L'ineffabile chiasmo. Configurazioni di reciprocità attraverso Simmel


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L'ineffabile chiasmo. Configurazioni di reciprocità attraverso Simmel

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Antonio De Simone

L’INEFFABILE CHIASMO Configurazioni di reciprocità attraverso Simmel

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PROFILI

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Teorie & Oggetti delle Scienze sociali 24

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Indice

Parte prima DISSEMINAZIONI NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ FORME ED EFFETTI DI RECIPROCITÀ NELL’ESPERIENZA DEL MODERNO: ATTRAVERSO SIMMEL

I.

Perché Simmel. Destini individuali e reti relazionali: filosofia e sociologia della Wechselwirkung Teoria della molteplicità, mediazioni sociali e processi di individualizzazione

3

II.

Una “reciprocità senza fine” Denaro, relazione, conoscenza. Ermeneutiche di Simmel Excursus. Sulla teoria della conoscenza nella “Filosofia del denaro” di Georg Simmel

53

Forme ed effetti di reciprocità Socievolezza, gratitudine e dono, quotidianità (A). Il gioco della relazionalità. Sulla socievolezza (B). Sul carattere sociologico della gratitudine e del dono

97

III.

IV.

V.

78

105 112

Inganno reciproco e imprevedibile vulnerabilità nelle relazioni umane Transiti simmeliani su segreto e menzogna

117

Figure metaforico-simboliche simmeliane del principio della Wechselwirkung Il ponte e la porta

127

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viii

INDICE

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Parte seconda CONFIGURAZIONI DI RECIPROCITÀ SIMMEL E IL PROBLEMA DELLO SPAZIO

VI.

La dimensione spaziale dell’azione reciproca La costruzione sociale dello spazio come “a priori logico e percettivo” e come modalità d’esperienza relazionale

135

VII.

Le qualità fondamentali della forma spaziale

141

VIII. Morfologie socio-spaziali e Geistesleben Metropoli, intellettualismo urbano, economia monetaria e forme di disseminazione nella vita quotidiana moderna

157

IX.

Spazio, tempo, denaro e stile di vita

167

X.

Da Berlino a Chicago. Lo spazio sociale dell’esperienza metropolitana Paesaggi post-simmeliani

179

Parte terza FRA INDIVIDUALE E SOCIALE DILEMMI DELLA RECIPROCITÀ E FIGURAZIONI SOCIALI

XI.

Una rete intricata Differenziazione individualizzante e intersecazione delle cerchie sociali. Sulla “Differenziazione sociale” di Simmel

189

XII.

Il migrante, lo straniero e il povero Tragitti da Simmel (A). “Da luogo a luogo”: sulla figura del migrante e sul rapporto vicinanza/lontananza (B). La forma sociologica dello “straniero”: tra inclusione ed esclusoine (C). La “sociologia della povertà” di Simmel: sulla costruzione sociale dei processi di deprivazione

207

207 209 220

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INDICE

ix

XIII. L’occhio e l’orecchio Sulla “sociologia dei sensi” di Simmel

229

Riferimenti bibliografici

247

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Parte prima _____________________________________

FORME ED EFFETTI DI RECIPROCITÀ NELL’ESPERIENZA DEL MODERNO: ATTRAVERSO SIMMEL

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I Perché Simmel Destini individuali e reti relazionali: filosofia e sociologia della Wechselwirkung Teoria della molteplicità, mediazioni sociali e processi di individualizzazione L’uomo è, in tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni, determinato dal fatto di vivere in azione reciproca con altri uomini. Georg Simmel

Il punto di riferimento obbligato della nostra riflessione è Simmel, un vero e proprio “dinosauro” della filosofia e della sociologia della modernità, che – con la sensibilità dello Zeitdiagnoster – ha ancora una forte e significativa incidenza nella contemporaneità. La metafora del “dinosauro” è utile per comprendere chi è stato, e chi è ancora, per noi, Simmel. L’origine, la funzione e il costante riferimento al terribile e “mostruoso” fascino che i dinosauri hanno esercitato nell’immaginario collettivo, spiegano (attraverso l’enigma della loro estinzione) molte cose sulle dinamiche genetiche, morfologiche ed evolutive del mondo naturale e del suo rapporto con l’origine e gli sviluppi evolutivi del mondo umano. Parallelamente, per analogia, Simmel ha avuto una storia (a livello intellettuale) ancorché simile (si comprenderà in seguito il perché di questa ardita analogia). Conferendo un peculiare carattere espositivo alle pagine di questo primo capitolo introduttivo, qui di seguito svolgerò una ricostruzione orientata per estrapolazione tematica di alcuni nodi essenziali ed orientamenti interpretativi particolarmente significativi del pensiero simmeliano e che registrerò sinteticamente nei termini seguenti attraverso un’analisi che, pur essendo sviluppata sub specie philosophiae, si interfaccia costantemente con lo spirito sociologico che l’ha occasionata. Simmel ha offerto sul piano filosofico e sociologico un contributo originale e rilevante all’analisi e alla diagnosi critica del destino degli effetti di reciprocità e dei processi di “individualizzazione” nel mondo moderno che soltanto negli

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PARTE

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

ultimi tempi si è cominciato a comprendere e ad apprezzare in tutta la sua portata, affrancando e superando una vecchia e logora sua immagine che lo rappresentava (tra l’altro) come un filosofo “relativista” e “vitalista” facente professione di Irrationalismus der Lebensphilosophie e come un sociologo eclettico e non rigoroso perché “formale”. Oggi questa immagine logora e “inattuale” di Simmel è definitivamente crollata, anche se è stato molto impegnativo restituirgli il suo vero volto1 e individuare i suoi veri “eredi” intellettuali. Oggi Simmel si rivela sempre più “un nostro contemporaneo” proprio per l’“attualità” della sua filosofia e sociologia della relazione, della Wechselwirkung, cioè per la sua peculiare capacità fenomenologica di descrivere le dinamiche della vita e della socialità nella loro duplicità, pluralità e complessità entro i limiti e i frammenti che ne fluidificano continuamente le loro forme esistenziali e culturali specifiche. Attraverso il suo pensiero e la sua opera, Simmel ha posto (tra l’altro) al centro dell’attenzione uno dei principi strategicamente cruciali nel contempo sia della filosofia relazionale e chiasmatica2 che della teoria dell’azione sociale: la reciprocità (Wechselwirkung)3. Essa è uno dei “possibili”: ovvero denota la rete4 complessa delle possibilità interattive della vita socio-culturale. La relazione di reciprocità (Wechselwirkung) – congiuntamente alla relazione di 1

Cfr. De Simone 2002a; 2002b; 2004c; 2006. Come scrive Mora [2005: 23]: «La struttura a chiasmo tramite la quale Simmel organizza il proprio pensiero […] risponde all’esigenza primaria del principio fondamentale, cioè il principio di reciprocità, che vale non solo per il territorio sociale e per la sociologia ma per tutti gli ambiti della realtà individuale e collettiva, per tutte quelle istantanee sub specie aeternitatis, che rappresentano i frammenti costituenti la vita dell’uomo e la realtà oggettiva del mondo». 3 G. Simmel, Sociologia (Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Duncker & Humblot, Leipzig 1908), tr. it. di G. Giordano, introd. di A. Cavalli [1989: 8-9, d’ora in poi S]. Per gli sviluppi problematici inerenti il concetto simmeliano di “reciprocità” (Wechselwirkung), rinvio a De Simone 2002a, 2002b e 2005a; Vozza 2002; Papilloud 2003; Mora 2005. 4 Secondo quanto ha osservato Turnaturi, «tutta l’opera di Simmel si svolge intorno allo studio della società intesa come una sorta di rete, il cui fondamento sono i rapporti di reciprocità fra gli individui, le interazioni sociali. Il concepire la società come dinamica dell’agire sociale, la sua attenzione ai frammenti e ai momenti, al transeunte fanno sì che non solo l’oggetto privilegiato delle riflessioni di Simmel sia il processuale, ciò che nasce da interazioni e a nuove interazioni dà vita, ma connotano anche un suo modo particolarissimo di procedere, una lettura che è essa stessa […] “analisi processuale”» [1997: 10]. Da ciò consegue che «il discorso sulla modernità non è dunque una parte, un pezzo del pensiero simmeliano, ma ne è il cuore, e l’aver individuato nella frammentarietà e nell’infinita e complessa rete di rapporti di reciprocità l’essenza del moderno coincide con lo scegliere come oggetto dei propri studi quelle altre innumerevoli interazioni che […] pur fluide e fugaci, non sono elementi meno importanti della connessione degli individui con l’esistenza sociale» [ivi: 13]. Sul rapporto tra relazionalità e reticolarità sociale a partire da Simmel, cfr. Fornari 2005a: 83-133. 2

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PERCHÉ SIMMEL

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socialità, di interazione, cioè di associazione (Vergesellschaftung) – costituisce un duplice principio fondativo e consustanziale della dinamica immanente della socialità umana che si esplica nelle relazioni e nelle pratiche della vita quotidiana: tale principio «mostra l’originaria ed essenziale relazionalità costitutiva del mondo e dell’esserci umano, essere esso stesso relazionale al suo interno, interazione e relazione, reciprocità e associazione»5. La peculiarità di questo principio – ossia la relazione in quanto interazione e interattività reciproca – in Simmel fa sì che reciprocità e processo di associazione formino “un concetto generale” di interrelazionalità che «pone come originario non l’unità […] bensì il due», che, non essendo sinonimo di separatezza e contraddizione, rende possibile come principio «dar conto tanto dell’esistenza individuale quanto della società»6. Per Simmel la relazione di interazione diventa “principio regolativo del mondo”; «tutto si trova in interazione con tutto; nulla vi è di semplice nella vita reale»: tra positività e negatività, tra plus e minus, essa è complessità, duplicità, interazione, frammento e conflitto, ciò costituisce e produce la società, che è «formazione non conchiusa in sé, non unità assoluta, così come l’individuo». Nei confronti dell’interazione «la società è qualcosa di derivato, un risultato: non la società permette la relazione, ma la relazione produce società»7. L’“unità” del sociale, la sua “immagine”, si dà soltanto nella forma della relazionalità e della reciprocità, cioè nell’interazione. Nella complessa fenomenologia della vita sociale che pervade la dinamica relazionale, «l’elemento non è un’unità reale in sé, e tuttavia agisce come unità singola nel rapporto di interazione con l’altro, e non necessariamente l’elemento è unicamente un individuo, esso può essere nella sua singolarità, anche un gruppo, una cerchia sociale particolare»8. Col riconoscere la reciprocità come «il tratto fondamentale di ogni esistenza conoscibile», Simmel di fatto non fa che sviluppare una ontologia della relazione secondo la quale «l’essere non si dà mai nell’ipostasi, né come sostanza né come soggetto, ma sempre nella relazione»9. Lo stesso soggetto (ivi compresa

5

Mora 2005: 21. Ivi: 24. Per Simmel, come nota Moscovici [1991: 343-344], «la società non è un tutto autonomo, antecedente o esterno ai rapporti che legano fra loro i membri, si tratti di lavoro o di religione, di potere o di scambio. Essa si sviluppa contemporaneamente ad essi, come un corpo non preesiste alle cellule, al tronco o alle braccia. Sapere se venga prima la società o l’individuo non ha senso e non comporta una risposta chiara. E le strutture o le funzioni collettive che ci sembrano autonome sono, in realtà, azioni reciproche tra uomini che riescono ad oggettivarsi». 7 Mora 2005: 33-34. 8 Ivi: 34. 9 Vozza 2002a: 46. 6

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PARTE

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

la comprensione del suo essere al mondo), «si costituisce nel con-essere, nella prossimità promiscua con altri esistenti, in un’avventura di reciprocità tra l’Io e il Tu e di esposizione ad altri, in una fitta trama di percezioni reciproche, in un trasferimento continuo di proprietà, in un gioco di rimandi e di effetti interpretativi»10. Ponendo al centro dell’attenzione il tema della reciprocità, Simmel ha collocato strategicamente nel “cuore” della filosofia sociale, della teoria della cultura e delle scienze sociali e umane, il problema della imprevedibilità e vulnerabilità della relazione umana, delle sue forme e delle sue manifestazioni concrete. La sua filosofia e sociologia della modernità11 è pervasivamente rivolta ad elaborare una complessa analitica ed ermeneutica della reciprocità e della interrelazionalità, sviluppando sul piano epistemologico una concezione relazionale della conoscibilità del mondo umano facente perno sulla peculiare diversità irriducibile delle forme dell’agire sociale e delle relazioni intersoggettive. Un fondamento ontologico pratico, un paradigma epistemologico e un metodo esplicativo e comprendente – cioè, un a priori storico e un a priori metodologico – hanno guidato originalmente il saggismo simmeliano, che ha individuato nella reciprocità e nella relazione interattiva – la Wechselwirkung – il campo enigmatico in cui ineffabilmente si traduce il tradizionale e chiasmatico dilemma inerente il rapporto individuo/società. Affiancandosi strategicamente alla nozione dei rapporti tra la vita e le forme, il concetto di reciprocità (Wechselwirkung) può essere considerato «le principe organisateur»12 dell’opera di Simmel. Esso, come sostiene Cavalli, costituisce «la chiave interpretativa dell’intero pensiero simmeliano e del suo pensiero sociologico»13 perché indica «una concezione della realtà […]

10

Ibid. Sull’argomento, cfr. Frisby 1992a; Dal Lago 1994; De Simone 2002b; Simon 2004. 12 Papilloud 2003: 15. 13 Cavalli 1989: XVI. Come sottolinea Cavalli, il termine Wechselwirkung esprime negli scritti di Simmel un principio metafisico di portata generale [cfr. Cavalli-Perucchi 1984: 12]. Esso «non si riferisce essenzialmente ed esclusivamente alla circostanza dell’orientamento intenzionale fra attori in interazione (come poteva essere per la teoria dell’azione di Weber), e neppure a quella della costituzione dell’identità personale tramite un processo in cui il soggetto assume potenzialmente il ruolo dell’altro e, così facendo, interiorizza (e contribuisce a produrre) il sistema di norme e valori condivisi a livello sociale (come è per il moderno interazionismo simbolico di Mead e Blumer)» [Mora 1994: 41]. Con il termine «effetto reciproco» o «effetto di reciprocità» (traduzione letterale di Wechselwirkung) Simmel si riferisce ad un concetto che vuole esprimere «il momento dell’interrelazione e della interdipendenza come costitutivo di qualsivoglia fenomeno sociale» [Cavalli-Perucchi 1984: 12]. Come precisa ancora Cavalli, «l’essenza delle cose, se di essenza si può ancora parlare, non pertiene alle cose in sé ma ai rapporti di interdipendenza. E questi, a loro volta, possono essere di varia natura: rapporti 11

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PERCHÉ SIMMEL

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come rete di relazioni di influenza reciproca tra una pluralità di elementi»14, ovvero traduce «il nesso di reciprocità effettuale, di interscambio o di causazione reciproca che lega tutti i fenomeni della vita tra loro»15. spaziali di vicinanza e lontananza, rapporti causali di causa-effetto, rapporti teleologici di mezzo-fine, rapporti funzionali di parte-tutto e così via» [ibid.]. 14 Cavalli 1989: XVI. Com’è noto, sul concetto simmeliano di Wechselwirkung, Max Weber, a suo tempo, espresse – nel frammento Georg Simmel come sociologo, risalente al 1908 [qui citiamo dall’ultima tr. it. a c. di F. Monceri contenuta in Simmel 1998a: 79-86] – delle riserve e delle critiche, perché ritenuto di per sé molto ambiguo. In un passo significativo di questo frammento, leggiamo che Weber, riferendosi esplicitamente alla Soziologie del 1908 di Simmel, preferisce considerare e comprendere il suo stile e il suo metodo sociologico esaminando soprattutto «il modo in cui egli si occupa di problemi individuali» [ivi: 84]. Scrive Weber: «Per parlare nei termini più generali, “sociologia” è per Simmel una scienza che si occupa delle “interazioni” fra gl’individui. Ora, è chiaro che il concetto di “interazione” contiene una buona dose di ambiguità. Nel senso più ampio, in quanto reciproco influenzarsi di parecchie (ma comunque finite) “unità”, le “interazioni” si manifestano con le più varie sfumature, per esempio nella meccanica, nella fisica, nella chimica e in tutte le scienze naturali, con il risultato che la loro esistenza è sempre stata annoverata fra gli “assiomi”» [ibid.]. Come dice Dal Lago [1994: 177], Weber «tocca qui un punto essenziale per la comprensione della sociologia di Simmel». Con un puntuale commento, Flavia Monceri ha messo in evidenza i due aspetti principali presenti in questo breve testo weberiano, che nelle intenzioni del suo autore avrebbe dovuto costituire parte di un ben più ampio lavoro, già preannunciato nel 1905 ma poi non più portato a termine. Scrive Monceri: «In primo luogo, Weber sembra considerare senza esitazione Simmel più un filosofo che un sociologo, mostrando così di aver ben compreso che anche nei suoi lavori “sociologici” a Simmel interessavano sempre tematiche propriamente filosofiche, per le quali lo studio dei casi singoli rappresentava una esemplificazione tratta dalla vita quotidiana della modernità, oggetto privilegiato della sua riflessione filosofica. Weber avverte […] che la posizione filosofica di Simmel non può essere ricondotta ad alcuno dei movimenti filosofici contemporanei, perché costituisce un atteggiamento filosofico originale, non specialistico e non sistematico. Da queste constatazioni iniziali Weber prende le mosse per la critica ai lavori sociologici intrapresi da Simmel nell’appena pubblicata Soziologie, e lo fa proprio dal punto di vista dello specialista, attento alle questioni metodologiche e alle distinzioni concettuali. La critica di Weber è naturalmente soltanto accennata, ma è chiaro che essa avrebbe avuto per oggetto anche in un ipotetico seguito da un lato il concetto di ‘interazione’, così centrale nell’opera di Simmel, e dall’altro il metodo “analogico”» [1998b: 21-22]. Nonostante le indiscutibili “affinità” [su cui, cfr. Cavalli 1994: 224-239], si profila però – così conclude Monceri – una profonda differenza esistente fra Simmel “filosofo della cultura” e Weber “sociologo della cultura”. «Simmel, interessato al significato dei singoli eventi culturali all’interno di un più ampio quadro filosofico che tutti li ricomprenda, e che nelle ultime opere si avvicina sempre di più alla metafisica, impiega concetti e strumenti che permettano di rintracciare alcuni elementi unificanti pur nella innegabile contraddittorietà del divenire reale. Weber, invece, convinto della sostanziale incapacità di qualsiasi “scienza” di superare, o anche solo di comprendere, il motivo ultimo di quelle contraddizioni reali, rifiuta qualsiasi soluzione conciliante, accettando proprio quello specialismo che Simmel intendeva superare quale unico compito possibile per la scienza contemporanea, nietzscheanamente condannata a vivere in un’epoca in cui “Dio è morto”» [1998b: 22-23]. 15 Jedlowski 2000: 157.

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

Nel campo delle scienze sociali, fare riferimento a questa nozione significa «praticare un “relazionismo” radicale che comporta la rinuncia al tentativo di rintracciare una singola serie causale che spieghi in modo esaustivo un qualsivoglia fenomeno: non solo ogni fenomeno è connesso con innumerevoli altri in una rete infinita di relazioni, ma ciascuno retroagisce anche su quelli che – visti in una certa prospettiva – possono apparirne la causa. Alla nozione di “causa” si sostituisce così quella di corrispondenza, di influenza scambievole tra diversi ordini di fenomeni»16. L’oggetto della sociologia è costituito per Simmel dalle forme che assumono le relazioni di influenza reciproca tra gli esseri umani. La società stessa è a sua volta un complesso di relazioni che gli individui creano nel loro continuo interagire: questo complesso di relazioni si riproduce e si stabilizza in forme che, da un lato, rendono possibile l’analisi delle relazioni reciproche e, dall’altro, sono di continuo messe in discussione dalle successive, nuove e sempre più complesse interazioni 17. L’oggetto della sociologia come scienza e branca autonoma del sapere è dunque la società18. Ma che cos’è la “società”? La società, per Simmel, esiste realmente o è un’astrazione del pensiero? Simmel, com’è noto, affronta tali problematiche sia nel primo saggio introduttivo intitolato Il problema della sociologia del 1894 che verrà poi compreso nella Grosse Soziologie (del 1908)19 sia nel saggio dal titolo Il campo della sociologia che apre la Kleine Soziologie (del 1917)20. Seguiamo qui di seguito sinteticamente l’argomentazione svolta dal filosofo-sociologo berlinese in entrambi i saggi. Nel primo, Simmel si interroga sul quesito relativo a quale sia il problema della sociologia. Possiamo riformulare tale noto quesito “simmeliano” ponendolo – secondo quanto scrive Riccardo Prandini nella sua lettura “relazionale” della sociologia simmeliana21 – da due diversi punti vista. In primo luogo esiste il problema della sociologia. Si tratta del fatto che, una volta raggiunta storicamente la coscienza che ogni agire umano si attua nel16

Ibid. Cfr. Jedlowski 2000: 157 e Rutigliano 2001: 145. 18 Sul concetto di società in Simmel, cfr. Frisby 1992b: 5-19. 19 Sulla struttura testuale e sul contenuto della Soziologie di Simmel, cfr. Frisby 1985: 129157 (ivi bibliografia). 20 Sul problema della sociologia nell’evoluzione intellettuale di Simmel, cfr. D’Andrea 1998: 35-60 (ivi bibliografia). 21 Cfr. Prandini 1998: 191-289 (ivi bibliografia). Sulla fondazione della sociologia in Simmel, cfr. Frisby 1985: 47-71 (ivi bibliografia); Rammstedt 1992a: 107-129 e 1992b: 181-213. Sulla rilevanza di Simmel nella sociologia contemporanea, cfr. AA. VV. 1989; Kaern, Philipps, Cohen 1990 (ivi bibliografia); AA. VV. 1992; Dal Lago 1994; Frisby 1994. 17

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PERCHÉ SIMMEL

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l’ambito della società, la sociologia – scienza nuova – potrebbe diventare il ricettacolo di tutti i problemi che non trovano altrove comprensione teorica. In tal modo verrebbero persi i confini della scienza e si riverserebbero in un nuovo contenitore fenomeni che in realtà erano contenuti all’interno di settori di ricerca già esistenti (economia, storiografia, filosofia, ecc.). Da questo punto di vista la sociologia potrebbe essere pensata soltanto come un nuovo metodo per spiegare i fenomeni studiati da altre scienze: perciò essa rimarrebbe semplicemente una metodologia e non una scienza nuova dotata di una specificità. Per creare una nuova scienza occorre delimitare un oggetto specifico di analisi. Ecco dunque “il problema della sociologia”: trovarne l’oggetto specifico. Ogni scienza affronta la totalità delle cose a partire da un determinato concetto. Nessuna scienza può osservare la Totalità della Cosa (die Totalität der Dinge). Anche la sociologia, per poter diventare scienza, deve trovare il suo oggetto d’analisi tracciando una nuova linea tra i fatti già noti: deve trovare il concetto che unifichi quell’aspetto delle cose – le loro qualità e le loro funzioni – che può essere ritenuto comune all’unità metodico-scientifica della disciplina22.

L’analisi del concetto di società, precisa Simmel, può essere designata come distinzione «tra forma e contenuto della società» [S: 8], aggiungendo che in ogni fenomeno sociale esistente il contenuto e la forma sociale costituiscono una realtà unitaria; una forma sociale non può acquistare un’esistenza scissa da ogni contenuto, così come una forma spaziale non può sussistere senza una materia di cui essa costituisca la forma. Questi sono piuttosto gli elementi, inseparabili nella realtà, di ogni essere e accadere sociale: un interesse, uno scopo, un motivo e una forma o maniera di azione reciproca tra gli individui, mediante la quale e nella cui forma quel contenuto acquista realtà sociale [ivi: 9].

La società, o per meglio dire il processo relativo al costituirsi delle «forme di associazione» (Formen der Vergesellschaftung), esiste là dove più individui entrano in un rapporto di azione reciproca (Wechselwirkung). Quest’azione reciproca sorge sempre da determinati impulsi o in vista di determinati scopi. Impulsi erotici, religiosi o semplicemente socievoli, scopi di difesa e di attacco, di gioco e di acquisizione, di aiuto e di insegnamento, nonché innumerevoli altri, fanno sì che l’uomo entri con altri in una coesistenza, in un agire l’uno per l’altro, con l’altro e contro l’altro, in una correlazione di situazioni, ossia che eserciti effetti sugli altri e ne subisca dagli altri. Queste azioni reciproche significano che dai portatori individuali di quegli impulsi e scopi occasionali sorge un’unità, cioè appunto una «società» [ivi: 8-9]. 22

Prandini 1998: 203.

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PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

Simmel designa il materiale dell’associazione, il contenuto della società: ciò che gli interessa è il modo in cui da tali materiali (=contenuti) possa emergere una unità. A sua volta, tale unità per l’appunto può emergere soltanto «nella azione reciproca tra elementi di contenuto diverso, cioè quando dai contenuti (impulsi e scopi) deriva un agire che esercita effetti e subisce effetti da altre azioni»23: questa unità, per Simmel, è la società. I materiali, di cui «è piena la vita» costituiscono un’associazione soltanto quando strutturano la coesistenza isolata degli individui uno accanto all’altro in determinate forme di coesistenza con e per l’altro, le quali rientrano sotto il concetto generale dell’azione reciproca. L’associazione è dunque la forma, realizzantesi in innumerevoli modi diversi, in cui gli individui raggiungono insieme un’unità sulla base di quegli interessi – sensibili o ideali, momentanei o durevoli, coscienti o inconsci, che spingono in modo causale o che attirano teleologicamente – e nell’ambito della quale questi interessi si realizzano [ivi: 9].

La distinzione tra contenuto e forma sociale è soltanto analitica: essa rappresenta quella linea necessaria da tracciare se si vuole avere una scienza della società. Per Simmel, i contenuti dell’agire e del pensiero, analizzati e considerati isolatamente nel loro contenuto, non presentano alcunché di specificamente sociale: «soltanto quando questi contenuti acquistano la forma dell’influenza reciproca, della reciprocità, quando cioè ha luogo un’azione di un elemento sull’altro e viceversa, la pura e semplice contemporaneità spaziale empirica o la successione temporale degli uomini e delle loro azioni si trasforma in società»24. Applicato alla sociologia, il concetto di azione reciproca si declina come Vergesellschaftung, che, in quanto processo e risultato mediante il quale si instaurano e si mantengono le relazioni di azione reciproca tra elementi sociali (individui, gruppi, ma anche intere società)25, è dunque una proprietà emergente degli stessi processi d’azione. Pertanto, la sociologia analizza il «puro fatto dell’associazione nelle sue diverse configurazioni e il suo oggetto è la relazione sociale»26. In altri termini, nella prospettiva simmeliana, la scienza della società si occupa della società sensu strictissimo, ossia delle forme d’associazione che non tanto producono l’associazione quanto la sono realmente. In tal senso la distinzione tra fenomeni macroscopici e fenomeni microscopici-molecolari non è adeguata. La sociologia studia sia la processualità 23 24 25 26

Ibid. Ivi: 204. Cfr. Cavalli 1989: XVI. Prandini 1998: 205.

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PERCHÉ SIMMEL

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molecolare, lo status nascens, i processi primari (costituiti da tutte quelle forme di reciprocità e relazione – anche le più effimere e impercettibili – che costituiscono l’accadere reale della società) sia il loro successivo “sostanzializzarsi” in unità stabili e sistemi macroscopici. Senza le mille relazioni, senza la vita pulsante, che vengono tessute quotidianamente e che legano gli uomini tra loro in modo indissolubile, la società si sfalderebbe in una molteplicità di sistemi discontinui 27.

Per Simmel, secondo quanto osserva Vozza, la sociologia «non rispecchia alcun positum, non descrive o spiega qualcosa di sussistente nel mondo esterno, bensì costituisce un metodo, un principio di ricerca valido per tutte le scienze, un modello di comprensione dei fenomeni storici in base all’essere in comune, alle forme della reciprocità, che si avvale prospettivisticamente di tutte quelle astrazioni, scomposizioni e sintesi che si rivelano necessarie per rendere significativo un ambito d’analisi»28. Nella sua visuale, «la società sussiste laddove si svolge un’azione reciproca tra individui, un’azione motivata da differenti impulsi – consci o inconsci, transitori o permanenti, reali o ideali – e orientata alla realizzazione di determinati scopi»29. Mettendo in luce quelle forme a priori di associazione che si manifestano ricorrenti nel comportamento reciproco (considerato nelle sue molteplici configurazioni) tra gli individui, la sociologia, simmelianamente, «disaggrega i fenomeni per reperirne la pura e semplice forma, la quale, però, nel dominio effettuale del vivere associato, si manifesta sempre al plurale, nei suoi molteplici modi»30: pertanto, «occorrerà “cristallizzare l’eguale rispetto al differente”, preservando tuttavia la differenza, la singolarità plurale, all’interno di ciò che appare comune»31. In Simmel le astrazioni, da cui scaturiscono le forme sociologiche, «non sono elaborazioni concettuali del tutto autonome, stimolate occasionalmente da mere finalità conoscitive, e come tali suscettibili di arbitrarietà e sterilità; esse devono mantenere una qualche relazione funzionale con la realtà empirica che intendono analizzare, trovando almeno in parte nella struttura dell’oggettività una buona e argomentata legittimazione della loro applicazione»32. Nell’epistemologia simmeliana, osservazione e interpretazione, spiegazione e comprensione sono modalità cognitive che cooperano e che possono trovare una “sintesi” tra astrazione concettuale

27 28 29 30 31 32

Ibid. Vozza 2002: 47. Ibid. Ivi: 48. Ibid. Ibid.

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

e analisi empirica, tra costrutti idealtipici e procedure induttive di osservazione. Lo stesso Simmel formula tale “complessa” e possibile soluzione allorquando scrive: Una scienza fondamentale delle forme della società deve assumere concetti e connessioni concettuali in una purezza e compiutezza astratta che non si presentano mai nelle realizzazioni storiche di questi contenuti. Ma la comprensione sociologica, la quale vuol cogliere il concetto fondamentale di associazione nei suoi significati e nelle sue configurazioni specifiche, e analizzare i complessi di fenomeni nei loro fattori singoli fino ad approssimarsi a regolarità induttive, può farlo soltanto ricorrendo alla costruzione strumentale di linee e di figure per così dire assolute, che nell’accadere sociale si presentano sempre soltanto come spunti, frammenti, realizzazioni parziali continuamente interrotte e modificate [S: 131].

Ciò detto, la questione che si pone come rilevante è ora quella che segna il passaggio “dal problema al campo della sociologia”: in questo necessario transito simmeliano si traduce il dilemma che vede appunto la «vita pulsante della società» essere il luogo di accadimento della reciprocità fra elementi, cui spetta il compito di sopportare la durezza, l’elasticità, la molteplicità e l’unità di un vivere sociale tanto intelligibile quanto enigmatico. Occorre dunque capire se per Simmel la società sia qualcosa di reale oppure soltanto una pura astrazione dell’osservatore. La questione, di per sé complessa e dilemmatica, viene discussa da Simmel, com’è noto, nel secondo saggio sopra citato, Il campo della sociologia33. Egli affronta subito la problematica cercando di rispondere ai due approcci gnoseologici che negano legittimità alla sociologia, ovvero la pretesa stessa al titolo di scienza. Al riguardo egli scrive: Per un verso, si sostiene che l’esistenza sia da attribuire solo agli individui (consistendo delle loro proprietà ed esperienze) e che la “società” non sia altro che un’astrazione, indispensabile per fini pratici, di grande utilità in vista di una sistematizzazione globale (ancorché temporanea) dei fenomeni e tuttavia inesistente, come oggetto, al di là di quegli individui e di quelle esperienze. In tal senso, un’indagine che si proponga di oltrepassare queste determinatezze storiche e naturali, rischia di metter capo ad una scienza senza oggetto. Su un altro versante, in contrasto con questa critica “restrittiva”, si afferma che il concetto di società è eccessivamente vasto e che pertanto non vale a delimitare adeguatamente un particolare ambito di ricerca. Tutto ciò che gli uomini sono o fanno – così si dice – è interno alla società, è determinato da essa ed

33

Cfr. Simmel 1983: 33-59.

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PERCHÉ SIMMEL

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esiste come parte costitutiva del suo vivere. Per questo, in generale, non c’è scienza umana che non sia anche scienza della società. Di conseguenza, in luogo di tante scienze particolari (storiche, psicologiche, normative), isolate l’una dall’altra in maniera artificiale, dovrebbe subentrare una scienza della società, capace di riunire in sé la moltitudine degli interessi, dei contenuti e dei processi umani, fino a dimostrare che il loro manifestarsi in unità concrete può aver luogo solo attraverso l’associazione (Vergesellschaftung)34.

Questi due approcci gnoseologici in realtà costituiscono due ontologie sociali, nei confronti delle quali Simmel argomenta a favore della realtà della società con risposte differenziate35. In estrema sintesi: Agli individualisti Simmel risponde che il metodo riduzionista – ridurre la società alla mera somma di azioni individuali – non può essere legittimato naturalisticamente o empiricamente. Anche l’individuo è una categoria formata dallo scienziato e perciò non è l’elemento ultimo della scienza sociologica. La distinzione tra fenomeni micro e macro non può essere empirica, bensì soltanto analitica; essa dipende dagli intenti conoscitivi dello scienziato. Per l’approccio riduzionistico hanno realtà, per fare l’esempio simmeliano, soltanto le molecole di colore, le lettere dell’alfabeto e le particelle d’acqua, mentre il dipinto, il libro e il fiume esistono solo per l’osservatore disposto a recepirli come tali. Tale impostazione gnoseologica è assurda poiché tutti i fenomeni sopra descritti possiedono una loro specifica realtà, come l’acqua è reale quanto l’idrogeno e l’ossigeno. La distinzione analitica micro/macro non corrisponde a quella ontologica realtà/astrazione in quanto la realtà può essere osservata soltanto attraverso categorie conoscitive, attraverso uno schema concettuale36.

Oltre a ciò, Simmel si spinge ancora più in avanti, e da parte sua afferma: I grandi sistemi e le organizzazioni pluriindividuali, cui si suole pensare quando si parla di società, non sono altro che manifestazioni di reciprocità fra individui, protrattesi nel tempo e trasformatesi in formazioni stabili, autosufficienti e provviste di una fisionomia ben definita. Questo processo di solidificazione consente loro di esistere in base a un principio e a delle leggi proprie, affiancandole o opponendole come forme viventi capaci di autodeterminazione. Inoltre, in questo suo continuo realizzarsi come entità vivente, la società prescrive che gli individui siano legati da una determinazione e da un influsso reciproci. Pertanto, essa è qualcosa di funzionale cui gli individui si rapportano in senso attivo e passivo, e dato questo suo carattere, più che di 34

Ivi: 34. Cfr. ivi: 35-41. 36 Prandini 1998: 206. 35

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

società, bisognerebbe parlare di associazione. Società, infatti, è solo il nome con cui si indica una cerchia di individui, legati l’un l’altro da varie forme di reciprocità, la cui unità è la stessa che si osserva in un sistema di masse corporee, tali da influenzarsi a vicenda e comportarsi secondo la determinazione che ricevono. Anche in questo caso, ci si può opporre che solo gli elementi singoli sono “realtà” e che il movimento o le modifiche cui vanno incontro non hanno nulla di tangibile, ma costituiscono delle realtà di secondo grado: che, in altri termini, il luogo di questi fenomeni sta solo nei singoli frammenti di materia, mentre la loro presunta unità è frutto di una sintesi artificiale (gli impulsi ricevuti o trasmessi restano infatti circoscritti a quelle esistenze ultime e particolari). Allo stesso modo, si può ripetere che le uniche realtà propriamente dette sono sempre e soltanto gli individui umani. Ma di questo passo non si ottiene nulla. La società non è una sostanza e, di per sé, non è nulla di concreto; è un evento, è la funzione dell’“agire e patire”, è il destino e la forma cui ciascuno va soggetto per via degli altri. La percezione diretta ci rivela soltanto la presenza di individui e di uno spazio vuoto che invariabilmente li separa […]. Ma se è vero che, in base ad essa, le uniche “esistenze” in senso stretto sono gli individui, è anche vero che l’accadere, la dinamica dell’agire e patire (con cui questi individui si trasformano a vicenda) continua a farsi come qualcosa di “reale” e di indagabile37.

Simmel risponde agli olisti 38 con argomentazioni ontologiche. Il primo grande ordine di problemi della sociologia dimostra che anche se essa includesse ogni aspetto dell’esistenza umana, «non perderebbe mai quel carattere di astrazione unilaterale che appartiene inevitabilmente a tutte le scienze»39. Dicendo questo, Simmel intende immediatamente riferirsi innanzitutto alle determinazioni della pura oggettività delle “cose”. Egli scrive:

37

Simmel 1983: 41-43. È appena il caso qui di ricordare, soprattutto al lettore non specialistico, che nella tradizione del pensiero sociologico – come precisa Vincenzo Cesareo nel suo libro Sociologia. Teorie e problemi – gli approcci olistici si riferiscono a quelle «teorie secondo le quali il tutto è sempre e comunque più grande delle singole parti che lo costituiscono. Sotto il profilo specificamente sociologico si rifanno a questo orientamento di fondo, seppur con accentuazioni diverse, sia gli approcci strutturalistici sia quelli funzionalistici, sia quelli sistemici. In essi, infatti, l’ordine sociale (struttura o sistema) costituisce il presupposto essenziale dell’agire individuale e collettivo: il tutto spiega le parti. Solo e nella misura in cui sono inseriti in un sistema o appartengono a una struttura, gli esseri umani diventano anche esseri sociali. Di conseguenza la struttura (o il sistema) viene sempre prima degli individui, in quanto li precede e assume nei loro riguardi un legittimo valore esplicativo» [1993: 23]. Viceversa, «se gli approcci olistici pongono al centro dell’analisi le strutture o i sistemi sociali, nonché gli effetti di essi sui comportamenti individuali, l’altra sociologia, cioè quella individualistica, assume come oggetto iniziale di studio l’agire degli individui e le loro interazioni» [ivi: 31]. 39 Simmel 1983: 49. 38

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Bisogna anche ammettere che ogni contenuto della vita umana, pur realizzandosi solo in certe condizioni e nella dinamica della vita sociale, offre sempre conferma ad una prospettiva che con quest’ultima non ha nulla a che fare. Le cose, prese nella loro sequenza e conformi a quell’idea che è loro intrinseca, posseggono un senso, una legge, una misura di valore, che sta al di là della vita sociale e individuale, e ne consente l’individuazione e la comprensione specifica. Ma non c’è dubbio che, rispetto alla realtà pura e semplice, anche questa non sia nient’altro che un’astrazione. Nessun contenuto oggettivo si realizza in base a una logica che gli è intrinseca, ma può farlo solo col contributo di forze storiche e psichiche. Quel che ci sta di fronte è un’unità che la conoscenza non può mai afferrare direttamente, mentre ciò che indichiamo come contenuto oggettivo è soltanto il derivato di una categoria unilaterale40.

Sostenere che la sociologia ha come oggetto di studio le forme sociali che i contenuti materiali acquisiscono non significa affermare che tali contenuti non presentino una loro peculiare natura distinta dalla loro forma sociale. Per Simmel, sia pur problematicamente, è possibile superare le contraddizioni di individualismo e olismo41, in quanto la sociologia – come scienza – studia 40

Ivi: 49-50. Cfr. Prandini 1998: 207. Sulla teoria sociologica simmeliana dell’individuo e del suo rapporto con gli altri individui e con la società, su cui non tutti i critici convergono, cfr. Mora 1994: 36-38 e Rutigliano 2001: 151-156. A tal proposito, come osserva Jedlowski [1998: 112], «diversamente da Durkheim, Simmel non tende a porre la sociologia al di sopra delle altre scienze dell’uomo. Si limita a definirne la specificità. Secondo lo stesso atteggiamento, egli non ritiene che l’oggetto della sociologia, cioè la società, sia intrinsecamente “superiore” all’individuo. Individui e società esistono parimenti: è la diversità dello sguardo di chi osserva che mostra ora gli uni, ora gli altri. Ciò non toglie, tuttavia, che tra individuo e società esistano delle tensioni». Del «dissidio inconciliabile» fra individuo e società, Simmel si è occupato in molti dei suoi saggi, a partire dalla suo volume La differenziazione sociale del 1890. In particolare egli affronta questo problema in uno di suoi ultimi scritti di “sociologia filosofica” intitolato Individuo e società nell’intuizione della vita del XVIII e XIX secolo, contenuto nei suoi Problemi fondamentali della sociologia [cfr. Simmel 1983: 94-123]. Qui Simmel osserva che: «Il vero problema pratico della società sta nel rapporto in cui le sue energie e le sue forme vengono a trovarsi rispetto alla vita individuale. La società esiste sia negli individui che al di fuori di loro, tanto che chiunque riconosca solo ad essi un’“esistenza” propria – e identifichi la vita della società con quella dei suoi membri – non può assolutamente negare la presenza di diversi conflitti. Accade infatti che, da un lato, gli elementi sociali, presenti negli individui, si uniscano a formare una “società” e la provvedano di organi che poi, come una parte estranea, si oppongono al singolo con esigenze e disposizioni proprie. Dall’altro lato, bisogna ammettere che il conflitto è qualcosa cui l’individuo si espone già per il fatto di vivere associato. Una delle caratteristiche degli uomini – che consiste non solo nel dividersi in partiti, ma addirittura in parti di se medesimi, tali da contrapporsi reciprocamente nella determinazione dell’agire –, li pone, come esseri sociali, in un rapporto conflittuale con gli interessi e gli impulsi dell’Io, che proprio l’appartenenza a una società contribuisce ad ali41

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

quei fenomeni che, pur avendo un loro determinato contenuto oggettivo, di fatto «hanno origine dalla vita sociale, nel duplice senso del termine: dalla reciprocità fra individui (che fa nascere in ciascuno ciò che da lui solo non trarrebbe spiegazione) e dal succedersi delle generazioni, i cui retaggi e lasciti si fondono indissolubilmente col patrimonio della persona, consentendo che, a differenza di tutte le specie inferiori, l’uomo sociale sia non solo un discendente, ma anche un erede»42. La sociologia – come egli scrive nella Soziologie – è la «dottrina dell’essere-società dell’umanità» [S: 14]. Ciò sta a significare che «sull’umanità è possibile anche uno sguardo scientifico non sociologico proprio a causa dell’oggettività specifica dei contenuti umani stessi»43. In tal senso, la sociologia, concepita come scienza peculiare delle forme sociali, acquisisce anche una sua specifica metodologia: «quella genetica che descrive i processi generativi emersi dalla relazione sociale»44. mentare» [ivi: 94). In linea di principio, scrive Simmel, questo «dissidio fra il tutto (che esige la complementarietà e l’unità dei suoi elementi) e la parte (che vorrebbe essere un tutto a sua volta) non è risolvibile» [ivi: 95]. Tale dissidio astratto si realizza però in forme diverse nel corso della storia. In particolare, è nell’epoca moderna che esso si concretizza in modo esplicito e generalizzato: «è qui infatti che sorge un orientamento etico che tende a enfatizzare più che mai prima la libertà essenziale di ogni individuo, la sua unicità, e la sua responsabilità personale nella definizione del proprio destino e nella realizzazione di sé» [Jedlowski 1998: 112]. In sintesi, in questo suo saggio, Simmel, osserva che «il concetto di individuo ha dei significati differenti, ad esempio, nella cultura europea del Settecento e in quella del secolo successivo. Nella cultura settecentesca, parlare di “individui” significò soprattutto affermare il principio dell’uguaglianza naturale di tutti gli uomini. Si trattava di un’istanza critica nei confronti della cultura feudale e aristocratica, che tendeva al contrario a riconoscere differenze fondamentali tra gli uomini, corrispondenti alle differenze di nascita: per la cultura feudale, un signore e un servo non erano uguali, e i loro destini, così come i loro diritti e doveri, erano differenti in modo radicale ed immutabile. La cultura dell’Illuminismo reagiva contro quest’impostazione, e affermava che, essendo per natura uguali, tutti gli uomini hanno medesimi diritti e doveri […]. Il concetto di individuo, nella cultura illuministica del Settecento, è soprattutto l’idea di una eguaglianza di diritto di tutti gli uomini fra loro. Ma, nel corso dell’Ottocento, un altro contenuto si fa strada. È l’idea che gli uomini siano sì, dal punto di vista del diritto, tutti formalmente uguali, ma, per quanto concerne la loro interiorità, siano dissimili. A tale idea si affianca quella – estremamente gravida di conseguenze – secondo cui il compito etico di ciascuno consiste esattamente nel portare a compimento, cioè nell’esprimere e realizzare, la propria unicità. Il concetto di individuo diventa qui non più e non tanto l’idea di una uguaglianza di tutti gli uomini in quanto espressione della medesima “natura umana”, ma quella di una differenza fondata sull’assunzione della loro unicità, e della loro responsabilità personale nello sviluppare le potenzialità implicite in tale unicità Per la cultura che esprime questa idea di individuo, Simmel conia l’espressione di individualismo qualitativo (o individualismo della differenza). È nel contesto di questo orientamento culturale diffuso che la tensione tra individuo e società si fa particolarmente marcata» [ivi: 113-114]. 42 Simmel 1983: 45. 43 Prandini 1998: 207. 44 Ibid.

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Ebbene, essendo ogni processo o relazione sociale il risultato dell’azione reciproca degli individui, ne consegue che la definizione del problema, del campo e degli obiettivi della sociologia come scienza delle forme sociali derivi da tutto ciò: Se è vero che la società è reciprocità fra individui, la descrizione delle forme che può assumere è compito della scienza della “società” in senso stretto45.

La sociologia è dunque secondo Simmel una scienza delle forme: «si occupa di descrivere le forme che le relazioni di reciprocità assumono in situazioni e in tempi differenti, solidificandosi nelle grandi istituzioni, o rimanendo effimere nelle relazioni più fuggevoli»46. Tuttavia, considerare Simmel, come per lungo tempo è avvenuto, un sociologo «formale»47 è riduttivo, in quanto vuol dire prendere troppo alla lettera il sottotitolo della sua Soziologie: le Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, infatti, come avverte e ribadisce criticamente Cavalli, «costituiscono soltanto un apparato concettuale al servizio dell’analisi di processi sociali che si collocano a livelli diversi lungo un continuum che va dai processi storici di mutamento sociale di lungo periodo ai più effimeri processi di interazione faccia-faccia che si realizzano in un incontro casuale»48.

45

Simmel 1983: 55. Jedlowski 1998: 104. 47 Sull’argomento, cfr. l’ampia rassegna di contributi raccolta in L. Ray, Formal Sociology. The Sociology of Georg Simmel [1991, ivi bibliografia]. 48 Cavalli 1989: XXIII. La forma dei fenomeni sociali è oggetto della sociologia. Ponendo in questi termini il problema della sociologia, si pone anche chiaramente in Simmel «la doppia questione della riflessività della sociologia e della riflessività della società. Per quanto riguarda il primo aspetto della questione, la sociologia è diversa dalle altre scienze, poiché essa stessa, nel momento in cui viene elaborata come scienza da un soggetto conoscente, assume le caratteristiche di un fenomeno sociale, di un fenomeno, cioè, che dovrebbe essere sottoposto alla sua stessa analisi. L’elaborazione di un sapere, infatti, è possibile ad un soggetto che sia inserito in una rete di relazioni reciproche con altri soggetti e/o con l’altro da sé in generale. Dunque la sociologia procede come scienza ponendo anche se stessa come oggetto di conoscenza […]. Però, la questione della riflessività riguarda non solo la scienza sociologica, ma anche l’oggetto società. Secondo Simmel, infatti, la società esiste quando gli individui raggiungono insieme un’unità sulla base degli interessi […] che li muovono all’azione: quando essi “coesistono” l’uno accanto all’altro, orientandosi reciprocamente e si riconoscono reciprocamente come gruppo, come soggetto collettivo. Se la società è tale in virtù della consapevolezza reciproca degli attori nella loro collocazione storica, spaziale e temporale, possiamo dire che essa ha una struttura riflessiva, in quanto prende origine dal sapersi dei suoi membri, non come specialisti di un sapere settoriale, ma come membri laici competenti della stessa società» [Mora 1994: 35-36]. 46

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

Simmel – è stato osservato – considera la società disaggregando l’immagine della sua unità nelle forme che assumono i rapporti di interazione e nei processi elementari attraverso cui tali forme si realizzano: in tal senso non sono i contenuti del sociale che costituiscono gli oggetti di studio della sociologia, ma i suoi modi d’essere, le forme cioè attraverso le quali gli individui raggiungono insieme un’unità sulla base del riconoscimento reciproco. Anche se in «ogni fenomeno sociale attuale, contenuto e forma costituiscono una realtà unitaria», occorre a livello analitico compiere tale separazione. Questo livello di astrazione, che collega sotto una nuova luce i fenomeni sociali, fa sì che la sociologia si possa porre come scienza dotata di un suo statuto e di una sua autonomia rispetto alle altre scienze sociali. Separare «quello che oggettivamente è sempre stato unito» consente lo studio delle forme dell’associazione «come campo di ricerche scientificamente indipendente». In altre parole occorre che la sociologia «sciolga le pure forme dell’associazione dai suoi legami con i contenuti più differenti e le congiunga insieme in un campo speciale», quello appunto della speculazione sociologica. Il metodo proposto e praticato da Simmel, che procede dal particolare al generale, considera dunque le forme oggetti autonomi di conoscenza e si basa sul duplice presupposto che forme di associazione diverse possano produrre uno stesso contenuto e che uno stesso contenuto possa rivestire forme diverse. In tal modo la sociologia ha a che fare con un fenomeno regolato da leggi proprie e capace di essere astratto: tali forme non producono l’associazione, piuttosto costituiscono, per effetto dell’azione reciproca, forme di coesistenza tra gli individui. Pertanto il sociologo deve procedere […] estraendo l’uniforme dai fenomeni complessi, cogliendo, nella molteplicità delle situazioni, «configurazioni particolari di forma oggettiva». È così che Simmel traccia il profilo di particolari figure sociali (il povero, lo straniero) e particolari forme di associazioni (le società segrete, la triade) o aspetti apparentemente banali della vita quotidiana (la civetteria, la moda, le consuetudini durante i pasti), che disegnano configurazioni ambivalenti e costituiscono una sorta di tessuto connettivo che rende possibile la società49.

Per Simmel, considerato insieme non soltanto come “nur Philosoph”50 ma anche come sociologue51, l’oggetto-problema della sua riflessione, comprensiva di una fondazione “filosofica” della sociologia, «orientata dall’idea della “dimensione relazionale dell’esserci-nel-mondo”»52, è costituito dalle forme che assumono le relazioni di influenza reciproca tra gli esseri umani. La società stessa è a sua volta un complesso di relazioni che gli individui creano nel loro continuo interagire costituito da effetti di reciprocità: questo complesso 49 50 51 52

Calabrò 1997: 45-46. Cfr. Mora 2005. Cfr. Watier 2003. Simon 2004: 111.

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PERCHÉ SIMMEL

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fluire dinamico di relazioni si riproduce e si stabilizza in forme che, da un lato, rendono possibile l’analisi delle relazioni reciproche e, dall’altro, sono di continuo messe in discussione dalle successive, nuove e sempre più complesse interazioni sociali. Secondo Simmel, la società, o per meglio dire il processo relativo al costituirsi delle «forme di associazione» (Formen der Vergesellschaftung), esiste là dove più individui entrano in un rapporto di azione reciproca (Wechselwirkung). Applicato alla sociologia, il concetto di azione reciproca si declina come Vergesellschaftung, che, in quanto processo e risultato mediante il quale si instaurano e si mantengono le relazioni di azione reciproca tra elementi sociali (individui, gruppi, ma anche intere società), è dunque una proprietà emergente degli stessi processi d’azione. Affermando che la società «esiste là dove più individui entrano in azione reciproca» e che «quest’azione sorge sempre da determinati impulsi o in vista di determinati scopi» [S: 8], Simmel – procedendo da sociologo e interrogandosi nel contempo da filosofo –, non soltanto ha da sciogliere uno dei nodi teorici più difficili da affrontare nel campo della sociologia, ovvero la concettualizzazione del rapporto individuo/società – «la “società” esiste poiché generata da contributi individuali che vanno oltre l’individuo»53 –, ma ha da porsi contemporaneamente la domanda – formulata inizialmente in analogia a quella kantiana (nella prima Critica) circa le condizioni di possibilità della natura –: Wie ist Gesellschaft möglich? Tale domanda relativa a «cosa rende possibile l’esistenza sociale (in tutte le sue innumerevoli forme)?»54 è una questione che, riflettendo specularmente un interesse dominante nella filosofia moderna, da Hobbes a Rousseau a Marx, traduce ora paradigmaticamente il problema di Simmel: «come l’individuo possa mantenere la sua individualità nell’ambito delle sue relazioni sociali»55. Com’è noto, Simmel risponde ad essa nel famoso Excursus sul problema: come è possibile la società? [S: 26-38], una “domanda trascendentale” che solitamente riceve scarsa attenzione nelle discussioni dei sociologi56. Pur essendo un tipico interrogativo kantiano («Come è possibile la natura?»), analogamente a Kant, che aveva posto l’istanza sulle condizioni di possibilità della natura, considerando quest’ultima come un modo in cui il nostro intelletto raccoglie, ordina, dà forma alle sensazioni57, Simmel intende analizzare le condizioni trascendentali che permettono di “conoscere” la società58. Tuttavia, la domanda, formulata inizialmente in analogia a quella kantiana circa 53

Navarini 2005: 98. Dal Lago 1994: 172. 55 Ibid. 56 Cfr. Frisby 1985: 141. 57 Cfr. Vozza 2002: 50. 58 Cfr. Dal Lago 1994: 173. 54

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

le condizioni di possibilità della natura, viene da Simmel successivamente impostata in termini profondamente diversi da quelli adottati da Kant nella prima Critica59. Di fatto, rispetto a Kant, come scrive Vozza, «di analogo vi è soltanto la forma dell’interrogare trascendentale, poiché – quanto al merito della domanda – si dovrà concludere che mentre l’unità della natura è attributo esclusivo del nostro intelletto, la connessione sociale si manifesta nelle cose stesse, appare cosciente e attiva anche senza l’intervento di un osservatore esterno»60. Pertanto, il principio kantiano «è inapplicabile alla società, la cui unità oggettiva sfugge al presupposto solipsistico della conoscenza e richiede invece una fenomenologia dei processi reali di associazione, un sapere più che un conoscere»61. Qui, è infatti importante, prima di esaminare ricostruttivamente la risposta di Simmel, precisare a questo riguardo lo “statuto gnoseologico” di tale quesito. Come scrive Dal Lago: In primo luogo notiamo che Simmel evoca, più radicalmente che in opere precedenti, l’esistenza dell’Altro, che pure era implicita nella sua idea di reciprocità o Wechselwirkung. Si tratta cioè di un interrogativo fenomenologico, che riguarda la costituzione, nel soggetto, di quell’oggetto particolare che è il mondo «degli altri». In secondo luogo, con «conoscenza» non ci si riferisce qui alla conoscenza dello scienziato sociale, ma alla conoscenza di ogni individuo o attore che entra in relazione con altri. La conoscenza interpersonale (sapere come gli altri conoscano la società) è perciò una condizione di esistenza sia dell’oggetto chiamato società sia della possibilità di conoscerlo scientificamente62.

Simmel ha di fronte a sé il problema dato dalla differenza tra le condizioni che rendono possibile la natura, come fenomeno conoscibile, e quelle che rendono possibile la società. Confrontandosi analogicamente con il filosofo delle tre Critiche, egli osserva che

59 Cfr. Giacomini 1999: 50 e D’Andrea 1999: 86. La complessità del rapporto che Simmel intrattiene con il pensiero di Kant può essere emblematicamente sintetizzata da quanto lo stesso Simmel scrive, nella seconda delle sue lezioni berlinesi su Kant, allorquando sostiene che l’idea kantiana che l’«intero intelletto conosce» dev’essere completata con quella filosoficamente percorsa da Goethe secondo cui «l’uomo intero conosce» [G. Simmel, Kant. Sedici lezioni berlinesi, a c. di A. Marini e A.Vigorelli, 1999: 85]. Per un’analisi approfondita e critica del rapporto Simmel-Kant, oltre ai saggi di Marini [1999: 11-48] e di Vigorelli [1999: 49-64] preposti all’edizione italiana di Simmel 1999, si veda anche Semerari 1954; Léger 1989: 117-137; d’Anna 1996. Sul confronto-accostamento fra Kant e Goethe, cfr. G. Simmel, Kant e Goethe. Una storia della moderna concezione del mondo, tr. it. di A. Iadicicco [1995a], su cui cfr. De Simone 2006: 191-223; per il Simmel “goethiano”, cfr. P. Giacomoni, Classicità e frammento [1995]. 60 Vozza 2002: 50. 61 Ibid. 62 Dal Lago 1994: 173.

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la natura è per Kant un determinato modo di conoscere, un’immagine che si sviluppa attraverso le nostre categorie conoscitive e in esse. La questione: come è possibile la natura? – ossia quali sono le condizioni che devono sussistere perché vi sia una natura – si risolve quindi per lui mediante la ricerca delle forme che costituiscono l’essenza del nostro intelletto e che in tal modo producono la natura in quanto tale [S: 27].

L’“inapplicabilità” dello schema kantiano alla questione della società è però subito dopo esplicitamente affermata in uno dei passi salienti della pagina simmeliana: Si sarebbe tentati di trattare in modo analogo la questione delle condizioni a priori in base alle quali è possibile la società. Infatti anche qui sono dati elementi individuali che in un certo senso sussistono anch’essi nella loro esteriorità reciproca, al pari delle sensazioni, e che raggiungono la loro sintesi nell’unità di una società soltanto attraverso un processo di coscienza il quale pone l’essere individuale del singolo elemento in relazione con quello dell’altro in determinate forme e secondo determinate regole. Ma la differenza decisiva tra l’unità di una società e l’unità della natura consiste in questo: che la seconda – dal punto di vista kantiano qui presupposto – sussiste esclusivamente nel soggetto conoscente e viene prodotta esclusivamente da lui sulla base degli elementi sensibili di per sé privi di legame, mentre l’unità sociale viene realizzata senz’altro dai suoi elementi, poiché essi sono coscienti e sinteticamente attivi, e non ha bisogno di alcun osservatore. Il principio kantiano secondo il quale la connessione non può mai risiedere nelle cose, poiché viene posta in essere soltanto dal soggetto, non vale per la connessione sociale, che di fatto si compie piuttosto immediatamente nelle «cose» – che qui sono le anime individuali [ibid.].

La densità tematica di questo passo sottolinea come Simmel voglia esplicitamente evidenziare che il soggetto della sintesi sia anche «uno degli innumerevoli elementi cui essa si applica»63. Detto altrimenti: «Mentre gli elementi della natura sono le sensazioni, poi strutturate in oggetti, quelli della società sono gli individui. L’unità sociale è perciò il risultato dell’attività sintetica non di un soggetto esterno – l’osservatore –, ma dei soggetti stessi che la compongono, ciascuno dei quali, in connessione con gli altri, co-produce la società. La sintesi si presenta perciò immanente al suo oggetto e dipendente da questo. Se si approfondisce, poi, la natura dell’unificazione che la società realizza, si scopre che gli elementi che essa lega, gli individui, non si danno, come le sensazioni, soltanto grazie alla sintesi che li ordina, ma sussistono indipendentemente da questa, disponendosi rispetto all’osservatore come 63

Giacomini 1999: 50.

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PARTE

PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

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soggetti del tutto simili a lui, esistenti per sé indipendentemente da ogni rappresentazione»64. In questa prospettiva, come scrive Simmel, la società è «la mia rappresentazione», ossia poggia sull’attività della coscienza, in un senso del tutto diverso dal mondo esterno. Infatti l’altra anima ha per me appunto la stessa realtà che possiedo io, cioè una realtà che si differenzia molto da quella di una cosa materiale. Per quanto Kant garantisca che gli oggetti spaziali hanno esattamente la medesima sicurezza della mia propria esistenza, con quest’ultima possono essere intesi soltanto i singoli contenuti della mia vita soggettiva: infatti il fondamento del rappresentare in generale, il sentimento dell’io possiede una incondizionatezza e una incrollabilità che non viene conseguita da nessuna particolare rappresentazione di un oggetto esterno materiale. Ma anche il fatto del tu possiede per noi – si possa o no giustificarla – questa stessa sicurezza; e come causa o come effetto di questa sicurezza noi sentiamo il tu come qualcosa di indipendente dalla nostra rappresentazione di esso, qualcosa che esiste di per sé esattamente come la nostra propria esistenza [ivi: 28]65.

Il problema del rapporto con l’altro, a questo punto, pare racchiudersi nello stesso “paradosso” che contraddistingue la comprensione storica66. Infatti, Simmel subito aggiunge: Che questo per-sé dell’altro (Für-Sich des Andern) non ci impedisca tuttavia di farne una nostra rappresentazione (Vorstellung), che qualcosa che non si può risolvere affatto nel nostro rappresentare divenga ciononostante contenuto, e quindi anche prodotto di questo rappresentare – questo è lo schema e problema psicologico-gnoseologico più profondo dell’associazione [ibid.].

64

Ibid. Secondo Simmel – come osserva Squicciarino [1999: 36] – «mentre il rapporto dell’uomo con la natura è un rapporto conoscitivo, il rapporto dell’uomo con la società è invece un rapporto di appartenenza in cui non ci si limita a conoscere gli altri, ma si coesiste, si è relazione con l’altro in quanto esistenza concreta, in quanto “tu”. Nella sua teoria della conoscenza della società egli non ricorre dunque allo schema soggetto-oggetto, come fa Kant per risolvere la questione della conoscenza della natura, giacché accanto all’“io” pone, nell’alterità più piena, un “tu”, il “per-sé dell’altro” non riducibile ad un oggetto, né conoscibile come un oggetto. La sua comprensione relazionale della società è così fondata sulle azioni reciproche immediate che partono da delle individualità». La stessa «conoscenza dell’Io – scrive Simmel nella Filosofia del denaro – cresce soltanto in relazione alla conoscenza dell’altro, la dissociazione fondamentale tra l’Io che osserva e l’Io che è osservato sorge in analogia al rapporto tra l’Io e le altre personalità. Questa conoscenza deve orientarsi verso coloro che stanno fuori di noi e che noi possiamo interpretare soltanto mediante la conoscenza di noi stessi» [1984: 170; d’ora in poi FD]. 66 Cfr. Giacomini 1999: 51. 65

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La “differenza” fondamentale comunque consiste nel fatto che qui «il comprendere è soltanto un punto di partenza ed un mezzo per un risultato pratico che non si risolve affatto in un comprendere: farsi una rappresentazione dell’altro non basta per associarsi con lui»67. Quanto detto ora deve però essere messo in relazione con le stesse premesse epistemologiche di Simmel, il quale concepisce proprio «l’ambivalenza, il doppio, il relativo, come caratteri costitutivi di qualsiasi oggetto e forma di conoscenza»68. Infatti, come dice Simmel, «dal momento che gli oggetti della sintesi sono qui esseri indipendenti, centri psichici, unità personali» [ibid.], emerge di conseguenza il problema di come spiegare il “carattere sovraindividuale” dei fenomeni collettivi, cioè l’oggettività e l’autonomia delle forme sociali. Inoltre, occorre aggiungere che «l’astratta coscienza del concetto di unità non esiste di per sé. L’individuo pone le basi della coscienza di sé, del mondo e di sé nel mondo, attraverso la molteplicità dei rapporti di interazione. Da questa esperienza deriva la consapevolezza di essere egli stesso determinato da questi, ma, nello stesso tempo, di determinarli. Tale consapevolezza consente al soggetto di comprendere il senso ultimo dell’unità sociale e di sentirsi parte di questa senza però rinunciare alla propria individualità. Al contrario, è la sicurezza dell’unicità dell’io che consente al soggetto l’interazione e l’unità con gli altri soggetti»69. Ne consegue, dunque, che per Simmel, è possibile affermare che la società è sia «l’unità oggettiva che non ha bisogno dell’osservatore non compreso in essa» [ibid.], sia l’insieme di individui che «si ribellano contro quell’assoluto comporsi nell’anima di un altro soggetto» [ibid.]. In questa direzione argomentativa, si ripropone, sul piano epistemologico, la distinzione simmeliana tra l’Io e il Tu. Secondo Simmel, infatti, per conoscere noi stessi e il mondo occorre innanzitutto riconoscere sia l’esistenza del Tu come altro dall’Io, sia il carattere, indipendente dalla rappresentazione che ne abbiamo, della sua esistenza. Ma questa affermazione è vera anche nel suo contrario: l’Io e il Tu non possono esistere l’uno senza l’altro. Ed è questa doppia verità, questa tensione tra Io e Tu – due entità uguali ed insieme diverse, un doppio che non può essere semplicemente ricondotto all’interno di una sintesi – a costituire l’essenza stessa della vita sociale poiché l’associazione è resa possibile nell’interazione tra l’Io e il Tu tramite la tipizzazione idealizzata del sé e dell’altro70.

67 68 69 70

Ibid. Calabrò 1997: 46. Ivi: 46-47. Ivi: 47.

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

È, dunque, sulla base di questo principio (contenente in nuce la spiegazione del carattere ambivalente della realtà sociale) che si sviluppa la sociologia di (e per) Simmel: essa, infatti, «indaga i processi che si compiono in ultima analisi negli individui e che condizionano il loro essere-società – non già come cause antecedenti rispetto a questo risultato, bensì come processi parziali della sintesi che noi chiamiamo riassuntivamente società» [S: 29]. Numerosi sono, com’è noto, i momenti topici in cui, nella sua opera, Simmel affronta e problematizza, in tutta la sua complessità, la tematica relazionale del rapporto tra l’Io e il Tu71. Già nella Filosofia del denaro egli afferma che la conoscenza dei fenomeni psicologici è un gioco reciproco tra l’Io e il Tu, ognuno rimanda all’altro in un processo di trasferimento e scambio continuo e reciproco di elementi [FD: 170],

ribadendo con ciò che a fondamento del suo concetto di società c’è la concezione della natura essenzialmente socievole dell’essere umano, e che la conoscenza psicologica dell’altro è «la più urgente necessità della vita di comunità e dell’autoaffermazione individuale» [ivi: 663]. All’inizio della Sociologia, egli riconferma questo presupposto di base, secondo il quale «l’uomo dev’essere compreso come essere sociale» [S: 7] e che «è, in tutta la sua essenza e in tutte le sue manifestazioni determinato dal fatto di vivere in azione reciproca con altri uomini» [ivi: 6]. Formulando una concezione della sociologia che rifiuta esplicitamente di essere astratta e distaccata dalla realtà sociale e che non si limita ad analizzare «quei fenomeni sociali nei quali le forze in azione reciproca sono già cristallizzate in base ai loro portatori immediati» [ivi: 19], Simmel, sempre nella Filosofia del denaro, sostiene apertamente che il punto di partenza di ogni formazione sociale è soltanto l’interazione tra persona e persona. Per quanto le origini storiche della vita sociale, così come erano effettivamente configurate, siano avvolte nelle tenebre, l’analisi genetica e sistematica di tale vita deve partire da questa relazione semplicissima e immediata, dalla quale vediamo ancor oggi scaturire innumerevoli nuove formazioni sociali [FD: 257].

L’attenzione viene tutta rivolta verso la centralità della relazione interindividuale, sul «tra» (zwischen) vissuto quotidianamente dagli attori sociali72:

71 72

Sull’argomento, cfr. Squicciarino 1999: 35-52 (ivi bibliografia). Cfr. ivi: 35.

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Appena si pone la questione delle influenze reciproche tra gli individui, la cui somma produce quella coesione nella società, si rivela immediatamente una serie – anzi, per così dire, un mondo – di forme di relazione che finora non venivano comprese affatto nella scienza della società, o lo erano senza cogliere la loro importanza fondamentale e vitale [S: 19].

All’azione reciproca, alla relazione a due, alla comprensione del «tra» come “pura ed immediata reciprocità” fra le individualità, alle relazioni interpersonali in senso stretto, fondate sulla conoscenza dell’«in sé» dell’altro – ivi compreso, come si precisa nel Frammento sull’amore, pubblicato postumo73, «il miracolo dell’amore», che «non elimina l’esser per sé dell’io né quello del tu»74 – Simmel assegna un’importanza sociologica primaria perché nel loro insieme si fonda la realtà sociale delle formazioni oggettive e nel contempo si «offre lo schema, il germe e il materiale per innumerevoli altre formazioni a più membri» [ivi: 70]. Una volta individuata la differenza fondamentale che sussiste tra l’unità della natura e quella della società, Simmel chiarisce che la questione su «come sia possibile la società» riveste un senso metodologico completamente diverso dalla questione su «come sia possibile la natura». Infatti, «alla seconda rispondono le forme conoscitive mediante le quali il soggetto compie la sintesi di elementi dati nella “natura”, mentre alla prima rispondono invece le condizioni poste a priori negli elementi stessi, in virtù delle quali essi si associano realmente nella sintesi “società”» [ivi: 29]. Per Simmel, l’autentica sintesi che genera la società è reale e pratica: i suoi risultati non sono concetti astratti, ma relazioni concretamente operanti; le sue condizioni a priori saranno quelle in virtù delle quali i suoi elementi si associano realiter nella sintesi chiamata “società”. Tali condizioni, a differenza delle forme a priori della conoscenza naturale, non operano semplicemente come principi o presupposti, né tanto meno come cause antecedenti rispetto al risultato (alla società)75, bensì, si è già detto, come “processi parziali” di quella sintesi che noi designamo col termine “società”. Gli a priori della società sono dunque interni agli elementi che la costituiscono76: essi sono «quel fondamento reale che permette ai processi della coscienza individuale di trasformarsi in processi di socializzazione (cioè di dare forma sociale all’individuale)»77. La 73 Cfr. G. Simmel, Frammento sull’amore, in Id., Filosofia dell’amore, a c. di M. Vozza, tr. it. di P. Capriolo [2001: 159-213]. 74 Ivi: 161. 75 Cfr. Giacomini 1999: 51. 76 Cfr. Prandini 1998: 211. 77 Ibid.

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PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

loro intrinseca peculiarità – essere sempre realmente attivi negli individui – rende praticamente “difficile” «la similitudine con l’approccio puramente gnoseologico»78. Di conseguenza, si tratterà sempre e comunque, ancora una volta, di indagare «su determinate forme della coscienza, ma non in quanto danno luogo ad una conoscenza, ma in quanto sostengono e rendono sensati determinati comportamenti associativi»79. Per tutto ciò, riepilogando, rileggiamo le parole di Simmel: È una pura questione di titolo se l’indagine di queste condizioni del processo di socializzazione debba essere definita gnoseologica oppure no, poiché la formazione che ne deriva, e che è regolata dalle loro forme, non consiste in conoscenze, bensì in processi e stati esistenziali pratici (praktische Prozesse und Seinzustände). Ma ciò che qui intendo, e che dev’essere esaminato dal punto di vista delle sue condizioni come il concetto generale di associazione, è qualcosa di conoscitivo: la coscienza di associarsi o di essere associati. Forse la si definirebbe meglio un sapere (Wissen) che non un conoscere. Infatti il soggetto non sta qui di fronte a un oggetto di cui esso acquisti gradualmente un’immagine teorica, ma la coscienza dell’associazione è immediatamente il suo sostegno o il suo intimo significato. Si tratta dei processi dell’azione reciproca, i quali per l’individuo significano il fatto – non astratto, ma tuttavia suscettibile di espressione astratta – di essere associato. Quali forme debbano stare a base di essi, ossia quali categorie specifiche l’uomo debba per così dire recare con sé affinché sorga questa coscienza, quali siano perciò le forme che la coscienza così sorta – la società come un fatto di sapere – deve sorreggere, tutto ciò può ben essere chiamato la teoria della conoscenza della società [S: 29-30].

All’altezza di quanto sinora detto, allora, «se sentire la propria individualità, ma anche la propria coscienza sociale, non è una coscienza innata; se percepire l’altro diverso da sé, ma uguale in quanto appartenente alla stessa realtà, non è un principio che precede la conoscenza, ma piuttosto un carattere che si acquisisce nella prassi»80, quali premesse devono di fatto verificarsi affinché l’individuo si associ, cioè stringa il patto sociale? In altri termini, la questione che pone Simmel è la seguente: Quali presupposti devono agire affinché i particolari processi concreti della coscienza individuale siano realmente processi di socializzazione, quali elementi in essi contenuti permettono che la loro funzione sia, in termini astratti, quella di costruire un’unità sociale in base agli individui? [S: 29].

78 79 80

Ibid. Giacomini 1999: 51. Calabrò 1997: 47.

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Simmel risponde a tale quesito identificando tre a priori essenziali alla conoscenza sociale, ovvero tre forme conoscitive che l’uomo deve possedere se vuole vivere ed essere nel mondo, «tre “specifiche categorie” che rappresentano la condizione perché possa sorgere la coscienza del proprio essere sociale e che non vanno intese nel senso kantiano di categorie universali della mente, bensì come risultato e premessa dell’interazione sociale, del rapporto dell’uomo con tutto ciò che è altro da sé»81, e che possiamo sintetizzare nei tre a priori del ruolo, dell’individualità e della struttura. Il primo a priori ha a che fare con l’immagine che un uomo si fa dell’altro in base a rapporti personali e con le modificazioni che essa impone alla sua individualità reale, cioè con l’interazione: Noi vediamo l’altro in qualche misura generalizzato, forse perché non ci è dato di rappresentare pienamente in noi un’individualità divergente dalla nostra […]. Sembra che ogni uomo abbia in sé un punto di individualità più profondo che non può essere internamente riprodotto da nessun altro uomo nel quale questo punto sia qualitativamente divergente [S: 30].

Ad ogni uomo «è negato il sapere perfetto intorno all’individualità dell’altro; e tutti i rapporti degli uomini tra loro sono condizionati dal diverso grado di questo difetto» [ibid.]; quale che sia la sua causa, la conseguenza è però in ogni caso «una generalizzazione dell’immagine psichica dell’altro, uno sfumare dei contorni che aggiunge all’unicità di questa immagine una relazione con altre» [ibid.]: questa immagine «è mutevole, dati gli spostamenti dell’altro rispetto al nostro punto di vista, è astratta, in quanto si basa su generalizzazioni o “tipizzazioni” di aspetti specifici dell’altro, ed è quindi parziale»82. «Noi rappresentiamo ogni uomo – con particolari conseguenze per il nostro rapporto pratico con lui – come il tipo di uomo al quale la sua individualità lo fa appartenere» [S: 30]. Per inciso, il primo a priori è costituito dalla mediazione sociale dell’azione nel senso che l’azione è sempre azione «sociale»83: esso definisce il processo di generalizzazione sociale e si basa sul principio della tipizzazione dell’altro. Per Simmel, come già sappiamo, «conoscere l’altro significa disegnare un’immagine che non corrisponde del tutto a quella reale, ma che ne è una rappresentazione. Ciò è vero per due motivi: sia perché il senso ultimo e profondo dell’individualità di un soggetto non può essere riprodotto neanche dal soggetto stesso, sia perché la distanza necessaria affinché av81 82 83

Ivi: 47-48. Dal Lago 1994: 174. Cfr. Frisby 1985: 142.

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venga il riconoscimento dell’altro rende, nello stesso tempo, impossibile una perfetta conoscenza. Questa conoscenza, imperfetta e parziale, si arricchisce però nel processo di generalizzazione sociale che offre un livello superiore di conoscenza di se stessi e dell’altro poiché colloca soggetto conosciuto e soggetto conoscente all’interno di un concetto comune entro cui si svolge l’interazione. Il principio di tipizzazione attribuisce infatti ad ogni individuo l’appartenenza ad una specifica cerchia sociale: tracciare delle coordinate che collocano l’individuo all’interno di una realtà riconoscibile attraverso categorie di astrazione sociale consente di stabilire con l’altro dei rapporti qualitativamente significativi: di vicinanza e di lontananza, di similitudine e di differenziazione, di ostilità e di attrazione»84. Riconoscere l’altro, dunque, non come mero individuo ma come “coabitatore del medesimo mondo particolare”, simmelianamente, «è uno dei mezzi per portare la sua personalità e la sua realtà nella rappresentazione dell’altro alla qualità e alla forma richiesta dalla sua socialità» [S: 31]. Solo in questo modo riusciamo a stabilire con l’altro delle relazioni sociali, poiché «l’individuo in sé e per sé sarebbe ineffabile»85. Come scrive Simmel, lo «sguardo dell’altro» integra questo «materiale frammentario» in quel che noi non siamo mai puramente e interamente: Egli non può vedere soltanto uno accanto all’altro i frammenti che sono realmente dati, ma come noi completiamo la macchia cieca nel nostro campo visivo in modo tale che non si è coscienti di essa, così da questo materiale frammentario perveniamo alla compiutezza della sua individualità. La prassi della vita ci spinge a formare l’immagine dell’uomo soltanto in base ai frammenti reali che conosciamo empiricamente di lui; ma essa poggia appunto su quelle modificazioni e integrazioni, sulla trasformazione di quei frammenti dati nella generalità di un tipo e nella compiutezza della personalità ideale [S: 31]86. 84

Calabrò 1997: 48. Prandini 1998: 211. 86 Questo transito della riflessione simmeliana viene con molta perspicacia commentato da Prandini [1998: 212] nei seguenti termini: «A parte il riferimento, con valenze quasi profetiche, alla macchia cieca dell’occhio (ricordiamo che questo è uno degli aspetti fondamentali della cibernetica di second’ordine) siamo molto vicini all’idea che il ruolo sociale tipizzato è una proprietà emergente dell’interazione tra gli individui e le strutture socioculturali: nella interazione sociale si dà conoscenza dell’altro soltanto integrando la sua immagine individuale con aspettative più o meno generali tratte sia dall’esperienza interpersonale che da un serbatoio di sapere sociale che si è cristallizzato nel tempo. Simmel parla di un velo attraverso cui noi vediamo gli altri: se da un lato, esso preclude la scoperta della individualità, dall’altro le conferisce una nuova forma (una proprietà emergente) che ha le caratteristiche dell’unitarietà e su cui si fondano quelle relazioni che solo conosciamo come sociali». Simmel, però, conclude 85

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Per Simmel i rapporti tra soggetti agenti sono sempre il prodotto di astrazioni sociali attraverso cui noi costruiamo un’immagine generalizzata dell’altro, dal momento che «è impossibile sia conoscere completamente l’altra persona, sia caratterizzare gli altri come oggetti con proprietà fisse»87. Che l’esistenza sociale sia retta dal ruolo «è indicato non meramente dall’immagine dell’altro, ma anche dalla conoscenza del contesto strutturale entro cui si svolge l’azione sociale dell’individuo»88. In quanto tipifichiamo gli altri soggetti agenti, la tipificazione «costituisce l’elemento mediatore tra conoscenza e azione»89. Nella prima serie di condizioni a priori dell’essere sociale individuate da Simmel si parte, dunque, dal presupposto che l’individualità «sia, nella sua determinatezza reale e nella sua assoluta peculiarità, immediatamente inaccessibile e intrattabile. Con essa possiamo entrare in rapporto soltanto integrandone la realtà percepibile mediante alcune categorie che, rispetto a quell’individualità, possono rappresentare, di volta in volta, spostamenti, sottrazioni o generalizzazioni, ma che sono comunque indispensabili per offrircene un’immagine coerente. In questo senso operano i riferimenti a un tipo d’uomo, l’idea di un suo compimento ideale, il rapporto con la cerchia sociale cui appartiene»90. Il secondo a priori – quello dell’«individualità» – è «la dialettica tra l’individuo in quanto essere sociale (e insieme non sociale) e la società»91. Esso, necessario «perché l’individuo venga a conoscenza di sé e dell’altro da sé ed entri nella rete dei rapporti sociali, riconosce il principio dell’individualità»92: è con questo a priori che «l’ambivalenza – data dal senso di appartenenza e

Prandini, «è ben attento a non spingere all’eccesso questa proprietà cognitiva. Se ciascuno si presentasse soltanto come il recipiente di un ruolo sociale tipizzato, ci troveremmo di fronte ad un intero sistema di rapporti umani diverso da quello che possiamo normalmente osservare» [ibid.]. 87 Frisby 1985: 142. 88 Ibid. 89 Ibid. Al riguardo, osserva criticamente Mora [1993: 14]: «Questo processo di tipificazione, in realtà causato dalla radicale unicità di ogni individuo, colma la distanza, altrimenti assoluta, tra gli individui e costituisce la possibilità prima di ogni relazione tra essi. Nell’ambito della società esistente, inoltre, esso opera come “l’a priori delle ulteriori azioni reciproche che si sviluppano tra gli individui”; per quanto, quindi, esso non sia riducibile […] alla definizione di ruolo, tuttavia costituisce il fattore che permette di avere aspettative circa il comportamento degli altri individui che vengono collocati entro una particolare cerchia, entro una qualche specifica forma di comunanza con altri individui». 90 Giacomini 1999: 52. 91 Dal Lago 1994: 174. 92 Calabrò 1997: 48.

