L'evoluzione del vivente - Materiali per una nuova teoria del trasformismo 9788845903632

La dottrina darwiniana dell’evoluzione è ciò che più si avvicina a un laico «principio di fede» del mondo moderno. Ora,

270 3 5MB

Italian Pages 415 Year 1979

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Premessa

PROLEGOMENI AL PROBLEMA DELL'EVOLUZIONE

Considerazioni generali sul vivente
L'evoluzione biologica e le sue manifestazioni
Le interpretazioni dei fatti evolutivi

I. DAL SEMPLICE AL COMPLESSO. EVOLUZIONE PRoGRESSIVA, EVOLUZIONE REGRESSIVA

La complicazione che cresce nel tempo
L'ordine cronologico
L'evoluzione regressiva
I limiti dell'evoluzione

II. L'EVOLUZIONE CREATRICE O LA NASCITA DEI TIPI DI ORGANIZZAZIONE

Considerazioni generali
La nascita di un grande tipo di organizzazione: i Mammiferi
Dai Captorinomorfi a1 Pelicosauri
I Teriodonti, antenati dei Mammiferi
La linea dei Cinodonti
I Rettili pre-mammaliani derivati dai Cinodonti
I Terocefali-Bauriamorfi
Gli Ittidosauri, altri Rettili pre-mammaliani
L'evoluzione della muscolatura masticatrice
Ricapitolazione degli attributi mammaliani dei Terapsidi e dei Pelicosauri, loro antenati
I caratteri dei Rettili mammaliani e dei primi
Mammiferi. Il passaggio insensibile da una classe all'altra
Le caratteristiche dell'evoluzione creatrice nei Rettili Terapsidi
I Mammiferi, classe omogenea o eterogenea?
Conclusione

III. L'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

Discontinuità dell'evoluzione
Un'epoca di riferimento : il Miocene
Rallentamento progressivo dell'evoluzione
L'albero genealogico del Regno animale
Le forme madri e la creazione delle novità
Le forme pancroniche e gli arresti dell'evoluzione
La persistenza dell'evoluzione
L'evoluzione attuale si limita alla speciazione
L'evoluzione è l'autentica storia del vivente
Conclusione

IV. L'EVOLUZIONE E IL CASO

Le lotterie del vivente
Il caso e il suo strumento, la mutazione, o gli errori del codice genetico
L'ordine biologico e l'anti-caso
Il preadattamento aleatorio
Caso e tendenze evolutive
Caso e complessità organica

V. EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

L'idea di selezione
La selezione durante l'ontogenesi
La selezione e l'incidente
L'eliminazione selettiva
La competizione è universale?
Selezione e demografia
La selezione praticata dall'Uomo (coltura e addomesticamento)
Errori o impotenza della selezione
La selezione naturale ovvero la finalità in azione
Conclusione

VI. ADATTAMENTO ED EVOLUZIONE

Considerazioni generali
Rapporti tra l'adattamento e la selezione
I limiti dell'adattamento
Non tutto è per il meglio nell'essere vivente
L'evoluzione errata
Gli organi indifferenti o inutili
I caratteri sfavorevoli e le ipertelie
L'equilibrio dell'organismo con il proprio ambiente e l'adattamento
Le variazioni causate dall'ambiente e l'azione dei geni in funzione del mondo esterno
Preadattamento e selezione in ambienti chiusi
A. Gli Insetti cavernicoli
B. I Pesci cavernicoli
Il preadattamento e il suo ruolo
Coaptazione e adattamento tra parti dissimili
Finalità e adattamento

VII. EVOLUZIONE E NECESSITÀ

Che cos'è la necessità biologica : confusione con l'utilità
Necessità e persistenza delle forme madri
Necessità, selezione e popolamenti eterogenei
La necessità e la genesi dei grandi tipi di organizzazione
L'animale creatore della propria necessità
La necessità-utilità non è il primus movens dell'evoluzione biologica

VIII. LE ATIIVITÀ GENETICHE NEI LORO RAPPORTI CON L'EVOLUZIONE

Introduzione
L'esplorazione del genoma
A. Geni e mutazioni
B. Il numero dei geni
C. La quantità di DNA e il rango sistematico
D. Il concetto di operone
E. L'età dei geni e il passato dell'essere vivente
F. I geni ancestrali quiescenti
a) La polidattilia atavica degli Equidi
b) Le Drosofile tetrattere
c) Le rigenerazioni eteromorfìche
d) La rigenerazione «creatrice " dei Nemertini e la sua variabilità
La genesi di specie nuove mediante ricombinazione genica

IX. NUOVA INTERPRETAZIONE DEI FENOMENI EVOLUTIVI

Introduzione
I fattori interni dell'evoluzione e la reattività creatrice dell'essere vivente
La creazione del nuovo
L'indipendenza e la preminenza del DNA
L'intangibilità del DNA e il dogma centrale
L'acquisizione dell'informazione da parte del vivente
La ripetizione di uno stesso gene e la ridondanza
La formazione di nuovi geni e i problemi che essa suscita
Una nuova concezione del gene e la sovrimpressione genica
L a sintesi degli acidi nucleici e l'acquisizione molecolare dell'informazione
La trasduzione virale e il trasferimento di una informazione estranea
Le novità mediante l'emergenza

CONCLUSIONE

APPENDICI

1. Classificazione 'naturale' del Regno animale
2. Cronologia della Terra
3. Glossario

BIBLIOGRAFIA

INDICE ANALITICO
Recommend Papers

L'evoluzione del vivente - Materiali per una nuova teoria del trasformismo
 9788845903632

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

La dottrina darwiniana dell'evoluzione è ciò che più si avvicina a un laièo « princi­ pio di fede » del mondo moderno. Ora, l'evoluzione come fatto non è più in dicus­ sione, perché abbondantemente provata. Ma ancora tutto è aperto per quanto ri­ guarda l'interpretazione del fatto, a dispet­ to di una certa ortodossia neo-darwiniana, che tende a confondere i due ordini delle cose. Pierre-P. Grassé, uno dei più autore­ voli zoologi e biologi viventi, ha voluto con questo libro, dopo decenni di ricerche, por­ re di nuovo - e per così dire con un ritor­ no alle origini, che coinvolge non solo Dar­ win ma anche il bistrattato Lamarck - il problema dell'evoluzione, criticando sottil­ mente numerose ipotesi « illegittime » pre­ sentate dai loro autori come fossero « certez­ ze » e delineando,· in tutta la loro enigma­ ticità, varie zone del proceso evolutivo che attendono ancora una spiegazione adeguata. La sua intenzione è stata innanzitutto di presentare i fatti (spesso trascurati) dell'e­ voluzione: e già in questo ha compiuto un'opera preziosa, analizzando con magi­ strale acutezza i sorprendenti, ricchissimi dati della paleontologia che, ricorda Grassé, è poi la «sola vera scienza dell'evoluzio­ ne », sicché « il naturalista deve tenere sem­ pre presente che il fatto evolutivo si mani­ festa a lui unicamente mediante le forme fossili ». E dalla paleontologia Grassé passa alla biologia molecolare, dove la ricerca - a partire dagli anni intorno al 1970 - ha por­ tato a novità grandiose, con la scoperta del­ la struttura molecolare degli acidi nucleici e del codice genetico. Ma dall'indagine su questo immenso materiale Grassé vuole an­ che condurci ad alcuni punti fermi di una futura teoria dell'evoluzione. E qui appaio­ no alcune tesi che si oppongono nettamen­ te alla ortodossia neo-darwiniana (o «ulta­ darwiniana », come la chiama talvolta Gras­ sé) e hanno aperto un dibattito attualmente .

in corso. Intanto: qui si nega che

«

le mu­

tazioni, per numerose che siano, implichino obbligatoriamente un'evoluzione·»: tri termini,

«

in al­

variare è una cosa, evolvere

un'altra »; Grassé critica poi radicalmente la nozione di selezione, a cui molti scienzia­ ti fanno ricorso in modo indiscriminato, senza che siano stati fatti decisivi passi avan­ ti dai tempi di Darwin nello stabilire il suo valore evolutivo; inine in queste pagi­ ne si tenta di gettare un ponte fra biologia molecolare e paleontologia, unico modo se­ condo Grassé, per avvicinarsi ad articolare il meccanismo dell'evoluzione, inora igno­ to. E, a fondamento della sua ricerca, Gras­ sé porrà un criterio che suona come una sida a buona parte del pensiero scientiico di oggi:

«

Fare appello a un meccanismo

diverso dalla mutazione e dall'aleatorietà è imperativo per tutti i sistemi che pretendo­ no di spiegare l'evoluzione ». Pierre-P. Grassé ha tenuto per trent'anni la cattedra di Evoluzione alla Sorbona. Direttore, e in parte autore, del prestigioso e sinora ineguagliato Traité de zoologie in 28 volumi, pubblicato da Masson fra il 1948 e il 1970, i suoi lavori più importanti sono dedicati alla biologia degli esseri unicellulari: strutture, ultrastrutture, cicli. Ha pubblicato anche nu­ merosi lavori sul comportamento animale, e in particolare su quello degli Insetti sociali.

BIBLIOTECA SCIENTIFICA 2

Pierre-. Grassé

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Materiali per una nuova teoria del trajormismo

ADELPHI EDIZIONI

Titolo originale : L'évolution du vivant .Matériaux pour une nouvelle théorie transformis te

Traduzione di Lucio Reni Supervisione di Silvio Ranzi e Cristina Leonardi

@ 1973 ÉDITIONS ALBIN MICHEL PARIS @ 1979 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO 28394

INDICE

Premessa

15

PROLEGOMENI AL PROBLEMA DELL'EVOLUZIONE

19

Considerazioni generali sul vivente L'evoluzione biologica e le sue manifestazioni

19 22 25

Le interpretazioni dei fatti evolutivi I.

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO. EVOLUZIONE PRo­ GRESSIVA, EVOLUZIONE REGRESSIVA

La complicazione che cresce nel tempo L'ordine cronologico L'evoluzione regressiva I limiti dell'evoluzione II.

L'EVOLUZIONE CREATRICE O LA NASCITA DEI TIPI DI ORGANIZZAZIONE

Considerazioni generali La nascita di un grande tipo di organizzazione: Mammiferi Dai Captorinomori a1 Pelicosauri

31 33 38 44 52

54 54 60 61

I Teriodonti, antenati dei Mammiferi La linea dei Cinodonti I Rettili pre-mammaliani derivati dai Cinodonti I Terocefali-Bauriamori Gli Ittidosauri, altri Rettili pre-mammaliani L'evoluzione della muscolatura masticatrice Ricapitolazione degli attributi mammaliani dei Terapsidi e dei Pelicosauri, loro antenati I caratteri dei Rettili mammaliani e dei primi Mammiferi. Il passaggio insensibile da una classe all'altra Le caratteristiche dell'evoluzione creatrice nei Rettili Terapsidi I Mammiferi, classe omogenea o eterogenea? Conclusione

62 65 67

L'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

94

Discontinuità dell'evoluzione Un'epoca di riferimento : il Miocene Rallentamento progressivo dell'evoluzione L'albero genealogico del Regno animale e forme madri e la creazione delle novità Le forme pancroniche e gli arresti dell'evoluzione La persistenza dell'evoluzione L'evoluzione attuale si limita alla speciazione L'evoluzione è l'autentica storia del vivente Conclusione

94

III.

IV.

L'EVOLUZIONE E IL CASO

Le lotterie del vivente Il caso e il suo strumento, la mutazione, o gli errori del codice genetico L'ordine biologico e l'anti-caso Il preadattamento aleatorio Caso e tendenze evolutive Caso e complessità organica

71 73 74 7, 80 82 86 91

103 I lO 1 12 I l, l l6 121 1 2, 1 33 1 34 1 37 1 38 1 42 144 147 1 50 1 53

V.

EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

L'idea di selezione La selezione durante l'ontogenesi La selezione e l'incidente L'eliminazione selettiva La competizione è universale? Selezione e demograia La selezione praticata dall'Uomo (coltura e addomesticamento) Errori o impotenza della selezione La selezione naturale ovvero la inalità in azione Conclusione VI.

ADATTAMENTO ED EVOLUZIONE

Considerazioni generali Rapporti tra l'adattamento e la selezione I limiti dell'adattamento Non tutto è per il meglio nell'essere vivente L'evoluzione errata Gli organi indiferenti o inutili I caratteri sfavorevoli e le ipertelie L'equilibrio dell'organismo con il proprio ambiente e l'adattamento Le variazioni causate dall'ambiente e l'azione dei geni in funzione del mondo esterno Preadattamento e selezione in ambienti chiusi A. Gli Insetti cavernicoli B. I Pesci cavernicoli Il preadattamento e il suo ruolo Coaptazione e adattamento tra parti dissimili Finalità e adattamento VII.

EVOLUZIONE E NECESSITÀ

Che cos'è la necessità biologica : confusione con l'utilità Necessità e persistenza delle forme madri

1 58 1 58 160 161 163 168 171 176 1 83 1 85 1 87 1 89 1 89 192 194 196 198 203 206

209 212 218 219 224 227 229 23 2 243 243 248

Necessità, selezione e popolamenti eterogenei La necessità e la genesi dei grandi tipi di organizzazione L'animale creatore della propria necessità La necessità-utilità non è il primus movens dell'evoluzione biologica

255

VIII. LE AIIVITÀ GENETICHE NEI LORO RAPPORTI CON L'EVOLUZIONE

258

Introduzione L'esplorazione del genoma A. Geni e mutazioni B. Il numero dei geni C. La quantità di DNA e il rango sistematico D. Il concetto di operone E. L'età dei geni e il passato dell'essere vivente F. I geni ancestrali quiescenti a) La polidattilia atavica degli Equidi b) Le Drosoile tetrattere c) Le rigenerazioni eteromorìche d) La rigenerazione «creatrice " dei Nemertini e la sua variabilità La genesi di specie nuove mediante ricombinazione genica IX. NUOVA INTERPRETAZIONE DEI FENOMENI EVOLUTIVI

Introduzione I fattori interni dell'evoluzione e la reattività creatrice dell'essere vivente La creazione del nuovo L'indipendenza e la preminenza del DNA L'intangibilità del DNA e il dogma centrale L'acquisizione dell'informazione da parte del vivente La ripetizione di uno stesso gene e la ridondanza La formazione di nuovi geni e i problemi che essa suscita

250 25 1 253

258 260 260 26 1 263 270 27 1 273 273 274 276 278 280 283 283 285 299 300 304 307 312 314

Una nuova concezione del gene e la sovrimpressione genica L a sintesi degli acidi nucleici e l'acquisizione molecolare dell'informazione La trasduzione virale e il trasferimento di una informazione estranea Le novità mediante l'emergenza

318 325 327 329

CONCLUSIONE

332

APPENDICI

337

l. Classiicazione ' naturale ' del Regno animale Il. Cronologia della Terra III. Glossario

339 347 351

BIBLIOGRAFIA

365

INDICE ANALITICO

397

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

L'Energu meno . Che cos'è la materia? Il Filosofo. Non ne so molto. Penso che sia estesa, solida, resistente, gravitante, divisibile, mobile; può darsi che Dio le abbia conferito mille altre qualità che ignoro. L'Energu meno. Mille altre qualità, tradi­ tore, vedo bene dove vuoi arrivare; vuoi suggerirmi che Dio può animare la mate­ ria, ha dato l'istinto agli animali, è il padrone di tutte le cse. Il Filosofo. Ma potrebbe darsi benissimo che in efetti Egli abbia accordato a que­ sta materia numerose proprietà che voi non siete in grado di comprendere. VOLTAIRE,

teria"·

Dizionario ilosoico, voce : « Ma­

PREMESSA

Esistono pro b lemi biologici capacz di sedurre in egual misura gli scienziati e i ilosoi. L'evoluzione degli esseri organizzati è uno di q uesti. Questa convergenza di interesse o di curiosità è certo stimolante, ma i suoi risultati restano inferiori all'attesa. I i losoi non sono dotati di una conoscenza precisa, estesa ed 'assimilata ' dei fatti; si può dire lo stesso dei b ioch i­ mici e dei genetisti, uomini di studio e di labora torio, non direttamente sintonizzati con la natura nella sua annich i­ lante complessità e, q uindi, con il fatto evolutivo. C iò non impedisce che, nello studio dell'evo luzione, il ilosofo abbia una parte n iente afatto trascura bile. Egli innalza il livello del dibattito, si avventura senza timore nel cam­ po della metaisica in cui il naturalista non osa inoltrarsi, neppure in punta di piedi. Il ilosofo colloca il pro blema in una prospettiva universale e gli conferisce l'amp iezza che ad esso spetta. In questo libro noi avremmo voluto soddisfare del pari le esigenze della biologia e quelle della ilosoia. Questo compito, in verità, va oltre le capacità del biologo che noi siamo e che intendiamo restare. Ci sem bra, a ogni modo, che il ilosofo potrà trovare in queste pagine materia di rilessione e di critica, non solo riguardo a lle concezioni nostre, ma anche a quelle dei nostri illustri predecessori.

16

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Noi consideriamo la presen te opera un tentativo: in essa ci siamo posti come regola di non proporre nulla che non sia stato realmente appuato con mezzi scientiici, oppure che non abbiamo direttamente ossevato. Un mez­ zo secolo di studi, in diversi campi della zoologia e della biologia generale, ci ha dato una buona dose di cono­ scenze sulle realtà del mondo vivente. La comprensione dei fenomeni evolutivi esige una soli­ da conoscenza della zoologia, della paleontologia, della citologia, della genetica, della bioch imica, e persino della matematica ... È oltremodo diicile che un solo uomo pos­ segga una così vasta erudizione, e, tuttavia, senza di essa come trattare in modo pertinente l'evoluzione? Il sapere libresco non è suiciente. La conoscenza prati­ ca, concreta, dei fossili da un la to e, dall'altro, deg li ani­ mali viventi, osservati preferibilmente nel loro ambiente, è di capitale importanza per lo studioso dell'evoluzione. Chi, dopo aver visto nuotare una foca o una otaria, ose­ reb be sostenere che si tratti di animali mostruosi, pigo­ melici, sopravvissuti in forza del fatto che hanno avuto la fortuna di trovare l'ha bitat acquatico? È suiciente aver veduto i gioch i della lontra gigante del Brasile che nuota, che scivola nell'acqua con una gra­ zia e una disinvoltura senza pari per comprendere, certo semp liicando, come l'evoluzione, partendo dal carnivoro issipede a costumi anibi, abbia, a poco a poco, condotto ai carnivori pinnipedi strettamente dipendent i dall'am­ b iente acquatico. Di mostruoso, di anorma le, neanche l'om bra. Ogni sp iegazione dell'evoluzione che perda di vista i dati paleonto logici risulta, fatalmente, una teoria fondata in gran parte sull'immaginazione. Noi crediamo che i pa­ leontologi, gli zoologi e i bo tanici non a b biano ancora esaurito le informazioni contenute nei documenti paleon­ tologici. Nuove analisi, intraprese in piena libertà di spi­ rito, riveleranno, è probabile, dei fatti ino ad oggi misco­ nosciuti e indirizzeranno le ricerche per strade non ancora tracciate. Eliminare il falso, cacciare l'errore, non sono comp iti negativi; essi appianano l'accesso a lla verità e aprono le vie della scoperta. Accertare a fondo la conoscenza dei fenomeni evolutivi

PREMES S A

dimostrare l'impotenza delle dottrine attuali a spiegarli, non ci semba una fatica sterile. Al contrario, lo giudi­ chiamo supremamente utile e sostanzialmente scientiico. Nella presente opera noi rendiamo palese il fatto che le interpretazioni tradizionali di ciò che noi designiamo con il nome di evoluzione non sono le sole che si ofrono .a lla mente del biologo o del i losofo della natura. Noi ne proponiamo una che, pure ispirandosi ai da ti della pa­ .leontologia e della biologia molecolare, si sforza di fornire una spiegazione razionale e generale dei fenomeni evolu­ tivi reali.

e

Rouillac, dicembre 1972

PRO LEGO MENI AL PROBLEMA DELL'EVOLUZIONE

Considerazion i generali sul viven te

Afermare che gli esseri viventi sono costituiti dagli stes­ si elementi che compongono i corpi inerti e che sono sede dei fenomeni chimici e isici che ritroviamo in questi ul­ timi è, in fondo, cosa di una immensa banalità e senza grande signiicato. Come immaginare che gli esseri viventi possiedano un'altra composizione dal momento che esiste una sola ed unica materia multiforme? Quali sarebbero mai le loro proprietà se non dipendessero da leggi chimico-isiche? Sa­ rebbero, forse, in balia della bacchetta di Melusina o degli incantesimi di Merlino? Tutte supposizioni assurde. Sapere che gli esseri viventi condividono con gli ggetti materiali la composizione chimica elementare e obbedi­ scono alle stesse leggi isico-chimiche non ci insegna nulla di fondamentale sull'originalità del vivente. Una delle diferenze radicali che oppongono il fenome­ no isico al fenomeno biologico si fonda sulla coercizione assoluta per il primo di obbedire alle leggi della materia. La gravità esercita la sua azione su tutti gli oggetti ma­ teriali; niente che si trovi nel campo gravitazionale può eluderla. Le sue legi sono universali. Ma l'essere vivente non subisce la legge isica senza reagire. Esso può in di­ versa misura sfuggirle. Infatti, l'uccello e l'insetto, in vir-

20

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

tù delle loro ali, sidano la ravità, senza violarne nel contempo la legge. La necessità non impone in maniera imperativa la sua legge al vivente. A riprova di ciò, c'è la varietà morfolo­ gica e funzionale delle piante e degli animali che riescono a vincere le peggiori diicoltà isiche, a vivere tanto nei climi polari quanto nella z ona torrida, e le cui forme e i cui costumi esibiscono, pur nel medesimo ambiente, una grande diversità. Accade così che l'essere vivente, in forza della sua com· plessità strutturale, dei suoi meccanismi e delle sue ' in­ venzioni ',1 sfugge parzialmente alla legge isica, oppure la aggira. Una delle sue costanti vittorie non consiste forse nel sottrarsi alla legge dell'entropia e a divenire una mac­ china che si oppone permanentemente ad essa? Ogni essere vivente osserva la propria legge, che è quel­ la di restare ciò che è e di generare nuovi esseri identici a sé. La quercia resta quercia, in se stessa e nella sua discendenza. Solo un'altra legge, quella della linea evolu­ tiva, le fa violare la sua, le impone di cambiare e la fa entrare nel ciclo dell'evoluzione biologica. Il mondo dei viventi è, così, soggetto a delle regole che l'universo della materia inanimata elude completamente. Regole che noi scopriamo raramente, dato che sono di una grande complessità e che non si lasciano facilmente esprimere in termini matematici, per l'elevato numero di parametri che mettono in gioco. Il carbonato di calcio, i silicati, il gesso, il ferro, il ra­ me, l'argento e l'oro che compongono la basilica di San Pietro a Roma non diferiscono dagli stessi minerali se­ polti nelle miniere e nelle cave dei quattro continenti e, tuttavia, quale incommensurabile distanza ! C'è in più il progetto, la disposizione delle parti, i dispositivi di prote­ zione, la decorazione, l'adattamento a un ine; il tutto opera della volontà dell'Uomo, creazione del suo spirito, senza di cui non ci sarebbe che materia bruta ... Ora, ciascun essere vivente racchiude in sé un'enorme l. Questa parola, di cui qualcuno proscrive l' uso in biologia, non ha un equivalente ove si voglia esprimere gli adattamenti. Dato che io mi vieto di parlare del trascendente, la parola 'invenzione' viene usata da me senza alcun valore metaìsico, e traduce semplicemente uno stato di fatto.

PROLEGOMENI AL PROBLEMA DELL'EVOLUZIONE

21

carica di spirito, molto più di quanto sia necessario per costruire la più splendida delle cattedrali. Questo spirito si chiama ggi informazione, fatto che non modiica per nulla la cosa. Non lo troviamo inscritto come in un cervello elettro­ nico, ma si condensa, miniaturizzato a scala molecolare, nel DNA dei cromosomi o di qualche altro organulo, e questo in ogni cellula. Questo spirito è il sine qua non della vita. Se manca, ogni essere vivente è inconcepibile. Da dove proviene? Il problema interessa biologi e ilosoi e la scienza attuale sembra incapace di risolverlo. Di fronte a un'opera umana, si crede di sapere da dove viene lo spirito che essa contiene e che l'ha modellata; quando si tratta di un essere vivente lo si ignora, nessuno l'ha mai saputo e nessuno lo sa, Darwin non più di Epi­ curo, Leibniz non più di Aristotele, Einstein non più di Parmenide. Solo un atto di fede ci può fare adottare questa o quella ipotesi. La scienza - che non accetta, o non dovrebbe ac­ cettare, alcun credo - confessa la sua ignoranza, la sua impotenza a risolvere questo problema, della cui esistenza e realtà noi siamo certi. Se non è un falso problema cercare l'origine dell'infor­ mazione in un cervello elettronico, perché dovrebbe esser­ lo quando si tratta dell'informazione contenuta nei nulei cellulari? Il potere di invenzione del vivente è immenso. Secondo noi questo potere non è altro che la facoltà di trattare l'informazione in funzione di una certa direzione e forse di un certo ine. Noi ignoriamo il suo meccanismo intimo e le sue fonti profonde. Il biologo si muove nelle tenebre più itte. La pianta, l'animale, ediicano da soli gli organi che li mettono in rapporto con il mondo esterno e che permet­ tono loro di sopravvivere o di vivere meglio. Questa co­ struzione, realizzata a prezzo di sforzi che si susseguono per decine di milioni di anni, non ci sorprende, tanto ci sembra banale, naturale. E tuttavia che diferenza pro­ digiosa con l'oggetto inanimato! Si è mai veduto un ciottolo acquistare qualcosa di più che uno strato di decomposizione? Le leggi chimico-isiche

22

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

che Io governano vi si oppongono, e il ciottolo, da se stes­ so, non può far nulla. Gli esseri viventi sono soggetti alle leggi comuni a tutta la materia, beninteso, ma essi obbediscono, inoltre, a rego­ le loro proprie, sebbene esse non si richiamino che a dei fenomeni chimico-isici di tipo particolare. Queste due categorie di leggi si completano a vicenda, e se sopravvie­ ne un disaccordo tra di esse, l'essere muore. La vita risulta dalla somma di sistemi materiali determinati con sistemi complementari, non meno determinati, ma propri degli esseri organizzati. Il principio di complementarietà di Niels Bohr si ap­ plica non solo agli aspetti corpuscolari e vibratorii della luce, ma anche agli esseri viventi. Riconoscere in essi ciò che compete, rispettivamente, all'inanimato e al vivente è uno dei compiti primordiali dei biochimici e dei bio­ isici.

L'evoluzione biologica e le sue man ifestazioni

Il termine evoluzione biologica designa la successione e la variazione nel tempo delle forme vegetali e animali. Essa implica che alla continuità parentale si aggiunga una tendenza interna a modiicare certe strutture e a crearne di nuove. L'evoluzione è considerata quasi unanimemente dagli zoologi e dai botanici come un fatto e non come una ipotesi. Noi concordiamo totalmente con questa valuta­ zione e la basiamo, prima di tutto, sui reperti forniti dalla paleontologia, cioè dalla storia del vivente. L'osservazione delle specie attuali non fa nascere impe· rativamente l'idea di evoluzione; ci dà dei fatti che le sono favorevoli senza risultare pienamente dimostrativi. Ciò è comprensibile, perché il presente non può mostrare la serie degli stati successivi, in cui consiste l'evoluzione stessa, non essendone che un istante fuggevole. Sostenere che certe strutture, certe funzioni, certi com­ portamenti, diventano intelligibili solo se partecipano a un movimento evolutivo, è un ragionamento cui ho fatto, qualche volta, ricorso; esso non è tuttavia impeccabile, perché postula, implicitamente, che la nostra logica è

PROLEGOMENI

AL

PROBLEMA

' DELL EVOLUZIONE

23

quella dell'universo vivente, cosa di cui non abbiamo al­ cuna certezza. Il naturalista deve tenere sempre presente che il fatto evolutivo si manifesta a lui unicamente mediante le for­ me fossili. La conoscenza della paleontologia gli è indi­ spensabile; essa sola può fornirgli la prova della realtà dell'evoluzione, mostrandone le modalità o il meccanismo. Né la considerazione degli esseri attuali, né l'immagina­ zione, né le teorie possono sostituire il reperto paleonto1ogico. Senza di esso, il biologo, il ilosofo della natura si abbandonano a chiose innumerevoli, ma non forgiano al­ tro che ipotesi. Sarà, quindi, totalmente giustiicato il no­ �tro costante rimando alla paleontologia, sola vera scien­ za dell'evoluzione. I suoi insegnamenti invitano a inter­ pretare con prudenza i fatti attuali e rendono sospette, se non illegittime, certe ipotesi i cui autori vorrebbero pre­ �entare come certezze. L'embriogenesi fornisce documenti preziosi a coloro che sappiano interpretarli con circospezione e con la necessa­ ria inezza. La legge biogenetica fondamentale di Ernst Haeckel non ha perduto nulla del suo valore, a dispetto delle critiche massicce di certi biologi; vero è che sono state attribuite al suo autore opinioni che lui non ha mai professato. Egli ha perfettamente compreso che l'ontoge­ nesi, benché opponga alle variazioni una forte resistenza, .subisce il contraccolpo degli adattamenti e dei mutamenti ambientali . Non è per nulla sicuro che una larva planctonica come 1a larva tracofora degli Anellidi, dei Molluschi e di altri gruppi aini rappresenti uno stato ancestrale; è possibile che si tratti, invece, solo di uno stato adattato alla disse­ minazione della specie e inserito nel codice genetico di questa. Per contro, essa attesta, con il suo piano struttu­ rale, che gli Anellidi e i Molluschi hanno ainità molto ·.strette e probabilmente ascendenti comuni, pur se lontani. Le specie pancroniche relitte che perpetuano le for­ me ancestrali e sono vestigia di faune abolite, gettano una viva luce non soltanto sull'evoluzione in quanto tale, ma anche sul suo meccanismo. La biologia non ne ha an­ cora ricavato tutte quelle informazioni che esse conten­ gono sul passato del Regno animale e sulle molle del­ l' evoluzione. Alcuni chimici desiderosi di trovare, nei due Regni del

24

' L EVOLUZIONE DEL VIVENE

vivente, fatti che attestino l'evoluzione e rivelino i legami di parentela esistenti tra i diversi gruppi di piante o di animali hanno compiuto studi di rande interesse. Per esempio, i fosfageni che sono contenuti nei muscoli in notevoli quantità (ino allo 0,5% della massa muscolare) sono il principale serbatoio di legami fosforici, ricchi di energia, che intervengono nella contrazione muscolare. Negli Invertebrati, il fosfageno è la fosfoarginina, mentre nei Vertebrati e nei Procordati esso è la fosfocreatina. Tuttavia gli Anellidi posseggono un fosfageno particolare (fosfogliciamina o fosfotaurociamina) e certi Echinodermi posseggono fosfocreatina (Oiure), oppure una mescolanza di fosfoarginina e di fosfocreatina (Ricci di mare). A queste diferenze di natura chimica se ne aggiungono altre negli enzimi che animano la catena delle reazioni. Mediante certe reazioni sierologiche o immunologiche e mediante la determinazione di « proteine speciiche " è possibile tracciare con maggior precisione i conini dei gruppi sistematici. La chimica, mediante i suoi dati ana­ litici, orienta il biologo, gli fornisce delle piste nella ricerca delle ainità tra gruppi di animali o di piante. Essa arreca degli argomenti a favore di questa o quella interpretazione e, da questo punto di vista, ha un'impor­ tanza notevole nell'approccio all'evoluzione reale. Spiace tuttavia che certi biochimici, trovando una medesima so­ stanza od osservando una medesima reazione in gruppi distinti, siano troppo spesso portati a concluderne a favore dell'esistenza di parentele, che sono invece contraddette formalmente dai dati della zoologia e della paleontologia. La scoperta di grandi processi biochimici fondamentali comuni a tutti gli esseri viventi (per esempio, il ciclo dell'acido citrico) ha rinsaldato la concezione monista dei due Regni. Fino al 1 970, la biologia molecolare non ha apportato nulla di veramente nuovo all'evoluzionismo : le nozioni di gene, di informazione, di mutazione genica e cromosomi­ ca sono anteriori o estranee. La scoperta della struttura molecolare degli acidi nucleici e del codice genetico ha permesso di comprendere meglio la natura e l'azione del gene. Ma la genetica è la scienza dell'ereditarietà, della conservazione del patrimonio speciico; i suoi rapporti con l'evoluzione sono noti solo attraverso certe teorie. Ed è ben poca coa.

PROLEGOMENI

AL

' DELL EVOLUZIONE

PROBLEMA

Le in terpretazioni dei fatti evolutivi

Si può constatare, non senza sorpresa, che le attuali te­ rie esplicative dell'evoluzione si fondano sugli stessi prin­ òpi che in passato. Questo fatto non ha per nulla diminuito le pretese dei fautori di tali teorie; al contrario, numerosi biologi anglosassoni e anche francesi scrivono, senza la minima esitazione, che il meccanismo dell'evoluzione è conosciuto con precisione e con assoluta certezza, tanto grande è la loro fede nella dottrina. Si è passati dal darwinismo al neodarwinismo e di recente all'ultradarwinismo, che ha la pretesa di essere non solo il depositario esclusivo della verità in materia di evoluzione, ma di essere l'evoluzione stessa. Ciò vaniica ogni discussione con i suoi fautori. Darwin non aveva questa bella sicurezza quando scrive­ va a uno dei suoi nipoti : c Ma io credo alla selezione naturale, non perché non posso provare in alcun caso par­ ticolare che essa abbia cambiato una specie in un'altra. ma perché con ciò si raggruppa e si spiega (o almeno così mi pare) un insieme di fatti in sistematica, in embriologia, in morfologia, negli organi rudimentali, nella successione e nella distribuzione geologica ... . 1 L'ultradarwinismo attuale, che ha pretese di certezza, incute rispetto ai biologi non del tutto informati, li fuor­ via e ispira loro delle interpretazioni erronee. Ecco un esempio tratto da una casuale lettura : « Nei microrganismi il tempo di generazione è relativa­ mente breve e le dimensioni della popolazione possono essere enormi. Di conseguenza, la mutazione agisce come un processo evolutivo molto potente per un tempo più breve che non in una popolazione di organismi supe­ riori . .2 Questo testo fa chiaramente intendere che i Batteri at­ tuali si evolvono con grande rapidità grazie alle loro in­ numerevoli mutazioni. Ora, questo non è afatto vero : da milioni, anzi da miliardi di anni, i Batteri non sono usciti dal loro quadro strutturale, all'interno del quale hanno .

l . Questa lettera è conservata al British Museum. È stata pubbli­ cata, insieme a un suo fac-simile, da Vemet (L'évolution du monde vivant, Plon, Paris, 1950). 2. R.P. Lévine, Génétique, Ediscience, Paris, 169, p. 196. (Il corsiv> è nostro).

' L EVOLUZIONE DEL VIVETE

luttuato e seguitano a farlo. Certo, il microbiologo, nelle sue culture, osserva le specie batteriche oscillare attorno a una forma media, ma questa constatazione non autoriz­ za Lévine a confondere i due fenomeni distinti costituiti dalla variazione del codice genetico per copiatura non conforme del DNA e dall'evoluzione. Variare è una cosa, evolvere è un'altra; non lo si afermerà mai abbastanza e, più avanti, dimostreremo l'esattezza di questa propo­ sizione. I Batteri, che sono i primi esseri viventi apparsi e, in­ sieme, i più semplici, ofrono un eccellente materiale di studio per il genetista e il biochimico, ma per l' evoluzio­ nista si dimostrano di scarso valore. A forza di postulati dissimulati, di estrapolazioni teme­ rarie se non illegittime, si crea e si insedia nel cuore stesso della biologia un a pseudoscienza, inducendo in errore nu­ merosi biochimici e biologi che, in buona fede, credono dimostrata l'esattezza di alcune nozioni fondamentali men­ tre invece non lo è per niente. Una citazione, tratta da un rapporto redatto da P.T. Mora, biochimico nordamericano, a proposito dei poli­ saccaridi contenuti nella membrana cellulare, mostra che non esageriamo. Eccola : c Va da sé che una tale struttura speciica è il risultato dell'azione degli enzimi, che è, a sua volta, un rilesso dell'informazione genetica trasmessa da­ gli acidi nucleici attraverso i cicli di riproduzione e sele­ zionata dall'evoluzione ».1 Ammettere che l'azione degli enzimi e soprattutto la loro formazione siano comandate dal codice genetico non autorizza ad afermare che l'informazione è stata selezio­ nata dall'evoluzione (Mora scambia l'efetto per la causa) ; in realtà non ne sappiamo letteralmente niente. Oggi il valore evolutivo della selezione non è afatto meglio mi­ surato di quando Darwin scriveva al nipote le parole che abbiamo citato sopra. A chi dubitasse ancora della fondatezza delle nostre critiche, sottoponiamo un altro testo, scritto nel 1969 da due biologi americani : J.L. King e Th. H. Jukes (Non darwinian evolution, « Science " • 1 64, 788-797), che co­ mincia così : l.

P.T. Mora, The origin of prebiological systems, p. 40. (Il corsivo

è nostro).

PROLEGOMENI

AL

PROBLEMA

' DELL EVOLUZIONE

27

« Darwinism is so well established that i t is diicult to think of evolution except in terms of selection for de­ sirable characteristics and advantageous genes. New tech­ nical developments and new knowledge, such as the se­ quential analysis of proteins and the deciphering of the genetic code, have made a much closer examination of evolutionary processes possible, and therefore necessary » . 1 Nessun dubbio siora la mente di questi biologi. Con­ vinti della verità del credo darwinista, lo accettano sere­ namente. La loro buona fede è totale, ma difettano di spirito critico e l'evoluzione che essi immaginano non ha alcun rapporto con quella che si è veriicata nel corso delle ere. I biochimici e i biologi che aderiscono, a occhi chiusi, alla dottrina darwinista, si sforzano di accordare ad essa i risultati dei loro lavori e orientano di conseguenza le loro ricerche, sia che esse riguardino l'ecologia, l'etologia, la sociologia, l a demograia (dinamica delle popolazioni), la genetica (cosiddetta evolutiva), o la paleontologia ... Questa intrusione della teoria ha efetti assai spiacevoli, in quanto priva di obiettività le osservazioni e le esperien­ ze, le rende parziali e, soprattutto, genera falsi problemi. Molto attenti alla genetica e alla demograia, i darwini­ sti hanno tenuto poco conto dei fossili,2 oppure, cosa assai più grave, hanno applicato loro, ariticamente, le leggi dell a genetica, operazione che, considerata la nostra igno­ ranza dei legami di parentela tra i fossili, reperiti il più delle volte in luoghi lontani tra di loro e in giacimenti distinti, ha per forza un carattere arbitrario. Il paleonto­ logo che non può ricorrere all'esperienza quando decreta che un carattere è « geneticamente valido . , esprime una

l . « Il darwinismo è ormai cosi radicato che riesce diicile pensare all'evoluzione se non in termini di selezione per caratteri opportuni e geni vantaggiosi. Nuovi sviluppi tecnici e nuove conoscenze, come l'analisi sequenziale delle proteine e la decifrazione del codice gene­ tico, hanno reso possibile, e quindi necessario, uno studio più preciso dei processi evolutivi ». 2. Ciò è tanto vero, che nella sua classica opera, summa del neo­ darwinismo (Evolution: The modern synthesis, 140), J. Huxley ri­ porta solo 24 titoli in cui si tratti, con maggiore o minore impegno, di fossili in una bibliograia che ne conta 80. L'interpretazione teorica delle variazioni manifestate dagli animali e dalle piante at­ tuali, ha la meglio - e di molto - sull'analisi delle forme fossili che, tuttavia, sono le sole a concretizzare l'evoluzione.

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

opinione di valore estremamente congetturale. Avendo stabilito che l'ipotesi darwinista è vera, è in funzione di essa che egli interpreta i fossili ; non può logicamente che confermarla : le premesse implicano la conci usione. L' er­ rore metodologico è evidente. Sicuramente il darwinismo conserva ancora alcune car­ te vincenti, tra cui le più valide sono la sua semplicità e la sua logica. Si dà anche arie di scienza esatta appli­ cando all'evoluzione, attraverso la via indiretta della ge­ netica, il calcolo delle probabilità - senza porsi la que­ stione preliminare e fondamentale di sapere se i suoi postulati siano scientiicamente accettabili e se l'uso della matematica sia davvero necessario. II lamarckismo, non meno logico del darwinismo ma secondo una prospettiva del tutto diversa, vede nel vi­ vente un sistema reagente autonomamente alle inluenze ambientali e capace di mettere le sue funzioni in accordo con esse. È una teoria seducente. Tuttavia, dato che l'ere­ ditarietà dei caratteri acquisiti non è stata provata spe­ rimentalmente, è arduo adottarla come teoria esplicativa dell'evoluzione. Wintrebert ( 1 962) ha tentato, con qual­ che successo, di dare al lamarckismo una base chimica partendo dal potere reattogeno alle modiicazioni, alle ag­ gressioni dell'ambiente posseduto da ogni essere vivente. Manca a Wintrebert il sufragio dell'esperienza. Ma non è detta ancora l'ultima parola, e non sarà una sorpresa se apprenderemo che, per la via indiretta della biologia molecolare, certe sue intuizioni contengono una parte di vero. Benché il lamarckismo trovi solidi argomenti a suo fa­ vore nelle strutture e nelle funzioni degli esseri attuali e fossili, esso è oggi piuttosto una forma di pensiero, un modo di comprendere la natura, che non una dottrina rigida che tenda a spiegare unicamente l'evoluzione. Attenersi ai dati reali, facendo tabula rasa delle idee

a priori, dei dogmi, ecco quale deve essere la regola di

condotta per un naturalista desideroso di vedere chiaro nel problema dell'evoluzione. Prima i fatti, in seguito la teoria. II solo verdetto che conta è quello che emette il tribunale della realtà, della concretezza.

PROLEGOMENI AL

PROBLEMA

' DELL EVOLUZIONE

29

Per questo i migliori studi sull'evoluzione sono opera di biologi non accecati dalle dottrine i quali osservano con precisione i fatti, senza domandarsi se questi concor­ dano o no con le teorie. Oggi, noi abbiamo il dovere di distruggere il mito dell'evoluzione in quanto fenomeno semplice, compreso e spiegato, che continua a svolgersi ra­ pidamente sotto i nostri occhi. Bisogna condurre i biologi a rilettere sulla inconsistenza delle interpretazioni e delle estrapolazioni che i dottrinari presentano o impongono come verità dimostrate. L'inganno è talora inconscio, ma non sempre, perché c'è chi, per spirito settario, ignora vo­ lutamente la verità e riiuta di riconoscere l'inadeguatezza e la falsità del proprio credo. Senza dubbio, in materia di evoluzione, non è facile accedere al reale; il passato si presta scarsamente alla no­ stra indagine e non ofre appiglio alla sperimentazione: ciò che è accaduto lascia delle tracce, ma elude ogni no­ stro intervento. Per questo l'evoluzionista è sempre alla ricerca del tempo passato. La sua è una ricerca diicile, ma non disperata.

