Le feste di Venere. Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica 8870629414, 9788870629415

Nel più antico calendario romano le feste della fertilità femminile (dai "Veneralia" ai "Matralia" f

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Italian Pages 117 [114] [114] Year 1996

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Le feste di Venere. Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica
 8870629414, 9788870629415

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LE

FESTE

DI

VENERE

Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica di Leonardo Magini

«L'ERMA» di BRESTCHNEIDER

LEONARDO MAGINI Le feste di Venere Fertìlità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica © Copyright 1996 «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER Via Cassiodoro, 19 - 00193 Roma

Progetto grafico:

« L'ERMA» di BRETSCHNEIDER Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell'Editore.

Magini, Leonardo Le feste di Venere: Fertilità femminile e configurazioni astrali nel calendario di Roma antica l di Leonardo Magini. - Roma : «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER, 1996. - 116 p. ; 29 cm. ISBN 88-7062-941-4 292.3609376 CDD 20. l. Venere - Ctùto - Roma antica

2. Culto della fertilità - Roma antica

gli

E bisogna oggi portare occhi drieto e non davanti. Lorenzo de' Medici

a Carla

Il mio più vivo ringraziamento va a quanti hanno letto, discusso e corretto il mio lavoro, e in particolare ai Proff.: Franco Aspesi, Glotto­ logia - Statale, Milano; Vittorio Castellani, Astronomia - Pisa(feramo; Cristiano Grottanelli, Storia delle religioni - Pisa; Antonio Machì, Mate­ matica - Sapienza, Roma/Sorbona, Parigi; Mario Negri, Glottologia

-

I ULM, Milano; Umberto Penco, Astronomia - Pisa; Alberto Righini, Astronomia - Arcetri, Firenze; Giuliano Romano, Storia dell'Astronomia Padova; Claudia Santi, Storia delle religioni - Sapienza, Roma; Raffaele Torella, Sanscrito - Sapienza, Roma. Un ringraziamento speciale va all'amico

e

consigliere Prof. Gioa­

chino Chiarini per la sua presentazione di questo studio. Un ringraziamento tutto particolare va alla Prof.ssa Carlaester Pe­ drini, alla cui disponibilità, attenzione e competenza devo parte l'attuale forma del libro. Errori e omissioni restano di mia responsabilità.

i n massima

INDICE

9

Presentazione di G ioachino Chiarini . PARTE PRIMA- VENERE E FORTUNA. l. l. Venere e il mese di april e. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 2 . Il primo di aprile : Veneralia: festa di nozze . (Ovidio, Fasti, 4, 1 3 3 - 1 64 . ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 3 . Venere Verticordia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I .4. Venere Verticordia, alias Murcia, alias Aphrodite Epitalarios, «Venere dal cestello » . 1 . 5 . Sulpicia e i l vaglio. . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 6 . F or tuna e l a luna. . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 7. Il vocabolario d i Fortuna e d i Mater Matuta. 1 . 8 . Ribaltamenti, rivolgimenti e sguardi all'indietro . 1 . 9 . Necessitas e Spes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 10 . Le tre G razie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 1 1. L ' 11 giugno - Matralia: festa d i concepimento. L e dee: Fortuna e Mater M atuta. (Ovidio, Fasti, 6 , 473 -6 4 8 . ) . 1 . 1 2 . Fortuna e Mater Matuta, alias Luna e Venere . . 1 . 13 . I l nome d i Matuta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . 14 . Ino, alias Leucotea, alias Matuta. . . . . . . . . . . . . 1 . 15 . L ' 1 1 giugno - Matralia: festa di concepimento. Le donne : Tanaqui lla e Ocresia. (Ovidio, Fasti, 6 , 473-648). 1 . 16 . I tempi adatti agli sponsal i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 1 7. I l 6 luglio - Fortuna Muliebris: festa di riconoscimento dello stato di gravidanza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. 1 8 . Il primo di marzo - Matronalia: festa di preparazione al parto . (Ovidio, Fasti, 3 , 1 6 7-3 9 8 .) . . . . . . . . . . . . . . 1. 19 . I l 1 7 marzo : festa di parto . (Ovidio, Fasti, 3 , 7 1 3 -808.) . 1. 2 0 . Quanto dura una gravidanza? . . . . 1.2 1. Scene (iniziali) d a u n matri monio. . . 1. 2 2 . Preparativi (finali) p e r il matrimonio. .

.

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17 I9 20 23 25 26 29 32 33 34 37 40 42 43 46 47 53 55 57 59 61 7

PARTE SECONDA- IL CICLODI VENEREE IL CALENDARIO NUMANO.

2 . 1 . Veneralia, Matralia, Matronalia, Liberalia, Fortuna, Venere e M ater Matuta: riassunto delle puntate precedenti. 2 . 2 . Il ciclo di Venere . . . . . . . 2.3. Il pentagramma di Venere. . . . . . . . . . . . . 2 .4. Il calendario numana. . . . . . . . . . . . . . . 2 . 5 . Il ciclo di ventiquattro anni e di 8 . 766 giorn i . 2 . 6. Il 21 aprile, festa di metà primavera, e l'anno con capodanno all ' 8 marzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . 7 . Ancora sull'anno con capodanno all ' 8 marzo . 2 . 8 . L 'eclissi di sole del 7 lugl io. 2 . 9 . Libero e il sole . . . . . . . . 2 . 1 0 . Anno lunare e anno solare . 2 . 1 1. Il ciclo di Vene re nel calendario romano. 2 . 1 2 . Il nome di giugno e la congiunzione superiore di Venere. 2.13. Il primo di giugno - Calendae Fabariae: festa di rigenerazione . (Ovidio, Fasti, 6, 1 0 1 -196. ) . . . . . . . . . . . . . . 2 . 1 4 . Carna e le viscere, l e fave e i corbezzoli. . . . . . . . . . . 2 . 1 5 . L'l l e il 1 5 gennaio - Carmentalia: festa del settimo mese di gravidanza. (Ovidio, Fasti, l, 46 1 - 5 8 6 e 6 1 7-636.). . . 2 . 1 6. Prorsa, Postverta e Porrima. . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 .17. Le configuraz ioni planetarie nelle feste della fertilità femminile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Appendice l . Furio Camillo, il protetto di M atuta. . . . . . Appendice 2. L ' anno con capodanno all ' 8 marzo. . . . . . Appendice 3. Le cadenze delle feste femminili e i qui ntili.

65 65 70

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PRESENTAZIONE

La tesi di questo libro è nuova quanto sensata : che il calendario delle feste romane rivolte alle donne, e dalle donne celebrate nel corso del­ l'anno, fosse strettamente collegato a Venere, al comportamento del pia­ neta di questo nome - con particolare riferimento ai moti del Sole e della Luna, i due "astri " calendariali per eccellenza. Per quanto possa sembrare strano, quest'ovvio collegamento tra il pi aneta dell'amore e i momenti fi­ siologic amen te e socialmente rilevanti della vita della donna non era an­ cora venuto in mente a nessun o : sia perché non siamo più abi tuati a ragio­ nare, come si era fatto per millenni, in termini di "respiro del cosmo", di "ri tmo della natura", sia perché, a voler considerare la cosa con gli occhi più attenti dello special ista, la situazione del calendario, anzi dei calendari romani, è talmente complessa e incerta da scoraggiare in partenza anche le ipotesi più scontate; sia infine perché, non potendosi distinguere in tutta l'astronomia antica (egiziana e babilonese, greca ed etrusco-romana) l 'a­ spetto scientifico da quello teologico, non è facile trovare chi sia in grado di unire alle competenze in ambito simbolico-religioso, che potremmo dire astrologiche, quelle più propriamente astronomiche. Leonardo Magini, che possiede a fondo entrambe le competenze, ha avuto anche il coraggio e la forza d'immaginazione necessari per impo­ stare e cond urre a buon fi ne una ricerca che giudico di grande impor­ tanza per la conoscenza antropologica del mondo romano. Con metodo e stile molto personale e muovendosi, con cautela ma senza inibizioni o pregiudizi, tra fonti antiche assai problematiche quali, su tutte, i Fasti di Ovidio, egli dimostra che i Veneralia (il primo di aprile, « giorno in cui le vergini vanno spose »), i Matralia ( 1 1 giugno, « giorno in cui le novelle spose concepiscono») , la festa di Fortuna Muliebris (6 luglio, « giorno in cui le novelle spose accertano il proprio s tato di gravidanza»), i Matro­ nalia (il primo di marzo, «giorno in cui le prossime puerpere invocano l'assistenza divina al parto») e persino i Liberalia ( 1 7 marzo, «giorno in cui gli adolesce nti festeggiano il "compleanno" e passano all 'età matura») sono tutte celebrazioni festive di prec ise scadenze biologiche collegate col comportamento del pianeta Venere. 9

Col comportamento di tale pianeta nel quadro più ampio del suo in­ tero ciclo, che è di 584 giorni, si spiegano anche le due feste dei Carmen­ talia (l' 1 1 gennaio d i un anno e il 1 5 gennaio di due anni più tardi, «festa del settimo mese di gravidanza») e quella delle Calendae fabariae (il primo di giugno, > ; e i lucreziani: , e > Ora tutto comincia a apparire più chiaro : Venere non è la dea dell'amore, ma è - Ovidio insegna- «quella stessa forza>> che, come pre2 3 4

