastidì il fatto che non trovasse interessante il mio melodramma e attribuii la sua freddezza alla preferenza che egli stesso accordava alla commedia» (Memorie, p. 159). Più netta la reazione di Goldoni nei Mémoires. 11 Errore cronologico: siamo nel gennaio 1733 mentre il Maffei aveva lasciato Verona per la Francia il 26 agosto 1732 (cfr. G.H.M.I., p. 167, n. 4). 12 Vedi L’Autore a chi legge, t. VIII, p. 169, n. 34. Goldoni ricorda l’episodio anche nei Mémoires (I, 27). 13 Goldoni possedeva talmente tante case, da dimenticarne una? Nei Mémoires ha più buona memoria: «J’étois fort court d’argent. Ma mère heureusement étoit propriétaire d’une maison à Salò, et étant connu du locataire, je pouvois me flatter d’en tirer parti» (I, 27, p. 122); trad. it.: «Ero a corto di denaro. Per fortuna mia madre era proprietaria di una casa a Salò e, dal momento che il locatario mi conosceva, potevo illudermi di trarne profitto» (Memorie, p. 160). 14 Come racconta nell’Autore a chi legge, t. IX.

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udirlo; si appuntò la sera per leggerlo, ed invitò un buon numero di letterati per ascoltarlo. Qual consolazion fu la mia nel sentir lodare il mio Dramma da cinque, o sei persone erudite? Brescia abbonda di eccellenti Poeti, e quei, che mi favorivano, erano de’ più scelti. Trovarono, che il carattere di Amalassunta era bene immaginato, e ben sostenuto, e che poteva servire d’istruzione, e di esempio alle Regine incaricate della tutela, e dell’educazione dei Reali figliuoli15. Piacque loro infinitamente il contrasto de’ Cortigiani, due Saggi, e due discoli, e la catastrofe infelice del figlio Atalarico abbandonato ai Consiglieri cattivi, ed il trionfo di Amalassunta secondata dai Buoni. Parve loro il mio stile meno poetico di quello, che si accostuma nei Drammi per Musica, ed avrebbero voluto, ch’io levassi le Arie, e le Rime, per farne (dicevan eglino) una buona Tragedia. Fui contento del loro applauso, li ringraziai del loro consiglio, ma mi guardai bene dal seguitarlo. Qual profitto ne avrei ricavato? Qual utile mi avrebbe recato una Tragedia, quand’anche stata fosse di merito superiore? E levate le Arie, e le rime, che sono il più forte della Drammatica Poesia, quanti maggiori difetti non si sarieno scoperti? Finalmente io aveva fondate le mie speranze sopra un Dramma per Musica, che poteva fare la mia fortuna, e mi pareva di averla fatta; onde il giorno dopo mi congedai dall’amico, e m’incamminai novamente per la via di Milano. Pria però di condurmi a questa Magnifica Capitale della Lombardia Austriaca volli passar a Bergamo16 per vedere anche quella Città 15 Goldoni, quando scrive questa prefazione, aveva già insegnato alla Corte di Versailles (1765-1769); ritornerà a farlo, sempre a Versailles, dal 1775 a circa il 1780, data del suo rientro definitivo a Parigi. 16 «Nel paese degli Arlecchini». Suggestiva la scena di un autore in cerca di «qualche traccia» di personaggi teatrali nella realtà, come racconta nei Mémoires: «En traversant le pays des Arlequins, je regardois de tous les côtés si je voyois quelque trace de ce personnage comique qui faisoit les délices du Théâtre Italien; je ne rencontrai ni ces visages noirs, ni ces petits yeux, ni ces habits de quatre couleurs qui faisoient rire, mais je vis des queues de lievre sur les chapeaux, qui font encore aujourd’hui la parure des paysans de ce canton-là. Je parlerai du masque, du caractere et de l’origine des Arlequins, dans un chapitre qui doit être consacré à l’histoire des quatre masques de la Comédie Italienne (I, 27, p. 123); trad. it.: «Attraversando il paese degli Arlecchini, guardavo da ogni parte, per vedere se per caso si trovasse qualche traccia di quel personaggio comico che faceva la delizia del Teatro italiano; ma non mi imbattei in visi neri, occhietti o abiti colorati simili a quelli che suscitavano tante risate; vidi invece code di lepre sui cappelli, ornamento ancor oggi diffuso fra i contadini di quelle contrade. Parlerò della maschera, del carattere e dell’origine degli Arlecchini, in un capitolo che sarà dedicato alla storia delle quattro maschere della Commedia dell’Arte [questo capitolo non vedrà mai la luce, solo qualche cenno nel capitolo ventiquattresimo della seconda parte dei Mémoires, n.d.r.]» (Memorie, pp. 161-162).

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dello Stato Veneto, e per aver l’onore di presentarmi al Pubblico Rappresentante, l’Eccellentissimo Sig. Francesco Bonfadini17, oggi di gloriosa memoria, Cavalier Magnanimo, e Generoso, che morì Senatore, e alla cui Sposa illustre, e virtuosa Dama dedicata ho La Donna di Garbo18. Non so esprimere bastantemente, con quai dimostrazioni di giubbilo, e di bontà fui ricevuto a Bergamo dal Cavaliere umanissimo, e dalla benignissima Dama. Le prime parole, che pronunciarono nel vedermi, furono queste: Ecco l’Astrologo; viva l’Astrologo; ben venuto l’Astrologo. Confesso il vero, restai alquanto sospeso, e mortificato, non sapendo a che attribuire un titolo, con cui mi pareva di esser posto in ridicolo. Voltatosi il Cavaliere alle persone, ch’erano con esso lui, e colla Dama, sedute al foco19: Vi sovvenite (diss’egli loro) che la Contessa C..., per causa della sua eterna Toeletta, il giorno di Santo Stefano, perdé la Messa? Goldoni, che qui vedete, l’ha predetto in un bizzarro Almanacco da lui composto. Tutti risero, e mi applaudirono. Io mi rasserenai un poco, ma diedi a conoscere, che non mi piaceva moltissimo il dover passare per fabbricator di Lunari20. Il Cavalier se ne accorse, e disse di me delle cose, che mi fecero, non so s’io dica arrossire, o insuperbire. Mi chiese in seguito, dov’io era alloggiato; dissi alle due Ganasse: mi rimproverò gentilmente di esser disceso all’albergo, mandò a prendere il mio Baule, mi onorò di una Camera nel suo Palazzo, mi tenne seco quindici giorni, e non contento di quanto aveva fatto per me, avendogli io raccontate le mie avventure, mi esibì protezione, e danaro; due cose, delle quali nella mia situazione d’allora aveva estremo bisogno. Lo ringraziai, pregandolo della prima, senza rifiutar la seconda, ed il Cavaliere amabile, e generoso mi diede alquanti Zecchini, ed una Lettera della Dama21 sua per sua Eccellenza il Sig. Orazio Bartolini, Residente Veneto22 allora in Milano, e morto poscia nell’insigne carica di Cancellier Grande in Venezia. Partito da Bergamo colmo di onori, e di grazie arrivai a Milano; presi alloggio all’Osteria del Pozzo, portai la Lettera al Residente, che m’accolse con estrema bontà. Gli confidai la cagione della partenza 17

Fu eletto podestà di Bergamo il 3 febbraio 1732. Rappresentata a Venezia (Teatro San Samuele) nel 1743. Intorno al focolare. Siamo in inverno. 20 Vedi L’Autore a chi legge, t. X, p. 212, n. 47. 21 Andriana Bonfadini. Il Lunario ha, comunque, contribuito ad aiutare Goldoni. Vedi t. X. 22 Orazio Bartolini (1690-1765), veneziano, fu nominato Residente a Milano l’8 settembre 1732 ed ebbe successivamente altre esperienze diplomatiche (Napoli, 1738-1743), fino a divenire Cancelliere Grande a Venezia (1746). Il Residente era il rappresentante di Venezia nelle città dove la Repubblica veneta non aveva un ambasciatore ufficiale. 18 19

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mia di Venezia, ma niente gli domandai alla prima visita, poiché tutte le mie speranze erano fondate nella mia Amalassunta. Era precisamente allora di Carnovale, e rappresentavasi in quel Teatro il Demofoonte del Metastasio23 e sosteneva la parte principale del Dramma il celebre Caffariello24, ch’io conosciuto aveva in Venezia. Era il Direttore, e compositore de’ Balli il Sig. Gaetan Grossa-Testa25 di Modena, passato poscia all’onorevole impiego di Maestro di Ballo del Re di Napoli. Conosceva io questo degnissimo galantuomo, e la gentilissima Signora Maria sua consorte; onde col mezzo di queste tre conoscenze, e col merito del mio Dramma sperai, che gl’Impresari l’avrebbero ricevuto, e me lo avrebbero ben pagato. Fatta dunque una visita alla bravissima danzatrice, e scelto il giorno di Venerdì, in cui non vi è rappresentazione in Teatro, trovai da essa, oltre il Marito suo, il Caffariello, ed altre persone di sua conoscenza, fra le quali eravi il Conte Prata26 Cavalier Milanese, gran conoscitor del Teatro, e dilettante di Musica, e di Poesia Teatrale. Comunicato il mio desiderio, tutti si offrirono per favorirmi, ma giudicarono prudentemente, che prima di esporre il Dramma al giudizio degl’Impresari, era bene di esporlo a quello de’ miei amici. Io, che niente più desiderava, che leggere il mio Componimento, lo tirai di tasca, e li pregai di attenzione. Questi uditori non erano, né sì dotti, né sì eruditi, come quelli di Brescia, ma resi dalla pratica più istruiti, non trovando il mio Dramma uniforme alle regole, cominciarono ad annoiarsi. Sbadigliavano alcuni, altri parlavan pian piano fra loro, e un Musico, che faceva l’ultima parte nel Demofoonte27, prese una Carta di Musica, e si mise a cantar sotto voce. Acceso d’entusiasmo, e di collera cominciai a declamare più forte per obbligarli ad ascoltarmi con più attenzione, ma ciò non servì, che a far ridere alcuni, e impazientar gli altri, e ad inquietare la Padrona di Casa, che invano li eccitava al silenzio. Alfine facendomi Ella le scuse le più gentili, e polite, mi pregò di rimettere il resto ad un’altra volta. 23 Osserva Davico Bonino che presumibilmente doveva trattarsi della Semiramide in quanto il Demofonte fu presentato in scena la prima volta a Vienna il 4 novembre 1733 (cfr. D.B.M.I., p. 258). 24 Nome d’arte di Gaetano Majorano (1710-1783) nativo di Bitonto, celebre soprano del Settecento, come l’altrettanto famoso Fariniello. Conosciutissimo in Europa, era di carattere bizzoso e superbo, morì nel 1783. 25 Gaetano Grossatesta, «compositore e direttore di balli», lo troviamo dal 1720 al 1745 sui teatri di Venezia, poi a Napoli», (cfr. Opere, I, p. 1095). 26 Il conte Francesco Prata (1699-1782), direttore di spettacoli nei teatri milanesi, nonché autore di melodrammi (cfr. E.N.M.I., p. 330, n. 15). 27 Demofoonte (1733), melodramma del Metastasio.

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La ringraziai della sua cortese maniera, ma piccato principalmente contro dei Musici voleva andarmene immediatamente. Il Conte Prata mi pregò gentilmente di passar seco lui in un’altra Camera, e mi obbligò a terminargli la mia lettura28. Lo feci con tanto maggior piacere, quan28

Molto più dettagliato l’episodio nei Mémoires, utile per evidenziare il divismo esasperato e protervo dei cantanti e dei musicisti che dettavano i precetti del teatro per musica. Norme spesso balorde e soltanto vantaggiose per il prestigio personale degli attori. «Regole» che il conte Prata teorizzerà e nobiliterà in qualche modo privatamente all’esterrefatto e indignato Goldoni. Da sottolineare anche la gelosia di questi artisti che sgarbatamente diffidano dei nuovi arrivati, possibili concorrenti. Per una lettura, anch’essa dal vivo, di queste capricciose mode, cfr. Benedetto Marcello, Il Teatro alla moda, ossia metodo sicuro e facile per ben comporre ed eseguire l’opera italiana in musica all’uso moderno, Venezia, 1720 (Milano, Il Polifilo, 2006). Ma è sufficiente il Goldoni dei Mémoires: «On fait approcher une petite table et une bougie; tout le monde se range; j’entreprends la lecture: j’annonce le titre d’Amalasonte. Caffariello chante le mot Amalasonte; il est long, et il lui paroît ridicule: tout le monde rit, je ne ris pas: la Dame gronde; le rossignol se tait. Je li les noms des personnages; il y en avoit neuf dans ma piece: et on entend une petite voix qui partoit d’un vieux castrat qui chantoit dans les choeurs, et crioit comme un chat: trop, trop, il y au moins deux personnages de trop. Je voyois que j’étois mal à mon aise, et je voulois cesser la lecture. M. Prata fit taire l’insolent qui n’avoit pas le mérite de Caffariello, et me dit, en se tournant à moi: – Il est vrai, monsieur, que pour l’ordinaire, il n’y a que six ou sept personnages dans un Drame; mais quand l’ouvrage en mérite la peine, on fait, avec plaisir, la dépense de deux Acteurs; ayez ajouta-t-il ayez la complaisance de continuer la lecture, s’il vous plaît. Je reprends donc ma lecture: acte premier, scene premiere, Clodesile et Arpagon. Voilà M. Caffariello qui me demanda quel étoit le nom du premier dessus dans mon Opéra. Monsieur, lui dis-je, le voici, c’est Clodesile. Comment, reprit-il, vous faites ouvrir la scene par le premier Acteur, et vous le faites paroître pendant que le monde vient, s’asseoit et fait de bruit? Pardi! Monsieur, je ne serai pas votre homme. (Quelle patience!) M. Prata prend la parole: voyons, dit-il, si la scene est intéressante. Je lis la premiere scene; et pendant que je débite mes vers, voilà un chétif impuissant qui tire un rouleau de sa poche, et va au clavessin, pour repasser un air de son rôle. La maîtresse du logis me fait des excuses san fin; M. Prata me prend par la main, et me conduit dans un cabinet de toilette très-éloigné de la salle» (I, 28, pp. 127-128); trad. it.: «Vengono avvicinati un tavolino e una candela; tutti si dispongono; mi appresto ad iniziare la lettura; annuncio il titolo Amalasunta. Caffariello canta il nome di Amalasunta; è lungo e gli sembra ridicolo; tutti ridono, ma non io: la signora li rimprovera, l’usignolo sta zitto. Leggo i nomi dei personaggi; ce n’erano nove nel mio Dramma: si sente una voce sottile, proveniente da un vecchio castrato che cantava nei cori, strillare come un gatto: troppi, troppi ci sono almeno due personaggi di troppo. Vedevo che le cose si stavano mettendo male e volevo interrompere la lettura. Il signor Prata pose a tacere quell’insolente che non aveva il merito di Caffariello e, volgendosi verso di me, mi disse: è vero, signore, che, di solito in un melodramma non ci sono che sei o sette personaggi; ma qualora l’Opera ne valga la pena, si può fare, e con piacere, la spesa per due Attori in più: abbiate, soggiunse, l’amabilità di continuare la lettura, per cortesia. Riprendo la lettura: Atto Primo, Scena Prima, Clodesilo e Arpagone. Caffariello mi chiede il nome del primo tenore del melodramma. Signore, gli dissi, è proprio questo: Clodesilo. Come, replicò, fate aprire la scena dal primo attore, e lo fate comparire quando la gente arriva, si siede e fa rumore? Perbacco! Signore, io non sarò mai il vostro personaggio. (Che pazienza!) Il signor Prata prende la parola: vediamo, disse, se la scena è interessante. Leggo la prima scena; mentre recito i miei versi, ecco che un cattivo musico impotente trae da tasca un rotolo e va al clavicembalo per ripassare un’aria della sua parte. La padrona di casa mi fa mille scuse, il

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t’io sperava, che il suo suffragio mi avrebbe resa quella giustizia, che gli altri mi avevano indiscretamente negata. Ascoltò egli tutta l’opera pazientemente, ed ecco all’incirca quel, ch’ei mi disse alla fine: «La vostra Opera, se fosse scritta diversamente, potrebbe essere una buona Tragedia; ma il Dramma per Musica, ch’è per se stesso un Componimento imperfetto, è stato suggettato29 dall’uso a delle regole, contrarie, egli è vero, a quelle di Aristotile, di Orazio, e di tutti quelli, che hanno scritto della Poetica, ma necessarie per servire alla Musica, agli Attori, e ai Compositori. Il profondo Apostolo Zeno30, il melifluo, elegante, e dottissimo Metastasio si sono a queste regole conformati, e quel, che parrebbe difetto in una regolata Tragedia, diviene una bellezza in un Dramma per Musica. Leggete con attenzione i due Autori suddetti, comprenderete a poco presso, che cosa è il Dramma, di cui parliamo, e ne rimarcherete le regole. Io ve ne additerò alcune delle più materiali, la mancanza delle quali ha disgustato i Musici, che vi ascoltavano. Il primo Soprano, la prima Donna, e il Tenore, che sono i tre principali Attori del Dramma, devono cantare cinque arie per ciascheduno, una Patetica, una di bravura, una parlante, una di mezzo carattere, ed una brillante.. Il secondo Uomo, e la seconda Donna devono averne quattro per uno, e l’ultima parte tre, ed altrettante un settimo personaggio, se l’opera lo richiede; poiché (per parentesi)31 i personaggi non devono essere più di sei, o sette, e voi ne avete nove nel vostro Dramma. Le seconde parti pretendono anch’esse le arie patetiche, ma le prime non lo permettono, e se la Scena è patetica, l’aria non può essere, che al più al più di mezzo carattere. Le quindici arie dei primi attori devono essere distribuite in maniera, che due non si succedano dello stesso colore, e le arie degli altri attori servono per formare il chiaro scuro. Voi fate cantare un personaggio, che resta in Scena, e questo è contro le regole. Voi all’incontro fate partire un attor principale senz’aria, dopo una Scena di forza, e questo ancora è contro le regole. Voi non avete nel vostro Dramma che tre cambiamenti di Scena, e ve ne vogliono sei, o sette. Il Terzo Atto del vostro Dramma è il migliore dell’Opera, ma questo ancora è contro le regole...»32. signor Prata mi prende per mano e mi conduce in uno stanzino da toeletta molto lontano dalla sala» (Memorie, pp. 166-167). 29 Assoggettato. 30 Vedi Prefazione dell’Autore, p. 84, n. 73. 31 L’inciso «per parentesi» accresce la pedanteria del discorso (e l’ironia di Goldoni). 32 A quanto pare, Goldoni aveva imparato bene le regole del dramma per musica, per raccontarle con tanta precisione!

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Non potei più contenermi, mi levai con un movimento involontario, violento, gli chiesi scusa, lo ringraziai de’ suoi amichevoli avvertimenti, e conclusi, dicendo, che scandalizzato dalle regole del Dramma facea proponimento di non comporne mai più. Mi congedai dal Cavaliere, lo pregai, che come pratico della Casa, mi facesse sortire senza ripassar per la Camera della Conversazione. Così fu fatto; me ne ritornai al mio albergo, feci accendere il foco, ed avendo ancora la bile in moto, bruciai a poco a poco la mia Amalassunta, l’unica copia, che mi restava. Fatto il gran Sagrifizio, rimasi stupido qualche tempo. Venne a scuotermi il Camerier colla Cena. Lo rimandai bruscamente, chiusi la porta della mia Camera, e mi abbandonai intieramente alla riflessione delle speranze perdute, e della situazione, nella quale mi ritrovava33. Ripensando di quando in quando al mio Dramma mi 33 Le beau geste e la malinconia di Goldoni (insieme allo splendido discorso a tu per tu con il suo melodramma) nei Mémoires sono molto più dettagliati (come il lento bruciare dell’Amalasunta «rimuovendo la cenere con le molle») e raccontano più in profondità la sua disperazione, la solitudine (ma anche il suo ottimismo, non sappiamo però quanto dissimulato). Nei Mémoires c’è meno teoria teatrale, e più racconto: «En rentrant chez moi, j’avois froid, j’avois chaud, j’étois humilié. Je tire ma Piece de ma poche, l’envie me prend de la déchirer. Le garçon de l’auberge vient me demander mes ordres pour mon soupe. – Je ne souperai pas. Faites-moi bon feu. J’avois toujours mon Amalasonte à la main; j’en relisois quelques vers que je trouvois charmans. Maudites regles! ma Piece est bonne, j’en suis sûr, elle est bonne; mais le Théâtre est mauvais, mais les Acteurs, les Actrices, les Compositeurs, les Décorateurs… Que le Diable les emporte, et toi aussi malheureux Ouvrages qui m’as coûté tante de peines, qui m’as trompé dans mes espérances; que la flamme te dévore! Je le jette dans le feu, et je le vois brûler de sang-froid avec une espece de complaisance. Mon chagrin, ma colere avoient besoin d’éclater, je tournai ma vengeance contre moi-même, et je me crus vengé. Tout étoit fini, je ne pensois plus à ma Piece; mais en remuant la cendre avec les pincettes, et en rapprochant les débris de mon manuscrit pour en achever le consommation, je pensai que jamais, dans quelque occasion que ce fût, je n’avois sacrifié mon souper à mon chagrin: j’appelle le garçon, je lui dis de mettre le couvert, et de me servir sur-le-champ. Je n’attendis pas long-tems; je mangeai bien, je bus ancore mieux; j’allai me coucher, et je dormis tranquillement» (I, 29, pp. 129-130); trad. it.: «Rientrando avevo ora caldo ora freddo, mi sentivo umiliato. Tiro fuori di tasca il Dramma, ho voglia di farlo a pezzi. Il cameriere dell’albergo viene a prendere gli ordini per la cena. – Non cenerò. Fatemi un buon fuoco. Tenevo ancora in mano l’Amalasunta; ne rileggevo qualche verso che trovavo bello. Maledette regole! Il Dramma è buono, ne sono certo, è buono; ma il Teatro è cattivo, ma gli Attori, le attrici, i compositori della Musica, i pittori delle scene… Che il diavolo se li prenda e prenda anche te, Dramma disgraziato che mi sei costato tante pene, che hai deluso le mie speranze; che la fiamma ti divori! Lo butto nel fuoco e, a sangue freddo, con una sorta di compiacimento, lo guardo mentre brucia. Il mio dispiacere, la mia collera avevano bisogno di sfogarsi, rivolsi la mia vendetta contro me stesso e mi credetti vendicato. Tutto era finito: ormai non pensavo più al mio componimento; ma, rimuovendo la cenere con le molle e raccogliendo quel che restava del manoscritto per ultimarne la distruzione, pensai che mai, in nessuna circostanza, avevo rinunciato alla cena per via di un dispiacere: chiamo il cameriere, gli dico di apparecchiare e di servirmi immediatamente. Non aspettai a lungo; mangiai molto e bevvi ancora di più; andai a letto e dormii tranquillamente (Memorie, p. 169). Ed è così che con la distruzione dell’Amalasunta si va ad infoltire il numero dei testi

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sovvenne del giudizio favorevole dei Bresciani ben diverso da quello, ch’io avea sofferto in Milano, e compresi allora, che un’opera riesce sovente buona, o cattiva, secondo le circostanze, e rapporto al gusto, o all’intelligenza, e alla disposizione dell’animo delle persone, che la leggono, o che la vedono rappresentare. Ho avuto occasione coll’andar del tempo di ciò esperimentare ancor davantaggio, poiché varie Commedie mie, che piacquero in un Paese, dispiacquero in un altro, e talvolta nello stesso Paese furono aggradite da molti, e da altrettanti disapprovate34. Non poteva saziarmi di maledire, e di detestare le regole stravaganti del Dramma per Musica. Pensai, che della mia Amalassunta avrei potuto fare una buona Tragedia, e riportarne se non dell’utile, almen dell’onore; ma l’Opera era sagrificata allo sdegno, e mi pentii troppo tardi del mio trasporto. goldoniani andati perduti, a partire ovviamente dai suoi copioni teatrali, e poi dalla prima commedia scritta, non si saprà mai con certezza, se all’età di anni otto o nove, «di quel valore che aspettar si potea da un bambino», agli «originali preziosi» scritti per la Compagnia dell’Arte di Florindo de’ Maccheroni e bruciati dal padre, agli abbozzi di scene, scarabocchiati sui margini delle pratiche notarili nello studio dello zio Indrich a Venezia, nel 1722; ai versi scritti durante il viaggio in burchiello sul Ticino in Compagnia di «cinque o sei veneziani, di estrazione civile, di umore allegro», fino alla «satira dialogata» del Colosso (1725), scritta con rabbia contro le giovani pavesi e che costò allo studente Goldoni l’espulsione dal collegio Ghislieri e la laurea; alla breve commedia tratta da Lo starnuto di Ercole di Pier Jacopo Martello, messa in scena per un «teatrino di bambocci», «attori di legno», nelle stanze del castello del conte Lantieri a Vippacco (Wippach); e ancora, all’intermezzo andato perduto del Buon vecchio composto (1725) in dialetto e andato in scena a Feltre (il «buon vecchio» era impersonato dalla maschera di Pantalone, ma già con caratteri originali e dissimili da quelli della tradizione e fu recitato da Vittorio Facen); al prezioso lunario dell’Esperienza del passato fatta astrologa del futuro, Almanacco critico per l’anno 1732; al celeberrimo, appunto, dramma per musica dell’Amalasunta (1732) «opera di mia testa, di mia invenzione» la cui unica copia Goldoni mandò in cenere «a poco a poco», come sopra ricordato, nel focolare dell’albergo l’Osteria del pozzo a Milano, a causa delle critiche ricevute, nella città lombarda dal Conte Prata e dai suoi amici, per non essere la sua opera «uniforme alle regole» del melodramma; alla «commediola intitolata La Fiera, scritta per una compagnia di dilettanti, ospiti a Bagnoli del conte Widmann (1755), alle «farsette» inviate da Parigi al Marchese Francesco Albergati negli anni 1764-1765; e fino al tante volte citato vocabolario veneziano, a cui Goldoni scrisse di avere atteso (ma di cui non v’è traccia): «Sto facendo ora un vocabolario colla spiegazione dei termini, delle frasi, e dei proverbi della nostra lingua per uso delle mie Commedie…, il quale uscirà, a Dio piacendo, quest’anno» (L’Autore a chi legge, Le massere, in Opere, V, pp. 937-938, vedi L’Autore a chi legge, t. I, p. 105, n. 39). 34 Goldoni comprende, per esperienza diretta, come possa variare il giudizio degli spettatori di un’opera teatrale a seconda delle «circostanze, e in rapporto al gusto, all’intelligenza e alla disposizione dell’animo delle persone che la leggono, o che la vedono rappresentare», oppure a seconda del «paese» in cui vanno in scena. L’attenzione al gusto del pubblico sarà costante nel commediografo che percepisce chiaramente la necessità di adeguarsi all’“orizzonte di attesa” degli «uditori» e contemporaneamente di modificarlo secondo gli stilemi della riforma. Ma queste cose le aveva già largamente anticipate nella Prefazione alla Bettinelli.

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Mi sovvenne del Conte Trissino, che consigliato mi aveva ad applicarmi al Teatro Comico, ch’è stata la prima mia inclinazione. Pensai, che l’Italia avea più bisogno di Autori Comici, che di Tragici, e di Drammatici; e mi determinai a tentar questa strada, ed occuparmi in qualche comico componimento, fintanto che gli affari miei di Venezia si accomodassero, e ch’io potessi riprendere l’abbandonata carriera35. Eravamo allora alla metà in circa del Carnovale. A Pasqua si apre ordinariamente il Teatro in Milano con una Comica Compagnia delle migliori d’Italia. Bisogna, dicea fra me stesso, bisogna attendere questo tempo, e preparare intanto qualche Commedia, per darla ai Comici, che verranno... Ma se avessero anch’eglino delle regole, ch’io non conosco? Converrebbe prima parlare con esso loro, esaminare con più attenzione le loro Commedie, non per imitarle, poiché sono pessime, ma per accordare in quelle regole, che sono forse indispensabili, per contentare gli attori36. Attendiamo dunque; ma intanto? Come aspettare? Come sussistere? Qual partito ho da prendere? Eccolo. Andar dal Veneto Residente; far valere la raccomandazione della Dama; profittare delle sue esibizioni; narrargli il mio caso; pregarlo della sua assistenza... lo farà egli? Oh lo farà senz’altro. Non vedo l’ora, che sia domani37. Contento del mio progetto, mi spoglio, vo a coricarmi, e dormo la notte colla miglior pace del Mondo38. Io ho sempre avuto (sia per abito, o sia per temperamento) l’abilità di mettere, come suol dirsi, i pensieri sotto del capezzale, e per qualunque traversia, dispiacere, o disgrazia, non ho mai perduto né il sonno, né l’appetito. Svegliatomi alla mia ora solita, andiedi a far una visita al Residente, e pieno di fiducia, e coraggio, gli raccontai la mia Istoria, gli dipinsi il mio stato, ed il mio bisogno, mi accolse colla solita sua gentilezza, rise delle mie avventure, fu contento della mia sincerità, mi promise assistenza; e come io domandava un impiego onesto, ed a me convenevole, s’incaricò di procurarmelo al più presto, che potuto l’avesse. Andava spesso a vederlo, e l’impiego ancor non si presentava. Un giorno finalmente gli dissi, che stanco d’importunarlo, era andato a prender congedo, 35

Si veda l’ultima parte dell’Autore a chi legge, t. X. Interrogativi che tracciano bene l’incertezza (ma anche il decisionismo) di un Goldoni che proprio attraverso la frequentazione degli attori, accresce e adegua la sua “professionalità” di autore. 37 Si noti un perfetto da sé teatrale. 38 Qui si “dimentica” di cenare, come, invece, non farà nel racconto dell’episodio nei Mémoires, cfr. qui, n. 33. 36

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e che lo pregava de’ suoi comandi39. Per dove, diss’egli, per dove? Non lo so, Signore, risposi. Io devo partire, ma non so per dove. – Perché partire? – Perché mi manca il modo di sussistere più lungamente in Milano. Rise egli un poco della mia bizzarra risoluzione; stette qualche minuto senza parlare, poi voltatosi cortesemente, così mi disse: Voi domandate un impiego in Milano. Non mi è riuscito ancora di qui ottenervelo. Mi parete un giovine onesto, siete un uomo civile, siete Veneziano, mi dispiacerebbe, che vi perdeste. Vi esibisco il posto di gentiluomo in Casa mia, se vi compiacete accettarlo. – Come, Signore? S’io mi compiaccio? L’accetto col più gran contento, e colla maggiore riconoscenza. – Ma io sono aggravato di troppe spese; non potrò darvi quegli appuntamenti...– Non parliamo di questo, sono al di lei servizio. Quando vuol Ella, ch’io abbia l’onore di cominciare? – Quando volete – Vado subito all’Osteria del Pozzo, vado a prendere il mio Baule... Ma oimè, Signore arrossisco a dirlo. – Parlate – devo qualche Filippo all’Oste, e non ho presentemente di che pagarlo. – Non importa; restate qui, manderò il mio Mastro di Casa a pagar l’Oste, a far portare il vostro Baule. Ehi! chi è di là? (entra un Servitore). Conducete il Sig. Goldoni nell’appartamento di sopra, dategli quelle due camere, che guardano sopra la strada, poi a me voltandosi: andate, quello sarà il vostro alloggio40. Pieno di consolazione, lo ringraziai coi dovuti termini di rispetto, e di tenerezza, e andiedi a prender possesso del mio appartamento. Da lì a qualche tempo, quantunque avess’egli un abile Segretario, mi ammise alla confidenza del suo Carteggio, e de’ suoi dispacci, cosa, che mi occupava con mio piacere, e m’instruiva negli affari politici, e del governo41. Contento egli della mia condotta, e della mia abilità, si servia più di me, che del Segretario, si tratteneva meco la sera in piacevoli ragionamenti, ed io era l’uomo il più contento del Mondo, e non perdeva per ciò di vista il progetto delle Commedie. Mi divertiva nelle ore di libertà facendo qualche disegno, e qualche nota principalmente sopra i Caratteri, che mi si presentavano alla 39 Nei Mémoires (I, 29), invece, il Bartolini che aveva invitato a pranzo per l’indomani Goldoni, gli offre subito l’incarico di «gentiluomo da camera». È assente nel capitolo ventinove anche larga parte del successivo dialogo. 40 L’indicazione, tra parentesi, dell’entrata del servitore nella camera è chiaramente teatrale. Goldoni resterà al servizio del Residente da febbraio (indicazione del carnevale) e fino alla fine del 1733. 41 Inizia l’esperienza in diplomazia di Goldoni, di cui certamente farà tesoro, come lui stesso conviene, quando diverrà Console della Repubblica di Genova a Venezia, nel 1741.

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giornata42, e che mi parevano Comici, aspettando con impazienza quel tempo, in cui dovea riaprirsi il Teatro, ed informandomi, qual era la Compagnia, che dovea occuparlo nella Primavera vicina. Seppi con mio rammarico, che le compagnie di Venezia erano in quell’anno impegnate altrove, e che il Teatro di Milano43 correva pericolo di restar vuoto. In fatti arrivammo a Pasqua, senza che alcuna Compagnia si presentasse per occuparlo. Io era di ciò afflittissimo, ma la sorte da lì a poco mi ha favorito. Giunse in Milano il famoso Anonimo, il quale, provveduto di bastante scienza, e di pratica sufficiente per fare il medico, sedotto da una vanità sconsigliata, per far pompa della sua eloquenza, e della sua erudizione si era abbandonato all’esercizio del Ciarlatano. Era il suo vero nome Buona fede Vitali44, nato in Parma, di civile, ed onesta 42 Come aveva già fatto, da ragazzo, nello studio e «sotto la direzione» dello zio Paolo Indrich a Venezia (t. VI), o, ancora, attendendo nel «suo Mezà», da avvocato, «se la fortuna volea mandargli de’ litiganti» (t. X). 43 Il riferimento è al Teatro Ducale, inaugurato nel 1717 (e distrutto da un incendio nel 1776), secondo soltanto a quello di Napoli, ma non così celebre come il futuro Teatro della Scala, che sarà inaugurato nel 1778, due anni dopo l’incendio del Ducale. 44 Buonafede Vitali (1686-1745) di Busseto (Parma), alfiere nell’esercito, dottore in chimica e medicina a Parma, viaggiatore, gesuita, medico, docente di medicina nell’università di Palermo, grande viaggiatore in Italia ed Europa, affascinante conversatore, autore teatrale (La Belle Negromante, Circé) e di una gustosa Lettera scritta ad un Cavaliere suo padrone dall’Anonimo in difesa della professione del saltimbanco (1732). Nel 1745 Federico II di Prussia offrirà al Vitali una cattedra di medicina presso l’università di Halle, che però non riuscirà a ricoprire per l’improvvisa morte. È una personalità narrata da Goldoni con pacata ma insistente ammirazione e non soltanto per le sue indiscusse qualità di recitazione da esperto attore della commedia dell’Arte e di geniale ciarlatano. Il commediografo è colpito dalla bizzarra scelta di «quest’uomo singolare», dai mille mestieri, che preferisce all’onorata carriera di medico quella di speziale sulle piazze, al rigore della cattedra l’improvvisazione geniale, e, non da poco, il piacere dell’applauso, il successo del pubblico al «posto onorevole» di autore. Goldoni, forse, si immedesima in Vitali (ma contemporaneamente ne prende le distanze), vede una sorta di suo doppio, incerto, anche lui, se dedicarsi completamente al teatro; compara, con le debite proporzioni, le scelte del ciarlatano con il suo abbandono (forzato) dell’onesta professione di avvocato (o di quella più temuta di medico sulle orme paterne) a favore di quella di autore teatrale. Mémoires: «[…] il quitta la place honorable qu’il occupoit, et prit le parti de monter sur les trétaux, pour haranguer le public; et n’étant pas assez riche pour se contenter de la simple gloire, il tiroit parti de son talent, et il vendoit ses médicamens» (I, 29, p. 131); trad. it.: «[…] abbandonò il posto onorevole che occupava e prese la decisione di salire in banco per arringare le folle; e non essendo abbastanza ricco per accontentarsi della gloria, traeva profitto dal suo ingegno e vendeva le sue medicine» (Memorie, p. 171). Non è nemmeno superfluo sospettare, forse, l’aver presente, Goldoni, il ricordo della professione paterna, più vicina a quella dell’Anonimo (con gli approssimativi successi di guarigione) che a quella dei medici laureati. Goldoni nel 1735 metterà in scena un intermezzo per musica, La birba, i cui protagonisti saranno appunto i saltimbanchi e i ciarlatani (vedi L’Autore a chi legge, t. XIII, p. 280, n. 74). Scrive l’Angelini che La birba «sembra proprio dettato dall’incontro con l’Anonimo: la celebre piazza veneziana [San Marco] diventa un palcoscenico dove transitano avventurieri di ogni

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famiglia, ed aveva occupata in Palermo una Cattedra di Medicina. Dodici anni prima l’aveva io veduto in Fossombruno45 al ritorno mio di Perugia. Saliva egli allora in banco con due semplici sonatori per invitare il Popolo ad ascoltarlo, indi lo tratteneva egli solo col facile, ed erudito suo ragionare: invitando il pubblico a proporgli de’ quesiti difficili, e gli scioglieva felicemente; e per evitare il titolo, e la taccia di Ciarlatano, diceva, che Ciarlatani son quelli, che si espongono al Pubblico con de’ Buffoni sul Palco, e ch’egli all’incontro montava solo, affidato alla bontà de’ suoi Medicamenti, i quali per verità erano universalmente apprezzati. A Milano aveva egli rinunziato a questa bella difesa del suo mestiere; teneva una Compagnia completa di Commedianti46, che montavano in banco con esso lui, e si framischiava egli nelle loro burlette, ed ha continuato a ciò fare, fintantocché ritrovandosi parecchi anni dopo a Verona in tempo di una mortifera Epidemia di mali di petto, trovato non so, se a caso, o per istudio, il segreto di guarire una tal malattia colle mele appiole47, ed il vino di Cipro48, fu dall’applauso universale, e dalla protezione di quel Pubblico Rappresentante elevato al grado di Protomedico di detta Città, nel qual posto morì pochi mesi dopo, non pianto certamente da’ Medici di quel Paese. La Compagnia de’ Commedianti al soldo dell’Anonimo (per rivenire al nostro proposito) era una delle migliori fra quelle, che in Italia si chiamano Compagnie volanti49. Fra i buoni attori, che la componevano, eravi il bravo Pantalone Francesco Rubini50, che fu poi il successor di estrazione sociale, che simulano diversi mestieri e dialetti» (cfr. F. Angelini, Vita di Goldoni, cit., p. 54). Sul ciarlatano e il teatro goldoniano, si veda il saggio di B. Anglani, Ciarlatani e teatro riformato, in Parola, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, cit., pp. 65-78. Anglani segnala, ivi, anche il volume di G. Cosmancini, Il medico saltimbaco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza, Roma-Bari, Laterza, 2008. 45 Fossombrone, città dell’Umbria, vicina ad Urbino. 46 Compagnia costituita da commedianti dell’Arte di vaglia, e che Goldoni fra poco passerà in rassegna, quali Francesco Rubini, Gaetano Casali, Giovan Battista Garelli e altri (molti di costoro reciteranno nelle sue commedie). 47 Piccole mele rosse saporite. 48 È il vino offerto a Mirandolina dal Marchese di Forlipopoli nella Locandiera (II, 6). 49 Compagnie nomadi composte da attori professionisti, non legati in maniera stabile ai teatri. Mémoires: «M. Buonafede Vitali avoit aussi la passion de la Comédie, et entretenoit à ses frais une Troupe complette des Comédiens» (I, 29, p. 132); trad. it.: «Il signor Buonafede Vitali aveva anche la passione della Commedia e manteneva a proprie spese un’intera Compagnia di comici» (Memorie, p. 172). 50 Francesco Rubini, mantovano, attore molto stimato da Goldoni (lo elogerà nell’Autore a chi legge della commedia Il geloso avaro), succederà, nel ruolo della maschera di Pantalone, al Garelli, al San Luca, nel 1735. Goldoni lo incontrerà di nuovo al Teatro

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Gareli 51 nel Teatro Vendramini di San Luca, o sia di San Salvatore in Venezia, e l’onorato Gaetano Casali52 Lucchese, che passò da lì a poco tempo in carattere di primo Amoroso nel Teatro Grimani di San Samuele , e di cui avrò occasion di parlare più di una volta. Trovandosi dunque questa compagnia in Milano, ed essendo il Teatro disoccupato, i Direttori l’accordarono per la Primavera, e l’Estate a que’ comici, i quali lavorando (com’essi dicono) dentro, e fuori53, terminate le loro Farse in Piazza davano delle Commedie dell’arte in quel gran Teatro. Non mancava io certamente di frequentarlo, e contento più degli Attori, che delle loro comiche rappresentazioni, m’introdussi sulla Scena, feci amicizia con alcuni di loro, e passava il mio tempo ad esaminare dappresso i loro caratteri, i loro costumi, ed i loro maneggi54. Trovando il Casali uomo onesto, e civile, ed il meglio istruito degli altri nel suo mestiere, mi legai con esso lui particolarmente, gli svelai la mia inclinazione per li Comici componimenti, il desiderio, ch’io aveva di far una prova del mio talento, ed il bisogno, ch’io avea di sapere, se i Commedianti aveano delle regole così insulse, e così stravaganti, come avea trovato fra i Musici. Il Casali è uomo serio, ma non risparmia i termini, quando si tratta di dire la verità. Mi ha fatto un dettaglio esatto delle regole non della Commedia, ma dei Commedianti, che mi ha fatto talvolta ridere, e talvolta arrabbiare. La regola la più ridicola delle altre, e che mi ha più disgustato, è questa: Le San Luca a Venezia nel 1753 poco prima di morire, nel 1754, a Genova. Sul Rubini ma su tutti gli attori nominati in questa prefazione e in quella del t. XIII, si vedano: F. S. Bartoli, Notizie istoriche de’ Comici italiani che fiorirono intorno all’anno MDL fino a’ giorni presenti, due voll. Padova, Conzatti, 1782 e L. Rasi, I comici italiani, di cui il primo diviso in due parti, Firenze, Bocca-Lumachi, 1897-1905, cit. in Memorie italiane, a cura di F. del Beccaro, op. cit., p. 128. 51 Giovan Battista Garelli, grande interprete, nel Teatro di San Luca, del ruolo di Pantalone, muore nel 1740; a lui succederà, come ricordato, il Rubini. 52 Gaetano Casali, lucchese, attore e commediografo, fu molto amico di Goldoni, che per lui riscrisse il Belisario (1734). Il Casali assunse la direzione della Compagnia dell’Imer, succedendo al capocomico; recitò poi col Sacchi, fu al Teatro San Samuele, poi al Sant’Angelo, eccellente attore in vari teatri italiani e all’estero. Morì a Firenze, dove si era ritirato, nel 1767. 53 «Dentro e fuori»: cioè all’interno dei teatri o all’esterno nelle piazze. Goldoni non dichiara, come invece farà nei Mémoires (I, 29), che l’ingaggio della Compagnia del Vitali, da parte delle autorità milanesi, fu dovuta al suo interessamento in qualità di segretario del Residente. 54 L’attenzione e le frequentazioni del commediografo sono per gli attori più «che per le loro comiche rappresentazioni»; l’elenco dettagliato è indicativo di una relazione (talvolta tessuta di amicizie o di relazioni amorose) sempre cercata da Goldoni. Il suo «introdursi sulle scene» ricorda il primo incontro con i commedianti dell’Arte a Rimini, «m’introdussi a poco a poco sul palco, contrassi qualche amicizia» (cfr. L’Autore a chi legge, t. V).

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prime donne, i primi amorosi non cedono le prime parti a nessuno55. Sieno vecchi, cadenti, non lasciano di rappresentare le parti di giovani amanti, di semplici giovanette, e che la Commedia precipiti, e che il Teatro perisca piuttosto, che perdere il diritto del loro posto. Questo non è ancor tutto. Se la prima donna è di carattere dolce, inclinata al patetico, e che la prima parte di una Commedia, o di un’opera sia di un personaggio collerico, trasportato, furioso, la prima attrice preferisce di rendersi odiosa al pubblico piuttosto, che cedere ad una seconda la parte, che meglio le converrebbe. Gli uomini fanno lo stesso, e quegli, che si è acquistato del credito nel rappresentare un Bruto, un Cicerone, un Sansone, lo perde affatto, volendo sostenere il carattere di un Don Gelsomino, di un Cicisbeo affettato, di un Discolo, di un Prodigo, o di un Amoroso. Ma (diss’io allora) chi facesse un Componimento nuovo, e lo desse ai Comici, e li pregasse di arrendersi alla distribuzion delle parti?...56. Non, Signore (m’interruppe il Casali), voi non fareste niente. Voi riuscireste a far cedere i Comici in tutti gli altri articoli delle loro regole; ma in questo non lo sperate. Bisognerebbe dunque (ripresi a dire) comporre un’Opera precisamente addattata ai Caratteri personali di quei, che devono rappresentarla57. Oh! sì (rispose), sì certamente, se un Autore volesse a ciò suggettarsi, sarebbe quasi certo della riuscita. In fatti il Casali avea gran ragion di così parlarmi. L’ho provato in seguito per esperienza. Sono i Comici tutti, e buoni, e cattivi, e Italiani, e Francesi58 inflessibili su questo punto, e tutte le opere Teatrali, che ho poi composte, le ho scritte per quelle persone, ch’io conosceva, col carattere sotto gli occhi di quegli attori, che dovevano rappresentarle, e ciò, cred’io, ha molto contribuito alla buona riuscita de’ miei componimenti, e tanto mi sono in questa regola abituato, che trovato l’argomento di una Commedia non disegnava da prima i Personaggi, per poi cercare gli attori, ma cominciava ad esaminare gli attori per poscia immagi55 Le «regole dei commedianti» saranno messe in scena (e criticate) da Goldoni nella commedia Il teatro comico. Più che di regole trattasi di privilegi acquisiti col tempo dai comici e trasformati in norme inviolabili. 56 Finto esercizio d’ingenuità di Goldoni. 57 Piccolo decalogo dialogato sulla riforma; è quanto aveva già teorizzato Goldoni, più distesamente, nella Prefazione all’edizione Bettinelli. 58 Fa notare la Herry (cfr. G.H.M.I., p. 182) che questa Prefazione è stata scritta da Goldoni a Parigi, quando il commediografo aveva già alle spalle il tribolato lavoro con gli attori francesi della Comédie Italienne dal 1762 al 1765, e che lo aveva fatto sbottare a scrivere, al termine del suo incarico, in una lettera indirizzata a Gabriele Cornet, Parigi il 24 febbraio 1765: «la Provvidenza mi ha fatto segno de’ suoi benefici e Dio mi ha liberato dai Commedianti», (cfr. Opere, XIV, CXXXII, pp. 332-334).

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nare i Caratteri degl’Interlocutori. Questo è uno de’ miei secreti59. A poco a poco svelerò a’ miei leggitori tutti i misteri dell’arte60. Contento della sincerità del Casali andava sovente a passar la sera nel suo Camerino, dove i suoi Compagni, e le sue Compagne si ragunavano qualche volta, e divenni in poco tempo sì familiar sulla Scena, ch’io ne faceva le mie delizie. Ah non sapeva allora, quanta fatica, e quanti dispiaceri mi doveva costar la Scena! Informati i Comici, e le donne principalmente, ch’io avea desiderio di far qualche cosa per il Teatro, mi caricarono di commissioni per impinguare il loro generico ed empiei in pochissimo tempo una quantità di fogli di soliloqui, di rimproveri, di disperazioni, di dialoghi, di dichiarazioni, e di concetti amorosi, cose, che furono estremamente aggradite, e che facevano augurare ai Comici ch’io sarei divenuto un bravo Poeta alla loro foggia, e che avrei composto un giorno i più bei Soggetti del Mondo61. Eranvi nella Compagnia dell’Anonimo due, o tre persone, che cantuzzavano62 passabilmente, ed eravi un Suonator di Violino Veneziano, che montava in banco cogli altri, e sapeva compor di Musica. Mi pregarono di comporre un Intermezzo a due voci. Lo feci; il Suonator di Violino vi fece la Musica. Lo cantarono nel Teatro, e fu applaudito. Il Barcarolo veneziano63 era il titolo dell’Intermezzo. Lo troverete stampato nel quarto Tomo delle operette mie Musicali64, e questo è il primo componimento, ch’io ho lavorato pe’ Comici, ed il primo, che ho esposto al pubblico, pria sulle Scene, e poi colle stampe. Picciola cosa, è vero, ma come da un picciolo ruscelletto scaturisce talvolta... scusatemi, leggitori carissimi, ho la testa calda, mi pareva di essere ancora a Milano, mi pareva di scriver Concetti 65. Rimettiamoci in carreggiata. Intesi una sera invitare, cioè annun-

59 Stratagemma di taglio realistico. Goldoni aggira la gelosia dei comici dell’Arte, consegnando loro i caratteri già confezionati e adattati al temperamento di ciascheduno, alfine di rendere il racconto teatrale più verosimile. Questa lezione di regia teatrale, frutto della conversazione col Casali, non è presente nei Mémoires. 60 Lo farà anche per gli spettatori con la commedia del Teatro comico. 61 Goldoni ha alle spalle una lunga esperienza di «poeta di compagnia», di autore di «generici», di brogliacci, di scenari, battute, brevi dialoghi, su cui i commedianti dell’Arte improvvisavano in scena. 62 Canticchiavano. 63 Il barcarolo veneziano (1732). Inizialmente l’intermezzo era intitolato I sdegni amorosi tra Bettina putta de campielo e Buleghin barcariol venezian, titolo che poi muterà in Il gondoliere veneziano ossia gli sdegni amorosi (Zatta, 1794). 64 Si allude ai quattro tomi delle Opere drammatiche giocose (Venezia, Tavernin, 1753). 65 Goldoni si riferisce ai «concetti», alle «regole dei musici» milanesi.

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ziare dai Comici il Bellisario66, e l’annunziarono sei giorni prima, come cosa eccellente, che meritava il concorso, e l’attenzione del più fiorito Uditorio. Attesi anch’io con impazienza la prima Recita; v’andiedi pieno di curiosità, e di prevenzione; ma fui sì annoiato, e sì stomacato, che non potei restarvi sino alla fine. Cosa più scellerata non avea mai veduta67; e non fui solo a crederla tale, ma tutti gli spettatori invitati sprezzavano l’opera, e si lamentavano degli Attori. Il giorno dopo mi portai dal Casali. Appena mi vide, si mise a ridere, e dissemi con un’aria scherzevole: che cosa dice del bellissimo Bellisario? M’accorsi allora, ch’egli pure lo condannava, e dissi con tuono patetico: Perché annunziarlo con tanta pompa, se sapevate, ch’egli è cattivo? Voi non sapete le regole, ei mi rispose; questa chiamasi un’arrostita68 – che vuol dire arrostita? Vuol dire, che quando si vuol far una piena, s’invita il popolo sei giorni prima; noi facciamo il possibile, perché piaccia, e se non piace, non è colpa nostra. Ma il danaro (risposi) non torna indietro – Non signore – Ora capisco, che cos’è l’arrostita. Mi dispiace, soggiunsi, che avete arrostito anche me, e che avete abbrustolito, e ridotto in cenere il povero Bellisario. È vero, disse il Casali, è verissimo, io amo moltissimo le Tragedie, ho la mia passione per le parti Eroiche, sostenute, imperiose, mi piace il carattere di Bellisario, e mi duole il Cuore di vederlo sì maltrattato. Voi, soggiunse, Signore, voi dovreste render l’onore a questo gran Capitano, e cominciar da quest’Opera la carriera, che desiderate intraprendere. Ma questa, dissi, non è Commedia. Non importa, rispose, vi sarà più facile cominciare da una Tragedia... Credete voi, ripresi, la Tragedia più facile della Commedia? Non lo so, dic’egli, ma vorrei vedere rifatto il mio Bel66 Il Belisario, tragicommedia in versi, era uno scenario rappresentato con frequenza. Il Belisario di Goldoni andò in scena a Venezia, al Teatro San Samuele, il 25 novembre 1734. Vedi L’Autore a chi legge, t. XIII. 67 Nei Mémoires: «Mais quelle détestable Piece! Justinien étoit un imbécile, Théodore une courtisanne, Bélisaire un prédicateur. Il paroissoit les yeux crevés sur la scene. Arlequin étoit le conducteur de l’aveugle, et lui donnoit des coups de batte pour le faire aller […]» (I, 29, p. 134); trad. it.: «Ma che brutto componimento! Giustiniano era un imbecille, Teodora una cortigiana, Belisario un predicatore. Compariva in scena dopo essersi cavato gli occhi. Accompagnatore del cieco era Arlecchino che gli dava bastonate per farlo camminare […]» (Memorie, p. 174). 68 Lo spiega bene il Casali per bocca di Goldoni nei Mémoires: «Que signifie, lui dis-je, una arrostita? Cela veut dire, dit-il, en bon Toscan, una corbellatura, en langue Lombarde, una minchionada, et en François, une attrappe» (I, 29, p. 134); trad. it.: «Cosa significa, dissi, un’arrostita? Vuol dire, mi rispose, in buon toscano: una corbellatura; in lombardo: una minchionata; in francese: un’attrappe» (Memorie, p. 174). Le «arrostite» erano, in pratica, rappresentazioni scadenti, ma magnificate e ben pubblicizzate, dedicate ad un pubblico non raffinato che si accontentava di approssimazioni e sconcezze.