I

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO. EVOLUZIONE PROGRESSIVA, EVOLUZIONE REGRESSIVA

L'evoluzione implica la iliazione sostanziale e numero­ se altre condizioni. Essa non è fatta di variazioni qualsiasi, incoerenti, che si succedano senza ordine. In realtà, in una continuità ordinata, essa si svolge in conformità con certe tendenze che vanno accentuandsi con il susseguirsi delle generazioni; in tal modo, essa costruisce dei phyla, delle grandi famiglie. Le tendenze evolutive sono così numerose che non ostacolano per nul­ la la diversità. Se le loro variazioni non fossero soggette a regole, le piante e gli animali cambierebbero aspetto e struttura in maniera simile alla stella che brilla, al corpuscolo che oscilla in preda al movimento browniano. L'evoluzione non esistereb be. L'impressione di disordine che lascia tal­ volta l'esame supericiale delle faune del passato e di quelle attuali scompare quando si approfondisce lo studio delle forme, quando si precisa la cronologia e si scoprono le linee evolutive. Se la variazione del mondo vivente fosse caos e disor­ dine, non potrebbe essere ogetto di una scienza; tutt'al più si presterebbe al calcolo delle probabilità. La paleontologia rivela l'esistenza delle linee evolutive; essa ne rende note le tendenze, ne analizza i caratteri, va­ lutando i gradi evolutivi, assegnando a ogni genere, a

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

ogni specie il rango di sua competenza. Volendo spingerei oltre, la paleontologia scopre che certi caratteri sono co­ muni a diverse linee evolutive e ne approitta per stabilire le ainità. Cuvier ha fatto una scienza della paleontologia il gior­ no in cui, individuando in un blocco di gesso la mandi­ bola di un mamifero e descrivendone minutamente i caratteri, ha predetto quale avrebbe ' dovuto ' essere la struttura delle altre ossa, giungendo ino a dedurre l'esi­ stenza delle ossa marsupiali.t Soltanto il prevedibile di­ pende da un ordine. La paleontologia può esistere soltan­ to perché il caos è bandito dal campo dei viventi. È divertente vedere i contestatori più accaniti dell'ev­ luzione orientata, G. Simpson per esempio, comportarsi come Cuvier, senza però averne il genio, e passare la maggior parte del loro tempo a scoprire le linee evolutive naturali, a mettere in luce le ainità sistematiche degli animali e a redigere alberi genealogici. Quando studiano come dei paleontologi, dimenticano le loro confutazioni e le loro teorie e fanno un lavoro utile. Osservando la successione delle piante e degli animali, dai tempi più antichi ino all'Era terziaria o all'Era qua­ ternaria, appare evidente che le specie hanno considere­ volmente complicato le proprie strutture secondo proce­ dimenti molto diversi. Quale fu l'ampiezza di questa complicazione e che incidenza ebbe sulle trasformazioni delle specie? Benché il termine di evoluzione « progressiva » non sia inadegua­ to, noi ne faremo un uso limitato, perché esso esprime un giudizio di valore, più o meno dissimulato e spesso privo di fondamento. In biologia, il progresso implica due stati successivi, il secondo dei quali prevale sul primo in forza di qualche carattere che rechi vantaggio all'individuo; alla specie. Secondo i darwinisti, la specie ' progredisce ' perché gli individui che hanno subìto la variazione favorevole si di­ mostrano più atti a condurre un certo tipo di vita, a esercitare una certa funzione e presentano una più nume­ rosa discendenza. Gli ' invarianti ' vengono eliminati più o meno velocemente, secondo l'intensità della « pressione l . Ossa pari incluse nella parte venrale dei Marsupiali e dei Mo­ notremi; si articolano con il pube e sono libere anteriormente.

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

33

·selettiva . cui è sottoposta la popolazione di cui essi fanno parte. Questa pressione raggiunge talvolta una forza tale .che tutti gli invarianti muoiono. La selezione naturale dirige l'evoluzione verso il meglio -della specie : l'evoluto, il più atto secondo la teoria, è progredito rispetto all'individuo che non è mutato. È ·quindi vero che il termine progredito traduce un giudizio di valore e assegna all'evoluzione un ine : andare verso 'il meglio.

La complicazione che cresce nel tempo

Sin dal giorno dell a loro comparsa nei mari del nostro ·pianeta, gli esseri viventi manifestano con grande chiarez. za due tendenze: una li rende più complessi, l'altra li di. versiica, e questa seconda tendenza è in certo modo com­ plementare alla prima. Per esprimere un giudizio sul processo di diversiicazione delle specie, sarà suiciente -confrontare l'uniformità dell a lora dei primi millenni, composta unicamente di Batteri e di Alghe azzurre, con ·l'esuberanza delle Fanerogame e delle Talloite dell'Era terziaria. L'evoluzione biologica, si dice correntemente, non ha mai cessato di procedere dal semplice al complesso. Da -ciò deriva l'ipotesi che le forme viventi più semplici siano state le prime a comparire sulla supericie del nostro glo­ 'bo - la Pangea nell'Oceano primitivo - e che i loro resti fossili si trovino nei sedimenti più antichi della crosta terrestre. I biologi sono unanimi nel convenire che i Batteri e le Cianoicee, o Alghe azzurre, sono, tra gli esseri viventi, quelli dotati della struttura più semplice; li hanno cosi riuniti in un grande gruppo, detto delle Schizoite o Pro­ .carioti, caratterizzato dall'assenza di un nucleo a contor­ no deinito (non esiste, cioè, membrana nucleare), di .cromosomi (il loro DNA non forma con delle proteine un organulo deinito), di mitocondri e d'ergastoplasma; inoltre questi organismi si moltiplicano per divisione 'binaria e presentano, eventualmente, una sessualità par­ �ziale, senza mescolanza completa dei patrimoni genetici. In qualche zona privilegiata del globo, i rari sedimenti

34

' L EVOLUZIONE D E L VIVENTE

precambriani che sono sfuggiti all'azione distruttrice del metamorismo contengono dei fossili di dimensioni micro­ scopiche, la cui natura sembra essere stata recentemente riconosciuta con certezza. In quelli più antichi, che sono i ' cherts ' della Fig tree formation del Barberton Mountain Land (Transvaal orientale), Barghoorn e Schopf ( 1966) hanno trovato tracce di materia organica e qualche microfossile. Queste rocce, datate misurando la radioattività dello stronzio e del ru­ bidio, si sarebbero formate per sedimentazione approssi­ mativamente 3,2 miliardi di anni fai La materia organica si presenta sotto forma di « stri­ sce . irregolari, senza struttura precisa, con una lunghezza massima di 9 .. Si tratta, forse, di rumi, costituiti da amminoacidi, utilizzati come alimento dai Batteri, loro contemporanei. Gli esseri organizzati rinvenuti in questi ' cherts ' sa­ rebbero dei piccoli Batteri, come l'Eobacterium isolatum, minuscolo microrganismo (meno di 0,7 l di lunghezza e 0,2 l di diametro), limitato da una membrana (dello spessore di 0, 1 5 .). Si suppone che questi organismi uti­ lizzassero gli amminoacidi e anche le proteine contenute nei mari. Si può logicamente immaginare che i batteri chemio­ troi (Ferrobatteri) siano comparsi più tardi, instauran· dosi l'autotroia allorché i c prebionti », loro nutrimento, cessarono di formarsi in seguito a un cambiamento delle condizioni isiche regnanti fuori e dentro le acque. È posibile che delle sfere che misuravano da 17 a 20 micron di diametro (Archaeosphaera barbertonensis) rin­ venute nella Fig tree formation siano delle Cianoicee, cioè delle Schizoite dotate di cloroilla, agente della foto­ sintesi, che porta a liberazione di ossigeno. Questo gas è sfuggito alle acque. Da allora, attorno alla Terra ha cominciato a formarsi una atmosfera ' respirabile ' . Altri cherts precambriani, meno antichi d i quelli della Fig tree formation (2,3 miliardi di anni), provenienti dal­ la Guniint formation, non lontana dalle rive del Lago Superiore, nell'Ontario occidentale, hanno fornito nume­ rosi fossili di vegetali (8 generi e 1 2 specie descritte), di cui alcuni, ilamentosi, si avvicinano a delle Cianoicee che somigliano alle Oscillatoria e alle Rivularia attuali; parecchie forme semplicemente sferiche o dotate di una

85 massa centrale da cui si irradiano dei ilamenti, or a sem­ plici e ora ramiicati, non trovano equivalenti nella lora attuale. Negli stessi sedimenti sono stati trovati anche dei Batteri ilamentosi (lunghi ino a molte centinaia di micron), imparentati, a quanto sembra, con nostri Ferro­ batteri del genere Crenothrix. Kakabekia, microrganismo ombrelliforme, scoperto dapprima in quei sedimenti, è stato ritrovato vivente in diversi terreni (Alaska, Islanda, Hawaii); si tratta di una Schizoita di incerta ainità. Alcuni organismi sferici, piuttosto complessi, potrebbe· ro essere delle Alghe, ma non sembrano avere dei discen­ denti tra le specie attuali. Aggiungiamo che l'analisi chi­ mica ha rivelato che i sedimenti della Gunlint contengo­ no del pristano e del itano, due idrocarburi che sembrano provenire dalla decomposizione della cloroilla e che per questa ragione sono sovente classiicati tra i fossili chimici. Nelle rocce precambriane non metamorfosate (calcare, gres, dolomite) del bacino dell'Amadeus (Australia cen­ trale) (Bitter Springs formation), la cui età assoluta è sta­ ta valutata in un miliardo di anni circa, Schopf (in Bar­ ghoorn, 1 97 1) ha trovato numerosi microfossili, tra cui sicuramente 3 specie batteriche, 20 specie di Alghe azzur­ re, 2 specie di Alghe verdi, e inoltre due fossili attribuibili forse a dei Funghi. L'insieme di questi fossili, la cui età spazia tra 3,2 e l miliardo di anni, costituisce l a testimonianza di due tappe capitali dell'evoluzione. La prima è la tappa pre­ biotica, rivelata dalle strisce organiche, amorfe, che avreb­ bero costituito tanto i materiali di base con i quali si sarebbero formati i primi esseri organizzati quanto il loro alimento. a seconda tappa consiste nella genesi delle Schiwite (Batteri e Cianoicee). Con le Cianoicee la cloroilla fece la su a comparsa sul pianeta.1 Verosimilmente, poi, lo stato cellulare si realizzò nelle Alghe durante l'Antecambriano superiore, circa un miliar­ do di anni fa. Come è stato che dalla struttura c schizoita . , tipica DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

l . Appare verosimile che la formazione dei pigmenti attivi nella fotosintesi si sia prodotta a più riprese nel corso della storia della bisfera, nelle Alghe azzurre, nei clorobatteri e nei vegetali vrdi cellulari.

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

dei Batteri e delle Cianoicee, si è passati alla struttura cellulare vera e propria, con nucleo dotato di membrana contenente dei cromosomi a struttura ben deinita e in cui sono incluse le macromolecole del DNA, combinate in maniera ancora poco nota con delle proteine ilamen­ tose? Lo ignoriamo. La paleontologia tace a questo riguar­ do. Le ipotesi non mancano, ma sono del tutto incon­ sistenti. Nessuna soluzione di continuità separa le Alghe unicel­ lulari dalle Alghe pluricellulari. Talvolta, la stessa specie percorre un ciclo regolare che comporta una fase unicel­ lulare e un'altra pluricellulare. Per questo i botanici non esitano a inserire la maggior parte dei Protoiti tra le Alghe, in cui, d'altra parte, le categorie cellulari non diventano afatto numerose e la formazione di organi re­ sta sempre limitata. Tra gli animali, lo iato che esiste tra unicellulari e pluricellulari resta, invece, aperto. L'origine dei Metazoi, a dispetto delle ricerche che le sono state dedicate, non è ancora conosciuta. Per numerose ragioni e a causa delle diferenze esistenti tra le modalità di divisione cellulare, non è possibile as­ segnare come antenato dei Metazoi alcun gruppo di Pro­ tozoi attuali. Tra i biologi si fa largo la tendenza a consi­ derare i Protozoi come discendenti di Protoiti senza pig­ mento, e i Metazoi come discendenti di Alghe pluricellu­ lari decolorate (vedi Grasé, 1 952, 1 969). In assenza di fossili, possiamo risolvere il problema sol­ tanto in modo provvisorio ed estremamente ipotetico. Fin dai suoi inizi l'evoluzione, e la paleontologia lo prova, portò a complicazione cui seguì una espansione, in altre parole essa non ha cessato di produrre il nuovo e il più complesso. Questi caratteri sono di una importanza estrema ed esi­ gono rilessione. Se l'evoluzione avesse ricevuto, volta per volta, a caso, i materiali che l'alimentano, essa risulterebbe imprevedi­ bile, e la distribuzione delle specie nel tempo si mostre­ rebbe senza regola alcuna, disordinata e caotica. Ora, il paleontologo constata il contrario, al punto tale che può, senza passare per temerario, predire l'ordine delle genesi secondo un modello di complessità crescente. Infatti, la fauna precambriana, soprattutto nota per i fossili dei

Metazoi

Spugne Protozoi

f

.._?(



?

i

Alghe pluricellulari

+

Alghe unicellulari

'�?)

Batteri au to troi

Cianoicee

t

Batteri eterotroi (mangiatori di proteine

)

natanti nel Pangea

Precursori proteinici

Fig. l. Rapporti iletici tra i gruppi di esseri viventi, all'inizio del­ l'evoluzione. Altri rapporti sono stati concepiti (cfr. Grassé, 1 952). L'ipotesi secondo cui due sorta di organismi cellulari sarebbero de­ rivati dai Batteri non è assurda, ma sembra poco verosimile. a prima, quella dei Protozoi batteriofagi (tipo Bado, per esempio), de­ riverebbe dai Batteri eterotroi; la seconda, dei Protoiti autotroi, avrebbe per antenati dei Batteri autotroi. L'niformità del piano e degli organuli cellulari nei due Regni rende assai poco versimile una duplice origine della cellula.

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

sedimenti d'Ediacara (Australia) e di qualche giacimento del Sudafrica, dell'Inghiltera, del Colorado, della Cali­ fornia, è proprio come l a si poteva prevedere : si compo­ neva principalmente di Spugne, di Cnidari, ai quali si aggiungevano quelle forme dalle ainità incerte di cui abbiamo parlato poc'anzi. A Ediacara, in sabbie ommer­ se da un sottile strato d'acqua, vivevano degli animali simili alle Pennatule attuali, mentre sopra di esse galleg­ giavano Meduse e Sifonofori, o presunti tali. Queste spe­ cie liberamente natanti erano cosi numerose che il perio­ do in cui i loro resti si sono fossilizzati è stato chiamato l'Era delle Meduse. Esiste una concordanza tra il grado di complesità del­ l'animale e la data della sua apparizione. Come ha detto spiritosamente Saint-Seine (1951) : i fossili sono stati pun­ tuali all'appuntamento con i calcoli. Ma se l'evoluzione h a avuto un suo calendario, ciò si­ gniica che essa ha obbedito a delle leggi che il biologo e il paleontologo hanno il compito di scoprire.

L'ordine cronologico

Una delle tappe capitali dell'evoluzione biologica è sta­ ta il passaggio dallo stato unicellulare allo stato pluricel­ lulare. Gli animali pluricellulari più semplici e più arcaici so­ no i Poriferi e i Cnidari. La loro struttura, quale che sia l'aspetto esteriore, è riconducibile a quell a di un sacco le cui pareti siano costituite di due strati o foglietti cel­ lulari aderenti, da cui il termine Diblastici con il quale vengono designati. Le loro cellule, durante l'ontogenesi, si diferenziano in numerose categorie, più o meno specializzate (cellule a collaretto, cellule urticanti ... ), ma non ediicano organi nettamente individualizzati. Infatti, nelle specie che for­ mano colonie, l'individuo, lo zooide, svolge una funzione e si specializza in essa : natante, gastrozooide (digerente), gonozooide (di riproduzione), dactilozooide. L'incapacità ad acquistare degli organi non si oppone, tuttavia, alla complicazione della forma, come dimostrano gli Esatinel­ lidi, tra i Poriferi, e i Sifonofori e gli Attiniari tra i Cni-

DAL SEMPLICE AL COMPLES SO

39

dari, ma il sacco presenta sempre una sola apertura e la struttura fondamentale resta quella dei Diblastici. Nelle Spugne, cellule nrvose e cellule sensoriali sono imperfettamente diferenziate. La caratteristica del siste­ ma nevoso è la connessione sinaptica del neurone con un'altra cellula; ora, la sinapsi non sembra esistere nella Spugna, per lo meno in forma riconoscibile. I Poriferi, i Cnidari, e i Ctenofori meritano il nome di Apatici che dà loro Lamarck, dato che, non soltanto il loro corredo sensoriale è rudimentale, ma non sono nep­ pure provvisti, in una parte limitata del loro corpo, di una muscolatura che permetta loro di compiere dei mo­ vimenti rapidi e coordinati. L'anatomia dei Cnidari è più complessa di quella dei Poriferi : cellule nervose e muscolari si presentano, infat­ ti, individualizzate. Tuttavia non si sa se i Cnidari e i Ctenofori, altri Diblastici, discendano dai Poriferi o ab­ biano degli antenati comuni con essi. Noi ignoriamo l'ordine cronologico secondo il quale sono comparsi i diversi tipi di Invertebrati triblasti, dato che le forme più primitive non hanno lasciato alcun fos­ sile. L'acquisizione di un terzo foglietto cellulare, il meso­ derma, conferiva ai Metazoi potenzialità nuove, molto estese, e soprattutto la possibilità di formare degli organi individualizzati, capaci di espletare una precisa funzione. In numerosi Triblasti, compresi i Vertebrati, è stata mes­ sa in evidenza sperimentalmente l'induzione prodotta sia dal mesoderma e suoi derivati, sia dal mesenchima, indu­ zione d'importanza primordiale nelle organogenesi. È cer­ to che gli animali, diventando triblasti, hanno compiuto un rande passo verso l'acquisizione di una magiore complessità. Tutti questi animali, ad eccezione degli Echinodermi, cosi particolari sotto tanti aspetti, manifestano una spic­ cata c regionalizzazione . del corpo; in special modo una « cefalizzazione . che concentra la maggioranza dei recet­ tori sensoriali e dei centri nervosi nella parte esterna ed intrna della pozione anteriore del corpo. Ormai l'infor­ mazione che proviene dal mondo esterno è centralizzata nel cervello, dove viene elaborata.

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

L'animale ha guadagnato in autonomia acquistando un terzo foglietto, che è il costruttore dei muscoli a contra­ zione rapida e, nei Vertebrati, dell'endoscheletro osseo. La diferenziazione di organi specializzati non compro­ mette in null a l'unità dell'essere, dato che certi legami a carico in particolar modo del sistema nervoso e delle· ghiandole endocrine mantengono gli organi collegati. In tal modo l'individualizzazione dell'essere si aferma e ii comportamento, utilizzando una informazione sempre più ricca dal mondo esterno, informazione sottilmente elabo­ rata dal sistema nervoso centrale, progredisce immensa­ mente. I piani di organizzazione, dopo l a comparsa del meso­ derma, si moltiplicano e si complicano. Dapprima si son' formati dei nuovi tipi d'Invertebrati provvisti di piani df organizzazione sempre più complessi. Sfortunatamente, la paleontologia non ci rivela pressoché nulla della loro ori­ gine e molto poco degli inizi della loro storia. È sicuramente da uno di questi che sono derivati f Cordati, comprendenti i Procordati e i Vertebrati. I Cor­ dati (Metazoi provvisti di un asse scheletrico al di sopra del quale si trova il sistema nervoso, tubuliforme, e sott' il quale si estende l'apparato digerente, la cui regione an­ teriore, o faringe, assicura una funzione respiratoria) de­ riverebbero, secondo numerosi zoologi, dagli Ehinoder­ mi; questa opinione si fonda su fatti anatomici ed em­ briologici . Il paleontologo Jeferies, sia da solo ( 1 967-68),. sia in collaborazione con Prokop ( 1 972), sostiene che i Cordati derivino da un gruppo molto antico di Echino­ dermi (i Calcicordati) che vivevano nel Cambriano ­ nell'Ordoviciano. Questi Calcicordati avevano il corp­ racchiuso in una teca composta di placche calcaree, giu­ stapposte, di cui ciascuna è, in termini mineralogici, un cristallo unico, fatto che caratterizza gli Echinodermi più evoluti. La bocca si apriva all'estremità anteriore dellr teca; le cavità interne erano la cavità orale, il faringe, i celomi anteriore e posteriore e talora altre camere. Dei pori che perforavano la teca formavano delle fessure bran­ chiali. Il corpo si prolungava posteriormente in una coda· o pedicello, entro cui si estendeva una corda dorsale. Il cervello era posto alla estremità anteriore del peduncolo, con un ganglio piriforme davanti e talora la traccia di nervi canici.

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

41

L'articolo di Jeferies ( 1968) è illustrato da igure mol­ to suggestive : la ricostruzione del cervello è preentata con rande chiarezza. Non avendo veduto i pezzi originali non saprei dire quanto di tutto ciò appartenga alla realtà e quanto all'immaginazione. In particolare, non è afatto sicuro che la formazione collcata nell'asse del peduncolo e che J eferies considera una corda, lo sia efettivamente. Tutta l'interpretazione del paleontologo inglese è ri­ iutata in blocco da Ubaghs ( 1 970), specialista nello stu­ dio degli Echinodermi fossili; egli la considera una pura ipotesi e scrive : « Dato che, evidentemente, non si sa e non si può sapere nulla con certezza sulle parti molli di organismi scomparsi, l'ipotesi di base resta inveriicabile » . Meno severi di Ubaghs (si conoscono le parti molli di un numero non trascurabile di fossili) noi giudichiamo, tut­ tavia, che sarebbe imprudente accettare senza gravi riserve le ricostruzioni di organi e le idee di Jeferies, troppo audaci. I Procordati, antenati probabili dei Vertebrati, molli e nudi, hanno lasciato rarissimi fossili : i Permosoma (Per­ miano di Sicilia), prosimi ai Chelysoma (Ascidie) attua­ li, e le Spicule dei Didemnidi (Ascidie) dell'Era terziaria. non ci danno alcuna notizia sull'origine del tipo.1 L'ordine di apparizione dei Vertebrati è il seguente: Agnati, Pesci,2 Anibi, Rettili, Mammiferi.3 Esso è caratte­ rizzato sia da una complicazione strutturale continua e generale, sia da una incessante ascesa dello psichismo. Si tratta di un fatto assodato da un numero elevatissi­ mo di reperti. Come s'è appena detto i Procordati (Ascidie, Aniosso) preigurano in qualche modo i Vertebrati. Gli argomenti a favore di questa opinione non mancano. Il piano di organizzazione di una larva di Ascidia, di una AppendiI. A iniktozoon del Siluriano superiore, Scaumenella del Devoniano superiore sono, forse, dei Procordati. ]amoy tius (Siluriano superiore) sembrerebbe essere un Agnato anaspide e non un Procordato. Questi fossili sono in cattivo stato; il loro studio può solo fonire risultati discutibili. (Vedi anche Sourield, 1 937 e White, 1 946). 2. I Pesci costituiscono una superclasse che si compone di numerosi grandi linee evolutive profondamente distinte che hanno conosciuto fortune e destini diferenti. 3. Mammiferi e Uccelli sono derivati dai Rettili, ma da forme an· cestrali appartenenti a ordini molto lontani tra di loro.

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

colaria, di un Aniosso è quello di un Vertebrato, soltan­ to più semplice. Nell'uovo di una scidia, di un Pesce, e anche di un Anibio, le mappe degli abbozzi presuntivi presentano tra di loro delle rassomiglianze che vanno ben oltre la semplice analogia. Quanto poi a designare con precisione il ruppo di In­ vertebrati da cui è derivato il phylum dei Cordati, è un'altra cosa. Alcuni zoologi hanno richiamato l'attenzione sul fatto che la metameria degli abbozzi mesodermici, i rapporti dell'apparato escretore e delle gonadi con le cavità me­ sodermiche (celoma) avvicinano i Vertebrati agli Anel­ lidi. Queste constatazioni non cessano di sorprendere, ma l 'abisso che separa un Anellide policheto dall'Aniosso è immenso. Attraverso quanti anelli l'uno si connette al­ l'altro? Ne�suno lo può dire. Ci sembra inutile, per i nostri scopi, passare in rasse­ gna le altre ipotesi proposte dagli studiosi della iloge­ nesi; esse non sono soddisfacenti perché non si fondano su alcun dato paleontologico. Non sapendo noi pressoché nulla dei grandi tipi di organizzazione, il campo resta aperto alle ipotesi e soltan· to alle ipotesi. Come afermare che questo o quel meccanismo ha pre­ sieduto alla creazione dei piani di organizzazione, quan­ do si dispone solo dell'immaginazione per dare una ri­ sposta? La nostra ignoranza è cosi grande che non osiamo neppure assegnare un ceppo ancestrale, pr quanto im­ preciso, ai tipi formati dai Protozoi, dagli Artropodi, dai Molluschi, dai Vertebrati ... L'assenza di documenti concreti riguardanti i ' grandi giorni ' dell'evoluzione grava immediatamente e in mo­ do pesante su ogni teoria trasformista. Quale che sia, una zona d'ombra si estende sulla genesi dei tipi fondamentali di organizzazione, e noi non riusciamo a dissiparla. a complicazione organica, che raggiunge il suo grado più elevato nell'anatomia e nella citoarchitettura del si­ stema nrvoso e degli organi sensoriali, è stata sguita da un iorire concomitante delle facoltà psichiche, che si è tradotto in un comportamento sempre più preciso, varia­ to e plastico.

DAL SEMPLICE AL COMPLES SO

43

Ogni essere vivente dotato di mobilità manifesta un comportamento adattato alle sue necessità e tale da assi­ curargli la sua sopravvivenza. Questa proprietà ha colpito Ernst Haeckel ( 1 877) al punto che egli attribui aUa cel­ lula una facoltà « psicogena . , essenziale, ai suoi occhi, quanto l'assimilazione o la riproduzione. Il padre del materialismo monista, l'apostolo dell'atei­ smo, si spinge ben oltre. Scrive infatti, nella sua risposta a Virchow (p. 64 dell'edizione francese del 1 882) : « ... noi ritroviamo nelle cellule uniche, che vivono isolate, le sts­ se manifestazioni di vita psichica - sensazione, percezio­ ne, volontà, movimento - che troviamo negli animali su­ periori costituiti da un gran numero di cellule . , e ar­ riva perino a parlare dell'anima cellulare. I fatti su cui si fonda Haeckel sono inconfutabili e, nel corso dell'evo­ luzione, lo psichismo, termine vago ma che designa egre­ giamente la totalità dei comportamenti, non ha mai ces· sato di svilupparsi, di ampliarsi mentre la massa nervosa si accresceva e si specializzava nelle sue parti. Il Protozoo ameboide, a dispetto della sua apparente semplicità, reagisce alla luce, al calore, a sostanze chimi­ che (acidi, basi), alle sollecitazioni meccaniche, « sceglie . il cibo e riiuta gli alimenti che non sono adatti a lui. Gli Infusori ciliati danno prova di un comportamento ancora più complesso; acquisiscono, per breve tempo, del­ le reazioni condizionate e si è visto che certe spine della loro pellicola assumono funzioni sensoriali. Nei Protozoi la neuralità e la muscolarità esistono dun­ que allo stato di abbozzi. Nei Metazoi (Poriferi esclusi), esse sono divenute, attraverso una lenta evoluzione, ap­ pannaggio di cellule specializzate : i neuroni e le ibre muscolari. Il comportamento dipende dalla struttura del sistema nervoso. Per ciò quello dei Diblastici, tutti acefali e privi di cervello, è di una estrema semplicità, al punto che questi « Apatici . furono annoverati, per più di un secolo, tra le piante. La cefalizzazione propriamente · detta si manifesta solo nei Triblasti e raggiunge il suo apogeo con gli Artropodi e i Vertebrati, animali il cui comportamento diventa mol­ to complesso. Negli Artropodi il cervello è composto di parti anato-

44

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

micamente e funzionalmente assai specializzate : il com­ portamento, benché rainato, resta automatico. e costru­ zioni, le industrie degli Insetti, sciali o solitari, derivano da azioni stereotipate, legate le une alle altre. I complessi istintivi comandano e scatenano meccanismi innati, i cui determinanti iniziali sono inseriti nel DNA cromosomico, come quelli dei caratteri anatomici o funzionali. Con il cervello dei Vertebrati, dotato di centri multipli, il comportamento tende a liberarsi dai meccanismi e dai comandi genetici; acquista plasticità, ma resta in gran parte innato; si libera completamente solo nell'Uomo, la cui evoluzione e il cui cervello presentano singolarità loro proprie. Dalla breve esposizione che precede, si vede già che l'evoluzione ha segui to, nel suo insieme, la vi a della com­ plicazione strutturale, ed è stata accompagnata da una ascesa continua dello psichismo, sia automatico, toccando il suo apogeo con gli Insetti, sia plastico, iorendo piena­ mente nell'Uomo. Non vorei, tuttavia, che il lettore si immaginasse che il cammino dell'evoluzione sia stato rettilineo, diretto. e sue strade sono state tortuose; speso è giunto a dei punti morti e numerose sue linee evolutive sono abor­ tite, non hanno potuto superare la prova del tempo e sono scomparse. Ma i fallimenti, al pari delle deviazioni dei meccanismi trasformisti, non hanno arrestato la com­ plicazione, anatomica o psichica che fosse. Questo è l'es­ senziale : in materia di evoluzione è soltanto il risultato che conta.

L'evoluzione regressiva

Alcuni biologi hanno insistito sul carattere regressivo dell 'evoluzione; essi considerano gli organismi unicel­ lulari o pluricellulari che, provvisti di cloroilla, utilizza­ no l'energia solare nella sintesi della loro propria sostan­ za con dei composti chimici semplici - anidride carbonica (COz), acqua, sali minerali azotati (raramente viene uti­ lizzato l'azoto atmosferico) - come superiori a tutti gli al­ tri in virtù del loro potere di sintesi. Per quanto riguarda la nutrizione, essi non dipendono da alcun essere vivente,

DAL SEMPLICE AL COMPLES SO

45

al contrario degli aclorici (esseri privi di cloroilla).1 Ma gli eteroroi sono veramente dei regrditi? Gli esseri viventi autotroi, efettuando la loro propria sintesi e quella delle sostanze di riserva, hanno introdotto nell'ambiente acquatico marino una quantità considere· vole di proteine, di glucidi, che nuovi esseri, rinunciando alla fotosintesi, non hanno mancato di utilizzare. Questi animali, gli eterotroi, per chiamarli con il loro nome, metabolizzano i resti degli autotroi disciolti o sparsi nell'ambiente (saproitismo), oppure li ingriscono e li digeriscono (predatorismo) o ancora penetrano in es­ si per attingere i prodotti necessari alla loro economia (parassitismo). In tutti i casi le macromolecole elaborate dagli autotroi, denaturate, depolimerizzate, sono riuti­ lizzate per efettuare le sintesi degli eterotroi. Questi esseri hanno, è vero, perduto una facoltà, la fo­ tosintesi, ma ne hanno acquisite altre, che esigono nume­ rosi enzimi e lunghe catene di reazioni chimiche. Qualiicando questa evoluzione come regressiva si for­ mula un giudizio di valore, operazione squisitamente sog­ gettiva. Ma, considerando l'acquisizione di strutture e fa­ coltà nuove, si potrebbe chiamarla, con altrettanta ragio­ ne, evoluzione progressiva. Queste qualiicazioni traducono degli apprezzamenti che non tengono conto della totalità dei fatti. Di solito si attribuisce la perdita della fotosintesi a una mutazione che provoca la sparizione dei cloroplasti (aclo­ ria) o che impedisce la sintesi della cloroilla. Un tale fenomeno, o qualcosa di simile, si è prodotto a più riprese nei Protoiti, dato che nelle Euglenoite, nei Criptomonadini, nei Crisomonadini, nei Dinolagellati, nelle Volvocali le specie acloriche e saproite sono presen­ ti in numero più o meno grande. Si ha una conoscenza ancora migliore delle mutazioni che toccano, in modi e in momenti diversi, i cloroplasti delle Fanerogame; si veda particolarmente, a questo ri­ guardo, lo studio di von Wettstein sui mutanti cloroil­ liani dell'Orzo. Ma l'organismo privato brutalmente del suo corredo plastidiale sopravvive solo se possiede, all'atl. I Batteri chemiotroici, ancora assai numerosi in natura, sono considerati i più primitivi tra gli esseri viventi. I Batteri con cloro­ illa (Clorobatteri) sarebbero di origine più recente.

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

to della mutazione e in precedenza, gli enzimi indispen­ sabili alla digestione e alla ristrutturazione delle moleco­ le di materie organiche che costituiscono allora la sua sor­ gente di azoto e di carbonio. Nelle Euglene, la cui nutrizione è stata fatta ogget­ to di numerosi studi approfonditi, certe specie sono stret­ tamente legate all'autotroia; quando sono private di luce e di CO. muoiono, anche se il loro ambiente contiene delle sostanze organiche (Euglena klebsii, E. pisciformis ... ). Altre specie sono autotrofe facoltative : poste nell'oscu­ rità o in un ambiente privo di co,, ma contenente dei composti organici (carbonio+ azoto), esse si moltiplicano benissimo (Euglena gracilis). Queste Euglene hanno in loro stesse i mezzi per l'utiliz­ zazione delle materie organiche disciolte nell'ambiente in cui nuotano. Numerose Alghe unicellulari possiedono la facoltà di vivere come autotrofe o come eterotrofe secondo le con­ dizioni ambientali (è il caso delle Alghe Bracteacoccus della grotta di Lascaux). Le si qualiica mixotrofe. La mixotroia potenziale è la condizione che permette ai mutanti aclorici di sopravvivere. Da questi fatti ricaveremo due insegnamenti : l . Il passaggio da una nutrizione autotrofa a una nutri­ zione eterotrofa dipende sia da una variazione sottrattiva, sia dalle condizioni ambientali. 2. a sopravvivenza implica imperativamente in en­ trambi i casi che l'organismo sia dotato di un certo arse­ nale enzimatico e che le sue membrane godano di certe proprietà (permeabilità) all'atto in cui da autotrofo esso diviene eterotrofo. Questo arsenale, che qualcuno dice c preadattativo . non si spiega con una mutazione c premonitrice . : troppi enzimi sono in gioco per trattarsi di un'unica variazione. Se è vero che la penicillasi, enzima che rende i batteri re­ sistenti alla penicillina, è dovuta a una mutazione, è bene ricordare che si tratta della variazione di un gene e non di parecchi. Gli enzimi implicati nell'eterotroia esercita­ no, non dimentichiamolo, delle azioni complementari le une rispetto alle altre. Se il passaggio dall'autotroia all'eterotroia è avvenuto, a quel che sembra, accidentalmente, come si può osserva-

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

47

re nelle Euglene attuali, esso è stato preceduto da una evoluzione invisibile che ha dotato l'organismo di una duplice sicurezza, che solo le circostanze rendono evidente. Lo stato latente mixotrofo è la condizione sine q ua non per la opravvivenza dei mutanti aclorici. In che modo il darwinismo interpreta la regressione e l'animale regredito? Esso propone, qui come altrove, il proprio postulato della selezione, sempre in atto, che ope­ ra in favore del più idoneo. Ne deriva che ogni perdita di organo, nonché di funzione, subita da una specie che sopravvive, è un evento beneico. In efetti, nell'ambito della toria, ammettere che la selezione agisca contro la specie, sarebbe un nonsenso; al massimo si può stimare che determinate variazioni siano neutre. Mutazioni (o presunte tali) di grande ampiezza non mettono, forzatamente, in pericolo l'animale. Per esempio, la perdita degli arti subita da molte Lucertole e da tutti i Serpenti non ha posto questi animali in condizioni di inferiorità dato che essi vivono tuttora, mentre possenti phyla di Rettili tetrapodi si sono estinti. I Serpenti frequentano le acque marine e litorali, le paludi, i iumi, i prati, le foreste. Presentano numerse specie arboricole (Dendroaspis) e altre sotterranee (Ty­ ph lops, Calabaria ...) . e Lucertole apode vivono liberamente nelle praterie (A nguis, Oph iodes, ... ), si rifugiano nella sabbia (Scincus), o s'insinuano dentro gallerie sotterranee (Fey linia, Ani­ sbenidi). La trasformazione di un Rettile tetrapodo in un Rettile apodo si è realizzata in più riprese in linee evolutive di­ stinte. La si può osservare tra gli Scincomori, negli Scin­ cidi, nei Feylinidi, nei Cordilidi, nei Teiidi (Scolecosau­ rus, Oph iomodon); tra gli Anguimori, negli Anguinidi, ai quali si aggiunge la totalità degli Anisbenidi, se si eccettua il genere B ipes che ha conservato le zampe an­ teriori. La condizione essenziale della locomozione serpentifor­ me è l'allungamento generale del corpo. Un animale toz­ zo non può ' ondulare '. L'allungamento tra gli Squamati (Sauri + Serpenti) è legato all'aumento del numero delle vrtebre presacrali; è dunque il tronco che si allunga; lo

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

sterno non subisce una crescita concomitante, le costole diventano luttuanti e il corpo assume una forma cilin­ drica. A ciò si aggiunga che le costole e i vasi segmen­ tali aumentano di numero, come le vertebre presacrali. Visceri, polmoni, reni, vasi sanguigni, condotti urogeni­ tali partecipano dell'allungamento del corpo. I reni, e i testicoli o le ovaie, subiscono uno slittamento in senso lon­ gitudinale, inendo gli uni davanti agli altri. I due pol­ moni esistono e sono funzionali nei Serpenti boidi, anili­ di, e xenopeltidi, ma quello di destra è tre volte più volu­ minoso di quello di sinistra, che è rudimentale in diversi Colubridi e nei Crotalidi, e manca nei Viperidi e Idroiidi (Serpenti di mare). L'allungamento del polmone destro è così notevole in certe specie (Enhydrina, Acrochordus, ecc.) che posterior­ mente l'organo raggiunge l a cloaca! Il polmone così di­ steso non è respiratorio in tutto il suo volume; solo la rgione anteriore (un terzo) è dotata di una struttura alveolare; il resto è un sacco aereo la cui funzione non è ben nota. Inine, in qualche Srpente, la parete della trache a forma una evaginazione che resta membranosa {Naja) o assume più o meno la struttura alveolare di un polmone (Viperidi). La issazione della mandibola al cra­ nio, molto particolare, permette un ingrandimento consi­ derevole dell'apertura boccale e, pertanto, l'ingestione di prede voluminose. Si può afermare tranquillamente, di fronte a una tale evidenza, che l'anatomia degli Oidi è stata modiicata in tutte le sue parti. Se l'evoluzione degli Squamati apodi è stata, per certi aspetti, soppressiva, non la si può tuttavia considerare regressiva, dal momento che ha dato origine a forme per­ fettamente equilibrate nell'anatomia e nella isiologia e robuste e resistenti alle variazioni ambien­ tali. Essa le ha dotate di armi estremamente perfezionate, prodotto di una delle più straordinarie creazioni chimi­ che : i veleni. L'evoluzione dei Serpenti non è afatto avvenuta nel disordine. Essa è stata comandata da una modiicazione profonda e preliminare della forma generale; l'apodia o la subapodia hanno riguardato solo le specie a corpo lun­ go e cilindrico. Se la perdita degli arti fosse avvenuta, come pretendono i darwinisti, ad opera di mutazioni sot-

DAL SEMPUCE AL COMPLESSO

49

trattive, essa avrebbe potuto veriicarsi solo dopo l'allun­ gamento corporeo, allorché la locomozione s'è fatta on­ dulante, e le due paia di zampe, ormai troppo lontane tra loro, non potevano più mantenere il corpo sollevato dal suolo. In diverse Lucertole, le zampe persistono allo stato ru­ dimentale e in qualche rara specie sono debolmente fun­ zionali, per esempio nella Luscengola mediterranea (Chal­ cides lineatus), che le utilizza negli spostamenti lenti, ma ;he, quando si muove con velocità, le ritrae lungo il cor­ po in due depressioni (coaptazioni) per ondulare alla ma­ niera dei Serpenti. In efetti, la variazione che comanda tutte le altre è l'aumento numerico delle vertebre presacrali, il che pro­ va in certo modo che la variazione ha valore evolutivo sol­ Janto se si manifesta a l momento giusto. Esiste una correlazione tra il numero delle vertebre pre­ sacrali e le proporzioni del corpo. Ecco delle cifre prese in prestito da Guibé ( 1970). Esse concernono dei Sauri: Eumeces sch neideri : 30 vertebre presacrali, membra an­ teriori e posteriori normali. Lygosoma punctulatum : 36 vertebre presacrali, membra anteriori e posteriori ridotte, perdita di una falange al quarto dito; Chalcides lineatus: 48 vertebre presacrali, membra ridotte, perdita di tutte le falangi del primo dito. Seps tridactylus : 52 vertebre pre­ sacrali, membra ridotte, sparizione totale del primo dito, perdita delle falangi del quinto dito. A nguis fragilis (l'Or­ bettino) : 65 vertebre presarali, membra posteriori e an­ teriori assenti. Il numero delle vertebre presacali supera il entinaio negli Anisbenidi e nei Dibamus, Geckonidi aberranti, tutti apodi e ipogei.t Il primus movens della struttura serpentiforme si trova in una modiicazione dell'embriogenesi : la formazione di nuove vertebre impone quella di nuovi somiti; il numero delle arterie e dei nervi segmentali eguaglia quello delle vertebre (vedi Raynaud, 1 963). Come in altri innumere­ voli casi, la variazione riguarda, dunque, innanzitutto l'embriogenesi, e le correlazioni osservate al termine del1. L'ordine di enumerazione di queste specie non è afatto iloge· netico. L'apodia si è manifestata in undici famiglie di Lucertole, in tutti gli Anisbenidi e nei Serpenti, in cui qualche specie possiede degli arti vestigiali (Bipes, tra i primi, Boa, nei secondi).

