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Italian Pages 185/194 [194] Year 2013
Fondazione «Giorgio La Pira» I Libri della Badia – 19 Studi e testi – 6
GIORGIO LA PIRA
L’Assunzione di Maria presentazione del
Cardinale Giuseppe Betori a cura di
Giulio Conticelli, Stefano De Fiores e Maria Lidova
E DIZIONI P OLISTAMPA
In memoria di Claudio Leonardi 17-04-1926 / 21-05-2010
Referenze fotografiche Maria Maddalena Cavini Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Firenze Soprintendenza dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma Opera di Religione della Diocesi di Ravenna Foto Locchi, Firenze In copertina Il Card. Elia Dalla Costa, Arcivescovo di Firenze, incorona Maria nella Basilica di Santa Maria Novella di Firenze alla presenza di Giorgio La Pira (Foto Locchi). In retrocopertina Icona bizantina di Maria Regina (VIII sec.), nella basilica di San Marco di Firenze, dinanzi alla quale è sepolto Giorgio La Pira.
© 2013 EDIZIONI POLISTAMPA Via Livorno, 8/32 – 50142 Firenze Tel. 055 737871 (15 linee) [email protected] – www.polistampa.com ISBN 978-88-596-1219-3
Presentazione
Mi sono state chieste alcune parole di introduzione alla nuova edizione del testo di Giorgio La Pira sull’Assunzione di Maria e rispondo volentieri all’invito fattomi come arcivescovo di questa città, convinto come sono di quanto sia doveroso continuare a offrire occasioni di conoscenza e approfondimento della figura e del pensiero di uno dei più significativi testimoni della fede cattolica nel nostro tempo. Proprio la grandezza di questo servo di Dio induce infatti a sempre più opportune riproposizioni e approfondimenti, che, come attesta il saggio del p. Stefano De Fiores, uno dei maggiori studiosi contemporanei di mariologia, tolgono dalla dimenticanza e fanno risplendere a nuova luce non solo un testo significativo ma, più in generale, la prospettiva fortemente mariana che caratterizza la riflessione, la preghiera e, soprattutto, l’azione del sindaco “santo” di Firenze. Non sarà difficile associarsi poi alle parole di grande elogio che p. De Fiores dedica a quello che egli stesso non teme di definire un autentico e originalissimo contributo alla mariologia del XX secolo. Non meraviglia questo riconoscimento, considerando che l’alveo mariano costituisce quasi l’inevitabile – Giorgio La Pira aveva un concetto tutto suo, profondamente cristiano, di questa “inevitabilità” dell’azione della provvidenza divina – collocazione spirituale di tutto il progetto politico e civile, elaborato e messo in atto da Giorgio La Pira proprio a partire da Firenze, città mariana per eccellenza, tra la cattedrale di Santa Maria del Fiore e la 5
PRESENTAZIONE
basilica della Santissima Annunziata, per fare solo due dei riferimenti a lui cari, come lo sono a tutti i fiorentini. Il testo che viene qui riproposto – per interessamento della Fondazione La Pira, che da anni svolge il lodevole compito di custodire e far conoscere l’opera di Giorgio La Pira e che lo ha opportunamente corredato di vari, preziosi saggi di approfondimento e interpretazione – è, senza dubbio, quello dove La Pira ha formulato nel modo più compiuto ed elaborato la propria riflessione mariana. Preparato all’indomani della proclamazione, da parte del Santo Padre Pio XII, del dogma dell’Assunzione di Maria (1 novembre 1950), esso è articolato intorno a due interrogativi cruciali. Il primo, di natura espressamente teologica, riguarda il senso stesso del dogma appena proclamato: «la resurrezione e l’ascensione [di Cristo] costituiscono un fatto unico od un fatto destinato ad integrarsi, per così dire, con la resurrezione e la glorificazione di tutti gli eletti?» (p. 19). La risposta, in un certo senso, è già contenuta nella domanda e indica proprio in Maria la prima creatura che è stata pienamente “coinvolta” in quella che La Pira chiama la resurrezione e glorificazione totale dell’umanità. La Pira colloca, dunque, l’Assunzione di Maria all’interno di un dinamismo di grazia il cui svolgimento è, di fatto, appena cominciato, e che è destinato a interessare tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Il secondo interrogativo non fa altro che concretizzare la prospettiva ora accennata, aprendo lo sguardo sull’orizzonte della storia: «quali le ripercussioni umane, terrestri – estese, quindi, a tutti i piani della meditazione umana e dell’azione umana – di questo “fatto” così solennemente proclamato della Assunzione di Maria?» (p. 35). In questa domanda è come sintetizzato lo sguardo profetico con il quale Giorgio La Pira ha costantemente letto e interpretato la storia dell’umanità, colta sempre nella luce del progetto 6
PRESENTAZIONE
redentivo di Dio, al quale egli stesso ha cercato di offrire il suo generoso e appassionato contributo. Eccolo, infatti, vedere nell’Assunzione di Maria un vivo incoraggiamento alla Chiesa, in quanto nel dogma proclamato essa prende coscienza «della vita di grazia che in Lei circola… e rinvigorita e quasi rinnovellata da questo misterioso ma così reale contatto con le radici divine, essa procede con passo più sicuro e più spedito nel suo cammino terrestre» (p. 39). E ancora: la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria ha, per La Pira, ripercussioni sul cammino ecumenico, almeno nel dialogo con l’Oriente cristiano. È poi una parola rivolta alla metafisica così come alla fisica – perché la materia ha indubbiamente una sua finalità e non la si può comprendere senza tenerne conto –. E non ha meno rilevanza, prosegue La Pira, per l’orizzonte antropologico, per quello politico, sociale ed economico, e perfino per la tecnica. Ma è soprattutto la conclusione di questa vibrante meditazione sull’Assunzione di Maria a racchiudere un insegnamento ancora pienamente valido per l’oggi. La Pira, infatti, si chiede il perché della proclamazione del dogma dell’Assunzione proprio in quel tempo e in quel contesto. E crede di rintracciarvi un disegno provvidenziale, in un momento storico di cui sottolinea la gravità, indicandolo come «punto di crisi» e «grave momento del tempo presente». Proprio mentre l’ateismo materialistico prende campo, afferma La Pira, ecco che la Chiesa risponde con le sue “armi”, che non sono e non possono essere altro che un rinnovato slancio spirituale, una riaffermazione vissuta dell’unum necessarium che non teme di incontrare e fermentare la storia. Giorgio La Pira, dunque, mette già in atto quella “lettura dei segni dei tempi” che il beato Giovanni XXIII avrebbe proposto pochi anni più tardi a tutta la Chiesa come l’esercizio indispensabile per orientarsi nel cammino e che il concilio Vaticano II assumerà come metodo di lettura del suo tempo. 7
PRESENTAZIONE
Così come sembra già percepire i primi segni di una radicale trasformazione della civiltà occidentale, di fronte alla quale Giorgio La Pira testimonia nel modo più alto la sua fede e la sua incrollabile speranza: «C’è come una connessione intrinseca fra i momenti di grande cimento terrestre di Cristo e del cristianesimo e lo spettacolo di potenza e di gloria celeste che Cristo e la Chiesa di Cristo mostrano al mondo al “liminare” di ogni nuovo cimento» (p. 63). Come a dire, ed è il messaggio che La Pira consegna al nostro tempo, alle prese probabilmente con la piena espressione di quel “cimento” da lui evocato, che la fede cristiana non giunge mai impreparata di fronte agli alti appuntamenti della storia, che costituiscono, anzi, l’occasione per una nuova e più piena rivelazione dell’ampiezza, della lunghezza, dell’altezza e della profondità del mistero di Cristo, che supera ogni conoscenza (cfr. Ef 3,18-19). Ma la stessa fede ha bisogno di esplicitarsi nelle sue virtualità, attraverso la ricerca teologica e sotto la guida del Magistero, perché solo dalle radici della verità, così illuminata e confermata, può scaturire una prassi adeguata e corretta dei credenti nella loro testimonianza al Vangelo, che sia segno credibile dell’azione del regno di Dio nella storia degli uomini. Giuseppe Betori Cardinale Arcivescovo di Firenze
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Giorgio La Pira L’ASSUNZIONE DI MARIA
I Assunzione di Maria: cioè elevazione e presenza gloriosa in Cielo della Vergine: anima e corpo di Maria nella gloria del Paradiso, come l’anima ed il corpo di Gesù (1): per Maria ha immediato esaudimento la preghiera di Gesù al Padre: [fa, o Padre, che] dove sono io siano essi pure con me e vedano la gloria che tu mi hai data perché tu mi hai amato prima della fondazione del mondo [S. Giov. XVII, 24]. Ecco il fatto che la Chiesa, proclamandone il valore dommatico, (1 bis) offre oggi, con singolare solennità, alla contemplazione ed alla meditazione del mondo intiero: come se
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GIORGIO LA PIRA - L’ASSUNZIONE DI MARIA
Essa, con la divina potestà di “apertura” – le Chiavi! – che Cristo Le ha per sempre conferito [S. Matt. XVI, 17-20], aprisse oggi arditamente le porte della Città celeste per mostrare agli uomini distratti del nostro tempo gli splendori di gloria che Dio destina non solo all’anima ma al corpo medesimo dei giusti: i giusti splenderanno come soli nel regno del Padre mio. Davanti a questo fatto così singolare ed a questa così singolare proclamazione alcune domande si pongono, quasi naturalmente, ad ogni uomo. II La prima è questa: ma cosa c’è di solido, di “ontologico”, per così dire, in tutto questo? Siamo nel regno della poesia – sia pur bella, luminosa e consolante poesia – o, invece,
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siamo proprio nel regno della realtà (2)? Questa città celeste, coi suoi splendori di gloria, che S. Giovanni vide nella sua estasi [Apoc. XXI, 1 sgg] e di cui Gesù parlò nel discorso dell’ultima cena – la Casa del Padre [S. Giov. XIV, 2] – è la Città dei poeti, sogno luminoso della fantasia umana che evade dalle strettoie dello spazio e del tempo, [il “sogno” di Dante!], o è, invece, la “realtà ultima”, la città finale, l’eterna e gaudiosa dimora di Dio, di Cristo, di Maria, degli angeli e dei santi? La risposta è precisa: se Cristo è risorto (2 bis) – come è veramente risorto – la città di Dio, trionfante in Cristo, è la città permanente e finale dell’uomo: è la città di approdo dell’esistenza umana: la Gerusalemme della pace, della gioia, della bellezza eterna: la città dei glorificati, ove gli uomini, a Dio per sempre uniti, sosteranno per sempre, felici [ibi vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus come dice S. Agostino al termine della Città di Dio].1
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De civ. Dei, XXII, 30, 5.
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Lo ripetiamo: se Cristo è risorto [come è risorto]; se Cristo è asceso al Cielo [come è asceso] per sedere alla destra del Padre [S. Marco XVI, 20]2 la chiave che risolve tutti i problemi è trovata – Filius hic hominis fit maxima quaestio mundi, dicevano nel medioevo –: il “solido”, la “concretezza”, sta proprio “di là”: in quella città celeste dalla quale soltanto deriva la luce, il “moto” e l’orientamento della città terrestre (3). III Cristo risorto ed asceso al Cielo: va bene: se Cristo è il Verbo umanato [et Verbum caro factum est S. Giov. I, 14] il fatto ha un fondamento: il corpo di Cristo dal quale mai si staccò la divinità del Verbo [anche dopo la morte non fuit separata divinitas nec ab anima Christi nec ab eius carne dice S. Tommaso III, 53, 4] (4) non può soggiacere alla corruzione:
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In realtà Marc., XVI, 19.
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Il Verbo a cui esso è unito, a sé lo attrae ed a sé lo eleva: la resurrezione, l’ascensione e la glorificazione del corpo di Cristo appaiono perciò come fatti non solo storicamente testimoniati, ma anche come fatti “fisicamente” fondati: Christus propria virtute resurrexit [III, 53, 4] (5) Ma per Maria? Come fondare questa assunzione del Corpo di Maria nella gloria del Paradiso? La domanda si fa tanto più acuta quando si pensi che su questo fatto così singolare tacciono, almeno esplicitamente, le fonti primitive (6) Torniamo sempre al punto di partenza dal quale ha inizio tutto il “moto” del cristianesimo: la resurrezione di Cristo. Cristo è risorto? Sì. È asceso al Cielo? Sì. Si continui il ragionamento: la sua resurrezione e la sua ascensione costituiscono un fatto destinato a rimanere unico od un fatto destinato ad integrarsi, per così dire, con la resurrezione e la glorificazione di tutti gli eletti? Siamo qui al centro del cristianesimo:
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il cristianesimo è, al termine, essenzialmente, la resurrezione dei morti e la glorificazione degli eletti [Et ego suscitabo eum in novissimo die S. Giov. VI, 55:3 tutto questo cap. VI mostra l’intima connessione fra l’Eucaristia e la resurrezione dei morti: e si può dire che tutto il Vangelo di S. Giovanni è “orientato” verso questo fatto limite del cristianesimo rappresentato dalla resurrezione e glorificazione dei morti. S. Paolo esprime perfettamente la essenzialità di questo mistero I Cor. XV, 51]: resurrezione e glorificazione che hanno la loro causa “fisica” – per così dire – nella virtù divina – quae quidem virtus praesentialiter attingit omnia loca et tempora III, 56, 1, 3m – del corpo risorto e glorificato di Cristo [III, 56, 1 resurrectio Christi est causa nostrae resurrectionis… Et ideo Verbum Dei primo tribuit4 vitam immortalem corpori sibi naturaliter unito, et per ipsum operatur resurrectionem in omnibus aliis. cfr. Suppl. 76, 1]. La resurrezione di Cristo è, in certo modo, un inizio, una inchoatio della resurrezione e glorificazione totale del Corpo mistico di Lui [Suppl. 76, 1… ita in Christo inchoata est resurrectio et eius resurrectio causa est nostrae resurrectionis]: essa tende, come al suo termine, a questa resurrezione e glorificazione totale: e si capisce: non è Cristo, costituzionalmente, il capo del Corpo mistico [III, 8, 1 caput Ecclesiae]? I misteri della Sua persona divina non sono forse inscindibilmente connessi con quelli di tutta la Chiesa, anzi dell’umanità tutta quanta [III, 8, 3 caput omnium hominum; III, 8, 2 tota christi
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In realtà Ioh., VI, 44. In Summa Th.: attribuit.
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humanitas influit in homines et quantum ad animam et quantum ad corpus]? Non solo: ma il panorama si allarga: si estende all’intiero universo fisico: gli effetti “fisici”, rinnovatori, glorificatori, della resurrezione e della glorificazione di Cristo si estenderanno anche a questo mondo fisico che avrà, nel giorno della resurrezione e della glorificazione degli eletti, altra luce ed altro splendore: saranno cieli nuovi e terra nuova [II S. Pietro III; 13] [Suppl. 91, 1. Et ideo oportebit ut etiam alia corpora maiorem influentiam a divina bonitate suscipiant quam nunc…5 unde simul mundus innovabitur et homo glorificatur]6 Se questo disegno è vero, come è vero, se è questa la visione e la realtà finale e totale del cristianesimo – la resurrezione e la glorificazione degli eletti in un mondo fisico esso pure rinnovato e in certo senso glorificato e tutto ciò sul fondamento e sul modello [Suppl. 76, 1] della resurrezione e della glorificazione di Cristo – allora il problema della assunzione di Maria appare come un semplice problema “di anticipazione temporale”: quale ragione, in certo modo necessitante, “fisica”, legittima questa “priorità” di elevazione, di esaltazione celeste del corpo di Maria? La risposta appare chiara appena si pensi al rapporto “fisico” – di maternità e di filiazione – che esiste fra il corpo di Cristo ed il corpo di Maria (7) Il corpo di Cristo è formato, miracolosamente ma realmente, col corpo
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quam nunc non presente in Summa Th. In Summa Th.: glorificabitur.
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di Maria [III, 35, 3: corpus Christi non est de coelo allatum… sed de Virgine matre sumptum et ex purissimis sanguinibus eius formatum; III, 31, 5 Damascenus dicit quod «Filius Dei construxit sibi ipsi ex castissimis7 et purissimis sanguinibus Virginis carnem animatam anima rationali»]. Cristo ha, perciò, due natività: una eterna ed una temporale [III, 35, 2… unam qua aeternaliter natus est a Patre, aliam qua temporaliter natus est a matre]; Maria è veramente madre di Dio [III, 35, 4, 2m B. Virgo dicitur mater Dei, non quia sit mater divinitatis, sed quia personae habentis divinitatem et humanitatem est mater secundum humanitatem]: è questa la pietra angolare del cristianesimo, rigettata la quale crolla l’intiero edificio della grazia e della salvezza: non per nulla attorno a questa pietra di fondamento si svolse tutto il dramma dell’eresia antica: il Concilio di Efeso [431] altro fine non ebbe: riaffermare solennemente, per sempre, senza equivoci, la maternità divina: il testo latino, squadrato, suona così: Si quis non confitetur Deum esse secundum veritatem Emmanuelem8 et propter hoc Dei genitricem sanctam virginem [genuit enim carnaliter carnem factum9 Dei Verbum] anathema sit [III, 35, 4]. C’è, dunque, un rapporto come di identità fra il corpo di Cristo ed il corpo di Maria: Caro enim Jesu caro est Mariae: ebbene, la virtù attrattiva, elevante, – omnia traham ad meipsum S. Giov. XII, 31]10 glorificante che la divinità esercitò immediatamente sul corpo di Cristo deposto nel sepolcro, non doveva pure, di conseguenza, esercitarsi sul corpo di Maria, identico nella sostanza sensibile a quello di Cristo? La risposta non può apparire dubbia: la virtù divina del corpo risorto e glorificato di Cristo si esercita immediatamente sul Corpo di Maria ed al Cielo lo eleva e nel Cielo lo glorifica. 7
In Summa Th.: castis. In Summa Th.: Emmanuel. 9 In Summa Th.: factam. 10 In realtà Ioh. XII, 32. 8
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La ragione “fisica”, in certo modo necessitante, che legittima la priorità di elevazione e di esaltazione celeste del corpo di Maria è trovata: da essa derivano e ad essa convergono le altre ragioni desunte dal concepimento immacolato, dalla Verginità perpetua [III, 28, 1 segg.], dalla pienezza di grazia in cui essa fu costituita [e dalla quale deriva la sua posizione di mediatrice di tutte le grazie: [III, 27, 5, 1m beata Virgo Maria tantam gratiae obtinuit plenitudinem, ut esset propinquissima auctori gratiae: ita quod eum qui est plenus omni gratia, in se reciperet, et eum pariendo quodammodo gratiam ad omnes derivaret]. Tutti questi misteri di Maria sono ordinati al mistero fondamentale: essere la madre di Cristo: quest’essere la madre di Cristo è la causa “fisica”, efficiente, sulla quale solidamente poggia l’elevazione e la glorificazione in Cielo del corpo di Maria (8) Pietro di Blois [Migne P.L. 207, 662] dice: – sembrava a Cristo di non essere asceso al Cielo se non avesse tratto a sé colei dalla carne e dal sangue della quale aveva preso il suo corpo. Tutto ciò, del resto, può essere espresso con quel mirabile principio “di priorità e di vicinanza” che S. Tommaso così luminosamente applica a Maria per legittimarne la pienezza di grazia: perché questa “pienezza”? La risposta appare chiara, dice S. Tommaso, appena si pensi al rapporto di “propinquità”, “di vicinanza”, in virtù del quale una cosa tanto più subisce gli effetti della sua causa quanto più ad essa vicina [III, 27, 5 quanto aliquid magis appropinquat principio in quolibet genere, tanto magis participat effectum illius principii] [III, 7, 9]: la pienezza di grazia in Maria è giustificata, appunto, dal suo rapporto di vicinanza con Cristo [III, 27, 5 Beata autem Virgo Maria propinquissima Christi11 fuit secundum humanitatem, quia ex ea accepit humanam naturam:
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In S. Tommaso Christo.
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et ideo prae caeteris maiorem debuit a Christo gratiae plenitudinem obtinere]. Questo medesimo principio – che ha nella divina maternità la sua radice – serve ad illuminare quella priorità dell’assunzione gloriosa del corpo di Maria oggi dalla Chiesa così solennemente proclamata. IV Ma c’è, ancora, qualcosa di altro: c’è una luce ulteriore che singolarmente illumina questo dolce mistero e questa dolce realtà dell’assunzione gloriosa di Maria. Se accettiamo, infatti, la tesi scotista della Incarnazione come summum opus Dei – tesi secondo la quale la Incarnazione era stata da Dio preordinata prescindendo dalla caduta [… ita quod Christus in carne, sicut et omnes electi, prius praevidebatur et praedestinabatur ad gratiam et gloriam, quam praevideretur passio Christi]12 – allora tutti i misteri di Maria si illuminano di una luce più intensamente gloriosa: anche Maria, come Gesù, costituisce, nel piano ideale della creazione, il vertice della creazione medesima: nella gerarchia dei valori essa costituisce, come Gesù, il valore supremo. [Dominus possedit me ab13 initio viarum suarum… necdum erant abissi,14 et ego iam concepta eram].15 Viste le cose da questo supremo angolo visuale tutti i misteri di Maria diventano come luci di estrema luminosità e chiarezza: perché immacolata? Perché vergine? perché piena di grazia? Perché assunta? Ma è chiaro: perché ab aeterno preordinata madre di Cristo, nodo supremo di tutta la creazione con Dio. Scoto vide bene quando annodò a questa preordinazione di Cristo e di Maria tutti i misteri che all’uno ed all’altra si riferiscono [ 12
Scoto, Ord., III, d. 19, q.u. In Prov.: in. 14 In Prov.: nondum erant abyssi. 15 Prov., VIII, 22, 24. Cfr. Roschini, Mariologia, II, 9, 90. 13
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… beata Virgo Mater Dei, quae numquam fuit inimica (Dei) actualiter ratione peccati actualis, nec ratione originalis].16 cfr. Summula di SCOTO edita a Firenze per cura di P. Scaramuzzi. V E c’è, infine, un altro angolo visuale – punti di vista diversi che permettono di vedere le faccie varie di questo unico prisma che è la indivisibile ed unica realtà divina del cristianesimo – dal quale è possibile vedere, in collegamento con tutti i misteri del cristianesimo [per questo nesso organico fra di essi cfr. SCHEEBEN I misteri del cristianesimo Morcelliana 1949], questo mistero dell’assunzione: è quello, diciamo così, “storico”, quello della espansione del Corpo mistico nel corso dei secoli. Questo corpo è in crescita, come è in crescita il granello di senapa [ ].17 Da dove deriva questa forza propulsiva? La grazia – che ha la sua fonte nella Trinità – dove necessariamente si riversa prima di canalizzarsi nei sacramenti e di pervenire alle anime per unirle a Cristo espandendone così il corpo mistico nel corso dei secoli? La risposta è precisa: l’umanità di Cristo è l’organo mediante il quale, instrumentaliter, la grazia di Dio si articola nei sacramenti e perviene alle anime [III, 8, 1, 1m… in quantum eius humanitas instrumentum fuit divinitatis eius; III, 62, 5 virtus salutifera a divinitate Christi per eius humanitatem in ipsa
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Scoto, In Sent., III, 18. Cfr. Matth., XIII, 31-32.
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sacramenta derivatur]: da questa umanità gloriosa fluisce per tutti i secoli l’onda rigeneratrice della grazia, inizio e preparazione della gloria: la Chiesa, nel suo processo di espansione secolare, appare, quindi, visibilmente ancorata ad un corpo glorioso dal quale trae incessantemente la linfa vitale che la sostiene e la espande nel corso del tempo. Ed ecco ripresentarsi qui pure il corpo glorioso di Maria: ai fini di questo flusso di vita divina [la grazia] che attraversa i sacramenti e che inonda le anime questo corpo glorioso di Maria ha esso pure una funzione essenziale: è associato inscindibilmente – in virtù della divina maternità – al corpo glorioso di Cristo: la grazia che fluisce dalla Trinità e che attraversa il corpo glorioso di Cristo attraversa anche quello glorioso di Maria [III, 27, 5, 1m… ut eum pariendo – Christum – quodammodo gratiam ad omnes derivaret]. Dante magnificamente lo disse: – qual vuol grazia ed a Te non ricorre sua disïanza vuol volar senz’ali [Par. XXXIII] (9) La Chiesa nella sua vita e nella sua espansione è visibilmente ancorata – come radicata – al corpo glorioso di Cristo ed al corpo glorioso di Maria: operante in terra e radicata in Cielo! La visione di S. Giovanni [Apoc. XXI, 1 sgg] appare così in una evidenza solare: Gesù e Maria [mulier amicta sole Apoc. XII, 1]: il duplice indissociabile radicamento della Chiesa in Cielo. VI Davanti alla solenne definizione dommatica della Chiesa, prima, ed alla chiara visione strutturale del cristianesimo, poi, il problema storico delle fonti assume un carattere
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tutto subordinato. L’Assunzione è avvenuta: ecco la certezza che non teme oscuramenti. La Chiesa ha sempre vissuto di questa certezza come dell’altra – così ampiamente e variamente documentata – della resurrezione e glorificazione di Cristo. Dall’alba del V° secolo questo sole dell’assunzione è apparso nitidamente sull’orizzonte dommatico [in certo senso], liturgico, spirituale, teologico, artistico, della Chiesa. Ma il sole c’è anche prima che spunti sull’orizzonte dell’uomo, come c’è il seme prima che spunti l’erba e si formi la spiga (10) VII La nostra meditazione è finita? Se il cristianesimo si limitasse alla contemplazione “astratta” dei suoi misteri dovremmo allora dire di sì: ma le cose stanno diversamente: la vita celeste, le realtà misteriose e luminose della città eterna, non sono senza un rapporto essenziale, trasformatore, con la vita terrestre dell’uomo. Non c’è un solo mistero cristiano, un solo “fatto” del cristianesimo, che non si rapporti alla vita terrestre dell’uomo: la vita che di là fluisce e qua perviene è come l’acqua destinata ad irrigare la terra dell’uomo, è come il lievito destinato a trasformare la “massa” dei valori umani. Ed ecco allora le domande ineliminabili di ogni creatura pensosa: quali le ripercussioni umane, terrestri – estese, quindi, a tutti i piani della meditazione umana e dell’azione umana [metafisica, fisica, antropologica, politica, sociale, economica, tecnica e storica] – di questo “fatto” [di questo dogma] così solennemente proclamato della Assunzione di Maria?
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Come esso si inserisce nel vasto dramma storico, attualmente in atto nel mondo? VIII La prima più marcata “ripercussione umana e terrestre” della proclamazione di questo dogma ha riferimento alla vita stessa della Chiesa militante: essa si “arrocca” con saldezza ancora maggiore attorno ai nuclei essenziali dai quali fluisce la sua vita e procede la sua espansione: essa riafferma a sé stessa ed al mondo intiero – con lo splendore supremo della sua liturgia – di essere la portatrice non soltanto di una morale umana e di una metafisica umana, ma sovratutto di una vita divina e di una resurrezione divina. Essa apre, per così dire, davanti allo sguardo del mondo intiero – distratto per un verso ed attonito per l’altro – lo “scrigno” dei suoi tesori eterni: l’essenza del cristianesimo eccola qua tutta raccolta e quasi concentrata in questo punto solo: la resurrezione di Cristo, la assunzione di Maria e, alla fine dei tempi, la resurrezione dei morti e la rinnovazione dell’universo. La Chiesa si raccoglie oggi nella visione di queste realtà finali: riprende18 coscienza più profonda, per così dire, della vita di grazia che in Lei circola: più profondamente si unisce, se così può dirsi, a Cristo risorto ed a Maria assunta: e rinvigorita e quasi rinnovellata da
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Di lettura incerta.
