La religione entro i limiti della semplice ragione 8845291103, 9788845291104

Quattro saggi a comporre un'opera fondamentale unitaria sul tema della religione. Motivo conduttore è il tema della

194 54 19MB

Italian Pages 476 [477] Year 2001

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

La religione entro i limiti della semplice ragione
 8845291103, 9788845291104

  • Commentary
  • Versione migliorata
  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Te s t ot e d e s c oaf r o nt e

Ac u r ad i Vi n c e n z oCi c e r o eMa s s i moRo nc o r o ni

Ka n t

Lar e l i g i o n e e n t r oi l i mi t i d e l l as e mp l i c e r a g i o ne

Tmmanuel Kant

La religione entro i lillliti della semplice rag1one •

Introduzione e apparati di

Massimo Roncoroni Traduzione e note di

Vincenzo Cicero

Jrltl �

BOMPTANT TESTI A FRONTE

ISBN 88-452-9110-3 2001 R.C.S. Libri S.p.A., Milano l edizione Bompiani Testi a fronte maggio 200 l

©

INTRODUZIONE La religione entro i limiti della semplice ragione:

Riflessioni per una critica e un'esegesi storico-filosofica dell'opera kantz'ana

l. Premessa: Kant, uomo della ragione pura e semplice «Pensare da sé, ricercare da sé, stare in piedi da soli» (Selbst sono le mas­ sime che ben disegnano i tratti fondamentali dì Kant come uo­ mo e come pensatore, un filosofo che pare così intellettualmen­ te rigoroso e moralmente coerente da potersi ben dire di lui che non sia facile sapere se pensi più la sua vita o viva più il suo pensiero. La ricerca continua delle condizioni di possibilità e dei limiti del «sapere», del «fare», del «sen ti re» e dello «spera­ re» umani da parte della ragione, quale radice di tutta la libertà che, originariamente, costituisce il soggetto umano, è infatti l'o­ rizzonte primo e ultimo, la cifra ermeneutica per leggere e capi­ re l'avventura storica e filosofica del filosofo di Konigsberg. Nella dottrina del metodo, svolta nella dialettica trascenden­ tale, nella sezione seconda, avente per soggetto I:ideale del Som­

denken, selbst /orschen, au/ eigenen Fusse stehen)1

mo Bene come fondamento determinante del fine ultimo della ra­ gion pura, parlando sì della ragione in generale, ma anche della

sua ricerca su di essa, Kant dichiara: «ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si con­ centra nelle tre domande seguenti: l. Che cosa posso sapere? 2. Che cosa devo fare? 3. Che cosa mi è lecito sperare?». Domanda teoretica la prima sul (>, intesa come stabile essenza, determinabile per via razionale, al di là delle sue molteplici e diverse, dunque ancora una volta storiche, versioni; la «necessità», intesa come

lO

INTRODUZIONE

incontrovertibile significato, riconosciuto, una volta ancora, dalla ragione ragionante. La ragione sola o che è lo stesso, la pura e semplice ragione è, infatti, l'unico strumento di indagine sull'incondizionato in possesso dell'uomo, l'unico capace di dirgli che cosa egli debba o non debba fare e questo è ciò che Kant ritiene la parte essen­ ziale, il cuore e il centro di ogni fede storica, in quanto raziona­ le, e di ogni religione storica, in quanto ideale. Ne viene che l'essenza del Cristianesimo non è tanto la rive­ lazione divina (rectius, l'autorivelazione divina) per opera del­ l'originaria iniziativa di Dio di venire, in Cristo, incontro all'uo­ mo nel tempo e nello spazio, quanto ciò che in tutto questo la ragione riconosce come essenziale, al di là della narrazione bi­ blica e dell'annuncio evangelico; ossia, ciò che è capace di im­ porsi alla ragione in modo universale e necessario: la forma e il contenuto dell'esperienza e della conoscenza morale. Alla rivelazione divina, osserva Kant, possiamo credere in forza di meri argomenti storici, come tali «particolari>>, «molte­ plici», «possibili» e «contingenti», cioè in base all'assicurazione, atto di pura fede, che un documento storico, quale la Bibbia, dà di se medesima d'esser ispirata da Dio. Ma, proprio perché la Bibbia è un documento storico con le caratteristiche finit� sopra indicate, gli argomenti che sostengono quell'assenso raz fonale e ragionevole che è la fede storica, la fede ecclesiale, sono privi di assclutezza, e la rivelazione cui tale fede affida la propria «fidu­ ciale disperazione» è, come di recente ha osservato Emanuele Severino, «un contenuto in sé contingente ed extraessenziale della fede cristiana; certo non inutile né superfluo, ma che non può esser posto sul piano della parte essenziale della religione. Esso c'è ma potrebbe non esserci, ossia è contingente»ll. Kant, dunque, alla fine, anche nei confronti della religione in generale e di quella ebraico-cristiana in particolare, si arrocca nella s icurezza, presunta incontrovertibile, della ragione, che misura fede e religione senza essere né poter essere , a sua volta, da queste misurata, e lo stesso Cristianesimo vale, ai suoi occhi, in quanto vi scorge la tendenza a sollevare, al livello del conte­ nuto essenziale della religione, gli aspetti extraessenziali e con­ tingenti della Bibbia, esattamente ciò che il Cristianesimo con­ sidera rivelazione divina. Per l'illuminis ta Kant, diversamente che per Agostino e Tommaso, ma in fondo anche per il greco Platone del Pedone, l'uomo, fattosi adulto per la ragione, in caso di conflitto tra questa e la fede, deve sacrificare questa a quella, possibile sol­ tanto, fideisticamente, togliendo di mezzo il sapere 12.

INTRODUZIONE

11

3. Quando, dove, come e perché Kant ha composto La re­ ligione entro i limiti della semplice ragione Torniamo ora, in sede di contesto storico-culturale, per co­ gliere l'occasione che ha originato la specifica riflessione kantia­ na sulla religione, un'occasione che vede Kant, per un momen­ to, abbandonare la sua metodica vita di studioso, di pensatore e di insegnante, per entrare in conflitto, seppur momentaneo, con le autorità costituite dello stato prussiano. Così come la carriera universitaria, aliena da aiuti e appoggi (dal diffusissimo «servo encomio» e dal relativo «codardo ol­ traggio>> ) e, perciò, lentissima, di Kant, che ottiene un posto di ruolo nel 1770, l'anno della giustamente famosa Dissertatio, an­ che la sua fama è lenta a diffondersi e ciò avviene, come ricorda il Martinetti, «con la fondazione ( 1785) della Literaturzeitung di J ena ispirata in filosofia alle idee kantiane e con le lettere di Reinhold (in stile popolare) sul «Merkum (1786- 1787)». La dif­ fusione del pensiero kantiano, inoltre, genera subito sospetto, diffidenza e talora persecuzione, tanto che a Marburgo nel1787 è proibito come «scetticismo» e negli stessi anni è proibito pure in Austria 13. Ma veniamo più da vicino ai fatti specifici. Nel febbraio 1792 Kant manda alla «Berlinische Monatsschrift» un saggio intitolato Il male radicale nella natura umana, con la richiesta di sottoporlo all'esame preventivo della censura da parte del­ l'autorità competente di Berlino. Il «Mensile berlinese» è l'or­ gano più significativo dell'Illuminismo tedesco più maturo, e sul medesimo foglio era stato ospitato il grande dibattito, cui a­ vevano partecipato gli esponenti di spicco del medesimo movi­ mento, tra i quali Kant, intorno alla domanda: Was ist die Au/­

kltirung?

Ora, proprio la risposta kantiana alla domanda «epimetei­ co-prometeica» sulla natura della potenza rischiaratrice e libe­ ratrice dell'intelletto umano, nella sua piena autonomia, il solo capace di far uscire l'uomo dalla sua minor età, trova il suo campo d'applicazione privilegiato nel diritto al libero esame in materia religiosa, al punto che Kant esplicitamen te dichiara: «Ho posto il punto principale dell'Illuminismo... per lo più in cose di religione»14. Con la teorizzazione della legittimità della libertà nell' «uso pubblico» della ragione, presente nel suo saggio, Kant, tuttavia, non fa che ribadire un uso ampiamente praticato dallo stesso

INTRODUZIONE

12

Federico il Grande, ma, succeduto Federico Gugliehno II, con la morte del re filosofo, awenuta il 1 7 agosto17 86, la sit ua z ion e politica muta al punto che il nuovo ministro dell'educazione e del culto J. Ch . Wollner, che sostituisce von Zedlitz, buon ami­ co di Kant, promulga il9luglio 1788 un «editto sulla religione» contro le correnti eretiche, rispetto al Cristianesimo di Stato, spacciate per Ill um in is mo con il quale minaccia di de st it u ire «ecclesiastici, predicatori o insegnanti della religione protestan­ te nelle scuole» che fossero incorsi in eresia. A tale documento ne segue un altro il 19 dicembre 17 88, detto anche «editto sulla c�nsura», e ancora il 14 maggio 1791 viene istituita la «Commissione pe r l'esame immediato», sotto la cui giurisdizione di competenza rientra il 19 ottobre l'esame di «mensili, periodici e scritti aperiodici». Tra gli effetti di tale restrizione della libertà di pensiero e di stampa c'è la pratica impossibilità di continuare a vivere in ter­ ritorio prussiano da parte del «Mensile berlinese», costretto a migrare prima aJena e poi nel1793 a Dessau, fuori dalla giuri­ sdizione censoria del Wollner. Kant, dunque, pubblicando su questa rivista il suo saggio sul «male radicale», non avrebbe avu to b is ogn o di preventivo imprimatur da parte della censura, ma la sua richiesta è l,ltl'altra riprova della ferma onestà del suo carattere, che gl i impedisce di ricorrere a espedienti territoriali, quali «raggiri», pur di e ­ sprimere con veracità e libertà il suo pensiero. Il consigliere Hillmer, cui spetta l'esame dei saggi d'ordine morale, dà via libera al saggio kantiano, con la motivazione rea­ listica che questo, al pari degli altri scritti di Kant, «fosse desti­ nato non a tutti i lettori in generale, ma solo a dotti capaci di ri­ flessione, di ricerca e di distinzioni . . . »15; insomma si pubblichi perché, tanto, pochi saranno in grado di leggerlo e di intender­ lo. E il saggio appare nel fascicolo di aprile della rivista. Incoraggiato da tale esito, Kan t nel giugno 1792 invia un al­ tro saggio intitolato La lotta del principio buono contro il princi­ pio cattivo per il dominio sull'uomo, pure questo sottoposto al giudizio del consigliere Hillmer con esito, questa volta, diverso. Hillme r trova infatti che lo scritto kantiano invade il campo della teologia biblica e chiede al censore competente Hermes un giudizio, che ha per risultato il divieto della pubblicazione. Il direttore della rivista, Beister, trascurando la sua delicata posizione d i funzionario regio, in qualità di bibliotecario, sde­ gnato, non accetta il divieto e ricorre al re, chiedendo, perché la questione venga decisa una volta per tutte , che il ricorso sia esa,

INTRODUZIONE

13

min ato dal plenum dei ministri del Consiglio di Stato il 20 giu­ gno. Ma, il momento politico vive una fase piuttosto delicata, per il conflitto nato tra il consiglio dei ministri e il gabinetto regio, proprio in tema di censura, giudicata dai ministri troppo rigida e dal sovrano legittima, anche in considerazione degli eventi al­ lora occorrenti in terra di Francia. In quel frangente i moderati avevano avuto la meglio e il re li aveva accusati di filo-illum ini­ smo e di filo-rivoluzionarismo, ammonendoli a conservare la re­ ligione positiva e, in forza di questa, l'ordine stabilito e lo status quo.

TI Consiglio, dunque, intimorito, respinge il ricorso del Bei­ ster e conferma il divieto alla pubblicazione dello scritto kantia­ no in questione. Può sembrare strano che, invadesse o meno il campo del­ l'esegesi biblica, questo saggio sia caduto sotto la condanna del­ la censura se si considera che in esso, contro l'ottimismo illumi­ nistico, Kant abbandona la primitiva visione del male, come mero frutto dell'ignoranza e del non ancora adeguato progresso intellettuale, bensì concepisce il «male radicale» come perver­ sione del fondamento di tutte le massime e, quindi, lo pone in un fattore squisitamente etico-antologico e non storico-cultu­ rale 16. Porre l'accento sul male in quanto radicale, ha non poche consonanze con la Stimmung luterana ortodossa e, non a caso, Goethe, Schiller e Herder ravvisano nella concezione kantiana del male «una concessione al Cristianesimo ecclesiastico e un tradimento dello spirito umanistico e liberale»17, così tipici dei lumi anche in terrra germanica. Se si guarda tuttavia la seconda parte del saggio in parola, balza agli occhi che Kant afferma che il principio buono non può non vincere nella lotta contro il cattivo e tale vittoria Kant non la ripone nelle pratiche di culto della religione istituziona­ lizzata o nell'ermeneutica ufficialmente garantita della Bibbia, bensì, secon do l'insegnamento di un Gesù ridotto a maestro di umana saggezza, nello sforzo tutto etico-razionale di chi pone la legge morale universale, come principio di determinazione del proprio agire. A questo punto Kant riprende il manoscritto censurato ag­ giungendovi altri due saggi, rispettivamente intitolati, il primo La vittoria del principio buono sul principio cattivo e la fondazio­

ne di un regno di Dio sulla terra, e il secondo Il culto vero e il culto falso sotto il dominio del principio buono, ovvero religione

INI'RODUZIONE

14

e clericalismo; due saggi che, per le loro conseguenze applicati­ ve sia sul piano ecclesiologico sia su quello politico, sarebbero con grande probabilità caduti sotto gli strali della censura regia berlinese. Kant pensa allora di pubblicare tutti e quattro i saggi in for­ ma di libro, appellandosi al privilegio accademico d'essere sot­ toposto alla censura d'una facoltà universitaria, perché i suoi studi da una facoltà teologica o da una filosofica. In particolare, Kant mira ad ottenere che gli sia autorevol­ mente riconosciuto, in sede accademica, il di ritto di occuparsi, in quanto filosofo, di argomenti religiosi, quando la particolare focatura della questione lo richieda. La facoltà teologica di Konigsberg decide nel senso auspica­ to da Kant e la facoltà filosofica di Jena concede !'imprimatur; pure il libro è stampato a Jena sebbene editato a Konigsberg e là pubblicato nella primavera del 1793 con il titolo complessivo La religione entro i limiti della semplice ragione. L'uscita dell'opera di Kant provoca, come osserva Martinet­ ti, «grande rumore fra amici e nemici» e il modo di pensare kantiano influenza largamente e profondamente tutta la nuova generazione di teologi, originando una «specie di razionalismo morale» che genera un entusiasmo tra i più stretti discepoli di Kant, a lui, forse, nemmeno troppo gradito18• Al solito emergono due schieramenti: il primo dei «raziona­ listi», che vedono nella Religione una riabilitazione di ordine e­ tico del Cristianesimo; il secondo degli «ortodossi tradizionali­ sti», che vedono nell'opera kantiana un tentativo finemente dia­ bolico di svuotare e di vanificare il Cristianesimo dal suo inter no, riducendolo a mero umanesimo di ispirazione vagamente cristiana. Il libro ha poi una seconda edizione nel1794, nella quale Kant ha modo di precisare il senso complessivo del titolo scelto in extremis nella prima edizione, quando i sedicesimi dell'opera erano già tutti stampati. E per riprendere un punto già trattato nel se condo paragrafo meritevole di ulteriore puntualizzazione, Kant precisa che «religione entro i limiti della semplice ragio­ ne» significa che la religione rivelata è considerabile come in sé comprendente, in un'area concentrica più ristretta, la religione razionale, entro i li miti della quale il filosofo ha il diritto-dovere di mantenersi, in quanto sua legit t ima sfera di competenza; è tuttavia altrettanto legittimo che egli paragoni quanto contenu­ to in una religione storicamente assunta per rivelata, con la for­ ma religiosa che l'esercizio rigoroso e oggettivo della ragione gli ­

,

15

INTRODUZIONE

rende evidente, per vagliarne la compatibilità con il dato, sup­ posto rivelato, ma anche la possibilità d'armonizzare Bibbia e ragione. La situazione politica anche in Prussia frattanto, per effetto degli eventi francesi, con il re ghigliottinato e il dilagare del ter­ rore, si fa più pesante, per l inasprimento delle funzioni statali di controllo e cen sorie, come pure più provocatorio nei con­ fronti del potere politico statale diviene l'atteggiamento di Kant che, nel settembre 1793, sempre sul «Mensile berlinese», in un saggio notevolissimo dal titolo Sul detto comune: questo può es­ sere vero in teoria ma non vale in pratica, afferma la necessità della libertà di coscienza in materia religiosa e, in generale del­ la «libertà di penna», come fondamento dei diritti umani e del popolo. Inoltre, in una lettera inviata a Biester insieme con il saggio La fine di ogni cosa, Kant delinea i tratti essenziali del suo libe­ ralismo religioso, condannando come intrinsecamente contrad­ dittoria la pretesa di inculcare con la forza una religione come la cristiana, che si fonda sul comandamento dell'amore; tirannia teocratica propria dell'Anticristo e premessa per la fine di ogni cosa. Conseguenza: il l ottobre 1794 Kant riceve una censura uf­ ficiale regia, nella quale lo si accusa di aver abusato della filoso­ fia, per sviare dalla Sacra Scrittura e dalle dottrine del Cristia­ nesimo, per generarne disprezzo e gli si ingiunge di farla finita con tale tipo di insegnamento. Nella risposta stessa, a difesa del proprio pensiero e del pro­ prio insegnamento, Kant afferma che la Religione non contiene né apprezzamento né disprezzo del Cristianesimo, in quanto es­ sa mira a individuare e valorizzare il nucleo di religione natura­ le e razionale, dal Cristianesimo particolarmente tutela to e pro­ mosso. Nega poi di aver definito, descritto, spiegato e giudicato come superflua la rivelazione, dal momento che la vede come fattore atto a completare, seppure sul piano non conoscitiva­ mente fondativo del pensare e del riflettere, le difettività pro­ prie della «teoria», della «prassi» e della «poiesis» umane in or­ dine al problema-mistero del male e al ten tativo dell'uomo di u­ scirne, liberandosi nella costruzione del bene. Kant, infine, dopo aver addotto altre ragioni a sua difesa, già illustrate nel secondo paragrafo di questa introduzione, rela­ tivamente al rapporto ragione-fede e al primato criteriologico della prima sulla seconda, a prescindere dall'esigenza tutta pra­ tica di sacrificare la ragione scientifica alla fede morale, peraltro '

,

,

16

INTRODUZIONE

dotata d'una propria razionalità e ragionevolezza, promette al sovrano che, in futuro, si asterrà dal pubblicare scritti di natura religiosa dal momento che, se è vero che uno studioso deve pensare tutto ciò che dice, è altrettanto vero che il medesimo non è tenuto a dire tutto ciò che pensa, per la nota distinzione, basata sulla diversa convenienza delle varie situazioni, che con­ sigliano di ricorrere a un «uso privato e/o pubblico» della ra­ gione, come teorizzato dal pensatore di Konigsberg nello scritto sull'Illum inismo. Ma convenienze e situazioni mutano quando, con la salita al trono di Federico Guglielmo III nel 1797, l'editto Wollner è a­ brogato; e Kant, ritenendosi, in retta coscienza, svincolato dal­ l'impegno al silenzio in tema di religione, assunto da fedelissi­ mo suddito con Federico Guglielmo II, ritorna a occuparsi pub­ blicamente di cose religiose, dando alle stampe nel 1798 Il con­ flitto delle Facoltà, nel quale tratta delle «questioni di confine», in ordine alle specifiche competenze d'ogni facoltà universita­ ria, saggio nel quale, una volta ancora, riprende il tema e il pro­ blema del nesso «ragione-fede». 4. I concetti fondamentali de La religione entrd' i limiti della semplice ragione nella loro concreta articolazione Il motivo conduttore intorno al quale si sviluppa lo scritto kantiano sulla religione è, dunque, il tema della speranza di sal­ vezza e di felicità, che anima il cuore umano afflitto dal male fi. sico, morale e antologico e che cerca senza posa quel bene vero che possa renderlo degno della felicità, quale beatitudine dell'a­ nima nella fruizione del «Sommo Bene» e, infine, il luogo, il tempo dove e donde iniziare tale storia di «mutamento del cuo­ re» da perverso a buono. Motivo conduttore che si manifesta in un'opera come La Religione, che è profondamente unitaria sul piano dell'intenzio­ ne e su quello dell'esecuzione, al di là delle diverse contingenze di composizione e delle notevolissime difficoltà anche formali che ne fanno, forse, l'opera kantiana più intellettualmente tor­ mentata, più sintatticamente afflitta da «ipotassi parossistica»19, più ermeneuticamente complicata. Ora tale vettore tematico si ritrova puntualmente, come os­ serva uno studioso del valore di Marco Olivetti20, nella concreta articolazione della trama del testo cui corrisponde l'effettivo

17

INTRODUZIONE

strutturarsi della Religione nei suoi quattro capitoli riguardanti, rispettivamente: il primo il male radicale nella natura umana, il secondo, la lotta del principio buono contro il cattivo per il do­ minio sull'uomo, il terzo, la vittoria del principio buono e la fondazione del regno di Dio in te rr a, il q uarto, il c ulto vero e il culto falso sotto il dominio del principio buono, ovvero la reli­ gione e il regime clericale. Tale disegno teoretico e pratico trova inoltre la sua confer­ ma sul piano critico ed esegetico nella lettera di Kant a Staudlin del4 maggio 1793 quando scrive: «Il mio piano, stabilito già da tempo, della elaborazione del campo della filosofia pura verteva sulla risoluzione dei tre seguenti problemi:1) che cosa posso sapere? (metafisica); 2) che cosa devo fare ? ( morale ) ; 3) che cosa posso sperare? (religione)», e conclude: «Con l'opera alleg a t a Religione entro i limiti ecc. ho cercato di condurre a termine la terza parte del mio p i an o» 2 1 ,

.

5. Male ra dicale e libertà: l'interpretazione razionalistica

del peccato originale

Il primo ostacolo che s o pp one al desiderio dell'uomo di sperare nella felicità consistente nel fare il bene vero determina­ to dalla ragione e da questa, quale fondamento di libertà, posto quale principio di determinazione d e ll agi re umano, è com­ pren s ibile sotto il concetto di male radicale. In proposito Kant così argomenta: a lc u n i dicono che l uomo è buono per natura (Rousseau) , altri che è cattivo per natura (Hobbes). Ma, al di là del divergente opinare, se ben osserviamo il modo di vivere e di pensare dell'uomo nel mondo, vediamo in lui la compresenza di un a disposizione al bene e di una p ropen sione al male, che fanno dell'uomo un essere mondanamente in costante instabile e q u il ib ri o Per quanto riguarda la disposizione al bene, essa è riguarda­ bile in trip lice p ros p et tiva In primo luogo riguarda il bene dell' uomo come animale, che comp orta tutta la sfera degli istinti e dei sentimenti che possono tradursi, corrompendosi, in vizi quali l'intemperanza, la debolezza, la lussuria, l'intolleranza nei confronti di qualsivo­ glia norma superiore, platonicamente la prevalenza dell'anima '

'

'

.

.

concupiscibile e irascibile sull'anima razionale.

18

INTRODUZIONE

In secondo luogo riguarda il bene dell'uomo come animale ragionevole, che comporta un giusto amore di sé, sia in consi­ derazione di se stessi sia in paragone con gli altri, donde tutti i sentimenti sociali tra i quali, fondamentale, il desiderio dell'al­ trui stima; ma anche questa disposizione può corrompersi nella propensione alla gelosia possessiva e alla rivalità competitiva, che sono vizi belli e buoni che minano l'umanità dell'uomo nel­ la sua verità. In terzo luogo riguarda il bene dell' uomo come persona u­ mana, come essere capace di «provare per la legge morale un ri­ spetto che sia un movente per sé sufficiente dell'arbitrio»22, in­ teso quest'ultimo come libero volere (Willkiir). Disposizione questa del tutto positiva e strutturalmente incorruttibile, sigillo della dignità umana nella sua vocazione alla legge morale e nella sua responsabilità nei confronti della medesima. Nell'uomo, tuttavia, emerge, ad un parto con la disposizio­ ne al bene, una propensione al male, pure essa considerabile in modo tripartito: a) come «fragilità» o incapacità d'osservare praticamente la legge morale conosciuta teoreticamente; b) co­ me «impurità» o frammischiarsi, nel concreto agire, di fattori morali e di sensibili impulsi; c) «malvagità», o tendenza intenzionale a contraddire la legge morale. , Ma perché l'uomo è cattivo, prigioniero del male, piuttosto che buono, abitato unicamente dal bene? Questa è la domanda radicale del primo capitolo della Reli­ gion e alla quale Kant tenta di rispondere osservando che la cat­ tiveria non può essere imputata all'agire umano, in quanto si possono compiere cose cattive in perfetta buona fede, animati dalle intenzioni migliori in prospettiva morale; né la cattiveria può imputarsi alla sensibilità propria anche dell'uomo in quan­ to animale, poiché essa, in quanto tale, è al di là del bene e del male morale; e nemmeno la cattiveria può farsi risalire alla ra­ gione luteranamente intesa quale prostituta diaboli. Se infatti la ragione conducesse al male, se fosse realmente la «prostituta del diavolo», allora l'uomo, in quanto animale specificamente razionale, sarebbe «un essere diabolico». La situazione sarebbe dunque tragicamente assurda in quanto la ragione, lungi dal mostrare all'uomo la verità delle cose, di tale verità sarebbe la perversione; ma allora l'uomo sa­ rebbe del tutto irresponsabile del male da lui stesso compiuto e, a rigore, non sarebbe nemmeno più possibile parlare di bene e di male, dal momento che questi sono due determinazioni de­ rivanti direttamente dall' attività predicativa della ragione. ,

INTRODUZIONE

19

Invece, ad avviso di Kant, la possibilità che l'uomo sia catti­ vo dipende dal fatto che egli assuma come principio di determi­ nazione della propria azione una massima contraria alla legge morale, e ciò dipende in ultima istanza proprio da quell'arbitrio che è il «fondamento soggettivo dell'uso della sua libertà», che è e resta un fattore imprevedibile e incalcolabile, in quanto ulti­ mativamente insondabile (uner/orschlich). In proposito, osserva Kant, «non bisogna porre l'ulteriore questione sul fondamento soggettivo in base al quale l'uomo abb ia assunto questa massima e non invece la massima opposta; infatti, se questo fondamento non fosse in definitiva esso stesso una massima, bensì un semplice impulso naturale, allora l'uso della libertà dovrebbe essere ricondotto totalmente alla deter­ minazione per opera di cause naturali, e ciò è appunto in con ­ traddizione con la libertà>>23• Questa facoltà di poter scegliere, costituente il carattere in­ telligibile dell'uomo in quanto soggetto capace di intendere e di volere, epperciò di dar conto responsabilmente di ciò che in­ tende e vuole, può dirsi, per Kant, anche natura (natura umana beninteso), ed è in tal senso che si dice che l'uomo sia cattivo per natura. Essa, inoltre, si può definire «innata» in quanto non dipende da cause esteriori, non viene e non è acquisita da fuori, è in un certo senso metastorica, pur essendo intimior intimo ho­ mine, non qualcosa che l'uomo patisce bensì che l'uomo agisce, essendone appunto l'autore (Urheber). Tale possibilità di giudizio e di scelta del bene e/o del male è dunque un fattore originario, insondabile e inspiegabile anche in Kant, che altro non sa definirlo se non come «male radicale» ed è ciò che la religione tenta di spiegare ricorrendo al mito rac­ chiuso nella narrazione del «peccato originale». Peccato origi­ nale con il quale si cerca, anche in sede di religione rivelata, di far luce sul tremendo e terribile mistero del male la cui potenza si stende sulla storia come mysterium iniquitatis. Per quanto riesca a saperne e a dirne la semplice ragione, che non ci fa conoscere molto di più, riguardo alla «questione­ male», della rivelazione (sebbene con strumenti diversi), il pec­ cato originale altro non è se non la misteriosa, indeterminabile e indecidibile scelta che l'uomo fa del male, al di là di ogni mo­ tivazione determinante. Ma con questo, come nota Sofia Vanni Rovighi, «Kant met­ te questo potere di scelta in un certo senso al di qua della vo­ lontà così come è intesa nella Critica della ragion pratica, al di qua della ragione come qualche cosa di inspiegabile e di così

20

INTRODUZIONE

misterioso che l'umanità per esprimerlo è ricorsa al dogma del peccato originale»24. 6. La semplice ragione difronte al mistero-problema del­ l'incarnazione e della divinità di Gesù

Una volta così, almeno congetturalmente, chiarificato per via eminentemente razionale (in realtà razionalistica) il mistero del peccato originale, in tal modo ridotto a problema razional­ mente impastabile se non risolubile, Kant affronta il nodo deci­ sivo per qualsiasi filosofia della religione e/o teologia, rappre­ sentato dall'interrogativo su Gesù Cristo. Un «Gesù» inteso come incarnazione della divinità nella storia, epperciò nella concreta vita di ogni uomo ontologica­ mente e anticamente incontrabile, come «evento» in cui ha luo­ go la manifestazione più del santo che non del sacro 25. La vita morale, nel primo tratto della Religione, si è palesata come lotta continua contro il male radicale per il bene, consi­ stente in un ideale di perfezione e di pienezza dell'essere che è il fine di tutta la creazione. Tale ideale di pienezza si fa innanzi come qualche cosa che ci trascende e che è indipendt;nte da noi, che lo concepiamo come costitutivo della nostra coscienza morale, ma che non siamo noi a produrre. Per questo ce lo rap­ presentiamo come qualcosa che, disceso dal cielo in terra, ha assunto la natura umana in tutta la sua esistenziale ed esistenti­ va concretezza, dal momento che «è più arduo concepire in che modo l'uomo per natura cattivo possa spogliarsi da se stesso del Male ed elevarsi all'ideale della santità, piuttosto che pensare l'ideale della perfezione morale nell'atto di assumere la natura umana e di abbassarsi fino a essa»26. L'unico modo, dunque, di «rappresentarci» l'ideale della pienezza e della perfezione morale è quello di ricorrere a una u­ manazione del divino che si fa corpo e spirito umani, non solo compiendo perfettamente ogni umano dovere e insegnando a tutti e a ciascuno a fare il bene e ad evitare il male, ma anche e soprattutto vincendo le tentazioni più forti e sopportando i do­ lori più laceranti, sino alla morte più ignominiosa per amore del bene del mondo. Se dunque Dio non si fa uomo, anche per Kant, nemmeno l'uomo riesce a farsi pienamente umano, ove l'umanazione di Dio si presenta come la condizione necessaria e sufficiente per­ ché l'uomo sia umano sino in fondo27•

INTRODUZIONE

21

Solo dunque mediante questa fede pratica in tale «Figlio di Dio», l'uomo può aver fondata speranza di farsi a Dio gradito, attingendo l'ideale infinito della santità. Ma tale fede, per Kant, non sta in altro che nel credere che possiamo realizzare in noi l'id eal e morale nella sua pienezza, che possiamo farci piena­ mente santi. Ne viene che per tale fede non servono i miracoli, dal mo­ mento che l'unico miracolo razionale è quello di credere di po­ ter farci buoni perché sappiamo di dover essere tali. La coscienza morale, come coscienza razionalmente fondata del bene da compiere e del male da evitare, è sufficiente, ad av­ viso di Kant, per credere in Gesù Cristo, anche perché l' espe­ rienza umana di tutti i luoghi e di tutti i tempi ci pone sotto gli occhi, sempre, azioni nella loro facies esteriore, e mai intenzioni nella loro più profonda e incontrovertibile facies interiore; è nell'intenzione, tuttavia, che viene custodita la perla della mora­ lità, come tensione esclusiva al bene, e l'intenzione risulta per noi strutturalmente non inventariabile, e, con essa, imperscru­ tabile e indisponibile la modalità esecutiva, in ciascuno, dell'i­ deale morale. Se pure tuttavia la storia ci facesse incontrare un uomo eti­ camente eccezionale, un «genio etico» che ha compiuto una ri­ voluzione morale, potremmo dedurre con alta probabilità se non con assoluta certezza, che l'ideale morale è accaduto in un uomo e confermare così, per via storico-fenomenologica, la sen­ satezza della nostra fede morale. Ma, assumere in via ipotetica la possibilità di una qualche incarnazione storica di Dio mediante suo Figlio, vale a dire del­ l'Ideale morale, del Sommo bene, in un uomo, non implica, per Kant, necessariamente l'esigenza di pensare un'origine sovrana­ rurale di tale uomo. Anzi, dice Kant, in tanto attribuiamo a quest'uomo qualità sovranaturali come ad esempio una immu­ tabilità innata della sua volontà di bene, in tanto immediata­ mente egli cessa di fungere per noi da esempio. Ad ogni buon conto, ciò che qui è in gioco non è l'incarna­ zione come evento storico, nella sua contingente particolarità e puntuale singolarità (evento che, per Kant, è razionalmente problematico e impensabile come verità dotata di valore uni­ versale e necessario), bensì il significato, meramente morale, che proviene dalla sua interpretazione entro i limiti della sem­ plice ragione e che si traduce nella prospettiva relativa al possi­ bile miglioramento e perfezionamento morale dell'uomo.

22

INTRODUZIONE

A questo proposito, emergono, come è stato autorevohnen­ te osservato, alcune difficoltà. La prima: se la legge morale im­ pone all'uomo di cercare d'esser e di farsi santo, sul modello di Dio, la santità si rivela per noi un'itinerario infinito, in quanto se la nostra intenzione è volta alla pienezza, le nostre opere so­ no sempre infinitamente lontane rispetto a tale supremo ideale. A questa obiezione si può rispondere dicendo che, se agen­ do cerchiamo ogni giorno di progredire nel bene potremo, al­ l'infinito, raggiungere l'ideale della infinita perfezione morale come e in quanto «orizzonte onniabbracciante inabbracciabi­ le». Dunque: a ideale morale infinito, progresso morale infinito. Dal momento poi che Dio gode di una visione intellettuale «si­ multanea» di tale serie infinita di progressione morale, l'uomo, quotidianamente in progresso morale, fruisce della possibilità di essere gradito a Dio in ogni frammento della sua vita. La seconda difficoltà sta nel fatto che nessuno è in grado di garantire un progresso morale costante e fedele all'ideale mora­ le e Kant, in proposito , risponde che se dobbiamo guadagnarci la nostra salvezza con «timore e tremore», possiamo però anche sperare che saremo costanti e fedeli morahnente, se saremo, il più umanamente possibile, diligenti nel custodire la rettitudine del nostro orientamento al bene. E questa speranza cotl$olante la si può considerare come raffigurata nel «Dio paraclito», lette­ rahnente il «difensore» che difende e sostiene i diritti dell'uo­ mo di «buona volontà»; così che chi è incamminato verso il be­ ne può e deve pensare di poter disporre di una vita futura, post mortem, in cui potrà proseguire quell'eterna progressione nel bene in cui consiste il paradiso. Chi invece ricade nel male e pecca, deviando e regredendo dal bene, dovrà rappresentarsi la vita futura come un inferno di continuo regresso nel male. Si noti qui, che le figure del «paradiso» e dell' «inferno» so­ no prive per Kant di qualsiasi riferimento dogmatico alla esca­ tologia rivelata, ma giacciono sul piano della semplice «diceolo­ gia razionale», di tipo retribuzionista, tipicamente kantiana, per la quale ciascuno è degno della salvezza e/ o della dannazione che responsabihnente si merita, e la quale, perciò, può e deve essere imputata alla sua personale e non delegabile libertà di giudizio e di scelta. È dunque il caso di dire > . Cfr. I. Mancini , Kant e la teologia, in AA.VV. , Kant a due secoli dalla 'Critica', Brescia 1 984, p. 25, nota 12. n Cfr. P. Martinetti, Kant, Milano 1974, p. 8. 14 Cfr. AA VIII , p. 41. È piuttosto curiosa, perché inconsueta rispetto al normale uso dei due termini, la distinzione che Kant fa nella Risposta alla do­ manda: che cosa è l illuminis mo ?, delle locuzioni uso pubblico e uso privato della ragione. Infatti per uso pubblico della ragione Kant intende quello che comunica pubblicamente, mediante pubblicazioni, il frutto della proptia ri­ cerca intellettuale e/o razionale, mentre per uso privato della ragione intende quello concesso a un funzionario statale nell'esercizio delle sue funzioni quale pubblico ufficiale. Mentre nel primo caso posso dire e scrivere quello che penso, nel secondo non posso fare altrettanto, ma devo attenermi a ciò che la legge positiva statale consente rispetto alla mia funzione pubblica. È in que­ sto senso specifico che Kant afferma il diritto al libero esame delle questioni religiose nell uso pubblico della ragione, mentre limita la legittimità del con­ trollo statale all 'uso prt'vato della medesima. 15 Cfr. Lettera di Beister a Kant dei 6/III/1792 in AA XI, p. 3 16. 16 In ordine a tale variazione della interpretazione kantiana del problema­ mistero del male, richiama l'attenzione Domenico Venturelli nel saggio in corso di pubblicazione dal titolo Interpretazioni kantiane. In esso, il Venturel­ li pone in rilievo la notevole diversità dell'ermeneutica kantiana del male pre­ sente nelle Congetture dell'inizio della storia umana ( 1786) con quella presen­ te nella Religione entro i limiti della semplice ragione, sovrattutto nel decisivo capitolo sul Male radicale nella natura umana (1 792 ) . Di tale saggio, come detto prima in corso di pubblicazione, ho potuto consultare lo schema di re­ lazione, unitamente ad altri materiali inerenti al tema Kant e la religione, sog­ getto di un convegno tenutosi a Trento nei giorni 26-27 -28/I/1994; i materiali del medesimo corso mi sono stati gentilmente forniti dal prof. Ubaldo Pelle­ grino, che qui affettuosamente ringrazio. 17 Cfr. Lettera di Goethe a Herder del 7NI/1793 in Goethes Brt'e/e, a cu­ ra di P. Stein, IV, Berlin 1903 , p. 23 ; e sempre al proposito cfr. lettera di Schil­ ler a G. Koerner del 28/II/ 1793 , in Schillers Brie/e, a cura di F. Jonas, ili , Ber'

'

NOTE ALL'INTRODUZIONE

35

1 893 , p. 289; Herder, Von R elig io n, Leh rmeinungen und Gebrauchen ( 1798 ); in Siimtliche Werke, a cura d i B. S uph an , XX, Be rl i n 1880, pp. 138, 2 20, 222. Riferimenti questi, per i q u ali fruiamo dell ' acribi a fil ologica e filoso­ fica dawero notevole di M.M. Olivetti. ts Cfr. P. Ma rti n et ti, op. cit. , p. 1 1 . l � !potassi parossistica, per l a quale, come osserva Olivetti, «la subordi­ na nte kantiana in q uesta opera si presenta più involuta che altrove>> (op. cit. , p . XLill ) . 20 S u questo cfr. qua nto dice M.M. Olivetti, op.cit., pp. XVII - XX. z1 Cfr. AA XI, p . 429. 22 Cfr. infra , p. 89. 23 Ibid. , p . 75. 2 4 Cfr. S . Vann i Rovighi, op. cit. , p . 282 . 25 Pur in contesti s tori c am ente , cultu ralm ent e , p sicol og icament e e filosofi­ c am ente molto diversi, per certi aspetti l'opposizione Sacro-Ontologico e San­ to-Etico, c ert am ente presente in Kant, tr ova , a meditato avviso di chi scrive, più di q u alch e risonanza e a ffin i tà nella medesima opposizione tematizzata, nel pen siero contemporaneo, da Emmanuel Levinas. Su q ue st o vedi in parti­ colare di Gi an c arlo Penati il saggio fine e profondo dal titolo Morale e Religio­ ne, l'Altro e l'Assoluto in Levinas nel volume dello stesso Pe na ti Co n temp ora ­ neità e postmoderno - Nuove vie del pensiero?, Milano, 1992, pp. 1 1 1 -126. )in

26

p. 159. 27 Anche per Kant, dunque, ] ' � o rno è imago Det; sebbene u n ' i m m a g i ne sempre circoscritta dalla sem pl ic e ragione , che da es s a e dalla sua possibile trascendente alterità non si l as ci a in t erro ga re. 8 2 Per un inquadramento, s uffi ci enteme n t e organico, del problema giusti­ zia/salvezza nei suoi aspetti gi u ridi ci , etici e dic eologi c i, con molta attenzione per la paradigmatica prospettiva ka nti a n a in proposito, vedi di Fra n ce s c o Dal Pozzo l'originale saggio Giustizia e salvezza, M ila no 1 983 . 29 Cfr. in/ra, p. 353 . 30 Ibid. , p. 243 . 3 1 Cfr. P. Martinetti, op. cit. , pp. 267 ss. 32 JJ

Cfr. in/ra,

Cfr. in/ra , p . 355 . S. Vanni Rovighi, op. cit. , p. 295 .

C fr.

34 Cfr. Lettera a Lavater, 28/IV /1 775 , in Ka n ts Werke, e d . Vorl ander, Leipzig 1904, Il, pp. 1 68-172. 35 Su questo tema, «classico>> del pe n s ie ro di S . Kierke gaard , si possono vedere opere c om e Dan·o, a cura di C. Fabro, 2 voll . , B res cia 19622, Briciole di filosofia e Postilla conclusiva non scientifica , a cura di C. Fabro, 2 voll. , Bo­ logna 1962 , Esercizio del Cnstianesimo, a cura di C. Fabro, Roma 197 1 .

CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT

1724

Irnmanuel Kant nasce a Konigsberg, capitale della Prussia orientale (a ttualmente Kaliningrad) , il 22 aprile, da Johann Georg Kant (168}- 1 747 ), sellaio, e da Anna Regina Reuter: quarto di undici figli, di cui sei morti in giovane età. Col fratello rimasto, divenuto pastore protestante, e soprattutto con le tre sorelle, conserverà scarsi rapporti.

1732

Entra nel Collegium Fredericianum, diretto dal pastore Franz Albert Schultz, d' indirizzo pietistico, ma aperto all ' illu minismo wolffiano. Oggetto particolare di studio, i classici latini. S'iscrive all'Università, dove Martin Knutzen gli trasmette l'interesse per la filosofia newtoniana e per la matematica. Sei ann i dopo, conclu­ de i suoi studi preparando i Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (Konigsberg 1747 ) , in cui prende posizione nella disputa tra car­ tesiani e leibniziani sulla questione.

1740

1746 1754

1755

1 756

1758 1762 176}

Comincia l' attività di precettore privato presso famiglie nobili della Prussia orientale (dalla quale non s' all ontanerà mai, per tutta la vita). Risponde alla questione messa a concorso dall 'Accademia di Berlino: «Se la Terra abbia subìto modilìcazioni nel suo movimento di rotazio­ ne»; e successivamente a un'altra: «Se la Terra invecchi>>. Lasciato l'insegnamento privato, inizia la carriera universitaria, otte­ nendo il dottorato con la dissertazione De igne e la «venia legendi» con la Principiorum pn'morum cognitionis metaphysicae nova dtlucida­ tio. Insegnerà un po' di tutto: matematica, logica, fisica, geografia; più tardi filosofia, pedagogia, antropologia, psicologia. I suoi prevalenti interessi di geografia generale sono attestati dall'uscita della Ston'a universale della natura e teana del cielo ( Konigsberg e Leipzig 1755 ) , i n cui anticipa l a teoria di Laplace sulla formazione dd sistema solare (senza, peraltro, attirare l'attenzione degli studiosi ); nonché dai pro­ grammi d'insegnamento, che, tra il '56 e il '57 , annunziano corsi su «la teoria dei venti>>. n terremoto di Lisbona gli dà occasione per la pubblicazione di tre scritti in argomento, a cui si aggiunge la Monadologia physica , ispirata a un dinamismo alla Boscovich , più che al monadologismo di Leibniz. Pubblica una Nuova teoria del moto e della quiete. Esce un saggio Sulla falsa sottiglie:a.a delle quattro figure sillogistiche.

Escono due tra i più importanti scritti precritici: l' Unico argomento pombile per dimostrare l'esistenza di Dio e la Ricerca per introdurre il concetto di quantità negative in filosofia. Nel primo si prospetta la teo­ ria dell'esistenza come posizione, e si afferma che, mentre la possibi­ lità logica si riduce alla non contraddizione, la possibilità reale pre­ suppone una qualche esistenza: essendo dunque impossibile un'asso­ luta non esistenza, si desume l'esistenza di un essere necessario, di cui si dimostrano poi l'unicità, l'onnipotenza, ecc. L'argomento (che non può esser confuso con !'«argomento ontologico») non sarà più né ripreso né confutato da Kant. Nel saggio sulle grandezze negative si

38

1764

1766

1768

1769

1770

1781

CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT

distingue tra la contraddizione logica e l'opposizione reale (+a -a) , analoga a quella per cui due forze s i annullano a vicenda. Pubblica la Ricerca sull'evidenza dei prindpi della teologia naturale e della morale, in cui mette in rilievo la differenza di metodo tra mate­ matica e filosofia; e le OJJervaz.ioni sul sentimento del bello e del subli­ me in cui a fondamento della morale è posto ((il sentimento della bel­ lezza e della dignità della natura umana>>. Dopo aver tentato invano (nel '56 e nel '58) di ottenere un insegna­ mento universitario di ruolo, è nominato sottobibliotecario alla Bi­ blioteca reale, per essersi «reso celebre con i suoi scritti>>. Pubblica i Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, l'opera in cui più si avvicina al punto di vista dell'empirismo inglese. n visionario è il mistico svedese Swedenborg, che, tra l'altro, con la sua concezione di un paradiso non statico ma progressivo, influirà sull'idea kantiana di un perfezionamento indefinito della moralità, a cui corrisponde un incremento indefinito della felicità. Pubblica un saggio Sulfondamento primo della distinzione delle regio­ ni dello spazio, in cui accetta sostanzialmente la teoria newtoniana dello spazio assoluto, soprattutto in considerazione delle figure sim­ metriche incongruenti nello spazio. «!.:anno '69 mi portò una gran luce»: Kant ha scoperto il principio fondamentale del suo trascendentalismo, la funzione dello spazio e del tempo come forme che condizionano la ricezione, da parte nostra, di tutte le impressioni sensibili , e che, perciò, danno agli oggetti d'esperienza la loro struttura formale. Ciò permette di conoscere certe verità, concernenti gli oggetti, «a priori>>, cioè senza fare riçorso all 'esperienza. Tali sono , ad esempio, le verità geometriche', che dipendono dalla forma dello spazio. Oltre che una gran luce, l'anno '69 portò a Kant una cattedra universitaria di Logica e Metafisica, ottenuta trasformando la cattedra di Matematica del defunto pastore Langhansen. Kant inaugura il suo insegnamento con la dissertazione De mundi sen­ sibilis atque intelligibilù forma et pn.ncipiis, in cui espone la fondazio­ ne trascendentale delle scienze matematiche, ma lascia aperta la que­ stione delle scienze fisiche, che si ripromette di risolvere in uno scritto successivo. L'attesa si prolungherà per oltre dieci anni, perché la que­ stione era ardua: spazio e tempo condizionano la forma dei fenomeni perché sono forme recettive della sensibilità: ma come possono le forme dell'intelletto, che è la facoltà della spontaneità del pensare, condizionare un oggetto che non è prodotto dal nostro pensiero, bensì ci è aveva permesso a Kant di risolvere il problema di cui s'è detto, presenta al pubblico il trascendentalismo kantiano in tutta la sua ampiezza. Le forme univer­ sali e necessarie del nostro conoscere (spazio e tempo per l'intuizione sensibile, categorie per il pensiero intellettuale) condizionano la forma dell'oggetto per noi, cioè del fenomeno, che, per entrare nella nostra esperienza, deve adattarsi al nostro modo di conoscerlo. Impregiu­ dicata e sconosciuta rimane, per contro, la struttura delle (KOSe in sé», considerate a parte, cioè, dal modo in cui le conosciamo; che tuttavia, non potendo entrare nella nostra esperienza, non sono, per definizio-

CRO NOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI KANT

1783

1784

1785

1786

1787

1788 1790

39

ne, oggetto di conoscenza, m a solo di u n pensiero vuoto. Ciò restringe l'ambito di tutto il nostro sapere all'esperienza possibile, al di fuori della quale possono bensì esserci idee «regolative», ma non oggetti conosciuti. In particolare vengono a cadere i tentativi di dimostrare l' esistenza di Dio (nella quale Kant non cessò mai di credere) , nonché di risolvere questioni che trascendono l' esperienza possibile, come quella della libertà. Con i Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza riespone la fondazione trascendentale della Critica in senso rovesciato: dall'esistenza di una matematica e di una fisica, come scien­ ze, si risale all e condizioni che rendono queste scienze possibili. L'esi­ stenza della metafisica non può, per contro, esser data per scontata. Ma l'intenzione di Kant è di mostrare impossibile solo la metafisica dogma­ tica, non preceduta dall'esame dei limiti del nostro conoscere intrapre­ so dalla Cn"tica. Compiuto questo esame, una metafisica come scienza sarà possibile, muovendo da quelle strutture a priori che non dipendo­ no dall'esperienza perché (al contrario) la condizionano. Nella «Berlinische Monatsschrift» escono le Idee di una stonà univer­ sale dal punto di vista cosmopolitico e la Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo? Kant professa una fede nel progresso basata, non sui dati dell'esperienza, ma sul fatto che cercare il progresso è un dovere, e una fede nella libertà di pensiero, che non contrasta con l ' obbedienza alle direttive dell'autorità, le quali possono essere discusse liberamente dai dotti, ma non eluse. Oltre all a Fondazione della metafisica dei costumi, qui tradotta, escono scritti Sui vulcani della luna, Sull'illegalità della contraffazione di libn; Sulla determinazione del concetto di razza umana e due recensioni , abbastanza aspre, alle Idee sulla filosofia della stona dell'umanità , di Herder. I Principi metafisici della scienza della natura espongono quell a che, per Kant, è la «metafisica come scienza», cioè la dottrina a priori delle strutture intellettuali su cui si fonda la fisica (in base al principio della Cn"tica , che !'«intelletto è il legislatore della natura>> ) . Gli scritti brevi, che escono via vi a , continuano a interessare soprattutto la filosofia morale: Che cosa significa >) scrive Sulla fabbncazione di lilm·. Escono, ad opera di uno scolaro (Jaesche) , le lezioni di Logica, a cui seguiranno nel 1 802- 1 803 le lezioni di Geografia fisica e di Pedagogia (ad opera di Rink).

1 800

1801

La salute di Kant peggiora rapidamente: egli lamenta una forma di «coma vigil» o insonnia continua, e le sue capacità di coordinazione diminuiscono. Interrompe, praticamente, la stesura di un'opera (co­ minciata nel 1796) «Sul passaggio dai princìpi metafìsici della scienza della natura alla fisica», che doveva rappresentare una revisione e il culmine di tutta la sua filosofia trascendentale; e si dimette dal Senato accademico.

1804

Muore il 1 2 febbraio, mormorando: «Es ist gut>> (Sta bene) . Sull a sua tomba saranno iscritte le parole della Critica della ragion pratica: «D cielo stellato sopra di me, la legge morale in me>>.

NOTA EDITORIALE Il testo tedesco qui riprodotto è quello della seconda edi­ zione pubblicata da Kant nel 1794, ed è basato sull'edizione diplomatica di Wilhelm Weischedel (Immanuel Kant. Werke in sechs Bà"nden, hrsg. von W Weischedel, IV Bd., Wiesba­ den, Insel Verlag, 1 956 [Frankfurt a.M. 19835] ). Con rinvio a un agile ed essenziale apparato critico sono segnalati i pochi punti in cui vengono accolte delle varianti, per le quali si è te­ nuta presente soprattutto l'edizione critica di Georg Wobber­ min curata per le Kants gesammelte Schri/ten . I numeri di pagina della Religion del 1794 sono indicati nelle testatine in alto, racchiusi tra parentesi quadra e posti accanto ai numeri di pagina dell'edizione italiana.

Vincenzo Cicero

Segni e sigle (cfr. in/ra, Bibliografia) ab * **

Interruzione di pagina nell'originale. In apice, rinvio all'apparato critico. In apice, rinvio alle note di Kant alla prima edi­ zwn e .

t

Rinvio alle note di Kant alla seconda edizione. In apice, rinvio alle note del traduttore.

A B v AA

Re ligio n del 1793 . Religion d el 1 794 .

l 2 3

KM

Ed. Vorlander. Akademische Ausgabe, hrsg. v. G. Wobbermin. Konigsberger Manuskript, manoscritto dei capp. II-IV della Religion conservato nella Biblioteca

universitaria di Konigsberg.

Die

Religion innerhalb der Grenzen

der bloBen Vernunft

Vorgestellt von

lmmanuel Kant Zweyte vermehrte Auflage

Konigsberg, b ey Friedrich Nicolovius

1794 .

La

Religione entro i limiti

della semplice ragione

Esposta

da lmm anuel Kant Seconda edizione accresciuta

Konigs berg , p re s s o F ri e d ri c h N i co l o v i u s 1794 .

VORREDE ZUR ERSTEN AUFLAGE Die Moral , so fem sie auf dem Begriffe des Menschen, als ein es freien , eben darum aber auch sich selbst durch s eine Vernunft an unbedingte Gesetze bindenden Wesens, gegrii n det ist, bedarf weder der Idee eines andern Wesens iiber ihm , um seine Pflicht zu erkennen , noch einer andern Triebfeder als des Gesetzes selbst, um sie zu beobachten. Wenigstens ist es seine eigene Schuld, wenn sich ein solches Bedurfnis an ihm vorfin­ det, dem aber alsdann auch durch nichts anders abgeholfen werden kann; weil, was nicht aus ihm selbst und seiner Freiheit entspringt, keinen Ersatz fur den Mangel seiner Moralitat ab ­ gibt. - Sie bedarf also zum Behuf ihrer selbst (sowohl objektiv, was das Wollen , als subjektiv, was l das Ki::in nen betrifft) keines­ weges der Religion, sondern, vermi::i ge der reinen praktischen Vernunft, ist sie sich selbst genug. - Denn da ihre Gesetze durch die bloBe Form der allgem einen GesetzmaBigkeit der darn ach zu nehmenden Maximen , als ob erster (selbst unbe ­ dingter) Bedingung aller Zwecke, verbinden : so bedarf sie uber­ haupt gar keines materialen Bestimmungsgrundes der freien Willk u r,* das ist l keines Zwecks , weder um was Pflicht sei, zu

* Diejenigen, denen der blo8 formale • Bestimmungsgrund (der Gesetz­ lichkeit) i.iberhaupt, im Begriff der Pflicht zum Bestimmungsgrunde nicht gni.igen will , g es t eh en dann doch , daE dieser nicht in der auf eigenes W o h 1 b e h a g e n gerichteten S e l b s t i i e b e angetroffen werden konne . Da blei­ ben aber alsdann nur zwei Bestimmungsgri.inde iibrig, einer, der rational ist, niimlich eigene V o I l k o m m e n h e i t , und ein anderer, der empirisch ist , fremde G l i.i c k s e l i g k e i t . - Wenn si e n un unter der erstern nicht schon di e moralische, die nur eine einzige sein kann, verstehen (nii.mlich einen dem Gesetze unbedingt gehorchenden Willen) , wobei sie aber im Zirkel erkliiren wiirden, so mi.i8ten sie die Naturvollkommenheit des Menschen, sofem sie einer Erhohung fiihig ist, und deren es vie! geben kann (als Geschicklichkeit in Kiinsten und Wissensch aften, Geschmack, Gewandtheit des Korpers u.d.g . ) , meinen. Dies ist aber jederzeit nur bedingter Weise gut, das ist, nur unter der Bedingung, dafi ihr Gebrauch dem moralischen Gesetze (wel ches



formale AA; fremde A, B.