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

l'ontogenesi sono obbligatoriamente precedute, preparate da catene di reazioni chimiche che agiscono secondo un ordine isso. Di recente, Raynaud (1972) ha ripreso lo studio del­ l'embriologia dei Rettili apodi o a membra vestigiali. Dalle sue osservazioni ed esperienze scaturisce che, come è stato constatato negli Uccelli, le masse mesodermiche metameriche o somiti sono gli induttori e gli organizzatori degli arti. Negli Apodi i somiti avrebbero perduto que­ sta proprietà. Questo autore ha confermato che i somiti degli embrioni di apodi sono molto più numerosi di quel­ li degli embrioni di tetrapodi : 32 nel Ramarro, 70 nel­ l'Orbettino, 173 in un Colubride. Se l'arresto dello sviluppo, totale o parziale, degli arti, si spiega con la perdita del potere induttore dei somiti del tronco, non abbiamo la minima idea sulla causa che provoca la moltiplicazione dei somiti e modiica profon­ damente e correlativamente la struttura di numerose parti dell'embrione. Il carattere ordinato della formazione dei Rettili ser­ pentifomi si manifesta in tutta evidenza nella disposi­ zione dei muscoli. La reptazione ondulante può solo es­ sere ottenuta per mezzo di un dispositivo scheletrico, mu­ scolare e nervoso che si ripeta lungo la colonna vertebra­ le, dato che i muscoli successivi si contraggono secondo un ritmo regolato dai comandi nervosi adeguati. Tra le particolarità della muscolatura si annovera an­ che il grande sviluppo delle aponeurosi intersegmentali su cui si inseriscono i muscoli; essendosi fortemente ri­ dotte le superici ossee, i potenti muscoli della reptazio­ ne non vi potevano trovare aggancio. Cosi, sotto ogni riguardo, la muscolatura dell'episoma dei Serpentiformi è molto caratteristica e corrisponde alla modalità di locomozione adottata dall'animale. Essa pre­ senta delle diferenze (Boidi, Viperidi, Colubridi) che corrispondono a modi di reptazione distinti. Quello che risulta capitale in questa correlazione è il fatto che essa è, in certo modo, proporzionale al nu­ mero di vertebre presacrali supplementari. Lygosoma, che ha soltanto 36 vertebre presacrali, mostra una riduzione contenuta dei suoi arti, con la perdita di un'unica falange al quarto dito. Non abbiamo per nulla a che fare, nei Serpenti, con

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

quelle mutazioni brutali che riguardano l a patologia dei geni e costituiscono uno dei più importanti ca pitoli della teratologia. L'apodia si accompagna alla costruzione di un essere, armonioso malgrado la sua apparenza aberran­ te, le cui parti sono mantenute in stretta correlazione. Un Serpente, un Orbettino non sono dei mostri, prodotti falliti di eventi casuali consecutivi. La riduzione degli arti non è per nulla aleatoria, dato che è in qualche maniera determinata dal numero delle vertebre presacrali. Sappiamo bene che tali argomenti, per concreti e seri che siano, non scuoteranno afatto i dottrinari. a loro risposta noi la conosciamo già : il tas­ so delle mutazioni è così elevato che l'animale vi trova con esattezza quella che gli è ' necessaria '. Ma l'ipotesi resta tale, e nessuno scopre, nelle popolazioni di Lucer­ tole a quattro zampe, una tale moltitudine di mostruo­ sità tra le quali si troverebbe quella che rende il Rettile apodo e nel contempo perfettamente adattato a un nuovo modo di lcomozione e di vita. Questa esposizione, benché non si addentri nei parti­ colari strutturali, mostra che se delle mutazioni aleatorie sono all'origine dei Rettili erpentiformi, ne sono state necessarie una ininità perché, fra di esse, si trovasse pre­ cisamente quella che era consona alla struttura presi­ stente e permettesse il proseguimento dell'evoluzione. Ma la spiegazione aleatoria incontra ben altri ostacoli. L'evoluzione serpentiforme si è manifestata in parecchie linee evolutive indipendenti che non superavano.il livello della famiglia, linee che, se si eccettuano gli Anisbenidi e gli Oidi, ospitano a un tempo generi tetrapodi a corpo tozzo, più o meno lacertiformi, generi con membra ridotte e generi apodi. In altre parole, la stessa tendenza evoluti­ va si è realizzata a spese di stock genici passabilmente dif­ ferenti, e rapidamente, dato che in 3 linee evolutive (Scin­ cidi, Cordilidi cordilini e Anguidi anguinidi) le specie madri e le specie serpentiformi coesistono ancora. La storia di queste 3 linee evolutive è poco nota; gli Scincidi più antichi sono stati trovati nel Pliocene supe­ riore, ma non sappiamo quale fosse il grado di sviluppo dei loro arti; i Cordilidi comparvero alla ine del Giu­ rassico e gli Anguidi nel Cretaceo superiore. È probabile che la loro origine sia anteriore ai terreni che conteneva­ no i fossili attualmente conosciuti.

52

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

L'evoluzione dei Sauri attuali appare molto lenta, per non dire nulla. Per la maggior parte dei gruppi rappre­ sentati allo stato fossile, si ha la sicurezza che dopo il Miocene hanno subito solo variazioni molto deboli. Specie tetrapode e apode sembrano essre egualmente stabilizzate; gli apodi serpentiformi hanno subito una specializzazione così spinta nelle loro strutture da votasi all'immobilismo. Essi sono suscettibili, come ogni essere vivente, di subire delle somazioni e delle mutazioni, ma conservano egualmente il loro modello strutturale e il loro modo di vita. A dispetto della sua conformazione, il Rettile serpenti­ forme si dimostra capace di vivere in ambienti assai di­ versi (sulla terra, in acqua, sotto terra, sugli alberi) ; col che si dimostra che l'apodia compensata dalla locomozio­ ne ondulatoria si presta a molteplici adattamenti.

l limi ti dell'evoluzione

L'evoluzione complica strutture e funzioni a un tempo, ma libera a poco a poco l'animale dalla schiavitù del mondo esterno elevandone lo psichismo. Coloro che ve­ dono nella perdita di certe funzioni un processo opposto all'evoluzione progressiva si sbagliano; essi considerano soltanto uno degli innumerevoli aspetti della storia degli animali entro l'immenso scenario in cui si svolge. La natura ha forse difettato di immaginazione nel suo slancio creativo? Forse, ma prima di entrare nel regno della fantascienza, bisogna pensarci due volte. Per quali ragioni allora l'evoluzione non ha dato origine a degli esseri mezzo animali e mezzo vegetali? È facilissimo pensare a un verme che porti sul dorso un lungo cordone di cellule trasparenti imbottite di clo­ roplasti intenti a fabbricare gli zuccheri, le proteine, a partire da alimenti molto semplici : acqua, C02, nitrati, nitriti, ossigeno ... Un Pesce, munito di ciui di ilamenti imbottiti di cloroplasti e capace di assorbire i nitrati disciolti nelle acque supericiali in cui penetra la luce, non avrebbe al­ cun bisogno di un tubo digerente. Mobile e sensibile, questo organismo si alimenterebbe come un'Alga.

DAL SEMPLICE AL COMPLESSO

53

Tuttavia, questo essere misto, concepibile a rigor di logica, non riunirebbe in sé due qualità inconciliabili? Abbiamo il diritto di domandarcelo. La mobilità esige una quantità considerevole di energia, disponibile in ogni momento, e la fotosintesi, per fornire degli alimenti a un organismo sia pur poco voluminoso, deve esercitarsi su grandi superici che la luce colpisca direttamente; donde l'appiattimento del tallo delle Alghe e il numero immen­ so delle famiglie di Fanerogame. Con la sua massa, con il suo ingombro, un tale apparato cloroilliano rende dif­ icili, se non impossibili, i movimenti rapidi e coordinati. Inoltre, non si può concepire l'assorbimento dei sali minerali associato alla fotosintesi se non attraverso la su­ pericie del corpo immerso nell'acqua contenente i sali disciolti; il vegetale ha potuto divenire terrestre svilup­ pando un sistema assorbente capace di andare a cercare l'acqua e i sali nella terr a stessa, ma nello stesso tempo si è venuto a trovare irrevocabilmente ancorato al suolo, immobile per sempre. Per ciò i soli organismi che possono essere a un tempo mobili e fotosintetici (essendo dotati di cloroplasti) sono dei microrganismi acquatici : Euglenoidini, Criptomona­ dine, Dinolagellati il cui copo è formato da una sola cellula (Protoiti) o, in qualche caso, di un piccolo nume­ ro di cellule (Volvocali come le Pandorina o i Volvox). La simbiosi tra i Cnidari (Idrari, Attiniari) e i Dino­ lagellati colorati riveste una importanza secondaria e se­ gna in qualche modo il limite che possono raggiungere fotosintesi e mobilità associate. Questi Cnidari sono issi o molto poco mobili. llorché i pimi esseri acquatici unicellulari o pluricel­ lulari persero i loro cloroplasti e modiicarono il proprio metabolismo, regredirono? Se ne può dubitare, poiché es­ si acquistavano nel contempo un numero ininito di po­ tenzialità e si liberavano dalla pesante ipoteca dell'im­ mobili tà. Con la comparsa di esseri capaci di alimentarsi a spese di altri l'evoluzione non ha fatto un passo indietro, ma si è messa per una via altrettanto feconda di possibilità evolutive; il prosieguo l'ha dimostrato.

II L'EVOLUZIONE CREATRICE O LA NASCITA DEI TIPI DI ORGANIZZAZIONE

Considerazioni generali

La formazione dei tipi o piani fondamentali di orga­ nizzazione costituisce l'aspetto più importante se non essenziale dell'evoluzione. Ogni tipo porta con sé grandi novità e, con il suo piano architettonico, condiziona il destino delle linee evolutive secondarie che da esso de­ rivano. Dato che la paleontologia non ci fornisce alcun docu­ mento o quasi sulla genesi dei tipi, per conoscerla si ricor­ re ai dati dell'anatomia comparata e dell'embriologia. Tuttavia, malgrado il loro valore, queste scienze non per­ mettono di ricostruire il passato con certezza; di conse­ guenza la ricostruzione dell'evoluzione è un compito che ha superato inora le possibilità, le capacità del biologo. L'embriologia, in virtù della lgge biogenetica fonda­ mentale di E. Haeckel ( 1 866),1 dà un'idea di ciò che possono essere stati gli antenati degli Invertebrati attuali, ma non le si deve chiedere troppo perché in un grande numero di casi l'ontogenesi risulta profondamente modiil. E. Hacckel ha parlato della legge biogenetica fondamentale in numerosi suoi scritti. Ecco come la enuncia per la prima volta nella sua Genere/le Morphologie, 1 866, t. Il, p. 300 : « L'on togcnesi è una ripetizione, una ricapitolazione breve e veloce della ilogenesi, con· formemente alle leggi dell'ereditarietà c dell'adattamento ».

L ' EVOLUZIONE CREARICE

55

cata da cenogenesi e da adattamenti a mcdi di vita molto particolari; pensiamo alle larve pelagiche o semplicemen­ te planctoniche, i cui caratteri non sono forse così arcaici come si pretende. Per studiare l'evoluzione, ci si vede costretti a scendere di un gradino la scala sistematica e limitarsi alla genesi delle classi e degli ordini, per alcuni dei quali dispo­ niamo di una grande abbondanza di fossili. Prima di esporre le nostre idee sul cammino e sul mec­ canismo dell'evoluzione, preciseremo certi punti che con­ cernono i piani di organizzazione e la distribuzione dei caratteri tra i diferenti gradi della gerarchia sistematica, procedendo dal generale al particolare. Il tipo si aferma tramite il suo piano di organizzazione e il possesso di composti chimici che indicano partico­ larità metaboliche fondamentali. La classe è contraddistinta dall'aggiunta di caratteri al piano fondamentale, senza però cadere nella specializ­ zazione; è a livello dell'ordine che la specializzazione e l'idiomorfo ( = tipo morfologico) si manifestano libera­ mente. Per riassumere : al piano fondamentale (tipo) si aggiun­ gono alcuni caratteri (classe) meno generali di quelli della categori a supriore; poi compaiono i caratteri spe­ cializzatori, quelli dell'idiomorfo. La gerarchia delle unità o insiemi sistematici si pre­ senta in diversi modi; noi ne considereremo due : I . il modo classico, per categorie che si sovrappongono come in un albero genealogico, perché è vero che l'ordine sistematico è anche l'ordine cronologico di apparizione (ig. 2); 2. la raigurazione per insiemi comprensivi, termine adottato nella sua accezione logica (ig. 3). Il più ampio è il tipo; questo insieme congloba tutti gli altri. Conven­ zionalmente noi raiguriamo il tipo con un cerchio, di­ viso internamente dai raggi in tanti settori quanti sono gli ordini. La supericie degli ordini è proporzionale al numero delle specie che li compongono. La suddivisione potrebbe essere spinta ino alla specie. Questo modo di rappresentazione ha il vantagio di farci acquisire al primo colpo d'occhio l'importanza rela­ tiva di ogni insieme sistematico. Nella igura 3 non ci siamo spinti oltre la rappresentazione dell'ordine.

Ordine 2 ABC + GH + hx

Ordine 3 ABC + GH + ik

Ordine l ABC + GH + be

Classe III ABC + JN

Classe I ABC + EF

セ@

Classe II ABC + GH

Tipo ABC

Fig. 2. Diagramma che mostra la composlZlone di un tipo, unità sistematica corrispondente a un piano di organizzazione. A B C, aratteri propri del tipo; EF, GH, JN, DI, caratteri propri delle classi; be, hx, ik, caratteri propri degli ordini; fv caratteri propri di una famiglia.

Fig. 3. Rappresentazione mediante aree della composiZione di un tipo. In lettere maiuscole, i caratteri propri delle classi; in lettere minuscole, i caratteri propri degli ordini.

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Il Regno animale si compone i una ventina di tipi, e cioè : Protozoi, Poriferi, Cnidari, Ctenofori, Platelminti, Nemertini, Rotiferi, Anellidi (che comprendono, oltre agli Anellidi propriamente detti, i Sipunculoidei, gli Echiuroidei e i Priapulidi), Endoprotti, Foronidei, Brio­ zoi, Brachiopodi, Chetognati, Pogonofori, Molluschi, Oni­ cofori, Tardigradi, Artropodi, Echinodermi, Procordati, Vertebrati (vedi Appendice I). Alcuni di questi tipi con­ tano migliaia di specie, altri alcune decine. La genesi dei piani di organizzazione fondamentali che corrispondono a questi tipi ha rappresentato la grande opera dell'evoluzione; ma è verosimile che la genesi delle classi si sia operata secondo gli stessi meccanismi. Fin dall'inizio di questo capitolo abbiamo richiamato l'attenzione del lettore sulla scarsezza di documenti pa­ Ieontologici riguardanti l'origine dei tipi. Trattandosi di animali assai antichi, i fossili, salvo qualche eccezione, non hanno resistito al metamorismo subito dalle rocce che li contenevano. Per illustrare l'argomento, riporteremo brevemente quel poco che sappiamo sui primordi della storia degli Artropodi, il tipo più ricco di forme e di specie. Fin dal Cambriano inferiore gli Artropodi sono rap­ presentati da fossili appartenenti a gruppi già ben carat­ terizzati : Trilobiti, Merostomi (con Paleomerus, forma di dubbia ainità trovata nel Cambriano inferiore di Svezia), alcuni Pseudocrostacei o alcuni Crostacei illo­ caridi (Dioxycaris, Osoxys). I loro precursori arcaici resta­ no sconosciuti; tuttavia, un fossile di grandi dimensioni, appartenente alla fauna precambriana di Ediacara, Par­ vancorina, che ha il corpo segmentato, è stato interpre­ tato da certi paleontologi (Termier e Termier, 1968) co­ me la possibile larva gigante di un Artropodo (forse simi­ le alla larva Protaspis dei Trilobitomori). Fore, più sem­ plicemente, si tratta di un " Preartropodo " dai caratteri molto arcaici, anelliforme, supponendo che gli Artropodi derivino da un qualche ceppo di Anellidi, il che è verosi­ mile. Ignoriamo tutto dell'origine degli Insetti. I loro fossili più antichi sono dei Collemboli (Rhyniella), scoperti in depositi del Devoniano medio (vecchio grès rosso) ; sono parenti molto stretti dei Poduri attuali. Massoud ( 1967) inserisce Rhyniella nella famiglia delle Neanuridae, che

' L EVOLUZIONE CREATRICE

59

annovera dei rappresentanti attuali, ed è già altamente evoluta, fatto che autorizza ad afermare che la genesi dei Collemboli è di molto anteriore al Devoniano medio. Massoud conclude che, da quella lontana epoca (380 mi· lioni di anni), c i Collemboli si sono evoluti molto poco » . La stessa situazione si ritrova nei Chelicerati. I pimi Scorpioni (Protoscorpioni) risalgono al Siluriano supe­ riore ed erano, forse, marini; essi sono già perfetta�ente caratterizzati, ma il primo segmento addominale persiste nell'adulto e il preaddome comprende 8 tergiti. Come suggerisce Stormer ( 1955), il miglior conoscitore degli rtropodi paleozoici, il Paleomerus hamiltoni e i suoi analoghi, gli Aglaspis, sensu lato, tutti del Cambria­ no, sono verosimilmente gli antenati dei Merostomi. Il Paleomerus, lungo 9 centimetri, aveva la testa bene indi­ vidualizzata, seguita da 1 1 -12 segmenti formanti l'opisto­ ma e da un telson. Si tratta, non c'è dubbio, di un Artro­ pode tipico, frutto di una già lunga evoluzione, della quale non possediamo alcun anello. In efetti, tutti gli Artropodi cambriani si inseriscono, senza diicoltà, nelle classi attuali, eccezion fatta per i Trilobiti che sono interamente estinti. Ci è consentito supporre che i fossili precambriani, particolamente quel­ li di Ediacara, studiati più in dettaglio, ci riserveranno liete sorprese e che si scoprirà tra di essi qualche pre­ cursore degli Artropodi. Può darsi che Pavancorina ne sia uno. Dall'assenza quasi totale di fossili appartenenti ai ceppi originari dei tipi, deriva che qualsiasi spiegazione del meccanismo dell'evoluzione creatrice dei piani fondamen­ tali di organizzazione sia oberata di pesanti ipotesi. Que­ sta constatazione dovrebbe essere messa in epirafe su tutti i libri che trattino dell'evoluzione. In assenza di do­ cumenti concreti, si può soltanto formulare sulla genesi dei tipi delle supposizioni, delle opinioni di cui non si ha neppure il modo di valutare il grado di verosimi­ glianza. Le classi, per quello che ne sappiamo (si veda in parti­ colare la nascita dei Mammiferi per trasformazione dai Rettili), si formano con variazioni di ampiezza ineguale e soprattutto tramite l'acquisizione di attributi che si

6o

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

aggiungono a poco a poco al piano fondamentale. Non si assiste a nessuno di quegli spettacolari sconvolgimenti anatomici che alcuni biologi avevano predetto. Le mutazioni sistemiche immaginate da Goldschmidt (1 944) e che trasformerebbero da cima a fondo i piani di organizzazione e sarebbero all'oriine dei nuovi tipi, non si manifestano mai nel corso della storia degli Anibi, dei Rettili e dei Mammiferi. Esse sono soltanto una visio­ ne della mente. Le classi dei Mammiferi e degli Uccelli, le più giovani, risalgono, la prima, al Triassico superiore (circa 200 mi­ lioni di anni), la seconda, al Giurassico (circa 1 35 milioni di anni).

La nascita di un gran de tipo di organ izzazione: i Mammiferi

Se si ignora tutto sull'origine dei tipi, si dispone for­ tunatamente di fossili che danno un'idea abbastanza pre­ cisa della formazione di qualcuno dei randi gruppi di animali. Così si conosce, grosso modo, la genesi dei Mam­ miferi per derivazione dai Rettili.l Nel corso di questi ultimi anni le idee sulla storia e sulla composizione della classe dei Rettili sono molto cambiate. L'ipotesi di una dualità di composizione in dal­ le origini è stata battuta in breccia con successo e con argomenti apparentemente solidi. Ma in paleontologia la scoperta di un nuovo fossile può cambiare molto l'aspet­ to delle cose e talvolta fa cadere le interpretazioni che si credevano deinitive.

l . Il lettore non zoologo troverà lunghe e fastidiose le pagine che descrivono la storia dei Rettili che hanno preceduto i Mammiferi. Preferiamo incorrere in questa critica, piuttosto che !asciarci indurre a supericialità. Dsideriamo mosrare coi fatti ciò che realmente è la nascita di un grande tipo di organizzazione. È il modo migliore di mettere in evidenza la discordanza della realtà dalla teoria.

' L EVOLUZIONE CREATRICE

Dai Captorinomorì ai Pelicosauri 1

Sembra che tutti i Rettili, fossili e attuali, siano deri­ vati da uno stesso ceppo : i Captorinomori, che hanno popolato le terre emerse dell'emisfero settentrionale du­ rante il lungo periodo compreso tra il Carbonifero medio e il Permiano medio. Il loro cranio non presentava fosse temporali, la loro stafa massiccia si estendeva dalla ine­ stra ovale al quadrato, che la riceveva in una fossetta ar­ ticolare allungata. La loro anatomia, in tutte le parti co­ nosciute, si rivela arcaica e non specializzata. Essi aveva­ no l'aspetto di massicce Lucertole, molto bassi sulle zam­ pe, con l' omero e il femore disposti su di un piano oriz­ zontale; rassomigliavano, per molti aspetti, ai loro ante­ nati Anibi, gli Stegocefali labirintodonti. Tra i Capto­ rinomori si classiicano i Diadectomori nei quali W atson ( 1 954) vedeva il ceppo dei Sauropsidi (parecchie linee evolutive di Rettili e gli Uccelli), e di cui, oggi, ci si do­ manda se non siano degli autentici Anibi ! Dai Captorinomori nascono molte linee evolutive di cui è diicile sbrogliare parentele e ainità. Noi studiere­ mo solo la linea dei Sinapsidi, caratterizzata dalla pre­ senza di una sola inestra temporale su ambo i lati del cra­ nio, la quale somiglia molto a quello dei Captorinomori e conserva una struttura arcaica. Alla base dei Sinapsidi si colloca l'ordine dei Pelicosau­ ri o Teromori, che compaiono nel Carbonifero superiore e raggiungono il loro apogeo nel Permiano inferiore, per declinare dagli inizi del Permiano medio ed estinguersi nel Triassico inferiore. Le loro specie più antiche e più arcaiche, prossime ai Captorinomori, sono state riunite nel sottordine degli Ophiacodontes, che comprende due famiglie, gli Ophiacodontidae, meno evoluti, il cui lungo muso e i denti arcuati, tutti della stessa forma, hanno suggerito ai paleontologi di attribuire loro un regime ali­ mentare ittiofago, e gli Eothyrididae, decisamente carni­ vori. I due al tri sottordini dei Pelicosauri, anatomicamen­ te specializzati, si compongono di specie sia carnivore, do­ tate di una grande c vela dorsale " (una sorta di grande pinna dorsale stesa sulle apoisi vertebrali spinose), gli l.

Per la classiicazione dei Rettili, vedi pp. 75 sg.

L ' EVOLUZIONE DEL

VIVENTE

Sfenacodonti, sia erbivore, gli Edafosauri, con denti pala­ tini molto numerosi e arrotondati in cima e con mandi­ bola armata di denti della stessa forma, inseriti in una estensione latero-interna di fronte ai palatini, il tutto a formare una potente macina frantumatrice. Ne è esem­ pio estremo il Coty lorhynchus, del Permiano inferiore. Gli Oiacodonti, e forse i Varanopsidi, tra gli Sfenaco­ donti, sembrano essere i soli Pelicosauri troppo poco spe­ cializzati (senza vela dorsale) per aver potuto dare origine ai Terapsidi. I caratteri mammaliani o pre-mammaliani dei Pelico­ sauri sono scarsi, poco evidenti, ma reali (vedi pp. 75-76).

l Teriodon ti, an tenati dei Mamm iferi

A partire dal Permiano medio, i Pelicosauri cedono il passo ai Terapsidi che li soppiantano e che, a loro volta, si estinguono nel Triassico superiore, sopravvivendo nei Mammiferi, loro eredi naturali. a storia dell'ordine 1 dei Terapsidi presenta un inte­ resse eccezionale : essa ci insegna come nasce una classe, quella dei Mammiferi, ricca di novità. I fossili che te­ stimoniano questa storia sono molto numerosi e spesso in ottimo stato di cònservazione. I Terapsidi si dividono in tre sottordini : Phtinosuchi, Teriodonti, Anomodonti.2 I più antichi e i meno evoluti sono i Ph tinosuchi,3 che avevano l'aspetto di comuni Lucertole, testa lunga e alta, muso stretto, occhi molto arretrati, un foro pineale. La loro alta fossa temporale si inclinava all'indietro. Il cra­ nio si articolava alla colonna vertebrale mediante un uni­ co condilo. L'orbita era separata dalla fossa temporale, spostata nettamente indietro, per mezzo di una stretta l. Dato che i Mammiferi formano una classe, sarebbe logico con­ siderarli al di sotto dei Terapsidi che, tuttavia, considerati nell'insie· me dei Rettili, costituiscono solo un ordine. La gerarchia sistematica sfuma nella prospettiva evolutiva. 2. Non parleremo né degli Anomodonti, né dei Titanosuchi (classii­ cati nei pressi dei Gorgonopsi) che sono restati estranei alla storia dei Mammiferi. 3. I Phtinosuchi erano classiicati ino a poco tempo fa tra i Terio ­ donti, nell'infraordine dei Gorgonopsi.

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

barriera, l'arco temporale, costituita dall'osso postorbitale e da quello j ugale. Le loro mascelle erano armate di denti robusti che, per la loro forma, si diferenziavano in inci­ sivi stretti, in canini molto più lunghi, e in numerosi postcanini, lunghi e acuti. È la dentatura di un carnivoro, a funzione prensile e laceratrice. Questi Phtinosuchi erano di grandi dimensioni; il ra­ nio di Ph tinosuchus misurava 20 centimetri di lunghezza. I fossili sono stati ritrovati soltanto nel Permiano supe­ riore di Russia. Con i Teriodonti, che sembrano discendere dai Ph tino­ suchi, il cammino verso l'organizzazione dei Mammiferi si precisa vieppiù (ig. 4). I numerosi generi che li com­ pongono si distribuiscono in tre grandi linee evolutive : i Gorgonopsi, i Cinodonti e i Terocefali. I due ultimi han­ no dato origine a linee secondarie. Per il loro cranio spesso e allungato, ove esistono due ossa postfrontali, i Gorgonopsi somigliano ai Phtinosuchi, loro presunti antenati. e loro fosse temporali, piccole e basse, sono distanziate tra loro, e ricordano quelle dei Pelicosauri. Complessivamente, i primi Gorgonopsi, che erano più piccoli dei loro antenati Pelicosauri, non ne diferivano molto. Sempre conservando alcuni caratteri primitivi, i Gorgonopsi hanno acquisito alcuni caratteri mammaliani; ma è accaduto che si sono eccessivamente specializzati come predatori. I loro smisurati canini (per esempio in Digorgodon) richiamano alla mente quelli dei Machairodus del Quaternario, mentre i denti situati die­ tro i canini si riducevano di numero e di grandeza, al punto da perdere del tutto la funzione masticatoria. Que­ sti predatori raggiungevano grandi dimensioni (il cranio di Digorgodon misurava circa 37 cm) ; le loro ossa crani­ che erano molto spesse e convesse. È innegabile che i Gorgonopsi, pur non essendo lungo la linea di ascendenza diretta dei Mammiferi, ne possie­ dano alcuni caratteri. L'osso dentale, molto inrandito, abbozza ampiamente un'apoisi coronoide; la muscolatura masticatrice vi si inserisce parzialmente; il quadrato, ri­ dotto, non si connette più strettamente con lo quamoso, a sua volta diminuito; la sua liberazione, che lo trasfor­ merà nell'incudine, è già preparata. La stafa, che nei Pe­ licosauri era un pilastro massiccio che andava dalla ine­ stra ovale al quadrato e al paraoccipitale, si allegerisce

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

molto e tende ad assumere una struttura laminare am­ piamente perforata dalla inestra della stafa attraversata dall'arteria omonima. Gli arti assai gracili, dovevano es­ sere più diritti di quelli dei Captorinomori o dei Phtino­ suchi. I Gorgonopsi ebbero vita breve : alla ine del Per­ miano si estinsero per cause sconosciute, connesse forse alla loro specializzazione. I Teriodonti, diversamente dai Gorgonopsi, formano un complesso le cui specie mostrano, in maggiore o minor misura, caratteri mammaliani. I paleontologi li suddivi­ dono in cinque infraordini, e cioè : Cinodonti, Tritilo­ donti, Terocefali, Bauriamori, Ittidosauri, di individua­ lità assai netta, ma di parentela incerta. I paleontologi sono concordi nell'ammettere l'esistenza di una continuità evolutiva che va dai Cinodonti primi­ tivi del Permiano superiore ai Tritilodonti e agli Arami­ di. L'infraordine, cosi interessante, degli lttidosauri si riallaccia, secondo alcuni, ai Cinodonti (Hopson e Cromp­ ton, 1969), e secondo altri (Ginsburg, 1 970) ai Terocefali­ Bauriamori. L'acquisizione dei caratteri mammaliani, tutti i paleon­ tologi lo constatano (vedi particolarmente Crompton, 1 969), non è stato privilegio di un ordine particolare, ma di tutti gli ordini ch e compongono i Teriodonti, an­ che se, ne conveniamo, in misura ineguale. « This progres­ sive evolution toward mammals has been most clearly noted in three groups of carnivorous Therapsids : the Therocephalia, Bauriamorpha and Cynodontia each of which at one time or another has been considered ances­ tral to some or ali mammals . .t Il modellarsi della forma di Mammifro, che è durato da 50 a 60 milioni di anni, s'è operato senza randi sbalzi, insensibilmente. Le tendenze evolutive che si manifestano in tutte le linee di Teriodonti sono le seguenti : nella mandibola, l'osso dentale si estende all'indietro, il suo orlo supero­ posteriore dà luogo a una protuberanza appiattita che, nei Mammiferi, prende il nome di apoisi coronoide, men1.

« Questa evoluzione progressiva verso i Mammiferi è stata osser­ vata con maggior chiarezza in tre gruppi di Terapsidi carnivori : i Terocefali, i Bauriamori e i Cinodonti, ciascuno dei quali è stato ;Onsiderato, una volta o l'altra, l'antenato di alcuni o di tutti i Mammiferi ».

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

tre il suo orlo inferiore spinge verso l'indietro un prolun­ gamento orizzontale. Le ossa postdentali (angolare, arti­ -colare, prearticolare, soprangolare) subiscono una forte riduzione. Un carattere, che non è appannaggio dei soli Mammi­ feri, l'omeotermia, sembra essere esistito in un rande numero di Terapsidi, se non in tutti. Le loro ossa sono ibrolamellari, ittamente vascolarizzate, e somigliano mol­ to alle ossa di Havers dei Mammiferi e degli Uccelli. Que­ ·sta struttura è legata a una crescita continua, resa pos­ sibile dalla temperatura corporea costante; si è afermata, nei Teriodonti, con una evoluzione lenta e progressiva. Si suppone che l'omeotermia delle specie più evolute rassomigliasse a quella, imperfetta, dei Monotremi attuali. Nei Rettili a temperatura variabile (pecilotermi), l'osso -cresce in modo discontinuo; è caratterizzato da una strut­ tura lamellare zonale e si accresce per strati più o meno - concentrici, che sembrano corrispondere ai ritmi stagio­ nali (A. de Ricqlès, 1 972 a e b). Molto prima di ragiungere lo stadio pre-mammaliano, i Teriodonti non erano più animali a sangue freddo; di­ pendevano meno strettamente dall'ambiente e temevano meno le grandi escursioni della temperatura esterna. Ben­ ché non si riesca a coglierne chiaramente le ragioni, è possibile che l'omeotermia sia stata una delle prime ac­ quisizioni della mammalizzazione dei Teriodonti. A. de Ricqlès ha elencato le conseguenze dell'omeotermia sulla isiologia e il comportamento dell'animale : metabolismo generale più elevato e metabolismo fosfocalcico intenso, -crescita più rapida e continua, maggiore attività.

La linea dei Cinodonti

I pm antichi Cinodonti (Permiano superiore) hanno :alcuni caratteri che li apparentano ai Bauriamori scalo­ posauridi, ma risultano più ' mammalizzati ' : il condilo occipitale è ben diviso, l'epipterigoide prolungato in rap · porto all'osso prootico, nella mandibola l'osso angolare non ha che una lamina ripiegata ridotta. I Cinodonti SO· no dotati tipicamente di un prootico orlato da un cercine -prominente. Il palato secondario è completo, i denti ju-

66

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

gali, benché piccoli e numerosi, sono multicuspidati. Que­ sti due caratteri li ritroviamo nei Bauriamori scolopo­ sauridi evoluti. Come in questi ultimi, il contatto tra denti jugali superiori e inferiori risulta imperfetto. I Ci­ nodonti non presentano più gli spazi palatosuborbitali che sono un carattere arcaico conservato da qualche Pro­ cinosuchide (famiglia di Cinodonti permiani) e perduto dai Cinodonti triassici. Il rilievo della supericie di contatto di certi denti ju­ gali compresa la cuspide g (Kihnecone) dello stesso Thri­ naxodon somiglia a quello dei Diarthrogna thus ( =Eozo­ strodon?). Secondo Crompton e Jenkins (1 968), questa rassomiglianza attest a la derivazione di Diarthrogna thus e generi aini a partire da Cinodonti del tipo Thrina­ xodon. I Cinodonti trinassodontidi non sono meno ricchi, da i canto loro, di caratteri rettiliani, quali la sostituzione al­ ternativa dei denti, il contatto imperfetto tra i denti ju­ gali superiori e inferiori, la presenza di coste espanse fuse con le vertebre lombari. Non si deve dimenticare che, se si eccettuano i Trinas­ sodontidi, gli altri Cinodonti sono anatomicamente trop­ po specializzati, sia come carnivori (per esempio, Cyno­ gnathus), sia come erbivori (per esempio, Diademodon) per poter appartenere alla ascendenza diretta di qualche gruppo di Mammiferi; tale è per lo meno l'opinione di Hopson e Crompton che, dal canto nostro, riteniamo fondata. Tuttavia, questi Cinodonti hanno subìto una tendenza alla mammalizzazione; la storia dei Traverso­ dontidi lo testimonia. Questi Cinodonti erbivori vivevano nel Triassico medio nell'Africa australe e in Sudamerica. I più antichi, come Scalenodon, possedevano denti jugali simili a quelli dei Diademodon, fatto che può suggerire una possibile iliazione. Nei Traversodontidi questi denti si modiicarono, divenendo atti a recidere e a triturare; nello stesso tempo la mandibola, grazie a una maggior lassezza della sua articolazione, poteva eseguire dei movi­ menti avanti /indietro e trasversali; i canini si ridussero, mentre certi incisivi si allungarono, assumendo una po­ sizione molto obliqua. I paleontologi ammettono che nel Triassico superiore i Tritilodontidi sono i continuatori naturali dei Cino­ danti Traversodontidi ino al Giurassico medio.

' L EVOLUZIONE CREATRICE

I Rettili pre-mammalian i derivati dai Cinodon ti

I Tritilodonti,l benché specializzati, hanno evidenti ai­ nità con i Mammiferi. La loro orbita, non chiusa poste­ riormente mediante una barra postorbitale, comunica con la fossa temporale. Le ossa prefrontale, postfrontale, po­ storbitale sono sparite, come nei Cinodonti; la base cra­ nica somiglia a quella di questi ultimi. Nessun foro pi­ neale buca la volta cranica. I denti sono diferenziati in incisivi, di cui il secondo ha un aspetto caniniforme (6 per ogni mascella), in denti j ugali, simili a quelli dei Mammiferi multitubercolati che compaiono nel Purbe­ ckiano (Giurassico superiore) e si estinguono nell'Eocene. Un ampio diastema separa i denti canini da quelli jugali, su cui si allineano, in ile longitudinali, delle cuspidi se­ milunari, 3 in alto e 2 in basso. I denti, come quelli dei Mammiferi, si inseriscono mediante delle radici poste in alveoli profondi; i denti j ugali superiori hanno 2 radici anteriori e 3 posteriori, gli inferiori ne hanno soltanto due, una davanti e una dietro. La mandibola presenta un interesse considerevole. È quasi interamente costituita dall'osso dentale; il suo proi­ lo è di Mammifero, con una branca ascendente che si pro­ lunga in una apoisi coronoide apparentemente ben svi­ luppata (nei pezzi in possesso dei paleontologi, la branca ascendente è incompleta). L'osso quadrato, che è piccolo (4 mm di altezza), si connette in modo lasco alla parete cranica mediante legamenti : la sospensione è del tipo streptostilico. L'articolazione della mandibola con il cra­ nio avveniva, dunque, ancora per mezzo del quadrato e dell'articolare, e mancava di stabilità; ma essa doveva sopportare solo in parte le trazioni dei muscoli mastica­ tori che, inserendosi sul dentale a livello dei denti, non la caricavano della totalità degli sforzi. Lo squamoso è un osso assai fragile contro cui si m­ della in parte il condotto uditivo esterno; esso presenta una cavità glenoide a non funzionale dato che nessun oso della mandibola vi risulta applicato. Ecco quello che seril. Disponiamo di parti importanti dello scheletro di tre generi : Tridylodn (Triassico superiore), Africa del Sud; Bienotheriu m (Triassico superiore), Cina; Oligokyphus, Europa (Retico superiore, Charmoutiano).

68

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

ve Devillers ( 1 96 1 , p. 204) al riguardo : " Il luogo della cavità presuntiva è già visibile, benché l'articolazione del dentale non sia ancora formata » . Avremo occasione di riparlare di questo fatto assai sorprendente. Per molti altri caratteri, i Tritilodonti sono dei Pre­ mammiferi : possiedono, infatti, un palato osseo che si estende posteriormente quasi quanto le arcate dentarie; una articolazione cranio-mandibolare che è situata molto al di sopra dei denti j ugali; due condili occipitali... Le possenti arcate zigomatiche, le creste sagittale e lamboi­ dea che innalzano la supericie del cranio, l'ampia fossa temporale in comunicazione con l'orbita, sono tutti ca­ ratteri mammaliani. Il prefrontale, il postfrontale, il post­ orbitale sono scomparsi. Tuttavia, in numerosi tratti anatomici, i Tritilodonti restano dei Rettili. Nel cranio, l'osso parasfenoidale è ben sviluppato, mentre nei Mammiferi scompare (lascian­ do, in qualcuno, delle vestigia), la inestra post-temporale persiste. La cavità cranica è piccola, relativamente molto più ridotta che non nei Mammiferi, anche di quelli meno dotati cerebralmente (Monotremi, Marsupiali). La colonna vertebrale non si suddivide in regioni di­ stinte; tutte le vertebre presacrali portano delle costole. Gli arti sono ancora disposti trasversalmente; tuttavia il cubito (u lna) mostra una forma che sembra consentire una certa rotazione del radio su di esso, fatto che annun­ cia la pronazione e la supinazione che la maggior parte dei Mammiferi è in grado di eseguire. I cinti, d'altra parte non perfettamente conosciuti, sono più rettiliani che mammaliani. Nel cinto toracico, il co­ racoide e la scapola formano la cavità glenoidea; il pre­ coracoide, ridotto, si salda alla scapola. La struttura del cinto pelvico, malgrado le opinioni di Kihne (1956) e Devillers ( 1 961) non è in tutto e per tutto quella di un Mammifero. Complessivamente, i generi Tridylodon, Bienotherium e O ligokyphus, benché siano fortemente orientati verso i Mammiferi, non hanno cessato di appartenere alla classe dei Rettili. La prudenza s'impone quando si tratta di assegnar loro una collocazione sistematica precisa, tanto più che noi non sappiamo se questi animali erano dotati di un rivestimento di squame o di peli, e se la loro tem-

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

6g

peratura era costante oppure se si equilibrava con quella dell'ambiente esterno. Per apprezzare con esattezza il valore ' evolutivo ' dei Tritilodonti, non si dimentichi che si trattava di animali che, probabilmente, conducevano un modo di vita assai particolare, e si nutrivano di alimenti vegetali che richie­ devano una forte triturazione o uno sminuzzamento che i loro denti sembra siano stati capaci di eseguire. Non si sa che signiicato attribuire alla proclività dei loro incisivi che non formano lo scalpello caratteristico dei Roditori : gli incisivi di Bienotherium e d'O ligokyphus sono discre­ tamente simili a quelli degli lnsettivori soricidi che, agen­ do come una pinza, aferrano piccole prede vive; ma si tratta soltanto di una grossolana approssimazione. Si può solamente afermare che con una anatomia dentaria così particolare i Tritilodonti dovevano avere, con ogni ve­ rosimiglianza, dei comportamenti specializzati. Nel complesso, essi costituiscono un ramo dei Terio­ donti che, senza aver avuto discendenza forse a causa del­ la specializzazione eccessiva, si è fortemente avvicinato alla forma mammaliana.1 Un'altra linea di Cinodonti ofre all'evoluzionista fat­ ti del più grande interesse. Vogliamo alludere alla fa­ migli a sudamericana dei Ciquinodontidi, magistralmente studiata da Romer, 1 970. Viveva nel Triassico medio. Es­ sa presenta la particolarità di possedere il primo accenno di una articolazione squamoso-dentale, realizzata in Pro­ bainognathus jenseni. L'osso dentale, con un angolo infero-posteriore ben netto, porta una solida apoisi coronoide, il cui orlo po­ steriore invia all'indietro un prolungamento a forma di lamina triangolare, che va ad applicarsi sulla supericie esterna del soprangolare terminando pressoché all'estremi­ tà distale di questo osso. Questo ' sperone ' del dentale giunge a contatto con lo squamoso, o quasi, proprio come l'estremità distale del soprangolare. Ora, e questo è il punto capitale per l'evoluzionista, lo squamoso di fronte l . Si è ritenuto in passato che Tritilodonti e Multitubercolati ap­ partenessero a una medesima sottoclasse di Mammiferi; le ricerche di Watson ( 1 42) hanno dimostrato che questa opinione era erronea . Le rassomiglianze fra Tritilodonti e Multitubercolati sarebbero sol­ tanto supericiali.