16

Lucrezio, La natura, l , 1 -23. Ovidio, Fasti , 4, 87-9 8 . Ovidio, Fasti , 4 , 99- 1 06 .

serva ogni essere vivente sotto il vasto mare e di innumerevoli pesci riempe le acque, così fa per il toro e per la giovenca e per il caprone e per la pecora sulla terra, e per tutti gli uccelli che volano in cielo, e così fa per noi, semplici esseri umani; è quella stessa forza che . È naturale che il rito che vede protagonista passiva la dea è lo stesso che ha protagonista attiva la nuova sposa; se anche si avessero dei dubbi, resisterebbero per pochi versi, perché subito dopo il poeta si rivolge a una fedele della dea - una per tutte, la quale rinnova - deve rinnovare - anno dopo anno, quel che è successo in quel momento di quel giorno : 7 Il secondo mostra le fedeli offrire incenso a Fortuna Virile, > . D ' altra parte, lo stupore, l'allucinazione, la stupefazione della mente ingenerati da Murcia rimandano al cocetum, alla «mistura» di latte, miele e papavero pestato, che le partecipanti ai riti del primo di aprile devono bere in onore di Venere, perché il papavero è il più diffuso tra gli «Stupe­ facenti>> , che danno alluci nazioni , e i «narcotici>> , che rendono apatici; «i papaveri perfusi del sonno che dà l'oblio, Lethaeo perfusa papavera somno>>, canta Vi rgilio 1s. 15

Servio, ad Aen., 8, 6 3 6 : vallis autem ipsa ubi circenses editi s un i , ideo Murcia dieta

est . . . alii quod fanum Veneris Verticordiae ibi fuerit, circa quod nemus e murtetis fuisset, immutata littera Murciam appellatam ... 16

Agostino, Civ. D., 4, 16; dea Murcia quae praeter modwn non moveret, ac fa cer et

hominem, ut ait Pomponius, murcidum, id est des idiosum et inactuosum. 17 P. Festa, p. 112L: muricidus vale ignavus, stultus, iners. 18

Virgil io, Georgiche, l, 78.

21

Rimanda invece a Bacco e ai suoi mi steri il «cestello» di Aphrodite

'Epita!arios; come spiega Torelli : « I l significato di questo termine greco è (Afrodite) 'che è sul cesto ' : è facile riconoscere in questo la precisa me­ moria della ben nota tradizione, presente anche nei misteri dionisiaci, della cista mystica contenente i l fallo . .. Talaros è un basso cesto di vimi ni usato per confezionare forme di formaggio .» 1 9 Canta ancora Virgilio: « Ora bisogna dire quali siano le armi dei rudi agricoltori . . . e inoltre gli umili utensili che Celeo intrecciava di vimini, i graticci di corbezzolo e il mistico vaglio di lacco . (Bacco, n.d.a.) » 20 Tramite il cesto per confezionare i formaggi si torna al mirto e a M urcia; vediamo perc hé. Il mirto, nel mito greco, è legato alla figura di Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, allevato dalle ni nfe del mirto e istruito da queste, tra l' altro, all'arte medica e alla produzione del for­ maggio 21; il che significa, essenzialmente, curare le ferite e far coagulare il sangue da una parte e dall'altra utilizzare il caglio, far cagliare il liquido latte e trasformarlo in solido formaggio. Ma il verbo sanscrito m Ct rch-, incontrato poco sopra, oltre che valere «svenire, perdere i sensi, perdere coscienza, ecc . , ecc . » , ha un significato primario di « diventare solido, coa­ gulare (detto del sangue), cagliare (detto del latte)» , e anche di «assumere forma o sostanza o consisten za» . Questo verbo, poi, presenta due forme collegate: una pri ma, m Ct rti- , «corpo solido, personificazione, incarna­ zione>> ; c una seconda, miirta-, «coagulato, cagliato, rappreso, solidificato, personificato, incarnato >> . Ora, il latte che cagli a e il sangue che si rapprende rinviano all'idea che gli antichi si facevano dello stadio immediatamente successivo al con­ giungi mento, d i quel misterioso e fondamentale momento in cui avviene se e quando avviene - il primo formarsi del corpicino del nascituro nel ventre materno; scrive Censorino : «E certo per il fatto che è concepito dal seme, nei sei primi giorni, s i dice, l'umore è latteo, poi nei successivi otto sanguineo. >> 22 19

Torelli, 1 9 84, p. 78 e p. 8 1, n. 2 9. D'accordo con al tri studiosi , l'autore ritiene che

tra Fortuna Viri lis e Venus Verticordia vi sia u na > (La Fortuna dei Romani, 3 1 7F). Nelle quali parole si ritrova, ridotta ai minimi termini, una concezione d i antichissima origine mesopo­ tamica, docu mentata già nel mito sumero di !nanna, pcrsonificazione di Venere , « Matrona del Cielo>> , dea dell'amore la sera, dea - e a volte dio - della guerra al mattino (Wolkstein­ Kramer 1 984, pp. 79-86); così come si ritrova a Babilonia i l legame di sangue che unisce IshtarNenere a «sua sorella» la Luna. (Pannekoek 1 96 1 , p. 3 5 ) . . .

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. . .

configurazione favorevole 6 9 dei due corpi celesti, delle due sorelle divine, della stella del mattino e della luna, quando l'una, Mater Matuta, può scambiare con l 'altra, Fortuna, la propria creatura, e . Perché il momento è fuggitivo? Ma perché la luna e il pianeta Venere appaiono, nell'ordine e col solo Mercurio a separarli nella graduatoria, i due corpi celesti che si spostano più velocemente, dotati come sono, nel linguaggio degli astronomi, del più elevato . La radice è quella che dà in latino muto, mutare 7 0 , che non è necessario tradurre nel valore più recente, identico all 'italiano «mutare, cambiare, scambi are•• , ma che in origine ha un valore più interessante per il nostro discorso: quello di > . di posi­ zione intervenuto. Non sorprenderà perciò di leggere pochi versi più sotto la notizia, già riferita, che Ino è figlia di Cadmo e di collegarla al signifi­ cato del nome Cadmo: i n semitico > 73

1 . 1 5 . L 'l l giugno - Matralia: festa di concepimento. Le donne: Ocresia e Ta n aquilla. (Ovidio, Fasti, 6,4 73-648.)

Se Mater Matuta rappresenta i l prototipo della perfetta matertera, ot­ tima ma madre > ai propri figli, si deve pensare che sia la sorella Fortuna a impersonare il modello ideale della bona mater, invocata per la propria prole dalle bonae matres ovi diane. I n apparenza le cose non stanno così : a Preneste - è vero - la Fortuna Primigenia ha ben due figli, e quali figl i ! , nientemeno che Giove e Giu­ none, > 74; ma a Roma, alla Fortuna senza appellativi del Foro Boario, il mito non attri­ buisce fi gli, né Tanaquilla, > (Cham­ peaux) , ha figli naturali che valgano a mostrare le doti proprie di una buona madre. Anzi, la storia dei due figlioli e delle rispettive mogli, figlie di Servio Tullio , a rileggerla in questa chiave appare come un'autentica requisitoria contro la figura materna e, perché no ?, anche contro quella paterna; se è vero che le due donne - una buona e l 'altra cattiva, e i loro sposi - uno cattivo e l' altro buono, chiudono la loro esistenza terrena o

73 74

Ovidio, Fasti , 6, 5 5 9 - 5 6 2 . Cicerone, Della divinazio ne, 2 , 8 5 .

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come omicidi - i due cattivi, o come morti ammazzati - i due buoni e lo stesso Servio Tullio. Come se tutto questo non bastasse, poi, è proprio nei confronti di un figlio adottivo , Servio, figlio addirittura di una schiava elevata a sua volta a «Sorella» adottiva, Ocresia, che Tanaquilla/Fortuna offre il meglio di sé. E qui si misura davvero la differenza di comportamento tra le due sorelle, le due divine materterae: l 'una, Matuta, che fornisce semi non fertili ai contadini prima e poi scaccia le schiave infedeli dal suo tempio e nega loro la partecipazione alle sue feste; l'altra, Fortuna/Tanaquilla, che fa sì che una schiava, fertile, concepisca e divenga madre. Però, una volta diventata madre senza la protezione di Matuta ma con l 'aiuto di Fortuna, Ocresia potrà contare su tutte e due le materterae, o meglio su una Tanaquilla/Fortuna che, portando il figlio di una schiava fino al trono, si comporta come una Matuta, che « una madre amorevole non invocherà in aiuto dei propri figli : ella stessa mostrò di essere una genitrice che porta poca fortuna. S arà meglio affidare alle cure di lei la prole di un'altra; ella fu più utile a Bacco che ai suoi . » Lo scambio è completo; l'una può occupare e occupa il posto dell' altra . Va anche detto, comunque, che il compito di Fortuna/Tanaquilla è ben altro che quello di avere un buon rapporto materno con dei buoni figli bene allevati o, per meglio dire, è a monte di questo e lo precede e ne costituisce una precondizione ineliminabile e indispensabile. Perché il compito di Fortuna/Tanaquilla è quello di dare un figlio a una donna, cioè di darle il modo di concepirlo, cioè ancora di far sì che una donna, che qualunque donna, diventi una bona ma ter, una « madre in grado di avere un figlio» . Lo si può constatare a Preneste, dove > , questa Ce­ cilia, da brava matertera , accompagna la n ipote a un , una veglia notturna trascorsa in un apposito tem­ pietto . Ma anche la dea, e non solo le fedeli, aveva diritto all 'amore; secondo la testimonianza di Ovidio che si è già letta i n precedenza 7 9 , relativa all ' 1 1 giugno, ella scendeva tutte le notti in terra e, passando da una fine­ strella, veniva a rifugiarsi tra le braccia del re nato servo nel cosiddetto assai pesante - da questo talamo divino, da questi amori furtivi e al limite della legalità tra una dea e un mortale non nascono figli, e la dea che favorisce il concepimento altrui non ha, almeno dal suo favorito, discendenza. Resta il fatto che la comunione tra le due dee, e la divisione dei com­ piti, sta diventando più chiara: Fortuna assicura il concepimento, fa sì che una donna diventi una > , mentre Venere, nella sua veste di stella -