PREFAZIONE

ALLA PRIMA EDIZIONE DEL 1793

La morale è fondata sul concetto dell'uomo in quanto essere libero, il quale però, appunto perché libero, vincola a un tempo se stesso, mediante la ragione, a leggi incondiziona­ te. Pertanto, per conoscere quale sia il dovere dell'uomo, la morale non ha bisogno dell'idea di un Essere superiore, né ha bisogno, per indurre l'uomo a compiere questo dovere, di ricorrere a un movente diverso dalla stessa legge morale. È allora colpa dell'uomo se egli prova in sé un tale bisogno, al quale nient'altro e nessun altro può porre rimedio: ciò che non scaturisce dall'uomo stesso e dalla sua libertà, infatti, non è in grado di compensare l'insufficienza della sua moralità. La morale non ha dunque affatto bisogno (né oggettiva­ mente, rispetto al volere, né soggettivamente, l rispetto al potere) di un soccorso da parte .della religione, ma è autosuffi­ ciente in virtù della ragione pura pratica. Le leggi morali sono infatti vincolanti per via della loro forma semplice, la quale consiste nella conformità universale a esse da parte delle massime che ne derivano, e questa forma è così la condizione suprema (essa stessa incondizionata) di tut­ ti i fini. In generale, pertanto, la morale non ha bisogno di nessun motivo materiale per determinare il libero arbitrio*, * Quanti ritengono che il motivo semplicemente formale di determina­ zione del libero arbitrio (la conformità all a legge) sia insufficiente a costituire il fondamento determinante nel concetto del dovere, riconoscono poi tuttavia che questo fondamento non può consistere nell' a m o r e d i s é orientato sul proprio b e n e s s e r e . Ma in tal caso resterebbero solo due possibili motivi determinanti: l'uno razionale , cioè la propria p e r f e z i o n e , l ' altro empirico, cioè la f e l i c i t à altri. Ora, con «perfezione>> costoro, per non cadere in un circolo vizioso, non possono certo intendere la perfezione morale , perché questa si dà in un'unica modali tà, cioè soltanto in una volontà che già obbedisca incondizionatamente alla legge morale. Pertanto, essi dovrebbero necessariamente riferirsi alla per­ fezione naturale dell'uomo, la quale è suscettibile di incremento e può essere di diverse specie (abilità nelle arti e nelle scienze, gusto, agilità del corpo, ecc. ) . Sennonché, queste specie sono buone solo in modo condizionato, cioè a condizione che il loro uso non sia in contrasto con la legge morale (la quale

degli

46 [IV-VI]

LA RELIGIONE

erkennen, noch dazu, da.B sie ausgeiibt werde, anzutreiben: sondern sie kann gar wohl und soli, wenn es auf Pflicht an­ kommt, von allen Zwecken abstrahieren. So bedarf es zum Bei­ spie!, um zu wissen: oh ich vor Gericht in meinem Zeugnisse wahrhaft, oder bei Abforderung eines mir anvertrauten frem­ den Guts treu sein soll (oder auch kann), gar nicht der Nach­ frage nach einem Zweck, den ich mir, bei meiner Erkliirung, zu bewirken etwa vorsetzen mochte, denn das ist gleichviel, was fur einer es sei; vielmehr ist der, welcher, indem ihm sein Ge­ stiindnis rechtmiiBig abgefordert wird, noch notig findet, sich nach irgend einem Zwecke umzusehen, hierin schon ein Nichts­ wiirdiger. Obzwar aber die Moral zu ihrem eigenen Behuf keiner Zweckvorstellung bedarf, die vor der Wil j lensbestimmung vor­ hergehen mii.Bte, so kann es doch wohl sein, da.B sie auf einen solchen Zweck eine notwendige Beziehung habe, namlich , nicht als auf den Grund, sondern als auf die notwendigen Fol­ gen der Maximen, die jenen gemii.B genommen werden. - Denn ohne alle Zweckbeziehung kann gar keine Willensbestimmung im Menschen statt finden, weil sie nicht ohne alle Wirkung sein kann, deren Vorstellung, wenn gleich nicht als Bestimmungs­ grund der Willkiir und als ein in der Absicht vorhergeheqder Zweck, doch, als Folge von ihrer Bestimmung durchs Gesetz zu einem Zwecke muB aufgenommen werden konnen (finis in consequentiam veniens) , ohne welchen eine Willkiir, die sich keinen, weder objektiv noch subjektiv bestimmten Gegenstand (den sie hat, oder haben solite) zur vorhabenden Handlung

allein unbedingt gebietet) nicht widerstreite; also kann sie, zum Zweck ge­ macht, nicht Prinzip der Pflichtbegriffe sein. Eben dasselbe gilt auch von dem auf Gliickseligkeit anderer Menschen gerichteten Zwecke. Denn eine Handlung mu!l zuvor an sich selbst nach dem moralischen Gesetze abgewo­ gen werden, ehe sie auf die Gliickseligkeit anderer gerichtet wird. Dieser ihre Beforderung ist also nur bedingter Weise Pflicht, und kann nicht zum ober­ sten Prinzip moralischer Maximen dienen.

l

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[IV.VIJ 47

vale a dire: l essa non ha bisogno di nessun fine, né per cono­ scere che cosa sia il dovere, né per indurre l'uomo a compier­ lo. Quando si tratta del dovere, la morale può e deve fare astrazione da ogni fine. Così, per esempio, per sapere se davanti al trib unale devo dire la verità nella mia testimonianza, oppure se devo (o anch e posso) essere leale restituendo un bene altrui affidatomi in custodia, non occorre affatto che io ricerchi quale fine potrei eventualmente conseguire con la mia dichiarazione o col mio atteggiamento, perché qualsiasi fine in questo caso non conta nulla; anzi, se qualcuno cui sia stato legittimamente chiesto di pronunciarsi, ritiene necessario cercare un buon motivo per farlo (cioè, perseguire un qualche fine con la sua dichiarazione) , allora già solo per questo costui è un essere indegno. Ora, se è vero che la morale non ha bisogno di ricorrere alla rappresentazione di un fine - la quale dovrebbe l necessa­ riamente precedere la determinazione della volontà -, può tuttavia accadere che essa abbia una relazione necessaria con un fine rappresentato, cioè che abbia relazione con esso inte­ so non come il motivo determinante, bensì come la conse­ guenza necessaria delle massime adottate in conformità alle leggi morali. Senza alcuna relazione a un fine, in realtà, nell'uomo non può aver luogo nessuna determinazione della volontà; tale determinazione, infatti, non può essere senza effetto, e la rap­ presentazione di questo effetto deve poter essere assunta, se non come motivo determinante dell'arbitrio e come un fine volutamente presupposto, certamente come conseguenza del­ la determinazione dell'arbitrio stesso mediante la legge e in vista di un fine (finis in consequentiam veniens). Senza questo fine, un arbitrio non aggiunge mentalmente all'azione che vuoi compiere nessun oggetto determinato, né oggettivamente né soggettivamente (e l'arbitrio ha o dovrebbe avere sempre è l'unica

a comandare in modo i ncon dizio n ato ). Di conseguenza, una volta elevata a fine, la perfezione naturale non può costituire il principio dei con­ cetti del dovere. Lo stesso discorso vale per i fini orientati sulla felicità degli altri uomini. l Un'azione, infatti, prima di mirare alla felicità degli altri, dev'essere innanzi­ tutto giudicata in se stessa in base all a legge morale. La promozione della feli­ cità altrui, dunque, è un dovere solo modo condizionato, e non può funge­ re da principio supremo delle massime morali.

in

48 [VI- VIII]

LA RELIGIONE

hinzudenkt, zwar w i e sie, aber nicht w o h i n sie zu wirken habe, angewiesen, sich selbst nicht Gniige tuo kann. So bedarf es zwar fiir die Moral zum Rechthandeln keines Zwecks, son­ dem das Gesetz, welches die formale Bedingung des Gebrauchs der Freiheit iiberhaupt enthalt, ist ihr genug. Aber aus der Moral geht doch ein Zweck l hervor; denn es kann der Ver­ nunft doch unmoglich gleichgiiltig sein, wie die Beantwortung der Frage ausfallen moge: w a s d a n n a u s d i e s e m u n s e r m R e c h t h a n d e l n h e r a u s k o m m e , und worauf wir, gesetzt auch, wir hatten dieses nicht vollig in unserer Gewalt, doch als auf einen Zweck unser Tun und Lassen rich­ ten konnten, um damit wenigstens zusammen zu stimmen. So ist es zwar nur eine Idee von einem Objekte, welches die for­ male Bedingung aller Zwecke, wie wir sie haben sollen (die Pflicht), und zugleich alles damit zusammenstimmende Beding­ te aller derjenigen Zwecke, die wir haben (die jener ihrer Be­ obachtung angeme�ne Gliickseligkeit), zusammen vereinigt in sich enthalt, das ist, die Idee eines hochsten Guts in der Welt, zu dessen Moglichkeit wir ein hoheres, moralisches, heiligstes und allvermogendes Wesen annehmen miissen, das allein beide Elemente desselben vereinigen kann; aber diese Idee ist (prak­ tisch betrachtet) doch nicht leer; weil sie unserm natiirHchen Bedurfnisse, zu allem unsero Tun und Lassen im ganzen ge­ nommen irgend einen Endzweck, der von der Vernunft ge­ rechtfertigt werden kann, zu denken, abhilft, welches sonst ein Hinder l nis der moralischen Entschlie6ung sein wiirde. Aber, was hier das Vornehmste ist, diese Idee geht aus rl.er Moral her­ vor, und ist nicht die Grundlage derselben; ein Zweck, welchen sich zu machen schon sittliche Grundsatze voraussetzt. Es kann also der Moral nicht gleichgiiltig sein, ob sie sich den Begriff von einem Endzweck aller Dinge (wozu zusammen zu stimmen zwar die Zahl ihrer Pflichten nicht vermehrt, aber doch ihnen einen besondern Beziehungspunkt der Vereinigung aller Zwecke verschafft) mache, oder nicht; weil dadurch allein der Verbindung der Zweckm�igkeit aus Freiheit mit der Zweck­ ma6igkeit der Natur, deren wir gar nicht entbehren konnen, objektiv praktische Realitat verschafft werden kann. Setzt einen Menschen, der das moralische Gesetz verehrt und sich den

pREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[VI-VITIJ 4 9

un oggetto determinato ) : un tale arbitrio sa cert amente c o m e , ma non i n v i s t a d i c h e debba agire, e quindi non p uò bastare a se stesso. Ora, in vista dell'agire rettamente, alla morale non occorre certo nessun fine, ma le è sufficiente la legge che contiene la co ndizione formale dell'uso della libertà in generale. Dalla m orale, tuttavia, l procede un fine, in quanto è impossibile che la ragione resti indifferente davanti alla seguente domanda: Qual è il risultato di questo nostro agire r e t t a m e n t e ? , e cosa potremmo stabilire come fine verso cui orientare il nostro comportamento, perlomeno - posto pure che non avessimo tale fine pienamente in nostro potere per accordarci con esso ? Certo, questo fine può essere soltanto l'idea di un oggetto che contiene in sé, unificate insieme, (a) la condizione formale di tutti i fini quali li dobbiamo avere (il dovere), e, a un tem­ po, (b) ogni condizionatezza che si accorda con quei fini che perseguiamo (la felicità conforme all'adempimento del dove­ re) ; in altre parole, può trattarsi soltanto dell'idea di un Bene supremo nel mondo, per la cui possibilità noi dobbiamo assu­ mere necessariamente un Essere morale superiore, santissimo e onnipotente, che è l'unico a poter riunire i due elementi del Bene. Considerata sul piano pratico, tuttavia, questa idea non è affatto vuota: essa, infatti, viene in soccorso al nostro bisogno naturale di pensare, in vista di ogni nostro comportamento in generale, un qualche fine ultimo che possa essere giustificato dalla ragione - altrimenti, senza questo soccorso, un tale biso­ gno sarebbe l di ostacolo alla decisione morale. Ora, la cosa più importante qui è che questa idea risulta dall a morale, e non ne costituisce quindi il fondamento: è un fine che, per costituirsi, presuppone già dei princìpi morali. Per la morale, dunque, non può essere indifferente ammettere o meno il concetto di un fine ultimo di tutte le cose (l'accordo con un tale concetto non accresce certo il numero dei doveri, ma tuttavia procura loro un particolare punto di riferimento in cui convergono e si unificano tutti i fini) ; solo mediante l'ammissione di tale concetto, infatti, si può conferire realità oggettivamente pratica al collegamento - per noi assoluta­ mente imprescindibile - tra la finalità della libertà e la finalità della natura. Si consideri un uomo pieno di rispetto per la legge morale,

50 [VIII-IX]

LA RELIGIONE

Gedanken beifallen laBt (welches er schwerlich vermeiden kann) , welche Welt er wohl durch die praktische Vernunft geleitet e r s c h a ff e n wi.irde, wenn es in seinem Vermi:igen ware, und zwar so, daB er sich selbst als Glied in dieselbe hineinsetzte, so wi.irde er sie nicht allein gerade so wahlen , als es jene moralische Idee vom hochsten Gut mit sich bringt, wenn l ihm blo.B die Wahl iiberlassen ware, sondern er wi.irde auch wollen, daB eine Welt iiberhaupt existiere, weil das mora­ lische Gesetz will, daB das hochste durch uns mogliche Gut bewirkt werde, ob er sich gleich nach di e s e r Idee selbst in Gefahr sieht, fiir seine Person an Gliickseligkeit sehr einzu­ biill en, weil es moglich ist, daB er vielleicht der Forderung der letztern, welche die Vernunft zur Bedingung macht, nicht ada­ quat sein diirfte; mithin wi.irde er dieses Urteil ganz parteilos, gleich als von einem Fremden gefall et, doch zuglei c h fii r das seine anzuerkennen sich durch die Vernunft genotigt fii h len, wodurch der Mensch das in ihm moralisch gewirkte Bediirfnis beweist, zu seinen Pflichten sich noch einen Endzweck, als den Erfolg derselben, zu denken. Moral also fiih rt unumganglich zur Religion, wodurch sie sich zur Idee eines machthabenden moralischen Gesetzgebers au.Ber dem Menschen erweitert,* in dessen Willen dasjenige •

hochstes

* D er Satz: es ist ein Gott, m it hi n es ist ein Gut in der Welt, wcnn er ( als Glaubenssatz) bloB aus der Mora! he rvo rgeh en soli, ist ein synthe tischer a priori, der, l ob er gleich nur in p raktis ch er Beziehung ange­ nommen wird, doch iiber den Begriff der Pflicht, den die Mora! enthalt (und der keine Materie der Willkiir, sondern blolì formale Gesetze derselben voraussetzt ) , hina u s geht , un d aus dieser also analytisch nicht entwickelt wer­ den ka nn . W i e i s t ab e r e i n s o l c h e r S a t z a p r i o r i m g l i c h ? Das Zusammenstimmen mit der blolìen Idee eines moralischen Ge s etz geb ers aller Men sche n ist zwar m i t dem moralischen B egriffe von Pflicht iiberhaupt identisch, und sofern ware der Satz, der diese Zusammenstimmung g eb i et et, analytisch. Ab er d i e A n n eh mu n g seines D a s e i n s sagt me h r, als die blolìe Moglic hke it eines solchen Gegensta ndes . Den Schliissel zur Aufl sun g die s er A u fg abe soviel ich davon einzusehen glaube , kann ich hier nur anzeigen , ohne sie a u szu fiih ren . Z w e c k ist jederzeit der Gegens ta nd einer Z u n e i g u n g , das ist, einer u n mi t telb aren Be gier de zum Besitz einer Sache , vermitt el st se in er Han dlu ng ; so wie das G e s e t z (das pr akt is ch gebi e te t) ein Gegenstand der A c h t u n g ist. Ein objektiver Zweck (d.i. de rje ni ge , den wir haben sollen) ist der, wel­ cher uns von der blolìen Vern unft als ein solcher aufgegeben wird . Der Zweck, welcher die u num g a n gli che und zugleich zureichende Bedingung l aller iibrigen e n t h al t , ist der E n d z w e c k . Eigene Gl ii c k s el i gkei t ist der

o

o

pREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[VITI-DG 5 1

al quale venga in mente d i chiedersi (ed è difficile che egli non se lo chieda) : Se ne avessi la facoltà, quale mondo c r e e r e i sotto la guida della ragione pratica?, - e precisamente: Quale m ondo di cui io stesso sarei membro? Ebbene, l se gli si con­ cedesse di scegliere liberamente, in tal caso egli non solo sce­ glierebbe proprio nel senso in cui lo esige l'idea morale del Bene supremo, ma vorrebbe anche che tale mondo esistesse, e questo perché la legge morale esige da parte nostra l' attuazio­ ne del massimo Bene possibile. Quell'uomo vorrebbe quindi tutto ciò anche se, in conseguenza di questa stessa idea, si sco­ prisse in pericolo di rimetterei molto in fatto di felicità perso­ nale - potrebbe infatti accadere che egli non sia in grado di adeguarsi all'esigenza che la ragione pone come condizione della felicità. Nel complesso, pertanto, egli si sentirebbe costretto dalla ragione a formulare in modo totalmente impar­ ziale questo giudizio, come si trattasse di un giudizio che, dato da un estraneo, egli tuttavia riconoscerebbe a un tempo come suo propno. Questo esempio dimostra che nell'uomo opera in senso morale il bisogno di pensare, rispetto ai suoi doveri, un fine ultimo come loro conseguenza. La morale, dunque, conduce inevitabilmente alla religione, mediante la quale essa si innalza all'idea di un Legislatore morale onnipotente al di là dell'uomo*: nella volontà di que* Nella misura in cui la proposizione «c'è un Dio, quindi c'è un Bene supremo nel mondo» dev'essere ricavata (come articolo di fede) semplice­ mente dalla morale, essa è allora una proposizione sintetica a priori, la quale, l sebbene assunta unicamente dal punto di vista pratico, oltrepassa tuttavia il concetto morale del dovere (il quale concetto presuppone semplicemente le leggi formali dell'arbitrio, non la sua materia). Questa proposizione non può dunque essere ricavata per via analitica dalla morale. M a c o m ' è p o s s i b il e u n a t a l e p r o p o s i z i o n e a p rio­ r i ? La semplice idea di un Legislatore morale di tutti gli uomini si accorda senz' altro con il concetto morale del dovere in generale, e in questo senso la proposizione che comanda questo accordo sarebbe analitica. Ma ammettere l'esistenza dell'accordo significa ben più che ammetterne la semplice possibi­ lità. Ora, in questa sede posso soltanto indicare, senza soffermarmi sui detta­ gli, la chiave per risolvere questo problema, almeno per quel tanto che credo di esserne capace. Un f i n e è sempre l'oggetto di un'i n c l i n a z i o n e , cioè del desiderio immediato di impossessarsi di una cosa mediante la propria azione; la l e g g e (che comanda p raticamente) è invece un oggetto del r i s p e t t o . Un fine oggettivo (cioè quel fine che è un dovere raggiungere) ci è proposto come tale dalla semplice ragione. n fine che contiene la condizione necessaria e a un tempo sufficiente di tutti l gli altri fini è il f i n e u l t i m o .

52 [IX-Xl]

LA RELIGIONE

Endzweck (der l Weltschopfung) ist, was zugleich der End­ zweck des Menschen sein kann und soli. * * *

Wenn die Moral an der Heiligkeit ihres Gesetzes einen Gegenstand der groBten A c h t u n g erkennt, so l steli t sie auf

subjektive Endzweck vemiinftiger Weltwesen (den jedes derselben vermiige seiner von sinnlichen Gegenstanden abhiingigen N atur h a t , un d von dem es ungereirnt ware, zu sagen: daR man ihn haben s o I l e ) , und alle praktische Satze, die diesen Endzweck zum Grunde haben, sind synthetisch aber zugleich empirisch. DaR aber jedermann sich das hiichste, in der Welt mèigliche G u t zum E n d z w e c k e machen solle, ist ein synthetischer praktischer Satz a priori, und zwar ein objektivpraktischer durch die reine Vemunft aufgegebe­ ner, weil er ein Satz ist, der iiber den Begriff der Pflichten in der Welt hinaus­ geht, und eine Folge derselben (einen Effekt) hinzutut, der in den morali­ schen Gesetzen nicht enthalten ist, und daraus also analytisch nicht entwickelt werden kann . Diese namlich gebieten schlechtlùn, es mag auch der Erfolg derselben sein, welcher er wolle, ja sie niitigen sogar, davollr'ganz­ lich zu abstrahieren, wenn es auf eine besondre Handlung ankiimmt, und machen dadurch die Pflicht zum Gegenstande der groBten Achtung, ohne uns einen Zweck (und Endzweck) vorzulegen und aufzugeben , der etwa die Empfehlung derselben und die Triebfeder zur Erfiillung unsrer Pflicht ausmachen rniillt e. Alle Menschen kiinnten hieran auch genug haben, weru1 sie (wie sie sollten) si eh bloii an die Vorschrift der reinen Vernunft irn Gesetz hlelten. Was brauchen sie den Ausgang ihres moralischen Tuns und Lassens zu wissen, den der Weltlauf herbeifii hren wird? Fiir sie ist's genug, daR sie ihre Pflicht tun; es mag nun l auch mit dem irdischen Leben alles aus sein, und wohl gar selbst in diesem Gliickseligkeit und Wiirdigkeit vielleicht nie­ mals zusamrnentreffen . Nun ist's aher eine von den unvermeidlichen Einschriinkungen cles Menschen und seines (vielleicht auch aller andern Weltwesen) praktischen Vernunftvermiigens, sich bei alle n Handlungen nach dem Erfolg aus denselben umzusehen, um in diesem etwas aufzufinden, was zum Zweck fiir ihn dienen und auch die Reirùgkeit der Ahsicht beweisen kiinnte, welcher in der Ausiibung (nexu effectivo) zwar das letzte, in der Vorstellung aber und der Absicht (nexu finali) das erste ist. An diesem Zwccke nun, wenn er gleich durch die bloile Vemunft ihm vorgelegt wird, sucht der Mensch etwas, was er l i e h e n kann; das Gesetz, also, was ihm bloR A c h t u n g einfliiRt, cb es zwar jenes als Bediirfnis nicht anerkennt, erweitert sich doch zum Behuf desselben zu Aufnehmung des rnoralischen Endzwecks der Vernunft unter seine Bestirnmungsgriinde, das ist, der Satz: mache das hiichste in der Welt miigliche Gut zu deinem Endzweck; ist ein synthetischer Satz a priori, der durch das moralische Gesetz selher eingefiih rt wird, und wodurch gleichwohl die praktische Vernunft sich iiber das letztere

[IX-Xl] 53

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

sto Legislatore c'è quel fine ultimo (della l creazione del mon­ do) che, a W1 tempo, può e deve essere il fine ultimo dell'uomo. * * *

un

Quando la morale riconosce nella santità della sua legge oggetto degno del più grande r i s p e t t o l allora essa, ,

Ora, la propria felicità è il fine ultimo soggettivo degli esseri razionali del mondo (ognuno di essi h a questo fine in forza della sua dipendenza naturale dagli oggetti sensibili, e sarebbe assurdo dire che d e v e avere un tale fme). E tutte le proposizioni pratiche che hanno per fondamento questo fine ultimo sono sintetiche e, a un tempo, empiriche. Per contro, la proposizione «ognuno deve avere come f i n e u l t i m o il massimo B e n e possibile nel mondo» è una proposizione pratica sintetica a priori, e precisamente una proposizione oggettivamente pratica proposta dalla ragione pura: essa infatti oltrepassa il concetto dei doveri da adempiere nel mondo, e aggiunge a tali doveri una conseguenza (un effetto ) che non è contenuta nelle leggi morali. Si tratta dunque di una proposizione che non può essere desunta analiticamente a partire da queste leggi. Le leggi morali comandano infatti in modo assoluto, qualunque possa esserne il risultato. Anzi, nel caso di un'azione particolare, le leggi morali ci costringono persino ad astrarre completamente da qualsiasi risultato: in tal modo esse farmo del dovere l'oggettq del nostro massimo rispetto, senza pre­ sentarci e proporci nessun fine (e nessun fine ultimo) quale movente necessa­ rio per compiere il nostro dovere obbedendo a esse. Tutti gli uomini potrebbero accontentarsi di questo rispetto del dovere, se soltanto si attenessero (come dovrebbero) alle prescrizioni che la ragione pura dà loro con la legge morale. Che bisogno c'è infatti di conoscere l'esito del comportamento morale, quale risulterà dal corso del mondo ? Agli uomini è sufficiente compiere il loro dovere, anche se tutto l finirà con la vita terrena e persino se la felicità e la dignità non potranno forse mai incontrarsi e coesi­ stere in questa vita. Tuttavia, una delle inevitabili limitazioni dell'uomo e della sua facoltà razionale pratica (e forse anche di ogni altro essere del mondo) consiste nel preoccuparsi ogni volta del risultato che avrà la sua azione, per rinvenire in esso un possibile fine e per dimostrare così anche la purezza della propria intenzione; e questo risultato, che è certamente l'ultimo elemento dell'esecu­ zione dell'azione (nexu e!fectivo) , è però il primo nella rappresentazione e nell'intenzione (nexu finali) . Ora, sebbene questo fine gli venga proposto dalla semplice ragione, l'uo­ mo cerca in esso qualcosa da a m a r e _ La legge morale, dal canto suo, ispira all'uomo semplicemente r i s p e t t o , non amore, e non riconosce la neces­ sità di quel fine; essa viene t uttavia in aiuto all'uomo consentendogli di ammettere il fine morale ultimo della ragione fra i motivi determinanti del­ l'arbitrio umano. Ciò significa, dunque, che la proposizione «fai del massimo Bene possibi­ le nel mondo il tuo fine ultimo» è una proposizione sintetica a pnòri che, introdotta dalla legge morale, consente però alla ragione pratica di estendersi al di là della stessa legge morale.

54

[XI-XIV]

LA RELIGIONE

der Stufe der Religion an der hochsten, jene Gesetze vollzie­ henden Ursache einen Gegenstand der A n b e t u n g vor, und erscheint in ihrer Majestat. Aber alles, auch das Erhabenste, l verkleinert sich unter den Handen der Menschen, wenn sie die Idee desselben zu ihrem Gebrauch verwenden. Was nur sofem wahrhaftig verehrt werden kann, als die Achtung dafur frei ist, wird l genotigt, sich nach solchen Formen zu bequemen, denen man nur durch Zwangsgesetze Ansehen verschaffen kann, und was sich von selbst der offentlichen Kritik jedes Menschen blo.Bstellt, das mu.B sich einer Kritik, die Gewalt hat, d.i. einer Zensur unterwerfen. Indessen, da das Gebot: gehorche der Obrigkeit ! doch auch moralisch ist, und die Beobachtung desselben, wie die von allen Pflichten, zur Religion gezogen werden kann, so geziemt einer Abhandlung, welche dem bestimmten Begriffe der letztem ge­ widmet ist, selbst ein Beispiel dieses Gehorsams J abzugeben, der aber nicht durch die Achtsamkeit blo.B auf das Gesetz einer einzigen Anordnung im Staat, und blind in Ansehung jeder an­ dem, sondern nur durch vereinigte Achtung fi.ir alle vereinigt bewiesen werden kann. Nun kann der Bi.icher richtende Theo­ log entweder als ein solcher angestellt sein, der blo.B fii r das Heil der Seelen, oder auch als ein solcher, der zugleich fitr das Heil der Wissenschaften Sorge zu tragen hat; der erste Richter blo� als Geistlicher, der zweite zugleich als Gelehrter. Dem letz-

erweitert, welches dadurch mi:iglich ist, da!S jenes auf die Natureigenschaft des Menschen, sich zu allen Handlungen noch auBer dern Gesetz noch einen Zweck denken zu miissen, bezogen wird (welche Eigenschaft desselben ihn zum Gegenstande der Erfahrung ma eht), un d ist (gleichwie die theoretischen und dabei synthetischen Satze a priori) nur dadurch mi:ig l lich, da!S er das Prinzip a priori der Erkenntnis der Bestirnmungsgriinde einer freien Willkii r in der Erfahrung iiberhaupt enthalt, sofem diese, welche die Wirkungen der Moralitat in ih ren Zwe cken darlegt , dem Begriff der Sittli chkeit , als Kausalitat in der Welt, objektive, obgleich nur praktische Realitat verschafft. - Wenn nun aber die strengste Beobachtung der rnoralischen Gesetze als Ursache der Herbeifiih rung des hochsten Guts (als Zwecks) gedacht werden soli : so rnu.B, weil das Mens chenverrnogen dazu nicht hinreich t, die Gliickseligkelt in der Welt einstirnmig mit der Wiirdigkeit gliicklich zu sein zu bewirken, ein allvermi:igendes moralisches Wesen als Weltherrscher ange­ nornrnen werden, unter dessen Vorsorge dieses geschieht, d.i. die Mora! fiihrt unausbleiblich zur Religion.

pREFAZIONE

[Xl-XIV] 55

ALLA PRIMA EDIZIONE

nella sfera della religione, giunge a rappresenta rsi la Causa suprema, autrice di quelle leggi, come un oggetto di a d o r a z i 0 n e , e si manifesta così nella sua maestà. Sennonché, ogni cos a, anch e la più sublime, l rimpicciolisce nelle mani degli uom ini non appena essi ne piegano l'idea al loro uso e consu­ m o . Di conseguenza, ciò che può essere onorato veramente solo in qu anto è libero il rispetto che gli è dovuto, viene inve­ ce 1 cos tretto ad assumere delle forme cui si può conferire au­ torità solo mediante leggi coercitive, e ciò che si autoespone all a critica aperta di ogni uomo, deve necessariamente sottosta­ re a una critica dotata di forza e autorità, cioè a una censura. D'altra parte, però, poiché il comando «Obbedisci all'au­ torità! » è anch'esso un comando morale, e poiché la sua osservanza, analogamente all'osservanza di tutti i doveri, può essere messa in relazione con la religione, è allora opportuno che una trattazione dedicata al concetto determinato della religione offra essa stessa un esempio l di tale obbedienza; e quest'ultima la si può dimostrare non quando ci si preoccupi semplicemente della legge di un unico ordine dello Stato, restando ciechi per tutti gli altri ordini, bensì solo quando si nutre un rispetto uniforme verso tutti quanti gli ordini nel loro insieme. Ora, il teologo, quando esamina dei libri, può avere cura o semplicemente della salvezza delle anime, oppure anche, a un tempo, della salvezza delle scienze; nel primo caso, egli è giu­ dice semplicemente in quanto ecclesiastico, nel secondo, è giudice anche in quanto scienziato. In quest'ultimo caso, il ·

Ciò è possibile innanzitutto perché la legge morale viene qui riferita a quella propri et à della natura umana per cui l'uomo, in ogni sua azi one , è costretto a pe n s a re , oltre alla legge, anche a un fine (ed è questa proprietà a rendere l'uomo un oggetto d'esperienza) . A sua volta, però, ciò è possibile unicamente perché quella proposizione (analogamente a tutte le proposizione teoretiche e sintetiche a pnòri) conti en e in generale il principio a priori della conoscenza dei motivi che determinano il libero arbitrio nell'esperienza; è l'e­ sperienza, infatti, a mostrare gli effetti dei fini della moralità, procurando così al concetto di moralità come causalità nd mondo una realità oggettiva, sebbe­ ne esclusivamente pratica. Ora, l' uomo non ha il potere sufficiente per fare in modo che nd mondo la fdicità si accordi con la dignità di essere felici. Dato ciò, se la più stretta osservanza delle leggi morali dev'essere pensata come causa dell'attuazione del Bene supremo (in quanto fine ultimo) , è allora necessario ammettere un Essere morale onnipotente, Signore del mondo, sotto la cui Provvidenza avvenga appunto quell 'accordo. E ciò significa che la morale conduce inevita­ bilmente alla religione.

l

56 [}(IV-XVI]

LA RELIGIONE

tern als Gliede einer offentlichen Anstalt, der (unter dem Na­ men einer Universitat) alle Wissenschaften zur K�tur und zur Verwahrung gegen Beeintrachtigungen anvertraut sind, liegt es ob, die Anm aBungen des erstern auf die Bedingung einzu­ s chranken , daB seine Zensur keine Zerstorung im Felde der Wissenschaften anrichte, und wenn beide biblische Theolo g en sind, so wird dem letztern als Universitatsgliede von derjenig en Fakultat, welcher diese Theologie abzuhandeln aufgetrag en worden , die Oberzensur zukommen ; weil, was die erste Ang ele­ genheit (das Heil der Seelen) betrifft, beide einerlei Auftrag ha­ ben; l was aber die zweite (das Heil der Wissenschaften) an­ langt, der Theolog als Universitatsgelehrter noch eine besond ere Funktion zu verwalten hat. Geht man von dieser Regel ab , so muB es endlich dahin kommen , wo es schon sonst (zum B ei­ spie! zur Zeit des G a I i l e o ) gewesen ist, namlich daB der bi­ blische Theolog, um den Stolz der Wissenschaften zu demiiti­ gen und sich selbst die Bemiihung mit denselben zu ersparen, wohl gar in die Astronomie, oder andere Wissenschaften, z.B. die alte Erdgeschichte, Einbruche wagen , und, wie diejenig en Volker, die in sich selbst entweder nicht Vermogen, oder auch nicht Ernst genug finden , sich gegen b esorgliche Angriffe zu verteidig en , alles um sich her in Wustenei verwand�ln , alle Versuche d es menschlichen Verstandes in Bes chlag 'nehmen diirfte. Es steht aber der biblischen Theologie im Felde der Wis­ senschaften eine philosophische Theologie gegenuber, die das anvertraute Gut einer andern Fakultat ist. Diese, wenn sie nur innerhalb der Grenzen der bloBen Vernunft bleibt, und l zur Bestatigung und Erlauterung ihrer Satze die Geschichte, Spra­ chen, Bucher aUer Volker, selbst die Bibel benutzt , aber nur fiir sich, ohne diese Satze in die biblische Theologie hineinzutra­ gen, und dieser ihre offentlichen Lehren, dafur der Geistliche privilegiert ist, abandern zu wollen, muB volle Freiheit haben, sich , so weit, als ihre Wissensch aft reicht, auszubreiten; und obgleich , wenn ausgemacht ist, da6 der erste wirklich seine Grenze uberschritten, und in die biblische Theologie Eingriffe getan habe, dem Theologen (bloB als Geistlichen betrachtet) das Recht der Zensur nicht bestritten werden kann, so kann doch, sob ald jenes noch bezweifelt wird, und als o die Frage

pRE FAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[XIV-XVIJ 57

teologo è membro di un'istituzione pubblica, alla quale (sotto il nome di Università) sono affidate tutte le scienze per essere coltivate e salvaguardate da tutto ciò che può arrecare loro pregiudizio e nocumento; qui il teologo scienziato deve perciò circoscrivere le pretese dell'ecclesiastico e subordinarle alla condizione che la sua censura non provochi nessun danno nel campo delle scienze. Se poi sono entrambi dei teologi biblici, allora la censura superiore spetterà al teologo scienziato, in quanto membro universitario di quella Facoltà cui è stata affi­ data appunto la trattazione della teologia biblica; infatti, per quanto riguarda il primo incarico (la salvezza delle anime) , entrambi i teologi hanno l o stesso compito, l mentre invece, quanto al secondo incarico (la salvezza delle scienze) , il teolo­ go che è docente universitario deve svolgere un'ulteriore fun­ zione particolare. Se ci si allontana da questa regola, è allora inevitabile che infine si verifichi ciò che è già accaduto in passato (al tempo di G a l i l e o , per esempio) , vale a dire: il teologo biblico, per umiliare l'orgoglio delle scienze e per risparmiarsi la fatica di studiarle, potrebbe persino osare d'irrompere nel campo del­ l' astronomia o delle altre scienze, per esempio della storia antica della terra, e potrebbe sequestrare e rivendicare solo per sé ogni tentativo dell'intelletto umano - comportandosi così allo stesso modo di quei popoli che, non essendo abba­ stanza potenti né seri per difendersi da attacchi minacciosi, trasformano ogni cosa intorno a sé in deserto. Nel campo delle scienze, però, alla teologia biblica sta di fronte una teologia filosofica, che è una disciplina affidata a un'altra Facoltà. La teologia filosofica deve avere piena libertà di espandersi per quanto estesa è la sua scienza, a condizione però che essa rimanga soltanto entro i limiti della semplice ragione e che, l per confermare ed esplicare le proprie propo­ sizioni, utilizzi sì la storia, le lingue, i libri di tutti i popoli, compresa la Bibbia, ma solo per proprio uso, senza pretende­ re di introdurre tali proposizioni nella teologia biblica e senza volerne alterare le dottrine ufficiali, le quali sono appannaggio esclusivo degli ecclesiastici. Ora, nel caso in cui sia comprovato che la teologia filosofi­ ca ha effettivamente oltrepassato i propri limiti invadendo il campo della teologia biblica, allora il diritto di censura da parte del teologo (inteso semplicemente come ecclesiastico) è incontestabile; quando invece questa invasione è dubbia e

58 [XVI-XVIII)

LA RELIGIONE

eintritt: oh jenes durch eine Schrift, oder einen andem offentli­ chen Vortrag des Philosophen geschehen sei, nur dem bibli. schen Theologen, als G l i e d e s e i n e r F a k u l t a t , die Ober­ zensur zustehen, weil dieser auch das zweite Interesse des gç:. mein en Wesens, namlich den Fior der Wissenschaften zu be­ sorgen angewiesen, und eben so giiltig als der erstere angestellt worden ist. l Und zwar steht in solchem Falle dieser Fakultat, nicht der philosophischen, die erste Zensur zu; weil jene allein fur gewis ­ se Lehren p rivilegiert ist, diese aber mit den ihrigen ein offn es freies Verkehr treibt, daher nur jene dariiber Beschwerde fiih ­ ren kann, da.B ihrem ausschlieBlichen Rechte Abbruch gesche­ he. Ein Zweifel wegen des Eing riffs aber ist, ungeachtet der Annaherung beider samtlicher Lehren zu einander, und der Be­ sorgnis des Ùberschreitens der Grenzen von Seiten der philo­ sophischen Theologie, leicht zu verhi.iten, wenn man nur er­ wagt, daB dieser Unfug nicht dadurch geschieht, daB der Phi­ losoph von der biblischen Theologie etwas e n t l e h n t , um es zu seiner Absicht zu brauchen (denn die letztere wird selb st nicht in Ab rede sein wollen, daB sie nicht vieles, was ihr mit den Lehren der bloBen Vernunft gemein ist, uberdem auch manches zur Geschichtskunde oder Sprachgelehrsam�eit und fur deren Zensur Gehoriges enthalte); gesetzt auch, er brauche das, was er aus ihr borgt, in einer der bloBen Vernunft an­ gemessenen, der letztem aber vielleicht nicht gefiilligen Bedeu­ tung ! sondern nur, sofern er in diese etwas h i n e i n t r a g t , und sie dadurch l auf andere Zwecke richten will, als es dieser ihre Ein ri chtung verstattet. - So kann man z. B. nicht sagen, daB der Lehrer des Naturrechts, der manche klassische Aus­ dri.icke und Formeln fur seine philosophische Rechtslehre aus dem Kodex der romischen entlehnt, in diese einen E i n g r i f f tue, wenn er sich derselben, wie oft geschieht, auch nicht genau in demselben Sinn bedient, in welchem sie, nach den Auslegern

pREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[XVI-XVIIIJ 59

sorge la questione se essa sia avvenuta con uno scritto o con un corso pubblico del filosofo, allora la censura superiore può essere accordata soltanto al teologo biblico, in quanto m e m b r 0 d e 1 1 a s u a F a c o l t à : a costui, infatti, nonostante egli sia stato nominato censore allo stesso titolo del teologo semplicemente ecclesiastico, spetta anche la cura del secondo interesse della comunità, cioè la salvaguardia della fioritura delle scienze. l E, in quest'ultimo caso, la prima censura spetta senz'altro all a Facoltà di teologia biblica, non a quella di filosofia. È uni­ cam en te la teologia biblica, infatti, ad avere il p rivilegio di occuparsi di certe dottrine, mentre Facoltà di filosofia svolge le proprie dottrine lungo una direzione aperta e libera; solo la prima, pertanto, può lamentare che si verifichino attacchi ai propri diritti esclusivi. Tuttavia, anche prescindendo sia dalla vicinanza reciproca di questi due insegnamenti nel loro complesso, sia dall' atten­ zione che la teologia filosofica esercita per non oltrepassare i propri limiti, è facile dissipare un dubbio riguardo a questo tipo di invasione osservando quanto segue:Lo sconfinamento non avviel)e perch é il filosofo p r e n d e qualcosa i n p r e s t i t o dalla teologia biblica, per poi usarlo secondo i propri scopi (infatti, la teologia biblica non vorrà negare di avere qualche tratto in comune con le dottrine della semplice ragione, oltre a contenere anche diverse cose relati­ ve, per esempio, alla conoscenza storica o alla linguistica, e alle valutazioni critiche che le concernono); né avviene quan­ do ciò che appartiene originariamente all'ambito t eol ogico ­ biblico viene impiegato dal filosofo in un significato che, conforme alla semplice ragione, non è però gradito in quel­ l'ambito. In realtà, l'invasione ha luogo soltanto nella misura in cui il filosofo i n t r o d u c e nella teologia biblica qualcosa di proprio, intendendo con ciò l orientarla verso un fine diver­ so da quello per cui è stata istituita. Consideriamo per esempio un docente di diritto naturale che, per la sua dottrina filosofica del diritto, prenda a prestito alcune espressioni e formule classiche dal codice romano: ebbene, se questo docente come spesso accade in casi analo­ ghi non si serve di tali formule ed espressioni nello stesso senso esatto in cui, secondo gli esegeti del diritto romano, potrebbero essere assunte, non si può certo dire che egli operi così un' i n t r u s i o n e in quel codice (non lo si può dire, -

-

-

60 [XVIll-.XX]

LA RELIGIONE

cles letztem, zu nehmen sein mochten, wofem er nur nicht will , die eigentlichen Juristen oder gar Gerichtshofe sollten sie auch so brauchen. Denn, ware das nicht ZU seiner Befugnis gehorig, so konnte man auch umgekehrt den biblischen Theologen, oder den statutarischen Juristen beschuldigen, sie taten unzah­ lige Eingriffe in das Eigentum der Philosophie, weil beide, da sie der Vemunft, und, wo es Wissenschaft gilt, der Philosophie nicht entbehren konnen, aus ihr sehr oft, oh zwar nur zu ihrem beiderseitigen Behuf, borgen miissen. Solite es aber bei dem er­ stem darauf angesehen sein, mit der Vemunft in Religionsdin­ gen, WO moglich, gar nichts ZU schaffen ZU haben, SO kann man leicht voraussehen, auf wessen Seite der Verlust sein wiirde; denn eine Religion, l die der Vemunft unbedenklich den Krieg ankiindigt, wird es auf die Dauer gegen sie nicht aushalten. Ich getraue mir sogar in Vorschlag zu bringen: oh es nicht wohl­ getan sein wiirde, nach Vollendung der akademischen Unter­ weisung in der biblischen Theologie, jeder zeit noch eine he­ sondere Vorlesung i.iber die reine p h i l o s o p h i s c h e Reli­ gionslehre (die sich alle s, auch die Bibel, zu Nutze macht), nach einem Leitfaden, wie etwa dieses Buch (oder auch ein anderes, wenn man ein besseres von derselben Art haben kann), als zur vollstandigen Ausriistung des Kandidaten erforderli çh , zum Beschlusse hinzuzufiigen. - Denn die Wissenschaften gewinnen lediglich durch die Absonderung, sofern jede vorerst fi.ir sich ein Ganzes ausmacht, und nur dann allererst mit ihnen der Ver­ such angestellt wird, sie in Vereinigung zu betrachten. Da mag nun der biblische Theolog mit dem Philosophen einig sein, oder ihn widerlegen zu miissen glauben; wenn er ihn nur hort. Denn so kann er allein wider alle Schwierigkeiten, die ihm die­ ser machen diirfte, zum varaus bewaffnet sein. Aber diese zu verheimlichen, auch wohl als ungottlich zu verrufen, ist ein armseliger Behelf, der nicht stichhalt; beide aber zu ver- I mischen, und von Seiten des biblischen Theologen nur gelegent­ lich fliichtige Blicke darauf zu werfen, ist ein Mangel der Griind­ lichkeit, bei dem am Ende niemand recht weill , wie er mit der Religionslehre im ganzen dran sei. Von den folgenden vier Abhandlungen, in denen ich nun, die Beziehung der Religion auf die menschliche, teils mit guten teils bosen Anlagen behaftete, Natur bemerklich zu machen,

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

[XVIII -XX]

61

però, solo a condizione che il docente stesso non pretenda dai giuristi veri e propri, o addirittura dai tribunali, l'impiego di quelle espressioni e formule nel senso che dice lui). Infatti, se il filosofo non venisse autorizzato a tale impiego, allora, per converso, anche il teologo biblico e il giureconsulto potrebbe­ ro essere accusati di operare inn umerevoli intrusioni nel cam­ po della filosofia: e questo perché entrambi, non potendo fare a meno d�lla ragione né, in ambito scientifico, della filosofia, molto spesso devono necessariamente chiedere dei prestiti a quest'ultima, sebbene lo facciano ciascuno soltanto secondo il proprio interesse particolare. Se però si dovesse intimare al teologo biblico di non avere possibilmente nulla a che fare con la ragione nelle cose reli­ giose, è facile prevedere quale lato ci perderebbe; una religio­ ne l che sconsideratamente dichiarasse guerra alla ragione, infatti, non le resisterebbe a lungo. Oso anzi fare una proposta: una volta concluso l'intero corso accademico di teologia biblica, non sarebbe opportuno, per completare il bagaglio del candidato, aggiungere sempre alla fine un corso speciale di lezioni sulla dottrina f i l o s o f i c a pura della religione (che si occupi di tutto, anche della Bibbia), da tenere secondo una guida quale potrebbe essere, per esempio, il presente libro (o anche un altro, se si riesce a trovarne uno migliore dello stesso genere) ? Le scienze, infatti, progrediscono esclusivamente quando sono ben separate le une dalle altre, di modo che ciascuna costituisca innanzitutto un complesso a se stante, e solo in seguito si cerchi di cogliere la loro connessione. Ora, non importa se il teologo biblico si trovi d'accordo con il filosofo, oppure creda di doverlo contraddire: l'importante è che lo ascolti. Solo così, infatti, egli può essere armato sin dall'inizio contro tutte le difficoltà che il filosofo potrebbe sollevargli. Occultare tali difficoltà, o magari screditarle come empie, è invece un espediente miserabile che non sta in piedi; che poi il teologo biblico mescoli entrambi l questi atteggiamenti e getti solo sguardi brevi e fugaci su quelle difficoltà, indica una mancanza di profondità che, in ultima analisi, fa sì che nessu­ no sappia più cosa pensare della dottrina religiosa nel suo insieme. Nei quattro saggi che seguono, io espongo il rapporto tra il principio del Bene e il principio del Male come rapporto tra due cause efficienti che sussistono per sé e influiscono sull'uo-

62 [XX]

LA RELIGIONE

das Verhaltnis des guten und bosen Prinzips, gleich als zweier fii r sich bestehender, auf den Menschen einflieBender, wirken­ den Ursachen vorstelle, ist die erste schon in der Berlinischen Monatsschrift April 1792 eingeriickt gewesen, konnte aber, wegen des genauen Zusammenhangs der Materien, von dieser Schrift, welche in den drei jetzt hinzukommenden die vollige Ausfiih ­ rung derselben enthalt, nicht wegbleiben -• l .



-

Die auf den ersten Bogen von der meinigen abweichende Orthographie wird der Leser wegen der Verschiedenheit der Hiinde, die an der Abschrift gearbeitet haben, und der Kiirze der Zeit, die mir zur Durchsicht iibrig blieb, entschuldigen A, om. B.

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE m o:

[XX]

63

il fine dell'esposizione è quello di mettere in rilievo la relazione della religione con la natura umana, la quale è se­ gnata da disposizioni in parte buone e in parte cattive. Il primo saggio è già stato pubblicato nel numero di aprile del 1792 della Berlim'schen Monatsschri/t; esso, tuttavia, non poteva restare fuori da questo scritto, data la stretta corri­ spondenza e connessione tematica con gli altri tre saggi, i qua­ li ne costituiscono lo svolgimento completo. 1 l

VORREDE ZUR ZWEITEN AUFLAGE In dieser ist, auBer den Druckfehlem, nnd einigen wenigen verbesserten Ausdriicken , nichts geandert. Die neu hinzuge­ kommenen Zusatze sind mit einem Kreuz t bezeichnet nnter den Text gesetzt. Von dem Titel dieses Werks (denn, in Ansehnng der nnter demselben verborgenen Absicht, sind auch Bedenken geauBert worden) merke i eh noch an: Da O f f e n b a r u n g doch auch re in e V e r n u n f t r e l i g i o n in sich wenigstens begreifen k a n n , a ber nicht umgekehrt diese das Ristori l sche der erste­ ren, so werde ich jene als eine w e i t e r e Sphare des Glaubens, welche die letztere, als eine e n g e r e , in sich beschlieBt (nicht als zwei auBer einander befindliche, sondem als konzentrische Kreise) , betrachten konnen, innerhalb deren letzterem der Phi­ losoph sich als reiner Vemunftlehrer (aus bloBen Prinzipien a priori) halten, hiebei also von aller Erfahrung abstrahieren muB. Aus diesem Standpnnkte kann ich nun auch den zwéiten Versuch machen, namlich von irgend einer dafi.ir gehaltenen Offenbarung auszugehen, und, indem ich von der reinen Ver­ nunftreligion (so fem sie ein fur sich bestehendes System aus­ macht) abstrahiere, die Offenbarnng, als h i s t o r i s c h e s S y ­ s t e m , an moralische Begriffe bloB fragmentarisch halten nnd sehen , oh dieses nicht zu demselben reinen V e r n u n f t ­ s y s t e m der Religion zuri.ick fi.ihre, welches zwar nicht in theoretischer Absicht (wozu auch die technisch-praktische, der Unterweisungsmethode, als einer K u n s t l e h r e , gezahlt wer­ den muB) aber doch in moralisch-praktischer Absicht selbstan­ dig und fur eigentliche Religion, die, als Vemunftbegriff a prio­ ri (der l nach Weglassung alles Empirischen i.ibrig bleibt), nur in dieser Beziehung statt findet, hinreichend sei. Wenn dieses zutrifft, so wird man sagen konnen, daB zwischen Vemnnft und

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE In questa edizione, a parte la correzione degli errori di stampa e alcuni miglioramenti espressivi, non ci sono cambia­ menti. Le aggiunte apportate, contrassegnate da una croce t , sono collocate a pie' di pagina. Sul titolo dell'opera (poiché si sono sollevati dei dubbi anche riguardo a una presunta intenzione celata sotto il titolo) osservo ancora quanto segue:La r i v e l a z i o n e p u ò senz' altro abbracciare entro sé anche la r e l i g i o n e r a z i o n a l e pura; quest'ultima, inve­ ce, non può inglobare in sé l'aspetto storico l della rivelazione. Di conseguenza, è possibile considerare la rivelazione come uQ.a sfera p i ù v a s t a della fede, la quale contiene in sé la religione razionale pura come sfera p i ù r i s t r e t t a (non come due cerchi esterni l'uno all'altro, bensì come due cerchi concentrici) . Il filosofo, in quanto maestro della ragione pura (che procede per semplici princìpi a priori), deve necessaria­ mente mantenersi entro i limiti della sfera più ristretta, e qui fare dunque astrazione da ogni esperienza. Ora, da questo punto di vista è possibile fare anche il secondo tentativo, vale a dire: ( l ) partire da una qualsiasi rive­ lazione, comunemente riconosciuta per tale; (2 ) fare astrazio­ ne dalla religione razionale pura (poiché essa costituisce un sistema sussistente per sé) e puntellare in modo semplicemen­ te frammentario quella rivelazione, in quanto s i s t e m a s t o r i c o , su concetti morali; infine (3 ) vedere se ciò non riconduca al medesimo s i s t e m a r a z i o n a l e puro della religione. Questo sistema, certo, non sarebbe autonomo in prospettiva teoretica (alla quale va aggiunta anche la prospet­ tiva pratico-tecnica del metodo didattico, il quale è, appunto, una d o t t r i n a t e c n i c a ) , ma lo sarebbe tuttavia in pro­ spettiva pratico-morale, e per la religione vera e propria ciò sarebbe sufficiente, perché solo in questa relazione pratico­ morale I la religione può aver luogo come concetto razionale a priori (cioè, come concetto che rimane dopo l'eliminazione di tutti gli aspetti empirici) . S e quindi questo tentativo riesce, s i potrà dire che tra

66 [XXIll -XXV]

LA RELIGIONE

Schrift nicht bloB Vertraglichkeit, sondern auch Einigkeit anzu­ treffen sei, so daB, wer der einen (unter Leitung der morali­ schen Begriffe) folgt, nicht ermangeln wird, auch mit der an­ deren zusammen zu treffen. Trafe es sich nicht so, so wii rde man entweder zwei Religionen in einer Person haben, welches ungereimt ist, oder eine R e l i g i o n un d einen K u l t u s , in welchem Fall , da letzterer nicht (so wie Religion) Zweck an sich selbst ist, sondern nur als Mittel einen Wert hat, beide oft muB­ ten zusammengeschuttelt werden, um sich auf kurze Zeit zu verbinden, alsbald aber wie 01 und Wasser sich wieder von ein­ ander scheiden, und das Reinmoralische (die Vernunftreligion) oben auf muBten schwimmen lassen. DaB diese Vereinigung oder der Versuch derselben ein dem philosophischen Religionsforscher mit vollem Recht gebiihren­ des Geschaft und nicht Eingriff in die ausschlieBlichen Rechte des l biblischen Theologen sei, habe ich in der ersten Vorrede angemerkt. Seitdem habe ich diese Behauptung in der M o r a l des sel. M i c h a e l i s (Erster Teil, S. 5 - 1 1 ) , e ines in beiden Fa­ chern wohl bewanderten Mannes, angefiih rt, und durch sein ganzes Werk ausgeubt gefunden, ohne daB die hohere Fakultat darin etwas ihren Rechten Prajudizierliches angetroffen batte. Auf die Urteile wiirdiger, genannter und ungenannter Man­ ner, uber diese Schrift, habe ich in dieser zweiten Auflage : da sie (wie alles auswartige Literarische) in unseren Gegenden sehr spat einlaufen , nicht Bedacht nehmen konnen , wie ich wohl gewiinscht batte, vornehmlich in Ansehung der Annota­ tiones quaedam theologicae etc. cles beriih mten Hm. D . S t o r r in Tubingen, der sie mit seinem gewohnten Scharfsinn, zugleich auch mit einem den gr6Bten Dank verdienenden Fleill e und Billigkeit in Prufung genommen hat, welche zu erwidern ich zwar vorhabens bin, es aber zu versprechen, der Beschwerden wegen, die das Alter, vornehmlich der Bearbeitung abstrakter Ideen, entgegen setzt, mir nicht getraue. - Ei ! ne Beurteilung, namlich die in den G r e i fs w a l d e r N. Crit_ Nachrichten 29. Stiick, kann ich eben so kurz abfertigen, als es der Rezensent mit der Schrift selbst getan hat. Denn, sie ist seinem Urteile nach nichts anders, als Beantwortung der mir von mir selbst vorgelegten Frage: «wie ist das kirchliche System der Dogmatik in seinen Begriffen und Lehrsatzen nach reiner (theor. und prakt.) Vernunft moglich». - ; e da qui ognuno c o n c l u d e r à giustamen­ te: «Se devo restargli fedele, è an ch e necessario che io lo p o s s a : il mio arbi­ trio è dunque libero». Coloro i quali vogliono far credere che questa proprietà imperscrutabile (la libertà) sia perfettamente concepibile, intessono un velo illusorio serven-

140 [58-60]

LA RELIGIONE

selbst die Unbegreiflichkeit dieser eine gottliche Abkunft ver- I kiindigenden Anlage muB auf das Gemiit bis zur Begeisterung wirken, und es zu den Aufopferungen starken , welche ihm die Achtung fiir seine Pflicht nur auferlegen mag. Dieses Gefii hl der Erhabenheit seiner moralischen Bestimmung ofter rege zu machen, ist als Mittel der Erweckung sittlicher Gesinnungen vorziiglich anzupreisen, weil es dem angebornen Hange zur Verkehrung der Triebfedem in den Maximen unserer Willkiir gerade entgegen wirkt, um in der unbedingten Achtung fiirs Gesetz, als der hochsten Bedingung aller zu nehmenden Maxi­ men, die urspriingliche sittliche Ordnung unter den Trieb­ federn, und hiemit die Anlage zum Guten im menschlichen Herzen, in ihrer Reinigkeit wieder herzustellen. Aber dieser Wiederherstellung durch eigene Kraftanwen­ dung steht ja der Satz von der angebornen Verderbtheit der Menschen fii r alles Gute gerade entgegen? Allerdings, was die Begreiflichkeit, d .i. unsere l E i n s i c h t von der Moglichkeit derselben betrifft, wie alles dessen, was als Begebenheit in der

vorspiegeln, machen durch das Wort D e t e r m i n i s m u s (dem Satze der Bestimmung der Willkiir durch innere hinreichende Grii n de) ein Blendwerk gleich als ob die Schwierigkeit darin bestande, diesen mit der Freiheit zu vereinigen, woran doch niemand denkt; sondem: wie der P r a d e t e r m i ­ n i s m , nach welchem willkiirliche Handlungen als Begebenheiten ihre bestimmende Grii nde in d e r v o r h e r g e h e n d e n Z e i t haben (die, mit dem , was sie in sich ha.It, nicht mehr in unserer Gewalt ist), mit der Freiheit, nach welcher die Handlung sowohl als ihr Gegemeil in dem Augenblicke des Geschehens in der Gewalt des Subjekts sein muE , zusammen bestehen kiinne: das ist's, was man einsehen will und nie einsehen wird.t t Den • Begriff der F r e i h e i t mi t d e r Idee von Gott, als einem t w e n d i g e n Wesen , zu vereinigen ha t gar keine Schwierigkeit; weil die Freiheit nicht in der Zufalligkeit der Handlung (daE sie gar nicht durch Griinde determiniert l sei ) , d . i . nicht im Indeterminism (daE Gutes oder Biises zu tun Gott gleich miiglich sein miisse, wenn man seine Handlung frei nennen solite) , sondem in der absoluten Spontaneitat besteht, welche allein beim Pradeterminism Gefahr lauft, wo der Bestirnmungsgrund der Handlung i n d e r v o r i g e n Z e i t ist, mithin so, daE jetzt die Handlung nicht mehr in m e i n e r Gewalt sondem in der Hand der Natur ist, mich unwidersteh­ lich bestimmt; da dann, weil in Gott keine Zeitfolge zu denken ist, diese Schwierigkeit wegfiillr . no

• Den

AA; Der A, B.

I. IL MALE RADICALE NELLA NATIJRA UMANA

[58-60] 14 1

b ilità, di cut e ammantata questa disposizione l che attesta un'origine divina, deve agire sull'animo dell'uomo fino all'en­ tusiasmo, affinché egli sia forte davanti ai sacrifici (unica cosa che il rispetto per il suo dovere può imporgli). Eccitare spesso questo sentimento della sublimità della nostra destinazione morale è senz'altro il mezzo migliore per risvegliare i senti­ menti morali: esso, infatti, si oppone direttamente alla tenden­ za innata di invertire i moventi nelle massime del nostro arbi­ trio, e ciò avviene affinché, nel rispetto incondizionato per la legge (in quanto condizione suprema di tutte le massime adot­ tabili), sia restaurato l'originario ordine morale tra i moventi e sia quindi ristabilita, nel cuore dell'uomo, la disposizione al Bene in tutta la sua purezza. Ma a una tale restaurazione operata con le nostre proprie forze non si oppone direttamente il principio della corruzione innata dell'uomo rispetto a ogni Bene? Indubbiamente l'opposizione ha luogo in ordine alla con­ cepibilità, cioè per quanto riguarda la nostra l i n t e I l e z i o ­ n e d e I l a p o s s i b i l i t à della restaurazione. Si tratta della stessa opposizione che si verifica ogni volta che (a) qualcosa dosi della parola d e t e r m i n i s m o (cioè, dd principio secondo cui l'arbitrio è determinato da ragioni interne sufficienti) , come se la difficoltà consistesse nel conciliare determinismo e libertà - cosa che non è mai p assata per la mente di nessuno. Si tratta invece di intendere, ed è questo che non si intenderà mai, in che modo il p r e d e t e r m i n i s m o - secondo cui le azioni volontarie, in quan­ to eventi, hanno le loro ragioni sufficienti n e l t e m p o a n t e r i o r e (il quale, insieme a tutto ciò che esso racchiude entro sé, non è più in nostro potere ) - possa coesistere con la libertà, secondo la quale ogni azione e omis­ sione dev'essere invece in potere del soggetto nell'attimo stesso in cui essa avviene. t t Non c'è poi nessuna difficoltà a conciliare il concetco della l i b e r t à con l'idea di Dio in quanto Essere n e c e s s a r i o . La libertà, infatti, non risiede nell'aspetto accidentale dell'azione (nell'a­ spetto per cui l'azione non è determinata da ragioni J sufficienti ) , cioè non risiede nell'indeterminismo (secondo cui la libertà di Dio, per essere vera libertà di agire, dovrebbe compiere tanto il Bene quanto il Male). La libertà consiste invece nella spontaneità assoluta. Ora, questa spontaneità può essere messa in pericolo solo per opera del predetenninisrno. Secondo quest'ultimo, infatti, il motivo determinante del­ l' azione è n e l t e m p o p a s s a t o , per cui esso mi determina in modo così irresistibile che l'azione non è più attualmente in m i o potere, ma in mano alla natura. Ma allora in Dio questa difficoltà viene meno, perché in Lui non si può pensare nessuna successione temporale.