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lisario. Fino, soggiunsi, fino una Tragicommedia... vorrei provarmi. Animo, esclamò il bravo Comico, fate una bella Tragicommedia, e accomodatemi il mio Bellisario. Presi l’impegno di farlo; mi si posi dietro con estremo piacere. Il mio Signor Residente era passato a Venezia con permissione del Pubblico per suoi affari particolari69; aveva tutto il tempo di scrivere, l’Opera era bene avanzata, ma non ebbi tempo di terminarla in Milano per due accidenti, coi quali finirò il mio presente ragionamento. Andando un giorno al passeggio fuor delle porte della Città in compagnia di un amico70, giugnemmo ad un’osteria, detta della Cazzola71, mezzo miglio in circa distante. In Milano non dassi divertimento alcuno senza mangiare. Feste, Teatro72, conversazioni, passeggi, si mangia per tutto, e non è senza ragione che i Fiorentini, economi, chiamano i Milanesi Lupi Lombardi; Lupi però generosi, ed umani, che non mangiano quello d’altrui, ma danno volentieri a mangiar del proprio, e non vi è Paese, dove il forestiere sia meglio accolto, e meglio trattato. Arrivati dunque a quell’osteria, l’amico propose subito la Merenda, e fu bentosto ordinata. In tanto che ci preparavan la Tavola in un Giardinetto, passeggiando per il Cortile, vidi alla finestra73 dell’osteria una giovane, che mi parve bella. M’informai chi era, mi dissero, che non la conoscevano, ch’eran tre giorni, ch’era stata colà condotta da un forestiere, che poi non avean più veduto; che al discorso la credevano Veneziana, e che la povera giovane pareva afflitta. Giovane, Veneziana, ed afflitta74? Andiamo, dissi all’amico, andiamola a consolare. Montiamo le scale, picchiamo all’uscio, non 69

Goldoni aveva preso servizio presso il Bartolini nel marzo 1733. Il Residente aveva avuto l’autorizzazione a lasciare Milano, in seguito alla morte del padre, nei primi venti giorni di ottobre dello stesso anno. In questo lasso di tempo Goldoni sarà alle prese, da solo, con i «dispacci» informativi. 70 Si tratta, probabilmente, di certo Giacomo Carrara «gentiluomo bergamasco e mio amico intimo», come si dettaglia nei Mémoires (I, 30). La Porta è «l’attuale porta Vittoria» (Memorie, p. 970). 71 «Lampada da cucina» precisa Goldoni nei Mémoires (I, 30). 72 Nei teatri veneziani non soltanto «si mangiava», ma nei palchi si discorreva, si giocava a carte, si scherzava, e talvolta, abbassando uno schermo di legno, si restava in assoluta intimità. Scriverà Goldoni da Parigi a Francesco Grisellini, nel gennaio 1766, in un paragone tra teatri francesi e italiani: «Quei che non amano la Commedia non vanno a spendere il loro danaro per discorrere o per isbadigliare», (Opere, XIV, CXLVII, pp. 358-360). 73 Le «finestre» giocano un ruolo non secondario nelle vicende amorose di Goldoni, e non sarà, quindi, un caso se attraverso una finestra, il commediografo si innamorerà della futura moglie, la Nicoletta Connio: «La vista comoda e giornaliera delle finestre aumentava di giorno in giorno il mio fuoco» (cfr. L’Autore a chi legge, t. XV). 74 Nei Mémoires aggiungerà «bella» (I, 30).

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vuole aprire, ma annunziandomi per Veneziano, spalanca le porte, e piangendo si raccomanda. Che bello spettacolo è una bella donna piangente!75 Mi offersi a servirla, e le domandai, per quale avventura colà si trovava. La sua narrativa fu un po’ lunghetta; l’amico mio, più interessato per la Merenda, che per l’incognita, fece portar nella stessa Camera le polpettine, i miulsini76, i gamberi, ed il vino bianco, e a tavola ci terminò la giovane il suo racconto. In ristretto: Ella era, a quel che diceva, una Cittadina, fanciulla, e chiamavasi Margherita Biondi (seppi poi, ch’Ella non era, né Cittadina, né fanciulla, né Margherita, né Biondi), che un suo zio, che si chiamava Leopoldo N…77 l’avea condotta a Crema per una lite; che questi per una rissa era stato posto colà in prigione, e che un suo parente l’aveva condotta a Milano per presentarla al Conte Tadini di Crema per implorare la protezione di quest’autorevole, ed illustre Cavaliere in favore dello Zio carcerato. Finì, dicendo, che il suo parente l’avea colà abbandonata, che non l’avea più veduto, e che era disperatissima78. Io l’ascoltava con attenzione; l’amico mio mangiava, e rideva. Compresi anch’io, ch’Ella non diceva la verità; ma una compatriotta, bella, giovane, 75 Questo pianto ricorda le lacrime della cameriera dell’albergo di Pavia (la Toinette nei Mémoires) nell’Autore a chi legge, t. VIII. 76 Potrebbe trattarsi dei missoltini, pesci del lago di Como. 77 Nei Mémoires è dichiarato il cognome dello zio: «Leopoldo Scacciati» (I, 30). 78 Il racconto della bella veneziana nei Mémoires è diverso, ampiamente dettagliato, e con una trama più avventurosa, dove non compare nemmeno il nome del conte Tadini di Crema (importante uomo politico): «Elle étoit, me dit-elle, une Demoiselle de trésbonne maison de Venise; devenue amoureuse d’un homme d’une condition au-dessus de la sienne, elle s’étoit flattée d’en faire un époux; mais ils avoient trouvé des oppositions par-tout, et il falloit aller en pays étranger. La belle avoit mis dans sa confidence un oncle maternel qui l’aimoit beaucoup, et qui avoit eu la foiblesse de la seconder. Ils s’étoient sauvés tous les trois, ils avoient pris la route de Milan, et avoient passé par Crême: on les avoit poursuivis et atteints dans cette Ville, l’oncle fut arrêté et conduit en prison. Les deux amans avoient eu le bonheur de s’échapper. Ils étoient arrivés à Milan de nuit, s’étoient logés dans l’hôtellerie où nous étions; son amant étoit sorti de bon matin, pour chercher un logement dans la Ville; il n’étoit pas revenu. Il y avoit trois jours que la Demoiselle étoit seule, désespérant de ne plus revoir son ravisseur, son indigne séducteur» (I, 30, pp. 137-138); trad. it.: «Era, mi disse, una signorina di ottima famiglia veneziana; innamoratasi di un uomo di condizione inferiore alla sua, si era illusa di farlo suo sposo; ma i due avevano incontrato ovunque opposizioni e si era dovuto andare in un paese straniero. La bella aveva posto ogni fiducia in uno zio materno che le voleva molto bene e aveva avuto la debolezza di assecondarla. Erano fuggiti tutti e tre, avevano preso la strada di Milano, erano passati da Crema; ma erano stati inseguiti e raggiunti in quella città: lo zio venne arrestato e messo in prigione, mentre i due innamorati avevano avuto la fortuna di riuscire a fuggire. Erano arrivati a Milano di notte, avevano preso alloggio nella locanda dove ci trovavamo; l’uomo era uscito di buon mattino, per cercare un appartamento in città; non era più tornato. Erano ormai tre giorni che la fanciulla era sola e si disperava di non potere più rivedere il suo rapitore, il suo indegno seduttore» (Memorie, p. 178).

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ed afflitta meritava di essere assistita, e non di essere mortificata. Mi esibii di servirla, le offersi di parlar per lei al Conte Tadini: mi ringraziò colla maggior tenerezza, ma mi fece comprendere, che una giovane, com’ella era, non poteva restar lungo tempo in un’osteria di Campagna. Trovai, ch’Ella avea gran ragione; dissi, che le avrei procurato un alloggio in Milano, s’ella si degnava riceverlo; lo accettò gentilmente; ci congedammo da lei, e ce ne ritornammo in Città. L’amico ebbe buon dirmi, ch’io badassi bene pria d’impegnarmi; mi premeva troppo l’onor della patria per abbandonare una bella compatriotta. La mattina dopo cercai un alloggio, e lo trovai sulla Piazza del Castello in Casa di una Vedova onesta, che non ebbe difficoltà di ricevere una forestiera per la buona opinione, ch’Ella aveva di me. Andai subito con una Carrozza a prendere la Veneziana, pagai l’oste per lei, la condussi al suo nuovo albergo, e andando sera, e mattina a vederla per il corso di quindici giorni incirca, la trovai sì saggia, ed onesta, che a poco a poco cominciava ad accendermi. Cercai in questo tempo di vedere il Conte Tadini, ma egli era alla Campagna, ed io aspettava il di lui ritorno. Feci scrivere intanto con altro mezzo per la liberazione dello Zio carcerato, e feci cercar per tutto Milano il Parente, che l’avea abbandonata, e che mi pareva le stesse a cuore più dello Zio medesimo, ma non fu possibile di rinvenirlo. Dormiva79 in questo mentre il mio Bellisario, e i Comici, che più non mi vedevano comparire al Teatro, erano inquieti. Venne il Casali a vedermi; gli dissi qualche cosa della mia avventura; voleva anch’egli cercare d’aprirmi gli occhi, ma io non ascoltava ragioni. Una mattina entra prima del solito il Servitore nella mia Camera, e narrami una novità strepitosa: ecco il secondo accidente, che ho accennato qui sopra. Quindici mila Savoiardi, parte a piedi, parte a Cavallo, erano entrati in Milano, ed erano squadronati80 sulla piazza del Duomo. Una tale sorpresa, inaspettata, non penetrata da chi che sia, fece stordir tutto il Mondo, e fu quello il cominciamento della guerra de’ Gallo-Sardi contro degli Alemanni nell’anno 173281. Scrissi

79 Goldoni, con il tempo verbale «dormiva», ci consegna il senso della trascuratezza in cui era caduta la sua attività di autore teatrale. 80 Schierati agli ordini del maresciallo François de Coigny. Siamo tra il 3 e il 4 novembre. I «Savoiardi» sono i piemontesi. 81 Si legga: 1733. Si tratta della guerra per la successione al trono in Polonia (17331738). L’esercito dei «gallo-sardi», composto da francesi e piemontesi, entrò a Milano il 4 novembre 1733 in guerra con gli austriaci. La guerra durò, in Italia, circa due anni, fino all’ottobre 1735.

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immediatamente, e spedii una staffetta al mio Residente in Venezia, che prese le poste82, e arrivò due giorni dopo a Milano83. Cresciuto il numero de’ Gallo-Sardi in Milano, si disposero all’attacco di quel Castello. Fecero sloggiare immediatamente tutti quei, che abitavano il luogo di quella Piazza, e la mia Compatriotta fu obbligata sortire. Accorsi alla notizia, ch’ella mi fece avere di ciò, ed obbligato a ripiegar nel momento, la collocai con estrema fatica in Casa di un Genovese venditor di Limoni, dove non mi era permesso vederla, che in mezzo ad una numerosa, e fastidiosa famiglia. Tre giorni dopo arrivò un Corriero estraordinario della Repubblica Serenissima con un dispaccio al Veneto Residente, in cui gli ordinava di partir subito di Milano, e di condursi, e di stabilirsi a Crema, Città del Dominio Veneto, quaranta miglia di là distante. Si dispose il Signor Residente a partir bentosto84. Io era in dubbio di seguitarlo, ma essendosi egli disfatto con tal occasione del suo Segretario, offrì a me un tal posto, e in una tal congiuntura, in cui mi poteva far dell’onore, non ebbi cuore di ricusarlo. Raccomandai la giovane al Genovese, dissi addio ai Comici, impacchettai il mio Bellisario, e lo portai meco a Crema. Appena colà arrivato cercai del Zio della Veneziana, ma in virtù delle mie raccomandazioni era sortito di Carcere, ed era andato a Milano ad unirsi con sua nipote. Sentirete nel Tomo seguente chi era questo Zio, chi era questa Nipote. Vedrete il mio Bellisario finito, e mi vedrete fra le armi, e fra le disgrazie giungere al desiderato impiego di Compositor di Commedie85.

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Servizio postale mediante le diligenze. Le date si confondono. Non era già a Milano il Bartolini? 84 Il Bartolini giunse a Crema il 7 novembre 1733. 85 Uno stuzzicante invito a continuare la lettura (e ad attendere e acquistare il prossimo tomo). 83

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TOMO XII L’Autore a chi legge*

Ho intrapreso a scrivere la mia Vita, niente per altro, che per fare la Storia del mio Teatro, ma il preliminare è sì lungo, e la mia vita sì poco interessante, ch’io mi vergogno d’aver impiegato le Prefazioni di dieci Tomi1 per raccontarne gli aneddoti. Non è l’amor proprio, che mi ha condotto a far ciò, poiché non ho raccontato le mie virtù, ma piuttosto le mie debolezze, e qualche volta le mie pazzie, ed è unicamente l’amore della verità, che mi ha fatto dir per minuto tutto quello, che la memoria mi ha suggerito. Questo è l’anno finalmente, in cui ho cominciato a scrivere per il Teatro (l’anno 1733)2. Ma pria di arrestarmi a questo cominciamento3, mi sia permesso di continuare il racconto di quegli accidenti, che mi hanno condotto, quasi per necessità indispensabile, ad intrapren-

* Questa prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata in Venezia nel 1774. Il tomo comprende le commedie nella seguente successione: Il filosofo inglese (Venezia, 1753); Il giuocatore [sic] (Venezia, 1750), Il geloso avaro (Livorno, 1753), L’impresario delle Smirne (Venezia, 1761). Il frontespizio rappresenta l’Arena di Verona nel cui centro è stato montato un teatro di legno per la rappresentazione di una commedia dell’Arte. Il disegno allegorico, in alto, raffigura, a destra, la dea della fortuna, mentre a sinistra la figlia di lei, la necessità, brandisce un martello e dei chiodi. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dal De rerum natura di Lucrezio: «Sentit enim vim quisque suam quam possit [abuti]» (V, 1033); trad. it.: «Ciascuno sa come poter giovarsi della propria forza». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Marco Sebastiano Giampiccoli. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi nel 1734; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal trentunesimo all’inizio del trentacinquesimo della prima parte. 1 Goldoni, evidentemente, non mette nel conto L’Autore a chi legge del primo tomo, perché prefazione quasi interamente dedicata alla presentazione dell’edizione; sebbene, però, vi sia l’episodio importante (per lui) della commedia scritta all’età «d’anni otto […] età in cui il genio comico principiava in me a svilupparsi». 2 Si legga 1734. Da questa data inizia “ufficialmente”, con molte cautele, incertezze e discontinuità almeno fino al 1743, la carriera di autore teatrale di Carlo Goldoni, dai libretti di melodramma, agli intermezzi, agli adattamenti, ai dialoghi. 3 Ma prima di giungere a questo punto.

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dere questa carriera, ed a soddisfare la mia inclinazione4. Giunto a Crema col Veneto Residente, presi colà il possesso della mia carica di Segretario. Ciò accadde in un’occasione laboriosa, ma nello stesso tempo per me piacevole, ed interessante, poiché la guerra viva, e vicina somministrava tutti i giorni materia per occuparmi con frutto, per instruirmi, e per rendermi utile al mio Superiore5. Egli aveva delle numerose ed utili corrispondenze. Ricevevansi tutti i giorni dieci, dodici, o venti lettere colle novità concernenti ai progressi, o ai dissegni6 degli eserciti belligeranti. Tutte queste lettere non meritavano intiera fede. I corrispondenti si poteano ingannare, ed erano qualche volta ingannati. Io ne faceva lo spoglio; calcolava più, o meno il valore delle notizie, secondo la qualità, ed il talento dello scrivente, e confrontando le relazioni, e le circostanze, sceglieva il più sicuro, o almeno il più probabile, e presentava al Ministro la materia del suo dispaccio. Non contento il mio Residente delle notizie, che riceveva da’ suoi corrispondenti, mi ha spedito due volte a Milano, in tempo, che da’ Gallosardi si battea quel Castello, ed in tempo, che si rendé quella Piazza7. Passarono poscia le stesse truppe ad assediare Pizzighettone, ancor più vicino alla Città, dove noi eravamo, e domandata dagli assediati capitolazione, dopo dodici giorni di assedio ed apertura di brecia, andai sopraluogo, in occasione dell’armistizio, che durò tre giorni, e ne successe la resa8. Non credo si dia spettacolo al Mondo più bello, più vivo, più dilettevole di un armistizio. Il campo parea una cuccagna. Danze, giochi, gozzoviglie, tripudi. Un infinito concorso di Popolo, che vi accorrea da tutti i luoghi circonvicini.

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Sono stati, dunque, dei meri «accidenti» che hanno «condotto», «per necessità indispensabile», Goldoni al teatro? 5 È un utile apprendistato da cui il Nostro trarrà profitto quando assumerà l’incarico di console di Genova a Venezia nel 1741, come lui stesso ammette nei Mémoires: «Cet exercise m’occupoit beaucoup, il est vrai, mais il m’amusoit infiniment; je me mettois au fait de la politique et de la diplomatique: connoissances qui me furent très-utiles lorsque je fus nommé, quatre ans après, Consul de Genes à Venise» (I, 31, p. 142); trad. it.: «Tale operazione mi occupava molto, è vero, ma mi divertiva immensamente; mi iniziavo alla politica e alla diplomazia: conoscenze che mi furono utili quando, quattro anni dopo, fui nominato console di Genova a Venezia» (Memorie, pp. 183-84). 6 Le strategie militari. 7 Il castello di Milano si arrese il 2 gennaio 1734. 8 Le truppe dei «gallosardi», con in testa il re Carlo Emanuele III, aprirono la breccia il 28 novembre 1733, a cui seguì, due giorni dopo, la richiesta di armistizio. La fortezza fu successivamente occupata il 9 dicembre dello stesso anno.

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Un ponte gettato sopra la breccia, per dove comunicavano gli inimici, divenuti amici per il momento. Tutt’era in festa, tutt’era in gioia9. Io ho dato una picciola idea di questo ameno spettacolo nella Commedia intitolata La Guerra10. Ceduta finalmente dagli Alemanni anche codesta Piazza, vidi sortire il presidio cogli onori di Guerra, indi tornato a Crema, ne diedi la relazione completa al mio Residente, il quale col suo talento ne formò un esatto dispaccio. Allontanatesi un poco più da que’ contorni le Truppe, scemarono altresì le mie giornaliere fatiche. Ripresi allora per mano il mio Bellisario, lo terminai del tutto, ed attendeva con impazienza l’occasion di produrlo. In questo tempo mi giunse in Crema la visita inaspettata di mio fratello Giovanni11. Dopo la mia partenza di Venezia, mia madre era passata a Modona, 9

Ancora più vivace e mosso lo spettacolo dell’armistizio nei Mémoires (quasi teatrale, se non cinematografico nel movimento dello sguardo condotto come da una macchina da ripresa che scorre sulla scena per poi fermarsi sui dettagli, e che ricorderà per il movimento e l’allegria la descrizione dell’arrivo di Goldoni a Venezia ad incipit dell’Autore a chi legge (t. XIII): «Un pont jetté sur la bréche donne la communication entre les assiégeans et les assiégés: on voit des tables dressées par-tout: les Officiers se régalent réciproquement: on donne en dedans et en dehors, sous des tentes ou sous des berceaux, des bals, des festins, des concerts. Tout le monde des environs y accourt à pied, à cheval, en voiture; les vivres y arrivent de toute part: l’abondance s’y établit dans l’instant; les Charlatans, les Voltigeurs ne manquent pas de s’y rendre. C’est une foire charmante, c’est un rendez-vous déliceux» (Mémoires, I, 31, pp. 142-143); trad. it.: «Un ponte gettato sopra la breccia mette in comunicazione assediati e assedianti: si vedono ovunque tavole imbandite: gli ufficiali si invitano tra loro a banchettare dentro e fuori, sotto le tende e i pergolati, si fanno balli, festini, concerti. Vi accorre, a piedi, a cavallo, o in calesse, tutta la gente dei dintorni; i viveri giungono da ogni parte: d’un colpo regna l’abbondanza; e non mancano di andarci ciarlatani e acrobati. È una fiera attraente, un ritrovo delizioso» (Memorie, p. 184). 10 A leggere la commedia La guerra (1760) contiene, anche, passi di dura critica per coloro che approfittavano delle difficoltà altrui e si arricchivano a causa dei disagi derivanti dalle azioni belliche (vedi ad esempio: atto II, 1-5). Ancora nei Mémoires Goldoni evidenzia il comportamento di alcuni sfruttatori senza scrupoli: «Il y avoit à peu de distance de l’endroit où nous étions, une compagnie d’hommes riches, tolérée pour acheter les dépouilles des victimes de la guerre, et les acheteurs ne prenoient pas garde si les effets venoient du champ de bataille, ou du grand chemin» (I, 32, p. 150); trad. it.: «A poca distanza dal luogo in cui eravamo c’era una compagnia di uomini ricchi, tollerata perché acquistasse le spoglie delle vittime di guerra e gli acquirenti non si curavano se gli oggetti venivano dal campo di battaglia o dalla strada» (Memorie, p. 193). Altra commedia di ispirazione militare: L’amante militare (1750-1751). 11 Nei Mémoires (I, 31) Goldoni racconta che la causa che aveva indotto il fratello a lasciare Venezia e il servizio militare era da imputarsi alla morte del suo capitano Girolamo Visinoni (cosa, del resto, non certa, e probabilmente usata come scusa dal fratello). Giovanni Paolo, fu per Goldoni spesso causa di contrarietà e svantaggi, come si vedrà fra poco; insomma dai bigodini fatti con le pagine dei libri del Cicognini (Mémoires, I, 10), fino al coinvolgimento finanziario in una truffa, episodio raccontato nell’Autore a chi legge, t. XVII.

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e l’avea secolei condotto, e là vivevano delle rendite nostre paterne. Fece valer mio Fratello, in quell’occasione, la tenerezza, ch’egli aveva per me, ed il desiderio di rivedermi, ma io mi accorsi, che altro motivo lo conduceva. Giovane, più di me, di sei anni, soffriva malvolentieri la soggezion di una Madre saggia, e venne a ritrovarme con isperanza di vivere con maggior libertà. Lo accolsi con amore, lo presentai al Signor Residente, il quale ebbe la bontà di riceverlo, e di trattenerlo, in qualità di Gentil’uomo di Camera. Non tardò molto però mio Fratello ad annoiarsi anche di questa situazione, che aveva essa pure i suoi spini. Quant’era il Signor Residente generoso, e gentile, era altrettanto delicato, e qualche volta difficile, e la dilicatezza dell’uno, e l’imprudenza dell’altro12, fecero sì, che mio fratello fu obbligato di andarsene, ed io, che quantunque condannassi la condotta di mio Fratello, non potea dissimulare il dispiacere di vederlo partire, discapitai13 non poco nell’animo del Signor Residente, il quale cominciò d’allora a guardarmi con occhio men favorevole, e l’avventura, che ora sono per raccontare, gli servì di motivo per privarmi affatto della sua grazia. Venne a ritrovarmi un giorno quel bravo Zoppo14, che passava per lo Zio della mia bella Compatriotta, e dissemi, che partitasi ella da Milano per ritornare in Venezia, passata era per Crema, unicamente per rivedermi. Ricevei con giubbilo una tal nuova15. M’informai del suo alloggio. Lo Zio m’invitò seco a cena; accettai, ed aspettava la sera con impazienza. Due ore dopo, mi chiama il Signor Residente, e mi consegna un manifesto di una delle Potenze, allora, belligeranti, e come quello scritto era cosa nuova, e speditagli con segretezza, me ne ha ordinata la copia, per la mattina seguente, per ispedirlo a Venezia. Lo presi, promisi di farlo, ma restai brutto16, quando vidi, ch’era di cinque fogli ben pieni. Erano ventidue ore, e l’amica aspettavami a 12 Molto più persuasivo e sbrigativo nei Mémoires: «[…] mais si l’un avoit la tête chaude, l’autre l’avoit brûlante, et ils ne pouvoient pas tenir ensemble» (I, 31, pp. 143-144); trad. it.: «[…] ma se uno aveva la testa calda, l’altro l’aveva in fiamme e quei due non potevano resistere a lungo insieme» (Memorie, p. 185). Non sapremo mai cosa sia veramente accaduto, quale «imprudenza» sia nata tra il Residente e il fratello di Goldoni, dissidio certamente non imputabile soltanto a delle diversità caratteriali. 13 Perdere la stima, la considerazione. 14 È il Leopoldo Scacciati, incontrato nell’Autore a chi legge, t. XI. Nei Mémoires (I, 31) è riportato un lungo dialogo con lo «Zio», interrotto proprio dall’incarico ricevuto dal Residente di ricopiare un importante e segreto manoscritto. Dopo di che Goldoni, visibilmente irritato, manifesta la difficoltà di accettare l’invito, se non per la sera inoltrata. 15 Goldoni non ha dimenticato la sua bella veneziana. 16 Restai male.

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Cena. Corsi nella mia Camera, lavorai a forza, e lo finii a un’ora e mezza di notte. Se fosse stato in casa il Signor Residente, glielo avrei consegnato subito; ma non c’era. Lo chiusi nel mio Scrittoio, e andiedi a far la visita concertata17. Ritorna a casa prima di me, e prima del solito, il Residente, mi cerca, e non mi trova; manda per tutta la Città a ricercarmi; gli dicono, che mi han veduto passar da una strada, dove alloggiava in quel tempo un altro Ministro18. S’immagina, ch’io sia andato a comunicare il suo manifesto; si mette in furia grandissima; ritorno a casa, lo trovo prevenuto da quest’immagine per me ingiuriosa; me lo dice senza risparmio19; mi sento accusato a torto; non cerco giustificarmi colle parole, ma corro nella mia Camera, prendo il manifesto, gli do l’originale, e la copia, ed ei crede ancora, ch’io l’avessi in saccoccia, e ch’io l’avessi comunicato. L’offesa mi parve grande, dissi qualche parola un poco troppo avvanzata; mi minacciò di farmi arrestare; partii immediatamente da lui, e andiedi a ricovrarmi20 dal Vescovo della Città. Fui colà ben accolto; 17

Convenuta. Più romanzesco (e differente) il racconto dell’episodio nei Mémoires che ricorda, ma con altro finale, la notte di bagordi al tavolo da gioco, prima del giorno della laurea: «[…] je m’en vais à l’hôtellerie du Cerf. Je trouve la belle Vénitienne engagée dans une partie de pharaon avec quatre Messieurs que je ne connoissois pas. Au moment que j’entre, la taille finissoit. On se leve, on me fait beaucoup de politesses, on fait servir le souper, on me donne la place d’honneur près de la Demoiselle. J’avois une faim enragée, je mangeai comme quatre. Le souper fini, on reprend le jeu. Je ponte, je gagne, et je n’osois pas m’en aller le premier. La nuit se passe en jouant. Je regarde ma montre; il étoit sept heures du matin. Je gagnois toujours, mais je ne pouvois rester davantage; je fais mes excuses à la compagnie, et je m’en vais» (I, 31, p. 145); trad. it.: «[…] me ne vado alla locanda del Cervo. Trovo la bella veneziana impegnata in un faraone con quattro uomini che non conoscevo. La mano terminava proprio nel momento in cui io entravo. Si alzano, mi fanno molti complimenti, fanno servire la cena, mi attribuiscono il posto d’onore accanto alla signorina. Avevo una fame esagerata, mangiai per quattro. Finita la cena, si riprende a giocare. Io punto, vinco e non oso andarmene per primo. La notte passa nel gioco. Guardo l’orologio; erano le sette del mattino. Vincevo ancora, ma non potevo restare oltre; presento le mie scuse alla compagnia e me ne vado» (Memorie, p. 187). 18 Come si apprende dai Mémoires, Venezia aveva inviato contemporaneamente a Crema anche un altro emissario di fiducia, un senatore, «[…] avec le titre de Provéditeur extraordinaire; et tous les deux faisoient, à l’envi, leurs efforts pour avoir des correspondances, et pour envoyer au Sénat les nouvelles les plus récentes et les plus sûres» (I, 31, p. 141); trad. it.: «[…] con il titolo di provveditore straordinario; e i due facevano, a gara, ogni sforzo possibile per avere corrispondenze e inviare al senato le notizie più aggiornate e sicure» (Memorie, p. 183). Da questa “concorrenza” deriveranno i dispiaceri che il Nostro sta raccontando? Il «provveditore straordinario» era il nobile Antonio Loredan, giunto a Crema nel novembre 1733. 19 Usando termini offensivi. 20 Da come appare, più che allontanarsi, Goldoni scappa e va a «ricovrarsi» dal Vescovo; quindi ci fu, probabilmente, non una semplice minaccia, ma la concreta possibilità di un ordine di arresto. Nei Mémoires (I, 31) Goldoni racconta che, alla fine, il Residente si ricredette sul suo comportamento e ci furono delle scuse.

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mi assicurò il Segretario, che l’indomani tutto sarebbesi accomodato, ma io, che mi vedea decaduto nell’animo del mio superiore, formai subito la risoluzion di voler partire. Andiedi a letto; pensai per qualche tempo, che tre ore di divertimento mi dovean costar care, ma posti al solito, i pensieri tristi sotto del capezzale, dormii il resto della notte tranquillamente. Il giorno dopo mi fu detto, che il Signor Residente si era un poco tranquillizato, ma fattagli domandare la permissione di andarmene, non me la negò21, tanto più, che un Frate Domenicano, aspirava se non all’utile, almeno all’onore di supplire alla mia incombenza22. Fatto il mio baule, presi un calesso, e partii lo stesso giorno da Crema, con animo di trasferirmi a Modona, per rivedere mia madre, ed aver nuove di mio Fratello23. Passata la prima notte in casa di un amico mio in un Villaggio detto le Case bruciate, arrivai il giorno dopo in Parma, ed alloggiai alla locanda del Gallo. La mattina vegnente, giorno di San Pietro, fra le ore quattordici, e le quindici sento uno strepito per la strada, un correre di persone, un gridare di Donne, e di Fanciulli, mi affaccio alla finestra, m’informo, e sento, che l’armata Tedesca, condotta dal generale Mercy24 era alla vista delle mura di Parma, e ne temevano la sorpresa, e il saccheggio. Tutti correano alle Chiese; vi trasportavano le gioie, e gli argenti, come se in tali casi fossero le Chiese asilo sicuro contro il furore, e l’avidità de’ Soldati. È nota al Mondo la gran Battaglia colà accaduta in quella memorabil giornata25. Il campo de’ Gallosardi non era, che tre miglia distante, in un Villaggio che si chiama San Pietro. 21

Siamo tra la fine di marzo e l’inizio di aprile del 1734. Si presume che Goldoni non si sia più rappacificato col Bartolini e, come nota l’Ortolani, nessuna delle sue commedie è dedicata al Gran Cancelliere della Serenissima, alto grado raggiunto nel 1746 dal Bartolini. 22 Ci fu una congiura a danno di Goldoni? Chi riferì al Residente di aver visto Goldoni in quella «strada, dove alloggiava in quel tempo un altro Ministro»? Forse il segretario licenziato dal Bartolini? Oppure il Domenicano-Tartufo raccontato nei Mémoires: «Un Tartuffe Dominicain s’étoit emparé de sa confiance, et quand je n’étois pas au logis, il se mêloit d’écrire sous la dictée du Ministre. Tout cela m’avoit déja indisposé» (I, 31, p. 144); trad. it.: «Un Tartufo domenicano si era completamente appropriato della sua fiducia e, quando io non c’ero, si intrometteva in funzioni spettanti a me, come scrivere sotto dettatura del ministro. Tutto ciò mi aveva già infastidito» (Memorie, p. 186). L’autore non lo dice, ma lo fa capire. 23 «Partì invece dopo la metà di giugno, oltre due mesi dopo l’incidente» (cfr. D.B.M.I., p. 260). 24 Claude-Florimond, conte de Mercy (1666-1734). Morì in quella battaglia (29 giugno). 25 Il 29 giugno 1734.

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Una spia falsa, guadagnata dagli Alemanni, andò al campo de’ Gallosardi, mostrò servirli, annonziando loro un semplice distaccamento di gente nemica, che andava per foraggiare. Il Maresciallo di Coigny26 vi spedì incontro tre Reggimenti Francesi. Scoprirono questi il Grosso dell’armata nemica. Soffersero le prime scariche de’ cannoni, caricati a Mitraille27, ma postosi in marcia, con una velocità sorprendente l’esercito de’ Gallosardi, arrivò in tempo di difendere la Città, e di respingere l’inimico. La battaglia durò nove ore di seguito, dalle quindici sino le ventiquattro. Il generale Mercy vi lasciò la vita. Tutto il Mondo correva sulle mura della Città, da quella parte dov’era il combattimento. Vi corsi anch’io. Ho veduto cosa difficile a rivedere. Una battaglia sotto i miei occhi, veduta, quanto permettea di vedere il fumo quasi continuo delle scariche de’ fucili. Veduto ho al principio la cavalleria de’ Tedeschi, che per l’angustia del terreno non poteva avanzare. La battaglia si diede nella via carreggiata, di qua, e di là separata da fossi. Veduto ho in fine reculare28 i Tedeschi, e la tristezza de’ Parmegiani convertirsi in gioia, non per odio, che avessero contro di quelli, ma perché si vedean liberati dal timor del saccheggio. Un altro spettacolo vidi il giorno seguente, che m’empié di tristezza, ed orrore: venticinque mila29 morti sul campo30. Siccome allora le due armate occupavano quasi tutto il terreno del Parmegiano, del Reggiano, e del Modonese, era difficile, e pericoloso il transito de’ Passeggieri. Cangiai anch’io di pensiere, e in luogo di andare a Modona, presi la via di Brescia, per di là passare a Venezia. Due giorni 26

François de Coigny (1670-1759). A mitraglia, a pallettoni. 28 Francesismo: indietreggiare. 29 La cifra è esagerata; sembra invece che i caduti non superassero i diecimila. 30 Molto più cruda e dettagliata la descrizione nei Mémoires: «Un spectacle bien plus horrible et plus dégoûtant s’offrit à mes yeux le jour suivant dans l’après-midi. C’étoit les morts qu’on avoit dépouillés pendant la nuit, et qu’on faisoit monter à vingt-cinq mille hommes; ils étoient nuds et amoncelés; on voyoit des jambes, des bras, des crânes, et du sang par-tout. Quel carnage! Les Parmesans craignoient l’infection de l’air, vu la difficulté d’enterrer tout ces corps massacrés: mais la République de Venise qui est presque limitrophe du Parmesan, et qui étoit intéressée à garantir la salubrité de l’air, envoya de la chaux en abondance, pour faire disparoître tous ces cadavres de la surface de la terre» (I, 32, p. 148); trad. it.: «Uno spettacolo ancora più orribile e rivoltante si offrì ai miei occhi il giorno dopo, nel pomeriggio. Si trattava dei morti spogliati durante la notte, che si diceva ammontassero a venticinquemila; erano nudi e ammucchiati; si vedevano, gambe, braccia, teste e sangue ovunque. Che carneficina! Gli abitanti di Parma temevano l’infezione dell’aria, data la difficoltà di seppellire tutti quei corpi massacrati; ma la Repubblica di Venezia, che è quasi limitrofa al territorio di Parma ed era interessata a garantire la salubrità dell’aria, inviò calce in abbondanza, per far sparire dalla faccia della terra tutti quei cadaveri» (Memorie, p. 191). 27

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ancora mi trattenni in Parma, ed il terzo, trovata la compagnia di un Abbate31, collo stesso mio Vetturino mi posi in viaggio32. Un miglio incirca lontani da un grosso Borgo del Piacentino, che chiamasi Casal Pasturlengo33, fummo assaliti da cinque Desertotori Tedeschi, i quali colle sciabole alla mano, ci fecero un cattivo saluto, e ci obbligarono a sortire di calesso. Fattaci la visita delle saccoccie, e preso tutto quello, che c’era, orologio, tabacchiere, quattrini, si gettarono sopra i bauli, e ci lasciarono in libertà. Io non so qual partito abbia preso il Signor Abbate; So, che io temendo sempre di rivedere intorno di me quelle sciabole, mi diedi a correre, saltai un fosso assai lestamente, e mi salvai a traverso de’ campi, e quando mi vidi in certa distanza, credutomi in luogo di sicurezza, mi posi a sedere sotto di un albero, e mi riposai con un piacere infinito. Io non faccio il bravo34; dico la verità; ho avuto paura, e credo che ogni galant’uomo ne avrebbe avuto altrettanta. Poco costava a coloro il darmi una sciabolata, e distendermi a terra. Ho secondato il primo moto della natura, e la filosofia, che mi ha abbandonato in quel punto, mi ha poi ben servito in appresso. Trovatomi spogliato di tutto, senza un soldo in saccoccia, senza conoscenza del luogo, e senza sapere dove rivolgermi, non mi sono perduto di animo, ma anzi rivenuto dalla mia primiera apprensione, mi son creduto felice, e mi son trovato contento. Io non vedea, dov’era; né case, né strade, caminai a traverso de’ solchi, finché trovato un viottolo, bagnato da un ruscello, vivo, e profondo, mi lusingai, che

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Dai Mémoires sappiamo il cognome dell’abate, si chiamava Garoffini. Nei Mémoires è il primo ascoltatore (interessato) del Belisario: «Nous causâmes beaucoup en route; et comme j’avois la maladie des Auteurs, je ne manquai pas de parler de mon Bélisaire. M. l’Abbé paroissoit curieux de l’entendre; et à la premiere dînée, je tirai ma piece de mon coffre-fort, et j’en commençai la lecture. Je n’avois pas achevé le premier acte, que le voiturin vient nous presser pour partir. M. l’Abbé en étoit fâché, il y avoit pris quelqu’intérêt; allons, dis-je, je lirai en voiture aussi bien qu’ici: nous reprenons nos places dans la chaise; et comme les voiturins vont au pas, je continuai ma lecture sans la moindre difficulté» (I, 32, p. 149); trad. it.: «Durante il viaggio, discorremmo a lungo: e, poiché io avevo la malattia degli autori, non mancai di parlare del mio Belisario. L’abate sembrava curioso di ascoltarlo; e io, alla prima sosta per il pranzo, presi dal baule il mio lavoro e ne cominciai la lettura. Non avevo ancora terminato il primo atto quand’ecco giungere il vetturino a farci fretta per ripartire. L’abate era dispiaciuto, aveva preso un certo interesse alla lettura; suvvia, dissi io, nel calesse lo leggerò altrettanto bene che qui: riprendemmo posto nel calesse; e, poiché i vetturini andavano al passo, continuai la mia lettura senza la benché minima difficoltà» (Mémoires, p. 192). 33 Casal Pusterlengo, tra Piacenza e Lodi. 34 Non faccio lo smargiasso, non mi do delle arie. Ricordiamo i «bravi» manzoniani. 32

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per quella strada troverei delle case e forse qualche Villaggio35. Non istetti molto a scoprire dell’abitato, e a ritrovare de’ Contadini, che lavoravano. Narrai loro il mio caso; ebbero compassione di me, mi offersero alloggio, additandomi le loro case, e mi esibirono del pane, e del cacio, ed un resto di vino, che avevano in una borraccia. Accettai la colazione col maggior piacere del Mondo. Che pan delicato! che formaggio eccellente! che vino esquisito!36 Circa l’alloggio, Siccome non potean darmi, che della paglia, e del fieno per coricarmi, m’informai de’ luoghi vicini, e mi dissero, che Casal Pasturlengo era il luogo meno distante. Uno di quegli Uomini dabbene mi accompagnò a quel Borgo, grande, bello, e ben popolato. Mi presentai coraggiosamente al Parrochiano37, non mi sovviene, s’ei fosse Prevosto, Arciprete o curato, ma so, ch’era galant’uomo, poiché m’accolse cortesemente, 35 Nota Gianfranco Folena un riferimento, «certo molto lontano», all’apertura della Chartreuse de Parme di Stendhal (cfr. G. Folena, op. cit., pp. 390-91). 36 Goldoni non dice quanto, invece, aggiungerà nei Mémoires, ovvero che in casa dell’arciprete avrà luogo la seconda lettura privata del Belisario e il pubblico che lo ascolterà e applaudirà sarà come una sorta di microcosmo di classi e gruppi sociali differenti (religiosi, contadini), ovvero un esempio di quell’«auditorio» più volte vagheggiato, di quel gusto «universale» a cui le sue commedie sarebbero dovute andare incontro: «Insensiblement, je me trouvai engagé, dans quelques détails, sur mes emplois et sur mes occupations; mes discours aboutirent, comme à l’ordinaire, à l’article de Bélisaire. Le Curé, qui étoit un Ecclésiastique très-sage et très-exemplaire, ne condamnoit pas les Spectacles honnêtes et morigénés, et paroissoit curieux d’entendre la lecture de ma Piece; mais j’étois trop fatigué pour l’instant; nous remîmes la partie au lendemain […]. Aussi-tôt que je fus réveillé, on m’apporta une bonne tasse de chocolat. Ensuite, comme le tems étoit beau, j’allai me promener jusqu’à midi, qui étoit l’heure du diné; nous nous revîmes avec plaisir, nous dînâmes avec deux autres Abbés de sa Paroisse; et après dîné, j’entrepris la lecture de ma Piece. M. le Curé me demanda la permission de faire entrer sa gouvernante et son régisseur. Pour moi, j’aurois voulu qu’il fît venir tout le village. Ma lecture fut extrêmement goûtée. Les trois Abbés, qui n’étoient pas sots, saisirent les endroits les plus intéressans et les plus saillans, et les villageois me prouverent, par leurs applaudissemens, que ma Piece étoit à la portée de tout le monde, et qu’elle pouvoit plaire aux gens instruits comme aux ignorans» (I, 33, pp. 151-52); trad. it.: «Senza accorgermene, per qualche particolare, mi ritrovai a accennare al mio lavoro e alle mie occupazioni; il mio discorso finì, come sempre, sull’argomento Belisario. Il parroco che era un ecclesiastico assai saggio e esemplare, non condannava gli spettacoli onesti e morigerati e sembrava curioso di ascoltare la mia opera; ma io, in quel momento, ero troppo stanco; rimandammo la lettura al giorno dopo […]. Non appena sveglio mi fu portata una bella tazza di cioccolata. Poi, siccome era bel tempo, andai a passeggiare fino a mezzogiorno, che era l’ora di pranzo; ci rivedemmo con piacere, pranzammo con altri due abati della parrocchia; e, dopo il pranzo intrapresi la lettura della mia opera. Il parroco mi chiese il permesso di far entrare la governante e il fattore. Dal canto mio, avrei voluto che facesse venire l’intero villaggio. La mia lettura fu davvero apprezzata. I tre abati, che non erano sciocchi, afferrarono i punti più interessanti e notevoli, mentre gli altri due popolani mi provarono, con i loro applausi, che l’opera era alla portata di tutti e poteva piacere alle persone istruite come a quelle ignoranti» (Memorie, pp. 195-196). 37 Parrocchiano, parroco. Il nome rimane sconosciuto.

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mi dié buona cena, e buon letto, e il giorno dopo un cavallo, ed un Uomo, per trasferirmi a Brescia. Due anni dopo, passai di là, andando a Genova, con animo di dimostrargli la mia gratitudine, e con estremo mio dispiacere, lo trovai morto. Giunto a Brescia, mi arrestai ad un picciolo albergo38, deliberando in me stesso, benché con pena, di andar dal Pubblico Rappresentante, e dispiacendomi di rimandar l’Uomo, senza riconoscere la sua fatica, lo pregai di attendermi a quell’Osteria. Andando verso il Palazzo del Potestà incontrai il Zoppo, Zio della bella Compatriotta39. Mi fa festa in veggendomi, e si lagna, ch’io non sia stato una seconda volta a vederli; vicino a Crema. Gli racconto la mia partenza improvisa, la mia disgrazia incammino, e la mia intenzione di presentarmi al Pubblico Rappresentante. Quest’Uomo mi balza al collo, mi prega, mi scongiura d’andar da lui, e dalla Nipote, mi prende per la mano, e zoppicando mi tira seco. Io ci aveva qualche difficoltà; la sua fisonomia, il luogo, dove l’aveva veduto presso di Crema, e l’aria libertina, che aveva acquistata a Milano la giovane, in occasion della Guerra, m’indicavano presso a poco, che cos’erano l’uno, e l’altra40; ma tanto fece, e disse, che mi lasciai condurre alla di lui casa. Giunti colà m’annonzia alla Nipote, come un miracolo; quante feste! quanti accoglimenti41 dalla giovane di buon cuore! Presto, una camera; ecco un letto per voi. Cenerete qui. Tutte cose, di cui aveva bisogno, ma che non potea ricevere, senza rimorso. Finalmente l’ora era molto avvanzata. Non era sicuro di trovare il pubblico Rappresentante, avea del rossore a presentarmi, e a chiedere, e qui mi offerivano, e mi pregavano, ho deliberato di accettare, e di restare. Si parla, si discorre; mi sovviene dell’uomo, che mi ha accompagnato; accenno la volontà, che avrei, che fosse riconosciuto. Il Zoppo mi domanda in qual Osteria si è fermato, glie lo dico, ei parte subito per dargli mezzo ducato. Voleva scrivere al buon Religioso per 38 Goldoni stranamente non ne trascrive il nome, come invece fa di solito; forse perché «picciolo»? 39 Un incontro casualmente poco attendibile, quasi romanzesco. Lo «Zio» sembra essere dappertutto, come se pedinasse Goldoni (oppure è il nostro commediografo che è in cerca della «bella compatriota»?). 40 Finalmente Goldoni ha capito, o finge di aver capito soltanto ora. Ma perché, allora, continua a frequentare i due personaggi? La fanciulla doveva essere assai bella! Lo zio viene disegnato come uomo di grande fascino, generoso, e dal carattere forte ed espansivo. Forse la necessità di poter ottenere un prestito (come accadrà), non sarà stato motivo secondario per accettare gli inviti e le frequentazioni. Nei Mémoires (I, 33) il racconto, in disparte, della veneziana a un Goldoni non molto esterrefatto, sarà dettagliato. 41 Accoglienze.

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ringraziarlo, ma in quella Casa non eravi né carta né calamaio42. Restato solo colla Giovane: e desideroso di sapere la verità, cercai tirarla in ragionamenti, e finalmente, veggendo ella, ch’io m’era accorto del suo mestiere, non osò di negarmelo, e mi confessò, che chiamavasi M... R...43 ed il supposto suo Zio, non era, che un vagabondo, che l’aveva sedotta, e viveva alle di lei spalle. Volea partir di là sul momento; ma ella colle lagrime agli occhi mi pregò di restare. Ritorna in questo tempo Vulcano44, mi assicura, che l’Uomo di Casalpasturlengo è rimasto contento, si spoglia, si mette un berrettino in capo, si smanica45 la camicia fino alle spalle, e va in cucina a prepararci la cena. Ci siamo; bisogna starci. Frattanto, ch’egli lavora, la giovane mi racconta le sue Avventure. Ha guadagnato molto a Milano. In casa sua frequentavano i Generali; teneva gioco, aveva ammassati molti denari, ma tutto era nelle mani del Zoppo. Avrebbe voluto liberarsene; ma come fare? Mi domandava consiglio. Io non avea cuore di darglielo46. Ecco l’ora di Cena. Per fortuna, in quella sera, non capitò nessuno. Si cenò in santa pace; e dopo cena si parlò della mia partenza. Mi disse il Zoppo, ch’io era padron di restare con essi loro, quanto io voleva, ma che veggendo bene, ch’io non mi sarei accomodato a restarvi più lungo tempo, mi pregava di dirgli dove io aveva destinato d’andare e che somma di danaro mi abbisognava esibendosi egli di prestarmi tutto quello, che mi occorreva. Restai attonito ad una tale proposizione. L’avrei accettata da ogni altro, senza difficoltà, ma da lui non aveva cuore. Si accorse della cagione della mia renitenza47; e senza nascondersi, mi disse, ch’egli era mosso a farmi l’esibizione per debito di gratitudine, ch’io l’aveva fatto sortir di prigione a Crema, e ch’io aveva custodita a Milano quella persona, col mezzo della quale aveva fatto molto guadagno; che nessuno sapeva, ch’io fossi in quella casa, che nessuno saprebbe, ch’io fossi stato da lui48. Soggiunse, che mi dava tutto il tempo, ch’io voleva a restituirgli il danaro, che non volea ricevuta, e cent’altre cose obbliganti. Al fine, per abbreviarla, ho accettato, ho preso sei Zecchini in imprestito, son 42

Goldoni sottolinea di essere in presenza di persone poco colte. E non Margherita Biondi come scritto nell’Autore a chi legge (t. XI). Si allude al claudicare del personaggio, supposto zio della giovane, poiché il dio Vulcano era zoppo. Si noti come Goldoni non nomini mai il nome dello «Zio», nome che invece renderà pubblico nei Mémoires. 45 Si arrotola le maniche della camicia. 46 Questa volta Goldoni non abbocca. 47 Resistenza. 48 L’omertà è dichiarata; ma è Goldoni, ora, a farci sapere tutto dettagliatamente. 43 44

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partito, sono andato a Verona, e di là dopo qualche giorno, glieli ho rimandati49. Eccomi dunque a Verona, eccomi in quel Paese, dove ho cominciato a contrattare gl’impegni miei col Teatro50. Trovavasi allora in quella Città, a far la Piazza d’Estate51 la Compagnia de’ Comici del Teatro detto di San Samuele52, in Venezia, appartenente alla nobile famiglia Grimani. Io non conosceva particolarmente alcun di que’ Comici, ma andiedi per curiosità ad una delle loro Rappresentazioni in Rena53. La Rena di Verona è un vasto antichissimo Anfiteatro, opera certamente di un Imperatore Romano, quantunque malgrado le ricerche degli eruditi Scrittori, e particolarmente del Sapientissimo Signor Marchese Maffei, non abbiasi mai potuto rilevarne l’Autore. Nel piano di quell’ampio recinto formasi54, nella più calda stagione un Teatro, sul quale si rappresentan, di giorno, dalle migliori Compagnie d’Italia, Commedie, e Tragedie. Chiudesi con uno steccato il resto del pian Terreno, dal Palco, sino ai giardini, e colà si tengono gli spettatori sopra de’ seggiolini di paglia, e il popolo minuto, e tutti quelli, che vogliono spender meno, siedono su i gradini, che son di faccia al Teatro. L’ora comoda, l’aria aperta, e la vastità del luogo facilitano molto l’ingresso, ed il piacere ad un’infinità di persone, e si moltiplica l’utile de’ Commedianti. Entrato dunque e preso posto in Arena, vidi, che si rappresentava in quel giorno una Commedia dell’Arte, nella quale aveva molto a faticar l’Arlecchino55. Osservai, che l’uditorio rideva, ma alcuni, che mi erano 49 Improbabile. Nei Mémoires racconta, sbrigativamente, un altro finale: «Comme je n’aurai plus occasion de parler de ces deux personnages, je dirai en deux mots à mon Lecteur, que je vis quelques années après la Demoiselle assez bien mariée à Venise, et que M. Scacciati finit par être condamné aux galeres» (I, 33, p. 154); trad. it.: «Poiché non avrò più occasione di parlare di tali personaggi, dirò in due parole al mio lettore che, qualche anno dopo, vidi la signorina assai ben maritata a Venezia mentre il signor Scacciati finì per essere condannato alla galera» (Memorie, p. 199). Anche se poi all’inizio del successivo capitolo (I, 34) Goldoni ricorda, di nuovo, la generosità dello Scacciati, per cui gli dovrà sempre della gratitudine. Gli interessa evidentemente il carattere di questo “personaggio” in cui si mescolano malaffare e generosità. 50 Da qui trae forse indicazione (o ispirazione) il Novelli per illustrare il frontespizio, giacché Goldoni non fa nessun riferimento al «Frontispizio istoriato» del tomo. 51 Spazio dedicato alle recite estive. 52 Il Teatro di San Samuele fu fondato a Venezia nel 1655, e fu sempre destinato alle commedie. In questo teatro Goldoni, con la compagnia Imer, inizierà il suo apprendistato di autore teatrale dal 1734 al 1743. 53 L’Arena di Verona, un anfiteatro, fu costruita intorno alla metà del I secolo d.C. 54 Viene eretto. 55 Aveva un ruolo importante. L’attore che recita nella parte di Arlecchino è Carlo Antonio Bertinazzi detto Carlin, (Torino, 1710-Parigi, 1783), che sarà celebre in Francia. La

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più vicini, e che rideano più sgangheratamente degli altri, diceano nel tempo stesso ai Commedianti: Baroni56. Rideano, e lor diceano Baroni. Pensai allora al mio antico proggetto, e dicea fra me stesso: Oh s’io potessi arrivare a tanto di far ridere gli spettatori, senza che dicesser Baroni!57 Era in questo pensier concentrato, quando la voce di un Attore, che mi parea di conoscere, mi risvegliò. Qual fu la mia sorpresa, quando vidi su quel Teatro il mio Gaetano Casali, ch’io avea lasciato in Milano colla Compagnia dell’Anonimo, e per il quale composto aveva il mio Belisario! Abbandono immediatamente il mio posto; monto sul Palco; attendo, ch’ei finisca la Scena; entra, mi vede, mi abbraccia, e mi domanda nuove di Belisario. Con qual contento apres’egli, ch’io l’aveva finito! Mi prende per mano, e mi presenta all’Imer58, suo Camerata, e Direttor della Compagnia, e mi annonzia per un Autore, da cui si potea sperar delle cose buone, e specialmente un Bellisario novello. Sarebbe egli in grado di comporre degl’intermezzi, disse subito il Direttore? Sì, rispose il Casali, ne ha composto per noi a Milano, e la Cantatrice59, ed il Gondoliere sono le prime prove del suo talento. Bravo, soggiunse l’Imer, bravissimo; Se vorrà impiegarsi per noi... A quest’annunzio mi si accostano due giovani donne, si consolano meco degl’intermezzi, che conoscevano, e che avean recitati, e si raccomandano, perché io ne commedia, inizialmente annunciata, doveva essere (si legge nei Mémoires, I, 34) l’Arlecchino muto per spavento, uno scenario dell’Arte molto conosciuto, sostituito all’ultimo momento da un altro, di cui Goldoni, sempre nei Mémoires, non ricorda il titolo. Da sottolineare che nei Mémoires Goldoni non riporta in alcuna maniera la reazione pittoresca del pubblico. 56 Bricconi. 57 Goldoni non smette mai di ribadire, appena se ne presenta l’occasione, che la rivalutazione della commedia, e la sua riforma, passano soprattutto attraverso la riqualificazione professionale e l’onorabilità degli attori comici. 58 Giuseppe Imer (circa 1700-1758), genovese, attore eccellente negli intermezzi e spesso autore degli stessi, ma soprattutto competente direttore della compagnia di S.E. Grimani al Teatro San Samuele, a partire dal 1734. Ebbe l’idea, non del tutto originale, di utilizzare gli intermezzi musicali tra un atto e l’altro delle rappresentazioni delle opere serie. Lo descriverà Goldoni succintamente e in maniera colorita nell’Autore a chi legge, t. XIII, ma anche nei Mémoires: «Court, gros, sans col, avec de petits yeux et un petit nez écrasé, il étoit ridicule dans les emplois sérieux, et les caracteres chargés n’étoient pas à la mode» (I, 35, p. 158); trad. it.: «Basso, grasso, senza collo, occhi piccoli e un nasetto schiacciato: era ridicolo nelle parti serie e i caratteri caricati non erano in voga» (Memorie, p. 204). Con l’Imer Goldoni inizia la sua carriera di autore. 59 L’intermezzo era dunque gia conosciuto dall’Imer che lo aveva recitato nel carnevale del 1734. La cantatrice, poi detta La Pelarina, composta da Goldoni a Feltre, fu plagiata da Antonio Gori e così non andò smarrita. Vedi L’Autore a chi legge, t. IX. Per il Gondoliere vedi la n. 63 nell’Autore a chi legge, t. XI, p. 241.