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questo misterioso ma così reale contatto con le radici divine, essa procede con passo più sicuro e più spedito nel suo cammino terrestre: nulla le fa paura, l’avvenire non presenta per Lei né oscurità né dubbiezze: portatrice come è di una vita di resurrezione, destinata come è alla resurrezione ed alla gloria. Non solo: ma questo contatto più profondo con Maria non può essere senza risultati vasti ai fini di quell’unità della Chiesa che Gesù chiese al Padre [S. Giov. XVII, 21] con tanta amorevole insistenza nel discorso dell’ultima cena. Quali ripercussioni esso avrà nella Chiesa dissidente orientale? La Vergine stessa non opererà un flusso nuovo di grazia per operare quelle suture che devono ricondurre nel seno dell’unità tutte le comunità cristiane? Come posson più a lungo restare fuori dell’unico ovile le comunità che sono radicate, come quella cattolica, nella duplice e solidale resurrezione e glorificazione di Cristo e di Maria (11)? Da questa prima ripercussione che si opera nell’interno della chiesa militante – che ha già nel presente (12) e più avrà nel futuro marcate espressioni di santità, di spiritualità, di liturgia e di teologia – altre ripercussioni procedono, come onde prodotte dal primo impulso, le quali investono necessariamente tutti i piani
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della meditazione umana e dell’azione umana. IX Ed anzitutto: se Cristo è risorto, se Maria – quindi una creatura totalmente umana – è stata assunta in Cielo, se, perciò, la vita futura [celeste] non solo è reale ma è quella che, in certo senso, dà orientamento e valore alla vita presente ed alla realtà presente [terrestre], la ripercussione diciamo così metafisica di questa proclamazione non è un invito a rivedere nel loro fondo tutte le metafisiche inconciliabili con questa realtà futura e con questa vita futura? Possono sussistere, nel quadro di questa realtà finale, “metafisiche” materialiste [materialismo dialettico e materialismo storico] e metafisiche idealiste [immanentismo di ogni denominazione: egheliano, crociano, esistenzialista e così via]? Il fondo, diciamo così, “strutturale” di ogni metafisica non è, dunque, costituita dall’esistenza di Dio? La gerarchia delle cose e dei valori non ha appunto in Dio il suo vertice unico ed il suo essenziale coronamento? Domande gravi alle quali si collegano responsabilità gravi: perché ogni metafisica – cioè ogni visione ed interpretazione solidale del mondo nei suoi elementi essenziali: 1) il cosmo, 2) la persona umana, 3) la società umana e 4) la storia umana – costituisce per l’uomo come una bussola orientatrice della sua esistenza: se la bussola è errata, se la stella polare non è la vera, se è “cieca”, avverrà quello che l’Evangelo preannunzia [S. Matt. XV, 14]: si cade nella fossa, l’esistenza si sbanda, la casa crolla [S. Matt. VII, 24-27]. Fu il dramma dei “metafisici”
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di Atene: furono incapaci di misurare col metro della resurrezione di Cristo il valore e la solidità della loro metafisica [Act. XVII, 32]: eppure solo la grazia del risorto fu capace di vivificare – attraverso la meditazione dei Padri della Chiesa – i tesori della metafisica greca incorporandoli per sempre nella civiltà cristiana ed umana. X Ripercussioni “fisiche”? Certamente: perché ogni sperimentazione ed ogni ricerca non prescindono – anche quando, in apparenza, ne prescindono – da qualche “stella” orientatrice: una metafisica è sempre il presupposto esplicito o implicito, consapevole o inconsapevole, di ogni “fisica”. Come fate, anche nella sperimentazione “fisica” [in tutta l’estensione di questa parola], a prescindere da questa verità così fondamentale: la “materia” è organizzata, finalizzata, perché c’è un rapporto reale fra le cose [il cosmo] e l’uomo e perché c’è un rapporto altrettanto reale – per misterioso che sia – fra l’uomo e Cristo, fra il corpo risorto e glorioso di Cristo [e di Maria] ed il corpo – che risorgerà – dell’uomo? [S. Paolo lo dice: omnia vestra sunt, vos autem Christi, Christus autem Dei].19 C’è almeno una premessa che deve illuminare ed orientare tutta la ricerca fisica: una premessa di finalità e di gerarchia. Ex consummatione hominis – diceva S. Tommaso, C. Th. 148 – perfectio
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I Cor., III, 22-23.
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universi quemadmodum pendet. Se studio la struttura delle cose non posso mai prescindere dalla loro ordinazione all’uomo ed al destino dell’uomo. XI Ripercussioni antropologiche? È chiaro: se risorgerò, allora c’è una destinazione ben determinata alla mia esistenza ed alla mia persona: allora c’è un approdo, c’è una via e c’è una vita che regolano la totalità della mia esistenza: allora c’è un nesso di causalità “fisica” fra la resurrezione di Cristo, l’assunzione di Maria e la mia resurrezione futura: allora assumono un significato molto preciso, causativo, le parole di Cristo: – chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno [S. Giov. VI, 55];20 io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se morto, vivrà [S. Giov. XI, 25]; io sono la via, la verità e la vita [S. Giov. XIV, 6]. Allora la vita della grazia in me – e l’aspetto negativo e distruttore della colpa – e la mia incorporazione a Cristo [come il tralcio alla vite S. Giov. XV, 1 sgg] hanno un significato preciso: tutto è legato, come causa all’effetto, a quella finale resurrezione verso la quale la mia persona è “lanciata” come al termine ineliminabile e preordinato della mia “avventura di esistenza”: sono imbarcato, direbbe Pascal: ed ogni sbarco mi è vietato. Che fare? Ecco le drammatiche ripercussioni che l’assunzione di Maria hanno sulla conoscenza più approfondita della struttura e della destinazione della persona umana. E torna qui la riflessione sulle ripercussioni metafisiche: quali
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In realtà Ioh., VI, 54.
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spettacolari “deviazioni” in quell’immanentismo materialista [marxista] o idealista [egheliano] che hanno spezzato il rapporto fra l’uomo ed il suo termine [la resurrezione] avendo spezzato [o almeno tentato di spezzare] il rapporto reale che unisce l’uomo a Cristo, causa efficiente, esemplare e finale, della sua resurrezione! XII Ripercussioni politiche, sociali ed economiche? Si capisce: e di vaste dimensioni, tali da “rivoluzionare” davvero le strutture di una società vecchia per generare quelle di una società nuova. Il corpo umano ha, dunque, un valore eterno? Risorgerà come è risorto il corpo di Cristo e come è stato assunto in Cielo quello di Maria? Ma allora le costruzioni politiche [organizzazione dello Stato e degli stati] e le costruzioni economiche [l’unica, indivisibile, anche se articolata, organizzazione economica del mondo] devono lasciarsi misurare da questo metro così visibile, così determinato, costituito dall’uomo: il sabbato per l’uomo e non l’uomo per il sabbato [S. Marco II, 27]. Il giudizio finale [S. Matt. XXV, 31 sgg.], così intrinsecamente legato con la finale resurrezione, ci dà in proposito una orientazione precisa: è lecito lasciare l’uomo nella schiavitù [S. Luc. IV, 19], nella oppressione [S. Luc. IV, 19], nella disoccupazione [S. Matt. XX, 1 sgg.], nella fame, nella sete, nella nudità, nella privazione del tetto, dell’assistenza fraterna [S. Matt. XXV, 31 sgg.]? Tutto ciò che è stato fatto a quest’uomo, nel corpo e nell’anima, è stato fatto – positivamente o negativamente – a Cristo ed a Maria: il corpo risorto porterà, per così dire, le stimmate dell’amore o quelle dell’abbandono!
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Gli uomini che hanno responsabilità politiche, sociali ed economiche sono invitati a meditare tutto questo: la proclamazione del nuovo dogma non è soltanto l’occasione di una festa grande e di una grande liturgia: è il richiamo in certo modo “violento” a voler provvedere – con l’urgenza ormai improrogabile che la cosa comporta – alla soluzione dei più improrogabili problemi dell’uomo: – il lavoro, il pane, la casa, la dignità e la libertà. E la soluzione di questi problemi – mediante adeguate nuove strumentazioni politiche, sociali ed economiche [vino nuovo in otri nuovi!] – non concerne questo o quel popolo soltanto: concerne la totalità del genere umano.21 XIII Ripercussioni tecniche, cioè concernenti un “possesso” sempre più razionale, organizzato e profondo, delle forze della terra e del cosmo ed una “ambientazione” sempre più elevata della vita dell’uomo [livello di vita sempre più alto]? Si capisce: non si mediterà mai abbastanza sul fatto che il corpo umano possiede già sulla terra – in conseguenza dei suoi contatti immediati o mediati col corpo risorto di Cristo [si pensi ai contatti eucaristici e sacramentali in genere] – i germi della resurrezione futura: e non si medita mai abbastanza quest’altro fatto: che il cosmo intiero è
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Nell’originale manca il rinvio alla nota (12 bis).
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unito all’uomo da un rapporto di mezzo a fine: la sovrabbondanza delle cose, la loro armonia, la loro potenza, la loro fecondità, hanno – in ultima analisi – un solo fine: giovare all’uomo affinché all’uomo riesca agevole – per così dire – il suo proporzionamento a Dio. Se il corpo umano è un tempio vivente di Dio, “l’ornamento” di esso – supposta la purificazione dalla colpa – ha un valore, è un valore: tutti gli strumenti più affinati della tecnica non sono ordinati [nella loro retta applicazione] che a questo: a rendere sempre più onore a questo misterioso microcosmo [leggere il de opificio hominis di Lattanzio] destinato ad accogliere in sé il mistero della Trinità per rispecchiarne in eterno – nella gloria della resurrezione – la luce e lo splendore. È questa la destinazione vera della tecnica e l’ultima legittimazione di essa [vedere DESSAUER Filosofia della tecnica Morcelliana]: una anticipazione della trasformazione finale [«un aspetto intrinseco del Cristo totale e della lenta elaborazione misteriosa dei cieli nuovi e della nuova terra». Così P. Malavez citato da Thils Théologie des réalités terrestres I, 171 sgg].
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XIV Resta l’ultima, fondamentale, domanda: quale ripercussione, o meglio, “incidenza” storica ha la proclamazione del dogma dell’Assunta? Cioè [per porre la questione in termini concreti] che rapporto esiste – se uno ne esiste – e di che natura, fra l’attuale fase del “dramma storico” che viviamo e questa proclamazione del nuovo dogma? Per rispondere esaurientemente a questa domanda bisognerebbe procedere ad una analisi profonda degli elementi strutturali e storici che costituiscono la tessitura essenziale di questo dramma. Bisognerebbe partire dalla riforma e dal Concilio di Trento: segnare le tappe del progressivo disancoraggio della metafisica, della fisica, dell’antropologia, della politica, della economia, da Cristo e dalla resurrezione di Cristo. (13) Comunque: veniamo al drammatico “schieramento di urto” che spezza oggi nettamente in due la vita culturale, politica, sociale ed economica del mondo. Evidentemente sarebbe superficiale, priva di significato reale, una affermazione che dicesse: – il cristianesimo è dall’una parte, l’anticristianesimo è dall’altra. Cristianesimo ed anticristianesimo si trovano, come è chiaro, nell’una e nell’altra parte dello schieramento: perché nell’una e nell’altra parte di esso vi sono membri vivi e membri morti [III, 8, 3] del Corpo mistico di Cristo. C’è tuttavia una domanda da porre: ed è questa: indipendentemente dallo schieramento politico [militare, economico, sociale, culturale] nel quale il mondo è diviso,
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può e deve anche parlarsi di “un organico schieramento teologico” che contrappone alla Chiesa di Cristo [e, quindi, alla resurrezione di Cristo, alla teologia di Cristo, alla metafisica di Cristo e, perciò, a tutta intiera la concezione del mondo, e della civiltà della vita che da Cristo deriva] una “chiesa” terrestre, strutturata, in certo senso, come la Chiesa ed avente, come la Chiesa ed in radicale e diretta contrapposizione ad essa, una sua “teologia” [anche se immanentista ed atea], una sua metafisica [materialismo dialettico e materialismo storico] e, perciò, una propria adeguata concezione del mondo, della civiltà e della vita [una propria Weltanschauung GRAMSCI, Opere II, 75 sgg.] (14)? Questa “Chiesa terrestre”, essendo organizzata a stato [identificata anzi con lo stato: siamo, in fondo, nella realizzazione statualistica di HEGEL Filosofia del diritto] ed avendo ormai conquistata una singolare e vasta potenza nel mondo, ed essendo, quindi, sollecitata – in certo senso – “all’urto di fondo” contro l’altra Chiesa [la Chiesa di Cristo], ha per sé prospettive finali di successo? Questa è, dal punto di vista del cristianesimo, la domanda veramente drammatica che tiene “sospesa” oggi la storia del mondo: il punto reale di crisi sta qui: ed è proprio in questo punto di crisi, in questo grave momento del tempo presente [leggere nel proprio tempo: è un comandamento di Gesù S. Luc. XII, 57], che si inserisce, in maniera singolare, la proclamazione del dogma nuovo.
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Perché? Prima di rispondere a questa domanda bisogna porne una anteriore: è vera o non è vera la resurrezione di Cristo? Ha, quindi, radici divine e divine risorse e metodi divini di “combattimento” e di espansione la Chiesa di Cristo? Se la risposta è positiva allora l’attuale dramma storico – come tutta la storia che attorno a Cristo necessariamente gravita: expansis in Cruce manibus omnia ad Te traxisti saecula dice la liturgia domenicana del venerdì santo – viene a collocarsi in una determinata prospettiva: se “l’urto” perviene sino al suo doloroso punto di crisi l’esito è sin da ora prefissato: confidite, ego vici mundum [io ho vinto: S. Giovanni XVI, 33]: portae inferi non praevalebunt adversus eam [S. Matt. XVI, 18]. Non si tratta di affermazioni retoriche, “pietiste”, apologetiche: no, si tratta di una legge storica precisa, la cui applicazione – anche se distesa nel tempo – è perfettamente documentabile. E si capisce: se Cristo è realmente risorto – come lo è –, se la sua resurrezione gloriosa, pur essendo celeste, è anche terrena, temporale, cioè inserita come lievito trasformatore e come forza propulsiva ed orientatrice fra gli eventi della storia umana, allora la conseguenza è ineluttabile: gli eventi umani si collocano attorno a Lui – come attorno al loro centro – e si misurano con la forza divina di Lui (15) Ecco perché gli uomini politici veramente grandi, quelli che valutano tutte le componenti reali della storia umana, non possono e non devono mai prescindere dalla valutazione di questa singolare “componente” delle forze storiche che è costituita dalla resurrezione di Cristo e dalla Chiesa di Cristo.
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Il corso della storia umana è, in nuce, indicato nella parabola dei vignaioli perfidi [S. Matt. XXI, 33 sgg; S. Marc. XII, 1; S. Luc. XX, 9; Act. IV, 11; I Petr. 2, 7; Rom. IX, 33]: Cristo stesso applica a sé l’immagine della pietra angolare: Egli è questa pietra angolare di tutto l’edificio umano [e cosmico]: se la pietra è rigettata diventa causa ineluttabile di rovina […«Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttare. E chi cadrà su questa pietra si sfracellerà e quegli sul quale esso cadrà sarà sfracellato»]. Era stata, del resto, la profezia di Simeone a Maria [S. Luc. II, 34]: – Ecco, costui è qui per la rovina e la redenzione di molti in Israele e a segno di contradizione. È la visione di questa ineluttabile legge storica di pace o di rovina, di costruzione o di distruzione [ad essa ha pure riferimento la parabola del costruttore sapiente e del costruttore stolto S. Matt. VII, 24-27] che determina la commozione e le lagrime di Gesù nel contemplare Gerusalemme [S. Luc. XIX, 41 sgg]: quelle mirabili strutture del tempio cadranno tutte, ad una ad una: «Perché verranno in te giorni in cui i tuoi nemici ti eleveranno intorno delle palizzate, e ti circonderanno e ti serreranno da ogni parte: e getteranno a terra te e i tuoi figli che sono in te: e di te non lasceranno pietra su pietra: perché non hai conosciuto a tempo il momento della tua visitazione» Cristo fu rigettato [la “crisi” del mondo S. Giov. XII, 31] e la legge storica ebbe il suo inesorabile corso: quella profezia divenne, parola per parola, dolorosa realtà. La pietra angolare rigettata sfracellò coloro che l’avevano rigettata e sulla quale22 essa era caduta: inesorabile “ontologia” storica! Se meditiamo la storia della Chiesa nascente [dalla conversione di S. Paolo alla miracolosa liberazione di Pietro] e gli
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sulla quale per sui quali.
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sviluppi successivi della Chiesa nel mondo [duemila anni di viaggio in mezzo a tante tempeste!] noi vedremo sempre in atto – anche se distesa nel tempo – questa vera “dialettica” storica che ha Cristo come termine unico di riferenza: con Lui, contro di Lui: con Lui, la pace [S. Luca XIX, 42 se conoscessi quel che occorre alla tua pace!], contro di Lui, la rovina [S. Matt. VII, 24-27 e vi fu grande rovina]. Torniamo ora alla domanda: perché questa proclamazione accelerata del dogma dell’Assunzione? Come si inserisce nel presente dramma storico? Perché proprio oggi questa “apertura di gloria”, questa solenne indicazione che la Chiesa fa al mondo dei suoi tesori di resurrezione? La risposta va appunto ricercata nella gravità del momento storico e del duello storico nel quale la Chiesa è impegnata nei confronti “dell’altra chiesa”: la “situazione di urto” – di dimensioni mondiali – esiste e diventa sempre più accentuata: è un dato di fatto, storico, dal23 quale è vano nascondersi l’urgenza, la gravità ed il peso: la scelta finale, il rigetto finale, è in atto e può diventare una realtà irreparabile. Ed allora? Se la Chiesa di Cristo fosse una chiesa terrestre – come l’altra, la contendente – allora essa mobiliterebbe le sue forze terrestri e le sue risorse terrestri [S. Luc. XIV, 28 sgg.]. Ma i metodi bellici della Chiesa di Cristo sono metodi “strani”, divini: sono i metodi adoperati da Cristo stesso nel momento supremo della crisi. Quali? Alcuni fatti significativi di Gesù in prossimità della passione ci forniscono la risposta.
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dal per del.
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Il primo è quello della trasfigurazione: prima che il supremo cimento abbia luogo Gesù sale sul monte e si trasfigura [S. Matt. XVII, 1 sgg.: innanzi a loro fu trasfigurato: il suo volto splendeva come il sole: le vesti erano candide come nevi – II Petr. 1, 17]: davanti agli occhi degli apostoli sbigottiti [… caddero bocconi presi da gran timore] si era aperto lo spettacolo glorioso dell’eternità: quando la crisi sarebbe venuta essi avrebbero potuto avere, per via di questa visione, la certezza del suo esito felice [… Non parlerete a nessuno di questa visione, sino a che il Figlio dell’uomo risorga dai morti]. Non solo: il discorso dell’ultima cena e la preghiera finale non sono, in ultima analisi, che la chiara rivelazione della città di Dio, della gloria e della potenza di Cristo. Nel momento stesso della cattura [S. Matt. XXVI, 52, segg.] Egli, mentre ordina a Pietro di rimettere la spada nel fodero [… perché tutti quelli che faranno uso di spada, di spada moriranno], riapre agli apostoli smarriti lo spettacolo del Paradiso:… Credi forse che io non possa chiedere aiuto al Padre mio, che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni di angeli [ib. 53]? Ed infine questo spettacolo di potenza e di gloria Egli mostra, con estrema decisione, nel momento più doloroso della crisi. S. Matteo racconta XXVI, 62 segg. Il gran sacerdote gli disse ancora: «io ti scongiuro per il Dio vivente di dire se sei il Cristo, il figlio di Dio». Gesù rispose: «Tu l’hai detto: ed io vi dico che d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra dell’Onnipotente sulle nubi del Cielo». C’è, dunque, come una connessione intrinseca fra i momenti di grande cimento terrestre di Cristo e del cristianesimo e lo spettacolo di potenza e di gloria celeste che Cristo e la Chiesa di Cristo mostrano al mondo al “liminare” di ogni nuovo cimento. Ecco allora apparire nella sua luce storica il perché profondo (16) di questo dogma nuovo, di questo “sfarzo” – per così dire – di gloria 63
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di potenza, di bellezza eterna: ecco come esso si inserisce quasi organicamente, come in virtù di una legge costituzionale del cristianesimo, nel quadro mondiale dell’attuale dramma storico: si può dire qui pure: – il Suo volto splendeva come il sole, le vesti erano candide come nevi [S. Matt. XVII, 1 sgg.]. Anche se il cimento è forte non vi può essere paura né dubbiezza: dopo questa svolta storica, dopo le strettoie e le fatiche del cimento, si irradierà in misura più vasta, nel mondo intiero, la luce della resurrezione e della gloria: e sarà, stavolta, con la luce e la gloria di Gesù, anche la luce e la gloria di Maria: assumpta est Maria in coelum gaudent Angeli collaudantes eam Firenze Regalità di Cristo 1950
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Note (1) Si possono qui citare i versi di Dante [Par. XXV, 127-129] «Con le due stole nel beato chiostro Son le due luci sole, che saliro E questo apporterai nel mondo vostro» Parla S. Giovanni Evangelista per smentire l’opinione diffusa nel Medio Evo circa l’assunzione del suo corpo in Cielo [… in terra è il mio corpo… v. 124]: di corpi assunti in Cielo, di persone integralmente presenti in Paradiso – in corpo ed anima «con le due stole» – non vi è che Gesù e Maria [«son le due luci sole, che saliro»]. In proposito vedere JUGIE op. cit. [nota 1 bis] p. 710-725
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(1 bis) Per i “limiti” entro cui è circoscritto il contenuto del dogma [il problema della morte, della sepoltura e della resurrezione della Vergine viene lasciato alla libera disputa teologica] ed in generale per tutti i problemi storici e dommatici concernenti l’Assunzione merita anzitutto di essere segnalata l’opera davvero monumentale [specie dal punto di vista storico, riserve si fanno pel punto di vista teologico] del JUGIE La mort et l’assomption de la Sainte Vierge Città del Vaticano 1944 p. 583 sgg. Dopo di questa non possono non essere consultati – con la fondamentale Mariologia del ROSCHINI [vol. II, 279 sgg.] e la vecchia ma sempre viva opera del CAMPANA [Maria nel Dogma cattolico Marietti, Torino3, 1936] – tanti studi preziosi fioriti sull’argomento in questi ultimi tempi [ampia bibliografia in Roschini op. cit. p. 279]: ne segnaliamo alcuni: P. FALLER S.J. De priorum saec. etc. Roma 1946 P. FILOGRASSI S.J. L’Assunzione di Maria SS. nella tradizione cattolica in Civ. Catt. agosto 1946 q. 2308; ID. in Gregorianum XXXI (1950); SCIAMANNINI [ed altri: Ragazzini, Blasucci, Santoro, Levasti, Matteucci, Bargellini, Stano, Esposito, Odoardi, Di Fonzo, Zolli, Manacorda, Chiminelli, Sciran, La Pira] nel numero luglio agosto 1948 – appositamente a questo tema dedicato – della rivista Città di Vita [Firenze, Santa Croce]; SANTONICOLA L’Assunzione di Maria Vergine e la mente di S. Alfonso Alba 1950; JOURNET Avant la definitio24 solennelle de l’Assomption de la Vierge, in Nova et vetera aprile giugno 1950.
24
definitio per definition.
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(2) Nella letteratura apocrifa concernente la morte e l’assunzione della Vergine gli elementi fantastici predominano senza dubbio alcuno. JUGIE op. cit. 103 segg. (2bis) La resurrezione di Cristo è il pernio di tutto il cristianesimo, come S. Paolo afferma [I Cor. XV, 51]: se essa è vera, il cristianesimo ha radici eterne e non teme la corrosione del tempo: da queste radici divine fluisce, sempre viva, l’acqua della grazia e la luce della gloria. Se non è vera, il cristianesimo intiero crolla: diventa un nome vano, un relitto storico! Ma è vera: surrexit, non est hic:25 e su questa divina resurrezione poggia l’edificio intiero dei secoli: surrexit secundum scripturas! Bella questa pagina del FORNARI [Vita di Gesù Cristo II, II, cap. XII Se Gesù Cristo è risorto tutto ciò che Egli ha detto, tutto ciò che noi crediamo di Lui, tutto ciò che speriamo è vero. E se Gesù Cristo non è risorto, tutto il resto, o vero o no, non ci serve. Se non è risorto Lui non risorgeremo noi; e se non risorgeremo, questa vita sarà stata una menzogna ed un tormento… Nella resurrezione di Cristo non è involto solamente tutto il cristianesimo e il cielo e l’avvenire, ma la civiltà eziandio e tutti i più cari beni della terra e tutto ciò che ci fa migliori e manco infelici]. La Chiesa nascente [Act. 32, 33]26 porta al mondo questo annunzio unico: Cristo è risorto: è la Chiesa della resurrezione [VONIER Lo Spirito e la Sposa cap. VI Firenze Lib. Ed. Fior.].
25 26
Marc., XVI, 6. Act., II, 32-33.
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(3) Fecisti nos ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te, dice S. Agostino all’inizio delle sue Confessioni:27 la realtà eterna, Dio amato e conosciuto per sempre, il possesso supremo di Lui, costituisce il termine finale di un moto intrinseco della creatura razionale e della creazione intiera: moto generato ed alimentato dalla grazia, si capisce: ma moto in certo senso “costituzionale” dell’essere: naturale desiderium Dei videndi I, 12, 1 dice S. Tommaso in tanti testi fondamentali ed orientatori della Summa Theologica e della Summa C. gentes [I, II, 3, 8; C.g. III, 50; Comp. Th. 134; I, II, 5, 5; I, 85, 1 etc.]. È «l’attrazione» di Aristotele; è l’«attrazione», il «sursum» di S. Bonaventura e di Blondel: è «l’amor che muove il Sole e l’altre stelle» di Dante [Par. XXXIII]28 e di tutta la tradizione metafisica dell’occidente e dell’oriente cristiano. (4) Nelle citazioni della Summa Th. – del tipo III, 53, 4 – ometterò sempre il nome di S. Tommaso. (5) L’unione ipostatica col Verbo spiega perfettamente la incorruttibilità del Corpo di Gesù, la sua virtù intima di resurrezione e di ascensione: c’è una forza divina che procede, per così dire,29 dal “fondo” di quel divino corpo deposto nel sepolcro.
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Conf., I, 1. Par., XXXIII, 145. 29 Nel manoscritto originale per così, dire. 28
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(6) Fondamentale, su questo problema storico dell’Assunzione, la trattazione ampia del JUGIE [op. cit. Ia parte: la morte e l’assunzione della santa Vergine nella scrittura e nella tradizione patristica sino alla fine del sec. IX p. 1-291]. Ma il riferimento a Maria gloriosa in Cielo in Apoc. XII, 1 [mulier amicta sole] appare evidente [il problema è vivo: JUGIE op. cit. p. 14 sgg.]. E tuttavia questo dolce mistero è incluso, implicito, nella teologia mariana di S. Luca [I, 26-56]: di esso visse sempre la fede “iniziale” della Chiesa: e dall’alba del VI secolo questo mistero di luce e di glorificazione mariana diventa un fulcro della pietà, della liturgia, della teologia, dell’arte nella Chiesa di Oriente ed in quella di Occidente [JUGIE op. cit. p. 172 sgg.]. (7) I teologi fondano sopra questo aspetto “fisico” della divina maternità un aspetto metafisico [cioè la relazione reale che intercorre fra madre e figlio] e un aspetto morale [cioè l’eccellenza e la dignità che a Maria derivano dal fatto di essere Madre di Cristo]. P. ROZO C.M.F. Sancta Maria Mater Dei 1943 p. 14 segg. Sopra questo medesimo rapporto fisico della divina maternità ha il suo reale fondamento “l’ordine ipostatico” [Dignitas Matris est altioris ordinis: pertinet quodammodo ad ordinem unionis hypostaticae, illam enim intrinsice respicit et cum illa necessariam connexionem habet] dice Suarez citato da ROZO p. 75. Questo
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“ordine ipostatico” è, per dir così, un mondo a sé, nell’ordine stesso della Incarnazione e della grazia: la grazia concessa a Maria – grazia proporzionata alla vocazione unica di Madre di Dio – è, appunto, una grazia a sé, connessa con quest’ordine ipostatico che essa è destinata a fondare. Questo è il pensiero fondamentale che ispira la luminosa meditazione del Card. DE BÉRULLE in ordine alle grandezze di Maria [leggere la Vita di Gesù edita da Vita e Pensiero 1949 cap. IV… La grazia della Vergine è più nobile e più divina di tutte le altre grazie che mai usciranno dalla viva fonte del Salvatore morente e dal merito della Sua Croce, eccede in potenza e dignità quella grazia medesima che trovasi nei cieli, perché ha un termine ben più elevato: ha per termine, cioè, non già di fare dei Santi, ma di dar nascita su la terra al Santo dei Santi, di formare l’Uomo-Dio e di costituire nell’universo una Madre di Dio, opere tutte straordinarie, miracolose anche nell’ordine miracoloso della grazia]. Questa posizione unica di Maria nell’ordine della grazia ha una sua “ripercussione” in Cielo: la colloca, come dice S. BONAVENTURA, in palatio Trinitatis [Soliloquium c. 4 n. 26; Op. omnia VIII, 66a]. E DE BÉRULLE [cap. XXVI] «La Vergine santissima è e sarà per sempre Madre di Gesù: questa qualità Maria la avrà sempre tanto in Cielo come in terra»
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Tutto il Trattato della vera devozione a Maria Vergine di S. GRIGNON DE MONTFORT poggia su questo unico fondamento dal quale tutta l’argomentazione – e la pietà – si svolge vigorosa e soave come dalla sua fonte. Sulla divina maternità di Maria vedere anche l’opera [con questo titolo] del P. SEVERINO M. RAGAZZINI [Roma 1948] (8) L’argomento teologico più comune è quello tratto dall’immacolato concepimento: assunta perché immacolata [Roschini, Jugie, Garrigou Lagrange, Journet, Filograssi e molti altri]. SCIAMANNINI argomenta dalla maternità divina. (9) Il trattato di S. Grignon de Montfort è tutto costruito sopra questa solidale radicazione della grazia e della Chiesa in Cristo e Maria. (10) Per il problema storico vedere le due fondamentali opere del JUGIE [op. cit. 1a e 2a parte dell’opera pp. 1-469] e del FALLER [op. cit.]. Comunque: già30 S. EPIFANIO [verso il 377] conosce esplicitamente il mistero dell’assunzione di Maria: e a datare dal principio del V secolo [Timoteo di Gerusalemme] questa conoscenza esplicita è largamente documentata in Oriente ed in Occidente [la festa del 15 agosto pare ordinata dall’imperatore Maurizio (582-602)]. Ciò a prescindere dalla letteratura apocrifa [V-VI sec.] la quale dimostra una cosa: che l’assunzione di Maria era radicata nella fede della Chiesa primitiva.
