Le manifestazioni dello Spirito. La teologia di 1 Corinzi 12-14 8897963390, 9788897963394

Il libro affronta uno dei temi più problematici del mondo evangelico: i doni spirituali. Gran parte del volume tratta il

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Italian Pages 298 Year 2017

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Le manifestazioni dello Spirito. La teologia di 1 Corinzi 12-14
 8897963390, 9788897963394

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Le manifestazioni dello Spirito La teologia di l Corinzi

12-14

D. A. Carson Proprietà letteraria riservata: BE Edizioni di Monica Pires P.l. 06242080486 Via del Pi gnone

50142

28

Firenze

Italia Ori ginally published in En glish under the title: Showin g the Spirit-A theolog ical Expo­ sition of l Corinthians Copyrig ht ©

1987

12-14

D. A. Carson

Published by Baker Academic a division of Baker Publishing Group, Michi gan,

49516, USA.

Coordinamento editoriale: Filippo Pini Traduzione: Roberto Cappato Revisione: !rene Bitassi Progetto g rafico: Samuele Ciardelli Prima edizione: Marzo 2017 Stampato in Italia Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Nuova Rivedu­ ta, Società Biblica di Ginevra. ISBN

978-88-97963-39-4

Per ordini: www. beedizioni.it

È

vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la

fotocopia, anche ad uso interno didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non dannegg i l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'ac­ quisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto verso l'autore e gli editori e mette a rischio la sopravvivenza di questo modo di trasmettere le idee.

Indice

Prefa z i o n e

9

I nt ro d u z i o n e

1

11

L' u nità d e l corpo e la d iversità d e i d o n i

[12 :1-30 )

Riflessioni sul contesto delle considerazioni di l Corinzi

14

15

1215

La rilevanza della confessione centrale del cristianesimo su ciò che signifìca "essere spirituali" (12:1-3) La copiosa diversità dei doni della grazia

(12:4-11)

20 37

D battesimo nello Spirito Santo e la metafora del corpo: la mutua dipendenza dei credenti l'uno dall'altro

2

(12:12-26)

52

La via p e r eccellenza; ovve ro, qua n d o g i u n g e la p e rfe z i one? [12 : 3 1 - 1 3 :13 )

65

La collocazione del capitolo 13

66

Cindispensabilità dell'amore

(13:1-3)

Alcune caratteristiche dell'amore Cimmutabilità dell'amore

(13:4-7)

(13:8-13)

74 79 86

3

Profe z i a e l i n g u e: ricerca re ciò che è m e g l i o

(1 4 : 1 -19)

101

Riflessioni sulla natura di vari xaeiaf-tara

La superiorità della profezia sulle lingue

4

(charismata)

(14:1-19)

134

Ord i n e e a u t o ri tà: i l i m i t i d e i d o n i sp i ri t u a l i

( 1 4:20-40 )

143

Lingue e profezie in rapporto ai non credenti L'ordine nell'adorazione pubblica Avvertimento

(14:20-25)

(14:26-33)

(14:37-38)

144 156 175

(14:39-40)

180

Riflessioni conclusive

180

Pote nza scate n a ta e co n d i z i o n a m e n t i d e lla d isci p li na: ve rso u n a teolo g i a dei d o n i s p i r i t u a li

185

Sommario

5

101

Riflessioni sulle lingue, i miracoli e il battesimo nello Spirito nel libro degli Atti

186

Riflessioni sulla teologia della seconda benedizione

213

Riflessioni sulla rivelazione

217

Riflessioni sulle attestazioni della storia

223

Riflessioni sul movimento carismatico

230

Riflessioni di natura pastorale

248

Bi b li o g rafia sce lta

2 57

Al preside, alla facoltà, al personale e agli studenti del Moore College di Sydney, in occasione del mio primo viaggio in Australia nel settembre del 1985.

