Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri 8836805981, 9788836805983

In questo volume, dedicato agli autori, alle tecniche ed agli eroi del thriller, Raffaele Crovi, narratore, critico, edi

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Italian Pages 301 [305] Year 2000

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Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri
 8836805981, 9788836805983

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«Credo che il fascino della letteratura thrilling consista nel fatto che allena il lettore all'ansia della verità, pur !asciandolo consapevole che la verità non sarà mai svelata». Così scrive Raffaele Crovi in apertura di questo volume - dedicato agli auto­ ri, alle tecniche ed agli eroi del thriller- a rivendi­ care il ruolo di una letteratura che in troppi conti­ nuano a relegare al rango minore di 'genere', anche quando a scriverla sono scrittori del calibro di Chesterton, Simenon o Graham Greene. E, in effetti, occorre riconoscere che sarebbe ben diffi­ cile immaginare una storia della letteratura thril­ ling che non tenesse conto di alcuni dei massimi scrittori di tutti i tempi, dal Poe de I delitti della rue Morgue, all'Hawthorne de La lettera scarlatta, al Dostoevskij di Delitto e castigo. Si potrebbe dun­ que legittimamente sostenere che quella del miste­ ro è diventata anche una letteratura di genere. Per addentrarsi nelle tematiche e nelle modalità di un genere così vario e ricco, occorreva un investi­ gatore del tutto particolare; perché la storia del thriller non è soltanto storia letteraria, ma è anche storia del costume e, insieme, storia di iniziative editoriali che hanno reso possibile, in Italia e all'e­ stero, la sua fortunatissima fioritura. Raffaele Crovi, narratore, critico, editore, considerato uno dei massimi esperti di questa letteratura, ha rac­ colto qui note e saggi su autori italiani (da De Angelis a Scerbanenco, da Fruttero & Lucentini a Lucarelli, da Eco a Camilleri) e su autori stranieri (da Chesterton a Le Carré, da Simenon alla Highsmith, da Gardner a Crichton), costruendo una narrazione avvincente e di rara godibilità.

In copertina: Hunphrey Bogart e Lauren Bacali nel film Il grande sonno



Dello stesso autore

Poesia

La casa dell'infanzia (Schwarz 1956) L'inverno (Sciascia 1959) Fariseo e pubblicano (Mondadori 1968) Elogio del disertore (Mondadori 1973) Genesi (Il Formichiere 1974) L'utopia del Natale (Rusconi 1982) Pianeta Terra (Marsilio 1999)

Narrativa

Carnevale a Milano (Feltrinelli 1959) Il franco tiratore (Rizzoli 1968) La corsa del topo (Mondadori 1970) Il mondo nudo (Einaudi 1975) Fuori del paradiso (Editoriale Nuova 1982) Ladro di ferragosto (Frassinelli 1984) Le parole del padre (Rusconi 1991, Marsilio 1999) La valle dei cavalieri (Mondadori 1993) La parola ai figli (Rizzoli 1994) Il santo peccatore (Rizzoli 1995) L'indagine di via Rapallo (Piemme 1996) Amore di domenica (Marsilio 1999)

Varia

La convivenza (Edizioni Paoline 1985) Casa sul Po (Atzeni 1990) Parabola (Piemme 1995) Parole incrociate. Guida alla scrittura creativa (Piemme Il lungo viaggio di Vittorini (Marsilio 1998) I luoghi della vita (Diabasis 1999)

1995)

Raffaele Crovi Le maschere del mistero Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri

Passigli Editori

© 2000 Passigli Editori, Via Chiantigiana 62, Firenze-Antella

PARTE PRIMA

Le vie dell'intrigo sono infinite: c'è l'intrigo sentimentale, l'in­ trigo economico, l'intrigo politico, l'intrigo mafioso e così via; l'in­ trigo è macchinazione, raggiro, garbuglio, groviglio, eccetera; in letteratura l'intrigo, sinonimo d'intreccio, è l'elemento strutturale delle varianti romanzesche; se il nucleo di ogni romanzo è, dun­ que, un intrigo o un mistero, nei romanzi thrilling l'intrigo-miste­ ro è addirittura l'elemento formante del procedimento narrativo. C'è stato un tempo in cui nella letteratura thrilling l'intrigo aveva come centro focale un delitto (da Edipo re di So/ocle a I de­ litti della rue Morgue di Poe, da Casa desolata di Dickens a Il cappello del prete di De Marchz), poi gli intrighi (non senza delit­ tz; naturalmente) si sono diversificati (da Lo scarabeo d'oro di Poe a La spia che venne dal freddo di Le Carré), sfruttando di­ verse /orme di violenza individuale o sociale (quella imprendito­ riale inclusa). I:indagine thrilling da indagine criminale si è tra­ sformata in indagine psicosociologica o sociopsicologica. [;indagine thrilling si trova ad affrontare misteri della mente e del cuore, del corpo e della psiche, misteri individuali e collettiv� il mistero di un evento o il mistero di un comportamento, con il compito di decz/rare quello che sembra indecz/rabile; è mistero, in­ /attz; ciò che appare inspiegabile, ciò che suscita sospetto, ciò che è segreto, tutto ciò che è fondato su apparenze da smascherare. Ma­ scherare vuol dire nascondere, simulare, occultare, fingere (a volte per aggredire, a volte per proteggere): smascherare vuol dire tenta­ re di perseguire la dzf/icile rivelazione della verità (che per altro, come denunciò anche Pilato, recita con ingannevoli maschere). Credo che il/ascino della letteratura thrilling consista nelfatto che allena il lettore all'ansia della verità, pur !asciandolo consapevole che la verità non sarà mai svelata.

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Delitti di casa nostra I tre termini (registrati da tutti i vocabolari) chiamati in causa per descrivere la fiction (letteraria, cinematografica, teatrale e televisiva) con intrecci, personaggi, eventi di mistero sono detec­ tion, suspense, thriller. Detection sta per indagine, inchiesta, smascheramento; suspense indica la «tecnica sospensiva» di ogni storia strutturata su un intrigo; thriller definisce una rappresen­ tazione verbale o visiva con soprassalti, sussulti, imprevisti. La parola thriller è quella che definisce meglio il genere della fic­ tion sottodefinita, via via, come detective story, detective nove!, crime story, spy story, mystery, horror, lega! thriller e in Francia come noir (o roman judiciaire o roman policier), in Germania co­ me Kriminalroman o Detectiveroman e in Italia come giallo. Si dice che la letteratura thrilling (letteratura d'indagine sulla «colpa» e i «complessi di colpa») sia nata con l'episodio biblico di Caino e Abele o almeno con la tragedia Edipo Re di Sofocle, ma i primi thriller veri e propri furono i racconti di Edgar Allan Poe che vedono come protagonista l'investigatore Auguste Du­ pin: I delitti della rue Morgue ( 1 84 1 ) e La lettera rubata ( 1 844) . Tuttavia, tra Eschilo e Poe la letteratura h a sfruttato spesso ele­ menti criminali e di mistero: ad esempio, i drammi shakespea­ riani sono pieni di elementi thrilling; Daniel Defoe, l'autore di Robinson Crusoe, ha romanzato molte vicende giudiziarie e di malavita; l'antesignano degli investigatori moderni (procede in­ fatti con la doppia arma del dubbio e della logica) è Zadig (pro­ tagonista del breve romanzo omonimo di Voltaire, che non a ca­ so debuttò con un Edipo) e i sostantivi detective e detection (dal latino detergere, scoprire) compaiono per la prima volta in Casa desolata di Charles Dickens, che ha anche scritto un thriller pu­ ro, Il mistero di Edwin Drood, rimasto interrotto, e che Carlo Fruttero e Franco Lucentini si sono divertiti a completare nell'e­ dizione italiana. Si dice che, per molto tempo, nella narrativa gli elementi del romanzo di avventura e del thriller si sono intrecciati e ci sono a 9

dimostrarlo certi romanzi dello statunitense J ames Fenimore Cooper (l'autore de !}ultimo dei Mohicani) come La spia del 182 1 o La pietra di luna di Wilkie Collins (del 1868, da qualcu­ no considerato il più affascinante thriller che sia mai stato scrit­ to) oppure Lo strano caso del dottor ]ekyll e del signor Hyde ( 1886) e Il Club dei Suicidi ( 1888) di Robert Louis Stevenson. ll che potrebbe spiegare come un abile scrittore di storie d' avven­ tura, Luigi Motta (veronese di Bussolengo, epigono del verone­ se doc Emilio Salgari), si sia cimentato nel 1938 in un (medio­ crissimo) thriller, !}anello nero. Si dice che i feuilleton ottocenteschi (che miscelano avventu­ ra, suspense e denuncia sociale) di Hugo (Notre-Dame de Paris, 183 1 ) , di Sue (I misteri di Parigi, 1842) e di Dumas padre (Il Conte di Montecristo, 1844) hanno generato i feuilleton noirs con eroi negativi firmati da Ponson du Terrai! (eroe Rocambole 1859), di Gaborian (eroe Lecocq, 1869), di Lebranc (eroe Arsè­ ne Lupin, 1907), di Allain & Souvestre (eroe Fantomas, 191 1) e i polizieschi di Gas ton Leroux (con eroe positivo il detective Rouletabille , 1908 , che più tardi affascinerà il grande scrittore di thriller Georges Simenon) . Si dice, infine, che Arthur Conan Doyle abbia inventato la se­ rie di thriller con protagonista Sherlock Holmes e il dottor Wat­ son (debuttò nel 1887 con il romanzo Uno studio in rosso) sotto l'effetto della doppia suggestione dei romanzi di Stevenson e Gaboriau. In competizione con i feuilletonisti francesi, in Italia sono sta­ ti scritti La Mano Nera ( 1883 ) di Cletto Arrighi, uno dei prota­ gonisti della Scapigliatura milanese, e Il cappello del prete, di Emilio De Marchi, il celebre autore di Demetrio Piane/li e Ara­ bella, lo scrittore che ha influenzato Carlo Emilio Gadda e Au­ gusto De Angelis (di cui riparleremo) : questi due romanzi sono ritenuti gli antenati del thriller italiano. Ma perché il thriller (o giallo) italiano debutti ufficialmente come genere narrativo biso­ gnerà aspettare il 193 1 . Registriamo subito, però, a titolo docu­ mentario, con quali parole De Marchi presentò il suo romanzo ai lettori: «Due ragioni mossero l'autore a scriverlo. La prima 10

per provare se sia proprio necessario andare in Francia a pren­ dere il romanzo detto d'appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà, non si possa provvedere da noi larga­ mente e con più giudizio ai semplici desideri del gran pubblico. La seconda ragione fu per sperimentare quanto di vitale e di lo­ gico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato . . . » Non ha importanza ricordare qui che il romanzo di De Marchi più che la storia di un delitto è la storia di un'espiazione (per dirla con l'autore, un romanzo che descrive «la lotta estrema di una ragione contro un rimorso»); qui merita sottolineare che in De Marchi, come negli altri autori di romanzi d'avventura o di thriller, c'era la coscienza di sperimentare una letteratura popo­ lare, una nuova letteratura destinata al «grande pubblico» che indagasse vizi e virtù, peccati d'azione e d'omissione delle nuove classi: la borghesia agiata, la piccola borghesia con i suoi arram­ picatori sociali e il proletariato con tentazioni imitative, nelle aspirazioni economiche e nei modelli di comportamento, delle altre due classi. Anche in Italia è fiorito, tra l'Ottocento e il Novecento, il feuilleton con un impasto di cronaca nera e denuncia dell' emar­ ginazione sociale: ricorderemo i romanzi d'appendice di Fran­ cesco Mastriani (notissimo per La cieca di Sorrento del 1852), Luigi Natoli (autore de I Beati Paoli del 1 909) , Carlo Collodi (I misteri di Firenze del 1857) e Carolina lnvernizio (citatissimo il suo Il bacio di una morta del 1878) . La lnvernizio tentò anche un romanzo poliziesco vero e proprio con il mediocrissimo Nina, la poliziotta dilettante del 1 909. Del periodo antecedente gli anni Trenta si ricordano anche il romanzo di spionaggio Il segreto della cassa/orte (del 191 1 ) di Umberto Cei e i romanzi giudiziari di Salvatore Farina (Il segreto del nevaio, 1909) , di Mario del Bello (La tormenta di neve del 1 915 e Occhio difolgore del 1 929) e di Mario Piccoli (Il pro/anatore e I:ora della morte, entrambi del 1929). Ma le collane editoriali italiane degli anni Dieci e Venti furono quasi integralmente dedicate a romanzi di autori stranieri; ricordiamo le principali, indicandone l'anno d'avvio: I 11

Romanzi Polizieschi (Sonzogno, 1919), Il Romanzo Poliziesco (Sonzogno, 1 92 1 ) , Collezione di Avventure Poliziesche (Bempo­ rad, 192 1 , interamente dedicata ai romanzi di Gaston Leroux, con bellissime illustrazioni di copertina firmate dal futurista Ma­ rio Sironi, uno dei grandi pittori italiani del Ventesimo secolo), I Libri Gialli Mondadori (Mondadori, 15 settembre 1929), Rac­ conti d'Azione e di Mistero (Gloriosa, 1926) , Collezione Gialla (Ceschina, 1 926), Gialli a puntate (Nerbini, 1929). Prima di adottare l'aggettivo «giallo», per identificare il gene­ re narrativo legato a un'indagine, c'era stato il tentativo di fare perno sulla definizione «romanzo detettivo» (suggerita da G .A. Borgese) o sul termine thriller (magari tradotto in mozza/iato, secondo un'indicazione del linguista Bruno Migliorini) o ro­ manzo del brivido (secondo un'ipotesi suggerita da Alberto Rossi, in un articolo del 193 1 ). Ma con il titolo della collana mondadoriana del '29 (di cui si occuparono tre grandi editor dell'epoca, Luigi Rusca, Enrico Piceni e Lorenzo Montano), l'aggettivo figliò ufficialmente il sostantivo: da I Libri Gialli de­ rivò il genere romanzo giallo. Nel 1936, Alberto Tedeschi, gran­ de esperto di questo genere narrativo, in una lettera a un lettore del periodico Il Cerchio Verde chiarì: «L'origine di questo termi­ ne piuttosto . . . epatico va ricercata nella trovata pubblicitaria di un editore americano che già molti anni orsono ... lanciò una col­ lana di romanzi polizieschi e a sfondo misterioso avvolti in una copertina in brossura d'un giallo abbagliante, sfacciatissimo, oserei dire allucinante». Ecco perché i romanzi polizieschi e sen­ sazionali sono stati «battezzati» in America e in Germania e poi in Inghilterra (collana Yellow Jackets) e in Francia (serie Le Ma­ sque) e poi in Italia con il colore dello zafferano, del rabarbaro e del limone; d'altronde, ancora oggi la stampa scandalistica e scoopistica viene chiamata negli Stati Uniti yellow press. La collana «l Libri Gialli» di Mondadori esordì con questi te­ sti: La strana morte del signor Benson di S. S. Van Dine, Il Club dei Suicidi di Robert Louis Stevenson (che raccoglieva, accanto all'omonimo romanzo breve, anche Lo strano caso del dottor ]ekyll e del signor Hyde, I.;isola delle voci e Il tesoro di Franchard, 12

dello stesso autore) e Il mistero delle due cugine di Anna Kathe­ rine Green (la prima scrittrice di romanzi polizieschi, nata nel 1846 e morta nel 1935 ) . I primi autori italiani entrarono nella collana nel 1 93 1 : ne «l Libri Gialli» e in altre collane, in un de­ cennio, pubblicarono Alessandro Varaldo, Alessandro De Stefa­ ni, Arturo Lanocita, Tito A. Spagnol, Edoardo Anton, Giorgio Spini, Augusto De Angelis, Ezio D'Errico, Alfredo Pitta, Magda Cocchia A dami (la prima «signora del giallo» italiana) , Giorgio Scerbanenco, Serra & Redaelli (la prima coppia del giallo no­ strano) . L'adesione al genere fu così generale che, nel 193 6, il pe­ riodico umoristico «Mare'Aurelio» pubblicò un Almanacco Giallo che, in settenari metastasiani, proclamava: «Il giallo, que­ sto eccentrico l colore oggi di moda, l che ci produce brividi, l che dal terror c'inchioda . l sicché il moderno pubblico l ormai non tira in ballo l che un sol color, un simbolo: l il giallo, il gial­ lo, il giallo». Alessandro Varaldo ( 1876- 1953 ) strutturò i suoi thriller attor­ no a due personaggi: il commissario della polizia romana Asca­ nio Bonichi, il sor Ascanio, che comparve per la prima volta ne Il sette bello ( 193 1 ) e l'investigatore privato Gino Arrighi, che fece la sua prima comparsa in Le scarpette rosse ( 193 1 ) . I thriller di Varaldo erano, in un certo senso, commedie drammaturgiche, come lo saranno i romanzi suspense di Lanocita e D'Errico: opere narrative contemporanee e omogenee, per stile e temi, ai film italiani della cosiddetta epoca (anestetizzata dalla censura del Ventennio fascista) dei «telefoni bianchi»; commedie all'ita­ liana, con risvolti ora grotteschi ora tragici. Esplicitamente grot­ tesco era il thriller Quaranta milioni ( 193 1 ) del critico cinemato­ grafico Arturo Lanocita ( 1 909- 1975 ), ambientato in un albergo delle Dolomiti e orchestrato attorno alla sparizione di un cada­ vere e a un rapimento. Varaldo forniva indagini sulla piccola borghesia (con scheletri nell' armadio) della Roma Umbertina, la Roma che comparirà molti anni dopo nelle spy stories di Corra­ do Augias; Lanocita descriveva gli intrighi delle élites mondane (e dei loro servi) con gusto parodico. Un gusto parodico che inaugura una tendenza ricorrente nei thriller all'italiana: vedi La ..

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trappola colorata (1934) di Luciano Folgore (dove il gioco del­ l'indagine diventa, pagina dopo pagina, gioco di parole), vedi la satira Shairlock Holves in Italia ( 1 902 ) di Donan Coyle (Dante Minghelli Vaini) , vedi gli «stragialli» di Carlo Manzoni con l'in­ vestigatore privato Chico Pipa e l'inseparabile cane Greg, illu­ strati con disegni dello stesso autore e organizzati nella serie «suspense del riso» (Ti spacco il muso, bimba del 1 959, Io quella la faccio a fette del 1960, Che pioggia di sberle, bambola del 1 961, opere che nei titoli e nei contenuti sono vicinissime all'immagi­ nario nero e scanzonato che portò al successo le canzoni di Fred Buscaglione) , vedi i thriller d'ambiente teatrale-pubblicitario di Enrico Vaime ( Tre volte buono del 1969 e Novanta di gradimen­ to del 1973 ) , vedi i thriller ambientati nel mondo della lirica di Gino Negri (Il suono del delitto del 1978 e La Scala si è rotta del 1984), vedi Sherlock Holmes nelle Marche di Joyce Lussu del 1982 . Questa tendenza del thriller all'italiana a essere, come lo sarà il western all' italiana, insieme avventuroso e grottesco, picaresco e parodistico, tolse agli scrittori del genere degli anni Trenta la possibilità di essere veramente alternativi agli scrittori stranieri. L'altro elemento di fragilità romanzesca (e di limitata credibilità «sociologica») era l'attitudine di molti narratori italiani di thril­ ler di quegli anni di ambientare le loro storie in scene posticce o parigine (come accadde a Ezio D'Errico, nato nel 1892, e morto nel 1972, per le inchieste del commissario Richard, la prima del­ le quali, del 1 936, si intitolava Qualcuno ha bussato alla porta), o newyorkesi (come accadde nei primi racconti, pubblicati su L'I­ taliano di Leo Longanesi, nel '33 , di Tito A. Spagnol, che dal ' 29 al '30 aveva vissuto in Usa, tra New York e Hollywood in qualità di collaboratore del regista Frank Capra) o bostoniane (come le indagini del primo personaggio poliziesco di Giorgio Scerba­ nenco, Arthur ] elling, archivista della Direzione Generale della Polizia di Boston, eroe dei thriller artigianalmente calibrati, ma psicosocialmente implausibili, Sei giorni di preavviso del 1940, La bambola cieca del 194 1 , Nessuno è colpevole del 194 1 , L'antro deifiloso/i del 1942 e Il cane che parla del 1942). 14

Tito Antonio Spagnol ( 1895 - 1 979) documenta abilità di strut­ tura e scrittura anche nei romanzi e racconti americani, ma è nei due romanzi italiani, ambientati nella provincia intorno a Vitto­ rio Veneto, che si esprime con originalità sociopsicologica; si in­ titolano La bambola insanguinata ( 1935) e Uno, due, tre ( 193 6); hanno per investigatore-protagonista don Poldo, un prete ottan­ tenne studioso di entomologia, e sono accattivanti quadri di vita preindustriale; inaugurano quel filone del giallo di costume che io considero il più autentico e convincente del thriller italiano. Il più talentuoso dei giallisti nostrani degli anni Trenta resta, tuttavia, Augusto De Angelis ( 1888 - 1 944), il padre del commis­ sario Carlo De Vincenzi, personaggio reso popolare molti anni dopo, nel 1974, dall'interpretazione che ne fece Paolo Stoppa in una felice serie televisiva. De Angelis, laureato in legge, giallista, critico teatrale e commediografo, ha ambientato i dodici roman­ zi con eroe De Vincenzi (che in quattro storie ha come spalla Vladimiro Curti Bò) tra Milano e Roma, raccontando, con acu­ me anche psicanalitico, i vizi della piccola borghesia degli anni fascisti, fornendo il ritratto di una società senza etica civile; esemplari i suoi romanzi Il candeliere a sette fiamme ( 1 93 6), !_;al­ bergo delle Tre Rose ( 1 93 6), Il mistero di Cinecittà ( 1 94 1 ) , Il mi­ stero delle tre orchidee ( 1 942 ). De Angelis era, come Gadda, un ammiratore di De Marchi; e qui va opportunamente ricordato che non solo Gadda, ma anche altri scrittori italiani non giallisti del Novecento hanno utilizzato le tecniche del thriller (detec­ tion, suspense) per orchestrare i loro romanzi. Sono thriller La cognizione del dolore e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, ma anche molti romanzi di Soldati, di Piovene, di Arpino, di Pontiggia, di Chiara (e del suo erede An­ drea Vitali), Il giorno della civetta e a Ciascuno il suo di Leonar­ do Sciascia, Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault di Um­ berto Eco: per indagare le colpe individuali e collettive, la cor­ ruzione e il malcostume delle persone o delle epoche, molti nar­ ratori, anche non di genere, si sono affidati a «polizieschi della coscienza e dell'esperienza». La collana mondadoriana «l Libri Gialli» venne chiusa nel 15

194 1 (con la pubblicazione di La casa inabitabile di D'Errico) , per intervento della censura fascista, ostile verso una narrativa che elaborava storie di delitti; e nel 1943 vennero addirittura soppresse tutte le iniziative editoriali intese a produrre thriller. «Il Giallo Mondadori» riaprì nell'aprile 1946; un thriller italiano vi comparve un anno dopo e fu La nota della lavandaia di D'Er­ rico, mentre, nell'aprile 1954, vi fu pubblicato L:Anonima Roy­ lott, ristampa di un romanzo ricavato da un'opera teatrale e già pubblicato nel 1935 da Guglielmo Giannini ( 1891-1960) , com­ mediografo, giornalista fondatore del settimanale L:Uomo Qua­ lunque, leader politico del movimento omonimo (da cui l'agget­ tivo qualunquismo) ; poi, nella stessa collana, sono stati via via firmati gialli, tra gli altri, da Ciabattini, Coloretti, Comastri Montanari, Donati, Enna, Eva, Felisatti, Ferrea, Filastò, Fonte­ basso, Lucarelli, Macchiavelli, Materazzo, Salvatori, Signoroni. Giuseppe Ciabattini ( 1882 - 1 962) , commediografo e attore, ha ricavato i suoi due thriller Tre Soldi e la donna di classe ( 1 956) e Tre Soldi e il duca (1956) da una serie di radiodrammi; e i suoi divertenti (picareschi, estrosi, spiritosi) romanzi mantengono, nel testo, la vivacità (anche gergale) delle «storie parlate»; e han­ no, inoltre, un cast d'eccezione, perché protagonisti delle in­ chieste sono due barboni, due simpatici vagabondi che conte­ stano la civiltà urbana e il suo finto benessere. Sergio Donati, giornalista, narratore e poi sceneggiatore cine­ matografico, ha pubblicato L:altra /accia della luna ( 1 955), Il se­ polcro di carta (1956) e Mr. Sharkey torna a casa ( 1 956) : tre thril­ ler che manipolano abilmente, in intrecci neri compatti, fatti di cronaca post-bellica interpretati da disadattati o malavitosi. Ha dichiarato Donati: «Con Mr. Sharkey, tentai un esperimento al­ l'italiana, prendendo uno stereotipo classico (il gangster come veniva fuori un po' da Chandler e Burnett e un po' da Runyon, l'autore di Bulli e pupe), e calandolo con un pizzico di ironia in un realismo paesano alla Due soldi di speranza, il noto film di Re­ nato Castellani». Franco Enna (Franco Cannarozzo per l'anagrafe, 192 1 - 1990) , autore prolifico e sopravvalutato, lo si ricorda per la sua profes16

sionalità artigianale e per gli otto thriller Preludio alla tomba ( 1955 ) , Tempo di massacro ( 1955) , Viatico per Marianna (1957), Il caso di Marina Solaris ( 197 1 ) , Passa il condor ( 1 97 1 ) , La bam­ bola di gomma ( 197 1 ) , Un poliziotto in vendita ( 1 973 ) e I:occhio lungo ( 1979) , gli ultimi cinque dei quali con protagonista il com­ missario Sartori, che indaga sulle piste di sequestri, traffici di droga e d'armi, terrorismo e complotti familiari con buon fiuto e spleenica malinconia. Oltre a Mondadori, nel secondo dopoguerra hanno pubblica­ to thriller di autori italiani le case editrici Camunia, Fabbri, Gar­ zanti, Interno Giallo, Longanesi, Rizzoli, Rusconi e quattro col­ lane hanno proposto esclusivamente gialli di italiani: Il rigogolo (Rizzoli, 1 968 - 1972) , Sottoaccusa (Fabbri, 1 973 - 1 974) , Calibro 90 (Campironi, 1974) , Brivido italiano (Camunia, 1 984- 1994). Nella collana dei «Gialli Garzanti» è ricomparso (forse è me­ glio dire esploso) nel 1 966 Giorgio Scerbanenco (Vladimir Scer­ banenko per l'anagrafe, 1 9 1 1 - 1 969) , che ha proposto una strepi­ tosa sequenza di gialli e racconti metropolitani: Venere privata (1966) , Traditori di tutti ( 1 966) , I ragazzi del massacro ( 1 969) , I milanesi ammazzano al sabato ( 1 969) , Milano Calibro 9 (raccon­ ti postumi, 1969) , Il centodelitti (racconti postumi, 1970). Con questi bei romanzi e bellissimi racconti, un narratore «amaro e tenero, nervosamente femminista, di un romanticismo straziato e spietato e di una spietata pietà carnale» ci ha offerto una splen­ dida e atroce saga dell'emarginazione nella società neocapitali­ sta. Con la Milano di Scerbanenco si confronterà la Milano di Perrìa, Olivieri, Bellotti, Secchi, Signoroni, Pinketts e Farinotti. La Milano di Antonio Perrìa (Incidente sul lavoro e Delitto a ma­ no libera del 1974 e Giustizia per scommessa del 1975) è una Mi­ lano verminosa e luttuosa, di malavitosi e sbandati, di vittime e colpevoli senza redenzione come quella (solo linguisticamente più nobile) di Giovanni Testori, il sulfureo narratore de Il dio di Roserio e di La Gilda del Mac Mahon. La Milano di Renato Oli­ vieri (da Il caso Kodra del 1 974 a Dunque morranno del 198 1 , da Largo Richini del 1987 a Piazza pulita del 199 1 , da Madame 17

Strauss del 1 993 a Il dio danaro del 1996) è una Milano di «ani­ me perse», borghesi e piccolo-borghesi di cui il narratore indaga i malesseri esistenziali e familiari, politici ed economici con vi­ brante lucidità psicologica. La Milano di Andrea G. Pinketts (ne Il vizio dell'agnello del 1 994 , Il senso della /rase del 1995 , Io, non io, neanche lui del 1996 e Il conto dell'ultima cena del 1998) è la Milano nevrotica degli anni dello Sboom, rappresentata con sfrenata vitalità (anche linguistica) quasi surrealista. Nel suo progressivo sviluppo qualitativo, il thriller italiano ha, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, occupato un posto sempre più solido nell'ambito del romanzo di costume, rivelan­ dosi un prodotto seriale ma speciale, espressivamente elaborato più che artigianale, analitico più che d'azione; una narrativa che si porta dietro la buona (o cattiva) coscienza letteraria; si è fatto, in altre parole, strumento d'indagine dei processi di trasforma­ zione del paese. Della provincia italiana, ad esempio: dalla pro­ vincia inquieta di Arturo Carlo Jemolo (Scherzo di/erragosto del 1983 ) alla provincia, dissestata da un rapido cambiamento post­ bellico delle finalità e dei comportamenti sociali, di Luciano An­ selmi (raccontata nei romanzi marchigiani, con protagonista il commissario Boffa, raccolti nell' omnibus Il liocorno blu del 1992); dalla provincia toscana cechoviana di Paolo Levi, dove donne e uomini hanno perso la protezione della trimurti Dio­ patria-famiglia (leggere, per capire, Ritratto di provincia in rosso del 1 975 , Delitto in piazza del 1 976 e Un agguato, una sera, al mare del 1978 ) alla provincia emiliana, resa nevrotica da passio­ ni politiche e passioni imprenditoriali, di Mario Coloretti (vedi Dietro la memoria del sangue del 1995). O di altre città, accanto a Milano, come Torino, Bologna, Firenze, Roma, Napoli: la Na­ poli barocca e camorrista di Attilio Veraldi (La mazzetta del 1976, Uomo di conseguenza del 1978 , Il Vomerese del 1980, Na­ so di cane del 1982 ) o la Napoli del degrado ambientale e del­ l' orgoglio populista di Massimo Siviero (Il diavolo giallo del 1992); la Roma umbertina di Corrado Augias (nella bella trilogia Quel treno da Vienna del 198 1 , Il fazzoletto azzurro del 1983 e I:ultima primavera del 1985 ), la Roma becero-astuta di Ugo Mo18

retti (Doppia morte al Governo Vecchio del 1977), la Roma dei poteri istituzionali corrotti, con politici, magistrati ed ecclesia­ stici votati alla perdizione, di Enzo Russo (Il caso Montecristo del 1975 , La tana degli ermellini del 1977, I martedz' del diavolo del 1979), la Roma con storie di droga, bische, speculazioni edi­ lizie, spionaggi telefonici, violenze carcerarie e funerea vita mondana di Massimo Felisatti e Fabio Pittorru (descritta nelle cinque inchieste poliziesche raccolte in Qui squadra mobile del 1978), la Roma implacabilmente capitale corrotta di una nazio­ ne infetta de Il delitto del lago dell'Eur di G.L. Piccioli del 1 987 ; la Firenze e la Toscana, dove la doppiezza mercantile si sposa con la doppiezza morale e dove l'egoismo scatena perverse fan­ tasie, di Nino Filastò (La tana dell'oste del 1 986, Tre giorni nella vita dell'avvocato Scalzi del 1989, La moglie egiziana del 1994), di Alberto Eva ( Te lo assicuro io del 1980) , di Domizia Drinna (Troppo bella per vivere del 1987) e di Linda Di Martino (/;inci­ dente di via Metastasio del 1996) ; la multiforme (interclassista e multietnica) Bologna di Lucarelli, Macchiavelli e Marzaduri; la Torino diabolica, misteriosa, infida di Fruttero & Lucentini, di Gambarotta, della Mancinelli e di Sorìa. Le scrittrici italiane di gialli sono molte, da Magda Cocchia Adami a Nicoletta Bellotti, da Nora Villa a Giuliana !aschi, da Gloria Zoff a Giulia Salerno, da Anna Maria Fontebasso a Lu­ ciana Attali, da Laura Mancinelli a Danila Comastri Montanari. Ma una sola, Laura Grimaldi, ci ha proposto una serie di thriller (Il sospetto del 1988 , La colpa del 1990, La paura del 1993 ) che sono un'indagine globale sulla femminilità. Anche la narrativa thrilling italiana registra la presenza di nu­ merosi autori che amano tessere in coppia trame gialle, come ne­ gli Usa Dannay & Lee, i creatori della serie di Ellery Queen, o Boileau & Narcejac in Francia. Possiamo quindi trovare roman­ zi siglati da Fruttero & Lucentini, da Felisatti & Pittorru, da Ferrari & Jacini. Pinuccia Ferrari e Stefano Jacini sono artefici di tre gialli am­ bientati a Milano e nel Cremonese, con deviazioni nel Veneto e in Austria; nei loro Tragico loden del 1 988, Giallo mais del 1 990, 19

Gran Hotel delle terme del 1 993 , un detective, uno scrittore e un medico legale sciolgono abilmente, con attenzione psicologica, precisione tecnico-scientifica e malizia, tre intrighi d'ambiente editoriale, musicale e mondano. Ma a proposito di «coppie criminali» ricordiamo anche Ida Omboni e Paolo Poli, a cui si deve un pirotecnico Giallo del 1977, dove un delitto perpetrato in un vicariato fornisce spunti per un helzapoppin di traviamenti e travestimenti che si traduce in una esilarante commedia thrilling. Torniamo, ora, a Carlo Fruttero e Franco Lucentini, autori de La donna della domenica ( 1 972), uno dei tre bellissimi thriller italiani (accanto a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda e Il giorno della civetta di Leonardo Scia­ scia). Fruttero & Lucentini hanno ambientato i loro gialli, oltre che a Torino, a Siena e Venezia, e sempre ci hanno offerto (an­ che in A che punto è la notte del 1979, Il palio delle contrade morte del 1 983 e I:amante senza /issa dimora del 1986) sfondi ben affrescati, caratteri ben studiati, trame orchestrate con rit­ mo e grazia; il segreto del loro talento sta, a mio giudizio, nel fat­ to che ritengono (come hanno dichiarato) che «Un investigato­ re» sia «Un punto d'osservazione». F. & L. osservano, difatti, il mondo, con i suoi eroismi e le sue insensatezze, e ce lo racconta­ no con pathos e ironia, narrando e insieme filosofeggiando con distaccato garbo. Torno a Macchiavelli. Lariano Macchiavelli, nonostante le sue variazioni narrative siano molte (con lo pseudonimo di Jules Quicher ha tentato anche la strada del feuilleton sociopolitico con Funerale a Ustica del 1989 e Strage del 1990), è soprattutto il raccontatore thrilling di «un poliziotto e una città», del ser­ gente Sarti Antonio a caccia, in compagnia dell'amico Rosas, in­ tellettuale di sinistra ironico (una specie di Michele Serra), di ve­ rità morali sotto i traffici immorali di una Bologna post-moder­ na e carnascialesca; la saga di Sarti Antonio è cominciata con La pista dell'attentato del 1974, è proseguita con Fiori alla memoria del 1975, Ombre sotto i portici del 197 6 e via fino a Stop per Sar­ ti Antonio del 1987 , dove l'amabile sergente sembrava dover de20

finitivamente scomparire per demerito di un colpo di pistola, ma, grazie a Dio, dopo il successo dei telefilm (dove il disincan­ tato eroismo di Sarti Antonio è stato bene incarnato da Gianni Cavina) , è resuscitato ne La ghironda dagli occhi azzurri del 1994 . Passo al giovane (del 1960) talentuoso Carlo Lucarelli, al qua­ le una notevole abilità camaleontica permette di frequentare tut­ ti i generi del thriller, dalla detection al serial killing, dal noir al­ l'horror; Lucarelli ha convinto con i thrillers di costume socio­ politico Carta bianca del 1990, L'estate torbida del 1 99 1 e Via delle Oche del 1 996, con protagonista il commissario De Luca; ha favorevolmente sorpreso con il colpo di sonda nel perbeni­ smo fasullo e burocratico del periodo fascista in Indagine non autorizzata del 1993 ; ha stupito con le sue doti rivelatorie-profe­ tiche sulla malavitosità degli anni Novanta in Falange Armata del 1993 e Il giorno del lupo del 1994; ha appassionato con le in­ dagini sulla psicopatologia del delitto in Lupo Mannaro del 1994 e Almost Blue del 1997 . ll fatto è che Lucarelli elabora le sue sorprendenti trame romanzesche con un ricco, mimetico virtuo­ sismo di scrittura. Chiudo con la Sicilia di Andrea Camilleri, lontana dalla Sicilia di Brancati come da quella di Sciascia, lontana dalla Sicilia di Vittorini come da quella di Consolo, una Sicilia semmai in con­ trappunto con quella manieristica di Bufalino. Camilleri, regista teatrale e televisivo, ricercatore di minimalia storiche, è nato a Porto Empedocle nel 1 925; ha ambientato i suoi romanzi in un'immaginaria Vigàta (che è poi la cittadina di Licata) ; una Vigàta di corruzioni imprenditoriali e politiche in Un filo difu­ mo del 1 980, La stagione della caccia del 1992 e Il birraio di Pre­ ston del 1995 (a tutt'oggi il suo miglior romanzo in assoluto) e una Vigàta affaristico-criminale nei thriller La /orma dell'acqua del 1994 , Il cane di terracotta del 1 996, Il ladro di merendine del 1996 e La voce del violino del 1997 , con protagonista il commis­ sario Salvo Montalbano. I gialli di Camilleri non sono dei thril­ ler moderni di spericolata struttura, sono dei feuilleton con in­ trecci abbastanza prevedibili ma conditi di una saporita discor21

sività dialettale, dove il poliziotto si sostituisce spesso a Dio nel correggere, seppure con un pizzico di autoironia, la conclusione degli eventi. Il thriller italiano ha battuto, come abbiamo cercato di chiari­ re, più la strada dei temi di costume che quella dei personaggi seriali; però i lettori hanno premiato, come sempre, i personag­ gi: il commissario De Vincenzi di De Angelis, il Duca Lamberti (medico radiato dall'Ordine) di Scerbanenco, il commissario Boffa di Anselmi, il commissario Santamaria di Fruttero & Lu­ centini, il commissario Ambrosia di Olivieri, il sergente Sarti Antonio di Macchiavelli, il commissario De Luca di Lucarelli, e oggi segue con attenzione il commissario Montalbano di Camil­ leri. Il fatto è che la narrativa convince e avvince solo quando è insieme decifrazione di eventi e rivelazione di eroi. Almanacco del giallo, Sergio Bonelli Editore, 1998