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faccia degli altri. Questa non era la mia vocazione, ma tutto promisi, e mi resi in un subito oggetto della loro curiosità, e delle loro speranze. Essi pure lo erano delle mie. Finì la Commedia, si resero i Comici alle loro case. Il Casali restò con me; mi accompagnò al mio Albergo e mi narrò per la strada com’era passato dalla picciola Compagnia dell’Anonimo, alla grande, alla famosa, alla decorosa Compagnia di S. Samuele. Giunti all’Osteria, dov’io dimorava avrebbe voluto leggere il Bellisario; ei ne moriva di voglia, ed io moriva di sonno. Rimisi ciò all’indomani, promisi di andar da lui, e ci andiedi. Dimorava egli nella stessa Casa dell’Imer, onde portatomi colà la mattina seguente, fui accolto con estrema pulizzia60, e compitezza. Eransi colà vari comici ragunati, non so, se per affari del loro mestiere, o per curiosità di vedermi. Propostasi dal Casali la lettura del mio Belisario, si mostrarono tutti desiderosi d’intenderlo, ed io lo lessi, ed essi lo ascoltarono con silenzio, e di quando, in quando con segni di compiacimento, e di ammirazione. Finita la lettura proruppero concordemente in esclamazioni di giubilo61. L’Imer con gravità mi strinse la mano, assicurandomi della sua approvazione, ed il Casali intenerito non poteva parlare. Mi domandarono alcuni, se sarebbero stati assai fortunati per recitare eglino i primi la mia Tragedia. Il Casali rispose con un poco di vanità: Il Signor Goldoni l’ha scritta per me62. Accordai, ch’era vero, ed ei la prese, e la portò seco, e si ritirò nella sua Camera per copiarla. Partiti gli altri, restai solo coll’Imer. Questi era un uomo colto, e polito, il quale non contento della sua sorte in Genova, dov’era nato, si diede all’Arte del Comico, nella quale potea far spiccare il suo talento, e soddisfare il suo genio, portato ad una vita più comoda, e più brillante. Riuscì passabilmente nella parte degli Amorosi ma come era grasso, e picciolo, e di collo corto, la sua figura non gli dava alcun vantaggio. Sarebbe stato eccellente per i Caratteri63, ma in quel tempo non erano in credito le Commedie di cotal genere, e come gl’intermezzi erano stati abbandonati dagl’Impresari delle Opere in Musica, per sostituirvi 60

Gentilezza, dal francese politesse. Che differenza con la lettura milanese dell’Amalasunta, con la lezione del conte Prata e con Caffariello ascoltatore insolente (t. XI)! Goldoni allude, con questo paragone implicito, a due categorie di attori professionisti (e con regole diverse): quelli dei melodrammi per musica e quelli delle commedie. 62 Come promesso da Goldoni nell’Autore a chi legge, t. XI. 63 Ovvero non per la recitazione all’improvviso, ma per quella con i caratteri fortemente designati, che saliranno sui prosceni del Teatro Sant’Angelo nel pieno della riforma goldoniana, ovvero nel quinquennio 1748-1753. 61

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i gran Balli, pensò l’Imer d’introdurli nelle Tragedie, rappresentate dai Comici64. Ciò gli riuscì a maraviglia; ed egli unito a due Donne da lui instruite65, facevano la principale fortuna di quel Teatro, e gli riuscì col suo merito, e colla sua condotta di guadagnar l’animo, e la confidenza del Cavalier Proprietario, il quale gli conservò, non solo gli onori, e gli utili di primo Amoroso, ma lo fece Direttore, e quasi dispotico della Compagnia. La passione dunque, che aveva l’Imer per gl’intermezzi, ne’ quali unicamente brillava, lo fece perorare in favore di cotal genere di Componimenti, e le prove, che di me aveva vedute ne’ due intermezzi accennati l’indussero a pregarmi a volerne per lui comporre degli altri, esibendomi con buona grazia, ed assicurandomi, che mi avrebbe fatto ringraziare, e ricompensare dal Cavalier suo Padrone, l’Eccellentissimo Signor Michele Grimani66. La mia situazione d’allora, e la naturale mia inclinazione al Teatro mi fecero internamente aggradir la proposizione. Egli è vero, ch’io avrei più volentieri composte delle Commedie di Carattere, ma pensai, che quantunque gl’intermezzi non sieno, che Commedie abbozzate, sono però suscettibili di tutti i Caratteri più Comici, e più Originali, e che ciò potea servirmi di prova, e di esercizio, per trattarli un giorno più distesamente, e più a fondo nelle grandi Commedie. Mi parve l’Imer un Galant’uomo, né m’ingannai. Gli apersi dunque il mio cuore, gli narrai le mie circostanze; aggradì egli la mia confidenza, e brevemente mi disse, che s’io voleva determinarmi a scrivere per la sua Compagnia mi avrebbe fatto accordare un trattamento annuale sufficiente, e onorevole. Presi tempo a rispondere; ed egli obbligato ad accudire agli affari della sua direzione, mi pregò, ch’io restassi a pranzo con esso lui, e mi chiese licenza di ritirarsi. Accettai l’invito, lo ringraziai, e passai nella camera del Casali, il quale contento del suo Belisario mi pregò di accettare alquanti Zecchini, ch’io non ebbi cuore di rifiutare (tanto più, che doveva rendere i sei al Zoppo di Brescia), e restai a Verona, fin che la compagnia ci restò. 64

Notevole l’intuizione dell’Imer: gli intermezzi, sia pure nella loro funzione di “riempitivi”, assumevano una loro precipua autonomia e identità, e si collocavano meglio durante (o alla fine) delle commedie in prosa. 65 Sotto la sua regia. 66 Michele Grimani (1697-1775), patrizio e senatore veneto. La famiglia Grimani possedeva e gestiva il Teatro di San Samuele e il Teatro di San Giovanni Grisostomo, quest’ultimo riservato essenzialmente a quello musicale.

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Nel tempo, ch’io colà mi trattenni non istetti in ozio. Lavorai un nuovo, intermezzo in tre Personaggi, e in tre parti, intitolato la Pupilla67. Seppi, e m’accorsi io stesso, che l’Imer vedea volentieri, e con qualche passione una bella Vedova, giovane, che era la seconda Donna della Compagnia, e chiamavasi Giovanna Casanova, detta Zanetta, o la Buranella68, perché era nativa dell’Isola di Burano69. Seppi, e m’accorsi altresì, che il galant’uomo, di età molto maggiore alla giovane, era di lei geloso, onde accomodai l’intermezzo sul fatto istorico di questi due Personaggi. L’Imer il Tutore Geloso; Zanetta la Pupilla insidiata. Eravi nella Compagnia la brava Agnese Veneziana, Moglie di Pietro Amurat, Armeno, conosciuta col nome di Agnese delle Serenate, quella stessa, che cantò la fatale mia Canzonetta in Venezia in quella Serenata di cui ho parlato nel Tomo Decimo70. Mi servii di questa cantante di Serenate, divenuta attrice, per rappresentare in abito d’Uomo, in questo intermezzo l’Amante insidiatore della Pupilla, ed il persecutore del Tutore. S’accorse il bravo Comico della burla, ma l’approvò, perché l’intermezzo gli piacque, e non dispiacevagli di far all’amor sulla Scena con quella persona, con cui facevalo in casa, e di cui non aveva sempre a lodarsi71. Finalmente arrivato il tempo, che i Comici dovean passare a Venezia, per riaprire il loro Teatro, al tempo solito, ch’è ordinariamente nella prima settimana di Ottobre72. L’Imer mi offerse un posto nel suo Calesso, e andiedi anch’io a Venezia, provveduto intanto del Bellisario, e della Pupilla. Si vedrà nel Tomo seguente il mio ingresso e la mia riuscita, e parlerò di quella persona per la quale aveva io abbandonato la Patria, e la Professione dell’Avvocato.

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La pupilla, intermezzo composto nel 1734 e interpretato la prima volta dall’Imer, a Verona. 68 Maria Giovanna Farusso (1709-1776), detta la Buranella, famosa e brava attrice, nonché intonata cantante, sposa Gaetano Casanova, attore e ballerino, nel 1724. Sarà la madre di Giacomo Casanova (1725-1798), l’avventuriero, scrittore e memorialista, autore della famosa Histoire de ma vie. Fu l’amante dell’Imer e del poeta Giorgio Baffo, noto poeta e autore di versi licenziosi. 69 Isoletta vicinissima a Venezia. 70 Davvero «fatale», come si ricorderà, in quanto costringerà Goldoni a sconfessare una promessa di matrimonio, e quindi a fuggire da Venezia. Vedi L’Autore a chi legge, t. x, p. 219, n. 74. All’episodio si farà cenno anche nel tomo seguente. 71 Nel prossimo tomo accadrà qualcosa di analogo sulla scena, ma stavolta architettato dal nostro autore, con freddezza e per vendetta. 72 I comici recitavano nell’entroterra veneziano tra Pasqua e fine settembre, poi rientravano a Venezia.

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TOMO XIII L’Autore a chi legge*

Giunto a Venezia coll’Imer1 mi condusse egli alla di lui casa, situata nella Parrocchia di S. Samuele, poco distante dal Teatro, in luogo detto alla Cà del Duca: mi offerse una Camera assai propria sul gran Canale, ed io l’accettai, fin tanto che, ritornando mia Madre di Modona, fossi in grado di ristabilirmi di nuovo2. Non posso bastantemente spiegare, Lettor mio caro, qual fu il mio piacere nel ritrovarmi un’altra volta in Venezia. Io ho sempre amato la mia Patria, sempre mi parve bella, e più bella ancora dopo il confronto d’altri Paesi, e sempre è cresciuto in me quest’amore, e quest’ammirazione qualunque volta, dopo una lunga assenza, ho ritornato a vederla. Era un’ora di notte3, quando colà arrivammo: sortii di casa immediatamente; e andai a fare una corsa per la Città4. Volli * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata in Venezia nel 1775. Il tomo comprende le commedie, ordinate nella seguente successione: La sposa persiana (Venezia, 1753); Ircana in Julfa (Venezia, 1755), Ircana in Ispaan (Venezia, 1756), La scozzese (Venezia, 1761). Il disegnatore Novelli interpreta la scena in cui un Goldoni trionfante consegna il Belisario al Casali e alla Compagnia dell’Imer a Verona. Il disegno allegorico è commentato dallo stesso Goldoni: «perché sendo la prima Opera [il Belisario] ch’io ho dato al pubblico, la sua buona riuscita ha prodotto in me il Contento, ed il buon Augurio, spiegati nelle due figure, che sostengono il Cartello del frontispizio medesimo». La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dallo Pseudulus di Plauto: «Ut quisque fortuna utitur, Ita precellet atque ex inde sapere illum omnes dicimus» (Act II, Sc. 3); trad. it.: «Chi sa approfittare della fortuna, eccelle fra tutti ed è considerato uomo saggio». Disegno di Pietro Antonio Novelli, manca il nome dell’incisore. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il 1734 e il 1735; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal trantacinquesimo fino all’inizio del capitolo trentasettesimo della prima parte. 1

Siamo nel settembre del 1734. Di trovare una diversa sistemazione abitativa. «Qui l’Imer abitava con la moglie Paolina, e due figlie assai giovani, Marianna e Teresa» (cfr. D.B.M.I., p. 262). 3 S’intende, un’ora dopo il tramonto. Nei Mémoires: «alle otto di sera». 4 Non così nei Mémoires, dove Goldoni racconta di essersi recato dapprima a casa della zia materna, e, a differenza di quanto dichiarerà più innanzi, sarà proprio lui a chiedere notizie relative alla «nipote», sua promessa sposa a Venezia (cfr. L’Autore a chi legge, t. X): 2

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subito rivedere il mio Ponte di Rialto, la mia Merceria, la mia Piazza San Marco, la mia Riva degli Schiavoni. Che bel piacere in tempo di notte trovare le strade illuminate5, e le botteghe aperte, e un’affluenza di Popolo, come di giorno, e un’abbondanza di Viveri dappertutto, sino, e dopo la mezza notte, come trovasi in altre Città la mattina al Mercato? Che allegria; che vivacità in quel minuto Popolo! Cantano i Venditori spacciando le merci, o le frutta loro: cantano i Garzoni ritornando dalle botteghe alle loro case: cantano i Gondolieri, aspettando i Padroni: cantasi per terra, e per acqua, e cantasi, non per vanità, ma per gioia6. Andai subito a visitare la Signora Maria Salvioni, Sorella di mia Madre, la quale dopo la mia partenza ita era a dimorare co’ suoi e miei Parenti Bertani7. Mi accolse la buona Zia con amore. Non approvò da principio la mia nuova intrapresa; ma finalmente persuasa dalle mie ragioni si lusingò di vedermi riuscire, e siccome amava molto il Teatro, si consolò, che col mezzo mio avrebbe avuto qualche «[…] et comme j’avois grande envie d’aller voir ma tante maternelle, je les priai [la famiglia dell’Imer, n.d.r.] de me dispenser de souper avec eux. J’étois très-curieux d’avoir des nouvelles de Madame St*** et de sa fille, et de savoir si elles avoient encore des prétentions sur moi. Ma tante m’assura que je pouvois être tranquille, que ces Dames hautes comme le tems, sachant que j’avois pris quelques engagemens avec les Comédiens, m’avoient cru indigne de les accoster, et n’avoient pour moi que du mépris et de l’indignation» (I, 34, pp. 159-60); trad. it.: «[…] siccome avevo un gran desiderio di andare a far visita alla zia materna, li pregai di dispensarmi dal cenare con loro. Ero molto curioso di avere notizie dalla Signora St*** e di sua figlia e di sapere se avessero ancora qualche pretesa su di me. La zia mi assicurò che potevo stare tranquillo: quelle dame superbe, essendo venute a sapere che mi ero impegnato con i Comici, mi avevano giudicato indegno di avvicinarle e ora provavano nei miei confronti solo disprezzo e indignazione» (Memorie, p. 206). 5 Venezia, sin dal 1730, aveva un’illuminazione pubblica (a lanterne) nelle principali strade, non così Milano e Roma che, come ci informa l’Ortolani, rimasero al buio per tutto il Settecento. Su questo aspetto nei Mémoires (con l’esperienza di Parigi), Goldoni è più dettagliato: «Je n’avois pas encore vu Paris, je venois de voir plusieurs villes, où le soir on se promene dans les ténebres. Je trouvai que les lanternes de Venise formoient une décoration utile et agréable, d’autant plus que les particuliers n’en sont pas chargés, puisqu’un tirage de plus par an de la Loterie est destiné pour en faire les frais» (I, 35, p. 160); trad. it.: «Non avevo ancora visto Parigi, venivo da città in cui, la sera, si cammina al buio. Trovai che le lanterne di Venezia formassero un decoro utile e grazioso, tanto più che non sono i privati cittadini a sopportare il costo; infatti un’estrazione della lotteria che si fa in più ogni anno è destinata a coprirne le spese» (Memorie, p. 207). 6 Un passo molto bello che non è soltanto una dichiarazione d’amore per Venezia (tutta com’è trapunta da aggettivi possessivi), ma da notare è soprattutto l’uso dello sguardo che attraversa scenicamente, nella sua memoria, le strade, quasi come può farlo una cinepresa “a spalla”, con un taglio veloce, essenziale, che si ferma sui dettagli, poi passa oltre, e il sonoro delle voci scritte sembra “udirsi”. Venezia appare come una scenografia teatrale piena di comparse, di grida, gesti, all’inizio di una recitazione; sembra di stare dentro una pantomima. Lo riscriverà nei Mémoires (I, 35) ma con un esito non altrettanto felice. 7 Parenti da parte materna.

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Palchetto, e la porta franca8. Dopo tali ragionamenti mi chiese ella, che cosa io pensava rispetto alla giovane, a cui io aveva data parola di Matrimonio. Prima di risponderle della mia intenzione, chiesi a lei, se ne aveva novelle; poiché dopo la mia partenza io non ne avea più inteso parlare. Mi disse, che la Madre, e la figlia, piccatesi del mio abbandono, se n’erano chiamate offese, e non le avea più vedute. Buon per me, dissi allora, se i loro sdegni mi mettono in libertà. Ringrazio il Cielo di avermene liberato, e credo utile, per un tal fine, ogni mio sacrificio. Mi lodò la Zia, che non le poteva soffrire; mi consigliò a resistere in caso di qualche loro insistenza. Mi congedai da Lei, e da’ nostri Congiunti: ritornai dall’Imer, che mi attendeva. Si cenò assai bene, dormii la notte tranquillamente; e la mattina, sapendo che tutta la Compagnia dovea trovarsi al Teatro per provare una Commedia nuova dell’Arlecchino, vi andai anch’io per vederla. Siccome questa è la Compagnia, per la quale ho principiato a scrivere, ed ho scritto parecchi anni9, e come io ne’ miei drammatici Componimenti ho sempre avuto in veduta il carattere, e l’abilità degli Attori, per li quali dovea comporre, credo non sarà male a proposito, ch’io faccia un breve ritratto di quelli, che componevano allora la Compagnia medesima, riserbandomi poi a farlo di coloro, che ci sono entrati dopo, in luogo di quei, che ne sono usciti10. Primo Amoroso di titolo, e per onore il Prefato Giuseppe Imer11, Direttore della Compagnia, ed Attore assai comico, e caratteristico per gl’Intermezzi. Non sapea di Musica; ma cantava passabilmente, ed apprendeva a orecchio la parte, l’intonazione, ed il tempo, e suppliva al difetto della scienza, e della voce coll’abilità personale, colle caricature degli abiti, e colla cognizion dei caratteri, che sapeva ben sostenere.

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Senza pagare biglietto, gratuita. Ironia di Goldoni. Otto anni. Dal 1735 fino al febbraio del 1743, anno della partenza per Pisa. 10 Il «breve ritratto» degli attori che segue non è presente nei Mémoires. Probabilmente l’autore ha giudicato l’elenco non interessante per i lettori francesi ed europei, e difatti questi dettagli appesantiscono la velocità della narrazione. Restano, però, molto utili per la storia del teatro italiano settecentesco e rivelano l’attenzione del commediografo nel valutare l’abilità, i caratteri, che giunge fino alla considerazione dell’aspetto fisico degli attori. A proposito scriverà nei Mémoires: «Je suis avec les Comédiens comme un Artiste dans son attelier. Ce sont d’honnêtes gens, beaucoup plus estimables que les esclaves de l’orgueil et de l’ambition» (I, 35, p. 160); trad. it.: «Fra i Comici mi sento come un artista nel suo studio. Sono persone perbene, molto più degne di stima di chi è schiavo dell’orgoglio e dell’ambizione» (Memorie, p. 206). 11 Vedi L’Autore a chi legge, t. XII, p. 261, n. 58. 9

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Primo Amoroso in attuale esercizio, Antonio Vitalba12 Padovano, comico il più brillante, il più vivo, che siasi veduto sopra le Scene. Parlava bene, e con una prontezza ammirabile, e niuno meglio di lui ha saputo, come dicono i Commedianti, giocar le Maschere; cioè sostenere le scene giocose colle quattro Maschere della Commedia Italiana13, e farle risaltare, e brillare. Qualche volta però gli Arlecchini si dolevan di lui, perché scordandosi il carattere dell’Amoroso, faceva egli l’Arlecchino. Mi sovviene, che rappresentandosi il mio Bellisario (in cui sosteneva egli un tal Personaggio), nella scena tenera, e dolente, in cui comparisce senz’occhi, con un bastone alla mano, moralizzando sulle vicende umane, diede un colpo di bastone a una guardia per far ridere l’Uditorio14. Nelle scene più serie, e più interessanti cercava di cavar la risata; e non esitava a rovinar la Commedia, quando gli potea riuscir di far ridere. Eppure piaceva al Pubblico, ed era l’idolo di Venezia; e licenziato qualche anno dopo dalla Compagnia di S. Samuele, fu preso con avidità dalla Compagnia di S. Luca. Secondo Amoroso Gaetano Casali Lucchese15, di cui ho parlato molto finora. Quest’onorato galant’uomo, provveduto d’intelligenza, e di capacità nel mestiere, di bella statura, e di buona voce, parlando bene, o con una pronunzia avvantaggiosa, e grata, non ha mai avuto buona disposizione per la parte dell’Amoroso. Una certa serietà nel sembiante, una certa durezza nella persona, un’inclinazione involontaria del fianco, e della spalla verso il Personaggio, con cui recitava, lo facevano scomparire, malgrado le belle cose, ch’egli diceva: all’incontro nelle Tragedie riusciva mirabilmente, e soprattutto nelle parti gravi, come nel Catone del Metastasio16, nel Bruto17 dell’Abate Conti, nella parte di Giustiniano nel mio Bellisario, ed in altre simili. Del resto poi il più attento, il più zelante comico della Compagnia; sempre il 12 Antonio Vitalba, padovano, morto nel 1758, celebre e bravissimo attore della commedia dell’Arte, indossò la maschera di Truffaldino, ma recitò anche nelle vesti di Ottavio e Florindo al San Samuele e al San Luca. Sarà (nel prossimo tomo) rivale in amore con il Goldoni, contendendogli le grazie dell’attrice Passalacqua (vedi L’Autore a chi legge, t. XIV, p. 298, n. 54). 13 Pantalone, il Dottore, Brighella, Arlecchino. 14 Goldoni si riferisce forse (o si confonde) non al «suo» testo teatrale come del resto lascia credere, ma all’«arrostita» del Belisario recitata a Milano dalla Compagnia del Casali (cfr. L’Autore a chi legge, t. XI, p. 242, n. 67). 15 Vedi L’Autore a chi legge, t. XI, p. 239, n. 52. 16 Metastasio, Catone in Utica, musicato dal Vinci, fu rappresentato a Roma per la prima volta nel 1728. 17 Antonio Conti, Giunio Bruto, 1743. Vedi p. 84, n. 74.

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primo al Teatro, sempre il primo alle prove, vestendosi colla maggior verità, secondo i caratteri, che dovea sostenere, e tanto internandosi in quelli, che quando aveva intorno l’abito di Giustiniano, non degnava rispondere a chi gli parlava. Terzo Amoroso Tommaso Monti18 Bolognese; cattivo comico, finché fece la parte dell’Amoroso, e divenuto eccellente, quando dopo la morte di suo Padre19 prese la Maschera di Dottore, nel qual Personaggio la sua grassa, e goffa figura non disdiceva, anzi lo rendeva di piacevole caricatura. Prima donna Andriana Bastona Veneziana20, detta la Bastona Vecchia, per distinguerla da Marta Foccheri sua figliuola, detta essa pur la Bastona. Questa era una brava Attrice, una brava Amorosa, del carattere di Vitalba; e vecchia, com’ella era, si conservava brillante, e vivace sopra la scena, un poco troppo anch’ella nelle parti serie, ed interessanti, cercando, come il suddetto Comico, di porre tutto in ridicolo. Mi ricordo, che rappresentando ella la parte di Rosmonda21 in una Tragedia mia, che Rosmonda era intitolata, mancando la Ballerina, che danzava fra gli Atti, e gridando il Popolo: Furlana: Furlana22, ch’è il ballo favorito de’ Veneziani, sortì la Bastona vestita all’Eroica, e Rosmonda ballò la Furlana23. Prima Donna, a vicenda colla suddetta, Cecilia Rutti24 detta la Romana, Moglie del comico Collucci; ma che non vivendo con suo Marito aveva ripreso il nome della famiglia, dov’era nata. Questa brava Attrice conservava nella sua età avanzata un resto di quella bellezza, che la rese amabile ne’ suoi begli anni, e che meritò le attenzioni dell’Imperator Giuseppe25. Ella non valeva gran cosa nelle Commedie dell’Arte; ma era eccellente nelle parti tenere delle Tragedie, conser18 Tommaso Monti, napoletano, figlio di Giuseppe Monti, lavorò col Medebach, morì nel 1757. 19 Giuseppe Monti, il «secondo vecchio nella Compagnia Imer». 20 Il vero cognome era, forse, Della Facchina. Molto brava come prima amorosa; a lei succederà la figlia Marta, nel 1737, nella professione di attrice; nel 1743 interpreterà La donna di garbo, prima commedia interamente scritta da Goldoni. I rapporti dell’attrice con il commediografo furono turbolenti a causa della gelosia nei confronti dell’altra attrice Antonia Ferramonti, detta Tonina. 21 Rappresentata a Venezia nel 1734. 22 Tipico ballo friulano, molto popolare a Venezia. 23 Esempio di come i comici dell’Arte cercassero il facile successo di pubblico e come da esso si lasciassero dominare, anche a costo di stravolgere un testo classico. Dietro l’aneddoto, non è difficile scorgere lo sconcerto e i timori di Goldoni. 24 Cecilia Rutti, prima amorosa, detta la Romana perché il marito, Filippo Collucci, era di Roma. 25 Giuseppe I, Re di Ungheria, eletto imperatore nel 1705; morì nel 1711.

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vando ancora una grazia ed una delicatezza nel gesto, nella voce, e nell’espressione, che la faceano piacere, e applaudire. Seconda Donna Giovanna Casanova dell’Isola di Burano, detta Zanetta, o la Buranella, giovane, vedova, e bella. Non aveva grande abilità per la Comica; ma essendo, come dissi nel Tomo XI26, la ben veduta, e la prediletta dell’Imer, la rese utile, e quasi necessaria al Teatro, facendola cantare, ed instruendola negl’intermezzi. Ella ne sapeva di Musica quanto il suo Maestro; anzi meno pronta di lui, stuonava, ed andava fuori di tempo con maggiore facilità: ma piace facilmente una bella, e giovane, e tutto le si passa, in grazia di que’ vezzi, e di quella freschezza, che incantano gli Spettatori. Negl’intermezzi principalmente, facile è la riuscita, se la parte è allegra, e graziosa; onde la Zanetta piaceva: e siccome aveva io composta la Pupilla per lei, ed aveva colto assai bene nella sua abilità principale, ch’era di una scaltra malizia, coperta da una studiata modestia, riuscì ella in questo mirabilmente. Terza Donna Paolina Imer, Moglie del Direttore suddetto, e della quale ho bastantemente parlato27. Servetta La Pontremoli. Brava, eccellente Comica28. Primo Vecchio, cioè Pantalone, Andrea Cortini29 del Lago di Garda, il quale aveva la figura disavvantaggiosa, e non era buon parlatore; ma gran Lazzista30, e ottimo per li Zanni31; poiché avea moltissima grazia, e contraffaceva assai bene i personaggi ridicoli, e soprattutto era ammirabile nelle scene di Spavento, e di agitazione. Egli è il Padre di quella bravissima danzatrice, detta la Pantaloncina, che si è poi maritata al celebre Monsieur Deny danzatore Francese32. Secondo Vecchio, cioè Dottore, Giuseppe Monti Bolognese, Padre del sopraddetto Tommaso Monti. Sosteneva egli mirabilmente un

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Goldoni si confonde: cfr. L’Autore a chi legge, t. XII, p. 264, n. 68. Non ricopriva nella Compagnia dell’Imer un ruolo di rilievo. 28 Nei Mémoires (I, 37) Goldoni scrive che partì per Dresda nel 1735, «al servizio della corte». 29 Più che ricoprire ruoli principali fu bravo attore caratterista. 30 Esperto nei «lazzi», ovvero nelle battute e nei gesti improvvisati (sovente impertinenti), caratteristica del teatro dell’Arte. 31 Gli Zanni, nel teatro comico, ricoprivano un ruolo apparentemente secondario di servi, ma impersonati da valenti attori della commedia dell’Arte (come Sacchi o D’Arbes), erano talvolta capaci di primeggiare sulla scena e di scatenare dal pubblico risa ed applausi. 32 J.-B. Denis e la Cortini (Pantaloncina), lei prima ballerina, danzarono, nel 1749, alla Hofoper di Berlino (cfr. E.N.M.I., p. 341, n. 12). 27

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tal personaggio; ma riusciva ancor meglio nel carattere di Petronio33. San Petronio è il Santo Protettore de’ Bolognesi, e moltissimi di loro si chiamano con tal nome; onde il celebre Alessandro Tassoni 34 nella Secchia Rapita volendo parlare de’ Bolognesi, li chiama i Petroni35. Questo Personaggio rappresenta ordinariamente un buon bottegaio, e per lo più un Maestro lavoratore di canapa, di che abbonda più, che d’altro quel Territorio. Figurasi un Uomo di buona fede, facile a lasciarsi ingannare, ed è quasi sempre nelle Commedie dell’Arte lo scopo delle furberie del Brighella, delle impertinenze dell’Arlecchino, e della derisione degli Amorosi36. Tale è il povero Pantalone nelle Commedie a soggetto; ma io nelle Commedie mie di carattere ho reso la riputazione a questo buon personaggio, che rappresenta un onesto Mercante della mia Nazione37. Primo Zanni, cioè Brighella, Pietro Gandini Veronese, Comico di grandissima abilità, eccellente nelle Commedie, dette de’ Personaggi; poiché è arrivato in una sola rappresentazione a cambiare diciotto volte d’abito, di figura, e linguaggio, e sostenere mirabilmente diciotto differenti caratteri. Egli è stato de’ primi a far vedere sopra le scene queste trasformazioni istantanee, che sorprendono per la velocità, e dilettano per gli adornamenti, di Canzonette, di balli, di giochi, di facezie, ed altre cose ridicole; spettacolo dilettevole, ma lontano dalla buona Commedia38. Il primo inventore di questa novità incantatrice

33 Personaggio comico della commedia dell’Arte. Annota Davico Bonino: «Petronio poteva essere uno dei ruoli di “semplicione”, come Stenterello (Firenze), Meneghino (Milano), Gianduia (Torino), Zacometto (Venezia)» (cfr. D.B.M.I., p. 263). 34 Alessandro Tassoni, modenese (1565-1635), poeta e letterato nonché diplomatico, autore della celebre Secchia rapita (1617), capolavoro della poesia eroicomica italiana, che racconta la buffa guerra tra Bologna e Modena. 35 Cfr. La secchia rapita, I, I. I Petroniani erano i bolognesi. 36 Goldoni sembra parteggiare con gli Zanni, divertirsi con loro a danno dei babbei, dei vari «Petronio». 37 La rivalutazione e il ripensamento del carattere del personaggio di Pantalone è tassello non secondario della riforma goldoniana della commedia dell’Arte. 38 Giudizio da suddividere in due parti. Goldoni, prima elogia la recitazione del “trasformista” Gandini, poi ne prende le distanze. Il passo indica quanto il commediografo fosse attratto (e sedotto) dall’inventiva dei bravi commedianti dell’Arte; ma, come, d’altro lato, ne notava razionalmente tutti i limiti, che li allontanavano dalla «buona Commedia». Il giudizio finale, comunque, potrebbe risentire anche dello screzio creatosi tra Gandini e Goldoni nel 1753, poiché nella commedia La sposa persiana, il Nostro non aveva assegnato un ruolo di rilievo alla moglie dell’attore. Il Gandini abbandonò due anni dopo la Compagnia del Teatro San Luca per la città di Dresda (cfr. E.N.M.I., p. 341, n. 11).

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è stato Gabriele Costantini39, che sosteneva il personaggio dell’Arlecchino, ed era al servizio della Corte di Napoli. Secondo Zanni, cioè l’Arlecchino, Antonio Costantini40, Nipote del sopraddetto Gabriele. Non valeva egli gran cosa nel suo personaggio; ma aveva degli adornamenti, che attiravano il basso popolo. Era gran saltatore, e giocava mirabilmente sopra la Corda. Quest’era tutta la Compagnia, aggiuntavi la brava Agnese41, di cui ho parlato nell’antecedente mia prefazione. Ella era destinata per gl’intermezzi; e la sua bella voce, chiara, e sonora, e la sua vivacità, e prontezza, quantunque niente sapesse ella pure di Musica, la faceano ammirare, e piacere. Anche le due figliuole dell’Imer, Marianna, e Teresa42, cantavano qualche volta in Teatro, ed erano riuscite assai bene in una comica rappresentazione per Musica, intitolata Mestre, e Malghera, Componimento del Signor Antonio Gori Avvocato Veneto43, posto in Musica dal Signor Salvatore Appoloni44 Barbiere, e Suonator di Violino. Due erano in quel tempo le Compagnie de’ Comici di Venezia, le quali poi si moltiplicarono sino a cinque in un anno. La Compagnia del Teatro di S. Luca, della Nobile famiglia de’ Vendramini, passava per la migliore45. In fatti le quattro Maschere erano eccellenti. Il famoso Garelli Pantalone, il bravo Campioni, Fichetto, il graziosissimo Cattoli 39 Gabriele Costantini, figlio di Angelo, celebre attore in Francia, conosciuto col nome di Mezzettino, fu attore colto e stimato; interprete eccellente della maschera di Arlecchino con la quale conobbe uno straordinario successo a Napoli, alla corte del Re Don Carlo di Borbone, dal 1735 al 1743. Morì a Venezia nel 1757 (cfr. E.N.M.I., p. 341, n. 17). 40 Antonio Costantini (1694-1764), cugino di Gabriele Costantini, detto anche il Tegna, non certo per la sua prodigalità. Attore nonché ballerino, cantante e acrobata, ebbe successo in Europa (Parigi, Varsavia, Dresda, lavorò anche in Russia). Morì a Dresda (cfr. E.N.M.I., p. 342, n. 18). 41 Agnese Amurat è la cantante della serenata veneziana di Goldoni. L’episodio è narrato nell’Autore a chi legge, t. X. 42 Conosciuta da Giacomo Casanova e citata nella sua Histoire de ma vie: «Questo signor Malipiero che aveva rinunziato a tutto tranne che a se stesso, nonostante l’età e la gotta si era innamorato di una ragazza, Teresa Imer, figlia dell’attore comico Imer, che abitava in una casa vicina al suo palazzo, e le cui finestre guardavano sulla sua camera da letto. Teresa che aveva allora diciassette anni e studiava musica per cantare in teatro, era bella, piuttosto stravagante e un po’ civetta», in G. Casanova, Storia della mia vita, a cura di P. Chiara e F. Roncoroni, I, Milano, Mondadori, 1983, p. 78. 43 È l’avvocato che plagiò l’opera di Goldoni, La cantatrice, mutandole il nome in La pelarina e portandola in scena a Venezia, nel Teatro di San Samuele (1734). Vedi L’Autore a chi legge, t. IX, p. 191, n. 43. 44 Apolloni. Autore musicale molto noto a Venezia, fu allievo e amico di Baldassarre Galuppi, e lavorò con la Compagnia dell’Imer; musicò, come scrive Goldoni più innanzi, l’intermezzo della Pelarina. 45 Il San Luca, fondato nel 1600 e di proprietà della famiglia Vendramin, era un teatro

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Traccagnino: l’erudita Eularia, moglie di Pompilio Mitti prima Donna, il gentile amoroso Bernardo Vulcani, e lo strepitoso Argante, uniti ad altri Personaggi di mediocre valore, rappresentavano le Commedie dell’arte con tutta quella perfezione, della quale erano capaci le Commedie di cotal genere46. La Compagnia di S. Samuele47 si sosteneva colle Tragedie, coi Drammi del Metastasio, e cogl’intermezzi; ma la buona Commedia non erasi ancora introdotta né in Venezia, né in alcun altro Paese d’Italia. Il Fagiuoli faceva recitare a Firenze da dilettanti le sue Commedie in lingua fiorentina48, le quali non passarono i confini della Toscana; e il solo Cicisbeo Sconsolato49 era stato addottato dai Comici fra le Commedie dell’arte, ma sfigurato, e ridotto alla foggia de’ loro Pasticci,50 come fatto avevano della Sorella del Porta51, dei Menaechmi di Plauto, del Convitato di Pietra, e di molte altre, che non conoscevano de’ loro Autori, che il titolo52. Correvano altresì su quelle scene d’allora alcune Commedie, dette di carattere, come il Conte Pasticcio, il Don Chisciotte, la Maestra di Scuola, lo Smemorato, il Paroncino, il Prepotente, il Servo sciocco, ed altre in buon numero; ma i caratteri erano falsi, fuor di natura, e sagrificati al ridicolo grossolano, senza condotta, senza verità, e senza ragione53. Io moriva di voglia di metter mano ai caratteri veri, e di tentar sulle cui scene si recitavano essenzialmente commedie dell’Arte. Goldoni, proveniente dal Teatro Sant’Angelo, fu assunto dai Vendramin come autore e regista nel 1753. 46 Goldoni cita le maschere impersonate da alcuni attori «dell’arte»: Giuseppe Campioni, bravo nel Brighella; Francesco Cattoli, maschera di Arlecchino; Vittoria Mitti, primadonna; Bernardo Vulcani, primo innamorato; Antonio Franceschini detto Argante, capocomico del San Luca. Per i dettagli su questi attori vedi E.N.M.I., pp. 343-344. 47 Il teatro nel quale Goldoni lavora con la Compagnia dell’Imer. 48 Giovambattista Fagiuoli (1660-1742) commediografo fiorentino. Fu autore, oltre che di versi, anche di diciannove commedie in vernacolo, sotto l’influsso del teatro di Molière (L’avaro punito, Il marito alla moda). Scrisse anche un volume di memorie. Il dorso di una sua raccolta teatrale appare nella biblioteca di Goldoni, disegnata dal Novelli nel «Rame istoriato» del t. I. 49 Stampato per la prima volta nel 1724, a Cremona. 50 «Rivoltato», quindi, in un canovaccio. 51 Giovan Battista Della Porta (1535-1615), autore di numerose scoperte e applicazioni scientifiche (una fra tutte: la camera oscura); fu anche letterato e scrisse tre tragedie, una tragicommedia, e ben ventinove commedie, pubblicate tutte tra il 1589 e il 1612, tra le quali La Sorella, dalla quale Goldoni avrebbe ricavato lo scenario delle Trentadue disgrazie di Truffaldino (1739). 52 Goldoni sottolinea la profonda ignoranza dei mediocri attori della commedia dell’Arte. 53 Fulminante giudizio sugli scenari e sugli attori «dell’arte», che ripercorre alcuni passi della Prefazione alla Bettinelli.

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la riforma, ch’io divisava; ma non era ancora venuto il tempo, e ho dovuto contentarmi di lavorare passabilmente negl’intermezzi, e di fare alcuna di quelle Opere sceniche, ch’io lasciava dai Comici chiamar Tragedie; ma sapeva in coscienza, che non poteano passar per tali54. Fui presentato dall’Imer a sua Eccellenza il Signor Michele Grimani55 il secondo de’ cinque fratelli Padroni del Teatro di S. Samuele; e il Cavaliere di cuor nobile, e generoso, e di maniere dolci, e soavi mi accolse con estrema bontà; e all’insinuazione dell’Imer mi stabilì per Compositore, con un Onorario non molto considerabile, ma che poteva bastarmi per il mio bisogno d’allora56. Il signor Gori accennato, mio collega nella professione dell’Avvocato, ed in quella di Poeta comico, Autore di Mestre, e Malghera, e che avea lavorato l’intermezzo della Pellarina, sul piano, della mia Cantatrice57 non fu contento della mia associazione; e quantunque l’Imer gli protestasse, che le opere sue sarebbero state ben ricevute, e ricompensate, si sdegnò, privò i Comici de’ suoi lavori58, e me della sua amicizia: l’invidia ha preso a perseguitarmi prima ancora, ch’io cominciassi. Non aveano ancora dato niente del mio. Studiavano le parti serie il mio Bellisario, ed attendevano il ritorno de’ Villeggianti per porlo in iscena. La mia Pupilla era fra le mani del Signor Maestro Maccari 59 Romano compositore di Musica, il di cui stile facile, e chiaro era bene addattato al bisogno di quelli, che doveano rappresentarla. Finalmente andò sul Teatro il mio Bellisario60. Fu sì grande, fu sì 54

Sembra, Goldoni, aver chiari il «tempo» e il momento giusto da scegliere per attuare con successo la sua riforma. 55 Michele Grimani, «il secondo dei cinque fratelli» proprietari dei teatri del San Samuele (specializzato in produzione comica) e del San Giovanni Grisostomo (caratterizzato nelle tragedie e soprattutto in opere musicali). Fu protettore di Goldoni che a lui dedicherà nel 1754 il Don Giovanni Tenorio. Analogo il giudizio nei Mémoires (I, 35). 56 Il contratto con l’Imer durerà dal 1734 al 1743. 57 Goldoni, appena se ne presenta l’occasione, non manca di sottolineare il plagio della sua opera. 58 Il Gori, invece, sembra continuasse a lavorare per il Teatro San Samuele fino al 1736. 59 Giacomo Maccari (1700-1744?) musicò molti libretti di Goldoni, ma non è certo se riuscì a musicare La pupilla. 60 Il Belisario, tragedia in cinque atti e in versi, andò in scena, racconta l’autore, con successo, il 24 novembre 1734. Le repliche terminarono il 15 dicembre con la chiusura del teatro per le festività del Natale (i teatri a Venezia restavano chiusi per la novena fino a Natale, per riaprirsi la sera di Santo Stefano, e per tutto il Carnevale). Il Belisario fu stampato a insaputa dell’autore, a Bologna nel 1738. Nei Mémoires, Goldoni scrive che

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strepitoso l’incontro, ch’io ne rimasi stordito, e fu quella la sola notte, che senza malattia di corpo non mi fu possibile di prender sonno. La mia consolazione era estrema: non ne era avvezzo, e mi pareva un sogno. Tutti i Commedianti mi si affollarono intorno; mi accompagnarono, o mi portarono a casa, e l’Imer piangeva di tenerezza, e la sua famiglia esultava, e la vezzosa Marianna mi rendea piacevole il mio trionfo61. Io avea composta quell’Opera con piacere, e con attenzione; ma non mi lusingava di tal riuscita. Sapeva benissimo, che a fronte delle buone Tragedie Italiane, e delle eccellenti Tragedie Francesi la mia non poteva meritare gran lodi. Io non sono mai stato, né prima, né dopo, elegante versificatore, specialmente nello stile eroico: ho avuto della facilità, della naturalezza, e nel Tragico vi vuol dell’elevazione62; eppure malgrado i miei versi, più famigliari, che sostenuti, la Tragedia è andata alle stelle. Piacque in essa l’interesse, la verità, e la condotta. Io faceva parlare l’Imperatore, ed il Capitano, come parlano gli Uomini, e non col linguaggio degli eroi favolosi, al quale siamo avvezzati dalle penne sublimi de’ valorosi Poeti. Volendo io esprimere un sentimento, non ho mai cercato il termine più scelto, più elegante, o sublime; ma il più vero, ed il più esprimente. Veduto ho per esperienza, che la semplicità non può mancar di piacere. Non intendo, quando dico semplicità, di far parlare un Imperatore, come parlerebbe un Pastore; ma intendo di non far parlare i Sovrani, uomini come noi, con un linguaggio incognito alla Natura63. Per dire la verità gli Attori contribuirono infinitamente alla riuscita dell’Opera, e le parti erano bene distribuite. Il mio Casali era fatto apposta per il carattere di Giustiniano, e sostenea egregiamente quel Personaggio, grave, intelligente, ed umano. Teodora Imperatrice, vana, superba, e feroce non potea esser meglio rappresentata: la Bastona la sostenea a maraviglia, e s’investiva sì bene di quel carattere odioso, che più, e più volte i Gondolieri, ch’erano nel Parterre64, la caricavan d’ingiurie, l’opera fu ascoltata «[…] avec un silence extraordinaire, et presque inconnu aux Spectacles d’Italie» (I, 36, p. 162); trad. it.: «[…] con un silenzio straordinario e del tutto insolito nei teatri italiani» (Memorie, p. 209). Vedi qui, invece, n. 68. 61 La «vezzosa Marianna», una delle due figlie dell’Imer, viveva nella stessa casa dove viveva Goldoni; vedi qui, n. 2. 62 Lucida autocritica (col senno di poi) di Goldoni sulle proprie capacità di autore di tragedie. 63 Chiara, breve lezione sulla scrittura «semplice», non oratoria, dei dialoghi, che sottolinea la grande attenzione dell’autore per l’uso della lingua, argomento sul quale, per altro, si era già attardato nella Prefazione alla Bettinelli. 64 Era la parte immediatamente sottostante il palcoscenico, riservata agli spettatori meno abbienti. Nei Mémoires, a proposito della Putta onorata e dei gondolieri-spettatori delle sue

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ch’erano insulti alla parte rappresentata, ed applausi alla brava Attrice. La Romana faceva piangere nella parte tenera, ed interessante di Antonia; ed il Vitalba, malgrado qualche licenza comica, ch’egli si prendeva di quando in quando, sosteneva talvolta con forza, ed arte maestra la dignità di un Capitano valoroso, intrepido, e perseguitato. Non so, s’io potrò determinarmi a mettere un giorno quest’Opera nella mia edizione65: essa è stata stampata a Bologna pessimamente, in dodici66, sopra un originale rubato, e scorretto. So, ch’è divenuta rarissima, e ne ho piacere; poiché in oggi, che il Teatro si è infinitamente purgato, non sarebbe con quel favor ricevuta, col quale in que’ tempi di cecità fu generalmente applaudita. Ciò non ostante ho posto nel frontispizio di questo Tomo il Bellisario in trionfo, perché sendo la prima Opera, ch’io ho dato al Pubblico, la sua buona riuscita ha prodotto in me il Contento ed il buon Augurio, spiegati nelle due figure, che sostengono il Cartello del frontispizio medesimo67. Durarono lungo tempo le recite fortunate di questa Tragedia, e intanto gli Attori degl’intermezzi studiavano la Pupilla, la quale posta in iscena commedie, Goldoni scrive: «Il y a dans cette Comédie des scenes de Gondoliers Vénitiens, tracées d’après nature, et très-divertissantes pour ceux qui connoissent le langage et les manieres de mon pays. Je voulois me réconcilier avec cette classe de domestiques qui mérite quelque attention, et qui étoit mécontente de moi. Les Gondoliers à Venise ont place aux Spectacles quand le parterre n’est pas plein: ils ne pouvoient pas entrer à mes Comédies; ils étoient forcés d’attendre leurs maîtres dans la rue ou dans leurs gondoles; je les avois entendus moi-même me charger de titres fort drôles et fort comiques; je leur fis ménager quelques places dans des angles de la salle; ils furent enchantés de se voir joués, et j’etois devenu leur ami» (II, 2, p. 253); trad. it.: «Nella commedia vi sono scene di gondolieri veneziani, attinte dalla realtà e molto divertenti per coloro che conoscono il dialetto e i costumi del mio paese. Volevo riconciliarmi con tale classe di servi, che merita attenzione e che era scontenta di me. I gondolieri a Venezia hanno un posto a teatro solo quando la platea non è piena; alle mie commedie non potevano entrare, erano obbligati ad aspettare i padroni per strada o sulle gondole; io stesso li avevo sentiti indirizzarmi insulti assai ridicoli e spiritosi; feci loro apprestare qualche posto negli angoli della sala; essi furono contenti di vedersi rappresentati e io divenni amico loro» (Memorie, pp. 312-313). 65 Nei Mémoires (I, 36) dichiarerà che non farà mai apparire in una raccolta di sue opere questa tragicommedia. Il Belisario sarà stampato poco più di un decennio dopo, nel t. XXXIII dell’edizione Zatta nel 1793, anno della morte di Goldoni. 66 Si intende “in dodicesimo” il particolare formato tipografico del volume. L’editore è il bolognese Pissarri (1738). Secondo l’Ortolani, è il testo uscito a Bologna nel 1738, presso Costantino Pissarri (cfr. Opere, IX, p. 1284). 67 Il «Frontispizio istoriato» mostra un Goldoni che entra trionfante e sorregge con la sinistra il testo della tragicommedia, consegnandola alla Compagnia dell’Imer che è pronta a riceverla. L’illustrazione riassume bene uno dei rapporti della riforma goldoniana, ossia l’autorevolezza dell’autore nei confronti degli attori chiamati a recitarla. Nella commedia dell’Arte accadeva esattamente il contrario, il poeta comico di Compagnia serviva soltanto a stendere i canovacci delle commedie che gli attori decidevano poi, in totale autonomia, come recitare. Ve n’è un bell’esempio nel Teatro comico.

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verso la fin dell’Autunno, fu ben ricevuta e applaudita68; e scorgendovi il Pubblico uno stile nuovo, cercarono di sapere, chi n’era l’Autore, e sapendo, che la medesima mano aveva composto la Pupilla, ed il Bellisario, fu allora, che cominciai a vedermi onorato di Partigiani, di Protettori, ed Amici. Fra gli altri preziosi acquisti di tal natura conto a mia gloria, e con mio estremo piacere la Protezione accordatami da Sua Eccellenza il Signor Niccolò Balbi69, in oggi Senator Prestantissimo, al quale ho dedicato la mia Commedia della Vedova scaltra70, e di cui avrò frequenti, ed onorevoli occasion di parlare71. La buona riputazione acquistatami per queste due rappresentazioni giunse all’orecchio, e può essere agli occhi di quella Signora, che volea farmi l’onore della sua mano. Venne qualcheduno a parlarmi, e si esibì di rimettermi nella sua grazia; ma sentendo, che la sua fortuna non erasi migliorata, lo ringraziai, anzi mi determinai a cercar i modi di sciogliermi da lei per sempre, e rimettermi nella prima mia libertà, lo che non mi fu difficile ad ottenere72. Durante le recite dell’Autunno avea preparato qualche cosa pe’l Carnovale: un’altra Tragedia, ed un altro intermezzo; la prima intito-

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Fu rappresentata a Venezia nel 1734. Nei Mémoires (I, 36) Goldoni precisa che alla sesta rappresentazione del Belisario, l’Imer decise di aggiungervi La pupilla, cosa che aiutò non poco la rappresentazione della tragicommedia, che non ebbe, come invece racconta Goldoni, il successo sperato. Incertezza sulla riuscita che persiste anche nei Mémoires: «A la sixieme représentation de Bélisaire, Imer crut pouvoir y joindre la Pupile; cette petite Piece fut très-bien reçue du public; mais Imer croyoit que l’Intermede soutenoit la Tragi-Comédie, et c’étoit celle-ci qui soutenoit l’Intermede» (I, 36, p. 163); trad. it.: «Alla sesta rappresentazione di Belisario, Imer pensò di aggiungervi La pupilla; tale operina fu molto bene accolta dal pubblico; ma l’Imer pensava che fosse l’intermezzo a sostenere la tragicommedia e, invece, era quest’ultima a sostenere l’intermezzo» (Memorie, p. 210). 69 Niccolò Balbi (1710-1791), senatore, fu tra i più antichi e costanti protettori di Goldoni. A lui il commediografo dedicherà La vedova scaltra (1750). 70 La prima della Vedova scaltra ebbe luogo a Venezia il 26 dicembre 1748. 71 Questo non sarà possibile, perché, interrompendosi l’edizione Pasquali al t. XVII, il racconto autobiografico si fermerà al 1742. Alla moglie del Balbi, Elisabetta, Goldoni dedicherà la commedia della Madre amorosa (1757). 72 La «riputazione» di Goldoni ha raggiunto un livello tale a Venezia, da far cambiare parere anche alla «signora» che, come ha scritto Goldoni all’inizio di questo tomo, aveva deciso di dimenticarlo. Ma la decisione di non riprendere la relazione è dettata al Nostro anche dal fatto «che la sua fortuna non erasi migliorata»? Cinismo e senso pratico del nostro autore. Ma a quale «Signora» fa esattamente riferimento Goldoni? Ginette Herry ipotizza possa essere la «fille d’un limonadier» incontrata ad Udine nell’Autore a chi legge del t. IX (cfr. G.H.M.I., p. 227, n. 36). Ma sembra, invece, evidente si tratti della «nipote» che il Nostro si era impegnato di sposare per ripicca alla «zia», costringendolo a fuggire da Venezia, come raccontato nella parte finale della prefazione del t. X.

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lata Rosmonda73 ed il secondo la Birba74. La Tragedia, quantunque a mio credere, meglio scritta, e meglio condotta, non ebbe la fortuna del Bellisario; ma l’intermezzo sorpassò di molto l’incontro della Pupilla, e si terminò il Carnovale con esso75. Trattenendomi di quando in quando nella Piazza San Marco, in quella parte, che dicesi la Piazzetta, e veggendo, ed attentamente osservando quella prodigiosa quantità di vagabondi, che cantando, suonando, o elemosinando, vivono del soave mestier della Birba, mi venne in mente di trar da coloro il soggetto di un intermezzo giocoso; e mi riuscì a maraviglia. Ho promesso nelle mie prefazioni di svelare i motivi, che mi hanno indotto ad intraprendere ad uno ad uno i miei drammatici Componimenti, e spero di mantener la parola. Alla Rosmonda suddetta mi ha dato eccitamento la Rosimonda del Mutti76, cattivo Romanzo del secolo oltrepassato, e l’ho composta per contentar la Bastona, la quale sostenuto avendo il carattere odioso 73

Tragedia in cinque atti e in versi. Anche qui è utile compulsare i Mémoires: «Le 17 Janvier, on donna la premiere représentation de ma Rosimonde. Elle ne tomba pas; mais après Bélisaire, je ne pouvois pas me flatter d’avoir un succès aussi brillant; elle eut quatre représentations assez passables. A la cinquieme, Imer l’étaya d’un nouvel Intermede. La Birba fit le plus grand plaisir: cette bagatelle, très-comique et très-gaie, soutint Rosimonde pendant quatre autres représentations; mais il fallut revenir à Bélisaire» (I, 36, p. 164); trad. it.: «Il 17 gennaio si diede la prima rappresentazione della Rosmonda. Essa non cadde, ma, dopo il Belisario, io non potevo aspettarmi un successo altrettanto brillante; essa ebbe quattro rappresentazioni accettabili. Alla quarta, Imer la sostenne con un nuovo intermezzo. La Birba provocò il più grande diletto; tale bagattella, molto allegra e comica, sostenne Rosmonda per altre quattro rappresentazioni; ma bisognò poi tornare a Belisario» (Memorie, p. 211). 74 Intermezzo in tre parti, cantato (da Imer) e musicato (forse da Maccari), ebbe vasto successo anche in «Terraferma» ovvero a Bassano, Padova, Udine, per poi passare a Genova e Milano. Nei Mémoires: «J’entrepris la composition d’une Tragédie intitulée Rosimonde, et d’un autre Intermede intitulé la Birba. Pour la grande Piece c’étoit la Rosimonda del Muti, mauvais Roman du siècle dernier, qui m’avoit fourni l’argument, et j’avois calqué la petite Piece sur les Batteleurs de la Place Saint-Marc, dont j’avois bien étudié le langage, les ridicules, les charges et les tours d’adresse. Les traits comiques que j’employois dans les Intermedes, étoient comme de la graine que je semois dans mon champ pour y recueillir un jour des fruits mûrs et agréables» (I, 35, pp. 161-162); trad. it.: «Intrapresi la composizione di una tragedia intitolata Rosmonda e di un altro intermezzo isolato La birba. L’argomento della tragedia mi era stato fornito dalla Rosimonda del Muti, un brutto romanzo del secolo scorso, mentre per l’altra operina mi ero ispirato ai saltimbanchi di Piazza San Marco, dei quali avevo studiato per bene il linguaggio, le spiritosaggini, le caricature e i giochi d’abilità. I tratti comici che usavo negli intermezzi erano semi che spargevo nel mio campo per raccogliervi un giorno frutti maturi e gradevoli» (Memorie, p. 208). Come il Vitale, i ciarlatani, i vagabondi, gli impostori, le «birbe», insomma tutto quel mondo fatto di una socialità poco riconducibile ad una norma, composta di irregolari, stravaganti, imbroglioni, che stanno ai margini del vivere civile e si conducono col «soave mestier della birba», hanno sempre esercitato grande fascino su Goldoni. 75 Nel 1735, il carnevale si chiuse il 22 febbraio. 76 Giammaria Muti (1649-1727), veneziano, domenicano, autore di opere religiose e di due mediocri romanzi, tra i quali non compare La Rosimonda, ma un altro dal titolo La Romilda (1698). Confusione del Goldoni?

