L'etimologia nella storia della cultura occidentale [1] 888513453X, 9788885134539


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L'etimologia nella storia della cultura occidentale [1]
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BIBLIOTECA DI RICERCHE LINGUISTICHE E FILOLOGICHE

52,1

WALTER BELARDI

L'ETIMOLOGIA NELLA STORIA DELLA CULTURA OCCIDENTALE

Tomo I

DIPARTIMENTO DI STUDI GLOITOANTROPOLOGICI UNIVERSITÀ DI ROMA "LA SAPIENZA" EDITRICE "IL CALAMO"

2002

~leTf~~~i ..~lJtR.fr~blicaco

con

il concorso finanziario «lnnumerabilia tnim sunt verba, quorum rah·o rtddi non possit ,-aut non est, ut ego arbitror, aut /aut, ut Stoici contmdunt • (Aurelii Augustini Principia diakcticat}

del Dipartimento di Studi Glottoantropologici dell'Università di Roma "La Sapienza". Resta esclusaogni forma di diriui di autore.

«Us pusonnn qui nt sont pas du mltitr ne savent pas asuz qut, pour unt hymologit sUrt, ks dictionnairts tn ojf,mt dix qui sont (U)uuuststt dont, m appliquant une mhhodt rigoureust,on nt sauraitfairt lapreuvt• (A. Meillet, Aptrfu, 1965, p. 65)

I. L'ampiezzad,I urna d,/1',rimologia.

ISSN 0392-9361 - ISBN 88-85134-53-X Biblioteca di Rkcrchc Linguistiche e Filologiche Nr. 52, tomo I Casa Editrice ..li Calamo" s.n.c. di Fausto Liberati Via Bernardino T clcsio, 4b 00195 Roma

Tel. e Fax(06) 37 24 546 lndiriui demonici: CAsAEDITRICE hnp://www.ilcalamo.com [email protected] AUTORE http://www.bclardi.net/wahcr.htm [email protected]

Circa l'etimologia, nell'opinione comune moderna sono abbastanza diffuse due idee, era di loro serenamente connesse, una che un esperto in materia possa, con le sue arti quasi segrete, venire a capo di qualsiasi etimo e quindi svelare l'origine ultima di ogni parola, e un'altra che chi esperto non sia ma si diletti molto con radici e derivati possa liberamente e impunemente giocare e divertirsi a sciorinare etimologie in quantità. Le due citazioni che ho premesso, una, antica, di Sant'Agostino e una, moderna, di Antoine Meiller, entrambi grandi personalità nella scoria della linguistica, dovrebbero potere aiutare a correggere tanto la prima quanto la seconda idea. Premesso che ogni parlante, sotto tutti i cieli e in ogni epoca, è portato spontaneamente a "etimologizzare" il suo lessico con le cosiddette "etimologie popolari", per renderlo più efficiente (se ne parlerà più avanti), sarebbe tuttavia opportuno che i tanti "curiosi" e "poco addetti" non andassero oltre questa attitudine spontanea della quale per lo più il parlante non ha piena consapevolezza, e si convincessero che

§ I

(I) la ricerca etimologica, quando anche arrivi a buon fine e individui dati precedenti appartenenti a fasilinguistiche remore, in molti casi prciscorichc, magari coincidenti perfino con le epoche più antiche della cultura della pietra nell'area euroasiatica occidentale, incontra a un cerco punto suoi specifici limiti oggettivi

insuperabili in ordine al parametro del tempo, come in genere avviene nelle ricerche delle scienze naturali, in ordine, di caso in caso, a vari altri parametri 1; (2) la ricerca cr.imologica scientifica è una cosa oltremodo seria, ramo quanto ogni altra ricerca scientifica, e non merita di essere intralciata dalla enorme massa di scorie che nei secoli si sono accumulare a suo impaccio e danno, compromettendone perfino la credibilità. C'è poi anche un'altra idea, di ben altro genere, diffusa non solo nell'opinione comune ma anche era le menti più impegnare, che l'c:cimologia, vista l'incertezza che le si accompagna e soprattutto visto il suo essere estranea e irrilevante rispetto alle idee che sono in gioco con la loro importanza in ogni momento presente dell'attualità che si sta vivendo, sia un argomento alquanto ozioso e futile, che non merita perciò soverchia actenzione. Anche questa idea ha bisogno di un cerro ridimensionamento. Sicuramente, lungo tanti secoli sono state prodotte di gran lunga più etimologie sbagliare che etimologie giuste. Alle sbagliare, come si è riferito Antoine Meillet nella citazione pensando alle "moderne", cosl alludeva F. Rirschl, pensando alle "antiche", nel primo (Leipzig 1866) dei suoi Opusculaphilologica,quando trattò «de imbc:cillitate artis ecymologicae»: l'etimologia «in summam lapsa coniciendi, immo halucinandi libidinem, quae nihil sibi non licitum ducerec, vascam procreavit molem captiun-