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La tecnica del thriller Due o tre cose che so del thriller (mystery, detective story, cri­ me story, noir e così via). l. All ' origine ci deve essere un enigma complesso, uno stato d'allerta inquietante, un mistero inspiegabile, un evento impre­ visto che provochi l'immaginazione dello scrittore e l'emozione del lettore. 2. Il mistero iniziale deve inserirsi in una trama studiata e im­ postata (come un teorema, o come una caccia al tesoro, o come un rebus, ecc. ) in tutti i dettagli. 3 . Ci deve poi essere una progressione di eventi tutti credibili che, anziché chiarire il mistero, lo infittiscano fino all'imprevista soluzione finale. 4. La soluzione finale, scioccante, deve, però, risultare inevi­ tabile, plausibile, logica. 5. L'indagine sul mistero deve essere (preferibilmente) con­ dotta da un solo detective che analizzi fatti, indizi, tracce, dimo­ strando attitudine e intelligenza per individuare e decifrare gli elementi del mistero. L'indagine, in progress, deve cioè svilup­ parsi secondo la tecnica del canocchiale rovesciato (da molti in­ dizi ad un'unica azione). 6. La narrazione deve procedere capitolo per capitolo per im­ previsti e sorprese e pagina dopo pagina con una continua su­ spense (tensione) che provochi interrogazione. 7. La meccanica del crimine deve essere precisa, chiara, esat­ ta, anche se paradossale. 8. È un crimine (vedi l'horror thriller) anche una mutazione biologica provocata o una trasgressione psicotica programmata o una psiche profanata dall'irrazionale o il sogno proiettato in un incubo. 9. La motivazione del crimine (o dei crimini) deve essere ra­ gionevole, sensata, imputabile: il delitto non deve risultare né casuale, né incidentale, ma volontario. 10. Un buon thrill er prevede sempre la punizione del colpe23

vole o una catarsi: questo concorre a definire la «coerenza» del­ la narrativa suspense. Ma Moravia ha scritto di Graham Greene: «Si direbbe che il peccato lo rassicuri, che egli non si senta nel regno della Grazia se non quando si muove nel regno del delitto magari senza condanna». 1 1 . Un buon thriller concede poco alle descrizioni coloristi­ che o alle variazioni psicologiche sul carattere o i comportamen­ ti dei personaggi: un buon thriller si preoccupa soprattutto di essere preciso (cioè simbolico) su ambienti ed atmosfere d'epo­ ca. 12. Un thriller di classe può aspirare ad essere un eccellente romanzo di costume: lo hanno dimostrato abbondantemente Chesterton e Borges-Casares, Hammett e Sciascia, Chandler e Graham Greene, Gadda e Robbe-Grillet, Gombrowicz e Diir­ renmatt. Parole incrociate, Piemme, 1995

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Il thriller come romanzo di costume l.

In Italia si chiama «giallo» dal colore (del fondo tinta) della collana «l gialli Mondadori» con cui Luigi Rusca e Alberto Te­ deschi introdussero, negli anni Trenta, sul nostro mercato la narrativa con protagonisti assassini, poliziotti e detective. In Francia danno al genere, la definizione di «policier». Nelle aree di lingua inglese distinguono analiticamente tra la «detective story», la «crime story», la «spy story», il «mystery», il «serial killing», il «legai thriller» e l' «horror». I due termini descrittivi adottati da tutte le lingue e da tutte le culture sono «suspense» e «thriller», registrati ormai da tutti i vocabolari: «suspense» indi­ ca la tecnica sospensiva d'ogni racconto o romanzo che abbia al centro un intrigo o un'indagine; «thriller» descrive una rappre­ sentazione con una catena di soprassalti, sussulti, imprevisti che leghi gli eventi analizzati nelle opere (letterarie, teatrali, cinema­ tografiche, televisive) e può essere assunto come termine valido per tutto il genere. Diciamo, dunque, «thriller» e cerchiamo di capire perché va di moda, al punto che lo scrittore italiano Leo­ nardo Sciascia ne ha utilizzato la struttura per le sue analisi dei processi degenerativi del potere, così come l'ha utilizzata il ci­ neasta cosmopolita (meglio sarebbe dire apolide) Roman Polan­ ski per descrivere le regressioni della coscienza prodotte dall'au­ toritarismo della civiltà tecnologico-capitalista. Un luogo comune afferma che il consumo del th riller è legato alla ricerca del brivido. Lo stimolo a consumare il thriller è, in realtà, meno irrazionale: è legato al bisogno insito in tutti gli uo­ mini di esorcizzare le paure esistenziali, di disperdere il senso della colpa. I padri del thriller sono Sofocle (Edi'po), Hawthorne (La lettera scarlatta) , Poe (I deli'tti' della rue Morgue) , Dostoevskij (Deli'tto e casti'go) . In questi autori l'istanza di «capire» prevale su quella di «giudicare». I nodi gordiani del mistero dell'esistenza sono «il peccato ori­ ginale» e il «complesso di Edipo»; Destino e Grazia non sono 25

realtà separate, la vita è dialettica, paradosso e scandalo; l'esi­ stenza è ricca, ambigua, dolorosa, esaltante e non estranea ad in­ terrogativi metafisici. Il teologo Chesterton potrà essere un buon autore di thriller e gli scrittori metafisici contemporanei (da Kafka a Borges, da Bernanos a Sciascia, da Gadda a Diirren­ matt) utilizzeranno spesso la struttura del thriller. L'istanza di «giudicare» prevale, invece, su quella di «capire» nel romanzo borghese di massa, figliato dal romanzo d'avventu­ re ottocentesco, dal feuilleton. Da Gaboriau a Wallace, da Wilkie Collins a Eric Ambler, da Conan Doyle alla Eberhart, da Van Dine alla Christie, da Ellery Queen a Rex Stout, da Dickson Carr a Claude Eveline, da Cruz Smith a Turow, la letteratura thril­ ling ci presenta una società, un mondo dove il potere ha sconfit­ to, attraverso i meccanismi formali della legalità (attraverso il moralismo dell'ordine) , il mistero creativo della vita: qui il con­ trasto non è più tra legittimo e illegittimo, ma tra legale e illega­ le; la razionalità industrializzata diventa astrazione; Dio viene sostituito dal detective, l'uomo dal poliziotto. La società industriale che scambia la felicità con il benessere consuma il thriller come una droga. Storie criminali, vicende po­ liziesche, avventure spionistiche impongono l'evasione: i com­ portamenti in esse descritti sono elementari, automatici. Scrive­ re un thriller o leggere un thriller significa, in questo caso, parte­ cipare a un gioco, analizzarne (al massimo) i meccanismi. Come giocare a dama, o fare parole incrociate, o partecipare alla rico­ struzione di un puzzle. Regole fisse, leggi rigide. Manicheismo morale: il buono da una parte, il male dall'altra; la colpa come devianza (patologica) dalla norma; la violenza, soltanto trasgres­ sione individuale. In questo modello di società paranoide fare giustizia è semplice: i processi (vedi le storie di Perry Mason di E.S. Gardner o le storie di Grisham) sono la celebrazione dei so­ fismi della legalità. Ma all'interno della società e della cultura di massa emerge presto la consapevolezza della condizione alienata degli indivi­ dui strumentalizzati dall'organizzazione e dalla sua burocrazia !egalitaria. Ecco allora i primi personaggi contestatori della let26

teratura thrilling. Per esempio, i criminali giustizieri, i ladri gen­ tiluomini (Rocambole di Du Terrai!, Fantomas di Alain & Sou­ vestre, Arsenio Lupin di Maurice Leblanc, Ripley di Patricia Hi­ ghsmith) , col potere dell'anarchia e dell'immaginazione sma­ scherano il kitsch della razionalità borghese. Ma, ancor più rigo­ rosamente, scrittori come Raymond Chandler o Dashiell Ham­ mett o John Le Carré, o cineasti come Welles o Polanski o Ta­ rantino dichiarano apertamente che i meccanismi dell'indagine, se ridotti a strumenti di giudizio e controllo delle passioni istin­ tuali, accentuano lo stato di insicurezza degli individui, mentre servono ad esorcizzare le paure e le frustrazioni anche indivi­ duali se usati per proporre interrogativi sui processi involutivi e degradanti della civiltà tecnologica, che è autoritaria. Così la scrittura thrilling con Welles, Losey, Di.irrenmatt, Sciascia e Po­ lanski riconquista, al di fuori di facili filosofie della redenzione, la sua severa moralità utopica. Lo smascheramento della falsa legalità borghese, discrimina­ toria e classista, ha messo poi in luce le grottesche conseguenze della secolarizzazione del senso di colpa (con relativa e inevita­ bile deresponsabilizzazione). Nella letteratura inneggiante alla controviolenza di Mickey Spillane o di Ian Fleming, i due robot del contromicidio Mike Hammer e J ames Bond sono esempi pa­ lesi della deviazione emotiva, di quel transfert irrazionale, se­ condo cui alla nevrosi della società di massa, che si manifesta co­ me esplosione di criminalità, si risponde in genere con una performance individuale. In questo ambito la letteratura thril­ ling ha sperimentato, però, anche la proposta, per esempio, del cinema sociale americano degli anni Trenta-Quaranta e la pro­ posta di Le mani sulla città di Rosi: da Scar/ace di Hawks a La città nuda di Dassin, da Strada sbarrata di Kazan a Salvatore Giu­ liano di Rosi, i racconti thrilling che hanno ricostruito quadri di violenza, mettendo in luce la competitività economica o la con­ flittualità politica che la ispirano, hanno fatto un'opera di de­ nuncia e di analisi di costume. La violenza non è mai una malat­ tia: è sempre una scelta politica. Così la letteratura thrilling (nar­ rativa, cinematografica, televisiva, teatrale) che ci fa capire che 27

non ci sono colpe individuali, ma solo colpe collettive e politi­ che, è la narrativa sociologica dei nostri anni. Qui sta la sua giu­ stificazione culturale e la ragione del suo successo. Il consumo di massa delle narrazioni letterarie, cinematografi­ che, televisive impostate come indagini su colpe (sociali e mora­ li) individuali e collettive tende, anche in Italia, ad aumentare: il mercato del thrilling è in forte espansione. È un elemento in più tra quelli che documentano che la paura e il complesso di colpa, diventati sentimenti sociali, vanno istituzionalizzandosi. La let­ teratura thrilling si sta, in un certo senso, connotando come la letteratura moralistica del nostro tempo: l'analisi sulla civiltà della violenza contemporanea (incerta tra la denuncia dei colpe­ voli, la ricerca dei capri espiatori e la definizione di una filosofia della redenzione) arricchisce la letteratura thrilling di elementi psicoanalitici, che ne fanno uno strumento di analisi psico-socia­ le. L'investigatore è sempre più l'anonimo cittadino che, in un ambiguo ruolo di testimone-accusatore-voyeur-moralista-giudi­ ce, rappresenta tutti i cittadini. Il fatto che la narrativa o il cine­ ma thrilling forniscano oggi elementi per un'indagine sui pro­ gressivi processi di involuzione autoritaria della civiltà tecnolo­ gica indica un generale indirizzo culturale problematico e non evasivo; e il fatto che l'investigatore abbia perso i suoi connotati di interprete di un'intelligenza critica illuministica contrapposta in modo manicheo a un'intelligenza criminale patologica indica che si sta abbandonando l'ipotesi astratta e consolatoria del de­ litto come risultato di lombrosiane devianze istintuali, per verifi­ care una più realistica ipotesi di corresponsabilità sociale del cri­ mme. 2.

Quando debuttò, nel 193 1 , il thriller italiano nacque molto condizionato: non aveva alle spalle, come quello inglese e fran­ cese, una salda tradizione di letteratura popolare (feuilletton e romanzi d'appendice); la ricerca letteraria italiana si sviluppava allora su due tracciati nettamente divergenti: da una parte pro­ sperava la narrativa sentimental-romanzesca, di ideologia picco28

lo-borghese, di Lucio D'Ambra, Guelfo Civinini, Guido Mila­ nesi, Salvator Gotta; dall'altra faceva il suo apprendistato, so­ prattutto in riviste, una narrativa stilisticamente rigorosa, ma memorialistico-esistenziale, proliferante tranches-de-vie ingom­ brate da un fastidioso «io autobiografico»; Svevo non faceva scuola e Moravia era un novellino. L'ideologia dello scrittore-va­ te (con il suo naturale sottoprodotto dello scrittore pedagogo) portava a privilegiare le figure dei «poeti» e dei «prosatori» ri­ spetto a quelle dei «romanzieri»; un giornalismo che ignorava ancora la lezione della «cronaca» educava i lettori ad amare la letteratura rosa illustrata dalle tavole di Boccasile (da qui il suc­ cesso dei moralisti programmatici come Brocchi o dei criptomo­ ralisti come Pitigrilli) ; la prosperità della narrativa d'evasione s'accoppiava con quella delle commedie cinematografiche dette dei «telefoni bianchi». Ecco perché fu sprecata la lezione di un grande romanzo (di abile intreccio e documentata analisi di co­ stume) come Il cappello del prete (1888) di Emilio De Marchi, che potremmo considerare il proto-thriller italiano, o degli af­ freschi storici socio-romanzeschi di Mastriani o di Natoli, che oggi risultano molto caratteristici del crinale letterario italiano tra Ottocento e Novecento. Nei primi thriller italiani (quelli di Guidi di Bagno, Vailati, Tanzi, Pitta, D'Errico, Nencioni, D'Agostino, Simoni, Datri, ]eneo, Gemignani) trionfa quella che ho chiamato l'ideologia manichea della burocrazia !egalitaria; prevale il «giudicare» sul «capire»; la violenza è vista solo come delitto individuale, effet­ to di predestinazione patologica caratteriale; l'indagine si preoc­ cupa di ristabilire un ordine robotico; la delinquenza è una col­ pa irrelata ed astratta; il giustizialismo è al servizio del morali­ smo piccolo-borghese. Negli autori non di routine emergono, tuttavia, già gli ele­ menti che caratterizzeranno, in generale, il thriller all'italiana: il gusto dell'ironia, il progetto intellettuale della contestazione del genere, l'attenzione (qualche volta patetica, qualche volta elegia­ ca, qualche volta protestataria) per le situazioni di emarginazio­ ne sociale: i romanzi di Alessandro Varaldo si giovano di colpi di 29

scena alla Edgar Wallace, di vicende misteriose e sfondi folclori­ ci, ma emerge chiaramente in essi un contrappunto demistifi­ cante dei decadenti eroismi sentimentali della narrativa dannun­ ziana (e il commissario Ascanio Bonichi, che ne è protagonista, esemplifica un dandysmo poco provinciale e poco italiota) ; i ro­ manzi di Alessandro De Stefani (interpretati da un inedito smart-set crocieristico, finanziario e cinematografaro d'epoca) risultano, a loro volta, piacevoli per il falsetto da vaudeville alla Lubitsch con cui il romanziere-commediografo fa il verso al my­ stery all'inglese. I migliori giallisti italiani degli anni Trenta sono, comunque, lo Scerbanenco della serie con protagonista Arthur Jelling (ar­ chivista della polizia criminale di Boston), l'Augusto De Angelis della serie del Commissario De Vincenzi, il Tito A. Spagnol dei due romanzi (La bambola insanguinata, Un due tre) con investi­ gatore un prete veneto (don Poldo). In Spagnol, amico e coeta­ neo di Comisso, c'è una provincia fogazzariana umbratile molto plausibile; in De Angelis fa spicco una rappresentazione di co­ stume di taglio realistico-critico che ricorda quella di De Mar­ chi; in Scerbanenco spicca il rigore artigianale degli intrecci soli­ di e articolati. Con questi tre autori (così come con gli autori mi­ gliori delle ricorrenti rinascite del thriller italiano che si verifi­ cheranno attorno agli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta) si consolida, finalmente, in Italia, la consapevolezza che un buon romanzo thrilling poggia su una macchina romanzesca comples­ sa, su un impianto suspense senza smagliature, su congegni aneddotici molto precisi, su una buona trama, su una buona sce­ neggiatura dell'intreccio, su un buon montaggio delle sequenze d'indagine, ma anche su una caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti. Il progetto di costruire thriller che siano anche quadri di co­ stume è quel che accomuna la narrativa thrilling anni Trenta di De Angelis, Spagnol e Scerbanenco a quella più recente di Vin­ cenzo Mantovani, Giuseppe Bonura, Luciano Anselmi, Inìsero Cremaschi, Giuseppe Pederiali, Attilio Veraldi, Enzo Russo, Antonio Perria, Lariano Macchiavelli, Paolo Levi, Fruttero & 30

Lucentini, Ugo Moretti, Giorgio Scerbanenco della serie Duca Lamberti, Felisatti & Pittorru, Nicoletta Bellotti, Tiziano Scia­ vi, Gloria Zoff, Corrado Augias, Renato Olivieri, Piero Soria, Laura Grimaldi, Nino Filastò e Carlo Lucarelli: va, inoltre, rile­ vato che già nei thriller di Spagnol, De Angelis, Scerbanenco fanno la loro comparsa, come comprimari di chi conduce le in­ dagini, giornalisti e avvocati, medici e chimici, con funzioni evi­ denti di antieroi, di contestatori dell'unidimensionalità dell'in­ vestigazione. Ma a proposito del thriller italiano anni Trenta vale la pena di dare anche qualche riferimento aneddotico; risulta per lo meno sorprendente che nell' Uomo dai piedi di fauno (1934) di Vasco Mariotti (romanzo con protagonista uno scienziato omicida che assume in sé i caratteri del dr. Jekyll e quelli del padre di Franke­ stein) si preannunci la bomba atomica, si parli cioè della speri­ mentazione della scissione dell'atomo, mediante bombardamen­ to della sua struttura; così come non può non provocare interes­ se constatare che in un suo romanzo, La bottega delle meraviglie, pubblicato nel 1936, lo storico allora ventenne Giorgio Spini ironizza gli atteggiamenti di un giornalista capomanipolo fasci­ sta e accenna con simpatia e partecipazione alle vicissitudini di una ebrea tedesca sfuggita alla persecuzione nazista; colpisce, infine, la constatazione che L'implacabile (1936) di Adriano Ba­ racco, ambientato nel canavese, è, in qualche modo, una trascri­ zione in chiave gialla (con il tema classico della «camera chiu­ sa») di Tristi amori e Come le foglie di Giacosa. All'inizio degli anni Quaranta, l'esperimento di un thriller al­ l'italiana che cercava innesti con una letteratura e una cultura nazionale in trasformazione da un momento di crisi a un mo­ mento di rinnovamento (da un momento di alienante isolamen­ to provinciale e nazionalista a un momento di apertura proble­ matica ed europea) viene, però, interrotto dal regime fascista, che non ama si parli di corde in casa dell'impiccato (cioè di una società malata e nevrotica in un regime che recita un mistificato­ rio perbenismo) . li thriller ricomparirà negli anni Cinquanta coi romanzi di 31

Guglielmo Giannini, Franco Enna, Sergio Donati, Giuseppe Ciabattini, Ugo Moretti: nei romanzi di Donati, Ciabattini e Moretti l'Italia del primo improvvisato boom economico del se­ condo dopoguerra esorcizza il benessere e l'ambiguità del suc­ cesso sociale attraverso un'esplosione di storie di emarginati sperduti e braccati nei labirinti urbani; Giannini offre nell Ano­ nima Roylott (1954) una abnorme (e un po' gotica) rappresenta­ zione delle degenerazioni del capitalismo; Franco Enna comin­ cia a tracciare le sue grezze radiografie della nuova malavita, che si affineranno via via, fino a diventare, con le inchieste del Com­ missario Sartori degli anni Sessanta/Settanta, dei referti abili e illuminanti. Sono autori, quelli degli anni Cinquanta, che cura­ no molto l'intreccio e poco i caratteri, molto la struttura roman­ zesca e poco la scrittura narrativa: ma l'estro picaresco dei ro­ manzi di Ciabattini basati su inchieste condotte da mendicanti o di alcuni romanzi di Moretti ambientati in una Roma guitta e barocca appare ancora oggi inconsueto. Nei romanzi di Moretti e Ciabattini circola un umore satirico che riemergerà in quelli grottesco- comici di Enrico Vaime ( Tre volte buono, 1969; No­ vanta di gradimento, 1973) : Vaime è già uno scrittore smaliziato e sapiente; appartiene al gruppo degli autori di thriller degli an­ ni Sessanta/Settanta, anni in cui anche gli scrittori internaziona­ li del genere (Boileau & Narcejac, Zacharias & Viard, Thom­ pson, Derek Marlowe, Le Carré e Len Deighton) si esercitano a smontare le regole del genere thrilling. I maestri di questi autori di thriller sono, seppure distanti e magari degradati, Bernanos e Greene, Beckett e Borges, Faulkner e Diirrenmatt: così come i maestri o i compagni di strada dei nuovi autori italiani sono Pio­ vene o Comisso, Gadda o Sciascia, Soldati o Buzzati, o altri nar­ ratori non di genere. Per esempio: il grande affresco di vita tori­ nese di Fruttero & Lucentini, La donna della domenica, per i suoi insinuanti ammicchi di costume, per il suo impressionismo ambientale, per la sua elegiaca e sapienziale ironia, documenta chiaramente che i suoi materiali culturali sono analoghi a quelli utilizzati da Soldati nei propri racconti: e va detto che la signora '

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Tabusso della Donna della domenica è uno dei più originali per­ sonaggi creati dalla narrativa italiana del dopoguerra. I nuovi autori del thriller italiano degli anni Sessanta! Novanta tentano la strada di una narrativa popolare non di eva­ sione. «Popolari», nell'Italia pre-Sessantotto, erano il gioco del calcio e le canzonette; «popolari», in una società sostanzialmen­ te depoliticizzata e consumistica, erano anche, nell'area della co­ municazione sociale, i varietà televisivi, i rotocalchi, il fumetto sadico e porno. In una situazione di comunicazione sociale così depressa, i nuovi autori italiani di thriller hanno cominciato a sperimentare una narrativa popolare che rivolge un occhio al­ l'intreccio romanzesco e un occhio al costume sociale. Al centro dei romanzi thrilling (o più propriamente romanzi suspense) di Giuseppe Bonura (La doppia indagine, Morte di un senatore, Il segreto di Alias) ci sono casi di corruzione politico-economico­ sociale; Vincenzo Mantovani nelle sue due avventure dell'inve­ stigatore Colombo (Morte in negativo e La diavolassa) ha analiz­ zato la corruzione del mondo industriale e la corruzione (da do­ ping e altro) dell'ambiente sportivo ciclistico; Giuseppe Pede­ riali (in Povero assassino e Una magnifica bara) ci ha offerto due spaccati sulla mafia sanitaria e la mafia degli spacciatori di dro­ ga; lnìsero Cremaschi ha analizzato (in Cuoio nero e Un proietti­ le all'orecchio) i movimenti cellulari di una società tecnologico­ efficientista che si trasforma in un cancrenoso pianeta di perse­ cuzioni e ricatti; Felisatti & Pittorru hanno costruito (attraverso Violenza a Roma, La madama, La morte con le ali bianche) un po­ littico di vita romana che inquadra episodi realistici di delin­ quenza, emarginazione, intrallazzi politici con campionature di storie di droga, bische, speculazioni edili, spionaggi telefonici, violenze carcerarie e funerei exploits mondani di star, playboy e arrampicatori sociali; Antonio Perria (in Incidente sul lavoro, Delitto a mano libera, Giustizia per scommessa) ha descritto (at­ traverso le vicende drammatiche di un omosessuale, di una ero­ tista e di un gruppo di imprenditori di lenocinii e fascismo) lo scontro tra l'ambiguo perbenismo della borghesia ricca e la vita­ le aggressività di un sottoproletariato che pretende che la società 33

del benessere paghi lo scotto della propria degradazione; Loria­ no Macchiavelli ha indagato nei suoi romanzi, a cominciare da Le piste dell'attentato, nel quadro di una Bologna gergale, pica­ resca e ariosa, i fenomeni urbani d'emarginazione, la conflittua­ lità sociale, la contestazione politica, con una strizzatina d' oc­ chio alla dissacrazione anarchica delle minoranze «autonome» (degli «indiani metropolitani») ; Enzo Russo (ne Il caso Monte­ cristo e La tana degli ermellini) ha illustrato con fastosa e ironica iconoclastia l'ambiguità di chi gestisce, in Italia, il potere e la legge; Nicoletta Bellotti ha tratteggiato (in Tutti sul filo e Centro città) un ritratto sulfureo e libertino della Milano Bene; Primo Levi ha messo in scena (in Ritratto di provincia in rosso e in De­ litto in piazza) il dramma cechoviano, patetico e struggente, in­ quietante ed elegiaco, della decadenza della piccola borghesia italiana che ha abbandonato la protezione della trimurti Dio-pa­ tria-famiglia; Attilio Veraldi (con La mazzetta, Il Vomerese e Na­ so di cane) ci ha offerto allucinati racconti di verminosa vita par­ tenopea, inserendosi nella tradizione del realismo barocco della narrativa napoletana nato e rinato via via in Basile, nella Serao o in Domenico Rea. Infine Giorgio Scerbanenco (in Venere privata, Traditori di tuttz� I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato) ci ha offerto una splendida saga nera sul deterioramento del tessu­ to sociale urbano lombardo. Lo Scerbanenco autore delle av­ venture di Duca Lamberti (e Livia Ussaro, sua Minerva) è un ro­ manziere amaro e tenero, nervosamente femminista, di un ro­ manticismo straziato e spietato e di una straordinaria pietà car­ nale: ma Scerbanenco sarà, alla fine, ricordato soprattutto per gli straordinari racconti di Milano calibro 9 e Il centodelitti, rac­ conti di grande proprietà sociologica e di esatta espressività ger­ gale, che fanno di lui, dopo Moravia, Buzzati e Calvino, il quar­ to impegnativo scrittore di racconti del secondo dopoguerra ita­ liano. Nei romanzi degli autori thrilling degli anni Sessanta/Novan­ ta si muovono poliziotti disadattati, poliziotti corrotti, giornali­ sti senza più sicurezza carismatica, pubblicitari che insegnano a 34

vendere l'anima, scrittori che hanno programmato la mercifica­ zione della propria fantasia, donne che hanno venduto la pro­ pria libertà, poveri cristi vittime della disonestà collettiva, ma­ fiosi subdoli e osceni per stupidità, produttori di violenza e ten­ sione politiche, sequestratori ed evasori fiscali: non c'è, dunque, dubbio che la narrativa thrilling stia occupando il posto della «letteratura della realtà» abbandonato dalla narrativa non di ge­ nere che, sconvolta dalle trombe d'aria dell'alienazione e delle nevrosi individuali, sembrava andare di nuovo incontro all'epi­ fania dell'Io. La narrativa thrilling oggi affronta, con intelligente spregiudicatezza, i processi di trasformazione e di involuzione sociale. Renato Olivieri, ad esempio, da Il caso Kodra a La morte di Casanova propone una «commedia umana in nero» della middle class milanese, con le sue nevrosi consumistiche; Corra­ do Augias, attraverso una serie di thriller spionistici e non, ci ha dato un ritratto di Roma, capitale d'Italia e capitale della corru­ zione burocratica, partitica e giornalistica; Tiziano Sciavi, coi suoi horror thriller, ci ha guidato negli inferni provinciali e me­ tropolitani postindustriali. Buon sangue italiano Rusconi, 1 977. Parole incrociate Piemme, 1 995

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Storia di un /an La mia avventura di fan del thriller è cominciata nell'estate del '46, quando avevo dodici anni. Il mio dentista (il dottor Ber­ toldi di Castelnuovo Monti, sull'Appennino reggiano, lo cito per rendergli doveroso omaggio) un lunedì mi disse: «Tuo padre sostiene che sei un lettore appassionato. Io devo liberare uno scaffale da dei vecchi libri. Li vuoi?». Me li portai a casa, nella vecchia topo lino di mio padre, con un brivido d'emozione. Ol­ tre all' Orlando Furioso di Ariosto, alle Confessioni di sant'Ago­ stino, ai Reali di Francia di Andrea da Barberino, ai Fioretti di san Francesco, al Bertoldo di Giulio Cesare Croce, al Qua Va­ dis? di Sienkiewicz c'erano un bel po' di gialli (della Christie e di Wallace, di Stevenson e Van Dine, ma soprattutto di Varaldo, D'Errico, Lanocita ed altri thrilleristi italiani degli anni Trenta): passai l'estate a leggerli (a divorarli) prima seduto in un campo di grano e poi in un vigneto: il mio immaginario si popolò di sto­ rie e di eroi del mistero. Tra il '47 e il '57 ci fu la scoperta delle storie thrilling a fumet­ ti di Mandrake e /_;uomo mascherato, di Cino e Franco e Flash Gordon. Quando arrivai a Milano, nel '52, per gli studi universi­ tari, ero pronto a vivere da collezionista l'incontro settimanale con il «Giallo Mondadori» diretto da Alberto Tedeschi; e quan­ do, nel '60, andai a lavorare in via Bianca di Savoia, di Tedeschi diventai collaboratore ed amico, entrando in confidenza, ovvia­ mente, anche con i suoi redattori (Laura Grimaldi, Giuseppe Bonura, Marco Tropea, Gian Franco Orsi e Lia Volpatti). Il mio chiodo fisso diventò il rilancio del thriller italiano e, per questo, più tardi, accanto a Tedeschi che ne era storicamen­ te il «padre», venni chiamato il «padrino» del genere. Passato dalla Mondadori alla Rai, ideai la prima collana di thriller italia­ ni (col progetto di pubblicare romanzi che, indagando misteri esistenziali o sociali, decifrassero anche aspetti del costume ita­ liano) per l'editore Rizzoli e la chiamai «Il rigogolo» (dal piu­ maggio giallo-oro di un uccello di passo di cui ascoltavo il canto 36

mentre stavo rintanato a leggere in mezzo al grano) e vi pubbli­ cai, tra il '68 e il '72, undici romanzi (uno di Sergio Miniussi sul­ la piccola borghesia triestina, uno di Carlo Della Corte sulla borghesia veneziana, uno di Luciano Anselmi sulle inquietudini della provincia marchigiana, uno di Giuseppe Bonura sulla cor­ ruzione palazzinara, uno di Ludovico Dentice sul mondo dello spettacolo romano, uno di Enrico Vaime sugli intrighi dei pub­ blicitari milanesi, due di Vincenzo Mantovani sulle fotomodelle e sui ciclisti, uno di Inìsero Cremaschi sulla Milano inquinata dalla malavita, uno di Enrico Roda sulla doppiezza dei mondani cortinesi, uno di Gogo Pelli sull'intreccio tra spionaggio militare e traffici clandistini) . Proseguii, con gli stessi criteri, la ricerca con la collana «So t­ toaccusa» (diretta per Fabbri tra il '73 e il '74) , pubblicando ro­ manzi di Domenico Paolella, di Inìsero Cremaschi, di Enrico Vaime, di Luigi Ferrante, di Luciano Anselmi, di Giuseppe Pe­ deriali, di Giuseppe Bonura, di Sandro Caputo, di Gaetano Gadda, di Vieri Razzini, di Giorgio Santi e Massimo Grillandi che erano colpi di sonda sulla violenza e la corruzione degli am­ bienti mafiosi, dell'ambiente competitivo dello spettacolo, dei traffici antiquari, dei conflitti familiari provinciali, della specula­ zione delle cliniche, della tangentopoli partitica, della persecu­ zione politica, dell'emarginazione metropolitana, delle specula­ zioni dell'industria dell'occulto, della ladreria nelle piccole città, del mercato della droga. Chi volesse indagare le metamorfosi dei costumi pubblici e privati del Belpaese, potrebbe sicuramente giovarsi della lettura dei romanzi di quelle due collane e della terza che organizzai, nel '74, per lo stampatore-editore Campironi sotto il titolo «Ca­ libro 90», dove pubblicai il primo romanzo bolognese di Loria­ no Macchiaveli, Le piste dell)attentato, e romanzi di Giuseppe Pederiali, di Inìsero Cremaschi, di Tiziano Sciavi, di Giuseppe Grieco e Paola Chiesa sul terrorismo, sul contrabbando, sul­ l' ambiguità degli investigatori privati, sulle nevrosi degli accade­ mici universitari, sulla prostituzione lungo le superstrade, sul di­ sadattamento da dolce vita: i sei romanzi sono ricordati dagli ap37

passionati di thriller anche per i deliziosi disegni di copertina di Tinin Mantegazza. A Mantegazza affidai quindi il compito di inventare e dise­ gnare le diciotto storie visive con cui venne illustrata l'antologia di racconti thrilling (di Anselmi, Bellotti, Bonura, Chiaretti & Lucignani, Cremaschi, Felisatti & Pittorru, Fruttero & Lucenti­ ni, Paolo Levi, Macchiavelli, Mino Milani, Pederiali, Perria, Russo, Sciavi, Antonio Steffenoni, Vaime, Veraldi e Gloria Zoff) in cui presi a pretesto storie di delitti e detectives nostrani per due postfazioni con l'analisi e la cronistoria (per la quale mi as­ sociai Marco Tropea) del genere «giallo all'italiana» che trovò in Buon sangue italiano (Rusconi) la sua prima cornice: eravamo nel novembre 1977. Due mesi dopo della Rusconi diventai di­ rettore editoriale; e nei semestri successivi inserii nel catalogo Rusconi thriller di Sciavi, Pederiali, Renato Olivieri, Enna, Ma­ rio Miccinesi e P. D. James (del tutto sconosciuta in Italia). Nell'8 1 lasciai Rusconi per diventare direttore editoriale del Gruppo Fabbri-Bompiani-Sonzogno-Etas: lì curai la promozio­ ne dei primi romanzi di Stephen King e il rilancio delle opere di Patricia Highsmith e progettai la pubblicazione del ciclo dei ro­ manzi thrilling-horror di Tiziano Sciavi intitolato La circolazione del sangue (di cui fa parte il romanzo omonimo); ma quest'ulti­ mo progetto potei realizzarlo solo in Camunia, la casa editrice che fondai nell'84. In Camunia, oltre a pubblicare, in diverse collane, thrillers di Sciavi, Cremaschi, Giarda, Renzo Laurenzi, Mario Lunetta, Ni­ no Majellaro, Gino Negri, Pier Damiano Ori, Aldo Piro, Franco Rella e Andrea Vitali, ho ripreso la linea «Rigogolo»-«Sottoac­ cusa»-«Calibro 90» pubblicando, nella collana «Brivido italia­ no», romanzi di Anselmi, Piccioli, Ferrari &}acini, Siviero e Fa­ rinotti e l'antologia Misteri (a cura di La Porta & Scaglia) , che ha inquadrato, nel 1992 , per la seconda volta, il genere, con qua­ rantadue racconti (tra l'altro di Cacucci, Filastò, Grimaldi & Tropea e Pinketts). Ho dato, infine, il titolo «Brivido italiano» anche a una serie (andata in onda nel 1 99 1 , alle 10,15, su RadioDue per venti set38

timane) di sceneggiati radiofonici ricavati dai romanzi già tenuti a battesimo, ma anche da una sceneggiatura dell'attore e regista Angelo Longani, Caccia alle mosche, e da un romanzo allora ine­ dito di Andrea G. Pinketts, Lazzaro, vieni /uori: per cui in certi eventi pubblici mi permetto la civetteria di attribuirmi anche il debutto di Pinketts, così come è sicuramente una civetteria (non priva, tuttavia, di utilità informativa) riprodurre, via via, come farò in seguito, le didascalie informative predisposte per la ra­ dio, alle quali ho dato, in trasmissione, anche voce. Nel suo informato, intelligente e puntiglioso L'Italia in giallo (Diabasis, 1 994) Massimo Carloni mi rimprovera perché avrei privilegiato come fan-editor-editore «la scrittura rispetto all'in­ treccio con risultati alterni», e perché avrei puntato su autori «interessati marginalmente al genere poliziesco». Ma il mio pro­ getto non era (e non è) di documentare la creatività nel «genere poliziesco», quanto provare che la struttura e la tecnica del thril­ ler è consustanziale alla narrativa (italiana e straniera) del Nove­ cento, secolo senza fiducia (perché giudicata retorica) nelle «magnifiche sorti progressive», secolo di due disastrose guerre mondiali, secolo di planetaria violenza (individuale, sociale, im­ prenditoriale, politica e persino religiosa) . Carloni mi attribuisce il merito di aver lanciato Anselmi, Macchiavelli, Olivieri; io mi sono qui attribuito anche quello di aver lanciato Pinketts; in ogni caso, anche Bonura e Pederiali e Sciavi sono risultati inso­ stituibili protagonisti della narrativa degli anni Settanta-Novan­ ta e proprio grazie all'uso, nei loro romanzi, di detection e su­ spense. Non era il poliziesco ad avere potenzialità di innovazio­ ne e successo; l'aveva, come io ho intuito, una narrativa thrilling che privilegiasse insieme la scrittura e l'intreccio. Era questo l'e­ vento letterario-editoriale su cui puntare, come ha dimostrato il successo di Scerbanenco, Fruttero & Lucentini, Eco, Veraldi, Grimaldi, Augias, Lucarelli e Camilleri (oltre a quello di Ansel­ mi, Macchiavelli, Olivieri, Pinketts, Sciavi, Bonura e Pederiali) , riportando i lettori in libreria: in libreria, non in edicola (luogo della verifica marketing di fatto fuori tempo di Carloni). A proposito del ruolo primario della scrittura anche nel thril39

ler citerò tre affermazioni ricavate da Come si scrive un giallo (ti­ tolo originale Plotting and Writing Suspense Fiction, che io avrei tradotto Intreccio e scrittura nella narrativa suspense) di Patricia Highsmith: «Spero che tra i lettori di questo libro ce ne siano al­ cuni che non hanno intenzione di diventare scrittori di gialli ma semplicemente scrittori»; «Non c'è nessun segreto per una scrit­ tura di successo, se non l'individualità - o chiamiamola persona­ lità»; (a proposito di Graham Greene) «mi piacerebbe avere il suo talento per le mot juste, un dono ammirevole anche in Flau­ bert». Dal diario inedito «Personaggi e pensieri>;