142 [60-6 1]

LA RELIGIONE

Zeit (Verii.nderung) und so fern nach Naturgesetzen als not­ wendig, und dessen Gegenteil doch zugleich unter moralischen Gesetzen , als durch Freiheit moglich vorgestellt werden soli ; aber der Moglichkeit dieser Wiederherstellung selbst ist er nicht entgegen. Denn , wenn das moralische Gesetz gebietet, wir s o 1 1 e n jetzt h essere Menschen sein: so folgt unumgii.ng­ lich, wir miissen es auch k o n n e n . Der Satz vom angebomen Bosen ist in der moralischen D o g m a t i k von gar keinem Gebrauch: denn die Vorschriften derselben enthalten eben die­ selben Pflichten, und bleiben auch in derselben Kraft, ob ein angebomer Hang zur Ùb ertretung in uns sei, oder nicht. In der moralischen A s k e t i k a ber will dieser Satz mehr, aber doch nichts mehr sagen, als: wir konnen, in der sittlichen Ausbildung der anerschaffenen moralischen Anlage zum Guten, nicht von einer uns natiirlichen Unschuld den Anfang machen, sondern miissen von der Voraussetzung einer Bosartigkeit der Willk iir in Annehmung ihrer Maximen der urspriinglichen sittlichen Anlage zuwider anheben, und, weil der Hang dazu unvertilgbar ist, mit der unablassigen Gegenwirkung gegen denselben. Da dieses n un bloB auf eine ins Unen dliche h in ausgehende Fortschreitung vom Schlechten zum Bessero fiihrt, so folgt: daB die Umwandlung der Gesinnung des bosen l in die eines guten Menschen in der Verii.nderung des obersten inneren Grundes der Annehmung aUer seiner Maximen dem sittlichen Gesetze gemaB zu setzen sei, so fern dieser neue Grund (das neue Herz) nun selbst unverii.nderlich ist. Zur O berzeugung aber hievon kann nun zwar der Mensch natiirlicherweise nicht gelangen, weder durch unmittelbares BewuBtsein, noch durch den Beweis seines bis dahin gefiih rten Lebenswandels; weil die Tiefe des Herzens (der subjektive erste Grund seiner Maximen) ihm selbst unerforschlich ist; aber auf den Weg, der dahin fi.ihrt, und der ihm von einer im Grunde gebesserten Ge­ sinnung angewiesen wird , muB er h o f f e n konnen, durch e i g e n e Kraft anwen dung zu gelangen : weil er e in guter Mensch werden soli, aber nur nach demjenigen, was ihm als

L IL MALE RADICALE NELLA NATURA UMANA

[60-6 1] 143

dev'essere rappresentato come avvenimento temporale (muta· mento) e, quindi, come necessario secondo le leggi naturali, mentre (b) il suo contrario va pensato a un tempo come possi­ bile secondo le leggi morali, cioè come possibile in virtù della libertà. Il principio della corruzione innata dell'uomo, però, non si oppone affatto alla p o s s i b i l i t à s t e s s a di questa restau­ razione. Infatti, se la legge morale comanda «noi d o b b i a · m o essere ora uomini migliori», ne segue inevitabilmente anche la necessità di p o t e r essere migliori. Nella d o g m a t i c a morale, il principio del Male innato non ha nessun uso e nessuna applicazione, giacché le prescri­ zioni di tale dogmatica, vi sia o meno in noi una tendenza innata alla trasgressione, contengono sempre gli stessi doveri, e la loro obbligatorietà conserva sempre la stessa forza. Nell' a s c e t i c a morale, invece, questo principio ha un'importanza maggiore, anche se il suo significato si limita a quanto segue: Il perfezionamento della nostra innata disposi­ zione morale al Bene non può iniziare a partire da un nostro stato di innocenza naturale, ma è necessario si fondi sul pre­ supposto di un arbitrio malvagio che adotta delle massime contrarie alla disposizione morale originaria; e, poiché la ten­ denza in questo senso risulta inestirpabile, per il perfeziona­ mento morale è necessario combatterla incessantemente. Ora, poiché tutto ciò conduce semplicemente a un'indefi­ nita progressione verso il meglio, ne segue che la trasforma­ zione dell 'intenzione morale (da uomo cattivo l a uomo buono) va posta nel mutamento del fondamento interno supremo che presiede all'adozione di tutte le nostre massime: e precisamente nel senso che, in base al nuovo fondamento (il cuore nuovo) anch'esso immutabile, l'uomo deve adottare tutte le sue massime in conformità alla legge morale. L'uomo, è vero, non può giungere per via naturale a con­ vincersi di poter operare questa trasformazione; non può giungervi né per cons apevolezza immediata, né mediante prove offertegli dalla sua precedente condotta di vita, e que­ sto perché la profondità del suo cuore (il fondamento sogget­ tivo primo delle sue massime) resta a lui stesso imperscrutabi­ le. È però necessario che egli possa s p e r a r e di immettersi con le p r o p r i e forze sulla via che, indicatagli da un'inten­ zione morale fondamentalmente migliorata, conduce a quella trasformazione: egli, infatti, deve certo divenire un uomo

144 [61 -63 ]

LA RELIGIONE

von ihm selbst getan zugerechnet werden kann , als m o r a ­ l i s c h -gut zu beurteilen ist. Wider diese Zumutung der Selbstbesserung bietet nun die zur moralischen Bearbeitung von Natur verdrossene Vernunft unter dem Vorwande des natiirlichen Unvermogens allerlei unlautere Religionsideen auf (wozu gehort: Gott selbst das Gliickseligkeitsprinzip zur obersten Bedingung seiner Gebote anzudich ten ) . Man kann aber alle Religionen in die der G un s t b e w e r b un g (des bloEen Kultus) und die m o r a l i ­ s c h e , d .i. die Religion d e s g u t e n L e b e n s w a n l d e l s , einteilen. Nach der erstern schmeichelt sich entweder der Mensch: Gott konne ihn wohl ewig gliicklich machen, ohne daB er eben notig habe, e i n b e s s e r e r M e n s c h z u w e r ­ d e n (durch Erlassung seiner Verschuldungen); o der auch , wenn ihm dieses nicht moglich zu sein scheint: G o t t konne ihn wo hl z u m b e s s e r e n M e n s c h e n m a c h e n , oh ne daB er selbst etwas mehr dabei zu tun habe, als da rum zu b i t ­ t e n ; welches, da es vor einem allsehenden Wesen nichts weiter ist, als w ii n s c h e n , eigentlich nichts getan sein wiir de: denn wenn es mit dem bloBen Wunsch ausgerichtet ware, so wii r de jeder Mensch gut sein . Nach der moralischen Religion aber (dergleichen unter allen offentlichen, die es je gegeben hat, allein die christliche ist) ist es ein Grundsatz: daB ein jeder, so viel, als in seinen Kraften ist, tun miisse, um ein b esserer Mensch zu werden; und nur alsdann, wenn er sein angebornes Pfund nicht vergrab en (Luca XIX, 1 2 - 1 6 ) , wen n er die urspriingliche Anlage zum Guten benutzt hat, um ein besserer Mensch zu werden, er hoffen konne, was nicht in seinem Vermogen ist, werde durch hohere Mitwirkung erganzt wer­ den . Auch ist es nicht schlechterdings notwendig , daB der Mensch wisse, worin diese bestehe; vielleicht gar unvermeid­ lich, daB, wenn die Art, wie sie geschieht, zu einer gewissen Zeit offenbart worden, verschiedene Menschen zu einer andem Zeit sich verschie l dene Begriffe, und zwar mit aller Aufrich­ tigkeit, davon machen wiirden. Aber alsdann gilt auch der Grundsatz: «Es ist nicht wesentlich, und also nicht jedermann notwendig zu wissen, was Gott zu seiner Seligkeit tue, oder ge-

I. IL MALE RADICALE NELLA NATURA UMANA

[6 1 -631 145

buono, ma lo si può giudicare m o r a l m e n t e buono solo in base a ciò che gli è imputabile in quanto compiuto da lui stesso. Ora, tale esigenza di automiglioramento è avversata da quella ragione che, per natura pigra nei confronti dell'impe­ gno morale, accamp a il pretesto della p ropria impotenza naturale per appellarsi a ogni sorta di idee religiose impure (fra cui quella che Dio stesso attribuirebbe al principio della felicità il valore di condizione suprema dei suoi comandi ) _ Tutte l e religioni, però, possono essere ricondotte a due specie: la religione che mira a o t t e n e r e f a v o r i (religio­ ne semplicemente cultuale) , e la religione m o r a l e , cioè della buona condotta l di vita . Nelle religioni della prima specie, l'uomo lusinga se stesso o illudendosi che Dio possa renderlo eternamente felice (con la remissione delle sue colpe) , senza che egli abbia quindi la necessità di d i v e n t a r e u n u o m o m i g l i o r e , oppure anche, se questa eventualità non gli sembra possibile, che Dio possa r e n d e r l o u n u o m o m i g l i o r e per il semplice fatto che egli lo p r e g a In quest'ultimo caso, poiché pregare davanti a un Essere onnisciente non significa altro che d e s i d e r a r e , la preghiera si ridurrebbe propriamente a un nulla di fatto: se bastasse il semplice desiderio, infatti, ogni uomo sarebbe buono. Invece nella religione morale (e, fra tutte le religioni cono­ sciute, l'unica di questo tipo è la religione cristiana) uno dei princìpi fondamentali è il seguente: Ciascuno è tenuto a fare tutto quanto è in suo potere per diventare un uomo migliore, e solo se non ha calpestato il talento assegnatogli (Luca 19, 12-16) 32 cioè, solo se ha messo a frutto l'originaria disposi­ zione al Bene per diventare un uomo migliore - può sperare che quanto non è in suo potere sarà integrato da una coopera­ zione superiore. Non è neppure necessario, in assoluto, che l'uomo sappia in cosa consiste tale cooperazione; anzi, dato che la modalità in cui essa avviene è stata rivelata in una determinata epoca, è forse inevitabile che uomini diversi in epoche diverse l se ne facciano, in perfetta buona fede, un concetto diverso. Ma allora vale pure il seguente principio fondamentale: «Non è essenziale, e dunque nenuneno necessario, che ciascu­ no sappia ciò che Dio fa o ha fatto per la sua salvezza»; è inve­ ce essenziale e necessario che ogni uomo sappia c i ò c h e _

-

146 [63 -64]

LA RELIGIONE

tan ha be»; a ber wohl, w a s e r s e l b s t dieses Beistandes wiirdig zu werden. t l

z

u

tun habe

,

um

t Diese allgemeine Anmerkung ist die erste von den vieren, deren eine jedem Stiick dieser Schrift angehiingt ist, und welche die Aufschrift fiihren konnten : l ) von Gnadenwirkungen, 2) Wundern, 3 ) Geheimnis sen, 4 ) Gnadenmineln. - Dies e sin d gleichsam P a r e r g a der Religion innerhalb der Grenzen der reinen Vernunft; sie gehoren nicht innerhalb dieselben, aber stoEen doch an sie an. Die Vernunft im Bewlill tsein ihres Unvermogens , ihrem moralischen Bediirfnis ein Geniige zu tun, dehnt sich bis zu iiber­ schwenglichen Ideen aus, die jenen Mangel erganzen konnten, ohne sie doch als einen erweit e r t e n Besitz sich z u z ueignen . Sie bestreitet nicht die Moglichkeit oder Wirklichkeit der Gegenstande derselben, aber kann sie nur nicht in ihre Maximen zu denken und zu handeln aufnehmen . Sie rechnet sogar darauf, daE, wenn in dem unerforschlichen Felde des Ùbernatiirlichen noch etwas mehr ist, als sie sich verstiindlich machen kann, was aber doch zu Erganzung des moralischen Unvermogens notwendig wiire , dieses ihrem guten Willen auch unerkannt zu statten kommen werde, mit einem Glauben, den m an den (iiber die Moglichkeit desselben) r e fl e k t i e r e n d e n nennen konnte, weil der d o g m a t i s c h e , der sich als ein W i s s e n ankiindigt, ihr unaufrichtig oder vermessen vorkommt; denn die Schwierigkeiten gegen das, was fiir sich selbst (praktisch) fest steht, wegzuriiumen ist, wenn sie transzen­ dente Fragen betreffen , nur ein Nebengeschiifte ( Parergon ) . Was den Nachteil aus diese n , auch m o r a l i s c h - transzendenten, Ideen anlangt, wenn wir sie in die Religion einfiihren wollten, so ist die Wirkung davon, nach der Ordnung der vier obbenannten Klassen: l) der vermeinten inn eren Erfahrung ( G n a d enwirkungen) S c h w ii r m e r e i , 2) der a n geblichen ii u lì eren Erfa h r u n g ( W u n d e r ) Ab ergla u b e , 3 ) der g e w ii h n t e n Ver� tandeserleuchtung in Ansehung d e s Ubernatiirlichen (Ge�eimnisse) l ! l u m i n a t i s m , Adeptenwahn, 4) der gewagten Versuche, aufs Ubernatiir­ liche hin zu wirken (Gnadenmittd) , T h a u m a t u r g i e , lauter Verirrungen einer iiber ihre Sch ranken hinausgehenden Vernunft, und zwar in vermeint­ lich moralischer ( g o ttgefiilliger) Absicht . - Was aber diese allge meine Anmerkung zum Ersten Sti.ick gegenwartiger Abhandlung besonders betrifft, so ist die Herbeirufung der G n a d e n w i r k u n g e n von der letzteren Art und kann nicht i n di e M a x i m e n der Vernunft aufgenommen werden, wenn diese sich innerhalb ihren Grenzen hiilt; wie i.iberhau p t nichts Ober­ natiirliches, weil gerade bei diesem all er Vemunftgebrauch aufhort. - Denn, sie t h e o r e t i s c h woran kennbar zu machen (daiì sie Gnaden-, nicht innere Naturwirkungen sind) ist unmoglich, weil unser Gebrauch des Begriffs von

l

I. IL MALE RADICALE NELLA NATIJRA UMANA

[63-64] 147

g l i s t e s s o è t e n u t o a f a r e per rendersi degno di questa assistenzat . l

e

t Questa Annotazione generale è la prima delle quattro poste in coda a ciascun capitolo di quest'opera. Esse potrebbero portare i titoli seguenti: l ) gli effetti della grazia, 2) i miracoli, 3 ) i misteri, 4 ) i mezzi della grazia. S i trat­ ta, per così dire, di pa rerga della religione entro i limiti della ragione pura: esse infatti, pur non rientrando in questi limiti, tuttavia vi confinano. Nella consapevolezza della propria impotenza a soddisfare le proprie esi­ genze morali, la ragione si estende fino a certe idee trascendenti che potreb­ bero compensare questa sua insufficienza, e tuttavia fa questo senza attribuir­ si un'estensione del proprio dominio. Essa non contesta la possibilità o la realtà degli oggetti di queste idee, ma soltanto non può ammetterli nelle mas­ sime dei prop ri pensieri e delle proprie azioni. Al riguardo, anzi, la ragione fa la seguente considerazione: Se nell'impe­ netrabile territorio del soprannaturale, oltre a ciò che siamo in grado di com­ prendere, c'è ancora qualcos'altro che sarebbe necessario per compensare la nostra impotenza morale , allora questo qualcosa, pur essendoci sconosciuto, potrà essere di giovamento alla nostra buona volontà. Una tale fede razionale nella possibilità di questo oggetto soprannaturale potrebbe essere chiamata fede r i f l e t t e n t e , per distinguerla dalla fede d o g m a t i c a , la quale, pretendendo di essere una s c i e n z a , appare inve­ ce all a ragione come una fede insincera e presuntuosa. Ora , nel momento in cui, contro ciò che è di per sé certo e stabile (dal punto di vista prati co) , vengono sollevate delle difficoltà relative a questioni trascendenti, all ora l'eliminazione di queste difficoltà è soltanto un affare accessorio (parergon). Quando invece queste idee, che sono trascendenti anche s u l p i a n o m o r a l e , vengono introdotte l nella religione, allora i danni che esse procu­ rano a quest'ultim a possono essere elencati secondo l'ordine delle quattro classi citate in precedenza. Questi danni sono dunque:1) la presunta esperienza interiore (gli effetti della grazia) , cioè il fa n a ­ tismo; 2) la pretesa esperienza esteriore (i miracoli), cioè la s u p e r s t i z i o n e ; 3 ) l'illusoria ill uminazione intellettuale in relazione al soprannaturale (i misteri), cioè l' i I l u m i n a t i s m o o illusione da adepti; 4) il tentativo osato per influire sul soprannaturale (i mezzi della grazia), cioè la t a u m a t u r g i a . Si tratta di pure aberrazioni di una ragione che oltrepassa i propri limiti, per di più con la presunzione di agire secon do un intento morale (gradito a Dio ) . Per quanto riguarda p o i l'Annotazione generale aggiunta al primo capito­ lo della presente trattazione, va detto che l' appello rivolto agli e f f e t t i d e I l a g r a z i a appartiene appunto a queste aberrazioni, e la ragione, nella misura in cui si mantiene entro i p rop ri limiti, non può certo accoglierlo fra le proprie massime. E lo stesso discorso vale, in generale, per tutto ciò che è soprannaturale, perché davanti a esso viene meno qualsiasi uso della ragione. S u l p i a n o t e o r e t i c o , infatti, è impossibile indicame il fondamen­ to conoscitivo, è cioè impossibile stabilire se si tratti realmente di effetti della grazia oppure soltanto di effetti interni della natura. E questo perché il nostro

148 [64]

LA RELIGIONE

Ursache und Wirkung iiber Gegenstiinde der Erfahrung, mithin iiber die Natur hinaus nicht erweitert werden kann, die Voraussetzung aber einer p r a k t i s c h e n Benutzung dieser Idee ist ganz sich sdbst widersprechend. Denn, als Benutzung wiirde sie eine Regel von dem voraussetzen, was wir (in gewisser Absicht) Gutes selbst zu t u n haben, um etwas zu erlangen; eine Gnadenwirkung aber zu erwarten bedeutet gerade das Gegenteil, namlich, daE das Gute ( das rnoralische) nicht unsere, sondern die Tat eines andem Wesens sein werde, wir also sie durch N i c h t s t u n allein e rw e r b e n kon· n e n , w e l c h e s s i c h widerspri c h t . Wir k i:i n n e n s i e a l s o , als etwas Unbegreifliches, einriiumen, aber sie , weder zum theoretischen noch prakti· schen Gebrauch, in unsere Maxime aufnehmen.

I. IL MALE RADICALE NELLA NATIJRA UMANA

[64) 149

uso del concetto di causa ed effetto non può estendersi oltre gli oggetti dell'e­ sperienzà, quindi non può oltrepassare la natura. Il presupposto di un uso p r a t i c o di questa idea, poi, è del tutto auto­ contraddittorio. Questo uso presupporrebbe infatti una regola per le azioni buone che noi stessi dovremmo intenzionalmente c o m p i e r e al fine di ottenere qualcosa; sennonché, l'attesa di un effetto della grazia significa esat­ tamente il contrario, cioè che il Bene (morale) non sarà opera nostra, bensl di un altro Essere: noi potremmo dunque o t t e n e r e gli effetti della grazia solo con l' i n a z i o n e . E ciò è appunto contraddittorio. Noi possiamo dunque ammettere gli effetti della grazia solo come qual­ cosa di inconcepibile, senza però accoglierli mai nelle nostre massime morali, né per un uso teoretico né per un uso pratico.

ZWEITES STOCK

VON DEM KAMPF DES GUTEN PRINZIPS , MIT DEM BOSEN , UM DIE HERRSCHAFT ÙBER DEN MENSCHEN

DaB, um ein moralisch guter Mensch zu werden, es nicht genug sei, den Keim des Guten, der in unserer Gatnmg liegt, sich bloB ungehindert entwickeln zu lassen, sondern auch eine in uns befindliche entgegenwirkende Ursache des Bosen zu bekampfen sei, das haben, unter allen alten Moralisten, vor­ nehmlich die Stoiker durch ihr Losungswort Tu g e n d , wel­ ches (sowohl im Griechischen als Lateinischen ) Mut und Tapferkeit bezeichnet, und also einen Feind voraussetzt, zu erkennen gegeben. In diesem Betracht ist der Name T u g e n d ein herrlicher Name, und es kann ihm nicht schaden, daB er oft prahlerisch gemiBbraucht, und (so wie neuerlich das Wort Aufklarung) bespottelt wor l den. - Derm den Mut auffordem, ist schon zur Halfte so viel, als ihn eintloBen; dagegen die faule sich selbst ganzlich milltrauende und auf auBere Hiilfe harren­ de kleinmiitige Denkungsart ( in Moral und Religion ) alle Krafte des Menschen abspannt, und ihn dieser Hiilfe selbst unwii rdig macht. Aber jene wackern Manner verkannten doch ihren Feind, der nicht in den natiirlichen bloB undisziplinierten , sich aber unverhohlen jedermanns BewuBtsein offen da rstellenden Neigungen zu suchen, sondern ein gleichsam unsichtbarer, sich hinter Vemunft verbergender Feind, und darum desto gefahrli­ cher ist. Sie boten die W e i s h e i t gegen die T o r h e i t auf, die sich von Neigungen bloB unvorsichrig tauschen laBt, anstatt sie wider di e B o s h e i t (d es menschlichen Herzens) aufzurufen, die mit seelenverderben den Grundsatzen die Gesinnung insgeheim untergriibt. * l

* Diese Philosophen nahrnen ihr allgerneines rnoralisches Prinzip von der Wìirde der rnenschlichen Narur, der Freiheir (als Unabhangigkeir von der

CAPITOLO SECONDO

LA LOTTA DEL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO PER IL DOMINIO SULL'UOMO

Fra tutti i moralisti antichi, sono stati soprattutto gli Stoici a insegnarci che, per diventare uomini moralmente buoni, non basta lasciar sviluppare senza ostacoli il germe del Bene insito nel genere umano, ma è necessario pure combattere quella contrapposta causa del Male che si trova anch'essa ori­ ginariamente in noi. E questa loro dottrina ha fatto leva sulla parola d'ordine «virtÙ», la quale (tanto in greco quanto in latino) 33 designa coraggio e valore, e perciò presuppone un nemico. Così intesa, l'espressione > 3 7: «in lui Dio ha amato il mondo» 3 8, e solo in lui noi, accogliendone le intenzioni morali, possiamo spera­ re «di diventare figli di Dio» 39, ecc. Ora, e l e v a r c i fino a questo ideale di perfezione mora­ le, cioè fino al modello dell'intenzione morale in tutta la sua purezza, è dovere umano universale, e la forza necessaria per compierlo può appunto esserci conferita anche da questa idea che la ragione ci presenta come modello da imitare. Ma pro­ prio perché non siamo noi gli autori di questa idea - mentre è stata essa a insediarsi nell'uomo, e non ci è dato concepire come la natura umana sia stata anche soltanto capace di rice­ verla -, ci si può esprimere meglio così : Quel modello è s c e s o a noi dal cielo, esso ha assunto la natura umana (è infatti più arduo concepire in che modo l' u o m o per natura c a t t i v o possa spogliarsi da se stesso del Male ed e l e v a r s i all'ideale della santità, piuttosto che pensare l'ideale della perfezione morale nell'atto di assumere la n a t u r a u m a n a - che di per sé non è cattiva - e di a h h a s s a r s i fino a essa) . Questa unione con noi può dunque essere considerata cer­ tamente come uno stato di u m i l i a z i o n e 40 del Figlio di Dio, ma solo se ci rappresentiamO come modello per noi que­ st'uomo divinamente ispirato che, benché santo in sé l e, in quanto tale, non costretto a patire sofferenze, accetta tuttavia di assumerle su di sé nella misura più grande, al fine di pro­ muovere il Bene del mondo. L'uomo, invece, non è mai esen­ te da colpe, e, anche nel caso in cui abbia adottato la medesi­ ma intenzione di quell'ideale, può tuttavia ritenersi responsa­ bile di tutte le sofferenze che lo colpiscono, qualunque sia la loro provenienza: egli deve quindi considerarsi indegno del­ l'unione della propria intenzione con tale idea, sebbene que­ st'ultima gli serva da modello. Ora, l'ideale dell'umanità gradita a Dio (quindi l'ideale della perfezione morale, quale essa è possibile a un essere mondano dipendente da bisogni e inclinazioni) noi possiamo pensarlo unicamente in virtù dell'idea di un uomo che sia disposto non soltanto a compiere da solo tutti quanti i doveri umani e, a un tempo, a diffondere il Bene con l'insegnamento e con l'esempio presso la più vasta cerchia possibile di uomini intorno a sé; egli, inoltre, sebbene insidiato dalle più grandi

LA REUGIONE

1 60 [75-77]

noch alle Leiden bis z um schmahlichsten Tode um cles Weltbe­ willen, und s elbs t fiir seine Feinde, zu iibernehmen bereit­ willig ware. - Denn der Mensch kann sich keinen B egriff von dem Grade und der S t arke einer Kraft, de rgle iche n die einer moralischen Gesinnung ist, machen, als wenn er sie mit Hìn­ dernissen rin g en d , und unter den groBtm oglich en Anfechtun­ gen, dennoch i.iberwindend sich vorstellt. l Im p r a k t i s c h e n G l a u h e n a n d i e s e n S o h n G o t t e s (sofern er vorgestellt wi rd , als habe er die menschli­ c h e Natur angenommen) kann nun der Mensch hoffen, Gott wohlgefallig (dadurch auch selig) zu werden ; d . i . der, welcher sich ein e r solchen moralischen Gesinnung bewuBt ist, daB er g l a u b e n un d auf sich gegriin detes Vertrauen setzen kann , er wiirde unter ahnlichen Versuchungen und Leiden (so wie sie zum Probierstein j ener I dee gemacht werden) dem Urbilde der Menschheit unw a n d elb a r anhangig, und seinem Be i spiel e in treuer N ach fo1g e ahnlich b1eiben , ein solcher Mensch , und auch nur der allein, ist befugt, sich fi.ir denj enigen zu halten, der ein cles gottlichen Woh lgefallens nicht unwi.i rdig e r G egen ­ stand ist. sten

b) 0B]EKTIVE REALITAT DIESER IDEE Diese Idee hat ihre Realitat in p rak ti s cher Bezieh ung voll­ stan dig in sich s elb s t . Den n si e liegt in unserer m or al is ch ge­ s etzg eb en den Vernunft. Wir s o 11 e n ihr gem aB sein, und wir m iiss en es daher auch k o n n e n . MiiBte man die Moglichkeit, ein dies em Urbilde gemaBer Mensch zu sein, vorher beweisen, wie es bei Naturbegriffen un um g an gli ch n otwen dig ist (darnit wir nicht Gefahr 1aufen, durch 1eere Begriffe hing eh a lten zu wer den ) , so wi.i rd en wir eben sowohl auch Bedenken t ragen miissen, selbst dem moralischen Gesetze das Ansehen einzu­ raumen, unbedingter und doch l hinreichender Bestimmun g s ­ grund unsrer Willkiir zu sein; denn wie es moglich sei, daB die blo.Be Idee einer Ge setz m aB igkeit iiberhaupt eine mach t ige re Triebfeder fi.ir dies elb e sein konne, als alle nur erdenkliche, die von Vorteilen herg en omm en werden, das kann wede r durch Ve rn un ft einges eh en , noch durch B ei s p i ele der Erfahrung be­ legt werden, weil, was das erste betrifft , das Gesetz unbedingt g eb ie tet, und das zweite anlangend, wenn es a u ch nie einen

Il. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[75-77] 1 6 1

lusinghe e tentazioni, dev'essere disposto anche a sobbarcarsi tutte le sofferenze e i dolori, fino alla morte più ignominiosa, per il Bene del mondo (anche per il Bene dei suoi nemici} _ Infatti, l'uomo può rendersi conto del grado e dell'inten­ sità di un'intenzione morale solo quando se la rappresenta in lotta contro ciò che la ostacola, e tuttavia trionfante anche sugli attacchi più efferati. l Con 1 a f e d e p r a t i c a i n q u e s t o F i g l i o d i D i o (rappresentato appunto come colui che ha assunto la natura umana) , l'uomo può sperare di diventare gradito a Dio (quindi anche beato) - gradito a Dio, cioè: consapevole di un'intenzione morale che, in mezzo a tali tentazioni e soffe­ renze (assunte a pietra di paragone di quell'idea} , consente all'uomo di c r e d e r e e di porre in se stesso la fondata fidu­ cia di restare immutabilmente attaccato al modello dell'uma­ nità e di seguirne fedelmente l'esempio: solo un uomo del genere è autorizzato a considerarsi oggetto non indegno della compiacenza divina. b)

REALITÀ OGGETTIVA DI QUESTA IDEA

Dal punto di vista pratico, questa idea ha la sua realità completamente entro se stessa. La sua sede è infatti nella nostra ragione moralmente legislatrice. N oi d o b b i a m o conformarci a tale idea, ed è perciò necessario che si dia per no i la p o s s i b i l i t à di farlo. Se occorresse dimostrare preliminarmente la possibilità di essere un uomo conforme a questo modello - dimostrazione preliminare che è assolutamente necessaria quando si tratta di concetti della natura (se al riguardo non si vuole correre il rischio di lasciarsi irretire in concetti vuoti) -, allora bisogne­ rebbe esitare perfino a riconoscere alla legge morale l'autorità di essere il motivo determinante incondizionato e l sufficiente del nostro arbitrio. Non è in nostro potere, infatti, concepire come la semplice idea di una conformità alla legge in generale possa costituire, per l'arbitrio, un movente più potente rispet­ to a tutti gli altri moventi immaginabili derivanti dalla consi­ derazione di eventuali vantaggi: ciò non può essere dimostra­ to né dalla ragione (perché la legge morale comanda in manie­ ra incondizionata), né mediante il ricorso a esempi tratti dal­ l'esperienza (perché, anche se nessun uomo avesse mai presta­ to obbedienza incondizionata alla legge morale, la necessità

1 62 [77 -79]

LA RELIGIONE

Menschen g e g eben batte, der diesem Gesetze unbed i n gte n Gehorsam geleis tet batte, die obj ektive Notwendigkeit, ein sol­ cher zu sein, doch unvermindert und fii r sich selbst einleuchtet. Es bedarf also ke ines Be i spiels der Er fahrung, um die Idee eines G ot t moral is ch woh lg efalli g en Menschen fiir uns zum Vorbilde zu machen; sie liegt als ein solches schon in unsrer Vemunft_ - Wer aber, um einen Menschen fii r ein solches mit jener Idee iibereinstimmendes Beispiel zur Nach folge anzuer­ kennen, noch etwas mehr, als was er sieht, d.i. mehr als einen g aozlich untadelhaften, ja so viel, als man nur verlangen kann, verdienstvollen Lebenswandel, wer etwa au.Berdem noch Wun­ der, die durch ihn oder fiir ihn geschehen sein miillten, zur Be­ glaubigung fordert: der bek ennt zugleich hierdurch seinen mo­ ralischen U n g l a u b e n , namlich den Man gel d es Glaubens an d ie Tugend, den kein auf Beweise durch Wunder gegriindeter Glaube (der nur historisch ist) ersetzen kann ; wei l nur der Glaube an die praktische Giiltigkeit je l ner Idee, die in unserer Vemunft liegt (welche auch allein allenfalls die Wunder als sol­ che, die vom guten Prinzip herkommen mochten, bewahren, aber nicht von diesen ihre Bewah rung entlehnen kann ) , morali­ s chen Wert hat. Eben darum muB auch eine Erfahrung mog lich sein , in der das Beispiel von einem solchen Menschen gegeben werd e (so weit als man von einer auBeren Erfahrung iiberhaupt Bewei­ stiim er der innem sittlichen Gesinnung erwarten und verlangen kann); denn, dem Gesetz nach, solit e b illig ein jeder Mensch ein Beispiel zu dieser Idee an sich ab geben; wozu das Urbild immer nur in der Vemunft bleibt; weil ihr kein Beispiel in der auBern Erfahrung adaquat ist, als welche das Innere der Gesin­ nung ni ch t aufdeckt, sondern darauf, obzwar nicht mit strenger Gewillh eit, nur schlie.Ben la.Bt (ja selbst die innere E rfahru n g cles Menschen an ihm selbst laBt ihn die Tiefen seines H erz ens nicht so durchschauen, daB er von dem Grunde seiner Maxi­ men, zu denen er sich bekennt, unèl von ihrer Lauterkeit und Festigkeit durch Selbstbeobachtung ganz sichere Ke n ntni s erl ang en konn te) . Ware nun ein sol cher w ah rhaftig got tlich gesinnter Mensch zu einer gewissen Zeit gleichsam vom Himmel auf die Erde herabgekommen, der durch Lehre, Lebenswandel und Leiden das B e i s p i e l eines Gott wohl l gefalligen Menschen an sich

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[77-79] 163

oggettiva di essere un uomo tale rimane tuttavia intatta e di per sé evidente). Per fare dell'idea di un uomo moralmente gradito a Dio il modello per la nostra condotta, dunque, non c'è affatto biso­ gno di esempi empirici: tale idea si trova già, come tale, nella nostra ragione. Chi però, per riconoscere in un uomo l'esempio conforme a quell'idea e degno di essere seguito, pretende come attesta­ zione ulteriore qualcosa di più di quello che vede (cioè, pre­ tende più di una condotta totalmente irreprensibile e merite­ vole, nei limiti di quanto è possibile esigere da un essere umano) - per esempio, chi pretende inoltre dei miracoli com­ piuti da lui o in nome di lui -, allora costui tradisce a un tempo la sua i n c r e d u l i t à morale, cioè la sua mancanza di fede nella virtù. E tale mancanza non può essere rimpiazzata da nessuna fede fondata sui miracoli (che è una fede soltanto storica) , perché ha valore morale solo la fede nella validità pratica l di quell'idea insita nella nostra ragione (e, in ogni caso, solo tale idea può attestare i miracoli che, in quanto tali, potrebbero derivare dal principio buono, mentre invece non può affatto ricevere la propria attestazione da essi) . Proprio per questo dev'esserci l a possibilità d i un' espe­ rienza nella quale venga offerto l'esempio di un uomo simile (nella misura in cui è lecito attendersi ed esigere prove dell'in­ tenzione morale interna da un'esperienza esterna in generale): secondo la legge morale, infatti, ogni uomo dovrebbe giusta­ mente offrire in sé un esempio di questa idea, il cui modello resta sempre e soltanto nella ragione. Nessun esempio dell'e­ sperienza esterna è invece adeguato a tale idea, in quanto l'e­ sperienza non rivela l'interiorità dell'intenzione, bensì consen­ te soltanto di desumerla, senza peraltro una certezza rigorosa (anzi, nemmeno l'esperienza interna che l'uomo fà di se stesso gli consente di penetrare la profondità del suo cuore e di otte­ nere così , mediante l' autosservazione, una cognizione del tutto sicura del fondamento delle massime da lui stesso adot­ tate e una chiara rappresentazione della loro purezza e fer­ mezza) . Ora, anche se in una determinata epoca fosse - per così dire - disceso dal cielo sulla terra un tale uomo di ispirazione veramente divina, per offrire in sé, con la sua dottrina, la sua condotta di vita e le sue sofferenze, l' e s e m p i o di uomo l gradito a Dio - per quanto si possa esigere dall'esperienza

164 [79-80]

LA RELIGIONE

gegeben hatte, so weit als man von iiuBerer Erfahrung nur ver­ langen kann (indessen, daB das V r b i l d eines solchen immer doch nirgend anders, als in unserer Vernunft zu suchen ist) , hiitte er durch alles dieses ein unabsehlich groBes moralisches Gute in der Welt durch eine Revolution im Menschenge­ schlechte hervorgebracht: so wii rden wir doch nicht Ursache haben , an ihm etwas anders, als einen natiirlich gezeugten Menschen anzunehmen (weil dieser sich doch auch verbunden fiihlt, selbst ein solches Beispiel an sich abzugeben) , obzwar dadurch eben nicht schlechthin vemeinet wii r de, daB er nicht auch wohl ein ubernatiirlich erzeugter Mensch sein konne. Denn in praktischer Absicht kann die Voraussetzung des letz­ tem uns doch nichts vorteilen; weil das Urbild, welches wir die­ ser Erscheinung unterlegen, doch immer in uns (obwohl natiir­ lichen Menschen) selbst gesucht werden muB, dessen Dasein in der menschlichen Sede schon fi.ir sich selbst unbegreiflich genug ist, daB man nicht eben notig hat, auBer seinem i.iber­ natiirlichen Ursprunge es • noch in einem besondem Menschen hypostasiert anzunehmen. Vielmehr wii rde die Erhebung eines solchen Heiligen iiber alle Gebrechlichkeit der menschlichen Natur der praktischen Anwendung der Idee desselben auf un­ sere Nachfolge, nach allem, was wir einzusehen verm6gen, e,her im Wege sein. Denn, wenn gleich jenes Gott wohlgefalligen Menschen N atur in so weit, als menschlich , gedacht wiirde: daB er mit l eben denselben Bediirfnissen, folglich auch densel­ ben Leiden , mit eben denselben Naturneigungen, folglich auch eben solchen Versuchungen zur Ubertretung, wie wir behaftet, aber doch so ferne als iibermenschlich gedacht wiirde, daB nicht etwa errungene, sondem angebome unveriinderliche Rei­ nigkeit des Willens ihm schlechterdings keine Ù bertretung m6glich sein lieBe: so wurde diese Distanz vom nati.irlichen Menschen dadurch wiederum so unendlich groB werden, daB jener g6ttliche Mensch fur diesen nicht mehr zum B e i s p i e l aufgestellt werden konnte. Der letztere wiirde sagen: man gebe mir einen ganz heiligen Willen, so wird alle Versuchung zum Bosen von selbsten an mir scheitem; man gebe mir die innere vollkommenste GewiBheit, daB, nach einem kurzen Erden­ leben, ich (zufolge jener Heiligkeit) der ganzen ewigen Herr­ lichkeit des Himmelreichs sofort teilhaftig werden soli, so wer­ de ich alle Leiden, so schwer sie auch immer sein m6gen, bis zum schmiihlichsten Tode nicht alle in willig, sondem auch mit Frohlichkeit iibernehmen, da ich den herrlichen und nahen • es

AA; ihn A, B.

Il IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[79-80] 165

esterna un esempio di questo tipo (dato che il m o d e 1 1 o di un uomo simile va pur sempre ricercato unicamente nella nostra ragione) -, anche se in tal modo costui avesse prodotto nel mondo un Bene morale infinitamente grande rivoluzio­ nando il genere umano, ebbene, noi non avremmo tuttavia nessun motivo di vedere in lui altro che un uomo generato per via naturale (anche l'uomo generato in modo naturale, infatti, si sente obbligato a offrire in se stesso un tale esem­ pio) . E, ciò, senza togliere assolutamente la possibilità che quest'uomo sia stato generato in modo soprannaturale. Dal punto di vista pratico, infatti, quest'ultimo presuppo­ sto non ci può arrecare nessun vantaggio, in quanto il modello che poniamo alla base di questa apparizione va pur sempre ricercato in noi stessi (sebbene siamo uomini naturali) , e l'esi­ stenza di tale modello nell'anima umana è già di per sé abba­ stanza inconcepibile, tanto che non c'è appunto bisogno di ammettere, oltre alla sua origine soprannaturale, anche la sua ipostatizzazione in un uomo particolare. Anzi, l'elevazione di un tale Santo al di sopra di tutta la fragilità della natura umana costituirebbe piuttosto, per quan­ to possiamo saperne, un ostacolo per l'applicazione pratica della sua idea al nostro tentativo di imitarlo. In tal caso, infat­ ti, la natura di quell'uomo gradito a Dio verrebbe, sì, pensata come umana, per cui egli l sarebbe soggetto ai nostri stessi bisogni, quindi alle nostre stesse sofferenze, sottoposto alle nostre stesse inclinazioni naturali e, quindi, alle connesse ten­ tazioni di trasgredire la legge; tuttavia, in quanto tale natura sarebbe pensata anche come soprannaturale, la purezza inal­ terabile della volontà di quell'uomo - una purezza innata, non conquistata - non gli lascerebbe assolutamente la possibilità di operare nessuna trasgressione, e allora questa sua distanza dall'uomo naturale diverrebbe di nuovo così infinitamente grande che quest'ultimo non potrebbe più prendere quell'uo­ mo divino come e s e m p i o . L'uomo naturale potrebbe dire: Datemi una volontà totalmente santa, e in me ogni tentazione al Male colerà a picco da se stessa; datemi la più completa cer­ tezza interna che, dopo una breve vita terrena, io (per via di quella mia santità) sarò subito partecipe di tutta la gloria eter­ na del regno dei cieli, e allora sopporterò non solo con rasse­ gnazione, ma anche con gioia, tutte le più gravi sofferenze fino alla morte più ignominiosa, perché ne vedrei imminente, davanti agli occhi, il magnifico esito.

LA RELIGIONE

166 [80-83]

Ausgang mit Augen vor mir sehe. Zwar wiirde der Gedanke: daB jener gottliche Mensch im wirklichen Besitze dieser Hoheit und Seligkeit von Ewigkeit war (und sie nicht allererst durch solche Leiden verdienen durfte), daB er sich derselben fiir lau­ ter Unwiirdige, sogar fur seine Feinde willig entatilierte, um sie vom ewigen Verderben zu erretten, unser Gemiit zur Bewunde­ rung, Liebe und Dankbarkeit gegen ihn stimmen miissen; imgleichen wii rde die Idee eines Verh tens nach einer so voll­ kommenen Regel der Sittlichkeit fiir uns all e rdings auch als Vorschrift zur Befolgung geltend, er selbst aber n i c h t a l s B e i s p i e l der Nachahmung, mithin auch nicht als Beweis der Tunlichkeit und Erreichbarkeit eines so reinen und hohen moralischen Guts fur u n s , uns vorgestellt werden konnen. * l Eben derselbe gottlichgesinnte, aber ganz eigentlich mensch­ liche Lehrer wiirde doch nichts destoweniger l von sich, als ob das Ideai des Guten in ihm leibhaftig (in L ehre und Wandel)

J

* Es ist fre ilich eine Beschranktheit de r menschlichen Vemunft, die doch einrnal von ihr nicht zu trennen ist: daB wir uns keinen moralischen Wert'von Belange an den Handlungen einer Person denken kéinnen ohne zugleich sie , oder ihre Atill erung auf mens chli ch e Weise vorstellig zu machen; obzwar darnit eben nicht beha up tet werden will, daB es an sich (Kat' >, tutti i conti devono essere saldati definitivamente al termine della vita e nessuno può sperare di porre rimedio lassù a ciò che ha trascurato quaggiù. Ora, tale dottrina non ha più diritti della prima ad annunciarsi come dogma : essa è soltanto un principio fondamentale che la ragione pratica pre­ scrive a se stessa per regolarsi nell'uso dei concetti relativi al soprasensibile, riconoscendo a un tempo umilmente di non sapere nulla della natura oggetti­ va delle cose soprasensibili. Qui, in altri termini, la ragione pratica si limita a dire questo: Noi possia­ mo desumere se siamo o no uomini graditi a Dio soltanto dalla nostra con­ dotta precedente, e, poiché la nostra condotta ha fine con questa vita, allora anche ogni nostro conto si chiude con il chiudersi della vita , e soltanto il bilancio complessivo deve stabilire se possiamo ritenerci giustificati o no. In generale, se invece di far ricorso a princìpi c o s t i t u t i v i per cono­ scere gli oggetti soprasensibili, dei quali non possiamo mai avere una visione esatta, limitassimo i nostri giudizi ai princìpi r e g o l a t i v i per il possibile uso pratico dei concetti di tali oggetti, allora la saggezza umana se ne avvan­ taggerebbe sotto molti aspetti, e verrebbe meno la pretesa di sapere ciò di cui in fondo non sappiamo nulla, evitando ogni raziocinio infondato che, per quanto brillante possa apparire a prima vista, finisce sempre per danneggiare la nostra moralità.

l

1 82 [93-95]

LA RELIGIONE

cher SchluE aber, weil er nur aus Wahmehmungen als Erschei­ nungen der guten und bòsen Gesinnung gezogen worden, vor­ nehmlich di e S t a r k e derselben niemals mi t Sicherheit zu erkennen gibt, am wenigsten , wenn m an seine Gesinnung gegen das vorausgesehene nahe Ende des Lebens gebessert zu haben meint, da jene empirische Beweise der Echtheit dersel­ ben gar mangeln, indem kein Lebenswandel zur Begriindung des Urteilsspruchs unsers moralischen Werts mehr gegeben ist, und Trostlosigkeit (dafii r aber die Natur des Menschen bei der Dunkelheit aller Aussichten iiber die Grenzen dieses Lebens hinaus schon von l selbst sorgt, daB sie nicht in wilde Verzweif­ lung ausschlage) die unvermeidliche Folge von der verniinfti­ gen Beurteilung seines sittlichen Zustandes ist. Die d r i t t e und dem Anscheine nach gròBte Schwierig­ keit, welche jeden Menschen, selbst nachdem er den Weg des Guten eingeschlagen hat, doch in der Aburteilung seines gan­ zen Lebenswandels vor einer gòttlichen G e r e c h t i g k e i t als verwerflich vorstellt, ist folgende. - Wie es auch mit der An­ nehmung einer guten Gesinnung an ihm zugegangen sein mag und sogar, wie beharrlich er auch darin in einem ihr gemaBen Lebenswandel fortfahre, s o f i n g e r d o c h v o m B o s e n a n , un d diese Verschuldung ist ihm nie auszulòschen mogli eh. DaB er nach seiner Herzensanderung keine neue Schulden mehr macht, kann er nicht dafiir ansehen, als ob er dadurch die alten bezahlt habe. Auch kann er in einem femerhin gefiihrten guten Lebenswandel keinen OberschuB iiber das, was er jedes­ m al an sich zu tun schuldig ist, herausbringen; denn es ist j ederzeit sein e Pflicht, alles Gute zu tun, was in seinem Vermògen steht. - Diese urspriingliche, oder iiberhaupt vor jedem Guten, was er immer tun mag, vorhergehende Schuld, die auch dasjenige ist, was, und nichts mehr, wir unter dem r a d i k a l e n Bosen verstanden (s. das erste Stiick), kann aber auch, so viel wir nach unserem Vemunftrecht einsehen, nicht von einem andem getilgt werden; denn l sie ist keine t r a n s m i s s i b l e Verbindlichkeit, die etwa, wie eine Geldschuld (bei der es dem Glaubiger einerlei ist, ob der Schuldner selbst, oder ein anderer fii r ihn bezahlt) , auf einen andem iibertragen wer­ den kann, sondem die a l i e r p e r s o n l i c h s t e , niimlich eine

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[93-95] 1 83

inferenza, però, essendo tratta soltanto da percezioni in quan­ to fenomeni dell'intenzione buona o di quella cattiva, non ce ne fa mai conoscere con sicurezza la f o r z a . Ciò è evidente soprattutto quando, nel presentimento dell'avvicinarsi della propria morte, si crede di aver migliorato la propria intenzio­ ne; in tal caso, in realtà, mancano completamente le prove empiriche della genuinità di questa intenzione, e questo appunto perché alla vita non rimane più il tempo necessario a motivare il giudizio sul nostro valore morale: allora la conse­ guenza inevitabile del giudizio razionale formulato dall'uomo sul proprio stato morale è lo sconforto l (il quale, se non si tra­ muta in cupa disperazione, è solo perché la natura dell'uomo ha già provveduto in tal senso con l'oscurità di tutte le previ­ sioni sui limiti di questa vita). La t e r z a difficoltà, a prima vista la più ardua, è relativa all'uomo posto davanti a una g i u s t i z i a divina, e sostiene che ogni uomo, anche dopo aver imboccato la via del Bene, è comunque da condannare nel giudizio finale su tutta la sua vita. I suoi termini sono i seguenti. Per quanto l' uomo abbia adottato in sé un'intenzione buona, per quanto abbia potuto perseverare in essa confor­ mandovi tutta la sua condotta di vita, t u t t a v i a e g l i h a i n i z i a t o d a l M a l e e questo è un debito che non potrà estinguere mai. Ammesso pure che dopo la conversione del suo cuore egli non contragga più nuovi debiti, non per questo può ritenere di avere con ciò saldato anche i debiti preceden­ ti. E nemmeno può contare di procacciarsi, con la buona con­ dotta futura, un s aldo utile rispetto a ciò che ogni volta egli è di per sé tenuto a fare: in ogni momento, infatti, è suo dovere fare tutto il Bene che gli è possibile. Questo debito originario, o in generale anteriore a ogni Bene che l'uomo è in grado di fare e questo debito è né più né meno ciò che intendiamo per Male r a d i c a l e (si veda il primo capitolo) -, non può essere neppure estinto da un altro, almeno per quanto possiamo giudicarne sulla base del nostro diritto razionale. Esso, l infatti, non è un'obbligazione t r a ­ s m i s s i b i l e , com'è invece, per esempio, un debito di dena­ ro (in cui per il creditore è indifferente che a pagare sia il debitore stesso oppure un altro al suo posto); questo debito originario è piuttosto la p i ù p e r s o n a l e d i t u t t e le obbligazioni, è cioè un debito contratto per mezzo del pecca-

1 84 [95-96]

LA RELIGIONE

Siindenschuld, die nur der Strafbare, nicht der Unschuldige, er mag auch noch so groBmiitig sein, sie fiir jenen iibemehmen zu wollen, tragen kann. - Da nun das Sittlich-Bose (Ùbertretung des moralis chen Gesetzes , a l s g o t t l i c h e n G e b o t e s , S ii n d e genannt) nicht sowohl wegen der U n e n d l i e h k e i t des hochsten Gesetzgebers, dessen Autoritat dadurch verletzt worden (von welchem iiberschwenglichen Verhaltnisse des Menschen zum hochsten Wesen wir nichts verstehen) , sondem als ein Boses in der G e s i n n u n g un d den Maximen iiber­ haupt (wie a 11 g e m e i n e G r u n d s a t z e vergleichungsweise gegen einzelne Obertretungen) eine U n e n d l i c h k e i t von Verletzungen des Gesetzes, mithin der Schuld, bei sich fi.ihrt (welches vor einem menschlichen Gerichtshofe, der nur das einzelne Verbrechen, mithin nur die Tat und darauf bezogene, nich t aber die allgemeine Gesinnung in Betrachtung zieht, anders ist) , so wii rde jeder Menseh sich einer u n e n d l i c h e n S t r a f e un d VerstoBung aus dem Rei che Gottes zu gewartigen haben. Die Auflosung dieser Schwierigkeit beruht auf folgendem: Der Richterausspruch eines Herzenskiindi l gers muB als ein solcher gedacht werden , der aus der allgemeinen Gesinnung des Angeklagten, nicht aus den Erscheinungen derselben, di!Il vom Gesetz abweichenden, oder damit zusammenstimmenden Handlungen gezogen worden . Nun wird hier aber in dem Menschen eine iiber das in ihm vorher machtige bose Prinzip die Oberhand habende gute Gesinnung vorausgesetzt, und es ist nun die Frage: ob die moralische Folge der ersteren, die Strafe (mit andem Worten, die Wirkung des Millfallens Gottes an dem Subjekt) , auch auf seinen Zustand in der gebesserten Gesinnung konne gezogen werden , in der er sch on ein Gegenstand des gottl ichen Wohlgefallens ist. Da hier die Frage nicht ist: ob auch v o r der Sinnesanderung di e ii ber ihn verhangte Strafe mit der gottlichen Gerechtigkeit zusammen­ stimmen wiirde (als woran niemand zweifelt) , so s o 1 1 sie (in dieser Untersuchung) nicht als vor der Besserung an ihm voll­ zogen gedacht werden. Sie kann aberauchnicht a l s n a c h d e r s e l b e n , da der Mensch schon im neuen Leben wandelt,

IL

IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[95-96] 185

to, e solo il colpevole può sopportarne il peso, non l'innocen­ te, anche nel caso in cui quest'ultimo sia così magnanimo da volersi fare carico del debito del colpevole. Ora, poiché il Male morale (trasgressione della legge morale c o m e d i u n c o m a n d o d i v i n o - trasgressio­ ne detta perciò p e c c a t o ) implica un' i n f i n i t à di viola­ zioni della legge e, quindi, un'infinità della colpa, allora ogni uomo dovrebbe attendersi una p u n i z i o n e i n f i n i t a e l'esclusione dal regno di Dio. - L'infinità di violazioni si ha non tanto a causa dell' i n f i n i t à del Legislatore supremo, la cui autorità sarebbe stata violata (noi infatti non sappiamo nulla di questo rapporto trascendente dell'uomo con l'Essere supremo), quanto piuttosto perché il Male morale è un Male nell' i n t e n z i o n e e nelle massime in generale O e quali , rispetto alle trasgressioni particolari, sono p r i n c ì p i u n i ­ v e r s a l i ) _ - La punizione infinita comminata dalla giustizia divina costituisce poi un caso ben diverso rispetto a quello di un tribunale umano, il quale prende in considerazione soltan­ to il singolo delitto, quindi solo l'atto e la relativa intenzione specifica, ma non l'intenzione generale. La soluzione di questa difficoltà poggia sui seguenti argo­ menti:La sentenza di un giudice che scruta i cuori l va pensata necessariamente come una sentenza basata sull' intenzione generale dell'imputato, non sui fenomeni particolari dell'in­ tenzione stessa, cioè non su azioni in accordo o in disaccordo con la legge. Ora, però, qui si presuppone nell'uomo un'intenzione buona che ha preso il sopravvento sul principio cattivo prima dominante in lui, e allora la domanda è questa: È possibile riferire la conseguenza morale della prima intenzione, cioè la punizione (in altre parole: l'effetto del dispiacere di Dio nel soggetto), anche alla condizione dell'uomo nella quale l'inten­ zione è divenuta migliore e in cui egli è ormai oggetto del compiacimento divino? Qui non si tratta di sapere se anche p r i m a della conver­ sione la punizione pendente sul peccatore sarebbe adeguata alla giustizia divina (nessuno dubita della sua inadeguatezza): di conseguenza, qui (nell'ambito di questo esame) la punizio­ ne non d e v e essere pensata come subìta da lui prima del miglioramento. E neppure la punizione può essere intesa c o m e subìta d o p o l a c o n v e r s i o n e e come adeguata

LA RELIGIONE

1 86 [96-98]

moralisch ein anderer Mensch ist, dieser seiner neuen Qualitat (eines Gott wohlgefalligen Menschen) angemessen angenommen werden , gleichwohl aber mu.B der hochsten Gerechtigkeit, vor der ein Strafbarer nie straflos sein kann, ein Geniige geschehen. Da sie also weder v o r n o c h n a c h der Sinnesan derung der gottlichen Weisheit gema.B , und doch n o twendig i s t : so wiirde sie als i n dem Z u s t a n d e der Sinn e sanderung selbst ihr angemes l sen und ausgeiibt gedacht werden miissen. Wir mussen also sehen, ob in diesem letzteren schon durch den Begriff einer moralischen Sinn esanderung diejenigen Obel als enthalten gedacht werden konnen, die der neue gutgesinnte Mensch als von • ihm (in andrer Beziehung) verschuldete, un d als solche S t r a f e n ansehen kann, * wo­ durch der gottlichen Gerechtigkeit ein Ge l niige geschieht. Die Sinnesi:inderung ist namlich ein Ausgang vom Bosen, und ein Eintritt ins Gute, das Ablegen des alten, und das Anziehen des neuen Menschen, da das Subjekt der Stinde (mithin auch alle Neigungen , sofern sie dazu verleiten) abstirbt, um der Gerechtigkeit zu leben. In ihr aber als intellektueller Bestim­ mung sind nicht zwei durch eine Zwischenzeit getrennte mora­ lische Actus enthalten, sondem sie ist nur ein einiger, weil die Verlassung des Bosen nur durch die gute Gesinnung, welche und

* Die Hypothese: alle Ùb el in der Welt im allgemeinen als S tr afen fiir begangene Ubertretungen anzusehen, kann nicht sowohl, als zum Behuf einer Theodizee, oder als Erfindung zum Behuf der Priesterreligion (des Kultus) ersonnen, angenornrnen werden (denn sie ist z u gernein, um so kiinstlich a u s ged ac ht zu sein), sondem liegt vermutlich der menschlichen Ver n u n ft sehr nahe, welche geneigt ist , den Lauf der Natur an die Gesetze der Moralitiit anzukniipfen, und die daraus den Gedanken sehr natiirlich h ervor­ bringt: d:ili wir zuvor bessere Menschen zu werden suchen sollen, ehe wir verlangen konnen, von den U beln des Lebens befreit zu werden , oder sie durch iiberwiegendes Wohl zu vergiiten. - Darum wi rd der erste Mensch (in der heiligen Schrift) als zur Arbeit, wenn er essen wollte, sein Weib, diill sie mit Schmerzen Kinder geb iiren sollte, un d beide als zum Sterben, um i h r e r U b e r t r e t u n g w i l l e n verdarnmt vorgestellt, obgleich nicht abzusehen ist, wie, wenn diese auch nicht b e gan gen worden , tierische mit solchen Gliedrn:ilien versehene Geschopfe sich einer andern Bestirnrnung hiitten gewartigen konnen. Bei den H i n d u s sind die Menschen nichts anders, als in tie rische Korper zur Strafe fii r ehemalige Verbrechen eingesperrte Geister (Dewas genannt) , und selbst ein Philosoph (M a l e b r a n c h e ) wollte den vernunftlosen Tieren lieber gar keine Seelen und hiermit auch keine Gefiihle bei1egen, als einriiumen, d:ili die l Pferde so vie! Plage n ausstehen miillten, «ohne doch vorn verbotenen Heu gefres sen zu haben». • von

AA;

vor

A, B.