1 Per esempio, - come a cuctiè dato apprendere da esempi esibiti in riprese televisivedi divulgazione scientifica - anche il più potente microscopio elettronico, nello scandagliare il presunto "infinitamente:" piccolo della materia, ha il suo limite in un determinato valore di ingrandimento, oltre il quale non riesce ad andare. Di questo limite nella ricerca etimologica si dirà più avanti.

L 'ampieua dd tmuJ tkll'etimologia

cularum parum fructuosarum, et sterilium argutiarum,. 1 . Ma intanto l'etimologia antica va valutata non per i suoi risultati glottologici, che sono inconsistenti, ma per le sue implicazioni filosofiche, essendo stato per lungo tempo, nel nostro mondo occidentale, il rema dell'etimologia anche il tema della riflessione sui nomi e sul linguaggio stesso. In secondo luogo, l'etimologia si trova in nesso stretto anche con la storia delle lingue e quindi con la linguistica storica, per cui svalutare l'etimologia equivarrebbe a svalutare sia la scoria linguistica sia la linguistica storica. L'importanza di questo nesso, unanimemente riconosciuta negli ultimi due / tre secoli, a mio avviso non implica però automaticamente l'opportunità di trasformare l'etimologia del lessico in scoria del lessico; né le numerose incertezze che si incontrano nel caso di etimologie molto risalenti nel tempo possono legittimare di per sé una preferenza accordata in modo esclusivo alle certezze che la documentazione storica può offrire. Inoltre, a raffon.are e a integrare quanto ora detto, sta appunto il grande tema dcll'"etimologia popolare", per il ruolo che essa svolge costantemente nell'evoluzione linguistica arcraversO il comune parlante, presso che all'insaputa del medesimo, benché proprio questi ne sia l'attore e il propagatore (vedi, infta, § 7 e sgg.). C'è poi da dire che le ricerche etimologiche possono, nel settore della cosiddetta "linguistica culturale" e in quello della "lessicologia intellettuale", tra di loro affini, fare luce su aspetti della storia della cultura che altrimenti non potrebbero essere indagati. Infine, proprio coloro che più si interessano alle idee e alle ideazioni superiori e scansano la ricerca etimologica come attività futile dovrebbero maggiormente non essere deboli in etimologia, per non rischiare di vedersi opporre dialetticamente un "argu-

l "L'etimologia, finita in una estrema sfrenacezz.adi immaginazione, anzi di allucinazione,che ritiene che nulla possa esserlevietato, ha generato un'incontenibile massa di capziosità senz.avalore e di sterili arzigogoli".

§ I

L 'ampitua tk/

mentum ab ecymologia" basato su un'etimologia in realtà falsa, talvolta tendenziosa. Non è raro infatti imbattersi in argomenti dialettici (e perfino teologici) di questo genere portati avanti da personaggi illustri o meno illustri, antichi ma anche moderni, addirittura nostri contemporanei (passim ma soprattutto § 24). Ch~ il ruolo di un saperescientifico non è soltanto quello di trovare e mostrare il vero, ma anche quello di scoprire il falso e di denunziarlo. Il libro presente vorrebbe concorrere con tanti altri in circolazione a illustrare quello che or ora è stato detto, a rettificare opini~ni no~ corrette intorno all'etimologia 1 a proporre qualche et1molog1a nuova e, oltre a ciò, anzi soprattutto, contribuire a dichiarare il ruolo che l'etimologia ha avuto nella storia culturale del nostro Occidente 3.