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di Teodora, pretendeva di farsi onore con una parte virtuosa, ed eroica; ma tutti e due c’ingannammo: ella non era fatta per queste parti, ed io non era ancora assai pratico per iscegliere gli argomenti. Queste mie compiacenze mi hanno qualche volta giovato; ma moltissime volte mi hanno pregiudicato77. Giunto il tempo della Quaresima l’Imer mi ha procurato un altro avvantaggio. Soleva Sua Eccellenza Grimani per la Fiera dell’Ascensione78 far rappresentare nello stesso Teatro un’Opera seria per Musica. Si serviva ordinariamente di Drammi vecchi; e questi avevan sempre bisogno, o di essere accorciati per addattarli alla calda stagione, o di essere in parte cangiati secondo il bisogno del Compositor della Musica, o secondo il capriccio de’ Virtuosi. Per questo dunque, ed anche per la direzione, e per l’istruzion degli Attori, vi voleva un Poeta, che sapesse far delle Arie nuove, ed avesse qualche cognizion di Teatro. Era da molti anni in possesso di tale esercizio, tanto per il Teatro di San Samuele, che per quello di San Gio: Crisostomo appartenente alla stessa famiglia Grimani, il Signor Sebastiano Biancardi Napolitano, uomo di estrazione molto civile, il quale lasciata la Patria erasi (non so per qual causa) cambiato il nome, e chiamavasi Domenico Lalli79. Aveva egli del genio per la Poesia; e dalle Opere sue stampate si può giudicare del suo talento. Le dediche in quel tempo erano decadute di quella fortuna, di cui godevano ne’ tempi addietro; ma pure si sostenevano ancora in qualche riputazione; e il Lalli dedicando i libretti de’ Drammi vecchi, quando ricomparivano vestiti di nuovo sopra la scena, ne ricavava qualche profitto. Io fui proposto per succedergli in quest’impiego; ma non curandomi di un guadagno, che mi pareva assai stravagante, fu detto, che l’utile delle dediche resterebbe al Lalli, ed a me la direzion del Teatro, rimettendo alla generosità del Cavalier 77

La solita querelle tra le primedonne, causa di continue difficoltà per il commediogra-

fo.

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L’otto maggio. Sebastiano Biancardi (1679-1741), napoletano, detto Domenico Lalli, erede dell’importante famiglia partenopea dei Caracciolo (ma non così facoltoso come lascerebbe presagire la parentela), fu autore di libretti per melodrammi e di intermezzi. Amico di Apostolo Zeno e Metastasio, diresse, come impresario, i teatri San Samuele e San Giovanni Grisostomo, a cui successe proprio Goldoni, che, stimandolo, gli dedicherà l’Aristide (1735). Biancardi introdusse, tra l’altro, a Venezia l’opera buffa Elisa (1711). La sua notorietà lo condurrà a diventare poeta di corte in Baviera. Se vogliamo, Goldoni con quella interiezione, «non so per qual causa», lascia cadere un’ombra sul passato del Biancardi, e non ne conosciamo il motivo, ma annota il Loehner: «secondo il Mazzucchelli (Scrittori italiani), il Biancardi, che era dottore in legge, avrebbe dovuto fuggire per un intacco di cassa» (cfr. E.L.ME., p. 281). 79

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Padrone la ricognizion delle mie fatiche. Ciò piacque al Lalli medesimo, e fummo sempre in buona armonia, ed amicizia80. Era il Compositor della Musica di quell’anno per l’Opera dell’Ascensione il Signor Abbate Vivaldi81, detto il Prete Rosso, per il colore de’ suoi capegli, e malamente da alcuni chiamato il Rossi, credendolo il nome della sua Famiglia. Questo famosissimo Suonator di Violino, quest’uomo celebre per le sue suonate, specialmente per quelle intitolate le quattro stagioni, componeva altresi delle Opere in Musica; e quantunque dicessero i buoni Conoscitori, ch’egli mancava nel contrappunto, e che non metteva i Bassi a dovere, faceva cantar bene le parti, e il più delle volte le Opere sue hanno avuto fortuna. Dovea recitare in quell’anno per prima Donna la Sig. Annina Giro, o Girand 82, figlia di un Parrucchiere originario Francese, la quale sendo scolara di esso Vivaldi chiamavasi comunemente l’Annina del Prete Rosso. Non avea bella voce, non era gran virtuosa di Musica, ma era

80 Goldoni non esalta l’amicizia col Lalli nei Mémoires, se non in un breve passaggio nel dialogo con Vivaldi, in cui, oltre tutto, il compositore non appare ritratto proprio bene, perché ricordato come un autore che ricava degli «utili» senza di fatto lavorare: «[…] – Son Excellence Grimani m’a chargé des changemens que vous croyez nécéssaires dans l’Opéra de la prochaine foire. Je viens voir, Monsieur, quelles sont vos intentions. – Ah, ah, vous êtes chargé, Monsieur, des changemens dans l’Opéra de Griselda? M. Lalli n’est donc plus attaché aux Spectacles de M. Grimani? – M. Lalli, qui est fort âgé, jouira toujours des profits des Epîtres Dédicatoires et de la vente des livres, dont je ne me soucie pas. J’aurai le plasir de m’occuper dans un exercice qui doit m’amuser, et j’aurai l’honneur de commencer sous les ordres de M. Vivaldi» (I, 36, p. 165); trad. it.: «[…] Sua Eccellenza Grimani mi ha incaricato dei cambiamenti che voi ritenete necessari all’opera della prossima fiera. Vengo a vedere, signore, quali siano le vostre intenzioni. – Ah, ah, voi siete incaricato, signore, dei cambiamenti da apportare alla Griselda? Dunque il signor Lalli non è più il poeta dei teatri del signor Grimani? – Il signor Lalli, che è molto anziano, continuerà a godere degli utili delle epistole dedicatorie e delle vendite dei libretti, cosa di cui io non mi occupo. Avrò, invece, il piacere di occuparmi in una attività che deve divertirmi e avrò l’onore di incominciare agli ordini del signor Vivaldi» (Memorie, p. 212). 81 Antonio Vivaldi (1675-1741?), compositore, violinista, è uno dei più importanti autori di musica strumentale e per melodrammi del Settecento. Fu direttore del conservatorio della Pietà a Venezia. Nei Mémoires (I, 36), Goldoni, stranamente, lo definisce «compositore assai mediocre», vantandone soltanto la bravura di «suonatore di violino». Nei suoi frequenti viaggi come direttore di concerti e opere, Vivaldi si lasciava accompagnare da quattro o cinque infermiere, a causa della salute cagionevole. Questo comportamento, però, gli creò non pochi dissapori a causa di pettegolezzi sulla sua dubbia moralità, accresciuti soprattutto dall’abito talare indossato (scomodandosi per tali ragioni anche il nunzio apostolico di Venezia). 82 Anna Giraud, o Girò, mantovana, (una delle infermiere), era «figlia di un parrucchiere francese», cantante mediocre, ma allieva preferita (e protetta) da Vivaldi, che la impose sulle scene non soltanto veneziane (dal 1724 al 1738), accompagnandosi a lei (assieme alla sorella Paolina) nelle sue trasferte artistiche.

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bella, e graziosa: gestiva bene (cosa rara in que’ tempi) ed aveva de’ Protettori: non ci vuole di più per meritar il posto di prima Donna. Premeva estremamente al Vivaldi un Poeta per accomodare, o impasticciare il Dramma a suo gusto, per mettervi bene, o male le Arie, che aveva altre volte cantate la sua scolara; ed io, ch’era destinato a tale incombenza mi presentai al Compositore d’ordine del Cavaliere Padrone. Mi ricevette egli assai freddamente. Mi prese per un novizio, e non s’ingannò, e non trovandomi bene al fatto nella scienza degli Stroppiatori de’ Drammi, si vedea, ch’egli avea gran voglia di rimandarmi. Sapeva egli l’applauso, che avea riportato il mio Bellisario, sapeva la riuscita de’ miei intermezzi; ma l’impasticciare un dramma era cosa calcolata da lui per difficile, e che meritava un talento particolare. Mi sovvenne allora di quelle Regole, che mi fecero delirare a Milano, quando lessi la mia Amalasunta, e aveva anch’io volontà d’andarmene; ma la mia situazione, e il dubbio di scomparire in faccia di Sua Eccellenza Grimani, e la speranza di aver la direzione del grandioso Teatro di San Giovanni Crisostomo83 mi fece dissimulare, e pregar quasi il Prete Rosso a provarmi. Mi guardò egli con un sorriso compassionevole, e preso in mano un libretto: Ecco, dice, ecco il Dramma che si dee accomodare: la Griselda di Apostolo Zeno84. L’Opera, soggiunse, è bellissima: la parte della prima Donna non può essere migliore; ma ci vorrebbero certi cambiamenti... Se Vossignoria sapesse le Regole... Basta; non le può sapere. Ecco qui, per esempio, dopo questa scena tenera vi è un’aria cantabile; ma come la Signora Annina non... non... non ama questa sorta di Arie (cioè non le sapeva cantare) qui vorrebbe un’aria d’azione... che spiegasse la passione, ma che non fosse patetica, che non fosse cantabile. Ho capito, risposi, ho capito; procurerò di servirla: mi favorisca il libretto. Ma io, riprende il Vivaldi, ne ho di bisogno: non ho finito i recitativi; quando me lo renderà? Subito, dico, mi favorisca un pezzo di carta, ed un calamaio... Che? Vossignoria si persuade, che un’aria di un’opera sia, come quelle degl’intermezzi!85 Mi venne un poco di collera, e gli replicai con faccia tosta: mi dia il calamaio, e tirai di tasca una lettera, stracciando da quella un pezzo di carta bianca. Non vada in collera, mi disse modestamente, favorisca, si 83 Questo grande teatro, costruito nel 1678, era il più importante per l’opera in Venezia, ai tempi di Goldoni. 84 Tratta dalla celebre novella del Decameron (X, 10). Innumerevoli sono state le riduzioni teatrali dalla novella del Boccaccio. Luigi Riccoboni, ad esempio, aveva composto e pubblicato, a Parigi, una sua Griselda (1718), e la stessa fu «impasticciata» anche dal Gigli. 85 Le uniche opere per cui Goldoni era conosciuto a Venezia.

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accomodi qui a questo tavolino: ecco la carta, il calamaio, e il libretto; faccia a suo comodo; e torna allo scrittoio, e si mette a recitar il breviario. Leggo allora attentamente la scena; raccolgo il sentimento dell’aria cantabile, e ne faccio una d’azione, di passione, di movimento86. Gliela porto, gliela faccio vedere, tiene colla dritta il breviario, colla sinistra il mio foglio, legge piano; e finito di leggere, getta il breviario in un canto, si leva, mi abbraccia, corre alla porta, chiama la Signora Annina. Viene la Signora Annina, e la Signora Paolina Sorella: legge loro l’arietta, gridando forte: l’ha fatta qui, qui l’ha fatta, l’ha fatta qui; e nuovamente mi abbraccia, e mi dice bravo, e sono diventato il suo Caro, il suo Poeta, il suo Confidente, e non mi ha più abbandonato87. Ho poi assassinato il Dramma del Zeno quanto, e come ha voluto. L’Opera è andata in iscena, ha incontrato; ed io terminata la Fiera dell’Ascensione mi sono portato a Padova, dov’era l’Imer e la Compagnia, a passar magramente in quell’anno la stagion della Primavera88.

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Sembra, di nuovo, lo studente Goldoni alle prese con l’esame di latino nell’Autore a chi legge del t. II. Qui, come scrive nei Mémoires, impiegherà appena un «quarto d’ora» a comporre il testo. 87 Sembra di abitare la scena, di stare a fianco dei due “personaggi” che dialogano. Vivaldi è soprattutto contento perché l’arrangiamento di Goldoni andava (furbescamente) incontro alle scarse capacità dell’Annina, come è evidente nei Mémoires: «[…] mais Mademoiselle Giraud n’aime pas le chant langoureux, elle voudroit un morceau d’expression, d’agitation, un air qui exprime la passion par des moyens différens, par des mots, par exemple, entrecoupés, par des soupirs élancés, avec de l’action, du mouvement; je ne sais pas si vous me comprenez. – Oui, Monsieur, je comprends très-bien; d’ailleurs j’ai eu l’honneur d’entendre Mademoiselle Giraud, je sais que sa voix n’est pas assez fort… – Comment, Monsieur, vous insultez mon écoliere? Elle est bonne à tout, elle chante tout. – Oui, Monsieur, vous avez raison, donnez-moi le livre, laissez-moi faire» (I, 36, pp. 165-166); trad. it.: «[…] – ma alla signorina Giraud non piace il canto languido, desidererebbe un pezzo d’espressione, d’azione, un’aria che esprima la passione con mezzi differenti, per esempio con parole rotte, con sospiri vibranti, con un po’ d’agitazione e di movimento; non so se mi capite. – Sissignore, capisco benissimo; del resto io ho avuto l’onore di ascoltare la signorina Giraud, so che la sua voce non è abbastanza forte… – Come, signore, voi insultate la mia scolara? È brava in tutto, canta di tutto. – Sì, avete ragione, signore, datemi il libretto e lasciate fare a me» (Memorie, p. 213). Non sappiamo di ulteriori collaborazioni di Vivaldi con Goldoni, se non di quelle, come annota la Herry (cfr. G.H.M.I., p. 232), a favore di quattro intermezzi (Il filosofo, Monsieur Petiton, La bottega da cafè, L’amante cabala) e del dramma eroicomico Aristide (1735). 88 Siamo nel giugno 1735. La primavera fino alla metà di luglio era il periodo delle villeggiature sul Brenta della buona società veneziana. Goldoni ne aveva esperienza diretta, e ne trarrà spunto per la famosa Trilogia della villeggiatura.

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TOMO XIV L’Autore a chi legge*

Finalmente sono arrivato a que’ tempi, ne’ quali le mie prefazioni non saranno inutili, trattandosi ora di quell’ordine, e di quei progressi, con cui si è formato a poco a poco il mio Teatro. Continuando dunque l’ordine incominciato, dirò, che andato a Padova a raggiungere la Compagnia1, vi trovai de’ cambiamenti de’ Personaggi, e fu questo il motivo, che colà mi condusse, essendo di mio interesse il vedere, ed esaminare i nuovi Soggetti. La Pontremoli, Servetta, era passata in Sassonia2; ma quel, che più

* Questa Prefazione, scritta a Parigi, è stata pubblicata in Venezia, probabilmente, tra il 1776 e il 1777. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: L’uomo prudente (Mantova, 1748); La donna di testa debole o sia la vedova infatuata (Livorno, 1753), Don Giovanni Tenorio o sia il dissoluto (Venezia, 1736), Sior Todero brontolon o sia il vecchio fastidioso (Venezia, 1761). Il disegnatore Novelli esegue quanto indicato da Goldoni per il frontespizio, ossia la Compagnia dell’Imer schierata in «semicircolo» a recitare sul palcoscenico un prologo, ovvero ad introdurre lo spettacolo così che il pubblico possa «sentir cose nuove, e in vari metri, e con varie invenzioni sentir gli elogi della città, del governo, e degli ordini vari delle persone». Il disegno allegorico è costituito dalle due figure allegoriche della Verità e della Gratitudine, la prima è rappresentata ignuda nel mentre impugna una palma nel segno della giustizia sulla frode, la Gratitudine è raffigurata completamente vestita nel mentre abbraccia una cicogna. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dal Panegyricus Messalae di Tibullo: «At non per dubias errant mea Carmina laudes» (III, 7, 106); trad. it.: «Ma i miei versi non si disperdono in vane lodi». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il 1735 e il 1736; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli della prima parte che vanno dal trentasettesimo all’inizio del trentanovesimo capitolo. 1 Primavera del 1735. A Padova il 12 di giugno si teneva la fiera in onore di Sant’Antonio, e i veneziani vi accorrevano in gran massa; inoltre vi accorrevano anche quelli che erano in villeggiatura sul Brenta, e che avevano lasciato, in genere, Venezia dopo la Fiera della Sensa (la festa dell’Ascensione). Quest’ultima è una delle più antiche celebrazioni veneziane, nata nell’anno 1000 per festeggiare e tramandare l’impresa navale del Doge Pietro Orseolo II, nel giorno dell’Ascensione, e detta, secondo il Loehner, «Carnovale d’estate» (cfr. E.L.ME., p. 59). 2 Alla corte del re di Polonia, a Dresda.

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m’interessava, era la partenza della Zanetta Casanova3, la quale oltre al posto di seconda Donna nelle Commedie, lasciava un vacuo4 considerabile negl’Intermezzi. Ella pure, malgrado l’attaccamento, non di lei all’Imer, ma dell’Imer a lei, lasciò gli Amici, e la Patria, e andò al servizio del Re di Polonia. Il Costantini Arlecchino era stato dalla Compagnia licenziato, ed in suo luogo avevano preso un certo Campagnani Milanese, il quale facea le delizie del suo Paese recitando fra dilettanti, ed avea molto spirito, e moltissima abilità; ma altra cosa è il recitare fra dilettanti, ed il recitare fra Comici. Riuscì mediocremente in quel Personaggio; ma io lo feci brillare in un altro carattere, come vedremo5. Per la parte di seconda Donna presero la Tonina Ferramonti6, Bolognese, Moglie del Ferramonti, solito a recitare da Pantalone, e che piaceva da per tutto, fuorché in Venezia7. Questa Donna, giovane, bella, di aspetto signorile, e di tratto nobile, piena di talento, e adorna di grazie era un buonissimo acquisto per la Compagnia; poiché recitava assai bene nelle Commedie, ed ancor meglio nelle Tragedie. Passava seco lei una gran parte del giorno. La sua conversazione non poteva essere più amabile: si ripassavano insieme le parti, ed il marito avanzato negli anni era contento, che il Poeta della Compagnia prediligesse sua Moglie, la quale, quant’era brava, e vezzosa, era altrettanto saggia, e prudente. Ciò non mancò di produrre delle gelosie nelle Commedianti provette, e l’Imer rideva, veggendomi entrare in quel labirinto8, dal quale egli era uscito alla mancanza della Servetta; ed a quella della Zanetta per gl’intermezzi, supplito avevano con una sola persona. Quest’era Elisabetta Passalacqua9 Napoletana, figlia del 3 Partita per Pietroburgo, la Zanetta, dopo essere tornata a Venezia, ripartì per Dresda per poi rimanervi fino al 1756. 4 Un vuoto. 5 Nel Don Giovanni Tenorio, il Campagnani riscosse successo nella parte di «Carino», che gli aveva affidato Goldoni. 6 Antonia Ferramonti, bolognese, morirà ad Udine, nel 1735, all’età di ventiquattro anni. Era sposata con Antonio Ferramonti, commediante dell’Arte e «poeta di Compagnia», autore di canovacci da lui stesso interpretati. 7 Goldoni non ne precisa il motivo, ma lascia capire di essersi non poco invaghito della Ferramonti. 8 Bella definizione per gli intrighi, le gelosie e i pettegolezzi del mondo delle attrici. Un po’ di misoginia, comunque, in Goldoni, affiora spesso. 9 Elisabetta Moreri D’Afflisio, napoletana, in arte Passalacqua. Fu oltre che attrice, danzatrice, schermitrice ed acrobata. Purtroppo, proprio in un esercizio acrobatico, a Palermo, cadde, e questo incidente le impedì di continuare la carriera. Morì in miseria a Finale di Modena, nel 1760. Se ne innamorò Goldoni, in rivalità con l’attore Vitalba; ma tradito dalla donna, si vendicò sulla scena come narrerà tra poco.

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Comico Alessandro d’Afflisio, e giovane spiritosissima, che faceva di tutto passabilmente, e niente perfettamente. Cantava, ballava, recitava in serio, e in giocoso, tirava di spada, giocava la bandiera10, parlava vari linguaggi, era passabile nella parte della Servetta, e suppliva passabilmente negl’Intermezzi. Donna poi la più scaltra, la più fina, la più lusinghiera del Mondo, fece quanto poté per cattivarsi l’animo del Poeta; ma non le riuscì, finché visse la Ferramonti11. A Padova ebbe il Bellisario la stessa fortuna: i Commedianti mi domandavano qualche cosa di Teatrale, ed interessante sul gusto del Bellisario. Io, che aveva di fresco poste le mani nella Griselda dell’Apostolo Zeno12, vidi, che quell’Argomento, e quel Carattere sarebbero stati a proposito per la Romana13, e ne feci la proposizione a lei, e al Direttore. Mi dissero allora entrambi, che ne avevano una, e che il Pariati14 Autore Drammatico, contemporaneo del Zeno, e suo Collega in vari Componimenti, avea adattato all’uso de’ Comici lo stesso Dramma, e ne avea formato una Tragedia in Prosa, soggiungendo, ch’essa avea piacciuto per qualche tempo, ma che allora non se ne servivano più, perché più non piaceva. Mi diedero a leggere la Tragedia, e mi parve di riconoscervi la cagione, che la facea dispiacere. La prosa per se stessa non è avvantaggiosa per le Tragedie: lo stile di quella non era felice; si vedeva, che il Pariati, uomo per altro di merito, aveva sagrificato il buon senso al cattivo uso de’ Comici, e m’invogliai sempre più a rinovar la Griselda15. La scrissi in verso, seguitai in gran parte la traccia del primo Autore, cangiai qualche Scena, ne aggiunsi a mio capriccio, e la ridussi in istato di ricomparir, come nuova. Fra gli altri cambiamenti ne feci uno, che diede il maggior merito alla novità. Premevami il mio Casali. Immaginai d’introdurre il Padre di Griselda, ch’era nata fra boschi: un buon Vecchio, tenero, prudente, discreto, che non insuperbisce veggendo la figliuola sul Trono, e non si rattrista veggendola ricadere nell’antica sua povertà, e prende parte soltanto all’offesa dell’onore, 10

Agitava e lanciava, con doti funamboliche, in aria una bandiera, riprendendola con destrezza e a tempo di musica. 11 In queste parole ancora qualche traccia di rancore e di gelosia. 12 Nel tomo precedente, su richiesta di Vivaldi. 13 È l’attrice che abbiamo conosciuta nel tomo precedente. 14 Pietro Pariati o Pariatti, emiliano (1665-1733), autore di drammi e di libretti per musica, collaborò con lo Zeno e fu poeta alla corte di Vienna. Quale sia il testo rielaborato dal Pariati non appare chiaro; potrebbe essere la stessa Griselda a cui aveva già messo mano Goldoni, il che giustificherebbe quel suo desiderio a «rinovar la Griselda». 15 La Griselda fu pubblicata nel t. XIV dell’edizione Pitteri (1775).

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e dell’innocenza. Questo Vecchio piacque infinitamente, e tutta la Tragedia ha piacciuto, ed il Pubblico rese a me questi onori, che dovevansi in parte all’Autor primiero16. Per contentare gli Attori degl’Intermezzi ne ho composto uno in due parti, ed uno in tre17, e terminata la Piazza di Padova, cioè le recite della Primavera la Compagnia passò a Udine per trattenervisi tutto l’Estate. Io mi vi resi egualmente, attirato da più motivi, di cui non era l’ultimo la Ferramonti. Desiderava altresì di riveder quel Paese, dove vissuto aveva parecchi mesi, dove avea molti amici, e dove mi lusingava di rivedere (per semplice curiosità) qualche oggetto delle prime mie tenerezze18. La Compagnia fu accolta da que’ buoni Friulesi con giubbilo, e con acclamazioni; poiché non erano soliti di aver colà Compagnie di Comici sì complete; e fu un accidente estraordinario, che questa, mancando in quell’anno di migliori Piazze, si riducesse a quelle di Padova, e di Udine. Non ne fu però malcontenta; poiché fra l’utile del Teatro, ed i regali, che19 faceano di quando in quando quei Cittadini liberali, e cortesi, partirono i Comici di là soddisfatti. Io fui accolto amorosamente. Le Opere mie piacquero in generale, e dicevano, che il Compositor de’ Predicatori 20 era ancora miglior Compositore de’ Comici. Passai un giorno per quella strada, ed osservai quella Casa, dove fui sorpreso di notte dalla Madre accorta di una Fanciulla imprudente21. 16

Apostolo Zeno, a quei tempi viveva a Venezia. Probabilmente Goldoni si confonde. Nell’autunno del 1735 compone intermezzi ma tutti suddivisi in due parti ovvero L’ippocondriaco e Il filosofo. Solo l’intermezzo della Bottega da cafè è suddiviso in tre parti ma fu rappresentato nel 1736 insieme all’Amante cabala; allo stesso anno dovrebbe appartenere anche Monsieur Petiton, altro intermezzo costituito da tre parti. Sia l’Aristide, L’ippocondriaco, La bottega da café e Il filosofo furono tutti interpretati dalla Passalacqua, come anche Monsieur Petiton, intermezzo del Don Giovanni Tenorio. Anche in quest’ultima commedia, vedremo, reciterà la Passalacqua, ma questa volta per “punizione”. 18 Goldoni ama ritornare sui luoghi che lo hanno visto protagonista di avventure amorose giovanili e ricordarle. Non dimentichiamo l’osteria di Desenzano, dove, anche lì, ritornandovi ricorda la sua bella «compagna», raccontata nell’Autore a chi legge, t. VIII. 19 A questa altezza nei Mémoires (I, 37) Goldoni scrive, invece, che decide di seguire la Compagnia dell’Imer a Udine, soltanto perché aveva saputo che la figlia del caffettiere si era già sposata, e quindi non aveva più nulla da temere; dunque, se è vero quanto afferma nelle memorie francesi, qualcosa di serio doveva essere successo con la «Fanciulla imprudente». 20 Goldoni allude ai suoi trascorsi di autore di sonetti religiosi, ovvero al Quaresimale in epilogo, scritto proprio ad Udine nel 1726, e di cui ha già parlato nell’Autore a chi legge (t. IX). 21 È la «figlia di un Caffettiere», la «limonadiere» nei Mémoires. L’episodio l’abbiamo già letto nell’Autore a chi legge, t. IX, p. 186, n. 18. 17

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Non vidi persona alcuna, m’informai ad un bottegaio vicino, e seppi, che la Madre era morta, e che la figlia erasi maritata. Due giorni dopo la incontrai per la strada; la salutai, mi riconobbe, mi fece accoglienza, m’insegnò la sua abitazione, e andai a rendere i miei doveri22. Ma ritorniamo in carriera23, e parliamo del mio esercizio. I Comici la prima sera, che si presentano sopra un Teatro per loro nuovo, o che ricompariscono sopra di uno, in cui stati sieno altre volte, sogliono fare un complimento all’Udienza, ed è la prima Donna, ch’è incaricata ordinariamente di quest’ufficio24. Siccome erano due le prime Donne di quella Truppa, e faceano il complimento a vicenda, toccava alla Romana a farlo a’ Signori Udinesi. Ella mi pregò di comporlo, ed io lo feci assai volentieri, per la stima, e il dovere, che mi obbligava verso quella Città rispettabile. Si accorsero da chi venia il complimento, e me ne sepper buon grado. Quest’occasione mi fe’ pensare, che tornando la Compagnia in Venezia, richiedevasi un complimento. Io desiderava di farlo; ma la Bastona, che aveva il suo recitato trent’anni di seguito in tutti i Paesi, dov’erasi presentata, non si curava d’impararne un nuovo. Mi venne in mente di fare una novità. Dissi all’Imer, che avendo de’ personaggi nuovi da produrre a Venezia, sarebbe ben fatto di presentarli al Pubblico con una introduzione novella, e far, che tutti contribuissero al complimento, distinguendo sul fine la prima Donna. Piacque all’Imer l’idea, e più gli piacque l’esecuzione. Composi una specie di divertimento per la prima sera, diviso in tre parti, che riempivano lo spazio di tre Atti soliti di una Commedia. La prima parte era un’Accademia di belle lettere, nella quale recitava ciascun Personaggio un Componimento in lode di Venezia, o dell’Uditorio, e le Maschere lo facevano 22 Non così sbrigativo, e con modalità diverse, il racconto dell’incontro che Goldoni traccia nei Mémoires: «Cette Limonadiere, que je n’avois pas aimée, mais que j’avois connue et fréquentée, et qui avoit fini par me mettre dans le plus grand embarras, sut que j’étois à Udine, et voulut me voir. Elle étoit mariée à un homme de son état, et elle m’écrivit une lettre fort drôle et fort engageante. J’allais la voir à une heure marquée; je la trouvai fort changée: notre conversation ne fut pas longue; je n’avois pas envie de lui sacrifier mes nouvelles inclinations; je ne la revis qu’une seconde fois, et pas plus» (I, 37, p. 169); trad. it.: «La figlia del caffettiere, che io avevo non già amato, ma solo conosciuto e frequentato, e che era riuscita a mettermi nelle più gravi difficoltà, seppe che ero a Udine e volle vedermi. Era sposata con un uomo della sua condizione, mi scrisse una lettera molto strana e curiosa. Andai da lei a un’ora convenuta; la trovai molto cambiata: il nostro colloquio non fu lungo; io non avevo voglia di sacrificarle i miei nuovi interessi; la rividi soltanto una seconda volta, non di più» (Memorie, p. 216). 23 In carreggiata. Riprendiamo il filo del discorso. 24 Ovvero di salutare in versi il pubblico, accattivandoselo con elogi e complimenti. Goldoni di queste introduzioni ne scrisse non poche, e non poche ce ne sono giunte.

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ne’ loro linguaggi, e l’Arlecchino principalmente nel suo Carattere. La seconda parte era una breve, allegra Commedia di un Atto solo, in cui le Maschere, e i nuovi Personaggi brillavano principalmente; e la terza un’Operetta in Musica in sei Personaggi intitolata la Fondazion di Venezia25, in cui cantavano l’Imer, l’Agnese, la Passalacqua, il Gandini Brighella, il Campagnani Arlecchino, ed il mio Casali cantovvi anch’egli, e si fece onore. Cercai nella Parte accademica, che i Personaggi novelli si mettessero in grazia dell’Uditorio, domandando protezione, e compatimento, e distinto aveva sopra degli altri la brava, e meritevole Ferramonti; ma, oimè! la povera donna era gravida, era entrata nel nono mese, l’assalirono i dolori del parto, non poté liberarsi per le vie ordinarie, soffrì l’operazion Cesariana26, e due giorni dopo morì. Venne a darmi la trista nuova l’addolorato Consorte. Io era più afflitto, e più addolorato di lui. La piazza era quasi finita, e col pretesto di sollecitar il Maccari27, che componeva la Musica dell’Operetta, partii d’Udine, e andai a Venezia ad attendere la Compagnia28. Colà arrivato, trovai mia Madre ritornata di Modena, e la vista di questa Madre tenera, ed amorosa mi consolò29. Alloggiava ella colla Sorella, e coi Parenti Bertani, fintanto 25 La Fondazion di Venezia è, secondo quanto scrive Goldoni nei Mémoires, preceduta da un Prologo: «[…] un Opéra Comique en trois actes, et en vers […] petite Piece qui étoit peut-être le premier Opéra Comique qui parut dans l’Etat Vénitien […]» (I, 37, p. 169); trad. it.: «[…] una Commediola musicale in tre atti e in versi […]. Operetta che era forse la prima opera buffa a essere rappresentata nello Stato di Venezia […]» (Memorie, p. 217). 26 Il parto cesareo. 27 Cfr. L’Autore a chi legge, t. XIII, p. 276, n. 59. 28 La versione e le motivazioni sono diverse nei Mémoires, dove è proprio il grande dolore per la perdita della Ferramonti, morta il 5 agosto 1735, e l’insofferenza per la gelosia delle attrici, ad indurre Goldoni ad abbandonare Udine: «Le mari vint me voir, il étoit désolé, je l’étois autant que lui; je ne pouvois plus me souffrir dans cette ville, je ne pouvois plus soutenir l’aspect de ces femmes qui jouissoient de mon affliction, et sous prétexte d’aller rejoindre ma mere qui étoit de retour de Modene, je partis sur-le-champ pour Venise» (I, 37, p. 170); trad. it.: «Il marito venne a farmi visita, era disperato e io lo ero al pari di lui; non potevo più soffrirmi in quella città, non potevo più sostenere la vista di quelle donne che gioivano del mio dolore; e, con il pretesto di raggiungere mia madre di ritorno da Modena, partii immediatamente per Venezia» (Memorie, p. 217). 29 Forse la madre era ritornata a Venezia dal figlio con una mira matrimoniale ben precisa, visto che nei Mémoires Goldoni racconta che la sua promessa sposa veneziana aveva cambiato parere su di lui, e, tra scambi di visite e cortesie in famiglia, si riproponeva per il matrimonio: «Madame St*** et sa fille sont venues me voir; elles m’ont comblée de politesses, elles m’ont parlé de toi comme d’un garçon estimable, admirable; l’éclat de tes succès t’a rendu digne de leur considération, et elles comptent toujours sur toi. Non, dis-je, avec le ton de l’indignation; non, ma mere, je ne me lierai jamais avec une famille qui m’à trompé, qui m’a ruiné, et qui a fini par me dédaigner» (I, 38, p. 171); trad. it.: «la signora St*** e sua figlia sono venute a rendermi visita; mi hanno colmato di cortesie, mi hanno parlato di te come di un giovane onesto e ammirevole; la fama dei tuoi successi

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ch’io ritrovassi una casa comoda per tutti e tre30. Mi diede nuova di mio fratello; e seppi da lei il partito, ch’egli avea preso al servigio della Repubblica31. Io continuava a restare in Casa dell’Imer: la Compagnia tornò dieci giorni dopo; la Musica era in ordine, e l’introduzione era pronta. Mancava una seconda Donna: l’Imer aveva già scritto, e ne trovarono una, che chiamavasi la Vidini, più bella della Ferramonti, ma non così brava, né così virtuosa. L’Imer, che pensava a sostener gl’Intermezzi, e temea dell’incontro della Passalacqua, fatto avea un altro acquisto. Un certo Martinelli, Ebreo fatto Cristiano, e suonator di Violino, che seguitava la Compagnia, si era rimaritato di fresco, e vecchio di sessanta sei anni avea sposato una giovinetta vezzosa, che avea bella voce, e da cui speravasi buona riuscita. La Passalacqua temeva il confronto, e cercò di fortificarsi colla mia amicizia. Non le riuscì a Padova, lo tentò a Venezia. Non eransi ancora cominciate le recite, quando un giorno mi mandò a chiamare, mostrando aver qualche cosa d’interessante a comunicarmi32. Vi andai ti ha reso degno della loro considerazione ed esse contano sempre su di te. No, dissi io in tono sdegnato; no, madre mia, io non mi legherò mai a una famiglia che mi ha ingannato, rovinato ed è arrivata persino a disprezzarmi» (Memorie, pp. 218-219). Ma Goldoni aveva comunque preso l’impegno di sposarla; e sarà ancora la madre a «liberarlo». Inoltre, sempre la madre, gli aveva espresso il desiderio che riprendesse la professione di avvocato; ma la risposta di Goldoni, a queste ultime insistenze, merita di essere letta nei Mémoires: «Je lui fis voir que l’ayant une fois quitté et ayant reparu dans ma Patrie sous un aspect toutà-fait différent, je ne pouvois plus me flatter de cette confiance que j’avois déméritée, et que la carriere que je venois d’entreprendre étoit également honorable, et pouvoit devenir lucrative (I, 38, pp. 170-71); trad. it.: «Le feci capire che ormai, avendo abbandonato tale professione ed essendo riapparso in patria in vesti completamente diverse, non potevo più sperare in quella fiducia cui ero venuto meno e che la carriera che avevo intrapreso era ugualmente onorevole e poteva diventare redditizia» (Memorie, p. 218). 30 Ancora Goldoni non aveva provveduto ad un nuovo alloggio, dal suo primo ritorno a Venezia, dove era stato ospite dell’Imer. Vedi l’inizio dell’Autore a chi legge, t. XIII. 31 Ma, forse, era al servizio del duca di Modena. 32 Il racconto dell’incontro con la Passalacqua che qui si esaurisce in poche righe, nei Mémoires è tra le più belle pagine narrative di Goldoni, quasi una pagina del Casanova. Per la lunghezza è impossibile citarlo tutto; ma almeno la gita nella gondola descritta «come un boudoir», con il dettaglio di quel buio dietro la tendina dove non si riesce nemmeno a distinguere il quadrante dell’orologio, merita di essere letta: «Nous entrons dans cette voiture, où l’on est aussi commodément que dans le boudoir le plus délicieux. Nous allons gagner le large de la vaste Lagune qui environne la ville de Venise. Là notre adroit Gondolier ferme le petit rideau de derriere, fait de sa rame le gouvernail de la gondole, et la lasse aller doucement au gré du reflux de la mer. Nous causâmes beaucoup, gaiement, agréablement, et au bout d’un certain tems la nuit nous paroissoit avancée, et nous ne savions pas où nous étions. Je veux regarder à ma montre; il faisoit trop sombre pour y voir: j’ouvre le petit rideau de la poupe; je demande au Gondolier l’heure qu’il étoit; je n’en sais rien, Monsieur, me dit-il, mais je crois, si je ne me trompe pas, que c’est l’heure du berger.

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sulle ventidue ore33; mi ricevé con tutta l’immaginabile gentilezza, e si lagnò dolcemente, che meco aveva poco fortuna. Intesi quel che voleva; cambiai discorso, e col pretesto d’affari volea congedarmi. Ella insisté, che avea qualche cosa da confidarmi; che per farlo con maggior libertà avea fatto venir una Gondola, che potevamo andar a prendere il fresco, e mi avrebbe svelato il segreto. Io non ho avuto cuor di negarglielo. Scendiamo, montiamo in Gondola, ritorniamo a un’ora di notte34. Troviamo al ritorno la tavola preparata, si cena, si discorre; suona la mezza notte; l’Imer mi aspetta: addio, addio... a domani. Parto, e l’assicuro della mia buona grazia35. Non racconto per vanità questo nuovo acquisto, ma è necessario, ch’io ne parli; poiché ciò mi ha servito di fondo per comporre il mio Don Giovanni Tenorio36, ch’è la terza Commedia in questo Tomo compresa. Continuando l’amicizia con questa Donna, la quale bella non era, ma avea tutte le grazie possibili per incantare, l’Imer mi ha imbarazzato non poco. Premevagli la Sposina del Martinelli, e avrebbe voluto, ch’io dato le avessi qualche istruzione; ma il vecchio Marito non mi vedea volentieri, ed io me n’esentai con politica37. La povera giovine, che imparava Allons, allons, lui dis-je, au logis de Madame. Le Gondolier reprende sa rame; il tourne la proue de sa gondole du côté de la Ville, et nous chante en chemin faisant la strophe vingtsixieme du seizieme chant de la Jérusalem délivrée» (I, 38, pp. 173-74); trad. it.: «Entriamo in quest’imbarcazione, dove si sta comodamente, come in un salottino confortevolissimo. Andiamo al largo della vasta laguna che circonda la città di Venezia. Là il nostro astuto gondoliere chiude la tendina posteriore, fa del suo remo il timone della gondola e la lascia andare dolcemente con il riflusso del mare. Parlammo molto, allegramente, piacevolmente e, in capo ad un certo tempo, ci sembrava notte inoltrata e non sapevamo dove fossimo. Voglio guardare il mio orologio, ma è troppo buio per vedere; apro la tendina di poppa; chiedo al gondoliere che ora si sia fatta; non lo so, signore, ma, se non mi sbaglio, penso sia l’ora degli innamorati. Via, via, gli dissi, all’alloggio della signora. Il gondoliere riprende il remo; gira la prua della gondola in direzione della città e, cammin facendo, ci canta la ventiseiesima strofa del sesto canto della Gerusalemme liberata» (Memorie, p. 221). 33 Nei Mémoires (I, 38): «alle cinque di sera». 34 Nei Mémoires (I, 38): «alle dieci e mezza di sera». 35 È andata proprio così, di fretta? A leggerlo, nei Mémoires, non sembra. Il motivo dell’invito della Passalacqua è da leggersi più avanti nella n. 37. 36 Siamo sul confine tra il piacere della vendetta e quello dell’invenzione. In cinque atti e in versi, il Don Giovanni andò in scena al Teatro San Samuele durante il carnevale del 1736. Il Don Giovanni di Mozart, libretto di Da Ponte, ebbe la prima il 29 ottobre 1787, a Praga. 37 Come detto a chiare lettere nei Mémoires, è la Passalacqua, ingelosita, a volere l’allontanamento dalle scene della «sposina» del Martinelli, proposta che, stando sempre a quanto scrive Goldoni nelle sue memorie francesi, fu accolta, sebbene dopo una iniziale resistenza: «Le lendemain de la soirée singulière dont je viens de parler, je vis mon hôte, et je lui dis que le caractere farouche et jaloux du vieux Musicien m’avoit dégoûté, et je le priai de me dispenser des soins dont il m’avoit chargé pour la jeune femme. Je crayonnai

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la Musica col Violino, si sfiatò a segno, che le venne la schiranzia38: era gravida; i Medici non lo sapevano; non lo poteva credere il Martinelli medesimo; le cavarono sangue, abortì, e morì in poco tempo39. Eccoci alla prima recita dell’Autunno dell’anno 173540. Si aprì il Teatro coll’Accademia. Avvezzo il Popolo a veder sempre sortire la prima Donna a recitare quel Complimento, che sapevano tutti a memoria, riuscì una sorpresa piacevole il vedere tutta la Compagnia in semicircolo, e sentir cose nuove, e in vari metri, e con varie invenzioni sentir gli elogi della Città, del Governo, e degli ordini vari delle persone. L’ho detto, e replicato più volte: non sono stato mai buon Poeta, e molto meno nel serio; ma i miei Componimenti hanno spesso avuto fortuna a causa dell’argomento, e dell’occasione. Ebbe la mia Accademia perciò tutto l’applauso, che poteva desiderare, e l’onore, ch’ella mi ha fatto, mi ha indotto a prenderla per soggetto del Frontispizio di questo Tomo, esprimendo nelle due figure al di sopra, la Verità, e la Gratitudine, che m’hanno indotto a farla41. Piacque mediocremente la Commedia in un Atto, e molto più l’Operetta per Musica; e principiato bene quest’anno si seguitò ancora meglio. Il Bellisario continuò con egual fortuna, e la Griselda fu sì bene applaudita, che gli andò quasi del pari, e gl’Intermezzi nuovi, ensuite un Intermede pour Madame Passalacqua, et j’allai la voir, et lui lire les premieres épreuves de ma reconnoissance» (I, 38, p. 174); trad. it.: «Il giorno che seguì alla singolare serata di cui ho appena parlato, vidi il mio ospite e gli dissi che il carattere scontroso e geloso del vecchio suonatore mi aveva disgustato e lo pregai di dispensarmi degli impegni di cui mi aveva caricato nei confronti della giovane moglie. Abbozzai poi un intermezzo per la signora Passalacqua e mi recai a casa sua per leggerle le prime prove della mia gratitudine» (Memorie, p. 222). 38 Probabilmente una violenta forma di angina della laringe. 39 Come per la Ferramonti così per la «sposina del Martinelli», la morte improvvisa delle attrici è “provvidenziale” per Goldoni nel risolvergli i dissidi derivanti dall’assegnazione dei ruoli femminili dettati dalle regole teatrali. 40 1736. 41 La scelta di questa vignetta è un atto di riconoscenza dell’autore per i suoi comici che fonde novità teatrale (un nuovo modo di far prologhi) e novità editoriale (i «rami istoriati» rappresentanti momenti della sua vita). La scena di persone sedute o messe in cerchio è ricorrente nelle figurazioni dei frontespizi ad opera del Novelli: dall’esame di latino di Goldoni (t. II) a quello di filosofia (t. IV), agli spettatori dell’Arena di Verona (t. XII), a questo degli attori seduti in circolo e al prossimo relativo al matrimonio (t. xv). Nell’illustrazione del tomo, si vedono le quattro Maschere e attori e attrici a volto scoperto, (e fra questi il primo sulla destra potrebbe essere Goldoni). Dettaglio non secondario, tutti hanno un foglio tra le mani (lo stesso che ha l’autore?). Gli attori leggono, studiano le parti, quindi, non improvvisano. La figura richiama fortemente, in qualche maniera, la scena della commedia del Teatro comico, dove gli attori si presentano al pubblico negli abiti di ogni giorno per una prova, e i dialoghi degli attori raccontano i punti salienti della riforma goldoniana.

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ed i vecchi si sostennero sempre, e la Passalacqua piaceva. Godetti anch’io qualche tempo della di lei felice riuscita, veggendo prosperare quelle attenzioni, ch’io le usava nel comporre le parti, e nell’istruirla del modo di rappresentarle; ma, sia per naturale incostanza, o per debolezza di spirito, mi diede ella ben tosto motivo di pentimento. Il Comico Vitalba42, Damerino di professione, avvezzo a dominare sul cuore principalmente delle sue Compagne di Scena, attaccò quello della Passalacqua, e non tardò ad impossessarsene. Me ne accorsi, me ne assicurai43, e non volendo disputar con un Comico44, non feci, che ritirarmi da quell’ingrata. Ciò le spiacque per l’interesse, mi scrisse un Viglietto tenero, mi pregò, ch’io andassi da lei45. Vi andai con animo di rimproverarla, e lasciarla per sempre. Mi lasciò dire; soffrì tutto, fino le ingiurie, senza giustificarsi, e senza parlare. Finalmente sazio di dire, ed annoiato di non sentirmi rispondere m’incamminai per partire. Allora sciogliendo ella la voce, ed accompagnandola con qualche lacrima, di cui usar sapeva a sua voglia: andate, dissemi, andate: il mio destino è deciso, lo saprete pria di scender le scale. Tenea, così parlando, una mano nella saccoccia. Queste parole mi colpirono la fantasia. Arrivato alla porta mi rivoltai per guardarla. S’accorse della mia debolezza, tirò uno stiletto, finse di volersi ferire, ed io fui sì sciocco, che corsi ad arrestarla, e pacificarla, disceso sino alla viltà di domandarle perdono, e contento con buona fede di aver ricuperato quel cuore partii più acceso, che mai, e la lasciai gloriosa del suo trionfo46. Quale fu il mio stupore, il mio pentimento, quando seppi, sei giorni dopo, che il Vitalba, e la Passalacqua erano stati insieme a merenda in un Casino della Zuecca47? Allora aprii gli occhi un po’ 42 Lo ha già presentato Goldoni (cfr. L’Autore a chi legge, t. XIII, p. 270, n. 12). Il comico, in quel tempo, era sposato con Costanza, che morirà prematuramente, all’età di trentacinque anni. 43 Confessa Goldoni nei Mémoires (I, 38), che «avevano avuto insieme qualche spasso». 44 Dignità dell’autore? 45 Nei Mémoires (I, 38) le lettere sono ben due. 46 Un autore beffato dalla bravura di un’attrice! Nei Mémoires, Goldoni lascia trapelare meglio la sua passione non del tutto sopita: «[…] je cours, je me jette à ses pieds, j’arrache le couteau de sa main, j’essuye ses larmes, je lui pardonne tout, je lui promets tout, je reste; nous dînons ensemble, et … nous voilà comme auparavant» (I, 38, p. 175); trad. it.: «[…] corro, mi getto ai suoi piedi, le strappo dalle mani il coltello, le asciugo le lacrime, le perdono tutto, le prometto tutto, io resto; pranziamo insieme, e… eccoci come prima» (Memorie, p. 223). 47 L’isola della Giudecca, il quartiere abitato dagli ebrei a Venezia, era luogo di ritrovi, di caffè, salette per incontri mondani, preferito perché appartato e lontano da occhi indiscreti.

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meglio, e cominciai a conoscere il carattere di quella sorta di Donne. Ella presentemente non vive più; non ha parenti, che se ne possano offendere; posso parlare con libertà48, sicuro, che i leggitori non sapranno formalizzarsi di me; poiché un uomo libero con Donna libera può concepire delle passioni senza malizia. Dissimulai il mio torto, e il mio sdegno agli occhi del Pubblico; ma ella si accorse, ch’io l’aveva scoperta, e non tentò una seconda volta riguadagnarmi. Piccato però della corbellatura, e immaginandomi, che il Vitalba avrebbe riso di me, pensai al modo di vendicarmi49 senza far male a nessuno, e in una maniera, che facesse valere la mia indifferenza. Era gran tempo, ch’io aveva voglia di riformare il Convitato di Pietra, Commedia tratta dallo Spagnuolo50, fortunatissima per tanti anni sopra la Scena; ma piena zeppa d’improprietà, e stolidezze. Mi ho soddisfatto in quest’anno, e mettendola in questo medesimo Tomo51, vedrà il Lettore dall’Opera, e dalla prefazione l’Idea, che ho avuto nel farla, e la ragione dello stile, con cui l’ho scritta. Aggiungerò qui solamente, che questa Commedia ha servito alla mia vendetta; vendetta ingegnosa, e bizzarra. Scrissi per il Vitalba la parte di Don Giovanni, e per la Passalacqua quella di Elisa, e feci rappresentare a questi due Personaggi i loro veri caratteri. Mi posi io stesso in Commedia col nome di Carino (Carlo è il mio nome, e mi diceano graziosamente Carlino. Elisa era una comoda abbreviazione di Elisabetta). Elisa nella Commedia tratta Carino, come la Passalacqua avea trattato il Goldoni; gli dice le cose medesime, fa la medesima azione dello Stiletto, e Don Giovanni Tenorio rappresenta perfettamente in quest’istoriella il Vitalba. Distribuite le Parti della Commedia, non si accorse la Passalacqua della burletta; ma unita la Compagnia per far leggere a ciascheduno la parte, che dovea rappresentare, tutti compresero l’allegoria. I Commedianti ne risero, Vitalba sostenne con intrepidezza il suo personaggio; ma la Passalacqua arros48 Sono questi i motivi per cui Goldoni molte volte tace, nelle Memorie italiane, alcuni accadimenti della sua vita privata? 49 «[…] j’étois dans l’habitude de punir doucement mes Acteurs, quand ils me causoient du chagrin» (Mémoires, II, 40, p. 413), trad. it.: «[…] io avevo l’abitudine di punire blandamente i miei attori, quando mi procurassero qualche dispiacere» (Memorie, p. 504). 50 Innumerevoli soggetti furono tratti, dai commedianti dell’Arte, dal Burlador de Sevilla y Convidado de pietra (1630) di Tirso de Molina (1584-1648). Goldoni, come racconta nei Mémoires (I, 39), ha emendato l’opera da tutte le grossolanità presenti negli scenari, dandole maggiore verosimiglianza; come aveva già fatto Molière, cambierà anche il titolo: Don Giovanni o sia il dissoluto. 51 La commedia era già apparsa nel t. VII dell’edizione Paperini (Firenze, 1754).

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sì, mi slanciava delle occhiate di fuoco, e terminata la lettura andò a lamentarsene da sua Eccellenza Grimani52, ed a protestare, che non volea recitare in quella Commedia. Il buon Cavaliere, desideroso di compiacer tutto il Mondo, volea soddisfarla, me ne parlò; ma io tenni forte; protestai di rinunziare al Teatro, se la Commedia non si faceva, come io l’aveva distribuita53. L’Imer sostenne le mie ragioni, e le ragioni del Teatro; fece l’elogio della Commedia, persuase il Padrone. La Passalacqua fu obbligata, o a recitare la parte di Elisa, o a sortire dalla Compagnia. Pres’ella il miglior partito; la recitò francamente con dello spirito, con della bravura, riuscì meglio, che in ogni altra Commedia; e il Pubblico senz’essere istrutto di questa burla, e di tali beghe54, trovò la Commedia buona, l’aggradì, l’applaudì, ed io ebbi il piacere di veder riuscire il mio Don Giovanni, e l’altro di vedere mortificata la Passalacqua. Fu in questa Commedia, che il Campagnani riuscì mirabilmente nel carattere di Carino, ed io gli ebbi grandissima obbligazione d’aver reso onore al mio personaggio. I Comici la chiamarono in appresso il Convitato Nuovo, e l’hanno con fortuna dappertutto rappresentata. Venuta la novella Quaresima, la Compagnia doveva condursi a Genova per passarvi la Primavera. L’Imer mi propose, e mi pregò di andarvi con lui; ma per più motivi ho resistito alle prime istanze. Premevami in primo luogo di riunirmi a mia Madre, e di provvedere la Casa. Premevami secondariamente

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Sarà al Grimani che Goldoni dedicherà la commedia. Distribuite le parti degli attori e ordinate le scene. 54 Nei Mémoires, invece, il pubblico è a conoscenza dell’antefatto, ed è anche l’occasione per il commediografo di rimarcare le differenze tra «comico ragionato» e «comico triviale»: «A la premiere représentation de cette Piece, le public accoutumé à voir, dans le Convitato di Pietra, Arlequin se sauver du naufrage à l’aide de deux vessies, et Don Jouan sortir à sec des eaux de la mer, sans avoir dérangé sa coëffure, ne savoit pas ce que vouloit dire cet air de noblesse, que l’Auteur avoit donné à une ancienne bouffonnerie. Mais comme mon aventure avec la Passalacqua et Vitalba étoit connue de beaucoup de monde, l’anecdote releva la Piece; on y trouva de quoi s’amuser, et on s’apperçut que le comique raisonné étoit préférable au comique trivial (I, 39, pp. 177-78); trad. it.: «Alla prima rappresentazione della commedia il pubblico, abituato a vedere nel Convitato di pietra Arlecchino che si salvava dal naufragio grazie a due vesciche e Don Giovanni che usciva asciutto dalle acque, senza nemmeno essere spettinato, non sapeva che cosa significasse l’aria di nobiltà che l’autore aveva conferito a una vecchia buffoneria. Ma, poiché la mia avventura con la Passalacqua e Vitalba era nota a molti, l’aneddoto ravvivò la Commedia; vi si trovò di che divertirsi e ci si rese conto che il comico ragionato era preferibile al comico triviale» (Memorie, p. 226). Comunque, segnala Davico Bonino: «Il successo del Tenorio fu effimero: i Comici tornarono al prediletto scenario» (cfr. D.B.M.I., p. 268). 53

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assicurarmi la direzione del Teatro di S. Giovanni Crisostomo55, per cui qualche cosa avea fatto nel Carnoval precedente. Per obbligarmi a seguitare la Compagnia sollecitò il mio affare presso Sua Eccellenza Grimani. Il Cavaliere mi accordò la direzione de’ suoi Teatri, e mi pregò di portarmi a Genova56. Chi poteva negarglielo? Rimisi al mio ritorno la ricerca della mia abitazione, e mi disposi partire. Successero anche in quell’anno de’ cambiamenti nella Comica Compagnia, ed anche per questo credevano necessaria la mia persona57. Il Monti Dottore, ed il Monti figlio, terzo Amoroso andarono a Napoli: al secondo fu sostituito Gasparo Zorni non superiore al Monti in abilità; ed al Primo il bravo, eccellente Dottore Rodrigo Lombardi Bolognese, egregio Comico, e degnissimo galantuomo. Anche il Campagnani Arlecchino fu licenziato, e preso uno in suo luogo, il quale in grazia della figura era conosciuto nell’arte Comica col nome di figurina. Non aveva altro di buono, che questa sua decantata figura: restò egli nella Compagnia la Primavera, e l’Estate; e per Venezia sostituirono un altro. Fortificarono altresì gl’Intermezzi. Presero la Rosina Costa, giovane, non bella, ma spiritosa, che sapeva un poco di Musica, ed aveva una voce angelica, ed un’abilità sorprendente; ma il cambiamento più rimarcabile fu quello della Bastona Madre nella Bastona Figlia58, Moglie di Girolamo Foccheri, Comica eccellente, quanto sua Madre; ma che, oltre l’avvantaggio dell’età aveva quello di una maniera più nobile di recitare. Ella fu presa per prima Donna a vicenda colla Romana, com’era sua Madre; e la Passalacqua, sollevata dal peso degl’Intermezzi recitava da Serva, e da seconda Donna, quando occorreva. Con questa riforma nella Compagnia ci portammo a Genova. Dirò nel Tomo seguente, qual buona fortuna colà mi attendeva59.