quattro dei che, secondo gli egiziani, «presiedono alla nascita di un uomo: Dàimon ( = spirito divino, genio individuale), Tykhe ( fortuna), "Eros ( amore), "A ndnke ( neces­ sità, destino ineluttabile); secondo loro i primi due sono il sole e la luna perché i l sole, origine del soffio vitale, del calore e della luce. è genitore e custode della vita umana e perc iò è ritenuto Dàimon cioè spirito divino del neonato, mentre l a luna è Tykhe in quanto preposta al corpo che è soggetto al vario mutare della fortuna . (Macrobio. Sat . , l , 1 9 , 1 7.): e la testimonianza di Macrobio mostra anche che l 'ipotesi di identific are Fortuna!fykhe con la luna ha un 'antica, autorevole ascendenza. 7 7 Arnobio, 2, 6 7 . 7 8 Cicerone, Della divinazione, l , 1 04 ; Valeria Massimo, Detti e fatti memorabili, I . 5 , 4 . 7 9 Ovidio, Fasti, 6, 5 7 3 - 5 7 8 . =

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.

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del mattino, assicura l'allevamento del concepito, se e quando la madre naturale non ne è più in grado; con l'intesa che le due dee potranno anche alla bisogna scambiarsi i ruoli e occupare l'una la posizione dell'altra. Del resto, il loro rapporto è così stretto che - ultima notazione sull' ar­ gomento - il figlio dell'una, Venere, presenta la stessa menomazione del­ l 'altra, Fortuna: Eros, l'amore, è cieco come la dea sua zia.

1 . 1 6 . I tempi adatti agli sponsali . L'intervallo di tempo tra le feste del primo di aprile e dell' 1 1 giugno, tra il «da quel momento fu sposa, ex illo tempore nupta fu it>> e il «conce­ pito da lei, conceptus ab illa » , è quello in cui il desiderio, promosso, so­ stenuto, vagliato da Venere e da Fortuna, viene messo a frutto . Anche qui, di nuovo, quando tutto sembra tornare a puntino, c ' è un ma, un grosso ma. Perché il 6 giugno, cioè entro il periodo preso in esame, Ovidio scrive, parlando i n prima persona: «lo ho una figlia, e prego che essa mi sopravviva, e sarò sempre felice che ella sia sana e salva. Quando io avrei voluto darla a un genero, mi informai di quali fossero i tempi adatti agl i sponsali e quali andassero evitati : allora mi si spiegò che giugno, dopo le sacre Idi, è propizio per le spose e propizio per gli sposi , e venni a sapere che la prima parte di quel mese è sfavorevole ; in effetti, così mi disse la santa compagna del Flamine di Giove : 'Fin quando il placido Tevere non avrà portato al mare con le sue bionde acque le immondizie del tempio di Vesta Ili aca, non mi è consentito di pettinare i capelli con un pettine dai denti di bosso, né di tagliare le un­ ghie col ferro , né di toccare lo sposo, anche se questi è il sacerdote di Giove, e anche se mi è stato dato per tutta la vita. Tu pure non ti affret­ tare. Meglio tua figlia si sposerà quando il fuoco di Vesta risplenderà su una terra purificata ' . ,, 8 0 Come a dire, non prima del 1 5 giugno; solo al­ lora, infatti, il fuoco di Vesta risplenderà su una terra purificata, perché «quello è il giorno in cui tu, o Tevere, porterai al mare sulle tue acque etrusche i rifiuti di Vesta. >> 8 1 E come sarebbe? Entro il periodo previsto tra matrimonio e concepi­ mento non ci si può sposare? e che si deve fare? Forse, si deve solo an­ dare a leggere quello che Ovidio scrive, o prescrive, in precedenza, il primo di marzo : > sz 80 81

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Ovidio, Fasti, 6, 2 1 9-2 3 4 . Ovidio, Fasti , 6 , 7 1 3 - 7 1 4. Ovidio, Fasti, 3 , 393-394.

Forse, tutto sommato , la spiegazione è più semplice del previsto: non ci si deve sposare né prima che cominci il periodo propizio e neppure dopo che questo è cominciato. Forse, la cosa migliore è sposarsi quando si è sposata Venere, il primo di aprile. 1 . 1 7 . Il 6 luglio - Fortu na Mu liebris: festa di riconoscimento dello stato di gravidanza . A venticinque giorni di distanza dalla festa delle bonae matres cade la festa di Fortuna Muliebri s . Siamo al 6 luglio e quindi non possiamo con­ tare su Ovidio, i cui Fasti - com'è noto - trattano i primi sei mesi del­ l'anno, da gennaio a giugno , e meno ancora possiamo contarci per la seconda festa della dea, che cade il primo di dicembre; però disponiamo di altri autorevoli testimoni - Tito Livio, Plutarco, Valeria Massimo e so­ prattutto , se non per qualità almeno per quantità di informazioni, Dio­ nisio di Alicarnasso. I n realtà, per sapere che Fortuna Mu liebris , la « Fortuna delle mogli» , è - se s i può dire così - la dolce metà d i Fortuna Virilis, la « Fortuna dei mariti » , non occorrono tanti testimoni, che invece sono indispensabili per illuminare i ruoli giocati dalle due dee nel mito e nella concezione su cui esso s i fonda. Come si è visto, Fortuna Virile unisce le coppie attratte dal desiderio sostenuto da Venere e le unisce sfruttando «quella parte del corpo ma­ schile con la quale si richiede il favore delle donne» e contemporanea­ mente « nascondendo ogni difetto dei corpi nudi» di queste ai futuri com­ pagni di una vita. Ora si vedrà che Fortuna Muliebre impedisce alle coppie la separazione, e la impedisce imponendo all 'uomo il riconosci­ mento dello stato di gravidanza della sua fresca sposa. Tale sembra essere il significato riposto ma non troppo della storia di Coriolano, cui il mito lega indissolubilmente il culto di Fortuna Muliebre: eroe leggendario in patria, conquistatore della roccaforte volsca di Ca­ riali, Coriolano viene scacciato da Roma dai suoi ingrati concittadini e costretto all'esilio, per motivi che non ci riguardano. Desideroso di vendi­ carsi, egli non trova di meglio che offrire agli antichi nemici di guidare un loro esercito contro la madrepatria. Gesto inaudito, unico nel mito e nella storia, che non viene fermato né da una prima delegazione di autorevoli senatori né da una seconda e più autorevole ambasci ata dei sommi sacer­ doti . Solo una terza missione, molto particolare, potrà non soltanto arre­ stare l ' avanzata dell 'armata nemica guidata da un romano, ma dissolvere, all 'istante e per sempre, i già fermi propositi di costui : la missione com­ posta dalla madre e dalla moglie dell 'eroe ribelle, coi suoi due figlioletti , oltre che dalla sorella di un altro eroe della repubblica.