3 Se sono incorso in ripetizioni, ebbene esse, spero, potranno essere giovevoli, come dice un proverbio latino. Per altro, lo spessore maccr~aledel li~ro ha varie volte quasi preteso la ripetizione di qualche nozione a mio parere fondamentale. Di volta in volta, ad ogni modo, ho cercato con opportuni rinvii di indicare i "luoghi paralleli". La vastità poi della maceria. o. meglio, la quanàcà delle materie in questione mi ~ s~mbraca richiedere in più punti un discorso di tipo didascalico, magan troppo scoperto e ampio, e del tipo a volce dcli' excursus. La citazione, sporadica, di forme in grafia originale vorrebbe suscitare in lettori giovani una proficua curiosità filologica verso l'immenso mondo delle fonti dirette, li libro presente (iniziato nel 1998), benché aspiri ad essere notevolmente didattico, non è un cracrato e canto meno un manu~e. ~ soltanto un lungo, lunghissimo discorso che presuppone u_napnma informazione almeno di base. Non gli si può imputare perciò una mancata architettura rigorosamente "step by scep". Dei refusi elettronici da me commessi preparando l'aspetto tipografico del libro p_er_lascampa chiedo scusa al benevolo lettore, che vorcl perdonare, se c1 riesce, anche quelli concettuali ed espositivi. Al critico severo inutile chiedere. Per quanto concerne i fonts che ho adoperato, quello pahlavico ~ di Elio Provasi, l'arabo-persiano, il greco, il siriaco, l'ebraico e il dcvanagarico sono proprietà di "Linguist's Software" ([email protected];www.linguiscsoftware.com}; gli altri sono di mia produzione (poi donaci alla ditta citata).

tnn11.

tk/J'uimo/qguz

Nell'uso comune e attuale della noscra lingua, a ,timologiasi riconosce il significato essenziale di 'origine, provenienza' di una parola, qualunque sia questa origine. Dichiarare l'etimologia di una parola è come dichiararne la provenienza. Per molti non fa grande differenza quanto a genere di origine se l'etimologia di una parola va ricercata in tempi remoti, magari remotissimi, oppure in una lingua dei paraggi, spaziali (arabo, ad esempio) o culturali (greco o latino), o perfino nella lingua della abitazione accanto, per esempio nell'inglese, che è il caso oggi più frequente per le parole nuove. Il senso di questa "origine" o "provenienza" spesso si configura come un "viene da ... ": "viene dal latino, dal francese, dal tedesco, dall'arabo", etc. Mi sembra però che non tutti direbbero facilmente che una certa voce latina, greca, germanica. slava, sànscrita etc. "viene dall'indoeuropeo", o che un'altra di una lingua germanica "viene dal germanico". In questi casi forse si è portati a dire piuttosto "è di origine indoeuropea" (potrebbe, invece. essere un imprcstito da lingua non indoeuropea),"~ di origine germanica" (in questo caso, contro impresciti che potrebbero essere di origine romanza), a meno che sia soltanto io ad essere indotto ad avvertire questa distinzione, condizionato dalla solita deformazione professionale. Se cosl non è, e il differenziamento nel modo di esprimerci ricorre di fatto. dirci che esso è una debole ma significativa traccia di una sommersa consapcvolez.za - che sopravvive appena nel comune pensare e parlare - che esiste di fatto una sostanziale differenza tra "etimologia" e studio degli imprestici, cioè tra ricerca dell"'etimo" remoto da una parte, quando si tratta di parole possiamo dire indigene, e, dall'altra, ricerca del modello alloglotto recente o recentissimo, quando si tratta di forestierismi. Il modello alloglotto porrà anche porre, in un momento idealmente diverso, un problema etimologico. ma soltanto per suo proprio conto e per quanto unicamente lo riguarda. Forse, accanto a questa debole traccia, sopravvive nell'uso e nella cultura comuni anche una certa idea che l'"etimo" - a differenza dcll'imprcstito - sia un qualcosa alquanto misterioso, che solo degli esperti sanno trovare e interpretare con le loro arti magiche, con quel loro "lavorare sulle parole", quasi che nell'etimo

