Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 8807104482, 9788807104480

Libertà immaginaria : le illusioni del capitalismo tecno-nichilista. 8edeg;, cm 22, pp. 416, brossura editoriale, eccell

189 83 18MB

Italian Pages 416 [414] Year 2009

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Pagina vuota
Pagina vuota
Recommend Papers

Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista
 8807104482, 9788807104480

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

La verità della legge più fortemente è abbattuta dal timor d una cosa che la vita ci rappresenta, la cui sorpresa ne fa sprezzare l’onesto, che la medesima legge propone, e il bene che dall'equità ne deriva. Alcuni per certo, formidabili cose vedendo, la loro presenza di spirito in un istante perdettero: tanto è pur vero, che la paura i lor pensieri avvilì e disanimati li rese. Molti altresì in gagliarde malattie cederono, in gravi afflizioni e in pazzie incurabili: tanto impresse la vista nel loro intelletto le immagini degli oggetti veduti. Molte cose intanto si tacciano tra quelle che mettono paura, giacché son simili alle già dianzi accennate: certo i Pittori, poiché un sol corpo e una sola figura hanno a perfezion lavorata da molti colori e corpi, la vista dilettano; ma la struttura de' simulacri e la formazione delle immagini a misura, che rendono agli occhi gioconda visione, così pur fanno duna cosa fuggire e d'un'altra desiderare l'aspetto. Molti, insomma, sono coloro, nei quali da molti oggetti s’eccita amore e desiderio. Gorgia, Orazione intorno al rapimento di Elena

Introduzione

La vita sociale è come il mare. Non si può studiare il mare. Troppo grande, troppo maestoso, il mare non può essere conte­ nuto da un unico sguardo. Del mare si possono conoscere le maree e i venti, le proprietà della singola goccia d acqua e i grandi movimenti oceanici. An­ che il mare, poi, ha la sua storia, che nasce dall'interazione con l’ambiente circostante: le modificazioni della temperatura globa­ le, la deriva dei continenti, i movimenti sismici che concorrono a tracciarne i confini. Così, in un certo senso, il mare è eterno, ma anche contingente. Sempre lo stesso, non è mai uguale. Questo libro non ha la pretesa di raccontare la vita sociale nella sua interezza. Più limitatamente, parla di una corrente, forse la più forte, che ha attraversato quella porzione di mare che chiamiamo "società avanzate”. Il mio obiettivo non è, dun­ que, quello di descrivere il mare, ma quello - assai più contenu­ to - di ricostruire una delle dinamiche centrali della vita sociale degli ultimi anni. Nel compiere questa operazione, ciò che mi interessa è la­ sciarne emergere la logica interna, il che, inevitabilmente, co­ stringe a delineare dei confini netti laddove le cose sono più sfu­ mate, a enucleare alcuni aspetti sapendo che la realtà è, sempre, più articolata e contraddittoria. In un certo senso, ciò che scrivo è esposto all'obiezione: do­ ve la prova empirica di ciò che viene affermato? L'obiezione è giusta. Trattandosi di una corrente del nostro tempo, ciò che chiamo "capitalismo tecno-nichilista” non è riducibile a un fe­ nomeno facilmente identificabile, è un "immaginario”, cioè un modo di vedere le cose, di pensarle, prima ancora di realizzarle. Non per questo, l’esercizio che qui propongo è inutile. Anzi. L’ipotesi da cui parto è che il quadro storico nel quale viviamo

8

LIBERTÀ IMMAGINARIA

sia profondamente cambiato. Solo con la fine degli anni ottanta si è definitivamente conclusa la seconda guerra mondiale, con tutte le sue conseguenze, e si è aperta una nuova stagione che scopriamo giorno dopo giorno. La caduta del Muro di Berlino ha rimosso un vincolo, permettendo il dispiegarsi di fenomeni le cui radici risalgono agli anni sessanta e settanta. Anche se è solo con la vittoria di Margaret Thatcher nel 1979 e di Ronald Reagan nel 1980 che nasce il quadro politico-economico in gra­ do di sostenere il capitalismo tecno-nichilista. Da allora, molte cose sono cambiate e, anche se non sempre ce ne rendiamo con­ to, navighiamo a vista in acque sconosciute, senza avere a di­ sposizione mappe affidabili. La nave corre veloce e siamo terri­ bilmente in ritardo nell'interpretazione del tempo che viviamo. Naturalmente, un tempo è fatto di tante cose. Dato che parlo di una corrente, è ovvio - ma non è superfluo ricordarlo in aper­ tura - che moltissime variabili non verranno prese in considera­ zione nel corso dell'analisi. Né potrebbe essere diversamente: resti del passato che agiscono sulla realtà e sulla sua trasforma­ zione; enormi differenze tra aree geografiche; fattori culturali che retroagiscono con i processi in corso; strategie di attori che mirano a sfruttare o a difendersi da quanto va via via accaden­ do. La vita sociale, come il mare, è sempre fatta di spinte e con­ trospinte e gli esiti sono sempre aperti. Dunque, in questo libro proverò a offrire una chiave di lettura utile per districarsi in tempi che appaiono inestricabili. Per quan­ to incapace di spiegare il "mare”, la corrente di cui parlerò è ben avvertibile - con maggiore o minore consapevolezza - nella nostra vita personale e collettiva. La speranza è che, una volta riconosciu­ ta questa forza, ci possa risultare più facile capire perché ci ritro­ viamo sempre dove non volevamo essere e perché facciamo sem­ pre così fatica ad andare dove pensavamo di voler andare. Come cercherò di mostrare, sono convinto che si tratti di una corrente potente, capace di spingerci molto lontano, ma anche di farci per­ dere, e di distruggere, molto di quello che abbiamo costruito. Questo libro non è una lettura pessimistica del tempo che vi­ viamo, così straordinario da molti punti di vista. Piuttosto, è scritto pensando ai miei figli e agli studenti dei miei corsi e vor­ rebbe offrire ciò che la vedetta garantisce alla navigazione: avvi­ stare i venti per far sì che la nave non vada incontro a burrasche troppo violente. Nella convinzione - e anche nella speranza che ci sia ancora modo per evitare la tempesta.

Qualche critica mi è venuta da alcuni amici e colleghi duran­ te la prima fase di stesura del libro. Mi si faceva notare che la

INTRODUZIONE

9

mia posizione rispetto ai fenomeni di cui parlavo non risultava pienamente giustificata. Benché abbia fatto tesoro delle loro os­ servazioni, mi preme qui avvertire che, per quanto abbia cerca­ to di guardare con distacco, non potevo evitare di essere coin­ volto da quanto andavo indagando. Io stesso sono su quella na­ ve e, dunque, esposto alla medesima corrente e incerto su dove essa ci trascinerà. Eppure, proprio questo coinvolgimento po­ trebbe essere la condizione per vedere meglio. Ci sono buone ra­ gioni per pensare che la pretesa oggettività cui aspirano le scien­ ze sociali sia alla base della loro progressiva perdita di rilevan­ za. Questo libro si è imposto a me attraverso le ricerche che in questi anni ho condotto e a seguito di personali vicende esisten­ ziali. Si è imposto al di là di ogni incertezza e dubbio nell'affrontare un tema tanto impervio. Lungo questo percorso, è stata tal­ volta l'introspezione a sorreggermi, non qualcosa che stava fuo­ ri di me, ma qualcosa che incontravo dentro di me. E qui vorrei riallacciarmi al dibattito tra Pierre Bourdieu e Lue Boltanski, suo grande allievo e sostenitore della necessità di abbandonare la sociologia critica - che Bourdieu ha magistralmente praticato - in favore della sociologia della critica - secondo cui la critica viene fatta dagli attori sociali prima che dal sociologo, il quale deve farla emergere e modellizzarla. Rispetto a tale dibattito ag­ giungerei che il sociologo non è il critico, l'osservatore esterno che non è scalfito da ciò di cui parla. Come tutti gli altri, egli è toccato dai processi sociali. Vi è immerso. E quando analizza non critica il mondo, ma parla del mondo a partire da se stesso. Il tono di questo libro non è quello di chi giudica la realtà standone al di fuori, quasi fosse scevro delle sue tribolazioni e contraddizioni. Per quanto occorra non cessare mai di agire per migliorarla, la vita sociale è troppo complessa e delicata per im­ maginarla esente dalle tensioni che la attraversano in profondità.

Il tema di fondo del libro è quello della libertà. Il capitalismo tecno-nichilista, infatti, nasce e si sviluppa attorno a un immagi­ nario della libertà che si forma tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni ottanta. Non si possono capire questi trent'anni se non tenendo in considerazione questa trasformazione che è insieme sociale, culturale e antropologica. Che un sociologo che, secondo alcuni, dovrebbe trattare di cose più concrete e tan­ gibili - si occupi di libertà può apparire un fuor d'opera. E, inve­ ce, sono convinto che la sociologia debba essere pensata come scienza della libertà relazionale, cioè della libertà che sa che non esiste essere umano se non in rapporto ad altri esseri umani. Ciò significa due cose: la prima è che noi siamo liberi solo rispetto a

10

LIBERTÀ IMMAGINARIA

un mondo sociale che ci istituisce come singoli individui; la se­ conda è che la nostra libertà ha a che fare con quella degli altri, così come quella degli altri ha a che fare con la nostra. In fondo, l’insegnamento dei grandi padri fondatori della disciplina - sem­ pre ritualmente citato, ma spesso dimenticato nella sostanza era stato proprio questo. L’oggetto del libro è una diagnosi dello stato della libertà nel quadro della configurazione sociale contemporanea. Ciò che chiamo capitalismo tecno-nichilista è un nuovo rapporto che si è andato costruendo tra individui progressivamente più liberi e mondi sociali sempre più organizzati e potenti. Non si può parlare di libertà se non nella prospettiva di una storia della libertà. Per questo ho cercato di collocare la lettura di questo tempo nel quadro di alcuni percorsi di lungo periodo che nascono nel momento stesso in cui l’èra moderna comincia il suo cammino. Come ha insegnato Fernand Braudel, lunga du­ rata e breve durata sono due livelli di analisi che occorre tenere insieme per comprendere i mondi sociali nei quali viviamo. Ed è ciò che ho cercato di fare nelle pagine che seguono. In questa prospettiva, il contributo dato dal modello di svi­ luppo occidentale al cammino di libertà rimane senza preceden­ ti nella storia dell’umanità ma, nel riconoscere un tale grande merito, non si può dimenticare che la strada intrapresa espone - co­ me già accaduto nei secoli alle nostre spalle - a drammatiche ca­ dute e a gravi involuzioni. Gli amanti della libertà non sono gli spensierati ottimisti che spadroneggiano sui mezzi di comuni­ cazione di massa contemporanei la cui superficialità è, spesso, solo una maschera che nasconde il vuoto del loro pensiero o le tante, piccole efferatezze che stanno dietro il loro successo. Da sempre, amare la libertà significa sapere che la libertà è costosa e difficile, un bene che va desiderato e protetto, prima di tutto da se stessi. Ogni generazione si trova a vivere in un mondo già istituito. E ogni generazione ha il dovere di sforzarsi di capire le condi­ zioni più adatte per rigenerare la libertà. Forse qualcuno può ri­ tenere che la questione sia oziosa perché è evidente che nessuna società è mai stata così libera come quella di oggi. Eppure, no­ nostante i tanti passi in avanti, credo ci sia ancora molto per cui adoperarsi: sia per la liberazione di molti uomini e donne i cui standard di vita sono ben lontani dai nostri; sia per la nostra stessa libertà sospesa tra il nulla prodotto dalla cultura nichili­ sta contemporanea e la megamacchina che il processo di razio­ nalizzazione costruisce giorno dopo giorno. In questo senso, il libro si pone sulle spalle autorevoli di Max Weber. Seguendo il solco tracciato un secolo fa dal grande so­

INTRODUZIONE

11

ciologo tedesco, cercherò di approfondire la riflessione sulla crescente unilateralità del processo di razionalizzazione, capace di macinare risultati sul versante della razionalità strumentale, ma incapace di affrontare le altre dimensioni della vita umana. Di fronte alle sfide che ci attendono - derivanti dallaver aper­ to dinamiche globali come mai nella storia e dall aver comincia­ to a penetrare sempre più profondamente nei segreti della vita tremano i polsi. La crisi economica, che segue lesplosione della bolla finanziaria, mette a nudo le contraddizioni degli assetti che si sono costruiti negli ultimi trent anni. Per provare a passare in mezzo ai tanti rischi che abbiamo di fronte occorrerebbe investi­ re molte risorse nel pensiero e riconoscere la nostra insufficienza invece che specchiarci nella nostra potenza. Per questo motivo il libro richiama, in apertura, il nesso tra libertà e verità come trat­ to distintivo delFintera vicenda europea, dove la verità non è un possesso, ma il riconoscimento di un oltre che ci supera e che ci dispone alla ricerca del senso della vita, individuale e collettiva. Solo se non soffocheremo questa tensione, il progetto della liber­ tà non si tradurrà nella sua negazione.

Il presente libro è il prodotto di un lungo percorso di ricer­ ca iniziato quasi dieci anni fa. Già allora, studiando le trasfor­ mazioni del Nord Italia, mi era parsa sempre più evidente Firnpossibilità di analizzare una realtà locale senza inquadrarla nelle grandi trasformazioni planetarie. Da lì sono nati due li­ bri, scritti insieme a Chiara Giaccardi, nei quali abbiamo co­ minciato a concettualizzare ciò che allora si chiamava “globa­ lizzazione": molte delle idee che qui sono espresse erano già contenute, anche se in modo sincopato e frammentario, in quei lavori. Quelle stesse idee hanno, poi, orientato tutta la mia ricerca degli anni successivi sui soggetti della società civi­ le, sui nuovi ceti popolari, sui quartieri difficili di dieci grandi città italiane, sulle trasformazioni di Milano quale nodo della rete globale. In mezzo, c'è stato rincontro con due grandi maestri. Prima di tutto, Zygmunt Bauman, probabilmente il sociologo che, pri­ ma e meglio di chiunque altro, ha saputo intuire le novità che si stavano producendo alla fine del xx secolo. Grande interprete del tempo, Bauman ha cercato di spingere una riluttante comu­ nità sociologica a svecchiare le proprie categorie concettuali e a rendersi conto del proprio clamoroso ritardo. E poi Lue Boltanski, autore incredibilmente sistematico e rigoroso ma, al tempo stesso, appassionato e caloroso, al quale devo la straordinaria opportunità delFinsegnamento alFÉcole des Hautes Études en

12

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Sciences Sociales di Parigi e il beneficio di aver recuperato il te­ ma weberiano del capitalismo. I miei studenti degli ultimi due corsi di Sociologia dei feno­ meni collettivi hanno avuto la pazienza di prendere parte a le­ zioni che risentivano della fatica di far avanzare, almeno di po­ chi passi, il mio pensiero. I loro commenti e le loro domande mi hanno stimolato a cercare di essere più preciso e, soprattutto, a chiarirmi meglio le idee. Oltre a loro, ci sono naturalmente gli amici, i colleglli dell'Università Cattolica con cui condivido, più da vicino, la stessa sensibilità scientifica. Tra tutti, Monica Martinelli che, con il suo stile discreto, nel corso di questi anni mi ha sempre sostenu­ to e confortato. Prima di arrivare alla stesura finale, ho chiesto ad alcuni col­ leghi un po' del loro tempo per leggere il testo. Tutti hanno ac­ cettato con generosità: Patrizia Cappelletti, Mario de Benedittis, Massimiliano Cossi, Johnny Dotti, Sergio Manghi, Maurizio Mi­ gliori, Silvano Petrosino, Giulio Sapelli, Cesare Siila. Laura Gherardi, in particolare, ha svolto un lavoro prezioso nell ulti­ ma revisione redazionale. Nessuno di loro è ovviamente respon­ sabile di quanto ho scritto ma so bene che, senza i loro com­ menti, questo libro sarebbe stato sicuramente peggiore. La forza, serena e coraggiosa, con cui Eugenio Zucchetti ha affrontato le sfide dell'ultimo anno, ha rappresentato per me un esempio luminoso. Come sempre, più che a chiunque altro, il mio ringraziamen­ to va a Chiara, che è stata al mio fianco in questi anni, accettan­ do volentieri un confronto intellettuale ed esistenziale. Tutti e due sapevamo perfettamente di che cosa stavamo parlando: an­ che noi, come tutti, abbiamo sentito la forza della corrente e ci siamo ritrovati dove non avevamo voluto. Ma, per quanto sbal­ lottati e qualche volta sgomenti, non siamo mai stati abbattuti.

Como, 20 gennaio 2009

Prologo

1. Piccola storia della modernità

Alla ricerca della libertà

Tutta la vicenda moderna ruota attorno al nodo antropolo­ gico della libertà e al suo tormentato rapporto con la “verità”. Nel momento in cui si sgretola la cosmologia medioevale - in cielo come in terra - la ricerca del senso dell'esistenza, delle ra­ gioni del vivere insieme, dei modi e dei limiti del conoscere av­ viene pur sempre all'interno dell'orizzonte tracciato dalla ricer­ ca della verità. Per quanto posta in modo del tutto diverso dalle epoche precedenti, tale questione accompagna la storia degli ultimi secoli determinando i destini del pensiero e della pratica della libertà. Cercare di mantenere una relazione tra libertà e verità è sta­ to uno sforzo enorme, che ha prodotto risultati straordinari in­ sieme a drammatici sbandamenti. Ma ciò ha costituito sempre il segreto dell'occidente, la sua croce e la sua delizia: l'uomo moderno è coraggioso e generoso e se, da un lato, non si accon­ tenta semplicemente di una verità già data, dall'altro non perde la speranza di poter raggiungere una verità, che pure deve esse­ re cercata liberamente, oltre se stessi e la tradizione. Come scri­ ve Pierre Manent: “Alla domanda cos'è l'Europa? Io propongo la seguente risposta: è la regione del mondo in cui la conversio­ ne alla o verso la verità è considerata l'azione più alta che un uomo possa fare [...] la conversione dice al tempo stesso l’oggettività della verità e che la si cerca liberamente, che la si può trovare, ma anche non incontrare, perderla e dunque perdersi" (Manent, 2008:61). Una tale affermazione suona certamente provocatoria alle orecchie contemporanee, assai poco disposte a sentir parlare di verità. Eppure, basta guardarsi alle spalle per vedere quanto la

16

LIBERTÀ IMMAGINARIA

tensione tra libertà e verità - così precaria ed esposta a terribili involuzioni - sia stata sempre centrale nella vicenda moderna. E come, in molti passaggi di questa storia, una qualche “verità” re­ sa oggettiva sia tornata a schiacciare la libertà, trasponendosi direttamente in filosofia della storia e in pratica politica. Anche per questo l’uomo moderno è stato costretto al dolo­ roso esercizio dell umiltà: i cocenti fallimenti subiti nel tentativo di edificare un mondo libero non solo hanno fatto crescere la diffidenza nei confronti della verità e di coloro che la nominava­ no, ma hanno anche suggerito di rivedere al ribasso l’ambizione di disegnare in positivo i contenuti della libertà. Un tale approdo ha dalla sua tante buone ragioni. Soprattut­ to, esso incarna la preoccupazione che è prepotentemente riaf­ fiorata lungo tutta la vicenda moderna: se è nella dignità di ogni singola persona - intesa come sede autonoma di giudizio mora­ le - che risiede la libertà, allora la cosa più perniciosa che si pos­ sa fare è attribuire ad altri, al di fuori del singolo individuo, tale sovranità. E la storia degli ultimi due secoli è profondamente se­ gnata dal tentativo di applicare tale convinzione.1 Eppure, la questione della verità - che è all’origine di due tra le più straordinarie avventure intellettuali di tutti i tempi, il pen­ siero metafisico e il dibattito epistemologico - non è eliminabile dall’orizzonte moderno. E questo perché attorno a tale parola ruotano due nodi fondamentali della condizione umana: il pri­ mo riguarda l’elaborazione del significato della vita e dei singoli avvenimenti. Questione che deriva direttamente dalla facoltà dell’essere umano di non accettare il mondo così com’è, ma di essere capace di interrogazione (cioè di libertà!). Il secondo no­ do è relativo alle condizioni dell’intersoggettività e dell’azione, nei termini di ciò che, in ultima istanza, può sostenere il rappor­ to con il mondo e fra gli esseri umani. Come vedremo tra poco, tutto ciò ha a che fare con il processo di significazione che è al­ la base della vita umana. Processo che è poi strettamente legato alla costruzione delle forme istituzionalizzate che organizzano i rapporti sociali: la religione, la metafisica, la scienza, la politica sono alcune tra le principali arene nelle quali si è storicamente dispiegato il complesso gioco della significazione, che nasce dall’intreccio tra libertà e verità. All’inizio del xxi secolo, non si può non partire dalla diffusa diffidenza - o addirittura scetticismo - nei confronti della veri­ tà. Ragioni di ordine filosofico, epistemologico, storico hanno concorso a sviluppare un tale orientamento, che sta alla base1 1 II che è certamente uno degli aspetti che distingue e rende affascinante l’occidente rispetto a ogni altra tradizione.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

17

del tempo che viviamo. Solo che questa affermazione - “diffida della verità !" - non risolve affatto il problema: anzi, nel mondo in cui viviamo, abbiamo la sensazione che proprio questo sgan­ ciamento sia all'origine delle nuove questioni che investono og­ gi la libertà. Ecco, dunque, l'ipotesi di questo libro: non si può compren­ dere la fase storica nella quale viviamo prescindendo dal muta­ mento intervenuto nel processo di significazione. In particolare, mantenendo una prospettiva sociologica, si cercherà di riflette­ re sulle conseguenze di una traduzione di alcuni passaggi filoso­ fici avvenuti nel corso del Novecento all’interno della vita socia­ le, che diffonde in quote sempre più ampie della popolazione la convinzione che, deposta ogni pretesa collettiva, l'idea di “veri­ tà" attenga unicamente al piano esistenziale e soggettivo.2 Come suggerisce l'etimologia del termine - secondo alcuni, la parola verità deriva dalla radice var (credere), che in sanscri­ to diventa anche “scelgo”, “voglio”; secondo altri, dal germanico vahr, che significa essere, ovvero ciò che è conforme alla real­ tà - tale pretesa è sociologicamente problematica, perché una qualche “verità” - che sia metafisicamente o religiosamente fondata oppure una mera costruzione sociale o il risultato di un accordo intersoggettivo - occorre pure che sia definita affin­ ché la vita sociale possa avere luogo. Una volta che abbiamo ri­ conosciuto che la crisi della metafisica, il processo di secolariz­ zazione e lo sviluppo della scienza e della tecnologia sono feno­ meni che ristrutturano l’idea di verità, rimane da capire quali siano le conseguenze sulla vita sociale - e sulla stessa pratica della libertà - di una condizione nella quale ciascun individuo è messo nelle condizioni di avanzare le proprie “pretese di verità” (Habermas, 2007). Per cominciare, è prima di tutto interessante osservare che gli effetti di una tale trasformazione sono ben visibili all'intemo delle due principali tradizioni di pensiero sulla libertà che han­ no agito negli ultimi secoli nell’alveo della cultura occidentale. La tradizione liberale ha il grande merito di aver fatto emer­ gere e difeso lo spazio di vita individuale contro tutte le forme più o meno oppressive del potere (spesso fondate proprio sulla definizione della “verità”). Tale difesa è stata possibile a partire dall'affermazione che il soggetto della libertà - potremmo dire, l’unica verità della libertà - è il singolo individuo e che, di conse­ 2 Questo punto è molto importante, perché segna una differenza profonda rispetto a un secolo fa, quando questo tipo di problemi cominciava ad affiorare ma rimaneva limitato ad alcuni strati sociali.

18

LIBERTÀ IMMAGINARIA

guenza, il contenuto della libertà non può essere definito da al­ cuna autorità esterna. Ciò ha comportato Videa che le libertà si definissero recipro­ camente come limite: la mia libertà finisce dove comincia quel­ la degli altri. Nascondendo un fondo pessimista - per citare Sal­ vatore Quasimodo, "ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole../’ - questa posizione rivendica la forza del crudo realismo: la condizione umana è segnata da un'insupera­ bile solitudine e, per quanto possiamo desiderare un'alta qualità delle nostre relazioni, è bene non farsi troppe illusioni. In ogni caso, il limite all'esercizio della libertà individuale va tracciato e fatto rispettare attraverso leggi e istituzioni, il cui compito è quello di contenere le componenti imprevedibilmente distrutti­ ve sottese all’esercizio unilaterale della libertà. Messa così, la tradizione liberale si è storicamente declinata sempre più decisamente sul versante dei diritti - di cui l'indivi­ duo è il solo titolare - con riferimento ai quali ciascuno è auto­ rizzato ad avanzare rivendicazioni nei confronti del contesto cir­ costante. Per questo, la storia degli ultimi due secoli può essere letta come la progressiva estensione dei diritti individuali. Un'estensione che procede nello spazio - con la Dichiarazione del 1948 viene solennemente affermato il principio che ogni sin­ golo essere umano, in qualunque parte del mondo, può esigere il rispetto di alcune condizioni fondamentali per la sua esistenza e negli ambiti di applicazione - al di là della classica tipologia di Thomas Humphrey Marshall ( 1950) (che parlava di diritti civili, politici e sociali), oggi si discute dei diritti "etnici" e di quelli "biologici” (relativi al vivere, al morire, all'identità sessuale). La seconda tradizione - che possiamo chiamare "critica” considera, invece, la libertà come una manifestazione della "for­ za delle idee”, come la continua spinta ad andare oltre, a cerca­ re il meglio, a pensare una realtà diversa, per "come dovrebbe essere”. Un atteggiamento che deriva dalla capacità di prendere le distanze dall'esistente e di immaginare un altro mondo, in una ricerca che sa di non avere fine, ma che proprio per questo si giustifica. La verità, in questo caso, non è mai pienamente di­ sponibile, ma è qualcosa verso cui è sempre possibile tendere. Storicamente, questa tensione si è espressa attraverso la costru­ zione di proiezioni ideali sul futuro, a partire da un qualche metacriterio - affermato come universale - che permette di andare oltre lo stato delle cose. In questo modo, la libertà come critica è all’origine di quel tratto aperto e conflittuale tipico delle società occidentali: il pluralismo delle posizioni e la conseguente di­ scussione che anima una collettività sono segno di vitalità e non possono in alcun modo essere censurati.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

19

Pur marciando divise, e spesso in aperta contrapposizione, queste due tradizioni hanno colpito unite3: agendo su piani di­ stinti, entrambe hanno concorso a indebolire Videa di verità isti­ tuita e, con essa, di un ordine sociale legittimo. Per questa via esse hanno contribuito ad allargare le maglie della vita sociale e, dunque, ad accrescere la libertà. Per capire il tempo in cui viviamo, occorre innanzitutto par­ tire dal mutamento intervenuto, negli ultimi decenni, all'interno di questi due grandi propulsori della modernità, nel momento in cui il loro successo è stato così schiacciante da indebolire le stesse precondizioni culturali che li avevano resi possibili e che ne avevano favorito l'affermazione. Per molti aspetti, la visione liberale è la grande vincitrice del xx secolo. L'idea di partire dall'individuo, di ampliare il suo rag­ gio di azione e di considerare la relazione tra individuo e am­ biente dal punto di vista formale e istituzionale, è oggi univer­ salmente considerata un punto di riferimento irrinunciabile. Tuttavia, un tale indiscutibile successo ha fatto affiorare almeno tre nodi problematici. Il primo è che non è più ammissibile alcuna affermazione generale attorno all'idea di essere umano, alla cui definizione ciascuno è chiamato a partecipare come singolo individuo nella propria esperienza di vita. L'essere umano in generale non esi­ ste; esiste solo l'infinita serie degli individui concreti. Ma se la strada del particolare viene assolutizzata, abbandonando com­ pletamente ogni tensione all'universalità, allora non solo non si capirà più che cosa c'è in comune tra gli esseri umani o quali so­ no le condizioni minime della loro esistenza, ma si arriverà fa­ cilmente a porre in discussione la stessa unità dell'individuo: l'idea di singolarità è così forte da spezzare qualunque unità, compresa quella personale. Il secondo nodo è che l'affermazione dello spazio di azione e di giudizio individuale arriva fino a disconoscere che la libertà è intrecciata inestricabilmente con la relazione. La libertà è vista come attributo singolare. Il punto è che la libertà non è mai di uno solo, ma è - per definizione - anche con gli altri e degli altri (c possibilmente di tutti). E dunque, se c'è la mia libertà - le cui premesse, tra l'altro, poggiano su chi è venuto prima e le cui conseguenze si riflettono non solo su di me, ma anche su chi mi sta attorno e su chi verrà dopo - c'è anche quella altrui che, a sua volta, incide sulla mia esistenza. È la natura relazionale, in­ 3 E questo perché, al di là della loro dialettica, a volle anche molto aspra, queste due posizioni emanano dalla stessa radice; l’idea, cioè, che la coscienza individuale sia l’elemento distintivo della condizione umana.

20

LIBERTÀ IMMAGINARIA

tersoggettiva e sociale della libertà che rende il nodo terribil­ mente ingarbugliato: la giustapposizione di libertà singole può costituire la risposta minima, ma non soddisfacente, alla do­ manda di libertà. Tanto più in un mondo che fa dell'ampliamen­ to dello spazio di azione individuale il proprio criterio fonda­ mentale. L'ultimo nodo riguarda la questione del limite della libertà, questione che la tradizione liberale ha affrontato solo sul piano orizzontale - la mia libertà finisce dove comincia quella degli al­ tri - attribuendo un ruolo di arbitraggio alle istituzioni pubbli­ che. Ma le condizioni nelle quali oggi viviamo sono tali per cui il nostro stesso agire investe il presupposto della libertà, dato che noi possiamo agire direttamente sull'unità fisica e psichica del1 essere umano. Applicare l'idea tradizionale di autonomia e di diritto ai temi della vita sociale contemporanea comporta il pa­ radosso che la libertà possa essere attivamente impiegata per smontare quell'unità individuale che ne costituisce il fondamen­ to. Con il risultato che c'è più libertà di agire e meno libertà di essere. Nata rispetto a questioni di altra natura, la risposta libe­ rale appare scarsamente attrezzata ad affrontare questo tipo di problemi. Analogamente, anche la tradizione critica è in difficoltà per la convergenza di due potenti fattori di mutamento. Il primo - di natura intrinseca - è che in un mondo in cui le gerarchie istitu­ zionali e le autorità morali sono sistematicamente messe sotto scacco (anche per la progressiva penetrazione dello stesso atteg­ giamento critico) non esiste più alcun punto di vista privilegiato rispetto al quale poter prendere le distanze. La perdita di fiducia nella capacità della ragione di arrivare a un qualche 'universali­ smo delle idee'' (Ferrara, 2008) spiega come mai, a partire dalla seconda metà del Novecento, la critica non riesca più a costrui­ re immagini positive di un futuro migliore, ma si autolimiti a mettere in evidenza fallimenti e contraddizioni dello stato delle cose. In questa situazione, l’unica strada percorribile sembra es­ sere quella del decostruzionismo sistematico, che rende la criti­ ca inutilizzabile al fine di costruire qualsiasi cosa. Il secondo fattore - di natura più estrinseca - è che lo straor­ dinario sviluppo dei mezzi di comunicazione contribuisce a pol­ verizzare qualunque contenuto culturale, compresa la critica che, sempre meno comunicabile, diventa anche inefficace. L'as­ sordante rumore di fondo nel quale viviamo - sommersi come siamo da messaggi di ogni tipo - satura la sensibilità e ottunde la capacità cognitiva, impedendo di distinguere le diverse posi­ zioni ed equiparando qualsiasi discorso fino al punto da ridurlo all’impotenza.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

21

In sostanza, noi oggi ci muoviamo in uno scenario all'inter­ no del quale sia la tradizione liberale sia quella critica approda­ no a lidi molto lontani da quelle originarie. E in particolare, per entrambe, la libertà sembrerebbe potersi dare senza alcun rife­ rimento alla questione della verità. L’inedita alleanza che si pro­ fila è tra un individualismo esasperato, che rischia di arrivare fi­ no al punto di distruggere la sua stessa premessa, e cioè l’unità psichica e corporea dell’individuo, e una critica puramente ne­ gativa, che lavora sistematicamente per decostruire ogni tentati­ vo di giudizio collettivo.

Sul processo di significazione: legein e teukein La vita umana è una lotta di significati. La tradizione biblica lo fa capire fin dal racconto della Genesi, quando il serpente mostra ad Adamo e a Èva una diversa visione delle cose. Tutto quello che facciamo cambia completamente se solo si modifica­ no i significati che orientano le nostre azioni. La vita sociale è sempre profondamente segnata dal modo in cui affronta e risolve il complesso processo di significazione. Le implicazioni sociologiche di tale questione sono poste con effi­ cacia da Cornelius Castoriadis (1996), secondo il quale le due forme fondamentali della significazione, il legein e il teukein, so­ no alla base dell’intero processo di istituzionalizzazione dei rap­ porti sociali. Il termine legein ha la medesima radice di logos, termine che in greco indica la parola, il discorso e, in questo senso, la ragio­ ne. Legein è un verbo che indica l’attività del raccogliere.4 Dare significato è dunque l’azione del pensiero e della parola che ri­ mettono ordine nella caotica sequenza delle esperienze umane. Per questa ragione, il significato è strettamente associato al “senso", che ha a che fare con il legame (dalla stessa radice le­ gein) che possiamo stabilire tra i diversi significati. Ciò avviene non solo a livello personale, all’interno delle vicissitudini che abbiamo nel mondo, ma anche intersoggettivo e sociale: la do­ nazione di significato non è un’attività solipsistica, ma riguarda il nostro rapporto con altri. Mediante il processo di significazio­ 4 "Legein: distinguere, scegliere, porre, raccogliere, contare, dire [...] per po­ ter parlare di un insieme è necessario poter distinguere scegliere, pone, racco­ gliere, contare, dire [...] questi oggetti possono derivare dalla percezione o dalla sensazione interna o dalla sensazione esterna, dal pensiero o dalla rappresenta­ zione. È necessario porre tali oggetti in quanto definiti, nel senso di una defini­ zione risolutiva e pratica, e distinti” (Castoriadis, 1996:76).

22

LIBERTÀ IMMAGINARIA

ne la vita sociale si stabilizza e diviene possibile. La vita sociale si istituisce prima di tutto attraverso l'attività del designare - cioè del dare il nome con il pensiero e con la parola - che si realizza mediante il legein. La modernità svolge il tema del legein alla luce di una dupli­ ce opzione. La prima è a favore dell'individuo, visto come agen­ te morale responsabile e dunque capace di prender parola e di discriminare tra i diversi significati. Dato che ogni soggetto umano è considerato come capace di intendere e di volere - e dunque di costruire e di esprimere la propria visione del mon­ do, indipendentemente da qualunque potere e autorità - la fa­ coltà umana del legein viene progressivamente riferita al sog­ getto. Oggi noi, come moderni, diamo per scontato che l'attri­ buzione di significato sia una prerogativa individuale. Ma, se proviamo a guardare le cose in una prospettiva più ampia, non è difficile cogliere il valore rivoluzionario di una tale afferma­ zione: ritenere che spetti a ogni singolo uomo il compito di “da­ re significato" comporta un atto di fede nelle straordinarie ca­ pacità dell'essere umano di orientarsi nei confronti del mondo e della storia. Cosa che, nella realtà, non potrebbe avvenire se non sulla base dell'educazione che riceviamo e attraverso la co­ municazione che intratteniamo con la comunità/tradizione alla quale apparteniamo e a partire dalla quale possiamo esistere come individui. La seconda opzione è la possibilità di dotarsi di criteri per selezionare gli infiniti possibili significati elaborati dai singoli individui in modo da ricondurli a una qualche composizione. La prospettiva individualistica, infatti, è esposta a un rischio mortale: quando venisse soggiogata da un relativismo radicale, essa porterebbe allo sbriciolamento di qualunque significato, rendendo così di fatto impossibile la vita umana. Scartata la via che affidava alla tradizione la soluzione di tale problema, la mo­ dernità ha a lungo confidato sulla capacità della ragione di sco­ prire criteri e norme universali. In questo modo il principio ve­ ritativo è rimasto in piedi, ma è stato spostato in avanti (scoper­ ta scientifica) invece che indietro (autorità della tradizione): è nella conoscenza razionale che la verità va cercata, e l'uomo li­ bero è colui che accetta di mettersi su questo cammino. Se si prova a considerare la storia degli ultimi secoli dal punto di vista del legein, non è difficile cogliere la progressiva istituzionalizzazione del progetto moderno. La contrastata af­ fermazione della democrazia e il progressivo sviluppo di quella che Jiirgen Habermas (2006) ha chiamato “opinione pubblica" sono le tracce principali lungo le quali si è proceduto in una di­ rezione che è diventata via via più chiara: l'indebolimento di

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

23

ogni fondamento stabile della conoscenza e della verità e il raf­ forzarsi di un “approccio procedurale” alla decisione che, assu­ mendo la tendenziale “equivalenza dei significati”, cerca di de­ finire regole istituzionali - prima fra tutte quella democratica basata sulla logica della maggioranza e del consenso - allo sco­ po di ordinare l'insieme dei possibili significati.5 In termini ge­ nerali, sembra difficile poter negare che, per quanto riguarda il legein, la storia della modernità va nella direzione di uno stra­ ordinario ampliamento della capacità di generare significati, che si accompagna, prima, all'indebolimento delle cristallizza­ zioni basate su una qualche forma di “autorità” e, poi, alla ri­ messa in discussione del ruolo della ragione come metacriterio universale. In questo modo, il processo di significazione che passa attraverso il legein si espone a un esito paradossale: come se il potenziamento del “prender parola” che la libertà moder­ na porta con sé indebolisse la capacità stessa del discorso di “legare insieme” la varietà delle esperienze a livello sia sogget­ tivo sia collettivo. Le vicende della seconda via della significazione non sono meno interessanti. Oltre che attraverso la parola (legein), infatti, la significazione passa attraverso il fare, l'agire, l'adattare. Casloriadis riporta questo insieme di termini al verbo teukein, che significa “compattare, adattare, fabbricare, costruire” [...] “Esso vuol dire, quindi, fare essere come, partendo da, in modo appro­ priato a, in vista di” (Castoriadis, 1996:125). Dunque, gli esseri umani conferiscono significato anche a partire da e mediante la loro interazione con l'ambiente circostante (fisico e sociale), con il quale sono costretti a confrontarsi. Il processo di signifi­ cazione non avviene in astratto, al di fuori del vincolo di realtà. Esso è sempre, in qualche modo, “situato”. Per procedere in questa direzione è utile osservare che teu­ kein in greco rinvia agli utensili - che per antonomasia sono le armi - e alla capacità di utilizzarli. Un primo significato è, dun­ que, quello di abilità, di destrezza: questo verbo, cioè, indica I imparare a fare, a prescindere da qualunque attribuzione di senso. In questo modo il teukein è attivato dal fascino del saper lare, del superare in abilità gli standard raggiunti, dell'eccellen­ za della competenza; per definizione, la specializzazione proce­ de senza porsi alcuna domanda attorno alla direzione, al senso di ciò che si sta facendo. Essa si autosoddisfa in se stessa o, al più, si contenta di risolvere un ben determinato problema. 5 In questo orizzonte si inscrive tutta la grande opera di Habermas, l'autore che, più di ogni altro, si è reso conto delle enormi difficoltà cui si andrebbe in­ contro nel momento in cui si provasse a rimuovere tale problema.