30
Nel manoscritto autografo gia.
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L’Assunzione costituì da allora nella vita liturgica della Chiesa [JUGIE op. cit. 172 sgg] e nella storia dell’arte e della poesia uno dei motivi più delicati della pietà e della ispirazione cristiana [cfr. gli scritti di Bargellini, Santoro, Levasti, Matteucci, Chiminelli, nel citato fasc. di Città di Vita: anche JOURNET cit. 106 sgg.] (11) Per questo “radicamento” in Maria [in genere ed in Maria Assunta, in ispecie] delle Chiese orientali JUGIE op. cit. p. 296 sgg. (12) La teologia mariana [cfr. Roschini], la santità mariana [S. Grignon De Montfort], la pietà mariana [Lourdes, Fatima, Loreto, la peregrinatio Maria etc.], costituiscono ogni giorno più una documentazione crescente del Magnificat [mi chiameranno beata tutte le generazioni].
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(13) Analisi profondamente meditata presenta intorno a questo problema del “distacco” del mondo moderno da Cristo [umanesimo antropocentrico e non più cristocentrico] Humanisme Integral di MARITAIN specie nel primo capitolo [la tragédie de l’humanisme]. Questo medesimo tema era stato trattato nel precedente lavoro sui tre riformatori [Lutero, Cartesio, Rousseau]: spezzato il rapporto che univa la natura alla grazia e, quindi, la teologia alla metafisica, alla fisica, all’antropologia, alla politica, alla economia, era aperta, quasi ineluttabilmente, la via verso un totale immanentismo teoretico e pratico: l’eghelianesimo marxista, con tutta la “prassi” politica e sociale che vi è connessa, è il necessario termine finale – ad quem – del moto storico iniziatosi con quel drammatico disancoraggio.
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(14) Questa concezione “ecclesiastica” del comunismo, concepito come una Weltanschauung incorporata nel partito e nello Stato, fatta organismo nel partito e nello Stato [Stato, quindi, “teologico”, di cultura] è chiarissima in GRAMSCI [op. cit. p. 75: la fondazione di una classe dirigente – cioè di uno Stato – equivale alla creazione di una Weltanschauung] il quale, in ultima analisi, spiega alla luce di questa concezione il rapporto esistente fra Marx e Lenin [l’uno elaboratore e l’altro attuatore della Welt. nuova]. La filosofia del comunismo – dice STALIN nella prima proposizione del suo Materialismo dialettico e materialismo storico – è il materialismo dialettico e storico: filosofia che, come già Marx aveva detto, non si limita ad essere una interpretazione del reale ma uno strumento trasformatore di esso. Filosofia “partitaria” [cfr. WETTER Il materialismo dialettico sovietico Einaudi 1948 p. 147], cioè attuantesi nel partito ed incorporata nello Stato. Una “Chiesa” insomma: ecco l’essenziale del comunismo ed ecco il suo fondamentale punto di debolezza: per un fenomeno strano, che meriterebbe una vasta analisi, il comunismo si è lasciato sedurre dalla singolare struttura della Chiesa vera: il cristianesimo [conseguenze delle radici ebraiche, messianiche di Marx? delle radici
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comunitarie della ortodossia in Lenin?]. Ma quella struttura può reggere perché affonda in radici non umane, ma realmente divine: perché si radica nella resurrezione di Cristo e si articola attraverso le strutture sacramentali e gerarchiche da Cristo medesimo costituite. È un “ordine” a sé, quello del cristianesimo: “l’ordine” dell’Incarnazione, della grazia, della resurrezione: un ordine che ha strutture proprie e proprie leggi che non possono essere trasferite sul piano politico, sociale ed economico. Ogni qualvolta lo Stato si lascia sedurre da quelle strutture e vuol farle proprie, costituendosi come Chiesa – come portatore, cioè, di una Weltanschauung esclusiva e come unico realizzatore di essa –, esso travalica i propri confini e si condanna ad una ineluttabile rovina.
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(15) È la sommità della storia [JOURNET Introduction à la Théologie p. 235]: verso quel vertice si muove la storia antica e da esso prende origine la storia nuova: S. Tommaso [III, 1, 6] mostra con estrema chiarità questo panorama unico della storia umana. Attorno a questo centro universale di gravitazione sono costruite le più grandi opere di meditazione storica: S. Agostino [la città di Dio], Bossuet [Discours] Fornari [La vita di Gesù Cristo] per non citare che le essenziali. Cfr. anche THILS Théologie des réalités terrestres I, 9 sgg. Il Thils cita questo chiaro principio di Davenson: La storia implica un movimento che ha un termine e dunque un senso cioè, contemporaneamente, un valore ed una direzione [p. 18].
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(16) Dice JOURNET [Nova et vetera cit. p. 112]: c’est pour préparer l’Eglise aux suprémes combats contre l’Antéchrist, que le Christ lui fait prendre conscience d’une manière de jour en jour plus explicite, plus formulée, des magnificences qu’il a deposées en l’Epouse, c’est-à31-dire tout d’abord en la Vierge, et ensuite en le reste de l’Eglise.
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Nel manoscritto autografo à.
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(12bis) Ho davanti a me il Rapport sur l’Économie Mondiale 1948 edito dall’ONU [Lake Succes 1949] con il panorama mondiale che esso mostra intorno ai problemi umani più elementari e più essenziali: i problemi della popolazione [crescita, mortalità, natalità], i problemi della alimentazione, dell’occupazione [e disoccupazione], del tenor di vita e così via. Ebbene: può un mondo aver pace se non si provvede con grande urgenza alla soluzione di questi problemi improrogabili? Si pensi: sopra due miliardi e mezzo di uomini, un miliardo e mezzo si trova in condizioni economiche di “sotto occupazione” e di “sotto calorie”: per questo miliardo e mezzo di uomini la soluzione del problema del loro pane quotidiano non è ancora venuta. Essi appartengono a coloro di cui Gesù dice che chiesero pane, tetto, vestito, medicinali, libertà e che fu ad essi negato. Un orientamento sulle condizioni di povertà del mondo può darlo questa indicazione statistica circa il reddito nazionale pro capite (in dollari) nei principali paesi del mondo [nel 1949] STATI UNITI doll. 1486 AUSTRALIA doll. 542 CANADÀ doll. 944 FRANCIA doll. 474 G. BRETAGNA doll. 599 ITALIA doll. 282 SPAGNA doll. 153 GERMANIA doll. 247 SVIZZERA doll. 947 BELGIO doll. 579 [cfr. Mondo Economico 25 ottobre 1950 n. 20 p. 464] FILIPPINE doll. 88 INDIA doll. 43 INDONESIA doll. 35 CINA doll. 23 GIAPPONE meno di 100 [dati pel 1946 pubblicati dall’Economic survey of Asia and Far East 1947 p. 9]. Altre luci proietterebbero su questo tema le indagini sui bilanci familiari. Il cristianesimo, con il valore della persona – anima e corpo – che esso postula, esige una vasta, urgente ed organica opera di restaurazione umana di dimensioni mondiali.
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Fonti
FONTI BIBLICHE Prov. [VIII, 22, 24] 10 Matth. (VII, 24-27) 16; 25; 26 [XIII, 31-32] 11 (XV, 14) 16 (XVI, 17-20) 2 (XVI, 18) 24 (XVII, 1 sgg.) 27; 28 (XX, 1 sgg.) 19 (XXI, 33 sgg.) 25 (XXV, 31 sgg.) 19 (XXVI, 52 sgg.) 27 (XXVI, 53) 27 (XXVI, 62 sgg.) 27 Marc. (II, 27) 19 (XII, 1 [sgg.]) 25 [XVI, 6] 31 (XVI, 20), i.e. (XVI, 19) 4 Luc. (I, 26-56) 33 (II, 34) 25 (IV, 19) 19 (XII, 57) 23 (XIV, 28 sgg.) 26
(XIX, 41 sgg.) 25 (XIX, 42) 26 (XX, 9 [sgg.]) 25 Ioh. (I, 14) 4 (VI, 55), i.e. (VI, 44) 6 (VI, 55), i.e. (VI, 54) 18 (XI, 25) 18 (XII, 31) 25 (XII, 31), i.e. (XII, 32) 8 (XIV, 2) 3 (XIV, 6) 18 (XV, 1 sgg.) 18 (XVI, 33) 24 (XVII, 21) 15 (XVII, 24) 1 Act. ([II], 32-33) 31 (IV, 11) 25 (XVII, 32) 17 Rom. (IX, 33) 25 I Cor. [III, 22-23] 17 (XV, 51) 6; 31 I Petr. (II, 7) 25
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FONTI
II Petr. (I, 17) 27 (III, 13) 7
Migne (Cursus Patrologiae, series Latina, 207, 662) 9
Apoc. (XII, 1) 12; 33 (XXI, 1 sgg.) 3; 12
Roschini (Mariologia, II, 9, 90) 10 Scoto [Ord., III, d. 19, q.u.] 10 [In Sent., III, 18] 11
ALTRE FONTI S. Agostino (Conf., I, 1) 32 [De civ. Dei, XXII, 30, 5] 3 Bérulle, De (Vita di Gesù, XXVI) 34 S. Bonaventura (Soliloquium, c. 4, n. 26) 34 (Op. omnia, VIII, 66a) 34 Dante (Par., XXV, 124) 29 (Par., XXV, 127-129) 29 (Par., XXV, 128) 29 (Par., XXXIII, 14-15) 12 (Par., XXXIII, 145) 32 Davenson (citato in Thils, Théologie des réalités terrestres, I, 9 sgg.) 40 Journet (Nova et vetera, 112) 41 Malavez (citato in Thils, Théologie des réalités terrestres, I, 171 sgg.) 21
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S. Tommaso d’Aquino (Compendium Th., 134) 32 (Compendium Th., 148) 17-18 (De civ. Dei, XXII, 30, 5) 3 (Summa contra gent., III, 50) 32 (Summa Th., I, 12, 1) 32 (Summa Th., I, 85, 1) 32 (Summa Th., I, II, 3, 8) 32 (Summa Th., I, II, 5, 5) 32 (Summa Th., III, 1, 6) 40 (Summa Th., III, 7, 9) 9 (Summa Th., III, 8, 1) 6 (Summa Th., III, 8, 1, 1m) 11 (Summa Th., III, 8, 2) 6 (Summa Th., III, 8, 3) 6; 22 (Summa Th., III, 27, 5) 9 (Summa Th., III, 27, 5, 1m) 9; 12 (Summa Th., III, 28, 1 sgg.) 9 (Summa Th., III, 31, 5) 8 (Summa Th., III, 35, 2) 8 (Summa Th., III, 35, 3) 8 (Summa Th., III, 35, 4) 8 (Summa Th., III, 35, 4, 2m) 8 (Summa Th., III, 53, 4) 4; 5 (Summa Th., III, 56, 1) 6 (Summa Th., III, 56, 1, 3m) 6 (Summa Th., III, 62, 5) 11 (Summa Th., Suppl., 76, 1) 6; 7 (Summa Th., Suppl., 91, 1) 7
Indice dei nomi e dei luoghi
Agostino, S.; 40 Aristotele; 32 Bargellini; 30, 36 Bérulle, De; 34 Blasucci; 30 Blondel; 32 Bonaventura, san; 32 Bossuet; 40 Campana; 30 Cartesio; 37 Chiminelli; 30, 36 Dante; 3 Dessauer; 21 Di Fonzo; 30 Efeso, concilio di; 8 Esposito; 30 Faller; 30, 35 Fatima; 36 Filograssi; 30, 35 Fornari; 31, 40 Garrigou Lagrange; 35 Giovanni, San; 29 Gramsci; 23, 38 Grignon de Montfort; 35 Grignon De Montfort; 36 Hegel; 23 Journet; 30, 35, 36, 40 Jugie; 29, 30, 31, 33, 35, 36 La Pira; 30 Lattanzio; 21 Lenin; 38, 39 Levasti; 30, 36 Loreto; 36 Lourdes; 36
Lutero; 37 Manacorda; 30 Maritain; 37 Marx; 38 Matteucci; 30, 36 Maurizio, imperatore; 35 Odoardi; 30 ONU; 42 Paolo, san; 25 Pietro di Blois; 9 Pietro, san; 25 Ragazzini; 30, 35 Roschini; 30, 35, 36 Rousseau; 37 Rozo; 33 S. Epifanio'; 35 S. Giovanni; 6 Santonicola; 30 Santoro; 30, 36 Scaramuzzi, P.; 11 Scheeben; 11 Sciamannini; 30, 35 Sciran; 30 Scoto; 10 Stalin; 38 Stano; 30 Suarez; 33 Thils; 21, 40 Timoteo di Gerusalemme; 35 Trento, concilio di; 22 Vonier; 31 Wetter; 38 Zolli; 30
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Testi critici
L’Assunzione di Maria secondo La Pira: contesto, struttura, contenuti STEFANO DE FIORES
Comincio con una confessione pubblica: non conoscevo nulla di Giorgio La Pira (1904-1977), né avevo prestato attenzione al suo impegno mariologico, pur considerandolo un profeta dei tempi nuovi, un coraggioso testimone della fede cristiana in dialogo e un devoto in senso forte sensibile alle apparizioni della Madonna di Fatima. Così non gli ho assegnato nessuno spazio nel mio grosso volume Maria nella teologia contemporanea1. Occorre aggiungere che neppure i reperti bibliografici mariani menzionano il suo nome, se non raramente2. Forse ciò è dovuto al fatto
1
Il nome di La Pira non appare nell’indice onomastico del volume Maria nella teologia contemporanea, Roma 19913. 2 Negli undici volumi della Bibliografia mariana dal 1948 al 2006 si trovano due soli riferimenti a La Pira («La Madonna nella spiritualità della storia», in Miles Immaculatae 14[1978] 33-46 e una traduzione in polacco): G.M. BESUTTI, Bibliografia mariana [1948-1989], 8 volumi, Roma 1950-1993; E.M. TONIOLO, Bibliografia mariana, vol. IX: 1990-1993, Roma 1998; S.M. DANIELI (con la collaborazione di A.M. HUESO e C. MAZZEI), Bibliografia mariana, vol. X, 1994-1998, Roma 2005; vol. XI, 1999-2002, Roma 2006. Con il vol. XII, 2003-2005 la tendenza sembra invertirsi e il nome di La Pira compare sei volte, di cui cinque nel libro COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, Firenze-Milano 2005: A. COMASTRI, «“L’Assunzione di Maria”. Una coraggiosa e attuale riflessione di Giorgio La Pira», 70-71; G. CONTICELLI, «Maria nel pensiero di Giorgio La Pira», 50-69; ID., «Spiritualità mariana e impegno politico: Giorgio La Pira pellegrino lauretano e costituente», 77-84; G. LA PIRA, «L’Assunzione di Maria», 137-156; Lode alla Vergine: inno Akathistos alla
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che La Pira ha pubblicato i suoi saggi concernenti la Madre di Dio su riviste non mariane e generalmente di scarsi intenti scientifici. Scocca tuttavia l’ora della riparazione. In realtà la lettura del saggio mariologico sull’Assuzione di Maria è stato per me folgorante. Mi è sembrato di penetrare in un vulcano dove la combustione si rigenera continuamente, anche se in modo lineare e razionale, senza giungere ad una pietrificazione. Sono ancora adesso colpito positivamente dello scritto assunzionistico di La Pira ammirandone il rigore logico unito ad ardente passione, l’erudizione bibliografica congiunta con la sensibilità ai problemi vivi dell’uomo contemporaneo, l’unità tanto desiderata in campo mariologico da Suárez a Forte tra verità e pietà, teologia e spiritualità, profondità teologica e afflato spirituale3. Fortunatamente non devo assumere qui le vesti di Galileo scoprendo cose nuove come guardando da un cannocchiale. Mi hanno preceduto alcuni attenti lettori o studiosi della produzione mariana di La Pira, come Angelo
divina Madre, con due lettere di Giovanni XXIII e il discorso di Catania nel 1959 di Giorgio La Pira, Firenze 2003; ID., «Un capitolo di teologia della storia: Fatima», 178-202. Nel vol. XIII, 2006-2008, si trovano due studi su La Pira: S. Cerruto, «Il dogma dell’assunzione e la vita terrena dell’uomo in Giorgio La Pira», in Quaderni Biblioteca Balestrieri 6 (2007) 1, 137-149; S. DE FIORES, «La Pira Giorgio (1904-1977)», in ID., Maria. Nuovissimo dizionario, Bologna 2008, III, 351-404. 3 Circa l’esigenza di unificare teologia e spiritualità, già Francisco Suárez afferma che «la pietà senza la verità è debole e la verità senza la pietà è sterile e vuota»: «Est enim sine veritate pietas imbecilla, et sine pietate veritas sterilis, et ieiuna» (F. SUÁREZ, Commentariorum ac disputationum in tertiam partem divi Thomae, tomus secundus, Mysteria vitae Christi, 1592, Totius operis argumentum ad lectorem, p. a/3). Qualche secolo dopo, Bruno Forte riprende l’argomento asserendo che «una teologia senza spiritualità può risultare vuota, mentre una spiritualità senza teologia rischia di essere cieca» (B. FORTE, Dove va il cristianesimo?, Brescia 2000, 53).
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L’ASSUNZIONE DI MARIA SECONDO LA PIRA: CONTESTO, STRUTTURA, CONTENUTI
Comastri che definisce il saggio sull’Assunzione «una meditazione di straordinario rigore, nella quale egli vide chiaramente le ripercussioni dell’eternità sulla vita concreta dell’umanità»4. Con indubbia conoscenza globale e con precise esigenze metodologiche si cimenta nella decodificazione dell’aspetto mariologico di La Pira, l’attuale vice Presidente della Fondazione Giulio Conticelli, che non si esime da alcuni necessari passaggi costituiti: – dalla descrizione delle fonti negli scritti di Giorgio La Pira; – dalla individuazione dei nuclei tematici fondamentali; – dalla ricostruzione di un percorso evolutivo del tema dagli scritti giovanili sino alla piena maturità; – dal giudizio complessivo del suo contributo rispetto al maturato approfondimento postconciliare della mariologia5.
Non mancherò di rifarmi all’esegesi operata da Conticelli per interpretare correttamente e perspicacemente il saggio assunzionistico di La Pira. Non pretendo, neppure sulle sue spalle, di vedere più lontano di lui, secondo il paragone usato dai monaci medievali. Cercherò invece di camminare su due strade non ancora percorse: la collocazione dello scritto lapiriano nel contesto della mariologia del Novecento e la comprensione dei suoi contenuti mediante l’analisi strutturale del testo in esame.
4 A. COMASTRI, «“L’Assunzione di Maria”. Una coraggiosa e attuale riflessione di Giorgio La Pira», in COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, Firenze-Milano 2005, 70-71. 5 G. CONTICELLI, «Maria nel pensiero di Giorgio La Pira», in COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, 50.
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1. IL SAGGIO ASSUNZIONISTICO DI LA PIRA NEL CONTESTO DELLA MARIOLOGIA DEL NOVECENTO Se volessimo fissare il flusso del tempo a metà del Novecento e ci premesse caratterizzarne con una parola il clima mariano, dovremmo parlare con il teologo pallottino tedesco Heinrich Köster di uno sviluppo mariologico «avviato verso un apogeo»6. La Chiesa cattolica vive allora il periodo aureo del movimento mariano post-tridentino, volto alla promozione del culto di Maria e della mariologia. La speciale venerazione per la Madre di Cristo, «un fenomeno irresistibile che domina tutta la storia della Chiesa»7, raggiunge la massima incidenza proprio nel secolo XX definito l’era di Maria8. Testimone ed insieme artefice di questa «fase mariologica»9 si staglia la figura di Pio XII che consacra il mondo al cuore immacolato di Maria, sotto l’ispirazione di Lucia di Fatima 6 H. KÖSTER, «Mariologia nel XX secolo», in AA.VV., Bilancio della teologia del XX secolo, III, Roma 1972, 136. 7 O. SEMMELROTH, Marie archétype de l’Église, Paris 1965, 148. 8 L’espressione si trova in G IOVANNI XXIII (Radiomessaggio del 20.8.1959), che però avrebbe precisato che «tutte le epoche sono di Cristo, ma non si arriva a Cristo che per Maria» (frase riferita da G. Bevilacqua). 9 «L’attenzione dell’universo cattolico è rimasto fisso durante questi tre ultimi anni sul “nuovo dogma” definito da Pio XII il 1° novembre 1950 in ambiente di una solennità straordinariamente impressionante. Nessuno tra le centinaia di migliaia di spettatori, attratti da una visione quasi celeste, dimenticherà mai questa apertura dell’aldilà nelle nostre umane contingenze» (G. PHILIPS, «Sommes-nous entrés dans une phase mariologique? Les publications mariales de 1948 à 1951», in Marianum 14[1952] 27). Per la storia del movimento assunzionistico e per l’eco suscitata dalla definizione dogmatica, cf. A.G. AIELLO, Sviluppo del dogma e tradizione a proposito dell’assunzione di Maria, Roma 1979. 9 G. LA PIRA, «Un capitolo di teologia della storia: Fatima», in COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, 178-179.
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(1942) e anche di don Moresco, come suggerisce La Pira in un suo intervento alla Pro Civitate christiana10, indice la celebrazione di un Anno mariano nel centenario della definizione dell’Immacolata Concezione (1954), ma soprattutto definisce dogma di fede l’Assunzione di Maria (1° novembre 1950)11. Evento memorabile nella storia della Chiesa, salutato da C.G. Jung come «il più importante evento religioso dai tempi della Riforma»12, la definizione dogmatica dell’Assunta, compiuta alla presenza del collegio cardinalizio, di 700 vescovi e della folla delle grandi circostanze. Pio XII interpretò allora con indovinate parole dal sapore olistico la solennità del momento: Come scosse dai palpiti dei vostri cuori e dalla commozione delle vostre labbra, vibrano le pietre stesse di questa patriarcale basilica e insieme con esse pare che esultino con arcani fremiti gl’innumerevoli e vetusti templi, innalzati per ogni dove in onore dell’Assunta13.
Negli anni ’40 si era diffuso il fenomeno della «peregrinatio Mariae» di parrocchia in parrocchia per realizzare il «grande ritorno» a Dio e alla Chiesa dopo la scristianizza-
10
G. LA PIRA, «Un capitolo di teologia della storia: Fatima», in COMUS. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, 178-179. 11 «Pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato, che l’Immacolata Madre di Dio sempre Vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» (PIO XII, Costituzione apostolica Munificentissimus Deus [1.11.1950], in AAS 42 [1950] 770). 12 C.G. JUNG, Risposta a Giobbe, in ID., Opere complete, IX, Bollati Boringhieri, Torino 1992, 444-445. 13 PIO XII, Discorso dopo la solenne definizione dogmatica dell’assunzione, 1°.11.1950. NITÀ DI
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zione delle masse e la tragedia della guerra14. Nello stesso clima di fervore mariano emergono due studiosi, contemporanei di La Pira (moriranno tutti e tre nello stesso anno 1977); si tratta del francescano Carlo Balic´ che riprende con vigore e su vasta scala i congressi mariologici e mariani internazionali, e del servo di Maria Gabriele M. Roschini, fondatore della rivista Marianum (1939) e principe dei manualisti di mariologia, che lavora alla sua «organica costruzione» basata – come già Nigido15, ma indipendentemente da lui – sulle quattro cause aristoteliche (finale, efficiente, materiale e formale) e infine su «un principio primo», giudicando tale impostazione come «l’unica veramente scientifica»16. Occorre riconoscere che i circa 50 manuali separati di mariologia che punteggiano la prima metà del XX secolo,
14 Non mancano le interpretazioni laiciste o marxiste che vedono nella «peregrinatio Mariae» una calcolata strumentalizzazione di Maria per fini politici. Certo non si può negare il peso di essa per la vittoria della democrazia cristiana, ma oggi si riconosce che in tal modo l’Italia è sfuggita alla morsa disumana del regime sovietico. 15 Placido Nigido è l’autore del primo trattato «distinto e separato» di mariologia (vocabolo da lui creato): Summae sacrae Mariologiae pars prima, Panhormi 1602. Attira l’attenzione su di lui lo studioso gesuita A. SEGOVIA, «Nota sobre el autor y el contenido de la primera “mariología”», in Estudios eclesiasticos 35 (1960) 287-311. Per ulteriori ricerche sull’autore, cf. S. DE FIORES, «Placido Nigido, primo mariologo, nelle fonti inedite dell’Archivum romanum Societatis Iesu», in Marianum 68 (2006) 207-237. 16 G.M. ROSCHINI, Mariologia, Milano 1941, I, 9-23. Cf. G.M. BESUTTI, «Bibliografia di p. Gabriele M. Roschini, O.S.M.», in Marianum 41 (1979) 45-63; P. PARROTTA, La cooperazione di Maria alla redenzione in Gabriele Maria Roschini, Pregassona 2002; M. HAUKE, «La questione del “primo principio” e l’indole della cooperazione di Maria all’opera redentrice del Figlio: due temi rilevanti nella mariologia di Gabriele Maria Roschini», in Marianum 64 (2002) 569-597; V. BENASSI, «Gabriele M. Roschini: servo di Maria, docente, “vir ecclesiasticus”, in Marianum 64 (2002) 599-606.
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nonostante i loro limiti17, hanno contributo ad un’approfondita conoscenza di Maria, come osserva più in generale H. Köster: La mariologia, dalla metà del secolo scorso e ancor più dall’inizio di questo secolo, rappresenta l’aspetto intellettuale d’una nuova influenza spirituale, sulla Chiesa intera, da parte della persona della madre di Gesù e del significato che essa riveste. Questo rinnovamento porta ad un approfondimento di pensiero, restituendo il carattere di teologia autentica alla dottrina mariologica, or qua or là affidata in modo esagerato alle forze del sentimento18.