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[96-98]

187

alla sua nuova qualità (di uomo gradito a Dio), giacché egli è entrato ormai in una nuova vita e, moralmente, è un altro uomo. Tutt avia è necessario che venga sempre soddisfatta la giustizia divina, davanti alla qu ale nessun colpevole può resta­ re impunito. Poiché dunque la punizione non è conforme alla saggezza divina né p r i m a né d o p o la conversione, e tuttavia è necessaria, bisogna allora pensare che essa sia adeguata a que­ sta saggezza n e l m o m e n t o stesso della conversione, l e che in tale situazione trovi la sua applicazione. Bisogna dun­ que vedere se in quest'ultima situazione, mediante il concetto di conversione morale, si possano pensare come già inclusi quei mali che l'uomo nuovo, dotato di un'intenzione buona, può considerare come p u n i z i o n i meritate da lui prima della conversione (sotto un altro rapporto)*, quindi come punizioni che soddisfano I la giustizia divina. La conversione, infatti è un uscire dal Male e un entrare nel Bene, è lo spogliarsi dell'uomo vecchio e il rivestirsi del­ l'uomo nuovo 51, poiché il soggetto muore al peccato (quindi anche a tutte le inclinazioni che inducono a peccare) per vive­ re nella giustizia. In questa conversione, però, in quanto essa è una determinazione intellettuale, non sono contenuti due atti morali separati da un intervallo temporale: essa è un atto unico, perché l'abbandono del Male è possibile unicamente ,

* L'ipotesi secondo cui tutti i mali nel mondo vanno considerati in gene­ rale come punizioni per trasgressioni passate, non può essere il frutto della teodicea o un'invenzione della religione dei preti (del culto), perché è troppo diffusa per avere una fonte così artificiosa. Presumibilmente, invece, essa è molto vicina alla ragione umana, la quale è incline a collegare il corso della natura con le leggi della moralità, e nel far ciò desume in modo del tutto naturale che, prima di pretendere di essere liberati dai mali della vita o di esserne ricompensati con un benessere superiore, è nostro dovere cercare di diventare migliori. Ecco perché il primo uomo viene rappresentato (nella Sacra Scrittura) come condannato a lavorare per vivere e la sua donna a partorire nel dolore, e tutt'e due infine condannati a morire, a c a u s a d e I l a l o r o t r a ­ s g r e s s i o n e - sebbene sia impossibile capire in che modo, se questa tra­ sgressione non fosse stata commessa, avrebbero potuto aspettarsi un destino diverso due creature animali come loro. Presso gli Indù, gli uomini non sono altro che spiriti (chiamati Deva) imprigionati in un corpo animale per punizione delle loro antiche colpe, e anche un f.tlosofo ( M a l e b r a n c h e ) " preferiva negare che le bestie aves­ sero l'anima, e quindi che avessero sentimenti, piuttosto che ammettere che l i cavalli dovessero sopportare così tante piaghe «senza aver mangiato fieno proibito».

188 [98- 100]

LA RELIGIONE

den Eingang ins Gute bewirkt, moglich ist, und so umgekehrt. Das gute Prinzip ist also in der Verlassung der bosen eben sowohl, als in der Annehmung der guten Gesinnung enthalten, und der Schmerz, der die erste rechtmiiEig begleitet, entspringt giinzlich aus der zweiten . Der Ausgang aus der verderbten Gesinnung in die gute ist (als «das Absterben am alten Men­ schen, Kreuzigung des Fleisches») an sich schon Aufopferung und Antretung einer langen Reihe von Ùbeln des Lebens, die der neue Mensch in der Gesinnung des Sohnes Gottes, niimlich bloB um des Guten will en iibernimmt; die aber doch eigentlich einem andern, niimlich dem alten (denn dieser ist moralisch ein anderer) , als S t r a f e gebiihrten. Oh er also gleich p h y ­ s i s c h (seinem empirischen Charakter als Sinnenwesen nach betrachtet) l eben derselbe strafbare Mensch ist, und als ein solcher vor einem moralischen Gerichtshofe, mithin auch von ihm selbst gerichtet werden muB, so ist er doch in seiner neuen Gesinnung (als intelligibles Wesen) vor einem gottlichen Richter, vor welchem diese die Tat vertritt, m o r a l i s c h ein anderer, und diese in ihrer Reinigkeit, wie die des Sohnes Gottes, welche er in sich aufgenommen hat, oder (wenn wir diese Idee personifizieren) d i e s e r selbst triigt fur ihn, un d so auch fiir alle , die an ihn ( praktis ch) glauben, als S t e l l ­ v e r t r e t e r die Siindenschuld, tut durch Leiden un d Tod der hochsten Gerechtigkeit als E r l o s e r genug, und ma eh t als S a c h v e r w a l t e r , daB si e hoffen konnen, vor ihrem Richter als gerechtfertigt zu erscheinen , nur daB (in dieser Vorstel­ lungsart) jenes Leiden, was der neue Mensch , indem er dem a l t e n abstirbt, im Le ben fortwiihrend iibernehmen muB, * an dem Reprasentan l ten der Menschheit als ein fur alle�al erlitte­ ner Tod vorgestellt wird. - Hier ist nun derjenige UberschuB -

* Auch die reinste moralische Gesinnung bringt am Menschen , als Weltwesen , doch nichts mehr, als ein kontinuierliches Werden eines Gott wohlgefilligen Subjekts der Tat nach (die in der Sinnenwelt angetroffen wird) hervor. Der Qualitat nach (da sie, als iibersinnlich g e g r ii n d e t , gedacht werden mlill ) sol! und kann sie zwar heilig und der seines Urbildes gemaB sein; dem Grade nach - wie sie sich in Handlungen offen b art - bleibt sie

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CAITIVO

[98-100] 189

mediante l'intenzione buona che ci introduce nel Bene, e vice­ versa. n principio buono è dunque contenuto sia nell'abban­ dono dell'intenzione cattiva, sia nell'adozione dell'intenzione buona, e il dolore, che giustamente accompagna quell'abban­ dono, scaturisce totalmente da questa adozione. L'uscita dal­ l'intenzione corrotta per entrare in quella buona è (in quanto «morire all'uomo vecchio» 52 e «crocifissione della carne» 53 ) già in se stessa sacrificio e inizio di una lunga serie di mali della vita: e l'uomo nuovo prende su di sé questi mali nell'in­ tenzione del Figlio di Dio, cioè semplicemente per amore del Bene, sebbene a rigore essi spettino come p u n i z i o n e a un altro, cioè all'uomo vecchio (l'uomo nuovo, infatti, è moral­ mente un altro uomo). L'uomo nuovo, dunque, f i s i c a m e n t e ( considerato cioè, secondo il suo carattere empirico, come essere sensibi­ le) l è sempre lo stesso uomo meritevole di punizione, e in quanto tale è necessario che venga giudicato da un tribunale morale, quindi anche da se stesso; tuttavia, nella sua nuova intenzione egli è (in quanto essere intelligibile) m o r a l ­ m e n t e un altro uomo davanti a un giudice divino, per il quale l'intenzione ha più valore dell'atto, e ciò avviene perché l'uomo nuovo ha accolto entro sé questa intenzione, in tutta la sua purezza, come l'intenzione dello stesso Figlio di Dio. In altre parole (se personifichiamo quest'ultima idea): È lo stesso F i g l i o d i D i o a addossarsi, per l'uomo nuovo e così pure per tutti quelli che credono (praticamente) in lui, la colpa dei loro peccati in qualità di loro r a p p r e s e n ­ t a n t e ; come loro s a l v a t o r e , poi, mediante la propria passione e morte, egli soddisfa la giustizia suprema; e come loro a v v o c a t o , infine, fa sì che essi possano sperare di apparire giustificati davanti al loro giudice - tutto ciò a condi­ zione che (in questo modo di rappresentarsi le cose) la soffe­ renza di cui l'uomo nuovo, morendo al v e c c h i o , deve farsi carico per tutta la vita*, venga intesa come una morte soffer­ ta l una volta per tutte dal rappresentante dell'umanità. * Nell ' uomo, in quanto essere che appartiene al mondo fisico, anche la più pura intenzione morale non produce altro che la tendenza a diventare un soggetto gradito a Dio attraverso le azioni Oe quali avvengono appunto nel mondo sensibile) . Secondo l a sua qualità (che va necessariamente pensata come f o n d a t a in modo soprasensibile) , questa intenzione deve, e quindi può, essere santa e conforme al suo modello. Secondo il grado (cioè, secondo il modo in

190 [100- 101]

LA RELIGIONE

i.iber das Verdienst der Werke, der oben ver l mill t wurde, und ein Verdienst, das uns a u s G n a d e n zugerechnet wird. Denn damit das, was bei uns im Erdenleben (vielleicht auch in allen ki.inftigen Zeiten und allen Welten) immer nur im bloBen W e r d e n ist (namlich e in Gott wohlgefalliger Mense h zu sein), uns gleich, als oh wir schon hier im vollen Besitz dessel­ ben waren, zugerechnet werde, da zu haben wir doch woh l kei­ nen Rechtsanspruch t • (n a eh der empirischen Selbsterkenntnis),

i m m e r mangelhaft , und v o n d e r ersteren unendlich w e i t abstehen d . Demungeachtet vertritt diese Gesinnung, weil sie den Grund des kontinuier­ lichen Fortschritts im Erganzen dieser Mangelhaftigkeit enthiilt, als intellek­ tuelle Einheit des Ganzen, d i e S t e I l e d e r T a t in ihrer l Vollendung. Allein nun fragt's sich: kann wohl derjenige, «an dem nichts Verdammliches ist» , oder sein muB, sich gerechtfertigt glauben, und sich gleichwohl die Leiden, die ihm auf dem Wege zu immer groBerem Guten zustoBen, imll}er noch a l s s t r a f e n d zurechnen, also hierdurch eine Strafbarkeit, mithin auch eine Gott millfii.llige Gesinnung bekennen? Ja, aber nur in der Qualitat des Menschen, den er kontinuierlich auszieht. Was ihm in jener Qualitat (der des alten Menschen) als Strafe gebiihren wii rde (und das sind alle Leiden und Ùbel des Lebens iiberhaupt), das nimmt er in der Qualitat des neuen Menschen freudig, bloB um des Guten wille n, iiber sich; folglich werden sie ihm sofern und als einem solchen nicht als Strafen zugerechnet, sondern der Ausdruck will nur so viel sagen: alle ihm zustoBende Ùb el und Leiden, die der alte Mensch sich als Strafe hatte zurechnen miissen, und die er sich auch, sofern er ihm abstirbr, wirklich als solche zurechnet, die nimmt er, in der Qualitat des neuen , als so viel Anlasse der Priifung und Ù bung seiner Gesinnung zum Guten willig auf, wovon selbst jene Bestrafung die Wirkung und zugleich die Ursache, mithin auch von derjenigen Zufriedenheit und m o r a l i s c h e n G l ii c k s e l i g k e i t ist, welche im BewuBtsein sei n es Fortschritts im Guten (der mit der Verlassung des Bosen ein Actus ist) besteht, dahingegen eben dieselbe Ùbel in der alten Gesinnu ng nicht allein als Strafen hatten gelten, sondern auch als solche e m p fu n d e n werden miissen, weil sie, selbst als bloBe Ùbel betrachtet, doch demjenigen gerade entgegengesetzt sind, was sich der Mensch in solcher Gesinnung als p h y s i s c h e G l ii c k s e l i g k e i t zu seinem einzigen Ziele macht. -

t Sondem nur E m p f a n g l i c h k e i t , welche alle s ist, was wir unserer­ seits uns beilegen konnen ; der RatschluB aber eines Oberen zu Erteilung



t

om. B;

add. AA.

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[100· 101] 1 9 1

Qui abbiamo dunque quel saldo utile - di cui sopra 55 ab­ biamo l rilevato la mancanza - che va ad aggiungersi al merito delle opere, ed è un merito che ci viene attribuito p e r g r a z i a . Infatti, poiché ci è possibile misurare la nostra intenzio­ ne non direttamente, bensì soltanto sulla base dei nostri atti, ecco che dalla conoscenza empirica che abbiamo di noi stessi risulta quanto segue: Noi non possiamo rivendicare nessun diritt o a vederci attribuito, durante la nostra vita terrena (e forse in tutti i tempi futuri come anche in tutti i mondi) , ciò che è sempre e soltanto un semplice d i v e n i r e (a vederci cioè attribuito «l'essere un uomo gradito a Dio») come se ne fossimo già qui in pieno possesso t; e questo perché in tal caso cui essa si rivela nelle azioni ) , invece, l'intenzione resta sempre imperfetta e infinitamente lontana dall a santità. Malgrado ciò, però, l'intenzione è l'unità intellettuale della totalità mora­ le, e quindi contiene il fondamento della progressiva compensazione di que­ sta imperfezione: in tal senso, dunque, essa f a l e v e c i d e l l ' a z i o n e e della sua perfezione. Ora, però, ci si chiede: È possibile che colui «nel quale non c'è (non ci dev'essere) nessuna condanna»54 si creda giustificato, e che tuttavia si faccia carico delle sofferenze patite lungo la via verso un Bene sempre più grande c o m e s e f o s s e r o p u n i z i o n i , confess ando cosi di meritare le punizioni stesse e di avere pertanto un'intenzione sgradita a Dio? La risposta è: Sì, può credersi giustificato, ma soltanto perché si spoglia continuamente della qualità dell'uomo vecchio. Infatti, ciò che secondo questa qualità gli spetterebbe come punizione (e si tratta, in generale, di tutte le sofferenze e di tutti i mali della vita) , egli lo accetta ora con gioia nella qualità di uomo nuovo e semplicemente per amore dd Bene; di conseguenza, questi mali e queste sofferenze non sono attribuiti come punizioni a lui in quanto uomo nuovo. In definitiva, l'espressione «sofferenze come punizioni» vuoi dire qui sol­ tanto questo: L'uomo vecchio avrebbe dovuto accettare come punizioni tutte quelle sofferenze e tutti quei mali che ora l'uomo nuovo, morendo al vecchio, accetta realmente, appunto, come punizioni, accogliendole come altrett a nte occasioni per mettere alla prova e per esercitare la propria intenzione rivolta

l

al Bene. Nella qualità dell'uomo nuovo, dunque, la punizione è a un tempo l'ef­ fetto e la causa di questa intenzione buona, quindi anche l'effetto e !a causa di quella contentezza e f e l i c i t à m o r a l e insita n ell a consapevolezza che l'uomo ha di progredire nd Bene (e questo progresso è un unico e medesimo atto con l' abb an dono del Male) . Nella vecchia intenzione, al contrario, questi stessi mali non solo avreb­ bero avuto il valore di punizioni, ma avrebbero dovuto anche e ss e re s e n t i t i come tali, pe rché essi, anche considerati come semp lici mali, sono tuttavia opposti direttamente alla f e l i c i t à f i s i c a , la qu ale per l'uomo vecchio costituiva l' unico vero scopo.

t Da parte nostra possiamo attribuirci soltanto la c a p a c i t à ricevere un tale dono.

di

1 92 [10 1 - 103]

LA RELIGIONE

so weit wir uns selbst kennen (unsere Gesinnung nicht unmit­ telbar, sondern nur nach unsern Taten ermessen) , so daB der AnkHiger in uns eher noch auf ein Verdammungsurteil antragen wiirde. Es ist also immer nur ein Urteilsspruch aus Gnade, obgleich (als auf Genugtuung gegriin det, die fur uns nur in der Idee der gebesserten Gesinnung liegt, die aber Gott allein kennt) der ewigen Gerechtigkeit vollig gemii.B, wenn wir, um jenes Guten im Glauben willen, aller Verantwortung entschla­ gen werden. Es kann nun noch gefragt werden, ob diese Deduktion der Idee einer R e c h t f e r t i g u n g des zwar verschuldeten , aber doch zu einer Gott wohlgefiilligen Gesinnung iibergegangenen Menschen irgend einen prakti l schen Gebrauch habe, und wel­ cher es sein konne. Es ist nicht abzusehen, welcher p o s i t i v e Gebrauch davon fiir die Religion und den Lebenswandel zu m achen sei; da in jener Untersuchung die Bedingung zum Grunde liegt, daB der, den sie angeht, in der erforderlichen guten Gesinnung schon wirklich sei, auf deren Behuf (Ent­ wickelung und Beforderung) aller praktische Gebrauch morali­ scher Begriffe eigentlich abzweckt; denn was den Trost betrifft, so fuhrt ihn eine solche Gesinnung fiir den , der sich ihrer bewuBt ist (als Trost un d Hoffnung, nicht als Gewillheit} schon bei sich . Sie ist also in so fern nur die Beantwortung einer spekulativen Frage , die aber darum nicht mit Stillschweigen iibergangen werden kann, weil sonst der Vemunft vorgeworfen werden konnte, sie sei schlechterdings unvermogend , die Hoffnung auf die Lossprechung des Menschen von seiner Schuld mit der gottlichen Gerechtigkeit zu vereinigen ; ein Vorwurf, der ihr in mancherlei, vornehmlich in m oralischer Rii cksicht n a chteilig sein konn te. Allein der n e g a t i v e Nutzen, der daraus fiir Religion und Sitten zum Behuf eines jeden Menschen gezogen werden kann, erstreckt sich sehr weit. Denn man sieht aus der gedachten Deduktion: daB nur unter der Voraussetzung der giinzlichen Herzensiinderung sich fiir den mit Schuld belasteten Mens chen vor der himmlischen Gerechtigkeit Lossprechung denken lasse, mithin alle Expia­ tionen, sie mogen von der biiBenden oder feierlichen Art sein , alle Anrufungen und l Hochpreisungen (selbst die des stellver­ tretenden Ideals des Sohnes Gottes) den Mangel der erstern nicht ersetzen , oder, wenn diese da ist, ihre Giiltigkeit vor eines Guten, wozu der Untergeordnete nichts weiter als die (moralische) Ernpfiinglichkeit hat, heillt G n a d e .

Il. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[101-103] 1 93

l'accusatore che è in noi emetterebbe piuttosto una sentenza di condanna. Se dunque, in virtù di quel Bene che è nella fede, siamo esonerati da ogni responsabilità, ciò avviene sem­ pre e soltanto per un decreto di grazia pienamente conforme alla giustizia eterna (tale decreto si fonda sulla soddisfazione della giustizia eterna, soddisfazione che per noi risiede nell'i­ dea dell'intenzione migliorata, ma che comunque solo Dio conosce) . Si può chiedere ora se questa deduzione dell'idea di una g i u s t i f i c a z i o n e dell'uomo nuovo (colpevole, certo, ma pervenuto a un'intenzione gradita a Dio) abbia qualche l uso pratico e quale possa essere. Innanzitutto, ne va escluso l'uso p o s i t i v o in vista della religione e della condotta di vita (per esempio, come confor­ to) . Il presupposto fondamentale della deduzione, infatti, è che l'uomo in questione abbia già realmente la buona inten­ zione richiesta e tenda autenticamente ogni suo uso pratico dei concetti morali in favore di essa (per svilupparla e consoli­ darla) ; quindi il conforto (come consolazione e speranza, non come certezza ) è già contenuto nell'intenzione buona di colui che è consapevole di averla. In questo senso, dunque, la deduzione è la risposta a una questione speculativa, la quale tuttavia non può essere trascu­ rata, perché altrimenti si potrebbe rimproverare alla ragione di essere assolutamente impotente a conciliare la giustizia divina con la speranza umana di essere assolti dai propri pec­ cati. E un tale rimprovero potrebbe pregiudicare la ragione sotto diversi riguardi, soprattutto sotto quello morale. Molto grande è invece l'utilità n e g a t i v a che ogni uomo può ricavarne per la sua religione e i suoi costumi. Questa deduzione, infatti, mostra che solo sul presupposto della con­ versione totale si può pensare a un'assoluzione, davanti alla giustizia celeste, dell'uomo gravato di colpe. Di conseguenza, tutte le espiazioni, intime o solenni che siano, tutte le invoca­ zioni e l glorificazioni (incluse quelle rivolte all'ideale del Figlio di Dio, rappresentante dell'umanità) non possono col­ mare la mancanza dell'intenzione buona, né sono in grado, qualora l'intenzione già sussista, di accrescerne minimamente Ciò che si chiama g r a z i a , invece, è la decisione di un superiore di rendere partecipe di un bene un subordinato che non possiede altro che la capacità (morale) di riceverlo.

194 [103 -104)

LA RELIGIONE

jenem Gerichte nicht im mindesten vermehren konnen; denn dieses Ideai muE in unserer Gesinnung aufgenommen sein, um an die Stelle der Tat zu gelten. Ein anderes enthalt die Frage: was sich der Mensch von seinem gefiihrten Lebenswandel a m E n d e d e s s e l b e n zu versprechen , o der was er zu fiirchten habe. Hier muB er allererst seinen Charakter wenigstens einigermaBen kennen; also, wenn er gleich glaubt, es sei mit sei­ ner Gesinnung eine Besserung vorgegangen, die alte (verderh­ te) , von der er ausgegangen ist, zugleich mit in Betrachtung ziehen, und was und wie viel von der ersteren er ahgelegt hahe, un d welche Q u a l i t a t ( oh lautere o der noch unlautere) sowohl, als welchen G r a d die vermeinte n eu e Gesinnung hahe, ahnehmen konnen, um die erste zu iiherwinden, und den Riickfall in dieselhe zu verhiiten; er wird sie also durchs ganze Lehen nachzusuchen hahen. Da er also von seiner wirklichen Gesinnung durch unmittelhares BewuEtsein gar keinen sichern und hestimmten Begriff hekommen, sondern ihn nur aus sei­ nem wirklich gefiihrten Lehenswandel ahnehmen kann: so wird er fiir das Urteil des kiinftigen Richters (des aufwachenden Gewissens in ihm selhst, zugleich mit der herheigerufenen empirischen Selhsterkenntnis) sich keinen andern Zustand zu seiner Ùherfiih rung denken konnen, als daB ihm s e i n .1 g a n ­ z e s L e h e n dereinst werde vor Augen gestellt werden, nicht hloB ein Ahschnitt desselhen, vielleicht der letzte, und fiir ihn noch giinstigste; hiermit aber wii rde er von selhst die Aussicht in ein noch weiter fortgesetztes Lehen (ohne sich hier Grenzen zu setzen) , wenn es noch langer gedauert batte, verkniipfen. Hier kann er a n un nicht di e zuvor erkannte Gesinnung die Tat vertreten lassen, sondern umgekehrt, er soll aus der ihm vorge­ stellten Tat seine Gesinnung ahnehmen. Was meint der Leser wohl: wird hloB dieser Gedanke, welcher dem Menschen (der ehen nicht der argste sein darf) vieles in die Erinnerung zuriick­ ruft, was er sonst leicht sinnigerweise langst aus der Acht gelas­ sen hat, wenn man ihm auch nichts weiter sagte, als, er habe Ur­ sache zu glauben, er werde dereinst vor einem Richter stehen, von seinem kiinftigen Schicksal nach seinem bisher gefiihrten Lebenswandel urteilen ? Wenn man im Menschen den Richter, der in ihm selbst ist, anfragt: so beurteilt er sich strenge, denn er kann seine Vernunft nicht bestechen; stellt man ihm aber

a

er

add. AA.

TI. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[103 - 1 04] 195

la validità davanti al tribunale divino : affinché l'ideale del Figlio di Dio valga al posto dell' atto, infatti, è necessario che esso sia accolto nella nostra intenzione. Diverso è invece il senso della questione seguente: Che cosa deve attendersi o deve temere l'uomo dalla sua condotta al l a fi ne d e l l a v i t a ? Qui occorre che l'uomo conosca innanzitutto il proprio carattere, almeno in una certa misura. Quindi, anche se crede che nella sua intenzione sia avvenuto un miglioramento, è necessario che egli p renda a un tempo in considerazione anche la vecchia intenzione (corrotta) da cui si è allontanato: solo così egli potrà stabilire in che cosa e in che misura si è spogliato dell' intenzione precedente, e determinare se la q u a l i t à (pura o ancora impura) e il g r a d o della presunta nuova intenzione sono sufficienti per vincere la precedente e impedire di ricadervi. Egli, in definitiva, dovrà riesaminare le intenzioni attraverso tutta la sua vita. Ora, però, della propria intenzione reale l'uomo può for­ marsi un concetto sicuro e preciso non per consapevolezza immediata, bensì solo ricavandolo dalla propria condotta reale. Perciò, in vista della sentenza del giudice futuro (cioè, della sua coscienza morale ridestatasi e coadiuvata a un tempo dalla conos cenza empirica di sé), egli potrà pensare unica­ mente che un giorno gli sarà posta davanti agli occhi t u t t a l l a s u a v i t a , e non semplicemente una parte di essa, maga­ ri proprio l'ultima a lui più vantaggiosa; e penserà questo pur considerando che, se la sua vita fosse durata più a lungo, egli avrebbe ampliato da sé la prospettiva di una vita in ulteriore progresso (illimitato) verso il meglio. In questo contesto, dun­ que, l'uomo non può lasciare che l'intenzione, conosciuta pre­ cedentemente, sostituisca l'atto, ma, al contrario, deve desu­ mere la propria intenzione dall'atto evocato davanti a lui. A questo punto il lettore si chiederà: Sarà quest'unico pen­ siero - un pensiero che induce l'uomo (non necessariamente il peggiore) a rievocare molte cose che da lungo tempo ha fatto cadere in oblio per leggerezza - a fargli giudicare il proprio destino futuro sull a base della condotta di vita fin lì tenuta? Sarà sufficiente aggiungervi soltanto che egli ha motivo di cre­ dere di dover comparire un giorno davanti a un giudice? Sì, se nell'uomo si interroga il giudice che c'è in lui, perché in tal caso, non potendo ingannare la propria ragione, egli si giudicherà con rigore.

1 96 [104-106]

LA RELIGIONE

einen andern Richter vor, so wie man von ihm aus anderweiti­ gen Belehrungen Nachricht haben will, so hat er wider seine Strenge vieles vom Vorwande der menschlichen Gebrechlich­ keit Hergenommenes einzuwenden, und iiberhaupt denkt er, ihm beizukommen : es sei, da.B er, durch reuige, nicht aus wah­ rer Gesinnung der B esserung entspringende Selbstpeinigungen, der Bestrafung von ihm zuvorzukommen, oder l ihn dur ch Bit­ ten und Flehen , auch durch Formeln, und fii r glaubig ausgege­ bene Bekenntnisse zu erweichen denkt; und wenn ihm hiezu Hoffnung gemacht wird (nach dem Sprichwort: Ende gut, alles gut): so macht er darnach schon fri.ihzeitig seinen Anschlag, um nicht ohne Not zu viel am vergniigten Leben einzubiille n, und beim nahen Ende desselben doch in de r Geschwindigkeit die Rechnung zu seinem Vorteile abzuschlieBen t l .

ZWEITER ABSCHNITT

VON DEM RECHTSANSPRUCHE DES BOSEN PRINZIPS AUF DIE HERRSCHAFT ÙBER DEN MENSCHEN , ' UND DEM KAMPF

BEIDER PRINZIPIEN MIT EINANDER

Die heilige Schrift (christlichen Anteils) tragt dieses intelli­ gible moralische Verhaltnis in der Form einer Geschichte vor, da zwei, wie Himmel und Holle einand e r entgegengesetz t e t Die Absicht derer, die am Ende des Lebens einen Geistlichen rufen las­ sen , ist gewohnlich : daE sie an ihm einen Tr o s t e r haben wollen; nicht wegen der p h y s i s c h e n Leiden, welche die letzte Krankheit, ja auch nur die natiirliche Furcht vor dem Tod mit sich fiihn (denn dariiber kann der Tod selber, der sie beendigt, Troster sein ) , sondern wegen der m o r a l i ­ s c h e n , namlich der Vorwiirfe des Gewissens. Hier solite n un dieses eher a u f g e r e g t und g e s c h a r f t werden, um, was noch Gutes zu tun, oder Biises in seinen i.ibrig bleibenden Folgen zu vernichten (reparieren) sei, ja n i c h t z u verab s ii u m e n , nach der Warn u n g : «sei willfahrig deinem Widersacher (dem, der einen Rechtsanspruch wider dich hat) , so lange du noch mit ihm auf dem Wege bist (d.i. so lange du noch lebst) , damit er dich nicht dem Richter (nach dem Tode) i.iberliefere, u.s.w.» An dessen Statt aber gleichsam Opium fiirs Gewissen zu geben, ist Verschuldigung an ihm selbst und andem ihn Uberlebenden; ganz wider die Endabsicht, wozu ein solcher Gewissensbeistand am Ende des Lebens fiir notig gehalten werden kann .

Il IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[104- 1 06] 197

Se invece lo si pone davanti a un altro giudice, e si preten­ de di raccogliere notizie su di lui a partire da altre fonti infor­ mative, allora egli, contro il rigore di questo giudice estraneo, solleverà molte obiezioni agitando il pretesto della fragilità umana; e, in generale, penserà di poter influire su di lui sia prevenendone il castigo con autopunizioni piene di pentimen­ to (che però non scaturiscono da una vera intenzione di migliorare) , sia l cercando di commuoverlo con preghiere e suppliche, oppure anche con formule e professioni di fede spacciate per tali_ E se solo gli viene data speranza in tal senso (secondo il proverbio «tutto è bene quel che finisce bene») 56, allora su questa egli ordirà ben presto la sua trama per non sacrificare senza necessità troppi piaceri della vita e per chiu­ dere prontamente, nell'imminenza della fine, il conto a pro­ prio vantaggio t. l

SEZIONE SECONDA

IL DIRITTO AL DOMINIO SULL'UOMO RIVENDICATO DAL PRINCIPIO CATTIVO E LA BATTAGLIA FRA I DUE PRINCÌPI La Sacra Scrittura (nel Nuovo Testamento) espone questo rapporto morale intelligibile sotto forma di storia in cui i due princìpi della natura umana, contrapposti l'uno all'altro come t L'intento di coloro che, giunti in punto di morte, fanno chiamare un prete, è in genere quello di trovare in lui un c o n s o l a t o r e per le soffe­ renze m o r a l i , cioè per i rimorsi di coscienza, non certo per le sofferenze fisiche causate dall'ultima malattia o dall a paura naturale della morte (infatti di esse può essere la stessa morte la consolatrice che le fa cessare). Ora, in una circostanza simile la coscienza del moribondo dovrebbe esse­ re r a f f o r z a t a e i n c i t a t a a non omettere di fare ancora qualcosa di buono e ad annullare (a riparare) le conseguenze ancora perduranti delle sue cattive azioni passate. Gli si dovrebbe ricordare il monito: «Trova l'accordo con il tuo avversario (colui che rivendica un suo diritto contro di te) finché sei per via con lui (cioè, finché sei ancora in vita), perché egli non ti consegni al giudice (dopo la morte), ecc.» '7. Somministrare invece in questi casi, per così dire, dell'oppio all a coscien­ za, significa commettere una colpa sia verso il morente stesso, sia verso quelli che gli sopravvivono: e questo è totalmente contrario allo scopo per cui si considera necessario assistere la coscienza di chi è in punto di morte.

198 [ 106- 108]

LA RELIGIONE

Prinzipien im Menschen, als Personen auBer ihm, vorgestellt, nicht blo.B ihre Macht gegen einander versuchen, sondem auch ( der eine Teil als Anklager, der andere als Sachwalter cles Menschen ) ih re Anspriiche gleichsam vor einem hochsten Richter d u r c h s Re c h t gelten machen wolien. Der Mensch war urspriinglich zum Eigentiimer alier Giiter der Erde eingesetzt ( l . Mos. I, 28), doch, daB er diese nur als sein Untereigentum (dominium utile) unter seinem Schopfer und Herm, als Obereigentiimer (dominus directus) , besitzen solite. Zugleich wird ein boses Wesen (wie es so base gewor­ den, um seinem Herrn untreu zu werden, da es doch uranfang­ lich gut war, ist nicht bekannt) aufgestelit, welches durch sei­ nen Abfali alies Eigentums, das es im Himmel besessen haben mochte, verlustig geworden , und sich nun ein anderes auf Erden erwerben will . l Da ihm nun als einem Wesen hoherer Art - als einem Geiste - irdische und korperliche Gegenstande keinen GenuB gewahren konnen, so sucht er eine Herrschaft ii h e r d i e G e m ii t e r dadurch zu erwerb en, daB er die Stammeltern aller Menschen von ihrem Oberherm abtriinnig und ihm anhangig macht, da es ihm dann gelingt, sich so zum Obereigentiimer alier Giiter der Erde, d.i. zum Fiirsten dieser Welt, aufzuwerfen. Nun konnte man hierbei zwar es p edenk­ lich finden: warum sich Gott gegen diesen Verrater nicht seiner Gewalt bediente, * un d das Reieh, was er zu stiften zur Absicht batte, lieber in seinem Anfange vernichtete; aber die Beherr­ schung und Regierung der hi:ichsten Weisheit iiber verniinftige Wesen verfahrt mit ihnen nach dem Prinzip ihrer Freiheit, und was sie Gutes oder Boses treffen soli, das solien sie sich selbst zuzuschreiben haben . Hier war also, dem guten Prinzip zum Trotz, ein Reich cles Bosen errichtet, welchem all e von Adam (natiirlicherweise) abstammende Menschen unterwii rfig wur­ den, und zwar mit ihrer eignen Ein l willigung, weil das Blend­ werk der Giiter dieser Welt ihre Blicke von dem Abgrunde cles Verderbens abzog, fiir das sie aufgespart wurden. Zwar ver-

* Der P. C h a r l e v o i x berichtet: daB, da er seinem irokesischen Katechismusschiiler alles Bose vorerziihlte, was der bose Geist in die zu Anfang gute Schopfung hineingebracht habe, und wie er noch bestiindig die besten gottlichen Veranstaltungen zu vereiteln suche, dieser mit Unwillen gefragt habe: aber warum schliigt Gott den Teufel nicht tot? auf welche Frage er treuherzig gesteht, daB er in der Eil keine Antwort habe finden kiinnen.

n. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATITVO

[106-108] 199

il cielo all'inferno, sono rappresentati come persone esterne all 'u omo: essi non si limitano a mettere in gioco ciascuno la propria potenza contro l'altro, ma intendono anche (l'uno com e accusatore dell'uomo, l' altro come suo avvocato) far valere p e r d i r i t t o le loro pretese davanti, per così dire, a u n giu dice supremo. In origine, l'uomo era nominato proprietario di tutti i beni dell a terra (I Mosè, 1 ,28) 58, ma li possedeva soltanto a titolo di prop rietà subordinata (dominium utile) sotto la sovranità del suo Creatore e Signore, il vero proprietario (dominus directus) 59 . A un tempo fa la sua comparsa un essere maligno (non è noto perché costui, che era originariamente buono, sia diven­ tato così cattivo da ribellarsi al suo Signore), il quale, dopo aver perso con la sua caduta ogni proprietà posseduta in cielo, vuole ora acquistarne un'altra sulla terra. l Poiché però si trat­ ta di un essere di specie superiore (di uno spirito) , egli non può essere affatto appagato dagli oggetti terreni e corporei, e cerca perciò di acquistare un dominio s u g l i a n i m i indu­ cendo i progenitori di tutti gli uomini a ribellarsi al loro Signore e a farsi suoi seguaci: riesce allora ad acquistare il tito­ lo di proprietario diretto di tutti i beni della terra, diviene cioè il Principe di questo mondo. Ora, in proposito ci si potrebbe certo chiedere: Perché Dio non ha fatto uso della sua potenza contro questo traditore* per annientare sul nascere il regno che costui aveva intenzione di istituire? In realtà, la suprema saggezza di Dio domina e governa gli esseri razionali agendo nei loro confronti secondo il principio della loro libertà, e tali esseri devono quindi impu­ tare a se stessi ogni Bene e ogni Male che li riguarda. Sulla terra, dunque, nonostante l'esistenza anche del prin­ cipio buono, venne istituito un regno del Male, al quale furo­ no sottoposti tutti i discendenti di Adamo (per via naturale) , e ciò avvenne precisamente col loro consenso, l poiché l'illusio­ ne dei beni di questo mondo distolse i loro sguardi dall'abisso di perdizione che si era spalancato ai loro piedi. * Padre Charlevoix 60 narra che un catecumeno irochese, al quale stava spiegando tutto il Male che lo Spirito maligno ha introdotto nella creazione originariamente buona e tutti i continui tentativi da lui compiuti per vanifica­ re le migliori istituzioni divine, gli chiese con impazienza: «Ma perché Dio non uccide il diavolo?>>, e confessa francamente di non aver saputo trovare lì per lì nessuna risposta.

200 [108-1 10]

LA RELIGIONE

wahrte sich das gute Prinzip wegen seines Rechtsanspruchs an der Herrschaft iiber den Menschen durch die Errichtung der Form einer Regierung, die bloB auf offentliche alleinige Ver­ ehrung seines Namens angeordnet war (in der j ii d i s c h e n Theokratie), da aber die Gemiiter der Untertanen in derselben fiir keine andere Triebfedern, als die Giiter dieser Welt, ge­ stimmt blieben, und sie also auch nicht anders, als durch Be­ lohnungen und Strafen in diesem Leben regiert sein wollten, dafii r aber auch keiner andern Gesetze fahig waren , als solcher, welche teils lastige Zeremonien und Gebrauche auferlegten, teils zwar sittliche, aber nur solche, wobei ein auBerer Zwang statt fand, also nur biirgerliche waren, wobei das Innere der moralischen Gesinnung gar nicht in Betrachtung kam: so tat diese Anordnung dem Reiche der Finsternis keinen wesentli­ chen Abbruch, sondern cliente nur dazu, um das unausloschli­ che Recht des ersten Eigenti.imers immer im Andenken zu erhalten . - Nun erschien in eben demselben Volke zu einer Zeit, da es alle Ùbel einer hierarchischen Verfassung im vollen MaBe fi.ihlte, und das sowohl dadurch, als vielleicht durch die den Sklavensinn erschi.itternden moralischen Freiheitslehre n der griechischen Weltweisen, die auf dasselbe allm ahlich EinfluB bekommen hatten, groBenteils zum Besinnen,gebracht, mithin zu l einer Revolution reif war, auf einmal eine Person, deren Weisheit noch reiner, als die der bisherigen Philosophen, wie vom Himmel herabgekommen war, un d die sich auch selbst, was ihre Leh ren un d Beispiel betraf, zwar als wahren Men­ schen, aber doch als einen Gesandten solchen Ursprungs an­ kiindigte, der in urspri.inglicher Unschuld in dem Vertrage, den das i.ibrige Menschengeschlecht durch seinen Repriisentanten, den ersten Stammvater, mit dem bosen Prinzip eingegangen, nicht mit begriffen war, t un d «an dem der l Fi.irst dieser Welt t Eine vom angebornen Hange zum Biisen freie Person so als miiglich sich zu denken , da.B man sie von einer jungfraulichen Mutter gebaren liillt , ist eine Idee der sich zu einem schwer zu erklarenden und doch auch nicht abztÙeugnenden gleichsam moralischen Instinkt bequemenden Vernunft; da wir namlich die natiirliche Zeugung, weil sie ohne Sinnenlust beider Teile nicht geschehen kann , uns aber doch auch (fi.ir die Wiirde der Menschheit) in gar zu nahe Verwandtschaft mit der allgemeinen Tiergattung zu bringen scheint, als etwas ansehen, dessen wir uns zu s c h a m e n haben - e in e Vorstellung, die gewiE die eigentliche Ursache von der vermeinten Heiligkeit des Monchsstandes geworden ist - welches uns also erwas Unmoralisches, mit der Vollkommenheit eines Menschen nicht Vereinbares, doch in seine Natur Eingepfropftes und also sich auch auf seine N achkommen als eine base Anlage Vererbendes zu sein deucht. - Dieser dunklen (von einer Seite

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[108-109] 201

È vero che il principio buono, per onorare la sua rivendi­ cazione del dominio sugli uomini, si premunì istituendo una forma di governo basata soltanto sul rispetto pubblico ed esclusivo del suo nome (nella teocrazia e b r a i c a ) . In tale regime, tuttavia, gli animi dei sudditi continuavano ad avere come unico movente l'inclinazione verso i beni di questo mondo, e volevano dunque essere governati soltanto median­ te ricompense e punizioni in questa vita. Sennonché, le uniche leggi che potevano adattarsi a loro erano quelle che, da un lato, comportavano cerimonie e pratiche onerose, e, dall' altro, pur essendo leggi morali, esigevano una coercizione esterna: si trattava dunque soltanto di leggi civili, in cui l'interiorità del­ l'intenzione morale non veniva affatto presa in considerazio­ ne. Ecco perché questo ordinamento non inflisse un colpo mortale al regno delle tenebre, ma servì soltanto a tenere viva nella memoria l'imprescrittibilità del diritto del proprietario originario. l Col tempo, questo popolo sentì tutto il peso dei mali deri­ vanti da una costituzione ierarchica, tanto che per questo motivo, e forse anche per l'influsso graduale delle dottrine della libertà morale che, insegnate dai saggi greci, erano tese a scuotere lo spirito servile, esso sviluppò un più alto grado di riflessione e divenne quindi maturo per una rivoluzione. Fu allora che, in mezzo a questo popolo, apparve all'im­ provviso una persona la cui saggezza, ancora più pura di quel­ la dei filosofi precedenti, era come discesa dal cielo. Per i suoi insegnamenti e il suo esempio, costui si presentava come un vero uomo, e tuttavia si annunziava come un inviato che, per lignaggio e innocenza originaria, non rientrava nel patto che il resto del genere umano, mediante il suo rappresentante (il primo uomo), aveva stipulato con il principio cattivo t : perciò t L'idea per cui solo nascendo da una madre vergine è possibile che una persona sia libera dall 'innata tendenza al Male, è un'idea razionale difficile da spiegare e tuttavia innegabile, adeguata a un istinto che può dirsi morale. Noi infatti consideriamo la procreazione naturale come qualcosa di cui dobbiamo v e r g o g n a r c i , perché essa non può accadere senza il piacere sessuale di una coppia e, dal punto di vista della dignità umana, sembra ren­ derei troppo simili alla specie animale in generale - e questa rappresentazio­ ne è stata senza dubbio la vera causa della pretesa santità dello stato monaca­ le. La generazione ci appare dunque come qualcosa di immorale e di incom­ patibile con la perfezione dell'uomo, sebbene essa sia radicata nella nostra natura e si trasmetta per eredità, come una disposizione cattiva, anche ai discendenti.

202 [109- 1 1 1]

LA RELIGIONE

also keinen Teil batte». Hierdurch war des letztem Herrschaft in Gefahr gesetzt. Denn widerstand dieser Gott wohlgefallige Mensch seinen Versuchungen , jenem Kontrakt auch beizutre­ ten, nahmen andere Menschen auch dieselbe Gesinnung glau­ big an, so biillte er eben soviel Untertanen ein, und sein Reich lief Gefahr, giinzlich zerst6rt zu werden. Dieser bot ihm also an, ihn zum Lehnstrager seines ganzen Reichs zu machen, wenn er ihm nur als Eigentiimer desselben huldigen wollte. Da dieser Versuch nicht gelang, so entzog er nicht allein diesem Fremd­ linge auf seinem Boden alles, was ihm sein Erdenleben ange­ nehm l machen konnte (bis zur gr6Bten Annut) , sondem erreg­ te gegen ihn alle Verfolgungen, wodurch bose Menschen es ver­ bittem konnen , Leiden, die nur der Wohlgesinnte recht tief fuhlt, Verleumdung der lautem Absicht seiner Lehren (um ihm allen Anhang zu entziehen) , und verfolgte ihn bis zum schmah­ lichsten Tode, ohne gleichwohl durch diese Bestiinnung seiner Standhaftigkeit und Freimiitigkeit in Lehre und Beispiel fiir das Beste von lauter Unwii r digen im mindesten etwas gegen ihn

bloE sinnlichen, von der andern aber doch moralischen, mithin intellektuel­ len) Vorstellung ist nun die Idee einer von keiner Geschlechtsgemeinschaft abh angigen (jungfraulichen) Geburt eines mit keinem moralischen Fehler behafteten Kindeswohlangemessen, aber l nicht ohne Schwierigkeit in der Theorie (in Ansehung deren aber etwas zu bestimmen in praktischer Absicht gar nicht notig ist). Denn nach der Hypothese der Epigenesis wiirde doch die Mutter, die durch n a t ii r l i c h e Zeugung von ihren Eltern abstammt mit j enem moralischen Fehler behaftet sein und diesen wenigstens der Hiilfte nach auch bei einer iibernatiirlichen Zeugung auf ihr Kind vererben; mithin miillt e, dami t dies nicht die Folge sei, das System der P r a e x i s t e n z der Keime in den Eltern, aber auch nicht das der Einwickelung im w e i b l i ­ c h e n (weil dadurch jene Folge nicht vermieden wird) sondern bloE im m a n n l i c h e n Teile (nicht das der ovulorum sondern der animalcul. sperrn .) angenornmen werden; welcher Teil nun bei einer iibernatiirlichen Schwanger­ schaft wegfallt, und so j ener Idee theoretisch angemessen jene Vorstellungsart verteidigt werden konnte. - Wozu aber alle diese Theorie, dafiir oder dawi­ der, wenn es fiir das Praktische genug ist, jene Idee, als Syrnbol der sich selbst iiber die Versuchung zum Bosen erhebenden (diesern siegreich widerstehen­ den) Menschheit, uns zum Muster vorzustellen ?

Il IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATITVO

[ 109- 1 1 1] 203

«il Prin cipe l di questo mondo non aveva nessun potere su di Lui» 62 Per via di questo evento, il dominio del principio cattivo era p osto in pericolo. Quest'uomo gradito a Dio, infatti, resi­ stette alle tentazioni con cui il principio cattivo voleva indurlo a parte cipare a sua volta a quel contratto; altri uomini, avendo fede in lui, ne adottarono la medesima intenzione morale, per cui il principio cattivo perdette altrettanti sudditi e il suo regno rischiò di andare totalmente distrutto. Il Principe del mondo offrì dunque a quest'uomo di farlo feudatario di tutto il suo regno, purché ne rendesse omaggio a lui come al vero proprietario 63 . Fallito il tentativo, egli allora non solo sottrasse a questo straniero entrato nelle sue terre tutto ciò che poteva rendergli piacevole I la vita terrena (fino a ridurlo in estrema povertà) , ma provocò contro di lui tutte le persecuzioni con cui i malvagi possono rendere amara questa vita - sofferenze che solo l'uomo intenzionato al Bene sente nel profondo, calunnie sul vero intento delle sue dottrine (per allontanare da lui ogni seguace) . E lo perseguitò fino alla morte più ignominiosa, ma tuttavia senza che questi assalti intaccassero minimamente la sua fermezza e schiettezza negli insegnamenti e nell'esempio, orientati al miglioramento di esseri in tutto e per tutto indegni. Ora , è proprio con questa oscura rappresentazione (da un lato semplice­ mente sensibile, ma dall 'altro morale e quindi intellettuale) che si accorda pienamente l'idea della procreazione (verginale) , indipendente da ogni rap­ porto sessuale, di un figlio immune da qualsiasi imperfezione morale. Questa idea n on è esente da difficoltà in campo teorico (le quali però non comportano nessun riflesso sul punto di vista pratico) . Infatti , secondo l'ipotesi dell'epigenesi 6 1 , la madre, in quanto generata per procreazione n a t u r a l e , sarebbe affetta da quell'imperfezione morale e, malgrado il carattere soprannaturale della procreazione, dovrebbe trasmet­ terla al proprio figlio almeno per metà. Per evitare questa conseguenza, si dovrebbe quindi ricorrere al sistema della p r e e s i s t e n z a dei germi nei genitori , escludendone però la presenza nell'elemento f e m m i n i l e (nel qual caso non si sfuggirebbe alla conseguenza) e ammettendo invece che que­ sti germi si siano svii uppati soltanto nell'elemento m a s c h i l e (ricorrendo quindi non al sistema ovulorum, bensì a quello animalculorum spermaticorum). Ora , in una gravidanza sovrannaturale l'elemento maschile manca, e per­ tanto sarebbe possibile difendere la rappresentazione dell'immoralità della procreazione umana e, a un tempo, didùararla compatibile, sul piano teorico, con l'idea di una nascita verginale. Ma a che servono tutte queste teorie, pro o contro, quando nella sfera praùca è sufficiente vedere in questa idea il simbolo dell'umanità che si eleva al di sopra delle tentazioni del Male (cioè, che gli resiste vittoriosamente ) ?

l

204 [1 1 1 - 1 121

LA RELIGIONE

auszurichten. Und nun der Ausgang dieses Kampfs ! Der Aus­ schlag desselben kann als ein r e c h t l i c h e r, oder auch als ein p h y s i s c h e r betrachtet werden. Wenn man den letztern ansieht (der in die Sinne fallt ) , so ist das gute Prinzip der unter­ liegende Teil; er mu.Bte in diesem Streite, nach vielen erlittenen Leiden, sein Le ben hingeben , t weil er in einer l fremden Herrschaft (d ie Gewalt hat) einen Aufstand erregte. Da aber das Reich, in welchem P r i n z i p i e n machthabend sin d (sie mogen nun gut oder bose sein), nicht ein Reich der Natur, son­ dern der Freiheit ist, d.i. ein solches, in welchem man iiber die Sachen nur in sofern disponieren kann, als man iiber die Ge­ miiter herrscht, in welchem also niemand Sklave (Leibeigner) ist, als der, und solange er es sein will : so war eben dieser Tod (die hochste Stufe der Leiden eines Menschen) die Darstellung

t Nicht daB er (wie D. B a h r d t romanhaft dichtete) den Tod,,s u c h t e , um eine gute Absicht, durch ein , Aufsehen erregendes gliinzendes Beispiel, zu befordern ; das wiire Selbstmord gewesen. Denn man darf zwar auf die Gefahr des Verlustes seines Lebens etwas wagen, oder auch den Tod von den Handen eines andern erdulden , wenn man ihm nicht auszweichen kann, ohne einer unnachlaBlichen Pflicht untreu zu werden, aber nicht iiber sich und sein Leben als Mittel, zu welchem Zweck es auch sei, disponieren nnd so U r h e b e r seines Tod es sein . - Aber auch nicht d aB er (wie der Wolfen­ biittelsche Fragmentist argwohnt) sein Leben nicht in moralischer, sondern blo8 in politischer, aber unerlaubter Absicht, um etwa die Priesterregierung zu stiirzen und sich mit weltlicher Ober l gewalt selbst an ihre Stelle zu set­ zen, g e w a g t habe; denn dawider streitet seine, nachdem er die Hoffnung, es zu erhalten, schon aufgegeben hatte, an seine Jiinger beim Abendmahl ergangene Ermahnung, es zu seinem Gedachtnis zu tun; welches, wenn es die Erinnerung einer fehlgeschlagenen weltlichen Absicht hiitte sein sollen, eine kriinkende, Unwillen gegen den Urheber erregende, mithin sich selbst wider­ sprechende Ermahnung gewesen ware. Gleichwohl konnte diese Erinnerung auch das Fehlschlagen einer sehr g uten rein - m oralischen Absicht des Meisters betreffen, namlich noch bei seinem Leben, durch Stiirzung des all e m o ralische Gesinnung verdrangenden Zeremonialglaubens u n d des Ansehens der Priester desselben , eine o f f e n t l i c h e Revolution (in der Religion) zu bewirken (wozu die Anstalten, seine irn Lande zerstreute }Unger am Ostern zu versammeln, abgezweckt sein mochten); von welcher freilich auch noch jetzt bedauert werden kann, daB sie nicht gelungen ist; die aber doch nicht vereitelt, sondem, nach seinem Tode, in eine sich im stillen, aber unter viel Leiden, ausbreitende Religionsumiinderung iibergegangen ist.

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 1 1 1 - 1 12] 205

Ed ecco quale fu l'esito di questa lotta ! risultato può essere considerato in due modi: dal punto di vista g i u r i d i c o e dal punto di vista f i s i c o . Se si guarda all'aspetto fisico (il quale cade sotto i sensi) , allora la parte soccombente è il principio buono. Fu infatti necessario che nella lotta quell'uomo saggio, dopo aver patito molte sofferenze, perdesse anche la vita t , poiché aveva fomentato l un'insurrezione in un dominio straniero (munito di grande forza e potere) . Ma il regno nel quale il potere è in mano a dei p r i n c ì p i (buoni o cattivi che siano) non è un regno della natura, bensì della libertà, vale a dire: è un regno in cui si può disporre delle cose solo nella misura in cui si domina sugli animi; qui dunque nessuno è schiavo (servo), se non chi vuoi esserlo e finché vuoi esserlo. Di conseguenza, la morte di quell'uomo (il grado più alto delle sofferenze umane) fu proprio la preIl

t Non è vero che egli (come imm aginò romanzescamente il dottor a b b i a c e r c a t o la morte per favorire il successo di un buon progetto mediante un esempio eclatante capace di suscitare grande impressione; in questo caso si sarebbe trattato di suicidio. Se infatti, per non venir meno a un proprio dovere fondamentale, è lecito mettere a repentaglio la propria vita e sopportare la morte per mano di un avversario, non è invece affatto consentito disporre di sé e della propria vita come si trattasse di un mezzo in vista di un fine, qualunque esso sia, divenendo cosi l' a u t o r e della propria morte. Ma non è vero neppure che egli (come ipotizza l'autore dei Frammenti di Wol/enbiitte{) 65 abbia a r r i s c h i a t o la propria vita per scopi non morali, bensì meramente politici e illeciti, cioè per abbattere il regime dei sacerdoti e installarsi l al loro posto con un potere temporale supremo. Questo scopo infatti contrasterebbe con l' esortazione fatta da Cristo ai suoi discepoli durante l'ultima cena, quando aveva già rinunciato alla speranza di salvare la vita: «Fate questo in memoria di me»66; parole, queste, che se avessero voluto all udere alla commemorazione del fallimento di un progetto politico, sareb­ bero risultate senz 'altro offensive, e l'esortazione, in sé contraddittoria, avreb­ be suscitato indignazione contro il suo autore. Non è da escludere, però, che questa commemorazione riguardasse il fal­ limento di un ottimo proposito puramente morale del Maestro, cioè del pro­ posito di provocare, mentre egli era ancora in vita, una rivoluzione p u b b l i c a (nella religione) mediante la distruzione della fede cerimonialistica degli Ebrei, soffocante ogni intenzione morale, e dell'autorità dei suoi sacer­ doti (proprio a questo obiettivo mirava forse la decisione di riunire per la Pasqua tutti i discepoli sparsi nella regione). Ancora oggi si può rimpiangere che questa rivoluzione sia fallita, ma il tentativo non è stato vano, perché dopo la morte di Cristo il progetto ha dato luogo a una trasformazione reli­ giosa che si è diffu sa silenziosamente nel mondo intero, sebbene in mezzo a molte sofferenze.