24

LIBERTÀ IMMAGINARIA

In un secondo senso, teukein indica la capacità dell’essere umano di controllare e determinare l'ambiente circostante. Per questa ragione, esso è in stretta relazione con il “poter fare esse­ re": nella vita sociale, “la realtà non è soltanto quel che resiste; essa è altrettanto, e indissociabilmente, quel che può essere tra­ sformato, quel che permette il fare (e il teukein) come fare esse­ re l'altro da quel che è o far esistere altrimenti ciò che è così" (Castoriadis, 1996:129). Dunque, questa seconda via alla signifi­ cazione è strettamente intrecciata con l'azione. Anche qui la ra­ gione appare, ma questa volta come ragione strumentale, o for­ se è meglio dire come problem solving, cioè come capacità di concentrarsi su un determinato aspetto e di superare la difficol­ tà che lo affligge (Petrosino, 2008:29). Ma qui le cose si compli­ cano dato che, quando noi agiamo, è perché possiamo. Il che evidentemente significa che il potere è l'altra faccia dell’agire: senza potere, non c'è azione; e, d'altra parte, l'azione è generatri­ ce di potere.6 Accrescendo l’umana capacità di agire (e per que­ sta via, di potere),7 anche al di là dell'esistente, il teukein incarna i modi concreti in cui gli esseri umani strutturano i rapporti tra loro e con il mondo. Contrariamente a quello che si tende a cre­ dere, tra potere e libertà c'è una relazione di reciproco rafforza­ mento e non di esclusione. Fondendo abilità e potere, la tecnica - che incarna il teukein in strumenti, dispositivi e infrastrutture che definiscono i criteri di appropriatezza (Castoriadis, 1978,1:300) - produce dunque un duplice effetto sulla vita sociale: da un lato, essa istituziona­ lizza i significati che sono espressione del livello raggiunto di potere di agire (individuale e collettivo); dall'altro, essa moltipli­ ca la stessa capacità d'azione umana (Plessner, 2006), indebo­ lendo così i significati consolidati. Tra tecnica e potere esiste, dunque, un sottile quanto solido legame: mentre estende il po­ tenziale di azione del singolo individuo, la tecnica tende ad ac­ crescere, al tempo stesso, l'efficienza complessiva del sistema sociale, di cui decreta, in un certo senso, l'indiscutibilità. Esatta­ mente per questa ragione, nel corso della modernità la “tecnolo­ gia del potere" evolve dalla forma più elementare e diretta - ba­ sata sull’uso della forza - a quella pastorale - basata sul control­ lo delle idee - fino alla biopolitica, che mira ad annettere a sé i “modi del potere diffusi, autonomi e infinitesimali" (Foucault, 1998:34). É la capacità di compattare il potere di agire diffuso 6 Per inciso, ciò significa che, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, quando parliamo di azione - e quindi di libertà - parliamo di potere. 7 Un’idea che investe pienamente anche la politica: da Machiavelli in avanti, essa non è più aristotelicamente intesa come volta alla piena realizzazione della natura umana, ma come tecnica di potere e di decisione.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

25

senza annientarlo - più che la concentrazione in senso tradizio­ nale - a costituire la logica ultima di affermazione del potere nella modernità. In sostanza, l'aspirazione moderna nei confronti della libertà si esprime lungo una duplice direttrice: da un lato, nel progres­ sivo spostamento retorico della responsabilità del "prender pa­ rola” (legein) dal livello collettivo a quello individuale; dall'altro, neH'aumento del potere di agire individuale che, a sua volta, comporta il parallelo rafforzamento delle infrastrutture tecni­ che della vita sociale (teukein). Legein e teukein sembrano, dunque, seguire due destini op­ posti: la crescente disponibilità di discorsi e l’espansione degli spazi dell'interpretazione soggettiva rendono sempre più diffici­ le la-condivisione intersoggettiva - e con essa l'istituzionalizza­ zione - di significati; d'altra parte, lo straordinario sviluppo del­ le applicazioni tecniche stabilizza strutture e linguaggi che non solo rendono possibili rapporti tra estranei, ma generano anche una "verità” basata sulla forza dei fatti, disattivando il processo di significazione basato sul legein* Così, grazie al teukein, l'uomo contemporaneo accresce di continuo il proprio potere di azione (incluso quello di comuni­ care), ma dispone sempre meno di narrazioni collettive di senso generate mediante il legein - preferendo affidare al singolo es­ sere umano, nell'intimo della propria coscienza, il compito di realizzare tale scopo. L'incapacità/impossibilità di esprimere qualsiasi valutazione collettiva sulla direzione da seguire spiana la strada al dispiegamento del teukein, che procede costruendo infrastrutture sempre più complesse ed estese, ben al di là della sfera di azione e comprensione individuali. Per questa ragione, nonostante tutte le buone intenzioni, la modernità è oggi più che mai vittima di se stessa, o meglio del­ la convinzione, che le è propria, che l'accrescimento della "li­ bertà individuale'' costituisca di per sé - senza ulteriori qualifi­ cazioni - la soluzione al problema del potere. Eppure la storia degli ultimi secoli sembra andare esattamente nella direzione 8 Legein e teukein sono termini strettamente legati ad altre coppie ben note nella storia del pensiero sociologico. Penso prima di tutto all’agire razionale ri­ spetto allo scopo e rispetto al valore di Weber e all’agire strumentale e agire co­ municativo di Habermas. Mi sembra, però, che la proposta di Castoriadis - che si iscrive all’intemo di questa tradizione - aiuti di più a svolgere le implicazioni sociologiche delle questioni coinvolte, allicciando meglio alcuni elementi che i escano impliciti nelle formulazioni dei due autori tedeschi. E ciò almeno da due punti di vista: in primo luogo, cogliendo più efficacemente la distinzione tra pa­ iola e azione. E, in secondo luogo, introducendo alla relazione tra azione indivi­ duale e processo di istituzionalizzazione sociale.

26

LIBERTÀ IMMAGINARIA

opposta: perché se è vero che la modernità ha accresciuto la li­ bertà dei singoli, è anche vero che essa ha prodotto le forme di dominio e di violenza più terribili. E questo perché le due cose, anche se apparentemente contraddittorie, sono effetto della medesima causa. Sul piano sociologico, la ridefinizione dei rapporti tra i due processi di significazione (legein e teukein) - intervenendo sulle stesse logiche della istituzionalizzazione - si riflette sugli equili­ bri interni di tre * polarità” costitutive della vita sociale. La prima polarità - individuo/collettività - vede il proprio baricentro spostarsi ulteriormente verso il polo individuale, con la radicalizzazione della contrapposizione tra i due termi­ ni visti come insanabilmente antagonisti: per la sensibilità contemporanea, l'individuo è del tutto “libero” quando è nella condizione di poter scegliere i propri legami sociali, il che vuol dire essere completamente sciolto dal suo debito nei con­ fronti del gruppo (a partire dalla “tradizione”). Oltre che co­ stituire uno stimolo a proiettarsi continuamente in avanti - alla scoperta di qualcosa di nuovo - ciò alimenta la diffiden­ za (se non addirittura il rifiuto) nei confronti di ogni signifi­ cato collettivo. Ma l'astrazione di un individuo totalmente au­ todeterminato non regge alla prova dei fatti: quando si prova ad andare in questa direzione, ben presto la libertà dal grup­ po e dalle sue leggi viene sostituita dalla dipendenza dall’or­ ganizzazione sociale e dalle sue (ugualmente elevate anche se molto differenti) richieste. Per quanto riguarda la seconda polarità - logos/pathos - il fatto che la verità condivisa non sia più cercata attraverso un or­ mai impotente legein, ma venga dispensata da un sempre più potente teukein, indebolisce il logos - cioè la ragione nella sua accezione più ampia non riducibile alla mera razionalità - e raf­ forza il pathos - cioè la dimensione affettiva ed emotiva del­ l'esperienza umana, il cui ruolo si accresce nei processi di co­ struzione della realtà e dei legami sociali. Perfezionamento tec­ nico e stimolazione sensoriale ed emozionale sono dinamiche che si rafforzano reciprocamente in una spirale che crea una miscela tanto potente quanto instabile. Circa la terza polarità - che riguarda il complesso rappor­ to tra la sfera extramondana trascendente (riferimento che ri­ mane rilevante nel momento in cui nasce la modernità) e quella intramondana immanente (sbocco verso il quale la mo­ dernità sembra tendere) - nel momento in cui viene meno la capacità del legein moderno di offrire chiavi di lettura colletti­ vamente condivise (la cosiddetta fine delle ideologie altro non è che il superamento delle tante forme di trascendenza intra-

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

27

mondana che hanno caratterizzato la modernità) si creano le premesse per l'affermazione di una visione radicalmente im­ manente, che fa dell'innovazione tecnica il motore di un dive­ nire non solo senza finalità ma anche esente da qualunque possibilità di critica.

Individui senza collettività? Come ha opportunamente osservato Charles Taylor (1993), In modernità segna un decisivo balzo in avanti nel lento proces­ so di disancoramento dell'individuo dal gruppo, processo che è sempre stato il tratto distintivo della tradizione occidentale.9 La straordinaria dinamica sociale che consegue a tale sganciamen­ to viene attivata sulla base della libertà di coscienza e conoscen­ za che la cristianità a poco a poco rende disponibile. A partire dal 1200, quella che dapprima nasce come una questione inter­ na alla cristianità - con san Francesco, san Tommaso e san Be­ nedetto - si estende poi ben oltre la sfera religiosa: l'affermazio­ ne del potenziale analitico della ragione e della conoscenza scientifica, l'autonomizzazione del potere temporale, la seces­ sione interna determinata dalla Riforma, sono tra i principali detonatori di cambiamenti epocali. Alla base di tale processo c'è la progressiva esplicitazione delle conseguenze di una visione che pone al suo centro l'idea di nomo e della sua libertà. Pur se all'interno di una visione che ri­ marrà per lungo tempo ancorata alla trascendenza, la riscoper­ ta della libertà umana ha forza sufficiente per mandare in crisi gli assetti che reggevano i rapporti sociali tradizionali. Sia per ragioni teoriche - l'indebolirsi del ruolo di mediatore del divi­ no - sia per ragioni storiche - l'ascesa di nuovi attori e gruppi sociali - la modernità nasce e rimane fondamentalmente segna­ la da due tratti distintivi. Il primo è la paura dell'altro e della ferita che può sempre causare (Bruni, 2007). Una paura che cresce parallelamente al potenziarsi della libertà e del potere di azione individuale, che inevitabilmente ci espongono all'aggressione reciproca. Piutto­ sto rapidamente - con il passaggio dal Rinascimento alla mo­ dern ità vera e propria - l'idea che l'uomo sia in grado di trovare un punto di equilibrio interno tra passione e ragione viene ab­ 9 In entrambe le sue componenti principali, quella greca e quella giudaico• 11stiana, il cui grande merito consiste nell’aver attribuito statuto di fonte moraI»’ autonoma alla coscienza individuale, sganciando così l’interiorità dall’identiIli azione con le norme del gruppo.

28

LIBERTÀ IMMAGINARIA

bandonata in favore di un'antropologia pessimista (per molti, semplicemente realista) (Szakolczai, 2007): il pericolo dell altro può essere ridotto solo mediante il ricorso a una costrizione esterna, affidata al Leviatano.10 Il secondo tratto è il moto di ri­ bellione nei confronti della comunità, guardata sempre più con sospetto. Il gruppo, necessariamente carico di pretese egemoni­ che, è visto come una minaccia per il singolo, di cui alla fine ne­ ga la libertà: l'individuo è sovrano e si costituisce in se stesso, senza alcun debito nei confronti di altri. Per molto tempo questi due elementi, destinati a invertire le logiche soggiacenti alla società medioevale, sono rimasti laten­ ti, attivando semplicemente le forze più significative nel deter­ minare il cambiamento dei rapporti sociali. Ma, con il passare del tempo, essi sono emersi in modo sempre più esplicito, in­ carnandosi nelle nuove strutture sociali che si sono andate con­ figurando. Tra il Settecento e l'Ottocento, sulla scia della spinta con­ giunta delle grandi rivoluzioni politiche e di quella industriale, il quadro cambia significativamente. Concretamente, democra­ zia e mercato sono i due apparati mediante i quali diviene final­ mente possibile pensare di ricomporre sul piano sociale una maggiore libertà (e variabilità) individuale. La democrazia - come arena dove si svolge il confronto tra le diverse posizioni e la negoziazione tra gli interessi esistenti - è lo strumento principale impiegato per canalizzare la spinta li­ bertaria, che la modernità aveva evocato, attraverso i due criteri della legittimità e del consenso (Montesquieu, 1974). Pur senza riuscire a superare completamente l’ambiguità di fondo di cui hanno sempre sofferto le istituzioni dello stato - sempre in bili­ co tra essere le garanti della libertà individuale e le sue peggiori nemiche (Tocqueville, 1992) -, la democrazia ha avuto il grande merito di creare la cornice nella quale cercare di far convergere la pluralità delle posizioni individuali all'interno di un'unica vo­ lontà politica, alla luce degli “ideali democratici". Pur tra mille incertezze e fallimenti, la lunga marcia della democrazia appa­ re, da questo punto di vista, inarrestabile e profondamente in­ trecciata con l'idea stessa di modernità. Nella sua alleanza con la tecnica - di cui peraltro è pura espressione - l’economia di mercato ha dato un contributo al­ trettanto fondamentale alla costruzione di nuovi equilibri individuo/gruppo nel momento in cui essa ha reso possibile un tipo 10 Thomas Hobbes è certamente l’autore che più e meglio di chiunque altro coglie tale criticità: la sua riflessione sul Leviatano gira tutta attorno a tale que­ stione.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

29

di regolazione dei rapporti tra estranei che, operando sul piano estrinseco anziché su quello intrinseco, ha avuto uno straordi­ nario effetto di civilizzazione (Hirschman, 1982). La grandissi­ ma forza della metafora della “mano invisibile” - e probabil­ mente la ragione di fondo del suo successo - è quella di aver re­ so possibile, per la prima volta, la formazione di una fitta rete di rapporti (quelli, appunto, commerciali) che potevano reggere senza impegnare moralmente le parti. In questo modo, l’indivi­ dualismo generato dal mercato ha contribuito a una doppia li­ berazione: dal vincolo materiale (con il miglioramento delle condizioni di vita per quote sempre più grandi di popolazione) e dall’oppressione autoritaria (con l’affermazione dei diritti indi­ viduali di proprietà). Grazie al mercato e alla democrazia, la modernità ha com­ piuto due enormi passi in avanti per dar seguito al suo progetto originario: riducendo il peso di tutte le appartenenze fortemen­ te prescrittive e diffondendo nuove formazioni sociali basate sul contratto e sul diritto, lo spazio di autonomia individuale si è straordinariamente accresciuto. Il che ha costituito la molla per lo sviluppo avvenuto nei secoli successivi. E, tuttavia, l’equilibrio individuo/collettività è sempre rima­ sto precario, con il ritorno di violente fiammate comunitariste che si sono espresse in vario modo nel corso della storia moder­ na (basti pensare al sempre rinascente nazionalismo o alle gran­ ili ideologie totalitarie del xx secolo). Verso la fine dell’Ottocenlo, una nascente disciplina chiamerà “società” questa nuova for­ mazione sociale: termine quanto mai espressivo per indicare torme di aggregazione del tutto diverse da quelle tradizionali, In quanto basate su relazioni fredde e distaccate, simili appunto a quelle che l’antico termine latino riferiva all’idea di socius (Tùnnies, 1979). Peraltro, dietro alla nascita della nuova disci­ plina si nascondeva un preciso ordine di pensiero: l’individuo li­ bero esprime una certa natura che, in quanto razionale, è di conseguenza anche morale. Il fatto che l’incanto del mondo sia sin to ormai scompaginato e che la religione non costituisca più un f iltro sufficientemente esplicativo dell’esperienza mondana e dell’incontro con l’altro, ha reso necessario pensare il “sociale”. I n “sociologia” è la “scienza” che studia questo nuovo modo di niubilire i rapporti tra esseri umani. Nei due fondatori della disciplina - Max Weber in GermaiiIn ed Émile Durkheim in Francia - e poi nel loro principale successore - Talcott Parsons, negli Usa -, “società” sta per “soi Irla nazionale”. E in tutti e tre - anche se in modo diverso - è evidente la preoccupazione di ricondurre la società a un’entità Irnuta insieme da apparati istituzionali e da comuni riferi­

30

LIBERTÀ IMMAGINARIA

menti culturali.11 In questo modo si cercava di dare una rispo­ sta nuova alla questione del rapporto individuo/collettività. Le teorie dei fondatori della sociologia riflettevano quello che accadeva attorno a loro: la disgregazione dei legami tradi­ zionali determinava un vero e proprio vuoto che aveva bisogno di essere colmato mediante un'idea diversa dei rapporti sociali (Nisbet, 1953). Un'analisi straordinariamente corretta, che tro­ verà piena realizzazione nel corso del xx secolo, con la progres­ siva disgregazione dei grandi imperi e la marcia, complessa e drammatica, verso la creazione degli stati nazionali su base etnico-culturale (Anderson, 1987). In questo modo, il gruppo - espulso dalla porta - rientrava dalla finestra: le forti tendenze in­ dividualizzanti della democrazia e del mercato venivano ricon­ dotte aH’intemo di grandi contenitori di appartenenza collettiva e universalistica.11 12 Così, la storia degli ultimi secoli racconta le fatiche dell'indi­ viduo che, mentre impara a pensarsi come entità autonoma dal gruppo per quanto riguarda il legein, mediante il teukein accre­ sce la capacità dazione a livello sia individuale sia collettivo. Ma ciò non poteva che ingarbugliare terribilmente la questione del legame sociale, perché, quanto più l’individuo si liberava dal la­ to dei significati, tanto più si obbligava dal lato delle strutture. Le grandi idee di società e stato-nazione hanno rappresentato la principale risposta ai dilemmi che così venivano sollevati. Per paradossale che possa sembrare, al fine di garantire la libertà individuale sono state necessarie l'idea e la pratica della cittadi­ nanza. In questo senso la comunità nazionale è l'ultima erede legittima della lunga e nobile tradizione che ha sempre conside­ rato il gruppo come una condizione irrinunciabile (ancorché problematica) della condizione umana.

Restringimento del logos, rivalutazione del pathos Gli esseri umani sono capaci di astrazione e di immersione, di distacco e di fusione, di ragionamento e di sentimento, di lo­ gos e di pathos. Entrambe .queste capacità sono costitutive del­ 11 L’unica vera grande eccezione a questa impostazione è stato Georg Simmel, non a caso dimenticato fino agli anni Ottanta. 12 Diverso, ma non contraddittorio, è il percorso del marxismo e del sociali­ smo, laddove Videa di nazione viene sostituita da quella di classe e dalla solida­ rietà che ne deriva. 11 socialismo reale di stampo sovietico ha poi fatto collassa­ re queste diverse dimensioni creando un moloch che ha prodotto una violenza inaudita.

Pit COLA STORIA DELLA MODERNITÀ

31

l’esperienza umana, anche se rimane sempre aperta la questione dei loro rapporti e del loro equilibrio. Nel corso della modernità, i tentativi di costruire una me­ diazione tra logos e pathos, aspetti così complessi della vita umana, sono stati numerosi. Ma tali tentativi sono per lo più naufragati, determinando la formazione di regimi di autono­ mia - se non di vera e propria estraneità - tra la sfera del logos e quella delpd/Zzos. Astrarre significa uscire dalla situazione particolare e con­ tingente e oggettivare l'esperienza del mondo. Grazie alla ragio­ ne, un tale processo può essere condotto in modo intersoggetti­ va mente accertabile, così da rendere possibile la stabilizzazione di significati mediante linguaggi che ne permettono l’universalizzazione. A partire dall'ipotesi implicita che l'unica “vera” co­ noscenza è possibile solo nel momento in cui siamo capaci di isolarci dal mondo e sospendere le nostre emozioni, la moderni­ tà ha identificato il pensiero con la mente (astratta) e la ragione con la razionalità, separando quanto più nettamente possibile la sfera cognitiva da quella emotiva: l'unico legame “carnale" con la realtà è la sua traduzione nella tecnica, verso cui peraltro vie­ ne sublimata ogni passione. Sentire, invece, è la capacità di rapportarci affettivamente al­ la realtà, immergendoci in essa. Attraverso i nostri sensi, noi siamo in rapporto costante con il mondo e, per questa via, lo “patiamo". L'essere umano è capace di provare emozioni, di nu­ trire passioni, di amare e di odiare, di accorgersi di una soffe­ renza, di soffrire per una ferita, di sentire dolore, di aver paura, di desiderare. In questo modo, è altresì possibile fare l'esperien/a dell'aderire, del fondersi, del sentirsi parte. Con la modernità il logos è stato dunque interpretato come lo strumento per protendersi verso l’oggettività e l'universalità, mentre il pathos è diventato il regno del soggettivo e del partico­ lare concreto. Di conseguenza, solo il logos poteva aspirare a (ungere da guida allo sviluppo personale e sociale, mentre il pa­ thos rimaneva confinato nell'interiorità e, come tale, inaccertahile e insindacabile. D’altra parte, come la ragione doveva esclu­ dere ogni interferenza da parte della dimensione sensoriale e aflettiva, così il pathos doveva venire radicalmente sottratto all'or­ dine del logos. È questa anche la prospettiva di Weber, secondo il quale il processo di razionalizzazione, che è il tratto più tipico della modernità occidentale, si caratterizza per la tendenza a privile­ giare unilateralmente il logos rispetto al pathos. In questo mo­ llo, la modernità riprende e, per certi aspetti, estremizza il dua­ lismo platonico: la ragione che deve illuminare l'uomo moder-

32

LIBERTÀ IMMAGINARIA

no ha bisogno di liberarsi da tutte le interferenze - emotive, simboliche, fisiche - per poter esprimere il meglio di sé. Essen­ do considerato il campo deirirrazionale e, pertanto, al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo e di utilizzabilità, il sentire è stato a lungo guardato e trattato con sospetto. Il corpo deve es­ sere sacrificato, le passioni contenute, le emozioni privatizzate. Come ha sottolineato Arpad Szakolczai (2007), seguendo ta­ le direzione la modernità ha comportato il drastico ridimensio­ namento del progetto rinascimentale, che, nel rimettere al cen­ tro l’uomo, prevedeva, invece, una definizione antropologica molto più ricca e integrale. Già nel corso del Quattrocento si in­ travedono i sintomi di una crisi che resterà poi irrisolta nei se­ coli successivi. In fondo, mentre il logos, con la sua pretesa di ri­ fondare la stessa definizione di verità, serve alla modernità, il pathos è un ingombro scomodo e intrattabile e, come tale, da li­ mitare e contenere. L’Illuminismo segna il punto più alto di un tale percorso, nel momento in cui si afferma l'idea che la vera caratteristica del­ l’essere umano, ciò che lo può liberare da tutte le sue catene, è la ragione, a cui viene attribuito un ruolo emancipante. In questo modo la vicenda moderna assume una particolare inclinazione, consistente nel mettere tra parentesi la corporeità e la sensibili­ tà, conseguenza di una radicalizzazione del processo di oggetti­ vazione, che definisce un atteggiamento di distacco tra l'essere umano osservatore nonché agente e il mondo circostante, che va studiato, conosciuto e usato. Il cogito ergo sum di Cartesio se­ gna emblematicamente questa importante stagione storica che troverà in Kant e Hegel i suoi massimi esponenti. L’aver provato a mettere tra parentesi ciò che fa dell’uomo un essere capace di passione e di compassione è stata, però, una forzatura imperdonabile, che spiega come mai i pur generosi sforzi per costruire un mondo razionale, perfettamente organiz­ zato e morale, abbiano finito per generare, al di là dei pur rag­ guardevoli risultati, mondi disumani - in cui gli esseri umani erano ridotti a cose - o per cadere negli abissi delle passioni ir­ razionali sul piano individuale o collettivo. Come magistralmente, ricostruito da Taylor (1993), il Ro­ manticismo è il primo e più importante movimento culturale che reagisce a tale deriva, ponendo in tutta la sua intensità la questione della sfera affettiva. E tuttavia, sulle basi delle pre­ messe appena ricordate, la questione riaperta dal Romantici­ smo rimane difficilmente ricomponibile nell’orizzonte moder­ no, dato che l’intera sfera del pathos, rimanendo esclusa dalla possibilità di una qualunque forma di intersoggettività condi­

I«l< LOIA STORIA DELLA MODERNITÀ

33

vi mi, è condannata alla sfera dell'irrazionale e del meramente m iggettivo.13 Un tale sbocco è altamente problematico, anche perché la modernità va a incidere sulle condizioni di vita e sui rapporti soi la li e, di conseguenza, ha un enorme impatto sui vissuti delle persone. Come peraltro dimostra la storia degli ultimi secoli, co­ si mitemente attraversata da violentissime spinte di natura fusioimie: la classe, la nazione, la religione, sono tra i principali conte­ ntion in cui l'elemento passionale ha trovato sfogo, in vari modi r con diversa intensità. E questo perché, come avevano mostrato In modo molto diverso sia Karl Marx sia Émile Durkheim, non si può spiegare la società moderna senza fare riferimento a catego­ rie come sacro, profano, rappresentazione collettiva, stato di efIcrvcscenza, solidarietà, adesione.14 La problematicità di tale rapporto si è ulteriormente aggra­ vala nel corso del Novecento per il concorso di due processi op­ posti ma convergenti: il restringimento del logos e il ripensa­ mento del pathos. Dal lato del logos, il secolo che si è chiuso è stato caratteriz­ zato dalla sempre più grande crisi di fiducia nella capacità della Bigione di costruire universali condivisi. Dopo Kant e Hegel, la Moria della filosofia e dell’epistemologia è andata tutta in questa direzione, cosicché il processo di razionalizzazione, che pure prosegue senza sosta, è sempre più ridotto alla sfera della razio­ nalità strumentale (teukein). Tale deriva, già colta alla fine del­ ti )llocento da Friedrich Nietzsche e Max Weber, si accelera dei I su mente a seguito della cosiddetta "svolta linguistica" di I .udwig Wittgenstein, la quale nega la possibilità di una qualche torma di universalismo basato sulla ragione, vista l'impossibiliIA eli sfuggire "alla conseguenza che i diversi limiti dei mondi pensabili da voi e da me hanno a che fare con la diversità dei lingmiggi in cui e mediante cui li pensiamo" (Ferrara, 2008:5). Ci voirà del tempo, ma a poco a poco una tale impostazione filosoIh n filtra nel tessuto sociale dei paesi avanzati, rafforzata anche dal rapidissimo potenziamento dei sistemi della comunicazione i he, se da un lato esaltano la parola, dall'altro la indeboliscono. 1 ’ Problema che investe direttamente lo stesso pensiero di Weber nel mo­ linello in cui introduce la nozione di charisma come qualche cosa che sfugge al­ bi Mera del razionale e che attiene eminentemente alla relazione tra il capo carim mitico e il gruppo di riferimento. N Su questo punto merita una nota specifica l’ottimo studio di David Lock...... il, che, sviluppando la questione introdotta dalla sua nota distinzione tra inli'Uiiizione sociale e integrazione sistemica, affronta il contributo di Marx e Dur­ kheim in una prospettiva che è assai utile per il discorso che qui si propone. Si vrdii Lockwood (1992).

34

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Tuttavia, questo percorso di arretramento della ragione tocca solo il processo di significazione che fa riferimento al legein. Sul piano del teukein - o della ragione strumentale - le cose sono andate molto diversamente, con un potenziamento che ha inte­ ressato sia la sfera della ricerca scientifica sia Parca dell'applica­ zione tecnologica. In questi campi, gli sviluppi dell'ultimo seco­ lo sono stati (e continuano a essere) impressionanti. All'intemo di un tale quadro, nonostante tutti gli sforzi della ragione strumentale (teukein) di costituirsi come unico metro della realtà, la composizione dei significati (legein) è un compito che diventa sempre più chimerico: se, come moderni, non pos­ siamo non essere d'accordo nel constatare e apprezzare il plura­ lismo di significati tra loro in concorrenza, dobbiamo nel con­ tempo ammettere che non disponiamo di alcun criterio o proce­ dura soddisfacente per poterli mettere a confronto e per valutar­ ne la fondatezza. La “ragione debole” restringe a tal punto la propria sfera dazione da considerare intrattabile qualunque questione di verità come significato, lasciando così campo libe­ ro al teukein e alle sue realizzazioni. Sul piano istituzionale, ciò si è tradotto nell'affermazione delle posizioni proceduraliste, secondo le quali è possibile utiliz­ zare la razionalità come punto di appoggio per costruire assetti provvisori e il più possibile poco impegnativi dal punto di vista dei riferimenti.15 In questo modo si è raggiunto l'importante obiettivo di desacralizzare le istituzioni, liberandole dall’aura che le rendeva sempre suscettibili di dar vita a vorticose dinami­ che di potere, ma al tempo stesso ci si è esposti a un loro intimo indebolimento, dato che la base della loro legittimazione ha per­ so progressivamente di consistenza. Il restringimento del logos va di pari passo con un radicale ri­ pensamento del pathos', invertendo la direzione prevalente dei secoli precedenti, già il xix secolo aveva reso manifesta l'impos­ sibilità di comprimere oltre misura la dimensione affettiva del­ l'essere umano. Ma la misura viene superata a seguito della sco15 Esemplare da questo punto di vista è la posizione del più importante filo­ sofo politico americano, John Rawls, che costruisce la sua teorizzazione a parti­ re da un punto di vista astratto che chiama posizione originaria. Con tale espres­ sione intende un contesto ipotetico in cui vi sono dei rappresentanti di tutte le pani sociali i quali, dietro il "velo dell’ignoranza’’ - ossia senza sapere nulla "del­ le proprie concezioni del bene c delle proprie particolari propensioni psicologi­ che", della propria posizione di classe e del proprio status, delle proprie doti e capacità naturali - e dunque senza poter basare la loro scelta di un principio piuttosto che un altro sulle loro preferenze o interessi, discutono intorno alle li­ nee fondamentali che devono informare rassetto istituzionale della società (Rawls, 1982:120).

PK COLA STORIA DELLA MODERNITÀ

35

[torta per cui ciascuno di noi, prima ancora che con gli altri, de­ vo fare i conti con un altro Io che sfugge persino alla conoscen­ za di noi stessi. Riprendendo alcune delle questioni che erano state sollevate dal Romanticismo ottocentesco e fondendole con il nichilismo nietzscheano, Sigmund Freud (1971) delinea un’idea di essere umano al cui centro c'è una mescolanza di interiorità e corpo­ sità e alla cui base si trovano le pulsioni e il principio del piace­ te. Nella misura in cui la felicità scaturisce dal soddisfacimento, per lo più improvviso, di bisogni fortemente compressi, essa non può che essere episodica. Per Freud, il progresso tecnico è addirittura "privo di valore per l'economia della nostra felicità", i he è tanto più intensa quanto più può dare sfogo ai "moti puldonali sfrenati" della personalità. "L’irresistibilità degli impulsi pervèrsi" è un dato di fatto con il quale occorre fare i conti e, poiché le mete più elevate "non scuotono la nostra esistenza corporale", il soddisfacimento che pure troviamo nel raggiun­ tene non è paragonabile per intensità "ai moti pulsionali più tozzi e primari". Se c'è una verità, questa è dunque di tipo sog­ gettivo e pertinente al nostro corpo pulsionale. L'accostamento tra sfera affettiva (pathos) e dinamica pulsiotiale (eros) porta Freud a contrapporre pathos e civiltà (logos), voti l’incomprimibile desiderio dell'essere umano di sfuggire ai condizionamenti del mondo istituzionale - portato sempre più Invadente della modernità. La ribellione dell'individuo in carne t< ossa, dettata dalle pressanti esigenze dell’esistenza, alle richie­ ste oppressive dell'ordine sociale diventa così la nuova frontiera della libertà. Secondo Freud, l’uomo non riesce a sentirsi felice in un inondo che è sempre più organizzato: anche se disponeva di un minor benessere, l’uomo primordiale stava meglio perché pota­ va concedersi il lusso di ignorare le restrizioni pulsionali. La po­ lemica di Freud, che "l’uomo civile ha barattato una parte della «mi possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”, è durissima. Tesi ripresa, come è noto, da Herbert Marcuse (1964), il quale pone proprio la repressione sessuale imposta dalla civiltà come uno dei punti di massima tensione presenti nella vita moderna. In questa prospettiva, la civiltà - regno dell'applicazione del­ la ragione rigida in quanto oggettiva e universale - è costrizione i> controllo della pulsione originaria. E la società occidentale - ap­ parentemente individualizzata e libertaria - avanza richieste ele­ vatissime al singolo individuo: da un lato essa regola rigidamen­ te l’intera sfera pubblica nel quadro delle istituzioni razionali, dall'altro costringe la dimensione affettiva nella sola sfera priva­ la - a sua volta retta dai rigidi princìpi morali della tradizione,

36

LIBERTÀ IMMAGINARIA

che ammettono solo l’amore duraturo, monogamo ed eteroses­ suale. Rispetto a un contesto così esigente, Freud ritiene che il costo dell’adattamento - scaricato interamente sulle spalle del singolo individuo - sia troppo elevato, con le conseguenti inevi­ tabili nevrosi che ciò comporta. Per superare tale criticità, Freud invoca un’epoca di liberazione, il cui senso è riassumibile in poche righe: “una comunità civile consistente di individui doppi, i quali saziati libidicamente in se stessi sono collegati tra loro in virtù della comunanza di lavoro e interessi. In questo ca­ so non si avrebbe bisogno di togliere energia alla sessualità. Questo stato di cose desiderabile [...]” (Freud, 1971:243). L’influenza di Freud sulla cultura del Novecento è enorme, soprattutto per quanto riguarda questa sua indicazione circa la necessità di invertire la rotta della modernità, tutta tesa a otte­ nere elevati livelli di autocontrollo. Contrapponendo la verità della libertà individuale a quella della civiltà, Freud arriva a por­ re la modernità contro se stessa: solo fuggendo dalle costrizioni del mondo organizzato è possibile tornare a sentire l’ebbrezza della felicità perduta. La problematica convergenza di questi due processi è alla base del tempo che stiamo vivendo. Da un lato, la progressiva sfiducia nel logos comporta non solo la rinuncia a qualsiasi pro­ getto teso a realizzare, attraverso il legein, una ricomposizione collettiva dei significati, ma anche la libera affermazione del teukein, che plasma sempre più in profondità gli apparati istitu­ zionali che reggono la modernità avanzata. La razionalizzazio­ ne si riduce così allo sviluppo tecnico-scientifico che sistemati­ camente interviene modificando le condizioni stesse della no­ stra vita personale e relazionale. Ciò non può che lasciare un enorme vuoto di senso che grava sulle spalle del singolo indivi­ duo, che si ritrova nella condizione paradossale per cui, nel mo­ mento in cui gli viene detto che spettano a lui l'onere e l’onore di costruirsi un discorso sul mondo e sulla propria condizione, gli viene altresì suggerito che gli strumenti - la parola e la ragione che dovrebbero servire per dare risposta a tale questione non funzionano più. Dall'altro lato, il riconoscimento della carica pulsionale e del valore dell'esistenza personale comporta la rivalutazione della sfera affettiva che si riconosce non possa essere semplicemente repressa. Anziché limitarsi a chiedere il sacrificio delle pulsioni o a sacrificare le esigenze dell'esistenza personale in nome di un qualche valore supremo, uno sviluppo che abbia a cuore la li­ bertà deve cercare di creare canali di espressione non repressiva del l’interiorità umana. Anche perché la domanda di senso può trovare risposta più a questo livello che non mediante un discor-

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

37

«o razionale. Il problema è che, interpretata in un'ottica pulsionale e soggettivistica, senza più alcuna relazione con il logos, la nlera del pathos - che pure guadagna spazio e riconoscimento ull’intemo della vita sociale - è semplicemente indeterminata e quindi ben poco in grado di sostenere una qualche stabile sog­ gettività (per non dire quindi dell'intersoggettività). Noi oggi siamo i figli di quésta triplice dinamica. La rinuncia u utilizzare il legein come risorsa collettiva per la costruzione del »cnso, la riduzione del logos al teukein, la rivalutazione del pa­ thos, ridefiniscono per intero la questione sociale nelle società nviinzate.

Dalla trascendenza intramondana all'immanenza La storia dell’occidente è profondamente segnata dalla sco­ perta della trascendenza, intesa come capacità dell'essere uma­ ni» di andare al di là dell'immediatezza della propria condizione r di pensarsi collocato in un orizzonte sovratemporale rispetto ni quale vengono costruite le comici di senso dell’esistenza uma­ na. In questa stessa tradizione, tale apertura è in larga misura coincisa con una particolare curvatura, che è quella dell'espe­ rienza religiosa, laddove uno dei significati di questo termine re-ligo - è un derivato del legein nel suo senso originario (met­ tere insieme, raccogliere, spiegare). Secondo Mircea Eliade (1981), forse il più grande antropolo­ go delle religioni del xx secolo, “il sacro è un elemento della «trattura della coscienza e non un momento della sua storia”. II significato di tale espressione è stato pienamente sviluppato dal­ l’opera di uno dei suoi più importanti allievi, Julien Ries (1989), «mondo il quale la natura simbolica dell’essere umano è alla ba-> ac della capacità che detiene di essere aperto alla trascendenza, title attitudine consta di tre elementi di base: l'autocoscienza del «oggetto (coscienza di avere coscienza); il sentimento di ango«vln nei confronti della propria finitudine, e in particolare della morie; l’apertura all'eccedenza e alla alterità. Secondo Silvano l’vtrosino, "queste tre relazioni, richiamandosi e definendosi l'ima l’altra, si stabiliscono sempre contemporaneamente, dan­ do così vita a un intreccio che costituisce la trama stessa di quell'cKperienza all’interno della quale qualcosa come una coscienza prende forma” (Petrosino, 2008:8). Rimanendo all’interno del punto di vista dell’osservatore, è del tutto arbitrario negare lìm|M»rtanza di questa attitudine trascendente. E persino un autore i urne Marcel Gauchet (2002:286) ha affermato che la condizio­ ne umana non può essere compresa prescindendo dall’elemento

38

LIBERTÀ IMMAGINARIA

invisibile, cioè da ciò che non è riducibile immediatamente alla dimensione materiale: “Al di là del nostro corpo visibile, qualco­ sa della nostra intima identità sfugge al visibile [...] in quanto parlanti, noi siamo fatti anche di una componente invisibile”. Nella storia umana - e specialmente in quella occidentale - il gioco tra concretezza del corpo, con tutte le sue urgenze, e con­ cretezza dell'invisibile, portatrice di istanze ugualmente cogen­ ti, è sempre stato un elemento centrale, come peraltro ha mo­ strato Finterà opera di Weber, il quale ha posto proprio la rela­ zione tra dimensione mondana ed extramondana alla base del suo quadro interpretativo. Secondo Weber (1962), il dinamismo delle società occidenta­ li ha a che fare con Videa di trascendenza che ha alimentato la predisposizione all'innovazione e alla critica, due fenomeni che derivano dalla disponibilità di un punto di vista esterno da cui è possibile osservare la realtà. D'altra parte, va anche detto che le stesse società occidentali non sono state immuni dalla tentazio­ ne di impiegare la violenza per voler far aderire il mondo all'or­ dine mutuato dal riferimento trascendente. Viceversa, in altre culture dove è prevalsa l'immanenza, la vi­ ta sociale è risultata più votata all'armonia ma anche meno ca­ pace di mettersi in discussione, dato che diventa molto più diffi­ cile riuscire a concepire qualcosa di diverso rispetto alla realtà così com'è. L'immanenza ha a che fare con la capacità di immer­ gersi nella contingenza, di cogliere il dettaglio, di vivere intensa­ mente il presente, di sentirlo, di gustarlo. E questo perché il si­ gnificato sta nelle cose, nel nostro rapporto con esse, e non ol­ tre, al di fuori di esse. Indubbiamente, la modernità apre una lunga fase storica nella quale la relazione tra queste diverse prospettive viene, a poco a poco, profondamente ripensata. È ovvio che l'uscita dalla “trascendenza trascendente” della cristianità medioevale16 - forte di un radicamento secolare non poteva avvenire in modo troppo brusco. Per questa ragio­ ne, l'apertura della cosmologia religiosa, che si verifica tra la fi­ ne del Medioevo e l'inizio della modernità, ha privilegiato, in una prima lunga fase, la mondanizzazione rispetto all'uscita dall'orizzonte trascendente: il progetto civilizzatore della mo­ dernità è stato a lungo intriso di una tensione teleologica intramondana che si è manifestata prima di tutto nel ruolo attribui16 La "trascendenza trascendente” corrisponde all'orientamento mistico extramondano secondo le categorie di Weber, orientamento nel quale prevale sia lo scarso peso dato alle piccole cose di tutti i giorni che riempiono le nostre gior­ nate, sia lo sguardo aperto sull'orizzonte escatologico.