Contemporaneamente allo sviluppo della mariologia manualistica di tipo deduttivo19 cominciano a lavorare sotterraneamente alcune spinte innovatrici che si muovono in doppia direzione: ritorno alle sorgenti e apertura al mondo. Sono i movimenti biblico, patristico, ecclesiologico, liturgico, antropologico ed ecumenico, che si scontrano con quello mariano contrastandone lo sviluppo unilaterale, mediante «un impulso vitalizzante che inquadra la mariologia nell’insieme del dato rivelato e offre il contributo positivo di nuove acquisizioni»20.
17 Si rimprovera ai trattati di mariologia una crescita quantitativa e speculativa, che perde il contatto con l’insieme della teologia, e un ruotare su se stessi senza preoccuparsi dell’impatto con la cultura della società e con i suoi problemi. Cf. DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, 34-37. 18 KÖSTER, «Mariologia nel XX secolo», 137. 19 Una ventata nuova soffia sul campo mariologico, quando R. Laurentin pubblica il suo Court traité de théologie mariale, Paris 1953, che si stacca decisamente dal metodo deduttivo, interrompendo la lunga tradizione risalente a Suárez, per adottare il fattore tempo, cioè «la legge della durata e del progresso» (p. 11). 20 S. DE FIORES, Maria nella teologia contemporanea, 40.
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In particolare emerge con l’acuto saggio di Romano Guardini († 1968), Die Mutter des Herrn21 l’esigenza di umanizzare la figura di Maria sottolineandone la fede, espressa con i termini esistenzialistici di dramma, tragicità, salto e rischio22. Per Karl Rahner († 1984), un nesso necessario lega la sequenza teologia-antropologia-mariologia, in quanto Maria è l’essere umano totalmente cristiano, perché nella fede dello spirito e nel suo seno benedetto, dunque col suo corpo e la sua anima e tutte le forze del suo essere, ha ricevuto e accolto il Verbo eterno del Padre23.
Il significato storico-salvifico di Maria è determinato dalla sua maternità divina, intesa non come fatto puramente biologico o biografico, ma come avvenimento spirituale-corporeo e punto decisivo della storia della salvezza. Proprio in questa linea antropologica, ma con chiaro riferimento a riprendere nell’ambito della fede cattolica l’umanesimo rivendicato dall’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, si colloca il teologo francese Louis Bouyer, che si preoccupa evidenziare il significato antropologico di Maria e del suo culto giungendo a coniare l’espressione di «umanesimo mariano»24. Bouyer scopre il significato di Maria per la Chiesa e per l’uomo, scorgendo in lei «la più alta rivelazione delle possibilità offerte all’umanità dalla grazia… la ripresa totale della creatura in Dio… la realizzazione perfetta dell’imma-
21
R. GUARDINI, La Madre del Signore. Una lettera con abbozzo di trattazione, Brescia 1989 (1a ed. tedesca 1955). 22 GUARDINI, La Madre del Signore, 38. Cf. la stupenda descrizione della fede di Maria in R. GUARDINI, Il Signore, Milano 1964, 28-29 (1a ed. tedesca 1937). 23 K. RAHNER, Maria Madre del Signore. Meditazioni teologiche, Fossano 1962, 37 (1a ed. tedesca 1956). 24 L. BOUYER, «Humanisme marial», in Études 87 (1954) mai, 158-165.
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gine divina»25. Senza dubbio Cristo resta il modello trascendente di ogni perfezione umana e sarebbe deteriorare la nozione di salvezza pensare a Maria come a un secondo Salvatore; tuttavia solo in Maria, persona umana e solamente umana, ci è possibile scoprire tutto ciò che la grazia poteva fare di una creatura. Posta alla confluenza tra l’antica e la nuova Alleanza, Maria è la cima e il compimento della perfezione umana, «l’esemplare insuperabile di ciò che deve interessare ogni umanesimo cristiano»26. Concludendo, Bouyer può affermare: È dunque tutto un umanesimo, il solo umanesimo veramente integrale, che l’immagine di Maria ci propone. Questo umanesimo ha per base la fede, per via l’obbedienza sacrificale. Non intende nient’altro che operare la restaurazione dell’integrità originale della creatura, restaurando il suo rapporto filiale col Padre nel Cristo27.
La vera svolta storico-salvifica della mariologia si attua nel concilio vaticano II che passa da uno schema di tipo manualistico e apologetico, ad uno più biblico, cristologico, ecclesiologico, pastorale ed ecumenico. Il 29 ottobre 1963 i padri decidono di stretta misura con lo scarto di 40 voti (votanti 2.193; maggioranza richiesta 1097; favorevoli 1.114; contrari 1.074; nulli 5) per l’inserimento della trattazione mariana nel documento sulla Chiesa28. 25
BOUYER, «Humanisme marial», 146-147, 175. BOUYER, «Humanisme marial», 160. 27 BOUYER, «Humanisme marial», 164-165. 28 Su Maria nel Vaticano II si segnalano 4 studiosi servi di Maria: G.M. BESUTTI, Lo schema mariano al Concilio Vaticano II. Documentazione e note di cronaca, Roma 1966; E.M. TONIOLO, La Beata Maria Vergine nel Concilio Vaticano II. Cronistoria del Capitolo VIII della Costituzione dogmatica «Lumen gentium» e sinossi di tutte le redazioni, Roma 2004; C.M. ANTONELLI, Il dibattito su Maria nel concilio vaticano II. Percorso readazionale sulla base di nuovi documenti di archivio, Padova 2009. 26
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Questa votazione è considerata una svolta storica e «uno spartiacque spirituale»29, in quanto ha condotto il concilio a cambiare rotta e ad elaborare una nuova impostazione mariologica più adatta alla situazione ecclesiale e più comprensiva del nesso intrinseco della Beata Vergine con il mistero della Chiesa. È certo che il capitolo VIII della LG «opta senza esitazione per il metodo della storia della salvezza»30. 2. STRUTTURA E CONTENUTI DELLO STUDIO DI LA PIRA SULL’ASSUNZIONE DI MARIA Contestualizzato in questo orizzonte mariologico di metà Novecento, il discorso di La Pira sull’Assunzione di Maria, pubblicato nel 1950 a ridosso della definizione dogmatica31, preceduto da un interessante abbozzo su Città di vita32 e seguito da un breve sunto su Il Focolare33, mostra il suo ancoraggio nella mariologia del tempo ed insieme evidenzia tutta la sua originalità, partecipando alle due correnti cristotipica ed ecclesiotipica, ma fondendole insieme e superandole mediante un’apertura alle problematiche religiose, 29
J. RATZINGER, Considerazioni sulla posizione della mariologia e della devozione mariana nel complesso della fede e della teologia, in J. RATZINGER – H. U. VON BALTHASAR, Maria Chiesa nascente, Roma 1981, 19. 30 G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero, Milano 1969, II, 203. 31 Il saggio di G. LA PIRA, «L’Assunzione di Maria», datato «Firenze, Regalità di Cristo 1950», viene pubblicato nello stesso anno in Cronache sociali 4 (1950) 11-12, pp. 1-6; poi viene rieditato più volte, fino ad essere inserito in COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, Firenze-Milano 2005, 137-156. Lo citeremo da questa ultima edizione, tenendo presente il testo manoscritto pubblicato in L. CAVINI (ed.), L’Assunzione di Maria, Firenze 1977. 32 G. LA PIRA, «Mistero di Cristo: mistero di Maria», in Città di vita 3 (1948) 434-439. Vi fa riferimento lo stesso La Pira in «L’Assunzione di Maria», nota 2. 33 G. LA PIRA, «Lode all’Assunta», in Il Focolare n. 32, 17 luglio 1952, 1.
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morali, sociali e politiche. Queste convergenze e differenziazioni appariranno man mano che si esaminano i vari segmenti in cui è suddivisa (e nello stesso tempo organicamente unita) la dissertazione di La Pira. Per non intromettere nel testo le nostre divisioni, commettendo in tal caso un’imperdonabile estrapolazione, ci atterremo ai lemmi di transizione insiti nel testo lapiriano. Da essi emerge che la struttura del saggio sull’Assunzione è chiaramente bipartita: si stabilisce innanzitutto «il fatto», poi «le ripercussioni terrrestri… di questo fatto». Ambedue i punti si suddividono come vedremo secondo il seguente schema. 1. IL FATTO: «ANIMA E CORPO DI MARIA NELLA GLORIA DEL PARADISO» 1.1. Sua solidità: fondato su Cristo risorto. 1.2. La risurrezione di Cristo inchoatio della risurrezione del Corpo mistico, e in primo luogo di Maria in base a due principi: rapporto d’identità tra corpo del Figlio e corpo della Madre, principio di priorità e vicinanza. 1.3. Aggiunta della tesi scotista: Maria ab aeterno preordinata Madre di Cristo. 1.4. Nesso organico dei misteri e corpo glorioso di Cristo e di Maria per la crescita del Corpo mistico. Excursus: il problema storico delle fonti. 2. «LE RIPERCUSSIONI TERRESTRI… DI QUESTO FATTO» 2.1. La Chiesa apre lo scrigno dei suoi tesori eterni e si raccoglie nella visione delle realtà finali. 2.2 Ripercussione metafisica: respingere le metafisiche materialiste e idealiste inconciliabili con la realtà futura. 2.3. Ripercussioni fisiche: la struttura delle cose è ordinata al destino dell’uomo. 2.4. Ripercussioni antropologiche: esiste un approdo e una via che regolano la totalità della mia esistenza. 2.5. Ripercussioni politiche, sociali ed economiche: risolvere i più improrogabili problemi dell’uomo. 2.6. Ripercussioni tecniche: verso un possesso più razionale delle forze del cosmo. 2.7. Ripercussioni storiche: nel grande cimento storico la luce della risurrezione e della gloria.
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Non ci resta che esporre i contenuti di questa griglia, semplice ed elaborata nello stesso tempo, per entrare nell’universo simbolico di La Pira e prima ancora nelle profondità della sua fede e della sua teologia, nonché nelle sue preoccupazioni di uomo politico al servizio degli esseri umani. 2.1. Il fatto dell’Assunzione di Maria e i suoi fondamenti 2.1.1. Il fatto. La Pira non gira attorno all’argomento principale del suo discorso, ma punta subito al suo nucleo centrale: Assunzione di Maria: cioè elevazione e presenza gloriosa in Cielo della Vergine: anima e corpo di Maria nella gloria del Paradiso, come l’anima e il corpo di Gesù.
Paragonate alla definizione dogmatica di Pio XII queste parole mantengono il contenuto essenziale di assunzione di Maria in anima e corpo alla gloria, ma al tempo stesso lo interpretano come «elevazione e presenza gloriosa in Paradiso». Il concetto di trasferimento dalla terra al cielo è intenzionalmente evitato dal Papa, cui preme presentare l’Assunzione non come viaggio34 ma come cambiamento di status
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La bolla «lascia da parte ogni localizzazione e afferma un cambiamento di stato, l’assunzione allo stato di gloria, che succede allo stato della vita terrestre» (J. GALOT, «Le mystère de l’assomption», in Maria 7, Paris 1964, 158). Osserva puntualmente R. Laurentin: «Fatto importante e più misconosciuto, [la definizione] ha evitato intenzionalmente ogni immagine di “alto” e di “basso”, e ogni raffigurazione della traslazione. Non è esatto ma pura comodità di stile che le traduzioni comuni dicano che Maria è stata “elevata” al cielo. Questo verbo introduce una spazializzazione che è stata intenzionalmente evitata. Assumpta significa assumere, in altri termini “prendere”: sumere, e il suffisso ad aggiunge a questa parola l’idea di aggiunta, di aggregazione, di riunione. Assumere è dunque l’equivalente biblico del verbo ebraico (prendere) che la Bibbia usa per indicare la fine misteriosa di Enoch (Gn 5,24; Eccli 44,16 e 49,16), e quella di Elia (2Re 2; 3; 5; 9; 10; Eccli 48,9): Dio li ha “presi” con sé. Ed è sulla base
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dalla situazione terrena alla condizione celeste. Ma La Pira, cantore della città35, non può rinunciare alla simbologia biblica della Città celeste. L’autore aggiunge due citazioni bibliche, di solito trascurate dai mariologi. La prima presenta l’assunzione come «immediato esaudimento» della «preghiera di Gesù»: «Dove sono io siano essi pure con me» (Gv 18,24). La seconda citazione interpreta la definizione dogmatica come esercizio del potere delle chiavi (Mt 16,17-20) in senso di «apertura» delle «porte della Città celeste per mostrare agli uomini distratti del nostro tempo gli splendori di gloria che Dio destina non solo all’anima ma al corpo medesimo dei giusti». Come si vede in questo lemma La Pira ripropone in altri termini la divisione del suo discorso: la definizione dogmatica e il messaggio che consegue per i contemporanei.
di questa parola che i salmisti hanno scoperto il mistero delle retribuzioni ultraterrene per tutti i giusti che Dio «prenderà» al termine del loro destino (Sal 49,16; 73,24): “Mi accoglierai in gloria” dice il salmista. È esattamente l’espressione usata da Pio XII, ma egli precisa: corpo e anima. È integralmente e non solamente con l’anima che “l’Immacolata Madre di Dio” raggiunge Cristo risorto» (R. LAURENTIN, La Vergine Maria. Mariologia post-conciliare, Roma 1983, 240). 35 Mi limito a citare una testimonianza recente sul legame di La Pira con la città, centrata sulla persona: «Torniamo all’esperienza di Giorgio La Pira, il sindaco santo, il protettore di tutti gli amministratori delle città, colui che più di ogni altro ha legato il suo nome alla storia e all’avvenire delle città. Della città egli è il teorico, il filosofo, il teologo, il poeta, l’impareggiabile guida e testimone. Verso la città egli sentì una specie di vocazione, che egli assecondò per tutta la sua vita con quella caparbia e quella tenacia di cui solo i grandi spiriti sono capaci. Alla città, più che allo Stato, egli era portato dalla sua concezione personalistica…» (G. FROSINI, «La teologia della città», in D. CANDIDO – A. SIRINGO – E. VIDAU [ed.], Lacrime nel cuore della città, Atti dei tre Convegni preparatori e del XIII Colloquio internazionale di mariologia nel 50° anniversario del pianto di Maria, Siracusa, 29 settembre – 2 ottobre 2003, Edizioni AMI, Roma 2007, 387).
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Se ci chiediamo come caratterizza l’evento o verità dell’Assunzione di Maria, notiamo che il nostro autore ricorre alla parola «fatto»: «Ecco il fatto […] che la Chiesa offre oggi […]. Davanti a questo fatto così singolare […]» (n. I); «di questo fatto [di questo dogma] così solennemente proclamato» (n. VII). Più in là parla di «questo dolce mistero e questa dolce realtà» (n. IV), «questo mistero dell’assunzione» (n. V), «questo sole dell’assunzione» (n. VI). Oppure colloca il fatto nella «vita celeste, le realtà misteriose e luminose della città eterna» (n. VII). Ci saremmo aspettati che chiamasse l’Assunzione di Maria un «privilegio», parola che ritorna più volte nella bolla, ma non nella formula di definizione. Anche se sa che si tratta di un «fatto singolare», La Pira evita la parola «privilegio», come chiederà il Gruppo ecumenico di Dombes quasi mezzo secolo dopo36, e giustamente perché in base al principio della incohatio la prerogativa mariana non riguarda la sostanza dell’assunzione, ma la sua modalità temporale di anticipo. L’autore parlerà esattamente dell’Assunzione di Maria come di «un semplice problema “di anticipazione temporale”» (n. III). 2.1.2. I fondamenti. Affermato il fatto dell’Assunzione, evento beatificante che introduce alla visione trascendente della città celeste, La Pira cerca il fondamento concreto e necessario per non confinare la sublime realtà ultraterrena tra i miti o le favole. Con linguaggio non accademico l’autore
36 Il Gruppo di Dombes afferma di poter capire come l’Immacolata Concezione «parli in realtà della nostra vocazione» e perciò esorta a maggiore rigore di linguaggio: «Oggi è auspicabile evitare l’espressione “privilegio mariano” a proposito dell’Immacolata Concezione (come a proposito dell’Assunzione), affinché non si perda di vista la portata di questa affermazione per la nostra stessa umanità» (GRUPPO DI DOMBES, Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi, Magnano 1998, n. 274, nota 55).
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formula delle domande, collegate alla prima formulata da La Pira come un dilemma che non lascia scampo: La prima è questa: ma cosa c’è di solido, di “ontologico”, per così dire, in tutto questo? Siamo nel regno della poesia – sia pur bella, luminosa e consolante poesia – o, invece, siamo proprio nel regno della realtà? Questa città celeste, coi suoi splendori di gloria, che S. Giovanni vide nella sua estasi [Apoc. XXI, 1 sgg.] e di cui Gesù parlò nel discorso dell’ultima cena – la Casa del Padre [S. Giov. XIV, 2] – è la città dei poeti, sogno luminoso della fantasia umana che evade dalle strettoie dello spazio e del tempo, [il “sogno” di Dante!] o è, invece, la “realtà ultima”, la città finale, l’eterna e gaudiosa dimora di Dio, di Cristo, di Maria, degli angeli e dei santi? (n. II).
I. CRISTO RISORTO La risposta di La Pira è perentoria, quanto basilare e inclusiva di tutto lo sviluppo che assumerà in buona logica. Si tratta della risurrezione di Cristo, l’evento principale del cristianesimo37, il fulcro del kerigma di Pietro e di Paolo38, il «punto di partenza – dirà più avanti l’autore – dal quale ha inizio tutto il “moto” del cristianesimo» (n. III), che fonda per inevitabile conseguenza l’esistenza della città celeste, «approdo dell’esistenza umana». Dinanzi ad essa vibra l’animo poetico di La Pira e prima ancora la sua fede-speranza di credente e di uomo politico. Egli è fermamente convinto che «la Gerusalemme della pace, della gioia, della bellezza eterna; la città dei glorificati» è la realtà più consistente e
37 Il primo Credo delle comunità cristiane primitive è proprio l’acclamazione: «Gesù Cristo è il Signore» (Rm 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,11). Questa è l’espressione originaria della fede cristiana, quindi il suo nucleo più essenziale e qualificante. 38 Il kerigma primitivo, tramandato dai discorsi degli Atti (At 2,22-26; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-43; 13,16-41), punta sul fatto salvifico centrale della morte e risurrezione di Cristo.
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concreta, come una pienezza utopica (non utopistica) capace di mobilitare e orientare la città terrena: La risposta è precisa: se Cristo è risorto – come è veramente risorto – la città di Dio, trionfante in Cristo, è la città permanente e finale dell’uomo: è la città di approdo dell’esistenza umana: la Gerusalemme della pace, della gioia, della bellezza eterna: la città dei glorificati, ove gli uomini, a Dio per sempre uniti, sosteranno per sempre, felici [Ubi vacabimus et videbimus, videbimus et amabimus, amabimus et laudabimus, come dice S. Agostino al termine della Città di Dio]. Lo ripetiamo: se Cristo è risorto [come è risorto]; se Cristo è asceso al Cielo [come è asceso] per sedere alla destra del Padre [S. Marco XVI, 20] la chiave che risolve tutti i problemi è trovata – Filius hic hominis fit maxima quaestio mundi, dicevano nel medioevo –: il “solido”, la “concretezza”, sta proprio “di là”: in quella città celeste dalla quale soltanto deriva la luce, il “moto” e l’orientamento della città terrestre.
La Pira ribadisce l’ineluttabilità della risurrezione e ascensione al cielo da parte di Cristo, in quanto il suo corpo è indissolubilmente unito alla divinità del Verbo (nella nota 7 fonda l’incorruzione del corpo sull’«unione ipostatica») e quindi non sottoposto alla corruzione come i semplici uomini mortali. Sulla risurrezione/ascensione di Cristo e sulla glorificazione del suo corpo nessun dubbio è legittimo: sono eventi «storicamente testimoniati» e «fisicamente fondati» (n. III). II. LA RISURREZIONE DI CRISTO «INCHOATIO» DELLA RISURREZIONE DEL CORPO MISTICO, E IN PRIMO LUOGO DI MARIA Mentre per Cristo il passaggio alla risurrezione e al corpo glorioso è innegabile conseguenza dell’unione ipostatica, il problema emerge per Maria per un doppio motivo: assenza di fonti storiche, statuto creaturale di lei. Ma per Maria? Come fondare questa assunzione del Corpo di Maria nella gloria del Paradiso? La domanda si fa tanto più
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acuta quando si pensi che su questo fatto così singolare tacciono, almeno esplicitamente, le fonti primitive (n. III).
A questo punto La Pira rimanda a più tardi il problema storico delle fonti (al n. VI), ma non rinuncia ad una nota illuminante sull’argomento che riprenderemo nell’Excursus. Preme infatti all’autore proseguire in uno stringato ragionamento che risponda all’esigenza di fondare la priorità dell’assunzione di Maria su quella degli altri fedeli. Alla domanda se la risurrezione/ascensione di Cristo «costituiscono un fatto destinato a rimanere unico od un fatto destinato a integrarsi, per così dire, con la resurrezione e la glorificazione di tutti gli eletti» (n. III), La Pira risponde con estrema chiarezza che la risurrezione di Cristo, tutt’altro che fatto isolato e circoscritto, si dilata necessariamente a tutti i membri del suo Corpo mistico e addirittura a tutto il cosmo. L’autore prova la prima parte dell’asserto richiamandosi a due brani fondamentali per il legame tra risurrezione di Cristo e resurrezione dei morti: il Capitolo VI di Giovanni, che «mostra l’intima connessione tra l’Eucaristia e la risurrezione dei morti» e il Capitolo XV della Prima Lettera ai Corinzi, dove Paolo mostra che la risurrezione di Cristo è la «causa della nostra risurrezione», come interpreta Tommaso (III, 56,1). La Pira può concludere che la resurrezione di Cristo è, in certo modo, un inizio, una inchoatio della resurrezione e glorificazione totale del Corpo mistico di Lui (n. III).
La seconda parte, cioè l’estensione della risurrezione di Cristo all’universo, si basa sulla profezia di Pietro circa i «cieli nuovi e terra nuova» (2Pt 3,13), sicché gli effetti rinnovatori e illuminanti del Cristo risorto si ripercuotono nell’ambiente vitale dei corpi risuscitati. Venendo a Maria, è fuor di dubbio per La Pira che ella 117
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appartenga agli eletti, risorti e glorificati secondo il disegno organico di Dio già considerato, per cui la risurrezione di Cristo include quella dei credenti. Il problema riguarda la priorità o anticipo della condizione gloriosa per Maria; insomma perché Maria è assunta in cielo prima degli altri senza attendere la risurrezione finale? Per La Pira deve esistere una «ragione, in certo modo necessitante», dato il silenzio delle fonti antiche. Per l’autore la risposta si muove su tre registri che si attivano uno dopo l’altro per creare una convinzione logica e teologica. a. Caro Christi, caro Mariae. Innanzitutto occorre considerare il rapporto fisico che vige tra il corpo del Figlio e il corpo della Madre di Dio, un rapporto necessario alla storia della salvezza: La risposta appare chiara appena si pensi al rapporto «fisico» – di maternità e di filiazione – che esiste fra il corpo di Cristo ed il corpo di Maria. […] Maria è veramente madre di Dio […]: è questa la pietra angolare del cristianesimo, rigettata la quale crolla l’intiero edificio della grazia e della salvezza.
Ci troviamo certamente in un’affermazione pregnante, poco sottolineata dalla mariologia di quel tempo, ma risalente ai padri e riassunta da Agostino, secondo cui tutti gli eventi salvifici sono basati sul fatto che Maria diede a Cristo un corpo che diviene «cardine di salvezza»39, senza il quale sfumano fino ad annullarsi la stessa passione e risurrezione del Signore: Se la madre fosse fittizia, sarebbe fittizia anche la carne e fittizia sarebbe anche la morte, fittizie le ferite della passione, fittizie le cicatrici della risurrezione40.
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TERTULLIANO, De resurrectione carnis 8. AGOSTINO, Commento al vangelo di Giovanni 21,3.
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La Pira aveva percepito ed espresso vigorosamente questo pensiero in un suo breve saggio del 1948, in perfetta sintonia con Agostino e altri padri (non citati): E Maria? Non se ne è ancora parlato: eppure essa è stata sempre presente nel delineare questo abbozzo circa la essenza del cristianesimo: umanità di Cristo? Essenziale strumento di dilatazione della grazia di Cristo? Elemento ineliminabile di quel secondo piano che è il piano mediatore di tutto l’edificio dell’uomo? Ma allora Maria entra come essenziale linea di questo disegno: perché l’umanità di Cristo è l’umanità di Maria! Senza Maria non c’è l’Incarnazione, non c’è Cristo, non c’è il cristianesimo, non c’è la salvezza e la sopraelevazione dell’uomo. Il «punto» di annodamento fra l’uomo e Dio è Maria: in Maria il Verbo si fece carne: et habitavit in nobis [Gv 1,14]. Levate Maria: scompare dall’orizzonte dell’uomo il sole della grazia e della gloria: è come se toglieste la pietra angolare: l’edificio del cristianesimo crolla radicalmente41.
Per La Pira il rapporto di origine del corpo di Cristo da quello di Maria produce «un rapporto come di identità» tra di essi, secondo l’effato medievale: Caro enim Jesu caro est Mariae42, per cui l’autore si chiede retoricamente: 41
LA PIRA, «Mistero di Cristo: mistero di Maria», 438. L’espressione «Caro enim Jesu caro est Mariae» si trova nel Sermone sull’Assunzione di Maria dello Pseudo-Agostino, autore sconosciuto che J. Winandy identifica con Ambrogio Autperto († 781). Il contesto riguarda l’assunzione di Maria, più precisamente l’incorruzione del suo corpo. L’autore pensa che se Gesù ha conservato integra la verginità della madre, ha potuto anche preservarla dalla putrefazione, che costituisce «l’opprobrio della condizione umana». Se da essa il Figlio è alieno, lo è anche la Madre da cui egli ha ricevuto la natura umana. A questo punto giunge la frase: «Infatti la carne di Gesù è la carne di Maria, e in modo molto più speciale di Giuseppe, di Giuda e degli altri suoi fratelli, ai quali [Giuda] diceva: È nostro fratello e nostra carne (Gen 37,27). Infatti la carne di Cristo, sebbene magnificata dalla gloria della risurrezione e glorificata dalla potente ascensione sopra tutti i cieli, rimase e rimane della stessa natura assunta da Maria» (INCERTUS AUCTOR INTER OPERA S. AUGUSTINI, De Assumptione BMV liber unus, cap. 5, PL 40,1145). 42
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la virtù attrattiva, elevante, […] glorificante che la divinità esercitò immediatamente sul corpo di Cristo deposto nel sepolcro, non doveva pure, di conseguenza, esercitarsi sul corpo di Maria identico nella sostanza a sensibile a quello di Cristo? (n. III).
È una «ragione “fisica”, in certo modo necessitante, che legittima la priorità di elevazione e di esaltazione celeste del corpo di Maria». Riprendendo il classico primo principio della mariologia, La Pira afferma: Tutti questi misteri di Maria sono ordinati al mistero fondamentale: essere la madre di Cristo: quest’essere la madre di Cristo è la causa “fisica” efficiente, sulla quale solidamente poggia l’elevazione e la glorificazione in Cielo del corpo di Maria. Pietro di Blois [Migne P.L. 207, 662] dice: – sembrava a Cristo di non essere asceso al Cielo se non avesse tratto a sé colei dalla carne e dal sangue della quale aveva preso il suo corpo (n. III).