IO

§ I

L 'ampin:zatk/ urnaIU/l'ttimologia

si riflettesse alcunché del rapporto tra l'uomo, il suo linguaggio e il mondo, rapporto che sovente e a molti appare quasi altrertanto misterioso, al punto da chiamare in causa, per spiegarlo, ora Iddio, ora la Natura, ora "eroi" mitici di essenza e statura sovraumana. Questo, almeno, ancora pochi secoli fu,ché oggi siamo finiti di cerco in una dimensione disincantata e pragmatica. L'imprcsrico, il forestierismo, o barbarismo testimoniano, invece, un evento intercorso soltanto tra esseri umani, e si allineano con gli altri eventi che vedono il passaggio da un popolo a un altro di nozioni, di tecniche, di beni, di saperi in genere. Vedremo più avanti come nella semantica di etimologiasia da ravvisare in determinati casi un senso più stretto e in altri - già nell'antichità altri sensi più estesi, fino a comprendere, sia pure indebitamente, anche l'imprestito e perfino la derivazione morfologica da parole presenti nel sistema linguistico (derivazione sincronologica). Infacri, un verbo e un sostantivo molto usati, quando si parla di "origine .., sono derivaree dtrivaziont (dnivato etc.). Di fano il loro uso può generare confusione (e nel passato ne ha generaco molca). Nel loro impiego bisognerebbe sempre distinguere era derivaz.ione morfologica, che è un procedimento consistente nel trarre una parola "secondaria" da una •primaria", in maniera e secondo condizioni cali per cui primario e derivaco cocsist0no nel sistema in atto (tipo giusto e giustnza), e derivazione diacronica (per cui si dice comunemente che giusto deriva dal latino iustu.s[le due forme non sono cofunzionali, non coesistono in un medesimo sistema]; e che ius [da cui iustusderivava morfologicamence] deriva dall'indoeuropeo, esiscendo forme parallele in avescico, ecc.; come pure che giardino è derivaco all'icaliano dal provenzale,giridall'inglese, etc.). Cf., infra,§ 4.8. La derivazione morfologica sincronologica da parole compresenti non riguarda sricto sensu l'etimologia, riguardando, infatti, la morfologia lessicale (in ted. "Worcbildung" o sia formazione delle parole). Gli altri casi citati di derivazione rientrano, invece, nella nozione di etimologia, purché questa nozione sia assunta in senso laco, ché poi al suo interno sarebbe opportuno distinguere tra veri "etimi" e quelli che sono propriamente ..imprestiti", come si dirà più avanti. Nel corso di queste pagine il termine ekrivazionesarà impiegato spesso e per lo più nel senso di "Wortbildung". Quando il

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contesto da solo lasciassesorgere dubbi su come il termine debba csere imcso, si cercherà di precisarne il senso con opporrune circonlocuzioni o giustapponendo ad esso il termine tedesco. In modo analogo si comportò Luigi Ccci, consapevole dell'ambiguità del termine, ricorrendo una volca (vedi, infra, §. 14.3) alla locuzione "derivazione etimologica", per distinguerla dalla derivazione sincronologica. Pagato all'uso linguistico corrente il tributo che si deve, resterebbe da esplorare un vascissimo campo intellettuale e culturale, per cercare di precisare a quali ruoli e a quali funzioni l'"etimologia" è stata chiamata di epoca in epoca, di cultura in cultura, fino a diventare, negli ultimi due secoli trascorsi, una tematica strettamcnce cecnica, con mecodeudca saldamente scientifica e finalità spiccatamente storiche (in senso generale, cioè storicotemporali) 4 e storico-culturali.

Data la vastità di tale campo, il tema dcli' etimologia non potrebbe, a mio parere, essere circoscritto a un ambito di studio in cui operassero soltanto un pensare e un riflettere strettamente tecnici, che fossero, quindi, privi di spessore storico. Questo tema ci è pervenuco in eredità, a noi uomini dell'Occidente, anraverso vicende filosofico-scientifiche complesse, da spunti molto remoti del pensiero greco antico, che cominciano ad avere una

4 Purtroppo anche storicoè un altro dei canti termini intellettuali (ne vedremo altri) divenuti, per il molto e diversificato uso, polisemici e quindi ambigui. Può essere usato con riferimento alla "storia" concepita come erano cemporale di eventi umani direttamente controllabili (è il valore antico, erodoteo) e più estesamente come tratto cli cvi fornici di documentazione scritta esaminabile (è il senso oggi maggioritario), oppure più in generale con riferimento alla "storia" concepita come lo spazio della pura temporalità dell'agire umano, comprensiva allora anche della protostoria e perfino della preistoria. Quando si tratta di etimologie potenzialmente risalenti a tempi remotissimi, vien f.mo di usare spesso storiae storicoin qucst'ulcimo senso, giacché la preistoria, soprattutto oggi con gli studi di preistoria in uno stadio molto avanzato, non può essere concepita come non occupata anch'CSS2,nell'ultima sua parte, dall'uomo soggeuo di eventi e soggetto a eventi. Sul termine preistoriatorneremo, ad ogni modo, più avanti.