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De Angelis e Freud «Oggi, scrivendo un romanzo poliziesco, non si può ignorare Freud»: mi pare ben detto; un romanzo poliziesco è anche una forma di analisi delle coscienze; non c'è automatismo del male, il male non è naturale, è sempre la conseguenza di innumerevoli frustrazioni. Dunque, un narratore di romanzi polizieschi auten­ tici non può ignorare Freud: Augusto De Angelis aveva perfet­ tamente ragione. Chi era Augusto De Angelis? Un giornalista romano - onesto, umanissimo (lo documenta la sua attività pubblicistica svolta per «Il Resto del Carlino», «Il Corriere della Sera», «La Gazzet­ ta del Popolo») - che fu un ottimo scrittore di romanzi gialli. Morì nel 1944 , a Bellagio, in seguito alle percosse di un fascista: in questi giorni è iniziata la ristampa delle sue opere con un vo­ lume intitolato Il comissario De Vincenzi (Feltrinelli) . Nei tre romanzi proposti in lettura, I:albergo delle Tre Rose, Il mistero delle tre orchidee, Il candeliere a sette fiamme, l'investiga­ tore è italiano; sono italiani anche gli ambienti dell'inchiesta; meno tipici, invece, nella loro caratterizzazione, i personaggi. De Angelis sta tra Wallace e Van Dine: ama gli intrecci compli­ cati e con colorazioni esotiche, li risolve con analitico lavorio d'intelligenza; il presupposto freudiano di cui sopra si configu­ ra, insomma, come una componente del metodo di giudizio del­ l'investigatore: anche se non esclude che il «mistero» si svolga attraverso colpi di scena romanzeschi. La tecnica narrativa di De Angelis è in ogni caso perfetta. Un esempio: l'inizio di uno dei romanzi. «Christina O'Brian ha l'o­ nore di invitare. . . Busta azzurra, lunga, rettangolare. Cartoncino azzurro. . . Di questi cartoncini ne furono spediti cinquecento, tutti strettamente personali ... Chi avrebbe potuto immaginare che nel Museo degli orrori della Casa di Mode O'Brian giacesse un cadavere? Un cadavere fra manichini di legno e crine». Un altro esempio con cui De Angelis circoscrive un fatto o un giudizio: «commercio in futilità» dice, ad un certo punto, uno 41

dei suoi personaggi «oggetti indispensabili, perché superflui». C'è, nel rapporto-contrapposizione di quei due aggettivi (indi­ spensabilz� perché superflui) una figurazione perfetta del condi­ zionamento psicologico cui ciascuno di noi è soggetto nella con­ temporanea civiltà dei consumi. Il Giallo Mondadori, 3 . 1 1 . 1963

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Giorgio Scerbanenco Nato in Russia, a Kiev, nel 191 1 , da madre italiana e padre ucraino (professore di latino e greco, fucilato durante la rivolu­ zione bolscevica in quanto funzionario dello Stato ), nome ana­ grafico Vladimir Scerbanenko, il futuro scrittore crebbe a Roma presso i parenti materni (in mezzo a cugine «belle e terribili»), finché si fece «straniero» trasferendosi, verso i diciotto anni, a Milano. A Milano lavorò prima come tornitore presso la Borlet­ ti, poi come impiegato alla Croce Rossa; infine, dopo un incon­ tro con Zavattini che gli pubblicò un racconto e poi il primo ro­ manzo Il terzo amore sul periodico «Piccola» che lo scrittore reggiano dirigeva per Rizzoli, trovò un impiego proprio come redattore delle riviste femminili rizzoliane. N el 1943 , per sfuggi­ re al caos bellico italiano, si rifugiò in Svizzera, a Poschiavo, da dove rientrò nel 1945 con in valigia il manoscritto del romanzo breve Il cavallo venduto, romanzo d'utopia o fantascienza (alla Orwell, per intenderei) . Nella sua breve vita (morì nel 1969, a cinquantotto anni) Scerbanenco, «eccezionale macchina per scrivere storie» (come ha affermato Oreste del Buono, suo straordinario editor ed esegeta dagli anni Sessanta ad oggi), ha scritto una ottantina di romanzi e più di mille racconti: prolifico come Simenon, come Simenon ha scritto storie di vario genere (sentimentali, poliziesche, fantascientifiche). Per Rizzoli diresse i periodici «Bella» e «Annabella» sui quali curava anche la corrispondenza con le lettrici; su «Bella» si fir­ mava Valentino e Valentino «era buono, persino dolce, sebbene pronto a irrigidirsi davanti ai casi di più patente ipocrisia e sfac­ ciataggine» (parola di Del Buono) ; su «Annabella» si firmava Adrian e Adrian «era, invece, imprevedibile nelle sue malinco­ nie, nelle sue ironie, nelle sue estrosità»; è ancora Del Buono che parla, Del Buono che, suo compagno di lavoro alla Rizzoli, lo ri­ corda «alto e magro, collega dai vestiti dai colori sempre desue­ ti, dalla gentilezza addirittura esagerata e dall' ombrosità quasi insostenibile». Anche un altro scrittore che lo conobbe bene e 43

gli fu amico, Enrico La Stella, lo ha descritto malinconico e te­ nero, gentile e allarmato, appassionato e ombroso, disponibile e idiosincrativo, riservato fino alla segregazione. Di Scerbanenco personalmente ho apprezzato i cinque ro­ manzi polizieschi pubblicati tra il '40 e il '42 e riproposti nel '95 in un volume unico intitolato Cinque casi per l'investigatore ]el­ ling; ho ammirato i quattro thriller con protagonista Duca Lam­ berti pubblicati tra il '66 e il '69; e sono stato lettore entusiasta dei ventidue racconti raccolti nel '69 sotto il titolo Milano cali­ bro 9 e dei cento racconti proposti postumi da Del Buono, nel maggio '70, nel volume Il centodelitti. Scerbanenco ammirava la scrittura del Simenon dei romanzi con protagonista Maigret, di Zavattini, di Chandler, di Malcolm Lowry (fattogli conoscere da Giorgio Monicelli) , di Moravia e Hemingway; ed hemingwayano-zavattiniana è la scrittura della bellissima autobiografia proposta da Del Buono, nel 1972, come introduzione a La Milano nera, il volume che ha riproposto in­ sieme la tetralogia romanzesca con eroe Lamberti e una scelta di racconti; di questa autobiografia riproduco qui alcuni passaggi: «D'improvviso, appena arrivato a Milano, verso i diciotto an­ ni, divenni straniero. Fuori dalla mia famiglia, in una città dove nessuno mi conosceva, rimaneva soltanto il mio nome, che era Vladimir Scerbanenko. Lei è russo? Rimanevo incerto. Comin­ ciavo a spiegare ansioso: sono nato in Russia, ma ci sono stato solo fino a sei mesi d'età, mia madre era italiana. Fingevano di capire, ma io sentivo che non mi capivano, e provavo una oscu­ ra pena ... tolsi la k di Scerbanenko e feci Scerbanenco, anche perché questa k è una stupidaggine che imita la grafia francesce e inglese, in italiano il suono di k è identico al c duro e non c'è quindi bisogno di scrivere k. Tolsi anche il Vladimir e usai il mio secondo nome, Giorgio. Ma non serviva. Rimanevo sempre un poco straniero». «Un uomo in camice bianco, il capufficio, mi fece attraversa­ re via Washington e mi portò nello stabilimento di fronte. At­ traversammo un cortile e d'improvviso udii il rumore delle trance. Non era un rumore, era un continuo crollo ... Rimasi lì 44

da Borletti un anno e mezzo. Feci anche carriera. Si accorsero che ero un poeta e mi misero al magazzino spedizioni, a scrive­ re l'entrata e l'uscita delle merci». «Non stavo più nel dormitorio comune, ma avevo una stan­ zetta ... In quella stanzetta non più larga di un grosso baule, ho imparato la logica di Kant e la dialettica di Hegel e lo scettici­ smo di Hume. Dopo un anno e mezzo qualcuno mi mandò in sanatorio. A Cuasso al Monte scoprii l'esistenza dello zabaione. Era naturalmente proibito fumare, ma esclusi i moribondi fuma­ vano tutti ... Oltre lo zabaione, in sanatorio scoprii un'altra cosa. L'impossibilità per l'uomo di vivere separato dalle donne ... tos­ sivano, avevano paura di morire, bruciavano di febbre, erano in­ tontiti dalle endovenose di calcio, ma parlavano di donne». «Era uscito da poco Gli indifferenti di Moravia ... Io ero per Moravia contro i formalisti, Moravia era la mia squadra di cal­ cio. Nella caserma della Croce Rossa, dove stazionavano le am­ bulanze, passavo le giornate leggendo e scrivendo, fra un servi­ zio e l'altro ... Dormivo sulla brandina vestito, coi calzoni e le fa­ sce che ora fanno tanto Addio alle armi, la giacca appesa a un chiodo. D'un tratto sentivo una mano sulla spalla, e una voce fraterna: "Andiamo, Russia" era l'altro militare che mi sveglia­ va ... Dopo qualche mese fui promossi di grado. Dal pronto soc­ corso della Croce Rossa in via Corridoni passai agli uffici, sem­ pre della Croce Rossa, e mi sposai. Non avevo ancora vent'an­ ni». «Grazie alla raccomandazione di un mio amico, accettarono una mia novella alla Rizzoli. Zavattini volle conoscermi. Arrivai da lui, nel suo ufficio in piazza Carlo Erba, con un impermeabi­ le double-face, da una parte era un soprabito galles, dall'altra era tela cerata marrone. Lo portavo senza giacca, perché non possedevo più una giacca ... Così vestito facevo molto futuro scrittore... fui assunto in redazione ... m'incoraggiavano, ma non mi trovavo ... La casa di Milly Dandolo, così intima e semplice, mi sembrò una sala di castello, eppure era piccolissima. Quando poi vidi quella di Valentino Bompiani, con l'ascensore che arri45

vava in anticamera, fu come se fossi andato a visitare i saloni di Versailles». Il tono hemingwayano visivo-impudente e il tono zavattiniano ironico-surreale si miscelano in puro stile Scerbanenco, lo stile dei romanzi e dei racconti che descrivono, con rabbia e disin­ canto, con tenerezza e aggressività la Milano nera del Boom eco­ nomico deflagrato in uno Sboom verminoso e luttuoso. Il protagonista dei cinque romanzi, artigianalmente ben co­ struiti, pubblicati da Scerbanenco negli anni Quaranta, è un ar­ chivista della Direzione Generale di Polizia di Boston, mister Jelling (nel cognome un pizzico d'ironia, perché il gel era già al­ lora strumento dell'ordine posticcio dei capelli) ; più che un pro­ tagonista della Storia (ha scritto Del Buono) , Jelling è una vitti­ ma degli eventi. Una vittima (della giustizia) , un emarginato (un medico radiato dall'albo professionale per aver praticato l'euta­ nasia) è anche Duca Lamberti che diventa giustiziere dei perse­ guitati. Lamberti difende nelle storie metropolitane la margina­ lità e la diversità: combattendo contro l'atrocità delle specula­ zioni sanitarie, contro lo sfruttamento della prostituzione, con­ tro il contrabbando d'armi, contro il terrorismo, contro il traffi­ co della droga e contro ogni malavitosità che sfrutta l'uomo, cer­ ca di riproporre, contro l'orrore, la terapia della convivenza, della fraternità dell'amore; Scerbanenco racconta la sconfitta dei crimini metropolitani attraverso una solidarietà creaturale povera (per questo possiamo dire che è uno scrittore di pietà cristiana); dentro lo sfascio urbano (in Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato) Duca Lamberti individua percorsi di avventura, passione e re­ denzione. Scerbanenco era lettore di Stendhal, di cui ammirava il romanzo Il rosso e il nero; Duca Lamberti è fratello del Julien Sorel stendhaliano di cui rivive il percorso all'incontrario: anzi­ ché dall' arrivismo alla sconfitta e dall'ambizione all'inquietudi­ ne penitenziale, il percorso di Lamberti si sviluppa dall'emargi­ nazione alla conquista della sicurezza e all'equilibrio morale. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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Giuseppe Bonura l.

Giuseppe Bonura, nato a Fano (Pesaro) nel 193 3 , giornalista, critico letterario e scrittore tra i più convincenti ed estrosi (nar­ rativamente e linguisticamente) del secondo Novecento (da ri­ cordare, tra l'altro, i suoi romanzi Per partito preso, La ragazza dalla luna storta, La vita astratta, I custodi del silenzio e le raccol­ te di racconti Galateo dei vizi italiani, I satiri virtuosi, La castità dell'ospite e Dieci amori coniugali) è autore di tre thriller: dei pri­ mi due riproduco i due risvolti di copertina con cui li presentai; sul terzo riproduco una mia recensione pubblicata sul quotidia­ no «Il Giorno». La doppia indagine (Rizzoli, 1 968). «Dapprincipio sembra tutto chiaro: una delazione epistolare accusa Beniamino di avere ucciso il padre Bacone gettandolo dallo strapiombo della villa di famiglia. Ma quando l'inviato speciale Dionigi inizia a indagare sul delitto per raccoglierne le prove inconfutabili, si accorge che la matassa è assai più ingarbugliata, anzi addirittura inestricabi­ le. Matelda, la misteriosa delatrice, non ha assistito al crimine: la testimone è un'altra donna, il cui nome viene taciuto. Perché? È il primo interrogativo di una lunga serie. In effetti la vicenda non è che un susseguirsi ininterrotto di interrogativi che riman­ dano continuamente la risposta fino a indurre Dionigi a credere di essere stato vittima di una beffa colossale. Ma l'inviato, pur disperando a tratti, non si dà per vinto. Se la morte del ricchissi­ mo Bacone gli appare a momenti dovuta a un banale incidente, in compenso scopre che la villa, questa immensa costruzione in­ sieme materiale ed emblematica, nasconde innominabili segreti. Infatti tanto coloro che la occupano abitualmente quanto coloro che hanno in qualche modo a che fare con essa sembrano pene­ trati da una specie di vocazione alla perversità morale e all' abu­ so politico e sociale. È per questo che Dionigi seguita a indagare fino all'imprevedibile epilogo, un autentico colpo di scena. Se l'inchiesta personale di Dionigi è dettata esclusivamente da esi47

genze etiche, quella del capitano Biagi sembra seguire i binari di una consueta routine burocratica ma alla fine le due indagini (svolte ad incastro dallo scrittore con grande abilità letteraria e sociologica) si integreranno, seppure paradossalmente, in una soluzione finale dei misteri». Morte di un senatore (Fabbri, 1 973 ) . « "l'uomo si porta alle spalle del senatore, cava dalla tasca un involucro che sembra un grumo di stracci inamidati e solleva il braccio. Dopo poco il cor­ po del senatore giace sul tappeto persiano, gli occhi spaventosa­ mente spalancati" . Chi è il senatore, chi è l'omicida, qual è l' ar­ ma del delitto? La vittima, senatore a vita per meriti culturali (è uno studioso d'arte, d'archeologia e architettura) , si chiama (programmaticamente) Frani: vive in una villa in falso stile palla­ diano, in una città dove dilaga la speculazione edilizia. L'identi­ ficazione dell'omicida è, invece, complicata: c'è, infatti, un indi­ ziato, ma non sembra il vero colpevole e ci sono molti insospet­ tabili (e rispettabili) cittadini cui potrebbe essere attribuito (mo­ tivatamente) il reato. Circa l'arma del delitto, occorre stabilire se sia autentica o una imitazione. Indagano sugli avvenimenti un commissario di polizia e un giornalista: le due inchieste (Bonura è ancora una volta molto abile nel procedere ad incastro nell'a­ nalisi delle doppiezze individuali e sociali) si incrociano, senza scontrarsi e confluiscono in un atto finale di denuncia della complicità tra potere economico e politico». . . .

Risvolti editoriali

2. Il segreto di Alias (Editoriale Nuova, 1 984). Giuseppe Bonu­ ra, tra i romanzieri italiani rivelatisi negli anni Sessanta ha mo­ strato di avere un'abile, smaliziata, costante e contemporanea at­ tenzione per la struttura e la scrittura narrativa, per l'intreccio e la forma espressiva, per i materiali sociopsicologici e la loro ela­ borazione metaforica: scrive storie politiche ed esistenziali che riescono ad essere favole, modelli allegorici. Il suo ottavo ro­ manzo, il thriller Il segreto di Alias, lo conferma in pieno. Alias è un killer: un personaggio (di questi tempi) à la page. Il 48

segreto di Alias è un romanzo su Nostra Sorella Violenza; ma le performances degli Alias (in frenetico esercizio di travestimenti e mimetizzazioni) di cui è gremito caratterizzano il romanzo co­ me un apologo-thriller sull'Ambiguità e l'Inconsistenza. Alias come Altro, naturalmente: è anche l'ipotesi linguistica del dizio­ nario, che suggerisce «V. Giuseppe Balsamo detto Cagliostro». La parola alias, nei vocabolari italiani, oggi (coincidenza roman­ zesca) precede la parola alibi: Bonura mette in scena la rabbrivi­ dente tragedia delle crudeltà contemporanee per smascherare gli alibi su cui qualcuno fonda l'ipotesi d'irresponsabilità; della violenza, dice Bonura, siamo tutti colpevoli, non solo vittime. «Una sera di pioggia» così ha inizio il romanzo, «un giovane di circa vent'anni penetrò in una strana casa di campagna. Im­ pugnava una pistola. Chiuse la porta con il catenaccio e avanzò verso il centro della stanza ... Un vecchio sedeva dietro una scri­ vania. Sono venuto per ucciderti disse il giovane. Ma prima voglio sapere da te se tutto quello che mi hanno detto di Alias è vero. . . Potrei anche risparmiarti. Il vecchio lo fissò: A che prezzo? Il gio­ vane rispose: La vita di Alias. Vorrei che me la raccontassi. . . Il vecchio ebbe un colpo di tosse, poi disse: D'accordo. Mi auguro di avere parecchi ricordi». Ricordando e raccontando, il vecchio cerca di contrastare, come Sharazad in Le mille e una notte, il destino: ma, mentre nella favola medievale Sharazad avrà in pre­ mio l'amore, nella favola (dell'oggi verso il Duemila) di Bonura il vecchio non riuscirà ad evitare la morte. Il segreto di Alias prende forma attraverso quindici dialoghi (scanditi, vibranti, lapidari) tra il vecchio killer e il giovane killer e quindici racconti (incalzanti, ricchi di mistero e tensione) del vecchio. I quindici racconti rievocano le avventure di Alias , qua­ rantenne al servizio di una multinazionale del crimine che ai suoi funzionari assicura alti privilegi economici in cambio di una totale obbedienza: ed è opportuno annotare subito che in que­ sta storia di Alias (storia dei nostri atroci «anni di piombo») pro­ ducono delitto sia l'obbedienza che la trasgressione (in altri tem­ pi e in altri contesti culturali produttrice, a volte, di libertà). n killer Alias (che si traveste da dinamitardo, da perseguitato poli49

tico, da apolide, da prete spretato, ecc.) vive di zelo cieco, di paure e sospetti, e sa che sul proprio futuro si proietta l'ombra del tradimento, del disprezzo per gli altri che si trasforma in odio per se stessi, del suicidio come evasione. li mestiere di kil­ ler sottostà alla regola di non avere memoria, di non avere co­ scienza e, difatti, noi vediamo Alias uccidere il padre, uccidere amici, uccidere il suocero, uccidere vari innocenti (bersagli della sua nevrotica amnesia) . Il killer è uno che fa fuoco su qualsiasi bersaglio umano, ma non sa mettere a fuoco i sentimenti; il kil­ ler è l'alienato che ammazza le persone e non sa come ammazza­ re il tempo. I killer sono individui senza identità (senza umanità) che si fanno chiamare Alias o Sesto Senso, credendo di essere at­ tori prestigiosi delle tragedie contemporanee: sono, invece, co­ pie, robot, replicanti che esprimono segreti e terrori con catato­ nica ripetitività. Alias vive in una società (una civiltà) che misco­ nosce la colpa e l'espiazione. Altri scrittori (Hemingway, Pinter, Moravia) hanno rappresentato la condizione del killer come ne­ vrosi, impotenza, impossibilità a convivere con gli altri; in Il se­ greto di Alias (romanzo che analizza gli automatismi della vio­ lenza metropolitana) Bonura riscopre, attraverso la progressio­ ne analitica di una trascinante narrazione romanzesca, l'impossi­ bilità del killer di convivere con se stesso, perché il suo smarri­ mento è bisogno di colpa, attesa di espiazione, desiderio di libe­ razione- redenzione. Il Giorno, 8.4.1984

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Miniusst� Mantovani Miniussi Sergio Miniussi, nato a Monfalcone nel 1932, traduttore dal francese e regista televisivo, ha pubblicato le raccolte di poesie (elegiache, psicanalitiche, sabiane) La gioia è dura e La cortesia dell'inverno. Ora ( 1 968) debutta nella narrativa con un avvin­ cente thriller ambientato a Trieste: un romanzo che si inserisce nella linea di una letteratura psicologico-analitica alla Quaran­ totti Gambini. l personaggi principali de I peccati del corvo (Rizzoli) sono dei ragazzi che muoiono misteriosamente. La prima ipotesi avanza­ ta sugli eventi è quella dell'incidente, la seconda quella del suici­ dio, la terza quella dell'omicidio; sviluppandosi, l'indagine, da storia di eventi funesti, diventa quadro d'ambiente, radiografia di vita familiare e sociale. Miniussi ha tradotto per Mondadori tutto «l'altro Simenon», il Simenon senza Maigret, e come Simenon ci presenta le trage­ die come il risultato dell'ambiguità e dell'inquietudine. Mantovani Vincenzo Mantovani, nato a Ferrara nel 1 934, dal 1 959 vive a Milano. Ha diretto l'ufficio stampa di un'industria elettronica e svolto attività giornalistica nei quotidiani «Paese sera», «Il Glo­ bo», «ltaliaOggi». Apprezzatissimo studioso di letteratura an­ gloamericana, ha tradotto Hemingway, Henry Miller, F aulkner, Bellow e Gaddis. Tutti i suoi libri, non solo i romanzi, documentano grande at­ trazione per gli intrecci romanzeschi e per gli intrighi. All'intri­ go politico dell'attentato anarchico al Diana di Milano è dedica­ to il suo reportage storico Mazurka blu pubblicato nel 1 979. At­ torno a intrighi sentimentali e sociali sono strutturati i suoi ro­ manzi Una maledetta cosa del 1963 e La donna che diventò mio marito del 1 988. Veri e propri thriller sono i romanzi La diavolessa (Rizzoli) 51

pubblicato nel 1970, accentrato sull'ambiente del giro ciclistico d'Italia e incentrato su un caso di doping, e Morte in negativo (Rizzoli) , del 1968, storia con fotografi e fotomodelle, che si svolge tra Milano e Lugano. Per descrivere con veridicità e rigo­ re l'ambiente di Morte in negativo, Mantovani ha tratto ispira­ zione anche dal lavoro della moglie Annamaria, fotomodella e attrice. In entrambi i thriller convincono il ritmo narrativo e il quadro ambientale (dove i dettagli diventano spie di un'incal­ zante drammatizzazione) . Risvolti editoriali rielaborati per il programma radio/onico «Brivido italiano»

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Luciano Anse/mi Luciano Anselmi, narratore, saggista, commediografo e auto­ re di numerosi radiodrammi, è nato nel 1934 a Fano, dove è tor­ nato a vivere, dopo aver fatto il giornalista a Roma, occupando­ si di sport e spettacolo, e dove è morto nel 1 996. Tra i suoi ro­ manzi ricorderemo Gramignano del 1 967 e Piazza degli Armeni del 1982 . Anselmi h a curato l'edizione italiana di una scelta dell' episto­ lario di Proust ed è autore di un saggio sui romanzi polizieschi di Simenon. Da molto critici è considerato il Simenon italiano, perché nei suoi romanzi con le inchieste del commissario Boffa ha costruito, con affettuosa impudenza, un veridico quadro dei vizi e delle virtù della provincia italiana. Il suo primo thriller, Il caso Manders, pubblicato in undici puntate nel giornale «La Voce Adriatica» nel 1965 e raccolto in volume nel 1 999, era ambientato a Londra. Anselmi lo riela­ borò, poi, nella prima inchiesta del commissario Boffa con am­ bientazione italiana, dandogli il titolo Il caso Lolli e nel 1970 lo pubblicai nella collana «Il Rigogolo» con questa nota: «In una città della provincia italiana viene trovato assassinato un nobile dal passato avventuroso: alcuni mesi dopo, in periodo natalizio, muoiono misteriosamente la sua governante e il suo ex ammini­ stratore. La voce popolare non indica alcun colpevole. Del re­ sto, i delitti paiono assurdi. All'inizio, gli inquirenti brancolano, come spesso accade, nel buio. Sono portati a mettere sotto accu­ sa l'intera città: ma i solerti cittadini mostrano solidi alibi. Un giovane intellettuale (che si occupa di antiquariato, per sbarcare il lunario) si affianca agli inquirenti nel ricostruire i delitti. Per suo tramite l'inchiesta diventa precisa come l'inventario di un magazzino o di un trovarobato. Spazzata via la polvere della cat­ tiva coscienza, messa a nudo la memoria delle tresche familiari sepolte sotto il borghese decoro, emergono chiari il movente e il tracciato dei delitti. Il romanzo, da analisi di alcuni episodi di violenza, si trasforma in dettagliato quadro sociale». 53

A Il caso Lolli fece seguito Il commissario Bo/fa (Fabbri, 1973 ) , che presentava due romanzi, Il fantasma Maratèa e Il pa­ lazzaccio, incentrati sulle morti di Giuseppe Maratéa e Serena Tassi. Scrivevo nel risvolto: «Vittime dell'odio, dell'esasperazio­ ne, della cattiva coscienza altrui sono Giuseppe Maratèa, appas­ sionato di calcio, cinquantasette anni, insegnante di liceo e Sere­ na Tassi, settantenne nubile, proprietaria di cinque tartarughe. Conduce l'inchiesta sulla loro scomparsa e morte il commissario Boffa: lo guida attraverso lo squallido impero minore di una provincia addormentata un giovane antiquario di poca fortuna. I delitti sono assurdi: mancano i moventi, manca una architettu­ ra. Ci si muove, quindi, sul viscido terreno dei sospetti: si fa leva sulla disponibilità al linciaggio morale. Le inchieste di Boffa fi­ niscono per mettere sotto accusa l'intera città». Da giovane, Anselmi, discendente di una famiglia che ha avu­ to tra gli antenati Luigi Bonaparte, è stato giocatore di calcio. Le doti del giocatore di calcio sono la misura, la fantasia, la concre­ tezza, la geometria, lo slancio: doti che Anselmi ha trasferito nel­ la sua narrativa: «La scrittura di Anselmi» ha affermato Corrado Augias «è nervosa, rapida ed espressiva». ll suo commissario Boffa, poliziotto di «garbato scetticismo», burbero , smaliziato e di controllati appetiti, indaga con pazienza, mosso da pietà sia per le vittime che per i colpevoli. Giulietta Boffa fiuta il delitto: mentre la sua spalla (il suo Watson), un giovane antiquario (sin­ gle per abbandono della moglie e per accidia) fiuta gli scarti d'u­ more dell'amico poliziotto: insieme annusano la vita, i delitti e i colpevoli con la quieta astuzia del Maigret di Simenon, di cui Anselmi ha studiato la narrativa e di cui, in una poesia della sua raccolta I poeti con gli occhi di opossum, ha scritto: «Sei là col tuo Maigret; una pipa, due pipe l il raffreddore di testa, il paletot nero; e annusi l poveracci senza madre l o senza mogli o senza amici». Di Anselmi nel 1977 pubblicai da Rusconi La marca del delit­ to (due romanzi, Enigma in piazza e Delitto al pensionato) con questa didascalia in quarta di copertina: «Enigmi infami in vele­ nosa provincia: la traccia appena visibile di un assassino, che po54

trebbe essere suicidio, e un antico episodio di cronaca rosa, che sta alla base di una tragedia in nero. Nel clima pigro e assonnato e torvo di una piccola città di provincia il bonario commissario Boffa si esercita, in compagnia dell'inseparabile amico antiqua­ rio, a risolvere due complicate trame delittuose». La quarta di copertina era arricchita da un giudizio di Michele Prisco: «Le due storie hanno una forte tenuta narrativa, che non è data solo dalla tecnica del giallo, ma dallo scavo sui personaggi, dall' atmo­ sfera di provincia resa benissimo con poche annotazioni essen­ ziali, da quel senso di umanità che lo pervade e ch 'è così strug­ gente». Luciano Anselmi ha goduto costantemente di buona opinio­ ne critica; due giudizi indicativi; Lia Volpatti: «Anselmi riesce a rendere molto bene, con pochi e calibrati tocchi, la noia, la son­ nolenza e i peccati della vita italiana di provincia»; Renato Besa­ na: «Dialoghi essenziali, rapidi, scarni, ritratti corrosivi di perso­ naggi appartenenti a un mondo provinciale ordinato ma inquie­ to, si susseguono dipanando solidi intrecci. Nei romanzi di An­ selmi ci sono tutti i protagonisti di quell'Italia che ogni giorno prende d'assalto la pagina della cronaca dei quotidiani». Del commissario Boffa Giovanni Pacchiano ha scritto che «possiede l'occhio e il fiuto infallibile dell'investigatore di serie A»; ma forse il vero protagonista dei thriller di Anselmi (alter ego dell'autore) è l'amico di Boffa, l'antiquario (Anselmi era esperto di pittura del Seicento, Settecento e Ottocento) , un in­ tellettuale di provincia piacevole, ansioso, educato, curioso, civi­ le e un po' retrò che ama indagare tra i vizi che terremotano la convivenza sociale. La coppia tornò, per così dire, in libreria con il romanzo, che pubblicai nel 1985 da Camunia, Nudo in al­ bergo e che presentai con questa didascalia: «In apertura di que­ sto amabile romanzo giallo facciamo conoscenza con un poli­ ziotto (il commissario Giulio Boffa) dubbioso della felicità degli uomini e con un antiquario (l'anonimo io narrante) dubbioso della fedeltà delle donne. Si sono conosciuti al fronte, si sono ri­ trovati in una piccola città di provincia. Della vita di provincia, dei suoi piaceri e dei suoi peccati, sono due smaliziati e umanis55

simi testimoni. Li abbiamo già incontrati in sette inchieste (Il ca­ so Lolli, Il fantasma Maratèa, Il palazzaccio, Gli amici dell'impic­ cato, Il gatto rosso, Delitto al pensionato) : li ritroviamo alle prese con il caso di un giovanotto rinvenuto cadavere e nudo in un al­ berghetto con trattoria e mescita, luogo di piccoli vizi e piccole virtù. L'indagine coinvolge due donne in cerca d'amore, un ma­ rito danaroso e nevrotico, un commerciante di profumi, un play­ boy senza mestiere, una madre protettiva ed eccellente cuoca, un gatto curioso, un terrorista telefonico e il coro della città. Una città che è, questa volta, fredda e notturna, quieta ed in­ quietante. Di questa città e dei suoi enigmatici abitanti Luciano Anselmi ci propone, con lirica discorsività simenoniana, un in­ trigante ritratto». Nel 1 992 raccolsi tutti i thriller di Anselmi, l'intera «epopea Boffa», romanzi editi e romanzi inediti, nell' omnibus Il liocorno blu, scrivendo il mio ultimo testo su Anselmi romanziere: «La serie delle inchieste del commissario Boffa, iniziata nel 1970 con Il caso Lolli (storia di una torbida vendetta), si chiude con Il lio­ corno blu (storia di un intricato dramma familiare). Attraverso le otto avventure qui proposte in un'organica saga investigativa, Luciano Anselmi ci offre un quadro veridico dei vizi e delle virtù individuali e sociali di una piccola città marchigiana. I pro­ tagonisti dei suoi romanzi sono: Giulietta Boffa, un poliziotto scettico e affettuoso e un amico antiquario, intellettuale disin­ cantato, che gli fa da spalla, assumendo il ruolo di coscienza in­ terrogativa e provocatoria. La fantasia di Anselmi è realistica e geometrica: i suoi thriller, sociologicamente convincenti, sono lievitati da una scrittura lirico-elegiaca di grande espressività. Non è improprio, dunque, affermare che Anselmi va considera­ to uno dei protagonisti di talento della nuova narrativa thrilling italiana». Elaborazione di risvolti editoriali de/ 1970, 1973, 1 977, 1 985, 1 992