A conferma di questa ragione, La Pira si rifa a «quel mirabile principio “di priorità e vicinanza” che S. Tommaso applica a Maria», secondo cui «una cosa tanto più subisce gli effetti della sua causa quanto più ad essa vicina». Esso «serve ad illuminare quella priorità dell’assunzione gloriosa del corpo di Maria oggi dalla Chiesa così solennemente proclamata» (n. III). b. Ab aeterno preordinata madre di Cristo. Non pago di questa luce che viene dal tempo salvifico, La Pira cerca «una luce ulteriore» promanante dal piano divino, che ab aeterno preordina Maria ad essere Madre di Cristo, cioè a partecipare a quel summum opus costituito dall’incarnazione. Trapela la chiara simpatia del nostro autore per la tesi scotista secondo cui l’incarnazione prescinde dalla caduta, mentre Gesù con Maria rappresenta «il vertice della creazione» e «il valore supremo». La conseguenza assunzionistica diviene lampante:
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Viste le cose da questo supremo angolo visuale tutti i misteri di Maria diventano come luci di estrema luminosità e chiarezza: perché immacolata? Perché vergine? Perché piena di grazia? Perché assunta? Ma è chiaro: perché ab aeterno preordinata madre di Cristo, nodo supremo di tutta la creazione con Dio (n. IV).
c. «Nesso organico» dei misteri. Da questa posizione che affonda il suo sguardo contemplativo negli abissi dell’eterno piano di Dio, La Pira si sposta ancora per guardare da un’altra prospettiva di estrema attualità e si direbbe terapeutico per una certa mariologia isolazionistica: quello che oggi si chiama il «principio di totalità»43 e che La Pira – rifacendosi a Scheeben44 – denomima il «nesso organico» dei misteri del cristianesimo. In quest’ottica La Pira si chiede quale sia «la forza propulsiva» che spiega la crescita o l’«espansione del Corpo mistico nel corso dei secoli». E risponde con grande precisione teologica additando nell’umanità di Cristo «l’organo mediante il quale, instrumentaliter, la grazia di Dio si articola nei sacramenti e perviene alle anime»: … da questa umanità gloriosa fluisce per tutti i secoli l’onda rigeneratrice della grazia, inizio e preparazione della gloria: la Chiesa, nel suo processo di espansione secolare, appare, quindi, visibilmente ancorata ad un corpo glorioso dal quale trae incessantemente la linfa vitale che la sostiene e la espande nel corso del tempo (n. V). 43 Il riferimento a questo disegno salvifico di Dio Trinità, ci interpella a parlare di Maria facendo attenzione al «principio di totalità», dove ogni singolo elemento si rende comprensibile in rapporto al tutto della fede e al centro della fede che è Gesù Cristo. Esiste infatti un nexus mysteriorum, per il quale ogni singolo aspetto del mistero cristiano non può essere separato dalla totalità dei dati della rivelazione. Il Concilio lo propone implicitamente in OT 16: «Per illustrare quanto più integralmente possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a vederne il nesso per mezzo della speculazione». 44 M. SCHEEBEN, I misteri del cristianesimo, Brescia 1946.
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Partendo dalla divina maternità di Maria e dall’esperienza della sua mediazione per la trasmissione della grazia (il testo cita Dante: Qual vuol grazia ed a te non ricorre, / sua disïanza vuol volar sanz’ali), La Pira giunge alla necessità di associare al corpo glorioso di Cristo e quello pure glorioso di Maria per la crescita del Corpo mistico: La Chiesa nella sua vita e nella sua espansione è visibilmente ancorata – come radicata – al corpo glorioso di Cristo ed al corpo glorioso di Maria: operante in terra e radicata in Cielo! La visione di S. Giovanni [Apoc. XXI, 1 segg.] appare così in una evidenza solare: Gesù e Maria [mulier amicta sole – Apoc. XII, 1]: il duplice indissociabile radicamento della Chiesa in Cielo (n. V).
Prima di concludere questo paragrafo, sono utili due osservazioni di un certo interesse. Innanzitutto La Pira cita due volte in nota San Grignion de Montfort, un classico della spiritualità cristocentrico-mariana canonizzato da Pio XII il 20 luglio 1947, come conferma che in Maria tutto deriva dalla sua divina maternità, compresa la grazia e la Chiesa45. Ed ha ragione poiché Montfort rimane senza parole di fronte al mistero della Madre di Dio (Hic taceat omnis lingua) ma poi diviene eloquente nell’illustrare la parte di Maria nella rigenerazione e formazione dei cristiani: … Maria, il più grande miracolo della grazia, della natura e della gloria! Cerca di capire il Figlio – dice un santo – se vuoi
45 «Tutto il Trattato della vera devozione a Maria Vergine di S. Grignion de Monfort poggia su questo unico fondamento dal quale tutta l’argomentazione – e la pietà – si svolge vigorosa e soave come dalla sua fonte» (nota 9). «Il trattato di S. Grignion de Montfort è tutto costruito sopra questa solidale radicazione della grazia e della Chiesa in Cristo e Maria» (nota 11).
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comprendere la madre. Ella è una degna Madre di Dio! Qui taccia ogni lingua!46
A differenza del Montfort e praticamente di tutta la tradizione cristiana, che stranamente non si soffermano sulla condizione glorificata del corpo di Maria, La Pira ha un vivo senso dell’importanza del corpo glorioso sia del Figlio che della Madre. La teologia contemporanea ha cercato di ricuperare questo valore del corpo glorioso di Maria ad instar di quello di Cristo risorto e dobbiamo essere grati alla tesi del cappuccino Angelo Pizzarelli, che ha difeso alla Pontificia Università Gregoriana e ha stampato nel 1990 la tesi Presenza di Maria nella Chiesa. Saggio d’interpretazione pneumatologica, dove approfondisce «la presenza pneumatica o spirituale e contemporaneità di Maria a motivo del suo stato glorioso»47. EXCURSUS. La prima parte del discorso assunzionistico di La Pira termina con una specie di Excursus in cui si pronuncia circa il valore delle fonti. Appare subito che egli non annette molta importanza a questo argomento, quando
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LUIGI M. DI MONTFORT, Trattato della vera devozione a Maria, n. 12. Sulla dottrina e spiritualità del santo, cf. R. LAURENTIN, Dio mia tenerezza. Esperienza spirituale e mariana, attualità teologica di san Luigi Maria da Montfort, Roma 1985 (ed. orig. francese: Paris 1984); S. D E F IORES , «Montfort “teologo di classe”», in Theotokos 6 (1998) 561-605; ID., «Grignion de Montfort Luigi Maria (santo)», in L. BORRIELLO-E. CARUANA-M.R. DEL GENIO-N. SUFFI (ed.), Dizionario di mistica, Città del Vaticano 1998, 605-608; ID., (ed.), Dictionnaire de spiritualité montfortaine, Éd. Novalis, Ottawa 1994 (trad. in inglese, spagnolo e italiano); B. CORTINOVIS, Dimensione ecclesiale della spiritualità di san Luigi Maria Grignion de Montfort, Roma 1998; G. DAL MASO, Dieu seul. Scrittura mistica e teologia in S. LouisMarie Grignion de Montfort, Roma 2005. 47 A. PIZZARELLI, Presenza di Maria nella Chiesa. Saggio d’interpretazione pneumatologica, Cinisello Balsamo 1950, 135.
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dichiara: «il problema storico delle fonti assume un carattere del tutto subordinato» (n. VI). La Pira infatti ha già raggiunto la certezza di fede sull’assunzione di Maria per due altre vie: «la solenne definizione dogmatica», in sé infallibile (qualifica che egli presuppone, anche se non esplicita), e la «chiara visione strutturale del cristianesimo» cui l’assunzione appartiene come conseguenza necessaria della risurrezione di Gesù e della maternità divina di Maria. In base a questi principi, La Pira può esclamare senza dubbi di sorta: «L’Assunzione è avvenuta: ecco la certezza che non teme oscuramenti» (n. VI). Ma certo l’autore non ignora che la definizione dogmatica non è una nuova rivelazione, quindi deve fare i conti con la Scrittura e la tradizione della Chiesa. Per questo, quasi all’inizio, La Pira si era interrogato: «Come fondare questa assunzione del Corpo di Maria nella gloria del Paradiso?», giudicando questa domanda «tanto più acuta quando si pensi che su questo fatto singolare tacciono, almeno esplicitamente, le fonti primitive» (n. III). L’autore non misconosce il problema, né rinuncia ad una risposta articolata. La troviamo riassuntivamente al n. VI del testo, dove reputa che la Chiesa sia passata da un possesso per così dire aurorale o germinale dell’assunzione ad una certezza riflessa ed esplicita: La Chiesa ha sempre vissuto di questa certezza come dell’altra – così ampiamente e variamente documentata – della resurrezione e glorificazione di Cristo. Dall’alba del V secolo questo sole dell’assunzione è apparso nitidamente sull’orizzonte dogmatico [in certo senso], liturgico, spirituale, teologico, artistico, della Chiesa. Ma il sole c’è anche prima che spunti sull’orizzonte dell’uomo, come c’è il seme prima che spunti l’erba e si formi la spiga (n. VI).
Poi La Pira dedica allo stesso tema due dotte note, che rimandano «alla trattazione ampia del Jugie», che già egli 124
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aveva qualificato come «opera davvero monumentale» (nota 2), o ad altri autori, segno che si era documentato con la migliore bibliografia del tempo. Egli puntualizza dal punto di vista biblico che «il riferimento a Maria gloriosa in cielo in Apoc.XII,1 [mulier amicta sole] appare evidente» e che «questo dolce mistero è incluso, implicito nella teologia mariana di S. Luca [1,26-56]». Come si vede, La Pira si riferisce all’annunciazione, alla visitazione e al Magnificat, che certamente includono e preparano l’assunzione come una delle grandi opere di Dio, dinanzi alla quale scatta la lode del popolo dell’alleanza. Circa la tradizione ecclesiale l’autore aggiunge che di tale mistero visse sempre la fede “iniziale” della Chiesa: e dall’alba del VI secolo questo mistero di luce e di glorificazione mariana diventa un fulcro della pietà, della liturgia, della teologia, dell’arte nella Chiesa di Oriente ed in quella di Occidente [Jugie, cit., p. 172 segg.] (nota 8; vedi le precisazioni della nota 12).
Non manca una parola sugli apocrifi assegnati al V-VI secolo. La Pira vi coglie un fatto denso di significato: «l’assunzione di Maria era radicata nella fede della Chiesa primitiva» (nota 12).
2.2. Ripercussioni terrestri… del fatto dell’Assunzione di Maria Raccordando la prima alla seconda parte annunciata, ambedue suddivise in sei o sette punti, La Pira stabilisce un principio che potremmo enunciare come le necessarie conseguenze vitali del dogma cristiano. Egli scarta l’idea di un cristianesimo fecondo di speculazioni, ma sterile e improduttivo nella prassi concreta; egli al contrario, rifacendosi al lie125
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vito evangelico, sostiene che il cristianesimo e ciascuno dei suoi misteri, come la visione della città ultraterrena, influiscono efficacemente sulla vita umana. In questo orizzonte di rapporto tra teologia e spiritualità, particolamente attuale48, non si potrebbero aspettare parole più chiare e convinte di quelle di La Pira: La nostra meditazione è finita? Se il cristianesimo si limitasse alla contemplazione “astratta” dei suoi misteri dovremmo allora dire di sì: ma le cose stanno diversamente: la vita celeste, le realtà misteriose e luminose della città eterna, non sono senza un rapporto essenziale, trasformatore, con la vita terrestre dell’uomo. Non c’è un solo mistero cristiano, un solo “fatto” del cristianesimo, che non si rapporti alla vita terrestre dell’uomo: la vita che di là fluisce e qua perviene è come l’acqua destinata ad irrigare la terra dell’uomo, è come il lievito destinato a trasformare la “massa” dei valori umani (n. VII).
La Pira scende subito all’enumerazione e al commento attualizzato delle ripercussioni del fatto solennemente proclamato dell’assunzione di Maria. 2.2.1. Ripercussione umana e terrestre. La prima conseguenza vitale del dogma dell’Assunta è per La Pira la più importante in assoluto perché riguarda l’essenza della Chiesa: precedendo la «teologia della speranza» egli anticipa l’esigenza di W. Pannenberg «di ritrovare la categoria centrale, la pienezza concettuale della dimensione escatologi-
48 Circa la dimensione spirituale della teologia, cf. S.M. SCHNEIDER, «Theology and Spirituality: Stranges, Rivals or Partners?», in Horizons 13 (1986) 2, 253-274; J. LECLERCQ, Esperienza spirituale e teologia. Alla scuola dei monaci medievali, Milano 1990; D. SORRENTINO, «Storia della spiritualità e teologia. Necessità e fecondità di un nesso», in Asprenas 46 (1999) 163-194; ID., «Per una teologia del vissuto» in Asprenas 48 (2001) 219-223; A. STAGLIANÒ, Teologia e spiritualità, Pensiero critico ed esperienza cristiana, Roma 2006.
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ca»49. La Pira rivendica il contenuto trascendente del messaggio ecclesiale, dall’impatto determinante sulla città terrena. La Chiesa apre lo scrigno dei suoi tesori eterni e si raccoglie nella visione delle realtà finali: [La Chiesa militante] si “arrocca” con saldezza ancora maggiore attorno ai nuclei essenziali dai quali fluisce la sua vita e procede la sua espansione: essa riafferma a se stessa ed al mondo intiero – con lo splendore supremo della sua liturgia – di essere la portatrice non soltanto di una morale umana e di una metafisica umana, ma sovratutto di una vita divina e di una resurrezione divina. Essa apre, per così dire, davanti allo sguardo del mondo intiero – distratto per un verso ed attonito per l’altro – lo “scrigno” dei suoi tesori eterni: l’essenza del cristianesimo eccola qua tutta raccolta e quasi concentrata in questo punto solo: la resurrezione di Cristo, l’assunzione di Maria e, alla fine dei tempi, la resurrezione dei morti e la rinnovazione dell’universo (n. VIII).
Dalla rinnovata coscienza delle realtà finali scaturiscono due effetti per la Chiesa: innanzitutto una specie di parresìa che la fa procede a testa alta, come chi ha sconfitto il veleno del dubbio e dell’incertezza sul proprio futuro50, e poi un’esigenza di unità per le confessioni cristiane staccate dalla Chiesa cattolica: 49
W. PANNENBERG, Il Dio della speranza, Bologna 1979, 31. Cf. M. BOR-
DONI-N. CIOLA, Gesù nostra speranza, Bologna 1988; R. FABRIS, Attualità della
speranza, Brescia 1984; J.- BOLTMANN, Teologia della speranza, Brescia 1971; S. MOSSO, «Speranza», in G. BARBAGLIO-G. BOF-S. DIANICH (ed.), Teologia, Dizionari San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 1531-1542; V. ZOCCALI, Escatologia, speranza, catechesi, Villa S. Giovanni 2006; U. CASALE, «Ultime realtà/Escatologia», in S. DE FIORES-V. FERRARI SCHIEFER-S. PERRELLA (ed.), Mariologia, Dizionari San Paolo, Cinisello Balsamo 2009. 50 «… e rinvigorita e quasi rinnovellata da questo misterioso ma così reale contatto con le radici divine, essa procede con passo più sicuro e più spedito nel suo cammino terrestre: nulla le fa paura, l’avvenire non presenta per Lei né oscurità né dubbiezze: portatrice come è di una vita di resurrezione, destinata come è alla resurrezione ed alla gloria» (n. VIII).
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Quali ripercussioni esso avrà nella Chiesa dissidente orientale? La Vergine stessa non opererà un flusso nuovo di grazia per operare quelle suture che devono ricondurre nel seno dell’unità tutte le comunità cristiane? Come posson più a lungo restare fuori dell’unico ovile le comunità che sono radicate, come quella cattolica, nella duplice e solidale resurrezione e glorificazione di Cristo e di Maria? (n. VIII).
Notiamo che ordinariamente si cercano le radici dell’unità dei cristiani nell’unico battesimo che ci unisce in Cristo; qui invece La Pira si richiama all’escatologia, alla medesima risurrezione evidenziata da Cristo e da Maria, quasi ad ammonire che se tutti siamo partecipi dell’unica sorte finale che ci accomuna, non possiamo restare divisi sulla terra. Naturalmente La Pira è condizionato dalla concezione preconciliare dell’ecumenismo, secondo cui i dissidenti devono ritornare all’ovile; oggi sappiamo che la conversione a Cristo è compito urgente di tutte le Chiese e più ci avviciniamo a lui e più ci troveremo uniti fra di noi. 2.2.2. Ripercussione metafisica. La Pira puntualizza due conseguenze di ordine filosofico per chi professa la fede nella vita eterna: la prima consiste nell’orientare la vita terrena secondo questa prospettiva di eternità, e la seconda conduce ad esaminare la propria metafisica per respingere da essa le metafisiche materialiste e idealiste inconciliabili con la realtà futura. Bisogna notare che La Pira intende per metafisica, non già il terzo grado di astrazione (Aristotile), ma in senso culturale come «ogni visione ed interpretazione solidale del mondo nei suoi elementi essenziali: 1) il cosmo, 2) la persona umana, 3) la società umana e 4) la storia umana» (n. IX). La metafisica perciò «costituisce per l’uomo come una bussola orientatrice della propria esistenza» o come «la stella polare»: è indispensabile che tale polo orientatore sia
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quello vero, altrimenti si finisce con il fallimento. E qui l’autore si richiama al «dramma dei “metafisici” di Atene» che al discorso di Paolo sulla risurrezione dei morti (At 17,32) «furono incapaci di misurare col metro della resurrezione di Cristo il valore e la solidità della loro metafisica» (n. IX). Monito – diciamo ora – quanto mai forte ed attuale nella cultura post-moderna dal pensiero debole e dal nichilismo dichiarato, che produce il «mezzo credente» in Vattimo e addirittura la «teologia dell’empietà» in Sgalambro51. 2.2.3. Ripercussioni fisiche. Certamente neppure la «sperimentazione fisica» della materia e del cosmo può essere sganciata dal rapporto costitutivo con l’uomo e con Cristo. Esiste – si direbbe con Aristotile – un’entelecheia o finalità insita nelle cose che la ricerca scientifica deve rispettare. La Pira invita a riconoscere la «verità così fondamentale» che la struttura delle cose è ordinata al destino dell’uomo, rivelato dal corpo glorioso di Cristo e da quello di Maria: la «materia» è organizzata, finalizzata, perché c’è un rapporto reale fra le cose [il cosmo] e l’uomo e perché c’è un rapporto altrettanto reale – per misterioso che sia – fra l’uomo e Cristo, fra il corpo risorto e glorioso di Cristo [e di Maria] ed il corpo – che risorgerà – dell’uomo? [S. Paolo lo dice: omnia vestra sunt, vos autem Christi; Christus autem Dei]. C’è almeno una premessa che deve illuminare ed orientare tutta la ricerca fisica: una premessa di finalità e di gerarchia. Ex consummatione hominis – dice S. Tommaso, C. Th. 148 – perfectio universi quemadmodum pendet. Se studio la struttura delle cose non
51 Cf. G. VATTIMO, Credere di credere, Milano 1996; C. DOTOLO, La teologia fondamentale davanti alle sfide del «pensiero debole» di G. Vattimo, Roma 1999; P. GILBERT, «Nihilisme et christianisme chez quelques philosophes italiens contemporains : E. Severino, S. Natoli et G. Vattimo», in Nouvelle revue théologique 121 (1999) 254-273; M. SGALAMBRO, Trattato dell’empietà, Milano 1987.
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posso mai prescindere dalla loro ordinazione all’uomo ed al destino dell’uomo (n. X).
2.2.4. Ripercussioni antropologiche. Dall’assunzione di Maria al cielo scaturiscono conseguenze «drammatiche» che investono l’esistenza umana e la connotano in modo profondo e indelebile. Il punto su cui La Pira maggiormente insiste è il nesso di molteplice causalità, cioè «efficiente, esemplare e finale», che lega l’esistenza di ogni uomo a Cristo risorto. Qui si sprigiona la visione olistica di La Pira, che non può considerare il frammento senza metterlo in relazione al tutto, ma anche la sua concezione cristocentrica, che potrà essere accantonata o combattuta (egli ritorna alle deviazioni dell’«immanentismo materialista [marxista] o idealista [egheliano]) ma non eliminata nella sua oggettiva realtà: … tutto è legato, come causa all’effetto, a quella finale resurrezione verso la quale la mia persona è “lanciata” come al termine ineliminabile e preordinato della mia “avventura di esistenza”: sono imbarcato, direbbe Pascal: ed ogni sbarco mi è vietato. Che fare? Ecco le drammatiche ripercussioni che la risurrezione di Cristo e l’assunzione di Maria hanno sulla conoscenza più approfondita della struttura e della destinazione della persona umana (n. XI).
2.2.5. Ripercussioni politiche, sociali ed economiche. È una dimensione estremamente vasta, oltre che impegnativa e tale «da “rivoluzionare” davvero le strutture di una società vecchia per generare quelle di una società nuova» (n. XII). Essa muove da un principio umano e cristiano incontrovertibile: l’uomo misura di ogni cosa e centro della moralità cristiana, che assume massima consistenza dal fatto che «il corpo umano ha un valore eterno» e risorgerà come quelli di Cristo e di Maria: Ma allora le costruzioni politiche [organizzazione dello Stato e degli stati] e le costruzioni economiche [l’unica, indivisibile,
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anche se articolata, organizzazione economica del mondo] devono lasciarsi misurare da questo metro così visibile, così determinato, costituito dall’uomo: il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato [S. Marco II, 27] (n. XII).
E qui si sente vibrare il cuore di La Pira che raggiunge espressioni di fede e di amore concrete ed insieme altamente poetiche: Il giudizio finale [S. Matt. XXV, 31 sgg], così intrinsecamente legato con la finale resurrezione, ci dà in proposito una orientazione precisa: è lecito lasciare l’uomo nella schiavitù [S. Luc. IV, 19], nella oppressione [S. Luc. IV, 19], nella disoccupazione [S. Matt. XX, 1 sgg], nella fame, nella sete, nella nudità, nella privazione del tetto, dell’assistenza fraterna [S. Matt. XXV, 31 sgg]? Tutto ciò che è stato fatto a quest’uomo, nel corpo e nell’anima, è stato fatto – positivamente o negativamente – a Cristo ed a Maria: il corpo risorto porterà per così dire, le stimmate dell’amore o quelle dell’abbandono! (n. XII).
Il monito di La Pira consiste nel richiamare i responsabili a non banalizzare il dogma dell’Assunta e neppure a ridurlo ad una grande celebrazione: bisogna coglierne l’appello qualificato in un certo senso «violento» che «concerne la totalità del genere umano»: Gli uomini che hanno responsabilità politiche, sociali ed economiche sono invitati a meditare tutto questo: la proclamazione del nuovo dogma non è soltanto l’occasione di una festa grande e di una grande liturgia: è il richiamo in certo modo «violento» a voler provvedere – con l’urgenza ormai improrogabile che la cosa comporta – alla soluzione dei più improrogabili problemi dell’uomo: – il lavoro, il pane, la casa, la dignità e la libertà (n. XII).
2.2.6. Ripercussioni tecniche. Qui La Pira riprende il discorso accennato nelle ripercussioni fisiche e lo svolge con maggiore ampiezza e perspicacia. Il discorso riguarda il «“possesso” sempre più razionale, organizzato e profon131
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do, delle forze della terra e del cosmo ed una “ambientazione” sempre più elevata della vita dell’uomo» (n. XIII), oggi diremmo con parola corrente che egli affronta l’ecologia. Per La Pira il rapporto tra uomo e ambiente è molto stretto, ma in modo tale da considerare l’uomo come fine e l’ambiente come mezzo necessario: il cosmo intiero è unito all’uomo da un rapporto di mezzo a fine: la sovrabbondanza delle cose, la loro armonia, la loro potenza, la loro fecondità, hanno – in ultima analisi – un solo fine: giovare all’uomo affinché all’uomo riesca agevole – per così dire – il suo proporzionamento a Dio (n. XIII).
La Pira continua il discorso specificando il rapporto tra l’uomo e il cosmo, accomunati da identico destino trascendente, pur mantenendo il primato assiologico dell’uomo chiamato alla contemplazione della gloria trinitaria: Se il corpo umano è un tempio vivente di Dio, “l’ornamento” di esso – supposta la purificazione dalla colpa – ha un valore, è un valore: tutti gli strumenti più affinati della tecnica non sono ordinati [nella loro retta applicazione] che a questo: a rendere sempre più onore a questo misterioso microcosmo [leggere il De opificio hominis di Lattanzio] destinato ad accogliere in sé il mistero della Trinità per rispecchiarne in eterno – nella gloria della resurrezione – la luce e lo splendore. È questa la destinazione vera della tecnica e l’ultima legittimazione di essa [vedere Dessauer, Filosofia della tecnica, Morcelliana]: una anticipazione della trasformazione finale [“un aspetto intrinseco del Cristo totale e della lenta elaborazione misteriosa dei cieli nuovi e della nuova terra”]. Così P. Malavez citato da Thils, Théologie des réalités terrestres, I, p. 171 sgg.] (n. XIII).
2.2.7. Ripercussioni storiche. L’ultima e fondamentale «incidenza» della proclamazione del dogma dell’Assunta riguarda «l’attuale fase del “dramma storico” che viviamo», conosciuto mediante «una analisi profonda degli ele-
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menti strutturali e storici che [ne] costituiscono la tessitura essenziale». Ora questo dramma consiste nel «progressivo disancoraggio della metafisica, della fisica, dell’antropologia, della politica, della economia, da Cristo e dalla resurrezione di Cristo» dal tempo della riforma e del concilio di Trento fino ad oggi. Senza dividere manicheisticamente il mondo in due campi – cristianesimo da una parte e anticristianesimo dall’altra – La Pira non può esimersi dal prendere atto di un «drammatico “schieramento di urto” che spezza oggi nettamente in due la vita culturale, politica, sociale ed economica del mondo». Si tratta di «“un organico schieramento teologico” che contrappone alla Chiesa di Cristo […] una “chiesa” terrestre, strutturata, in certo senso, come la Chiesa ed avente […] una propria Weltanschauung» (n. XIV). Di fronte a questo schieramento sorge spontanea «la domanda veramente drammatica che tiene “sospesa” oggi la storia del mondo»: «Questa “chiesa terrestre” […] ha per sé prospettive finali di successo?» La risposta di La Pira è senz’altro negativa: egli condanna al fallimento finale questa antichiesa tanto agguerrita quanto malvagia. Infatti, in base alle parole di Gesù: «Io ho vinto il mondo» (Gv 16,33) e «Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa [la Chiesa fondata su Pietro]» (Mt 16,18), secondo la liturgia domenicana (Expansis in cruce manibus omnia ad te traxisti saecula) e secondo «una legge storica precisa, la cui applicazione – anche se distesa nel tempo – è perfettamente documentabile» l’esito della storia è segnato: «Con Lui la pace […], contro di Lui la rovina». «Ed allora?» – si chiede La Pira – nel senso di «che fare?» La risposta è profondamente cristiana: adottare non già i metodi bellici terrestri, ma quelli «“strani”, divini […] adoperati da Cristo stesso nel momento supremo della prova». Cioè: trasfigurazione per indicare la certezza dell’esito felice 133
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della crisi, deposizione della violenza («rimetti la spada nel fodero» Mt 26,52) e penetrazione nella gloria (Mt 26,53), rimando alla sua venuta con potenza e gloria (Mt 26,62). Similmente «nel quadro mondiale dell’attuale dramma storico» s’inserisce il nuovo dogma, «questo “sfarzo” – per così dire – di gloria, di potenza, di bellezza eterna». La Pira può concludere il paragrafo con una frase colma di speranza, pur nelle strettoie della crisi e della lotta: Anche se il cimento è forte non vi può essere paura né dubbiezza: dopo questa svolta storica, dopo le strettoie e le fatiche del cimento, si irradierà in misura più vasta, nel mondo intiero, la luce della resurrezione e della gloria: e sarà, stavolta, con la luce e la gloria di Gesù, anche la luce e la gloria di Maria: assumpta est Maria in coelum, gaudent Angeli collaudantes eam (n. XIV).