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

39

to alla ragione come via per prendere le distanze dal mondo co­ ni com era e per generare un cambiamento sociale nella dire­ zione di uno sviluppo economico, sociale e politico teso alla co­ nduzione della città terrena perfetta (Lòwith, 1989). Per molto tempo, la politica è stata Fanello di congiunzione tra questo perdurante atteggiamento trascendente e il processo di mondanizzazione tipico della nuova èra. A partire dall appa­ rizione delle utopie - figure come quella di Gioacchino da Fiore v di Tommaso Moro mettono emblematicamente in luce lo stret­ to nesso tra tradizione religiosa e modernità - la politica diven­ ta il luogo dove far precipitare una visione trascendente all’intarno della storia. Sulla base di queste premesse, per un lungo 1 rutto di storia, le idee di democrazia, di nazione e di socialismo hanno- rappresentato degli equivalenti funzionali della religione I discendente: Finvisibile era passibile di essere orientato nella direzione di una fede comune, per quanto conflittuale e proble­ mi! tica. E proprio questa intima ambivalenza spiega l'estrema problematicità della politica nelle vicende di questi ultimi seco­ li, laddove il furore dei giacobini ne è stato l'incarnazione più drammatica. Ma, parallelamente a questo processo di mondanizzazione della trascendenza, procede anche un altro fenomeno, ugual­ mente importante, pur se meno visibile. Si tratta del progressivo irM cingimento, lungo tutta la vicenda moderna, dell'orizzonte npnzio-temporale dentro cui l'esistenza viene pensata: non più il « osino e la salvezza dell'anima, ma la vita quotidiana e la crea­ zione di condizioni adatte alla prosperità e alla sicurezza. È i|(irllo che Louis Dumont (1991) ha chiamato “individu dans le monde", caratterizzato da una spiccata proiezione intramondaiim Sono soprattutto la crescita economica e lo sviluppo tecnico li loè i due canali principali mediante cui il teukein si istituzio-* italIzza) che, modificando le concrete condizioni di vita di quote । rcNcenti della popolazione, agiscono in questa direzione: se la ♦mrcanza moderna era quella di affrancarsi dai condizionamen­ ti materiali, è in questi ambiti, più che in astratti discorsi politi• 1, che la risposta comincia a essere cercata e trovata. E, in effetII, gli straordinari successi ottenuti nel corso degli ultimi secoli ♦ Ivlrrminano, a poco a poco, una vera e propria rivoluzione si­ lenziosa, con il progressivo restringimento dell'immaginazione li (incendente all'interno dell'immediatezza del desiderio, sia per lincilo che riguarda gli oggetti del benessere messi a disposizio­ ne dallo sviluppo, sia per quello che concerne le relazioni con le ♦ilIre persone, e in modo particolare la sfera affettivo/sessuale. I ìnne osserva Taylor (1993), la valorizzazione della dimensione mondana, ordinaria e quotidiana della vita, a partire dalla crisi

40

LIBERTÀ IMMAGINARIA

della visione cosmologica generata dalla cristianità, si sviluppa secondo diverse linee. In particolare, a poco a poco, si comincia a ritagliare una sfera cosiddetta privata che, in contrapposizio­ ne a quella pubblica, non deve essere oggetto di decisione politi­ ca ma restare all’intemo della sfera intangibile della scelta per­ sonale. Secondo Taylor, ciò spiega come mai la sfera collettiva tenda progressivamente a disinteressarsi del tema della * virtù” per concentrarsi su questioni come il benessere o la sicurezza: favorendo un grado crescente di stabilità esistenziale, la moder­ nità estende a milioni di persone la possibilità di pensare in sen­ so compiuto la propria esistenza. Non più un privilegio che ri­ guarda i grandi uomini, ma uno spazio di autonomia che com­ pete a tutti. Per questo, anche la politica a poco a poco si secola­ rizza, diventando un “servizio reciproco che si impernia sui bi­ sogni della vita comune, piuttosto che puntare ad assicurare agli individui la virtù suprema” (C. Taylor, 2005:35). Quanto più si muove lungo questa seconda direttrice, tanto più la moderni­ tà restringe le proprie coordinate spazio-temporali, valorizzan­ do sempre di più l’immediatezza e la simultaneità: “Da un certo punto di vista la secolarizzazione moderna può essere compresa come il rifiuto dei tempi superiori e la definizione dei tempi co­ me qualcosa di meramente profano. Gli eventi esistono adesso solo in quest unica dimensione dove si trovano a una distanza temporale maggiore o minore e in rapporti di causalità con altri eventi dello stesso tipo. Emerge così il concetto moderno di si­ multaneità, in cui eventi del tutto slegati per causa e significato sono tenuti insieme dalla loro convenienza allo stesso punto in questa singola linea temporale profana” (C. Taylor, 1993:104). Solo nella seconda metà del xx secolo si arriverà a una crisi più generale dell'idea di trascendenza. La penetrazione della se­ colarizzazione, il progressivo ritiro della ragione e la sua ridu­ zione a razionalità tecnica, il fallimento del comuniSmo, le diffi­ coltà di conservare l’idea di sviluppo, la sicurizzazione della vita quotidiana che segue all’affermazione della società del benesse­ re, sono tutti fattori che concorrono a rendere più problematica ogni proiezione verso il futuro e a favorire l’enfasi sul presente. Sul piano filosofico, il pensiero post-moderno e, sul piano tecnologico, i progressi nel campo dell’informatica e delle bio­ tecnologie, sembrano convenire attorno a una sensibilità più spiccatamente immanentista, con la rinuncia a ogni apertura trascendente. La virata è così decisa da andare al di là del sem­ plice recupero della sfera intramondana - anch’essa vista ormai come troppo astratta e deludente per ospitare qualsivoglia ten­ sione utopica - per mettere l’accento soprattutto sulla materiali­ tà e sull’immediatezza. In questo modo si rischia di perdere

1*11 (OLA STORIA DELLA MODERNITÀ

41

quella distanza nei confronti di ciò che l'uomo fa, che il "rifiuto religioso del mondo" era riuscito ancora a garantire negli ultimi mh’oIì della storia occidentale.17 Una perdita sostenibile solo nel momento in cui il sistema tecnico diventa potente al punto da tendere in qualche modo superflua l'opzione trascendente in quanto tale. Come si vedrà meglio nei capitoli che seguono, il riequilibrio Ira immanenza e trascendenza apre numerose incognite che ri­ ll ovi amo poi all'origine di molte delle questioni cruciali del no­ ni ro tempo. Ma per il momento è sufficiente sottolineare che il lampo che viviamo è intimamente segnato da questa torsione e da Ile sue conseguenze.

// capitalismo tecno-nichilista e immaginario contemporaneo della libertà Finché si è trattato di reagire e compensare gli eccessi della lane precedente - con il richiamo al valore dell'individualità, del­ la ragione e dell'esistenza intramondana - la modernità ha dato Il meglio di sé, spingendo gli esseri umani a una composizione più alta dei diversi aspetti della vita. Ma via via che si è inoltrata lungo i suoi sentieri, la vicenda moderna è diventata sempre più । mciira: quanto più si è andata affermando, tanto più la libertà lui perso la sua tensione originaria verso la verità, finendo per sviluppare un'antropologia oppositiva - minimalista e contrad­ dittoria - palesemente in difficoltà nel trattare le tre polarità a i ni si è fatto riferimento nelle pagine precedenti: contrapponen­ do individuo e gruppo, il cammino verso la libertà rimane in ha­ liti di una continua oscillazione tra concezioni iperatomizzate dell’essere umano e reazioni ipercollettivistiche; la contrapposi­ zione tra logos e pathos mentre, da un lato, favorisce la riduzió­ ne della razionalizzazione a mera applicazione tecnica priva di qualunque riferimento di senso, dall'altro compromette un re­ cupero adeguato della sfera affettiva, che tende a essere ridotta alle sue componenti della pulsionalità e dell'emotività; renden­ do antitetiche trascendenza e immanenza, il percorso moderno descrive una parabola che dalla "trascendenza trascendente" ereditata dal periodo storico precedente, passando attraverso la ’’trascendenza immanente", va verso una "immanenza imma­ nente" che non solo appare in difficoltà nell'affrontare le que­ 17 Mi sembra assolutamente degno di nota il fatto che Weber (1982:525 e *rgg.) abbia intitolato il suo celebre “Intermezzo” con "Teoria dei gradi e delle dilezioni di rifiuto religioso del mondo”.

42

LIBERTÀ IMMAGINARIA

stioni che essa stessa solleva, ma che sembra anche esporre a ri­ schi involutivi la stessa libertà. Ciò che, nelle prossime pagine, verrà chiamato “capitalismo tecno-nichilista" (ctn) costituisce una nuova fase nella lunga vicenda moderna, stadio che si afferma nel momento in cui en­ trano in crisi gli assetti istituzionali, sociali e culturali costruiti nel secondo dopoguerra. Anticipando la linea del ragionamen­ to, nel testo si cercherà di mostrare che, nella misura in cui non riesce a superare la logica contrappositiva tra le tre polarità so­ pra evocate (individuo contro collettività; pathos contro logos*, immanenza contro trascendenza), il ctn rischia di rivelarsi tap­ pa nella sequela dei fallimenti che hanno finito per avvelenare i tanti importanti successi che pure la vicenda moderna ha sapu­ to segnare. Nelle pagine che seguono, il ctn verrà analizzato alla luce della nozione proposta da Taylor di “immaginario". Con tale espressione Fautore canadese intende quell’insieme di pratiche, di comprensioni, di saperi impliciti che rendono possibili prati­ che comuni e un senso di legittimità condiviso in modo suffi­ cientemente ampio (C. Taylor, 2005:37). Come tale, l’immagina­ rio è una creazione sociale-storica e psichica di figure/forme/immagini, a partire da cui si può parlare di “qualche cosa" nel mondo sociale (Castoriadis, 1996:130). In questo senso, esso non è semplicemente la riproduzione della realtà, ma vi intro­ duce un dinamismo che si basa sulle rappresentazioni collettive che definiscono lo sfondo dei discorsi e delle relazioni sociali. Attraverso l’immaginario, gli individui e i gruppi sociali creano forme e figure nuove che vengono poi incarnate nelle istituzioni sociali e nelle soggettività psichiche. L’immaginario non è dunque semplicemente una teoria - an­ che se spesso traduce intuizioni teoriche - ma prima di tutto un modo di vivere e di leggere la realtà, i rapporti con le altre persone, il proprio posto nel mondo. Come tale, esso supera il piano del discorso per affiorare nei comportamenti e nelle re­ lazioni. In questo senso, se è vero che l’immaginario sociale fornisce alcuni dei riferimenti che servono agli attori sociali per vivere nel loro tempo e ha a che fare con un repertorio di azioni e di giustificazioni che creano il mondo sociale nel qua­ le la vita quotidiana ha luogo, non si deve tuttavia dimenticare che ogni nostra comunicazione, ogni nostro discorso nascon­ de anche un retropensiero, qualcosa di non detto, che agisce però come potente orientatore. In questo modo I’immaginario definisce lo sfondo sul quale la vita sociale è proiettata; il che permette “l’operazione di donazione di senso al nostro mondo nel suo complesso, cioè al nostro senso della nostra condizio­

PICCOLA STORIA DELLA MODERNITÀ

43

ne temporale e spaziale complessiva, tra gli altri e nella storia" (C. Taylor, 2005:41). Chiamo ctn una logica di strutturazione dei rapporti sociali che ha contribuito a plasmare Finterà configurazione storico­ sociale sviluppatasi all'interno dei paesi occidentali18 negli ulti­ mi tre decenni sulla base di un nuovo immaginario della libertà formatosi tra gli anni sessanta e gli anni ottanta. Obiettivo di (|ilesto lavoro è di tracciare gli elementi costitutivi di tale logica, mettendo in luce, in modo particolare, le sue implicazioni dal luto delle idee e delle pratiche della libertà. Dall’intendere il ctn come una forza che si produce in rela­ zione all'immaginario contemporaneo della libertà, consegue un avvertenza importante: per definizione, ciò di cui si parlerà nelle prossime pagine non ha ovviamente la pretesa di descrive­ re la realtà del tempo che viviamo. Quest ultima rimane infinita­ mente più complessa e articolata. Oltre a quella presa in consi­ derazione, molte altre logiche sono in gioco e contribuiscono a determinare il corso degli eventi. Ma ciò non toglie che il ctn proprio perché ha incarnato una certa interpretazione della li­ bertà in una fase storica in cui lo spazio di autonomia indivi­ duale si è andato ampliando - possa essere considerato uno dei lui tori che ha contribuito a orientare più profondamente l'evoluzione sociale dell'ultima parte del xx secolo. Aggiungo subito che il futuro del ctn rimane altresì assai incerto: ad oggi non è iiITatto chiaro se un tale modello possa avere la forza di imporsi, Incitando le contraddizioni che lo segnano, o se sarà invece co­ ni retto a recedere rapidamente, sfidato dalle reazioni e dalla cri­ ni che già determina.19 Parlare di ctn non significa voler traccia­ re la traiettoria dello sviluppo dei prossimi anni: significa piut­ tosto delineare una potente forza in campo, con la quale dobbia­ mo, in ogni caso, fare i conti.

,H II ctn è propriamente una configurazione che interessa il Nord America e ri'.uropa, anche se la sua influenza diventa globale attraverso quel processo che lo caratterizza e che è stato chiamato "globalizzazione”. Il modo in cui questo modello si è concretamente applicato è però molto diverso nelle varie parti del mondo, con combinazioni originali che non verranno prese in considerazione in ni lesto volume. Tuttavia, al di là di tali differenze, credo che il movimento di fon­ ilo di cui si parlerà nelle prossime pagine sia distintamente riconoscibile almeno i ielle due aree sopra ricordate. 19 La crisi finanziaria dell’autunno del 2008 è un segnale evidente della de­ bolezza del ctn. Nel cap. 9 ritornerò, seppur brevemente, su questo aspetto.

I. Nascita e sviluppo del capitalismo tecno-nichilista

2, Crisi e superamento del capitalismo societario

// capitalismo societario Alla luce del quadro interpretativo tracciato nel capitolo pre­ cedente, la storia degli ultimi secoli può essere pensata come il succedersi di fasi di lenta e faticosa costruzione di equilibri, se­ guite da rapidi e convulsi periodi di scomposizione. Per quelli che sono gli scopi di questo lavoro, il punto di rife­ rimento da cui partire è ciò che chiamo "capitalismo societario*’ (i n), cioè la configurazione sociale che si afferma in Europa e in Nord America1 nel secondo dopoguerra.12 Parlare di cs significa i (conoscere la particolarità di quella fase storica nei termini del­ la Nua forma di organizzazione sociale - la "società nazionale". Al di là delle mille tensioni, inadeguatezze e contraddizioni, l‘Incontrastato modello di riferimento, per circa mezzo secolo, è Muto quello societario. Solo con gli anni novanta gli equilibri che stavano alla base del cs sono entrati esplicitamente in crisi. Il progressivo incepparsi di tutta una serie di automatismi so­ ciali ha scatenato nuovi conflitti e aperto nuove opportunità. Quella che stiamo vivendo è probabilmente un'epoca di transi­ zione: usciti dal cs, siamo ancora alla ricerca di nuovi assetti ca­ paci di reggere alla prova dei fatti. Fondamentalmente, il cs - al di là delle varianti nazionali - è la costruzione che si è realizza­ 1 È utile ricordare che il cs ha riguardato solo la parte egemone, ma quantiin li vomente minoritaria, della popolazione mondiale, fondamentalmente ricon­ ducibile ai paesi ocse. 2 II concetto di capitalismo societario è una revisione, e un completamento, della nozione di “modernità societaria” impiegata in un precedente lavoro (Giuccardi, Magarti, 2003). Le pagine che seguono riprendono e sviluppano lineila impostazione.

48

LIBERTÀ IMMAGINARIA

ta, in un quadro di relazioni intemazionali tendenzialmente sta­ bili,3 di aggregati territorialmente definiti nei quali si è riusciti a far convergere e coesistere una “società”, definita dalla coinci­ denza di una cultura tendenzialmente integrata, di un'economia relativamente autonoma e di un apparato politico-istituzionale formalmente sovrano e democratico.4 Nei termini delle catego­ rie introdotte nel capitolo 1, il cs può essere visto come un mo­ dello che ha cercato di stabilire un legame esplicito tra il legein e il teukein mediante il ruolo centrale assegnato alle istituzioni dello stato nazionale. Non si può comprendere il cs, e la forza con cui ha inciso sulle dinamiche sociali, se non considerandolo come una rea­ zione alle gravissime deviazioni subite dal processo di sviluppo occidentale nella prima metà del secolo: la grande depressione, il nazismo, lo stalinismo, due conflitti mondiali. In un'opinione pubblica stremata ma desiderosa di guardare avanti, la dram­ matica catena dei disastri degli anni trenta suscitò energie mo­ rali sufficienti per sostenere il progetto di costruire nuove forme istituzionali che proteggessero le democrazie dai rischi involuti­ vi ai quali si erano trovate esposte. Proprio la reazione a quei traumi rese possibile l'affermazio­ ne di un'idea “materna” del rapporto individuo/istituzione, fon­ damentalmente volto a creare condizioni di vita più stabili e si­ cure attraverso l'attribuzione di un ruolo centrale alle istituzioni dello stato nazionale. È in questa cornice che si è affermata quella straordinaria innovazione che è stata il welfare state, tas­ sello che completa il lungo ciclo storico di costruzione di demo­ crazie basate sul riconoscimento dei diritti individuali (Mar­ shall, 1950). Dal lato collettivo, un tale disegno - basato sull'idea di solidarietà - permise di riversare le forti passioni che larghi strati della popolazione avevano nutrito nei confronti della pa­ tria e della classe su di un registro meno acuto, con il risultato non trascurabile di alimentare la partecipazione politica e il consenso sociale. Dal lato soggettivo, lo stato sociale era parte di una visione più ampia che presupponeva una certa prospettiva antropologica, secondo la quale l'uomo maschio adulto era de­ stinato a essere responsabile e razionale, lavoratore e cittadino, 3 Come si vedrà più avanti, la questione delle relazioni internazionali - del tutto assente nella riflessione sociologica del xx secolo - è tutt’altro che trascu­ rabile. Il cs è favorito anche da un prodotto degli esiti della seconda guerra mondiale e del blocco che deriva dalla contrapposizione tra Nato e Patto di Varsavia. 4 Tale convergenza è stata ovviamente solo tendenziale. La reale esistenza di società distinte e separate dal resto si è mostrata ben più problematica di quan­ to il modello astratto faccia pensare.

I MISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

49

mentre alla donna era lasciato il carico del lavoro domestico e del l’educazione dei figli (Zaretsky 2004:318-324). Allo scopo di Mabilizzare le personalità modali più coerenti con quel progetto di società - costruito con il contributo fondamentale delle scien­ ze sociali - si destinarono enormi risorse alla formazione dei minori, nella convinzione che lo sviluppo e l'integrazione socia­ le dipendessero, prima di tutto, dalla stabilità psicologica delle nuove generazioni. Talcott Parsons è l'autore che meglio di chiunque altro fu ca­ pace di cogliere questa fase storica, diventandone ben presto l’interprete più accreditato. Nella sua teoria, il concetto di "co­ munità societaria" è l'architrave che definisce l'equilibrio tra l’individuo e la collettività a partire da un'idea di società come tessuto di istituzioni culturalmente integrate e funzionalmente capaci di delineare, insieme alla divisione tra sfera pubblica e d’era privata, anche gli spazi di compatibilità tra logos e pathos. Il successo del cs, oltre che nell'eleganza teorica del modello pursonsiano, va cercato nella sua capacità di plasmare concreta­ mente l'esperienza quotidiana di centinaia di milioni di perso­ ne. Intanto perché esso rispondeva efficacemente alla domanda di rassicurazione che le drammatiche vicende degli anni trenta r quaranta avevano lasciato in eredità. E poi perché l'enorme apparato di istituzioni messo in campo si mostrò effettivamente In grado di risolvere molti problemi: non si potrà negare che, nel corso degli anni cinquanta e nei primi anni sessanta, le isti­ tuzioni dello stato nazionale siano effettivamente state capaci di migliorare la vita quotidiana di chi viveva nelle società occiden­ tali. Si pensi, ad esempio, a cosa ha voluto dire la creazione dei idstemi sanitari nazionali, con l'accesso all'assistenza pubblica gratuita; o alla riforma del mercato del lavoro, con la definizio­ ne giuridica dello status di occupato e disoccupato. Nel momen­ to in cui tali riforme avvenivano, i cittadini si accorgevano che a cambiare era la loro concreta condizione di vita: come poteva non creare consenso un tale risultato? In questo modo, l'idea di sviluppo scendeva dalle vette dell'utopia per incarnarsi nella concretezza della vita quotidiana di milioni di persone. Tuttavia, l'eccesso istituzionale - conseguenza sia della prio­ rità logica dell'istituzione sull’individuo sia del carico di conte­ nuti di cui venivano investite le istituzioni (statali) - costituiva il punto debole di tale modello. Allo scopo di funzionare adegua­ tamente, il cs doveva essere piuttosto rigido ed esigente: per te­ nere insieme sviluppo economico e integrazione sociale, esso doveva far accettare un ordine istituito. In questo senso, il cs è la punta più avanzata di quella nobile e antica tradizione che assume una concezione del potere cen­

50

LIBERTÀ IMMAGINARIA

tralizzata e unitaria. Per quanto, nel corso di alcuni secoli, il movimento democratico avesse temperato tale monismo - so­ stenendo la progressiva articolazione della vita sociale - il mo­ dello societario era sostenibile solo con un grado elevato di inte­ grazione sociale e sistemica (Lockwood, 1964). A posteriori, si può ben dire che una condizione importante per 1 ottenimento di quel risultato fu la tendenziale coincidenza tra l'interesse dei poteri istituiti e quello individuale: ed è su questa base che è stato organizzato lo scambio tra società civile e sistema politico. Ma quello che importa qui sottolineare è che le istituzioni del cs assommavano e facevano coincidere i com­ piti di funzionamento e di organizzazione della vita sociale (in­ tegrazione sistemica) con quelli di determinazione dei significa­ ti (integrazione sociale). In questo modo, i ruoli all'intemo delle istituzioni del cs tendevano a far coincidere potestas - come ca­ pacità di decidere - e auctoritas - come potere simbolico. Ciò dava vita a un potere che, seppur vincolato alla ricerca del con­ senso democratico, non si limitava a soddisfare i bisogni indivi­ duali, ma puntava a radicare significati collettivamente condivi­ si. Legein e teukein erano congiuntamente messi al lavoro nel quadro del cs. Un caso interessante è quello della scuola. Posta al centro del complesso processo di socializzazione, essa ha costituito un'isti­ tuzione cardinale dello stato-nazione: il suo compito era prima di tutto quello di riprodurre le condizioni culturali dell'organiz­ zazione sociale, obiettivo che veniva perseguito puntando a for­ mare, da una parte, dei cittadini, consapevoli della propria col­ locazione in una tradizione e in una collettività, e, dall'altra, dei lavoratori, in grado di entrare nel mercato del lavoro e di contri­ buire alla produzione della ricchezza collettiva. L'aspetto straor­ dinario di quel modello era che la scuola diveniva un'istituzione capace di tenere insieme il mandato culturale - il suo compito consisteva nel raccontare la storia della nazione, nell’insegnare la lingua nazionale, nel proporre i valori della tradizione e della vita sociale - con quello più tecnico-economico - che voleva di­ re preparare giovani professionalmente competenti. In questo modo, la scuola veniva legittimata a selezionare “i migliori" anche se poi, più prosaicamente, nella maggior parte dei casi, ciò ha concretamente finito con il riprodurre le vecchie disugua­ glianze sociali (Bourdieu, Passeron, 1972). Combinare queste diverse anime è sempre stato difficile. E tuttavia, pur con tutte le tensioni che questa natura duplex ha provocato, la scuola (pubblica!) istituita dal cs è stata capace di ottenere risultati im­ portanti quali la generalizzazione dell’alfabetizzazione, la stabi­ lizzazione di una cultura comune e la formazione su larga scala

i MIMI li SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

51

«li risorse umane qualificate. Ciò è stato possibile grazie all'idea dir la scuola fosse un'"istituzione", e dunque un coacervo di si(liiilicati condivisi, ma anche uno strumento funzionale allo svi­ li ppo della società: la figura dell'insegnante - con la sua autore­ volezza insieme tecnica (derivante dalla competenza nella disci­ plina professata) e morale (rappresentante dell'ordine sociale di Ironie agli alunni) - ne è stata l'incarnazione.5 Per quanto l'equilibrio tra questo doppio mandato non sia nini stato semplice, solo a partire dalla fine degli anni sessanta In Irnsione è esplosa. Da un lato, a causa della progressiva inten­ tili Unzione delle richieste funzionali provenienti dal sistema rrnnomico e, dall'altro, a causa della crisi dei sistemi di autorità i hr ha investito i mondi istituzionali del cs. Quello che è accaduto negli anni sessanta e settanta è incomprrnsibile se non si parte da una premessa: e cioè che, al di là i Ir ni i importanti risultati ottenuti in ambito economico e socia­ le, dal punto di vista dell'esperienza soggettiva il tendenziale or­ dine societario era destinato a rivelare i suoi tratti oppressivi e collocanti. Così, a poco a poco, proprio a causa dei successi che In sviluppo era in grado di raccogliere, lo scollamento tra le I Manze individualistiche di affermazione di sé e quelle collettive di governo ed efficienza divenne dirompente. In effetti, il cs era una società esigente. La sua idea di ordine sociale rimaneva sostanzialmente monocroma, anche se cerca­ va di mascherare tale deriva ampliando la sua articolazione cul­ li iride interna: la democrazia doveva essere la camera di com­ pensazione per garantire il pluralismo del pensiero e delle posi­ zioni, dunque per rendere meno stringente e insopportabile l'or­ dine collettivo. Ma l'equilibrio è stato sempre molto precario: il gl «do di disomogeneità sociale e culturale doveva comunque ri­ unì nere contenuto entro limiti ben precisi per non compromet­ tere le esigenze di ordine. Persino le élite politiche venivano selezionate in relazione a questo dop­ pili mandato, con il compito di tenere insieme funzione e significato. A tale modello si ispiravano i grandi leader occidentali dell'epoca, di cui prototipo m per molti aspetti il Roosevelt del New Deal, uomo integro e capace di riini levare un intero paese infondendo fiducia e riorganizzando l'economia. Ma hi certamente John Fitzgerald Kennedy la figura che seppe meglio incar­ nine tale modello di élite, anche se fu proprio lui a introdurre alcuni primi elementi di dissonanza che ne lasciavano presagire l'imminente superamenIh II fatto che sia stato assassinato e l'avvio di una vera e propria saga fami­ liare - ricca di scandali e doppie verità - segnano, nella stessa figura del pre­ cidente americano, anche la fine del modello, con il dissolvimento dell'aura di Integrità di cui aveva goduto, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, l'élite politica.

52

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Dal punto di vista storico, si è trattato di una grande, straordi­ naria stagione. Ma la sua crisi era già scritta nelle sue premesse. Dal lato del rapporto individuo/gruppo, il cs pensava l'autonomia individuale ancora ben dentro un quadro collettivo coe­ rente e, in ultima istanza, dominante. Come rivelava fin troppo apertamente Videa di socializzazione di Parsons (1961), le esi­ genze collettive consideravano un fattore caotico - e dunque da controllare - l'autonomia personale e la disomogeneità cultura­ le. In fondo, Videa di cs presupponeva logicamente il concetto di società (che prende il posto del gruppo) e pensava l'individuo in funzione di questa. Dal lato del rapporto tra logos e pathos, il cs si reggeva sulla loro precisa articolazione: dopo aver pagato, nel periodo tra le due guerre, un conto tanto salato a forme incontrollate di irra­ zionalità pubblica, l'intento fu quello di sterilizzare la vita pub­ blica da questo tipo di pericoli. Per questa ragione si cercò di confinare il più possibile il pathos entro la sfera privata, vista come l'unica sede appropriata della dimensione emotiva e affet­ tiva, e di bandirlo dai contesti istituzionali, in cui dovevano pre­ valere strutture formali e impersonali. Per quanto riguarda, infine, la relazione tra immanenza e trascendenza, il cs riuscì a realizzare un notevole passo in avan­ ti dal lato della sicurizzazione della vita: la straordinaria infra­ struttura istituzionale che venne creata nel dopoguerra stabiliz­ zò a tal punto l'esperienza quotidiana da consentire agli indivi­ dui di concentrarsi sulla loro biografia e sulla loro vita persona­ le. Pur senza eliminare né i riferimenti escatologici - mediante la perdurante presenza dell'esperienza religiosa - né quelli stori­ ci - attraverso la memoria del nazismo e della guerra, le idee di crescita e di sviluppo, le paure di un conflitto Est-Ovest - a cre­ scere fu soprattutto il valore della quotidianità: in una vita che si faceva più sicura e nella quale molti bisogni primari comincia­ vano a essere soddisfatti, i dettagli dell'ordinario - la qualità del lavoro, l'accesso ai consumi, la sfera affettiva, le dimensioni espressive - guadagnavano importanza. Come annunciarono gli ultimi anni sessanta, gli equilibri raggiunti erano instabili e destinati a entrare in fibrillazione proprio a causa degli straordinari successi ottenuti dal cs. In­ tanto perché la formazione di un complesso sociale così forte e coerente - tanto da arrivare a impiantare gli apparati di un wel­ fare pensato come sistema di protezione integrale e universale, "dalla culla alla bara" - se, da un lato, estendeva gli spazi di au­ tonomia individuale mediante l'innalzamento dei livelli di istru­ zione e il miglioramento delle condizioni di vita, dall’altro raf­ forzava il potere disciplinatorio e la tendenza invasiva degli ap­

• MIMI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

53

parati dello stato. E poi perché la diffusione del benessere e l’accrsso generalizzato al consumo favorivano l'erosione delle basi valoriali di tipo solidaristico che sostenevano la pesante archi­ tettura del cs, rafforzando nuove istanze più individualistiche (Inglehart, 1990). Il che finì per preparare il terreno per quella che Michel Foucault ha chiamato "rivolta disciplinare" contro un sistema prigioniero di un vero e proprio circolo vizioso. Quanto più funzionava, tanto più suscitava ima domanda di li­ bertà che non sapeva come trattare e che quindi era costretto a negare: "Si può avere un'altra forma di crisi dovuta alTinflazioi ir dei meccanismi di compensazione della libertà. In altre paro­ le, per via dell'esercizio di certe libertà, come le libertà di merca­ to, c della legislazione antimonopolistica, si può avere un appeMun ti mento legislativo che verrà percepito dagli attori del mer­ cato come un eccesso di costrizioni e di coercizioni. A un livello multò più locale allora si avrà tutto ciò che potrà apparire come rivolta, insofferenza disciplinare. Infine e soprattutto, si avran­ no dei processi di intasamento per cui i meccanismi di produ­ zione della libertà, gli stessi che sono stati messi in campo per assicurare e fabbricare questa libertà, produrranno di fatto de­ gli effetti distruttivi che prevarranno anche sui loro effetti pro­ duttivi. È questo l'equivoco di tutti quei dispositivi che potrem­ mo chiamare liberogeni, destinati a produrre libertà e che even­ to ni mente, rischiano di produrre esattamente il contrario" (Foucatilt, 2001:164-165). La rapida disgregazione di un modello che per molti aspetti deve essere considerato di successo può, dun­ que, essere spiegata come la conseguenza dell'irrisolta relazione Irii libertà e controllo: il cs, mentre con una mano ampliava lo spazio di autodeterminazione individuale, con l'altra rafforzava gli apparati di controllo e di disciplinamento. D'altro canto, anche il potenziale di crescita economica risullava limitato dall'architettura istituzionale che rimaneva incen­ trata sul livello nazionale, oltre che da una concezione riduttiva r troppo materiale di "bisogno" - come ben presto cominciò a 11 oc u mentare la rapida saturazione dei mercati causata dalla di­ lagante produzione di massa. E mentre la capillare presenza di apparati istituzionali rivelava ormai i suoi lati oscuri - legati al­ la crescita dei costi, alla corruzione, alla demoralizzazione, ai conflitti sociali di tipo distributivo - la crisi fiscale dello stato e i crescenti problemi di governabilità decretarono la crisi del siste­ ma: il cs aveva avuto successo, ma proprio per questo esso non bastava più né per gestire la relazione tra le istituzioni (sempre più macchinose e invadenti) e gli individui (sempre più consa­ pevoli di se stessi), né per sostenere lo sviluppo economico e l’accumulazione capitalistica.

54

LIBERTÀ IMMAGINARIA

La critica d’artista

I primi sintomi della crisi affiorano, dunque, già negli anni sessanta, proprio nel momento in cui il cs raggiungeva il suo apogeo. È bene a questo proposito osservare che, prima di qua­ lunque altra cosa, si è trattato di una crisi interna, che ha inve­ stito la relazione individuo/istituzione. Dopo le avvisaglie dei primi anni sessanta - con il clima di speranza e rinnovamento attivato da eventi di origine e natura molto diversa6 - il movimento studentesco del maggio "68 fa esplodere la contraddizione in tutte le sue dimensioni. Come sempre accade per i grandi fenomeni storici, quello che è successo nei mesi e negli anni seguenti è solo pallidamen­ te legato alle ragioni e alle motivazioni che ne erano alla base. Per di più, si trattò di un fenomeno tanto rapido quanto convul­ so, attraversato da diversi filoni culturali e politici difficilmente riconducibili a unità. Tra i tanti aspetti che si potrebbero tocca­ re, due elementi mi paiono particolarmente utili per le conse­ guenze che hanno avuto sugli sviluppi successivi. Il primo si può sintetizzare con il linguaggio biologico: con la sua ossessione verso Lordine, il cs aveva esagerato il lato del genotipo, cioè dell ordine, dell’invarianza, della stabilità, della prevedibilità, sacrificando il fenotipo, cioè la capacità di pro­ durre variazioni, di lasciare uno spazio alla singolarità irripeti­ bile dell’identità individuale. In altre parole, il Sessantotto pone la questione della soggettività e, contestualmente, della sua va­ rietà: per quanto articolato, l’ordine sociale istituzionalmente definito secondo un criterio razionale e nazionale non era in grado di assorbire tale domanda. Paradossalmente, coniugando benessere e sicurezza, il cs aveva finito con il modificare il siste­ ma delle preferenze individuali, innalzando la domanda di espressione del sé. In questo modo si riapriva la questione del­ l’equilibrio tra la ragione e il sentire, tra civiltà e istinto, tra con­ trollo e libertà. Il secondo elemento riguarda, invece, la non corrispondenza tra le pretese universalistiche di democrazia e giustizia che il cs aveva ulteriormente alimentato e l’effettiva capacità di raggiun­ gerle. Nonostante i significativi risultati ottenuti - incluse la ri­ duzione delle disuguaglianze e la generalizzazione dei diritti soó Tra i quali il Concilio Vaticano il, la presidenza Kennedy, il movimento di liberazione dei neri americani guidato da Martin Luther King. I primi segnali di questo nuovo clima sono rintracciabili già nella letteratura americana degli an­ ni cinquanta, quando cominciano ad affermarsi autori che insistono sulla libe­ razione del sé (Zaretsky, 2004:364).

CRISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

55

ciali - la distanza tra dichiarazioni e realtà venne avvertita come troppo grande e inaccettabile: la richiesta di una società più egualitaria costituisce certamente uno dei grandi temi del Ses­ santotto. Non è un caso che la rivolta sia scoppiata nel cuore stesso del cs, nelle università dell'establishment - alla Sorbona di Parigi, alla Cattolica di Milano7 e nelle università della California - do­ ve si stava formando la nuova classe dirigente che avrebbe do­ vuto portare avanti il progetto societario. Sono stati proprio gli studenti di questi istituti, nei quali si concentrava il meglio di una generazione formatasi all'ombra del benessere e dei sistemi di sicurezza sociale e partecipazione politica costruiti dal cs, a scendere in piazza per chiedere il cambiamento di un mondo accusato di essere irrigidito e ipocrita. Una protesta che accese la speranza di ridefinire il rapporto tra le richieste dell'organiz­ zazione razionale della società e le esigenze affettive ed espressi­ ve delle nuove generazioni. Detto che le ragioni che hanno animato la protesta studente­ sca degli anni sessanta sono molto più ampie, così come molto più numerose sono le correnti culturali che l'hanno attraversata, ciò che intendo sostenere è che il filone anti-autoritario e antiistituzionale che attraversa il Sessantotto è quello che ha deter­ minato le conseguenze di maggior portata sull'intero tessuto so­ ciale, ben al di là delle stesse intenzioni e delle dinamiche inter­ ne al movimento di protesta. Proprio il rifiuto dell'autorità co­ stituita, incarnata dall'autorità nei ruoli degli apparati istituzio­ nali, è uno dei contributi che dalla protesta degli studenti filtre­ rà nella cultura del nostro tempo: ciò che aveva caratterizzato le generazioni del secondo dopoguerra, ossia il principio e la prati­ ca della rinuncia a se stessi in nome delle istituzioni - troppo fredde, contraddittorie e deludenti - è rigettato in nome della li­ bertà individuale. È necessario capire che il Sessantotto non è stato un fuor d'opera, un evento isolato, deviante, superato dal­ la storia. L'istanza libertaria avanzata dagli studenti in protesta - che somiglia alla reazione adolescenziale nei confronti di un padre autoritario (le istituzioni) e di una madre opprimente (il welfare) - coglie perfettamente un movimento profondo che sta­ va cominciando a segnare le società avanzate: ciò a cui ci si ri­ bella è fondamentalmente l’eccesso di istituzionalizzazione del cs, al quale ci si oppone in nome della richiesta di una più alta qualità esistenziale e relazionale e di una maggiore coerenza tra 7 Cui va aggiunta la facoltà di Sociologia appena istituita a Trento, sulla ba­ se di un progetto che aveva visto protagonisti alcuni uomini di punta della sini­ stra dc e rapidamente divenuta l’epicentro della protesta studentesca.

56

LIBERTÀ IMMAGINARIA

valori dichiarati e pratiche attuate. Nel giro di pochissimi anni, Videa - tipicamente post-bellica - secondo cui l'istituzione può contribuire alla liberazione personale, viene abbandonata e si comincia a considerarla come un impedimento all'autonomia personale. Non, dunque, un valore in sé, ma uno strumento ne­ cessario che non risolve, né può contenere, la vita. Al suo posto, al centro della scena, guadagnano spazio il vissuto soggettivo, le spinte pulsionali, il calore delle relazioni. L'idea di base è che l'esistenza viene prima dell'istituzione e assorbe in sé l'essenza della vita. Ma, in tal modo, si pongono le premesse per sovvertire gli equilibri che erano stati costruiti nel cs, laddove erano invece prioritarie le istanze dell'organizzazio­ ne sociale. Un autore fondamentale per cogliere il senso di tale passag­ gio è Jean-Paul Sartre: se ciò che conta è ciò che “sentiamo" - si domanda il filosofo francese - come si fa a sapere se ciò che sen­ tiamo è veramente importante per noi? L'unico modo per scio­ gliere questo dilemma è vedere se un dato sentimento determina un'azione oppure no. In altre parole, "il sentire stesso è formato dagli atti che si compiono". Il che significa che "non c’è altra realtà se non l'azione". La misura della libertà dell'uomo sta nel­ la capacità di realizzare se stesso: "Egli non è nient'altro che l’in­ sieme dei suoi atti, nient'altro che la sua vita" (Sartre, 1957:32). Ma, se ciò è vero, allora ne deriva che non ci può essere nessuna etica collettiva o nessun giudizio universale capace di contare più di questa "urgenza dell’esistere": è la situazione concreta nel­ la quale ci troviamo a determinare il giudizio, che è, di conse­ guenza, un giudizio pratico, contingente, personale. L’insonda­ bile interiorità dell'essere umano, che può trovare espressione solo mediante la concreta fisicità dell'esistenza, comincia così a essere pensata come prioritaria rispetto al mondo sociale e alle sue costrizioni. Al di là della ripresa dei temi più ugualitari e collettivistici - che, con il successivo coinvolgimento delle classi operaie, diventano le questioni politicamente più scottanti - sono le istanze liberta­ rie e soggettivistiche quelle di maggior rilievo nella genesi e negli effetti del Sessantotto. A maggior ragione quando lo sviluppo de­ gli eventi mostrerà ambiguità e fallimenti nei tentativi di rifor­ mare le istituzioni: a quel punto, ad affermarsi sarà l’idea di una liberazione personale che assume la ricerca dell'intensità e del­ l’autenticità come criteri selettivi per la vita personale (Taylor, 1993:108). In questo clima emergeranno anche i temi della diffe­ renza e dell’identità, mentre l’epicentro della rivoluzione diven­ terà l’ambito delle relazioni e dell’intimità: l’equazione freudia­ na, che associava all'avanzare del processo di razionalizzazione

CRISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

57

economica e istituzionale la marginalizzazione dell'espressione del sé all’intemo di una sfera privata, diventa un modo di pensa­ re diffuso, capace di suscitare innovazione e sperimentazione. Così, nel giro di pochi anni, si assiste all’aggregarsi di un formi­ dabile nucleo culturale che, da una parte, mette sotto accusa il sistema di autorità istituito e, dall'altra, promuove la centralità della dimensione soggettiva ed espressiva dell'azione umana, in contrapposizione a quella razionale/istituzionale. Assai opportunamente, Lue Boltanski ed Ève Chiapello ( 1999) hanno ricondotto un'ala della protesta al concetto di "critica d'artista''. Secondo i due autori francesi, i movimenti degli anni sessanta riprendono ed estendono, ben al di là dei circoli artisti­ ci, alcuni dei valori dell'assiologia formatasi in seno alle corren­ ti bohémien del diciannovesimo secolo. La critica d'artista si ba­ sa sulla denuncia dell'alienazione e dell'inautenticità del mondo borghese e capitalistico che mortifica la vera essenza umana, creatrice e “generica" (Gattungswesen). L'opposizione al domi­ nio della razionalità strumentale passa - secondo tale sensibilità - prima di tutto attraverso il recupero dell'immaginazione, inte­ sa come atto creativo e assolutamente libero. Per questo l'artista viene assunto come modello a cui un’intera generazione cerca di ispirarsi: “La grandezza dell'artista moderno come descritto in quest’epoca è data innanzitutto dal suo talento, come dono innato che, fondandosi interamente sulla singolarità dell'indivi­ duo, non si eredita, non si apprende, non si compra [...] l'arte è considerata una modalità di accesso alla conoscenza delle verità ultime [...] la grandezza dell’artista visionario è data poi dal di­ sprezzo per i beni materiali e per il denaro" (Gherardi, 2009:60). In questo modo si cerca di reintrodurre il tema dell'eccedenza irriducibile della vita - in contrapposizione con le esigenze di ordine del sociale istituito - che si esprime nella preferenza per la sensibilità, l'improvvisazione, il gusto, la singolarità, l’intui­ zione, l'immaginazione. La “critica d’artista” rilancia così il filone romantico, ripro­ ponendo il modello della libertà come creatività che l'artista in­ carna in ultima istanza.8 L'atteggiamento disinteressato, disin­ 8 Per citare Giacomo Leopardi: "Il poeta non imita la natura: ben è vero che la natura parla dentro di lui e per la sua bocca [...] il poeta non è imitatore se non di se stesso" (Zibaldone, 4373). E ancora: "Facilissima idea considerare e de­ finir la poesia per arte imitativa, metterla colla pittura, ecc. Il poeta immagina: l'immaginazione vede il mondo come non è, si fabbrica un mondo che non è, finge, inventa, non imita, non imita (dico) di proposito suo: creatore, inventore, non imitatore; ecco il carattere essenziale del poeta" (Zibaldone, 4358). Il riferi­ mento è qui all’edizione critica di G. Pacella, Garzanti, Milano 1991, 3 voli.

58

LIBERTÀ IMMAGINARIA

cantato, aperto al mondo e a nuove esperienze, disposto a im­ maginare la novità al di fuori di qualunque riferimento precosti­ tuito è visto come la vera via di fuga dal dominio tecnico e mo­ rale imposto dal cs. Secondo Boltanski e Chiapello, la critica d'artista è stata poi largamente travisata e soprattutto strumentalizzata, allontanan­ dosi da quella che era la sua ispirazione originaria. Ma, al di là di tale valutazione, quel che è certo è che la dinamica messa in moto dal movimento di protesta era destinata a coinvolgere in­ tegralmente gli equilibri culturali e sociali costituiti dal cs nei due decenni precedenti. Nel corso degli anni settanta, mesco­ landosi con elementi molto diversi da quelli originari, i semi gettati dal movimento studentesco penetreranno profondamen­ te nel tessuto sociale, al punto da rendere molte delle sue istan­ ze - riconfigurate più che rifiutate - i cardini dei nuovi equilibri sociali che si andavano costruendo. In questo senso si può dire che il Sessantotto - inoculando una sensibilità spiccatamente soggettivistica - ha costituito una svolta decisiva per il nostro tempo, anche se i sentieri lungo i quali hanno camminato le idee che stavano dietro al movimento degli studenti sono stati molto diversi da quelli immaginati allora.