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PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

insieme di differenziazione dell’individuo dal gruppo sociale – si pone esplicitamente come carattere costitutivo del rapporto individuo-società»93. Il secondo a priori viene espresso da Simmel attraverso questa modalità schematizzatrice: Un’altra categoria sotto la quale i soggetti guardano se stessi e si guardano reciprocamente, in modo da poter produrre – così formati – la società empirica, può venir formulata con la proposizione apparentemente banale che ogni elemento di un gruppo non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa. Ciò opera come a priori sociale nella misura in cui la parte dell’individuo che non è rivolta alla società o non si risolve in essa non se ne sta semplicemente priva di relazione accanto alla sua parte socialmente significativa, cioè non è soltanto un corpo estraneo alla società a cui questa, volente o nolente, fa posto. Il fatto che l’individuo non sia per certi aspetti elemento della società costituisce la condizione positiva della possibilità di esserlo con altri aspetti del suo essere [S: 32].

L’immagine che ci facciamo dell’altro come essere sociale non lo esaurisce mai interamente. Egli, infatti, «ci apparirà come membro di un gruppo sociale, ma anche come qualcos’altro, che non si risolve in tale identificazione. La parte extra-sociale, che l’individuo tiene per sé, non compare nella rappresentazione come un generico sfondo o una semplice eccedenza»94: nell’immagine che ci facciamo dell’altro «il modo del suo essere-associato è determinato o condeterminato dal modo del suo non-essere-associato» [S: 32]. I due aspetti non sono da percepire come giustapposti, ma sono da registrare come connessi e interdipendenti in quanto il rapporto che intratteniamo con l’altro non può non tener conto di un’alterità che «sottraendosi a quello lo condiziona dall’esterno, imprimendogli così un particolare carattere»95. Anche se i casi puri del secondo a priori che Simmel considera sono forniti dalle figure tipiche dello straniero, del nemico, del criminale e del povero – figure del limite, del confine, della non appartenenza ed estraneità (etnica, politica, giuridica o economica) dunque, cioè gli esclusi della società per la quale la loro esistenza è significativa – esso è tuttavia da ritenersi valido per qualsiasi altra relazione sociale96. Come scrive Simmel: Il fatto che ogni momento ci trovi circondati da relazioni con uomini e che il suo contenuto ne sia determinato direttamente o indirettamente non parla 93 94 95 96

Ibid. Giacomini 1999: 52. Ibid. Cfr. Prandini 1998: 212.

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affatto in senso contrario; l’inserimento sociale in quanto tale riguarda appunto esseri che non sono completamente abbracciati da esso. Del funzionario sappiamo che non è soltanto funzionario, del commerciante che non è soltanto commerciante, dell’ufficiale che non è soltanto ufficiale; e questo essere extra-sociale, il suo temperamento e il precipitato dei suoi destini, i suoi interessi e il valore della sua personalità, per quanto poco possano modificare la sostanza delle attività compiute quale funzionario, commerciante, militare, gli conferiscono tuttavia ogni volta – per chiunque gli stia di fronte – una determinata nuance e intrecciano nella sua immagine sociale imponderabili elementi extra-sociali [S: 32].

Per Simmel l’ulteriorità «costituisce una forma particolare di conoscenza necessaria al rapporto reciproco almeno quanto lo è quella della tipificazione»97: le relazioni sociali sono definite anche da quell’«inoltre» [S: 33] che esse presuppongono. In questi casi è comunque possibile identificare alcune determinate serie di polarità. Un polo di questa serie è costituito, per esempio, dall’uomo nei rapporti di amore o di amicizia: Qui ciò che l’individuo riserva per sé, al di là degli sviluppi e delle attività rivolte all’altro, può avvicinarsi quantitativamente al valore-limite zero; siamo in presenza di un’unica vita, che può essere considerata o viene vissuta per così dire da due lati – per un verso dal lato interno, dal terminus a quo del soggetto, e poi anche, come vita del tutto immutata, nella direzione dell’individuo amato, sotto la categoria del suo terminus ad quem, che essa accoglie senza residuo [ibid.].

Il polo opposto può essere esemplificato dai fenomeni della cultura moderna determinata dall’economia monetaria, nella quale «l’uomo come produttore, compratore o venditore, e in generale come soggetto di una prestazione, si avvicina all’ideale dell’oggettività assoluta» [ibid.]. In questo caso specifico, prescindendo dalle posizioni elevate, di carattere direttivo, la vita individuale e cioè il tono della personalità complessiva è scomparso dalla prestazione; gli uomini sono soltanto i portatori di un equilibrio di prestazione e controprestazione regolato secondo norme oggettive, e tutto ciò che non fa parte di questa pura oggettività è anche di fatto sparito da essa. L’«inoltre» ha assorbito completamente in sé la personalità con la sua colorazione particolare, la sua irrazionalità, la sua vita interiore, lasciando a quelle attività sociali – nettamente separate – soltanto le energie ad esse specifiche [ibid.].

97

Ivi: 212-213.

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Gli individui sociali si muovono sempre tra poli estremi: la duplicità, l’ambiguità (cioè l’ambivalenza), intrinseca ad ogni associazione, è caratteristica consustanziale della relazione sociale che impronta di sé l’intera esistenza umana (sia degli altri che di noi stessi) ed è forma fondamentale della vita in genere. L’a priori della vita sociale empirica è il fatto che la vita non è del tutto sociale; noi formiamo le nostre relazioni reciproche non soltanto con la riserva negativa di una parte della nostra personalità che non entra in esse, e questa parte influisce sui processi sociali nell’anima non soltanto mediante connessioni psicologiche generali, ma proprio il fatto formale che essa sta al di fuori di tali processi determina il modo di questa influenza. – Il fatto che le società siano formazioni derivanti da esseri che stanno allo stesso tempo dentro e fuori di esse è anche alla base di una delle più importanti formazioni sociologiche: quella, cioè, per cui tra una società e i suoi individui può sussistere – anzi forse, in modo più aperto o più latente, sussiste sempre – un rapporto simile a quello tra due partiti. In tal modo la società produce forse la più cosciente, almeno la più generale configurazione di una forma fondamentale della vita in genere: il fatto che l’anima individuale non può mai stare in una connessione senza stare contemporaneamente al di fuori di essa, che non è mai inserita in un ordinamento senza trovarsi nel medesimo tempo contrapposta ad esso [ibid.].

L’insopprimibile “indipendenza” dell’io, ai cui vincoli «soggiace ogni relazione, dalla più superficiale e fugace alla più intensa e pervasiva»98, c’è sempre e comunque. Di fatto, «a seconda dell’ampiezza e della rilevanza della parte che non entra nella relazione, si può tracciare una scala ideale, che va dai rapporti d’amore, in cui ciò che l’individuo tiene fuori dalla relazione tende a zero, al polo opposto, ben rappresentato dai rapporti monetari dell’economia capitalistica, all’interno dei quali gli uomini si riferiscono gli uni agli altri esclusivamente per il loro ruolo sociale. L’espressione tendenzialmente piena dell’individualità e, viceversa, il suo sacrificio hanno effetti profondamente diversi sui rapporti: il totale coinvolgimento del soggetto, in un caso, in quanto li sottopone ad una regola massimamente imponderabile, li rende altamente contingenti e largamente imprevedibili; l’indifferenza di principio all’individualità dei protagonisti, nell’altro, imprime su di essi quei particolari tratti di oggettività e sperimentabilità che li predispongono alla previsione e al calcolo secondo regole quantitativamente determinabili»99. L’elemento sociologicamente rilevante del secondo a priori mette dunque 98 99

Giacomini 1999: 53. Ibid.

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in evidenza la peculiare relazione che lega l’individuo alla società, mostrando come la vita individuale non è del tutto sociale né del tutto socializzabile. Non soltanto «gli individui appartengono alla natura (hanno una loro specifica natura), essi possono anche essere compresi a partire dai contenuti oggettivi della loro individualità che è sempre rivolta verso se stessa, verso il proprio centro. Questo essere, allo stesso tempo, immanenti e trascendenti rispetto alla società mostra come essa e l’individuo mantengono una realtà autonoma e reale»100. Per Simmel, infatti, come leggiamo per intero in questo denso transito della sua pagina, noi ci sappiamo da un lato inseriti nella natura, come uno dei suoi prodotti che sta da eguale tra eguali accanto a qualsiasi altro, come un punto che le sue materie ed energie raggiungono e abbandonano, nello stesso modo in cui circolano attraverso l’acqua corrente e la pianta in fiore. E tuttavia l’anima ha il sentimento di un essere-per-sé indipendente da tutti questi intrecci e da queste relazioni, che si designa con il concetto – così malsicuro sotto il profilo logico – di libertà, il quale offre a tutto questo meccanismo, di cui noi siamo pur tuttavia un elemento, un termine contrapposto e un ripagamento che culmina nel radicalismo per il quale la natura viene considerata soltanto una rappresentazione presente nelle anime umane. Come però qui la natura, con tutta la sua propria innegabile legalità e con la sua dura realtà, è pur sempre inclusa nell’io, così d’altra parte questo io, con tutta la sua libertà e il suo essere per sé, con la sua antitesi nei confronti della mera natura, è pur sempre un elemento di essa. La connessione usurpatrice della natura è appunto tale che essa comprende questo essere autonomo, anzi spesso ostile ad essa, e che ciò che nel suo più profondo sentimento vitale sta al di fuori dev’essere invece un suo elemento. Questa formula vale egualmente per il rapporto tra gli individui e le singole cerchie dei loro legami sociali, oppure – se questi vengono riassunti nel concetto o nel sentimento di essere associati in generale – per il rapporto tra gli individui in quanto tale. Noi ci sappiamo da una parte prodotti della società: la serie fisiologica degli antenati, i loro adattamenti e le loro fissazioni, le tradizioni del loro lavoro, del loro sapere e delle loro credenze, l’intero spirito del passato cristallizzato in forme oggettive determinano le disposizioni e i contenuti della nostra vita, cosicché può sorgere la questione se l’individuo sia qualcosa di diverso da un recipiente nel quale si mescolano in misura variabile elementi preesistenti. Infatti, anche se questi elementi fossero in ultima analisi prodotti dagli individui, il contributo di ognuno sarebbe una grandezza infinitesimale, e soltanto mediante il loro riunirsi in specie e in società si produrrebbero i fattori nella cui sintesi consisterebbe poi di nuovo l’individualità che si può specificare. D’altra parte noi ci sappiamo membri della società, intessuti con il nostro processo vitale, con il

100

Prandini 1998: 213.

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suo senso e il suo scopo in modo tanto poco indipendente nella sua prossimità come nella sua successione. Come possediamo un essere per noi in quanto esseri naturali, perché la circolazione degli elementi naturali pervade tanto noi quanto formazioni completamente prive di un io, e l’eguaglianza di fronte alle leggi naturali risolve senza residui la nostra esistenza in un mero esempio della loro necessità, così in quanto esseri sociali non viviamo intorno a un centro autonomo, ma siamo in ogni attimo composti dalle relazioni reciproche con gli altri; e in tal modo siamo comparabili con la sostanza corporea, che per noi sussiste soltanto più come somma di molteplici impressioni sensibili, ma non come esistenza di per sé. Noi sentiamo però che questa diffusione sociale non risolve completamente la nostra personalità [S: 34-35].

La rilevanza sociologica del secondo a priori traduce la duplice posizione in cui l’individuo si colloca nell’intero del “fatto” costituito dall’associazione: «egli è compreso in essa e contemporaneamente si contrappone ad essa, è un elemento del suo organismo e al tempo stesso è un tutto organico concluso, è un essere per essa e un essere per sé» [ivi: 35]. Tuttavia, l’aspetto “essenziale” e il “senso” particolare di questo a priori sociologico consistono nel fatto che tra individuo e società «l’interno e l’esterno non costituiscono due determinazioni sussistenti l’una accanto all’altra […] ma definiscono la posizione del tutto unitaria dell’uomo che vive socialmente» [ibid.]. Simmel radicalizza questa «duplice posizione», invitandoci a non contemperare semplicisticamente “dimensione sociale” e “dimensione individuale”, considerando la vita umana sempre da entrambi i punti di vista e alla luce degli “effetti” che il loro “intreccio” produce101. Nella vita dell’uomo, la sua esistenza non è soltanto parzialmente sociale e parzialmente individuale, in una divisione di contenuti, ma si colloca sotto la categoria fondamentale, formativa, non ulteriormente riducibile di un’unità che non possiamo esprimere altrimenti che mediante la sintesi o la contemporaneità delle determinazioni logicamente contrapposte dell’essere membro della società e dell’essere per sé, dell’essere prodotto e compreso dalla società e del vivere in base al proprio centro e per il proprio centro [S: 35].

L’“identità” dell’essere sociale, simmelianamente, non si traduce «né nell’accostamento di due modi d’essere differenti, né in una sintesi che si libera di due aspetti contraddittori riassunti da una superiore unità, ma nell’unione di due determinazioni reciprocamente esclusive e complementari»102:

101 102

Cfr. Giacomini 1999: 54. Ibid.

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la società non consiste soltanto […] di esseri che in parte non sono associati, ma anche di esseri che si sentono da una parte esistenze completamente sociali, e dall’altra, conservando lo stesso contenuto, completamente personali [S: 35].

Nel modo di associarsi con gli altri, nessuna relazione è «in grado di assorbire interamente l’altro, cancellando ogni sua separatezza, come, viceversa, nessuna dissoluzione di legami è in grado di produrre un individuo del tutto isolato e indipendente da essi»103. Vicinanza e lontananza sono i gradi diversi in cui si dispongono i rapporti tra gli uomini ed in cui gli estremi opposti dell’unione e della disunione non si raggiungono mai. Simmel intende proprio mostrare l’“irriducibile” ambivalenza che permea e pervade la condizione sociale umana anche nelle sue relazioni più univoche: «sia il conflitto che l’isolamento individuale sono forme peculiari di istituire, conservare o riconvertire rapporti, mentre i legami anche più intensi e totalizzanti non possono mai distruggere del tutto l’indipendenza degli io che si fronteggiano»104. Così intesa, l’ambivalenza sembrerebbe allora essere «uno dei presupposti stessi dell’appartenenza sociale, poiché proprio quella parte dell’individuo non completamente riconducibile alla società, consente all’individuo stesso di farne parte. D’altro canto proprio questa appartenenza è condizione necessaria per avere consapevolezza dell’originalità e unicità del proprio essere»105. Le diverse figure sociali indagate da Simmel nella Soziologie – quella dello “straniero” ad esempio [v. infra, cap. XII] – tendono tutte a mostrare l’insolubile “paradosso” che sembra penetrare e attraversare l’intera sfera sociale: «né con te, né senza di te»106. In particolare, l’estraneità, significativamente, svolge un ruolo paradigmatico nella sua rilevanza e forma sociologica, in quanto «sembra presentarsi come il connotato riassuntivo della relazione sociale: lontananza da chi ci è vicino e vicinanza di chi ci è lontano»107. Per Simmel la descrizione di particolari figure sociali – come per l’appunto quella dello straniero – diventa l’occasione per presentare alcuni tipi le cui caratteristiche costituiscono l’esempio evidente di come il senso del loro essere risiede proprio nel fatto che le individualità che specularmente rappresentano «sono dentro ma anche fuori la società per la quale la loro esistenza è significativa e funzionale. Per contro, la totale identificazione 103 104 105 106 107

Ivi: 55. Ibid. Calabrò 1997: 49. Giacomini 1999: 55. Ibid.

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con tale società significherebbe la fine della loro identità di stranieri e modificherebbe quelle caratteristiche della società stessa che risultano da tale interazione»108. Tuttavia, occorre ribadirlo, dal punto di vista simmeliano, anche per l’individuo «più integrato» vale comunque il discorso di come «l’appartenenza sociale non circoscriva ed esaurisca tutto il significato del suo essere e di come l’identificazione con i tratti caratteristici di coloro con i quali condivide una particolare cerchia sociale, non possa dare completamente ragione del suo stile di vita»109. Diversamente, si pone il problema di comprendere come l’essere sociale individuale sia continuamente sottoposto all’azione sinergica di due forze di segno contrario di cui «l’una definisce la sua appartenenza sociale (sia nel senso ristretto di cerchia sociale, sia in quello più ampio della società come istanza sovraindividuale), l’altra afferma la consapevolezza e il sentimento della propria irriducibile individualità»110. Come rileva lo stesso Simmel: Gli individui si muovono sempre tra questi estremi, in modo tale che le energie e le determinatezze rivolte al centro interno mostrano un qualche significato per le attività e il modo di sentire validi per l’altro [S: 33].

In questa costellazione bipolare, le dinamiche di interazione ridefiniscono continuamente «la vicinanza e la lontananza dell’individuo da uno o l’altro dei due poli senza che mai, però, la distanza annulli l’effetto di uno di essi. Un polo di questo continuum presenta allora caratteristiche di pura soggettività, mentre, al contrario, il polo opposto si avvicina al modello di pura oggettività»111. L’intero sistema di rapporti degli uomini nell’ambito delle categorie sociali sarebbe del tutto diverso se ognuno si presentasse all’altro soltanto come quel che è nella sua categoria, come portatore del ruolo sociale che occupa. Certamente gli individui, nell’interazione sociale, si differenziano «secondo la misura di quell’“inoltre” che essi possiedono o ammettono insieme con il loro contenuto sociale» [S: 32]. Per ciò, le società sono formazioni che derivano da esseri che stanno nel contempo «dentro e fuori di esse» anche se potrebbe apparire il contrario in quanto l’individuo è pur sempre un prodotto di questa tale da sembrare una sorta di «recipiente» in cui si combinano in misura variabile diversi elementi preesistenti. Tuttavia, «il senso della propria vulnerabilità rispetto al mondo, la consapevolezza 108 109 110 111

Calabrò 1997: 49. Ibid. Ivi: 49-50. Ivi: 50.

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di essere prodotto della storia e della cultura, non bastano ad annullare l’esperienza del proprio essere per sé»112: questa consapevolezza, che “paradossalmente” si genera nel campo dell’interazione, consente poi di fatto il riconoscimento dell’altro. Essere per sé ed essere sociale formano un insieme, l’individuo nella sua totalità, che non può prescindere, per la sua stessa esistenza, da queste due appartenenze: può semmai distinguersi per la particolare configurazione che la sua doppia natura viene a disegnare. Ciò non significa semplicemente che l’individuo sia parzialmente sociale e parzialmente individuale, né che tale combinazione si esaurisca in una sintesi tra le due determinazioni: si crea piuttosto una situazione di contemporaneità tra l’essere per sé e l’essere membro della società, creatura e creatore di questa113.

Da ciò deriva direttamente la possibilità di teorizzare il terzo a priori sociale secondo il quale se ci si rappresenta la società come uno schema puramente oggettivo, essa si rivela quale ordinamento di contenuti e di prestazioni che stanno in una relazione reciproca per spazio, tempo, concetti, valori, permettendo così di prescindere dalla personalità, dalla forma dell’io che sostiene la loro dinamica [S: 36].

In Simmel la società si configura come «un cosmo la cui molteplicità è sì sterminata nel suo essere e nel suo movimento, ma in cui ogni punto può essere costituito e svilupparsi soltanto in quel determinato modo, se la struttura del tutto non dev’essere mutata» [ibid.]. Quest’immagine della società trova specularmente un’analogia (come in una miniatura, infinitamente semplificata e stilizzata) «in una struttura di funzionari che consiste, in quanto tale, in un determinato ordine di “posizioni”, in una predeterminatezza di funzioni che, staccate dai loro portatori, danno luogo a una connessione ideale (ideellen Zusammenhang)» [ibid.]114. Ogni nuovo individuo che entra a farne parte trova un posto inequivocabilmente determinato, che lo ha per così dire «aspettato» e al quale le sue energie devono adattarsi armonicamente. La società rappresenta «un cosmo oggettivo da riempire,

112

Ibid. Ivi: 50-51. 114 Ciò si richiama al doppio significato degli a priori: «da una parte categorie cognitive attraverso le quali i soggetti conoscono se stessi e l’altro per poter dare vita tramite questa conoscenza alla società così come essa concretamente si manifesta; dall’altro le premesse ideali e logiche alla società “concettualmente perfetta”» [ivi: 51]. 113

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un contesto relazionale, in cui l’individualità sembra restare completamente fuori considerazione»115. Come si esprime Simmel: la vita della società scorre – non già psicologicamente, bensì fenomenologicamente, considerata puramente sotto il profilo dei suoi contenuti sociali in quanto tali – come se ogni elemento fosse predestinato alla sua posizione in questa totalità; con tutta la disarmonia rispetto alle istanze ideali essa scorre come se tutti i suoi elementi stessero in un rapporto unitario che fa dipendere ciascuno, proprio perché egli è questo particolare elemento, da tutti gli altri e tutti gli altri da questo [S: 37].

In questa struttura ordinata l’individuo si inserisce con tutte le sue caratteristiche andando ad occupare una posizione ed un ruolo, per così dire, già pre-esistenti, che si adattano alla sue peculiarità individuali, ma che «esisterebbero comunque, anche se non fosse lui ad occuparli»116. Che ogni individuo sia di per sé orientato dalla sua qualità verso una determinata posizione nell’ambito del suo milieu sociale; che questa posizione che idealmente gli appartiene sia anche realmente presente nel complesso sociale – questo è il presupposto in base al quale l’individuo vive la sua vita sociale e che si può definire come il valore di universalità inerente all’individualità [S: 37].

Il terzo a priori – che si fonda sulla struttura fenomenologica della società – dice dell’adattamento dell’individuo alla totalità sociale, del fatto cioè che nella sua esistenza l’individuo possa essere considerato membro della società soltanto quando è in grado di integrarsi nella totalità: esso consiste nell’idea che «l’individualità del singolo trova un posto nella struttura dell’universalità» [ivi: 38]. Questo significa anche che

115

Prandini 1998: 213. Calabrò 1997: 51. Come rileva criticamente D’Andrea [1999: 94-95], secondo la definizione simmeliana del terzo a priori, «il quale definisce la possibilità teorica che per ogni individuo – completo, vale a dire considerato come sociale ed extrasociale, razionale ed irrazionale – esista nella società un posto determinato, in attesa di accoglierlo», non vuole affatto significare che «nell’architettura societaria esistono posizioni e funzioni che il soggetto è chiamato a ricoprire, essenziali per il corretto andamento della macchina-società, e che quindi compito del singolo è rispondere a questa sorta di appello e conformarsi alle esigenze amministrative, economiche, burocratiche che dir si voglia: in una parola, integrarsi […]. Simmel afferma invece che il soggetto pone in essere l’interazione sociale (primo e fondamentale elemento costituente di ogni gruppo e società) solamente perché sa – o meglio spera! – che nella società che egli collabora a costruire esiste un posto a sua misura. E non viceversa». 116

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finché l’individuo non realizza o non trova realizzato questo a priori della sua esistenza sociale – vale a dire la penetrante correlazione del suo essere individuale con le cerchie circostanti, la necessità integrante per la vita del tutto della sua particolarità determinata dalla vita personale interiore – fino ad allora egli non è associato, e la società non è quell’attività reciproca priva di lacune che il suo concetto enuncia [ivi: 37].

Per Simmel i tre a priori sono cognitivi e sociali. Essi non solo consentono «al comune attore di operare in presenza di altri – tipizzandoli, riconoscendo in loro esseri sia socievoli sia dotati di un’esistenza privata, e infine integrandosi tra loro»117; ma, nel contempo, costituiscono «la pensabilità di ogni società come realtà intersoggettiva»118. Gli interpreti contemporanei, com’è noto, si sono interrogati criticamente (e in maniera anche discorde fra di loro) sulla valenza significativa che i tre a priori rivestono nell’analisi simmeliana delle forme di azione reciproca e di associazione come oggetto della sociologia. In generale, qui, possiamo constatare che per l’autore della Soziologie i tre a priori indicano le condizioni che rendono possibile la costituzione dell’oggetto società, e che devono realizzarsi negli elementi che la compongono, vale a dire gli individui. Poiché la società, intesa come oggetto di conoscenza, costituisce la sintesi astratta dal flusso delle esperienze interattive in cui gli individui si trovano coinvolti e che, a loro volta, costituiscono l’accadere della società, gli a priori consistono nelle condizioni che rendono possibile l’interazione stessa tra gli individui (gli individui tra di loro, l’individuo con se stesso in rapporto all’appartenenza sociale, l’individuo con la totalità sociale)119.

Il curatore italiano (Alessandro Cavalli) della Sociologia, a sua volta, ha sottolineato «la natura filosofica e non empirica» degli a priori enunciati da Simmel, sintetizzandoli nel modo seguente: 1) nell’interazione sociale ogni persona (ego) percepisce i propri partners (alter) mediante tipizzazioni categoriali, ovvero – in un linguaggio più moderno – mediante aspettative socialmente strutturate che si riferiscono all’altro come portatore di ruoli sociali: nell’interazione tra due soggetti la conoscenza reciproca è sempre parziale, l’immagine dell’altro è sempre il risultato di un processo di astrazione in cui si isolano gli aspetti rilevanti in un determinato contesto di interazione; 2) la totalità dell’individuo non si esaurisce mai nel ruolo sociale che di volta in volta si trova a svolgere, anzi, l’individuo è sem117 118 119

Dal Lago 1994: 174. Ibid. Mora 1993: 15.

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pre qualcosa di più dell’insieme dei suoi ruoli sociali nel senso che la sua vita scaturisce da un centro autonomo non riducibile alla posizione occupata nelle varie cerchie sociali; 3) la società nel suo complesso è costituita da un intreccio strutturato di posizioni diseguali che prescindono dagli “aspetti puramente personali e creativi dell’Io”120.

120 Cavalli, Introduzione a Simmel 1989: XXIII. Cavalli rileva altresì che «il fatto stesso che Simmel usi il termine di a priori indica già chiaramente che egli non si muove sul piano degli enunciati empiricamente verificabili, bensì sul piano della riflessione sui presupposti filosofici della società in generale al livello più astratto. È ben vero che gli a priori simmeliani sono essi stessi il prodotto di processi storico-evolutivi e quindi non possono essere considerati alla stregua di presupposti o precondizioni antropologiche della società; tuttavia essi precedono il momento stricto sensu scientifico dell’analisi sociologica. Gli a priori sono presupposti della società e nello stesso tempo presupposti della scienza della società, cioè della sociologia, nel senso che costituiscono enunciati di ordine così generale da non poter essere tradotti nella forma canonica degli enunciati empirico-analitici (date le condizioni x, y,.…z, se A allora B) con i quali Simmel costruisce – o nei quali può essere tradotto – il suo discorso sociologico» [ivi: XXIII-XXIV]. Ancora. Secondo quanto osserva V. Cotesta nella sua Introduzione a Simmel 1996b: 8-9, «la “rete” teorica dell’opera di Simmel poggia su una serie di proposizioni “generali”. Si tratta di veri e propri a priori, se guardiamo al modo con cui vengono assunti. Se invece guardiamo al loro contenuto, trattandosi di concetti e categorie connesse secondo regole logiche, possiamo senz’altro parlare di “strutture” teoriche elementari. Quanto al numero di tali strutture discorsive non vi è accordo tra gli studiosi. L’importante tuttavia è comprendersi – o avere la disposizione a comprendersi – sul fatto che si tratta non di elementi della realtà, ma di costruzioni logiche con le quali Simmel elabora la teoria della società e la teoria del moderno. Secondo la nostra opinione, nel novero di tali strutture teoriche elementari occorre inserire: 1) il concetto di Wechselwirkung; 2) il concetto di azione reciproca tra le parti di un tutto; 3) il concetto di differenziazione-identificazione; 4) il concetto di forma, quale prodotto delle Wechselwirkungen tra le parti del tutto; 5) la distanza tra le parti in azione reciproca; 6) implicito in quest’ultima, il concetto di spazio-tempo; 7) il carattere antagonistico o dualistico delle azioni reciproche tra individui; 8) l’irriducibilità della persona ai ruoli sociali. Per quanto riguarda il metodo simmeliano ci troviamo di fronte ad un ragionamento di tipo controfattuale, analitico e trascendentale. Il metodo di Simmel è controfattuale perché egli si pone domande che, di fronte all’evidenza empirica di fatti ed eventi, riaprono il campo delle possibilità e perché si pone la questione della genesi del reale. Questo, infatti, non viene preso nella sua nuda fatticità, ma interpretato come un caso del possibile. Aprire di nuovo il campo delle possibilità ha il senso di far emergere le condizioni che, da possibile, hanno reso reale un evento, una serie di eventi, delle forme sociali e così via. Il metodo simmeliano è inoltre analitico. Ciò significa che esso si pone la domanda relativa agli elementi costitutivi della struttura in generale, senza partire da una “descrizione” della realtà sociale che si dà all’osservazione immediata. Infine, tale metodo è nello stesso tempo trascendentale perché i concetti, le categorie e gli schemi non si danno mai da soli, ma si possono ritrovare soltanto nei prodotti costruiti mediante la loro applicazione». Sulla rilevanza problematica dei tre a priori di Simmel e dei cosiddetti «principi strutturali» della sua sociologia, cfr. inoltre Dal Lago 1994: 176-186.

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Poste a fondamento tali condizioni a priori, l’oggetto della sociologia simmelianamente consiste dunque nello studio delle forme dell’associazione che esse rendono possibili. Ora, però, dichiarando che “oggetto” della “sociologia” sono le “forme dell’associazione”, Simmel non solo attribuisce carattere ambivalente a molte delle forme sociali costitutive dell’associazione, ma pone l’ambivalenza a monte del suo stesso percorso intellettuale: considera l’ambivalenza principio euristico e la riconosce in uno dei tre a priori che rendono possibile la società e cioè la sintesi e la contemporaneità di due determinazioni opposte che fanno dell’individuo essere sociale e essere per sé. Il carattere di una persona risulta allora orientato da due principi tra loro contrari. Appartenenza e separazione, individualizzazione ed identificazione, i due poli dell’ambivalenza che non si lasciano ridurre ad una mera sintesi e che determinano in maniera ambivalente la struttura dei bisogni dell’individuo. Le forme sociali dell’interazione si colorano dunque di tale ambivalenza che si riproduce in una molteplicità di forme e di significati. Un processo continuo che può essere analizzato nella sua duplice prospettiva sociale ed individuale: la società ha bisogno di riprodurre territori dove mettere in campo forze in opposizione in un gioco continuo di equilibri; l’individuo, di appartenenze molteplici che gli consentano di rispondere ai suoi bisogni ambivalenti. Ciò non significa dissonanza e squilibrio, disordine e conflitto […]. L’opposizione tra le situazioni polari, in quanto configurazione ambivalente, non è mai conciliabile in una sintesi, né può aversi la prevalenza definitiva di uno dei due poli a discapito del suo opposto poiché uno è condizione dell’esistenza dell’altro. Essi determinano piuttosto un campo di tensioni all’interno del quale si svolge l’interazione sociale. L’ambivalenza rappresenta allora il contesto strutturale che condiziona l’azione e i suoi esiti, il presupposto logico ed il metodo speculativo che consente di ammettere la validità di principi opposti, la legge che regola l’equilibrio tra le configurazioni che l’azione sociale produce121.

Assumendo l’interazione e l’«associazione» come oggetti d’indagine scientifica, che tradotto nel linguaggio del «nomadismo» sociologico simmeliano significa coinvolgere nell’analisi la totalità delle relazioni sociali, per l’autore della Soziologie si confermano tre assunti: i) i processi di conoscenza, per essere appunto tali, debbono assumere il fatto che «ogni cosa è vera anche nel suo contrario»122; ii) il dualismo dell’essere umano viene affermato in quanto esso trae origine dalla contrapposizione «tra essere per sé e essere membro»123; iii) l’interazione tra gli individui disegna forme che «esprimono e 121 122 123

Calabrò 1997: 67-68. Ivi: 51. Ivi: 52.

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riproducono esse stesse, nel loro significato sociale, tale dualismo»124. Nella descrizione di alcune forme sociali, Simmel pone esplicitamente in risalto l’esistenza, gli effetti e le regole di quel “gioco” continuo che si dà «tra elementi ambivalenti» presenti nel campo sociale e risponde anche indirettamente alla domanda di come di fatto si renda possibile per l’individuo poter sciogliere un dilemma apparentemente insolubile: «soddisfare istanze contrarie, compresenti e interdipendenti là dove non è possibile eludere l’uno o l’altro dei termini della contrapposizione; rispondere contemporaneamente al bisogno di appartenenza e differenziazione, integrazione e isolamento, vicinanza e lontananza»125. Tutto ciò significa comprendere anche sul piano epistemologico la complessità, per così dire, “strutturale” del rapporto individuo-società. In Simmel, infatti, un punto è fermo: L’individuo e la società sono comprensibili solo nelle forme che assume l’interazione ed è dunque nell’analisi di tali forme che si può trovare risposta a questa domanda. O meglio, nella molteplicità delle forme dell’interazione che consentono all’individuo, nella pluralità delle sue appartenenze, di mettere in atto quella che, seguendo il suo ragionamento, si potrebbe chiamare, dal punto di vista dell’individuo, la strategia della separazione. In altre parole differenziare il raggio d’azione dei due poli dell’ambivalenza: un efficace escamotage che consente al soggetto ciò che a prima vista appare impossibile: obbedire contemporaneamente a due istanze opposte e interdipendenti. Separare gli ambiti dove agiscono tali istanze non significa spezzare la configurazione ambivalente: l’attore comunque rappresenta il legame tra le due istanze poiché agisce in ogni caso all’interno del campo di tensione stabilito dalle due forze contrapposte […]. Il carattere ambivalente dell’interazione disegna dunque delle forme sociali a loro volta impregnate di ambivalenza che, per tale motivo, devono mantenere tra loro un rapporto di equilibrio: la società stessa, e non solo l’individuo, necessita dunque di un certo grado di ambivalenza. Da una doppia prospettiva sociale e individuale ciò implica, in ultima analisi, la ricerca di un equilibrio tra forze contrarie che continuamente ripropone e ridisegna configurazioni differenti per far sì che l’una forza non prevalga mai definitivamente sull’altra. Da tale equilibrio, o meglio da tale gioco di equilibri, si caratterizza l’interazione e, infine , la coesione sociale. È da questo ultimo punto di vista che meglio si rivela quella che, interpretando il pensiero di Simmel, si potrebbe chiamare strategia di equilibrio tra gli opposti: il fatto cioè che alcune delle forme che assume l’interazione sociale, al di là degli scopi più espliciti e dichiarati, siano funzionali a questa ricerca di equilibri che l’ambivalenza continuamente richiede e provoca. In altre parole, il fatto che la presenza di aspetti contrapposti e interdipendenti della natura umana e 124 125

Ibid. Ibid.

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della realtà sociale crei motivi di interazione ambivalenti, è reso ancora più evidente dall’esistenza di forme sociali il cui fine più intrinseco è quello di conservare e riprodurre l’ambivalenza stessa rafforzando uno dei due elementi polari, qualora questo risulti troppo debole rispetto all’altro126.

Sappiamo. Per Simmel la società di per sé «non è qualcosa di oggettivo ma un concetto “possibile” in quanto rappresentazione di un mondo il cui carattere si dà allo scienziato (e all’individuo) come unitario indipendentemente dal fatto che lo sia per davvero. In questo senso, kantianamente, la società è l’esito di un insieme di a priori cognitivi: non esiste a prescindere dall’uomo ma è il risultato di attività “fissate ma non definitive” di selezione, astrazione, tipizzazione e generalizzazione della realtà compiute dagli attori in conseguenza della loro azione reciproca»127: queste attività, quindi, non sono costrutti meramente soggettivi ma intersoggettivi, generati nel campo delle ambivalenti interazioni sociali. Com’è noto, Simmel si è riferito costantemente in modo critico a Kant e all’uso kantiano dell’analogia. Se per Kant l’uso dell’analogia consente di conoscere i rapporti qualitativi tra gli elementi (naturali, sociali, culturali, ecc.) e, quindi, essa nel campo dell’esperienza è un modo della conoscenza che ci consente l’accesso diretto a questi elementi, per Simmel, invece, l’analogia è una sorta di “pedagogia metodologica”, ovvero «le cœur de la démarche sociologique»128. Simmel è l’uomo delle analogie, ideatore di un sapere della superficie129. Egli ha saputo con straordinaria attitudine cogliere ed analizzare nei frammenti e nelle tracce della totalità della vita caratterizzata come flusso continuo – come Mehr Leben, vita ulteriore, e come Mehr-als-Leben, vita in quanto eccedenza130 –, cioè nei particolari, nel gioco reciproco delle differenze tra soggetti e oggetti, la molteplicità e la policromia del mondo fenomenico nella sua totalità. Analogicamente al fare dell’artista, Simmel si è posto il compito – attraverso l’analisi della reciprocità – di rendere conto di una delle forme possibili che rappresentano la realtà, capace, per la sua suggestiva proprietà, di esprimere le altre forme. Il termine “realtà”, parimenti, rinvia problematicamente (ed analogicamente) al termine relazione, cioè alla reciprocità, alle relazioni tra gli uomini, da quelle quotidiane a quelle che fanno la storia, tutte considerate in quel processo fondamentale che forma

126

Ivi: 52-54. Giacomini 1999: 99. 128 Papilloud 2003: 21. 129 Cfr. Vozza 1988. 130 Cfr. De Simone 2002b; Mora 2005. 127

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il materiale individuale e collettivo dell’umano-sociale, e che è rappresentato appunto dagli effetti di reciprocità. La società funziona “socialmente”, per questo Simmel è particolarmente interessato all’analisi relativa al processo di messa in forma della società – ivi compresa la sua configurazione spaziale131. Egli si è impegnato a tradurre e trascrivere l’idea (di come sia possibile) la società: partendo ancora una volta “analogicamente” da un quesito formulato kantianamente. Ciò che lo ha interessato si è tradotto nella possibilità di sviluppare un’ermeneutica multidimensionale del reale registrato sismograficamente nella sua molteplice fenomenologia relazionale e capace di spiegare la formazione delle (as)sociazioni umane senza però ridurne la complessità: tentare di giungere al cuore dell’individualità moderna in cui si combina l’alchimia delle relazioni umane quotidiane, per comprendere la varietà dei loro modi d’essere e il loro funzionamento. Materializzare l’anima della vita quotidiana, le sue forme: questo è l’obiettivo dell’analisi simmeliana della reciprocità. A Simmel interessa la dimensione individuale-sociale dei fatti. Il suo metodo comprendente132 presuppone una perspicace e spiccata attenzione alle relazioni umane; esso deve poter esprimere il relazionale senza ridurlo: la reciprocità esprime una complessificata funzione immanente sia degli individui che dei gruppi sociali. Studiare ed analizzare le relazioni tra le forme e i contenuti dell’agire individuale e sociale per giungere a cogliere una logica della loro formazione a partire dalle loro condizioni possibili: tutto ciò presuppone riflessivamente una concezione epistemologica che si traduce nell’originale formulazione concettuale della reciprocità e che raggiunge nella teoria dell’ambivalenza133 sviluppata da Simmel un suo punto alto originalmente esemplato nella sua opera. Le ragioni del metodo simmeliano intendono favorire alcune possibili risposte inerenti i quesiti che emergono dai processi di concretizzazione delle relazioni umane nel quotidiano: cioè, i loro effetti di reciprocità. Simmel

131

Simmel, cercando di comprendere le forme dell’azione reciproca degli individui, ha spiegato l’importanza connessa alla necessità per gli attori sociali “di riempire di contenuti diversi la pluralità delle configurazioni spaziali”. Nello specifico, la definizione simmeliana dello spazio “come a priori logico e percettivo”, permette di considerare questa dimensione non come qualcosa “di cui si fa esperienza”, ma come “un modo di fare esperienza”. Simmelianamente, lo spazio non è mai unicamente un aspetto oggettivo, ma, considerato in relazione a determinate funzioni specificamente psichiche e a peculiari sue configurazioni storiche, esso è “un’attività dell’anima”, ovvero è nel contempo “condizione e simbolo dei rapporti tra gli uomini”. Sull’argomento v. infra, parte seconda. 132 Cfr. Watier 2002. 133 Cfr. Calabrò 1997; De Simone 2002b.

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è interessato a disvelare l’energia del rapporto che formandosi si qualifica come “sociale”: quell’energia che si sviluppa tra i soggetti e i soggetti e gli oggetti che li circondano. Rilevante è dunque, tra l’altro, la dimensione “esteriore” – la forma – di ciò che fa e diventa “relazione”. Di conseguenza, il carattere “sociale” dei fatti rinvia comunque agli effetti di reciprocità che le relazioni rappresentano. Questo peculiare carattere “sociale” esprime, per così dire, l’«atomo logico» [Papilloud] del concetto simmeliano di reciprocità. Il materiale indeterminato della vita sociale (la concretizzazione delle relazioni nella costruzione e nell’invenzione del quotidiano) e la vita sociale stessa (dove le relazioni si combinano, si creano, si mescolano e si influenzano reciprocamente in modo differente attraverso le variegate funzioni svolte dalla mediazione espressa dalle loro forme), costituiscono i due livelli epistemologici principali su cui si possono disporre i fatti sociali, ovvero le forme dell’agire sociale che sono per l’appunto “fatti” (ed effetti) di reciprocità. Le forme socio-culturali, le forme del vivere-insieme-individualmente, le forme dell’agire sociale, rappresentano il “punto di convergenza” stabile tra questi due livelli. A loro volta le forme sociali possono ulteriormente essere considerate come delle “mediazioni” che rendono conto della regolarità delle pratiche umane: quest’interpretazione avanzata dai critici contemporanei permette di tracciare una filosofia ed una sociologia simmeliana delle mediazioni sociali e del quotidiano. Di fatto, le forme socio-culturali si affrancano oggettivamente dalla vita soggettiva degli individui e dei gruppi sociali: esse persistono, perdurano, dileguano al di là dei loro aspetti contingenti che variano, mutano secondo le epoche storiche e sociali e i contesti culturali134. Di conseguenza, studiare la forma consente di rendere conto delle condizioni di possibilità che in generale si danno della relazione umana, indipendentemente dai tempi e dai luoghi. È necessario, dunque, poter disporre di un insieme di principi epistemologici capaci di chiarire il carattere “universale” delle relazioni umane, la loro “verità obiettiva”. Tutto ciò contrasta col presunto, e più volte reiterato, “relativismo” che una certa vulgata storiografica ha più volte affibbiato a Simmel. La relazione è un paradigma “forte” nelle scienze sociali. Simmel, nella quotidianità, ricerca la materialità della relazione per comprendere ciò che la rende possibile appunto come relazione. Ciò rappresenta l’aspetto paradigmatico sul piano epistemologico della reciprocità (Wechselwirkung). Egli non fornisce una definizione in senso stretto della reciprocità, ma ne problematizza i possibili significati. Soprattutto si sofferma sulla possibilità di diagnosticare 134

Cfr. De Simone 2002b; 2004c.

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la reciprocità, cioè sulla possibilità di identificare i sintomi e le forme ricorrenti che si manifestano nella vita quotidiana moderna. Simmel considera la reciprocità nella sua accezione semantica più complessa come un processo: essa è una componente consustanziale “tra gli uomini”, che li lega in un processo che si sviluppa all’infinito. La reciprocità è materiale in quanto costituisce la ricerca concreta di tutto ciò che la vita può contenere. Simmelianamente, la strutturazione del mondo umano risulta da una dinamica d’attrazione e di repulsione. Nel suo insieme la reciprocità non fa d’emblée legame sociale. Composta da vari elementi e caratteri (fisici, psicologici, morali, ecc.), la sua peculiarità è quella di fare e produrre effetti, di operare dei costanti mutamenti sugli oggetti e sui soggetti che ne sono coinvolti e che ne trasmettono e comunicano le differenti proprietà. Da quanto detto, risulta evidente che la complessità semantica del concetto simmeliano di reciprocità impegna ermeneuticamente il suo lettore-interprete. Muovendo dalla dinamica generale della reciprocità, Simmel dischiude un significato “antropologico” della reciprocità come movimento di non-conciliazione tra entità individuali, sociali e naturali. Parimenti, la dimensione psicologico-sociale della reciprocità conferisce a Simmel la possibilità di approfondire il ruolo della reciprocità negli sviluppi e nelle dinamiche della socialità che riguardano l’identità moderna (individuale e di gruppo). Anche il carattere politico della reciprocità ha la sua considerevole rilevanza: proprio la sua intrinseca politicità consente a Simmel di insistere sull’importanza dell’engagement reciproco degli uomini come garanzia di rinnovamento dei rapporti socio-culturali considerati nella loro durata135. Conferendo alla reciprocità lo statuto socio-antropologico di possibile relazionato allo sviluppo naturale e sociale della condizione umana, Simmel più volte pare evocare il concetto di “destino” della reciprocità nel mondo moderno, delle sue conseguenze nello stile di vita. Nella modernità, quindi, la relatività della reciprocità si riflette nella fragilità della vita quotidiana, denotando i suoi caratteri ed aspetti più esplicitamente vulnerabili. Mettendo in evidenza i significati correlati all’idea di reciprocità attraverso l’analisi della Wechselwirkung e interrogandosi sulle condizioni che la rendono concretamente possibile nel quotidiano, Simmel ha aperto nel campo delle scienze sociali una rilevante prospettiva d’indagine costituita dalla problematica della relazione a cui è direttamente connessa, sul piano applicativo, quella relativa alla vulnerabilità del sociale. Con Simmel e dopo Simmel abbiamo cominciato ad analizzare criticamente il tema e lo stato della “vulnerabilità generalizzata” dell’umano e del sociale anche attraverso le pratiche filoso135

Cfr. Papilloud 2003: 165-175.

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fiche e sociologiche a partire soprattutto dalle conseguenze che la modernità e poi la globalizzazione hanno prodotto sulle persone nella loro vita quotidiana: tutto ciò ci ha reso particolarmente attenti ai problemi della relazione umana e alla sua ermeneutica critica rivolta a contrastare lo scetticismo implausibile e la vulgata doxastica dei discorsi relativi alla cosiddetta “fine delle grandi narrazioni, delle ideologie e della storia”, del “naufragio dell’universalità”, o della deriva dello “spirito critico” in cui ci costringe l’attuale “schiavitù del presente” e in cui si consuma la mediatizzazione del senso comune nell’incertezza e nella frammentazione nelle quali quotidianamente “un giorno dopo l’altro” “la vita se ne va”136. Anche Simmel ha vissuto molti di questi sintomi nella sua epoca. Paradossalmente, allorché le relazioni umane si sono oggi rese estremamente fragili – (la fragilità dei legami umani è infatti un tema su cui riflette criticamente la teoria e la filosofia sociale contemporanea) –, ebbene proprio in questo scenario Simmel riappare alla superficie del globo filosofico e sociologico e ridiventa più che mai visibile, addirittura necessario, per non dire “attuale”, proprio per mettere a tema e problematizzare le questioni fondamentali della nostra contemporaneità137. Infatti, è soltanto nei nostri tempi recenti, agitati e convulsi, tragici e complessi, insicuri, che abbiamo cominciato a riconsiderare Simmel come uno dei più originali e penetranti analisti critici della modernità e delle sue derive storiche e antropologiche. Simmel ci appare come l’autore che, molto tempo dopo la sua morte, ha riscattato le sue idee (eretiche nel suo tempo) che oggi sembrano essere diventate il senso comune della saggezza filosofica e sociologica contemporanea: ovvero, come il pensatore che sarebbe stato d’accordo con la nostra esperienza più di quanto lo avrebbero potuto essere gli altri filosofi e sociologi suoi contemporanei. Simmel ha scoperto e praticato una peculiare forma di pensiero reticolare138 e di scrittura come pratica filosofica e sociologica, il saggismo139, che è risultata a posteriori come la più adeguata per comprendere e diagnosticare le metamorfosi dell’individualità moderna e gli enigmi della quotidianità. Com’è noto, il carattere “frammentario” dell’analisi simmeliana della condizione umana e sociale moderna è stato spesso criticato. Egli affrontava la realtà sociale in base a molteplici prospettive, mettendo ogni volta a fuoco un determinato fenomeno, un tipo o un processo. Sottoposta ad un simile dispositivo 136 137 138 139

Cfr. Jedlowski 2005. Cfr. Mora 2005. Cfr. Fornari 2005a: 93 sgg. Su Simmel come saggista, cfr. Rammstedt 2006: 101-116.

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analitico e critico, la realtà non emergeva mai per elevarsi al livello di una totalità coesiva ed armoniosa. Essa appariva, al contrario, come un insieme diffranto di accessi di vita e di schegge di sapere possibile distanti da modelli epistemologici completi, sistematici e dogmatici. Nella prospettiva relazionale e critico-saggistica di Simmel, la realtà della modernità assume la forma della “tragedia della cultura”: una realtà, dunque, destinata allo sgretolamento. Soltanto oggi ci rendiamo conto che la generazione di Simmel non poteva o non voleva capire che lo “sbriciolamento” della realtà sociale costituiva la “misura tragica” della condizione umana moderna che oggi si riflette specularmene nel fenomeno globale della frammentazione. Simmel ha dunque ricevuto gloria postuma, in un’altra epoca140, e ciò non è affatto insolito e bizzarro. Se prendiamo in esame la riflessione simmeliana sulla reciprocità che segna pervasivamente l’esperienza moderna della relazione umana, ovvero il discorso socio-filosofico simmeliano sulla Wechselwirkung, ci renderemo conto che questa complessa ed originale riflessione non è riducibile ad una sorta di “vitalismo bergsoniano”141, né tantomeno è l’idealizzazione delle forze dello sviluppo moderno. Di fatto, l’analisi simmeliana della reciprocità costituisce un’idea cardinale per comprendere le dinamiche relazionali della socialità moderna. Simmel ne dimostra il significato attraverso l’individuazione di quattro registri teorici complessivamente presenti nella sua opera, sviluppando con ciò un sapere relativo al livello antropologico, sociologico, psicologico e politico142. La concezione simmeliana dell’idea di reciprocità come dinamica possibile dei rapporti socio-culturali disvela un movimento complessivo proprio dell’insieme delle relazioni umane, la cui peculiarità principale è il suo carattere inconciliabile perché a-sintetica. La reciprocità possiede un carattere graduale: essa è relativa. Dal punto di vista dinamico, essa non fa mai automaticamente né relazione né società in quanto tali. Da un punto di vista morfologico, essa si stabilisce sia in modo locale che globale. Infine, considerata dalla visuale delle sue realizzazioni concrete, essa assume dei significati particolari, relativi ai contesti nei quali appare. In ciò Simmel rintraccia le radici, le fonti, le basi per la sua analisi della vita quotidiana moderna. Simmel, com’è noto, reperisce dei frammenti dell’idea di reciprocità, frammenti colti all’interno dei rapporti sociali attraverso le operazioni di simbolizzazione e desimbolizzazione: ciò esprime ed attesta i differenti 140

Cfr. Bauman 1992. Tra i contributi analitici, storiografici e critici più rilevanti sul rapporto Simmel/Bergson, cfr. Fitzi 2002 e 2004: 45-60. 142 Cfr. Papilloud 2003. 141

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modi in cui l’individualità moderna stabilisce le relazioni reciproche tra l’io e l’altro. Tutto ciò, inoltre, conferendo durata all’idea di reciprocità nel mondo socio-culturale, si riflette sensibilmente sulle pratiche interattive del mondo della vita quotidiana nella modernità che presentano un forte livello di indeterminatezza e di oggettivazione. L’analisi della modernità che Simmel ha sviluppato è, tra l’altro, in stretta connessione con la tematica della relazione: la modernità è la manifestazione sintomatica, ambivalente, del problema relazionale così come si esplica nella dimensione della reciprocità, che si traduce a vari livelli nelle espressioni dinamiche della vita quotidiana metropolitana e della estetizzazione del suo peculiare stile. Analizzare la modernità a partire dall’idea di reciprocità implica un rinnovamento del modo di leggere Simmel, sottolineando in particolare i paradossi del moderno. La modernità è “paradossale” in quanto rende il quotidiano più astratto in ogni argomentazione della nostra sensibilità ai contenuti ineffabili del quotidiano. Il carattere paradossalmente “sorprendente” del quotidiano può sospingere a mettere in atto un’evidente resistenza alla riduzione della personalità alla conformità astratta della vita quotidiana: in ciò si traducono, tra l’altro, le strategie di estetizzazione dello stile di vita moderna143. Parimenti, la fragilità dei legami umani e sociali reciproci tipici della vita moderna riflette specularmente una vulneralizzazione generale delle relazioni umane quotidiane, la cui incertezza è un tratto diffuso dell’esperienza che si consuma nel processo ambivalente di “intellettualizzazione della vita”: l’analisi di questo processo, che esprime l’azione reciproca di più fattori, attraverso Simmel, permane ancora di grande “attualità”144. Un’“attualità” sempre più cogente che gli viene oggi riconosciuta tra l’altro per aver saputo cogliere e comprendere correlativamente con originalità l’ambiguità e l’ambivalenza del processo di «individualizzazione» quale elemento costitutivo di una diagnosi sociologica del moderno. Di fatto, Simmel è anche «il più contemporaneo» dei classici della sociologia145 che ha sviluppato precocemente una certa sensibilità per le differenziazioni concettuali che sarebbero necessarie all’interno di questa disciplina per risolvere le ambiguità del concetto di «individualizzazione»146. Come per nessun altro autore della generazione dei classici europei della sociologia, a Simmel è chiaro che «tra il mero fatto dell’incremento delle 143 A tal proposito, cfr. le ricostruzioni svolte da Papilloud 2003: 215-234, Tramonti 2004a: 179-196 e Mele nella sua Introduzione in G. Simmel, Estetica e sociologia. Lo stile della vita moderna [2006a: 7-42]. 144 Cfr. Jedlowski 2005: 51. 145 Cfr. Calabrò 2003. 146 Cfr. Honneth 2005: 29.

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qualità individuali, cioè la pluralizzazione degli stili di vita resa possibile dall’economia monetaria, e l’accrescimento dell’autonomia personale, sussiste una differenza di principio; se l’anonimizzazione delle relazioni sociali nella grande città può condurre ad un allentamento dei vincoli d’appartenenza al gruppo e, di conseguenza, ad una moltiplicazione delle possibilità di scelta, ciò, dal suo punto di vista, non significa allo stesso modo una crescita della libertà personale»147: per questa è necessaria «una protezione che dona sicurezza» da parte dell’altro soggetto148. Tra i primi, Simmel è stato colui che ha rilevato la necessità di differenziare l’individualizzazione sociale dall’incremento della libertà, per consentire così – dopo e oltre Marx e Weber149 – una complessa diagnosi del rapporto tra razionalità, razionalizzazione e capitalismo moderno150. Nella sua originale “diagnosi sociologica del presente”, egli ha assegnato alla sociologia un concetto di individualizzazione che presenta ulteriori complicazioni problematiche e dimensioni semantiche almeno su due livelli. Come spiega Honneth: «Da un lato, come è chiaro dalle analisi della Filosofia del denaro, con il processo rilevato descrittivamente della pluralizzazione delle possibilità di scelta si accompagna sempre il pericolo di un impoverimento dei contatti sociali, di un incremento dell’indifferenza intersoggettiva; di conseguenza, nel concetto di individualizzazione va distinto ancora un terzo significato in relazione alla tendenza ad una singolarizzazione del soggetto nel crescente groviglio di contatti sociali anonimizzati»151. Simmel, dunque, non soltanto ritiene di poter descrivere questa tendenza di sviluppo privilegiando innanzitutto una prospettiva osservativa: egli «non si riferisce ad un processo di crescente solitudine, di isolamento sentito o patito, quanto piuttosto al fatto oggettivo di una sempre più forte concentrazione all’interesse meramente proprio, indipendente da altri»152; ma principalmente si avvede di due differenti «aspetti semantici» intrinseci nell’idea stessa di un incremento della libertà, che lo spingono a compiere una ulteriore differenzazione del concetto di individualizzazione153. In estrema sintesi, e per concludere su questo tema, come osserva ancora 147

Ibid. Cfr. FD: 483. 149 Cfr. Toscano 1988; De Simone 1999. 150 Sull’argomento, cfr. Rossi 1982 e 2007, Recchia Luciani 1988 e De Simone 1999; su Weber cfr. inoltre Accarino 2005 e D’Andrea 2005. 151 Honneth 2005: 29. 152 Ibid. 153 In particolare, v. il cap. X «L’ampliamento del gruppo e la formazione dell’individualità» contenuto nella Sociologia [cfr. S: 601 sgg.] di Simmel. 148

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PERCHÉ SIMMEL

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Honneth: «Qui, il punto di partenza è rappresentato da una distinzione nella determinazione del fine del secondo polo dell’individualizzazione, cioè dell’autonomizzazione: da una parte, secondo la sua interpretazione della cultura giuridica romana, come telos della formazione della libertà interna viene intesa l’articolazione autonoma di convinzioni e intenzioni che, per principio, tutti gli uomini possono condividere; si tratta di un individualismo dell’eguaglianza, dato che qui ne va della possibilità di una capacità di riflessione individuale che costituisce una caratteristica del genere umano in quanto tale»154. In correlazione a questo concetto di autonomia si pone una seconda forma di individualismo155, le cui radici storico-spirituali, com’è noto, sono per Simmel rinvenibili nel romanticismo tedesco: «Qui, come fine dell’incremento della libertà individuale, si intende la elaborazione storico-vitale di quelle caratteristiche peculiari, insostituibili, in base alle quali i soggetti si distinguono l’un l’altro; a tal riguardo si deve parlare di un individualismo qualitativo che, a seguito di Herder, Schleiermacher, Nietzsche e Kierkegaard, ha decisamente di mira l’articolazione dell’autentica personalità del singolo»156. Da tutto ciò consegue che, per Simmel, l’incremento della libertà individuale procede nelle direzioni sia dell’aumento in autonomia che della crescita in autenticità: tra queste due direzioni si concentrano una molteplicità di contraddizioni e di tensioni che, nella modernità, non sono facilmente conciliabili e rimuovibili. Per cui, sintetizzando l’impresa sociologica compiuta da Simmel, possiamo infine registrare i quattro fenomeni che, secondo il modello simmeliano, si possono di volta in volta comprendere come afferenti al concetto di individualizzazione: «affianco alla individualizzazione dei percorsi di vita, che sembra essere un fatto empiricamente osservabile, con questo concetto si intende anche il crescente isolamento degli attori dell’agire così come o l’aumento delle capacità di riflessione o l’incremento dell’autenticità dell’individuo»157. Va da sé che, nella diagnosi sociologica del presente, la difficoltà sta proprio nel distinguere questi quattro processi di sviluppo al fine di farne emergere i loro effetti di reciprocità. 154

Honneth 2005: 30. Per la riflessione simmeliana sul tema dell’individualità e delle forme dell’individualismo, cfr. Simmel 1995b e 2001b; per l’approfondimento critico di questa problematica nelle sue dimensioni etico-politiche, filosofiche, sociologiche ed estetiche, cfr. Ghisu 1991; Schwerdtfeger 1999; De Simone 2002a e 2002b; inoltre si vedano: Accarino 1982b; Ferrara 1997: 31-48 e 1999: 98-110; Andolfi 2001: 9-31; Bodei 2002: 169-186; Portioli 2004: 139-171; Giacometti 2005: 97-110. 156 Ibid. 157 Ibid. 155

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II

Ermeneutiche di Simmel Il significato filosofico del denaro consiste nel fatto che all’interno del mondo pratico esso costituisce l’immagine più chiara e la realizzazione più definita della formula dell’essere in generale, in base alla quale le cose trovano il loro senso l’una rispetto all’altra e la reciprocità dei rapporti, in cui sono sospese, determina il loro essere e essere così. Georg Simmel

Philosophie des Geldes, l’opera più “sistematica” di Simmel, alla sua prima pubblicazione (1900) fu da molti considerata come una «filosofia del tempo» che, forse, non sarebbe stata scritta se non fosse stata preceduta dal Capitale di Marx, di cui, però, non è affatto la «continuazione». Concepita in una fase epocale di transizione e di crisi d’egemonia della società e della cultura tedesca ed europea a cavallo tra il XIX e il XX secolo1 – tempo di passaggi aporetici e di «metamorfosi molecolari della vita e delle forme che ne regolano l’intimo ritmo e le interne articolazioni»2, nonché contraddittorie espressioni oggettive e/o soggettive del processo di Industrialisierung, di Differenzierung e di Rationalisierung del mondo occidentale moderno –, Philosophie des Geldes contiene ed espone alcuni dei temi principali della riflessione filosofica e sociologica di Simmel3. In Philosophie des Geldes, Simmel ha pervicacemente inseguito, con le armi della critica sociologia e con lo stile della sua perso-

1 Sul contesto sociale, politico e intellettuale della genesi della Philosophie des Geldes, cfr. G. Poggi, Denaro e modernità. La «Filosofia del denaro» di Georg Simmel [1998: 9-47]. 2 Cfr. F. Fistetti La volontà di valore. L’etico-politico dopo Nietzsche [1981: 121]. 3 Su Philosophie des Geldes di Simmel, cfr. l’ampia ed accurata Nota Bibliografica contenuta in G. Simmel, Filosofia del denaro, a cura di A. Cavalli e L. Perucchi [1984], congiuntamente alla loro Introduzione: rispettivamente FD: 74-81 e 9-50; D. Frisby, Preface to the Second Edition, Introduction to the Translation e Afterword: The Constitution of the Text, in G. Simmel, The Philosophy of Money [1990: xv-xli, 1-49 e 513-534]; D. Frisby, K. C. Köhnke (eds), Materialen zur Philosophie des Geldes [1991]; AA.VV., A propos de “Philosophie de l’argent” de Georg Simmel [1993a].

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nalissima scrittura saggistica e filosofica, il problema centrale del suo tempo storico: la generalizzazione dell’economia monetaria nel mondo moderno. Secondo la sua architettura testuale, l’opera simmeliana affronta nella prima parte, quella analitica, l’analisi sistematica della struttura fenomenologica ed epistemologica della forma-denaro, dell’oggettivazione del valore e della funzione dello scambio; nella seconda parte, quella sintetica, il significato simbolico e sociale del denaro e dell’economia monetaria come espressioni “metaforiche” del disincanto e delle aporie della Modernität, la dialettica vitaforme, la teoria tragica della Kultur, lo statuto della soggettività e della libertà dell’individuo, la teoria dell’alienazione e dei processi di razionalizzazione della vita quotidiana nell’epoca della tecnica e del calcolo economico razionale. Ciascuna delle due parti si divide in tre capitoli e ciascuno di questi capitoli, a sua volta, è diviso in tre sezioni4. Nella Geldanschauung di Simmel il denaro è una metafora della totalità e simbolo della Modernität5: il valore e il denaro, pur non identificandosi diacronicamente con una determinata formazione storico-sociale, designano l’essenza del mondo moderno e la morfologia generale dell’esistenza sociale, caratterizzando la soggettività come capacità individuale di conferimento di valore al sistema degli oggetti e come campo di interazione (Wechselwirkung), 4

I titoli delle due grandi parti in cui si divide la Filosofia del denaro, analitica e sintetica, come rileva Dal Lago [1994: 94-95], «si rifanno alla gnoseologia kantiana, o meglio neo-kantiana. “Analitica” sta qui per metafisico-critica, nel senso di un’indagine che mira a stabilire le condizioni di pensabilità di un oggetto, il denaro; “sintetica” definisce invece la possibilità di rappresentare nella loro unità determinati oggetti o relazioni – in particolare il ruolo del denaro nella cultura moderna. È in questa seconda parte che il lettore contemporaneo troverà le applicazioni più suggestive del metodo di Simmel, come la discussione degli effetti dell’economia monetaria sull’esperienza individuale. Tuttavia, la parte analitica, o metafisico-critica, non deve essere sottovalutata. Essa contiene infatti una sorta di compendio dei problemi filosofici rilevanti all’epoca di Simmel. È in questa prima parte che il denaro come simbolo delle relazioni sociali, prima ancora che come fenomeno storico-economico, viene inserito, o piuttosto dissolto, nell’insieme di relazioni concettuali che può definire un’epoca culturale». 5 La Filosofia del denaro, come osserva ancora Dal Lago [1994: 94], «non è un saggio di filosofia economica, e tantomeno di economia, ma una riflessione che rientra a pieno titolo nella filosofia della cultura: sia nel senso generale dei sistemi simbolici prevalenti nella società (tra cui il denaro è evidentemente uno dei principali, almeno nel mondo moderno), sia e soprattutto nel senso del vocabolo tedesco Kultur, che al tempo di Simmel era inteso, con un’enfasi particolare, come equivalente a “realizzazione spirituale” […]. Il saggio di Simmel è dunque un’indagine sul significato del denaro come indicatore delle realizzazioni spirituali dell’epoca moderna. In questo senso il denaro è una metafora, un sistema simbolico che, agli occhi di Simmel, rappresenta e al tempo stesso governa la cultura moderna e le sue realizzazioni specifiche, la razionalità nell’economia e nella vita, nonché l’intellettualismo, in particolar modo scientifico».

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UNA “RECIPROCITÀ

SENZA FINE”

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di scambi e intermediazioni reciproche tra uomini e cose. In termini simmeliani, il valore ontologico del denaro «permette una precisa semantizzazione dell’essere in chiave simbolico-metaforica; l’essere in generale può venire compreso in quanto metafora della Wechselwikung allo stesso modo che il denaro ne rappresenta la forma simbolica e contemporaneamente la sua oggettivazione»6. Il denaro, inoltre, «è l’oggettivazione della Wechselwirkung, il prodotto di un effetto di reciprocità e, come tale, l’emblema dell’intera esistenza: dietro l’oggettività impersonale e asettica del denaro vibra l’esperienza soggettiva, la scansione della vita nel suo eterno gioco di effetti reciproci»7. Collocandosi originalmente rispetto a Marx e a Weber, per quanto riguarda l’analisi del modo di produzione capitalistico e dei processi di razionalizzazione produttiva e burocratica, Simmel vede il denaro come il denominatore comune e il simbolo della tendenza generale all’oggettivazione dei valori soggettivi tipici della modernità8. Lo sviluppo del denaro, quale cifra paradigmatica dell’esistenza moderna, pone capo, per Simmel, alla relativizzazione e all’oggettivazione dei contenuti di senso dell’azione e della verità e, spinge, nell’ambito di un “relazionismo” epistemologico radicale, in direzione dell’autonomizzazione dei mezzi sui fini della conoscenza e, nel campo dell’economia monetaria, del valore (che è un Urphänomenon) come oggettivazione di un rapporto tra le cose che diventa autonomo dalle stesse valutazioni soggettive, come valore di scambio. Attraverso una fitta trama di analogie e di metafore, la filosofia del denaro di Simmel si configura giammai come una storia della genesi e dello sviluppo del denaro tout-court, ma come una teoria generale della modernizzazione monetaria e della secolarizzazione della Kultur moderna9. Philosophie des Geldes, la più nota ma anche la più controversa delle opere di Simmel10, non si risolve unicamente in un’analisi sociofilosofica delle conseguenze positive e degli “effetti perversi” dell’economia monetaria, ma pone capo – attraverso la fondazione di una teoria sociofilosofica della Modernität, quale acuto sforzo di comprensione della fenomenologia e della logica della 6

Mora 2005: 49. Vozza 2002: 38. 8 Sui rapporti di Simmel con Marx e Weber su questi temi, cfr. F. Pohlmann, Individualität, Geld und Rationalität. G. Simmel zwischen Marx und M. Weber [1987]. 9 Cfr. Accarino 1982b: 55-81. 10 Un bilancio retrospettivo della letteratura critica relativamente successiva alla prima pubblicazione di Philosophie des Geldes (1900) è accuratamente svolto da D. Frisby nella sua Introduzione alla tr. inglese di G. Simmel, The Philosophy of Money [1978: 1-49; 2ª ed. ampliata 1990]. 7

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società moderna metropolitana e del processo di razionalizzazione – ad una teoria della “reificazione dello spirito” (Vergegenständlichung des Geistes) e dell’alienazione che mostrano di avere non poche “affinità” con la filosofia del giovane Marx. Ancora. Con Philosophie des Geldes, Simmel compie senz’altro, teoreticamente ed epistemologicamente, un “mutamento di paradigma” all’interno del lungo e complesso itinerario percorso dalla riflessione sociologica e filosofica occidentale sul denaro11. A questo riguardo, Simmel – ridimensionando polemicamente l’eredità neocriticistica, la dialettica hegeliana e replicando direttamente e/o indirettamente al materialismo storico come Weltanschauung pratica – solleva la problematica dell’oggettivazione e prospetta una teoria dell’alienazione e della Kultur che contengono al loro interno non soltanto la dialettica di quel conflitto tutto moderno e tragico tra la vita e le forme12 – che sarà parte integrante dell’evoluzione del suo pensiero nell’ultimo periodo della sua Lebensphilosophie e che interesserà larghi settori della “cultura

11 «La Filosofia del denaro di Simmel – come rileva Comoglio in Le filosofie del denaro [2000: 13] – inaugura, allo scoccare del Novecento, uno dei più grandi tentativi di trasformare il denaro da oggetto inerte a indicatore delle realizzazioni spirituali di un’epoca, codice fondamentale della modernità. Simmel apre una nuova frontiera, delineando un piano concettuale al di sotto della teoria tecnica dell’economia monetaria, dove si cerca di riportare la manifestazione storica, l’idea e la struttura del denaro nel contesto accessibile dei rapporti di reciprocità tra gli uomini. Simmel non ha “scoperto il denaro” ma è stato comunque il primo ad assegnarli un ruolo da protagonista nella filosofia della cultura, il primo a formulare una teoria completa dei suoi poteri e dei suoi effetti sulla concreta esperienza di vita dell’individuo». Secondo questo interprete, l’importanza della Filosofia del denaro «non consiste tuttavia nell’opera sistematica, ma nell’impulso del pensiero, nella capacità di connettere la posizione nodale del denaro a tutte le forme di relazione che costituiscono lo spazio sociale dei soggetti. La varietà inesauribile di bagliori e intuizioni, contenuta nell’opera di Simmel, ha di fatto stimolato e influenzato, come una fertile corrente sotterranea, ogni tentativo successivo di avvicinarsi all’essenza del denaro, anche se spesso il merito di quest’eredità non è stato direttamente riconosciuto» [ivi: 15]. 12 Per Simmel – come scrive con efficace sintesi Rutigliano in Georg Simmel, in Id., Teorie sociologiche classiche [2001: 149-150] – «la vita si esprime costantemente in forme, cioè relazioni, simboli, istituzioni, ma in queste essa si irrigidisce, si formalizza, si coagula. Appena definite, le forme già non la contengono più, non riescono a esaurirla; e allora la vita è costretta, per esprimersi, a lottare contro le vecchie forme, creandone di nuove le quali a loro volta si irrigidiscono, e così via. Di fronte all’incessante procedere del rapporto tra vita e forme, Simmel è diviso, indeciso, tra le forme che permettono agli uomini di esprimersi, di stabilire relazioni tra loro e, in definitiva, ai soggetti di essere soggetti, e la ricchezza della vita volta a guadagnare spazi espressivi per gli stessi soggetti. Questa la tragedia dell’esistenza: le forme permettono alla vita di esprimersi ma, allo stesso tempo, non completamente, nella sua ricchezza e nel suo incessante mutarsi ed evolvere. Egli comunque si rende conto dell’oggettività di questo processo e dell’impossibilità di trascenderlo».

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UNA “RECIPROCITÀ

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della crisi”, da Nietzsche a Weber13 –, ma sembra altresì “anticipare” alcuni degli aspetti nodali, come si è detto, della teoria marxiana dell’alienazione (ancor prima della pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti del 1844), nonché alcuni momenti salienti dell’analisi della reificazione elaborati da Lukács in Geschichte und Klassenbewusstsein, pubblicata nel 192314. 13

Cfr. Cortella 1981. Cfr. Lukács 1967. Sul rapporto Lukács-Simmel, cfr. De Simone 1985; 1986: 281-300; 2002b: 23-33 e 263-291. Secondo quanto rileva e ribadisce anche David Frisby nel suo libro Georg Simmel [1985:124-127], «la Filosofia del denaro non offre solo una spiegazione delle conseguenze positive e negative dell’economia monetaria, ma anche una teoria dell’alienazione culturale che, a prima vista, sembra notevolmente vicina a quella del giovane Marx. Da questo punto di vista la teoria dell’alienazione di Simmel anticipa la trattazione dell’alienazione come essa appare nei Manoscritti economico-filosofici (i quali non furono scoperti che all’inizio del decennio 1930-1940) e alcuni aspetti della teoria della reificazione di Lukács (nel capitolo centrale di Storia e coscienza di classe, pubblicato nel 1923). Nel primo capitolo della Filosofia del denaro […] Simmel pone le basi di una teoria dell’alienazione nell’ambito dei moderni sviluppi della cultura. Il denaro – afferma Simmel – è “la reificazione del puro rapporto tra cose così come esse si esprimono nei loro movimenti economici”. Il denaro crea un’oggettività spettrale che sovrasta e domina gli individui come un’entità naturale. “Poiché il denaro misura tutte le cose con spietata oggettività e poiché la misura del loro valore, che viene così stabilita, determina i loro legami, ne risulta un intreccio di contenuti di vita oggettivi e personali che si avvicina al cosmo regolato dalle leggi naturali in virtù della possibilità di postulare una connessione ininterrotta e una rigida causalità. Tale cosmo viene tenuto unito dal valore monetario che tutto pervade, come la natura risulta unificata dall’energia che tutto vivifica” [FD: 610; le successive frasi virgolettate citate da Frisby sono sempre tratte da FD, N.d.A.]. Questo mondo sovraindividuale, quale una cultura di cose, affronta l’individuo come qualcosa di alieno anche se “in ultima analisi, non sono gli oggetti, ma le persone a condurre questi processi, i rapporti tra oggetti sono in realtà rapporti tra persone”. Questa “oggettività dell’interazione umana […] trova la sua espressione più alta negli interessi economici meramente monetari”. Essa è manifesta pure nell’intellettualizzazione e nella funzionalizzazione dei rapporti. E qui Simmel traccia una serie di paralleli tra intellettualizzazione, razionalizzazione (includendovi il sistema giuridico), “l’esattezza del calcolo dei tempi moderni” e lo sviluppo dell’economia monetaria matura che – insieme con l’opera giovanile di Tönnies – certamente anticipa alcuni temi della successiva analisi del processo di razionalizzazione svolta da Max Weber così come dell’esame della reificazione, pure successivo, svolto da Lukács. Per esempio, Simmel afferma che “si devono caratterizzare le funzioni intellettuali che ora si usano nell’affrontare il mondo e nel regolare i rapporti tanto individuali quanto sociali in termini di funzioni calcolatrici. L’ideale del calcolo è di concepire il mondo come un enorme problema matematico”. Nell’ambito di questa cultura oggettiva, reificata, e del mondo reificato dei rapporti monetari, ogni possibilità individuale di creatività e di sviluppo si fa sempre più ristretta. Questa “preponderanza della cultura oggettiva sulla cultura soggettiva” si manifesta nell’enigmatico rapporto tra “la vita sociale e i suoi prodotti da un lato e i frammentari contenuti della vita degli individui dall’altro”. Simmel si pone il compito di scoprire “le cause concrete, effettive” di questa sempre più ampia separazione tra la cultura soggettiva e quella oggettiva nella società moderna e ne coglie le origini “nella divisione del lavoro nell’ambito della produzione così come del consumo”. A questo punto 14

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Secondo Simmel, la genesi del denaro si spiega poiché «la diversità dei desideri tra due persone» [FD: 660] non sempre viene a coincidere con Simmel propone una spiegazione della divisione del lavoro e della specializzazione che a volte riecheggia quella di Marx, sebbene con accentuazioni significativamente diverse. Nel moderno processo di produzione “il prodotto è portato a compimento a spese dello sviluppo del produttore”, la cui personalità totale “rimane ostacolata a causa della deviazione di energie […] indispensabili per la crescita armoniosa del sé”. I singoli lavoratori non possono riconoscere se stessi in quanto essi producono poiché il significato del prodotto si deduce solo “da un rapporto con prodotti di diversa origine”, cioè da altre merci. Ciò che è prodotto è solo un frammento che manca di una definizione concreta “la quale può facilmente essere raggiunta per un prodotto di lavoro che sia totalmente opera di una singola persona”. L’alienazione del lavoratore è rinforzata anche “dalla separazione del lavoratore dai mezzi di produzione”, poiché, mentre la funzione del capitalista consiste “nell’acquistare, organizzare e distribuire i mezzi di produzione, tali mezzi acquistano un’oggettività molto diversa per il lavoratore e per coloro che lavorano con materiali propri”. Tale processo si rinforza ulteriormente in seguito al fatto che “il lavoro stesso si separa dal lavoratore” ogni qualvolta “la forza lavoro è diventata una merce”. In queste circostanze, “il lavoro condivide con tutte le altre merci carattere, modo di essere valutato e destino”. Ma, anziché impegnarsi in un’analisi storicamente specifica di tale processo, Simmel lo riduce semplicemente a “un lato dell’ampio processo di differenziazione”. Tale processo di separazione del lavoratore dai mezzi di produzione è anche più palese nel caso della produzione meccanica automatica […]. “[…] In quanto diventa una totalità e prende su di sé una parte sempre più grande del lavoro, la macchina sta di fronte al lavoratore come una forza autonoma”. Ma la produzione meccanica ha in sé anche un’altra caratteristica. Essa costituisce l’incorporarsi della conoscenza oggettivata (lo spirito oggettivo), che è di gran lunga superiore a quella del singolo produttore. Non solo il processo di produzione, tuttavia, ma anche lo stesso prodotto sta dinanzi al suo produttore come un oggetto alieno, dal momento che “il prodotto del lavoro nell’era capitalistica è un oggetto con un carattere fortemente autonomo, con proprie leggi di movimento e un carattere estraneo al soggetto produttore”, del che si ha l’esempio più indiscutibile “là dove il lavoratore è costretto a comperare il suo stesso prodotto”. Ma i singoli lavoratori si trovano pure dinanzi a una gamma sempre più vasta di possibili oggetti di consumo. Qui il processo in funzione è quello del livellamento della qualità e del prezzo: quanto più gli oggetti sono impersonali, tanto più sono adatti a un maggior numero di persone e l’oggetto deve essere prodotto a bassi costi sufficientemente per soddisfare la domanda più vasta possibile. A questo proposito Simmel confronta la produzione su ordinazione alla produzione di massa. Mentre la prima fa sorgere un rapporto personale tra il consumatore e la merce, nel secondo caso la merce è qualcosa di esterno e autonomo rispetto al consumatore. Non solo la divisione del lavoro distrugge la produzione su ordinazione, “l’aura soggettiva del prodotto scompare anche in relazione al consumatore in quanto la merce ora è prodotta indipendentemente da lui”. In termini più generali, l’individuo è estraniato non solo dal più vasto contesto culturale, ma anche dagli aspetti più intimi della vita quotidiana. Di ciò vi sono tre ragioni. La prima è costituita dal drammatico aumento della pura quantità delle merci disponibili, fenomeno al quale Simmel fa riferimento in termini di “differenziazione consecutiva” e che trova la sua espressione più completa nei negozi di pochi soldi e nei rivenditori automatici a gettone. La seconda è costituita dalla “differenziazione simultanea” di merci come si manifesta nelle mode. La terza è la pluralità degli stili che si pongono dinanzi all’individuo come entità oggettive».