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE a questo sperone presenta una depressione che sembra es­ sere l'abbozzo di una fossa glenoidea. Si coglie qui lo stadio che precede di poco, di molto poco, l'articolazione dentale-squamosa che caratterizza in alto grado la strut­ tura del Mammifero. Romer ha fatto notare che i Cinodonti ciquinodontidi (Ch iquinodon, Belesodon, Pro belesodon , Pro baignogna­ thus), tutti del Triassico medio, hanno una struttura non specializzata e di conseguenza sono liberi di evolversi in svariate direzioni. Essi derivano, forse, dai Galesauridi (Thrinaxodon) e si avvicinano ai Mammiferi per il palato secondario perfettamente sviluppato, per l'articolazione dentale-squamosa pressoché realizzata; di contro il loro dentale non possiede ancora un condilo articolare, il suo sperone resta piatto e termina a punta; il loro quadrato è notevolmente debole. I segni precursori di una articolazione dentale-squamo­ sa sono stati rilevati in Trirhachodon e Massetognathus (due Traversodontidi), che presentano una protuberanza netta sull'orlo ventrale dello squamoso nella regione del­ l'articolazione mandibolare. Crompton (1 963) e Romer (1 970) ritengono che questo rilievo rinforzi l'articolazione quadrato-articolare che, date le piccole dimensioni del­ l'osso articolare, manca di stabilità. In efetti, e lo si vedrà più chiaramente nel caso degli Ittidosauri, la cesura sistematica Rettili /Mammiferi, fon­ data sul modo di articolazione della mandibola, che co­ stituiva il criterio fondamentale, sfuma davanti ai tipi intermedi portati alla luce dalla paleontologia. Inoltre i Mammiferi triassici, giurassici, nonché cretacei, conserva­ no nella loro mandibola il ricordo della loro origine ret­ tiliana. Comunque sia, Romer, considerando i loro tratti mam­ maliani e la loro struttura generale, vede, nei Ciquino­ dontidi, i Teriodonti che riuniscono egregiamente le con­ dizioni che ci si aspetta di trovare negli ascendenti di­ retti dei Mammiferi.

' L EVOLUZIONE CREATRICE

I Terocefali-Bauriamori

La seconda grande linea evolutiva di Teriodonti inizia con i Terocefali che derivano, forse, da un Gorgonopsio arcaico o anche da un Ph tinosuch io; molto presto, essi hanno realizzato il tipo terocefalo che, progressivamente, si è evoluto nel tipo bauriamorfo. Anatomicamente questi Rettili sono arcaici; il loro :ranio massiccio, con muso lungo e appiattito, mostra due fosse temporali molto ravvicinate, fatto che li distin­ gue dai Gorgonopsi. Il loro epipterigoideo è ben svilup­ pato. La tendenza alla riduzione del numero delle ossa è evidente, ma discreta; il parietale manca, come spesso i postfrontali. Il palato secondario è assente, ma in qual­ che esemplare (Whaitsia, per esempio) la parete superiore della cavità boccale è concava e prelude quindi in certo modo alla chiusura che sarà operata da un palato secon­ dario.1 La formula delle falani è da mammifero : 2, 3, 3, 3, 3 e non da rettile. Il quadrato e il quadrato-jugale sono di piccole dimensioni. I Terocefali non sono sfug­ giti alla specializzazione e hanno esasperato i loro carat­ teri di carnivori predatori : incisivi e canini molto grandi, denti j ugali taglienti che scompaiono nella famiglia dei Waitsidi; alcuni raggiungevano dimensioni notevoli (cra­ nio lungo una trentina di centimetri). Come i Gorgonopsi, i Terocefali si estinguono alla ine del Permiano. In efetti, essi passano cosi insensibilmente ai Bauriamori che certi paleontologi conservano i due ruppi in una stessa unità sistematica. I Bauriamori, a quanto sembra, hanno avuto come an­ tenati i Pristerognatidi, classiicati alla base dei Terocefa­ li. Si ammette attualmente che essi hanno dato origine a due linee principali : l'una che comprende gli Ittido­ suchidi e i Bauriidi, l'altra gli Scaloposauridi e gli Erio­ lacertidi. Gli Ittidosuchidi includono forme arcaiche, vicine ai Terocefali, senza palato secondario; il genere lctidosuL È stato recentemente dimostrato che i Terocefali più primitivi {Pristerognatidi) mostravano già un abbozzo di palato osseo seconda· rio e due canini in entrambi i lati della mascella superiore, fatti che testimoniano ulteriormente la loro netta tenden2a mammaliana �Mendrez, 1 972).

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE chops, il meglio conosciuto, è vissuto dal Permiano su­ periore ino agli inizi del Triassico nel Sudafrica (Ta­ tariano superiore). I Bauriidi segnano una evoluzione nettissima rispetto alla famiglia precedente; hanno un pa­ lato secondario, anche se i palatini non partecipano alla sua formazione; il loro condilo occipitale è in via di rad­ doppiamento, il foro pineale è scomparso. La volta cra­ nica è sormontata da una cresta sagittale, di mediocre altezza. La barra postorbitale è interrotta. I denti postcanini ( = denti j ugali) sono interessanti per la supericie di contatto su cui sporgono delle piccole cuspidi. La mandibola ha struttura rettiliana; le ossa postdentali si presentano fortemente sviluppate, specie l'articolare, ma il dentale predomina comunque. Complessivamente, i loro caratteri mammaliani consi­ stono nella massa facciale stretta davanti alle arcate zi­ gomatiche sporgenti, nella posizione molto anteriore del­ le narici (carattere di scarso rilievo), nelle grandi dimen­ sioni del dentale, nel rilievo dei denti jugali, nel palato secondario. La seconda linea comprende la famiglia degli Scalo­ posauridi, Rettili di mediocri dimensioni (testa lunga da 8 a 9 cm), che vivevano nel Permotriassico e nel Triassic­ inferiore. I caratteri mammaliani sono meno marcati che nei Bauriidi. Il palato secondario è solamente abbozzato mediante i due mascellari che entrano in contatto tra di loro. a barra postorbitale è incompleta (carattere poco importante). I parietali sono ampiamente sviluppati. Il foro pineale è scomparso, come pure le ossa postfrontali. L'angolare è di piccole dimensioni. La regione otica so­ miglia abbastanza a quella dei Mammiferi. Nei pressi degli Scaloposauridi si pone una famiglia he annovera ino a oggi un solo genere, Ericiolacerta, dei Triassico inferioe (zona del Lystrosaurus), ben conosciu­ to grazie ai lavori che Watson gli ha dedicato (193 1). Questo Rettile di piccole dimensioni (cranio lungo 4, 5 cm) mostra dei caratteri che attestano una spiccata evo­ luzione verso la specializzazione. Ha il palato secondario· completo, e i palatini contribuiscono a formarlo; il foro, pineale è assente; è presente un solo condilo occipitale, la base cranica è riferibile al tipo « bauriamorfo »; la colonna vertebrale presacrale non si diferenzia in regione dorsale e regione lombare.

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

73 Gli arti lunghi e gracili sembrano adatti alla corsa. Il piede è dotato di un calcaneum notevole, che si proluna posteriormente in un grosso tubercolo calcaneale, struttu­ ra che caratterizza il piede del Mammifero. È possibile che Ericiolacerta sia stato un digitigrado. Il suo cinto scapolare è rettiliano, ma ha un cleithrum ridotto allo stato vestigiale. Tuttavia, gli ultimissimi Bauriamori presentano più tratti arcaici dei Cinodonti, loro contemporanei ; ad esem­ pio, la loro mandibola è simile a quella dei Gorgonopsi o dei Terocefali, in cui la massa dei muscoli adduttori esterni dell a mandibola non è diferenziata in muscolo massetere e muscolo temporale, mammaliani, come si ri­ scontra nei Cinodonti (Barghusen, 1 968).

Gli Ittidosauri, altri Rettili pre-mammaliani

Dai Bauri amori è derivata una forma interessante : il Diarthrognathus broomi, che, da solo, costituisce l'infra­ ordine degli Ittidosauri. Ne è stato reperito un cranio incompleto nel Triassico superiore del Sudafrica.t La grande novità, ed è di notevole importanza, appor­ tata da questo Teriodonte, consiste in una duplice arti­ colazione della mandibola con il cranio. L'osso articolare, come in tutti i Rettili, si articola con il quadrato che lo riceve in una depressione a doccia. articolandosi a sua volta con lo squamoso, senza che si abbia una riduzione più spinta delle ossa postdentali; il dentale, mediante un lungo processo, già visibile nei Ci­ nodonti, si articola anch'esso con il cranio, in una de­ pressione dello squamoso, la doccia glenoidea. La mandibola si trova dunque connessa al cranio me­ diante due articolazioni, una da Rettile e l'altra da Mam­ mifero. La coesistenza di due caratteri, l'uno (il nuovo) ' destinato ' a rimpiazzare l'altro (l'arcaico), è un fenome­ no così raro da meritare una menzione particolare. È importante notare la completa indipendenza dell'articol. Riguardo all'origine degli Ittidosauri, i pareri sono divisi. Hopson e Crompton (1 63) li fanno derivare dai Cinodonti, senza precisar· ne altrimenti gli antenati.

74

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

!azione mammaliana rispetto a quella rettiliana. Tutta questa evoluzione non ha nulla a che vedere con delle mutazioni. Il cranio, che rimane basso, ailato davanti e largo die­ tro, è stato oggetto, nei pezzi in nostro possesso, di uno studio approfondito che ha rivelato una mescolanza di caratteri rettiliani e mammaliani. I principali caratteri mammaliani sono la parete me­ diale dell'orbita formata dal frontale e dal palatino, la scomparsa del frontale e del postorbitale, la riduzione del ramo trasversale del pterigoideo, l a predominanza del dentale su tutte le altre ossa della mandibola, l'articola­ zione dentale-squamosa, i due condili occipitali. Mancando la parte anteriore del cranio, non è possibile sapere se Diarthrognathus possedeva o no un palato se­ condario.

L'evo luzione della muscolatura mastica trice

Questa muscolatura, studiata in modo particolare da Barghusen ( 1 968), presenta un interesse eccezionale dato che si evolve in correlazione con lo scheletro mandibola­ re; lo stato funzionale della mandibola è il tributario immediato di questa evoluzione. I Teriodonti, diversamente dai Cinodonti, possedevano una massa muscolare adduttrice indivisa che si inseriva principalmente, da un lato, sulla cresta sagittale e sulla fascia che ricopre la fossa temporale - ma non sull'ar­ cata zigomatica, ad eccezione forse della porzione poste­ riore - e, dall'altro Iato, sull'orlo dorsale e sulle super­ ici interne dell'apoisi coronoide e dell'osso soprangolare. In questi Teriodonti l'apoisi in questione era così vicina all'arcata zigomatica che la muscolatura non passava sotto di essa per inserirsi sulla supericie latero-esterna del dentale. Questa evoluzione è stata lenta e proressiva. Così, nei Cinodonti del Permiano l'arcata zigomatica appare molto più convessa di quanto non Io sia nei Bauriamori con­ temporanei; essa lascia un ampio spazio vuoto tra sé e l'apoisi coronoide che, sulla sua metà superiore esterna, è incavata per permettere l'inserzione di un muscolo. È la

75 prima indicazione, nei Rettili Teriodonti, della preseza di un muscolo che ricorda il massetere e che si inserice da un lato sull'arcata zigomatica e dall'altro sulla faccia latero-esterna del dentale. Nel più conosciuto dei Cinodonti del Triassico inferio­ re, il Thrinaxodon (un Galesauride), la fossa masseterica si è molto ingrandita e si estende ino all'orlo inferiore del dentale; in da allora il massetere è sviluppato come nei Mammiferi. In accordo a questa estensione del mu­ scolo, l'osso dentale si allunga all'indietro molto di più che nei Procinosuchidi e acquista una apoisi coronaria più robusta e una più spiccata curvatura angolare. Nei Tritilodonti, l'estremità inferiore del massetere si attacca interamente sul dentale, dove la sua inserzione scava una fossetta molto marcata. Durante tutta l a storia dei Terapsidi, antenati dei Mammiferi, l'evoluzione delle parti ossee della mandibola e l'evoluzione degli elementi motori, i muscoli, sono state strettamente coordinate. Lo stesso si è veriicato nel caso della innervazione. La tra­ sformazione della mandibola di Rettile in mandibola di Mammifero si è potuta realizzare soltanto grazie a una triplice coordinazione che ha riguardato simultaneamente ossa, muscoli e nervi . Questa è l'evoluzione; non un mo­ saico di variazioni aleatorie, che colpiscono a caso, in un momento qualsiasi. ' L EVOLUZIONE CREATRICE

Ricapitolazione degli attributi mammaliani dei Terapsidi e dei Pelicosauri) loro an tenati

Al ine di facilitare la lettura delle prossime pagine, ricapitoleremo qui di seguito i principali caratteri mam­ maliani dei Rettili Pelicosauri e Terapsidi. ORDINE DEI PELICOSAURI (dal Carbonifero superiore al Triassico inferiore) : regressione del sovratemporale; mi­ grazione delle narici verso l'estremità del muso; stafa as­ sottigliata, biida, articolata con il quadrato in rapporto con il timpano. I Pelicosauri sono considerati gli antenati dei Terapsidi, i quali a poco a poco li hanno sostituiti. ORDINE DEI TERAPS IDI : comparsa progressiva di strutture mammaliane : palato secondario, stafa bacilliforme, for-

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

mazione di una potente arcata zigomatica (j ugale e squa­ moso), ecc. Sottordine dei Ph tinosuch i (inizi del Permiano supe­ riore di Russia) : mascellare molto sviluppato; omero lun­ go; stafa bacilliforme, ridotta. Sottordine dei Teriodonti : predominanza del dentale; riduzione delle ossa postdentali e del quadrato; tendenza all'eterodonzia (incisivi, canini, denti jugali). lnfraordine dei Gorgonopsi (Permiano superiore, Afri­ ca, Australia e Russia) : riduzione numerica dei denti jugali; prolungamento posteriore dei premascellari brevi ; vomeri fusi; arti gracili e raddrizzati. Infraordine dei Cinodonti (dall'ultima parte del Per­ miano superiore al Triassico medio, forse superiore; Afri­ ca australe, Russia, Cina, America del Sud) : palato se­ condario completo formato dalle apoisi dei mascellari e dei palatini; prolungamento posteriore dei premascellari brevi; due condili occipitali ma piccoli e molto ravvici­ nati; niente postfrontali; foro pineale piccolo : epipteri­ goideo che partecipa a formare la parete del neurocra­ nio; un alisfenoide al posto di un pleurosfenoide; branca ascendente del dentale abbozzata; forte apoisi coronoide; inizio della diferenziazione delle costole in dorsali e lombari. lnfraordine dei Tritilodonti (Triassico superiore, Afri­ ca del Sud, Europa, Asia, America del Nord) : assenza di prefrontale, di postfrontale, di postorbitale; denti jugali dotati di due o tre radici; due condili occipitali ; meato uditivo interno; vertebre platiceli. lnfraordine dei Terocefali (Permiano superiore, Afri­ ca australe, Russia) : formula delle falangi : 2, 3 , 3, 3, 3 ; i l postfrontale manca i n Euchambersia. lnfraordine dei Bauriamori (dal Permiano superiore al Triassico inferiore, Africa australe) : riduzione o per­ dita della barra postorbitale; palato secondario (nelle specie evolute) ; condilo occipitale in via di raddoppia­ mento, unico in certe specie (Ericio lacerta). lnfraordine degli Ittidosauri (Infra-Lias dell'Africa au­ strale) : articolazione mandibolare doppia; prefrontale e postorbitale assenti; riduzione del ramo trasversale del pterigoideo; inversione delle superici articolari delle os­ sa posteriori della mandibola; frontale e palatino contri­ buiscono a formare la chiusura orbitale mediale.

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

77 La paleontologia mostra che la seriazione dei caratteri di un gruppo segue la cronologia. È cosi che nei Terio­ donti troviamo dei caratteri del tipo dei Vertebrati (tra­ lasciando quelli, più antichi, che sono stati acquisiti pri­ ma di realizzare la condizione vertebrata), i caratteri della classe (Rettili), dell'ordine (Terapsidi) e inine dell'infra­ ordine (che sono quelli terminali della linea evolutiva). Deiniremo una categoria a parte per i caratteri mamma­ liani saltuari presenti nelle diverse linee evolutive, fami­ glie, ecc. dei Teriodonti. Come in una ontogenesi, i caratteri più generali sono i primi a comparire (caratteri del tipo : piano di organiz­ zazione), in seguito si manifestano quelli che testimonia­ no gli inizi della specializzazione e, inine, i caratteri del­ la famiglia, del genere e poi della specie. La igura 4 mo­ stra i rapporti teorici tra i diversi rami di Teriodonti. CR

CL CM

=

caratteri generali che provengono dai caratteri ancestrali dei Vertebrati e dei Rettili, costanti (essi governano particolarmente i meccanismi cellulari fondamentali). caratteri della linea, costanti. caratteri mammaliani, variabili, che appaiono sporadicamente.

È negli infraordini dei Tritilodonti e degli lttidosauri che si trovano riuniti, in maggior numero, i caratteri mammaliani. Gli Anomodonti, che sembrano derivare con rande probabilità dai Ph tinosuch i (dal Permiano medio al Triassico inferiore), formano un insieme complesso di Rettili vegetariani che non si sono evoluti in senso mam­ maliano. Non dobbiamo prenderli qui in considerazione. Kiihne ( 1 956) ha issato in 10 i caratteri mammaliani presentati dai Terapsidi del Triassico medio e superiore (Anomodonti esclusi), e cioè : l , olocranio; 2, tuber calcis; 3, epipterigoideo in placca; 4, palato secondario; 5 , dop­ pio condilo occipitale; 6, chiusura del foro pineale; 7, perdita della barra postorbitale; 8, chiusura del foramen ectocondilare; 9, acromion libero; 1 0, formula delle falan­ gi : 2, 3, 3, 3, 3 . Dal canto nostro aggiungiamo l'estensione del dentale, la riduzione delle ossa postdentali, del quadrato e dello squamoso.

Ceppo dei Mammiferi (Prototeri, Metateri, Euteri)

CM ·:: l

1

o

g

:;

CL

CM

. ..

� o



CL

5

________,

lI[D C L : - CR :

i

CM :

Ceppo d'origine :

Phtinosuchi

Carateri della linea evolu tiva

Caratteri rettiliani

Caratteri mammaliani

Fig. 4. Diagramma della ripartizione dei carateri rettiliani e mam­ maliani e propri della linea evolutiva in rami diferenti di Terio­ donti.

L' EVOLUZIONE CREATRICE

79

Tuttavia nessun Teriodonte riunisce in sé tutti questi caratteri : Diademodon, il meglio conosciuto dei Cinodon­ ti, ne assomma solo 5, e Cynognathus 4. Ai caratteri enu­ merati i Tritilodonti aggiungono denti j ugali a 2-3 radici, un meato uditivo interno, la perdita del prefrontale e del postorbitale, vertebre platiceli, coste che si articolano con le vertebre come nei Mammiferi Euteri, una apoisi odontoide (ax is), costole cervicali fuse con le vertebre, un ilium preacetabulare, un incavo cotiloideo. Condensando i dati della paleontologia, e integrandoli con quelli dell'anatomia comparata, è possibile ricostrui­ re la lenta evoluzione del cranio dei Mammiferi. Questa evoluzione inizia verso la ine del Carbonifero con la com­ parsa dei Pelicosauri e si completa nel Retico (Giurassico inferiore), durando approssimativamente 1 00 milioni di anni e mettendo in gioco numerosi fenomeni in stretta correlazione. Ecco i principali : l . Le ossa del cranio diminuiscono di numero, sia scomparendo, sia fondendosi tra di loro. Sono scomparsi il septomascellare, il prefrontale, il postfrontale, il postor­ bitale, il sovratemporale, il quadrato-j ugale. Il parasfe­ noide sparisce o lascia, in qualche specie, delle vestigia. Il postparietale e il tabulare si saldano all'occipitale; I'epipterigoideo si fonde con la parete del cranio. 2. Cambiano le dimensioni relative dalle diverse ossa; per esempio, nei Mammiferi, il mascellare superiore ac­ quista una grande estensione a spese del lacrimale (da una sottoclasse a un'altra di Mammiferi le proporzioni cambiano). 3. I rapporti topograici tra le ossa si modiicano con il cambiare delle dimensioni, con le sparizioni, con le fusioni. 4. Le ossa parietali e frontali tendono, nei Mammiferi, a formare la maggior parte della volta cranica; esse si estendono tra il muscolo temporale e il cervello, chiu­ dendo cosi completamente il neurocranio. Il condilo oc­ cipitale si sdoppia. La cavità boccale si chiude trasversal­ mente mediante un palato secondario;' i denti si difel . Il palato secondario (o parete superiore boccale secondaria) è formato da quattro apoisi a forma di lamine orizzontali, inviate in­ ternamente dalle ossa mascellari superiori e palatine. Questo dispo­ sitivo anatomico non è caratteristico dei soli Mammiferi, dato che

So

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

renziano in tre categorie che sono, dall'avanti all'indietro, gli incisivi, i canini, i postcanini. Questi ultimi partendo da una forma semplicemente conica o spinosa si allarga­ no, alla punta unica si aggiungono delle punte accessorie o cuspidi disposte in serie, facendo si che denti atti a lace­ rare acquistino la funzione masticatrice. I denti superiori si localizzano sulle ossa premascellari e mascellari, gli inferiori sulle dentali. 5. In tutte le linee l'evoluzione della mandibola ha ma­ nifestato le stesse tendenze. Essa è caratterizzata dalla ri­ duzione delle ossa postdentali, dall'accrescimento consi­ derevole del dentale, dallo spostamento delle inserzioni muscolari e dei nervi, dalla simultaneità di questi cambia­ menti e dalla loro stretta correlazione. Quanto alla colon­ na vertebrale, essa ha subito forti cambiamenti. Si dife­ renzia in due regioni : la dorsale, che porta delle coste lunghe; la lombare che è dotata di coste curve saldate alle vertebre.

l caratteri dei Rettili mammaliani

e dei primi Mamm iferi. Il passaggio insensi bile da una classe all'altra

Con il raggiungimento degli stadi di Diarthrognathus Oligokyp hus lo stato di Mammifero può considerarsi già tratteggiato, ma resta ancora lontano dal suo punto e

esiste nei Coccodrilli, dove è composto dalle apoisi palatine delle ossa premascellari, mascellari, palatine e pterigoidee. È perforato anteriormente dal joramen premascellare e, lateralmente, dai fora­ mina palatini. I vomeri partecipano alla costituzione del palato dei Coccodrilli del genere Medanosuchus e Tomistoma. Questo palato secondario compare quindi in un gruppo che altri­ menti non ha alcuna ainità con i Mammiferi. La separazione della cavità boccale e delle fosse nasali aveva la stessa utilità per gli altri gruppi di Rettili, soprattutto acquatici. È stato sostenuto che la for­ mazione del palato secondario fosse legata alla masticazione degli alimenti e all'eterodontia (vedi Vanderbroeck, 1 69, p. 256). Questa relazione non esiste sicuramente nei Coccodrilli. Segnaliamo che nu­ merosi generi di Anomodonti (Dicinodonti in particolare) hanno un palato ben sviluppato nella regione anteriore della parete boccale superiore; e tuttavia essi non sono collocabili nell'ascendenza dei Mammiferi.

L ' EVOLUZIONE CARICE

81

di perfezione. Lo si iudichi da tutto ciò che separa la struttura del cranio dei Teridonti più evoluti da quella dei Mammiferi, notevole per il grande volume della sca­ tola cranica, per la mandibola composta dal solo dentale, per l'incorporazione di certe ossa postdentali alla catena degli ossicini dell'orecchio medio, per la riduzione del processo postoccipitale e per altre diferenze di minore importanza, e cioè : l . lo spostamento all'indietro dei condotti naso-fa­ ringei; 2. la riduzione dei pterigoidei e la loro separazione mediale; 3. la riduzione degli ectopterigoidei che si spostano maggiormente all'indietro e che vengono inclusi nella parete del condotto naso-faringeo; 4. il raccorciamento della parte ventrale del cranio nella regione orbita-temporale, con i processi palatini e basipterigoidei ravvicinati; 5. la perdita del parasfenoide e la presenza dei presfe­ noidi e basisfenoidi nel cranio visto ventralmente; 6. il frequente spostamento in avanti della radice ante­ riore dell'arco zigomatico; 7. la grande riduzione dello quamoso. Cessiamo qui l'enumerazione, che potrebbe essere ulte­ riormente estesa. Essa mostra che uno iato separa ancora i Rettili più vicini ai Mammiferi dai Mammiferi veri e propri. Ancora recentemente, era facile separare i Rettili dai Mammiferi; era suiciente far riferimento alla struttura dell'articolazione mandibolo-cranica, che è quadrato-arti­ colare nei Rettili, e q uamoso-dentale nei Mammiferi. Ma la scoperta di Rettili dotati dei due tipi di articolazione rende più diicile localizzare il punto di frattura. A dire il vero, voler classiicare a tutti i costi certi fossili in una classe o nell'altra ha dell'aberrazione scien­ tiica. Questi fossili sono, a un tempo, Rettili e Mammife­ ri. La posizione sistematica loro assegnata non può essere che arbitraria. D'altra parte, il paleontologo possiede soltanto un aspetto dell'essere che si sforza di ricostruire. Le parti molli e le loro funzioni gli restano sconosciute. Non sa­ pendo se questi esseri erano o no piliferi e mammiferi

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

(nel senso etimologico del termine), come possono pro­ nunciarsi anche con un minimo di certezza? Tuttavia, tra i caratteri di cui si dispone per discrimi­ nare i Rettili dai Mammiferi, ce n'è uno, scoperto da Hopson (197 1 ), che ci sembra rivestire una reale impor­ tanza. I Mammiferi hanno solo due dentizioni apparenti ; essi sono fondamentalmente diiodonti, mentre tutti i Rettili Teriodonti in qui studiati presentano un numero più elevato di dentizioni successive, sono tutti poliio­ donti. Partito alla ricerca di un fatto che giustiicasse la selezione, Hopson immagina che la diiodontia dei Mammiferi sia in stretta correlazione con la di pendenza del giovane dalla madre per le cure e l'allattamento, mentre nei Rettili (Cinodonti compresi) il piccolo che esce dall'uovo è indipendente e non necessita di cure pa­ rentali. A noi risulta poco chiaro il rapporto tra il nu­ mero delle dentizioni e il modo di alimentazione dei piccoli. Hopson dimentica che alcuni Mammiferi fannO' egregiamente a meno di una dentizione di latte : i Ceta­ cei odontoceti sono monoiodonti, la dentatura funzio­ nale dei Sirenidi è quella di latte; i molari della seconda dentizione del Dugongo vengono riassorbiti prima di es­ sere funzionali, ecc. Inoltre, nella prospettiva utilitaristica dei darwinisti,, si può deplorare che i Mammiferi siano dotati di una sola dentizione di rimpiazzo; l'Uomo ben ne conosce gli incon­ venienti, e la debole longevità di certi Roditori (Microti­ nae, per esempio) dipende dalla rapida usura dei lor' denti che ... non rispuntano. Ma come rimediavi?

Le caratteristiche dell'evo luzione creatrice nei Rettili Terapsidi

Dati i caratteri che i Teriodonti hanno acquisito in 6' milioni di anni e più, i loro mutui adattamenti e la loro, cronologia, siamo in grado di tracciare il seguente bi­ lancio : l . L'evoluzione dei Teriodonti è stata doppiamente orientata e proressiva : A. In un senso generale verso i Mammiferi B. In un senso proprio a ogni linea.

L ' EVOLUZIONE CARICE

2. I caratteri mammaliani non sono gli stessi in tutte le linee di Teriodonti, e non si esprimono né egualmente, né identicamente in tutti. Ogni linea impone a questi caratteri il suo marchio, con maggiore o minore intensità. 3. Le variazioni subìte dai Rettili Teriodonti si somma­ no nel tempo (fenomeno che noi esprimiamo con le pa­ role : manifestano una tendenza a ...) . 4. Le variazioni si completano, si coordinano man ma­ no che si producono : per esempio, lo sviluppo del den­ tale e la concomitante trasformazione della muscolatura masticatrice. 5 . Le variazioni osservate nell'ambito delle linee di Te­ riodonti hanno un carattere ordinato. Esse non si distri­ buiscono mai in maniera caotica. 6. Le trasformazioni, nelle linee e nelle sotto-linee, si veriicano con lentezza, senza scosse, senza cataclismi. Tut­ to vi risulta ponderato, equilibrato. Gli abbozzi di strut­ tura si raforzano e a poco a poco diventano organi ben conformati e funzionali. 7. In nessun momento le novità hanno preso l'aspetto di un carattere fetale; in nessun momento le forme fossili si sono fermate nel loro sviluppo. La neotenia, la fetaliz­ zazione, nel senso di Bolk, sono totalmente assenti da questa evoluzione. La maggior parte di questi fatti sono stati constatati parzialmente da paleontologi (Romer, Hopson, Cromp­ ton, e altri), che parlano soprattutto di una evoluzione parallela e fanno allusione alla teoria neodarwiniana; a questo solo - o quasi - si limitano le loro speculazioni sui fenomeni evolutivi. L'albero genealogico dei Teriodonti h a una ricca ra­ miicazione, e tutti questi rami, ineguali, si dirigono verso la forma mammaliana secondo diferenti modalità. Questa perseveranza di orientamento dell'evoluzione dipenderebbe, secondo la dottrina darwiniana, da una in­ formazione preesistente nelle catene del DNA cromosomi­ co e creata mediante una successione di eventi casuali. Prima di ricavare dai documenti paleontologici gli inse­ gnamenti che contengono, diciamo, senza insistere tanto la cosa è evidente, che l'evoluzione dei Rettili Teriodonti si è svolta senza che i fattori darwiniani (variazioni alea­ torie e susseguente selezione) si siano minimamente ma­ nifestati.

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Tuttavia Olson ( 1944), Simpson (1960) e Mayr ( 1963) hanno preteso di spiegare questa evoluzione in funzione di tali fattori. Tutti e tre postulano, senza alcuna riser­ va, che la dottrina darwiniana è vera. Essi prendono in considerazione i fatti che con essa concordano, esclu­ dendo rigorosamente quelli che la inirmano o ne sottoli­ neano le debolezze. In verità e in completa obiettività, si può constatare che le variazioni dei Teriodonti e dei Mammiferi primi­ tivi non hanno nulla di aleatorio; esse si sommano, si aggiustano nel corso delle epoche, senza avere la minima apparenza patologica. Nessun evento caratteristico della formazione dei Mammiferi esige, per essere spiegato, il ricorso alla selezione. La diversità dei sotto-tipi (l'evolu­ zione è multiramiicata), le grandi distanze che separano le popolazioni, i climi diferenti cui sono sottoposte par­ lano, invece, contro la selezione. Ciò che G. Simpson narra della storia degli Equoidei è un esempio molto istruttivo dell'inluenza che esercita la dottrina sull'osservatore. Come darwinista incondizionato Simpson nega l'esistenza dell'evoluzione orientata, ben­ ché sia evidente, e la confonde, a torto, con l'ortogenesi ; malgrado ciò egli si richiama quasi costantemente e in­ volontariamente ad essa. Egli si allinea all'opinione classica secondo la quale tutti gli Equoidei derivano dai generi Hyraco therium (Eocene d'Europa) ed Eohippus (Eocene dell'America del Nord), che egli considera come sinonimi, e che hanno dato origine a due linee evolutive : gli Equidi veri e pro­ pri nell'America del Nord (che sono passati in Europa nel Pliocene-Pleistocene) e i Paleoteridi in Europa. Consi­ deriamo soltanto gli Equidi che si sono suddivisi in tanti piccoli rami evolutivi, come gli Architherium, gli Hypo­ hippus, gli Stylohipparion ... , e in Equidi propriamente detti, che terminano con il genere Equus. Secondo Simp­ son, la diversità delle linee evolutive dimostra l'inesisten­ za dell'orientamento evolutivo; ora, ciò che egli descrive, è precisamente l'evoluzione ramiicata o verticillata, di cui la forma cavallina è il leitmotiv di tutte le sotto-linee; es­ sa è più o meno ben riuscita, ma è sempre presente e, nel­ l'ambito di ciascuna linea, con il passare del tempo, proredisce la realizzazione dell'idiomorfo cavallino. Il quadro che Simpson ( 1 951) propone dell'evoluzione degli

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

Equoidei nel suo libro Horses è di nostro gradimento: esso evidenzia con grande chiarezza le tendenze evolutive, e il suo autore fa dell' c ortogenesi . come M. Jourdain facev a della prosa, senza saperlo. In questa evoluzione fa notare un solo carattere che appare bruscamente : il riempimento con del cemento (tessuto osseo) dei solchi tracciati dalle pieghe dello smal­ to sulla faccia triturante dei denti jugali del Meychippus (Pliocene medio dell'America del Nord). In verità, questo carattere aveva fatto la sua comparsa più precocemente, in Europa durante l'Oligocene, in Plagiolophus javali, un Paleoteride europeo, e si inserisce nel fascio delle parti­ colarità cavalline; in Plagiolophus tale carattere si trova associato all'ipsodontia e a una tendenza molto forte alla monodattilia; il dito medio (il 3°) supera di molto gli al­ tri due che lo aiancano.t Un tale insieme di caratteri, manifestatosi da una par­ te e dall'altra dell'Atlantico (più precocemente in Europa che in America) esclude qualsiasi . intervento del caso. e popolazioni di Equoidei d'Europa e d'merica hanno realizzato un esperimento naturale da cui vanno tratti gli insegnamenti che esso comporta. Questo esperimento non depone certo a favore della dottrina darwiniana. Complessivamente, in tutte le linee evolutive di Ippo­ mori con il succedersi dei generi le dimensioni corporee si accrescono, la massa facciale aumenta progressivamente di volume rispetto al neurocranio, i denti guadagnano in lunghezza, compare il cemento, le pliche dello smalto si complicano, gli arti si allungano, il cubito e il perone si riducono ad uno stato vestigiale saldandosi, rispetti­ vamente, al radio e alla tibia, l a predominanza del 3° dito è un fatto costante, solo abbozzato in famiglie che, benché tridattile, sono funzionalmente monodattile, ma si esprime pienamente nella monodattilia pura degli Equidi. L'idiomorfo cavallino presenta molte altre parti­ colarità, tra le quali si registrano la struttura cerebrale, la sospensione del cranio, la forma generale del corpo, ecc. che sono presenti nelle diferenti sotto-linee in diverso rado, e per questo ' personalizzate ' . l . I l cammino verso l'idiomorfo cavallino è proseguito nei Paloteri, scomparsi troppo presto perché la monodattilia potesse divenire to­ tale o soltanto funzionale.

86

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Nella sua esposizione teorica Simpson non indugia sul­ la struttura dello zoccolo, che tuttavia è il risultato di un processo evolutivo pieno di invenzione e di preci­ sione. Questo zoccolo, in armonia con l'arto che calza alla maniera di un ditale, protettore della 3 a falange, ammor­ tizza, senza molle né caucciù, sollecitazioni la cui forza può superare la tonnellata. Esso non ha potuto formarsi per caso, dato che all'esame si rivela come un museo di cooptazioni e di novità organiche. La parete cornea (mu­ raglia) mediante le sue lamine verticali cheratoillose s'in­ castra con le lamine podoillose dello strato cheratogeno. La lunghezza rispettiva delle ossa, il loro modo di artico­ lazione, le curve e le forme delle superici articolari, la struttura delle ossa (orientamento, disposizione delle tra­ becole ossee), i legamenti, i tendini che scivolano in guai­ ne, i cuscinetti ammortizzatori, l'osso navicolare, le sino· viali con il loro liquido lubriicante sieroso implicano una continuità costruttiva che gli eventi fortuiti, forzatamente caotici e incompleti, sono impotenti a conservare. Questa enumerazione non si riferisce alle ultrastrutture, in cui risaltano vieppiù gli adattamenti che ofrono soluzione ai problemi di meccanica dei solidi posti dalla locomozione rapida su arti monodattili.

I Mammiferi, classe omogenea o eterogenea?

Le ultime acquisizioni della paleontologia concordano nel far derivare i Mammiferi dai Cinodonti, e a riallac­ ciare questi ultimi agli Ittidosauri. Ma, come si è visto, i Cinodonti si sono suddivisi in diversi rami di cui parecchi hanno, con ogni verosimi­ glianza, raggiunto lo stadio di Mammifero. lttidosauri e Tritilodonti non sono, forse, sul punto di ' mammaliz­ zarsi '? I primi Mammiferi compaiono alla ine del Triassico; essi portano ancor a i segni della loro ascendenza rettilia­ na. Sono stati rinvenuti in Europa, in Asia e in Africa. Essi appartengono a tre famiglie,1 di cui quella che si l. Gli Hara miidi, noti soltanto attraverso dei denti isolati, non possono venire classiicati con precisione.

L 'EVOLUZIONE CREARICE

conosce un po' meglio è la famiglia dei Morganucodon­ tidi (Morganucodon del Retico di Clamorgan, Galles). La mandibola, costituita dal solo dentale, porta un .condilo articolare ben conformato che si articola con lo ·squamoso. La sua faccia interna presenta una cresta lon­ gitudinale che orla una scanalatura profonda. Questa Scanalatura, in Oligokyph us, accoglieva l a cartilagine di Meckel che, ossiicata alla sua estremità prossimale, for­ mava l'articolare. Se ne è concluso che Morganucodon e i generi aini possedevano un articolare non ancora tra­ sformato nel martello (malleus) dell'orecchio medio, ma che non partecipava più all'articolazione mandibola-cra­ niale. Tutto ciò è assai verosimile, dato che, nel solco di un altro esemplare, sono stati rinvenuti frammenti ossei che appartenevano sia a un prearticolare, sia all'artico­ lare. L'embriogenesi dei Mammiferi attuali, rivelatrice de­ -gli stati anteriori, sufraga questa interpretazione. Efet­ tivamente, la cartilagine di Meckel (parte distale dell'ar­ -co mandibolare dell'embrione) dà origine, con la sua re­ gione distale, alla mandibola ( = dentale dei Rettili) e, -con la sua parte prossimale, alla testa del martello ( = ar­ ticolare dei Rettili) e al suo manico ( = prearticolare dei Rettili). Il quadrato dei Rettili deriva dalla cartilagine ·palatoquadrata che sovrasta la cartilagine di Meckel ; nei Mammiferi diventa l'incudine (incus). L'estremità prassi­ male dell'arco ioideo (cartilagine di Reichert nell'em­ brione) dà origine alla stafa (stapes). Incudine, martello (malleus), stafa formano la catena di ossicini dell'orecchio medio. L'articolazione mandibolo-craniale dei Mammiferi ·occupa dunque una posizione equivalente a quella dell'ar­ ticolazione articolodentale degli antenati rettiliani. I denti di Morganucodon erano in numero di 48- 5 4, con incisivi, canini, premolari e molari ( 5 / 5 1; l j l•; 2/2 o 3j2pm; 4 / 4 O 5 / 5m). 1 Questi denti presentano caratteri mammaliani e retti­ liani (Milis, 1 97 1). L'occlusione dentaria quasi perfet­ ta, la struttura settoriale dei denti jugali sono caratteri l. Nei Teri più antichi (Eupantoteri), il numero dei denti resta molto alto : A mphitherium (Batoniano d'Inghilterra) 32 sulla ma­ scella inferiore, Dryolestes (Laolester) (formazione di Morisson, ·wyoming, U .S.A.) 34 nella medesima mascella.

88

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

mammaliani; il numero dei denti, la presenza di un den­ te incisiviforme sul mascellare, davanti al canino, la so­ stituzione dei denti j ugali che avviene dall'indietro in avanti, l'eruzione precoce dei molari posteriori sono ca­ ratteri da Cinodonti. Tutto ben considerato, i denti di Morganucodon somi­ gliano molto a quelli dei Mammiferi Triconodonti, per cui Vandebroeck (1 964), Hopson e Crompton ( 1 969) considerano questo genere il più primitivo dei Tricono­ donti. I denti j ugali di entrambi i gruppi in questione presentano delle cuspidi aguzze disposte a triangolo e delle punte supplementari, e se ricordano i denti dei Ci­ nodonti annunciano anche il dente tricuspidale dei Teri. Si è molto insistito sulle rassomiglianze esistenti fra lo scheletro dei Morganucodontidi e quello dei Monotremi : riduzione dell'alisfenoide, del petroso che partecipa am­ piamente alla formazione della parete laterale del cra­ nio cerebrale, cinto pettorale con un coracoide, un proco­ racoide, e un osso impari, I'interclavicola. Tuttavia, fondandosi sull'insieme dei caratteri cranici (alisfenoide di tipo Cinodonte, lacrimale e jugale bene sviluppati) la maggior parte dei paleontologi ritengono che Morganucodon di età retica (Clamorgan, Galles), Do­ codon (formazioni di Morrisson, Wyoming, U.S.A.) e Pe­ raioynodon (Purbeckiano di Inghilterra) meritino di formare un ordine a parte, quello dei Docodonti. È molto diicile determinare con precisione i legami iletici che connettono i diversi gruppi di Mammiferi triassici, giurassici e cretacei, dato che si dispone solo di scheletri incompleti e di denti. I Mammiferi triassici e giurassici conservano molti a­ ratteri rettiliani. È cosi che i Driolestidi, una famigli a d'Eupantoteri, i più antichi (Kimmeridgiano del Portogallo) hanno nella mandibola uno spleniale e una cartilagine di Meckel che persistono nell'adulto; questi elementi rettiliani non esi­ stono più negli ultimi Driolestidi (Cretaceo inferiore di Spagna) (Krebs, 197 1). Accenniamo solo che questi Mam­ miferi Teri probabilmente non si inseriscono nell'ascen­ denza degli Euteri (Mammiferi superiori). Molto più importante è il fatto che la parete laterale della scatola cranica non abbia la stessa struttura in tut­ ti i Mammiferi (K.A. Kermack e Z. Kielan-Jaworowska,

L ' EVOLUZIONE CREATRICE

1971). Nei Teri fossili e attuali, essa è formata dall'alisfe­ noide e dallo squamoso. Nei non-Teri (Docodonti, Tri­ conodonti, Multitubercolati, Monotremi), è costituita dal­ la lamina anteriore del petroso. Questa diferenza di composizione suggerirebbe un pos­ sibile diiletismo : Teri e non-Teri deriverebbero da due gruppi distinti di Teriodonti triassici. Ma non ne abbia­ mo la prova. Si notano rassomiglianze tra Monotremi e Multituber­ colati; in entrambi i gruppi l'alisfenoide è molto ridotto. lo j ugale manca, il lacrimale è piccolissimo o assente; l'ectopterigoideo dei Multitubercolati somiglia al pteri­ goideo delle Echidne; ma queste rassomiglianze indicano una iliazione? Si può dubitarne, tanto è accentuata la spe­ cializzazione dei secondi, attestata dalla loro dentatura che evoca, grosso modo, quella dei Roditori. L'opinione per cui i Multitubercolati costituiscono una linea evoluti­ va indipendente dagli altri Mammiferi in dalle origini si fonda su argomenti anatomici, che pongono l'accento sul­ le diferenze esistenti tra il loro scheletro e quello dei Mono tremi. In questi ultimi, i principali caratteri rettiliani si tro­ vano nel cinto pettorale (procoracoide, coracoide, in­ terclavicola) sistemato molto in avanti della cassa toraci­ ca.1 La struttura della parete laterale della scatola cranica. la deposizione di uova voluminose, telolecitiche, l'esisten­ za di un dente dell'uovo (rup tor ovi) situato, come nelle Lucertole e nei Serpenti, nei premascellari. II cranio pri­ mordiale dei Monotremi ( = cranio muco-cartilagineo) possiede la parete originale (pila antotica) che esiste nel cranio dei Rettili. Una tale convergenza di fatti induce a pensare che i Monotremi, linea evolutiva debole, bloccati precocemente nella loro evoluzione e nella loro espansione a causa delle loro singolari modalità strutturali e riproduttive, si siano separati in da tempi antichissimi dagli altri Mammiferi e abbiano per antenati dei Mammiferi mesozoici derivan­ ti da una linea evolutiva di Cinodonti diferente da quella che ha originato i Metateri e gli Euteri. Benché molti pal. Howell ( 1 917), che fa testo in materia, ha scritto : « La spalla dei Monotremi deve essere considerata l'espressione di un tipo di Rettile altamente specializzato », p. 191 .