12

§ I

l 'ampinM tk/ tematklJ'etimologia

loro configurazione riflessa e compiuta già in ambienti filosofici di influsso eracliteo. Dobbiamo spostarci, quindi, nel VI-V sec. a. C. e da Il intraprendere il percorso programmato. Poich~ qui ci siamo proposti di occuparci - per linee generali, s'intende - della riflessione filosofica e poi scientifica incenerata sull' erimologia, tralasciamo di ricordare quanti spunti etimologici (magari semplici giochi di parola) ~ dato ritrovare nei testi della letteratura, non solo artistici ma anche sapienziali e dottrinari, anteriori ai detti secoli. Di questi spunti basti qui un paio di esempi, non senza aver premesso sùbiro quanto sarà spiegato più avanti ampiamente, e cioè che la nozione antica di etimologia non coincide del tutto con le idee in proposito che l'età moderna ha elaborato in sede di cultura in varie guise. Per il pensiero antico, interrogarsi su un etimo di un nome (per lo più un nome proprio di persona) non significava cercare, o, non significava tanto cercare di chiarire linguisticamente la formazione del nome (tanto più che un nome composto di due termini come, poniamo, quello beneaugurante di 'Aowciv«ç 'Astianatte', già di per sé significava letteralmente 'signore [ edere (2a pers. es,3a ést), sanscrito •ad-ti> atti 'egli mangia', inglese to eat, tedesco essenetc. A questo pumo qualche ingenuo seguace di Vico potrebbe osservare esultante che la linguistica storico-comparativa è sopravvenuta - guarda il caso - a dare piena ragione al Vico: la fantasia degli eroici bestioni avrebbe, dunque, non assegnato al "deme" un'arbitraria ctichena mutola, bensl una specie di «picciola favoletta» eloquente e quindi mocivacissima: "il-mangiante". Ammettiamo pure che sia molto probabile che il "dente" significasse millenni fa 'il mangiante' 128. Del resto analoga confì-

t

128 Questa interpretazione etimologica che riporta i vari riflessi nelle lingue indoeuropee che significano 'dente' (sanscr. dan accusativo d4ntam, greco ò&iv (ò6ouç} 6o6vtoç, armeno atamn, lat. dens dm-

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§2

gurazione formale "parlante" si riesce a riscontrare in una serie nwnerosissima di altri casi, come latino lana 'luna', in origine */ouk-s-nii.'la lucente' o, meglio, 'l'illuminante' stando al passo di Varrone citato poco più avanti; ancora LOUSNA nel latino di Preneste, CIL 12 549; cf. lat. luc,o; latino tt"a da *ter-sa 'la secca, l'asciutta', cf. torreo; greco -réµtvoç 'recinto', propriamente 'il (ri)tagliaro', cf. -rɵvoo 'raglio'; latino toga'la coprente', cf. ttgo 'copro', ted. dach'tetto'; o ancora, tanto per risvegliare la curiosità del lettore, l'originale iranico del nome del paradiso, *pari-daiza-, non una etichetta meramente dcittica ma, letteralmente, 'il recintato intorno', un'oasi ben protetta e quindi rigogliosa in una terra deserta; cf. il greco tE1Xoç'muro', etc. (dalla radice *dhVygh-). L'affinità etimologica che corre tra lana e lùcirt era stata còlta sicuramente già da Varrone, per semplice intuizione: "luna, quod sola lucet noctu» "si chiama luna, perché da sola illumina (è capace di fare luce) quando è notte" (D, linguaLatina, V, 68). La presenza di q ud sola.è sembrata a qualcuno sospetta (non si è pensato che le stdle da sole non sono in grado di fare luce a sufficienz..acome la luna piena). Dato che tutto il testo che ci è pervenuto del Dt lingua Latina è molto corrotto, si è sospettato che anche la sequen:ia luna quod sola... possa essere guasta e possa nascondere al nostro sguardo anche una seconda "spiega-