55 Il teatro più importante a Venezia per gli spettacoli musicali. Fu inaugurato nel 1678. Goldoni conserverà l’incarico di ufficiale drammaturgo del teatro dal 1737 fino al 1741, anno dell’incarico di console a Venezia della Repubblica di Genova. 56 Siamo nel 1736, ma la concreta direzione teatrale del San Giovanni Grisostomo da parte del Goldoni avverrà nel 1737, a matrimonio avvenuto. 57 Nei Mémoires (I, 39) Goldoni è di parere diverso, non oppone nessuna resistenza, e l’occasione gli «sembrava eccellente». Non di grande rilievo questi mutamenti nella «comica Compagnia». 58 Marta Foccheri, detta la Bastona (1712-1762), brava attrice, impersonerà La donna di garbo a Venezia nel 1743. 59 Goldoni partì per Genova alla fine di maggio del 1736. Nella città ligure il commediografo conoscerà Nicoletta Connio, che diverrà sua sposa, come vedremo nel «Tomo seguente».

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TOMO XV L’Autore a chi legge*

Due sono i principali Teatri di Genova: Sant’Agostino e il Falcone1, i quali per una convenzione fra i proprietari, non si aprono mai nel medesimo tempo, ma due anni l’uno, e due anni l’altro, e in questo modo il concorso è più numeroso, e si evitano quelle gare, che rovinano gl’Impressari2. Toccava in quest’anno (1736) al Falcone della Nobilissima famiglia Durazzo3. Il Signor Francesco Bardella, uomo di * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è stata pubblicata in Venezia, probabilmente, tra il 1776 e il 1777. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: L’erede fortunata (Mantova, 1749), La madre amorosa (Genova, 1744), La peruviana (Venezia, 1754), Le baruffe chiozzotte (Venezia, 1760). Il disegnatore Novelli esegue quanto indicato da Goldoni per il frontespizio, ossia la scena del matrimonio, proprio come si sarebbe potuta ammirare in una istantanea fotografica. Il disegno allegorico voluto da Goldoni è costituito dalle due figure della Concordia e della Pace: la prima poggia la mano sinistra su un fascio di verghe e stringe con la destra un melograno; la Pace, invece, serra con la mano un ramo di ulivo. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dall’Heautontimorúmenos di Terenzio: «Qui uti scit, ei bona, illi qui non utitur recte, mala» (I, 5, 196); trad. it.: «Chi sa usarli bene ne avrà vantaggi, chi li userà male ne avrà svantaggi». Disegno di Pietro Antonio Novelli, incisione di Antonio Baratti. Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il 1736 e il 1740; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli della prima parte, che vanno dal trentanovesimo al quarantunesimo. 1

Il teatro del Falcone (costruito nel XVI secolo, distrutto da un incendio e poi ricostruito) dava soprattutto opere in musica; il Sant’Agostino (1702) alternava, invece, opere in musica e in prosa. Goldoni nei Mémoires (I, 39) cita soltanto di sfuggita il teatro del Falcone, mentre si sofferma a descrivere l’«anfiteatro affascinante» della bella città ligure, il suo arrivo, da Sampierdarena a Genova, il porto, la Lanterna, il palazzo Doria. Sempre nelle memorie francesi, si dilunga sul gioco del lotto, inventato, secondo caratteristiche particolari, proprio a Genova nel secolo XVI, di cui la prima estrazione fu fatta a Venezia il 5 aprile 1734 (cfr. G.M.ME., pp. 419-420). Questa lunga digressione lascia intendere quale passione avesse il nostro commediografo per il gioco in generale. Inutile aggiungere che Goldoni «aveva in tasca una ricevuta per una puntata», e naturalmente racconta di aver vinto «un ambo di cento pistole», una cifra notevole per quei tempi. 2 Pare che non sia stato proprio come ricorda Goldoni. Di entrambi era proprietaria la famiglia genovese dei Durazzo. 3 Nobile famiglia genovese che ha dato parecchi Dogi alla città. Al Doge Marcello Durazzo, Goldoni dedica La castalda (1755).

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spirito, di condotta, ed intelligenza, era, ed è tuttavia il Direttore di que’ Teatri: contratta egli colle Compagnie de’ Commedianti, e procura di scegliere le migliori, ed è alla testa dell’Impresa, quando si tratta d’Opera in Musica. Niuno meglio di lui conosce questo difficile impegno; tratta con politezza, e generosità gli Attori dell’uno, e dell’altro genere; ma sa farli star a dovere, e nella mia Commedia Intitolata l’Impressario delle Smirne4, è egli quel bravo Direttore, di cui si lagna a torto l’impertinente Carluccio5. In questo Teatro, e sotto la direzione del bravo, ed onorato Bardella recitò a Genova, durante la Primavera, la Compagnia di S. Samuele, e come i Comici in quel Paese, sono quasi tutti alloggiati in una Casa, contigua, ed appartenente a’ respettivi Teatri, io pure, che viveva coll’Imer, allogiai al Falcone. Sulla medesima Corte, e dirimpetto alla porta della mia stanza, ch’era situata sopra una Loggia, abitava il Signor Agostino Connio6, in una casa separata da quella de’ Comici7. La prossimità dell’abitazione mi fece contrarre amicizia8 con questo degnissimo galantuomo, Notaro Pubblico Collegiato di Genova, e Scrivano principale ai Banchi, detti di Cartulario in S. Giorgio. Leggete la Lettera dedicatoria della Commedia, intitolata: La Donna sola9; vedrete la giustizia, ch’io rendo alle qualità amabili di questo degno soggetto, buon Amico, buon Padre di Famiglia, e buon Cittadino, divenuto nell’anno stesso mio Suocero. La

4 L’impresario delle Smirne, commedia in cinque atti, andò in scena al teatro San Luca nel 1759, e fu poi pubblicata, come abbiamo visto, nel t. XII dell’edizione Pasquali. 5 Le persone conosciute e frequentate da Goldoni diventano sovente suoi personaggi di commedie. 6 I Connio, famiglia rinomata, era da più generazioni impegnata nella professione notarile. 7 Sembra una scenografia teatrale. Goldoni evidenzia, non casualmente, la differenza abitativa tra la casa del notaio e quella dei «comici». Ginette Herry nota che la commedia La serva amorosa (1752) rispecchia la stessa situazione scenografica: Rosaura e Florindo sono dirimpettai e Rosaura è lì alla finestra (cfr. G.H.M.I., p. 257). Le avventure amorose di Goldoni sono piene di finestre. La finestra era l’apertura preferita sulla strada per lo scambio di sguardi e corteggiamenti amorosi. 8 Invece dai Mémoires, si deduce che il tentativo di contrarre amicizia col notaio ha come obiettivo quello di fidanzarsi con la figlia, che aveva intravisto e salutato dalla finestra; avendo inoltre saputo che «[…] M. Conio, Notaire du College de Genes, et un des quatres Notaires députés à la banque de Sainte-Georges, homme respectable, qui avoit de la fortune […]» (Mémoires, I, 39, p. 180); trad. it.: «[…] il signor Connio, notaio del collegio di Genova, e uno dei quattro notai deputati alla banca di San Giorgio, uomo rispettabile, aveva un buon patrimonio […]» (Memorie, p. 229). Sebbene la famiglia appaia numerosa, il partito, dunque, sembra buono. 9 La donna sola, commedia in cinque atti, andata in scena al Teatro San Luca nel 1757. Apparve a stampa nel t. VII dell’edizione Pitteri, ma non nella Pasquali.

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Signora Nicolina sua figlia10, e mia dilettissima Consorte, mi pare fatta secondo il mio cuore, e mi accesi per lei di un amore il più tenero, e il più rispettoso11. Dopo l’avventura mia della Serenata12 non aveva più pensato a maritarmi, e mi pareva la libertà il migliore stato del Mondo. Questa saggia fanciulla mi risvegliò nell’animo un nuovo pensiere. La vita, ch’io menava fra Comici, mi parve pericolosa. Quel, che mi era accaduto, mi facea temere di peggio, e giudicai, che per sottrarmi da un Matrimonio cattivo, non vi era niente di meglio, che il contrattarne uno onorevole. La vista comoda e giornaliera delle finestre aumentava di giorno in giorno il mio fuoco, e mi confermava nel mio progetto, dimodoché, assicurato della disposizione della Fanciulla, non tardai a parlarne io medesimo all’onorato suo Genitore, il quale aggradì civilmente la proposizione, ma prese tempo a rispondere13. Io era colà Forestiere, arrivato a Genova con una Compagnia de’ Comici; capivasi, ch’io non era della loro estrazione; i miei componimenti mi distinguevano da quei, che li recitavano14; ma ciò non bastava per 10

Nicoletta Connio era nata nel 1717 e aveva diciannove anni quando conobbe Goldoni, dieci meno del Nostro; aveva due sorelle e cinque fratelli. Diverrà vedova a 76 anni, e morirà il 9 gennaio 1795, due anni dopo il marito. 11 Un amore differente, sembra, da quello per le attrici Ferramonti o Passalacqua. Questa scelta matrimoniale appare dettata più da ragioni pratiche e razionali che passionali e ne nascerà un matrimonio “ben fatto” e duraturo. I coniugi non avranno figli. Il relativo “contratto” matrimoniale e l’atto di matrimonio sono riprodotti in C. Goldoni, Opere complete, cit., vol. XXXVII, pp. 277-78. Nella lettera dedicatoria A Sua Eccellenza la Signora Marchesa Lucrezia Bentivoglio Rondinelli, che precede la commedia dell’Avventuriere onorato, Goldoni tesserà l’elogio della consorte: «[…] sposata ho io una fanciulla di patria Genovese, senza le ricchezze di Donna Livia, quando a queste giustamente contrapporre non si volesse il ricchissimo patrimonio ch’ella mi ha portato in casa di una discreta economia, di una esemplare morigeratezza, di una inalterabile rassegnazione, le quali virtù mi hanno recato, se non maggiori comodi, pace almeno e tranquillità, d’ogni altra dote maggiore», cfr. C. Goldoni, L’avventuriere onorato, a cura di B. Danna, Edizione Nazionale, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 91-96 (p. 91). Ma si veda anche la lunga lettera dedicatoria All’Egregio ed Ornatissimo signor Agostino Connio, premessa alla commedia della Donna sola (Opere, VI, pp. 444-447). 12 Goldoni si riferisce alla «Signora» veneziana e all’episodio della serenata cantata dall’Agnese, il tutto raccontato nell’Autore a chi legge, t. X. 13 Più modulato nei Mémoires (I, 39) l’avvicinamento di Goldoni al futuro suocero. Tramite l’Imer e con la scusa di consegnare dei titoli provenienti dall’affitto dei palchi del teatro, il Nostro riesce ad intrufolarsi in casa Connio. 14 A primo acchito, a leggere i Mémoires, il futuro genero non distingue con chiarezza le differenze di ruolo tra autore e attore: «[…] et comme M. Conio m’avoit vu avec les Comédiens, il me demanda quels étoient les rôles que je jouois à la Comédie. Monsieur, lui dis-je, votre question ne me choque point, quelqu’autre se seroit trompé comme vous. Je lui dis ce que j’étois et ce que je faisois; il me fit des excuses» (I, 39, p. 181); trad. it.: «[…] siccome il signor Connio mi aveva visto con i comici, mi chiese quali parti recitassi nella Commedia. Signore, gli dissi, la vostra domanda non mi sorprende: chiunque altro si sarebbe sbagliato come voi. Gli dissi chi fossi e che cosa facessi; mi presentò le sue scuse»

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determinare un Padre prudente ad accordare la figlia ad un uomo incognito. Compresi la sua intenzione; gli accordai tutto il tempo, e gli diedi i mezzi per prendere le necessarie informazioni del mio carattere, e de’ miei costumi. Scrisse, e fece scrivere il Signor Connio da varie persone a Venezia15; tutte le informazioni vennero per me avvantaggiose, mi rese giustizia, e mi promise la Figlia. E convenuta la dote e sottoscritto il contratto, fu stabilito il giorno degli Sponsali16. Era qualche tempo, ch’io non istava ben di salute; la sera stessa, che il Parroco di San Sisto ci sposò in casa del Signor Connio mio Suocero, io aveva la febbre, e la mattina seguente, andati a riconoscer la Chiesa17 fui obbligato a ritirarmi per qualche minuto nella Sagrestia, per rinvenire da una specie di svenimento. Qual dispiacere in una giornata, che doveva essere d’allegria, per me, per la Sposa, e per li congiunti? Voleva dissimulare, volea nascondere il male, ch’io mi sentiva. Mi sono aiutato con cioccolato, ova fresche, e vino di Monferrato. Al pranzo ho resistito passabilmente, e non ho mancato di coricarmi la sera colla mia sposa. La notte la febbre si raddoppiò, e la mattina si è manifestato il Vaiuolo: l’avea già avuto una volta a Rimini, e in abbondanza18; l’ebbi in Genova una seconda volta, ed in un’occasione, nella quale non l’avrei certamente voluto19. Grazie al Signore, non era di pessima qualità; fece l’ordinario suo corso, e sortito di letto, quanto più presto potei, supplii colle macchie sul viso (Memorie, p. 229). Goldoni, per tutto il tempo, sottolinea costantemente la distinzione tra «comico» e «autore», racchiusa nelle successive «scuse» del signor Connio per aver mal interpretato la professione del commediografo. 15 Secondo i Mémoires (I, 39), il Connio prese informazioni sul conto di Goldoni mediante il console di Genova a Venezia. 16 Il 22 agosto 1736. La dote della Connio ammontava a tremila lire genovesi. Il fidanzamento e il matrimonio non piacquero all’Imer (tenuto all’oscuro intenzionalmente da Goldoni), come si evince dai Mémoires: «Imer ne savoit rien de tout cela; j’avois des raisons pour craindre qu’il ne traversât mon projet; il en fut très-fâché, il devoit aller à Florence pour y passer l’été, il fallut bien qu’il y allât sans moi» (I, 39, pp. 181-82); trad. it.: «Imer non sapeva nulla di tutto ciò; avevo ragione di temere che egli si opponesse al mio progetto; ne fu, infatti, molto infastidito; doveva andare a Firenze a trascorrervi l’estate, bisognò bene che andasse senza di me» (Memorie, p. 230). 17 La chiesa di San Sisto. 18 Nell’Autore a chi legge, t. IV, p. 129, n. 7, Goldoni fa cenno al fatto di aver contratto il vaiolo a Rimini. A Rimini, il giovane studente era stato condotto dal padre e avviato agli studi di filosofia. Era la prima volta che Goldoni si allontanava dalla famiglia e restava solo, messo in pensione dal signor Battaglini, nonostante le proteste e il dispiacere della madre – scrive nei Mémoires (I, 4) – che mai avrebbe voluto staccarsi da lui. 19 Sembrano scatenarsi in Goldoni sintomatici malesseri (i «vapori») o vere e proprie malattie, come questa, sempre in coincidenza con momenti difficili e nevralgici nella sua vita. Le infermità, o le depressioni, sono indicatori di snodi esistenziali importanti, ma anche segnali di superlavoro e tensioni nervose.

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alle visite di convenienza20. Era nel mese di Settembre; la stagion de’ Teatri in Venezia si approssimava; onde sollecitai la partenza, e la mia cara Compagna, bagnata di lacrime per lo distacco da’ suoi parenti, non tardò a serenarsi in un viaggio piacevole, e per lei nuovo. Giunti a Venezia il dì 9 d’Ottobre21 andammo a sbarcare a Santa Maria Mater Domini, in una casa sopra il Ponte, che porta lo stesso nome, e che mia Madre ci avea preparata, e dove colla Zia ci attendeva. Tenere fur le accoglienze, e fu esemplare, e durevole la perfetta armonia, con cui vissero insieme queste ottime donne, potendo io confermare con verità, e per giustizia quel, che accennai alla fine del precedente ragionamento, che a Genova mi attendeva una buona fortuna. Non vi è bene maggior sulla terra, non vi è più vera ricchezza, non vi è maggiore felicità oltre quella di un Matrimonio concorde, e di una famiglia in pace. Questo bene, questa felicità me l’ha portata in casa e me l’ha conservata la mia virtuosa Consorte. Ne ho fatto giustamente il soggetto del Frontispizio figurato di questo Tomo. La stampa rappresenta il mio Matrimonio, e le due figure al dissopra sono la Concordia, e la Pace. Poco mi conveniva l’abitazione ristretta, che mia Madre mi avea preparata; ma ella si giustificò, dicendomi averla presa per il momento, acciò potessi soddisfar me, e la mia sposa, ritrovandone una migliore, locché feci ben presto, prendendo ad affitto una delle Case nuove del Degna, situate nella strada, detta la Salizada a San Lio22. Aveano i Teatri di Commedia cominciate le loro recite, ed il mio mi attendeva con ansietà. Erano molti anni, che i Comici aveano fra le Commedie dell’Arte un cattivo soggetto, intitolato La Povertà di Rinaldo23; nel quale quest’Eroe valoroso, e perseguitato compariva nel Consiglio di Guerra con un mantello stracciato, in faccia di Carlo Magno, e sedeva in terra, perché i suoi nemici gli aveano rifiutata 20 Nei Mémoires il racconto della malattia si esaurisce in poche righe: «La premiere nuit de mon mariage, la fievre me prend, et la petite vérole que j’avois eue à Rimini dans ma premiere jeunesse, vient m’attaquer pour la seconde fois. Patience! heureusement elle n’étoit pas dangereuse, et je ne devins pas plus laid que je n’étois» (I, 39, p. 182); trad. it.: «La prima notte di nozze, la febbre mi prende e il vaiolo, che io avevo avuto a Rimini nella prima giovinezza, mi assale la seconda volta. Pazienza! Per fortuna non era pericoloso e non divenni più brutto di quel che fossi» (Memorie, p. 230). Tutto qui! 21 1736. 22 Goldoni soggiornerà in questa abitazione dall’ottobre del 1737 fino alla fine del 1740, quando, nominato console di Genova, avrà bisogno di un alloggio più consono al nuovo ruolo. 23 Un canovaccio tratto e rifatto dalla tradizione epica, molto popolare fra i commedianti dell’Arte.

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una sedia. Sua Moglie, e suo figlio morivan di fame; il Custode del Vessillo Reale lo nascondea per paura a’ piedi di una montagna; il Mago Malagigi facea venire de’ Diavoli; Arlecchino difendeva il Castello del suo Patrone con delle pentole, e Rinaldo stesso, fingendosi Ambasciatore presso il Re di Marocco, gl’involava un gioiello, mentre dormiva, per prova della sua fedeltà, dicendo nell’atto di partire quel bellissimo verso: A Re, che dorme, Ambasciator, che ruba. Un ammasso in somma d’inezie, d’improprietà, d’indecenze, come nel Convitato di Pietra; eppure anche questa Commedia avea, come quella, lunga, e costante Fortuna24. Io ho conservato la favola, ho levato le maschere, l’ho scritte in versi, si è rappresentata quell’anno in Venezia, ed ha incontrato moltissimo, e l’hanno chiamata i Comici il Rinaldo Nuovo25. Due o tre intermezzi ho composti nell’anno stesso26; ma non ho conservato memoria precisa del loro tempo: sono stampati ne’ primi quattro volumi delle mie Opere Comiche27. Preso ho possesso in quest’anno28 della direzion del Teatro di San Giovanni Crisostomo; conservato il privilegio delle dediche all’Amico Lalli 29, onestissimo galant’uomo, le cui figliuole sono state le prime conoscenze, e le care amiche di mia Consorte in Venezia. Tornando alla Compagnia di San Samuele, ella era salita in maggior credito, per la novità della Bastona, pe’l bravo Rodrigo Lombardi; e la virtuosa di Musica facea brillar gl’intermezzi30; ma molto più si rinforzò la Compagnia medesima l’anno seguente, per la venuta in Italia, ed in quel Teatro della famiglia Sacchi31, che ritornava di Russia. 24 Goldoni sembra meravigliarsi e indispettirsi, ogni volta, per i successi popolari delle disordinate farse comiche. Ma questo fa parte della sua politica e della sua retorica, il discredito prelude alla differenza. 25 Il Rinaldo di Mont’Albano, in cinque atti e in versi, rappresentato nell’anno comico 1736-1737, sarà, dopo essere apparso nell’edizione Guibert e Orgeas (Torino) e nella Savioli (Venezia), definitivamente stampato nell’edizione Zatta, t. XXIV. 26 Goldoni non ricorda bene il numero esatto. Saranno due: La bottega da cafè e L’amante cabala. Ne furono interpreti la Passalacqua, l’Imer e l’Agnese Amurat. 27 Nel t. IV dei Drammi giocosi, stampati dal Tavernin (Venezia, 1753). 28 1737. 29 Già ricordato nell’Autore a chi legge, t. XIII, p. 282, n. 80. 30 Aveva sostituito la Passalacqua (1937?). 31 Giovanni Antonio Sacchi (1708-1788), nato a Vienna da famiglia ferrarese, figlio d’arte (il padre Gaetano recitava), è stato uno dei grandi attori della commedia dell’Arte. Conosciuto e stimato anche all’estero, iniziò la sua carriera a Venezia nel 1738, per poi partire alla volta della Russia nel 1742. Per lui il nostro commediografo scrisse Il servitore di

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Antonio Sacchi, celebre Arlecchino, il migliore Arlecchino d’Italia, che recitando col nome di Truffaldino unisce alle grazie del suo personaggio tutto il talento necessario ad un bravo Comico, e dice le cose le più brillanti e le più spiritose del Mondo; Andrianna, sua sorella, Servetta, pronta, e vivace col nome di Smeraldina, ha la più fina conoscenza dell’arte; anche il Brighella Sandini32 fu licenziato in quella Quaresima, e fu preso in suo luogo un certo Fortunato Colombo33, il quale non aveva gli adornamenti del suo antecessore, ma sosteneva meglio il suo personaggio, e lavorava assai bene le commedie dell’Arte . Andati i Comici alle loro Piazze di Terraferma, per consumarvi la Primavera, e l’estate, io andai a Modena34 con mia Moglie per farla conoscere a’ miei Parenti, per rivedere gli affari miei in quel Paese, e per procurare un impiego onorevole nel militare a mio Fratello Giovanni. Fummo cortesemente accolti, ed alloggiati colà dal mio carissimo Amico, e Cugino il Signor Francesco Zavarisi, Notaro, di cui ho altre volte in questi fogli parlato. Mi presentai al Serenissimo Signor Duca di Modena, ed ottenni dalla Clemenza di quel Sovrano un Posto per mio fratello nelle Guardie del corpo, con promessa di farlo Tenente di una Compagnia nazionale, alla prima vacanza, il che felicemente è arrivato l’anno seguente35. Ritornato in Venezia al tempo dell’apertura di que’ Teatri, vidi, che la Compagnia di San Samuele era divenuta eccellente; ma la novità due padroni. Reciterà dal 1761 in alcune Fiabe di Carlo Gozzi, con strepitoso successo. Di lui, Goldoni, ne dà argomentato e lusinghiero giudizio nei Mémoires: «Ses traits comiques, ses plaisanteries n’étoient pas tirées du langage du peuple, ni de celui des Comédiens. Il avoit mis à contribution les Auteurs Comiques, les Poëtes, les Orateurs, les Philosophes; on reconnoissoit, dans ses impromptus, des pensées de Séneque, de Cicéron, de Montagne; mais il avoit l’art d’approprier les maximes de ces grands hommes à la simplicité du balourd; et la même proposition, qui étoit admirée dans l’Auteur sérieux, faisoit rire sortant de la bouche de cet Acteur excellent» (I, 41, pp. 190-91); trad. it.: «Le sue [di Sacchi] battute comiche, i suoi motti di spirito non erano attinti dal linguaggio del volgo e nemmeno da quello dei comici. Egli faceva ugualmente ricorso agli autori di commedie, ai poeti, agli oratori, ai filosofi; nelle sue improvvisazioni si riconoscevano pensieri di Seneca, di Cicerone, di Montaigne; aveva l’arte di far sì che la semplicità del balordo si appropriasse delle massime di quei dotti; e una frase ammirata nell’autore serio faceva, invece, ridere se usciva dalla bocca di quell’eccellente attore» (Memorie, pp. 241-242). Morì povero e durante il tragitto in nave, da Genova a Marsiglia, il suo cadavere fu gettato in mare (cfr. E.L.ME., p. 328). 32 Leggasi «Gandini». 33 Goldoni lo incontrerà e lavorerà di nuovo con lui nel 1751, quando il Colombo sarà assunto al teatro Sant’Angelo. L’attore morirà verso il 1761. 34 Estate 1738. Dopo la Pasqua, le Compagnie comiche abbandonavano Venezia e si trasferivano a recitare nelle città più importanti dell’entroterra (in «Terraferma»), quali Bologna, Mantova, fino a Genova, e questo durante la primavera e l’estate. 35 Del viaggio a Modena non si fa cenno nei Mémoires.

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del Sacchi, celebre nel suo Personaggio, metteva ancora in maggior credito le recite all’improvviso, e non poteva sperarsi di tentar le Commedie scritte. Mi lasciai anch’io persuadere dalla bravura de’ Comici a dar loro una Commedia a soggetto36, e come tanto più piacevano, quant’erano più caricate d’accidenti, e d’intrigo, ne feci una intitolata: Cento, e quattro accidenti in una notte37. Convien dire, che la Commedia, se non buona, fosse almeno del gusto allor dominante, poiché, quantunque spogliata di adornamenti, si replicò quattro volte di seguito. Io non so cosa fosse; non l’ho conservata, e non mi curo d’averla. Non ho lasciato di scrivere degl’Intermezzi38, i quali però cominciavano a decadere, ed ho composto, e fatto rappresentare l’Enrico Re di Sicilia39, Tragedia, che mi ha fatto non poco onore, come vedremo in appresso. 36 La riforma goldoniana non è lineare, evolutiva, ma saltellante, conosce dei “ritorni” all’indietro, si adegua ai tempi e agli attori, come in questo caso dove il commediografo riprende a scrivere scenari e canovacci comici (di grande successo popolare), e come del resto farà adattando libretti, arrangiando canovacci a partire dal 1734. Insomma Goldoni coglie le occasioni. In questo caso approfitta della bravura di un attore all’improvviso, il Sacchi, che, oltre tutto, si rifiutava di mandare a memoria i testi, ed entra in competizione con le capacità di improvvisazione in scena dell’attore, nel momento in cui lascia trasparire nel testo, qui e là, l’importanza e la qualità della scrittura, dalla quale dipende, pur tuttavia, il successo dell’attore in scena. Scriverà Goldoni nei Mémoires: «Ma Piece soutenue par l’Acteur dont je viens de parler, eut tout le succès qu’une Comédie à sujet pouvoit avoir. Les amateurs des masques et des canevas étoient contens de moi» (I, 41, p. 191); trad. it.: «La mia Commedia [Le trentadue disgrazie di Arlecchino], interpretata dall’attore di cui ho parlato sopra [Sacchi], riscosse tutto il successo che può ottenere una commedia a soggetto. Gli ammiratori delle maschere e dei canovacci erano contenti di me» (Memorie, p. 242). 37 Lo scenario è andato perduto. Il titolo completo era: La notte critica, o sia i cento e quattro accidenti in una sola notte (1738-1739). Per il Sacchi, Goldoni aveva scritto precedentemente un’altra commedia a soggetto: Le trentadue disgrazie di Arlecchino, non citata qui. Di questa scriverà nei Mémoires: «J’observai que ce qui avoit plus davantage dans ma Piece, c’étoit les événemens que j’avois accumulés les uns sur les autres; je profitai de la découverte, et je donnai quinze jours après une seconde Comédie dans le même genre, et bien plus chargée de situations et d’événemens» (I, 41, p. 191); trad. it.: «Osservai che nella mia commedia erano piaciuti soprattutto gli avvenimenti che io avevo accumulato gli uni sugli altri; approfittai della scoperta e, quindici giorni dopo, feci rappresentare un’altra commedia del medesimo genere, ancora più caricata di situazioni e avvenimenti» (Memorie, p. 242). In Francia, nel 1764, per gli attori della Comédie-Italienne di Parigi, Goldoni riprenderà questi canovacci e probabilmente un nuovo scenario dal titolo Les vingt-deux infortunes d’Arlequin (cfr. Opere, t. XII). 38 Così non sembra, infatti, dal 1736 al 1742 non abbiamo tracce di intermezzi goldoniani (oltre tutto non più richiesti dall’Imer). 39 Tragedia in cinque atti e in versi, fu recitata la prima volta nel 1738. Si precisa nei Mémoires: «[…] j’avois pris le sujet dans le Mariage de vengeance, nouvelle insérée dans le Roman de Gilblas» (I, 40, p. 183); trad. it.: «[…] avevo preso il soggetto dal Matrimonio per vendetta, novella inserita nel romanzo Storia di Gil Blas di Santillana», il fortunato romanzo (1715-35) di Alain-René Lesage (1688-1747), che uscì tradotto da Giulio Monti nel

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Partiti i Comici, la Primavera seguente40 ebbi occasion di trattenermi in Venezia, e di occuparmi con mio piacere, e profitto. L’Imer avea ottenuto da S. E. Grimani il posto di seconda Donna per la sua figliuola maggiore nell’Opera in Musica, che dovea rappresentarsi nello stesso Teatro di San Samuele all’occasion della Fiera dell’Ascensione. Premevagli, che la sua Marianna avesse una bella parte, ed io fui incaricato di comporre il Dramma. La prima donna doveva essere la Signora Maria Camati, detta la Farinella; il primo Musico, il Signor Lorenzo Girardi, detto Lorenzino o Schiampetta. Il Tenore il Signor Pompeo Basteri, ed ultima parte la Signora Eleonora Ferrandini, in abito d’Uomo. Calcolata la Compagnia, composi un Dramma, che mi parve addattato al merito degli Attori, e lo intitolai Gustavo Primo Re di Svezia41, appoggiando l’intreccio sul fatto storico dell’avvenimento al Trono di questo Eroe, conosciuto col nome di Gustavo Vasa42. Lavorai principalmente con arte le parti delle due donne, per rendere la seconda poco inferiore alla prima, salve però quelle Regole, che ho imparate una volta a Milano43. Il celebre Maestro di Cappella Baltassare Galuppi44 detto il Buranello, ne compose la Musica; il bravo Jolli Modonese fece lo Scenario, e Giovanni Gallo fu il Compositore de’ balli45. L’Opera piacque mediocremente. Il Libro non poteva aver gran Fortuna a fronte di quelli di Metastasio. Dopo l’Amalassunta, non volea più comporre Drammi per Musica. 1728 a Venezia. Nel 1740 ritornò in scena in occasione della visita a Venezia del principe Federico Cristiano di Sassonia. 40 La cronologia goldoniana è di frequente confusa. Siamo nella primavera del 1740. 41 Il dramma, musicato dal Galuppi, fu scritto per l’Ascensione del 1740, in occasione dell’arrivo a Venezia del principe Federico Cristiano di Sassonia. 42 Personaggio storico e principale del dramma. Gustavo Vasa (Gustav Eriksson 1496?1560) fu il fondatore della dinastia dei regnanti della Svezia e liberò il suo paese nel 1523 dall’occupazione dei danesi, che avevano invaso la Svezia nel 1518. Fu eletto re con il nome di Gustavo I, nel 1523. 43 Cfr. L’Autore a chi legge, t. XI, p. 231, n. 28. 44 Baldassarre Galuppi, veneziano (1706-1785), musicista, nacque nell’isola di Burano, da qui il nomignolo di Buranello, musicò parecchi libretti di Goldoni L’Arcadia in Brenta (1749), Il mondo della luna (1750), Il filosofo di campagna (1754) e altri, e portò una notevole evoluzione nella musica strumentale da camera del XVIII secolo. 45 «Le scenografie furono curate da Antonio Jolli o Joly (1700-1777), decoratore e scenografo modenese assai reputato in Italia in Europa […]. Le coreografie furono realizzate da Giovanni Gallo, detto Galletto, veneziano, attivo nella sua città natale tra il 1726 e il 1742 come scenografo» (cfr. Memorie, p. 988, n. 5).

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Ma perché comporne? Troppa obbligazione aveva io coll’Imer. Non poteva rifiutargli il piacere di servire la sua figliuola. L’ho io servita bene? Ho fatto quel che ho potuto. Ha ella incontrato? Così, e così46. Meglio per lei, e per la sorella, che fossero restate nell’Arte Comica. Il Padre si è disfatto, si è rovinato per le sue figliuole: la prima non ha avuto fortuna, e la seconda non ha avuto condotta47. Ritornata l’autunno seguente in Venezia la Compagnia di San Samuele, seppi, ch’ella aveva cambiato due Personaggi: il Vitalba, ed il Pantalone Cortini . Al primo aveva sostituito Giuseppe Simonetti48 Luchese, ed al secondo Francesco Bruna, detto Golinetti49. Il Simonetti, giovane di bella figura, e di ottima aspettativa si presentò al Pubblico la prima volta col Personaggio di Enrico nella Tragedia mia di tal nome, e piacque universalmente, non essendo egli sì brillante nelle commedie, come il Vitalba, ma più composto, e più nobile nelle Tragedie. Passabile era il Golinetti colla maschera di Pantalone, ma riusciva mirabilmente senza la maschera50 nel personaggio di Veneziano, gio-

46 Goldoni sembra giustificare se stesso. Nei Mémoires, invece, si dilunga nel raccontare le incertezze che lo attraversano nella composizione di questo melodramma, e, timoroso ancora del rispetto delle «stravaganti» regole, ricordando «quanti errori aveva commesso nell’Amalasunta», si rivolge per un giudizio e un consiglio ad Apostolo Zeno, sottoponendogli in lettura il testo: «La lecture finie, je lui demandai son a vis. C’est bon, me dit-il en me prenant par la main, c’est bon pour la foire de l’Ascension. Je compris ce qu’il vouloit dire, et j’allois déchirer mon Drame; il m’en empêcha, et me dit, pour me consoler, que mon Opèra, tout médiocre qu’il étoit, valoit cent fois mieux que tous ceux dont les Auteurs, sous le prétexte d’imitation, ne faisoient que copier les autres» (I, 41, p. 188); trad. it.: «Terminata la lettura, gli chiesi il suo giudizio. Va bene, mi disse prendendomi la mano, va bene per la Fiera dell’Ascensione. Capii che cosa volesse dire con ciò e mi apprestavo a stracciare il mio dramma; egli me lo impedì e, per consolarmi, mi disse che il mio melodramma, anche se mediocre, valeva cento volte più di tutti quei drammi i cui autori, con il pretesto dell’imitazione, non facevano che copiare gli altri» (Memorie, p. 239). 47 La «seconda» è Teresa Imer, che dopo varie avventure e disavventure scappò all’estero, a Londra, dove aprì una nota casa di piacere, e finì più volte in prigione per debiti. Morì nel 1797. Vedi L’Autore a chi legge, t. XIII, p. 274, n. 42. 48 Giuseppe Simonetti (1703-1773), lavorò con Antonio Sacchi ed era conosciuto per le interpretazioni della maschera di Florindo. 49 Francesco Bruna, detto Golinetti (1710-1767), veneziano, era specializzato nel ruolo della maschera di Pantalone, ma Goldoni sul suo carattere costruisce quello celebre del cortesan, come spiegherà più avanti. Il Golinetti concluse la sua carriera all’estero. 50 La maschera nasconde i lineamenti del viso, l’espressione, il mutarsi del carattere, lo sguardo, ovvero tutto quanto di straordinario può fare la “recitazione di un volto”, la «passione che lo anima». Lo scrive, Goldoni, a chiare lettere nei Mémoires: «Je m’arrêtai au Pantalon Golinetti, non pas pour l’employer avec un masque qui cache la phisionomie, et empêche que l’Acteur sensibile fasse paroître sur son visage la passion qui l’anime […]» (I, 40, p. 185); trad. it.: «Fermai l’attenzione sul Pantalone Golinetti, non per adoperarlo con una maschera che nasconde la fisionomia e impedisce che l’attore sensibile faccia apparire sul suo viso la passione che lo anima […]» (Memorie, p. 234).

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vane, brillante, giocoso, e specialmente nella Commedia dell’Arte, che chiamavasi il Paroncin. Il Paroncin Veneziano è quasi lo stesso, che il petit-Maître Francese: il nome almeno significa la stessa cosa; ma il Paroncin imita il petit-Maître imbecille, ed evvi il Cortesan Veneziano, che imita il petit-Maître di spirito. Il Golinetti era più fatto per questo secondo carattere, che per il primo. L’osservai attentamente sopra la Scena, l’esaminai ancora meglio alla Tavola, alla conversazione, al passeggio, e mi parve uno di quegli Attori, che io andava cercando. Composi dunque una Commedia a lui principalmente appoggiata51 col titolo di Momolo Cortesan52. Ecco la prima Commedia di carattere, ch’io ho composto; ma siccome non poteva ancor compromettermi delle altre Maschere, non abituate a recitar lo studiato, scrissi solo la parte di Momolo, e qualche dialogo fra lui, e le parti serie, lasciando gli altri, e l’Arlecchino principalmente, in libertà di supplire all’improvviso alle parti loro53. Malgrado la volontà, ch’io aveva di riformare questo improvviso, che producea delle dissonanze notabili, e rovinose nella Commedia54, non osai di mettermi tutto ad un tratto a navigar contro la corrente, sperando a 51

Affidando il ruolo principale alla parte del Momolo. La Commedia, per noi perduta, fu recitata al teatro San Samuele, con successo, nella stagione teatrale 1738-1739 e sarà stampata, riscritta, completa di tutti i dialoghi, col titolo di L’uomo di mondo nel t. X dell’edizione Paperini (Firenze, 1757). È questa la prima, vera, anche se incompleta, commedia di Goldoni. La riforma parte da questo parziale “canovaccio”. 53 Nei Mémoires, c’è una notazione importante. Goldoni scrive: «[…] j’avois bien concerté les Acteurs; mais tous n’étoient pas en état de remplir le vuide avec art» (I, 40, p. 186); trad. it.: «[…] io avevo fatto fare molte prove agli attori; non tutti però erano in grado di riempire con arte lo spazio lasciato all’improvvisazione» (Memorie, p. 236). L’aspetto delle «prove», la regia, l’attenzione alla preparazione degli attori, saranno elementi importantissimi, attraverso cui il Goldoni-regista, obbligato anche contrattualmente, “vivrà” direttamente sulle scene l’effetto dei suoi copioni, la capacità degli attori di «remplir le vuide avec art», i limiti e anche gli scarti improvvisi del talento, la vivacità delle espressioni, la bravura degli attori nell’impossessarsi del copione e di interpretarlo, e di questo costante suggerimento recitativo ne farà tesoro quando sarà poi chiamato a scrivere il testo definitivo dell’opera. 54 Si avverte la preoccupazione dell’autore per l’ordine e l’equilibrio delle parti recitate liberamente dagli attori, per l’esattezza dei dialoghi, l’«uniformità di stile», come, del resto, aveva lungamente teorizzato nella lettera dedicatoria Agli eccellentissimi Signori Andrea e Bernardo Fratelli Memo patrizi veneti, premessa al Momolo cortesan: «Pareva in allora, che non valessero i Comici per una Commedia interamente studiata, e che il pubblico non avesse d’accostumarsi a soffrirla, onde la scrissi in parte, e in parte lasciai in balìa de’ Comici il dialogarla. Vidi in progresso quanto era pericoloso affidar i caratteri e le parole di una Commedia ai recitanti, per lo più senza studio, e soggetti a non avere ogni giorno la stessa lena, onde pensai a tessere interamente dopo le mie Commedie, e alcune delle mie, ch’erano in parte scritte, proposi di voler stendere intieramente. Questa è una di quelle […]», in Opere, I, pp. 777-779 (p. 778). 52

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poco a poco condurre i Comici, e gli Uditori55 al mio intento, come mi è riuscito qualche anno dopo felicemente. La Commedia riuscì a perfezione. Il Golinetti la sostenne con tutta la desiderabile Verità, ed il bravo Sacchi Arlecchino lo secondò sì bene, ch’io ne fui estremamente contento. Se tutte le maschere avessero il talento del Sacchi, le Commedie all’improvviso sarebbero deliziose; onde ripeterò quel, che ho detto altre volte: io non sono inimico delle commedie a Soggetto, ma di que’ Comici, che non hanno abilità sufficiente di sostenerle56. Quando ho fatto la mia edizione Fiorentina57, ho scritto intieramente il Momolo Cortesan; e come questo titolo non può essere ben inteso da tutti, ho intitolato la Commedia l’Uomo di mondo, ch’è la vera significazione del Cortesan Veneziano, cioè un Uomo onorato, accorto, vivo, frizzante, e gioviale58. Ecco dunque, Lettore amatissimo, l’epoca fortunata del mio Teatro. L’applauso di questa Commedia mi ha incoraggiato a seguitare l’Impresa, e mi ha condotto alla gloria di pubblicar le mie opere con approvazione degl’Italiani, e senza arrossire in faccia degli Stranieri.

55 La riforma goldoniana coinvolge soprattutto il pubblico di cui l’autore lentamente deve modificare il gusto, la sensibilità. Insomma, «Attori» e «Uditori», come qui, sono entrambi, all’unisono, da “riformare”. 56 Straordinaria dichiarazione di Goldoni dalla quale appare evidente che grande stima avesse per la commedia all’improvviso, quando era recitata da bravi attori; ed è proprio questa imprendibile “bravura” del gesto e della voce, della battuta e dell’invenzione dell’attore dell’Arte, che lui vorrà trasferire sulla pagina. La sua funzione di regista, l’essere presente alle prove delle rappresentazioni delle sue commedie recitate dai comici dell’Arte, lo aiuta in questa “caccia” e “cattura” delle recitazioni, per poi tentare di riprodurle nel passaggio dalla «scena al torchio». 57 È l’edizione Paperini. Goldoni si riferisce al decimo e ultimo tomo (1757, sebbene porti la data errata del 1755). 58 Lo ribadisce con forza, di nuovo, nei Mémoires: «On n’y voyoit pas cette égalité de style qui caracterise les Auteurs: je ne pouvois pas tout réformer à la fois sans choquer les Amateurs de la Comédie nationale, et j’attendois le moment favorable pour les attaquer de front avec plus de vigueur et plus de sureté» (I, 40, p. 186); trad. it.: «Non vi si ritrovava quell’uniformità di stile che caratterizza gli autori: io non potevo riformare tutto in una volta senza offendere i sostenitori della Commedia dell’Arte e aspettavo il momento favorevole per attaccarli frontalmente con maggiore vigore e maggiore sicurezza» (Memorie, p. 236). Il finale di questo brano ammicca ad una vera “azione militare” («attaccarli frontalmente») sul gusto del pubblico.

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TOMO XVI L’Autore a chi legge*

Contento, contentissimo di aver principiato a metter mano ai caratteri, e assicurato dalla Compagnia, ch’era in Terraferma, a passar la Primavera, e l’Estate, che il Momolo Cortesan avea piaciuto fuori, come in Venezia, stava già preparandone una seconda, quando venne a distrarmi un affar totalmente diverso. Il Signor Cristoforo Pizzioli, degnissimo Cittadino, buon amico, e buon galantuomo, venne a ritrovarmi in Casa, e con giubbilo, e cordiale amicizia mi disse, che i Nobil’Uomini Fratelli Lion Cavazza Patrizi Veneti, e Feudatari di Sanguinetto1 avevano avuto molte lamentazioni di quegli abitanti contro il loro Vicario: che lo credevano onesto, e lo desideravano innocente; ma che per render giustizia alla verità, e sottisfare que’ Popolani volevano andar sopra luogo, formar una spezie d’inquisizione, processare il Ministro accusato, assolverlo, o condannarlo; e che avendo bisogno d’un Assessore pratico non solo * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è stata pubblicata in Venezia, probabilmente, tra il 1778 e il 1779. Il tomo comprende le commedie ordinate nella seguente successione: Torquato Tasso (Venezia, 1755), La donna vendicativa (Venezia, 1753), La cameriera brillante (Venezia, 1754), Una delle ultime sere di carnovale (Venezia, 1762). Il disegnatore Novelli, non trovando nel testo della prefazione nessuna chiara indicazione per il frontespizio se non dell’«epoca sfortunata», decide di illustrare, forse, il nuovo incarico diplomatico di Goldoni, considerando proprio quello foriero di un’epoca sfortunata. La rappresentazione non è delle migliori ed è incongrua col tema. Si vede un troppo giovane Goldoni alla scrivania, attorniato da ragazzi in strani abbigliamenti. Un «rame» che forse avanzava al Novelli e che non trova di meglio che usarlo qui? Ma si potrebbe anche sospettare che il disegnatore abbia voluto rappresentare i «Popolani» che chiedevano giustizia, come si racconta nell’incipit della prefazione. Il disegno allegorico è anche questo deciso dal Novelli ed è costituito dalle due figure: la Giustizia che ha un bilancino tra le mani e un giovane abbigliato da viaggiatore con bagagli e fagotti, ad indicare l’irrequitezza. L’incisione è del Baratti. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dall’Eneide di Virgilio: «Quo diversus abis?» (V, 168); trad. it.: «Perché hai scelto una strada diversa?». Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il 1738 e il 1740; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal quarantunesimo all’inizio del quarantatreesimo della prima parte. 1

Paese in prossimità di Verona.

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del Criminale, ma conoscitore del Mondo, capace di scoprire la verità, senza passare per tutte le tediose, e cavillose difficoltà del Foro, avevano posti gli occhi sopra di me, e mi pregavano di accettare2. Frattanto, che l’amico Pizzioli mi narrava il fatto, e mi dipingeva il carattere amabile, e generoso di que’ due Cavalieri, ed esaltava l’importanza, ed i privilegi di quel feudo antico, ed insigne, pensava fra me medesimo, come mai in una Città sì abbondante di persone di merito in tal mestiere avessero prescelto me, che dopo la Cancelleria di Feltre non avea più veduto una carta di Criminale; e riflettendo che voleasi un uomo Conoscitore del Mondo, affé, dicea fra me stesso, la mia Commedia mi fa passar per politico. Accettai l’onorevole offerta, andai a ringraziar l’Eccellenze loro; stabilirono il giorno della partenza, e si andò ad eseguire l’inquisizione. Qual fu l’esito di questa missione? L’inquisito assolto, e corretto; i malcontenti mortificati, i Padroni contenti, e l’Assessor ben pagato. Ritornato a Venezia ripresi il lavoro della Commedia divisata; ma fui una seconda volta interrotto. L’esito passabile del mio Gustavo3 al Teatro di San Samuele fece sperare a S. E. Grimani, ch’io farei qualche cosa di meglio per quello di San Giovanni Crisostomo, e mi ordinò un Dramma nuovo pe’l Carnovale seguente4. Era la prima Donna la signora Francesca Bagnoli 5 Romana, che alla bravura del canto accoppiava la bellezza del volto, e la vivacità dello spirito. Ella riusciva singolarmente in abito d’Uomo; ma come voleva anche far pompa della sua leggiadria cogli abbigliamenti di 2 Il racconto di questo «affare totalmente diverso» non compare in sintonia con la successione degli eventi. Nei Mémoires, se ne farà cenno soltanto in seguito (Cfr. Mémoires, II, 13). Si noti il contrasto tra la gioia di Goldoni per i successi dei suoi primi tentativi di riforma della commedia e l’incredulità per l’incarico a lui proposto che lo riporta ai lontani trascorsi professionali di esperto in diritto penale alla cancelleria di Feltri (cfr. L’Autore a chi legge, t. IX). L’episodio prelude ad un periodo di incertezza, che si prolungherà fino al 1748, a Pisa, tra professione forense o teatro. Un periodo di compromessi soprattutto con se stesso. Ne è indice questo avvenimento: il commediografo sembra coniugare l’«onorevole offerta» con la sua esperienza di autore teatrale, giustificando l’incarico come una sorta di riconoscimento alle sue qualità di «assessore pratico non solo del criminale, ma conoscitore del mondo», ovvero di vero e proprio «uomo di mondo» che la professione teatrale aveva arricchito e che lo «faceva passare per politico». 3 Il dramma Gustavo primo re di Svezia era stato allestito da Goldoni per la festa della Sensa (l’Ascensione) del 1740, in occasione della visita a Venezia del principe Federico Cristiano di Sassonia. Il dramma, musicato dal Galuppi, era stato chiesto a Goldoni da Michele Grimani e sarà, poi, pubblicato nel t. XXXVI della Zatta (Venezia, 1794). Di questo soggiorno principesco si parlerà più innanzi. Da notare il fastidio dell’autore per queste due interruzioni che si frappongono al lavoro della nuova commedia. 4 Il carnevale 1740-1741. Il dramma sarà Oronte re de’ Sciti. 5 Non Bagnoli, ma Bertoli, soprano; morta nel 1767.

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Donna, desiderava un Dramma, nel quale comparire potesse nell’una, e nell’altra figura. Io l’ho servita. Il mio talento particolare è stato sempre di uniformarmi al desiderio, ed al carattere delle persone; e quanto più ci ho trovato delle difficoltà nell’esecuzione, tanto più mi ci sono impegnato. Siccome il Tenore, che dovea recitare in quell’anno, era il bravo Attore Pinacci Fiorentino6, il quale avea la figura severa, l’azione forte, e la voce di Baritono, scrissi per lui la parte principale di un Dramma, intitolato Oronte Re degli Sciti7; e scrissi per la Bagnoli quella di Artalice Principessa di Dacia, la quale nell’atto secondo, prendendo il nome, e gli abiti di Alcamene suo Germano estinto, in virtù di una perfetta rassomiglianza inganna Oronte, lo combatte, e lo vince. Il Maestro, che dovea comporre la Musica, era il celebre Buranello8; ed il Pittore, che dovea far lo scenario, era il bravissimo Jolli9, il quale desiderando di farsi onore con delle scene magnifiche, io gliene ho data l’occasione, ed egli è riuscito mirabilmente. So, che lo spettacolo, tutto insieme, riuscì assai bene; ma non so; s’io possa appropriare al libro qualche parte della buona riuscita. Era scritto un poco meglio degli altri; ma la mascherata della prima Donna è più da Commedia, che da Tragedia; ed il mio Oronte non so, che sia stato rappresentato in alcun altro Paese. Signori miei, lo sapete; a me piace dire la verità10. Ritorniamo alla mia Commedia, che m’interessa assai più. Veggendo la buona riuscita del Momolo dell’anno passato... (Saprete, che Momolo vuol dir Girolamo) ho pensato di fare un altro Momolo ancor quest’anno per il medesimo Golinetti, ed ho intitolato la nuova Commedia: Momolo sulla Brenta, o sia il Prodigo, ch’è il titolo, con cui è stampata11. La Commedia era sì bene presa dalla Natura, che molti si persuadevano d’indovinarne l’originale; ma s’ingannavano. Ho preso la mia Commedia dall’Universale, e non dal particolare, anzi mi 6

Giovanni Battista Pinacci (1717-1747) fiorentino, baritono. Dramma andato in scena il 26 dicembre 1740, ad apertura del carnevale; fu musicato dal celebre Galuppi («Buranello»). Anche secondo i Mémoires (I, 42) il melodramma, che fu rappresentato nel carnevale del 1741 nel Teatro di San Giovanni Grisostomo, ebbe un successo «strabiliante», ma si parlò poco del libretto e del suo autore. 8 Ovvero Baldassarre Galuppi. Vedi L’Autore a chi legge, t. XV, p. 311, n. 44. 9 Antonio Jolli o Joly (1700-1777), pittore modenese, aveva già curato la scenografia del dramma Gustavo primo re di Svezia. Ha lavorato lungamente per i teatri veneziani come decoratore e scenografo ed è stato molto apprezzato anche in Europa. 10 Mémoires: «[…] la vérité a toujours été ma vertu favorite […]» (Préface, p. 7); trad. it.: «[…] la sincerità è stata sempre la mia virtù preferita […]» (Memorie, p. 24). 11 Fu recitata, in parte all’improvviso, nel carnevale 1739-1740 e apparve stampata con il titolo del Prodigo nel t. X dell’edizione Paperini (Firenze, 1757). 7

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hanno determinato a farla i ragionamenti di quei, che condannano un tal costume, piuttosto che gli esempi da me stesso veduti, temendo sempre di abusare della confidenza di quelli, che quasi per forza mi hanno voluto partecipe delle loro prodigalità in campagna12. Parlo de’ prodighi, non parlo de’ Generosi: parlo di quelli, che fanno per ambizione più di quello, che possono; e rispetto, e lodo que’ tali, che facendo buon uso delle loro ricchezze fanno onore a se medesimi, ed alla Patria loro. Circa all’incontro di questa Commedia, è necessario, che prima di parlarne racconti una burletta13, una bizzarria, che mi è caduta in capo in quel tempo. Il bravo Golinetti non contento dell’applauso, che meritava la buona esecuzione della parte, che io gli aveva data nel Momolo Cortesan, ha voluto ancora arrogarsi il merito dell’invenzion delle Scene, e del dialogo, che piaceva. Siccome una gran parte di quella Commedia era a soggetto, ha fatto credere agli Amici suoi, che anche la parte sua era opera del suo talento, e che tutto quel, che diceva, lo dicea all’improvviso. Tutti non pensano, che chi parla all’improvviso non dice sempre le stesse cose, e molti non badavano, che il suo discorso era sempre il medesimo, e gli credevano. Piccato anch’io, non so, se dall’amor proprio, o se dall’amor della verità, ho immaginato di trovar la via di umiliarlo, e di farlo in pubblico. Ho scritto dunque intieramente il Prodigo sulla Brenta14, e poi ho ricavato dalla Commedia lo scheletro, o sia il Soggetto, e l’ho dato ai Comici, tenendo nascosta la Commedia scritta. Trovarono il Soggetto buono; 12 L’«universale» del prodigo, gli «originali» sono ben descritti nei Mémoires: «Mon Prodigue n’étoit ni joueur, ni débauché, ni magnifique. Sa prodigalité n’étoit qu’un foiblesse; il ne donnoit que pour le plaisir de donner […]. C’étoit un caractere nouveau; j’en connoissois les originaux, je les avois vus, et je les avois étudiés sur les bords de la Brenta, parmi les habitans de ces délicieuses et magnifiques maisons de campagne, où l’opulence éclate, et la médiocrité se ruine» (I, 41, p. 189); trad. it.: «Il mio prodigo non era né giocatore, né dissoluto, né ostentatore. La sua prodigalità non era che una debolezza […]. Era un carattere nuovo; io ne conoscevo gli originali, li avevo visti e li avevo studiati sulle rive del Brenta, fra gli abitanti di quelle deliziose e magnifiche case di campagna, dove l’opulenza trova sfogo e la mediocrità trova rovina» (Memorie, p. 239). Goldoni nega ogni allusione, che qualcuno aveva sospettato, tra il personaggio del «Prodigo» e Michele Grimani, a causa di un tipico intercalare del patrizio veneto: «fe vu», «fate voi», detto ad ogni richiesta di denaro; intercalare che ritorna sulla scena e sulle labbra del Golinetti. Nei Mémoires, racconta lungamente la trama del Prodigo, prefigurando quanto accadrà per tutta la seconda parte dei Mémoires, dove Goldoni dispiegherà dettagliatamente gli intrecci di molte sue commedie. 13 Una «burletta» dal sapore di vera e propria vendetta, come vedremo; e che ricorda l’analoga operazione in scena per la Passalacqua e il Vitalba con la commedia del Don Giovanni Tenorio, raccontata nell’Autore a chi legge, t. XIII. 14 È il Momolo sulla Brenta. Fu recitata nella stagione del Carnevale (1739-1740).