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

leontologi vedano nei Multitubercolati gli antenati dei Monotremi, in assenza di qualsiasi fossile antico di que­ sti ultimi non possiamo proporre alcuna conclusione con­ creta in merito. Il caso dei Marsupiali non è afatto più chiaro, benché la loro anatomia e la loro embriogenesi siano ricche di particolarità; gli zoologi e i paleontologi sono pressoché concordi nell'assegnar loro gli stessi antenati degli Euteri, vale a dire un Pantoterio, a denti tricuspidi e con smal­ to prismatico. L'ignoranza delle parti molli getta un velo di sospetto sulle nostre speculazioni; è verosimile tuttavia che i due gruppi si siano separati molto presto dal comune ceppo pantoterico, probabilmente nel Cretaceo medio.! L'eterogeneità della classe dei Mammiferi attuali è evi­ dente. È lecito pensare che i primi Mammiferi non siano tutti usciti dalla stessa linea evolutiva di Teriodonti e che i Monotremi abbiano una ascendenza distinta da quella dei Teri, ma per i nostri scopi monoiletismo e poliileti­ smo sono scarsamente importanti. L'essenziale sta nella di­ versità degli ordini e dei sottordini che non contrasta af­ fatto con la realizzazione dell'idiomorfo del Mammifero che non implica l'ortogenesi, ma si attua a poco a poco attraverso vie molteplici e divergenti partendo da un cep­ po arcaico comune. L'evoluzione è orientata, questo è cer­ to, ma segue vari itinerari : tutte le strade portano a Ro­ ma, tutti i sotto-phyla conducono all'idiomorfo. La storia dei Mammiferi ne fornisce la prova. L'evoluzione dei Mammiferi, dal momento che il cranio assume la sua deinitiva costituzione, è stata contrasse­ gnata dall'accrescimento considerevole, in volume e in complessità, del cervello. Non si dirà mai abbastanza che nei Teriodonti la mammalizzazione ha trasformato sol . Simpson (1 28, 1959), Olson ( 1 44) e altri paleontologi sono stati assertori del poliiletismo dei Teri. In questi ultimi anni si è verii· cato un certo mutamento di opinioni; cosi Hopson e Crompton (1 69) pendono in favore del monoiletismo, ma Kermack (1967) si è pro­ fessato favorevole al diiletismo. Romer ( 1 970) mantiene un atteggia­ mento prudenziale, senza optare francamente né per !"uno né per l'altro. Simpson (197 1 ), senza ricordare la sua antica posizione, si cava d'impaccio giocando sulla deinizione di Mammifero e sul momento della comparsa del primo o dei primi animali attribuibili a questa classe.

' L EVOLUZIONE CREATRICE

91

prattutto lo scheletro, la muscolatura, la dentatura, ma non ha fortemente toccato il cervello. Essa è sbcciata solo in seno alla classe dei Mammiferi, in cui l'ascesa del­ la cerebralizzazione è stata il maggior tema evolutivo. Il neurocranio, anche negli ordini in cui la massa facciale è poderosa, non subisce mai riduzioni; il caso dei Perisso· dattili è a questo riguardo pienamente istruttivo.

Con clusione

A giudicare dai resti fossili, l'evoluzione creatrice ha i suoi caratteri propri, che sono profondamente distinti .dal­ la mutagenesi (si veda anche il capitolo IX). In efetti, le mutazioni non spiegano le variazioni cor­ dinate che coinvolgono diversi organi. Alcune mutazioni di un gene, letali o subletali, producono efetti multipli. Così, i topi rinoceronti (Davies e collaboratori, 1 9 7 1 ; Mann, 197 1) provengono dalla mutazione di un unico gene recessivo rh. Poco dopo la nascita questi animali perdono il pelo; all'età di un mese, quando dovrebbe ve­ riicarsi una seconda crescita del pelo, la loro pelle si rag­ grinza e perde la sua elasticità. Questo cambiamento vie­ ne attribuito alla formazione, molto abbondante, di cisti intradermiche derivanti da frammenti isolati di bulbi o canali piliferi. Le unghie dell'animale si allungano e si piegano a succhiello; tutto il corpo si spalma di una secrezione di consistenza cerosa. La longevità media dei mutanti raggiunge circa la metà di quella dei topi nor­ mali. Il gene rh, negli individui omozigoti, interferisce nel metabolismo dei lipidi, causa una deicienza di triglice­ ridi, un considerevole accumulo di prodotti cerosi e un innalzamento del tenore di un estere, il latosterolo. In tal modo il gene rh agisce simultaneamente su numerosi or­ gani . Altro esempio : una mutazione che sostituisca uno o più aminoacidi con uno o più altri aminoacidi nella globina dell'emoglobina umana, può avere, a seconda di dove av­ viene la sostituzione, delle ravi conseguenze sulla strut­ tura (nei suoi diversi livelli) e le proprietà di quel pig­ mento; è questo il caso dell'emoglobina anormale S nel-

92

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

l'anemia dei globuli rossi falciformi (drepanocitosi). Le molecole di questa emoglobina si allineano in ilamenti e formano bastoncelli rigidi, ragruppati a fasci che de­ formano il globulo. I globuli rossi che contengono emo­ globina S vengono in pratica distrutti, fenomeno che pro­ voca una anemia con disturbi molto gravi. Per esempio, l'aumento del midollo osseo, per accelerare la genesi dei globuli rossi, porta una modiicazione delle ossa del cra­ nio (cranio tondo), il cuore si ipertroizza, i globuli falci­ formi si accumulano nella milza, che si ingrossa e diviene ibrosa ... Tuttavia, questi stati patologici non hanno a lcun rap­ porto con la lenta e coerente costruzione di una forma, di una funzione nuova. Noi non contestiamo gli efetti multipli, vale a dire il pleiotropismo, di un solo gene, ma non pensiamo sia possibile trovare un genetista dispo­ sto ad afermare che le trasformazioni della mandibola, dei suoi muscoli e dei suoi nervi, degli ossicini dell'orec­ chio medio, ecc. siano rette da un solo e medesimo gene. Come noi la conosciamo, la mutazione a efetti multi­ pli provoca la sparizione di un enzima, fatto che genera una catena più o meno lunga di conseguenze (pigmento oculare della Drosoila, potere di sintesi del Fungo Neu­ rospora ... ). Essa non costruisce nulla; trasforma o distrug­ ge ciò che esiste. Diciamo, di sfuggita, che applicare la genetica ai fossili è un'operazione diicile e pericolosa. In base a quale cri­ terio, in assenza di allevamenti, si decide che quella tale modiicazione osservata in un osso o in una conchiglia è una mutazione? La genetica paleontologica, anche in un caso favorevole come quello delle Paludine di Slavonia, resta congetturale e soggettiva. Mayr fa appello alla selezione naturale e pretende che la pressione selettiva fosse forte tra le diverse forme di Teriodonti. Che cosa ne sa? Egli esprime una opinione che non si fonda né su dati demograici (ignoranza della densità delle popolazioni, dei parametri ecologici, ecc.), né su dati ecologici o climatici. Noi ignoriamo quasi tutto degli ambienti in cui vivevano i Teriodonti. Come ha fatto la selezione naturale ad arrivare al traguardo della mammalizzazione agendo su popolazioni che abitavano in ambienti molto diversi : Asia, Africa australe, America del Sud? e condizioni ambientali variavano da un conti-

L ' EVOLUZIONE CEARICE

93

nente all'altro e i climi avevano caratteri loro particolari nel Triassico come nel Giurassico. In che modo la sele­ zione naturale, in mezzo a questa diversità, ha potuto fa­ vorire in ogni luogo le stesse forme senza violare il prin­ cipio neodarwiniano « a ogni ambiente il suo genotipò privilegiato, quello che, per caso, gli è meglio preadatta­ to » ? Noi poniamo la questione.

III L'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

Per comprendere la foresta, la sua vita e il suo ciclo biologico, ci si ofrono due metodi : o procedere a una analisi minuziosa, facendo l'inventario delle specie, albero per albero, passando poi all'analisi chimica e granulome­ trica dei suoli, allo studio climatico della regione e dei biotopi; oppure considerare la foresta come un super­ organismo dotato di vita e di ecologia proprie. Allo stesso modo, si può seguire l'evoluzione linea per linea, e talvolta perino enere per genere, oppure paragonarla a un immenso afresco che rivela il suo senso profondo sol­ tanto se visto di lontano. In verità, il biologo non ha afatto scelta, è obbligato a ricorrere ad entrambi i meto­ di, perché l'uno completa l'altro. Ne forniremo la prova nelle pagine che seguono.

Discontinuità dell'evo luzione

È classico ammettere che l'evoluzione è un fenomeno continuo, iniziatosi con la sintesi delle sostanze prebio­ tiche e che terminerà con la morte dell'ultimo essere or­ ganizzato, su un pianeta invecchiato, inadatto ad assicu­ rare la vita. Alcuni biologi elevano questa nozione al

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

95

rango di legge generale e la chiamano legge della conti­ nuità evolutiva. Nella realtà, che l'evoluzione sia un fenomeno conti­ nuo è vero e nel contempo falso. Spieghiamoci meglio. Visto dall'alto, il mondo dei viventi appare mobile e mutevole e le sue modiicazioni sono tanto più grandi quanto più ampio è il lasso di tempo che lo sguardo ab­ braccia. Esaminandole nei particolari, si scopre che le di­ verse linee evolutive non cambiano con la stessa velocità. L'evoluzione è un fenomeno che si realizza a velocità variabili e che perino si arresta in molte linee. Nella natura attuale l'evoluzione si manifesta con discrezione e numerosi cambiamenti organici o isiologici le sono at­ tribuiti a torto. Esaminiamo due casi estremi : la moltiplicazione dei Batteri e quella degli Ominidi. Una generazione umana dura in media 25 anni, mentre una generazione batterica mezz'ora (20 minuti a 37°C). In altre parole, la moltiplicazione dei Batteri è, come mi­ nimo, 400.000 volte più rapida della nostra.l Consideriamo i 3.500.000 anni che separano i più anti­ chi Australopitechi dall'uomo moderno. Nel corso di que­ sto periodo, lungo a suicienza per poter rivelare una evoluzione importante, sono comparse mutazioni sia tra i Batteri che tra gli Ominidi. Stando ai dati dei batteriologi (Stanier e collabora­ tori, 1966), le popolazioni di Batteri in coltura presentano un mutante ogni 109 individui che si dividono. Quando lo si confronta con quello degli organismi cellulari, questo tasso sembra basso e si presume che sia più elevato nelle popolazioni naturali di Batteri. Qualunque sia il valore di questo tasso, l'immensità delle popolazioni batteriche è tale che anche il numero dei loro mutanti è immenso. In 3.500.000 anni supera miliardi di miliardi. Durante lo stesso tempo, le piccole popolazioni di Onil. Noi non parliamo dei Batteri coltivati in un ambiente chiuso , che non si rinnova, ma dei Batteri che vivono in ambiente naturale, la cui riproduzione non è soggetta ai rallentamenti o alle inibizioni imposti dall'esaurirsi del substrato nutritivo e dalla presenza di escreti. a morte delle popolazioni è spesso la conseguenza di queste condizioni sfavorevoli.

g6

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

nidi hanno prodotto al massimo qualche milione di mu­ tanti. Al ritmo di 1 7.520 generazioni all'anno, ricchi di muta­ zioni, difusi negli ambienti più diversi (dal corpo degli animali ai tessuti delle piante, ai terreni, alle acque ...) i Batteri non hanno cambiato in nulla il loro piano di organizzazione, che resta lo stesso in dall'epoca in cui i loro antenati precambriani metabolizzavano i sali ferrici nelle lagune. Gli Ominidi, durante i 3.500.00 anni hanno prosegui­ to la loro rapida evoluzione, hanno perfezionato la loro struttura cerebrale, sono divenuti perfettamente bipedi e hanno sviluppato la stazione eretta. Questo paragone ci insegna che le mutazioni, per nu­ merose che siano, non implicano obbligatoriamente una evoluzione, e arrecano un colpo assai duro alle idee ul­ tradarwiniane. e Schizoite t e i grandi tipi che le rappresentano esi­ stono da tempi estremamente remoti, antecambriani. Il grande fatto storico da ricordare è che, malgrado il loro numero ininito, essi hanno prodotto una sola volta l'or­ ganismo cellulare, secondo un processo del quale non ab­ biamo alcuna idea. Non si deve dimenticare che la cel­ lula mostra la medesima struttura in tutti gli organismi e contiene un nucleo racchiuso in una membrana ben de­ inita, perforata da una moltitudine di pori. In questo nucleo sono racchiuse le macromolecole di D NA, incor­ porate in organuli, i cromosomi, altamente organizzati, e nella cui struttura entrano diverse proteine, fra le quali solo gli istoni sono stati oggetto di ricerche approfondite. Nella natura attuale, le Schizoite, e tra esse soprattut­ to i Batteri a causa delle loro numerose mutazioni, varia­ no molto e nel più grande disordine, ma « girano in ton­ do " , oscillano attorno alla forma speciica e, nel comples­ so, praticamente non cambiano, vale a dire non si evolvo­ no. I Batteri restano Batteri da 2-3 miliardi di anni. Quattro avvenimenti hanno avuto conseguenze immen1. Le Schizoite, organismi senza nucleo che si riproducono median­ te divisione binaria (senza mitosi), raggruppano i Batteri veri e pro­ pri, o Eubacteriali (Bacilli, Vibrioni, Spirilli, Pseudomonas, Attino­ miceti...), i Missobatteri, le Spirchete, e le Alghe azurre o Ciano­ icee.

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

97

se sul cammino dell'evoluzione, e cioè la sintesi cloroil­ liana, il passaggio dalla Schizoita alla cellula, dalla cel­ lula isolata all'organismo pluricellulare, dal Metazoo a due foglietti al Metazoo a tre. La riproduzione sessuata, combinando in un solo essere i caratteri di due e, per mezzo delle successive generazioni, di tutta una popolazio­ ne, ha avuto una parte capitale nella storia dei due Regni. La genesi dei piani fondamentali di organizzazione, che caratterizzano i tipi e le classi, rami principali dell'albero genealogico del Regno animale, è stata la grande opera dell'evoluzione. Le creazioni sono state poco numerose : meno di venti tipi e di ottanta classi per il Regno animale (meno della metà per il Regno vegetale), sono molto antichi. L'ultimo dei tipi, quello dei Vertebrati, fece la sua comparsa con gli Agnati (Ostracodermi, Ciclostomi) nell'Ordoviciano, e con i Pesci nel Devoniano, qualcosa come 450 milioni di anni fa.t Dal Giurassico (Retico, 200 milioni d'anni), epoca dei primi Mammiferi e dei precursori degli Uccelli (Portlan­ diano, 1 35 milioni di anni) non è comparsa alcuna nuova classe. L'arresto della genesi dei piani fondamentali e il loro esiguo numero sono due fatti di cui non si è valutata l'importanza per comprendere l'evoluzione. Essi signii­ cano : che l 'evoluzione non si svolge in modo qualsiasi, dato che il numero delle sue possibilità è limitato; che gli organismi nei quali si concretavano le nuove strutture hanno in parte esaurito le loro facoltà evolutive, che non saranno recuperate dai loro discendenti. Il potere creatore dell'evoluzione è diminuito man ma­ no che la fauna e la lora invecchiavano, e dall'Eocene (-60-33 milioni di anni), la formazione degli ordini è ferma; essendo quelli dei Mammiferi euteri e degli Uccelli i più recenti. Gli Artropodi, rappresentati in dal Cambriano da Tri­ lobiti, Merostomi e Crostacei, persero i primi nel Perl . Se fosse provato che i Conodontoforidi sono dei Cordati, dovrem­ mo far risalire al Cambriano l'apparizione dei primi vertebrati o per lo meno dei loro antenati. Emmonsaspis, scoperto nell'ardesia di Parker (Cambriano degli Appalachiani), sarebbe un Cefalcordato arcaico. È poco probabile.

g8

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

miano, dopo un lungo periodo di declino che inizia nel Devoniano, i secondi nella stessa epoca, a eccezione di qualche Xifosuro (Limulus e Carcinoscorp ius). Per quel che riguarda i Chelicerati, che non sono Merostomi, e i Crostacei, essi hanno continuato a evolversi originando delle sottoclassi e degli ordini. Gli Insetti, conosciuti dal Devoniano, sono stati costan­ temente presenti, restando numerosi e diversi; come i Cro­ stacei, hanno perduto degli ordini, delle superfamiglie, ma, in nessun momento della loro storia e a dispetto della loro antichità,1 essi non hanno mai mostrato segni di de­ clino; essi sono oggi ricchi di specie, come in passato. A dispetto di questo vigore, la storia degli Insetti, di cui ignoriamo il punto di partenza, non si è svolta con ritmo regolare. Le sottoclassi si succedono quasi in linea conti­ nua, le une subentrando alle altre; alcune conoscono un apogeo, poi declinano; altre restano prospere come all'ori­ gine (caso dei Collemboli, degli Ortotteri, degli Odonati, di tutti gli Olometaboli ... ). I Paleotteri 2 hanno dominato dal Westfaliano alla ine del Permiano; poi sono stati se­ guiti dagli Odonati e dagli Efemerotteri che, per numero­ si caratteri, restano molto arcaici. I Polineotteri (Blatte, Termiti, Plecotteri, Ortotteri, Dermatteri) che sono stati loro contemporanei, viorosi e ricchi di specie a partire dalla ine del Paleozoico, non mostrano alcun segno di esaurimento. Gli Oligoneotteri (Coleotteri, Neurotteri, Mecotteri, Ditteri, Tricotteri, Lepidotteri, Imenotteri) e i Paraneot­ teri (Psocotteri, Tisanotteri, Emitteri) sono gli ordini più ricchi di specie di tutto il Regno animale. Alcuni di essi (Lepidotteri e soprattutto Imenotteri) sono esplosi in uno splendido fuoco di artiicio di tipi nuovi allorché nel Cre­ taceo le piante da iore si sono ampiamente sviluppate. Essi hanno di colpo popolato il nuovo spazio, diferenl. Nel corso della loro lunga storia, gli Insetti hanno perduto tre superordini : i Paleodictiopteri (con 7 ordini distinti), i Megasecop­ teri e i Protoortotteri, che sono vissuti nel periodo permo-carboni­ fero. Tutti gli altri superordini sono sopravvissuti e sono ancora attualmente assai prosperi. 2. La classiicazione da noi adottata è quella stabilita da Martynov (1938). Essa è debiamente fondata sia sui dati paleontologici che su quelli dell'anatomia comparata. (Vedi Jeannel, in Traité de Zoologie, t. IX, 1 49, Masson).

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

99

ziandosi in una ininità di specie. Tra i iori di numerose Fanerogame e gli Insetti nettarivori o pollinivori si sono formati degli stretti rapporti, al punto che certe piante sono fecondate esclusivamente dagli Insetti che visitano i iori e portano il polline da uno all'altro; è il caso delle Orchidee che sono ricche di adattamenti morfolo­ gici, isiologici ed etologici a questa modalità di ripro­ duzione. Gli Insetti annoverano alcuni fossili viventi. Tra gli Odonati, Hemiphlebia mirabilis, che vive in Australia, è un parente stretto dei Protozigotteri del Permiano. Le Blatte attuali diferiscono lievemente da quelle dell'Era primaria, periodo in cui, grazie all'estensione delle fore­ ste, esse trovavano un immenso biotopo a loro favorevo­ le. Fin dal Westfaliano superiore esse deponevano le uo­ va racchiuse in ooteche, per l'appunto come fanno le specie attuali. Dal Permiano, gli Efemerotteri hanno cam­ biato ben poco; per esempio, le larve di Phthartus rossi­ cus, del Permiano superiore di Orenburgo (Russia) ricor­ dano molto da vicino quelle degli Efemerotteri dei nostri ruscelli. I Mecotteri hanno conservato rapporti molto stretti con i loro diretti antenati del Permiano, quali le Taeniocho­ rista e Chorista d'Australia, le Nannochorista del Cile, dell'Argentina, della Tasmani a e dell'Australia, le Chori­ .s tella della Nuova Zelanda, la cui origine gondwaniana sembra indiscutibile. Questi fatti ci inducono a concludere che la classe degli Insetti non ha mai conosciuto declino e che continua oggi con altrettanto vigore che in passato, ma che la sua fase aeatrice è terminata. Da 70 a 30 milioni di anni essa non ha acquisito alcun ordine nuovo e la sua evoluzione, a partire dall'Oligoce­ ne (ambra del Baltico) non va oltre il genere, a voler con­ cedere molto. Si osservano innumerevoli piccole variazio­ ni ( = mutazioni), di cui, per esempio, le Drosoile (Dro­ sophila ) , le Sciara, gli Ha bro bracon, le Dorifore ... sono la croce e la delizia dei genetisti ; ma queste mutazioni non escono dal quadro speciico. La maggior parte degli In­ setti rimasti impaniati nelle resine oligoceniche appar­ tengono a generi che esistono ancora; per esempio, si co­ noscono tre specie fossili della Termite Reticulitermes, genere attualmente difuso nella zona paleoartica. È pos-

100

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

sibile che certe determinazioni manchino di rigore e che i generi siano imperfettamente deiniti, ma non importa : le somiglianze degli Insetti oligocenici con le specie attuali sono cosi strette che la debolezza dell'evoluzione diviene evidente.! I Molluschi che, prima della ine dell'Era secondaria, perdettero Ammoniti e Belemmiti, gli Echinodermi, che hanno subito pesanti perdite (Cistoidei, Blastoidei) e che presentano una classe relitta, quella dei Crinoidei, i Pesci Selaci ed Attinopterigi... restano prosperi e le forme re­ litte convivono con le forme di data recente. In tutti, al­ trettanto se non più che negli Insetti, l'evoluzione è dive­ nuta appena avvertibile. Se facciamo eccezione per certi ruppi di Molluschi Gasteropodi ( Viviparus, Elicidi, Partula, Achatinella ... ) e di Molluschi bivalvi (Unionidi, Anodonti), in cui la speciazione legata al neoendemismo continua a manifestarsi, le classi sopracitate ofrono l'im­ magine della stagnazione evolutiva. L'ultima grande ' esplosione ' evolutiva si è prodotta dopo la scomparsa dei Dinosauri, alla ine dell'Era secon­ daria e all'inizio dell'Era terziaria, quando si sono dif­ ferenziati i diversi ordini di Mammiferi Euteri e di Uccel­ li. Nella stessa epoca i Marsupiali (Metateri) d'Australia manifestavano una evoluzione analoga, occupando la maggior parte delle nicchie ecologiche di quel continen­ te, e originando forme simili a quelle degli Euteri sparsi sul resto della Terra : carnivore (imitanti i Canidi e gli Ursidi), arrampicatrici, volanti (patagio), scavatrici (tipo talpa), arboricole, con assenza tuttavia di forme imitanti i Primati. I Notungulati ' relegati ' nell'America del Sud, dall'Eo­ cene al Quaternario, hanno imitato gli Artiodattili rumi­ nanti, i Perissodattili equoidi, i Roditori. Tutti sono spa­ riti senza lasciare discendenti. L'evoluzione dei Primati, di cui noi conosciamo attual­ mente numerose tappe, si rivela ricchissima di insegna­ menti. Per tutti - tralasciamo per il momento il caso del­ l'Uomo - l'evoluzione è ferma da gran tempo. I Tarsi (genere Tarsius) sono parenti stretti di alcune forme fosl . Gli Insetti del Cretaceo, a giudicare dai fossili trovati nell'ambra del Manitoba, evocano grandemente la fauna entomologica dell'Era terziaria e quella attuale.

L 'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

101

sili dell'Eocene; i Lemuridi, dal passato ancora parzial­ mente sconosciuto, presentano forme specializzate in mo­ do molto ineguale; i Lorisidi (Africa continentale ed est­ asiatica), che sono arboricoli, che hanno piedi e mani a forma di pinza simili a quelle dei camaleonti, e che sono nittalopi, a locomozione lenta, cauta e silenziosa, sono si­ curamente i più avviati sulla strada della specializzazio­ ne, ma tutti i Lemuridi appaiono morfologicamente sta­ bilizzati, più ' forme relitte ' che in evoluzione. I Cercopitecidi sono conosciuti solo a partire dal Mio­ cene; essi avevano già imboccato la via che li ha condotti allo stato cinomorfo, pienamente raggiunto alla ine del Miocene-inizio del Pliocene. Mesopithecus (Pontico di Grecia) era una scimmia molto vicina ai Semnopitechi (Presbytis) che vivono attualmente in India. L'evoluzione dei Cercopitechi era dunque praticamente compiuta 1 0-12 milioni di anni fa. I Pongidi Antropomori hanno come antenati i Driopitechi (sensu latissimo) del Miocene e Proconsul che è del Pliocene (9 milioni di anni). Quest'ul­ timo è cosi vicino ai due Pongidi africani, Scimpanzé e Gorilla, che non sarà eccessivo dire che nel Pliocene q ue­ ste due grandi scimmie esistevano già in lui. Per concludere, le tre grandi linee evolutive : tarsico, lemurico e scimmiesco sono attualmente a un punto morto. Si può forse dire lo stesso del nostro? E la genesi del cervello umano, cosi recente (100.000 anni circa) non smentisce forse l'idea che l'evoluzione abbia perduto il suo potere creatore? In verità, quale che sia la portata dell'ominazione per l'equilibrio e l'avvenire della biosfera, essa si presenta come un processo evolutivo che non ha avuto nulla di straordinario nel suo corso, ma che ha acquistato una im­ mensa importanza per le sue conseguenze. Intendiamoci bene. Quando nel corso dell'Era terziaria, e relativamente presto, le Scimmie (Cinomorfe e Antro­ pomorfe), sviluppando fortemente il loro cervello, che è tuttavia restato ben inferiore a quello dell'Uomo, diventa­ vano provetti arrampicatori, acquistando cosi la loro spe­ cializzazione più caratteristica, gli Ominidi cessarono mol­ to presto di essere arboricoli, se mai lo furono (la sola considerazione dell'anatomia del piede è suiciente per rendere dubbia la supposizione di una esistenza arbori-

102

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

cola ancestrale). Essi aumentarono altresì le dimensioni del cervello, che manifestò una spiccata allometria mag­ giorante in rapporto alle altre parti del corpo (Bauchot, 1972; Portmann, 1 972), nonché la sua complessità, parti­ colarmente nel neopallio (emisferi cerebrali), che con i suoi miliardi di neuroni a dendriti ramiicati diviene un organo dotato di proprietà nuove che nel bambino si dif­ ferenzia per mezzo della stimolazione sociale. Nello stesso tempo lo scheletro e la muscolatura subi­ vano una modiicazione di tal natura che la stazione si mutava da quadrupede in bipede (mirazione del foro occipitale sotto il cranio, riduzione della massa facciale, curvature della colonna vertebrale, allargamento del ba­ cino, plantigradia totale ... ). Gli arti anteriori non eser­ citavano più, così, la funzione locomotrice, assicurata esclusivamente dagli arti posteriori. Le modiicazioni del cervello, sia qualitative che quan­ titative, sono state il grande tema dell'evoluzione degli Ominidi, che, in tal modo, non sono sfuggiti alla regola della specializzazione cui è soggetto ogni ramo zoologico di ordine secondario. Queste modiicazioni ci hanno con­ ferito la coscienza e la ragione, da cui nasce la libertà di decisione. Esse hanno reso possibile e inofensiva la per­ dita dei comportamenti innati e automatici e ci hanno messo in condizione di adattarci a una ininità di circo­ stanze, senza spingerei sulla via sterile della specializza­ zione organica o funzionale. Si può così dire, e non para­ dossalmente, che il tipo di specializzazione degli Ominidi, grazie al loro cervello, è stato una ' contro-specializzazio­ ne '. È qui che la loro evoluzione ha avuto un carattere non abituale, senza peraltro raggiungere nell'ambito ana­ tomico e isiologico, ivi compeso il sistem a nervoso, l'am­ piezza della genesi di un tipo o di una classe che crea o altera profondamente un piano di organizzazione. Infatti, l'ominazione non è altro che l'evoluzione di una linea secondaria e ramiicata, in cui il perfezionamen­ to - non c'è termine più adeguato - del cervello e della mano, è la caratteristica più saliente, come la monodatti­ lia e l'ipsodontia per gli Equidi. Da centomila anni, Homo sap iens (ivi compresi i prae­ sapiens) è isicamente stabile. Padrone della terra e della propria evoluzione, perché, tra tutti gli esseri viventi, lui solo ha il potere di assegnare un ine al suo destino, pro-

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

10 3

gredisce o regredisce a suo piacimento, esitante tra una ominazione più spinta e un ritorno all'animalità. Nel corso della sua evoluzione ogni linea evolutiva si comporta come un super-organismo che obbedisce al suo proprio destino. Molti seguono un canovaccio che com­ prende tre periodi che si succedono, insensibilmente, l'un l'altro. A. I pionieri della linea evolutiva, ordinariamente po­ co numerosi, occupano un'area geograica ristretta. La lo­ ro anatomia si specializza poco, ma svela tuttavia parti­ colarità il cui numero e la cui ampiezza aumentano con l'età della linea. La loro evoluzione è lenta, persino mol­ to lenta. È il periodo della giovinezza. B. Poi, a questo periodo di insediamento, di attesa, di brancolamento, succede un tempo di grande attività, l'evo­ luzione si accelera, precipita : le linee si suddividono, si diferenziano, si specializzano e formano delle ramiicazio­ ni laterali. È il periodo della maturità. C. Inine, le novità si rarefanno, una stabilità relativa succede alla variazione rapida. Alcune linee muoiono, altre perdono vigore; è il periodo della senescenza; tutta­ via, qualche linea conserva la propria forza e persiste ancora.

Un'epoca di riferimento : il Miocene

Niente può darci un'idea più esatta del cammino evo­ lutivo nel corso degli ultimi 30 milioni di anni che para­ gonare la fauna miocenica (da -26 a - 1 2 milioni di an­ ni) a quella attuale. Il Miocene si colloca a una distanza temporale suicientemente lontana da noi per essere adot­ tato come termine di riferimento. Le condizioni climatiche e geograiche diferivano da quelle cui siamo soggetti oggi. I mari erano più caldi e per ciò più favorevoli alla costruzione dei banchi coral­ lini; nel Miocene superiore (livello del Pontico) essi si rafreddarono subendo nel contempo una regressione. Questa regressione fu abbastanza forte da permettere l'emersione dell'istmo di Behring, ma le due Americhe restano separate. Tra di esse emerse una terra, la Terra caraibica dei geologi.

104

' L EVOLUZIONE DEL VIVENTE

In Europa, il golfo germanico penetra profondamente nelle terre a sud della Scandinavia; il mare del Nord è circondato a est dalla Scandinavia e ad ovest dalla massa delle isole Britanniche. Tra Vienna e il Caspio degli spro­ fondamenti della rosta terrestre scavano vasti bacini di acqua salata che comunicano con il Mediterraneo (baci­ no pannonico, pontico, arabo-caspico) e un solco profon­ do separa l'India dall'Himalaia. Il clima è generalmente più caldo. Foreste resinose (Sequoie) ricoprono una gran parte dell'Europa del Nord e della Germania. La lora temperata, senza palme, si estende molto più a nord; ne ritroviamo le tracce in Groenlandia al di sopra dell'SOo parallelo Nord, con Abe­ ti, Taxodium delle paludi virginiane, Pioppi, Salici, Ol­ mi, Tigli, Betulle, Canne ... Nondimeno, a partire da questa epoca nelle regioni europee le piante tropicali sono progressivamente elimi­ nate. Palme, Canfore, Allori si rarefanno o scompaiono; le essenze a foglie caduche tendono a predominare. Nel­ l' America del Nord, il clima è umido e cambia poco dal sud al nord; la lora si uniformizza ed è composta da generi che, per la maggior parte, prosperano ancora : Ma­ gnolie, Ortensie, Tulipiferi, Sassafrassi, Platani, Sequoie, Libocedri ... Per i nostri scopi è importante sapere che la lora miocenica diferisce dalla lora attuale più per la sua ripartizione geograica che per la composizione. Il nume­ ro delle Fanerogame mioceniche ancora viventi è consi­ derevole. Le piante superiori avevano compiuto le loro grandi trasformazioni. La fauna marina ricorda molto quella attuale, salvo dif­ ferenze di ripartizione geograica dovute al fatto che i climi non coincidevano con i nostri. I Foraminiferi nummulitidi di grandi dimensioni ab­ bondano ancora; qualcuno di essi sussiste tuttoggi. I Cro­ stacei sono, più o meno, quelli di oggi, ma certi gruppi, per esempio i Balani a facies di polipai, i Pyrgoma, sono più abbondanti, perché il loro habitat ha una maggiore estensione (vivono in banchi corallini) . I Molluschi bi­ valvi del genere Tridacna compaiono in formazioni sco­ gliose (Polonia); oggigiorno sono localizzati nei banchi corallini dei mari caldi indo-paciici. Nei bacini più o meno salmastri pannonici ed arabo­ caspici si sviluppa un a fauna di Bivalvi, composta so-

L' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 05

prattutto di generi che hanno persistito ino ai giorni no­ stri (Dreissena, Congeria e altri). Nelle acque dolci d'Europa e dell'America del Nord i generi sono gli stessi; è molto raro che si presenti una forma particolare, come, per esempio, la Limnea a con­ chiglia distort a del genere Valenciennesia (Miocene su­ periore). Nel Miocene, le Paludine, le Helix (s.l.) paiono essersi considerevolmente moltiplicate, formando nume­ rose specie, la maggior parte delle quali è tuttora vivente. Gli Echinoidei regolari, tra gli Echinodermi, originaro­ no qualche nuovo genere (Temnopleuridi, Toxopneusti­ di, Echinidi) che nella maggioranza dei casi è durato. Gli Echinoidei irregolari si sono in certo grado diversii­ cati in generi con forte specializzazione : Monostychia, Mellita, C leistechinus ... ma già alla ine dell'Eocene, tutto il tessuto sistematico degli Echinoidei si presenta formato e la loro tendenza alla stabilità non ha cessato in seguito di accentuarsi. I Vertebrati inferiori sono cambiati soltanto di poco dopo l'inizio del Miocene (-29-30 milioni di anni). I Vi­ peridi, di cui i primi rappresentanti risalgono all'Oligo­ cene, si sono sviluppati nel Miocene; le loro ossa si incon­ trano comunemente nelle formazioni continentali del­ l'Europa e sembrano molto simili a quelle delle specie attuali. Gli Uccelli del Miocene continuavano una ricca fauna, i cui elementi erano in parte conosciuti dall'Eocene (20 famiglie) o dall'Oligocene ( 1 4 famiglie). I fossili più anti­ chi di Struzzi (Struthio), Otidi, Cracidi, Falconidi, La­ nidi, Fringillidi, Motacillidi, Corvidi, sono stati estratti da sedimenti di età miocenica. Parecchie famiglie, la magior parte delle quali appar­ tiene all'ordine dei Passeriformi, che, da solo, conta tan­ te specie quante tutti gli altri ordini riuniti, sembrano essersi diferenziate dopo il Miocene. Numerose sono le specie conosciute allo stato fossile solo dal Pleistocene (22 famiglie) ; ma il ritrovamento di un fossile non indica necessariamente la data di nascita della sua specie, del suo genere o della sua famiglia. Quanti fossili esumati dapprima da un certo sedime.n to, sono stati rinvenuti in seguito in un altro sedimento più antico. Le cifre, nel caso dei Passeriformi, sono cosi elevate

1 06

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

(come minimo 17 famiglie esclusivamente pleistoceniche) da forzarci ad ammettere che l'evoluzione dei generi e delle famiglie sia proseguita ino all'epoca attuale (si veda E. Mayr). Nel corso della loro storia, i Carenati hanno perduto 21 famiglie, che datano : IO dall'Eocene, 6 dal­ l'Oligocene, 3 dal Miocene, 2 dal Pleistocene. A titolo indicativo, ecco un elenco, volutamente limi­ tato, di geneTi attuali trovati allo stato fossile in sedimen­ ti che datano dall'Eocene al Miocene superiore (l'età citata è la più antica) : Albatros :

Diomedea tyidata, Miocene superiore, Austra­ lia. Puino : Puinus calhouni, Miocene superiore, Califor­ nia. Fulmar : Fulmams hammeTi, Miocene superiore, Cali­ fornia. Airone : Ardea piveteau i, Eocene superiore, gesso di Montmartre. Buteo circo ides, Oligocene medio, Gobi occi­ Astore : dentale. Buteo pusillus, Miocene medio, Saint-Alban, Isère (Francia). Aethia : Aethia rossmoori, Miocene superiore, Califor­ nia. Pterocles : Pterocles Lavatus e Pterocles validus, fosforiti di Quercy, Lot (Francia), Eocene superiore, Oligocene inferiore. Allocco : Bubo incertus, fosforiti di Quercy. Bubo poi­ rieri, Miocene inferiore, Saint-Gérand-le-Puy, Allier (Francia). Otus : Otus wintershofensis, Miocene medio, Baviera. Asio henrici, fosforiti di Quercy. Asi o : Strix : Strix dakota, Miocene inferiore del Dakota meridionale. Strix brevis, Miocene medio, Baviera. Ty to : Ty to ignota, Miocene medio, Sensan, Gers (Francia). Ty to sancti-albani e Ty to edwarsi, Miocene medio della Grive Saint-Alban, Isère (Francia).