B a h r d t ) 64

206 [ 1 12-1 14]

LA RELIGIONE

des guten Prinzips, namlich der Menschheit, in ihrer morali­ schen Vollkommen l heit, als Beispiel der Nachfolge fur jeder­ mann. Die Vorsteilung desselben solite und konnte auch fiir seine, ja sie kann fii r jede Zeit vom groBten Einfluss auf mensch­ liche Gemiiter sein ; indem es die Freiheit der Kinder des Himmels und die Knechtschaft eines bloBen Erdensohns in dem allerauffallendsten Kontraste sehen laBt. Das gute Prinzip aber ist nicht bloB zu einer gewissen Zeit, sondern von dem Ursprunge des menschlichen Geschlechts an unsichtbarerweise vom Himmel in die Menschheit herabgekommen gewesen (wie ein jeder, der auf seine Heiligkeit und zugleich die Unbegreif­ lichkeit der Verbindung derselben mit der sinnlichen Natur des Menschen in der moralischen Anlage Acht hat, gestehen muB) und hat in ihr rechdicherweise seinen ersten Wohnsitz. Da es also in einem wirklichen Menschen als einem Beispiele fiir alle andere erschien, «so kam er in sein Eigentum, und die Seinen nahmen ihn nicht auf, denen aber, die ihn aufnahmen, hat er Macht gegeben, Gottes Kinder zu heiBen, die an seinen N amen glauben»; d.i. durch das Beispiel desselben (in der moralischen Idee) erOffnet er die Pforte der Freiheit fiir jedermann, die eben so, wie er, allem dem absterben wollen, was sie zum Nachteil der Sittlichkeit an das Erdenleben gefesselt halt, und sammelt sich unter diesen «ein Volk, das fleillig ware in guten Werken, zum Eigentum» und unter seine Herrschaft, indessen daB er die, so die moralische Knechtschaft vorziehen, der ihri­ gen iiberlaBt. l Also ist der moralische Ausgang dieses Streits auf Seiten des Helden dieser Geschichte (bis zum Tode desselben) eigentlich nicht die B e s i e g u n g des bosen Prinzips; denn sein Reich wahret noch, und es muB allenfalls noch eine neue Epoche ein­ treten, in der es zerstort werden soli, - sondern nur Brechung seiner Gewalt, die, welche ihm so lange untertan gewesen sind, nicht wider ihren Willen zu halten, indem ihnen eine andere m oralis che Herrs chaft (denn unter irgen d einer muB der Mensch stehen) als Freistatt eroffnet wird, in der sie Schutz fiir ihre Moralitat finden konnen, wenn sie die alte verlassen wol­ len. Ùbrigens wird das bose Prinzip noch immer der Fiirst die­ ser Welt genannt, in welcher die, so dem guten Prinzip anhan­ gen , sich immer auf physische Leiden, Aufopferungen, Kriin­ kungen der Selbstliebe, welche hier als Verfolgungen des bosen

Il IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 1 12 - 1 14]

207

sentazione del principio buono, cioè dell' umanità nella sua perfezione morale, l come di un esempio da imitare per tutti. L'imm agine di questa morte ha dovuto e potuto esercitare nella sua epoca, come può esercitare in ogni epoca, un gran­ dissimo influsso sui cuori umani, giacché essa mostra nel modo più evidente il contrasto fra la libertà dei figli del cielo e la schiavitù di un semplice figlio della terra. Ora, tuttavia, il principio buono è disceso dal cielo nell'u­ manit à non solo in una determinata epoca, ma, in modo invi­ sib ile, fin dall'origine del genere umano, e qui ha stabilito giu­ ri dicam ente la sua prima dimora (come è costretto ad ammet­ tere chiunque consideri la santità del principio buono e, a un tempo, l ' inconcepibilità dell' unione tra questa s antità e la natura sensibile dell'uomo nella disposizione morale ) . Quando dunque tale principio apparve i n un uomo reale per fungere da modello per tutti gli altri, allora «egli venne nella sua proprietà, e i suoi non l' accolsero; ma a tutti quelli che l'accolsero egli diede il potere di chiamarsi figli di Dio, che credono nel suo nome» 67 . In altre parole: mediante l'e­ sempio di quest'uomo (nell'idea morale) , il principio b uono apre la porta della libertà a quanti vogliono, come lui, morire a tutto ciò che li vincola alla vita terrena pregiudicandone la moralità: in mezzo a costoro esso raduna a sé, sotto il proprio dominio, «un popolo che è sua proprietà, dedito alle opere buone» 68, e abbandona invece a se stessi coloro che preferi­ scono la schiavitù morale. l L'esito morale della lotta, dunque, visto dal lato dell'eroe di questa storia (fino alla sua morte) , non è propriamente la s c o n f i t t a del principio cattivo; infatti il regno di quest'ul­ timo dura ancora, e in ogni caso non è ancora inizi ata la nuova epoca in cui esso dovrà essere distrutto. È stata operata soltanto una breccia nella potenza del principio cattivo, in quanto esso non è più in grado di tenere sottomessi a sé, con­ tro la loro volontà, quelli che gli sono stati soggetti per così tanto tempo: per costoro si è aperto un nuovo dominio mora­ le (è infatti necessario che l'uomo sia pur sempre sottoposto a un qualche dominio) , come asilo nel quale possono trovare protezione per la loro moralità nel momento in cui vogliono abbandonare la vecchia tirannia. Del resto, il principio cattivo viene pur sempre chiamato il Principe di questo mondo, in cui i seguaci del principio buono possono aspettarsi soltanto sofferenze fisiche, sacrifici e mortificazioni dell' amore di sé: e

LA RELIGIONE

208 [1 14-1 16]

Prinzips vorgestellt werden, gefa.Bt sein mogen, weil er nur fur die, so das Erdenwohl zu ihrer Endabsicht gemacht haben, Belohnungen in seinem Reiche hat. Man sieht leicht: da.B, wenn man diese lebhafte, und wahr­ scheinlich fur ihre Zeit auch einzige p o p u l ii r e Vorstellungs­ art von ihrer mystischen Hiille entkleidet, sie (ihr Geist und Vemunftsinn) fiir alle Welt, zu aller Zeit praktisch giiltig und verbindlich gewesen, weil sie jedem Menschen nahe genug liegt, l um hieriiber seine Pflicht zu erkennen. Dieser Sinn be­ steht darin, da.B es schlechterdings kein Heil fur die Menschen gebe, als in innigster Aufnehmung echter sittlicher GrWldsatze in ihre Gesinnung: da.B dieser Aufnahme nicht etwa die so oft beschuldigte Sinnlichkeit, sondem eine gewisse selbst verschul­ dete Verkehrtheit, oder wie man diese Bosartigkeit noch son st nennen will , Betrug (fausseté) , (Satanslist, wodurch das Bose in die Welt gekommen) entgegen wirket, eine Verderbtheit, wel­ che in allen Menschen liegt, und durch nichts iiberwaltigt wer­ den kann, als durch die Idee cles Sittlichguten in seiner ganzen Reinigkeit, mit dem Bewu.Btsein , da.B sie wirklich zu unser er urspriinglichen Anlage gehore, und man nur beflissen sein miisse, sie von aller unlauteren Beimischung frei zu erhalten, und sie tief in unsere Gesinnung aufzunehmen, um durch die Wirkung, die sie allmahlich aufs Gemiit tut, iiberzeug t zu wer­ den, da.B die gefiirchteten Machte des Bosen dagegen nichts ausrichten («die Pforten der Holle sie nicht iiberwaltigen») konnen, und da.B, damit wir nicht etwa den Mangel dieses Zutrauens, a b e r g l a u b i s c h , durch Expiationen, die keine Sinnesanderung voraussetzen, oder s c h w a r m e r i s c h durch vermeinte (blo.B passive) innere Erleuchtungen erganzen, und so von dem auf Selbsttatigkeit gegriindeten Guten immer ent­ femt gehalten werden, wir ihm kein anders Merkmal als das eines wohlgefuhrten Lebenswandels unterlegen sollen. - Ùb ri­ gens kann eine Bemiihung, wie die gegenwartige, in der Schrift denjenigen Sinn zu suchen, der mit dem l H e i l i g s t e n , was die Vemunft lehrt, in Harmonie steht, nicht allein fii r erlaubt, sie mu.B vielmehr fur Pflicht gehalten werden, t un d man kann

t Wobei

man

einraumen kann , daB er nicht der einzige sei.

IL IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 1 14 - 1 16] 209

tutto ciò viene raffigurato come frutto di persecuzioni operate dal principio cattivo, perché esso, nel suo regno, dà ricom­ pense solo a coloro che hanno fatto dei beni terreni il loro fine ultimo. Questa vivida raffigurazione era verosim�mente l'unica, a quel tempo, a d e g u a t a a l p o p o l o . E p erò evidente che, una volta spogliata del suo manto mistico, sul piano pra­ tico essa è stata (nel suo spirito e nel suo senso razionale) vali­ da e vincolante per ogni luogo e per ogni tempo, perché è tanto vicina a ogni uomo l da fargli conoscere il suo dovere. Il senso razionale consiste p recis amente in ciò: Per gli uomini non c'è assolutamente s alvezza se non con l'accetta­ zione intima , nella loro intenzione, di princìpi morali genuini. A tale accettazione non si contrappone la sensibilit à , così spesso incolpata di ciò, bensì una certa perversità essa stessa colpevole, cioè - come altrimenti viene anche chiamato que­ sto tipo di cattiveria - una certa falsità (jausseté: astuzia di Satana, con la quale il Male è entrato nel mondo): una corru­ zione che, insita in tutti gli uomini, può essere vinta unica­ mente dall' idea del Bene morale in tutta la sua purezza. A questa vittoria si accompagna la consapevolezza che l'idea del Bene appartiene realmente alla nostra disposizione originaria, e che bisogna preoccuparsi soltanto di conservarla pura da ogni contaminazione e di accoglierla profondamente nella nostra intenzione morale: e tutto ciò va fatto per convincersi, mediante l'effetto che tale idea produce gradualmente sull'a­ nimo, che le temute potenze del Male non hanno più nessun potere sopra di essa («le porte dell'inferno non prevarranno su di essa») 69 . In tal modo, inoltre, ci si convincerà che l'uni­ co segno distintivo del Bene dev'essere quello della buona condotta di vita : e solo così è possibile colmare l'insufficienza della fiducia nella vittoria sul Male, non s u p e r s t i z i o s a ­ m e n t e ( con espiazioni che non presuppongono nessuna conversione) , né f a n a t i c a m e n t e (con pretese illumina­ zioni interiori, puramente passive, che tengono sempre lonta­ ni dal Bene fondato sull' attività personale) . D' altra parte, il tentativo - come quello nostro - d i cercare nella Scrittura un senso che sia in armonia l c o n c i ò c h e d i p i ù s a n t o insegna la ragione, va considerato non sol­ tanto lecito, ma addirittura come un dovere t. E in tal senso si t Anche se bisogna ammettere che non si tratta dell'unico senso possibile.

2 10 [116-117]

L A RELIGIONE

sich da bei desjenigen erinnem, was der w e i s e Lehrer seinen Jiingem von jemanden sagte, der seinen besondem Weg ging, wobei er arn Ende doch auf eben dasselbe Ziel hinaus kommen mu.Bte: «wehret ihm nicht; denn wer nicht wider u.ns ist, der ist fur uns>>ALLGEMEINE ANMERKUNG Wenn eine moralische Religion (die nicht in Satzungen und Obs ervan z e n , sondern in der Herzensgesinnung z u Beobachtung aller Menschenpflichten, als gottlicher Gebote zu setzen ist) gegriindet werden soll, so miissen alle W u n d e r , die die Geschichte mit ihrer Einfiih rung verkniipft, den Glauben an Wunder iiberhaupt endlich selbst entbehrlich ma­ chen; denn es verrat einen straflichen Grad moralischen Un­ glaubens, wenn man den Vorschriften der Pflicht, wie sie ur­ spriinglich ins Herz des Menschen durch die Vemunft geschrie­ ben sind, anders nicht hinreichende Autoritat zugestehen will , als wenn sie noch dazu durch Wunder beglaubigt werden: «wenn ihr nicht Zeichen und Wunder sehet, so glaub t ihr nicht>>. Nu.n ist es doch der gemeinen Denkungsart der Men­ schen ganz angemessen, daB, wenn eine Religion de�' bloBen Kultus und der Observanzen ihr Ende erreicht, u.nd dafur eine im Geist und in der Wahrheit (der moralischen Gesinnung) gegriindete eingefuhrt werden soli, die Introduktion der letzte­ ren, oh sie es zwar l nicht bedarf, in der Geschichte noch mit Wu.ndem begleitet und gleichsam ausgeschmiickt werde, um die Endschaft der ersteren, die ohne Wunder gar keine Autoritat gehabt haben wiir de, anzukiindigen; ja auch wohl so, daB, um die Anhanger der ersteren fi.ir die neue Revolution zu gewinnen, sie als jetzt in Erfullung gegangenes alteres Vorbild dessen, was in der letztem der Endzweck der Vorsehu.ng war, ausgelegt wird, u.nd unter solchen Umstanden kann es nichts fruchten, jene Erzahlungen oder Ausdeutungen jetzt zu bestrei­ tcn, wenn die wahre Religion einmal da ist, und sich nun u.nd fernerhin durch Vernunftgriinde selbst erhalten kann, die zu ihrer Zeit durch solche Hiilfsmittel introduziert zu werden bedurfte; man miiBte denn annehmen wollen, daB das bloBe

n. IL PRINCIPIO BUONO CONI'RO IL PRINCIPIO CA'ITIVO

[ 1 16-117] 2 1 1

possono ricordare l e parole che i l s a g g i o Maestro disse ai suoi discepoli riguardo a un uomo che percorreva un suo iti­ nerario personale, alla fine del quale avrebbe tuttavia raggiun­ to la stessa meta: «Non ostacolatelo, perché chi non è contro di noi è per noi» 70. ANNOTAZIONE GENERALE Una religione morale non consiste di dogmi e di osservan­ ze, ma si basa sull'intenzione del cuore a rispettare tutti i doveri umani come comandi divini. Se dunque dev'essere fon­ data una religione morale , è allora necessario che tutti i m i r a c o l i , che la narrazione storica connette alla sua intro­ duzione, rendano infine superflua la stessa fede nei miracoli in generale. Si tradisce un livello di incredulità morale degno di essere stigm atizzato, infatti , quando alle p rescrizioni del dovere (quali sono impresse originariamente nel cuore umano dalla ragione) si intende riconoscere un'autorità sufficiente soltanto se accreditate da miracoli: «Se non vedete segni e miracoli, voi non credete» 7 1 . Ora, è invece interamente conforme a l modo comune di pensare degli uomini la seguente opinione: Quando una reli­ gione basata semplicemente sul culto e sulle osservanze giun­ ge alla sua fine, e al suo posto deve perciò esserne introdotta una fondata in spirito e verità 72 (nell'intenzione morale) , l'in­ troduzione della nuova religione viene presentata l dalla nar­ razione storica, pur senza stretta necessità, come accompagna­ ta e quasi adornata da miracoli che annunciano la fine della vecchia religione, perché senza miracoli non avrebbe avuto nessuna autorità; inoltre, è anche opportuno che, per guada­ gnare i seguaci della religione precedente alla nuova rivoluzio­ ne, quest'ultima venga presentata come il compimento dell'i­ deale che, già nella religione precedente, costituiva il fine ulti­ mo della Provvidenza. Stando così le cose, non è affatto proficuo contestare quel­ le narrazioni o le loro interpretazioni, dato che ora siamo in presenza della religione vera, la quale è in grado di conservar­ si da se stessa, nel presente e nel futuro, in forza di fondamen­ ti razionali; e, ciò, pur considerando che a suo tempo tale reli·

2 1 2 [1 17-1 18]

LA REUGIONE

Glauben und Nachsagen unbegrei.flicher Dinge (was ein jeder kann, ohne darum ein besserer Mensch zu sein, oder jemals dadurch zu werden) eine Art und gar die einzige sei, Gott wohl zu gefallen; als wider welches Vorgeben mit aller Macht gestrit­ ten werden muB. Es mag also sein, da.B die Person des Lehrers der alleinigen fur alle Welten giiltigen Religion ein Geheimnis, da!S seine Erscheinung auf Erden, so wie seine Entrii ckung von derselben, da!S sein tatenvolles Leben und Leiden lauter Wunder, ja gar, da!S die Geschichte, welche die Erziihlung aller jener Wunder beglaubigen soll, selbst auch ein Wunder (iiber­ natiirliche Offenbarung) sei: so konnen wir sie insgesamt auf ihrem Werte beruhen lassen, ja auch die Hiille noch ehren, wel­ che gedie n t hat, eine Lehre, deren Beglaubigung auf einer Urkunde beruht, die unausloschlich in jeder Seele aufbehalten ist, und keiner Wunder bedarf, offentlich in Gang zu bringen; wenn wir nur, den Gebrauch dieser historischen Nachrichten betreffend, es nicht zum Religionsstiicke machen , da!S das Wissen, Glauben un d Be J kennen derselben fur sich etwas sei, wodu rch wir uns Gott wohlgefallig machen konnen. Was aher Wunder iiberhaupt betrifft, so findet sich, daB vemiinftige Menschen den Glauben an dieselbe, dem sie gleich­ wohl nicht zu entsagen gemeint sind, doch niemals wollen praktisch aufkommen lassen; welches so viel sagen will , als: sie glauben zwar, was die T h e o r i e betrifft d aB es dergleichen gebe, i n G e s c h a f t e n aber statuieren sie keine. Daher ha­ ben weise Regierungen jede rz eit zwar eingeraumt, ja wohl gar unter die offentlichen Religion sleh ren die Meinung gesetzlich aufgeno mm en, da!S v o r a l t e r s Wun der geschehen waren, n e u e Wun der a ber nicht erl aubt. * Denn die alten Wun der ,

* Selbst Religionslehrer, die ihre Glaubensartikel an die Autoritat der Regierung anschlieEen (Orthodoxe), befolgen hierin mit der letzteren die narnliche Maxirne. Daher Hr. P f e n n i n g e r , da er seinen Freund, Herrn L a v a t e r , wegen seiner Behauptung eines noch irnmer moglichen Wunderglaubens, verteidigte, ihnen rnit Recht Inkonsequenz vorwarf, daB sie

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 1 17 · 1 18] 2 13

gione ha dovuto far ricorso a quei mezzi ausiliari per essere in trodotta . Voler contestare ora quei racconti di miracoli , in fatti, equivarrebbe ad ammettere che il semplice credere e ripetere cose inconcepibili (atteggiamento che ciascuno può assumere, senza con ciò essere un uomo migliore o diventar­ lo) sia un modo, anzi, l'unico modo di rendersi graditi a Dio ­ pretesa contro la quale si deve protestare con tutte le nostre fo rze. Può darsi dunque che la persona del Maestro dell'unica religione valida per tutti i mondi sia un mistero; può darsi che la sua apparizione sulla terra e la sua dipartita da essa , la sua vita ricca di azioni esemplari e le sue sofferenze siano miracoli puri; può darsi addirittura che la narrazione storica chiamata a convalidare i racconti di tutti quei miracoli sia essa stessa un miracolo (una rivelazione soprannaturale) . Insomma, possia­ mo lasciare intatto l'intero valore di questi miracoli, e persino continuare a onorare l'involucro che è servito a diffondere pubblicamente questa dottrina, la cui attestazione si fonda su un documento custodito indelebilmente in ogni anima senza aver bisogno di miracoli: ma possiamo fare tutto ciò solo a condizione che, nell'uso di queste notizie storiche, non si fac­ cia consistere l'elemento costitutivo della religione nella cono­ scenza di tali miracoli, nella fede e l professione di fede in essi, come si trattasse di valore in sé capace di renderei graditi a Dio. Ora, per quanto riguarda i miracoli in generale, vi sono uomini assennati che, pur decisi a non rinunciare all a fede in essi, non vogliono mai farla intervenire nella sfera pratica. Ciò significa: essi credono, in t e o r i a , all'esistenza dei miracoli, m a , in p r a t i c a , non riconoscono nessun miracolo. Perciò governi saggi di ogni epoca hanno, sì , recepito l'o­ pinione secondo cui a n t i c a m e n t e sono avvenuti dei miracoli - anzi, hann o accolto legalmente tale opinione fra le dottrine religiose ufficiali -, ma tuttavia non ne hanno ammes­ so di n u o v i * . Infatti dai miracoli antichi , gradualmente l * Questa massima relativa ai nuovi miracoli è adottata anche da quei maestri di religione che conformano i loro articoli di fede alle posizioni del­ l' autorità governativa (gli ortodossi ) . F u proprio su questa base che il signor P f e n n i n g e r 7 } difese il suo amico L a v a t e r 74 , il quale sosteneva la possibilità di una fede in grado di produrre sempre nuovi miracoli. Pfenninger infatti accusò giustamente di incoerenza gli ortodossi (facendo però esplicitamente eccezione per gli orto-

LA RELIGIONE

2 14 [ 1 18-1 19]

waren nach und l nach schon so bestimmt, und durch die Ob­ rigkeit beschriinkt, daB keine Verwirrung im gemeinen Wesen dadurch angerichtet werden konnte, wegen neuer Wundertater aber muBten sie allerdings der Wirkungen halber besorgt sein, die sie auf den Offentlichen Ruhestand, und die eingefiihrte Ordnung haben konnten. Wenn man aber fragt: was unter dem Worte W u n d e r zu verstehen sei, so kann man (da uns eigent­ lich nur daran gelegen ist, zu wissen, was sie fii r u n s , d .i. zu unserm praktischen Vemunftgebrauch sein) sie dadurch erkla­ ren, daB sie Begebenheiten in der Welt sind, von deren Ursache uns die W i r k u n g s g e s e t z e schlechterdings unbekannt sind, und bleiben miissen. Da kann man sich nun entweder t h e i s t i s c h e oder d a m o n i s c h e Wunder denken, die letz­ teren a ber in e n g l i s c h e (agathodamonische), oder t e u fl i ­ s c h e (kakodamonische) Wunder einteilen, von welchen aber die letzteren eigentlich nur in Nachfrage kommen, weil die g u t e n E n g e l (ich weill nicht, warum) wenig oder gar nichts von sich zu reden geben. l

(denn die in diesem Punkt n a t u r a l i s t i s c h denkende nahm er. ausdriick­ lich aus), da sie doch die vor etwa siebzehn }ahrhunderten in der �hristlichen Gemeinde wirklich gewesenen Wundertiiter behaupteten, jetzt keine mehr statuieren wollten, ohne doch aus der Schrift beweisen zu konnen, daB, und wenn sie einmal giinzlich aufhoren sollten (denn die Verniinftelei, daB sie jetzt nicht mehr notig seien • , ist AnmaBung groEerer Einsicht, als ein Mensch sich wohl zutrauen soli), und diesen Beweis sind sie ihm schuldig geblieben. Es war also nur Maxime der Vernunft, sie jetzt nicht einzuriiumen, und zu erlauben, nicht objektive Einsicht, es gebe keine. Gilt aber diesdbe Maxime, die fii r diesmal auf den besorglichen Unfug im l biirgerlichen Wesen zurii ck­ sieht, nicht auch fii r die Befii rchtung eines iihnlichen Unfugs im philosophie­ renden und iiberhaupt vemiinftig nachdenkenden gemeinen Wesen ? - Die, so zwar g r a fi e (Aufsehen machende) Wunder nicht einriiumen, aber kl e i ­ n e unter dem Namen einer a u E e r o r d e n t l i c h e n D i r e k t i o n freige­ b i g e rl a u b e n (weil d i e letzteren , als bloEe L e nk u n g , n u r wenig Kraftanwendung der iibernatiirlichen Ursache erfordern), bedenken nicht, daB es hiebei nicht auf die Wirkung und deren GroEe, sondem auf die Form cles Wdtlaufs, d .i. auf di e A r t , w i e j e n e g e s c h e h e , ob natiirlich, oder iibematiirlich, ankomme, und daB fiir Gott kein Untèrschied des Leichten un d Schweren zu denken sei. Was aber das G e h e i m e der iibematiirlichen Einfliisse betrifft : so ist eine solche absichtliche Verbergung der Wichtigkeit einer Begebenheit dieser Art noch weniger angemessen.

a

seìen

AA;

sein

A, B.

[ 1 19] 2 15

II. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

definiti e ufficializzati dall'autorità pubblica, nessun disordine poteva derivare alla comunità; era invece necessario, per i governi, preoccuparsi dei nuovi taumaturghi e degli effetti che la loro azione poteva esercitare sulla quiete pubblica e sul l'ordine costituito. Ma chiediamoci ora: Che cosa si intende con la parola «miracoli»? Poiché qui il nostro interesse autentico è quello di sapere che cosa siano i miracoli p e r n o i , cioè per il nostro uso razionale pratico, si può allora dare questa definizione: I mira­ coli sono avvenimenti del mondo prodotti da cause efficienti le cui l e g g i per noi sono - e non possono non restare assolutamente ignote. Ora, si può parlare di miracoli t e i s t i c i oppure di mira­ coli d e m o n i c i , e questi ultimi si differenziano a loro volta in a n g e l i c i (agatodemonici) e in d i a b o l i c i (cacode­ monici) solo i miracoli diabolici vengono però presi in con­ siderazione, in quanto gli a n g e l i b u o n i (non so perché) fanno parlare di sé poco o nulla. l -

dossi che al rigua rdo assumevano una posizione n a t u r a l i s t i c a ), argo· mentando che essi, pur riconoscendo che nella comunità c ris ti ana di circa diciassette secoli fa siano realmente esistiti dei taum at urghi si rifiutavano di am m etterne l'esistenza per il tempo attuale, senza tuttavia poter di m ostr are mediante la Scrittura che e quando questi miracoli dovessero c es sare del tutto (infatti , la sofisticheria secondo cui i miracoli oggi non sarebbero più n ec ess ari è una presunzione troppo sfacciata perché l'uomo possa accordarle fiducia). Di queste dimostrazioni i maestri ortodossi gli sono rimasti debitori. Era dunque soltanto una massima della ragione, e non una conoscenza oggettiva, a ind u rre costoro a non ammettere e n on permettere miracoli al giorno d'oggi. Ma questa stessa massima, che nel caso in questione mira a evi­ tare di s or di ni l nella comunità civile, non è forse altrettanto idonea a evitare che u n di sordin e an al ogo si produca anche nella c omu n i tà dei filosofi e di quelli che in generale pensano razionalmente ? Ci sono poi coloro che, pur rifiut andosi di a m met tere g r a n d i miraco­ li ( che suscitano scalpore), riconoscono però generosamente l'esistenza di p i c c o l i miracoli cui danno il nome di d i r e z i o n e s t r a o r d i n a r i a (perché questi ultimi, come semplici colpi di t im o ne comporterebbero solo un piccolo dis p endi o di energie da parte della causa sop ra n n a tu rale) Ebbene, costoro non hanno ancora capito che per Dio non vale la differenza tra facile e diffi cile, e che il pu nto qui non è l effet to prodotto, né il suo o rdi ­ ne di gr a n dez z a, bensì la forma dd corso del mondo, v ale a dire: ciò che importa è i l m o d o i n c u i l e f f e t t o a c c a d e , se esso ha luogo na tu ralmente oppure soprannaturalmente. Del resto, nella prosp e tt iva dd m i s t e r o relativo agli influssi sopran­ natu rali l'attenuazione intenzionale dell'importanza di un evento di questo tipo è ancora meno g iu s t i fic a t a ,

·

,

.

'

'

,

.

2 1 6 [120-12 1}

L A RELIGIONE

Was die t h e i s t i s c h e n Wun der betrifft: so konnen wir uns von den Wirkungsgesetzen ihrer Ursache (als eines allmach­ tigen etc und dabei moralischen Wesens) allerdings einen Begriff machen, aber nur einen a I l g e m e i n e n , sofem wir ihn als Weltschopfer und Regierer nach der Ordnung der Natur sowohl, als der moralischen denken, weil wir von dieser ihren Gesetzen unmittelbar und fur sich Kenntnis bekommen kon­ nen, deren sich dann die Vemunft zu ihrem Gebrauche bedie­ nen kann. Nehmen wir aber an , daR Gott die Natur auch bisweilen und in besondern Fallen von dieser ihren Gesetzen abweichen lasse: so haben wir nicht den mindesten Begriff, und konnen auch nie hoffen, einen von dem Gesetze zu bekommen, n ach welchem Gott alsdann bei Veranstaltung einer solchen Begebenheit verfahrt (auBer dem a I l g e m e i n e n m o r a l i ­ s c h e n , daB, was er tut, alles gut sein werde; wodurch aber in Ansehung dieses besondem Vorfalls nichts bestimmt wird) . Hier wird nun die Vemunft wie gelahmt, indem sie dadurch in ihrem Geschafte nach bekannten Gesetzen aufgeh alten, durch kein neues aber belehrt wird, auch nie in der Welt davon belehrt zu werden hoffen kann . Unter diesen sind aber die damonischen Wunder die allerunvertraglichsten mit dem Gebrauche unsrer Vemunft. Denn in Ansehung der t h ;e i s t i ­ s c h e n wi.irde sie doch wenigstens noch ein negatives Merkmal fiir ihren Gebrauch haben konnen, namlich daB, wenn etwas als von Gott in einer unmittelbaren Erscheinung desselben geboten vorgestellt wird, das doch geradezu der Moralitat widerstreitet, bei allem Anschein eines gottlichen Wunders, es doch nicht ein solches sein konne (z. B. wenn einem Vater befohlen wi.irde, er solle seinen, so viel er weill, ganz unschuldi­ gen Sohn toten) ; bei einem angenommenen damonischen Wunder aber fallt auch dieses Merkmal weg, und wollte man dagegen l fur solche das entgegengesetzte positive zum Ge­ brauch der Vernunft ergreifen : namlich daB, wenn dadurch eine Einladung zu eine r guten Handlung geschieht, die wir an sich schon als Pflicht erkennen, sie ni cht von einem bosen Geiste geschehen sei, so wi.irde man doch auch alsdann falsch greifen konnen; denn dieser verstellt sich, wie man sagt, oft in einen Engel des Lichts. In Geschaften kann man also unmoglich auf Wunder rech­ nen, oder sie bei seinem Vemunftgebrauch (und der ist in allen Fallen cles Lebens notig) irgend in Anschlag bringen . Der .

n . n.. PRINCIPIO BUONO CONTRO n.. PRINCIPIO CATTIVO

[120-121] 2 17

Per quanto riguarda i miracoli t e i s t i c i , è senz' altro oss p ibile formarci un concetto delle leggi che regolano la loro causa efficiente (che è un Essere onnipotente, ecc., e inoltre morale). Può trattarsi però soltanto di un concetto g e n e r a ­ l e : in fatti, se noi pensiamo Dio come creatore e reggitore del­ l'ordine fisico e morale del mondo, ciò avviene perché possia­ m o avere cognizione immediata e a se stante delle leggi di questo ordine, e di tale cognizione la ragione può poi servirsi per un uso proprio. Ma se ammettiamo che Dio consente alla natura anche di all ontanarsi da queste leggi, sia pure sporadi­ camente e in casi particolari, allora potremo disperare di for­ marci mai il benché minimo concetto della legge secondo cui Dio ha operato la produzione di un tale avvenimento (l'unica eccezione riguarda il concetto m o r a l e g e n e r a l e per cui tutto ciò che Dio fa è buono; ma questo concetto, nel nostro contesto particolare, non ha nessuna applicazione) . Qui, dunque, la ragione resta come paralizzata, in quanto quell' ammi ssione le impedisce di operare secondo leggi a essa note, e non le procura nessuna nuova legge che la istruisca o che le faccia sperare di venime mai istruita in questo mondo. Fra tutti i tipi di miracoli, però, quelli demonici sono i più incompatibili con l'uso della nostra ragione. Nei confronti dei miracoli t e i s t i c i , infatti, la ragione può impiegare se non altro un criterio negativo, cioè il seguente: Se un'immediata manifestazione divina contiene qualcosa che, sebbene presentato come comando di Dio, con­ trasta tuttavia direttamente con la moralità, allora non può trattarsi di un miracolo divino, malgrado ogni apparenza (per esempio: se si comandasse a un padre di uccidere il proprio figlio del tutto innocente). Per un miracolo inteso come d e m o n i c o , invece, viene a mancare anche questo criterio. Né la ragione l può impiega­ re al riguardo il criterio opposto, quello positivo, secondo cui non può essere opera di uno spirito maligno l'invito miracolo­ so a compiere una buona azione da noi già riconosciuta in sé come dovere. Anche in questo caso, infatti, si potrebbe essere tratti in inganno perché, come si dice, Satana si traveste spes­ so da angelo di luce75• Di fatto, dunque, è impossibile fare affidamento sui mira­ coli o prenderli in qualche considerazione nell'uso della ragio­ ne (il quale è necessario in tutti i casi della vita).

2 1 8 [12 1 - 122]

LA RELIGIONE

Richter (so wun derglaubig er auch in der Kirche sein mag) hort das Vorgeben des Delinquenten von teuflischen Versuchungen, die er erlitten haben will , so an, als oh gar nichts gesagt ware; ungeachtet, wenn er diesen Fall als moglich betrachtete, es doch immer einiger Riicksicht darauf wohl wert ware, daB ein einfaltiger gemeiner Mensch in die Schlingen eines abgefeimten Bosewichts geraten ist; allein er kann diesen nicht vorfodern, beide konfrontieren, mit einem Worte, schlechterdings nichts Vemiinftiges daraus machen. Der verniinftige Geistliche wird sich also wohl hiiten , den Kopf der seiner S eelsorge An­ befohlnen mi t Geschichtchen aus dem h o l l i s c h e n P r o ­ t e u s anzufiillen , und ihre Einbildungskraft zu verwildern . Was aber die Wunder von der guten Art betrifft: so werden sie von Leuten in Geschaften bloB als Phrasen gebraucht. So sagt der Arzt: dem Kranken ist, wenn nicht etwa ein Wunder geschieht, nicht zu helfen, d.i. er stirbt gewiB. - Zu Geschaften gehoret nun auch das des Naturforschers, die U rsachen der Begebenheiten in dieser ihren Naturgesetzen aufzusuchen; ich sage, in den Naturgesetzen dieser Begebenheiten , die er also durch Erfahrung belegen kann, wenn er gleich auf die Kenntnis dessen, was nach diesen Gesetzen wirkt, an sich selbst, oder was sie in Beziehung auf einen andern moglichen Sinq- fur uns sein mòchten, Verzicht l tun muB. Eben so ist die moralische Besserung des Menschen ein ihm obliegendes Geschafte, und nun mogen noch immer himmlische Einfliisse dazu mitwirken, oder zu Erklarung der Moglichkeit derselben fur nòtig gehalten werden: er versteht sich nicht darauf, weder sie sicher von den natiirlichen zu unterscheiden, noch sie und so gleichsam den Himmel zu sich herabzuziehen; da er also mit ihnen unmittel­ bar nichts anzufangen weiB, so s t a t u i e r t t er in diesem Falle keine Wunder, sondern, wenn er der Vorschrift der Vernunft

t Heillt so vie! als, er nimmt den Wunderglauben nicht in seine Maximen (weder der theoretischen noch praktischen Vernunft) auf, ohne doch ihre Méiglichkeit oder Wirklichkeit anzufechten.

il. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 1 2 1 · 122] 2 1 9

Il giudice di un tribunale (qualunque sia, sotto l'aspetto ecclesiale, la sua fede nei miracoli) non tiene minimamente conto della difesa pretestuosa di un delinquente che pretende di essere stato vittima di tentazioni diaboliche. Certo, se il giu­ dice ritenesse possibile questa circostanza, allora il fatto che un uomo comune e sprovveduto sia caduto nei tranelli di un'astuzia satanica avrebbe pur sempre il valore di attenuan­ te. Sennonché, il giudice non può citare Satana alla sbarra e metterlo a confronto con l'accusato, in breve: non può cavare assolutamente nulla di razionale da quei pretesti. L'ecclesiastico assennato, dunque, si terrà ben lontano dal riempire la testa di coloro che ha in cura spirituale con storiel­ le relative al P r o t e o i n f e r n a l e 76, perché così ne imbar­ barirebbe la facoltà immaginativa. Quanto ai miracoli in senso buono, poi, essi sono divenuti semplicemente modi di dire che la gente impiega quando parla delle proprie faccende. Così, per esempio, quando il medico dice «per il malato non c'è più nulla da fare, a meno di un miracolo» ciò significa che la sua morte è sicura. Ora, tra le attività umane c'è anche quella dello scienziato che indaga sulle cause degli avvenimenti secondo le loro leggi naturali, cioè secondo quelle leggi naturali che egli può atte­ stare attraverso l'esperienza; lo scienziato è invece costretto a rinunciare a conoscere cosa sia in se stesso ciò che opera secondo queste leggi, oppure cosa potrebbero essere per noi queste stesse leggi se fossimo dotati di un altro l organo di senso. Analogamente avviene in rel azione al miglioramento morale dell'uomo, perché si tratta di un'attività per lui obbli­ gatoria. Infatti, per quanto gli influssi celesti concorrano nel­ l'adempimento di questo obbligo, o vengano comunque con­ siderati necessari per spiegarne la possibilità, l'uomo non è in grado né di distinguerli con sicurezza dagli influssi naturali, né di propiziarsene il concorso insieme, per così dire, al cielo stesso. Poiché dunque non sa come utilizzare direttamente questi influssi celesti, l 'uomo non s t a t u i s c e in questo caso nessun miracolo t, e, se presta ascolto alle prescrizioni della ragione, si comporta come se ogni conversione e ogni migliot Ciò significa soltanto che egli non accoglie la fede nei miracoli fra le proprie massime (né in quelle della ragione teoretica, nè in quelle della ragio­ ne pratica), senza tuttavia contestare né la possibilità né la realtà dei miracoli.

220

[122- 123 ]

LA REUGIONE

Gehor gibt, so verfiihrt er so, als ob alle Sinnesanderung und Besserung lediglich von seiner eignen angewandten Bear­ beirung abhinge. Aber da.B man durch die Gabe, recht f e s t an Wunder theoretisch z u glauben, sie auch wohl gar selbst bewirken, und so den Himmel bestiirmen konne, geht zu weit aus den Schranken der Vemunft hinaus, um sich bei einem sol­ chen sinnlosen Einfalle lange zu verweilen.* l

* Es ist eine gewohnliche Ausflucht derjenigen , welche den Lei cht­ glaubigen m a g i s c h e Kiinste vorgaukeln, oder si e solche wenigstens im all­ gemeinen wollen glaubend machen, dafi sie sich auf das Gestandnis der Naturforscher von ihrer U n w i s s e n h e i t berufen. Kennen wir doch nicht, sagen sie, die U r s a c h e der Schwere, der magnetischen Kraft u.d.g. - Aber die Gesetze derselben erkennen wir doch mit hinreichender Ausfiihrlichkeit, unter besrimmten Einschrankungen auf die Bedingungen, unter denen allein gewisse Wirkungen geschehen; und das ist genug, sowohl fii r einen sichem Vernunftgebrauch dieser Krafte, als auch zur Erkliirung ihrer Erscheinungen , secundum quid, a b w a r t s zum Gebrauch dieser Gesetze, um Er fahrungen darunter zu ordnen, wenn gleich nicht simpliciter und a u fw ii r t s , um selbst die Ursachen der nach diesen Gesetzen wirkenden Kriifte einzusehen . Dadurch wird auch das innere Phanomen des mens chlichen Verstandes begreiflich: warum sogenannte Naturwunder, d.i. genugsam begl.aubigte, obwohl widersinnische Erscheinungen, oder sich hervortuende unerwartete und von den bis dahin bekannten Naturgesetzen abweichende Besch af­ fenheiten der Dinge mit Begierde aufgefaEt werden, und das Gemiit e r ­ m u n t e r n , so lange als sie dennoch fii r natiirlich gehalten werden, da es hin­ gegen durch die Ankiindigung eines wahren Wunders n i e d e r g e s c h l a g e n wird. Denn die erstere eroffnen eine Aussicht in einen neuen Erwerb von N ahrung fiir di e Vernunft; si e machen namlich H o f f n u n g , n eu e N aturgesetze zu entdecken; das zweite dagegen erregt B e s o r g n i s , auch das Zutrauen zu den schon fii r bekannt angenommenen zu verlieren. Wenn aber die Vernunft um die Erfahrungsgesetze gebracht wird, so ist sie in einer solchen bezauberten Welt weiter zu gar nichts nutze, selbst nicht fiir den moralischen Gebrauch in derselben, zu Befolgung seiner Pflicht; denn man weill nicht mehr, ob nicht selbst mit den sittlichen Triebfedern, uns unwis­ send, durch Wunder Veriinderungen vorgehen, an denen niemand unter­ scheiden kann, ob er sie sich selbst oder einer andern unerforschlichen Ursache zusch reiben solle. - Die, deren Urteilskraft hierin so gesrimmt ist, daE sie sich ohne Wunder nicht behelfen zu konnen meinen, glauben den AnstoB, den die Vemunft daran nimrnt, dadurch zu mildem, daB sie anneh­ men, si e geschehen nur s e l t e n . Wollen sie damit sagen, daE dies schon im Begriff eines Wunders liegt (weil, wenn eine solche Begebenheit gewohnlich geschiihe, sie fii r kein Wunder erkliirt werden wiirde): so kann man ihnen diese Sophisterei (eine objektive Frage, von dem, was die Sache ist, in eine subjektive, was das Wort, durch welches wir sie anzeigen, bedeute, umzuiin­ dern) allenfalls schenken, und wieder fragen, wie s e l t e n ? in hundert Jahren etwa einmal, oder zwar vor alters, jetzt aber gar nicht mehr? Hier ist nichts

l

l

n . IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[122- 123] 22 1

ramento morale dipendessero esclusivamente dal suo diretto impegno personale. Invece l'opinione secondo cui, per il semplice dono di cre­ dere f e r m a m e n t e ai miracoli in teoria, sarebbe possibile produme ancora e tempestame così il cielo, va troppo oltre i confini della ragione perché si indugi a lungo presso una tale fantasia insensata*. l * Un espediente comune di coloro che con arti m a g i c h e adescano la gente credula, o mirano a renderla credula, consiste nel chiamare in causa il fatto che gli scienziati della natura, al riguardo, confessano la propria i g n o r a n z a quando dicono di non conoscere la c a u s a della gravità, della forza magnetica, ecc. Tuttavia, essi ne conoscono abbastanza esattamente le leggi, rigorosa­ mente limitate alle condizioni sotto cui determinati effetti accadono: e questo è suffi ciente sia per un uso razionale sicuro di queste forze, sia per la spiega­ zione dei relativi fenomeni secundum quid, r e g r e s s i v a m e n t e , facen­ do ricorso appunto a queste leggi per ordinare sotto di esse le esperienze sebbene sia insufficiente, simplidter e p r o g r e s s i v a m e n t e , per pene­ trare proprio le cause delle forze che operano secondo queste leggi. In tal modo diviene comprensibile anche quel fenomeno interno dell'in­ telletto umano per cui alcuni cosiddetti miracoli della natura (cioè alcuni fenomeni naturali sufficientemente accreditati, ma contrari al senso comune) , oppure talune caratteristiche che si manifestano nelle cose contro ogni aspet­ tativa e si allontanano dalle leggi naturali finora note, vengono accolti con avi­ dità ed e s a l t a n o l'animo finché sono considerati fenomeni naturali, men­ tre l'annuncio di un vero miracolo produce invece un effetto a v v i l e n t e . Nel primo caso, infarti, si aprono nuove prospettive di alimento conoscitivo per la ragione, perché si accresce la s p e r a n z a di scoprire nuove leggi naturali; nel secondo, invece, si genera il t i m o r e di perdere la fiducia anche in ciò che già si riteneva noto e assodato. Quando però la ragione viene allontanata dalle leggi empiriche, allora essa non ha più nessuna utilità per un mondo incantato di questo tipo, e nep­ pure può avervi luogo il suo uso morale in vista del dovere. In mezzo a mira­ coli e incantesimi, infatti, non saremmo più in grado di decidere se certi mutamenti miracolosi avvenuti a nostra insaputa nei moventi morali siano dovuti a noi stessi oppure a un'altra causa oscura.

l

Coloro che ritengono di non poter fare a meno dei miracoli per spiegare certi fenomeni, credono di addolcire il colpo così infetto alla ragione affer­ mando che i miracoli accadono solo r a r a m e n t e . Se con ciò essi intendono dire che tale rarità è già implicita nel concetto di miracolo (perché se un avvenimento di questo tipo si verificasse abitual­ mente non lo si potrebbe definire «miracolo») , gli si può anche concedere questa sofisticheria (la quale consiste nel trasformare una questione oggettiva intorno a ciò che una cosa è, in una questione soggettiva riguardante il signifi­ cato della parola con cui la designiamo) . Ma allora vogliamo sapere: Che cosa intendete dire con «raramente»? Una volta ogni cento anni, oppure anticamente e ora non più?

l

222 [124]

LA RELIGIONE

flir uns aus der Kenntnis des Obj ekt s Bestimmbares (denn das ist unserm eignen Gestiindnisse nach fii r uns iiberschwenglich) , sondern nur aus den notwendige n Maximen des Gebrauchs unserer Vernunft: entweder sie als t a g l i e h (obzwar unter dem Anscheine natiirlicher VorfaJ.I.e versteckt) , oder n i e m a l s zuzulassen, und im letztern Falle sie weder unsern Vern un ft ­ erklarun gen noch den MaBregeln unserer Handlungen zum Grunde zu legen; und da das erstere sich mit der Vemunft gar nicht vertragt, so bleibt nichts iibrig, als die letztere Maxime anzunehmen; denn nur Maxime der Beur­ teilu ng , nicht theoretische Beh a up tung bleibt dieser Grundsatz immer. Nie­ m and kann die Einbildung von seiner Einsicht so hoch treiben, entscheidend aussprechen zu wollen: daB z. B. die hochst bewunderungswiirdige Erhaltung der Spezies im Pilanzen- und Tierreiche, da jede neue Zeugung ihr Original mit aller innern Vollkommenheit des Mechanismus, und (wie im Pflanzen­ reiche) selbst aller sonst so zartlichen Farbenschonheit, in jedem Fr iihj ahre unvermindert wiederum darstellt, ohne daB die sonst so zerstorenden Kriifte der unorganischen Natur in b oser Herbst- und Win ter- Witterung jener ihrem Samen in diesem Punkte etwas anhaben konnen , daB, sage ich, dieses eine blo_ge Folge nach Naturgesetzen sei , und ob nicht vielmehr jedesmal ein unmittelbarer Einfl� cles Schopfers dazu erfordert werde, e i n s e h e n zu wollen. - Aber es sind Erfahrungen; fii r un s sind sie also nichts anders, als Naturwirkungen, un d s o I l e n auch nie anders beurteilt werden; denn das will die Bescheidenheit der Vernunft in ihren A n sprii c h e n ; iiber diese Grenzen aber hinaus zu gehen, ist Ve rm essenh ei t und Unbescheidenheit in Anspriichen; wiewohl man mehrenteils in der Beh auptung der Wunder eine demiitige sich selbst entii�ernde Denkungsart zu beweisen vorgibt.



demiitige

AA;

demiitigende A, B.

n. IL PRINCIPIO BUONO CONTRO IL PRINCIPIO CATTIVO

[ 124] 223

Ora, al riguardo ci è impossibile determinare qualcosa a partire dalla conosc enza dell'oggetto (noi stessi confessiamo infatti che si tratta di un oggetto che ci trascende). È dunque solo in base alJe massime necessarie per ]'uso della nostra ragione che dobbiamo decidere tra le due alternative: o i miracoli accadono q u o t i d i a n a m e n t e (sebbene celati sotto l' aspetto di eventi naturali), oppure non accadono m a i , nel qual caso non li si può porre a fondamento né delle nostre spiegazioni razionali, né delle regole delle no stre azioni. E poiché la prima alternativa è totalmente incompatibile con la ragione, non ci resta alJora che adottare la seconda - anche perché si tratta di un prin­ cipi o che serve soltanto al fine di una valutazione e che non vale affatto come affermazione teoretica. Nessuno può immaginarsi dotato di un'intelligenza tanto acuta da soste­ nere categoricamente che ceni fenomeni siano soltanto l'effetto di leggi natu­ rali, e non anche, di volta in volta, dell'intervento diretto del creatore - pen­ siamo, per esempio, alla meravigliosa conservazione delle specie animali e vegetali, in cui ogni nuova generazione riproduce ogni primavera il proprio originale senza alterarlo, con tutta la perfezione interna del meccanismo e anche (come avviene nel regno vegetale) con tutta la bellezza di colori così delicati, senza che durante il tempo inclemente dell'autunno e dell'inverno i loro semi abbiano subìto il minimo danno dalle pur distruttive forze della natura inorgaruca. Sennonché, si tratta soltanto di esperienze: p e r n o i dunque, sono semplicemente effetti naturali, e non d o b b i a m o mai giudicarli in modo diverso , perché in ciò consiste la modestia che la ragione impone alJe proprie esigenze. Oltrepassare invece questi limiti è indice di presunzione e di teme­ rarietà, nonostante il fatto che nell'affermazione dei miracoli, per lo più, venga ostentata una mentalità umile e disinteressata. ,

DRITTES STO CK DER SIEG DES GUTEN PRINZIPS ÙBER DAS BOSE, UND DIE GRÙNDUNG EINES REICHS GOTTES AUF ERDEN

Der Kampf, den ein jeder moralisch wohlgesinnter Mensch, unter der Anfi.ihrung des guten Prinzips gegen die Anfech­ tungen des bosen, in diesem Leben bestehen mtill , kann ihm, wie sehr er sich auch bemi.iht, doch keinen groBem Vorteil ver­ schaffen, als die Befreiung von der H e r r s c h a f t des letztem. DaB er f r e i , daB er «der Knechtschaft unter dem Si.inden­ gesetz entschlagen wird, um der Gerechtigkeit zu leben», das ist der hochste Gewinn, den er erringen kann. Den Angriffen des letztern bleibt er nichts destoweniger noch immer ausge­ setzt; und seine Freiheit, die bestandig angefochten w-ird, zu behaupten, muB er forthin immer zum Kampfe geri.istet blei­ ben. l In diesem gefahrvollen Zustande ist der Mensch gleichwohl durch seine eigene Schuld; folglich ist er v e r b u n d e n , soviel er vermag, wenigstens Kraft anzuwenden, um sich aus demsel­ ben herauszuarbeiten. Wie aber? das ist die Frage. - Wenn er sich nach den Ursachen und Umstanden umsieht, die ihm diese Gefahr zuziehen und darin erhalten, so kann er sich leicht i.iberzeugen, daB sie ihm nicht sowohl von seiner eigenen rohen N atur, sofern er abgesondert da ist, sondern von Menseben kommen, mit denen er in Verhaltnis oder Verbindung steht. Nicht durch die Anreize der ersteren werden die eigentlich so zu benennende L e i d e n s c h a f t e n in ihm rege, welche s o groBe Verheerungen in seiner urspri.inglich guten Anlage an­ richten. Seine Bedi.irfnisse sind nur klein, und sein Gemi.itszu­ stand in Besorgung derselben gemaBigt und ruhig. Er ist nur arm (oder halt sich dafi.ir) , sofern er besorgt, daB ihn andere Menschen dafi.ir halten und dari.iber verachten mochten. Der Neid, die Herrschsucht, die Habsucht und die damit verbun­ denen feindseligen Neigungen besti.irmen alsbald seine an sich

CAPITOLO TERZO

LA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO SUL PRINCIPIO CATTIVO E LA FONDAZIONE DI UN REGNO DI DIO SULLA TERRA

La lotta che in questa vita ogni uomo moralmente predi­ sposto al Bene deve sostenere, sotto la guida del principio buono, contro gli assalti del principio cattivo, non può procu­ rargli, per quanto si sforzi, un vantaggio maggiore della libera­ zione dal d o m i n i o del principio cattivo. Il guadagno più alto che egli può raggiungere è quello di diventare l i h e r o , «di essere liberato dalla schiavitù del peccato per vivere nella giustizia» 77 . Nondimeno, l'uomo resta pur sempre esposto agli attacchi del principio cattivo, e per conservare la propria libertà, costantemente minacciata, è necessario che egli resti sempre armato e pronto alla lotta. J Ora, è per sua propria colpa che l'uomo si trova in questa situazione pericolosa, e di conseguenza egli è o b h l i g a t o almeno a produrre ogni sforzo possibile per venirne fuori. Ma il problema è: In che modo venime fuori? Quando l'uomo ricerca le cause e le circostanze che lo ten­ gono costantemente esposto a questo pericolo, è facile per lui convincersi che esse provengono non tanto da una sua natura bruta di uomo che vive allo stato isolato, bensì dagli uomini con cui egli è in rapporto o si associa. Infatti, quelle che a giusto titolo sono chiamate p a s s i o n i , e che provocano così grandi sconvolgimenti nella disposi­ zione originariamente buona dell'uomo, non vengono destate in lui dagli eccitamenti naturali. I bisogni naturali dell'uomo non sono molti, e il suo stato d'animo nel prendersi cura di essi è misurato e tranquillo. Egli è invece povero (o si ritiene povero) solo nella misura in cui si preoccupa che gli altri uomi­ ni possano ritenerlo tale e disprezzarlo per questo motivo. La natura dell'uomo, in sé moderata, è aggredita dall'invi­ dia, dall'ambizione, dall'avarizia e da tutte le inclinazioni mal-

226 [128- 130]

LA REUGIONE

geniigsame Natur, w e n n e r u n t e r M e n s c h e n i s t , und es ist nicht einmal notig, da.B diese schon als im Bosen ver­ sunken, und als verleitende Beispiele vorausgesetzt werden; es ist genug, daB sie da sind, daB sie ihn umgeben, und daB sie Menschen sind, um einander wechselseitig in ihrer moralischen Anlage zu verderben, und sich einander bose zu machen. Wenn nun keine l Mittel ausgefunden werden konnten, eine ganz eigentlich auf die Verhiitung dieses Bosen und zu Beforderung des Guten im Menschen abzweckende Vereinigung, als eine bestehende, und sich immer ausbreitende, bloB auf die Erhal­ tung der Moralitat angelegte Gesellschaft zu errichten, welche mit vereinigten Kraften dem Bosen entgegenwirkte, so wiirde dieses, so viel der einzelne Mensch auch getan haben mochte, um sich der Herrschaft desselben zu entziehen, ihn doch unab­ laBlich in der Gefahr des Riickfalls unter dieselbe erhalten. Die Herrschaft des guten Prinzips , so fern Menschen dazu hinwirken konnen, ist also, so viel wir einsehen, nicht anders erreichbar, als durch Errichtung und Ausbreitung einer Ge­ sellschaft nach Tugendgesetzen und zum Behuf derselben ; einer Gesellschaft, die dem ganzen Menschengeschlecht in ihrem Umfange sie zu beschlieBen durch die Vernunft zur Auf­ gabe und zur Pflicht gemacht wird. - Denn so allein klJnn fur das gute Prinzip iiber das Bose ein Sieg gehofft werden. Es ist von der moralischgesetzgebenden Vernunft au.Ber den Geset­ zen, die sie jedem einzelnen vorschreibt, noch iiberdem eine Fahne der Tugend als Vereinigungspunkt fur alle , die das Gute lieben, ausgesteckt, um sich darunter zu versammeln, und so allererst iiber das sie rastlos anfechtende Bose die Oberhand zu bekommen. Man kann eine Verbindung der Menschen unter bloBen Tu­ gendgesetzen, nach Vorschrift dieser Idee, eine l e t h i s c h e , un d, sofern diese Gesetze offentlich sin d, eine e t h i s c h b ii r g e r l i c h e (im Gegensatz der r e c h t i i c h b ii r g e r l i c h e n } Gesellschaft, oder ein e t h i s c h e s g e m e i n e s W e s e n nen­ nen. Dieses kann mitten in einem politischen gemeinen Wesen, und sogar aus alleo Gliedern desselben bestehen (wie es denn auch , ohne daB das letztere zum Grunde liegt, von Menschen gar nicht zu Stande gebracht werden konnte) . Aber jenes hat ein besonderes und ihm eigentiimliches Vereinigungsprinzip

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 128-130] 227

vagie a queste connesse, n o n a p p e n a e g l i v i v e i n m e z z o a d a l t r i u o m i n i . E non è neppure necessario presupporre che costoro siano già sprofondati nel Male e che costituiscano seducenti modelli di corruzione: perché gli uomini si corrompano reciprocamente nelle loro disposizioni morali, rendendosi così reciprocamente cattivi, è sufficiente ch e essi esistano, che vivano l'uno accanto all' altro e che siano, appunto, uomini. Pertanto, se fosse impossibile l trovare un mezzo per isti­ tuire una unione mirante totalmente e autenticamente a pre­ venire questo Male e a promuovere il Bene nell'uomo - una unione intesa come società salda e in continua espansione, impostata semplicemente sul mantenimento della moralità e tesa quindi a impiegare tutte le proprie forze riunite contro il Male -, allora il singolo uomo, per quanto possa adoperarsi per sottrarsi al dominio del Male, continuerebbe a essere esposto al pericolo di ricadere sotto questo dominio. Per quanto ci è dato vedere, dunque, il dominio del prin­ cipio buono (nella misura in cui gli uomini vi possono concor­ rere) è realizzabile unicamente mediante l'istituzione e l'am­ pliamento di una società fondata sulle leggi della virtù e in vista di esse. Si tratta quindi di una società che l'intero genere umano ha il compito e il dovere di costruire mediante la ragiOne. Solo così, infatti, si può sperare nella vittoria del principio buono sul principio cattivo. E la ragione morale legislatrice, oltre a prescrivere le leggi per ogni singolo uomo, sventola inoltre un vessillo della virtù come segnale di raccolta per tutti coloro che amano il Bene, affinché essi possano unirsi e, infi­ ne, trionfare insieme sul Male da cui sono incessantemente insidiati. Un'associzione di uomini costituita, secondo la prescrizio­ ne di questa idea, sotto l'egida delle leggi semplici della virtù, può essere chiamata una società l e t i c a ; e, poiché queste leggi sono pubbliche, la si può chiamare anche una società e t i c o - c i v i l e (in opposizione alla società g i u r i d i c o c i v i l e ) oppure una c o m u n i t à e t i c a . Una comunità etica può esistere anche in mezzo a una comunità politica, e può essere perfino formata da tutti i membri di quest'ultima (e, in effetti, gli uomini non possono costituirla se non sul fondamento di una comunità politica) . Tuttavia, una comunità etica ha un suo peculiare principio di

228

[ 130-132]

LA RELIGIONE

(die Tugend) , und daher auch eine Form und Verfassung, die sich von der cles letztem wesentlich unterscheidet. Gleichwohl ist eine gewisse Analogie zwischen heiden, als zweier gemeinen Wesen iiberhaupt hetrachtet, in Ansehung deren das erstere auch ein e t h i s c h e r S t a a t , d.i. ein R e i c h der Tugend (des guten Prinzips) genannt werden kann, wovon die Idee in der mens chlichen Vemunft ihre ganz wohl gegriindete objektive Realitat hat (als Pflicht, sich zu einem solchen Staate zu eini­ gen ) , wenn es gleich suhjektiv von dem guten Willen der Menschen n i e gehofft werden konnte , da6 sie z u diesem Zwecke mit Eintracht hinzuwirken sich entschlie6en wii r den. l ERSTE ABTEILUNG

PHILOSOPHISCHE VORSTELLUNG DES SIEGES DES GUTEN PRINZIPS UNTER GRÙ NDUNG EINES REICHS GOTTES AUF ERDEN I. VO N DER ETHISCHEN NATURZUSTANDE

Ein r e c h t 1 i c h h ii r g e r l i c h e r (politischer) Z u s t a n d ist das Verh altnis der Menschen unterein ander, so fern sie gemeinschaftlich unter o f f e n t l i c h e n Re c h t s g e s e t z e n ( die insgesamt Zwangsgesetze sin d) stehen. Ein e t h i s c h h ii r ­ g e r l i c h e r Zustand ist der, da sie unter dergleichen zwangs­ freien, d .i. blo6en Tu g e n d g e s e t z e n vereinigt sin d. So wie nun dem ersteren der rechtliche (darum aber nicht immer rechtma6ige) , d.i. der j u r i d i s c h e N a t u r z u s t a n d entgegengesetzt wird, so wird von dem letzteren der e t h i s c h e N a t u r z u s t a n d unterschieden . In heiden giht ein jeder sich selhst das Gesetz, und es ist kein iiu6eres, dem er sich, samt alleo andem, unterworfen erkennte. In beiden ist ein j e der sein eigner Richter, un d es ist keine o f f e n t l i c h e machthabende Autoritiit da, die, nach Gesetzen, was in vor­ kommenden Fiillen eines jeden Pflicht sei, rechts l kraftig he­ stimme, und jene in allgemeine Ausiibung bringe.