La crisi di governabilità della società nazionale e i primi scricchiolìi delle relazioni intemazionali È assai probabile che la crisi soggettiva che ha intaccato dal­ l’interno gli assetti del cs debba essere messa in stretta relazione con i mutamenti strutturali manifestatisi nei decenni successivi. Via via che il cs si dispiegava, i problemi si sono propagati dalla sfera soggettiva al versante della regolazione istituzionale. Nonostante gli straordinari successi ottenuti dal punto di vista dello sviluppo economico e dell’integrazione sociale, la burocra­ tizzazione, la proceduralizzazione, la standardizzazione - tratti tipici di quei decenni - hanno messo a nudo l’inadeguatezza de­ gli assetti istituzionali che si andavano costruendo. Ciò ha acui­ to lo scollamento tra mondo reale e mondo legale, scollamento che, a sua volta, ha generalizzato la crisi di legittimità degli ap­ parati istituzionali (politici, economici, culturali e familiari). Le ragioni della crisi sono molteplici, ma possono essere ri­ condotte a due radici fondamentali. La prima radice è di natura interna. Essa ha a che fare con i crescenti problemi di governa­ bilità e di efficienza determinati dall’avanzare del processo di infrastrutturazione istituzionale che il successo del cs ha compor­ tato. L’obiettivo di far funzionare in modo efficiente apparati

CRISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

59

sempre più complessi e costosi si rivelò sempre più velleitario: in gran parte dei paesi occidentali gli anni settanta videro la con­ temporanea esplosione della crisi fiscale e della crisi di legitti­ mazione delle istituzioni dello stato nazionale (O'Connor, 1977; Ardigò, 1980). Pur in forme e con intensità diverse, tale crisi in­ vestì tutti i paesi avanzati, anche se fu il Regno Unito - paese egemone per oltre un secolo - a registrare andamenti così nega­ tivi da far presagire un declino verticale: il caos istituzionale di un paese dove l'apparato statale era cresciuto a dismisura, soffo­ cando la vitalità dell'autoorganizzazione sociale, alimentò negli anni settanta una crisi economica e di legittimità politica senza precedenti,9 che costituì un termine di riferimento negativo a cui tutti gli altri paesi guardavano con apprensione. La seconda radice va invece cercata sul piano esterno, laddo­ ve i rapporti di forza e gli assetti istituzionali prodotti della se­ conda guerra mondiale mostrarono importanti segnali di cedi­ mento: le conseguenze politiche della fine del colonialismo, la prima grande crisi petrolifera, l'anno del processo di disgrega­ zione del quadro delle regole valutarie, l'embrionale formarsi di mercati finanziari transnazionali, furono i segnali inequivocabi­ li del fatto che l'ordine intemazionale post-bellico non era desti­ nato a durare in eterno. Con gli anni settanta, dopo due decenni di crescita veloce e ininterrotta, l'instabilità toma prepotentemente alla ribalta, fa­ cendo riemergere scenari da grande depressione. La stagflazio­ ne è un oggetto misterioso per gli economisti, mentre la crisi di egemonia dei paesi anglosassoni sembra preludere a una ri­ strutturazione degli equilibri intemazionali, che si complessificano via via che avanza la decolonizzazione. Così, dopo aver cullato, per qualche decennio, la speranza che fosse possibile te­ nere sotto controllo qualunque contingenza, a partire dagli anni settanta l’Occidente riscopre l'ingovernabilità. La crisi è severa perché, all'intemo, essa assomma le difficoltà della crisi fiscale dello stato a un conflitto sociale che raggiunge livelli molto alti, come dimostra la forte impennata delle ore di lavoro perse per sciopero, che toccano quote mai raggiunte in precedenza, men­ tre, all'esterno, gli equilibri costruiti dopo il secondo conflitto mondiale si rivelano sempre più inadeguati per le esigenze di crescita sia dei paesi sviluppati sia di quelli più arretrati. Da quel momento, il problema di riuscire a mantenere le condizioni di uno sviluppo equilibrato non ha più lasciato tre­ 9 La letteratura sulla crisi inglese degli anni settanta è vastissima. Si veda, tra gli altri, Marquand (1988), Crouch (1977), Anderson (1987), Elbaum, Lazonick (1986).

60

LIBERTÀ IMMAGINARIA

gua, con gli inevitabili strascichi sulla stabilità dei sistemi politi­ ci. Di fronte a un mutamento tumultuoso, i governi nazionali e le istituzioni internazionali hanno faticato enormemente a met­ tere a punto risposte convincenti, rivelando quanto potesse es­ sere difficile da governare un mondo che diventava ogni giorno più complesso. La svolta storica del neoliherismo e lamio di una nuova fase di accumulazione capitalistica

Gli storici insegnano che il capitalismo ha attraversato fasi molto diverse, sapendo sposarsi con culture ed etiche differenti, creando alleanze di potere sempre nuove e ridefinendo di conti­ nuo la matrice spazio-temporale della propria azione. Non si può comprendere che cosa stia accadendo nella congiuntura storica che stiamo attraversando se non si tiene conto di questa plasticità del sistema capitalistico. A distanza di qualche decennio, credo si debba riconoscere che il neoliberismo - inteso come dottrina e pratica politico­ economica - è stato la risposta data alla doppia crisi di cui ho parlato nelle pagine precedenti: quella che si produce sul piano soggettivo - a seguito del rapido e imprevisto successo ottenuto da alcune istanze sollevate dalla critica d artista - e quella che interessa il piano strutturale - con la severa crisi di governabili­ tà interna ed esterna. Risposta che è di portata storica, in quan­ to si è rivelata capace di ristrutturare contemporaneamente il piano culturale - generando ciò che Boltanski e Chiapello (1999) hanno definito “il nuovo spirito del capitalismo” - e quel­ lo delle pratiche - sulla base di una riorganizzazione strutturale degli scambi economici (Drucker, 1988) e politici (Hall, 1988). L'ascesa del neoliberismo è certamente il primo e più importan­ te fattore di strutturazione del capitalismo contemporaneo. Nel corso degli anni settanta il mutamento culturale avviato nel decennio precedente si estende e si approfondisce. I termini fondamentali della questione sono ben individuati in un noto li­ bro uscito a metà degli anni settanta, nel quale Daniel Bell (1976) indicava nella “contraddizione culturale del capitalismo” la ragione profonda di una crisi che aveva bisogno di soluzioni innovative. Secondo l’autore americano, nel momento in cui la prospettiva meccanicista e materialista del vecchio capitalismo fordista si rivela sempre meno congruente con le aspettative e gli orientamenti diffusi nell’opinione pubblica, l’intero edificio del cs è destinato a sgretolarsi: ben al di là dei movimenti di pro­ testa, chi vive nelle società del benessere comincia a spostare le

( RISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

61

proprie domande e le proprie attese verso le dimensioni più im­ materiali, legate ai temi della qualità relazionale, dell’autorealiz­ zazione, dei valori sociali. In questa nuova situazione, la possi­ bilità di conservare e riprodurre i vecchi assetti sociali viene me­ no. Il fatto che l’apice della crisi si manifesti nella parte più avanzata del mondo occidentale porta alla conclusione che sia proprio il raggiungimento della maturità economica a innescare la crisi culturale. E, tuttavia, i canali e le forme attraverso cui queste nuove istanze troveranno soddisfazione sono stati molto diversi da quelli immaginati dai movimenti di protesta degli anni sessanta: a partire dall’inizio degli anni ottanta, e poi nei due decenni suc­ cessivi, la crisi verrà risolta grazie all’affermazione di una nuova visione che, all’interno, ridefinisce l’idea di libertà e, con essa, la logica di transizione individuo/istituzione e, all’esterno, i rappor­ ti di forza su scala globale. Sulla base di un nuovo immaginario della libertà - che a poco a poco si è andato affermando - il neo­ liberismo è riuscito a trasformare strutturalmente non solo la re­ lazione tra benessere economico e creazione del consenso politi­ co, ma anche l’idea stessa del mondo e dei suoi rapporti interni. Per quanto riguarda il nesso individuo/istituzione, il neolibe­ rismo riprende e rinnova un ben noto filone di pensiero - fre­ quentato soprattutto dalla tradizione anglosassone - che consi­ dera prioritaria la libertà personale e associativa rispetto al ruo­ lo dello stato, fondamentalmente viziato da riemergenti derive assolutistiche e antilibertarie. Il riferimento di base è l’idea del­ la libertà di scelta, che conduce al laisser faire e alla possibilità di un ordine sociale che sorge come semplice effetto collaterale della combinazione di azioni libere, determinate non tanto poli­ ticamente - cioè attraverso la definizione di uno scopo comu­ ne - quanto sulla base della superiorità logica di un particolare tipo di azione - quella utilitaristico-massimizzante - destinata ad affermarsi "per la particolare natura umana” (Friedman, 1962). Nel compiere un tale passaggio, il neoliberismo diventa perfettamente in grado di intercettare - a modo suo - le istanze culturali che la crisi degli anni sessanta aveva posto in luce, ri­ definendo al tempo stesso gli strumenti per ridurre l’impatto anarcoide contenuto in tali istanze. Anche se in modo non sempre esplicito, e qualche volta addi­ rittura incerto, il neoliberismo prende le distanze dalle vecchie posizioni conservatrici. Pur mantenendo una certa ambivalen­ za, politicamente molto utile, questa nuova dottrina non è affat­ to ostile - e per alcuni aspetti, anzi, è di sostegno - alla prospet­ tiva che vede nel vitalismo, di cui ogni singolo individuo è porta­ tore, l’energia libera che occorre catturare.

62

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Va letta in questo senso la ridefinizione del paradigma pubblico/privato: non è nella razionalità burocratica e politica che va cercata la capacità di sostenere la crescita, ma negli "animal spi­ rits” che stanno dentro il cuore dell'uomo. Il neoliberismo predi­ ca il fatto che Punico modo per spezzare le gabbie del potere bu­ rocratizzato e valorizzare la richiesta di autonomia che sale dalla società è quello di tornare, sulle orme di Smith e, per alcuni aspetti, di Locke, all’idea secondo la quale il governo si deve limi­ tare a creare le condizioni entro cui l’azione individuale può ave­ re luogo. L’azione diretta di governo, anche quando ottiene risul­ tati positivi, genera troppi effetti collaterali e favorisce una con­ centrazione del potere i cui effetti sono necessariamente negativi. Questo punto è essenziale per ripensare l'equilibrio tra l’indi­ viduo e la collettività. La crescita economica non è mai, infatti, l'espressione di una qualche élite illuminata, quanto la manife­ stazione delle qualità e delle capacità diffuse in una popolazione. E il modo per far emergere tali elementi è il principio della com­ petizione che si attua all'intemo di quella particolarissima strut­ tura istituzionale che è il mercato. Per questa ragione, tale princi­ pio va radicato non solo nei rapporti tra le imprese, ma anche tra i singoli individui e persino all’interno delle stesse organizzazio­ ni. Come osserva Giulio Sapelli, con la svolta liberista “gli Stati Uniti hanno dovuto e potuto, pena una gravissima crisi di sovrap­ produzione, espandere dovunque il meccanismo del capitalismo anglosassone. Ma per fare ciò hanno dovuto diffondere il princi­ pio della competizione nel cuore delle proprietà e del governo dell’impresa anche laddove esso non era diffuso” (2007:59). Nei rapporti economici, questo modo di vedere ha portato alla ristrutturazione dei mercati del lavoro, alla lotta contro i monopoli e le rendite di posizione, alla riduzione delle garanzie universalistiche e all'indebolimento dei corpi intermedi dotati di potere di interdizione politica (specie i sindacati), a un au­ mento delle dimensioni di impresa e alla loro finanziarizzazio­ ne, alla concentrazione delle risorse mediante la disponibilità di masse critiche di tecnologie e di capitali, alla generalizzazione dello scambio nella raccolta e nella allocazione dei diritti di pro­ prietà e al predominio di meccanismi di scambio come quello della Borsa. Sono questi gli elementi fondamentali della globa­ lizzazione economica e finanziaria che segue la svolta neoliberi­ sta e che darà uno straordinario impulso alla diffusione e alla generalizzazione dello scambio di mercato. Rispetto al modello del cs, il neoliberismo introduce inno­ vazioni importanti, soprattutto per quanto riguarda la transi­ zione individuo/istituzione. Diffondendo la libera concorrenza e la libertà di iniziativa, esso definisce un rapporto diverso con

( RISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

63

la questione della libertà individuale che, finché rimane confi­ nata alla sfera privata, non ha bisogno di un ordine rigido. An­ zi, in quest'ambito è possibile tollerare una varietà di soluzioni c di modelli di vita, almeno fino a quando essi risultino ininlluenti rispetto alla libera articolazione degli scambi. Svuotata ■ come una forma di protezione - di contenuti condivisi, la sfe­ ra privata diventa il contenitore ove è possibile esprimere la propria visione del mondo, le proprie spinte istintuali, la pro­ pria originalità, la propria natura. In questo modo alla sfera pubblica viene sottratto il mandato di essere il luogo della mediazione/composizione di individui che sono e intendono resta­ re autonomi: la libertà di scelta è il valore sul quale si deve tro­ vare un accordo e l’interesse è l’unica idea di bene comune che può essere sottoscritta. Il neoliberismo è profondamente innovativo anche per quanto riguarda un secondo aspetto, ovvero il rapporto economia/politiua. Apparentemente, tale dottrina predica la riduzione del con­ trollo politico della vita sociale, ma, dietro un tale velo ideologi­ co, le cose sono ben più complesse. Il neoliberismo, infatti, usa in maniera spregiudicata un potere politico forte allo scopo di costruire un nuovo modello di governo che vuole ridurre al mini­ mo indispensabile i significati condivisi collettivamente, concen­ trandosi invece sul rendere sempre più efficienti le funzioni che ampliano il potere di azione individuale. Si spiega così il para­ dosso, denunciato da molti critici di quell’epoca, secondo cui il neoliberismo può affermarsi solo mediante una risoluta azione politica: lungi dall’essere qualcosa di spontaneo, il neoliberismo è essenzialmente una costruzione politica, espressione di una precisa costellazione di interessi (Hall, 1988). Più precisamente, è oggi evidente che il neoliberismo si è impiantato grazie alla risibilità di realizzare, in un certo modo e in certi ambiti, una inea politica il cui scopo di fondo è stato quello di riorganizza­ re la matrice spazio-temporale degli scambi economici e del consenso politico (Lash, Urry, 1994; Thrift, 2005; Sassen, 2008). In sostanza, il neoliberismo rompe con l’ortodossia keynesiana che, accanto a quella parsonsiana di cui si è parlato nelle pa­ gine precedenti con riferimento alla sfera sociale, aveva costitui­ to il pilastro economico del cs. Tale rottura avviene su due piani. Il primo è il passaggio dallo stato al mercato (slogan citatissimo in quegli anni), passaggio che in realtà segna il tramonto del modello di istituzione che aveva caratterizzato il cs. Il mercato, intatti, è il paradigma di un nuovo assetto istituzionale la cui le­ gittimazione deriva dal “raggiungere l’obiettivo”. Quanto intra­ visto da Martin Heidegger a proposito della tecnica, con il neoli­ berismo fa un enorme passo in avanti, dato che il criterio tecni­

64

LIBERTÀ IMMAGINARIA

co - le leggi del mercato, la concorrenza, i profitti e le perdite diventa un canone di organizzazione sociale. Il fascino della “mano invisibile" è, infatti, quello di liberare dall'enorme onere di dover pensare e gestire un ordine politico impregnato, per po­ ter funzionare, di contenuti normativi e riferimenti simbolici. L'economia di mercato è capace di generare un ordine che com­ bina le libere volontà di tutti i contraenti, esattamente come la tecnica "si limita" a offrire i binari entro cui l'infinita varietà delle azioni individuali può avere luogo. In questo modo si ottiene un risultato per molti aspetti stre­ pitoso: al posto delle macchinose procedure burocratiche e del­ le pesanti retoriche democratiche, è l'energia individuale a esse­ re messa al centro della vita sociale, senza però che questo de­ termini la caduta in una condizione di caos. E questo perché, al­ l'interno del mercato, esiste un codice astratto che è in grado di selezionare in automatico, senza il ricorso esplicito al comando, i comportamenti individuali. La libera concorrenza diventa, co­ sì, il paradigma dello sviluppo scientifico e sociale. Il fascino di un tale modello è sconfinato, anche perché l'ordi­ ne sociale non è più visto come il risultato di un progetto demiur­ gico, culturalmente denso e coeso, ma semplicemente come un effetto di composizione di una miriade di azioni svolte nel rispet­ to di una razionalità di tipo tecnico (Thrift, 2005:31). Ma, soprat­ tutto, è la revisione dell’idea stessa di istituzione a contare: se nel cs le istituzioni (dello stato) erano imbevute di contenuti cultura­ li, adesso (con il mercato) si comincia a pensare ad assetti che so­ no tanto più interessanti quanto più limitato è il loro fabbisogno culturale. Proprio questa maggior "indifferenza" valoriale è la ca­ ratteristica che rende tali assetti potenzialmente adattabili a qua­ lunque ambiente culturale. Il secondo piano su cui avviene la rottura è il superamento del­ la visione nazionale della crescita economica, visione che stava anch'essa alla base dell'ortodossia keynesiana. L'economista in­ glese era riuscito a saldare la sua idea di politica economica basa­ ta sulla spesa pubblica con la costruzione di un quadro stabile di rapporti monetari e finanziari intemazionali (visione sancita da­ gli accordi di Bretton Woods, firmati nel 1944 e di cui Keynes fu il grande ispiratore). Solo ali-interno di quella cornice era stato pos­ sibile strutturare lo scambio politico che aveva nella spesa pubbli­ ca il suo cardine. Il neoliberismo ribalta completamente questa cornice di rife­ rimento, collocando la questione del benessere economico in­ terno (elemento fondamentale per la creazione del consenso) nel quadro di una visione globale. All’interno di un lucidissimo disegno politico-economico, tale cambiamento di prospettiva si

I MINI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

65

ò tradotto nei seguenti obiettivi: 1) far sì che il territorio nazio­ nale e reconomia domestica diventino capaci di attirare extrariMorse dagli investitori globali; 2) far crescere le imprese non so­ lo nei mercati interni, ma anche e soprattutto all'estero, dove si tossono trovare nuovi mercati di sbocco per le proprie merci, littori produttivi e materie prime a prezzi vantaggiosi, risorse inanziarie aggiuntive1011 ; 3) esercitare la propria influenza politi­ ci a livello intemazionale per creare regole finanziarie e rappor­ ti commerciali più consoni ai propri interessi. E ciò anche a co­ nio di scardinare le regole su cui si regge l'ordine economico mondiale (Stiglitz, 2004; Strange, 1998). La "politica economica" - intesa in senso keynesiano - deve dunque fare un passo indietro. Ma ciò non significa affatto una politica debole, e ancor meno la sua sparizione. Al contrario, il governo deve essere molto risoluto nell'intervenire all'intemo su liuto ciò che ostacola i processi virtuosi che stimolano l'innova­ zione e la competizione (come, ad esempio, un eccesso di prote­ zione sindacale) e soprattutto all'esterno - sostenendo l'afferma­ zione degli interessi economici nazionali mediante l'azione di­ plomatica, commerciale, istituzionale e, quando necessario, po­ litico-militare. È questa la ragione che spiega come mai, nel gi­ ro di pochissimi anni, le conseguenze determinate dall'afferma­ zione del neoliberismo porteranno alla definitiva disgregazione del l'ordine post-bellico. I due versanti, interno ed esterno, sono indissociabili per ca­ pite cosa sia stato il neoliberismo e soprattutto per coglierne il legame con il tempo che viviamo. Dal punto di vista politico, il neoliberismo segna il ritiro dell'inI ci vento pubblico in economia e il rilancio dell'egemonia americat m, sostenuta dal ruolo svolto dalle principali agenzie economiche Intemazionali (wro, fmi, wb) e resa possibile dal crollo spettacela^ iv dell'impero sovietico, unica grande alternativa che ha sfidato il 'Interna capitalistico lungo tutto il corso del Novecento.11 10 Gli Usa cominciano a muoversi in questa direzione negli anni sessanta. h|k*l andò sulle tariffe doganali per favorire l'internazionalizzazione dell’induM ila manifatturiera, ma sono il Foreign Investment Act del 1976 e l’attuazione «Idiinternational Banking Facilities del 1981, seguiti da misure di liberalizza­ zione e deregolazione del settore finanziario negli anni ottanta e novanta, a se­ gnine il reale mutamento del quadro generale. 11 Concretamente, ciò ha permesso agli Stati Uniti di passare, nel giro di poi hlNNimi anni, "dal ruolo di principale sorgente mondiale di liquidità e di inve­ ii! menti diretti all’estero a quello di principale paese debitore e di pozzo di liqui­ dlli |...] con un debito estero in crescita, gli Stati Uniti sono riusciti a trasforma­ le In logorante crisi degli anni settanta in una Belle Époque paragonabile, e per ivi li aspetti ancora più spettacolare, a quella dell’èra edoardiana” (Arrighi, J(M)7:165).

66

LIBERTÀ IMMAGINARIA'

Dal punto di vista economico, lo smantellamento dello stato sociale, l'attacco ai sindacati, la riforma del mercato del lavoro, la finanziarizzazione dell'economia, la liberalizzazione dei mo­ vimenti dei capitali, sono il lato sgradevole di un modello che ottiene il consenso perché genera crescita economica. Dal punto di vista culturale, il neoliberismo segna il trionfo dell'idea di individuo e della libertà di scelta, condizioni fonda­ mentali del processo di attivazione diffusa. È la combinazione di questi tre piani - quello politico, quello economico, quello culturale - il punto di forza che sostiene lo spettacolare rilancio dei paesi anglosassoni negli ultimi tre de­ cenni.

Razionalizzazione del pianeta e dell’umano

La complessa infrastrutturazione istituzionale di matrice pubblica che il cs è stato in grado di realizzare nel giro di un pa­ io di decenni - con la creazione di strade, scuole, ospedali, tri­ bunali, amministrazioni locali - ha permesso di compiere im­ portanti passi in avanti sulla strada di quella razionalizzazione che, secondo Weber, è il vero e proprio destino dell'occidente: “ciò che determina con strapotente costrizione e forse continue­ rà a determinare finché non sia stato consumato l'ultimo quin­ tale di carbon fossile lo stile di vita di ogni individuo che nasce in quanto ingranaggio" (Weber, 1962, i:32). In particolare, è con il cs che la logica tecnica di organizzazione viene definitivamen­ te portata fuori dai cancelli della fabbrica per penetrare un po' in tutti gli ambiti della vita sociale. E, tuttavia, il superamento di un tale modello deve essere compreso prima di tutto sul piano di un ulteriore balzo in avan­ ti, che diviene possibile per la contemporanea maturazione di una serie di processi storici di lungo periodo che vanno nella direzione deH’infittimento e dell'estensione della razionalizza­ zione. Il primo processo riguarda l'esportazione a livello globale del modello dell'economia di mercato. Su questo tema, Weber, Pola­ nyi e Simmel hanno detto tutto quello che c'era da dire per spie­ gare le ragioni del lento, ma inesorabile, processo di costruzione di una rete di scambi impersonali basati sul calcolo, in grado di rendere possibile l'interazione universale regolata dall'equiva­ lenza monetaria. Ma, di fatto, fino alla prima metà del secolo scorso, il mercato era sostanzialmente limitato al mondo occi­ dentale e alle sue ramificazioni. Solo con la decolonizzazione prima e con la caduta dell'unione Sovietica poi si sono create le

t NINI It NUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

67

11 indizioni per una convergenza planetaria attorno a questo mo।lidio di organizzazione economica. Per quanto - come ci ricor­ dano gli storici - già nel passato siano esistite fasi di “globalizza­ zione, nulla di simile a ciò che si è andato configurando nella «un onda metà del xx secolo si era mai visto: Finterò pianeta as­ oline il mercato come infrastruttura per lo scambio di beni e RlHVizi.12 Il secondo processo si determina attraverso la generalizza­ tone della logica formale, burocratica e giuridica, incarnata in iiiiNHiito dallo stato nazionale. Come ha per primo capito Niklas I nlnnann (1990), le società avanzate tendono a organizzarsi at­ torno a sfere autoreferenziali, che utilizzano codici astratti, so­ ni nuzialmente di natura tecnica, in grado di sostenere l'enorme t omplessità dei rapporti sociali globali. L'aspetto cruciale, qui, è l'iuilonomizzazione di tali sfere dall'autorità statale, grazie alla progressiva affermazione di una logica interna di tipo autorefeivnzlale che tende a generare quello che Gunther Teubner ha • lilumato "diritto poli-contesturale”, espressione dell'autonomia i» tirila capacità di autoregolazione delle diverse sfere in cui orr hi lizziamo la nostra vita sociale (come la scienza, la salute, educazione, l'arte) (Teubner, 1999:147). Il terzo processo ha a che fare con l'estensione della raziona­ li! A organizzativa, che procede su due piani: il primo è l'esporta/lone dei modelli occidentali in altre regioni del mondo; il se। ondo è la radicalizzazione dell'estensione della logica tecnica ni di fuori della fabbrica. Il primo aspetto procede grazie alla 11 iMallizzazione di pratiche organizzative attraverso procedure wUindardizzate e formalizzate che possono venir esportate e Ti­ nti dotte ovunque. Il che rende possibile il secondo movimento: il progresso economico fa sì che a venire "ingegnerizzato" non dii più solo l'interno dell’impresa - come è avvenuto nelle prece­ denti fasi del processo di industrializzazione - o il territorio na­ zionale, ma, in prospettiva, l'intero pianeta. Per rendere possibi­ li, c sostenere, le attività umane, sono necessari aeroporti, stra­ de, banche, ospedali, università, sistemi fognari, linee elettriche, irti telematiche, procedure e codici di riconoscimento, organiz­ zati su scala sovranazionale. U risultato non è solo la progressi­ va antropizzazione dell'intero ambiente fisico, ma anche la draNtlua riduzione degli spazi in cui la socialità può dispiegarsi sen­ za riferimento a codici tecnici. Laddove accade che le nuove tec­ 12 Sulla questione della ristrutturazione spazio-temporale che si accompa­

gna all'estensione del mercato, si veda in particolare Thrift (1996). Indubbia­ mente, lo sviluppo economico di aree del mondo fino a qualche decennio fa an• ora del tutto escluse - quali il Giappone, la Corea, la Cina e l’india - ha effetti di primaria importanza su tutta una serie di equilibri.

68

LIBERTÀ IMMAGINARIA

nologie non riescano a essere incorporate - come nel caso delle banlieue o degli slum, degli anziani e dei gruppi etnici minorita­ ri - si generano realtà sociali di grave deprivazione, isole disper­ se, senza legami con il resto del mondo, prive di prospettiva, rin­ chiuse nella spirale perversa dell'abbandono (Magatti, 2007). Il quarto processo riguarda, invece, la progressiva reificazio­ ne dello stesso essere umano. A differenza della fase storica pre­ cedente, il corpo non è più trattato semplicemente come forza lavoro da impiegare nelle fabbriche, ma viene - con il consumo, i media e, soprattutto, le biotecnologie - a tutti gli effetti introiettato in quella che Foucault ha chiamato "biopolitica", un si­ stema di potere che agisce sul piano biologico, mentale, relazio­ nale, affettivo. A tale proposito, si rimane sempre sbalorditi di come venga­ no sottovalutate le conseguenze dei rapidissimi e sofisticati mu­ tamenti dei sistemi e delle tecniche della comunicazione, nella direzione di ciò che Jacques Attali (2008:105) definisce "ubiqui­ tà mobile": reti di creazione congiunta che ristrutturano la ma­ trice spazio-temporale dell'esperienza individuale e collettiva. E invece, come ha insegnato Marshall McLuhan, quando cam­ biano i sistemi della comunicazione - nel duplice aspetto dello scambio simbolico e della mobilità - l'organizzazione della per­ sonalità individuale, la formazione dei gruppi, la stabilità delle culture sono destinate a modificarsi in profondità. Ma si rimane ancora più sbalorditi nel constatare la sottovalutazione delle implicazioni dei più recenti e ugualmente sensazionali sviluppi delle tecnologie biomediche e biologiche che portano sin dentro la vita e l'uomo stesso - il suo corpo e la sua mente - la dimen­ sione tecnica: la scoperta dei princìpi fondamentali che struttu­ rano le diverse forme biologiche consegna nelle mani degli esse­ ri umani un potere enorme, di cui non sembra si sia del tutto consapevoli. Nell'insieme, questi quattro processi comportano un salto di livello dal punto di vista della razionalizzazione di cui parlava Weber: gran parte del pianeta e della nostra esistenza personale e collettiva è ormai avvolta dall'estensione e dall’infittimento della presenza dei codici tecnici. Si provi a considerare le attivi­ tà della nostra vita quotidiana: per parlare con qualcun altro usiamo il telefono o il computer; quando ci spostiamo, rara­ mente andiamo a piedi, se non per assaporare la bellezza di una passeggiata; per mangiare, utilizziamo un ristorante o, almeno, un forno o un frigorifero; per scrivere usiamo il computer; quando ci ammaliamo, andiamo all’ospedale, mentre, se faccia­ mo sport - oltre a utilizzare qualche apparecchiatura - teniamo controllato l'aspetto medico; quando studiamo, ci colleghiamo a

» HIM H NUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

69

liilrrnet, mentre possiamo assistere a una funzione religiosa annidando la televisione o possiamo aumentare la nostra prehIhii/.u sessuale ricorrendo al Viagra e scoprire che possiamo Imi I nuovi amici o trovare Fanima gemella chattando sulla rete. I differenza rispetto a chi è vissuto nel xx secolo è palpabile: Mino sempre meno i luoghi, i tempi, le attività in cui è possibile * bu care la spina" dalla tecnica, vivere “a prescindere" (Ellul, I u /7 ). E tale processo è tutt'altro che concluso.

Mucrosistema tecnico e sfere istituzionali funzionalizzate Proviamo ora a mettere insieme i pezzi del discorso svolto in ipii'Mo capitolo. Da una parte, sul piano politico-economico, il him liberismo è la risposta alla crisi culturale e strutturale del cs. I hiIl'nltra., Fulteriore penetrazione della tecnica nelle diverse sfeiv della vita e la sua estensione su scala planetaria aprono una imi iva fase del processo di razionalizzazione. Ma come si comliliumo questi due processi? E con quali conseguenze? Per rispondere a questo interrogativo è necessario introdur­ le due concetti che permettono di avanzare nella comprensione di quanto è avvenuto negli ultimi decenni. Il primo è quello di iihiiTosistema tecnico (mst); il secondo è quello di sfera istitu­ ii male funzionalizzata (sif). Benché diversi tra loro - il primo si riferisce alle infrastruttu• I* tecnologiche grazie alle quali si strutturano le attività umane, ti ir ni re il secondo riguarda l'architettura e la logica di funzionamriilo degli apparati istituzionali - entrambi questi dispositivi iilihrdiscono al criterio generale della “standardizzazione uni­ rvi balistica" che separa le variabili quantitativamente conosci­ bili da tutti gli altri fattori intervenienti (come, ad esempio, le idloNincrasie individuali) considerati irrilevanti (Tomelleri, 1009). Attraverso la proceduralizzazione e l'eliminazione delle Mi titolarità e delle variazioni particolaristiche, mst e sif permetliiiio di aumentare la controllabilità delle azioni umane e la prevvdlbilità di quanto accade. Ciò appare perfettamente coerente i mi l'obiettivo neoliberista dello sfruttamento sistematico delle importunità che emergono su scala planetaria, ben oltre Porga­ li!//.azione statuale dello spazio. Per far ciò sono, infatti, necessarie almeno due condizioni: la ih lina è una gestione sempre più efficiente dei flussi di beni, di liilormazioni e di persone che una maggiore mobilità rende pos­ tillili! (Castells, 1996). La seconda è la capacità di disporre di co­ lili I astratti che possano permettere di realizzare scambi al di là lìdia diversità culturale, etnica, religiosa, linguistica (Thrift,

70

LIBERTÀ IMMAGINARIA

2005). Diversamente dalla vecchia logica imperiale, secondo 14 quale il dominio si attua in maniera esplicita attraverso il coito trollo politico e militare, il nuovo capitalismo globale intende avvantaggiarsi della propria superiorità tecnica e istituzionale. Un prezioso suggerimento, per interpretare quanto è acca* duto, ci viene da Alain Gras (1997), il quale riprende alcune pi* ste che Jacques Ellul (1977) aveva già cominciato a esplorare. Secondo Fautore francese, la logica dello sviluppo non consiste solo nell'accelerazione della velocità dell'innovazione tecnica, ma anche nella sua integrazione all'intemo di un unico sistema sempre più complesso. Le diverse ondate tecnologiche susseguii tesi negli ultimi decenni - da quella meccanica a quella elettrica, da quella chimica a quella aerospaziale, da quella informatica a quella biologica - convergono in quello che Gras definisce "ma? crosistema tecnico" (mst), che stabilisce i criteri di selezione e integrazione dell'innovazione prodotta. Si pensi, per riprendere un esempio usato dallo stesso Gras, al trasporto aereo, i cui standard di efficienza sono raggiungibili solo grazie alla costruì zione di un sistema estremamente sofisticato e multitecnologi^ co. E ciò non solo perché un velivolo è il concentrato di un nu­ mero incredibile di tecnologie - che vanno dall'informatica alla meccanica, dall'ottica alla petrolchimica - ma anche perché il trasporto aereo si basa su un'organizzazione tecnica che include norme e rotte che disciplinano i cieli di tutto il mondo, sistemi radar di controllo dei voli, collegamenti stradali e ferroviari, im­ ponenti apparati di sicurezza, strutture complesse di gestione dei viaggiatori come gli aeroporti, agenzie di viaggio, connessioni ni con il sistema alberghiero, comunicazioni internet in tempd reale. Più che la singola innovazione, ciò che conta è la possible lità di integrare le nuove scoperte all'intemo di un sistema chi cresce ramificandosi e complessificandosi. il Come si è visto nel capitolo 1, il teukein - come canale di sii gnificazione - genera dinamiche di istituzionalizzazione. Ed | esattamente in tale prospettiva che va visto il mst, che si forma 0 si dispiega ponendo in relazione elementi tecnologici distinti 0 generando una serie di richiami incrociati che si sostengono re* ciprocamente. Ciò comporta il continuo sforzo per rendetti compatibili tecnologie differenti: il valore di un'innovazione au« menta enormemente nel momento in cui codici e dispositivi si integrano e rafforzano il sistema esistente (Flichy, 1996). La convergenza diventa, così, un metacriterio che seleziona lo stes* so processo di innovazione. Le attività e i rapporti resi possibili dal mst sfruttano un'infrastruttura materiale essenzialmente costituita da interfacce che rendono possibile la cumulatività del processo di istituzio

CRISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

71

nalizzazione dello sviluppo tecnico. Come osserva Gras, “gli og­ getti tecnici che costituiscono il mst sono eterogenei, ma colle­ gati alFintemo di una infrastruttura reticolare, uno spazio a ma­ glia. Oleodotti, autostrade, canali satellitari, cavi elettrici, linee aeree, autostrade, ferrovie, ripetitori delle onde della telecomu­ nicazione, metropolitane, sistemi fognari: gli elementi di cui è costituito il nostro ambiente immediato sono divenuti total­ mente dipendenti gli uni dagli altri, e trasformano il nostro spa­ zio in un territorio interamente artificiale e interconnesso, al­ l’interno del quale è possibile far circolare dei flussi (di beni, ri­ sorse, persone)” (Gras, 2003:88-90). Ciò spiega perché la rete, costituita da nodi e dalle loro reciproche connessioni, è l’artefat­ to fondamentale del mst contemporaneo, che permette di cattu­ rare e gestire i flussi eterogenei che si attivano all’interno dello spazio globale (Castells, 1996). Nonostante i notevoli passi in avanti, l’obiettivo della conver­ genza non è mai completamente raggiunto, e rimangono sempre aperti problemi di comunicazione e integrazione. Inoltre, ci sono filoni di sviluppo tecnologici, come ad esempio le biotecnologie o le nanotecnologie, molto recenti e il cui grado di integrazione ri­ mane limitato. Infine, data la crescente complessità e l’elevata mobilità, l'integrazione del mst rimane sempre problematica e necessita di una sorveglianza costante e generalizzata. Ma, al di là di queste criticità, con lo sviluppo del mst non solo l’intero spa­ zio globale viene progressivamente ricoperto da infrastrutture tecnologiche omogenee, ma perfino l’essere umano comincia a venire inglobato attraverso la costruzione di interfacce e criteri di compatibilità. Peraltro, la dimensione degli investimenti richiesti fa sì che tale processo proceda speditamente solo in quelle dire­ zioni che soddisfano determinati criteri di profittabilità. In que­ sto modo, il processo di razionalizzazione tecnica rimane colle­ gato alla logica capitalistica di cui riflette interessi e priorità. Il valore della nozione di mst sta nel fatto che essa permette di superare lo sguardo ingenuo che vede le singole tecnologie se­ paratamente senza cogliere l’integrazione di un sistema com­ plesso che, per poter funzionare, ha bisogno di includere una pluralità di piani, rendendo compatibili codici e tecnologie dif­ ferenti. E tuttavia, per quanto importante, l’idea di mst coglie solo un aspetto di un processo più generale, che tocca anche al­ tri ambiti della vita sociale. Oltre alla tecnologia, la razionaliz­ zazione si applica, infatti, in maniera sempre più sistematica, alla sfera istituzionale, sviluppando e trasformando il processo di burocratizzazione di cui si era già occupato Weber. Storicamente, le “istituzioni” - per come noi moderni le con­ cepiamo - si sono potentemente sviluppate all’interno della cor-

72

LIBERTÀ IMMAGINARIA-

nice dello stato nazionale (Weber, 1968). Ma, con la dottrina neoliberista, i crescenti problemi di governabilità posti dal CS vengono affrontati in base allo slogan "dallo stato al mercato”, a partire dall'assunto che "la società non esiste” e che, pertanto, sia possibile creare istituzioni regolative transculturali (e quindi transnazionali). Le sif - lascito importante, prima della maturità e poi della crisi del cs - soddisfano perfettamente tale esigenza, incarnane do una razionalità non solo asettica e impersonale, ma anche, per quanto possibile, sradicata da particolari contesti territorial li e politici. In ogni caso, esse si qualificano per il loro modesto fabbisogno di radicamento culturale. Che sia il diritto, Feconomia, l'ingegneria o la medicina, la nostra vita sociale è sempre più organizzata attorno ad apparati istituzionali in grado di sta­ bilizzare pratiche organizzative attraverso procedure scritte: co­ dici e algoritmi, regole e procedure, linguaggi razionalizzati di natura eminentemente tecnica. In quanto codificati a un livello di astrazione molto elevato, tali apparati sono sradicati da spe­ cifici contesti politici e territoriali e aspirano a essere adattabili a mondi culturali differenti, facilitando così Finterscambio di beni, servizi, persone, informazioni. Già nei primi anni ottanta, Luhmann (1981) aveva colto tale tendenza introducendo il concetto di "sistema autoreferenzia­ le”, effetto del più generale processo di differenziazione funzio­ nale che caratterizza la nascente società globale. Secondo Fau­ tore tedesco, la società globale in via di costituzione si sarebbe basata su una molteplicità di sottosistemi ciascuno dei quali, autoorgani zzandosi e differenziandosi dall'ambiente circostan­ te, contribuisce allo svolgimento di una funzione specifica, pur senza pretendere di avere la supremazia o il coordinamento su tutti gli altri. Qualche anno più tardi, sviluppando questa intuizione, Teubner ha parlato di "globalizzazione policentrica” come di "un processo in cui diverse sfere di vita rompono simultanea­ mente i propri confini regionali e si costituiscono in settori glo­ bali autonomi [...] Ognuna di queste sfere comprende modelli differenti di villaggi globali indipendenti” (Teubner, 2005:117118). Tali sfere "rappresentano forme altamente specializzate di produzione giuridica esplicita all'interno di sottosistemi funzio­ nali. Esse non emergono da un coordinamento informale tra azioni o da un graduale processo di interazioni ripetute, bensì da una statuizione che avviene in processi decisionali di orga­ nizzazioni formali specializzate” (Teubner 2005:63). Come tali, le sif possono essere definite quali veri e propri plessi istituzio­ nali - cioè sistemi integrati di regole e di procedure formalizza­