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«la diversità dei prodotti che esse hanno da offrire» [ibid.], di conseguenza si rende necessario «un mezzo che permetta un particolare tipo di scambio, effettuato il quale solo una delle due parti ottiene l’oggetto desiderato, mentre l’altra ottiene solo il mezzo necessario ad effettuare un successivo scambio contro la cosa desiderata. Tale condizione è però valida finché gli uomini desiderano un numero limitato di oggetti, mentre le cose sono destinate a cambiare con il continuo moltiplicarsi dei bisogni»15. Di fatto, poiché la causa che spiega la comparsa del denaro è «la differenza dei prodotti, ovvero dei desideri diretti nei loro confronti» [FD: 660], il suo ruolo «sarà evidentemente tanto più importante ed ineliminabile, quanto più gli oggetti in circolazione sono diversi» [ibid.]; oppure, considerando la cosa altrimenti, «si può giungere ad una avanzata specializzazione delle prestazioni solo quando non si è più costretti allo scambio immediato» [ibid.]. Al riguardo, in Simmel è centrale «l’idea di un rapporto tra soggetto e oggetto in cui intervengono momenti di Wertphantasie, di creazione e proiezione sugli oggetti di immagini di desiderio che danno vita a “oggetti simbolici”, ideali»16. Nello specifico, come chiarisce Boella, «la discrasia di soggetto e oggetto non viene in questo modo intesa come frutto di operazioni di tipo rappresentativo o volitivo di attribuzione da parte del soggetto di realtà o di valore all’oggetto, bensì come oggettivazione dell’oggetto, dilatazione dei confini della sua realtà fattuale in direzione del possibile, della sfera del senso e del significato. Centrale in questa luce è il nesso valoredesiderio. La separazione tra un soggetto che apprezza, valuta, gode e un oggetto dotato di valore non è affatto originaria, bensì derivata. Originario è il godimento come atto indifferenziato, come avviene persino nel caso dell’opera d’arte che, pur essendo un oggetto di per sé autonomo rispetto al soggetto, può dar forma a un tipo di fruizione immedesimante, a un piacere indifferenziato. Il desiderio segna la fine di questa unità indifferenziata. Il contenuto dell’atto del desiderio è infatti un oggetto mancante, non goduto. Ciò non significa che esso sia non-esistente, quanto piuttosto che le cose vengono desiderate al di là della loro disponibilità all’uso e al godimento. Il desiderio nasce dal momento in cui le cose oppongono resistenza al soggetto. La correlazione tra desiderio e oggetto nasce dunque non perché ci sia un incontro armonico tra l’uomo e le cose, ma perché tra i due si instaura una distanza, costituita dalla qualità specifica dell’oggetto, dal suo non aver ancora soddisfatto l’aspirazione del soggetto, dal suo non essere ancora stato goduto. L’oggetto desiderato in questa specifica forma 15 16

Ivi: 104. Boella 1988: 76.

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diventa un valore perché è difficilmente accessibile. Si spiega così perché il godimento (in cui il soggetto vince la distanza che lo separa dall’oggetto) consuma il valore. Questo torna a formarsi non appena l’oggetto goduto ricomincia a contrapporsi al soggetto, riprende ad alimentare immagini di desiderio. Il godimento infatti spesso non consuma interamente il valore dell’oggetto in quanto quest’ultimo, proprio perché dotato di valore, non contiene solo elementi legati all’atto di desiderio e alla rappresentazione soggettiva del godimento. Esso contiene piuttosto la dimensione del valore nel senso della qualità di tornare a prospettare la propria oggettualità nella dimensione del non-goduto, del mancante, della lontananza, e quindi del sacrificio, della rinuncia, della fatica»17. Per Simmel, nel rapporto tra oggettivazione, valore e denaro, il valore del denaro si costituisce in virtù di un più generale processo sociale, psicologico e filosofico18, e non solo ed unicamente in virtù di una logica economica. Anzi, 17

Ivi: 76-77. Specificando la categoria dello scambio (in quanto interazione) come forma di vita e come condizione del valore economico, Simmel scrive nella Filosofia del denaro che «il significato dello scambio, e cioè che la somma del valore del “dopo” sia superiore a quella del “prima”, richiede che ognuno dia all’altro di più di quello che egli stesso possedeva. Evidentemente il concetto di interazione è più ampio di quello più ristretto di scambio, soltanto che nei rapporti umani l’interazione appare prevalentemente in forme che permettono di considerarla come scambio. Il nostro destino naturale, che ogni giorno ci presenta una continuità di guadagno e perdita, di flusso e deflusso dei contenuti della vita, viene spiritualizzato nello scambio, che ci rende consapevoli che l’una cosa sta per l’altra. Lo stesso processo di sintesi spirituale che crea dalla vicinanza degli oggetti la loro interdipendenza, lo stesso Io che, pervadendo internamente i dati sensibili, attribuisce loro la forma della propria unità – ha assunto con lo scambio quel ritmo naturale della nostra esistenza e organizzato i suoi elementi in una connessione significativa. L’ombra del sacrificio non è certo estranea allo scambio di valori economici. Quando scambiamo amore con amore, rendiamo manifesta un’energia interiore che non sapremmo impiegare altrimenti, non rinunciamo ad alcun beneficio – prescindendo da conseguenze collaterali esterne. Quando comunichiamo nel discorso contenuti spirituali, essi non per questo diminuiscono. Quando offriamo ai nostri vicini l’immagine della nostra personalità, accogliendo in noi la loro, non diminuiamo in alcun modo nello scambio la proprietà che abbiamo di noi stessi. In tutti questi scambi l’aumento di valore non si realizza contabilizzando profitti e perdite. L’apporto di ogni parte, o sta del tutto al di là di questa contrapposizione, o il fatto stesso del dare è già per sé un guadagno, nel qual caso il corrispettivo ci appare come un regalo gratuito nonostante la nostra offerta; lo scambio economico, invece – sia che riguardi oggetti o lavoro, o energia lavorativa investita in oggetti – richiede sempre il sacrificio di un bene utilizzabile anche in altro modo, per quanto nel risultato finale possa prevalere l’incremento di felicità» [FD: 126]. 18 Secondo quanto osserva Vozza [2002: 37], per Simmel, «il significato filosofico del denaro è il superamento dell’opposizione tra soggetto e oggetto, la riconciliazione tra il desiderio di possedere un bene e il valore economico, oggettivamente stabilito per annullare la distanza che separa il soggetto dall’oggetto desiderato: l’essenza del denaro – come della cultura in

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nell’ambito economico il processo di formazione del valore […] si radicalizza e, per così dire, si stabilizza: il valore delle cose scaturisce ormai esclusivamente dal loro rinvio reciproco, dal rapporto di scambio in cui sono inserite. Ciò è frutto di un’accentuazione radicale della distanza di soggetto e oggetto (che era all’origine della valutazione degli oggetti come fonte di godimento), tale per cui il soggetto cede totalmente il campo al gioco reciproco delle cose. Il valore di queste ultime, frutto del reciproco rimando ai valori di ciascuna cosa, assume infatti un’oggettività sovraindividuale, ma senza diventare una qualità e realtà oggettiva delle cose. Il denaro incarna la “scambiabilità” e il suo valore non deriva dall’essere un oggetto tra gli oggetti, bensì dall’essere il centro e l’agente di un meccanismo di reciprocità del tutto impersonale e funzionale. Nell’economia giunge dunque alla massima espressione la natura del processo di oggettivazione come rinvio di un oggetto a un altro in seguito all’incorporazione-simbolizzazione che in questo è avvenuta di rapporti sociali, dinamiche sensibili, psicologiche, utilitarie. Elemento specifico dell’economia non è quindi il valore, ma lo scambio, la circolazione che crea un regno intermedio tra il desiderio e il soddisfacimento, in cui gli oggetti si valutano reciprocamente e fanno scaturire il loro valore da tale rinvio reciproco19.

Con questa particolare torsione interpretativa si può comprendere perché Simmel ponga particolarmente in risalto il fatto che il denaro, «il quale presuppone e rafforza istituzionalmente la situazione dello scambio di equivalenti»20, possa di fatto esplicare una siffatta funzione soltanto in virtù dell’intervento di quella “fantasia del valore” che «è alla radice della formazione del valore»21. Da ciò consegue che «lo scambio non avviene tra oggetti dotati di uguale valore, bensì tra oggetti di cui uno è meno “desiderabile” dell’altro. Esso presuppone dunque la presenza di una pluralità di desideri e rappresentazioni concorrenti, attraverso i quali si ripropone, esteso al mondo cosale nel suo complesso, il rapporto tra apprezzamento di valore e non godimento che […] fonda l’oggettività del valore»22. È così possibile spiegare perché, per Simmel, «lo scambio è produttivo e crea valore al pari della produzione» [FD: 128]23: esso non crea «nuove materie o energie» [ibid.], ma «incrementa generale – si manifesta nel ricondurre alla prossimità dell’uso la distanza che percepiamo nei confronti degli oggetti presenti nel mondo esterno». 19 Boella 1988: 82. 20 Ibid. 21 Ibid. 22 Ivi: 82-83. 23 Nel § II del I capitolo (Valore e denaro) della Parte analitica della Filosofia del denaro, com’è noto Simmel discute analiticamente [cfr. FD: 121-154] «la spiegazione economica, o per dir così, materiale del denaro, contrapponendovi una distinta analisi formale. Il denaro è fatto derivare […] dal valore di scambio, di cui rappresenta l’esistenza “personificata”. Esteriormente parrebbe che la spiegazione simmeliana fosse in linea con la comune interpretazione

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il valore dell’oggetto, lo costituisce appunto come peculiare qualità (non sostanziale, ma funzionale) delle cose. Nell’economia di scambio evoluta, ciò che si attua è l’oggettivarsi della soggettività nello scambio che allora appare un “rapporto tra cose”»24. In realtà, come scrive Simmel, «l’oggetto desiderato diventa un valore pratico, cioè appartenente alla sfera economica, attraverso il confronto tra la sua desiderabilità e quella di un altro oggetto e soltanto così è possibile giungere alla sua misurazione» [FD: 140]. Nello specifico, dunque, secondo l’autore della Filosofia del denaro, «il valore di un oggetto raggiunge la massima visibilità e tangibilità proprio per il fatto che, per ottenerlo, viene scambiato con un altro oggetto […]. La relazione fondamentale con l’uomo, nella cui vita sentimentale si svolgono senza dubbio tutti i processi di valutazione, è a questo proposito presupposta e per così dire incorporata nelle cose, le quali, forti di questa relazione, affrontano tale processo di reciproca ponderazione, che non è conseguenza del loro valore economico, ma già portatore e contenuto dello stesso» [ivi: 122]. Il valore, per Simmel, è sempre immanente all’esperienza del soggetto, si costituisce nel corpo stesso della vita, ma non come proprietà tangibile delle cose, ma come centro ideale di una trama di rapporti sociali e culturali che ne determinano la genesi. Esso non ha alcuna consistenza ontologica propria, non esiste al di fuori del rapporto tra i soggetti che scambiano, non può essere inteso come qualità dell’essere; è radicalmente fondato nella soggettività degli individui e non nelle caratteristiche autonome degli oggetti che vengono scambiati. Il valore delle cose non è definito da un parametro di utilità calcolato su una

dei fatti economici, e specificamente con la teoria soggettivistica del valore propria della scuola moderna o marginalismo. Alcuni interpreti hanno in effetti richiamato la vicinanza della posizione di Simmel con quella dell’austriaco Carl Menger, fondatore tra gli altri della teoria neoclassica del valore, ricondotto all’utilità marginale del bene economico» [Vigorelli 1999a: 86]. Di fatto, come ha ben documentato F. Monceri – v. in particolare il suo saggio Il denaro fra teoria economica e filosofia: note sul rapporto Menger-Simmel [1998a: 81-115] – Simmel mostra particolarmente di conoscere le opere di Menger (fra le quali ricordiamo i Grundsätze der Volkswirthschaftslehre, del 1871, e le Untersuchungen über die Methode der Sozialwissenschaften und der politischen Ökonomie insbesondere del 1883), «dalle teorie del quale mutua i presupposti economici di riferimento per la propria analisi dei risvolti filosofici dell’economia monetaria. Egli accetta, dalla teoria marginalistica mengeriana, il concetto che il valore economico non è un fenomeno oggettivo, come insegnava la teoria marxiana e anche una parte della Scuola storica dell’economia, ma che esso ha carattere eminentemente soggettivo, in quanto dipende soltanto dall’intensità con la quale il singolo soggetto desidera un qualsiasi bene, che dunque muta il proprio valore con il mutare dei gusti del consumatore. Inoltre, Simmel accetta la teoria secondo la quale l’economia non si risolve nella “produzione”, ma nello “scambio”, che è anche all’origine della nascita del denaro, cioè del fenomeno più caratteristico e filosoficamente significativo della modernità» [Monceri 1999: 101, nota]. 24 Boella 1988: 83.

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scala di misura universalmente valida, ma dipende dalla forza e dall’intensità del desiderio, dal sacrificio che siamo disposti a fare per ottenerle. L’economia viene interpretata da Simmel essenzialmente dal punto di vista della domanda individuale dei beni d’uso; una domanda che non sorge soltanto da bisogni concreti, ma anche da rappresentazioni e inclinazioni assolutamente personali. Si fa notare che, soprattutto all’interno del capitalismo avanzato, il valore degli oggetti deriva in gran parte dallo stimolo emotivo che essi riescono a produrre, dalla capacità che hanno di spingere un gran numero di persone a lavorare per assicurarsene il possesso. Tuttavia, e qui si apre il problema cruciale, se il valore nasce nella sfera della soggettività psicologica, esso deve acquistare una forma obiettiva nel momento dello scambio, quando le nostre valutazioni entrano in rapporto con quelle degli altri. La necessità di confrontarsi sul mercato, di stabilire una compatibilità delle valutazioni, costringe desiderio e istinto ad allentarsi, per consentire quelle considerazioni di calcolo da cui scaturiscono le forme impersonali delle relazioni sociali. L’essenza problematica del denaro interviene precisamente in questo punto, quando si tratta di passare da un radicamento soggettivo del valore all’oggettivazione che di esso si dà nell’evoluzione dei processi di scambio. Il denaro definisce il terreno comune su cui si confrontano le diverse prese di posizione; esso costituisce lo snodo, l’articolazione centrale in cui la traboccante impulsività del sentimento e la razionalità delle norme intellettuali vengono bloccate in una tragica polarità. Dice Simmel: «La reciprocità della misurazione, grazie alla quale ogni oggetto economico esprime il suo valore in un altro oggetto, innalza entrambi dal loro puro significato in termini di sentimenti: la relatività della determinazione del valore significa la sua oggettivazione» [FD: 122]. Il valore di scambio perde così il suo significato originario, finisce con l’apparire una qualità indipendente, si oggettiva. La relazione si trasforma in un rapporto tra cose e non è più riconosciuta, invece, come una relazione tra persone che dispongono delle cose e ad esse attribuiscono, soggettivamente, valori diversi. Si dimentica in questo modo che è sempre possibile risalire dai sistemi economici alla realtà dell’esperienza vissuta (Erlebnis), perché dietro ogni formazione sociale c’è l’uomo con la sua vita. La consistenza oggettiva del valore, che appare granitica e inattaccabile, in realtà riposa su di un’illusione, sopra un progressivo mascheramento. Se il valore economico degli oggetti consiste nel rapporto reciproco che si instaura tra essi in quanto oggetti di scambio e tra gli individui in quanto soggetti valutanti, il denaro è l’espressione, divenuta autonoma, di questo rapporto: esso racchiude in una forma concettuale i contenuti dell’interazione socio-economica, cristallizzati in un simbolo, dapprima concretamente afferrabile e poi sempre più rarefatto, sempre meno visibile. In questo modo il denaro accede progressivamente a un regno di forme autonome, attraverso un processo di distacco da quegli impulsi soggettivi del sentimento, del desiderio e del godimento che pur rappresentano l’origine della sua storia25.

25

Comoglio 2000: 17-18.

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Da queste considerazioni sul significato simmeliano del rapporto tra valore, scambio, denaro e oggettivazione scaturisce una sintesi che possiamo esprimere nel modo seguente: «L’oggettività del denaro, essendo funzione di proiezioni di desiderio, di attiva elaborazione di una realtà che non è ancora, della totalità delle sue possibilità, è dunque una realtà limite: la sua forma nasce sul terreno degli assetti plurali e mutevoli assunti nel gioco di livellamento (l’astrazione crescente del denaro sancisce l’assenza di un corrispondente oggettivo della totalità delle possibilità da esso offerte) e di Wertphantasie. Il denaro mostra in altri termini che la totalizzazione dei momenti della ratio formale è irrealizzabile. Ma mostra anche che ciò non dà luogo a una realtà ingannevole, al puro vuoto, bensì nello spazio della differenza tra soggetto e oggetto nascono e vengono rappresentate nuove possibilità, tensioni tra presente e futuro, tra elementi di incertezza e inconoscibilità e possibilità. Il denaro infatti rappresenta una “combinazione unica” degli elementi che costituiscono la nozione di possibilità: il presente, le condizioni reali-oggettive che rendono un’azione possibile, e il futuro, l’incertezza dell’esito. Mentre di norma il futuro è incerto, dal denaro è scomparsa qualsiasi incertezza, ma al tempo stesso il suo possesso reale nel presente non conta, è inessenziale, immateriale, essendo il denaro “mezzo assoluto”, in quanto fornisce illimitate possibilità di godimento, e “assoluto mezzo”, in quanto il suo possesso è fine a se stesso, prescinde dall’effettivo godimento»26. Dopo quella dell’interprete, per ulteriore conferma e precisazione, leggiamo direttamente la pagina di Simmel: Ciò che si possiede realmente con il denaro è, limitatamente al momento del suo possesso, uguale a zero. L’elemento decisivo, il fatto che il denaro si sviluppi verso risultati dotati di valore, si trova, piuttosto, del tutto al di fuori di questo momento. Ma la sicurezza che questo fatto ulteriore si verificherà realmente al momento giusto è enorme. Mentre di regola la misura di solidità e di sicurezza contenuta nel «potere» si trova in ciò che è disponibile ed effettivo nel presente, e tutto il futuro è incerto, l’incertezza è completamente scomparsa nei confronti del denaro. Rispetto ad esso, invece, ciò che è già presente, ciò che attualmente è posseduto, è, come tale, del tutto privo di importanza. In questo modo il carattere specifico del potere raggiunge nel denaro il proprio culmine: si tratta realmente di una pura possibilità, in quanto il presente, ciò che abbiamo nelle mani, è importante solo in rapporto al futuro, ma si tratta anche di un potere autentico perché abbiamo la completa certezza della realizzabilità di questo futuro [FD: 354].

26

Boella 1988: 83-84.

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Il denaro, dunque, è pura possibilità, in quanto «isola e sospende il nesso presente-futuro in essa determinante: rende certo il futuro, ma immateriale e potenziale il presente»27. Simmel sottolinea la peculiarità del rapporto che si instaura nel denaro tra desiderio e realizzazione allorquando nota che la concezione di tale rapporto si avvicina ma nel contempo si differenzia da quella di Schopenhauer, per il quale, infatti, «la felicità è soltanto l’eliminazione del dolore che lo stato di privazione ha provocato in noi» [FD: 354]. Diversamente, «se si concepisce la felicità come qualcosa di positivo, il raggiungimento dei nostri desideri non è soltanto l’eliminazione di una condizione negativa mediante la corrispondente condizione positiva alla quale aggiunge contemporaneamente un senso di felicità. Piuttosto, il rapporto tra il desiderio e il suo appagamento è un rapporto infinitamente vario, perché il desiderio non considera quasi mai tutti gli aspetti dell’oggetto, cioè tutti gli aspetti del suo effetto su di noi. Nella realtà dell’oggetto non otteniamo quasi mai ciò che esso significava per noi in base alla categoria della possibilità, della volontà di possederlo» [ibid.]. Lo iato, lo scarto, tra la possibilità di possedere un oggetto e la realtà traduce il detto comune che la saggezza popolare afferma quando sostiene che «il possesso di ciò che abbiamo voluto di regola ci delude, e, precisamente, sia dal lato buono che da quello cattivo» [ibid.]. Il denaro, in questo contesto, assume tuttavia una posizione del tutto peculiare. Da un lato rende estrema l’incommensurabilità tra il desiderio e il suo oggetto. L’aspirazione diretta innanzitutto verso il denaro, trova in esso soltanto una cosa completamente indeterminata, con la quale un desiderio, nella misura in cui è razionale, non può venir soddisfatto in modo assoluto. La sua essenza completamente vuota si sottrae ad ogni rapporto autentico con noi. Se dunque il desiderio non perviene ad una meta concreta al di là di questo, deve subentrare una delusione mortale. Questa delusione viene provata tutte le volte che la ricchezza appassionatamente desiderata come sicura fonte di felicità si rivela, dopo il suo raggiungimento, per quello che è realmente: un puro mezzo che diventando fine ultimo non può darci nulla di più del suo raggiungimento. Ma mentre qui abbiamo la più paurosa discrepanza tra desiderio e appagamento, avviene esattamente il contrario quando il carattere psicologico di fine ultimo del denaro si è rafforzato con il passare del tempo e l’avidità di denaro è diventata uno stato cronico. In questo caso, cioè quando la cosa desiderata non deve procurare altra soddisfazione se non il suo possesso e questa limitazione del desiderio non è soltanto un’illusione passeggera, si è posto riparo anche ad ogni delusione. Tutte le cose che di solito desideriamo possedere, devono darci qualcosa con il loro possesso e nella previsione 27

Ivi: 84.

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sbagliata di questa prestazione c’è tutta l’incommensurabilità, spesso tragica, ma spesso anche umoristica, del desiderio con la sua realizzazione […]. Ma all’avaro il denaro non deve a priori dare niente di più del puro possesso. Conosciamo il denaro in quanto tale in modo più preciso di qualunque altro oggetto. Infatti, poiché non c’è nulla da conoscere in esso, non può nasconderci nulla. Poiché è assolutamente privo di qualità, al denaro non è possibile ciò che riesce anche all’oggetto più misero: nascondere sorprese o delusioni. Chi dunque vuole realmente e definitivamente solo denaro è assolutamente al sicuro da queste. L’universale inadeguatezza umana, per la quale ciò che si è conquistato appare diverso da ciò che si è desiderato, raggiunge il culmine nell’avidità di denaro, quando questa appaga la coscienza del fine soltanto in modo illusorio e labile; ma viene completamente eliminata, se la volontà si arresta davvero e definitivamente al possesso del denaro. Se si vogliono comprendere i destini umani nello schema dei rapporti tra il desiderio e il suo oggetto, si deve dire che, a seconda del punto di arresto della serie dei fini, il denaro è certamente l’oggetto più inadeguato, ma anche il più adeguato, al nostro desiderio [ivi: 355-356].

Il denaro, come scrive – nella sua interpretazione psicologico-ricostruttiva di Simmel – Serge Moscovici in La machine à faire des dieux. Sociologie et psychologie, «evoca forti immagini di ricchezza e di cifre senza fine, ma l’infinità stessa che ne attenua il valore delle cifre ne rivela l’influsso potente che fa di noi cicale o formiche, suscita cupidigia e avarizia […]. Cifra del piacere e del godimento, fa balenare l’idea delle innumerevoli possibilità che il suo possesso comporta»28. Simmel contestualizza il rapporto tra interazione sociale e relazioni di scambio all’interno di una teoria (delle funzioni) del denaro che, come abbiamo sin qui visto, si fonda sul processo di oggettivazione. “Oggettivazione” nel valore come effetto di differenziazione, distanziamento e nello stesso tempo superamento della distanza, dal punto di vista del valore economico del denaro nello scambio, è per Simmel assegnazione agli oggetti di un “valore”, cioè passaggio da stati soggettivi immediati e indifferenziati alla costituzione di un mondo di significati29: Il denaro appartiene a questa categoria di funzioni sociali reificate. La funzione dello scambio, come interazione diretta tra individui, si cristallizza attraverso il denaro in una formazione a sé stante […]. Il denaro è la funzione personificata del venir scambiato. Il denaro è […] il semplice rapporto reificato delle cose tra loro, così come si esprime nel loro movimento economico. Esso sta al di là delle singole cose, con le quali entra in rapporto come un regno organizzato con norme proprie, che altro non è se non l’oggettivazione dei 28 29

Moscovici 1991: 367-368. Cfr. Boella 1988: 75.

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movimenti di equivalenza e di scambio che originariamente si manifestavano tra quelle singole cose [FD: 258-260]30.

Il movimento di oggettivazione si svolge nel tempo. Supponendo che si possa isolarlo, esso comporta almeno quattro momenti, «nel corso dei quali l’io si separa dalle cose»31. Riassumendoli (con Moscovici) alla luce di quanto abbiamo visto precedentemente, abbiamo: In primo luogo, «il desiderio, che provoca una tensione e turba il godimento immediato di un oggetto in cui dimentichiamo noi stessi […]. È evidente, infatti, che desideriamo soltanto ciò che comincia a rifiutarsi e che vietiamo di possedere, per una ragione qualunque. E il nostro desiderio si acuisce quanto più l’oggetto ci sopravanza o, al contrario, si sottrae e resta assente […]. Solo la distanza magnifica l’intensità del desiderio che proviamo per esso e ci incita a cercargli sostituti per differirne il soddisfacimento. Il desiderio del desiderio – il solo che conta – alimenta la paura di soddisfarlo […] ed allontana dal vero oggetto»32. Come scrive Simmel nella Filosofia del denaro: «Questa tensione, che separa l’unità ingenua, pratica di soggetto e oggetto producendo la consapevolezza di entrambi – l’uno in riferimento all’altro – si genera in primo luogo per il puro fatto del desiderio. Il contenuto di ciò che non abbiamo e non godiamo ancora si presenta a noi nell’atto del desiderio. Nella compiuta vita empirica abbiamo di fronte l’oggetto finito, che viene direttamente desiderato se non altro per il fatto che oltre alla volontà anche molti altri fattori, teorici e sentimentali, contribuiscono all’oggettivazione dei contenuti spirituali […]. L’oggetto, che si viene così a costituire, caratterizzato dalla distanza dal soggetto, che percepisce e tenta di vincere questa distanza, è per noi un valore. Lo stesso momento del godimento, in cui soggetto e oggetto annullano i loro contrasti, consuma per così dire il valore; esso si forma di nuovo soltanto nella separazione dal soggetto, come qualcosa che gli si contrappone come oggetto» [FD: 103]. Dunque, «noi oggettiviamo ciò che si tiene a distanza dal nostro desiderio, il contrario di quello che ci è dato in piena realtà»33. Simmel lo ribadisce esplicitamente allorquando rileva che «non è quindi il fatto che le cose abbiano valore che rende difficile il loro ottenimento, ma siamo noi ad attribuire valore a quelle cose che oppongono resistenza al nostro desiderio di ottenerle. Nel momento in cui questo desiderio si rivolge ad esse o ne viene trattenuto, esse assurgono ad un’importanza tale che la volontà incondizionata non avrebbe mai osato riconoscere» [FD: 104]. 30 Per Simmel, secondo la critica rivoltagli da Lukács in Storia e coscienza di classe, reificazione e oggettivazione sono sinonimi: «è il costituirsi dell’oggettività sociale nel mondo moderno, è il processo di razionalizzazione e di differenziazione funzionale che determina lo specifico posizionamento dell’oggetto rispetto al soggetto nella modernità» [Boella 1988: 74]. 31 Moscovici 1991: 384. 32 Ibid. 33 Ivi: 385.

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In secondo luogo, «la valutazione, che colloca gli oggetti su una scala di desiderabilità o di avversione […]. Valutare esprime una certa esperienza privilegiata che il nostro desiderio ha acquisito con un oggetto e risulta dal confronto con altri»34. Scrive Simmel: «Ciò vale anche nel caso del valore economico che attribuiamo ad un oggetto di scambio, anche se magari nessuno è disposto a pagarne il prezzo corrispondente, anche se non viene richiesto e rimane invenduto. Anche in questa direzione si fa valere la fondamentale capacità dello spirito di mettersi contemporaneamente in contrapposizione ai contenuti che rappresenta in sé e di rappresentarli come se fossero indipendenti dal fatto di venir rappresentati. Ogni valore, proprio perché lo proviamo, è una sensazione: ma proprio ciò che intendiamo con questa sensazione è un contenuto di per sé rilevante che si realizza a livello psicologico nella sensazione senza esserle identico o esaurirsi in essa» [FD: 105]. In terzo luogo, «la domanda. In un certo senso, è una scelta tra più bisogni e desideri che si esprime in un momento dato. In un altro senso, è la relazione tra il valore dell’oggetto dal punto di vista del nostro desiderio e quella che risulta dalla sua valutazione, diventata una sua qualità […]. Importante per la società, la domanda lo è altrettanto per l’individuo. Essa deve diventare una parte della nostra coscienza, per potersi esprimere in quanto esigenza nei confronti del reale»35. Detto altrimenti da Simmel: «Il valore di una qualsiasi cosa, di una persona, di un rapporto, di un accadimento richiede di essere riconosciuto. Questa richiesta si ritrova evidentemente come accadimento soltanto in noi, i soggetti; cercando di soddisfarla ci accorgiamo di non rispondere semplicemente ad una richiesta fatta da noi a noi stessi, così come non seguiamo evidentemente una determinatezza dell’oggetto […]. Ho detto, che il valore delle cose appartiene a quelle formazioni di contenuti che noi, nel momento in cui ce le rappresentiamo, avvertiamo nello stesso tempo come indipendenti dal fatto di venir rappresentate, come qualcosa di staccato dalla funzione che le fa vivere in noi; questa “rappresentazione” è, nel caso in cui un valore costituisca il suo contenuto, a ben vedere, soltanto una sensazione di pretesa, tale “funzione” è una richiesta che non esiste come tale al di fuori di noi, ma che in base al suo contenuto deriva pur sempre da un regno ideale, che non si trova in noi e che non è neppure connesso agli oggetti della valutazione come se fosse una loro qualità; esso consiste essenzialmente nel significato che tali oggetti hanno per noi in quanto soggetti in virtù della posizione che occupano negli ordinamenti di tale regno ideale […]. Così come non si può definire soggettivo il godimento nel momento della integrale fusione della funzione con il suo contenuto, perché nessun oggetto si contrappone in modo da giustificare il concetto di soggetto, così anche questo valore di per sé esistente e valido non è nulla di oggettivo, perché viene ritenuto indipendente proprio dal soggetto che lo pensa, all’interno del quale si presenta sotto forma di richiesta di venir riconosciuto, anche se non perde 34 35

Ivi: 386. Ivi: 387-388.

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nulla della sua essenza per il fatto che questa esigenza non viene soddisfatta» [FD: 106-107]. Il desiderio, in quanto stato d’incertezza che cerchiamo costantemente di superare fa esclamare a Simmel: «il valore è il correlato del desiderio – il mondo del valore è il mio desiderio, così come il mondo dell’essere la mia rappresentazione» [ivi: 107]. Quest’esclamazione ha però un altro senso. Essa «si oppone al Capitale di Marx secondo il quale “il mondo del lavoro è la mia offerta” in beni o in forza lavoro»36. Per Simmel, invece, come sappiamo, l’economia nel suo insieme è vista dal lato del soggetto, con l’accento sul consumo37. 36

Ivi: 389. Come osserva criticamente Italo Valent – in Il denaro o le aporie dell’irrazionale. Un’introduzione alla “Filosofia del denaro” di Georg Simmel [1979: 183-185] – nella Geldanschauung di Simmel, «il valore è esclusivamente o, almeno, prevalentemente […] valore di scambio; il valore di scambio ha la sua epifania decisiva nella veste del valore economico. Ma non ci sarebbe valore di scambio, né quindi valore economico, senza eguaglianza, o equivalenza; l’equivalenza non è altro che “il nome che sta per la scambiabilità” […]. Con la dilatazione e l’approfondimento del concetto di scambio, Simmel probabilmente credeva di aver chiuso i conti con la teoria marxiana della produzione di valore e plusvalore e, nello stesso tempo, di esibire una adeguata giustificazione di principio dell’effettivo incremento dell’economia capitalistica, prescindendo dall’idea di lotta di classe. Eppure, non si accorgeva come il plusvalore, culturale ed economico, incluso nella struttura dello scambio, fosse l’esito di una cattiva infinità, il riprodursi inesausto della medesima astrazione, per la quale la merce (il particolare) vive per mezzo, ma anche contro il denaro (l’universale), ed entrambi per mezzo, ma anche contro la soggettività, e il tutto insegue se stesso contro se stesso, per mezzo dei propri frantumi. In verità, la crepa originaria che intacca il relazionismo di Simmel segna anche la struttura del mondo economico. Tanto lo scambio tra le merci quanto lo scambio tra le merci e il denaro, infatti, presuppongono l’incommensurabilità, almeno potenziale, dei termini che compongono le due forme di scambio (in realtà, in entrambi i casi, l’incommensurabilità è la medesima, poiché la scissione tra le cose comporta l’impossibilità di determinare l’unità essenziale che le fa essere quali sono, e quindi comporta la scissione tra l’unità delle cose e le cose)». Secondo quanto rileva Marco Vozza – in Il sapere della superficie [1988: 81-83] –, invece, l’obiettivo principale che persegue la «filosofia relazionale» e non «relativista» di Simmel (in particolare nella Filosofia del denaro) «non è quello di negare ai fenomeni un valore autonomo, bensì di istituire relazioni, connessioni analogiche di significato, sottraendo così i fenomeni al loro falso isolamento […]. Simmel sostiene che i principi costitutivi, che esprimono univocamente la natura delle cose, si traducono in principi regolativi, che rappresentano soltanto punti di vista congetturali e revocabili nell’itinerario di ricerca […]. Tale metodo conoscitivo – elaborato da Simmel prima di Weber e di Schütz – conosce una prima considerevole applicazione quando il filosofo berlinese si volge ad analizzare gli effetti del denaro sul contenuto e gli stili di vita. La circolazione monetaria – che si muove alla superficie della vita – permette di cogliere l’essenza e la configurazione della vita profonda, intesa come mondo interiore, come senso della vita individuale, articolazione di un destino, propensione alla cultura simbolica. Il principio metodologico che presiede all’indagine simmeliana si attua come itinerario che dalla superficie del denaro conduce alla profondità della vita: profondità e superficie istituiscono ancora una relazione esplicativa; il primato della superficie è esclusivamente euristico, un primato che le è riconosciuto innanzitutto e per lo più dal nostro prospettivismo, dai nostri sistemi di rilevanza e da propensioni della percezione […]. La […] dialettica tra profondità 37

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

In quarto luogo, «lo scambio, attraverso il quale gli oggetti che io chiedo appaiono ugualmente richiesti da altri soggetti. Volenti o nolenti, ci se ne distacca ed essi sono distanziati da ciascuno di noi per il fatto stesso di esistere per gli altri e di essere così messi in circolazione»38. Si deve offrire un valore per ottenere un altro valore, questo processo «è la conseguenza e l’espressione più decisiva del distanziamento degli oggetti dal soggetto. Questi sono per lui, per così dire, desiderio e godimento, ma non ancora oggetto di entrambi, fino a quando le cose sono direttamente vicine al soggetto, e la differenziazione dei desideri, la rarità, le difficoltà, e gli ostacoli alla acquisizione non le allontanano da esso» [FD: 120]. Nel movimento oggettivazione-scambio-valore, secondo Simmel, quindi, «la forma, che il valore assume nello scambio, pone il valore in quella categoria che si colloca al di là di soggettività e oggettività intese in senso stretto; e nello scambio il valore assume un connotato sovrasoggettivo e sovra-individuale, senza diventare peraltro una qualità e realtà oggettiva delle cose. Il valore appare come la richiesta da parte dell’oggetto, che trascende l’immanente oggettività della cosa stessa, di essere ceduto soltanto dietro un controvalore, corrispondente e acquisito soltanto mediante tale controvalore» [ibid.].

Per Simmel, denaro [Geld] «è “ciò che vale” [das “Geltende”] per eccellenza, e “valere” [Gelten] economicamente significa valere qualcosa, cioè poter essere scambiato contro qualcosa. Tutte le altre cose hanno un determinato contenuto, e perciò valgono; il denaro, al contrario, trova il proprio contee superficie suggerisce a Simmel un’originale presa di distanze dai principi del materialismo storico – che viene così espressa: “vogliamo edificare un piano al di sotto del materialismo storico, in modo che la riconduzione della vita economica nell’ambito delle cause della cultura spirituale venga comunque assicurata nel suo valore esplicativo, ma nello stesso tempo quelle stesse forme economiche vengano riconosciute come risultato dell’operare di valutazioni e di correnti più profonde i cui presupposti sono psicologici e, anzi, metafisici. Per la prassi della conoscenza, questo intento deve svilupparsi in un rapporto di reciprocità senza fine” [FD: 88] […]. Simmel intende dire che la totalità si rende perspicua solo se indagata mediante l’interazione e la cooperazione dei principi conoscitivi e che l’unità delle cose si sottrae inesorabilmente al nostro sguardo se tentiamo di raggiungerla linearmente, istituendo un legame deterministico di causa ed effetto. Per Marx, l’anatomia della società derivava dall’analisi di un livello profondo, che sfuggiva alle lenti ideologicamente deformate dell’economia politica classica: il livello della formazione di valore, la cui essenza recondita veniva individuata da Marx a prescindere dai valori di mercato, determinati dal meccanismo superficiale di domanda e offerta. Compito della critica dell’economia politica era quello di svelare un carattere arcano che la metamorfosi delle merci non permetteva di individuare: la formazione di valore e la sua costituzione in tempo di lavoro. In tal modo, la sovrastruttura politica, culturale, artistica veniva ricondotta, con opportune mediazioni, a questo processo inesplorato della produzione capitalistica. Per Simmel, tale procedimento è parziale, perché manca di reciprocità: il denaro (la configurazione di superficie) genera gli stili di vita (la configurazione profonda), ma questi a loro volta retroagiscono sulla vita economica». 38 Moscovici 1991: 389.

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UNA “RECIPROCITÀ

SENZA FINE”

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nuto nel fatto di valere, esso è il valere fissato in sostanza, il valere delle cose senza le cose stesse» [ivi: 181-182]39. Generatosi come «strumento»40 di misura e di scambio, il denaro si è progressivamente trasformato nell’«essenza del valore», in quanto esprime «la relatività del valore delle cose» nella forma di «una misura fissa e costante, la quale diviene col tempo la misura delle cose stesse»41. In questa sua strategica dimensione funzionale e simbolica, il denaro assume «un significato filosofico» di particolare importanza per l’analisi della modernità42, «in cui esso regna sovrano come misura di tutti i 39

In questo caso la tr. it. è stata parzialmente modificata, cfr. Monceri 1999: 101. Sul significato simmeliano della strumentalità (connesso a quello della impersonalità) del denaro e sulle sue proprietà e potenzialità, nonché sui suoi assetti istituzionali ed effetti sociali, cfr. Poggi 1998: 143-161. 41 Monceri 1999: 101. 42 Specificando criticamente il rapporto tra denaro e modernità, Cavalli e Perucchi [1984: 1415] hanno sostenuto che in Simmel «la modernità non è univocamente definita come dominio della “solidarietà organica” (Durkheim) o dei rapporti contrattuali fondati sulla “volontà arbitraria” (Tönnies), o dei rapporti capitalistici di produzione (Marx) e neppure esclusivamente in termini di razionalizzazione e burocratizzazione (Weber), ma è nello stesso tempo tutti questi aspetti insieme. Come il processo che conduce alla modernità è un complesso di elementi interdipendenti che trovano nel denaro il denominatore comune e la più adeguata espressione simbolica. Di fronte alla modernità, ed al denaro, l’atteggiamento di Simmel appare assai ambivalente, egli è nello stesso tempo attratto e respinto dalla modernità. E non si tratta soltanto di un’ambivalenza tra sentimenti e ragione, l’ambivalenza si insinua all’interno dei sentimenti e dei ragionamenti e solo il mantenimento di un certo distacco e di una certa distanza dall’oggetto consentono a Simmel di giostrare nell’ambivalenza e, addirittura, di utilizzarla come un principio euristico. Simmel non nasconde la sua profonda ammirazione per il denaro, per la città nella quale il denaro trova il suo luogo privilegiato e per la vita moderna in generale della quale il denaro è il simbolo. In effetti, sono numerosi i passi in cui Simmel assimila il sentimento per il denaro al sentimento religioso o, addirittura, come nel caso dell’avaro, al sentimento estetico. Chi ha ritenuto di applicare a Simmel la pesante etichetta di “apologeta del denaro” non è certo privo di giustificazioni. Il nesso stretto che Simmel individua tra generalizzazione dei rapporti monetari e libertà dell’individuo dovuto al fatto che mediante il denaro l’individuo si sottrae ai rapporti di subordinazione personale nei confronti delle cose e degli uomini, ai vincoli che lo legano alla terra e ai rapporti di dominio, e, ancora, lo spazio di sviluppo dell’individualità e della soggettività che il denaro consente in quanto rende possibile l’isolamento dell’interiorità dalle intrusioni del mondo esterno, sono questi gli aspetti nei quali appare con maggiore evidenza la scoperta ammirazione di Simmel per il denaro. Ma, potremmo dire metaforicamente, accanto al reato di apologia compare immediatamente il reato di lesa maestà. Il denaro, in quanto puro mezzo, assolutamente indifferente rispetto a qualsiasi scopo e in quanto oggetto assolutamente privo di qualità, è anche il più potente fattore di oggettivazione, il servitore universale che a sua volta asserve l’uomo al mondo delle cose, il mezzo che diventa padrone assoluto ed esautora qualsiasi fine di natura personale. Anche nei confronti della libertà individuale, se il denaro favorendo l’impersonalità dei rapporti libera l’individuo dalla dipendenza personale nei confronti di chi esercita su di lui un potere diretto, lo immette però in una rete quasi universale di interdipendenze che pone continuamente ulteriori confini alla sua libertà di azione; alla 40

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rapporti, abbiano essi o meno carattere personale»43. Questo «significato filosofico del denaro» [FD: 192] – inteso come «realizzazione della forma generale dell’esistenza in base alla quale le cose trovano il loro significato nel rapporto di reciprocità» [ibid.] – consiste nel fatto che all’interno del mondo pratico esso costituisce l’immagine più chiara e la realizzazione più definita della formula dell’essere in generale, in base alla quale le cose trovano il loro senso l’una rispetto all’altra e la reciprocità dei rapporti, in cui sono sospese, determina il loro essere e essere così […]. Il denaro risulta così essere l’espressione adeguata del rapporto dell’uomo col mondo, poiché, se da un lato l’uomo può cogliere il mondo sempre e soltanto nel concreto e nell’individuale, nel denaro egli può coglierlo veramente, nel senso che il denaro diventa l’incorporazione del processo vitale e spirituale che tesse tra di loro tutte le particolarità creando così la realtà [ivi: 192-194].

Il denaro è per Simmel simbolo della «relatività di tutte le cose»: per suo tramite ciascuna cosa viene determinata nel prezzo in funzione delle altre. In altri termini, «di tanto l’economia si sviluppa, di altrettanto i beni si fanno merce e sempre più a decidere del loro valore è un rapporto di interazione nell’oggettività del calcolo. Nel corso del tempo il denaro, da bene, sempre più si fa merce di scambio, in un processo di astrazione che sembrerebbe avere il suo punto di arrivo nella cartamoneta»44. Tuttavia le subordinazione personale subentra una forma di subordinazione tecnica, al potere dell’uomo sull’uomo subentra il potere dell’organizzazione societaria sull’individuo, all’aumento della “libertà da” non corrisponde un aumento della “libertà di”. Il denaro, quindi, è come un’arma a doppio taglio, i cui effetti possono essere ad un tempo di liberazione e di asservimento e la modernità, di cui il denaro è simbolo, è anch’essa vista in una luce ambigua, non c’è spazio per certezze che giustifichino visioni trionfalistiche del progresso, oppure visioni apocalittiche della decadenza. Simmel non condivide certo le nostalgie tardo-romantiche per il mondo pre-industriale e pre-moderno, così come non condivide il Kulturpessimismus dell’epoca». 43 Monceri 1999: 101. 44 d’Anna 1996: 60. Ha scritto Poggi [1998: 161-162]: «Anche se la Filosofia del denaro, come altri scritti di Simmel, si avvale liberamente delle ampie informazioni storiche a disposizione del suo autore, non vi si trova una discussione esplicita e diffusa della storia (o forse dovremmo dire delle storie) del fenomeno del denaro. Simmel dirige la nostra attenzione verso varie circostanze specifiche nel tempo e nello spazio, circostanze ed episodi di quel fenomeno, ma lo fa soltanto per illustrare ed esemplificare degli argomenti di carattere non storico. Eppure Simmel ha un senso forte che il denaro è in assoluto un fenomeno storico. Mostra chiaramente che le proprietà del denaro si esplicitano più pienamente e coerentemente in certe circostanze che in altre, che in tempi diversi e in posti diversi il denaro ci è servito per usi diversi e che alcuni aspetti del fenomeno monetario ne presuppongono e completano altri più elementari e in questo senso obbediscono a una logica di sviluppo che si lascia identificare». Per quanto concerne la vicenda storica del denaro, che consiste nella espansione della sfera monetaria, fenomeno che è originariamente caratteristico dell’occidente moderno, Simmel,

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UNA “RECIPROCITÀ

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cose non stanno unicamente così, in quanto «la tendenza allo svuotamento di determinazioni sostanziali resta, ma non raggiunge un punto finale di compimento»45. Nello specifico, «si dà qui una situazione generale dello spirito, che nel suo processo di sviluppo – intellettualizzandosi e risolvendosi in relazioni funzionali – tende a farsi oggettivo, senza diventarlo mai del tutto. Così il denaro mantiene un quid di sostanziale che, sempre spinto indietro, non può venire mai eliminato»46. Questo tipo di processo può essere descritto dicendo, come si legge nella Filosofia del denaro, che «il rapporto tra il valore sostanziale del denaro e la sua natura puramente funzionale e simbolica si sviluppa in modo analogo: la seconda sostituisce sempre più il primo, ma una certa quantità del primo deve sopravvivere, altrimenti anche il carattere funzionale e simbolico del denaro perderebbe il suo sostegno e il suo significato specifico nel momento in cui questo processo fosse portato alle ultime conseguenze» [FD: 247]. Ad un livello critico-ermeneutico, si può dunque osservare quanto segue: Per non vedere compiuto il processo di formalizzazione nei rapporti economici, Simmel parrebbe volersi esimere dal trarre la conclusione, in un certo senso obbligata, di tutto un processo di sviluppo. Eppure questa apparente incongruenza si giustifica con l’idea che la cartamoneta, espressione di un movimento evolutivo complessivo a partire dal fatto dello scambio, ha alle sue radici il nesso soggetto-oggetto: si tiene cioè sulla premessa di un’attività di acquisizione delle cose al prezzo di sacrifici. La pregiudiziale psicologistica comporta il riconoscimento dell’esserci qualcosa di materiale, che può essere fatto arretrare ma non può venire eliminato. Come conseguenza allora il processo di sviluppo non raggiunge il punto di compimento. Se il denaro perdesse ogni margine di sostanzialità, le cose gli si risolverebbero dentro, e non sarebbero più cose ma merci. Allora, tolto ogni residuo materiale, avremmo a che fare con una logica tutta ideale; il nesso soggetto-oggetto, destituito di ogni connotato psicologico, sarebbe ricondotto all’unità del sistema: così il dualismo si convertirebbe nel monismo. Ma nella Filosofia del denaro le cose non stanno in questi termini: il dualismo resta, per cui il processo di astrazione è sempre sulla strada di giungere a realizzazione, senza mai giungervi47.

per riassumere, ha identificato due tendenze fondamentali: «man mano che si “spiritualizza”, il denaro diventa anche un potere sociale più invadente, esclusivo e imperioso» [ivi: 168]. 45 d’Anna 1996: 60. 46 Ibid. 47 d’Anna 1996: 60-61. Come prosegue ancora d’Anna, «se l’unità sta nel compromesso di fatto, senza mai farsi quella piena della logica, la contraddizione fra il momento soggettivo-personale dell’esperienza e il momento oggettivo-impersonale delle relazioni non viene a superamento. Come sul versante oggettivo l’elemento materiale è ricacciato indietro ma non soppresso, così su quello della coscienza le intenzioni, le istanze teleologiche, senza essere

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

Il denaro, secondo Simmel, è simbolo di una fondamentale e complessa “tensione” che pervade la cultura e nella modernità giunge quasi a compimento. Espressione insieme di rapporti oggettivi di scambio e di valutazioni soggettive, affonda esso le sue radici nelle modalità ultime con cui entriamo in relazione con le cose, con gli altri e in ultima istanza pure con noi stessi. Tutta la cultura sembra sottoposta ad un’unica logica di sviluppo, per cui di tanto si fa strada la generalità della legge, di altrettanto l’individuo le si sottrae e si fa signore in un proprio regno. Il risultato però di questo processo di liberazione da parte nostra dalle cose, è il venir meno della corrispondenza di noi con le cose, fino al punto in cui queste ci si contrappongono, anzi ci si impongono, in una volontà di dominio indipendente. Il movimento così lineare e privo di controtendenze, qual è quello dell’autonomizzazione dell’io, alla fine si rovescia nel suo opposto: la soggezione dell’io48.

È un fatto. «Se una libertà senza vincoli si rivela un’illibertà, così una soggettività che non si trasponga in contenuti oggettivi resta vuota e alla fine viene meno. E nel mondo moderno tutta la potenza spetta alle cose, mentre sul versante opposto abbiamo solo una possibilità in negativo, come intenzione di sfuggire al loro dominio, mancando noi della capacità in positivo di dominarle. Ciò che si sottrae a ogni determinazione, ma non è in grado di determinare, è un indeterminato, una soggettività in ultima istanza vuota. Si tratta qui del fatto che il peso sta tutto nell’oggettività e il soggetto non è più un contrappeso. I prodotti allora, sempre meno relativamente e sempre più assolutamente autonomi, si pongono di fronte alle operazioni della coscienza che li hanno resi possibili e tendono a farle del tutto irrilevanti. La libertà così soppresse, sempre più sono destinate a arretrare, fino ad apparire irrilevanti o addirittura a scomparire allo sguardo. Allora il soggetto si fa sempre meno definito nel contenuto, sempre meno pesa nelle relazioni, fino al punto in cui, ormai volubile, può assumere solo, per così dire, dall’esterno le proprie determinazioni. La cultura moderna Simmel la vede in senso lato in analogia al regno platonico delle idee, dietro al quale l’io è sempre più effimero, e sembra quasi scomparire – senza però mai venire meno del tutto. E, ricacciato indietro, rimane solo come un residuo, un quid irrazionale che si sottrae al processo di razionalizzazione. Tutta l’esperienza, per quanto si dà nel condizionato della reciprocità delle determinazioni, è a partire dalla contrapposizione delle categorie su cui la cultura si tiene: di sentimento e intelletto, di valutazione e valore, di io e mondo, in ultima istanza di quella fondamentalissima che sottende la storia: di spirito soggettivo e spirito oggettivo. Di tanto si approfondisce la loro separazione, di altrettanto non è più solo separazione ma sempre più conflitto, volontà di dominio di un partito sull’altro. Quando lo scambio si fa sistema autonomo di relazioni soltanto formali, non più governato da intenzioni materiali […], allora l’individuo si rende autonomo e si erge a controparte» [ivi: 61-62]. 48 Ivi: 62.

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SENZA FINE”

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si traduce nella perdita di consistenza dell’io, in una situazione paradossale, per cui l’affermazione del valore della personalità significa nello stesso tempo sradicamento dei valori personali»49. Lo stesso Simmel esprime molto bene e con «una forte valenza critica»50 questo stato di cose nella dialettica di libertà/illibertà quando, nel precisare il significato negativo della libertà e il relativo sradicamento della personalità, scrive che: «Se l’uomo moderno è libero – libero sia perché può vendere tutto, sia perché può comperare tutto – allora egli cerca negli oggetti, spesso con impulsi velleitari, proprio quella forza, quella solidità, quell’unità spirituale che egli stesso ha perduto nel rapporto con essi per opera del denaro. Anche se vediamo che l’uomo si libera col denaro dalla condizione di prigioniero delle cose, d’altra parte il contenuto dell’Io, il suo orientamento e la sua determinatezza, sono a tal punto solidali con le cose concrete possedute che il continuo venderle e scambiarle, anzi, il mero fatto della possibilità di venderle, significa molto spesso la vendita e lo sradicamento dei valori personali» [FD: 575]. È, dunque, quello della libertà esistenziale dell’individuo un problema centrale per la comprensione in (e per) Simmel del significato filosofico e sociologico della condizione moderna, un problema che è intrinsecamente collegato all’universalità del denaro. Ai fini della nostra ricostruzione argomentativa, esso, nella sua essenzialità di contenuto, può essere delineato sinteticamente nel modo seguente. Il rapporto complesso fra denaro e libertà viene interpretato da Simmel secondo la tipica forma dialettica ambivalente del suo pensiero, che non pronuncia mai un giudizio definitivo di condanna o assoluzione, né si concede soluzioni dogmatiche, ma mostra come ogni effetto di lungo corso prodotto dal denaro sull’economia e sulla cultura possa facilmente rovesciarsi nell’effetto diametralmente opposto. L’indeterminatezza che si viene scoprendo nel denaro fa sì che esso si mantenga in una posizione di equidistanza da tutti i fenomeni della vita. Emerge in questo modo che il denaro non ha rappresentato storicamente soltanto un’autorità tirannica che ha incatenato l’individuo all’interno di una divisione del lavoro accelerata e alienante, ma ha consentito parallelamente la costruzione di uno schermo protettivo della libertà personale. Il denaro è intervenuto a spezzare i millenari legami di dipendenza permanente, integrale, fisica che sottomettevano il contadino al proprietario terriero o l’artigiano alla corporazione. Con l’economia del denaro cessa l’oppressione di un vincolo irrevocabile, vitalizio, che assoggettava completamente il servo al signore, a favore di una prestazione oggettiva, valutata in termini monetari. L’individuo esce dal cerchio ristretto della sottomissione personale per entrare nel cerchio 49 50

Ivi: 63. Poggi 1998: 187.

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allargato delle dipendenze impersonali retribuite. Il rapporto di obbligazione assoluta che dominava ogni istante della vita dell’uomo, ogni tratto della sua personalità, si trasforma in lavoro salariato, ma, contemporaneamente, viene meno ogni responsabilità dell’imprenditore verso il lavoratore, scompare ogni positiva coloritura personale del rapporto. La tendenza generale dell’economia monetaria mira a far dipendere il soggetto dalle prestazioni di un numero sempre crescente di persone, e, nello stesso tempo, a renderlo sempre più indipendente dalle personalità che si celano dietro tali prestazioni tecniche. Il rapporto del singolo con gli altri uomini finisce con il ripetere esattamente il rapporto indifferente dell’uomo con le cose mediato dal denaro. Il denaro non soltanto modifica le relazioni di dipendenza diretta tra i singoli ma trasforma radicalmente anche i fondamenti delle associazioni più ampie, spingendo l’uomo a ripensare le condizioni della sua appartenenza alla collettività. Soltanto la traduzione dei valori in forma monetaria consente quei legami di interessi che prescindono dalla distanza spaziale degli individui, dagli orientamenti ideologici, dalle fratture religiose […]. Le qualità personali dei rapporti non interessano al denaro; esso non chiede referenze né formula giudizi etici, ma si limita a porsi nei centri nevralgici di un reticolo di relazioni momentanee, sempre più numerose, ampie, differenziate. Non viene richiesta all’uomo moderno nessuna fedeltà personale a questi rapporti, il denaro gli consente di disimpegnarsi da essi e di coltivare al di fuori della loro cerchia le preferenze e le disposizioni che può considerare autenticamente proprie, di mantenere il riserbo sui propri desideri e i propri progetti. I diversi interessi e le diverse sfere di attività possono in questo modo conservare la loro autonomia relativa rispetto ai contenuti economici dell’esistenza […]. Il coinvolgimento espresso in denaro ha il privilegio di una “responsabilità limitata” liberamente collocabile, tanto che anche soltanto una “frazione” della personalità, per il resto del tutto indipendente, può essere investita in un legame associativo che trova nello scambio in denaro la propria completa soddisfazione. La separazione che il denaro introduce tra la pura prestazione economica e l’insieme della vita si traduce in un processo accelerato di differenziazione e atomizzazione delle prestazioni, scambiate nella forma concentrata e potenziale della moneta […]. Il denaro socializza gli uomini come stranieri, in quanto crea continuamente nuovi rapporti, ma in realtà lascia sempre gli uomini “al di fuori” di essi51.

Nella modernità, il denaro non è soltanto un simbolo generale dell’intellettualizzazione del mondo, qualcosa a cui il soggetto comunque deve conformarsi, ma anche un simbolo che in qualche modo è divenuto indipendente ed ostile di fronte all’individuo52. Per Simmel, «una “cosa” esiste che è solo simbolo del valore delle cose, della loro reciprocità: questa “cosa” è il denaro,

51 52

Comoglio 2000: 19-21. Cfr. Dal Lago 1994: 114.

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pura relazione, “metafora” della totalità»53. Nel Diario postumo , egli sintetizza emblematicamente tutta la forza “autonoma” del denaro: Il denaro è l’unico prodotto culturale che è pura forza, che ha rimosso da sé il portatore, divenendo assolutamente e soltanto simbolo. Fino a qui esso è il più caratterizzante tra tutti i fenomeni del nostro tempo, nel quale la dinamica ha conquistato la guida di ogni teoria e di ogni prassi. Che sia pura relazione (e in questo modo altrettanto storicamente caratteristico), senza includervi alcun contenuto, non è contraddittorio. La forza in realtà non è che relazione54.

Il denaro, dunque, è ciò che paradigmaticamente incarna «lo spostamento nella relazione soggetto-oggetto che consegue all’aprirsi di una frattura tra di essi nell’epoca moderna e al costituirsi di una dimensione intermedia di oggettività, non più sostanziale ma funzionale, in quanto legata alla relazione reciproca di un soggetto e di un oggetto separati»55. Il denaro rappresenta un “filtro selettivo” per la coscienza soggettiva che continuamente si trova a vivere le proprie vicissitudini quotidiane nella grande metropoli, «incalzata dalla pressione ravvicinata di oggetti, persone ed eventi, travolta da un vortice di impressioni che il soggetto tenta di ordinare e controllare»56. Sulla scena metropolitana, il denaro funziona da cortina isolante, protegge l’interiorità dalle intrusioni esterne, ma pone contemporaneamente il problema della collocazione di questa soggettività all’interno di una modernità irrimediabilmente disgregata, frantumata in una miriade di fugaci relazioni monetarie. La libertà conquistata e difesa soltanto con il denaro è una libertà puramente formale, potenziale, negativa, che non offre all’uomo nessun progetto per riempire quel vuoto spazio sconfinato di inquietudine e incertezza che essa dischiude. La liberazione dalla prigionia di rapporti personali per sempre determinati paga spesso il prezzo di un annientamento del nucleo della vita, poiché la libertà desolata di un soggetto disorientato si scontra con altre solitudini irrisolte, sciolte da quell’intreccio di responsabilità sentimentali e affettive che prima poteva dare un senso e un orizzonte sicuro a questa stessa libertà57.

53 Boella 1988: 71. Sul valore posizionale della metafora del denaro nella Philosophie des Geldes di Simmel, cfr. Blumenberg 1993: 21-34. 54 Simmel 1970: 39. 55 Boella 1988: 71. 56 Comoglio 2000: 21. 57 Ivi: 21-22.

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Excursus. Sulla teoria della conoscenza nella “Filosofia del denaro” di Georg Simmel L’opera di Simmel Filosofia del denaro pubblicata nel 1900 «è stata paragonata ad una sinfonia di Mahler per la molteplicità degli argomenti affrontati e per il continuo richiamo dei temi trattati, ma potrebbe anche essere intesa come un insieme di variazioni sul tema del denaro, una polifonia che, al termine, di apparenti divagazioni, ritorna sempre al tema principale della conoscenza fondata su una filosofia della relazione, di cui il denaro rappresenta il simbolo più eloquente»58. Nella Filosofia del denaro (in particolare nella terza sezione del primo capitolo) l’ambivalenza, nella concezione simmeliana della verità59, diventa un principio euristico, ovvero «un metodo, una risorsa, uno strumento indispensabile di conoscenza»60. Nell’enunciare la propria concezione epistemologica della verità nella contrapposizione tra assoluto e relativo, all’interno della quale viene riconosciuto ed ammesso un paradigma gnoseologico dove la verità, «proprio perché tale, esiste anche nel suo contrario»61, e tentando di dimostrare come «non ci sia bisogno di un assoluto come correlativo concettuale alla relatività delle cose» [FD: 158], Simmel precisa che la verità di una proposizione qualsiasi può senza dubbio venir riconosciuta soltanto in base a criteri certi fin dall’inizio e formulati in termini generali al di là del caso specifico; questi criteri possono essere circoscritti a singoli campi e derivare a loro volta la propria legittimazione da criteri ancora superiori in modo tale che ne risulti una serie ordinata gerarchicamente di conoscenze nella quale ogni elemento è valido soltanto alle condizioni poste da un altro. Solo che questa serie, per non aleggiare nel vuoto, anzi addirittura per esser possibile, deve collegarsi a un motivo finale, a un’istanza suprema che legittimi tutti gli elementi successivi, senza aver essa stessa bisogno di legittimazione. Questo è lo schema nel quale la nostra conoscenza concreta deve integrarsi e che lega tutti i condizionamenti e i momenti di relatività ad un sapere non più condizionato. Però, non possiamo mai sapere quale sia questa conoscenza assoluta. Il suo vero contenuto non è mai determinabile con la stessa sicurezza che sussiste in merito alla sua esistenza in linea di principio, per così dire, formale, perché il processo di dissoluzione in principi superiori, il tentativo di derivare ulteriormente ciò che è stato finora considerato ultimo e definitivo 58

Vozza 2002: 33. Per l’analisi della filosofia e della sociologia della conoscenza nella Filosofia del denaro, cfr. Boudon 1989: 473-501. In generale, sulla teoria simmeliana della conoscenza, cfr. Sàpora 1991: 181-195; Crespi 1998: 90-96. 60 Calabrò 1997: 40. 61 Ibid. 59

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non può mai arrivare alla fine. Quale che sia la proposizione che riteniamo di aver trovato come ultima e definitiva, posta al di sopra della relatività di tutte le altre, rimane la possibilità di riconoscere che anch’essa è solo relativa e condizionata da una superiore; questa possibilità è una sfida positiva che la storia del sapere ha realizzato infinite volte. Il conoscere deve pure avere da qualche parte un fondamento assoluto; dove sia questo fondamento, però, non lo possiamo mai determinare definitivamente e dobbiamo perciò, per non arrivare a conclusioni dogmatiche, considerare ogni punto raggiunto per ultimo come se fosse il penultimo [ivi: 157-158].

L’approccio conoscitivo perseguito da Simmel capovolge quello consueto e tradizionale. Infatti, come scrive l’autore della Filosofia del denaro, noi nel leggere e interpretare il mondo siamo soliti organizzare le prime impressioni che ci offre un oggetto separando una sua sostanza permanente ed essenziale dai suoi movimenti, colorazioni, destini, la cui presenza o assenza lascia immutata la solidità della sua essenza. Questa articolazione del mondo in nuclei persistenti di fenomeni passeggeri e in determinazioni casuali di portatori costanti si trasforma nella contrapposizione tra l’assoluto e il relativo. Così, come crediamo di sentire in noi un essere psichico, la cui esistenza e carattere trova in sé il proprio centro, un’ultima istanza, indipendente da tutto ciò che non è essa stessa e separata nettamente da quei nostri pensieri, vissuti e sviluppi che diventano reali o misurabili soltanto in rapporto con altri – così ricerchiamo nel mondo sostanze, grandezze e energie, il cui essere e significato sia fondato soltanto in esse e le distinguiamo da tutte le esistenze e determinazioni relative che sono quel che sono soltanto per mezzo di confronti, tangenze e reazioni di altre. La direzione, nella quale si sviluppa questa contrapposizione, è condizionata dalla nostra disposizione fisico-psichica e dal suo rapporto con il mondo. Per quanto, movimento e quiete, attività verso l’esterno e concentrazione verso l’interno possano essere correlati nella nostra esistenza tanto da trovare importanza e significato soltanto in rapporto reciproco – noi sentiamo pur sempre un lato di queste contrapposizioni, la quiete, la sostanza, la solidità intrinseca dei nostri contenuti esistenziali come ciò che ha veramente valore, come definitivo rispetto al mutevole, inquieto, esteriore [ivi: 155].

Per Simmel, dunque, «non è altro che un’estensione di questa tendenza il fatto che il pensiero avverta generalmente come proprio compito di isolare l’elemento fisso e affidabile dietro le manifestazioni effimere dei fenomeni, gli alti e bassi dei movimenti, per condurci dalla dipendenza reciproca all’autosufficienza, a ciò che trova in noi stessi il proprio fondamento» [ibid.]. È in questo modo che possiamo conquistare «i punti fissi che ci orientano nel caos dei fenomeni e che costituiscono la controfigura oggettiva di ciò che ci rappresentiamo come dotato di valore definitivo» [ibid.].

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Simmel mette bene in evidenza l’approccio che seguitiamo ad applicare allorquando, nel leggere il mondo, siamo abituati ad interpretarlo mediante la contrapposizione tra l’assoluto e il relativo, tra ciò «la cui esistenza e carattere trova in sé il proprio centro» e «ciò che, al contrario, risulta comprensibile solo nella relazione, negando in tal modo la natura molteplice delle cose e il fatto che ogni esperienza è possibile solo attraverso l’esperienza del suo contrario»62. La tendenza generale, quindi, è quella di «sfuggire l’ambivalenza», ovvero di percepire soltanto un lato della contrapposizione. Detto altrimenti, ciò significa in sostanza celare la complessità del reale mutevole e relativo «in una rappresentazione del mondo dotata di punti fissi e valori definitivi, quasi che ammettere molteplicità e relatività di significati voglia dire disordine e caos»63. Tuttavia, Simmel sa che la modernità impone di fatto il «passaggio dalla stabilità e assolutezza dei contenuti del mondo alla dissoluzione degli stessi in movimenti e relazioni» [FD: 157], di conseguenza «la complessità e le sue reti di interdipendenza obbligano a non cercare più l’essenza delle cose, ma a considerare le dinamiche di relazione reciproca e il condizionamento reciproco di qualsiasi fenomeno umano»64. Procedendo dal punto di vista epistemologico in questa direzione, il relativismo dialettico, la dialettica relativistica e relazionale e il pluralismo metodologico ci guidano nella nostra conoscenza a non cadere nel relativismo conoscitivo “assoluto”, il quale se esasperatamente portato alle sue estreme conseguenze, «può risultare impraticabile e condurre ad una posizione scettica tale da impedire qualsiasi percorso di conoscenza»65. Com’è noto, sul relativismo di Simmel si sono da sempre affannati i suoi critici. Ciò che qui conta rilevare è che nell’idea simmeliana di relativismo quest’ultimo di fatto viene inteso «come l’unico mezzo efficace per sfuggire alla caduta di ogni certezza. Il relativismo conduce a conseguenze scettiche e disarmanti quando viene opposto a una verità supposta atemporale e svincolata da qualsiasi condizionamento storico e sociale, che si dispera di poter raggiungere. Non invece quando viene ricondotto all’idea di una necessaria interazione e complementarietà di punti di vista»66. Nella Filosofia del denaro Simmel fornisce, come sappiamo, un’ampia disamina del relativismo della conoscenza. In quest’opera, egli «prende atto del carattere primitivo della fede in una sostanza ultima, che la scienza mo-

62 63 64 65 66

Calabrò 1997: 40. Ibid. Ibid. Ivi: 40-41. Andolfi 1996: XIV-XV.

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derna riconduce piuttosto a un gioco di relazioni. L’esigenza di postulare un punto di riferimento fisso, al di là della rete di relazioni, sussiste, ma questo fondamento assoluto resta inaccessibile»67. Il problema dell’opposizione di estremi che pur negandosi interagiscono l’uno con l’altro, è strategicamente posto al centro di quell’importante paragrafo della Filosofia del denaro68 in cui Simmel formula esplicitamente la sua concezione relativistica fondata sul principio epistemologico della «circolarità del metodo»69. L’argomentazione di Simmel sostanzialmente «muove dalla considerazione degli esiti epistemologici cui è pervenuta la critica della scienza moderna all’oggettività della conoscenza. L’adozione di una visione processuale e non più sostanzialistica del mondo, il passaggio da una determinazione qualitativa ad una quantitativa dei fenomeni, la rinuncia a definire le essenze delle cose per coglierne piuttosto le relazioni con il soggetto, non hanno con ciò stesso prodotto l’eliminazione del problema della “verità assoluta”, che si ripropone soltanto in una nuova forma: non più come proprietà dei contenuti della conoscenza, ma dell’attività che li produce. Si deve infatti presupporre “che esistano da qualche parte punti ultimi, che non sono ulteriormente derivabili” [FD: 157] in base ai quali decidere del valore delle nostre conoscenze, principi incondizionati cui il sapere condizionato faccia in ultima istanza riferimento. Caratteristico [...] della scienza moderna e del relativismo che la esprime è di ritenere che tali norme, pur costituendo il fine della conoscenza, non siano tuttavia raggiungibili, in quanto non c’è modo di accettarne il possesso. La ricerca di un fondamento assoluto orienta la conoscenza, anche se ogni singola proposizione, ogni singola acquisizione raggiunta è sempre soltanto relativa, può cioè essere sostituita da un’altra di ordine superiore»70. Per Simmel conoscere significa sostanzialmente legittimare una proposizione attraverso una proposizione di ordine superiore: il processo conoscitivo corrisponde al divenire stesso dell’oggetto della conoscenza, «il quale a sua volta è definibile solo nel rapporto di interazione con gli altri oggetti»71. Una modalità speculativa di questo tipo – che implica un vero e proprio progressus in infinitum [FD: 177] – sopporta «la prova delle sue stesse regole perché ridefinisce la direzione dell’intero percorso la cui verifica assume un andamento non più lineare e regressivo al suo significato ultimo, ma circolare su se stesso: una proposizione è vera soltanto in rapporto ad un’al-

67 68 69 70 71

Ivi: XV. Cfr. FD: 155-179. Cfr. Giacomini 1990: 39-49. Ivi: 39-40. Calabrò 1997: 41.

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tra e quest’altra ad un’altra ancora e così via, finché questo ragionamento riconduce alla prima che, perciò, non rappresenta l’ultima astrazione, il dogma che pone fine al processo di conoscenza, bensì assume carattere di relatività»72. Leggiamo Simmel: La nostra mente non possiede un’unità sostanziale, ma soltanto quell’unità che risulta dall’interazione tra soggetto e oggetto, nei quali la mente stessa si divide. Non si tratta di una forma casuale dello spirito, che potrebbe anche essere diversa senza cambiare ciò che c’è di essenziale in noi, ma è la sua forma essenziale stessa. Avere uno spirito non significa altro che operare questa separazione, considerare se stessi come oggetto, essere capaci di conoscerci. Che non ci sia “soggetto senza oggetto” e “oggetto senza soggetto” è un fatto che si verifica innanzitutto nella mente la quale si eleva al di sopra di sé come soggetto che conosce se stesso e quindi come oggetto conosciuto e, nella misura in cui essa a sua volta sa di sapere di sé, la sua vita continua in linea di principio in un progressus in infinitum, la cui forma attuale e allo stesso tempo sezione trasversale è il movimento circolare: il soggetto si riconosce come oggetto e riconosce l’oggetto come soggetto. Mentre il relativismo si manifesta sin dall’inizio come principio conoscitivo capace di sottoporsi alle sue stesse regole, fatto che risulta così distruttivo per molti principi assoluti, esso esprime anche nella maniera più pura il suo contributo nei confronti degli altri principi: la legittimazione della capacità dello spirito di giudicare se stesso senza rendere il processo stesso illusorio, quali che siano i risultati ai quali tale processo conduce. Questo porsi al di là di se stesso, appare ora come il fondamento dell’attività dello spirito che ad un tempo è soggetto e oggetto e, soltanto quando l’infinito processo del sapere di sé e del giudicare di sé viene arrestato ad un qualsiasi punto il quale viene contrapposto agli altri come un assoluto, il porsi al di là di se stesso diventa un’autocontraddizione, nel senso che la conoscenza, giudicando se stessa, pretende esenzione dal contenuto di questo giudizio al fine di poter esprimere il giudizio stesso [FD: 177-178].

Simmel, dunque, ricorre alla metafora del cerchio per descrivere la relatività del percorso conoscitivo. Essa implica «una completa reciprocità mediante la quale ogni parte determina la posizione delle altre parti e a sua 72 Ibid. Per Simmel, come rileva Andolfi [1996: XV], «l’assunzione della prospettiva relativistica viene anche espressa nella forma di una sostituzione di principi costitutivi, che pretendano di esprimere l’essenza delle cose, con principi regolatori, che assolvano una funzione euristica. Intesi in questo significato più debole anche principi opposti, che secondo la logica si escluderebbero, si rivelano applicabili contemporaneamente e rendono anzi così il nostro conoscere più adeguato alla multilateralità del reale. Simmel trova proprio nella storia della filosofia testimonianze di come principi opposti – ad esempio il monismo e il pluralismo – si siano alternati con pari legittimità, dato che per il nostro spirito l’impulso all’unità sembra non meno forte dell’esigenza pluralistica».

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volta ne è determinata. Come nel cerchio non esiste inizio e fine perché questi coincidono in un qualsiasi unico punto, il processo di conoscenza procede all’infinito senza mai giungere alla certezza di una verità assoluta in modo tale che il reciproco condizionamento di ogni contenuto esistenziale “consente di trascendere la finitezza dell’esistenza”»73. Per Simmel, le rappresentazioni del mondo e della mente non procedono più in direzioni separate e contrapposte perché, naturalmente, «la conoscenza non procede mai secondo uno schema preciso, ma in un modo del tutto discontinuo e frammentario, nel quale le due direzioni si fondono casualmente; tuttavia, la contraddizione di fondo tra le due direzioni si dissolve e si elimina quando queste vengono tradotte in principi euristici, dove la contrapposizione si trasforma in interazione e la reciproca negazione si trasforma nel processo senza fine di questa interazione» [FD: 171]. Accettare questo punto di vista epistemologico simmeliano vuol dire senz’altro che è possibile «ammettere che nessuna delle immagini che abbiamo del mondo è vera nella sua assoluta oggettività»74. E tuttavia, come sostiene Simmel, «tali rappresentazioni, per quanto caratterizzate negativamente, sono pur sempre il presupposto, il materiale e la guida del nostro agire pratico in quanto con esso ci mettiamo in contatto con il mondo, così come esso sussiste in modo relativamente indipendente dalla nostra rappresentazione soggettivamente determinata» [FD: 162]. Simmel non è uno scettico in quanto non dubita della concreta possibilità di avere conoscenze valide e vere. Nella sua concezione epistemologica, il concetto di verità assume prevalentemente una «funzione euristica, che consente di evitare da una parte l’esito scettico, in quanto mantiene l’idea di un’istanza suprema del sapere, non bisognosa di ulteriore dimostrazione, e dall’altra ogni conclusione dogmatica, per l’impossibilità di riconoscere con certezza le rappresentazioni valide. In questa prospettiva il procedere delle nostre conoscenze tende a configurarsi come un “flusso continuo”, all’interno del quale ogni risultato è privo di autonomia e consistenza proprie, in quanto la sua validità per un verso dipende dalle acquisizioni già raggiunte e, dall’altra, resta intrinsecamente aperta a dimostrazioni più efficaci. Nello sviluppo del sapere, la verità di ogni contenuto si presenta così relativa a quello che lo precede e a quello che lo segue, rivelando una trama di rapporti che resta “liberamente fluttuante”, in quanto priva di sostegni e condizionata solo da se stessa. In questa prospettiva la relatività non sta solo ad indicare il rinvio all’infinito della certezza dimostrativa, ma l’interdipendenza circolare 73 74

Calabrò 1997: 41. Ivi: 42.

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delle argomentazioni, che proprio perché nel loro insieme non rimandano a nulla, trovano solo in se stesse la loro giustificazione»75. Infatti, «se l’idea di un principio incondizionato del sapere costituisce soltanto un postulato volto ad orientare l’impresa scientifica, ma in alcun modo capace di giustificarla, l’insieme delle conoscenze perde ogni fondamento in una realtà esterna e non può che trovare in se stesso la sua legittimazione. Considerando la catena argomentativa che fa dipendere ogni contenuto conoscitivo da premesse assunte senza dimostrazione e che possono a loro volta essere provate a partire da altri presupposti, si scopre che, allungando sufficientemente il percorso, si ritorna al punto di partenza, imbrigliando il processo conoscitivo in un cammino circolare nel quale le conclusioni provano gli stessi assiomi da cui sono dedotte»76. L’interpretazione simmeliana del “relativismo” traduce la sua cifra em-

75 Giacomini 1990, pp. 40-41. Scrive Simmel: «Se la verifica di una proposizione avviene risalendo ai suoi fondamenti e da questi di nuovo ai loro, ci si accorge spesso che la verifica è possibile soltanto, cioè è verificabile a sua volta, se si presuppone che la prima proposizione da verificare è già verificata. Se ciò vale per una deduzione determinata, la quale risulta illusoria in quanto implica un ragionamento circolare, tanto meno è impensabile che la nostra conoscenza nel suo complesso non venga imbrigliata nella stessa circolarità. Se si pensa al numero immenso di premesse costruite le une sulle altre fino all’infinito da cui dipende ogni conoscenza di contenuto determinato, non sembra assolutamente esclusa la possibilità che la dimostrazione della proposizione A avvenga mediante la proposizione B, questa a sua volta mediante la verità C, D, E, ecc. le quali a loro volta possono essere dimostrate solo se la proposizione A è vera. La catena dell’argomentazione C, D, E, ecc., deve essere sufficientemente lunga, in modo tale che il ritorno al punto di partenza non diventi consapevole. Analogamente, la grandezza della terra nasconde allo sguardo immediato la sua forma sferica dando l’illusione di poter procedere all’infinito su di essa in direzione lineare. Il nesso, che presupponiamo nella nostra conoscenza del mondo, e cioè che si possa arrivare per deduzione da ogni punto ad ogni altro punto, sembra rendere plausibile tale conclusione. Se non vogliamo una volta per tutte fermarci dogmaticamente su una verità che non richieda per sua natura di essere dimostrata, è facile ritenere questa forma di prova reciproca come la forma fondamentale della conoscenza, pensata come chiusa in sé. Il conoscere è pertanto un processo liberamente fluttuante, i cui elementi determinano la loro posizione reciproca, così come le masse della materia si determinano reciprocamente grazie al peso; la verità è al pari di questo un concetto relativo. Che la nostra visione del mondo “aleggi nell’aria” è più che giustificato, dato che il nostro mondo fa lo stesso. Non si tratta qui di coincidenza casuale di parole, ma di identificazione di un nesso fondamentale. La necessità propria del nostro spirito di conoscere la verità mediante prove, sposta all’infinito la possibilità di conoscere, oppure si muove in circolo nel senso che una proposizione è vera soltanto in rapporto ad un’altra, e quest’altra infine soltanto in rapporto alla prima. La totalità del conoscere sarebbe così altrettanto poco “vera” di quanto la totalità della materia è pesante; le proprietà, che non si potrebbero attribuire senza contraddizione al tutto, varrebbero soltanto nel rapporto delle parti tra di loro» [FD: 160-161]. 76 Giacomini 1990: 41.

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blematicamente più significativa e rilevante sul piano epistemologico nell’idea centrale di reciprocità «nella quale gli elementi interni di conoscenza garantiscono l’un l’altro il significato di verità» [FD: 161], e che pare essere sorretta nel suo complesso da «un ulteriore elemento di relatività che sussiste tra gli interessi pratici e teorici della nostra vita» [ibid.]. In effetti, la natura intrinsecamente “circolare” dei procedimenti scientifici si appalesa, dimostrandosi, nell’interdipendenza tra interessi teorici e interessi pratici della conoscenza. In altri termini, «le rappresentazioni, che da un lato sono funzioni dell’organizzazione fisico-psichica del soggetto, dalla quale dipende la diversità delle immagini del mondo – quali si presentano, ad esempio, all’uomo e alle differenti specie animali –, dall’altro costituiscono il presupposto del nostro agire pratico, che esige un riscontro nella realtà quale esiste indipendentemente da noi. L’apparente incongruenza si risolve ammettendo una relazione di reciprocità tra orientamento soggettivo e verifica obiettiva: questa fonda quello alla stessa stregua in cui ne è fondato. Determinate rappresentazioni sono, infatti, confermate dall’esito positivo di azioni intraprese sulla loro base, ma, al contempo, sono la condizione essenziale di quell’esito»77. Per l’autore della Filosofia del denaro, la relatività «non è un indebolimento del concetto di verità, una detrazione di verità, ma al contrario è l’essenza della verità stessa, il modo in cui soltanto le nostre rappresentazioni diventano piena verità»78. La verità, nel senso dell’unica verità accessibile, «è quella che risulta dalla sfida a rappresentare l’irrappresentabile»79. In quest’ottica, il filosofo (Simmel), in una combinazione audace di sicurezza e insicurezza, agisce – in relazione al soggetto epistemico moderno – come un «avventuriero dello spirito»80, che compie «il tentativo senza speranza, ma non per questo senza senso, di tradurre in conoscenza concettuale un atteggiamento della vita dell’anima»81. Egli è «lo “straniero” in una realtà oggettiva fortemente strutturata, in quanto tratta problemi aperti, imponderabili, eccezionali, insolubili come se fossero risolubili, tenendo così desti la libertà ed il senso del possibile. Il suo pensare che sperimenta combinazioni di senso è così complementare ed opposto al calcolo, agli automatismi del sapere e delle pratiche oggettive che non impegnano la soggettività ad uscire da schemi consolidati»82. 77 78 79 80 81 82

Ibid. Adler 1984: 181. Andolfi 1996: XVI. Simmel 1985b: 20. Ibid. Bodei 1989: 27-28.