Prefazione

Le pagine di questo libro sono state originariamente concepite per l'e­ sposizione orale sotto forma di conferenze, tenute presso il Moore Col­ lege nel settembre del 1 98 5 . Sono molto riconoscente all'ex-preside, dr. Broughton Knox, per avermi rivolto quell'invito e al preside attuale, dr. Peter Jensen e alla sua facoltà per il caloroso benvenuto che mi hanno riservato. Non ringrazierò mai abbastanza per le tante gentilezze dimo­ stratemi, che vanno ben oltre la cortesia. Le due settimane piacevoli, che ho trascorso "dall'altra parte del mondo" , hanno portato a rinnova­ te amicizie con Allan e Pamela Blanch, con Philip e Helen Jensen e con Peter e Mary O'Brien e a una schiera di nuovi amici e corrispondenti, troppo numerosi per menzionarli. Un'amica molto speciale, però, è sta­ ta un'incantevole bambina di tre anni, Anne Woodhouse. Linvito a tenere quelle lezioni si è tradotto in uno stimolo a dare alle stampe parte del materiale su cui stavo riflettendo e insegnando da diversi anni e che, senza quell'incentivo, sarebbe ancora allo stato di abbozzo. Trattandosi di temi così complessi e ampliamente dibattuti sia nei circoli accademici sia nella chiesa in generale, ho incluso delle note e una bibliografia molto dettagliate per lo studioso più esperto, pur mantenendo, nel corpo del testo, lo stile delle conferenze. Non si perviene a delle conclusioni come quelle prospettate in que­ ste pagine senza un'articolata interazione con altre persone. Per quanto sia riluttante a incominciare con un elenco di nomi, tuttavia, oltre all'a­ iuto ricevuto dalle fonti in gran parte tecniche menzionate nelle note, sono in debito in modo particolare verso tre persone: il dr. Max Turner dell'università di Aberdeen, le cui lunghe conversazioni con me più di dieci anni fa hanno contribuito alla formazione del mio pensiero; il dr.

9

LE MAN I F ESTAZ I O N I D E LLO S P I R I TO

Roy Clements, pastore della chiesa battista Eden di Cambridge, in In­ ghilterra, la cui serie di esposizioni sulla Prima Lettera ai Corinzi è stata un grande piacere stimolante; infine, il dr. Kenneth S. Kantzer, che mi ha gentilmente messo a disposizione gli esaustivi appunti per le lezioni di un corso da lui tenuto per anni. Sono certo di avere attinto da questi uomini senza essermene sempre reso conto. Nessuno di loro sarà d' ac­ cordo con tutto ciò che ho scritto, ma questo significa probabilmente che ho ancora molto da imparare. Siccome il dibattito sul "movimento carismatico" è ben lontano dall'essere d'interesse meramente accademico, accanto agli studi tec­ nici, ho aggiunto nella bibliografia e nelle note, come pure negli argo­ menti presi in considerazione, un numero significativo di presentazio­ ni di carattere più divulgativo. Altrimenti temo che queste conferenze avrebbero toccato argomenti dove pochi colleghi eruditi si addentrano. Il mio assistente, sig. Mark Reasoner, è stato instancabile nel reperire oscuri articoli e libri; il personale della Rolfing Library, sempre disponi­ bile e gentile, dev'essere nondimeno grato che il progetto sia giunto alla fine. Una o due opere citate nella bibliografia, in particolare il libro di Pierre Benoit, sono giunte troppo tardi per essere utilizzate, a eccezione dell'estratto di un saggio di James D. G. Dunn che mi è stato gentil­ mente prestato dal dr. Scott McKnight. La serie è stata edita in forma leggermente abbreviata presso il Men­ nonite Brethren Biblica! Seminary di Fresno {in California) e presso il Canadian Theological Seminary di Regina (nello Saskatchewan) nell'autunno del 1 98 5 , offrendo mi ulteriori opportunità di riflessione e revisione. Sono grato per le tante gentilezze che in quell'occasione mi sono state dimostrate.

Soli Deo gloria. D. A. Carson Trinity Evangelica! Divinity School

10

Introduzione

Nel vasto panorama della teologia e dell'esperienza personale cristia­ na contemporanea, pochi temi sono attualmente più rilevanti di quelli associati con quello che è comunemente definito "il movimento cari­ smatico" . Letichetta stessa, come vedremo, è un riflesso dell'uso bi­ blico, talora fuorviante, della parola xaetafla (charisma); trattandosi comunque di un termine comune, continuerò a utilizzarlo. Ciò che rende il soggetto difficile, in ogni caso, non è tanto l'etichetta quanto la sostanza. Il movimento include non soltanto le denominazioni "pen­ tecostali" tradizionali, ma importanti minoranze all'interno di quasi tutte le denominazioni della cristianità e in alcune parti del mondo, per esempio l'America Latina, costituisce al tempo stesso la voce protestan­ te maggioritaria e un'acclamata new entry nella chiesa cattolica romana. Quali che siano i loro orientamenti teologici, i giovani ministri dovran­ no confrontarsi con le questioni sollevate dal movimento carismatico con la stessa frequenza (e in qualche caso, la stessa sofferenza) con cui affrontano qualsiasi altra realtà che incontrano sul loro cammino. Come il movimento carismatico è cresciuto, così si è anche venuto sempre più diversificando, rendendo pertanto notevolmente riduttive molte generalizzazioni su di esso. Comunque, è probabilmente corretto affermare che tanto i carismatici quanto i non carismatici (se posso continuare a utilizzare questi termini secondo criteri non biblici) attri­ buiscono spesso un grande valore a certi rigidi stereo tipi relativi all'altra parte. Nel giudizio dei carismatici, i non carismatici tendono a essere dei plumbei tradizionalisti, che non credono davvero nella Bibbia e non sono realmente zelanti per il Signore. Temono una profonda esperienza spirituale, troppo orgogliosi per donarsi con piena sincerità di cuore a