< MINI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

73

lo - dotati di capacità regolativa che, indipendentemente dal di­ ritto dello stato nazionale e dal diritto pubblico intemazionale (Teubner 1999:119), permettono lo svolgimento di una vita so­ rtale non più rigidamente limitata dall'esercizio del potere poli­ tico territoriale. L'esempio più convincente di questo discorso, apparente­ mente molto astratto, è proprio il mercato: esso è una istituzio­ ne sui generis, costituita da norme, pratiche, assetti giuridici e regolativi, relativi alla moneta, al lavoro, alla produzione, al consumo e al risparmio, che si sono andati stratificando nel cor­ to del tempo a un livello che non è più solo (anzi, è sempre me­ no) nazionale. Ma la stessa cosa si può dire per la sanità (che or­ ganizza su scala intemazionale non solo la conoscenza, ma an­ che la pratica e le tecniche della cura), il diritto, l'arte, lo sport, ta ricerca scientifica ecc. Caratteristica delle sif è quella di tendere all'autoorganizzazlone sulla base di un principio di razionalità interna che arriva Uno a rendere superflua l'esistenza di un'autorità esterna. Anzi, In linea di principio, le sif non tollerano interventi regolativi rlcronomi e sollecitano il passaggio dalla logica del government a quella della governance: quanto più si sviluppano le sif, tanto meno c'è bisogno di un governo centralizzato, mentre sono ne­ cessarie autorità (pubbliche o private) interne e competenti che garantiscano il corretto rispetto delle regole, la soluzione dei conflitti, l'integrazione tra le decisioni degli attori. D'altra parte, Il criterio di legittimazione delle sif è di natura meramente fun­ zionale: le istituzioni sono tollerabili nella misura in cui funzio­ nano rispetto alla propria logica costitutiva (ad esempio, la sani­ li deve guarire la malattia), cioè se sono in grado di risolvere un problema di organizzazione della vita sociale o di soddisfare de­ terminate esigenze individuali. Ciò costituisce uno stimolo im­ portante, che sostiene la selezione interna e la dinamica di auto­ organizzazione. Di conseguenza, contrariamente a quanto avve­ niva con le istituzioni dello stato nazionale, le sif non hanno al­ cun mandato narrativo di ordine generale, e anzi tendono a mi­ nimizzare - fino, se possibile, a eliminare - i contenuti culturali da cui dipendono (il che le rende costitutivamente transnazionuli). mst e sif sono la concreta manifestazione dell'avanzamento del processo di razionalizzazione che si realizza tra la fine del XX e l'inizio del xxi secolo. Grazie a esse, molte delle azioni uma­ ne che si svolgono, oggi, su gran parte del pianeta (e la quasi to­ talità di quelle che si svolgono nelle società avanzate) si produce con l'ausilio di, o in rapporto a, strumenti tecnici e/o apparati tatituzionalizzati che sono organizzati su una scala sovranazio-

74

LIBERTÀ IMMAGINARLA

naie. Ciò segna un ulteriore passo in avanti nella capacità della tecnica di strutturare la vita personale e collettiva. In questo modo, quote sempre più ampie della vita sociale - grazie al l'ac­ cresciuta capacità di rendere possibili scambi e interazioni sem­ pre più veloci - possono sbarazzarsi del proprio radicamento territoriale e culturale. Se, da un lato, ciò accresce gli spazi di li­ bertà (dal gruppo e dal vincolo spazio-temporale) individuale, dall'altro non può che comportare la precarizzazione della base relazionale e culturale, già notevolmente indebolita dalle prece­ denti fasi della modernizzazione. Costruendo giorno dopo gior­ no un mondo astratto, fatto di regole, standard, procedure, mst e sif rischiano di rendere esangue il tessuto sociale interstiziale. Simbolizzazione ed esperienza estetica

Da molti punti di vista, dunque, Weber aveva ragione: la ra­ zionalizzazione è un destino al quale sembra difficile sfuggire. Tuttavia, se si osserva il secolo che è alle nostre spalle, appare senz'altro una forzatura affermare che, da sola, questa dimen­ sione è in grado di spiegare quanto avviene nella vita sociale: il logos - intrecciando in vario modo i fili del legein e del teukein non può mai espungere per intero il pathos dalla vita umana. Già la prima metà del Novecento aveva drammaticamente di­ mostrato la forza dell'intuizione weberiana circa l'esistenza di una dinamica diversa, non riconducibile alla logica della razio­ nalità rispetto allo scopo - movimento che Weber (1968) aveva ricondotto all'idea di charisma. Per quanto si possa procedere sulla strada della razionalizzazione, nella vita sociale rimane pur sempre un nocciolo centrale che sfugge a tale processo e da cui emana un'energia straordinaria. Tale nocciolo - che riguar­ da “l'ordine dei simboli, dei valori e delle credenze” - costituisce “il centro della vita sociale, perché è ultimo e irriducibile ed è sentito come qualcosa a cui non si può dare un'esplicita spiega­ zione [...] in questo senso, il centro è qualcosa di sacro” (Eisen­ stadt, 1968:xxx). Nella sua opera monumentale, Habermas (1978, 1985) ha cercato di mostrare come il progetto moderno non sia riuscito a mantenere l'equilibrio tra razionalità strumentale (nei termini del nostro discorso, il teukein) e razionalità comunicativa (il le­ gein), cogliendo in questo modo un punto essenziale della crisi moderna, costantemente squilibrata dal lato delle finalità che la tecnica, nel suo prodursi, definisce. Indubbiamente, il discorso di Habermas è di straordinaria importanza, perché riflette su una questione decisiva per le vicende della modernità. Tuttavia,

• HIMI M SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

75

nonostante l'ampiezza della sua ricostruzione sui processi di Im inazione di quella che lui chiama "razionalità discorsiva" i Habermas, 1985), la sua analisi rimane troppo timida circa i < Hinbiamenti determinati dall'affermazione di una società me­ lila! izzata sul processo di significazione che si basa sul discorso a la parola (McLuhan, 2008). In effetti, il superamento del cs deve essere messo in relazio­ ne, oltre che all'ingresso in una fase più avanzata del processo di ih/lonalizzazione, a un ulteriore grande fenomeno connesso । un la "rivoluzione permanente dei sistemi della comunicazio­ ne" che si determina nella seconda metà del xx secolo. Tali cam­ biamenti sfociano in quello che, nel prossimo paragrafo, ricon­ durrò allo "spazio estetico deterritorializzato” (sed). Ma, per po­ ter Introdurre tale concetto, è necessario per prima cosa accen­ nare, seppur succintamente, a ciò che è accaduto all'esperienza emetica nel corso del Novecento. Il termine "estetica" - dal greco aisthanomai che significa '’(Percepisco, sento per mezzo dei sensi" - coglie una modalità attraverso cui l'essere umano patisce (pathos) il proprio stare al mondo. Coinvolgendo contemporaneamente il corpo e la men­ te, Vaisthesis è essenzialmente fusione, superamento di quella distinzione soggetto-oggetto che è invece tipica dello sguardo cognitivo e di quello che si fissa nelle istituzioni. Di tale matrice originaria, l'esperienza estetica conserva la capacità di trarre il soggetto fuori da sé e dalle sue incombenze mondane per farlo accedere a un piano diverso dell’esperienza. In questo senso, (estetica costituisce un momento di apertura dell'ordine socia­ le, una fase liminale che è in grado di rimettere in moto la capa­ cità simbolica di un individuo o di un gruppo. Come già osser­ vava Plotino, proprio l’esperienza della fusione è il terreno che avvicina la mistica, l’estetico e l’eròtico: "Queste sono le emozio­ ni che devono sorgere al contatto di ciò che è bello: lo stupore, la meraviglia gioiosa, il desiderio, l'amore e lo spavento accompa­ gnato dal piacere".13 La forza deWaisthesis sta nel suo rifiuto di ogni calcolo e di ogni direzione, per accedere all’intensità della spontaneità e dell'immediatezza, sole vie mediante le quali l'es­ sere umano può consegnare se stesso ad altro, che può, a sua volta, innalzarlo verso il cielo oppure trascinarlo verso le pro­ fondità più oscure. Per questo i confini tra religione, arte e ses­ sualità, e tra esperienza mistica, estetica ed erotica sono sempre stati labili e mutevoli tra le diverse culture e all'interno di esse. 13 La citazione è tratta da Enneadi m, 8,10 nell'edizione a cura di G. Faggio, Rusconi, Milano 1992.

76

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Tradizionalmente, si riconosce che l'esperienza estetica ha, tra l'altro, tre elementi distintivi che la costituiscono. Il primo è quello di ricomporre in modo originale la prospet­ tiva soggettiva con quella oggettiva: tale ricomposizione vede nel bello la testimonianza di una presenza libera del senso in na­ tura. Tradizionalmente, l'esperienza estetica, pur rimanendo soggettiva, non è mai stata vista come puramente arbitraria o del tutto isolata. Pur essendo un'esperienza sensoriale, essa si distingue dal piacere sensibile in quanto possiede una sua pro­ pria struttura mediante cui si costituisce l'esperienza del bello. Il secondo elemento è la capacità dell’esperienza estetica di creare una comunicazione rispetto al dato in se stesso. Costrin­ gendoci ad aprirci a ciò che ci viene incontro, che si dà, che si manifesta di fronte a noi, l'idea di aisthesis coglie l'elemento del­ la passività, che genera a sua volta un movimento: fra l"'oggetto estetico” e l'io si instaura una dinamica di scambio che apre la strada alla via simbolica d’interpretazione del mondo. Il terzo elemento è la capacità dell’estetica di sospendere le regole istituite e di creare un trauma, una sconnessione nella trama ordinata dei significati. Come scrive Massimo Recalcati, l'esperienza estetica conserva sempre un carattere traumatico: “A partire dal linguaggio e dalle sue leggi, opera un buco interno al linguaggio, o meglio incontra nel linguaggio ciò che ne costi­ tuisce il centro esterno [...] la poesia eccede le regole della com­ posizione. È in costante deviazione rispetto ad esse: in questo ri­ flette il mistero di qualcosa che scaturisce dal linguaggio, indi­ cando al tempo stesso il centro del linguaggio come centro de­ serto, abisso, assenza di linguaggio” (Recalcati, 2007a: 191-192). Dal canto suo, la modernità ha sempre avuto un rapporto difficile con l’esperienza estetica, vista non solo come inutile e dispersiva, ma anche come irrimediabilmente affetta da irrazio­ nalità e soggettivismo e, pertanto, inadatta alla logica del con­ trollo tipica della razionalizzazione. Anche se non si sono potu­ te evitare commistioni e strumentalizzazioni, la vena razionalizzatrice della modernità ha sempre guardato con sospetto al­ l’esperienza estetica. Per quanto conculcato, però, questo tipo di esperienza umana non poteva essere soppresso, cosicché il ri­ sultato dei tentativi in tal senso è stato quello di stimolare nuo­ ve vie di espressione e, soprattutto, di separare completamente la sfera della razionalità da quella dell'estetica. Sul piano sociologico, gli anni tra le due guerre avevano già drammaticamente dimostrato che quanto più si espandeva la de­ riva razionalizzatrice - attraverso i sogni di ordine e organizzazio­ ne che la modernità dispiegata portava con sé - tanto più si am­ pliavano gli spazi nei quali potevano prosperare richiami estetiz-

( RISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

77

/.anti e irrazionali: con i termini del nostro discorso, concentrarsi unicamente sul teukein e, al più, sul lato razionale del legein, espo­ ne al rischio che, in una situazione in cui il potenziale di azione e ili distruzione tende a crescere, qualcuno possa impadronirsi di quel “centro sacro” a cui faceva riferimento Eisenstadt. Nel quadro del cs, si provò a risolvere l'imbarazzo a partire dalla considerazione che le drammatiche vicende prebelliche erano state in qualche modo causate dall'uso strumentale, da parte della politica, dell'esperienza estetica. Tutto ciò suggeriva prudenza: per evitare i pericoli che sarebbero potuti derivare da tale commistione, la dimensione estetica doveva rimanere il più possibile estranea al mondo delle istituzioni, che necessitavano piuttosto di essere imbevute di un legein altamente razionalizza­ lo. Per questa ragione, le istituzioni del cs furono caratterizzate da una certa austerità formale, pur cercando di non tralasciare mai la loro natura valoriale e narrativa - attraverso cui provava­ no a realizzare la ricomposizione tra funzioni e significati. Ma il problema fu che, in una società che venne ben presto inondata di immagini e di nuove sensazioni, il bisogno di mantenere il controllo sulla produzione simbolica costituiva un punto di grande debolezza. E, infatti, la crisi e il superamento del cs han­ no strettamente a che fare con una sorta di esplosione della sen­ sibilità estetica nelle società avanzate, di cui si trova già traccia evidente in molti aspetti presenti nella critica d’artista. Nono­ stante i potenti sforzi prodotti per contenere tale deriva, almeno quattro fenomeni - giunti a maturazione nel secondo dopoguer­ ra - hanno contribuito ad accrescere ed estendere il ruolo del­ l'esperienza estetica nella vita sociale con temporanea. Il primo fenomeno deriva da un percorso molto profondo che attraversa la cultura europea fin dalla seconda metà del xix secolo e che, separando l'arte dalla religione, la pensa come atti­ vità autonoma di simbolizzazione sganciata da qualunque pre­ occupazione relativa al senso. Sviluppando tale sensibilità, l'ar­ te è sempre più diventata “per se stessa", una "provincia del pen­ siero simbolico", dove il simbolo è un'“immagine aperta" e l’esperienza del bello un’esperienza indeterminata, radicata nel sensibile e nei suoi ritmi e, come tale, autonoma e autoreferen­ ziale. Su questo punto vale la pena citare Rudolf Amheim (1969), secondo il quale l'arte diventa "mera sorpresa", sempre più caricata di un ruolo catartico. Tema che ritroviamo in Gauchet quando parla della "ridefinizione estetica dei poteri dell’arte": "L'arte diventa un puro fine, in questo modo le si conferisce l’esorbitante potenza di rivelarci l’al di là dell'apparenza oltre che i segreti di noi stessi. Questa doppia radicalizzazione, che intende attribuire all’arte il compito iperbolico e contraddittorio

78

LIBERTÀ IMMAGINARIA

di fare apparire il fondo di quello che siamo e la verità dell esse­ re, porta a un attività perfettamente autosufficiente che è poi l'elemento che caratterizza tutte le avanguardie degli ultimi de­ cenni” (Gauchet, 2002:290). Si potrebbe dire che, in questo mo­ do, nel corso del xx secolo l'arte si candida a unire perfetta im­ manenza e perfetta trascendenza, provando così a compiere l'impresa di tenere insieme opposti inconciliabili. Il secondo fenomeno - strettamente associato al primo consiste nella progressiva soggettivizzazione che investe le di­ verse dimensioni dell'idea di arte. Dal lato della produzione, l'enfasi posta sul punto di vista e sull'interiorità dell'artista com­ plessi fica il rapporto con la realtà, di cui addirittura si arriva a perdere le tracce. A partire dalla fine dell'ottocento, sia nella poesia che nelle arti figurative, il riferimento alla realtà - che co­ me tale non appare più riproducibile - comincia ad articolarsi, mentre viene enfatizzata la libera espressione della soggettività dell'artista.14 Ciò comporta concepire un testo non tanto come un pezzo della storia del mondo, quanto come la storia di se stesso, la descrizione del percorso compiuto per arrivare a quel­ lo che è. In questa prospettiva, il testo non “significa” ma “è”, e ogni interrogazione posta al testo circa un possibile significato è vana. Allo stesso modo, dal lato della fruizione - neologismo che segnala la centralità della lettura di chi sta di fronte a un'opera d'arte - l’ago della bilancia si sposta in favore del soggetto, per cui lo sguardo dello spettatore non è più passivo: egli contribui­ sce in maniera determinante all'esito che si raggiunge, sempre provvisorio e perennemente aperto a nuove rielaborazioni. La perdita di riconoscimento della cosa raffigurata che per Gada­ mer (1988) è sintomo della crisi del figurativo, per Ricoeur (1993, 1997) costituisce un elemento di grande innovazione. Su­ perare la fissità della forma permette, infatti, di accedere a un'eccedenza che - comprendendo tanto l'atto della produzione quanto quello della fruizione - riapre il processo artistico, la cui funzione originaria non è di aiutarci a riconoscere gli oggetti, ma di scoprire nuove dimensioni dell'esperienza soggettiva. Il terzo fenomeno nasce con quella radicale trasformazione che Walter Benjamin (2000) ha colto nel momento in cui l'opera d'arte è entrata nell’epoca della propria riproducibilità tecnica, perdendo quello statuto di autenticità e unicità conferitole dal­ l'essere un pezzo unico, originale (non prodotto in serie) e auten14 Fredric Jameson (1991 ) porta come esempio l’opera, di Andy Warhol, Dia­ mond Dust Shoes, che non parla di una realtà nascosta che va interpretata. La sua caratteristica è, invece, quella di essere priva di profondità, piatta, svuotata di qualunque significato e stile, disponibile, proprio per questo, a entrare nell’in­ finito circuito dei significati in movimento.

KIWI It SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

79

il» ti, ossia irripetibile e destinato a un godimento estetico esclu­ di n nel luogo in cui si trovava. Questo hic et nunc dell'opera, liii'Mu sua originalità, unicità, autenticità, irripetibilità, esclusi­ ci di godimento estetico, è da Benjamin chiamata “aura”, aura Ih* viene persa nel momento in cui tutto diventa riproducibile. D pillilo è che, mentre il godimento dell’aura di un'opera d'arte era iiH usperienza estetica e qualificata di una cerchia ristretta, l’ope।ii d’urte riprodotta mediante lo sviluppo tecnico ha come desti। mi m io le masse ignoranti. Secondo alcuni, ciò ha infetto un duiii i nlpo alla purezza dell'esperienza artistica; secondo altri, solo Hi questo modo è possibile generalizzare la dimensione estetica Hi'lhi vita e nel corpo sociale. Ma, indipendentemente dal giudi­ ci > che se ne vuole dare, il fenomeno è sociologicamente di enor­ me portata. Si pensi, per fare un esempio, al caso della musica, • he nel corso del xx secolo perde progressivamente l'incardina­ rne n to nelle sue strutture gerarchiche tradizionali per diventare । iggctto di espressióne e di godimento personale con il solo scopo ili arricchire la sfera della soggettività. L'incredibile fenomeno iIella musica leggera - quasi un'eresia per i cultori della musica । hiNsica - che in pochi decenni ha sbaragliato tutti i canoni arti•d lei in materia, dà conto della velocità con cui la riproducibilità Irenica ha cambiato la natura dell’esperienza estetica nella vita Individuale e sociale. Un tale processo si intreccia con il quarto fenomeno, che na­ nce con lo sviluppo della società dei consumi e con le sue conse­ guenze dal punto di vista della rilevanza attribuita al lato esteti­ co delle cose. H successo della produzione industriale di massa lui permesso di saturare rapidamente i bisogni di base di gran purte della popolazione e, fin dai primi anni sessanta, si è co­ minciato a interrogarsi sui caratteri di un mondo nel quale la produzione di manufatti umani diventava così importante. A po­ co a poco, il tema dell'estetica è penetrato profondamente nella Riera della produzione: il design applicato agli oggetti ordinari, come un cucchiaio da tè o una caffettiera, arriva a contare più della stessa funzionalità dell'oggetto (talvolta così deformato da apparire disfunzionale, come nel caso di sedie ipermodeme ma («comodissime). Per non parlare della pubblicità, che si scopre uno strumento decisivo nell’orientare le preferenze di consumo. Proprio mediante gli artefatti, nelle scelte che ognuno di noi, co­ me consumatore, è chiamato a fare, aumenta il peso attribuito al lato estetico delle cose - nell'abbigliamento, nell'abitazione, ne­ gli elettrodomestici, nell’automobile ecc. Cogliendo la portata di quanto stava cominciando ad accadere, Pier Paolo Pasolini par­ lò di “penitenziario del consumismo” per indicare il pericolo di una vera e propria "tirannia del gusto” capace di imporre un or­

80

LIBERTÀ IMMAGINARIA

dine non repressivo, basato sull'abbondanza del superfluo da or­ dinare, però, secondo un qualche criterio estetico. In termini generali, nel corso del Novecento si ha una ten­ denza verso la generalizzazione dell'esperienza estetica lungo tre direttrici. La prima è la sua penetrazione in tutti i ceti sociali, così che ciò che tradizionalmente era un privilegio riservato a gruppi so­ ciali ristretti - dilettarsi attorno al bello - diventa una pratica sempre più generalizzata, di massa. La progressiva estensione della logica dell'estetizzazione a tutti gli strati sociali - dalle éli­ te ai ceti popolari - porta a modificare e a diversificare gli stessi canoni estetici e, soprattutto, al superamento della tradizionale distinzione tra “cultura" alta e “cultura bassa”. Tutto è bello e tutto è brutto: non è più possibile ricondurre l'esperienza esteti­ ca a qualsivoglia canone di giudizio. La seconda direttrice riguarda la penetrazione del gusto nelle diverse sfere della vita, secondo quel processo che è stato chiama­ to “estetizzazione della vita quotidiana”, per il quale gran parte delle nostre attività vengono svolte dedicando una cura meticolo­ sa al loro lato estetico. L’estetizzazione della vita quotidiana sem­ bra voglia tenere sotto controllo l'esperienza estetica attraverso la sua polverizzazione nelle piccole emozioni quotidiane. L’ultima direttrice riguarda, invece, l'intreccio sempre più stretto tra esperienza estetica e sviluppo tecnico. Tendenza che si rafforza, in modo particolare, con l'evoluzione del sistema dei media che, da più di mezzo secolo, contribuisce a ridefinire il no­ stro rapporto con la realtà, determinando il progressivo sposta­ mento dei sistemi della comunicazione dalla parola all'immagine. Lo sguardo dello “spettatore” diventa, in questo modo, onnicom­ prensivo (Boltanski, 2000) e, in qualità di spettatori-fruitori, ci abituiamo a guardare e a cercare il fascinoso di ogni situazione.15 Nascita dello spazio estetico deterritorializzato

In letteratura esiste un diffuso consenso attorno all'idea che la realtà sociale contemporanea si caratterizzi per l'indeboli­ mento di qualsiasi confine culturale e per la perdita di consi­ stenza degli apparati istituzionali tradizionali (Hannerz, 1998). 15 Riflettendo sul cinema come “occhio del Novecento", Francesco Casetti (2005) ha colto un punto centrale della crescente importanza dell’esperienza estetica, nella vita personale e collettiva, dovuta alla diffusione dei media mo­ derni.

< MIMI H SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

81

In effetti, l'evoluzione degli ultimi decenni sembrerebbe aver imito una situazione di indistinzione culturale, al punto che uno studioso attento come James Lull (2000) ha parlato di “de< tilturalizzazione" e di "supercultura". Con tale espressione, l'autore americano intende sostenere che siamo di fronte a una vmi e propria rivoluzione in cui "i termini fondamentali del po­ tent* sociale istituzionalizzato sono messi in discussione da indi­ vidui e da gruppi nel momento in cui essi hanno a disposizione nuove risorse attingibili dalla sfera culturale" (Lull 2000:272). L'aspetto interessante di tale osservazione è che i mutamenti degli ultimi decenni hanno modificato la funzione integrativa ricoperta dalla cultura, almeno da quando essa è stata tematiz­ zata come oggetto degli studi antropologici e sociologici. In effetti, soprattutto a partire dalla seconda metà del Nove­ cento, la possibilità di delineare e di stabilizzare modi di vita, re। km lori di credenze, stili di comportamento, valori e simboli - cioè di stabilizzare una "cultura" comune a un determinato gruppo al­ l'interno di un territorio16 - viene progressivamente messa in di­ scussione da quella che nelle pagine precedenti ho chiamato "ri­ voluzione permanente dei sistemi della comunicazione", a segui­ lo della quale un'eccedenza di riferimenti culturali e simbolici, |km- di più utilizzabili in modo "autonomo e creativo”, è resa di­ sponibile, direttamente e senza mediazioni, al singolo individuo (Hannerz, 1998). Più precisamente, la rispazializzazione della vi­ lli sociale - con la facilità con cui oggi si possono muovere beni, simboli e persone - comporta l'accresciuta penetrabilità di qualun­ que mondo sociale da parte di contenuti e riferimenti simbolici esterni ed estranei, con la conseguenza che è sempre più difficile riuscire a depositare significati culturali in qualsivoglia luogo, isti­ tuzione, gruppo (Meyrowitz, 1986). Sia i mondi della vita - quelle piccole nicchie di tradizione e relazione nelle quali noi conducia­ mo la nostra vita quotidiana - sia i mondi istituzionalizzati che pretendono di dotarsi di una propria cultura distintiva - garantita dallo stato-nazione - sono continuamente invasi e quindi costret­ ti a produrre un grande sforzo di adattamento.17 16 Modello che stava alla base anche del cs, pur con un'articolazione e un pluralismo interni molto più ampi che nelle tradizionali forme comunitarie. 17 Le conseguenze di una tale stratificazione dei processi culturali sono, ad esempio, bene osservabili nelle città contemporanee, che non possono più essere pensate in modo statico e univoco. La città, oggi, è riferibile a popolazioni molto di­ verse - nativi, residenti, immigrati, pendolari, city-users, turisti, lavoratori, studen­ ti - e a quartieri che spesso hanno ben poco in comune tra loro. Nonostante gli sforzi per contrastare i fenomeni in atto, il calo dell'integrazione culturale delle realtà urbane è evidente ed è alla base di molte delle questioni di cui ci occupiamo tutti i giorni. Per un approfondimento sui temi urbani, si veda in particolare Giaccardi (2007) e il numero monografico di “Comunicazioni Sociali Online" (1, 2009).

82

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Questo concretamente significa che ciò che abbiamo chiamato “cultura" - quell'impasto consolidato di modi di fare, di pensare e di giudicare incarnato in assetti istituzionali e social­ mente condiviso - si stratifica su una pluralità di piani, renden­ do più precario il processo del suo radicamento (Lash, 2002), Per questa ragione, alcuni autori hanno parlato di “detradizionalizzazione" (Heelas, Lash e Morris, 1996), sottolineando la difficoltà per qualsiasi giacimento culturale di riprodursi nel tempo. Se per “supercultura" (Lull, 2000) si intende l’insieme delle risorse simboliche diffuse e riprodotte attraverso il sempre più complesso e pervasivo sistema della comunicazione mediale, allora è forse utile introdurre la nozione di “spazio estetico de­ territorializzato" (sed)18 che, operando su uno spazio extrana­ zionale e potenzialmente globale, si affianca ai mst e alle sif come elemento chiave per strutturare le logiche sociali della contemporaneità. Più precisamente, lo sed nasce nel momento in cui, alla spazializzazione culturale univoca del cs, subentra una spazializzazione plurima, dovuta aH’aumentata mobilità delle persone, delle merci e soprattutto dei segni e dei simboli culturali.19 Tale imponente fenomeno si è notevolmente accele­ rato nella seconda metà del xx secolo, rendendo sempre meno possibile ricondurre le dinamiche della produzione culturale all’interno di un unico ordine istituzionale e/o territoriale. Og­ gi, la condizione nella quale viviamo comporta il doversi misu­ rare con la pluralizzazione dei mondi e dei riferimenti in cui si costruisce l’esperienza sociale (Hannerz, 1998). A livello empi­ rico, tale trasformazione è osservabile nel momento in cui di­ venta direttamente accessibile ai singoli individui, senza alcu­ na mediazione istituzionale, “una matrice di risorse simboli­ che, di scene non mediate di vita quotidiana e di tutte le altre forme di rappresentazione culturale, oltre alle attività che gli individui impiegano per espandere i propri orizzonti, condivi18 Riprendo questo termine da Lull e Bauman, i due autori che l’hanno im­ piegato pur se con sfumature diverse. 19 Come scrive Pierre Lévy, “Ogni nuovo mezzo di comunicazione e di tra­ sporto modifica il sistema di prossimità concreta, e cioè lo spazio pertinente per le comunità umane. [...] Analogamente i sistemi di registrazione e di trasmissio­ ne di vario tipo (tradizione orale, scrittura, registrazione audiovisiva, reti digita­ li) costruiscono ritmi, velocità e qualità di storia differenti. [...] Il moltiplicarsi degli spazi fa di noi un nuovo genere di nomadi: anziché seguire delle linee di erranza e di migrazione nell’ambito di una certa estensione, noi saltiamo da una rete all’altra, da un sistema di prossimità al successivo. Gli spazi subiscono me­ tamorfosi, si biforcano sotto i nostri piedi, costringendoci all’eterogenesi” (Lévy, 1996:12-13).

i MIMI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

83

ile ir sentimenti, creare reti sociali, definire stili di vita e orga­ nizzare la vita in modo significativo e piacevole [...] Lo spazio HMtctico è uno spazio intermedio tra qui e lì, tra la società e il «è, tra il materiale e il simbolico, perché la cultura, oggi, si col­ loca confusamente tra il locale e il globale, tra il collettivo e l'individuale e tra le forme mediate e non mediate di esperien­ za” (Lull, 2000:268). Volendo definire in modo più accurato le caratteristiche principali dello sed, si può dire che là dove lo spazio sociale Istituito del cs cercava ai costruire un ordine attraverso l'orga­ nizzazione e la gerarchizzazione delle classificazioni, delle ti­ pizzazioni del mondo, delle norme, delle obbligazioni e delle fedeltà che legavano i soggetti alla realtà circostante, nello SED prevalgono ordini transitori, plurali e parziali, in un quadro di Incessanti cambiamenti e contaminazioni alimentati dallo «lancio verso il superamento di qualunque limite. La ragione londamentale di tale mutamento dipende dal fatto che la pro­ duzione culturale dentro lo sed non è più gerarchizzata dall'or­ dine istituzionale dello stato nazionale - ancora prevalente nel­ l’èra del cs20 - quanto piuttosto dal “regime della spettacolariz­ zazione" (Debord, 1997) che ha la capacità non solo di cattura­ re l’attenzione in un contesto in cui il rumore di fondo è molto alto, ma anche, e soprattutto, di invertire i significati. Con raf­ fermarsi della “società dello spettacolo", "quanto più l'esperienzn deperisce e si degrada sul piano reale, tanto più la sua mes­ tili in scena spettacolare ne offre un surrogato seducente e po­ lente. A questa inversione fondamentale ne segue immediata­ mente un'altra: quanto più un fenomeno è potenzialmente mi­ naccioso per il potere esistente, tanto più viene rappresentato come effimero, contingente, già noto. Ovunque sia possibile, occorre mostrare un universo continuo, senza strappi, lacera­ zioni, fessure. Da qui, poi, discendono una serie di conseguen­ ze, che investono per intero la percezione collettiva del mondo: quanto più un fenomeno perde in qualità materiale, tanto più la sua immagine-fantasma acquista splendore e luminosità; quanto più è artificiale, tanto più deve apparire naturale e indi­ scutibile; quanto più è frutto della necessità economica, tanto più appare delegato alla libera scelta dei singoli. Il surrogato spettacolare mostra un'immagine invertita del mondo reale: questa dev'essere tanto più intensa, rilucente e fascinatoria, 20 Anche se non bisogna dimenticare che in alcuni casi vi sono situazioni in cui 1 ordine istituzionale dello stato cerca di intervenire per ristabilire il control­ lo, come ad esempio nel caso della Cina, che interviene per filtrare le comunica­ zioni che transitano attraverso la rete.

84

LIBERTÀ IMMAGINARI!

quanto più radicale è l’assenza o la negatività che si tratta di compensare. L'intensità affermativa di un simulacro è diretta» mente proporzionale all'indebolirsi della forza viva, che essa deve sostituire" (Pezzella, s.d.:l). La moltiplicazione delle emittenti, la velocità della circola­ zione, l'estensione spaziale dei flussi comunicativi, la pervasività degli strumenti di comunicazione nelle attività della vita quo­ tidiana, rendono impensabile ricondurre i sistemi contempora­ nei della comunicazione a qualcosa di paragonabile a ciò che si è avuto nell'epoca del cs, quando i media sono stati parte attiva del progetto di integrazione culturale dello stato-nazione. 21 Nel regime attuale, la produzione simbolica è molto più anarchica e plurale proprio perché lo sed è un contesto che aspira a conte­ nere un grado di diversità e di contraddizione sempre più eleva­ to. Come tale, lo sed tende a essere una forma vuota, inassimila­ bile a precisi contenuti, un puro dispositivo che macina, consu­ ma e sterilizza ogni contenuto. Di conseguenza, mentre lo spa­ zio della comunicazione, costituito attorno all’idea tradizionale di ordine sociale, si caratterizzava per una certa fissità e rigidi­ tà, lo SED - in quanto “determinato affettivamente mediante l'at­ tenzione guidata dalla curiosità e dalla ricerca dell'intensità esperienziale" (Bauman, 1996:151) - è votato all'instabilità, alla frammentarietà, all’incoerenza e soprattutto all’elevata mallea­ bilità dei significati, nel senso che “in questo mondo tutto può accadere e tutto può essere fatto, ma nulla può essere fatto una volta per tutte e tutto quello che accade giunge inaspettato e si dilegua senza preavviso" (Bauman, 2002:115). Costituito da immagini e suoni, sensazioni ed emozioni, nel­ la sua stabilità e potenza lo sed appare dunque molto più mal­ leabile, soggettivamente appropriabile e avvolgente di quanto non fosse lo spazio culturale del cs che, riferito a una ben preci­ sa architettura istituzionale, cercava di rispecchiarne gerarchie e valori, in un quadro in cui il discorso razionale (nella forma scritta e parlata) manteneva un'indiscussa centralità. In con­ trapposizione a quel modello, lo sed incarna il sogno dell'imme­ diatezza, della semplicità, della fruibilità universale, della com­ pleta orizzontalità, ed è parte costitutiva delle forme simboliche che esso produce lasciare margini relativamente ampi per l'in­ terpretazione, la manipolazione e la contaminazione: l’intera vi­ ta sociale viene interpretata come un processo permanente di ri­ combinazione nel quale singoli individui o gruppi possono met­ 21 Ciò consente di evitare qualunque determinismo tecnologico, dato che è l'incarnazione sociale di qualunque dispositivo tecnico a contare in ultima istanza.

CRISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

85

tere in campo le proprie sensibilità e competenze,22 a partire da un’offerta sovrabbondante (Hannerz, 1998). Come tale, lo sed è destinato a causare un effetto di disorganizzazione sulle culture Nedimentate e a rappresentare un elemento di criticità per qua­ lunque potere istituito (sia esso autocratico o democratico).23 E, tuttavia, contrariamente a quanto superficialmente si ten­ de a ritenere, lo sed non è mera disorganizzazione, caos indi­ stinto. In primo luogo perché, per quanto emancipato dalla regola­ zione istituzionale, esso necessita pur sempre di supporti tecni­ ci e materiali per esistere. In altre parole, la sua condizione di possibilità non è la condivisione di una cultura, né il riferimen­ to a un ordine gerarchico, quanto piuttosto un sistema tecnico sempre più evoluto, costituito da supporti tecnologici comples­ si. Tali supporti, anche se si pretendono neutrali dal punto di vi­ sta valoriale, in realtà strutturano surrettiziamente i flussi co­ municativi, non solo perché riflettono rapporti di potere (per esempio, la proprietà degli impianti, delle reti, della produzio­ ne), ma soprattutto perché la loro stessa natura condiziona il contenuto della comunicazione (secondo quanto già McLuhan aveva capito, quando scriveva che il medium è il messaggio). In secondo luogo, lo sed conserva logiche che lo strutturano e criteri veritativi che lo confermano. Valorizzando al maissimo la dimensione sensoriale e percettiva, lo sed non ama né la parola scritta né il discorso orale, forme comunicative troppo impegna­ tive, sensorialmente deboli e scarsamente emozionanti. Esso predilige, piuttosto, i linguaggi simbolicamente più ricchi e me­ no analitici - come le immagini e la musica - che hanno il van­ taggio di avere un maggiore impatto sensoriale, di risultare me­ no costrittivi dal punto di vista dei significati e di non essere vin­ colati a singole comunità linguistiche. Come sanno bene pubbli­ citari e politici, una bella immagine è assai più eloquente di un lungo discorso e un buono slogan più convincente di un impec­ cabile ragionamento. All'interno dello sed, il criterio veritativo non fa più riferimento all'adesione a un sistema consolidato di 22 Come scrive Lull: "La comunicazione multifunzione è diventata uno stato di cose naturale per molte persone della classe media in tutto il mondo. L'abilità di maneggiare contemporaneamente tecnologie multiple, torrenti multipli di in­ formazioni ed emozioni mediali e il caos (jumble) locale di persone e cose, costi­ tuisce il complesso di abilità comunicative che la vita di oggi richiede” (Lull, 2000:266). 23 Come si vedrà più avanti, riconoscere l'esistenza dello sed non significa affermare la distinzione dei patrimoni consolidati che chiamiamo "culture”. Più limitatamente, ciò che si sostiene è che qualunque cultura deve fare i conti con 1'esistenza dello sed che, come abbiamo visto, accede direttamente al singolo in­ dividuo.

86

LIBERTÀ IMMAGINARIA

credenze e di valori, alla legittimazione di un sistema di autorità» alla verità scientifica o al convincimento razionale. Piuttosto, è Testasi, cioè “Tessere presi”, a incidere su quanto è ritenuto vero (Nancy, 2005). In questo modo l'esperienza dell'estasi viene seco­ larizzata e subisce uno spostamento dal piano verticale (trascen­ denza) a quello orizzontale (immanenza), senza perdere la pro­ pria forza veritativa: laddove c'è estasi - come effetto di una qual­ che esperienza estetica - c'è qualcosa, perché è mediante l'estasi che “si sente” la realtà. Altrimenti non c'è nulla. Coinvolgendo direttamente e per intero la sfera sensoriale, lo sed attribuisce una rinnovata centralità alla corporeità e, con essa, all'immediatezza. Il tipo di esperienza che viene reso possi­ bile al suo interno è organizzato intorno al “qui” del mio corpo e aH'"adesso” del mio presente. Parafrasando Alfred Schutz e Tho­ mas Luckman, possiamo dire che Vhic et nunc dell'esperienza estetica è il realissima™ della nostra coscienza (Schutz, Luck­ man, 1973). Implicando persone, oggetti e situazioni, questo ti­ po di esperienze eminentemente sensoriali24 coinvolge, almeno potenzialmente, tutti i sensi simultaneamente, mentre le im­ pressioni (sensoriali) che origina sono cariche di significati co­ gnitivi e valutativi (Heller, 1998:29). Mettendo l'accento sulla forza dell’aisthesis - cioè sulle di­ mensioni sensoriali e percettive - lo sed è in grado di attivare l'immaginazione che risulta, così, iperstimolata da apparati specificamente deputati a questo scopo. Al suo interno, i criteri di valutazione/validazione sono il coinvolgimento, l'essere col­ piti e toccati, l'esposizione, e non la conoscenza o il ragiona­ mento. In tale cornice, la questione della verità è subordinata a quella dell'esperienza, il che porta a ciò che è stato efficace­ mente definito "compimento emozionale della secolarizzazio­ ne” (Hervieu-Léger, 1996). Da questo punto di vista, si può dire che lo sed si struttura secondo un "regime di spettacolarizza­ zione” (Debord, 1997) all'intemo del quale ogni senso viene piegato alla costruzione del puro assenso: "Se il consenso è un dire sì a qualcosa di preciso, nell'epoca dello spettacolo non ci può essere esperienza del consenso, ma solo dell'assenso che equivale a un sì incondizionato e slegato da qualsiasi contenu­ to. E se il consenso identifica colui che dice sì [...] nell'epoca dello spettacolo non ci può essere più esperienza dell'identità, poiché chiunque dice preliminarmente sì. Privo di ogni identi­ tà, questo chiunque, vale a dire il pubblico, l’audience, è l'unico detentore del potere dello spettacolo. Ma questo potere, pur esi24 Sulla dimensione sensoriale della vita sociale rimane insuperato il contri­ buto di Simmel (1998).