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Inz'sero Cremaschi lnìsero Cremaschi, nato a Fontanellato (Parma) , vive a Mila­ no. Disc-jockey, copywriter pubblicitario, redattore editoriale, sceneggiatore televisivo, attore (nello sceneggiato Rai Androme­ da) , redattore del settimanale tv «Tuttilibri», ha curato cinque antologie di racconti fantastici italiani, fra cui Universo e dintor­ ni. Tra i suoi romanzi (romanzi d'indagine sulla società neocapi­ talista lombarda), Pagato per tacere, A scopo di lucro, Festa finita, Il mite ribelle, Giocattoli. È autore di cinque thriller, Cuoio nero, Le mangiatrici di ice-cream, Il proiettile all'orecchio, Paesaggio ur­ bano, Le rose assassine. Cuoio nero (Rizzoli, 1 970). «Il grande palcoscenico della tra­ gicommedia gialla di Cremaschi è Milano. Gli attori sono del ti­ po definiti " generici" o "guitti " : piccoli attori, insomma, o me­ diocri e gigioni. Per Angelo, Stefano, Bianca, Ernesto, ecc., sfuggire al ruolo di " comparse" è quasi impossibile. Per tentare di riuscirei arrivano a patteggiare col diavolo: la moneta di scam­ bio è, naturalmente, il denaro. Per sopravvivere nella Milano dei night, degli atelier, delle oreficerie, che hanno scelto per spec­ chio (o fata Morgana) , di denaro occorrerebbe averne come i banchieri. Questo bisogno trasforma la tentazione in vizio. C'è poi chi questo vizio lo sfrutta e l'organizza. La commedia regge, finché entrano in scena i morti, i protagonisti. Nel dialogo coi morti, Camillo, agente della Squadra Mobile, dimostra, alla fine, di avere doti da primattore. La sua indagine socio-poliziesca è esatta e implacabile; attraverso la sua ricostruzione (che è insie­ me romanzo e quadro ambientale) i personaggi marginali o mi­ nori di questa Milano dalla emme maiuscola risultano esempla­ ri. Altrettanto esemplari sono le capacità narrative dell'autore Cremaschi che regola il fiuto e la passione morale del poliziotto Camillo». Le mangia triei di ice-cream (Fabbri, 1973 ) . «"In una zona di prati e boscaglie di Long Island, vicino a White Port, avevano visto per prime il corpo di un uomo: uno sconosciuto disteso 57

per terra, morto e freddo, con le dita aggrampite al manico di una valigetta. Lo sconosciuto aveva un foro nella testa, dietro l'orecchio. Mary Lil, la teenager di colore, aveva già dimenticato tutto" . L'agente milanese Camillo Sandri, in USA al seguito di un ispettore dell'Interpol, gioca la propria intelligenza contro quel­ la (cervelli elettronici compresi) della polizia di New York. Vin­ ce la partita, sbrogliando l'intricata matassa di una storia che si apre con il ritrovamento del cadavere di un avvocato del New Jersey su una tomba (non sua) di un cimitero del Bronx e il ripe­ scaggio di una ragazza (strangolata) dalle acque dell'East River. Le ragazze, in questo romanzo (un estroso thriller che strizza l'occhio a Miller e Kerouac) sciamano dappertutto : Sandri è in­ fatti volta a volta spronato e sviato dalle corse, bugie, reticenze e dolcezze di un gruppo di americanine dai 13 ai 17 anni, smanio­ se e squinternate: le teenager dell' Angelicals Group (di cui Cre­ maschi descrive sapientemente caratteri e tic) occupate non si sa bene se a consumare flirt e gelati o come agenti in un losco traf­ fico d'armi». Le rose assassine (Camunia, 1992). «Romanzo di misteri so­ ciali e di meraviglie ambientali, con protagonista un giovane fo­ toreporter (appassionato fotografo di alberi centenari) che cre­ de di ritrovare l'eden perduto a Milano (per colpa della specula­ zione edilizia e dei disordini immigratori) in una grande villa sul lago di Como. Curioso ma disorientato, lvan Desideri resterà prigioniero della sua illusione, dopo aver attraversato un labirin­ to avventuroso dove incontra personaggi fantomatici e inquie­ tanti: un tedesco alla ricerca di un tesoro di guerra, un mafioso braccato dai suoi ex compari e tre donne che incarnano la no­ stalgia, la fantasia e la follia. Le rose assassine è un romanzo mol­ to moderno: "italiano" nel senso che esprime il disincanto della provincia lombarda. lnìsero Cremaschi, il suo autore, documen­ ta che la narrativa italiana è estrosamente in crescita: ha impara­ to a combinare, con spericolata libertà, fantasia e memoria, sen­ so del romanzesco e attenzione per il costume sociale». Risvolti editoriali

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Roda) Dentice) Pelli Roda Enrico Roda, nato a Voghera nel 1918, vive a Roma. Giorna­ lista, è stato corrispondente da Parigi del settimanale «Oggi» e per anni ha curato per il settimanale «Tempo» una rubrica di in­ terviste. Scrive per la televisione e la radio ed è al debutto nella narrativa. Delitto di ferragosto (Rizzoli, 1968) si svolge negli ambienti dei «divini mondani», nevrotici e disperati, che Roda giornalista ha conosciuto e ritratto con acribia: lo scrittore romano analizza molto bene, con intelligenza psicologica (alla Simenon, alla Greene) la vita di questi dannati di lusso braccati dall'odio «dei poveri, dei miti e dei falliti senza speranza». Ecco la trama del romanzo. A ferragosto le cliniche di lusso chiudono i battenti. Nel ferragosto del romanzo di Roda, tuttavia, la clinica Stella Al­ pina di Cortina di Ampezzo ospita una cliente ricoverata in se­ guito a un tentativo di suicidio. Il giornalista Raimondi vuole trovare un perché a questo tentato suicidio. Più che essere spin­ to dall'attitudine professionale, Raimondi è sollecitato all'inda­ gine da una curiosità tutta privata: ombroso, cocciuto, egli non può rassegnarsi all'idea che qualcuno (in rapporto con l'aspiran­ te suicida) abbia tentato di farsi beffe di lui. Dalla curiosità al so­ spetto il passo è breve. Più difficile sarà, per Raimondi, passare dalla rabbia alla pietà: ciononostante, l'esemplare giornalista escluderà dalla sua indagine ogni forma di vendetta. Scoprirà, infatti, che il delitto di cui affronta il mistero ha (come spesso accade) la sua origine (e spiegazione) in una allucinante malat­ tia. Dentice Il romanzo (con indagine poliziesca) Macchie di belletto (Riz­ zoli, 1968) di Ludovico Dentice è ambientato a Roma. Roma, brulicante, caotica, barocca, abitata da divi del cinema, sbiadite figure del sottobosco economico e politico, paparazzi, giovanot59

ti debosciati e agenti di polizia. Questi ultimi indagano su alcuni delitti in cui si trova implicato un funzionario dell'Ufficio Stra­ nieri della Questura: tipo con grinta, spiccio, apparentemente di pochi scrupoli. Questo funzionario è il protagonista del roman­ zo: sospetto ricattatore, si rivela, alla fine, accusatore implacabi­ le di una società corrotta. La corruzione si chiama soprattutto lussuria: dovunque il nostro eroe si muova ci sono macchie di belletto. Queste macchie di belletto sono le tracce che l'improv­ visato investigatore segue per giungere alla soluzione dell'intri­ cato, luttuoso dramma che lo coinvolge. Ludovico Dentice (fratello del giornalista Fabrizio) a Roma, dove vive, è nato nel 1925 ; ecco perché ce la presenta con visiva perentorietà nella sua toponomastica segreta e nei comporta­ menti trasgressivi dei suoi borghesi rifatti. Dentice, laureato in legge, ex bancario, ex pubblicitario, ex direttore di un centro di addestramento, è ora giornalista sportivo, esperto di caccia e pe­ sca: ma coltiva anche le ricerche di sociologia; sicché in Macchie di belletto mostra anche inconsueta finezza sociologica. Pelli Gogo Pelli, nato a Bonassola (in Liguria) nel 1912, ufficiale di Marina, comandante di motosiluranti, debutta come romanziere mettendo a profitto la sua esperienza sui mari e sulle navi, pro­ ponendo un thriller conradiano di intriganti e luttuose inquietu­ dini. La morte (le morti) registrate in questo Morte psichedelica (Rizzoli, 1972) portano a seguire varie tracce: innanzitutto quel­ la dello spionaggio militare, poi quella di un traffico di stupefa­ centi, infine quella della marcescente borghesia balneare. Scena­ rio delle vicende sono il mare e le coste marine; protagonisti, marinai che guidano motovedette, sommergibili e incrociatori nel Tirreno, fra l'Isola di Caprera, la Sardegna e la Maddalena. La morte esplode sul mare e lungo le coste mentre sta per avere inizio una regata internazionale. Le storie di mare sono inconsuete nella letteratura italiana: Pelli descrive ambiente e personaggi con straordinaria precisio60

ne. Ma il romanzo, oltre questa immediata suggestione derivan­ te dalle sue vicende di marineria, cresce, coi suoi ambigui mi­ steri, coi suoi luttuosi spettri, come un racconto gotico, alluci­ nante e un po' stregonesco. Avrebbe potuto intitolarsi «D come diavolo»: non solo perché vi si muovono donne tentatrici e peri­ colose, ma soprattutto perché il suo tema, alla fine, risulta essere quello della corruzione. Risvolti editoriali

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Giuseppe Pederiali Giuseppe Pederiali, nato a Finale Emilia (Modena) nel 193 7, ex marinaio, ex giornalista, ex operatore editoriale, è uno dei ro­ manzieri italiani degli anni Ottanta-Novanta che hanno realizza­ to l' en plein di interessare i lettori e i critici: autore di libri per ragazzi di grande successo, ha firmato una serie di romanzi (di fantastoria, di storia, di costume e di indagine psicologica o so­ ciologica; si possono citare Il tesoro del bigatto, La compagnia della Selva Bella, Il ragno d'oro, Donna di spade, Marinai, Stella di Piazza Giudia, Emiliana) dove la suspense modella - assieme ad altre tecniche - avvincenti narrazioni con ambienti, eventi e caratteri esemplari. Tre dei suoi romanzi, il romanzo fantasy Le città del diluvio e i due polizieschi Povero assassino e Una magnifica bara sono im­ peccabili thriller. Nel 1978 presentai l'edizione rusconiana di Le città del diluvio con questa didascalia descrittiva: «Questo è il primo romanzo italiano di " fantasia eroica" , genere narrativo di enorme successo nei paesi anglosassoni, nato dal filone dei ro­ manzi di Tolkien. Gli avvenimenti di Le città del diluvio hanno per sfondo una Padania medioevale, punto d'incontro tra civiltà nordiche e civiltà mediterranea, abitata da draghi, streghe, cava­ lieri e gnomi. Le città del diluvio sono sette castelli circondati da sette villaggi, a loro volta circondati da paludi e foreste: luoghi selvaggi dell'ultimo paradiso (o dell'ultimo inferno) di un'età barbarica. Eroe di questa saga di tornei e incantesimi è Vitige, in tre diverse personificazioni che lo vedono protagonista, in un vortice di colpi di scena, di vicende mitiche, di vicende antiche e di vicende contemporanee». Il testo del risvolto di copertina con cui presentai Povero as­ sassino (Fabbri, 1973 ) era questo: «"Se non fosse per la pelliccia di visone che indossa, Carla sembrerebbe indaffarata a pulire il forno della cucina a gas. Con la testa dentro. Inginocchiata. Ai suoi piedi, appoggiato su un fianco, con le zampe rigide, il mio cane. Chiudo il rubinetto del gas, senza fretta. So che mia mo62

glie è morta ... " . Un marito fotografa la morte della moglie con appena un accento di pietà. Era un uomo solo anche da sposato. La Milano del romanzo di Pederiali è piena di uomini e donne che non capiscono o non possiedono più l'amore: il delitto, qui, nasce dalla nevrosi di una vita senza incertezze e senza coraggio. La violenza sembra prodotta da un rigurgito di cattivi sentimen­ ti. Povere vittime, poveri assassini. La città si nasconde dietro la maschera del cemento e in un mondo di ombre l'omicida mostra un volto quasi umano. Per capire sia le vittime che i colpevoli, per ricostruirne narrativamente le peripezie con pietas, ci vuole intelligenza psicologica e rigore stilistico: Pederiali li possiede entrambi». Così riassumevo, infine, la trama di Una magnifica bara (Cam­ pioni, 1 974): «Una fotomodella superlusso, un milionario av­ venturoso, marsigliesi e mafiosi che si scontrano in conflitti ar­ mati, le lance delle guardie di finanza che danno la caccia a pan­ fili e pescherecchi con a bordo sospetti contrabbandieri, il mare inquinato a macchia d'olio e un paio di cadaveri. La vicenda mozzafiato esplode sullo sfondo del Tirreno tra l'Isola di Gian­ nutri e La Spezia». Innanzitutto, i romanzi di Pederiali hanno sorprendenti tra­ me. Ma non basta una ricca trama per fare un buon thriller: ci vuole sapienza di montaggio degli accadimenti, vivacità di dialo­ go, caratterizzazione comportamentale dei personaggi ed evi­ denza visiva degli scenari della storia; Pederiali giostra tutte queste virtù narrative con fluido istinto e indubbia scaltrezza espressiva. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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Paolella, Vaime, Ferrante, Caputo, Gadda, Santi, Grillandi l.

Le ossa di zucchero di Domenico Paolella (Fabbri, 1973 ). «"Con le forbici in mano tornai presso la morta. E feci la secon­ da scoperta. Impossibile che non mi fossi accorto del quarto morto prima. Erano all'improwiso quattro, non più tre ... " Sici­ lia, la terra trema. Una delle gambe di Trinacria ha il ballo di San Vito. Ai crolli provocati dal terremoto fanno eco i colpi di col­ tello, di lupara e tritolo. Percorre l'isola, col suo sidecar, che di­ venterà veicolo anche di morte, un piccolo commerciante (ex spazzino, ex ombrellaro, ex custode di canile, ex impagliatore di sedie), che esercita il mestiere un po' macabro di capellante, di raccoglitore, cioè, di capelli. Frequentando, per commercio, i cadaveri, il nostro protagonista si trova ad essere confidente del­ la polizia e intermediario in un giro di intrallazzi amorosi e lut­ tuosi (una vera giostra ! ). Non trascura gli inviti alle feste mor­ tuarie di consolo, dove capita di consumare marsala e dolcetti. Mangiare dolci si accompagna in Sicilia al rito della morte: tipi­ ci del 2 novembre sono le ossa di zucchero. Domenico Paolella, origine pugliese, studi fino all'università a Napoli, profondo co­ noscitore del Sud e della Sicilia in particolare, regista cinemato­ grafico, ha pubblicato i romanzi Le notti del cinema e Le italiane furiose, la raccolta di testi teatrali Le ragazze di via Lenin e il do­ cumentario storico E poi scoppiò la guerra (che ricostruisce ora per ora, minuto per minuto, gli awenimenti del 3 1 agosto 1939). Il suo Le ossa di zucchero è (dopo i romanzi di Sciascia Il giorno della civetta del 1 961 e A ciascuno il suo del 1966) la più vivace rappresentazione thrilling della mafiosità siciliana letta da me in questi anni». 2. Novanta di gradimento di Enrico Vaime (Fabbri, 1973 ). «"Dalla sala di lettura arrivava la voce impostata d'uno speaker 64

della radio. 'Un morto e quattordici feriti, questo il tragico bi­ lancio .. . ' E continuava, parlandosi addosso. Saverio veniva defi­ nito 'noto attore', la sua morte 'incidente nel quale aveva perso la vita'. La situazione era 'peraltro ritornata calma'. Sui fatti era stata 'aperta un'inchiesta'. Si 'trovavano in stato di fermo alcuni estremisti per accertare .. . ' " Il delitto si maschera: in questi due romanzi brevi (Novanta di gradimento e Lo sciopero degli attori) , vittime e colpevoli sono attori di teatro e di televisione. L'am­ biente dello spettacolo è ricco di mistero e suspense, popolato com'è di falsi geni, di istrioni velleitari, di simpatiche canaglie: Vaime, giallista satirico, morde questa realtà grottesca con per­ versa intelligenza. Nel primo romanzo si raccontano, col taglio insinuante e subdolo del pettegolezzo (fonte, come si sa, di cro­ naca nera), le vicende giudiziarie di un divo della tv che ormai in panne incappa nel morto e finisce al fresco. Nel secondo, un au­ tore di teatro, al seguito di una compagnia di giro, cerca di rico­ struire, di spiegare (e di rendere anche spettacolare), un omici­ dio che, stante l'autunno caldo politico, ha molti indiziati e for­ se molti colpevoli. Enrico Vaime è nato a Perugia nel 1 936. Ha fatto di tutto: lo sceneggiatore cinematografico, l' entreneur ra­ diofonico, il collezionista di quadri na"ifs, il consigliere comuna­ le di minoranza. Autore di radiodrammi, programmi di rivista, musical, commedie e cabaret. Come autore di thriller ha esordi­ to con Tre volte buono ( 1969)». 3. Alibi veneziano di Luigi Ferrante (Fabbri, 1993 ) . «"Vado nel retro dove c'è l'entrata delle macchine. La saracinesca è mezza sollevata. Dentro buio pesto. Accendo il martin-gas e vedo una faccia con la bocca spalancata. Questo è morto, dico . . . mentre allungo un dito per toccare l'uomo, una scarica elettrica mi sca­ raventa sul cofano di un camion. Hanno attaccato quel corpo a un cavo dell'alta tensione" . Il detective privato italoamericano Canelli, ex marine in Vietnam, inizia la sua rimpatriata in Euro­ pa incappando in un cadavere. Sta viaggiando verso Venezia, per compiere un pellegrinaggio nella terra del padre. E a Vene65

zia, foresta pietrificata in cui si smarrisce, Canelli non riesce a trovare le proprie radici di paternità, amicizia, amore: non rie­ sce, come Amleto, ad esorcizzare lo spettro dei ricordi. Una fol­ la di amici americani, tutti legati al suo datore di lavoro, lo coin­ volge in una sarabanda di trappole mortali innescate da traffici di droga e contrabbando d'opere d'arte. In proscenio gli vengo­ no incontro belle donne e ricchezza, ma dal fondo della scena emergono continuamente l'ossessione e l'orrore per il Vietnam e la memoria dell'astrale deserto newyorkese. Canelli si incaponi­ sce a risolvere il mistero della serie di delitti in cui è coinvolto, proprio nel tentativo di liberarsi dalle ossessioni e dagli orrori che nutrono la sua nostalgia per l'innocenza perduta, per una patria (Venezia, Italia) da ritrovare. Luigi Ferrante è nato a Ve­ nezia il 4 luglio 1923 . Laurea in filosofia. Critico d'arte dal 1 945 al 196 1 . Dal 1 962 si occupa soprattutto di storia del teatro (è di­ rettore della Scuola d'Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano) . E teatrale (commedia drammatica i cui eroi escono dal buio e rientrano nel buio come attraverso le quinte di un palco­ scenico) è questo suo primo thriller». 4. Fuga dell'attentatore di Sandro Caputo (Fabbri, 1973 ) . «" . il comizio il colpo di pistola il grido dell'uomo che crolla a testa in giù ... " Un attentato politico, l'ultimo di una serie di atti terrori­ stici compiuti da Ramiro, killer di professione, dà avvio a questo thriller sulla violenza politica che sfrutta la lezione di Buio a mezzogiorno di Koestler. Adesso l'attentatore Ramiro sembra destinato a diventare a sua volta vittima. Si sente braccato, pro­ tagonista di una fuga nel buio. Chi sono i suoi inseguitori? Di­ venteranno i suoi giustizieri? Ramiro, disadattato senza famiglia, senza fede politica, senza passione ideologica, nella tragica cac­ cia all'uomo a cui partecipa non capisce più se vive il ruolo di cacciatore o quello di lepre. Chi guida la fuga di Ramiro e verso dove? Chi fa di lui uno strumento di terrore, chi coltiva la sua paura? Sandro Caputo, nato a Cosenza nel 1907 , giornalista professionista, è stato inviato speciale nei paesi dell'Est Euro. .

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peo; ed è un paese comunista che fa da sfondo alla sbandata av­ ventura del suo Ramiro». 5. Il complice del suicidio di Gaetano Gadda (Fabbri, 1973 ) «"A telefonare era una donna. Con voce agitata avvertiva che, nello stabile dove faceva la portinaia, stava succedendo qualcosa di grave: dalla porta di un'abitazione, fuoriusciva odore di gas. Non solo; accanto al campanello c'era un biglietto con la scritta: 'Si prega di non suonare. Pericolo"' . La trama è quella di un de­ litto perfetto. L'omicidio, con una sua inevitabile filiazione di al­ tri crimini, viene effettuato a Milano in un ambiente in cui la de­ linquenza porta bene la maschera della rispettabilità borghese. I protagonisti di questa storia grottesca e impietosa dispongono di un'intelligenza inventiva ed efferata. Il romanzo di Gaetano Gadda, campionario di moralità sconcertante e di immoralità programmata, si presenta come una piccola commedia umana della malavita. Gaetano Gadda, nato nel 1928, risiede a Milano dove da venti anni si occupa di cronaca nera. Con Il complice del suicidio, thriller noir alla Scerbanenco, ha vinto il Gran Giallo Cattolica 1 973 per inediti». .

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Zelmaide di Giorgio Santi (Fabbri, 1973 ) «"Tutta la gente di Castello, nella Piazza dei Polli, si accalca contro le transenne, os­ servando curiosa il furgone di Galera, chiedendo notizie ai poli­ ziotti... e commentando con disperazione il furto. C'è chi, lu­ nedì, non ritirerà la paga e chi pensa che l'economia castellana sia irrimediabilmente compromessa. Si parla di un furto di un miliardo . . . I banditi sono fuggiti a piedi, abbandonando il furgo­ ne con dentro il povero Mezzanotte, tramortito col calcio della pistola. Ma l'intervento della polizia e la sparatoria non hanno impedito che la cassaforte della Banca restasse vuota scanna­ ta . . . " Una cittadina romagnola addormentata, tra vigne e campi di grano, al sole d'agosto. Il sangue bolle: esplodono tentazioni e spari. Dalla Banca dei Pegni di Castello s'involano parecchi mi.

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lioni in contanti. La Piazza dei Polli diventa teatro di corse e fu­ ghe di ladri e di macchine, di poliziotti e venditori ambulanti. Un vero caos, una sarabanda di avvenimenti imprevedibili, un dramma farsesco dove i colpi di scena scoppiano come fuochi d'artificio. Giorgio Santi (nato nel 1938, commercialista, speleo­ logo e cineamatore dilettante) ha scritto un giallo esilarante e pi­ rotecnico, proponendoci un godibilissimo quadro della follia da benessere della provincia italiana». 7. Un paradiso per morire di Massimo Grillandi (Fabbri, 1974). «"Lo spettacolo che si presentò era orribile. Il Tunisino giaceva sul letto riverso, in una pozza di sangue . . . É derle si fece largo ed esaminò il cadavere, senza toccarlo. La gola di Abdul el Ghaza appariva nettamente tagliata. Un solo terribile squarcio andava da un orecchio all'altro e al centro biancheggiava la trachea. E, particolare sintomatico, come nel caso recente, anzi recentissi­ mo, del conte Corsetti, le guance della vittima erano incise dal­ l'artiglio " . Trafficanti di droga, manutengoli, complici, vittime del vizio si scontrano con le forze di polizia. Conduce le indagi­ ni il commissario di origine veneta É derle, personaggio aggressi­ vo ed ironico, con l'hobby della cucina e degli studi storici. Sfondo delle vicende, la Roma solare degli itinerari turistici e la Roma catacombale della dolce vita notturna. Avventurieri e agenti dell'ordine, principi spiantati e arricchiti col conto in banca, lenoni e contesse in crisi, malati e disadattati, gente nor­ male e anormali, personaggi in carne ed ossa e fantasmi, in que­ sto romanzo, ricco di colpi di scena (un abile feuilleton-thriller scritto da un forlivese classe 1924 che vive nella Capitale da an­ ni) , partecipano ad un grottesco carnevale dell'orrore». Risvolti editoriali

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Vieri Razzini l.

Vieri Razzini è nato a Firenze nel 1 940, si è laureato a Milano, vive e lavora a Roma. Ha fatto varie traduzioni dall'inglese e ha collaborato alla rivista «Tempo Presente». Poi è diventato pro­ grammista tv per la Rai, con il compito della programmazione di film. Con Terapia mortale (Fabbri, 1973 ) debutta come romanziere. «" Mark. .. restò immobile qualche secondo: si sentiva precipitare, sprofondare nel vuoto, e le mani paralizzate non cercavano appi­ glio. Ma a un nuovo urlo della donna si lanciò di corsa verso di lei, la raggiunse e la strinse a sé in un abbraccio disperato e furioso, per ripararla e insieme strapparla alla violenza dello sconosciuto. Trop­ po tardi egli si accorse che stava stringendo un freddo oggetto ina­ nimato: il suo corpo si abbatté pesantemente a terra, riverso sull'i­ dolo le cui punte gli penetrarono nel petto come coltelli" . Eventi che sembrano prendere forma dall'inconscio, la realtà come proie­ zione mentale, la vita come evocazione di fantasmi di morte: il de­ litto come distorsione maligna, come incubo, come enigma magi­ co. I personaggi di questo insolito thriller di Vieri Razzini, studiosi o sperimentatori di metapsichica e parapsicologia, si trovano coin­ volti (colpevoli e vittime) in una vicenda più complicata di una scia­ rada. Siamo nel mondo solo apparentemente folkloristico di un gruppo di sradicati anglosassoni che vivono a Roma, in cerca di una terapia (alla propria angoscia e noia) che risulterà mortale. Ric­ chi borghesi e belle donne: eccentrici e nevrotici, spaesati e infelici. Razzini costruisce questa storia di violenze e di allucinazioni, che prende avvio dalla morte di un miliardario, alternando sapiente­ mente elementi drammatici ad elementi di commedia». Risvolto editoriale

2. Nel 1 973 pubblicai, nella collana «5ottoaccusa» che dirigevo per la Fabbri, l'elegante e intrigante thriller parapsicologico Te69

rapia mortale dell'allora trentatreenne Vieri Razzini. Razzini si ripresenta oggi al pubblico dei lettori con un intelligente e sofi­ sticato thriller cinèphile, intitolato Giro di voci (Feltrinelli) . La protagonista del romanzo, Caterina Carani, è una doppia­ trice, figlia di un'attrice girovaga che ha dato voce italiana a mol­ te dive fatali. Le vicende si svolgono (nello spazio di tre giorni) principalmente in uno studio cinematografico di edizione e sin­ cronizzazione. Caterina è coinvolta in due diversi (ma sincronizzati) enigmi: quello raccontato dal film Melody di cui Vieri Razzini ha inven­ tato la sceneggiatura e quello della giovane donna (divisa dal marito da un anno) minacciata da messaggi telefonici incentrati, in progressione incalzante, prima su piccole sequenze (anelli) dei nastri di doppiaggio, poi su grida, lamenti, gemiti soffocati e respiri impazziti. Il thriller di Razzini impiega abilmente gli ambienti e il lin­ guaggio della comunicazione elettronica. La Domenica del Corriere, 15.3. 1986

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Felisatti & Pittorru l.

Massimo Felisatti & Fabio Pittorru (Premio Gran Giallo del­ la Città di Cattolica 1 974 con Violenza a Roma) ci propongono un'avventura poliziesca con i popolari personaggi della serie te­ levisiva Qui squadra mobile. Fa da sfondo alla vicenda di un traf­ fico d'armi una Roma topograficamente ben connotata. Non vengono trascurati i riferimenti alla conflittualità politica. Il ne­ ro quadro di costume del romanzo La Madama (Garzanti) impa­ sta storie di mafia, droga, bische, speculazione edilizia, spionag­ gio telefonico, violenza carceraria, rapine e funerea mondanità di star e play-boy. Tempo, 1 1 . 10.1974

2. Dopo Violenza a Roma (Garzanti, 1973 ), La Madama, La mor­ te con le ali bianche (Garzanti, 1977) e Qui Squadra Mobile (Gar­ zanti, 1978, volume che raccoglie i romanzi già pubblicati assie­ me all'inedito La pista degli intoccabili) , Felisatti & Pittorru, fer­ raresi, emigrati a Roma e poi rientrati a Ferrara, sceneggiatori ci­ nematografici e televisivi, hanno interrotto il loro sodalizio di co-narratori per dedicarsi ciascuno ad opere di narrativa storica: Pittorru ha pubblicato, tra l'altro, una biografia di Isabella d'E­ ste e una storia di Ferrara; Felisatti ha firmato una biografia di Torquato Tasso. Non hanno, tuttavia, dimenticato l'attrazione per il thriller: nell'83 Pittorru ha pubblicato a puntate (su «Fa­ miglia Cristiana») Lo strano caso del parrucchiere assassinato e nel 1992 La pista delle volpi (Interno Giallo) ; e Felisatti nel 1992 ha pubblicato, nell'antologia Misteri (Camunia), il racconto I.;ambasciatore porta pena dove decifra un enigma dell'Anno Domini 1508 ; entrambi i narratori documentando che la tecnica thrilling è efficace (come ritiene anche Carlo Ginzburg) nell'in­ dagare la storia. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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Antonio Perria l.

La schiera dei giallisti italiani è ormai folta. Dopo Scerbanen­ co, dopo Inìsero Cremaschi, Vincenzo Mantovani, Giuseppe Pederiali, Fruttero & Lucentini e Domenico Paolella, arriva An­ tonio Perria, il quale ha proposto ai lettori, tra giugno e settem­ bre, addirittura due romanzi, entrambi ambientati a Milano, en­ trambi destinati a mettere in luce lo scontro tra l'ambiguo per­ benismo della borghesia ricca e la vitale (anche se squallida) ag­ gressività di un sottoproletariato che presenta il conto alla so­ cietà del benessere. Il romanzo giallo italiano ha decisamente preso il posto del romanzo sociale (neorealista) del secondo do­ poguerra. Le due storie milanesi, Incidente sul lavoro) Delitto a mano libera (entrambe edite da Longanesi) , dipanate sapiente­ mente da Perria, partono una dall'omicidio di un omosessuale, l'altra dall'omicidio di una erotista. Tempo, 20.9. 1974

2. Terzo romanzo giallo di Antonio Perria: Giustizia per scom­ messa (Longanesi). Scenario: Milano. Protagonista, il commissa­ rio Saro Madonna, azzeccatissimo poliziotto caratterizzato da una encomiabile mancanza di fanatismo. Il romanzo decifra il caso di due omicidi provocati da rapporti di connivenza tra le­ nocini, sequestri e fanatismi fascisti. Tempo, 5.9. 1975

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Macchiavelli, Guccini & Macchiavelli l.