11

LE MAN I F ESTAZ I O N I D E LLO S P I R I TO

Dio, più preoccupati del rituale che della realtà e più innamorati di una verità professata che della verità incarnata. Sono più bravi a scrivere tomi di teologia che a evangelizzare; sono disfattisti quanto alla visione, difensivi quanto alla posizione, spenti quanto all'adorazione e privi del­ la potenza dello Spirito nella loro esperienza personale. Da parte loro, i non carismatici tendono naturalmente a vedere le cose in maniera un po' diversa. I carismatici, a loro avviso, hanno ceduto al moderno amore per "l'esperienza'' , anche a spese della verità. I carismatici sono reputati profondamente non biblici, soprattutto quando elevano la loro esperienza delle lingue al rango di discriminante teologica e spirituale. Se crescono, una non piccola parte della loro forza può essere ascritta al loro sguaiato trionfalismo, al loro populismo un po' snob, alle scor­ ciatoie da loro promesse verso la santità e la potenza. Sono più bravi a dividere le chiese e a rubare le pecore che a evangelizzare, più avvezzi a ostentare personalismi spirituali di fronte agli altri credenti che a un servizio umile e fedele. Sono arroganti quanto alla visione (soltanto loro possiedono il "pieno vangelo") , distruttivi quanto alla posizione, sfre­ nati nell'adorazione e privi di qualsiasi reale comprensione della Bibbia che vada al di là di una mera "versetto logià'. Naturalmente, entrambe le parti riconoscono che le caricature da me delineate ammettono rilevanti eccezioni; tuttavia, i profondi so­ spetti su entrambi i fronti rendono estremamente difficile un autentico dialogo. Ciò è particolarmente spiacevole, perfino imbarazzante, alla luce della devozione professata, su entrambi i versanti, all'autorità della Bibbia dalla maggior parte dei credenti. Le posizioni stereotipate delle due parti sono così antitetiche, pur rivendicando entrambe di essere bibliche, che dobbiamo concludere una di queste tre cose: una parte ha ragione nella sua interpretazione della Scrittura su questi punti e di conseguenza l'altra ha torto; entrambe le parti hanno in qualche misu­ ra torto e si deve ricercare qualche miglior criterio interpretativo della Scrittura; in alternativa, semplicemente, la Bibbia non parla in modo chiaro e inequivocabile su questi temi ed entrambe le parti del dibattito hanno estrapolato certi insegnamenti della Bibbia, per fare quadrato intorno a posizioni che in sé stesse non sono sostenibili sulla base della Scrittura. 12

Introduzione

In ogni caso, dobbiamo tornare alla Scrittura, che è il fondamen­ to. Non mi illudo che quanto dirò sia particolarmente innovativo o si dimostri completamente persuasivo per chiunque abbia riflettuto su questi temi e la limitatezza del soggetto su cui il presente volume punta i riflettori (solo tre capitoli di un libro del Nuovo Testamento) circoscrive necessariamente le mie conclusioni. Tuttavia, spero che il capitolo conclusivo dedichi abbastanza spazio ad altro materiale bibli­ co, tratto soprattutto dal libro degli Atti, perché tali conclusioni non appaiano forzate. Inoltre, anche se la mia attenzione sarà in gran parte concentrata sul testo di l Corinzi 1 2- 1 4, il mio intento di fare di questo scritto un'esposizione teologica mi porterà per forza di cose a interagire un po' con qualche altra dottrina cristiana e anche con le acquisizioni di linguisti, antropologi sociali, storici e con le convinzioni pratiche e popolari della chiesa contemporanea, anche laddove tali considerazioni travalichino gli orizzonti dello studioso del Nuovo Testamento. Infatti, sono persuaso che, se vogliamo che la chiesa abbia pace su questi temi, dobbiamo cercare di valutare con imparzialità ogni testimonianza rile­ vante, anche mentre sottolineiamo che a prevalere dev'essere l'autorità della Scrittura. Tale autorità, naturalmente, non dev'essere trasposta in me quale interprete; così di volta in volta indicherò il grado di sicurezza con cui esprimo delle valutazioni interpretative, cosicché anche se non possiamo concordare su tutti i dettagli, forse la maggior parte di noi potrà pervenire a un consenso sulle questioni più centrali.