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Missione in cui sono rappresentate tre generazi oni - nonna, madre, nipoti, e tre specie di rapporti parentali del maschio con l 'elemento fem­ minile - madre, moglie, sorella, e anzi quattro, se si dà per scontata la presenza di una figlia. Missione in cui le due donne più importanti nella vita dell'eroe, madre e moglie, lo ricevono sedute mentre lui sta in piedi o addi rittura in ginocchio, con la moglie che tiene in grembo i figlioletti; e il racconto mitico riproduce - com'è stato già notato - l'iconografi a delle due Fortune di Anzio e della Fortuna Primigenia di Preneste, le prime due sedute l'una acc anto all 'altra e la terza seduta con i divini bambini sulle ginocchia. Infine, missione in cui le flebili parole di una donna anziana e angosciata prevalgono sulle armi lucenti di un esercito : > , afferma Valeria Massimo 83 , commentando gli onori riconosciuti alle spose ro mane a se­ guito dell' evento vissuto dalle protagoniste e dalla «folta schiera di mogli >> 84 che le accompagna. Onori che prevedono l 'obbligo per gli uo­ mini di cedere il passo alle madri di famiglia incontrate per la strada e il diritto di queste di indossare vesti di porpora con guarni zioni d' oro . Acc anto a tali onori, già considerevoli , il senato dispose che fossero eretti a spese pubbliche un tempio e una statua alla Fortuna Muliebre; non solo ma lo stesso senato, con l'approvazione del popolo, decretò che > 85 delle benefat­ trici e beneficate, e esse si limitarono a chiedere di poter erigere a loro volta, e a loro spese, una seconda statua alla dea sul posto del miracoloso intervento. Così fu fatto : l'intervento aveva avuto luogo il primo di dicembre del 4 8 8 a.C . , il primo sacrificio avvenne l'anno seguente sempre al primo del mese, e il nuovo tempio costruito a spese pubbliche, con le due statue pubblica e privata, fu completato e dedicato intorno al 7 luglio dell 'anno successivo, il 4 8 6 . Questi dati , così precisi, ci sono forniti d a Dionisio 8 6 , i l quale però, a questo punto, dopo tanta prec isione, cade i n un errore grossolano: ; e qui non ci siamo più, perché il 7 luglio è le none di luglio. L 'errore viene corretto, con una rara concordia tra gli studiosi, datando la festa di inaugurazione al > ; e lo scrittore la fissa al 7 luglio, senza che lo sfiori il minimo dubbio sull 'impossibilità che un 'eclissi di sole si verifichi con la luna al primo quarto . Del resto, per quanto ci ri­ sulta, questo dubbio non ha sfiorato nessuno dei tanti commentatori. Per meglio dire, nessuno di loro ha visto le implicazioni dell'informazione tra­ mandata dal mito e tutti l'hanno archivi ata come un effetto della rottura della corrispondenza tra giorni del mese e fasi lunari prodotta dall 'inter­ calazione. Anzi alcuni, tratti in inganno dalla coincidenza delle none con il

88

50

Plutarco, Romolo, 27-28; trad. di C. Ampolo.

primo quarto , hanno interpretato la scena della serva che sale sul capri­ fico con una torcia che illum ina per metà il paesaggio come la rappresen­ tazione sulla terra della scena che s i svolge in cielo quando la luna al primo quarto, cioè illuminata a metà dal sole, illumina solamente una metà del paesaggio 89. In realtà, essi non hanno visto la possib ilità, e anzi la necessità, che sarà mostrata per esteso più avanti, di far coincidere, almeno una volta, le none di luglio con il novilunio. In ogni caso, a una tale interpretazione s i oppongono diverse obie­ zioni, dalla più semplice che fa notare che di lune al primo quarto nel corso dell'anno ce ne sono ben dodici e che bisognerebbe allora giustifi­ care meglio perché proprio il primo quarto di luglio sia così importante; appare insufficiente la motivazione ufficiale, che si tratti del primo > . ,

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le «donne sposate una sola volta», le uniche autorizzate a toccare la statua con le proprie mani e a disporle addosso corone e ghirlande; e anzi precisa Dionisio 92 le « novelle spose » . Intanto si comincia a capire come stanno davvero l e cose: le , imponeva agli uomini l'antico costume romano. A questo punto occorre calare i l discorso teorico quanto più possibile nella realtà fattuale . È chiaro che, al di là di qualsiasi programmazione astratta e di ogni sforzo di piegare i dati di natura alle esigenze di cultura, non tutte le donne avranno concepito esattamente l' 1 1 giugno, e non tutte le donne non avranno avuto il loro normale ciclo 2 5 giorni dopo; alcune lo avranno avuto poco prima, altre possono sospettare un ritardo, altre ancora - le più fortunate, per così dire - potranno pensare di non doverlo più attendere perché incinte . E ancora a questo punto interviene, accanto e dopo Fortuna Muliebre, Giunone Caproti na e il rito a lei dedicato. Perché ci si deve chiedere cosa rappresenti e cosa significhi il caprifico su cui sale la servetta e sotto la cui ombra e con il cui ramo e lattice le donne onorano la dea lunare . Cosa rappresenta è già stato ampiamente studi ato ; cosa significa, però, non è stato ancora messo a fuoco con chiarezza. Ma andiamo con ordine e vediamo prima cosa rappresenta, e per questo ci rifacciamo a due antiche testimonianze, già abbondantemente saccheggiate 93. La prima è di Columella che, parlando di luglio, dice: « È tempo ormai dì sospendere rami di caprifico alle piante di fichi, e ciò va fatto, secondo alcuni , perché il frutto non cada giù e giunga più presto a maturazione . >> 94 La seconda è di Plinio : « I fichi del caprifico non giun­ gono mai a maturazione, ma danno a altri quel che non riescono a avere essi stessi . Il caprifico produce certi moscerini; questi , privati dell 'ali­ mento nella pianta madre in putrefazione, se ne volano sulle piante affini e con i loro numerosissimi morsi fanno un'apertura sui frutti, e penetran-

. .

92

Dionisio, 8 , 56, 4.

93 Vedi, da ultimo, Sabbatucci 1 9 88, p . 2 3 5 ; da cui riprendo le due citazioni che se­

guono.

94

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Columella, de re rusti ca, 1 1 , 2 , 5 6 .

dovi dentro in tal modo vi portano per la prima volta il sole . . . e i venti fecondanti .>> 9 5 Come si vede, tanto per cominciare, si potrebbe dire che tra caprifico e fico domestico c 'è un rapporto analogo a quello tra Fortuna e Mater Matuta: l ' uno è pronto a sostituirsi all 'altro. Poi, che il caprifico finisce per comportarsi come Matuta: « sarà meglio affidare alle cure di lei la prole di un'altra>> . I nfine, confrontando la vita delle piante con la vita delle donne che celebrano i riti del 7 luglio, l'analogia delle situazioni diventa completa: le donne già incinte - per le quali il vaglio di Venere dal cestello ha avuto le maglie più rade - sospendendo il ramo di caprifico al fico domestico, otterranno che anche il loro frutto > ; le donne che non hanno ancora la certezza di essere incinte - per le quali il vaglio ha avuto le maglie più fitte trarranno vantaggio dalla comunanza di cerimonie con le donne incinte e potranno sperare di restarlo presto anch 'esse. G iunone Caprotina le aiu­ terà in questo, come Giunone Lucina, in seguito, in prossimità del parto, le aiuterà a liberarsi lievemente del peso che portano in grembo . In tutti e due i casi, esse avranno raggiunto il fine del loro matri monio e il pericolo di un eventuale ripudio per sterilità sarà allontanato per sempre 9 6 • Per questa via, si capisce l'obbligo di Coriolano a ritirarsi di fronte a madre, moglie e sorella, e alla

S U OS . »

N e l ritorno alla natura, n e l quadro agreste e pastorale, si ritrovano i tratti incontrati in precedenza nella descrizione dei rapporti tra Venere e la primavera, in occasione della festa del primo di aprile, quando la dea e le sue fedeli vanno spose. Al matrimonio è succeduto il concepimento dell ' 1 1 giugno e, adesso che si avvicina la scadenza del nono mese, le spose stanno per divenire madri ; all 'inizio della primavera è succeduta la fine della primavera, e a questa sta succedendo la fine dell 'inverno e l ' i­ nizio di una nuova primavera. «Stanno per divenire madri » ; ma allora, perché la festa del primo di marzo s i chiama Matronalia ? vuoi dire, forse, che la « matrona» no n è « madre » ? Proprio così; spiega Gellio : « Propriamente si chiama matrona

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54

Ovidio, Fasti, 3 , 1 6 7-2 5 8 ; qui i n gran parte riass unti.

la donna che si sia unita in matrimonio con il marito, fin tanto che per­ manga in quel matrimonio, anche nel caso che non siano ancora nati figli; e è detta così perché non ha ancora conseguito il titolo di 'madre ', ma ha la speranza e la previsione di attenerlo presto . , matrona m . . . dictamque

esse ita a matris nomine non adepto iam, sed cum spe et omine mox adipi­ scendi . » 98 «Stanno per divenire madri » ; e quando lo diventeranno? quando lo potranno diventare davvero? Subito, e comunque non oltre i Liberalia. Subito, come spiega Ovidio che - lo si è appena visto - al primo di marzo dice che le donne sabine «già quas i portavano il nome di madri» , e che di seguito descrive una scena di riconoscimento dei figli legitti mi: già i due eserciti, il romano e il sabino, stanno per scontrarsi, e ecco che > : « Dunque, ancora una volta, come i n cielo, così in terra; come il dio nasce due volte e vede la luce il 1 7 marzo, così alla stessa data i giovani romani, detti tirones, completano il loro tirocinio, passano dall'adole­ scenza alla gioventù, depongono i loro abiti da ragazzi , assumono la toga

10 1

56

Ovidi o , Fasti, 3 , 7 1 3-790; qui in gran parte riassunti .

virile, diventano cittadini «liberi >> cioè indipendenti, raggiungono la mag­ giore età e nascono una seconda volta ' 02 . Questa del 1 7 marzo è una cerimo nia pubblica, detta « solennità della toga senza ornamenti » , e ha luogo generalmente intorno al quindicesimo anno ; a essa corrisponde, anni prima, un 'altra cerimonia pubblica, la « SO­ lennità dei Nominal i >> , celebrata nel > 1 04, il secondo che, marcando il passaggio da adulescens a iuvenis - come sottolinea anche Ovidio parlando della perpetua età intermedia di B acco - completa il ciclo aperto dal l 'altro. Ciclo che, almeno per quanto riguarda la società civile, inizia non con la nascita naturale, ma con una sorta di nascita sociale che si produce nel > , otto o nove giorni dopo la pri ma, a seconda del sesso del nuovo nato. I n questa ottica, forse, s i può ritenere che il primo dei due riti pubblici, quello dell 'imposizione del nome, chiuda a sua volta un ciclo precedente, iniziato al momento del concepi mento . Un'ultima nota prima di chiudere. La festa dei Liberalia prende il nome dal nome latino, Liber, del divino bambino che nasce due volte e che viene alla luce il 1 7 marzo. Ma il Liber latino altri non è che il Bacco greco, quel B acco figlio di Semele e allevato dalla sorella di questa, I no alias Matuta: matertera Bacch i, l'ha chiamata Ovidio ai Matralia, festa di concepimento, nove mesi prima.