ID. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[130- 132] 229

unione (la virtù), e perciò ha anche una forma e una costitu­ zione essenzialmente differenti da quelle di una comunità politica. Esiste comunque una certa analogia tra le due nel momento in cui esse vengono considerate come comunità in generale: allora la comunità etica può essere detta anche uno S t a t o e t i c o , cioè un r e g n o della virtù (del principio buono) : l'idea di questo regno ha la propria realità oggettiva e pienamente fondata nella ragione umana (in quanto dovere di unirsi per formare un tale Stato) - sebbene, sul piano soggetti­ vo, non si possa mai sperare che gli uomini decidano di buona volontà a cooperare unanimemente in vista di questo fine. l

PARTIZIONE PRIMA

RAPPRESENTAZIONE FILOSOFICA DELLA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO MEDIANTE LA FONDAZIONE DI UN REGNO DI DIO SULLA TERRA I.

Lo STATO DI NATIJRA ETICO Uno s t a t o g i u r i d i c o - c i v i l e (politico) è il rappor­ to reciproco fra gli uomini che vivono in una comunità e sot­ tostanno a l e g g i g i u r i d i c h e p u h h l i c h e (le quali sono tutte leggi coercitive). Uno stato e t i c o - c i v i l e è invece quello in cui gli uomi­ ni sono riuniti sotto leggi non coercitive, cioè sotto semplici leggi della virtù. Ora, come al primo si oppone lo s t a t o d i n a t u r a legale (ma non per questo sempre legittimo), cioè lo stato di natura g i u r i d i c o , analogamente va distinto anche dal secondo lo s t a t o d i n a t u r a e t i c o . In entrambi gli stati di natura, ogni uomo dà a se stesso la legge che vuole, e non c'è nessuna legge esterna alla quale egli, insieme a tutti gli altri, si riconosca assoggettato. In entrambi gli stati, ogni uomo è il giudice di se stesso, e non esiste nessuna autorità p u h h l i c a che abbia il potere di stabilire in base a leggi qual è il dovere di ciascuno l nei vari casi che si presentano, e di farlo compiere a tutti.

230 [132-133]

LA RELIGIONE

In einem schon bestehenden politischen gemeinen Wesen befìnden sich alle politische Bi.irger, als solche doch im e t h i ­ s c h e n N a t u r z u s t a n d e , un d sind berechtigt, auch dario zu bleiben; denn daB jenes seine Biirger zwingen solite, in ein ethisches gemeines Wesen zu treten, wii.re ein Widerspruch (in adiecto) ; weil das letztere schon in seinem Begriffe die Zwangs­ freiheit bei sich fi.ihrt. Wiinschen kann es wohl jedes politische gemeine Wesen, daB in ihm auch eine Herrschaft iiber die Ge­ miiter nach Tugendgesetzen angetroffen werde; denn, wo jener ihre Zwangsmittel nicht hinlangen, weil der menschliche Rich­ ter das Innere anderer Menschen nicht durchschauen kann, da wiirden die Tugendgesinnungen das Verlangte bewirken. Weh aber dem Gesetzgeber, der eine auf ethische Zwecke gerichtete Ve rfassung durch Zwang b ewirken wollte ! Denn er wurde d a d urch nicht allein gerade das Gegenteil der ethischen bewirken, sondem auch seine politische untergraben und unsi­ cher machen. - Der Burger des politischen gemeinen Wesens bleibt also, was die gesetzgebende Befugnis des letztem betrifft, vo llig frei: oh er mit andem Mitburgem uberdem auch in eine ethische Vereinigung treten, oder lieber im Naturzustande die­ ser Art bleiben wolle. Nur so fem ein ethisches gemeines We­ sen doch auf o f f e n t l i l c h e n Gesetzen beruhen, unp eine darauf sich grundende Verfassung enthalten mu.B, werden diejenigen , die sich freiwilli g verbinden, in diesen Zustand zu treten, sich von der politischen Macht nicht, wie sie s olche innerlich einrichten , oder nicht einrichten sollen, befehlen, aber wohl Einschrii.nkungen gefallen lassen mussen, nii.mlich auf die Bedingung, da.B dario nichts sei, was der Pflicht ihrer Glieder als S t a a t s h ii r g e r widerstreite ; wiewohl, wenn die erstere Verbindung echter Art ist, das letztere ohnedem nicht zu besorgen ist. Ùh rigens, weil die Tugendpflichten das ganze menschliche Geschlecht angehen, so ist der Begriff eines ethischen gemei­ neo Wesens immer auf das Ideai eines Ganzen alle r Menschen bezogen, und dario unterscheidet es sich von dem eines politi­ schen . Daher kann eine Menge in jener Absicht vereinigter Menschen noch nicht das ethische gemeine Wesen selbst, son­ dem nur eine besondere Gesellschaft heillen, die zur Einhellig­ keit mit alleo Menschen ( j a aller endlichen vernunftigen Wesen) hinstrebt, um ein absolutes ethisches Ganze zu errich-

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 132-133) 23 1

In una comunità politica già esistente, però, tutti i cittadini si trovano, in quanto tali, in uno s t a t o d i n a t u r a e t i c o , e hanno anche il diritto di restarvi. Sarebbe infatti una contraddizione (in adjecto) se essa dovesse costringere i propri cittadini a entrare in una comunità etica, perché que­ st'ultima implica, già nel suo concetto, la libertà da ogni coer­ cizione. Indubbiamente ogni comunità politica può desidera­ re che al proprio interno si dispieghi anche un dominio sugli animi basato sulle leggi della virtù; in tal caso, infatti, qualora quei suoi mezzi coercitivi si rivelassero insufficienti (dato che un giudice umano non può scrutare l'interiorità degli altri uomini) , sarebbero le intenzioni virtuose ad attuare i fini etici. Guai però al legislatore che volesse imporre con la forza una costituzione orientata verso fini etici ! In tal modo, infatti, egli non solo produrrebbe l'esatto contrario di una costituzione etica, ma minerebbe e renderebbe insicura anche la stessa costituzione politica. n cittadino di una comunità politica, dunque, rispetto al potere legislativo di quest'ultima, resta pienamente libero di entrare insieme ad altri cittadini anche in un'associazione etica, oppure, se preferisce, di restare nello stato di natura etico. Ora, una comunità etica deve necessariamente poggia­ re l su leggi p u h h l i c h e e avere una costituzione fondata su tali leggi; e se coloro i quali si uniscono liberamente per entrare in questa comunità non possono lasciarsi imporre dal potere politico il modo in cui essi devono o non devono inte­ riormente ordinare tale costituzione, sarà tuttavia necessario che si lascino porre delle limitazioni, vale a dire: essi devono sottostare alla condizione di non introdurre nulla, in questa comunità, che sia in contrasto col dovere dei suoi membri i n q u a n t o c i t t a d i n i d i u n o S t a t o - benché tale con­ trasto non possa verificarsi nel caso in cui l'associazione etica è genuina. Del resto, poiché i doveri della virtù riguardano l'intero genere umano, il concetto di comunità etica si riferisce sem­ pre all'ideale di un Tutto che abbraccia tutti gli uomini, e, in ciò, e s s o d i fferis c e dal concetto di comunità politica. Pertanto, una moltitudine di uomini riuniti con l'intento di formare una comunità etica, non è ancora la comunità etica vera e propria, ma può essere considerata soltanto una società particolare che aspira all' unanimità di tutti gli uomini (o meglio, di tutti gli esseri razionali finiti) al fine di istituire un

LA RELIGIONE

232 [133-134)

ten, wovon jede partiale Gesellschaft nur eine Vorstellung oder ein Schema ist, weil eine jede selbst wiederum im Verhiiltnis auf andere dieser Art als im ethischen Naturzustande, samt allen Unvollkommenheiten desselben , befindlich vorgestellt werden kann (wie es mit verschiedenen politischen Staa l ten, die in kei­ ner Verb indung durch ein offentliches Volkerrecht stehen, eben so bewandt ist) . Il.

DER MENSCH SOLL AUS DEM ETISCHEN NATURZUSTANDE HERAUSGEHEN, UM EIN GLIED EINES ETHISCHEN GEMEINEN WESENS ZU WERDEN

So wie der juridische N aturzustand ein Zustand d es Krieges von jederm ann gegen jedermann ist, so ist auch der ethische Naturzustand ein Zustand der unaufhorlichen Befehdung durch das Bose, welches in ihm und zugleich in jedem andern angetroffen wird, die sich (wie oben bemerkt worden) einander wechselseitig ihre moralische Anlage verderben, und selbst bei dem guten Willen jedes einzelnen, durch den Mangel eines sie vereinigenden Prinzips sich h, gleich als ob sie W e r k z e u g e d e s B o s e n waren , durch ihre MiBhelligkeiten VO{l dem gemeinschaftlichen Zweck des Guten entfemen, und eihander in Gefahr bringen, seiner Herrschaft wiederum in die Hande zu fallen . S o wie nun fe rner der Zustand einer gesetzlosen auBeren (brutalen) Freiheit und Unabhangigkeit von Zwangs­ gesetzen ein Zustand der Ungerechtigkeit und des Krieges von jederm ann gegen jedermann ist, aus welchem der Mensch herausgehen soll, um in einen politischbiirgerlichen zu treten:* a

* H o b b e s ' Satz: status hominum naturalis est be Il u m l ornnium in omnes, ha t weiter keinen Fehler, als daB es heillen solite: e s t s t a t u s b e I l i e t c . Denn wenn man gleich nicht einraumet, dlill zwischen Menschen, die nicht unter auEern und offentlichen Gesetzen stehen , jederzeit wirkliche F e i n d s e l i g k e i t e n herrschen: so ist doch der Z u s t a n d derse!ben (sta­ tus iuridicus), d.i. das Verhaltnis, in und durch welches sie der Rechte (des Erwerbs oder der Erhaltung derselben) fahig sind, ein solcher Zustand, in welchem ein jeder selbst Richter iiber das sein will , was ihm gegen andere recht sei, aber auch fiir dieses keine Sicherheit von andern hat, oder ihnen gibt, als jedes seine eigene Gewalt; welches ein Kriegszustand ist, in dem je­ dermann wider jedermann bestiindig geriistet sein muE. Der zweite Satz dessel­ ben: exeundum esse e statu naturali, ist eine Folge aus dem erstern: denn die­ ser Zustand ist eine kontinuierliche Lasion der Rechte aller andern durch die Arun:illu ng, in seiner eigenen Sache Richter zu sein, und andem Menschen keine Sicherheit wegen des Thrigen zu lassen , als bloE seine eigene Willkiir. a

jedes AA; jenes A, B.

b sich AA; sie A, B.

ID. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[133-1.341 233

Tutto etico assoluto. Ogni società parziale è solo una raffigu­ razione o uno schema di questo Tutto, in quanto ciascuna, in rapporto alle altre società della stessa specie, può essere a sua volta raffigurata come se si trovasse nello stato di natura etico, con tutte le imperfezioni che esso comporta (ed è appunto quello che avviene fra i diversi Stati politici, l i quali non sono uniti in nessuna associazione regolata da un diritto pubblico internazionale). Il. L'UOMO DEVE USCIRE DALLO STATO DI NATURA ETICO PER DIVENIRE MEMBRO DI UNA COMUNITÀ ETICA

Come lo stato di natura giuridico è uno stato di guerra di tutti contro tutti, analogamente lo stato di natura etico è uno stato di incessante ostilità fomentata dal Male presente in ogni uomo. Come si è rilevato più sopra 78, infatti, gli uomini si cor­ rompono reciprocamente le p rop rie disposizioni morali, e, anche se al singolo uomo non manca la buona volontà, tutta­ via l'assenza di un principio che li unisca fa sì che essi, quasi fossero s t r u m e n t i d e l M a l e , si allontanino con le loro discordie dal fine comune del Bene, spingendosi così recipro­ c amente nel pericolo di ricadere di nuovo sotto il dominio del Male. Inoltre, come lo stato di libertà esterna eslege (brutale) e di indipendenza da leggi coercitive è uno stato di ingiustizia e di guerra di tutti contro tutti dal quale l'uomo deve uscire per entrare in uno stato politi co-civile*, analogamente lo stato di * La proposizione di Hobbes: status hominum naturalis est b e l l u m l omnium in omnes 7 9 , ha il solo difetto di non essere formulata così: e s t s t a t u s b e l l i e t c . Infatti, anche se non si accetta che fra uomini non subordinati a leggi esterne e p ubbliche regnino sempre delle o s t i l i t à reali, tuttavia lo s t a t o di qu e st i uomini (il loro status iuridicus ) , cioè la situazione in cui e in virtù di cui essi sono capaci di dirit ti (di acquistarli o di con s erva rli), non è semplicemente uno stato in cui ciascuno pretende di esse­ re egli stesso il giu di ce del proprio diritto rispetto agli altri: in questo stato, inoltre, l' unica garanzia che ciascuno dà e riceve riguardo a tale diritto è quel­ la della propria forza, ed è appunto ciò che determina uno stato di guerra in cui tutti sono necessariamente armati contro tutti. La seconda proposizione di Hobbes: exeundum esse a statu naturali, è una conseguenza della prima perché lo stato di natura è una continua viola­ zione dei diritti di tutti gli altri, la quale violazione sorge per via della pretesa di ciascuno di essere giudice della propria causa e di lasciare agli altri come uni ca garanzia per la loro causa unicamente il suo proprio arbitrio.

LA RELIGIONE

234 [134-137 J

so ist der ethische N aturzustand eine l o f f e n t l i c h e wechsel­ seitige Befehdung der Tugendprinzipien und ein Zustand der innern Sittenlosigkeit, aus welchem der naturliche Mensch, so b ald wie moglich, herauszukommen sich befleilligen soli. Hier haben wir nun eine Pflicht von ihrer eignen Art, nicht der Menschen gegen Menschen, sondern des menschlichen Ges chlechts gegen sich selbst. Jede Gattung vern unftiger Wesen ist namlich objektiv, in der Idee der Vernunft, zu einem gemeinschaftlichen Zwe cke, n amlich der Beforderung des hochsten , als eines gemeinschaftlichen Guts, bestimmt. Weil l aber das hochste sittliche Gut durch die Bestrebung der einzel­ nen Person zu ihrer eigenen moralisch en Vollkommenheit allein nicht bewirkt wird, sondern eine Vereinigung derselben in ein Ganzes zu eben demselben Zwecke, zu einem System wohlgesinnter Menschen erfordert, in welchem und durch des­ sen Einheit es allein zu Stande kommen kann, die Idee aber von einem solchen Ganzen , als einer allgemeinen Republik nach Tugendgesetzen, eine von allen moralischen Gesetzen (die das betreffen , wovon wir wissen, da8 es in unserer Gewalt stehe) ganz unterschiedene Idee ist, namlich auf ein Ganzes hinzuwirken, wovon wir nicht wissen konnen, ob es als ein sol­ ches auch in unserer Gewalt stehe: so ist die Pflicht, d;r Art und dem Prinzip nach, von allen andern unterschieden . - Man wird schon zum voraus vermuten, da8 diese Pflicht der Vor­ aussetzung einer andem Idee, namlich der eines hohem morali­ schen Wesens bediirfen werde, durch dessen allgemeine Veran­ staltung die fur sich unzulanglichen Krafte der einzelnen zu ei­ ner gemeinsamen Wirkung vereinigt werden. Allein wir miissen allererst dem Leitfaden jenes sittlichen Bedurfnisses uberhaupt nachgehen, und sehen, worauf uns dieses fiih ren werde. l III. DER BEGRIFF EINES ETIIISCHEN GEMEINEN WESENS IST DER BEG RIFF VON EINEM VOLKE GOTTES UNTER ETIIISCHEN GESETZEN

Wenn ein ethisches gemeines Wesen zu Stande kommen soli, so mussen alle einzelne einer offentlichen Gesetzgebung unterworfen werden, und alle Gesetze, welche jene verbinden, m iissen als Gebote eines gemeinschaftlichen Gesetzgebers angesehen werden konnen. Solite nun das zu griin d ende gemei­ ne Wesen ein j u r i d i s c h e s sein: so wiirde die sich zu einem

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[134 - 1371 235

natura etico è l una mutua ostilità p u b b l i c a contro i prin­ cipi della virtù e uno stato di intima immoralità dal quale l'uo­ mo naturale deve sforzarsi di uscire al più presto possibile. Ora, questo dovere è di natura speciale, perché è un dove­ re non degli uomini verso altri uomini, bensì del genere umano verso se stesso. Infatti, ogni specie di esseri razionali è destinata oggettivamente, nell'idea della ragione, a un fine comune, cioè alla promozione del Bene supremo come Bene comune a tutti. il Bene etico supremo, l però, non viene attua­ to unicamente dallo sforzo della singola persona impegnata nella propria perfezione morale, bensì esige che i singoli si uniscano in un Tutto per tendere appunto allo stesso fine: esige un sistema di uomini benintenzionati, perché solo in esso, e solo mediante l'unità di esso, quel fine può essere rea­ lizzato. Inoltre, l'idea di un tale Tutto, in quanto idea di una repubblica universale retta da leggi della virtù, è un'idea com­ pletamente differente da tutte le leggi morali (le quali riguar­ dano cose che sappiamo in nostro potere) , vale a dire: è l'idea di un agire orientato verso un Tutto di cui però ignoriamo se, in quanto tale, sia anche in nostro potere. Ecco perché il dovere di attuare il Bene etico supremo è, per la sua natura e secondo il suo principio, un dovere differente da tutti gli altri. Già da ora si può presumere che per questo dovere si dovrà ricorrere al presupposto di un'altra idea, cioè dell'idea di un Essere morale superiore la cui organizzazione universale riunisca, in vista di un effetto comune, le forze di per sé insuf­ ficienti dei singoli uomini. Prima di tutto, però, occorre segui­ re in linea generale il filo conduttore di quel bisogno etico e vedere dove ci condurrà. l III.

È

IL

IL CONCETTO DI UNA COMUNITÀ ETICA CONCETTO DI UN POPOLO DI DIO RETTO DA LEGGI ETICHE

Affinché sorga una comunità etica è necessario che tutti i singoli uomini siano soggetti a una legislazione pubblica, e che tutte le leggi che li obbligano possano essere considerate come comandi di un legislatore comune. Ora, se la comunità da fondare fosse una comunità g i u ­ r i d i c a , allora la moltitudine da riunire in un Tutto dovreb­ be essere autolegislatrice (per le leggi costituzionali) . La legi-

23 6 [ 137 - 13 9]

LA RELIGIONE

Ganzen vereinigende Menge selbst der Gesetzgeber (der Konstitutionsgesetze) sein mi.issen, weil die Gesetzgebung von dem Prinzip ausgeht: d i e F r e i h e i t e i n e s j e d e n a u f d i e B e d i n g u n g e n e i n z u s c h r ii n k e n , u n t e r d e n e n s i e m i t j e d e s a n d e r n Freiheit n a ch e i n e m a l l ­ g e m e i n e n G e s e t z e z u s a m m e n b e s t e h e n k a n n ,* und wo also der allgemeine Wille einen gesetzlichen iiu.Beren Zwang errichtet. Soll das gemeine Wesen aber ein e t h i s c h e s sein, so kann das Volk als ein solches nicht selbst fi.ir gesetzge­ bend angesehen werden . Denn in einem solchen gemeinen Wesen sind alle Gesetze ganz eigentlich darauf gestellt, die M o r a l i t ii t der Handlungen (welche etwas I n n e r l i c h e s ist, mithin nicht unter of l fentlichen menschlichen Gesetzen stehen kann) zu befordern, da im Gegenteil die letzteren, wel­ ches ein juridisches gemeines Wesen aus machen wii r de, nur auf die L e g a l i t ii t der Handlungen, die in die Augen fiillt, gestellt sind, und nicht auf die (innere) Moralitiit, von der hier allein die Rede ist. Es mu.B also ein anderer, als das Volk sein, der fi.ir ein ethisches gemeines Wesen als offentlich gesetzge­ bend angegeben werden konnte. Gleichwohl kònnen ethische Gesetze auch nicht als blo.B von dem Willen dieses Obern u r s p r li n g l i c h ausgehend (als Statute, di e etwa, ohp.e da.B ein Befehl vorher ergangen , nicht verbindend sein wii r den) gedacht werden, weil sie alsdann keine ethische Gesetze, und die ihnen gemii.Be Pflicht nicht freie Tugend, sondern zwangs­ fiihige Rechtspflicht sein wiirde. Also kann nur ein solcher als oberster Gesetzgeber eines ethischen gemeinen Wesens ge­ dacht werden, in Ansehung dessen alle w a h r e n P fl i c: h t e n , mithin auch die ethischen ** z u g l e i c h als seine Gebote l vor* Dieses ist das Prinzip alles alillern Rechts. **

Sobald etwas als Pflicht erkannt wird, wenn es gleich durch die blofle

Will k iir eines menschlichen Gesetzgebers auferlegte Pflicht ware so ist es

doch zugleich gi:ittliches Gebot, ihr zu gehorchen. Die statutarischen biirger­ lichen Gesetze kann m an zwar nicht gottliche Gebote nennen, wenn sie aber rechtmailig sind, so ist die B e o b a c h t u n g derselben zugleich gottliches Gebot . Der S atz «man mufl Gott mehr gehorch en, als den Menschem> bedeutet nur, daE, wenn die letzten etwas gebieten, was an sich bi:ise (dem Sittengesetz unmittelbar zuwider) ist ihnen nicht l gehorcht werden darf und soli. Umgekehrt a b e r, wenn einem politisch biirgerlichen, an sich ni cht unmoralischen Gesetze ein dafiir geh altenes gottliches statutarisches en tge ­ gengesetzt wird, so ist Grund da, das letztere fur untergeschoben anzusehen, weil es einer klaren Pflicht widerstreitet, selbst aber, dafl es wirklich auch gott­ liches Gebot sei, durch empirische Merkmale niemals hinreichend be gl aubigt werden kann, um eine sonst bestehende Pflicht jenem zufolge i.ibertreten zu d ii rfen .

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 137 -139] 237

slazione, infatti, procede da questo principio: L a l i b e r t à di ciascuno è limitata dalle condizioni per c ui es s a , s e condo una legge gen e r a l e , può c o e s i s t e r e c o n l a l i b e r t à d i t u t t i g l i a l t r i *. Qui dunque la volontà generale istituisce una coercizione es terna legale. Se invece la comunità dev'essere e t i c a , allora il popolo in quanto tale non può essere considerato come autolegislato­ re . In una comunità di questo tipo, infatti, tutte le leggi mira­ no propriamente e soltanto a promuovere la m o r a l i t à delle azioni (che è qualcosa di i n t e r i o r e , quindi non sog­ getto l a leggi umane pubbliche); per contro, le leggi esterne proprie di una comunità giuridica mirano soltanto all a l e g a l i t à delle azioni (che è qualcosa di sensibile) , e non alla moralità (interna) , che è l'unico oggetto qui in questione. È dunque necessario che il legislatore pubblico di una comunità etica sia un altro, non il popolo. Tuttavia, non è neppure possibile pensare che le leggi etiche derivino o r i g i n a r i a m e n t e e soltanto dalla volontà di questo capo (come statuti che, in un certo senso, diverrebbero obbliganti solo dopo il suo ordine esplicito), perché allora non sarebbero affatto leggi etiche e il dovere di conformarsi a esse non sareb­ be una virtù libera, bensì un obbligo giuridico suscettibile di coercizione. Può dunque essere pensato come legislatore supremo di una comunità etica unicamente colui rispetto al quale tutti i v e r i d o v e r i , quindi anche i doveri etici**, siano necessa­ riamente rappresentati a u n t e m p o l come suoi comandi; *

Questo è il principio di ogni diritto pubblico.

**

Non appena qualcosa viene riconosciuto come dovere, si trattasse

pure di un dovere stabilito dal semplice arbitrio di un legislatore umano, è comunque un comando divino ubbidire a questo dovere. Non si possono

certo defmire comandi divini le leggi statutarie civili, ma se sono leggi giuste, all ora la loro o s s e r v a n z a è anche un comando divino. La frase: «È necessario obbedire a Dio più che agli uomini», significa sol­ tanto che quando gli uomini comandano qualcosa di in sé cattivo (diretta­ mente contrario all a legge morale) l non si può né si deve obbedire loro. Per contro, quando una legge politico-civile, in sé non immorale, viene contrapposta a una legge statutaria ritenuta di origine divina, allora c'è motivo di credere che quest'ultima sia apocrifa: essa, infatti, è in conflitto con un dovere ben chiaro e preciso, mentre non è possibile ricavare da elementi empirici che si tratti realmente di un comando divino, tale perciò da rendere lecita, per obbedire a esso, la trasgressione di un dovere di per sé ben stabilito.

23 8 [139- 140]

LA RELIGIONE

gestellt werden miissen; welcher daher auch ein Herzens­ kiindiger sein muB, um auch das Innerste der Gesinnungen eines jeden . zu durchschauen, un d, wie es in jedem gemeinen Wesen sein muB, jedem, was seine Taten wert sind, zukommen zu lassen. Dieses ist aber der Begriff von Gott als einem morali­ schen Weltherrscher. Also ist ein ethisches gemeines Wesen nur als ein Volk unter gottlichen Geboten , d . i . als ein V o l k G o t t e s , un d zwar n a c h T u g e n d g e s e t z e n , zu denken moglich. Man konnte sich wohl auch ein Volk Gottes n a c h s t a t u ­ t a r i s c h e n G e s e t z e n denken, nach solchen namlich, bei deren Befolgung es nicht auf die Moralitat, sondern bloB auf die Legalitat der Handlungen ankommt, welches ein juridisches gemeines Wesen sein wiirde, von welchem zwar Gott der Gesetzgeber (mithin di e V e r fa s s u n g desselben Theokratie) sein wiirde, Menschen aber, als Priester, welche seine Befehle unmittelbar von ihm empfangen , eine ari l stokratische R e ­ g i e r u n g fuhreten. Aber eine solche Verfassung, deren Exi­ stenz und Form giinzlich auf historischen Griin den beruht, ist nicht diejenige, welche die Aufgabe der reinen moralischgesetz­ gebenden Vernunft ausmacht, deren Auflosung wir hier allein zu bewirken haben; sie wird in der historischen Abte,ilung als Anstalt nach politischbiirgerlichen Gesetzen, deren Gesetz­ geber, obgleich Gott, doch auBerlich ist, in Erwagung kommen, anstatt daB wir hier es nur mit einer solchen, deren Gesetzge­ bung bloB innerlich ist, einer Republik unter Tugendgesetzen, d.i. mit einem Volke Gottes , «das fleillig ware ZU guten Wer­ ken», zu tun haben. Einem solchen V o l k e Gottes kann ma n di e Idee einer R o t t e des bosen Prinzips entgegensetzen , als Vereinigung derer, die seines Teils sind, zur Ausbreitung des Bosen, wel­ chem daran gelegen ist, jene Vereinigung nicht zu Stande kom­ men zu lassen; wiewohl auch hier das die Tugendgesinnungen anfechtende Prinzip gleichfalls in uns selbst liegt, und nur bild­ lich als auBere Macht vorgestellt wird.

ID. LA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 139-140] 23 9

occorre perciò che egli sia anche uno Scrutatore dei cuori80 , per penetrare nella più riposta intimità delle intenzioni di ogni uomo e affinché ciascuno {come è necessario accada in ogni comunità) venga retribuito secondo il merito delle pro­ prie opere. Ora, questo è il concetto di Dio in quanto Signore morale del mondo. Di conseguenza, una comunità etica è pensabile uni camente come un popolo soggetto a comandi divini, cioè come un p o p o l o d i D i o retto s e c o n d o l e l e g g i della virtù. S i potrebbe pensare anche un popolo di D i o retto s e c o n d o l e g g i s t a t u t a r i e , cioè secondo leggi per la cui osservanza non importa la moralità, ma semplicemente la legalità delle azioni. Si tratterebbe in tal caso di una comunità giu ridica che avrebbe certamente Dio per legislatore (e la cui c o s t i t u z i o n e sarebbe quindi una teocrazia) , ma che sarebbe guidata da un g o v e r n o aristocratico formato da uomini che, in qualità di sacerdoti, riceverebbero l gli ordini di Dio direttamente da Lui. Ma elaborare una costituzione di questo tipo, la cui esistenza e la cui forma hanno basi intera­ mente storiche, non è il compito della ragione pura moral­ mente legislatrice, di cui unicamente ci stiamo occupando in questo contesto. La costituzione teocratica verrà esaminata più avanti 8 1 , nella sezione storica, come istituzione retta secondo leggi politico-civili e il cui legislatore, pur essendo Dio, è tuttavia esteriore. Per il momento, invece, abbiamo a che fare soltanto con una costituzione la cui legislazione è puramente interiore, con una repubblica retta dalle leggi della virtù, cioè abbiamo a che fare con un popolo di Dio «dedito alle opere buone» 82 . A un tale p o p o l o di Dio si può contrapporre l'idea di una b a n d a del principio cattivo, intes a come unione di coloro che stanno dalla parte di quest'ultimo nella diffusione del Male e che intendono impedire l'unione dei buoni anche in questo caso, però, il principio che aggredisce le intenzioni virtuose è insito in noi s tessi, e solo in senso figura­ to viene rappresentato come potenza esterna all'uomo.

LA RELIGIONE

240 [140-142]

IV.

DIE IDEE EINES VOLKS GOTTES IST (UNTER MENSCHLICHER VERANSTALTUNG) NICHT ANDERS ALS IN DER FORM EINER KIRCHE AUSZUFÙHREN

Die erhabene nie vollig erreichbare Idee eines ethischen gemeinen Wesens verkleinert sich sehr unter l menschlichen Handen, namlich zu einer Anstalt, die allenfalls nur die Form desselben rein vorzustellen vermogend, was aber die Mittel betrifft, ein solches Ganze zu errichten, unter Bedingungen der sittlichen Menschennatur sehr eingeschrankt ist. Wie kann man aber erwarten, daB aus so krummen Holze etwas vollig Gerades gezimmert werde? Ein moralisches Volk Gottes zu stiften, ist also ein Werk, dessen Ausfuhrung nicht von Menschen, sondern nur von Gott selbst erwartet werden kann . Deswegen ist aber doch dem Menschen nicht erlaubt, in Ansehung dieses Geschaftes untatig zu sein, und die Vorsehung walten zu lassen , als ob ein jeder nur seiner moralischen Privatangelegenheit nachgehen , das Ganze der Angelegenheit des menschlichen Geschlechts aber (seiner moralischen Bestimmung nach) einer hohern Weisheit i.iberlassen di.irfe. Er muB vielmehr so verfahren, als ob �tlles auf ihn ankomme, und nur unter dieser Bedingung darf er hoffen, daB hohere Weisheit seiner wohlgemeinten Bemiihung die Vollendung werde angedeihen lassen. Der Wunsch aller Wohlgesinnten ist also: «daB das Reich Gottes komme, daB sein Wille auf Erden geschehe»; aber was h aben sie nun zu veranstalten , damit dieses mit ihnen ge­ schehe? l Ein ethisches gemeines Wesen unter der gottlichen morali­ schen Gesetzgebung ist eine K i r c h e , welche, so fern si e kein Gegenstand moglicher Erfahrung ist , di e u n s i c h t b a r e K i r c h e heiBt (eine bloBe Idee von der Vereinigung aller Rechtschaffenen unter der gottlichen unmittelbaren aber mora­ lischen Weltregierung, wie sie jeder von Menschen zu stiften­ den zum U rbilde dient) . Die s i c h t b a r e ist die wirkliche Vereinigung der Menschen zu einem Ganzen, das mit jenem Ideal zusammenstimmt. So fern eine jede Gesellschaft unter offenclichen Gesetzen eine U'1terordnung ihrer Glieder (in Ver­ haltnis derer, die den Gesetzen derselben gehorchen, zu denen, welche auf die Beobachtung derselben halten) bei sich fiih rt , ist die zu jenem Ganzen (der Kirche) vereinigte Menge die G e -

ITI. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[140- 142] 24 1

IV.

L'IDEA DI UN POPOLO DI DIO (SECONDO UN'ORGANIZZAZIONE UMANA)

È ATTUABILE SOLTANTO SOTTO LA FORMA DI UNA CHIESA

L'idea sublime di una comunità etica non è mai pienamen­ te attuabile, e nelle mani dell'uomo essa si rimpicciolisce l così tan to da ridursi a un'istituzione che, pur raffigurandone in modo puro soltanto la forma, è tuttavia molto limitata, per quanto riguarda i mezzi idonei a costituire un tale Tutto, dalle condizioni della natura etica dell'uomo. Come si può sperare allora di ricavare da un legno così storto qualcosa di perfettamente dritto? L'istituzione di un popolo morale di Dio è dunque un'o­ pera che può essere eseguita non dagli uomini, ma soltanto da Dio stesso. Non per questo , però, l' uomo è autorizzato a res tare inerte in tale impresa e a lasciar fare tutto alla Provvidenza, come se a ciascuno fosse lecito badare esclusiva­ mente ai propri affari morali privati, rimettendo invece a una saggezza superiore la totalità degli affari del genere umano (dal punto di vista della sua destinazione morale). È necessa­ rio, piuttosto, che l'uomo proceda come se in quell'impresa tutto dipendesse da lui, e solo a questa condizione egli può sperare che una saggezza superiore porterà a compimento i suoi sforzi tesi verso il Bene. L' augurio di tutti gli uomini di buona volontà è dunque: «Venga il regno di Dio e sia fatta la sua volontà su tutta la terra» 83 . Ma che cosa devono fare perché si avveri questo loro augurio? l Una comunità etica fondata sulla legislazione morale divi­ na è una c h i e s a , la quale, non essendo oggetto di un' espe­ rienza possibile, si chiama c h i e s a i n v i s i b i l e (l'idea semplice dell'unione di tutti i giusti sotto il diretto governo universale e morale, di Dio: tale idea funge da modello per ogni altra chiesa istituita da uomini). La chiesa v i s i b i l e è invece l'unione reale degli uomini in un Tutto che concorda con questo ideale. Ora, ogni società retta da leggi pubbliche comporta una subordinazione dei suoi membri (di coloro che obbediscono alle sue leggi) rispet­ to a coloro che vigilano sull'osservanza di queste leggi; di con­ seguenza, la moltitudine riunita in quel Tutto che è la chiesa

242 [ 142-144]

LA RELIGIONE

m e i n d e unter ihren Obern , welche • (Lehrer oder auch See­ lenhirten genannt) nur die Geschafte des unsichtbaren Ober­ haupts derselben verwalten, und in dieser Beziehung insgesamt D i e n e r der Kirche heillen, so wie im politischen Gemeinwe­ sen das sichtbare Oberhaupt sich selbst bisweilen den obersten Diener des Staats nennt, ob er zwar keinen einzigen Menschen (gemeiniglich auch nicht einmal das Volksganze selbst) iiber sich erkennt. Die wahre (sichtbare) Kirche ist diejenige, welche das (moralische) Reich Gottes auf Erden , so viel es durch Menschen geschehen kann, darstellt. Die Erfordemisse, mithin auch die Kennzeichen der wahren Kirche sin d folgende: l l . Die A l l g e m e i n h e i t , folglich numerisch e E i n h e i t derselben; WOZU sie die Anlage in sich enthalten muB: daB nam­ lich , ob sie zwar in zufallige Meinungen geteilt und uneins , doch in Ansehung der wesentlichen Absicht auf solche Grund­ s atze errichtet ist, welche sie notwendig zur allgemeinen Verei­ nigung in eine einzige Kirche fiih ren miissen (also keine Sek­ tenspaltung) . 2 . D ie B e s c h a f f e n h e i t ( Qualitat) derselben; d . i . di e L a u t e r k e i t , die Vereinigung unter keinen an dern , als m o r a l i s c h e n Triebfedern . ( Gereinigt vom Blodsinn d es Aberglaubens und dem Wahnsinn der Schwarmerei.) ,· 3 . Das V e r h a l t n i s unter dem Prinzip der F r e i h e i t , sowohl das innere Verhaltnis ihrer Glieder untereinander als auch das auBere der Kirche, zur politischen Macht, beides in einem F r e i s t a a t (also weder H i e r a r c h i e , noch I I l u ­ m i n a t i s m , e in e Art von D e m o k r a t i e , durch besondere Eingebungen, die, nach jedes seinem Kopfe, von andrer ihrer verschieden sein konnen) . 4 . Die M o d a l i t a t derselben, die U n v e r a n d e r l i c h ­ k e i t ihrer K o n s t i t u t i o n nach, doch mit dem Vorbehalt der nach Zeit und Umstanden abzuandernden, bloB die A d ­ m i n i s t r a t i o n derselben betref l fenden zufalligen Anord­ nungen, wozu sie doch auch die sichern Grundsiitze schon in sich selbst (in der Idee ihres Zwecks) a priori enthalten muB. (Also unter urspriinglichen, einmal, gleich als durch ein Ge­ setzbuch, offentlich zur Vorschrift gemachten Gesetzen, nicht willkiirlichen Symbolen, die, weil ihnen die Authentizitat man­ gelt, zufallig, dem Widerspruche ausgesetzt und veriinderlich sind.)

3

Gemeinde unter ihren Obem, welche AA; Gemeinde, welche unter ihren Obem A, B.

ll!. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[142· 144] 243

forma la c o m u n i t à dei fedeli sottomessa ai suoi capi, i quali (chiamati dottori o anche pastori di anime) si limitano ad am­ ministrare gli affari del capo supremo invisibile della chiesa e, sotto questo aspetto, vengono nel complesso chiamati s e r v i ­ t o r i della chiesa - analogamente a quanto avviene nella co­ munità politica, in cui il capo visibile definisce talvolta se stes­ so primo servitore dello Stato, benché non riconosca al di so­ p ra di sé nessun uomo (e, in genere, neppure il popolo stesso) . La vera chiesa (visibile) è quella che manifesta il regno (morale) di Dio sulla terra, nella misura in cui esso è attuabile dall ' uomo. I requisiti della vera chiesa, e perciò anche i suoi s egni distintivi, sono i seguenti:- ! l . L' u n i v e r s a l i t à , e di conseguenza la sua u n i t à numerica; è infatti necessario che la chiesa contenga entro sé la disposizione all'unità, nel senso che essa, per quanto divisa e discorde su opinioni contingenti, deve tuttavia fondare il proprio fine essenziale su dei princìpi che conducano necessa­ riamente all'unione generale in un'unica chiesa (dunque , senza nessuna divisione in sette clericali) ; 2 . Il c a r a t t e r e p e c u l i a r e ( qualit à ) , c i o è la p u r e z z a ; l'unione deve infatti avvenire esclusivamente per motivi m o r a l i (purificati dall'idiozia della superstizione e dall a follia del fanatismo); 3. Il r a p p o r t o basato sul principio della l i b e r t à : tanto il rapporto interno dei suoi membri fra loro, quanto il rapporto esterno della chiesa con il potere politico, entrambi all'interno di uno S t a t o l i b e r o (dunque né i e r a r ­ c h i a , né i l l u m i n a t i s m o , il quale è una specie di d e ­ m o c r a z i a basata su delle ispirazioni particolari che, secon­ do cosa passa a uno per la testa, possono variare da uomo a uomo) ; 4 . L a m o d a l i t à , cioè l ' i m m u t a b i l i t à della c o s t i t u z i o n e e c c l e s i a l e , con l'eccezione però delle disposizioni contingenti, le quali mutano coi tempi e con le circostanze e riguardano l semplicemente l'a m m i n i s t r a ­ z i o n e ecclesiale. Di questa immutabilità, la chiesa deve già contenere a priori entro se stessa (nell'idea del proprio fine) i princìpi sicuri: è dunque necessario che essa sia soggetta a leggi originarie, rese una volta per tutte prescrizioni pubbli­ che come si fa mediante un codice, e non deve basarsi su sim­ boli arbitrari che, mancando di autenticità, sono accidentali, esposti alla contraddizione e mutevoli.

LA RELIGIONE

244 [144- 146]

Ein ethisches gemeines Wesen also, als Kirche, d.i. als bloB e R e p r a s e n t a n t i n eines Staats Gottes betrachtet, hat eigent­ lich keine ihren Grundsatzen nach der politischen ahnliche Verfassung. Dies e ist in i hm weder m o n a r c h i s c h (un ter einem Papst oder Patriarchen) , noch a r is t o k r a t i s c h (unter Bischofen und Pralaten), noch d e m o k r a t i s c h (als sektieri­ scher Illuminaten) . Sie wi.irde noch am besten mit der einer Hausgenossenschaft (Familie) unter einem gemeinschaftlichen, obzwar unsichtbaren, moralischen Vater verglichen werden konnen, sofern sein heiliger Sohn, der seinen Willen weill, und zugleich mit alleo ihren Gliedern in Blutsverwandtschaft steht, die Stelle desselben dario vertritt, daB er seinen Will en diesen naher bekannt macht, welche daher in ihm den Vater ehren, und so untereinander in eine freiwillige, allgemeine und fort­ dauernde Herzensvereinigung treten. l v.

DIE KONSTITUTION EINER ]EDEN KIRCHE GEHT ALLEMAL VON IRGEND EINEM HISTORISCHEN (0FFENBARUNGS-) GLAUBEN AUS, DEN MAN DEN KIRCHENGLAUBEN NENNEN KANN, UND DIESER WIRD AM BESTEN AUF EINE HEILIGE SCHRIFT GEGRUNDET

Der r e i n e R e l i g i o n s g l a u b e ist zwar der, welcher allein eine allgemeine Kirche griinden kann; y.reil er ein bloEer Vernunftglaube ist, der sich jedermann zur Uberzeugung mit­ teilen laEt; indessen daE ein bloE auf Facta gegriindeter histori­ scher Glaube seinen EinfluB nicht weiter ausbreiten kann, als so weit die Nachrichten, in Beziehung auf das Vermogen , ihre Glaubwi.irdigkeit zu beurteilen, nach Zeit- und Ortsumstanden hingelangen konnen. Allein es ist eine besondere Schwache der menschlichen N a tur daran schuld, daE auf j enen reinen Glauben niemals so viel gerechnet werden kann, als er wohl verdient, namlich eine Kirche auf ihn allein zu griin den. Die Menschen, ihres Unvermogens in Erkenntnis iibersinn­ licher Dinge sich bewuBt, ob sie zwar jenem Glauben (als wel­ cher im allgemeinen fur sie iiberzeugend sein muE) alle Ehre widerfahren lassen, sind doch nicht leicht zu iiberzeugen: daB die standhafte Beflissenheit zu einem moralischguten Lebens­ wandel all es sei, was Gott von Menschen fordert, um ihm l wohl­ gefallige Untertanen in seinem Reiche zu sein. Sie konnen sich ihre a

a

iibersinnlicher AA; sinnlicher A, B.

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[144- 146] 245

Dunque una comunità etica, considerata come chiesa ci oè , come semplice r a p p r e s e n t a n t e di uno Stato di Dio -, ha propriamente, secondo i suoi princìpi fondamentali, una costituzione ben diversa da quella politica. La costituzio­ ne ecclesiale non è né m o n a r c h i c a (sotto un papa o un p atriarca), né a r i s t o c r a t i c a (sotto vescovi e prelati) , né d e m o c r a t i c a (come complesso di sette illuminate) . Il miglior paragone è quello con una società domestica (una famigli a) retta da un padre morale comune ma invisibile, le cui veci sono fatte dal santo figlio: costui, infatti, conoscendo la volontà del padre ed essendo a un tempo legato per con­ sanguineità con tutti gli altri membri della famiglia, comunica a essi in modo più preciso la volontà del padre: nel figlio, per­ ci ò, costoro onorano il padre stesso, ed entrano così in una comunione dei cuori spontanea, generale e durevole. l V.

LA COSTITUZIONE DI UNA CHIESA PROCEDE SEMPRE DA UNA FEDE STORICA (FEDE IN UNA RIVELAZIONE) E

CHE S I PUÒ CHIAMARE FEDE ECCLESIALE, QUESTA HA IL SUO FONDAMENTO MIGLIORE

IN UNA SACRA SCRITTURA

La f e d e r e l i g i o s a p u r a è indubbiamente l'unica in grado di fondare una chiesa universale, poiché è una sem­ plice fede razionale che può essere comunicata a tutti con persuasività. Una fede storica, invece, fondata semplicemente su fatti, non può estendere la sua influenza oltre i limiti di tempo e di luogo cui possono arrivare le notizie che ne soffra­ gana la credibilità. Sennonché, per colpa di una particolare debolezza della natura umana, non è mai possibile fare il debito assegnamento sulla fede religiosa pura, e ciò significa: una chiesa non può essere fondata esclusivamente su di essa. Gli uomini, consapevoli della loro impotenza a conoscere le cose soprasensibili, e anche se rendono ogni onore a quella fede razionale (in quanto essa, in generale, non può non con­ vincerli), tuttavia difficilmente si convincono che l'impegno risoluto a condurre una vita moralmente buona sia tutto ciò che Dio esige da loro affinché l siano sudditi graditi nel suo regno.

246 [146- 147]

LA RELIGIONE

Verpflichtung nicht wohl anders, als zu irgend einem D i e n s t denken, den sie Gott zu leisten haben; wo es nicht sowohl auf den innern moralischen Wert der Handlungen, als vielmehr darauf ankommt, da.B sie Gott geleistet werden, um, so mora­ lisch indifferent sie auch an sich selbst sein mochten, doch we­ nigstens durch passiven Gehorsam, Gott zu gefallen. Da.B sie , wenn sie ihre Pflichten gegen Menschen (sich selbst und ande­ re) erfiillen, eben dadurch auch gottliche Gebote ausrichten, mithin in allem ihren Tun und Lassen, sofern es Beziehung auf Sittlichkeit ha t, h e s t a n d i g i m D i e n s t e G o t t e s sin d , und da.B es auch schlechterdings unmoglich sei, Gott auf ande­ re Weise naher zu dienen (weil sie doch auf keine andern, als blo.B auf Weltwesen, nicht aber auf Gott wirken und Einflu.B haben konnen) , will ihnen nicht in den Kopf. Weil ein jeder gro.Ber Herr der Welt ein besonderes Bediirfnis hat, von seinen Untertanen g e e h r t un d durch Unterwi.irfigkeitsbezeigungen g e p r i e s e n zu werden, ohne welches er nicht so viel Folg­ samkeit gegen seine Befehle, als er wohl notig hat, um sie be­ herrschen zu konnen, von ihnen erwarten kann; iiberdem auch der Mensch, so vernunftvoll er auch sein mag, an Ehrenbezei­ gungen doch immer ein unmittelbares Wohlgefallen findet, so behandelt man die Pflicht, so fern sie zugleich gottliches Gebot ist, als Betreibung einer A n g e l e g e n h e i t Got l tes, �icht des Menschen, und so entspringt der Begriff einer g o t t e s d i e n s t ­ l i c h e n , statt des Begriffs einer reinen moralischen Religion. Da alle Religion darin besteht: da.B wir Gott fur alle unsere Pflich ten als den allgemein zu ve rehrenden Gesetzgeber ansehen, so kommt es bei der Bestimmung der Religion in Absicht auf unser ihr gema.Bes Verhalten darauf an, zu wissen: w i e G o t t verehrt (un d gehorcht) sein w o I l e . Ein gottli­ cher gesetzgebender Wille aber gebietet entweder durch an si ch b l o .B s t a t u t a r i s c h e , oder durch r e i n m o r a l i ­ s c h e Gesetze. In Ansehung der letztern kann ein jeder aus sich selbst durch seine eigene Vernunft den Will en Gottes, der seiner Religion zum Gronde liegt, erkennen; denn eigentlich entspringt der Begriff von der Gottheit nur aus dem Bewu.Bt­ sein dieser Gesetze und dem Vernunftbediirfnisse, eine Macht -

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 146- 147] 247

Gli uomini riescono a pensare la loro obbligazione unica­ mente come s e r v i z i o (cultus) da rendere a Dio; e in que­ sto servizio importa non tanto il valore morale interno delle azioni, quanto piuttosto che esse siano compiute al servizio di Dio, affinché gli siano gradite (almeno in quanto compiute mediante un'obbedienza passiva: in se stesse, infatti, tali azio­ ni possono essere anche moralmente indifferenti). Essi non riescono a capire che, adempiendo ai loro doveri verso gli uomini (verso se stessi e verso gli altri), con ciò stesso osserva­ no anche dei comandamenti divini; non capiscono che tutte le loro azioni e omissioni, per quanto riguarda il loro aspetto etico, sono s e m p r e a l s e r v i z i o d i D i o , e che è assolutamente impossibile servire Dio in un altro modo più di retto (giacché gli uomini possono esercitare un'azione e un'influenza soltanto su esseri del mondo, non su Dio). Ogni grande potente di questa terra, infatti, ha un bisogno partico­ lare di essere o n o r a t o dai propri sudditi e di essere e s a l ­ t a t o con segni di sottomissione, perché senza di ciò non può aspettarsi da loro tutta quell'obbedienza ai suoi ordini che è necessaria per poterli dominare; e in generale gli uomini, per quanto ragionevoli siano, provano sempre un grande piacere imm e diato davanti ad attestazioni di onore nei loro confronti. Ecco dunque perché il dovere, nella misura in cui è a un tempo un comando divino, viene considerato come a f f a r e di Dio l e non dell'uomo: è così che, al posto del concetto di una religione morale pura, sorge il concetto di una religione cultuale. Ogni religione consiste nel considerare Dio, rispetto a tutti i nostri doveri, come il legislatore universalmente degno di venerazione. Di conseguenza, quando si tratta di determinare il nostro comportamento in conformità alla religione, l'impor­ tante è sapere i n c h e m o d o D i o v o g l i a essere ono­ rato (e obbedito). Ora, una volontà divina legislatrice comanda o mediante leggi in sé s e m p l i c e m e n t e s t a t u t a r i e , oppure mediante leggi p u r a m e n t e m o r a l i . Per quanto riguarda le leggi puramenti morali, ognuno è in grado di conoscere da sé, in virtù della sua propria ragione, la volontà di Dio che sta a fondamento della religione. TI con­ cetto della divinità, infatti, scaturisce autenticamente e soltan­ to (a) dalla consapevolezza relativa a queste leggi e (b) dal

248 [147- 149]

LA RELIGIONE

anzunehmen, welche diesen den ganzen, in einer Welt mogli­ chen, zum sittlichen Endzweck zusammenstimmenden Effekt verschaffen kann. Der Begriff eines nach blo.Ben reinmorali­ schen Gesetzen bestimmten gottlichen Willens la.Bt uns, wie nur e i n e n Gott, also auch nur e i n e Religion denken, die rein moralisch ist. Wenn wir aber statutarische Gesetze dessel­ b e n annehmen , und in unserer B efolgung derselben die Religion setzen, so ist die Kenntnis derselben nicht durch unse­ re eigene blo.Be Vernunft , sondern nur durch Offenbarung moglich, welche, sie mag nun je l dem einzelnen ingeheim oder offentlich gegeben werden; um durch Tradition oder Schrift unter Menschen fortgepflanzt zu werden, ein h i s t o r i s c h e r , nicht ein r e i n e r V e r n u n f t g l a u b e sein wii r de. - Es mo­ gen nun aber auch statutarische gottliche Gesetze (die sich nicht von selbst als verpflichtend, sondern nur als geoffenbarter gott­ licher Wille fur solche erkennen lassen) angenommen werden: so ist do eh die reine m o r a l i s c h e Gesetzgebung, dadurch der Wille Gottes ursprunglich in unser Herz geschrieben ist, n i c h t allein d i e unumg angliche Bedingung aller wah ren Religion iiberhaupt, sondern sie ist auch das, was diese selbst eigentlich ausmacht, und wozu die statutarische nur das Mittel ihrer Beforderung und Ausbreitung enthalten kann. . Wenn also die Frage: wie Gott verehrt sein wolle, fii r jeden Menschen, b l o .B a l s M e n s c h b e t r a c h t e t , allgemein­ giiltig beantwortet werden soli, so ist kein Bedenken hierii ber, da.B die Gesetzgebung seines Willens nicht solite blo.B m o r a l i s c h sein; denn die statutarische (welche eine Offenbarung voraussetzt) kann nur als zufiiliig und als eine solche, die nicht an jeden Menschen gekommen ist, oder kommen kann, mithin nicht als den Menschen iiberhaupt verbindend betrachtet wer­ den. Also: «nicht, die da sagen: Herr, Herr ! sondern die den Willen Gottes tun>>; mithin die nicht durch Hochpreisung des­ selben (oder seines Gesandten, als eines Wesens von gottlicher A bkunft) l nach geoffenbarten Begriffen , die nicht j eder Mensch haben kann, sondem durch den guten Lebenswandel, in Ansehung dessen jeder seinen Willen wei.B, ihm wohlgefaliig zu werden suchen, werden diejenigen sein , die ihm die wahre Verehrung, die er verlangt, leisten.

m . LA VIITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[147- 1491 249

bisogno razionale di ammettere una potenza che sia in grado di procurare a esse, in armonia c;_on il fine etico ultimo, tutta l'efficacia possibile nel mondo. E il concetto di una volontà divina determinata semplicemente secondo leggi morali pure, dunque, a consentirci di pensare u n u n i c o Dio e u n ' u n i c a religione puramente morale. Se però ammettiamo delle leggi statutarie divine e faccia­ mo consistere la religione nell'osservanza di esse, allora è pos­ sibile avere cognizione di queste leggi non mediante la nostra semplice ragione, bensì soltanto mediante rivelazione; e tale rivelazione, in qualunque modalità si svolgesse (in privato l a ogni uomo, oppure in pubblico per essere propagata tra gli uomini mediante tradizione o Scrittura), sarebbe pur sempre una fede s t o r i c a , non una f e d e r a z i o n a l e p u r a . Ora, si ammettano pure delle leggi statutarie divine, cioè delle leggi che possono essere riconosciute obbligatorie non di per sé, ma unicamente perché rivelazione della volontà divina. In ogni caso, la legislazione m o r a l e pura, grazie alla quale la volontà di Dio è scritta originariamente nel nostro cuore, non costituisce soltanto la condizione imprescindibile di ogni vera religione in generale, ma è anche l'elemento costi­ tutivo della stessa religione vera: rispetto a essa, quindi, la legislazione statutaria può contenere solo il mezzo per pro­ muoverla e diffonderla. Se dunque alla domanda «in che modo Dio vuole essere onorato?» si deve dare una risposta universalmente valida per ogni uomo c o n s i d e r a t o s e m p l i c e m e n t e i n q u a n t o u o m o , allora non c'è nessun dubbio che la legi­ slazione fondata sulla volontà di Dio debba essere una legisla­ zione semplicemente m o r a l e . Infatti, la legislazione statu­ taria (che presuppone una rivelazione) può essere considerata soltanto come una legislazione accidentale che non ha rag­ giunto o non può raggiungere tutti gli uomini, e perciò non si può ritenerla obbligatoria per l'uomo in generale. Pertanto, rendono a Dio la vera venerazione, quella che Egli stesso esige, «non coloro che dicono: "Signore, Signore ! " , ma coloro che fanno la volontà di Dio» 84; quindi non coloro che cercano di essergli graditi glorificandolo (o glorificando il Suo inviato in quanto essere di origine divina) l sulla base di concetti rive­ lati che non tutti possono avere, bensì quelli che cercano di compiacergli mediante una buona condotta di vita, riguardo alla quale ogni uomo conosce la volontà di Dio.