RILIEVI CONCLUSIVI Benché il saggio assunzionistico di La Pira non presenti una conclusione, forse perché in tutta la seconda parte si sono susseguite varie conseguenze o ripercussioni vitali del fatto dell’assunzione di Maria, non possiamo esimerci da alcuni rilievi finali. 1. La riflessione di La Pira sull’Assunta si staglia nella storia della mariologia come un unicum di grande levatura teologica, spirituale e politica. Mentre infatti è debitrice per le fonti e per la documentazione storica ai manualisti, come Roschini e Campana, ma anche agli studiosi del calibro di Jugie e di Filograssi, di Journet e di Thils, se ne distingue nell’impostazione più organica del ragionamento circa le basi dogmatiche del nuovo dogma. La concentrazione nella risurrezione di Cristo, che include l’assunzione della Madre e 134
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la risurrezione finale degli eletti per partecipare alla gloria del corpo risorto, assume accenti di convinzione e di organicità raramente riscontrabili altrove. Si sente comunque una vibrazione dell’anima e una convinzione adamantina che esula abitualmente dai dogmatici suoi contemporanei. Originale senza paragoni anche tutta la seconda parte, dove La Pira discorre delle ripercussioni dell’assunzione di Maria nella vita e nella cultura del popolo di Dio. Se per un certo verso potremmo allacciare il discorso di La Pira alla corrente antropologica preconciliare rappresentata da K. Rahner e soprattutto da L. Bouyer, in quanto è forte in lui la centralità dell’uomo microcosmo chiamato alla vita e visione della Trinità, dall’altro verso siamo costretti far risaltare nel nostro autore una più forte carica spirituale, sociale, storica e politica. 2. Nell’insieme il saggio assunzionistico lapiriano appare una luminosa testimonianza di fede e di teologia, di erudizione e di spiritualità, di esperienza gaudiosa del mistero [«questo dolce mistero e questa dolce realtà» (n. IV)] e di comunicazione irrefrenabile di esso per la rigenerazione del mondo in tutte le sue dimensioni. La Pira appare come l’uomo della paràdosis, che si curva a raccogliere i sublimi pensieri della tradizione cristiana, siano essi quelli della speculazione scolastica, innanzitutto di san Tommaso d’Aquino, ma poi anche di Scoto e di Bonaventura, oppure le intuizioni mistiche del card. de Bérulle e di san Luigi Maria di Montfort. Nello stesso tempo si aggiorna con opere recenti e di grande apertura, come La théologie des réalités terrestres di G. Thils, che eserciterà un sicuro influsso sul concilio vaticano II. 3. Quanto all’attenzione alle esigenze del mondo contemporaneo, analizzate nel testo e corredate di documen135
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tazione nelle note, La Pira non teme concorrenti. Qui il cristiano si disposa al politico, concretizzandosi in un tipo antropologico di alta valenza, cioè in uomo tutt’altro che dominato dall’egologia, ma aperto, sensibile, pronto all’azione concreta a favore degli altri, soprattutto dei miseri e dei bisognosi, capace di intraprendere iniziative precorritrici a favore della pace nel mondo52. Gli interventi sociali e internazionali di La Pira mostrano come egli abbia preso sul serio le ripercussioni del dogma dell’assunzione di Maria a favore dei corpi terreni sofferenti ma destinati alla gloria immortale. 4. Poiché tocca l’essenza del cristianesimo, cioè la sua proiezione escatologica, il discorso di La Pira rimane sempre valido, anzi di perenne attualità. Esso mostra chiaramente come il destino eterno dell’uomo e del cosmo non
52 Qui rimandiamo alla poderosa opera di CLODOVIS BOFF, Mariologia sociale. Il significato della Vergine per la società, Brescia 2007, dove si afferma che La Pira interpretò la profezia di Fatima «come l’inaugurazione di un’epoca storia di “pace fra le nazioni”. La guerra sarebbe stata proscritta come mezzo per risolvere i conflitti, privilegiando i mezzi della pace: il dialogo, la discussione, la negoziazione e la collaborazione» (p. 647): «La Pira non pensava solo al dialogo tra l’Occidente liberale e l’Oriente comunista, ma tra tutte le nazioni, includendo i tre popoli della famiglia di Abramo: i popoli cristiani, Israele e i popoli islamici» (p. 648). Riferendosi a Fatima, il sindaco di Firenze interpreta il Cuore immacolato di Maria come un simbolo «che rappresenta una critica di ogni machiavellismo che domina la scena politica» (p. 650). «Per La Pira, la “Russia” sarebbe caduta come Gerico: a forza di preghiera» (p. 684). Circa il significato sociale dell’Assunta secondo La Pira, cf. S. DE FIORES, «Il dogma dell’assunzione di Maria nella ricerca teologica contemporanea: dati acquisiti, problemi aperti», in E.M. TONIOLO (ed.), Il dogma dell’assunzione di Maria. Problemi attuali e tentativi di soluzione. Atti del XVII Simposio internazionale mariologico (Roma, 6-9 ottobre 2009), Roma 2010, 28-31.
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costituisce un alibi per sottrarsi agli impegni sociali, ma al contrario uno stimolo per un maggiore impegno a servizio degli altri nello spirito del vangelo. Tutt’altro che oppio dei popoli – secondo l’espressione di Marx da intendere in un contesto più vasto e meno unilaterale – il cristianesimo di La Pira conosce innumerevoli ripercussioni in campo economico, politico, sociale e spirituale. 5. Infine la figura di Maria non è vista da La Pira dall’ottica del privilegio, ma piuttosto della tipologia: Maria precede i cristiani anticipando in se stessa il loro stesso destino53. È la prima della turba magna ammessa alla risurrezione finale sulla scia del Cristo risorto. Il sindaco di Firenze si trova in sintonia con quanto dirà il concilio vaticano II,
53 La bibliografia sull’Assunta si è arricchita specialmente con la celebrazione del 50° della definizione dogmatica: AA.VV., «La Asunción de María. 50 años de la promulgación del dogma», in Ephemerides Mariologicae 50 (2000) 203-318; G. CALVO MORALEJO-S. CECCHIN (ed.), L’assunzione di Maria Madre di Dio. Significato storico-salvifico a 50 anni dalla definizione dogmatica, Atti del forum internazionale di mariologia, Roma, 30-31 ottobre 2000, Città del Vaticano 2001; J. OLSZEWSKI, «Quanto la verità può sovrastare le intenzioni. Ossia 50 anni di un dogma», in Miles Immaculatae 37 (2001) 34-89; R. CALÌ-C. CARVELLO-D. MARCUCCI (ed.), Maria Assunta segno di speranza per l’umanità in cammino. 50° anniversario della definizione dogmatica dell’Assunzione, Atti del 9° colloquio internazionale di mariologia, Caltanissetta 15-17 novembre 2000, 50° anniversario della definizione dogmatica dell’Assunzione, Roma 2007; S. DE FIORES, «Assunta», in Maria. Nuovissimo Dizionario, Bologna 2006, vol. 1, 71-99; F.J. PALAZZI VON BÜREN, La tierra en el cielo. Disertación sobre el dogma de la Asunción de la beata Virgen Maria según Karl Rahner, PUG, Roma 2004 (policopiata); S.M. PERRELLA, «L’Assunzione di Maria nella teologia post-conciliare. Contesto-fatto-“nexus mysteriorum”-significato», in ID., La Madre di Gesù nella coscienza ecclesiale contemporanea. Saggi di teologia, Città del Vaticano 2005, 297-406; E.M. TONIOLO (ed.), Il dogma dell’assunzione di Maria. Problemi attuali e tentativi di soluzione. Atti del XVII Simposio internazionale mariologico (Roma, 6-9 ottobre 2009), Roma 2010.
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da lui salutato con intima soddisfazione54, quando afferma che la Chiesa in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in un’immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere (SC 103).55
54
Cf. le parole di soddisfazione e di speranza di La Pira per Giovanni XXIII e il concilio vaticano II, in G. LA PIRA, «Un capitolo di teologia della storia: Fatima», discorso tenuto ad Assisi il 28 agosto 1963, in COMUNITÀ DI S. LEOLINO (ed.), Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, 178-202. 55 Similmente La Pira è sulla scia di questo altro bel testo del Concilio: «La madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10)» (LG 68).
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Giorgio La Pira: L’Assunzione di Maria e «Cronache Sociali» GIULIO CONTICELLI
MEDITAZIONE TEOLOGICA E RESPONSABILITÀ POLITICHE: «CRONACHE SOCIALI» Giorgio La Pira scrive il testo sull’Assunzione di Maria per essere pubblicato sul periodico «Cronache Sociali»1, nato dall’iniziativa di Giuseppe Dossetti con una lettera nel gennaio 1947 inviata ai membri dell’Associazione Civitas Humana, fondata il 3 settembre 1946 a Roma da Dossetti con Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati e con La Pira: erano tutti giovani membri dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946. L’Associazione favorì il dialogo tra questi docenti universitari che già durante la Seconda Guerra Mondiale avevano cominciato a riflettere sull’Italia, sulla sua crisi, e sulle loro responsabilità di laici cristiani. La rivista «Cronache Sociali» divenne quindi il naturale sbocco di quell’iniziativa associativa2 che veniva ad affiancare il loro impegno politico
1 Si veda lo studio analitico di P. POMBENI, Le “Cronache sociali” di Dossetti. Geografia di un movimento di opinione 1947/1951, Vallecchi, Firenze 1976 e anche P. POMBENI, Il gruppo dossettiano e la fondazione della democrazia italiana (1938-1948), Il Mulino, Bologna 1979. 2 Si veda A. MELLONI, La produzione di cultura politica come filo della ‘utopia’ di Giuseppe Dossetti, in ‘Cronache sociali’ 1947/1951 edizione anastatica e introduzione a cura di Alberto Melloni, Istituto per le scienze religiose, Bologna 2007, pp. XIII-XLIV.
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nel partito della Democrazia Cristiana, da loro rappresentato nell’Assemblea Costituente. La diffusione del periodico ebbe quali destinatari gli abbonati della rivista «Studium», organo del Movimento Laureati di Azione Cattolica, i Circoli da poco fondati delle ACLI, i Vescovi italiani, le Segreterie Provinciali della DC e anche il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ed aveva assunto come modello la rivista cattolica francese Esprit, che era strettamente collegata ad Emmanuel Mounier ed al suo pensiero personalista. Alla rivista si affiancò subito una collana di volumi con la titolazione “Edizioni Servire”, che pubblicò alcuni interventi sia di Giuseppe Dossetti, sia di Giorgio La Pira all’Assemblea Costituente, con i titoli rispettivamente: Chiesa e Stato democratico e Architettura di uno Stato democratico3, acquisendo quegl’importanti testi assembleari la compostezza di significative monografie. Il primo intervento di carattere ecclesiologico di Giorgio La Pira su «Cronache Sociali» apparve nel numero 10 del 1947 come commento alla Lettera Pastorale del Cardinale Emmanuel Suhard, di cui era stato ottenuto il diritto di esclusiva per la pubblicazione della traduzione in lingua italiana4.
3 Il testo di Giorgio La Pira, Architettura di uno Stato democratico, che include l’intervento dell’11 marzo 1947 nella seduta plenaria dell’Assemblea Costituente, è stato ripubblicato dalla Fondazione G. La Pira II ed., Firenze 1996, con Postfazione di G. Conticelli, È una costituzione umana. Politica e scienza in Giorgio La Pira Costituente, pp. 59-86. 4 Su questa vicenda e sul ruolo di Davide Maria Turoldo che aveva avuto il diritto alla traduzione del testo della Pastorale, che fu pubblicata con il titolo italiano Agonia della Chiesa? si veda A. MELLONI, La produzione di cultura politica come filo della ‘utopia’ di Giuseppe Dossetti, cit., p. XV, n. 24.
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L’intervento di La Pira è preceduto da una nota redazionale in cui si sottolinea la solo apparente lontananza dalla “cronaca della vita sociale” di queste note di Giorgio La Pira sulla Pastorale dell’Arcivescovo di Parigi per la Quaresima del 1947. La Pira sottolinea: la natura eccezionale di questo documento: esso, infatti, valica di gran lunga i confini usuali di una pastorale per assumere il carattere di una meditata analisi della crisi storica contemporanea: analisi orientatrice che è una specie di esame di coscienza con cui la Chiesa, prendendo consapevolezza delle proporzioni mondiali e delle caratteristiche fondamentali di questa crisi, fa il ‘punto’ intorno al problema dei suoi rapporti col mondo5.
Giorgio La Pira anticipa le problematiche che saranno poi una riflessione del Concilio Vaticano II nella “Gaudium et Spes” e sottolinea che il mondo ha una crisi che è di crescita, di “promozione” ad una maggiore età, caratterizzata da un processo rapidissimo di unificazione. Lo sfondo entro cui si deve guardare la Chiesa è quindi quello della «interdipendenza mondiale, dell’economia, della politica, della cultura e di ogni struttura civile»6. Giorgio La Pira compie quindi una prospettazione in positivo di quanto aveva drammaticamente insegnato la Seconda Guerra Mondiale, come se si dovesse cominciare a guardare con la visione di una pace mondiale, espressione di
5
G. LA PIRA, Perchè la pastorale, in «Cronache Sociali», a. I (1947), n. 10/47 (15/10/1947) pp. 1-3, p. 1. Su questo testo in rapporto al pensiero di La Pira si veda P.A. CARNEMOLLA, Due ecclesiologie a confronto. Giorgio La Pira e la pastorale del Card. E. Suhard, in Amicitiae Causa: scritti in onore del Vescovo Alfredo M. Garsia. A cura di Massimo Naro, San Cataldo (Caltanissetta), Centro studi sulla cooperazione “Arcangelo Cammarata”, 1999, pp. 327-355. 6 Ibidem, p. 1.
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quell’interdipendenza che il conflitto, nel sangue e nella morte, aveva già rivelato tra tutti i popoli e le nazioni. La causa di questa unificazione è identificata nella tecnica e questa unificazione “materiale”, come la qualifica Giorgio La Pira con una denominazione aristotelica, deve essere integrata da un principio “formale”, anch’esso inteso in senso aristotelico-tomista, per dare consistenza ad un’unità interna: «la “fisica” storica non può prescindere da una esigenza ‘metafisica’ di unificazione interiore»7. L’insegnamento di Aristotele, che La Pira aveva assimilato per i suoi studi romanistici, cogliendo la trama intellettuale del mondo greco nella scienza giuridica romana, era stato ravvivato in lui dal maestro Tommaso D’Aquino: vi è la creativa utilizzazione da parte di La Pira del pensiero aristotelico-tomista per una “realista comprensione” della società nel cuore del XX secolo8. La riflessione ecclesiologica di La Pira colloca la Chiesa come l’incarnazione costituzionale e storica del cristianesimo ed è il soggetto che può operare questa coesione spirituale,
7
Ibidem, p. 1. Si veda G. LA PIRA, Omaggio al maestro in V. POSSENTI, Giorgio La Pira e il pensiero di San Tommaso, a cura della Ponteficia Università S. Tommaso d’Aquino - Roma, Massimo, Milano 1983, pp. 118-145, che riporta la commemorazione tenuta il 10 aprile 1974 a Fossanova per il VII centenario della morte di Tommaso d’Aquino e già apparso in «La Badia» n. 4, 5 novembre 1980, pp. 12-36: «Ed infine i principi “logici” relativi alla costruzione scientifica (mediante definizioni, divisioni, dimostrazioni) della “meraviglia scientifica” – teologica e metafisica – del secolo XIII (la Summa) sono di S. Tommaso: Egli è stato, infatti – applicando il metodo scientifico di Aristotele –, il fondatore della scienza teologica. E questa fondazione – di valore universale – resta! È questo un grande fatto di civiltà analogo a quello che si verificò alla fine della repubblica – per via della applicazione del diritto dello stesso metodo aristotelico – per la fondazione della scientia juris: i giuristi romani di questo periodo ne sono, per sempre, i fondatori!” (ivi, pp. 142-143). 8
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dando “forma” ai grandi “processi materiali” che la tecnica ha ormai innescato. Giorgio La Pira sottolinea come la cultura cattolica francese negli anni di questo secondo dopoguerra, soprattutto con la rivista «Esprit», stia ricercando la comprensione di una presenza della Chiesa attuale e proporzionata ai mutamenti intervenuti, e come ciò sia possibile attraverso la via dei “principi”. Il commento di Giorgio La Pira alla Pastorale del Cardinale Suhard è la sua prima riflessione ecclesiologica sulla missione della Chiesa che completa le sue più antiche note sul diritto canonico pubblicate in Bollettino di «Studium»9. La riflessione sulla Chiesa nella Pastorale del cardinale francese è approfondita perché «la Chiesa è il corpo mistico di Cristo; e la sua finalità è la finalità medesima di Cristo», citando la riflessione teologica di Johann-Adam Moehler. La conclusione a cui Giorgio La Pira giunge è quella della natura “teandrica” della Chiesa, per cui essa è divina ed umana,
9
Si veda: G. LA PIRA, Finalità del diritto canonico e di ogni diritto, Bollettino di «Studium» n. 8, anno 1939 ora in G. CONTICELLI, Il contributo di Giorgio La Pira al primo decennio del Movimento Laureati (1932-1942), in FONDAZIONE LA PIRA, La Pira e gli anni di Principi, Cultura Nuova Editrice, pp. 121-177 (in particolare pp. 133-135). Questo testo è particolarmente significativo poiché è il testo in cui più chiaramente il giurista Giorgio La Pira coglie la finalità peculiare dell’ordinamento canonico. L’ordinamento della Chiesa come «società giuridicamente organizzata», ha un carattere di universalità e gerarchico, con una nota che sottolinea la «vera gerarchia: essa rispetta pur subordinandola ai gradi superiori e a quello supremo la interna autonomia dei gradi inferiori: ogni grado è un valore che ha una vita propria e una propria regolamentazione. Così la gerarchia non si contrappone all’universalità, anzi, la rende giuridicamente possibile perchè coordina attorno ad una suprema unità le parti di questo grande tutto che abbraccia l’intiero genere umano.» (ivi, p. 134). Con decise linee descrittive Giorgio La Pira anticipa la complessa elaborazione che sarà compiuta dal Concilio Vaticano II sulle Chiese locali, sulla collegialità episcopale e sulla teologia del popolo di Dio nella Lumen Gentium.
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è nell’eternità e nel tempo, è perfetta ed è in crescita, è indefettibile ma ha anche le sue crisi. Giorgio La Pira richiama qui la meditazione di Godefroid Kurth nel testo per lui molto significativo e sempre citato, L’Eglise aux tournants de l’histoire10: le lezioni di Anversa dello storico belga tenute nell’anno accademico 1897-98, erano state tradotte anche in italiano a Firenze due anni prima dalla Libreria Editrice Fiorentina, che aveva in Giorgio La Pira uno degli animatori del suo catalogo11. Occorre, per Giorgio La Pira, che la Chiesa venga incontro al mondo sulla base della teologia e della sua storia: la prima [la teologia] ci mostra che la Chiesa è teandrica, cioè divina ed umana insieme: ci mostra, cioè, che questo ‘incontro’ col mondo è essenziale al mondo ed è essenziale alla Chiesa. L’altra (la storia) ci mostra che la storia della Chiesa altro non è che la successione nel tempo e nello spazio di questi ‘incontri’’12
10 Il volume apparve in lingua italiana con il titolo La Chiesa nelle ore decisive della storia prefazione e traduzione (dal francese) di Ernesto Bianchi, Firenze 1945 (Tip. R. Noccioli). Il volume è stato recentemente ripubblicato nella lingua originale con il sottotitolo completo L’Eglise au tournants de l’histoire. De Jérusalem vers Jérusalem, con una postfazione di Patrick de Laubier, Editions Universitaires Fribourg Suisse, 1985, pp. 97104. Questa postfazione è di particolare interesse perché attualizza la problematica delle ore decisive nella storia della Chiesa in rapporto al pontificato di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, in certo modo seguendo l’esempio di quelle attualizzazioni che La Pira aveva già compiuto del testo di G. Kurth. Sulla rilevanza culturale di G. Kurth si veda ora, anche per le relazioni con la cultura cattolica italiana, A. SPICCIANI, Agli inizi della storiografia economica medioevistica in Italia: la corrispondenza di Giuseppe Toniolo con Victor Brants e Godefroid Kurth, presentazione di Cinzio Violante, Roma 1984. 11 Su questa casa editrice si veda il volume La Libreria Editrice Fiorentina: da oltre un secolo cenacolo di fede e di scienza in mezzo alla città, a cura di R. Maini, M. Zangheri, Firenze, Polistampa, 2004. 12 G. LA PIRA, Perchè la pastorale, in «Cronache Sociali», cit., p. 3.
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Nel successivo numero 11 del 31 ottobre 1947 di «Cronache Sociali», Giorgio La Pira pubblica la seconda parte del commento a questa Pastorale del Cardinale Emmanuel Suhard, sottolineando che l’incontro tra la Chiesa e il mondo deve in qualche modo essere una liberazione della Chiesa da due pesi che definisce «l’errore modernista e l’errore integralista»; infatti il modernismo è “pragmatismo” e l’integralismo invece è il disconoscimento del volto umano della Chiesa, come un’arteriosclerosi che impedisce alla Chiesa di rinnovarsi nel tempo13. L’attenzione di La Pira è quindi diretta al paradigma ecclesiologico della Patristica che era riuscita ad assimilare il pensiero dei greci e dei “grandi giuristi romani”, e alla elaborazione di Tommaso d’Aquino, il cui pensiero è valorizzato per le «intrinseche possibilità di sviluppi e di ammodernamenti…»14. La conclusione di La Pira è che una teologia cristocentrica conduce ad un giudizio di valore positivo sull’uomo e sulla civiltà umana richiamando espressamente l’opera di Henri-Marie de Lubac, Cattolicismo: gli aspetti sociali del dogma15. Per Giorgio La Pira questa teologia associata del corpo mistico richiede però che si faccia perno sul valore della persona, con la conclusione: «è questa la gerarchia dei valori che va introdotta nel sistema totale della vita contemporanea: le cose e la società per l’uomo, l’uomo per Iddio»16.
13 «Cronache Sociali», a. II (1947), n. 11/47 (31/10/1947), pp 1-2; la terza parte apparve nel n. 12 del 15 novembre 1947. 14 «Cronache Sociali», a. II (1947), n. 11/47 (31/10/1947), p. 1. 15 L’opera è citata nell’edizione francese del 1947 ed era stata poi nell’anno 1948, edita in traduzione italiana di Umberto Massi da «Studium», H. DE LUBAC, Cattolicismo: gli aspetti sociali del dogma, Roma 1948. 16 «Cronache sociali», a. II (1947), n. 11/47 (31/10/1947), p. 2.
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Nella presentazione editoriale in «Cronache Sociali» del testo di Giorgio La Pira si sottolineò come lo scritto di Suhard doveva essere considerato un significativo contributo del pensiero sociale cristiano, per cui Giorgio La Pira continuò la pubblicazione nel numero 12 della rivista anche con una terza parte di commento alla Lettera Pastorale del Cardinale Suhard17. Nel 1947 Giorgio La Pira continua la collaborazione con «Cronache Sociali» pubblicando sei articoli, mentre nel 1948 ne appare soltanto uno a sua firma18.
17
Il titolo originale della Lettera Pastorale era Essor ou décline de l’Eglise e creò notevoli problemi a livello europeo, di cui fu allora testimone Angelo Roncalli durante la sua nunziatura a Parigi. David Maria Turoldo richiama il testo di Suhard in collegamento con l’esperienza della Corsia dei Servi di Milano in D.M. TUROLDO, La mia vita per gli amici: vocazione e resistenza, a cura di Maria Nicolai Paynter; con saggi di M.N. Paynter e Marco Garzonio, Mondadori, Milano 2004, p. 64. E sulla vicenda complessiva milanese si veda D. SARESELLA, David M. Turoldo, Camillo de Piaz e la Corsia dei Servi di Milano (1943-1963), premessa di Michele Ranchetti, Morcelliana, Brescia 2008. 18 La Pira scrive due articoli su «Il Comunismo», la prima parte nel numero 4 del 15 luglio 1947 e la seconda parte nel numero 5/6 del 31 luglio 1947. L’articolo di La Pira è introdotto da una nota editoriale che offre il senso dell’analisi del comunismo compiuta dal giurista fiorentino “Il comunismo è diventato per molti uomini e specialmente per molti cristiani, una pietra di paragone. Vittime della paura e della pigrizia, pare ad alcuni che non ci sia altro da fare che opporsi disperatamente, in massa, in barricata; pare ad altri di doversi rassegnare alla vittoria di forze oscure, e che il meglio sia di rinunciare a capire; negli uni e negli altri c’è un atteggiamento drammatico che disturba la vita. Iniziamo con questo articolo il nostro esame: lo condurremo nei numeri successivi sugli aspetti più significativi, teorici e pratici, dell’esperienza comunista, e in particolare del comunismo italiano». La Pira aveva già trattato questo tema nelle sue lezioni al Laterano per l’ICAS e che verranno fuse nel volume Per una architettura cristiana dello stato, LEF, Firenze 1954. Su questo tema si veda G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Vol. I, Vallecchi, Firenze 1975, pp. 163-166.
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Sono questi i mesi anche di una tensione profonda tra i Comitati Civici di Gedda, allora Presidente degli Uomini di Azione Cattolica e il gruppo dossettiano, in particolare con Giuseppe Lazzati, dopo che era stato pubblicato l’articolo su «Azione cattolica e azione politica» nel numero di novembre del 1948 di «Cronache Sociali»19. Rispetto all’ipotesi di Gedda che l’Azione Cattolica dovesse fare politica, vi fu un incisivo intervento di Dossetti all’Università Cattolica sui laici e l’apostolato20. In questo intervento si compivano distinzioni dirette a dare spazio alla responsabilità in nome proprio dei laici cristiani in politica. Dell’ecclesiologia è compiuta un analisi critica da parte di Dossetti in quanto essa sia soltanto una “gerarcologia”, richiamando l’espressione del domenicano Yves Congar: «è stato possibile ad un teologo come Congar scrivere che la nostra ecclesiologia è
Nel 1948 appare il testo di La Pira, Il valore della Costituzione italiana nel numero 2 di «Cronache Sociali» del 31 gennaio 1948, pp. 1-3; seguiranno poi i testi oggetto dell’impegno politico-economico di Giorgio La Pira, Il governo delle cose possibili, in «Cronache Sociali», n. 3/1949, n. 21, pp. 1-2, L’attesa della povera gente, in «Cronache Sociali», n. 4/1950, n. 1, pp. 2-6 e La difesa della povera gente, in «Cronache Sociali», n. 5-6/1950, pp. 1-9. Questi testi sono stati oggetto di approfondita analisi da parte di Piero Roggi, I cattolici e la piena occupazione: l’attesa della povera gente di Giorgio La Pira, Giuffrè, Milano 1983, con successive riedizioni nel 1998 e nel 2004 ampliata. Si veda inoltre la raccolta di studi L’attesa della povera gente: Giorgio La Pira e la cultura economica anglosassone, a cura di Piero Roggi, introduzione di Giulio Conticelli, Giunti, Firenze 2005. 19 L’articolo è stato ripubblicato in G. LAZZATI, Azione cattolica e azione politica, La Locusta, Vicenza 1962. 20 G. DOSSETTI, I Laici e l’apostolato, in Scritti Politici 1943-1951, a cura di Giuseppe Trotta, presentazione Giovanni Bianchi; introduzione Mario Tronti, Marietti, Genova 1995, pp. 325-345. È il testo della relazione alla V settimana di spiritualità promossa dall’Università Cattolica e già edita in AA.VV., Apostolato e Vita interiore, Vita e pensiero, Milano 1950, pp. 153184.
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ancora prevalentemente una gerarcologia e assai insufficientemente anche una laicologia»21. La tensione con le prospettive partitiche di Gedda fa intravedere l’apertura teologica che Dossetti esprimeva, anche con la sua competenza di canonista, e che sarà sviluppata dalla riflessione lapiriana che, a partire dal tema mariologico dell’Assunzione di Maria, giungerà a conclusioni sulle responsabilità politiche e sociali conseguenti ad una meditazione di questa dottrina teologica. La vita della rivista ebbe una pausa tra l’autunno del ’49 sino all’aprile del ’50. La crisi editoriale era parallela alle vicende politiche che si determinarono con la crisi del V governo De Gasperi, con le dimissioni del 21 novembre 1949 di Amintore Fanfani dal Ministero del Lavoro e di Giorgio La Pira quale suo Sottosegretario. La crisi ministeriale scaturiva dal dissenso sulla linea economica del governo e furono anche mesi di gravi tensioni sociali in Italia, alle quali seguì il VI ministero di De Gasperi con il rifiuto di partecipazione del gruppo dei dossettiani22.