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L’insicurezza e l’imperfezione nel conoscere caratterizzano la prassi conoscitiva del soggetto: il mondo «vero» delle rappresentazioni, l’oggettività della «verità», nella modernità, vanno visti come relazioni tra elementi soggettivi. In un rapporto di reciprocità «tra la massa delle rappresentazioni che vengono messe in discussione in un momento dato e la massa di quelle che vengono date per scontate» [FD: 174], la verità «può valere come una determinazione propria delle singole rappresentazioni in sé, perché il condizionamento reciproco degli elementi, in cui consiste la verità, diventa di per sé impercettibile, data la rilevanza trascurabile della singola rappresentazione rispetto alla massa delle rappresentazioni che non vengono messe in discussione in quel momento» [ivi: 175]. È un fatto, per Simmel, «la “relatività della verità”, nel senso che tutto il nostro sapere è imperfetto e correggibile in ogni sua parte, viene spesso proclamata con un clamore del tutto sproporzionato alla ovvietà di questo fatto inconfutabile. Ciò che intendiamo con questo concetto è evidentemente qualcosa di molto diverso: la relatività non è una qualificazione aggiuntiva che indebolisce un concetto di verità per il resto autonomo, ma è l’essenza stessa della verità, è il modo in cui le rappresentazioni diventano verità, così come è il modo in cui gli oggetti del desiderio diventano valori» [ibid.]. Nella Filosofia del denaro, il carattere costitutivo di «verità» dei diversi punti di vista (reciproci e/o opposti) viene giustificato “pragmatisticamente” da Simmel, in quanto esso viene riportato «al fatto più fondamentale che essi costituiscono rappresentazioni utili per gli interessi vitali di esseri dotati di determinate organizzazioni psico-fisiche»83. In altre parole, simmelianamente «noi consideriamo vero tutto ciò che ci fornisce utili informazioni per raggiungere i nostri scopi: quello che noi crediamo vero lo è in realtà solo perché funzionale al nostro sistema di credenze ed è la nostra verità, e soltanto quella, che viene utilizzata nel corso dell’azione»84. Scrive infatti Simmel: La verità non è originariamente utile, perché è vera, ma l’opposto. Noi attribuiamo dignità di verità a quelle rappresentazioni che agiscono in noi come forze o movimenti reali, e che ci inducono ad un comportamento utile [FD: 163].

Molto opportunamente è stato fatto notare85 come un attento interprete simmeliano (F. Léger)86 abbia rilevato «una forte analogia tra queste ultime 83

Andolfi 1996: XVI. Calabrò 1997: 42. 85 Cfr. Andolfi 1996: XVI-XVII. 86 Cfr. Léger 1989: 26-27. 84

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affermazioni e la tesi nietzscheana secondo cui ciò che decide della verità è in ultima analisi il valore per la vita [«la verità è la specie di errore in mancanza del quale una certa specie di viventi non potrebbe vivere»] [F. Nietzsche]. Ma, altresì, abbia subito richiamato l’attenzione sulla differenza che passa tra le due idee: nel chiamare “errore” la verità utile alla vita, Nietzsche si riferirebbe ancora tacitamente a un sapere assoluto, rispetto al quale le verità relative a determinate organizzazioni psico-fisiche vengono delegittimate. Diverso invece il caso di Simmel. Egli non conclude che le verità, per il fatto di essere relative a una certa organizzazione psicofisica, siano per questo illusorie»87. Questo diverso atteggiamento sarebbe divenuto possibile soltanto perché, come dice appunto Léger, «le relativisme a abandonné la notion de vérité absolue»88. Nel «pragmatisme»89 di Simmel, aggiunge ancora Léger, «le seul critère définitif de la vérité, c’est l’efficacité, elle est donc nécessairement subjective, mais subjectif ne veut pas dire arbitraire»90. Da quanto sinora detto risulta che simmelianamente «i criteri generali in base ai quali viene attribuito carattere di verità a qualsiasi proposizione non si riferiscono dunque a presupposti e a norme definite a priori, ma a valori di utilità ed efficienza»91. In altri termini, «dall’efficacia pratica di un concetto non scaturisce in alcun modo la sua capacità di riprodurre la realtà, ma semplicemente l’esistenza di una relazione positiva tra una certa organizzazione di vita e il mondo. Quando tale rapporto è riuscito noi attribuiamo la dignità di verità ai suoi risultati, cioè alle rappresentazioni in base alle quali otteniamo gli effetti desiderati. Ciò che viene designato in tal modo non è una qualità intrinseca dei contenuti conoscitivi, ma soltanto una relazione

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Andolfi 1996: XVI-XVII. Léger 1989: 27. 89 Ibid. 90 Ibid. 91 Calabrò 1997: 42. Nel campo della conoscenza, sulla contrapposizione tra l’a priori e l’esperienza, Simmel scrive: «Da Kant in poi sappiamo che ogni esperienza deve mostrare, al di là degli elementi sensitivo-ricettivi, certe forme che sono proprie della mente e per mezzo delle quali ogni dato viene configurato come conoscenza. Questo a priori, che portiamo con noi, deve perciò valere in modo assoluto per tutte le conoscenze possibili ed è sottratto a qualsiasi mutazione e correzione derivante dall’esperienza casuale e sensibile. Alla sicurezza, che ci debbano essere norme di tal genere, non corrisponde una sicurezza altrettanto grande quando ci si chiede quali esse siano. Molto di ciò che era stato ritenuto a priori un tempo, è stato riconosciuto più tardi come empirico e storico. Se quindi da un lato abbiamo il compito di cercare in ogni fenomeno esistente, al di là del suo contenuto sensibile, le norme a priori durature che lo formano, dall’altro lato vige il principio che si deve ricondurre ogni singolo a priori (ma non l’a priori in generale) alla sua origine genetica nell’esperienza» [FD: 172]. 88

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con determinate conseguenze pratiche»92. Nel processo conoscitivo, pertanto, «non esiste, di fatto, un solo contenuto normativo che possa pretendere immutabilità eterna, ognuno ha, piuttosto, una validità temporale che gli è attribuita dalle circostanze storiche e dal loro mutamento» [FD: 159]. Il criterio di verità che Simmel propone presenta, tra l’altro, due rilevanti implicazioni. In primo luogo «vi sono in linea di principio tante verità diverse quante organizzazioni ed esigenze di vita in linea di principio diverse» [ivi: 163]: ciò significa che il valore della conoscenza non può essere astratto dal rapporto vitale «tra il soggetto che lo produce e il mondo pratico verso cui si rivolge»93. In secondo luogo, Simmel pone in rilievo un altro aspetto della relatività, quale rapporto «non più soltanto interno tra i singoli concetti, ma tra questi e qualcosa che è posto fuori di essi»94. Distinguendo, infatti, tra le proposizioni che appartengono ad un certo ambito d’indagine e gli assiomi e le norme di metodo che lo rendono possibile nella sua costruzione, Simmel sostiene che «mentre queste sono dimostrabili al suo interno, l’una per mezzo dell’altra, l’intero campo vale soltanto in relazione a qualcosa posto al di fuori di esso: alla natura dello spazio, al tipo della nostra percezione, al rigore delle nostre norme di pensiero» [FD: 164]. Di conseguenza, le nostre conoscenze singole «possono sostenersi a vicenda, nel momento in cui norme e fatti, una volta determinati, diventano la base per dimostrarne altri, ma la totalità di queste norme è valida soltanto in rapporto a determinate organizzazioni fisico-psichiche, alle loro condizioni di esistenza e alle necessità di promuovere il loro agire» [ibid.]. È dunque evidente che le due forme della relatività simmelianamente non sono equivalenti. «Mentre nel primo caso la reciprocità esclude ogni ordine gerarchico tra i termini del rapporto, nel secondo la conferma pratica svolge il ruolo di istanza decisiva nel processo di selezione delle rappresentazioni. Se la costituzione soggettiva resta una condizione necessaria, l’efficacia pratica è invece un criterio sufficiente a stabilire la verità di una proposizione. L’asimmetria che così si crea lascia tuttavia sussistere l’interazione circolare tra le forme a priori della conoscenza, che definiscono l’orizzonte di ogni inveramento pratico, e la risposta esterna che corrobora o confuta tali forme»95. Simmel non dice che occorre relativisticamente «rinunciare alla verità» nel procedimento cognitivo, ma che piuttosto metodologicamente occorre «organizzare le varie conoscenze in un rapporto di reciproca interdipendenza 92

Giacomini 1990: 41-42. Ivi: 42. 94 Ibid. 95 Ibid. 93

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funzionale all’uso che di tale sapere viene fatto. Tale metodo non si applica solo alla conoscenza di quelli che si possono definire i concetti esplicativi del mondo, ma riguarda anche le modalità attraverso cui conosciamo ogni singolo oggetto e ci rapportiamo ad esso: mettendo cioè in relazione l’insieme dei suoi elementi e riconoscendo la necessità della forma che tale unità definisce. In questo senso l’essere e le leggi, le due categorie in base alle quali costruiamo l’immagine del mondo, sono categorie solo in linea di principio indipendenti tra loro poiché le leggi esistono in quanto determinano l’essere e questo esiste solo perché vi sono delle leggi che gli attribuiscono significato. Essere e leggi si uniscono dunque in un rapporto la cui necessità costituisce la loro forma e del quale non possiamo avere che un’immagine parziale. Questi elementi costitutivi della conoscenza sono infatti dei punti di vista relativi, determinati culturalmente, mutabili nel tempo. Dei principi regolativi che solo in quel particolare momento e in quella particolare circostanza consentono il rapporto del soggetto con l’oggetto della sua conoscenza»96. Nel formulare il “relativismo” dei principi della conoscenza, però, per Simmel, c’è ancora un oltre da aggiungere ed esplicitare: I principi costitutivi, che esprimono la natura delle cose una volta per sempre, si traducono in principi regolativi, che costituiscono soltanto punti di vista nel procedere della ricerca. Sono proprio le astrazioni ultime, le semplificazioni e le sintesi del pensiero più elevate a dover rinunciare alla pretesa dogmatica di porre fine alla conoscenza. Al posto dell’asserzione che le cose si comportano in questo e questo modo soltanto, si deve piuttosto affermare, quando si affrontano le concezioni più ampie e generali, che la nostra conoscenza deve procedere come se le cose si comportassero in questo e questo modo. Si dà così la possibilità di esprimere molto adeguatamente il tipo e la rotta 96

Calabrò 1997: 42-43. Come infatti scrive lo stesso Simmel: «Le due categorie più generali […] in base alle quali costruiamo l’immagine conoscitiva del mondo: l’essere e le leggi, non contengono di per sé la caratteristica di necessità. Non vi è alcuna legge che prescriva l’esistenza di una realtà, non sarebbe contrario ad alcuna legge logica o naturale se non ci fosse alcuna esistenza. Tanto meno è “necessario” che esistano leggi naturali; esse sono piuttosto puri fatti, come l’essere, e solo nella misura in cui esistono, i fatti a loro sottoposti sono “necessari”; non può esserci una legge naturale che affermi che debbano esistere delle leggi naturali. Ciò che noi chiamiamo necessità esiste soltanto tra l’essere e le leggi, è la forma del loro rapporto. Entrambe sono semplici realtà, in linea di principio indipendenti tra di loro: l’essere è pensabile anche se non è sottoposto a leggi, e il complesso delle leggi varrebbe anche se non vi fosse un essere che ubbidisse ad esse. Soltanto quando sono presenti entrambe, le formazioni dell’essere sono soggette alla necessità. Nella forma della necessità l’essere e le leggi appaiono come elementi di un’unità da noi non direttamente percepibile: essa è la relazione che si pone tra l’essere e le leggi; tale relazione non si incorpora in nessuno dei due elementi, nel senso che le leggi esistono soltanto determinando l’essere, e l’essere esiste perché vi sono delle leggi che gli attribuiscono un senso e un significato» [FD: 166].

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della nostra conoscenza, il suo vero rapporto col mondo. La multiformità della nostra natura e l’unilateralità di ogni singola espressione concettuale del nostro rapporto con le cose, corrisponde al fatto, da cui nasce, che nessuna espressione di questo tipo risulta alla lunga e in generale soddisfacente, ma è in genere storicamente compensata da una opinione contraria. Ciò produce, molto spesso, un’oscillazione continua e indeterminata, una commistione contraddittoria o la tendenza a negare del tutto l’utilità di principi generali. Se le asserzioni di base che vogliono determinare la natura delle cose, si traducono in asserzioni euristiche che vogliono determinare soltanto il percorso della conoscenza indicando delle mete ideali, ciò consente chiaramente di ammettere la validità di principi opposti; ora, se il loro significato è puramente metodologico, tali principi possono essere utilizzati alternativamente senza contraddirsi, così come non vi è contraddizione usando di volta in volta un metodo induttivo o deduttivo. Soltanto dissolvendo le rigidità dogmatiche nel processo vitale e continuo della conoscenza si arriva alla vera unità, nella quale questi principi ultimi diventano operanti non più nella forma della reciproca esclusione, ma nella forma della dipendenza reciproca, della mutua implicazione e della complementarietà [FD: 166-167].

Tale «unità», tuttavia, non può essere raggiunta restando unicamente all’interno di «una singola direzione di pensiero, che viene percepita da chi la percorre come assoluta ed esclusiva, ma immergendosi nella più ampia prospettiva del movimento della vita che sola può trasformare l’opposizione nella coimplicazione degli opposti»97. Di fatto, per esempio, se si mettono a confronto le due diverse ed opposte istanze dell’unità e della pluralità della verità, dalle quali hanno avuto origine determinate visioni del mondo che hanno pervasivamente contrassegnato con il loro reciproco antagonismo la storia della filosofia tout-court, risulta poi impossibile «deciderne il conflitto, sia stabilendo la priorità di uno dei due punti di vista, sia superandolo in una sintesi superiore»98. Per Simmel, «il singolo elemento, nella sua separatezza e nel suo essere per sé rivendica un diritto assoluto nei nostri confronti e in noi, e l’unità, che unifica in sé ogni singolo elemento, avanza la stessa pretesa senza possibilità di compromesso» [FD: 169]. La contraddizione che molto spesso angustia la vita diventa da un lato essa stessa una contraddizione logica, speculare per l’appunto all’esclusività radicale delle due prospettive, alla quale corrisponde, dall’altro, la loro reciproca coimplicazione «in quanto ogni parte presuppone l’altra per la sua stessa consistenza: nessuna delle due avrebbe un senso concretamente pensabile o susciterebbe interesse a livello psicologico, se l’altra non le stesse di fronte come “contropartita”» [ibid.]. 97 98

Giacomini 1990: 43. Ibid.

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Ecco perché «si forma qui – come in innumerevoli altri casi di contrapposizione polare – una peculiare difficoltà in base alla quale un elemento incondizionato risulta condizionato da un altro elemento incondizionato che, a sua volta, dipende di nuovo da quello» [ibid.]. Questa «contraddizione» può dissolversi conferendo alla assolutezza degli opposti transiti non un significato esclusivamente dogmatico, ma euristico, nel senso che gli elementi delle diverse polarità considerate da Simmel (unità/molteplicità, valore dell’apriori/esperienza, conoscenza dell’io/conoscenza dell’altro), non vengono indeboliti nella loro radicalità in quanto «questa si esprime nella assolutizzazione non di principi ultimi e inderogabili ai quali il processo della ricerca può arrestarsi e consistere, ma di quell’inesausta tensione alla verità che anima ogni singola direzione di pensiero»99. In conclusione, da quanto sinora detto, risulta che in generale sul piano epistemologico per Simmel la relazione tra l’Io e il mondo contiene una apparente ed intrinseca contraddizione: «il mondo è una creatura dell’Io, poiché l’Io è capace di produrne e rappresentarne le forme, e nello stesso tempo l’Io è un prodotto del mondo perché legato alla sua evoluzione»100. Tale contraddizione, tuttavia, è possibile scioglierla soltanto se il soggetto conoscente non solo assume il significato di questa «doppia verità», ma ne fa pure un «metodo» per conoscere-se-stesso e ciò che è altro-da-sé: cioè, «riconoscere un rapporto di reciproca dipendenza fra le cose del mondo e quelle della mente evita il rischio di una lacerazione insanabile»101. Nella prospettiva epistemologica simmeliana, dunque, «la conoscenza, se pure assunta nella sua relatività, si arricchisce così di molteplici punti di vista, di piani di analisi differenziati e di prospettive multiple. La reciprocità degli elementi interpretativi diventa metodo conoscitivo e consente la comprensione dell’esistente, ma richiede a sua legittimazione uno sguardo capace di coglierne la dinamica. Lo scambio tra passato e presente, tra ciò che esiste e ciò che è esistito prima, si fa, in questa prospettiva, ricco di significati poiché solo attraverso la conoscenza del passato è possibile dotare di senso il presente e solo l’esperienza dell’immediato presente ci consente di interpretare il passato. Il processo di conoscenza, dunque, non si trova mai in un punto di equilibrio, ma procede oscillando dalla molteplicità all’unità e dall’unità alla molteplicità, alternanza e sequenzialità ne diventano caratteri peculiari, la verità diventa relativa e la realtà ambivalente»102. 99

Ivi: 44. Calabrò 1997: 44. 101 Ibid. 102 Ivi: 44-45. 100

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Tuttavia, sul piano strettamente problematico e storiografico, da un punto di vista critico, occorre comunque osservare quanto segue. Simmel riconosce senz’altro al risultato conoscitivo un valore che tende indubbiamente all’oggettività. Nella Filosofia del denaro, infatti, come sappiamo, egli scrive: «I metodi conoscitivi possono essere soltanto soggettivi e euristici; ma il fatto che ognuno trovi nell’altro complemento e quindi legittimazione, fa in modo che essi si avvicinino all’ideale della verità oggettiva – anche se in un processo interminabile di reciproco riferimento» [FD: 173]. Secondo quanto osserva Bruna Giacomini – nel suo studio La struttura autoriflessiva della conoscenza: l’epistemologia di Georg Simmel 103, già menzionato – tale conclusione sembrerebbe vanificare lo sforzo teorico dello stesso impianto epistemologico simmeliano. Come rileva l’interprete: «Simmel, dimenticandosi che l’oggettività è soltanto uno dei principi della conoscenza, ne fa un ideale per sé, indipendente dall’interazione con il suo opposto. La soggettività viene infatti degradata a caratteristica dei singoli segmenti di pensiero e successivamente eliminata nel movimento circolare che collega tali segmenti. In questa prospettiva la relatività viene definita come “l’essenza stessa della verità”, non la sua “diminuzione”, ma al contrario “la realizzazione positiva e la validità del concetto stesso”. La circolarità, da forma della conoscenza, sembra trasformarsi così in manifestazione della verità stessa, che proprio nell’integrazione degli opposti supera l’unilateralità e la parzialità dei singoli punti di vista»104. Nelle riflessioni epistemologiche simmeliane, viene osservato, il concetto stesso di relativismo presenterebbe dunque «un’ambiguità semantica difficilmente risolubile». In estrema sintesi questa “ambiguità” disvela come «il carattere regolativo ed euristico che la prospettiva relativistica imprime ad ogni principio della conoscenza, la fisionomia provvisoria ed incompiuta che vengono così ad assumere i risultati della ricerca, sono ulteriormente specificati come proprietà di un processo della conoscenza che presenta un andamento essenzialmente circolare. L’interpretazione della verità come esito inappropriabile di una “costruzione all’infinito” si muta in quella che individua la struttura della scienza nel “rapporto di reciprocità dello stesso complesso di rappresentazioni”. Se si abbandona il punto di vista psicologico e soggettivo che segue il senso interno del cammino della conoscenza e si considerano i “contenuti”, “astratti dal processo e pensati nella loro autonomia ideale”, balza in primo piano “l’altra forma d’infinità, quella del cerchio, dove ogni punto è inizio e fine” [FD: 174]. Dall’esclusione di ogni fondamento assoluto ed esterno 103 104

Cfr. Giacomini 1990: 19-66. Ivi: 44-45.

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segue infatti, coerentemente, che le argomentazioni possono trovare solo nel rapporto reciproco la loro giustificazione. L’interazione non riguarda tuttavia soltanto la relazione interna di scambievole condizionamento tra premesse e conclusioni di una ricerca, ma investe i principi ultimi della conoscenza, che, concepiti in termini funzionali, non si contrappongono più l’uno all’altro in forma esclusiva, ma secondo un nesso di complementarietà che consente a direttrici di pensiero antitetiche non solo di coesistere, ma di intrecciarsi, producendo una visione multilaterale che riscatta l’univocità del singolo punto di vista, pur lasciando sussistere il conflitto delle istanze contrarie»105. Simmel, tuttavia, non limiterebbe la propria riflessione soltanto all’ambito epistemologico, ma intenderebbe altresì mostrare «la coimplicazione degli opposti come manifestazione di una più autentica unità del conoscere»106. La conseguenza di questa “mossa metodologica” implicherebbe, al di là di ogni relativismo, il ripristino del «primato di un determinato principio del sapere, quello dell’unità, assunto come valore autonomo e per sé, indipendentemente da ogni opposto»107. L’interazione, simmelianamente, esprime sempre la struttura oggettiva della verità, che consiste «in un sistema circolare in cui tutti i contenuti di pensiero rinviano l’uno all’altro»108. Tuttavia, la peculiarità del “relativismo” si traduce invece proprio, come già sappiamo, nel presentarsi come principio conoscitivo che è capace di sottoporsi alle sue stesse regole; pertanto, «la norma che impone l’interpretazione relazionale di ogni assoluto e ne rinvia all’infinito il fondamento può essere coerentemente applicata a se stessa»109. La “regola relativistica” rinvia a sua volta al rapporto di autotrascendimento secondo dispositivi e movimenti che non si chiudono nell’autorispecchiamento a causa dell’infinito eccedere dell’attività soggettiva. In altre parole, «ponendosi oltre se stesso il soggetto sempre perviene e, insieme, sfugge a sé. Il sapere e il giudicare, quando hanno per oggetto l’io, restano perciò intrinsecamente limitati; ma solo tale incompletezza consente di evitare la contraddizione cui l’autocoscienza assoluta condurrebbe. In quanto ricongiungimento del soggetto a sé come oggetto, essa renderebbe ogni ulteriore autoriferimento impossibile, arrestando il percorso dell’autoriflessività in assoluto»110. Nel “relativismo” epistemologico simmeliano la mente, come si è già 105

Ivi: 45-46. Ivi: 46. 107 Ibid. 108 Ibid. 109 Ivi: 46-47. 110 Ivi: 47. 106

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detto, non soltanto si eleva al di sopra di sé «come soggetto che conosce se stesso», ma, dal momento che non è un’entità unitaria e sostanziale contrapposta al mondo, è il risultato dinamico di un processo d’interazione tra soggetto e oggetto, nei quali essa stessa viene a dividersi. L’esito di questo processo, cifra paradigmatica dell’attività intellettuale per antonomasia, «lungi dall’essere l’unità dell’autorispecchiamento, è l’istituzione di una distanza, che molto più che la frustrazione di una tensione all’unità, segna la conquista positiva di una perenne apertura»111. Pertanto, tra il sé come soggetto e il sé come oggetto «si conserva una scissione, interpretata non come il risultato di una sintesi mancata, bensì come espressione del movimento di continuo autotrascendimento che contraddistingue la vita soggettiva»112. Per Simmel è questo il messaggio interpretativo conclusivo che ci consegna l’interprete che abbiamo sin qui chiosato, la conoscenza del mondo rinvia sempre ad un’autoconoscenza, essa «è cioè strettamente congiunta a un processo di autoriflessione sui propri procedimenti e criteri che impedisce ogni rapporto immediato e ingenuo con la realtà»113. In questa ermeneutica del “relativismo” epistemologico di Simmel, che rimette criticamente in discussione i concetti di circolarità, interazione, autoriflessività, «il primato dell’attività soggettiva, oltre che nella costruzione degli schemi a priori, si manifesta nel controllo di questi stessi schemi, anch’essi trascesi da un essere diverso da sé. L’ulteriorità cui rimanda l’autocomprensione dell’io impedisce alla circolarità autoreferenziale di essere fondamento della conoscenza. Il necessario ripiegamento del soggetto su di sé non chiude il cerchio, ma mostra come all’origine di ogni costituzione della conoscenza vi sia un processo intrinsecamente aperto di autocostituzione»114, processo che problematicamente nella Weltanschauung filosofica e sociologica di Simmel è problematicamente relato alla valenza ontologico-trascendente della vita115 111

Ivi: 48. Ibid. 113 Ibid. 114 Ibid. 115 Un interprete [Ghisleni 1998: 110-111] ha scritto: «Nella sua riflessione intorno al campo della sociologia, Simmel distingue il sapere sociologico da quello filosofico. Distingue fra questi due campi in quanto egli ritiene che gli individui siano da considerarsi sia “dentro” che “fuori” la società: ne sono dentro in quanto diversamente la società non potrebbe esistere, ma ne sono fuori in quanto la “vita” non vi si esaurisce. Nella sua prospettiva la vita rappresenta un “assoluto che ricomprende in sé la vita nel suo aspetto relativo”: vale a dire quelle forme associative che si formano durante le singole interazioni. Per questo la vita è “più che vita”: unità al contempo di “forma” e “trascendenza”. E se la trascendenza rientra nell’ambito della filosofia, la quale è così “metafisica” dell’esistenza, le forme che invece la 112

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che, in relazione al movimento circolare dei processi conoscitivi, nel suo fluire di fatto confligge con le forme continue della sua oggettivazione116. Nonostante i rilievi critici, di cui sopra si è fatto cenno, accettare il punto di vista epistemologico nella prospettiva sviluppata da Simmel, ammettendo nelle cose come compossibili una pluralità di significati ognuno dei quali non solo esiste ma va anche compreso nel suo contrario, non significa «accettare il compromesso, accontentarsi di una mezza verità, porre un limite alla conoscenza»117, significa invece porre come oggetto della sociologia118 «lo studio dei processi e delle forme di azione reciproca poiché ogni feno-

vita assume nel corso del tempo appartengono al campo della sociologia: una scienza che tramite l’osservazione pone sotto indagine le forme relazionali della vita associativa; o più esattamente il fatto che la “realtà” sociale è composta ad un tempo da una “forma” e da un “contenuto”. Se quindi la dimensione ontologico-trascendente della vita si configura quale ambito dell’indagine filosofica, la sociologia si sofferma sulle forme storiche dell’intersoggettività relazionale. In questo caso, l’intersoggettività è data da quei “frammenti” della vita assoluta che sono in sé espressione anche delle molteplici modalità della socievolezza umana; di quella socievolezza che in termini pratici consiste nella reciprocità dell’azione interindividuale: l’azione è infatti il manifestarsi della vita “dall’interno della vita” stessa; è l’azione che consente alla vita di elevarsi ad “un certo grado di volontà e di forma”». 116 Per Simmel, come già sappiamo e come ribadiamo con Jedlowski [2000: 156], la vita «è sia un fluire incessante, sia una produzione di forme in cui questo fluire si fissa. Si tratta di forme di relazione, istituzioni, simboli, idee, prodotti della vita economica ed opere artistiche: ciò che oggi chiameremmo la “cultura”, sia nel suo aspetto materiale che in quello linguistico ed espressivo. In ciascuna di queste manifestazioni la vita si esprime ma, per così dire, si rapprende: la loro oggettività è un prodotto della vita, ma contemporaneamente si contrappone al carattere fluido della vita stessa. La vita scavalca le forme, eppure, solo in forme di volta in volta determinate essa può essere colta. Da questa contraddizione emerge il dinamismo della storia della cultura. Ed emerge anche quella che Simmel chiama la sua “tragedia”: essa consiste nel fatto che la vita stessa non può essere compresa che sulla base di simboli, categorie o raffigurazioni che, nella misura in cui costituiscono una fissazione della vita stessa, le si contrappongono inevitabilmente, o la riducono, e mancano così di afferrarla, condannandosi al proprio superamento. Poiché la comprensione del mondo avviene mediante la costruzione di forme che sono espressione della vita ma anche una sua riduzione, un sapere esaustivo è impossibile. In ciò sta il fondamento epistemologico di quella sistematica asistematicità del pensiero di Simmel che ha così spesso scandalizzato i suoi lettori. Se la vita è radicalmente incommensurabile rispetto al pensiero che intende afferrarla, “la pretesa di una qualche completezza sistematica e definitiva sarebbe, nel migliore dei casi, un’illusione” [Frisby]. Ogni pensiero dà infatti al mondo una forma: ma la vita eccede ogni forma e la oltrepassa incessantemente». 117 Calabrò 1997: 45. 118 Sugli aspetti specifici della sociologia di Simmel, sui quali esiste ormai un’ampia e nutrita letteratura critica, in queste pagine ci siamo limitati necessariamente ad alcune brevi riflessioni, dalle quali si può risalire anche a più circostanziate ed approfondite analisi e fonti bibliografiche.

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meno, di qualsiasi natura esso sia, si definisce e può essere compreso solo in rapporto con altri fenomeni»119.

119

Ibid. Simmel, com’è noto, imprime una svolta relazionale – con il suo pensare attraverso relazioni e con il suo pensare le relazioni sociali [cfr. Prandini 1998: 191-202] – nella storia delle teorie sociologiche classiche. Di fatto, «il saper osservare le relazioni tra le cose, attribuendo senso a tali relazioni rispetto al tutto e alle sue parti, rende Simmel il pensatore della mediazione tra fenomeno e idea» [ivi: 202]. Già a suo tempo Kracauer [1982: 62] scrisse che in Simmel «sentiamo che ogni fenomeno rispecchia un altro fenomeno, costituisce una variazione di una melodia fondamentale che risuona altrove […]. Partendo dalla superficie delle cose, con l’aiuto di una rete di rapporti analogici e di affinità sostanziali, egli penetra nei loro fondamenti spirituali: così di ogni superficie evidenzia il carattere simbolico, come manifestazione ed effetto di queste forze spirituali e di queste essenze».

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III Forme ed effetti di reciprocità Socievolezza, gratitudine e dono, quotidianità

Affrontando qui di seguito – attraverso un sentiero filosofico, sociologico e antropologico ermeneuticamente prescelto – le configurazioni inerenti il tema dell’azione reciproca, il fenomeno della socievolezza, della gratitudine, del dono e il problema della quotidianità1, lungo un percorso che si snoda con e attraverso Simmel, è possibile preliminarmente registrare quanto segue. Con diffusa consapevolezza critica è stato ampiamente riconosciuto a Simmel il fatto di essere anche considerato – tra l’altro – «il nume tutelare della sociologia della vita quotidiana»2. Simmel, con lo sguardo di un “filosofo della cultura”3 che vuole penetrare il mondo affascinante ed ineffabile dell’interazione e della compenetrazione dei diversi ordini di fenomeni che – in «una sorta di “corrispondenza” di influenza scambievole»4– producono l’insieme dinamico della fitta rete di relazioni reciproche che danno vita alla realtà sociale, è stato il primo sociologo della modernità (Frisby) «a prendere sul serio le banalità ed i piccoli dettagli dell’esistenza pratica quotidiana, considerati ai suoi tempi troppo volgari, insulsi e “non sociologici” per ricevere l’attenzione degli scienziati sociali»5. Eppure, proprio la pervasività di tali «dettagli

1 Sulla vita quotidiana dal punto di vista filosofico e sociologico, cfr. Javeau 2003; AA.VV. 2004; De Simone 2005b; Jedlowski 2005; De Simone, D’Andrea 2006; Di Cori, Pontecorvo 2007. 2 Jedlowski 2003b: 33. Con efficace sintesi sempre Jedlowski ha scritto: «Attraverso lo sguardo di Simmel, la vita quotidiana appare soprattutto come la dimensione dell’esistenza in cui gli elementi oggettivi e soggettivi della vita sociale si fondono nel dar forma all’esperienza degli individui. In altri termini, appare il luogo in cui si fa più evidente che mai il modo in cui, sottilmente, gli assetti del mondo che ci circonda penetrano in ciascuno di noi, e in cui le forme della nostra sensibilità o dei nostri atteggiamenti nei confronti della vita, altrettanto sottilmente, penetrano nelle cose stesse» [2003a: 181-182]. Sul senso dell’esperienza quotidiana nella modernità in Simmel, cfr. inoltre Borrelli 2007: 19-33. 3 Cfr. Tramonti 2004b: 86. 4 Federici 2003: 135. 5 Picchio 2005: 132.

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minuti», interpretati originalmente con “sensibilità sismografica” da Simmel, si sono rivelati altamente significativi sul piano microsociologico ai fini della comprensione della realtà sociale complessiva, al pari se non maggiormente dei grandi fattori “macro” che segnano le dinamiche sociali contemporanee6. Se Simmel è riuscito a cogliere e interpretare «ciò che è dato per scontato e passa inosservato» entro e oltre l’ovvietà della vita quotidiana7, è perché egli ha dimostrato di possedere «una speciale sensibilità nel “vedere” quello che altri non vedono», o perché non riconoscono l’importanza delle “piccole cose”8, delle microrelazioni che soggettivamente oggettivano i tempi e le forme tipizzate dell’agire quotidiano. Nella prospettiva sociologica simmeliana, com’è noto, il termine Vergesellschaftung indica il complesso processo di consolidamento nel tempo delle diverse forme della reciprocità che permea anche in modo poco “appariscente” la vita quotidiana e che parimenti consolida nel tempo la società come in-finito processo plurindividuale di sociazione. In estrema sintesi, simmelianamente, «la vita è sia flusso dinamico sia una produzione di forme in cui questo fluire si fissa. Si tratta di forme di relazione, istituzioni, simboli, idee, prodotti della vita economica, opere artistiche e tutto ciò che si definisce “cultura”, sia nel suo aspetto materiale sia in quello linguistico espressivo. In ciascuna di queste manifestazioni la vita si esprime, ma si rapprende: la loro oggettività è un prodotto della vita, ma contemporanea-

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Di fatto, nonostante la “sociologia della vita quotidiana”, come ambito specifico di studi riconosciuto ed autonomo, si sia affermata solo con la crisi dello strutturalismo a partire dagli anni Sessanta del Novecento, attraverso la riscoperta di autori come Schütz e Goffman ed il contributo di Garfinkel [cfr. Fornari 2005b: 179-222], tuttavia è possibile considerare Simmel «un autorevole anticipatore di questa corrente e non è un caso che gli autori sopra citati si siano spesso richiamati alla sua opera come ad un punto di partenza imprescindibile per le loro riflessioni» [Picchio 2005: 133]. 7 L’agire quotidiano che rapporti intrattiene con l’ovvio? È la vita quotidiana la proiezione speculare della ricorsività che anche nel mondo dell’ovvio può trovare una sua provincia di senso? Qual è lo statuto ermeneutico dell’ovvio quotidiano? Con acume interpretativo, coniugando originalmente le riflessioni “sociologiche” del filosofo con le argomentazioni “filosofiche” del sociologo, Mario A. Toscano ha recentemente riportato alla memoria individuale e collettiva che «in origine l’ovvio non era affatto ovvio» [2004: 9]. In effetti, «l’ovvio diventa ovvio, deve anch’esso superare le sue difficoltà prima di giungere alla meta, guadagnarsi, per così dire, sul campo il suo carattere, per passare poi inosservato – o quasi» [ibid.]. Appartenendo al regno della possibilità, l’ovvio è finito col precipitare nelle variazioni della quotidianità e del senso comune con cui siamo a casa – per dirla con Ágnes Heller [1999]. La traccia di scrittura di Toscano emblematicamente ci restituisce dunque un contributo originale in cui egli, con stile problematico e analitico, ha saputo unire ironia, allegoria e metodo critico nell’analisi imprescindibile dell’ovvio quotidiano. 8 Cfr. Gasparini 2004.

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FORME

ED EFFETTI DI RECIPROCITÀ

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mente si contrappone al carattere fluido della vita stessa. La vita scavalca le forme, eppure solo in forme di volta in volta determinate essa può essere colta. Da questa contraddizione emerge la “tragedia” della vita moderna in cui la vita stessa non può essere compresa che sulla base di simboli, categorie o raffigurazioni, nella misura in cui costituiscono una fissazione della vita stessa, le si contrappongono inevitabilmente o la riducono. Attraverso le forme, espressioni di vita, avviene la comprensione del mondo, che tuttavia rimane riduttiva, perché è impossibile un sapere completamente esaustivo. Ogni pensiero dà al mondo una forma, ma la vita eccede ogni forma e la oltrepassa incessantemente»9. Di fatto, poi, lo stabilizzarsi della forma crea l’ovvio, il comune, in altre parole la quotidianità. La “sensibilità” che consente a Simmel di individuare nella frammentarietà e nell’infinita complessità dei rapporti di reciprocità «l’essenza del moderno»10, traduce emblematicamente il suo profondo interesse «per le forme d’interazione più fluide e fugaci, apparentemente superficiali o frivole»11, che conformano la vita quotidiana moderna e caratterizzano peculiarmente fenomeni quali la moda, la civetteria, l’erotismo, il pudore, la socievolezza, la conversazione, il gioco, la gratitudine, l’ornamento, il profumo, l’amicizia, le emozioni, il segreto, la fiducia, la fede. Tuttavia, nell’analizzare queste «trame tenui e precarie della vita sociale», egli non ha mai perso la lucida consapevolezza relativa alla corposità delle istituzioni e della “pesantezza autoconservatrice” delle forme sociali, così come non ha mai trascurato d’analizzare uno dei tratti salienti delle dinamiche che contraddittoriamente segnano l’avventura dell’individualità moderna: ovvero, «la salvaguardia dell’identità soggettiva “differenziale” e della possibilità di sviluppare il proprio progetto interiore»12. 9

Tramonti 2004b: 87. Picchio 2005: 133. 11 Ibid. 12 Ibid. In particolare, l’analisi simmeliana della moda [cfr. De Simone 2002b: 233-261] mostra come questo fenomeno sociale inteso nella percezione comune «come quanto di più frivolo, esteriore, volubile e fugace possa esistere», nondimeno è capace di condizionare la vita giornaliera di milioni di persone «ed arriva ad imprimere un tratto visivo, d’immagine ad intere epoche» [Picchio 2005: 136]. Muovendo da una “fenomenologia” della moda, ovvero «da aspetti riscontrabili e osservabili nella quotidianità della vita (descrivendo ad esempio come è vissuta dalle diverse classi sociali, dalle donne diversamente che dagli uomini, come i vestititi nuovi condizionano i nostri comportamenti, come chi è alla moda susciti una particolare sfumatura d’invidia in chi non lo è)» [ibid.], Simmel è riuscito ad evidenziarne le caratteristiche strutturali e permanenti, oltreché l’intrinseca complessità, non trascurando di soffermarsi «ora sul rapporto individuo/società che ha luogo in essa, ora sui vantaggi e sugli svantaggi che essa comporta, di volta in volta, per l’affermazione dell’individuo e per 10

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

Simmel è un pensatore che ha sviluppato una concezione dell’individuo moderno inteso soprattutto come soggettività che «non è solo costituita di razionalità conscia e inconscia, ma anche di istinto, passioni e bisogni»13. La sua originalissima “immaginazione sociologica” gli ha consentito di accostarsi all’analisi delle problematiche sociologiche attraverso una spiccata capacità di cogliere «elementi e situazioni particolarmente illuminanti anche nei dettagli della vita sociale, o di riflettere sulle relazioni che si giocano nello spazio privato delle singole individualità, ovvero nella dimensione della vita quotidiana»14. Nell’analizzare, in particolare nella Soziologie del 1908, secondo una prospettiva relazionale, l’ambivalenza come forma d’interazione che pervade il dilemma individuo-società15, Simmel non formula tale rapporto nei termini che sono stati ritenuti dalla tradizione sociologica come “dicotomici”16. Il centro della sua prospettiva ermeneutica sia filosofica che sociologica ruota prevalentemente attorno al problema dell’individualità moderna. Dalla sua analisi dell’interazione sociale risulta che l’individuo «è costruito socialmente, è il centro di una fitta rete di relazioni e di comunicazioni sociali, il punto geometrico dove si intersecano molteplici cerchie sociali e la sua identità si costruisce in un’opera incessante di attivazione e disattivazione, di darsi e di negarsi, di parole e di silenzi, di espressione e di riservatezza. La sua libertà non è ontologicamente fondata, ma si alimenta dalla possibilità di muoversi nel tessuto complesso di una società sempre più lo sviluppo complessivo della sua personalità all’interno della società» [Portioli 2004: 151]. Anche nel caso in cui Simmel riflette sul fenomeno del pudore [cfr. Simmel 1996b], e più in generale sul problema dell’intimità, egli riesce sempre a vederne «la relazione con la costruzione del proprio sé da parte dei soggetti individuali» [Picchio 2005: 138]. Il sentimento del pudore, infatti, che proviamo in tante situazioni della vita quotidiana, costituisce «una forma di difesa dell’integrità della persona dalle pressioni e dai condizionamenti insiti nell’appartenenza alla società e sta quindi alla base della possibilità di costruzione dell’identità personale, costantemente esposta, nella modernità, ai rischi di oggettivazione e di alienazione» [ibid.]: mediante l’esperienza del pudore «il soggetto vigila continuamente sui confini, sul grado di apertura e chiusura verso l’altro, salvaguardando la propria “differenza” rispetto all’universale sociale proprio opponendosi alla violazione della sfera dell’intimità» [ibid.]. Gli esempi testé considerati mostrano dunque che in Simmel l’attenzione per il quotidiano «viene esplicitamente tematizzata e non si ferma agli aspetti puramente fenomenologici, ma approda ai nuclei più profondi del suo pensiero» [ibid.], espressione paradigmatica di un sapere trasversale che, nella cultura europea di fine ’800 e inizio ’900, non ha avuto remore nel disvelare la “tragedia”, le antinomie e le ambivalenze dell’individualismo moderno delle differenze [cfr. Bodei 2002: 169-186]. 13 Magnante 2001: 42. 14 Ibid. 15 Cfr. De Simone 2002b: 149-231. 16 Sulle modalità per comprendere l’agire dell’uomo in società secondo la prospettiva della teoria dell’azione dei classici europei del pensiero sociologico, cfr. Navarini 2005.

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FORME

ED EFFETTI DI RECIPROCITÀ

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differenziata»17. Parimenti, la società «non è un ente che si erge in contrapposizione agli individui che la compongono; essa non è altro che la somma di tutte le reti di relazione»18. Di conseguenza, per Simmel, individui e società «sono costruiti con lo stesso materiale e si implicano reciprocamente, sono due polarità che non possono sussistere separatamente per quanta tensione possa tra loro generarsi»19. Con la prospettiva relazionistica di Simmel si pone il problema della differenziazione e della complessità del materiale sociale riportate ad una unità dinamica e processuale del molteplice, che esprime per eccellenza l’essenza del moderno. Nei frammenti che disegnano la reciprocità dell’agire si gioca tutta l’ambivalenza della forma-individuo, della vita individuale e del “farsi” del “sociale” in un incessante e dinamico divenire che non soltanto connota il flusso esperienziale, ma che di volta in volta decide delle possibilità fluttuanti che nella fenomenologia della reciprocità scandiscono la struttura doppia e chiasmatica delle relazioni diverse, differenti, irriducibilmente conflittuali, tra l’Io, il Tu e il Noi e la prassi della relazione intersoggettiva tra identità, alterità e riconoscimento20. Nel destino della reciprocità si consuma quel tertium datur della vita dell’umano in quanto sintesi dinamica – ma “tragica” e ambivalente – di essere e divenire, universale astratto e particolare concreto: una sintesi che disvela come l’archetipo filosofico e sociologico della Wechselwirkung, ponendo radicalmente la questione della relazione con gli Altri, di fatto faccia emergere “la duplicità ontologica” dell’essere dell’uomo che è fondamentalmente «un essere differenziale (Unterschiedswesen)»21, né univocamente “individuale” né univocamente “sociale”: così, è proprio la differenziazione «che gli permette di essere referenziale, di associarsi agli altri, proprio in quanto differente»22. Seguendo un ragionamento “a spirale”, nell’intersecazione dei fili plurimi che danno occasione alle forme di interazione reciproca quanto mai differenziate, secondo lo sguardo di Simmel, nei due processi complementari della individualizzazione e della sociazione, se l’individualità si costituisce entro dinamiche interattive socialmente mediate per cui il singolo «trae e riceve dal gruppo la “forma” e il “contenuto” del suo stesso essere»23, con la conseguenza che «il singolo non può salvarsi contro la totalità»24 non 17

Cavalli 1989: XXVI. Ibid. 19 Ibid. 20 Cfr. D’Andrea, De Simone, Pirni 20052. 21 Simmel 1982: 24. 22 Mora 2005: 36. 23 Simon 2004: 100. 24 Simmel 1982: 61. 18

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

soltanto perché «un “io” socialmente “separato” è un “non-senso”»25, ma anche perché «l’uno non ha senso senza il molteplice, l’Io non è definibile in assenza dei Molti»26; è altrettanto vero che nella modernità l’io si fa ambiguamente ipertrofico, metariflessivo, ricerca dentro di sé un contatto con le proprie emozioni che cercano di sfuggire al processo di intellettualizzazione. Il soggetto della modernità, interiormente frantumato e fluido, “senza qualità” (Musil), in sé contraddittorio perché risultante di un intreccio inestricabile di pulsioni, ragioni ed emozioni27, continuamente attraversato da conflitti di senso e nel contempo aperto alla ricerca di sé nel continuo confronto con il flusso dei propri Io molteplici e con le diversità dentro e fuori di lui, vive ineffabilmente – come Bildungswesen e da viandante della metropoli28 come frammento di una totalità anelata e mai raggiunta – la propria avventura. 25

Simon 2004: 101. Ivi: 110. 27 Cfr. Turnaturi 1994; 1995. 28 Sintetizzando efficacemente il punto di vista espresso da Simmel nel suo noto saggio Le metropoli e la vita dello spirito del 1903 [cfr. Simmel 1995b, d’ora in poi MVS], Alessandro Ferrara – in Affreschi della modernità [2005: 53] – ha scritto: «La grande metropoli è per Simmel la quintessenza della modernità, costituisce lo scenario che fa da sfondo a tutti i processi che vengono a influenzare le trasformazioni dell’individuo. La metropoli è infatti il luogo dove chiunque può esperire quell’accelerazione del tempo e quella moltiplicazione degli stimoli che costituiscono due fra i più importanti aspetti della modernità. A questi due aspetti corrisponde, sul versante della personalità, la nascita dell’individuo blasé, ossia disincantato, non disposto a lasciarsi coinvolgere da alcun ideale o valore, l’individuo che tiene a distanza quasi con cinismo tutto ciò che rischia di trascinarlo in impegni onerosi. Ma la metropoli è anche il luogo della libertà dell’individuo, della libertà espressiva in primo luogo: è nella metropoli che questa libertà di scegliere autonomamente quale direzione imprimere alla propria vita si esercita nel modo più completo, è nella metropoli che l’individuo moderno persegue i valori dell’originalità e dell’eccentricità, l’affermazione della propria differenza. E ancora, la metropoli è il luogo dell’impersonalità: il riserbo e la distanza che caratterizzano l’interazione fra estranei e semplici conoscenti nella metropoli costituiscono una condizione necessaria per il dispiegarsi di quella libertà inusitata di cui gode l’individuo, una libertà che senza quella privacy garantita dall’anonimato non potrebbe essere esercitata. La metropoli è inoltre il luogo dell’estrema oggettivazione dei rapporti sociali – il denaro e l’interesse mediano gran parte dei suoi rapporti – ed anche dell’estrema divisione del lavoro». Pertanto, la cultura della città, secondo Simmel, «ha sempre premiato la capacità di individuare una nuova funzione che non può facilmente essere sostituita o evitata, e per questo tramite ha favorito la differenziazione, il raffinarsi e l’arricchimento dei bisogni. Di qui deriva un altro tratto antropologico dell’abitante della grande città, la diffusione del quale, nuovamente intrattiene una relazione non casuale con l’accrescersi della individuazione» [ivi: 54]. Si tratta, cioè, per l’abitante della metropoli, di vivere e praticare quella tendenza quotidiana a differenziarsi dagli altri, a rendersi “unico” e “autentico”, in un continuo gioco reciproco in cui la ricerca di originalità dipende però sempre dal riconoscimento da parte degli altri: un processo pervasivo che indica quanto la modernità influisce sulla costituzione sociale della forma di vita dell’individuo. 26

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ED EFFETTI DI RECIPROCITÀ

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In una sua particolare accezione di significato, l’avventura, tra l’altro, è un impaziente abbandonarsi al caso, accompagnato dalla sensazione di crescente rinnovamento di se stessi. Come l’ha interpretata Simmel, l’avventura consiste nel «sottrarsi alla connessione della vita»29, essa è «un’immagine della vita sospesa tra caso e necessità, tra la molteplicità dell’esperienza e il suo senso unitario»30. Ponendosi al di fuori della continuità esperienziale, l’avventura può simmelianamente essere descritta nei termini di «una complessa estraneità nei confronti della vita ordinaria, una contingenza extraterritoriale rispetto alle province di senso abitualmente frequentate dall’individuo»31. L’avventura come esperienza vissuta si caratterizza come una temporanea presa di congedo dalla totalità organica degli eventi quotidiani. «Al concatenarsi degli anelli della vita – scrive Simmel –, al sentimento che nonostante tutte quelle inversioni, quelle curvature, quei grovigli, in ultima analisi si tesse una trama unitaria, si oppone quella che chiamiamo avventura»32. La rilevanza dell’avventura risiede proprio nella «sensazione che qualcosa di accidentale ed estraneo al corso ordinario della vita possa celare un senso e una necessità, che si presenta sotto forma di enigma, di inquietante mistero proprio per il carattere extraterritoriale del suo accadere»33. Diversamente dall’esistenza stagnante, priva di scopi e di intima soddisfazione, l’avventura si configura come una «gemma incastonata nel quotidiano»34: abbandonarsi ad essa «significa aborrire il ristagno della propria vita, consegnandola a una magnifica incertezza agitata da inconsuete passioni, entrare in una specie di ékstasis o di parentesi temporale, in grado di proiettare l’individuo fuori di sé e di isolarlo dalla monotona successione di attimi opachi, di risarcirlo del suo essere obbligato a vivere nel mondo senza sorprese della routine, mettendolo però di fronte, grazie proprio all’eccezione, alla “vita nella sua totalità”»35. L’eccentricità, la virtualità e non progettabilità dell’avventura rivela nel modo più puro l’essenza dell’accadere, la sua radicale finitezza temporale, segnata da un inizio e da una fine irrevocabile. «Dei normali avvenimenti dell’esistenza quotidiana percepiamo che l’uno finisce mentre o perché l’altro incomincia, essi determinano reciprocamente i propri confini, e in 29 30 31 32 33 34 35

Simmel 2001a: 57. Vozza 2003b: 64. Ibid. Simmel 2001a: 57. Vozza 2003b: 65. Bodei 2002: 176. Ivi: 174.

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

tal modo si forma o si esprime l’unità della connessione vitale. L’avventura invece, in quanto avventura, è indipendente dal prima e dal poi, determina da sola, senza riguardo a questi ultimi, i propri confini»36. Nel tempo dell’avventura, per il suo configurarsi e consumarsi come esperienza limite, come «un’isola nella vita»37, «l’evento riceve una compiuta figurazione di senso, rivela in modo perentorio la sua intima e irripetibile ragion d’essere»38, perciò, nell’avventura, «l’uomo si sottrae alla storia, vive esclusivamente in un presente che non ammette deroghe»39. Secondo Simmel, «fra caso e necessità, fra il carattere frammentario di ciò che è dato dall’esterno e il significato unitario della vita che si sviluppa dall’interno, si svolge in noi un eterno processo, e le grandi forme nelle quali plasmiamo i contenuti della vita sono le sintesi, gli antagonismi o i compromessi di quei due aspetti fondamentali. L’avventura è uno di essi»40. Accettando fatalmente la mutevolezza delle occasioni, cercando temerariamente di padroneggiarne l’implicita insecuritas, nella vertigine dell’avventura intesa come strategia fatale del fluire dell’esperienza, per la vita umana vulnerabile «ogni evento sembra collocarsi alla periferia della vita, esteriore e occasionale: l’accadere si dà come frammento, come assoluta contingenza, senza scorgere in esso la presenza di un senso razionale capace di porre in relazione il passato e il futuro della nostra esistenza, la memoria e il progetto»41. Nell’avventura, dunque, «l’essenziale si annida nell’inessenziale, così che il centro dei nostri interessi gravita nella periferia della vita consueta. Un provvisorio appagamento, un ubi consistam, si incontra solo nell’ulteriorità cui siamo, a ogni momento, rinviati e dove siamo provvisoriamente invitati a sostare, prima di riprendere il cammino: nelle esperienze laterali, nell’eccentrico, nelle possibilità insature che ci vengono incontro senza alcun ordine»42.

36 37 38 39 40 41 42

Simmel 2001a: 58. Ibid. Vozza 2003b: 66. Ibid. Simmel 2001a: 60-61. Vozza 2003b: 69. Bodei 2002: 174-175; cfr. inoltre d’Anna 2006: 234-244.

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(A). Il gioco della relazionalità. Sulla socievolezza La socievolezza è una passione o un desiderio che spezza la schizofrenia individuale e si situa al di là della costrizione o dell’utilità che ci aspettiamo dalla vita in comune. Indipendentemente dalle circostanze, gli individui cercano sempre di creare questo modo di esistenza e di trarne un godimento che dà loro una specie di plusvalore. Cercano insomma si socializzare l’universo visibile e invisibile che popolano. Serge Moscovici

Nella filosofia e sociologia della relazione reciproca, analizzando alcune particolari forme di interazione sociale, Simmel ha saputo evidenziare con maestria osservativa ed ermeneutica ciò che è impercettibile nel legame sociale, cioè l’infinitamente piccolo: egli ha saputo cogliere in taluni ambiti esperienziali la rilevanza di tante piccole interazioni quotidiane riconosciute come molteplici e fuggevoli forme di vita che disegnano un micromondo fatto di forme di relazioni minori, poco appariscenti, che disvelano l’agire quotidiano dell’individuo nel suo continuo essere e fare società. Riponendo una specifica attenzione ai “fili interattivi” che costituiscono le più piccole forme di interazione sociale, Simmel, tra l’altro, com’è noto, ha analizzato anche le dinamiche sociologiche della socievolezza. In particolare, nella relazione dedicata alla socievolezza che tenne al Congresso della Gesellschaft für Soziologie del 1910, che poi costituirà il saggio Die Geselligkeit43, Simmel rivolge lo sguardo alla socievolezza intendendola come la condizione primaria che rende possibile l’agire associato. La socievolezza rappresenta simmelianamente «la forma più pura della interindividualità e della superindividualità e ha a suo fondamento tre condizioni necessarie: 1) l’esclusione di tutto ciò che per la personalità ha un’importanza oggettiva (status, successo, fama, ricchezza), ma che non è però in comune con gli altri partecipanti; 2) l’avere se stessa come unico scopo; 3) l’elaborazione e la trasformazione in forma ludica e leggera della realtà della vita»44. La concezione simmeliana della società intesa come reciprocità fra gli individui esprime nell’analisi della socievolezza un suo “esempio” topico. Per comprendere cosa intende Simmel per socievolezza occorre seguire il procedimento epistemologico generale di scomposizione tra forma e contenuto dell’azione reciproca fra individui che connota l’esistenza sociale e guardare alla socievolezza come appunto la forma pura di interazione, una forma peculiare contraddistinta da regole ben definite e vincolanti: la socievolezza 43 44

Cfr. Simmel 1997. Turnaturi 1997: 14.

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

non è «una vana futilità», ma è un presupposto costitutivo della società, che in quanto tale partecipa all’essenza del suo costruirsi, dello stare insieme socievole. Nelle diverse forme di sociazione, per Simmel, «solo quella socievole è però “una società” a tutti gli effetti, poiché rappresenta la forma pura, per principio al di sopra di ogni contenuto specifico, di tutte quelle “società” unilateralmente caratterizzate, in un’immagine in certo modo astratta e capace di stemperare ogni contenuto nel puro gioco della forma»45. La socievolezza è secondo Simmel «il tempo e il luogo in cui le qualità estetiche, ciò che accomuna gli individui, prevalgono sugli scopi utilitaristici»46: essa «è il momento in cui l’associarsi diviene un valore ed uno scopo in sé e si distacca dalla realtà dei singoli individui per cui ciò che è prodotto dall’insieme è più importante dell’affermazione individuale dei singoli»47. Presentandosi come l’unico momento in cui individuo e società sublimano ma non eliminano la loro consustanziale contraddittorietà, la socievolezza è per Simmel innanzitutto un’arte, ovvero «una forma sofisticata, un prodotto dell’acculturazione»48. La socievolezza è possibile «non perché data in natura, ma perché prodotto della cultura, perché elaborazione individuale e sociale del comportamento»49: essa presuppone «un rapporto con il proprio sé non immediato, ma studiato e manipolato, e in quanto tale è un prodotto elaborato culturalmente e socialmente»50. Nella socievolezza si traduce «quel passaggio peculiare dalla determinatezza delle forme viventi alla determinazione della materia tramite forme più elevate, così come accade per l’arte e il gioco, che pur sviluppatesi dalla vita acquistano rispetto ad essa una loro autonomia ed una loro ricchezza»51. Come in un circolo virtuoso, la reciprocità tra individui spinge alla socievolezza: attraverso la socievolezza si ha interazione sociale, che è a sua volta reciprocità, la quale riconduce nuovamente alla socievolezza. Dal punto di vista delle categorie sociologiche, Simmel definisce la socievolezza come «la forma ludica della sociazione e – mutatis mutandis – come qualcosa che si rapporta alla sua concretezza determinata dal contenuto come l’opera d’arte alla realtà»52. Nelle sue forme pure la socievolezza non possiede «alcuna finalità materiale, alcun contenuto o risultato che si trovi al 45 46 47 48 49 50 51 52

Simmel 1997: 43. Turnaturi 1997: 14. Ibid. Ivi: 15. Ibid. Ibid. Ibid. Simmel 1997: 43.

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di fuori del momento socievole»53: essa, basandosi esclusivamente sulla qualità delle personalità, sul «sentimento del tatto», è un gioco “immateriale” fatto ad arte, e come ogni gioco che si rispetti, ha le sue regole da seguire. [1ª regola]. La socievolezza in quanto tale gioca all’astrazione della sociazione: è l’essenza pura intrinseca nella dinamica processuale dell’associarsi reciprocamente ed ha il suo unico fine in se stessa. La socievolezza riflette specularmente il momento e il luogo in cui l’associarsi fra individui traduce una forma di vita reciproca, cioè un valore ed uno scopo in sé; essa diviene piacere e soddisfazione indipendentemente dalle motivazioni per cui si realizza. L’appagamento risiede nel gioco stesso, che non ha alcun motivo o fine utilitaristico per concretizzarsi, se non quello della reciprocità fra individui vissuta come atto puro e semplice e che si risolve nella libera interdipendenza di individui che interagiscono in un insieme puramente formale. Non c’è socievolezza se l’associarsi reciproco persegue determinati scopi oggettivi: nulla oltre il piacere del momento socievole «deve essere ottenuto; in tal modo il primato continua a spettare, nei requisiti come nei risultati, esclusivamente alle persone che vi prendono parte»54. La socievolezza si differenzia, distanziandosi volutamente, da ogni contenuto concreto perché applica le sue proprie norme: rivolgendosi agli individui, prescinde dagli scopi personali ed individualistici, prevedendo per essi soltanto alcune determinate caratteristiche che conformano la seconda regola, qui di seguito indicata. [2ª regola]. Scrive Simmel: L’uomo socievole è una figura peculiare che non si presenta in nessun’altra situazione. Da un lato egli si è infatti sbarazzato di ogni significato materiale della personalità e accede alla forma della socievolezza soltanto con le facoltà, il fascino e gli interessi della sua pura umanità. Dall’altro però questa figura si arresta di fronte all’elemento assolutamente soggettivo e puramente interiore della personalità. La discrezione, che nei confronti dell’altro è un primo requisito della socievolezza, è infatti necessaria anche di fronte al proprio io, giacché in entrambi i casi la sua violazione farebbe scadere la sociologica forma artistica della socievolezza in un naturalismo sociologico. Per gli individui si può dunque parlare di una “soglia di socievolezza” superiore e inferiore. Sia nel momento in cui essi basano il loro stare insieme su di un contenuto e una finalità oggettiva, sia quando si manifesta senza riguardo ciò che vi è di assolutamente personale e soggettivo nel singolo, la socievolezza non funge

53 54

Ivi: 43-44. Ivi: 44.

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più da principio centrale e formatore, ma al massimo soltanto da principio formalistico che media esteriormente55.

Attraverso l’esperienza della socievolezza, «ciascuno può realizzare i propri valori sociali al solo patto che anche gli altri li realizzino, ovvero ci si comporta come se tutti fossero uguali a prescindere dalle diverse collocazioni e rilevanze sociali. Il reciproco riconoscersi, il reciproco concedersi spazio per la socievolezza, fa sì che si realizzi un continuo scambio fra eguali, una forma d’interazione paritaria e democratica. Ciò che si concede all’altro viene immediatamente ricambiato e restituito»56. La determinazione “negativa” della natura della socievolezza attraverso limiti e soglie disvela il suo motivo formale “positivo”. Simmel si rifà analogicamente a Kant e scrive: Quale principio del diritto Kant ha stabilito che ciascuno debba possedere quella misura di libertà che può esistere insieme alla libertà di ogni altro. Se ci si sofferma un istante sull’impulso alla socievolezza come sulla fonte o anche sulla sostanza di questa, il principio secondo cui essa si costituisce risulta allora essere il seguente: ognuno deve appagare tale impulso nella misura in cui ciò è conciliabile con l’appagamento del medesimo impulso da parte di tutti gli altri. Se lo si esprime partendo dagli effetti invece che dall’impulso, il principio della socievolezza recita allora che ciascuno deve concedere all’altro quel massimo di valori socievoli (gioia, leggerezza, vitalità) che è conciliabile con il massimo di valori da lui ricevuti. Come il diritto su quella base kantiana risulta assolutamente democratico, così questo principio indica la struttura democratica di ogni socievolezza che ciascuno strato sociale può realizzare soltanto al proprio interno; esso mostra infatti come la realizzazione di un’unica socievolezza tra membri di classi sociali completamente differenti risulti tanto spesso qualcosa di contraddittorio e penoso. Un’uguaglianza di tal sorta ha infatti origine dall’eliminazione da un lato di quell’elemento interamente oggettivo che la sociazione si ritrova come suo materiale e da cui essa viene spogliata nel suo configurarsi come socievolezza57.

Nel suo farsi la socievolezza diviene un “dono” che tutti gli interessati si scambiano reciprocamente, un dono che «ciascuno fa contemporaneamente a se stesso e all’altro»58: in essa si può realizzare «una sorta di democrazia, di egualitarismo artificiale, costruito, eppure non falso in quanto non intende né rispecchiare, né modificare la realtà, ma piuttosto prescinde da questa»59. 55 56 57 58 59

Ivi: 46-47. Turnaturi 1997: 15-16. Simmel 1997: 47. Turnaturi 1997: 16. Ibid.

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L’egualitarismo che connota la socievolezza può diventare finzione «solo se è strumentale alla realizzazione di obiettivi esterni, solo se si fa contaminare dalle aspettative della realtà pratica»60. Per Simmel la socievolezza ha una natura spiccatamente ludica: ovvero la natura di un gioco che vive di se stesso, delle sue dinamiche e della sua casualità. La socievolezza crea, se si vuole, un mondo sociologico ideale: in esso infatti – come esprimono quei principi – la gioia del singolo è assolutamente legata al fatto che anche gli altri siano felici e in questo contesto nessuno può per principio trovare il proprio appagamento a spese di sensazioni assolutamente opposte all’altro. Tutto ciò viene certamente escluso anche da molte altre forme di vita attraverso imperativi etici posti al di sopra di esse, ma non dal loro principio intimo e immediatamente proprio61.

Il mondo della socievolezza – «l’unico nel quale sia possibile senza dissidi una democrazia di chi ha pari diritti» –, è tuttavia un mondo artificioso «costruito con esseri che desiderano esclusivamente stabilire tra loro quell’interazione del tutto pura e non sbilanciata da nessuna accentuazione materiale»62. Pur prescindendo dalle individualità e nascendo nel campo intersoggettivo dell’interazione, la socievolezza crea nel contempo una ulteriorità interattiva fra individui che per quanto “svincolati” dalla realtà non sono affatto mere apparenze, “finzioni umane”. Secondo Simmel, nel teatro della vita, i soggetti della socievolezza «sono reali nella realtà del gioco, nella nuova dimensione da loro stessi creata. Sono reali così come lo è la rappresentazione teatrale. Ciò che noi vediamo rappresentato e che gli altri rappresentano non è la vita, ma non può prescindere da questa. Gli attori dimenticano ciò che essi stessi sono nella realtà pratica per dar vita a delle nuove persone. Ma queste non potrebbero darsi se dietro non ci fosse la ricchezza della vita […]. Dietro un bravo attore c’è sempre un individuo dotato di una complessa vita interiore»63. Per Simmel il soggetto «è inserito in un mondo storico, ossia in un ambiente nel quale la sua particolare configurazione può essere compresa soltanto nel suo rapporto con gli altri soggetti nei confronti dei quali (e per i quali) egli assolve una funzione»64. Come egli stesso afferma – nel Nachlaß 1920/21 relativo al saggio sulla Filosofia dell’attore [1908]: «Il “recitare un

60 61 62 63 64

Ibid. Simmel 1997: 48. Ibid. Turnaturi 1997: 16-17. Monceri 1998: 18.

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ruolo”, non nel senso dell’ipocrisia e dell’inganno, ma come il confluire della vita personale in una forma espressiva preesistente e prefigurata, fa parte delle funzioni che costituiscono la nostra vita concreta. Tale ruolo può attagliarsi alla nostra individualità, ma è comunque qualcosa di diverso da questa individualità e dal suo sviluppo interiore complessivo […]. Noi non soltanto facciamo cose cui siamo spinti dalle sollecitazioni esterne della cultura o dai colpi avversi del destino, ma inevitabilmente rappresentiamo anche qualcosa che non siamo effettivamente»65. In questo senso tutti gli esseri umani sono «attori», per quanto frammentariamente, dal momento che «la vita culturale mostra ovunque la forma per la quale l’individuo, senza falsità o ipocrisia, mette in atto una metamorfosi della propria esistenza inserendola in una struttura preesistente, che certo si nutre delle energie di quella vita, ma non ne è espressione. Accettare tale struttura – per quanto estranea essa sia – può senz’altro caratterizzare la natura individuale, perché questo paradosso appartiene ormai alla nostra conformazione»66. Dunque, nella socievolezza «gli individui si presentano così come sono prodotti da quella forma particolare d’interazione e non sono meno reali in questo gioco, in questa forma ludica del “far società” che nella gravità della vita pratica, e le loro individualità prendono forma così come viene attribuita loro dal giocare. E l’individuo, il soggetto della socievolezza appare come qualcosa di particolare che […] non si dà in nessun altro tipo di rapporto»67: l’attore della socievolezza – che mette in scena le forme della società – «non è un individuo falso ed inautentico, ma è l’individuo che è nel farsi società, nell’essere insieme all’altro»68. 65

Simmel 1998a: 54-55. Ivi: 56-57. Alcune e significative analogie ed influenze sono state rintracciate dagli interpreti e dai critici tra le riflessioni di Simmel sui ruoli svolti dall’attore sociale nella vita quotidiana moderna, l’approccio drammaturgico di Erving Goffman e il modello filosoficoletterario di Luigi Pirandello. Al riguardo, cfr. tra gli altri: Luongo 1954; Dal Lago 1994; Magnante 2001; Baert 2002. Sul tema della costruzione del soggetto, della scissione della coscienza e delle personalità multiple in Pirandello, cfr. Bodei 2002: 136-168. Secondo quanto scrive Agustoni [2007: 40-41]: «Sensibile al retaggio di Georg Simmel, Goffman propone un’analisi della modernità come “individualizzazione” [...]. Come Simmel, anche Goffman ritiene che nelle società moderne il soggetto disponga di una crescente sfera di autonomia psicologica, di un ambito che sfugge al dominio del gruppo e al controllo degli altri individui. Nell’opera del sociologo statunitense, tale ambito viene descritto come un inviolabile retroscena, sfera esistenziale al cui interno il soggetto è solo con se stesso e libero di elaborare le strategie da metter in opera (cioè la maschera da indossare) quando si trova sulla ribalta (cioè in quell’ambito che, con le parole di Georg Simmel, si caratterizza per la reciproca compenetrazione delle individualità)». 67 Turnaturi 1997: 17. 68 Ibid. 66

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[3ª regola]. L’attore della socievolezza simmeliana, quindi, «è l’interprete consapevole di un gioco di cui rispetta regole e confini e a cui partecipa non per doti naturali, ma al contrario solo grazie a raffinate elaborazioni»69; ciò implica e presuppone la compresenza di individui “acculturati” in grado di cogliere e vivere l’attimo e la molteplicità dell’intermittenza, del tempo discontinuo, che si crea nel campo interattivo della socievolezza. Con Simmel, dunque, abbiamo potuto ulteriormente comprendere che la socievolezza «è una passione o un desiderio che spezza la schizofrenia individuale e si situa al di là della costrizione o dell’utilità che ci aspettiamo dalla vita in comune. Indipendentemente dalle circostanze, gli individui cercano sempre di creare questo modo di esistenza e di trarne un godimento che dà loro una specie di plusvalore. Cercano insomma di socializzare l’universo visibile e invisibile che popolano»70. Per Simmel, infine, la socievolezza rappresenta «la forma pura o trascendentale della grammatica sociale»71, ovvero «la condizione più generale che rende possibile l’agire associato, una forma d’esistenza a connotazione ludica che presiede ad ogni forma di reciprocità»72. Nel fluire dinamico della molteplicità delle interazioni, la socievolezza si manifesta come «la forma a priori e ludica dell’associazione, l’espressione di un’energia vitale», capace di visualizzare il campo della reciprocità attraverso «l’appagamento estetico di un intrattenimento infinito»73: nel suo essere «simbolo vitale della comunanza socievole disponibile a tutti», essa comporta contemporaneamente sia un distacco dalla realtà immediata che una sublimazione dell’esistenza sociale poiché è in grado di produrre un effetto complessivo di «momentaneo sgravio delle urgenze e necessità della vita». Nel «flusso incessante e corrosivo» della reciprocità (Wechselwirkung) – di cui il fenomeno dell’associazione (Vergesellschaftung) costituisce la manifestazione sociale – quale cifra ontologica della filosofia della relazione di Simmel, la socievolezza (Geselligkeit) indica «la precondizione per istituire nonché decifrare la grammatica sociale»74; ciò conclusivamente traduce «un duplice legame di derivazione»: «se non vi è reciprocità, allora non può esservi socievolezza; se non vi è socievolezza, non si dà associazione»75.

69

Ibid. Moscovici 1991: 349. 71 Vozza 2003: 56. 72 Ibid. 73 Ibid. 74 Ibid. 75 Ivi: 56-57. 70

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(B). Sul carattere sociologico della gratitudine e del dono Nel capitolo VIII della Sociologia del 1908 (intitolato «L’auto-conservazione del gruppo sociale»), all’interno dell’Excursus sulla fedeltà e sulla gratitudine [cfr. S: 498-509]76, ponendo “kantianamente” l’accento sulle diverse forme e dinamiche della socialità e della socievolezza, Simmel riflette sulla gratitudine considerandola una delle forme d’azione reciproca che, come dice Keller, «induisant la longue durée»77. Per Simmel, «l’acte de donner et la gratitude fondent et pérennisent la société, c’est-à-dire l’effet réciproque durable»78. Il significato sociologico della gratitudine «è difficile da sopravvalutare» [S: 504], dal momento che la vita e la coesione della società sarebbero modificati «in maniera imprevedibile» senza di essa. La gratitudine sorge dalla e nella relazione reciproca tra gli uomini: essa «è il residuo soggettivo dell’atto del ricevere, o anche del dare»; con la gratitudine questo atto immediato della relazione interindividuale «scende dentro l’anima nelle sue conseguenze, nel suo significato soggettivo, nella sua eco psichica» [ibid.]. La gratitudine, per così dire, è la «memoria sociale dell’umanità», essa costituisce «una persistenza del genere nel senso più deciso, una continuazione ideale della vita di una relazione, anche dopo che essa è da lungo tempo interrotta e dopo che l’atto del dare e del ricevere è da lungo tempo concluso» [ivi: 505]. Pur essendo un affetto puramente “personale”, ed in virtù dei suoi «mille intrecci» all’interno della società, la gratitudine è uno degli strumenti sociali più connettivi in quanto essa è «il fecondo terreno affettivo dal quale non soltanto nascono particolari azioni dall’uno all’altro, ma mediante la cui esistenza fondamentale, sia pure spesso inconsapevole e intessuta di innumerevoli altre motivazioni, alle azioni stesse si aggiunge una modificazione o intensità singolare, un legame con ciò che precede, un contributo alla personalità, una continuità della vita reciproca» [ibid.]. Dunque, dice Simmel, se ogni reazione di gratitudine per azioni precedenti venisse cancellata di colpo, la società in quanto tale «si sfalderebbe» [ibid.]. Per Simmel, la gratitudine, in quanto opera «un’integrazione dell’ordinamento giuridico» [ivi: 504], «si conforma allo schema donazione-equivalente, ma si sottrae al corollario dello scambio mediato dal diritto: che cioè

76

Su tutto il tema simmeliano della fedeltà e della gratitudine, cfr. Accarino 1982b: 179-

186. 77 78

Keller 2002: 244. Ivi: 245.

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l’equivalente sia un che di imposto»79. Di fatto, quando l’equivalente della donazione si sottrae ad un’imposizione, allora «compare la gratitudine con il suo potere integrativo e non codificabile»80. Tuttavia, secondo Simmel, la gratitudine è «un character indelebilis morale» [S: 508] in quanto «è forse l’unico stato del sentimento che può essere eticamente richiesto e prestato in tutte le circostanze» [ibid.]; tutto ciò la rende particolarmente «anomala» rispetto agli stati sentimentali in generale poiché un sentimento è per definizione gratuito, libero, supererogatorio. Riproponendo una “rete invisibile” di obbligazioni morali e di fili quasi microscopici, ma infinitamente tenaci, la gratitudine «impegna»: essa non soltanto comporta pur sempre «un debito di gratitudine», ma altresì si «transvaluta in riconoscenza e in riconoscimento»81, quest’ultimo inteso come riconoscimento dell’altro nella «totalità della sua personalità» [S: 505], oltre il mero scambio e la compra-vendita quali specifici eterogenei della moderna economia monetaria, dal momento che l’uomo, nella totalità e plasticità della sua anima, non è unicamente «il mercante di se stesso» [ivi: 506]. Parallelamente, Simmel identifica nel dono, nella sua non-equivalenza e asimmetria, l’atto fondatore della reciprocità e, di conseguenza, della società: Il dare è in genere una delle funzioni sociologiche più forti. Se nella società non si desse e si prendesse continuamente – anche al di fuori dello scambio – non verrebbe in essere alcuna società. Infatti il dare non è affatto soltanto una semplice azione di un soggetto sull’altro, ma è appunto ciò che si richiede dalla funzione sociologica: è azione reciproca. Quando l’altro accetta o rifiuta, esercita una reazione ben determinata sul primo soggetto. Il modo in cui egli accetta, con o senza gratitudine, mostrando di essersi aspettato la cosa oppure di esserne stupito, di essere soddisfatto o insoddisfatto del dono, di sentirsi elevato o umiliato dal dono – tutto ciò suscita in chi dà una reazione molto decisa, anche se naturalmente non esprimibile in concetti e misure determinati, e così ogni dare è un’azione reciproca tra chi dà e chi riceve [ivi: 505].

Simmel muove da una “antropologia positiva”, secondo cui il bisogno di donare è consustanziale dell’atto fondatore della società in ogni sua epoca82: su di esso si basa la reciprocità, la quale implica sempre e comunque 79

Accarino 1982b: 184. Ibid. 81 Ibid. 82 Com’è noto, analogie e differenze con il posteriore e celebre Saggio sul dono (1923-24) di Marcel Mauss [1965] sono state già opportunamente richiamate dagli interpreti contempo80

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la temporalizzazione e la differenziazione qualitativa, non-equivalente, dell’atto del donare e del ricevere: «Non esiste probabilmente nessuna azione reciproca nella quale l’andare e il venire, il dare e il prendere, siano di qualità esattamente eguale» [S: 506]. La non-equivalenza del dono si caratterizza in due modi. In primo luogo, Simmel riserva l’atto libero del dono alla «piena spontaneità dell’anima» [ivi: 507] che manca al dovere, anche al dovere della gratitudine. Nell’atto del dono occorre non confondere l’aspetto negativo della libertà con quello positivo (come, secondo Simmel, avrebbe fatto Kant affermando energicamente che l’adempimento del dovere e la libertà sarebbero identici). Scrive Simmel: «Noi siamo in apparenza liberi di adempiere o di non adempiere il dovere che sentiamo idealmente sopra di noi. L’adempimento deriva invece da un imperativo psichico, da quella coercizione che è l’equivalente interiore della coercizione giuridica della società. La libertà piena sta soltanto dalla parte del tralasciare, non da quella dell’agire, al quale sono indotto per il fatto che esso è un dovere – come sono indotto a contraccambiare un dono appunto per il fatto di averlo ricevuto» [ibid.]. Sia pure con una certa enfasi, Simmel sottolinea la dimensione “gerarchica” intrinseca all’atto del donare che, libero, spontaneo, non calcolistico, è superiore all’atto del ricevere. «Soltanto quando lo facciamo per primi noi siamo liberi, e questo è il motivo per cui nella prima prestazione, non occasionata da alcun ringraziamento, c’è una bellezza, una dedizione spontanea, uno sgorgare e un fiorire in direzione dell’altro che germoglia per così dire dal virgin soil dell’anima, che non può essere compensato con nessun dono, per quanto superiore ne sia il contenuto» [ivi: 507-508]. Attraverso l’atto del dono, simmelianamente, come commenta Keller, «la réciprocité n’empêche pas une profonde asymétrie entre le premier dans la chaîne des dons et tous ceux qui le suivent: seul le premier donateur exécute un acte libre, la personne qui reçoit est liée par la contrainte de rendre»83. Nella complessa e peculiare «sociologia dell’interiorità» che nell’azione reciproca segna le punte estreme date dalla diversità del dono e del controdono, secondo Simmel, «noi non possiamo in nessun modo contraccambiare un dono; in esso vive infatti una libertà che il contro-dono, appunto perché è tale, non può possedere» [S: 508]. In questo caso, si può dire che nel suo ranei [cfr. Keller 2002, ivi bibliografia]. Tra i recenti contributi su Mauss, cfr. tra gli altri: Fournier 1994; Karsenti 1994 e 2005; Allen 2000. In generale, sulla concezione del dono, cfr. Caillé 1994 e 2000; Caillé-Godbout 2002. Sull’esplorazione dei rapporti tra Simmel e Mauss, cfr. inoltre Papilloud 2002. Sul rapporto tra dono, denaro e filosofia (con riferimenti espliciti anche a Simmel), cfr. Hénaff 2006. 83 Keller 2002: 247.

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aspetto più profondo la gratitudine «non consiste qui nel fatto che il dono venga contraccambiato, bensì nella consapevolezza che non si può contraccambiarlo, che qui si presenta qualcosa che pone l’anima di chi riceve in uno stato durevole di fronte all’altro, recando alla coscienza una nozione d’infinità interiore di un rapporto che non può essere completamente esaurito o realizzato con alcuna dimostrazione o attività» [ivi: 507]. Ancora una volta, la gratitudine più profonda esprime specularmente come anche la reciprocità del dono – (soprattutto quello moderno, individualizzante) – sia simbolica.