MISI K SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

87

UiHido, non appartiene a nessuno, è senza volto, è di chiunque I | lo spettacolo non è un volto ma uno sguardo” (Tarizzo, >007:97). Nel regime della spettacolarizzazione, la rincorsa alla » InibìIità costringe alla continua ricerca del nuovo e dell'eccesiii Ciò definisce precisi criteri di selezione dei valori e di orienhiinrnto dei modelli di comportamento che - seppur prowiso• Intuente - si affermano, producendo nuove forme di senso co­ nnine: l'instabilità diventa un valore cruciale, poiché tutto è mobile, veloce, in trasformazione, e cambiare, quando nulla pili è stabile, diventa un obbligo. Quanto più la realtà è ricca, Minio più è stimolante, quanto più è indeterminata, tanto più «ipptire interessante, quanto più è contingente e tanto più risulih «(fascinante. La varietà prende il posto che, nella modernità, min stato occupato dalla quantità. Senza varietà non c'è vita. Nd lo sed, più che "assestarsi”, trovare la propria stabile collo• «/ione nel mondo e nello spazio sociale, ciò che interessa è muoversi, cambiare, sperimentare, rinnovarsi, non rimanere mal troppo a lungo fissi in una stessa posizione, con il rischio di risultare ripetitivi. Più che cercare la coerenza o l'accordo, la i h r rea va verso la differenza e l'eccentricità, cosicché nello sed l’esperienza del transito si generalizza: si passa continuamente du un mondo a un altro, da una sfera sociale a un'altra, da un porse all'altro, da un ambito culturale a un altro. E, dato che iilrnte è più fuori dall'orizzonte della nostra esperienza possibi­ li’, lutto può diventare potenzialmente familiare (niente è unhdmlich). Lo sed riconosce altresì al singolo la possibilità di vivere esperienze individualizzate di coinvolgimento e vicinanza tali do modificare il rapporto tra realtà e immaginazione, fino a ren­ derle sempre meno distinguibili: al di là del mondo reale, matei tale e istituito nel quale si vive, si ha sempre e immediatamente In possibilità di spostarsi in altri mondi immaginari, offerti e re­ ni disponibili dal sistema della comunicazione. Questo processo tende a generare un duplice effetto, ovvero de-realizza la realtà, uri senso che la rende meno vincolante, e reifica l'immaginario, rendendolo perfettamente reale mediante l'accesso esperienziaIr c corporeo. Il che crea dei regimi di equivalenza nei quali la distinzione tra questi due piani diventa precaria. Come è stato osservato, "la sensazione è una stimolazione corporea ed emo­ zionale [...] Le sensazioni causano una rottura tra cultura e co­ si lenza e creano strutture cognitive che non sono ben integrate” (Lull, 2000:275). D’altro canto, poiché lo sed è straordinariamente pervasi­ vi» - nel senso che tende a valicare ogni confine, a invadere ogni spazio libero e a infiltrarsi dappertutto, esercitando ovunque le

88

LIBERTÀ IMMAGINARIA

sue doti ipnotiche - risulta sempre più arduo riuscire a sottrarsi al flusso continuo di immagini e suoni nei quali siamo immersi. Volenti o nolenti, siamo perennemente esposti a una qualche for­ ma di comunicazione (dai cartelloni pubblicitari nelle strade ai maxischermi nelle stazioni, alla pubblicità sui giornali o agli spam nella posta elettronica) quasi fossimo all'interno di una grande cattedrale che include e previene ogni nostro sguardo. Il risultato è che siamo tutti parzialmente dislocati - ovunque, una parte di noi tende a trovarsi altrove così che non ci sentiamo mai completamente a casa - o, almeno, parzialmente deprivati, ovve­ ro la nostra esperienza non è mai totale, c'è sempre una parte di noi che partecipa di malavoglia e che non si riconosce fino in fondo, che sente il bisogno di qualcosa di ulteriore, persino in quelle esperienze che scegliamo liberamente (Bauman, 2002). Tutto avviene come se ci trovassimo - individualmente e colletti­ vamente - nella situazione prefigurata da Hofmannsthal in Lette­ ra di Lord Chandos, pubblicata nel 1902: le cose del mondo sono talmente sterminate e soverchianti ("ogni cosa mi si frazionava e ogni parte ancora in altre parti e nulla più si lasciava imbrigliare in un concetto”) da svuotare ogni categorizzazione e gerarchia. Con l'inevitabile indebolimento della stabilità dei significati e della consistenza di qualunque patrimonio culturale. Sempre e ovunque in azione, l’iperproduzione culturale resa disponibile nello sed finisce così per inflazionare la dimensione simbolica e per destabilizzare gli ordini culturali esistenti - sia­ no essi quelli istituzionalizzati (come lo stato nazionale o la Chiesa) siano essi quelli del mondo della vita, sui quali ha insi­ stito, in modo particolare, Habermas (1985). Tali ordini non spariscono, ma sono messi a dura prova nel momento in cui l'eccesso determina lo svuotamento di qualunque riferimento simbolico, che diventa interscambiabile e perciò insignificante. Le conseguenze si manifestano nella moltiplicazione, parallela all'indebolimento, della ricomposizione simbolica nella nostra vita sociale: il marchio commerciale, la bandiera della squadra di calcio, un certo modo di vestirsi, gli stessi simboli religiosi riescono a sostenere solo identificazioni provvisorie, parziali e superficiali, che - come tali - abituano a non riconoscere alcun legame come costitutivo e.vincolante. Creando un regime che esalta il pluralismo e in cui la simul­ taneità è l'unico arco temporale nel quale è ammessa l'esistenza di un contenuto, lo sed inflaziona e, così, svilisce la dimensione simbolica (Barcellona, 2007): attribuendo un'enfasi sempre maggiore al significante rispetto al significato, alla forma rispet­ to al contenuto, a venire destabilizzata è la significazione attra­ verso il legein.

• NIMI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

89

hi cornice spazio-temporale della nuova accumulazione i upitalistica: le relazioni intemazionali come costruzione ilri Regno In molti libri di testo, l'inizio della modernità viene fatto riNHlIre al 1492, anno nel quale Cristoforo Colombo è sbarcato nel Nuovo Mondo. In effetti, si tratta di un riferimento simbolica­ mente molto efficace, poiché fu Finterò edificio costruito all'inlerno dei confini dell'Europa a traballare, nel momento in cui la trndizionale percezione dello spazio venne rimessa in discussio­ ne. Come Carlo Galli (2001) ha mostrato, il processo di spaziaII /./.azione può tranquillamente costituire il filo rosso attorno a mi raccontare la storia degli ultimi secoli. Lo stesso cs costitui­ sce una tappa di questa secolare vicenda. Quell'idea di società i he, tanto nella teoria quanto nella pratica, così nitidamente si è idlcrmata a metà del secolo scorso, era figlia delle due guerre mondiali che ne avevano preparato le condizioni spirituali e so­ prattutto strutturali: fu un regime di relazioni internazionali Bloccate nella contrapposizione Est-Ovest che, in Occidente, i itò le condizioni per la formazione di mondi distinti e autono­ mi, come appunto le società nazionali. Le cose, in realtà, stavano in maniera un po' diversa anche allora. Come ben sappiamo, la piena autonomia nazionale era un privilegio riservato a pochissimi paesi. L'Italia, paese fragile i‘ politicamente a rischio, sperimentò sulla propria pelle tutta la Ini Ica di conservare un'effettiva autonomia, dato che da una parte e dall'altra il nostro paese era visto come strategicamente nNsai importante. È interessante osservare che la fase storica in cui viviamo è Milita contrassegnata, anche a livello di opinione pubblica, dal grande successo della parola “globalizzazione", termine assai ambiguo e analiticamente incerto che, però, ha avuto il merito di reintrodurre una metafora spaziale: pur in una prospettiva Ncmplicisticamente lineare - si sarebbe stati alla vigilia della naMcila di una “società" globale - parlare di “globalizzazione” è Milito un primo importante segnale che qualcosa era cambiato e che stavamo entrando in una fase del tutto nuova. La breve sta­ gione della “globalizzazione” - che possiamo riferire al periodo compreso tra la caduta del Muro di Berlino e l'attentato dell'l 1 Ncttembre - ci ha inoltre permesso di concettualizzare un aspet­ to fondamentale della trasformazione in corso, legato - per usa­ re i termini di David Harvey e Anthony Giddens - alla “ristruttu­ razione spazio-temporale” della vita sociale. In sostanza, l'orga­ nizzazione spazio-temporale che il cs aveva così sapientemente costruito - basata essenzialmente sui confini certi degli stati na­

90

LIBERTÀ IMMAGINARIA'1

zionali delineatisi nel corso di secoli di storia e sacralizzati dall’esito delle cosiddette due guerre mondiali - non bastava più. I processi di cui ho parlato nelle pagine precedenti - critica soggettivista, neoliberismo, estensione planetaria del processo di razionalizzazione, formazione dello sed - aiutano a spiegare le ragioni strutturali e culturali della ristrutturazione iniziata già alla fine degli anni sessanta e acceleratasi con l’inizio degli anni ottanta. Tuttavia, a questo quadro manca un ultimo aspet­ to, anch’esso essenziale per capire quello che è successo. Nelle pagine precedenti ho insistito sull'importanza storica del neoli­ berismo, come agente fondamentale - sia sul piano della visione che su quello degli interessi - della nuova ondata di accumula­ zione capitalistica. Giunti a questo punto, possiamo compiere un passo ulteriore, riutilizzando alcuni risultati del lavoro di “archeologia concettuale” che Giorgio Agamben (2007) ha di re­ cente proposto sui temi del “Regno” e del “Governo”. Nella percezione diffusa, il modello neoliberista si afferma con tanta forza negli ultimi decenni proprio perché sposta la questione del “governo” al livello della definizione delle condi­ zioni più favorevoli all'azione individuale. L’aver reso tali que­ stioni problemi di ordine squisitamente tecnico (interventi di creazione o manutenzione del mst e delle sif) ha permesso al neoliberismo di ridurre il ruolo della politica - che ancora nel cs era molto alto - nella gestione dei sistemi avanzati. In questo modo - ed è un vantaggio non da poco - il neoliberismo rimuo­ ve la questione soggiacente relativa alla necessità di un certo grado di integrazione sociale e culturale: da un lato i significati sono sempre meno rilevanti e possono essere lasciati liberamen­ te fluttuare nel libero gioco dello sed e delle scelte individuali; dall’altro, i sistemi funzionalizzati (mst e sif), sempre più estesi e complessi, rispondono unicamente a criteri interni, di natura tecnica. In questo modo il neoliberismo riesce a rideterminare la relazione tra Regno e Governo con un gioco di cui si può rin­ tracciare un precedente in epoca medioevale, in quella che Agamben (2007) ricostruisce come la discussione teologica, in ambito cristiano, sulla relazione tra Dio Padre e Dio Figlio nel loro rapporto con il mondo. Per potersi dispiegare e poter segnare davvero una svolta sto­ rica, il neoliberismo doveva intervenire contemporaneamente sia sul versante degli orientamenti e dei comportamenti indivi­ duali - con la creazione delle condizioni più idonee per il pieno sviluppo della libertà di scelta - sia su quello dei rapporti tra economia, politica e territorio, che, come abbiamo visto, muta­ no profondamente con la definitiva crisi della visione keynesiana. L'esito di tale ristrutturazione è la ridefinizione dei due pia­

I MISI E SUPERAMENTO DEL CAPITALISMO SOCIETARIO

91

ni, quello del Governo e quello del Regno: il Governo - che viene lutto coincidere con il mercato, il mst e le sif - viene ridotto a inera questione tecnica, e come tale con modesti margini di au­ tonomia per gli attori che vi sono coinvolti, essendo tali sistemi autoreferenziali, dunque poco permeabili a logiche esterne.25 Il Regno, invece, riguarda la definizione dei rapporti di forza Mil piano intemazionale, che è poi quello dove si svolge Fazione politica vera e propria. È su questo piano che si definisce la 'scena” su cui si interviene per stabilire le regole che delimitano Il campo da gioco, la libertà di movimento di beni, di persone, di capitali, di idee, i diritti di controllo e di influenza sugli obiettivi strategici, i criteri di intervento e di sanzione degli arbitri e del­ le istituzioni regolative. Esattamente per questa ragione, questo secondo piano viene, per quanto possibile, occultato e avvolto negli arcana imperii, oltre che rivestito di significati ad alto con­ tenuto simbolico. Quello che è accaduto a partire dagli anni settanta corri­ sponde perfettamente a questo schema. La politica con la "P” maiuscola viene dislocata dal piano della politica interna - ri­ dotta a tecnica di gestione circoscritta dell economia, della crea­ zione del consenso e, più di recente, della sicurezza - a quello delle relazioni intemazionali, dove si definiscono le regole del gioco e le sfere di influenza. Seguendo lo schema di Agamben, le relazioni intemazionali stanno all'economia e alla politica inter­ na come nel Medioevo il Regno di Dio Padre stava a quello del Figlio. Lì si svolge la politica di potere attraverso cui si stabilisce Il Regno mediante il quale vengono create le condizioni di base per l'ordinato svolgimento delle relazioni umane (il Governo).26 Ciò spiega come mai le relazioni intemazionali sono apparse negli ultimi anni così gravide di elementi messianici e religiosi: Il sacro si gioca a questo livello in quanto è qui che viene gestito lo straordinario e, in fondo, anche il destino, come esemplifica­ to dalle recenti e controverse vicende che hanno visto gli Usa al centro della scena mondiale. Reagendo all'attacco dell'll set­ tembre, gli americani sono entrati in una guerra accettando il piano escatologico che bin Laden aveva evocato. L'enfasi religio­ sa, impiegata (beninteso con toni e forme molto diverse) tanto 25 Basti pensare agli scarsissimi margini di azione che i governi nazionali hanno nell’impostare le politiche economiche interne nel regime della concor­ renza globale. 26 Non si deve dimenticare che il superamento di quello che Ulrich Beck chiama "nazionalismo metodologico” - che aveva caratterizzato il cs - da una parte tende ad avere un impatto pesantissimo sulla distribuzione della ricchezza e del lavoro su scala planetaria e, dall'altra, ad aumentare la dipendenza dalla tornitura di energia e dalla stabilizzazione dei flussi globali.

92

LIBERTÀ IMMAGINARIA

dai gruppi islamici quanto dal governo americano, solo superfi­ cialmente può sorprendere, in una realtà che appare così secola­ rizzata nelle sue prassi quotidiane. Per quanto possa sembrare controintuitivo, il fatto che il sacro riemerga con tutta la sua forza nella grande politica è la condizione che permette di soste­ nere una pratica quotidiana profondamente secolarizzata, di­ slocando da un piano all’altro la questione del senso. Naturalmente, per quanto tenuti separati, i due piani del Re­ gno e del Governo mantengono dei punti di contatto, che com­ portano tutta una serie di problemi. Ad esempio, il valore attri­ buito alla vita individuale rende difficile motivare alla guerra una popolazione che è sempre meno abituata a pensare ai gran­ di destini della storia. E, d’altra parte, le operazioni belliche so­ no enormemente costose e, quanto più si prolungano nel tempo, tanto più diventano intollerabili, anche perché danneggiano il tenore di vita della popolazione. Ciò spiega il continuo ricorso a stratagemmi - come lo sfruttamento politico della paura o la trasformazione dell’esercito nazionale in un esercito mercena­ rio (inviando sui campi di battaglia personale reclutato tra i gruppi sociali più svantaggiati) - per cercare di risolvere il pro­ blema. Nell’insieme si tratta, però, di aspetti marginali che, al­ meno fino a oggi, non sono stati in grado di scalfire l’architettu­ ra complessiva che regge l’ordine delle cose.27

27 All'interno di questo quadro si comprende meglio anche la debolezza del­ l’Europa, che ha un ruolo tanto marginale nella fase storica contemporanea pro­ prio perché non è stata ancora in grado di articolare il rapporto tra il Governo e il Regno. In un certo senso, ciò ne detta la subordinazione agli Usa, che usano il Regno come ambito di fede, mentre l’Europa, mancando di una tale consapevo­ lezza storica, rimane vittima della propria deriva tecnocratica e non riesce a cre­ dere più a nulla. Da questo punto di vista, i tratti del modello che cercherò di analizzare nelle prossime pagine si combinano in modo molto diverso nel caso europeo e nel caso americano.

1 II capitalismo tecno-nichilista

Sulla separazione tra funzioni e significati La natura del problema a cui hanno cercato di dare risposta Ir società avanzate, nell'ultima parte del xx secolo, può essere ri­ condotta a una domanda fondamentale: com'è possibile andare oltre il limite costitutivo (e comunque insostenibile) del cs, vin­ colato a un'idea troppo circoscritta e univoca di organizzazione sociale, senza con questo perdere capacità di governo? O, detto In altri termini, come si fa a smantellare il centro (lo stato) sen­ za perdere in capacità di controllo? La risposta a questo (difficile) interrogativo è stata cercata lungo due principali direzioni. La prima ha riguardato lo sfruttamento di nuove opportuni­ tà distribuite in uno spazio più grande di quello nazionale. Co­ me hanno mostrato gli storici (Arrighi, 1996), se la proiezione globale è una costante del capitalismo, solo le disastrose vicende politico-militari della prima metà del xx secolo avevano creato Ir condizioni nelle quali è stato possibile far nascere il modello ilei cs, secondo quella forma che ha dominato i cinquant'anni successivi alla seconda guerra mondiale. Ma l'esaurimento del colonialismo, l'impellenza della questione energetica, i segni di un possibile declino dell'egemonia anglosassone e, successiva­ mente, il crollo dell'impero sovietico, hanno riaperto i giochi. All'interno di un quadro intemazionale in via di rapida trasfor­ mazione, la ripresa di uno sguardo globale prometteva lo sfrut­ tamento di importanti opportunità di espansione in termini di apertura di nuovi mercati, di valorizzazione di occasioni di in­ vestimento, di spostamento e di utilizzo di manodopera a basso costo, di speculazione finanziaria, di acquisizione del controllo di materie prime e risorse energetiche. Ed è stato a queste pro-

94

LIBERTÀ IMMAGINARIA

messe che hanno guardato le élite dei paesi anglosassoni fin dai primi anni ottanta, nel momento in cui - per contrastare i se­ gnali sempre più preoccupanti di un declino della loro egemo­ nia - hanno abbandonato la dottrina keynesiana in favore di quella neoliberista. La seconda direzione lungo la quale ci si è mossi per avviare il nuovo ciclo di crescita ha invece a che fare con l'accresciuta manipolabilità dei significati disponibili a livello individuale e collettivo. Tale processo nasce dal combinarsi di due ragioni: l'istanza soggettivistica, che traduce nella vita sociale alcuni de­ gli sviluppi filosofici del xx secolo, e la formazione dello sed, che rende tecnicamente possibile una mobilità dei segni, dei simboli e delle persone in precedenza impensabile. Entrambi questi fattori facilitano l'immissione nel ciclo della valorizzazione capitalistica della dimensione immateriale, ren­ dendola più disponibile allo sfruttamento delle forze economi­ che su scala globale. La ristrutturazione spazio-temporale, letta negli anni novan­ ta con la lente del termine “globalizzazione", è stata accelerata dalla separazione tra il piano del Regno e quello del Governo che i paesi anglosassoni hanno operato. Lo spostamento della Politica al livello delle relazioni intemazionali (il Regno) segna il netto riorientamento rispetto ai cinquantanni del cs, mentre sul piano della gestione interna il passaggio dallo stato al mer­ cato ha significato la tendenziale depoliticizzazione delle rela­ zioni sociali a favore di un approccio tecnocratico (il Governo). Con la funzionalizzazione delle istituzioni (associata allo svilup­ po del mst e delle sif), la generalizzazione del codice tecnico e il rapido sviluppo dello sed, l'uscita dal cs coincide con la crisi dell'aspirazione a tenere insieme funzioni e significati all'inter­ no di una narrazione unitaria, di matrice nazionale. Un tale obiettivo era stato il fulcro dell'intero processo di istituzionaliz­ zazione che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento. Proprio la tendenziale separazione tra funzioni e significati co­ stituisce l'elemento alla base della nuova fase di accumulazione capitalistica nell'epoca post-societaria.11 1 Al riguardo, si potrebbe giustamente obiettare che tale separazione pertiene alla natura del capitalismo in quanto tale e che proprio di questo avevano parlato Hegel, Marx e Weber. Ciò è senz’altro vero, dato che - come si è visto - la questione è riconducibile al difficile rapporto tra legein e teukein. Ma ciò non to­ glie che, dal punto di vista storico, quanto è accaduto nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale sia in larga parte andato nella direzione opposta. Solo con le trasformazioni intervenute neH’ultima parte del secolo, questo nodo, insi­ to in tutta la vicenda moderna, è tornato alla ribalta, assumendo quella configu­ razione specifica di cui cercherò di parlare nelle prossime pagine.

Il CAPITALISMO TECNO-NICHILISTA

95

Retrospettivamente, si può dire che il cs, reagendo al tren­ tennio 1915-1945, ha rappresentato un imponente tentativo di ristabilire una relazione tra queste due dimensioni, con l'intento classico del mercato, dove espressioni del tipo "business is business" o "il mercato ha le sue regole" affermano l'idea per la quale, all'interno del codice costitutivo di questo sistema tecni­ co, l'attore è tenuto ad agire secondo la logica della massimizza­ zione: Yad quern dell'azione è dato dal contesto funzionale in cui l’azione si svolge. Se poi tali sistemi, invece che statici, sono in continuo divenire, rivoluzionati da un incessante processo di in­ novazione, allora potrà accadere che siano le nuove opportuni­ tà, che continuano ad ampliarsi davanti a noi, a ridefìnire gli obiettivi (e i significati) delle nostre stesse azioni. A livello individuale, la vita quotidiana di chi vive nelle socie­ tà avanzate è largamente plasmata dalla disponibilità di nuovi mezzi tecnici: dal portare a riparare l'automobile all'andare al­ l’ipermercato per acquistare un nuovo elettrodomestico; dalla decisione di sottoporsi a un intervento di chirurgia estetica per rendere più gradevole il proprio aspetto alla vacanza che ci si può permettere con il volo Zow cost', dalla necessità di stare in continuo contatto telefonico con i propri familiari alla ricerca evolta digitando una parola chiave su Google che fa risparmiare In fatica di andare in una biblioteca. A livello collettivo, la cronaca quotidiana tratta sistematicamente questioni che derivano dagli apparati tecnici e dalle sfere iNtituzionali che strutturano il nostro mondo: dai problemi energetici alle mutate possibilità terapeutiche, dalle code in au­ tostrada all'inquinamento dell'aria, dalla crisi finanziaria ai vi­ rus informatici. L'infrastrutturazione sempre più spinta di tutte le sfere della vita sociale restringe progressivamente gli spazi per porsi delle domande "su quanto si sta facendo" (tipiche del k'I’ein). Nel mst e nelle sif non solo è fuori luogo, ma manca financo il tempo per sollevare interrogativi che non riguardano direttamente il funzionamento dei contesti nei quali si opera. In questo modo si viene a determinare una configurazione nella quale lo strapotere del teukein nel processo di significazione comporta la rinuncia programmatica alla ricerca di una visione tanto individuale quanto collettiva - capace di determinare un Hcnso o, almeno, un limite all'autodeterminazione tecnica.

98

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Occorre peraltro osservare che separazione non significa mancanza di interazione. Anzi, funzioni e significati manten­ gono numerose intersezioni e rimandi reciproci e, in qualche caso, sottili complicità. Ad esempio, come osserva George Ritzer (2001), nelle società contemporanee le emozioni vengo­ no artificialmente prodotte da sistemi iper-razionalizzati di sfruttamento della capacità umana di pathos. È il caso dei con­ sumi - parte integrante dello sed - attivati e stimolati da raffi­ nate strategie di marketing il cui scopo è quello di “suscitare l’evento dell’acquisto”. Il punto è che, pur seguendo strade diverse, la reversibilità del senso, resa praticabile dallo sed, e l’accrescimento della li­ bertà di scopo, che passa attraverso il mst e le sif, ampliano no­ tevolmente la libertà individuale. Il fascino della libertà di scopo sta nel suo legame con la po­ iesis. Ciò che in essa ci attira è - per citare ancora Severino - “il portare a esistere ciò che non esiste”. La poiesis - da cui deriva anche il termine “poesia” - è creazione e, come tale, essa ci ren­ de capaci di novità: mediante la parola e l’immaginazione, il poeta è colui che crea un mondo che non esisteva. Oggi, l’im­ pronta soggettiva del tempo che viviamo esprime questa stessa sensibilità. È nella misura in cui la si pensa come non vincolata a nulla - altrimenti non sarebbe libera - che la scelta da noi compiuta si ammanta di un’aura poetica: è solo agendo che la vita può essere assaporata, e solo sperimentando che possiamo esprimere noi stessi. In quest’ottica, un significato non può che rispecchiare un punto di vista, uno stato provvisorio della conoscenza. Nell’assenza di quadri di riferimento stabili e comuni, il di­ venire è la logica che tiene insieme l’aumento indiscriminato della libertà di scopo. Ciò significa che il passaggio storico che stiamo attraversando segna l’abbandono, forse definitivo, della situazione classica - nella quale i mezzi erano scarsi e i fini de­ finiti - in favore di una nuova configurazione nella quale i mez­ zi sono abbondanti e i fini indeterminati. L'idea di libertà che si afferma consiste nel l’accrescere la possibilità individuale di de­ terminare gli obiettivi dell’azione, mentre aumenta l’intolleran­ za nei confronti di tutto ciò che ha la pretesa (avvertita comune que come arbitraria) di porre qualche limite all’autodetermina­ zione (fosse anche un fine collettivo). Ciò diventa concretamen­ te possibile nel momento in cui la capacità di attivazione e co­ ordinamento realizzata dal mst e dalle sif riesce ad assorbire e incanalare l’istanza individuale, tradizionalmente considerata pericolosa e, dunque, da controllare. A queste condizioni, l’indi­ viduo diventa il motore del dinamismo - tecnico ed estetico -

Il CAPITALISMO TECNO-NICHILISTA

99

ilclla contemporaneità: invece che mete collettive, si perseguo­ no obiettivi individuali.4 Ed è a partire da questa idea che si cer­ ni di ripensare il rapporto individuo/collettività. Va da sé che, in tale cornice, non esiste alcuna struttura im­ mutabile che dà senso al divenire. L'unico immutabile è il dive­ nire stesso, che come tale pretende di costituire il senso della nostra esistenza: per definizione, i significati non possono esse­ re stabili e devono essere disponibili a una continua trasforma­ zione. Sul piano soggettivo, tale impostazione reinterpreta, riducendone però lo spessore drammatico, l’istanza esistenzialista che vede l'uomo come un essere in ricerca, incapace di accontentar­ si, sempre in movimento, aperto alle novità (Sartre, 1957:50). Sul piano tecnico, la logica della scoperta e dell’innovazione trova una cornice pienamente idonea nella sacralizzazione della libertà di ricerca, che moltiplica le piste di lavoro in un quadro che si qualifica per un elevato grado di anarchia. Nella contemporaneità la libertà si definisce, dunque, allen­ ir rno di uno scenario in continuo movimento, in questo andare oltre, nell’esperienza del mondo che non può essere limitata. Si profila così un ideale nomadico che, prima di essere materiale, è esistenziale e cosmologico. La vita - la propria vita personale । urne la vita biologica in generale - altro non è che una ricerca, un esplorazione senza fine, dove ciò che si ricerca non è tanto il "lignificato delle cose - nella prospettiva della verità per come è Mata tradizionalmente intesa - quanto piuttosto la varietà del­ l'esistente e la moltiplicazione delle esperienze. Lo sganciamento da qualunque progetto collettivo è una conseguenza di tale svolta: al piano sociale si chiede semplice­ mente di creare le condizioni affinché la singola individualità si possa esprimere. Il che comporta, come conseguenza, la drasti­ ca riduzione della disponibilità a sacrificarsi in nome di un’isti­ tuzione, a cui si chiede semplicemente di “funzionare”. Indebolendosi i riferimenti normativi e valoriali stabili, qua­ lunque criterio di legittimazione diverso dalla “realizzabilità” di un'azione trova difficoltà a essere riconosciuto, al punto che sembrerebbe confermarsi l’idea che il nostro tempo “abbia volta­ lo le spalle a ogni pretesa di verità” (Severino, 2007:50). A fronte 4 Anche ciò che orienta e guida lo sviluppo della tecnoscienza è sempre di più proprio la dimensione individuale, e l’intera dinamica evolutiva va nella direzio­ ne di rafforzare il potenziale di azione e di espressione del singolo individuo. Per quanto ancora importante, non è più solo l’apparato militare che orienta e ali­ menta il cambiamento tecnico, ma sono anche le esigenze e le pratiche personali • lir attivano l’innovazione.

100

LIBERTÀ IMMAGINARIA

delle sempre più grandi difficoltà di intendersi, la rimozione del­ l'ostacolo tecnico diventa essa stessa il fattore di legittimazione della perseguibilità di qualsivoglia scopo. Detto in altre parole: per il fatto stesso di essere perseguibile, uno scopo diventa legit­ timo, indipendentemente da qualunque altra valutazione. Sulle basi epistemologiche del ctn: il paradigma neoevoluzionista

L'autonomizzazione tra funzioni e significati non è un fungo che nasce per caso, ma la conseguenza dei profondi mutamenti epistemologici che si sono susseguiti lungo il Novecento. Le origini della modernità vengono di solito ricondotte al­ l'idea di Bacone, secondo il quale sapere è potere: mediante la conoscenza, gli esseri umani possono accrescere il loro control­ lo sulla realtà, che a sua volta risponde a un ordine originario il cui svelamento è il compito dello scienziato. L'ordine naturale è il presupposto che definisce l'idea moderna di scienza. Nel cor­ so del xx secolo tale prospettiva viene progressivamente abban­ donata a seguito del convergere di un comune pensiero che si sviluppa - con scarti temporali minimi - in tutti i campi della conoscenza. In ambito epistemologico, Karl Popper è sicuramente l'auto­ re di riferimento, con la sua scomunica di una scienza compren­ siva in favore di una scienza modesta e limitata, che egli defini­ sce falsificabile. In ambito filosofico, la svolta linguistica, affermatasi so­ prattutto grazie alla filosofia di Ludwig Wittgenstein, porta ad affermare l'impossibilità di sfuggire al fatto che i diversi mondi pensabili derivano dalla diversità dei linguaggi mediante cui li pensiamo. L’affermazione successiva del costruttivismo e del decostruttivismo va addirittura nella direzione di una crescente inconsistenza del reale. In ambito fisico, la teoria della relatività di Albert Einstein porta a ripensare le nozioni di spazio e di tempo, insegnandoci a ragionare in termini relazionali invece che assoluti. In ambito psicanalitico, si assiste alla crisi dell'idea freudia­ na di soggetto e all’emergere dei filoni che affermano invece la fine dell'unità personale, con la conseguente perdita della possi­ bilità stessa di un progetto terapeutico ricostruttivo: più che sul­ l'insieme della persona - impresa impossibile che rischia di far­ ci perdere in un gioco di specchi senza fine - ci si deve limitare a intervenire sul sintomo, con una delimitazione accurata degli obiettivi.

Il CAPITALISMO TECNO-NICHILISTA

101

In ambito sociologico, lo smantellamento dello strutturalhinzionalismo di Parsons - che accompagna la crisi radicale ilcll’idea di società e di società nazionale in particolare - dà rampo libero all'affermarsi di una miriade di scuole interessate Mila dimensione microsociologica: dalTinterazionismo simboli­ co alla fenomenologia, dall'etnometodologia alla teoria del­ l'azione razionale. NelTinsieme, tutto ciò determina la rinuncia ai disegni unita­ ri, comunque destinati a imporre una camicia di forza sulla lealtà e sulla libertà individuale, per dedicarsi alla specializza­ zione settoriale, alla cura del dettaglio, alla valorizzazione del pluralismo. A partire dagli anni sessanta, la cornice interpretativa all'inIcrno della quale il quadro si ricompone comincia a essere for­ nita da una posizione neoevoluzionista secondo la quale il mu­ tamento è prodotto da variazioni genetiche contingenti che per­ mettono ad alcune specie - in un ambiente estremamente com­ plesso e dinamico - di palesarsi e affermarsi. L'idea cardinale è la seguente: l'ordine, che pure si osserva, non esprime un qual­ che disegno centralizzato, ma è l'esito casuale di equilibri prov­ visori e precari che si susseguono senza alcuna direzione, sem­ plicemente sulla base di dinamiche interattive governate da cri­ teri di adattamento e selezione. L'ordine esiste solo come mero riletto emergente e, come tale, non ha altro senso se non il suo Messo affermarsi (Taylor, 2005). Attorno a questa idea si consolida una straordinaria alleanza, < he riunisce diversi tronconi del pensiero moderno attorno a un’unica visione. Si tratta, come ricorda Mark C. Taylor, di rico­ noscere che esiste fin da principio uno stretto legame tra il pen­ siero di Charles Darwin, Adam Smith e Thomas Robert Malthus: ’’la logica della teoria di Darwin è assolutamente lineare: ripro­ duzione malthusiana + scarsità delle risorse = lotta per la vita; lotta per la vita + variazione = adattamento differenziale; adatta­ mento differenziale + ereditarietà = selezione naturale adattiva; selezione naturale adattiva + diversificazione delle nicchie + molte generazioni = ramificazione dei taxa. Così concepita, la se­ lezione naturale darwiniana è la versione biologica della mano invisibile di Adam Smith che, a sua volta, è la dottrina della divi­ na provvidenza riscritta in termini economici. Spesso la teologia la capolino dove meno ce lo si aspetta" (M.C. Taylor, 2005:230). Nella seconda metà del Novecento il modello neoevoluzionisla incontra prima di tutto i nuovi studi che si sviluppano in vampo biologico. Nella costellazione dell'auzos, per dirla con Hdgar Morin (2002), si determinano circuiti interattivi nei quali la capacità autonoma di risposta dei soggetti costituisce un eie-

102

LIBERTÀ IMMAGINARIA

mento fondamentale per spiegarne il funzionamento e l'adatta* mento. E questo perché la capacità di computo delle unità chi costituiscono i sistemi viventi è infinitamente maggiore di qual* sivoglia capacità previsiva e programmatoria centralizzata. Un secondo contributo viene dalla cibernetica e dalla scienza dei sistemi5: muovendo dallo studio dei sistemi informativi, la cosiddetta “teoria della complessità" (Bocchi, Ceruti, 1986), svi* luppa l'idea secondo cui i sistemi aperti hanno la capacità di programmarsi e riprogrammarsi di continuo in modo autono mo e ricorsivo, senza bisogno di regie o programmazioni etero nome. Al suo interno, idee di circolarità, autoreferenzialità, adattamento, prendono il posto del tradizionale rapporto linea* re causa-effetto (M.C. Taylor, 2005). Una terza convergenza si viene a creare con il decostruzionismo filosofico che risenta profondamente del nuovo quadro epistemologico. Come osser* va Slavoj Zizek, “l’enigma di come l'apparenza di un significati­ vo ordine teleologico può emergere da avvenimenti contingenti e insignificanti è centrale per il decostruzionismo" (Zizekj 2005:49). Il passaggio da una concezione di natura come ordini a una visione nella quale prevale l'idea di un processo infinito di decostruzione e ricostruzione è il passo a partire dal quale i mattoni su cui il pensiero moderno era stato costruito possono venire frantumati. In modo diverso ma complementare, tutti questi filoni di pensiero - facendo venir meno, sul piano epistemologico, la consistenza di qualunque lettura universalistica - concorrono a creare le condizioni adatte per l'autonomizzazione dei significati ti dalle funzioni. Sul piano dei significati discorsivamente elaborati {legein), la sistematica opera di scavo e svelamento portata avanti negli ufi timi decenni dal decostruzionismo ha il merito di aver permei^ so una preziosa opera di purificazione intellettuale. Ma il proj blema è che la smobilitazione di qualunque punto di riferì metti to ha conseguenze di enorme portata. Come ha chiarito molta bene David Harvey: “Sospettando di ogni narrazione che aspiq alla coerenza e affrettandosi a decostruire tutto ciò che assonila gli anche solo a una metateoria, essi [i filosofi decostruzionistij hanno sfidato tutte le affermazioni fondamentali [...] Ma nello sfidare tutti gli standard consensuali di verità e giustizia, di etica e significato e nel perseguire la dissoluzione di tutte le narra­ zioni e le metateorie in un universo diffuso di giochi linguistici, 5 L’elemento fondamentale per questo incontro è dato dalle teorie dell’infor­ mazione, che sono strettamente legate agli straordinari sviluppi informatici e te­ lematici del xx secolo. Si veda il classico Wiener (1953).

• I I AIM lALlSMO TECNO-NICHILISTA

103

il decostruzionismo, malgrado le migliori intenzioni dei suoi so­ stenitori più radicali, ha finito per ridurre la conoscenza e il siiiiilllcato a un ammasso di significanti. In questo modo, il decoilm/.ionismo ha prodotto una condizione di nichilismo che ha IH rparato il terreno per il risorgere di una politica carismatica e 111 iilTermazioni ancora più semplicistiche di quelle che sono sta­ li* decostruite” (Harvey, 1993:425-426). In questa situazione il leè costretto a ripiegare sul piano strettamente soggettivo, in­ debolendo la propria capacità di partecipare al processo di isti­ tuzionalizzazione della vita sociale. Sul piano dei significati affermati mediante Fazione tecnica Wukein), il passaggio dallo stato al mercato realizzato dal neolibet tono - sostenibile nel quadro dell'articolazione tra il Regno e il i Inverno - e, più in generale, i rilevanti passi in avanti compiuti nel processo della razionalizzazione planetaria permettono di atte­ nuare l’esposizione sui contenuti tipica delle istituzioni del cs. Ciò wlanifica, per quanto è possibile, un ulteriore e sostanziale acere­ ti mento del teukein z se non possiamo più condividere un punto di vinta sulla realtà, possiamo almeno cercare di farla funzionare. Co­ me spiega la miglior filosofia politica di questi ultimi decenni, la Mensa democrazia intiepidisce le sue ambizioni etiche per trasformai’si in una tecnica che serve per rendere possibile la convivenza ila individui supposti liberi e autonomi. A prevalere è una visione • he vede nello sviluppo tecnico, privo di significato o direzione, il perno di qualunque stabilità e qualunque dinamismo. Nella crisi del cs, il modello neoevoluzionista sembra in gra­ do di offrire diversi appigli per sciogliere alcuni nodi della vita «melale. In primo luogo, esso è perfettamente compatibile con i nuo­ vi paradigmi tecnologici (quello informatico e quello biotecnoli ideo) e con i loro rapidissimi sviluppi (dalle tecnoscienze fino all'intelligenza artificiale). Sia alcuni nuovi miti tecnologici, che hanno a che fare con l’intelligenza collettiva e con Xoutsourcing, Ala l'attuale concezione biologica della vita, riposano su un’idea di matrice neoevoluzionista, all’interno di una cornice di avan­ zamento adattivo e a-teleologico. In secondo luogo, l’immaginario evoluzionistico si lega per­ ieli amente all’idea di mercato, inteso come archetipo dei nuovi apparati istituzionali in grado di fornire un’infrastruttura all’inllnltà dei rapporti sociali che si stabiliscono tra gli esseri umani wrnza assumere un orientamento direttivo rispetto ai fini perse­ guiti. L'idea della mano invisibile è forse il modello a cui la stes­ si teoria neoevoluzionista si è ispirata. In terzo luogo, un tale modello ben si adatta alla cultura in­ dividualista, tendenzialmente ostile all’idea di gruppo o, peggio,

104

LIBERTÀ IMMAGINARIA

di stato. Considerando il singolo individuo come l'unità fonda» mentale, esso permette di valorizzare la libertà di scelta come snodo attorno a cui si produce l'adattamento dei sistemi umani, Il capitalismo tecno-nichilista La storia sembra dare ragione a Nietzsche che, nel 1887, in­ troducendo l'ultima sua opera, pubblicata postuma, annunciava l'avvento di due secoli di nichilismo: “Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all'opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo de­ stino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tut­ te le orecchie sono già in ascolto. Tutta la nostra cultura euro­ pea si muove in una torturante tensione che cresce di decenni in decenni, come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile a una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più e ha paura di riflettere" (Nietzsche, 1992:3). Retrospettivamente, possiamo pensare che fascismo e comu­ niSmo abbiano costituito una tappa di un tale destino e, al con­ tempo, che i loro sviluppi drammatici siano stati un'ulteriore premessa per l'affermazione di quella nuova cultura nichiliste che segna così profondamente il tempo nel quale viviamo. Le rottura - che si è realizzata negli anni sessanta sul piano cultu­ rale, negli anni ottanta sul piano delle teorie politiche, negli an­ ni novanta sul piano degli equilibri intemazionali e del paradig­ ma tecnologico - è stata così profonda da aver segnato l'avvio al una nuova stagione di accumulazione capitalistica e, con essa, di nuove forme di socialità. Sul fatto che gli ultimi decenni abbiano costituito una nuova fase dell'accumulazione capitalistica, capace di imprimere un'in­ credibile accelerazione ai processi di mutamento e di ottenere risultati economici straordinari, ci sono ormai ben pochi dubbi. Le tavole contenute nell'appendice danno visivamente conto di quanto intenso sia stato tale processo. Tra i dati più impressio­ nanti, vi sono quelli che riguardano gli andamenti degli indici di Borsa (aumentati negli Usa, tra il 1980 e i primi anni 2000, di 15 volte) e il valore in dollari della spesa americana in ricerca e svi­ luppo (cresciuto di circa 30 volte). Sul piano della produzione mondiale, il pil si è triplicato, e il commercio mondiale di pro­ dotti industriali è aumentato di venticinque volte. Come osserva anche Attali, “la produzione del pianeta ha superato i 40 trilio­ ni di euro e aumenta più del 4% l'anno, velocità mai raggiunta

I uri IAl.ISMO TECNO-NICHILISTA

105

i^llri Ntoria. A partire dal 1985, le esportazioni rappresentano «Il nuovo il 13% del pil mondiale, indice raggiunto nel 1913" ।Allnll, 2008:82).6 Un dinamismo economico impressionante, lh‘ ha progressivamente coinvolto zone sempre più estese del I «hi urta e che si è basato sullo sfruttamento sistematico delle • ipiMirtunità rese possibili dalla separazione tra funzioni e si­ tuili lento. Per procedere in tale direzione, il ctn ha operato su un duplice fronte. Dii un lato, la crescente tecnicizzazione della vita sociale HUi'dtante il mst e le sif) e la continua innovazione tecnologica i ii H i nolo modificano i mezzi disponibili, ma ridisegnano anche i Hill legittimi. Un punto chiarito meglio di chiunque altro da Se­ rri Ino, il quale scrive: "Sia nel capitalismo sia nella tecnica lo m npo che si vuole raggiungere è il possesso del mezzo universa­ le, capace cioè di realizzare qualsiasi scopo. I singoli scopi che ni poNsono realizzare col mezzo universale non sono quindi lo nrupo ultimo, che è solo la capacità indefinitivamente crescente di realizzarli. Lo scopo cioè è il controllo del mezzo universale. Mentre il denaro è il mezzo universale ma solo relativamente allìu quisizione di ciò che già esiste [...] la tecnica fa crescere in­ dei Initivamente la capacità di realizzare scopi e conduce tale ca­ lmi Ità al di sopra della dimensione in cui la crescita del denaro «I (16 [...] Il capitalismo sa che il denaro non può comperare tut­ ti i |x*rché non tutto ciò che vorrebbe esiste e appunto per questo il i apitalismo compera la tecnica [...] Il capitalismo si serve del­ iri tecnica per realizzare quella forma di incremento indefinito tirila capacità di realizzare scopi. Che è costituito dall'incremenlii del profitto e del denaro" (Severino, 2007a: 150) Dall'altro lato, la nascita e la straordinaria espansione dello MIO, smobilitando qualunque deposito culturale, determinano un potente effetto di derealizzazione nel momento in cui è in lirado di mettere in discussione i significati che costituiscono la ivaltà. Interferendo direttamente sui depositi culturali locali, lo è una condizione indispensabile per accelerare lo sviluppo economico e diffondere una cultura nichilista. Approccio filosofico presente fin dall'antichità, il nichilismo, per la sua natura, ha sempre avuto difficoltà a prendere carne nel corpo sociale, dato che esso tende a distruggere più che a co­ ni ruire. Affermare che nulla ha valore va bene quando si deve smontare quello che c'è, ma diventa assai più problematico nel 6 I paralleli con il periodo fine Ottocento inizio Novecento sono, da questo punto di vista, notevoli. Come allora, così alla fine del xx secolo il capitalismo è «luto capace di imprimere una spinta potente alle dinamiche di mutamento, mettendo sotto tensione gli ordini costituiti.