Tre nuovi personaggi per il giovane giallo italiano: Antonio Sarti, sergente della questura, Gianni Deoni detto «lucciola» giornalista amico suo, Rosas extraparlamentare di sinistra che non si fida della polizia ma si fida di Sarti. Tutti e tre contestato­ ri per scelta altrui: emarginati dalla società neoborghese e ben­ pensante che pretende di averli al suo servizio. Teatro delle vi­ cende, Bologna. Loriano Macchiavelli l'ha scelta come luogo di rappresentazione di una commedia umana gergale, protestataria e satirica, arrivata, dopo Le piste dell'attentato (Campironi, 1974 ), con Fiori alla memoria (Garzanti, Gran Giallo Cattolica per inediti 1 974), al secondo atto. Tempo, 18.4. 1975

2. Nei tredici (se li ho contati bene) romanzi della serie Sarti Antonio, Loriano Macchiavelli ha interpretato tragedie quoti­ diane di Bologna (e anche proiezioni in provincia) con allertata curiosità e provocatoria ironia gauchiste che produce vere e proprie gag. I fenomeni urbani d'emarginazione e la corruzione economica e politica sono rappresentati da Macchiavelli con una strizzatina d'occhio alla dissacrazione anarcoide degli hip­ pies emiliani. D'ambiente emiliano (provinciale, appenninico) sono anche i due thriller scritti da Macchiavelli a quattro mani con Francesco Guccini (che sappiamo essere in proprio cantautore, poeta e narratore eccellente) . Le vicende di Macaront' (Mondadori, 1997), si svolgono, con antefatti nel 1884, nel 1885, nel 1 887 , nel 1893 e nel 1 896, nei mesi inquieti che, tra il 1 93 8 e il 1940, pre­ cedono la seconda guerra mondiale, in un paesino assediato dal­ la neve, tra confessioni a un povero prevosto, lutti, chiacchiere ansiose all'osteria e le incalzanti ricerche di un maresciallo pieno di bonomia ma tenace. Il thriller venne presentato come «ro73

manzo di santi e delinquenti», ma credo possa essere definito più propriamente (secondo i pensieri del maresciallo) «storia di miseria e di dolore» (degli emigranti in miniera e dei loro eredi), perché sono la miseria e il dolore a provocare i delitti. Macaronl delinea bene l'epopea e le atmosfere ambientali, ma persegue questo risultato con ancora maggiore intensità e preci­ sione Un disco dei Platters (Mondadori, 1998) , con antefatto nei tragici anni Quaranta e tragedia delittuosa nel 1960, sempre nel­ lo stesso paese e sempre con protagonisti risolutivi il maresciallo Santovito e Bleble: il paese è uscito dalla miseria, ha conquistato il suo benessere consumista, ma il confine tra colpa e reticenza si è fatto, nei comportamenti e nelle coscienze, ancora più labile; anche nella piccola comunità contadina dell'Appennino (di cui Guccini e Macchiavelli descrivono turbati la corruzione dell'ha­ bitat) la Storia ha portato (assieme alle «magnifiche sorti pro­ gressive») lo smarrimento sociale e morale. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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Giuseppe Fava e la mafia Gente di rispetto film di Luigi Zampa e Gente di rispetto ro­ manzo di Giuseppe Fava (Bompiani) sono stati immessi sul mer­ cato italiano contemporaneamente. È un episodio raro all'inter­ no della strategia dell'industria della comunicazione italiana. Se ne deve desumere che produttore cinematografico ed editore sono convinti che romanzo e film abbiano, in rapporto a un pos­ sibile successo di mercato, una certa reciproca forza di trazione. Non ho visto il film e non voglio ipotecare le mie capacità profe­ tiche circa il successo popolare del romanzo: mi limito a traccia­ re un rapido identikit del libro. Parto dal titolo. La denominazione «gente di rispetto» desi­ gna in Sicilia i rappresentanti della borghesia agraria e contem­ poraneamente i capi mafia che di quella borghesia sono il brac­ cio secolare. Stando al titolo, si poteva, quindi, pensare che il ro­ manzo di Giuseppe Fava (giornalista e autore teatrale di buona notorietà) fosse la radiografia di una situazione di connivenza (e reciproca fruizione di potere) tra borghesia agraria e mafia. Ma così non è. La protagonista del libro, Elena Vizzini, è una giovane mae­ stra, comandata a Montenero Valdemone. A Montenero Valde­ mone, Elena trova gratuita ospitalità in una casetta di proprietà dell'avvocato Bellocampo e si innamora di un collega, il maestro Belcore. E subito si trova al centro di una serie di tentativi di violenza, i cui autori vengono giustiziati. La maestra Vizzini, rifiutando il ruolo di «esca» di una serie di immotivati delitti, diventa protagonista di una battaglia con­ tro l'omertà che si trasforma in una rivolta popolare. La rivolta popolare viene, però, usata per varare un progetto di specula­ zione edilizia. Al di là della trama, gli avvenimenti sottolineati dal romanzo sono i convegni d'amore di Elena e il ruolo ambi­ guo dell'avvocato Bellocampo. Ma le scene erotiche (piuttosto esibite) sono di maniera e l'attività di Bellocampo non viene de­ cifrata: sicché «sesso» e «mafia» risultano, nel romanzo, elemen75

ti descritti superficialmente. Quanto ai conflitti economico-poli­ tici vengono immersi in un magma romanzesco senza sostanza sociologica. Resta, come materia del libro, la sequenza dei delit­ ti: purtroppo il romanzo risulta carente anche dal punto di vista del genere thrilling, perché trascura sia l'aspetto inchiesta, sia l'aspetto motivazione dei delitti, sia l'identificazione del man­ dante (che si può solo presumere essere Bellocampo). Il romanzo è, in definitiva, un romanzo di genere misto, in cui suspense, grand-guignol, psicologismo e denuncia sociale si me­ scolano disordinatamente. Il suo linguaggio è, inevitabilmente, di riporto; disomogeneo, feuilletonistico, come la materia che dovrebbe (senza riuscirei) modellare. Il Tempo, 2 1 . 1 1 . 1 975

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Macchiavelli e Levi Il 1976 sarà sicuramente ricordato, tra gli estimatori della let­ teratura poliziesca, come l'anno del definitivo decollo del «gial­ lo all'italiana». Tra giugno e luglio Longanesi pubblicherà Quz� commissariato di zona di Secondo Signoroni (Premio Gran Gial­ lo Cattolica); Il Formichiere lancerà La donna del boss di Peter Trotta (cineasta italo-svizzero) ; Rizzoli distribuirà Dov'è Anna? di Proietti & Crispo (ricavato dall'omonimo sceneggiata televi­ sivo) e La mazzetta di Attilio Veraldi; Mondadori proporrà in autunno un grosso romanzo del giovanissimo Enzo Russo (auto­ re, finora, di gialli per ragazzi) con il quale l'editore conta di bis­ sare il successo di La donna della domenica di Fruttero & Lu­ centini; e sempre di Russo la casa editrice SEI di Torino sta per pubblicare una storia di spionaggio. Di Lo riano Macchiavelli (vincitore del Gran Giallo Città di Cattolica per inediti 1975 ), Garzanti ha pubblicato recentemen­ te Ombre sotto i portici, terzo romanzo ambientato a Bologna con protagonista il sergente Antonio Sarti e lo studente conte­ statore Rosas . La contestazione politica, la conflittualità sociale, i fenomeni urbani di emarginazione sono i temi centrali dei ro­ manzi polizieschi di Macchiavelli, basati su meccanismi d'in­ treccio un po' prevedibili, ma di motivata ambientazione e ric­ chi di espressività gergale e comica. Un buon intreccio (un buon «plot») è, invece, quello che ca­ ratterizza i romanzi gialli di Paolo Levi, sperimentato dramma­ turgo di cui Rizzoli, che gli ha pubblicato lo scorso anno, con profitto, Ritratto di provincia in rosso, manda in libreria in que­ sti giorni Delitto in piazza. La piazza a cui allude il titolo è una piazzetta romana su cui incombe un palazzo aristocratico e che è servita da una piccola libreria, da un piccolo bar, da un nego­ zio di fiorista e, al centro, da una fontana sulla quale sbriciolano pane piccioni e hippies. Da un appartamento di un palazzo che si affaccia su questa piazza scompare un'anziana zitella, Ada Menchelli: il coinquilino Mario, dipendente di pigra carriera del 77

Ministero degli Interni, si mette sulle sue tracce, spalleggiato dalla moglie Patrizia, una bella ragazza (provocatoria e ironica) che sembra uscita da un fumetto di Crepax. Tra i principali per­ sonaggi che Mario incontra nel corso della sua inchiesta citere­ mo una contessa, che ha fatto la starlet in un film (dice di sé: «Oggi la nobiltà autentica è una rogna che si cerca di grattare senza dar nell'occhio») e un attore, che («snello, naso greco, gamma di voce eccezionale») sembra la controfigura di Vittorio Gassman. Il primo importante indizio, che aiuta Mario a imbat­ tersi nella verità, salta fuori da un libro intitolato Introduction à la connaissance de l'esprit humain: ma bisogna subito dire che il romanzo di Paolo Levi non inciampa (tranne che nei due capi­ toli d'avvio) nella psicologia. Procede spedito a descrivere e de­ cifrare il piccolo dramma cechoviano, patetico e struggente, che sta al centro della vicenda, con innegabile finezza crepuscolare. Tuttolibri, 29.5 . 1 97 6

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Morti ammazzati del Belpaese RAFFAELE CROVI - Si moltiplicano i gialli scritti da autori italiani.

Rizzoli ha pubblicato il secondo romanzo di Paolo Levi, Delitto in piazza, lanciandolo bene, dopo il successo del primo, Ritratto di provincia in rosso, uscito l'anno scorso. Stamperà anche un ro­ manzo ricavato dall'originale televisivo Dov)è Anna?, scritto da Proietti e da sua moglie. E a metà giugno, presso Rizzoli, uscirà La mazzetta di Attilio Veraldi: un romanzo «commissionato», dicono autore ed editore. Non solo, ma si stanno cercando altri gialli: per l'anno prossimo gli editori si propongono di program­ marne un certo numero, nel periodo pre-estivo. Monti, della Longanesi, conta di pubblicare dai quattro ai cinque romanzi italiani, da vendere in libreria: non si inseriranno nella serie dei pocket che ospitano, in edizione tascabile, romanzi gialli di mar­ ca straniera. Mondadori ha pubblicato adesso il romanzo di Ro­ berto Vacca, il futurologo, che ha scritto prima un libro di fanta­ scienza e ora si è cimentato con il giallo. Il mercato del giallo in Italia si è aperto, ma è un mercato da libreria e non da edicola. Perché? Forse potrebbe spiegarlo Tedeschi, con la sua esperien­ za che risale agli anni Trenta. ALBERTO TEDESCHI - Il romanzo giallo italiano può andare in li­ breria come romanzo, non in edicola come giallo. Molti gialli italiani sono imitazioni dei modelli stranieri e non hanno validità autentica. Qualche anno fa, per un esperimento, ho inserito ben dieci autori italiani nel catalogo dei gialli Mondadori di un solo anno. L'esperimento ha fatto cilecca. C'è stata una diminuzione delle vendite, non solo per i gialli italiani, ma anche per quelli stranieri. Noi abbiamo pubblicato, in tanti anni, circa duemila titoli. Questo back-ground è un vantaggio, nel senso che abbia­ mo le spalle robuste. Ma ci lega le mani. Il pubblico è abituato a una determinata gamma di autori e di situazioni. Ci sono limiti, entro i quali il nostro lettore sa già che cosa lo aspetta. CROVI C'è il Premio Cattolica per i gialli italiani, ormai alla -

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quarta edizione, imminente. Che può dire Tedeschi (che pubbli­ ca i romanzi vincitori) su questa esperienza? TEDESCHI In base a quello che dicevo prima, poiché i lettori sono abituati a un certo tipo di giallo, uno dei romanzi che sono in finale quest'anno è di un tipo che si potrebbe agevolmente mescolare agli altri, messo tra un romanzo di Rex Stout buona­ nima e uno di Westlake. Anche il lettore abituale non farebbe una piega. Viceversa, ce n'è uno di ambiente milanese, che è ve­ ramente un gioiello, un giallo sui generis. Qui i lettori di gialli resterebbero sconcertati, perché è un giallo all'italiana, che non fa il verso a nessuno di quei gialli stranieri a cui il nostro pubbli­ co è abituato. CROVI Il mercato della libreria, quindi, si aprirebbe soltanto perché il giallo italiano non è un giallo di serie, ma un fenomeno di libri che si individuano uno per uno, come romanzi più che come genere. ORESTE DEL BUONO Io sono d'accordo con Tedeschi sul fatto che, salvo eccezioni, presenti anche qui, i romanzi presentati co­ me gialli di libreria non sono romanzi gialli. Sono romanzi che entrano in libreria per un fenomeno che riguarda l'altra narrati­ va, riguarda la crisi del romanzo italiano. È una crisi di idee, di contenuti, di rapporti con i lettori. Non si poteva andare avanti per l'eternità a far leggere i libri di Cassola. Il romanzo è nato come un genere; se non sbaglio, i primi romanzi sono stati scrit­ ti addirittura da un tipografo, in un rapporto diretto col pubbli­ co, tenendo conto delle scadenze, degli interessi del lettore. In Italia siamo tutti artisti: quando ci si mette a scrivere un roman­ zo non si conoscono regole. Manca il solido artigianato che con­ traddistingue la letteratura anche di medio consumo anglosasso­ ne. Tedeschi lo sa meglio di me. Quando dice che anche gli ita­ liani che si mettono a rifare il verso falliscono, falliscono proprio perché non si piegano alle più elementari regole. Il romanzo giallo deve stabilire comunicazione. Se la comunicazione è stabi­ lita male, non si parla, non si registra nulla. Ora gli editori che non hanno più romanzi italiani da mandare in libreria, cercano romanzi con qualcosa di più, che assicurino per lo meno in par-

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tenza ai lettori un minimo di interesse: l'interesse del morto, l'in­ teresse della ricerca, l'interesse su una investigazione della realtà un po' diversa da quella del romanzo italiano tradizionale, che è sempre una storia d'amore fallita. Sono tutte cose che possono ritorcersi anche contro me scrittore: però la faccenda è che il ro­ manzo giallo italiano è di imitazione, non tiene quasi mai conto della società italiana. I nostri giornali quotidiani sono pieni di notizie gialle. Non è che in Italia le cose non avvengano, ma i no­ stri autori non vogliono faticare. Se uno si crede già prima auto­ re di romanzi, è portato a trascurare qualsiasi regola e, quando dice «faccio un giallo», fa già una grande concessione a metterei dentro il morto e un poliziotto. In generale, dopo un po' appare un poliziotto, che poi però non viene più seguìto. Entra di mez­ zo invece un giornalista, l'avvocato, tanti altri personaggi e cose per cui non c'è più un rapporto reale. Non si potrà parlare di un giallo all'italiana finché non si avranno i gialli settimanali, in edi­ cola. Perché finora è un caso fortunato che esca un romanzo ita­ liano interessante. Questi sono da salutare non come gialli all'i­ taliana, ma come casi fortunati. CROVI - Il problema posto da Del Buono è quello dell' artigiana­ to letterario, condizione prima per la nascita del giallo. Se oggi escono i gialli italiani, è perché gli editori hanno captato una se­ rie di disponibilità, di talenti che in modo approssimativo chia­ miamo artigianali. Ma sappiamo tutti che il romanzo giallo, pur partendo da una precisione artigianale, può essere un fatto lette­ rario in senso generale. Cosa ne pensano gli scrittori di gialli qui presenti? PAOLO LEVI - lo ho sempre subito un certo fascino dai buoni ro­ manzi gialli stranieri. Io avevo scritto radiodrammi, originali te­ levisivi, di carattere poliziesco. Ma di fronte al romanzo sono stato un po' handicappato. Dapprima non volevo scrivere gialli. E così divagavo per cinquecento pagine, senza concludere nien­ te. Poi ho avuto la speranza che si potesse scrivere un romanzo efficace con un genere che era stato tenuto in disparte, nel no­ stro paese. Avevo davanti a me esempi come Chandler, come Si­ menon: autori di libri che sono romanzi, oltre che gialli. In Italia 81

c'è sempre stata una divisione fittizia fra giallo e letteratura. Io ho cercato di superarla. ATTILIO VERALDI - La mia confessione d'autore dipende in parte da quello che diceva Del Buono. Quando l'editoria italiana si è accorta della crisi, non del romanzo, ma della romanzeria, allora ha cominciato a preoccuparsi di cosa pubblicare. Quindi una certa cura e anche una sollecitazione verso i collaboratori non scrittori delle case editrici. E questo è il mio caso. li manager, Spagnol, mi ha sollecitato a scrivere questo romanzo e io ho ac­ cettato di farlo. Ho scartato senz' altro il tuffo nella realtà d' ob­ bligo. Un po' per gusto personale, un po' per deviazione di me­ stiere, non ho pensato di poter trasportare l'idea di questo ro­ manzo in un commissariato. Ho pensato quale potesse essere in Italia una figura corrispondente a quella dell'investigatore ame­ ricano, anche se in negativo, quale è risultato; cioè l'esatto oppo­ sto dell'angelo del bene. Ho pensato a questo personaggio am­ bientandolo in una città, N apoli, che si presta più delle altre a certe situazioni abnormi, però su certe regole tipiche del giallo californiano. Detto questo, ci ho messo dentro tanti cadaveri, di cui Spagnol non era mai contento, bisognava metterne sempre di più. Alla fine io volevo toglierne uno, ma era uno di meno, e non bisognava farlo. Questo romanzo, io ero pronto a scriverlo anche trent'anni fa, ma nessuno me lo proponeva. Io l'ho scritto in pochissimo tempo: ambientato a Napoli, si chiamerà La maz­ zetta. Perché me lo propongono oggi? Perché lo propongono non soltanto a me, ma a tanti altri? Perché l'editoria ha capito che non si può andare avanti sul piano di cui parlava Del Buono. In Italia non c'è il gusto della narrativa, ogni romanzo è mastur­ bazione. Quindi che cosa si può fare? Facciamo il giallo, tanto per il giallo non bisogna fare della letteratura. La scelta è questa. GAETANO GADDA Io sono partito invece in un altro modo. So­ no un cronista di nera da vent'anni e a un certo punto non pote­ vo scrivere sul giornale quello che vedevo, per questioni di spa­ zio o perché se scriviamo quello che vediamo potrebbero man­ giarci la testata. Mi sono reso conto che i delitti perfetti ci sono e ce ne sono molti, soprattutto adesso. Allora mi sono detto: an-

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diamo un po' a vedere cosa succede. E ho scritto la storia di un delitto perfetto: il delitto non paga, ma l'assassino non viene preso. Ho scelto la faccenda del gas, perché tuttora esistono molti delitti col gas, che non vengono scoperti. Ho voluto far ve­ dere che tra i criminali ci sono delle menti notevoli. Ho scelto il ricettatore, che è uno dei più intelligenti e non uccide, ma se è messo nelle condizioni di uccidere lo fa. Altri hanno scritto altre cose, ma sempre sullo stesso schema, del delitto che non viene scoperto. Perché, purtroppo, il delitto non viene scoperto, que­ sto è il discorso. Adesso ne sto scrivendo un altro sulla droga, dopo essermi documentato. Lì, vado anche oltre: l'innocente re­ sta dentro e l'assassino viene messo fuori. E guardate che queste cose avvengono veramente. La polizia in molti casi sa chi è l' as­ sassino, ma non riesce a incastrarlo e deve lasciar correre. Ecco perché io scrivo. DEL BUONO Le tre dichiarazioni dei tre autori hanno un dato comune: dietro ognuno di loro c'è una attività precisa. Per Levi la esperienza della radio, per Veraldi quella del traduttore (Ve­ raldi ha tradotto in Italia Chandler, ha inventato un linguaggio) , per Gadda l a cronaca nera. Sono venuti fuori dei romanzi gialli perché c'era, dietro, il rispetto del mestiere. CROVI - Anch'io penso che il romanzo è cronaca, avventura, fic­ tion, il che comporta meccanismi, strutture, rigore, studio e il montaggio della narrazione. La struttura del thriller è l'unica struttura del romanzesco che oggi sia sopravvissuta, anche nella letteratura di altissimo livello, tant'è vero che i grandi scrittori (Carlo Emilio Gadda, Sciascia) la usano. Ma la cosa importante venuta dalla testimonianza di Gaetano Gadda è probabilmente l'elemento che si riconnette all'iniziativa degli editori. Il roman­ zo giallo potrebbe essere, in Italia, come lo è stato in altre so­ cietà, il romanzo di costume che in qualche modo dà un quadro delle situazioni sociali, senza la preponderanza di quest'io senti­ mentale, fastidioso, autobiografico che ha portato la narrativa italiana verso la retorica. L'esempio classico del buon thriller no­ strano è quello di Scerbanenco. Secondo me la radice del suo grande successo sta nel fatto di avere messo come protagonisti, -

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sia come testimoni sia come vittime, gli emarginati. In una so­ cietà italiana che cominciava a essere la società (euforica ed in­ cosciente) dei consumi di massa, questi emarginati di Scerba­ nenco sembrano gli ultimi esseri umani, braccati e sperduti in una specie di labirinto. CARLO CASALEGNO - La fortuna di Scerbanenco, a parte il talen­ to, è dovuta all'invenzione di due personaggi, il commissario Carrua e soprattutto il Duca Lamberti, più che al mondo degli emarginati. Il successo di un giallo tipico è molto legato all'in­ venzione di eroi o di controeroi. E sul fatto degli emarginati co­ me protagonisti privilegiati di storie criminali, direi che i perso­ naggi del giallo sono tanto più interessanti se non predestinati al crimine. Il delitto ideale è quello dei romanzi tipici di Agatha Christie, che si svolgono nel castello, sull'Orient Express, o il doppio delitto della Donna della domenica. La mia impressione di lettore profano è che l'ambiente privilegiato per un giallo di successo, non dico di valore artistico, sia proprio l'ambiente do­ ve il delitto non dovrebbe accadere: mentre è abbastanza nor­ male che accada fra gli emarginati. Vorrei sentire il parere di un grande esperto come Tedeschi. TEDESCHI Questo è vero. Gli americani hanno scritto molti li­ bri ambientati dove il delitto è di casa. Per imporli, hanno dovu­ to trovare altri elementi: violenza, lotte fra gangster. Ne è nato un incrocio fra il romanzo giallo e d'avventura. Il vero giallo de­ ve portarci a rimanere sconcertati da questo fatto, che un perso­ naggio non criminale sia portato al delitto. Ma lì è più difficile il compito dell'autore, che ci deve rendere credibile la cosa. Oggi c'è un ritorno deciso al giallo classico: quello che io vent'anni fa dovevo bocciare perché la gente si era abituata ai romanzi con due morti per pagina. LEVI - Nei gialli che ci vengono dall'estero, e che ormai sono dei classici, esiste una divisione precisa. Esiste un giallo con un mec­ canismo rigoroso, dove c'è una intelligenza superiore alla media, combina un delitto quasi perfetto, al quale contrappone una in­ telligenza ancora più sopraffina, che alla fine riesce a sconfigge­ re il criminale. Questi gialli, di Van Dine o di Agatha Christie, e -

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in parte anche di Gardner, sono in fondo quiz romanzati; una prova di intelligenza contro intelligenza, abbastanza inumana. Ma vi è un altro filone, quello di Hammett, di Chandler, e anche di Simenon, in cui il giallo è molto meno perfetto. Questi ro­ manzi sono più pregevoli, e mi sembra di capire che il filone del giallo all'italiana, che si sta delineando, si appoggi più su questo secondo genere, più umano. CASALEGNO - Perché tanti morti nel nuovo giallo? Veraldi dice­ va: non togliamo un morto, aggiungiamone piuttosto un paio. Questo per me, lettore più che quarantennale di gialli, è un po' curioso: dove ci sono troppi morti, salvo che sia una lotta di gangster, il fatto convince meno. In fondo è difficile che capiti una serie di venticinque delitti se non si tratta di due bande di mafiosi che si sterminano. In genere il delitto prevede uno o due morti. Come mai invece editori esperti hanno la sensazione che ci vogliano tanti morti per interessare oggi? VERALDI Io credo che, per il mio libro, Mario Spagnol avesse in mente lo stesso tipo di romanzo che avevo in mente io. Ispi­ randosi a certe suggestioni californiane dove c'è l'esagerazione, non si tenta di fare il giallo nel senso tradizionale, ma per il gu­ sto del racconto. Più morti ci sono, più si racconta. Non è nep­ pure un genere «pop», perché risale a molti anni fa: le serie di cadaveri sono contemporanee al cadavere unico. È una trovata che dà lo spunto a un tipo di narrazione diverso dall'altra, una volta che uno ha deciso di non fare il giallo classico del morto chiuso in una stanza, e delle porte da aprire con gli spilli. CASALEGNO - Vorrei sapere da Tedeschi quale è il segreto della formula del giallo in edicola. TEDESCHI - Non c'è un vero e proprio segreto, è una fortunata combinazione. Noi abbiamo fatto un esperimento anteguerra: gialli, libri da cinque lire in libreria. Poi abbiamo voluto invade­ re le edicole e abbiamo fatto i gialli economici a due lire, perio­ dicità mensile. L'esperimento fu abbastanza felice, la vendita sempre buona. Dopo la guerra, mancava la carta, non sapevamo se avremmo ritrovato il pubblico dei gialli. Abbiamo ripiegato sulla forma fascicolo, con le due colonne, per utilizzare la carta -

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fino all'ultimo millimetro. E il caso ha voluto che abbia attecchi­ to in pieno. Sono andato avanti un bel po' col quindicinale, trentacinquemila copie di tiratura. A un dato momento le supe­ riori gerarchie mi hanno chiesto se mi sentivo di fare il giallo set­ timanale. Ho risposto che si poteva. La tiratura è salita a qua­ rantamila, quarantacinquemila, settantamila, siamo pure arrivati oltre le centomila. CASALEGNO Ma perché il giallo italiano non si inserisce in que­ sto tracciato? TEDESCHI Per ora non ci sono dei gialli che si mescolino felice­ mente con il Giallo Mondadori. lo stesso sono l'iniziatore della serie Maigret nell'edizione a parte. Tanti anni fa Alberto Mon­ dadori mi disse: mettiamo Simenon nei gialli. lo gli risposi che Simenon non si mescola, deve stare per conto suo, perché il let­ tore di Franck Kane, quando io gli do un Maigret, mi dice: ma che barba, ma cosa vuole, ma cos'è questa provincia francese? Quindi non facciamo un servizio né ai gialli né a Simenon. La se­ rie Maigret, a parte, si vende come il pane. Così per il giallo all'i­ taliana. Qualunque giallo che noi leggiamo, fatto con una certa classe in Italia, è giallo solo perché è un po' cronaca romanzata un po' quadro di costume e perché ci sono i famosi uno o più morti. Però in fondo è un'altra cosa, è come se ci mettessimo a fare il whisky e venisse fuori la grappa. CROVI Qual è allora la ricetta per scrivere gialli in Italia? LEVI Cercare di fare un buon romanzo, che abbia una buona tinta gialla. TEDESCHI È la ricetta perfetta. -

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Tuttolibri, 12.6. 1 976

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Enzo Russo al debutto Enzo Russo è uno scrittore di ventinove anni che, tra il giugno '75 e il febbraio '76, ha pubblicato (da Mondadori) cinque bei romanzi gialli per ragazzi, centrati sulla detective dilettante Ros­ sana Da Valle, un'adolescente figlia di un commissario di poli­ zia. Rossana, personaggio fantasioso, spericolato, simpatico, mol­ to credibile, vive, attorniata da coetanei ritratti con precisione psicologica, avventure thrilling delineate con rigore, in una serie di sequenze in cui scattano, con puntuale scansione da metrono­ mo, l'imprevisto e la sorpresa: Enzo Russo è bravo ad inventare intrecci. Anche nel thriller per adulti Dossier "America 2" (SEI) l'abilità è evidente: purtroppo, la materia fantapolitica è di maniera e la vicenda, ben sceneggiata, risulta piuttosto astratta. Dossier "America 2" racconta come tre finanzieri americani conquistino, attraverso una multinazionale che sfrutta e provoca golpe milita­ ri, disordini sociali, conflitti elettorali e dissesti economici, il po­ tere in Guatemala, in attesa di conquistarlo in tutti gli altri paesi sudamericani. I tre di Detrait sono anche responsabili dell'organizzazione dell'omicidio di un presidente USA che assomiglia molto a Ken­ nedy: sono, in altre parole, tre big boss della strategia della ten­ sione internazionale. Sono temi che un giornalismo internazio­ nale di classe ha già descritto e analizzato con rigore; nel roman­ zo di Russo, in ogni caso, risultano déjà lus. Tuttolibri, 24.7. 1976

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Roberto Vacca Roberto Vacca, studioso di matematica, psicologia e filosofia, esperto di elettronica e di agricoltura, futurologo accreditato da due saggi (Il Medioevo prossimo venturo, Manuale per un'impro­ babile salvezza) e tre opere di narrativa fantascientifica (Il Robot e il Minotauro, Esempi di avvenire, La morte di Megalopolz) si è cimentato nel thriller: il suo nuovo romanzo, Greggio e pericolo­ so (Mondadori) , racconta un caso di spionaggio scientifico, su cui si sviluppa un complicato intrigo internazionale. A Monaco di Baviera viene massacrato con una barra d' ac­ ciaio il geologo russo Grigori S.F. Ivanov; il geologo italiano Giancarlo }atta, bersaglio, nell'isola Patanza, di un fucile subac­ queo, riesce, invece, a sfuggire all'attentato; a Milano sopravvive ai colpi di una pistola con silenziatore anche l'astrofisico, scrit­ tore di romanzi di fantascienza, Abe Zeidow; ma, ad Amster­ dam, il premio Nobel Deuters muore investito da un camion e il geologo G.B. Donaldo rischia di essere fatto fuori, mentre vola sull'isola d'Elba con un bimotore, da un missile terra-aria. }atta, Zeidow, Deuters e Donaldo hanno in comune l'agente letterario Olaf Oakes, che verrà eliminato nel suo nascondiglio situato nel quartiere milanese dell'Ortica. Questa reazione a catena di morti è stata innescata dal ricatto organizzato, tramite Al-Afgha (la Vipera), nei confronti dei pae­ si arabi dell'Opec possessori del petrolio. In un mondo sconvol­ to dalla crisi delle risorse energetiche, un falso documento scien­ tifico che annuncia la scoperta di «esauribili risorse di greggio sotto la crosta terrestre» rischia di far saltare gli squilibrati equili­ bri economico-politici. Vacca non trascura, anche in questo romanzo di intreccio giallo, di evocare, sullo sfondo, il fantasma della catastrofe eco­ logica: ma lo stesso intreccio dimostra che ha voluto soprattutto organizzare un intelligente pastiche romanzesco, ambientato in un'Italia dove tutti trafficano, fanno all'amore, mangiano, tra­ scurando, invece, la routine del lavoro. I protagonisti sono G.B. 88

Donaldo, il suo amico Philip Quartara (un ingegnere hippy, che conta, nell'albero genealogico, un bisnonno pastore metodista proveniente dal Missouri) e le loro donne. Il calcolato contrappunto dei due caratteri di Donaldo e Quartara dovrebbe realizzare un impatto di cronaca di costume: ma, via via che la storia si sviluppa attraverso canonici colpi di scena, si capisce che a Vacca interessa soprattutto ironizzare i luoghi comuni della narrativa spionistica. Tuttolibri, 10.7 . 1 97 6

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La Napoli nera di Vera/di Napoli, vista come una città estrosa, teatrale e labirintica, fa da sfondo al bellissimo thriller di Attilio Veraldi, La mazzetta (Rizzoli): il romanzo, grazie all'ambientazione ineccepibile, al­ l'ampia panoramica di ritratti psicologici, all'intreccio ritmato ed esplosivo, alla ricchezza linguistica che approfitta di una ric­ ca espressività gergale, risulta riuscito non solo come romanzo di azione, ma anche come romanzo di costume. Veraldi, napole­ tano di anni cinquantuno, gran giramondo e gran traduttore dalle lingue scandinave e dall'inglese, nell'opera narrativa del suo debutto documenta stretti legami (istintivi o calcolati che siano) con la tradizione del realismo barocco della narrativa na­ poletana, che è nato e rinato via via in Basile o nella Serao o in Rea. Nella Napoli di Veraldi i personaggi si muovono in una spes­ sa e fluida nebbia di intrallazzi, corruzioni amministrative, vio­ lenze; dice uno dei personaggi a proposito di Napoli (intesa em­ blematicamente come Italia): «Questo è un paese dove è vietato uccidere, ma dove tutti uccidono lo stesso». ll romanzo di Ve­ raldi non trascura il grande tema sociale dell'ingiustizia, degli umiliati e offesi: i suoi eroi sono degli emarginati, a cominciare dal suo protagonista, Sasa J ovine, un commercialista fallito, donchisciotte spiantato e velleitario, ma ironico, altero, umanis­ simo. Jovine, nel tentativo di guadagnarsi una manciata di soldi («la mazzetta») , si mette a cercare tra Napoli, il monte Faito, Ca­ stellammare, Milano e Santa Maria Maggiore nei pressi di Do­ modossola, Giulia Miletti, la figlia in fuga di un gran camorrista. Nel suo itinerario, oltre a incontrare sette cadaveri autentici, in­ cappa in molti «cadaveri nell'armadio»; deve cimentarsi, in altre parole, con uno strettissimo nodo gordiano di odi e frustrazioni familiari: d'altronde, su ogni storia gialla che si rispetti incombe l'ombra d'Edipo. Il romanzo, appena debole nella sequenza Milano-Domodos­ sola, un po' troppo cinematografica, contiene capitoli (come 90

quello della «tortura dello spaghetto») che sono veri e propri pezzi d'antologia: sa mescolare sapientemente, come nelle com­ medie di Eduardo De Filippo, il patetico e il grottesco, il comi­ co e l'elegiaco, l'intelligenza sentenziosa e la gestualità picaresca. Accanto a }ovine, detective involontario, si muovono due com­ missari: un affossatore di inchieste (destinato alla promozione), dal nome emblematico di Lentizzi, e un onesto poliziotto di buona volontà (destinato alla rimozione), tempestivo e sempre presente, ma chiamato, per scherzo del destino, Assenza. Assen­ za, esempio massimo, in tutte le mosse che lo riguardano, di un felice contrappunto tra psicologia e ironia, è, forse, più ancora del protagonista Sasà, il personaggio perfetto del romanzo di Veraldi. Tuttolibri, 3 1 .7 . 1 97 6

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Roberto Giardina

Il testo del risvolto di copertina definisce Caccia al puma (Marsilio) di Roberto Giardina, «Romanzo contemporaneamen­ te storico e fantapolitico». Il puma è Willy Brandt: lo vediamo, protagonista di una politica di distensione internazionale, incon­ trarsi con Breznev e con Nixon, fare visita al Muro del Pianto di Gerusalemme. Attorno a lui si muovono Helmut Schmidt, Alex Springer, Herbert Wehner, Franz Joseph Strauss, Markus Wolf e altri uomini di primo piano della vita politica post -sessantotte­ sca della Germania di Bonn. Brandt sta perfezionando la strategia dell'Ostpolitik: ma il progetto pacifista di riavvicinamento tra Europa Occidentale e Europa Orientale contrasta con i piani di guerra fredda del Kgb, della Cia e del Bnd. Contro Brandt scatta, nell'aprile del '74 , la trappola del caso Giinter Guillaume, un suo aiutante, denuncia­ to come spia della Germania Est. Nel suo abile feuilleton, che manipola fatti di cronaca ed epi­ sodi romanzeschi, Giardina incornicia gli eventi pubblici che precedono le dimissioni di Brandt in un arazzo di trame delit­ tuose che lo preparano. La vecchia Europa, di cui la Germania Ovest è l'emblema, è un'enorme ammuffita gruviera in cui si muovono i topi dei servizi segreti di tutto il mondo. Informatori prezzolati, killer mascherati da funzionari di mul­ tinazionali, mannequin e scrittori falliti, vecchie sadiche e nin­ fette interpretano (come in certe funeree sequenze espressioni­ ste dei recenti film di Visconti o della Cavani) una serie di mor­ tuarie pantomime sullo sfondo di un paese che stinge sangue dalla maschera del suo benessere borghese ed è scenografica­ mente decorato dal bric-à-brac antiquario del nazismo. Un venditore di cimeli SS ed introvabili incisioni su «Lili Marlene» è la prima vittima del grand-guignol drammatizzato da Giardina: seguono una donna a cui viene spezzato il collo, un artista che fa harakiri, un pornomimo ucciso a staffilate, ecc. ecc. 92

Ma il romanzo di Giardina è solo apparentemente un thriller con repertorio kitch: i molteplici aneddoti luttuosi risultano, in realtà, marginali. La vera materia del romanzo sono le chiacchie­ re, le indiscrezioni e le opinioni ideologiche (demistificanti e im­ pietose), che i molti personaggi si scambiano tra conferenze stampa e meetings, tra cocktail e balli, tra anticamere di ministe­ ri e night, tra hall di fiere internazionali e alcove. Protagonisti del romanzo (riverberante una tensione esisten­ zialmetafisica alla Greene o alla Le Carré) sono in definitiva i giornalisti e la loro professione, di cui Giardina ci dà un freneti­ co, provocatorio e ironico quadro. Tuttolibri, 23 . l O . 197 6

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Narcejac, Durbridge, Monteilhet, Hammett, Signoronz: Macchiavelh Forsyth Gli appassionati della narrativa thrilling possono, tra Natale e Capodanno, fare, innanzitutto, una breve meditazione sul gene­ re letterario preferito. Garzanti pubblica un delizioso e intelli­ gente saggio di Thomas Narcejac (il celebre giallista francese) intitolato Il romanzo poliziesco. Non è una vera e propria storia della letteratura d'intreccio giallo. Narcejac studia (analizzando i prototipi, da Poe ad Agatha Christie, da Chesterton a Ellery Queen) la struttura logica di quella «macchina da leggere» che è il romanzo poliziesco, finendo col trovare analogie tra la struttu­ ra del thriller e quella della cibernetica. Conclude Narcejac che «il romanzo poliziesco, con tutte le regole che costituiscono l'in­ telaiatura del suo apparato, il suo hardware, è il macchinoso congegno di cui il detective è il software. E le cellule grigie del poliziotto sono altrettanti relais elettronici che, a poco a poco, scelgono, organizzano e formulano una conclusione adeguata». Per constatare come scatti il processo di organizzazione dei meccanismi dell'intreccio, niente di meglio dei tre romanzi di Francis Durbridge (Come un uragano, Giocando a golf una mat­ tina, Ritratto di Alison) raccolti da Longanesi nel volume Il vizio d'uccidere: protagonisti degli eleganti romanzi di Durbridge so­ no uomini e donne della piccola borghesia inglese alle prese con velleità di successo e morbosità erotiche. Vittime di traumi sentimentali (e più precisamente di tenta­ zioni sessuali) sono anche i piccoli borghesi urbani dei romanzi di Hubert Monteilhet, già noto in Italia per i romanzi Le ceneri della de/unta, Il forzato dell'amore, Matrimoni di morte pubbli­ cati anni fa da Feltrinelli e di recente tornato alla ribalta con Mo­ rire a Franco/orte (Rizzoli). Morire a Franco/orte è stato presenta­ to come il «giallo della Fiera del Libro»; in realtà è un romanzo dissacrante e sarcastico con la classica donna di Monteilhet che «divora l'uomo come un croccante vol-au-vent». Per chi non co­ nosce questo abile bricoleur della narrativa gialla, preciseremo 94

che Monteilhet costruisce da anni i suoi romanzi sotto forma di dossier. Ma chi vuoi passare le feste natalizie in compagnia con un ca­ poscuola indiscusso deve scegliere I grandi romanzi gialli di Da­ shiell Hammett (Longanesi) che raccoglie tre romanzi notissimi del grande narratore statunitense: L'uomo ombra, Piombo e san­ gue e Il bacio della violenza. I.: uomo ombra comincia così: «Stavo appoggiato al banco di un bar della Cinquantaduesima Strada, aspettando che Nora terminasse le sue commissioni natalizie»: siamo in clima. D'altronde, molti romanzi gialli raccontano drammi che esplodono tra Natale e Capodanno: evidentemente, i delinquenti (persi nella colpa e nella solitudine) che popolano i romanzi polizieschi, mentre gli altri festeggiano vivono la loro nevrosi con accentuata disperazione. Comincia l'antivigilia di Natale anche il giallo di Secondo Si­ gnoroni che apre la serie dei «gialli all'italiana» da ricordare: si intitola Quz; commissariato di zona (Longanesi) ; ha vinto, inedi­ to, nel 1975, il Gran Giallo Città di Cattolica. È un affresco - un po' prolisso - della vita quotidiana di un gruppo di poliziotti milanesi alle prese con incidenti, suicidi, furti e delitti. Accanto a Signoroni, troviamo, semestralmente puntuale in edicola e libreria, Lariano Macchiavelli con la quarta inchiesta del sergente Antonio Sarti, sempre alle prese con la colite (forse un po' monotonamente) , gruppi di teatranti sbandati e avventu­ rieri mascherati da rivoluzionari: in Sui colli all'alba (Garzanti), Macchiavelli ci propone, con qualche forzatura comica, tre de­ litti, diciannove arresti, un rapimento, ottocento milioni per un riscatto e un re del caffè solubile che sbanda come un eroe del vaudeville. Tra i «gialli all'italiana» raccomandiamo, però, il recupero della serie di romanzi thrilling - veri e propri romanzi sociali, eccentrici, sapienti e godibilissimi - formata dagli ormai noti La mazzetta di Attilio Veraldi, Il caso Montecristo di Enzo Russo, La stanza del vescovo di Piero Chiara, Caccia al Puma di Roberto Giardina, Delitto in piazza di Paolo Levi, Agenti segreti di Furio Colombo. 95