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IV Inganno reciproco e imprevedibile vulnerabilità nelle relazioni umane Transiti simmeliani su segreto e menzogna

Un esempio per comprovare lo stile filosofico e contemporaneamente il metodo sociologico contro-fattuale, analitico e trascendentale di Simmel1, incentrato sulla teoria della reciprocità, è senz’altro rappresentato dall’analisi contenuta nel V capitolo della Sociologia intitolato “Il segreto e la società segreta” [cfr. S: 291-345], all’interno del quale sono altresì rintracciabili anche quegli elementi che introducono alla sua teoria sociologica della forma-fiducia come proprietà emergente delle relazioni sociali2. Due nodi teorici configurano questo capitolo: il primo concerne il ruolo che la discrezione e il segreto svolgono nella costituzione dell’individuo moderno e nel mantenimento della integrità della sua personalità; il secondo riguarda il ruolo del segreto nella costituzione e nella struttura delle associazioni fondate sul segreto e i loro rapporti con l’individualità3. Com’è stato ben evidenziato da Gabriella Turnaturi4, senza segretezza non si dà alcuna possibilità di creare le condizioni di affermazione dell’individualità, così come senza l’individualità non vi è possibilità alcuna di stabilire relazioni con l’altro. Tuttavia, l’affermazione della propria individualità comporta lo sviluppo della propria autonomia, cioè la delineazione di determinati “confini” che separano l’Io dal Tu e, di conseguenza, la costruzione di “spazi di segretezza” nei quali l’identità cerca liberamente di prodursi e riprodursi. Le variegate configurazioni e metamorfosi che caratterizzano questi necessari “spazi di segretezza” non soltanto riflettono specularmente le diverse culture e formazioni storico-sociali, ma indicano gli altrettanti 1

Cfr. Cotesta 2002a: 188-189. Cfr. Prandini 1998: 221-227. 3 Cfr. Cotesta 2002a: 190. 4 Cfr. Turnaturi 2000; 2003b. 2

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mutamenti continui che disegnano i sentieri ineffabili, intimi, ambigui ed ambivalenti dell’esperienza individuale. Attraverso Simmel, abbiamo potuto acquisire ulteriori elementi per comprendere che se da un lato l’individualità tende sempre a circondarsi di una sfera ideale impenetrabile all’altro, è pur vero, dall’altro, che i confini di questa sfera si spostano continuamente. In particolare, tramite il segreto «ognuno amplia la propria vita al di là dell’hic et nunc, ognuno afferma l’essere per sé contemporaneamente all’essere per l’altro; il segreto, la segretezza offrono la possibilità di un mondo oltre quello delle apparenze e delle trasparenze»5. In particolare, è il soggetto della modernità che – nel processo di formazione della propria individualità6, sempre attenta e gelosa dei propri confini e sempre più sospesa fra appartenenza e separazione – assume, soprattutto rispetto alla sfera dell’intimità, un atteggiamento di “doppia difesa”. Di fatto, egli «difende la propria sfera intima dagli sguardi indiscreti di chi non ne partecipa, costruendo spazi e tempi non accessibili agli estranei mediante la produzione di leggi e procedure che tutelano la privacy»7. Nel contempo, però, l’individuo moderno «teme che la propria individualità sia sopraffatta da un eccesso di intimità anche all’interno della cerchia della privacy che egli stesso ha sacralizzato», di conseguenza, egli stesso «tende a sottrarsi ulteriormente, a costruire una privatezza dentro le mura già ben difese della stessa sfera privata»8. Detto altrimenti:

5 Secondo quanto osserva Turnaturi [2000]: «Attraverso la lettura-interpretazione del segreto molte cose possono essere apprese sulla cultura di una società, sulla sua organizzazione del potere e sulle forme e regole delle interazioni e delle relazioni. Ogni società stabilisce le sue zone di segretezza e ciò che va tenuto segreto. Ed è in base a queste zone che prendono forma non solo i rapporti tra pubblico e privato, ma il loro stesso riprodursi reciproco. Così i rapporti di dominio sono anch’essi regolati dalle specifiche forme di segreti. Con la modernità si afferma il diritto alla discrezione e la legittimità della segretezza per tutto ciò che riguarda la sfera privata. Contemporaneamente cade la pretesa della segretezza per ciò che invece riguarda la sfera pubblica». Dunque, è possibile affermare che «mentre ciò che è pubblico diviene per diritto comune ed accessibile a tutti, almeno in linea di principio, sempre meno conosciamo e siamo autorizzati a conoscere della vita privata dei nostri vicini, colleghi e amici» [ibid.]. In estrema sintesi: «Il segreto, indipendentemente dai suoi contenuti, è una forma di potere per il solo fatto di includere alcuni ed escludere altri. È la forma della segretezza a dotare di valore il segreto e non il suo contenuto. È il possesso di una conoscenza a cui altri devono rinunciare a fondare il potere del segreto. Ma condividere un segreto è anche uno dei modi di creare e rafforzare legami interpersonali e legami sociali. È attraverso la condivisione di segreti infatti che si costruisce il Noi» [ibid.]. 6 A tal proposito, cfr. A. Ferrara, Modernità e individuo [2005: 49-81]. 7 Turnaturi 2003b: 91. 8 Ibid.

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INGANNO

RECIPROCO E IMPREVEDIBILE VULNERABILITÀ NELLE RELAZIONI UMANE

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L’individuo moderno cerca disperatamente un tempo e uno spazio non condivisibile con nessun altro, sposta continuamente i confini della propria inviolabilità, si difende e si protegge con sempre nuove segretezze. I segreti così si moltiplicano all’infinito. Al segreto riguardante la propria vita privata in cui sono inclusi i rapporti familiari, amicali, amorosi e a cui non sono ammessi gli estranei, si aggiunge il segreto della propria ed esclusiva individualità cui sono ammessi solo alcuni membri della cerchia privata. E a questo si aggiunge il segreto ultimo, quello che non si vuole condividere con nessuno e da cui tutti sono esclusi. Mentre si afferma un mondo privato, ma pur sempre comune ad altri, sia pure scelti liberamente, si vuole anche sfuggire a quell’essere sempre “parte di”, e si vuole affermare il diritto a un privato singolare, a un privato puramente individuale9.

Simmel ritiene che di fatto non si dia mai una verità semplice e unitaria quale mero rispecchiamento del mondo, ma che sia proprio l’azione reciproca, cioè l’interazione tra individui, a costituire quelle reti relazionali entro cui gli individui ricercano la verità sul proprio conto e su quello degli altri: tutti i rapporti intersoggettivi si fondano sulla conoscibilità dell’altro, sulla conoscenza reciproca che necessita di un’adeguata dimensione simbolica affinché si produca come azione sociologica nel conseguente ambiente sociale. Secondo la sua prospettiva filosofico-sociologica relazionale, non solo ogni conoscenza deve essere pensata come relativa e vera anche nel suo contrario, ma noi costruiamo anche l’immagine dell’altro come «risultato di un processo analogico per mezzo del quale vediamo l’altro mediante ciò che sappiamo di noi stessi in un incessante gioco di rimandi tra l’Io e il Tu, due istanze legate tra loro da un rapporto di reciproca dipendenza/indipendenza»10. La “verità” che dell’altro riusciamo a conoscere non è quella che realmente gli appartiene. Non solo, simmelianamente, l’interazione conoscitiva e pratica con l’altro «resta vincolata alla sensibilità soggettiva di ciascuno in modo assai più determinante di quanto non accada nel rapporto con il mondo inanimato»11, ma la stessa immagine dell’altro che giunge alla nostra coscienza è soltanto la rappresentazione che di esso ci siamo fatti: è proprio su questo “schema psicologico” che si basano le conoscenze interpersonali che non esauriscono di per sé la conoscibilità dell’altro per ciò che egli è realmente, perché mai, costui, riuscirà a disvelarsi completamente. Nei processi relazionali, gli infingimenti e gli occultamenti non costituiscono propriamente mai «in maniera assoluta» una “falsificazione” o una

9

Ivi: 91-92. Calabrò 1997: 44. 11 Giacomini 1999: 68. 10

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DISSEMINAZIONI

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semplice dissimulazione, dacché nella realtà tutti i rapporti sociali, anche i più trasparenti, si rendono possibili a partire dall’«immagine psicologica oggettiva dell’altro» che ogni individuo si fa reciprocamente e che è influenzata dalle «relazioni reali della pratica e del sentimento»: la differenziazione e varietà di queste immagini non appartiene tout-court a coloro i quali vi sono rappresentati, ma all’individuo che in quanto tale le percepisce come filtrate dalle proprie “lenti”. Simmel descrive la «conoscenza reciproca» che costituisce un a priori di ogni relazione, nei seguenti termini: Ogni relazione tra uomini suscita nell’altro un’immagine dell’uno, e ciò sta evidentemente in un rapporto di azione reciproca con quella relazione reale: mentre essa crea i presupposti in base ai quali la rappresentazione che uno ha dell’altro si presenta in un dato modo, e possiede la sua verità legittimata per questo caso, d’altra parte l’azione reciproca reale degli individui si fonda sull’immagine che essi acquistano l’uno dell’altro. Si ha qui uno dei circoli più profondamente radicati della vita spirituale, nei quali un elemento presuppone un secondo, ma questo presuppone a sua volta il primo. Mentre in campi più ristretti ciò costituisce un sofisma che invalida il tutto, in campi più generali e più fondamentali è l’espressione inevitabile dell’unità nella quale confluiscono quei due elementi, e che nelle nostre forme concettuali non si può esprimere diversamente che mediante la costruzione del primo sul secondo e al tempo stesso del secondo sul primo. Così i nostri rapporti si sviluppano sulla base di una reciproca conoscenza l’uno dell’altro e questa conoscenza si sviluppa sulla base dei rapporti di fatto, intrecciandosi indissolubilmente e indicando, in virtù del loro alternarsi nell’azione sociologica reciproca, quest’azione come uno dei punti in cui l’essere e il rappresentare lasciano percepire empiricamente la loro misteriosa unità [S: 292-293].

In generale, in termini simmeliani, l’ambivalenza presente in ciascun individuo e che pervade significativamente ogni interazione «è riconducibile al fatto che l’essere per sé e l’essere sociale, la volontà e il bisogno di affermare contemporaneamente individualità e intersoggettività sono intessuti di ragioni e passioni, interessi ed emozioni. Ragioni e passioni che non preesistono nell’individuo a prescindere dalle relazioni in cui si trova, ma si creano, si fanno e si disfanno nell’incontro con l’altro. Non si può mai predire il comportamento dell’altro rispetto alla lealtà, alla fiducia o al tradimento. L’altro è uno straniero non solo perché lascia intravedere consapevolmente o inconsapevolmente solo ciò che desidera, ma anche perché non conosce mai fino in fondo se stesso e perché parti di sé vengono attivate o chiamate a esistere dalle singole particolari relazioni in cui si viene a trovare»12. 12

Turnaturi 2003b: 49.

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RECIPROCO E IMPREVEDIBILE VULNERABILITÀ NELLE RELAZIONI UMANE

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In Simmel è particolarmente forte la persuasione sulla «menzogna vitale» dell’individuo che ha spesso bisogno di ingannarsi o disvelarsi per mantenersi nel suo essere e nelle sue possibilità di prestazione. Egli al riguardo è esplicito: «Nessun altro oggetto può di sua iniziativa rivelarsi o nascondersi a noi come fa l’uomo, perché nessun altro oggetto modifica il suo comportamento riguardo alla possibilità di essere conosciuto» [S: 293294]. L’ambiguo mescolarsi di quanto si sa e di quanto non si sa dell’altro, il fatto che ciò che l’uno e l’altro sanno è sempre intrecciato «con quello che soltanto l’uno sa e l’altro no» [ivi: 297], comporta di conseguenza «la consapevolezza dell’impossibilità di assoluta trasparenza, non solo dell’altro ma anche di se stessi nei confronti dell’altro»13. Nel campo aperto e dilemmatico della comunicazione intersoggettiva «c’è uno spazio intermedio, mai ben definito in cui l’agire dell’uno s’incontra con l’agire dell’altro. Si tratta di uno spazio condiviso fatto di fiducia, aspettative, ma anche di ambiguità e complicità in cui l’uno proietta immagini e desideri sull’altro e viceversa, in cui ambedue i soggetti collaborano attivamente alla formazione e alla continuazione dell’interazione, ma ne danno interpretazioni e le attribuiscono significati non necessariamente concordanti»14. Ne consegue che, come osserva Turnaturi, «gli individui, per natura, non sono né altruisti né egoisti, né leali né traditori, ma sono al contempo cooperativi e competitivi, fidati e infidi»15. In questo senso, Simmel ha inteso evidenziare «come la compresenza di cooperazione e competitività, di lealtà e capacità di tradimento, dell’essere per sé e dell’essere sociale all’interno di ciascun individuo segni l’interazione sociale di ambivalenza e ambiguità»16. È ciò che Kant a suo tempo aveva originalmente definito “insocievole socievolezza”: «vogliamo e possiamo essere con l’altro contemporaneamente leali e traditori, soddisfare il nostro essere sociale e il nostro essere per sé»17. Inoltre, quando comunichiamo con l’altro con parole o in maniera diversa, i nostri comportamenti non sono mai esclusivamente spontanei affioramenti psichici, ma sono anche conseguentemente «una selezione compiuta dal punto di vista della ragione, del valore, della relazione con l’ascoltatore, del riguardo del suo comprendere». Pertanto, nel caso del nasconderci menzognero, nel mascheramento verso l’altro, «ogni menzogna,

13 14 15 16 17

Ivi: 49-50. Ivi: 52. Ibid. Ivi: 53. Ibid.

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PARTE

PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

per quanto oggettiva sia la natura del suo oggetto, è per sua intima essenza qualcosa che induce all’errore sul soggetto che mente: essa consiste nel fatto che il mentitore nasconde all’altro la rappresentazione vera che possiede» [S: 295]. Tuttavia, «che il soggetto a cui si mente abbia una falsa rappresentazione della cosa non esaurisce però l’essenza specifica della menzogna, poiché essa condivide questo elemento col semplice errore; essa comporta invece il fatto che egli viene mantenuto nell’inganno sull’opinione interna della persona che mente» [ibid.]. Simmel, rilevando come veracità e menzogna rivestano una rilevante importanza nei rapporti umani e come le stesse strutture sociologiche si possano differenziare in base alla misura di menzogna che in esse agisce, precisa che se l’azione sociologica reciproca tra gli individui si produce in un milieu sociale poco differenziato oppure a bassa complessità sociale dove l’uomo «provvede ai suoi bisogni con produzione propria o con una cooperazione immediata», allora «la menzogna è molto meno dannosa per l’esistenza del gruppo che non in rapporti più complicati»; viceversa, nelle condizioni di vita tipiche della modernità – dominate dall’economia di credito e dall’attività scientifica, dove l’individuo è costretto a fidarsi di coloro ai quali necessariamente delega quei compiti che da solo non riuscirebbe a svolgere –, la menzogna diventa «qualcosa di molto più rovinoso, di più pregiudizievole per i fondamenti della vita» [ivi: 296]. La relazione menzogna/società si riflette specularmente nei rapporti dualistici tra differenti personalità: «Quanto più terze persone distano dal centro della nostra personalità, tanto più facilmente noi possiamo in pratica, ma anche interiormente, conciliarci con la loro mancanza di veracità; quando le poche che ci stanno più vicino ci mentono, la vita diventa insopportabile» [ibid.]. Nella conoscenza reciproca, che condiziona le relazioni di vicinanza e di lontananza e che comunque comporta «una misura incommensurabilmente mutevole di reciproca segretezza», il rapporto tra gli uomini «non consiste affatto soltanto in ciò che l’uno e l’altro sa, oppure in ciò che l’uno conosce come contenuto psichico dell’altro»; questo, però, è anche intrecciato «con quello che soltanto l’uno sa e l’altro no» [ivi: 297] . Per Simmel, che ci si «conosca» reciprocamente non significa affatto che ci si conosca reciprocamente, ossia che «si penetri l’aspetto propriamente individuale della personalità; ma soltanto che ognuno ha per così dire preso nota dell’esistenza dell’altro» [ivi: 300]. In senso sociale, la conoscenza reciproca è la sede peculiare della «discrezione», la quale «non consiste affatto soltanto nel rispetto del segreto dell’altro, della sua volontà diretta di nasconderci questo o quello, ma già nel fatto di tenersi lontani dalla conoscenza di tutti gli aspetti dell’altro che egli non manifesta in modo positivo» [ivi: 301].

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RECIPROCO E IMPREVEDIBILE VULNERABILITÀ NELLE RELAZIONI UMANE

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Le relazioni umane si distinguono dunque in base alla questione della conoscenza reciproca: «Ciò che non viene nascosto si può sapere, e ciò che non viene rivelato non si può nemmeno sapere» [ibid.]. La «discrezione» come barriera di protezione sociale dove è custodito lo spazio in cui vive il segreto, pone in gioco la distanza sociale18. Nonostante sia forte in noi «la pretesa di volere sapere tutto dell’altro, ben conosciamo la necessità di sottrarci, di nasconderci, di conservare dei segreti perché la relazione stessa continui»19: così, «noi che tutto vorremmo conoscere dell’altro e che ci sentiamo traditi se urtiamo contro porte che nascondono segreti, siamo a nostra volta dei traditori, perché non potremmo sopravvivere senza aver messo in salvo, nascondendole, parti di noi, avvenimenti ed esperienze che vogliamo difendere come esclusivamente nostre»20. Pertanto, osserva Simmel: «I rapporti di carattere intimo, il cui portatore formale è la vicinanza fisico-psichica, perdono l’attrattiva, anzi il contenuto della loro intimità, non appena la vicinanza non include al tempo stesso, e in forma alternata, anche distanza e pause» [S: 298]. Il campo dell’azione reciproca, dell’interazione, si rende possibile in quanto è possibile distinguere i confini fra l’Io e il Tu, fra me e l’altro da me. In altri termini: «Se questi confini sono minacciati, e richieste di fusionalità, di sincerità radicale li assediano, la stessa interazione è in pericolo. La distinzione fra l’Io e il Tu, fra le diverse individualità, presuppone che esistano in ciascuno di noi aree non conoscibili all’altro. Quando le zone nascoste sono violate da un eccesso di indiscrezione, tendiamo a ricostruirne di nuove, a spostare altrove i segreti per legittima difesa della nostra individualità»21. L’intersoggettività presuppone il segreto, proprio perché nell’atto di celarsi all’altro esistono individualità che hanno bisogno di sfere di protezione. Per Simmel, è peculiare dell’individualità moderna il fatto che in ogni uomo vi sia «una sfera ideale, certamente di grandezza variabile in direzioni diverse e di fronte a persone diverse, nella quale non si può penetrare senza distruggere il valore di personalità dell’individuo […] il cui violentamento provoca una lesione dell’io nel suo centro» [S: 301-302]. Per sintetizzare, come commenta Turnaturi, possiamo dire: «Il fatto che la sfera ideale che forma e protegge l’individualità non sia costruita una volta per tutte ma muti e assuma grandezze variabili a seconda dei contesti intersoggettivi, 18 19 20 21

Cfr. Cotesta 2002a: 192. Turnaturi 2003b: 94. Ibid. Ivi: 95.

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

aumenta l’impossibilità della totale conoscenza dell’altro. Ogni individuo sceglie, di volta in volta, a seconda delle interazioni e dei soggetti con i quali è coinvolto, quale forma ed estensione dare alla sfera ideale. Di ognuno si conosce ciò che l’altro vuole far conoscere, a ognuno si mostra solo ciò che si vuole sia conosciuto. La libertà dell’individuo è innanzitutto libertà della propria segretezza, libertà e inviolabilità dei propri confini»22. Negli effetti positivi e/o negativi disvelati dalla pratica della dissimulazione si consuma il processo di individuazione e di formazione di una persona entro e oltre i confini di «un secondo mondo» che si appalesa affianco a quello manifesto. In questo modo, nello sdoppiamento fra un io oggetto e un altro soggetto dell’interazione23, il segreto – che per Simmel «è una delle maggiori conquiste dell’umanità» attraverso cui «si raggiunge un enorme ampliamento della vita» [S: 309] – diventa nel contempo «una modalità di relazione e di comunicazione», che mentre le rende possibili, perché ne segna la distinzione, le minaccia «perché rende possibile la sottrazione, l’inganno e il tradimento»24. Anche se l’individuo moderno «ha troppo da nascondere», per cui «la delimitazione tra quel che è permesso e quel che è vietato risulta assai meno chiara», è pur vero che il segreto è ciò che separa e distanzia le personalità nell’ambito della struttura dell’azione reciproca: il suo oltraggio non autorizzato offende la sfera dell’onore; mentre la discrezione «non è altro che il senso del diritto in rapporto alla sfera dei contenuti di vita incomunicabili» [S: 302]. Tutto ciò, in particolare, è «estremamente importante per la sociologia del rapporto intimo», come nel caso dell’amicizia e del matrimonio moderno25. Di fatto, «custodire gelosamente un segreto, tenerlo tutto per sé senza condividerlo con chi ci è più vicino, può ugualmente essere considerato un tradimento della fiducia. Nascondere parti di sé e della propria vita viene percepito, all’interno di una relazione, come un modo di sottrarsi, come un segno di sfiducia verso gli altri e di doppiezza»26. Scoprire un segreto nascosto significa dunque «scoprire la non trasparenza dell’altro, l’ambiguità costitutiva tanto dell’individuo che di ogni forma d’interazione»27. Secondo Simmel: «Noi siamo costituiti in modo tale che abbiamo bisogno non soltanto di una determinata proporzione di verità e di errore come base della 22 23 24 25 26 27

Ivi: 95-96. Cfr. Bodei 1991: 145. Turnaturi 2003b: 97. Cfr. Cotesta 2002a: 193-195. Turnaturi 2003b: 92. Ibid.

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RECIPROCO E IMPREVEDIBILE VULNERABILITÀ NELLE RELAZIONI UMANE

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nostra vita, ma anche di una determinata proporzione di chiarezza e di indistinzione nell’immagine dei nostri elementi vitali» [S: 308]. Ciò significa che ogni qual volta si è nelle condizioni di scoprire la segretezza dell’altro ci si sente inevitabilmente traditi: «Tollerare la segretezza dell’altro, non volerne scoprire i segreti, accettarne la molteplicità senza viverla come un tradimento è un’arte difficile da imparare e da praticare. Ciò che più spesso avviene, soprattutto nelle relazioni di carattere intimo (amicizie, rapporti amorosi, rapporti familiari), è invece la pretesa di conoscere tutto dell’altro e il senso di offesa e tradimento quando si scopre che un segreto ci è stato celato […]. Ognuno di noi sa di avere segreti per l’altro, ma presuppone che l’altro non ne abbia e ci si sente traditi ogni volta che scopriamo segreti»28: dunque, c’è sempre una “zona d’ombra” in ogni relazione e in ogni interazione, per questo l’individualità «è una pianta che si sviluppa meglio nella zona intermedia fra luce e ombra e certamente perisce se esposta eccessivamente al sole»29. Secondo Simmel, occorre non lasciarsi ingannare dalla «frequente negatività etica» del segreto in quanto esso «è una forma sociologica generale, del tutto neutrale rispetto ai significati di valore dei suoi contenuti» [S: 310]. Il segreto è l’espressione sociologica della cattiveria etica; inoltre, «non è il segreto che sta in una connessione immediata con il male, ma il male con il segreto» [ibid.]. Il suo uso come «tecnica sociologica» è senz’altro intuitivo e contiene una tensione che trova la sua soluzione nell’attimo della rivelazione: essa ne traduce la sua «misura pratica» da cui scaturiscono «colorazioni e destini delle relazioni reciproche tra gli uomini che attraversano tutto il loro ambito» [ivi: 312]. La natura individuale che riflette specularmente il ruolo sociologico del segreto ne disvela il suo essere «un momento di individualizzazione di prim’ordine»: il segreto, nel processo di differenziazione culturale e di distinzione sociologica «agisce anche come possesso e valore che orna la personalità» [ivi: 315]; nel contempo, esso è anche «una determinatezza sociologica che caratterizza il rapporto reciproco degli elementi di un gruppo» [ivi: 320]. Nella modernità, con l’affermarsi delle pluriappartenenze a diverse cerchie sociali, mutando i rapporti di lealtà, fedeltà e fiducia e mutando dunque la “cultura del tradimento” e la “cultura della lealtà”, di fatto si ridefiniscono non soltanto i rapporti reciproci interpersonali, ma anche quelli sempre più dilemmatici fra individuo e società: con la crescente differenziazione, le personalità sono individualizzate in modo «troppo singolare» per rendere 28 29

Ivi: 93. Ivi: 95.

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PRIMA:

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

possibile «la piena reciprocità della comprensione», perciò sembra che la sensibilità moderna «sia più incline ad amicizie differenziate, cioè ad amicizie che hanno il loro campo soltanto in un aspetto della personalità e che non coinvolgono gli altri aspetti» [ivi: 305]: «ogni individuo partecipa di diversi gruppi che formano altrettanti Noi; con ognuno di questi diversi Noi può condividere segreti, competenze, sentimenti, fini, promesse, riti, stili di vita, valori; ma tutti i contenuti della condivisione sempre più raramente formano e appartengono a un solo Noi»30. Nell’esperienza del moderno, all’interno dei comportamenti della vita quotidiana e nella continua definizione dell’identità (sempre più fragile e flessibile), dove sempre più difficile e complesso diventa socialmente il processo di sviluppo che regola le dinamiche fiduciarie reciproche (sempre più settoriali e sfuggenti), nei frammenti della vita intersoggettiva s’impara a convivere consapevolmente con il tradimento, la menzogna e il segreto, che comunque continuano – perché sempre più accettati socialmente come una modalità “normale” dell’interagire e ormai sempre più considerati come «un vizio comune»31 – a mettere in gioco passioni ed emozioni nel disegnare l’identità multipla, vulnerabile del soggetto della modernità, che disvela quanto essi siano diffusi, continui e costitutivi della sua solitudine e della sua irriducibile “singolarità plurale”.

30 31

Ivi: 124. Cfr. ivi: 132.

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V Figure metaforico-simboliche simmeliane del principio della Wechselwirkung Il ponte e la porta

Come ho mostrato altrove1, la riflessione simmeliana sul complesso rapporto di interazione reciproca tra arte e vita, tra immanenza e trascendenza, tra interiorità ed esteriorità e tra dominio estetico e mondo esterno raggiunge com’è noto una delle sue formulazioni più compiute nel breve ma denso saggio del 1909 intitolato Ponte e porta2, esempio originale ed importante di una vera e propria «fenomenologia delle possibilità di sintesi»3, che rende questo saggio una sorta di «espressione simbolica in compendio»4 della elaborazione filosofica simmeliana e che specularmente riflette sub specie philosophiae la dimensione teoretica del principio medesimo della Wechselwirkung. L’argomentare di Simmel muove inizialmente dalla constatazione generale secondo la quale la nostra percezione del mondo esterno può assumere due possibili configurazioni: «la totalità organica e indipendente di un cosmo oppure l’assoluta separazione tra gli elementi naturali»5. Scrive Simmel: L’immagine delle cose esterne ha per noi questo doppio senso: tutto nella natura può valere come collegato, ma anche tutto come diviso. Le ininterrotte trasformazioni della materia e delle energie portano ogni cosa in relazione con ogni altra e fanno di tutte le singolarità un cosmo. Ma, d’altra parte, gli oggetti rimangono costretti nella spietata separatezza dello spazio. Lo spazio di una parte della materia non può essere comune a quello di un’altra. Non si dà nello spazio un’effettuale unità del molteplice. E per questo ricorrere ad un tempo a concetti che si escludono, l’esserci naturale pare impedire il suo impiego. Solo all’uomo, di contro alla natura, è dato legare e sciogliere, e in questo modo specifico: che l’uno è sempre il presupposto dell’altro. Astraen1 2 3 4 5

Al riguardo, cfr. A. De Simone, Filosofia dell’arte. Lettura di Simmel [2002a]. Cfr. Simmel 1970: 3-8. Cacciari 1970: XXXV. Mora 2005: 137. Vozza 2002: 65.

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NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

do due cose dalla imperturbata situazione della natura, per designarle come «separate», noi le abbiamo già nella nostra coscienza riferite l’una all’altra, le abbiamo distinte entrambe, insieme, nei confronti di tutto ciò che sta loro in mezzo. E viceversa: noi sentiamo come collegato, soltanto ciò che abbiamo in precedenza e in qualche modo isolato. Le cose devono essere prima divise l’una dall’altra, per essere poi unite. Dal punto di vista pratico come da quello logico, sarebbe senza senso legare ciò che non era diviso, ancor più: ciò che in qualche senso non rimane ancora diviso. Secondo quale formula nell’operare dell’uomo stanno insieme queste attività – se la connessione o la separatezza è sentita come ciò che è dato naturalmente, e l’altra invece come il compito che ci è posto – secondo questi problemi si può articolare tutto il nostro agire. In senso immediato, come in senso simbolico, in senso corporeo, come in senso spirituale, siamo noi, in ogni momento, coloro i quali separano ciò che è collegato e collegano ciò che è separato6.

Muovendo da presupposti kantiani, Simmel ribadisce la sua profonda persuasione: è una peculiarità esclusiva del soggetto conoscente quella di dividere le cose per poi riunirle, di separare ciò che è collegato e viceversa, mentre nello spazio «non sussiste di per sé alcuna unità del molteplice»7. Gli uomini che per primi tracciarono una strada tra due luoghi, portarono a termine una delle più grandi imprese. Essi potevano essere andati e venuti tra entrambi da averli per così dire soggettivamente uniti, ma soltanto allorché essi impressero sulla superficie della terra la Strada, quei luoghi furono uniti obiettivamente; la volontà di connessione era divenuta Forma delle cose, Forma che si offriva alla volontà per ogni ripetizione, senza che questa più dipendesse dalla sua frequenza o scarsità. Il costruire strade è un’impresa specificamente umana. Anche la bestia supera di continuo, e spesso nel modo più abile ed arduo, una distanza, ma inizio e fine rimangono separati. Ciò non dà il meraviglioso effetto della Strada: far coagulare il movimento verso una creazione solida, che deriva dal movimento e nella quale il movimento finisce8.

Nella prima strutturazione concettuale filosofica di Simmel la strada traduce l’immagine dell’uomo come «ente che vuole connettere, relazionare e tale “volontà di connessione”, cioè volontà di radicamento del principio, appunto la Wechselwirkung, corrisponde alla razionalità […] che lo distingue da qualsiasi altro vivente»9. L’impresa “specificamente umana” di costruire

6 7 8 9

Simmel 1970: 3. Vozza 2002: 65. Simmel 1970: 3-4. Mora 2005: 138.

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FIGURE

METAFORICO-SIMBOLICHE SIMMELIANE DEL PRINCIPIO DELLA

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strade differenzia l’uomo dalla bestia che pur superando distanze non collega inizio e fine, «non è cioè dotata di logos, di volontà di Wechselwirkung»10. Detto altrimenti, la strada «è il simbolo della volontà di connessione e la metafora del logos in quanto razionalità, della volontà di potenza e di rappresentazione»11. La strada, dunque, «ordina il mondo secondo una logica, fornisce direzioni, indicazioni di marcia, codici e leggi che devono essere seguiti oggettivamente»: in quanto creazione umana, essa «è espressione simbolica della volontà di connessione che diviene il principio unico di costituzione delle cose: la “Forma”»12. Nella seconda, parimenti, la strada – proprio perché il suo «meraviglioso effetto» consiste nel «far coagulare il movimento verso una creazione solida, che deriva dal movimento e nella quale il movimento finisce» – si mostra come «l’ipostatizzazione razionale e ontologica della vita nella forma, metafora del movimento vitale che si blocca nell’ordine creato dalla volontà di logos, irrigidito in codici autoreferenziali»13. La strada rende possibile «il movimento di collegare due luoghi e nello stesso momento lo ingabbia in una forma solida e determinata»14. Ciononostante il movimento che la strada consente «non è quello della vita ma il trapassare da una forma in un’altra, il movimento del conflitto delle forme che si scalzano una dopo l’altra in una dimensione seriale e puntiforme»15. Dalla strada al ponte. Con impareggiabile prosa saggistica, Simmel restituisce puntualmente la duplice attività “analitico/sintetica” che esprime «la specifica attitudine dell’uomo alla Sinngebung, alla volontà di ridisegnare il mondo esterno secondo le proprie opzioni pragmatico-estetiche»16. Scrive Simmel: «Nella costruzione del ponte quest’opera raggiunge il suo punto più alto. Qui sembra opporsi alla volontà di unione dell’uomo non solo la passiva separatezza dello spazio, ma un’attiva, specifica configurazione. Superando questo ostacolo, il ponte simboleggia l’espandersi della sfera della nostra volontà sopra lo spazio. Soltanto per noi le sponde del fiume non sono meramente l’una fuori dell’altra, ma “divise”. Se non le collegassimo anzitutto nelle nostre finalità, nei nostri bisogni, nella nostra fantasia, il nostro concetto di separazione non avrebbe alcun significato. Ma qui la forma naturale viene incontro a questo concetto, come con intenzione positiva; qui 10

Ibid. Ibid. 12 Ibid. 13 Ivi: 139. 14 Ibid. 15 Ivi: 139-140. 16 Vozza 2002: 65. 11

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PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

la separazione pare esser posta di per sé tra gli elementi, che già lo spirito, conciliando ed unificando, la supera»17. Oltre al suo significato meramente funzionale, il ponte possiede anche un «valore estetico», in quanto «esso porta a compimento l’unione del separato non solo nella effettualità e per la soddisfazione di fini pratici, ma la rende anche immediatamente visibile»18. Di fatto, «il ponte dà all’occhio lo stesso punto fermo per collegare le parti del paesaggio, che esso dà ai corpi nella realtà pratica. La semplice dinamica del movimento, nella cui realtà di volta in volta si esaurisce il “fine” del ponte, è divenuta qualcosa di visibilmente-duraturo, come il ritratto porta per così dire a consistere il processo corporeo-spirituale che costituisce la realtà dell’uomo, e raccoglie in un’unica visione, stabile e senza tempo, che mai mostra e può mostrare l’effettualità, l’intero movimento di questa stessa effettualità che nel tempo fluisce e rifluisce»19. Come l’opera d’arte nei confronti del suo «oggetto», così il ponte conferisce «un ultimo senso», sublime, superiore ad ogni sensibilità, ovvero «un’apparizione unica», non mediata da alcuna riflessione astratta, che assume in sé «il significato dello scopo pratico del ponte e lo porta a forma visibile»20. A differenza dell’opera d’arte, però, il ponte, pur con tutto il potere della sua sintesi così superiore alla natura, tuttavia «si conforma all’immagine di quest’ultima». Per Simmel, il ponte sta per lo sguardo in un rapporto con le rive che unisce molto più stretto e molto meno casuale, di quello che esiste tra la casa e il suo terreno e le sue fondamenta, che si nascondono sotto di essa. In modo affatto generale, un ponte viene sentito in un paesaggio come un elemento «pittoresco»; con esso, infatti, la casualità del dato naturale viene elevata ad una unità, che è di tipo completamente spirituale. Solo il ponte possiede, per la propria visibilità spazialmente immediata, quel valore estetico, la cui purezza è rappresentata dall’arte, allorché riporta l’unità conquistata spiritualmente del mero naturale nella sua ideale, insulare compiutezza21.

Se, nella correlazione di separatezza e unificazione, il ponte accentua il carattere sintetico di quest’ultima, superando, nel momento che la rende visibile e misurabile, la distanza tra i suoi punti d’appoggio, la porta invece rappresenta in modo esemplare e decisivo come «il separare e il collegare

17 18 19 20 21

Simmel 1970: 4. Ibid. Ibid. Ivi: 5. Ibid.

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siano soltanto due facce dello stesso e medesimo atto»22, il che non fa che confermare implicitamente la loro reciprocità d’azione, ovvero la costante presenza della struttura della relazione reciproca. Per Simmel, il significato “simbolico” della porta risiede «nella capacità dell’uomo di delimitare la continuità e l’infinità dello spazio istituendo un senso che definisce lo spazio interno e quello esterno, insieme ai relativi ambiti di pertinenza prossemica»23. L’uomo che per primo eresse una porta, ampliò, come il primo che costruì una strada, il potere specificatamente umano di contro alla natura, ritagliando dalla continuità ed infinità dello spazio una parte e conformandola in una determinata unità secondo un senso. Un frammento dello spazio venne con ciò unificato e separato da tutto il mondo restante. E per il fatto che la porta pone in certo modo una cerniera tra lo spazio dell’uomo e tutto ciò che è fuori di esso, essa supera la separazione tra interno ed esterno. Proprio perché essa può anche venire aperta, la sua chiusura dà la sensazione di una separatezza nei riguardi di tutto ciò che è al di là di questo spazio, ancora più forte di quella che dà la mera e indifferenziata parete. La parete è muta. Ma la porta parla. È essenziale all’uomo nel senso più profondo, porre a se stesso un limite, ma con la libertà di poterlo di nuovo togliere, di potersi porre al di fuori di esso24.

Riecheggia insistentemente qui, come rileva Vozza, una delle problematiche note del pensiero simmeliano, e cioè quella relativa «all’identità metafisica dell’uomo, alla sua facoltà di trascendenza che pone il limite ma tende asintoticamente all’illimitato, motivato da una sorta di conatus leibniziano verso mondi possibili»25. È proprio su questi presupposti che allora Simmel dichiara la superiorità della porta sul ponte, che si afferma appunto 22

Ibid. Vozza 2002: 65. 24 Simmel 1970: 5. 25 Vozza 2002: 65. Da parte sua, anche Mora osserva che «se la Strada è il simbolo della volontà di connessione e il Ponte è l’attuazione sintetica, il rendere visibile tale volontà di connessione, la Porta è il simbolo della Wechselwirkung e della metafisica della duplicità. La Porta è una “cerniera” tra uomo e mondo, tra dentro e fuori, e proprio per questa sua essenziale funzione, essa supera “la separazione tra interno ed esterno”; può venire aperta o chiusa così come ci si apre o ci si chiude al mondo, e tale chiusura è sicuramente più forte e ontologicamente determinante di un qualsiasi muro o parete […]. È solo attraverso la porta che la teoria del limite può essere metaforicamente compresa: la porta pone un limite che, con la sua apertura, può essere superato aprendo un mondo, che riproporrà ulteriori limiti, porte che possono essere ancora aperte, limiti che possono essere di nuovo tolti. La Porta ci dà così il senso della finitezza dell’esistenza; essa rapprenta il “punto-limite” che l’uomo deve affrontare, ma anche la possibilità di trascenderlo» [2005: 141]. 23

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PARTE

PRIMA:

DISSEMINAZIONI

NELLA SFERA DELLA SOCIALITÀ

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come illimitata “apertura” verso l’esterno, come «avventura esistenziale»26. Leggiamo Simmel: Mentre il ponte, come linea tracciata tra due punti, prescrive la direzione incondizionata, l’illimitatezza delle direzioni, il numero infinito delle possibili strade, si effondono dalla porta, si gettano fuori dalla vita e dalla limitatezza dell’essere-per-sé determinato. Se nel ponte i momenti della separatezza e del collegamento, si comportano così che il primo appare più come cosa della natura, e il secondo più come cosa dell’uomo, con la porta entrambi nella stessa misura penetrano nel fare dell’uomo, in quanto fare dell’uomo. In ciò si fonda il più ricco e vitale significato della porta nei confronti del ponte, che si svela anche nel fatto che, mentre non fa alcuna differenza in quale direzione si percorra un ponte, la porta indica con l’entrare e l’uscire una totale differenza dell’intenzione27.

Nella filosofia della relazione reciproca di Simmel, come egli stesso afferma, «il ponte mostra come l’uomo riunifichi la suddivisione dell’essere meramente naturale; la porta, come l’uomo divida l’unità uniforme e continua di quest’essere»28. Per Simmel, l’uomo non solo «è l’essere che collega, che sempre deve separare e che senza separare non può unire»29, ma è anche «l’essere-limite, che non ha limite»30. Attraverso le forme di ponte e porta, la cifra ontologica che traduce la complessità plurale e reciproca della condizione umana si gioca tutta nel fatto che per l’uomo-di-Simmel, la determinazione del suo essere-a-casa attraverso la porta significa che egli, dall’ininterrotta unità dell’essere naturale, ha separato un frammento. Ma come l’informale delimitazione diventa una Forma, così la limitatezza di quest’ultima trova il suo senso e il suo valore soltanto in ciò che il movimento della porta rende possibile: nella possibilità di slanciarsi in ogni momento, al di fuori di questo limite, nella libertà31.

26 27 28 29 30 31

Vozza 2002: 65. Simmel 1970: 6 Ivi: 7. Ivi: 8. Ibid. Ibid.

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Parte seconda ____________________________________________ CONFIGURAZIONI DI RECIPROCITÀ SIMMEL E IL PROBLEMA DELLO SPAZIO

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VI La dimensione spaziale dell’azione reciproca La costruzione sociale dello spazio come “a priori logico e percettivo” e come modalità d’esperienza relazionale

Per la comprensione della varietà delle forme di esperienza individuali quotidiane nella modernità societaria – dominata dall’economia monetaria, caratterizzata dall’esistenza metropolitana e profondamente segnata da un’inclinazione “cronofaga” –, la filosofia e la sociologia dello spazio e degli ordinamenti spaziali della società di Simmel sono senz’altro alcune delle “eredità” intellettuali problematicamente più fertili che il filosofo e sociologo di Berlino ha potuto lasciare alla cultura socio-filosofica contemporanea, anche se l’incidenza della sua “lezione” non è stata immediatamente recepita da quest’ultima, che anzi per lungo tempo l’ha addirittura “paradossalmente” ignorata1. Lo stesso Giddens, nel suo progetto di rifondazione dei saperi sociali, pur assegnando «un ruolo centrale alla necessità di riconcettualizzare una serie di questioni relative al cambiamento sociale e al ruolo ricoperto dalle nozioni di tempo e di spazio, e al conseguente sforzo di superamento dei tradizionali confini disciplinari»2, ha di fatto totalmente trascurato le analisi di Simmel – tra l’altro esemplate originalmente nel capitolo IX Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società della Sociologia (1908)3–, che oggi 1

Cfr. Frisby 2001: 124. Di Meglio 2002: 79-80. 3 Cfr. S: 523-599; sulla Soziologie (1908) di Simmel, cfr. il volume di Deroche-Gurcel-Watier 2002. Com’è noto, nel 1903 Simmel ha pubblicato due articoli sulla sociologia dello spazio: Soziologie des Raumes, in “Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volwirschaft im Deutschen Reich”, XXVII, 1/1903: 614-685 e Über räumliche Projektionen sozialer Formen, in “Zeitschrift für Sozialwissenschaft”, VI, 5/1903: 1009-1023. Questi due saggi sono poi sostanzialmente confluiti nel capitolo IX della Soziologie (1908) che comprende anche i tre excursus sulla “limitazione sociale”, sulla “sociologia dei sensi” e sullo “straniero”, intesi tra l’altro come analisi delle varie dimensioni spaziali dell’interazione sociale studiate come 2

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

invece – congiuntamente a quelle filosofiche e sociologiche sviluppate nella sua opera sulla problematica del tempo4 – reclamano ben altra attenzione da parte degli interpreti5. È alquanto significativo, tra l’altro, che i due principali articoli [Soziologie des Raumes e Über räumliche Projektionen sozialer Formen] che confluiscono strutturalmente in questo capitolo sono stati entrambi pubblicati nel 1903, cioè nello stesso anno in cui Simmel consegnerà alle stampe uno dei suoi più celebri saggi: Die Großtädte und das Geistesleben6. Inoltre, com’è noto, Simmel ha dedicato al tema della città storica analizzata dal punto di vista dell’estetica (filosofica e sociologica) urbana i suoi tre importanti saggi su Roma (1898), Firenze (1906) e Venezia (1907)7, che insieme al saggio Estetica sociologica (1896)8 – come osserva Frisby, rivela, tra l’altro, «an interest in the spatial dimensions of social interaction that is subsumed there under the symmetry or asymmetry of urban spaces»9 –, su Le rovine (1911)10, sulla Filosofia del paesaggio (1912-13)11 e alle analisi sviluppate nell’ultimo capitolo (Lo stile della vita) della Filosofia del denaro (1900)12, dimostrano effettivamente come fosse del tutto inevitabile che non soltanto Simmel e la sociologia dello spazio finissero «per incontrarsi»13, ma che la sua stessa filosofia e sociologia dell’esperienza spaziale costituisca ancor oggi un punto di vista di estrema importanza, dal momento che Simmel, in questi saggi, ha interpretato e forme della distanza sociale e come forme della differenziazione sociale, fisica e psicologica [cfr. Frisby 1992b: 103]. 4 Sull’argomento, cfr. D’Avanzo 1990: 35-52; Accarino 1993: 35-58; Cavalli 1993: 73-84; Dal Lago 1994; De Simone 2002b. Proprio Accarino [1993: 38] ha messo lucidamente in evidenza che chi si occupa delle figure del tempo in Simmel «rischia spesso di non afferrare l’oggetto di analisi se non reintegra le determinazioni dello spazio». Per l’analisi delle dimensioni antropologico-sociologiche ed etico-politiche relative alla coppia spazio/tempo in Simmel, cfr. inoltre Accarino 1982b (in particolare cap. I). 5 Tra i contributi recenti sulla sociologia dello spazio di Simmel, cfr. Lechner 1991: 195201; Frisby 1992b: 98-117; Strassoldo 1992: 319-337; Dal Lago 1994: 201 sgg.; Mandich 1996: 36-51 e 93-99; Borden 1997: 313-335; Atoji 1999: 1-8; Frisby 2001: 124-130; JonasWeidmann 2006. Sul rapporto tra sociologia dello spazio e morfologia sociale in Simmel, cfr. Haroche 2002: 145-157. 6 Cfr. Simmel 1995c (d’ora in poi MVS) . Sull’analisi simmeliana della metropoli, rinvio il lettore a De Simone 2002b: 91-148 (ivi bibliografia); cfr. inoltre Rémy 1995 e Frisby 2001: 100-158. 7 Cfr. Simmel 1973: 188-197. Per un loro commento, cfr. De Simone 2002a: 189-198. 8 Cfr. la tr. it. integrale (con commento) di V. Mele, in De Simone 2004b. 9 Frisby 2001: 124. 10 Cfr. Simmel 1985b: 108-114. Per il relativo commento, cfr. De Simone 2002a: 181188. 11 Cfr. Simmel 1985a: 71-83. 12 Cfr. FD: 607-718. 13 Mandich 1996: 37.

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LA

DIMENSIONE SPAZIALE DELL’AZIONE RECIPROCA

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spiegato molto bene in primo luogo «il nesso tra esperienza dello spazio e alcune dimensioni importanti del mondo moderno (intellettualità, razionalismo, economia monetaria) anticipando concetti come quello di disembedding, di separazione dello spazio dal luogo»14 che la sociologia contemporanea ha in tempi recenti cominciato a sviluppare criticamente15. In secondo luogo, tutta la sociologia di Simmel è rivolta pervasivamente verso la comprensione delle forme dell’azione reciproca degli individui e, in quanto tale, essa «ci invita a riempire di contenuti diversi la pluralità delle configurazioni spaziali»16, che poi di fatto ritroviamo ne Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società. Infine, come osserva Mandich, la definizione simmeliana dello spazio «come a priori logico e percettivo, permette di considerare questa dimensione non come qualcosa di cui si fa esperienza, ma come un modo di fare esperienza»17. Dunque, lo spazio non è mai unicamente un aspetto oggettivo, ma, come sostiene Simmel, considerato in relazione a determinate funzioni specificamente psichiche e a peculiari sue configurazioni storiche, esso è «un’attività dell’anima» [S: 524], ovvero è nel contempo «condizione e simbolo dei rapporti tra gli uomini»18. Nell’approccio sociologico simmeliano rivolto allo studio delle forme sociali e ai processi che rendono possibile ed esprimono la Vergesellschaftung, la centralità della dimensione spaziale come modalità dell’esperienza è continuamente ed esplicitamente ribadita dalle «metafore topologiche»19 che lo stesso Simmel impiega, tra l’altro, anche nel capitolo su Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, nonché in altre sue opere. È noto come Simmel abbia analizzato soprattutto lo stile di vita moderna particolarmente in relazione a due variabili, lo spazio e il tempo20, chiedendosi quale fosse la loro influenza. Egli, tuttavia, «non tratta lo spazio e il tempo come variabili quantitative o fisiche, ma come metafore, ovvero come costruzioni sociali, con le quali gli individui si fanno un’immagine del loro mondo esterno e, attraverso di esse, un’immagine del loro mondo interno»21. In particolare,

14

Ibid. Sull’argomento dello spazio sociale, congiuntamente all’analisi sulle dinamiche della socialità contemporanea, tra gli altri, cfr. Giaccardi-Magatti 2003: 34 sgg., dove non mancano puntuali e significativi riferimenti al pensiero di Simmel. 16 Mandich 1996: 37. 17 Ivi: 38. 18 Ibid. 19 Cfr. Dal Lago 1994: 201. 20 Per la riflessione sulle complesse e variegate “figure del tempo” presenti nell’opera simmeliana, cfr. le indicazioni bibliografiche riportate sopra nella nota n. 4. 21 Nedelmann 1993a: 122. 15

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

«la costruzione sociale dello spazio, aiuta gli individui a rappresentarsi la loro relazione con il mondo sociale in termini spaziali, per esempio nei termini d’una distanza più o meno grande tra sé e gli altri attori sociali»22. Sul ruolo che Simmel assegna a categorie e metafore spaziali nella Sociologia è necessario comunque precisare quanto segue. In primo luogo (i), come ha osservato Dal Lago: «Se il problema dello spazio ha una funzione centrale nella grande filosofia moderna da Leibniz a Kant, sia come luogo matematico sia come luogo metafisico, l’affermazione delle filosofie della storia nel XIX secolo (con l’interesse dominante per l’esperienza temporale) relega il problema dello spazio ai margini del dibattito filosofico (fino alla ripresa d’interesse da parte della fenomenologia). Ora, nella Sociologia Simmel si ricollega proprio a Kant e Leibniz; da Kant trae sia l’idea che lo spazio è il luogo della coesistenza, e quindi una dimensione fondativa della società, sia che lo spazio è la dimensione percettiva per eccellenza (fondamentale per una sociologia dei “sensi”); dalla metafisica di Leibniz deriva invece il principio della relatività di spazio e tempo, della loro reciproca implicazione. È così che Simmel può definire lo “spazio” come una dimensione “per noi” che viene riempita dall’azione sociale»23. Ciò detto, occorre aggiungere che la stessa definizione della sociologia come “geometria della vita sociale” rende simmelianamente «in un certo senso “naturale” che lo spazio assuma un ruolo importante nel costituirsi delle forme sociali»24. Pertanto, il linguaggio dello spazio e quello della società «sembrano in molti momenti sovrapporsi»25. Non v’è dubbio, quindi, che la sociologia “formale” di Simmel ponga nella giusta rilevanza ed evidenza la dimensione spaziale perché proprio lo spazio è un elemento importante attraverso il quale si possono comprendere «quei processi di “addensamento” del fluire incessante della vita in forme sociali»26. L’esperienza dell’interazione umana avviene in differenti modi nello spazio, la cui caratteristica saliente è proprio quella di essere un a priori logico e percettivo capace di influenzare considerevolmente le forme della vita sociale. Lo spazio «non è “di per sé”, una forma, ma produce forme nello strutturare i rapporti di interazione. Qualunque sia il contenuto di questi rapporti (economico, affettivo, politico) a partire dallo spazio si definisce una specificità del rapporto di interazione. Le forme spaziali sono quindi quelle configurazioni

22 23 24 25 26

Ibid. Dal Lago 1994: 202. Mandich 1996: 38. Ibid. Ibid.

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LA

DIMENSIONE SPAZIALE DELL’AZIONE RECIPROCA

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di relazioni sociali che trovano nello spazio la loro concretizzazione»27. Definendo lo spazio come un a priori logico e percettivo, Simmel inizialmente non può non ricollegarsi alla teoria kantiana dello spazio, alla quale peraltro egli aveva già espressamente dedicato la 6ª delle sue lezioni berlinesi su Kant nel semestre invernale 1902-190328. Per l’autore della Critica della ragion pura, spazio e tempo sono forme dell’intuizione, ovvero modi a priori mediante i quali noi abbiamo accesso al mondo sensibile. Seguendo i principi dell’estetica trascendentale kantiana29, Simmel rintraccia la qualità fondamentale dello spazio in quanto a priori proprio nella sua valenza e capacità relazionale. Scrive Simmel: «Kant definisce una volta lo spazio come “la possibilità dell’essere insieme”, ed esso corrisponde anche sociologicamente a questa definizione, in quanto l’azione reciproca fa sì che lo spazio, prima vuoto e nullo, divenga qualcosa per noi, e riempie lo spazio in quanto lo spazio la rende possibile» [S: 525]. Oltre Kant, tuttavia, Simmel aggiunge che «l’associazione ha creato, nei diversi modi di azione reciproca tra gli individui, altre possibilità di essere insieme in senso spirituale»; pertanto Simmel si chiede, nell’interesse della fondazione delle forme di associazione, «quale sia il significato che le condizioni spaziali di un’associazione rivestono per la sua determinatezza sotto altri aspetti e per i suoi sviluppi sotto il profilo sociologico» [ibid.]. A differenza di quelli kantiani, gli a priori di Simmel «non sono affatto universali e

27 Ivi: 38-39. A giudizio di Lechner [1991: 196], Simmel «counsels against spatial determinism; space functions as a context for action, but in principle it is only a wirkungslose Form. The practically inevitable spatial embeddedness of social configurations should not be confused with the actual causes of social processes. And yet, while he shows how space is in some ways socially formed, he does not treat space as simply a social construct. It retains a reality of its own. Simmel’s overall position, then, lies somewhere between spatial determinism and social constructionism». 28 Cfr. Simmel 1999: 133-142. 29 Simmel, come osserva Giacomini [1999: 79], «rileggendo la prima Critica, intende lo spazio (Raum) non “come un immenso contenitore in cui le cose sarebbero poste, quasi mobili in una stanza”, quanto piuttosto come quella funzione della coscienza che, dando una certa forma alle sensazioni, le converte in intuizioni. In questo senso, a rigore, l’espressione “intuizione spaziale” rappresenterebbe una “tautologia”: intuire significa infatti, propriamente, disporre le sensazioni secondo un ordine peculiare “che non si può descrivere, ma solo vivere, e che noi definiamo spazialità”. È solo in virtù di tale ordine che è possibile distinguere tra “interno” e “esterno” e, perciò stesso, tra “coscienza” e “mondo”. Allo stesso modo in cui, sul piano conoscitivo, lo spazio non produce un certo modo di percepire gli oggetti, ma è questo stesso modo, anzi è la forma grazie alla quale un insieme di sensazioni può dar luogo ad oggetti, altrettanto l’associarsi ha come condizione e non causa il rapporto spaziale tra gli uomini».

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

atemporali, ma variabili nel tempo e nello spazio»30. Nello specifico, per ciò che concerne l’a priori spaziale, questa peculiare determinazione si spiega «a partire da una serie di caratteristiche dello spazio che si configurano come costanti antropologiche»31.

30 31

Mandich 1996: 39. A tal proposito, cfr. Boudon 1989 e Kaern 1990. Mandich 1996: 39.

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VII Le qualità fondamentali della forma spaziale

Le «qualità fondamentali della forma spaziale»1 con cui le configurazioni della vita di comunità «devono fare i conti» [S: 525], sono cinque in tutto2 e sono da Simmel così enumerate3. La prima (a) è l’esclusività, essa indica

1 Simmel, com’è noto, distingue (nella Soziologie) da un lato «le qualità fondamentali della forma spaziale», che constano di cinque principi (aspetti, qualità, condizioni): a) esclusività dello spazio, b) chiusura e limitazione, c) fissazione e stanziamento nello spazio, d) vicinanza-lontananza, e) mobilità. Dall’altro, le “configurazioni spaziali”, che «risultano dalla proiezione dei processi sociali sullo spazio; Simmel ne indica alcune, alla stregua di idealtipi weberiani: 1) le configurazioni spaziali che derivano da principi di organizzazione politica ed economica; 2) quelle che derivano da rapporti di potere a livello locale: emergenza di centri di potere, suddivisione e integrazione dello spazio; 3) le porzioni di spazio socialmente modificato e strutturato che esprimono legami sociali, e di cui la fattispecie più importante è la casa; 4) gli spazi vuoti o liberi, come espressione di non-appartenenza ad alcuna “parte sociale”, e spesso come garanzia di neutralità, sicurezza, protezione; ma anche spazio di incontro e di scambio» [Strassoldo 1992: 324]. Secondo Strassoldo, la distinzione simmeliana tra “qualità fondamentali della forma spaziale” e “configurazioni dello spazio” «rimane poco chiara, anche per le oscillazioni lessicali. La distinzione non può essere riformulata in termini di rapporti causali tra variabili: le “qualità” non sono le situazioni in cui lo spazio appare come una variabile dipendente, né le “configurazioni” sono un “effetto di fattori spaziali” considerati come variabili indipendenti; esse sono piuttosto esprimibili nei termini, così diffusi nella letteratura socio-territoriale ma ancora vaghi, di “proiezione”. Le qualità spaziali sono piuttosto condizioni costitutive, accanto ad altre, che non fattori in senso causale; le configurazioni sono insieme parte delle istituzioni sociali e loro espressione simbolica (ad es. la casa)» [ivi: 325]. Per Konau [1977: 47], invece, la distinzione simmeliana tra qualità fondamentali dello spazio e configurazioni spaziali più che un modello teorico sembra una periodizzazione storico-evolutiva. 2 Per la quinta, cfr. il commento nel cap. XII (v. infra). 3 Attraverso la loro enunciazione, come osserva Frisby [1992b: 104], ciò che Simmel «wishes to demonstrate is that it is social interaction which makes what was previously empty and negative into something meaningful for us. Sociation fills in space». Lo spazio, simmelianamente, come ribadisce anche Mandich [1996: 39], in quanto ambito della coesistenza sociale «è il luogo che fonda la società, traduce, incarna i fenomeni sociali. Modalità di interazione, sentimenti, tipi di associazione, riempiono in diversi modi lo spazio».

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SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

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il fatto che «ogni punto dello spazio non può che essere considerato unico per chi vi accede»4. Come scrive Simmel: C’è soltanto un unico spazio generale, di cui tutti gli spazi particolari costituiscono pezzi, e così ogni parte di spazio ha una specie di unicità per la quale non esiste praticamente analogia. Concepire al plurale una parte di spazio localizzata in modo determinato è un contro-senso completo, e proprio questo rende possibile che di altri oggetti possa sussistere al tempo stesso una pluralità di esemplari completamente identici: infatti soltanto per il fatto che ogni oggetto occupa una parte diversa di spazio, e nessuna può mai coincidere con un’altra, essi sono più, benché le loro qualità siano assolutamente indistinguibili. Questa unicità dello spazio si comunica quindi agli oggetti in quanto essi vengono rappresentati semplicemente come riempienti uno spazio, e ciò diventa molto importante per la pratica in quegli oggetti di cui di solito sottolineiamo e utilizziamo il significato spaziale [S: 525-526].

Questa prima peculiare caratteristica dello spazio, di per sé soltanto apparentemente non rilevante, è invece considerata da Simmel molto importante perché ci consente di percepire i fenomeni e di identificare gli oggetti nella loro precipua collocazione spaziale. Indicando l’unicità di ogni punto spaziale, questa caratteristica dell’esclusività traduce di fatto le diverse modalità che gli individui hanno di entrare in relazione con lo spazio. Simmel individua e descrive due tipi puri di formazioni sociali che possono essere definibili mediante la loro relazione con lo spazio proprio sulla base dell’esclusività o unicità di esso. Il primo è rappresentato dalle formazioni spaziali, ossia da quelle particolari forme sociali che si identificano con «una determinata estensione di territorio» [ivi: 526]: nella fattispecie, la modalità relazionale che viene ad essere stabilita con lo spazio «non si pone come semplice possibilità, ma come solidarietà concreta e dichiarata con lo spazio»5. Infatti, precisa Simmel, «nella misura in cui una formazione sociale è fusa o, per così dire, solidale con una determinata estensione di territorio, essa presenta un carattere di unicità o di esclusività che non può essere conseguito in altra maniera. Certi tipi di relazioni possono realizzarsi secondo tutta la loro forma sociologica soltanto quando, entro il campo spaziale che viene riempito da uno dei loro esemplari, non vi è posto per un secondo» [S: 526]. Non soltanto ogni spazio è unico per chi vi può accedere, ma anche «ogni determinato spazio sociale è oggetto di diverse pretese, di contese e

4 5

Mandich 1996: 43. Ibid.

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LE

QUALITÀ FONDAMENTALI DELLA FORMA SPAZIALE

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di conflitti, oppure di monopolio»6, come nel caso dello stato, che è il tipo puro par excellence di formazione spaziale. Di fatto, «il tipo di relazione tra gli individui che lo stato crea, o che crea lo stato, è talmente collegato con il territorio che un secondo stato contemporaneo sul medesimo territorio è un concetto impensabile» [S: 526]. Il secondo tipo è costituito «dalle formazioni sovra-spaziali, che per il loro senso interno non hanno alcuna relazione con lo spazio, ma proprio per questo hanno una relazione uniforme con tutti i suoi punti particolari» [ivi: 528]: il tipo più puro ed esemplificativo è quello della chiesa, il cui principio «è non spaziale e quindi, pur estendendosi al di là di ogni spazio, non esclude da nessuno spazio una formazione eguale» [ibid.]. Entro ciò che è spaziale, la differenza tra i due tipi puri (chiesa e stato) rinvia parallelamente, secondo Simmel, «all’antitesi temporale tra eterno e atemporale»: mentre il primo «è proprio un concetto di tempo, cioè di un tempo senza fine e ininterrotto», il secondo «non è toccato, per sua essenza, dal problema dell’adesso o del prima o del dopo, ed è quindi accessibile o presente a ogni momento temporale» [ibid.]. Tra questi due tipi puri (chiesa e stato) s’inseriscono «fenomeni intermedi», come ad esempio la città. Tuttavia, anche l’esclusività che perviene alla città rispetto ai confini del suo territorio, «non è altrettanto assoluta quanto quella dello stato», perché, precisa Simmel, «l’ambito di importanza e di efficacia di una città – all’interno di uno stato – non termina al suo confine geografico, ma si estende in maniera più o meno percepibile, con riflessi spirituali, economici, politici, a tutto il paese, in quanto l’amministrazione generale dello stato fa sì che le forze e gli interessi di ogni parte si intreccino con quelli della totalità» [ibid.]7. La seconda (b) qualità dello spazio «che influisce in maniera essenziale sulle azioni sociali reciproche» [ibid.] è l’esistenza di confini, o detto altrimenti, come suggerisce Dal Lago mutuando un’espressione tratta dall’antro-

6

Dal Lago 1994: 203. Per Simmel, dunque, secondo quanto commenta riassuntivamente al riguardo Frisby [2001: 126], «every part of space possesses an exclusiveness or uniqueness. Particular social formations may be identified in different ways with particular spaces, such as states or districts of cities. Interaction between individuals and groups in states is closely identified with a specifically demarcated territory, whereas the city’s “sphere of significance and influence” extends through various differentiated functional “waves” – economic, cultural, political – into the hinterland. Indeed, within the city there has often been a functional rather than a quantitative filling out of space, as in the medieval city with its differentiated guilds or corporations. In modern cities, the zoning of areas for designated functions is only one relatively late development of the process of spatial power designation that creates inside and outside within the metropolis itself». 7

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pologia, la “liminalità”8. Ora, che la “questione del confine” sia «il terminale nervoso dell’intelletto simmeliano»9, è un nodo problematico di tutta l’opera simmeliana oggi ampiamente riconosciuto dagli interpreti. E ciò, come ha rilevato criticamente Desideri, «non solo oggettivamente. Ovvero non solo perché l’opposizione costitutivamente ultima del pensiero simmeliano, quella tra vita e forme, è riconfigurabile come una questione di confini; di confini che si spostano continuamente, lasciando affluire e defluire la vita (la possibilità di significazione, si potrebbe dire) dalle forme; ma anche di confini che si consolidano, quasi che la configurazione moderna del rapporto vita/forme avesse sospinto in superficie il limite metafisico da cui esso si genera e bloccato in tragica polarità il suo permanente carattere conflittuale. Tanto più che del conflitto in generale, in tutte le configurazioni che il termine assume, il confine è il luogo stesso (sia della sua genesi che della sua interna fenomenologia)»10. Ma pure soggettivamente, perché lo stesso pensiero simmeliano, nel suo peculiare stile, «è esplicabile come un processo di Abgrenzung, di delimitazione», ossia un processo che si caratterizza in funzione delle «due principali modalità in cui si presenta il suo porre domande: quella genetica e quella trascendentale»11. Ne Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, Simmel, spiegando come la delimitazione spaziale del gruppo sociale contornata da confini contribuisca a definire il campo dell’interazione al suo interno, perviene, “analogicamente”12 con il mondo dell’opera d’arte, all’uso del concetto di “cornice”13, ormai assunto come un concetto rilevante dalla sociologia contemporanea14. Nella Sociologia, Simmel definisce la cornice «il confine in sé concluso di una formazione» [S: 529], sostenendo che «ha per il gruppo sociale un’impor-

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Ibid. Desideri 1993: 105. 10 Ibid. 11 Ibid. 12 Simmel – come ha osservato Vozza [1988: 80] – «è l’uomo delle analogie, colui che coglie il rapporto tra gli oggetti, ne rivela le uniformità ma non trascura le differenze, volge il suo sguardo alla policromia del mondo fenomenico senza riprodurre nell’immagine del significato, l’essenza del fenomeno – come farebbe un filosofo della similitudine». Sull’argomentare per analogia (Analogieverfahren) di Simmel, cfr. anche Kracauer 1982: 40. 13 Il richiamo analogico alla funzione ornamentale della cornice come principio di tipizzazione-standardizzazione culturale moderna tra arte e decorazione, si è originariamente sviluppato, com’è noto, nel breve ma celebre saggio La cornice apparso su “Der Tag” nel 1902, che Simmel dedicò all’argomento [cfr. Simmel 1985a: 101-108]. Per un suo commento, cfr. De Simone 2002b: 243-247. Una lettura “sociologica” e non solo estetica del saggio simmeliano su La cornice è stata recentemente compiuta da Nedelmann 1999: 137-141. 14 Cfr. Dal Lago 1994: 203. 9

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tanza molto simile a quella che ha per un’opera d’arte» [ibid.]. Essa esercita «le due funzioni che sono propriamente soltanto i due aspetti di un’unica funzione, cioè di delimitare l’opera d’arte rispetto al mondo circostante e di chiuderla in se stessa; la cornice proclama che al suo interno si trova un mondo soggetto soltanto a norme proprie, che non è inserito nelle determinatezze e nei movimenti del mondo circostante; simboleggiando l’unità autosufficiente dell’opera d’arte, essa rafforza al tempo stesso la sua realtà e la sua impressione» [ibid.]. Per analogia, così, «una società, per il fatto che il suo spazio esistenziale è compreso in confini ben consapevoli, è caratterizzata come una società coerente anche interiormente, e viceversa: l’unità dell’azione reciproca, la relazione funzionale di ogni elemento con ogni altro, acquista la sua espressione spaziale nel confine che incornicia» [ibid.]. Gli interpreti contemporanei15 non hanno mancato di rilevare forti ed implicite analogie tra il concetto simmeliano di “confine” e quello di “frame” in Goffman (Frame Analysis. An Essay on the Organization of Experience, 1974)16. Da questo punto di confronto, emerge come, per Goffman, «il “frame” è un principio di organizzazione dell’esperienza, è un modo di ritagliare la

15

Cfr. tra gli altri Dal Lago 1994: 203 e 212-216. Cfr. Goffman 2001. Sull’influenza di Simmel nelle opere di Goffman, cfr. Burns 1997 e Vandenberghe 2001. In particolare, Trifiletti [1991: 78-79] ha definito Simmel una fonte non abbastanza indagata del pensiero goffmaniano. Secondo l’autrice «al di là della generica presenza di Simmel nel panorama culturale della sua formazione, il legame d’influenza Simmel-Goffman sembra più saldo e più specifico. I critici di Goffman hanno per lo più teso a sottolineare gli aspetti riconoscibili di somiglianza e di parallelismo con l’opera di Simmel […] nel carattere asistematico e disperso delle due teorizzazioni, nel loro destino di incomprensione, nel modo apparentemente disordinato e foisonnant della argomentazione e, da ultimo, nella passione dei due autori per stanare la possibilità di comprendere ovunque sia possibile intravederle, anche a costo di non riflettere abbastanza sulla coerenza di ciò che si sostiene. Quello che probabilmente non è stato sottolineato abbastanza, è che costruzione dispersa della teoria e modo argomentativo impressionistico basato sulla analogia e su una varietà di osservazioni apparentemente disparate, sono aspetti che rimandano ad una precisa concezione del processo della conoscenza e della conoscibilità del sociale. È precisamente questo che mi sembra l’ambito più centrale di una influenza di Simmel su Goffman; anche se non immediatamente evidente dal momento che questa concezione è in Goffman largamente implicita». Sul rapporto Simmel-Goffman si intrattengono anche – nel loro “ritratto d’autore” dedicato a Goffman – Faccioli-Pitasi [2000: 392-448, ivi bibliografia]. Una ricostruzione e considerazione sinergica nella storia del pensiero sociologico dei contributi di Simmel e di Goffman (ivi compreso quello di Habermas) è quella perseguita da Mora [1994], secondo la quale «Simmel ha prefigurato l’orizzonte riflessivo della società e ne ha colto la natura interattiva e comunicativa, mentre Goffman ha studiato le interazioni faccia a faccia come interazioni comunicative in cui gli attori cercano un accordo operativo per il buon funzionamento della situazione sociale in atto» [ivi: 29]. Sulla ricezione critica e storiografica in Italia del pensiero e dell’opera di Goffman, cfr. Straniero 2004. 16

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realtà per interpretare il senso degli avvenimenti»17; mentre, per Simmel, il “confine” contribuisce «a dare senso a ciò che racchiude, attraverso la delimitazione dello spazio»18. In Simmel, il concetto di confine, anzi, più specificamente di “limite”, è estremamente importante in tutti i rapporti reciproci tra gli uomini, «anche se il suo senso non è sempre sociologico» [S: 530]. A questo proposito Simmel è molto esplicito: «Il limite non è un fatto spaziale con effetti sociologici, ma è un fatto sociologico che si forma spazialmente» [ivi, p. 531]19. La sua intenzione consiste nel sottolineare e porre in evidenza la «potenza formativa della connessione sociale», ovvero «la natura sociale delle delimitazioni spaziali»20. Lo spazio, di per sé non continuo, viene delimitato “soggettivamente” da confini che non sono mai assoluti: questa delimitazione reciproca «costituisce soltanto, più profondamente, la cristallizzazione o spazializzazione dei processi di delimitazione psichica che sono i soli reali» [S: 531]. Tutto ciò, però, non nega l’ulteriore possibilità che «la posizione di confini in ogni caso psicologici trovi un’agevolazione e un’accentuazione in quelle limitazioni naturali del territorio; anzi, in virtù della sua superficie lo spazio garantisce spesso suddivisioni che colorano in maniera singolare le relazioni degli abitanti tra di loro e con i soggetti che stanno al di fuori» [ivi: 530]. L’esempio molto noto, addotto da Simmel, è quello degli abitanti delle montagne «con la loro caratteristica congiunzione di senso della libertà e di conservatorismo, di rudezza nel comportamento reciproco e di attaccamento appassionato al suolo, che tuttavia crea tra loro un legame eccezionalmente forte» [ibid.]. Per Simmel, dunque, tracciare dei confini, delimitare spazialmente un gruppo è «un’attività importante ai fini della definizione dell’interazione al suo interno»21: così come la cornice nella sua prestazione deve «delimitare l’opera d’arte rispetto al mondo circostante e chiuderla in se stessa», allo stesso modo la complessa rete di relazioni reciproche che costituiscono una società,

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Mandich 1996: 45. Ibid. 19 Nell’excursus sulla “limitazione sociale” [cfr. S: 531-534], Simmel tra l’altro afferma che «ogni limite è un avvenimento psichico, più esattamente sociologico; ma quando questo viene tradotto in una linea nello spazio, il rapporto di reciprocità acquista, nei suoi aspetti positivi e negativi, una chiarezza e una sicurezza – spesso certo anche un irrigidimento – che solitamente gli rimangono negate finché l’incontrarsi e il dividersi delle forze e dei diritti non è ancora proiettato in una configurazione sensibile, e quindi permane per così dire allo status nascens». 20 Mandich 1996: 45. 21 Ivi: 148. 18

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riceve morfologicamente la sua peculiare “espressione spaziale” nel confine che la incornicia. Diversamente, i processi di disembedding e distanziamento «rendono incerta e precaria la delimitazione dello spazio attraverso i confini»22. Pertanto, lo spazio, in questi casi, «si presenta come un insieme di flussi e di interconnessioni, un ibrido, in cui si confondono e si mescolano elementi diversi»23. La “permeabilità” dei confini, ovvero il fatto che essi possano costituire sempre meno delle “cornici chiuse”, dei confini e dei limiti ben definiti e delineati, è sottolineato esplicitamente dallo stesso Simmel nel suo saggio sulla metropoli, dove egli – tra l’altro – pone in evidenza come «le forme spaziali nella società moderna occupano lo spazio in modo funzionale piuttosto che sulla base dell’esclusività. Per questo la delimitazione dello spazio attraverso i confini è meno netta e definita. La città è un “oggetto spaziale” dai confini permeabili»24. La rilevanza di una metropoli non si esaurisce nei suoi meri confini geografici, ma coinvolge su scala globale, oltre che locale, lo spazio culturale, economico, sociale e politico nel quale essa proietta il suo campo d’azione. Come scrive lo stesso Simmel: Per la metropoli […] è decisivo il fatto che la sua vita interiore si espande in onde concentriche su di un’ampia area nazionale o internazionale […]. L’essenza più significativa della metropoli sta in questa grandezza funzionale che trascende le sue frontiere fisiche: la sua efficacia si riflette sulla sua vita e le dà peso, rilievo, responsabilità. Come un uomo non si esaurisce nei confini del suo corpo o dello spazio che occupa immediatamente con le sue attività, ma solo nella somma degli effetti che si dipanano a partire da lui nel tempo e nello spazio, allo stesso modo anche una città esiste solo nell’insieme degli effetti che vanno oltre la sua immediatezza. Solo questo rappresenta il vero volume in cui il suo essere si esprime [MVS: 50-51].

La terza caratteristica (c) sociologica dello spazio per le configurazioni sociali considerata da Simmel è la «fissazione» [S: 536], per cui «le grandi organizzazioni sociali non direttamente spaziali (come la Chiesa, e in generale le religioni sopranazionali) devono disporre di un centro o luogo di riferimento fisso (Roma o la Mecca)»25. Simmel prende in considerazione molteplici aspetti del principio di fissazione. Una prima significatività sociologica della fissazione nello spazio può essere rappresentata dal fatto che «un gruppo o un insieme di individui 22

Ibid. Ibid. 24 Ibid. 25 Dal Lago 1994: 203. 23

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possano essere completamente fissati o indeterminabili rispetto allo spazio influenza la struttura delle loro relazioni»26. L’esempio che a tal proposito fa Simmel è quello relativo alle costituzioni di gruppi nomadi o di gruppi stabilmente insediati. In questo caso, in situazioni molto consolidate, la fissazione funge da sostituto «di parecchi regolamenti e controlli legali» [S: 537]. In altri termini, nella struttura del legame sociale del gruppo «quanto più primitiva è la costituzione spirituale, tanto meno può esserci per essa un’appartenenza senza presenza locale, e tanto più anche i rapporti reali sono corrispondentemente strutturati in base a questa presenza personale dei membri del gruppo» [ibid.]. Diversamente, con la progressiva affermazione dell’economia monetaria e della divisione del lavoro, «una “rappresentanza” sempre più vasta delle prestazioni immediate rende in larga misura superflua la presenza degli individui» [ibid.]. Una seconda significatività sociologica della fissazione nello spazio è quella che Simmel definisce mediante l’espressione simbolica del «centro di rotazione» [ibid.]. In generale, «il significato di centro di rotazione di una relazione sociologica spetta alla località fissata ovunque il contatto o l’unione di elementi, altrimenti indipendenti l’uno dall’altro, può avvenire soltanto in un posto determinato» [ivi: 539]. Un esempio significativo di questo fenomeno, che «rappresenta propriamente un’azione reciproca tra la determinatezza sociologica interiore e quella spaziale» [ibid.], è rappresentato dalla chiesa, che in particolare nei periodi di diaspora costituisce «una stazione stabile per la cura delle anime in tutti i luoghi in cui viva anche solo il più piccolo numero di aderenti all’interno di un distretto» [ibid.]. In questo caso, questa fissazione locale «diventa un centro di rotazione per le relazioni e la coesione dei fedeli, cosicché non soltanto si sviluppano forze religiose comunitarie al posto di forze semplicemente isolate, ma le forze che irradiano da un tale centro visibile ridestano nuovamente la coscienza dell’appartenenza anche in quei membri della confessione i cui bisogni religiosi sono stati a lungo sopiti nel loro isolamento. In questo la Chiesa cattolica è di gran lunga superiore a quella evangelica» [ibid.]. Simmel ribadisce che la forma spaziale altro non è che la traduzione della forma sociologica delle relazioni spirituali e sociali e che il centro di rotazione spaziale è la forma spaziale che comunque assume «il centro di rotazione sociologico» [ivi: 540]. Di fatto, vi sono particolari relazioni sociali che hanno un centro stabile intorno al quale circolano interessi e discorsi, mentre ve ne sono altre che invece si ordinano semplicemente mediante la successione temporale. Simmel esemplifica questo tipo di relazioni ricor26

Mandich 1996: 46.

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dando la specifica forma sociologica che si concretizza spazialmente nel rendez-vous, la cui determinatezza locale «è caratterizzata dal linguaggio con il doppio senso della parola: essa definisce tanto l’incontro in sé quanto il luogo» [ibid.]. Infatti, l’essenza sociologica del rendez-vous «consiste nella tensione tra il carattere puntuale e la fuggevolezza dell’avvenimento da un lato, e la sua fissazione spazio-temporale dall’altro» [ibid.]. Secondo Simmel, dunque, «la mobilità influisce sulla temporalità quotidiana. Le implicazioni temporali di questo modo di entrare in relazione attraverso lo spazio, sono molto importanti: essa si lega al prevalere della momentaneità, del tempo presente nell’esperienza individuale. Si sviluppano quindi le modalità temporanee della fissazione spaziale (lo spazio non è più importante come contenitore della durata), come il rendez-vous, il punto di incontro. È proprio la dimensione temporale della mobilità (temporaneità, fuggevolezza) a connotare in modo specifico le relazioni con gli altri. La durata attesa di una certa relazione ha delle conseguenze sulle caratteristiche della relazione, anche se la direzione in cui questi elementi agiscono non si può certo ricavare esclusivamente dalla quantità temporale di per sé ma dipende dall’insieme delle circostanze»27. La mobilità come modalità specifica di esperienza spaziale attraverso cui si concretizzano le possibilità di relazione con gli altri, costituisce simmelianamente l’essenza caratteristica della modernità, in cui l’economia monetaria determina in forme sempre più ambivalenti un flusso esperienziale incessante e una progressiva accelerazione dei ritmi vitali, del movimento, della differenziazione, delle migrazioni da luogo a luogo (v. infra, cap. XII) . L’ulteriore e terza significatività sociologica della fissazione dello spazio ritenuta da Simmel è quella che corrisponde all’«individualizzazione del luogo» [S: 541]. Ad esempio, osserva l’autore della Sociologia, non è «un fatto esteriore indifferente che le case cittadine nel Medioevo fossero in generale, e spesso ancora fino al secolo XIX, indicate con un nome proprio» [ibid.]. Diversamente, in altri casi, il criterio di individuazione viene operato mediante criteri astratti, cioè attraverso il numero. Tuttavia, precisa Simmel, «nella differenza tra il nome individuale e il semplice numero della casa si esprime una diversità nel rapporto del possessore e dell’abitante con essa, e proprio perciò con il suo ambiente. Determinatezza e indeterminatezza della designazione sono qui mescolate in misura del tutto caratteristica. La casa contraddistinta con il nome proprio deve dare a quelle persone una sensazione di individualità spaziale, l’appartenenza a un punto spaziale qualitativamente stabilito; con il nome, che era associato alla rappresentazione 27

Ivi: 146.

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della casa, questa costituisce in misura molto maggiore un’esistenza per conto proprio, colorata individualmente, e ha per il sentimento una forma superiore di unicità che non nel caso di una designazione mediante numeri, che si ripetono uniformemente in ogni strada e tra i quali sussistono soltanto differenze quantitative» [ibid.]. Nei processi di individuazione spaziale, tuttavia, «i numeri, con tutta la loro indifferenza e astrattezza di numeri ordinali, significano però una determinata posizione nello spazio, cosa che non è possibile al nome proprio della località» [ibid.]. Questa differenza nei modi di denominazione esprime in particolare nella sfera spaziale «una completa antitesi di posizione sociologica del singolo»28. Scrive Simmel: L’uomo individualista, con la sua fissazione qualitativa e l’assenza di interscambiabilità dei suoi contenuti di vita, si sottrae proprio perciò all’inserimento in un ordine valido per tutti, in cui egli avrebbe un posto saldamente prevedibile in base a un principio generale. Dove viceversa l’organizzazione del tutto regola la prestazione dell’individuo secondo uno scopo non posto in lui, la sua posizione deve venir fissata in base a un sistema esterno a lui stesso; non già una norma interna o ideale, bensì il rapporto con il tutto determina questa posizione, la quale viene perciò stabilita nella maniera più appropriata mediante un ordinamento numerico [S: 542].