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accennai qualche cosa per istruire gli Attori sopra quel, che dovevan dire; la Commedia andò in iscena, e non dispiacque; ma il Golinetti andò in terra, perdette affatto il suo spirito, la sua facondia, e non riconoscevan più quel bravo Momolo, che li aveva incantati. Ritirai la Commedia tre giorni dopo, ed il medesimo giorno diedi ai Comici l’altra, ch’io aveva scritto; e copiate le parti, e provata, e rappresentata comparve un’altra, e riuscì sì bene, che niente più si poteva desiderare. Il Golinetti confessò il suo torto, riacquistò il suo credito di buon Attore, senza usurparsi quello di Autore15, e tutti i Comici cominciarono allora a conoscere la differenza, che vi è dal Dialogo studiato a quello, che sorte a caso da varie teste, da vari umori non sempre felici, e quasi sempre fra loro discordi. Nell’anno seguente non seguì cambiamenti notabili nella Compagnia. Fu aggregato in quella soltanto Francesco Maiani16 Bolognese in qualità di primo amoroso, unitamente al Casali, e tutti due sotto la direzione dell’Imer. Seguì bensì un notabile cambiamento nella mia persona, e negli interessi della mia Casa. Morì in quell’anno a Venezia il Conte Tuo17 della riviera di Genova, il quale aveva servito per più, e più anni in qualità di Console quella Repubblica Serenissima. Avendo io Moglie Genovese, e de’ buoni Parenti in Genova, scrissi colà, che mi procurassero l’onore di un tale impiego18, e fra le mie protezioni, e le loro l’ottenni19. Eccomi in una nuova carriera con un titolo onorevole, e in un impiego piacevole; 15 Goldoni ribadisce la distinzione tra ruolo dell’attore e quello di autore, che non è secondo al primo, ma le qualità di entrambi sono necessarie alla riuscita delle commedie; e non lo teorizza, ma lo fa constatare in concreto agli stessi attori. Lo ribadisce ancora nella lettera dedicatoria A Sua Eccellenza il Signor Pietro Priuli Patrizio Veneto premessa alla commedia: «Ma simile barzelletta prova il mio assunto, che le Commedie stampate e lette sono sempre le stesse, ma rappresentate cambiano aspetto, a tenore de’ Recitanti […]; e allora ho conosciuto quanto diverso sia lo scrivere dal recitare, e quanto sia necessaria all’Attore la pratica, l’esercizio e la naturale disposizione», in Opere, I, pp. 857-60 (p. 859). 16 Francesco Grandi Maiani (1718-1778), conosciuto per il ruolo di Ottavio, sarà attore al San Luca, con Goldoni nel 1753. 17 Tuo (o Tuvo). Console di Genova a Venezia dal 1690 fino alla data della sua morte, il 3 agosto 1740. 18 Nei Mémoires, Goldoni non fa cenno a che l’iniziativa fu sua, ma lascia intendere chiaramente che la proposta (e l’aiuto) venne dai suoi parenti di Genova: «Les parens de ma femme qui avoient du crédit et des protections, demanderent la place pour moi, et l’emporterent d’émblée» (I, 42, p. 192); trad. it.: «I parenti di mia moglie, che avevano credito e protezioni, chiesero la carica per me e l’ottennero senza difficoltà» (Memorie, p. 243). 19 Goldoni assunse l’incarico di Console agli inizi del mese di gennaio 1741, conservandolo fino ai primi mesi del 1744, dimettendosi, per incompatibilità con la carica, da direttore del teatro di S. Samuele.

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poiché essendo il Console di Genova il solo Ministro in Venezia di quella Repubblica, supplisce, oltre al mercantile, al Politico; ond’io mettendo in pratica in tale occasione quello, ch’i’aveva appreso a Milano, e a Crema sotto gli ordini, e la direzione del Veneto Residente20, faceva tutti i Sabbati il mio dispaccio21, ed ebbi l’onor di piacere a quel Pubblico Serenissimo. La Casa, ch’io abitava a San Lio, non era sufficiente per tale impiego. Ne presi una ad affitto molto più comoda, e più decente in Calle della Testa, appartenente all’Illustrissimo signor Lorenzo Marchesini Segretario di Senato. L’ingrandimento della casa mi obbligò ad aumentare i Mobili, e la Servitù; e l’occasione di trattare frequentemente co’ Ministri Stranieri mi pose in necessità di alterare il mio sistema di vivere, e di sconcertare un’altra volta le mie finanze. La Patente di Console non parlava di emolumenti; ma io mi lusingava, che ci dovessero essere; li ho attesi per qualche tempo; li ho in seguito domandati, e rimasi stordito, quando ebbi in risposta, che la carica non ne avea de’ fissati; che il Conte Tuo mio predecessore avea servito vent’anni senza salario22, e che in grazia del mio buon servizio qualche cosa avrei potuto sperare, se la guerra di Corsica non avesse reso esausto il Tesoro Pubblico23. Ciò non ostante i Protettori, e gli Amici mi lusingavano, che sarei stato col tempo ricompensato; ed io aspettava questo tempo felice, e continuava a spendere, ed a servire. La nuova mia carica non mi occupava in maniera da dover per mancanza di tempo abbandonare il Teatro; ma non parendomi conveniente, che un Ministro di una Repubblica fosse stipendiato da Comici, rinonziai all’emolumento annual di San Samuele, e mi riservai solamente quello onorifico di San Giovanni Crisostomo; onde fra il 20

Orazio Bartolini, già incontrato nell’Autore a chi legge del t. VIII. Saranno cento e otto i «dispacci» inviati da Goldoni alla Repubblica di Genova, il primo porta la data del 7 gennaio 1743, l’ultimo è datato 16 marzo dello stesso anno (cfr. Opere, XIV, pp. 5-153). 22 Goldoni è lapidario nei Mémoires: «Quand on m’offrit le Consulat de Genes, je l’acceptai avec reconnoissance et respect, sans demander quel étoit le traitement de la Charge. Ce fut encore une de mes sottises, qui ne me coûta pas moins que les autres (I, 43, p. 194); trad. it.: «Quando mi fu offerta la carica di Console di Genova io accettai con rispetto e riconoscenza, senza chiedere quale fosse il compenso. Fu ancora una delle mie solite sciocchezze che mi costò non meno delle altre» (Memorie, p. 245). Ma – ci chiediamo? – come è possibile che un uomo «di mondo», accorto e attento ai guadagni come Goldoni, non si fosse informato preventivamente sugli emolumenti attribuiti per la carica a fronte di tutti gli oneri? Forse fu attratto dalla notorietà e dal prestigio che la carica gli avrebbe conferito. E poi, non fu lui stesso a chiedere quell’incarico, che non gli fu affatto offerto? 23 La lunga «guerra di Corsica» era tra Genova e la Francia per il possesso dell’isola. Genova alla fine cedette il proprio protettorato alla Francia il 16 maggio 1768. 21

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lucro cessante, e il danno emergente, e coll’aggiunta di quelle avventure, che si combinarono in mio danno, come vedremo, ebbi occasion di dire a me stesso col Principe de’ Poeti Latini: Quo diversus abis?24 E mi son servito del motto medesimo sotto il frontispizio di questo Tomo, che rappresenta quest’epoca per me sfortunata. Dispiacque ai Comici il vedermi da lor separato; promisi, che non li avrei privati del tutto de’ miei Componimenti, di che il genio mio naturale, e costante potea assicurarli. Dimandai grazia soltanto per gl’intermezzi, che mi avevano estremamente annoiato, e continuai a dar loro qualche Commedia a titolo di regalo. In fatti l’anno seguente composi una terza Commedia per il Golinetti. La carica mia, più mercantile, che altro, mettendomi a portata di conoscere più Mercatanti, e di vedere i Fallimenti, che accadevano in varie Piazze, mi venne in mente di comporla su quest’argomento25. Avevano i comici fra le Commedie loro dell’Arte: Il Mercante fallito, uno de’ Soggetti i più sconci, e più mal condotti, nel quale il Pantalone, oltre essere un libertino, era ancora uno sciocco, un ridicolo, un babbuino26. Io ho avuto in animo di fare una Commedia morale; instruttiva per quelli, che per mala condotta sono in pericolo di fallire; correttiva, e piccante per quelli, che hanno fallito con mala fede, ed utile per coloro, che si lasciano sedurre dall’interesse, o dall’amicizia a fidare i loro capitali a persone sospette. Ho intitolato la mia Commedia la Bancarotta: non so, s’ella abbia prodotto que’ buoni effetti, 24

Virgilio, Eneide, I, V, v. 166. Nei Mémoires, Goldoni, dimostra di conoscere bene l’organizzazione del commercio in generale, e affida alla sua commedia anche una possibile funzione didattica e correttiva degli abusi, «erigendola a scuola»: «[…] partant de l’emblême de la Comédie, ridendo castigat mores, je crus que le Théâtre pouvoit s’ériger en licée pour prévenir les abus, et en empêcher les suites. Je ne me tins pas dans ma Piece uniquement aux Banqueroutiers; mais je fis connoître en même tems ceux qui contribuent davantage à leurs dérangemens, et je m’etendis jusqu’aux gens de loix, qui jettant de la poudre aux yeux des Créanciers, donnent le tems aux Banqueroutiers frauduleux de rendre leurs faillites plus lucratives et plus assurées» (I, 42, p. 193); trad. it.: «[…] partendo dall’insegna della commedia, ridendo castigat mores, pensai che il teatro potesse ergersi a scuola per prevenire gli abusi e impedirne le conseguenze. Nella mia commedia non mi limitai ai bancarottieri, ma feci conoscere nel medesimo tempo quelli che maggiormente contribuiscono ai dissesti di costoro e giunsi fino agli uomini di legge, i quali, gettando polvere negli occhi dei creditori, danno tempo ai bancarottieri fraudolenti di rendere i loro fallimenti più redditizi e sicuri» (Memorie, p. 244). 26 Sarà compito del teatro goldoniano tirar via la maschera di Pantalone da questa connotazione riduttiva, affidandole un ruolo diverso, un carattere, in ultima istanza, sobrio, umano e sensato, da buon mercante. Non così, ancora, però, nella Bancarotta o sia il mercante fallito, rappresentata nel carnevale del 1741 a Venezia nel Teatro San Samuele, e pubblicata nel t. x della Paperini (Firenze, 1757). 25

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ch’io aveva divisati; ma so, ch’è stata gustata e applaudita27. Mi sono provato per la prima volta in questa Commedia, s’era possibile di tirar partito de’ personaggi i meno abili, ed i meno intelligenti, dando loro una parte tagliata sul loro dosso, ed addattata alle loro forze; cosa, che mi pareva utile per il Teatro, e che mi è riuscita felicemente. Eravi in quella Compagnia la Moglie del Comico Maiani, buona Donna, ed onesta, ma che non aveva mai recitato; ed era reputata da tutti incapace di recitare la parte la più facile, e la più comune, a causa di una freddezza estrema, che non poteva correggere, a causa dell’esteriore, che niente poteva promettere, e della strettissima pronunzia Bolognese, che conservava. Quando ho proposto di farla recitare, tutti si misero a ridere, ed ella non lo voleva, ed il marito era quasi montato in collera, non volendo, che la Moglie sua si mettesse in ridicolo; e veramente non lo meritavano i di lei buoni costumi, ed io non avrei osato di farlo; ma la mia intenzione era, non solo di farla recitare, ma di far, che piacesse, ed in fatti riuscì uno de’ più dilettevoli personaggi della Commedia. Se leggete la Bancarotta, osservate in quella Commedia la donna, che si chiama Graziosa. Ella non comparisce, che come un personaggio episodico, e (se volete) un personaggio di più; ma la sua melansaggine era sì necessaria per tal carattere, che un’altra Donna non l’avrebbe sì bene rappresentato. Dissi, che questa tale Graziosa è un personaggio di più. So, ch’è un difetto l’introdurre in una Commedia un personaggio non necessario; ma l’ho fatto apposta per poterlo levare occorrendo, se non riusciva secondo la mia intenzione. Mi si perdoni in grazia del buon evento28. Prima di finire questo raggiona27

Importante quanto Goldoni sottolinea nei Mémoires: «Il y avoit dans cette Piece des scenes écrites beaucoup plus que dans les deux précédentes. Je m’approchois, tout doucement, vers la liberté d’ecrire mes Pieces en entier, et malgré les masques qui me gênoient, je ne tardai pas à y parvenir» (I, 42, p. 193); trad. it.: «In tale commedia le scene scritte erano più numerose che non nelle precedenti. Mi avvicinavo, piano piano, alla libertà di scrivere le commedie per intero e, nonostante le maschere mi procurassero qualche fastidio, non tardai a riuscirvi» (Memorie, p. 244). 28 Appare evidente la volontà del commediografo di utilizzare senza sprechi tutti i possibili attori della compagnia, con sottesa una scommessa, ovvero quella di adattare un personaggio («Graziosa») ad un’attrice dalle capacità recitative inesistenti, addirittura sulla sua «melensaggine». Goldoni, sia pur creando prudentemente «un personaggio di più», del tutto secondario (per ridurre il rischio di far fallire l’intera commedia), ne riesce a fare uno «dei più dilettevoli», proprio sfruttando la personalità dell’improvvisata attrice. Ci troviamo davanti ad un autore, insomma, non chiuso nel suo studio, ma immerso nel mondo degli attori e delle compagnie, costantemente impegnato a sperimentare sulle scene tutto quanto avesse sotto mano, anche il carattere evidentemente insulso di una donna, ma utile a rappresentare “realmente” un personaggio con tali caratteristiche (e il tutto – va detto – non senza un pizzico di cinismo).

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mento ai Lettori chiedo la permission di narrare un’altra avventura onorevole, che mi è arrivata in quel medesimo anno. Trovavasi allora in Venezia il Principe Real di Polonia ed Elettoral di Sassonia, Padre dell’Elettore Regnante29. I quattro nobili Patrizi Deputati dalla Repubblica Serenissima per essere presso di questo Principe, e promovere que’ grandiosi divertimenti, che si fanno godere a simili Personaggi in quella rinomata Città, non mancarono di corrispondere all’intenzion del Senato, e di soddisfare alla loro generosità, e far onore al Principe forestiere, ed alla propria loro Nazione. Niente risparmiarono di grande, di magnifico, di elegante. Una Regatta delle più sontuose; Feste da ballo le più ricche, e le più brillanti; la caccia del Toro nella piazza San Marco ridotta in Anfiteatro30; Spettacoli nell’Arsenale colla costruzion di una Nave, eseguita sugli occhi del Principe; Opera insigne nel Teatro di San Giovanni Crisostomo, e Palchetti sontuosamente addobbati in tutti gli altri Teatri. Solevano i quattro Cavalieri suddetti, prima di condurre il Principe ereditario ai Teatri delle Commedie chiedergli, qual Tragedia, o Commedia desiderava vedere. Non so, chi gli avesse parlato del mio Enrico Re di Sicilia31; ma so, che sua Altezza Reale mostrò piacer di vederlo: furono avvisati i Comici, ed io pure ne fui prevenuto. Consolatissimo d’una tal nuova m’informai del dì della recita, e avendo quattro giorni di tempo la feci immediatamente stampare32; ebbi l’onore di presentarne io stesso una copia decente a quel Principe lo stesso giorno, che la Tragedia doveva rappresentarsi33; ne fornii delle copie per tutto il seguito, e la sera feci dispensar gratis tutto il resto dell’edizione a tutti quelli, che vi concorsero34. Piacque la Tragedia al giovinetto35 Reale, e per segno del suo aggradimento mi fe’ l’onore di domandarne la replica, e di vederla una seconda volta rappresentare. Avrei desiderato di dedicargli la mia Tragedia; ma siccome egli viaggiava sott’altro nome, non mi fu permesso di farlo, e in luogo 29 Federico Cristiano di Sassonia, ammalatosi, fu a Venezia dal dicembre 1739 al giugno 1740. Vedi qui, n. 3. 30 Corride, comunque, incruente; corride che già dal Quattrocento si cominciarono a diffondere dalla Spagna in Italia. 31 Cfr. t. XV, p. 310, n. 39. 32 «Enrico re di Sicilia, tragedia del Dottor Carlo Goldoni, Venezia, Bettinelli, 1740, di pp. 64, in 8° (conservata presso la Biblioteca Civica del Museo Correr di Venezia»; cfr. E.N.M.I., p. 362, n. 21). Sempre la Turchi afferma che l’intermediario per la messa in scena della tragedia fu Antonio Conti, protettore del commediografo e massone. 33 La commedia era già apparsa in scena nel 1738; ora siamo nel 1740. 34 Goldoni sa destreggiarsi bene come pubblicitario di se stesso. 35 Il principe non aveva che diciotto anni.

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di dedica, dissi nell’avviso ai Lettori, che io l’aveva fatta unicamente stampare per comodo di uno de maggiori Principi dell’Europa. Con qual piacere avrei parlato delle sue virtù, del suo talento, e di quella dolcissima umanità, che lo distingueva! Ma se allora non potei farlo, mi soddisfeci in parte nell’occasione seguente. Lo condussero i Cavalieri Deputati alla visita de’ quattro insigni Ospitali, ch’io ho descritti al principio del Tomo XV36. Era già stato agl’Incurabili, ed ai Mendicanti, ed aveva colà ammirato, e goduto la Musica la più eccellente, framischiata di qualche pezzo novello fatto apposta per lui. Doveva esser condotto verso la metà della Quaresima all’Ospitale della Pietà, e quelle giovani Virtuose desideravano di farsi onore, e di sorpassare le altre, s’era possibile. L’Eccellentissimo Signor Pietro Foscarini Procurator di San Marco37, era uno de’ Governatori di quell’armonico Conservatorio, e presiedeva al Coro in quell’anno. Desiderava egli di secondare il desiderio delle Coriste, ed avrebbe voluto far qualche cosa di nuovo; ma il tempo era ristretto, e la composizion della Musica ne esigeva molto di più. Avea io composto per commissione del Cavaliere medesimo, e ad uso di camera delle figlie suddette, tre cantate per Musica, una a due voci, intitolata La Ninfa Saggia, una a tre, Gli Amanti felici, e una a quattro, intitolata le quattro Stagioni38, poste in musica tutte tre dal Signor Gennaro d’Alessandro39 Maestro di Cappella, e Compositore di detto Ospitale. Mi fece l’onore Sua Eccellenza il Signor Procuratore di consultarmi in quell’occasione, e di domandarmi, se in queste cantate, le quali avevan piaciuto, si poteva qualche cosa innestare, che riguardasse il Principe particolarmente. Chiesi tempo a rispondere; gli comunicai il giorno dopo la mia intenzione, gli piacque, ed ecco quello, che ho fatto. Nelle tre cantate suddette intervenivano nove di quelle figlie di Coro, ch’erano le principali. Feci un nuovo Componimento, intitolato le Nove muse40, e senza cambiare una nota, né delle arie, né de’ reci36 L’autore si confonde, non avendo mai fatto riferimento nelle sue Prefazioni agli Ospedali veneziani che erano, a differenza del nome, dei Conservatori musicali, e quattro per l’appunto: degli Incurabili, della Pietà, dei Mendicanti, dei Derelitti. Vi insegnarono celebri musicisti, tra i quali Domenico Scarlatti (1685-1757). 37 Carica di grande prestigio, alla quale il Foscarini sarà nominato, però, successivamente, il 3 luglio 1741. 38 Le tre cantate apparvero nell’edizione Zatta, Venezia 1793. 39 Gennaro d’Alessandro (1717-?), napoletano, compositore musicale. 40 È una serenata in due parti che prenderà il titolo Il coro delle Muse, cantata come le tre, dalle «giovani virtuose» del coro della Pietà e composta sempre in onore dell’elettore di Sassonia (cfr. E.N.M.I., pp. 363-364, n. 26).

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tativi, feci servire la Musica delle tre cantate alle parole della novella Composizione; e facendo parlare le Muse secondo quegli attributi, che hanno loro i Poeti accordati, mi apersi un largo campo41 per parlare del Principe, che vi dovea intervenire. Niuno poteva accorgersi di tal lavoro, e avrebbero tutti giurato, che parole, e Musica, tutt’era nuovo. Il Maestro di Cappella restò stordito egli stesso, quando vide la sua Musica trasportata sopra un nuovo Soggetto, senza aversi da incomodare a cangiar la menoma cosa, trovando non solo la misura ben conservata; ma le lunghe, e le brevi42, e gli accenti e i respiri, e tutto finalmente a suo luogo. Io aveva fatto altre volte un simil lavoro per mascherare qualche Aria vecchia in grazia di qualche Cantante, o di qualche Compositore43; ma non l’aveva mai fatto per li recitativi, che sono ancora più difficili a trasportare. In fine la cosa riuscì a comune soddisfazione; il divertimento comparve nuovo; il Principe lo aggradì; il Pubblico lo ammirò, ed io mi confermai sempre più nel credere, che l’uomo coll’ingegno, e colla pazienza fa tutto quello, che vuole44.

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Un ampio spazio. Le note. 43 Ricordiamo La Griselda «mascherata» da Goldoni nello stesso breve tempo per Vivaldi e soprattutto per la sua allieva Anna Giraud (vedi L’Autore a chi legge, t. XIII). Abilità ormai acclarata del Nostro nell’assemblare e «innestare» testi su altri testi. 44 Un Goldoni euforico, dunque, alla fine di un’«epoca sfortunata». 42

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TOMO XVII L’Autore a chi legge*

Gran cambiamenti successero nell’anno 1742 nella Compagnia di San Samuele! Il Sacchi, disgustato non so di che, si licenziò, e partì con tutta la sua famiglia1. Sostituirono al suo personaggio il Falchi 2, il qual essendo all’attuale servigio dell’Elettor di Baviera aveva ottenuto un anno di congedo per rivedere i parenti suoi. Era egli il Fratello di quel Francesco Falchi 3, bravo, e onorato Comico, di cui avrò occasion di parlare, quando parlerò della Compagnia del CapoComico Medebac4. All’Andriana Sacchi Servetta sostituirono Anna * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è stata pubblicata nel 1780. Le Memorie italiane si fermano a questa data, essendosi smarrite le ultime cinque che Goldoni pare avesse inviato da Parigi nel 1772. Il tomo comprende le commedie, ordinate nella seguente successione: La pupilla (1757), L’impostore (Modena, 1754), Il vecchio bizzarro (Venezia, 1754), Gli amanti timidi (Venezia, 1766). Il disegnatore Novelli (non abbiamo notizia dell’incisore) seguendo l’indicazione dal testo della prefazione disegna, probabilmente, l’interno dello studio veneziano del console Goldoni (questa volta più credibile rispetto alla vignetta del tomo precedente) insieme al fratello e al «bravo signor colonnello colle sue lettere, colle sue patenti, e co’ suoi sigilli». Il disegno allegorico rappresenta la Fraude, a sinistra, e l’Ingratitudine. La fraudolenza è disegnata con tratti che rinviano tutti all’inganno e al furto: il doppio volto e la maschera, l’amo, i piedi metamorfosati in artigli, e non manca nemmeno un serpente dalla testa umana; l’ingratitudine è tipicamentee indicata da una donna morsa dal serpente riscaldato in seno. Stranamente manca il cartello “Opere di Carlo Goldoni”. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta dalle Epistulae ex Ponto di Ovidio: «Quin relego scripsisse pudet» (I, 5, 15); trad. it.: «Nel rileggere quanto ho scritto, ne ricavo vergogna». Gli avvenimenti narrati sono da situarsi tra il 1742 e il 1743; nei Mémoires, corrispondono ai capitoli che vanno dal quarantatreesimo al quarantacinquesimo della prima parte. La prima parte dei Mémoires si conclude con il capitolo cinquantatreesimo. 1 Il Sacchi lascia Venezia per la Russia nell’estate del 1742, portando con sé buona parte della Compagnia dell’Imer. 2 Giuseppe Falchi, bolognese, bravo attore nella parte di Arlecchino. Si trasferirà dal 1749 in Baviera. 3 Francesco Falchi, sarà con Goldoni al teatro Sant’Angelo; lo seguirà poi al teatro San Luca. 4 Goldoni lavorerà con la Compagnia Medebach, al Sant’Angelo, dal 1748 al 1753, e per tanto non riuscirà a «parlare della Compagnia del Capo-comico Medebac» con la dovizia di particolare che si prometteva nelle prefazioni dell’edizione Pasquali. Girolamo

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Baccherini 5, giovane di bell’aspetto, viva, brillante, e che prometteva moltissimo in un tal mestiere, nel quale ella era ancor principiante. Passata al solito la Compagnia in Terraferma, non conoscendo io ancora l’abilità de’ Personaggi novelli, niente ho fatto per essa durante la Primavera, e l’Estate, attendendo il ritorno suo in Venezia per comporre con maggior fondamento6. Il mio impiego di Console mi occupava bastantemente; e una serie di avventure accadutemi quasi nel medesimo tempo mi occuparono ancor di vantaggio. Ebbi una Commissione spinosa da un cavalier Genovese, avvalorata dagli Ordini di que’ Collegi Serenissimi7. Trattavasi di far arrestare in Venezia un loro Ministro8 proveniente da una Corte straniera, e debitore di somme considerabili. La cosa era difficilissima; pure mi riuscì di ottener la cattura. Vidi, che l’appellazione potea favorire il ritento, e farmi condannar nelle spese. Cambiai l’azione di Criminale in Civile; mi rimossi io stesso dall’istanza della cattura seguita; mi offersi pagare i danni; pregai di rimetterlo in libertà; ma nel medesimo tempo sequestrai gli effetti arrestati nelle mani del Ministro, a cui gli esecutori li avevano consegnati. Questa era la mia prima intenzione, e senza quel passo ardito non si poteva sperar di ottenere quel che ho ottenuto. Gli si trovarono danari, gioie, ed altri effetti di prezzo. Consegnai pontualmente il denaro al Signor Santino Cambiaso, Nobile Genovese, e ricco Mercatante in Venezia9. Ciò mi fece del merito verso il Principe, ch’io aveva l’onor di servire, ed ebbi una ricompensa assai generosa dal Cavalier creditore. Medebach (Metembach: vedi Prefazione dell’Autore, p. 87, n. 107), ebbe l’intelligenza e la grande intuizione di rivoluzionare profondamente i registri recitativi dei propri attori, trasformandoli da sostanziale complesso di acrobati e funamboli in una straordinaria compagnia comica, capace di “impersonare” sulle scene la riforma goldoniana. 5 Anna Baccherini, (1720-1743), fiorentina, morirà giovanissima a Genova all’età di ventitré anni; vedi di seguito n. 13. 6 Goldoni continua a ribadire che ha bisogno di conoscere gli attori dal vivo per poter «comporre con maggior fondamento». 7 Si tratta del marchese Domenico Sauli, che aveva incaricato Goldoni, a nome del Senato genovese, di redimere la delicata questione. 8 Il suo nome è Domenico Bologna, addetto all’ambasciata genovese a Vienna. Un vero e proprio avventuriero e molto probabilmente spia alla corte di Vienna, stando alle lettere con cui Goldoni informava la Repubblica di Genova (cfr. lettere XLVI e XLVIII, in Opere, XIV, rispettivamente pp. 80-81 e 83-85). Goldoni è costretto a rimetterlo rapidamente in libertà, onde evitare ritorsioni legali a suo danno. 9 Santino Cambiasio (1683-1762), banchiere genovese, noto per la sua grande onestà e correttezza. “Parola de Santin Cambiasio” era proverbiale a Venezia per suggellare le più solenni promesse» (cfr. G.M.ME., p. 434).

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Ma certi effetti preziosi, che mi furono con arte levati di mano, mi esposero a fastidi notabili, e sforzi dolorosi per ricuperarli10. Lo stato mio declinava; ridomandai con più calore l’assegnamento11 alla Carica, ch’io sosteneva, ed ebbi qualche lusinga, che l’avrei ottenuto. Giunse in questo frattempo in Venezia la Compagnia de’ Comici di San Samuele, e cominciò le sue recite. Si mantenevano ancora in qualche credito gl’intermezzi; e perciò composi un’Operetta buffa per Musica, intitolata la Contessina12, la quale riuscì a maraviglia. Osservai recitare la Baccherini Servetta13; e mi piacque il suo spirito, 10

Goldoni fa riferimento ad un’oscura vicenda relativa a due preziose tabacchiere di proprietà del marchese Sauli «che mi furono con arte levati di mano». La vicenda nei Mémoires è succintamente raccontata: «Dans l’inventaire des effets que j’avois recouvrés, il y avoit deux boîtes d’or enrichies de diamans. J’étois chargé d’en procurer la vente. Je les confiai à un Courtier: ce malheureux les mit en gage chez un Juif, laissa la note du prêteur et se sauva. J’en étois responsable; il falloit payer pour les ravoir. M. Cambiasio fournit l’argent pour le compte du Sénateur, et mon beau-pere paya à Genes l’équivalent, moyennant un revirement de parties pour un reste de la dot de sa fille qu’il me devoit encore» (I, 43, p. 195); trad. it.: «Nell’inventario dei beni che avevo recuperato, c’erano due tabacchiere d’oro ornate di diamanti. Io avevo l’incarico di venderle. Le affidai a un sensale: il disgraziato le mise a pegno da un ebreo, lasciò la ricevuta del prestatore e fuggì. Io ne ero responsabile; bisognava pagare per riaverle. Il signor Cambiaso mi fornì il denaro da parte del senatore e, a Genova, mio suocero pagò l’equivalente, utilizzando una girata di partite per una parte della dote della figlia, che egli ancora mi doveva» (Memorie, p. 246). Interessante, sempre nei Mémoires, un’affermazione di Goldoni, dove è lecito leggere come la sua commedia La bancarotta o il mercante fallito (1741) possa essere stata causa di una serie di pettegolezzi verso di lui, di un autore che, agli occhi di qualcuno, appariva, evidentemente, esperto in simili intrighi («la natura imita l’arte», O. Wilde); oppure: «Des gens d’affaires qui m’en vouloient à cause de ma Piece du Banqueroutier, ne cesserent pas cependant de me tracasser» (I, 43, p. 195); trad. it.: «Ma certi affaristi, che ce l’avevano con me per via della commedia del bancarottiere, non mancarono di procurarmi fastidi» (Memorie, p. 247). 11 Il regolare compenso. 12 Dramma giocoso, andato in scena al Teatro San Samuele durante il carnevale del 1743 con le musiche di Giacomo Maccari. Sulla riuscita delle «opere buffe» Goldoni ha le idee molto chiare: «[…] mais les efforts des Compositeurs ne suffisoient pas pour suppléer aux défauts des Acteurs: et dans l’Opéra Comique principalement, j’ai vu la bonne exécution soutenir souvent des ouvrages médiocres, et très-rarement réussir les bons ouvrages mal exécutés» (Mémoires, II, 31, p. 378); trad. it.: «[…] ma gli sforzi dei compositori non bastavano a colmare i difetti degli interpreti: e, specialmente nell’opera buffa, ho visto che una buona esecuzione sostiene spesso lavori mediocri, mentre molto raramente hanno successo opere pur buone se male eseguite» (Memorie, p. 462). 13 Anna Baccherini sostituisce Adriana Sacchi nel ruolo della «servetta». Sul suo “personaggio”, per lei, Goldoni inventerà La donna di garbo, prima commedia interamente scritta nel 1743. Le servette, non soltanto in teatro, hanno sempre ammaliato il Nostro. E qui sembra accadere quanto detto, a leggere quel che ne scrive lungamente Goldoni nei Mémoires: «C’étoit une jeune Florentine, très-jolie, fort gaie, très-brillante, d’une taille arrondie, potelée, la peau blanche, les yeux noirs, beaucoup de vivacité, et une prononciation charmante. Elle n’avoit pas le talent et l’expérience de celle qui l’avoit précédée, mai on voyoit en elle des dispositions heureuses, et elle ne demandoit que du travail et

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e la sua maniera; e quantunque non fosse che principiante, vidi, che bene istruita, ed aiutata da qualche buona Commedia poteva figurare assai bene. Questa era una giovane più bella, e non meno scaltra della Passalacqua14. Si accorse, ch’io aveva per lei qualche stima, ed impiegò tutta l’arte per guadagnarmi. Io era allora Ammogliato, e il dover d’Uomo onesto, e di buon Marito mi obbligava a pensare, e a condurmi diversamente15; ma ciò non m’impediva, che ne’ Comici miei lavori non distinguessi quella persona, che più mi piaceva; e divisai di formar questa Donna secondo il sistema, ch’io aveva in capo, e che non aveva ancora potuto a modo mio soddisfare. Tutte le Servette de’ Comici erano in una specie di obbligazione di rappresentare La Serva Maga, Lo Spirito Folletto16, ed altre simili Commedie dell’Arte, nelle quali la Servetta cambiando d’abito, e di linguaggio sostiene vari differenti Personaggi, e caratteri; ma vi vorrebbe realmente quell’arte Magica, che si finge, in tali Commedie per sostenerli con verità, e ragione; e ordinariamente non riescono, che azioni sconcie, e forzate, cattive Scene di Commedie peggiori17. du tems, pour parvenir à la perfection. Madame Baccherini étoit mariée, je l’étoi aussi. Nous nous liâmes d’amitié; nous avions besoin l’un de l’autre; je travaillois pour sa gloire, et elle dissipoit mon chagrin» (I, 43, p. 197); trad. it.: «Era una giovane fiorentina, molto bella, allegra, brillante, un po’ rotondetta, paffutella, la carnagione bianca, gli occhi neri, molta vivacità e una pronuncia aggraziata. Non aveva né il talento né l’esperienza dell’attrice che l’aveva preceduta, ma si vedevano in lei felici disposizioni e, per giungere alla perfezione, non aveva bisogno d’altro se non di tempo e di lavoro. La signora Baccherini era una donna sposata; anch’io ero un uomo sposato. Ci legammo d’amicizia; avevamo bisogno l’uno dell’altra; io lavoravo per la sua gloria ed essa mi faceva dimenticare ogni dispiacere» (Memorie, pp. 248-249). 14 Ricordiamo i turbolenti tranelli amorosi di questa attrice con Goldoni, raccontati nell’Autore a chi legge del t. XIV. 15 Queste dichiarazioni, del tutto non richieste, sembrano avvalorare qualche perplessità sulla condotta del nostro commediografo. Quanto scriverà, ancora, nei Mémoires innesca maliziose supposizioni. Difatti Goldoni, allorché apprende della morte improvvisa dell’attrice, che «gli faceva dimenticare ogni dispiacere», tradisce un profondo legame affettivo (di cui, in qualche maniera, è “comprensiva” anche l’«assez raissonnable» consorte»): «Quel coup pour moi! Ce n’étoit pas l’amant qui pleuroit sa maîtresse, c’étoit l’Auteur qui regrettoit l’Actrice. Ma femme, qui me voyoit dans le chagrin, étoit assez raisonnable pour s’en rapporter à moi» (I, 44, p. 199); trad. it.: «Che colpo per me! Non era l’amante che piangeva l’amata, era l’autore che rimpiangeva l’attrice. Mia moglie, che mi vedeva nel dolore, era abbastanza ragionevole per dedicarsi a me» (Memorie, p. 251). 16 Commedie a canovaccio, dette «di trasformazione», dove appunto l’estro delle «servette» gioca meglio l’«improvviso» nel cambio dei ruoli e dei personaggi. Ma poiché, ahimè, non tutte sono delle attrici brave «come il Sacchi», ecco venir fuori «azioni sconcie» e «cattive scene». 17 «Parmi quarante ou cinquante Soubrettes – scrive Goldoni nei Mémoires (I, 43) – que je pourrois nommer, il n’y en avoit pas deux de sopportables» (p. 197); trad. it.: «Fra le

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Non si potrebbe, dicea fra me stesso, far sostenere ad un Personaggio diversi caratteri senza il sognato soccorso della Magia? A che serve il cangiamento degli abiti? A che serve la varietà de’ linguaggi? Difficilmente riescono bene; e se fossero anche a perfezione eseguiti, mancando il verisimile manca il miglior merito della Commedia. Ma come far sostenere ad un Personaggio più, e diversi caratteri in una stessa Commedia salvando la verisimiglianza, la ragione, e la buona condotta?18 Pensando, e ripensando, fu allora, che mi cade in mente La Donna di Garbo19; una Donna, che bisognosa di amicizie, e di protezioni cerca d’insinuarsi nell’animo delle persone, secondando le passioni, ed i caratteri di ciascheduno, e trasformandosi quasi in tante differenti figure, quanti sono coloro, coi quali deve trattare. Tutto ciò può eseguire una Donna di spirito, la quale servendosi dell’artificio, non sarà una Donna di garbo, secondo il vero genio di questa frase; ma sarà tale nell’opinione dei Personaggi20. Fissato in questa immagine, ho composto quella Commedia, che i Lettori conoscono sotto un tal titolo. Avrei fatto meglio a intitolarla La Donna di Spirito; ma riflettendo più all’apparente sua abilità, che al fondo del suo carattere, e più all’asserzione de’ Personaggi, che alla sua intenzione, l’ho detta Donna di Garbo21, e la lascio correre con quel titolo, con cui ha piaciuto, e con cui è stata dieci altre volte stampata22. La prima volta, ch’io l’ho pubblicata in Venezia nell’edizione del Bettinelli, le ho dato il merito di Primogenita delle mie Commedie; ed ora pare, ch’ella sia posteriore al Momolo Cortesan, al Prodigo, ed quaranta o cinquanta Servette che potrei nominare, di sopportabili non ce n’erano neanche due» (Memorie, p. 249). 18 Molto bello questo dialogo di Goldoni con se stesso; nel mentre sottolinea le incertezze (quante le interrogative!) ma anche le considerazioni (le esclamative) che provengono dall’esperienza. 19 «La qual io chiamo mia prima commedia, e che prima delle altre comparirà in questa raccolta, giacché in fatti è la prima ch’io abbia intieramente scritta» appunterà Goldoni nella Prefazione all’edizione Bettinelli (cfr. E.N.P.E., p. 96; vedi qui, p. 87, n. 101). 20 Scrive Ludovico Zorzi: «Quando su quei palcoscenici popolati dai manichini gorgheggianti del melodramma e dalle larve squittenti e piroettanti delle maschere, o dagli eroi imbambolati della tragedia e della commedia “regolari”, si poté assistere alla comparsa dei personaggi corposi e vitali del Goldoni, tanto più insoliti quanto visibilmente estrapolati dalla realtà circostante, l’apparizione dové sorprendere come uno stacco traumatizzante», in Id., Venezia: la Repubblica a teatro (1971); poi in Id., Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 272. 21 Evidente la cura di Goldoni per la scelta dei titoli delle sue commedie. 22 La donna di garbo apparve, sempre modificata dall’autore, nella Bettinelli, t. I (Venezia, 1750); nella Paperini, t. V (Firenze, 1753); nella Pasquali, t. IX (Venezia, 1767).

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alla Bancarotta23. Ciò è vero in un senso; ma come la prima di queste tre Commedie era per la maggior parte a soggetto, e nelle altre due le Maschere lo erano ancora, alla riserva del Momolo, e del Pantalone; e come altresì tutte tre le dette Commedie contenevano qualche carattere, ma non erano del genere di quelle della riforma, merita questa il grado di prima, perché da essa ho cominciato il nuovo genere di Commedie intrapreso. Tutti i Personaggi, che la compongono, hanno un carattere originale; e la Colombina, che cercava d’imitarli, e di uniformarsi... Ma perché dico io la Colombina, se nella commedia stampata la Donna di Garbo è Rosaura? Eccone la ragione. Terminata di scrivere la mia Commedia in Venezia, la lessi ai Comici, e tutti ne furono incantati. La Servetta, che recitava col nome di Colombina, era gloriosa della sua parte24; ma le altre Donne la riguardavano con gelosia, e specialmente la Prima; sosteneva, che non era parte per una Serva; che dovevasi darla alla prima Donna; ch’io avea mancato alle regole; e che solamente per compiacermi avrebbe sofferto, che la Baccherini la recitasse; ma tirarono tanto innanzi25, che arrivò la fine del Carnovale senza rappresentarla. Andò a Genova la Compagnia per la Primavera seguente; quindici giorni dopo la Baccherini morì; la Bastona s’impossessò della Donna di garbo, ed ebbe la soddisfazione di recitarla26, e di riscuoterne infiniti applausi. Io però non la vidi rappresentare, poiché partii l’anno stesso, come dirò fra poco; e la prima volta, che mi accadde, vederla fu a Livorno, quattro anni dopo27, dalla brava eccellente Rosaura, moglie del Medebac28, di cui avrò lunga occasion di parlare, essendo lui quegli, che mi ha fatto riprendere il gusto delle Commedie, e col di cui mezzo sono ritornato alla Patria. Prima ch’io passi a discorrere di quelle triste ragioni, che mi hanno obbligato in quell’anno ad abbandonare Venezia, l’occasione di nominare quest’onorato Comico, con cui ho vissuto parecchi anni, 23

Commedie non interamente scritte a differenza della Donna di garbo. La Baccherini. 25 Temporeggiarono. 26 Ma non sappiamo con precisione quando: se in quel carnevale (1743) oppure ad inizio dell’anno comico nel 1744 a Venezia. 27 Goldoni, probabilmente, poté assistere alla commedia, soltanto nell’estate del 1747, a Livorno, con la parte di Rosaura recitata da Teodora Raffi Medebach. 28 Teodora Raffi (Lucca, 1723-Venezia, 1761), nipote di Maddalena Raffi (sua pericolosa concorrente in scena), primadonna nella Compagnia del capocomico Medebach, che sposò nel 1740. Brava attrice e brava cantante, impersonò, quasi sempre col nome di Rosaura, al Teatro Sant’Angelo, i personaggi femminili in numerose commedie di Goldoni. 24

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mi eccita a dire, come l’ho conosciuto in Venezia in quei medesimi tempi, de’ quali ora ragiono. Erano già tre anni, che portavasi in Venezia regolarmente in tempo di Carnovale Gasparo Raffi 29 Romano, Capo de’ Ballerini di corda colla sua Compagnia, ch’era una delle più famose in tal genere30. Eravi la bravissima Rosalia sua Cognata, Moglie in allora di un Saltatore Tedesco, e passata ad esserlo in secondi voti di Cesare Darbes, celebre Pantalone, di cui molto avrò ancor da parlare31. La Teodora, figliuola del Raffi, Moglie in appresso del Medebac, ballava sulla corda passabilmente, ma danzava a terra con somma grazia; la Maddalena32, che fu Moglie in seguito di Giuseppe Marliani, era una copia fedele della Teodora, e il Marliani suddetto, che faceva il Pagliaccio, era un Saltatore, e Danzatore di corda, il più bravo, il più Comico, il più delizioso del Mondo. Questa Compagnia di quasi tutti Congiunti era amata, ed apprezzata in Venezia, non solo per la bravura, ed abilità in tal mestiere; ma per l’onesta, e saggia maniera di vivere sotto la buona direzione dell’onestissimo Raffi, e l’ottima condotta della prudente, divota, e caritatevole Signora Lucia sua Consorte. Il Marliani, non so, se stanco di quel pericoloso mestiere, o eccitato dal genio Comico, avea gran voglia di recitare delle Commedie. Capitò il secondo anno in Venezia il Medebac accennato; e unitosi co’ Ballatori suddetti, avendo egli cognizione bastante dell’arte Comica, gl’instruì, fornì loro i soggetti, e preso il picciolo Teatro di San Moisè33, colà, terminato il Casotto34 recitavano delle Commedie, le quali sostenute 29 Gasparo Raffi, romano, padre della Teodora Medebach e fratello della Maddalena, bravissimo Brighella della Compagnia Medebach, dove resterà fino al 1755. Si inizia a configurare il gruppo di attori che reciteranno le commedie di Goldoni nel periodo del Teatro Sant’Angelo. 30 Fa notare Davico Bonino che «era un caso abbastanza frequente che un comico dell’Arte “nascesse” da un ballerino o da un acrobata» (cfr. D.B.M.I., p. 273). 31 Cesare D’Arbes (1710-1778), veneziano, celebre attore della commedia dell’Arte nelle vesti di Pantalone. Sarà il comico che in un bellissimo episodio riportato nei Mémoires (I, 51) letteralmente sedurrà, con la sua bravura, Goldoni, che era ritornato alla professione di avvocato, a Pisa. Nel chiedergli una commedia per sé, D’Arbes indurrà Goldoni a riprendere a scrivere (con il Tonin Bellagrazia) per il teatro (Livorno, agosto, 1745), e sarà uno dei perni attoriali intorno cui il commediografo costruirà la sua riforma. Adattati a lui scrisse Il frappatore (adattamento del Tonin Bellagrazia) e I due gemelli veneziani. 32 Maddalena Raffi, sorella di Gasparo Raffi, sposerà Giuseppe Marliani (1720-1782), e sarà nota come Corallina in molte commedie goldoniane; sarà l’ispiratrice (e la straordinaria prima attrice) della Locandiera. 33 Il teatro di San Moisé, la cui fabbrica risaliva al Seicento, e che era di proprietà dei Giustanian dal 1715, ospitava sia opere che commedie. 34 Questa struttura in legno sorgeva nella piazza San Marco, adibita a spettacoli di ballerini e «saltatori di corda» (acrobati).

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principalmente dalle apparenze, dai giochi, e dalle grazie del Marliani, che facea l’Arlecchino, non lasciarono di attirare buon numero di Spettatori. La Teodora faceva la prima Donna, e la Maddalena facea la Servetta; il Medebac era il primo Amoroso, e qualche altro Personaggio avean preso per eseguir le loro Commedie. Così principiò quella Compagnia, che poi si è resa famosa, e che trovai ben formata, ed in credito quattr’anni dopo a Livorno35. Parlerò a suo tempo di queste brave persone36; passiamo ora a parlar di me, niente per altro, che per narrar ai Lettori la causa, che mi ha impedito, dopo la Donna di garbo, a seguitare il corso sì bene incominciato delle Commedie; e per quale avventura l’ho poi nuovamente intrapreso. Ardeva allora la guerra fra Galli-Ispani, e Tedeschi per la successione di Don Filippo Infante di Spagna agli stati di Parma e Piacenza37; ed il Duca di Modona38 dichiaratosi del partito de’ primi, era anch’egli al Campo colle sue Truppe col titolo di Generale in capite di quell’Armata. Mio Fratello, ch’era Tenente in Modona nelle milizie Nazionali di quel Paese con poca paga e poco esercizio, avrebbe voluto passare nelle Truppe, che diconsi regolate, e seguire il Principe all’Armata, non so se per onore, o per migliorare gli appuntamenti39. Il fatto si è, che non avendo potuto ottenere quel che desiderava, domandò il suo congedo; l’ottenne, e venne a ritrovarmi in Venezia40. Mi spiacque una 35

Nel 1745. È molto vago, a ragione, Goldoni. A questa altezza è ormai certo che la Pasquali non avrebbe avuto vita lunga. 37 Sono gli anni della guerra di successione austriaca (1740-1748), detta, secondo quanto riporta Goldoni nei Mémoires (I, 43) la «guerra di don Filippo». 38 Francesco, duca di Modena era alleato della Spagna e dei Borboni contro i tedeschi. 39 Gli emolumenti. 40 Proprio quando Goldoni, ormai in forti ristrettezze economiche, aveva deciso di lasciare Venezia e di andare a Modena per «cercare denaro con ogni mezzo». Ma, a far muovere il Nostro non erano soltanto necessità finanziarie, giacché la Baccherini era a Modena, e questa ulteriore «attrazione» appare chiara nei Mémoires: «J’irai à Modene demander le paiement de mes rentes; j’irai à Genes reclamer le traitement de ma charge; j’assisterai aux répétitions de la Donna di garbo; la Baccherini aura peut-être besoin de moi, et sera bien aise de me revoir. Les attraits de cette Actrice charmante ajoutoient encore à mon empressement; je me faisois une fête de lui voir remplir ce rôle important dans ma Piece» (I, 44, p. 199); trad. it.: «Andrò a Modena a chiedere il pagamento delle mie rendite; andrò poi a Genova a reclamare il compenso per la mia carica: assisterò alle prove della Donna di garbo; la Baccherini avrà forse bisogno di me e sarà contenta di vedermi. L’attrazione esercitata su di me dall’affascinante attrice contava qualcosa nella mia fretta; era per me un piacere poterla vedere recitare nella parte principale della mia commedia» (Memorie, p. 250). Difatti, fra le cause per le quali soprassiederà, momentaneamente, al progetto di partire, sarà proprio la notizia della morte improvvisa della Baccherini che stava per iniziare le prove della commedia. 36

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tale risoluzione sconsigliata, e pregiudiziale, poiché col tempo avrebbe sicuramente avanzato; ma ciò non ostante l’accolsi collo stesso amore, e lo feci padrone della mia casa, e della mia Tavola41. Da lì a qualche giorno mi si presenta tutto gioioso, mi abbraccia, mi accarezza, e mi dice: Fratello, ho fatto una bella scoperta, e spero di aver trovato la mia fortuna. Narrami, che contratto avea conoscenza con un degnissimo Uffizial forestiere, il quale incaricato da una Potenza d’Europa di formare un Reggimento novello doveva egli esserne il Colonnello; e come aveva la facoltà di nominare, e creare gli Uffiziali, gli avea promesso un posto di Capitano. Mi posi a ridere, e gli dissi: Fratello, non gli credete. Come! (risposemi). Perché non dovrò credere a un Uffizial d’onore? Ho veduto le lettere, gli ordini, e le patenti...42 Non è stato possibile il persuaderlo, che così presto un forestiere non poteva aver concepito tanta amicizia per lui; e due giorni dopo me lo conduce in casa, mi prega d’invitarlo a pranzo43, e mi obbliga di ascoltarlo. Non l’avessi ascoltato! Non l’avessi mai conosciuto! Fece a me pure la medesima confidenza; mi mostrò varie lettere scritte in Italiano, e provenienti da quella Corte, dalla quale dicevasi incaricato di quest’affare. Mi mostrò una patente amplissima, che lo dichiarava Colonnello di quel Reggimento, che dovea egli formare, colla facoltà di crear gli Uffiziali; e mostrommi in seguito le Credenziali per reclutare quei tali Soldati, che diceva di dovere scegliere. Mio Fratello mi guardava sott’occhio, e si rideva di me, credendomi da tali prove convinto. Io non lo era an-

41 Non così, almeno non «con lo stesso amore», nei Mémoires: «Il avoit tout bonnement quitté le service, et il venoit jouir de sa tranquillité à mes dépens» (I, 43, p. 197); trad. it.: «Egli aveva allora abbandonato niente meno che il servizio e veniva a godersi il riposo a mie spese» (Memorie, p. 248). Non è grande la stima (e l’affetto) di Goldoni per il fratello, che certamente non migliorerà a seguito dell’episodio che fra poco conosceremo. Basta, per questo, leggere un breve passo dei Mémoires, per farsene definitivamente un’idea: «Il avoit la plus haute idée de lui-même; je n’étois pas de son avis, et il étoit scandalisé de ma façon de penser. Il auroit prétendu, par exemple, que je l’eusse proposé pour me remplacer pendant mon absence à Venise, ou que je l’eusse envoyé à Genes, pour solliciter les appointemens de mon emploi; mais je ne le croyois pas fait pour aucune de ces Commissions […]» (I, 44, pp. 198-99); trad. it.: «Aveva la più grande opinione di se stesso; io non ero del medesimo avviso ed egli era scandalizzato del mio modo di pensare. Avrebbe preteso, per esempio, che lo proponessi come mio sostituto a Venezia in mia assenza, o che lo inviassi a Genova, per sollecitare i compensi dovuti alla mia carica; ma io non lo ritenevo adatto ad alcuna di tali commissioni» (Memorie, p. 250). 42 Diplomi. 43 Nei Mémoires (I, 44) è il fratello, di sua iniziativa, ad invitarlo a pranzo, all’insaputa di Goldoni. Il capitolo quarantaquattresimo delle memorie francesi si occupa quasi interamente dell’episodio, ed è un bell’esempio di dialogato teatrale (o romanzesco), dove l’intera famiglia Goldoni è partecipe dell’evento.

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cora perfettamente; però trattai civilmente il Signor Uffiziale44 per non disgustar mio Fratello, con animo di meglio assicurarmi della verità. Lo feci padrone della mia Tavola; ed egli concepì tanto amore per me, che non ha mancato un giorno di favorirmi45. Tutte le settimane aveva egli lettere da mostrare, provenienti da quel tal Principe, sottoscritte da que’ tali Ministri, che sempre sul proposito ragionavano, mettendo in vista quelle somme grandiose di danaro, che dovevano di giorno in giorno arrivare. Mostrava l’altro carteggio co’ suoi emissari sparsi qua, e là per que’ paesi, dove si dovevano ingaggiare i Soldati, e tutti ad un tratto dovevano unirsi uomini, armi, munizioni, e danari. Mio Fratello aveva già avanzato di posto, doveva essere il primo Capitano, ed era per me riserbato l’utile ed onorevole impiego di Auditore del Reggimento46. La mia situazione d’allora mi faceva desiderare, che tutto ciò si verificasse. L’impegno, nel quale mi metteva il mio Consolato47, e l’impossibilità di sussistere senza gli appuntamenti mi faceano prestar orecchio alle belle lusinghe; ma pure non cessava di dubitare, e credere il Colonnello un Impostore, e continuava a trattarlo unicamente per vivere in pace con mio Fratello.