Per finire, una spettrale fiaba di Frederick Forsyth (il noto au­ tore de Il giorno dello sciacallo) : si intitola Il pilota (Mondadori) e descrive il volo drammatico, avventuroso, misterioso e magico di un pilota della Raf in viaggio per rientrare a casa per la cena di Natale; gli si fa incontro la morte; ma un angelo custode (come spesso nei thriller) lo aiuta ad evitarla. Tuttolibri, 24. 12. 1976

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Signoroni, Russo, Macchiavellz: Attoh Felisatti & Pittorru, Vara/do, De Ste/ani e Lanocita L'estate del giallo italiano vedrà lo scontro tra due ladies: Glo­ ria Zoff, di cui Rusconi ha pubblicato Moscacieca col delitto, e Nicoletta Bellotti, di cui Mondadori sta per pubblicare Centro città. Mondadori ha, intanto, proposto al pubblico il secondo romanzo del chimico (di Lodi) Secondo Signoroni; si intitola Pe­ trosino e i baffi a manubrio (Il Giallo Mondadori, n. 1477). Il romanzo di Signoroni, più che un vero e proprio thriller, è una cronaca criminale romanzata, ambientata nel 1907 a New York, con protagonista Giuseppe (Joe) Petrosino e il suo Italian Branch alle prese con i racket ai danni degli immigrati della Lit­ tle Italy e con le malversazioni delittuose della mafia. La narrati­ va poliziesca di Signoroni (lo abbiamo già constatato con Qui, commissario di zona, pubblicato l'anno scorso da Longanesi) se­ gue la tradizione dei feuilleton di cronaca nera, come quella di Ed McBain, a cui si ispira: il rigore cronistico, in questo secondo romanzo, porta Signoroni a fare entrare in scena Luigi Barzini senior, che fa inchieste a Manhattan, documenti autentici della biografia di Petrosino e il «Washington Post» lanciato, fin da al­ lora, in campagne di denuncia sulle collusioni tra mafia e potere politico. Signoroni ha vinto, per tre anni consecutivi, nel 1 975, nel 1976, nel 1977, il «Gran Giallo Cattolica per Inediti». A Cattoli­ ca, ai primi di giugno, alcuni romanzieri ed alcuni direttori di collana, tentando un bilancio del «giallo all'italiana», si sono vi­ vacemente scontrati, preannunciando il declino del genere, pro­ prio nel momento in cui pubblico ed editori hanno cominciato a dargli credito. È vero che il 1 977 è stato, fino ad oggi, per la let­ teratura thrilling di autori italiani, meno fausto del 197 6, ma Longanesi dice già un gran bene del romanzo di Ugo Mo retti che pubblicherà in autunno; e in ogni caso, non esageriamo in apprensione e lamenti: la letteratura thrilling, in quanto lettera97

tura artigianale, dopo tutto non richiede bilanci qualitativi inti­ midatori. Nel 1976 sono state confermate le buone doti di giallista di Paolo Levi; c'è stata la rivelazione (di rilievo anche al di fuori dell'area thrilling) di Attilio Veraldi; e ha realizzato un buon in­ contro col pubblico adulto il giovanissimo Enzo Russo, che era già l'idolo dei teenager: Il Caso Montecristo (Mondadori) di Rus­ so è stato un bel fuoco d'artificio (appena smorzato qua e là da dialoghi sentenziosi e da fanatismi gastronomici) in cui splende­ vano sapienza d'intreccio, ironia e vivacità dissacratoria. All'appuntamento del '77 si sono finora presentati, oltre a Si­ gnoroni, la coppia Felisatti & Pittorru con La morte con le ali bianche (Garzanti), Luciana Attoli con Luci di settembre ( Gar­ zanti), Lariano Macchiavelli con Sequenze di memoria (Garzan­ ti). Macchiavelli, che con la sua Bologna nera, gergale, picaresca e ariosa, è sicuramente uno degli autori italiani di gialli più dota­ ti, in questo gremito romanzo ha fatto cilecca: tradito il sergente Antonio Sarti, suo investigatore di fiducia, ha tentato l' ambizio­ sa avventura di sposare, in una sorta di mostruosa ballata agre­ ste, il thriller con il «neorealismo della memoria» post-bellico, ma con risultati sbiaditi. Ambienti periferici della provincia contadina ed eventi codi­ ficati, come kidnapping e conflitti familiari piccolo-borghesi, ca­ ratterizzano i romanzi di Luciana Attoli (da Lungo ilfiume dello scorso anno al recente Luci di settembre) , che risultano, per quanto riguarda il plot, un po' scontati. La novità dei romanzi della Attoli è tutta legata ai loro protagonisti: nel primo agiva in primo piano un ragazzo che scimmiottava Superman, in questo secondo vediamo in azione la giovane Emilia che imita Barbarel­ la: sfruttando, con accorta mimesi, la struttura dei racconti a fu­ metti, l'Attoli potrebbe anche centrare, in futuro, un buon thril­ ler pop, come è successo all'americano Thompson. La morte con le ali bianche di Felisatti & Pittorru, con prota­ gonista la squadra mobile romana guidata da Fernando Salmi, è, per ora, l'unico prodotto professionale del 1977; i congegni su­ spense vi inquadrano un calibrato spaccato di vita sociale roma98

na, in cui si incontrano e scontrano emarginazione e contesta­ zione, disadattamento e repressione, droga e fascismo, sfrutta­ mento della prostituzione e speculazioni sottogovernative. Feli­ satti & Pittorru sono, tra gli autori italiani dell'anno, quelli che hanno saputo meglio dosare il rapporto tra strutture romanze­ sche d'appendice e cronache di costume. È un rapporto su cui al Mystfest di Cattolica si è discusso mol­ to con vari pro e contro, ma anche il problema se il romanzo gial­ lo possa o non possa, debba o non debba, appartenere alla lette­ ratura di costume è questione oziosa e astratta. Il romanzo thril­ ling deve essere, innanzitutto, un congegno rigoroso, una mac­ china romanzesca, una struttura senza smagliature: l'idea che gli scrittori di gialli puntino programmaticamente alla Letteratura con la Elle Maiuscola (di costume o esistenziale, metafisica o so­ ciologica che sia) fa un po' sorridere. Fa sorridere qualsiasi scrit­ tore che dimentichi che la letteratura è, anzitutto, un fatto arti­ gianale. La verità, semplice e banale, è che un buon giallo deve poggiare su una buona trama, su una buona sceneggiatura del plot, su un buon montaggio delle sequenze della storia, su am­ bienti e personaggi ben delineati. Può capitare che ambienti e personaggi abbiano una caratterizzazione sociologica, ma può anche capitare che ne abbiano una convenzionale e rituale. La storia del buon giallo all'italiana documenta, senza riserve, che la garanzia di un buon romanzo suspense è l'intreccio: l'esemplarità socio-culturale è, semmai, un effetto (un risultato) prospettico. Basta leggere i vecchi gialli degli Anni Trenta che Mondadori ha cominciato a ristampare nella collana «Gialli Italiani Mondado­ ri» (al prezzo unico di lire 1000) per riconstatarlo. Sono già usciti: Il sette bello di Alessandro Varaldo, La crocie­ ra del "Colorado" di Alessandro De Stefani e Quaranta milioni di Arturo Lanocita. Hanno trame inconsuete, sono romanzesca­ mente molto articolati e si sviluppano in modo serrato. In più, il romanzo di Varaldo, che racconta una storia awenturosa, con colpi di scena all'Edgar Wallace, che comincia al ristorante ro­ mano Gambero Verde e si conclude nella vill a farnese di Capra­ rola, oggi si legge come un contrappunto, demistificante, dei de99

cadenti eroismi sentimental-rituali della narrativa dannunziana. Da parte sua, La crociera de "Colorado", il romanzo di De Stefa­ ni, deliziosamente giocato su un colpo pubblicitario organizzato da un magnate che ama travestirsi da gangster, si legge con pia­ cere per il falsetto da vaudeville alla Lubitsch con cui il roman­ ziere-commediografo fa il verso al tipico mystery all'inglese. In­ fine, il romanzo di Lanocita, dove un ingarbugliato grand-gui­ gnol ereditario viene recitato sullo sfondo dello scenario delle Dolomiti, ha un'abile scansione cinematografica: Lanocita, criti­ co cinematografico di grande esperienza, si permette la civette­ ria di affidare la soluzione dell'intreccio ad alcuni fotogrammi di un cinegiornale Luce. Tutti i tre romanzi, benché nati dalla scommessa per una buona trama, documentano che un buon autore, la sensibilità e attenzione socioculturale, se ce l'ha, non può fare a meno di usarla: può, al massimo, con buon gusto espressivo, mascherarla. Tuttolibri, 9. 7 . 1 977

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Gloria Zo// Gloria Zoff è un'esordiente come scrittrice e come giallista. La sua opera prima, Moscacieca col delitto, si è piazzata terza al premio Gran Giallo Cattolica 1977 per romanzi editi dietro La nipote scomoda di Felisatti & Gambarotta e La Mazzetta di Atti­ lio Veraldi. Personaggio principale del suo romanzo giallo è un giornali­ sta itala-svizzero, Pierre Zola. Ma grande protagonista e grande colpevole del romanzo della Zoff è la Maggioranza Silenziosa. Nel milanese Quartiere Paradiso, in cui esplodono i conflitti e i delitti descritti dalla Zoff, il diavolo opera in tuta nera per il Par­ tito dell'Ordine: e, mentre la polizia pedina gli studenti conte­ statori, i loro padri, grazie alle società del Liechtenstein, truffa­ no le leggi e la società. Il thriller è completato da un minithriller a fumetti dove Pier­ re Zola (per scelta del disegnatore) prende le fattezze (direi) di Gaspare Barbiellini Amidei (del «Corriere della Sera») e da die­ ci teststorie. Insomma Gloria Zoff (che si dice imparentata con il portiere di calcio Dino) sperimenta in Moscacieca col delitto molte tecniche thrilling; con ammiccamenti così sofisticati da far sospettare che Gloria Zoff sia lo pseudonimo di un'esperta (o di una coppia di esperti) di questa letteratura di genere. Il libro è, in ogni caso, presentato dall'espertissimo Alberto Tedeschi che sentenzia: erfer; Ripley's Game (1974) è stato trascritto da Wim Wen­ ders in L'amico americano ( 1 977) . Non sono ancora diventati film A Game /or the Living ( 1 958), The Two Faces offanuary ( 1 964) , A Suspension o/Mercy ( 1 965 ), Those Who Walk Away ( 1 967 ), La spiaggia del dubbio (The Tre­ mar o/ Forgery, 1969), A Dog's Ransom ( 1 972), Diario di Edith ( 1977 ) . Per completare la bibliografia delle opere della Highsmith basta ora citare il secondo e il quarto romanzo della quadrilogia di Ripley - Ripley Underground ( 1 970) e The Boy Who Followed Ripley (1980, Sonzogno lo pubblicherà in autunno con il titolo Il ragazzo che seguì Ripley) - e le raccolte di racconti Little tales o/ Misoginy ( 1 974), The Anima! Lover's Book o/ Beastly Murder (1975 , undici allucinanti storie di animali che assassinano uomi­ ni) , Slowly, Slowly in the Wind ( 1 979). Ai suoi romanzi The Blunderer e The Talented Mr. Ripley è stato attribuito l'Edgar Allan Poe Scroll dell'Associazione Mystery Writers of America: per la sua opera di narratrice (premiata in Francia e in Germa­ nia da grande successo anche popolare) ha ricevuto in luglio a Cattolica (Fo) il Gran Premio Mystfest 1982 per la letteratura. Patricia Highsmith, dopo aver vissuto a New York, nel New Mexico e in Messico, dal 1963 vive in Europa: ha abitato in In­ ghilterra, in Austria (Salisburgo), in Italia (Positano) , in Francia 258

(a Moncourt-sur-Loing, a ottanta chilometri da Parigi); ora abi­ ta in Svizzera, nel Canton Ticino, vicino a Locarno, in Val Mag­ gia, ad Aurigeno. Il nomadismo della narratrice si riflette nel nomadismo dei suoi personaggi, esuli itineranti, o meglio transfughi o trasgres­ sori della way of life della middle class nordamericana che pro­ duce donne catastrofiche (baccanti o frustrate che siano) e ma­ schi alienati da un narcisistico agonismo sociale. La scrittura narrativa di Patricia Highsmith, scattante, visiva, procede per accumulo di immagini, gesti e introspezioni, con risultati im­ pressionistici ipnotici; l'ansia, la paura, l'odio, la follia, sono gli stati psicologici che, esasperati, fanno esplodere nei suoi libri tragedie con espiazione ma senza catarsi. Gli incubi e gli intrighi nei romanzi della Highsmith non si sciolgono e non si risolvono; si trasformano e si infittiscono: la vita, alla fine delle sue esplora­ zioni romanzesche, resta un enigma. Per questo Patricia High­ smith non è un'accattivante autrice di gialli ma una perturbante narratrice esistenziale di grande talento imparentata con Poe, Kafka, Camus. Howard lngraham, protagonista di La spiaggia del dubbio (Bompiani) , sta facendo una vacanza a Tunisi, in un albergo del­ la spiaggia di Hammamet. È uno scrittore americano di trenta­ quattro anni, ha «una faccia americana qualunque, con occhi az­ zurri che fissano troppo ogni cosa». Sta aspettando che lo rag­ giunga l'amico regista John Castlewood, per il quale dovrebbe scrivere la sceneggiatura del film Trio: John tarda ad arrivare e Howard manda lettere alla fidanzata (ventotto anni, lavoro alla Cbs-T di New York) , chiedendo notizie dell'amico. Il tempo dell'attesa lo inganna un po' in compagnia del connazionale Francis J. Adams, uno yankee che predica filosofia filoamerica­ na (Bontà, Divinità, Democrazia) - Adams è il signor Nosiste (Nostro Sistema di Vita) - che da una radio libera fa propagan­ da antisovietica un po' in compagnia del pittore danese Anders Jense, omosessuale che vive con il cane Hasso. Attorno a questi occidentali sradicati (o diversi) vivono gli arabi: camerieri, mer­ canti, ladri, creature con facce devastate, spesso sagome sdraiate 259

per terra che non sai se siano di dormienti o di cadaveri. A un certo punto veniamo a sapere che John si è suicidato a New York nella casa di Howard. Un pomeriggio il cane Hasso scom­ pare; una notte Howard uccide, forse, scagliandogli addosso la macchina per scrivere, l'arabo Abdullah introdottosi furtiva­ mente nel suo bungalow. Gli eventi sono, comunque, fantasmatici: le lame di coltello che incidono sulla vita di lngraham sono il suo spaesamento e una depressione crepuscolare paralizzante che gli impediscono il contatto con la realtà e la verità dei propri sentimenti. Nel suo Corno d'Africa Howard ha la sensazione di «trovarsi nudo, in pieno sole accecante, contro una parete bianca», costretto a giu­ dicarsi pur rifiutando di fare penitenza. Come tutti i personaggi della Highsmith, non cerca (e non trova) redenzione: conquista un'identità umana accettando di convivere con la buona co­ scienza di quanto sia difficile distinguere, nell'uomo, il confine tra Bene e Male. Il Giorno, 13.10. 1982

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P. D. ]ames l.

Questo volume, Per cause innaturali (Rusconi) , presenta tre opere di una scrittrice inglese che fa parte, accanto a John Le Carré, Patricia Highsmith, Trevanian e J. M. Simmel, del grup­ po dei giallisti in questo momento più popolari. Tutti i libri del­ la James, pubblicati in Inghilterra dalla casa editrice Faber & Faber che fu diretta da T. S. Eliot, sono da anni nel catalogo pockets della Penguin Books. Il primo romanzo ha per cornice Martingale, una fastosa di­ mora gentilizia, accerchiata, a pochi chilometri da Londra, da insediamenti di abitazioni artigiane e operaie: qui la morte per soffocamento di una collaboratrice domestica trasforma un al­ tezzoso covo di aristocratici in un nido di vipere. Il secondo romanzo ci conduce a Monksmere, tranquillo pae­ se sulla costa del Suffolk abitato da una comunità di scrittori: un cadavere dalle mani tagliate che va alla deriva su una barca in­ terrompe la recita mondana dei residenti. Anche nel terzo romanzo siamo in movimento tra Londra e il suo hinterland: il delitto (una funzionaria d'amministrazione di una clinica di lusso per malati di mente trafitta al cuore con uno scalpello) avviene nella capitale, ma le indagini diramano nei sobborghi londinesi. La saga poliziesca di P. D. James, con protagonista l'ispettore Adam Dalgleish, tende all'affresco umano e paesaggistico: pro­ pone il ritratto critico di una società postvittoriana in totale crisi d'identità. La meccanica thrilling dei romanzi della James è stupefacen­ te, tesa, ingegnosa, imprevedibile, serrata, impeccabile e impla­ cabile: ma le sue narrazioni raggiungono ancora più ambiziosa­ mente il quadro (la radiografia) di costume. I «magnifici quat­ tro» del suspense romanzesco (l'amore, la lussuria, l'odio, il lu­ cro) non fanno scattare soltanto le avvincenti trappole dell'inda­ gine poliziesca: al guinzaglio di una eccezionale sapienza psico261

logica e pittorica guidano la scrittrice verso il traguardo di coin­ volgenti indagini morali. Unanimemente considerata l'erede di Agatha Christie, la James dimostra di aver messo a profitto an­ che la sapiente lezione analitica della Woolf e della Compton­ Burnett. Risvolto editoriale

2. James è un cognome onorevole ed onorato nella letteratura anglo-americana. C'è, anzitutto, Henry James (il grande bosto­ niano) ; c'è poi Montague Rhodes James (inventore di storie di fantasmi a Cambridge); e c'è ora, in crescente odore di noto­ rietà, Phillys Dorothy James, maestra del thriller e grande erede di Agatha Christie. Le signore del giallo sono molte: oltre alle madri fondatrici Anne Katherine Green (Il mistero delle due cugine, 1878) e Mary Roberts-Rinehart (La scala a chiocciola, 1909) , non possiamo non ricordare, in ordine sparso, Mignon G. Eberhart, Dorothy L. Sayers, Ruth Rendell, Charlotte Armstrong, Margaret Millar (moglie del celebre Ross McDonald) , Margery Allighan, Craig Rice e le poco (e immeritatamente) conosciute in Italia Emma Lathe, Ngaio Marsh ed Elizabeth Daly (la preferita della Chri­ stie). P. D. J ames non è, però, solo un'abile creatrice di intrecci: co­ me Patricia Highsmith, Muriel Spark e Amanda Cross, è una narratrice che sa usare psicologia e ironia, suspense e analisi di costume, vivacità descrittiva e sapienza analitica. Gli ingredienti che condiscono le sue storie sono amore, lussuria, odio, ambi­ zione, lucro, ma anche (più sottilmente) le bizzarrie dell'irrazio­ nale, le patologie fisiche e il disadattamento sociale. I suoi personaggi sono caratterizzati dal modo con cui affron­ tano nascita, sesso, censo e morte: è soprattutto la morte l' enig­ ma che affascina la scrittrice. L'ultimo romanzo della James, Un gusto per la morte (Monda­ dori), è apparso in Italia da poco e la scrittrice arriva domani a Milano per una tre giorni di incontri con giornalisti, critici, li262

brai e lettori. I risvolti di copertina dei suoi romanzi sono avari di informazioni biografiche; poiché sono stato il suo buttafuori italiano (nel '79 pubblicai da Rusconi tre suoi romanzi in un vo­ lume dal titolo Per cause innaturali) , riepilogo qui le notizie che so di lei. P. D. James è nata a Oxford nel 1 920, ha studiato infer­ mieristica a Cambridge, suo marito (uscito invalido dalla secon­ da guerra mondiale) si chiamava Connor Bantry White ed era medico, ha due figlie (Claire e Jane) e cinque nipoti, tra il '49 e il '68 è stata funzionario del Servizio Sanitario nazionale inglese, dal '68 lavora per il Dipartimento di Polizia Criminale del Mini­ stero dell'Interno, in qualità di giudice minorile, vive a Londra, ha pubblicato il suo primo romanzo Cover her /ace (Copritele la /accia) nel '62 : il protagonista di Copritele la faccia è l'ispettore Adam Dalgleish, quarant'anni, vedovo, poeta (noto soprattutto per la raccolta di poesie Thesus negativo); dal '62 ad oggi abbia­ mo ritrovato Dalgleish (discreto, intuitivo, un tantino snob) in A Mind to murder ( Una mente per uccidere) , del 1963 , in Unnatural causes (Per cause innaturali) , del 1 967 , in Shroud/or a Nightinga­ le (Scuola per infermiere) , del 197 1 , in The black tower (La torre nera), del 1975 , in Death o/ an expert Witness (La morte di un medico legale), del 1977, e in A taste /or death ( Un gusto per la morte) dell'86. A parte quest'ultimo, tutti i romanzi sopracitati della J ames sono stati proposti in Italia da Rusconi: così come è stato pub­ blicato da Rusconi il romanzo senza Dalgleish Innocent Blood (Sangue innocente) , dell'BO. P. D. James ha pubblicato un altro romanzo senza Dalgleish, An unsuitable job /or a Woman ( Un mestiere insolito per una donna) , del 1972, pubblicato nei «Gial­ li Rizzoli»: protagonista di questo romanzo è la giovane e scate­ nata ventiduenne Cordelia Gray, titolare della Prude's Detective Agency, fondata da Bemel Prude, collaboratore di Dalgleish. Cordelia (che porta il nome della più giovane e affettuosa delle figlie di Re Lear) è un'ammiratrice di Dalgleish; nei romanzi del­ la serie Dalgleish, benché l'ispettore abbia una tranquilla rela­ zione amorosa con l'elegantissima e colta Deborah Riscoe, Cor­ delia incrocia di quando in quando Adam. E i lettori della J ames 263

si aspettano che un giorno o l'altro il maturo ispettore e la gio­ vane detective diventino marito e moglie. Romanzo dietro romanzo, seguendo Dalgleish nelle sue in­ chieste a Londra o nel Suffolk, in un villaggio per scrittori o in una clinica, in una comunità per handicappati o nelle ville di al­ cuni aristocratici, i lettori ne hanno scoperto gli hobbies e le idiosincrasie, la passione letteraria e le malattie, l'educazione re­ ligiosa (Adam è figlio di un pastore anglicano) , i gusti gastrono­ mici e lo charme mondano. Il Giorno, 7.5.1984

3. Phillys Dorothy James tra il 1962 e il 1987 h a pubblicato die­ ci romanzi polizieschi: nove sono già stati tradotti in Italia da Rusconi, Rizzoli, Mondadori. P. D. J ames, che è nata ad Oxford nel 1920, ha cominciato a pubblicare dopo i quarant'anni: prima ha lavorato nel reparto amministrativo di un ospedale, poi nel Servizio Sanitario nazionale inglese, quindi come coordinatrice a Londra (nel Dipartimento di Polizia Criminale del Ministero degli Interni) di un gruppo di anatomo-patologi. Nei gialli della James sono presenti le malattie fisiche, le nevrosi, i conflitti fa­ miliari, le incertezze dei bambini e le viltà degli adulti; ci sono coniugi infelici, ragazzi abbandonati a se stessi, handicappati e vecchi in balia di sistemi assistenziali precari, medici più sma­ niosi di far carriera che di assistere malati, intellettuali in preda a un narcisismo patologico, politici snob ma alquanto spregiudi­ cati. P. D. James non è solo un'abile creatrice d'intrecci, è anche una buona analista delle trasformazioni e delle corruzioni del costume inglese contemporaneo che rispecchia la corruzione delle moderne civiltà dell'inurbamento e della tecnocrazia. Sette dei suoi romanzi (Copritele la faccia, Una mente per ucci­ dere, Per cause innaturalz: Scuola per infermiere, La torre nera, Morte di un medico legale, Un gusto per la morte) hanno per pro­ tagonista l'ispettore di Scotland Yard Adam Dalgleish, figlio di un pastore protestante, vedovo senza figli, autore di libri di poe­ sie, ex innamorato dell'elegantissima e colta Deborah Riscoe co264

nosciuta sul terreno della sua prima indagine: attraverso le sette avventure-inchiesta svolte a Londra e nel Suffolk, Adam Dalg­ lish è progressivamente cambiato; è invecchiato, si è ammalato, ma non ha perso vitalità; si è smaliziato, ha scoperto anche le proprie debolezze, ha smascherato molti vizi umani, ma non è diventato cinico; nel recentissimo romanzo Un gusto per la mor­ te l'autrice ce lo presenta come «un poeta che non scrive più poesie, un amante che sostituisce la tecnica all'impegno, un po­ liziotto che non si fa più illusioni sull'ordine pubblico»; storia dietro storia, P. D. James ha costruito attorno al corposo perso­ naggio di Dalgleish una balzachiana «commedia umana del cri­ mine». Appena appena appesantiti da piccoli cedimenti al gusto del grand-guignol, i romanzi della James si raccomandano per l'acume sociologico con cui dipingono cambiamenti sociali e trasformazioni ambientali e per l'intelligenza psicologica con cui analizzano identità e caratteri personali. Due dei romanzi di P. D. James ( Un mestiere insolito per una donna e Il teschio sotto la pelle, quest'ultimo non ancora tradot­ to in italiano) hanno per protagonista Cordelia Gray, giovane ti­ tolare di un'agenzia d'investigazione. Cordelia è un'ammiratrice di Dalgleish e, seppure con discrezione, lo corteggia; ma P. D. James ha affermato che tra loro non ci sarà probabilmente love story; P. D. J ames è una scrittrice poco sentimentale, è una scrit­ trice drammatica; del binomio amore e morte privilegia la se­ conda componente, perché considera la morte l'unica e vera grande matrice di enigmi. L'omicidio di Un gusto per la morte viene compiuto in una sa­ grestia, la vittima è un ex ministro, nell'indagine sulla sua morte sono coinvolte ben sei donne (sua madre, sua moglie, sua figlia, una sua segretaria, la sua governante e una giovane infermiera), ma si scoprirà che il delitto ha la sua origine più nella vanità e nell'odio che nei sentimenti amorosi o nella lussuria. P. D. J ames è scrittrice molto inglese: il culto dell'understatement la spinge a interessarsi più di squilibri emotivi che di passioni; anche il suo unico thriller senza detectives, Sangue innocente, descrive una 265

catena di piccole follie originate dal perbenismo e dall'introver­ siOne. Nell'ottobre del 1986 «Time» ha dedicato all a James la coper­ tina con la dicitura «La Signora del Delitto». Cos'è che caratte­ rizza un buon romanzo poliziesco per la James? «Un buon poli­ zi�sco» mi ha confessato durante un'intervista «deve essere in­ nanzitutto un buon romanzo con ambienti ben caratterizzati, personaggi psicologicamente credibili, un'atmosfera intrigante ma non complicata o confusa. Deve ruotare attorno a una o più morti misteriose, deve sviluppare un intrigo i cui indizi siano chiari, deve proporre un enigma che il lettore sia in grado pro­ gressivamente di decifrare. Un buon poliziesco non è un puzzle, un rompicapo, deve essere un affresco di vita magari un po' in­ quietante». Durante il nostro incontro milanese ho chiesto a P. D. James che cosa apprezza degli italiani. «Trovo stupefacente» mi ha risposto «il vostro calore umano, la vostra estroversione, il vostro senso dell'amicizia, il vostro senso del gioco». Evidente­ mente uno scrittore di polizieschi, così come indaga sulla morte per capire la vita, vede nero ma fa sogni solari. Gran Milan, maggio 1984

4. P. D. James, scrittrice londinese, autrice di romanzi con crimi­ ni. Nell'ottobre scorso «Times» le ha dedicato la copertina con la dicitura «La signora del delitto». Ha sessantasette anni (por­ tati bene) , ha pubblicato dieci romanzi, nove dei quali tradotti in Italia: ci resta da tradurre solo il nono (del 1982 ) intitolato The Skull Beneath the Skin (grosso modo Il teschio sotto la pel­ le) . Ha interrotto gli studi a sedici anni, ha lavorato nel reparto amministrativo di un ospedale, è stata funzionaria del servizio sanitario pubblico, ha coordinato un'équipe di medici legali. - Signora James, perché a 42 anni si è messa a scrivere thriller? «Non per denaro. Non mi sono mai fidata a vivere solo di li­ bri. Neanche adesso che sono in pensione, mi dedico soltanto allo scrivere. Ho una vita molto intensa: svolgo attività di giudi­ ce tutelare, faccio parte di una commissione consultiva della 266

Bbc, seguo la vita delle mie due figlie e dei miei cinque nipoti, viaggio molto (mi piace camminare in riva al mare e visitare chiese) , colleziono piccoli oggetti antichi (quelli che si possono scoprire dai rigattieri, non quelli esibiti dagli antiquari) . Nean­ che sono diventata scrittrice per desiderio di notorietà: la noto­ rietà dà piacere, ma è anche un po' ingombrante. Insomma scri­ vo libri per un bisogno psicologico profondo; non sempre scri­ vere è divertente, spesso è anzi faticoso, ma io non posso farne a meno; scrivere per me è respirare». - Cos'è che caratterizza un buon romanzo poliziesco? «Un buon poliziesco deve essere innanzitutto un buon ro­ manzo, con ambienti ben caratterizzati, personaggi psicologica­ mente credibili, un'atmosfera intrigante, ma non complicata o confusa. Deve ruotare attorno a una o più morti misteriose, de­ ve sviluppare un intrigo i cui indizi siano chiari, deve proporre un enigma che il lettore sia progressivamente in grado di deci­ frare. Un buon poliziesco non è un puzzle, un rompicapo: deve essere un affresco di vita (magari un po' inquietante) da rivisita­ re. Un poliziesco è davvero riuscito quando si fa non solo legge­ re ma rileggere». - Nei suoi romanzi vengono spesso citate opere altrui. Lei è una buona lettrice? «Leggo moitissimo. Pochi polizieschi (solo quelli di Dick Francis o di Ruth Rendell - o magari rileggo quelli di Dorothy Sayers o di Ngaio Marsh) : i miei scrittori preferiti sono Jane Au­ sten (per la sua capacità di dipingere i quadri sociali e interni fa­ miliari), Evelyn Waugh (per la sua ironia insieme impietosa e af­ fettuosa) e Graham Greene (per il suo intelligente interrogarsi sulle colpe morali). Insomma, mi piacciono gli scrittori che in­ dagano sul male, sulle inquietudini dell'anima, sull'ambiguità dei sentimenti umani ma con leggerezza: nel mio ultimo roman­ zo, Un gusto per la morte, ad un certo punto si legge che "un ec­ cesso di sincerità è sospetto quanto un eccesso di reticenza" ». - Nel suo romanzo Sangue innocente, ma anche in altri ro­ manzi e ultimamente in Un gusto per la morte, ci sono bambini infelici e smarriti. Così come ci sono famiglie in crisi e coniugi 267

sbandati. I suoi romanzi sono anche re/erti sulla crisi contempora­ nea della famiglia? «No, non propriamente. I miei romanzi riflettono, nell'insie­ me, la situazione della società inglese contemporanea, o meglio il suo cambiamento. Ci sono dentro bambini minacciati dalla violenza, ma non solo: io ho ottimi rapporti con i nipoti. Vi com­ paiono famiglie in crisi, ma conosco molte famiglie come la mia che sono, grazie a Dio, felici. Presento personaggi alle prese con malattie, ma vivo in mezzo a gente in buona salute. Credo che uno scrittore descriva infelicità, paure, malattie anche per esor­ cizzarle, per illudersi di tenerle lontano». - In Un gusto per la morte la vittima è un uomo politico. Cosa pensa della politica? «Quello che ne pensa il mio personaggio, sir Paul Berove; la politica "è un lavoro che richiede meno ipocrisia di tanti altri. Un politico ha l'obbligo di ascoltare bugie, di dire bugie, di tol­ lerare bugie: si educa a non crederci "». - Qual è la virtù umana che apprezza di più? «La voglia di capire, l'attitudine a compatire, la capacità di sopportare (intendiamoci, sopportare, non giustificare) l'errore. Raccontare per capire è anche il vero compito di uno scrittore di polizieschi». Il Giorno, 10.5. 1984

5. P. D. J ames è la scrittrice inglese di gialli che attualmente pre­ ferisco; i suoi romanzi hanno intrecci ben studiati, offrono una ricca galleria di azzeccati ritratti psicologici, presentano ambien­ ti ben descritti e non sono sofisticati. Gli investigatori protago­ nisti dei romanzi della James sono due: il sovrintendente di Sco­ tland Yard Adam Dalgleish e l'investigatrice privata Cornelia Gray. Alle awenture di Cornelia la J ames ha dedicato, per ora due soli romanzi: il primo, Un lavoro inadatto a una donna (Mondadori) viene riproposto in Italia in una bella traduzione di Ettore Capriolo. Cornelia porta il nome di una delle figlie di re Lear; è dunque 268

un personaggio romantico-drammatico, figlia di un padre ec­ centrico («un poeta marxista itinerante e un rivoluzionario dilet­ tante») ; ha ventidue anni; è una buona lettrice; ama le docce fredde e le colazioni sull'erba; è anche una ragazza sentimentale; piccola, minuta; ha occhi tondi con sfumature verdi e bocca da ragazzina; è paziente, ostinata, tenace. È una donna moderna, smaliziata, ma non spregiudicata, alle prese con «un lavoro ina­ datto a una donna» ma che svolge con grande scrupolo profes­ sionale. La prima inchiesta in cui viene coinvolta la conduce a Cambridge, in un ambiente di professori universitari e intellet­ tuali di complemento; si muove tra villette residenziali, colleges e cottages: P. D. James descrive molto bene luoghi, facce, am­ bienti, nevrosi e ambiguità. J ames è un'attenta indagatrice di co­ stum i privati, ha un humour nero non invadente ma graffiante, studia il Male (matrice del delitto) senza pregiudizi moralistici. In Un lavoro inadatto a una donna Cornelia indaga sulla mor­ te di Mark Callenger, figlio di un microbiologo: ingredienti del­ l'intreccio sono uno scambio di maternità, una paternità conflit­ tuale, una ricca eredità, il disorientamento giovanile (Mark ha lasciato l'università per fare il giardiniere) . Il romanzo è orche­ strato su molte false ipotesi e su una serie di devianti sospetti: è, perciò, una narrazione che invita il lettore a non abbandonare mai il campo. Ma il lettore ne apprezza anche la grande sotti­ gliezza psicologica: virtù che la James attribuisce, pur non essen­ do una femminista, soprattutto alle donne; non a caso, quando sul finire del romanzo la giovane Cornelia incontra il maturo Adam Dalgleish, il lettore comincia a sospettare che la scrittrice voglia (nei prossimi romanzi) cimentarsi con il progetto di una love story tra l'investigatrice e il sovrintende. Interpellata in me­ rito, P. D. James ha, però, affermato: «Cosa rispondere alla do­ manda dei lettori: Cornelia sposerà Adam? Chi può dirlo? Ci sono, comunque, diverse ragioni per le quali un così interessan­ te matrimonio potrebbe costituire un'imprudenza. È facile im­ maginare il consiglio che una guida spirituale darebbe a Corne­ lia. Si tratta di un vedovo, figliola, considerevolmente più vec­ chio di te, il quale non è stato capace - o non si è sentito dispo269

sto - di legarsi permanentemente a un'altra donna, da quando la moglie gli morì di parto. È una persona molto riservata, distac­ cata e autosufficiente, un investigatore di professione tutto dedi­ to al suo mestiere, per niente avvezzo ai problemi emotivi e do­ mestici che una moglie e una famiglia gli creerebbero. D' accor­ do, tu lo trovi attraente dal lato sessuale, ma questo vale per una quantità di donne più esperte, più mature e persino più belle di te. Sei sicura che non saresti gelosa del suo passato, del suo lavo­ ro, della sua fondamentale autosufficienza? E fino a che punto ti sentiresti veramente legata a lui se, tra voi, ci fosse sempre l'om­ bra di un segreto? E sei proprio certa di non cercare, invece, un sostituto di quel padre che, per te, rappresenta una delusione?». Insomma P. D. James è astuta sia come inventrice di personaggi sia come loro interprete. ItaliaOggi, 24.7 . 1988

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]oh n Le Carré l.