La quarta (d) dimensione sociale dello spazio, che contraddistingue un determinato tipo di rapporti esteriori, che si trasformano nella validità e significatività di azioni sociologiche reciproche, è rappresentata dal nesso vicinanza-lontanaza, e quindi dall’esistenza o meno di quelle modalità di relazione nello spazio che producono situazioni di contatto tra gli individui e che influiscono sul carattere delle relazioni tra le parti sociali. «Due unioni – scrive Simmel –, tenute insieme in linea di principio dai medesimi interessi, dalle medesime forze, dai medesimi modi di sentire, muteranno il loro carattere a seconda che i loro partecipanti siano in contatto spaziale o separati tra loro; e ciò non soltanto nel senso ovvio di una differenza delle relazioni complessive – poiché a quel rapporto se ne aggiungono altri, internamente indipendenti da esso e intrecciatisi per effetto della vicinanza corporea – ma anche nel senso che il primo, sia pure possibile anche a distanza, viene tuttavia essenzialmente modificato dalle azioni reciproche fondate sullo spazio» [ivi: 545]. Vicinanza e distanza, dunque, definiscono quelle peculiari modalità di relazione nello spazio che influiscono sul carattere delle associazioni: cioè,

28

Ivi: 47.

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«le relazioni in assenza e in presenza»29. Infatti, Simmel distingue «le associazioni e le società per il loro diverso rapporto con lo spazio, cioè per le diverse possibilità/capacità di distanza e necessità di vicinanza»30; inoltre fa esplicito riferimento alle forme di coordinamento spaziale delle diverse società. Nello specifico, simmelianamente, «nelle società moderne gli elementi di un gruppo spazialmente molto esteso sono tenuti insieme da un sistema di mezzi molteplici, di “unità oggettive” (lingua, diritto, modo di vita). Queste unificazioni hanno bisogno solo in piccola parte del movimento di persone attraverso grandi tratti spaziali, di ricreare quindi le condizioni di compresenza. Nel Medioevo, invece, il migrare riveste un’importanza preponderante: le esigenze di comunicazione politica, culturale ed economica, vengono soddisfatte in misura maggiore attraverso lo spostamento del funzionario, del dotto, del mercante»31. Detto in termini “non simmeliani”, «tanto più le società si basano su sistemi astratti, tanto meno hanno bisogno delle condizioni di compresenza, per la loro riproduzione»32. Ulteriori dimensioni vengono specificate da Simmel per quanto riguarda l’analisi delle modalità relazionali implicanti sia la necessità di vicinanza sia la possibilità di distanza. Per Simmel, «la capacità di tensione spaziale dipende, nelle medesime condizioni di sentimenti e di interessi, dalla misura della capacità di astrazione» [S: 546]. Chi può fare facilmente a meno della vicinanza, dal punto di vista psichico, sono proprio «i poli contrapposti delle connessioni tra gli uomini, quelli puramente oggettivo-impersonali e quelli fondati interamente sull’intensità dello stato d’animo» [ivi: 545-546]. Infatti, i contenuti dei primi (per esempio certe transazioni economiche o scientifiche) possono essere espressi senza residuo in termini formali, logici, «per iscritto»; gli altri, invece, come «le unioni religiose e parecchie unioni di cuore», superano quasi «misticamente» le condizioni del tempo e dello spazio, cioè della distanza, con la «forza della fantasia e la dedizione del sentimento» [ivi: 546]. Da ciò consegue che «nella misura in cui questi estremi perdono la loro purezza, diventa più necessaria la vicinanza locale» [ibid.]. Per Simmel, quindi, «i rapporti sociali possono essere analizzati per una loro maggiore o minore “necessità di vicinanza”; l’aumento delle relazioni “oggettivo-impersonali” nelle società moderne si traduce in un aumento delle “possibilità di assenza”»33. 29 30 31 32 33

Ibid. Ibid. Ibid. Ibid. Ibid.

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In generale, come precisa Simmel nella sua rilevante analisi del rapporto tra distanze spaziali e prossimità sociale34, la differenza tra vicinanza e lontananza «è più relativa di quanto faccia supporre la netta antitesi logica tra essere insieme e essere separati» [S: 545]: la qualità che la forma spaziale della vicinanza e della distanza mette a disposizione della funzione associativa, che caratterizza le azioni reciproche per distinguere e articolare i rapporti sociali, non ha sempre lo stesso significato sociologico. Dal punto di vista simmeliano, «nelle società più semplici la contiguità spaziale esprime e garantisce l’intensità del legame, stabilendo così una correlazione diretta e biunivoca tra i “contatti esteriori” e “quelli interiori”. Le comuni appartenenze si manifestano nella presenza personale di chi vi è coinvolto, mentre, viceversa, la condivisione del medesimo spazio, come nei rapporti di vicinato, esige che si stringano legami corrispondenti»35. Come ben esemplifica al riguardo lo stesso Simmel: se nelle condizioni di vita provinciali, «la relazione con il vicino di casa e l’interesse che si ha per lui hanno un ruolo del tutto diverso che non nella metropoli» [S: 547], in quest’ultima, invece, «con la complicazione e confusione del quadro di vita esteriore ci si abitua a continue astrazioni, all’indifferenza verso ciò che è spazialmente più vicino e a una stretta relazione con ciò che è spazialmente molto lontano» [ibid.]. In particolare, aggiunge Simmel, nei confronti di colui che è spazialmente vicino, con cui si è già a contatto nelle situazioni e nello stato d’animo più differenti da entrambe le parti, senza la possibilità di cautela e di scelta, vi sono di solito soltanto sensazioni decise, cosicché questa vicinanza può rappresentare il fondamento tanto della felicità più esuberante quanto della più insopportabile coercizione. È un’esperienza molto antica che gli abitanti di una medesima casa possono essere in relazione soltanto in termini amichevoli oppure ostili. Dove esistono relazioni molto vicine, le quali non possono più essere accresciute nel loro aspetto essenziale mediante la continua vicinanza immediata, è meglio che tale vicinanza venga evitata, perché essa comporta svariate possibilità di senso opposto e quindi consente di guadagnare poco, ma di perdere molto: è buona cosa avere i propri vicini come amici, ma è pericoloso avere i propri amici come vicini [ivi: 549].

Per Simmel il legame tra vicinanza e polarità affettiva diminuisce sensibilmente sia nel caso specifico relativo ad un livello di cultura molto elevato sia in quello rappresentato dalla vita nella grande metropoli moderna36. In 34

Cfr. Giacomini 1999: 79-90. Ivi: 82. 36 Cfr. Mandich 1996: 49. 35

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entrambi i casi «prevale l’indifferenza e l’esclusione di ogni relazione affettiva reciproca anche con le persone vicine. Nel primo caso a causa dell’intellettualità, che abbassa le relazioni impulsive e dà luogo ad una oggettività fredda e spesso estraniante. Nel secondo caso perché i contatti incessanti con innumerevoli persone provocano il medesimo effetto per ottundimento. L’indifferenza verso chi è spazialmente vicino costituisce, in questo caso, un dispositivo di protezione»37. Simmel, riflettendo sulle conseguenze esterne della vita metropolitana quale risultato della diffusione e dell’affermazione dell’economia monetaria, rileva come il principale fondamento psicologico dell’individualità metropolitana moderna è «l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori» [MVS: 36]. La metropoli crea le “condizioni psicologiche” della moderna personalità nevrastenica, che, nella sua forma estrema, non è in grado di tener testa al “costante bombardamento” provocato da impressioni nuove o sempre in mutamento; tutto ciò, di conseguenza, ci spinge a tentare di creare «una distanza tra noi e il nostro ambiente fisico e sociale»38. Questa distanza, che riflette specularmente – come scrive Simmel nella Filosofia del denaro – «un tratto della sensibilità»39 peculiare dell’epoca moderna, si può manifestare e tradurre nella sua degenerazione patologica costituita dalla cosiddetta “fobia del contatto”: «la paura di venire a contatto con gli oggetti, una conseguenza dell’iperestesia, per la quale ogni contatto immediato ed energico provoca dolore»40. La vita urbana metropolitana, forma estrema di “oggettivazione dei rapporti sociali” che è pervasivamente caratterizzata e condizionata dall’economia monetaria, rendendo l’uomo moderno sempre più sensibile «agli chocs e ai turbamenti che derivano dalla prossimità immediata e dal contatto con uomini e cose»41, richiede, secondo Simmel, la creazione di una distanza tra l’individuo e il suo ambiente sociale, ovvero la formazione del “riserbo sociale” quale “atteggiamento mentale” tipico adottato dall’uomo metropolitano moderno per garantire, nella sua esistenza, la propria individuale autoconservazione, mezzo necessario per preservare, attraverso il filtro di una gerarchia di simpatie e antipatie, la distanza sociale e per mantenere intatto il proprio sé altrimenti minacciato dalla folla, dalla rapidità e dalla molteplicità degli stimoli, nonché dalla frequenza del loro continuo mutamento.

37 38 39 40 41

Ibid. Frisby 1992a: 98. FD: 668. Ibid. Ibid.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

Un’ulteriore interpretazione degli effetti pratici della vicinanza spaziale è avanzata da Simmel a proposito del tabù dell’incesto, che egli ritiene come un divieto imposto dall’eccessiva prossimità e promiscuità esistenti all’interno della casa ed in cui sono costretti i suoi membri maschili e femminili. Secondo Simmel, «l’esclusione dei rapporti sessuali tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, e in tutte le coppie di parenti che in epoche primitive costituivano un’unità strettamente chiusa dal punto di vista spaziale» [S: 550], scaturirebbe di fatto «dall’esigenza di limitare quella sensibilizzazione delle relazioni interpersonali che l’intreccio tra vicinanza di luogo e legame affettivo renderebbe incontrollabile»42. Per Simmel la vicinanza è senz’altro tra le caratteristiche dello spazio che più delle altre è intimamente collegata all’impressione ed alla percezione sensibile, ovvero dalla sensorialità: per questo motivo la sua “sociologia dei sensi” trova naturalmente posto nell’analisi delle relazioni spaziali43. Simmel, ancora una volta, «parte da Kant ma ne rielabora creativamente le intuizioni»44. Egli riconduce l’ambivalenza45 costitutiva della relazione sociale «alle forme peculiari con cui l’uomo si offre alla nostra percezione sensibile e alle speciali difficoltà che si incontrano quando si cerca di sapere qualcosa di lui. Il differente coinvolgimento che contraddistingue il rapporto con l’altro, rispetto a quello con la natura, viene rintracciato già nel duplice significato che hanno per noi le sensazioni con cui egli ci modifica»46. Nell’Excursus sulla sociologia dei sensi47 [cfr. infra, cap. XIII], tra l’altro, Simmel analizza le conseguenze della vicinanza per l’interazione umana e la prossimità sociale dal punto di vista del modo in cui gli individui si percepiscono reciprocamente attraverso i sensi ed individua – nella percezione sensibile dell’altro – due direzioni che si intrecciano e si influenzano reciprocamente, le quali invece appaiono relativamente indipendenti. Secondo Simmel, la duplice apertura e direzionalità delle impressioni sensibili verso l’interno e verso l’esterno «crea, nel caso della relazione con l’uomo, un’indissolubile connessione tra gli effetti soggettivi che egli esercita

42

Giacomini 1999: 82. Cfr. Dal Lago 1994: 204. 44 Ibid. 45 Sul concetto chiave di ambivalenza quale principio strutturale del pensiero sociologico di Simmel, cfr. Nedelmann 1992: 233-255; Calabrò 1997: 39-59; De Simone 2002b: 149 sgg.; Caccamo 2003: 64-75. 46 Giacomini 1999: 67. 47 Cfr. S: 550-562. Sulla “sociologia dei sensi” di Simmel, cfr. Rath 1986: 189-204; Dal Lago 1994: 204 sgg.; Giacomini 1999: 67 sgg.; De Simone 2002b: 164-179. 43

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LE

QUALITÀ FONDAMENTALI DELLA FORMA SPAZIALE

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su di noi e l’immagine oggettiva che ci facciamo di lui»48; pertanto, simmelianamente, l’interazione conoscitiva e pratica con l’altro «resta vincolata alla sensibilità soggettiva di ciascuno in modo assai più determinante di quanto non accada nel rapporto con il mondo inanimato»49. Nel fenomeno quotidiano dello sguardo (Blick) si dà come possibilità all’essere umano una dimensione della conoscibilità dell’altro che è preclusa ad ogni approccio di tipo esclusivamente concettuale. Secondo Simmel, nella modernità, la vicinanza e la lontananza nello spazio «non danno più espressione tangibile ad analoghe distanze sociali, ma si accompagnano a rapporti che possono assumere intensità assai differenti e che, in linea di principio, sono attratti dalle condizioni sensibili immediate entro cui si svolgono»50. Soltanto in base a ciò si può comprendere perché il significato della distanza diventa quello di «escludere gli stimoli, gli attriti, le attrazioni e le repulsioni che la vicinanza sensibile provoca» [S: 548] e di produrre quindi, nel complesso dei processi psichici associanti, la prevalenza dei processi intellettuali. Di fatto, la distanza spaziale favorisce lo svilupparsi della distanza sociale tra gli uomini, che, di per sé la stessa intellettualità interpone. Distanza e intellettualità si rinviano e reciprocamente si rinforzano. Dal punto di vista simmeliano, «una coscienza intellettualmente evoluta ammette una grande concordanza anche tra soggetti molto lontani tra loro, mentre, d’altra parte, lascia sussistere un’oggettività estraniante tra le persone più vicine»51. Come leggiamo nella stessa pagina dell’autore della Sociologia: Se le relazioni a grande distanza presuppongono in prima linea un certo sviluppo intellettuale, il carattere più sensibile della vicinanza locale si rivela, al contrario, nel fatto che con persone assai vicine si è di solito in termini amichevoli o ostili, in breve in un rapporto decisamente positivo, e l’indifferenza reciproca è esclusa in proporzione alla prossimità spaziale. L’intellettualità dominante comporta sempre un abbassamento degli estremi affettivi. Secondo il suo contenuto oggettivo, e come funzione psichica, essa si pone al di là dei contrasti tra cui oscillano l’animo e la volontà; essa è il principio dell’imparzialità, cosicché né individui né epoche storiche di colorazione essenzialmente intellettualistica si caratterizzano di solito per l’unilateralità o per la forza dell’amore e dell’odio. Questa correlazione vale anche per le singole relazioni tra gli uomini. L’intellettualità, pur offrendo un terreno di comprensione generale, proprio per questo interpone una distanza tra gli uomini: rendendo possibile un avvicinamento e una concordanza tra i soggetti più distanti, essa dà luogo a un’oggettività fredda, e spesso estraniante, tra le persone più vicine [S: 548]. 48 49 50 51

Giacomini 1999: 68. Ibid. Ivi: 82. Ibid.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

Soltanto un «pensiero ingenuo» non comprende che nell’intervallo spaziale prodotto dalla distanza, l’astrazione e l’oggettività esprimono quelle modalità fondamentali attraverso cui si manifesta quel più generale processo di intellettualizzazione cui la modernità sottopone i rapporti sociali. Per Simmel, filosofo e sociologo della modernità52, quest’ultima si caratterizza per una forma del tutto peculiare di intellettualizzazione che «non si limita ad ampliare e perciò ad arricchire le possibilità di comprensione tra gli uomini oltre i confini ristretti della presenza sensibile, ma trasforma spesso la distanza in condizione del rapporto e la vicinanza in suo impedimento. La razionalizzazione ha, in questo caso, come effetto l’intolleranza o l’indifferenza verso chi ci è accanto e la disponibilità quasi esclusiva verso relazioni anonime ed astratte, nelle quali non si incontrano persone intere, ma reagiscono tra loro comportamenti oggettivati e mediati intellettualmente»53. Dal punto di vista simmeliano, «la distanza predispone all’intellettualità, l’intellettualità rende possibile la distanza. Infatti le soglie di distanza spaziale che gli individui sono disposti a sopportare variano in relazione alle diverse capacità che le relazioni tra gli uomini hanno. Le relazioni basate sull’intellettualità rendono possibile la distanza, l’astrazione ci permette di entrare in relazione con individui che non sono compresenti fisicamente»54. 52

Sull’argomento, cfr.: Dahme-Rammstedt 1984; Frisby 1992a: 59-146; Watier 1986; Dal Lago 1994; Deroche-Gurcel 1997; De Simone 2002b. 53 Giacomini 1999: 83. 54 Mandich 1996: 48-49. Nella Filosofia del denaro Simmel ha analizzato come la diffusione del denaro nel mondo moderno abbia profondamente influenzato le dinamiche del pensiero umano. Di fatto, come osserva ancora Mandich, «con l’economia monetaria i beni diventano misurabili e acquistano di conseguenza un valore oggettivo. Il denaro favorisce quindi la diffusione della quantificazione del mondo. Abbiamo una vera e propria mutazione del pensiero umano, questo passa dal modo singolare al modo universale, dal modo soggettivo al modo oggettivo, dal modo qualitativo al modo quantitativo, dal modo sostanzialista a quello relativista. Queste stesse trasformazioni le ritroviamo presenti nel modo in cui l’uomo moderno guarda alla società attraverso lo spazio. L’esperienza spaziale è sempre meno legata all’immediatezza della percezione (aumenta la capacità di distanza) e alla concretezza della configurazione qualitativa dei luoghi (la casa, i principi di individuazione “soggettivi”). Sempre di più, invece, lo spazio viene esperito per le sue qualità astratte e quantificabili» [ivi: 97]. Spetta anche a Simmel il fatto di aver evidenziato sociologicamente «il passaggio da un modo di rapportarsi allo spazio essenzialmente topologico, basato sulla percezione e l’individuazione qualitativa, ad una spazialità di tipo euclideo, incentrata sulla cognizione e su un’individuazione di tipo astratto e indifferenziato. Il pensiero astratto, per sua natura, trascende la cornice spazio-temporale dell’esperienza, per ricreare dei piani di esperienza che sono meno direttamente dipendenti dall’immediatezza dell’esperienza spazio-temporale. Questo aspetto è particolarmente importante perché permette di considerare il rapporto dell’uomo moderno con lo spazio non come semplice reazione alle modificazioni oggettive, ma, dal di dentro delle relazioni sociali, come un modo diverso di guardare alla società» [ivi: 97-98].

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VIII Morfologie socio-spaziali e Geistesleben Metropoli, intellettualismo urbano, economia monetaria e forme di disseminazione nella vita quotidiana moderna

Nel contesto della moderna economia monetaria, che pone direttamente in relazione «la funzione universalizzante del denaro all’interno della società contemporanea con il mutamento intervenuto nello “stile della vita”»1, il luogo, lo spazio, lo scenario, il labirinto sociale2 in cui le capacità percettive della psiche dell’uomo si «amplificano straordinariamente», riflettendo specularmente nell’analisi simmeliana dell’esperienza della modernità il potenziamento della coscienza, l’interiorizzazione continua e l’ipertrofico sviluppo del sé, questo habitat, in cui si vive e si riproduce la fenomenologia dell’individualità moderna, è dato dalla trasformazione della città in metropoli, che Simmel ricostruisce in uno dei suoi più celebri ed affascinanti saggi, Die Großstädte und das Geistesleben del 1903, qui più volte ricordato. La metropoli è la quintessenza della modernità. Simmel la descrive ed interpreta, tra l’altro, come “un dispositivo spaziale” che concentra e potenzia le tendenze della modernità, l’epoca in cui il continuo mutamento si fa forma, e «tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria» (Marx)3. La descrizione precisa di alcuni aspetti molto selezionati del contesto spaziale e della vita urbana della metropoli, come ha scritto Frisby, «è centrale nell’analisi simmeliana della modernità, come lo è in quella di Kracauer e di Benjamin e lo era stato in Baudelaire. Come Benjamin afferma che “il flâneur è il sacerdote del genius loci”, così anche l’analisi della modernità di Simmel è situata in specifiche configurazioni spaziali»4: Simmel «è stato il primo sociologo a disvelare esplicitamente il significato sociale dei contesti spaziali per l’interazione umana»5. Nel saggio sulla metropoli – (per la cui 1 2 3 4 5

Monceri 1999: 102. Cfr. Frisby 1992a: 112. Cfr. Berman 1985. Sul libro di Berman, cfr. Turnaturi 2003a: 140 sgg. Frisby 1992a: 96. Ibid.

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SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

comprensione si presuppone quanto già analizzato nella Filosofia del denaro) –, Simmel avanza alcune ipotesi ermeneuticamente originali sul rapporto tra individuo, dimensione spaziale e società metropolitana e sugli effetti esistenziali e psicologici del processo di Intellektualisierung che caratterizza pervasivamente la trasformazione della città in metropoli attraverso l’industrializzazione e l’urbanizzazione specifiche dell’esperienza moderna della razionalizzazione sociale e dell’economia monetaria. Alcuni aspetti generali della modernità, ed in particolare la “disposizione intellettualistica”, trovano nella metropoli «l’humus ideale»6. Simmel analizza la metropoli come un fenomeno sociale, culturale ed economico che dà vita ad un particolare tipo di individualità: l’individuo metropolitano. Nella metropoli «si fa esperienza di come tutto sia intrecciato con tutto, e questa inevitabile interdipendenza, anch’essa tipica della modernità, aumenta le possibilità, le chances, l’imprevedibilità. S’impara a non reagire a tutto, a restare indifferenti […]. Per sopravvivere il soggetto metropolitano deve “intellettualizzarsi” mettendo a tacere emozioni e sensazioni»7. Nel contesto dell’esperienza metropolitana, lo sviluppo dell’economia monetaria presuppone e produce «l’azzeramento delle differenze individuali: il denaro ha a che fare solo con ciò che è comune a ogni cosa e il valore di scambio riduce tutte le qualità a quantità»8. Ugualmente, «l’abitante della metropoli è indifferente a tutto ciò che è individuale e si rapporta agli altri interessandosi solo alle loro prestazioni oggettive. L’economia monetaria non può che basarsi su rapporti oggettivi e anaffettivi, non può permettersi alcuna distrazione che provenga dall’imponderabilità delle relazioni personali»9. Modernità, economia monetaria, mercato, differenziazione sociale e intellettualismo sono talmente fenomeni interdipendenti e così tipicamente metropolitani che, scrive Simmel, «nessuno saprebbe dire se sia la disposizione intellettualistica dell’animo a spingere verso l’economia monetaria, oppure se sia quest’ultima a determinare la prima» [MVS: 39]. Simmel, inoltre, individua determinati nessi tra alcuni contenuti specifici dello stile di vita metropolitano e la crescente pervasività dell’economia monetaria. Innanzitutto «rileva come l’indifferenza e la neutralità del denaro possano indurre a un minore rigore degli standard etici; in particolare, la circostanza della difficoltà di risalire alla provenienza del denaro, cioè il suo non lasciar

6 7 8 9

Mandich 1996: 98. Turnaturi 2003a: 104-105. Ivi: 105. Ibid.

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tracce, facilita una certa rilassatezza»10: «la sua anonimità e la sua assenza di qualità rendono irriconoscibile la fonte dalla quale è fluito verso il suo attuale proprietario» [FD: 549]; in questo caso la “corruzione” diventa più facile proprio in un’economia completamente monetizzata. Tuttavia, due sono le principali manifestazioni «quasi endemiche all’apice della civiltà del denaro: il cinismo e l’atteggiamento blasé» [ivi: 370]11, ambedue conseguenze della riduzione a “valore strumentale” dei valori tipici dell’esistenza moderna. Nello specifico, «l’atteggiamento cinico si esprime essenzialmente nella tendenza a svalutare, a livellare (verso il basso) tutti i valori e nell’annullamento di ogni differenza e gerarchia fra di essi. Nell’economia monetaria l’atteggiamento del cinico trionfa, perché può trovare un valido alleato nella capacità omogeneizzante del denaro che porta l’agire quotidiano su livelli progressivi di indifferenza. A sua volta l’atteggiamento blasé – che non poggia tanto sulla svalutazione, quanto sull’assoluta equivalenza di tutto e di tutti – nega ogni vivacità di “sentire” e di volere, dal momento che l’acquisto in denaro rende indifferenti gli oggetti e le prestazioni»12. I tratti della personalità blasé, individuati da Simmel per l’uomo metropolitano, connotano un vero e proprio “tipo” di personalità della modernità [cfr. MVS: 44]: «l’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze tra le cose; il loro significato e valore sono avvertiti come irrilevanti. Al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, senza preferenze»13. Dunque, secondo Simmel, «tutta l’organizzazione interna di un sistema di relazioni così estese come quelle metropolitane riposa su una gerarchia altamente differenziata di simpatia, indifferenza ed avversione, a volte fugaci, a volte durature. L’uomo della metropoli appare capace solo di una socialità formale, fedele riflesso soggettivo dell’economia monetaria»14.

Nel delineare la figura dell’abitante della metropoli [Großstädter], ovvero del tipo d’uomo caratteristico della modernità, nonché del suo peculiare processo dinamico di intellettualizzazione della vita, Simmel pone in evidenza come la vita psichica nella Großstadt sia notevolmente sottoposta ad un processo di maggiore sollecitazione e raffinamento, rispetto a quanto avviene nelle piccole città e nella campagna, richiedendo all’uomo, in quanto essere “selettivo”, un maggiore sviluppo di consapevolezza. Infatti, secondo Simmel, «se la vita comunitaria è contraddistinta da profondità di sentimenti e affettività delle relazioni, elementi radicati negli strati più profondi della 10

Maniscalco 2002: 92. Brevi riferimenti al blasé sono contenuti nei saggi simmeliani Psicologia del denaro e Il denaro nella cultura moderna, per i quali cfr. Simmel 1998: 56 e 83. Sulla descrizione simmeliana dell’atteggiamento blasé e del cinismo, cfr. De Simone 2002b: 131-140. 12 Maniscalco 2002: 92. 13 Caccamo 2003: 71-72. 14 Ivi: 72. 11

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psiche, legati a processi abitudinari, il carattere “sofisticato” della realtà psichica metropolitana porta in primo piano il Verstand quale organo proprio dell’uomo metropolitano, in grado di adattarsi più rapidamente e di assorbire il mutamento delle situazioni»15. Se il primo degli effetti riscontrati da Simmel nella comprensione delle forme dell’esperienza metropolitana moderna è “l’intensificazione della vita nervosa”, cioè delle impressioni e degli chocs conseguentemente provocati dall’eccessiva quantità di oggetti e persone con cui l’individuo moderno si trova quotidianamente in contatto16 (automobili, metropolitane, folla, spintoni, illuminazione artificiale, cinema, vetrine, grandi magazzini, esposizioni scientifiche o commerciali, traffico e individuazione astratta dei luoghi – attraverso il numero civico –, criminalità, miseria, presenza di stranieri), il secondo, appunto, è il corrispondente «carattere intellettualistico della vita psichica metropolitana» [MVS: 37], che svantaggia la sentimentalità e le relazioni affettive tra gli individui tipiche della città di provincia e della vita di campagna, le quali, appunto, «si radicano negli strati meno consci della psiche e si sviluppano innanzitutto nella quieta ripetizione di abitudini ininterrotte» [ibid.]. Diversamente, la sede dell’intelletto [Verstand], sostiene Simmel, sono gli strati trasparenti, consci e superiori della nostra psiche. L’intelletto è la più adattabile delle nostre forze interiori: per venire a patti con i cambiamenti e i contrasti dei fenomeni non richiede quegli sconvolgimenti e quei drammi che la sentimentalità, a causa della sua natura conservatrice, richiederebbe necessariamente per adattarsi ad un ritmo analogo di esperienze [ibid.].

La metropoli è la forma generale che assume il processo di razionalizzazione dei rapporti sociali, essa «è la fase, o il problema, della razionalizzazione dei rapporti sociali complessivi, che segue a quello della razionalizzazione dei rapporti produttivi»17: la forma del processo «è quella della Vergeistigung, come processo di astrazione dal “personale” e rifondazione della Soggettività, in quanto calcolo, ragione, interesse»18. In questo senso, nella vita della metropoli, quale momento determinante dell’“esistenza” moderna, non c’è “vita dello spirito” [Geistesleben] al di fuori del tipo “metropolitano”, cioè al di fuori della Großstadt, né metropoli che non esprima la “vita dello spirito”: la “vita mentale della metropoli” – «non a caso, in tedesco suona come “vita dello spirito”, che non è solo vita della mente, in quanto in essa Simmel compren15

Meschiari 1987: 257. Cfr. de Conciliis 1998: 102-103 e 108. 17 Cacciari 1973: 9. 18 Ibid. 16

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de anche la vita e le correnti emozionali»19 –, traduce emblematicamente «i sentimenti che attraversano e di cui è fatta l’esperienza della modernità»20. Come criticamente ha scritto Massimo Cacciari in Metropolis: Quando il Geist “esce” dai semplici e diretti rapporti produttivi, crea Metropoli, non più “città”. Nella Metropoli deve abitare il Geist, non l’individuo. Questa è la ragione oggettiva della Metropoli. Simmel dà di questo movimento storico l’esatta dimensione problematica. Esattamente nella misura in cui il concetto moderno di Geist è un concetto dialettico, la Metropoli si fonda su una antitesi continuamente affermata e superata tra Nervenleben e Verstand […]. La Metropoli fa “dilagare” la vita percettiva, accresce gli stimoli, libera, si direbbe, l’individuo dalla semplice ripetizione – ma proprio in quanto questo processo è controllato dalla “misura dell’intelletto”, che comprende questi stimoli, articola e distingue questa “molteplicità”. L’intelletto, come misura comune della Soggettività, si impone all’individuale. La vita “nervosa” della Metropoli, quindi, non riconduce affatto nelle “zone profonde della personalità”, ma è motore, alimento dell’intelletto. Non c’è contraddizione tra i due livelli, né, propriamente, di due livelli differenti si tratta. Il Nervenleben è condizione del Verstand – condizione interna al suo affermarsi, al suo dominio, perfettamente integrato in esso21.

L’uomo metropolitano puramente intellettuale «è indifferente a tutto ciò che è propriamente individuale, perché da questo conseguono relazioni e reazioni che non si possono esaurire con l’intelletto logico – esattamente come nel principio del denaro l’individualità dei fenomeni non entra. Il denaro infatti ha a che fare solo con ciò che è comune ad ogni cosa, il valore di scambio, che riduce tutte le qualità e le specificità al livello di domande che riguardano solo la quantità» [MVS: 38]. Il denaro, quindi, «s’interroga soltanto su ciò che a tutti quegli elementi è comune, sul valore di scambio che livella tutte le qualità e le caratteristiche alla semplice questione del “quanto”. Tutte le relazioni interiori fra persone si basano sulla loro individualità, mentre quelle intellettuali “contano” con gli uomini come con i numeri, come se essi fossero elementi di per sé indifferenti, che hanno un interesse soltanto per la loro prestazione oggettivamente considerabile»22. L’intellettualismo non è soltanto il carattere dominante della vita della metropoli moderna, ma costituisce, nel contempo, una difesa della vita soggettiva contro la violenza intrinseca della stessa metropoli. Di fatto, la 19 20 21 22

Turnaturi 2003a: 107. Ibid. Cacciari 1973: 10-11. Monceri 1999: 104-105.

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coscienza individuale, «che ha la sua sede nella corteccia cerebrale, viene “bruciata” da una messe straordinaria di stimoli esterni, diversificati e rapidissimi; da essa cerca di difendersi per non rimanere sopraffatta e frantumarsi completamente nella varietà delle impressioni in cui è immersa»23. Attraverso il “dominio dell’intelletto” (ovvero, la facoltà capace di astrarre e selezionare gli impulsi) e mediante la “neutralizzazione” dei sentimenti (reattivi agli impulsi sensoriali), la coscienza «sembra in grado di controllare l’iperstimolazione metropolitana»24. In questo modo, scrive Simmel, il tipo metropolitano – che naturalmente è circondato da mille modificazioni individuali – si crea un organo di difesa contro lo sradicamento [Entwurzelung] di cui lo minacciano i flussi e le discrepanze del suo ambiente esteriore: anziché con l’insieme dei sentimenti, reagisce essenzialmente con l’intelletto, di cui il potenziamento della coscienza, prodotto dalle medesime cause, è il presupposto psichico. Con ciò la reazione ai fenomeni viene spostata in quell’organo della psiche che è il meno sensibile ed il più lontano dagli strati profondi della personalità [MVS: 37].

L’atteggiamento intellettualistico, il dominio dell’intelletto, la preponderanza dell’oggettivo sul soggettivo sono connessi nell’esperienza della metropoli ai caratteri tipici dell’economia monetaria: Le metropoli sono sempre state la sede dell’economia monetaria, poiché in esse la molteplicità e la concentrazione dello scambio economico procurano al mezzo di scambio in se stesso un’importanza che la scarsità del traffico rurale non avrebbe mai potuto generare. Ma economia monetaria e dominio dell’intelletto si corrispondono profondamente. A entrambi è comune l’atteggiamento della mera neutralità oggettiva con cui si trattano uomini e cose [ivi: 37-38].

Ancora. Nel processo di razionalizzazione dei rapporti sociali e di intellettualizzazione della vita nel contesto metropolitano, dal punto di vista del Verstand e del Geld, individualità e personalità non sono valori che si possono prendere in considerazione in quanto tali, poiché la loro valutazione è solamente oggettiva, non soggettiva: le condizioni della vita metropolitana sono causa ed effetto insieme della estensione ai rapporti sociali di quella caratteristica del denaro, che è appunto la sua calcolabilità. La conseguenza vistosa e smisurata della crescita del ruolo dell’intelletto [Verstand] nell’abitante della metropoli fa sì che, come dice lo stesso Simmel, «lo spirito moderno 23 24

de Conciliis 1998: 103. Ibid.

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è diventato sempre calcolatore» [ivi: 40], a tal punto che «all’ideale delle scienze naturali, quello di trasformare il mondo intero in un calcolo, di fissarne ogni parte in formule matematiche, corrisponde l’esattezza calcolatrice della vita pratica che l’economia monetaria ha generato» [ibid.]; dacché, «solo quest’ultima ha riempito la giornata di tante persone con le attività del bilanciare, calcolare, definire numericamente, ridurre valori qualitativi a valori quantitativi» [ibid.]. Il sistema e la costituzione storica di questo Verstand è l’economia monetaria di mercato. Essa, dunque, formalizza il rapporto economico, così come l’intelletto formalizza i rapporti e i movimenti psichici. Essa “supera” il valore d’uso, così come l’intelletto lo stimolo immediato, la qualità dell’impressione. Allora si comprende come intelletto ed economia monetaria si ritrovino nella Metropoli, inscindibilmente connessi, e come la Metropoli sia il luogo dello scambio, il luogo della produzione e circolazione di valore di scambio. Allora si comprende tutto il “ciclo”: il Nervenleben corrisponde al materializzarsi continuo e incalzante, costantemente “innovato”, del valore di scambio in valore d’uso – corrisponde al momento necessario del realizzarsi del valore di scambio; l’intelletto, il Verstand, astrae di nuovo dall’“apparenza” del valore d’uso la sostanza del valore di scambio, trae denaro di nuovo dal processo, e quindi riflette costantemente sulla merce in quanto tale – cioè: torna a produrre merci. Così la Metropoli è il luogo di questo ciclo complessivo: essa permette la funzionalità reciproca di tutti questi momenti. Siamo ancora nella “città”, finché siamo in presenza di valori d’uso semplicemente, o di produzione di merci semplicemente, o dello “stare-accanto” non dialetticizzato dei due momenti. Siamo nella Metropoli allorché la produzione assume una sua “ragione sociale”, determina i modi del consumo e riesce a funzionalizzarli al rinnovo del ciclo. La Metropoli deve porre in atto un Nervenleben per realizzare, attraverso il valore d’uso, il valore di scambio che il Verstand produce – e quindi per riprodurre le condizioni del Verstand25.

La metropoli organizza il comportamento quotidiano dei suoi abitanti, nonché il senso e lo stile della loro vita, in funzione di un modello di razionalità economica e strumentale basata sul valore di scambio e sulla centralità del mercato. La dimensione e la dinamica espansiva dell’insediamento metropolitano, il fluire continuo e il ritmo caotico e complesso di questo sistema di vita, l’“esattezza matematica della vita pratica” e il calcolo del tempo, necessari per la sopravvivenza materiale nella metropoli, secondo Simmel, fanno sì che il carattere calcolatore del denaro ha di fatto

25

Cacciari 1973: 12.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

introdotto nelle relazioni fra gli elementi una precisione, una sicurezza nella definizione di uguaglianze e disuguaglianze, una univocità negli impegni e nei contratti, come quella che è prodotta esteriormente dalla diffusione generalizzata degli orologi […]. Ma sono le condizioni della metropoli ad essere causa ed effetto di questo tratto caratteristico. Le relazioni e le faccende del tipico abitante della metropoli tendono infatti a essere molteplici e complesse: con la concentrazione fisica di tante persone dagli interessi così differenziati, le relazioni e le attività di tutti si intrecciano in un organismo così ramificato che senza la più precisa puntualità negli accordi e nelle prestazioni il tutto sprofonderebbe in un caos inestricabile. Se tutti gli orologi di Berlino si mettessero di colpo a funzionare male andando avanti o indietro anche solo di un’ora, tutta la vita economica e sociale sarebbe compromessa molto a lungo. A questo poi si aggiungerebbe – cosa irrilevante solo in apparenza – l’ampiezza delle distanze, che farebbe di ogni attesa e di ogni appuntamento una perdita di tempo irreparabile. Di fatto, la tecnica della vita metropolitana non sarebbe neppure immaginabile se tutte le attività e le interazioni non fossero integrate in modo estremamente puntuale in uno schema temporale rigido e sovraindividuale [MVS: 40-41].

Il modello morfologico-sociale e spaziale della metropoli, la sua tecnica e il suo stile di vita, basati sulla impersonalità delle relazioni economiche, sulla puntualità e calcolabilità, sulla certezza e la matematizzazione, che è alla base della razionalità degli scambi, se «non stanno solo nella più stretta relazione con il suo carattere economico-monetario e intellettualistico» [ivi: 41], tuttavia non possono fare a meno di colorare anche i contenuti della vita e favorire l’esclusione di tutti quei tratti ed impulsi irrazionali, istintivi e sovrani, che vorrebbero definire da sé la forma della vita anziché riceverla dall’esterno come in uno schema rigidamente prefigurato. È pur vero che delle esistenze fieramente autonome caratterizzate in questo modo non sono affatto impossibili in città: ma queste rappresentano il contrario del tipo di vita che essa rappresenta [ibid.].

Con questo, comunque, non si può certo escludere che ogni forma di irrazionalità sia eliminata del tutto dalla vita metropolitana, ma certo essa è in stridente contrasto con la sua “tipicità”. Nella scena moderna della Großstadt, il denaro come medium di comunicazione, la cancellazione monetaria delle passioni, l’espulsione del “cuore” e dei sentimenti dai rapporti umani e l’accrescimento delle dimensioni intellettuali della vita sociale, diventano – sotto il dominio del denaro e nella “tragedia” della cultura moderna – il perno attorno a cui ruotano i rapporti interindividuali, trasformando le relazioni e le mentalità in stili di vita razionali e mercificati. Tutta l’opera

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MORFOLOGIE

SOCIO-SPAZIALI E

GEISTESLEBEN

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di Simmel, dunque, presuppone la vita e la cultura metropolitana26 come parte integrante e costitutiva della sua lettura della modernità e delle forme dell’individualismo moderno, profondamente segnate dal gioco dell’ambivalenza che finisce per coinvolgere anche le dimensioni spaziali e temporali dell’interazione sociale.

26

Cfr. Frisby 1985: 17-42.

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IX Spazio, tempo, denaro e stile di vita

Simmel, com’è noto, ha analizzato il rapporto tra denaro e “stile di vita”1 moderno2 in stretto legame con le variabili del tempo e dello spazio e con il generale processo di intellettualizzazione dell’esperienza che segna il passaggio dalle società tradizionali alle società industriali moderne caratterizzate dal predominio razionale ed oggettivo dell’economia monetaria e dall’accelerazione del tempo della vita sociale dovuta al ruolo svolto dal denaro3. Le trasformazioni del nesso che lega spazio e tempo quali modalità d’esperienza relazionale specifica del mondo sociale e l’accelerazione del ritmo della vita implicano di necessità un’analisi di concetti come quello di velocità (e di simultaneità) che inevitabilmente conduce «al centro delle modificazioni spazio-temporali legate alla modernità»4. In particolare, per comprendere ed interpretare queste trasformazioni è centrale il nesso denaro-spazio-tempo-intellettualizzazione che Simmel per primo ha messo in evidenza. Nella complessità di influssi reciproci che costituisce l’esperienza della modernità, denaro, spazio, tempo e intellettualizzazione svolgono un ruolo ed una funzione sostanziale importanti che si condizionano vicendevolmente e che traducono rilevanti trasformazioni sociali e di vasta portata. Simmel, tra i primi, ha messo in evidenza «il nesso profondo che nelle società moderne si crea tra le dimensioni dello spazio e del tempo e il denaro. Spazio e tempo riflettono lo stesso processo di “astrazione”, svuotamento, che l’intellettualizzazione dell’esperienza, di cui l’economia monetaria costituisce il motore più importante, comporta»5. Soprattutto nella sua ancora “insuperata” ed originale analisi sullo stile 1 Giova qui ricordare, come nota Maniscalco [2002: 97], che «l’espressione “stile di vita”’ fu originariamente introdotta in ambito scientifico e accademico all’inizio del Novecento dal noto psicologo e psichiatra Alfred Adler. Utilizzata da Simmel, Weber, Veblen, è poi caduta in disuso nella letteratura sociologica più recente». Sul concetto di “stile” in Simmel, cfr. Tramonti 2004a: 179-196. 2 Cfr. Nedelmann 1992: 102-115 e 1993b: 398-418. 3 Cfr. Nedelmann 1991: 103-113 e Nedelmann 1993a: 120-128. 4 Mandich 1996: 93. 5 Ivi: 94.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECPROCITÀ

della vita moderno, sviluppata nel sesto capitolo della Filosofia del denaro6, Simmel mette in luce come il tratto più generale e caratteristico dello stile di vita moderno è dato dal predominio della intellettualità astratta in ogni sfera vitale7. Il parallelismo tra intelletto e denaro scaturisce «dall’identica collocazione che entrambi assumono all’interno delle serie teleologiche, su cui si modella l’agire»8: «dalla pura conoscenza dei contenuti del mondo, dunque dalla intellettualità, non deriva alcuna posizione del fine» [FD: 608], lo stesso per quanto avviene per il denaro all’interno del processo economico, in cui esso è un puro “mezzo”. Tuttavia, il denaro viene sentito ovunque come un fine, abbassando così a puri mezzi un’infinità di cose che hanno propriamente il carattere di essere fini a se stesse. Poiché il denaro stesso è un mezzo, dovunque e per qualsiasi cosa, i contenuti dell’esistenza vengono posti in una immensa connessione teleologica, nella quale nessun contenuto è il primo e nessuno è l’ultimo. Poiché il denaro misura tutte le cose con spietata oggettività e poiché la misura del loro valore, che viene così stabilita, determina i loro legami, ne risulta un intreccio di contenuti di vita oggettivi e personali che si avvicina al cosmo regolato dalle leggi naturali in virtù della possibilità di postulare una connessione ininterrotta e una rigida causalità [ivi: 609-610].

Per Simmel si dà quasi una coincidenza fisiognomica tra intelletto e denaro, cioè tra due forme di astratta oggettivazione dei contenuti della vita che si fondano sul significato preponderante dell’elemento quantitativo su quello qualitativo. Da ciò consegue «una netta separazione tra la sfera dell’emotività e del sentimento (che si riaffaccia nella irrazionalità della scelta di valore) e quella dell’intelletto, che è perciò libero di concentrarsi sull’aspetto oggettivo e calcolabile del nesso mezzi-fini. Ne risulta facilmente uno stile di vita caratterizzato dalla indifferenza ai contenuti nella loro determinatezza qualitativa, dalla imparzialità e impersonalità nelle relazioni, da uno spirito conciliante ma anche cinico e indifferente, da quella generale “mancanza di colore” e di passioni che tinge di sé il tipico abito professionale dell’uomo moderno»9, che Simmel stigmatizza in negativo come «assenza di carattere» [FD: 611]:

6 Cfr. FD: 607-718. Sulla Filosofia del denaro di Simmel, cfr. Cavalli-Perucchi 1984: 9-49; Frisby 1990: 1-49 e 513-534; Frisby-Köhnke 1991; Moscovici 1991: 331-480; AA.VV. 1993; Poggi 1998; Vigorelli 1999a; De Simone 2002b. 7 Cfr. Vigorelli 1999a: 139-146. 8 Ivi: 139. 9 Ibid.

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SPAZIO,

TEMPO, DENARO E STILE DI VITA

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Se il carattere significa sempre che le persone o le cose sono decisamente ancorate ad un tipo di esistenza individuale che si differenzia ed esclude tutti gli altri, allora l’intelletto, in quanto tale, ne è completamente privo, infatti, è lo specchio indifferente della realtà, uno specchio in cui tutti gli elementi sono ugualmente giustificati, perché la loro legittimità in questo caso consiste soltanto nel loro essere reali. Certo, anche le caratteristiche intellettuali degli uomini sono diverse; ma, ad una considerazione più attenta, o si tratta di differenze di grado, di profondità o di superficialità, di ampiezza o di limitatezza, oppure di differenze che nascono per effetto di altre energie spirituali, della sensibilità o della volontà. L’intelletto, in base al suo concetto puro, non ha assolutamente alcun carattere, non perché gli manchi una qualità veramente necessaria, ma perché è del tutto al di là di quella unilateralità che costituisce il carattere nell’atto di compiere delle scelte. Esattamente in questo consiste anche la mancanza di carattere del denaro. Come il denaro in sé e per sé è il riflesso meccanico dei rapporti di valore delle cose e si offre ugualmente a tutte le parti, così in una transazione in denaro tutte le persone sono equivalenti, non perché ognuna di esse abbia valore, ma perché nessuna ne ha: vale soltanto il denaro [ibid.].

La peculiare struttura oggettiva che la vita moderna viene ad assumere traduce simmelianamente in particolare il significato espresso dal duplice ruolo dell’intelletto e del denaro: «sovrapersonali in relazione al contenuto, individualistici ed egoistici in relazione alla funzione» [ivi: 613]. Secondo Simmel, «l’astrazione dall’immediatezza e dalla conflittualità della vita sensibile ed emotiva, sviluppata dall’atteggiamento teoretico, s’intreccia con la neutralizzazione delle ostilità puramente personali nell’ambito dell’economia monetaria»10, che «offre loro un terreno sul quale, infine, è sempre possibile un’intesa» [FD: 614]. Pertanto, «il rapporto economico, dal momento in cui si organizza attraverso lo scambio mediato dal denaro, si rende indipendente dalle disposizioni soggettive di ciascuno a donare i suoi beni o, viceversa, ad appropriarsi di quelle altrui, e si regola secondo operazioni di scambio del tutto oggettive, che trovano nella forma monetaria un’espressione rigorosamente quantitativa»11. Il campo di rapporti che così viene a istituirsi e svilupparsi definisce «un sistema di azioni che appare interamente basato sulla razionalità e consequenzialità dei comportamenti, le cui dinamiche si presentano del tutto svincolate dalla volontà soggettiva di ciascuno»12. Intellettualizzazione e monetarizzazione dei rapporti contribuiscono in questo modo a definire e produrre quell’«oggettività dello stile di vita» 10 11 12

Giacomini 1999: 84. Ibid. Ibid.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECPROCITÀ

[FD: 615], che nella modernità «è l’unico modo accessibile all’uomo di conquistare un rapporto con le cose che non sia succube della casualità del soggetto» [ibid.]. Di conseguenza, «l’intesa che così si rende possibile esclude, di principio, tutto ciò che concerne la sfera soggettiva e, perciò, individuale – motivazioni, volontà, sentimenti –, investendo soltanto quanto vi è di comune, oggettivabile, astratto dalla personalità di ciascuno. Analogamente, i comportamenti mediati dal denaro definiscono rapporti del tutto indipendenti da intenzioni, contenuti, finalità dell’agire»13, in quanto, come scrive Simmel, «ciò di cui ci si disfa per denaro giunge al massimo offerente, senza tener conto di che cosa e chi egli sia in altre circostanze […]. Viceversa, quando compero, mi è indifferente da chi compero ciò che desidero e che vale il prezzo richiesto» [FD: 617]. L’“uguaglianza universale” che intellettualizzazione e monetarizzazione rendono di fatto possibile, poiché, da punti di vista diversi, «non riconoscono alcuna differenza aprioristica tra gli individui» [ivi: 620], pone «una condizione essenziale per lo sviluppo di un illimitato individualismo, nel doppio significato con cui Simmel lo intende: come libertà, innanzitutto, derivante dalla dissoluzione dei vincoli personali e dalla sostituibilità dei soggetti con cui si entra, di volta in volta, in rapporto; ma anche, come impulso egoistico, cui la libera disponibilità dei mezzi intellettuali e di quelli monetari offre una straordinaria possibilità di espansione»14. Simili processi contribuiscono a modificare profondamente anche le “distanze” che separano non solo gli uomini dalle cose, ma anche dagli altri uomini e da se stessi. Simmel coglie con sensibilità “sismografica” la modificazione della distanza che nella modernità si stabilisce tra l’Io e le cose come espressione della diversità degli stili di vita anche in relazione con la configurazione dello spazio sociale e di quello infrapsichico15. Questa caratterizzazione dello stile di vita moderno è definibile come «un superamento della distanza da un punto di vista relativamente esterno» [FD: 670], cui corrisponde «un ampliamento della distanza medesima da un punto di vista interno» [ibid.]. Ciò si collega al significato che il ruolo e la funzione del denaro rivestono nelle dinamiche della socialità nella modernità: esso, «incrementando il numero e ampliando l’estensione degli scambi, avvicina (tramite l’allungamento delle serie teleologiche) ciò che è relativamente lontano, mentre allontana ciò che è relativamente vicino (in quanto tale allungamento si può leggere anche come

13 14 15

Ivi: 85. Ibid. Cfr. Vigorelli 1999a: 142.

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SPAZIO,

TEMPO, DENARO E STILE DI VITA

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accresciuta complessità delle interazioni economico-sociali)»16. Secondo Simmel, i rapporti dell’uomo moderno con il suo ambiente si sviluppano in generale in modo tale che egli «si allontana dalle cerchie più prossime, per avvicinarsi di più alle più lontane» [FD: 670]. Man mano che «la distanza esterna tra l’io e le cose diminuisce, si accresce nella stessa misura quella interna, come reazione di difesa e di adattamento dell’io alla invasione e alla pressione dei contenuti periferici della vita e della coscienza, che tenderebbero ad occuparne il centro»17. Ne sono un esempio significativo molteplici fenomeni quali il “pudore” (in campo morale), la già su menzionata “fobia del contatto” (in campo psico-patologico), e, in campo sociale, «il crescente allentamento dei legami familiari» [FD: 670], che fa avvertire all’individuo moderno il sentimento di eccessiva vicinanza e angustia dei legami connessi alla «cerchia più prossima» [ibid.], costringendolo così a «prendere le distanze nei rapporti propriamente intimi, e diminuirle in quelli più esterni» [ibid.]. Paradossalmente, nella modernità, osserva Simmel, nelle dinamiche della socialità, «ciò che è più remoto diventa più vicino, al prezzo di aumentare la distanza verso ciò che è già vicino» [ivi: 671]. La “moderna forma di vita” si basa soprattutto sulla “distanziazione” funzionale provocata dalla circolazione monetaria, la quale fa sorgere «una barriera interna tra gli uomini» [ivi: 672]. Gli effetti di questa distanziazione si possono cogliere, oltre che per gli oggetti culturali, anche nei confronti del mutato rapporto con la natura, anch’essa divenuta sempre più oggetto di manipolazione tecnica. Di fatto, «con il diminuire della distanza esterna tra l’uomo e la natura, si accresce di altrettanto la distanza interna, nasce quel sentimento “romantico” e “‘malinconico” nei confronti di essa, che dà origine alla rielaborazione estetica della sua immagine»18: un’immagine, scrive Simmel, «lontana, che persino nei momenti di vicinanza fisica sta davanti a noi come qualcosa di intimamente irraggiungibile, come una promessa mai completamente mantenuta, che anche alla nostra più appassionata dedizione risponde con una lieve resistenza ed estraneità» [FD: 673]. Come poi preciserà nel suo importante saggio del 1912-13 dedicato alla Filosofia del paesaggio19 sopra ricordato, Simmel – già nella Filosofia del denaro – annota significativamente:

16

Ibid. Ibid. 18 Ivi: 143. 19 Cfr. Simmel 1985a: 71-83. Per l’analisi critico-ricostruttiva della “filosofia del paesaggio” simmeliana dobbiamo ancora una volta rinviare il lettore a De Simone 2002a: 147-166 (ivi bibliografia). 17

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECPROCITÀ

Il fatto che soltanto nell’epoca moderna si sia sviluppata la pittura paesaggistica – che in quanto arte, può sussistere soltanto se c’è distanza dall’oggetto e rottura dell’unità naturale con esso – e il fatto che soltanto l’epoca moderna conosca il sentimento romantico della natura, è conseguenza dell’esistenza astratta a cui ci ha condotto la vita urbana basata sull’economia monetaria. Ciò non è contraddetto dal fatto che sia proprio il possesso del denaro a permetterci la fuga nella natura. Perché proprio il fatto che essa possa essere goduta dall’abitante delle città soltanto a questa condizione, inserisce – anche se con molte trasformazioni e con meri echi remoti – tra l’uomo e la natura quell’istanza che collega solo in quanto distingue [ivi: 673-674].

Dunque, dalla descrizione simmeliana si evince che «solo nel moderno la natura diventa l’oggetto sul quale si proiettano sentimenti romantici verso la natura. La moderna pittura di paesaggio e il romanticismo della natura sono comprensibili solo come prodotti culturali, se li si concepisce come produzioni estetiche che possono svilupparsi solo nella distanza dalla natura prodotta dal denaro. L’interiorizzazione della natura in godimento della natura è un fenomeno che può sorgere solo in questo regime di economia monetaria»20. Per Simmel, l’oggettivazione, il feticismo della cultura materiale e il problema della distanza trovano un punto di particolare addensamento e visibilità proprio nel fenomeno della tecnica nella modernità. Lo sviluppo e l’egemonia della tecnica hanno condotto – come si legge nella Filosofia del denaro – ad un predominio dei mezzi sui fini che «si riassume e culmina nel fatto che la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua 20

Nedelmann 1991: 110. Sempre a tal proposito, altrove Nedelmann [1992: 110-111], nello specificare in termini simmeliani l’influenza della “componente spaziale” del denaro sulla conduzione della vita moderna, ha scritto: «Il denaro mette in moto, nella dimensione spaziale, un doppio processo. Da un lato esso supera le distanze, avvicinando persone e oggetti che sinora apparivano a distanza irraggiungibile. Dall’altro crea distanza fra quelle persone e quegli oggetti che stavano sinora in intima vicinanza. Questo capovolgimento delle distanze pre-esistenti operato dal denaro possiede anche per la moderna condotta di vita una doppia e paradossale conseguenza. Con il distanziamento gli individui moderni, e in particolare gli abitanti delle metropoli, riescono a sopportare la coatta vicinanza di anonimi esseri umani. Il distanziamento diviene così una necessaria strategia di sopravvivenza nelle metropoli. D’altro canto proprio la distanza prodotta dall’economia monetaria, ad esempio nei confronti della natura, può essere culturalmente convertita in modo positivo: infatti, proprio perché l’economia monetaria ci mette a distanza dalla natura, noi realizziamo il presupposto che permette di avvicinarsi ad essa. Il godimento e l’esperienza (Erlebnis) della natura diventano possibili solo se noi, a distanza, ci avviciniamo alla natura con distacco. Il doppio movimento attuato dal denaro a livello di mercato (produzione e riduzione della distanza), si riproduce nel caso della natura in condizioni in cui si riesce a trattare in modo culturalmente produttivo le circostanze della vita moderna».

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TEMPO, DENARO E STILE DI VITA

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spiritualità, si sono impadronite del suo centro, di noi stessi» [ivi: 678]. Il «rapporto spirituale con il mondo» [ivi: 669], fondato dalla scienza e dalla tecnica moderne, se da una parte «ci ha consentito di superare le infinite distanze tra noi e le cose» [ivi: 670] (come nel caso del microscopio e del telescopio), dall’altra «ha dissolto quella sfera di prossimità con la natura e con gli altri da cui traevamo sicurezza e fiducia»21. Certamente, «i tempi della mitologia, delle conoscenze assolutamente generali e superficiali, dell’antropomorfizzazione della natura da un punto di vista soggettivo, dal lato del sentimento e delle credenze, sempre illusorie, stabilivano una distanza tra uomini e cose molto più piccola di quella attuale» [FD: 670]. Come nel lontano passato dell’umanità, «la realtà, anche quella più misteriosa e insondabile, appariva comunque a portata di mano, animata da dei che intervenivano personalmente nelle vicende, altrettanto personali, di singoli uomini»22; viceversa, nella modernità, «i metodi raffinati che ci permettono di penetrare all’interno della natura, sostituiscono solo molto lentamente e parzialmente» quel «senso di prossimità e di intima fiducia«, che in passato, appunto, «hanno assicurato all’anima gli dei della Grecia, la spiegazione del mondo in base agli impulsi e ai sentimenti umani, la sua guida da parte di un dio che interviene personalmente, la sua struttura teleologica in vista del bene dell’uomo» [FD: 670]. Diversamente, l’uomo moderno ha sviluppato, secondo Simmel, «un’attitudine di dominio nei confronti della natura e delle finalità naturali, che si è riverberato sull’anima, inducendovi un opposto senso di vuoto e di assenza di finalità»23: «l’epoca moderna, e in particolare i tempi più recenti, sono percorsi da un senso di tensione, di attesa, di stretta non allentabile, come se il fine essenziale e definitivo, il vero senso e il punto centrale della vita e delle cose dovesse ancora arrivare» [FD: 676]. L’effetto distanziante sullo stile di vita moderno è anche la risultante dell’inaudito sviluppo dei mezzi tecnico-scientifici e del denaro come “mezzo dei mezzi”: il loro predominio sancisce la prevalenza dei mezzi sui fini della vita24. In questo processo, 21

Giacomini 1999: 85. Ivi: 85-86. 23 Vigorelli 1999a: 143. 24 L’uomo, secondo Simmel, pur essendo sempre rinviato alla categoria del mezzo e del fine, in quanto «il suo destino eterno è di muoversi nel conflitto tra le esigenze poste direttamente dal fine e quelle poste direttamente dai mezzi» [FD: 680]; tuttavia, egli, proprio nella modernità vive tragicamente “il predominio dei mezzi” che «non ha investito solo i singoli scopi, ma il luogo stesso degli scopi, il punto in cui tutti gli scopi convergono» [ibid.], cioè l’io, il quale si è progressivamente allontanato da se stesso: «tra lui e la sua parte più autentica, essenziale, si è frapposta una barriera insuperabile di strumenti, di conquiste tecniche, di 22

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SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECPROCITÀ

infatti, soprattutto l’economia monetaria rende praticamente possibile «da una parte l’indipendenza dell’individuo dalle solidarietà familiari e locali, vincolate alla proprietà collettiva e alla coltivazione in comune della terra, dall’altra l’istituirsi di legami di interessi del tutto indipendenti dalle distanze spaziali, che connettono tra loro uomini e gruppi sociali appartenenti alle aree più diverse del pianeta»25. Secondo Simmel, l’avvento dell’economia monetaria moderna produce tutte quelle premesse che inducono l’individuo a trasformare drasticamente il modo in cui assimila l’ambiente e, attraverso l’influsso del denaro, contribuisce sia alla «determinazione dello stile della vita»26 sia all’accelerazione del tempo della vita sociale nelle sue tre dimensioni della (a) qualità o incapacità, di consumi» [ibid.]. Per l’autore della Filosofia del denaro, il “disagio della civiltà” è il segno caratteristico dei “tempi moderni”: il soggetto ha perduto la centralità ontologica del suo essere. La «perdita del ruolo egemonico dell’io» [Vigorelli 1999a: 144] e «la mancanza di qualcosa di definitivo nel centro dell’anima» [FD: 681] spingono l’individuo moderno «a cercare una soddisfazione momentanea in sempre nuovi stimoli, emozioni, attività esterne», che finisce inevitabilmente col generare «quella confusa instabilità e irresolutezza» [ibid.]: essa, in generale, permea di sé il suo convulsivo stile di vita. 25 Giacomini 1999: 86. 26 Al riguardo, nella Filosofia del denaro, Simmel distingue tra il principio di vita ritmico-simmetrico, da un lato, e il principio di vita individualistico-spontaneo, dall’altro. In una condotta di vita sistematizzata, ritmico-simmetrica, tutte le singole province della vita sono ordinate «armonicamente intorno ad un punto centrale, tutti gli interessi accuratamente graduati e il contenuto di ciascuno di essi consentito soltanto nella misura prescritta da tutto il sistema» [FD: 694]. Le «singole attività si alternano regolarmente» e tra «i periodi di attività e di pausa sussiste un’alternanza prestabilita» [ibid.]: in breve, «sia nella coesistenza che nella successione, vige un ritmo che non tiene conto dell’imprevedibile fluttuazione dei bisogni, degli impulsi e degli stati d’animo, né dell’accidentalità degli stimoli esterni e delle opportunità» [ibid.]. L’applicazione di questo principio di vita ritmico-simmetrico «consente di sviluppare un ben definito stile di vita, una forma interna ed esterna della condotta di vita che, secondo Simmel, del tutto al di là delle opportunità esterne può raggiungere un’“attrattiva per sé”, perfino finire per diventare un’opera d’arte. In senso rigoroso» [Nedelmann 1991: 106]. A tutto ciò si oppone il principio di vita individualistico-spontaneo. Chi si conforma a tale principio, ordina i contenuti della vita “caso per caso”; ha «una disposizione ininterrotta a sentire e ad agire insieme con un’attenzione costante alla vita propria delle cose» [FD: 694]. Colui che persegue il principio di condotta di vita individualistico-spontaneo di fatto «rinuncia alla prevedibilità e al sicuro equilibrio della vita»: allora, con questa modalità della condotta di vita, non si può più parlare di «stile in senso stretto», poiché la sua vita «viene modellata a partire dai suoi elementi individuali, senza che si curi della simmetria della sua immagine complessiva, che qui sarebbe sentita soltanto come coercizione, e non come un’attrattiva» [ibid.]. In questo caso «l’individuo stesso aspira a stare al centro della vita e ad essere un insieme chiuso, mentre nella condotta di vita ritmico-simmetrica lo stile di vita stesso si eleva ad un’aspirazione di totalità» [Nedelmann 1991: 106]. Per Simmel, l’opposizione tra i due principi di vita (individualistico-spontaneo e ritmico-simmetrico) si esprime proprio come “lotta” tra “la totalità dell’individuo” da un lato e “la totalità dell’insieme” dall’altro: essa traduce un conflitto vitale

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SPAZIO,

TEMPO, DENARO E STILE DI VITA

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tensità delle impressioni ricevute in un determinato periodo di tempo, della (b) quantità di idee e impressioni ricevute in una unità di tempo e di (c) eterogeneità o diversità degli stimoli ricevuti27. In particolare, sempre nella Filosofia del denaro, Simmel discute del rapporto specifico tra denaro-spazio-tempo. Qui egli scrive che «il denaro, grazie all’astrattezza della sua forma, non ha alcun rapporto determinato con lo spazio: può produrre i suoi effetti alla massima distanza, anzi in un certo senso si colloca in ogni attimo al centro di una cerchia di effetti potenziali; ma consente anche, viceversa, di ridurre il valore più elevato nella forma più piccola» [FD: 708]. Dunque, il carattere di astrattezza del denaro ha come conseguenza la capacità di stimolare due processi spaziali contrari: «un processo centripeto di concentrazione, e un processo centrifugo di espansione spaziale»28. Questi due processi contrari producono entrambi lo stesso effetto: l’accelerazione del tempo della vita sociale. Simmel, come precisa la Nedelmann, «distingue fra due funzioni del denaro, che sono indicate con due metafore, il denaro come ponte e il denaro come filo d’associazione»29. La prima indica un processo centrifugo di concentrazione dello spazio che Simmel traduce con l’esempio della borsa e della metropoli finanziaria, luoghi dove la massima eterogeneità di impressioni è concentrata «nell’ambito più piccolo» [FD: 710]. Tra denaro, concentrazione spaziale e tempo della vita vi è una causalità reciproca. Il denaro, da un lato, è la “causa” della concentrazione spaziale: «perciò – osserva Simmel –, non solo “la febbre dell’oro” investe tutto – gli uomini e le cose – ma anche il denaro da parte sua contiene un impulso verso il “tutto”, cerca di congiungersi con altro denaro, con tutti i valori possibili e con coloro che li possiedono» [ivi: 709]. Dall’altro lato, il denaro è anche l’“effetto” della concentrazione spaziale dell’interazione sociale. Infatti, aggiunge Simmel: «La stessa connessione vale in direzione inversa: la convergenza di molti uomini produce un bisogno particolarmente forte di denaro […]. Tutte le volte che molti uomini si riuniscono, nasce un’esigenza di denaro relativamente più forte» [ibid.]. Per la sua “astrattezza”, il denaro ha la peculiarità d’essere nel contempo causa ed effetto del processo di concentrazione spaziale: «infatti, data la sua indifferenza, costituisce il ponte più adatto e il migliore strumento di intesa tra molte e diverse persone; quanto più queste sono numerose, tanto più

più profondo comprensibile e rappresentabile «come l’aspirazione inconciliabile di entrambi a diventare un’immagine esteticamente soddisfacente» [FD: 695]. 27 Cfr. Nedelmann 1993a: 122. 28 Ivi: 125. 29 Ibid.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECPROCITÀ

rari divengono gli ambiti nei quali le transazioni possono prescindere dagli interessi monetari» [ibid.]. In questa sua caratteristica funzione di “ponte”, il denaro «ha come effetto di concentrare l’interazione sociale»30 e, di conseguenza, «di moltiplicare i colori della vita e di accrescerne la pienezza, e quindi di intensificarne il tempo» [FD: 710]. La seconda indica il processo di espansione spaziale dell’interazione sociale. Secondo Simmel, infatti, il denaro, come si è detto, «può produrre i suoi effetti alla massima distanza», riuscendo a riunire gli individui che prima erano isolati: esso, creando delle “reti sociali”, «stimola le rappresentazioni e, quindi, l’accelerazione del tempo della vita sociale»31. Riassumendo quanto sopra osservato, possiamo dire che secondo Simmel «si percepisce un aumento della velocità di scorrimento del tempo quando si ricevono impressioni qualitative più profonde, più numerose e più eterogenee in una determinata scansione temporale rispetto a un’altra»32: «ciò che noi sentiamo come il tempo della vita è il prodotto del numero e della profondità dei cambiamenti» [FD: 700]. Il denaro esercita una considerevole influenza sulla percezione di questa accelerazione dal momento che «il significato che spetta al denaro per la determinazione del tempo della vita in una determinata epoca può risultare innanzitutto dalle conseguenze che derivano dal mutamento dei rapporti monetari per il mutamento di quel tempo» [ibid.]. Per tutto ciò, il denaro simmelianamente è «un’inarrestabile ruota»33 «che dinamizza ogni forma, che produce nella vita moderna un’inquietudine, una febbrilità, un attivismo ininterrotto, che alterano, a loro volta, la percezione stessa del tempo. Quanto più il denaro si dematerializza, quanto più la sua circolazione diventa vorticosa, tanto più il tempo sociale sembra velocizzarsi e il mutamento non è più l’evento eccezionale, ma lo stato normale della vita sociale»34. Infatti, nella società moderna «non solo il tempo è denaro, secondo il noto aforisma di Franklin, ma anche il denaro è tempo; i due termini si equivalgono all’interno di una cultura ormai compiutamente razionalizzata e laicizzata che indica la produttività oggettiva, contabilizzabile come l’unico valore dell’attività; neutro essendo il tempo, neutra è pure la moneta»35. Indagando il rapporto tra spazio, tempo, denaro e intellettualizzazione 30

Ivi: 126. Ibid. 32 Maniscalco 2001: 77. 33 Simmel 1998: 88. Sulla metafora simmeliana del denaro come “ruota”, cfr. Nedelmann 1992: 110. 34 Maniscalco 2001: 77. 35 Ibid. 31

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SPAZIO,

TEMPO, DENARO E STILE DI VITA

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dell’esperienza, Simmel ha avuto senz’altro il merito di aver saputo mettere in evidenza come la monetarizzazione dei rapporti della vita sociale nella modernità contribuisce radicalmente a modificare la qualità dello spazio e del tempo e ha saputo dimostrare inoltre che «la trasformazione di spazio e tempo in quantità astratte ed omogenee è uno dei risultati di un processo di intellettualizzazione dell’esperienza di cui l’economia monetaria costituisce senza dubbio un meccanismo importante»36.

36

Mandich 1996: 100.

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X Da Berlino a Chicago Lo spazio sociale dell’esperienza metropolitana Paesaggi post-simmeliani

È la grande città, l’esperienza metropolitana, intesa come complessa compresenza di scenari eterogenei e riflesso della contraddittoria identità dei suoi attori sociali1, che costituisce una delle realtà privilegiate su cui la sociologia come “scienza della modernità” deve indagare e riflettere, dando prova non solo delle sue capacità interpretative ma anche descrittive e narrative: cioè, verificare, tra l’altro, soprattutto negli studi sulla città e lo spazio urbano – in parte influenzati dalle analisi simmeliane – che due forme di conoscenza, quali sono l’immaginazione letteraria e l’immaginazione sociologica possono anche essere «un esempio, forse irripetibile, di un incontro quanto mai fruttuoso fra due diversi discorsi sul mondo»2. Non è un caso, infatti, che – a partire da Simmel – social scientists, ma anche romanzieri e scrittori, sia in Europa sia in America, in particolare con la Scuola di Chicago3, esprimeranno «il nuovo spirito metropolitano che diventerà tratto culturale fondamentale della modernità avanzata»4. Con efficace sintesi, Rita Caccamo ha scritto: Nella vita metropolitana, si esprime al sommo grado l’esistenza dell’uomo della modernità e si origina un tipo sociale nuovo segnato dalle categorie dello scambio economico e simbolico. Simmel e poi Park a Chicago hanno sostenuto che scambio, relazione, interazione si trovano alla base di ogni significato e di ogni rapporto umano. La metropoli, nonostante abbia la capacità di offrire all’individuo maggiori possibilità di realizzazione e valorizzazione personale, allo stesso tempo determina una condizione di disagio che colpisce gli uomini proprio per il suo carattere mutevole e dispersivo. Nell’ambiente delimitato 1

Cfr. Caccamo 2003: 36. Turnaturi 2003a: 122. 3 Sulla Scuola sociologica di Chicago, tra gli altri, cfr. Faris 1967; Bulmer 1984; Harvey 1987; Smith 1988; Gubert-Tomasi 1995; Rauty 1995; Caccamo 1997a: 63-86, 1997b: 167213, 1998 e 2003: 111-132; Turnaturi 2003a: 122-139; Parker 2006: 60-75. 4 Caccamo 2003: 37. 2

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

della metropoli l’individuo viene spinto a ricercare un nuovo adattamento in funzione dei cambiamenti intervenuti, e soprattutto a ridefinire i suoi spazi e la sua identità. Il filo rosso che accomuna le riflessioni metropolitane del sociologo berlinese ai suoi confratelli d’oltreoceano è proprio la considerazione dell’uomo metropolitano come un individuo in continua lotta con se stesso. L’ambivalenza ne costituisce il tratto fondamentale: da una parte l’insolita e imprevista esposizione a stimolazioni nervose, emotive, sensoriali gli permette di muoversi fra più ruoli, facce, identità. Dall’altra, un tale turbinio di elementi eterogenei e incontrollabili lo stordisce, ottundendone la mente e lo “spirito”. L’uomo della metropoli è costretto così ad assumere ruoli frazionati, a stringere con i suoi simili quasi esclusivamente contatti secondari, in un processo complessivo di progressiva depersonificazione e massificazione, imputabile in gran parte all’economia urbana, sempre più basata su di una produzione di massa per un mercato impersonale5.

Dopo Simmel, sviluppando ulteriormente la tematica relativa allo studio sociologico delle metropoli «come problema centrale della modernità che si riflette pure sulle coscienze individuali»6, l’allievo di Robert Park a Chicago, Louis Wirth, così scrive: «Nel momento in cui un individuo guadagna, da una parte, un certo grado di libertà od emancipazione dai controlli personali ed emotivi da parte del gruppo degli intimi, egli perde, dall’altra, l’espressione spontanea di sé, la morale e il senso di partecipazione che deriva dal vivere in una società integrata. Questo costituisce essenzialmente lo stato di anomia, o vuoto sociale, a cui allude Durkheim cercando di dare ragione delle varie forme di disorganizzazione sociale nella società tecnologica»7. Ora, com’è noto, con il suo primo articolo apparso in America, Moral Deficiencies as Determining Intellectual Functions del 18938, Simmel è stato il sociologo europeo che ha avuto il maggior influsso teorico e metodologico sulla nascente sociologia americana9 degli inizi del Novecento, ed in modo particolare sia su quei sociologi americani (tra cui E.C. Hayes, H.J. Woolston e C.A. Ellwood)10 che ebbero l’opportunità di conoscerlo e di seguire le sue lezioni a Berlino, sia sui sociologi legati (direttamente o indirettamente) all’Università di Chicago. Egli deve comunque la sua notorietà “americana” anche ad Albion W. Small11, direttore del Dipartimento di Sociologia del5

Ibid. Ibid. 7 Wirth 1998: 32. Su Wirth, cfr. Vergati 1976: 164-172. 8 Cfr. Simmel 1893. 9 Cfr. Levine-Carter-Gorman 1976: 813-845 (I) e 1112-1132 (II). 10 Cfr. Levine 1976: 815. 11 Su Small, cfr. Dibble 1975. Sulle “affinità” di Small con Simmel, cfr. Frisby 1992b: 155-162 e Tomasi 1995: 29-33. 6

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l’Università di Chicago nel 1892 e dell’American Journal of Sociology nel 189512, nonché cofondatore dell’American Sociological Society. La pubblicazione di numerosi suoi saggi fra il 1893 e il 1910 sui primi numeri della neorivista (alcuni dei quali presumibilmente tradotti e curati dallo stesso Small13), contribuì senz’altro a diffondere il suo pensiero e la sua opera nella cultura sociologica americana dei primi decenni del secolo. Come scrive Frisby: «Simmel never visited America, and yet he was in these years prior to the First World War the most published German sociologist in America – one might add, the most published European sociologist in America»14. Small, com’è noto, già a partire dalla pubblicazione negli Annals of the American Academy of Political and Social Science dell’importante contributo di Simmel The Problem of Sociology [1895]15 (che costituisce la traduzione del suo noto saggio Das Probleme der Soziologie del 1894, poi confluito nella Soziologie del 1908), condivise esplicitamente il principio simmeliano di creare la sociologia come “disciplina indipendente nell’Università” e come scienza rivolta alla comprensione dei processi sociali in atto16, e, pur proponendo un pluralismo teorico, riservò alla teoria sociale di Simmel uno spazio particolarmente privilegiato. Ciò, tuttavia, non lo esonerò dal dissentire da alcune tesi simmeliane, «prima fra tutte lo stesso concetto di sociologia che secondo la sua ipotesi doveva essere inteso come un continuo ed aperto processo sociale la cui causa risiede nel conflitto di gruppi»17. È senz’altro con l’avvento del sociologo americano Robert Ezra Park (1864-1944)18, che seguì da vicino le orme di Simmel, conosciuto quando era studente all’Università di Berlino nel 1899, che il pensatore tedesco «entra a pieno titolo nell’ambito della ricerca sociologica promossa a Chi12 Cfr. Tomasi 1995: 27. Albion W. Small (1854-1926), considerato unanimemente come uno dei padri fondatori della sociologia americana, allievo di Lester Ward, aveva studiato in Germania, a Lipsia e Berlino, seguendo tra l’altro le lezioni di Gustav Schmoller e di Adolf Wagner. Come scrive Coser [1983: 528], Small «aveva una buona conoscenza del pensiero tedesco – filosofia, storia e scienza della politica – ed aveva un orientamento generale fortemente improntato ai principi melioristici e riformisti […]. Tuttavia, insieme con tesi e dissertazioni che continuavano a portare avanti argomenti di carattere religioso […], il dipartimento si andò lentamente liberando dalla sua incrostazione teologica per avvicinarsi di più ai problemi dell’America di quel tempo e tentare di risolverli. L’interesse crescente per le questioni della città e per la più vasta comunità, e le preoccupazioni di tipo umanitario e riformistico non si risolsero in un pregiudizio ateorico». 13 Cfr. Frisby 1992b: 155. 14 Ibid. 15 Cfr. Simmel 1895: 52-63. 16 Cfr. Tomasi 1995: 33. 17 Ibid. 18 Su Park, cfr. Coser 1983: 497-534; Lindner 1990 e Gubert-Tomasi 1994.

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PARTE

SECONDA:

CONFIGURAZIONI

DI RECIPROCITÀ

cago. Park è certamente il sociologo più autorevole a servirsi dei concetti simmeliani per l’analisi e l’interpretazione dei dati sociali. A testimonianza di ciò sta il fatto che The Society for Social Research pubblica, nel 1931, gli appunti presi da Park a Berlino durante le lezioni di Simmel»19. Già nel 1921, Park insieme con Ernest Burgess pubblicò la Introduction to the Science of Sociology20, ovvero un manuale di teoria sociologica concepito sotto forma di antologia – la “bibbia verde”, come era definito (dal colore della copertina) – che non soltanto «fu di gran lunga il più importante libro di testo nel primo periodo della sociologia americana»21, ma conteneva anche diversi brani scelti di Simmel, alcuni dei quali tradotti dallo stesso Park: i capitoli di questo libro riflettevano coerentemente l’orientamento teorico che Park aveva ricevuto da Simmel durante il suo soggiorno di studio all’Università di Berlino. Come ha scritto Coser nel suo ancora fondamentale volume Masters of Sociological Thought: Sebbene gli studi compiuti nell’Università del Michigan e in quella di Harvard fossero stati indubbiamente importanti per la formulazione della sua concezione filosofica, fu durante i suoi studi in Germania che Park elaborò la maggior parte delle idee sociologiche che avrebbe successivamente impiegato nell’insegnamento e negli scritti. Il semestre universitario nel quale seguì le lezioni di Simmel fu probabilmente il più importante della sua vita. Park derivò dall’insegnamento di Simmel non solo la concezione generale della società come sistema di interazione, ma anche idee più specifiche come quelle sul conflitto sociale, sull’uomo marginale, sui caratteri degli abitanti urbani e sulla distanza sociale. Inoltre – ed è forse questo l’aspetto più importante – è derivata in larga misura dal pensiero di Simmel anche l’idea, più volte ribadita da Park, secondo cui la sociologia è una scienza che tende ad astrarre dalla multiforme realtà un insieme di concetti che consentono di stabilire relazioni tra specifiche variabili. Quando Park guarda alla società come ad un comportamento collettivo organizzato per mezzo del controllo sociale, traduce nella terminologia americana la distinzione di Simmel tra il fluire spontaneo della vita sociale e i controlli che le forme precostituite di interazione esercitano incanalando i diversi ed imperiosi bisogni umani entro modelli di comportamento. L’interesse di Park per il processo sociale come fonte di novità – il suo rifiuto di uno statico strutturalismo a favore di una concezione dinamica – trova esso pure origine, almeno in parte, nell’opera del sociologo tedesco. Park non può essere considerato un discepolo di Simmel, ma certamente fu profondamente influenzato dal suo pensiero. L’indice analitico alla Introduction 19

Tomasi 1995: 28. Cfr. Park-Burgess 1921. Per gli studi di Park sulla città, cfr. Park 1995: 3-27 e Park, Burgess e McKenzie 1999. 21 Coser 1983: 516. 20

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ha non meno di quarantatré riferimenti a Simmel, un numero superiore a quello riservato a qualsiasi altro autore. Il libro contiene dieci passi selezionati dell’opera di Simmel, un numero di nuovo superiore a quello riservato a qualsiasi altro. Park tradusse le scintillanti e brillanti osservazioni di Simmel in uno stile più concreto, fondendo l’erudizione del pensatore tedesco con i temi del pensiero progressista del Midwest22.