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 07

Rondone : Apus ignotus, Miocene medio, Saint-Gérand­ le-Puy, Allier (Francia). Apus gaillardi, Mio­ cene medio. La Grive Saint-Alban, Isère (Fran­ cia). Rondine : Collocalia incerta, Miocene medio. Saint-Gé­ rand-le-Puy, Allier (Francia). Le specie enumerate sopra sono scomparse, ma i generi sussistono con altre specie molto simili alle estinte. Per tutti questi generi e per altri non menzionati nella lista, la speciazione è stata l'unica manifestazione evolutiva. Il Miocene ha accolto una forma di Mammiferi fortis­ simamente diferenziata. I Proboscidati, con i Mastodonti e i Dinoteri, sono in piena espansione. I Perissodattili rag­ giungono il loro apogeo (Rinocerontoidei) o si evolvono rapidamente (Equoidei). Compaiono numerosi Artiodat­ tili (Ippopotamidi, Cervidi, Bovini, Ovidi, Capridi). I Creodonti contano ormai solo qualche genere. I Carnivori issipedi sono al loro apogeo, o quasi. Ca­ nidi, Ienidi appaiono per la prima volta e i grandi Felidi sono in pieno sviluppo. Alcuni, dotati di anini superiori a pugnale, i Machai­ rodus dell'Eurasia, rimpiazzano i generi oligocenici di aspetto analogo, scomparsi senza lasciare posterità. I Pin­ nipedi compaiono nel Miocene inferiore con Otaridi di generi diferenti da quelli che vivono attualmente. e ossa di Foche, comprese quelle di individui del genere Phoca, sono state trovate in sedimenti che datano dal Miocene superiore. Nell'America del Sud, i Notungulati e i loro analoghi, i Litopterni, si diferenziano in molti modi. Gli Sdentati Xenartri continuano nel Miocene delle evoluzioni già for­ temente abbozzate nell'Oligocene e nell'Eocene, mentre nuovi rami si innestano sulle branche principali. Essi han­ no conosciuto il loro apogeo nel Pliocene e nel Pleistoce­ ne, alla ine del quale sono precipitati nella decadenza: molte famiglie, Milodontidi, Megalonichidi, Megateridi, Gliptodontidi, si sono estinte subito prima del Quater­ nario o ai suoi inizi. Solo gli armadilli (Dasipodidi) han­ no superato vittoriosamente la prova del tempo. I primi Formichieri (Mirmecofagidi) sono riconoscibili veramen­ te soltanto nel Pliocene argentino; non sappiamo nulla sull'origine dei Bradipi (Bradipodidi); essi appartengo-

108

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

no a un sottordine, i Tardigradi, che ha conosciuto una rande fortuna durante l'Era terziaria, in America del Sud, e che ha originato numerose linee evolutive. In as­ senza di fossili, il punto di partenza dei Bradipodidi può essere arbitrariamente collocato solo tra i Paragravigradi. Non sono note le cause della estinzione brutale dei Gliptodonti e dei Gravigradi, alla ine del Pleistocene. Dal momento che i cambiamenti climatici non hanno in­ teressato la totalità della loro area di distribuzione (Ame­ rica del Sud, California, Nuovo Messico) non sono esclu­ sivamente questi, con ogni verosimiglianza, gli agenti di questa estinzione che ha coinvolto famiglie diversamente specializzate. I Pangolini, comparsi nell'Oligocene, vivevano in un areale assai più vasto dell'attuale (Africa, Asia tropicale) e si riscontravano in Europa; essi sono da considerarsi attualmente stabilizzati e in via di rarefazione. I Lagomori sono nati, con ogni probabilità, tra il Pa­ leocene e l'Eocene superiore; molti generi sono già molto rappresentativi dell'ordine e continuano nell'Oligocene con, per esempio, il genere Palaeolagus (Oligocene del­ l'America del Nord). Nel Miocene li ritroviamo nell'Ame­ rica del Nord, che sembra essere stata la loro culla. Il loro insediamento in Europa è un evento recente; le ossa del Coniglio (Oyctolagus cuniculus) sono state rinvenute in sedi me n ti villafranchiani. I Roditori propriamente detti, o Glires, formano un ordine molto folto, ricco di generi e di specie, di cui mol­ te hanno uno spiccato carattere endemico (neoendemi­ smo). La classiicazione, fondata prima di tutto sulle ca­ ratteristiche dentarie, benché sia stata lumeggiata da Schaub, non risulta ancora pienamente soddisfacente. Ne deriva che non conosciamo l'evoluzione di quest'ordine né con precisione, né con certezza. Diciotto famiglie compaiono nell'Eocene-Oligocene, sei nel Miocene, cinque nel Pliocene e tre nel Pleistocene. Questa statistica, fondata su fossili poco numerosi, indica soprattutto un ordine di grandezza; essa mostra cosi che, durante tutta l'Era terziaria, i Glires non hanno cessato di evolversi, originando, ino al Quaternario, nuove fami­ glie. La produzione dei generi è stata intensa : circa 350 attuali (rilievo efettuato nel 1952), e 290 fossili (rilievo efettuato nel 1 958), ma quanti altri le cui ossa sono state

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO Sl'ORICO DISCONTINUO

1 09

distrutte o restano da trovare! Nel corso dell'evoluzione, il tipo generale « Glires " è stato conservato malgrado le sue variazioni; lo si ritrova dal Capibara al Topolino del­ le risaie, dal Castoro allo Scoiattolo, dal Topo campagno­ lo allo Scoiattolo volante. Nel Miocene l'evoluzione dei Glires appariva già in fase di rallentamento, ma è conti­ nuata nelle epoche seguenti. Gli Insettivori toccano il loro apogeo nell'Oligocene. Nel Miocene, questo ordine chiave, da cui sono derivati i Chirotteri, i Dermotteri e i Primati, aveva già perduto la maggior parte dei suoi rappresentanti. Restavano i Solenodontidi, che oggi sono rappresentati soltanto da tre specie, divenute assai rare, a Cuba e ad Haiti. I Topiragno, le Talpe, adattati alla vita sotter­ ranea, i Porcospini erano ben diferenziati. Si aggiungano numerosi generi e la famiglia dei Dimilidi (che mostrava­ no numerosi caratteri degli Erinaceidi), oggi scomparsi. Non si conosce con certezza alcun fossile riferibile ai Ma­ croscelidi. Le Tupaie, di cui un genere fossile, Anagale, è stato trovato in un giacimento d'età oligocenica in Mon­ golia, non hanno lasciato alcuna traccia nel Miocene. Appare chiaro che gli Insettivori non hanno originato, dal Miocene in poi, alcuna novità importante e la loro evoluzione si è limitata alla formazione di specie e di qualche genere. Tuttavia, questo ruppo, in cui specie molto specializzate (Desman, Talpa ...) e specie di struttu­ ra molto generalizzata coesistono, si mostra vigoroso. I Topiragno (sensu latissimo) e le Talpe vivono bene in vicinanza dell'Uomo. La nostra conoscenza dei Primati del Miocene è assai lacunosa perché non possediamo alcun fossile di Tarsio e soltanto qualcuno di Lemuromorfo. Essi esistevano, da­ to che hanno lasciato i loro resti nei sedimenti eocenici .e in quelli pleistocenici. I Lorisidi sono noti dal Miocene del Kenya (lndraloris e Propotto); essi sono molto vicini alle specie attuali. Il caso delle Scimmie è stato esposto a pp. 1 00- 1 0 1 , cui rinviamo il lettore. Fino ad oggi nessuna parte scheletrica appartenente con certezza assoluta a un Ominide è stat a esumata dai giacimenti di età miocenica. Si parla certo del R amap i­ thecus ( = Kenyapithecus), trovato nei monti Sivaliks {India) e nel Kenya ( 1 4 milioni di anni), ma i frammenti

I lO

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

di mascella e i denti in nostro possesso non ci permettono di classiicarlo con esattezza. Ominide o Scimmia Pongide? Non si sa. Nel Miocene, l'evoluzione delle Scimmie e degli Antro­ poidi era terminata o quasi, mentre quella dell'Uomo era ben lungi dall'aver raggiunto il suo traguardo.

Rallen tamen to progressivo dell'evo luzione

Ricapitolando i fatti esposti nelle pagine precedenti, ci si accorge che il margine di manovra dell'evoluzione è venuto sempre più riducendosi; nell'Ordoviciano si arre­ sta la genesi dei tipi, nel Giurassico quella delle classi, nel Paleocene-Eocene quella degli ordini. Dopo l'Eocene, la linfa evolutiva scorreva ancora in qualche ordine, dato che i Mammiferi e gli Uccelli conti­ nuavano a specializzarsi in diversi sensi e si impadroniva­ no di tutti i biotopi terrestri e marini occupati in pre­ cedenza dai Rettili. A poco a poco le novità evolutive mutano di ampiezza. Esse coinvolgono solo dei particolari e lasciano intatto il piano di organizzazione.! La speciazione è la forma sotto la quale l'evoluzione resiste, dopo l'Oligocene negli Inset­ ti, il Miocene nei Molluschi, il Pliocene negli Uccelli e le Scimmie, l'Olocene in certi Glires e negli Ominidi (Homo sapiens, ultimo venuto, ha probabilmente 1 00.000 anni). L'evoluzione non ha soltanto rallentato la sua marcia, ma a mano a mano che la biosfera invecchiava, diminuiva di ampiezza. È certo che essa non opera più attualmente come nel I . Un esempio di micro-evoluzione, rapida e recente, è fornita dai Topi campagnoli del genere Microtus, che sono derivati da una spe­ cie originaria, l'A llophalomys pliocaenicus, i cui resti sono stati trovati in sedimenti che datano dalla ine del Villafranchiano (meno· di un milione di anni). Piccole variazioni classiicate arbitrariament­ e soggettivamente in diverse categorie hanno, a poco a poco, fatt­ passare gli animali dal genere A llophalomys al genere Microtus, uno dei piì ricchi di specie che vivano attualmente (piì di 0 specie e 240 sottospecie). Il genere Microtus è paleartico; esso è presente anche in Messico e in Arica del Nord. Gli spazi erbosi sono il suo habitat preferito (Chaline, l 972, 1973).

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

111

lontano passato. Qualcosa è cambiato. Sarebbe di grande importanza sapere che cosa, perché rischiarerebbe il mec­ canismo intimo dei fenomeni. I piani di organizzazione non sono più sconvolti, le novità non fanno più ressa. L'evoluzione, dopo l'immenso sforzo, l'ultimo, che le è co­ -stato la formazione degli ordini dei Mammiferi e l'oni­ nazione, sembra siatata; si assopisce. Tutto ciò è soltan­ to una metafora, ma che descrive bene lo stato presente dei fenomeni evolutivi. L'evoluzione ha sempre avuto le medesime cause? si è ·veriicata secondo lo stesso meccanismo? Dato che le fun­ zioni fondamentali e i cicli cromosomici delle cellule sono restati apparentemente immutati negli animali pluricel­ lulari, tendiamo a crederlo. Tuttavia i cambiamenti di velocità, gli arresti, l'incapacità di produrre nuovi piani di organizzazione, sono fenomeni che non parlano a favo­ re né dell'uniformità dei meccanismi evolutivi, né della loro costanza. È dunque lecito supporre che gli efettori abbiano perduto o acquisito un fattore che ha impedito loro di evolversi come in passato. La fase di grande fecondità è terminata : l'evoluzione biologica attuale ha l'apparenza di un processo rallenta­ to, in decadenza o in via di compimento. Noi ci troviamo di fronte a ciò che resta di un immenso fenomeno sulla Strada dell'estinzione; le piccole variazioni che registria­ mo un po' dappertutto non sono forse i residui, le ultime >scillazioni del movimento evolutivo? Non manca nelle nostre piante, nei nostri animali, un meccanismo che era presente nella primavera della iora e della fauna? Si constata frequentemente che anche quando tutte le .cause ritenute eicienti sono riunite, l'evoluzione si arre­ sta egualmente. Vandel ( 1 972) ce ne ha appena fornito un esempio eccellente. Le due specie di Cloporti del genere Australoniscus, l'una del Nepal (A . alticolus), l'al­ tra dell'Australia occidentale (A . springetti) sono separate dall'inizio del Cretaceo quando il continente di Gondwa­ na si staccò e i continenti andarono alla deriva, e cioè ,da circa 140- 1 35 milioni di anni. Le due specie diferisco­ no per un carattere minimo : c l'estremità dell'endopodite del primo pleopodo maschio è diferente ... : essa è dritta in springetti, ripiegata a uncino in alticolus » . Cosi, in 1 40 milioni di anni, né l a segregazione, né le mutazioni (se ne sono veriicate certamente), né la sele-

1 12

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

zione operante in ambienti diversi hanno modiicato que­ sti Crostacei. È necessario dunque cercare la causa della loro stabilità nella costituzione intima dell'animale. Gli manca forse il modo di inserire nel suo patrimonio ere­ ditario una nuova informazione, oppure esiste un mecca­ nismo che vi si oppone? Non lo sappiamo. Tenteremo di rispondere a queste domande ricorrendo alle recenti acquisizioni della biologia molecolare (cap. VIII). Ciò che ad ogni modo deriva dalla nostra ricerca è il fatto che oggi l'evoluzione non è più quella che è stata in passato. Questo stato di fatto, ricco di conseguenze, ha scar­ samente attirato l'attenzione dei biologi, che tuttavia non debbono limitarsi alla ricerca del meccanismo del­ l'evoluzione, ma anche rivelare le cause che hanno arre­ stato la creazione di nuovi tipi e fatto variare la velo­ cità del processo. Con il suo andamento l'evoluzione conferma di essere un seguito di fenomeni storici e irreversibili. Essa non si ripete identica a se stessa, né torna indietro. Essa è efettivamente una storia che, per certi aspetti, ricord: quella di una nazione, di una razza. Ed è così che l'evolu­ zione degli Ominidi passa insensibilmente dal campo del­ la paleontologia a quello della storia propriamente detta.

L'albero genealogico del Regno an imale

Al ine di chiarire i problemi, gettiamo uno sguard< agli alberi genealogici che Cuénot (1 952) e noi stessi (196 1 -68) abbiamo tracciato, utilizzando i dati della pa­ leontologia, dell'anatomia e della biochimica comparate. Dato che non si conoscono fossili appartenenti all'ascen­ denza diretta e prossima dei tipi, qualsiasi albero genea­ logico risulta ampiamente congetturale. Tutti i fossili dei Vertebrati si riallacciano inequivo­ cabilmente alle classi attuali; nessuno di essi può essere· ritenuto il possibile antenato degli Agnati o dei Pesd (vedi cap. l, p. 41, la nota l a piè di pagina). L'ascesa evolutiva verso il tipo vertebrato è il tema di numerose­ teorie (Georoy Saint-Hilaire, 1 8 1 8 ; Masterman, 1 897;

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 13

Gaskell, 1 908; Patten, 1 890; Garstang, 1 929; Romer, 1955; Jarvik, 1 960 e parecchi altri) che non escono quasi mai dal campo speculativo e che quindi non interessano di­ rettamente il nostro argomento. I Pesci Crossopterigi, che vengono studiati sempre me­ glio, sembrano essere il gruppo sintetico da cui sono deri­ vati i Vertebrati tetrapodi. Gli uni, gli Actinisti, sono rimasti stazionari, dal De­ voniano superiore ino al Giurassico. Essi sono troppo conservatori e troppo specializzati, a giudicare dalla Lati­ meria attuale, per aver partecipato alla genesi dei Te­ trapodi, conquistatori delle terre ferme. Questo compito è stato assolto, con ogni verosimiglianza, dai Crossopterigi ripidisti dotati, come i Tetrapodi, di narici interne (coane). I più antichi Anibi conosciuti, gli Stegocefali ictioste­ gali, sono apparsi nel Devoniano superiore (vecchio grès rosso della Groenlandia orientale); essi somigliano incon­ testabilmente ai Ripidisti, soprattutto agli Osteolepifor­ mi, ma possiedono arti tipici dei Tetrapodi, detti auto­ podi,! issati al tronco mediante cinti ossei caratteristici. Gli stadi del passaggio dalla pinna del Crossopterigio all'arto del Tetrapode, mancano. Tuttavia, gli anatomisti si sforzano di trovare nella pinna le ossa che hanno co­ stituito l'autopodio. Non è davvero un compito agevole. Ogni pinna comprende un pezzo osseo prossimale che sarebbe omologabile all'omero dei Tetrapodi ; a questo seguono due pezzi ossei sui quali si inseriscono alcune ile di ossicini. La pinna si articola con un cinto composto da cinque ossa, diferente da quello degli altri Pesci. Il cinto anteriore o scapolare si attacca alla testa, da ambo i lati, mediante due ossa, mentre negli Anibi il cinto i n que­ stione è libero. Malrado le diferenze profonde che separano la pinna pediculata dall'autopodio, è verosimile che quest'ultimo derivi dalla prima. lchthyostega possedeva una pinna caul. Arto caratteristico dei vertebrati camminatori (Tetrapodi), com­ posto di segmenti successivi e articolati tra di loro. Arto anteriore: avambraccio (omero), braccio (radio e ulna), polso (carpo), palmo della mano (metacarpo) e dita; arto posteriore : coscia (femore), gamba (tibia e perone), caviglia (tarso), p ianta del piede (metatarso) e dita. Il numero fondamentale di dita per arto è 5.

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

dale eterocerca, conformata grossomodo come quella di un Crossopterigio. Le volte craniche degli Osteolepiformi e degli Ittiostegali non hanno la stessa composizione; in cambio, le ossa delle parti laterali del cranio sono pres­ soché le stesse. Complessivamente, gli Ittiostegali hanno troppi carat­ teri in comune con i Crossopterigi perché questi non appartengano alla loro ascendenza, senza pertanto essere gli antenati diretti degli Stegocefali; tuttavia non ne sono apparentemente molto lontani. Si è supposto che Ichthyo­ stega, Ichthyostegopsis e A canthostega costituiscano un ramo staccatosi dal ceppo dei Crossopterigi-Anibi che, do­ po una rapida evoluzione, si è inaridito senza lasciare di­ scendenza. Per meglio apprezzare il grado di parentela tra questi gruppi arcaici, sarebbe necessario conoscere le trasformazioni degli apparati respiratorio e circolatorio che hanno reso possibile la vita in ambiente aereo, ma non possediamo alcuna idea che si fondi su fatti. Il passaggio dagli Anibi ai Rettili è avvenuto, del pari, attraverso forme arcaiche non specializzate. Si svolse così insensibilmente che certi fossili, per esempio Seymouria, furono in un primo tempo scambiati per Rettili primi­ tivi, mentre oggi li si classiica, con il nome di Seimou­ riamori, tra gli Anibi stegocefali labirintodont�.l Il loro scheletro è un autentico mosaico di caratteri anibiani e rettiliani ; la loro forma generale è di una grande bana­ lità, è quella di un Tritone o di una Lucertola. Nel cra­ nio, i caratteri rettiliani non abbondano (il lacrimale si estende dall'orbita alla narice esterna);2 in cambio, le ver­ tebre di Seymouria e quelle dei Rettili cotilosauri sono pressoché identiche. I Rettili posseggono due o più co­ ste sacrali, gli Anibi una sola, ma Sey mouria ne ha due. Negli arti e nei cinti presenta molti tratti nettamente ret­ tiliani. L'ordine dei Seimouriamori possiede pochi carat­ teri particolari (forma e posizione dell'apertura otica, co­ stituzione di un complesso atlas-axis, presenza di due col . I Seimouriamori sono indubbiamente degli Anibi. Sul cranio di certi esemplari di Seymouria sono state osservate le tracce di solchi sensoriali, organi considerati come propri dei Pesci e degli Anibi. 2. Questo carattere, molto arcaico dato che esiste in lch thyostega, si ritrova nei Rettili cotilosauri.

L 'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 15

ste sacrali ... ) e nessuno dei suoi rappresentanti porta il segno di una specializzazione isiologica o etologica. Diciamo pure che Seymouria, forma arcaica, presenta forti ainità con i Rettili più primitivi, i Captorinomori. Descriviamo altrove, con qualche particolare, la genesi dei Mammiferi a partire dai Rettili teromori, notevoli per la loro anatomia arcaica e di tipo generale. La nostra documentazione sugli Uccelli è meno buona, benché si possieda lo straordinario A rchaeop teyx, auten­ tico cocktail di caratteri rettiliani e di caratteri aviari. Non conosciamo i suoi antenati, fatto che relega l'origine precisa degli Uccelli tra le cose ancora da scoprire.

Le forme madri e la creazione delle novità

Ne sappiamo dunque abbastanza per poter afermare che la iliazione da un tipo di organizzazione a un'altra non avviene mai per il tramite di tipi specializzati. La macroevoluzione si è compiuta passando da forme arcaiche ad altre forme arcaiche, le quali, per il loro pia­ no di organizzazione, appartengono certamente a un a uni­ tà sistematica deinita, ma conservano una struttura di tipo generale. Queste forme sono così poco specializzate che, conside­ rate isolatamente, non rivelano pressoché nulla del loro destino. Esse acquistano il loro valore, il loro signiicato evolutivo solo se integrate al phylum o ai phyla che ne sono derivati. Esse sono le madri da cui sgorgano le linee evolutive che realizzano un certo tipo morfologico, o idiomorfo, specializzandosi. Il phylum che ha già imboccato una strada, non può più uscirne; tutt'al più si individualizza mediante una specializzazione supplementare. e linee evolutive collaterali non creano nulla di vera­ mente nuovo. Esse sono come le masse cellulari che, nel corso dell'ontogenesi, dopo aver subito l'inluenza di un organizzatore, possono realizzare solo l'organo per il qua­ le erano state preparate. Le forme madri corrispondono al tronco, all'asse degli alberi genealogici, concepiti alla maniera classica. Esse sono depositarie delle potenzialità creatrici; sono parago-

1 16

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

nabili a un rizoma, da cui spuntino volta a volta dei fusticini. L'evoluzione creatrice scaturisce dalle forme madri; sen­ za di loro non compaiono mai nuovi tip i di organizza­ zione. Per esempio, i Rettili (che i Diadectes siano Rettili o Anibi importa poco) derivano da Anibi stegocefali ar­ caici, di tipo seimouriamorfo, non specializzato. La storia dei Mammiferi ci ha già insegnato che essi hanno per antenati dei Rettili molto arcaici, i Captori­ nomori, prossimi al ceppo originario o ceppo essi stessi, da cui sono usciti, pressoché contemporaneamente ad essi, tutti gli ordini dei Rettili. Precocemente le forme madri generano dei rami che corrispondono ad altrettanti sottotipi, e su cui si inseri­ scono rami di ' e anche di 3° ordine. È da un medesimo stock di Mammiferi primitivi che sono nati gli Insettivori, i Chirotteri e i Primati verso la ine del Cretaceo o agli inizi del Paleocene. Più tardi si sono originati da un medesimo ceppo i Tarsi, i Lemuri, le Scimmie e probabilmente gli Ominidi. Non esistono certamente legami iletici diretti tra i primi tre sottordini, e noi pensiamo - ma si tratta di un'opinione personale ­ che la derivazione degli Ominidi direttamente dal ceppo comune a tutti i Primati ha più probabilità di essere ve­ ra della iliazione a partire dalla linea scimmiesca. L'immagine dell a macroevoluzione non è esattamente quella di un albero, ma piuttosto quella di un gambo alquanto corto che emette da ciascuno dei suoi nodi un verticillo di rami laterali e ineguali (vedi ig. 5). I rami più possenti corrispondono alle classi e buttano dei rami secondari (ordini), terziari (sottordini) e qua­ ternari (superfamiglie o famiglie). Le foglie sono le specie.

Le forme pancroniche e gli arresti dell'evo luzione

In certi casi l'evoluzione procede cosi lentamente che la si può considerare sospesa. Molte specie non si sono più evolute o quasi dall'origine e sono quel che soprav­ vive di gruppi estinti. Si parla al riguardo di relitti. Ne riportiamo qualche esempio classico.

Monotremi

Stegocefa l i Al tri Rettili

Fig. 5. Filiazione degli Anibi, Rettili e Mammiferi; esempio di albero genealogico on verticilli di rami evolutivi. Le forme madri degli Anibi sono alcuni Pesci crssopterigi ripidisti non specializzati; le forme madri dei Rettili : gli Stgocefali seymouriamori, i Capto­ rinomori. Le forme d'origine dei Mammiferi sono alcuni Pelicosauri e Teriodonti.

1 18

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Le Lingule (Lingula) e i Crania, Brachiopodi dell'Or­ doviciano e del Carbonifero sono presenti nei mari at­ tuali. I Molluschi monoplacofori sono vissuti nel Cambriano­ Siluriano; da poco se ne conoscono 'due specie del genere Neopilina che abitano l'una alla profondità di 3.500 me­ tri nell'Oceano Paciico, all'ovest del Messico, l'altra a profondità maggiore, tra i 5.600 e i 6.350 metri. I Molluschi gasteropodi sono ricchi di generi di una estrema antichità : Viviparus (la nostra Paludina) ha la­ sciato delle conchiglie in sedimenti del Carbonifero in­ feriore; Potamides, in quelli del Permiano. Le Valvata sono comparse nel Giurassico medio, le Turritelle (Tro­ ch us e altri generi) nel Siluriano, le Fissurelle (Fissurella) e le Pleurotomaria nel Giurassico ... I Lamellibranchi at­ tuali annoverano nei loro ranghi numerosi generi relitti : Nucula (Devoniano), Leda (Siluriano), Arca (Triassico), Limopsis (Triassico), Modiola (Devoniano), Lith odomus (Carbonifero), Mytilus (Triassico medio), Pinna (Triassi­ co medio), Avicula (Devoniano), Ch lamys (Triassico), Spondy lus (Permiano), A nomia (Giurassico), Astarte (Triassico medio), lsocardia (Giurassico), Cardium (Trias­ sico), Teredo (Giurassico), ecc. Molti generi di Nautili sono presenti in dal Cambria­ no superiore; le sole forme relitte attuali, i Nautilus (tre specie), sono parenti diretti dei Nautilida, tra i quali i più antichi risalgono al Mississippiano (320 milioni di anni); le conchiglie di Nautilus sensu stricto sono state trovate in depositi di età eocenica. I Crostacei Sincaridi, noti allo stato fossile dal Carbo­ nifero al Permiano, posseggono numerosi generi (Koo­ nunga, A naspides, Paranaspides, Micraspides, Bathynella e altri) che vivono nelle acque sotterranee di tutto il mon­ do, eccezion fatta per l'America del Nord. Fra gli Insetti, gli Odonati Epiophle bia superstes (Giappone) e E. laidlawi (Himalaia) sono ciò che soprav­ vive degli Anisozigotteri che vissero numerosi dal Trias­ sico al Lias. Il Tricho lepidion gertschi, Tisanuro che vive nelle fo­ reste della California settentrionale, vestigia della foresta mesoitica del Terziario, è l'unica specie attuale che sia sopravvissuta dei Tisanuri lepidotrichini, inclusi nell'am­ bra baltica. Il Mastotermes darwiniensis, Australia del

L'EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 19

Nord, è il solo rappresentante dei Mastotermitidi he, nell'Eocene, vivevano ino in Europa. Tra i Pesci, i relitti abbondano. Il Celacanto, di cui abbiamo parlato in precedenza, abita l'Oceano Indiano tra i 1 50 e gli 800 metri di profondità, al largo delle isole Comore; esso assomiglia nei particolari ai Coelacan­ thus i cui scheletri giacciono nei sedimenti del Carboni­ fero (Ohio, Scozia, Inghilterra), del Permiano (Europa) e del Triassico inferiore (Madagascar). Tutto lascia pre­ sumere che Latimeria non si sia assolutamente più evolu­ to da 200 milioni di anni ! I resti di parecchi Pesci Selaci attuali sono stati trovati fossilizzati in sedimenti del Giurassico superiore (Pristiu­ rus, per esempio), del Cretaceo (Sphyrna), dell'Eocene (Raja, Squalus ... ) Dopo di allora questi Pesci non sono più cambiati. La famiglia dei Chimeridi (Pesci olocefa­ li) esisteva già nel Giurassico (Kimmeridgiano di Baviera, Batoniano). Lo Sfenodon (Sphenodon punctatus) o Atteria, localiz­ zato attualmente nelle piccole isole del distretto di Cook (Nuova Zelanda), è il solo Rettile rincocefalo (Triassico, apogeo nel Giurassico) che sia sopravvissuto. Anche i Mammiferi hanno, a loro volta, dei relitti capeggiati dagli Opossum o Sarighe (Didelph is), estrema­ mente vicini, tranne che per alcuni particolari dentari e ossei, all'Eodelphis del Cretaceo superiore (Alberta, Ca­ nada) (da 60 a 70 milioni di anni). Gli Iracoidei non sono per nulla mutati dall'Oligocene inferiore : i Sagatherium e i Pachyhyrax rinvenuti nei ia­ cimenti del Fayum (Egitto) sono prossimi ai Procavia africani. Gli Insettivori del genere Sorex erano già pre­ senti nell'Oligocene inferiore. Questo elenco rappresenta solo un piccolo campione preso dalla massa degli animali relitti attualmente de­ scritti (si veda Jeannel, 1 944; Delamare e Botosanéanu, 1 970). Le specie pancroniche suscitano numerosi problemi. Quali cause ne hanno rallentato l'evoluzione al punto di annullarla? La risposta è tanto più diicile per il fatto che le specie pancroniche si dividono in due gruppi distinti : - quelle del primo gruppo hanno una struttura di tipo generale, prossim a al ceppo originario. Esempio : la Sariga .

1 20

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

od Opossum (Didelphis), i Pesci Selaci che non adottano habitat o modalità di vita particolari; - quelle del secondo gruppo hanno una struttura mista, mezzo arcaica, mezzo specializzata, esempio l'Aniosso, il Celacanto, il Tarso, l'Oritteropo, che presentano tutti habitat o modalità di vita molto specializzati. Noi ignoriamo le ragioni per cui certi Squali (alcuni da più di 1 00 milioni di anni) e gli Opossum (Didelphis, da 70 milioni) appaiano perfettamente stabili. E tuttavia, gli Opossum che abitano ambienti molto diversi, come la foresta umida, la savana, le zone subdesertiche, i dintorni delle città, ecc. sono sottoposti a condizioni teoricamente favorevoli all'evoluzione. Alcune loro specie, Didelphis virginiana, America del Nord, e Didelphis aarae, Ameri­ ca del Sud, sono in piena difusione e mutano fortemente. Per essere dei relitti, il loro stato di salute è eccellente, ma riiutano di evolversi. Alcune specie pancroniche possono conservarsi solo gra­ zie alle condizioni favorevoli che trovano in rare nicchie ecologiche che sono per loro autentici rifugi. Gli isolotti del distretto di Cook (Nuova Zelanda) dove vivono le ultime Atterie (Sphenodon punctatus) sono il rifugio do­ ve la specie trova l'ambiente che conviene alle sue parti­ colarità isiologiche : metabolismo molto basso, crescita lentissima (durata media 50 anni), maturità sessuale rag­ giunta verso il ventesimo anno, longevità valutata attorno a un secolo. Che la specializzazione blocchi l'evoluzione sembra, in molti casi, probabile : l'Aniosso, che mostra il piano ar· chitettonico del Cordato nella sua purezza e preigura il Vertebrato, vive coniccato nella sabbia dei fondi marini e ne lascia uscire soltanto la sua estremità anteriore, farin­ gea e branchiale, che è una rete per catturare il plancton. La microfagia (alimentazione a base di animali di picco­ lissime dimensioni, di batteri, di alghe, o di minuscoli residui organici che galleggiano nelle acque) esige il pos­ sesso di complessi dispositivi iltranti. Di questi, il più specializzato e il più grande è quello dei Cetacei misticeti, prodotto di una evoluzione estremamente spinta. L'Oritteropo, Mammifero di struttura molto arcaica, ha dei rapporti con i Condilartri, che sono vissuti dal Pa­ leocene all'Eocene. Esso si nutre esclusivamente di Termi­ ti : la sua ridotta dentatura è aberrante (tubulidonte);

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

121

con l a lingua impania gli Insetti i n una saliva viscosa, secreta in abbondanza da enormi ghiandole salivari; le sue zampe armate di artigli e il suo muso gli permettono di scavare con velocità ed eicacia. Le altre parti del corpo sono rimaste arcaiche e semplici, come se la spe­ cializzazione dell'animale l'avesse congelato nella sua struttura archetipica. Tra i Primati, i Tarsi hanno precocemente adottato, nel corso della loro storia, costumi arboricoli, un regime alimentare insettivoro e una attività notturna. Questo modo di vita è concomitante con una ipertroia degli oc­ chi tale che un'orbita, da sola, raggiunge il volume della cavità cranica ! Le dita, allungate e molto gracili, esplo­ rano le fessure della corteccia e vi aferrano gli Insetti. All'adattamento nictalope e insettivoro, se ne è aggiunto un altro, l'adattamento alla vita da arboricolo saltatore: le zampe posteriori, molto più forti delle anteriori, han­ no il tarso smisuratamente allungato. I Tarsi, estrema­ mente specializzati, si sono scissi in tre specie e dodici sot­ tospecie, separate da piccole diferenze, il che dimostra che la « speciazione " non è l'evoluzione creatrice.

La persistenza dell'evo luzione

L'antichità di un gruppo è ben lungi dall'implicare l'arresto dell'evoluzione. Gli Echinodermi ne forniscono la prova. Essi sono comparsi molto presto e alcuni, i Cistoidei, sono conosciuti allo stato fossile in dal Cambriano; essi hanno raggiunto il loro apogeo nell'Ordoviciano e sono scomparsi nel Devoniano. I Blastoidei sono vissuti dall'Or­ doviciano al Permiano, gli Edrioasteroidei dal Cambria­ no al Carbonifero. Queste due classi sono totalmente estinte. I Crinoidei, i più antichi dei quali risalgono all'Ordo­ viciano inferiore, hanno ancora dei rappresentanti che appartengono tutti alla sottoclasse degli Articulata, di età triassica. Gli Asteroidei, che hanno la medesima età dei Crinoi­ dei, sono ancora largamente rappresentati in tutti i mari, ma la loro evoluzione è stata molto lenta. Il genere Astro-

122

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

pecten, fossilizzato in sedimenti giurassici (Baiociano), è ancora comune negli Oceani attuali; lo stesso per il gene­ re Echinaster che, dal canto suo, è comparso nel Cretaceo. Numerose Asterie attuali sembrano essere di origine re­ cente. La storia degli Echinoidei è particolarmente ben cono­ sciuta; essa è iniziata nell'Ordoviciano ed è continuata, con una velocità variabile, ino ai nostri giorni. I Cida­ roidei compaiono nel Triassico superiore, ma contano an­ che generi relativamente recenti (Eocene). Certe famiglie: Strongilocentrotidi ed Echinometridi tra i Regolari, Spa­ tangidi, Lovenidi ... tra gli Irregolari, sono per la maggior parte di età miocenica. Un grande numero di generi attuali sono conosciuti al­ lo stato fossile; eccone alcuni : Sch izaster (Eocene), Para­ brissus (Eocene), Spatangus (Eocene), Brissus (Eocene), Hemiaster (Aptiano), Cassidulus (Senoniano), Oligopodia (Eocene), Ech inolampas (Eocene), Clypeaster (Eocene), Ech inocyamus (Senoniano), Laganum (Eocene), Dendra­ ster (Pliocene), Astriclypeus (Miocene), Rotula (Pliocene superiore), Stereocidaris (Cretaceo), Coelopleurus (Eoce­ ne), Microcyphus (Miocene), Erbech inus (Pliocene), Sphae­ rechinus (Pliocene), Echinus (Pliocene), Psam mechinus (Neocomiano), Parasalenia (Miocene) ... Complessivamente, il tipo degli Echinodermi, profon­ damente diviso nel passato in 8 sottotipi o classi (Cistoi­ dei, Blastoidei, Edrioasteroidei, Crinoidei, Oloturoidei, Asteroidei, Oiuroidei, Echinoidei) ha perduto tre linee evolutive ma non ha per questo cessato di essere presente in tutti i mari e a tutte le profondità. All'apogeo dei Ci­ stoidei è succeduto l'apogeo dei Blastoidei, poi quello dei Crinoidei. Gli Echinoidei e gli Asteroidei hanno co­ nosciuto eguale fortuna dall'Ordoviciano ai nostri giorni ; quanto agli Oloturoidei, il cui fossile più antico è stato rinvenuto in sedimenti del Devoniano inferiore, essi non danno alcun segno di senescenza. Così, a dispetto della loro antichità, gli Echinodermi si sono costantemente evo­ luti con un ritmo variabile secondo la classe e il momento, ino a un'epoca relativamente recente. L'esistenza di forme relitte, cioè di forme invariate da tempi immensi e sopravvissute di un gruppo estinto, co­ stituisce solo un caso particolare dell'arresto o del rallen­ tamento dell'evoluzione, fenomeno cui si deve la persi-

L'EVOLUZIONE, FENOMENO

STORICO DISCONTINUO

1 23

stenza dei tipi inferiori. I Batteri, i Protozoi, le Spugne, i Cnidari (Idre, Meduse, Coralli) abbondano attualmen­ te, come in passato, e sono sempre produttori di mu­ tazioni. I Protozoi attuali, considerati nel loro insieme, diferi­ scono, ma poco, da quelli di ieri. Essi somigliano molto ai loro antenati che galleggiavano negli oceani del Pa­ leozoico. Le loro classi, ordini e famiglie si fregiano di una rande antichità. Tuttavia, nel loro interno, l'evolu­ zione è stata estremamente diversiicante; senza uscire dal quadro unicellulare i generi dei Radiolari e dei Forami­ niferi si sono moltiplicati. Questi ultimi, oggi ancora molto numerosi, hanno conosciuto il loro apogeo nei ma­ ri terziari al punto da divenire i fossili caratteristici dei sedimenti marini, e al punto che i geologi hanno dato il loro nome all'epoca della loro massima difusione, il Nummulitico (Nummulites s. l., Foraminiferi a scheletro complesso, comparsi nel Giurassico e rappresentati da molti generi attuali). È quasi inutile dire che i Protozoi, nel corso della loro evoluzione, hanno subìto delle perdite : molti gruppi, og­ gi estinti, lo attestano; citiamo gli Archeomonadidi tra le Crisomonadine e i Vallacertidi tra i Silicolagellati, pa­ recchie famiglie di Dinolagellati, gli Ebriacei (ad eccezio­ ne dei generi Ebria ed Hermesinum), diverse famiglie di Foraminiferi. I Radiolari sono stati trovati fossili nei sedimenti ante­ cambriani dell'Australia. I due grandi gruppi - Sferel­ lari e Nassellari - esistevano già nel Paleozoico, ma con forme discretamente diferenti da quelle attuali. L'evolu­ zione di alcune linee è conosciuta con una certa preci­ sione : essa si è prolungata ino al Terziario. Il tipo dei Poriferi, nato nel Precambriano, si è poco evoluto dall'Era primaria. Moret ( 1952), eccellente cono­ scitore delle specie fossili, ha scritto : « Per quello che ri­ guarda i fenomeni evolutivi, essi sono pressoché inesisten­ ti nei Poriferi " che mostrano « una ben nota incapacità a trasformarsi nel corso delle ere geologiche " (si potrebbe dire : divieto permanente di evoluzione per le Spugne). Si giudichi : i più complessi, dal punto di vista dello sche­ letro e delle camere iltranti, gli Esatinellidi, hanno avuto dei rappresentanti sin dal Siluriano, le Lissacine, la cui organizzazione ricorda da vicino quella delle specie attua-

1 24

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

li. Malgrado la loro antichità i Poriferi fanno parte di tutte le faune, in tutte le acque, dal litorale agli abissi. I Brachiopodi formano un tipo o un sotto-tipo la cui evoluzione, senza mai raggiungere una grande ampiezza, ha generato parecchie superfamiglie che, volta per volta, hanno predominato. È un ruppo in decadenza, di cui sono stati censiti 1 300 generi fossili (ne ha avuti certa­ mente di più). La sua storia è complessa; sembra esser passato per due apogei, l'uno nel Paleozoico (Ordovicia­ no-Devoniano) e l'altro, più recente, nel Secondario. Oggi, con i suoi 68 generi, parecchi dei quali sono venerabili relitti (Lingula, Crania ... ), esso occupa un posto mode· sto nella vita degli oceani. La sua evoluzione ha riguar­ dato dei particolari, senza toccare il piano di organizza. zione. I Collemboli, un ordine degli Insetti, ofrono un bel­ l'esempio di ciò che può essere un gruppo molto antico nella natura attuale. Sin dal Devoniano questi insetti era­ no perfettamente individualizzati (vedi il caso di Rhyniel­ la paecursor); essi conoscono attualmente una grande prosperità e colonizzano la maggior parte degli ambienti, soprattutto quelli umidi : terra, humus forestale, suoli sospesi, scorze, argini, alta montagna, sostanze vegetali in decomposizione, vegetali viventi, grotte, termitai ... Gli specialisti stimano che esistano circa 100.000 specie di Collemboli ! Tuttavia, a q uesta produzione notevolissima d i specie fa riscontro l'estrema monotonia dei piani d'organizzazione, dato che conosciamo solo due sottordini, gli Artropleoni e i Simipleoni. Generi e specie si distinguono in virtù di piccoli particolari, che solamente l'osservazione al micro­ scopio rivela; ma l'uniformità dei piani di organizzazione non impedisce la diversità genetica e speciica. Gli Infu­ sori, i Coleotteri, gli Uccelli, per citare solo animali mol­ to diversi, forniscono, a loro volta, esempi probanti. I Collemboli, a dispetto della loro antichità, danno prova di una adattabilità, sia morfologica sia isiologica, che si traduce in una intensa produzione di ecomorfosi, di cui parecchie sono state minuziosamente studiate da Cassagneau e che possono ricordare le variazioni delle piante trasportate da un ambiente all'altro. Essi presen­ tano anche numerosissime mutazioni che sembrano essere la causa dell'origine di piccole sottospecie descritte dai

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 25

sistematici e che rammentano i mutanti di Erophila. Questa duplice constatazione non ci autorizza forse a concludere che né la mutagenesi né la plasticità delle forme alterano la stabilità dell'ordine?