13

1 l: unità de l corpo e la dive rsità de i doni (12:1-30)

R iflessi oni su l con testo d e l le consi d e ra z i o n i d i

1

Co ri n z i

12- 1 4 Il pensiero moderno su tale contesto è stato definito non soltanto nei commentari, ma anche in diversi studi recenti e non c'è bisogno qui di ripeterlo. 1 Mi limiterò a riepilogare le mie personali conclusioni. Dal capitolo 7 in poi, è chiaro come Paolo stia rispondendo a una serie di domande che gli erano state poste in una lettera da parte dei corinzi, tant'è vero che inizia: "Ora, quanto alle cose di cui mi avete scritto, è bene per l'uomo non toccare donnà' (7: 1 ) . Questo spiega perché gli ar­ gomenti cambiano così repentinamente: in un punto, Paolo si sta occu­ pando delle relazioni fra i sessi (cap. 7) , in un altro delle carni sacrificate agli idoli (8: l sgg.) . Può passare dalle donne che pregano e profetizzano all'interno della comunità ( 1 1 :2- 1 6) alla cena del Signore ( 1 1 : 1 7-34) ai

l

Per esempio: John C. Hurd,

The origin of l Corinthians,

Seabury, New

York, 1965, pp. 186-187; K. S. Hemphill, "The pauline concept of charisma: a situational and developmental approach" , tesi di dottorato, università di Cambridge, 1976, pp. 45 sgg.; A. C. T hiselton,

eschatology at Corinth,

Realized

in «New Testament studies», 24 (1978) , pp. 510-

526. 15

LE MAN I F ESTAZ I O N I DELLO SP I R ITO

doni della grazia e all'amore (capp. 1 2- 1 4) , alla risurrezione (cap. 1 5) . A volte (come qui i n 1 2: 1 ) , inizia u n nuovo argomento con una locu­ zione usuale: :rccei M (peri de, "ora riguardo à') . Comunque, tre tratti distintivi spiccano nel modo di ragionare. In primo luogo, uno dei comuni denominatori dei problemi a Co­ rinto era un'escatologia iper-realizzata.2 È un dato assodato che Paolo pone la chiesa in tensione dinamica fra una prospettiva del "già", rela­ tiva a ciò che Dio ha fatto e una prospettiva del "non ancorà', relativa a ciò che deve ancora fare. Il regno è già sorto e il Messia sta regnando, la vittoria cruciale è già stata conseguita, la risurrezione finale dei morti ha già avuto inizio alla risurrezione di Gesù, lo Spirito Santo è già stato sparso sulla chiesa quale caparra dell'eredità promessa e primizia della mietitura escatologica di benedizioni. Nondimeno, il regno non è an­ cora giunto alla sua piena realizzazione, la morte esercita ancora uno straordinario potere, il peccato dev'essere vinto e le avverse potenze del­ le tenebre ci fanno guerra con selvaggia ferocia. I nuovi cieli e la nuova terra non hanno ancora fatto la loro comparsa. Mantenere quest'equili­ brio è fondamentale per la maturità della chiesa. Se pensiamo soltanto nei termini di ciò che deve ancora realizzarsi (ovvero se ci concentriamo su un'escatologia futurista) , può darsi che non soltanto ci perdiamo in un'infinità di sottigliezze speculative, ma rischiamo anche di sminuire la natura progressiva dell'incarnazione, dell'opera della croce e della ri­ surrezione di Gesù, che hanno già avuto luogo. Possiamo anelare tan­ to al futuro da trascurare di servire Dio con zelante riconoscenza per quello che ha fatto nel passato. D'altra parte, se pensiamo soltanto nei termini di quello che Cristo ha già realizzato (ovvero se ci concentria­ mo sull'escatologia realizzata) , ricadiamo negli errori che hanno carat­ terizzato tanti credenti di Corinto. Possiamo sentire che come figli del Re abbiamo diritto a delle non meglio precisate benedizioni; possiamo spingerei tanto avanti da consentire a questa posizione di trasformare la nostra struttura di credenze, fino al punto d'insistere che le fondamen­ tali esperienze di grazia di cui abbiamo goduto costituiscono la vera 2 Si veda in particolare A. C. T hiselton, Realized eschatology at Corinth, cit., pp. 510-526. 16