Perché Chicago? Lungo il processo della modernità, nell’America degli ultimi decenni del XIX secolo e dei primi del successivo, caratterizzata dall’alternarsi di periodi di crisi e di fasi di grande prosperità economica, nella quale i villaggi si trasformavano a ritmo frenetico in città e comunque in contesti urbani, differenziati al loro interno, Chicago, «a differenza delle capitali del Vecchio mondo, era una metropoli divenuta rapidamente gigantesca, a seguito della massiccia ondata di industrializzazione tecnologica che caratterizzava il capitalismo americano in quella fase di passaggio dalla concorrenza al monopolio e che attraeva popolazioni e genti di tutti i tipi»23. La teoria sociologia e la ricerca empirica svolta sul campo dai sociologi in azione sotto la spinta e la guida di Park, si legò indissolubilmente al rapporto con la città di Chicago, la cui realtà metropolitana fu considerata come un emblematico laboratorio sociale: a Chicago, città commerciale e industriale eccellente, città di confine tra l’Est e l’Ovest, attraversata da un fiume e con un lago antistante che ne favorivano i processi di comunicazione e di trasporto e dotata del maggior numero di snodi ferroviari dell’intero paese, già nei primi decenni del XX secolo, si snodava la varietà infinita e complessa dell’esistenza urbana e vi si esprimevano contraddittoriamente tutti gli estremi della vita sociale. Chicago, infatti, «conteneva fasce estese di immigrazione con un notevole grado di disorganizzazione sociale, derivante dall’eterogeneità dei suoi abitanti. Contemporaneamente la città rappresentava un centro culturale nel quale la classe media costruiva le sue prime grandi strutture culturali: in essa quindi le contraddizioni dei quartieri operai e degli slums si univano all’armoniosità e alla luminosità del suo Loop e dei suoi quartieri residenziali»24. Sulla base di queste premesse strutturali, il sociologo Park considerò Chicago «il luogo più alto dello sviluppo umano, il luogo incongruo percorso da grandi potenzialità e nuove contraddizioni, territorio tutto da esplorare e, anche, da migliorare con l’intervento attivo del sociologo»25. Park, nel suo 22

Ivi: 520-521. Caccamo 2003: 112. 24 Rauty 2000: 253-254. 25 Caccamo 2003: 112. 23

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SECONDA:

CONFIGURAZIONI

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peculiare interesse per la dimensione psicologica della vita urbana, riuscì a tradurre le intuizioni sull’esistenza metropolitana di Simmel in problemi che potevano assurgere ad oggetto di ricerca empirica. Park, coniugando la ricerca urbana sul campo con la teoria sociologica generale, «volle cogliere la varietà dei modi nei quali la natura umana era influenzata dalla complessità e specializzazione dell’ambiente urbano (ecologia sociale). Inoltre, volle indagare, con gli strumenti della nuova scienza, le conseguenze sociali e individuali della “libertà metropolitana” rispetto allo stretto controllo tradizionale della comunità di villaggio»26. Benché nel campo della teoria psicologica del comportamento sociale nelle aree urbane, il lavoro sociologico di Simmel avesse, tra l’altro, come obiettivo «lo studio della mental life»27 e quello di Park si finalizzasse soprattutto «all’analisi dell’“human behavior in the city environment”»28, si può senz’altro ritenere che Park, “applicando” gli insegnamenti teorici del suo maestro berlinese, fu originalmente l’interprete di quella che divenne la “sua” metropoli. Come scrive Caccamo: Chicago, infatti, rappresentò per lui un luogo di ispirazione creativa, oltre che un laboratorio vivente di dati “scientificamente” osservabili. La città offriva il senso immediato della concretezza spaziale, ma anche delle sue interazioni simboliche: essa diventava così luogo della rivelazione del dato e pure dell’intervento sulle situazioni di disagio, marginalità, devianza. L’osservazione sociologica seguiva da vicino la realtà da studiare29.

Per concludere, senza dubbio quella di Park è stata una significativa testimonianza di come la lezione di Simmel – volta a «chiarire i complessi modelli attraverso cui i singoli attori interagiscono fra loro ed il modo in cui tale interdipendenza determina la strutturazione e la ristrutturazione del mondo sociale»30 – fu a suo tempo ancora in grado di fornire ai Chicagoans gli strumenti concettuali per lo studio delle dimensioni e configurazioni spaziali della vita sociale originatesi con la modernità, che dopo Simmel, con il tramonto del paradigma struttural-funzionalista parsonsiano e l’emergere degli approcci interazionisti e fenomenologici, hanno per primi contribuito

26 27 28 29 30

Ivi: 113. Tomasi 1995: 38. Ibid. Caccamo 2003: 113-114. Tomasi 1995: 39.

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a riportare, tra l’altro, anche lo “spazio”, oltre che il “tempo” e la “vita quotidiana”31, al centro della teoria sociale contemporanea32.

31

Cfr. Borrelli 2007: 19-33. Cfr. Strassoldo 1992; Paolucci 2003; De Simone 2004a; Tramonti 2004; Agustoni, Giuntarelli, Veraldi 2007. Le principali ragioni che motivano l’interesse sociologico contemporaneo per lo spazio sono sintetizzabili nei seguenti punti: «1. I corpi, anzitutto, costituiscono una realtà spaziale la cui esistenza ha luogo in una continua relazione con uno spazio “esterno”. Tale relazione è almeno in parte codificata in una complessa serie di pratiche sociali, ovvero di maniere standardizzate di agire, alle quali l’attore sociale sottostà in maniera prevalentemente automatica ed irriflessa. Gli spazi della nostra esistenza quotidiana sono costruiti e pensati alla luce di tali pratiche – contengono quindi un complesso d’informazioni codificate circa tali pratiche. È attraverso la loro stessa configurazione che noi, in buona parte, apprendiamo ed interiorizziamo le pratiche in questione. 2. Oltre a contenere informazioni codificate circa le relazioni tra i corpi e gli spazi – anzi, proprio perché contengono tali informazioni – gli spazi veicolano e codificano anche informazioni circa le relazioni tra i corpi nello spazio e circa le identità dei corpi che entrano in relazione. La configurazione sociale degli spazi è, pertanto, pregna d’informazioni relative all’organizzazione della vita sociale, ai rapporti tra i diversi individui o tra gli individui e le collettività, ai rapporti di sovraordinazione e subordinazione. Pertanto, la gestione degli spazi assume una rilevanza di primo piano nella pianificazione e nel controllo sociale, nonché nei rapporti di dominazione. 3. La conoscenza dei contesti spaziali della nostra vita quotidiana sintetizza, pertanto, al proprio interno, buona parte delle informazioni circa la vita e le relazioni sociali al cui interno l’individuo è coinvolto. Le mappe mentali che ci guidano nei nostri spostamenti quotidiani si configurano, anzitutto, come complessi integrati di schemi socio-spaziali. 4. Ne consegue la fondamentale funzione che gli spazi rivestono a livello di ancoraggio sociale ed esistenziale. L’indecifrabilità dei codici spaziali e il disorientamento geografico presentano intimi legami con lo spaesamento spaziale e la deriva esistenziale. 5. Lo spazio costituisce altresì un vincolo rispetto alle relazioni sociali, particolarmente sotto forma di estensione, tanto da avere vincolato, lungo il corso della storia umana, la dimensione relazionale e comunitaria al requisito della compresenza corporea, ovvero alla condivisione del medesimo luogo in un determinato momento. I processi che, negli ultimi decenni, sono stati descritti utilizzando il termine di globalizzazione, possono essere pensati come costruzione di una geografia variabile, flessibile e precaria, di relazioni sempre più libere dal requisito della compresenza, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie che esercitano un ruolo di condizione imprescindibile, ancorché non di fattore determinante» [Tacchi 2007: 24-25]. 32

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Parte terza ____________________________________________ FRA INDIVIDUALE E SOCIALE DILEMMI DELLA RECIPROCITÀ E FIGURAZIONI SOCIALI

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XI Una rete intricata Differenziazione individualizzante e intersecazione delle cerchie sociali Sulla “Differenziazione sociale” di Simmel L’uomo è un essere differenziale. Georg Simmel L’uomo non è mai un mero essere collettivo, come non è mai un mero essere individuale. Georg Simmel

Attraverso Über soziale Differenzierung. Soziologische und psychologische Untersuchungen del 18901, Simmel – nonostante le lenti per così dire deformanti dell’evoluzionismo positivistico2 che per certi aspetti condizionano questa sua opera giovanile segnata dalla presenza massiccia di «un lessico darwiniano e spenceriano»3 –, problematizza il valore dell’individualità e della differenza in ordine allo sviluppo della società. L’individuo di cui si occupa Simmel non è quello biologico, bensì quello immerso pervasivamente in rapporti, in interazioni che si cosificano in forme: l’individuo è al centro delle relazioni sociali e il suo essere è fatto di appartenenze, o cerchie, tanto più numerose quanto più numerose sono le sue relazioni sociali, quanto più differenziata è la società4. Il processo di individualizzazione si presenta ora come una tendenza “evolutiva” insita nell’interazione fra persone. Per Simmel, l’individuo non è un essere creaturale «venuto al mondo già dotato di tutte le sue qualità, ma essere in evoluzione, capace di alterare e di ridefinire incessantemente la propria identità»5. L’individuo da un lato, e il collettivo 1 Cfr. G. Simmel, La differenziazione sociale, tr. it. e cura di B. Accarino, pref. di F. Ferrarotti [1982; d’ora in poi DS]. 2 Cfr. de Conciliis 1998: 67. 3 Accarino 1982a: XXIV. 4 Cfr. Rutigliano 2001: 151-152. 5 Accarino 1982a: XXVI.

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PARTE

TERZA:

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INDIVIDUALE E SOCIALE

dall’altro, «non vengono considerati come un Tutto unitario, ma come il risultato dell’interazione di molteplici fattori (Wechselwirkung): la psiche e la società non sono strutture conchiuse e identiche a sé nel tempo e nello spazio, ma campi relazionali in cui agiscono forze diverse senza formare un Intero»6. Scrive infatti Simmel: Nessuno sa che cosa si debba concretamente pensare per unità della psiche. Che ci sia in noi da qualche parte un essere determinato, che sarebbe il supporto esclusivo e semplice dei fenomeni psichici, è un articolo di fede del tutto indimostrato e indifendibile dal punto di vista gnoseologico […]. È assolutamente impossibile scoprire un punto a partire dal quale tutto ciò appaia come lo sviluppo armonico di una unità psichica originaria. Non rimane altro che il concetto vuotissimo e formale di un Io nel quale si siano verificate tutte queste trasformazioni e tutti questi contrasti, ma che appunto è solo un concetto e non può essere quindi ciò che abbraccia unitariamente, da una presunta posizione al di sopra di esse, tutte le rappresentazioni singole [DS: 15-16].

La molteplicità psichica dell’individuo, secondo Simmel, esibisce il suo pendant nella molteplicità che scaturisce di fatto dall’interazione sociale degli individui. La struttura relazionale è possibile «solo in quanto vi si producono e vi si rapportano differenze, la cui economia non permette di parlare né di unità, né di totalità; come “società” tale struttura è tuttavia oggettiva, o universale, nella misura in cui assume nel tempo delle forme indipendenti dagli individui che di volta in volta la costituiscono»7. Leggiamo Simmel: Quando si è realizzata un’unione le cui forme persistano anche se alcuni membri se ne separano e nuovi membri subentrano; quando esiste un comune patrimonio esteriore, l’acquisizione del quale e la disposizione sul quale non siano una questione che riguardi un singolo; quando c’è una somma di conoscenze e di contenuti etici di vita che con la partecipazione dei singoli non possono essere né accresciuti né diminuiti e che, diventati in certa misura sostanziali, sono a disposizione di chiunque voglia esserne partecipe; quando il diritto, l’ethos, le relazioni sociali hanno sviluppato forme alle quali aderisce e non può non aderire chiunque instauri un certo rapporto di convivenza spaziale con altri; in tutti questi casi c’è sempre società, l’interazione si è condensata in un corpo che la distingue, proprio in quanto interazione

6

de Conciliis 1998: 67. Sulla rilevanza in Simmel della reticolarità sociale e dello scambio relazionale fra soggetti considerati come unità psichiche differenti che, nella modernità, incarnano la forma contraddittoria che nasce dall’intersecazione di pulsioni, passioni e ragione, cfr. Fornari [2005a: 83 sgg.]. 7 de Conciliis 1998: 68.

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RETE INTRICATA

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sociale, da un’interazione destinata a scomparire insieme con i soggetti la cui partecipazione sia immediata ed il cui comportamento sia estemporaneo [DS: 20-21].

L’individuo simmeliano moderno, nel processo di differenziazione individualizzante, si è reso indipendente dalla società attraverso un determinato processo storico e antropologico. In particolare, esso si è progressivamente emancipato dalle cerchie sociali ristrette, che esercitando su di lui un controllo globale, gli imponevano uno sviluppo determinato, della propria individualità. Dall’estendersi dei contatti e dei rapporti economici e culturali e dal loro progressivo complicarsi deriva necessariamente la differenziazione soggettiva: Le funzioni divengono più complesse, i rapporti da gestire aumentano in numero ed in qualità, di modo che a ciascuno spettano compiti più precisi e limitati che non nella situazione precedente. L’emergere, nella cerchia ristretta, di posizioni individuali ha una doppia conseguenza: da un lato i titolari di tali posizioni riconoscono la propria unicità e diversità rispetto ai titolari di altre posizioni interne al gruppo; dall’altro si scoprono simili ai propri omologhi di altri gruppi. In questo modo la compattezza della struttura interna della cerchia iniziale viene incrinata su due versanti: la “solidarietà meccanica” che ne univa i membri in un contesto pre-moderno viene a mancare, perché ciascuno ha una funzione differente da quelle degli altri, che questi non sono in grado di svolgere in caso di bisogno; la contrapposizione rigida rispetto ad altre cerchie è minata dal riconoscimento di un’affinità culturale e funzionale con i loro membri. L’intero sistema delle cerchie sociali ne viene alterato e ridisegnato. Mentre in precedenza una rappresentazione diagrammatica della società avrebbe rivelato un gioco di cerchi concentrici di ampiezza via via crescente, nel quale il singolo non aveva rilevanza che in quanto costituente di una delle cerchie più ristrette; ora il diagramma disegna cerchi intersecantisi di ogni ampiezza ed estensione. Ai punti di incrocio di questa infinità di circoli possibili si trovano i soggetti, tanto più perfetti nella propria unicità quanto maggiore è il numero delle cerchie cui appartengono8.

L’esperienza della complessità, la poliedricità della propria vita interiore, il moltiplicarsi degli interscambi favorisce importanti e continui mutamenti dei contenuti psicologici, che nell’evoluzione culturale contribuiscono ad incrementare il ruolo crescente del mutamento nella vita individuale sempre più segnata dal moltiplicarsi delle occasioni di interazione, da infinite possibilità d’azione e dalle inevitabili conseguenze che tutto ciò ha sulla personalità individuale. L’autonomia e la libertà che l’individuo acquisisce 8

D’Andrea 1999: 25.

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nei confronti delle cerchie sociali chiuse e ristrette costituiscono appunto le premesse strutturanti il processo di differenziazione individualizzante: liberandosi, per esempio, dalla trasmissione ereditaria della colpa e dalla responsabilità collettiva, l’individuo «eleva la sua capacità di giudizio, e si sottrae ad una dipendenza completa dal vincolo sociale, ad un’uniformità mentale che gli impedisce di uscire sia fisicamente che psichicamente all’esterno del gruppo»9. Nel secondo capitolo (Sulla responsabilità collettiva)10 della Differenziazione sociale, in un contesto antropologico ed etnologico, Simmel, com’è noto, esamina, attraverso l’analisi dei mutamenti indotti nel concetto di “colpa” dalla progressiva differenziazione individuale, il dispiegarsi di questa complessa dinamica. Nello specifico si ha quanto segue. Nel primo stadio considerato «l’individuo come tale non esiste e non può perciò essere imputato di alcunché: non si danno le condizioni oggettive e soggettive perché un’azione criminosa conosca altri agenti che non siano i gruppi nella loro totalità. Il differenziarsi individualizzante mette però progressivamente termine a questo stato di cose e permette l’attribuzione al singolo della responsabilità dei propri atti. Tale processo di precisazione, una volta avviatosi, non si arresta a questo primo passo, ma prosegue, giungendo a far ritenere imputabile una sola parte della personalità dell’individuo»11. Come scrive lo stesso Simmel: Quanto più raffinata e sviluppata è la personalità, quanto più separatamente ed autonomamente si dispongono, l’uno accanto all’altro, i suoi vari istinti, capacità ed interessi, tanto più la colpa può afferire ad una parte della personalità senza essere imputabile alla sua totalità [DS: 41]. 9

de Conciliis 1998: 69. Come osserva Accarino [1982a: XXVI], questo secondo capitolo della Differenziazione sociale «è un esempio mirabile di utilizzazione a fini sociologici di un ricco materiale antropologico-giuridico (in parte già noto a Nietzsche). Simmel riprende il problema dell’individuo dal punto di vista dell’obsolescenza storica della responsabilità collettiva. I rapporti sociali moderni hanno emarginato quella forma antica di risarcimento che responsabilizzava, per un reato commesso dal singolo, il gruppo di appartenenza di quest’ultimo. E poiché questo tipo di risarcimento coincideva generalmente con una vendetta cruenta, esercitata sul clan, sul gruppo parentale ecc., con il passaggio dalla responsabilità collettiva alla responsabilità individuale si determina una diminuzione della violenza all’interno dei rapporti sociali. La “pena” moderna non pretende più di coinvolgere il settore sociale di provenienza del singolo, né di colpire il singolo nella sua interezza, ma solo di punire quella parte della sua personalità che si è resa colpevole di violazione della normalità […]. La scomposizione della personalità corrisponde ad un processo di modernizzazione per il quale l’individuo diventa passibile di imputazione e quindi responsabile (libero) in senso generalmente sociale, ma proprio perché ha perduto la sua compattezza creaturale. Dall’analisi della penalità si passa quindi all’analisi della società in generale». 11 D’Andrea 1999: 26. 10

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In termini simmeliani, «quanto maggiore è la rinuncia operata dal singolo a favore dell’unità indistinta di sé e del gruppo, e quanto minore è quindi la differenziazione, tanto più fondata è la possibilità di colpevolizzare o responsabilizzare il gruppo nella sua interezza e non il singolo. Solo quando non c’è differenziazione la colpa etica del singolo nei confronti di un terzo spinge quest’ultimo ad una reazione contro tutto il gruppo, mentre in condizioni di differenziazione è possibile non solo all’interno del gruppo, cioè oggettivamente, ma anche all’interno della capacità conoscitiva di chi è offeso, localizzare e individualizzare la colpa»12. Nell’evoluzione culturale relativa al nesso colpa/imputazione/responsabilità «è chiaro che il momento in cui si arriva a considerare una sola componente psicologica come possibile responsabile di un comportamento deviante è anche il momento in cui il ritmo esistenziale inizia a sfuggire di mano all’uomo»13. Il processo relativo alla trasmutazione del concetto di “colpa” procede in modo inarrestabile. Esso percorre un transito per così dire “spiraliforme” per cui al livello supremo di civiltà si riscontra tuttavia una peculiare forma di ritorno alla concezione precedente. Proprio nell’ultimo periodo è emersa di nuovo la propensione a rendere la società responsabile della colpa del singolo. Alla posizione esteriore in cui essa colloca il singolo, alle condizioni di vita atrofiche o ipertrofiche che gli offre, alle strapotenti impressioni e influenze cui il singolo è esposto da parte della società – a tutto ciò, ma non ad una «libertà» dell’individualità, si attribuisce ora volentieri la responsabilità per il misfatto dell’individuo [DS: 44].

Nella sua peculiare torsione argomentativa, la logica intrinseca alla dinamica analizzata da Simmel «si esplica in uno dei settori più delicati della vita sociale: l’individuo non è più neanche in grado di farsi carico della responsabilità delle proprie azioni, quando invece, nell’ottica borghese ottocentesca, il momento in cui il giovane diveniva responsabile di se stesso equivaleva all’esito dei riti adolescenziali delle società tradizionali, segnava cioè il suo ingresso nella società adulta. Ora le “azioni dotate di senso” non sono più dovute ad una sua libera scelta, più o meno censurabile, ma sono il risultato delle pressioni e dei condizionamenti sociali. Il soggetto è espropriato della sua qualità primaria, la possibilità di operare scelte in vista del perseguimento di un fine liberamente eletto: rischia addirittura di vedersi preclusa la possibilità di costituirsi in quanto soggetto. L’atto di scegliere è infatti carico di significati fondativi per l’identità individuale, in quanto 12 13

Accarino 1982b: 88. D’Andrea 1999: 26.

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TERZA:

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INDIVIDUALE E SOCIALE

implica la necessità di riconoscere l’azione come propria, nonché di essere responsabile dei suoi risultati nei confronti degli altri. Scegliere è un modo di interagire con i propri simili dalla doppia valenza: fonda l’identità interna ed al tempo stesso fonda saldamente quella altrui instaurando un rapporto duraturo»14. Se la società si impone sul singolo individuo, parimenti è altrettanto giusto che essa si faccia carico di questa condizione. Se il singolo è, in base alle sue attitudini innate, il prodotto delle generazioni passate, e in base allo sviluppo formativo di queste il prodotto della generazione contemporanea, se il singolo trae dalla società il contenuto della sua personalità, non possiamo più responsabilizzarlo per azioni per le quali egli è, non diversamente dallo strumento con cui le ha compiute, solo un punto di passaggio. È però ovvio obiettare che la costituzione della società, che determina il singolo, non può non aver preso le mosse, in qualche luogo, da individui singoli, i quali rimangono responsabili della colpa nel suo effetto finale; di conseguenza, se l’individuo potesse rendersi colpevole in quanto tale e scaricasse anche gran parte della sua responsabilità sulla società, non potrebbe scaricarla del tutto, perché la società consiste di individui e non potrebbe perciò essere colpevole se questi non lo fossero […]. Quanto più profonda è la consapevolezza che non c’è azione, all’interno del cosmo sociale, che rimanga senza conseguenze, e che l’effetto di un atto immorale individuale si fa sentire sino all’ultimo anello della catena, tanto più nettamente si dovrebbe sottolineare la responsabilità nei confronti delle generazioni future [DS: 44-45].

Per Simmel, da un punto di vista psicologico, la forza di coesione di un piccolo gruppo sociale «è inversamente proporzionale alla differenziazione individuale di ciascuno dei suoi membri»15. In generale si ha che «quanto più il gruppo si allarga, tanto più emerge in esso l’individualità differenziata, e la forza di coesione si rende indipendente dall’uniformità comportamentale del singolo: questi tende a diventare “privato” e ad acquistare una sfera d’azione indipendente dal gruppo»16. Diversamente dai piccoli gruppi omogenei e ristretti, nei quali l’individuo, assorbito dalla comunità, non sviluppa un’autopercezione di sé come singolo e dove il suo valore consiste nell’essere membro riconosciuto dal gruppo, le differenze si fanno evidenti e crescono là dove procede proporzionalmente la crescita del gruppo e della differenziazione sociale: «solo una struttura ampia e complessa (per es. lo Stato moderno) può permettersi, a dispetto delle microstrutture, lo sviluppo 14

Ivi: 27. de Conciliis 1998: 69. 16 Ibid. 15

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dell’individualità senza conseguenze minacciose per la propria esistenza»17. Sia l’identità che la forza di coesione del gruppo sono entrambe relative alla sua grandezza proporzionale e alla sua capacità d’interazione con altri gruppi; mentre, a sua volta, la stessa identità dell’individuo è strettamente correlata all’ampiezza del gruppo di appartenenza e al grado di differenziazione individualizzante che quest’ultimo gli consente. È importante sottolineare che questa peculiare relazione «si riverbera, nell’età moderna, sulla molteplicità interna ed esterna dell’individualità, sul giudizio che l’individuo si forma di sé nella sfera pubblica e in quella privata, sulla possibilità che egli ha di comportarsi diversamente in diverse sfere dell’ampio gruppo sociale in cui è inserito»18. Simmel pur evidenziando ancora una volta quanto stretto sia «il nesso che unisce il rafforzamento ed il raffinamento della personalità con la vita all’interno di una cerchia molto ampia» [DS: 63], tuttavia, di fatto, rileva che «l’ampliamento puramente quantitativo del gruppo è solo il caso più chiaro dello sgravio morale degli individui» [ivi: 47], i quali «possono avere una condotta immorale solo se non si esercita su di loro quel controllo totale del comportamento, che li nega in quanto individui»19. La differenziazione individualizzante conseguente ad un progressivo ampliamento della cerchia sociale e della partecipazione dell’individuo a una pluralità stratificata di cerchie sociali più piccole partecipa alla produzione di un’identità individuale complessa e articolata, che raggiunge il suo culmine nella sfera intellettuale: da questo punto di vista, che senz’altro ha molte ricadute sul piano ideologico, soltanto l’individuo altamente differenziato è interamente responsabile delle proprie azioni. Nella Differenziazione sociale, lo ripetiamo, Simmel non soltanto coglie e problematizza il valore dell’individualità in rapporto con lo sviluppo della società, ma questa sua consapevolezza problematica non significa per lui che l’individuo costituisca «l’unità ultima della realtà sociale». Egli lo ribadisce esplicitamente allorquando scrive che l’uomo singolo non è un’unità assoluta, come pretende un conoscere che conti solo sulle realtà ultime. Io credo che vedere fino in fondo e in quanto tale la molteplicità che già l’uomo come individuo rivela in sé e per sé, sia una delle più importanti precondizioni di una fondazione razionale della scienza sociale [DS: 14].

17 18 19

Ibid. Ivi: 70. Ibid.

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Dal suo punto di vista sociologico, i soggetti individuali costituiscono «il supporto delle interazioni sociali, ovvero della società in quanto complesso di interazioni. Questo significa che qualsiasi analisi della società e dei suoi processi di sviluppo si basa 1°) sulla definizione del rapporto tra soggetti individuali e formazioni oggettive di cui essi costituiscono il supporto; 2°) sulla definizione del grado di singolarizzazione dei supporti individuali delle relazioni sociali»20. Simmelianamente, gli individui non sono intesi come dei dati unitari originari, ma come «punto di incontro di parti sociali individuali la cui unità è data dalle interazioni che tra quelle parti si stabiliscono: la singolarizzazione, o il grado di individualità, è data dal numero delle parti e dalla forza di attrazione reciproca che si stabilisce tra le relazioni che tengono unite quelle parti»21. Quella dell’individualità è dunque una categoria strategica per comprendere il programma sociologico ed etico simmeliano: «la presenza o meno dell’individualità in una data società, ovvero il riconoscimento da parte di quella società della sua presenza, determina il grado di sviluppo evolutivo, di civiltà, da essa raggiunto»22. Il problema simmeliano è individuare i criteri necessari per poter rilevare il riconoscimento sociale dell’individualità, della sua presenza, della sua autonomia morale e giuridica. Il primo criterio con cui rilevare la presenza e/o l’assenza dell’individualità nella storia è dato, come già sappiamo, dalle modalità di attribuzione sociale di responsabilità di un’azione commessa. Scrive Simmel: «Epoche meno civilizzate mostrano generalmente la tendenza a considerare l’azione dannosa di un singolo come colpa, passibile di punizione, della sua cerchia sociale, dell’intera famiglia, della stirpe ecc.» [DS: 26]. In tali epoche «il singolo non viene considerato in quanto tale come fonte autonoma di comportamento, ma in quanto costituente un tutt’uno con il gruppo di appartenenza: esso è riconosciuto, e giudicato, come parte integrante di esso, semplice elemento di una unità compatta, di una “individualità” più estesa da cui dipende totalmente»23. Ciò costituisce quanto Simmel stesso definisce una «carenza di differenziazione» sotto due aspetti: dal punto di vista oggettivo, «perché la fusione di individuo e totalità può essere in effetti così stretta che le azioni dell’individuo possono valere a buon diritto non come azioni individuali in senso stretto, ma come azioni scaturite da una certa solidarietà di ciascun individuo con ciascun altro» [DS: 26-27]; dal punto di vista soggettivo, «in virtù dell’incapacità di chi giudica di separare l’individuo 20 21 22 23

Ghisu 1991: 26. Ibid. Ibid. Ivi: 27.

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colpevole dal gruppo, al quale esso è legato da tutti gli altri rapporti mentre non lo è proprio relativamente alla colpa in questione» [ivi: 27]24. La differenziazione individualizzante, cioè il differenziarsi della personalità singola responsabile, sospinge verso una determinata forma di «isolamento etico»25 proprio dell’individuo «giuridicamente (teoricamente) svincolato dal particolare gruppo di appartenenza, considerabile dunque come unico responsabile delle proprie azioni»26. Al riguardo, però, Simmel non manca opportunamente di distinguere fra differenziazione teorica (del diritto o della ragione) e differenziazione fattuale (l’opinione dominante)27. Il processo di differenziazione oggettiva della società pone capo alla differenziazione individualizzante: essa non si ferma all’individuo, ma si prolunga anche nel comportamento nei confronti dell’individuo. Disponendo di una conoscenza più raffinata, noi responsabilizziamo sempre, per una colpa etica, l’uomo nella interezza, e comprendiamo invece che l’educazione, l’esempio, la disposizione naturale hanno potuto guastare un singolo impulso o una singola cerchia di rappresentazioni, mentre la parte restante della personalità può comportarsi in modo assolutamente conforme ai principi etici. La crescente differenziazione tra gli elementi pratici della nostra natura contribuisce oggettivamente a questo processo, tanto quanto vi contribuisce, soggettivamente, la differenziazione tra le forze teoretiche della nostra natura [DS: 41].

Lo si è già rilevato sopra: per Simmel quanto più «raffinata e sviluppata» è la personalità, quanto più «separatamente ed autonomamente» si dispongono l’uno accanto agli altri, «capacità ed interessi», tanto più la «colpa» 24 Per Simmel, come rileva ancora Ghisu, «l’omogeneità indefinita del gruppo (quindi l’assenza dell’individualità) è tanto più marcata quanto più semplici, meno articolate sono le forze materiali (per esempio la necessità pratica della sopravvivenza) e quindi il sistema di convinzioni che tiene unita la totalità di esso. Tale sistema di convinzioni assume, in questa fase dell’evoluzione, un carattere per lo più religioso che rafforza e giustifica il sentimento di costante dipendenza che il singolo prova nei confronti del gruppo cui appartiene. La religione viene ad essere in tal senso il riflesso psicologico dei legami che vincolano l’individuo alla comunità» [ibid.]. 25 Ivi: 28. 26 Ibid. 27 «La differenziazione fattuale – precisa infatti Simmel – […] soprattutto quando si tratta di reazioni punitive, viene spesso molto più tardi della differenziazione teorica. Per quanto ogni uomo sufficientemente civile ed ogni legislazione sufficientemente sviluppata possano rifiutarsi di far pagare i parenti di un criminale per il suo reato, di fatto ciò accade in misura notevole, e per la verità accade direttamente perché la moglie e i figli di un detenuto sono spesso abbandonati alla più disperata miseria, indirettamente perché di fatto la società, anche se non lo confessa, disprezza questi familiari, ed anche i familiari più lontani» [DS: 40-41].

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può afferire ad una parte della personalità senza essere “imputabile” alla sua totalità. Simmel, dunque, “storicizza” il concetto di personalità mostrando come ciò che è massimamente individuale non ha un’origine assoluta ma è frutto di un processo storico28. L’individualizzazione intesa come tendenza evolutiva insita nell’interazione fra persone, significa che «il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto sono costituiti da individui e dai loro rapporti di pura contingenza»29. Il significato epistemologico che de-oggettivizza le forme sociali e culturali e la sua funzione decostruttiva riguardano non solo la teoria sociale ma di conseguenza anche l’etica: teoria sociologica ed etica si costituiscono in un orizzonte storico-sociale sempre più complesso, mutevole e differenziato. Simmel, problematicamente, analizza la pluralità delle esperienze e delle attività umane che si differenziano, si scindono e si sovrappongono nel campo dell’interazione sociale e le conseguenze che

28 Cfr. de Conciliis 1998: 71. Al riguardo, sia Ghisu [1991: 29] che la stessa de Conciliis [1998: 72 sgg.], individuano criticamente nella evidenziazione simmeliana della «personalità più raffinata e sviluppata», il modello dominante di individualità quale espressione della crescita del gruppo sociale che, nella differenziazione sociale di tipo borghese, permette, nell’esperienza della modernità, l’affermarsi del pensiero astratto, «che viene dominato dagli aristoi dell’intelletto, detentori del sapere sull’uomo e sulla natura» [ivi: 74]. In filigrana, nella prospettiva evoluzionistica adottata da Simmel, la tendenza all’individualizzazione e all’individualismo concorrenziale borghese moderno esprimerebbe la “giustificazione” teorica dello schema classico dell’evoluzione sociale secondo il quale «la gerarchia presente nella società riproduce i livelli dell’evoluzione, mentre alle classi subalterne corrispondono gli stadi evolutivi inferiori» [Ghisu 1991: 29]. Nella lettura critica della de Conciliis [1998: 75-76), «la differenziazione sociale di tipo borghese, moderno, non è […] soltanto il frutto del conflitto delle facoltà individuali sviluppatosi in un clima di competizione capitalistica»; essa, parimenti, favorisce «l’espansione individuale attraverso forme sempre più complesse di mediazione e di cultura. L’individuo differenziato non gode più in modo rozzo e immediato, ma in modalità sempre più sublimate, raffinate e astratte. Lo sviluppo amorale della componente competitiva dell’individualità è complementare a quello della componente emotiva, la quale, a sua volta, impone di considerare ogni singolo come soggetto di riconoscimento etico […]. La differenziazione individuale in una società ampia e articolata, che fornisce all’individuo un’abbondanza straordinaria di stimolazioni esperienziali, favorisce il “sentimento” dell’individualità, la passione della singolarità, la coscienza ipertrofica della persona, in proporzioni del tutto sconosciute al mondo premoderno. Ciò favorisce la percezione affettiva della persona come titolare di diritti inalienabili, ma produce alla lunga un indebolimento dell’individualità, che non trova più i suoi canoni nell’universalmente umano, ma nell’esasperazione dell’originalità o viceversa nell’abbandono a comportamenti indifferenziati […]. Simmel non coglie immediatamente la portata di questo indebolimento, di questa sorta di reazione all’eccesso di astrazione e di intellettualismo che dominano la società capitalistica. Egli vede nell’astrazione e nel legalismo propri del pensiero moderno solo il complemento di un processo “forte” di individualizzazione, che, ideologicamente, fa ancora perno sul concetto di anima individuale». 29 Guarnieri 2000: 153.

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l’individuo subisce in questo orizzonte che appunto si differenzia sempre più allargando le relazioni sociali a tal punto che il singolo individuo, come Simmel stesso riconosce, non può salvarsi contro la totalità; solo cedendo una parte del suo Io assoluto ad alcuni altri, unendosi ad essi, egli può conservare il sentimento dell’individualità e può farlo altresì senza un’esagerata segregazione, senza durezza e senza un isolamento stravagante [DS: 61].

Ciò che di rilevante interessa a Simmel è sottolineare e cogliere soprattutto le sfumature dell’individualità, la complessità e l’ambiguità, cioè l’ambivalenza, dell’interazione sociale più che le istituzioni. Dal suo punto di vista, de-oggettivare «significa togliere all’etica qualsiasi fondamento di tipo religioso, metafisico e trascendentale»30. Il processo di differenziazione «non implica uno sviluppo sociale univoco, comporta sempre una certa ambivalenza dal punto di vista dell’individuo e delle situazioni. Il processo di differenziazione nella società moderna produce un nuovo tipo di dipendenza. L’individualità si scompone in un sé personale ed in un sé sociale»31. Di conseguenza anche l’etica non può non tenere conto di questa “svolta antropologica” specialmente per quanto concerne non soltanto i criteri con cui è valutata la “responsabilità” personale ma pure per quel che concerne la “libertà” personale, che è anch’essa un dato sociale: essa è la risultante di quella complessa dinamica nella quale «l’individuo si libera dei legami impostigli dall’appartenenza alle cerchie sociali ristrette ed omogenee e partecipa invece a cerchie più ampie e differenziate»32. Di fatto, c’è in ogni uomo, ceteris paribus, quasi una proporzione immutabile tra l’individuale e il sociale, che muta solo nella forma. Quanto più ristretta è la cerchia alla quale ci diamo, tanto minore è la libertà individuale che possediamo […]. Per contro […]: se si estende la cerchia nella quale agiamo ed alla quale si riferiscono i nostri interessi, c’è più margine per lo sviluppo della nostra individualità [DS: 59].

Nel processo di differenziazione, la presenza nella società dell’individualità sta ad indicare che quest’ultima conserva comunque una libertà di scelta ed una sua relativa autonomia morale. Rapportando l’agire individuale alla società, Simmel non intende però proporre semplicisticamente «un determinismo sociale unidimensionale, quanto ridurre la dimensione etica, 30 31 32

Ibid. Ibid. Ghisu 1991: 30.

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i suoi conflitti, le sue idealità, alla dimensione sociale»33. In questo senso, la libertà «non viene intesa come espressione di una individualità isolata da qualsiasi influsso sociale. Essa pare sempre misurarsi nella capacità del singolo di ritrovare un equilibrio tra il sentimento della propria individualità e l’appartenenza alla totalità sociale. Allo stesso modo l’individualizzazione non è da considerarsi un dato automatico dello sviluppo evolutivo. Essa può infatti produrre esiti morali differenti»34. Nella logica “evoluzionistica” della differenziazione individualizzante, all’individualità si perviene attraverso un percorso educativo-formativo. Tuttavia, «proprio perché la moralità è un dato sociale (anche se non espressione automatica dell’evoluzione sociale), essa “precede”, nella formazione del carattere individuale, la dimensione teorico-intellettuale»35. Perciò, il nostro agire “etico” non dipende tanto dalle nostre conoscenze e convinzioni intellettuali, cioè dalla nostra razionalità o ragionevolezza, quanto dal comune patrimonio sociale, ovvero dallo «spirito oggettivato nel gruppo sociale». Vi è, dunque, come dice Simmel, un’evidente “discrepanza” «tra i convincimenti teorici e il modo di agire etico di tanti uomini: una discrepanza che per lo più vede il secondo rimanere indietro rispetto ai primi» [DS: 88]. In effetti, come egli precisa, potrebbe esserci un’influenza del sapere sulla formazione del carattere solo se l’influenza partisse dai contenuti cognitivi del gruppo sociale: infatti nel periodo in cui il singolo pervenisse all’acquisizione di un sapere veramente individuale, che trascendesse il suo ambiente per mezzo di qualità differenziate, il suo carattere e l’orientamento della sua moralità sarebbero da tempo compiuti. Nel periodo di formazione della moralità egli è esposto solo alle influenze dello spirito oggettivato nel gruppo sociale, del sapere generalmente diffuso all’interno del gruppo, anche se queste influenze porteranno, a seconda dell’innata peculiarità dell’individuo, a risultati molto diversi: si pensi, per esempio, ai modi diversi in cui la credenza in una ricompensa ultraterrena – una credenza che la società stessa suggerisce agli individui – può agire, dal punto di vista etico, su uomini di indole forte o debole, ipocrita o sincera, frivola o ansiosa. Se però il livello cognitivo del gruppo è basso in quanto tale, dal suo effetto sulla formazione etica possiamo comprendere che spesso questa coincide poco con quella formazione teoretica che noi percepiamo poi nell’uomo compiuto, pregno di contenuto individuale. Si può essere convinti che l’agire altruistico abbia un valore incomparabilmente superiore a quello dell’agire egoistico, ed agire tuttavia egoisticamente; si può essere imbevuti

33 34 35

Ibid. Ivi: 31. Ibid.

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dell’idea che le gioie dello spirito siano molto più durature, meno tormentose e più profonde di quelle dei sensi, e pure andare ciecamente e pazzamente dietro a queste; ci si può ripetere mille volte che il consenso della massa è largamente compensato da quello di un paio di persone avvedute: eppure quanti non sono quelli che non solo lo dicono, ma lo credono sinceramente, e che però tradiscono tante volte questo consenso per ottenere quello della massa! Tutto ciò può derivare solo dal fatto che queste conoscenze superiori e più raffinate arrivano a noi soltanto quando la nostra essenza morale è già compiuta: nell’epoca in cui essa si forma, siamo avvolti nelle concezioni teoriche più generali, quindi inferiori [ivi: 88-89].

Due sono, quindi, le dimensioni fondamentali e distinte, che in realtà, all’interno del singolo, costituiscono parimenti due livelli diversi di differenziazione evolutiva. «Il livello inferiore costituisce, in un certo senso, la dimensione di immediata integrazione del singolo alla totalità sociale; mentre il livello di maggiore differenziazione corrisponde ad un più elevato grado di individualizzazione, che risulta tra l’altro da una formazione intellettuale raffinata, dalla molteplicità di esperienze, dalla quantità di conoscenze possedute»36. L’esperienza sociale, ossia il rapporto pratico che il singolo intrattiene con le cerchie sociali più ristrette e quindi, tramite queste, con la totalità sociale, è dunque particolarmente determinante nella formazione dell’individuo. Ciò attesta che, nella Differenziazione sociale, Simmel rigetta «quelle concezioni che, considerando la moralità una dimensione ideale, pretendono di educare alla morale attraverso un’opera di convincimento razionale»37. La concezione simmeliana relativa alla “bidimensionalità dell’individualità” esprime esplicitamente «non solo l’esigenza di ricondurre la dimensione etica al sociale, ma anche la convinzione che vuole lo sviluppo individuale riprodurre l’evoluzione della società: non solo quindi nella società nel suo complesso si riproduce sincronicamente la diacronia evolutiva, ma nel medesimo individuo convivono diversi livelli di evoluzione»38. Il primo livello è quello specifico in cui gli individui si costituiscono in massa: in esso vi è la preponderanza dei processi di coscienza sentimentali, della comunicazione immediata e del reciproco riconoscimento in quanto componenti di un tutto indifferenziato. Chi vuole avere influenza sulle masse non può riuscirci persuadendole sul piano intellettuale, ma facendo essenzialmente appello ai suoi sentimenti. Il sentimento è infatti indubbiamente lo stadio filogeneticamente inferiore 36 37 38

Ibid. Ibid. Ivi: 32-33.

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rispetto al pensiero; il piacere e il dolore, come pure certi sentimenti istintivi di conservazione dell’Io e della specie, si sono sviluppati, comunque, prima che si operasse con concetti, giudizi, ed inferenze: ecco perché una massa si riconoscerà molto più facilmente in e per mezzo di sentimenti primitivi che per mezzo di funzioni intellettive più astratte [DS: 94]39.

Le due dimensioni fondamentali dell’individualizzazione (o dell’individualità) e quella relativa al patrimonio comune a tutti i membri della società, strutturano, secondo Simmel, la società. Egli lo ribadisce esplicitamente nella Differenziazione sociale: L’evoluzione ha accresciuto entrambe le dimensioni, ma in modo tale che l’aumento del contenuto comune non si è verificato nella stessa proporzione di quello delle differenziazioni. La conseguenza è che aumenta sempre più la distanza tra le due dimensioni, e che il livello sociale diventa, in rapporto alle differenziazioni che si elevano al di sopra di esso, sempre più basso e più povero, anche se considerato in sé è in progressivo aumento [ivi: 91]40.

39 Nel passaggio alla psicologia sociale, cioè all’analisi del rapporto tra valori e gruppi, e che dunque comprende quella relativa al “livello sociale” e alla pleonessia delle masse, Simmel – come osserva criticamente Accarino [1982b: 126-127] – delinea «il livello al quale si attesta il sapere generale e diffuso del gruppo ed al quale si conforma l’individuo. La massa agisce sulla base di rappresentazioni semplici: il radicalismo delle masse è un principio di indifferenziazione, perché la complessità dei rapporti sociali trasforma ogni idea semplice in un’idea radicale, costretta a negare molte altre esigenze. Quanto più estesa è una cerchia sociale, tanto meno numerosi sono i contenuti ad essa comuni: le funzioni di potere e la comparsa di personalità dominanti trovano terreno fertile laddove l’individuo è incatenato al livello comune, che è il livello più basso. Qui anche una misura bassissima di differenziazione è sufficiente a dominare la situazione da tutti i lati. La sovranità si pone, anzi si impone, come scarto minimo rispetto al livello sociale, ed è una sovranità personalizzata […]. Il “livello sociale” è l’unificazione di una massa già differenziata, ma una unificazione in basso […]. Fare appello alle masse significa fare appello ai loro sentimenti: non perché i sentimenti delle masse siano in quanto tali di livello basso, ma perché è il sentimento stesso ad occupare il gradino filogeneticamente inferiore rispetto al pensiero. Il dolore e il piacere non sono originariamente coinvolti in processi logici sorretti da concetti, giudizi, inferenze razionali, ma in processi decisionali e adattivi rispetto all’ambiente. Il nervosismo delle grandi masse, la sensibilità (come vulnerabilità) e la passionalità con cui esse vivono i processi sociali, appartengono ad uno stadio di mancata differenziazione dei singoli contenuti di coscienza: non c’è confine o delimitazione, tutto è avvolto nell’opacità e nell’indistinzione». 40 Al riguardo, c’è un elemento critico da registrare, anche sul piano storiografico, in relazione alla definizione simmeliana dell’abbassamento del «livello sociale» e del livello medio di cultura di una società come quella moderna e capitalista. In questa società, infatti, come rileva criticamente de Conciliis [1998: 78-79], «in seguito alla differenziazione individuale, che procede indefinitamente, e all’unilateralità dello sviluppo individuale prodotto dalla divisione del lavoro, cresce la diseguaglianza sociale, anche se il livello del benessere materiale (=tenore di vita) appare in continuo aumento in tutti gli strati della società. L’oggettività del

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Ciò detto, occorre rilevare che accanto al processo di differenziazione individualizzante, secondo Simmel, agisce anche quella di pluralizzazione dell’individuo, che consiste «nel suo appartenere contemporaneamente o successivamente a più cerchie sociali. La pluralizzazione, intrecciando cultura oggettiva e cultura soggettiva, favorisce in alcuni individui la costruzione e il rafforzamento della personalità»41. Scrive Simmel: Da questi elementi divenuti oggettivi noi formiamo ciò che definiamo la soggettività per eccellenza, la personalità che ha combinato in guisa individuale gli elementi della civiltà. Dopo che la sintesi dell’elemento soggettivo ha prodotto l’elemento oggettivo, la sintesi dell’elemento oggettivo produce un che di soggettivo che è più nuovo e superiore, così come la personalità si dà alla e si perde nella cerchia sociale, per riguadagnare poi, con l’intersecarsi individuale delle cerchie sociali in essa, la sua peculiarità. Del resto, la sua determinatezza teleologica diventa in certo modo l’immagine invertita della sua determinatezza causale: originariamente essa è ancora solo il punto d’incrocio di innumerevoli fili sociali, il risultato dell’eredità derivante da cerchie

livello sociale rispecchia la media culturale (un quantum indifferenziato comune a tutti gli individui), che sarà tanto più bassa quanto maggiore è il livello di differenziazione e di diseguaglianza. Il livello socioculturale della società capitalistica è quindi alto rispetto all’indifferenziazione di una società primitiva e ristretta, basso rispetto allo sviluppo armonico e onnilaterale dell’individuo, che è concesso solo agli strati superiori della società e solo in senso concorrenziale; nelle masse l’impossibilità di emergere come soggetti comporta invece un indebolimento o un’esasperazione dell’individualizzazione “media”, anche perché la varietà della differenziazione richiede al singolo prestazioni sempre più eccellenti per distinguersi dagli altri. Nonostante questi campanelli d’allarme, Simmel mostra ancora fiducia nella logica evoluzionistica della differenziazione, nello sviluppo vettoriale della società, e nell’idea che l’individualità moderna realizzi il “meglio” delle possibilità umane». Anche secondo Ghisu [1991: 33-34], per Simmel, «tutti quei comportamenti con i quali il singolo si immedesima con le masse, ridimensionandosi in tal modo al “livello sociale”, costituiscono dunque […] dei fenomeni di regressione involutiva, una perdita di individualità. Essi tuttavia appaiono indispensabili al funzionamento stesso della società: la costituiscono appunto. In tal senso lo schema “evoluzionistico” che Simmel ci propone non costituisce la base di un suo intervento moralizzante, quanto il supporto teorico (ideologico) per una descrizione dei più tipici fenomeni delle società contemporanee. Egli non lamenta le tendenze all’indifferenziazione che ritrova ad esempio nei fenomeni dell’imitazione o della moda, né condanna la società di massa, ma riproduce senza dubbio la concezione dell’inferiorità delle masse. Se infatti Simmel vede comunque agire in ciascun individuo la tendenza “primitiva” all’indifferenziazione – quella tendenza che costituisce gli individui in massa – essa appare pressoché assente nelle personalità più evolute e più colte, ma dominante invece nelle classi “incolte”. In altri termini, le caratteristiche che Simmel attribuisce alle masse sono caratteristiche costanti delle classi “inferiori”, ma caratteristiche temporanee delle individualità più differenziate, dato che queste possono sì far parte delle masse, acquisendone le caratteristiche, ma anche fuoriuscirne, riprendendo, per così dire, possesso di sé». 41 de Conciliis 1998: 80.

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e da fasi di adattamento diversissime, e diventa individualità per le particolari quantità e combinazioni con cui si raccolgono in essa gli elementi del genere. Se la personalità si ricongiunge, con i suoi molteplici impulsi ed interessi, alle formazioni sociali, si tratta per così dire di un’irradiazione e di una restituzione di ciò che essa ha ricevuto, ma in una forma che, seppure analoga, è più consapevole e più elevata. La determinatezza della personalità diventa maggiore quando le cerchie che la determinano si trovano l’una accanto all’altra più di quanto siano concentriche […]. Quanto meno la partecipazione ad una cerchia dà adito di per sé alla partecipazione ad un’altra, tanto più la persona è caratterizzata, in modo determinato, dal fatto di trovarsi al punto d’incrocio delle due cerchie […]. La possibilità di individualizzazione tende all’infinito anche perché la stessa persona può assumere, nelle diverse cerchie a cui appartiene simultaneamente, posizioni relative completamente diverse [DS: 123].

Sin dalla Introduzione (La teoria della conoscenza della scienza sociale) alla Differenziazione sociale, Simmel si fa sostenitore di una «dialettica di reciprocità tra polo individuale e polo sociale»42. Ciò che gli preme sottolineare è che questa dialettica tra “individuale” e “sociale” rappresenta «una connessione dinamica tra supposte “unità” complesse, internamente differenziate»43. Egli infatti scrive: Se è vero che l’individuo umano è già dotato di una ricchezza quasi incalcolabile di forze latenti ed agenti, è inevitabile che la complicazione diventi tanto maggiore laddove gli individui interagiscano tra loro e laddove la complessità dell’uno renda possibile, moltiplicandosi in certo modo con quella dell’altro, un’infinità di combinazioni [DS: 6].

Nella sintesi relazionale di individuale e sociale, in quanto connessioni di senso e di azione «reciprocamente orientate e imprescindibili l’una dall’altra, dove ciò che emerge è, per entrambi, una sintesi “per differenza”»44, Simmel dà il suo apporto all’individualismo moderno rilevando che l’enigmatica “unità” dell’anima individuale non è immediatamente accessibile al nostro rappresentare cognitivo; bensì solo se essa si irradia, uscendo da se stessa, in una molteplicità di aspetti relazionali e, quindi, nella misura in cui «l’io coscienziale dell’individuo (astratto) si oggettiva nella concretezza di una personalità, soggetto del mondo e teoretico e pratico (sintesi di intelletto e volontà, di cognizione e di azione)»45. Di fatto, come rileva Donatella 42 43 44 45

Simon 2001: 8. Ivi: 9. Ibid. Ibid.

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Simon, per il Simmel della Differenziazione sociale, «solo nella relazionalità sociale l’io coscienziale può dispiegare i tratti di una personalità compiuta, la quale, appunto, è sintesi di soggettività e oggettività, sentimento del sé solo ed in quanto correlato a una pluralità di “tu”. Il processo di differenziazione è dunque allora […] un processo di individuazione, che lega dialetticamente e indissolubilmente l’io agli altri, entro un quadro mobile di identificazioni e opposizioni intese a preservare il sentimento della propria singolarità e interiore unità dinamica. Perciò, per Simmel, vivere internamente a cerchie sociali sempre più differenziantesi, così che tra l’una e l’altra siano gettati “ponti” per cui esse si intersecano reciprocamente, “aprendosi” dialogicamente ad un complesso gioco di rapporti, contribuisce al rafforzamento del sentimento di sé come “unicità” e quindi al raffinamento delle singole “personalità”»46. La determinazione sociologica dell’uomo, che Simmel descrive nella Differenziazione sociale, gli consente di fondare sull’individuale, inteso come essere sociale risultante dallo sviluppo evolutivo, «la dimensione etica dell’esistenza umana»47. Essa si realizza, quando, attraverso il processo di differenziazione, «l’uomo riduce l’importanza di quelle interazioni che presentano una scarsa validità spaziale, e uscendo da una stretta provincia, si lega a tutti gli uomini del mondo dovunque essi vivano. Gli interessi impersonali, i doveri nei confronti di se stessi, l’autonomia morale e il sentimento della personalità possono realizzarsi quando l’uomo abbandona una cerchia ristretta e, attraverso il processo di socializzazione, si apre a una più ampia»48.

46

Ivi: 10. La modernità del concetto simmeliano di personalità – secondo quanto osserva Fellmann [1988: 91-92] –, consiste «nel fatto che esso rende possibile l’integrazione della crescente pienezza di contenuto della vita presente. La personalità non è ricondotta al nocciolo di un’interiorità in sé conchiusa, ma si sviluppa a partire dalla variabilità della soggettività sempre più fortemente differenziantesi […]. In Simmel il concetto di personalità si è liberato da quella statica che è inerente all’incondizionatezza dell’essere per sé». 47 Ghisu 1991: 37. 48 Guarnieri 2000: 156.

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XII Il migrante, lo straniero e il povero Tragitti da Simmel

Agli inizi del XX secolo, Simmel, il più acuto filosofo e sociologo della modernità, analizzando con un nuovo metodo “saggistico” e “analogico”, in modo ancor oggi impareggiabile, il principio strutturale logico-filosofico e le modalità sociologiche delle azioni reciproche che sortiscono dalle forme pure dell’interazione e dell’associazione sociale, ci ha offerto una complessa, problematica e minuziosa ricostruzione di alcune figure dell’universo sociale (il migrante, lo straniero e il povero) la cui straordinaria “attualità” risiede nell’originalità del punto di osservazione teoretico ed ermeneutico prescelto nei confronti di queste figure, che permane ancora nella riflessione contemporanea come un importante punto di riferimento interpretativo riguardo alle attuali dinamiche della socialità e agli odierni processi di inclusione/esclusione sociale. Lo scopo di questo breve e circostanziato capitolo è quello di attraversare in modo cursorio alcuni dei suoi tragitti tematici più rilevanti, cogliendone l’intrinseca peculiarità critica, che proprio nell’approccio relazionale trova la sua speculare opzione metodologica prevalentemente qualitativa.

(A). “Da luogo a luogo”: sulla figura del migrante e sul rapporto vicinaza/lontanaza Fra le diverse formazioni sociologiche considerate, la descrizione dell’esperienza spaziale correlata «alla possibilità che gli uomini si muovano da luogo a luogo» [S: 566], indica la quinta qualità fondamentale della forma spaziale analizzata da Georg Simmel nel capitolo IX, Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società della Sociologia [cfr. S: 523-599]. Benché, com’è stato osservato, la “possibilità di spostarsi”, la mobilità spaziale, «non sembra potersi concepire come una proprietà “intuitiva e osservabile” dello spazio, socialmente strutturato o meno, quanto una qualità degli individui e dei gruppi»1, la 1

Strassoldo 1992: 324.

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mobilità è uno degli elementi caratterizzanti i processi di compressione spazio-temporale nell’esperienza della modernità. Modernità e mobilità sono intrinsecamente connesse: Simmel le analizza fornendo «alla sociologia un importante strumento teorico per lo studio dell’interazione umana»2, considerata anche sia per le implicazioni temporali sia per la produzione di nuove forme di distanze sociali. La rilevanza delle implicazioni temporali della mobilità traduce la significatività assunta dalla «tecnica del migrare»: I membri di una società che migra dipendono in maniera particolarmente stretta gli uni dagli altri; gli interessi comuni hanno maggiormente, rispetto ai gruppi sedentari, la forma della momentaneità e coprono quindi con l’energia specifica del presente, che così spesso trionfa su ciò che è oggettivamente più essenziale, le differenze individuali nel duplice senso di questa parola: come molteplicità qualitativa o sociale e come contrasto e contesa tra i singoli [S: 569].

Il processo di integrazione dei singoli si connette alle dinamiche societarie che caratterizzano l’“instabilità” tipica del migrare: Proprio perché il migrare in sé e per sé individualizza e isola, perché fa dipendere l’uomo da se stesso, esso spinge a uno stretto raggruppamento che va al di là delle normali differenze. Togliendo agli individui il sostegno del luogo natio, ma nello stesso tempo anche le sue gradazioni fisse, esso rende particolarmente facile integrare i destini di coloro che migrano, il loro isolamento e la loro instabilità, mediante il massimo raggruppamento possibile, in un’unità più che individuale [ivi: 569-570].

Un’altra significativa rilevanza che Simmel analizza è quella relativa alla dimensione temporale della durata delle relazioni che traspare sociologicamente in quei «fenomeni privi di qualsiasi connessione» come ad esempio «la conoscenza di viaggio», la quale «finché è realmente tale e non assume un carattere indipendente dalla modalità del suo allacciamento, sviluppa spesso un’intimità e un’apertura per cui non si saprebbe propriamente trovare alcun motivo interno» [ivi: 570]. Tre componenti spiegano la specificità di questo tipo di conoscenza: «il distacco dall’ambiente abituale, la comunanza delle impressioni e degli eventi momentanei, la consapevolezza del prossimo e definitivo separarsi» [ibid.]. La conoscenza sociologica che si pratica negli “incontri a breve” sta a dimostrare che «coloro che si incontrano condividono l’aspettativa che la loro separazione sarà prossima e definitiva: così noi potremo lasciarci andare a confidenze impegnative con coloro che 2

Caccamo 2003: 82.

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MIGRANTE, LO STRANIERO E IL POVERO

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incontriamo occasionalmente su un treno o nella hall di un albergo, mentre già saremo più cauti se l’incontro avviene in una pensione dove si presume che uno soggiorni per più di qualche giorno»3. Ogni interazione sociale per Simmel è definita in rapporto alla sua posizione in una scala di vicinanza e lontananza. La modernità estremizza questo duplice e contraddittorio movimento di avvicinamento e di allontanamento di cui si alimenta il rapporto con l’altro ed acutizza un senso diffuso di estraneità – che contribuisce a sviluppare e a determinare, secondo una particolare configurazione, la struttura ambivalente della relazione sociale – producendo così «una tensione che può essere canalizzata, ma non dissolta, tra forze che avvicinano e unificano e forze che allontanano e dividono»4: la peculiarità di questa tensione risiede nel fatto che «dal cuore degli stessi fattori che legano gli uomini gli uni agli altri (l’amore, le affinità di sangue, cultura, interessi, la vicinanza spaziale ecc.) scaturiscono gli elementi che massimamente li oppongono, alla stessa stregua in cui odi, conflitti, lotte, anche acuti, stringono relazioni e stabilizzano orizzonti comuni»5.

(B). La forma sociologica dello “straniero”: tra inclusione ed esclusione In rapporto a tale dinamica generale, in cui «gli opposti si richiamano reciprocamente»6, l’estraneità, anzi l’esser-estraneo (Fremdsein)7, fissa una figura determinata e particolare, nella quale l’ambiguità strutturale delle relazioni «assume una forma caratteristica e, insieme, emblematica dei rapporti sociali propri della modernità»8. Ora, com’è noto, sono proprio le riflessioni di 3

Cavalli 1993: 80. Giacomini 1999: 87. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 Molto opportunamente Accarino [1982b: 169-170], rilevando criticamente come «la distanza registra le determinazioni positive dell’estraneità», ha osservato in proposito che «l’estraneità non è mai assoluta: in tanto si tematizza un che di estraneo, in quanto esso ha stabilito un rapporto, sia pure il più tenue, con la situazione sociale “normale” e consolidata. L’assolutamente estraneo sarebbe a-relazionale, e come tale neanche pensabile […]. L’estraneità è la dimensione normale, neutrale ed oggettiva della vita: è una determinazione positiva perché positiva è la dimensione dell’essere-altro, che “possiede un senso ed un valore positivo” per la vita dell’altro. La rigidezza dell’alterità farebbe languire la comunicazione sociale: è necessario che essa si elasticizzi dotandosi dello strumento della tipizzazione. L’estraneità è una delle forme in cui l’alterità si è sociologicamente sfumata rispetto ad una fissità di principio. Essa è anche […] oggettiva. E [...] oggettività significa in Simmel tutt’altro che pienezza o ricchezza di determinazioni». 8 Giacomini 1999: 87. 4

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Simmel dedicate alla «forma sociologica dello “straniero”» (die soziologische Form des “Fremden”) – nel famoso Excursus sullo straniero [cfr. S: 580-584]9 – a fornire a questa particolare problematica un originale chiarimento culturale. In questo breve ma notissimo excursus, Simmel si sforza di definire il posto singolare occupato dallo straniero nello spazio fisico, nel campo sociale e in quello simbolico10, cercando di focalizzare in primo luogo la contraddittorietà dei rapporti che legano lo straniero alla società che lo ospita. In Simmel l’interesse sociologico per la figura dello straniero come forma sociale, «al di là del suo mutevole configurarsi in diversi contesti culturali e della sua utilizzazione come strumento di ricerca delle cause, modalità, condizioni dell’emarginazione e dell’integrazione culturale nelle diverse circostanze storico-sociali»11, riguarda principalmente le caratteristiche permanenti e fondamentali dell’interazione sociale. Simmel definisce la «forma sociologica dello “straniero”»12 come una particolare «costellazione» [S: 580] a cui perviene «l’unità di vicinanza e di distanza, che ogni rapporto tra uomini comporta» [ibid.]. La rilevanza di senso di questa costellazione, cioè delle due forme differenti di lontananza, la si può formulare nei termini seguenti: «la distanza (Distanz) nel rapporto significa che il soggetto vicino è lontano, mentre l’essere straniero (das Fremdsein) significa che il soggetto lontano è vicino» [ibid.]13. Simmel non manca subito di precisare che «qui non s’in9

Per un commento, cfr. De Simone 2002b: 214-223. Cfr. Raphael 1986: 257. 11 Tabboni 1993: 25. Sulle figure dello straniero nel pensiero sociologico occidentale, cfr. inoltre Perrone 2005 e Tabboni 2006. 12 In generale, da un punto di vista logico – come rileva Cotesta [2002b: 15] – nell’excursus di Simmel si trova «una doppia accezione del termine “straniero”. Da un lato, lo straniero è inteso come un “elemento del gruppo stesso” (tipo 1); dall’altro, come qualcosa di assolutamente estraneo, una “non relazione” (tipo 2) […]. L’analisi di Simmel si sofferma solo sul primo tipo di straniero, sullo straniero come elemento del gruppo stesso (tipo 1). La prima parte riguarda la configurazione spaziale dello straniero; la seconda la sua determinazione sociologica». 13 Dal punto di vista della relazione spaziale, come scrive Cotesta [2002b: 17], si può dire che «lo straniero condivide con noi alcuni tratti generali (è qui con noi nel medesimo spazio), ma è di fronte e di fuori, oltre e sulla linea ideale dell’identità spaziale della comunità. La nostra relazione con lui è appunto di estraneità. Egli è qui, ma non è membro del nostro “noi”. Appartiene come noi alla comunità umana generale, ma non appartiene alla nostra comunità specifica. Spesso si presuppone che prima esista un gruppo umano che, scindendosi, si differenzia al suo interno. In realtà, tale gruppo originario non esiste o quanto meno è difficile, se non impossibile, dimostrarne l’esistenza. Al contrario, invece, secondo la rilevazione empirica si ha sempre a che fare con una molteplicità che in alcune condizioni può divenire unità. Anche nello studio dello straniero non dobbiamo presupporre che esista un gruppo che si scinde in parti differenziate sulla base di alcuni tratti specifici, ma una pluralità (almeno due membri: il gruppo e lo straniero) di unità che vengono a contatto. La loro 10

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tende lo straniero […] come il viandante che oggi viene e domani va, bensì come colui che oggi viene e domani rimane – per così dire il viandante potenziale che, pur non avendo continuato a spostarsi, non ha superato del tutto l’assenza di legami dell’andare e del venire. Egli è fissato in un determinato ambito spaziale, o in un ambito la cui determinatezza di limiti è analoga a quella spaziale; ma la sua posizione in questo ambito è determinata essenzialmente dal fatto che egli non vi appartiene fin dall’inizio, che egli immette in esso qualità che non ne derivano e non possono derivarne» [S: 580]: lo straniero, simmelianamente, come dice Bodei, «è il medesimo individuo che potremmo essere noi in circostanze mutate»14. Gli elementi della forma sociale dello straniero sono simmelianamente costituiti dalla contemporanea presenza di due opposte “polarità”: «dal punto di vista spaziale, la mobilità e la stabilità; dal punto di vista dei rapporti umani, dei sentimenti che sorreggono l’interazione, la distanza e la prossimità; dal punto di vista del tipo di conoscenza, la generalità e la specificità»15. Lo straniero incarna quella peculiare categoria dell’essere sociale secondo la quale «il modo in cui un individuo si associa ad altri è determinato o codeterminato dal modo in cui da essi si dissocia»16. Esso non è semplicemente qualcuno che “sta fuori del gruppo”: egli appartiene al gruppo in base ad uno statuto (sociologico) che in gran parte lo esclude, i modi della sua esclusione definiscono anche i modi della sua inclusione17. Il nucleo e l’essenza stessa di questa figura sociale consistono nel fatto che essa trova nella sua parziale esclusione dalla società il significato peculiare della sua stessa appartenenza ad essa. Come scrive Simmel: «L’essere straniero è naturalmente una relazione del tutto positiva, una particolare forma di azione reciproca: gli abitanti di Sirio non sono per noi propriamente stranieri – almeno nel senso sociologico del termine che viene qui preso in considerazione – ma non esistono affatto per noi, stanno al di là di ciò che è lontano e di ciò che è vicino. Lo straniero è un elemento del gruppo stesso, non diversamente dai poveri e dai molteplici “nemici interni” – un elemento la cui posizione immanente e di membro implica contemporaneamente un di fuori (Ausserhalb) e un di fronte (Gegenüber)» [S: 580]18. Lo relazione è fondata sul riconoscimento nello stesso tempo della differenza e dell’unità. L’unità è data dalla comune appartenenza all’umanità; la differenza è costituita dalle reciproche posizioni temporali relativamente allo spazio». 14 Bodei 1993: 71. 15 Tabboni 1993: 37. 16 Giacomini 1999: 88. 17 Cfr. Tabboni 1993: 37. 18 Occorre osservare, tra l’altro, come rileva criticamente Tabboni [1993: 26-28], che la

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straniero rappresenta proprio «il confine incarnato del gruppo sociale, colui che incornicia idealmente la società grazie al suo esservi incluso ed escluso contemporaneamente»19. La forma sociale dello straniero corrisponde ad un modello di interazione sociale, una particolare forma di azione reciproca che, nella sua estrema sintesi ed astrazione intellettuale, si presta a rappresentare una variegata figura dello straniero «permette di studiare un aspetto importante del processo attraverso il quale una comunità suddivide il proprio spazio sociale e lo gerarchizza, quell’aspetto che riguarda l’emarginazione dei portatori di culture diverse. Dal punto di vista dello straniero diventa visibile con chiarezza l’intero contenuto di questo processo, non solo quella parte che riguarda l’assimilazione-integrazione dei membri culturalmente omogenei, ma anche quella che riguarda l’emarginazione-esclusione dei membri culturali diversi. Anche se estraneità e distanza sociale sono concetti che non devono essere confusi, esiste fra di essi una parentela per la quale a chi è culturalmente diverso viene prescritta una certa distanza dai membri culturalmente integrati. Il processo attraverso il quale una comunità struttura il proprio spazio sociale, porta in primo luogo a definire le distanze/vicinanze che i suoi membri devono rispettare nell’interazione in cui si trovano impegnati. Ciò che decide della vicinanza/lontananza è, anche, la cultura cui si appartiene. La vita del gruppo consiste, nello stesso tempo, nell’affermazione della propria identità, cui si accompagna l’emarginazione dei portatori di identità culturali diverse e nell’apertura verso l’Altro da Sé e il cambiamento, nell’inclusione dello straniero nella propria cerchia. Il gruppo ha bisogno, per vivere, di entrambi questi momenti: il momento in cui si esclude lo straniero e la sua cultura diversa e il momento in cui lo si accetta tuttavia al proprio interno, pur collocandolo ad una certa distanza sociale […]. L’interesse della sociologia per lo straniero deriva dal fatto che lo straniero si definisce nei confronti di un gruppo e che l’analisi del rapporto che si stabilisce fra straniero e gruppo mette in evidenza i meccanismi di integrazione fondamentali, del Sé e dell’Altro da Sé, i vincoli e le possibilità con cui si confronta chi occupa in essa una posizione culturalmente marginale. Nello stesso tempo, lo statuto dello straniero illumina chiaramente il livello e le forme dell’apertura-chiusura della comunità verso l’esterno, il suo grado di tolleranza verso la diversità e l’innovazione, le regole sociali che presiedono alla continuità e al cambiamento. Sostanzialmente, ciò che lo straniero rappresenta per la comunità integrata […] è il cambiamento che dalla sua presenza ha origine. Lo straniero è il messaggero del cambiamento e del conflitto nei confronti della stabilità e dell’armonia consolidata del gruppo. Tuttavia il gruppo ha bisogno dello straniero, come ha bisogno del cambiamento e del conflitto, allo stesso titolo per cui ha bisogno di riaffermare la propria chiusura e immutabilità, perché questa è la legge che regola la vita di qualsiasi gruppo sociale: innovazione e continuità, conflitto e armonia, sono momenti ugualmente indispensabili e positivi della vita sociale, che trova in entrambi il suo alimento e la sua ragione. Essi non si presentano mai, del resto, allo stato puro, ma sempre secondo una certa mescolanza, come è quella presentata dallo straniero, di elementi opposti. Estraneità e coesione, armonia e conflitto, omogeneità e diversità sono, nella realtà della vita sociale, sempre combinati insieme secondo forme che contengono percentuali variabili di questi opposti elementi, senza che una delle due opposizioni possa mai essere completamente esclusa. La presenza dello straniero, d’altra parte, rafforza la coesione interna del gruppo, che si riconosce con tanta maggior forza nella propria identità e continuità, quanto più prende le distanze e precisa la propria differenza da uno straniero». 19 Burgazzoli 1998: 70.

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gamma di relazioni umane di reciprocità, di modalità sociologiche, politiche, economiche e storiche che Simmel delinea facendo particolare attenzione al problema che maggiormente lo interessa, e cioè la «tipizzazione o categorizzazione come attività o pratiche intrinseche nell’esistenza di ogni gruppo sociale»20. Ripercorrendo questa tipizzazione simmeliana, troviamo che lo straniero giunge ad occupare storicamente una posizione relativamente stabile nell’organizzazione sociale soprattutto nel ruolo e nella funzione di commerciante. Di fatto, per Simmel, lo straniero è stato commerciante soprattutto quando le società hanno avvertito il bisogno – senza rinunciare alle loro abitudini stanziali – di consumare beni prodotti al di fuori della sfera afferente alla loro propria attività produttiva ed economica. In questo modo, tradizionalmente, «il processo che vede un gruppo stabilizzarsi su un territorio, abbandonando ogni mobilità geografica e assumendo una struttura sociale relativamente definitiva, vede anche lo straniero assumersi l’incarico dei rapporti con l’esterno, del commercio e dei viaggi»21. Di conseguenza, lo straniero «è abbastanza mobile per non fare completamente parte della comunità e abbastanza stabile perché quest’ultima si ponga il problema di definirne la posizione»22. Ogni correlazione diretta e biunivoca tra vicinanza esteriore e vicinanza interiore viene così messa in questione: «la presenza e la sistematicità di contatti si accompagnano, nel caso dello straniero, ad una altrettanto sistematica assenza di legami»23. Si definisce così anche la peculiarità distintiva di questa forma di estraneità più generale rispetto a quella prodotta da differenze o incomprensioni: in essa infatti sussiste «sì un’eguaglianza, un’armonia, una vicinanza, ma con il sentimento che questa non costituisce un possesso esclusivo di questo rapporto, bensì un elemento più generale che vale potenzialmente tra noi e un numero indeterminato di altri soggetti, e che non fa quindi acquistare a quell’unico rapporto che si è realizzato alcuna necessità interna ed esclusiva» [S: 583]. Inoltre, tale forma sociologica è ulteriormente caratterizzata dall’“oggettività” (Objektivität): lo straniero, non essendo radicato nelle singole parti costitutive o nelle tendenze unilaterali del gruppo, «si contrappone a tutte queste con l’atteggiamento particolare dell’“oggettivo”, che non significa una semplice distanza e nonpartecipazione, bensì una formazione particolare costituita di lontananza e vicinanza, d’indifferenza e impegno» [ivi: 581]. Per “oggettività” dello 20 21 22 23

Dal Lago 1994: 206-207. Tabboni 1993: 39. Ibid. Giacomini 1999: 89.

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straniero si deve dunque simmelianamente intendere quell’atteggiamento di coloro che appartengono al gruppo, ma non hanno in esso le loro radici: «ciò non significa né indifferenza, né mancanza di coinvolgimento nei confronti delle vicende e dei destini altrui, ma una forma del tutto speciale di partecipazione, nella quale all’interesse e all’impegno verso l’altro si congiunge una particolare indipendenza dai condizionamenti più propriamente soggettivi della sensibilità e del sentimento»24. È in relazione a questa peculiare forma di rapporto con i consociati che i signori medioevali preferivano scegliere e selezionare i giudici o i loro funzionari più elevati tra gli stranieri o, comunque, tra coloro la cui appartenenza cetuale li rendesse maggiormente imparziali nei confronti dei governanti; di fatto, la partecipazione senza legami dello straniero «assicura quell’atteggiamento disinteressato, al di sopra delle parti, del tutto autonomo nel giudicare che è richiesto ai delegati dell’autorità sovrana»25. Lo stesso Simmel ricorda come la prassi delle città italiane fosse quella di chiamare «i loro giudici dal di fuori, perché nessun nativo era libero dai vincoli degli interessi familiari e di partito» [S: 581]. In questa direzione, infine, l’“oggettività” dello straniero, per Simmel, può essere definita anche come libertà: «l’uomo oggettivo non è vincolato da fissazioni di alcun genere che possano pregiudicare la sua ricezione, la sua comprensione, la sua ponderazione del dato» [ibid.]26. Questa libertà a cui fa riferimento Simmel, tra 24

Ivi: 90. Ibid. 26 Ibid. Secondo Simmel, lo straniero «non solo consente alla società di autorappresentarsi attraverso la continua ridefinizione dei propri confini, ma si rivela altresì potenzialmente privilegiato nella sua comprensione a livello teorico, divenendone quasi uno specchio» [Burgazzoli 1998: 72]. Egli, infatti, è «il più libero, praticamente e teoricamente, egli abbraccia le situazioni con minori pregiudizi, le commisura ad ideali più generali e più oggettivi, e non è vincolato nella sua azione dall’abitudine, dalla pietà, dai precedenti» [S: 582]. Lo straniero, dunque, «è il confidente, colui cui i membri della società si affidano più liberamente proprio in virtù della particolare posizione di cui egli gode, al suo poter essere imparziale e oggettivo. La mancanza di un legame organico con la società, ma la contemporanea prossimità ad essa, fa sì che egli abbia il privilegio di una visione globale e oggettiva dei rapporti che sussistono al suo interno» [Burgazzoli 1998: 72]. Allo straniero ci si rivolge «in quanto esterno al tessuto sociale, in quanto osservatore non invischiato nella fitta trama di relazioni sovrapponentisi che sono la società e in questo sta il suo potenziale positivo» [ibid.]. Tuttavia, nel momento in cui ci si rapporta con lui in quanto contemporaneamente interno al gruppo, «i privilegi teoretici si convertono in privilegi sul piano pratico, egli diviene il nemico, colui che dalla propria attività sa trarre i maggiori profitti economici in quanto è perfettamente in grado di osservare, valutare e prevedere le trasformazioni della società e di controllarne i movimenti con maggiore lucidità. Egli è confidente in quanto è il vicino che proviene da lontano, e nemico in quanto proviene da lontano ma è vicino. L’ambiguità della sua posizione sta tutta nel suo essere confine» [ibid.]. 25

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l’altro, rinvia analogicamente non soltanto all’indipendenza intellettuale e morale che Max Weber ha sempre rivendicato per lo scienziato sociale – che nella sua ricerca deve comunque perseguire l’«oggettività conoscitiva»27 –, ma specularmente e differentemente dal primo, anche alle posizioni esplicite che il secondo ebbe ad esprimere sul piano storico, politico e sociologico sul rapporto specifico fra cittadino e straniero come una delle chiavi ermeneutiche per la comprensione filosofica e sociologica della modernità28. Per Simmel lo straniero «è colui che costringe la società a ridefinirsi incessantemente: egli pone continuamente al gruppo sociale il problema della propria collocazione, della propria parziale o totale assimilazione e integrazione, mette in gioco continuamente le categorie dell’inclusione e dell’esclusione»29. Nell’accezione di senso sociologicamente inteso, simmelianamente, il termine “straniero” non fa riferimento esclusivo allo straniero in quanto membro effettivo della società, ma rinvia anche allo straniero «come categoria cognitiva operante in modo più o meno consapevole all’interno di ogni singolo attore sociale e della società nel suo insieme. La società abbisogna dello straniero, pena la perdita della propria identità, la perdita della nozione di inclusione-esclusione che ne costituisce l’intima essenza, la perdita dei propri confini»30. Tuttavia, «se il ruolo dello straniero assume contorni chiari ed espliciti nell’ambito della considerazione scientifica della società, al livello della vita sociale effettiva l’essere limite dello straniero, il suo incarnare fisicamente il confine della società, comporta il tipico sentimento di inimicizia nei suoi riguardi»31. Detto altrimenti, «il fatto che la vita pratica si svolga all’interno di una fitta rete di rapporti teleologici in cui gli elementi conoscitivi rimangono per lo più inconsapevoli e hanno il solo valore di mezzo tra gli altri, fa sì che la condizione dello straniero come nemico sia destinata, da un punto di vista logico, a perpetuarsi: lo straniero è nemico e nemico deve rimanere. L’ostilità che egli patisce sotto forma di esclusione è strettamente dipendente dal suo essere incluso nella società»32. 27 Giacomini 1999: 90. Sulla questione rinvio il lettore a De Simone 1999 [capp. IV e VIII]. 28 Sull’argomento, cfr. Boschini 1998: 303-314. 29 Burgazzoli 1998: 70. 30 Ivi: 71. 31 Ibid. 32 Ibid. Specificando il ruolo dello straniero per la conservazione del gruppo rispetto al quale egli è straniero in stretta connessione con la teoria del conflitto che, com’è noto, è sviluppata da Simmel non come strategia distruttiva ma positiva, la correlazione analitica che lega lo straniero in modo analogo allo statuto simbolico del nemico fa emergere altresì i “limiti” della concezione simmeliana, che Cotesta [2002b: 21-22] sinteticamente e criticamente così enuclea: «Pur non essendo la stessa cosa – nemico può essere anche uno del gruppo; o sul

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La descrizione della figura sociale dello straniero dimostra come Simmel sia particolarmente interessato a comprendere sociologicamente tra l’altro la specificità delle forme di relazione legate alla mobilità e alle dinamiche connesse agli effetti che si producono «in un gruppo che migra e le conseguenze che coloro che emigrano producono nei sedentari»33. Nello specifico caso del «nomadismo», il migrare «appartiene alla sostanza della vita e si rivela nella circolarità del ritorno nei medesimi luoghi, mentre nel caso delle migrazioni dei popoli il migrare viene sentito come lo stato intermedio tra due forme di vita eterogenee»34: in entrambi i casi si ha lo stesso effetto sociale, ovvero «l’abbassamento della differenziazione interna del gruppo»35. Accanto all’azione unificatrice del migrare sul gruppo fisso, ce n’è un’altra la quale serve proprio alle forze antagonistiche del gruppo: questa, sostiene Simmel, «si ha quando una parte di un gruppo è in linea di principio sedentaria, mentre un’altra è contraddistinta dalla sua mobilità» [S: 576]. Allora, questa differenza del comportamento spaziale formale diventa «sostegno, strumento, elemento potenziale di un’ostilità già esistente, latente o aperta» [ibid.]. Nel descrivere le tensioni e le differenze tra nature sedentarie e piano collettivo, un gruppo con il quale si condividono storia e cultura – il nemico e lo straniero, in quanto collocati all’esterno del gruppo, segnano simbolicamente i confini del gruppo e l’alterità rispetto ad esso. Sul piano pratico, nel conflitto, lo straniero costituisce la minaccia dalla quale l’intero gruppo si deve difendere. Lo straniero, premendo ai confini del gruppo, rafforza l’unità interna e l’identità del gruppo. Perciò, da questa prospettiva analitica, lo straniero svolge due funzioni importanti per il gruppo: sul piano simbolico, quella di mezzo comparativo per marcare l’identità del gruppo; sul piano politico, quella di mezzo per rafforzare l’unità e l’identità del gruppo. Questa immagine dello straniero è tuttavia troppo generica. Essa dà per scontato che la società o il gruppo, per il quale un individuo o un altro gruppo sociale si configura appunto come straniero, sia omogenea e poco complessa. Se invece si introduce un certo livello di differenziazione e di complessità sociale, la posizione dello straniero diventa a sua volta molto più difficile da determinare. Individui o gruppi sociali della società possono infatti avere interessi comuni o affinità con lo straniero. In questo caso, la posizione dello straniero diventa una minaccia ancora più forte per gli altri gruppi sociali. Infatti, questo legame o comunità di interessi con parti della società rende più forte la sensazione della debolezza dei legami che definiscono l’identità della società. La consapevolezza della vicinanza e della distanza dello straniero diventa in questo caso più acuta. E più determinata può essere anche la risposta sul piano politico». 33 Mandich 1996: 50. 34 Ibid. 35 Ibid. Simmel analizza pure il modo in cui il migrare di una parte influisce sull’altra. «Anche in questo caso la stessa precondizione può produrre effetti diversi: verso l’unificazione del gruppo o verso la sua separazione. Per quanto riguarda il primo caso, Simmel descrive il ruolo di unificazione che gli spostamenti spaziali di singoli elementi rivestono nelle società primitive. Nelle società in cui non si sono sviluppati altri elementi di unificazione, quelli che Simmel chiama mezzi sovra-locali (la scrittura, le istituzioni, le uniformità oggettive) lo spostamento degli individui diventa un mezzo importante per unificare la società» [ibid.].