L'evoluzione attuale si limita alla speciazione

Dopo essere stata altamente produttiva, l'evoluzione di tutti i gruppi zoologici ha subìto un rallentamento e oggi si limita a generare nuove specie. Ci sembra che anche tra le piante essa non eserciti un'azione più ampia. Le fasi creatrici sono terminate da lungo tempo, eccezion fatta per gli ordini degli Uccelli e dei Mammiferi che si sono individualizzati all'inizio dell'Era terziaria e specializzati durante questo periodo; ma ora sono anch'essi ridotti alla speciazione. Gli Invertebrati, che sono tutti molto antichi, non han­ no più modiicato il loro piano di organizzazione da tem­ po immemorabile. a fauna entomologica delle resine fossili e particolarmente dell'ambra baltica (Oligocene, attorno ai -33-26 milioni di anni) diferisce ben poco dalla fauna attuale e se ne trova l'equivalente nei climi tropicali e subtropicali. Le osservazioni efettuate da Melle Kelner ( 1969) sulle Api dell'ambra ci mostrano una delle più forti evoluzioni compiute dagli Insetti nel corso degli ultimi 30 milioni di anni. Questi Imenotteri hanno pezzi boccali corti e spazzole da polline poco estese e con pochi elementi. Se omettiamo questi particolari, tuttavia, le Api fossili sono molto simili alle quattro specie attuali del enere Apis. Siamo quasi certi che attualmente, in fatto di evoluzio­ ne, vediamo solo gli episodi della genesi di qualche nuo­ va specie. Esistono ancora, tuttavia, numerosi gruppi, tra i Pori­ ferì, gli Idrozoi, i Platelminti, gli Anellidi policheti, i Molluschi poliplacofori, i Pesci Selaci, gli Urodeli, diversi Mammiferi (Didelidi, Soricidi, Tupaiidi ...) da cui ci si potrebbe lecitamente aspettare di più, dato che realizza­ no tipi arcaici, generalizzati, tali da poter originare delle linee evolutive suscettibili di specializzazione. Tra i Mammiferi, prendiamo due famiglie di Insettivo-

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

ri, i Soricidi e i Tupaiidi. Per esempio, i Topiragno (So­ ricidi) sembrano non essersi allontanati dal ceppo origi­ nario degli Insettivori; già nell'Eocene superiore essi era­ no presenti in Europa occidentale con la forma del ene­ re Saturnina e, nell"Oligocene inferiore, in America del Nord, con quelle del genere Domnina che somiglia a Sorex e a B larina. Noi abbiamo la certezza che l'evoluzio­ ne dei Topi-ragno, a partire dai tempi più remoti, sia stata scarsa, e si sia limitata a formare specie poco diver­ siicate rispetto al ceppo originario. Questa constatazione non spinge certo a predire ai Soricidi un brillante avve­ nire evolutivo. I Tupaiidi, classiicati a torto tra i Primati, sono de­ gli Insettivori mezzo arboricoli e mezzo terrestri che sono considerati a giusto titolo come congelati in uno stato arcaico. Essi sono conosciuti allo stato fossile con il genere A nagale (Oligocene inferiore di Mongolia) che è appena più arcaico delle Tupaie. Le Tupaia annoverano parec­ chie specie e sottospecie indonesiane. Essi potrebbero, ap­ parentemente, evolversi ancora in diverse direzioni. Tra i Marsupiali americani, alcuni eneri si sono sot­ tratti a qualsiasi specializzazione, come nel caso delle Sarighe o Opossum (Didelphis) e dei Cenolestidi. I Mar­ mosa, Metachirops, Monodelphis, malgrado siano arbori­ coli, non manifestano apparentemente particolarità ana­ tomiche legate al loro modo di vita. A dispetto della loro struttura primitiva, di un tipo molto generalizzato, essi permangono immutati e non si orientano verso una for­ ma diferente. I Monotremi, a dispetto dei loro caratteri notevolmen­ te arcaici, sono cosi specializzati che pare impossibile che possano dar vita a grandi novità. Tra i Mammiferi euteri meno modiicati si pongono gli Ursidi, la cui dentatura, con struttura settoriale attenuata, è adatta a un regime onnivoro; tuttavia la loro evoluzione sembra molto ral­ lentata. Benché la loro origine non sia stata precisata, si sa che con il genere Ursavus essi erano già perfettamen­ te conformati nel Burdigaliano-Pontiano, anche se erano ancora di piccola taglia, e che all'inizio del Pliocene il genere Ursus era individualizzato e dava origine a nume­ rose specie di cui parecchie si sono estinte; il grande Orso delle caverne (Ursus spelaeus) è scomparso solo nel Maddaleniano, dopo essere stato oggetto di culto da parte

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

127

dell'Uomo d i Neandertal. Tutto questo non autorizza a concedere agli Ursidi grandi possibilità evolutive. Il caso dei Roditori veri e propri (Glires) si presenta in termini diversi. Anche avvalendosi della paleontolo­ gia si discernono con diicoltà le correnti evolutive che hanno attraversato questo ordine e le ainità tra le fa­ miglie sono mal conosciute. Parecchi studiosi dei Mam­ miferi hanno sostenuto, senza prove decisive, che certe fa­ miglie di Glires sono " in piena evoluzione " , particolar­ mente quelle dei Rattidi. L'ordine in questione è, tra tutti gli ordini dei Mammiferi, il più ricco di generi e di specie; certi generi annoverano decine di specie (Micro­ tus 90, Rattus 270) 1 Nel suo ambito la speciazione sem­ bra avere agito largamente e gli studi recenti sulla siste­ matica e il corredo cromosomico dei Microtus, dei Pero­ myscus nordamericani e dei topi africani del genere Leg­ gada fanno propendere a credere che continui, anche se l 'ampiezza della sua azione è molto debole. Non manche­ remo di notare come le specie cosmopolite, Rattus rattus, Rattus novegicus, Mus musculus, produttrici di n ume­ rosissime mutazioni, siano fortemente stabili, pur vivendo in ambienti che variano da una città o da una regione all'altra, condizioni ideali, o pretese tali, per favorire una evoluzione rapida e varia. È possibile che certi Roditori del Madagascar (Nesomii­ ne, sotto-famiglia la cui omogeneità è stata messa in dub­ bio), della Nuova Guinea (Mayermys, Crossomys, Micro­ hydromys ...), d'Australia (Hy dromys) siano di origine ab­ bastanza recente e che in quelle randi isole si formino ancora specie nuove. L'esame critico dei gruppi zoologici, comprendendo in essi specie fossili e attuali, rivela che la maggior parte di essi si sono issati da moltissimo tempo nello stato in cui li conosciamo e che gli altri, benché di origine meno antica, attraversano un periodo di calma. Si sono tutti limitati, da periodi di tempo varianti tra i 400 e i I O milioni d i anni, a compiere solo piccolissime variazioni. Un biologo accetta diicilmente di ammettere che gli esseri viventi attuali, nella loro costituzione intima, dife­ riscano in qualche modo da quelli del passato. Sembra, di primo acchito, che una tale supposizione contenga qualcosa di contrario allo spirito scientiico. Ma i fatti sono fatti; nessun grande piano di organizzazione è ap-

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENE

parso da parecchie centinaia di milioni di anni e da tempi altrettanto remoti numerose specie, animali e ve­ getali, hanno cessato di evolversi. Noi abbiamo detto che, attualmente, l'evoluzione è dif­ icile, per non dire molto diicile, da osservare. Certi bio­ logi pretendono di vederla e di coglierla in azione; ma i fatti che descrivono non hanno alcun rapporto con l'evoluzione, oppure sono insigniicanti. Nella migliore delle eventualità, i fatti evolutivi attua­ li si limitano a lievi cambiamenti genotipici nell'ambito delle popolazioni, alla sostituzione di un allele con un altro. Per esempio, il mutante carbonaria della Falena della betulla, Biston betularia, sostituisce la forma nor­ male nelle regioni industriali a forte inquinamento at­ mosferico (Haldane, 1956; Ford, 1971). Si può citare il neoendemismo, a localizzazione molto ristretta, dei Molluschi polmonati del genere Achatinella nelle isole Hawaii (Welch, 1 938), del genere Partula in Polinesia (Crampton, 1 9 1 6, 1 925, 1932; Bailey, 1 956; Mur­ ray e Clarke, 1 966). Le minuscole ' specie ' (giordanoni) della Pelosella (Erophila verna), una Crucifera, sono al­ trettanti mutanti che si sostituiscono gli uni agli altri secondo la località. Constatando la loro stabilità, Jordan ( 1 864) ne traeva argomento per sostenere che la polveriz­ zazione della specie in sottounità non deve essere confusa con un movimento evolutivo; a ragione, perché i giorda­ noni non variano e non si succedono nel tempo secondo una direzione preferenziale. Per il momento la specie lin­ neana Erophila verna conserva la sua unità e la sua vali­ dità, a dispetto delle centinaia di piccole varietà sotto le quali si presenta. Ma Jordan si sbagliava quando dedu­ ceva dalla loro stabilità l'inesistenza dell'evoluzione. Egli traeva dai fatti da lui osservati un insegnamento che essi non implicavano. Le minute diferenziazioni della specie, conseguenze possibili dell'aggiustamento del genotipo alle circostanze locali o ad altre, non oltrepassano i limiti della specie; esse ne modellano la struttura e le funzioni con ' inali­ tà ' adattative. Il caso della specie umana merita, da questo punto di vista, una particolare attenzione. L'Uomo è uno degli animali terrestri più cosmopoliti; egli vive in tutti i climi e ha subito mutazioni che si con-

' L EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 29

tano a parecchie migliaia di tipi, a giudicare dal numero ,di alleli segnalati nelle diverse popolazioni umane, che si compongono attualmente di 3 miliardi e 200 milioni di individui i cui genotipi sono tutti diferenti (eccezion fatta per quelli dei gemelli monocoriali). Il serbatoio dei mutanti di cui dispone la selezione è dunque ampiamente rifornito. E che cosa succede, allora? Nulla di importan­ te, persino nulla di apprezzabile. L'ultima particolarità anatomica acquisita dall'uomo è stata il mento (30.00040.000 anni fa e probabilmente di più se si tiene conto dei praesapiens). In una memoria molto recente, Vallois ( 1972) ha fatto il punto sulle razze del Paleolitico superiore europeo; ri­ sulta dalle ricerche di questo eminente antropologo che -due razze soltanto sono reali, una è quella di Cro-Magnon, i cui scheletri eponimi sono di età aurignaziana, l'altra è ·quella di Chancelade, il cui scheletro eponimo è di età maddaleniana. Ora, queste due razze, molto ben carat­ terizzate, somigliano molto agli Europeidi attuali. Cosi, dall' Aurignaziano in poi, gli · uomini che hanno popolato ·e popolano l'Europa occidentale hanno tutt'al più cam­ biato qualche piccolissimo dettaglio della loro anatomia, acquistandolo o perdendolo. Essi non hanno subito alcu­ na variazione di qualche importanza. Vallois, consideran­ ·do lo scheletro oggetto della sua memoria, scrive che esso « si intera completamente nel tipo cro-magnoide che è quello della quasi totalità dei Maddaleniani franesi e che risulta da una modiicazione progressiva dei Cro-Magnon classici delle epoche anteriori . . È verosimile che gli Eu­ ropeidi attuali siano stati originati dalle due razze Cro­ Magnon e Chanelade del Paleolitico superiore. Le mutazioni diferenziano gli individui, e lo fanno egregiamente, ma la specie umana, malgrado le condizioni favorevoli oferte all'evoluzione dalle sue popolazioni e dalla diversità dei loro habitat, appare nella natura attua­ le anatomicamente e isiologicamente stabile. Se nelle ricche società occidentali la selezione naturale ·è contrastata dalla medicina, dall'igiene e dall'abbondan­ za del cibo, nel passato le cose andavano ben diversa­ mente. Ancora attualmente, nei paesi sottosviluppati in cui la natalità e la mortalità sono egualmente forti (Afri­ ca tropicale, Amazzonia, Pakistan, India, Patagonia, certe isole della Polinesia . . .) la selezione naturale si esercita sen-

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

za venire contrastata, e tuttavia il tipo umano non cambia afatto. Nello Yucatan, le cui popolazioni hanno conosciu­ to dopo la conquista spagnola le peggiori vicissitudini,. troviamo uomini e donne che somigliano fedelmente ai ritratti dei loro antenati precolombiani di Palanque o di Chichén Itza. I Cinesi sono centinaia di milioni, e que­ sto da millenni ; in ogni epoca le condizioni del loro am­ biente isico e sociale li hanno sottoposti a una severr selezione. Qual è stato il risultato? Nessuno. Restano Ci-· nesi, e questo è tutto! In ogni popolazione gli uomini dif­ feriscono gli uni dagli altri per il loro genotipo, e, tutta-· via, la specie Homo sapiens non cambia il suo modello, né la sua struttura, né le sue funzioni ... Su di uno sfondo comune vediamo disegnarsi un a ininità di ioriture diver-· siicanti, personalizzanti, ma senza valore evolutivo. Più importanti sono le variazioni che hanno subìto al­ cuni animali penetrando in erte isole, come i Passerifor-· mi Drepaniidi delle Hawaii, i Geospizidi delle Galapa­ gos, i Vangidi del Madagascar, i Piccioni della Polinesia; oppure in certi laghi, come le Spugne, le Planarie (90' specie) e gli Amipodi gammaridi (239 specie) del Baikal, i Pesci del genere Haplochromis del Niassa (circa 1 00 spe­ cie) ... Le forme originarie si scindono in nuove specie, in sottospecie di cui alcune meritano di essere classiicate in nuovi generi, e adottano una nicchia ecologica partico-· lare ... Nei biotopi chiusi, la modulazione genotip ica è più ampia che in popolazioni che abitano vasti ambienti aper­ ti. Questa modulazione supera nettamente quella mostra­ ta dalla Falena della betulla nelle regioni industriali, ma· non esce dal quadro della « microevoluzione " ; si limita ad aggiustare il genotipo a una nicchia ecologica. Que­ sto, dicono i darwinisti, dipende dal fatto che negli am­ bienti chiusi la selezione è meno severa, e di conseguenz' specie male armate per la competizione riescono egual­ mente a sopravvivere e ad evolversi. La predazione, i' particolar modo, è debole in tali biotopi, se non nulla. I Piccioni e i Ratidi, atteri e poco fecondi, che popola­ vano le isole dell'Oceano Indiano prima della penetra-· zione umana non hanno resistito alla caccia che l'Uomo,. i suoi animali domestici (Cani e Gatti), e i suoi commen-· sali (Ratti...) hanno dato loro. Quanto diciamo degli ambienti coninati non è certa-

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

131

mente vangelo e non deve essere generalizzato. Infatti, allorché si considera la fauna del Baikal nel suo insieme, si apprende che su 842 specie che vivono al largo, 708 .iono endemiche, mentre le acque del litorale danno asilo soltanto a una fauna banale, composta da 400 specie (non .compresi i Coleotteri, gli Emitteri, i Collemboli, ecc.). Nessun Pesce è tipico del Baikal, tranne i Cottidi che :ontano 23 specie endemiche e 2 ubiquiste, localizzate sui litorali; i Lamellibranchi su 1 2 specie ne annoverano solo 3 di endemiche, che vivono tutte nelle aque profonde -del largo. L'inettitudine di certi generi a diversiicarsi non è stata spiegata. Il Baikal, con la sua immensità (3 1 .500 km2), somiglia più a un mare interno che a un lago e per ·questa ragione non può venire considerato come l'equi­ valente di un piccolo biotopo in cui la competizione in­ terspeciica è debole. Se è vero che negli ambienti chiusi la pressione selet­ tiva tra le specie resta bassa, si può dire altrettanto di quell a che i membri di una medesima specie esercitano vicendevolmente gli uni sugli altri? Nulla di meno sicuro. La limitazione dello spazio e del cibo sono due fattori che frenano la crescita demograica e di conseguenza ren­ -dono più aspra la lotta per l'esistenza. La situazione che, di primo acchito, sembrava semplice, all'esame si rivela .complessa. Se la selezione naturale, negli ambienti aperti, è più intensa, essa deve neessariamente opporsi con magiore eicacia alla variazione delle popolazioni che li abitano, favorendo un solo genotipo. Essa svolge compiti di con­ servazione e non di innovazione. Le mutazioni che si allontanano dal tipo selvatico o dal genotipo privilegiato, nel caso di un cambiamento di ambiente sono spazzate via; di qui la stabilità della specie. Le specie pancroniche .:he, al pari delle altre, subiscono l'assalto delle mutazioni, restano immutate. I loro mutanti sono eliminati, con la possibile eccezione dei mutanti neutri. In tutti i modi, la loro stabilità è un dato di fatto e non un punto di vista .teorico. I Batteri, il cui studio ha contribuito grandemente a porre i fondamenti della genetica e della biologia mo­ lecolare èontemporanea, sono gli organismi che, per l'e­ normità del loro numero, presentano la maggior quantità ·di mutanti. Le loro specie sono polverizzate in una ini-

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

nità di varietà, rivelate mediante coltura o determinat' test, e che i microbiologi chiamano ceppi. Ma nello stesso modo della Pelosella (Erophila verna), benché più che ricchi di varietà intraspeciiche, essi mani­ festano una estrema fedeltà alla loro specie. I Colibacilli,. i cui mutanti sono stati studiati con la più grande cura, ne forniscono il migliore degli esempi. Si penserà, allora, con noi che è per Io meno singolare voler dimostrare la real­ tà dell'evoluzione e scoprirne i meccanismi scegliendo co-· me materiale di studio degli esseri particolarmente sta­ bili da un miliardo di anni ! A che servono le loro incessanti mutazioni se non cam­ biano? Insomma, le mutazioni dei Batteri e dei virus sono soltanto luttuazioni ereditarie, attorno a una posizione mediana; oscillazione a destra, oscillazione a sinistra : ef­ fetto evolutivo inale zero. Tra i più antichi elitti attualmente viventi igurano le Blatte che, dopo il Permiano, si sono mantenute pres­ soché immutate, benché le loro mutazioni siano altrettan­ to numerose di quelle di un Insetto del Terziario come la Drosoila. L'importante è di osservare che le specie relitte mu­ tano come le altre, ma non si evolvono, anche quando· si trovano in condizioni propizie ai cambiamenti (diver­ sità degli ambienti, cosmopolitismo, grandi popolazioni). In che modo l'interpretazione mutazionista darwiniana dell'evoluzione può accordarsi con il fatto che le specie più stabili, e talvolta stabili da centinaia i milioni di anni, mutano come le altre? Dopo aver constatato, da una parte, la microvariazione e, dall'altra, la stabilità specii­ ca, come non concludere che la prima non interviene nel processo evolutivo? Certi biologi contemporanei, non ap­ pena osservano una mutazione, parlano di evoluzione. Es­ si formulano, semplicemente, questo sillogismo : la muta­ zione è la sola variazione evolutiva, tutti gli esseri viventi subiscono mutazioni, quindi tutti i viventi si evolvono. Ora, questo ragionamento è inaccettabile : l . perché la sua premessa non è né evidente, né generale; 2. perché· la sua conclusione è in contraddizione con i fatti. Le mutazioni, per numerose che siano, non provocano una evoluzione di qualhe importanza. Aggiungiamo che sarebbe veramente troppo facile obiettare che le mutazioni sono evolutivamente inoperan-·

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 33

ti perché la selezione naturale le elimina. Le mutazioni letali (le peggiori) sono certamente respinte, ma le altre possono persistere in qualità di alleli. La specie umana ne fornisce numerosi esempi : il colore degli occhi, la forma del padiglione auricolare, i dermatoglii, il colore e la consistenza dei capelli, la pimentazione della pelle . . I mutanti sono presenti in tutte le popolazioni, dai Bat­ teri all'Uomo. Su questo punto non è possibile alcun dub­ bio; ma per l'evoluzionista l'essenziale è altrove e risiede nella non-coincidenza delle mutazioni con l'evoluzione. .

L'evoluzione è l'auten tica storia del viven te

Da tutti i punti di vista, l'evoluzione è una storia lun· ga. La generazione spontanea si è prodotta una volta per tutte e la vita non si re-inventa; essa si trasmette, essa è continuità. e nostre cellule, a dispetto delle apparenze, sono le iglie (alla nma generazione, ma iglie lo stesso) di quelle del primo animale comparso sulla terra, qualcosa come 800 milioni di anni fa e questo animale, a sua volta, riproduceva in parte la sostanza di cui era fatto il primo essere vivente, natante nelle acque salate della Pangea. Lo studio dei gruppi animali o vegetali conosciuti allo stato fossile ha mostrato che l'evoluzione in essi non è lo sviluppo di un fenomeno semplice, che si efettua a una velocità uniforme e si ripete simile a se stesso secondo un ritmo regolare. L'evoluzione è una storia : cioè un complesso di fatti, di fenomeni che coinvolgono un insie­ me di oggetti, dei quali la natura, la struttura, l'ordine si modiicano nel tempo secondo certe regole o lei, e che sono ireversibili. Ogni oggetto, ogni materia si conforma alle leggi della isica e della chimica. Ogni corpo materiale posto in vici­ nanza del nostro pianeta subisce l'attrazione terrestre e, secondo la sua velocità, forma un'orbita diventando a­ tellite o pjomba verticalmente sulla Terra. e leggi della isica e della chimica sono universali. Tuttavia i corpi celesti subiscono nel corso del tempo delle variazioni irreversibili : una stella non ritorna ai suoi stati anteriori; la Terra non ritrova le condizioni che

1 34

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

regnavano nella sua massa e alla sua supericie poco dopo la sua genesi. Il Macrocosmo ha una sua storia che si di­ pana, pur obbedendo sempre alle legi della materia, in altre parole del determinismo universale. La teoria del­ l'espansione, ritenuta oggi la cosmogonia più verosimile, spiega con un certo successo l'evoluzione dell'universo. La geologia è la storia della Terra; la cosmologia, quel­ la del Macrocosmo. In cambio, la isica e la chimica non sono scienze storiche; esse sono le scienze della materia, le cui leggi eterne rimangono immutabili. Certo, l'evoluzione del Macrocosmo e quella del Bioco­ smo si rifanno a meccanismi profondamente distinti e le loro leggi sono, apparentemente, senza rapporto. E, tutta­ via, non traducono forse l'instabilità di tutto ciò che esi­ ste? L'universo di oggi non è né quello di ieri, né quello di domani. Senza cadere nell'evoluzionismo di Spencer, superato sia nella forma che nei principi troppo semplici e inesatti, è giocoforza constatare i fatti e tenerne con­ to in tutte le interpretazioni scientiiche o ilosoiche del­ l'essere. a storicità dell'evoluzione biologica è dimostrata dal­ l'arresto totale e attuale di ogni form a di generazione spontanea di esseri viventi da materiali inerti. La produ­ zione a partire da composti azotati e altre sostanze or­ ganiche disperse o più o meno agglomerate nell'acqua del mare non si ripete. La generazione spontanea, che la nostra logica ci impone, è stata un fenomeno storico per eccellenza; oggi impossibile, essa si è tuttavia prodotta sulla Terra, durante la sua giovinezza, o su di un altro pianeta, fuori dal nostro sistema solare, una volta sol­ tanto, e ciò è stato suiciente a scatenare l'avventura della vita nell'universo. Come il Macrocosmo si evolve secondo le leggi della i­ sica e della chimica, il mondo vivente prosegue la sua storia obbedendo, si, a queste leggi, ma soggetto del pari alle sue proprie, che noi conosciamo solo parzialmente.

Conclusione

Secondo la nostra logica e le ipotesi che ne seguono, l'arresto della biogenesi è imputabile ai cambiamenti

L ' EVOLUZIONE, FENOMENO STORICO DISCONTINUO

1 35

delle condizioni chimico-isiche regnanti sulla terra, attor­ no alla terra, sotto la terra, nei mari, cambiamenti che hanno impedito la sintesi dei materiali prebiotici. Una volta che le proteine, luttuanti nelle acque oceanihe, furono consumate dai primi esseri viventi, ogni nuova biogenesi divenne impossibile. Questa situazione ha imposto ai successori immediati di quei primi esseri di possedere la facoltà di riprodursi da soli e nel contempo un potere di chemiosintesi. La loro perennità è dipesa unicamente da questa duplice con­ dizione. Eccoci presi nella trappola della fantascienza e del so­ gno. Ritorniamo alla realtà. Ciò di cui siamo pressoché sicuri è che la biogenesi non si è ripetuta (l'uniformità della struttura batterica e cellulare ce ne fornisce la prova indiretta). Il passato degli esseri viventi è contrassegnato da fe­ nomeni unici, come la genesi dei tipi, delle classi, degli ordini. L'evoluzione procede di fatto storico in fatto storico. Scoprire il determinismo di ciascuno di essi è il compito che spetta al biologo. Le cause che hanno bloccato la genesi di nuovi tipi di organizzazione sono sconosciute. Cambiamento dell'ambiente terestre? Forse. Modiicazio­ ne della struttura intima della cellula? Si osa appena crederlo. È ridicolo voler spiegare fenomeni di una cosi rande complessità in assenza di dati concreti e di espe­ rienze. Sapere che essi esistono, è già un risultato positi­ vo. Quanto a interpretarli, sarà possibile quando cono­ sceremo meglio la ilogenesi e i meccanismi fondamen­ tali degli esseri viventi. La storia si presenta come un seguito di avvenimenti legati gli uni agli altri da cause cosi numerose che non si può mai essere sicuri di conoscerle tutte. Essa si ma­ nifesta con una struttura reticolare, allo studio della quale non si è ancora riusciti ad applicare le tecniche del­ la cibernetica : troppo numerosi ne sono i parametri e complesse le mutue relazioni. Il fenomeno storico umano diferisce dal fenomeno sto­ rico evolutivo perché l'Uomo non subisce passivamente l'azione che l'ambiente isico, sociale ed economico eser­ cita su di lui. Volontariamente, egli interviene negli av­ venimenti e ne cambia, con alterne fortune, il corso.

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

Questo fatto accresce l'inestricabile complessità del deter­ minismo dei fenomeni storici. L'evoluzione, dal canto suo, prosegue impassibilmente il suo cammino, senza che né un Alessandro, né un Na­ poleone possano farle cambiare direzione. L'irreversibilità storica dipende, in primo luogo, dalla bassa probabilità di poter riunire di nuovo gli stessi og­ getti e di sottoporli alle stesse condizioni chimico-isiche e, in secondo luogo, dalla variabilità delle cause e dei lo­ ro efetti, che divenendo cause a loro volta fanno mu­ tare la natura e l'ordine dell'insieme. Per ripetere esat­ tamente la storia, sarebbe neessario risalire alle sue ori­ gini e ricostruire le condizioni degli ambienti esterno ed interno. La cosa è possibile in teoria, ma non in pratica. In quanto fatti storici, i fenomeni evolutivi risultano tutti irreversibili. E tra di essi, le genesi dei grandi piani di · organizzazione sono fenomeni interamente compiuti. Il mondo vivente non percorre forse un ciclo immenso per il numero dei suoi partecipanti e per la sua durata che sembra ininita se commisurata alla scala umana? Forse. Ma si tratta di un ciclo diferente da quello di una Tenia o di un Trematode le cui tappe sono esattamente determinate ed obbligatorie e che, grazie alla funzione riproduttrice, si ripete identico a se stesso. L'evoluzione non ricomincia mai da capo : il ciclo del parassita non è un fenomeno storico, l'evoluzione si.

IV L'EVOLUZIONE E IL CASO

Da quando l'uomo tenta di comprendere l'origine e la natura dell'Universo, vari ilosoi e scienziati, emuli di­ chiarati o no di Democrito, hanno sostenuto e sostengono che la materia, inreata ed eterna, ha generato, per mezzo dell'incessante agitazione delle sue particelle, la totalità degli astri e delle cose, e questo per caso. Come l'ordine siderale, la vita è emersa dall'aleatorio, l'inimo Batterio o il più geniale degli Uomini sono igli del caso. Al momento della creazione, nessuna legge è intervenuta, l'indeterminato imperò sovrano. Nessuna potenza, nessun principio superiore, nessun disegno hanno presieduto o presiedono alla creazione del vivente, neanche ai suoi mutamenti e ancor meno ai suoi eventuali progressi. Tutto è materia e caso : né spirito né intelletto impon­ gono un ordine. E tuttavia, stupefacente paradosso, dal caos nascono le leggi che reggono i fenomeni naturali quali ce le rivelano la isica e la chimica. In che modo Democrito e i suoi discepoli contemporanei conciliano ca­ so e determinismo? Non riusciamo a scoprirlo. Non esiste forse una antinomia tra i due?

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE Le lo tterie del viven te

Che cos'è dunque il caso perché gli si attribuisca una tale potenza? Spesso - se non sempre - sotto il medesimo termine si nascondono concetti diferenti. Lo stesso succede qui. Per ora, per non sovraccaricarci di speculazioni ilosoiche, adottiamo la deinizione estensiva che ci da il Littré, con la sua abituale precisione. Il c caso esclude l'ordine e l'in­ tenzione; è l'insieme degli avvenimenti considerati indi­ pendentemente da ogni specie di cause e di concate­ nazioni » . Questa deinizione si applica con esattezza ai fenomeni biologici che i teorici ritengono aleatori e non vincolati da una legge deinita. Sarebbe, dunque, fortuito il fenomeno eccezionale, ine­ splicabile, che sfugge alla nostra previsione. Questi ag­ gettivi qualiicativi assai vaghi hanno troppo spesso un semplice valore di circostanza. Un certo fenomeno che oggi è considerato aleatorio, domani, forse, sarà conside­ rato determinato, perché le cause che lo scatenano sa­ ranno state rivelate da un'analisi penetrante e appropria­ ta alla loro natura. Per questi motivi il biologo, che non deve ricercare né le cause morali né le intenzioni, deve prima di tutto assicurarsi che i fatti che si presumono aleatori lo siano veramente e ricordarsi in ogni momento della celebre frase d'Henri Poincaré : c Il caso non è che la misura della nostra ignoranza » (Science et Méthode, p. 65). Scrivere che i fenomeni biologici sono soggetti al de­ terminismo universale vuoi dire esprimere un truismo. Come potrebbero non esserlo? Non sono forse riducibili, in ultima analisi, a processi chimico-isici? A questo ri­ guardo il nostro pensiero non ha nulla di equivoco, per­ ché ne siamo certi. Le proprietà fondamentali degli esseri viventi emanano da sostanze chimiche, che vanno dallo ione alla macro­ molecola più complessa, disposti secondo una architet­ tura di cui la materia inerte non mostra l'equivalente. Il caso, se si insinu a nel vivente, interessa dunque sol­ tanto la natura, lo stato isico dei materiali e la loro mu­ tua disposizione, secondo ordini dimensionali e gradi di complessità variabili all'interno di un medesimo piano di organizzazione.

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

È vero che la vita è stata un fenomeno fortuito la cui probabilità di manifestarsi era estremamente debole? Da quando i biochimici e i bioisici studiano i processi at­ traverso cui si sono potute formare le sostanze prebioti­ che, si comincia a misurare quanto questa opinione com­ porti di eccessivo. Ecco che cosa ne dice Oparin, grande conoscitore del problema della biogenesi e materialista intransigente: c È una particolarità notevole dei sistemi viventi che la rete di reazioni metaboliche sia non soltanto strettamente coordinata, ma anche orientata verso l'autoconservazione e l'autoriproduzione perpetue dell'insieme in rapporto al­ le condizioni date dell'ambiente esterno. Questo orienta­ mento altamente organizzato, che è caratteristico della vi­ ta, non può essere stato il prodotto del caso » ( 1 967, p. 1 9). Senza dircene le ragioni, Oparin giudica che l'agente ordinatore fu la selezione naturale, che funziona come un an ti-caso. Bogdanski, in diverse pubblicazioni ( 1 97 1 -72), sottopo­ ne i fenomeni vitali a una analisi condotta in funzione dei dati della isica, della chimica e della biologia. Egli constata che i suddetti fenomeni, lungi dall'essere alea­ tori, sono strettamente determinati e si compiono c se­ condo leggi assai complesse, che sfuggono all'osservatore supericiale » ( 1 972). Le manifestazioni vitali si localizza­ no in una stretta fascia di fenomeni chimico-isici, fuori della quale la vita non esiste. « Generalizzando, si può afermare che le leggi della biourgia (vita in azione) si fondano su di una struttura di interdizioni immanenti a ogni livello dimensionale, il che esclude la probabilità del caso a livello di fenotipo » . Questo è il parere di un bioisico, scevro da ogni considerazione di ordine ilosoico. Allora, da dove nasce il caso e quando agisce sul vi­ vente? È classico afermare che, per due volte, il destino di ogni essere pluricellulare e sessuato è messo in gioco come in una lotteria. La prima lotteria si veriica, innanzitut­ to, al momento della formazione dell'uovo o dello sper­ matozoo, allorché il numero dei cromosomi diminuisce di metà, per assenza di replicazione, e i 2n cromosomi dello stock speciico si distribuiscono a caso, ma in nume­ ro eguale (n ) , tra i due spermatociti di 2° ordine o tra

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

l'ovocito di 2° ordine e il primo globulo polare. Si tratta del fenomeno della meiosi, o riduzione cromosomica.1 Nella cellula, ogni cromosoma esiste in due esemplari, l'uno di origine materna, l'altro di origine paterna, che magari portano gli alleli diferenti di uno stesso gene. La suddetta lotteria, se il genotipo è eterozigote, circo­ stanza che si presenta pressoché in tutti i casi, combina i cromosomi nei gameti in modo diverso da come erano nelle cellule madri. Dato che i cromosomi sono tutti sog­ getti alle medesime condizioni, sia intrinseche che estrin­ seche, il calcolo delle probabilità si applica senza restri­ zioni alla loro distribuzione, quando si separano in due lotti che risalgono ai poli opposti del fuso acromatico dello spermatocito I o dell'ovocito I. La seconda lotteria dell'ontogenesi si veriica al mo­ mento dell a fecondazione. Le uova e gli spermatozoi de­ gli organismi eterozigoti non portano esattamente gli stessi alleli dei loro geni. Il loro " semi-genoma " varia, dunque, in funzione della prima lotteria. La congiunzio­ ne dell'uovo e dello spermatozoo riunisce due semi-geno­ mi diferenti. Tanto e gli alleli sono in numero di uno o di n paia, le loro combinazioni si efettueranno secondo certe probabilità, rette d a leggi matematiche che furono scoperte, più di un secolo fa, dal monaco austriaco Gre­ gorio Mendel. Leggi rigorose se nulla, nell'ambiente ester­ no o nelle cellule riproduttrici, crea delle diferenze isio· logiche tra i gameti di uno stesso sesso. Efettivamente, si conoscono alcune cause che, talora, perturbano la legge favorendo certi gameti a detrimento di altri (fecondal . Bisogna ricordare che, in tutte le cellule diploidi, cioè a 2n cromosomi, n cromosomi provengono dal padre ed n dalla madre. Gli n cromosomi sono, tra di loro, diversi; ognuno ha il suo aspetto particolare e il carico di geni che gli è proprio. Così, nella cellula, il cromosoma A è presente in due esemplari, di origine l'uno ma­ terna e l'altro paterna. Questi due cromosomi A sono detti omologhi e costituiscono una coppia. Se essi hanno la medesima composizione genica sono detti omozigoti, se diferiscono per uno o più geni sono detti eterozigoti. Lo stesso per tutti gli altri cromosomi, salvo per certi cromosomi sessuali che non possiedono i loro omologhi. I cor­ redi cromosomici possono essere per il maschio -2n cromosomi ordi­ nari o autosomi + X Y, cromosomi sessuali (= eterocromosomi) e per la femmina 2n + X X. È il caso della specie umana. Negli ani­ mali e nelle piante troviamo realizzate altre combinazioni.

L 'EVOLUZIONE E IL CASO

-zione selettiva) ma, nella norma, la coniugazione dei a­ meti di una stessa specie obbedisce alle leggi probabili­ ·stiche di Mendel. Le due lotterie della riproduzione sessuata mescolano i :romosomi e danno cosi origine a combinazioni inedite ·di geni se, ricordiamolo, le cellule sessuate sono etero­ zigote, ma non creano alcun carattere nuovo.t Esse con­ Ieriscono alla riproduzione sessuata la sua facoltà di dif­ ferenziare gli individui, derivati dagli stessi genitori, sia Chimicamente (' personalizzazione ' delle proteine in par­ ticolar modo), sia strutturalmente. Altrove abbiamo mostrato che la probabilità statistica ·concerne fenomeni che si realizzano utilizzando elementi ·qualitativamente diversi, senza cessare di obbedire al de­ terminismo. Le leggi di Mendel ce ne forniscono un ·esempio perfetto. Tuttavia, a loro riguardo, dobbiamo parlare di caso, dato che è possibile misurare le probabi­ lità di apparizione dell'una e dell'altra combinazione? La 1egge probabilistica è una legge come le altre; essa per­ mette la previsione dei fenomeni considerati non isola­ tamente, ma in insiemi o in serie di cui si conosce tutto, ·dato che i loro componenti sono in numero inito. Nulla ·di impreveibile può nascere da essi. Tutt'altra cosa è il caso vero e proprio, quando due serie indipendenti di fenomeni che possiedono il loro pro­ ·prio determinismo si incontrano, si intersecano (da cui l'aggettivo sécantiel, ' intersecante ', da me coniato), cosa che normalmente non fanno mai. Da questo incontro sca­ turisce un fenomeno nuovo. Il determinismo non è certo -assente, solo che l'incontro delle serie dipende da circo­ ·stanze talmente varie da essere praticamente imprevedibi­ le. Se l'analisi del fenomeno fosse spinta molto lontano, verosimilmente se ne scoprirebbero le cause molteplici e -s ottili. Il caso, che somiglia a quello della caduta di una tegola che il vento strappa dal tetto e che piomba sulla testa di un passante, ha per equivalente in biologia l'in­ ·:ontro di un agente mutageno chimico o isico con la cel­ l ula, agente che normalmente non ha alcun rapporto con l. o scambio di segmenti tra due cromosomi (fenomeno dello scambio o del rossing-over) contribuisce in una certa misura a produrre delle nuove combinazioni geniche (si consulti qualche ope· ra li genetica).

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

quest'ultima.l La replicazione del DNA ne risulta di-­ sturbata; essa fornisce, dopo l'aggressione, non un fac-si­ mile esatto, ma una copia errata. Il caso ' intersecante ' è accidentale, mentre il caso pro­ babilistico non lo è, soggetto com'è a una legge statistict ordinariamente semplice. Il primo si distingue dal secondo per la sua natura (due· o tre serie indipendenti di fenomeni si intersecano) e per il numero molto elevato dei parametri che intervengoni nelle suddette serie.

Il caso e il suo strumen to) la mutazione) o gli errori del codice genetico

L'errore di battitura che commette la dattilografa rico-­ piando un testo corrisponde alla mutazione biologica. Se­ condo i discepoli di Democrito l'errore di copiatura del DNA odrebbe di una fecondità senza limiti; è da ess' che nascerebbe ogni novità. L'Uomo sarebbe il prodotto di milioni di errori, i primi dei quali si produssero da un miliardo a un miliardo e mezzo di anni fa, quand< il DNA di certe Schizoite non si riprodusse più identico· a se stesso e indusse in questo modo, per puro caso, la struttura chiamata cellula. Gli ' scarti ' della cellula sono imprevedibili, sia nella loro apparizione che nei loro efetti . Questo fatto è vera tanto per le mutazioni spontanee,2 quanto per le muta­ zioni ottenute nelle piante o negli animali per mezzo· di agenti chimici (aggressivi chimici, formalina, acido nil. Il meccanismo della mutagenesi non è ancora ben conosciuto_ Che l'agente ionizzante o chimico colpisca il DNA come una freccia il bersaglio, o che agisca per vie indirette, è per i nostri scopi df poca importanza. Ci basta sapere che, dopo il suo intervento, il DNA non si replica più formando una copia esattamente conforme di se stesso. 2. e mutazioni spontanee sono state attribuite alla radioattività· naturale. È una ipotsi ra tante altre; si può accordare ad essa il beneicio della verosimiglianza, ma il suo fondamento non è afatt­ dimostrato.

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

1 43

troso ... ) o isici (agenti ionizzanti : raggi X, emanazioni dei corpi radioattivi, neutroni, raggi ultravioletti...). Essendo la mutazione una alterazione del codice gene­ tico, per questa ragione stessa viene immediatamente iscritta nel patrimonio ereditario dell'individuo. Se il DNA iniziale è considerato come il modello della ·specie, il DNA mutato sarà dunque anormale. Tuttavia, questo è soltanto un modo antropomorico di apprezzare i fatti. Cosa strana, se le mutazioni non sono prevedibili, lo stesso non può dirsi del loro tasso di apparizione che, in una data popolazione, è pressoché costante. Una certa dose di raggi X o qualsiasi altro agente mutaeno che :agisce su un insieme di animali o di piante vi provoca un aumento del numero di mutanti che, grosso modo, da una esperienza all'altra resta più o meno il medesimo. Se la teoria del bersaglio è esatta (l'agente mutageno col­ pirebbe la catena del DNA come una freccia che giunga a segno) la probabilità della mutazione si presenta come .quella del gioco a testa o croce, o dello spillo che cade nella fessura di un paq uet ... Inoltre, è sicuro che nel corso del tempo la stessa mu­ tazione ricompare più volte.t Questa circostanza accredi­ ta l'ipotesi che un gene abbia la possibilità di cambiare ·solo entro certi limiti. In altre parole, non può divenire .qualunque cosa. È quasi certo che il numero delle sue variazioni possibili è limitato. Questa constatazione ha importanti conseguenze teoriche. Se il numero delle mu­ tazioni è proprio quello che calcolano i genetisti, i tipi di mutazioni sono al contrario molto meno numerosi. La sor­ gente da cui sgorga il lusso evolutivo è più modesta di ·quanto i darwinisti lascino credere. L' ' ininito potere creatore ' del DNA non è sicuramente tanto grande quan­ to si è soliti pretendere. l. Per esempio, nell'Uomo il nanismo acondroplasico compare per ·mutazione una Yolta su 12.000 nascite (inchiesta condotta a Cope­ naghen su 4.075 bambini). Il tasso della mutazione « emoilia » sa­ -rebbe di l per 33.000 gameti. La lussazione cong!nita dell'anca, .l'acromatopsia, l'albinismo, ecc. sono altrettante mutazioni che com­ paiono sporadicamente nelle popolazioni umane. I medici, i veterinari, gli agronomi conoscono bene questi fatti -che sono per loro di constatazione corrente e che sono presi in ·seria considerazione dagli eugenisti.

1 44

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

La mutazione ha ' virtù costruttive ' assai limitate ed è· per questo che la formazione di un pelo mediante mu-· tazione da una squama di Rettile si conigura come un fenomeno di una probabilità men che minima, come pure la formazione, sempre per mutazione, di mammelle a par­ tire dalle ghiandole tegumentali dei Rettili (il tegumento dei Rettili è molto povero di ghiandole tegumentali, Gabe e Saint-Girons, 1967), ecc. La presenza, in una data popolazione, di individui pre­ adattati a un nuovo ambiente, a una circostanza eccezio­ nale, è il risultato di una sequenza di casi fortunati, che sono : l. la mutazione, 2. la soddisfazione precisa del bi­ sogno mediante la suddetta mutazione; 3. la dominanza· della mutazione o lo stato omozigote del mutante : 4. la comparsa di essa al momento opportuno del mutante. Le probabilità del preadattamento tanto più diminui­ scono quanto più numerose sono le condizioni (parametri e circostanze) richieste per la riuscita. Le variazioni geniche non sono le sole a modiicare inti­ mamente la cellula. Mutazioni dovute a rimaneggiamen­ ti dei cromosomi (traslocazioni, inversioni di segmenti,. scambi di segmenti tra cromosomi, rotture, saldature di cromosomi...) appaiono ereditarie e svolgono un compito· nella diferenziazione e separazione delle razze, delle sot­ tospecie, e anche delle specie. Esse fanno comparire nuo­ ve combinazioni geniche, senza modiicare i geni. Sostenere che gli errori di copiatura del DNA costi­ tuiscono le sole variazioni ereditarie all'origine dei carat­ teri nuovi signiica ammettere che l'evoluzione biologica è sfuggita al determinismo e si è svolta completamente· a caso.

L'ordine b iologico

e

l'an ti-caso

Le mutazioni, nel tempo, si producono nell'incoerenza­ esse non si completano, come non si sommano, nel corso• di generazioni successive seuendo una medesima direzio­ ne. Esse modiicano ciò che preesiste, ma lo fanno nel disordine, indiferentemente.