250 [149- 150]

LA RELIGIONE

Wenn wir uns aber nicht blo.B als Menschen, sondem auch als B ii r g e r in einem gottlichen Staate auf Erden zu betragen, und auf die Existenz einer solchen Verbindung, unter dem Namen einer Kirche zu wirken uns verpflichtet h alten, so scheint die Frage: wie Gott in e i n e r K i r c h e (als einer Ge­ meinde Gottes) verehrt sein wolle, nicht durch blo.Be Vemunft beantwortlich zu sein , sondem einer statutarischen und durch Offenbarung kund werdenden Gesetzgebung, mithin eines historischen Glaubens, welchen man, im Gegensatz mit dem reinen Religionsglauben, den Kirchenglauben nennen kann , zu bediirfen. Denn bei dem erstem kommt es blo.B auf das, was die Materie der Verehrung Gottes ausmacht, niimlich die in m or alis cher G e s innung geschehende B e ob a ch tung aller Pflichten, als seiner Gebote, an; eine Kirche aber, als Vereini­ gung vieler Menschen unter solchen Gesinnungen zu einem moralischen gemeinen Wesen , bedarf einer o f f e n t l i c h e n Verpflichtung, einer gewissen auf Erfahrungsbe dingungen beruhenden kirchlichen Form, die an sich zufallig und mannig­ faltig ist, mithin ohne gottliche statutarische Gesetze nicht als Pflicht erkannt werden kann. l Aber diese Form zu bestimm en darf darum nicht sofort als ein Geschaft des gottlichen Gesetz­ gebers angesehen werden , vielmehr kann man mit Grunde annehmen, der gottliche Wille sei: da.B wir die Vernunftidee eines solchen gemeinen Wesens selbst ausfiih ren, und, ob die Menschen zwar manche Form einer Kirche mit ungliicklichem Erfolg versu cht haben mochten, sie dennoch nicht aufhoren sollen, notigenfalls durch neue Versuche, welche die Fehler der vorigen bestmoglichst vermeiden, diesem Zwecke nachzustre­ ben; indem dieses Geschiift, welches zugleich fii r sie Pflicht ist, giinzlich ihnen selbst uberlassen ist. Man h at also nicht Ursach, zur Griindung und Form irgend einer Kirche die Gesetze gera­ dezu fii r gottliche s t a t u t a r i s c h e zu halten, vielmehr ist es Vermessenheit, sie dafii r auszugeben, um sich der Bemiihung zu iiberheben , noch femer an der Form der letztem zu bessero , oder wohl gar Usurpation hohem Ansehens, um mit Kirchen­ satzungen durch das Vorgeben gottlicher Autoritat der Menge ein Joch aufzulegen; wobei es aber doch eben sowohl Eigen­ diinkel sein wiirde, schlechtweg zu leugnen, da.B die Art, wie eine Kirche angeordnet ist, nicht vielleicht auch eine besondere

W. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 149- 150] 25 1

Diverso è però il caso in cui riteniamo di doverci impegna­ re non soltanto in quanto uomini, bensì anche in quanto c i t t a d i n i di uno Stato divino sulla terra, per contribuire all'e­ sist enza di una tale associazione sotto il nome di chiesa . Allora, infatti, l a domanda «in che modo Dio vuole essere onorato i n u n a c h i e s a (in quanto comunità di Dio)?» non pare possa essere risolta dalla semplice ragione, ma sem­ bra esigere una legislazione statutaria annunziataci per rivela­ zione: si tratterebbe quindi di una fede storica che, in con­ trap posizione alla fede religiosa pura, si può chiamare fede ecclesiale. Infatti, nella fede religiosa pura l'importante è ciò che costituisce la materia della venerazione di Dio, vale a dire: conta semplicemente che, nell'intenzione morale, tutti i dove­ ri siano osservati come comandi divini. Una chiesa, invece, in quanto unione di molti uomini animati da intenzioni morali per formare una comunità etica, ha bisogno di un'obbligato­ rietà p u b b l i c a , di una certa forma ecclesiastica basata su condizioni empiriche, e questa forma, che è in sé accidentale e variegata, non può quindi essere riconosciuta come dovere senza leggi statutarie divine. l Ma, allora, non è possibile considerare la determinazione di questa forma ecclesiastica come opera del Legislatore divi­ no. È invece più corretto ritenere che al riguardo la volontà divina sia la seguente: Dobbiamo essere noi stessi ad attuare l'idea razionale di una comunità di questo tipo, e, malgrado l'esito finora infelice dei tentativi di costituire la forma di una chiesa, non dobbiamo mai desistere da questo fine, ma sem­ mai dobbiamo operare nuovi tentativi che evitino il più possi­ bile gli errori precedenti: si tratta infatti di un compito che, essendo per noi a un tempo un dovere, è interamente affidato a noi stessi. Non c'è dunque nessun motivo per ritenere che le leggi implicate nell'istituzione e nella forma di ur�a chiesa siano direttamente delle leggi s t a t u t a r i e divine. E piuttosto una presunzione spacciarle per tali, risparmiandosi così la fatica di migliorare ulteriormente quella forma ecclesiale, e diventa addirittura un abuso di potere quando, sotto il pretesto del­ l'autorità divina, si intende imporre un giogo alla massa dei fedeli con dogmi ecclesiali. Se però una chiesa, per quanto possiamo giudicarne, fosse in perfetto accordo con la religione, sarebbe allora altrettanto presuntuoso voler negare assolutamente che essa possa essere

252 [1:50-152]

LA RELIGIONE

gottliche Anordnung sein konne, wenn sie, so viel wir einsehen, mit der moralischen Religion in der groBten Einstimmung ist, und noch dazu kommt, daB, wie sie ohne die gehorig vorberei­ teten Fortschritte des Publikums in Religionsbegriffen auf ein­ mal habe erscheinen konnen, nicht wohl eingesehen werden kann. l In der Zweifelhaftigkeit dieser Aufgabe nun, ob Gott oder die Menschen selbst eine Kirche griinden sollen, beweist sich n un der Hang der letztern zu einer g o t t e s d i e n s t l i ­ c h e n R e l i g i o n (cultus) , und weil diese auf willkii rlichen Vorschriften beruht, zum Glauben an statutarische gottliche Gesetze, unter der Voraussetzung, daB iiber dem besten Lebens­ wandel (den der Mensch nach Vorschrift der rein moralischen Religion immer einschlagen mag) doch noch eine durch Ver­ nunft nicht erkennbare, sondern eine der Offenbarung bediirf­ tige gottliche Gesetzgebung hinzukommen miisse; womit es unmittelbar auf Verehrung des hochstens Wesens (nicht vermit­ telst der durch Vernunft uns schon vorgeschriebenen Befol­ gung seiner Gebote) angesehen ist- Hierdurch geschieht es nun, daB Menschen die Vereinigung zu einer Kirche und die Einigung in Ansehung der ihr zu gebenden Form, im gleichen 6 f f e n t l i c h e Veranstaltungen zur Beforderung des Morali­ schen in der Religion niemals fiir an sich notwendig halten wer­ den; sondern nur, um durch Feierlichkeiten, Glaubensb �kennt­ nisse geoffenbarter Gesetze, und Beobachtung der zur Form der Kirche ( die doch selbst bloB Mittel ist) gehorigen Vor­ schriften, wie sie sagen , ihrem Gott zu dienen; obgleich alle diese Observanzen im Grunde moralischindifferente Hand­ lungen sind, eben darum aber, weil sie bloB um seinetwillen geschehen sollen, fii r ihm desto gefalliger gehalten werden. Der Kirchenglaube geht also in der Bearbeitung der Menschen zu l einem ethischen gemeinen Wesen, natii rlicherweise t vor dem reinen Religionsglauben vorher, und T e m p e l ( dem offentli­ chen Gottesdienste geweihete Gebaude) waren eher, als K i r c h e n (Versammlungsorter zur Belehrung un d Belebung in moralischen Gesinnungen) , P r i e s t e r (geweihte Verwalter frommer Gebrauche) eher, als G e i s t i i c h e (Lehrer der rein moralischen Religion) , und sind es mehrenteils auch noch im Range und Werte, den ihnen die groBe Menge zugesteht.

t Moralischerweise solite es umgekehrt zugehen.

m. LA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[150-152] 253

organizzata secondo un ordinamento divino particolare - spe­ cie se riuscisse impossibile capire in che modo questa chiesa abbia potuto fare improvvisamente la sua apparizione senza un' adeguata e graduale preparazione del pubblico a recepire i concetti religiosi. l Ora, l'ambiguità in cui veniamo a trovarci quando si tratta di stabilire chi ha il compito di istituire una chiesa - se Dio oppure gli uomini stessi -, dimostra già di per sé la tendenza degli uomini a costituire una religione c u l t u a l e e quindi, dato che la religione cultuale si basa su prescrizioni arbitrarie, ad avere una fede in leggi statutarie divine. Ciò avviene sul p resupposto che, al di là della migliore condotta di vita (che l'uomo può sempre tenere obbedendo alle prescrizioni della religione puramente morale) , sia comunque necessario l'inter­ vento di una legislazione divina inaccessibile alla ragione e fondata sulla rivelazione; e in tal modo si ha direttamente di mira la venerazione dell'Essere supremo (ma non quella vene­ razione che gli viene resa - come già ci prescrive la ragione quando si obbedisce ai suoi comandi) . Ecco dunque perché l'unione i n una chiesa e l'accordo riguardo alla forma da darle non saranno mai considerate dagli uomini come istituzioni p u b b l i c h e in sé necessarie per la promozione dell' aspetto morale della religione, ma ver­ ranno ritenute utili soltanto per servire il loro Dio - come essi dicono - con cerimonie solenni, con professioni di fede nelle leggi rivelate e con l'osservanza delle prescrizioni dettate dalla forma della chiesa (la quale però è di per sé un semplice mezzo); e sebbene tutte queste pratiche siano in fondo azioni moralmente indifferenti, esse sono tuttavia considerate tanto più gradite a Dio, appunto perché devono essere compiute semplicemente in suo onore. Nella p reparazione degli uomini a una comunità etica, dunque, i la fede ecclesiale precede, sul piano naturale t , la fede religiosa pura, per cui vi sono stati t e m p l i (edifici consacrati al culto pubblico di Dio) prima che c h i e s e (luo­ ghi di riunione per istruire e ravvivare le intenzioni morali), s a c e r d o t i (amministratori dediti a pratiche pie) prima che e c c l e s i a s t i c i (dottori della religione puramente morale) , e anche al giorno d'oggi, per lo più, la grande massa attribui­ sce a templi e sacerdoti un più alto rango e valore che alle chiese e agli ecclesiastici. t Sul piano morale dovrebbe accadere

il contrario.

254 [ 152-154]

LA RELIGIONE

Wenn es nun also einmal nicht zu andem steht, daE nicht ein sta tutarischer K i r c h e n g l a u b e dem reinen Religions­ glauben, als Vehikel und Mittel der offentlichen Vereinigung der Menschen zur Beforderung des letztem beigegeben werde, so muB man auch eingestehen, daB die unverii.nderliche Aufbe­ haltung desselben, die allgemeine einformige Ausbreitung, und selbst die Achtung fiir die in ihm angenommene Offenbarung, schwerlich durch Tr a d i t i o n , sondem nur durch S c h r i f t , die selbst wiederum als Offenbarung fi.ir Zeitgenossen und Nachkommenschaft ein Gegenstand der Hochachtung sein muB, hin reichend gesorgt werden kann; denn das fordert das Bedi.irfnis der Menschen , um ihrer gottesdienstlichen Pflicht gewili zu seino Ein heiliges Buch erwirbt sich selbst bei denen (und ger ade bei diesen am meisten), die es nicht lesen, wenig­ stens sich l da r aus keinen zusammenhangenden Religionshe­ griff machen konnen, die groBte Achtung, und alles Vemi.inf­ teln versch l ag t nichts wider den alle Einwi.irfe niederschlagen­ den M achts p ru ch : d a s t e h t ' s g e s c h r i e b e n Daher bei­ Ben auch die Stellen desselben, die einen Glaubenspunkt darle­ gen sollen, schlechthin S p r i.i c h e Die bestimmten Ausleger einer solchen Schrift sind eben durch dieses ihr Geschaft selbst gleichsam g ewe i h te Personen , und die Geschichte bewdst, daB kein auf Schrift gegri.indeter Glaube selbst durch die verwi.i­ stendsten Staatsrevolutionen hat vertilgt werden k on ne n; indes­ s en daB d e r, so s i c h a u f Tra d ition u n d alte o ff e n t l ic h e Observanzen gri.indete, in der Zerri.ittung de s S ta a ts zu gl ei ch seinen U n t e rg a n g fan d o Gli.i c klic h ! * wenn e in s o l c h e s den Menschen zu Handen gekommen e s Buch , neben seinen Sta­ tuten als Glaubensgesetzen , z u glei ch die reinste moralische Re­ l ig i on sleh re m it Voll standigk ei t enthalt, die mit j en en (als Ve­ hikeln ihrer In t ro du ktio n ) in die beste Harmonie gebracht wer­ den kann , in we lch e m Falle es, sowohl des dadurch zu e r r ei­ chenden Zwecks halber, als weg en d er S chwi e rigkeit , sich den Urs p ru n g einer solchen durch dasselbe vorgegangenen Er- I leuchtung des Menschengeschlechts nach n a ti.i rlichen G es etz en b e gre ifl i ch zu m achen , das Ansehen, gleich einer Offent arung, b ehau p ten kann o o

o

* Ein Ausdruck fii r alles Gewunschte, oder Wtinschenswerte, was wir doch weder voraussehen, n oc h durch unsre Bestrebung nach Erfahrungs­ gesetzen herbeifuhren konnen; von dem wir also, wenn wir einen Grund nen­ nen wollen, keinen andern, als eine gutige Vo rsehu ng anfuhren konneno

ID. LA VIITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[152 - 1 54] 255

È dunque assodato, ormai, che una f e d e e c c l e s i a l e stat utaria non è un veicolo e un mezzo indispensabile per l'u­ nione · pubblica degli uomini in vista della promozione della fe de religiosa pura. D'altra parte, bisogna anche rilevare che la conservazione immutabile di questa fede ecclesiale, la sua diffusione univer­ sale e uniforme, e lo stesso rispetto per la rivelazione di cui essa è depositaria, non possono essere garantiti in modo suffi­ ciente dalla t r a d i z i o n e , bensì soltanto mediante la S c r i t ­ t u r a . Quest'ultima, in quanto è a sua volta una rivelazione, dev'essere quindi necessariamente oggetto di profondo rispet­ to da parte dei contemporanei e delle generazioni successive: è di ciò, infatti, che hanno bisogno gli uomini per essere certi dei loro doveri cultuali . Un libro sacro si conquista di per sé il più grande rispetto presso quelli che non lo leggono affatto (e soprattutto presso costoro) o che comunque l non potrebbero ricavarne nessun concetto religioso coerente; in tali casi non c'è raziocinio sotti­ le che tenga davanti alla sentenza decisiva che abbatte qualsia­ si obiezione: « È s c r i t t o » - Perciò anche i passi della Scrittura che devono esporre un articolo di fede vengono chiamati semplicemente s e n t e n z e . Gli interpreti autoriz­ zati di un libro del genere sono anch'essi, per via di questo loro ufficio, persone quasi sacre, e la storia dimostra che nep­ pure le rivoluzioni politiche più devastanti hanno mai potuto distuggere anche una sola fede fondata sulla Scrittura; una fede fondata invece sulla tradizione e su antichi riti pubblici tramonta non appena si distrugge lo Stato che l'accoglieva. Che fortuna* per gli uomini ricevere un libro simile qualo­ ra esso, oltre agli statuti che ne regolano la fede, contenga a un tempo integralmente anche la più pura dottrina morale della religione, e precisamente una dottrina che si trovi in per­ fetta armonia con quegli statuti (intesi come veicoli) ! Allora un tale libro può rivendicare l'autorità di una rivelazione, l sia per il fine che esso consente di raggiungere, sia perché è diffi­ cile spiegare secondo leggi naturali l'origine della luce che, grazie a esso, ha illuminato il genere umano. ·

* Espressione che si applica a tutti quegli oggetti desiderati o desiderabili che noi non possiamo nè prevedere né produrre con i nostri sforzi secondo leggi empiriche, e di cui dunque non possiamo addurre altro fondamento che una benigna Provvidenza, se vogliamo dargli un nome.

256 [ 154- 156]

LA RELIGIONE * * *

Nun noch einiges, was diesem Begriffe eines Offenbarungs­ glaubens anhangt. Es ist nur e i n e (wahre) R e l i g i o n ; aber es kann vielerlei Arten des G l a u b e n s geben. - Man kann hinzusetzen, daB in den mancherlei sich, der Verschiedenheit ihrer Glaubensarten wegen, von einander absondemden Kirchen dennoch eine und dieselbe wahre Religion anzutreffen sein kann. Es ist daher schicklicher (wie es auch wirklich mehr im Gebrauche ist), zu sagen: dieser Mensch ist von diesem oder jenem (jiidischen, mohammedanischen, christlichen, katholi­ schen, lutherischen) G l a u b e n , als: er ist von dieser oder jener Religion. Der letztere Ausdruck solite billig nicht einmal in der Anrede an das groBe Publikum (in Katechismen und Predigten) gebraucht werden; denn er ist diesen zu gelehrt und unverstandlich; wie denn auch die neuern Sprachen fiir ihn kein gleichbedeutendes Wort liefem. Der gemeine Mano ver­ steht darunter jederzeit seinen Kirchenglauben, der ihm in die Sinne fallt, anstatt daB Religion innerlich verborgen ist, und auf moralische Ge l sinnungen ankommt. Man tut den meisten zu viel Ehre an, von ihnen zu sagen: sie bekennen sich zu dieser oder jener Religion; denn sie kennen und verlangen bine; der statutarische Kirchenglaube ist alles , was sie unter diesem Worte verstehen. Auch sind die sogenannten Religionsstreitig­ keiten , welche die Welt so oft erschiittert und mit Blut be­ spriitzt haben, nie etwas anders, als Zankereien um den Kir­ chenglauben gewesen, und der Unterdriickte klagte nicht ei­ gentlich dariiber, daB man ihn hinderte, seiner Religion anzu­ hangen (denn das kann keine auBere Gewalt) , sondern da.B man ihm seinen Kirchenglauben òffentlich zu befolgen nicht erlaubte. Wenn nun eine Kirche sich selbst, wie gewohnlich ge­ schieht, fur die einige allgemeine ausgibt (ob sie zwar auf einen besondern Offenbarungsglauben gegriindet ist, der, als histo­ risch , nimmermehr von jedermann gefordert wer den kann) , so wird der, welcher ihren (besondern) Kirchenglauben gar nicht anerkennt, von ihr ein U n g l a u b i g e r genannt, und von gan­ zem Herzen gehaBt; der nur zum Teil (im Nichtwesentlichen) davon abweicht, ein I r r g l a u b i g e r , un d wenigstens als ansteckend vermieden. Bekennt er sich endlich zwar zu dersel­ ben Kirche, weicht aber doch im wesentlichen des Glaubens

m. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 154- 156] 257

* * *

A ggiungiamo ancora qualche parola riguardo a questo on c cetto di fede rivelata. Non c'è che u n ' u n i c a r e l i g i o n e (vera), ma posso­ no esistere diversi tipi di f e d e . Si può aggiungere inoltre che, pur nella molteplicità delle ch iese basate ciascuna su un diverso tipo di fede, è tuttavia pos�ibile incontrare l'unica e sempre identica religione vera. E p erciò più corretto (e, in realtà, è anche uso più corren­ te) dire che un uomo è di questa o di quella f e d e (ebraica, musulm ana, cristiana, cattolica, luterana), piuttosto che dire: è di questa o di quella religione. Quest'ultima espressione, in effetti, non dovrebbe mai es sere usata quando ci si rivolge al grande pubblico (nei cate­ chismi e nelle prediche) , per il quale essa è troppo erudita e difficile da comprendere; e la circostanza è confermata anche dal fatto che nelle lingue moderne non esiste nessuna parola a essa equivalente 85. Per «religione» l'uomo comune intende sempre la propria fede ecclesiale, la quale cade sotto i suoi sensi, mentre la religione è nascosta nell'interiorità dell'uomo e fa capo l alle intenzioni morali. Si rende troppo onore alla maggior parte degli uomini quando si dice che professano questa o quella religione, perché di fatto essi non ne conosco­ no e non ne esigono nessuna: tutto ciò che essi intendono con questa parola è la fede ecclesiale statutaria. Anche le cosiddet­ te guerre di religione, che così spesso hanno sconvolto e insanguinato il mondo, non sono mai state altro che dispute intorno alle fedi ecclesiali, e il lamento dello sconfitto era dovuto non alla proibizione di obbedire alla propria religione (infatti nessun potere esterno può operare tale proibizione) , bensì al fatto di non poter praticare pubblicamente la propria fede ecclesiale. Ora, quando una chiesa, come accade in genere, ha la pre­ tesa di essere l'unica chiesa universale (sebbene sia fondata su una fede rivelata particolare che, in quanto storica, non può mai essere professata da tutti gli uomini) , allora colui che non riconosce affatto la fede (particolare) di questa chiesa è detto da essa i n f e d e l e , e viene odiato di tutto cuore; chi se ne allontana solo in parte (in qualche punto non essenziale) è invece considerato un e t e r o d o s s o , e viene quanto meno evitato perché ritenuto contagioso; infine, se qualcuno, pur riconoscendosi membro di questa chiesa, diverge tuttavia su

258 [156-157]

LA RELIGIONE

derselben (was man niimlich dazu macht) von ihr ab, so heillt er, vornehmlich wenn e r seinen Irrglauben ausbreitet, ein l K e t z e r *, und wird, so wie ein Aufriih rer, noch fii r strafbarer gehalten, als ein auBerer Feind, und von der Kirche durch einen Bannfluch (dergleichen die Romer i.iber den aussprachen , der wider des Senats Einwilligung i.iber den Rubikon ging) a u s g e s t o B e n , u n d allen Hollengottern ii b e rg e b e n . D i e angemaBte alleinige Rechtglaubigkeit der Lehrer, oder Haupter einer Kirche in dem Punkte des Kirchengl aubens h e iBt O r t h o d o x i e , welche m an wohl in d e s p o t i s c h e ( br u t a l e ) un d l i b e r a l e Orthodoxie einteilen konnte. - Wenn eine Kirche, die ihren Kirchenglauben fiir allgemein verbind­ lich ausgibt, eine k a t h o l i s c h e , diejenige aber, welche si ch gegen diese Anspriiche anderer verwahrt (oh sie gleich diese ofters selbst gerne ausi.iben mochte, wenn sie konnte) , eine p r o t e s t a n t i s c h e Kirche genannt werden soll: so wird ein aufmerksamer Beobachter manche riihmliche Beispiele von protestantischen Katholiken, und dagegen noch mehrere an­ stoBige von erzkatholischen Protestanten antreffen; die erste von Miinnern einer si ch e r w e i t e r n d e n Denkungsart ( ob es gleich die ihrer Kirche wohl nicht ist) , gegen welche die letzte­ ren mi t ihrer e i n g e s c h r a n k t e n gar sehr, doch kt::ineswegs zu ihrem Vorteil, abstechen. VI.

DER KIRCHENGLAUBE HAT ZU SEINEM HÒCHSTEN AUSLEGER DEN REINEN RELIGIONSGLAUBEN

Wir haben angemerkt, daB, ob zwar eine Kirche das wich­ tigste Merkmal ihrer Wahrheit, namlich das eines rechtmaBigen Anspruchs auf Allgem einh eit entbehrt, wenn sie sich auf einen

* Die Mongolen nennen T i b e t (nach Georgii Alphab. Tibet. pag. 11) T a n g u t - C h az a r, d.i. das Land der Hauserbewohner, um diese von sich als in Wiisten unter Zelten lebenden Nomaden zu unterscheiden, woraus der

N ame der Chazaren, un d, aus diesem, der der K e t z e r entsprungen ist; weil jene dem tibetanischen Glauben (der Lamas), der mit dem Manichiiism iiber­ einstimmt, vielleicht auch wohl von daher seinen Ursprung nimmt, anhang­ lich waren, und ihn bei ihren Einbriichen in Europa verbreiteten; daher auch eine geraume Zeit hindurch die Namen Haeretici und Manichaei als gleich­ bedeutend im Gebrauch waren.

m . LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 156-157] 25 9

qualche punto essenziale (o presunto tale) della fede che in essa si professa, allora costui viene definito l un e r e t i c o *, soprattutto se diffonde la sua eterodossia: egli è allora consi­ derato un sedizioso, ancor più punibile di un nemico esterno, e viene scacciato dalla chiesa con un anatema (simile a quello che i Romani scagliavano contro chi varcasse il Rubicone senza il consenso del senato) e abbandonato a tutti gli dèi infernali. Si chiama quindi o r t o d o s s i a la pretesa che gli articoli della fede ecclesiastica ammettano come unica interpertazione corretta quella datane dai dottori o dai capi di una chiesa; essa si può distinguere in ortodossia d i s p o t i c a ( b r u t a l e ) e in ortodossia l i b e r a l e . In conclusione, se deve dirsi c a t t o l i c a quella chiesa che rivendica la propria fede ecclesiale come universalmente vincolante, e p r o t e s t a n t e quella che invece si oppone a tali istanze avanzate da altre chiese (sebbene spesso preferi­ rebbe attuarle essa stessa, se lo potesse), un osservatore atten­ to l s'imbatterà tuttavia in molti esempi celebri di cattolici protestanti e, viceversa, in un numero ancora maggiore di esempi scandalosi di protestanti arcicattolici: i primi sono offerti da uomini dotati di mentalità a p e r t a (sebbene que­ sta non sia affatto una prerogativa della loro chiesa), i secondi da uomini con mentalità r i s t r e t t a che combattono aspra­ mente contro quelli, senza però ricavame il minimo vantaggio. VI. L'INTERPRETE SUPREMA DELLA FEDE ECCLESIALE

È LA FEDE RELIGIOSA PURA

Abbiamo già osservato che quando una chiesa si fonda su una fede rivelata, essa è allora priva del contrassegno più importante della sua verità, cioè della legittima pretesa all'uni* I Mongoli chiamano il T i b e t (secondo Giorgiu s , A/pha betum Tibetanum, p. 1 1 ) 86, con il nome di T a n g u t - C h a z a r , cioè la terra degli abitatori di case, per distinguere costoro da se stessi, che vivono da nomadi nei deserti e sotto le tende. Da qui il nome di Chazari, da cui deriva quello di Ketzer, «eretici», perché i Mongoli aderivano alla fede tibetana (dei Lama) che concorda con il Manicheismo, da cui forse trae anche la sua origine. Questa fede venne diffusa dai Mongoli in Europa al tempo delle loro invasio­ ni, e per lungo tempo i termini Haeretid e Manichaei furono impiegati come sinonimi.

260 [157- 158]

LA RELIGIONE

Offenbarungsglauben, der, als historischer (obwohl dur ch Schrift weit ausgebreiteter, und der spatesten Nachkommen­ schaft zugesicherter) Glaube, doch keiner allgemeinen iib er­ zeugenden Mitteilung fahig ist, griindet: dennoch wegen des natiirlichen Bediirfnisses aller Menschen, zu den hochsten Ver­ nunftbegriffen und Gri.inden immer etwas S i n n l i c h h a l t ­ h a r e s , irgend eine Edahrungsbestatigung u.d.g. zu verlangen (worauf man bei der Absicht, einen Glauben allgemein zu i n t r o d u z i e r e n , wirklich auch Riicksicht nehmen muB ), irgend ein historischer Kirchenglaube, den man auch gemein ig­ lich schon vor sich findet, mi.isse benutzt werden. Um aber nun mit einem solchen empirischen Glauben, den uns dem Ansehen nach ein Ungefahr in die l Hande gesp ielt hat, die Grundlage eines moralischen Glaubens zu vereinigen (er sei nun Zweck oder nur Hiilfsmittel), dazu wird eine Ausle­ gung der uns zu Hiinden gekommenen Offenbarung edodert, d.i. durchgiingige Deutung derselben zu einem Sinn, der mit den allgemeinen praktischen Regeln einer reinen Vernun&re­ ligion zusammenstimmt. Denn das Theoretische des Kirchen­ glaubens kann uns moralisch nicht interessieren, wenn es nicht zur Erfiillung aller Menschenpflichten als gottlicher Gebote (was das Wesentliche aller Religion ausmacht) hinwtrkt. D iese Auslegung mag uns selbst in Ansehung des Texts (der Offen­ barung) o& gezwungen scheinen, oft es auch wirklich sein, und doch mu6 sie, wenn es nur moglich ist, daB dieser sie anninunt, einer solchen buchstablichen vorgezogen werden, die entweder schlechterdings nichts fiir die Moralitat in sich enthalt, oder dieser ihren Triebfedern wohl gar entgegen wirkt. t Man wird -

t Um dieses an einem Beispiel zu zeigen, nehme man den Psalm LIX, V. ange­ rroffen wird. M i c h a e l i s (Mora! 2ter Teil S. 202) billigr dieses Gebet und setzt hinzu: «Di e Psalmen sin d i n s p i r i e r t ; wird in diesen um Strafe gebe­ ten, so kann es nicht unrecht sein und w i r s o l l e n k e i n e h e i l i g e r e M o r a ! h a b e n a l s d i e B i b e l ». Ich balte mich hier an den letzteren Ausdruck und frage, ob die Mora! nach der Bibel, oder die Bibd vielmehr nach der Mora! ausgdegr werden miisse? - Ohne nun einmal auf die Stelle des N . T. : «Zu den Alten wurde gesagt, u.s.w. Ich aber sage euch: Liebet eure Feinde, s e g n e t , d i e e u c h fl u c h e n , u . s.w. » , Riicksicht zu nehmen, wie diese, die auch inspirien ist, mit jener zusammen bestehen konne, werde ich

1 1 -16, wo ein G e b e t um R a c h e , die bis zum Entsetzen weit geht,

IJI. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 157- 158] 26 1

versalità; la fede rivelata, infatti , in quanto fede storica (sebbe­ ne la Scrittura ne assicuri un' ampia diffusione fino alla poste­ rità più remota) , non è in grado di essere universalmente co­ m un ic ata e condivisa in modo convincente. Si è visto pure ch e, nonostante ciò, è comunque necessario far capo a una qual che fede ecclesiale storica (in genere ci si trova già sempre realmente in mezzo a una fede del genere): e questo perché in tutti gli uomini c'è il bisogno naturale di avere sempre un so­ stegno s e n s i b i l e , un'attestazione empirica, ecc. , per i concet­ ti razionali supremi e per i fondamenti ultimi Oa presa in con­ sideraz ione di questo bisogno naturale è indispensabile quan­ do si intende i n t r o d u r r e una fede in modo universale) . In questa sede non importa s e una tale fede empirica sia intesa come fine o come semplice mezzo, bensì se essa, l in cui sembriamo esserci imbattuti casualmente, sia conciliabile con i fondamenti di una fede morale. In tal senso, allora, è neces­ saria un 'interp retazione della rivelazione data, vale a dire: bisogna coglierne in generale un senso che concordi con le regole pratiche universali di una religione razionale pura. L'aspetto teoretico della fede ecclesiale, infatti, non può avere per noi nessun interesse morale se non influisce sull'adempi­ mento di tutti i doveri umani intesi come comandi divini (e in ciò consiste il tratto essenziale di ogni religione) . Ora, questa interpretazione, rispetto al testo (della rivela­ zione) , può spesso apparire forzata, e spesso anche lo è real­ mente. Nel caso in cui il testo ne ammetta però anche soltanto la possibilità, è allora necessario preferire questa interp reta­ zione a un'interp retazione letterale, la quale o non contiene assolutamente nessun elemento utile per la moralità, oppure va addirittura contro i moventi morali t. t Per chiarire q ue sto punto con un esempio, s i pr end a il Salmo 59, vv. 1 1 - 1 6 87, in cui si trova un' i n v o c a z i o n e d i v e n d e t t a che fa addirit­ tura orrore. M i c h a e l i s (Morale, 2• parte, p. 202) 88 approva questa invo­ cazione e aggiunge: >, und daG selbst der Antrieb zu guten H andlungen und zur Rechtsch affenheit im Lebens­ wandel, den der Mensch, der sie liest, oder ihren Vortrag hort, fiihlen muG, ihn von der Gottlichkeit derselben iiberfiihren miisse; weil er nichts anders, als die Wirkung von dem den Menschen mit inniglicher Achtung erfiillenden m oralischen Gesetze ist, welches darum auch als gottliches G ebot ange­ sehen zu werden verdient. Aber so wenig, wie, aus irgend ei­ nem Gefuhl, Erkenntnis der Gesetze, und daB diese moralisch sind, ebensowenig, und noch weniger, kann durch ein Gefuhl das sichere Merkmal eines unmittelbaren gottlichen Einflusses gefolgert und ausgemittelt werden; weil zu derselben Wirkung mehr, als eine Ursache statt finden kann, in diesem Falle aber die bloGe Moralitat des Gesetzes (und der Lehre ) , durch die Vernunft erkannt, die Ursache derselben ist, und, selbst in dem

m. LA VIITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[164- 165] 269

Religione razionale ed esegesi scritturale sono dunque le in terp reti autorizzate e le depositarie autentiche dei docwnen­ ti sac ri. È evidente che il braccio secolare non può assolutamente impedire l'uso pubblico delle loro vedute e delle loro scoperte in questo campo, né può imporre loro certi dogmi di fede; in tal caso, infatti, si avrebbero dei l a i c i che costringono i c h i e r i c i a seguire le loro opinioni, che essi tuttavia si for­ mano soltanto sulla base dell'insegnamento stesso dei chierici. Quando perciò lo Stato si preoccupa soltanto che al suo erno non manchino uomini dotti e di buona reputazione int morale cui affidare la cura scrupolosa dell'amministrazione della chiesa nel suo complesso, allora esso ha fatto tutto ciò che rientra nel suo dovere e nella sua competenza. Si ha inve­ ce una vera presunzione, lesiva della dignità del legislatore, quando l'opinione pubblica pretende che costui decida del­ l'introduzione di quei chierici nelle scuole e si intrometta nelle loro dispute (le quali, se non vengono condotte dal pul­ pito, lasciano la gran massa dei fedeli nella pace più perfetta). Ma c'è anche un terzo pretendente alla funzione di inter­ prete, il quale per riconoscere il vero senso della Scrittura e a un tempo la sua origine divina non ha bisogno né della ragio­ ne né dell'erudizione, bensì soltanto di un s e n t i m e n t o interiore. Ora, non si può certo negare che «chi segue I la dottrina della Scrittura e f à ciò che essa prescrive, sicuramente tro­ verà che essa viene da Dio» 96. È indubbio, inoltre, che si con­ vince senz'altro della divinità della Scrittura colui che, leggen­ dola o sentendola predicare non può fare a meno di sentire l'impulso ad agire bene e con rettitudine; questo impulso, infatti, non è altro che l'effetto della legge morale, la quale, producendo nell'uomo un intimo rispetto, merita anche per questo di essere considerata un comando d ivino Tuttavia, poiché da nessun sentimento è possib ile ricavare la conoscenza di leggi, né stabilirn e il carattere morale, tanto meno allora si potrà desumere e scoprire mediante un senti­ mento il contrassegno sicuro di un diretto influsso divino. Uno stesso effetto, infatti, può avere più di una causa, mentre nel nostro caso la causa dell'effetto è una sola, cioè la sempli­ ce moralità della legge (e della dottrina) conosciuta mediante la ragione; e, anche quando si dia soltanto la possibilità di tale ,

,

,

.

270 [165-166)

LA RELIGIONE

Falle der blo.Ben Moglichkeit dieses Ursprungs, es Pflicht ist, ihm die letztere Deutung zu geben, wenn man nicht aller Schwiirmerei Tiir und Tor offnen, und nicht selbst das unzwei ­ deutige moralische Gefuhl, durch die Verwandtschaft mit je­ dem anderen phantastischen um seine Wiirde bringen will . - Ge­ fuhl, wenn das Gesetz, woraus, oder auch, womach es erfolgt, vorher bekannt ist, hat jeder nur fii r sich, und kann es andem nicht zumuten , also auch nicht als einen Probierstein der Echtheit einer Of l fenbarung anpreisen, denn es lehrt schlech­ terdings nichts, sondem enthiilt nur die Art, wie das Subjekt in Ansehung seiner Lust oder Unlust affiziert wird, worauf gar keine Erkenntnis gegriindet werden kann. Es gibt also keine Norm des Kirchenglaubens , als die Schrift, un d keinen andern Ausleger desselb en , als reine Ve r n u n ft r e l i g i o n und S c h r i f t g e l e h r s a m k e i t (wel­ che das Historische derselben angeht) , von welchen der erstere allein a u t h e n t i s c h , un d fiir alle Welt giiltig, der zweite aber nur d o k t r i n a l ist, um den Kirchenglauben fiir ein gewisses Volk zu einer gewissen Zeit in ein bestimmtes sich bestiindig erhaltendes System zu verwandeln. Was aber diesen betrifft, so ist es nicht zu iindem, da.B der historische Glaube nicht endlich ein blo.Ber Glaube an Schriftgelehrte, und ihre Einsicht werde: welches freilich der menschlichen Natur nicht sonderlich zur Ehre gereicht, aber doch durch die offentliche Denkfreiheit wiederum gut gemacht wird, dazu diese deshalb um destomehr berechtigt ist, weil nur dadurch, da.B Gelehrte ihre Auslegun­ gen jedermanns Prufung aussetzen, selbst aber auch zugleich fiir bessere Einsicht immer offen und empfiinglich bleiben, sie auf das Zutrauen des gemeinen Wesens zu ihren Entscheidun­ gen rechnen konnen. l

III. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[165-166] 27 1

origine, è comunque un dovere interpretare l'effetto in que­ st 'ultimo senso, perché altrimenti si darebbe adito a ogni sorta di fanatismo e si toglierebbe all ' unico vero sentimento morale la sua dignità, apparentandolo a un qualsiasi altro sen­ timento di natura fantastica. Un sentimento, pur se è preliminarmente nota la legge da cui e secondo cui esso procede, è qualcosa che ciascun uomo ha unicamente per sé e non può pretendere che ce l'abbiano anche gli altri: dunque non si può nemmeno indicarlo come pietra di paragone dell'autenticità l di una rivelazione. Un sen­ timento, infatti, non insegna assolutamente null a , ma contiene solo il modo in cui il soggetto è affetto in ordine al suo piace­ re o al suo dispiacere; e su questa affezione non può essere fondata nessuna conoscenza. Nella fede ecclesiale, dunque, non esiste nessuna norma oltre la Scrittura, e non c'è nessun altro interprete oltre la r e l i g i o n e r a z i o n a l e pura e la s c i e n z a s c r i t t u r a l e (la quale si riferisce all'aspetto storico della Scrittura) . Di questi due interpreti, soltanto il primo è a u t e n t i c o e ha valore universale, mentre il secondo è solo d o t t r i n a l e e la sua funzione è semplicemente quella di organizzare la fede ecclesiale, per un determinato popolo e per una determi­ nata certa epoca, in un sistema stabile e duraturo. Ora, per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, è inevitabi­ le che la fede storica diventi alla fine una semplice fede accor­ data agli specialisti della Scrittura e ai loro punti di vista - e questo, certo, non torna a particolare onore della natura umana. Tuttavia, la pubblica libertà di pensiero può far sì che anche questo esito ritorni a sua volta utile: essa è infatti tanto più garantita dal fatto che gli eruditi scritturali possono conta­ re sulla fiducia della comunità nelle loro decisioni unicamente quando sottopongono le loro interpretazioni all'esame di tutti, restando a un tempo sempre disponibili ad accogliere dei punti vista di migliori. l -

272 [167 - 1 68]

LA RELIGIONE

VIL Ù DER ALLMAHLICHE BERGANG DES KIRCHENGLAUBENS ZUR ALLEINHERRSCHAFT DES REINEN Rf.LIGIONSGLAUBENS IST DIE ANNAHRUNG DES REICHS GOTTES

Das Kennzeichen der wahren Kirche ist ihre A I l g e m e i n h e i t ; hievon aber ist wiederum das Merkmal ihre Notwendig­ keit und ihre nur auf eine einzige Art mogliche Bestimmbar­ keit. Nun hat der historische Glaube (der auf Offenbarung, als Erfahrung gegriindet ist) nur partikulare Giiltigkeit, fiir die namlich, an welche die Geschichte gelangt ist, worauf er be­ ruht, und enthalt, wie alle Erfahrungserkenntnis, nicht das Be­ wuBtsein, daB der geglaubte Gegenstand so und nicht anders sein m ii s s e , sondern nur, daB er so sei, in sich; mithin enthalt er zugleich das BewuBtsein seiner Zufalligkeit. Also kann er zwar zum Kirchenglauben (deren es mehrere geben kann) zulangen, aber nur der reine Religionsglaube, der sich giinzlich auf Vernunft griindet, kann als notwendig, mithin fiir den einzi­ gen erkannt werden, der di e w a h r e Kirche auszeichnet. Wenn also gleich (der unvermeidlichen Einschrankung der mens chlichen Vernunft gemaB) ein historischer Glaube als Leitmittel die reine Religion affiziert, doch mit dem Be�Bt­ sein, daB er bloB ein solches sei, und dieser, als Kirchenglaube, ein Prinzip bei sich fiihre, dem reinen Religionsglauben sich kontinuierlich zu nahern, um jenes Leitmittel endlich l entbeh­ ren zu konnen, so kann eine solche Kirche immer die wahre heille n; da aber iiber historische Glaubenslehren der Streit nie vermieden werden kann , nur die s t r e i t e n d e Kirche genen­ net werden; doch mit der Aussicht, endlich in die unveranderli­ che un d ali es vereinigende, t r i u m p h i e r e n d e auszuschla­ gen ! Man nennt den Glauben jedes einzelnen, der die morali­ sche Empfiinglichkeit (Wiirdigkeit) mit sich fi.ihrt, ewig gliick­ selig zu sein , den s e l i g m a c h e n d e n Glauben. Dieser kann also auch nur ein einziger sein, und bei aller Verschiedenheit

ID. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 167 -168] 273

VII. lL PASSAGGIO

GRADUALE DELLA FEDE ECCLESIALE

AL DOMINIO UNICO DELLA FEDE RELIGIOSA PURA È L ' APPROSSIMARSI DEL REGNO DI DIO

Il carattere distintivo della vera chiesa è la sua u n i v e r s a l i t à . A sua volta, il contrassegno di questa universalità è la sua necessità e la sua possibilità di essere determinata in un solo modo. Ora, la fede storica (fondata sulla rivelazione in quanto esperienza) ha soltanto una validità particolare, cioè ha valore unicamente per coloro ai quali è giunta la storia sulla quale essa si basa. Allo stesso modo di ogni conoscenza empirica, la fede storica implica soltanto la consapevolezza che il suo oggetto è c o s ì , ma non sa perché questo oggetto d e v e n e c e s s a r i a m e n t e essere così e non altrimenti; perciò essa implica a un tempo la consapevolezza della propria acci­ dentalità. La fede storica, dunque, può essere certo sufficiente per costituire la fede ecclesiale (la quale può avere molte forme) , ma solo la fede religiosa pura, che si fonda totalmente sulla ragione, può essere riconosciuta come fede necessaria e, di conseguenza, come l'unica che caratterizza la chiesa v e r a . Dunque, anche se (per via dell'inevitabile limitazione della ragione umana) alla religione pura si accompagna una fede storica come veicolo di diffusione, l'importante è la consape­ volezza che si tratti appunto di una fede che è semplicemente mezzo e veicolo, e che essa, in quanto fede ecclesiale, ha in sé il principio di avvicinarsi sempre più alla fede religiosa pura fino al punto di poter fare a meno l di quello stesso veicolo: in questo senso, quindi, la chiesa che si fonda su una tale fede storica può essere pur sempre definita la chiesa v e r a . Poiché però non si può mai impedire la disputa e il conflitto sulle dottrine storiche di fede, questa chiesa non può chiamar­ si se non chiesa m i l i t a n t e - tuttavia con la prospettiva di purificarsi fino a divenire chiesa immutabile e unificante tutti gli uomini, cioè chiesa t r i o n f a n t e ! Ora, quella fede che conferisce a ogni uomo la capacità morale (la dignità) di essere eternamente felice si chiama fede b e a t i f i c a n t e . Anche la fede beatificante, dunque, non può che essere unica, e, pur nella diversità delle fedi ecclesiali,

274 [168-170]

LA RELIGIONE

des Kirchenglaubens doch in jedem angetroffen werden , in welchem er, sich auf sein Ziel, den reinen Religionsglauben, beziehend, praktisch ist. Der Glaube einer gottesdienstlich en Religion ist dagegen ein F r o n - un d Lohnglaube (fìdes merce­ naria, servilis) , und kann nicht fi.ir den seligmachenden ange­ sehen werden , weil er nicht moralisch ist. Denn dieser muB ein freier, auf lautere • Herzensgesinnungen gegri.indeter Glaube (fìdes ingenua) sein. Der erstere wahnt durch Handlungen (des Kultus), welche (ob zwar mi.ihsam) doch fur sich keinen mora­ lischen Wert haben, mithin nur durch Furcht oder Hoffnung abgenotigte Handlungen sind, die auch ein boser Mensch ausi.i­ ben kann, Gott wohlgefallig zu werden, anstatt daB der letztere dazu eine moralisch gute Gesinnung als notwendig voraussetzt. Der seligmachende Glaube enthalt zwei Bedingungen sei­ ner Hoffnung der Seligkeit: die eine in Ansehung dessen, was er selbst nicht tun kann, namlich seine geschehene Handlungen rechtlich (vor einem gottlichen Richter) ungeschehen zu machen, die andere in Ansehung dessen , was er selbst tun kann und soll, nam j lich in einem neuen seiner Pflicht gemaBen Leben zu wandeln. Der erstere Glaube ist der an eine Genug­ tuung (Bezahlung fiir seine Schuld, Erlosung, Versohnung mit Gott), der zweite ist der Glaube, in einem femer zu fii hrenden guten Lebenswandel Gott wohlgefallig werden zu konhen . Beide Bedingungen machen nur einen Glauben aus , und geho­ ren notwendig zusamm en . Man kann aber die Notwendigkeit einer Verbindung nicht anders einsehen , als wenn man an­ nimmt, es lasse sich eine von der andem ableiten, also, daB ent­ weder der Glaube an die Lossprechung von der auf uns liegen­ den Schuld den guten Lebenswandel, oder daB die wahrhafte u n d tatige Gesinnung eines j ederzeit zu fi.ih ren den guten Lebenswandels den Glauben an jene Lossprechung, nach dem Gesetze moralisch wirkender Ursachen, hervorbringe. Hier zeigt sich nun eine merkwi.irdige Antinomie der mensch­ lichen Vernunft mit ihr selbst, deren Auflosung, oder wenn diese nicht moglich sein solite, wenigstens Beilegung es allein ausmachen kann, ob ein historischer (Kirchen-) Glaube jeder­ zeit als wesentliches Sti.ick des seligmachenden, i.iber den rei­ neo Religionsglauben hinzukommen mi.isse, oder ob er als bio­ Bes Leit l mittel endlich, wie feme diese Zukunft auch sei, in den reinen Religionsglauben i.ibergehen konne. ·

• lautere

AA; lauter A, B.

m. LA VIITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 168- 170] 275

es sa può inerire a ognuna di queste purché sia praticata in vist a della sua meta, che è la fede religiosa pura. La fede di una religione cultuale, per contro, è una fede r e s v i I e e mercenaria (/ides mercenaria, servilis), e non può es sere considerata santificante perché non è affatto una fede mora le. La fede santificante, infatti, dev'essere necessariamen­ te un a fede libera, fondata sulle intenzioni pure del cuore (/i­ des ingenua) . L a fede cultuale s'illude di rendersi gra dita a Dio con azio­ ni (del culto) che, sebbene onerose e penose, non hanno tutta­ via per sé nessun valore morale; si tratta quindi di azioni che, imposte unicamente dal timore o dalla speranza, può compie­ re anche un uomo malvagio. La fede beatificante, invece, per riusc i re gradita a Dio, presuppone come necessaria un'inten­ zione moralmente buona. La fede beatifi cante implica due condizioni per la nostra speranza di santità: l'una riguarda ciò che l'uomo non può fare da se stesso, cioè l'impossibilità di rendere giuridicamen te nulle (davanti un giudice divino) le azioni compiute; l'altra concerne ciò che l'uomo può e deve fare da se stesso, cioè l il mutamento della sua vita in una nuova vita conforme al suo dovere. La prima è la fede in una soddisfazione (pagamento del proprio debito, redenzione, riconciliazione con Dio); la seconda è la fede nella pos sib i lità di rendersi graditi a Dio con una buona condotta futura. Entrambe le condizioni costituiscono soltanto un'unica fede e si coappartengono necessariamente. Tuttavia, la neces­ sità di una loro c oncil i azione può essere colta solo quando si ammette la derivazione dell'una dall'altra; dunque si deve ammettere, in base alla legge della causa efficiente morale, (a) o che la fede nell'assoluzione delle nostre colpe p rodu c a la buona condotta di vita, (b) oppure che l'intenzione sincera e attiva di tenere in ogni momento una buon a condotta produ­ ca la fede in quell'assoluzione. Ora, qui si r iv e l a una notevole antinomia della ragione vmana con se stessa, e solo la soluzione di questa antinomia, o qualora essa dovesse risultare irrisolvibile - almeno la sua ricomposizione, potrà stabilire se alla fede religiosa pura si accompagni sempre necessariamente una fede storica (eccle­ siale) come componente essenziale della fede beatificante, oppure se la fede storica, in quanto l semplice veicolo, possa un giorno - per quant o remoto - risolversi completamente nella fede religi osa pura. ­

-

276 [170- 1 7 1 ]

L A RELIGIONE

l . Vorausgesetzt: daB fur die Siinden des Menschen ei ne Genugtuung geschehen sei, so ist zwar wohl begreiflich, wie ein jeder Siinder sie gern auf sich beziehen mochte, und, wenn es bloB aufs G l a u b e n ankommt (welches soviel, als Erklarung bedeutet, er wolle, sie solite auch fiir ihn geschehen sein), des­ halb nicht einen Augenblick Bedenken tragen wiirde. Allein es ist gar nicht einzusehen, wie ein verniinftiger Mensch, der sich strafschuldig weill, im Ernst glauben konne, er habe nur notig, die Botschaft von einer fur ihn geleisteten Genugtuung zu glau­ ben, und sie (wie die Juristen sagen) utiliter anzunehmen, um seine S chuld als getilgt anzusehen, und zwar dermaBen (mit der Wurzel sogar) , daB auch fiirs kiinftige ein guter Lebenswandel, um den er sich bisher nicht die mindeste Miihe gegeben hat, von diesem Glauben und der Akzeptation der angebotenen Wohltat, die unausbleibliche Folge sein werde. Diesen Glauben kann kein iiberlegender Mensch, so sehr auch die Selbstliebe ofters den bloBen Wunsch eines Gutes , WOZU man nichts tut, oder tun kann, in Hoffnung verwandelt, als werde sein Ge­ genstand, durch die bloBe Sehnsucht gelockt, von selbst kom­ men, in sich zuwege bringen. Man kann dieses sich nicht an­ ders moglich denken, als daB der Mensch sich diesen Glauben selbst l als ihm himmlisch eingegeben, und so als etwa� , worii ­ ber er seiner Vernunft weiter keine Rechenschaft zu geben notig hat, betrachte . Wenn er dies nicht kann, oder noch zu aufrichtig ist, ein solches Vertrauen als bloBes Einschmeiche­ lungsmittel in sich zu erkiinsteln, so wird er, bei aller Achtung fiir eine solche iibers chwengliche Genugtuung, bei allem Wunsche , daB eine solche auch fiir ihn offen stehen moge, doch nicht umhin konnen, sie nur als bedingt anzusehen, nam­ lich daB sein, so viel in seinem Vermogen ist, gebesserter Lebenswandel vorhergehen miisse, um auch nur den mindesten Grund zur Hoffnung zu geben, ein solches hoheres Verdienst konne ihm zu Gute k om m e n . Wenn also das h istorische Erkenntnis von dem letztern zum Kirchenglauben , der erstere aber als Bedingung zum reinen moralischen Glauben gehort, so wird d i e s e r v o r j e n e m v o r h e r g e h e n m ii s s e n .

IIT. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 170-17 1]

277

l . Partiamo dal presupposto che sia avvenuta un'espiazio­ ne per tutti i peccati degli uomini. In tal caso, è certo com­ prensibile che ogni peccatore desideri riferirla a se stesso, e se la cosa dip endesse semplicemente dal c r e d e r e in tale espiazione (e ciò equivale a dire: se dipendesse dalla volontà del peccatore che l'espiazione debba essere avvenuta anche p er lui) , allora egli non esiterebbe neppure per un istante a credervi. Sennonché, è difficile che un uomo ragionevole, conscio di se es re colpevole e di meritare una punizione, creda seriamen­ te che, per poter considerare cancellata la propria colpa, basti solo avere fede nel messaggio di un'espiazione compiuta in favore suo e accettarla utiliter (come dicono i giuristi); è diffi­ cile in particolare che egli consideri la propria colpa del tutto sradicata tanto da credere che, anche nel futuro, la conse­ guenza immancabile di questa fede e dell'accettazione del beneficio offertogli sarà una buona condotta di vita, per la quale egli fino a quel momento non si è minimamente preoc­ cupato. Nessun uomo avveduto può nutrire entro sé una fede di questo tipo, sebbene spesso l'amore di sé trasformi in speran­ za anche il semplice desiderio di un bene per il quale non si fa nulla o non si può fare nulla - come se l'oggetto desiderato si producesse da sé, attratto soltanto dall'ardore del nostro desi­ derio. E ciò non è pensabile se non quando l'uomo considera questa fede l come venutagli dal cielo, quindi come qualcosa di cui non occorra rendere conto alla ragione. Quando però l'uomo noQ può affidarsi a questo pensiero, oppure quando è ancora troppo onesto per lusingare se stesso fingendosi una tale fiducia, allora accadrà che egli, nonostante tutto il suo rispetto per quella espiazione immane, nonostante tutto il suo desiderio che essa sia stata compiuta anche per lui, non potrà tuttavia evitare di considerarla un'espiazione sol­ tanto condizionata, vale a dire: capirà che, per avere il benché minimo fondamento di speranza di usufruire di un merito così elevato, egli deve prima fare tutto il possibile per miglio­ rare la propria condotta di vita. Se dunque la conoscenza storica di quella espiazione appartiene alla fede ecclesiale, mentre alla fede morale pura appartiene la buona condotta, intesa come condizione dell'e­ spiazione stessa, allora l a f e d e m o r a l e p u r a p r e c e d e r à n e c e s s a r i a m e n t e l a fe d e e c c l e s i a l e .

278 [171-173]

LA RELIGIONE

2 . Wenn aber der Mensch von Natur verderbt ist, wie kann er glauben, aus sich, er mag sich auch bestreben, wie er wolle, einen neuen, Gott wohlgefiilligen , Menschen zu machen; wenn er, sich der Vergehungen, deren er sich bisher schuldig gemacht hat, hewuBt, noch unter der Macht des hosen Prinzips steht und in sich kein hinreichendes Vermogen antrifft, es kiinftighin hesser zu machen? Wenn er nicht di e G ere cht igkeit, die er selhst wider sich erregt hat, durch fremde Genugtuung als ver sohnt, s i ch selhst aher l durch diesen Glauben gleichsam als neugehoren ansehen, und so allererst einen neuen Lehens­ wandel an tret en kann, der alsdann die Folge von dem mit ihrn vereinigten g ut e n P r inz i p sein wiirde, worauf will er seine H offn ung ein Gott gefiilliger Mensch zu werden, griinden? Also muB der Glaube an ein Verdienst, das nicht das seinige ist, und wodurch er mit Gott versohnt wird, vor aUer Bestrehung zu guten Werken vorh e rg eh en; welches dem vorigen Satze widerstreitet. Dieser Streit kann nicht durch Einsicht in die Kausalhestimmung der Freiheit des menschlichen Wesens, d.i. der Ursachen, welche machen, da8 ein Mensch gut oder hose wird, also nicht theoretisch ausgeglichen werden: denn diese Frage iihersteigt das ganze S pekulationsvermogen unserer Vemunft. Aber furs Praktische, wo niimlich nicht gefr �t wird, was physisch, sondem was moralisch fur den Gehrauch unserer freien Willk iir das erste sei, wovon wir niimlich den Anfang machen sollen, oh vom Glauhen an das, was Gott unsertwegen getan hat, oder von dem, was wir tun sollen, um dessen (es mag auch hestehen, worin es wolle) wi.irdig zu werden, ist kein Bedenken, fi.ir das letztere zu entscheiden. Denn die Annehmung des ersten Requisits zur Seligma­ chun g, niimlich des Glauhens an eine stellvertretende Genug­ tuung, ist allenfalls hlo8 fur den theoretischen Begriff notwen­ dig; wir konnen die Entsi.in l digung uns nich t anders h e g r e i f­ l i c h m a c h e n . Dagegen ist die Notwendigkeit des zweiten Prinzips praktisch und zwar rein moralisch: wir konnen sicher nicht anders hoffen , der Zueignung selhst eines fremden genugtuenden Verdienstes, und so der Seligk e it teilhaftig zu werden , als wenn wir uns dazu durch unsere Bestrehung in Befolgung jeder Menschenpflicht qualifìzieren, welche letztere ,

­

,

m. LA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[17 1 - 173] 27 9

2 . Ma se l'uomo è corrotto per natura, come può credere di trasformarsi da se stesso, con la sua sola volontà e le sue s ol e forze, in un uomo nuovo gradito a Dio? Come può riu­ scirei se egli, conscio delle proprie colpe fin qui commesse, è ancora dominato dal principio cattivo e non trova entro sé nes sun potere in grado di garantirgli che in futuro diventerà un uomo migliore? Su che cosa vuole fondare la sua speranza di div entare un uomo gradito a Dio, se, dopo avere aizzato contro se stesso la giustizia, l non può pensare che quest'ulti­ ma si sia placata e conciliata con lui in virtù dell'espiazione di un alt ro? , se non può ritenersi, per così dire, rigenerato da questa fede e dare inizio così a una nuova condotta che sareb­ be la conseguenza della sua unione con il principio buono? È dunque necessario che ogni sforzo di compiere azioni buone sia p receduto dalla fede dell'uomo in un merito che non è suo personale e che lo riconcilii con Dio. E ciò contraddice la proposizione precedente. Ora, questo conflitto non può essere appianato attraverso la considerazione della determinazione causale della libertà umana, cioè mediante la conoscenza delle cause per cui un uomo diventa buono o cattivo; in altri termini: esso non può essere appianato in sede teoretica, perché tale questione supe­ ra ogni potere speculativo della nostra ragione. Dal punto di vista pratico, invece, in cui ci si chiede quale sia il primo termine morale (non il primo termine fisico) per l'uso del nostro libero arbitrio, la risposta alla questione non comporta nessun dubbio nella scelta: Per renderei degni dei benefici divini (di qualunque natura siano) , noi dobbiamo ini­ ziare da ciò che è nostro dovere compiere, non dalla fede in ciò che Dio ha fatto per noi. Infatti, l'accettazione del primo requisito per la beatifica­ zione, cioè della fede in un'espiazione per tutti i peccati degli uomini, è semplicemente una necessità concettuale teoretica, perché non c'è altro modo l di r e n d e r e i c o n c e p i b i l e la remissione dei nostri peccati. Per contro, la necessità del secondo principio è pratica, e precisamente è una necessità morale pura: non c'è dubbio che solo mediante il nostro sforzo di adempiere tutti i doveri umani possiamo sperare di far nostro il merito di un'espiazio­ ne vicaria e di diventare partecipi della beatitudine; e occorre che tale adempimento sia l'effetto del nostro impegno perso-

280 [ 173- 174]

LA RELIGIONE

die Wirkung unserer eignen Bearheitung, und nicht wiederum ein fremder EinfluB sein muB, dahei wir passiv sind. Denn da das letztere Gebot unhedingt ist, so ist es auch notwendig, daB der Mensch es seinem Glauhen als Maxime unterlege, daE er namlich von der Besserung des Lebens anfange, als der oher­ sten Bedingung, unter der allein ein seligmachender Glaube statt finden kann. Der Kirchenglauhe, als ein historischer, fangt mit Recht von dem erstern an ; da er aher nur das Vehikel fiir den reinen Religionsglauhen enthalt (in welchem der eigentliche Zweck liegt) , so muE das, was in diesem als einem p raktischen die Bedingung ist, namlich die Maxime cles Tu n s , den Anfan g machen, un d die des W i s s e n s , oder theoretischen Glauhens, nur die Befestigung und Vollendung der erstern hewirken. Hiehei kann noch angemerkt werden, daE nach dem ersten Prinzip der Glauhe (namlich der an eine l stellvertretende Genugtuung) dem Menschen zur Pflicht, dagegen der Glauhe des guten Lehenswandels, als durch hohern EinfluE gewirkt, ihm zur Gnade angerechnet werden wiirde. - Nach dem zwei­ ten Prinzip aher ist es umgekehrt. Denn nach diesem ist der g u t e L e h e n s w a n d e l , als oherste Bedingung der Gnade, unhedingte P f l i c h t , dagegen di e hohere Genugtuung eine hloEe G n a d e n s a c h e . - Dem erstern wirft man (oh nicht mit Unrecht) den gottesdienstlichen A h e r g l a u h e n vor, der einen straflichen Lehenswandel doch mit der Religion zu verei­ nigen weill ; dem zweiten den n a t u r a l i s t i s c h e n U n g l a u ­ h e n , welcher mit einem sonst vielleicht auch wohl exemplari­ schen Lebenswandel Gleichgiiltigkeit, oder wohl gar Wider­ setzlichkeit gegen alle Offenbarung verbindet. - Das ware aher den Knoten (durch eine praktische Maxime) zerhauen, anstatt ihn ( theoretisch ) aufzulosen , welches a u ch allerdings in Religionsfragen erlaubt ist. - Zur Befriedigung des letzteren Ansinnens kann indessen Folgendes dienen . - Der lebendige Glauhe an das Urbild der Gott wohlgefalligen Menschheit (den Sohn Gottes) a n s i c h s e l h s t ist auf eine moralische Ver­ nunftidee hezogen , sofern diese uns nicht allein zur Richt­ schnur, sondern auch zur Triebfeder dient, und also einerlei, ob ich von ihm, als r a t i o n a l e m Glauhen, oder vom Prinzip cles guten Lebenswandels anfange. Dagegen ist der Glaube an eben

TII . LA VIITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 173 - 174] 2 8 1

nai e, non il risultato di un influsso a sua volta esterno e da noi ac cett ato passivamente. Si tratta infatti di un comando incon­ diz ion ato, ed è quindi necessario che l'uomo ne faccia la mas­ sim a fondamentale della sua fede, cioè che ponga il migliora­ m ent o della propria vita come condizione suprema e unica della p ossibilità di una fede beatificante. La fede ecclesiale, in quanto fede storica, inizia giustamen­ te dal primo requisito. Poiché però essa contiene soltanto il veicolo per la fede religiosa pura (nella quale consiste il fine vero e proprio ) , è allora necessario che l'inizio autentico sia costituito dalla condizione della fede religiosa pura in quanto fede pratica, cioè dalla massima dell' a g i r e , e che la massima del s a p e r e , cioè della fede teoretica, si limiti a confermare e integrare la prima. Al riguardo si può ancora osservare che, in base al primo principio, la fede (in un'espiazione l per interposta persona) sarebbe un dovere dell'uomo, mentre la fede della buona con­ dotta, in quanto causata da un influsso superiore, gli verrebbe conferita per grazia. In base al secondo principio, invece, si ha p roprio il con­ trari o . Qui , infatti, la suprema condizione della grazia, il d o v e r e incondizionato, è la b u o n a c o n d o t t a , mentre l'espiazione ottenuta dall'alto è un semplice a f f a r e d e I l a graz1a. Al primo principio si rimprovera (spesso non a torto) di fomentare la s u p e r s t i z i o n e cultuale, la quale sa unire una condotta di vita riprovevole con la religione . Al secondo si rimprovera invece di favorire l' i n c r e d u l i t à n a t u r a ­ l e , la quale a una condotta di vita anche esemplare associa un'indifferenza, o addirittura un' aperta ostilità, verso ogni rivelazione. Ma giudicare in questo modo è come tagliare il nodo (con una massima pratica) , invece di scioglierlo (teoreticamente) operazione , del resto, senz'altro consentita in materia di reli­ gione. In ogni caso, l'istanza teoretica può essere soddisfatta con la discussione che segue. La fede viva nel modello originario dell'umanità gradita a Dio (la fede nel Figlio di Dio) si riferisce, i n s e s t e s s a , a un'idea razionale morale, perché questa idea non funge sol­ tanto da norma direttiva, bensì anche da movente. È dunque la stessa cosa iniziare da questa fede, in quanto fede r a z i o n a l e , oppure dal principio della buona condotta.