tis, irlandese. ant. dit, comico dam, gotico tunpus,anglosass. tM, ingl. tooth [leggi tu8], antico alto-ted. w.nd, ted. mod. Zahn, etc.) alla radice del verbo per 'mangiare', • td-, non è certa al cento per cento. Le forme inizianti con la dentale potrebbero rappresentare il grado zero della radice • ed-, oppure essere forme indipendenti da questa radice. Se indipendenti, il vocalismo iniziale greco e armeno andreb~e spiegato come una protesi vocalica del tutto secondaria e arealmente limitata. Per altro ci si aspetterebbe che il "dente" fosse semmai immaginato come il "mordente", piuttosto che come il "mangiante". In tal senso si è pensato a una non impossibile radice • dm- 'mordere, addentare' estrapolabile da altre forme, quali sanscr. ddfati 'morde' < • d1}R-t-ti,greco &bcvro< • dvR-n-0,etc. Ad ogni modo, anche secondo questa diversa etimologia, rimarrebbe il fatto che il "dente" sarebbe stato immaginato come una entità agente.

L 'etimoli,giaI la metafora

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zione" etimologica, in alternativa: «quod sola» "perché sola (nd cielo)", cioè come se lana fosse "etimologicamente" la concrazione della sequenza (da noi soltanto ipotizzabile) i/la Una. Personalmente, rispetto alla prima, questa seconda giustificazione di sola.non mi sembra persuasiva. Tuttavia l'etimologia di luna che si trova presso gli Otia imptrialia di Gervasio di Tilbury, composti intorno al 1210, cioè «quasi luminum una» (ed. G. W. Leibniz, Hannover 1707, 888, 14), è del tutto analoga e sembra testimoniare che questo modo d'intendere il passo varroniano doveva essere tradizionale nella scuola. Senza dubbio rientrava nelle abitudini dell'etimologizzare antico presentare due o più possibilità equiprobabili. L'equiprobabilità non preoccupava minimamente. Gli ascoltatori potevano scegliere a gradimenro. Inadeguata la metodologia euristica, incerto di conseguenza il giudizio. Cosl anche nella storiografia antica in genere, quando l'accertamento fosse stato impossibile o difficilmente realizzabile. Cf. Tacito, Genn., 3: «Quae neque confìrmare argumentis neque rcfellere in animo est: ex ingenio suo quisque dcmat vel addat fìdem» "ma non è mia intenzione confermare o smentire con argomenti queste notizie; ciascuno le neghi o le accetti secondo il suo personale giudizio". Alla stessa maniera, già prima, Livio nella Prefazione (§ 6) delle sue Storie tanto più non poté offrire un'interpretazione unica e sicura in quanto nel suo caso il tema storiografico era l'alquanto leggendaria fondazione di Roma. È un atteggiamento, questo, che, in genere, differenzia notevolmente il sapere antico dal moderno successivo a Francis Bacon (ma la svolta inizia molto prima, già con Roger Bacon}. Noi tendiamo (pur se non sempre con successo pieno) a un sapere che possa essere provato, che non ammetta di essere contraddetto, e ci sforziamo di conseguirlo mediante argomentazioni e prove che abbiano fondamento scientifico. In epoca antica sol tanto la matematica e la geometria (da Pitagora in poi) non accettavano il possibilismo; in epoca tardo-greca anche la fisica, in quanto supportata dalla matematica. Comunque, nelle scienze umane anche moderne non può ritrovarsi quella certezza obiettiva che è propria delle matematiche, e al possibilismo sono an~ coca concessi, giocoforza, spazi operativi. Onde tuttora vale la

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§2

diade vichiana della "verirà metafisica• (incendi razionale-filosofica) confortata dalla "certezza ftlologica" che ci perviene dal documento. Ma se il documento è guasto ... Oppure, se il documento non può esserci, come nella preistoria, allora è tempo di illazioni, ma sempre a partire dal documentato, anche se reccnziore, in modo che lo spazio a disposizione dell'arbitrio o della semplice soggettività sia il più ristretto possibile, e dal certo si possa ascendere con molta probabilità a ciò che il Vico chiamava il vero, e che noi con maggiore prudenza potremmo dire il verisimile. La Storia non è la Matematica, e nel non esserlo - grazie