1950: UN ANNO “FIORENTINO” DI «CRONACHE SOCIALI» La ripresa della rivista nell’anno 1950 si aprì con l’articolo di Giorgio La Pira su l’Attesa della povera gente, che appare nel primo numero datato 15 aprile 1950. La Pira era intervenuto con l’articolo Il governo delle cose possibili nell’anno precedente durante la grave crisi ministeriale di De Gasperi. L’interconnessione tra le problematiche economiche e 21
G. DOSSETTI, I Laici e l’apostolato, cit. ivi, p. 327. Su queste vicende si veda G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Vol. I, cit., pp. 312 e ss. e P. CRAVERI, De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2006, p. 423 e ss. 22
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quelle della partecipazione politica al governo De Gasperi di Giorgio La Pira sono esplicitamente sottolineate dalla rivista in una cronaca politica in questo stesso primo numero23, in cui si riferisce come Alcide De Gasperi avesse offerto a Giorgio La Pira, riponendo in lui piena fiducia, la titolarità del Ministero del Lavoro, precedentemente guidato da Amintore Fanfani. Giorgio La Pira aveva rifiutato l’offerta ministeriale per solidarietà con la linea politico-economica di Amintore Fanfani e Giuseppe Dossetti, che dissentivano riguardo alle ipotesi economiche deflazionistiche del programma governativo, e rinnovavano l’esigenza di un espansione dell’occupazione, in un’Italia che viveva tutti i drammi post-bellici della povertà. Ne conseguì nel maggio 1950 l’assunzione da parte di Giuseppe Dossetti invece della Vice Segreteria della Democrazia Cristiana24. L’intervento di Giorgio La Pira con l’Attesa della povera gente ebbe ampio eco e risonanza, e lo stesso Luigi Einaudi scrisse una lettera personale a Giorgio La Pira, dopo che già nell’anno precedente gli aveva inviato due lettere in data 25 marzo 1949 e 24 settembre 194925. I testi così detti “economici” di Giorgio La Pira sono ricchi di riferimenti biblici come è stato approfondito da Carlo
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«Cronache sociali», a. V (1950), n. 1 del 15/04/1950, pp. 17-18. Su queste vicende in modo analitico si veda A. MELLONI, «Cronache sociali», La produzione di cultura politica, cit., pp. XXXVI-XXXVII e pp. XXXIX-XL. 25 Si veda P. POMBENI, «Le Cronache sociali», cit., p. 227 e G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 19451954, cit., p. 310, ora anche L. PAGLIAI, Per il bene comune: poteri pubblici ed economia nel pensiero di Giorgio La Pira, Polistampa, Firenze 2009, pp. 37-40. Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi intervenne con una lettera a La Pira di attenzione e di apprezzamento ma anche di dissenso. Per la notizia di questa lettera si veda G. BAGET BOZZO, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Vol. I, cit., p. 310. 24
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Nardi nel suo studio per il Centenario lapiriano, riguardo alle fonti biblico-patristiche sia dell’Attesa, sia della Difesa della povera gente con la centralità dell’immagine del giudizio finale26. Non vi è soluzione di continuità tra il testo teologico dell’Assunzione di Maria e questi testi economici nei quali Giorgio La Pira aveva già tracciato una teologia biblica: … la teologia biblica di La Pira, in situazione, non è solo interpretazione. È anche finalizzata ad una trasformazione: è teologia della prassi, prassi politica ed economica. È custodia e sviluppo di una parola, quella biblica, specialmente evangelica, semplicemente da fare, da porre in essere nei rapporti economici, sociali, perché, in parole povere, i quattrini siano per le cose, le cose per il lavoro, il lavoro per l’uomo, l’uomo per Dio, e lo siano in Cristo presente nei tanti ‘poveri cristi’27
Si coglie in questo senso il collegamento del testo sull’Assunzione di Maria, con il percorso di riflessione che nei mesi precedenti era stato compiuto sui problemi della crisi economica e del lavoro ed insieme con le linee sulle responsabilità politiche dei laici che Dossetti aveva dettato all’Università Cattolica. Dossetti infatti aveva sottolineato due note specifiche dell’apostolato laico, la prima è quella del senso del realismo per cui si impone di riconoscere nelle situazioni sociali come «la situazione materiale, l’ambiente familiare o professionale, i grandi moti di opinione, le istituzioni giuridiche e politiche» condizionino la vita morale degli uomini e delle loro comunità. Ne consegue che il laico cristiano deve agire nell’ambiente e nelle istituzioni efficacemente per-
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C. NARDI, L’attesa della povera gente, in L’attesa della povera gente: Giorgio La Pira e la cultura anglosassone, a cura di Piero Roggi, introduzione di Giulio Conticelli, Firenze, Giunti 2005, pp. 138-168. 27 C. NARDI, L’attesa della povera gente, cit., p. 160.
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chè sia restituita una piena libertà interiore alla persona per permettere ad essa di «incontrarsi con Dio e aderire generosamente a lui»28. La seconda nota dell’apostolato laico è che il realismo deve essere accompagnato da «il senso acuto della trascendenza del cristianesimo e della sproporzione di ogni mezzo temporale (tecnico, sociale, politico) rispetto all’essenza del fine sovrannaturale, la vita divina nelle anime»29. L’articolo sull’Assunzione di Maria apparirà nell’ottobre 1950 quando l’amministrazione ed anche la tipografia di «Cronache Sociali» divengono fiorentine: infatti l’editore privilegiato da La Pira, la Libreria Editrice Fiorentina (LEF), curerà in quest’ultima fase la rivista e qui vi è certamente la presenza della mediazione di Giorgio La Pira, che aveva ampi collegamenti con la proprietà della LEF dei fratelli Zani30. Giorgio La Pira aveva scritto già per «Città di vita» un articolo dedicato all’Assunzione di Maria, ma il testo per «Cronache Sociali» ha una sua autonomia e ricchezza di temi che sono valorizzati nel testo manoscritto, nelle correzioni che questo testo ci offre, e anche nella comprensione unitaria che dalla riflessione della dottrina scaturiscono per le ripercussioni antropologiche. A queste si uniscono le ripercussioni politiche, sociali ed economiche e le ripercussioni tecniche. Indubbiamente in questi capitoli XII e XIII si proiettano le condivise riflessioni che Giuseppe Dossetti aveva fatto in ordine all’apostolato dei laici cristiani: sono capitoli
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G. DOSSETTI, Il laico e l’apostolato, cit., p. 344. Ibidem, p. 344. 30 Gli abbonamenti assommavano, al momento del passaggio della rivista alla LEF, a 1.796, cfr. P. POMBENI, Le cronache sociali, cit., p. 46, e come ha annotato Paolo Pombeni la Provincia di Firenze, con quella di Perugia, era uno dei poli in cui la rivista era più diffusa per abbonamenti, indubbiamente per la presenza e l’attività di Giorgio La Pira, ibidem, p. 167. 29
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nei quali la teologia si rende prospettiva per la responsabilità attiva del cristiano. Il sentimento del dramma storico, del tempo presente, entro cui viene compiuta «questa proclamazione accelerata del dogma dell’Assunzione» è la consapevolezza delle responsabilità che si pongono alla Chiesa ed in modo particolare al laico impegnato in politica. In certo modo Giorgio La Pira con il suo testo mette in opera le linee direttrici che Dossetti aveva tracciato sull’apostolato dei laici, richiamando le note di realismo e di trascendenza del cristianesimo. Se Giuseppe Dossetti aveva dettato un metodo, Giorgio La Pira lo attua sviluppando il contenuto della dottrina dell’Assunzione di Maria, qui nel testo della rivista e poi nella prassi del suo impegno politico nella città di Firenze31.
L’ASSUNZIONE DI MARIA E FIRENZE In occasione del centenario mariano il 7 ottobre 1954 il Sindaco Giorgio La Pira accolse il Cardinale Elia Dalla Costa, Arcivescovo di Firenze, ricordando come nel Salone dei Cinquecento fosse stata proclamata Maria Regina di Firenze, nelle adunanze del Consiglio del 9 febbraio 1528 e del 26 giugno 152932. Questo legame con la città si è dipanato nell’azione di La Pira in una pluralità di direzioni, implicite nella sua riflessione sull’Assunzione di Maria.
31 Su questo tema si veda G. LA PIRA, Giorgio La Pira sindaco: Scritti, discorsi e lettere, a cura di U. De Siervo, G. Giovannoni e G. Giovannoni, Cultura Nuova, Firenze 1988, n. 3 Volumi, nei quali più volte risuona il tema mariano. 32 G. LA PIRA, Giorgio La Pira sindaco: Scritti, discorsi e lettere, I Vol., cit., pp. 457-462.
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In primo luogo il dialogo tra ebrei e cristiani che andò a consolidarsi, dopo il dramma della Shoah, a Firenze con la fondazione dell’Amicizia Ebraico Cristiana, la prima in Italia: vi era un riferimento ricorrente nel discorso lapiriano sull’appartenenza di Maria al popolo ebraico, che sarà sviluppato poi dopo il Concilio Vaticano II con un’ampia riflessione33. In secondo luogo il tema dell’unità della Chiesa di Oriente e di Occidente, con la memoria del Concilio di Firenze, ebbe per La Pira una radice significativa nella condivisa teologia mariana, come fu testimoniato nel viaggio in Russia del 1959 da Giorgio La Pira34. Anche dinanzi al Supremo Soviet dell’URSS La Pira richiamò al Cremlino la dottrina dell’Assunzione di Maria35. In terzo luogo l’impegno indefesso di Giorgio La Pira per la pace dinanzi al rischio della guerra nucleare, che iniziò
33 Su questo, per tutti, si veda F. ROSSI DE GASPERIS, Maria di Nazaret: icona di Israele e della Chiesa, Qiqajon, Magnano 1997. 34 Su questo tema si veda G. CONTICELLI, San Sergio, La Russia e l’Europa nella riflessione di Giorgio La Pira, in San Sergio e il suo tempo. Atti del I Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa. Bose, 15-18 settembre 1993, a cura di N. Kauchtschischwili e A. Mainardi monaco di Bose, Ed. QIQAJON Comunità di Bose, Magnano 1996, pp. 251-274 e G. CONTICELLI, Divo Barsotti, Giorgio La Pira e la Russia, postfazione in Lode alla Vergine. Inno Acathistos alla divina madre, introduzione e commento di Divo Barsotti, Polistampa, Firenze 2003, pp. 85-104. Sul rapporto tra Maria e l’ortodossia si veda LUIS GLINKA, Marie dans l’Orthodoxie, in Marie, l’église et la théologie, dir. B. de Boissieu, P. Bordeyne et S. Maggiani, Desclée, Paris 2007, pp. 261-290 e per le fonti si veda La tradition greque de la Dormition et de l’Assomption de Marie, Textes introduits et annotés par Simon C. Mimouni et Sever J. Voicu, Paris 2003. 35 Si veda Giorgio La Pira e la Russia, a cura di M. Garzaniti, L. Tonini, introduzione di G. Conticelli, Giunti Firenze 2005, in particolare P.D. GIOVANNONI, Russia Sovietica e “santa Russia”. La nascita del progetto del primo viaggio di Giorgio La Pira in URSS (1951-1959), pp. 80-139 e V. CITTERICH, Un santo al Cremlino: Giorgio La Pira, Ed. Paoline, Milano 1986.
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con i Convegni per la Pace e la Civiltà Cristiana a Firenze dal 1952, portarono la sua attenzione anche verso l’Islam, per cui furono invitati a Palazzo Vecchio i rappresentanti di Paesi con prevalente popolazione islamica.36 L’incontro con l’Islam, di cui fu protagonista Giorgio La Pira, ininterrottamente sino alla sua morte, era segnato dalla nota mariana: «la dolce e pura Vergine Maria – tanto amata da noi cristiani e da voi figli del Profeta – Le dia la grazia Maestà, di essere l’artefice di questa realtà nuova destinata a fare spuntare sul mondo intiero l’arcobaleno celeste della pace con Dio e della pace con le nazioni», come scriveva a Re Hussein di
36 Dopo l’elezione a Sindaco, Giorgio La Pira inizia l’esperienza dei “Convegni per la Pace e la Civiltà Cristiana” e nel Secondo Convegno dedicato a “Preghiera e poesia”, è invitato il poeta e Ministro dell’Istruzione, l’egiziano Taha Hussein (cfr. S. TAHA HUSSEIN, Avec Toi. De la France à l’Egypte: “un extraordinaire amour” Suzanne et Taha Hussein (1915-1973), Parigi 2011). Anche nel Quarto Convegno del 1955 dedicato a “Speranza teologale e speranze umane”, dove sono rappresentati un maggior numero di paesi di tradizione islamica, Taha Hussein interviene, alla presenza di Jean Daniélou, sottolineando l’esigenze di giustizia che devono coinvolgere l’Europa verso i paesi musulmani (cfr. Speranza teologale e speranze umane. Atti del Quarto Convegno internazionale per la Pace e la Civiltà Cristiana. Firenze 19-25 Giugno 1955, pp. 230-236). Il suo intervento è immediatamente sottolineato da La Pira, il quale dice: «quest’anno il nostro convegno ha visto, oltre la partecipazione dell’Egitto, quella della Giordania, del Libano, della Siria, dell’Iraq, dell’Iran, dell’Indonesia, del Ceylon. Speriamo che il prossimo anno si aggiungono il Pakistan e lo Yemen, così che tutta l’Arabia possa essere presente, se Dio lo vorrà, al V Convegno» (Speranza teologale e speranze umane, cit., p. 236). Questo dialogo proseguirà con i Colloqui del Mediterraneo nei quali si incontreranno le personalità più significative del dialogo cristiano-islamico: Louis Massignon e Jean-Mohammed Abd-el-Jail. La Pira aveva già scritto nel 1957 a Massignon, anche sul tema della Badalya e il 16 aprile 1958 risponde sul problema della sua partecipazione all’invito al “Colloquio del Mediterraneo”, dove sarà presente. È in quest’incontro che avverrà il contatto con il futuro re del Marocco Hassan II allora principe ereditario.
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Giordania il 7 ottobre 195737. La meditazione mariana di Giorgio La Pira è richiamata anche in rapporto alle apparizioni di Fatima, per cui sottolineava come Maria sia apparsa a Fatima, che è anche il nome della figlia di Maometto: «la figura femminile più marcata del Corano»38. In quarto luogo il tema di Maria e della sua Assunzione è legato allo sviluppo di una teologia e spiritualità della donna nella Chiesa, quale emerge sia nella relazione di amicizia con Paola Ramusani, testimoniata da una ricca corrispondenza spirituale39, sia nella relazione di amicizia e collaborazione per decenni con Fioretta Mazzei40. Anche questa è una delle prospettive teologiche che a partire dall’Assunzione di Maria sembrano ritrovare una conferma nella valorizzazione oggi del ruolo ecclesiale e civile e della sensibilità femminili nell’esperienza di Giorgio La Pira41. In quinto luogo la riflessione sull’Assunzione di Maria di Giorgio La Pira offre elementi specifici per l’attenzione alla dimensione del “corpo” della persona umana: è un signifi-
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Il grande lago di Tiberiade. Lettere di Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo (1954-1977), a cura di M.P. Giovannoni, Polistampa, Firenze 2006, p. 106. 38 Su questo si veda l’approfondimento di P.L. CELATA, Il dialogo cristiano-islamico oggi: il messaggio di Giorgio La Pira, in Popoli, nazioni, città d’Europa. Giorgio La Pira e il futuro europeo, prefazione di Hans- Gert Pottering, a cura di Giulio Conticelli, Polistampa, Firenze 2008, pp. 195-213, in particolare p. 202 e ss. 39 Si veda D.M. PANCALDO, Preghiera e vita: la direzione spirituale come relazione di amicizia nel carteggio La Pira-Ramusani, Polistampa, Firenze 2011, per es. pp. 253, 266 (nota 510), 267, 503. 40 Si veda F. MAZZEI, La mia storia sacra: dai diari spirituali, prefazione del Card. Georges M. Cottier O.P., Libreria Editrice Vaticana, città del Vaticano 2004, passim e F. MAZZEI, Giorgio La Pira: cose viste e ascoltate, LEF, Firenze 1980, passim. 41 Su questa problematica si veda M. PERRONI, Marie dans la théologie féministe, in Marie, l’église et la théologie, cit., pp. 291-318.
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cativo orizzonte per affrontare oggi i nuovi problemi che la bioetica pone alla coscienza cristiana in ordine alla “identità della persona” e del suo “corpo”, dal concepimento alla sua morte. Queste problematiche bioetiche, che non potevano ancora essere presenti alla consapevolezza di Giorgio La Pira, si presentano oggi come un tema di riflessione investito dalla sua interpretazione ed approfondimento sul “corpo” nella dottrina dell’Assunzione di Maria. Le responsabilità attuali per i chiarimenti etici e le responsabilità giuridiche che gravano sul laico cristiano impegnato politicamente, potranno essere precisate anche, proseguendo la meditazione lapiriana, alla luce della dottrina dell’Assunzione di Maria. Vi sono ancora tappe da percorrere nello sviluppo della dottrina mariologica42, di cui l’Assunzione di Maria costituisce una fonte significativa anche per il futuro e Giorgio La Pira può essere una guida.
L’ASSUNZIONE
DI
MARIA:
UN TESTO DI
GIORGIO LA PIRA
CON
UNA LUNGA STORIA EDITORIALE
Il testo dell’Assunzione di Maria è stato ripubblicato una prima volta a cura di Lorenzo Cavini, allora Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze ed edito dallo stesso Istituto Bancario per il Natale 1977, poche settimane dopo la scomparsa di Giorgio La Pira. Lorenzo Cavini era stato collaboratore di Giorgio La Pira sia nella redazione di «Principi» tra il 1939 e il 1940, nei
42 Si veda S. DE FIORES, Une Histoire de la mariologie, in Marie, l’église et la théologie, cit., pp. 67-117.
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cui fascicoli apparvero due suoi interventi43, sia nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze, dove aveva partecipato all’attività didattica presso la Cattedra di Istituzione di Diritto Romano tenuta da La Pira. Lorenzo Cavini stese un introduzione per l’edizione del 1977, offrendo alcune precisazioni cronologiche e alcune notazioni storiche riguardo al testo manoscritto. È infatti sottolineato che il testo dell’Assunzione di Maria fu completato da La Pira per la festa della Regalità di Cristo del 1950 e quindi in una data ravvicinata all’evento della solenne proclamazione dogmatica da parte di Pio XII. Cavini prosegue richiamando il titolo del suo possesso del manoscritto: «dell’autografo il Prof. La Pira, me ne fece dono per me preziosissimo anche per la sua testimonianza della nostra antica amicizia, fattasi fraterna comunione di anime»44. Il fascicolo, che riproduceva anche il manoscritto,
43 Nei primi due numeri di «Principi» sono apparsi due interventi: L. CAVINI, Abele, in «Principi», n. 1, gennaio 1939, pp. 21-24; ID., Giovanni Battista, in «Principi», n. 2, febbraio 1939. Su «Principi» vedi FONDAZIONE GIORGIO LA PIRA, La Pira e gli anni di Principi: la riflessione su Tommaso D’Aquino e la lotta alla dittatura, Firenze, Cultura Nuova, 1993. Si ricorda altresì L. CAVINI, Commemorazione del Prof. La Pira, in «Domenicani della Provincia di S. Marco e Sardegna 1978», n. 1. 44 L. CAVINI, Premessa, in Natale 1977, Cassa di Risparmio di Firenze, Firenze 1977 in retro di copertina. Il testo integrale della premessa di Lorenzo Cavini è il seguente: «In Firenze, nella festa della Regalità di Cristo del 1950 Giorgio La Pira concludeva il suo scritto sull’Assunzione di Maria, pubblicato nell’ottobre dello stesso anno su Cronache Sociali. Dell’autografo il Professor La Pira me ne fece dono, per me preziosissimo anche per la sua testimonianza della nostra antica amicizia, fattasi fraterna comunione di anime. In questo tempo, che è stato per Giorgio La Pira inizio della vera vita, alla quale ha inteso ogni sua umana possibilità e capacità, spendendosi con il generoso e costante eroico dono di sé per tutti i fratelli di ogni paese ed estrazione, ho ritenuto che il dono, da me ricevuto, potesse moltiplicarsi e diffondersi in suo nome. Al dono si accompagna l’augurio che lo scritto di Giorgio La Pira ottenga per tutti il
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ebbe una circolazione limitata date le particolari caratteristiche editoriali legate all’Istituto Bancario e all’ambito ristretto del suo pubblico. Nel 1986 il solo testo a stampa fu pubblicato, da parte della Fondazione Giorgio La Pira, nel numero 9 de «La Badia»45, edito in occasione della visita pastorale a Firenze di Giovanni Paolo II. Furono raccolti in questo numero intitolato La Chiesa nella storia, alcuni scritti editi ed inediti di Giorgio La Pira, rispondendo all’invito che il Cardinale Silvano Piovanelli, Arcivescovo di Firenze, aveva formulato in preparazione della visita del Pontefice46. Dopo la costituzione della Fondazione quale Ente Morale con personalità giuridica, nel 1996 fu iniziata una nuova collana “Quaderni della Fondazione La Pira – La Badia” con il sottotitolo “nuova edizione per l’annunzio cristiano al III millennio”, durante la Presidenza di Fioretta Mazzei. Il numero 2 della Collana, in occasione del VII centenario della dedicazione a Maria della Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze l’8 settembre 1996, ripresentava il testo di La Pira sull’Assunzione di Maria, a cura di Fioretta Mazzei, Antinesca Tilli, Giulio Conticelli e Oliviero Olivieri. Fioretta Mazzei stese una significativa introduzione nella quale richiamava la «grande miracolosa liberazione del 1989 (con il crollo dei muri e un largo respiro di riapertura religiosa per i popoli dell’Est)». Il testo di Fioretta Mazzei sottolineava come il III millennio, sulla base dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, dovesse orientarsi verso: «l’universalità del nostro ormai piccolo pianeta fatto di persone umane e per le
bene che può impetrarci Maria Assunta in Cielo. Natale 1977. Lorenzo Cavini, Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze». 45 FONDAZIONE GIORGIO LA PIRA, La Chiesa nella storia, in «La Badia», n. 9, pp. 93-110. 46 Ibidem, p. 5.
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persone umane con il loro pieno diritto alla vita e alla pace, alla casa, al lavoro, alla elevazione culturale, artistica e alle più alte vette spirituali e religiose e ad una politica che si prefigga queste finalità»47. Con la pubblicazione della raccolta di studi “Giorgio La Pira le radici iberiche della teologia della storia” a cura della Comunità di San Leolino, in occasione del centenario della nascita di Giorgio La Pira, il testo dell’Assunzione di Maria è stato inserito nella raccolta di studi dedicati alla mariologia nel pensiero e nell’azione di Giorgio La Pira48. Nell’anno 2007 il testo di La Pira è apparso nell’edizione anastatica integrale di «Cronache Sociali»49 a cura di Alberto Melloni che ha ricostruito nella sua introduzione50 il dibattito intellettuale e politico che è ruotato intorno a «Cronache Sociali». La pubblicazione di un testo che presenta al lettore il manoscritto autografo di Giorgio La Pira a fronte della trascrizione, offre la possibilità di cogliere insieme la elaborazione complessiva della stesura di questa riflessione che si presenta continua e distesa nelle giornate di lavoro, quasi fosse un affresco che è leggibile insieme con la sua sinopia. Il manoscritto riprodotto, già in possesso di Lorenzo Ca-
47 GIORGIO LA PIRA, L’Assunzione di Maria, Fondazione La Pira, Quaderno n. 2 La Badia, La Spezia 1996, p. 5. 48 Giorgio La Pira: le radici iberiche della teologia della storia, a cura della Comunità di San Leolino, introduzione di Giulio Conticelli (L. Artusi, A. Comastri, G. Conticelli, M. Maragno, C. Mezzasalma, E.M. Vannoni), Giunti, Firenze-Milano 2005, pp. 137-156. 49 «Cronache Sociali», 1947-1951, edizione anastatica integrale e introduzione a cura di Alberto Melloni, Bologna, Istituto per le scienze religiose 2007. 50 A. MELLONI, «Cronache Sociali». La produzione di cultura politica come filo della ‘utopia’ di Giuseppe Dossetti, in «Cronache Sociali», 1947-1951, edizione anastatica, cit., pp. XIII-XLIII.
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vini ed ora dei suoi familiari, che ne hanno concesso la riproduzione, è quello che ebbe in mano l’editore di «Cronache Sociali», in considerazione delle note apposte per l’impianto tipografico51. Questa edizione con il testo a fronte del manoscritto, è particolarmente collegata alla memoria di Claudio Leonardi, grande amico della Fondazione Giorgio La Pira e custode del legame tra Giorgio La Pira ed Ezio Franceschini, nella Fondazione a quest’ultimo intitolata a Firenze e per tanti anni guidata dalla mano saggia dello storico del Medioevo Latino. Claudio Leonardi52 ha più volte sottolineato l’importanza che la dottrina dell’Assunzione ha avuto nel pensiero cristiano del secolo XX, quasi un prius rispetto alla stessa elaborazione dottrinale del Concilio Vaticano II, ed ha accolto la richiesta di preparare una nota, condividendo il progetto di pubblicare l’Assunzione di Maria di Giorgio La Pira, con il testo autografo a fronte. Claudio Leonardi fece pervenire questa riflessione nel novembre 2008 intitolata La Vergine Assunta e il secolo XX: La proclamazione da parte di Pio XII, nel 1950, del dogma di Maria Assunta con il corpo in cielo costituisce non solo un grande merito di Pio XII ma è il maggiore evento cristiano di tutto il secolo
51 Al foglio primo è indicata la nota tipografica «Elzeviro c. 10/10 corsivo», e all’inizio delle note «corpo 6». 52 Su C. Leonardi si veda Il senso del medioevo: in memoria di Claudio Leonardi. Giornata di studi promossa dall’Accademia Roveretana degli Agiati in collaborazione con il Dipartimento di Studi letterari, linguistici e filologici dell’Università di Trento, con la Fondazione Ezio Franceschini e con la Società Internazionale per lo studio del Medioevo latino, Rovereto, 14 maggio 2011, a cura di Antonella Degl’Innocenti … [et al.], Firenze 2012 e, recentemente, Agiografie Medievali / Claudio Leonardi, a cura di Antonella Degl’Innocenti e Francesco Santi, Firenze 2011.
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XX e forse anche di più secoli. Questo era il pensiero comune a me e a Gianni Baget Bozzo, che riteneva inoltre di poter collegare quest’evento alla ricomparsa nella Chiesa del problema ebraico, nel senso del ritorno di Israele nella Chiesa come previsto da san Paolo. La grandezza dell’evento sta nel fatto che la natura umana, significata dal corpo, è nella gloria dei cieli, nella gloria di Dio. Questo è un segno del Padre, più che del Verbo e dello Spirito. Infatti se l’uomo è corpo anima e spirito, evidentemente il corpo ha riferimento al Padre, come l’anima al Verbo e lo spirito allo Spirito. Non è un caso che sia decaduta l’influenza monastica che anche su influenza platonica considerava il corpo come elemento di disturbo dell’anima e cercava nella penitenza e nel sacrificio corporeo la condizione della perfezione. Dio, come Egli stesso afferma, non chiede sacrifici né olocausti; chiede molto di più, cioè la morte a se stessi, la morte della propria anima per accogliere in sé lo Spirito divino. Questa operazione rende la natura alla sua originaria purezza. Come è di Maria. E questo preconizza una rivalutazione dell’Antico Testamento nel suo significato di natura più che grazia. Per questo credo che Gianni Baget Bozzo pensava a un preludio di un ritorno di Israele nella casa di Cristo.
Alla memoria di Claudio Leonardi, scomparso il 21 maggio 2010, ideale collaboratore, questa edizione dell’Assunzione di Maria di Giorgio La Pira è dedicata, con profonda gratitudine per quanto ha operato per la cultura a livello internazionale dalla “sua” Certosa fiorentina.
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Fig. 1 - Papa Giovanni VII, Grotte Vaticane, Città del Vaticano.