1 .2 0 . Quanto dura una gravidanza? Sull' argomento l' autore più interessante è Censorino che affronta il problema citando l'opinione di Pitagora: « Egli affermò come prima cosa che vi sono in tutto due tipi di neonati, il minore, che chiamano settimino, 1 02

Dovrebbe forse bastare questo a mettere in relazione, al di là delle difficoltà fone­ tiche presentate da un sonantismo irr e golare, i l termine lati no tiro, tironis, di «origine scono­ sciuta » (Ernout-Meillet 1 967, s. v.), con il termine san s crito tarul'}ah, , «giovane>> , ma anche « in sviluppo, nuovo, fresco, appena sorto ( det t o del sole)>> . 1 03 Rispettivamente, si t ratta delle: sollemn itas togae purae, dove il term ine latino sol· lemn itas rimanda a una radic e indoeuropea, molto ben rappresentata nelle diverse lingue , con un valore base di « i nterezza, completezza, totalità>> ; sollemn itas Nominalium (Tertul­ liano, Idol., 1 6 . ) ; dies lustricus, (P. Fest ., p. 247 L2.); e feriae fam iliares. l 04 Dumézil 1 9 7 7 , p. 5 2 4 .

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che è espulso dall'utero il 2 1 0° giorno dopo il concepimento, e i l maggio­ re, detto d i dieci mesi, che viene alla luce il 2 74° giorno . » 1 o s Alla fine di una lunga dissertazione sui numeri in relazione al parto, l ' autore torna a parlare della gravidanza di 2 7 4 giorni , e dice: Di fronte a una presa di posizione così recisamente incerta verrebbe voglia di considerare incerta la stessa soluzione del problema. Si potrebbe far ricorso a Virgilio I O B e ai suoi «dieci mesi>> , ma si tratta di un poeta, per quanto autorevole; o alle leggi delle XII tavole, che pure parlano di dieci mesi ma come termine massimo. Oppure c i si affida alla scienza medica? Il padre stesso della medicina, lppocrate, considera quattro pos­ sibili durate, rispettivamente di 2 1 0, 270, 3 00 e 240 giorni 109; ma così non si fa altro che ritornare ai 7, 9, 1 0 e 8 mesi solari o, meglio, a altret­ tanti segni zodiacal i . O invece bisogna partire dalla gravidanza di 2 7 3 giorni e virgola di Varrone e di Pitagora e aggiungere a questi gli 8 giorni tra la nascita e la festa pubblica dell 'imposizione del nome, per arrivare proprio ai 2 8 1 giorni e virgola che, in media, nel ciclo ventiquattrennale intercalato, se­ parano i Matral ia dai Liberalia, l ' 1 1 giugno dal 1 7 marzo?

1 05 1 06 1 07 1 08 1 09

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Censorino, d e d ie natali, 1 1 , 2 e 1 1 , 8-9. Aulo Gellio, Notti Attiche, 3, 1 0. Aulo Gellio, Notti Attiche, 3, 1 6 . Virgilio, Bucoliche, 4, 6 1 . I ppoc rate, alim . , 4 2 , 9.

Probabilmente è inutile, e addirittura sbagliato, tentare di dare una risposta determinata a un problema che non è esattamente determinabile, in quanto variabile, e che forse anche la variabilità dell 'intervallo calenda­ riale, dovuta all ' intercalazione, non fa che riprodurre e riproporre; forse è più utile e corretto osservare che tra le due feste passa quel periodo non meglio precisato di tempo che va sotto la comune e un po ' approssimativa espressione di « nove mesi>> .

1 .2 1 . Scene (in iziali) da u n matrimonio. Facciamo un passo indietro e chiediamoci: come mai le spose del primo di aprile non sono ancora madri il primo di marzo successivo, ben 1 1 mesi dopo? Come mai, nonostante l ' intervento e l 'assistenza di For­ tuna e di Venere, non hanno ancora dato ai loro ardenti compagni la gioia e l 'orgoglio della paternità? È vero che non sono passati ancora i famosi > dalla data del concepimento, dall' 1 1 giugno, e che questi nove mesi passeranno solo di lì a poco, a giorni, più o meno il l 7 marzo, ma insomma - che diamine! - perché ridursi sempre all 'ulti mo mi nuto ? perché dover impiegare, per forza, tutti i 7 1 giorni previsti e in qualche modo programmati per l ' intervallo tra matrimonio e concepi­ mento? Perché i pericoli, le insidie, i trabocchetti cui va incontro la giovane coppia inesperta sono tanti . Vediamone alcuni . Il primo, il più classico, è la ritrosia, la vergogna, il pudore della fanciulla; quando la vergine, anche se ben istruita e preparata dalla madre, e dalla sorella della madre, rifiuta l'amplesso dello sposo. Càpita di rado, ma càpita; càpita almeno una volta su sette, stando alla storia che si narra delle sette Pleiadi che vanno spose, quale agli dei, quale agli uomini. Per le prime sei nessun problema, pronte come sono a tutto : una, Sterope, giace con Marte, ben due, Alcione e Ce­ leno, vanno con Nettuno, addirittura tre, Maia e Elettra e Taigete, conce­ dono , e ricevono, favori a Giove, ottimo e massimo . Ma la settima, no; > I l O Le ultime parole sono di Ovidio, e il racconto è riferito - si badi bene - al 2 aprile. Può anche succedere il contrari o, che la sposa, ancorché casta, sia chiacchierata e venga considerata dalla gente un po' leggera; nel caso, allo sposo, che è sempre l 'ultimo a saperlo - anche questo è un classico non resta che pretendere una prova della purezza della donna che si è

1 10

Ovidio, Fas�i, 4, 1 7 5 - 1 76 .

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portato in casa, prima di consumare il matrimonio. È la storia, ridotta in pillole, di « C laudia Quinta, di antica discendenza, della stirpe di Clauso sabino, e dall 'aspetto non impari alla nobiltà: senza dubbio casta, eppure non ritenuta tale. Una fama ingiusta la oltraggiò e venne trascinata in giudizio, colpevole di un falso crimine: le nocque di essersi mostrata in giro truccata e acconciata troppo vistosamente, (dissero che) aveva una lingua pronta per i vecchietti eccitati, casta quidem, sed non et eredita: rumor iniquus l laeserat, et falsi crim inis acta rea est; l cultus et omatis varie prodisse capillis l obfu it, ad rigidos promptaque lingua senes .» I l i Per il resto, in questa sede non è possibile seguire in tutti i particolari la lunga storia che Ovidio dedica alla novella sposa romana 1 1 2 ; basterà ricordare che essa si riferisce all 'introduzione in Roma della statua e del culto della Magna Mater, nota anche col nome di Cibele Berecinzia, e sottolineare come il poeta richiami più volte nel racconto i caratteri della dea - Madre degli dei, prolifica genitrice degli stessi dei, tante volte gravida ma mai madre, ella si affligge della propria fecondità, esige un amore casto dal giovane amante che sarà punito per l'i nfedeltà, e vuole in sacrificio una giovenca senza macchia e che non abbia mai conosci uto né toro né giogo . Una divinità pura, insomma, chiamata a giudicare della purezza di una mortale, C laudia Quinta, e il giudizio, che si concl uderà con un verdetto favorevole, è fissato per il 4 aprile. Terzo caso, terzo classico : che l'insidia e il pericolo per il concepi ­ mento non vengano dalla sposa, ma dallo sposo, e che consistano nella steri lità del maschio. Questo è il rischio maggiore, che l 'uomo sia steri le; e d ' altra parte, visto che egli si è appena sposato, non si ha, non si può e non si deve avere, nessuna prova al riguardo, né a favore né contro . E allora? Allora meglio che l ' uomo - tutti gli uomini - getti via dei testicoli sterili, magari finti o altrui, sperando che il gesto basti a assicurare la fertilità dei propri e veri, chiamati finalmente alla verifica e al controllo di qualità. È questo, con ogni probabilità, il senso della sparsio rzucum , lo > , o pentalfa, di Venere - « l 'imma­ gine che Venere disegna di se stessa, un fiammeggiante pentagramma stagliato lungo lo zodiaco nel corso di otto anni . » 8 Che poi, al dunque, non è altro che la stella a ci nque punte , il celebre e tanto spesso evocato 7 8

Davidson 1 98 7 , p. 1 2 3 . d e Santillana 1 98 5 , p. 1 3 7; sul pentalfa vedi anche Zolla 1 9 7 5 , pp. 1 8 4- 1 8 8 .