a Dio - sta forse la sua ricchezzadi vira e di forme. La maniera stessa secondo la quale si concepisce in linea di principio il ricoscruiro nell'ambito della comunione indoeuropea preistorica - radice, per lo più di valore verbale, cui seguono uno o più suffissi, ciascuno specificante nozionalmente - ci conduce in modo sistematico e inevitabile proprio in qucsca direzione: sequenze parlanti, facce cli moduli agglutinaci linearmente. Antonino Pagliaro (n. a Mimetta il 1 genn. del 1898, m. a Mistretta il 6 clic. del 1973), si trovò esposco, intorno ai suoi venti anni, alla fonc influenza dell'allora dominante neoidealismo crociano, sostenirnre ddla tesi che il carattere basilare dell'esprimersi (e quindi anche il suo tdos) fosse (sempre) di natura ..estetica". Già a partire dal suo Sommariodi linguisticaarioeurop,a 12• del 1930 (ristampa Palermo, Edi,. del Novecento, 1993), il Pagliaro cominciò a trovare - per primo - nella dimensione storica delle lingue, e quindi nel principio obbligante della tradizione linguistica, il fattore di condizionamento deU'alcrimenciassoluto soggettivismo che sostanziava l'equazione crociana "intuizione= espressione". Negli anni Cinquanta il Pagliaro maturò un distacco quasi totale dal crocianesimo, ma non senza sporadici e quasi automatici e incontrollati ritorni. Quelli furono an~ che gli anni in cui ebbe inizio il suo approfondito studio del pensiero del Vico, grazie al quale studio al Vico venne ricono-

u, Lo stesso che indoeuropea o indogermanica, salvo che per il fatto che talvolta l'uno o l'altro di questi termini si colora di connotazioni particolari, in genere mai esplicite e dichiarate. Il tema riguarda più le varie ideologie sottese che la scienza.

L 'rtimologiae Lt metafora

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sciuta grande importanza nell'ambito della "filosofia del linguaggio ... Vuoi per effetto di residui crociani, vuoi perché in parte suggestionato dalla tesi del suo amato Vico circa la poeticità espressiva della fu.ntasticata "età eroica" dei primordi, Antonino Pagliaro, che pure mi aveva additato la strada che poi mi portò a concepire la struttura linguistica dominante nella indocuropeità preistorica come modulare e linearmente agglutinante, amava citare qualcuna di queste forme "parlanti .., e in special modo l'antecedente del latino /Una, per sostenere e insieme "dimostrare" cosl egli riteneva - che il "linguaggio delle origini" doveva essere stato "poetico", perché procedente per universali fantastici sorgenti da sostanze animate. In realtà, una tipologia strutturale linguistica - nel caso nostro configurantesi come "modularità con procedura di agglutinazione" - non può essere né "poetica" né il suo contrario: è semplicemente un tipo di struttura linguistica. Non esistono strutture linguistiche più o meno poetiche. L'estetica è una categoria dello spirito a loro estranea, non essendo esse caratterizzate da un valore estetico, bensl da un valore finalistico (in quanto esse sono oggetti strumentali). Né d'altra parte il procolacino (come qualsiasi altra protolingua da noi raggiunta o raggiungible) si colloca cronologicamente alle "origini del linguaggio", ben più remote queste di decine e decine di migliaia di anni. Per la formazione e lo sviluppo del pensiero critico di Antonino Pagliaro vedi Belardi, Antonino Pagliaro,1992.

Vale la pena far notare che questa sl larga disponibilità alla motivazione per derivazione sincronologica si verifica in tutti i sistemi linguistici in cui la derivazione abbia larga applicazione, come procedimento di formazione di parole. Nelle lingue semitiche, nei vocaboli delle quali traspare in genere lo schema verbale triconsonantico presence di fatto nella stringa fonologica della parola, cale schema motiva in moltissimi casi la parola derivata e le dà capacità descri11iva. Allora l'ipotesi di Vico è onnicomprensiva e spiega teoricamente tutto? Purtroppo una risposta, sia positiva sia negativa, non può essere data, perché è destinata a rimanere ... in sospeso ... per sempre. Potremmo rispondere solo se potessimo sapere perché mai il 'mangiare' era designaco con *ed-, lo 'splendere' con *ltwk-, il