Sulla più antica immagine mariana nella diocesi di Firenze: Maria Regina nella basilica di San Marco (VIII sec.) MARIA LIDOVA
Nella basilica di San Marco a Firenze, nella quarta cappella della navata destra, si trova una maestosa immagine della Vergine (Tav. 1). Maria è rappresentata stante su un piedistallo con le mani alzate in alto in un gesto di preghiera. Porta un abito imperiale e una corona d’oro, elementi tradizionali dell’iconografia di Maria Regina. Ai lati della Madonna stanno San Domenico e San Raimondo, nella parte superiore vi sono i cherubini che portano il cartello con l’iscrizione Mater Misericordia. Pochissimi visitatori della chiesa fiorentina si rendono conto che la pittura seicentesca della tavola d’altare della cappella Ricci è una sorta di collage dentro il quale è nascosta la più antica immagine della Vergine ora a Firenze. La monumentale figura di Maria, eseguita a mosaico, è alta m 2,70 circa. Per molti secoli è stata il fulcro della decorazione musiva dell’oratorio di papa Giovanni VII (Fig. 1) all’interno della vecchia Basilica di San Pietro1. La prove-
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Sull’oratorio e la sua decorazione vedi: P.J. NORDHAGEN, The Mosaics of John VII (705-707 A.D.), «Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia, Institutum Romanum Norvegiae», 2, 1965, pp. 121-166 (rist.: Studies in Byzantine and Early Medieval Painting, London 1990, pp. 58130); A. VAN DIJK, The Oratory of Pope John VII (705-707) in Old St. Peter’s, Phil. diss. John Hopkins Univesity, Baltimore-Maryland 1995; M. ANDALORO, I mosaici dell’oratorio di Giovanni VII, in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici del Medioevo romano, Roma 1995, pp. 169-177; A. BALLARDINI, Un
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MARIA LIDOVA
nienza certa dell’immagine insieme alle notizie tratte dal Liber Pontificalis2 autorizzano una datazione precisa: l’immagine risale agli anni del pontificato di Giovanni VII che nonostante la sua brevità (il pontificato durò solo due anni e sette mesi, dal primo marzo del 705 al diciotto ottobre 707) segnò un periodo importantissimo per la storia della Roma altomedievale, caratterizzato fra l’altro dalla fioritura dell’arte monumentale e dal complesso rapporto politico-culturale con Bisanzio3. Durante il suo breve pontificato Giovanni VII riuscì a realizzare due grandi cicli pittorici: la vasta decorazione della chiesa di Santa Maria Antiqua e la costruzione dell’oratorio all’interno della Basilica Vaticana, dove progettava di farsi seppellire. La storia fiorentina dell’immagine di San Marco cominciò quattrocento anni fa quando il mosaico fu trasferito da Roma a Firenze. Le circostanze del trasferimento dell’icona in Toscana furono strettamente legate a eventi dell’inizio del Seicento e alla decisione di papa Paolo V (1605-1621) di demolire la parte orientale della Basilica Vaticana, sostituendo successivamente la facciata principale dell’edificio oratorio per la Theotokos: Giovanni VII (705-707) committente a San Pietro, in Medioevo: I committenti, XIII Convegno internazionale di studi (Parma, 2126 settembre 2010), Milano 2011, pp. 94-116. Vorrei ringraziare Antonella Ballardini per avermi dato la possibilità di leggere il suo saggio quando era ancora in corso di stampa. 2 Le liber pontificalis, texte, introduction et commentaire par l’abbé L. Duchesne, 3 voll., Paris 1955-1957, I, pp. 385-387. 3 Su Giovanni VII vedi: P.A. RUM, Papa Giovanni VII (705-707): “Servus Sanctae Mariae”, in De Cultu Mariano Saeculis VI-XI, Acta Congressus mariologici-mariani internationalis in Croatia, 3 voll., Roma 1972, III, pp. 249-263; J.-M. SANSTERRE, Jean VII (705-707): idéologie pontificale et réalisme politique, in Rayonnement Grec. Hommages à Charles Delvoye, Bruxelles 1982, pp. 377-388; P.J. NORDHAGEN, Giovanni VII, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, Roma 1995, pp. 687-695; L.A. BERTO, Giovanni VII, in Enciclopedia dei Papi, ed. by M. Bray, Roma 2000, I, pp. 638-640.
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SULLA PIÙ ANTICA IMMAGINE MARIANA DELLA DIOCESI DI FIRENZE
del quarto secolo costruito da Costantino, con quella nuova su progetto di Carlo Maderno4. Tali rifacimenti richiedevano la distruzione del vecchio muro insieme con moltissime cappelle, altari e tombe costruiti in questa parte della basilica lungo il corso dei secoli. Tra di essi c’era l’oratorio di Giovanni VII collocato nella navata laterale destra. Un enorme frammento con l’immagine della Vergine proveniente da questo oratorio fu donato dal cardinale Evangelista Pallotta al vescovo di Arezzo Antonio Ricci, esponente di una nobile famiglia fiorentina5. Il dono, molto verosimilmente, aveva un carattere più personale che ufficiale, ipotesi giustificata dal fatto che il destinatario fece collocare l’immagine nella cappella della propria famiglia all’interno della chiesa di San Marco. Con grande probabilità la decisione di regalare l’enorme frammento con l’effigie di Maria al vescovo aretino era stata presa ancora prima del distacco dal muro della Basilica Vaticana. La destinazione di quest’opera e la sua nuova funzione di pala d’altare avrebbero potuto influenzare il modo in cui venne svolto il complicatissimo lavoro di distacco, trasporto e montaggio del frammento musivo nell’edicola soprastante l’altare della cappella Ricci. Grazie all’ultimo restauro sappiamo adesso con certezza che per realizzare questo progetto il pannello con la raffigurazione originale di Maria, alto più di 3 metri, fu diviso in due parti: il busto e la parte inferiore che successiva-
4 G. ROCCHI, La fabbrica di S. Pietro da Niccolò V a Urbano VIII, in San Pietro. Arte e Storia nella Basilica Vaticana, Bergamo 1996, pp. 134-143; L. RICE, La coesistenza delle due Basiliche, in L’Architettura della Basilica di San Pietro. Storia e costruzione, Roma 1997, pp. 255-260; P. SPAGNESI, Carlo Maderno in S. Pietro: Note sul prolungamento della Basilica Vaticana, in Ibid., pp. 261-268. 5 G. GRIMALDI, Descrizione della Basilica Antica di S. Pietro in Vaticano: codice Barberini latino 2733, a cura di R. Niggl, Città del Vaticano 1972, p. 257.
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MARIA LIDOVA
mente furono portate da Roma in due casse separate6. Questa divisione della figura si spiegava con ragioni tecniche: non era possibile staccare un’immagine a mosaico di simili dimensioni dal muro della basilica senza correre il rischio di rovinarla. Secondo Per Jonas Nordhagen, non si può tuttavia escludere il carattere intenzionale dello spezzamento del mosaico in due: dalla lettera di Antonio Ricci alla quale fa riferimento Garrucci nella sua Storia dell’arte cristiana nei primi otto secoli della chiesa7 sappiamo che si voleva esporre sull’altare della chiesa di San Marco solo la metà superiore dell’immagine,8 ossia per questa rappresentazione si preferiva inizialmente un formato con un’inquadratura più idonea ad una icona. Per fortuna, questo progetto, ammesso che sia mai esistito, non fu realizzato e l’icona giunse a Firenze relativamente integra nelle sue due parti che si dovevano riunire nella preesistente edicola d’altare, sulla parete destra della chiesa di San Marco. Le misure del vano dell’edicola erano maggiori rispetto al formato del mosaico romano perciò fu creata una cornice dipinta ad affresco e quadrettata a imitazione di tessere musive. 6
A. GIUSTI – G. RADDI DELLE RUOTE, Da Roma a Firenze: Vicende e restauro di un mosaico altomedievale, in «OPD Restauro. Rivista dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze», 1996, 8, pp. 185-190. Lo stesso testo con piccole modifiche si trova in : IDEM, La Madonna Regina dall’antica Basilica di San Pietro: uno stacco romano e un restauro fiorentino, in Atti dell’VIII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, a cura di F. Guidobaldi e A. Paribeni, Ravenna 2001, pp. 1-10. Vedi anche: P. POGLIANI, I mosaici dell’oratorio di Giovanni VII dall’antica Basilica di San Pietro. Indagini sullo stacco e sulle modalità tecnico-esecutive. Tesi di laurea. Università degli Studi della Tuscia, Viterbo 1996-1997. Vorrei ringraziare Paola Pogliani per avermi dato la possibilità di consultare la sua tesi. 7 P.R. GARRUCCI, Storia dell’arte cristiana nei primi otto secoli della chiesa, 6 voll., Prato 1877, IV, p. 98. 8 P.J. NORDHAGEN, The Mosaics of John VII, in Studies.., London 1990, pp. 58-130, in part. p. 65.
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SULLA PIÙ ANTICA IMMAGINE MARIANA DELLA DIOCESI DI FIRENZE
Fig. 2 - Decorazione dell’oratorio di Giovanni VII, disegno (Giacomo Grimaldi, Descrizione della basilica antica di San Pietro in Vaticano. Codice Barberini latino 2733).
La collocazione originaria del frammento fiorentino del mosaico di Maria Regina a Roma era completamente diversa. L’oratorio di Giovanni VII era decorato con un vasto ciclo in mosaico, un esempio di eccezionale valore artistico ispirato alla pittura bizantina. La decorazione si estendeva sopra l’altare e occupava l’intera parete, alta m 6 e larga m 9 (Fig. 2). L’iconografia poneva al centro la figura di Maria vicino alla quale stava Giovanni VII, di dimensioni più piccole, con un’edicola nelle mani velate e con il capo distinto dal nimbo quadrato perché fondatore vivente dell’oratorio9. 9 Per la ricostruzione della posizione originaria del mosaico fioretino dentro la decorazione musiva dell’oratorio, vedi: M. ANDALORO, La pittura Medievale a Roma 312-1431: atlante, percorsi visivi, 3 voll., Milano 2006, I, p. 41.
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I sette pannelli circostanti avevano soggetti cristologici e rappresentavano tredici scene dell’Infanzia, dei Miracoli e della Passione di Cristo10. Sono sopravvissuti diversi frammenti di questa decorazioni oggi sparsi in varie chiese e musei del mondo, tra cui la composizione più completa a Santa Maria in Cosmedin a Roma (Tav. 2) e figura di Giuseppe al Museo Puškin a Mosca11 (Tav. 3). L’immagine portata a Firenze rappresenta Maria stante su un podio con le mani alzate nell’atteggiamento di orante, un’iconografia tradizionale della Vergine molto diffusa nel mondo orientale (Tav. 4). Questo tipo di rappresentazione riflette il ruolo della Madre di Dio nell’intercessione per gli uomini davanti al Cristo. Nel nostro caso, invece, si sottolinea un altro aspetto, quello della regalità di Maria: la Vergine indossa un indumento tradizionalmente usato dall’imperatrice bizantina, la tunica e la dalmatica color porpora con un pesante maniakion, ornato con pietre preziose, che le copre le spalle e le pantofole rosse. Ha in capo una corona del tipo stephanos portata d’abitudine dall’imperatrice; dalla base della corona, ai due lati del volto, scendono tre file di perle, le cataseistae 10
La descrizione dell’aspetto orginario dell’oratorio di Giovanni VII nella Basilica di San Pietro ci è pervenuta grazie a disegni, acquerelli e ad una serie dei manoscritti vergati su ordine di Paolo V dal sacristano della Basilica Vaticana Giacomo Grimaldi alla vigilia della distruzione della vecchia facciata: G. GRIMALDI, Instrumenta autentica translationum sanctorum corporum et sacrarum reliquiarum e veteri in novam principis apostolorum basilicam (Vatican, B.A.V. Barb. lat. 2732, del 1612; Vatican, B.A.V. Archivio di S. Pietro. G.13 del 1619; Vatican, B.A.V. Barb. lat. 2733 del 1619-1620, etc.). Inoltre, alla Biblioteca Vaticana si è conservato un album con disegni a lapis: Album (Vatican. B.A.V. Archivio di S. Pietro A64 ter). Alcuni disegni e acquerelli sono stati pubblicati in: S.WAETZOLDT, Die Kopien des 17. Jahrhunderts nach Mosaiken und Wandmalereien in Rom, WienMünchen 1964, pp. 69-71. 11 O. ETINHOF, I mosaici di Roma nella raccolta P. Sevastjanov, «Bollettino d’Arte», 66, 1991, pp. 29-38.
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o prependoulia. Le affinità con i ritratti ufficiali degli imperatori bizantini sono piuttosto evidenti se confrontiamo quest’immagine mariana con gli avori di Ariadne del VI secolo (Tav. 5), uno dei quali è conservato al Museo del Bargello, oppure coi i pannelli imperiali di San Vitale di Ravenna (Tav. 6). La storiografia definisce la rappresentazione della Vergine con la corona e con gli abiti imperiali come Maria Regina grazie all’iscrizione che accompagna la rappresentazione di Maria Incoronata nella chiesa di Santa Maria Antiqua datata alla fine dell’ottavo secolo12. Questo tipo iconografico e la sua provenienza sono tuttora oggetto di discussione da parte degli studiosi che esprimono pareri diversi. L’iconografia di Maria Regina era molto diffusa a Roma nel periodo preiconoclastico e, dopo una pausa, fu ripresa nel XII secolo per far parte delle composizioni monumentali che decoravano le parti absidali delle basiliche romane nelle scene dell’Incoronazione della Vergine. Invece nel mondo orientale fino al XII-XIII secolo non vi furono monumenti con la rappresentazione della Vergine vestita da Regina. È noto, però, che tutto il retaggio dell’Alto Medioevo bizantino andò quasi completamente perduto a causa delle lotte iconoclaste e dei
12 Sull’iconografia di Maria Regina, vedi: N.P. KONDAKOV, Ikonografia Bogomateri (L’iconografia della Vergine), 2 voll., San Pietroburgo 1914, (rist. 1998), I, pp. 267-319; M. LAWRENCE, Maria Regina, «Art Bulletin», 7, 1925, pp. 150-161; C. BERTELLI, La Madonna di S. Maria in Trastevere. Storia, iconografia, stile di un dipinto romano dell’VIII secolo, Roma 1961, pp. 45-63; G. STEIGERWALD, Das Königtum Mariens in Literatur und Kunst der ersten sechs Jahrhunderte, Diss. Phil., Freiburg 1965; J. OSBORNE, Early medieval painting in S. Clemente, Rome: the Madonna and Child in the Niche, «Gesta», 20, 1981, pp. 299-310; U. NILGEN, Maria Regina – Ein politischer Kultbildtypus?, «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 19, 1981, pp. 3-33; EADEM, Eine neu aufgefundene Maria Regina in Santa Susanna, Rom. Ein römisches Thema mit Variationen?, in Bedeutung in den Bildern. Festschrift für Jörg Traeger, Regensburg 2002, pp. 231-246.
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moltissimi saccheggi di Costantinopoli nelle epoche successive. L’assenza di questa rappresentazione nell’arte bizantina permette a molti studiosi di considerare Maria Regina come un’iconografia esclusivamente occidentale e, visto che la maggior parte delle prime immagini di Maria Regina si conservano a Roma, l’opinione comune è quindi che la suddetta iconografia fosse nata proprio lì. Tuttavia si può accettare questa ipotesi solo se si vuole dividere nettamente i tipi iconografici dei VI-VIII secoli in quelli propri dell’arte bizantina e in quelli tipici dell’arte romana. La prima raffigurazione di Maria Regina a Roma si trova in Santa Maria Antiqua e risale alla prima metà del VI secolo (Fig. 3). Questo affresco rappresenta la Vergine seduta sul trono col Bambino Gesù sulle ginocchia. Ai lati inizialmente erano raffigurati due angeli (se n’è conservato soltanto uno) che s’inchinavano verso le figure centrali allungando le mani in cui tenevano corone. È difficile che Giovanni VII nel suo programma potesse imitare o comunque prendere in considerazione quest’ultima immagine perché non era visibile a causa dello strato pittorico con la scena dell’Annunciazione databile alla seconda metà del sesto secolo e eseguito successivamente sulla stessa parete al di sopra dell’affresco di Maria in trono. Esiste, però, un’altra immagine importante, che potrebbe essere considerata come prototipo diretto per la rappresentazione di Maria Regina nell’oratorio vaticano: l’icona Madonna della Clemenza nella chiesa di Santa Maria in Trastevere (Tav. 7). Questa venerata tavola, visibile oggi sopra l’altare della cappella Altemps nella chiesa trasteverina, è una delle più antiche immagini mariane a Roma. Maria Regina è seduta sul trono col Bambino Gesù sulle ginocchia, nella mano destra la Vergine regge un’enorme croce gemmata ed è accompagnata dalla guardia celeste di due angeli. Nella parte inferiore si trova il ritratto del committente inginocchiato 170
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Fig. 3 - Maria Regina, Santa Maria Antiqua, Roma.
davanti alla Madonna, di difficile interpretazione. Per molti secoli questa icona era venerata come acheropita ovvero come immagine non creata da mano umana ma grazie all’intercessione divina. Secondo le fonti altomedievali, il carattere taumaturgico dell’immagine era noto dal VII secolo. La somiglianza di questa rappresentazione con quella di Giovanni VII è veramente impressionante. Lo stesso tipo 171
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dell’abito e della corona, l’identica monumentalità e l’austerità dell’immagine, il modo di rendere il volume del volto testimoniano a favore di uno stretto rapporto tra le due icone. Carlo Bertelli sosteneva che la Madonna della Clemenza non fosse altro che una derivazione della monumentale immagine musiva. Lo studioso datava l’icona di Santa Maria in Trastevere al periodo di Giovanni VII e identificava con il pontefice il personaggio raffigurato nella parte inferiore basandosi sulle notizie del Liber Pontificalis (che fa accenno alle icone commissionate da questo pontefice e portanti il suo ritratto) e sulla somiglianza tipologica delle due rappresentazioni13. L’opinione di Bertelli è stata contestata all’inizio degli anni ’70 da Maria Andaloro, che ha ridatato la venerata icona al VI secolo e ha avanzato un’ipotesi secondo la quale la rappresentazione musiva dell’oratorio riproduceva l’iconografia dell’antica immagine miracolosa14. Condividendo quest’ultima ipotesi, a questo punto dobbiamo tornare al mosaico fiorentino e cercare di capire come si può spiegare una citazione del genere all’interno del programma decorativo dell’oratorio. Il riquadro centrale del vasto campo decorato sopra l’altare dedicato alla Vergine e la tomba di Giovanni VII rappresentava il papa davanti alla Regina Celeste. Normalmente l’interpretazione di questa scena dipendeva dalla situazione politica: si prendevano in considerazione diversi elementi tra cui l’iconografia della Vergine che copiava le rappresentazioni imperiali contemporanee, la sua particolare diffusione a Roma e la sua assenza a Bisanzio, così come l’iscrizione che correva a destra di Maria e
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C. BERTELLI, La Madonna di S. Maria in Trastevere…, Roma 1961. M. ANDALORO, La datazione della tavola di S. Maria in Trastevere, «Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», n.s., 19-20, (1972-1973), Roma 1975, pp. 139-215. 14
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che caratterizzava Giovanni VII come “Beatae Dei Genetricis Servus”. Non è sorprendente che sulla base di tutti questi elementi e del contesto storico gli studiosi abbiano interpretato questa scena come una proclamazione politica da parte di Giovanni VII, come affermazione della sua indipendenza dalla corte bizantina e la sua sottomissione diretta alla Maria Regina. Ci sembra, invece, che un’interpretazione del genere contraddica la mentalità del fare artistico dell’Alto Medioevo (e invece assomiglia tanto all’abitudine contemporanea di esprimere le proprie preferenze politiche attraverso un manifesto o un messaggio pubblicitario). Inoltre appiattisce radicalmente il significato simbolico di una rappresentazione religiosa come la Madonna Orante di Firenze. Un’altra obiezione è legata alla figura stessa di papa Giovanni VII. Il fondatore dell’oratorio vaticano era di nazionalità greca. Per la prima volta la sede papale era occupata dal figlio di un funzionario della corte bizantina: suo padre, Platone, era curatore dei palazzi imperiali del Palatino, la residenza principale dei reggenti bizantini. Non vi era niente di strano, quindi, che proprio lì, ai piedi del Palatino, Giovanni VII facesse costruire il nuovo palazzo papale. Purtroppo si hanno pochissime informazioni su quella residenza e sulle ragioni della sua costruzione, ma si sa, comunque, che il palazzo si trovava nella stretta vicinanza del quartiere greco: probabilmente Giovanni VII desiderava stabilire un legame più profondo con la popolazione greca di Roma. Inoltre, non si può escludere la partecipazione di maestri greci alla creazione del mosaico dell’oratorio. Questa ipotesi è confermata, in particolare, dalla tecnica dell’esecuzione del mosaico: i frammenti musivi rimasti dopo la demolizione dell’oratorio sono stati analizzati dallo studioso norvegese Per Jonas Nordhagen il quale ha dimostrato che l’uso raffinato delle tessere di marmo di piccole dimensioni per i volti e le mani rappresenta una chiara indicazione all’ambito bi173
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zantino15. Attraverso il confronto con i monumenti conservati nei territori greci e a Istanbul, Nordhagen è giunto alla conclusione che i maestri incaricati da Giovanni VII di realizzare il programma musivo alla basilica vaticana venivano da Bisanzio. Visto il legame stretto di questo papa con l’ambiente greco, è comprensibile che il pontefice volesse chiamare maestri bizantini. Infine, si può dimostrare che l’iconografia di Maria Regina non era completamente sconosciuta nel mondo bizantino. Lo testimonia un’effigie scoperta a Durazzo, in Albania, sulla via Egnatia che nell’antichità collegava Roma e Costantinopoli. Si tratta di una chiesetta ritrovata negli anni ’60 del Novecento, costruita dentro un anfiteatro romano e decorata coi mosaici16. Sulla parete meridionale è rappresentata una figura femminile con insegne regali fiancheggiata da due angeli e da due piccole figure reclinate (Tav. 8). In alto a sinistra, sopra il nimbo dell’angelo, si trova la scritta in greco: “Kirie, aiuta il tuo servo Alessandro”. Si può notare una somiglianza abbastanza stringente tra quest’immagine e l’effigie della Mater Misericordia di Firenze: tutte e due sono rari esempi di rappresentazione di Maria Regina
15 P.J. NORDHAGEN, The Mosaics of John VII (705-707 A.D.), in Studies…, London 1990, pp. 58-130, in part. pp. 83-104. 16 M. ANDALORO, I mosaici parietali di Durazzo e dell’origine costantinopolitana del tema iconografico di Maria Regina, in Studien zur spätantiken und byzantinischen Kunst: Friedrich Wilhelm Deichmann gewidmet, 3 voll., Bonn 1986, III, pp. 103-112; H. und H. BUSCHHAUSEN, Durazzo und die Anfänge des Christentums in Albanien, «Zeitschrift der österreichischen Gesellschaft für Denkmal - und Ortsbildpelege», 120 (Jg.XL/1), Wien 2001; L. MIRAJ, The Chapel in the Amphitheater of Dyrrachium and its Mosaics, in Progetto Durrës. L’indagine sui Beni Culturali albanesi dell’antichità e del Medioevo: tradizioni di studio a confronto. Atti del primo incontro scientifico (Parma-Udine 2002), a cura di M. Buora e S. Santoro, Trieste 2003, pp. 245-290.
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stante, senza il Bambino Gesù. Il mosaico albanese è l’unico esempio di Maria Regina del periodo alto bizantino fuori dai confini di Roma, perciò la scoperta di questo monumento ha costretto gli studiosi a rivalutare il problema dell’origine dell’iconografia in questione17. Studiando le immagini di Maria Regina bisogna tener conto del fatto che il concetto della sovranità della Vergine nasce molto presto, nei primi secoli della chiesa cristiana. Lo status regale di Maria è giustificato già dal fatto che Lei è la Madre del Re dei cieli18 e appartiene alla tribù di David. Inoltre, nelle opere dei Padri della Chiesa l’idea della regalità di Maria si sviluppa in stretto rapporto con il tema della verginità: nei programmi monumentali nell’Alto Medioevo le sante vergini sono spesso rappresentate con gli abiti di principesse per dimostrare il fatto che per il loro comportamento casto sulla terra hanno ottenuto una corona celeste (Tav. 9). Vanno anche ricordate le rare rappresentazioni dell’Ecclesia, quando essa è raffigurata come una giovane che indossa un abito regale e in capo ha una corona. L’immagine musiva di San Marco, all’interno della basilica domenicana, e la sua ricca iconografia potevano essere ammirate da Giorgio La Pira e apprezzati non solo per l’espressione artistica, di grandissimo valore, ma anche per il contenuto. Infatti gli importanti significati teologici manifesti nel manufatto sembrano essere in sintonia con i pensieri e i te-
17 L’ipotesi dell’origine orientale dell’iconografia di Maria Regina è stata avanzata nei seguenti studi: M. ANDALORO, I mosaici parietali di Durazzo…, Bonn 1986, III, pp. 103-112; J. OSBORNE, The Cult of Maria Regina in early medieval Rome, in Mater Christi, ed. by S. Sande, L. Honde, Roma 2009, pp. 95106; M. LIDOVA, The Earliest Images of Maria Regina in Rome and the Byzantine Imperial Iconography, in Niš and Byzantium VIII, Niš 2010, pp. 231-243. 18 Su regalità di Cristo: P. BESCOW, Rex gloriae. The Kingship of Christ in the Early Church, Upsala, 1962.
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sti editi da La Pira su Maria19. Mentre la raffigurazione della Vergine, con le mani alzate verso l’alto, fu ampiamente utilizzata dall’arte occidentale nel rappresentare il tema dell’Assunzione della Madonna al cielo, è proprio lo splendore regale che irradia dall’immagine musiva marciana che ne indica la presenza, in gloria, davanti al Re, e risulta, usando le parole di La Pira, la massima “esaltazione celeste del corpo di Maria”. L’analisi dell’immagine fiorentina potrebbe essere ulteriormente approfondita, per il momento ci sembra importante sottolineare che dietro l’immagine di Maria Regina, creata nel periodo preiconoclastico, sta una vasta tradizione teologica non limitata ad una concreta area geografica o periodo cronologico ma caratteristica di tutto il mondo cristiano. Un’immagine del genere provocava le stesse associazioni sia nello spettatore occidentale che in quello orientale. In conclusione di questo breve contributo dedicato alla più antica immagine mariana nella diocesi di Firenze, oggi nella chiesa di San Marco, ci piacerebbe sottolineare l’importanza del monumento analizzato, considerato sia come icona, sia come frammento, sia come mosaico. Questa immagine può raccontare allo spettatore contemporaneo la storia della chiesa degli ultimi dodici secoli, lo sviluppo del culto mariano, può inoltre descrivere il breve e allo stesso tempo spettacolare periodo del pontificato del papa greco. Infine la Vergine regina oggi a Firenze è una preziosa testimonianza dell’epoca nella quale il mondo cristiano era ancora unito, non diviso in due come avvenne successivamente anche per lo stesso mosaico. In quell’epoca ogni icona portava un messaggio chiaro a tutti i cristiani. 19
Su Giorgio La Pira e le icone mariane di Firenze vedi: G. CONTICEL-
LI, La Pira e San Marco: un ponte verso l’Oriente cristiano, in Oriente e Occidente
a San Marco da Cosimo il Vecchio a Giorgio La Pira. Alla riscoperta della collezione di icone russe dei Lorena, Firenze 2004, pp. 15-29, in part. pp. 23-29.
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Tav. 1 - Maria Regina, San Marco, Firenze.
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Tav. 2 - Adorazione dei Magi, Santa Maria in Cosmedin, Roma.
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Tav. 3 - Giuseppe, Museo Statale delle Belle Arti A.S. Puškin, Mosca.
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Tav. 4 - Maria Regina, San Marco, Firenze (frammento).
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Tav. 5 - Ariadne, Museo Nazionale del Bargello, Firenze.
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Tav. 6 - Imperatrice Teodora, San Vitale, Ravenna.
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Tav. 7 - Madonna della Clemenza, Santa Maria in Trastevere, Roma.
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Tav. 8 - Maria Regina, cappella dell’anfiteatro, Durazzo.
Tav. 9 - La schiera di sante, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.
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Indice
Presentazione CARD. GIUSEPPE BETORI GIORGIO LA PIRA, L’Assunzione di Maria
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Testi critici L’Assunzione di Maria secondo La Pira: contesto, struttura, contenuti STEFANO DE FIORES
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Giorgio La Pira: L’Assunzione di Maria e «Cronache Sociali» » 139 GIULIO CONTICELLI Sulla più antica immagine mariana nella diocesi di Firenze: Maria Regina nella basilica di San Marco MARIA LIDOVA
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Finito di stampare in Firenze presso la tipografia editrice Polistampa Gennaio 2013