L'unità del corpo e la diversità dei doni {12: 1 -30}

"risurrezione" e non ce ne sono altre in serbo per noi. È per questo che un odierno commentatore acclude ai capp. 1 2- 1 4 anche uno studio sul cap. 1 5 .3 Lescatologia di Corinto traeva probabilmente ulteriore forza da qualche corrente del dualismo ellenistico, che aveva una scarsa opi­ nione della presente esistenza corporale e al tempo stesso fraintendeva grossolanamente la natura della vitalità spirituale. Forse da nessun'altra parte l'escatologia iper-realizzata di Corinto emerge più chiaramente che nel capitolo 4: "Già siete sazi", scrive Paolo con notevole calore e non poco sarcasmo, "già siete arricchiti, senza di noi siete giunti a regnare! E fosse pure che voi foste giunti a regnare, affinché anche noi potessimo regnare con voi!" (4:8). Gli apostoli, continua a dire Paolo, sono trattati come spazzatura; i corinzi sono superiori a queste bassezze e amano pensare a quanto sono pieni di sapienza e di conoscenza. Si può affermare che quest'escatologia iper-realizzata sta dietro a molte delle domande pastorali di cui Paolo si occupa a Corinto ed è in rela­ zione con il tema dei capitoli 1 2- 1 4. In secondo luogo, la chiesa di Corinto è una chiesa divisa. Que­ sta divisione è evidente non solo nei nomi dei partiti riportati in l : 1 2 (''Voglio dire che ciascuno di voi dichiara: «Io sono di Paolo»; «io, di Apollo»; «io, di Cefa»; «io, di Cristo»") e nella trattazione dei primi quattro capitoli del libro, ma anche nella logica argomentativa che pervade gran parte dei capitoli 7- 1 2 . La si potrebbe definire la logica del "sì, ma" . Se su un determinato argomento i membri della chiesa si pongono su fronti differenti, l'obiettivo che Paolo si prefigge non è solo quello di presentare il suo giudizio apostolico sulla questione, ma anche quello di riconciliare le fazioni in conflitto. Per far ciò, di volta in volta presta ascolto a ciascuna fazione e di fatto dice: "Sì, certo, c'è del vero da parte vostra e in larga misura sono d'accordo con voi, però . . . " A quanti hanno maggiori inclinazioni verso l'ascetismo, scrive: "È bene per l'uomo non toccare donnà' (7: 1 );4 però prosegue dicendo che il 3 Ralph P. Martin, The Spirit and the congregation-Studies in l Corinthians 12-15, Eerdmans, Grand Rapids, 1 9 84. 4 La traduzione della NIV: "lt is good for a man not to marry" (in italiano, cfr. TILC:



meglio per l'uomo non sposarsi" ) è scorretta; si veda Gor17

LE MAN I F ESTAZ I O N I D E LLO S P I R I TO

matrimonio è utile a limitare la promiscuità e in ogni caso è anche un bel dono da parte di Dio (7:2-7) . Al capitolo 8, riconosce che i cristiani sanno come un idolo non abbia alcun vero potere e non costituisca di per sé alcun male; pertanto, il cibo offertogli non può aver subito nessun tipo di velenosa trasformazione che lo renda pericoloso per il cristiano (8: 1 -6) . "Solo", prosegue, "che non tutti lo sanno" (8:7) e con ciò si riferisce ad altri cristiani della chiesa di Corinto; è su questa base che elabora alcuni princìpi di mediazione. Non sempre i "mà' della l Corinzi sono riferibili all'intento pao­ lina di ricomporre le divergenze tra fazioni in conflitto; in uno o due casi, l'apostolo assume una sua posizione che è diametralmente opposta rispetto a quella della chiesa (per esempio: "Nel darvi queste istruzio­ ni non vi lodo" [ 1 1 : 1 7]) . Si tratta comunque di un tratto abbastan­ za comune da doverci chiedere, quando ricorre, che cosa ci sia dietro. "Vorrei che tutti parlaste in altre lingue, ma molto più che profetizzaste [ . . . ] lo ringrazio Dio che parlo in altre lingue più di tutti voi; ma nella chiesa preferisco dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra linguà' ( 1 4: 5a, 1 8- 1 9).5 Ci sono po­ chi dubbi sul fatto che a Paolo interessasse principalmente, in questi capitoli, porre un certo freno agli eccessi di alcuni che parlavano in lingue; tuttavia, in questi testi, prima assume una posizione empatica con quanti parlavano in lingue. Ci sono anche indizi, in questi capitoli, che alcuni non parlassero in lingue? Penso di sì, anche se non compaiono mai dietro un'analoga argo­ mentazione "sì, ma . . . " Al termine del suo ragionamento, Paolo può scrivere: "Non impedite il parlare in altre lingue" ( 14:39) e ciò lascia certamente intendere che è quanto qualcuno avrebbe preferito. Non può trattarsi delle stesse persone che parlavano in lingue, non solo perdon D. Fee, l

Corinthians 7:1 in the N/V,

in «)ournal of the evangelica!

theological society», 23 (1980) , pp. 307-3 14.