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«stellone>> che appare ancora oggi in bella mostra sullo stemma della Re­ pubblica Italiana. Nato almeno quattromila anni fa è già presente sullo stampo per fusione di origine anatolica i n cui è accanto a una figura di divi nità fem­ minile nuda 9 - lo stellone brillava da tempo, quando gli Eneadi, figli di Venere Genitrice, replicando sulla terra i movimenti della madre celeste, si spostarono dall'oriente troiano all 'occidente romano, e brilla ancora oggi in attesa del momento in cui - perché no? - inizierà il movimento i nverso . . . Ecco anche il ciclo d i Venere, i l famoso ciclo d i Venere, noto i n an­ tico ai Babilonesi, agli Inca e ai Maya; i quali ultimi, ad esempio, lo consi­ derano tanto importante che vi hanno costruito sopra il proprio calen­ dario lunare e venusiano assieme, vi hanno collocato in parallelo un ca­ lendario solare, hanno individuato > 2 5 , o la parallela e più autorevole: «Le none sono dette così . . . perché, come l e calende di gennaio sono chiamate 'anno nuovo' dal nuovo sole, esse sono chi amate 'mese nuovo ' dalla luna nuova. >> 26 I ncomprensi­ bili, perché nel calendario numana le none tutto possono essere meno che 24 25

lunae. »

Pl utarco, La Fortu na dei Romani , 320 8-C. P . Fest. , p. 1 7 6L.:

«nonas quidam a nova luna, quod in eas concun-eret principium

26 Varrone, de lingua lati na, 6, 2 8 : «Nonae appellate . . . quod, ut novus an nus Kalendae Ianuariae ab novo sole appella tae, novus mensis ab nova luna Nonae.••

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«l' inizio della lunazione» e tutto possono fare meno che prendere il nome dalla «luna nuova » . Mentre adesso, nell' anno con inizio all '8 marzo , le «vecchie» none vengono a coincidere con l'uno o l ' altro dei tre giorni oscuri del novilunio, e dun que precedono immediatamente la nova lu na, come la intendevano gli antichi, ossia la prima falce visibile che segnava l 'i nizio del mese 2 7 .

2.9. Libero e il sole. Terzo dato e terza prova: il 3 65 ° e ulti mo giorno dell'anno solare ini­ ziato 1'8 marzo vie n e a cadere il 1 7 marzo dell 'anno lunare successivo, in coincidenza della festa dei Liberalia, la festa di quel dio Libero che si è già incontrato . Chi sia Libero e perché la sua festa cada in pross im ità dell'equinozio di primavera lo spiega ancora Macrobio: > Tralasciamo pure, per brevità, la conclusione del discorso della somma tra le dee e vediamo entrare in scena un 'altra figura divina femmi­ nile, Iuventas, >, figlia di G iove e di G iunone, moglie di Er­ cole, la quale sostiene un'altra causa, la sua: « 'Se mia madre mi ordinasse di ritirarmi del tutto dal cielo, non indugerei contro la volontà materna', disse. 'Anche ora non mi batto per i l nome di questo lasso di tempo : cerco di rendermi bene accetta e quasi mi comporto come una questuante; pre­ ferirei preservare i miei diritti solo con le preghiere e forse tu stesso po­ tresti caldeggiare la mia causa. Mia madre possiede l'aureo C ampidoglio e, come deve, occupa la sommità e divide il tempio col socio G iove. Ma ogni dignità a me viene dall'origine del mese: unico mio onore è quello sul quale vengo tormentata . Cosa c 'è di grave se tu, romano, hai intitolato il mese alla moglie di Ercole, e se la posterità lo ricorda? Questa terra anche a me deve qualcosa, in nome del grande consorte ' » Al che segue il ricordo dell'impresa dell' eroe contro Caco e la chiusa di Iuventas: « Ro­ molo divise il popolo secondo l 'età e lo distribuì in due parti : l'una più pronta a dare consigli, l 'altra a combattere; l 'una età persuade alla guerra, ma l 'altra la gestisce . Così stabilì, e distinse i mesi col medesimo criterio: giugno è dei giovani, Iunius est iu ve num , quello che precede (maggio, n . d . a.) dei vecchi (maiores , n . d . a.) . >> Ed ecco, infine, una terza dea: «Venne Concordia, potestà e ufficio di un capo pacifico, le lunghe chiome i ntrecciate col lauro di Apollo. Quando ebbe narrato di come Tazio e il valoroso Quirino e i loro due regni coi rispettivi popoli si congiungessero, binaque cum populis regna coisse suis, e dei suoceri e generi accolti dai lari comuni, 'Il mese di giugno ' , disse, 82

'prende nome dalla loro congiunzione . ' , 'his nomen iunctis Iun ius' inquit

'habet . ' » D i fronte a tre diverse e a prima vista equivalenti soluzioni del pro­ blema, sarebbe forte la tentazione di seguire l'esempio del poeta: ? come non ricordare che adesso, al primo di giugno, ci si aspetta che venga festeggiata la con­ giunzione superiore di Venere? come non sottolineare che in un' altra oc­ casione si sono sentite usare espressioni analoghe? È stato quando, al primo di aprile, si è letto Lucrezio: > e cardines temporum per > . > è proprio il , il intorno a cui ruota il mondo ; cardo

36 37

84

Macrobio, Saturnalia, l , 1 2 , 3 1 -3 3 . Ovidio, Fasti , 6 , 1 0 1 - 1 02 .

maximus è la linea trasversale tracci ata da nord a sud dagli agrimensori antichi, proiezione sulla terra dell 'altra linea che unisce in cielo i > attorno ai quali gira l ' asse del mondo. Ma , naturalmente, è anche i l perno o l ' asse attorno a cui ruotano l e porte; e ecco l'uso di una terminologia comune per il grande mondo e per le pic­ cole porte, nella quale riappare anche il verbo vertere: >, scrive Cicerone, e Vi r­ gilio, , e Tibullo, «far gi­ rare una porta sui cardini senza farli stridere, cardine tacito vertere fores>> . Torniamo a Carna : e che assume quindi una serie di valori naturalmente collegati. 'É lix è la dell'intesti no, è !' cioè una sorta di edera, è il « movimento circolare del cielo>> - e, da qui, è anche l'> , che > attorno a l Polo Nord, ragion per cui è detta in greco 'Elike. L'intestino, o le viscere, le abbiamo già trovate; ! ' > , blépharon, del giorno, così come la luna è I ' della notte, ecco che gli occhi di Venere non fanno altro che seguire e disegnare i complicati moti celesti del pianeta 42 . Ancora in greco la è chiamata kyamos, che deriva da kyéo , «concepisco, porto in seno, divengo gravida>> , e questo rimanda a Giunio Bruto che - stando a Dionisio - fu inviato da Tarquinia il Superbo, in­ sieme ai suoi due figli, a consultare l ' oracolo di Delfi a seguito di una calamità che si era abbattuta su Roma: > 43 In questa sede non è possibile esaminare nel dettaglio tutto lo spettro delle credenze degli antichi relative alla fava 44• Essa appare comunque strettamente legata agli aspetti generativi dell'uomo - di procreazione, di forza vitale, di morte e di rigenerazione : l ) quanto alla procreazione, Plutarco la paragona direttamente alle uova, , mentre Giovanni Lido dice che è vietato mangiarla, perché « mangiare le fave equivale a mangiare le teste di chi ci ha procreato>> ; 2) quanto alla forza vitale, c'è chi l ' accosta al cuore - intimando di «astenersi dal cuore e dalle fave>> ; chi al sangue e chi alla carne - non si deve «né gustare la carne, né mangiare le fave>> ; 3 ) quanto alla morte e alla rigenerazione, basterà ricordare Plinio, secondo il quale la fava è da condannarsi «perché in essa sono le anime dei morti . >> 4 5 41

Esiodo, Teogonia, 1 6 . Forse si deve prendere in considerazione la poss ibilità che il nome stesso di Ca rna, dea dei «card ini•• , protettri ce delle «viscere», semi nata nel «bosco di elic i » , derivi dalla, o vada legata alla, radice i ndoeuropea che dà in sanscrito la forma verbale krrJatli, . 56

57

94

Wolkstein-Kramer 1 9 8 5 , p. 8 0 . È l 'ipotesi di R. Pettazzoni in Studi e Materiali d i Storia delle Religioni, 1 7 , 1 94 1 .