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vaganti che vedono l’una nell’altra «il proprio nemico naturale e inconciliabile» [ibid.], Simmel, com’è noto, fa esplicito riferimento ai tipi sociali rappresentati dal vagabondo e dall’avventuriero, «il cui continuo girovagare proietta nello spazio l’inquietudine, il carattere “rubato” del loro interiore ritmo di vita» [ibid.]36. Per riassumere. Nell’essere contemporaneamente “dentro e fuori” si traduce la significatività della figura sociale dello straniero che, come osserva Simonetta Tabboni nel suo libro Lo straniero e l’altro, «si trova all’incrocio fra il sociale e il culturale perché riguarda l’assetto dello spazio sociale, le vicinanze e le lontananze che devono essere rispettate»37. Nella figura dello straniero, che nel contempo è distante dagli altri membri del gruppo ma anche vicina, in quanto abita fra di loro, si rende in modo peculiare la visibilità di quell’elemento di negazione ed esclusione che in altre figure sociali è meno appariscente: «ogni relazione fra gli uomini, anche la più stretta, mentre si crea e si stabilisce con qualche forma di affermazione, si nega allo stesso tempo, imponendo una distanza e alcuni elementi che la negano»38. Perciò Simmel ritiene che il secondo apriori della vita sociale [v. supra, cap. 36

Se, come osserva Possenti [2004: 169], «una delle narrazioni prevalenti della tarda modernità dipinge il mondo in cui viviamo come una rete dotata di infinite vie di connessione e priva di un centro di riferimento, nella quale gli esseri umani si trasformano in soggettività nomadi, fluttuanti, flessibili», ciò è anche dipeso dal fatto che a partire almeno da Simmel, nella filosofia e nelle scienze sociali del Novecento, ci si è potuti interrogare «sul significato cognitivo dell’esperienza dello straniero, senza limitarsi a vedere in questa figura alterne allusioni alle potenzialità e ai rischi del vivere in una pluralità di mondi» [ivi: 170]. Probabilmente proprio in virtù del nostro poter essere stranieri, o, in termini simmeliani, al tempo stesso “vicini” e “lontani”, abbiamo la possibilità di attraversare mondi diversi: in questo senso, lo straniero può essere considerato come «una delle possibili declinazioni della figura di homo duplex» [ibid.], che disvela tracce di riflessione sul rapporto tra duplicità dell’io e mondo molteplice. Nelle problematiche rielaborazioni successive, tuttavia, l’assimilazione sociale e cognitiva non rappresenta comunque l’esito inevitabile dell’esperienza dello straniero. Un’originale interpretazione di questa figura sicuramente «capace di accogliere e sviluppare l’eredità simmeliana» [ivi: 179], com’è noto, è stata avanzata, in particolare, da uno scritto di Helmuth Plessner, dal titolo Con altri occhi (Mit anderen Augen) [cfr. 1953: 88-104]. Interpretando la figura dello straniero «con altri occhi» e facendo riferimento all’esperienza dello straniamento (entfremdung) dell’emigrante, Plessner sostiene che «dobbiamo diventare stranieri al territorio delle cose familiari, per poterlo vedere di nuovo» [ivi: 92]. Egli osserva, in particolare, che «per poter avere un punto di vista (anschauen) abbiamo bisogno della distanza» [ivi: 93]. Ciò, tuttavia, «non significa assumere come paradigma cognitivo, o come immagine adeguata alla posizione dello straniero, la metafora del distanziamento. Vicinanza e distanza, familiarità (Vertrautheit) ed estraneità (Fremdheit), sono due funzioni “concomitanti e contraddittorie”, per cui l’una non si dà senza l’altra» [Possenti 2004: 181]. Su Plessner, tra gli altri, cfr. Giammusso 1995; Russo 2000; Tolone 2000; Accarino 2005: 177-192 e 2006: 9-37. 37 Tabboni 2006: 40. 38 Ibid.

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I] di per sé implica che «nessuno accetterebbe di entrare in un rapporto sociale se non a condizione che quello stesso rapporto fosse negato per altri effetti»39. In realtà, la necessità della distanza e l’esigenza di salvaguardare ciò che va oltre il rapporto stabilito, «aumentano quanto più si generalizzano le condizioni caratteristiche del mondo moderno, la molteplicità, la polivalenza, la formalità dei rapporti umani»40. Ne consegue che «ogni gruppo sociale pone le basi della sua esistenza, vive e si evolve attraverso due operazioni opposte ma profondamente complementari: l’affermazione della propria identità, immutabilità e continuità temporale, cui corrisponde l’esclusione di chi è diverso e l’apertura verso l’esterno, il cambiamento, cui corrisponde l’inclusione, più o meno parziale, delle culture diverse e dello straniero»41. La figura sociale dello straniero consente dunque di osservare un rilevante aspetto della dinamica tramite cui ogni gruppo partecipa nel suddividere il proprio spazio sociale e lo gerarchizza, finendo col lasciare uno spazio particolare (di parziale inclusione) a coloro che appartengono ad altre culture diverse. Per questi motivi, la figura dello straniero delineata da Simmel è stata in grado di mettere in luce una specificità più o meno visibile che è presente in ogni rapporto sociale, «la “riserva” e il distacco che ne condizionano l’esistenza». Possiamo quindi individuare così due elementi significativamente essenziali dell’analisi simmeliana della figura dello straniero. In primo luogo, Simmel «ha il grande merito di aver messo in chiaro, forse per primo, che i rapporti umani che gli uomini stringono fra di loro non sono totalizzanti, tranne in qualche eccezione, ma conservano una zona d’indipendenza reciproca che deve essere rispettata. Ciò che Simmel propone come il secondo apriori della vita sociale è in un certo modo la convinzione che […] è in realtà il rapporto fra individuo e società a prevedere la coesistenza del principio d’accettazione e di quello del rifiuto: gli individui possono accettare di far parte della società secondo diversi tipi di rapporto solo se garantiti di non farne parte per altri effetti. La figura sociale dello straniero costituisce una sorta di ingrandimento della più generale condizione dell’uomo sociale perché in essa appare vistosamente il significato del “far parte” in una condizione in cui “non si fa parte” solo entro certi limiti»42. La peculiarità della posizione sociale dello straniero consiste nel 39 40 41 42

Ibid. Ibid. Ivi: 40-41. Ivi: 41.

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fatto che lo straniero non è semplicemente qualcuno che non fa parte del gruppo in cui si stabilisce a vivere provenendo da altrove: «egli appartiene al gruppo in base ad uno statuto che parzialmente lo esclude ed è questa parziale appartenenza che gli consente di promuovere il cambiamento culturale»43. In altri termini: Il processo attraverso il quale un gruppo dà forma al proprio spazio sociale porta in primo luogo a definire le distanze e le vicinanze che i membri devono rispettare nei rapporti in cui si trovano impegnati. Ciò che decide della vicinanza e della lontananza è anche, e oggi sempre di più, la cultura cui si appartiene. Ogni gruppo sociale ha bisogno di due momenti fondamentali per dar respiro alla sua vita: il momento in cui esclude il culturalmente diverso, lo straniero, e il momento in cui lo include nel proprio spazio, pur collocandolo ad una certa distanza sociale44.

In secondo luogo, attraverso la figura dello straniero, Simmel ha inteso descrivere una forma sociale, ovvero una delle diverse forme di reciprocità cui danno vita i rapporti che gli uomini creano associandosi. Segnati, nel suo pensiero, dalla cifra onnipresente dell’ambivalenza, gli elementi costitutivi di questa forma sociale sono caratterizzati dalla contemporanea presenza di polarità opposte: «dal punto di vista spaziale, la mobilità e la spazialità; dal punto di vista delle regole della convivenza, la distanza e la vicinanza; dal punto di vista epistemologico, la generalità e la specificità»45. Se, dunque, ricordiamo ancora la “lezione” della forma sociale dello straniero di Simmel, tenendo conto dell’ambivalenza reciproca che collega lo straniero e il gruppo, allora possiamo affermare che lo straniero «è il messaggero del cambiamento», con l’aggiunta conseguente che cambiare è per chiunque un’operazione faticosa e difficile, ma è anche un’attività necessaria per vivere ed evolversi. Ogni gruppo sociale, così come ogni individuo, ha bisogno di una certa stabilità e continuità, così come ha bisogno di innovazione e conflitto. Sia la stabilità che l’innovazione, comunque, non si presentano mai allo stato puro, ma sempre secondo certe mescolanze di elementi opposti che si collocano in un punto variabile all’interno di un campo di tensione46.

43

Ibid. Ivi: 42. 45 Ibid. 46 Ivi: 42-43. 44

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(C). La “sociologia della povertà” di Simmel: sulla costruzione sociale dei processi di deprivazione Nella storia della tradizione sociologica moderna47, l’analisi della “questione sociale”, della diseguaglianza, della coesione sociale e della povertà coinvolge a vario titolo autori come Comte, Marx, Durkheim, Weber e Simmel48. Tra questi, in particolare, Simmel si è occupato – con il saggio del 1906 Zur Soziologie der Armut, poi sviluppato nel capitolo VII intitolato «Der Arme» nella Sociologia – di sociologia della povertà49 all’interno della sua analisi dei “tipi sociali”. Secondo quanto ha scritto Lewis A. Coser nel suo libro Masters Of Sociological Thought, Simmel, nel costruire una vera e propria “galleria di tipi sociali”, descrivendo con una grande dovizia di particolari di carattere logico-empirico, tipi estremamente diversi tra loro (quali “lo straniero”, “il mediatore”, “il povero”, “l’avventuriero”, “il mediocre”, “il rinnegato”), finì per considerare ciascun tipo sociale particolare «come se fosse modellato dalle relazioni e dalle aspettative specifiche degli altri. Attraverso la propria relazione con gli altri, che gli attribuiscono una posizione particolare e che da lui si attendono determinati modi di comportamento, il tipo diventa ciò che è: le sue caratteristiche sono considerate attributi della struttura sociale»50. Nel caso specifico della figura del povero, come tipo sociale, esso sorge «soltanto quando la società riconosce la povertà come uno status particolare e inserisce in questa categoria quelle determinate persone che chiedono aiuto economico»51. Coser cita Jarrell, per il quale, secondo il modo di vedere di Simmel, il fatto che qualcuno sia povero non significa che appartiene alla specifica categoria del «povero» [...]. È soltanto dal momento in cui [il povero] viene

47

Cfr. Nisbet 1977 e Coser 1983. Sull’argomento, cfr. Iorio 2001b. 49 Cfr. Simmel 2001 [d’ora in poi P]. Secondo Alessandro Cavalli [2002: 175], il saggio Il povero indubbiamente costituisce uno degli scritti «sociologiquement les plus importants» di Simmel. In particolare, sottolinea Cavalli, «son importance tient au fait qu’il s’agit d’un essai où Simmel met en œuvre, avec des résultats remarquables, son modèle d’analyse sociologique, fondé d’une part sur l’analyse relationnelle (le concept de Wechselwirkung, c’est-à-dire d’action réciproque), et, d’autre part, sur l’usage de polarités conceptuelles, c’est-à-dire de concepts idéal typiques qui se définissent par leur opposition». Tra i contributi recenti sulla sociologia della povertà simmeliana, cfr. Segre 1997; Belvisi 1998; Paugam-Schultheis 1998: Iorio 2001a; Cavalli 2002. Tra i riferimenti bibliografici sull’immensa letteratura sociologica sulla povertà, cfr. Woolf 1986; Procacci 1993; Castel 1995: Iorio 2001b. 50 Coser 1983: 264. 51 Ivi: 265. 48

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assistito [...] che comincia a far parte di un gruppo caratterizzato dalla povertà. Tale gruppo non rimane unito per effetto dell’interazione tra i membri, ma in conseguenza dell’atteggiamento collettivo che la società nell’insieme adotta nei suoi confronti [...]. La povertà non può essere definita per se stessa come una situazione oggettiva di tipo quantitativo, giacché essa è soltanto la risposta sociale a una situazione particolare. La povertà è un fenomeno sociologico singolare: un insieme di individui indipendentemente da un destino puramente personale, occupano all’interno del tutto una specifica posizione organica che non è determinata da questo destino o da questa condizione, ma dal fatto che gli altri si sforzeranno di correggere tale condizione52.

La descrizione di Jarrel restituisce un’interpretazione di Simmel che Coser a sua volta conforta allorquando aggiunge che «una volta accettati gli aiuti economici, i poveri sono rimossi dalle condizioni del loro status precedente, e le loro difficoltà private diventano una questione pubblica. I poveri vengono ad essere considerati non per quello che fanno – secondo il criterio generalmente usato per la formazione delle categorie sociali – ma in virtù di quanto viene fatto per loro. La società crea il tipo sociale dei poveri e assegna loro uno status specifico contrassegnato solo da attributi negativi, da ciò che coloro i quali si trovano in quello status non hanno»53. In generale, per Simmel, due sono le dimensioni che identificano e costruiscono socialmente la costellazione quanto mai peculiare del fenomeno della povertà: in primo luogo, ciò che la società fa in favore dei poveri, quando si occupa di essi (pratiche e istituzioni di assistenza) e, in secondo luogo, le dinamiche e le modalità attraverso le quali questi individui formano un gruppo su un contenuto puramente passivo e negativo, al cui riferimento non vi è nulla di positivo che li identifica. Anche se in modo necessariamente cursorio, ricostruiamo “selettivamente” qui di seguito in primo luogo l’ossatura concettuale dell’analisi simmeliana del povero e della costruzione sociale della povertà, sottolineandone alcune delle principali categorie e definizioni, poi riferiremo sinteticamente alcuni degli altri sviluppi problematici contemporanei relativi agli studi sulla povertà che risentono in un certo senso dell’eco sociologico-relazionale della “lezione” di Simmel a questo riguardo. In primo luogo, come ogni fenomeno sociale analizzato da Simmel, osserva Iorio, anche la povertà «viene interpretata secondo il principio di reciprocità di azione/reazione (Wechselwirkung); di spazio, rispetto all’interazione individuale come alto/basso e vicino/lontano o rispetto all’appar52 53

Jarrel 1954: 110. Coser 1983: 266.

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tenenza ad un gruppo come interno/esterno; di tempo, che riguarda la durata della relazione e, infine, di quantità, ossia del numero di soggetti che entrano in relazione tra loro»54. Nella pagina simmeliana viene evidenziato il carattere “relativistico” della povertà che come categoria assume senso sociologico se posta in relazione agli “altri”: «Povero è colui i cui mezzi non sono sufficienti per i suoi scopi. Questo concetto puramente individualistico si restringe, nella sua applicazione pratica, al fatto che determinati scopi vengono considerati sottratti a una fissazione arbitraria e meramente personale: anzitutto quelli fisicamente imposti alla persona umana come il nutrimento, l’abbigliamento, il ricovero. Non è però possibile stabilire con sicurezza una misura di questi bisogni che valga in tutte le circostanze e ovunque, e al di sotto della quale, quindi, sussista la povertà in senso assoluto» [P: 86-87]. Simmel ritiene che povertà individuale e sociale possono anche non coincidere essendo una categoria fissata da un suo peculiare «a priori sociale» [ivi: 88] che muta all’interno della stratificazione sociale; inoltre egli – sulla base di due concezioni contrapposte (una sociologica, l’altra etica) dei diritti e dei doveri – concettualizza tre principali forme di povertà incentrate appunto sul binomio diritto/dovere55 all’assistenza: «la prima forma riguarda il diritto soggettivo del povero che riceve; la seconda riguarda il dovere del soggetto che aiuta; la terza forma riguarda il dovere di assistenza sociale al fine di migliorare le condizioni del povero»56. Queste tre forme vengono a loro volta collocate in uno schema di periodizzazione epocale. Non conoscendo ancora l’epoca della cittadinanza sociale, la prima forma viene collocata nell’era antica, nella società organica o indifferenziata: qui, infatti, «dove l’assistenza ai poveri trova la sua ragion sufficiente in una connessione organica tra gli elementi, il diritto del povero possiede un’accentuazione più forte» [P: 43]. Simmel precisa all’occorrenza la rete di diritti e di doveri che si intrecciano tra assistenza e povero: 54

Iorio 2001a: 20-21. Secondo Cavalli [2002: 177]: «Appliquée à l’assistance aux pauvres, cette opposition conceptuelle met en évidence deux perspectives opposées: 1 / le pauvre, soit comme individu soit comme membre d’un ensemble, est le titulaire d’un droit à l’assistance; dans quelle mesure, avec quelle attitude et envers quel groupe (famille, amis, communauté religieuse, groupe professionnel, communauté locale ou État) ce droit peut se faire valoir, cela varie de société à société et d’époque à époque et peut être déterminé seulement dans le cas particulier; 2 / le point de départ est le devoir de ce qui donne et pas le droit de ce qui reçoit; il n’y a pas de droit à l’assistance, il y a seulement l’exigence de salut de l’âme du bienfaiteur, ou bien l’exigence purement sociale de réduire ou éliminer la menace à la paix sociale, qui peut provenir de l’armée des pauvres, s’ils peuvent surmonter les obstacles qui empêchement le développement d’une action collective». 56 Iorio 2001a: 21. 55

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Il dovere di questa assistenza può presentarsi come puro e semplice correlato della pretesa del povero. Specialmente in paesi in cui la mendicità è un mestiere regolare il mendicante crede, più o meno ingenuamente, di avere un diritto all’obolo, il cui rifiuto egli stesso biasima come sottrazione di un tributo dovuto. Un carattere completamente diverso riveste – nell’ambito del medesimo tipo – la fondazione della pretesa all’assistenza sulla base dell’appartenenza del bisognoso ad un gruppo. Un modo di vedere sociale per il quale l’individuo è esclusivamente il prodotto del suo ambiente sociale gli conferisce il diritto di richiedere alla società una compensazione per ogni situazione di bisogno e per ogni perdita. Ma anche dove non c’è una dissoluzione così estrema della responsabilità personale si potrà sottolineare, dal punto di vista sociale, il diritto del bisognoso come fondamento di tutta l’assistenza ai poveri. Infatti soltanto se si presuppone un diritto del genere, almeno come finzione giuridico-sociale, l’esercizio dell’assistenza ai poveri appare sottratto all’arbitrio, alla dipendenza dall’accidentale situazione finanziaria e ad altre incertezze [ivi: 40].

Nella seconda forma, il cui punto di partenza è costituito dal dovere di chi dà e offre assistenza, anziché di chi la riceve, il povero «sparisce completamente come soggetto autorizzato e come obiettivo di interessi», poiché il motivo della donazione risiede esclusivamente «nel significato che il donare ha per il donante» [ivi: 44]. Simmel nel rimarcare la motivazione soggettiva dell’assistenza non manca altresì di rilevarne l’intrinseca valenza sociale, ricordando che gli atteggiamenti mutano non appena «il benessere dell’insieme sociale» richiede l’assistenza ai poveri: «esso si attua volontariamente o in virtù della legge, per non far diventare il povero un nemico attivo, dannoso per la società, per mettere di nuovo a frutto per essa la sua forza diminuita, per impedire la degenerazione della sua discendenza» [ibid.]. Ciò che diventa significativo dal punto di vista sociologico, secondo Simmel, è che il povero come persona, il riflesso della sua situazione nel suo sentimento, è qui altrettanto indifferente come lo è per chi fa l’elemosina in vista della salvezza della propria anima; l’egoismo soggettivo di quest’ultimo è eliminato, ma non per il povero, bensì per la società: che il povero riceva l’obolo non è il suo scopo finale, bensì un semplice mezzo, come nel primo caso. La prevalenza del punto di vista sociale a proposito dell’elemosina si rivela nel fatto che essa può venir anche rifiutata in base al punto di vista esattamente identico – e spesso proprio quando la compassione personale o la situazione spiacevole di dover dire di no ci spingerebbe a concederla [ivi: 45].

La forma astratta moderna dell’assistenza ai poveri come istituzione pubblica presenta una complessa ed articolata “costellazione sociologica”: dal

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punto di vista del contenuto essa è del tutto personale; nella sua azione concreta, si indirizza esclusivamente all’individuo e alla sua situazione; essa, «prendendo al benestante e dando al povero», non tende assolutamente a equiparare queste posizioni individuali, il suo stesso concetto non vuole, neppure tendenzialmente, «eliminare la differenziazione della società in ricchi e poveri» [ivi: 47]. Nella struttura sociale, il povero non è né lo scopo finale dell’assistenza, né un mezzo per questa: «il suo senso è precisamente quello di attenuare certe manifestazioni estreme di differenza sociale, in misura tale che quella struttura possa continuare a reggersi su se stessa» [ibid.]. In particolare nello Stato moderno, il povero è «un escluso sia rispetto allo scopo dell’assistenza perché non è il soggetto che pone fini, sia rispetto ai mezzi perché l’azione collettiva non si serve di lui, ma lo priva della partecipazione all’amministrazione stessa. In realtà questa esclusione è, però, una forma di relazione con il gruppo di appartenenza (dal quale è comunque escluso). Essa, infatti, segna soltanto la distanza del povero dal gruppo»57. Simmel spiega sociologicamente questa «duplicità di posizione» del povero in questi termini: Così il povero sta naturalmente al di fuori del gruppo in quanto è un semplice oggetto di misure da parte della collettività, ma questo al-di-fuori è [...] soltanto una forma particolare del di-dentro [...]. A un esame più preciso, però, tale duplice posizione del povero – come quella dell’estraneo – si lascia constatare in generale in tutti gli elementi del gruppo soltanto in modificazioni graduali. Per quanto un individuo inerisca con prestazioni positive alla vita del gruppo, per quanto intessa e immetta i suoi personali contenuti di vita nella sua circolazione, egli sta tuttavia contemporaneamente di fronte a questa totalità, dando e ricevendo, trattato bene o male da essa, obbligato interiormente o soltanto esteriormente verso di essa; in breve, egli sta come parte o come oggetto di fronte alla cerchia sociale in quanto soggetto al quale egli però appartiene come elemento, come soggetto-parte, proprio in virtù delle medesime azioni e dei medesimi stati che fondano quei rapporti [P: 84]58.

Accanto alle due forme del rapporto diritto-dovere – secondo cui il povero ha un diritto all’assistenza ed esiste un dovere di assistenza che non si 57

Ivi: 23. È evidente che tutto ciò ingenera molteplici contraddizioni. Infatti, come osserva Cavalli [2002: 178], interprete di Simmel, «dans le cas extrêmes, le pauvre en charge de la charité publique est même privé des droits civiques. Dans d’autres cas, il reste citoyen comme tous les autres. Il y a ici une deuxième opposition: le pauvre est en même temps objet et sujet, il est en dedans et en dehors de la collectivité. Sa position sociale peut être assimilée à celle de l’étranger, il est un demicitoyen. Il y a évidemment une contradiction entre l’égalité de droits définie par le principe de citoyenneté et la misère qui rend problématique l’exercice de ces droits». 58

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rivolge al povero quale soggetto fornito di diritti, ma alla società, il cui mantenimento quel dovere richiede dai suoi organi e da certe cerchie –, nella sua “sociologia della povertà”, la terza forma di assistenza (dominante in media la coscienza etica) che Simmel registra fa riferimento alla presenza di entrambe le dimensioni del diritto del povero ad avere assistenza e del dovere ad offrirla: «Sussiste – scrive Simmel – un dovere di assistenza al povero da parte della collettività e dei benestanti, che trova il suo scopo sufficiente nel migliorare la situazione del povero stesso: a ciò corrisponde una pretesa del povero, come l’altro aspetto della relazione puramente morale tra sofferente e benestante» [P: 65]. Soprattutto a partire dal XVIII secolo l’accento in questa relazione si è sensibilmente modificato. Al riguardo Simmel registra le differenze sociologiche esistenti tra beneficenza privata e assistenza statale – in particolare, sottolinea il passaggio della competenza da quella comunale a quella statale, in Inghilterra a partire dal 1834 e in Germania all’incirca dalla metà del secolo –, un processo che è diventato possibile in virtù del concetto generale di povertà che «rappresenta una delle vie che le forme sociologiche abbiano percorso tra sensibilità e astrazione» [ivi: 67]. Nell’assistenza ai poveri, mediante la creazione di un crescente numero di funzionari specializzati stipendiati e preposti a tale compito, accanto alla determinazione qualitativa delle prestazioni statali dirette interviene quella quantitativa, che le distingue specialmente dalla beneficenza privata: «lo stato o in generale la collettività si prendono cura soltanto del bisogno più urgente e immediato. Ovunque, e nella maniera più chiara in Inghilterra, l’assistenza ai poveri ha come principio stabile che dalla tasca dei contribuenti si può concedere al povero soltanto il minimo di sostentamento assolutamente necessario» [ivi: 69]. L’assistenza ai poveri assume non solo il carattere di «minimo sociale» espresso dagli interessi di massa, ma questa prestazione oltre ad essere minima deve anche avere «carattere oggettivo» [ivi: 71]: «è possibile fissare con sicurezza approssimativa ciò che occorre per preservare qualcuno dall’annientamento fisico. Ogni concessione al di là di questo limite, ogni azione che favorisca un innalzamento positivo richiede criteri molto meno univoci, ed è rimessa per misura e forma ad apprezzamenti più soggettivi» [ibid.]. Tra gli interpreti contemporanei, c’è chi, come Iorio, ritiene che la “cogenza” della sociologia della povertà simmeliana risieda soprattutto nella «definizione della rilevanza sociale del povero empiricamente verificabile»59. Le dimensioni (ed i relativi concetti) dell’assistenza e dello stigma rendono socialmente trasparente la condizione di povertà. La definizione sociologica di Simmel recita paradigmaticamente così: «Il povero come categoria socio59

Iorio 2001a: 24.

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logica non nasce da una determinata misura di mancanza e di privazione, ma dal fatto che egli riceve un’assistenza o dovrebbe riceverla in base a norme sociali» [P: 92]. In base a questa definizione, secondo Simmel, la funzione di membro che il povero svolge nella società esistente non è data con il fatto che egli è povero; soltanto in quanto la società – la collettività o i singoli individui – reagisce con soccorsi a questo stato, egli assume il suo specifico ruolo sociale [ivi: 93].

Ciononostante, un ulteriore elemento contribuisce a connotare la rilevanza sociologica del povero che Simmel denomina “mancanza di positività”: Questa mancanza di qualificazione positivamente propria produce l’effetto [...] che lo strato dei poveri, nonostante l’eguaglianza della loro posizione, non sviluppa da sé e in sé forze sociologicamente unificanti. La povertà presenta così una costellazione sociologica del tutto singolare: un certo numero di individui assumono, per mezzo di un destino puramente individuale, una posizione organica del tutto specifica all’interno di una totalità; ma tale posizione non è tuttavia determinata da quel destino e da quella costituzione peculiare, bensì dal fatto che altri elementi, cioè altri individui, unioni, totalità, cercano di correggere questa costituzione, cosicché non già la deficienza personale fa il povero, ma soltanto il soggetto soccorso per la sua mancanza costituisce il povero secondo il concetto sociologico [ivi: 97-98].

Arrivati a questo punto della nostra breve ricostruzione, seguendo le indicazioni di Cavalli, è possibile sinteticamente indicare le dimensioni analitiche individuate nel saggio sul povero di Simmel (dalle quali è altresì possibile dedurre, come ipotesi di ricerca, una sorta di tipologia delle forme di costruzione sociale della povertà). Secondo Cavalli, les deux dimensions sont d’un côté le degré d’orientation vers le pauvre comme personne dans son individualité ou vers la pauvreté comme condition abstraite qu’il faut combattre, car, au-delà d’un seuil critique, elle représente une menace pour l’intégration sociale, de l’autre côté, le degré d’inclusion-exclusion du pauvre dans le groupe qui fait jouer l’assistance. Cette dernière dimension est étroitement liée à la reconnaissance de l’assistance comme droit qui appartient au pauvre en tant que membre de la collectivité en question60.

L’approccio “relazionale” all’analisi sociologica della povertà di Simmel, all’interno del variegato e complesso dibattito sociologico contemporaneo 60

Cavalli 2002: 180.

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sulla povertà e sulle “nuove povertà”, non ha mancato certo di coinvolgere gli studiosi che si richiamano esplicitamente a Simmel nell’elaborare i propri modelli interpretativi della povertà contemporanea – da Coser a Matza, da Waxman a Paugam, da Cavalli a Iorio61, per citarne soltanto alcuni. Ciò dimostra ancora una volta la forte “incidenza” della sua concezione sociologica nella quale, come sostiene lo stesso Cavalli, «on peut aussi y voir des éléments précurseurs d’une analyse du welfare state avant la lettre, de ses contradictions et de sa crise; on peut y voir aussi des réflexions assez pénétrantes sur la “subsidiarité” entre privé et public dans l’action envers les pauvres»62. E tutto ciò accade, paradossalmente, senza che la sua “eredità” intellettuale (anche quella desumibile dal suo saggio sul povero) sia a volte esplicitamente menzionata.

61

Cfr. Coser 1965; Matza 1966; Waxman 1976; Paugam 1996; Cavalli 2002; Iorio 2001b. 62 Cavalli 2002: 175-176.

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XIII L’occhio e l’orecchio Sulla “sociologia dei sensi” di Simmel

Nella prospettiva relazionale della sociologia di Simmel, «ogni conoscenza deve essere pensata come relativa e vera anche nel suo contrario e per tale ragione, se vogliamo ottenere un’immagine corretta della realtà, bisogna considerare entrambi i punti di vista e respingere qualsiasi teoria che ne offra una lettura unilaterale. Questo principio vale per ogni aspetto dell’esperienza umana. Così ogni sentimento vitale è possibile solo se c’è l’esperienza del suo contrario: la gioia ha bisogno della sua controparte, il dolore, per essere riconosciuta come tale, la forza richiama la debolezza e l’amore l’odio. Analogamente separazione e complementarietà definiscono il carattere umano. Non solo: senza esserne consapevole l’individuo organizza la propria vita sulla base di principi tra loro opposti, ma qualora uno di questi dovesse prevalere, il suo contrario continuerà ad agire in forma di “deviazione”, “sottofondo”, “tentazione”. Inoltre la contrapposizione tra il principio individualistico e quello di socializzazione, tra loro opposti e complementari, contraddittori e interdipendenti, “taglia all’interno lo stesso individuo”. L’unità di ogni singolo individuo chiede il riconoscimento del suo essere per sé, ma l’unità che accoglie in sé ogni singolo individuo rivendica lo stesso diritto: ogni parte è negazione dell’altra, ma nessuna delle due può prescindere dalla sua controparte»1. All’interno di questa dinamica fra opposte polarità costruiamo anche l’immagine dell’altro da noi come risultato di un processo analogico per mezzo del quale vediamo l’altro mediante ciò che sappiamo di noi stessi in un incessante gioco di rimandi tra l’Io e il Tu, due istanze legate tra loro da un rapporto di reciproca dipendenza/indipendenza2. Infatti, Simmel riconduce l’ambivalenza costitutiva della relazione sociale «alle forme peculiari con cui l’uomo si offre alla nostra percezione sensibile e alle speciali difficoltà che si 1 2

Calabrò 1997: 43-44. Cfr. ivi, 44.

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incontrano quando si cerca di sapere qualcosa di lui. Il differente coinvolgimento che contraddistingue il rapporto con l’altro, rispetto a quello con la natura, viene rintracciato già nel duplice significato che hanno per noi le sensazioni con cui egli ci modifica»3. In particolare, nell’Excursus sulla sociologia dei sensi (Excursus über die Soziologie der Sinne)4 – originale momento della riflessione simmeliana – la percezione sensibile dell’altro «vede intrecciarsi ed influenzarsi reciprocamente due aspetti che, nel rapporto con gli oggetti non umani, appaiono relativamente indipendenti»5. Scrive Simmel: Il fatto che in generale percepiamo sensibilmente il nostro prossimo si sviluppa in due direzioni, la cui cooperazione riveste un’importanza sociologica fondamentale. Agendo sul soggetto l’impressione sensibile di una persona sprigiona in noi sentimenti di piacere e di dispiacere, di un incremento e abbassamento, di eccitazione e acquietamento, per effetto della sua vista o del tono della sua voce, della sua semplice presenza sensibile nel medesimo spazio. Tutto ciò non serve a riconoscere o a determinare l’altro soggetto; soltanto a me fa bene o non fa bene che egli sia qui e che io lo veda e oda. Questa reazione del sentimento alla sua immagine sensibile lascia per così dire fuori lui stesso. Lo sviluppo dell’impressione sensibile si estende nella dimensione opposta non appena essa diventa il mezzo per riconoscere l’altro: ciò che io vedo, odo, sento di lui è ora soltanto il ponte per il quale pervengo a lui come a un mio oggetto. Il suono della voce e il suo significato costituiscono forse l’esempio più chiaro. Come la voce di un uomo agisce su di noi in senso immediatamente attrattivo o repulsivo, indipendentemente da ciò che egli dice; come d’altra parte ciò che egli dice ci aiuta a conoscere non soltanto il suo pensiero momentaneo, ma il suo essere psichico – così avviene con tutte le impressioni sensibili: esse conducono dentro al soggetto in quanto suo stato d’animo e sentimento, e conducono fuori all’oggetto in quanto conoscenza di esso [S: 550].

Alle impressioni sensibili, dunque, si accompagnano sempre sentimenti di piacere o di dispiacere, di benessere o disagio, di attrazione o repulsione, che «agiscono su di noi lasciando, in una certa misura, fuori l’altro. Il suono di una voce o l’immagine di un volto hanno effetti sensibili indipendenti dal significato delle parole che udiamo o dall’identità di colui che riconosciamo. Per mezzo di essi noi non perveniamo all’altro, ma ritorniamo a noi stessi attraverso le risonanze soggettive – emozionali, affettive, estetiche – che

3

Giacomini 1999: 67. Cfr. S: 550-562. Sulla «sociologia dei sensi» di Simmel, cfr. Dal Lago 1994; Rath 1986: 189-204; Giacomini 1999. 5 Giacomini 1999: 68. 4

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l’altro produce in noi»6. La duplice apertura e direzionalità delle impressioni sensibili verso l’interno e verso l’esterno «crea, nel caso della relazione con l’uomo, un’indissolubile connessione tra gli effetti soggettivi che egli esercita su di noi e l’immagine oggettiva che ci facciamo di lui»7. Mentre, rispetto agli oggetti non umani, questi due aspetti sono di solito nettamente separati. Infatti, come scrive Simmel, «nella loro presenza sensibile noi sottolineiamo il loro valore soggettivo – sentiamo il profumo della rosa, l’amabilità di un suono, l’incanto dei rami che si piegano al vento come una felicità che si esprime all’interno dell’anima; oppure vogliamo conoscere la rosa o il suono o l’albero – e allora impieghiamo a tale scopo energie completamente diverse, spesso distogliendoci consapevolmente da tutto quello. Gli elementi che qui si scambiano l’uno con l’altro, relativamente privi di connessione, nei confronti dell’uomo sono per lo più intessuti in un’unità. Le nostre impressioni sensibili di lui fanno sì che da un lato il loro valore affettivo, dall’altro la loro utilizzazione per una conoscenza istintiva o cercata divengano il fondamento della nostra relazione con lui, agendo insieme e praticamente in maniera inestricabile. Naturalmente l’uno e l’altro aspetto – il timbro della voce e il contenuto di ciò che si dice, l’apparenza e la sua interpretazione psicologica, l’elemento attraente o repellente della sua atmosfera e la conclusione istintiva che ne traiamo sulla sua colorazione psichica e talvolta anche sul suo grado di cultura – questi due sviluppi dell’espressione sensibile costruiscono, in una misura e mescolanza molto diversa, il nostro rapporto con lui» [S: 550]. Da tutto ciò consegue che, simmelianamente, l’interazione conoscitiva e pratica con l’altro «resta vincolata alla sensibilità soggettiva di ciascuno in modo assai più determinante di quanto non accada nel rapporto con il mondo inanimato»8. Ponendo il fondamento dei rapporti interpersonali nella percezione sensibile dell’altro, negli stati d’animo che essa suscita, Simmel rivolge la sua attenzione particolarmente alle funzioni peculiari che i differenti organi di senso svolgono «nell’attivare modalità e dimensioni diverse della connessione interumana»9. L’ovvietà e l’indiscutibilità delle forme dell’associazione umana decadono se queste ultime vengono indagate anche nelle loro radici sensibili non dal punto di vista psicologico generale, ma da quello più propriamente sociale10: non solo la struttura dei nostri

6

Ibid. Ibid. 8 Ibid. 9 Ivi: 69. 10 Cfr. Rath 1986: 190. 7

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sensi e dei loro oggetti contribuisce a sorreggere tutti i rapporti umani, ma se essa fosse differente anche la nostra vita interindividuale si fonderebbe su basi anch’esse differenti. Tra le varie attività e funzioni dei singoli organi di senso una «prestazione sociologicamente assolutamente unica» [S: 550] è offerta dall’occhio, che, nella connessione ed interazione umana, «consiste nel guardarsi l’un l’altro» [ibid.]. In effetti, forse, «questa è la relazione reciproca più immediata e più pura che esista in generale. Dove si tendono altrove fili sociologici, essi di solito posseggono un contenuto oggettivo, producono una forma oggettiva. Perfino la parola parlata e udita possiede un significalo oggettivo, che in ogni caso sarebbe ancora trasmissibile in altra maniera. Invece l’azione reciproca estremamente viva, in cui il guardarsi negli occhi intesse gli uomini, non si cristallizza in nessuna formazione oggettiva; l’unità che questo atto pone in essere tra loro rimane risolta immediatamente nell’accadere, nella funzione. E questo legame è così forte e fine che viene sorretto soltanto dalla linea più breve, la linea retta tra gli occhi, e la minima deviazione da questa, il più leggero guardare di fianco, distrugge del tutto l’elemento caratteristico di tale legame. Qui non rimane nessuna traccia oggettiva, come invece avviene, indirettamente o direttamente, in tutti i tipi di relazioni tra gli uomini, perfino nelle parole scambiate. L’azione reciproca muore nell’attimo in cui vien meno l’immediatezza della funzione; ma tutti i rapporti tra gli uomini, il loro comprendersi e il loro respingersi, la loro intimità e la loro freddezza sarebbero mutati in maniera incalcolabile se non esistesse il guardarsi negli occhi – che, a differenza dal semplice vedere e osservare l’altro soggetto, significa una relazione completamente nuova e incomparabile tra di loro» [ivi: 550-551]. Nella sua valenza sociologica, il ruolo fondamentale del reciproco guardarsi nella comunicazione interpersonale è efficacemente espresso da Simmel sin dall’inizio della Sociologia allorquando nel primo capitolo – Il problema della sociologia – in particolare nell’Excursus sul problema: come è possibile la società? [v. supra, cap. I] –, riflettendo sul rapporto io-tu, parte dalla constatazione di fatto che, nell’immagine che un uomo si fa di un altro, «ci è negato il sapere perfetto intorno all’’individualità dell’altro» [ivi: 30], ovvero parte dall’esperienza quotidiana di «una percezione inevitabilmente frammentaria dell’altrui individualità e della impossibilità umana di rivelarsi nella propria totalità»11. Scrive infatti Simmel: Noi siamo tutti frammenti non soltanto dell’uomo in generale, ma anche di noi stessi. Noi siamo tutti abbozzi non soltanto del tipo uomo in generale […], 11

Squicciarino 1999: 57.

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ma siamo abbozzi anche di quella individualità e unicità di noi stessi […]. La prassi della vita ci spinge a formare l’immagine dell’uomo soltanto in base ai frammenti reali che conosciamo empiricamente di lui [S: 31].

Lo sguardo dell’altro integra questo «materiale frammentario» in quel che noi non siamo mai puramente e interamente: soltanto mediante lo sguardo, «tali frammenti, empiricamente conoscibili, consentono la formazione dell’immagine dell’altrui individualità»12. Come è ribadito da Simmel nell’Excursus sulla sociologia dei sensi, nel fenomeno quotidiano dello sguardo si dà come possibilità all’essere umano una dimensione della conoscibilità dell’altro che è preclusa ad ogni approccio di tipo esclusivamente concettuale: La particolare specie di “conoscere” – sociologicamente ricca di conseguenze – che l’occhio media è determinata dal fatto che il volto è l’oggetto essenziale del vedere inter-individuale. Questo conoscere è ancora qualcosa di diverso dal riconoscere. In qualche misura, certamente assai variabile, al primo sguardo che rivolgiamo a qualcuno noi sappiamo con chi abbiamo a che fare. Se per lo più non siamo coscienti di questo fatto e del suo significare fondamentale, ciò dipende dalla circostanza che noi rivolgiamo subito la nostra attenzione, al di là di questa base per sé ovvia, alla riconoscibilità di tratti particolari, di contenuti singolari i quali determinano in concreto il nostro atteggiamento pratico verso quell’uomo. Se però si cerca di penetrare nella coscienza di questo fatto ovvio, si resterà meravigliati di quanto sappiamo di un uomo al primo sguardo che gli rivolgiamo. Non è nulla di esprimibile con concetti, di scomponibile in qualità particolari; […] ma è il cogliere in modo immediato la sua individualità, qual è tradita al nostro sguardo dalla sua apparenza, specialmente dal suo viso [S: 552].

Lo sguardo non solo rende visibile l’altro, ma contemporaneamente svela all’altro anche il proprio sé, l’io da cui parte lo sguardo, senza tuttavia riuscire a rivelarlo pienamente13: lo sguardo che io rivolgo all’altro per penetrare le sue intenzioni e i suoi sentimenti è, nel contempo, il modo e la relazione in cui più direttamente mi manifesto a lui, esponendomi senza difese14. La prossimità di questa relazione è sorretta dal fatto singolare che lo sguardo rivolto all’altro e che lo percepisce è esso stesso espressivo, e ciò proprio per il modo in cui si guarda all’altro.

12 13 14

Ivi: 58. Cfr. ivi: 73. Cfr. Giacomini 1999: 69.

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Nello sguardo che assume in sé l’altro si manifesta se stesso; con il medesimo atto con cui il soggetto cerca di conoscere il suo oggetto, egli si offre qui all’oggetto. Non si può prendere con l’occhio senza dare contemporaneamente: l’occhio svela all’altro l’anima che cerca di svelarlo. Poiché ciò si attua evidentemente con l’immediato guardarsi negli occhi, qui si produce la reciprocità più perfetta in tutto l’ambito delle relazioni umane [S: 551].

Attraverso la funzione dello sguardo, dell’immediato guardarsi negli occhi, Simmel sottolinea un concetto fondamentale dell’interazione umana, la reciprocità, ovvero il presupposto del vero comunicare15: «L’uomo esiste per l’altro non già quando quest’altro lo guarda, ma soltanto quando anch’egli lo guarda» [S: 551]. Nel caso del guardare l’un l’altro negli occhi, tale reciprocità, pur perfetta e immediata, resta tuttavia istantanea. Nello sguardo che avviene senza lasciar traccia, Simmel rinviene la cifra simbolica e rilevante della reciprocità come «possibilità esclusiva dell’uomo»16. «La perfetta simultaneità del vedere ed essere visti rappresenta emblematicamente l’assoluta peculiarità che contraddistingue il rapporto tra soggetti. Certo, anche nel mondo umano si può guardare senza essere notati e, viceversa, essere osservati senza accorgersene o senza ricambiare l’attenzione, ma resta sempre aperta la possibilità che gli sguardi s’incrocino e che ciascuno si scopra osservatore e osservato»17. I rischi di tale reciprocità si manifestano in un’altra importante modalità della comunicazione non verbale, la vergogna, che «ci fa guardare in terra, ci fa evitare lo sguardo dell’altro» [S: 551], consentendoci di sottrarre al suo sguardo ispettivo ciò che realmente e intimamente ci rivela: L’abbassarsi del mio sguardo toglie all’altro qualcosa della possibilità di osservarmi. Lo sguardo nell’occhio dell’altro serve non soltanto a me per conoscere quest’altro, ma anche a lui per conoscere me; sulla linea che congiunge i due occhi egli reca all’altro soggetto la propria personalità, il proprio stato d’animo, il proprio impulso [ibid.]18. 15

Cfr. Squicciarino 1999: 58. Giacomini 1999: 69. 17 Ivi: 69-70. 18 La vergogna, e la peculiare sensazione di inquietudine che l’accompagna, scrive Simmel nel saggio Sulla psicologia del pudore (Zur Psychologie der Scham) del 1901 [cfr. l’ultima tr. it., in Simmel 1996b: 63-78], denotano il fatto che «l’attenzione degli altri viene recepita da colui che ne è colpito come una indiscrezione; essi penetrano in questo modo nella sfera della sua personalità, in ciò che è di sola sua pertinenza» [ivi: 69]. Come commenta Cotesta [1996: 36-37]: «Nel saggio sul pudore vediamo all’opera la relazione pura, lo “sguardo” attraverso cui Ego penetra nell’intimità di Alter. Il pudore è in primo luogo una “opposizione” alla violazione della norma che tutela i confini della nostra sfera dell’intimità. Nella relazione 16

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Nell’ambito di ciò che è peculiarmente umano nella conoscibilità dell’altro, quello che ci consente di cogliere e comprendere immediatamente l’individualità dell’altro è l’espressività del suo volto, che «si offre tra uomo e uomo come il primo oggetto dello sguardo» [S: 551]. Nel volto dell’uomo, espressione enigmatica dell’aspetto durevole della sua individualità, «luogo geometrico» della relazionalità e conoscenza reciproca, «simbolo di tutto ciò che l’individuo ha portato con sé come presupposto della sua vita» [ivi: 551552], è depositato «ciò che del suo passato è disceso nel fondamento della sua vita ed è diventato in lui un insieme di tratti permanenti» [ivi: 552]. Il volto significante consente la comprensione dell’altro a prima vista, cioè al suo apparire, senza aspettare il suo agire. Il volto, dice Simmel, offre allo sguardo «il simbolismo intuitivamente più completo dell’interiorità permanente e di tutto ciò che le nostre esperienze vissute hanno fatto depositare nel fondamento duraturo del nostro essere» [ibid.]; esso, tuttavia, contemporaneamente si presenta allo sguardo sempre «nella colorazione particolare di uno stato d’animo», come qualcosa di assolutamente contemporaneo e però cede comunque alle «mutevoli situazioni del momento» [ibid.]. L’espressività del volto, la sua «essenza del tutto teorica», che non agisce come altri organi del corpo e che «racconta» soltanto di lui, è ciò che in modo determinante «rende il “conoscere” mediato dallo sguardo psicologicamente e sociologicamente rilevante»19. con Alter, Ego “sente il proprio io esposto all’attenzione degli altri”; sente, in altri termini, un’attenzione persistente diretta al “centro” della sua personalità. Questa “oggettivazione” del proprio Io avviene mediante la presa dello sguardo. Il pudore, allora, è innanzitutto un messaggio rivolto ad Alter per comunicare il non gradimento di questa sua volontà di penetrazione nell’identità di Ego. Qui si pone in primo luogo una questione di confini, di rispetto della sfera dell’intimità. Ego non vuole essere l’oggetto dell’attenzione di Alter; egli non vuole aprire la sfera della sua intimità verso questo Alter che, invece, continua con ostinazione a rivolgere la sua ritenzione verso Ego [...]. Il pudore è dunque una reazione di opposizione alla esposizione non desiderata alla attenzione persistente di Alter, ma anche una reazione alla esposizione indesiderata all’attenzione involontaria e casuale di Alter che tuttavia mostri i tratti attualmente reali dell’Io ed implicitamente neghi l’Io ideale. La struttura della relazione è tale che mentre Ego tende ad affermare il proprio Io (ideale o reale), Alter invece agisce negando questa affermazione. Il pudore è appunto la manifestazione della volontà di sottrarsi a questa negazione riaffermando i tratti positivi del proprio Io». 19 Squicciarino 1999: 59. Altrove Simmel, in particolare nel saggio Il significato estetico del volto – cfr. G. Simmel, Il volto e il ritratto. Saggi sull’arte, tr. it. a cura di L. Perucchi [1985a: 43-49] – uno dei più limpidi, suggestivi e, al contempo, enigmatici tra i suoi saggi estetici [cfr. Perucchi 1985: 25] –, nello spiegare la ragione del valore espressivo ineguagliabile che al volto, nella sua affascinante fenomenologia, viene assegnato nell’ambito delle arti figurative, scrive che il vertice della sua capacità consiste nel «rispecchiare l’anima», ovvero nel volto i processi psichici «si coagulano in forme solide, capaci di rivelare l’anima una volta per tutte» [Simmel 1985a: 46]. Invece, nello scritto Sulla psicologia del pudore, Simmel

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Il significato di quel complesso insieme di segni che il volto esprime nella sua signoria spesso appare non soltanto molteplice e fluente, ma anche indecifrabile o ambiguo, generando così in chi lo osserva «un’incertezza e un’inquietudine la cui risoluzione viene spesso affidata all’orecchio»20. Simmel nell’Excursus sulla sociologia dei sensi non manca di descrivere compiutamente l’estrema antitesi sociologica tra occhio e orecchio. Partendo dal presupposto che, nella differente prestazione dei due sensi, in generale «ciò che noi vediamo di un uomo viene interpretato per mezzo di ciò che udiamo da lui, mentre il contrario è molto più raro» e che «è molto più facile ingannare l’orecchio di un uomo che non il suo occhio», Simmel sintetizza con originale acutezza osservativa ed interpretativa il significato sociologico di questa antitesi nel modo seguente: Come ogni senso della realtà si divide sempre nelle categorie dell’essere e del divenire, così queste dominano anche ciò che l’uomo vuole e può percepire in generale dell’uomo. Noi vogliamo sapere: che cos’è quest’uomo nel suo senso, che cos’è la sostanza durevole del suo essere? e com’è in questo momento, che cosa vuole, che cosa pensa, che cosa dice? Ciò fissa a grandi linee la divisione del lavoro tra i sensi. Prescindendo da molte modificazioni, ciò che noi vediamo nell’uomo è ciò che è durevole in lui; nel suo viso è disegnata, come in una sezione attraverso gli strati geologici, la storia della sua vita e ciò che sta alla sua base come dote atemporale della sua natura. Le oscillazioni delle espressioni del viso non si avvicinano, per molteplicità di differenziazione, a ciò che noi constatiamo mediante l’orecchio. Ciò che noi udiamo è il suo aspetto momentaneo, è il fluire del suo essere. Soltanto conoscenze e ragionamenti secondari di ogni genere ci svelano anche nei suoi tratti lo stato d’animo del momento, e nelle sue parole ciò che vi è in esso di inalterabile. In tutto il resto della natura, quale si offre all’impressione immediata dei sentimenti, il durare e il fluire sono distribuiti in misura molto più unilaterale che nell’uomo. La pietra durevole e il fiume che scorre sono i simboli polari di questa unilateralità. Soltanto l’uomo è sempre, già per i nostri sensi, nello stesso tempo qualcosa di permanente e qualcosa che trascorre; i due aspetti hanno raggiunto in lui un’altezza in cui l’uno si misura sempre sull’altro e viene a esprimersi nell’altro. La formazione di questa dualità sta in un’azione reciproca con quella dell’occhio e dell’orecchio; infatti, anche se nessuno dei due si chiude completamente alle percezioni di entrambe le

individua l’origine della consuetudine delle donne orientali di coprire prima di tutto il viso, quando sono sorprese in situazioni imbarazzami [cfr. Squicciarino 1999: 59], nell’intima consapevolezza appunto che il viso «è la manifestazione e l’espressione dell’individualità; rendendolo irriconoscibile scompare l’Io e con esso il punto da cui scaturisce il senso del pudore» [Simmel 1996b: 72]. 20 Giacomini 1999: 70.

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categorie, nel complesso essi sono tuttavia disposti in vista di un’integrazione reciproca, alla constatazione mediante l’occhio dell’essenza plastica permanente dell’uomo, mediante l’orecchio a quella delle sue manifestazioni che compaiono e svaniscono [S: 554].

Sotto il profilo della prestazione sociologica, l’orecchio si differenzia ulteriormente dall’occhio soprattutto per la mancanza caratteristica di quella «reciprocità» che lo sguardo invece istituisce tra occhio e occhio: per sua essenza «l’occhio non può prendere senza contemporaneamente dare, mentre l’orecchio è organo senz’altro egoistico, che prende soltanto ma non dà» [ibid.]. La sua conformazione esteriore «sembra quasi simbolizzare questa caratteristica, in quanto esso sembra un’appendice piuttosto passiva dell’aspetto umano, il più immobile di tutti gli organi del capo» [ibid.]. L’orecchio, per cosi dire, paga questo “egoismo” «con il fatto di non potersi distogliere o chiudere come l’occhio, ma, appunto perché prende semplicemente, è anche condannato a prendere tutto ciò che viene nelle sue vicinanze» [ibid.]. In effetti, soltanto insieme alla bocca, al linguaggio, «l’orecchio produce l’atto interiormente unitario del prendere e del dare, ma anche questo nell’alternanza per cui non si può parlare bene quando si ode, e non si può udire bene quando si parla, mentre l’occhio fonde le due cose nel miracolo dello “sguardo”» [ivi: 555]. All’egoismo “formale” dell’orecchio si contrappone direttamente il suo rapporto peculiare con gli oggetti del possesso privato: in generale «si può “possedere” soltanto ciò che è visibile, mentre ciò che è soltanto udibile è già passato con il momento della sua presenza e non garantisce alcuna “proprietà”» [ibid.]. La trasmissione mediante l’orecchio, cioè la determinazione dell’impressione uditiva non soltanto esteriore e quantitativa, ma anche profondamente congiunta con la sua essenza più intima implica comunque una peculiare contraddizione che è rappresentata dal segreto comunicato oralmente: non solo «non c’è quasi un segreto che potrebbe venir trasmesso soltanto mediante gli occhi» [ibid.], ma esso (il segreto) «nega esplicitamente il carattere sensibile del suono parlato, il quale comporta la possibilità fisica di innumerevoli uditori» [ibid.]21. Dalle risultanze che emergono dalle disseminate e molteplici riflessioni contenute nell’Excursus sulla sociologia dei sensi sulla profonda e contraddittoria antitesi esistente dal punto di vista psicosociologico tra occhio e orecchio, quest’ultimo definito, come sappiamo, un organo “egoistico”, è possibile ri-

21

Il significato sociologico del segreto (congiunto a quello della società segreta) è approfondito da Simmel sempre nella Sociologia [cfr. S: 291-315]. Sull’argomento v. supra, cap. IV; cfr. inoltre Moles 1986: 221-234; Calabrò 1997: 59-67 e Cotesta 2002a: 185-216.

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cavare ulteriori indicazioni capaci di lumeggiare la nostra comprensione del ruolo strategicamente importante che la vista svolge nel campo dell’interazione umana22. Muovendo dall’esempio paradigmatico dello stato d’animo del cieco completamente diverso da quello del sordo, Simmel, infatti, precisa nella fattispecie che «la contemporaneità irrequieta e inquietante di tutti i tratti essenziali, delle tracce di tutti i passati, che appare diffusa nel viso degli uomini, sfugge al cieco, e ciò può essere il motivo dello stato d’animo pacifico e quieto, uniformemente amichevole verso l’ambiente, che viene così spesso osservato nei ciechi» [S: 553]. A fronte della enigmaticità che produce la pluralità di ciò che il volto può rivelare, «colui che vede senza udire è molto più confuso, perplesso, inquieto di colui che ode senza vedere» [ibid.]. Dal momento che con l’occhio comunque ciò che si coglie non è mai un’identità precisa in senso assoluto, che diversamente l’orecchio contribuisce in qualche misura a determinare, al contrario il cieco, proprio perché percepisce l’altro soltanto nella dinamica temporale delle sue manifestazioni e non visivamente nella enigmaticità del volto, assume un comportamento tranquillo, avulso dall’irrequietezza dei volti e, viceversa, differente dal disorientamento del sordo o di chi vede senza udire. Partendo da queste constatazioni, Simmel rileva altre importanti conseguenze che coinvolgono significativamente in questo caso la sociologia della grande metropoli moderna. In essa, infatti, il traffico che vi si svolge, confrontato con quello della piccola città, mostra una preponderanza smisurata del vedere sull’udire gli altri; e ciò non soltanto perché gli incontri per strada nella piccola città riguardano una quota relativamente grande di conoscenti con i quali si scambia una parola o la cui vista ci riproduce l’intera personalità, non solo quella visibile, ma soprattutto per effetto dei mezzi di trasporto pubblici. Prima dello sviluppo degli omnibus, delle ferrovie e delle tranvie nel secolo XIX, gli uomini non erano assolutamente nella situazione di potersi o doversi guardare tra loro per minuti o per ore senza parlarsi. Il traffico moderno, per quanto riguarda la parte di gran lunga prevalente di tutte le relazioni sensibili tra uomo e uomo, le affida in misura ancor sempre crescente al semplice senso della vista, e in tal modo deve porre i sentimenti sociologici generali su basi del tutto mutate. La maggiore enigmaticità testé accennata dell’uomo che viene soltanto visto rispetto a quello che viene udito contribuisce certamente, a causa dello spostamento che abbiamo menzionato, alla problematica del moderno sentimento della vita, al senso di disorientamento nella vita collettiva, al senso di isolamento e di essere circondati da tutti i lati da porte chiuse [ibid.].

22

Cfr. Squicciarino 1999: 59.

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Fatte queste considerazioni, si può notare come la rilevanza della sociologia simmeliana dei sensi si traduca soprattutto nella sua originale e problematica capacità di «penetrare e illuminare alcuni particolari fenomeni dell’interazione sensibile tra gli uomini riconoscendone l’origine in quelle forme di percezione dell’altro che sono rese possibili da una determinata struttura della sensibilità»23: simmelianamente, «preliminare ad ogni interrogazione su cosa significhi comprendere storicamente o sociologicamente l’altro è la questione delle condizioni sensibili a cui l’altro ci diviene accessibile»24. I differenti rapporti dell’occhio e dell’orecchio con i loro oggetti fondano sociologicamente rapporti molto diversi tra gli individui, le cui unioni poggiano sull’uno o sull’altro. In altri termini, «se uno stesso oggetto può essere visto diversamente a seconda della prospettiva da cui lo si guarda, uno stesso suono appare accessibile in modo assai più uniforme. Si pensi a quanto siano più accomunati da un’esperienza e da uno stato d’animo comuni gli spettatori di un concerto rispetto ai visitatori di una mostra. Di qui la funzione eccezionalmente unificante che il riferimento a simboli visivi, quali il cielo, il sole o le stelle, realizza nelle religioni»25. Scrive infatti Simmel: Dove eccezionalmente anche l’occhio assicura a un gran numero di persone tale eguaglianza d’impressione, si presenta anche l’azione sociologica accomunante. Il fatto che tutti gli uomini possano vedere contemporaneamente il cielo e il sole è, ritengo, un elemento essenziale dell’unificazione che ogni religione comporta. Ogni religione si rivolge infatti in qualche modo, per la sua origine o per la sua configurazione, al cielo o al sole, ha qualche specie di relazione con questo elemento onnicomprensivo che domina il mondo. Il fatto che un senso così esclusivo nella pratica della vita come l’occhio, il quale modifica persino per ogni soggetto ciò che viene guardato contemporaneamente in virtù della differenza di prospettiva, abbia poi un contenuto che non è assolutamente esclusivo, che si offre uniformemente a ciascuna persona – il cielo, il sole, le stelle – deve da un lato rendere ovvio quel trascendere della ristrettezza e della particolarità del soggetto che ogni religione contiene, e dall’altro sorregge e favorisce l’elemento di unificazione dei fedeli, che è parimenti proprio di ogni religione [S: 555-556].

Il rapporto differenziato tra i due sensi (occhio e orecchio) viene di fatto a rovesciarsi soltanto se ne prendiamo in considerazione non unicamente la forma (secondo la quale ognuno orienta di conseguenza l’informazione precipua), ma il loro peculiare contenuto; «mentre l’occhio tende a cogliere 23 24 25

Giacomini 1999: 70-71. Ivi: 71. Ibid.

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e a ritenere ciò che è comune e, perciò, astraibile e concettualizzabile, trascurando le differenze proprie a ciascuno, l’orecchio media “tutto ciò che è individuale, concreto, variabile”»26. Se, dunque, l’occhio «predispone a forme associative di tipo astratto e impersonale, quali quelle caratteristiche delle formazioni sociali moderne, l’orecchio si presta a cogliere ciò che è personale, riservato, immediatamente presente»27. Le riflessioni simmeliane sul modo peculiare attraverso cui la struttura degli organi di senso ed i loro reciproci rapporti contribuiscono a predisporre forme diverse e differenziate di percezione e conoscibilità dell’altro, ivi comprese le possibilità di stabilire relazioni con lui, non soltanto offrono spunti rilevanti per l’analisi dell’origine o degli effetti sensibili delle molteplici forme della vita moderna, ma attente come sono alla sensibilità per le diverse dimensioni e sfumature della vita sociale, non trascurano altresì di indagare sociologicamente oltre alle particolari virtù associative dell’occhio e dell’orecchio anche le funzioni particolarmente dissociative dell’olfatto, «un aspetto per lo più non preso in considerazione nell’ambito della comuni26 Ivi: 71-72. A tale differenza Simmel intende attribuire la funzione specifica ed accomunante che viene esercitata dalla pratica possibilità di vedersi reciprocamente «in un medesimo spazio ed i suoi effetti dirompenti sulla sensibilità politico-sociale» [ivi: 72]. Al riguardo Simmel perspicacemente osserva: «Gli operai di un capannone di fabbrica, gli studenti in un’aula, i soldati in un reparto si sentono in qualche modo un’unità. E se questa unità sgorga anche da elementi sovra-sensibili, essa è tuttavia condeterminata nel suo carattere dal fatto che il senso essenzialmente attivo per essa è l’occhio, che gli individui durante i processi che li accomunano possono sì vedersi, ma non parlarsi. In questo caso la coscienza dell’unità avrà un carattere molto più astratto che non quando la coesistenza costituisce contemporaneamente anche una relazione orale. L’occhio, insieme all’elemento individuale dell’uomo che è investito nel suo aspetto, rivela ciò che è eguale in tutti in misura superiore all’orecchio. Proprio l’orecchio media la pienezza degli stati d’animo divergenti dell’individuo, il flusso e il culmine momentaneo dei pensieri e degli impulsi, l’intera polarità della vita soggettiva e oggettiva. Degli uomini che vediamo soltanto, ci formiamo un concetto generale in maniera infinitamente più facile che non quando possiamo parlare con ognuno. L’abituale imperfezione del vedere favorisce questa differenza […]. In un uomo si vede evidentemente ciò che egli ha in comune con altri in misura molto superiore a quanto non si oda in lui questo elemento generale. La creazione immediata di formazioni sociali molto astratte, non specifiche, viene favorita al massimo grado – nei limiti cui agisce la tecnica dei sensi – dalla vicinanza della vista, in mancanza della vicinanza del discorso. Questa costellazione ha favorito molto [...] la nascita del concetto moderno di “operaio”. Questo concetto straordinariamente efficace, che unifica l’elemento generale di tutti i lavoratori salariati indipendentemente dall’oggetto del loro lavoro, era inaccessibile ai secoli precedenti le cui unioni di apprendisti erano spesso molto più strette e intime, perché si fondavano essenzialmente sui rapporti personali e orali, ma alle quali mancavano il capannone della fabbrica e l’adunanza di massa. Soltanto qui, dove si vedevano innumerevoli individui senza udirli, si compì per la prima volta quell’alta astrazione di ciò che è comune a tutti questi individui» [S: 556]. 27 Giacomini 1999: 72.

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cazione non verbale»28. Simmel, attraverso una cospicua serie di constatazioni di fatto e di penetranti osservazioni realistiche, evidenzia il ruolo che l’olfatto e la sfera olfattiva svolgono nell’ambito dell’interazione umana nel modo che qui di seguito sintetizziamo e che più interessa il nostro contesto espositivo ed argomentativo: Non c’è alcun dubbio che ogni uomo profuma in maniera caratteristica lo strato d’aria che lo circonda, e per l’impressione olfattiva che ne nasce è essenziale che dei due sviluppi della percezione sensibile – verso il soggetto, come suo piacere o dispiacere, e verso l’oggetto, come sua conoscenza – egli fa prevalere di gran lunga il primo. L’olfatto non forma di per sé un oggetto, come fanno la vista e l’udito, ma rimane per così dire rinchiuso nel soggetto [...]. L’uomo moderno viene urtato da innumerevoli impressioni, innumerevoli situazioni gli appaiono insostenibili ai sensi, mentre esse sono accettate senza alcuna reazione del genere da modi di sentire più indifferenti […]. La tendenza all’individualizzazione dell’uomo moderno, la maggiore personalità e libertà di scelta dei suoi legami devono essere connessi con questo fenomeno. Con il suo tipo di reazione in parte immediatamente sensuale, in parte estetica, egli non può più entrare senz’altro in unioni irrazionali, in legami stretti in cui non si tien conto del suo gusto personale, della sua sensibilità personale. E ciò comporta inevitabilmente un maggiore isolamento, una limitazione più netta della sfera personale. Forse questo sviluppo è più rilevante nel senso dell’olfatto [...]. In generale, con il crescere della cultura l’azione a distanza dei sensi diventa più debole, l’azione da vicino più forte, e noi diventiamo non soltanto corti di vista, ma in generale corti di sensi; ma a queste distanze più brevi diventiamo però tanto più sensibili. Il senso dell’olfatto è già un senso predisposto per una maggiore vicinanza rispetto alla vista e all’udito [...]. Quando noi annusiamo qualcosa, attiriamo questa impressione o questo oggetto che emana così profondamente a noi, nel nostro centro, lo assimiliamo per così dire strettamente a noi attraverso il processo vitale del respirare, come non è possibile con nessun altro senso di fronte a un oggetto – a meno che non lo mangiamo. Il fatto che noi annusiamo l’atmosfera di qualcuno ne costituisce la percezione più intima, egli penetra per così dire in forma aerea nel nostro intimo sensibile, ed è ovvio che con un’accresciuta eccitabilità alle impressioni olfattive ciò deve condurre a una selezione e a una presa di distanza che costituisce in certa misura uno dei fondamenti sensibili della riserva sociologica dell’individuo moderno [...]. Se gli altri sensi gettano migliaia di ponti tra gli uomini, se possono sempre conciliare le repulsioni che provocano con attrazioni, se l’intreccio dei loro valori affettivi positivi e negativi conferisce alle concrete relazioni complessive tra gli uomini la loro colorazione, il senso dell’olfatto può essere designato – in antitesi ad essi – come il senso dissociante: non soltanto perché media in misura relativamente maggiore repulsioni che 28

Squicciarino 1999: 60.

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attrazioni, non soltanto perché le sue decisioni hanno qualcosa di radicale e di inappellabile che può venir superato solo con difficoltà dalle decisioni di altre istanze dei sensi e dello spirito, ma anche perché proprio la coesistenza di molti soggetti non gli assicura mai qualche attrazione, come può invece accadere in certe circostanze per gli altri sensi; anzi, in generale, tali offese al senso dell’olfatto aumenteranno in rapporto quantitativo diretto alla massa in mezzo a cui ci colpiscono [S: 556-558].

Quale elemento di comunicazione non verbale, la «sfera olfattiva», nel cui ambito quotidianamente ci imbattiamo, ci trasmette continuamente tutta una serie di sensazioni di una immediatezza, intensità ed incisività informativa indubbiamente superiori a quanto ci è dato percepire mediante la vista e l’udito; di tale modalità comunicativa specifica della percezione sensoria olfattiva a cui gli interagenti sono quanto mai sensibili29, Simmel evidenzia non soltanto le reazioni di repulsione, ma anche quelle di attrazione, soffermandosi in particolare sul «ruolo sociologico» svolto dal profumo artificiale capace di compiere «una sintesi caratteristica di teleologia individuale – egoistica e di teleologia sociale nel campo del senso dell’olfatto» [S: 558]. Il profumo, egli scrive, «fornisce con la mediazione del naso esattamente la stessa prestazione fornita da altri tipi di ornamento con la mediazione dell’occhio. Esso aggiunge alla personalità qualcosa di completamente impersonale, tratto dall’esterno, che tuttavia va insieme ad essa in maniera tale che sembra emanarne. Esso amplia la sfera della persona al pari del brillare dell’oro e del diamante; chi si trova nelle vicinanze vi si immerge ed è così preso, in certa misura nella sfera della personalità. Al pari dell’abbigliamento, esso nasconde la personalità con qualcosa che deve però contemporaneamente agire come irradiamento suo proprio» [ivi: 558-559]. In quanto tale, il profumo è un tipico fenomeno di stilizzazione, «una dissoluzione della personalità in un elemento generale che tuttavia esprime la personalità nella sua attrattiva in maniera più penetrante e più formata di quanto non potrebbe fare la sua realtà immediata» [ivi: 559]. Il profumo ricopre la sfera personale sostituendola con un’atmosfera oggettivamente fittizia, attirandone contemporaneamente l’attenzione su di essa come valore sociale. Simmel precisa questo «valore sociale» del profumo artificiale che è sempre più adoperato dall’uomo civilizzato «per neutralizzare le emanazioni olfattive naturali dell’essere umano, ma anche per ampliare il proprio io corporeo, evidenziarlo e potenziarlo come fonte di informazione, di messaggio sensoriale. Tale chiara valenza sociale pone il profumo allo stesso livello

29

Cfr. ivi: 61.

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delle altre modalità di comunicazione non verbale»30. Maestro impareggiabile dell’analogia, Simmel congiunge il brillare dell’oro e del diamante con l’assunzione del profumo che, in forma sensorialmente più penetrante e gradevolmente pervasiva, realizza «l’esperienza della estensione dell’io, quell’ampliamento della sfera della persona da cui è inevitabilmente inondato colui che viene a trovarsi nell’ambito dell’altrui atmosfera olfattiva»31. Al pari dell’ornamento, il profumo «deve piacere indipendentemente dalla persona, deve rallegrare soggettivamente il suo ambiente e questo effetto deve tuttavia venir accreditato nello stesso tempo al portatore in quanto persona» [S: 559]. In entrambi i casi (profumo e ornamento) si può constatare la compresenza di due tendenze fondamentali, tra loro contrapposte ma strettamente congiunte l’una con l’altra in quanto scopo e mezzo, quella «dell’essere-per-sé e dell’essere-per-altri» [ivi: 316] degli uomini, cioè di «qualcosa di egoistico», «in quanto mette in evidenza il suo portatore, sorregge e aumenta il suo senso di sé a spese di altri» [ibid.] e nello stesso tempo di «qualcosa di altruistico, perché la soddisfazione che procura è destinata appunto a questi altri» [ibid.]. L’analisi simmeliana del fenomeno e della funzione del profumo nel campo del senso dell’olfatto chiarisce, tra l’altro, come, in un mondo eterodiretto e sovraffollato come quello moderno, «l’odore dell’altro ci espone continuamente a contatti negativi perché troppo personali rispetto alle relazioni effettivamente intrattenute, ai quali cerchiamo di trovare rimedio mediante forme più astratte di isolamento individuale»32. Di conseguenza, nei confronti degli altri due sensi (vista e udito), quello dell’olfatto «è molto più rivolto verso il soggetto che sente che verso l’oggetto che è conosciuto, imponendo o comunque pregiudicando relazioni che si sviluppano o si interrompono in modo relativamente indipendente dalle rappresentazioni che ci facciamo dell’altro»33. Il problema di fondo, su cui in modo rilevante ed originale Simmel intende attirare l’attenzione dell’intelligenza moderna nella conoscibilità dell’altro – esemplarmente ed emblematicamente affrontata tra l’altro nella sua sociologia dei sensi –, «è come nel rapporto con il mondo umano, molto più che con quello naturale, le attrazioni o le repulsioni attivate dalla sensibilità, agiscano promuovendo o inibendo la relazione preliminarmente o autonomamente dall’esperienza che, a partire da quella medesima base 30

Ibid. Ibid. 32 Giacomini 1999: 73. 33 Ibid. 31

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sensibile, facciamo»34. Sapere reciprocamente con chi si ha a che fare è la prima condizione per poter avere in generale qualcosa a che fare con qualcuno: tutte le relazioni tra gli uomini «poggiano evidentemente sul fatto che essi sanno qualcosa l’uno dell’altro» [S: 291]. Il principio epistemologico simmeliano relativo alla conoscibilità dell’altro dice: «Tra conoscenza e rapporto si stabilisce una relazione circolare: i rapporti si sviluppano in base alla conoscenza reciproca e questa si sviluppa sulla base dei rapporti. Tale nesso lega strettamente la conoscenza dell’altro al rapporto specifico che si ha con lui e che può richiedere, a seconda dei casi, un livello d’informazione quantitativamente e qualitativamente differente. Rapporti diversi attivano interessi, punti di vista, rappresentazioni diversi»35. Per Simmel, nessuna conoscenza psicologica è un «calco» del suo oggetto, ma tutte dipendono dalle forme che lo spirito conoscente reca con sé e nelle quali assume il dato. A differenza della conoscenza della natura esterna, «quando si tratta della conoscenza da individuo a individuo» queste forme sono molto differenziate individualmente. In questo caso «le differenze individuali non sono concepite come deviazioni, magari ineliminabili, rispetto al modello ideale di una raffigurazione oggettiva o di una rappresentazione interamente determinata dalle forme a priori con cui il soggetto conoscente, universalmente inteso, assume il dato sensibile, ma svolgono una imprescindibile funzione costitutiva»36. Come puntualizza lo stesso Simmel: «Se A ha una rappresentazione di M diversa da quella che ne possiede B, ciò non significa necessariamente un’imperfezione o un’illusione, ma, per il modo in cui A è in rapporto con M in base al suo essere e alle circostanze complessive, questa immagine di M è per lui verità, così come per B lo è un’immagine di contenuto differente. Al di sopra di questi due soggetti non sta la conoscenza oggettivamente corretta di M, dalla quale essi sarebbero legittimati secondo la misura della loro concordanza con essa. L’ideale di verità a cui l’immagine di M nella rappresentazione di A si avvicina sempre soltanto asintomaticamente, è piuttosto diverso, anche come ideale, da quello di B; esso contiene come presupposto integrante della sua formazione la specificità psichica di A e il rapporto particolare in cui A e M vengono a trovarsi in virtù dei loro caratteri e dei loro destini reciproci» [S: 292]. Pertanto, ogni relazione tra uomini, conclude Simmel, «suscita nell’altro un’immagine dell’uno, e ciò sta evidentemente in un rapporto di azione reciproca con quella relazione reale; mentre essa crea i presupposti in base ai 34 35 36

Ibid. Ibid. Ivi: 74.

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quali la rappresentazione che uno ha dell’altro si presenta in un dato modo, e possiede la sua verità legittimata per questo caso, d’altra parte l’azione reciproca reale degli individui si fonda sull’immagine che essi acquistano l’uno dell’altro» [ivi: 292-293]. In conclusione, da quanto sinora detto, risulta che in generale sul piano epistemologico per Simmel la relazione tra l’Io e il mondo contiene una apparente ed intrinseca contraddizione: «il mondo è una creatura dell’Io, poiché l’Io è capace di produrne e rappresentarne le forme, e nello stesso tempo l’Io è un prodotto del mondo perché legato alla sua evoluzione». Tale contraddizione, tuttavia, è possibile scioglierla soltanto se il soggetto conoscente non solo assume il significato di questa «doppia verità», ma ne fa pure un «metodo» per conoscere-se-stesso e ciò che è altro-da-sé; cioè, «riconoscere un rapporto di reciproca dipendenza fra le cose del mondo e quelle della mente evita il rischio di una lacerazione insanabile»37. Nella prospettiva epistemologica simmeliana, dunque, «la conoscenza, se pure assunta nella sua relatività, si arricchisce così di molteplici punti di vista, di piani di analisi differenziati e di prospettive multiple. La reciprocità degli elementi interpretativi diventa metodo conoscitivo e consente la comprensione dell’esistente, ma richiede a sua legittimazione uno sguardo capace di coglierne la dinamica. Lo scambio tra passato e presente, tra ciò che esiste e ciò che è esistito prima, si fa, in questa prospettiva, ricco di significati poiché solo attraverso la conoscenza del passato è possibile dotare di senso il presente e solo l’esperienza dell’immediato presente ci consente di interpretare il passato. Il processo di conoscenza, dunque, non si trova mai in un punto di equilibrio, ma procede oscillando dalla molteplicità all’unità e dall’unità alla molteplicità, alternanza e sequenzialità ne diventano caratteri peculiari, la verità diventa relativa e la realtà ambivalente»38.

37 38

Calabrò 1997: 44. Ibid.

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Teorie e Oggetti delle Scienze sociali

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n secolo dopo la Soziologie (1908), Georg Simmel ritorna più che mai “attuale” con la sua diagnosi del destino degli effetti di reciprocità e dei processi di individualizzazione nel mondo moderno. L’ineffabile chiasmo pone al centro dell’attenzione il tema della reciprocità (Wechselwirkung) quale principio fondativo della socialità umana (ivi compresa la sua morfologia spaziale e quotidiana) e rivela come Simmel sia ancora “un nostro contemporaneo” per la capacità fenomenologica di interpretare le forme del vivere-insieme-individualmente che si riflettono nell’ambivalenza dei legami interindividuali. Analizzare la relazione umana a partire dalle configurazioni di reciprocità implica un rinnovamento nel modo di leggere Simmel, sottolineando in particolare i paradossi del moderno che emergono nel fenomeno globale della frammentazione. Lo scopo del volume è di guidare il lettore, passando attraverso Simmel, oltre Simmel, entro le fitte maglie di un pensiero reticolare capace di svelare la chiasmaticità che segna la relazionalità dell’umano tra libertà e conflitto e che rende possibile le differenti forme e figure della vita stessa.

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ntonio De Simone è professore di Storia della filosofia contemporanea nell’Università di Urbino. È autore di numerosi volumi, fra cui: Senso e razionalità. Max Weber e il nostro tempo (1999); Filosofia dell’arte. Lettura di Simmel (2002); Georg Simmel. I problemi dell’individualità moderna (2002); Oltre il disincanto. Etica, diritto e comunicazione tra Simmel, Weber e Habermas (2006); Diritto, giustizia e logiche del dominio (a cura di, 2007). In copertina: Gustave Caillebotte, On the Pont de l’Europe, 1876-77, Kimbel Art Foundation, Forth Worth.

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