5 I.:alternanza di diverse forme di avversativa (per es.: dUd, ,ucUÀ.ov M) non contraddice tale osservazione dal momento che il ragionamento si fonda sul rapporto logico di una coppia di frasi all'interno di un conte­ sto, non su una componente puramente lessicale. 18

L'unità del corpo e la diversità dei doni (12: 1 -30/

ché coloro che parlavano in lingue sarebbero stati naturalmente inclini a promuovere l'atteggiamento opposto, ma anche perché nulla di quan­ to Paolo ha detto fino a questo punto imporrebbe l'abolizione di questo dono.6 Ancora, nella metafora del capitolo 1 2, alcuni sembrano essere minacciati dai doni di altri e stanno, pertanto, ritirandosi in qualche forma ( 1 2: 1 4 sgg.) Nel contesto di questi due capitoli, il solo dono minaccioso è il dono delle lingue. 7 Queste considerazioni risultano essere importanti, poiché alcuni stu­ diosi hanno ipotizzato che le preoccupazioni di Paolo per le divisioni all'interno della chiesa siano giunte al termine con il capitolo 4. 8 So­ stengono che la lettera pervenuta da Corinto (la quale impegna Paolo dal capitolo 7 in avanti) dev'essere pervenuta dall'intera chiesa, non da qualche partito al suo interno; la risposta di Paolo lascia intendere che la chiesa di Corinto fosse divisa più contro Paolo che al proprio interno. Resto poco convinto. Prima di tutto, è chiaro che questo creerebbe un divario fra i capitoli 7- 1 5 e la faziosità di cui siamo a conoscenza dai capitoli 1 -4. Come seconda considerazione, una lettera può pervenire da parte di un'intera chiesa, e in tono polemico, ponendo al tempo stesso delle domande che tradiscono una diversità di opinioni all'interno della chiesa. Dopotutto, se la chiesa fosse stata unita sui punti che solleva, non è affatto chiaro il motivo per cui i corinzi avrebbero avuto delle domande da porre (se non forse quelle puramente teoriche) . Infine, il capitolo cen6 Il "mà' che viene subito dopo 1 4:39 non appartiene alla logica argomen­ tativa fondata sul "sì, ma .. . ", poiché è immediatamente preceduto da un divieto.

7 Si veda Mattie Elizabeth Hart, "Speaking in tongues and prophecy as understood by Paul and at Corinth with reference to early christian usa­ ge" , tesi di dottorato, università di Durham, 1 975, che ambisce in primo luogo a dimostrare che a Corinto erano presenti correnti sia "carisma­ tiche" sia "anti-carismatiche" , mentre Paolo assume una posizione che, pur rimanendo aperta a ogni intervento dello Spirito, è però critica verso gran parte di quello che osserva a Corinto.

8 Per esempio: John C. Hurd, Origin if l Corinthians, cit. , pp. 193-19 5;

Tongues-Least of the gifts? Some exegetical observations on Corinthians 12-14, in , 26 ( 1 983) , pp. 337-367. 218

Potenza scatenata e condizionamenti della disciplina: verso una teologia dei doni spirituali

religione biblica. Il misticismo in questa forma isolata, non è specificatamente cristiano, ma si presenta, bene o male, in tutti i generi di religione. Nel migliore dei casi, si tratta di una manifestazione della religione naturale, soggetta a tutti i difetti e alle mancanze della natura. Quanto al suo contenuto e al suo valore intrinseco, questi non sono verificabili, se non sulla base del principio di sottoporli all'esame dell'armonia con la Scrittura. Pertanto, una volta esaminati secondo il suddetto principio, essi smettono di costituire una fonte separata di ri­ velazione inerente a Dio.406

Qui troviamo la netta antitesi: rivelazione oggettiva oppure mistici­ smo incontrollato. Luso biblico dei termini "rivelazione" (d1WxdJ.. v'lj.nç, apokalypsis) e "rivelare" (d1WxaÀ:vmw, apocalypto) riflette una gamma più vasta di possibilità. Nella totalità dei casi, la rivelazione è avvalorata da Dio, Gesù Cristo o lo Spirito Santo, oppure è direttamente realizzata da loro o in connessione con loro. Particolarmente frequenti sono i rife­ rimenti alla rivelazione di Gesù Cristo alla parousia o al vangelo stesso, inclusa la manifestazione spazio-temporale del Messia Gesù. Di norma, questi termini non sono utilizzati quando è disponibile qualche termine più specifico (come sogno o visione); come lo stesso Grudem giustamente sottolinea, una "rivelazione" può avere luogo in contesti sorprendenti.407 Per esempio, quando Pietro fa la sua confessione a Cesarea di Fi­ lippo, dev'essere specificato che il Padre gli aveva rivelato questa verità (M t. 1 6: 1 7) : è evidente che può esservi rivelazione senza che l'indivi­ duo sappia che questa sta avendo luogo o ha avuto luogo. In Galati l : 1 6, Paolo afferma che è piaciuto a Dio di rivelare suo Figlio iv Éfto{ (en emoi) , letteralmente "in me" (Nuova Riveduta) , presumibilmente "a me" (CEI) o anche in riferimento a me. Questo ha naturalmente a" che