106

LIBERTÀ IMMAGINARIA

momento in cui si vuole costruire. Per questo il nichilismo è sta­ to tante volte associato all'idea di declino: le società nichiliste sono quelle in via di disfacimento.7 Nella con figurazione che si forma sul finire del xx secolo, il nichilismo ha la pretesa di porsi come sostrato spirituale di un'epoca che non si pensa in decadenza. Anzi, esso si presenta come una sorta di Weltanschauung,8 in grado di sostenere una crescita indefinita. Per far questo, il nichilismo stringe un’alle­ anza con la tecnica e con il capitalismo, dando vita a quello che qui chiamo “capitalismo tecno-nichilista".9 Per potersi sostene­ re, una realtà imbevuta di nichilismo - che, come tale, perde continuamente di valore - deve essere assoggettata a una logica di cambiamento continuo, in modo tale da garantire, senza al­ cun intervallo, il “cambiamento della scena". In un mondo nel quale i significati sono altamente volatili, solo a questa condi­ zione è possibile riprodurre - seppure provvisoriamente - la "certezza" di quella realtà nella quale noi conduciamo la nostra vita quotidiana, anche se ciò non cancella la consapevolezza che non c'è nulla di duraturo, nulla per cui valga davvero la pe­ na di vivere. Si compie così un altro passaggio della lunga parabola stori­ ca che ha inizio con la modernità. Come sappiamo, fin dalla sua formazione il capitalismo - sviluppatosi all'interno della cultura occidentale - si è avvantaggiato del patrimonio culturale accu­ mulato nel corso dei secoli precedenti, utilizzandolo come terre­ no sul quale prosperare. Ciò, tra l'altro, contribuisce a spiegare l'alleanza, storicamente così importante, tra élite capitaliste e conservatorismo. Ma, a seguito dei successi ottenuti soprattutto nella fase del cs, tale alleanza diventa sempre più problematica. Per almeno due ragioni: in primo luogo, perché il patrimonio valoriale è ormai molto consumato e quindi sempre meno utile nel disciplinare i comportamenti individuali (Hirsch, 2001); in secondo luogo, perché il capitalismo contemporaneo ha sempre più bisogno di avere campo libero sul piano culturale. E ciò sia perché la sua crescita comporta l'attraversamento di culture di­ verse (il che richiede di sbarazzarsi della dipendenza dalla tradi­ zione occidentale e delle sue declinazioni nazionali), sia perché, 7 Come nella grandiosa opera di Spengler (2008) sul declino dell’occidente. 8 Per molti aspetti, il nichilismo è il contrario della classica Weltanschauung, dato che la sua caratteristica è quella dell’assenza. Per le ragioni che sto cercan­ do di spiegare, la tesi di questo libro è che proprio questa assenza costituisce il sostrato culturale che caratterizza il tempo in cui viviamo. 9 Sul piano filosofico, questa alleanza rinvia a riferimenti fondamentali del pensiero occidentale: Marx (capitalismo), Nietzsche (nichilismo), Heidegger (tecnica). Si veda Kroker (2007).

Il CAPITALISMO TECNO-NICHILISTA

107

saturati i bisogni materiali, esso deve poter manipolare qualun­ que significato, se vuole conservare il dinamismo che lo caratte­ rizza e lo legittima. Grazie alla sua straordinaria capacità di sfruttamento dei si­ gnificati, il ctn non ha più bisogno di un'ideologia, di un discor­ so (legein) che lo copra dal lato della significazione. Ciò di cui necessita è un significante vuoto mediante il quale significati ef­ fettivi e identità provvisorie possano essere ri-prodotti (Massu­ ini, 2002).10 L'accumulazione capitalistica contemporanea, fon­ data su un background materiale e tecnico sempre più impo­ nente, vive della sua capacità di destabilizzare e rielaborare se­ gni e simboli (Lash, Urry, 1994). In questo contesto, il contribu­ to dato dal nichilismo è importante in quanto: • trasforma l'immaterialità in un ambito disponibile allo sfrut­ tamento economico; • contribuisce a rendere compatibile il capitalismo con qua­ lunque cultura; • riduce al minimo il rischio che vengano sollevate questioni attorno agli scopi perseguiti. Nel ctn la realtà non decade sotto i colpi di una visione ni­ chilista, perché è sostenuta dalla tecnica che, nel suo dispiegar­ si, rende reale e stabile il mondo sociale in cui gli esseri umani vivono. Il mst e le sif producono una quotidianità ordinata e re­ lativamente certa, in grado di soddisfare almeno parzialmente l'esigenza di sicurezza ontologica che rende sostenibile la vita sociale, mentre il potere di rappresentazione dello sed fornisce significati provvisori e plurimi che consentono al mondo sociale di sussistere. In questo quadro, la tecnica - come antidoto al nulla - acquista uno statuto particolare, ben oltre i limiti ai qua­ li la scienza, di cui si nutre, dichiara di attenersi. Gli ingredienti richiesti per una nuova fase di accumulazione capitalista ci so­ no tutti: una nuova concezione di essere umano, nuove condi­ zioni tecnologiche di azione, nuovi criteri di valutazione dell'agire, nuovi sistemi di potere. Il ctn punta a raggiungere così un nuovo equilibrio: la dimensione capitalistica struttura un si­ stema di potere, basato sulla mobilità e sullo spostamento; la di­ mensione tecnica si estende a un numero sempre maggiore di ambiti di vita e amplia incessantemente gli scopi perseguibili; la visione nichilista rende malleabili i significati. Per ricapitolare, il ctn prova a determinare una nuova confi­ gurazione dei rapporti sociali che si basa sulla combinazione di 10 Tesi già avanzata - anche se da una posizione più critica - da Jameson (1991), secondo il quale, nel tardo capitalismo, la pura celebrazione del signifi­ cante è l'estrema forma di reificazione delle merci.

108

LIBERTÀ IMMAGINARIA

alcuni elementi, tutti brevemente elencati qui di seguito e svi­ luppati poi nei capitoli successivi: 1 ) Il movimento su cui si regge il ctn richiede che i significa­ ti siano un materiale disponibile, facilmente malleabile. Median­ te Tinnovazione tecnologica la realtà viene strutturalmente de­ stabilizzata, dato che qualunque significato - non direttamente riconducibile a un codice di tipo tecnico - è soggetto a una rapi­ da obsolescenza. D’altro canto, nella logica della reversibilità del senso che domina nello sed, la coerenza (sia nel tempo che nello spazio) è per principio rifiutata e bollata come una forma dete­ riore di conservatorismo o moralismo. La creazione di significa­ ti provvisori e parziali - secondo l’efficace espressione di Daniel­ le Hervieu-Léger (1996), che ha parlato di “senso istantanei zza­ to” - permette di sentire, di immergersi nella realtà senza un pri­ ma e un dopo: non si è mai da nessuna parte, ma c’è sempre la possibilità di realizzare delle ‘"incursioni” nel senso. Per questo nel ctn assume una centralità straordinaria l’evento, che si pre­ senta con una cogenza innegabile, per quanto effimera. All’inter­ no di questa nuova cornice, è la verità dell’evento che dice la ve­ rità dell’essere. In tale prospettiva, la realtà/verità suprema è l’evento, cioè ciò che deve ancora accadere, ciò che può ancora venire. Ogni realizzazione ha il difetto di essersi compiuta e, co­ me tale, di limitare il divenire. Reale è solo ciò che serve a realiz­ zare il futuro, laddove il futuro è episodico e singolare e in ogni caso riluttante a ogni prima predeterminazione. 2) La volontà di potenza - cioè il desiderio di affermare in­ condizionatamente la propria esistenza - costituisce l'energia in­ terna che il ctn attiva e sfrutta per sostenere la propria dinamica di sviluppo continuo. In questo modo il ctn riesce a intercettare e a interpretare - anche se in maniera distorta e unilaterale - al­ cuni tratti antropologici dell’essere umano in quanto tale. Nella configurazione proposta, la volontà di potenza viene però depu­ rata dagli eccessi della prima metà del xx secolo - eccessi che contribuirono a far nascere il nazismo - in favore di una conce­ zione più moderata, che si concentra sulle piccole e grandi sod­ disfazioni che la vita quotidiana può offrire. Il superuomo non vuole più costruire un impero; l’affermazione di sé prende corpo nei rapporti affettivi, nelle vicende professionali, nelle aspirazio­ ni esistenziali. È la vita quotidiana il luogo dove si praticano, con gusto e senza remore, le arguzie del “nichilismo cinico”. 3) La transizione individuo/istituzione viene risolta in modo innovativo, secondo quello che alcuni autori hanno chiamato “disciplina performativa” (Amin, Thrift, 2005). Come si è visto, l’uscita dal cs ha spostato l’accento dalle istituzioni all’indivi­ duo. Quest'ultimo è considerato la vera energia del sistema che,

H I ANTAI.ISMO TECNO-NICHILISTA

109

11mie tale, deve essere adeguatamente attivata. D'altro canto, le »iir e il mst costituiscono le infrastrutture su cui poggiano gran Imi le delle azioni dei soggetti (individuali o collettivi) a cui for­ niscono i criteri di appropriatezza e di valutazione. L'espansioiic spaziale e l'accresciuta densità di tali apparati rendono di­ sponibili nuove opportunità di azione e di accumulazione, che tengono a loro volta sistematicamente sfruttate. L'intera appli• il/.Ione tecnica si sviluppa in modo da favorire l'ampliamento ilello spazio di azione individuale, perché è in questa direzione । he si legano nel modo migliore le spinte soggettive e le esigen­ ze del sistema. I mst e le sif permettono altresì la circolazione di un'enorme quantità di informazioni che vengono processate ibi un numero straordinariamente elevato di soggetti, indivi­ duali e collettivi, passando così da una conoscenza centralistii mnente organizzata al sapere diffuso e autoorganizzato. In ta­ le configurazione, un crescente numero di soggettività si trova lidia condizione di ampliare il proprio potenziale di azione, concorrendo così alla mobilitazione di nuove risorse e nuove energie. In questo modo, l'individuo è un elemento fondamen­ tale per attivare il sistema, anche se è personalmente irrilevan­ te. La sua esistenza è legata alla sua capacità di "periormare", । loè di fissare e raggiungere gli obiettivi all’interno del sistema delle opportunità offerte: scopi individuali e scopi sistemici tendono così a coincidere al punto che il riconoscimento socia­ le è condizionato dalla capacità individuale di soddisfare stan­ dard tecnico-formali.11 4) Non esistono più centro o periferia, alto o basso, giusto o sbagliato: il ctn tende a inglobare tutto, compreso ciò che si Kixxluce ai suoi margini e addirittura ciò che gli si oppone.11 12 on c'è più controcultura perché “tutto è produzione culturale”. Anzi, la controcultura costituisce una novità che arricchisce la varietà e come tale viene inglobata nel sistema. Dato che il desi­ derio e l'immaginazione sono le risorse su cui lavora, il ctn adotta strategie mirate a intercettare le tattiche di resistenza e di creatività che i soggetti - specie se periferici - mettono in campo, allo scopo di inglobarle all'intemo del circuito della va­ lorizzazione capitalistica. Un ottimo esempio di tale dinamica è 11 Come nel caso delle politiche cosiddette di "workfare”, che subordinano la protezione pubblica alla disponibilità a essere attivi e a impegnarsi nel reinse­ rirsi nel mercato del lavoro. 12 Per quanto riguarda ITtalia, è emblematico il caso delle reti Fininvest che ospitano regolarmente autori o addirittura intere trasmissioni che hanno una esplicita venatura antiberlusconiana: in questo modo, la critica nel palinsesto viene sterilizzata.

110

LIBERTÀ IMMAGINARIA.

offerto dalla musica rock, che è continuamente alla ricerca di autori e sonorità marginali per immetterli nel circuito e trasfor­ marli in fattori di traino della grande industria discografica.13 5) In questo modo, il ctn si configura non come ordine stabi­ le, ma come successione di disequilibri da cui deriva la spinta alla ricerca di un loro superamento, in una logica di continua accelerazione. La stabilità non sta in un'impossibile permanen­ za, ma nel passare in modo sufficientemente rapido da uno sta­ to all altro. Rispetto al cs, l'idea di stabilire un “ordine" viene so­ stituita dalle opportunità offerte dalla gestione del disordine; al­ la necessità inderogabile subentra la costanza di un divenire che, se anche non è prevedibile, permette, almeno nel breve pe­ riodo, un qualche tipo di calcolabilità; all'ininterrotta catena delle connessioni causali succedono le condizioni del manteni­ mento e deH'orientamento di effetti in sé puramente contingen­ ti (Agamben 2007:140). Anche se il sistema è instabile e genera tutta una serie di spirali negative, i potenti effetti che è in grado di produrre sembrano capaci di compensarle. In questo senso, il disequilibrio è considerato un'opportunità e non un costo. Il ctn spera, così, di aver trovato la formula per sfuggire con­ giuntamente alla sindrome dell'ordine - che non c'è, né si rag­ giunge mai - e alla sindrome del declino - che viene evitato atti­ vando dinamiche evolutive così potenti da trasformare non solo la faccia della terra, ma lo stesso essere umano. Il nuovo spirito del capitalismo, oltre VOccidente? Il capitalismo è sempre alla ricerca di una base ideologica che da solo non può darsi. Per questo la sua storia è la storia della costruzione di equilibri complessi con universi culturali diversi. Come hanno scritto Boltanski e Chiapello (1999), il nuo­ vo spirito del capitalismo - i cui elementi fondamentali sono già rintracciabili nella letteratura manageriale che si afferma negli anni novanta - è il risultato dell'integrazione tra la critica d'arti­ sta e la riorganizzazione delle logiche dell'accumulazione capi­ talistica. Rispetto alla fase precedente, dove prevalevano l'idea di ordine e di rigidità, sonò la flessibilità e l'innovazione ad ac­ quisire centralità. Il senso è provvisorio e convenzionale, e ciò consente all'azione di darsi. Dal punto di vista manageriale, le 13 Un altro esempio viene dalle marche di abbigliamento giovanile, che "ru­ bano” le idee dai quartieri di periferia ispirate a forme di opposizione e di resi­ stenza - riportandole all'interno del circuito della valorizzazione produttiva.

Il < AP1TALISMO TECNO-NICHILISTA

111

i unseguenze di tale svolta sono state nettissime. Rispetto ai mo­ lle Ili della razionalità burocratica del Novecento, i princìpi orga­ nizzativi che si affermano (il just in time, la produzione snella, Ih fabbrica sottile, l'estemalizzazione) traducono una diversa vi­ olone del mondo. Il senso della trasformazione oggi appare । hlaro: passare da un modello preoccupato di rendere efficiente il processo di produzione, eliminando tutte le perturbazioni che iHitevano peggiorare la performance, a un sistema nel quale è l'adattamento rapido all'imprevisto e alla differenza il punto di lurza. Ma per fare questo è stato necessario riorganizzare Finte­ la vita sociale - dalla produzione al lavoro, dagli affetti alla vita iiuotidiana - attorno al valore della flessibilità, come disponibi­ lità a adattarsi. L’anello che rende possibile l'aggiustamento tra questo nuovo slutcma organizzativo e il singolo soggetto è l'idea di “progetto" Inteso come modalità di ricomposizione e mobilitazione provvi­ soria, che cerca di tenere insieme l'individualità con l'elevata va­ rianza delle situazioni e delle opportunità. Tale idea traduce il nucleo centrale del nuovo capitalismo: se nel modello fordista welfarista la standardizzazione era la ratio centrale, nel nuovo quadro si fa di tutto per coltivare e valorizzare la flessibilità. La "Cité par projets” di cui parlano Boltanski e Chiapello si ba­ sii su zone di ordine provvisorie e parziali che, valorizzando la mobilità e la creazione di connessioni tanto numerose quanto ef­ fimere, traducono gli imperativi di un mondo connessionista. Il modello è quello degli studios cinematografici: al posto di orga­ nizzazioni stabili e pesanti, si costituiscono ad hoc aggregati prov­ visori di finanziatori, progettisti, comunicatori, subappaltatori i he nascono rispetto a un progetto, a un marchio, a un linguag­ gio. In tale quadro è centrale l'idea di attività, intesa come molti­ plicazione dei legami e degli impegni in imprese sempre nuove, qualunque ne sia la finalità (Boltanski, Chiapello, 1999:114). Per progetti possono strutturarsi le organizzazioni come le vite delle persone. Nella loro analisi, i due autori francesi evi­ denziano come l'idea di progetto abbia origini nella trasforma­ zione delle forme di organizzazione capitalistica e come il ver­ sante soggettivo subisca tale mutamento, accettando in molti casi una frammentazione della vita che solo forzatamente può essere ricondotta all'idea di progetto.14 Ma la presa di un tale 14 Nella cultura manageriale degli anni novanta la nozione di progetto sosti­ li lisce quella di programmazione per indicare la portata di breve perìodo e sem­ pre rivedibile dei programmi di produzione. Così, a livello di vita, l’idea di pro­ getto rispecchia tale orientamento, con l’enfasi posta su periodi temporali riM retti e sulla reversibilità.

112

LIBERTÀ IMMAGINARIA

modello sarebbe inspiegabile se non avesse trovato alimento an­ che in alcuni aspetti delle filosofie che avevano sostenuto la svolta soggettivistica degli anni sessanta e, tra queste, in parti­ colare, l'esistenzialismo.15 Messo di fronte all'infinito senza fon­ damento della libertà, ciascuno di noi è responsabile delle pro­ prie scelte. L'invenzione di noi stessi che siamo chiamati a rea­ lizzare è il nostro progetto: “L'essere umano non è nulla al di là del suo proprio progetto. Egli esiste solo nella misura in cui rea­ lizza se stesso: egli non è dunque nient'altro che l'insieme dei suoi atti, nient'altro che la sua vita" (Sartre, 1957:33). Incon­ trandosi con le esigenze di flessibilità del capitalismo contem­ poraneo, l'ispirazione esistenzialista, declinata nella complessi­ tà delle vicende personali e quotidiane, finisce per fornire un'ot­ tima base filosofica di sostegno. Come nell'etica protestante l'impegno e la riuscita nelle attività mondane costituivano la ri­ prova della grazia divina, così nel nuovo spirito del capitalismo il compito sacro di “realizzare se stessi" costituisce la riprova della conquistata autonomia da qualsiasi vincolo e la liberazio­ ne da ogni rigidità (Ferrara, 1999). Ma un tale impegno si distingue dagli orientamenti del pas­ sato (e dalla tensione “esistenziale" che stava all'origine dell'esi­ stenzialismo) perché dà luogo a forme di impegno e di coinvol­ gimento limitate e comunque reversibili: il nostro rapporto con la realtà deve semplicemente superare la soglia minima dell'in­ differenza sotto la quale nessuna energia psichica potrebbe es­ sere investita, ma ciò deve accadere senza che la nostra vita ven­ ga assorbita per intero, dato che ci deve essere sempre spazio per qualcosa d'altro di inatteso davanti a noi. Il pro-jectum si ri­ duce, così, a una tattica di sopravvivenza, a un modo per rein­ trodurre la parvenza di una dimensione temporale nella vita personale e collettiva. In un mondo in rapido movimento, fatto di singoli istanti, dove i significati vengono di continuo deco­ struiti, siamo perennemente immersi nel presente che tanto in­ tensamente sopraggiunge quanto rapidamente svanisce. Il pro­ getto è una modalità efficace, pur se precaria, per risolvere la contraddizione che così si viene a creare. Mediante il progetto si provano a fissare - a termine - i possibili obiettivi e un orizzon­ te di senso provvisorio e, quando possibile, condiviso con altri, con riferimento ai quali si traccia una traiettoria nel tempo. Il fascino del progetto, però, è di non precludere mai nuove oppor­ tunità: nel permetterci di vivere questa esperienza in questo mo­ 15 O almeno l’esistenzialismo inteso come costume esistenzialistico delle avanguardie giovanili.

Il < AI’I I'ALISMO TECNO-NICHILISTA

113

mento, il progetto non deve essere vincolante, né deve costituire un ostacolo a futuri progetti. In questo senso, la provvisorietà ne r un elemento costitutivo. Rispetto al cs, l'orizzonte temporale della vita personale subi­ ti e dunque un notevole restringimento. Se, in quella fase, si era i rgistrata la mondanizzazione del modello weberiano del Beruf l professione come vocazione) - con la perdita dell'elemento esca­ tologico e la riduzione a biografia terrena strutturata dentro i ri­ gidi ruoli sociali configurati dal mercato del lavoro e dal welfare sfate - con il ctn si ha un'ulteriore riduzione dell'arco temporale In cui la vita viene pensata. Sia in senso positivo (le opportunità che potranno capitare), sia in senso negativo (i rischi a cui si va Incontro), il futuro appare al di fuori della nostra portata, per cui 0 meglio non pensarci e cercare di vivere nel miglior modo possi­ li! le il presente, rimanendo aperti alle opportunità che un mondo dinamico e complesso può sempre offrire. Secondo Peter Sloterdijk (1992), il cambiamento sarebbe co­ ni profondo da determinare addirittura l'abbandono dell'imponlazione trascendente di matrice occidentale a vantaggio di una visione immanentistica, neospinoziana, che è la sola in grado di costituire il perfetto supplemento ideologico del capitalismo contemporaneo. La rinuncia a fornire una spiegazione di quan­ to sta accadendo o di elaborare una qualche prospettiva teleolo­ gica comporta di per sé, secondo il filosofo, lo spiazzamento della tradizione occidentale. Su questa stessa linea, a partire dalla nozione di "campo trascendentale" - inteso come flusso che, al di là della distinzione soggetto/oggetto, rende disponibili delle sensazioni - Deleuze ha affermato che "si dirà della pura Immanenza che essa è una vita e null’altro [...] una vita è l'im­ manenza dell'immanenza, l'immanenza assoluta: essa è potenza e beatitudine complete" (1995:4). In questo modo si porta alle estreme conseguenze la critica id la logica di dominio implicita nel tentativo di conservare una cjualche forma di controllo sulla realtà che aveva caratterizzato I epoca del cs. Ma, così facendo, ci si espone al rischio di cadere in un atteggiamento meramente adattivo nei confronti di un cambiamento sempre più accelerato, disorganizzato, insensato. In un mondo che sfugge completamente non solo al nostro con­ trollo ma persino alla nostra comprensione, la norma di vita di­ venta quella del "lasciarsi andare, tirare avanti, mentre si con­ serva distanza interiore e indifferenza nei confronti della folle danza del progresso illimitato, una distanza basata sull'intuizio­ ne che tutto questo sconvolgimento sociale e tecnologico è in definitiva solo una proliferazione non sostanziale di apparenze che non hanno a che fare con il nocciolo del nostro essere [...]

114

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Patteggiamento del buddismo occidentale è il modo più efficace per partecipare pienamente alle dinamiche capitaliste mentre conserviamo un’apparenza di sanità mentale” (Zizek, 2005:72). Provando a sposare una visione immanente, lo spirito del nuovo capitalismo pretende così di segnare una discontinuità decisiva rispetto alla tradizione occidentale. Si tratta di un pun­ to importante, che più di una volta tornerà nelle pagine che se­ guono. Per il momento, può essere utile sottolineare che tale riorientamento configura, tra l’altro, uno scambio paradossale tra Oriente e Occidente: proprio nel momento in cui l’Occidente sembra sbaragliare ogni altro concorrente dal punto di vista dell'infrastruttura economica e tecnologica - con un modello che si dimostra nettamente superiore e capace di imporsi ovunque - la sua infrastruttura ideologica, che deriva dalla tradizione giudaico-cristiana, viene minacciata aH’intemo dello stesso spazio oc­ cidentale dal diffondersi di forme di immanentismo con eviden­ ti assonanze con il pensiero asiatico di matrice buddista e con le correnti New Age (Sloterdijk, 1989).

L'etica della mobilità e le sue conseguenze Il restringimento dell’orizzonte temporale si accompagna al­ l’estensione di quello spaziale: come abbiamo visto nel capitolo 2, la crisi del cs è strettamente associata al bisogno del sistema capitalistico di superare i confini nazionali e dotarsi di una pro­ spettiva più ampia. Per questa ragione, dopo quella lavoristica - tipica della società industriale - e quella consumerista - asso­ ciata alla società del consumo - il ctn sviluppa una propria etica che insiste sul valore del movimento e dello spostamento, della scoperta e della novità. Un’etica della mobilità. Una tale etica è essenziale per il ctn che, come abbiamo vi­ sto, nasce in stretto rapporto alla riorganizzazione dei sistemi tecnici della comunicazione: è la circolazione dei beni, delle persone e dei simboli ciò che sta alla base di questo nuovo siste­ ma. La velocità, il ritmo, l’accelerazione costituiscono i nuovi valori di riferimento: tutto ciò che è fermo è morto, dato che non è in grado di partecipare ai circuiti della vita e della produ­ zione della ricchezza. In questo modo il ctn mette la storia in uno stato di congelamento, enfatizzando il tempo presente dove tutto si muove a velocità tale da produrre l’impressione contrad­ dittoria di fissità e, insieme, di instabilità. Come rileva Paul Viri­ lio, "con la rapida ma discreta dilatazione del presente, di un presente mondializzato dalle tecnologie, il tempo presente occu­ pa un posto centrale” (Virilio, 1995:166). Un presente che non

i

»

ahiailsmo tecno-nichilista

115

hti irqule, dato che, sulla superfìcie del globo, la vita non smette hihI r mentre le attività si fermano in un emisfero, nell'altro si i«m h ede ininterrottamente, in una specie di giostra impossibile Iti Munire per un singolo essere umano. Hnl versante tecnico, il ctn necessita di quadri direttivi e proi h muli che gestiscano gli apparati distribuiti spazialmente su hilio il pianeta. Le reti hanno bisogno di installatori, di manuii iilori, di organizzatori, di verificatori, di attivatori, di tradutto11 II ctn ha un bisogno vitale di quadri che devono essere dispo­ ni li npostarsi per andare velocemente là dove serve, di tecnici • Ih* devono saper assistere gli impianti tecnologici in tutto il mi indo, di professionisti che siano in grado di risolvere i proble­ mi che nascono dall'impiego dei codici delle sif, di piloti e auti­ sti che permettono di spostare merci e persone rapidamente, di • nniunicatori che aggiornano continuamente le notizie su quan­ ti! nccade.

Sul versante dei significati, il ctn pretende di costruire un mi nido dove non è più necessario avere una “casa" perché qua­ lunque luogo è, in ultima istanza, intercambiabile (Heller, 1999). AttraversoTinfrastrutturazione tecnica e la reversibilità del sen­ si! hi può pensare di vivere in qualunque posto, anche perché le dlllerenze tendono a smussarsi. Per questa ragione il ctn premia • Ili è disposto a muoversi dal luogo di nascita, chi è incuriosito (a Iielle) dalle culture esotiche, chi ama il viaggio e il nomadismo, » Ili è disposto a farsi contaminare (anche se solo superfìcialmenle) da mondi culturali “altri" (Maffesoli, 2000). L'idea secondo la quale vivere e operare sempre nello stesso posto sia un compor­ tamento ottuso e tradizionalista è diventata senso comune, quasi » he ci si debba vergognare di quello che si è e di quello che si è aIati. Invece, ciò che è richiesto è prima di tutto la disponibilità verso il nuovo e verso l'inatteso: la mobilità deve essere, come si dice, prima di tutto mentale, intendendo con ciò la disponibilità a ricominciare da capo, a buttare tutto a mare, a disfarsi del pas­ sato che, se trattenuto, costituisce ima sterile rigidità. L’etica della mobilità è propagandata in tutti i modi e viene lavorila anche nei percorsi di formazione: ai ragazzi si chiede di lare nuove esperienze, e nei curricula ciò è un elemento partico­ larmente apprezzato. Conoscere le lingue, poi, è oggettivamente un vantaggio sul mercato del lavoro: nei processi di selezione dei giovani più promettenti, le imprese considerano le esperien­ ze all’estero e la disponibilità a muoversi come criteri prioritari di scelta. Sul piano più teorico, spopolano scrittori e registi che celebrano il viaggio e che considerano il ritorno al nomadismo postmoderno un indicatore della vitalità del mondo sociale con­ temporaneo.

116

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Nell'immaginario collettivo, i politici, le star televisive e gli amministratori di grandi imprese sono persone che si muovono molto e che hanno la facoltà di passare da un continente all'al­ tro senza alcuno sforzo. E quote sempre più grandi dei nostri consumi hanno a che fare con il muoversi: dal turismo a quelli che Attali chiama "oggetti mobili", ha successo tutto ciò che fa­ cilita e accompagna il movimento. Così l'etica della mobilità diventa un tratto distintivo del ba­ gaglio culturale dell'età con temporanea, anche se un'attenta os­ servazione delle strategie impiegate dai vari gruppi ci direbbe molto su come le cose stanno veramente, al di là delle apparen­ ze.16 Coloro che stanno sui gradini più alti della scala sociale so­ no, infatti, in grado di governare la propria mobilità sviluppan­ do l'ubiquità, cioè la capacità di essere in più luoghi contempo­ raneamente, senza bisogno di spostarsi fisicamente. Un tale ri­ sultato viene ottenuto mediante strategie accuratamente studia­ te, ad esempio attraverso la costruzione della notorietà, che per­ mette la circolazione del proprio nome e della propria immagi­ ne mediante i circuiti mediatici (sia di massa, sia riservati). In questo modo si dà un'impressione di presenza, riuscendo con un minimo sforzo a raggiungere la realtà di milioni di persone. Oppure con la sostituzione di sé attraverso propri inviati: non si è presenti di persona, ma si partecipa mediante un proprio rap­ presentante fidato. Ciò comporta la disponibilità di un'organiz­ zazione che lavora al proprio servizio e che permette di soddi­ sfare richieste plurime e con temporanee. Infine, una terza stra­ tegia è la capacità (o meglio il potere) di far muovere gli altri: dato che la mobilità è un sistema complesso che segue tante di­ rezioni, ci si può muovere stando perfettamente fermi e attiran­ do gli altri verso di sé.17 In tutti i casi, l'idea di fondo non è quel­ la di rincorrere un dinamismo sempre più veloce, ma di diventa­ re un polo di attrazione in grado di determinare flussi in entrata e in uscita. In questo modo, chi davvero detiene porzioni di po­ tere, nel ctn, riesce a essere in più posti e a gestire più situazio­ ni contemporaneamente senza pagare un prezzo troppo alto al­ l'accelerazione. Così facendo, le élite contemporanee si rispar­ miano e, soprattutto, sono in grado di gestire, anziché di subire, 16 Le considerazioni che seguono sono tratte dalla tesi di dottorato "Mobili­ tà ambigua: per una sociologia dei ceti alti nella società contemporanea" che Laura Gherardi ha congiuntamente svolto, nel triennio 2006-2008, presso l’Università Cattolica di Milano e TÉcole des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. 17 Gherardi fa osservare che questo tipo di strategie sono, in parte, la riedi­ zione di pratiche antiche.

11 I APITALISMO TECNO-NICHILISTA

117

Im mobilità. Come nell'èra della produzione industriale gli impivnditori predicavano letica del lavoro ma non si ammazzava­ no di fatica al pari dei loro operai nelle fabbriche (salvo quelli di prima generazione che venivano direttamente da quell’esperien,m), così oggi i grands commis del ctn si muovono molto meno । Iri loro subordinati, anche se non perdono occasione di diffon­ dere il verbo della mobilità: occorre muoversi, essere disposti a "postarsi, conoscere il mondo, cambiare. Tutti aspetti che, solo In presenza di disponibilità economiche e culturali elevate, pos­ sono risultare piacevoli e stimolanti. Rispetto a questa prima cerchia sociale si trovano in una siliiuzione molto diversa coloro che hanno il compito di gestire, organizzare, far funzionare la grande macchina del ctn globale contemporaneo. Su questo gruppo - che si colloca proprio sotto Ir élite in senso vero e proprio - si scarica in modo molto forte la tensione che nasce dalla natura del ctn. Per molti giorni all'an­ no, gli aeroporti e gli alberghi sono pieni di dirigenti, tecnici, professionisti, che sono impegnati nella manutenzione del mst e delle sif. E, come nel passato l’etica lavorista era necessaria per hir funzionare la fabbrica, così l’etica della mobilità è indispen"iibile per far funzionare il sistema globale. È in particolare a questo livello che è richiesta una vera e propria etica motivante In grado di sostenere gli immani sforzi che sono richiesti. Non a caso, le pochissime ricerche su questo segmento sociale permet­ tono di evidenziare il grande disagio, la disillusione e le strate­ gie di adattamento - e non di rado anche di uscita - che si ri­ ncontrano all’interno di questo gruppo.18 Da questo nucleo centrale e proattivo, l'etica della mobilità si diffonde poi in tutto il corpo sociale, producendo un effetto alo­ ne che finisce per trascinare in questa stessa direzione tutta una serie di altri imponenti fenomeni. Il primo è la mobilità per turismo che, oltre a costituire un’industria in sé, contribuisce a rafforzare il valore della mobi­ lità. L’ultima stima disponibile riguardante il 2006 parla di otto­ cento milioni di turisti annuali a livello globale; un numero enorme, che è tornato a crescere dopo il brusco stop seguito al­ l’attentato alle Torri gemelle. Queste centinaia di milioni di turi­ sti testimoniano quanto la mobilità sia oggi considerata un valo­ re. Ci si muove perché si vuole evadere dalla quotidianità, per­ ché si vogliono fare esperienze diverse, perché si vuole conosce­ re un altro modo di vivere: tutte declinazioni, come si vede, del­ lo stesso tema centrale. Anche se poi il turismo viene canalizza18 Ancora, il riferimento è prima di tutto al lavoro di Ghepardi.

118

LIBERTÀ IMMAGINARIA

to e standardizzato, producendo per lo più esperienze dimidiate e sterilizzate. Nella stragrande maggioranza dei casi, il turista rimane alla superficie dei mondi che incontra e finisce per ave­ re un rapporto stereotipato con la realtà altra. Il secondo fenomeno è la mobilità dei segni, dei simboli e delle culture, che si genera soprattutto attraverso i media e, in particolare, i new media elettronici, nel quadro dello sed (Tomlin­ son, 1999). Anche in questo caso l'accesso a riferimenti cultura­ li diversi dai propri viene considerato, di per sé, qualcosa di po­ sitivo. Non importa la qualità del contenuto a cui si accede. Il solo fatto di “essere connessi” e di esplorare è qualcosa che viene considerato positivamente. È la possibilità in sé a essere considerata un valore aggiunto, come dimostra l'atteggiamento aperto dei giovani che, a differenza degli adulti, sono capaci - così almeno recita la retorica contemporanea - di non porre troppi filtri nei confronti del nuovo che incontrano. Come nel caso del turismo, anche questo tipo di mobilità simbolica pre­ senta evidenti limiti, non solo per il fatto di essere costretta a stare dentro i condizionamenti che lo stesso mezzo tecnico im­ pone, ma anche perché l'equivalenza di qualsiasi significato fi­ nisce per rendere più difficile la stessa vera capacità di attraver­ samento della diversità. L'ultimo fenomeno è la mobilità dei migranti, cioè la mobili­ tà di coloro che lasciano la loro terra d'origine in risposta a eventi e situazioni derivanti dal disordine globale, che il ctn a volte determina o, comunque, esaspera e accentua. Guerre, per­ secuzioni politiche, religiose o etniche, povertà, disastri ecologi­ ci sono tra le cause principali di questa mobilità che negli ultimi due decenni ha ripreso a essere molto consistente. Senza alcuna pretesa di fornire una spiegazione a un feno­ meno estremamente complesso,19 nell'economia del discorso che stiamo facendo ci si può limitare a due considerazioni. La prima è che la doppia mobilità, da un lato, del lavoro (verso i paesi più avanzati) e, dall'altro, della produzione (verso i paesi poveri) costituisce un elemento importante della riorganizza­ zione capitalistica contemporanea. Come dimostra la significa­ tiva redistribuzione del reddito a favore dei profitti e a svantag­ gio del lavoro (Attali, 2008), il ctn trae indubbio beneficio dal fatto che esiste oggi una grande quantità di manodopera non qualificata o, laddove qualificata, pienamente reversibile - e per 19 Le migrazioni non sono certo un fenomeno che segna solo il tempo che vi­ viamo. In un certo senso, si potrebbe dire che l’intera storia umana è una storia di migrazioni. Il ctn reinterpreta però tale fenomeno inglobandolo all’interno delle proprie logiche.

■I I A DUALISMO TECNO-NICHILISTA

119

• K» «lesso indeterminata - che si rende disponibile per lo sfrat­ iti mento intensivo da parte del sistema economico. Come in pre• ih lenti fasi della sua storia, il capitalismo trae vantaggio dalla pi ibilità di mobilitare enormi masse di persone, mettendole al «hi vizio di nuove fasi di accumulazione. La seconda considera­ ci me è che il ctn fornisce nuove ragioni a sostegno della deci­ di me di migrare: da un lato, enfatizzando i vantaggi individuali In termini di benessere e libertà - che tale decisione può portaipum sé; dall'altro sottacendo la drammaticità esistenziale e le । niiHCguenze sociali che una tale decisione sempre porta con sé i ^itvud, 2002). La creazione di schiere di individui che "non so­ ni» né da una parte né dall'altra" costituisce una ferita aperta all ì ni orno dell'esistenza di decine di milioni di persone così come ili moltissimi contesti sociali. Della portata umana e sociale di Itile ferita, il ctn non riesce a comprendere lo spessore: quando min è semplicemente rimosso, questo problema viene di solito idi contato come una mera questione tecnica, in qualche caso addirittura sicuritaria. Com'è avvenuto nel passato per l'etica lavoristica, così oggi l’elica della mobilità fornisce un vero e proprio "regime di giu­ bili icazione", cioè una visione del mondo corredata da un insie­ me di norme e valori che struttura gran parte delle nostre attivi­ tà, delle nostre relazioni, dei nostri discorsi. Costituendo un valore - economico e culturale - fondamen­ tale del tempo che viviamo, la mobilità è anche alla base delle principali tendenze che strutturano il sistema delle disugua­ glianze sociali contemporanee. Queste ultime - come giusta­ mente ci ammonisce Ulrich Beck (1999) - non possono più es­ tere osservate in un'ottica puramente nazionale. All'interno del ( IN, i gruppi agenti sulla scena planetaria possono essere così classificati: • una upper class (costituita da grandi finanzieri, rentiers, star sportive e del cinema, artisti di fama intemazionale, vertici di multinazionali o di grandi agenzie intemazionali, politici di primissimo piano) che si muove in maniera molto accor­ ta, in modo tale da trarre i vantaggi che derivano dal poter essere, e non essere, sulle diverse scene e nei singoli momen­ ti nei quali si svolge la vita sociale contemporanea. Concreta­ mente, ciò dà la possibilità di accedere a un insieme di op­ portunità nettamente più ampio di quelle disponibili a livel­ lo nazionale, con la conseguenza di aumentare il divario tra i più ricchi e i più poveri. Per fare un riferimento specifico, negli Usa, il reddito dello 0,01 per cento dei più ricchi è pas­ sato da 50 volte il salario medio di un operaio nel 1975 a 250 volte quello stesso salario nel 2005. E la metà (dicasi la me­

120

LIBERTÀ IMMAGINARIA

tà!) della ricchezza creata tra il 1990 e il 2006 è andata a be­ neficio del 15% delle famiglie (Attali, 2008:86); • un ceto tecnico-manageriale, di livello medio/alto, con una buo­ na istruzione, un reddito relativamente elevato e imbevuto del­ l'etica della mobilità. Questo gruppo è essenziale per il funzio­ namento del ctn, dato che esso dispone di competenze tecniche essenziali per il buon funzionamento delle sif e del mst. Nello svolgere tale compito, questi tecnici sono costretti ad accelera­ re sempre di più per far fronte alle richieste di cui sono resi og­ getto. Per questo motivo essi vengono generosamente ricom­ pensati dal punto di vista economico, anche se i costi umani e relazionali del tipo di vita richiesto sono spesso assai elevati; • un ceto medio proletarizzato, costituito da gruppi scarsa­ mente mobili, agganciato ad attività professionali ed econo­ miche locali o a rendite garantite dai sistemi pubblici nazio­ nali. Tale ceto ha orientamenti contraddittori verso la mobili­ tà: da un lato esso respira l'etica della mobilità, vista come un sogno per la propria vita, almeno dal punto di vista dell'espe­ rienza estetica; dall'altro, però, si mostra sempre più insoffe­ rente per le conseguenze (in termini di crescente insicurezza fisica ed economica) che tale processo determina sul piano locale, esposto ai rischi che derivano dall'instabilità economi­ ca e dalla redistribuzione della ricchezza che avviene su scala globale. Questo gruppo arranca sempre di più e dubita ormai della possibilità di conservare o trasferire alle future genera­ zioni il livello di benessere e di sicurezza raggiunto (Bagnasco, 2008). D'altra parte, il degrado dei sistemi di istruzione di massa erode il capitale culturale di buona parte di questo gruppo che, privato di solidarietà e identità forti, tende a sci­ volare sempre più in basso e a omologarsi al modello dei “nuovi ceti popolari" (Magatti, de Benedittis, 2006); • un sottoproletariato, per lo più immigrato, e comunque sra­ dicato e dislocato, che subisce le conseguenze più negative della mobilità - come, ad esempio, la riduzione dei sistemi di sicurezza sociale - e che viene utilizzato per la riorganizza­ zione dei mercati del lavoro locali e globali. La schiera dei di­ seredati - che non riescono nemmeno a raggiungere lo status di cittadini - prodotti dal ctn aumenta a dismisura: un mi­ liardo di persone vive negli slum attorno alle metropoli glo­ bali (unpd, 2003), mentre lo sfruttamento minorile, il lavoro nero, i working poors, gli incidenti sul lavoro e, (addirittura!) le nuove forme di schiavitù (Bales, 2000) rendono ormai, per questi gruppi, un lontano miraggio la possibilità di accedere ai livelli di benessere e di sicurezza sociale che avevano ca­ ratterizzato il cs negli anni sessanta e settanta.