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§2

'seccare' con *ter-s-, il 'coprire' con *teg-, jJ 'tagliare' con *tem-, il 'costruire' o 'recingere' con *dey,flr,e cosl via per una innumerevole quantità di radici. Analogamente per le lingue semitiche: perché lo 'scrivere' è espresso con k-t-b, !"uccidere' con q-t-lerc.? Questo non potremo saperlo mai, perché - come già si è detto, e conv~ene ripeterlo - si tratta di una fenomenologia del parlare che s1 perde nelle estreme lontananze della preistoria antropica. Data la ~rande quandtà di m_illenni inesplorabili alle spalle, quel che possiamo e dobbiamo due è che ciascuna di queste radici, com~ in gener~ qualsiasi parola al mondo, è quella che è o perché è ti nsultaro dt una evoluzione diacronica di un remotissimo antecedente o perché è effetto di un trasferimento metaforico· (ma anche in questo caso, dietro il significante trasferito c'è tutta una storia evolutiva ininterrotta che per noi è inesplorabile). Oltre tutto, già abbiamo fatto saggio del principio che la massima parte dei mutamenti fonetici delle lingue nel tempo, e soprattutto quelli sistematici (se pur siano anche questi totalmente riportabili all'agire psico-fisico dell'uomo, non accompagnato però da consapevolezza), non sono controllati e pilotati dalla parre intenzionale astratta dell'attività consapevole della mente dell'uomo, qualunque sia lo spazio nel quale la mente intenzionale si trovi ad operare, razionale come immaginacivo-fancasrico. Per cui, i~ conclusione, in ogni lessico, se c'è una quantità di significann che sono frutto di intenzione e quindi, possiamo dire, di espressività (che non è però, sic et simpliciter, poesia), ce ne è anche una quantità originatasi al di fuori di una consapevole intenzione del parlante.

3. li lessicoindoeuropeo ricostroito e la nozione di "comunione linguistica~ La famiglia linguistica indoeuropea è una delle meglio atte~tate, anche nel lontano passato, una delle più diffuse nel mondo, una delle più studiate. È anche la famiglia alla quale appartengono le principali lingue di cultura nel mondo, in particolare le lingue classiche, e oltre a queste anche l'italiano, se non l'italiano di oggi per ragioni quantitative, certo l'italiano di Dance, , Il Bcnveniste cita come esempi - nella p. 176 dell'op. cit. - il nome dell'"osso", già ricordato dal Meillet, la cui radice presenta un 11caractère fìxe et irréductible» (sanscr. dsthi- asthn-, latino oss < *ost(h)-s,gr. òotoùv, etc., ma slavo ant. tOCTb), il nome del "latte" {lat. lac lact-, gr. ycù-a(Kcinvocativo di q>cinç'voce, parola, fama'. Naturalmente il caso delle aspirate iniziali di sillabe contigue non è l'unico esempio di "ricostruzione interna". Confrontato in sanscrito il presente bOdh-a-tie -te 'si sveglia, intende' con il paticipio passaro buddh-d-s 'sveglio', il presente krudh-ya-ti 'si adira' con kruddh-d-s 'adirato', etc., e tenuro in conto che il formante di participio passato è in sanscriro nella maggior parte dei casi -t-d- (per esempio uk-t-d- 'detto', tra.r-t-d'impauriro', fru-t-d- 'udito', ha-t-d- 'ucciso', etc.) è lecito supporre che la sequenza -ddha- in buddhd-, kruddhd-, sia lo sviluppo di un precedente -dh-ta-. Diremo, quindi, con il solo ausilio della comparazione interna, che buddhd- proviene da un precedente *budh-td- non documentato. Se si osserva che un vocativo indiano come vii)'O'oh vento!' (nominativo viiyU-s'venro, dio del vento') presenta l'allotropo v4yav se poi viene parola iniziante per vocale, e che il dativo di vàyU-sè viiydv-e,e se si osserva inoltre che, se una parola terminante in -a è seguita da altra che cominci per u-, allora le due estremità si fondono in un -O- (cf. hitOpadèfa-s'buon insegnamento', composro di hita- 'buono' e upa-dif-a-) siamo autorizzati a supporre che av (au} e Osiano, in certi casi, forme allotropiche di un'unica entità funzionale, e che O (lungo! non esistono in sanscrito l ed 6 brevi) sia la fusione dei due segmenti contigui avlu, per cui, dietro la polimorfia /[o]/[av]/ del vocativo dei temi apofonici in -u-, par bene ricostruire una invariante */au/. Esteso il discorso a un piano generale, si può asserire che, in sanscriro, /e/ ed /o/ sono il risultato di monottongazione (che non è avvenuta davanti a vocale). Famosa è rimsasta nella aneddotica degli studi linguistici comparativi l'analisi della desinenza -atai di III plurale del perfetto medio-passivo (che ricorre in Omero, in Erodoto e sporadicamente in attico, con i verbi in labiale e in velare, tipo YEyp