Del resto ante e post si oppongono tra loro non solo spazialmente come . E anche ora sembrerebbe possibile applicare questi termini alle fasi della luna, alla crescente che guarda > e alla calante che guarda > ; sembrerebbe, ma non è possibile, o quanto meno è difficile, perché nessuno degli autori antichi riconduce gli appellativi di C armenta alle fasi lunari né li collega a esse, come sarebbe naturale, in particolare nel caso di Varrone che spiega accuratamente il proprio pensiero sulle posizioni del bambino nel ventre materno e che sa benissimo quanto la luna sia legata alla procreazione e alla nascita. Però, la luna è mossa da due movimenti, il primo che la porta a ruo­ tare insieme alle stelle fisse da est a ovest e il secondo che la porta ogni sera a ritardare mediamente di circa 1 3° la sua posizione rispetto alle stesse stelle fisse. Solo in questo senso essa potrebbe portare, contempora­ neamente e in ogni fase del suo ciclo, i due appellativi di Prorsa e Po ­ stverta ; ma quest' ultimo sarebbe dovuto essere piuttosto un non attestato *Retrorsa o *Retroversa, non cioè «colei che segue >> ma «Colei che va all'in­ dietro >> . Quanto a Venere, la situazione è diversa; anch'essa è dotata, nel suo moto annuo, di due movimenti , uno diretto e uno inverso o retrogrado, ma questi due movimenti non sono contemporanei, e Venere o si muove normalmente da ovest verso est o si muove in senso inverso. Dunque, anche a Venere, e meglio che alla luna, si potrebbero attribuire i nomi di Prorsa e Postverta ; ma su quest'ultimo è sempre valida l'obiezione appena espressa. A questo punto interviene Porrima. Porrlma i n latino è un superlativo assoluto, sul tipo di ultima o optima o intima, della forma avverbiale porro, > ss. Quindi Porrlma 5 8 Si tratta del superlativo formato usando un suffi sso -mo, «la cui funzione era in origine quella d i indicare i l membro estremo di un gruppo: i n altri termini, esso forniva in

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vale > , sul bordo esterno della città, e gli assedianti nei cunicoli, « all' interno della rocca>> . Il movi­ mento inverso dei contendenti sul terreno non fa che ripetere i l movimento degli astri in cielo: gli assediati che attraversano la città, accorrendo dal centro alle mura, sono gli astri che solcano l'alto dei cieli, dal momento in cui compaiono all 'orizzonte all 'alba al momento in cui scompaiono dietro l 'orizzonte al tramonto ; gli assedianti che si inoltrano dall 'esterno delle mura fino al centro della città, attraverso i cunicoli da loro stessi scavati, sono gli astri che, al tramonto, passano « Sottoterra>> per riapparire , all 'alba, dalla parte opposta a quella in cui sono scom­ parsi. Il parallelismo è completato dall'identità dei protagonisti: nel mito nordico il dio che dà la vi ttoria è Wotan, omologo del Mercurio romano; nel mito romano l 'eroe che riceve in premio la vittoria è Furio Camillo. Ma i nomi di Wotan e di Fu rius vengono, tutti e due, da radici diverse che vogliono dire « furore>> , mentre Ca m illus è il nome di Mercurio in etrusco, secondo la testimonianza dello scoliasta di Licofrone ( 1 62), « Camillo (è) Ermes (M ercurio, n . d . a.) in Tirrenia (Etruria, n . d . a . ) . >> Stando così le cose, e visto che la nordica Frea corrisponde a Venere romana, a chi corrisponderà Mater Matuta? Andando avanti , saltando molti anni e molti avvenimenti, si arriva all'episodio di Sutri, sempre al seguito di Plutarco (35): « (Camillo) guidò immediatamente l'e­ sercito verso S utri, ignaro ancora della sorte toccata ai sutrin i . Credeva che fos­ sero in pericolo per l 'assedio degli etruschi; perciò s 'affrettava. Invece essi ave­ vano consegnato da tempo la città ai nemici e ne erano stati espulsi in un'indi­ genza estrema, con le sole vesti che avevano addosso. Incontrarono Camillo per strada, mentre procedevano lamentando le proprie sventure coi figli e le mogli. Camillo stesso si commosse a quello spettacolo e al vedere i romani stretti negli abbracci dei sutrini piangere di sdegno per ciò che era loro avvenuto. Decise per­ tanto di non frapporre indugi alla vendetta e di puntare subito su Sutri il giorno stesso. Calcolava di trovare gli etruschi completamente sbandati e incustoditi, poiché si erano appena impossessati di una città prospera e ricca, ove non ave­ vano lasciato nessun nemico, né s'aspettavano assalti dall'esterno . Il calcolo di Camillo risultò esatto : non solo infatti riuscì ad attraversare inosservato il con­ tado, ma persino ad arrivare alle porte e ad occupare le mura della città, ove nessuno montava la guardia. Gli etruschi, sparsi a gruppi per le case a bere e a far baldoria, anche quando si accorsero di essere ormai sopraffatti, si trovavano in tale stato d i sazietà e ubriachezza, che i più non ebbero nemmeno la forza di scappare e si lasciarono uccidere o prendere dai nemici nel modo più ignomi­ nioso dentro alle case. Così la città di S utri fu presa due volte nel corso della medesima giornata, e avvenne il caso che chi la conquistò la perse e chi la perse la riconquistò, grazie a Camillo . >> Ire Sutrium (Festo, s.v. Sutrium) è il modo di dire nato dal fulmineo duplice ribaltamento avvenuto nell'arco di poche ore, «fare in fretta, ire Su triu m >> . Ma tutta la vita di Camillo è un susseguirsi di situazioni di sostituzione e di ribalta­ mento, dall'episodio del maestro di Faleri che vorrebbe tradire i propri concitta­ dini e che incontra invece la ferma ripulsa di Camillo, così che si produce «Un tale mutamento negli animi, tanta muta tio a n i m is>> degli abitanti di Faleri da indurii a offrire spontaneamente la vittoria ai propri nemi ci; a Camillo stesso , trionfatore in patria prima e poi esule a Ardea; al suo antagonista, Marco Manlio Capitolino, che

1 02

getta giù dalla rupe del Campidoglio il primo dei Galli che la scala e che a sua volta viene gettato giù dalla stessa rupe; all 'improvvisa cacciata da Roma dei Galli nel pieno delle operazioni di pesatura dell'oro del riscatto e proprio un attimo dopo che Brenno ha pronunziato il celebre, intollerabile, ultimatum, 'Guai ai vi nti ' . Così commenta Livio (5 ,49) : «Ma già la fortuna aveva voltato loro le spalle, Iam verterat fortuna . . I Galli furono sbaragliati al primo scontro . . . e non restò neppure chi potesse portare la notizia della sconfitta. Il dittatore, ripresa la patria ai nemici, tornò nell 'Urbe in trionfo, e, tra i rozzi motteggi che i soldati sono soliti lanciare, era chiamato con lode non immeritata Romolo, padre della patria, se­ condo fondatore dell 'Urbe, Romulus ac parens patriae con ditorque a lter u rbis haud va n is laudibus appellabatur.>> Camillo stesso, imitando la dea che lo protegge, di­ venta un secondo genitore e secondo fondatore di Roma. Analogamente quando, riconquistata Roma ai Galli, si pone il problema se rimanere nella città distrutta o trasferirsi a Veio, presa integra pochi anni prima ­ altro bell'esempio di ribaltamento in pectore - tutto il discorso di C am illo a favore della permanenza in Roma, che occupa quattro lunghi capitoli nelle Storie liviane, è un continuo altalenarsi di argomentazioni e di situazioni contrapposte del tipo, «Dunque i Galli hanno potuto distruggere Roma, mentre i romani daranno l'im­ pressione di non aver saputo ricostruirla? » , oppure «E se questa decisione di tra­ sferirsi a Roma non la prendessero i Galli ma i vostri antichi nemici, gli Equi o i Volsci, vorreste ch'essi diventassero romani e voi Veienti ? » (5,53) Nella chiusa del discorso, poi, Camillo introduce nuovi elementi (5,54): «La stessa grandezza della città sorta così di recente ne è la prova. È questo, o Quiriti, i l suo trecentosessantacinquesimo anno di vita . . . Stando così le cose, che criterio è il vostro, diamine, di voler fare altre esperienze dopo aver fatto questa, quando, anche ammesso che il vostro valore possa passare altrove, non si può certo tra­ sportare altrove la fortunata posizione di questo luogo? Qui è il Campidoglio, dove un giorno, essendosi trovato un teschio umano («col volto intatto, in tegra fac ie>> , come ha precisato lo storico in precedenza, 1 ,5 5 , 5 ; n.d.a.), fu vaticinato che l ì sarebbe stata la capitale e la dominatrice del mondo ; qui, quando, dopo aver preso gli auguri, si sgombrò il Campidoglio, luventa e Termine, con somma gioia dei vostri padri , non si lasciarono portare via; qui sono i fuochi di Vesta, qui gli ancili caduti dal cielo, qui tutti gli dei a voi propizi, purché rimaniate, h ic Vestae ignes, h ic ancilia caelo dem issa, h ic om nes p ropitii manen tibus vobis di .» Vediamo in successione : l) il 365° anno che sta a indicare il compimento di un periodo com­ posto da tanti anni quanti sono i giorni dell'anno solare; 2) la fortuna che non si può trasferire, cum . . . fo rtu na certe foci h u ius transferri non possit, perché vinco­ lata a un determinato luogo; 3 ) il teschio umano col volto intatto, cioè perfetta­ mente cons ervato, segno esplicito della sorte favorevole assegnata al luogo in cui è rinvenuto; 4) la benevolenza degli dei accordata soltanto a chi non è disposto a spostarsi altrove per occupare il posto di altri, ma preferisce rimanere dove si trova e continuare a occupare il proprio. Come è noto, è dall' ultimo punto che nasce il celebre «Hic ma nebimus optime , qui staremo benissimo ! » , terzo proverb io scaturito dalle gesta di Camillo. Ha ra­ ;;ione Dumézil a dire «Non vi è un episodio della biografia di Camillo, nelle versioni che sono pervenute fino a noi, che non sia un exemp lu m , e per i Romani i più diversi. » e ha torto Mommsen a defin ire la vita di Camillo «la più menzognera di tutte le leggende romane>> ; ma questo lo si può dire col senno di poi, cioè di oggi. Né si deve vedere una contraddizione tra le modalità di scambio e di ribalta­ mento e l 'impossibilità di Fortuna a spostarsi da un posto all'altro, da Roma a .