Il I ANTALISMO TECNO-NICHILISTA

121

// "feticcio” della liquidità Ogni ondata di accumulazione capitalistica che si rispetti ha hlnogno di una sua teoria monetaria e finanziaria. E così è stato 'indie per il ctn, il cui successo è strettamente legato ai cambia­ li ir ni i avvenuti a partire dagli anni ottanta nei sistemi fìnanzia11 globali. Nell’epoca del cs - anche sulla scorta della crisi del 1929 - le wonomie nazionali sono cresciute nei limiti di una precisa "di­ sciplina” monetaria e finanziaria le cui linee fondamentali, già I Tacciate da Keynes in Teoria generale delToccupazione e della moneta, hanno fatto da sfondo agli accordi di Bretton Woods (Innati nel 1944, quando la seconda guerra mondiale volgeva al tremine. Secondo l’economista inglese, per garantire una cresci­ li! economica stabile e duratura occorre prima di tutto contra­ stare il "feticcio della liquidità” che spinge gli investitori a con­ centrare i propri mezzi sul possesso di titoli liquidi. Quando ciò accade, il sistema finanziario non è più interessato a sostenere In sviluppo "solido” di medio e lungo termine, preferendo pun­ irne sul guadagno a breve, in un gioco in cui lo scopo è, come di­ cono gli americani, "to beat the gun”, cioè riuscire a passare a qualcun altro la moneta cattiva o svalutata. Per evitare i rischi derivanti da ciò (Minsky, 2009), è necessario prima di tutto im­ pone una vera e propria disciplina che spinga gli investitori a puntare sul medio/lungo termine, e, in secondo luogo, tenere Motto controllo la quantità di moneta resa disponibile dalle ban­ che centrali vincolando la crescita della massa monetaria all’in­ cremento dello stock di oro (che storicamente cresce nell’ordine di grandezza dell’1-2%). Su tali premesse furono costruiti gli assetti monetari, finan­ ziari e valutari del dopoguerra, che regolarono l’economia mon­ diale fino agli anni settanta. Tali assetti, pensati nella prospetti­ va di una crescita a medio/lungo termine, costrinsero i sistemi economici dei paesi avanzati a crescere entro i limiti dello ^vi­ luppo reale in un quadro di vincoli che ne assicurava la stabilità. Ciò era possibile a condizione di assegnare al sistema politico il molo di garante dell’intero sistema: solo l’autorevolezza della politica poteva sostenere, di fronte all’opinione pubblica, un ta­ le limite, intervenendo nel contempo anche sul tema delicato della distribuzione della ricchezza (attraverso la tassazione, la spesa pubblica e, soprattutto, lo stato sociale). Con il ctn, tale impostazione viene abbandonata. L’uscita dal sistema di Bretton Woods è stata lenta e contrastata. Formal­ mente, essa comincia il 15 agosto del 1971, quando il presidente americano Richard Nixon annuncia la fine della reversibilità

122

LIBERTÀ IMMAGINAR®

oro/dollaro,. Ma la svolta vera e propria arriva con il cambio de) la presidenza della fed americana avvenuta nell'agosto del 198? Nel quadro delle politiche neoliberiste, che ormai si erano affetff mate nei paesi anglosassoni, la gestione di Alan Greenspan svi luppò due principali linee di azione. La prima fu la progressiva deregolamentazione dei sistemi finanziari. Un obiettivo tenacemente perseguito e ottenuto attraverso l'autorizzazione concessa agli investitori non istituzio­ nali, la creazione di nuovi strumenti di gestione del rìschio,2^ l'abolizione delle norme sul commercio di derivati non regola­ mentati (cioè transazioni eseguite al di fuori dei mercati ufficia­ li), l'abolizione del Glass-Steagall Act,20 21 la cartolarizzazione si­ stematica dei prestiti ipotecari subprime (mutui concessi da aziende specializzate a soggetti che non offrono le garanzie di solvibilità richieste dalle banche) di bassa qualità e ad alto ri­ schio. La seconda linea d'azione era un'offerta pressoché illimi­ tata di moneta, associata al mantenimento di livelli molto bassi del tasso di interesse primario. La nuova strategia di governo della moneta e della finanza fu annunziata e messa in pratica già nel corso della crisi finanziaria dell'ottobre 1987, nel momento in cui Greenspan garantì agli operatori che, in caso di difficoltà finanziarie, vi sarebbe stato l'intervento delle banche centrali attraverso l’immissione di liqui­ dità. Sulla base di tale impostazione, dal 1987 al 2005 è seguita una lunghissima serie di interventi di salvataggio miranti a rime­ diare lo scoppio delle bolle speculative create da precedenti azio­ ni analoghe, in una spirale sempre più veloce da cui è diventato impossibile uscire: dal crollo azionario dell'ottobre 1987 alla cri­ si delle Savings and Loans (le casse di risparmio statunitensi) al­ l'inizio degli anni novanta; dalla crisi asiatica del 1997 ai timori per il "millennium bug''; dal collasso di ltcm, l'hedge fund dei 20 Particolarmente importanti sono stati gli hedge fund. Il più noto è il ltcm (Long Term Capital Management), alla cui guida cerano Robert Merton e Miron Scholes, addirittura due premi Nobel dell’economia nel 1997, proprio per aver in­ dividuato una formula matematica che consentiva di determinare il valore di strumenti finanziari derivati. Fondato il famoso e iperspeculativo hedge fund, appunto, con un capitale di appena 5 miliatdi di dollari e grazie a un’enorme le­ va finanziaria, Merton e Scholes avevano potuto imbastire transazioni finanzia­ rie per la folle cifra di 1250 miliardi di dollari! Ugualmente noti, perché all'origine della crisi del 2008, sono i cosiddetti mutui “ninja” {no income, no job or asset) elargiti senza alcun riguardo circa le condizioni di solvibilità dell'acquirente. 21 Tale legge, approvata nel 1933 per risolvere la crisi del 1929, impediva al­ le banche di credito ordinario di usare i depositi dei clienti per speculare in Bor­ sa, dividendo il campo della gestione dei depositi da quello dell’investimento in titoli, evitando altresì alle banche di sconfinare nel campo delle assicurazioni.

Il I A VITALISMO TECNO-NICHILISTA

123

pit mi Nobel, alla bolla dellliigh-tech all'inizio del 2000, fino ad arrivare alla crisi, ancora più grave, dell'autunno 2008. Nei 18 Mimi della presidenza Greenspan, la base monetaria americana è » iVMciuta del 235%! Agendo contemporaneamente su una molteplicità di leve, la nuova dottrina che ha governato il sistema monetario e finan/Imi ìo americano e mondiale è all'origine di quella straordinaria m celerazione economica verificatasi negli anni novanta e pas­ cla sotto il nome di "globalizzazione". Grazie a tale politica, gli Minti Uniti (e l'Inghilterra, loro fedele alleata) sono tornati a esurrc il centro assoluto del sistema economico mondiale: non, però, come potenza produttiva, bensì come motore finanziario, nilto ciò si è reso possibile ed è stato sostenuto mediante lo druttamento sistematico e spregiudicato di quello che Keynes nveva chiamato - senza nascondere le sue preoccupazioni - "fe^ liccio della liquidità": in sostanza, il deciso spostamento sul brevr/brevissimo termine dei rendimenti finanziari, ottenuto me­ diante l'introduzione di nuovi strumenti in grado di accelerare Ir transazioni e calcolare il rischio. Come dimostra l'accorciainento dell'intervallo temporale utilizzato per valutare le perfor­ mance economiche, passato nel giro di pochi anni dal triennio all'anno fino al semestre e, da ultimo, al trimestre. In questo modo, proprio quella preferenza al bréve/brevissimo termine che Keynes temeva come qualcosa di profondamente antisocia­ le è stata trasformata in una precondizione per sostenere la cre­ scita economica su scala globale, dato che le risorse finanziarie si sono rapidamente (anche se solo fittiziamente) moltiplicate.22 Tra le principali conseguenze prodotte dal ritorno del feticcio della liquidità possiamo ricordare: a) la strepitosa accelerazione degli indici della Borsa che, in questi ultimi venti anni, si sono decuplicati (vedi fig. in appendi­ ce). Ciò ha permesso agli operatori finanziari di realizzare enor­ mi guadagni e di trarre sistematico vantaggio da quanto stava accadendo; fe) il ricorso all'indebitamento come via per consentire l'ac­ cesso al consumo, anche al di sopra delle possibilità reali. Se­ condo una sorta di dottrina implicita che potrebbe essere defini­ ta "democratizzazione della finanza", l'illusoria ricchezza carta­ cea prodotta dall'espansione monetaria ha portato le famiglie americane a ridurre i risparmi e ad aumentare l’indebitamento. Basti pensare che il tasso netto di risparmio nazionale è passa22 II che è anche alla base di quella crisi di sovrapproduzione che ha colpito l'economia mondiale alla fine del 2008. Si veda Sapelli (2008).

124

LIBERTÀ IMMAGINARIA

to, dal 1987 al 2005, dal 4,5 all' 1 per cento. Nello stesso periodo, il debito delle famiglie è passato dal 77 al 121% del reddito di­ sponibile, mentre il debito ipotecario è cresciuto dal 51 al 91%; c) la rinuncia a qualunque idea di solidità o a qualunque vi­ sione di medio/lungo termine. Al suo posto si è affermata una dottrina che vede la crescita economica come il susseguirsi di momenti singoli in ognuno dei quali i guadagni vanno massi­ mizzati. In questa prospettiva, ogni istante è visto come tempo assoluto, nel senso che la singola operazione finanziaria deve potersi svolgere senza alcun riferimento a ciò che viene prima o dopo. È la massimizzazione del profitto nell'istante t, il concen­ trarsi solo sul conto economico dimenticandosi del conto capi­ tale, ad avere permesso un’accelerazione economica su scala globale della portata che si è registrata negli ultimi decenni; d) lo svolgimento del fondamentale legame tra debitore e creditore, tradizionalmente basato su una stretta solidarietà economica, fatta di diritti e di doveri. La rivoluzione del sistema finanziario ha letteralmente polverizzato tale rapporto, nel mo­ mento in cui l'accesso al credito è stato concesso indipendente­ mente da una valutazione circa la possibilità di un suo ripianamento. L'apparente assurdità di questa pratica - sacralizzata a Wall Street - era superata dal fatto che tale transazione costitui­ va solo il primo anello di una lunga catena di transazioni finan­ ziarie su cui si fondavano le stesse possibilità di guadagno; e) la sostituzione del tradizionale criterio di legittimazione di matrice politica - che aveva retto il cs - con uno di tipo tecnico: l'intero sviluppo dei sistemi finanziari degli ultimi due decenni è stato possibile grazie alla realizzazione di sofisticati software che hanno permesso la complessificazione e la velocizzazione degli scambi su scala globale. Inoltre, quanto è accaduto ha strettamente a che fare con la telematizzazione della Borsa av­ viata nella seconda metà degli anni ottanta; f) la ristrutturazione del circuito della costruzione del con­ senso, con un ulteriore spostamento del baricentro dal piano collettivo (politico) a quello individuale (economico). Per alcuni aspetti, neoliberismo e nuova cultura finanziaria hanno creato un sistema che si è propriamente configurato come un sostituto funzionale del welfare state postbellico: il coinvolgimento di lar­ ghi strati della popolazione americana in livelli di benessere cre­ scenti è, infatti, avvenuto mediante l'indebitamento (individuale e collettivo) invece che attraverso le tasse e la spesa pubblica. Un tale sistema ha potuto reggere in presenza di tutta una se­ rie di condizioni che stanno poi alla base dell’idea di ctn: l’acce­ lerazione continua della crescita economica e la sua espansione spaziale in nuovi mercati emergenti; il ruolo degli Stati Uniti co-

It ' AMIAIISMO TECNO-NICHILISTA

125

him arbitro indiscusso del sistema finanziario globale; l’utilizzo • Ini londi-pensione dei cittadini americani all'intemo dei circuir il lliHinziari. Sul piano sociale, il feticcio della liquidità si porta •ilmeno dietro due importanti implicazioni. In primo luogo, esso contribuisce ad allontanare l'economia • lidio realtà. Alimentando la sete del guadagno per il guadagno e mi’ll rodo a disposizione risorse finanziarie pressoché illimitate, • hmi Unisce per rendere sempre più flebile il nesso tra il “busii lenii’’ e i bisogni delle persone e delle comunità, dando la prece­ denza al primo a danno dei secondi. In questo modo, si è creata I illusione che l'economia - intesa come business - potesse cren ere indiscriminatamente, prescindendo completamente da * »|gnl altro tipo di considerazione (ad esempio, la questione dei • apporti tra le diverse aree/culture mondiali) In secondo luogo, esso dà un formidabile contributo a inde­ bolire il fondamento stesso del legame sociale, non solo perché I’h onomia è sempre meno riferibile a delle comunità politiche, imi anche perché viene dissolto un rapporto fondamentale come «indio tra creditore e debitore. L'idea baumaniana di società li­ quida non è, dunque, solo un'immagine di un bravo sociologo. ( iintravvenendo ai caveat di Keynes, l'affermazione del “feticcio ilvlla liquidità" - fondamento del regime finanziario che ha ret­ ili r reso possibile il ctn - ha contribuito a modificare in profoniIIIh la natura stessa delle relazioni sociali e il rapporto con la lealtà.

/, 'economia "affettiva ”

Il neoliberismo, con la sua enfasi sulla scelta e sull'autodeter­ minazione individuale, contribuisce in modo decisivo al passagFlo dall'economia materiale - basata sul lavoro, la produzione, offerta - a quella immateriale, dove a contare sono i consumi, i servizi, la domanda. Un passaggio che è stato l'inevitabile conse­ guenza dell'accesso generalizzato al benessere che il cs ha sapu­ lo generare. Nel suo libro apparso nell'edizione originale francese nel 1969, Alain Touraine aveva colto perfettamente la questione: la generalizzazione dei consumi, il ruolo della conoscenza, l'innal­ zamento dei livelli di studio avrebbero rapidamente spostato l’asse centrale dal piano materiale a quello immateriale. E così è accaduto. Dal punto di vista produttivo, ciò si è tradotto nella terziarizzazione dell'economia; dal punto di vista sociale, il cambiamento ha comportato la perdita di centralità del lavoro a vantaggio del consumo e dell'identità.

126

LIBERTÀ IMMAGINARIA

Cambiare l’impostazione di fondo di interi sistemi socioeco­ nomici non poteva essere impresa da poco. E infatti ci vollero anni per vincere le tante resistenze e opposizioni. Ma, fonda­ mentalmente, il passaggio che si realizzò tra gli anni settanta e gli anni ottanta andò coerentemente nella direzione dello spo­ stamento dal “bisogno” - legato ancora a un’idea oggettiva e ma­ teriale e, come tale, saturabile - al “desiderio” - regno della sog­ gettività e deirimmaterialità e, come tale, non saturabile. Per quanto la trasformazione fisica della materia rimanga centrale nella produzione capitalistica - come dimostra la per­ manente dipendenza dall’energia e dalle materie prime - il valo­ re economico viene sempre più strettamente associato alla ma­ nipolazione dell'immateriale. A partire dagli anni sessanta, il core business del capitalismo è quello di creare nuove opportunità di crescita mediante una combinazione sempre più stretta tra lo sfruttamento tecnico-razionale delle risorse e la mobilitazione della sfera soggettiva affettivo-emozionale. Per far questo, il ca­ pitalismo ha dovuto superare gli angusti confini della produzio­ ne industriale e invadere nuovi spazi della vita sociale e perso­ nale, coinvolgendoli mediante l’attivazione del desiderio e la va­ lorizzazione dell’esperienza. Più precisamente, il ctn prova a tradurre la dinamica del desiderio in bisogno, costruendo un apparato che fa coincidere questi due termini. Come recita lo slogan su un cartellone che pubblicizza un suv: “Il concetto di necessità è puramente soggettivo’’. Agire su una materia richiede determinate competenze di or­ dine tecnico. Se si lavora con il legno, servono certi attrezzi, ma se la materia è il marmo, anche le tecniche cambiano. E se si sa lavorare il legno non è detto che si sappia lavorare il marmo. È questo il regno del teukein, cioè dell’abilità e della competenza professionale. Ma, con il ctn, il teukein si applica direttamente al campo tradizionalmente riservato al legein, dato che la mate­ ria sulla quale vengono impiegate le competenze di tipo tecnico ha direttamente a che fare con i significati, o meglio con i pro­ cessi di produzione, distribuzione, circolazione delle parole e dei discorsi. Nel quadro della complessificazione culturale dei significati reso possibile dallo sed, la ricostruzione di nuovi si­ gnificati provvisori e artefatti diventa una vera e propria profes­ sionalità che impiega strumenti sempre più raffinati. Nel corso degli ultimi decenni, un tale processo si è sviluppato lungo quat­ tro passaggi principali. Il primo riguarda la capacità di ampliare gli ambiti della vi­ ta, suscettibili di entrare nel circuito della produzione della ric­ chezza. Questa espansione - che consiste nell’inglobare una quota sempre più grande di attività umane nel ciclo della vaio-

It < APITALISMO TECNO-NICHILISTA

127

i l/./.azione economica - procede sia grazie alla razionalizzazio­ ne della vita sociale (mst + sif), sia grazie alla smobilitazione di lulta una serie di riferimenti culturali che avevano costituito un limite a tale espansione (sed). Si pensi alla trasformazione del «'More sanitario: se il welfare state del secondo dopoguerra ha imito il grande merito di diffondere universalmente l'assistenza utilitaria, includendo l'intera popolazione nell'accesso a servizi ila cui prima era esclusa, l'evoluzione più recente è andata ver­ no una trasformazione di questo settore in un mercato fiorente i’ sostanzialmente non saturabile. Un tale risultato è il prodotto di due cause principali: la prima è che l'innovazione tecnologi­ ca rende possibili nuovi tipi di terapie che cambiano l'idea stes­ sa di cura; la seconda è che la copertura dei bisogni di base è so­ lo il primo passo per il manifestarsi di nuove esigenze. Il risulta­ lo è che la domanda sanitaria tende a crescere fino a diventare incolmabile. Controintuitivamente, sono proprio le società che stanno meglio quelle nelle quali si manifesta una crescita espo­ nenziale della spesa sanitaria e dove diventa difficile soddisfare In domanda di salute: si stima che, nel 2008, più del 20% dell'economia americana ruoti attorno a questo settore e, guardan­ do al futuro, ci si deve aspettare un'ulteriore crescita. La do­ manda di benessere fisico e di allungamento della vita è di con­ li nuo alimentata da schiere sempre più numerose ed esigenti di consumatori. Il secondo passaggio punta a rendere ricettivi i diversi con­ lesti culturali al nuovo che viene proposto. Come si è visto, in un mondo che ha saturato quelli che una volta si sarebbero chiamati bisogni primari, è necessario interferire sui significa­ ti, se si vuole evitare il problema della sovrapproduzione di cui aveva parlato Marx in II capitale. Appunto, il teukein applicato ul campo del legein all'interno dello sed, che è alla base della nuova alleanza tra tecnica e nichilismo: il problema non è solo includere nel circuito della produzione nuovi ambiti dell'esi­ stenza, ma soprattutto far sì che al loro interno rinascano con­ tinuamente esigenze da soddisfare e, contemporaneamente, che tali esigenze siano le stesse in tutto il mondo. In prima bat­ tuta, tale risultato viene ottenuto mediante l'innovazione che, agendo sul sistema delle preferenze e delle aspettative, tende a generare la propria domanda. Il problema è che questo stesso movimento determina un accorciamento nel ciclo di vita dei prodotti, che devono venire sostituiti rapidamente, per stimola­ re il consumatore e per far fronte alla concorrenza che in bre­ vissimo tempo riesce a copiare le innovazioni più interessanti. Uno dei modi per risolvere questo problema è l’estensione spa­ ziale dei mercati, che consente di poter sfruttare, per un breve

128

LIBERTÀ IMMAGINARIA'

periodo, una platea più ampia di consumatori globali. Il che naturalmente richiede enormi sforzi comunicativi e potenti strumenti di promozione, che siano capaci di superare qualun­ que barriera culturale e di stimolare l'aspettativa verso il nuovo prodotto. La creazione dello sed costituisce, da questo punto di vista, una condizione fondamentale per il funzionamento del­ l'intero sistema. Il terzo passaggio consiste nella capacità di stimolare la ri­ sposta del consumatore attraverso la categoria di "eventi esperienziali" - eventi, cioè, che siano sufficientemente stimolanti da riuscire ad attirare un interlocutore che è ormai disincanta­ to, capace di difendersi dai messaggi pubblicitari e di rifiutare gli eccessi consumistici. La sfida è snervante, perché si tratta di vincere ogni giorno tale resistenza inventando una nuova sor­ presa. In prima battuta, questo obiettivo viene perseguito for­ nendo stimoli estetici ed emozionali capaci di "far esplorare creativamente la vita”. Come hanno sostenuto B. Joseph Pine e James H. Gilmore, oggi il valore economico comporta il fornire un servizio su un palcoscenico atto a inscenare una "festa di sensazioni che incanta i clienti” (Pine, Gilmore, 2000). Più que­ sta messa in scena è ben fatta, più sono alte le possibilità di avere successo. Un simile mandato non può che stimolare la fantasia e la creatività, come testimoniano le innumerevoli tro­ vate escogitate dagli esperti di marketing in questi ultimi anni: dai negozi-evento, creati per durare solo qualche settimana, al­ le shopping experiences, il cui obiettivo è quello di far vivere emozioni a un livello e di un'intensità tali da rimanere impres­ se nella memoria emotiva, fino ad arrivare alle designer outlet factory, vere e proprie cittadelle che accolgono il consumatore in un mondo fittizio i cui battenti chiudono alle 18.00. L'appli­ cazione di questi metodi ha portato a raffinare le tecniche e a precisare l'obiettivo, che non è quello di convincere il cliente ad acquistare un semplice oggetto di consumo, ma di "fargli vive­ re un'esperienza”: il che significa riuscire ad associare a un par­ ticolare bene o servizio un modo di essere, di sentire, di espri­ mersi. Nel presentare la nuova strategia, Pine e Gilmore sono incredibilmente espliciti: "L’impresa - chiamiamola il regista di esperienze - non offre più solo beni e servizi, ma l'esperienza che ne deriva, ricca di sensazioni, creata nel cliente. Le propo­ ste economiche di un tempo restano distanti, all'esterno dell’ac­ quirente, mentre le esperienze sono personali, hanno luogo al­ l’interno dell'individuo che viene coinvolto a livello emotivo, fi­ sico, intellettuale e anche spirituale” (Pine, Gilmore, 2000:14). In questo modo i confini del consumo sfumano, e consumare - nelle sue svariate manifestazioni - diventa la pratica centrale

Il I AKITALISMO TECNO-NICHILISTA

129

। hr invade tutte le sfere della vita e attraverso la quale dovrem­ mo poter esprimere le diverse sfaccettature della nostra stessa personalità.23 Il quarto passaggio consiste nel tentativo di stabilizzare nel tempo il rapporto che si crea con il cliente, in modo tale da pasmuc dal singolo contatto a una vera e propria relazione. Un tale obicttivo si raggiunge tanto più facilmente quanto più si risolve il problema della passività: il problema dell’intrattenimento è » he esso non implica la partecipazione attiva dell ospite (così è » Marnato il cliente nel marketing esperienziale), dato che si li­ mila ad assorbirlo passivamente attraverso i sensi, come capita quando, ad esempio, si entra in un negozio dove tutto è senso­ rialmente curato fin nei minimi dettagli. Si tratta, allora, di coinvolgere più in profondità e più stabilmente il cliente. Pine e ( ìUmore aiutano a chiarire di che cosa si sta parlando: "Il ‘punto centrale’ per qualsiasi esperienza significativa, che comprenda dementi di intrattenimento, educazione, evasione ed esperienza emetica in uno spazio altrimenti generico, è un luogo mnemoni­ co, uno strumento che aiuta la formazione dei ricordi, distinto dui mondo normalmente insignificante dei beni e servizi” (Pine, Gilmore, 2000:59). Si tratta, in sostanza, di fare in modo che l'individuo diventi un attore della performance, rendendolo pro­ tagonista di una storia, costruita attraverso la sua partecipazio­ ne, che sarà tanto più memorabile quanto più sarà ricca di sti­ moli che aiutino a esplorare tutti gli ambiti di un’esperienza: in­ trattenimento, educazione, dimensione estetica, evasione. In questo modo si prova a superare il difficile scoglio della fedeltà. La linea di tendenza generale di questo complesso processo va verso ciò che Henry Jenkins (2005) ha chiamato ‘‘economia af­ fettiva”. L’idea cardine di questa nuova impostazione sta nel considerare la componente emozionale delle scelte di consumo non solo come la forza motrice che sostiene la decisione di con­ sumare, ma anche come il collante per la creazione di una rela­ zione. Ciò significa che, oltre a suscitare una sensazione capace di attirare e mobilitare il consumatore, si deve cercare di creare delle “fedeltà”. Secondo Kevin Roberts, amministratore delegato di Saatchi & Saatchi, i “lovemarks” sono più potenti dei brand tradizionali, in quanto “si guadagnano l’amore e non solo il ri­ spetto dei consumatori” (Jenkins, 2005). Secondo questa nuova logica, l’economia affettiva fa affidamento su una strategia com­ plessa che include almeno quattro piani di azione: 1 ) suscitare 23 Come nel caso dei gruppi parareligiosi New Age che vendono servizi spi­ rituali personalizzati.

130

LIBERTÀ IMMAGINARI^

emozioni intese come un serbatoio inesauribile di opportunità! 2) offrire esperienze multisensoriali e multimediali in grado di coinvolgere attivamente gli interlocutori in diverse dimensioni fisiche e psichiche; 3) generare una cornice-contenitore multi­ mediale capace di rappresentare un punto di comunicazione, scambio e narrazione delle sensazioni e delle esperienze comu­ ni e, allo stesso tempo, di tenere e dinamizzare nel tempo i rife­ rimenti simbolici, mediante un lavoro continuo di stimolazione; 4) costituire una community che, per quanto lasca e aperta, sia in grado di garantire un minimo senso di appartenenza. Curio­ samente (ma solo in apparenza) in un mondo che pratica l'insta­ bilità, “la fedeltà al brand costituisce il santo Graal dell'econo­ mia affettiva, secondo la regola del 20/80: per molti prodotti di consumo 1'80% degli acquisti è effettuato dal 20% dei consuma­ tori. Mantenere il legame con quel 20% garantisce la stabilità del mercato” (Jenkins, 2005:56). In maniera sempre più esplicita e aggressiva, l'economia af­ fettiva tende a travalicare i confini tradizionali di ciò che era considerato “economico” per invadere l'intera esistenza e i suoi significati. Desiderare oltre ogni limite: sull’economia libidica del plusgodere

L'avvento del ctn coincide anche con un mutamento dello sfondo psicanalitico che sta alla base della nostra vita sociale, dovuto alla ridefinizione della dinamica del desiderio e della re­ lazione con la Legge. Il xx secolo è stato contrassegnato dalla scoperta freudiana dell'Edipo: di fronte a un mondo istituito, che si proponeva co­ me ordinato e moralmente denso, nel quale le istituzioni e i ruo­ li a esse connessi esprimevano norme che mescolavano la di­ mensione tecnica con quella etica e valoriale, il soggetto si tro­ vava di fronte alla scelta tra integrazione - mediante l'interioriz­ zazione responsabile delle norme - e ribellione, che poteva arri­ vare fino al conflitto violento (Merton, 1983). Nel momento del massimo dispiegamento del cs, la ricerca dell'ordine sociale comportava necessariamente una certa restrizione dello spazio di autonomia individuale: un sacrificio compensato con la co­ struzione di mondi relativamente comprensibili, stabili e strut­ turati. In questo quadro, l'ordine sociale non poteva dissimulare più di tanto la propria natura costrittiva e repressiva. Questione colta e sviluppata da un nutrito gruppo di pensatori (che va da Freud fino a Weber e alla Scuola di Francoforte), che ha messo

Il CAPITALISMO TECNO-NICHILISTA

131

IH evidenza il nesso tra razionalizzazione tecnica e burocratica fluida e ripetitiva - e disagio personale. Il cs è solo l’ultimo at­ ti i ili una vicenda secolare che comincia, secondo Norbert Elias I |U94), con la società di corte e prosegue passo dopo passo con il lento processo di civilizzazione. In effetti, l’impianto societario - pur non potendo sopprimeu» questa valenza antropologica fondamentale che come tale » ontinuava a operare a un livello sotterraneo - era scarsamente III «rado di integrare il "desiderio” nel proprio regime di funzio­ namento. Solo in seguito alla spinta soggettivistica, impressa tini movimenti degli anni sessanta (certamente connessa con il illlTondersi della società del benessere e dei consumi), una tale dimensione ha cominciato a essere esplicitamente tematizzata e valorizzata. Come ci suggerisce la radice etimologica, “desidera” ha a rhe fare con qualcosa che sta in alto, con le stelle che ci attrag­ gono e ci mettono in movimento, al di là di noi stessi, della no­ cini storia, della nostra realtà. Attraverso tale movimento origi­ nario il soggetto è capace di prendere le distanze dall’immediata concretezza del vissuto così come gli è dato, divenendo capace di una differenza, di un’apertura. In questo senso, il desiderio costituisce una struttura caratteristica dell’esperienza umana: nenza il desiderio, nessuna simbolica del possibile avrebbe mai potuto manifestarsi. Secondo Jacques Lacan, il soggetto è strutturalmente man­ cante, e proprio per questo "desiderante”, di un desiderio sog­ gettivato, individuale, unico, che si esprime nell’incontro con t Altro e nel desiderio di mancare all’Altro, di essere significato In quanto soggetto particolare. Poiché fondamentalmente "mancanza a essere”, il desiderio non può essere mai del tutto conosciuto e soddisfatto. Il soggetto non ha mai un sapere certo nuI proprio desiderio, e in questo senso è sub-jectum a esso. Ciò conferisce continuità e inesauribilità al desiderio, che è sempre liriducibile a desiderio di qualcosa, di un oggetto. Per questa ra­ gione, il desiderio è un potente generatore di energia vitale, ca­ pace di mettere in tensione la vita quotidiana con un'alterità che agisce come una forza magnetica. Pertanto il desiderio si pone su un piano diverso rispetto al mero soddisfacimento di un bisoPno, così come è sempre in tensione con il divieto, costringendo essere umano a un movimento di uscita da sé e dalla realtà. Una tale definizione rimane peraltro del tutto astratta, fino a che non si risolve l’indeterminatezza della natura e dell’origine di questo "movimento”. Evitando di entrare nel vastissimo di­ battito su cosa attivi il desiderio, mi limito qui a osservare che il recupero di tale dimensione ha, negli ultimi decenni, privilegia-

132

LIBERTÀ IMMAGINARIA

to una direzione ben precisa. La concezione che si afferma nel ctn è infatti caratterizzata da almeno tre riduzioni: 1 ) la riduzio­ ne temporale all’orizzonte dell’immediatezza (escludendo cosi ogni possibilità di rinvio, ossia esattamente di ciò che permette al desiderio di sostenersi nel tempo); 2) la riduzione individuali­ stica (ciascuno ha il proprio desiderio, di modo che la dimensio­ ne relazionale del desiderio è sostanzialmente esclusa se non nella forma surrogator/a della mimesi); 3) la riduzione materia­ listica (che attribuisce centralità al corpo e ai sensi e che, di con­ seguenza, fa del soddisfacimento la sua misura). Lacan consente dunque di fare un passo in più rispetto a Marx per capire il tempo in cui viviamo: il capitalismo è così im­ portante nella storia umana - e non una semplice sovrastruttu­ ra - proprio perché è capace di lavorare sul desiderio, propo­ nendo il consumo come una strada per colmare il vuoto su cui il desiderio in quanto tale si attiva. Un tale obiettivo, tuttavia, si ri­ vela sempre illusorio, dato che il vuoto non è mai completamen­ te riempito attraverso gli oggetti, che devono essere continuamente rinnovati per saturare la nuova mancanza, in un movi­ mento circolare, ingannevole e senza fine. Frammentando l'esperienza in una successione di azioni che non hanno null'altro in comune se non il riempire provvisoriamente il vuoto, il capitalismo è, sempre di più, costretto a sradicare il desiderio dal legame che esso ha con la condizione esistenziale dell'uomo, riducendolo a semplice "godimento". Da questo punto di vista, non è il capitalismo che inventa il desiderio, dato che è l’uomo in quanto tale che desidera. Più limitatamente, il capitalismo sfrutta il desiderio, focalizzandolo su un oggetto (o su una per­ sona oggettificata) in modo che sia attivamente perseguito fino al suo compimento (Miller, 2001; Recalcati, 2007b). Contravvenendo all’approccio repressivo e disciplinatorio che ancora prevaleva nel cs, il comando che il ctn rivolge ai sin­ goli individui è quello di cogliere l’attimo, vivere l’emozione, as­ saporare l’opportunità. Gli psicanalisti osservano che, in questo modo, la matrice edipica della socializzazione deve venire disat­ tivata. L’indole permissiva e pulsionale del nostro tempo tende a rendere di fatto superflua la repressione: invece che al conteni­ mento, siamo invitati all’espressione di quanto si muove nelle nostre profondità. In un mondo in cui l’optional è il modello della possibilità, a venir meno è il legame tra desiderio e impos­ sibilità. Al di là di ciò che è effettivamente raggiungibile, tutto appare nella luce del possibile (fiottinoli, 2007:139). Un tale riorientamento non avrebbe potuto prendere piede se non sulla base del radicarsi nel tessuto profondo della vita so­ ciale dell’istanza soggettivistica che, fin dagli anni sessanta, po-

'I • AHtl ALISMO TECNO-NICHILISTA

133

iiv, In modo sempre più esplicito, l’individuo alla ricerca del suo l'iuprio desiderio. L'ipotesi di fondo che il ctn riprende e radica­ li//n da tede evoluzione è che in un mondo dove la struttura fon> luti tentale dell'ordine sociale - cioè il linguaggio - dovesse vern­ iti ilestrutturata diventerebbe finalmente possibile liberare il deuldciio dai condizionamenti sociali che tradizionalmente lo > । inculcavano. Per procedere in questa direzione, la creazione di un ambito disancorato da un preciso ordine culturale, nel quale indulgono i linguaggi non verbali iconici e musicali e dove il «Ingoio individuo è autorizzato a prendere ciò che più gli piace iti1 n), costituisce una pre-condizione fondamentale. Il problema * i he un tale passaggio - propugnato nel nome di una più alta lihvità - risulta assai problematico, perché proprio quel desiderio । he si sarebbe dovuto liberare diventa la posta in gioco dell’inteHi ( TN. Il risultato è che, a seguito del disincanto generalizzato । hr ha fatto decadere la funzione guida dell’ideale, "la nuova ipihmI sociale non avviene più per adesione acritica alla voce im|hmiii iva dell’ideale superegoico, ma per una sorta di fascinazioiiv silenziosa esercitata dall’oggetto di godimento. Il soggetto si vuole libero di godere [...] il dovere morale della rinuncia lascia Il posto al dovere del godimento, al dover godere. Se l’ideale non «miste, se è definitivamente tramontato, non ci resta che godere. I h declinazione kantiana del super-io sociale (Devi!) si trasfiguiu nella sua declinazione sadiana (godi!)” (Recalcati, 2007:77). I tratti centrali del nuovo quadro psicanalitico del ctn sono Mlficacemente colti nell'opera di 2ifek che, sviluppando le tesi di I man e Miller, parla di "economia libidica del plusgodere”. Come abbiamo visto, il complesso passaggio dal cs al ctn « «insiste nella ridefinizione dei rapporti tra la vita, personale e Anelale, e il processo di accumulazione. L'ulteriore tecnicizza­ gli me della realtà e la manipolabilità dei significati sono gli ele­ menti costitutivi di un sistema che si sposta dal materiale all'immnteriale. Per questo motivo, esso ha necessità di immettere nel circuito della valorizzazione non più solo i bisogni materiali, ma miche, più direttamente, il desiderio (ridotto a godimento), visto t ome la traduzione soggettiva di quella libertà di scopo che è al­ ta base della Weltanschauung contemporanea. Con l'avvento del i tn, crolla il meccanismo del divieto che aveva retto nel cs, e l'essere umano deve diventare, secondo la felice espressione di Deleuze e Guattari, una vera e propria "macchina desiderante": Il ctn vive del fatto che il desiderio venga continuamente attiva­ lo c sia in grado di essere realizzato e poi di nuovo riattivato. Dato che l'individuo non è più disposto a (o in grado di) sta­ re dentro la griglia rigida dei ruoli e delle norme sociali, l’ordine Istituzionale delle cose - almeno nella sua rappresentazione -

F34

i j bertà

immaginar®

deve essere continuamente esposto a una dinamica di distruzit® ne/ricostruzione. H che è possibile grazie all'amplissima dispa nibilità di significati e all’accresciuta mobilità, che indebolisci no qualunque ordine normativo (mediante lo sed), e all'estea sione della libertà di scopo, che offre la possibilità (almeno tei rica) di aggiornare continuamente i propri obiettivi (mediante! mst e le sif). Da questo contesto, in cui il godimento vive di continue dislfl cazioni e si mantiene solo nel passaggio da un oggetto all altri emergono due implicazioni particolarmente rilevanti. La prima è la natura illimitata del processo di mutamenti che viene attivato. E ciò in quanto il desiderio si costituisce coni un asintoto: più ci si avvicina, più elude la presa; più si pensa (1 possederlo e più se ne accerta la mancanza. Ciò lo rende un sfl gnificante vuoto, una forma senza contenuto: dobbiamo sempil desiderare qualcosa, anche se non sappiamo mai bene cosa, I anche se sappiamo che non potremo mai placare la nostra seta E dunque saturiamo questa valenza libera accettando di buoi grado di aderire alle sollecitazioni - così potenti e studiate - chi l'economia affettiva è in grado di distribuire a piene mani. La seconda è la sua straordinaria capacità di accoppiare ir teriorità ed esteriorità: per accedere al godimento delle infinij possibilità che si vede passare accanto, il singolo individuo sollecitato a uscire continuamente da sé, inseguendo ciò eh viene mostrato. Tale dinamismo nasce dal fatto che il desideri ridotto a godimento vive, per definizione, dentro un orizzonì spazio-temporale molto ristretto. Inoltre, esso ha bisogno di e sere continuamente risvegliato e tende a spegnersi lontano da la fonte che lo stimola, facendo fatica a vivere di vita propria In questo modo si arriva a un esito paradossale: pur appellai dosi a ciò che è più interno e intimo all'essere umano (second la massima “va' dove ti porta il cuore"), il desiderio di fatto vii ne estemalizzato e, in questo modo, si subordina alle forze di mondo esterno. Secondo Zizek (2004), i concetti lacaniani di "plusgodere* i “objet petit a” aiutano a interpretare il senso del rapporto tri soggetto e merce nei termini di uno stato di sollecitazione pel manente, continuamente inappagato, rivelando anche la rapid) obsolescenza a cui sono destinate le merci e i desideri stessi poiché solo tale dinamica garantisce la possibilità di ri-produJ zione dell'attività economica. Per questa ragione, il circuito no^ vità/obsolescenza - così ossessivo nella nostra vita sociale - co** stituisce un elemento intrinseco alla produzione capitalistic^ contemporanea. Ciò dà vita a un’economia libidinale che, pet definizione, non riesce mai a compiersi: in termini lacaniani,

Il I APtTALlSMO TBCNO-NICHIUSTA

135

h onte all’incapacità di affrontare le questioni centrali della no«Ihi esistenza - rispetto alla quale ognuno è lasciato letteral­ mente a se stesso - il ctn propone uno sterminato numero di oà/ets a” che offrono al massimo quelle che Lacan ha chiamato tirile “lichettes”, cioè delle “fettine di jouissance”. Affinché que­ lle lichettes possano in qualche modo funzionare è necessario, iwrò, il loro continuo ricambio, così da rigenerare il movimento Ho mancanza ed eccesso. Anche se ripetutamente facciamo mperienza della delusione che essi producono, i beni che ci ven­ tuno offerti nello sed e dall'economia affettiva si presentano in illudo di generare un surplus di godimento che riesce, almeno provvisoriamente, a soddisfarci. Per capire più in profondità la portata della trasformazio­ ni) In corso, Zizek considera eloquenti i percorsi che attraversa­ no l’arte contemporanea e i conseguenti mutamenti che inter­ vengono nell'esperienza estetica. In quest’ambito appare, infat­ ti, particolarmente evidente la trasformazione della matrice densa della sublimazione a seguito del venir meno dello “spazio iMicro) vuoto della Cosa esente dal circuito dell'economia quotiillnna”: “Se il problema dell'arte tradizionale era quello di riem­ pire il Vuoto sublime della Cosa con un oggetto adeguatamente Iwllo, il problema dell’àrte moderna è in un certo senso l’oppoilo (e molto più disperato): non si può più contare sull'esserci di questo Vuoto del Luogo (Sacro) che si presti a essere occupato ila! le creazioni dell'uomo, quindi il compito è quello di sostene­ te Il luogo in quanto tale, per assicurarsi che questo stesso luoH