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

1 45

Senza dubbio la iliazione - occorre dirlo? - non im­ plica afatto che le variazioni, seuendo vie preferenziali, siano coerenti; al contrario, l'evoluzione, dal canto suo, è avvenuta secondo vie precise che essa ha fedelmente seguito per immensi periodi di tempo. Anche se tutto non va per il meglio, il mondo del vivente non ha nulla di caotico e la vita è la conseguenza di un ordine assai rigoroso. Appena un disordine, anche leggero, si introduce in un essere organizzato, la malattia si insedia in lui e sopravviene la morte. I fenomeni vitali non si conciliano con l'anarchia. In nessun essere vivente sano si trova alterata o compromessa la gerarchia degli organi o delle funzioni. I radienti apico-basali, i campi morfogenetici, la cefalizzazione attestano l'interdipenden­ za e la gerarchia delle parti. L'ontogenesi di un animale o di una pianta pluricellulare implica sempre l'instaurazio­ ne nella forma perfetta della specie di una organizzazione gerarchizzata, già inscritta, allo stato potenziale, nell'uovo fecondato, depositario di tutte le proprietà speciiche. Tutt'altra cosa sono le variazioni genetiche razziali o individuali che si manifestano senza ordine e senza ten­ denza preferenziale. La presunta correlazione tra la pelle nera, i capelli crespi e le labbra sporgenti della grande razza Neroide non ha, in apparenza, alcun valore bio­ logico; lo stesso può dirsi dell'insieme occhio-a-mandorla con orlo palpebrale invisibile salvo nella chisura delle palpebre, pelle gialla e macchia mongolica dei Mon­ goloidi. Davanti all'evidenza dell'ordine, dell'adattamento del­ le forme alle funzioni, dell'accordo tra modo di vita e ambiente, i teorici dell'evoluzione aleatoria fanno in certo modo macchina indietro e tagliano gli artigli al caso onnipotente. Bisogna che il caso rientri nell'ordine, in altre parole che non sia più caso. I darwinisti fanno appello alla sele­ zione naturale che, secondo loro, è il più eicace degli anti-casi e l'organizzatore delle strutture e delle funzioni vitali. Grazie ad essa, al caos succede un sistema cosi perfettamente armonioso nelle sue parti e nella sua unità che ci si culla nel pensiero che sia dovuto a cause che ancora sfuggono al nostro intendimento. Per apprezzare la funzione svolta dal caso sia nella genesi della vita che nella sua evoluzione è necessario

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

considerare un po' più da vicino che cosa sono le muta­ zioni e il loro ruolo nella genesi e nello sviluppo dei nuovi tipi. Ricordiamo che esse sono spontanee, impre­ vedibili, ereditarie, arbitrarie rispetto a una funzione o a una struttura deinita, e nella maggior parte dei casi letali. La selezione opera sui mutanti secondo parametri mal­ thusiani (Waddington, 1967, dix it) che alcuni designano mediante la loro risultante, la morte diferenziatrice (si veda cap. VI), che elimina i mutanti portatori dei carat­ teri sfavorevoli alla specie. Il calcolo delle probabilità applicato alla demograia e alla selezione naturale ha permesso non soltanto di analiz­ zare meglio i fenomeni, ma di valutarne le conseguenze a lunga scadenza. Tuttavia, la teoria matematica della selezione naturale, per quel che riguarda i suoi rapporti con l'evoluzione, non deve suscitare illusioni. Essa vale quel che valgono i principi su cui si fonda. La conoscenza imperfetta dei fattori che condizionano la sopravvivenza o la morte dei membri di una data popolazione toglie in gran parte precisione e valore alle previsioni teoriche. Eccone un esempio : servendosi del calcolo statistico, si è steso il bi­ lancio della competizione tra due tipi di mutanti nel­ l'ambito di una popolazione di Drosoile che vivono in uno spazio coninato, in condizioni ben deinite e con l'ipotesi che le coppie si formino a caso (panmissia). Ora, gli esseri viventi si uniscono raramente a caso, la promi­ scuità negli organismi superiori è un fatto eccezionale, la sua esistenza è perino dubbia. Le Drosoile non fanno per nulla eccezione alla regola e ' scelgono ' il loro partner sulla base di informazioni sensoriali e di risposte innate. Teoria e calcoli dovettero essere rivisti. Ogni scoperta di un nuovo parametro obbliga a rivedere le valutazioni e a modiicare le leggi statistiche che le reggono. Queste riserve non toccano il fondo del problema, che resta quello di conoscere il ruolo reale e non presunto che è spettato o che spetta alla selezione naturale nel­ l'evoluzione. Il capitolo seguente è interamente consacra­ to all'esame delle condizioni nelle quali si pone questo problema e alla sua soluzione. Per quel che concerne la funzione anti-caso assunta dal­ la selezione, ricordiamo che il coeiciente di selettività

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

1 47

di questo o di quel carattere varia secondo l'ambiente (termine preso nella sua accezione più ampia) . Se l'am­ biente è stabile, teoricamente la popolazione non dovreb­ be cambiare, dato che si trova e resta in equilibrio. Per­ ché si produca un turbamento, ci vuole un'alterazione delle condizioni esterne in cui si trova la popolazione considerata, alterazione che deve esercitare una azione suicientemente forte da squilibrare la popolazione, al­ trimenti il suo efetto è nullo. La selezione aggiusta il genotipo degli individui al loro ambiente. Grazie ai suoi mutanti, la popolazione pos­ siede un certo numero di possibilità di adattarsi più esattamente alle circostanze. Come abbiamo detto sopra, mutazione e selezione naturale cstituiscono un meccani­ smo regolatore. Mentre nell'omeostasi il ritorno all'equi­ librio risulta da una reazione dell'organismo, qui la re­ golazione genotipica accade senza che l'essere vivente par­ tecipi all'azione : egli subisce prima la mutazione e poi la selezione. Cosi, benché abbandonato all'alea delle mutazioni, l'es­ sere vivente grazie a un anti-caso esattamente orientato conserva il genotipo buono o lo modiica in conformità con i suoi bisogni. Da uno stato genotipico a un altro, di mutazione arbitraria in mutazione arbitraria, l'evoluzione prosegue la sua rotta, senza che l'essere vivente intevena in alcun momento, grazie al iltro dell'utile e dell'adegua­ to operato dalla selezione.

Il preadattamen to aleatorio

La biologia molecolare registra i suoi maggiori succes­ si nell'ambito della genetica e del metabolismo cellula­ re. La enetica è la scienza dell'ereditabile, del trasmissi­ bile da simile a simile; solo in un secondo tempo, essa diventa, accidentalmente, la scienza dell'instabile, del va­ riabile. Ma uno stato rigorosamente stabile sareb be in­ compatibile con la sopavvivenza dell'essere vivente, del­ la popolazione o della specie che abita sotto climi diversi : torridi, gelidi o temperati. Come si sa, uno stesso gene si presenta spesso sotto parecchie forme, o alleli, che risultano dalle sue mutazio-

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

ni. Lo stato omozigote di una popolazione (o uno stato pressoché omozigote, dato che è praticamente impossibile afermare che un essere vivente è omozigote per tutti i suoi geni) è rarissimo e sfavorevole per la specie. Logi· camente, più una popolazione è eterozigote, migliori sono le sue probabilità - grazie al suo capitale di geni diver­ siicati - di possedere il carattere e la proprietà che le permetteranno di adattarsi ai cambiamenti ambientali, a circostanze nuove. Lo stato eterozigote assume così, per la specie, il signiicato di una assicurazione contro le future catastroi. Malrado l a sua cecità, il caso diviene il dio tutelare della popolazione. È grazie a lui, per esempio, che in una cultura di gonococchi si trovano i mutanti che resisteranno ai sulfamidici o agli antibiotici, in una po­ polazione di pneumococchi i mutanti che producono un enzima, la penicillinasi, che distrugge la penicillina, ecc. La specie vince così il farmaco, grazie a mutanti alea­ tori comparsi prima dell'applicazione dell'antibiotico e generatori di razze resistenti. Preadattamento è uno dei nomi che si danno a questa assicurazione aleatoria della specie; all'aleatorietà dei mutanti fa riscontro quella dei cambiamenti ambientali e ne previene gli efetti nocivi. La totalità degli alleli costituisce per una data popola­ zione un sottofondo regolatore che interviene quando l'accordo dell'organismo con l'ambiente si trova compro­ messo o minacciato. Si tratta dunque di un sistema equi­ libratore, non di un sistema innovatore. Se, come accade il più delle volte, il mutante è inferiore per resistenza, per conformazione ecc. all'invariante, il cambiamento ambientale può talvolta capovolgere la situazione e la mutazione da svantaggiosa diventare vantaggiosa. Non bi­ sogna però dimenticare che la variazione genica di uno o ambedue gli alleli si mostra nella maggior parte dei casi letale per l'animale o la pianta che l'hanno subita. Il lungo elenco delle malattie familiari, che, nell'Uomo e nell'animale, hanno origine da mutazioni patogene al punto da essere mortali, è indicativo. Partendo dalla combinazione dei 4 tipi di nudeotidi, monomeri della molecola del DNA, i genetisti hanno calcolato il numero di alleli possibili che il DNA conte­ nuto nei cromosomi di una data specie può realizzare. Le cifre ottenute sono estremamente elevate, ma incerte. Fino a qui le mutazioni enumerate negli animali e nelle

L ' EVOLUZIONE E IL

CASO

1 49

piante ben studiati Escherichia coli, Neurospora, Sac­ charomyces, Mais, Tabacco, Cotone, Ratto, Topo, Coni­ glio, animali domestici, Uomo - non superano qualche migliaio per una stessa specie, ma è verosimile che il loro numero sia in realtà ben più elevato (si veda più sotto). Il calcolo non ha tenu to abbastanza conto del fatto che tutti i geni non mutano con la medesima frequenza. I geni ' arcaici ', che determinano le protine e le fuzioni fondamentali (il ciclo di Krebs, per esempio) mutano ap­ parentemente meno spesso che i eni di recente acquisi­ zione. È possibile che loro cambiamenti di una certa am­ piezza siano incompatibili con la vita e ausino molto precocemente la morte dell'embrione; la mutazione passa cosi inavvertita. La genetica ha precisato i tassi di mutazi oni spontanee subite da certe specie. Nella Drosoila, presa a titolo i esempio, per il secondo cromosoma il tasso di mutazioni letali raggiunge lo 0,5% degli individui, un po' meno dello 0,5% per il terzo cromosoma; mentre è molto più basso per il quarto, che è piccolo Nel primo cromosoma, o cromosoma sessuale, il tasso di mutazioni recessive le­ gate al sesso è dello O, l % · L'insieme dei mutanti decisamente letali ragi unge lo l % della popo l azi o ne. Se si aggiungono le numerose mu­ tazioni i cui efetti sono debolmente letali, e le rare mu­ tazioni che sono vantaggiose per la specie, si perviene a un totale del 5%, e cioè a una mutazione oni 20 ameti. Questo rapporto, estremamente alto, sarebbe ancor più elevato se si tenesse conto delle mutazioni che colpiscono i poligeni : ino al 35% dei gameti (Mukai, 1 964). Questa cifra cresce ulteriormente se si fanno entrare in conto le mutazioni neutre, che modiicano cosi poco la omposi­ zione delle proteine che il mutante non viene né avvan­ taggiato né svantaggiato. Ammettiamo pure che il numero dei preadattati sia proporzionale a quello dei mutanti; la qualità dei mu­ tanti, tuttavia, non si riconosce che alla prova della real­ tà; le quantità non ci insegnano nulla di importante. Per numerosi che siano i mutanti, niente ci autorizza ad afermare che si trovi tra di essi quello che rimedierà ai disturbi conseguenti alle alterazioni ambientali, alle modiicazioni etologiche, a ogni tipo di aggressione. I 3 miliardi e 200 milioni di Uomini viventi e i miliar-

.

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

di di quelli che furono non hanno mai subìto la muta­ zione che li avrebbe resi resistenti ai Plasmodi che pro­ vocano la malaria e tuttavia che utilità avrebbe avuto quella mutazione per la specie umana! Possiamo dire al­ trettanto di tutte le malattie parassitarie e infettive. La regolazione genotipica si ascrive all'attivo dell'anti-caso darwiniano e raggiunge rapidamente i suoi limiti : le mu­ tazioni ' utili ' sono infatti rare, per non dire molto rare.

Caso e tendenze evo lu tive

Chi dice phylum dice specie discendenti le une dalle altre e tendenti verso un determinato tipo. In assenza di linee evolutive orientate, il mondo vivente sarebbe un caos. Non esisterebbero evoluzionisti perché l'incoerente sfugge alla scienza. Non sarà male ricordare che la nozione di evoluzione è, storicamente, legata a quella di orientamento. Lamarck (1 809) proclam a l'ordine di complessità crescente del Re­ gno animale (vedi la tavola genealogica che egli fornisce del Regno animale, p. 425, t. II, Philosophie zoologiq ue, edizione del 1 873). Darwin ( 1 859) vede nella selezione naturale l'agente del progresso biologico, a maggior bene dell'individuo e della specie. Quando ci si riferisce ai fossili, l'evoluzione si presenta sempre come un cammino verso una determinata forma. Essa si efettua, nell'ambito di una linea, sommando va­ riazioni che vanno nello stesso senso e si completano nel corso di milioni e milioni di anni. La genesi dei Mam­ miferi dai Rettili, ad esempio, è durata più di 50 milioni di anni. La paleontologia non porta fatti a favore della dottrina evoluzionistica aleatoria : l'evoluzione agisce nella mede­ sima direzione generale e la mantiene per tutto il tempo necesario alla linea evolutiva considerata per realizzare nella sua pienezza una determinata forma, il suo idio­ morfo. Tuttavia, alcuni paleontologi (tra i quali G.G. Simp­ son), incondizionatamente fedeli alla dottrina aleatoria, si oppongono all a nozione di evoluzione orientata che confondono, a torto, con la ortogenesi. Ripetiamo che

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

l'esistenza dell orie n tamento della linea evolutiva è un fatto, e non un punto di vista teorico; la linea è ricono­ scibile ed esiste soltanto perché materializza una tendena attraverso individui nati gli uni dagli altri e che si succe­ dono nel tempo. Una specie A diventa B, poi C; in ogni nuova forma, si manifestano certi caratteri di A e così di seguito. Certo, nella realtà le cose sono più complicate. Se l'evoluzione è ramiicata, e l'abbiamo stabilito nel capitolo Il, essa non è per questo disordinata. Ogni ramo che si stacca dal ceppo ha la sua propria tendenza, pur restando fe­ dele al tema evolutivo generale dell'intero ordine (Pri­ mati, Proboscidati), della superfamiglia (Equoidei) ... Nessuna ilogenesi si è svolta nel disordine : ecco che cosa ci insegna la paleontologia.t Le mutazioni letali, che sono di gran lunga le più fre­ quenti, si trovano escluse da qualunque processo evolu­ tivo.2 Quelle recessive, cioè non espresse nel fenotipo, '

l. Bisogna essere ben consapevoli che il riiuto dell'evoluzione orin­ tata conduce immediatamente a quello delle evoluzioni prorssiva, regressiva e cordinata. Il paleontologo Simpson non esita a arlo quando parla da teorico; ma quando resta nell'ambito del reale, egli lavora come tutti i paleontologi che conoscono il loro mestiere; egli cerca delle linee evolutive e le classiica in funzione delle loro tendenze. a forza della teoria non giunge ino a nasondegli com­ pletamente il concreto. In che modo le ali dell'Insetto e dell'Ucello si sarebbero potute formare senza abbozzi, senza stati preliminari imperfetti? L'idea che esse nascano casualmente ed improvvisamente funzio­ nali è, a dir poco, strana. Non sarà male riordare che da quel che ci insegna il gico delle mutazioni, l'invenzione, in biologia, non è mai il prodotto di una variazione genica; essa diventa efettiva solo in seguito alla com­ binazione di parecchi cambiamenti. L'insieme forma un tutto fun­ zionale in virtù della cordinazione delle sue parti. Esso onretiza un progetto di cui noi ignoriamo otalmente l'origine e che la ele· zione naturale, per mancanza di materiali adeguati, non può pro­ gettare e tan to meno realizzare. L'opposizione sistematica che Simpson è più o meno solo a con­ durre alla evoluzione orientata sfocia in ultima analisi nella nega­ zione dell'evoluzione : nel mondo vivente tutto sarebbe aidato al caso, accadrebbe secondo modi e tempi arbitrari. Simpson, sena rendersene bene conto, ci propone il caos, mentre il mondo vivente si è evoluto nell'ordine e nell'ordine si perpetua. 2. La drepanocitosi, dovuta a una emoglobina anormale, verosi· milmente di origine mutazionale, malgrado il suo carattere patogeno Qrotegge l'Uomo dalla malaria.

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

sfuggono alla selezione, che ha presa soltanto sul reale e non sul potenziale. È stato immaginato che, combinato con altri geni, il gene recessivo possa divenire dominante e operante, ma non si conosce con precisione né il mec­ canismo né la frequenza di questa dominanza mutevole. L'apparizione al momento opportuno di mutazioni che soddisino le necessità della pianta o dell'animale appare altissimamente inverosimile. La dottrina darwiniana, tut­ tavia, rincara ulteriormente la dose perché pretende he, per una stessa pianta, per uno stesso animale, questi eventi felici e acconci si siano prodotti a migliaia. In tal modo, il miracolo diventa rego la : la più piccola probabi­ lità si veriica immancabilmente. Come nel Ro binson suisse che leggevo nella mia infanzia, al momento voluto ecco veriicarsi l'avvenimento salvatore e questo nei se­ coli dei secoli. Si può ammettere che un Batterio su un miliardo di miliardi di individui sia favorevolmente pre­ adattato; ma le popolazioni di Rettili che diventavano Mammiferi o di Primati che diventavano Uomini, non su­ peravano certo qualche decina di migliaia di individui e spesso anche meno; quindi, le probabilità di apparizione di mutazioni ' utili ' diminuivano nelle medesime propor­ zioni, erano quasi nulle. I darwinisti ribattono che noi vediamo solo gli esiti fe­ lici e dimentichiamo gli insuccessi, perché scompaiono. Ciò è vero solo in parte. Le linee evolutive estinte non sono la magioranza, il che signiica che le riuscite (ac­ cordo mutazione-necessità) sono state più numerose e che, di conseguenza, la presenza del preadattato utile faceva regola. Si vede a quali esagerazioni conduce tutto ciò. I darwinisti parlano raramente e con una discrezione estrema delle probabilità di esistenza in uno stock di alleli di una popolazione unispeciica, del gene capace di soddisfare una certa necessità della specie. Naturalmente, essi sanno che tali probabilità sono assai scarse, ma il fat­ to li interessa poco dato che, dicono loro, i milioni di specie attuali si sono pure cavat i d'impaccio malgrado la loro esigua speranza di riuscita. Ciò non toglie che l'estrema esiguità delle probabilità di successo, che contrasta con la costante riuscita delle spe­ cie, sia cosa da stupire anche il meno curioso degli spiriti. Quale iocatore, per quanto appassionato, sarebbe così pazzo da puntare alla roulette dell'evoluzione aleatoria?

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

La costruzione, da parte della polvere portata dal vento, di un disegno riproducente la Melancholia di Direr ha una probabilità meno ininitesimale di quella della co­ struzione dell'occhio grazie a errori della molecola del DNA, errori, d'altra parte, senza alcun rapporto con la funzione che l'occhio dovrà esercì tare o cominciare ac esercitare. Le fantasticherie sono permesse, ma la scienza non deve abbandonarvisi. In conclusione, nella dottrina darwiniana, il preadatta­ mento equivale a un'armonia prestabilita, latente, che certi animali, certe piante portano in sé. Nel mondo vi­ vente, sparsi tra gli organismi sono pronti dei meccani­ smi, degli organi, degli enzimi, che, col favore di una circostanza, certamente aleatoria, completano ciò che manca, proteggono ciò che deve essere protetto, neutra­ lizzano ciò che deve essere neutralizzato. I ilosoi trar­ ranno da questo quadro l'insegnamento di loro scelta. Leibniz vi troverebbe certamente il suo tornaconto.

Caso e complessità organ ica

Tralasciando i fossili e il preadattamento, precisiamo le qualità necessarie alle mutazioni per partecipare alla genesi degli organi complessi : opportunità, accordo con il preesistente, coordinazione con le altre mutazioni ... Il nostro esame verterà sull'occhio, la cui genesi pone a tutti gli evoluzionisti formidabili problemi. In una conferenza tenuta attorno al 1 946 a Parigi, al Palais de la Découverte, Julian Huxley ha sostenuto che il problema era risolto. Si trattava, a nostro parere, solamente della dichiarazione di un oratore appassionato del suo argo­ mento e che misurava male la portata delle proprie parole. Charles Darwin, più prudente del suo discepolo, era consapevole dei punti deboli del proprio sistema - punti deboli che permangono e si aggravano; possiamo cosi leggere senza stupirei in una lettera che egli indirizzava nel febbraio del 1 860 al suo amico, il botanico Asa Gray: « Fino a oggi l'occhio mi fa rabbrividire, ma se penso

1 54

L'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

alle tante graduazioni conosciute, la mia ragione mi dice che è necessario che io domini il mio spavento » .1 Comprendiamo molto bene l'inquietudine del natura­ lista di Down; e cosa diventerebbe, oggi, questa inquie­ tudine, davanti alla complessità anatomica e citologica rivelata dalla biologia moderna e sapendo che la selezio­ ne di per sé non crea nulla? Ignoriamo tutto sull'evolu­ zione dell'occhio dei vertebrati e l'embriogenesi non ci chiarisce nulla al riguardo ! Quello che ci interessa sapere è se all'oriine di un or­ gano che, a causa della sua complessità, esige per la sua costruzione una enorme informazione stanno delle muta­ zioni aleatorie. Il numero di mutazioni deve essere stato immenso ainché, per caso, se ne trovassero di adeguate e contemporanee per permettere all'organo di funzionare.2 Non insistiamo sulla diversità dei tessuti trasparenti, dei rapporti tra il liquido intraoculare (umor acqueo) con il sistema venoso (canale di Schlemm) ecc., della complessi­ tà della retina, delle tuniche, ecc. Tutto ciò è arcinoto, ma devo dire che nessun libro recente, di ispirazione darwiniana, vi fa allusione. Nel 1 860 Darwin pensava solo all'occhio, ma oggi egli dovrebbe prendere in considerazione tutti gli annessi ce­ rebrali dell'organo. a retina è in relazione indiretta con la zona striata del lobo occipitale degli emisferi cerebrali: a ciascuna delle sue parti - forse a ciascuna delle sue cellule fotoricettrici - corrispondono dei neuroni specia­ lizzati. a connessione delle ibe del nervo ottico e dei neuroni del lobo occipitale si efettua con una assoluta perfezione nei corpi genicolati. Le vie degli assoni, lo sviluppo dei dendriti, i riscontri con gli elementi corri­ spondenti sono cosi esattamente regolati nel tempo e nello spazio che, nei casi normali, tutto risulta veramente perfetto. Nella realtà, il quadro che noi stiamo abbozzando è l . P. 124, tomo Il, de La vie et la correspondance de Charles Darwin, a cura del iglio Francis Darwin, edizione francese a cura di H .C . de Varigny, Reinwald, Paris, 1 888. 2. Dawin (1 859) dedica quattro pagine e mezzo della Origine des Éspèces (edizione francse del 1 887, pp. 1 95-1 99) all'occhio e alla sua genesi possibile grazie a innumerevoli varianti, alla selezione natu­ rale e alla durata. Si può constatare, però, che egli non supera al­ cuno degli ostacoli che la realtà oppone alla sua dottrina.

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

1 55

ancora più complesso; abbiamo trascurato la struttura molecolare, altrettanto ricca di particolarità adattative che la macro-struttura, le cui raina tezze furono talora scambiate per imperfezioni (si veda Ivanof, 1 953) ; e ab­ biamo tralasciato la chimica dell'organo! Abbiamo preso l'occhio come esempio di organo com­ plesso ad aggiustamenti multipli, ma anche l'orecchio avrebbe potuto essere altrettanto istruttivo; e l'esempio migliore non è forse il cervello umano, l'organo capace di astrazione, la cui architettura corticale con i suoi 14 mi­ liardi di neuroni è ben !ungi dall'essere conosciuta con precisione? Nei Mammiferi, tutti gli organi di senso si sono evoluti pressappoco nel medesimo tempo. Quando si pensa alle mutazioni simultanee o quasi, che sono state necessarie per la loro genesi, mutazioni apparse al momento oppor­ tuno, adeguate ai bisogni, si resta confusi da tanta armo­ nia, da tante coincidenze felici, dovute al solo caso trion­ fante. La selezione deve continuare la sua opera per genera­ zioni successive e trovare in esse i materiali convenienti al suo compito.1 Ma le mutazioni successive devono ac­ cordarsi con quelle che le precedono, altrimenti non avranno alcun valore evolutivo. Abbiamo già enumerato i casi felici richiesti dalla minima evoluzione basata su mutazioni (p. 1 39). Chi adotta la teoria aleatoria dell'evoluzione ammette che, perché l'occhio o l'orecchio fossero ciò che sono, ci sono volute migliaia e migliaia di casi fortunati sincro­ nizzati con i bisogni della costruzione. Quale potrà essere la probabilità di una riuscita fortuita cosi favolosa? 2 La selezione naturale, ammesso che sia l'architetto del mondo vivente, agisce solo se, al momento propizio, di­ spone di mattoni convenienti alla costruzione dell'organo. l . Noi scriviamo questa pagina come se la selezione fosse una entità attiva; preghiamo il lettore di scusarci. Ciò facendo prendiamo in prestito dai darwinisti il loro linguaggio e i loro concetti. 2. In un libro recente ( 1 972), G. Salet giudica con pertinenza e severità l'evoluzionismo aleatorio ricorrendo a metodi matematici. Anche se non condividiamo afatto le concezioni biologiche e ilosoi· che di questo Autore, che non è un biologo, consigliamo la lettura del suo libro a coloro che si interessano alla parte che ha potuto avere il caso nella genesi del mondo vivente.

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

A che cosa servono delle mutazioni adeguate se compaio­ no troppo presto o troppo tardi nel corso della ilogenesi? Se il cristallino e la retina non si fossero formati in un momento preciso e in stretta connessione l'uno con l'al­ tra (la retina è l'induttore delle parti anteriori dell'or­ gano), l'occhio non si sarebbe formato. Le eventuali mu­ tazioni non sono potute apparire indipendentemente le une dalle altre. L'inluenza dell'organo si estende ai suoi annessi : che sarebbe un occhio senza palpebre, né ghian­ dole lacrimali? E questi annessi devono essersi formati assai precocemente nel corso dell'evoluzione : l'occhio è troppo fragile per poter farne a meno. La cronologia dei fenomeni che si succedono nel corso di ogni ontogenesi è inlessibile. Per formarsi e sussistere, l'essere vivente esie che ci sia tanto ordine nel corso delle sue trasforma­ zioni quanto nella sua architettura. Del caso, in tutto ciò, non si scorge traccia. Inoltre, nel corso delle organogenesi ilogenetiche, la selezione naturale deve godere di un dono di divinazione, di profezia. La sua caratteristica non è forse quella di scegliere? Ma non si può fare la cernita senza prevedere il ruolo futuro dell'organo in formazione. In assenza di questa previsione, la coordinazione degli stati successivi diventa incomprensibile. Darwin ci ha pensato? Senza il suo potere profetico la selezione non avrebbe modo di favorire un organo in corso di costruzione e ancora allo stato di abbozzo, la cui utilità è minima, persino nulla. Che vantaggio porterebbe l'abbozzo del­ l'occhio quando i materiali che lo compongono non fos­ sero ancora trasparenti? Che utilità avevano, nei Rettili teriodonti, antenati dei Mammiferi, lo sviluppo dell'osso dentale e la concomitante regressione delle ossa prassi­ mali della mandibola? Si può sempre inventare una ri­ sposta, ma ciò signiicherebbe aggiungere una supposi­ zione ad altre supposizioni. Ci dicono, con estrema insistenza, che il caso può tutto. Ma non bastano le afermazioni; occorrono le prove. Non riteniamo che Io sia la resistenza a un antibiotico com­ parsa spontaneamente all'interno di una popolazione bat­ terica non resistente. Non si tratta né di una struttura, né di una funzione fondamentale. E la verità della nostra as-

L ' EVOLUZIONE E IL CASO

1 57

serzione è dimostrata dal fatto che variazioni di questa natura, anche ripetute per milioni di volte, hanno lascia­ to i Batteri simili a loro stessi, eccetto qualche particolare. L'essere vivente che deve conservare in ogni momento la propria unità funzionale è un sistema autoregolatore, la cui inalità immanente, perseverare nell'essere, è una proprietà essenziale, che non si può dissimulare neppure dietro la maschera di un nome che non è altro che un sotterfugio. I biochimici e i isici che si cimentano con la biogenesi sanno che rendere vivente un sistema materiale signiica dare ad esso un ine mantenuto durevo lmente da molte­ plici autoregolazioni. Tuttavia, in margine alla scienza, è stato a poco a poco ediicato un sistema teorico che spiega con il caso la enesi e l'evoluzione del biocosmo. I suoi fautori hanno fede nel caso, che nella lotteria della vita - essi non hanno dubbi - dona immancabilmente all'essere vivente ciò che gli è necessario. Agli uccellini dona la pastura, la sua bontà si estende su tutta la natura. Guidato dall'onnipotenza della selezione, il caso aqui­ sta l'aspetto di una Provvidenza di cui, sotto la copertura dell'ateismo, non si pronuncia mai il nome, ma che si venera in segreto. Noi riteniamo falso il dilemma « o il caso o il sopran­ naturale . nel quale i biologi dell'aleatorio tentano in­ vano di costringere i loro avversari. Né caso, né sopranna­ turale, ma leggi che governano gli esseri viventi, leggi la cui ricerca è lo scopo, la ragione d'essere della scienza, cui spetta l'ultima parola. Afermare, con sicurezza olimpica, che la vita, gli es­ seri viventi sono nati per puro caso e per puro caso si sono evoluti, è una supposizione ratuita, che noi rite­ niamo erronea e in disaccordo con i fatti.

v

EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

L'evoluzione, come l'immagina la dottrina darwiniana, attingendo i suoi materiali di costruzione tra i mutanti non può fare a meno del caso, che è il suo fornitore, ma la selezione, cui essa ricorre per adattare le mutazioni alla necessità (?) o alla semplice utilità, diventa l'anti­ caso, il custode dell'ordine. In tal modo la dottrina, nella sua forma più elaborata, salva capra e cavoli e si sforza di conciliare caos e ordine, apparentemente inconciliabili. Di conseguenza essa collega strettamente l'adattamento alla selezione, facendo dipendere il primo dalla seconda. Questa concezione ha inluenzato la maniera di valutare l'utilità dei caratteri presentati dall'essere vivente e al tempo stesso l'interpretazione della genesi dell'adattamen­ to. Ogni studio critico deve dunque vertere su entrambe queste nozioni. Abbiamo perciò dedicato un capitolo allo studio di ciascuna delle due.

L'idea di selezione

L'idea di una selezione che operi una cernita dei varian­ ti all'interno di una popolazione, separando gli atti dagli inetti, è stata espressa molto prima del XIX secolo da

EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

1 59

molti naturalisti o ilosoi. Aristotele, eterno precursore, nel libro IX della C lassiicazione degli A nimali, ha enun· ciato il principio stesso della lotta per la vita : c Gli ani­ mali, quando abitano gli stessi luoghi e utilizzano lo stes­ so alimento, sono in guerra gli uni contro gli altri. Se il cibo non è suicientemente abbondante, essi combattono tra loro, anche se sono della stessa specie " . Il ilosofo si domanda anche nella Fisica (libro II, capitolo vm) c se da questa lotta non abbia potuto risultare l'estinzione delle forme insuicientemente adattate alle condizioni di esistenza e la conservazione delle forme bene adattate, da cui l'apparente inalità che noi osserviamo. Tuttavia egli riiuta ben ,presto questa idea, dato che la inalità, in na­ tura, è regola e non eccezione. D'altra parte egli conside­ ra il fatto che le risorse della natura sono abbastanza randi da rendere impossibile la distruzione di una delle sue opere. Inoltre non tutti gli animali sono in conlitto; ce ne sono di quelli che sono amici " (E. Perrier, La philosophie zoologique avant Darwin, F. Alcan, Paris, 1 896, p. 1 6). In altri scritti dell'Antichità troviamo allusioni alla competitività tra gli animali e alla sopravvivenza del più idoneo, particolarmente nel De rerum natura di Lucrezio. Ma nessun ilosofo o naturalista ne trae un principio gene­ rale : mancava la nozione di evoluzione. L'idea di attri­ buire alla lotta per l'esistenza un compito selettivo che comporti l'evoluzione degli esseri viventi spetta a Dar­ win e Wallace ( 1858). Nella spiegazione del meccanismo evolutivo, presentata congiuntamente da Darwin e da Wallace, l'idea che i soli a persistere siano gli individui più atti a lottare contro i loro simili, contro i loro nemici di tutti i tipi, contro le avversità climatiche, gli individui più capaci di trovare cibo, di resistere alle malattie infettive, ecc. è quella di gran lunga più originale. Darwin e Wallace ne hanno tratto l'ispirazione e la giustiicazione dal libro del isiocrate Malthus, Essai sur le principe de population, 1 798 (si veda Wallace, 1 908), che ha messo in luce lo squilibrio esistente tra la molti­ plicazione dell'uomo e la quantità di cibo disponibile, e, contemporaneamente, le cause delle perdite subite dalle popolazioni. La selezione naturale resta la chiave di volta della dot-

1 60

L 'EVOLUZIONE DEL VIVENTE

trina darwiniana, che ne postula l'universalità e ne fa l'agente responsabile dell'evoluzione di tutti gli esseri organizzati. Solo le forme vitali sono sopravvissute (il che equivale a un truismo), solo i dispositivi adeguati alle loro fun­ zioni sono persistiti. Al disordine delle mutazioni aleato­ rie, la selezione sostituisce l'ordine, l'equilibrio, cioè l'ar­ monia. L'esattezza di questa interpretazione è tutta da dimo­ strare. Dire che un certo insieme di oggetti o di esseri viventi è in equilibrio con l'ambiente o che i suoi componenti sono in equilibrio tra di loro non signiica afatto che questo equilibrio e lo stato dell'insieme risultino da una selezione, da una cernita anteriore. Cosi, lo stato attuale del Macrocosmo e dei suoi astri non è afatto il risultato di una cernita, ma del passaggio da uno stato all'altro, dove il cambiamento prosegue ino alla realizzazione di una certa stabilità, stabilità che sarà rotta a sua volta per l'inluenza di cause interne o esterne. Fare intervenire la selezione signiica inalizzare il si­ stema. Non ci potrebbe essere cernita senza intenzione. Che sia la necessità o qualsivoglia altro fattore ad ani­ marla, non importa; le cause cambiano, ma non per questo risultano meno inalizzanti. Ciò che per ora ci interessa è di sapere in quale misura le perdite subite da una popolazione animale o vegetale intervengano nel processo evolutivo.

La selezione durante l'ontogenesi

Le specie, animali e vegetali che siano, subiscono delle perdite enormi che riguardano in primo luogo gli ele­ menti riproduttori e gli embrioni. A dispetto della loro fecondità molto elevata, molte popolazioni restano nume­ ricamente stabili, il che vuoi dire che a una coppia suc­ cede un'altra coppia. Questo stato di cose attesta l'impor­ tanza della mortalità dei germi, degli embrioni e dei giovani. Negli animali in cui l'atto riproduttore aduna folle di individui, la distruzione volge al massacro. Le innumere-

EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

1 61

voli Termiti e Formiche sciamanti che escono in massa dal loro nido, sono attaccate con frenesia da predatori. Sopravvivono le poche coppie che hanno beneiciato di un rifugio trovato nel suolo, in una anfrattuosità della corteccia ... e questo senza che intervengano le qualità proprie dell'Insetto, senza che entri minimamente in gio­ :o la selezione. Le ' nuvole ' di Anellidi policheti che con­ volano a nozze sono vittime di numerosi e insaziabili ne­ mici, proprio come gli sciami d'Insetti. Le distruzioni colossali di uova, di spermatozoi, di se­ mi, di larve non sono selettive. La morte non sceglie le :sue vittime, colpisce alla cieca. I gameti mal conformati, e sono molto numerosi, pren­ dono parte solo raramente alla fecondazione a causa della loro incapacità funzionale. Ma un uovo o uno spermato­ zoo possono essere portatori di geni letali e originare un embrione che si sviluppa normalmente ino all'entrata in azione di questi geni, talora verso la ine dell'ontogenesi. Le statistiche rivelano che, nella specie umana, il 25% degli aborti e dei nati morti sofrono di una anomalia cro­ mosomica (il più delle volte una polisomia) ; nel 75% degli aborti restanti, è presumibile che una forte percen­ tuale sia vittima di geni letali. Nel corso dello sviluppo embrionale e della prima età, l'eliminazione del cattivo, del patologico, si estrinseca pienamente; essa protegge il genotipo, ma non esercita una inluenza direttrice sull'evoluzione.

La selezione e l'inciden te

Le perdite massicce dovute ai cataclismi che coinvol­ gono ampie zone hanno un efetto poco selettivo sugli animali e sui vegetali. Questi cataclismi colpiscono cie­ :amente, a seconda dei luoghi e delle circostanze : i mare­ moti, le inondazioni, gli incendi delle foreste e delle savane, ecc. non scelgono le loro vittime. L'uragano che abbatte settori interi di foresta non esercita una azione veramente selettiva : ma gli accatastamenti di alberi ab· battuti dal vento creano un ambiente propizio a deter­ minate specie, sfavorevole ad altre. Nella foresta primaria equatoriale, le larghe radure aperte dai cicloni sono spazi

L ' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

vuoti dove la lotta interspeciica è assai vivace e dove si sucedono associazioni vegetali che percorrono un ciclo il cui termine costante è il ritorno alla " foresta primaria, climax dell'ambiente considerato. Tuttavia, gli incendi appiccati ogni anno dagli indige­ ni nelle savane africane durante la stagione secca, rispar­ miano sempre qualche specie vegetale detta piroita che, grazie allo spessore della sua corteccia, ai suoi organi sotterranei, alla succulenza dei suoi tessuti, resiste al ca­ lore e alle iamme. Così il « preadattamento . (nozione generalizzata da Lucien Cuénot) 1 favorisce certe specie che, dopo il pas­ saggio dell'incendio, diventano predominanti. È il caso, nelle savane centro-africane, delle Hygrophila e delle Le­ pidaga t his (Acantacee) che sono piante basse le cui cap­ sule che racchiudono i semi si aprono diicilmente; al momento dell'incendio i frutti, agglomerati insieme, sono soltanto lambiti dalle iamme, ma, modiicati dal calore vivo, alla prima rugiada si aprono di scatto e proiettano i l oro semi lontano, favorendo la dispersione e l'espan­ sione della pianta. L'incendio esercita un'azione evidente sulla composi­ zione della lora. Tuttavia, mancando studi precisi, non è possibile afermare che esso favorisca, all'interno di una medesima specie, un genotipo, piuttosto che un altro. In ogni modo non provoca la comparsa di novità. La selezione dei preadattati modiica la composizione del po­ polamento vegetale, ma non costituisce un'evoluzione ve­ ra e propria perché gli individui rimangono immutati. Appena cessano gli incendi periodici, il fattore selettivo non funziona più e dal momento che le piroite non sono più favorite, il popolamento vegetale ritorna a es­ sere quello che era prima che il fuoco lo modiicasse. Stiamo attenti a non confondere l'evoluzione creatrice con le variazioni di composizione di una popolazione se­ condo le circostanze. Sono due fenomeni distinti, tentare di collegarli non può essere che un'operazione speciosa. Gli esempi di preadattamenti proposti inora (selezione operata dal gelo di individui resistenti al freddo in seno a una popolazione veetale, selezione delle piroite tral . Si leggano in particolare le pp" 413-424 de L'!volution biologique,. di L. Cuénot e A. Tétry.

EVOLUZIONE E SELEZIONE NATURALE

mite gli incendi della savana, dei Crostacei aquatici e dei Pesci eurialini ad opera delle variazioni di salinità, di Insetti atteri a causa del vento ...) riguardano solo carat­ teri che non toccano il piano di organizzazione e che non impegnano mai la specie in una via nuova.l Complessivamente le distruzioni massicce colpiscono a caso, senza discriminazioni. Dopo i cataclismi, i preadat­ tati, se fortunosamente se ne trovano, sono gli unici a sussistere e la composizione della lora e della fauna ri­ sulta modiicata, ma il corredo genico degli individui risulta poco cambiato, e non si osserva alcuna variazione di grande ampiezza.

L'eliminazione selettiva

Le morti accidentali sono importanti per ciò che con­ cerne la crescita, il declino, o l'equilibrio delle popola­ zioni, ma non inluenzano l'evoluzione. Dopo i massacri aleatori, nelle popolazioni che sono scampate si instaura­ no delle competizioni più o meno severe tra larve, iovai e adulti nelle quali, secondo la teoria, si aferma la soprav­ vivenza del più idoneo, vale a dire, in termini di genetica, del genotipo meglio adattato all'ambiente. L'eliminazio­ ne, da casuale, diviene selettiva.2 l. Il preadattamento non ha sempre l'efetto che gli si attribuisce. Se è vero che in riva al mare e nelle isole, le specie di Ditteri senza ali sono più numerose che altrove perché esse orono meno presa al vento, ci sono regioni che, benché spazzate dal vento, contano olo mosche alate; è il caso degli immensi regs sahariani, dove nulla frena il simun e il ghibli. Nell'isola di San Paolo, in pieno Paciico meridionale, tutti i Dit­ teri sono normalmente alati. Data la frequnza nei Ditteri della mu­ tazione attera, è diicile ammettere che essa non sia comparsa nelle popolazioni dell'isola. Questo stato di cose ha la spiegazione più sem­ plice del mondo; quando il vento soia al di sopra di una certa velo­ cità l'insetto si mette al riparo, si rintana. Tutti gli entomologi ce hanno cacciato nella macchia mediterranea sanno bene che, quando c'è forte maestrale, nessun insetto vola. 2. o studio matematico della selezione naturale ha tentato qualche matematico, tra cui il più conosciuto è Vol terra e alcuni biologi, come Fischer (1 930), Haldane ( 1 24-1 932), Teissier (1958), ewal Wright (1 969), Kimura e Ohta ( 1 97 1 ) . Il lettore che desidera cono­ scere l'argomen to può consultare le pubblicazioni di questi autori; ,

L' EVOLUZIONE DEL VIVENTE

La sopravvivenza del più idoneo è conseguenza di una azione essenzialmente soppressiva. Se essa si estrinsecasse appieno, le popolazioni naturali unispeciiche tenderebbe­ ro all'uniicazione del genotipo e le popolazioni plurispe­ ciiche all'unispeciicità. Ora, il meno valido persiste e le popolazioni naturali restano (geneticamente parlando) fortemente eterogenee. È necessario, quindi, conoscere le modalità della sele­ zione naturale. Gli studi hanno riguardato maggiormente popolazioni sperimentali che popolazioni naturali. Nella grande maggioranza dei casi il mutante, general­ mente ' inferiore ' al tipo selvatico, viene eliminato. Tal­ volta, però, le cose vanno altrimenti : il mutante persiste, si installa nella popolazione. Accadde così per un allelo di sepia (colore dell'occhio) che Teissier ( 1943) vide comparire in un allevamento di Drosoila : t Sepia aumentò gradualmente di numero e du­ rante una ventina di generazioni si stabilizzò attorno a un valore isso. Gli studi demograici sulle popolazioni sperimentali di Drosoila hanno insegnato che i valori selettivi dei genotroverà i riferimenti bibliograici delle più importanti nella biblio­ graia riportata a ine volume. Parleremo della legge di Hardy-Weinberg solo per mostrare la distanza che sepra la teoria dalla realtà. Questa legge è stata enun­ ciata in diversi modi; noi la riportiamo in qusta formulazione: In una grande popolazione stabile, dove gli accoppiamenti si efettuano a caso (panmissia), dove la selezione è inoperante e dove non si producono mutazioni, le percentuali dei diversi geni e genotipi resta· no costanti nelle generazioni successive ». Questa legge non concerne condizioni reali, ma uno stato ideale. Per questo motivo interessa poco l'evoluzionista, il quale deve pren-· dere in considerazione il concreto, l'esistente, e non il ittizio. I gene­ tisti demograi utilizzano questa lgge come termine di paragone tra quel che osservano nelle popolazioni di allevamento e la s tabilità teorica, il che consente l'introduzione di nuovi parametri e coef­ icienti nella formula primitiva e di calcolare le percentuali geniche in condizioni di instabilità. l. Nelle cassette di allevamento in cui si sviluppano le larve di Drosoila « il fattore selettivo... consiste in una concorrenza molto severa per il cibo ». In natura questa concorrenza è verosimilmente meno forte, ma la frutta in fermentazione (eccetto in autunno nelle· regioni vinicole) non è afatto abbondante e con ogni probabilità numerosi adulti muoiono senza averne trovata e di conseguenza senza lasciare discendenza. Queste morti, dovute al caso, non hanno valore selettivo.