44 Da non perdere la descrizione del «signore uffiziale» nei Mémoires: «Cet homme avoit plus l’air d’un courtisan que d’un Militaire. Il étoit souple, doux, maniéré, le visage pâle, allongé, le nez aquilain, et de petits yeux ronds et verdâtres; il étoit fort galant, très-attentif à servir les dames, débitant des moralités aux vieilles, et tenant des propos agréables aux jeunes, sans que ses historiettes l’empêchassent de bien dîner» (I, 44, p. 201); trad. it.: «Quell’uomo aveva l’aspetto di un cortigiano più che di un militare. Era docile, mite, cerimonioso, il viso pallido, allungato, naso aquilino e occhietti rotondi e verdastri; era molto galante, molto attento a fare complimenti alle signore, recitando moralità alle vecchie e tenendo discorsi piacevoli alle giovani, senza peraltro che le sue storielle gli impedissero di rimpinzarsi» (Memorie, p. 253). 45 Amara ironia. 46 Goldoni doveva ottenere la carica di «gran giudice del reggimento» (Mémoires, I, 44). 47 Goldoni non sottolinea il rischio e l’incompatibilità dell’accadimento in cui era coinvolto con il suo ruolo di console, come invece allude nei Mémoires. L’ingaggio di truppe era punito severamente dal governo veneziano. Vista, inoltre, la situazione di guerra in atto, poteva benissimo, l’«uffizial forestiero», essere una spia, come del resto sembra evidente sospettarlo per quanto racconta Goldoni nei Mémoires: «Je suis à Venise, c’est un pays libre, mais l’affaire que j’y traite actuellement est forte délicate, et pourroit choquer le Gouvernement, à cause de ses nationaux Dalmatiens; il y a des mouchards qui ne me quittent pas, je crains la surprise; si vous pouviez me loger chez vous, je ne serois peut-être pas à l’abri des poursuites de la République, mais j’aurois le tems de les éviter» (I, 44, p. 202); trad. it.: «Io sono a Venezia, è un paese libero, ma l’affare che vi tratto attualmente è molto delicato e potrebbe dar fastidio al governo, per via dei dalmati nazionali; vi sono spie che non mi lasciano in pace, temo qualche sorpresa; se voi poteste ospitarmi, non sarei forse al riparo dalle persecuzioni della repubblica, ma avrei il tempo di evitarle» (Memorie, p. 254).

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Ma allor che vidi de’ Soggetti assai riguardevoli per nascita, e per fortuna, de’ Mercatanti di credito, de’ Ministri ancora, credere alle sue parole, alle sue lettere, alle sue patenti; riconoscere per vere le sottoscrizioni, e i Sigilli, ed accettare gl’impieghi, ch’egli distribuiva, e somministrargli, e trattar secolui del Vestiario quando vidi delle munizioni, e delle condotte, il Medico, il Cappellano, i Vivandieri, i Provvigionieri tutti stabiliti, accordati, ed in buona fede, cedetti anch’io alla credenza comune, e mi lasciai cavar di mano qualche somma considerabile di danaro48: cosa che mi sconcertò all’estremo, e mi gettò in un mare di confusioni. Durò per qualche mese la favola; e quando, stanchi tutti di attendere l’ultima risoluzione, dovea questa verificarsi, sparì il Colonnello, e tutti restarono nella stessa maniera impiegati. Era una bella consolazione per me vedermi accompagnato da sì bel numero di gente di buona fede; ed era un bel conforto per tutti noi il rammentarci l’un l’altro i Sigilli, le sottoscrizioni, le firme, accordando per gloria dell’Impostore, ch’egli era espertissimo nell’imitazione dei caratteri, e delle impronte per giustificare in qualche maniera la dabbenaggine, con cui ci lasciammo ingannare. Ecco l’Argomento della mia Commedia, che ha per titolo l’Impostore49, e che sarà la seconda di questo Tomo, nella quale ci ho fatto entrare il Tenente mio Fratello, e me medesimo col titolo di Dottore e futuro Auditore del Reggimento. Tutta questa Leggenda era per anche stampata in termini somiglianti nella Prefazione di detta Commedia sino dalla sua prima Edizione ; ma non ho creduto poterlo omettere a questo passo della mia vita, perché interessante colla continuazione di essa; e perché n’è da ciò derivato non indifferente cambiamento del mio stato, e della mia fortuna. Il bravo Signor Colonnello colle sue lettere, colle sue patenti, e co’ suoi Sigilli occupa il Frontispizio di questo Tomo. La Fraude e l’Ingratitudine, che sostengono il Cartello, lo accompagnano degnamente; ed il motto latino: Cum relego, scripsisse pudet ecc. spiega la vergogna, ch’io provo anche al giorno d’oggi rileggendo la confession della mia stolidezza. Un Poeta Comico lasciarsi gabbare da un Impostore!50 Cent’altri sono caduti nella medesima rete; ma io doveva cadervi meno 48

Nei Mémoires (I, 44) dichiara seimila lire. L’impostore sarà composto a Modena nel 1754, su invito dell’abate Giovan Battista Roberti per i collegiali di un Convitto gesuitico. La commedia sarà pubblicata successivamente nel t. VII della Paperini (Firenze, 1754), preceduta dalla lettera dedicatoria All’illustrissimo Signor Conte Gasparo Gozzi (cfr. Opere, V). 50 Splendida esclamazione, che si apre a mille illazioni! 49

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degli altri. Io, che avea dipinto un Ladro Imbroglione nel Momolo Cortesan, un Trappola nel Prodigo, un Marcone Scroccone di Piazza nella Bancarotta, mi sono lasciato gabbare, soverchiare, scroccare da un Frappatore!51 Meriterebbe costui, ch’io pubblicassi il nome, e la Patria sua52 per eternare la sua vergogna; ma non l’ho fatto, e non voglio farlo per rispetto de’ suoi onorati Concittadini. Venne costui a rovinarmi in tempo, ch’io avea contratto de’ debiti per la mia sussistenza; e me li fece considerabilmente aumentare. Mi mancò nello stesso tempo la miglior parte delle mie entrate di Modona, consistenti in luoghi di monte, i quali per cagion della guerra non pagavano i frutti. Perdetti sino il picciolo emolumento del Teatro di San Giovanni Crisostomo; poiché S. E. Grimani l’avea ceduto per qualche tempo a quattro Nobili, Patrizi Veneti53, uno de’ quali per naturale temperamento trattommi sì grossamente, che fui in necessità di rinunziare la direzione per non compromettere la mia Carica, e la mia persona. Di più, un Signor Genovese54 venne a rifugiarsi in casa mia sotto l’arme del suo Paese per sottrarsi da’ Creditori e mi fece alterare l’economia dell’ordinario mio trattamento, ed aiutò a sconcertarmi. Disperato in fine di poter ottenere gli appuntamenti, ch’io domandava, presi il partito di allontanarmi per qualche tempo dalla mia Patria, con idea di passare per Modona, provvedermi colà de’ modi di continuar il mio viaggio, e portarmi a Genova per tentare personalmente di ottenere grazia, o Giustizia. Scrissi ai Collegi Serenissimi55, ch’io era in necessità d’intraprendere 51 Raggiratore, come si girano le frappe, da cui prende il nomignolo. Nei Mémoires Goldoni non farà alcuna allusione all’“esperienza” che gli avrebbero dettate altre sue commedie scritte sull’argomento, come, invece, fa qui. 52 Lo farà, invece, nei Mémoires (I, 44): «un ragusien», di Ragusa (Dalmazia), allora una piccola Repubblica indipendente. 53 Goldoni lasciò la direzione del teatro nel 1741. Scriverà, comunque, per il San Samuele un melodramma intitolato Statira, andato in scena nel 1741 per la Fiera dell’Ascensione, e di cui farà menzione nei Mémoires (I, 44). Il melodramma sarà pubblicato nella Zatta nel t. IV (Venezia, 1794). 54 Anton Maria Cambiaso. Ne parla in un suo dispaccio alla Repubblica di Genova del 12 maggio 1742 (cfr. Opere, XIV, pp. 109-110). 55 Al Senato genovese. Due sono le lettere, rispettivamente del 2 e 16 marzo 1743 (cfr. Opere, XIV, CVI e CVIII, pp. 151-153). Il permesso accordato fu di tre mesi. Ed anche questo sollecito (che è in pratica una richiesta per essere sollevato dall’incarico, come accadrà in effetti) lascia sospettare che il caso del «capitano di Ragusa» possa aver nociuto all’immagine di Goldoni anche politicamente, con riflessi non lusinghieri sulla sua condotta pubblica (in qualità di console). Non è chiaro nemmeno se il capitano fosse sul serio un arruolatore segreto del Governo delle Due Sicilie, e non semplicemente un lestofante (cfr. G.M.ME., p. 437). La cessazione dall’incarico è raccontata, difatti, in maniera ambigua, nei Mémoires: «Pendant ce tems-là, on m’écrivit de Genes qu’un Négociant de Venise, sans intention de

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un viaggio, li pregai di accordarmi di mettere alla mia Carica il Sostituto, che ho nominato56; me l’accordarono, e mi disposi a partire in compagnia della mia diletta Consorte, indissolubile Compagna in tutte le mie Avventure57. Varie dicerie ha prodotto la mia partenza. I più maligni mi han creduto fuggitivo, e fallito58. Sapevano alcuni, ch’io in virtù di una Procura di sostituzione fattami dall’Imer, come Procuratore instituito dal Signor Francesco Maria Berio di Napoli suo Cognato aveva riscosso in Zecca la somma in circa di Ducati mille e cinquecento correnti, e si credevano, ch’io fossi partito debitore di questa somma. Posso smentire quest’indegna malignità con due ricevute, una de’ Signori Lambro, e Simon Fratelli Maruzzi di Ducati 620; e l’altra dell’Imer medesimo per intiero saldo di detta somma, detratte le spese59. Al me faire aucun tort, demandoit mon emploi de Consul en cas que je ne voulusse pas le garder, et s’offroit de servir sans émolumens, content d’un titre, qui, vu son état, pouvoit lui être avantageux beaucoup plus qu’à moi: le Sénat Génois ne me renvoyoit pas, mais il me mettoit dans le cas ou de me ritirer, ou de servir gratis. J’adoptai le premier de ces deux partis, je remerciai la République, et je n’y pensai pas davantage» (I, 47, p. 214); trad. it.: «In quel tempo da Genova mi scrissero che un mercante veneziano, senza intenzione di farmi un torto, domandava il mio impiego di console nel caso in cui io non volessi conservarlo e si offriva di servire senza emolumenti, accontentandosi di avere un titolo che, data la sua posizione, poteva risultare più vantaggioso a lui che non a me: il senato genovese non mi licenziava, ma mi poneva un’alternativa obbligata: ritirarmi o servire gratis. Optai per il primo partito, ringraziai la repubblica e non ci pensai più» (Memorie, p. 268). L’opzione è rapidamente sciolta dal Nostro nel 1744; ma, stranamente, dai documenti risulta che la carica non fu occupata da nessuno per sei anni. 56 Certo canonico Baldi, genovese. 57 Goldoni colloca nei Mémoires la sua partenza all’indomani della fuga dell’impostore, ma la data è vistosamente errata; il commediografo lascerà Venezia non prima del mese di maggio o di giugno del 1743 (cfr. G.M.MI, p. 302, n. 35): «Le voleur étoit sorti de Venise le 15 Septembre 1741. Je m’embarquai le 18 avec ma femme pour Bologne» (I, 44, p. 203); trad. it.: «Il furfante aveva lasciato Venezia il 15 settembre 1741. Il 18 mi imbarcai con mia moglie per Bologna» (Memorie, p. 255). 58 Non si può non osservare, maliziosamente, che quando Goldoni si trova impelagato in problemi economici o di carattere amoroso (e forse anche politici, nel nostro caso), sceglie senz’altro la risoluzione della fuga. Basti ricordare l’ultima da Venezia tra il 1732 e il 1733, con in tasca l’Amalasunta, per sottrarsi ai debiti e ad intempestive e costose promesse di matrimonio, narrate alla fine dell’Autore a chi legge, t. X. 59 Goldoni, anche nei Mémoires, narra in dettaglio di essere stato coinvolto in un’accusa di sottrazione di somme. Appaiono dubbie queste pubbliche discolpe, oltre tutto non richieste, del tipo: «ho ancora la ricevuta». Comunque Goldoni si affida, per scagionarsi pubblicamente, e dichiarandolo apertamente, al verbale testimoniale sia delle Memorie italiane che dei Mémoires: «[…] mais les propos, les écrits de ce tems-là pourroient revivre encore après ma mort; et je suis intéressé à conserver dans ces Mémoires ma défense et ma justification» (I, 43, p. 196); trad. it.: «[…] ma quel che si disse e si scrisse allora potrebbe rivedere la luce anche dopo la mia morte e ho tutto l’interesse che queste Memorie conservino la mia difesa e la mia giustificazione» (Memorie, p. 247). L’Ortolani riporta una versione dei fatti, secondo il marchese Giambattista De Mari, ambasciatore di Spagna a

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prezzo di due Tabacchiere d’oro60 trafugatemi in Venezia, e spettanti al Cavalier Genovese, ha supplito immediatamente il Signor Agostino Connio mio Suocero; ed a que’ debiti onesti, e civili, ch’io aveva in Venezia, ho supplito col tempo col sagrifizio delle povere mie sostanze. Ogni uomo d’onore dee render conto al Pubblico della sua condotta. Io particolarmente, che mi espongo a scrivere la mia vita, deggio garantirmi da quella malignità, che mi ha perseguitato vivente, e che non cesserà di oltraggiarmi dopo la mia morte. Non ho altra eredità da lasciare a’ miei Nipoti61, che quella riputazione, che mi hanno acquistata le mie fatiche. Desidero lasciarla loro purgata da ogni macchia, per quanto posso, e fornisco loro le armi per ribattere la calunnia, e la maldicenza62 . Abbracciata dunque mia Madre, e mio Fratello, montai colla Moglie nella Barca63 del Corrier di Bologna, per di là poscia passare a Venezia, gravemente lesiva del comportamento e dell’onore del Goldoni. Ma vanno messe nel conto anche le aspirazioni di altri (il Gambino, il Bardi che lo sostituirà) i quali anelando alla successione nel consolato, spargevano in Venezia maldicenze sul conto del Goldoni (cfr. Goldoni, Opere complete, cit., XXVII, pp. 293-297). 60 Vedi qui, n. 10. 61 Goldoni aveva due nipoti (figli di suo fratello Giovanni Paolo e di Anna Alluigi), «che adottai come figli» (Memorie, II, 22, p. 413). Antonio Francesco, nato nel 1747 (?), lo seguirà a Parigi dall’età di circa quindici anni e gli sarà accanto fino all’ultimo, aiutandolo anche nella redazione dei Mémoires. Nella capitale francese il nipote si impiegherà anche grazie alle raccomandazioni dello zio, vivendo in maniera autonoma. Goldoni ne parlerà spesso come di un figlio. L’altra nipote, Petronilla Margherita, nata nel 1749, resterà a Venezia, dove si sposerà e per l’occasione farà scrivere a Goldoni queste commosse parole: «[…] j’étois bien aise de voir ma niece établie; j’aurois été au comble de ma satisfaction, si j’avois pu assister à ses noces, mais j’étois trop vieux pour entreprendre un voyage de trois cents lieues» (Mémoires, III, 30, p. 566), trad. it.: «[…] ero molto contento di vedere mia nipote sistemata; sarei stato al colmo della contentezza, se avessi potuto assistere alle nozze, ma ero troppo vecchio per intraprendere un viaggio di trecento leghe» (Memorie, p. 682). E saranno le stesse «tresento mia», inserite nei versi dedicati alla nipote per il matrimonio, e scritti l’anno successivo, dal titolo Alla carissima sua nipote Signora Margherita Goldoni Chiaruzzi» (cfr. Opere, XIII, pp. 941-942). 62 Alcuni commentatori ipotizzano che gli stessi Inquisitori, con la mediazione di qualche patrizio influente, abbiano consigliato a Goldoni di allontanarsi per qualche tempo dalla città, evidentemente perché dietro l’accaduto poteva celarsi un delicato caso politico nell’aver ospitato in casa, lui console di Genova, non un banale lestofante, ma una spia o emissario al servizio di governi stranieri, non trascurando il dato che la visita del «raguseo» era avvenuta durante la guerra di successione austriaca (1740-1748) tra Francia, Spagna e Austria, guerra in cui la Francia era in lotta con la repubblica genovese a causa della sovranità sulla Corsica. Anche il Loehner ipotizza che il Raguseo possa essere stato realmente un «ingaggiatore ed agente segreto del Governo delle due Sicilie» (cfr. E.L.ME., p. 352). Non è escluso nemmeno che Goldoni si allontani, anche, a causa soprattutto dei forti debiti contratti e insolvibili. Goldoni tornerà a Venezia nel 1748. 63 Siamo verso la fine di giugno del 1743. Le barche (almeno sei nelle Memorie italiane) sono come fondali teatrali ricorrenti nel racconto goldoniano, occasioni per scene di grande allegria (come ad esempio, nella barca dei «Veneziani di estrazione civile» da Pavia

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Modona. Giunto in Bologna, mi trattenni colà qualche giorno. Gl’Impresari di que’ Teatri64 vennero a ritrovarmi alla Locanda, dov’era. Mi chiesero qualche cosa del mio. Qualche cosa65 lor diedi di quello, ch’io aveva di fatto; corrisposero liberalmente, e mi ordinarono qualche nuovo Componimento, ch’io promisi lor di mandare. Parlando con varie persone del mio stato, e de’ miei disegni, e specialmente del pensiere di andare a Modona, mi sconsigliarono tutti, dipingendomi la pessima situazione, in cui trovavasi quel Paese per la mancanza del Sovrano impegnato in una guerra dispendiosa. Mi dissero alcuni66, che meglio avrei fatto ad andar a Rimini, ove trovavasi S. A. Serenis.67 e tutto il Campo Spagnuolo. A che fare, dicev’io? Il a Venezia) o di drammatici eventi (la fuga, nel 1725, dal collegio Ghislieri di Pavia). Qui bastino questi brevi appunti nei Mémoires: «Triste, rêveur, plongé dans le chagrin, j’allois passer une mauvaise nuit dans cette barque courriere que j’avois trouvée dans d’autres tems très-commode et très-amusante […]» (I, 45, p. 203); trad. it.: «Triste, pensoso, affogato nel dispiacere, mi apprestavo a passare una pessima notte nella barca corriera che, in altri tempi, avevo trovato molto comoda e divertente […]» (Memorie, p. 256). 64 Erano, allora, quattro i teatri funzionanti a Bologna: la Sala (il più antico), il Formagliari, il Malvezzi, il Marsigli-Rossi. Non sappiamo nulla di questi impresari. Goldoni sembra vantare una sua notorietà, perché, almeno a quanto ci racconta, sono gli impresari a cercarlo e non viceversa. 65 Non sappiamo né di quale opera si tratti, né quale abbia promesso. Nei Mémoires scrive di aver consegnato «tre originali da copiare», e fa confusione a proposito della stesura della commedia L’impostore, condotta furiosamente e rapidamente a Bologna, contraddicendo quanto, invece, qui annota, ovvero di essere restato a Bologna «solo qualche giorno»: «On m’avoit demandé à Venise une Comédie sans femmes, et susceptible d’exercices militaires, pour un College de Jésuites. Le faux Capitaine qui m’avoit trompé, me revint à l’esprit, et m’en fournit l’argument. J’intitulai ma Piece l’Imposteur; j’y employai toute la chaleur que l’indignation pouvoit m’inspirer […]» (I, 45, p. 204); trad. it.: «Da Venezia mi era stata chiesta una commedia senza parti femminili, in cui si trattasse di esercizi militari, per un collegio di gesuiti. Mi tornò in mente il falso capitano che mi aveva ingannato ed esso mi fornì l’argomento. Intitolai la commedia L’impostore; vi misi tutto il fervore che lo sdegno poteva ispirarmi […]» (Memorie, p. 256). Ma, ricordiamo che la commedia L’impostore non è stata affatto scritta a Bologna, ma nel 1754 a Modena, vedi qui n. 49. 66 Tra questi «alcuni» c’è, a credere ai Mémoires, l’attore Antonio Ferramonti (il marito dell’amata Antonia, morta a Udine nel 1735) che gli fa compagnia nel soggiorno bolognese, e che lo sconsiglia di allontanarsi alla volta di Modena (a causa della guerra), esortandolo, invece, a partire con lui verso Rimini, dove ad attenderlo ci sarebbe una compagnia di comici (sarà baluginato nel ricordo di Goldoni, al nome di quella città, la felicità della barca dei commedianti?): «Venez, me dit Ferramonti, venez à Rimini avec moi, vous y trouverez une Troupe qui est assez bonne. Je vous présenterai à mes camarades; ils doivent vous connoître, ils doivent vous estimer. Venez avec moi, vous ferez quelque chose pour nous, et nous ferons tout pour vous» (I, 45, p. 205); trad. it.: «Venite, mi dice Ferramonti, venite con me a Rimini; là troverete una Compagnia che è assai valida. Vi presenterò ai miei compagni; devono conoscervi, devono stimarvi. Venite con me, voi farete qualcosa per noi e noi faremo tutto per voi» (Memorie, p. 257). 67 Francesco III d’Este, duca di Modena era arrivato a Rimini il 9 maggio 1743, per mettersi al comando delle truppe spagnole. Nell’estate, a luglio, Goldoni giungerà a Rimini.

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mestier della Guerra non è per me. Altri mi lusingarono, che il Duca medesimo poteva impiegarmi in cose a me convenienti; altri mi parlarono dei divertimenti del Campo, e di una Compagnia di comici, che seguitava l’Armata. Questi ultimi mi solleticavano più degli altri; ma io era in viaggio per far denari, ed andar a Genova. E bene! mi dicevano que’ buoni Amici, fate a Rimini dei denari, e poi anderete a Genova. Il consiglio non mi dispiacque; vi andai68. Sentirete, Lettori miei amatissimi, quali, e quante Avventure ora triste, e ora buone, mi sono arrivate all’Armata; come abbandonate avea le mie Commedie, e come le ho poi con più fervore novellamente intraprese ecc.69.

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Goldoni non fa cenno alla volontà della moglie che, credibilmente, aveva desiderio di arrivare al più presto a Genova fra i suoi parenti; lo farà nei Mémoires: «La proposition ne me déplaisoit pas; mais je voulois consulter ma femme: elle étoit Génoise; nous étions en chemin pour aller revoir ses parens; mais la pauvre enfant! elle étoit la bonté, la complaisance personnifiées. Tout ce que son mari proposoit, elle le trouvoit bon: contente de me voir tranquille et satisfait, elle m’encouragea à suivre mon nouveau projet […]» (I, 45, p. 205); trad. it.: «La proposta non mi dispiaceva, ma volevo consultare mia moglie: era genovese e noi eravamo in viaggio per andare a rendere visita alla di lei famiglia; ma la poveretta! Era la bontà e la compiacenza fatte persona. Approvava tutto quanto il marito le proponesse: contenta di vedermi calmo e soddisfatto, essa mi esortò a seguire il mio nuovo progetto […]» (Memorie, p. 258). 69 Ma non sarà così. Il racconto della vita di Goldoni, nell’edizione Pasquali, cessa definitivamente con la fine del diciassettesimo tomo, che corrisponde alle prime pagine del capitolo quarantacinquesimo dei Mémoires. L’invito di Goldoni potrebbe avere un fondamento se pensiamo alle altre cinque prefazioni forse scritte (e perdute) che il commediografo avrebbe inviato a Venezia. Comunque l’abbreviazione, «ecc.», l’avverbio eccetera è quanto di meglio si poteva sperare in una conclusione, in quanto non chiude il racconto ma lo lascia indefinitamente aperto.

DELLI COMPONIMENTI DIVERSI

TOMO I Agli Associati * CARLO GOLDONI

A Voi, miei amorosissimi Protettori, ed Amici, consacro e dedico il primo Volume delle mie barzelette in verso, dette abusivamente Poesie, poiché la Divina Poesia va trattata diversamente, ed io l’amo, e la venero troppo, per abusarmi del nome suo, e de’ soavi suoi attributi. Questo, ch’io vi presento, è un dono assai miserabile, indegno della vostra cognizione e del vostro buon gusto1, ma è quel dono, ch’io vi ho promesso2, e che alcuni di voi mostrano tanto desiderare, e si dolgono, * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1764 (Pasquali, Venezia), dopo l’uscita del quinto volume delle Commedie. Il tomo comprende «Poesie diverse». L’edizione dei Componimenti diversi doveva, nelle intenzioni dell’autore, essere la «terza parte» dell’edizione Pasquali delle sue Opere e comprendere, come anticipato da Goldoni nell’Autore a chi legge (t. I): «tutte le mie poetiche composizioni edite e inedite, in vari tempi ed occasioni prodotte». Difatti il volume ripete, anche se non completamente, l’impianto dell’edizione delle commedie: sono presenti «un solo Rame nel Frontispizio» che ricalca un momento della vita dell’autore, i disegni allegorici, e una sorta di scrittura prefativa a metà tra una dedicatoria e un Autore a chi legge. Non sono ovviamente presenti le quattro illustrazioni relative alle commedie. Il disegnatore è Pietro Antonio Novelli, Antonio Baratti l’incisore. Il disegno allegorico rappresenta la Commedia, laureata, con una maschera sul petto mentre brandisce un frustino e ha sul grembo delle trombe, di fianco la scritta “describo mores”, mentre a destra sembrano esserci maschere e volti femminili con una cetra. Il cartello retto dalle due figure reca la scritta: “Componimenti diversi di Carlo Goldoni”. La citazione che fregia il frontespizio in calce è tratta da Ovidio, Amores (3, 12, vv. 1-4): «Quodve [sic] putem sidus nostris occurere fatis, Quosve Deos in me bella movere querar?»; trad. it.: «Quale stella dovrei pensare che si opponga al mio destino, quali dèi lamentare che mi facciano guerra?». L’illustrazione è molto ben fatta e consegna l’ansia e l’angoscia di un Goldoni sopraffatto da impegni, richieste di commedie, di versi da scrivere in occasioni di nozze, lauree e altro, come è dato leggere sui fogli disordinati sulla sua scrivania. E le mani nei capelli dell’autore sono come la giustificazione visiva, descritta poi nella prefazione, per i ritardi accumulati nella pubblicazione del tomo promesso agli abbonati. 1 Goldoni mette le mani innanzi. Sa bene che quanto segue: sonetti, canzoni, capitoli, ottave, non hanno praticamente nulla in comune con la “poesia”. Le chiama «barzellette» perché «non ardisco chiamarle poesie», e perché «create per l’occasione, fatte per obbedienza, e dovere». Comunque, sta di fatto, che le pubblica (ma non le vende, le dona!). 2 Fa notare l’Ortolani (Opere, XIII, p. 955) che quanto «promesso» non era presente nel manifesto dell’edizione.

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e mi rimbrottano di averlo, oltre al dover, diferito3. Talluno forse lo dirà di buon cuore, si sovvenirà di aver riso, di essersi compiacciuto di quando in quando di queste mie barzellette, e ne bramerà la raccolta. Qualchedun altro, indiferente per esse, e fors’anche dispregiatore, pretenderà di averle, unicamente perché le ho promesse, o forse ancora, per meglio criticarle, e metterle in brani. Ma no, Amici miei dilettissimi, le mie barzelette non meritano, né la vostra approvazione, né la vostra critica. Vedete bene, ch’io non ardisco chiamarle Poesie. I valorosi Poeti non hanno alcun diritto di criticarle, e quei, che amano le barzelette, le prendono, come le trovano, senza esamimar cosa sieno. Voi non ritroverete un solo fra miei componimenti creato con pretensione, per furore Poetico, per voglia di verseggiare, per imponere, per comparire, per soddisfare la Musa. Cose sono elleno tutte create per l’occasione, fatte per obbedienza, e dovere. L’onore, che ha voluto farmi qualche Accademia, di ascrivermi fra suoi compagni, mi ha obbligato talvolta a comporre per debito, o per gratitudine. In occasione di Monache, o di Sposalizi sono ricorsi al Poeta Comico per rallegrare la Festa; in somma voi non troverete ne’ miei componimenti il Sonetto a Clori, la Canzona4 a Filli, la Poesia di capriccio, ma gli argomenti vi mostreranno la necessità, che ho avuto, bene, o male di scrivere. Alla buon’ora, dirà taluno, ti si passa questa tua necessità, che potrebbe anche essere sollecitata, o dalla vanità, o dall’interesse; ma qual puoi vantare necessità di raccogliere le tue fanfaluche, e di ristamparle in Volumi? Qui mi conviene confessare la verità, ed accordarvi, che io lo faccio per interesse. La nuova edizione delle mie Commedie, che si fa dal Pasquali, a mie spese, é un peso grande grandissimo, e per la spesa, e per la fatica. Ho bisogno dell’aiuto vostro, Associati miei cortesissimi. La speranza di essere favorito mi ha consigliato ad offerirvi un dono, voi ne avete aggradita l’esibizione, ed io sono in debito di mantenerla. Ho diferito un poco troppo, egli é vero, a mantenere la mia parola; dovea comparir questo primo Tomo, dopo il quarto5 delle Commedie; il quinto lo ha preceduto, e questo ancora si è ritardato. È inutile, ch’io vi ripeta le scuse, voi ne siete di già informati, e so, che ne siete persuasi, e mi compatite. Chi conosce Parigi sa l’effetto, che può produrre ne’ primi mesi una sì grande, una 3 Goldoni aveva garantito in dono agli associati all’edizione Pasquali, il presente tomo di «poesie», come si evince dalla lettera a Francesco Albergati Capacelli l’11 luglio 1763: «Ho spedito a Venezia il bisogno per formare il primo tomo delle mie Barzellette volanti; tomo che si darà gratis agli associati, ai quali lo dedico», (Opere, XIV, CIII, p. 291). 4 Canzone. 5 Il quarto tomo apparve nell’estate del 1762.

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si strepitosa Città6; chi ha qualche cognizion di Teatro comprenderà l’impegno di un Autore, che si trasporta da un Paese all’altro, cosi diverso di genio, di costume, di caratteri, e di linguaggio. Queste sono le vere, le sincere giustificazioni del mio ritardo. Crederei, che il non ammetterle fosse un procedere con troppo rigore. Presentemente sono in istato di non più ritardare il seguito della mia impressione. Ho riacquistata la mia primiera tranquillità, ho fissato il metodo alle mie incombenze, ed ai miei piaceri. Torcete il collo, perché ho detto: ed ai miei piaceri? Credete, Signori miei, ch’io voglia tutto sagrificarmi al travaglio, senza respirare, senza mai divertirmi? Scusatemi, voi v’ingannate. Sono di carne, ed ossa, come voi siete. Il Mondo è fatto per tutti; il galantuomo può onestamente profittare delle buone occasioni; io ne ho parecchie di dilettevoli; sarei uno stolido, se le trascurassi, e voi sareste da me peggio ancora serviti. È vero (mi diranno i più facili, i più indulgenti) tu hai ragione, sei nella più bella situazione del Mondo, godine, che buon pro ti faccia; ma perché ritardare il primo Tomo delle tue Poesie... (per carità, non le chiamate Poesie). Perché differire l’adempimento di tua promessa? Non erano cose fatte? Non avevi teco la tua raccolta? Perché tardare a spedirla? Signori miei amatissimi, prima d’inviare le mie Poesie... voleva dire, le mie barzelette, ho dovuto rivederle e correggerle. Le ho rivedute, e corrette; ma saranno elleno perciò migliori di quel, che erano? Giudico certamente, che no, poiché (con buona grazia de’ Signori Toscani) noi sogliamo dire: Il male è nel legno; per significare che sta il difetto nell’intrinseco della cosa, ne’ fondamenti. Saranno sempre le barzelette, che erano, scritte col mio solito stile, e con quel sale, che può produrre la mia Fontana. Vi troveranno qualche cosa di più quei, che non sono del mio Paese, cioè le note ai termini, ed alle frasi più strette del Veneziano linguaggio, avendo io ciò fatto, non perché importi molto l’intenderle, ma per continuare l’idea, che mi sono proposta di far conoscere agli stranieri una tal soavissima lingua. Continuerò dopo queste, amorosissimi Signori Associati, a regalarvi, a suo tempo, il resto delle mie barzelette, terminate le quali, avrete la raccolta de’ miei Drammi giocosi7. Circa alle mie Commedie, il quinto Tomo è sortito, il sesto va sotto al Torchio, travaglio intorno degli altri; spero, che non avrete più a dolervi di me. Io sono assai contento di Voi, della vostra bontà, della vostra pazienza, della vostra costanza. Vi ringrazio; vi bacio le mani, vi auguro lunga vita, e salute. 6 7

Ma basterà leggere la terza parte dei Mémoires. Usciranno nella Zatta, postumi, nel 1795.

TOMO II Agli Associati * CARLO GOLDONI

Ecco il Secondo Tomo delle mie barzellette. Per voi lo pubblico, Signori miei gentilissimi, ed a voi lo dedico, come il Primo. So, che l’avreste voluto dopo l’ottavo Tomo delle Commedie1. So, che avete mormorato aspettandolo. So, che vi defraudo di un mezzo Tomo; ma spero, che in grazia di questa dedica, prendendo meco il titolo di Mecenati, rinonzierete alla rigorosa pretensione degli Associati. Credo, che la grossezza di questo volume2 ricompenserà in parte le vostre perdite, ma se ciò anche non fosse, troppo ci vuole, Signori miei, per ricompensare le mie. Dura, e malagevole impresa è quella * Questa Prefazione, scritta a Parigi, è pubblicata nel 1768. Il tomo comprende «Poesie diverse», e contiene «un solo Rame nel Frontespizio» come annunciato da Goldoni nell’Autore a chi legge (t. I). Il secondo tomo dei Componimenti diversi esce nel 1768, anche se questo volume porta impresso nel frontespizio la stessa data del primo: MDCCLXIV. Il disegno rappresenta Goldoni nell’atto di consegnare il volume ad un probabile postiglione (lo si deduce in quanto costui nella sinistra brandisce un lungo frustino da cavallo) e con l’intenzione di spedirlo dalla Francia a Venezia. Sullo sfondo un giardino che richiama la reggia e il parco di Versailles, ma potrebbe trattarsi, suggerisce la Turchi, di una villa veneta irrimediabilmente lontana. Anche qui il Novelli può avere preso spunto per istoriare il frontespizio dal tema della prefazione di Goldoni tutta annodata dintorno alla “consegna” dei suoi lavori agli «Associati» all’edizione Pasquali. Il disegno allegorico che fregia il frontespizio rappresenta una donna a sinistra che stringe nella mano una pesante ancora (che appunto simbolicamente “trattiene”) mentre a destra un uomo anziano, laureato, (Goldoni?) stringe in grembo un lungo scettro. Il disegnatore è Pietro Antonio Novelli, Antonio Baratti l’incisore. Il cartello, a differenza del primo tomo, riprende la scritta delle Commedie: “Opere di Carlo Goldoni”. La citazione che fregia il frontespizio è di Ovidio, Tristia (1,1, v.1): «Parve (sed [nec] invideo) sine me liber ibis in Urbem» (Epìstulae ex Pònto); trad. it.: «Senza di me, piccolo libro - e non te ne voglio - andrai a Roma»; ma è indicativo riportare l’intero verso di Ovidio: «ei mihi, quod domino non licet ire tuo!», trad. it.: «purtroppo non vi può andare il suo autore!». L’ancora del disegno allegorico, il gesto della consegna al postale, e il verso di Ovidio in esilio a Tomi, si “tengono” tra loro e consegnano la malinconia non poco nostalgica di un Goldoni per sempre, ormai, lontano dalla patria. 1 Il t. VIII delle commedie era uscito nel 1765. Questo secondo tomo dei Componimenti Diversi uscì insieme al t. X delle commedie, nel 1768 ca. (cfr. E.N.M.I., p. 88). 2 Il volume conterà 287 pagine; il primo tomo 270.

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di pubblicar colle Stampe un’opera lunga per associazione. Il mio progetto è stato felicissimo ne’ suoi principi, e poche opere si sono incominciate con sì buon numero di concorrenti. Devo ciò all’amicizia, e alla protezione, piucché al merito della cosa; ed io mi lusingava, che questa protezione, e quest’amicizia dovessero essere più costanti3. Sento a dirmi, ch’è mia la colpa, che il ritardo annoia, e che il dubbio della continuazione raffredda. Ho tante volte avvanzate le scuse del mio ritardo, ch’è inutile, ch’io le ripeta. Mi si permetterà soltanto di rimarcare, che quest’opera non è un Dizionario, i di cui primi Tomi siano inutili senza gli ultimi4; e che l’amicizia e la protezione poteano compatire le mie circostanze, tanto più, che l’interesse non veniva ad essere pregiudicato. Soffro con rispetto l’abbandono di quelli, che mi hanno lasciati i Corpi imperfetti, e mi convien diferire il Catalogo degli Associati, affine di renderlo un giorno meno voluminoso, ma più sicuro. A voi, dunque, miei amorisissimi Protettori, e costanti Amici, a voi dirigo questa mia lettera, e dedico questo secondo Volume de’ miei componimenti diversi5. Riceveteli nello stesso grado, e colla medesima considerazione dei primi. Sono sempre le medesime barzellette, cui non ardisco dare il titolo di Poesie. Vivete sani, e felici, e conservatemi la vostra protezione, e l’affetto vostro.

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Il testo contiene già le prime avvisaglie delle difficoltà dell’edizione Pasquali. Bello il paragone, il sottolineare la differenza tra un «Dizionario» e una raccolta di commedie, la cui completezza o continuità non è prerogativa inderogabile. 5 Goldoni rimarca, con forza, la differenza tra l’essere un semplice «Associato» all’edizione e un suo «costante amico», a cui non è sempre indispensabile chiedere fiducia. Il finale di questa prefazione sembra aderire di più ad una lettera indirizzata ad amici, che a semplici lettori acquirenti. 4

ALLEGATI

AL SERENISSIMO PRINCIPE DI VENEZIA

Serenissimo Principe Carlo Goldoni, umilissimo servo e suddito fedelissimo di V. S., umilmente l’espone, come, datosi da molti anni allo studio delle Opere teatrali, ebbe la fortuna di vedere le sue produzioni compatite, e aggradite sul Teatro non solo, ma colle stampe ancora, onde fra le edizioni di Venezia e quelle Straniere se ne contano fino a quest’ora dodici varie Impressioni, tutte per altro a brani a brani stampate, male impresse, scorrette, senza alcun fregio, con poco decoro dell’Autore e della Patria, dove sono nate, e per cui sono state e lavorate, e prodotte1. Che però l’Oratore suddetto ha concepito la vasta idea di unirle tutte in una sola edizione, comprendendovi in vari Tomi, che arriveranno forse ai cinquanta2, tutte le sue Commedie, Tragedie, Tragicommedie, Drammi seri, Drammi buffi, Farse, Introduzioni, Intermezzi, e di più tutte le di lui poetiche composizioni volanti, stampate in varie occasioni, e non stampate, unendovi trenta e più pezzi Teatrali finora inediti, ed altri che andrà componendo, facendo in tutte le dette Opere sue notabili cambiamenti, traduzioni da lingua a lingua, e di verso a prosa3, e varie correzioni utili e decorose, dando a questa nuova edizione il titolo di Opere tutte di Carlo Goldoni. S’impegna l’Oratore 1 È quanto scriverà nell’Autore a chi legge del t. I. Goldoni giustifica la necessità di raccogliere in una edizione omnia quanto “disperso” in svariate edizioni, e per di più «male impresse». Ma si legge, soprattutto, tra le righe, la contezza di un autore che ha raggiunto una sua notorietà, consapevole di quanto sia fragile e quanto sia necessario vieppiù affermarla. 2 Goldoni non sembra aver chiaro ancora la reale mole che assumerà la Pasquali; nell’Autore a chi legge (t. II), ridurrà il numero dei volumi promessi a «quaranta». La Pasquali, come sappiamo, comprenderà diciassette tomi, a cui si andranno ad aggiungere i due tomi Delli componimenti diversi (1764 e 1768 ca). 3 Si riferisce alla promessa, ribadita nel paragrafo XIII della Lettera..., ma non mantenuta, di «tradurre in prosa» le commedie scritte in versi martelliani.

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umilissimo di rendere una tale edizione tanto colta e magnifica, quanto esser possano le migliori edizioni forastiere, e nella forma del libro, e nella scelta della carta e caratteri, e nelle vaghezza di cinque Rami per Tomo, disegnati e intagliati dagli ottimi Professori, che non mancano in questa Serenissima Dominante. Ma poi che per mandare ad effetto un’opera così vasta e cosi dispendiosa, vi si richiedono grandiosi esborsi, e non lieve fatica, prostrato l’Oratore suddetto all’Augusto Trono di V. S., supplica ossequiosamente, ed implora la clementissima Grazia di un Privilegio per anni 20 a lui e suoi legittimi Eredi, con facoltà di nominare un stampatore di questa Serenissima Dominante, e di cambiarlo, occorrendo, se mal corrispondesse coll’esecuzione al progetto, sempre con partecipazione a chi spetta, in virtù del quale possa egli solo, per detto tempo, o suoi legittimi Eredi, stampare le suddette Opere col titolo sopraccennato, onde derivare ne possa quell’utile e quel decoro, che si prevede al commercio di queste Stampe, ed all’Autore medesimo. Grazie. 29 dicembre 1760

LETTERA DELL’AVVOCATO CARLO GOLDONI A’ suoi amorosissimi Mecenati, Padroni, Amici, ed Amatori delle Opere sue Teatrali, e delle serie, e giocose di lui Poetiche Composizioni *

Nell’anno 1753 scrissi e pubblicai colle stampe una simil lettera da Firenze, progettando in allora una ristampa ed un supplemento delle Commedie, ch’io aveva sino a quel tempo composte, e giunse il numero alle cinquanta1. Invitai il pubblico a favorirmi con qualche amichevole associazione, per darmi coraggio di principare, e modo di proseguire un’Edizione, che quantunque limitata a soli dieci Tomi, e senza adornamenti di Rami, eccedeva le forze mie, e fu cosi fortunata quella mia intrapresa, che in brevissimo tempo il numero degli Associati assorbì intieramente * Questo manifesto dell’edizione Pasquali fu diffuso sotto forma di volantino, nell’aprile del 1761, a Venezia. È un convincente esempio di pubblicità informativa, densa di notizie pratiche ben mescolate a motivi esteticamente seducenti. L’edizione veniva presentata come un’opera definitiva e di gran pregio, indirizzata non soltanto agli estimatori del teatro, ma anche ai bibliofili per la qualità stessa della fattura dei volumi, così puntigliosamente descritta dall’autore stesso. È anche facile cogliere l’affanno e la voglia di sedurre (anche con scaltrezza) da parte di un autore teso a consolidare in un’opera definitiva tutto quanto ha scritto; un’opera da avviare non soltanto ai lettori contemporanei quanto soprattutto a quelli futuri: la solidità ben stampata e ben rilegata di un’edizione serve anche a mantenerla “salda” (e lo è ancora) fin sulle scrivanie di oggi. L’ingresso nella “storia della letteratura” passa anche attraverso pagine ben ordinate e ben curate (e anche ben stampate) e di questo la modernità dell’ “editore” Goldoni ne è testimonianza inconfutabile. 1 È il Manifesto dell’edizione Paperini di Firenze (1753-57), intitolato Lettera dell’Avvocato Carlo Goldoni ad un amico suo di Venezia [Firenze, 28 aprile 1753]. La lettera apparve su un foglio volante, per poi essere riprodotta nel t. I della Paperini (cfr. Opere, XIV, pp. 454-460). A cui seguirà la lettera, inserita nel t. X dell’edizione Paperini (1757), diretta Agli umanissimi signori associati alla presente edizione fiorentina (cfr. Opere, XIV, pp. 461-462), e con cui Goldoni prenderà congedo dagli abbonati all’edizione.

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la mia Edizione, e molti restarono scontenti di aver tardato a soscriversi, ed alcuni, che ad ogni costo volevano impossessarsene, hanno dovuto pagare i Tomi quasi al doppio, procurandoli da quelli, che al fissato prezzo li avevano per associazione acquistati. La verità di questa asserzione sussiste in oggi evidentemente, sendo quasi impossibile ritrovar un corpo della suddetta mia Edizione fiorentina, alla quale hanno supplito colle ristampe Pesaro, Bologna, Turino, e Napoli2. Eccomi nuovamente accinto a proporre, ed effettuare una novella Edizione delle Opere mie, e non di quelle soltanto, comprese ne’ dieci Tomi della Edizione fiorentina3, e nelle respettive ristampe, ma di quelle ancora scritte posteriormente, e che andrò scrivendo nel corso del tempo necessario al termine di questa mia voluminosa Edizione4. Umiliate per tale oggetto le mie ossequiose preci al Serenissimo Principe5, ottenni dalla pubblica Sovrana Clemenza un privilegio esclusivo per anni venti, onde per non abusarmi di tanta beneficenza, non lascierò di contribuire con tutte le forze mie all’ornamento e decoro delle venete stampe, e di queste Opere, nate per la maggior parte in questa Serenissima Dominante, che con tanta benignità, e clemenza ha saputo animare un suddito alla carriera difficile di divertire il pubblico onestamente. Prima d’inoltrarmi a descrivere la qualità6 del mio novello progetto, protesto a tutti quelli che hanno acquistato sinora i Tomi delle Commedie da me stampate, non intender io di rendere le suddette Edizioni screditate, o imperfette, affine di accreditare questa, che ora intraprendo, poiché chiunque si contenterà di avere le sole Commedie stampate, come si vedono presentemente, non avrà bisogno di caricarsi di nuova, e maggiore spesa7. Intendo di voler fare un’Edizione per quelle persone, che amano i libri nobilmente stampati8, e che non guardano a spesa per il piacere 2 «Rispettivamente le edizioni Gavelli, San Tommaso d’Aquino, Fantino e Olzati, Venaccia» (cfr. E.N.M.I., p. 398). 3 La Paperini. 4 Goldoni conosce bene la forza attrattiva del nuovo. È questo un “espediente” usatissimo da Goldoni, e non soltanto in questo manifesto. 5 Vedi la supplica al Serenissimo Principe. 6 Il lemma «qualità» serpeggia per tutto il testo. 7 Goldoni vuole apparire corretto verso i suoi “vecchi” lettori. Pencola tra la suggestione della nuova edizione (con nuove commedie), senza, d’altro lato, voler «screditare» le precedenti edizioni e il relativo acquisto. 8 I bibliofili. Goldoni intendeva realizzare un’opera lussuosa, ma anche maneggevole.

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d’averli, e però a questi tali dirigo la presente mia lettera, e senza più, entro a dirittura nella estesa9 del mio progetto, cui dividerò in vari capitoli numerati per potermi meglio spiegare10. I. Sarà l’Edizione completa, come dissi a principio, includendovi tutte le Opere mie, consistenti in Commedie, Tragedie, Tragicommedie, Drammi seri, Drammi buffi, Intermezzi, Introduzioni sceniche, Poemetti sacri e profani, Serenate, Cantate, Sonetti ed altri Poetici Componimenti, che esciti mi sono, o mi esciran dalla penna sino al termine di essa edizione privilegiata, col titolo di Opere tutte dell’avvocato CARLO GOLDONI. II. Ogni Tomo comprenderà quattro Commedie, o Tragedie, o sei Drammi musicali seri, o buffi; e quei Tomi, che saranno composti da altri componimenti di minor mole ne conterranno quella porzione, che vaglia ad equiparare all’incirca il numero de’ fogli degli altri Tomi suddetti. III. Ciascheduna Commedia, Tragedia, Dramma ecc. avrà la sua Prefazione, e la sua lettera dedicatoria, come ora si leggono nelle Edizioni gia fatte, e parimenti quelle finora inedite non andranno senza una simile decorazione. IV. In ogni Tomo, cominciando dal primo, vi sarà una Commedia, o una Tragedia non ancora stampata11, e così nei Tomi drammatici, e molto più in quelli delle miscellanee composizioni. V. Tutti i Tomi saranno decorati con cinque Rami disegnati, e intagliati dai migliori professori12, che qui non mancano, senza riguardo a spesa, de’ quali cinque Rami, il primo servirà al frontispizio13, e gli altri quattro precederanno le respettive Opere14, istoriandone nella miglior forma il principale argomento. VI. La forma del Tomo sarà in duodecimo di carta grande, nella maniera, come si vedono stampate le opere Teatrali, e di molti altri generi ancora, in Francia, in Inghilterra, in Olanda, e in varie parti

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Nel particolare. Ma anche meglio puntualizzare e memorizzare; ogni paragrafo ha la concisione, la precisione e la persuasività di uno slogan. 11 È quel che costituisce la novità della Pasquali. Torna la seduzione del nuovo. 12 Gli illustratori e gli incisori dell’opera furono quattro: Pietro Antonio Novelli, Antonio Baratti, Giuseppe Daniotto, illustratore della commedia Il giocatore e Marco Sebastiano Giampiccoli, quest’ultimo impegnato soltanto in due incisioni. 13 Il «Frontispizio istoriato» relativo a momenti della sua vita. 14 Le quattro illustrazioni, ciascheduna relativa ad una commedia. 10

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d’Europa, riescendo i Tomi di tal figura comodi a leggere, ed a portare in saccoccia15. VII. La carta sarà della maggior bianchezza, e consistenza, che dar si possa dalle buone cartare16, e sarà espressamente ordinata di quella grandezza, che possa formare un bel dodici, grande, e proporzionato, con bel Margine, sull’esempio delle migliori Edizioni. VIII. Il carattere sarà nuovo, proporzionato, di bella veduta, e di facile intelligenza. IX. Siccome si desidera un’Edizione che sia comoda ancora per gli stranieri, i quali intendono il buon Italiano, o possono facilmente intenderlo coll’aiuto dei Dizionari, ma trovano delle difficoltà nell’intendere il Veneziano, e il Lombardo, così in tutte le Commedie, che sono per intiero o per la maggior parte Veneziane, si faranno in piè di pagina con carattere diverso tutte le spiegazioni più necessarie dei termini, dei vocaboli e delle frasi Veneziane, o Lombarde17. X. Circa alla correzione della stampa, io m’impegno di abbadarvi personalmente, ma siccome l’autore di un’opera non può essere mai buon correttore delle opere sue, scorrendo facilmente dagli occhi gli errori a colui, che sa la cosa a memoria, sceglierò i più accurati, e facendo passare i fogli per varie mani, mi lusingo, che l’Opera riescirà correttissima18. XI. Le Opere mie suddette non saranno confusamente collocate nei Tomi, vale a dire non si mischieranno Commedie, Drammi musicali o Poesie d’altro genere in un medesimo Tomo, ma l’Opera si dividerà in varie classi formando i Tomi di sole Commedie, o di soli Drammi, o di Poesie miscellanee. 19 XII. Ricordomi aver io promesso in una delle mie Prefazioni nella Edizion fiorentina un Dizionario comico. Non l’ho perduto di vista, ed assicuro il pubblico che io lo vado di giorno in giorno perfezionando, e al fine dell’Edizione, che ora intraprendo, si darà ancor esso a chi averà piacere d’averlo20. XIII. Alcune delle mie Commedie sono scritte in versi, che diconsi 15 Tascabili, ma non accadrà così. I volumi uscirono in un formato più grosso, in ottavo grande. 16 Cartiere. 17 Non sarà così per tutte le commedie in veneziano. 18 Una previsione che risulterà infondata, a causa della partenza imprevista dell’autore per Parigi. Inizialmente, ma per breve tempo, le bozze dei primi tomi furono affidate alla correzione di Gasparo Gozzi (cfr. Mémoires, II, 46, p. 434). 19 Alla commedia Le massere. 20 Non sarà così. Vedi t. I, p. 105, n. 39.

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martelliani, e di esse abbonda specialmente il mio nuovo Teatro Comico, che si stampa dal signor Francesco Pitteri21, e che si continuerà sino al Tomo decimo, ma siccome molti amano cotal verso, ed a molti forse non piace, così allora quando nella mia presente edizione ristamperò le Commedie del detto nuovo Teatro, (a riserva di alcune poche, alle quali è indispensabile il verso) tradurrò in prosa le altre in maggior numero con quell’attenzione che merita un tale impegno22. XIV. Alcuni si lagnano degli autori viventi, perché nel ristampare che fanno le Opere loro, cambiano sempre, ed aumentano, e migliorano le cose stesse, e non sono mai certi, che l’Edizione che comprano abbia ad essere perfetta, temendone in appresso un’altra migliore. Lo stesso diranno di me, se oltre le proposizioni suddette, vi aggiungo quella di correggere, e migliorare, e polire le Opere, che sono per ristampare, rendendo a migliore coltura lo stile, i termini, ed alcune frasi. Ma ciò non ostante lo dico, e sono in impegno di farlo, per lasciare, per quanto mi è possibile, dopo la mia morte, miglior riputazione di me, e rendere men disonore, ch’io posso alla mia Patria, ai miei posteri, alla mia Nazione. Posso bensì promettere, e sull’onor mio lo prometto, che, fin ch’io viva, non sarà da me in verun modo questa mia Edizione alterata, né presterò l’assenso né i mezzi ad alcuno, perché possa alterarla, col pretesto de’ miei pentimenti, o cangiamenti, o correzioni; e se la sorte mi favorisse a segno di poter ristampare io medesimo quest’Opera voluminosa, sarà sempre la stessa; ma non è così facile, che da me, né da altri sia ristampata, poiché la quantità dei volumi, e lo studio, e la eccedente spesa di essi può facilmente disanimare. XV. Finora ho parlato dell’idea dell’Opera riguardo al piacere, ed al comodo de’ leggitori, ora principio a parlare di ciò che risguarda al mio interesse, ed al modo di condur a fine un’intrapresa di tal natura. Il prezzo dunque di ciascun Tomo sarà di sei paoli romani, legato in quella maniera, che dicesi dai Francesi broché 23. La spesa è eccedente, il confesso, allo scarso merito delle Opere mie ed alla mole materiale del libro, ma spero non sembrerà sì gravoso, a chi vorrà riflettere alla spesa dei Rami, dei caratteri, e della carta, e avrà riguardo alla fatica, e alla diligenza dell’edizione. Quelli, come dissi di sopra, che si contenteranno delle cose, come si vedono presentemente, li avranno dai 21 22 23

Nuovo Teatro Comico, 10 voll., Venezia, Pitteri, 1757-1763. Anche questo impegno non sarà mantenuto da Goldoni. Rilegato con filo.