406 Geerhardus Vos, Biblica! theology-Old and New Testament, Eerdmans, Grand Rapids, 1 948, pp. 326-327; in italiano: Teologia biblica-Antico e Nuovo Testamento, Alfa e Omega, Caltanissetta, 2005, p. 440. 407 Wayne Grudem, The gift ofprophecy in l Corinthians, cit., pp. 69-70, 1 1 9- 1 36. 219

LE M A N I F ESTAZ I O N I D E LLO S P I R ITO

fare con la conversione di Paolo: qui non abbiamo a che fare con l'auto­ rivelazione oggettiva del Figlio di Dio nella storia spazio-temporale, rivelazione ampiamente testimoniata e ora attestata dalla sua pubblica registrazione nella Scrittura, ma con la rivelazione privata del Figlio a Paolo e in Paolo.408 Se qualcuno obietta che la conversione di Paolo è unica, coinvolgendo come fece l'apparizione del Cristo risorto dopo la sua ascensione, possiamo nondimeno fare un confronto con Mat­ teo 1 1 :27 e l Corinzi 2: l O. Nel primo passo ci viene detto: "Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelar/o"; nel secondo, dopo che si afferma che la sapienza di Dio è stata nascosta nel passato e ai domi­ natori di questa era, ci viene assicurato che "a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito"; il contrasto con i dominatori di quest'era rende chiaro che ciò a cui questa "rivelazione" si riferisce non è semplicemen­ te l'apparizione del Messia Gesù, ma la conversione di alcune persone a differenza di alcune altre. Anche questa è definita "rivelazione", anche se svelare il Figlio agli occhi interiori della fede in un individuo partico­ lare non è in sé stesso né la rivelazione pubblica del Figlio nella storia né la parousia, le due alternative proposte da Vos. Ciò non significa che, dal punto della conversione in poi, il credente comprenda tutto quello che del Figlio gli sia stato rivelato; se così fosse, potrebbe verbalizzare tali esperienze con asserzioni perentorie. Più il credente cresce in grazia e intelligenza, più rivelazione ha luogo nella sua vita. Paolo può scrivere ai convertiti e spiegare qualche fondamen­ tale verità cristiana e poi aggiungere: "Sia questo dunque il sentimento di quanti siamo maturi; se in qualche cosa voi pensate altrimenti, Dio vi rivelerà anche quellà' (Fl. 3: 1 5) . Una simile comprensione della rive­ lazione sta dietro Efesini l : 1 7 e probabilmente anche dietro alcuni passi dove non sono espressamente utilizzati i termini rivelazione e rivelare (per esempio: Ef. 3: 1 4- 1 9) . Non c'è alcun cenno, in nessuno di que­ sti contesti , che la "rivelazione" chiamata in causa rientri in una delle 408 Si veda inoltre William Baird, Visions, revelation and ministry-Rejlections on 2 Cor. 12:1-5 and Gal. 1:1 1-17, in «Journal ofbiblical literature>>, 1 04 ( 1 985), pp. 65 1 -662. 220

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due categorie di Vos. È evidente che almeno parte di questa rivelazione giungeva tramite un pacato divino svelamento (forse persino non rico­ nosciuto, ma non meno dono della grazia) che era parte della crescente comprensione del cristiano riguardo alle realtà spirituali; una compren­ sione crescente che può venire soltanto per rivelazione e ciò equivale a dire che viene per grazia. Pertanto, quando Paolo presuppone in l Corinzi 1 4:30 che il dono di profezia dipenda dalla rivelazione, non siamo limitati a una forma di rivelazione normativa che minaccia il carattere definitivo del canone. Ragionare in questo modo significa confondere la terminologia della teologia sistematica protestante con la terminologia degli autori della Scrittura. La profezia che Paolo ha in mente è rivelatoria, è suscitata dallo Spirito e può, come ipotizzato da Turner e da altri,409 trattare principalmente questioni che riguardano l'applicazione della verità del vangelo (per quanto non vi sia alcun vincolo biblico in tal senso) . Nessuno di questi mezzi è necessariamente normativo, infallibile o una minaccia per il canone. Tali profezie devono essere comunque valutate e in linea di principio sono subordinate all'apostolo e al suo vangelo. Sottoporre una tale profezia "all'esame dell'armonia con la Scritturà', per usare il linguaggio di Vos, può liquidarla come una fonte separata di rivelazione su una scala d'autorità che la porrebbe alla pari con quella della Scrittura; è difficile però vedere come un tale esame tolga valore alla supposta rivelazione nel senso attenuato talora riscontrabile all'in­ terno della Scrittura stessa e ipotizzato qui. Non tutte le visioni o le rivelazioni mediate anche dagli apostoli furono necessariamente al di sopra di un attento esame. La chiamata in Macedonia (At. 1 6:9) , come sottolineato da Bowers, ebbe luogo mentre Paolo aveva già incominciato il suo itinerario verso l'Europa;41 0 una vol­ ta che Paolo ebbe riferito della visione agli altri membri del suo gruppo, essi conclusero collettivamente (avp,f3t/3d�ovr:eç, sumbibazontes)41 1 che 409 M. M. B. Turner, Spiritual gifts there and now, cit. , pp. 46-48. 4 1 0 W Paul Bowers, Paul's route through Mysia-A note on Acts XIV.8, in «)ournal of theological studies», 30 ( 1 979) , pp. 507-5 1 1 . 4 1 1 Sono grato al dr. Peter T. O'Brien per avermelo fatto ricordare. 221