1 03

Veio ; l'inamovibilità sta solo a indicare che, come c'è una « Fortuna di questo giorno, Fortu na h u iusce die i » , così c ' è una Fortuna che li ha assistiti, e conti­ nuerà a assisterli, ma a condizione che non lascino Roma; da cui il perentorio h ic manebimus optime, che va inteso come . Ancora: più chiari diventano adesso i motivi dello scandalo suscitato nell'a­ nimo dei romani dal primo trionfo di Camillo, quello sui Veienti ; racconta sempre Plutarco (7): . (H ermann 1 9 80, p. 87) Il più grande, ma non il più luminoso; Venere lo supera, arriva a superarlo, nei suoi periodi di luminosità massima, > , mentre la lumino­ sità di Giove, che è molto più costante grazie alla distan za, non supera i l valore massimo di - 2 m , 8 . (H ermann 1 9 80, p. 7 1 e p. 2 0) Si sono lette più sopra le parole con cui Plutarco apre il suo racconto, «A quel tempo, katà tou to d� kairou, la casata dei Furi non era molto illustre>>; alle quali fanno eco quelle con cui Livi o conclude il proprio ( 7 , l ; t.d.a.) : e «maturo » . Ecco ancora il motivo del cambiamento nel passo iniziale del racconto dello storico romano ( l , 1 9; t.d.a.), « D 'improvviso tutto mutava col mutare del comandante; un'altra speranza, un altro spirito degli uomini, persino un' altra sorte per Roma si scorgeva, Omnia repente mu taverat imperator mutatus; a lia spes , alius an imus ho­ minum, fortu na quoque a lia urbis videri . » ; tanto che s i potrebbe dire, con un nuovo gioco di parole, >

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APPENDICE 2

L 'ANNO CON CAPODANNO ALL'8 MARZO

Lo specchietto seguente (vedi pp. 1 08 - 1 1 2 ) non prende in considerazione l'in­ tero ciclo ventiquattrenale, ma pone solamente in rapporto il «nuovo>> anno che inizia 1'8 marzo con il tradizionale anno numana che inizia il primo di marzo. Nello specchietto il confronto tra i due anni è prolungato oltre i 3 5 5 giorni dell'anno lunare fino al compimento del 3 6 5 ° giorno, per arrivare a completare l'anno solare. A questo punto è opportuna qualche parola di commento. Il linguaggio corrente tende a ingenerare confusione: quella che è detta vol­ garmente « luna nuova>>, cioè la prima apparizione della falce di luna crescente che corrisponde all'antica idea di > - non coincide ma segue la «luna nuova>> astronomica, o « novi lunio>> , che è la congiunzione di luna e sole, quando la luna è invisibile; quella che è detta « mezzaluna>> non coincide né con il primo né con l 'ultimo quarto, quando la superficie della luna appare illuminata per metà, ma corrisponde anch'essa a una falce di luna crescente; e l'altra «mezzaluna>> , cioè l'immagine di antichiss ima origine orientale che rappresenta oggi il simbolo stesso del mondo arabo, non coincide ma segue la «mezza luna» dell 'ultimo quarto , visto che rappresenta l' ultima falce di luna calante . Calcolando il nostro « novilunio>> un giorno prima delle calende dei mesi di 3 1 giorni e due giorni prima delle calende dei mesi di 29 giorni, s i è cercato di con­ temperare il contrasto tra il dato di natura, secondo il quale il mese lunare è di 29 o di 30 giorni, mai di 3 1 , e la convenzione romana, in base alla quale si assegnano al mese lunare 29 o 3 1 giorni, mai 30. Si potrà obiettare che, nel > calendario con inizio all ' S marzo, le > calende vengono a cadere appunto l 'ottavo giorno del mese e non il set­ timo, che era la «vecchia>> nona numana almeno per marzo, maggio, luglio e ot­ tobre . Qui interviene, probabilmente, un elemento di incertezza di origine etrusca. Perché gli etruschi (S ervio, ad Aen. , 5 , 7 3 8 e 6 , 5 3 5), e con essi gli umbri (Ma­ c robio, Sat., 1 , 3,4-5), « chiamavano giorno il periodo che va da un mezzogiorno ad un altro>> ; cioè non facevano come i romani e come noi moderni, che chiamiamo giorno il periodo da una mezzanotte all'altra. Ci si può chiedere il motivo di questa usanza e lo si può trovare, forse, in uno scrupolo religioso, di rispetto per la divinità solare, o in uno scrupolo scientifico un'ansia di precisione, di esattezza, di accuratezza, legata alla possibilità di deter­ minare l 'istante del mezzogiorno e all'opposta impossibilità di determinare l'i­ stante della mezzanotte; ma più probabilmente la vera chiave della spiegazione sta

1 05

nel fatto che il primo giorno del mese è, per gli etruschi come per i romani, quello in cui si osserva la prima falce di luna nuova, e quel giorno dovrebbe anche se­ gnare le calende. Ora, se s i fa iniziare il giorno a mezzogiorno, al momento in cui, in prossimità del tramonto, si osserva la prima falce di luna, il giorno ha solo poche ore di vita e durerà ancora tutta la notte ormai incombente e la mattina successiva; invece, se si fa iniziare il giorno a mezzanotte, al momento in cui, in prossimità del tramonto, si osserva la prima falce di luna, i l giorno è prati camente finito e ne restano appena le poche ore che mancano alla mezzanotte. Nel primo caso, le calende possono effettivamente coincidere con il giorno in cui si osserva la prima falce della luna; nel secondo caso, occorrerà rinunziare alla coincidenza e rimandarle al giorno successivo, dopo la mezzanotte. Come che sia, il ris ultato pratico dell 'uso di calcolare il giorno da un mezzo­ giorno all'altro produceva in chi invece lo calcolava da una mezzanotte all 'altra uno sconcerto, dovuto al fatto che, ad esempio, il cittadino etrusco nato al mezzo­ giorno delle calende romane per gli etruschi era nato all 'inizio del gi orno succes­ sivo . Addirittura viene riferito che i romani non sapevano più se l 'ipotetico etrusco nato a mezzogiorno delle calende festeggiava il compleanno nello stesso giorno delle calende o nel giorno successivo, ossia - per essere più chiari - in quello che per i romani era già il giorno successivo ma che per gli etruschi era ancora il medesi mo. (Varrone in Macrobio, Sat., 1 , 3 , 5 ) Altra fonte d i incertezza è data dall 'effettivo cadere dei noviluni. S i è detto più sopra che col termine « novilunio» noi moderni indichiamo una configurazione astronomica diversa dalla nova lu na, la > Ma qui , almeno, ci soccorre la convenzione fissata dagli antichi con la cadenza delle idi.

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2 3 4

5)

6 7 8 9

lO

11 12 13 0 14 15 16 17 18 19 20 21 22

l Vediovi

2 3 4 5 6 7 8 9 lO

1 1 Carment. 12 13 14 1 5 Carment. 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

B

c

FEB B RAIO

GENNAIO

l F. Mulieb . 2 9 2

2 3 4 5 6 7 8 9

B

321 322 323 324 325 326 327 328 329 330 33 1 332 333 334 335 336 337 338 339 340 34 1 342 343 344 345 346 347 348

23 24 25 26 27 28 . 29 l *

2 3 4 5) 6 7 8 9 lO

11 12 130 14 15 16 17 18 19 20 21

l

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 2 3 Terminai. 24 25 26 27 28

111

A

B

c

NOTA. Nelle colonne A sono indicati i giorni del­

l 'anno contati a parti re dal l ' 8 marzo, nelle colonne B i giorni dei > mesi con le feste di Fortuna - tra le qual i inseriamo, con una licenza ormai abituale negli studi, anche la festa della Fortuna Primigenia di Preneste - e di Venere, e alcune altre, che sa­

35 1

24

3

352

25

4

353

26

5

354

27

6

cadenze tradizionali . Con il circoletto nero

355

28 .

7 Vediovi

indicati

8

prima delle calende dei mesi di 3 1 giorni e due

356

l

357

2

9 10

*

358

3

3 59

4

11

360

5

12

36 1

6

13

362

7 )

14

363

8

15

364

9

16

365

10

1 12

1 7 Liberai .

ranno consid erate più avanti (vedi Appendice 3). Con

*

s o n o indicate le