Sono stato un fan dei thrillers di John Le Carré (David Cornwell per l'anagrafe, ex professore di tedesco a Eton, ex fun­ zionario dell'lntelligence Service ed ex console inglese in Ger­ mania) fin dagli anni di Un delitto di classe e Chiamata per il morto; e, a suo tempo, La spia che venne dal freddo e La talpa mi hanno entusiasmato. Mi è poi accaduto di sentirmi lettore per­ plesso dei romanzi Lo specchio delle spie, Un ingenuo e senti­ mentale amante e I:onorevole scolaro (di cui mi ha convinto solo la conradiana - angosciosa e funerea - seconda parte). Ora la nuova macro spy-story La tamburina (Mondadori) mi sembra un romanzo piuttosto prolisso. Le Carré ha abbandona­ to (secondo la moda degli anni Ottanta che trova attivi anche i coprotagonisti minori - Follet, Forsyth e Ludlum) la scattante, allusiva, ambigua, nevrotica e labirintica spy-story psicologica per la spy-story d'azione: purtroppo in La tamburina quel che manca è proprio l'azione; il corposo romanzo (dettagliato affre­ sco sul terrorismo arabo-israeliano) si muove lentamente lungo un itinerario di eventi plausibili ma prevedibili. Un bel guaio: se anche gli scrittori di thriller si mettono a fare i cronisti, chi ci af­ fascinerà, d'ora innanzi, con romanzesche trame, con sorpren­ denti plot? Le Carré, naturalmente, non manca di abilità nell'impostare scenari e nel tracciare identikit di personaggi: tutti i caratteri delle ciniche canaglie che in La tamburina organizzano violenze sono ben delineati fin nelle sfumature; La tamburina è, anzi, proprio un romanzo di montaggio e smontaggio di caratteri, un angosciante romanzo sulle manipolazioni della personalità. Gli manca, però, il mistero; non ha una eccitante progressione di su­ spense: lacune imprevedibili in un maestro di suspense e miste­ ro come Le Carré. Protagonisti di La tamburina sono l'israeliano Kurz, l'ebreo­ tedesco Joseph, l'inglese Charlie, il palestinese Khalil, coinvolti 27 1

in atti terroristici che trasformano l'Europa centrale in un West selvaggio dove le bombe fanno esplodere supermercati, scuole, negozi, sedi d'ambasciate e dove gli ebrei (industriali, diploma­ tici, scienziati) subiscono atroci imboscate. Chi organizza le imboscate è Khalil, giovane capo della rete europea di Agonia Palestinese, guerrigliero sfidato e insonne, mutilato fabbricatore di bombe micidiali che firma con una ma­ tassina di filo elettrico. Chi prepara la caccia a Khalil è Kurz, dinamico, fremente, fa­ melico cacciatore di demoni: Kurz il corto e dalla miccia corta che riesce a imbrogliare e a mentire persino nelle preghiere; Kurz che dirige la sua compagnia di spie e di agenti con licenza d'uccidere con l'ipnotica febbre di un impresario teatrale. E i comprimari del grand-guignol che ha per sfondo Bad Go­ desberg e Monaco, l'isola di Mykonos e Nottingham, Londra e Beirut, sono Joseph dalla doppia identità sessuale e dalla tripla identità professionale, e Charlie, attrice esperta in camuffamenti e rimorsi che, rapita (assoldata) dalla compagnia di Kurz, debut­ ta nel crudele repertorio del teatro della mistificazione. «Lei in realtà si chiamava Charmian, ma tutti la conoscevano come Charlie e molti anche come Charlie la Rossa ... Era l'estranea di una rumorosa compagnia di giovani attori britannici che dormi­ vano in una cadente casa colonica circa ottocento metri all'inter­ no e scendevano alla spiaggia come una sciatta e legatissima fa­ miglia che non si separava mai ... Chiariie non era certo la più graziosa delle ragazze, ma irradiava sessualità, e insieme un'in­ guaribile benevolenza ... Charlie, secondo i normali criteri di giu­ dizio, era bruttina: moche, con un naso lungo e forte e un viso prematuramente incupito, ora infantile e un attimo dopo tal­ mente vecchio e lugubre che ti venivano i brividi pensando a quali esperienze di vita doveva aver avuto e ti chiedevi cos'altro le sarebbe capitato. Era a volte la loro trovatella e a volte la loro madre, quella che teneva i conti e sapeva dov'erano la lozione contro le punture d'insetti e il cerotto per chi si feriva a un pie­ de. In questo ruolo, come in tutti gli altri, era la più generosa e la più capace di tutti. E ogni tanto era anche la loro coscienza, 272

pronta a sgridarli per qualche reato, reale o immaginario, di sciovinismo, di sessismo o di apatia occidentale. Il diritto di far questo le era conferito dal suo ceto sociale, perché Charlie, co­ me dicevano sempre, era il loro tocco di classe: aveva studiato privatamente ed era figlia di un agente di cambio, anche se - co­ me lei non si stancava mai di raccontare - il pover'uomo aveva concluso i suoi giorni dietro le sbarre per aver defraudato i suoi clienti». Addestrata da Kurz e Joseph, Charlie diventa la camaleontica calamita che deve stanare Khalil e dare consistenza e immagine al suo volto anonimo (mascherato). Come Khalil ha seminato micce nei luoghi più impensati d'Europa, così Charlie semina esche tra diplomatici che sono stereotipi dei loro Paesi d'origine, tra eroi del plastico e del mi­ tra addestrati in un fortino che sembra una scena per il rifaci­ mento del fim Beau Ceste, tra i frequentatori di un motel teuto­ nico con sfondi archeologici per amanti con nostalgie medioeva­ li, tra le salamandre umane annoiate e distese al sole delle spiag­ ge egee, tra i controllati borghesi di un paese della Cornovaglia, tra i frequentatori di un monastero trasformato in discoteca, tra i poveri fedain di un agrumeto di Sidone. A fine missione, Charlie, tamburina lanciata allo sbaraglio in prima linea, vivrà solo di immagini di un album di follie, incapa­ ce di capire (e di interpretare) il copione della morte e il copio­ ne della vita. Le ultime 1 00 pagine di La tamburina (pagine fi­ nalmente di forte tensione e di trascinante scansione) descrivo­ no il viaggio di Charlie nell'orrore: per nostra fortuna, ridocu­ mentano il talento di Le Carré, le sue virtuosistiche capacità di romanziere. Il Giorno, 6.10.1 985

2. La spia perfetta, il nuovo romanzo spiomstlco di John Le Carré, ha per tema il tradimento: «Tradire e viaggiare. Il tradi­ mento è immaginazione. Il tradimento è speranza. Il tradimento 27 3

è amore. Il tradimento è fuga. Il tradimento è avventura dell'ani­ ma» si legge all'inizio del romanzo. Il tradimento (sentimentale, politico, sociale) è per i perso­ naggi di Le Carré la tentazione a cavalcare e domare la povertà della vita; il tradimento è la trasgressione della regola della ba­ nalità quotidiana riassunta, per gli inglesi di Le Carré, nel lapi­ dario «L'uomo nasce, si sposa, divorzia, muore». La spia perfetta (Mondadori) è, quindi, un romanzo spionisti­ co di elaborata struttura, ma anche un romanzo esistenziale (co­ me La spia che venne dal freddo) di sottile intelligenza. Il suo antieroe (i personaggi più riusciti di Le Carré sono sem­ pre antieroi) è Magnus Pym, un uomo continuamente in cerca di se stesso, un uomo attratto più dalle persone che dalle idee, un uomo che invita la coscienza propria e degli altri a mordere e a rimordere. Il giorno in cui muore suo padre, Magnus scompa­ re da Vienna (dove lavora come consigliere dell'ambasciata bri­ tannica) in compagnia di una preziosa grossa cartella diplomati­ ca e di una pistola. Lo cerca l'amico J ack, che l'ha fatto entrare nell'azienda spionistica, lo cerca la spia cecoslovacca con cui ha fatto per anni il doppio gioco. Nel tentativo di carpire le ragioni della scomparsa (rapimento, fuga, follia?) i suoi segugi violano la privacy dei suoi amici e delle sue donne (Magnus ha avuto molti amori - Lipsie, J emina, Kate, Belinda, Sabrina, Mary - ma non ha mai conosciuto davvero l'amore) . Lo ritroviamo in una città di mare del Davon, intento a scri­ vere, in compagnia di una vecchia zitella e di un gatto tigrato, una confessione per il figlio. Nel romanzo le indagini e la confessione si alternano, si incro­ ciano, si impastano, mettendo in luce come la vita di Pym sia stata traumatizzata da un forte complesso edipico, da un'amici­ zia possessiva e alienante, da un matrimonio di carriera che han­ no privato l'uomo della sua identità, costringendolo ad una con­ tinua progettazione ed esperienza di mascheramenti. Pym è sta­ to ogni giorno un uomo diverso, per questo ora è per gli altri dif­ ficile individuare le tracce del suo passato e del suo presente. Si raccolgono, su di lui, labili indizi: preferiva le camere che dava274

no sulla ferrovia, diceva di voler andare in Norvegia a vedere la migrazione delle renne, voleva comprarsi una villa nel Nord del­ la Spagna, aveva conosciuto Thomas Mann, voleva scrivere un romanzo, aveva lavorato al seguito del padre in una campagna elettorale ... La storia di questa campagna elettorale (che occupa l'intero capitolo undecimo del romanzo) è uno straordinario pezzo di bravura: ma tutto, in questo La spia perfetta (che riscatta il talen­ to di Le Carré dal tonfo del precedente La tamburina) , è di gra­ na smagliante e sottile; ritratti femminili, paesaggi, trovate ro­ manzesche, analisi della nevrosi dei professionisti dell'lntelli­ gence Service travolti da un'astratta intelligenza. «Una società che ammira i corpi speciali è meglio che stia attenta a dove sta andando» commenta a un certo punto Le Carré; La spia perfet­ ta, abilissimo thriller sentimentale ed ironico, elegiaco e dram­ matico, ragionativo e descrittivo, malinconico e severo, si rivela, alla fine, una rigorosa analisi dell'arte del tradimento come for­ ma di corruzione morale. Il Giorno, 12.10. 1986

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Borges & Casares, Casares & Ocampo l. J . L. Borges amava la letteratura poliziesca, perché «in un giallo ogni cosa è esattamente definita» mentre nella restante let­ teratura «la realtà è informe». Ha ripetutamente affermato di considerare Chesterton il suo grande maestro e si è detto lettore ammirato di Hawthorne e Dostoevskij, di Lovecraft e Kafka, di Conrad e Faulkner: lo attraeva, insomma, il disordine della co­ scienza («il male è in tutti noi») che si trasforma in ordine di scrittura. Borges diresse anche in Argentina una collana di thril­ ler, «Il settimo cerchio», dove pubblicò, per primi, romanzi di Nicholas Blake, di Michel Linnis, La pietra di luna di Collins e Il mistero di Edwin Drood di Dickens. Finché, avviato il sodalizio con Adolfo Bioy Casares, con lui scrisse, a quattro mani, opere narrative di struttura thrilling. Di Casares, Borges ha detto: «lui ha influenzato me molto più di quanto io abbia influenzato lui». Il gusto surrealista allucinato-grottesco di Casares si sposò facil­ mente con il gusto onirico-metafisico di Borges (così come il surrealismo di Casares si sposerà con il realismo crudele-nero della moglie Silvina Ocampo) . Con lo pseudonimo di H. Bustos Domecq, i due argentini pubblicano nel 1942 Sei problemi per don !sidro Parodi e nel 1967 le Cronache di Bustos Domecq: Bustos era stato il nome di un bisnonno di Borges e Domecq era stato il cognome di un an­ tenato francese di Casares. Don !sidro Parodi si fa, attraverso storie barocche (alla Gaudi), interprete di una Baires (Buenos Aires) che è una grande «corte dei miracoli» dove colpevoli e giudici si scambiano le parti (le maschere) ; e don !sidro Parodi, con la sua accidiosa intelligenza, diventerà il modello del Pepe Carvalho di V azquez Montalban. Nel 1946 Borges & Casares pubblicarono, con lo pseudoni­ mo di B. Suares Lynch Un modello per la morte, che sarà a sua volta modello delle luttuose storie psicosociali di Ernesto Saba­ to (vedi Sopra eroi e tombe e L'angelo dell'abisso) . 276

Borges ha sempre sostenuto che la sua letteratura nasceva dal­ la letteratura; anche nei thriller scritti con Casares (o da Casares con revisione di Borges, come qualcuno ha sospettato), l'ele­ mento di pastiche e l'elemento parodi co (non si chiama, d'al­ tronde, Parodi il loro colto investigatore?) sono costantemente presenti. Ha scritto Borges: «Col passare degli anni, un uomo popola l'universo di immagini di province, regni, montagne, baie, navi, isole, pesci, stanze, arnesi, stelle, cavalli e persone. Poco prima di morire scopre che questo paziente labirinto di linee disegna l'immagine del suo stesso viso». Don !sidro Parodi indaga den­ tro il labirinto dei delitti quotidiani per tentare di delineare la propria identità. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

2. Ho letto il poliziesco Chi ama, odia ( 1 945 ) di Silvina Ocampo & Adolfo Bioy Casares, narratori argentini notissimi (maestri del fantastico) , moglie e marito, studiosi del thriller e sperimen­ tatori in proprio delle tecniche thrilling. I due estrosi argentini sono narratori di smaliziata ironia. Il loro romanzo poliziesco è una sofisticata imitazione (forse una satira) del romanzo polizie­ sco. L'azione di Chi ama, . odia (Einaudi) è ambientata, durante una breve stagione balneare, in un albergo frequentato da intellet­ tuali. La vittima è una traduttrice; il narratore-detective è un medico omeopatico che ingerisce dieci granuli di arsenico al giorno; il commissario di polizia è esotico/improbabile, nella baia davanti all'albergo è ancorata un'imbarcazione chiamata Joseph K., in omaggio a Kafka; la sorella della vittima (e prima sospetta) è una fastidiosa melomane; in ogni sequenza dell'inda­ gine saetta (per scomparire rapidamente) un ragazzino appas­ sionato di football e misteriosamente voyeur, una ragazzino che manipola arsenico e tiene nascosto in camera sua un albatro in­ sanguinato. L'inchiesta si sviluppa attraverso una serie di battute più che 277

attraverso colpi di scena; battute come: «ll sogno è la nostra quotidiana pratica della follia»; «La prego di riferire la rilevazio­ ne dopo il tè». A conclusione del romanzo si legge: «Ho redatto le pagine che sono state lette, perché certe amiche di mia madre - le uni­ che amiche che ho - desideravano che il mio intervento nell'in­ dagine rimanesse documentato». Giocato tra nonsense e ironia, il testo di Silvina Ocampo & Adolfo Bioy Casares risulta, dun­ que, un abile pastiche letterario più che un «buon pasticcio» po­ liziesco. ItaliaOggi, 24.7 .1988

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E. S. Gardner e Mason Nelle statue dei tribunali di tutto il mondo la Giustizia è una donna con gli occhi bendati; l'unica statua della Giustizia sben­ data è quella collocata sull'Old Bailey di Londra che è il più fa­ moso tribunale penale inglese. Secondo alcuni la Giustizia si presenta bendata perché dovrebbe essere imparziale, per altri perché è cieca, per altri ancora perché il compito di toglierle la benda (di costringerla a guardare i fatti e a sanzionare i giudizi secondo la legge) è dei magistrati e degli avvocati. In Italia gli avvocati (dopo la celebre grottesca interpretazione di un legu­ leio fatta da Manzoni nei Promessi sposi) vengono spesso chia­ mati, con sospetto, azzeccagarbugli: e questo è strano che acca­ da in un paese come il nostro dove molti avvocati sono entrati nella storia come deputati, ministri, Capi del Governo e Presi­ denti della Repubblica. Gli avvocati hanno sempre goduto di maggior credito in Inghilterra (dove la Giustizia è sbendata e dove gli uomini di legge esercitano in tribunale con un'austera parrucca con due codini e quattro file di riccioli); d'altronde, uno dei più grandi scrittori inglesi ha saggiamente affermato: «Se non esistessero cattivi, non ci sarebbero avvocati». In ogni caso, dovunque la domanda comune è: gli avvocati stanno dalla parte della Giustizia o dalla parte dei criminali? Nella letteratu­ ra poliziesca approfittano, in genere, dei garbugli della procedu­ ra penale solo per arrivare alle prove d'innocenza per i loro assi­ stiti. Gli avvocati autori di thriller sono molti: possiamo !imitarci a citare Henry Ceci!, Michael Gilbert, Roderic Jeffrien, Harold Q. Masur, Melville Davidson Post, Arthur Train e l'italiano Nino Filastò; ma il più famoso in tutto il mondo è sicuramente Erle Stanley Gardner, lo statunitense diventato avvocato senza lau­ rea. Gardner, figlio di un ingegnere minerario, nacque a Malden (Massachussetts) nel 1889, e trascorse l'infanzia viaggiando al seguito del padre, tecnico nomade da miniera a miniera. Da gio279

vane praticò la boxe; da adulto fu un buon tiratore di pistole e carabina, ma smise di cacciare per rispetto degli animali; fu an­ che un eccellente fotografo, un esperto di tiro con l'arco e un appassionato di comunicazione telegrafica e di elettronica. Col­ tivò studi autodidattici di storia naturale, geologia, psicologia e anatomopatologia. Ebbe, invece, rapporti irregolari con la scuo­ la; venne cacciato dall'università di Valparaiso {Indiana) per aver litigato con un professore: a diciassette anni fu assunto co­ me dattilografo in uno studio legale (cinquanta ore di lavoro al­ la settimana per tre anni) . Poi, nel tentativo di aumentare i pro­ pri guadagni, Gardner fece il commesso viaggiatore di tecnolo­ gie minerarie e di apparecchi ottici. Nel 1910 riprese a lavorare in uno studio legale: la pratica quotidiana di assistere, in un ruolo che era un po' di legale e un po' di detective, squattrinati, emigrati, emarginati e perseguitati innocenti, lo trasformò, benché non avesse conseguito regolari titoli di studio, in un eccellente penalista; e Gardner, ammesso poi ad esercitare nel foro della California, per venticinque anni fu un avvocato appassionato ed altruista. Nel 1948, quando era già un affermato scrittore di thriller, fondò la Court of the Last Resort, la Corte dell'Ultima Speranza, un'associazione di giuristi e criminologi con il compito di rispolverare casi giudiziari irri­ solti e di tirare fuori dalla prigione carcerati incolpevoli; sicché lo scrittore poté, a buon diritto, affermare: «Quasi tutto il mio tempo libero lo dedico ad aiutare i derelitti». Pubblicò il suo primo racconto nel 1923 e nei nove anni suc­ cessivi scrisse molte storie, thrilling o western, per riviste popo­ lari, soprattutto per «Black Mask», firmandole con vari pseudo­ nimi (Charles M. Green, Kyle Corning, Grant Holiday, Rupert Parr, Charles M. Stanton e A. A. Fair, alias quest'ultimo che continuerà ad usare durante tutta la sua carriera di narratore di vicende criminali) . Il suo primo romanzo con protagonista l'avvocato Perry Ma­ son, difensore dei perseguitati, degli oppressi, degli innocenti accusati ingiustamente - una proiezione dello scrittore, un dop­ pio che incarnava il suo desiderio di indagare in onore della 280

Giustizia - uscì in libreria nel 193 3 ; il romanzo si intitolava Perry Mason e le zampe di velluto; fu stampato, dopo vari rifiuti di altri editori, dalla William Morrow & Company, la casa editri­ ce che ha poi pubblicato tutti i libri di Gardner, non meno di 140; la copertina riportava questa scritta profetica: «Perry Ma­ son, avvocato. Ricordatevi questo nome. Lo sentirete di nuovo. Sta per diventare famoso». Sulla scelta del cognome Mason per l'oggi celebre eroe di Gardner, sono state rese pubbliche due versioni; secondo la prima, Gardner avrebbe dato il cognome al suo «avvocato del Diavolo» (un investigatore amante del ri­ schio, un legale spericolato che disse di sé: «Non mi è mai pia­ ciuto essere prudente») , in omaggio a Randolph Mason, prota­ gonista di tre romanzi di Post pubblicati tra il 1896 e il 1908 e amati dal padre di Gardner, che si sarebbe presa la civetteria di trasformare Randolph, avvocato di pochi scrupoli, in Perry, pa­ ladino dell'onestà; invece, stando alla seconda versione, il co­ gnome Mason sarebbe stato adottato in omaggio ad Alfred Edward Wooldley Mason, l'autore inglese dei polizieschi con protagonista l'ispettore Hanaud, grande estimatore dei classici del thriller Poe, Collins, Chesterton, Conan Doyle e Gaboriau, nonché autore di questo teorema del poliziesco datato 1925 : «Tutti i grandi romanzi polizieschi sono famosi e vivono grazie ai loro investigatori, Dupin, Sherlock Holmes, Monsieur Le­ coq ... soprattutto Monsieur Lecoq e poi Padre Brown. L'investi­ gatore dev'essere persona eccezionale, reale, pittoresca, diver­ tente, creatura dotata di fascino e singolarità. Senza un perso­ naggio così, il romanzo poliziesco, per quanto geniale, restereb­ be ad impolverarsi sugli scaffali». Gli ottantasette casi orchestra­ ti da Gardner attorno al personaggio di Perry Mason (in ottan­ tadue romanzi e cinque racconti) non hanno certo subito la mortificazione della polvere; sono diventati celebri, divulgati ne­ gli USA in più di duecento milioni di copie, tradotti in trenta lin­ gue, trasformati in racconti per la radio - per il cinema - per la TV (con esemplare protagonista l'attore, prima giovane e poi vecchio, Raymond Burr) . Oggi Perry Mason non è solo il nome proprio dell'eroe di 281

Gardner, è il termine con cui si definisce, per antonomasia, il pe­ nalista di spregiudicata abilità e di accanita perseveranza. Il cre­ do di Mason non è il credo-slogan dell'avvocato difensore divul­ gato dalla letteratura prima del suo avvento. «Se non hai dalla tua la legge, batti sui fatti. Se non hai dalla tua i fatti, batti sulla legge. Se non hai dalla tua né i fatti né la legge, batti i pugni sul tavolo»; il suo, è il credo inedito di un esperto della legge che è soprattutto un esploratore del pianeta vita: «Un buon avvocato ha bisogno di immaginazione, di fantasia. Quando s'accorge che una strada è sbarrata, torna indietro e ne cerca un'altra»; «Chi vuole agire senza rischi non si muove più e finisce per aver pau­ ra anche di vivere.» Perry Mason all'anagrafe risulta della classe 189 1 . È di statu­ ra alta e di taglia robusta. Ha gambe lunghe, spalle larghe, movi­ menti agili e occhi penetranti (anzi, magnetici: chi è sottoposto alle sue domande si sente come ipnotizzato) . Ha una faccia se­ gnata da nobili rughe, una capigliatura folta e ondulata, una vo­ ce dal timbro forte che dà autorevolezza ai suoi discorsi e ai suoi corteggiamenti. Affascina le donne e se ne lascia affascinare: ma l'eterna fidanzata della sua vita è Della Street, la sua segretaria particolare, di cui Mason dice: «Viene in aiuto alla mia memoria quando fa difetto». Per svolgere le sue indagini, Mason utilizza l'Agenzia Investigativa Drake (Paul Drake è il suo segugio) ope­ rante sullo stesso piano dello stesso palazzo dove Mason ha l'uf­ ficio a Los Angeles. Lo schema delle avventure di Mason è fisso: le storie iniziano con la visita di un cliente nei guai, si sviluppano con indagini in cui vengono coinvolti Della e Paul e in cui interviene il tenente capo della polizia; s'impennano con l'arresto del cliente o di un suo familiare; proseguono con interrogatori e un processo dibat­ tuto davanti alla Corte in varie udienze in cui Mason sottopone poliziotti, esperti, testimoni e accusato a stringenti domande; usufruiscono di un supplemento d'inchiesta; infine si concludo­ no con un colpo di scena in cui Mason - che ha fatto credere di condurre la partita bluffando - si rivela un giocatore astuto e ge­ niale. 282

Gli esperti di legge messi in azione dalla letteratura thrilling sono molti: va ricordato innanzitutto il giudice Jen-Djieh Dee (creato dall'olandese Robert Van Gulik), il magistrato esperto di enigmistica orientale e travestimenti; meritano almeno una se­ gnalazione Scott Jordan (eroe di Harold Q. Masur) , Peter Ward (eroe di David St. John), ]esse Falkestein (eroe di Leslie Egar) , John J. Malone (eroe di Craig Rice); ci sono poi anche due lega­ li radiati dall'albo, Jigger Maron (eroe di John Robert) e Donald Lam (eroe di A. A. Far, vale a dire dello stesso Gardner, che ha raccontato le avventure della coppia Lam e Bertha Cool la cic­ ciona in ventinove romanzi, il primo dei quali The Bigger They Come - Donald Lam investigatore, pubblicato nel 1939, raccon­ ta la storia di un ex penalista fattosi investigatore perché radiato dall'ordine degli avvocati per aver dimostrato una smagliatura nella rete della legge insegnando inconsapevolmente a un clien­ te come commettere il «delitto perfetto») . Su tutti, Perry Mason emerge per il record delle cause vinte e dei casi chiariti (un solo mistero irrisolto in tutta la sua carriera) e per il suo appoggio al­ la legge garantista (a favore, cioè, del cittadino, fino a prova pro­ vata o a confessione non estorta di colpevolezza). Perry Mason ebbe subito successo e, con il guadagno dei ro­ manzi con Perry protagonista, Erle Stanley Gardner poté riorga­ nizzare la propria vita, ritirandosi dall'attività forense per dedi­ carsi interamente alla letteratura nel Rancho del Paisano di Te­ nesula, cento miglia a sud-ovest di Los Angeles, dove Gardner morì nel 1970. Il ranch era vastissimo, aveva persino dodici cot­ tage e quattordici case-roulottes per gli ospiti; era abitato, oltre che dalla famiglia Gardner, da quattordici impiegati di ammini­ strazione e d'archivio che chiamavano lo scrittore Zio Erle e da sei segretarie (tre delle quali sorelle) che facevano ricerche, sbri­ gavano corrispondenza e trascrivevano i romanzi e i saggi che Gardner dettava; la caposegretaria era Mrs. Bethell (una delle tre sorelle) ; quando Gardner rimase vedovo a cinquantacinque anni, diventò la sua seconda moglie: pare che siano state Mrs. Bethell e le sue sorelle ad offrire le caratteristiche fisiche e psico­ logiche al personaggio di Della Street, la «segretaria particolare» 283

di Mason che si tiene sempre «pronta con la penna e il blocco da stenografia». Della Street ha per Mason una fedeltà assoluta sia professionale che sentimentale; in pubblico si danno sempre del voi (e Della chiama Perry «capo»); ma si intuisce, anche se Gardner non lo racconta, che vanno a letto assieme e qui si pre­ sume che si diano del tu (il sincronismo dei loro gesti e dei loro sentimenti lo presuppone) ; Della è leale e sacrificale: fiancheg­ giatrice appassionata di Mason padrone, rischia anche la vita e cinque volte finisce in prigione; protettrice ad oltranza di Ma­ son-amante, rinuncia, per la libertà di lui, al matrimonio. Gli in­ termezzi sentimentali - baci, abbracci, week-end, vacanze - tra Perry e Della non mancano e non mancano i momenti di tene­ rezza. Mason (autoritratto di Gardner) è, in definitiva, il tipico yankee, coraggioso e prude, maschilista e tenero, familista com­ prensivo verso gli adulteri, amoroso individualista sospettoso dell'eros: insomma, un vero puritano d'America. Paul Drake, il segugio di Mason, è più attivo che fantasioso; tra i due, Mason è la mente e Drake il braccio; il detective Paul è diligente e disponibile, ma si lamenta spesso che il lavoro gli complica la digestione. Esegue gli ordini di Mason che, secondo lui, «passano dal sublime al ridicolo», ma li ironizza; l'attenzio­ ne, l'ironia e il distacco sono le sue virtù; di Paul, Gardner ci for­ nisce questo azzeccato ritrattino: «Drake ci teneva a manifestare una certa trascuratezza e un contegno serio. Non trovava niente di romantico e avventuroso nel lavoro di un investigatore priva­ to». Gli avversari di Mason non sono i colpevoli da lui implacabil­ mente pedinati, ma i tenenti di polizia e i procuratori distrettua­ li accuratamente depistati (Mason ne ridicolizza pressapochi­ smo e improvvisazione) . Le vittime di Mason sono soprattutto il sergente Halcomb e il tenente Tragg, o i procuratori Danvers e Burger. Tragg chiama Mason il «furbone» e si dà da fare per «in­ trappolarlo»; ma il vero maestro di trappole è Mason, cercatore e decifratore di misteri, avvocato che gioca d'azzardo, a volte con metodi poco ortodossi, ma sempre incorruttibilmente al servizio della Giustizia. 284

Il gusto per il mistero e l'intrigo di Gardner è documentato anche dal fatto che in ogni suo romanzo c'è un personaggio con una vicenda da feuilleton; per esempio, Diana Regis in Perry Mason e il pugno nell'occhio: «Non ho mai conosciuto mio padre e mia madre morì quando avevo dieci anni. Ho studiato con te­ nacia ogni volta che ho potuto farlo e per tutto il tempo di cui riuscivo a disporre. Scuole serali, corsi per corrispondenza, week-end in biblioteca. Così, da stenodattilografa, divenni se­ gretaria, quindi attrice alla radio. Poi ebbi uno screzio con uno dei dirigenti e poco mancò che non rimanessi disoccupata. Un giorno, però, mi giunse la lettera di un ammiratore. Un certo J a­ son Bartsler trovava simpatica la mia voce e mi chiedeva se ero disposta ad accettare un impiego redditizio e poco faticoso». Il delitto, nei romanzi di Gardner, è sempre generato da intri­ ghi (familiari, industriali, ereditari, psicopatologici) feuilletoni­ stici. Ed è forse per questo che gli studiosi della letteratura thril­ ling hanno trascurato lo scrittore Gardner, mentre hanno mo­ strato una vera e propria passione, cultuale più che culturale, per Hammett e Chandler. Gardner, tuttavia, non è trascurabile neppure come scrittore, almeno per quattro ragioni. Prima ra­ gione: rispetta in pieno, con intelligente duttilità, il romanzesco, ma fa buon uso del contrappunto di una godibile ironia; lo di­ mostra, per esempio, in Perry Mason e la zanzara, il gioco del personaggio che ha l'abitudine di rovesciare i proverbi; ecco il risultato: «Dove l'ignoranza è beatitudine, una briciola di sa­ pienza è dannazione»; «Per arrivare allo stomaco di un uomo bi­ sogna passare attraverso il cuore»; «Quel che per me è veleno per un altro è manna». Seconda ragione: Gardner è scrittore so­ ciologicamente ripetitivo (i suoi ricchi e i suoi poveri, i suoi pec­ catori e i suoi virtuosi, i suoi eroi e i suoi criminali portano la stessa maschera) , ma è ricco di sfumature nello studio dei com­ portamenti o nelle illuminazioni ragionative; così, ad esempio, parla del ricatto: «Ci sono soltanto quattro modi per trattare con i ricattatori. Primo, dargli quanto chiedono, sperando che poi ti lascino in pace. Ma è come inseguire un miraggio, il ricattatore è insaziabile. Secondo, rivolgersi alla polizia: raccontare tutta la 285

storia ed aiutare i poliziotti a tendere una trappola. Terzo, co­ stringere il ricattatore alla difensiva, strappandogli l'iniziativa; è stato sperimentato varie volte e in qualche caso con successo: ma mi guardo bene dal consigliarlo ai miei clienti»; così, ancora, scrive del deserto: «Il deserto è la madre più affettuosa che si possa avere, perché è la più crudele. La sua è una crudeltà che insegna ad essere pronti, vigili, attivi e a basarsi sulle proprie ri­ sorse». Terza ragione: Gardner difetta di talento di rappresenta­ zione ambientale, ma è narratore psicologicamente assai fine; ecco, tanto per citare, due suoi scorciati ritratti: «La signora Bartsler aveva una sua grazia gelida. Tutto in lei, dalla carnagio­ ne ai capelli, alla persona, denunciava le cure dell'istituto di bel­ lezza»; «Ho l'impressione che, quando uno si è girato a guardar­ la, ha praticamente visto tutto. Ha un sorriso stereotipato e quando parla sembra sempre che stia recitando. Il suo è un fa­ scino ... come dire ... sintetico». Quarta ragione: Gardner è un maestro del thriller con interrogatorio e dibattimento; i suoi ro­ manzi sono abili messe in scena drammaturgiche; poveri di de­ scrizione, i suoi romanzi sono ricchi di efficacissimi dialoghi; i suoi romanzi sono drammatizzazioni del crimine di tesissima su­ spense, la loro scrittura e struttura sono da commedia dramma­ tica; difatti, presentandosi già all'origine come stringate e movi­ mentate sceneggiature, i romanzi di Gardner con le storie di Perry Mason hanno figliato film e telefilm irresistibili. Prefazione a «Perry Mason: entra la corte» di E. S. Gardner, Mondadori, 1991