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rispettivi editori. Io carico di maggiore spesa quelli, che non ispendono malvolentieri, e siccome le Opere mie non sono, né pane, né vino, chi non può spendere non se ne dee lamentare24. XVI. Al prezzo suddetto di paoli sei invito, e supplico tutti quelli, a’ quali il presente foglio è addrizzato, volersi cortesemente associare, onorandomi in tempo dei loro nomi, e della cortese anticipazione de’ sei paoli pel Tomo primo, alla consegna del quale si compiaceranno pagare altri paoli sei pel secondo anticipatamente, e ciò similmente in seguito di tutti gli altri sino al numero, che sarà fissato. Mi aspetto, che alcuni per associarsi, e per favorirmi della desiderata anticipazione, mi domandino quale avvantaggio proponga io agli Associati, e a qual maggior prezzo pagheranno i Tomi quelli, che non si associano. Signori miei gentilissimi, se avete qualche pratica di mercanzia libraia, saprete benissimo, che in tutte le associazioni alle stampe si propongono due prezzi, ma accade poi qualche volta, che chi non è associato, al fine dell’Opera, ha il Libro allo stesso prezzo, che l’hanno avuto gli sottoscritti. A che serve dunque, ch’io vi invaghisca di un avvantaggio ideale, e che se fosse anche vero, sarebbe per voi insensibile? Le cose, ch’io posso dire per allettarvi a rendermi da voi graziato uditele cortesemente. Prima di tutto darete a me il modo, e il coraggio di proseguire un’Opera, che deve a voi dar piacere, e figuratevi di farla voi stessi per vostro compiacimento, e quanto più sarà l’Edizione purgata, e adorna, e comoda, tanto più vi compiacerete d’avervi contribuito. Io nel numero delle copie da porre al Torchio mi andrò regolando all’incirca secondo l’affluenza de’ concorrenti, e all’ultimo succederà come accadde della edizione mia fiorentina: chi sarà associato, avrà l’Opera; chi non lo sarà, starà senza25. Sarà dunque il vantaggio per quelli, che bramano le Opere mie ben stampate, la sicurezza d’averle. XVII. Per tutti quelli, che favoriranno di unirmi dieci Associati, esibisco un corpo intiero per grata ricognizione26, cioè un Tomo ogni dieci Tomi, semprecché mantenghino lo stesso numero, e mi facciano avere in tempo le respettive anticipazioni. 24

Il prezzo di ogni tomo era decisamente caro, ma Goldoni non demorde dal vantare l’edizione, pur inserendola tra le spese superflue (non sappiamo con quanta ironia). 25 L’astuto pubblicitario Goldoni ventila concretamente l’ipotesi per chi non si associa (sperando così di acquistare il volume allo stesso prezzo di chi è invece abbonato) il rischio di restare con un’opera monca, visto che l’editore stamperà tante copie quanti saranno gli associati (ma sarà vero?). 26 Ricompensa.

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XVIII.

Il primo Tomo escirà, a Dio piacendo, entro il mese di Agosto , e in seguito esciranno quattro Tomi l’anno, prendendo la cosa comoda, per cagione dei Rami e delle diligenze necessarie alla buona riuscita, e stiano pur certi i Signori Associati, che se il Signore mi concede vita, e salute, sarà l’impegno religiosamente osservato, poiché tutti i materiali vi sono, e trovandomi io in Patria, da dove non mi allontanerò sino alla fine dell’Opera28, sarà piuttosto sollecitata, che ritardata una tale Edizione. XIX. Quelli, che vorranno favorirmi della loro soscrizione, e respettiva anticipazione, non avranno, che da dirigersi a me medesimo, o al Signor Giambattista Pasquali libraio in Venezia, ch’è quello appunto, che cogli accreditati suoi Torchi, e coll’abilità, ed integrità sua nota al pubblico, manderà ad effetto la mia propria Edizione. Di più, per maggior comodo de’ Signori Associati si darà in ogni paese il nome di persona, che avrà la facoltà di ricevere la soscrizione, e il danaro, e l’incombenza di consegnare i Tomi: avvertendo però, che la spesa del porto de’ libri, e delle rimesse sarà tutta a carico de’ Signori Associati medesimi. XX. Se alcuni di quelli, che si saranno soscritti, ed avranno sborsata l’anticipazione pel primo Tomo, al ricevere dello stesso saranno malcontenti, e lo troveranno indegno della loro buona accoglienza, saranno in libertà di lasciarlo, e sarà restituito il danaro29. XXII. Spero dunque di essere favorito con abbondanza, e sollecitudine, e non lascio per viltà di accingermi a sì grand’impresa, lusingandomi di riportarne onore, ed utile, protestandomi, ch’io non lo faccio, come tanti più generosi di me, per il bene del pubblico solamente, ma anche per mio particolare interesse, e perciò alla buona Fortuna, ed alla vostra protezione mi raccomando. 27

Venezia questo dì 1 Aprile 1761

27 Non è certo quando esattamente uscì il primo tomo, certamente dopo il 21 luglio 1761, data dell’autorizzazione alla stampa da parte dei Riformatori dello Stato di Padova. 28 Il destino di Goldoni (e dell’edizione) sarà diverso: in agosto gli giungerà l’invito ufficiale della Comédie Italienne di Parigi. Ma non era forse già nell’aria la sua partenza, se il 5 settembre 1761, aveva scritto a Francesco Albergati: «sono tre anni che si carteggia col Teatro italiano [di Parigi] per andare dirigerlo, cioè a dar colà delle opere mie, sul gusto di quel paese»? in Opere, XIV, LXXIII, p. 243. 29 Goldoni le escogita tutte. Comunque è questa una forma di garanzia ancora oggi attuata.

LETTERA DELL’AVVOCATO GOLDONI AL SIGNOR GIAMBATISTA PASQUALI

Parigi, lì 14 Febbraio 1763.

Voi avete aspettato sin’ora, ch’io vi mandassi la dedica, e la prefazione per la quarta Commedia del tomo quinto; io ho diferito a mandarla, e non ve ne ho detto mai la cagione1. Eccovi ora disvelato il mistero. Attendea, che si rappresentasse a Parigi la mia prima Commedia, con animo, se riusciva, di porla nel quinto Tomo suddetto, e se cadeva, lasciar correre l’altra, ch’era già destinata. La malattia di due principali attori ha procrastinato la recita sino ad ora. Vi sarete voi impazientato, e più di voi impazientati si saranno quei, che aspettano il Tomo. Finalmente la commedia andò in iscena il dì 4 di questo mese; l’esito di essa è stato felice, l’ho fatta immediatamente copiare, ve la spedisco colla dedica, e la prefazione, vi prego cambiar il foglio, che indica le quattro Commedie del Tomo, stampatela in luogo dell’altra, che riserberete pel sesto, e fate, che dal bravo Novelli, e dal valoroso Baratti sia disegnato, ed eseguito il rame adattato2. Desidero, che questa mia Commedia abbia nelle stampe quella fortuna, che ha avuto qui rappresentata. Ella è assai breve, e non vorrei, che la leggerezza del tomo facesse, che qualcheduno avesse da lamentarsi, tanto più, che nel quarto mi ho preso l’ardire di porne una di un atto solo3. Ho 1

L’amore paterno, rappresentata a Parigi il 4 febbraio 1763. La giustificazione è presente nell’Autore a chi legge premesso alla commedia L’amore paterno o sia la serva riconoscente. Si veda anche quanto osserva Andrea Fabiano nella Nota al testo dell’Amore paterno, cit., pp. 73-94. 2 Sembra di capire che Goldoni non invia nessuna indicazione o bozzetto per la vignetta, ma si affida all’estro inventivo del Novelli. 3 L’avaro.

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pensato di accrescere un poco il volume, con qualche cosa che non dispiaccia. Vi è noto aver io stampato un estratto della mia Commedia in Francese. Alla Testa di esso vi è una mia lettera al Traduttore, ed una risposta di Lui, che gli ha fatto onore in Parigi, e che sarà gradita in Italia. Voi sapete da chi avere l’estratto in Venezia, fatela tradurre in lingua nostra Italiana, e stampate la sua, e la mia unitamente alla fine del libro; e per rendere conto al pubblico del motivo delle due lettere, e della ragione, per cui si stampano, stampate anche questa, se così vi piace4. Con questa buona occasione fate sapere al pubblico, e specialmente a’ miei cortesi associati, ch’io non mi scordo del Tomo di gratificazione promesso, che travaglio attualmente intorno alla correzione de’ Poetici componimenti, e che quanto prima ve lo spedirò per istamparlo5. Domando grazia, e perdono per il ritardo. Quando ho intrapresa la stampa della mia novella edizione, quando mi sono impegnato co’ miei manifesti, io non mi sognava di dovere venire in Francia6. Il mio viaggio, la mia malattia in Bologna7, lo stordimento de’ primi mesi in questa gran Capitale, la necessità di conoscere un poco il Paese, lo studio di una prima Commedia8, e l’incertezza dell’esito mi hanno fin’ora talmente occupato, che a fatica potea scrivere qualche lettera, e voi ne siete buon Testimonio, giacché saranno due

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Esegue il Pasquali in coda al t. V, dove compaiono la Lettera dell’Avvocato Carlo Goldoni al Signor Giambatista Pasquali (Parigi li 14 Febbraio 1763); Lettera del Signor Goldoni al Signor Meslé [s.i.d.]; Lettera del Signor Meslé in risposta a quella del Signor Goldoni (Parigi, 10 novembre 1762). 5 Si tratta del I tomo dei Componimenti diversi, Venezia, Pasquali, 1764, offerto in omaggio agli abbonati all’edizione delle commedie della Pasquali. 6 Se la lettera di richiesta del privilegio indirizzata Al Serenissimo Principe di Venezia porta la data del 29 dicembre 1760, si può ipotizzare, con buon margine, che il Goldoni avesse da tempo avviato contatti con Parigi. Un suo possibile trasferimento nella capitale francese appare assolutamente non improvviso né occasionale. E quanto scriveva a Francesco Albergati, il 5 settembre 1761, che proprio il viaggio a Parigi avrebbe potuto dare un «moto grandissimo alla mia edizione» (Opere, XIV, LXXIII, p. 243), potrebbe far supporre che Goldoni abbia voluto avviare la nuova edizione proprio approfittando della concomitanza con l’esperienza parigina. Ma questa resta ovviamente una congettura. Da notare, ancora, la certezza ostentata al paragrafo XVIII della Lettera... [1 aprile 1761] del suo non allontanamento da Venezia, durante la pubblicazione della Pasquali: «Trovandomi io in Patria, da dove non mi allontanerò sino alla fine dell’Opera». 7 Il viaggio di Goldoni verso Parigi fu lunghissimo (circa quattro mesi) e pieno di tappe intermedie; una di queste, Bologna, fu la più lunga, più di un mese, a causa di una malattia di «umor reumatico», come si evince nella lettera a Gabriele Cornet, scritta a Bologna il 25 maggio 1762 (Opere, XIV, LXXVIII pp. 249-250). 8 È la commedia Il padre contento che prenderà poi il titolo L’amore paterno o sia la serva riconoscente (1762-1763).

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mesi, ch’io non vi scrivo9. Ora grazie al Signore, ho l’animo assai tranquillo. Gli affari non m’imbarazzano soverchiamente. I giorni si allungano. La stagione va verso al buono, farò quello che mi conviene, e gli associati saranno di me contenti. Ditemi, per mia consolazione, se ciò vi pare, che vada bene, se i miei amici mi compatiscono, se mi amano, se voi continuate ad amarmi ec. P.S. La stessa mia Commedia sarà stampata ancora a Parigi, non in Italiano, ma tradotta in Francese10.

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Il tutto è splendidamente condensato nel capitolo secondo dei Mémoires. In lingua francese apparve soltanto l’Extrait. Ricorda Roberta Turchi che si deve a Ginette Herry la traduzione francese dell’Amore paterno: «vedi C. Goldoni, Les années françaises, Imprimerie nationale éditions, s. l., 1993, vol. I, che contiene L’amour paternel, traduction et notes de G. Herry; Le mariage sur concours, traduction et notes de S. Favalier», in E.N.M.I., p. 403, n. 13. 10

LETTERA DEL SIG. DOTTOR CARLO GOLDONI A GIAMBATISTA PASQUALI

No, Signor Pasquali amatissimo, non ho perduto di vista la nostra Edizione1. Rispetto il Pubblico, con cui sono impegnato, mi sta a cuore l’onor mio, e l’onor vostro, e se sono trascurato naturalmente, e un poco troppo quando si tratta del mio interesse, non lo son certamente quando si tratta dell’interesse degl’altri. Vi ho ceduto la mia Edizione, vi ho ceduto il Privilegio, accordatomi dalla Clemenza del Prencipe Serenissimo2; Voi siete divenuto il solo Padrone delle Opere mie; sono contento delle condizioni proposte da terza persona3, alle quali vi siete arreso assai docilmente, e sarebbe un abusare della vostra amicizia, e della buona fede, con cui avete meco trattato, se io vi lasciassi sprovveduto de’ materiali, per la continuazione dell’Opera, che deve certamente essere terminata. Per prima prova del vivo interesse, ch’io prendo ora in ciò piucchemai, ho spedito per la via di Lione all’onoratissimo Sig. Gabriele Cornet, un pacchetto contenente dodici Commedie mie inedite, rivedute, corrette, e delle loro Prefazioni fornite. Se continuate il metodo 1 Goldoni fa riferimento alla lunga pausa di almeno cinque anni nella pubblicazione dei tomi che si fermarono al tomo X (1768), per riprendere con il tomo XI che uscì nel 1773. Come sembra evincersi nel seguito della lettera, il commediografo cedendo in pratica i suoi “diritti d’autore”, appare dispensato da ogni forma di pagamento, ma è altresì impegnato a consegnare all’editore i «materiali, per la continuazione dell’Opera». 2 Stampato in coda al primo tomo della Pasquali, riporta la data «1760, 8. Febraro». 3 Non conosciamo esattamente le «condizioni» né il nome dell’intermediario, che potrebbe essere, ma è soltanto un’illazione, proprio Gabriele Cornet, grande amico del commediografo (numerosissime le lettere a lui inviate da Goldoni a Parigi) e a cui il Nostro invia il «pacchetto contenente dodici Commedie mie inedite, rivedute, corrette, e delle loro Prefazioni fornite», come a manifestare concretamente il rispetto dei patti. Non sappiamo quali delle commedie inedite inviate furono poi pubblicate nei restanti sette tomi dell’edizione, mentre è certo che cinque prefazioni riguardanti la sua vita (forse fino al 1748, suggerisce l’Ortolani) sono andate perdute.

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sin ora osservato, eccovi provveduto per altri dodici Tomi, e a quest’oggetto v’invio nel pacchetto medesimo i ragionamenti preliminari ne’ quali mi sono fatto lecito di parlare di me, delle mie opere, e delle mie avventure. Non vi è bisogno, che io vi preghi ora di sollecitare quest’interrotta continuazione, poiché è noto a me, ed è noto a tutti con qual diligenza, e con qual zelo avete sempre adempito gl’impegni vostri, e le vostre intraprese, né ho da rimproverare che me medesimo di questo vergognoso ritardo, a cui han dato causa, in parte le mie occupazioni, ma vi han contribuito altresì, e non poco, le distrazioni di questo gran Mondo, e l’ingannevole e sedizioso Cavami d’oggi, e mettimi in domani. Son certo, che intraprendendo ora voi solo, e per vostro conto, questa continuazione, farete parte al Pubblico dell’impegno vostro, e del mio. Aggiungete, vi prego, qualche scusa per me… Ma quale scusa addurrete in mio favore? eh! dite la verità, ch’io ve lo permetto. Questa è la miglior scusa delle persone onorate4. Cercherò dal canto mio di meritarmi il perdono da quelli, che si sono giustamente doluti di me, mettendovi tutta la diligenza possibile nella spedizione, e nella correzione delle Opere mie, per terminare, quanto più presto si può, questa nostra Edizione, ch’è la sola, ch’io approvo, e l’unica, per cui prendo impegno, promettendo, che non presto, e non presterò ad alcun altro, né assistenza, né materiali, né correzioni5. Fatevi animo, e riposate sopra di me, come io riposo sopra di voi. Addio. Parigi, lì 15. luglio 1772.

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Il Pasquali non si farà scrupolo di pubblicare questa lettera alla fine del t. XII. Goldoni ribadisce un impegno del contratto o ne aggiunge un altro di sua spontanea volontà? 5

GIAMBATISTA PASQUALI LIBRAIO, E STAMPATORE VENETO, ALLI SIGNORI ASSOCIATI ALL’EDIZIONE DELLE COMMEDIE DEL SIG. DOTTOR CARLO GOLDONI

Venute finalmente in mia sola proprietà le Opere del Sig. Dottor Carlo Goldoni, potrò ora con la mia nota pontualità e sollecitudine proseguire l’Edizione delle sue Commedie arrivata sino al Tomo decimo inclusive, né avrò più a vergognarmi di una sì scandalosa remora, (innocente per parte mia) e li Sigg. Associati, che hanno favorita questa Edizione saranno compensati del tedio sofferto per una sì lunga dilazione1. La Lettera qui annessa del Sig. Goldoni, a me scritta2, abbastanza difende l’onor mio, onde li Signori Associati ponno essere persuasi che in tutto ciò, ch’è seguito, non ho colpa veruna, ed insieme devon esser certi, che questa sola è l’Edizione che approva, e riconosce per sua il degnissimo Autore, essendo le altre tutte imperfette e mancanti. Vedranno anche che questa Edizione ha le Aggiunte, i Cambiamenti e le Prefazioni somministratemi dall’Autore, per il che questa per somma Clemenza del mio adorato Principe è fregiata di un Privilegio dell’Eccellentissimo Senato, che esclude tutte le altre Edizioni e fatte, e che in avvenire da altri si facessero3. Perché questa continuazione in tutto, e per tutto sia simile a’ Tomi da me pubblicati, faccio gettare un nuovo Carattere, cosicché, per li Caratteri, per la Finezza d’intaglio de’ Rami, per la Carta, e per il 1 Quel «finalmente» iniziale cadenza tutta la lettera che, in pratica, rimette con poco garbo, all’autore la colpa dei ritardi dell’edizione. 2 Vedi la lettera precedente a questa. 3 Il Pasquali fa riferimento al Privilegio di stampa accordato, poi stampato in coda al t. I.

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Formato non passerà differenza alcuna tra questi e quelli, e quanto prima potrò, pubblicherò il Tomo Undecimo, al quale resta fissato il prezzo stesso delli Tomi impressi, cioè di Lire sei nostra moneta per cadaun Tomo. E siccome era preciso impegno dell’autore di pubblicare per ogni Tomo oltre alle tre Commedie già stampate in altre Edizioni una sempre nuova, il che fu anche pontualmente adempito, così io pure prendo l’impegno medesimo co’ miei cortesi Associati, assicurandoli, che oltre le Commedie nuovamente dallo stesso corrette e riformate, che comparvero altre volte al Pubblico, sarà in cadaun Tomo fornita questa Edizione di una nuova Commedia mai più stampata; ed anzi in questo primo che averà il numero di undecimo invece che una sola nuova, se ne daranno tre in seguito, onde non interrompere il filo dell’argomento stesso in tre diverse azioni diviso, e le quattro Commedie di questo XI tomo saranno le seguenti: I. II. III. IV.

Le smanie per la villeggiatura. Le avventure della villeggiatura. Il ritorno dalla villeggiatura. Il Terenzio.

Avviso inoltre, che siccome non stamperò neppure un esemplare di più del numero degli Associati che risolveranno di prendere questa continuazione, così sono pregati di farmi sapere le loro risoluzioni, se lontani per lettera, se vicini, al mio Negozio posto in Merzeria a S. Bortolamio, per essere registrati al fine del Tomo duocesimo. Vivete felici. Venezia, lì 31. Agosto 1772. Addì primo Aprile 1774. Li Tomi XI. XII. sono pubblicati, ed ora è sotto il Torchio il Tomo XIII.

APPENDICE ICONOGRAFICA

NOTA

Si sono di seguito ordinate tutte le illustrazioni anteposte alle singole commedie nell’edizione Pasquali. Ogni vignetta riporta in calce il titolo della commedia e ne illustra un momento saliente o ne sintetizza il tema. In quelle presenti nei tomi che vanno dall’undicesimo al diciassettesimo (tranne il t. XIV), in didascalia è aggiunto anche il riferimento del disegno all’atto e alla scena rappresentata. Da segnalare a questo proposito che proprio a partire dal tomo XI – ovvero da quando riprende, dopo una lunga interruzione di circa sei anni, la stampa dei tomi (1773) e l’edizione passa sotto la gestione diretta del Pasquali – ecco apparire la novità delle indicazioni degli atti e delle scene che completano le indicazioni dei titoli delle commedie. Comunque la didascalia, ove presente, non rispecchia sempre con fedeltà le indicazioni relative al brano recitato. Resta il dubbio se la scelta della scena e dell’atto da illustrare, ovvero il tema stesso della vignetta, sia stato indicato da Goldoni al disegnatore, oppure quest’ultimo sia stato lasciato libero di interpretare un momento della commedia. Inoltre, il commediografo negli Autore a chi legge non commenta né fa cenno alle incisioni delle commedie. L’illustratore, in genere, è sempre il Pietro Antonio Novelli (Venezia, 1729-1804) delle antiporte biografiche e l’incisore resta anche qui l’Antonio Baratti (Belluno, 1724-Venezia, 1787). Sono però presenti delle eccezioni. Mancano le indicazioni del nome del disegnatore e dell’incisore nelle seguenti commedie: Il bugiardo (t. II), La vedova scaltra (t. V), La figlia obbediente, (t. VIII), Il vecchio bizzarro (t. XVII); manca l’indicazione dell’incisore per le commedie: La donna di maneggio (t. VIII), per tutte quelle dell’intero tomo XIII, La Pupilla e L’impostore (t. XVII). Il Baratti, come incisore, è sostituito da Giuseppe Daniotto (Venezia, 1741-1789) nella commedia Il giocatore (t. XII) e da Marco Sebastiano Giampiccoli (Venezia, 1737-1809) nelle commedie del tomo XI, e nell’Impresario delle Smirne (t. XII). Entrambi, questi ultimi, anche incisori saltuari di alcuni «Frontispizi istoriati» della vita di Goldoni.

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APPENDICE ICONOGRAFICA

Indice delle didascalie: TOMO I: Il Teatro Comico, La Bottega del Caffé, Pamela fanciulla, Pamela maritata TOMO II: Il Cavaliere, e la Dama, Il Bugiardo, Il Tutore, Gl’Innamorati TOMO III: I Rusteghi, La Serva amorosa, Moliere, L’Adulatore TOMO IV: L’avventuriere onorato, Il Cavaliere di buon gusto, La Locandiera, L’Avaro TOMO V: La Moglie saggia, La Vedova scaltra, Il Servitore di due Padroni, L’Amore Paterno TOMO VI: Le Femmine Puntigliose, La finta Ammalata, Le Donne Curiose, La Guerra TOMO VII: La Famiglia dell’Antiquario, Un curioso accidente, Il vero Amico, Il Padre di Famiglia TOMO VIII: La Donna di Maneggio, L’Avvocato Veneziano, Il Feudatario, La Figlia obbediente TOMO IX: La Donna di garbo, Li Mercatanti, La buona Madre, Il Padre per Amore TOMO X: La Dama prudente, I puntigli domestici, L’Amante Militare, La Casa nova TOMO XI: Terenzio (a. V, s. VI); Le smanie per la Villeggiatura (a. III, s. XIV); Le avventure della Villeggiatura (a. III, s. IV); Il ritorno dalla Villeggiatura (a. III, s. IX) TOMO XII: Il Filosofo Inglese (a. IV, s. XVIII); Il Giocatore (a. I, s. XI); Il Geloso avaro (a. II, s. XVI), L’Impresario delle Smirne (a. III, s. XI) TOMO XIII: La Sposa Persiana (a. V, s. VIII), Ircana in Julfa (a. IV, s. XV), Ircana in Ispaan (a. IV, s. IX), La Scozzese (a. V, s. IV) TOMO XIV: L’Uomo prudente, La Donna di testa debole, Il Dissoluto, Todero brontolon TOMO XV: La Erede fortunata (a. III, s. XIV), La Madre amorosa (a. III, s. ultima), La Peruviana (a. III, s. VIII), Le Baruffe Chiozzotte (a. I, s. XII) TOMO XVI: Torquato Tasso (a. IV, s. XIII), La Donna vendicativa (a. III, s. XXIX), La Cameriera brillante (a. II, s. XIX), Una delle ultime sere di Carnovale (a. II, s. VI) TOMO XVII: La Pupilla (a. V, s. X), L’Impostore (a. III, s. XVI), Il Vecchio bizzarro (a. II, s. XX), Gli Amanti timidi (a. III, s. X).

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TOMO XVII

INDICE DEI NOMI*

Addison J., 20n Ajello E., 2n, 15n, 23n Albergati Capacelli F., 6, 9, 10 e n, 68, 234n, 350n, 365n, 367n Alberti C., 15n Alfieri V., 11 e n, 84n Alluigi A., 344 e n Almorò Tiepolo G.D., 9n Alonge R., 193n Alpers S., 35n AMURAT AGNESE (in arte Agnese delle Serenate), 219 e n, 264, 274 e n, 305n, 308n AMURAT PIETRO, 264 Angelini F., 15n, 24n, 47, 237n, 238n Anglani B., 38n, 238n ANONIMO L’, vedi VITALI B. APPOLONI (APOLLONI) S., 274 e n ARISTOFANE, 90, 129n, 155 ARISTOTELE, 90, 128, 232 Arnaudo M., 15n, 24n ARRIGHI A., 203 e n, 205, 206 Bacchelli R., 8n BACCHERINI A., 57, 332 e n, 333 e n, 334n, 336 e n, 338n

Baffo G., 63, 264n BAGNOLI F. (ma BERTOLI F.), 318 e n, 319 BALBI N., 279 e n Baratti A., 4, 15n, 20 e n, 23n, 24, 97n, 98n, 111n, 119n, 127n, 135n, 145n, 151n, 159n, 181n, 287n, 303n, 317n, 349n, 353n, 361n, 366, 375 Baratto M., 66 Barberi F., 19n BARDELLA F., 303 Barenghi M., 21n Baretti G., 70 BARILLI TOMMASO, consigliere, 137n, 153n, 163n, 164n BARILLI VIRGINIA, 163n Barthes R., 29 e n, 42 Bartoli F.S., 239n BARTOLINI O., 55, 322n, 229 e n, 236n, 243n, 246n, 254n, 322n Baschi conte de’, 9 e n, 66, 67 Bassi E., 15n, 20n BASTERI P., 311 BASTONA ANDRIANA (detta la Bastona vecchia), 57, 271 e n, 277, 299, 336

* Sono in maiuscoletto i nomi citati nel testo delle Memorie italiane. Non sono riportati i riferimenti alle edizioni. In caso di omonimia, i nomi sono per esteso.

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INDICE DEI NOMI

BASTONA FIGLIA detta, vedi FOCCHERI MARTA Battaglini signor, 130n, 138n, 306n Battistini A., 29n Bazoli G., 15n Beaum P.A. le, 30n Beccaria C., 189n BELINCINI D., 202 Benjamin W., 41 e n Bentivoglio Rondinelli L., 305n BERIO F.M., 343 Bernardo P., 71 BERNERIO J.F., 159 e n, 173 e n BERNI F., 106 e n BERTANI G., 201 e n Bertinazzi C.A. (detto Carlin), 69, 260 e n Bettinelli G., 2n, 6n, 62 Binni W., 8n BOCCACCIO G., 106, 181n, 283n Boiardo M.M., 106n Bologna D., 332 n Bonaldi M.E., 166n, 167n BONFADINI ANDRIANA, 188, 229 e n BONFADINI FRANCESCO, 188 e n, 212n, 229 Bonicelli A., 113n, 114n Bonora E., 211n Bosisio P., 47, 48 Bossuet J.B., 19 Boucher F., 20 Bresciani C., 57, 64 Brissard P., 20n Brizzard, 120n BRUSA F., 219 Burini S., 30n Buscaroli P., 48 CAFFARIELLO, vedi MAJORANO G. Calichiopulo G., 99n Calvino I., 21n CAMATI M. (detta la Farinella), 311 CAMBIASO A.M., 342 e n

CAMBIASIO S., 332 e n CAMPAGNANI, 288 e n, 292, 298, 299 CAMPIONI G. (detto Fichetto), 274 Canali L., 81n Candini, padre domenicano, 130n Caretti, L., 11n Carrara G., 243n Cars L., 20 CASALI G., 27, 54, 56, 238n, 239 e n, 241n, 242 e n, 245, 261, 262, 263, 267n, 270, 277, 289, 292, 321 Casanova Giacomo, 63, 221n, 274n, 293n CASANOVA (FARUSSO) MARIA GIOVANNA (detta Zanetta o la Buranella), 264 e n, 272, 288 e n Casiraghi S., 99n Castelli N., 20, 156n CATANEO J., 182 e n CATTOLI F. (in arte Traccagnino), 274, 275 e n CERONI A., interveniente, 207 Chauveau F., 19 Chénier J.M., 71 Chiara P., 274n Chiari P., 32, 63, 64, 65, 66, 88n, 104n Cibotto G.A., 15n Cicerone M.T., 309n CICOGNINI G.A., 55, 79, 83n, 99n, 160 e n, 251n Cochin N., 30n COIGNY F. DE, 245n, 255 e n Collalto, 87n COLOMBO F., 309 e n COLLUCCI F., 271 e n CONNIO AGOSTINO, 304 e n, 305n, 306 e n, 344 CONNIO NICOLETTA, vedi GOLDONI NICOLETTA CONTI A., 84 e n, 270 e n, 325n Corbellini A., 137n

INDICE DEI NOMI

CORDELLINA (o CORDELINA) C.G.M., 54, 213 e n, 214n CORNEILLE P., 105 Cornet G., 9n, 12, 240n, 367n, 369 en CORTINI A. (in arte Pantalone), 272 e n, 312 CORTINI (in arte la Pantoloncina), 272 en Cosmancini G., 238n COSTA R., 299 COSTANTINI ANTONIO (detto il Tegna), 274 e n COSTANTINI GABRIELE (detto Mezzettino), 274 e n, 288 Cusani A., 154n D’AFFLISIO A., 289 D’ALESSANDRO G., 326 e n D’ARBES (DARBES) C., 54, 60, 61, 87n, 88n, 210n, 272n, 337 e n Da Ponte L., 294n Daniotto G., 4, 30n, 361n Danna B., 305n Davico Bonino G., 47, 48, 128n, 147n, 160n, 230n, 298n, 337n De Curtis A., 138n De Lemene F., 35, 99n De Mari G., 343n De Michelis C., 36n De Nard E., 20n Defoe D., 38 Del Beccaro F., 21n, 47, 239n Della Facchina A., vedi BASTONA ANDRIANA. DELLA PORTA G., 99n, 275 e n DENIS J.-B., 272 e n Destouches (pseud. di P. Néricault), 85n Diderot D., 57, 70 Dionisotti C., 19 e n Dolfin A., 188n Donaggio M., 3n

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DURAMANI V., 147 e n DURAZZO M., 303n Fabiano A., 9n, 66, 366n FACEN V., 191n, 192, 234n FAGIUOLI G.B., 35, 55, 59, 83n, 99n, 160 e n, 275 e n FALCHI FRANCESCO, 331 e n FALCHI GIUSEPPE, 331 e n Favalier S., 368n Favart C.S., 70 FEDERICO CRISTIANO DI SASSONIA, 311n, 325 e n, 326, 327 FERRAMONTI ANTONIA, 271n, 288 e n, 289, 290, 292n, 293, 295n, 305n, 345n FERRAMONTI ANTONIO, 288 e n, 345n FERRANDINI E., 311 Ferrone S., 3n, 99n Fido F., 6n, 15n, 22n Fielding H., 20n, 38 FIGURINA (detto), 299 FILIPPO I DI BORBONE, 338 e n Focault M., 31n FOCCHERI GIROLAMO, 299 FOCCHERI MARTA (detta la Bastona figlia), 271, 299n, 308 Folena G., 8n, 36 e n, 47, 100n, 257n FONGARINO G.B., 183 Foresi P.A. (detto Florindo dei Maccheroni), 52, 138n, 234n Fortini F., 40n FOSCARINI P., 326 e n FRANCESCO III, DUCA DI MODENA, 338 en FRANCESCHINI A. (detto Argante), 275n GALENO DI PERGAMO, 91 e n GALLO GIOVANNI, detto Galletto, 311 en

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INDICE DEI NOMI

Gallo Rodolfo, 20n GALUPPI B., detto Buranello, 55, 274n, 311 e n, 318n, 319n GANDINI PIETRO, 273 e n, 292, 309 en Gandini Teresa, 64 GARELLI G.B., 238n, 239 e n, 274 Garoffini, 256n Gennari N., 130n, 139n, 161n Ghelfi M., 15n GHISLIERI GIOVANNI BATTISTA, 152n Ghislieri Michele (papa Pio V), 137n Giampiccoli Giuliano, 20n Giampiccoli Marco Antonio, 20n Giampiccoli Marco Sebastiano, 4, 15n, 20, 98n, 225n, 249n, 361n Gibbon E., 69 GIGLI G., 35, 55, 59, 83n, 99n, 119n, 122 e n, 283n GIRARDI L. (detto Lorenzino o Schiampetta), 311 GIRAUD (GIRÒ) A., 282 e n, 284n, 327n Goethe W., 37 GOLDONI ANTONINA, 146 e n Goldoni Carlo Antonio, 154n GOLDONI GIAMBATISTA, 146 GOLDONI GIOVANNI PAOLO, 130n, 309, 338, 339 e n, 340, 344 GOLDONI GIULIO, 137 e n, 138, 141, 142, 146 e n, 152, 153 e n, 181n, 194n, 196n GOLDONI MARGHERITA (SALVIONI o SAVIONI), 51, 99n, 146n, 155n, 201n, 268, 292, 307 GOLDONI (CONNIO) NICOLETTA, 56, 100n, 243n, 299n, 305 e n, 307 GOLDONI VIDONI PIETRO (marchese), 53, 137 e n, 152, 153 e n GOLINETTI F. (BRUNA F.), 42, 56, 312 e n, 319, 320 e n, 323 GORI A., 261n, 274 e n, 276 e n

Gozzi C., 21n, 32, 63, 64, 66, 70, 103n, 107n, 176n, 213n, 309n GOZZI G., 46, 63, 85 e n, 362n, 341n Gradenigo V., 18 GRANDI MAIANI F., 321 e n, 324 Gravina G.V., 174n GRIMANI M., 56, 261n, 263 e n, 276 e n, 282n, 283, 298 e n, 299, 311, 318 e n, 320n, 342 Grisellini F., 243n Grisostomo G., 83 e n GROSSATESTA GAETANO, 230 e n GROSSATESTA MARIA, 230 e n Guarini B., 86n Ghelfi M., 15n Guthmüller B., 123n Herry G., 15n, 47, 48, 100n, 165n, 205n, 240n, 279n, 284n, 304n, 368n IMER GIUSEPPE, 55, 56, 239n, 261 e n, 262, 263, 264 e n, 267 e n, 269, 272 e n, 274 e n, 275n, 276 e n, 277, 279n, 280n, 281, 284, 287n, 288, 290n, 291, 292, 293 e n, 294, 298, 304, 305n, 306n, 308n, 310n, 311, 312, 331n, 343 IMER MARIANNA, 274, 277, 311 IMER PAOLINA, 272, 274 IMER TERESA, 274 e n, 312 e n INDRICH G.P., 52, 54, 145n, 146 e n, 148n, 207, 213, 234n, 237n Infelise M., 19n, 23n IPPOCRATE DI COS, 91 e n, 146n, 147n JOLLI (o JOLY) A., 311 e n, 319 e n La Place P.S., 70 Lesage A.R., 310n La Grange, 20n

INDICE DEI NOMI

LALLI D. (BIANCARDI S.), 281 e n, 282 e n, 308 Lancisi G., 113n, 114n LANTIERI F.A. di, 53, 187 e n, 234n LAUZI F., 129n, 155 e n, 156n Lechi F., 47 Leto G., 47 Le Kain, 120n Lezza A., 212n LIGGI F., 114 e n LION CAVAZZA (fratelli), 317 e n, 318 Loehner von E., 47, 48, 100n, 207n, 209n, 281n, 287n, 344n LOMBARDI R., 299, 308 Longhi P., 7, 8n Longhi R., 8n Loredan A., 253n Lotman J., 30 e n Lucrezio Caro T., 81n, 249n MACCARI G., 276 e n, 280n, 292, 333n Maccarinelli S.M., 2n MACHIAVELLI N., 53, 140n, 156n, 161 e n MAFFEI S., 55, 84 e n, 226 e n, 227 en Maggi C.M., 35, 99n MAJORANO G. (detto Caffariello), 230 en Mangini N., 15n, 20n, 32n, 47 Manzoni A., 19n Marcello B., 59, 231n MARCHESINI L., 322 MARLIANI GIUSEPPE, 337 e n, 338 MARLIANI (RAFFI) MADDALENA, 57, 336n, 337 e n Marmontel J.F., 70 Martello P.J., 53, 59, 187n, 234n MARTINELLI, 293, 294 e n, 295 e n MARUZZI L. e S. (fratelli), 343 MARZIALE M.V., 209 e n

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Mattozzi I., 6n Mazzoni G., 10n, 47, 100n,175n Mazzucchelli G., 281n MEDEBACH GIROLAMO, 6n, 42, 54, 61, 63, 64, 87n, 88n, 104n, 191n, 271n, 331 e n, 336 e n, 337, 338 MEDEBACH (RAFFI) TEODORA, 57, 61, 62, 87n, 336 e n, 337 e n Memo Andrea e Bernardo, 313n MENANDRO, 91, 129n MERCY C.-F. conte de, 254 e n, 255 Meslé, 367n METASTASIO P., 53, 55, 84 e n, 174n, 191, 211, 230 e n, 232, 270 e n, 275, 281n, 311 Milanese C., 31n MITTI POMPILIO, 275 MITTI (MITI) VITTORIA, detta Eularia, 275 e n MOLIÈRE (POQUELIN J.-B.), 20 e n, 68, 83 e n, 123n, 156 e n, 174n, 275n, 297n Molinari C., 15n, 20n, 48 MONELLO, interveniente, 214 Montaigne M.E. de, 309n MONTI GIUSEPPE, 271 e n, 272, 299 MONTI TOMMASO, 271 e n, 272, 299 Monti Giulio, 310n Morazzoni G., 19n MORELLI (MOVELLI), 182 e n MORERI E., D’AFFLISIO, vedi PASSALACQUA

Moschini G., 19n MOULLI, vedi MORELLI Mozart W.A., 294n Muratori L.A., 55, 59, 80n MUTI (MUTTI) G., 280 e n Nelli J., 59, 83n Niepce J.N., 35n Nogari, 21n

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INDICE DEI NOMI

Nóres G. de, 86n Novelli P.A., 4, 15n, 20 e n, 22 e n, 23 e n, 24, 25, 26, 27, 28, 31, 32, 38, 97n, 98n, 111n, 113n, 115n, 119n, 127n, 135n, 145n, 147n, 151n, 159n, 181n, 189n, 208n, 225n, 249n, 260n, 267n, 275n, 287n, 295n, 303n, 317n, 361n, 366 e n, 331n, 349n, 353n NOVELLO A., 194, 227 e n ODESCALCHI ERBA GIROLAMO, 173 e n ORAZIO FLACCO Q., 86n, 90, 119n, 128, 159n, 232 Orseolo P., 287n ORTOLANI, dottore, 210 Ortolani G., 47, 48, 70, 88n, 116n, 219n, 254n, 278n, 343n, 349n, 369n OVIDIO, 127, 151n, 331n, 349n, 353n Padoan G., 3n, 104n Pallottino P., 19n PARIATI (PARIATTI) P., 289 e n PASSALACQUA E. (MORERI D’AFFLISIO), 40, 42, 57, 270n, 288 e n, 290n, 292, 293 e n, 294n, 295n, 296, 298 e n, 299, 305n, 308n, 320n, 334 Pasquali G., 2n, 11n, 13 e n, 14n, 18, 19, 23 e n, 24, 112n, 159n, 365, 367n, 369, 370n, 371n Pedrocco F., 15n, 30n, 48 Persio Flacco A., 225n Petrarca F., 82n Petrucci A., 19n Piazzetta G., 19, 30n Picchi G., 106n Piccinni N., 55 Pieri M., 23n, 29n PIGHI L., 203 e n, 206 e n Pilo G.M., 30n

PINACCI (MINACCI) G.B., 319 e n Pitteri M.A., 72 Pizzamiglio G., 15n PIZZIOLI C., 317, 318 PLAUTO T.M., 52, 83 e n, 129 e n, 155 e n, 267n, 275 PONTREMOLI, 272 e n, 287 e n Pope A., 84n Porta S., 189 e n Pozzi G., 22n, 33n, 34n PRATA F., 27, 230 e n, 231 e n, 232n, 234n, 262n Priuli P., 321n Properzio S., 145n Punt J., 20 e n Racine J., 19 RADI F., 54, 203 e n, 204, 205, 206 RAFFI GASPARO, 87n, 337 e n RAFFI LUCIA, 337 Ranzini P., 36n, 48 RAPIN R., 80n, 82, 91n, 93 Rasi L., 239n Reato D., 15n Reynold J., 35n Riccoboni Luigi, 283n Riccoboni Marie Jeanne, 38 e n, 71 Richardson S., 38, 65 RINALDUCCI MODESTI P.F., 114 e n, 130 e n Ripa C., 48 ROBERTI, 207 Roberti G.B., 341n Roncalli C., 8n Roncoroni F., 274n Rossetto L., 3n, 14 e n Rousseau J.-J., 38, 40, 70, 107n RUBINI F., 64, 238 e n, 239n RUTTI C. (detta la Romana), 271 e n, 289 e n, 291 Ruzzino G., 102n SACCHI ADRIANA, 309, 331, 333n

INDICE DEI NOMI

SACCHI ANTONIO, 59, 60, 66, 239n, 272n, 308 e n, 309, 310 e n, 312n, 314, 331n, 334n SALVIONI FRANCESCO, 165 e n SALVIONI MARGHERITA, 51, 99n, 201n SALVIONI MARIA, 202, 268, 292, 307 Sauli D., 332 e n Sauvé J., 20n Scacciati L., 244 e n, 252 e n, 259 e n, 260n Scannapieco A., 3n, 10n, 104n, 212n SCARABELLI G.A., 173 e n Scarlatti D., 326n Scarpetta E., 198n Sciugliaga S., 70 Seneca L.A., 135n, 309n SIMONETTI G., 312 e n Solmi R., 41n SPINELLI P., 190 e n Starobinski J., 39 e n, 43 e n Steele R., 20n Stendhal (Beyle H.), 188n, 257n Strehler G., 99n Swift J., 187n TADINI, conte, 244 e n, 245 Tasso T., 174n TASSONI A., 273 e n TERENZIO A.P., 83 e n, 129n, 155, 303n TERTULLIANO Q.S.F., 83 e n TERZI C., 207 Tibullo A., 287n Tiepolo L., 3n, 21n, 30, 72 Tirso de Molina (Téllez G.), 124n, 297n Tomasin L., 22n Tommaseo N., 82n TREO L., 183 e n TRISSINO G.G., 52, 225 e n, 226, 235 TUO (TUVO) A., 321 e n Turchi R., 3n, 15n, 20n, 26n, 34 e

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n, 45, 47, 48, 49, 75n, 137n, 152n, 325n, 353n, 368n UCCELLI S., 207 Valeri A., 116n VALLE G., 29 e n, 35, 79 e n, 100n Vanore M., 21n VASA G., 311e n Vazzoler F., 38n VECCHIA, avvocato, 215 VEGA LOPE DE, 83 e n, 91, 124n Vendramin (Vendramini) A., 63, 64, 69, 191n VENDRAMIN (VENDRAMINI), famiglia, 274 Veronesi C., 69 Verri P., 63 Vicini Giambattista, 5 Vicini Giovanni Battista, abate, 188n VIDINI M., 293 Vinci L., 270n Virgilio P.M., 97n, 181n, 192n, 317n, 323n Visinoni G., 251n VITALBA A., 270 e n, 271, 278, 288n, 296, 297, 298n, 312, 320n VITALI B. (detto L’ANONIMO), 27, 54, 237 e n, 238n, 239n, 280n VIVALDI A. (detto Il PRETE ROSSO), 55, 56, 282 e n, 283, 284n, 289n, 327n Vivanti C., 19n Vivot, 20n VOLTAIRE (AROUET F.-M.), 66, 70, 84n, 105 e n, 107n VULCANO B., 275 e n Wedgwood T., 35n Wierner G.M., 152n Wilde O., 333n Windmann, conte, 120n, 234n

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INDICE DEI NOMI

ZABOTTINI E., 189 Zanetti A.M., conte, 226n Zaniol A., 207n Zanuzzi A.F., 9, 66 Zatta A., 14 ZAVARISI FRANCESCO, 153n, 162 e n, 163 e n, 202, 309

Zavarisi Scipione, 153n ZENO A., 55, 56, 59, 84 e n, 232, 281n, 283, 284, 289 e n, 290n, 312n Ziccardi G., 100n ZORNI G., 299 Zorzi L., 335n

INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI*

Adulatore (L’), 119n Amalasunta (o Amalassunta) (L’), 27, 40, 54, 211, 222, 226 e n, 227n, 228, 230, 231n, 233 e n, 234 e n, 262n, 283, 311, 312n, 343n Amante cabala (L’), 84n, 284n, 308n Amante militare (L’), 201n, 251n Amanti felici (Gli), 326 Amanti timidi (Gli), 4n, 69, 331n Amore paterno (L’), 9n, 11, 68, 135n, 366 e n, 367 e n, 368 e n Amour (L’) paternel (Extrait de), 68, 368n Amori di Zelinda e Lindoro (Gli), 69 Amours d’Arlequin et de Camille (Les), 69 Arcadia in Brenta (L’), 311n Aristide (L’), 281n, 284n, 290n Arlequin cru mort (L’), 68 Arlequin héritier ridicule (L’), 68 Arlequin valet de deux maîtres (L’), 68 Avaro (L’), 64, 127n, 366n Avare fasteux (L’), 70 Avaro fastoso (L’), 71 Avventure della villeggiatura (Le), 3n, 225n Avventuriere onorato (L’), 127n, 305n Avvocato (L’), 88 Avvocato veneziano (L’), 88n, 159n, 210n, 214n Bancarotta o sia Il mercante fallito (La), 86n, 323 e n, 324, 336, 342 Barcarolo veneziano (Il), 54, 55, 84n, 241 e n, 261 e n Baruffe chiozzotte (Le), 3n, 4n, 57, 66, 136n, 303n Belisario, 25, 26, 55, 56, 85 e n, 239n, 242 e n, 243, 245, 246, 251, 256n, 257n, 261, 262, 263, 264, 267n, 270 e n, 271, 276 e n, 278, 279 e n, 280n, 283, 289, 295 * Il presente indice contempla soltanto le opere citate nei paratesti e in nota, e non le opere saggistiche e bibliografiche.

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INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI

Bella selvaggia (La), 65 Birba (La), 56, 84n, 237n, 280 e n Bottega da cafè (La), intermezzo, 84n, 284n, 290n, 308n Bottega del caffè (La), 2n, 3n, 97n, 196 e n Bourru bienfaisant (Le), 70, 71 Bugiardo (Il), 111n, 219n Buon padre (Il), 54 Buon vecchio (Il), 191, 234n Buona madre (La), 181n Buona moglie (La), 88 e n, 141 e n Burbero di buon cuore (Il), 70 Cameriera brillante (La), 317n Camille aubergiste, 69 Campiello (Il), 65 Cantatrice (La), poi La Pelarina, 54, 191 e n, 261 e n, 274n, 276 Casa nova (La), 66, 103n, 201n Castalda (La), 303n Cavaliere di buon gusto (Il), 106n, 127n Cavaliere di spirito (Il), 64 Cavaliere e la Dama (Il), 88, 92n, 111n Cento e quattro accidenti in una notte (col titolo La notte critica, o sia i cento e quattro accidenti in una sola notte), 59, 86, 310 e n Cerimonie (Le), 226 e n Colosso (Il), 53, 172, 184n, 215n, 234n Coro delle Muse (Il), 326n Contessina (La), 84n, 333 Curioso accidente (Un), 151n Dalmatina (La), 65 Dama prudente (La), 201n Deux italiennes (Les), 69 Don Giovanni Tenorio o sia il Dissoluto, 56, 85, 276n, 287n, 288n, 290n, 294 e n, 297 e n, 298 e n, 321n Donna di garbo (La), 10n, 57, 58, 60, 87 e n, 93n, 181n, 229, 271n, 299n, 333n, 335 e n, 336 e n, 338n Donna di maneggio (La), 159n Donna di testa debole o sia la vedova infatuata(La), 64, 287n Donna sola (La), 304 e n Donna stravagante (La), 64 Donna vendicativa (La), 3n, 317n Donna volubile (La), 64 Donne curiose (Le), 145n

INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI

Donne de casa soa (Le), 106n Due gemelli veneziani (I), 87 e n, 93n, 177 e n, 337n Enea nel Lazio, 65 Enrico Re di Sicilia, 85, 310, 325n Erede fortunata (L’), 61, 303n Esperienza del passato fatta astrologa del futuro (L’), 54, 212 e n, 234n Famiglia dell’antiquario (La), 88n, 151n Femmine puntigliose (Le), 145n Festino (Il), 102n Feudatario (Il), 159n Figlia obbediente (La), 159n Figlio di Arlecchino perduto e ritrovato (Il), 59, 60 Filosofo (Il), 84n, 284n, 290n Filosofo di campagna (Il), 311n Filosofo inglese (Il), 3n, 65, 249n Finta ammalata (La), 142n, 145n Fondazion di Venezia, 292 e n Frappatore (Il), vedi Tonin Bellagrazia Geloso avaro (Il), 64, 238n, 249n Genio buono e il genio cattivo (Il), 70 Giocatore (Il), 196n, 206n, 207 e n, 225n, 226, 249n, 361n Giustino, 85 Gondoliere (Il), vedi Il barcarolo veneziano Griselda (La), 56, 282n, 283 e n, 289 e n, 295, 327n Guerra (La), 145n, 196n, 251 e n Gustavo Primo Re di Svezia, 311, 318 e n, 319n Impostore (L’), 331n, 341 e n, 345n Impresario delle Smirne (L’), 3n, 4n, 249n, 304 e n Innamorati (Gli), 66, 111n Inquiétudes de Camille (Les), poi Le inquietudini di Zelinda, 69 Ippocondriaco (L’), 84n, 290n Ircana in Ispaan, 65, 267n Ircana in Julfa, 65, 267n Jalousie d’Arlequin (La), poi La gelosia di Lindoro, 69 Locandiera (La), 57, 127n, 238n, 337n Madre amorosa (La), 64, 279n, 303n

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INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI

Malcontenti (I), 64 Massere (Le), 57, 65, 105n, 234n Matrimonio per concorso (Il), 69 Medico olandese (Il), 65 Mercatanti (I), 181n Moglie saggia (La), 135n Moliere (Il), 65, 83n, 119n, 122n Momolo cortesan (poi L’uomo di mondo), 55, 56, 57, 59, 86 e n, 313 e n, 314, 317, 319, 320, 335, 342 Momolo sulla Brenta (poi Il prodigo), 43, 57, 86 e n, 319, 320 e n, 335, 342 Mondo della luna (Il), 311n Monsieur Petiton, 56, 284n, 290n Nerone, 107n Ninfa saggia (La), 326 Nove Muse (Le) (vedi Il coro delle Muse), 326 e n Oronte re de’ Sciti, 318 e n, 319 e n Padre contento (Il), vedi L’amore paterno Padre di famiglia (Il), 151n, 177 e n Padre per amore (Il), 181n Pamela fanciulla (La), 57, 65, 2n, 3n, 97n Pamela maritata (La), 2n, 3n, 97n, 105 e n Pantalone due volte fallito, vedi La bancarotta Pelarina (La), vedi La cantatrice Peruviana (La), 65, 303n Prodigo (Il), vedi Momolo sulla Brenta Puntigli domestici (I), 64, 201n Pupilla (La), intermezzo, 56, 84n, 264 e n, 272, 276 e n, 278, 279 e n, 331n Putta onorata (La), 88 e n, 277n Quaresimale in epilogo (Il), 53, 182n, 183 e n, 184n, 290n Quattro Stagioni (Le), 326 Ricco insidiato (Il), 226n Rinaldo da Mont’Albano, (Rinaldo nuovo) 85, 308n Ritorno dalla villeggiatura (Il), 3n, 225n Rosmonda, 85, 271, 280 e n Rusteghi (I), 9n, 66, 67, 105n, 119n Scozzese (La), 3n, 4n, 267n

INDICE DELLE OPERE DI CARLO GOLDONI

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Scuola di ballo (La), 106 e n Sdegni amorosi tra Bettina putta de campielo e Buleghin barcariol venezian, poi Il barcarolo veneziano (vedi) Serva amorosa (La), 119n, 304n Servitore di due padroni (Il), vedi Arlequin valet de deux maîtres 58, 59, 60, 68, 135n, 308n Sior Todero brontolon, 3n, 4n, 66, 287n Smanie per la villeggiatura (Le), 3n, 225n Sposa persiana (La), 65, 267n, 273n Statira, 342n Suocera e la nuora (La), vedi La famiglia dell’antiquario Teatro comico (Il), 2n, 3n, 37, 58, 61, 62, 87n, 97n, 123n, 240n, 241n, 278n, 295n Terenzio, 65, 225n Tonin Bellagrazia (poi Il frappatore), 61, 337n Torquato Tasso, 65, 106 e n, 317n Trentadue disgrazie di Arlecchino (Truffaldino) (Le), 275n, 310n Trilogia della villeggiatura (La), 4n, 57, 66, 284n Tutore (Il), 111n Una delle ultime sere di carnovale, 3n, 4n, 67, 317n Uomo di mondo (L’), vedi Momolo cortesan Uomo prudente (L’), 87n, 88, 287n Vecchio bizzarro (Il), 64, 331n Vedova scaltra (La), 58, 87n, 88, 93n, 135n, 279 e n Ventaglio (Il), (L’Éventail ) 69 Vero amico (Il), 151n Vingt-deux infortunes d’Arlequin (Les), 310n

Testi

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.

J.J. Winckelmann, Le scoperte di Ercolano, a cura di Franco Strazzullo B. Panvini, Poeti italiani alla corte di Federico II U. Barbaro, L’essenza del can barbone, a cura di Lea Durante C. Tenca, Delle strenne e degli almanacchi. Saggi sull’editoria popolare (1845-59), a cura di Alfredo Cottignoli G. Guinizelli, Rime, a cura di Pietro Pelosi Michelangelo Buonarroti il Giovane, La fiera. Seconda redazione, a cura di Olimpia Pelosi G. Gozzano, Nell’Oriente favoloso. Lettere dall’India, a cura di Epifanio Ajello P. Bertinetti (a cura di), La commedia inglese della Restaurazione e del Settecento S. Di Giacomo, Gli sfregi di Napoli. Testi storici e letterari sui bassifondi partenopei, a cura di Giovanni Greco, con un saggio di Stefano Scioli Anonimo portoghese (XVII secolo), L’arte del Furto, traduzione e cura di Maria Luisa Cusati F. Fontanini (a cura di), Piccola antologia del pensiero breve L. Viani, Racconti (1928-1936), a cura di Marco Veglia E. Ajello (a cura di), Carlo Goldoni. Memorie italiane Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, a cura di G.A. Camerino Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, a cura di G.A. Camerino Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, a cura di G.A. Camerino A. Prenner, Mustione “traduttore” di Sorano da Efeso. L’ostetrica, la donna, la gestazione