282 [174-176]

LA REUGIONE

dasselbe Urbild i n d e r E r s c h e i n u n g (an den Gottmen­ schen), als e m p i r i s c h e r (histori l scher) Glaube, nicht einer­ lei mit dem Prinzip des guten Lebenswandels (welches ganz rational sein muB) , und es wiire ganz etwas anders, von einern solchen t anfangen, und daraus den guten Lebenswandel ablei­ ten zu wollen. Sofem wiire also ein Widerstreit zwischen den obigen zwei Satzen. Allein in der Erscheinung des Gottm en­ schen ist nicht das, was von ihm in die Sinne fiillt , oder durch Erfahrung erkannt werden kann, sondem das in unsrer Ver­ nunft liegende, Urbild, welches wir dem letztem unterlegen (weil, so viel sich an seinem Beispiel wahmehmeri laBt, er jen ern gemaB befunden wird), eigentlich das Objekt des seligmachen­ den Glaubens, und ein solcher Glaube ist einerlei mit dern Prinzip eines Gott wohlgefalligen Lebenswandels. - Also sind hier nicht zwei an sich verschiedene Prinzipien, von deren einem oder dem andem anzufangen entgegengesetzte Wege einzuschlagen wiiren, sondem nur eine und dieselbe praktische Idee, von der wir ausgehen, einmal, so fem sie das Urbild als in Gott bdìndlich, und von ihm ausgehend, ein andermal, sofem sie es, als in uns befindlich, beidemal aber, sofern sie es als RichtmaB unsers Lebenswandels vorstellt; und die Antinomie ist also nur scheinbar; weil sie eben dieselbe praktiscqe Idee, nur in verschiedener Beziehung genommen , durch einen MiBverstand l fi.ir zwei verschiedene Prinzipien ansieht. Wollte man aber den Geschichtsglauben an die Wirklichkeit einer solchen einmal in der Welt vorgekommenen Erscheinung zur Bedingung des allein seligmachenden Glaubens machen, so wiiren es allerdings zwei ganz verschiedene Prinzipien (das eine empirisch, das andre rational), i.iber die, ob man von einem oder dem andem ausgehen und anfangen mi.iBte, ein wahrer Widerstreit der Maximen eintreten wi.irde, den aber auch keine Vemunft je wi.irde schlichten konnen. - Der Satz: Man muB glauben , daB es einmal einen Menschen , der durch seine Heiligkeit und Verdienst sowohl fur sich (in Ansehung seiner Pflicht) als auch fi.ir alle andre (und deren Ermangelung in

t Der die Existenz einer solchen Person auf historische Beweistiimer griin den mtill .

Jil. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 174 -1761 283

Per contro, la fede nel f e n o m e n o del modello origina­ rio (la fede nell'Uomo-Dio), in quanto fede e m p i r i c a (sto­ ri ca) , l non si identifica affatto con il principio della buona con dotta (il quale dev'essere necessariamente e interamente razionale). Sarebbe quindi una cosa del tutto diversa iniziare da un a tale fede t e volerne poi desumere la buona condotta. In tal senso, dunque, si avrebbe un conflitto fra le due tesi in qu estione. Sennonché, nel fenomeno dell'Uomo-Dio, il vero e pro­ p rio oggetto della fede beatificante non è ciò che di lui cade sotto i sensi o può essere conosciuto con l'esperienza; questo oggetto è piuttosto lo stesso modello originario che, insito n ella n o s t r a r a g i o n e , n o i p o n i a m o a p p u n t o a l l a b a se dell'Uomo-Dio (e ciò avviene perché costui, per quanto è pos­ sibile desumere dal suo esempio empirico, viene trovato conforme a t ale modello) . Perciò la fede beatificante coincide con il principio di una condotta di vita gradita a Dio. Qui non ci sono dunque due princìpi in sé diversi, dai quali di dipartirebbero due vie opposte l'una all'altra. Ci tro­ viamo invece davanti a un'unica e medesima idea pratica, ed essa costituisce il nostro unico punto di partenza perché, (a) in un caso, raffigura il modello originario come esistente in Dio e procedente da Dio, e, (b) nell 'altro caso, come esistente in noi: in entrambi i casi, però, essa presenta tale modello come regola della nostra condotta. L' antinomia è dunque solo apparente, perché per un malinteso essa crede di scorgere due princìpi diversi in quella che è invece la medesima idea prati­ ca assunta l sotto due prospettive diverse. S e p e rò si volesse fare della fe d e storica nella realtà dell'Uomo-Dio, in questa apparizione avvenuta una volta nel mondo, la condizione dell'unica fede beatificante, allora sì che ci sarebbero due princìpi completamente diversi (l'uno empirico, l'altro razionale) , e su tali princìpi, da qualunque di essi si partisse, avrebbe luogo un vero conflitto delle massime, che nessuna ragione potrebbe mai ricomporre. Si prenda infatti la proposizione seguente: «Che una volta sia esistito un uomo il quale, in virtù della sua santità e dei suoi meriti, ha espiato tanto per sé (compiendo il proprio dovere) quanto per tutti gli altri (e per la loro imperfezione t La quale deve necessariamente fondare l'esistenza di questo Uomo-Dio su prove storiche.

284 [ 176-178]

LA RELIGIONE

Ansehung ihrer Pflicht) genug getan, gegeben habe (wovon uns die Vernunft nichts sagt), um zu hoffen, da..B wir selbst in einem guten Lebenswandel, doch nur kraft jenes Glaubens, selig wer­ den konnen, dieser Satz sagt ganz etwas anders, als folgender: man mu.B mit alleo Kriiften der heiligen Gesinnung eines Gott wohlgefiilligen Lebenswandels nachstreben , um glauben zu konnen, da.B die (uns schon durch die Vernunft versicherte) Liebe desselben zur Menschheit, sofern sie seinem Willen nach allem ihrem Verméigen nachstrebt, in Riicksicht auf die redliche Gesinnung, den Mangel der Tat, auf welche Art es auch sei, erganzen werde. - Das erste aber steht nicht in jedes (auch des ungelehrten) Menschen Vermogen . Die Geschichte beweist, da..B in alleo Re l ligionsformen dieser Streit zweier Glaubens­ prinzipien obgewaltet hat; denn Expiationen hatten alle Reli­ gionen, sie mochten sie nun setzen , worein sie wollten. Die moralische Anlage in jedem Menschen aber ermangelte ihrer seits auch nicht, ihre Forderungen horen zu lassen. Zu aUer Zeit klagten aber doch die Priester mehr, als die Moralisten ; jene namlich laut (und unter der Aufforderung an Obrigkeiten, dem Unwesen zu steuern) iiber Vernachliissigung des Gottes­ dienstes, welcher, das Volk mit dem Himmel zu versohnen, und Ungliick vom Staat abzuwenden, eingefiih rt war; diese dagegen iiber den Verfall der Sitten, den sie sehr auf die Rechnung jener Entsiindigungsmittel schrieben, wodurch die Priester es jeder­ mann leicht machten, sich wegen der grobsten Laster mit der Gottheit auszusohnen. In der Tat, wenn ein unerschopflicher Fonds zu A b zahlung gemachter oder noch zu m a chender Schulden schon vorhanden ist, da man nur hinlangen darf (und bei allen Anspriichen, die das Gewissen tut, auch ohne Zweifel zu allererst hinlangen wird) , um sich schuldenfrei zu machen, indessen da6 der Vorsatz des guten Lebenswandels, bis man wegen jener allererst im Reinen ist, ausgesetzt werden kann: so kann man sich nicht leicht andre Folgen eines solchen Glau­ bens denken . - Wiirde aber sogar dieser Glaube selbst so vor­ gestellt, als oh er eine so besondere Kraft und einen solchen mystischen (oder magischen) Einflu6 habe, da6, oh er zwar, so viel wir wissen, fii r blo6 historisch gehalten l werden solite, er doch , wenn man ihm , und den damit verbundenen Gefiihlen nachhangt, den ganzen Menschen von Grunde aus zu bessero ( einen neuen Menschen aus ihm zu machen) im Stande sei: so

Jll. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[176- 178) 285

nel compiere il loro dovere) , è necessario crederlo affinché con una buona condotta, ma comunque solo in forza di que­ s t a fe d e , si p o s s a s p erare di diventare noi s t essi b e a t i » . Eb bene, tale proposizione, in merito alla quale la ragione non ha nulla da dirci, enuncia qualcosa di completamente diverso da quest' altra proposizione, rispetto alla quale invece la ragio­ n e stessa ci dà sicurezza: «Bisogna tendere con tutte le forze a in stau rare in noi l' intenzione santa a condurre una vita gradita a Dio, per poter credere che il Suo amore per l ' um anità nella misura in cui l'umanità stess a cercherà di fare tutto il possibile per eseguire la volontà divina - completerà in qual­ che modo l'imperfezione del nostro atto con riguardo all'one­ stà dell'intenzione». Il principio empirico della fede, però, non fa presa su ogni uomo (neppure su ogni uomo ignorante) . La storia dimostra che in ogni l forma religiosa si è imposto questo conflitto fra i due princìp i di fede; tutte le religioni hanno infatti amm esso, ciascuna a suo modo, delle espiazioni, contro le quali la dispo­ sizione morale insita in ogni uomo non ha mai mancato di far valere le proprie esigenze. E, in ogni epoca , sono sempre stati i preti a lamentarsi più dei moralisti; i preti, cioè, hanno sem­ pre protestato ad alta voce (e intimando alle autorità di porre rimedio al disordine) contro l'inosservanza del culto divino, istituito per riconciliare il popolo con il cielo e per allontanare le calamità dallo Stato, mentre i moralisti hanno deplorato la decadenza dei costumi, ascrivendone per lo più la causa pro­ prio a quei mezzi di remissione dei peccati con cui i preti faci­ litavano a tutti, malgrado i vizi più gravi , la riconciliazione con la divinità. In effetti, nel momento in cui si ha a disposi­ zione un fondo inesauribile cui attingere per riscattare tutti i debiti presenti e futuri (e non si tarderà certo ad attingervi, malgrado tutte le proteste della coscienza ) , e dato che il pro­ posito di una buona condotta può essere lecitamente rinviato fino a quando non ci si sarà sdebitati completamente , è allora difficile immaginare che la fede empirica produca conseguen­ ze diverse dalla corruzione dei costumi. Se poi questa stessa fede (che, per quanto ne sappiamo, dev'essere intesa semplicemente in senso storico) fosse pre­ sentata come dotata di una forza speciale e di un' influenza mistica (o m agica) tale da essere in condizione, l una volta accolti i sentimenti che essa comporta, di migliorare sostan­ zialmente tutto l'uomo (di farne un uomo nuovo) , allora biso-

286 [178- 179]

LA RELIGIONE

mi.illte dieser Glaube selbst als unmittelbar vom Himmel (mit und unter dem historischen Glauben) erteilt und eingegeben angesehen werden, wo denn alles selbst mit der moralischen Beschaffenheit des Menschen zuletzt auf einen unbedingten RatschluE Gottes hinauslauft: «er erbarmet sich, welches er will, un d v e r s t o c k e t , welchen er will», * welches, nach dem Buchstaben genommen, der salto mortale der menschlichen Vernunft ist. l Es ist also eine notwen dige Folge der physischen und zugleich der moralischen Anlage in uns, welche letztere die Grundlage und zugleich Auslegerin aller Religion ist, daE diese endlich von allen empirischen Bestimmungsgriinden, von allen Statuten, welche auf Geschichte beruhen, und die vermittelst eines Kirchenglaubens provisorisch die Menschen zur Be­ forderung des Guten vereinigen, allmahlich losgemacht werde, und so reine Vernunftreligion zuletzt iiber alle herrsche, «damit Gott sei alles in allem». - Die Hiillen, unter welchen der Em­ bryo sich zuerst zum Menschen bildete, miissen abgelegt wer­ den, wenn er nun an das Tageslicht treten soli. Das Leitband der heiligen Ù berlieferung, mit seinen Anhangseln, den Sta­ tuten und Observanzen, welches zu seiner Zeit gute Dienste tat, wird nach und nach entbehrlich, ja endlich zur Fesse!, '

* Das kann wohl so ausgdegt werden: kein Mensch kann mit Gewillheit sagen, woher dieser ein guter, jener ein boser Mensch (beide comparative) wird, da oftmals die Anlage zu diesem Unterschiede schon in der Gebun anzutreffen zu sein scheint, bisweilen auch Zufiilligkeiten cles Lebens, fur die niemand kann, hierin einen Ausschlag geben; eben so wenig auch, was aus ihm werden konne. Hierii ber miissen wir also das Urteil dem Allsehen den iiberlassen, wdches hier so ausgedruckt wird, als ob, ehe sie geboren wurden, sein RatschluE, iiber sie ausgesprochen , einem jeden seine Rolle vorgezeich­ net habe, di e er einst spielen solite. D as V o r h e r s e h e n ist in der Ordnung der Erscheinungen fur den Welturheber, wenn er hiebei selbst anthropopa­ thisch gedacht wird, zugleich ein V o r h e r b e s c h l i e E e n . In der iibersinn­ lichen Ordnung der Dinge aber nach Freiheitsgesetzen , wo die Zeit wegfiillt , ist es bloE ein a l l s e h e n d e s W i s s e n , ohne, warum der eine Mensch so, der andere nach entgegengesetzten l Grundsiitzen verfah n , erkliiren, und doch auch zugleich mit der Freiheit des Willens vereinigen zu konnen.

TII. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[178-179] 287

gnerebbe considerarla come donata e infusa in noi diretta­ mente dal cielo (con e mediante la fede storica) . In tal caso ogni cosa, inclusa anche la costituzione morale dell'uomo, si ridurrebbe in definitiva a un decreto incondizionato di Dio: «Egli è misericordioso con chi vuole, e i n d u r i s c e chi v uole»* 97 - frase che, presa alla lettera, è il salto mortale della ragione umana. l

È dunque una conseguenza necessaria della nostra disposi­ zione fisica e, a un tempo, anche di quella morale (la quale è sia la base fondamentale, sia l'interprete di ogni religione) il fatto che la religione venga infine liberandosi gradualmente da tutti i motivi determinanti empirici, da tutti gli statuti di natura storica, i quali, per mezzo di una fede ecclesiale, riuni­ scono provvisoriamente gli uomini per promuovere il Bene. In tal modo, è necessario che alla fine la religione razionale pura domini su tutte le altre religioni «affinché Dio sia tutto in tutti» 98. Perché l'embrione venga alla luce, è necessario che sia rimosso l'involucro nel quale esso ha preso forma umana. Così, quando l'uomo entra nella giovinezza, le dande affibbia­ tegli dalla tradizione sacra - con le loro appendici, cioè gli sta­ tuti e le osservanze che pure un temp o avevano reso buoni servizi - diventano sempre più inutili e alla fine si trasformano *

Questa frase può essere interpretata nel modo seguente:Nessuno può dire con certezza per quaJe motivo un uomo sia buono e un altro cattivo (entrambi comparative) , dato che spesso la disposizione a essere in un modo o nell'aJtro sembra presente in ognuno fin dalla nascita, mentre altre volte si fa sentire l'influsso decisivo delle eventuaJità della vita, sulle quali nessuno può null a ; a maggior ragione, nessuno può dire che ne sarà di se stesso. Su questo punto, dunque, dobbiamo rimetterei aJ giudizio di Colui che vede ogni cosa. Ora, nella frase in questione, questo giudizio viene presentato come se Dio avesse emanato un decreto sugli uomini prima ancora della loro nascita, assegnando a ciascuno un ruolo ben preciso. In realtà, l'impressione è dovuta al fatto che nell'ordine fenomenico, quando si parla di preveggenza del creatore del mondo, specie se di Dio abbiamo un concetto antropopatico, si intende immediatamente una prede­ stinazione. Nell'ordine delle cose soprasensibili, però, dove vigono le leggi della libertà e il tempo non esiste, «prevedere» significa semplicemente sapere onniveggente - senza che con ciò ci sia possibile spiegare perché un uomo si comporta in un modo e un aJtro segue invece l princìpi opposti, e senza che ci sia possibile conciliare questo sapere divino onniveggente con la libertà della volontà umana .

288 [179-181]

LA RELIGIONE

wenn er in das Jiinglingsalter eintritt. So lange er (die Men­ schengattung) «ein Kind war, war er klug als ein Kind» und wuBte mit Satzungen, die ihm ohne sein Zutun auferlegt wor­ den, auch wohl Gelehrsamkeit, ja sogar eine der Kirche dienst­ bare Philosophie zu verbinden; «nun er aber ein Mann wird, legt er ab, was kindisch ist». Der erniedrigende Unterschied zwischen L a i e n un d K l e r i k e r n hort auf, un d Gleichheit entspringt aus der wahren l Freiheit, jedoch ohne Anarchie, weil ein jeder zwar dem (nicht statutarischen) Gesetz gehorcht, das er sich selbst vorschreibt, das er aber auch zugleich als den ihm durch die Vernunft geoffenbarten Willen des Welthetr· schers ansehen muB, der alle unter einer gemeinschaftlichen Regierung unsichtbarer Weise in einem Staate verbindet, wel­ cher durch die sichtbare Kirche vorher durftig vorgestellt und vorbereitet war. - Das alles ist nicht von einer auBeren Revolution zu erwarten, die stii rmisch und gewaltsam ihre von Gliicksumstanden sehr abhangige Wirkung tut, in welcher, was bei der Griindung einer neuen Verfassung einmal versehen worden, Jahrhunderte hindurch mit Bedauern beibehalten wird, weil es nicht mehr, wenigstens nicht anders , als durch eine neue (jederzeit gefahrliche) Revolution abzuandern ist. In dem Prinzip der reinen Vernunftreligion, als einer �n alle Menschen bestandig geschehenen gottlichen (oh zwar .!licht empirischen) Offenbarung, muB der Grund zu jenem Uber­ schritt zu jener neuen Ordnung der Dinge liegen, welcher, ein­ mal aus reifer Oberlegung gefaBt, durch allmahlich fortgehende Reform zur Ausfiihrung gebracht wird, so fem sie ein menschli­ ches Werk sein soll; denn was Revolutionen betrifft, die diesen Fortschritt abkiirzen konnen, so bleiben sie der Vorsehung iiberlassen, und lassen sich nicht planmaBig, der Freiheit unbe­ schadet, einleiten. - l Man kann aber mit Grunde sagen: «daB das Reich Gottes zu uns gekommen sei», wenn auch nur das Prinzip des allmah­ lichen Uberganges des Kirchenglaubens zur allgemeinen Ver­ nunftreligion, und so zu einem (gottlichen) ethischen Staat auf Erden, allgemein, un d irgendwo auch o f f e n t l i c h Wurzel gefaBt hat: obgleich die wirkliche Errichtung desselben noch in unendlicher Weite von uns entfernt liegt. Denn, weil dieses Prinzip den Grund einer kontinuierlichen Anniiherung zu die­ ser Vollkommenheit enthalt, so liegt in ihm als in einem sich

III. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 179- 181] 289

addirittura in catene. Per tutto il tempo in cui l'uomo (il gene­ re umano) «è stato bambino, è stato prudente come un bam­ bino», e ha saputo conciliare i dogmi impostigli senza il suo consenso con una dottrina e persino con una filosofia al servi­ zio della chiesa; «ma, fattosi uomo, si spoglia di ciò che è infantile» 99. Allora scompare l'umiliante differenza fra l a i c i e c h i e r i c i , e l'uguaglianza scaturisce dalla vera ! libertà: una libertà senza però anarchia, perché ciascuno, sebbene obbedisca alla legge (non statutaria) che egli prescrive a se stesso, deve a un tempo scorgere in essa anche la volontà del Signore del mondo, rivelatagli mediante la ragione - ed è que­ sto Signore a raccogliere invisibilmente, sotto un governo comune, tutti gli uomini in quell'unico Stato che, in prece­ denza, era solo inadeguatamente prefigurato e preparato dalla chi esa visibile. Ora, tale trasformazione non bisogna attendersela da una rivoluzione esterna, perché questa produce i suoi effetti con tumulti e violenze, e in gran parte secondo circostanze fortui­ te, per cui gli errori commessi nel fondare la nuova costituzio­ ne si manterrebbero per secoli, magari con grande rincresci­ mento, giacché sarebbero rimediabili solo mediante una nuova rivoluzione (sempre pericolosa). Il fondamento di quel passaggio a un nuovo ordine di cose va invece collocato nel principio della religione razionale pura, intesa come rivelazione divina (non empirica) che avvie­ ne continuamente in tutti gli uomini. E tale passaggio, una volta deciso dopo matura riflessione, viene attuato mediante una serie graduale di riforme progressive, in quanto dev'esse­ re appunto un'opera umana; le rivoluzioni che potrebbero accelerare questo progresso, infatti, sono nelle mani della Provvidenza, e agli uomini non è dato pianificarle senza met­ tere_a repentaglio la loro libertà. l E tuttavia legittimo dire «che il regno di Dio è già giunto in mezzo a noi» 100 , ed è presso di noi nonostante che il princi­ pio del passaggio graduale dalla fede ecclesiale alla religione razionale universale - e quindi a uno Stato etico (divino) sulla terra - abbia messo radici unicamente in generale, e solo in qualche luogo anche p u b b l i c a m e n t e : nonostante che l'avvento reale di un tale Stato sia ancora indefinitamente lon­ tano da noi. Infatti, poiché tale principio contiene il fondamento di un avvicinamento continuo a questa perfezione, in esso - come in

290 [181]

LA RELIGIONE

entwickelnden, und in der Folge wiederum besamenden Keime das G anze (unsichtbarer Weise ) , welches dereinst die Welt erleuchten und beherrschen soli. Das Wahre und Gute aber, wozu in der Naturanlage jedes Menschen der Grund, sowohl der Einsicht als des Herzensanteils liegt, ermangelt nicht, wenn es e i n m a l èiffentlich geworden , vermèige der n a tiirlichen Affinitat, in der es mit der moralischen Anlage verniinftiger Wesen iiberhaupt steht, sich durchgiingig mitzuteilen . Die Hemmungen • durch politische biirgerliche Ursachen, die sei­ ner Ausbreitung von Zeit zu Zeit zustoEen mèigen, dienen eher dazu, die Vereinigung der Gemiiter zum Guten (was, nachdem sie es einmal ins Auge gefaEt haben, ihre Gedanken nie verliiEt) noch desto inniglicher zu machen. * l * Dem Kirchenglauben kann, ohne daB man ihm weder den Dienst auf­ sagt, noch ihn befehdet, sein niitzlicher Einflu.B l als eines Vehi.kels erhalten, und ihm gleichwohl als einem Wahne von gottesdienstlicher Pflicht aller EinfluB auf den Begriff der eigentlichen (niimlich moralischen) Religion abge· nommen werden, und so, bei Verschiedenheit statutarischer Glaubensarten, Vertraglichkeit der Anhiinger derselben unter einander durch die Grundsiitze der einigen Vernunftreligion, wohin die Lehrer alle jene Satzungen und Ob. servanzen auszulegen haben, gestiftet werden; bis man mit der Zeit, venniige der iiberhandgenommenen wahren Aufklarung (einer Gesetzlichkeir.. die aus der moralischen Freiheit hervorgeht) mit jedennanns Einstimrnung die Fonn eines erniedrigenden Zwangsrnittels gegen eine kirchliche Forrn die der Wiirde einer moralischen Religion angemessen ist, narnlich die eines freien Glaubens vert aus chen kann. - Die kirchliche Glaubenseinheit mit der Freiheit in Glaubenssachen zu vereinigen, ist ein Proble m , zu dessen Aufliisung die Idee der objekriven Einheit der Vemunftreligion durch das rnoralische Interesse, welches wir an ihr nehmen, kontinuierlich antreibt, wel­ ches aber in einer sichtbaren Kirche zu Stande zu bringen, wenn wir hieriiber die rnenschliche Natur befragen, wenig Hoffnung vorhanden ist. Es ist eine Idee der Vernunft, deren Darstellung in einer ihr angemessenen Anschauung uns unmiiglich ist, die aber doch als praktisches regulatives Prinzip objektive Realitat hat, um auf diesen Zweck, der Einheit der reinen Vernunftreligion, hinzuwirken. Es geht hierrnit, wie rnit der politischen Idee eines Staatsrechts, so fern es zugleich auf ein allgemeines und m a c h t h a b e n d e s Viilkerrecht bezogen werden soli. Die Erfahrung spricht uns hierzu alle Hoffnung ab . Es sch eint ein Hang in das l menschliche Geschlecht (vielleicht absichtlich ) gelegt zu sein, dail ein jeder einzelne Staat , wenn es ihm nach Wunsch geht, sich jeden andern zu unterwerfen, und eine Universalmonardùe zu errichten, strebe; wenn er aber eble gewisse GriiBe erreicht hat, sich doch von selbst in kleinere Staaten zersplirterte. So hegt eine jede Kirche den stolzen Anspruch, eine allgerneine zu werden; so wie sie sich aber ausgebreitet hat, und herr­ schend wird, zeigt sich bald ein Prinzip der Aufliisung und Trennung in ver· schiedene Sekten .t t Das zu friihe und dadurch (daB es eher kommt , als die Menschen 8

Hemmungen AA; Hemmung A, B.

III. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[181] 291

un germe che, sviluppandosi, si moltiplica fecondando me­ diante i suoi semi - è racchiuso (invisibilmente) quel Tutto che un giorno dovrà illuminare e dominare il mondo. Il Vero e il Bene poi, verso cui per diposizione naturale ogni uomo tende con la mente e con il cuore, non mancano mai, una volta divenuti pubblici, di comunicarsi a tutti in virtù della loro affinità naturale con la disposizione morale degli esseri raz ionali in generale. E gli ostacoli che, di volta in volta, cause politico-civili possono frapporre alla loro diffusione, servono piuttosto a rendere più intima l'unione degli animi in vista del B ene (il quale, una volta conosciuto dagli uomini, non abban­ d ona più il loro pensiero)*. l * All a fede ecclesiale si può senz' altro riconoscere e far mantenere il suo utile influsso l in qualità di veicolo, senza rifiutame i servigi e senza combat­ terla, purché però le si impedisca, essendo troppo gravata da ill usori doveri cultuali, di influire sul concetto della religione autentica (la religione morale). In tal modo, nonostante la diversità fra le fedi statutarie, è possibile stabilire una reciproca comprensione fra i loro seguaci mediante i princìpi della reli­ gione razionale unica: è infatti in base a questi princìpi che i dottori devono spiegare tutti i dogmi e tutte le pratiche cultuali delle diverse fedi, affinché si possa imporre col tempo, grazie al prevalere del vero illu minismo (c:oè, di una legalità procedente dalla libertà morale), una forma ecclesiale adeguata alla dignità della religione morale. Solo allora una tale forma, che è la forma di una fede libera, sostituirà definitivamente in un'accordo unanime le forme avvilenti delle fedi coercitive. La conciliazione dell'unità della fede ecclesiale con la libertà in materia di fede è un problema alla cui soluzione siamo continuamente sollecitati dall ' i­ dea dell'unità oggettiva della religione razionale, mediante l'interesse morale che essa suscita in noi. Se però al riguardo interroghiamo la natura umana, ci rendiamo subito conto che non abbiamo molte speranze di realizzare questa conciliazione in una chiesa visibile. Si tratta infatti di un'idea razionale che è impossibile raffigurare in un'in­ tuizione che le sia perfettamente adeguata. Essa, tuttavia, in quanto è un prin­ cipio regolativo pratico, ha quella realità oggettiva sufficiente a influenzare il raggiungimento del fine dell'unità della religione razionale pura. Una situazione analoga la si riscontra con l'idea politica di un diritto sta­ tuale che dovrebbe a un tempo accordarsi con un diritto internazionale, uni­ versale e m u n i t o d i p o t e r e . L'esperienza ci toglie in proposito ogni speranza. Sembra quasi che nel genere umano l sia stata posta (forse voluta­ mente ) una tendenza per cui ogni singolo Stato, qualora abbia la fortuna dalla sua, mira ad assoggettare tutti gli altri e a fondare una monarchia universale, ma, una volta giunto a una certa grandezza, si disgrega da se stesso in tanti Stati minori 1 0 1 • Allo stesso modo, ogni chiesa nutre la superba pretesa di diventare uni­ versale; ma, una volta propagatasi e divenuta dominante, si manifesta ben pre­ sto un principio che la porta a dissolversi e dividersi in tante sette diverse t .

t L a fusione prematura degli Stati, quale s i avrebbe prima che gli uomini

LA RELIGIONE

292 [182 - 1 84] * * *

Das ist also die, menschlichen Augen unbemerkte, aber bestiindig fortgehende Bearbeitung des guten Prinzips, sich irn menschlichen Geschlecht, als einem l gemeinen Wesen na ch Tugendgesetzen, eine Macht und ein Reich zu errichten, wel­ ches den Sieg iiber das Bose behauptet, und unter seiner Herrschaft der Welt einen ewigen Frieden zusichert. ZWEITE ABTEILUNG

H ISTORISCHE VORSTELLUN G D E R ALLMÀHLICHEN GRÙNDUNG DER HERRS CHAFT D E S GUTEN PRINZIPS AUF ERDEN Von der Religion auf Erden (in der engsten Bedeutung des Worts) kann man keine U n i v e r s a l h i s t o l r i e des menschli­ chen Geschlechts verlangen; denn die ist, als auf dem reinen m oralischen Glauben gegriindet, kein offentlicher Zustand , sondem jeder kann sich der Fortschritte, die er in demselben gemacht hat, nur fiir sich selbst bewu.Bt sein. Der K.irchen­ glaube ist es daher allein, von dem man eine allgemeine histori­ sche Darstellung erwarten kann; indem man ihn, nach seiner verschiedenen und veranderlichen Form, mit dem alleinigen, unveranderlichen, reinen Religionsglauben vergleicht. Von da an, wo der erstere seine Abhangigkeit von den einschranken­ den Bedingungen des letztern, und der Notwendigkeit der Zusammenstimmung mit ihm offentlich anerkennt, fangt die a I l g e m e i n e K i r c h e an, sich zu einem ethischen Staat Got­ tes zu bilden, und nach einem feststehenden Prinzip, welches fiir alle Menschen und Zeiten ein und dasselbe ist, zur Vol­ lendung, desselben fortzuschreiten. - Man kann voraussehen, da.B diese Geschichte nichts, als die Erzahlung von dem bestiin­ digen Kampf zwischen dem gottesdienstlichen und dem mora­ lischen Religionsglauben sein werde, deren ersteren, als Ge­ schichtsglauben, der Mensch bestandig geneigt ist oben anzu­ setzen, anstatt da.B der letztere seinen Anspruch auf den Vormoralisch besser geworden sind) schadliche Zusammenschmelzen der Staa­ ten wird - wenn es uns erlaubt ist, hierin eine Absicht der Vorsehung anzu­ nehmen - vornehmlich durch zwei rnachtig wirkende Ursachen, namlich Ver­ schiedenheit der Sprachen und Verschiedenheit der Religionen, verhindert.

m. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 182- 184] 293

* * *

È questo dunque il lavoro non visto da occhi umani, ma in con tinuo progresso, che il principio buono compie per instau­ rarsi nel genere umano come l in una comunità retta dalle leggi della virtù, e per costituire una potenza e un regno che attestino la sua vittoria sul Male e assicurino al mondo una p ace perpetua sotto il suo dominio. PARTIZIONE SECONDA

RAPPRESENTAZIONE STORICA DELLA FONDAZIONE GRADUALE DEL DOMINIO DEL PRINCIPIO BUONO SULLA TERRA La religione sulla terra (nel senso più stretto della parola «religione») non può essere fatta oggetto di nessuna s t o r i a u n i v e r s a l e l del genere umano. In questo senso, infatti, la religione è fondata sulla fede morale pura e non è quindi una condizione pubblica, bensì ognuno può avere consapevolezza solo dei progressi personali fatti in questa fede. La fede ecclesiale è perciò l'unica di cui ci si possa atten­ dere un'esposizione storica generale, e ciò avviene quando si confrontano le sue forme diverse e mutevoli con l'unica e immutabile fede religiosa pura. N el momento in cui la fede ecclesiale riconosce pubblicamente la sua dipendenza dalle condizioni limitanti poste dalla fede religiosa pura e la neces­ sità di accordarsi con essa, la c h i e s a u n i v e r s a l e inizia ad assumere la forma di uno Stato etico retto da Dio, e, secondo un principio stabile che è identico per tutti gli uomi­ ni e per tutte le epoche, avvia il proprio progresso inarrestabi­ le verso la realizzazione piena di questo Stato. È facile prevedere che questa storia non sarà altro che la narrazione della lotta continua tra la fede cultuale e la fede religiosa morale . L'uomo è infatti costantemente incline a porre più in alto la fede cultuale, in quanto fede storica; dal canto suo, invece, la fede religiosa pura non ha mai smesso di siano divenuti moralmente migliori, comporterebbe molte conseguenze noci­ Ora, se ci è permesso ammettere qui un disegno della Provvidenza, questa fusione prematura è impedita soprattutto da due cause molto potenti : la varietà delle lingue e la diversità delle religioni.

ve.

294 [184-1 86]

LA RELIGIONE

zug, der ihm als allein seelenbessemden Glauben zukommt, nie aufgegeben hat, und ìhn endlich gewill behaupten wird. Diese Geschichte kann aber nur Einheit haben, wenn sie bloB auf denjenigen Teil cles menschlichen l Geschlechts einge­ schrankt wird, bei welchem jetzt die Anlage zur Einheit der all­ gemeinen Kirche schon ihrer Entwickelung nahe gebracht ist, indem durch sie wenigstens die Frage, wegen cles Unterschieds des Vernunft- und Geschichtglaubens schon offen_tlich aufge­ stellt, und ìhre Entscheidung zur groBten moralischen Angele­ genheit gemacht ist; denn die Geschichte der Satzungen ver­ schiedner • Volker, deren Glaube in keiner Verbindung unter einander steht, gewahrt sonst keine Einheit der Kirche. Zu die­ ser Einheit aber kann nicht gerechnet werden: daB in einem und demselben Volk ein gewisser neuer Glaube einmal ent­ sprungen ist, der sich von dem vorher herrschenden namh aft unterschied; wenn gleich dieser die v e r a n l a s s e n d e n Ur­ sachen zu des neuen Erzeugung bei sich fiihrte. Denn es muE Einheit des Prinzips sein, wenn man die Folge verschiedner Glaubensarten nacheinander zu den Modifik.ationen einer und derselben Kirche rechnen soli, und die Geschichte der letztem ist es eigentlich, womit wir uns jetzt beschaftigen. Wir konnen also in dieser Absicht nur die Geschichte derje­ nigen Kirche, die von ihrem ersten Anfange an den Keim und die Prinzipien zur objektiven Einheit cles wahren un d a l l g e . m e i n e n Religionsglaubens bei sich fiihrte, dem sie allmahlich niiher gebracht wird, abhandeln . - Da zeigt sich nun zuerst: daB der j ii d i s c h e Glaube mit diesem Kirchenglauben, des­ sen Geschichte wir betrachten wollen, in ganz und gar kei l ner wesendichen Verbindung, d.i. in keiner Einheit nach Begriffen steht, oh zwar jener unmittelb ar vorhergegangen , und z u r G riindung dieser (der chris tlichen) Kirche die physische Veranlassung gab. Der j ii d i s c h e G l a u b e ist , seiner ursp riinglichen Einrichtung nach, ein Inbegriff bloB statutarischer Gesetze, auf welchem eine Staatsverfassung gegriindet war; denn welche moralische Zusiitze entweder damals schon, oder auch in der F olge ihm a n g e h a n g t worden sin d, die sin d schlechterdings nicht zum Judentum, als einem solchen, gehorig. Das letztere ist eigentlich gar keine Religion , sondern bloB Vereinigung einer Menge Menschen, die, da sie zu einem besondem Stamm 3

Geschichte der Satzungen verschieden

KM; Geschichte verschieden A, B.

m. LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 184 - 186]

295

rivendicare quel primato che le spetta necessariamente, in quanto unica fede in grado di rendere migliori le anime, e che alla fine otterrà senz' altro. Ora, però, questa storia può avere unità solo se viene cir­ cos critta a quella parte del genere l umano in cui la disposizio­ ne all'unità della chiesa universale è ormai vicina al suo svi­ luppo maturo, vale a dire: solo se si limita a quei popoli pres­ so i quali è già stata posta pubblicamente la questione della differenza tra fede razionale e fede storica, e in cui la decisio­ ne al riguardo è ritenuta della massima importanza morale. Infatti l'unità della chiesa non è garantita affatto dalla storia religiosa di diversi popoli che non hanno tra loro una fede in comune. Inoltre, non può rientrare in questa unità neppure il fatto che in uno stesso popolo, in un dato momento, sia sorta una particolare fede nuova notevolmente differente da quella prima dominante; né importa che la fede precedente abbia recato in sé le cause o c c a s i o n a l i da cui si è generata quella nuova. L'unità del principio di fede, infatti, è necessa­ ria quando si deve considerare una serie di fedi diverse come serie di modificazioni di un'unica e medesima chiesa, e ciò di cui ci stiamo occupando attualmente è appunto la storia di una chiesa di questo tipo. In questa prospettiva, dunque, possiamo trattare soltanto la storia di quella chiesa che, fin dai suoi primi inizi, ha recato in sé il germe e i princìpi dell'unità oggettiva della fede reli­ giosa vera e u n i v e r s a l e , e che a quest'ultima è venuta gra­ dualmente avvicinandosi. Ora, è immediatamente evidente che la fede e b r a i c a non ha l nessun legame essenziale con questa fede ecclesiale di cui vogliamo esaminare la storia, nel senso che non è concet­ tualmente unificabile con essa; e, ciò, nonostante il fatto che la fede ebraica abbia immediatamente preceduto questa chie­ sa (la chiesa cristiana) , fornendo anche l'occasione materiale della sua fondazione. La f e d e e b r a i c a , secondo la sua istituzione origina­ ria, era un insieme di leggi semplicemente statutarie su cui si fondava una costituzione politica. Infatti, i complementi mo­ rali che le si sono a g g i u n t i già allora, o anche in seguito, non appartengono assolutamente all'Ebraismo in quanto tale. L'Ebraismo, a rigore, non è affatto una religione, ma sem­ plicemente l'associazione di una moltitudine di uomini che,

296 [ 1 86-187]

LA RELIGIONE

gehorten, sich zu einem gemeinen Wesen unter bloB politi­ schen Gesetzen, mithin nicht zu einer Kirche formten; vielmehr s o I l t e es ein bloB weltlicher Staat sein, so daB, wenn dieser etwa durch widrige Zufalle zerrissen worden, ihm noch immer der (wesentlich zu ihm gehorige) politische Glaube i.ibrig blie­ be, ihn (bei Ankunft des Messias) wohl einmal wiederherzustel­ len. DaB diese Staatsverfassung Theokratie zur Grundlage hat (sichtbarlich eine Aristokratie der Priester, oder Anfiih rer, die sich unmittelb ar von Gott erteilter Instruktion ri.ihmten) , mithin der Name von Gott, der doch hier bloB als weltlicher Regent, der i.iber und an das Gewissen gar keinen Anspruch tut, verehrt wird, macht sie nicht zu einer Religionsverfassung. Der Beweis, l daB sie das letztere nicht hat sein sollen, ist klar. E r s t l i c h sin d alle Gebote von der Art, daB auch eine politi­ sche Verfassung darauf h alten, un d sie als Zwangsgesetze aufer­ legen kann, weil sie bloB auBere Handlungen betreffen , und obzwar die zehn Gebote auch, ohne daB sie offentlich gegeben sein mochten, schon als ethische vor der Vernunft gelten , so sind sie in jener Gesetzgebung gar nicht mit der Forderung an die m o r a l i s c h e G e s i n n u n g in Befolgung derselben (worin nachher das Christentum das Hauptwerk setzte) gege­ ben, sondern schlechterdings nur auf die auBere Beobachtung gerichtet worden; welches auch daraus er� ellt, daB: z w e i ­ t e n s , alle Folgen aus der Erfi.illung oder Ubertretung dieser Gebote, alle Belohnung oder Bestrafung nur auf solche einge­ schrankt werden, welche in dieser Welt jedermann zugeteilt werden konnen, und selbst diese auch nicht einmal nach ethi­ schen Begriffen; indem beide auch die Nachkommenschaft, die an jenen Taten oder Untaten keinen praktischen Anteil genom­ men, treffen sollten, welches in einer politischen Verfassung allerdings wohl ein Kl ugh ei tsmi t tel sein kann, sich Folgsamkeit zu verschaffen, in einer ethischen aber aller Billigkeit zuwider sein wi.irde. Da nun ohne Glauben an ein ki.inftiges Leben gar keine Religion gedacht werden kann, so enthalt das Judentum als ein solches, in seiner Reinigkeit genommen, gar keinen Religionsglauben. Dieses wird durch folgende Bemerkung noch mehr bestarkt. Es ist namlich kaum l zu zweifeln: daB die J uden

III.

LA VITTORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 186- 187] 297

ap partenendo a una stirpe particolare, si conferirono la forma di un a comunità retta soltanto da leggi politiche, senza quindi formare una chiesa_ Anzi, questa comunità d o v e v a essere uno Stato esclusivamente mondano, tanto che, qualora esso si fosse smembrato a causa di eventi avversi, all'Ebraismo dove­ va pur sempre restare la fede politica (e solo questa fede gli appa rtiene essenzialmente) di restaurarlo senz'altro un giorno (con l'avvento del Messia) . La sua costituzione politica era ben lontano dal form are anche una costituzione religiosa , malgrado i l suo fon damento fosse una teocrazia ( sotto la forma visibile dì una aristocrazia dì sacerdoti o dì capì che sì vantavano d ì ricevere le istruzioni direttamente da Dio) , e quindi, in ultima analisi, il nome di Dio - onorato tuttavia sol­ tanto come sovrano mondano che non rivendica diritti sulla e nella coscienza umana. È facile dimostrare l che le cose stessero veramente così. I n p r i m o l u o g o , tutte le prescrizioni ebraiche ri­ guardano soltanto azioni esterne, per cui anche una costitu­ zione polìtica è perfettamente in grado di recepirle e di impor­ le come leggi coercitive. Glì stessi dieci comandamenti i quali, in quanto etici, hann o già tutto il loro valore davanti all a ragione, a p rescindere dalla loro promulgazione pubblica furono tuttavia prescritti in quella legislazione con riguardo esclusivo all'osservanza esterna, senza esigere che si obbedìsse loro con l ' i n t e n z i o n e m o r a l e (compito che il Cri­ stianesimo avrebbe poi considerato come il più importante) . Ciò risulta evidente anche dal fatto che, i n s e c o n d o l u o g o , tutte le conseguenze dell'adempimento o della tra­ sgressione dì queste prescrizioni, cioè tutte le ricompense o le puniz ioni, si limitavano soltanto a quelle che ognuno può ricevere in questo mondo; per di più, queste conseguenze non corrispondevano mai a concetti etici, dal momento che ricom­ pense e punizioni dovevano riguardare anche i posteri, i quali non avevano certo partecipato a quei fatti o misfatti - e tutto ciò, in una costituzione politica, può essere senz' altro u n mezzo prudente e d efficace per ottenere l'obbedienza, ma in una costituzione etica sarebbe contrario a ogni equità. Ora, poiché nessuna religione è pensabile senza la fede in una vita futura, ecco dunque che l'Ebraismo in quanto tale, preso nella sua purezza, non contiene affatto una fede religiosa. E ciò viene ulteriormente confermato dall' osservazione che segue. -

298 [187- 189]

LA RELIGIONE

eben sowohl, wie andre, selbst die rohesten Volker, nicht auch

einen Glauben an ein kiinftiges Leben, mithin ihren Himmel und ihre Holle sollten geh ab t haben; denn dieser G1aube dringt sich, kraft der allgemeinen moralischen An1age in der menschli­ chen Natur, jedermann von selbst auf. Es ist also gewill a h ­ s i c h t l i c h geschehen, daB der Gesetzgeber dieses Vo1ks, oh er gleich a1s Gott selbst vorgestellt wird, doch nicht die minde­ ste Riicksicht auf das kiinftige Leben habe nehmen w o I l e n , welches anzeigt: daB er nur ein politisches, nicht ein ethisches gemeines Wesen habe griinden wollen; in dem erstem aber von Belohnungen und Strafen zu reden, die hier im Leben nicht sichtbar werden konnen , ware unter jener Voraussetzung e in ganz inkonsequentes und unschickliches Verfahren gewesen. Ob nun gleich auch nicht zu zweifeln ist, daB die Juden sich nicht in der Fo1ge, ein j eder fiir sich selbst, einen gewissen Religionsg1auben werden gemacht h aben, der den Artikeln ihres statutarischen beigemengt war, so hat jener doch nie ein zur Gesetzgebung cles J udentums gehoriges Stiick ausgemacht. D r i t t e n s ist es so weit gefehlt, daB das J udentum eine zum Zustande der a 1 1 g e m e i n e n K i r c h e g e h o ri ge Epoche, oder diese allgemeine Kirche wohl gar selbst zu seiner Zeit aus­ gemacht habe, daB es vielmehr das ganze menschliche Ge­ schlecht von seiner Gemeinschaft ausschloB, als ein beronders vom J eh ova fur sich auserwahltes Volk, welches alle an l dere Volker anfeindete, und dafur von jedem angefein det wurde. Hiebei ist es auch nicht so hoch anzuschlagen, daB dieses Volk sich einen einigen durch kein sichtbares Bild vorzustellenden Gott zum allgemeinen Weltherrscher setzte. Denn man findet bei den meisten andem Volkem, daB ihre G1aubenslehre dar­ auf gleichfalls hinausging, und sich nur durch die V e r e h ­ r u n g gewisser jenem untergeordneten machtigen Untergotter cles Polytheismus verdachtig machte. Denn ein Gott, der bloB die Befolgung solcher Gebote will , dazu gar keine gebesserte moralische Gesinnung erfordert wird, ist doch eigentlich nicht dasj enige m o ralische Wesen, dessen Begriff wir zu einer Religion n otig haben . Diese wiirde noch eher bei e inem Glauben an viele solche machtige unsichtbare Wesen statt fin­ den, wenn ein Volk sich diese etwa so dachte, daB sie, bei der Verschiedenheit ihrer Departements, doch alle darin iiberein­ kamen, daB sie ihres Wohlgefallens nur den wiirdigten, der mit ganzem Herzen der Tugend anhinge, als wenn der Glaube nur einem einzigen Wesen gewidmet ist, das aber aus einem mecha­ nischen Ku1tus das Hauptwerk macht. Wir konnen also die allgemeine Kirchengeschichte, sofem

m . LA VITIORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 187 -189] 299

È infatti molto verosimile l che anche gli Ebrei - come gli altri popoli, persino i più rozzi - abbiano creduto in una vita futura, quindi in un paradiso e in un inferno, perché questa fede s'impone da sé su tutti in forza della disposizione morale universale della natura umana. D i p r o p o s i t o , dunque, il legislatore di questo popolo, sebbene presentato come Dio stesso, non ha v o l u t o tenere in nessun conto la vita futura, e ciò dimostra appunto che egli ha voluto fondare solo una comunità politica, non una comunità etica; sulla base di que­ sto presupposto, infatti, in una comunità politica sarebbe del tutto incoerente e inopportuno parlare di ricompense e di punizioni non visibili in questa vita. Se inoltre è verosimile pure che gli Ebrei, in seguito, abbiano raggiunto ciascuno per sé un certo grado di fede religiosa, mescolandola con gli arti­ coli della loro fede statutaria, tuttavia quella fede non è mai stata integrata nella legislazione ebraica. I n t e r z o l u o g o , infine, è del tutto sbagliato ritenere che l'Ebraismo abbia costituito un'epoca importante per lo sviluppo della c h i e s a u n i v e r s a l e , o che addirittura abbia rappresentato esso stesso, nella sua epoca, questa chiesa universale. Al contrario, piuttosto, l'Ebraismo escludeva dalla propria comunità tutto il genere umano, in quanto si conside­ rava un popolo speciale che, eletto da Jahvè, era nemico di tut­ ti l gli altri popoli, dai quali perciò era a sua volta osteggiato. D'altra parte, non è neppure il caso di dare troppa impor­ tanza al fatto che gli Ebrei abbiano posto come sovrano uni­ versale un Dio unico, non raffigurabile con immagini visibili. Si tratta infatti di una dottrina di fede cui sono pervenuti anche la maggior parte degli altri popoli, presso i quali essa fu sospettata di politeismo unicamente perché ammetteva anche la v e n e r a z i o n e di certi potenti semidei, subordinati a quel Dio assoluto. Ora, un Dio che vuole semplicemente l'obbedienza ai pro­ pri comandi, senza a un tempo esigere dall'uomo il migliora­ mento dell 'intenzione morale, non è propriamente quel­ l'Essere morale il cui concetto è necessario per ogni religione. Sarebbe più facile per una religione realizzarsi nella fede in molti esseri potenti e invisibili - a patto che un popolo li pen­ sasse, pur nella diversità delle loro sfere d'azione, concordi tutti quanti nel ritenere degno del loro compiacimento solo chi aderisce con tutto il cuore alla virtù -, piuttosto che nella fede in un Essere unico il quale faccia di un culto meccanico l'aspetto più importante.

L A RELIGIONE

3 00 [ 189- 1 9 1 ]

sie ein System ausmachen soll, nicht anders, als vom Ursprunge des Christenturns anfangen, das, als eine vi:illige Verlassung des Judenturns, worin es entsprang, auf einem ganz neuen Prinzip gegriin l det, eine ganzliche Revolution in Glaubenslehren bewirkte. Die Miihe, welche sich die Lehrer des erstem geben, oder gleich zu Anfange gegeben haben mi:igen, aus beiden einen zusammenhangenden Leitfaden zu kniipfen, indem sie den neuen Glauben nur fur eine Fortsetzung des alten, der alle Ereignisse desselben in Vorbildern enthalten habe, gehalten wissen wollen, zeigt a gar zu deutlich, da.B es ihnen hiebei nur um die schicklichsten Mittel zu tun sei, oder war, eine reine moralische Religion statt eines alten Kultus, woran das Volk gar zu stark gewohnt war, zu i n t r o d u z i e r e n , ohne doch wider seine Vorurteile gerade zu verstoEen. Schon die nachfolgende Abschaffung des ki:irperlichen Abzeichens, welches jenes Volk von andern ganzlich abzusondern diente, la.Bt urteilen , daE der neue, nicht an die Statuten des alten, ja an keine Statuten iiberhaupt gebundene Glaube eine fur die Welt, nicht fiir ein einziges Volk, gultige Religion habe enthalten sollen. Aus dem Judentum also - aber aus dem nicht mehr altvater­ lichen und unvermengten , blo.B auf eigene politische Ver­ fassung (die auch schon sehr zerruttet war) gestellten, sçmdern aus dem schon durch allmahlich darin offentlich gewordene moralische Lehren mit einem Religionsglauben vermischten Judentum, in einem Zustande, wo diesem sonst unwissenden Volke schon viel fremde (griechische) Weisheit zugekommen l war, welche vermutlich auch dazu beitrug, es durch Tugendbe­ griffe aufzuklaren, und bei der druckenden Last ihres Satzungs­ glaubens zu Revolutionen zuzubereiten , bei Gelegenheit der Verminderung der Macht der Priester, durch ihre Unter­ werfung unter die Oberherrschaft eines Volks, das allen frem­ den Volksglauben mit Gleichgultigkeit ansah - aus einem sol­ chen Judenturn erhob sich nun pli:itzlich, obzwar nicht unvor­ bereitet, das Christenturn. Der Lehrer des Evangeliums kiindig­ te sich als einen vom Himmel ges andten indem er zugleich, als einer solchen Sendung wurdig, den Fronglauben (an gottes­ dienstliche Tage, Bekenntnisse und Gebrauche) flir an sich nichtig, den moralischen dagegen, der allein die Menschen hei,

a

zeigt AA; zeigen A, B.

III. LA VTITORIA DEL PRINCIPIO BUONO

[ 1 89-191]

}01

Dunque, nella misura in cui la storia universale della chie­ sa deve costituire un sistema, non si può che farla iniziare dal­ l' origine del Cristianesimo, il quale, abbandonando completa­ m ente l'Ebraismo da cui era pur scaturito e fondandosi su un prin cipio interamente nuovo, l operò una totale rivoluzione nelle credenze religiose. Lo sforzo compiuto dai dottori del Cristianesimo, ovvero la premura con cui essi cercarono sin dall'inizio di stabilire un legame coerente tra queste due fedi - sostenendo che la nuova fede sarebbe soltanto la prosecuzione dell'antica, la quale avrebbe contenuto, sotto forma di simboli, tutti gli eventi della nuova -, dimostra palesemente questo: Essi inten­ devano trovare solo il mezzo più adatto per i n t r o d u r r e una religione morale pura al posto di un culto antico, senza però urtare direttamente i pregiudizi di un popolo che si era abituato anche troppo fortemente a tale culto. Già la conse­ guente abolizione del contrassegno corporale 102 che serviva a distinguere nettamente il popolo ebreo dagli altri, ci consente di affermare che la nuova fede, non più legata agli statuti del­ l' antica, anzi a nessuno statuto in generale, doveva contenere una religione valida non per un unico popolo, ma per il mondo intero. Il Cristianesimo, dunque, sorse improvvisamente, ma non senza essere stato preparato, dall'Ebraismo. - Ma non si trat­ tava più del genuino Ebraismo patriarcale, fondato semplice­ mente su una propria costituzione politica (peraltro già molto precaria) , bensì di un Ebraismo che, per via di dottrine morali gradualmente diffusesi e divenute pubbliche, era già mescola­ to a una fede religiosa. In quell'epoca, infatti, il popolo ebrai­ co, di per sé ignorante, aveva già subìto un grande influsso da parte di una saggezza straniera l (greca) , la quale probabil­ mente contribuì anche a illuminarlo mediante i concetti della virtù e a prepararlo alla rivoluzione: e, in effetti, tanto schiac­ ciante era il fardello della sua fede dogmatica, che il popolo ebraico attendeva ormai soltanto che il potere dei suoi sacer­ doti s' indebolisse sotto il dominio di un popolo 103 che guar­ dava con indifferenza a tutte le fedi popolari straniere. Fu questo l'Ebraismo da cui sorse il Cristianesimo. Il Maestro del Vangelo si annunciò come un inviato dal cielo, e a un tempo , rivelandosi degno di tale missione, dichiarò che la fede servile (estrinsecantesi in giorni consacra­ ti al culto, in professioni di fede e in riti) è in sé vana, mentre

3 02 [191-192]

LA RELIGIONE

ligt,