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significava doversi spingere in Macedonia. Un apostolo non era repu­ tato esente dall'errore o dal peccato solo perché era un apostolo. Que­ sti uomini dotati di una speciale investitura, tuttavia, riconoscevano la loro peculiare autorità sotto il vangelo (Ga. l :8-9) e sopra la chiesa (per esempio: l Co. 4; 1 4: 37-38; 2 Co. 1 0- 1 3) . Come facessero a discernere loro stessi una verità vincolante ci porterebbe troppo fuori tema per esaminarlo qui; il mio solo scopo nel sollevare questi punti è di sotto­ lineare che i concetti di rivelazione e autorità nel Nuovo Testamento sono più sfumati di quanto a volte non si riconosca. Fra coloro che osservano più da vicino il fenomeno della presunta profezia contemporanea, c'è un ampio consenso quanto al fatto che chi proclama una tale profezia mantiene il controllo della sua lingua. Quanti hanno padronanza di due o più lingue possono passare a loro piacimento da una all'altra, a seconda della lingua usata dalla comunità. Come un carismatico spiega: La lingua usata in profezia è sotto il nostro controllo. La profe­ zia giunge attraverso un particolare essere umano ed è espressa nel suo linguaggio. Un individuo colto profeterà molto pro­ babilmente con espressioni diverse da quelle adoperate da una persona di mediocre cultura.412

La conclusione da trarre da tali osservazioni è che non se ne può concludere molto, per quanto concerne il grado d'autorità del fenome­ no contemporaneo. Dopotutto, i non carismatici conservatori saranno i primi a insistere che persino gli autori della Scrittura usano il linguaggio, lo stile e il vocabolario loro nativo; così il fatto che il moderno linguag­ gio "del profetà' (o della profetessa) resti sotto il suo personale controllo non può essere usato per gettare discredito sul fenomeno. D'altronde, non può neppure essere preso come prova che il risultato abbia la stessa

4 1 2 Si veda Bruce Yocum, Prophecy-Exercising the prophetic gifts of the Spirit in the church today, Servant, Ann Arbor, 1 976, p. 82; in italiano: La profezia-L'esercizio del dono profetico nella chiesa d'oggi, Ancora, Milano, 1 980, p. 1 1 2. 222

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autorità della Scrittura, poiché, dopotutto, un tale controllo è l' esperien­ za comune di quasi ogni forma di comunicazione umana. Prima di provare a riassumere le valutazioni, forse dovremmo get­ tare una fugace occhiata alle attestazioni un po' più ambivalenti offerte dalla storia della chiesa.

R ifless i o n i s u lle attesta z i o n i d e l la storia

C'è una consolidata storiografia che sostiene che il fenomeno delle lin­ gue e degli altri doni "carismatici" sia morto assai presto nella storia del­ la chiesa. Si va dalla divertente e un po' provocatoria denuncia di Knox di quelli che lui definisce "stimoli"41 3 ai più prosaici studi che possono ammettere che degli strani fenomeni si verifichino, ma insistono che tali aberrazioni si trovano soltanto in gruppi marginali, fra eretici set­ tari.4 14 Così, un non carismatico termina il suo studio sulla storia sia della Bibbia sia della chiesa con queste parole: "Concludiamo citando Paolo, che disse: «Le lingue cesseranno» ( l Co. 1 3:8) . Channo fatto" .415 Ci sono abbastanza tasselli mancanti per essere indotti a temere che i dati storici siano stati maneggiati (o manipolati) sulla base di un forte attaccamento a una conclusione preconcetta. Non molto più neutrali sono i sempre più numerosi studi storici di autori carismatici che si richiamano alle stesse prove, per dimostrare che il dono delle lingue è sempre stato operativo nell'una o nell'altra corrente della chiesa.416 Queste opere tendono a ignorare le maggiori deviazioni

4 1 3 Ronald Knox, Enthusiasm, Oxford University Press, Oxford, 1 950; in italiano: Stimoli, Edizioni Paoline, Alba, 1 9 5 5 . 4 1 4 Per esempio: George W. Dollar, Church history and the tongues move­ ment, in