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La doppia vita di Georges Simenon «In gioventù, ero piuttosto incline al disordine, ma avevo nel­ lo stesso tempo nostalgia dell'ordine, vale a dire di una certa so­ lidità e, in fondo, tutta la mia vita si è sintonizzata qui. Ogni ca­ sa che ho abitato era ben costruita, solida, forse per impedirmi di scappare. Mi ha sempre spinto un bisogno di sicurezza, per­ ché la mia vera tentazione era di fare il clochard; dentro di me ho sempre avvertito la vertigine del clochard». Chi parla è Geor­ ges Simenon, scrittore belga di lingua francese, nato a Liegi nel 1903 e morto in Svizzera, a Losanna, nel 1989. Simenon ha rico­ struito la propria vita in tre libri autobiografici (]e me souviens del 1945 , Quand j'etais vieux del 1970, Lettre a ma mère del 197 4), in ventidue volumi di confessioni al magnetofono (Dic­ teés, dal 1975 al 198 1 , i più noti dei quali sono il primo Un hom­ me camme les autres e l'ultimo Memoires intimes) e in un ro­ manzo sulla propria famiglia (Pedigree del 1948) , ma tutte que­ ste opere risultano piene di falsificazioni. I romanzieri, nelle autobiografie o nei diari, pur non menten­ do, si reinventano: Simenon ha cercato di raccontare la propria vita come una vita normale; in realtà, la sua fu una vita romanze­ sca. Pierre Benoìt, l'autore di Atlantide, disse di Simenon: «Se non fosse diventato scrittore, sarebbe diventato un avventurie­ ro». Simenon ha rappresentato e indagato se stesso soprattutto nel ciclo dei centodiciassette romanzi da lui definiti «romanzi duri» (tra cui Il testamento Donadieu, I: uomo che guardava pas­ sare i trenz� La vedova Couderc, Tre camere a Manhattan, La neve era sporca, Il gatto e Il banco con gli occhiali, l'unico a lieto fine) , mentre ha rappresentato l'uomo naturale che avrebbe voluto es­ sere nel suo più celebre personaggio, Jules Maigret, commissa­ rio della polizia giudiziaria parigina. Giustamente Jean Renoir, il regista de La grande illusione, ha affermato: «Maigret, eroe invo­ lontario, era psicanaliticamente il doppio di Simenon». Tutti i romanzi di Simenon (anche i romanzi umoristici o por­ nografici del primo decennio della sua carriera) sono thrillers; e 287

sono poliziesche anche le narrazioni delle serie Le inchieste di Joseph Laborgne ( 1 928), Le inchieste dell'ispettore Saucette ( 1 929), Le inchieste del giudice Froge! ( 1 930), Le inchieste di]ean Dollent ( 1 93 8) e Le inchieste dell'Agenzia O (1938), ma le set­ tantasei indagini psico-criminali con protagonista J ules Maigret (dalla prima, Pietro il Lettone, del 193 1 , all'ultima, Maigret e il signor Charles, del 1972) compongono una vera e propria «com­ media umana in nero». Quando entra in scena, Jules Maigret ha quarantacinque an­ ni, quando ne esce, già in pensione, ne ha sessantacinque; du­ rante una delle sue inchieste, conversando con la moglie dice che spera di morire tra gli ottantacinque e gli ottantotto anni: il suo autore lo ha imitato anche sull'età della morte. Maigret (funzionario di polizia) assomiglia, per il suo senso dell'ordine e per il suo equilibrio, al padre di Simenon (funzio­ nario di una compagnia di assicurazioni) ; mentre lo scrittore, nella sua avventurosa anarchia, assomiglia allo zio materno, Leonard, finito clochard per voglia d'amore e di libertà. Questo è il ritratto morale che lo scrittore traccia del suo commissario in Maigret e gli aristocratici del 1960: «Non si rite­ neva un superuomo, non si credeva infallibile. Anzi, incomincia­ va sempre le indagini con una certa umiltà, anche le più sempli­ ci. Non si fidava dell'evidenza, dei giudizi affrettati. Si sforzava pazientemente di comprendere». Tra le affermazioni sintomati­ che dell'etica comportamentale di Maigret possiamo citare: «Diffido sempre delle persone troppo perfette»; «Non posso fa­ re a mano di mettermi nei panni degli altri»; «Non giudico. Non è il mio mestiere». Maigret è burbero, riservato, comprensivo; cerca di indivi­ duare le colpe per capirle; la consegna del colpevole alla giusti­ zia è per lui del tutto secondaria. Nell'indagare su delitti, suicidi, disgrazie, pazzie, procede per appostamenti, pedinamenti, spo­ stamenti; non commette mai atti di violenza o prevaricazioni: vuoi conoscere., non per punire, ma per capire. È robusto, in­ dossa cappotti con il collo di velluto, calza scarpe pesanti, in te­ sta porta la bombetta, è fedele alla moglie Louise. Ha una buo288

na vista, si addormenta in qualsiasi posto, soffre di claustrofo­ bia, non guida l'automobile, legge Dumas, va al cinema nei po­ meriggi piovosi; a tavola predilige animelle, fricassea, trippa, bouillabaisse, lumache, beccafichi allo spiedo; tra i vini ama il beaujolais, il saucerre e il prunelle e il framboise; tra gli aperitivi sceglie abitualmente il pernod, ma qualche volta si lascia tentare anche dai picogrenadine. Maigret è, dunque, un piccolo borghe­ se che sta bene con la gente del popolo: Simenon è invece un bohemien, mondano, amante del lusso e punta fin da giovane a conquistare primati, per essere un vip tra i vip; con l'autore il personaggio ha in comune solo il gusto di fumare la pipa e l'at­ trazione per la birra: «Per me, il profumo delizioso della birra appena spill ata» ha chiarito Simenon, «rimane il profumo del Belgio». Lo scrittore è continuamente sopraffatto dal desiderio sessuale, mentre il commissario tradisce la moglie una sola volta con una prostituta, ma per poterla interrogare. Maigret è nato a Saint-Fiacre; è rimasto orfano di padre a ot­ to anni; ha fatto buoni studi liceali e poi si è iscritto all'univer­ sità, facoltà di medicina; anche Simenon era appassionato di me­ dicina e un giorno ha affermato: «Avrei voluto diventare medi­ co . . . Mi sarebbe piaciuto formulare diagnosi». E difatti i casi cri­ minali su cui indaga, attraverso Maigret, sono casi clinici dia­ gnosticati con grande precisione psicopatologica; senza la pre­ sunzione, però, di proporre terapie: Maigret è, per dirla con le parole del suo creatore, solo uno «sgrovigliatore di destini» ag­ grovigliati. Il commissario ha due famiglie (la moglie che lui chiama «si­ gnora Maigret»; la sua squadra di collaboratori, Lucas, Lapoin­ te, Torrence, Janvier e Lognon, ispettore di quartiere), due case (quella di sua proprietà in Boulevard Richard-Lenoir, strada vi­ cinissima a Piace des Vosges dove visse i suoi primi anni coniu­ gali Simenon, e l'ufficio in Quai des Orfèvres). I Maigret non hanno figli (hanno perduto una bambina in tenera età) e ne su­ biscono la malinconia; Simenon ha avuto quattro figli, ma è sta­ to un padre, ora invadente ora distaccato, di affetti poco profon­ di. Maigret si ritira in pensione in una piccola villetta a Meung289

sur-Loire dove passa il tempo a curare l'orto, a pescare e a gio­ care a bocce. Simenon, artista errante, uomo in costante crisi, cercherà, nei suoi ultimi anni, di imitare il suo personaggio pre­ ferito, il personaggio che gli diede notorietà internazionale. Da dove ha preso Simenon il cognome Maigret? Secondo la prima moglie, si chiamava così un loro coinquilino di Piace des Vosges; ma i biografi dello scrittore hanno scoperto che si chia­ mava Maigret anche un cronista della «Gazette de Liège» dove Simenon fece, giovanissimo, il suo apprendistato giornalistico. Tra il 193 1 e il 1932, Simenon pubblicò diciassette romanzi del­ la serie Maigret: alla fine del biennio, il personaggio aveva una notorietà così divulgata che a Liegi un cugino dello scrittore aprì un caffè con l'insegna «Chez Maigret» e a Parigi il direttore del­ la polizia giudiziaria, Xavier Guichard, diventato famoso per aver sgominato la banda Bonnot, invitò Simenon a partecipare per qualche settimana al lavoro degli autentici poliziotti. E rapi­ damente le storie di Maigret diventarono film: Il cane giallo e La notte del crocevia nel 1932, Il delitto della villa nel 1933 e così via, per un totale, a tutt'oggi, di cinquantacinque film di trame simenoniane. Tra i registi di questi film, Jean Renoir, Julien Du­ vivier, Henri Decoin, Marcel Carné, Claude Autant-Lara, Jean Delannay, Pierre-Granier Defevre, Bertrand Tavernier, Claude Chabrol. Secondo Simenon, i tre migliori Maigret, i più autenti­ ci, i più plausibili, sono stati quelli interpretati da Pierre Renoir in La notte dei crocevia, da Jean Gabin (in Il Commissario Mai­ gret del 1957, in Maigret e il caso Saint-Fiacre del 1 959 e in Mai­ gret e i gangster del 1963 ) e da Gino Cervi, protagonista delle quattordici «inchieste Maigret» realizzate, tra il 1965 e il 1972, per la Rai dal regista Mario Landi, su sceneggiature del comme­ diografo Diego Fabbri e del futuro narratore Andrea Camilleri. Quando il 3 settembre 1966 si inaugurò sul porto di Delfzijl, in Olanda, nella cittadina dove Simenon sosteneva di aver comin­ ciato a scrivere Pietro il Lettone, il monumento a Maigret, ac­ canto agli editori di tutto il mondo (quattordici) delle opere del­ lo scrittore, era presente anche Gino Cervi. Quanto a Gabin, sarà ricordato anche per la sua interpretazione di La Maria del 290

porto (del 1949) accanto a Nicole Courcel, di La ragazza del pec­ cato (del 1958) accanto a Brigitte Bardot e di [;implacabile uomo di Saint Germain accanto a Simone Signoret. I cinéphiles ama­ no, però, anche l'interpretazione di Simone Signoret e Alain De­ lon in [;evaso (del 197 1 ) e quella di Philippe Noiret in [;orolo­ giaio di Saint-Pau! (del 1973 ) . Ripercorriamo ora, come in una rapida sequenza cinemato­ grafica, la storia reale di Simenon. L'anno di nascita è come ab­ biamo già scritto il 190 1 ; sul giorno c'è, invece, un piccolo mi­ stero; nacque il 13 febbraio, di venerdì; ma la madre Henriette Briill, spaventata della coincidenza del «venerdì 13», convinse la levatrice a lasciare che fosse registrato all'anagrafe come nato di «giovedì 12». Mentre il padre di Simenon, Désiré, era un uomo equilibrato e sereno, la madre era una donna ansiosa e possessiva ed ebbe con il figlio un rapporto di aggressiva incomprensione; quando nel novembre del 1944 morì, in Vietnam, Christian, il fratello dello scrittore che si era arruolato nella Legione Straniera per sfuggire alla condanna per collaborazionismo con i nazisti, la madre, comunicando al figlio maggiore la notizia, disse: «Che peccato, Georges, che sia stato Christian a morire per primo». Da ragazzo, Simenon ebbe crisi di sonnambulismo e crisi mi­ stiche; poi, a dodici anni, una spregiudicata ragazzina lo liberò dalla verginità e dal misticismo. Dopo aver progettato di farsi prete e poi di intraprendere la carriera militare, interrotti gli studi si mise a lavorare prima co­ me commesso di pasticceria poi come commesso di libreria, fin­ ché il 12 novembre 1919 fu assunto come fattorino al quotidia­ no di destra «La Gazette de Liège», dove, dopo pochi mesi, riu­ scì a trasformarsi in cronista. Così descrisse più tardi la sua pas­ sione per il giornalismo: «Un incidente stradale che muta il cor­ so di molte vite; una tragedia che sconvolge un nucleo familiare; il ladruncolo, il teppista, il tossicomane che rimane senza droga, il politico in cerca di voti; un uomo rispettabile in attesa di rice­ vere una medaglia, una carica o un riconoscimento di qualsiasi genere che gli consenta di uscire dalla banalità. Non è meravi291

glioso per un ragazzo trovarsi improvvisamente immerso in tut­ to questo?» Fu un cronista d'assalto, spregiudicato e fanatico: si sentiva un po' nei panni del reporter-detective Rouletabille di Gaston Leroux; purtroppo scrisse, in quei mesi, anche articoli antisemi­ ti. Nel 192 1 , pubblicò il suo primo romanzo, Au Pont-des-Ar­ ches, basato su una storia grottesca, tra Gogol' e Rabelais, «am­ bientata in un negozio di farmacista specializzato in lassativi per piccioni»; il suo secondo romanzo, ]ehan Pinaguet, scritto nello stesso anno, rimase inedito per ordine censorio del direttore del suo giornale (era il «ritratto di un prete epicureo, messo a riposo per sospetta eresia e alcolismo») . Morto il padre, dopo un accelerato servizio militare (in caval­ leria) , nel dicembre 1922 emigrò a Parigi; alto, magro, con in­ dosso un impermeabile sdrucito, ai piedi scarpe logore, capelli biondi lunghi, cappello nero a tesa larga e cravatta a fiocco, sbarcò alla Gare de Lyon con in una mano una valigia di mate­ riale sintetico legata con una cinghia. Prima fattorino di un'asso­ ciazione di ex-combattenti e poi segretario personale del mar­ chese J acques de Tracy, Simenon a Parigi (dove nel 1923 lo rag­ giunse la moglie Regine Renchon, detta Tyge, pittrice) si tra­ sformò rapidamente in un «vagabondo perfettamente organiz­ zato». Così ha rievocato quei primi mesi di euforia: «C'era una tale frenesia nell'aria che la si poteva scambiare per follia. n franco era sceso a tal punto che gli americani, giunti dall'Okla­ homa e dalla California, accendevano ostentatamente i loro siga­ ri con biglietti da mille. Le donne indossavano abiti cortissimi e - novità clamorosa - mutandine di jersey di seta. Seta artificiale, lucida, rosa caramella. I fili di (finte) perle attorno al collo arri­ vavano fino all'ombelico». Tra il 1923 e il 1932 scrisse centinaia di racconti umoristici, sentimentali, pomo, polizieschi e fantastici firmati Georges Sim, per le riviste «Frou-Frou», «Le Merle Blane>>, «Le sourire», «L'Humour», «Paris Flut», «Eve», «Detective», ma fin dal set­ tembre 1923 riuscì a farsi pubblicare racconti anche dal quoti­ diano «Le Matin», diretto da Henry de Jouvenel, il marito di 292

Colette (già celebre autrice della serie romanzesca Claudine) . «Le Matin» pubblicava (dal martedì alla domenica) , ogni gior­ no, un racconto di scrittore noto e al venerdì quello di un de­ buttante scelto da Colette; dopo vari approcci infruttuosi, Co­ lette lo assoldò tra i collaboratori. Colette aveva continuato a raccomandargli, per settimane e settimane, realismo, discorsi­ vità e stringatezza: «Mio piccolo Sim, ho letto il suo ultimo rac­ conto ... Non ci siamo. Ci siamo quasi, ma non ci siamo. Non si deve fare programmaticamente letteratura, assolutamente nien­ te letteratura. Tolga le belle parole e vedrà che andrà». Simenon si libera del vizio delle belle parole e il miracolo awiene; più tar­ di confesserà che i romanzi con Maigret sono stati scritti con non più di duemila parole, ognuno in undici capitoli, un capito­ lo al giorno; ed Henry Miller (l'autore di Tropico del Cancro) de­ finì il suo stile: «Semplice, spontaneo, succoso». Dal 1924 al 193 1 , Simenon pubblicò, firmandoli con dicias­ sette pseudonimi, 188 romanzi popolari: il primo, Le roman d'u­ ne dactylo, lo scrisse in una mattinata, seduto all'aperto in un caffè di Piace Constantin-Pecqueur dove andava anche a sce­ gliere le modelle per i quadri della moglie. Awiò così la sua car­ riera di recordman del romanzo; alla fine presenterà un bilancio di 4 1 8 libri, primato da Guiness, come quello che si attribuì nel febbraio 1 977 in un dialogo con Federico Fellini, registrato per «l'Express», in cui confessò di avere avuto diecimila femmine: e Fellini, per questo, si ispirerà a lui per tracciare nel film La città delle donne (del 1980) il personaggio dell'erotomane Katzone. La superproduzione narrativa e giornalistica lo rese ricco: e, da ricco incontinente, collezionò battelli, quadri, cavalli, abita­ zioni (ventinove, tra ville e castelli) , amanti e amici; tra gli amici Maurice Chevalier, il barone Rotschild, Fernandel, il pittore Vlaminck, Cocteau, Picasso, Gide, il regista Pabst, Chaplin, il giornalista Pierre Lazareff; tra le donne la danzatrice Josephine Baker, di cui fu anche, tra il 1925 e il 1926, segretario part-time e di cui disse: «È indubbiamente il sedere più famoso del mon­ do . . . è l'unico sedere che ride». Tra le case vale la pena di ricordare che la grande villa che si 293

fece costruire nel 1963 ad Epalinges, vicino a Losanna, contava 30 stanze insonorizzate e senza odori, vi lavoravano 1 1 domesti­ ci e nel suo garage erano quotidianamente parcheggiate 5 auto fuoriserie. La saga esistenziale di Georges Simenon è troppo ricca, sfac­ cettata, avventurosa e drammatica per essere riassunta in un breve ritratto. Bisogna, però, ricordare almeno alcuni dei suoi celebri reportages. Nel 1932, viaggiò in Africa {Egitto, Sudan, Congo, Gabon) e raccontò il disastro del colonialismo; circolava quell'anno un film pubblicitario della Citroen basato su immagi­ ni esotiche e con lo slogan «L'Africa vi parla»; Simenon siglò il suo lungo racconto gridando «L'Africa vi parla e vi dice merda». Nel 1933 visitò l'Europa Centrale e l'Europa dell'Est: a Berlino incrociò Hitler e i nazisti e non ne riconobbe la follia; in com­ penso a Prinkipo, vicino a Costantinopoli, intervistò Trotskij , fa­ cilitando le pratiche per il suo trasferimento in esilio a Parigi. Nel 1935 fece il giro del mondo (Usa, Panama, Columbia, Equa­ tore, Galapagos, Tahiti, Nuova Zelanda, Australia, India) rica­ vandone la serie di articoli intitolata «Le vaincus de l'aventure». Nel 1946 attraversò, negli Usa, l'Alabama, il Tennessee, la Geor­ gia e la Florida; e il lungo racconto di viaggio si chiamò «L' Amé­ rique en voiture». Clochard fallito e recordman del successo, Simenon fu un uo­ mo infelice. Si sposò due volte, senza amore; nel 1923 sposò Tyge, subito dopo spiegando così il matrimonio: «Mi sentivo capace di qualsiasi sciocchezza. Avevo bisogno di una palla al piede». Nel 1950 divorziò da Tyge per sposare Denise, la segretaria america­ na, che definì «sofisticata, superficiale, glamour, ipocrita, magra, aggressiva» e con la quale litigò per quarantaquattro anni, talvol­ ta tentando persino di ammazzarla; Denise, per questo, è entrata ed uscita più volte dalle cliniche psichiatriche, prendendosi poi la rivalsa sul marito scrivendo due libri contro di lui. Tyge e Denise ebbero due cameriere , la prima Henriette Liberge detta Boule, la seconda la friulana Teresa Sbirulin: Simenon le trasformò en­ trambe in amanti compiacenti. Alcune notizie sui quattro figli: Mare, nato nel 1939, è diventato produttore cinematografico, ha 294

sposato l'attrice Milene Demonget e la madre Tyge è morta nel 1985 nella sua casa. Johnny, nato nel 1949, si occupa a Parigi di distribuzione di film. Marie-Joe, la prediletta, nata nel 1953 , non sopportando il conflitto tra il padre e la madre, si è suicidata nel 1978. Pierre, nato nel 1959, fa l'avvocato. Il belga Simenon ha attraversato, nella sua lunga vita, due guerre mondiali, due occupazioni tedesche del suo Paese e due rischi d'epurazione: nel primo dopoguerra per il suo giovanile antisemitismo e nel secondo dopoguerra per l'accusa di conni­ venza con il governo francese filotedesca di Vichy. In realtà, Si­ menon, in un secolo di grandi conflitti politici ed ideologici, è stato solo un anarchico velleitario e poco libertario. Convinto anticolonialista, non ha capito, invece, i pericoli del fascismo e del nazismo e ha enfatizzato i pericoli del comunismo: tra il 1945 e il 1955 , ha vissuto dieci anni negli Stati Uniti, fuggendo dall'Europa perché convinto che sarebbe stata invasa dall'URSS. Simenon non ha capito la Storia del suo secolo, non ha cono­ sciuto l'amore e, alla fine, non ha goduto neppure il suo strepi­ toso successo. Ha finito col sostenere che «dentro ciascuno di noi la parte di inquietudine, di felicità e di angoscia, è pressoché uguale ... E il successo non è fortuna, è un pericolo ... Invece di dare gioia e tranquillità, il successo aumenta le inquietudini, perché quando uno raggiunge il successo, sembra non avere più traguardo e dunque si trova davanti al vuoto». Nato per scrivere, anziché nato per vivere: questo si potrebbe dire di Simenon, come di molti altri scrittori. Ha dichiarato: «Quando comincio un romanzo, io divento il personaggio prin­ cipale, e tutta la mia vita, dal mattino alla sera e dalla sera alla mattina, è condizionata da questo personaggio; io mi sento com­ pletamente dentro la pelle di questo personaggio». E un giorno confessò a Charlie Chaplin, suo vicino di casa in Svizzera: «Quando ci si sente a disagio nella propria pelle, si scrive un ro­ manzo o si fa un film. Questo sostituisce la psicanalisi: e, invece di pagare, si è pagati». E a un giornalista precisò: «Quello che mi interessa è l'uomo com'è e non come sarebbe potuto essere o 295

come sogna di essere ... Insomma, la verità quotidiana dell'uo­ mo». Per anni, Georges Simenon ha corteggiato il successo per tro­ vare la propria identità; l'identità, però, l'ha trovata, infine, nel­ l' «anonimato»: nel 197 4, quindici anni prima della sua morte, si recò a Losanna al consolato belga e chiese di poter cambiare la dicitura del suo passaporto da «romanziere» a «senza professio­ ne», poi si ritirò a vivere con Teresa, governante-amante, in una piccola casa dell' Avenue des Figuères. A decesso avvenuto, Te­ resa lo fece cremare e sparse le sue ceneri nel giardino; e tutti, fi­ gli, autorità, giornalisti e lettori, appresero la notizia della sua morte tre giorni dopo la sua cremazione. Almanacco del giallo,

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Sergio Bonelli Editore,

1997

James Ellroy Dopo aver letto, in ritardo sui suoi fans, cinque dei suoi libri, dirò anch'io che James Ellroy è, oggi, il più espressivamente per­ sonale e il più romanzescamente vivace dei nuovi scrittori ameri­ cani di thriller (lui è nato nel 1948) : ha preso il testimone del ta­ lento narrativo di Hammett e lo tiene ben alto e acceso, come il maratoneta in una festa olimpica. Le sue detective stories, or­ chestrate su «capitoli d'angoscia», viaggi nell'orrore e nello smarrimento psicofisico, costruiscono l'epica del «cuore di tene­ bra» della società americana (anche in Ellroy risulta essere Con­ rad il santo ispiratore), «cuore di tenebra» che è ancora una vol­ ta Los Angeles (con Hollywood incorporata) , descritta con pre­ cisione insieme fotografica e fantasmatica, attraverso sequenze visive organizzate con un montaggio senza pause, accelerato, e con una narrazione che impasta azione e psicologia. Di Ellroy ho letto Le strade dell'innocenza ( 1 984, Interno Giallo 1990) , dedicato a Kenneth Miller, l'autore di La città del diavolo e di Blue City, che ha raddoppiato la sua notorietà, sotto il nome di Ross McDonald, con la serie di romanzi con protago­ nista Lew Archer (ricordiamo almeno Bersaglio mobile del 1949 e Il delitto non invecchia del 1964). Le strade dell'innocenza è la rappresentazione virulenta (aggressiva come una musica punk) della lotta tra Lloyd e Teddy, il Bene e il Male, in una Los Ange­ les di strade buie, di palazzi fatiscenti, di locali pubblici sfatti (dove tutto sembra deformato, sia frequentatori che suppelletti­ li, da una vita allucinata) , una Los Angeles dove ogni spiaggia è «una spiaggia morente contaminata dalle tossine industriali»; Lloyd, il Bene, è aiutato da una libraia-poetessa (il messaggio di Ellroy è esplicito: la sopravvivenza sta nella cultura) . Ho proseguito la mia avventura di lettore con Dalia nera ( 1 987 , Mondadori 1989), romanzo dedicato alla madre morta, Geneva Hilliker Ellroy ( 1 915- 1958), barbaramente uccisa quan­ do J ames aveva dieci anni; la dedica si conclude con queste pa­ role: «Madre l ventinove anni dopo) l queste pagine d'addio l in lettere di sangue»; per l'atroce omicidio della donna chiamata 297

la Dalia Nera (una ragazza triste, una puttana) , su cui investiga­ no Dwaight e Lee (un ex peso massimo e un ex medioleggero di­ ventati compagni di pattuglia e sul punto di diventare concor­ renti nella gara per conquistare l'amore di Kay), Ellroy si è ispi­ rato all'omicidio della madre (ma Dalia Nera non sarà un addio, perché Ellroy indagherà sulla morte della madre e sulla propria vita, un inferno ora bollente e ora ghiacciato, in I miei luoghi oscuri, del 1 996 e pubblicato in Italia da Bompiani nel 1997). Lette le spietate e veritiere (per autenticità di ambienti e perso­ naggi) detective stories mi sono consolidato nell'opinione dell'i­ nautenticità degli abili thriller di Ed McBain (dell'italoamericano Salvatore Lombino, che firma con vari pesudonimi - Curt Can­ non, Hunt Collins, Richard Marsten, Ed McBain, Evan Hunter ­ ho apprezzato, invece, Il seme della violenza del 1954 firmato Hunter) . A proposito di indagini narrative documentarie su un delitto mi sono, inoltre, chiesto se sia più riuscito A sangue freddo di Truman Capote del 1966 o I miei luoghi oscuri pubblicato trent'anni dopo: e ho votato per il romanzo-inchiesta di Ellroy. Di Ellroy ho anche letto Il grande nulla ( 1 988) e L. A. Con/i­ dential ( 1 990) molto ben tradotti entrambi da Carlo Oliva (il primo nel 1990 e il secondo nel 1991 per Mondadori). In Il gran­ de nulla tre personaggi diabolici (un anticomunista, un maniaco antiomosessuale e un drogato fattosi spacciatore d'informazio­ ni) fanno deflagrare la vita di Los Angeles; il romanzo ha inizio con la predizione del vicesceriffo Danny secondo cui gli anni Cinquanta saranno «un decennio di merda» e si conclude con un grande rogo (purificatore?). Al centro di L. A. Con/idential ci sono un traffico di materia­ le pornografico, la corruzione della polizia e i maneggi malavita­ si di un magnate delle costruzioni, di un'esperta di pubblicità e di un mago dell'animazione cinematografica: dunque, violenza tra vip che Ellroy smaschera con evidente moralismo al vetriolo. Intanto, del geniale scrittore americano, mi appresto a legge­ re La collina degli eroi, Corpi di reato e White Jazz: la mia avven­ tura di lettore continua. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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Philip Kerr Lo scrittore inglese Philip Kerr, nato nel 1956 ad Edimburgo e residente a Londra, negli Usa piace a Tom Wolfe, in Gran Bre­ tagna a Salman Rushdie e in Germania a Giinther Grass; solleci­ tato da questi autorevoli giudizi ho letto i romanzi della sua «tri­ logia berlinese» (in sequenza, Violette di marzç, Il criminale pal­ lido e Un requiem tedesco, pubblicati in Italia da Passigli, con traduzioni di Patrizia Bernardini e Luca Merlini) e me ne sono entusiasmato. Kerr è uno scrittore colto, ha memoria letteraria e storica e la verifica in narrazioni di grande attrazione espressiva (la sua scrittura è incalzante, la struttura delle sue rappresentazioni è ineccepibile, il suo humour è graffiante) e di sorprendente pre­ cisione documentaria. Prima di scrivere i suoi romanzi ha fatto ricerche storiche capillari anche con esiti rivelatori (v. Un re­ quiem tedesco) ; e, per quel che riguarda il coté letterario, è evi­ dente che ha letto Christopher Isherwood (Addio a Berlino, La violetta del Prater) e Graham Greene (Il terzo uomo) . In ogni caso mi sento di fare questa affermazione: come James Ellroy è l'erede di Hammett, Philip Kerr è l'erede di Raymond Chandler (e non solo perché il suo detective, Bernhard Giinther, è disincantato e malinconico come Philip Marlowe, o perché le donne berlinesi di Kerr sono perverse e ricche di glamour come quelle hollywoodiane di Chandler, o perché i suoi criminali sono malati di disamore e spleen come quelli chandleriani). Violette di marzo ( 1989) è ambientato nella Berlino 1936, nei mesi in cui vi si svolsero le Olimpiadi: «violette di marzo» sono i nazisti che si imbellettano (di fronte agli stranieri) di perbeni­ smo e rispettabilità, per mascherare la loro atroce violenza quo­ tidiana (allora erano frequenti le «chiacchieratine con la Gesta­ po la cui sceneggiatura prevedeva le battute dello sfollagente e del tirapugni») . Il detective Bernie Giinther, ex poliziotto, che di solito indaga su sparizioni di ebrei («Molti dei miei clienti so­ no ebrei» racconta. «Occuparsi delle loro faccende è molto van299

taggioso, pagano sull'unghia, e si tratta sempre della stessa cosa: persone scomparse. Anche i risultati sono quasi sempre gli stes­ si: un corpo scaricato nel canale Landwehr con i complimenti della Gestapo»), qui indaga sulla scomparsa della figlia di un in­ dustriale; risolvere il caso (in cui sono coinvolti anche Himmler e il suo vice Heydrich) sarà per lui motivo di sopravvivenza, per­ ché finisce internato nel lager di Dachau. Ne Il criminale pallido ( 1 990) reincontriamo Bernie e il capo della polizia Nebe, Heydrich e Himmler (con la sua banda di falsificatori razzisti), nella Berlino che vide il progrom degli ebrei (del 9 e 10 novembre 1938) detto della Notte dei Cristalli. Messosi in pista per scoprire il movente e il colpevole di un se­ riai killing di donne, Bernie risolve anche il caso della scompar­ sa (nel romanzo precedente) dell'amica Ilse, mette a nudo l'atti­ vità criminale di una banda che gode della copertura di uno psi­ chiatra, ma finisce per affermare: «La vita nella Germania nazi­ sta richiede sforzi continui. E una volta che ce l'avete fatta, resta il problema di darle un qualche scopo. In fin dei conti, a che ser­ vono la salute e la tranquillità, se la vita non ha senso?» In Un requiem tedesco siamo nel 1947, in una Potsdam di traf­ fici e violenze, in una Berlino di macerie-mercato nero-esplosio­ ni-ricatti, in una Vienna terminai di trame spionistiche (Kerr ambienta la scena finale del suo romanzo nella famosa Cripta dei Cappuccini). Il primo capitolo di Un requiem tedesco (re­ quiem, perché alcuni personaggi della trilogia, ad esempio l'ex capo della polizia Nebe, muoiono; requiem perché Kerr scrive un atroce epitaffio sulla Germania hitleriana e post-hitleriana) comincia così: «Era una fredda, bella giornata, di quelle che puoi veramente godere solo se hai un fuoco da attizzare, e un ca­ ne da carezzare. Non avevo né l'uno né l'altro, a quel tempo non si trovava combustibile, e d'altra parte non vado pazzo per i ca­ ni»; la storia (intricata ma ben decifrata) è una storia di trame spionistiche incrociate tra russi e americani che utilizzano cini­ camente Heinrich Miiller, l'ex capo della Gestapo del Terzo Reich (d'altra parte, dice Bernie, «i politici hanno l'abitudine di cam300

biare politica») e una beli' organizzazione di falsificatori di docu­ menti impegnata a creare nuove identità per gli ex nazisti. Abbiamo trascritto l'inizio del primo capitolo; ma il romanzo ha anche una brevissima ouverture in cui si legge: «Berlino 1 947. Se sei tedesco, di questi tempi vivi il Purgatorio ancora prima della morte, in terrena sofferenza per gli impuniti peccati del tuo paese, per i quali non c'è pentimento, fino al giorno in cui, con l'aiuto delle preghiere dei Potenti - o, comunque, di tre di loro - la Germania sarà finalmente pacificata. Per ora viviamo nella paura». Tutti e tre i romanzi di Kerr delineano un percorso da Inferno a Purgatorio: ed è, per Bernie, Purgatorio peniten­ ziale anche la vita familiare, sempre in allerta e sempre scombi­ nata, come è d'obbligo per un eroe chandleriano doc. Dal diario inedito «Personaggi e pensieri»

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INDICE Parte prima Delitti di casa nostra La tecnica del thriller Il thriller come romanzo di costume Storia di un fan De Angelis e Freud Giorgio Scerbanenco Giuseppe Bonura Miniussi, Mantovani Luciano Anselmi Inìsero Cremaschi Roda, Dentice, Pelli Giuseppe Pederiali Paolella, Vaime, Ferrante, Caputo, Gadda, Santi, Grillandi Vieri Razzini Felisatti & Pittorru Antonio Perria Macchiavelli, Guccini & Macchiavelli Giuseppe Fava e la mafia Macchiavelli e Levi Morti ammazzati del Belpaese Enzo Russo al debutto Roberto Vacca La Napoli nera di Veraldi Roberto Giardina Narcejac, Durbridge, Monteilhet, Hammett, Signoroni, Macchiavelli, fun�h Signoroni, Russo, Macchiavelli, Attoli, Felisatti & Pittorru, Varaldo, De Stefani e Lanocita Gloria Zoff Nicoletta Bellotti Renato Loffredo Peter Trotta Franco Enna Mario Miccinesi Levi, Gabutti, Brera, Veraldi Ori & Perich, Ori Guidi Buffarini, J emolo, Manfredi Mystfest, Cattolica (Forlì) Corrado Augias Fruttero & Lucentini Veraldi a New York Negri, Rella, Piccioli, Laurenzi, Lunetta, Majellaro, Siviero, Piro, Farinotti

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Tiziano Sciavi Anselmi, Augias; Manfredi, Scaglia & Spagnol, Cagnone, Tondelli, Vergani Bellotti, Enna, Moretti, Russo, Grimaldi & Tropea Filastò, Jiinger, Rella, Rossi & Caprarica, Woolrich Eco e Il nome della rosa Augias, J ames, Olivieri, Piccioli, Braschi, Woolrich Andrea Vitali Nicoletta Sipos Franco Giarda Grimaldi, Russo, Villa , Cappelli Ferrari & }acini Le signore del thriller italiano Eco e Il pendolo di Foucault Scuderi, Salvatori, Longoni Andrea G. Pinketts Olivieri: commedie umane con delitti GialloParma di Alberto Bevilacqua Diario dell'estate 1 999 (Lucarelli, Comastri Montanari, Canessa, Colaprico, Fois)

Parte seconda G. K. Chesterton Greenelandia Dashiell Hammett Hollywood e J ames M. Caio Quentin, Spencer, Miller Simenon senza Maigret Raymond Chandler Amis, Spark, Nabb Eric Ambler Friedrich Diirrenmatt Bernanos, Nabokov, Robbe-Grillet Le trame, le colpe Assassini, poliziotti, spie Thriller e coerenza Len Deighton Michael Crichton Patricia Highsmith P. D. James John Le Carré Borges & Casares, Casares & Ocampo E. S. Gardner e Mason La doppia vita di Georges Simenon James Ellroy Philip Kerr

140 145 148 15 1 153 155 157 161 164 166 168 171 175 181 1 83 1 85 1 93 1 94 201 205 208 2 15 2 17 219 222 225 230 234 236 238 240 244 250 252 254 257 261 27 1 276 279 287 297 299

S t ampato dalla TIBERGRAPH s . r . l . Città d i Castello (PG)